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Italian Pages 287/298 [298] Year 2008
COLLANA «SCHULIM VOGELMANN» 149
Roberto Piperno Sull’antisemitismo Con un’antologia di testi antiebraici
Prefazione di Walter Veltroni
Giuntina
Copyright © 2008 Roberto Piperno Editrice La Giuntina, Via Mannelli 29 rosso, Firenze www.giuntina.it ISBN 978-88-8057-310-4
Indice
Prefazione di Walter Veltroni . . . . . . Prefazione di Renzo De Felice alla prima edizione (1964) . . . . . . . . . . . . Introduzione . . . . . . . . . . Introduzione alla prima edizione . . . . . Édouard Drumont . . . . . . . I. II. August Rohling . . . . . . . . III. «La Civiltà Cattolica» . . . . . . IV. Houston Stewart Chamberlain . . . . Heinrich von Treitschke . . . . . . V. VI. I Protocolli dei Savi Anziani di Sion . . VII. Sergyei Nilus . . . . . . . . VIII. Giovanni Preziosi . . . . . . . IX. Adolf Hitler . . . . . . . . . X. Alfred Rosenberg . . . . . . . XI. Louis-Ferdinand Céline . . . . . . XII. N. Erlikh . . . . . . . . . . XIII. Robert Faurisson . . . . . . . . XIV. Karl Marx . . . . . . . . . XV. Hamas . . . . . . . . . .
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Ringraziamenti
Desidero ringraziare mia figlia Ilaria Piperno che, con le sue competenze professionali, mi è stata d’aiuto nella redazione finale del testo; mia moglie Paola Gabbrielli, esperta di intercultura, per le acute osservazioni sul testo in corso d’opera; Giorgio Gomel, uno dei principali esponenti del «Gruppo Martin Buber – Ebrei per la pace» di Roma, per gli amichevoli consigli; il CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano) e la biblioteca del Centro di Cultura Ebraica della Comunità ebraica di Roma per la collaborazione nel procurare i testi e la documentazione necessaria.
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Prefazione
Oltre quaranta anni sono passati da quando Roberto Piperno, appena fresco di laurea, pubblicò L’antisemitismo moderno, con l’intento di fornire, attraverso una selezionata documentazione, uno strumento per conoscere e contrastare l’insieme di pregiudizi, di credenze, di ideologie che sono alla base dell’antisemitismo e delle sue strumentalizzazioni. Renzo De Felice, nella prefazione di quell’edizione, sottolineava non solo l’importanza di questo impianto critico ma l’utilità che il testo di Piperno avrebbe potuto avere nel dibattito e nella conoscenza sugli aspetti essenziali dell’antisemitismo moderno «per una discussione che chiarisca i punti controversi ed in ombra. Il che è ancor oggi estremamente importante…». Quest’ultima frase di De Felice suona ancor oggi di estrema attualità, in un presente nel quale non solo quei punti non sono stati sufficientemente chiariti, ma nel quale i pregiudizi «storici» che Piperno illustrava rimangono forti e vivi, addirittura, per certi versi, rinvigoriti da un negazionismo che continua a propagandare la sua visione riduttiva e offensiva di quell’atrocità, di quella vergogna che la Shoah ha rappresentato e rappresenta per l’intera umanità. Bene ha fatto, allora, Roberto Piperno a proporre una nuova edizione di quel suo primo libro, ampliandolo di commento e di una documentazione che confermano il suo intento di mettere insieme uno strumento di conoscenza non rivolto strettamente a specialisti o a studiosi, ma soprattutto alla grande massa dei lettori, delle persone che vogliano «toccare» direttamente le parole che sostengono quei pregiudizi, quelle teorie, quelle tesi sulle quali l’antisemitismo moderno continua a trovare una sua ragione. 7
Bisogna leggerle, quelle parole. Bisogna leggere, per esempio, la secchezza tranciante dei documenti di Hamas, i sillogismi nei quali si impastano vecchi e nuovi pregiudizi, constatare il modo in cui, nonostante la prova di falsi storici e le testimonianze dirette dei sopravvissuti, si usino strumentalmente aspetti marginali o imprecisioni per negare quanto è successo nei campi di sterminio, e sostenere la veridicità di fatti che non hanno nessuna prova documentale: ritornano così, come in un incubo senza fine, le tesi dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, la convinzione di un complotto per il raggiungimento di un potere planetario, l’onnipotenza di una lobby capitalistica ebraica, la continua confusione tra la politica dello Stato d’Israele e la religione ebraica. Piperno torna, o, meglio, continua dopo questi decenni a credere nella possibilità di infrangere questo fronte. Il suo lavoro è, insieme, lavoro di storico e lavoro di scrittore, là dove lo scrittore opera e difende il valore fondamentale della memoria, del valore della testimonianza e del pericolo di cui Primo Levi parlava nel suo I sommersi e i salvati: «Per noi parlare con i giovani è sempre più difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati». La memoria, da sola, dunque non basta. Non basta coltivarla, perché essa può perdersi nel dolore di ricordare come nell’inganno del tempo che seleziona e cambia il punto di vista delle cose. Per questo è importante l’educazione, sono importanti la conoscenza e lo studio dei motivi, delle idee, di quanto ha da sempre sostenuto le ragioni dell’antisemitismo. Perché, al di fuori di ogni prospettiva storica, occorre rendersi conto, come giustamente scrive Piperno, che il cosiddetto «problema ebraico» è in realtà un problema di realizzazione della democrazia, un problema la cui soluzione non può che passare attraverso il rispetto degli uomini sugli uomini, attraverso la tolleranza e la conoscenza reciproca, l’aderenza a quei valori fondamentali senza i quali non è possibile pensare a un futuro di pace e di vero progresso per l’umanità. Walter Veltroni 8
Prefazione alla prima edizione (1964)
La letteratura sull’antisemitismo – uno dei più significativi e interessanti fenomeni della storia umana ed in particolare di quella degli ultimi due secoli, da quando, cioè, è venuto assumendo caratteristiche via via sempre più drammatiche – è vastissima. Come è noto, salvo rare eccezioni (che per l’Italia sono regola) essa riguarda però soprattutto la storia delle persecuzioni e, più in genere, della cosiddetta «questione ebraica»; scarsi e, in genere, di non grande valore sono invece gli studi che affrontano il fenomeno dell’antisemitismo in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue implicazioni, religiosi, psicologici, economici, sociali, ideologici, politici. Sotto questo profilo, anche fuori d’Italia, indagini come quella del Massing per la Germania rimangono delle eccezioni che – proprio per la loro serietà – fanno vieppiù sentire la mancanza di buoni studi. La presente antologia dell’antisemitismo moderno è certo lungi dal colmare tale lacuna; essa ha però indubbi pregi: innanzitutto quello di offrire al lettore una sintesi essenziale della più significativa «letteratura» antisemita europea degli ultimi due secoli; di una «letteratura» della quale – in genere – si può dire che si parla molto e si conosce poco. Da questo punto di vista – anzi – non vi è dubbio che, pur nella sua essenzialità – l’antologia offre un panorama pressoché completo – almeno nelle sue voci più significative – e tale da permettere, anche al lettore meno adusato a questo genere di «letteratura», di farsi una idea abbastanza precisa di quali siano stati e in parte siano tutt’ora gli argomenti dell’antisemitismo. Oltre a ciò, nella sua ampia introduzione il Piperno ha cercato di tracciare un profilo critico della storia dell’anti9
semitismo europeo dalla Rivoluzione francese ad oggi che coglie bene i momenti, gli aspetti e il significato dell’antisemitismo stesso. Certo, in queste pagine non mancano giudizi e affermazioni con i quali più di una volta è difficile concordare completamente, che risentono troppo dello sdegno – più che giustificato del resto – dell’autore e che in qualche occasione non tengono sufficientemente conto degli sviluppi più recenti. Così, per esempio, le critiche che il Piperno muove alla Chiesa cattolica, se sono giustificate per il passato, meno lo sembrano considerando l’oggi, caratterizzato come è questo da una serie di prese di posizione e di concrete iniziative a tutti i livelli che dimostrano una sincera intenzione di rinnovamento e di chiarezza dei cattolici anche in questo campo. Ne è prova evidente la parte dedicata agli ebrei nello schema conciliare sull’ecumenismo. E lo stesso ci pare si possa dire per le critiche all’Unione Sovietica: che negli ultimi anni del regime staliniano la malapianta dell’antisemitismo abbia avuto nell’URSS e nelle cosiddette democrazie popolari una riviviscenza è un dato di fatto (basta a togliere ogni dubbio la documentazione raccolta dal Fejtö); da parte nostra però andremmo più cauti nel definire antisemiti certi attacchi e certe manifestazioni sovietiche di oggi, che ci sembrano piuttosto frutto di un certo modo di concepire ancora rozzamente la lotta antireligiosa e di una certa incapacità a risolvere in termini non meramente territoriali i problemi delle nazionalità. Nonostante queste riserve, il profilo introduttivo del Piperno (per molti aspetti influenzato notevolmente dal noto saggio del Leon) ha, a nostro avviso, indubbi pregi. Riesce bene ad inquadrare gli aspetti essenziali del problema e costituisce un prezioso contributo per un ulteriore approfondimento e – più in genere – per una discussione che chiarisca i punti ancora controversi ed in ombra. Il che è ancor oggi estremamente importante e necessario, non solo dal punto di vista meramente storico e culturale, ma anche da quello più genericamente civile e morale. La pubblicazione e la diffusione, in occasione della prima sessione del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, di un massiccio libello antisemita come il Complotto contro la Chiesa di M. Pinay, che tanto sdegno ha suscitato tra 10
tutti i veri cattolici, mostrano infatti come sia ancor oggi necessaria una continua azione di chiarificazione e di demistificazione che faccia il vuoto attorno all’antisemitismo e smascheri le sue subdole manovre. E anche in questo senso non vi è dubbio che questa antologia potrà avere una utile funzione: la conoscenza diretta degli «argomenti» degli antisemiti è infatti la miglior difesa contro l’antisemitismo. Renzo De Felice
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Sull’antisemitismo
ai Giusti Clelia e Alberto Ragionieri e alle Suore Betlemite che hanno salvato me e la mia famiglia
Introduzione
Il dopoguerra: la ricostruzione Per gli ebrei sopravvissuti o emigrati in paesi lontani, come l’America del Nord e del Sud, il dopoguerra fu un periodo di pausa, riflessione, rielaborazione dei ricordi, nonché ricerca di una collocazione accettata e accettabile nel nuovo contesto sociale e politico che si stava ridisegnando. Si trattava di ritornare a vivere! Non si manifestarono in questo periodo fatti improntati all’antisemitismo tali da suscitare viva apprensione e preoccupazione generalizzata per l’immediato futuro, anche se in Polonia tra il 1945 e il 1947 si ebbero sussulti di violenza, come a Kielce il 4 luglio del 1946 (1) *, contro ebrei sopravvissuti che ritrovavano le loro case e famiglie, ed altri episodi si ebbero in Ungheria e Slovacchia, senza contare numerosi articoli di taglio tradizionalmente antisemita (2). Anche in URSS l’antisemitismo, come vedremo più avanti, continuò a manifestarsi anche nel dopoguerra con Stalin, ma la situazione cambiò alla sua morte nel ’53. Dal 1945 al 1952 si svolsero, a cominciare da quello più noto di Norimberga, i processi ai principali responsabili del nazismo e ai loro più significativi collaboratori in Europa, che portarono alla luce le azioni compiute da parte della cosiddetta «razza superiore ariana» per lo sterminio delle così dette «razze inferiori», e cioè ebrei-semiti, zingari, slavi, testimoni di Geova, perseguitati politici, omosessuali,
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I numeri fra parentesi si riferiscono alla Bibliografia a p. 62.
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diversamente abili. Nel corso dei processi venne anche alla luce il testo del protocollo di Wannsee del 20 gennaio 1942 con il quale era stato deciso dai gerarchi nazisti la messa in atto della «soluzione finale» della questione ebraica. Fu in questo periodo che l’opinione pubblica venne a conoscenza della Shoah, cioè dello sterminio nazista degli ebrei e delle «razze inferiori». Certamente il dopoguerra non era ancora il periodo adatto ad affrontare in modo approfondito e innovativo le cause dell’antisemitismo; persino Benedetto Croce, che certo non può essere considerato un antisemita, manifestò nel 1946 opinioni assai tradizionali e pesanti sulle cause delle persecuzioni antiebraiche in una prefazione a un libro di Cesare Merzagora (3): «E quando si iniziò l’infame persecuzione contro gli Ebrei, io ebbi come un brivido di orrore, a piena rivelazione della sostanziale delinquenza che era nel fascismo, come chi fosse costretto ad assistere allo sgozzamento a freddo di un innocente e mi misi di slancio dalla loro parte con tutto l’essere mio per fare quello – ed era assai poco – che per loro si poteva per lenire o diminuire il loro strazio … Molti danni e molte iniquità compiute dal fascismo non si possono ora riparare per essi come per gli altri Italiani che le soffersero, né essi vorranno chiedere privilegi e preferenze, e anzi il loro studio dovrebbe essere di fondersi sempre meglio con gli altri Italiani, procurando di cancellare quella distinzione e divisione nella quale hanno persistito nei secoli e che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere che ne dia ancora in avvenire … il mondo va innanzi con troppe vittime e martiri necessari e si potrebbe risparmiargli quelli non necessari, foggiati da alcuni tratti sopravviventi di una religiosità barbarica o primitiva, dall’idea di “popolo eletto” che è tanto poco saggia che la fece sua Hitler…». Gli ebrei stessi, dunque, sarebbero corresponsabili delle persecuzioni e delle stragi subite in quanto si ostinano a rimanere ebrei, tanto più che continuano a professare «una religiosità barbarica o primitiva», sempre meno confacente alla società contemporanea. Con queste affermazioni Benedetto Croce non fa altro che riesumare il fondamento stesso di ogni antiebraismo e antise16
mitismo, che non accetta che gli ebrei abbiano diritto a una loro antica identità religiosa, culturale e storica, che è solo in parte differente da quella di maggioranza della società in cui vivono, con la quale convivono e condividono comuni comportamenti sociali e il rispetto delle norme. Già ai tempi degli antichi Romani, Cicerone e Tacito biasimano gli ebrei perché non si omologano alle altre popolazioni dell’impero, mantenendo ovunque le loro tradizioni, rifiutandosi di sposarsi con persone di altre religioni, di mangiare certi cibi diffusi tra tutti e di non riconoscere il carattere divino degli imperatori romani. D’altronde ciò era accaduto ben prima anche in Egitto, dove il mondo ebraico aveva conservato caratteri propri e non aveva riconosciuto il carattere divino dei Faraoni e per questo era stato ridotto in condizione di schiavitù. Come è più ampiamente già analizzato nella introduzione alla prima edizione, le persecuzioni antiebraiche prendono spunto dalla permanenza di una specifica identità ebraica che viene sfruttata da centri di potere autoritari che utilizzano la diffidenza verso il «diverso» per farne il «capro espiatorio» di difficoltà sociali e politiche che hanno ben diversa origine. Naturalmente le accuse sono cambiate nel corso dei secoli con il mutamento delle condizioni sociali e della gestione del potere. Per un lungo periodo nelle società l’elemento unificante è stato prevalentemente quello religioso e quindi l’accusa principale rivolta agli ebrei nel mondo cristiano era quella di «deicidio» e di comportamenti contrari alla morale religiosa dominante. Con l’avvento dei tempi moderni, dello stato laico e delle nuove articolazioni delle classi sociali, l’aspetto religioso è andato via via perdendo peso ed è nato l’antisemitismo moderno centrato sull’accusa agli ebrei di voler costituire, attraverso un «complotto ebraico», una classe dominante che mira a sottomettere il mondo intero. A ciò si è aggiunta la specifica accusa della diversità e inferiorità «razziale», con l’avvento del nazismo. Inoltre, negli ultimi secoli, l’elemento nazionale e statale è divenuto ovunque sempre più importante e quando alla fine dell’800 è nato il sionismo, per la creazione di un «focolare nazionale ebraico», è stato rapidamente interpretato dagli antisemiti come un ulteriore tentativo di creare un punto di riferimento 17
per il «complotto ebraico», e l’antisionismo, come vedremo più avanti, diventa per molti la versione moderna dell’antica tendenza ad accusare gli ebrei di colpe universali e permanenti dalle quali non si possono in alcun modo liberare. All’inizio degli anni ’60 esce in Francia il libro di JeanPaul Sartre Réflexion sur la question juive, con una lettura anche discutibile dell’antisemitismo in chiave prevalentemente psicologica ed esistenzialistica, ma assai importante per l’affermazione che l’antisemitismo è un grave problema delle società dove si manifesta, da comprendere e da combattere, giacché non riguarda soltanto gli ebrei che ne sono le prime vittime, ma è l’indicazione di una errata concezione dei rapporti sociali, che accetta le discriminazioni e finisce con il portare danni profondi a tutti. Sartre afferma che ci troviamo in presenza di una struttura sociale regressiva in cui l’antisemitismo «è una valvola di sicurezza per le classi possidenti» e «una concezione del mondo prelogica». Dunque per il filosofo l’antisemitismo non è un comportamento sociale circoscritto, ma è un modo di essere globale, perché è il segno di una condizione esistenziale, quella della inautenticità. Sartre dice: «Allo stesso modo diremo che l’antisemitismo non è un problema ebraico: è il nostro problema. Dato che ne portiamo la colpa e che rischiamo di esserne anche noi le vittime, dobbiamo essere ben ciechi per non vedere che riguarda essenzialmente e prima di tutto noi … Ma bisognerà dimostrare a ciascuno che il destino degli ebrei è il suo destino: non ci sarà un francese libero, finché gli ebrei non godranno la pienezza dei loro diritti; non un francese vivrà sicuro, finché un ebreo in Francia e nel mondo intero possa temere per la propria vita». Così l’antisemitismo viene finalmente visto come la spia di una profonda disfunzione dei sistemi sociali che lo riesumano e lo sviluppano in momenti di difficoltà di carattere politico, economico, sociale o culturale, con la funzione di additare un capro espiatorio a cui addossare colpe universali e inamovibili, rifuggendo così dalla analisi della realtà e delle responsabilità, dalle proprie insoddisfazioni e trasferendo sentimenti di odio sugli ebrei. Nel periodo postbellico, si verificò anche un fatto nuovo e di grande rilievo: nel 1948 nasce lo Stato d’Israele, dopo 18
il voto dell’assemblea generale dell’ONU del 29 novembre 1947 che approvava la spartizione del Mandato Britannico e la creazione di due nuovi Stati. Questo fatto, verificandosi subito dopo le persecuzioni e le stragi naziste, non poteva non coinvolgere emotivamente tutti gli ebrei, ovunque si trovassero e qualunque fosse la loro prospettiva e il loro interesse per il sionismo. Questo avvenimento significò un tentativo di ricostruire una nuova vita per tanti ebrei salvatisi dalle persecuzioni, in un quadro internazionale assai mutato, eppure ebbe anche la conseguenza, come vedremo più avanti, di suscitare in alcuni paesi nuove ondate di antisemitismo. Certamente nel periodo postbellico l’attenzione di tutte le popolazioni era principalmente rivolta alla ricostruzione della vita personale e sociale e ad aprire nuove prospettive per un più avanzato e nuovo equilibrio sociale e politico, nazionale ed internazionale. Ne sia prova il fatto che 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti (1944) e Se questo è un uomo di Primo Levi (1947) in Italia e Il diario di Anna Frank (1947) in Olanda erano stati già pubblicati, ma le tre opere avevano riscosso un’attenzione interessata ma ancora assai limitata e dovette passare del tempo prima che divenissero punti di riferimento stabili per comprendere ciò che era avvenuto con le persecuzioni naziste. Gli anni ’50 e ’60: l’inizio di un cambiamento Fu nella seconda metà degli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60 che iniziò una riflessione pubblica e più approfondita sull’antisemitismo e sulla Shoah, con il fine ultimo di comprendere meglio le caratteristiche di questo terribile fenomeno sociale ed evitare che esso potesse di nuovo manifestarsi. Le stesse Comunità ebraiche presenti in Europa alla metà degli anni ’50 sentirono con più forza la necessità di andare a fondo su ciò che era successo e l’esigenza di raccogliere in modo organico la documentazione relativa alle vicende delle persecuzioni, della deportazione e della partecipazione alla Resistenza. Questa necessità, ad esempio, fu recepita dalla Federazione Giovanile Ebraica d’Italia, che nel decennale 19
della liberazione ebbe l’idea di dar vita a un centro di ricerca che nel 1955, con l’appoggio dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, fu fondato con il nome di Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) (5), da allora sempre attivo proprio nelle ricerche sullo sterminio degli ebrei e sull’antisemitismo. Fu in questo periodo di un più complessivo cambiamento sociale, culturale e politico e di una contemporanea sollecitazione alla «memoria» che nacque la prima edizione di questo volume, L’antisemitismo moderno, il primo di una grande quantità di pubblicazioni, studi, ricerche che da allora si sono succeduti in Italia e più in generale in Occidente, con ritmo incalzante che è continuato nei trascorsi quarantacinque anni. Lo scopo del libro era soprattutto quello di mettere in evidenza le caratteristiche che aveva assunto negli ultimi due secoli l’antiebraismo bimillenario, alimentato tradizionalmente da motivazioni e differenze religiose e trasformatosi in un fatto nuovo di natura politica e razziale sotto il nome di «antisemitismo». Il libro si proponeva, dunque, di esaminare il fenomeno nelle sue espressioni più recenti, fino al razzismo nazista, e si rinvia quindi alla precedente introduzione (pp. 65-121) per un’analisi delle ragioni che hanno causato le persecuzioni verso gli ebrei. Inoltre, fornendo anche una conoscenza diretta di testi di autori antisemiti significativi, il volume si proponeva di offrire uno strumento di analisi e conoscenza del fenomeno a un pubblico più ampio e così contribuire al suo superamento nella prospettiva della crescita di una società sempre più democratica e interculturale, dove la diversità non generi diffidenza, pregiudizio e odio, ma produca un confronto costruttivo e una interrelazione basata sulla conoscenza dell’altro e della sua storia. Come espressione del nuovo clima dell’inizio degli anni ’60 possiamo notare come la precedente introduzione a questo libro, scritta in quegli anni da un giovane ebreo, si concluda con le parole «che il problema ebraico è un problema di tutti», frase che esprime la stessa impostazione di J.-P. Sartre, il quale aveva scritto il suo testo nello stesso periodo. Stava nascendo una nuova sensibilità per questa tematica e di essa emergevano segnali assai importanti nelle posizio20
ni della Chiesa cattolica che aprivano una speranza per una nuova e più larga evoluzione; questo libro voleva anche sollecitare una conoscenza più diffusa dell’antisemitismo presso un pubblico più ampio, uscendo dal dibattito ristretto di specialisti, e facilitare così anche la comprensione dei cambiamenti che stava introducendo Papa Giovanni XXIII. Per questo il volume era stato concepito in parte come un’antologia e in parte come una riflessione complessiva e a larghe linee sull’antisemitismo e sulle motivazioni sociali e politiche che ne erano alla base, perché mirava a indicare che un futuro migliore poteva essere basato sullo sviluppo della democrazia e quindi sul rispetto dei princìpi di libertà e di eguaglianza per tutti i cittadini, in una concezione democratica di cittadinanza plurima nel rispetto reciproco delle diversità. D’altronde questa era un’impostazione che avevo maturato direttamente nella esperienza avuta nel periodo a cavallo tra la seconda metà degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, sia nella nuova Federazione Giovanile Ebraica, anche con la fondazione del CDEC, sia in particolare nel nuovo giornale della Federazione, Ha-Tikwà, di cui ero stato il direttore per alcuni anni. In quel periodo poi si stavano svolgendo anche i primi studi ed approfondimenti sulla recente storia italiana e in particolare va ricordato Renzo De Felice che scrisse la prefazione del libro e che stava pubblicando, suscitando reazioni assai diverse, un approfondito esame del periodo fascista. Come già accennato, proprio all’inizio degli anni ’60 si manifesta un nuovo atteggiamento nell’affrontare il tema dell’antisemitismo e, nell’ambito dei grandi e complessivi cambiamenti sociali, economici e politici, avvennero due fatti di tale rilievo da attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e suscitare ulteriormente il bisogno di comprendere meglio l’antiebraismo secolare e l’antisemitismo più recente. Il primo fu il processo nel 1961 ad Adolf Eichmann, che era stato uno dei principali responsabili della pianificazione e della esecuzione della Shoah e che alla fine della guerra era fuggito sotto falso nome in Sud America, come tanti altri 21
gerarchi nazisti. Il processo si svolse a Gerusalemme per l’attiva iniziativa dello Stato d’Israele, che aveva ritrovato Adolf Eichmann in Argentina, e si concluse con la condanna a morte dell’imputato. Così le cronache giornalistiche e, ormai, anche televisive iniziarono a proporre notizie e documenti sulla «soluzione finale» nazista, rendendola di pubblico dominio e suscitando profonde reazioni, anche tra i tanti che non avrebbero mai potuto immaginare le terrificanti azioni alle quali era arrivato l’antisemitismo nazista. Eppure anche il processo ad Eichmann, come era successo per la nascita dello Stato d’Israele, mise in moto nuovamente delle reazioni antisemite, seppure di carattere locale. In Italia l’organizzazione «Giovane Italia» diffuse manifestini antisemiti e furono pubblicati articoli di dirigenti della destra che non condannavano le leggi razziali fasciste, ne limitavano la portata, le descrivevano come leggi dovute alla necessità di difendere il Paese dalla Internazionale Ebraica, mentre la Germania nazista era l’unica responsabile delle persecuzioni e della Shoah. D’altronde in Italia era continuata nel dopoguerra la presenza di espressioni antisemite di origine fascista, come quella rappresentata da Pino Rauti, fondatore del movimento extraparlamentare «Ordine Nuovo» e della casa editrice Europa, che pubblicava testi antisemiti come il Mein Kampf di Hitler e i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, e da Stefano Delle Chiaie, che aveva fondato nel 1959 il movimento d’impostazione nazista e antisemita Avanguardia Nazionale. Ambedue erano stati discepoli del filosofo Julius Evola (1898-1974), che nei libri Il mito del sangue (1937) e Sintesi di dottrina della razza (1941) aveva propugnato un «razzismo spirituale», che portasse all’affermazione della razza ariana e combattesse non solo il corpo e il sangue, ma anche lo spirito ebraico. Il secondo fatto di grandissima rilevanza fu il cambiamento profondo nell’area cristiana. Il cristianesimo protestante era stato nei secoli in parte influenzato da alcune posizioni antiebraiche di Lutero, ma dopo la Shoah l’antisemitismo fu condannato dal Consiglio Mondiale delle Chiese Protestanti alla Conferenza di Amsterdam nel 1948 e a Nuova Delhi nel 1961, dove fu espresso anche il rimpianto di non aver combattuto il nazismo più a fondo. 22
Quanto alla Chiesa cattolica, nel 1958 vi fu l’avvento al papato di Giovanni XXIII (1958-1963), «il Papa buono», che aprì la porta a un cambiamento radicale nell’atteggiamento della Chiesa stessa che, per quasi duemila anni, aveva ritenuto tutti gli ebrei colpevoli di «deicidio». Questa fase di profondo cambiamento fu iniziata da Papa Giovanni XXIII con l’abolizione nella liturgia del Venerdì Santo della frase «oremus pro perfidis judaeis (…) et judaica perfidia» (1959) e continuò dopo la sua morte nel Concilio Vaticano II, che era stato aperto da lui nel 1962 e concluso da Paolo VI con l’enciclica Nostra Aetate (1965), che eliminava l’accusa di «deicidio» rivolta non solo a una parte degli ebrei dell’epoca di Gesù, ma anche a ogni ebreo vissuto successivamente. Si aprì così una fase nuova e costruttiva nei rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo e la Chiesa cattolica nel suo complesso proseguì nella sua linea di rinnovamento, nonostante il persistere di alcune opposizioni interne espresse in pubblicazioni come, ad esempio, quella di Maurice Pinay Complotto contro la Chiesa, distribuito ai Padri conciliari nel gennaio del 1963. Il periodo che va dalla fine degli anni ’50 all’inizio degli anni ’60 fu dunque non solo profondamente significativo per i grandi cambiamenti che erano stati avviati in Italia e in tutto l’Occidente in ogni campo, con il definitivo passaggio da una vita ancora assai centrata sull’agricoltura a una società dell’industria, del consumo e dell’educazione di massa, ma fu anche l’avvio di una riflessione nuova e costruttiva sull’antisemitismo, sia per ciò che era stato sia per ciò che poteva ancora essere, nonché un impegno più generale a non perdere la «memoria» di ciò che era avvenuto con le recenti persecuzioni antisemite. L’antisemitismo negli ultimi quarant’anni Riproporre dopo oltre quarant’anni questo volume indica che non si è certo esaurito il bisogno di comprendere le motivazioni che hanno sostenuto e sostengono l’antisemitismo e che è utile, anche oggi, fornire la possibilità di una diffusa 23
conoscenza diretta, in forma antologica, delle idee e delle forze che ancora oggi si trovano dietro questo fenomeno sociale, religioso, politico e ideologico, pur in presenza di tante ottime pubblicazioni e ricerche specialistiche o di molti siti internet (come ad esempio «olokaustos.org» incentrato sulla storia dell’olocausto) o dei nuovi centri di documentazione, che oggi rendono possibile anche una verifica puntuale e periodica dell’antisemitismo ancora attivo in Europa, America e Medio Oriente. Il quadro che emerge dalla lettura di queste ricerche, alcune assai ampie e puntuali, come quella di Leon Poliakov (6), dalle ricostruzioni della storia degli ebrei contemporanei e dalle indagini periodiche, con approfondimenti che variano nel corso dei decenni, fa registrare una bassa permanenza delle teorie razziste naziste, in rapporto anche al superamento complessivo del razzismo in sede scientifica. Tuttavia è ancora attivo l’antisemitismo moderno, che si richiama al «complotto ebraico» per dominare il mondo attraversa la finanza e la politica, descritto nei Protocolli dei Savi Anziani di Sion dell’inizio del ’900 (già illustrato nella prima introduzione di questo libro e incluso nella prima parte antologica). Dunque la presenza sotterranea e diffusa dell’antisemitismo è ancora una realtà e le indagini più recenti, relative al 2006, del Stephen Roth Institute for the Study of Contemporary Antisemitism and Racism indicano una crescita, a partire dal 2000, di atteggiamenti e manifestazioni verbali e visive di antisemitismo in tutto il mondo e in particolare in Gran Bretagna e Francia. Non è un caso che Giorgio Napolitano, appena eletto Presidente della Repubblica nel 2006, nel suo discorso iniziale abbia voluto richiamare l’attenzione sul rischio che l’antisemitismo possa ancora manifestarsi, e in occasione del «Giorno della memoria», il 27 gennaio del 2007, abbia fermamente criticato le prese di posizione antisioniste che negano il diritto dello Stato d’Israele a esistere. Più in particolare, quali sono gli elementi di novità che hanno caratterizzato l’antisemitismo in quest’ultimo mezzo secolo? In primo luogo è necessario sottolineare gli elementi positivi e costruttivi che sono emersi dall’evoluzione in senso democratico e progressista dei paesi europei dopo la 24
seconda guerra mondiale e le terrificanti esperienze del nazismo e del fascismo. In nessuna nazione occidentale sono state prese iniziative pubbliche e ufficiali per limitare o perseguitare le minoranze ebraiche, mentre i governi hanno complessivamente manifestato il più completo dissenso da ogni iniziativa antisemita. Alcuni paesi europei, inoltre, anche in linea con il crescente fenomeno delle migrazioni e l’affermarsi di società multiculturali e multireligiose, hanno approvato leggi che considerano un crimine il razzismo e, in alcuni casi (Austria, Francia, Italia), anche l’antisemitismo. L’Italia, come la Francia e la Germania, ha anche istituito, con l’apposita legge 211 del 20 luglio 2000, «Il Giorno della Memoria» per ricordare il 27 gennaio, data in cui l’Armata Rossa abbatté i cancelli di Auschwitz. Anche l’Assemblea Generale dell’ONU, nel sessantesimo anniversario di quella storica data, il primo novembre del 2005 ha approvato una risoluzione per ricordare lo sterminio degli ebrei e di altre minoranze perseguitate e il suo Segretario Generale, Kofi Annan, ha proclamato il 27 gennaio «Giorno Internazionale della Memoria», per scongiurare che queste catastrofi possano ripresentarsi. Sono questi i segni profondi del crescente rifiuto di atteggiamenti discriminatori e del progresso democratico che rimane la vera e profonda soluzione al problema dell’antisemitismo, riconoscendo a ciascun essere umano la stessa possibilità di essere libero ed eguale. In questo quadro va collocato il cambiamento della Chiesa cattolica, già prima citato, che continua a manifestarsi con forza in successive occasioni: la pubblicazione il 12 marzo 1998 di «Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah», un documento della «Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo», con una premessa di Papa Giovanni Paolo II, dove si condanna l’antisemitismo e il razzismo e il crimine della Shoah perché in profondo contrasto con i princìpi del cristianesimo; il pellegrinaggio che lo stesso Papa fa a Gerusalemme (22-26 marzo 2000), rendendo omaggio a Yad Vashem, museo dell’Olocausto, dove dichiara di sentirsi «profondamente addolorato per l’odio, gli atti di persecuzione e le dimostrazioni di antiebraismo rivolte contro gli ebrei dai cristiani, in ogni tempo e luogo». 25
Si può quindi affermare che in questi passati quarant’anni si sono avviate e via via radicate nuove tendenze in ambito politico, istituzionale e religioso, che aprono fondate speranze di un cambiamento graduale ma complessivo verso il rispetto della minoranza ebraica e, più in generale, delle minoranze etniche e religiose, nel quadro di un mondo sempre più globalizzato e comunicante. Tuttavia, come vedremo meglio più avanti, in questi stessi decenni hanno continuato a emergere atteggiamenti antiebraici e manifestazioni antisemite legate a pregiudizi remoti e più recenti. Così ciò si manifesta anche nel mondo cattolico che, a fianco dei profondi e positivi cambiamenti espressi dalla Chiesa, vede sopravvivere, sia pure sempre con minor forza, frange che ancora esprimono quelle lontane accuse, come ad esempio lo schieramento tradizionalista promosso da Marcel Lefevre, che non ha mai accettato i risultati del Concilio Vaticano II del 1965; oppure la casa editrice e il giornale on-line Effedieffe del giornalista Maurizio Blondet, che si propone di combattere una battaglia per la difesa del cattolicesimo e che continua a porre in evidenza le teorie cospirative del mondo ebraico. Così Blondet conclude un suo libro: «Il popolo israelita, che ha accettato tanti falsi messia, oggi adora se stesso, con le sue macchie e le sue colpe, come ultimo e definitivo Messia» (7); mentre in un volume successivo analizza, a partire dal «colpo di stato dell’11 settembre», la presenza ebraica nei principali centri di potere americano (8). Accanto a queste prese di posizione, legate ad antichi pregiudizi, si sono manifestati atteggiamenti antisemitici con caratteristiche nuove, a penosa conferma che questo tarlo è entrato nei secoli così profondamente nella mente della gente che oggi è ancora possibile farlo riemergere in modo trasformista, rivolgendo di nuovo verso gli ebrei le insoddisfazioni dei popoli che invece, come sempre, hanno cause del tutto diverse. Adriana Goldstaub del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea ha scritto recentemente (9): «Il pregiudizio antiebraico in Europa è diventato un problema contingente e serio: già dal 2001 infatti, ma soprattutto nel 2002, numerosi paesi dell’Europa Occidentale hanno visto susseguirsi 26
centinaia di segnalazioni tra attacchi fisici e minacce rivolte agli ebrei, profanazioni di cimiteri e tentativi di incendi alle sinagoghe e alle istituzioni ebraiche, vandalismi e graffiti, articoli sulla stampa e pubblicazioni. Teatro di questi episodi sono state particolarmente Francia e Gran Bretagna, ma si può dire che la maggior parte dei paesi europei ha visto nei primi anni del nuovo secolo aumentare il tasso di aggressività nei confronti degli ebrei. Dopo un periodo di relativa flessione nel fenomeno generale nel 2003, esso si è riacuito nel 2004 e 2005 comprendendo stavolta anche Germania e Russia. I paesi europei si sono allertati ed hanno preso numerose iniziative politiche e diplomatiche contro quello che le Dichiarazioni di Berlino e di Cordova nelle conferenze OCSE sull’antisemitismo hanno segnalato come “pericolo per la democrazia”. Questa tendenza si è manifestata, quasi ovunque, più che altro in concomitanza con episodi legati al conflitto israelo-palestinese ed è riconducibile a settori dell’estrema destra, della estrema sinistra e del radicalismo islamico». Proprio con riferimento a questa situazione conflittuale, un quadro impressionante viene descritto in un recente libro di Gabriel Schoenfeld (10), che allarga l’esame anche alla presenza di mussulmani estremisti in Europa, alla realtà degli Stati Uniti e ad atteggiamenti di intellettuali ebrei americani antisionisti come Noam Chomsky: la mole e la qualità degli episodi di attivo antisemitismo riportati in questo libro non possono non suscitare una viva preoccupazione per il futuro. Per quanto riguarda l’Italia risulta istruttivo l’ultimo libro di Daniel Scalise, soprattutto per il capitolo centrato sull’accresciuto uso di internet, che mette a disposizione di chiunque, con grande facilità, tutta la gamma di accuse antisemite delle più diverse provenienze, incluse le tradizionali prese di posizione della destra più radicale e nostalgica. Scrive Scalise: «Nel 2000 proprio il centro Wiesenthal ha recensito almeno tremila siti web che incitano al razzismo e all’antisemitismo. Quattro anni dopo i siti erano cresciuti fino a quattromila. Luoghi dove si sostiene l’esistenza di un complotto ebraico internazionale, dove si nega la Shoah, dove si dileggiano i cosiddetti “non ariani”. Spesso siti dall’ap27
parenza innocente come uno dedicato al reverendo Marthin Luther King jr.» (11). Pur nel quadro di condizioni istituzionali e di rapporti tra le religioni nel complesso e per fortuna migliorati, e senza dimenticare che ancora persistono atteggiamenti antisemiti che affondano nel passato, si possono individuare tre filoni principali nell’ambito dei quali si collocano le posizioni attive dell’antisemitismo degli ultimi decenni. Il negazionismo Una prima forma nuova di antisemitismo è il cosiddetto negazionismo, cioè quell’insieme di affermazioni che attraverso libri ed articoli hanno cominciato a negare la Shoah, sostenendo che non è mai esistito un piano di sterminio degli ebrei né un ordine scritto firmato da Hitler, giacché la Endlösung (la «soluzione finale») andrebbe riferita soltanto al progetto hitleriano anteguerra di deportare tutti gli ebrei fuori della Germania. Quindi i campi di sterminio di massa per ebrei, zingari, omosessuali, testimoni di Geova, disabili sarebbero una invenzione postbellica degli ebrei per costruire un’immagine della tragedia assai più ampia e drammatica di quella che era stata effettivamente. I negazionisti, che si autodefiniscono revisionisti, sostengono che lo sterminio di massa non sarebbe mai avvenuto perché i nazisti in guerra non sarebbero mai stati in grado di costruire le strutture adatte e tanto meno di edificare in alcuni campi le famigerate camere a gas, che avrebbero reso possibile una veloce ed ampia distruzione di così tanti milioni di persone in un periodo relativamente breve di tre anni (1942-1945). A nulla valgono per i negazionisti le tante testimonianze dei sopravvissuti, testimoni oculari della tragedia, alcuni dei quali hanno anche pubblicato la storia della loro terribile vicenda o sono presenti nel lungo e incisivo filmato del regista Claude Lanzmann, che raccoglie in modo assai penetrante le testimonianze di sopravvissuti e che è stato pubblicato da poco come DVD anche in Italia (12). Lo stesso Primo Levi, che aveva parlato delle camere a gas nei suoi due libri, Se 28
questo è un uomo e I sommersi e i salvati, scrive: «… i fatti li negano, invece, i revisionisti francesi: la loro arroganza ed insolenza lascia attoniti, ma le loro argomentazioni, estremamente prolisse, si riducono a poco: tutte le testimonianze dei superstiti, degli ebrei, dei russi, dei polacchi e dei comunisti, sono da rifiutare perché “ovviamente” tendenziose; tutte le confessioni dei colpevoli sono state estorte con la tortura o il ricatto o la droga. Spaventa il pensiero di quanto potrà accadere fra una ventina d’anni, quando tutti i testimoni oculari saranno spariti. Allora i falsari avranno via libera … Per questo è importante compito nostro, di noi ebrei, di noi superstiti, di noi europei democratici ed antifascisti, non permettere a questa insolenza di prevalere. Se il mondo potesse essere convinto che Auschwitz non è esistito, costruire un secondo Auschwitz sarebbe più facile, e nulla assicura che divorerebbe solo ebrei» (13). Le testimonianze continuano ad essere contestate brutalmente: così Carlo Mattogno, il più noto autore italiano di diverse pubblicazioni negazionistiche a partire dagli anni ’80, parlando di testimoni oculari tornati dai campi di sterminio, sulla copertina di un suo libro scrive: «Consapevoli della loro nullità in campo storico e della loro impotenza sul piano organizzativo, ma essendo lacchè della sacra vulgata esistenzialista e antifascista, a costoro non resta che tacere o inveire furiosamente. Tuttavia la menzogna e le ingiurie non dimostrano nulla; anzi, una cosa la dimostrano: la bassezza e la pochezza intellettuale e morale di chi le proferisce» (14). Non viene preso in considerazione dai negazionisti neppure quanto emerso nei processi ai gerarchi nazisti e ad Adolf Eichmann dopo la guerra, giacché le confessioni sarebbero state estorte durante i periodi di prigionia. Quindi non solo vengono ignorate a priori numerose testimonianze, ma anche in quelle che vengono prese in considerazione si va alla ricerca magari di una sola parola che non sia esatta in modo da rifiutare tutto il testo, dichiarandolo falso nel suo insieme. È importante quindi ricordare un libro uscito recentemente, nel 2007, di Shlomo Venezia, che ad Auschwitz ha fatto parte dei Sonderkommandos, squadre di ebrei impegnate proprio nella estrazione dei cadaveri dalle camere 29
a gas: non a caso questo libro porta come sottotitolo «La verità sulle camere a gas. Una testimonianza unica» (15). È un racconto impressionante ed è comprensibile che lo stesso Shlomo Venezia abbia impiegato oltre sessanta anni per riuscire a scrivere la sua terribile esperienza. Descrivendo l’attività del Sonderkommando infatti dice: «Non l’avevo mai raccontato fino ad ora. È talmente opprimente e triste che ho difficoltà a parlare di ciò che ho visto nelle camere a gas». E più avanti però chiarisce: «Io credo che, esattamente per questa ragione, perché è a tal punto inimmaginabile, chi può raccontare deve farlo» (15). Sempre nel 2007 è uscito anche Il commerciante di bottoni (16) una lunga intervista a un altro dei pochi sopravvissuti romani ai campi di sterminio, Piero Terracina, anche lui da molti anni impegnato con i giovani nella azione per la «memoria» promossa dalla Comunità ebraica e dagli enti locali. Anche le foto dei campi di sterminio vengono considerate dai negazionisti solo dei trucchi, scattati successivamente da soldati e reporter americani. In sostanza i negazionisti non si muovono secondo una metodologia di ricerca storica, ma procedono screditando in modo pregiudiziale le testimonianze via via che si presentano, mirando solo a insinuare il dubbio che la Shoah sia un’ulteriore invenzione del «complotto ebraico». I prodromi del negazionismo sono già presenti nella destra neonazista immediatamente dopo la guerra, così da rimuovere la Shoah dalla coscienza diffusa, come condizione essenziale per riprendere a sviluppare quelle tendenze politiche ed anche per assicurare una vita più tranquilla ai tanti gerarchi nazisti in fuga dall’Europa o nascosti in condizioni di clandestinità per sfuggire alle proprie responsabilità. Si tratta dunque, in primo luogo, di voler riscrivere la storia del nazismo in termini meno sfavorevoli e negativi, sia per motivi personali di sopravvivenza, sia per sfuggire alle accuse e ai tribunali, sia per permettere alla destra radicale sopravvissuta di continuare a esistere politicamente. La posizione negazionista si manifesta in modo visibile in Francia con Paul Rassinier (1906-1967), che ne è ritenuto il primo esponente con un suo libro del 1949 sulla sua esperienza di deportato. Rassinier, insegnante di storia, era stato comuni30
sta negli anni ’20, poi era passato ai socialisti di sinistra e ai movimenti pacifisti. Nel corso della guerra è attivo nella resistenza e viene deportato dai nazisti prima a Buchenwald e dopo tre settimane a Mittelbau-Dora, dove lavora in tunnel sotterranei alla costruzione di missili V1 e V2. Al rientro in Francia diventa deputato a Belfort e membro della Costituente. Con la presa di posizione negazionista viene espulso dal suo partito e si ritira dalla politica attiva; viene invece sostenuto dalla destra francese per gli articoli e libri che seguita a pubblicare, come quello sul processo a Eichmann dove afferma che questo tipo di processi erano parte di una strategia dei sionisti e dei comunisti per dividere e demoralizzare l’Europa. L’esponente più noto a livello internazionale diviene successivamente, a partire dal 1978, Robert Faurisson, professore di letteratura all’Università di Lione, che sostiene di non essere antisemita e rivendica credibilità scientifica, affermando di limitarsi a un revisionismo storiografico e all’esposizione in termini oggettivi di dati tecnici e storici per comprovare in modo credibile le sue tesi in attesa di costruire un’immagine più accettabile del nazismo, dipinto in una luce meno totalitaristica, anche attraverso la banalizzazione degli aspetti terroristici (vedi R. Faurisson nella sezione antologica). Le sue posizioni non solo sono state respinte da studiosi di storia, che non riscontrano prove chiare e sufficienti nelle sue affermazioni e contestazioni, ma Faurisson è stato anche condannato in tribunali francesi diverse volte tra il 1981 e il 2007. Ciò è stato possibile perché in Francia esiste una delle legislazioni antirazziste tra le più avanzate del mondo, completata nel 1990 dalla legge Gayssot che prevede anche «la contestazione di un crimine contro l’umanità». In Francia il movimento negazionista ha trovato spazio anche nella sinistra estrema di Pouvoir Ouvrier, attraverso le pubblicazioni della casa editrice La Vielle Toupe, che ha diffuso libri antisemiti, e attraverso la presenza nei siti antisemiti su internet con una sottile e intossicante diffusione. La corrente negazionista è stata recentemente esaminata in un libro di Giancarlo Elia Valori (17), che illustra i suoi 31
sostenitori, alcuni dei quali persino più dichiaratamente antisemiti, in diversi paesi. In Inghilterra, per esempio, emerge David Irving, già autore di bestseller sulla seconda guerra mondiale che, grazie alla sua notorietà, assume un ruolo significativo nella diffusione di questa corrente. Anche in Italia il negazionismo è presente e si colloca nell’area di destra, pur avendo inizialmente meno presa perché minore è l’interesse anche nella destra a svilire il ruolo tragico del nazismo, tendendo anzi a sottolineare da parte di significativi esponenti della destra, come Giorgio Pisanò (18), proprio la differenza del comportamento razzista del fascismo rispetto a quello del nazismo, non avendo mai il fascismo progettato né realizzato la Shoah, né essendo stato in ciò complice. Nel complesso e a livello internazionale il negazionismo ha proseguito sulla propria strada con nuovi esponenti come il francese Louis Darquier de Pellepoix, collaborazionista al tempo di Vichy, Ernst Zündel, tedesco emigrato negli Stati Uniti, il filosofo francese Roger Garaudy, condannato nel 1998 per crimini contro l’umanità e incitamento all’odio razziale, spesso citato dall’attuale premier iraniano Ahmadinejad, di cui parleremo più avanti. Gli obiettivi espliciti e impliciti permanenti del negazionismo, dunque, sono quelli di dimostrare non solo che va ridimensionato il giudizio negativo sul nazismo e su esponenti della destra che possono aver collaborato con esso, ma ancor più quelli di evidenziare la malvagità degli ebrei e delle forze politiche vincitrici della seconda guerra mondiale nell’accusare altri di tali terribili delitti; si vuole così recuperare la tradizionale visione antisemita del complotto e della cospirazione ebraica. Si vuole anche dimostrare che la Shoah, presentata come un mito, avrebbe ulteriormente spinto molti ebrei a trasferirsi nello Stato d’Israele per rafforzarlo e che il risarcimento pagato dalla Germania a suo favore era stato di gran lunga eccessivo; viene così mantenuta viva e attiva la tradizionale immagine degli ebrei diavoleschi, assetati di sangue, menzogneri e cospiratori, sempre tesi a impossessarsi in modo indebito del denaro altrui. Tutto ciò è emerso ancora una volta nel convegno «Revisionismo e dignità dei 32
popoli vinti» tenutosi a Trieste il 6 e 7 ottobre 2001, organizzato dall’associazione Nuovo Ordine Nazionale e dal gruppo politico Fascismo e Libertà. Il negazionismo sarebbe già grave di per sé qualora si fosse limitato a pubblicazioni basate su presupposti di tipo tecnico-accademico, tentando di dimostrare con la chimica, la tossicologia, l’ingegneria e la demografia l’inesistenza della Shoah e tuttavia sarebbe più direttamente contrastabile, perché anche su questo piano è stato già efficacemente combattuto da studi che dimostrano la debolezza delle sue affermazioni tecniche di base (19). Invece negli ultimi anni ha assunto dei pericolosi risvolti politici che hanno messo meglio in luce la sua dimensione antisemita. Il caso più eclatante è la recente Conferenza negazionista organizzata a dicembre del 2006 alla Università di Teheran dal premier iraniano Ahmadinejad, che ha affermato: «L’Olocausto è una leggenda storiografica, un’invenzione per giustificare la formazione dello Stato d’Israele. Questo scomparirà presto. La parabola del regime sionista è in fase discendente». Le posizioni negazioniste del premier iraniano sono state appoggiate pubblicamente da Faurisson e da altri negazionisti. Queste affermazioni hanno provocato, invece, una reazione negativa in tanti Stati, tra cui il Vaticano, che ha manifestato il proprio dissenso: «La Shoah è stata una immane tragedia alla quale non si può restare indifferenti. Il ricordo di quei terribili fatti deve rimanere un monito per le coscienze, al fine di eliminare i conflitti» (20). La motivazione politica del Presidente iraniano è stata quella di dimostrare che Israele non ha diritto a esistere perché è basato su una menzogna ed è solo il risultato di una operazione politica ebraico-occidentale che aveva l’obiettivo d’inserire un nuovo Stato d’impostazione colonialista e occidentale in Medio Oriente: qui il negazionismo mostra fino in fondo il suo vero e negativo volto. Le affermazioni e l’azione di Ahmadinejad hanno un doppio aspetto: da un lato sono la manifestazione di una politica internazionale complessiva, che vede in Israele uno Stato legato all’Occidente che toglie spazio al crescente desiderio di supremazia e controllo dell’Iran in tutta l’area mediorientale; da un al33
tro lato, promuovendo il negazionismo e accusando tutto il mondo ebraico di aver costruito una leggenda sulla Shoah, si avvia un processo contro tutti gli ebrei che, ovunque risiedano, sono complessivamente responsabili di un complotto internazionale e diventano accettabili solo a condizione che favoriscano la fine di Israele e che riconoscano la menzogna della Shoah. Insomma ritornano antichi schemi contro gli ebrei che, ovunque si trovino, sono colpevoli di un complotto internazionale per dominare il mondo e perciò sempre sospettabili e da tenere sotto controllo. La nascita dello Stato d’Israele e l’antisionismo Il sionismo è stato il movimento promosso alla fine dell’800 da Leo Pinsker, ebreo russo, e Theodor Herzl, ebreo austriaco, per la creazione di uno Stato dove gli ebrei potessero evitare sia le persecuzioni e le discriminazioni antisemite sia di dover cedere alla costante richiesta di assimilazione. Il sionismo era stato inizialmente contrastato da molte correnti di pensiero del mondo ebraico, come quelle che aspettavano l’avvento del Messia per il ritorno in Israele, o quelle che consideravano gli ebrei appartenenti solo a una religione e non a un popolo, o quelle che temevano l’isolamento dei lavoratori ebrei in un contesto di cambiamento sociale complessivo. Con la Shoah e la nascita effettiva dello Stato d’Israele, il sionismo fu accettato dalla grande maggioranza degli ebrei nel mondo come una componente importante della realtà ebraica, anche se solo un terzo delle persone lo hanno accolto in senso letterale spostandosi nel corso di mezzo secolo in Israele. Oggi tuttavia il concetto di «sionismo» viene interpretato in modo assai diverso da parte degli antisionisti in quanto non solo essi negano agli ebrei il diritto alla creazione di uno Stato dove possano vivere tranquilli e liberi, in quanto lo interpretano come un ulteriore centro del «potere ebraico», ma considerano altresì responsabili del sionismo tutte le Comunità ebraiche nel mondo, le quali manifestano solidarietà verso gli ebrei che vivono in Israele, anche se mantengono la dovuta distanza 34
dalle specifiche azioni politiche dei governi di quello Stato e conservano con convinzione la nazionalità dei paesi dove vivono. Così l’antisionismo si trasforma di fatto in antisemitismo, considerando sionisti tutti gli ebrei e accusandoli nel loro complesso di avere creato un pericoloso centro di potere sotto la veste apparente di uno stato. L’impostazione dell’antisionismo come antisemitismo ha una radice più lontana, che è quella di uno degli scritti antisemiti più terribili del ’900, nato in Russia ma tuttora largamente ripubblicato e diffuso anche su internet in tutti paesi arabi, intitolato I Protocolli dei Savi Anziani di Sion: Sion è la collina dove si trova la Città Santa a Gerusalemme e il titolo del libro era stato costruito, essendo allora già nato il sionismo, per collegare la parola «ebreo» a quella di «sionista», creando in prospettiva quella pericolosa confusione tra gli ebrei che vivevano e tuttora vivono nelle più diverse parti del mondo e Israele, in modo da attribuire a tutti loro la volontà di un complotto collettivo per dominare il mondo. La nascita e lo sviluppo dello Stato d’Israele è stato certamente il fatto nuovo e positivo della seconda metà del ’900 rispetto alla precedente situazione degli ebrei, ma ha determinato anche il riattivarsi di vecchi atteggiamenti antisemiti. Ovviamente non ci si riferisce alle critiche relative alle scelte via via operate dai governi israeliani, giacché è giusto e proprio della dialettica politica in un contesto democratico, libero e aperto, che ogni governo sia sottoposto a valutazioni anche severe, sia da parte dei propri cittadini, sia da parte di cittadini di altri paesi che vogliono indicare altre strade da perseguire. Si parla, invece, di ciò che si è verificato in questi ultimi decenni in modo crescente di fronte al contrasto sempre più forte tra Israele, Palestina e i paesi circostanti, in cui si manifestano posizioni estremiste che identificano gli israeliani e gli ebrei con i nazisti, dai quali avrebbero copiato i metodi e i comportamenti verso i nemici, e che rifiuta appunto l’esistenza stessa dello Stato d’Israele, riaffermando l’attacco al «sionismo», inteso nel significato negativo di «complotto ebraico internazionale». Questo collegamento tra la nascita dello Stato d’Israele e il risorgere dell’antisemitismo trova conferma anche in re35
centi pubblicazioni che analizzano questo tema (21) e nelle ricerche dell’Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione che risalgono al 2003-2004: «Non solo abbiamo potuto notare come l’aumento dei segnali di pregiudizio avvenga sempre in concomitanza di qualche evento drammatico nell’ambito del conflitto israelo-palestinese, ma anche che tutto il bagaglio di temi antiebraici sia stato in qualche modo vivificato e sia confluito nella polemica contro Israele. In occasione della polemica antisraeliana abbiamo visto ancora una volta – lo si era già notato nel 1982 – come spesso si faccia tutt’uno di Stato d’Israele, governo, cittadini, ebrei di tutto il mondo, coinvolgendo tutto e tutti nelle accuse: un continuo cortocircuito delle categorie razionali» (22). Questa situazione si è manifestata principalmente su due piani che ora esamineremo più in dettaglio: il risveglio di atteggiamenti antisemiti nella sinistra più radicale ed ideologica e la nascita di manifestazioni antisemite nei paesi arabi e islamici. L’antisemitismo di sinistra In URSS La questione dell’antisemitismo in alcuni partiti e movimenti di sinistra non è un argomento nuovo, ma richiede oggi ulteriori riflessioni ed approfondimenti perché si è manifestato in modo significativo dopo la seconda guerra mondiale. Nella prima metà del ’900 sono state le forze politiche di destra, nazionaliste e fasciste, fino al punto estremo del nazismo, ad avere dominato la scena dell’antisemitismo, lasciando ancora delle tracce, come si è visto, nei decenni successivi presso i nostalgici di quelle teorie ed impostazioni ideologiche e politiche. Tuttavia gli antichi pregiudizi antiebraici erano così diffusi in Europa che anche i movimenti di sinistra ne furono influenzati. Non dobbiamo innanzi tutto dimenticare che in Russia esisteva alla fine dell’800 un diffuso antisemitismo attivo sostenuto dagli zar, che avevano un preciso interesse, sull’onda di un antico antigiudaismo 36
cristiano, a fare degli ebrei dei capri espiatori, indirizzando contro di loro la profonda insoddisfazione del popolo russo per le pessime condizioni in cui viveva. Questi diffusi risentimenti antisemiti, basati su consolidati pregiudizi antiebraici, furono ripresi anche da quella parte della sinistra rivoluzionaria che accusava gli ebrei di «internazionalismo» e, di conseguenza, di tessere complotti contro la Russia e il comunismo. Ciò avveniva nonostante che tra gli oltre tre milioni di ebrei russi, la maggior parte dei quali viveva in condizioni d’indigenza, vi fosse un’ampia partecipazione, anche ai livelli più alti, al movimento rivoluzionario; ne sono testimoni le organizzazioni specificamente ebraiche nate in quel periodo, come il Bund (l’Unione Generale dei Lavoratori Ebrei) del 1897, che si ponevano l’obiettivo di sollecitare i lavoratori ebrei ad entrare nel movimento. Del resto, non solo in Russia ma anche in altri Stati europei si registrava questa spiccata presenza ebraica nei movimenti operai e anche nei partiti comunisti nella speranza di costruire un mondo più giusto. Lenin condannò l’antisemitismo e i pogrom messi in atto dalle armate controrivoluzionarie e persino in qualche caso da parte dell’Armata Rossa, ma nel contempo confermò la condanna del sionismo, ritenuto espressione nazionalista ed imperialista del capitalismo. In ciò si manifestavano già le radici dello scontro futuro: non solo veniva frainteso il significato del sionismo, ma a ciò si aggiungeva il fatto che i bolscevichi miravano a realizzare un «uomo nuovo», modello al quale tutti si dovevano conformare, emancipandosi totalmente dalla loro identità culturale precedente, mentre gli ebrei, anche quelli interni ai movimenti rivoluzionari, non pensavano che la nuova eguaglianza tra gli uomini dovesse comportare necessariamente una loro assimilazione totale, rimanendo fermi nel voler conservare anche la loro antica identità ebraica e i rapporti con altri ebrei nel mondo. Non bisogna poi dimenticare che, per quanto riguarda in particolare il mondo ebraico, Karl Marx aveva scritto un testo dai contenuti chiaramente antisemiti e naturalmente esso era tenuto ben presente dai dirigenti del partito comunista in Russia. Basta qui citare un breve passo (vedi K. Marx nella 37
sezione antologica) per comprendere quanto danno e pregiudizio sia stato diffuso da Karl Marx, che non identifica il giudaismo con l’antica religione ma con il traffico e il denaro: «Cerchiamo il segreto dell’ebreo non nella sua religione, bensì cerchiamo il segreto della religione nell’ebreo reale. Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo. Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Quale è il suo Dio mondano? Il denaro. Ebbene, l’emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico e reale, sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo». Fu con Stalin (come è già descritto nella Introduzione alla prima edizione, pp. 95 ss.) che si pose chiaramente il problema della «questione ebraica»: inizialmente fu affrontata con spostamenti di ebrei russi all’estremo oriente dell’URSS, nel Birobidjan, una zona isolata e lontana, a rischio d’invasione nipponica, che doveva sviluppare più stretti collegamenti con tutto il resto dell’URSS. A questi spostamenti si accompagnarono anche la chiusura di scuole e sinagoghe, la proibizione di pubblicazioni in lingua ebraica e l’avvio di una campagna repressiva verso ogni espressione di vita culturale ebraica e di contatti attivi con le comunità ebraiche in altri parti del mondo: tutti interventi che avevano lo scopo di favorire appunto la perdita dell’identità ebraica e la più ampia e integrale assimilazione. La guerra contro i nazisti, dopo la rottura del patto HitlerStalin, non migliorò la situazione altro che apparentemente, con la creazione dell’EAK, Comitato Ebraico Antifascista, per facilitare la partecipazione degli ebrei alla guerra e sostenere le truppe sovietiche. Successivamente, con la fine della guerra e lo scioglimento dell’EAK nel 1948, ci fu una ripresa dell’azione repressiva verso intellettuali e dirigenti comunisti ebrei, per evitare contatti con le comunità ebraiche esistenti nell’Occidente capitalista. Si arrivò anzi all’eliminazione, con l’accusa di «sionismo», anche di personalità importanti, come Solomon Mikhoels, già segretario del Comitato Ebraico Antifascista e direttore del Teatro di Stato Ebraico. Contemporaneamente la recente tragedia delle stragi naziste in URSS e nei territori annessi nel ’39-40 (Polonia 38
orientale, Stati baltici, Bessarabia e Bucovina del Nord, dove vivevano un altro milione e novecentomila ebrei) venne completamente messa sotto silenzio in URSS, per evitare di dare evidenza alla particolare e drammatica condizione degli ebrei che, peraltro, si erano battuti sia nell’esercito sovietico sia nel movimento partigiano contro l’avanzata nazista. Tra le stragi naziste forse la più nota è quella dei 33.771 ebrei uccisi nella gola di Babij Jar vicino a Kiev, della quale Stalin volle cancellare il ricordo, proibendo nel ’44 un raduno di commemorazione, perché poteva dare adito, a suo dire, a posizioni di «sciovinismo» e di «nazionalismo ebraico» ed essere occasione di manifestazioni antisemite. Un recente libro di Antonella Salomoni (23) illustra con efficacia proprio questi intrecci e i tanti aspetti in essi impliciti. Alla fine degli anni ’40 apparvero in URSS anche numerosi articoli su Israele, definito in modo negativo, sui sionisti che venivano descritti come aderenti a un’organizzazione a carattere reazionario, legata agli Stati Uniti e all’Occidente capitalista. Si manifesta dunque, con più forza e utilizzando sempre l’accusa di «internazionalismo», l’aggressività contro gli ebrei russi che su questa base vengono deportati a centinaia in Siberia. Nel 1952 fu resa pubblica anche l’accusa di «cospirazione tito-sionista» contro dirigenti del partito comunista cecoslovacco, che portò all’impiccagione del vice primo ministro Rudolf Slanski (già segretario generale del partito comunista cecoslovacco) e di altri dirigenti del partito e diffuse a livello internazionale un’ulteriore spinta antisionista nella sinistra. Il caso più clamoroso, giacché divenne immediatamente noto anche in Occidente, fu il processo avviato da Stalin tra il 1951 e il 1953 ai «camici bianchi», un gruppo di medici, quasi tutti ebrei, accusati di «complotto» contro la vita di Stalin stesso e dei suoi stretti collaboratori. Alla morte di Stalin, il 5 marzo 1953, il processo fu sospeso e il Ministero degli Esteri sovietico comunicò che le accuse erano false. A tutti questi eventi va ricollegata la presa di posizione contro Israele dell’URSS staliniana, nonostante che pochi anni prima, nel 1947, avesse approvato subito all’ONU la nascita dello Stato d’Israele, di cui si riconosceva la forte tendenza socialista, in antitesi all’imperialismo britannico 39
ancora presente nei paesi arabi e contro i residui dell’adesione araba al nazismo. Pochi anni dopo si verificò dunque un deciso cambiamento, giacché anche attraverso la politica internazionale l’URSS, come altre nazioni, era alla ricerca di nuovi rapporti con i paesi arabi contro l’Occidente e quindi anche contro Israele, che sempre più veniva identificato con l’Europa e gli Stati Uniti. Effettuato questo radicale cambiamento anti-israeliano, l’URSS operò anche una decisa pressione sulle sinistre negli altri paesi per diffondere queste sue posizioni, nelle quali si mescolavano nuove scelte di politica internazionale e pregiudizi antisemitici di vecchia data, aggiornati con l’accusa di «complotto sionista internazionale». Anche dopo la morte di Stalin la posizione sovietica verso Israele non mutò e su scala internazionale la crisi di Suez nel 1956 costituì un momento di contrasto visibile tra Israele, URSS e sinistre europee. La questione emerse in modo ancora più chiaro dopo la sconfitta di Egitto, Giordania e Siria nella «Guerra dei sei giorni», quando si impose su scala internazionale la necessità di dare vita al più presto a un vero e proprio stato palestinese, indipendente dagli altri stati arabi esistenti. Si trattava di uno stato nuovo, previsto dalla risoluzione dell’ONU del 1947, nella quale si deliberava la nascita di due Stati, quello israeliano e quello palestinese. Tuttavia questa decisione non fu messa in atto poiché gli Stati Arabi non avevano mai accettato la risoluzione, come non avevano accettato la nascita dello Stato d’Israele, del quale volevano la totale estinzione, anche per la speranza di riuscire a tenere sotto controllo tutta l’area mediorientale. Il 10 giugno del 1967, data della fine della «Guerra dei sei giorni», l’Unione Sovietica ruppe le relazioni diplomatiche con Israele, seguita a ruota dagli altri paesi comunisti (salvo la Romania). Da quel momento ostacolò l’emigrazione degli ebrei verso Israele, anche per venire incontro a una richiesta dei paesi arabi, che temevano che lo spostamento in Israele di parte dell’ampia comunità ebraica sovietica l’avrebbe rinforzato. Questa proibizione fu fortemente criticata nei paesi occidentali ed ebbe anche momenti tragici, come nel 1970 in occasione del processo di Leningrado contro otto cittadini sovietici – di cui sei ebrei – che avevano tentato d’imposses40
sarsi di un aereo per emigrare; il processo si concluse con due condanne a morte ed altre pesanti condanne al carcere, provocando tutta una serie di contrasti tra la sinistra e gli ebrei, che vedevano in tutto ciò non solo una politica anti-israeliana, ma anche un’ulteriore manifestazione dell’antisemitismo russo. In questi anni appaiono in URSS anche numerosi articoli sempre più segnati da questo atteggiamento: riprendono le vecchie accuse agli ebrei sulla rotta già segnata dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, sia sviluppando una dura critica alla natura di Israele, sempre più spesso accusata di avere assunto atteggiamenti simili a quelli dell’apartheid sudafricana o di avere adottato verso i palestinesi comportamenti di tipo addirittura nazista, sia lasciando intravedere una minaccia verso gli ebrei sparsi nel mondo, qualora non si fossero dissociati dalle politiche del nuovo Stato. Nell’Europa occidentale Per comprendere gli avvenimenti nell’Europa occidentale, e in particolare in Italia, non bisogna dimenticare che, dopo la seconda guerra mondiale, era avvenuto in molti Stati un forte avvicinamento tra i partiti della sinistra, comunisti e socialisti, e gli ebrei, che avevano visto in queste forze politiche le più decise avversarie del nazifascismo. Soprattutto in Italia e Francia, tanti ebrei avevano partecipato in modo convinto ai movimenti di Resistenza: con essa si erano aperte le porte per un incontro più duraturo, giacché le tendenze egualitarie della sinistra erano un dato positivo per gli ebrei contro eventuali tentativi discriminatori. È significativo che Umberto Terracini, ebreo e uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano, sia stato il presidente dell’Assemblea Costituente Italiana. D’altronde ciò si collegava a una tradizione più antica per le poche decine di migliaia di ebrei italiani, che risaliva alla loro partecipazione ai movimenti risorgimentali e alla nascita dello Stato Italiano, dal quale erano stati finalmente riconosciuti come cittadini alla pari di tutti gli altri. Di questo antico collegamento tra Giusepe Mazzini e Theodor Herzl, fondatore del sionismo, si è sempre fatto portavoce il Partito Repubblicano Italiano, al quale 41
per un lungo periodo molti ebrei hanno fatto riferimento perché privo di ogni venatura antisemita o antisionista. Dalla fine degli anni ’60, l’ala sinistra del Partito Socialista Italiano si trovava su posizioni decisamente filoarabe assai vicine a quelle dei partiti comunisti d’occidente condizionati pesantemente dall’Unione Sovietica: cambiò infatti il loro atteggiamento verso Israele, con pesanti e ampie critiche al sionismo e sempre più decise prese di posizione contro di esso che, a loro giudizio, impediva l’immediata creazione dello stato palestinese. Le scelte dell’URSS erano sempre più dirette verso una rigida posizione filoaraba, visto che l’Unione Sovietica ricercava spazio per nuove alleanze internazionali, a fronte del dinamismo statunitense in Occidente e della crescente presenza cinese in Oriente, e le posizioni sempre più antisioniste dei partiti comunisti e socialisti, pur non avendo di per sé carattere esplicitamente antisemita, creavano non pochi problemi e contrasti con e tra i numerosi ebrei che aderivano ad essi o comunque li votavano e influenzavano negativamente l’opinione pubblica. Ciò avvenne anche in Italia, e il succedersi dei rapporti e dei contrasti tra le sinistre e gli ebrei sono descritti in dettaglio in un libro di Maurizio Molinari (24), che specifica i successivi e diversificati atteggiamenti via via assunti dagli ebrei, a volte anche su posizioni non sioniste, specialmente da parte delle nuove generazioni, critiche delle scelte politiche dei governi israeliani ma comunque contrarie sia a una così decisa e costante condanna di esse sia all’appoggio incondizionato al mondo arabo e al nascente terrorismo palestinese. Furono pubblicati in quegli anni, oltre a tanti articoli, anche libri su questa situazione di contrasto tra ebrei e sinistra, come quello di Franco Fortini (25) e, più avanti, di Luciano Ascoli (26): in essi emergeva questo stato di disagio e di contrasto, così come la difficoltà di alcune forze politiche ad accettare, nel rispetto della Costituzione, una democrazia più matura dove si confrontassero e convivessero diverse tradizioni culturali, in una visione politica di più ampio respiro. Quanto alla sinistra extraparlamentare e più radicale europea, è qui che si diffonde e rafforza l’immagine di Israele come uno Stato colonialista e razzista, che doveva essere 42
addirittura soppresso; così riemergono le posizioni antisemite della sinistra sovietica e gli attacchi generalizzati anche agli ebrei chiamati sionisti. Non si registrano in questi anni vere e proprie pubblicazioni divenute punto di riferimento pubblico e collettivo, ma ci furono articoli, interventi, adesioni a volantini o manifestazioni, che sostenevano la realtà e la politica palestinese in modo ideologico e schematico. La questione dell’antisionismo e dell’attacco radicale e senza appello contro le politiche israeliane, qualunque segno politico avesse il governo, mettevano in evidenza il profondo collegamento tra i nuovi attacchi in veste politica e i vecchi pregiudizi antisemiti. Certamente non sempre e non tutto nella politica israeliana ha funzionato e si è mosso nella giusta direzione per arrivare ad accordi definitivi di pace, che potessero assicurare la tranquillità d’Israele e la nascita di uno Stato palestinese; nel corso degli anni, infatti, anche dal mondo ebraico sono state sollevate, in forme diverse, critiche numerose, severe ed anche largamente condivise rispetto alle diverse scelte dei governi israeliani e ai comportamenti che penalizzano oltre misura i palestinesi. Tuttavia, bisogna tenere presente che l’area politica di sinistra, quando è su posizioni radicali e decisamente antisraeliane, non prende nella dovuta considerazione né il mancato riconoscimento dello Stato d’Israele fin dal suo inizio da parte di Stati arabi a prevalenza mussulmana, né la permanente necessità d’Israele di assicurare la propria sopravvivenza e il diritto di difendersi da pesanti attacchi militari e terroristici, pur conservando la sua identità democratica interculturale e il suo ruolo di luogo di accoglienza per ebrei perseguitati in altre parti del mondo. Anzi, nella sinistra più radicale il terrorismo viene messo in risalto come un diritto alla resistenza, vengono sempre condannate le iniziative israeliane che cercano di limitare i suoi effetti e si accusa Israele e il sionismo di volere distruggere la Palestina e i palestinesi. Ciò è espresso chiaramente, ad esempio, in un articolo di Danilo Zolo (27): «La negazione dell’esistenza di un popolo nella terra dove si intendeva installare lo Stato ebraico è lo stigma coloniale e, in definitiva, razzistico che caratterizza sin dalle su origini il movimento sionista: un 43
movimento del resto strettamente legato alle potenze coloniali europee e da esse sostenuto in varie forme … L’obiettivo è quello di concludere l’intera vicenda con una “soluzione finale”: la negazione nei fatti, non soltanto sul piano ideologico, dell’esistenza di un popolo intero, il suo etnocidio». Né vanno dimenticate le conseguenze internazionali di queste posizioni, come quando l’Assemblea dell’ONU, per la forte presenza di paesi arabi e loro alleati, votò nel novembre del 1975 la Risoluzione n. 3379 per la quale «il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale»; quando la risoluzione fu ritirata dalla stessa Assemblea dell’ONU, dopo la fine della guerra del Golfo, non ottenne l’effetto di far cambiare posizione alle sinistre più radicali. Il sionismo viene dunque condannato senza appello e viene presentato come una minaccia permanente per la pace nel mondo; così l’antisionismo crea un corto circuito tra le unilaterali critiche antisraeliane e gli antichi pregiudizi antiebraici. Ritorna, quindi, sotto nuove spoglie l’antica accusa antisemita di voler dominare, di disprezzare gli altri e di volerli mettere in condizione di netta subordinazione. Dopo la «Guerra dei sei giorni» Un atteggiamento ancora più decisamente antisraeliano si manifestò in modo ancora più diffuso nella sinistra dopo la «Guerra dei sei giorni» (1967) vinta da Israele contro Egitto, Siria e Giordania, che produsse la decisione dell’URSS di rompere i rapporti diplomatici con Israele. La vittoria veniva sempre più dipinta come una chiave fondamentale della strategia del mondo capitalista e degli Stati Uniti in particolare, nonostante i successivi accordi di pace siglati con Egitto e Giordania. Erano gli anni della contestazione studentesca in Occidente, dell’avvio di movimenti terroristici anche in Italia, del terzomondismo di sinistra e della kefia al collo, a testimonianza della propria solidarietà rivoluzionaria a favore degli oppressi. Gli israeliani e i sionisti vengono sempre più descritti e vissuti come razzisti e aguzzini dei palestinesi, sollecitando così in modo diffuso il riemergere di vecchi 44
pregiudizi antisemiti. Questo clima trovò un’espressione concreta nel 1972 con il massacro alle Olimpiadi estive di Monaco di Baviera di undici atleti israeliani da parte della organizzazione palestinese «Settembre nero»; anche in questa occasione la sinistra, incluso il PCI, attribuì l’episodio terroristico alla «disperazione dei palestinesi» causata da Israele e dai suoi alleati. Neanche l’attacco egiziano nel 1973 nel giorno di Kippur, una delle più sentite ricorrenze religiose ebraiche, allontanò la sinistra comunista dalla tradizionale condanna d’Israele, anzi provocò in Italia una spaccatura anche dentro il Partito Socialista, che secondo le posizioni di Nenni era sempre stato vicino a Israele, paese, a suo giudizio, con forti caratteristiche socialiste. La guerra egiziana dette ulteriore alimento a una significativa corrente antisraeliana e antisionista, che fu poi favorevole alla citata condanna dell’ONU del ’75 che, sotto la pressione dei paesi arabi, equiparava il sionismo al razzismo. In questo quadro si deve poi sottolineare che anche il mondo ebraico, che era naturalmente interessato alla sopravvivenza di Israele, veniva sempre più identificato con il sionismo, arrivando all’assurda equivalenza da parte della sinistra più radicale tra «ebreo» e «sionista». Non segnarono una svolta decisiva in positivo né il viaggio a Gerusalemme del leader egiziano Anwar Al-Sadat nel 1977 né gli Accordi di Pace di Camp David nel 1979. Queste posizioni acquistarono una più forte rilevanza in seguito alla invasione israeliana del Libano nel 1982, messa in atto per contrastare le organizzazioni palestinesi dell’OLP attive sui confini settentrionali di Israele. Certamente la guerra in Libano presentò aspetti che non furono condivisi nemmeno da parte di numerosi ebrei italiani: basti ricordare la lettera «Perché Israele si ritiri», apparsa su «La Repubblica» e firmata da molte personalità e anche da ebrei, come Primo Levi, Natalia Ginzburg, Rita Levi Montalcini. Eppure in alcuni ambienti della sinistra italiana più radicale si andò ben oltre, tanto che fu richiesta a gran voce la rottura delle relazioni diplomatiche con lo Stato d’Israele. In questo contesto l’episodio più vistoso in Italia si verificò il 25 giugno del 1982 quando, nel corso di una grande 45
manifestazione nazionale delle tre organizzazioni sindacali che si svolgeva a Roma sul Lungotevere, alcuni dimostranti arrivarono davanti alla Sinagoga maggiore e cominciarono a gridare slogan sia antiebraici sia antisraeliani, e alcuni di loro, staccatisi dal corteo, si diressero verso la Sinagoga portando una bara che gettarono sotto le lapidi in memoria dei martiri delle Fosse Ardeatine e dei caduti della Resistenza. Questa iniziativa, che ebbe larga eco su tutta la stampa e la televisione, sebbene definita riprovevole era indicativa della diffusione di comportamenti estremistici mescolati a vecchi pregiudizi antisemiti. Pochi mesi dopo, il 18 settembre del 1982, in Libano avvenne la strage di parecchie centinaia di profughi palestinesi e guerriglieri dell’OLP nel campo di Sabra e Chatila, compiuta dalle milizie falangiste libanesi alleate d’Israele: il drammatico avvenimento suscitò un’ondata di articoli e commenti negativi rispetto al comportamento dell’esercito israeliano che non aveva impedito questa strage. I movimenti di sinistra non si limitarono a comprensibili critiche alla guerra e alla corresponsabilità della leadership israeliana, ma ignorarono la forte opposizione della sinistra israeliana che si espresse a Tel Aviv con una grande manifestazione contro il governo nel settembre del 1982. Anzi nell’area della sinistra italiana apparvero articoli e commenti rivolti indistintamente anche a tutto il mondo ebraico, ritenuto sostenitore d’Israele in ogni occasione. Fu questo uno dei peggiori momenti in Italia del riaffiorare di antichi pregiudizi antisemiti, con articoli, volantini, telefonate anonime, tentavi di incendi a luoghi di culto e di negozi di ebrei: sia la destra di tradizione fascista che la sinistra radicale sentirono che si era creato, per la prima volta in Italia dalla fine della guerra, un clima favorevole a manifestare antichi livori, tornando in alcuni casi a sostenere l’antico pregiudizio antisemita che ovunque gli ebrei fossero alla testa di un potere planetario interessato a dominare e controllare tutto il mondo, a partire dall’Occidente e dal Medio Oriente. Si trattò di una diffusa azione politica di propaganda e di provocazione, ma non produsse di fatto nuovi saggi, libri o testi pubblici che sancissero nuove teorie antisemite da parte della sinistra stessa. 46
Su scala europea questo clima venne ulteriormente appesantito da una serie di attentati arabo-palestinesi contro ebrei europei: nel 1980 fu aggredito un pullman di giovani ebrei ad Anversa causando un morto e diciotto feriti; lo stesso anno si ebbero quattro morti e dodici feriti in una sinagoga parigina; poi ancora a Berlino ovest un attentato provocò un morto e 25 feriti. Un attacco terrorista avvenne infine alla sinagoga di Roma, poco tempo dopo la visita di Yasser Arafat in Italia, su invito di Giulio Andreotti, presidente della Unione Interparlamentare. Il 9 ottobre del 1982 alcuni terroristi mediorientali colpirono con fucili mitragliatori gli ebrei dell’antichissima comunità romana che stavano uscendo dalla Sinagoga maggiore al termine della funzione religiosa del Sabato, che quel giorno coincideva con la festa di Sheminì Atzereth, in cui c’è la presenza di molti bambini per una speciale benedizione dedicata a loro. Fu ucciso un bambino di due anni, Stefano Taché, e furono ferite trentasei persone. Anche in Italia questo episodio rappresentava il terribile punto di arrivo del terrorismo antisionista e antisemita che demonizzava lo Stato d’Israele e identificava gli ebrei romani con gli israeliani. Significativi, per comprendere il clima di quegli anni, furono anche due altri episodi: solo due settimane dopo l’attentato palestinese alla Sinagoga di Roma, i «Gruppi comunisti metropolitani» appesero sul cancello della piccola sinagoga romana di via Garfagnana uno striscione recante la scritta «Bruceremo i covi sionisti», mentre il 30 settembre una bomba fu fatta esplodere proprio di fronte alla sede della Comunità ebraica di Milano. Questi episodi fecero riflettere l’opinione pubblica, i giornalisti e i politici sui rischi di una campagna che demonizzando Israele diveniva anche antiebraica e perciò antisemita e, intuendone i rischi gravissimi, fu dato allora più spazio sui mezzi di comunicazione a personalità politiche che avevano combattuto contro l’antisionismo, tanto più se esteso all’antiebraismo. Altre forze di alto livello istituzionale stavano maturando proprio in quegli stessi anni iniziative di grande significato, al fine di favorire il dialogo e ostacolare ogni rinascita dell’antisemitismo. In questa direzione va ricordata e sot47
tolineata la storica visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga Maggiore di Roma il 13 Aprile 1986: questa era la prima presenza di un Papa in una sede di culto ebraico, cosa che confermava, come già detto, in modo pubblico e stabile la nuova linea di pacifico confronto già assunta dalla Chiesa con Papa Giovanni XXIII e ribadita con l’enciclica Nostra Aetate che aveva escluso l’antica accusa di deicidio. «A nessuno sfugge che la divergenza fondamentale fin dalle origini – disse il Papa – è l’adesione di noi cristiani alla persona e all’insegnamento di Gesù di Nazareth, figlio del vostro popolo, dal quale sono nati anche Maria Vergine, gli apostoli, fondamento e colonne della chiesa, e la maggioranza del membri della prima comunità cristiana. Ma questa adesione si pone nell’ordine della fede, cioè nell’assenso libero dell’intelligenza e del cuore guidato dallo Spirito e non può mai essere oggetto di una pressione esteriore, in un senso o nell’altro; è questo il motivo per il quale noi siano disposti ad approfondire il dialogo in lealtà e amicizia, nel rispetto delle intime convinzioni degli uni e degli altri, prendendo come base fondamentale gli elementi della rivelazione che abbiamo in comune, come grande patrimonio spirituale» (28). Essendo presente quel giorno in sinagoga, ricordo ancora con emozione le sue parole ed in particolare l’espressione «fratelli maggiori» rivolta dal Papa agli ebrei. Tuttavia i governi italiani di quegli anni continuavano a non dare segni positivi nei riguardi dello Stato d’Israele, alla ricerca di rapporti sempre più stretti con i paesi arabi, sia per avere condizioni di vantaggio nel settore petrolifero, sia per abbassare il rischio che si verificassero anche in Italia episodi di terrorismo: questa strategia portata avanti dall’Italia negli anni ’70 e ’80 veniva riassunta nella metafora dell’Italia con «una moglie americana ed un’amante araba». Essa non indicava, ovviamente, una linea antisemita, ma presentava il rischio che venisse interpretata come antisionismo in senso globale e fosse motivo di sostegno per chi demonizzava Israele e gli ebrei, favorendo altresì il terrorismo. Il caso forse più indicativo di questa realtà si manifestò nell’aprile del 1984 alla 71ª Conferenza Interparlamentare, quando l’Italia – che era presente con Giulio Andreot48
ti, Ministro degli Esteri, e con il senatore comunista Paolo Bufalini, capo della delegazione italiana – votò a favore di una mozione presentata da Saddam Hussein, che equiparava sionismo a razzismo, chiedeva il boicottaggio d’Israele e il sostegno della lotta armata palestinese. Questa scelta era sostenuta anche del Partito Socialista guidato da Bettino Craxi, che negli anni successivi prese decisioni anche ambigue rispetto al terrorismo palestinese. Nell’ottobre del 1985 autorizzò le trattative con un commando palestinese che, dopo essersi impossessato dell’Achille Lauro, una nave da crociera italiana salpata da Alessandria d’Egitto, aveva ucciso Leon Klinghofer, un ebreo americano anziano e paralitico, e aveva chiesto la liberazione di 52 palestinesi prigionieri in cambio dei 450 passeggeri in ostaggio; la vicenda si concluse con l’arresto in Italia di una parte del commando terrorista e il successivo ritorno di un’altra parte di esso in Palestina, tra cui Abu Abbas, dirigente dell’OLP. Alla fine dello stesso anno, un commando terrorista arabo-palestinese assaltò il banco di accettazione della compagnia israeliana El-Al a Fiumicino, causando la morte di ben sedici passeggeri e il ferimento di settantasei persone. Gli anni ’90 fanno registrare un chiarificazione istituzionale nelle prese di posizione dell’Unione Europea e degli Stati Membri. Linee d’indirizzo, raccomandazioni e leggi nascono principalmente per bloccare comportamenti discriminatori nei confronti dei tanti migranti che stavano affluendo dall’Europa orientale, dall’Asia e dall’Africa nei paesi europei occidentali, dove era in corso un cambiamento strutturale di carattere post-industriale e sociale con un conseguente fabbisogno di forza lavoro per attività sempre più neglette dagli autoctoni nelle fabbriche, nelle campagne e nelle case. Queste nuove leggi divengono importanti per un più avanzato sviluppo di una società democratica interculturale perché, per la prima volta, proteggono in modo esplicito tutte le minoranze, inclusa quella ebraica, da comportamenti discriminatori. Anche in Italia viene approvata la legge 205 del 25 luglio 1993, proprio contro le discriminazioni razziali, etniche e religiose. Per quanto riguarda l’antisemitismo di sinistra, in questi anni aumenta la consapevolezza che certe tendenze a carat49
tere antisemita non sono accettabili e che bisogna distinguere tra la critica alla politica israeliana e la posizione antisionista, così come saper distinguere tra israeliani ed ebrei delle diverse Comunità del mondo. Si manifesta, dunque, una più ampia accettazione della necessità e insieme della difficoltà di arrivare alla soluzione di avere due stati, Israele e Palestina, confinanti e non belligeranti. Uno dei cambiamenti più significativi emerge proprio in URSS, con un riflesso costruttivo anche sui partiti di sinistra in Europa, e tanto più in Italia dove il nuovo Partito Democratico di Sinistra aveva sostituito il Partito Comunista. L’importante mutamento di rotta dell’URSS avviene sotto la guida di Michail Gorbachev, che non solo priva il leader egiziano Saddam del suo apporto militare, ma finalmente consente tra il 1991 e il 1992 la riapertura dell’emigrazione ebraica dall’URSS verso Israele, avviando un cambiamento dei rapporti tra i due Stati, che sempre nel 1992 culmina nella ripresa dei rapporti diplomatici. A ciò segue il 16 dicembre del 1992, con l’assenso dell’URSS, la cancellazione della risoluzione dell’ONU del 1975, che aveva identificato il sionismo con il razzismo. Le scelte politiche più equilibrate che emergono in questo decennio non impediscono, tuttavia, che a livello internazionale ci siano ancora manifestazioni preoccupanti: ne è un esempio la Conferenza sull’antirazzismo organizzata dall’ONU a Durban in Sud Africa dal 31 Agosto al 7 settembre del 2001, alla quale Israele non poté partecipare poiché molte risoluzioni proposte riguardavano la decisa equazione tra sionismo e razzismo, con il forte sostegno dei paesi arabi e l’opposizione dei paesi occidentali, che soltanto alla conclusione ottennero una risoluzione finale più equilibrata. Anche in Italia la sinistra più radicale mantiene atteggiamenti di forte stigmatizzazione delle politiche di Israele e di critica agli ebrei nel resto del mondo, complessivamente accusati di avere assimilato atteggiamenti e comportamenti nazisti e di non fare mea culpa nei riguardi dei palestinesi, che devono essere invece sostenuti. Ancora recentemente, nel 2002, Alberto Asor Rosa, docente universitario e politico, nel suo libro sulla guerra (29) – di cui riportiamo poche 50
righe a titolo di esempio di un clima ancora assai presente, anche in ambito intellettuale – pone gli israeliani e gli ebrei in generale nel ruolo di «carnefici»: «La storia dello Stato d’Israele è la vivente testimonianza del fatto che il passato di un popolo non lo àncora necessariamente ai valori della sua tradizione e alla memoria delle sue sofferenze … Gli Israeliani sono gli immediati discendenti degli ebrei che hanno subito i pogrom e l’olocausto, ma non conservano nulla del carattere di vittime che li ha contraddistinti nella storia: per non essere più vittime sono entrati direttamente – quasi senza mediazioni – nel novero dei carnefici … Olocaustus produxit exodum et exodus produxit olocaustum … Se c’è una cosa di cui si sente la mancanza, nell’ebraismo, è proprio questo. Un mea culpa nei confronti di popolazioni ed individui che hanno dovuto pagare il prezzo del sangue o dell’esilio per permettere a Israele di esistere». Citazioni di questo tenore potrebbero essere fatte riprendendo posizioni di altre personalità, registrate in una recente pubblicazione di Gadi Luzzatto Voghera (30). È del tutto evidente come queste affermazioni non solo facilitino la ripresa dell’antisemitismo in generale, ma non si oppongono certamente alla lotta al terrorismo, che pur costituisce una delle minacce più nette per il mantenimento e lo sviluppo dei processi democratici e di pace nel mondo. L’antisemitismo arabo e islamico L’antisemitismo nei paesi arabi e mussulmani è certamente un argomento assai delicato e complesso proprio perché fenomeno per certi aspetti nuovo. In questi ultimi decenni l’odio antiebraico, pur avendo perduto in gran parte le sue caratteristiche razziste di tipo nazista, ha mantenuto l’idea centrale che esista un complotto ebraico per il dominio e il controllo del mondo e per questo viene mantenuto il termine antisemitismo È importante che anche questa recente variante dell’antisemitismo sia conosciuta e analizzata perché possa essere più facilmente riconosciuta e rifiutata, anche con l’uso delle nuove tecnologie. In questo senso sono assai 51
utili anche siti internet come quello di «The Middle East Research Institute», con sede a Washington, che presenta e segnala su questo tema numerosi articoli e pubblicazioni da tutto il mondo (31). Seppure in modo assai schematico, è necessario partire dalle relazioni tra mussulmani ed ebrei nel corso dei trascorsi quattordici secoli; infatti non solo le due religioni hanno un comune ascendente in Abramo, ma ambedue ritengono che esistano delle norme rivelate da Dio che regolano la vita pubblica e privata. Nel capitolo secondo e seguenti del Corano, composti da Maometto a Medina, si fanno molti riferimenti articolati alle altre due religioni monoteistiche, ad Abramo ed anche in particolare all’ebraismo e all’opera di Mosè. Mentre il cristianesimo accolse la Bibbia come la parte più antica della rivelazione divina, l’islam ritiene che le precedenti espressioni di Dio, ebraiche e cristiane, siano superate dal testo del Corano, che viene considerato il riferimento centrale per tutta l’umanità. Nel mondo islamico gli ebrei si trovavano nella condizione di tutti gli altri non mussulmani, con diritti limitati ma fissati per legge e da osservare attentamente. Essi erano dei dhimmi, cittadini subordinati, come i cristiani appunto, e tuttavia erano garantiti nella loro condizione di cittadini e non venivano né perseguitati, né torturati né ghettizzati: la comunità ebraica non era passibile di espulsione e morte per la sua appartenenza religiosa, e non ci furono nel corso dei secoli specifiche forme di persecuzione e violenza antiebraiche, salvo episodi limitati e condizionati da fattori esterni, come le guerre, le crociate, le carestie, le violenze temporanee che agitavano le popolazioni e portavano alla ricerca di un capro espiatorio da parte dei potenti. Si può dire che l’atteggiamento generale verso le diverse comunità ebraiche nei vari paesi islamici, dal Marocco allo Yemen, fu di condiscendenza e non di odio, repressione e violenza. Anche lo scontro vinto da Maometto contro tutta la comunità ebraica di Medina, che non aveva voluto riconoscerlo come profeta ed accettare il nascente islam, era considerato un momento di mortificazione e umiliazione per quella singola comunità e non come una colpa da estendere a tutti gli altri ebrei nel 52
corso dei secoli successivi. Vale la pena di segnalare questa differenza: mentre per i cristiani tutti gli ebrei sono stati colpevoli per duemila anni della morte di Cristo, per i mussulmani l’ebraismo è sempre stata una religione monoteista, e l’opposizione a Maometto di una piccola comunità ebraica a Medina, una volta fallita, non comportava conseguenze per il futuro. Certo l’islam riguarda oltre un miliardo di persone, sparse in molti paesi, molto distanti e diversi per storia e cultura, ma anche nella fasi di scontro, in questo o quel periodo, in questo o quel Paese, non si parlava di cospirazione giudaica, né si accusavano gli ebrei di avvelenare i pozzi o di diffondere epidemie; l’accusa che gli ebrei uccidessero i bambini per fare le azzime non è mai emersa fino al secolo quindicesimo, quando fu diffusa dai nuovi sudditi greci entrati a far parte dell’impero ottomano. Questa condizione di complessiva reciproca accettazione, improntata a un modello che oggi viene definito pluriculturale, ebbe anche momenti di grande qualità, come ad esempio nel sud della Spagna, dove per un lungo periodo fu possibile una fruttuosa e pacifica convivenza tra le tre religioni monoteiste, fino alla riconquista di quei territori da parte della regina Isabella la Cattolica, che provocò lo spostamento di una buona parte degli ebrei del sud della Spagna proprio nei paesi mussulmani del Africa del Nord e nella Turchia ottomana, che garantivano loro la convivenza. Secondo la maggior parte degli studiosi, l’antigiudaismo non è stato parte specifica della tradizione islamica, anche se alcuni hanno tentato altre strade di ricerca sulla base dei dubbi sulla consistenza della «tolleranza» islamica verso gli ebrei nel corso dei secoli (32) in alcune situazioni di forte contrasto, nelle quali si può individuare altresì qualche scritto antigiudaico. L’antisemitismo trovò spazio nel mondo islamico molto più tardi e senza quegli specifici caratteri razzisti presenti in quello europeo. Dice Bernard Lewis: «La vera penetrazione dell’antisemitismo di tipo moderno risale però al secolo XIX e si manifestò inizialmente tra le minoranze arabo-cristiane che, tra le comunità del Medio Oriente erano quelle ad avere 53
i rapporti più stretti con l’occidente … Le minoranze cristiane avevano buone ragioni pratiche per opporsi agli ebrei, i loro principali concorrenti nel commercio, ed è significativo che fermenti antiebraici fossero invariabilmente accompagnate da richieste di boicottaggio» (33). Così la prima traduzione dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion fu stampata in arabo nel 1926 su un periodico pubblicato a Gerusalemme da parte della comunità latino-cattolica. Inoltre all’inizio del ’900, con i Giovani Turchi, movimento costituzionalista e nazionalista di opposizione al Sultano, si sparse in Turchia l’accusa che il movimento era sostenuto da macchinazioni di potenti ebrei, che volevano controllare quei territori. L’estendersi dell’antisemitismo anche al mondo arabo e più in generale a quello islamico fu causato da due nuovi fattori: il primo fu la intensa propaganda nazista, che cercava di staccare il mondo arabo dall’influenza britannica, il secondo fu l’arrivo dei sionisti in Medio Oriente. Questa nuova realtà poneva il problema ai più tradizionalisti di accettare che gli ebrei potessero anche essere indipendenti, attraverso un cambiamento radicale rispetto alla condizione tradizionale di soggezione all’Islam dominante, che li aveva già battuti a Medina. La propaganda nazista contro gli ebrei si diffuse con trasmissioni radio in Egitto e nel mondo arabo fin dall’estate del ’38, e in Siria, attraverso il governo installato dalla Francia di Vichy, alleata del regime nazista, introducendo il concetto di razzismo nuovo in quella parte del mondo. Si può affermare che questa propaganda ebbe una certa presa nei paesi arabi per alcune congiunture storico-sociali; infatti da una parte gli arabi erano impegnati in una lotta continua contro le tendenze colonialiste britanniche e francesi, assai presenti e pesanti, dall’altra erano forti e diffusi i timori della realizzazione del «focolare nazionale ebraico» in Palestina, dove stavano arrivando i primi sionisti. Ciò spiega perché uno dei più accesi sostenitori dell’impostazione antisemita nazista fu il Muftì di Gerusalemme, Hai Amin Husayni (di cui il leader palestinese Yaser Arafat era nipote), che s’impegnò a fondo a favore della Germania contro la presenza ebraica in Palestina e contro la Gran Bretagna, tanto che nella fase 54
finale della guerra mondiale si trasferì addirittura in Germania. In un suo discorso radiotrasmesso l’11 Novembre 1942 per ricordare i martiri della causa araba, diceva: «Prima dello scoppio della guerra e prima che l’Asse prendesse le armi per porre fine all’ingordigia anglosassone-ebraica vi era un’unica nazione che combatteva da sola contro tali forze da più di venti anni. Questa nazione è la nostra nazione araba, che ha combattuto contro gli inglesi e gli ebrei in Egitto, in Palestina, in Iran, in Siria e in tutte le parti della penisola araba … Se, non lo voglia Dio, l’Inghilterra dovesse risultare vincitrice, gli ebrei dominerebbero il mondo….Ma se, al contrario, l’Inghilterra perdesse e i suoi alleati fossero sconfitti, la questione ebraica, che per noi costituisce il massimo pericolo, avrebbe una soluzione finale…» (34). Anche nei paesi arabi e nel mondo islamico inizia dunque dall’alto e attraverso i mezzi di comunicazione di massa la diffusione dell’antisemitismo, che vede negli ebrei i principali responsabili di un complotto mondiale, e comincia la diffusione capillare dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, che viene ancora oggi pubblicato continuamente e diffuso su internet in tutti i paesi arabi e più in generale islamici ed ha avuto anche una versione cinematografica trasmessa sulle televisioni. È dunque basilare fare attenzione a questa evoluzione: mentre per secoli la presenza ebraica era stata una questione marginale nell’area mussulmana, ora viene descritta come un centro motore di azioni antiarabe e antislamiche, dalle quali bisogna difendersi in ogni modo. A questo proposito è interessante visitare il sito internet fondato dal giornalista Ahmed Rami (35), che si presenta dicendo: «Radio Islam è una associazione apolitica, che agisce per promuovere maggiori e migliori relazioni tra l’Occidente e il mondo arabo e islamico. Radio Islam è contro tutti i tipi e forme di razzismo, contro ogni discriminazione basata sul colore della pelle, la fede religiosa e il gruppo etnico. Perciò Radio Islam è contro il razzismo ebraico verso i non-ebrei e gli obiettivi del sionismo internazionale. Il sionismo internazionale, oggi, costituisce l’ultima ideologia razzista ancora vivente e lo stato sionista d’Israele l’ultimo luogo rimasto di “apartheid” nel mondo. Israele costituisce, per la sua sola esi55
stenza, una completa provocazione a ogni principio, regola e legge internazionale, e il razzismo ebraico è una violazione di ogni etica e morale conosciuta dall’uomo». Su questo sito, a titolo di esempio, si possono oggi leggere I Protocolli dei Savi Anziani di Sion, il testo di Karl Marx contro gli ebrei, una dettagliata denuncia del «falso» Diario di Anna Frank, il Testamento di Hitler, diversi scritti a favore del negazionismo e molto altro. È corretto tuttavia prendere atto che la propaganda antisemita, che fa ampio uso di vignette facilmente accessibili sui giornali e pubblicazioni, di radio, televisione e internet, è contestata sugli stessi media dalla presenza di aree riformiste e moderate arabe ed islamiche. Questo nuovo antisemitismo entra sempre più anche nelle affermazioni di nuove organizzazioni conservatrici e fondamentaliste, come la Fratellanza mussulmana, che ha parte attiva nella propaganda antisemita e che descrive il sionismo, gli israeliani e gli ebrei come una sola entità, impegnati nel dominare il mondo: un tam-tam sempre più diffuso dopo le guerre vinte da Israele nel 1956 e, ancora più, nel 1967, che sono vissute come insopportabili sconfitte, tanto più perché subite ad opera di una popolazione considerata per secoli in condizione di subordinazione. Né si tiene presente che la Giordania e l’Egitto hanno riconosciuto lo Stato d’Israele ed hanno firmato un trattato di pace, sia pure tra molte e permanenti tensioni. Questo clima provocò inoltre l’espulsione delle antichissime comunità ebraiche (oltre 800.000 persone) dai paesi arabi dell’Africa del Nord, le quali tra il 1948 e il 1970 furono obbligate, dopo secoli di presenza in questi Stati, a rifugiarsi nei paesi occidentali, inclusa l’Italia, ed in Israele; oggi sono poche e piccole le comunità ebraiche che risiedono nei paesi islamici. Questa impostazione antisemita è presente anche nei testi di storia per le scuole in diversi paesi arabi e persino nei campi profughi palestinesi delle Nazioni Unite, tanto che nel 1969 l’UNESCO decise di intervenire perché fossero ritirati: un intervento che ha sortito effetti parziali, visto che ancora oggi molti testi in uso in quei paesi riportano notizie ed immagini mirate a educare i giovani al disprezzo degli ebrei, che discendono da «maiali e scimmie». Così in 56
uno dei suoi sermoni Daudi Sheikh Abd Al-Rahman Al Sudayyis, imam e predicatore alla moschea della Mecca, dice: «Leggi la storia e comprenderai che gli ebrei di ieri sono i cattivi padri degli ebrei di oggi, che sono progenie peccaminosa, infedeli, stravolgitori delle parole di Dio, adoratori delle vacche, assassini di profeti, negatori delle profezie … sono la feccia della razza umana che Allah maledisse e trasformò in scimmie e maiali» (36). Ma queste tendenze non sono tuttavia da generalizzare: proprio per contrastare la diffusione dell’idea degli ebrei come scimmie e maiali, Muhammad Sayyed Tantawi dell’Istituto degli Studi Islamici della Università Al-Azhar al Cairo, nel marzo del 2003, si è pronunciato pubblicamente sulla necessità di raccomandare ai mussulmani di non paragonare più gli ebrei contemporanei alle scimmie e ai maiali (37). Si può notare tuttavia che, come è avvenuto in Europa nei secoli scorsi, anche i regimi autoritari che dirigono i paesi arabi o i movimenti fondamentalisti mussulmani ricorrono in alcuni periodi, di fronte ai tanti e difficili problemi che attraversano, al facile éscamotage di scaricare la responsabilità sulla minoranza ebraica, già capro espiatorio tradizionale in altre parti del mondo. In questo quadro complesso, dinamico e contraddittorio non possono quindi sorprendere fatti di segno antisemita, dove si mescolano in modo sempre più evidente l’attacco terroristico a Israele e quello agli ebrei, ovunque essi vivano. Un esempio assai significativo sono stati i due attacchi terroristici verificatesi a Buenos Aires in Argentina, che hanno entrambi causato decine di vittime: il 13 febbraio 1992 fu fatta saltare l’ambasciata israeliana con ventinove morti e il 18 luglio del 1994 fu fatto esplodere l’edificio dell’AMIA (Associacion Mutual Israelita Argentina) con ottantacinque morti. Non si è ancora riusciti a trovare i diretti responsabili, ma il governo argentino appurò che si era trattato di terroristi fondamentalisti provenienti dall’Iran. Altro grave attentato antiebraico, rivendicato successivamente da al-Qaeda, si è verificato l’11 aprile 2002 in Tunisia sull’isola di Djerba, sede di una delle più antiche comunità ebraiche del Mediterraneo: fu fatto esplodere un camion carico di esplosivo 57
contro la sinagoga, uccidendo ventuno persone, delle quali quattordici turisti tedeschi. Ancora un episodio di terrorismo più recente è del 5 novembre 2003, quando alcune bombe sono state fatte esplodere a Istanbul da parte dell’organizzazione nazionalista e terrorista islamica IBDA-C contro due sinagoghe. Nell’analisi di questi avvenimenti va tenuto in considerazione, accanto all’aspetto antisemita, quello legato alla struttura statuale e sociale della gran parte degli stati arabi, che sono governati da regimi più o meno autoritari per i quali la democrazia parlamentare israeliana in Medio Oriente costituisce una vera spina nel fianco. L’espressioni più forti dell’antisemitismo si manifestano là dove si saldano le motivazioni politiche con quelle religiose estremiste, come nel caso di Hamas, l’organizzazione che attualmente dirige tanta parte della politica palestinese (vedi parte dello Statuto di Hamas nella sezione antologica) ed è difficile valutare quanto in profondità quest’azione di propaganda antisemita stia toccando i mussulmani nel mondo, per secoli in rapporti abbastanza tranquilli con le comunità ebraiche sparse nei vari Paesi. È tuttavia fuori di dubbio che lo scontro tra lo Stato d’Israele e la Palestina costituisce un pilastro importante della diffusione di questo antisemitismo nei paesi arabi ed islamici e il Presidente iraniano Ahmadinejad, con la sua pubblica accettazione del negazionismo, ne è una prova, muovendosi anche sull’onda del suo predecessore, l’ayatollah Khomeini, promotore di un movimento islamico radicale. Ancora in Iran il 1° di novembre del 2006 il Ministro della cultura Mohammad Hossein Safar Haandi ha premiato i vincitori di un concorso internazionale di autori di vignette che ironizzano sul tema dello sterminio nazista degli ebrei, che era stato indetto per rispondere alle vignette su Maometto pubblicate nel 2005 su un giornale danese. Una impostazione antiebraica è stata accolta anche da al-Qaeda, e sia Osama bin Laden che il suo braccio destro Al-Zawahiri, promotore di un movimento islamico radicale, mettono spesso in evidenza che i nemici principali sono, oltre agli Stati Uniti, lo Stato d’Israele e le comunità ebraiche di tutto il mondo che lo sostengono. 58
In questo ampio scenario hanno luogo anche iniziative ed avvenimenti che testimoniano il tentativo e la volontà di superamento dell’antisemitismo. Si può citare il seminario sulla Shoah tenuto nel 2003 da un gruppo di arabi e di ebrei, con la collaborazione dell’archimandrita Emile Shofani, direttore della scuola superiore San Giuseppe a Nazareth, che si è conclusa con la visita ad Auschwitz e la proposta di inserire lo studio della Shoah nelle scuole palestinesi. Tale episodio ha, come al solito, provocato molte reazioni nei media (38), in positivo e in negativo. Il fenomeno dell’antisemitismo arabo ed islamico si è manifestato, dunque, nell’epoca contemporanea ed è il risultato di diversi apporti: l’ampia importazione nel ’900 dell’antisemitismo europeo basato sul presupposto che gli ebrei vogliano senza alcuno scrupolo controllare il mondo e prendere il controllo delle sue ricchezze; la propaganda nazista e razzista e il negazionismo della Shoah; a ciò si è poi aggiunta l’equazione sionismo, razzismo e nazismo e l’identificazione del sionismo con tutto il mondo ebraico. Tutte queste pesanti accuse sono nutrite, come sempre, da motivazioni assai diverse che non hanno nessun rapporto con gli ebrei, i quali diventano il «capro espiatorio» di problematiche del tutto interne. Infatti i paesi arabi ed islamici stanno attraversando in questi decenni il difficile passaggio verso società rispondenti alle trasformazioni intervenute nella vita sociale, politica ed economica nel mondo. L’Occidente ed altri paesi avanzati, dal punto di vista della laicità dello Stato e della democratizzazione della vita sociale e politica, hanno sviluppato istituzioni politiche democratiche che presentano più eguaglianza e libertà, una diffusa scolarizzazione, un livello di vita più elevato. La Russia e la Cina hanno seguito percorsi diversi nel ’900 e, con tutte le loro contraddizioni, hanno aperto nuove strade verso una struttura sociale più evoluta. Anche il subcontinente indiano, sia pure con fatica, sta sviluppando un suo adeguamento alla realtà contemporanea, realizzando grandi competenze in alcuni campi della modernità, come quello informatico. I paesi arabi ed islamici hanno conservato più a lungo regimi politici poco democratici o autoritari, né sono riu59
sciti ancora a partecipare attivamente, nonostante la forte presenza nei loro territori di un bene così essenziale come il petrolio, alla struttura economica, politica e sociale dell’epoca attuale, con tutte le sue contraddizioni. Ciò crea insoddisfazioni e conflitti e quindi anche la ricerca di un «capro espiatorio» sul quale accentrare l’attenzione dell’opinione pubblica. Proprio la presenza di Israele in Medio Oriente ha favorito, in questo caso, la tradizionale tendenza a fare della minoranza ebraica il «capro espiatorio» di conflitti interni. Infatti questo Stato presenta due aspetti conflittuali con il mondo arabo ed islamico. In primo luogo, naturalmente, c’è lo scontro tra Israele e Palestina per la creazione di due Stati indipendenti, con la reciproca accettazione pacifica dei confini e delle conseguenti limitazioni. In secondo luogo, per gran parte della dirigenza dei paesi arabi ed islamici, la presenza di uno Stato democratico in Medio Oriente costituisce un termine di paragone e di conflitto. Ciò ha provocato, per la prima volta in questi paesi, la diffusione di atteggiamenti antisemiti, sia pure fortunatamente limitati: alcuni settori più radicali ed estremisti di queste società, collegando strettamente spinte religiose tradizionaliste a motivazioni politiche, hanno infatti accolto l’antisemitismo europeo, l’hanno propagandato in maniera ideologica con qualche venatura di carattere islamico, come la provenienza degli ebrei dalle scimmie e dai maiali, non volendo affrontare il vero problema della possibile coesistenza di due popoli, con le loro diversità, pure nella comune discendenza da Abramo. C’è da augurarsi che le forze politiche e sociali moderate e progressiste, che auspicano la risoluzione reale dei problemi di questi paesi, riescano a far prevalere lo scambio e la pace piuttosto che l’odio e la guerra, facendo retrocedere così l’antisemitismo arabo ed islamico. Fortunatamente a livello internazionale i rapporti complessivi tra mondo islamico e mondo ebraico sono assai più articolati, dinamici e con momenti anche assai costruttivi. Valga per tutti, a conclusione di queste pagine, la visita del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, alla grande Moschea di Roma, dove era stato invitato 60
il 13 marzo 2006 e durante la quale è stata accolta la sua affermazione che l’appartenenza a religioni diverse non debba produrre odio, ma pace e ricchezza spirituale. Nota conclusiva Dalla panoramica tracciata, che trova riscontro anche in molte recenti pubblicazioni – (39), (40), (41), (42), (43), (44) – risulta che il pregiudizio antisemita non è scomparso dopo i disastri della seconda guerra mondiale, ma ha continuato ad avere una sua presenza strisciante, che si manifesta principalmente nei movimenti politici e religiosi più radicali ed estremisti. Proprio la nascita dello Stato d’Israele, previsto come luogo di accoglienza per gli ebrei perseguitati, ha inaspettatamente attivato un nuovo campo di propaganda e di azioni antisemite ed è diventato lo spunto per l’antisemitismo anche in aree, come quelle islamiche, dove non era stato quasi affatto presente in precedenza. Tuttavia, come abbiamo visto parlando del cristianesimo, del cattolicesimo e degli Stati europei, c’è stata in questi decenni un’accresciuta e forte presa di coscienza da parte di molte forze religiose, politiche e culturali che l’antisemitismo non sia solo un pregiudizio pericoloso in sé, ma è anche la manifestazione di un cattivo funzionamento della vita sociale e umana, giacché si accusa una componente sociale dei problemi e delle insoddisfazioni che hanno ben altre cause. Insomma ci sta rendendo conto che è sempre più necessario superare l’antisemitismo, anche perché potrebbe ripresentarsi in forme violente, e costruire invece una società sempre più basata sulla reciproca accettazione delle diverse culture e religioni. Si sta altresì acquisendo la consapevolezza che ciò che è avvenuto agli ebrei potrebbe ripresentarsi verso altri gruppi sociali diversi, verso nuove presenze religiose e culturali, dando vita a nuove forme di antagonismo e persecuzioni. È il caso, in alcune aree dell’Europa e più in generale dell’Occidente, degli atteggiamenti verso la presenza ormai consistente di cittadini mussulmani, per cui si inizia a parlare di islamofobia. 61
Favorire una maggiore conoscenza dei pregiudizi e delle accuse antisemite non serve solo giustamente a combattere queste, ma anche a impedire che altre ne sorgano verso altre componenti e minoranze sociali, e rendere possibile lo sviluppo di una vera democrazia per tutti e in tutti i paesi. Come già detto all’inizio, questo libro si proponeva e si propone proprio di dare il proprio contributo in questa direzione. Roberto Piperno Bibliografia e sitografia (1) Wikipedia, the free encyclopedia, Kielce pogrom. Vedi anche Adam Michnik, Il pogrom, a cura di Francesco M. Cataluccio, Bollati Boringhieri, Milano, 2007. (2) Paul Zawadzki, «La Polonia» (pp. 245ss), in Storia dell’antisemitismo di Leon Poliakov, La Nuova Italia, Firenze, 1996. (3) Dante Lattes, «Benedetto Croce e l’inutile martirio d’Israele», in Ferruccio Pardo, L’ebraismo secondo B. Croce e secondo la filosofia crociana, Quaderni della Casa Editrice Israel, Firenze, 1948 (p. 8). (4) Jean-Paul Sartre, L’antisemitismo; riflessioni sulla questione ebraica, introduzione di F. Gentilini, Mondadori, Milano, 1990 (pp. 46, 122, 123). (5) Franca Tagliacozzo e Bice Migliau, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, La Nuova Italia, Firenze, 1993 (p. 532). (6) Leon Poliakov, Storia dell’antisemitismo 1945-1993, La Nuova Italia, Firenze, 1996. (7) Maurizio Blondet, Cronache dell’anticristo, Effedieffe, Milano, 2001. (8) Maurizio Blondet, Chi comanda in America, Effedieffe, Milano 2002. (9) Adriana Goldstaub, «Alcune considerazioni sull’antisemitismo in Italia, 2002-2006», Fondazione CDEC, Congesso UCEI, 2006. (10) Gabriel Schoenfeld, Il ritorno dell’antisemitismo, Lindau, Torino, 2005. (11) Daniele Scalise, I soliti ebrei. Viaggio nel pregiudizio antiebraico nell’Italia di oggi, Mondadori, Milano, 2005 (pp. 145 ss.).
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(12) Shoah (DVD) di Claude Lanzmann, Einaudi, Torino, 2007. (13) Guido Lopez, Se non lui, chi?, con un inedito di Primo Levi, Centro di Cultura Ebraica della Comunità Israelitica di Roma, 1987 (p. 22ss). (14) Carlo Mattogno, Olocausto: dilettanti a convegno, Effepi Genova, 2002. (15) Shlomo Venezia, Sonderkommando, Auschwitz. La verità sulle camere a gas. Una testimonianza unica, Rizzoli, Milano, 2007. (16) Erika Silvestri, Il commerciante di bottoni, Fabbri, Milano, 2007. (17) Giancarlo Elia Valori, Antisemitismo, Olocausto, Negazione. La grande sfida del mondo ebraico nel ventunesimo secolo, Mondatori, Milano, 2007. (18) Giorgio Pisanò, Mussolini e gli ebrei, Effepi, Genova, 1967. (19) Francesco Rotondi, Luna di miele ad Auschwitz. Riflessioni sul negazionismo della Shoah, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005. (20) Cfr. www.republica.it, 8.2.2007. (21) Emanuele Ottolenghi, Autodafé. L’Europa, gli ebrei e l’antisemitismo, Lindau, Torino, 2007. (22) Umberto Fortis, L’antisemitismo moderno e contemporaneo, Zamorani, Torino, 2004 (p. 112, Adriana Goldstaub, «L’antisemitismo nei siti internet italiani»). (23) Antonella Salomoni, L’Unione Sovietica e la Shoah, Il Mulino, Bologna, 2007. (24) Maurizio Molinari, La sinistra e gli ebrei italiani 1967-1993, Corbaccio, Milano, 1995. (25) Franco Fortini, I cani del Sinai, Di Donato, Bari, 1967. (26) Luciano Ascoli, Sinistra e questione ebraica, La Nuova Italia, Firenze, 1970. (27) Danilo Zolo, «Il Manifesto», 25.1.2004. (28) Cfr. www.nostreradici.it/papa_sinag.htm. (29) Alberto Asor Rosa, La guerra. Sulle forme attuali della convivenza umana, Einaudi, Torino, 2002. (30) Gadi Luzzatto Voghera, Antisemitismo a sinistra, Einaudi, Torino, 2007 (pp. 54-59). (31) Cfr.http://memri.org. (32) Carlo Panella, Il complotto ebraico. L’antisemitismo islamico da Maometto a Bin Laden, Lindau, Torino, 2005.
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(33) Bernard Lewis, Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e su un pregiudizio, Il Mulino, Bologna, 1991 (p. 146). (34) Bernard Lewis, Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e un pregiudizio, Il Mulino, Bologna, 1991 (p. 171) (35) Cfr. www.radioislam.org. (36) Cfr. http://memri.org, rapporto n. 11 (2002). (37) Cfr. http://memri.org, rapporto n. 135 (2003). (38) Cfr. http://memri.org, rapporto n. 136 (2003). (39) Fiamma Nirenstein, Gli antisemiti progressisti. La forma nuova di un odio antico, Rizzoli, Milano, 2004. (40) Fiamma Nirenstein, Islam. La guerra e la speranza: intervista a Bernard Lewis, Rizzoli, Milano, 2003. (41) Giorgio Israel, La questione ebraica oggi, Il Mulino, Bologna 2002. (42) Francesco Germinario, Estranei alla democrazia. Negazionismo e antisemitismo nella destra radicale italiana, BFS, Pisa, 2001. (43) Abraham B. Yehoshua, Antisemitismo e sionismo, Einaudi, Torino, 2004. (44) Mario Toscano (a cura di), Ebraismo, sionismo e antisemitismo nella stampa socialista italiana, Fondazione Modigliani, Marsilio, Venezia, 2007.
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Introduzione alla prima edizione
Un’antologia dell’antisemitismo negli ultimi cento anni è uno strumento vivo, preparato per quanti vogliano cominciare a orientarsi in questo fenomeno ormai plurisecolare, che racchiude in sé una storia di sangue e di sofferenza terribile come poche altre. È una vicenda unita indissolubilmente alla storia europea nel suo vario e contrastato cammino e oggi anche a quella del continente americano. Per questo legame, l’antisemitismo è un fenomeno che riguarda tutti, perché tutti sono direttamente responsabili dell’indirizzo della società e dello sviluppo attuale della coscienza democratica. D’altro lato l’antisemitismo è un fenomeno tutt’ora vivo in molte parti del mondo. L’epidemia delle svastiche e la profanazione delle lapidi, che iniziò a Colonia nel dicembre del 1959 e si diffuse prima in Germania e poi rapidamente in altri paesi, attirò bruscamente l’attenzione dell’opinione pubblica sulla permanenza di un certo antisemitismo in tutta l’Europa occidentale in collegamento con rinascenti gruppi di ispirazione nazi-fascista. In questa parte dell’Europa, la Francia e la Germania occidentale sono i paesi dove si ha forse la più notevole recrudescenza di questo triste fenomeno. Anche in Italia, paese in genere alieno da sentimenti antiebraici, è stato confermato durante il periodo delle svastiche, come era stato constatato da alcuni sporadici esempi in occasione delle elezioni politiche e amministrative, che esistono alcuni gruppetti di estrema destra dichiaratamente antisemiti, conseguenza postuma della propaganda razziale fascista. Quanto all’Europa orientale, le varie comunità ebraiche che vivevano lì alla fine del 1800 sono state distrutte quasi integralmente dai pogrom zaristi, dalla conseguente emi65
grazione di quel tempo e dalla ferocia nazista. L’unico nucleo ancora numericamente importante – circa due milioni e mezzo di ebrei, il più vasto gruppo europeo odierno – è quello dell’URSS. È indubbio che, durante il periodo di Stalin e in particolare nei suoi ultimi anni di vita, anche qui vi fu, una persecuzione e una campagna antiebraica come accenneremo più avanti; le trasformazioni iniziate dopo la sua morte, comunque, hanno avuto una benefica influenza anche sulla situazione ebraica, che oggi è ben differente. Tuttavia, benché tutte le vittime della azione antisemitica precedente siano state reintegrate nelle loro posizioni e sia terminata ogni persecuzione fisica, bisogna sottolineare che non è stato fatto molto per individuare le cause e tutti gli effettivi responsabili di quelle persecuzioni e per controbilanciare anni di propaganda antisemitica. Anzi, si nega ufficialmente che in URSS vi sia un problema ebraico, nonostante centinaia di migliaia di ebrei non possano prendere adeguata conoscenza della storia ebraica e della cultura yiddish; né bastano a questo scopo alcune recenti e scarne iniziative, come la fondazione nell’estate del 1961 della rivista letteraria bimestrale in lingua yiddish «Sovetish Heimland», nonostante ad essi rimangano preclusi i contatti con le attività culturali degli ebrei che risiedono nel resto del mondo e in Israele e nonostante vengano ancora pubblicati un buon numero di articoli di marca antisemita. Nell’antologia ne è riprodotto uno, recentissimo, apparso sul «Trud», organo dei sindacati sovietici, e ripreso e diffuso dalla Tass, che l’ha distribuito anche nel suo notiziario estero. Bisogna in ogni caso sottolineare che questa campagna antiebraica s’inquadra non tanto nella propaganda antireligiosa, quanto in un’azione antisionistica, che ha le sue principali radici sia nel timore che una parte degli ebrei russi – che tra l’altro hanno dato un notevole contributo anche allo sviluppo scientifico e culturale del paese – possano essere attratti dal nuovo stato d’Israele, sia nella politica filoaraba dall’URSS. Così s’individua facilmente, nell’articolo riprodotto, l’intento di isolare gli ebrei russi e di spaventare l’opinione pubblica, presentando Israele e i sionisti come fantocci in mano all’imperialismo statunitense, i diplomatici israeliani come pericolosi sovversivi 66
da non avvicinare, i turisti ebrei o israeliani come probabili spie, gli emigranti dei paesi socialisti verso Israele come una cospicua fonte di informazione per il servizio di spionaggio israeliano o, per meglio dire, statunitense. Certamente l’antisemitismo non vive solo in Europa né, per quanto riguarda questo continente, le notizie che provengono dalla Germania o dalla Francia sono molto rassicuranti; tuttavia ci sembra che oggi sia in particolar modo necessario sottolineare la situazione russa, in quanto investe il massimo nucleo ebraico europeo che, inoltre, ha dato nell’ultimo secolo alcuni dei nomi e dei movimenti ebraici più significativi. A questo punto è bene fare un cenno anche ai paesi extraeuropei, anche se non rientrano nei limiti di quest’antologia. Innanzi tutto agli Stati Uniti, dove una esplicita letteratura illustra l’esistenza di un antisemitismo latente, a livello non ufficiale, che si ricollega a paralleli fenomeni razzistici verso i neri o gruppi di emigranti; tuttavia sembra che la propaganda antisemitica sia oggi meno vivace che nella prima metà del secolo, quando iniziavano l’integrazione delle masse ebraiche che erano fuggite di fronte ai pogrom zaristi e l’immigrazione di ebrei che provenivano dalla Germania nazista. Nel Sud America bisogna citare l’Argentina, dove già tra le due guerre mondiali si era manifestato un diffuso sentimento antiebraico e da dove provengono le più recenti notizie di antisemitismo attivo; d’altronde, a parte la peculiare situazione politica odierna di questa nazione, è noto che dopo la sconfitta della Germania una quantità di nazisti, tra i quali Eichmann, riuscirono a rifugiarsi in questo paese, giacché esso era stato l’unico – specialmente a causa della forte minoranza italiana – a opporre delle riserve quando nel gennaio del 1942 la Conferenza Panamericana di Rio de Janeiro raccomandò a tutti i suoi membri di rompere le relazioni diplomatiche con i paesi dell’Asse. Infine non bisogna dimenticare l’antisemitismo attivo dei Paesi Arabi il quale fa capo, più che al principio musulmano della «guerra santa», alla più recente propaganda nazista, al nazionalismo di questi nuovi stati e all’arretratezza di gran parte della classe dirigente araba. Quest’ultima è infatti ancora legata a vecchi rapporti e istituti sociali, quindi timorosa dell’esistenza di 67
uno stato moderno ai suoi confini e d’altro lato ben contenta di incanalare l’irrequietezza sociale nell’ideale della lotta nazionale contro Israele. Se queste sono le linee generali dell’antisemitismo odierno e, come si vede, non si tratta di un fatto trascurabile, in realtà ci troviamo di fronte a un fenomeno complesso, dalla lunga storia, che non può essere definitivamente eliminato prima che la coscienza popolare ne abbia colto il pericoloso significato e non sia più trascinabile su questa triste strada. Le prime notevoli considerazioni sfavorevoli agli ebrei le troviamo nella letteratura latina, ma in questo periodo non si può assolutamente parlare di attività antiebraiche, perché non ne esistevano i presupposti ideali e sociali e gli ebrei costituivano una parte relativamente importante del vasto impero romano. Quanto a quei giudizi poco favorevoli, le cause s’individuano abbastanza facilmente: gli ebrei non solo originariamente appartenevano a un popolo vinto e assoggettato, ma per di più a un popolo che aveva dato molto filo da torcere ai romani, impegnando più volte le legioni in una serie di sanguinose rivolte popolari. Oltre a ciò, Cicerone ci rivela che gli ebrei residenti a Roma, poco numerosi e di condizione modesta, parteggiavano attivamente per i partiti popolari, sicché nelle parole di molti scrittori – come ad esempio in Cicerone stesso – possiamo riscontrare, insieme all’antipatia per i popoli stranieri e specialmente orientali, l’irritazione contro i sostenitori del partito politico opposto. Inoltre, tra i conservatori romani erano largamente rappresentati i grandi proprietari agrari, i quali disprezzavano e osteggiavano per motivi economici e psicologici chiunque fosse legato in qualche modo ai traffici cittadini, come appunto gli ebrei. Questi, infatti, erano stati trapiantati dalle loro terre, in seguito alle varie invasioni, in grandi città di differenti parti dell’impero e quindi erano legati allo sviluppo commerciale cittadino, piuttosto che alla proprietà agraria, che apparteneva principalmente ai grandi e ai piccoli proprietari locali delle regioni dominanti. L’ultima causa, ma non la meno importante, era la divergenza e l’incomprensione assoluta tra l’ebraismo, che stava anche operando del proselitismo, e il paganesimo: così, per fare 68
alcuni esempi, si sosteneva che gli ebrei adorassero un asino e che il riposo sabbatico, rigorosamente rispettato dagli ebrei anche a Roma, fosse una manifestazione della loro pigrizia. Quest’ultimo travisamento dell’ebraismo svela in realtà il fondo sociale implicito nel contrasto religioso: se fosse prevalso il principio biblico del riposo settimanale per tutti, schiavi e animali compresi, sarebbe diminuito il rendimento lavorativo e introdotta una idea gravida di conseguenze negative per il sistema economico-sociale romano. Insomma, sotto i romani i contrasti esistenti tra questi e gli ebrei si riconducevano alla lotta tra l’imperialismo romano e le popolazione assoggettate, sicché, nonostante il contrasto religioso e qualche sporadico episodio di intolleranza, non si può dire che esistesse una specifica attività antiebraica, come è dimostrato anche dal fatto che gli ebrei godevano di una condizione analoga a quella degli altri popoli vinti. La situazione cambiò con l’avvento del cristianesimo in quanto, parallelamente allo sviluppo di una sempre più vasta letteratura cristiana antiebraica, a partire da Costantino cominciarono (321 e.v.) le leggi che imponevano agli ebrei un regime particolare, limitandoli nella vita pubblica e in quella civile: con quei primi decreti imperiali fu loro proibita, sotto pena di morte, ogni propaganda religiosa. Gli ebrei furono poi esclusi dall’esercito e dagli uffici pubblici, resi inabili a contrarre matrimonio con cristiani e persino a impiegare lavoratori cristiani; infine furono esclusi via via da una gamma sempre più vasta di attività e di contatti sociali. Su questa strada, gli ebrei, che pure erano portatori di una così elevata visione ideale, scesero pian piano alla condizione di casta inferiore e bisognerà attendere l’avvento della Rivoluzione francese perché siano riportati di nuovo su un piede di parità con gli altri cittadini. Non è qui possibile offrire un quadro particolareggiato della storia di quel millennio e mezzo in cui, con forza maggiore o minore, si ebbero persecuzioni antiebraiche; ci basta qui indicarne le cause prime e le caratteristiche principali, anche perché, come si vedrà, taluni temi di questo periodo sono stati ripresi ancora nell’ultimo secolo. Alla radice dell’azione antiebraica cristiana vi furono motivi politico69
sociali e ideologici. Per quanto riguarda i primi, è chiaro che i cristiani, nel momento in cui iniziavano la conquista interna dell’impero romano, avevano tutto l’interesse a scindere completamente le loro posizioni da quelle degli ebrei che, per le ragioni notate, non erano sempre ben visti, in particolar modo dal ceto conservatore che, convertitosi al cristianesimo, ne diveniva il principale sostenitore. Contemporaneamente importava ai cristiani mantenersi cittadini attivi e scagionare i romani dall’accusa di avere crocifisso Gesù, mentre nulla era più facile che farne ricadere la colpa sugli ebrei, utilizzando e ribadendo la differenziazione basata sulla diversa accettazione della natura di Cristo: per tutto ciò si sviluppò l’accusa di deicidio con tutte le conseguenze ideali e pratiche che ne discesero. Non contava che la maggior parte degli ebrei vivesse già da vari secoli fuori d’Israele al momento della crocifissione di Gesù, che anche tra quelli che si trovavano in Israele solo una esigua minoranza avesse presenziato agli avvenimenti, che la condanna fosse pronunciata da un magistrato romano, eseguita da soldati romani, con un supplizio tipicamente romano, non contavano mille altri elementi che rendevano insostenibile l’accusa di «deicidio»: in realtà trasferendo l’accusa sul capo degli ebrei, a parte ogni considerazione dottrinaria, si aveva il doppio vantaggio di accattivarsi le simpatie romane e di combattere il proselitismo ebraico. Prende corpo a questo punto il dissenso ideologico, in quanto la religione cristiana, inserendosi nel mondo romano, andava sempre più divergendo dall’ebraismo da cui cercava di differenziarsi. Per questo motivo la dottrina cristiana tentava di giustificare globalmente la sua superiorità su quella ebraica, asserendo che tutti gli ebrei erano colpevoli della crocifissione di Gesù e del rifiuto di riconoscerlo come Messia: di qui sarebbe germinata la maledizione divina che avrebbe indurito il cuore degli ebrei rendendoli, da quel momento in poi, perfidi e incapaci di vedere la luce della verità. Su queste basi, ad esempio, divenne possibile instaurare il riconoscimento del battesimo forzato di neonati ebrei e la separazione violenta dalle loro famiglie. Così pian piano il dissenso ideologico acquistò la forma di un ostracismo, giacché si identificò la civiltà, l’umanità e il 70
bene con il cristianesimo e quindi, automaticamente, il male fu rappresentato dagli ebrei, unici non-cristiani in Europa, dopo la vittoria integrale della Chiesa sul paganesimo. «Gli ebrei hanno la coda e puzzano di cane morto» dice un’antica credenza popolare: questa convinzione che l’ebreo sia uno degli aspetti che assume il diavolo (intendendo questa parola nella sua accezione popolare) per svolgere la sua opera maligna è la sostanza di questa prima presa di posizione antiebraica, come di ogni altra successiva. Nei secoli seguenti, le aspre lotte che la Chiesa sostenne per affermare il suo primato spirituale contro tutte le forze erosive e ribelli alla sua autorità non offrirono certo l’occasione per rivedere quella presa di posizione nei confronti degli ebrei, che continuavano a rappresentare un limite ideale al dominio sempre più vasto della Chiesa. Inoltre, si venne a creare un fenomeno economico che consolidò la separazione giuridica: in seguito alle legislazioni imperiali che proibirono agli ebrei di esercitare una serie di lavori e che interdissero i matrimoni misti e quasi ogni altro genere di stretto contatto sociale, essi finirono col rappresentare sotto il profilo economico-sociale una categoria ben definita e distinta dal resto della popolazione. Così gli ebrei vennero posti al margine del predominante sistema agrario-feudale che li delegò a svolgere quasi esclusivamente le attività trascurate dal resto della popolazione, cioè il commercio di beni e di denaro, nello stesso modo che legò i contadini alla terra. Ma queste attività, tra le più rischiose e le più disprezzate, furono in realtà quelle più redditizie a lungo andare, anche perché gli ebrei furono obbligati a reinvestire continuamente il guadagno in nuovi traffici, giacché una serie di leggi impedì che potessero usarlo per l’acquisto di terre o per investimenti improduttivi come le manifestazioni di sfarzo. Così, in sintesi, potremmo dire che gli ebrei furono posti dalla legislazione del tempo in una situazione che da un lato li configurava come una categoria chiusa, e dall’altro lato faceva svolgere loro una attività utile sotto vari profili, che al tempo stesso li arricchiva. In primo luogo essi risultarono indispensabili alla società feudale, giacché in molte parti d’Europa non solo assicurarono un apporto di capitale e un 71
minimo di interscambio tra le economie agrarie e chiuse del periodo, ma mantennero anche in vita l’impiego di sistemi commerciali e bancari; in tal modo, in molte zone contribuirono notevolmente a impedire che la condizione economica europea precipitasse ancor più in basso e a creare le condizioni per una successiva ripresa. In secondo luogo queste attività degli ebrei furono a lungo indispensabili anche ai signori feudali i quali li protessero, fino a considerarli «beni» di cui disporre nei testamenti e nelle spartizioni territoriali poiché, oltre a rifornirli dei pregiati prodotti d’Oriente e di altre mercanzie indispensabili, gli ebrei erano spesso gli unici che disponessero di denaro liquido col quale pagare gli esosissimi balzelli o fornire prestiti per imprese militari e politiche e che fossero in grado di amministrare le finanze pubbliche. Ma insieme a questi fattori positivi, nella stessa situazione vi sono i germi di future persecuzioni. Infatti i primi grandi massacri e le prime espulsioni massicce si verificarono quando, dopo l’anno mille, i Comuni intaccarono quel monopolio aprendo nuove correnti di traffico, mentre la massa popolare tornava a chiedere antiche rivendicazioni sociali insoddisfatte, giacché gli ebrei si presentavano a queste nuove forze come un gruppo socialmente ben caratterizzato, monopolizzatore di ricchezze e commerci. Ausilio e pretesto a questi massacri furono due fattori ideologici: da un lato la svalutazione medioevale del significato economico del denaro e dell’interesse su prestito, combinato al pregiudizio romano della pigrizia ebraica, aveva esaltato per secoli l’idea che l’ebreo vivesse come uno sfruttatore, senza svolgere una attività produttiva e socialmente utile; dall’altro lato un elemento veramente capitale in questo periodo fu la molla del misticismo religioso, che giocò sulla effettiva differenza religiosa e in più aggiunse l’accusa di deicidio e mille dicerie e superstizioni. Sicché nel saccheggio delle case e nell’assassinio degli ebrei v’era la benevolenza divina oltre la certezza dell’impunità, la convinzione di realizzare una giustizia sociale e l’aspettativa di guadagni materiali. Il periodo delle Crociate fu infatti per gli ebrei uno dei più tragici giacché, assimilati ai «pagani» nemici della cristianità, finirono col pagare ad esse un im72
menso contributo di sangue e di sofferenze. Bisogna anche sottolineare che i massacri furono guidati da potentissimi ordini monastici, mentre il papato da Roma tentò di limitare la portata del fanatismo religioso; per questo motivo la successiva diminuzione del potere del papato, specie nel periodo avignonese, significò per gli ebrei la perdita di un altro importante punto di appoggio. Tuttavia, ripeto che le più importanti manifestazioni antiebraiche di quei secoli furono, al di là del fatto religioso, una battaglia contro il sistema feudale, specialmente nel quadro della formazione delle prime grandi entità nazionali, anche se in realtà finirono col colpire nell’ebreo una conseguenza del sistema e non la sua struttura di base. Bisogna anche comprendere che, se da un lato mancò spesso presso le masse la coscienza delle vere cause dei problemi che le angosciavano, d’altro lato i feudatari erano inaccessibili nei loro castelli mentre gli ebrei, che a quel tempo vivevano in mezzo alla popolazione, erano sotto gli occhi di tutti. Quanto ai signori feudali, essi furono ben felici di ritirare la protezione nei confronti degli ebrei e in tal modo di deviare il furore popolare, parola che ritorna tragicamente ad ogni grande esplosione antiebraica. D’altronde gli ebrei costituivano ormai solo una pedina del loro gioco in quanto, con il complicarsi della situazione politica e con la ripresa economica, non rappresentavano più una così cospicua fonte di ricchezza, mentre ancora erano legati a essi con prestiti precedenti che il popolo stesso, nel suo furore omicida, s’incaricò di cancellare. Ma c’è di più: a partire da un certo momento in poi, le dinastie interessate alla formazione delle prime grandi entità nazionali miravano a eliminare con pugno di ferro ogni possibile divergenza e incrinatura interna e ogni residuo feudale, sicché finirono col favorire la spoliazione, il massacro e l’espulsione degli ebrei. Infatti questa categoria di persone da un lato si presentava come una delle principali forze economiche in mano ai signori feudali e come monopolizzatrice di una parte cospicua delle ricchezze e dei traffici, dall’altro lato non si chiudeva nei nuovi confini nazionali ma si espandeva con una serie di nuclei attraverso tutto il gran corpo del Sacro Romano Impero e nell’ambito di quasi tutta l’Europa cristiana; inoltre aveva, per le ragioni 73
già viste, una sua struttura sociale piuttosto definita, in cui non mancavano reminiscenze dell’antica origine nazionale del primitivo gruppo ebraico. Insomma, alla radice c’era un contrasto tra questa categoria economica di netta marca feudale e gli insorgenti gruppi nazionali, sicché quella soccombette rapidamente alla forza preponderante: in realtà sarebbe bastato, per ottenere la sua integrazione, un mutamento legislativo che stroncasse le radici della separazione economica e sociale, ma i tempi non erano maturi per questo, anche perché sul problema economico-sociale si innestavano altre potenti forze. Infatti, da un lato entravano in campo specifici fattori ideali e psichici ancora prevalenti, cioè il contrasto religioso e la secolare campagna denigratrice degli ebrei e dell’ebraismo, dall’altro lato i nuovi monarchi ottenevano dalla persecuzione ebraica sia le loro ricchezze sia il favore popolare sia l’appoggio dei potenti ordini monastici. Questo è lo schema delle cause delle grandi cruente persecuzioni che portarono alla sparizione quasi totale degli ebrei nell’Europa occidentale e alla loro fuga verso la zona orientale, dove permanevano ancora condizioni feudali. In Occidente riapparvero soltanto dopo un intervallo di tre-quattro secoli, in luoghi dove le grandi convulsioni post-medievali erano state in larga parte superate (come in Francia e in Inghilterra), cioè dove un più precoce sviluppo nazionale e industriale aveva già posto le basi per una prima coscienza democratica e, cadute le barriere economiche e mutato lo spirito religioso, erano venuti a cadere i presupposti ideali e sociali della persecuzione precedente. Invece tali presupposti rimasero più a lungo nelle zone orientali, dove alla fine del XVII secolo si hanno ancora tremende sommosse antiebraiche di tipo feudale, come in Polonia nel 1648 in occasione della rivolta dei cosacchi. Siamo così arrivati al nucleo del nostro discorso, giacché quest’antologia mira a esemplificare le ragioni delle persecuzioni contemporanee. I grandi sconvolgimenti mondiali e l’universale industrializzazione posero ovunque, all’inizio dell’altro secolo, il «problema ebraico» in termini diversi e nuovi. In questo secolo e mezzo da un lato è sembrato più 74
volte che si fosse ormai prossimi alla fine di questo tremendo fenomeno sociale, mentre dall’altro lato il nazismo ha dato all’odio contro gli ebrei la sua espressione più feroce e tragica, che ha coinvolto in un unico dramma i due monconi della compagine ebraica europea d’Oriente e d’Occidente. Per comprendere la moderna impostazione delle persecuzioni antiebraiche, la loro portata e il loro significato, ancora una volta bisogna tenere presente che, come si è tentato di mostrare nelle pagine precedenti, in questi ultimi duemila anni la storia degli ebrei e delle loro persecuzioni è un aspetto e una manifestazione – possiamo anzi dire una secrezione venefica o una scoria da cui è difficile purificare il prodotto – della contraddittoria storia europea nel suo vario e contrastato tentativo di innalzare il livello psico-fisico dell’uomo e di realizzare un più elevato equilibrio sociale e civile. Per questo motivo, come gli ebrei risentirono un tempo delle grandi convulsioni che segnarono il passaggio dal feudalesimo all’era moderna, con la formazione di nuove classi sociali e la gestazione di grandi gruppi nazionali, così la Rivoluzione francese segnò anche per essi una data da cui non si può prescindere, giacché mutò radicalmente la loro posizione. Infatti, essa significò la concreta e definitiva acquisizione del principio dello stato laico, sicché venne a cadere anche per gli ebrei l’importanza delle pregiudiziali religiose che erano state determinanti per escluderli dalla vita pubblica e dai più vasti rapporti sociali. Inoltre, la Rivoluzione francese fu l’espressione di una società basata sempre più sul commercio, su una industrializzazione sempre più elevata e su una generale modernizzazione della vita economica e sociale, dove quindi non avevano più senso i vincoli giuridici che impedivano a una parte della società di cooperare allo sviluppo generale e anzi erano controproducenti, giacché proibivano una libera e ampia circolazione di uomini, beni e idee, in spazi economici assai più vasti dei limitati mercati in cui era racchiusa la società precedente. In questo quadro di generale e progressiva emancipazione da secolari vincoli legali e sociali si colloca anche la realizzazione della parità giuridica degli ebrei, liberati da una situazione che, se da un lato in certi periodi li aveva privilegiati economicamente, 75
dall’altro li aveva sempre esposti agli umori dei principi e delle folle e incatenati ad attività e costumi sempre più lontani dalla vita circostante. Non è questo il luogo per esaminare nei particolari quale fu l’effetto sugli ebrei dell’emancipazione accordata dalla Rivoluzione francese; bisogna tuttavia sottolineare alcuni punti per comprendere meglio il significato del successivo odio antiebraico che in seguito a quel memorabile avvenimento sembrava destinato a scomparire. Bisogna innanzi tutto notare brevemente che alla fine del 1700 la compagine ebraica d’Oriente e quella di Occidente differivano profondamente perché s’inquadravano in due situazioni diverse: qui, infatti, il processo di modernizzazione dei rapporti economici e sociali era stato impostato da molti secoli e il principio dell’emancipazione ebraica era ormai acquisito da molti, sicché il successivo processo di integrazione degli ebrei si realizzò compiutamente e rapidamente. Nella zona orientale, invece, la permanenza di strutture più arretrate e la presenza di vasti agglomerati ebraici aveva loro lasciato più a lungo un margine maggiore di autonomia e più notevoli erano gli aspetti specifici della compagine ebraica; un’ulteriore dimostrazione, a posteriori, di queste affermazioni si ha nel diverso sviluppo sociale e ideale delle due compagini, nel corso dell’ultimo secolo e mezzo. Posto ciò, bisogna rilevare che senza meno l’emancipazione fu sconvolgente per gli ebrei, sia sul piano del costume e della vita economicosociale sia su quello ideologico, giacché essi vennero immessi bruscamente nella vita contemporanea con un balzo di secoli. La situazione che si verificò fu in parte simile a quella che si manifesta ogni qual volta individui appartenenti a una società chiusa, in larga parte regolata da leggi autonome e da una legislazione speciale, vengono messi improvvisamente in comunicazione con una forte e più vasta società che tende ad assorbirli. Si ebbe infatti presso gli ebrei un rapido distacco dalla vita tradizionale sia nell’abbandono delle attività e delle sedi in cui erano stati forzati per secoli, sia con l’acquisizione degli interessi nazionali comuni a tutti i cittadini, sia col progressivo distacco da leggi, da convinzioni e da riti millenari. 76
Bisogna sottolineare specialmente quest’ultimo aspetto perché si verificò l’incontro tra gli ebrei e la nuova civiltà contemporanea, non più basata su valori religiosi, proprio nel momento in cui da un lato l’unificazione legislativa eliminò insieme alle differenze le antiche autonomie, gli interessi sociali particolari e le antiche reminiscenze nazionali, dall’altro si assumeva il criterio, sostenuto già da pensatori ebrei fin dal 1700, di chiamare «ebreo» chi apparteneva alla «religione ebraica». Per questo si ebbe nel corso del 1800, specie tra le nuove generazioni, un progressivo distacco dall’ebraismo tradizionale; in ultima analisi possiamo dire che l’integrazione attuata in quelle specifiche condizioni avviò indirettamente la così detta assimilazione, cioè appunto un certo maggiore o minore distacco dallo studio e dall’applicazione consueta dell’ebraismo e l’accettazione di idee e prassi differenti e persino divergenti. Sicché, a seconda della situazione preesistente nel gruppo ebraico emancipato e nella società nazionale di cui entrava a far parte a parità di doveri e diritti, l’ebraismo rimase per alcuni quello tradizionale, mentre per altri divenne una mera applicazione formale di antichi riti o si ridusse alla celebrazione delle ricorrenze religiose più significative o ad alcuni suoi princìpi basilari, dopo avere eliminato tutta l’antica prassi. Per altri ebrei, invece, si produsse un distacco totale da esso e una viva ricerca di un nuovo equilibrio ideale, ricerca che si inquadrò pienamente nella generale crisi dei valori tradizionali e nella diffusa aspirazione a un’ideologia nuova, sicché, mentre alcuni si convertivano ad altre fedi, altri assunsero a titolo individuale tutte le possibili posizioni ideali dell’ultimo secolo e mezzo. Anche sul piano politico, nonostante una sensibilità democratica abbastanza diffusa per la coscienza di essere stati o di essere ancora una minoranza perseguitata, gli ebrei si schierarono su tutte e le più contrastanti posizioni, a seconda della loro provenienza sociale. Mentre all’interno dell’antica compagine ebraica si svolgeva questo processo di differenziazione, di chiarificazione, di adeguamento alla nuova situazione, si produsse un fatto esterno che modificò in parte il corso delle cose: riprese vita il movimento antiebraico, sotto il nuovo nome di antisemitismo. Vedremo più avanti in modo analitico che questo feno77
meno antiebraico non mosse dalla concreta situazione degli ebrei, come in parte era avvenuto alla fine del Medioevo, ma fu una delle espressioni della controrivoluzione, fu uno degli schermi dietro i quali si nascondevano coloro che si opponevano non solo all’emancipazione ebraica, ma in modo più o meno globale ai nuovi ideali liberali e democratici. Per ora limitiamoci a sottolineare che l’antisemitismo non condusse solo una propaganda verbale, ma promosse una campagna attiva che alla fine dell’Ottocento culminò nei pogrom russi e nel Novecento nei campi di sterminio tedeschi. Di fronte a un fenomeno così catastrofico, la compagine ebraica, direttamente colpita, non poteva rimanere indifferente sicché, pur seguitando a svilupparsi sulle linee precedenti il processo interno di chiarificazione, nacque il movimento nazionale ebraico, il quale si rifaceva alla lontana origine nazionale degli ebrei, pressoché perdutasi attraverso i mille rivoli del proselitismo ebraico, le conversioni al cristianesimo e attraverso duemila anni di concreta partecipazione alla storia europea. Tale movimento nazionale ebraico si poneva un duplice fine: in primo luogo di offrire una sede certa e definitiva ai fuggiaschi delle persecuzioni e in secondo luogo di arrestare l’assimilazione e la dispersione, valorizzando il più o meno blando legame sentimentale che ancora univa molti ebrei alla plurimillenaria storia e alla tradizione ebraica, chiamandoli a cooperare a un proseguimento di essa. Come risultato immediato tale movimento assunse due posizioni diverse: da un lato, con una partecipazione di ebrei di tutte le provenienze, si chiamò Sionismo ed ebbe come fine la ricostituzione dello stato autonomo d’Israele possibilmente nell’antica sede palestinese come punto di riunificazione di tutti gli ebrei sparsi. Ciò si realizzò nel 1948, anche sotto la spinta dell’opinione pubblica mondiale colpita dallo sterminio nazista. Dall’altro lato, si ebbe in Russia una combinazione tra il movimento nazionale ebraico e il marxismo, che poneva in primo piano la realizzazione della rivoluzione proletaria e propugnava una ideologia non-religiosa: sicché, dopo la Rivoluzione del 1917, in primo luogo fu risolutamente abbandonato il criterio individualistico dell’emancipazione occidentale, che connetteva la qualifica di «ebreo» con quella 78
di «fedele della religione ebraica» e fu adottato il principio della «nazionalità ebraica»; in secondo luogo fu negato che si dovesse mirare a riunire tutti gli ebrei in un unico stato sionistico, perché ciò avrebbe portato a un’unità interclassista, mentre il fine ultimo rimaneva la rivoluzione proletaria e l’eliminazione della borghesia. Così si concluse che gli ebrei costituivano in URSS una minoranza nazionale, che cooperava in parità con tutte le altre alla realizzazione di quell’ultimo fine (delle difficoltà sorte successivamente, nell’applicazione di questi princìpi, accenneremo più avanti). Dunque, come si è cercato di mostrare rapidamente, l’avvento dell’epoca moderna produsse effettivamente un vero e proprio sconvolgimento per gli ebrei, che furono posti di fronte alla necessità di trovare una nuova e rinnovata unità e una loro stabilità; questa ricerca fu resa più difficile dalla mancanza di un equilibrio ideologico e sociale nel mondo e dal rapidissimo mutare delle tradizionali strutture economiche e nazionali. In ogni modo, prima di passare oltre, bisogna sottolineare fin da ora che se esiste una prospettiva assurda, tutta di marca antisemitica e mai fatta propria dagli ebrei perché priva di fondamento nella realtà, è il criterio diffusosi nell’ultimo mezzo secolo che gli ebrei costituiscano una razza. Torniamo ora a esaminare quali furono nell’ambito della storia europea le conseguenze dell’emancipazione ebraica. Se è vero che in un primo tempo le popolazioni non erano preparate a questo avvenimento, si ebbe presto una progressiva liberazione ebraica in tutta l’Europa, a cui non fu estraneo il positivo esempio di riuscita e armonica integrazione dato dagli ebrei di Francia e dalle altre nazioni che per prime la seguirono. Tale modello venne a smentire le accuse di coloro che in quel tempo vedevano in quella emancipazione una catastrofe nazionale, in quanto ritenevano gli ebrei incapaci di una vita a livello civile e di una sincera e proficua partecipazione alla economia e alla politica nazionali. In realtà, in quel tempo, l’opposizione di costoro non era altro che un’espressione della loro globale repulsa di qualunque provvedimento che spezzasse il tradizionale sistema di privilegi e della loro aspirazione a un sistema non liberale, 79
sia che si propendesse per una vera e propria restaurazione sia che si desiderasse un nuovo sistema politico autoritario su basi nazionalistiche. Così l’antisemitismo era la forma moderna dell’antico sentimento antiebraico, caratterizzata sempre più nettamente da temi politici invece che religiosi e da un’identicità dei nuovi argomenti, nonostante i differenti sviluppi a cui dette luogo nelle vane nazioni. Quanto alla parola «semitismo», essa si sviluppò nell’ambito della «linguistica comparata» per indicare un dato gruppo linguistico: di qui, in modo arbitrario, si passò a indicare un dato gruppo etnico, quasi che l’unità linguistica si identificasse con quella etnica. L’espressione «antisemitismo» fu coniata successivamente e il primo uso esplicito sembra che si debba a Wilhelm Marr (Antisemitische Hefte, Chemiritz, 1880). Se quello fu il principio generale, vediamo ora analiticamente le prime grandi manifestazioni antisemitiche, a cominciare dall’esame dell’atteggiamento del mondo cattolico che aveva svolto nel corso di un millennio e mezzo un ruolo così importante nella storia europea e un peso così decisivo sulla sorte degli ebrei. Indubbiamente anche i cattolici ampliarono le file delle correnti liberali favorevoli all’emancipazione, benché il papato fosse sempre stato il più equilibrato, ma anche il più deciso oppositore a ogni parità ebraica. Risulta chiaro, così, perché Roma sia l’unica città dove gli ebrei non siano mai stati espulsi né abbiano subito massacri, e nello stesso tempo sia stata, subito dopo Venezia, la seconda città a instaurare il ghetto. La posizione rimase allora contraria a questa raggiunta parità, specialmente di fronte al contrasto tra la perdita del potere temporale del Papa ad opera del nuovo Stato italiano e la contemporanea liberazione ottenuta dagli ebrei nel suo seno: l’irritazione fu tale che negli ambienti più qualificati non si esitò a manifestarla. Tuttavia molte delle espressioni antiebraiche miravano contemporaneamente, e più ancora, a colpire il Risorgimento italiano e in generale il movimento liberale e laico, considerato la radice del male e della perdita del potere temporale. Così, nel testo qui riportato da «La Civiltà Cattolica» leggiamo: «… e finché sono tenuti in auge gli insidiosi diritti dell’uomo promulgati nel 1789 e gli Statuti Parlamentari, come oggi si praticano, 80
non vi è nessuna speranza di liberazione cristiana dal giogo ebraico-massonico, che spezza e perverte le popolazioni». Si arrivò così a un’identificazione dei nuovi movimenti laici e liberali con l’ebraismo e gli ebrei, identificazione che rese ancora più difficile un giusto inquadramento del problema ebraico da parte del papato. Inoltre – ed è ciò che più conta sottolineare qui – ancora una volta, come all’inizio del cristianesimo, si attribuì agli ebrei la responsabilità di atti e princìpi che contrastavano con l’indirizzo ideale e pratico della Chiesa; così si legga ancora: «… Roma, più che dalle baionette italiane, occupata dalla gran rete giudaica…». Il testo da cui stiamo citando, pubblicato nel 1890 su «La Civiltà Cattolica», si trova in evidente collegamento con la propaganda dei principali gruppi antisemitici di quel tempo in Francia, in Germania e in Austria, tanto è vero che l’articolo ne cita espressamente tre leader, Drumont, Stöcker e Lueger. La tesi principale di questo scritto è che gli ebrei non vivono altro che per distruggere la cristianità e che nei tempi moderni essi mirano a far ciò col laicismo, quindi col liberalismo, la massoneria e il socialismo. Inoltre l’articolo svela ulteriormente il suo substrato, là dove mette in relazione la confisca dei beni ecclesiastici da parte del regime rivoluzionario francese con la possibilità offerta agli ebrei per la prima volta dopo secoli e secoli, in seguito alla parificazione giuridica, di acquistare beni immobili come tutti gli altri cittadini. L’articolo maschera insomma le reali, innumerevoli e concrete ragioni storiche che stanno alla base dello sviluppo dell’industria e del laicismo e a un tempo dei problemi economici e ideologici della Chiesa in quel periodo di vasti mutamenti in Europa, con il mito di una specie di congiura ebraica anti-cristiana, causa determinante della progressiva distruzione di secolari strutture economico-ideali. Rimane dunque assodato che il periodo di massima virulenza dell’antisemitismo cattolico si ebbe sulla fine del secolo scorso, in concomitanza con gli altri movimenti antisemitici che cercavano di prendere nuova forza di fronte all’arretramento dei princìpi liberali e alla gracilità dei nuovi movimenti socialisti sotto i colpi della politica bismarckiana, il colonialismo, l’imperialismo delle grandi potenze e il 81
nazionalismo esasperato di nuove compagini sociali che in Europa erano pervenute da poco, o non ancora, ad acquistare autonomia nazionale e politica. Quanto al nostro secolo, la posizione ufficiale della Chiesa si situa tra i gruppi cattolici dichiaratamente antisemiti, che poi confluirono nei movimenti fascisti, e quelli favorevoli a una totale revisione del problema. Certo, l’enciclica «Mit brennender Sorge» (1937), o l’aiuto concreto dato dal clero per la salvezza degli ebrei durante le persecuzioni naziste, sono stati fatti positivi; tuttavia si può notare che nell’ottobre del 1938, in occasione delle deliberazioni antisemitiche decise dal Gran Consiglio del fascismo nell’ambito della Difesa della Razza, «L’Osservatore Romano» si limitò a mettere in rilievo «le preoccupazioni specialmente riguardo ai princìpi e alla disciplina matrimoniale della Chiesa», cioè in relazione al problema dei matrimoni misti. È chiaro quindi che la Chiesa dovrebbe rinnovare il suo punto di vista tradizionale sulla questione ebraica, giacché il suo silenzio potrebbe suonare come avallo e arma in mano agli antisemiti. Orbene, a questo punto bisogna sottolineare l’indubbia importanza di una serie di avvenimenti verificatisi di recente, che sembrano risolutamente indicare che la Chiesa oggi sente attuale l’esigenza di un rinnovamento in questo campo e voglia contribuire alla educazione di una generazione nuova immune del tutto da pregiudizi antisemitici. In particolare la presentazione al Concilio Ecumenico, secondo l’espresso desiderio di Papa Giovanni XXIII, di un Capitolo sulla questione del «deicidio» – Capitolo distribuito in prima stesura l’otto novembre 1963, come parte dello Schema relativo all’Ecumenesimo – le elevate parole con le quali il Cardinale tedesco A. Bea lo ha introdotto e persino il nuovo contatto avuto da Papa Paolo VI con lo Stato d’Israele durante il suo pellegrinaggio nei luoghi dove visse Gesù, sono tutti chiari segni di questo nuovo corso. Né d’altronde le opposizioni di varia natura a questo Capitolo, né la diffusione di un indegno libello antisemitico a firma di M. Pinay proprio nel periodo in cui il testo era in discussione, possono velare la forza dei cambiamenti che si stanno verificando. È quindi auspicabile che la prossima sessione del Concilio, 82
alla quale è stata rimandata l’approvazione del Capitolo in nuova stesura, possa arrivare a una votazione conclusiva e definitivamente chiarificatrice. In tale ambito potrà pure essere rivista la posizione della pubblicazione dei Gesuiti, «La Civiltà Cattolica», che non ha mai sconfessato tutta una serie di articoli antisemitici pubblicati negli ultimi cento anni e dei quali quello riportato non è che un esempio. A questo proposito, basti ricordare in primo luogo l’articolo apparso nel 1922 intitolato «La rivoluzione mondiale e gli ebrei», in cui si procedeva a un’identificazione tra ebraismo e bolscevismo, affermando tra l’altro che ci si trovava di fronte a una «repubblica ebrea comunista» e a una dottrina che solo «il pervertimento di una fantasia semita poteva avere ideato». In secondo luogo, si tengano presenti gli articoli apparsi tra il giugno del 1936 e il luglio del 1938, cioè in piena violenza nazista e all’inizio della campagna razziale fascista, l’ultimo dei quali (16 luglio 1938), dedicato a «la questione giudaica in Ungheria», sosteneva ad esempio che si voleva la difesa della nazione contro il pericolo presente di una più numerosa invasione giudaica dalla Germania, dall’Austria o dalla Romania e contro il liberalismo favoreggiatore del giudaismo e del suo nefasto predominio, «senza persecuzioni ma con mezzi energici ed efficaci». D’altronde la formazione dell’opinione pubblica è un punto determinante anche perché, dopo più di un secolo e mezzo dall’inizio del movimento di emancipazione, non sono stati eliminati numerosi slogan antiebraici che furono diffusi più o meno in tutti gli strati sociali per due millenni e che, senza essere pericolosi sul momento, costituiscono un terreno fertile per una eventuale propaganda male intenzionata: questo substrato tradizionale non fu neppure estraneo all’acquiescenza di tanta parte del mondo di fronte alla follia antisemitica nazista. Ma i motivi profondi di quanto è successo sono altri e assai più vasti, giacché bisogna rifarsi allo sviluppo e alla presa di coscienza delle entità nazionali nell’ultimo secolo e mezzo, nel quadro della grande lotta tra i movimenti politici che mirano all’emancipazione, più o meno ampia, dei vari gruppi sociali e quelli che, in tutto o in parte, a ciò si oppongono. Di per sé il passaggio delle 83
popolazioni dallo stato di soggezione a quello di libertà non contraddice alla liberazione degli ebrei; un chiaro esempio si è avuto in Italia, dove da un lato è stato grande il contributo degli ebrei al Risorgimento e all’Irredentismo e dall’altro lato la totale emancipazione del piccolo nucleo ebraico d’Italia è stata ottenuta in forza della realizzazione dell’unità italiana. Ma in tutta l’Europa centrale e orientale le aspirazioni nazionali e sociali urtarono contro una serie di difficoltà interne ed esterne, per la aggrovigliata situazione politica internazionale e per l’opposizione di quanti vedevano minacciati da ogni mutamento in senso liberale o nazionale i propri interessi particolari e tradizionali; da ciò derivò una trasformazione del movimento nazionale in nazionalismo – in particolare in pangermanesimo e in panslavismo – cioè in una posizione estrema che pose dinanzi a tutto la realizzazione o il potenziamento della nazione e fu quindi favorevole anche ai sistemi autoritari e liberticidi (l’unificazione tedesca di Bismarck fece scuola) pur di raggiungere questo fine. Contemporaneamente, si diffuse un atteggiamento irrazionalistico d’identificazione mistica tra l’individuo e la «sua terra» e di affinità dette «naturali» con i diversi membri della «sua» società. Nella realizzazione dell’unità nazionale vennero così convogliati interessi molteplici e contrastanti come quelli della nuova borghesia liberale da un lato e quelli dei grandi signori dall’altro – in Prussia, ad esempio, il basilare gruppo degli Junker – i quali erano tradizionali nemici della liberazione degli ebrei, come di ogni altra emancipazione e di ogni principio liberale. Per essi, infatti, l’unità nazionale era soltanto un modo per imporre ed estendere la propria potenza e imbrigliare le nuove forze avversarie. In questa situazione sembra assai chiaro perché non si poté verificare un’integrazione tra il movimento nazionale e quello per l’eliminazione della legislazione antisemitica, ma anzi si venne a creare uno stato di attrito sempre maggiore. Il classico capo d’accusa dei nazionalisti fu che gli ebrei costituivano, nella nazione dove vivevano, un corpo eterogeneo per sua natura – per posizione ideologica, per maledizione divina o per razza. Si negava quindi che l’antica separazione degli ebrei fosse dovuta alla legislazione che li 84
aveva isolati e si negava che, mutate le leggi e la struttura sociale europea, anche la compagine ebraica mutasse struttura e atteggiamento. Insomma, si continuava a rimanere legati a convinzioni feudali e si chiudevano gli occhi di fronte agli ebrei contemporanei socialmente diversi da quelli più antichi per le mutate condizioni di vita e tali che, una volta emancipati, in generale non si distinguevano più dagli altri cittadini, salvo che per l’aspetto religioso o per quel più o meno labile attaccamento sentimentale a certe tradizioni ebraiche. In realtà quelle forze reazionarie sapevano bene che, se fossero riusciti a imporre il criterio che nella compagine nazionale non vi era posto per l’intimità religiosa e sentimentale degli ebrei, avrebbero in realtà finito con l’introdurre il principio che non vi era posto per altre minoranze, qualunque altra posizione religiosa, politica o ideologica avessero assunto; vi era anche l’intento, come vedremo meglio parlando del nazismo, di attribuire agli ebrei la colpa dei mali nazionali, per deviare la coscienza popolare verso obbiettivi che nulla avevano a che fare con le forze reali che stavano lottando. Questi intenti politici furono il fine ultimo di questa manovra antisemitica nazionalistica, dove le forze autoritaristiche cercarono di prevalere in molti modi su quelle democratiche, tra l’altro negando il principio della libertà di coscienza e di azione di alcuni cittadini, gli ebrei. Quanto ai temi religiosi, ancora presenti largamente negli scritti antisemitici di questo periodo, non erano che un pretesto, come è dimostrato tra l’altro dal fatto che gli ebrei più odiati non erano mai i religiosi ortodossi, ma i politici, i giornalisti, i finanzieri, gli industriali, tutte persone che erano molto o completamente distaccate dalla tradizione religiosa ebraica. Alle imputazioni precedenti gli antisemiti nazionalistici aggiungevano: gli ebrei non possono avere sede stabile perché per un’innata tendenza al nomadismo sono i «beduini dell’Europa» – quasi che gli ebrei non fossero stati obbligati a fuggire continuamente – e sono dunque soltanto «ospiti» delle nazioni che li accolgono, per di più sono irriconoscenti e invadenti – come se gli ebrei non espletassero attività identiche a quelle degli altri cittadini, a parità di doveri e diritti.Si aggiungeva inoltre che essi costituiscono un’entità internazionale e sono dun85
que stranieri nella nazione dove vivono, quindi non sono interessati al suo sviluppo e anzi pronti a tradirla e a causarne la rovina in tempo di guerra. Quest’ultima affermazione si riconosce come fra le più demagogiche e, disgraziatamente, di più sicuro effetto sulle masse meno coscienti e tuttavia ansiose di dare una spiegazione a una guerra disastrosa o perduta: così, infatti, si disse in Russia dopo la guerra con i giapponesi (1904) e in Germania dopo la sconfitta subita nella prima guerra mondiale. Questo complesso di accuse si concludeva con l’affermazione che gli ebrei costituiscono una vera e propria Organizzazione Internazionale che fa capo a una così detta Grande Banca Internazionale Ebraica. Così, ancora una volta, si seguitavano a ripetere concetti di provenienza feudale che non avevano più la minima base reale, giacché innanzi tutto il contrasto economico-sociale tra le nuove entità nazionali e le nuove classi in formazione da una parte e gli ebrei dall’altra, nel momento in cui essi costituivano una precisa categoria mercantile, era stato risolto, per così dire, con il loro massacro e la loro espulsione. Inoltre, l’emancipazione aveva definitivamente aperto ad essi tutti i mille lavori che offriva la struttura industriale contemporanea e quindi li legava ai comuni interessi nazionali, senza che ci fosse più nessuna possibile relazione con gli interessi particolari del periodo feudale. Tali erano i concetti che presero piede nell’ultimo quarto dell’altro secolo. La nazione dove i contrasti sociali e politici avevano la massima intensità era la Germania, dove si era avuta in certe zone una prima parziale emancipazione degli ebrei nel corso del 1800 e una fioritura di testi antisemitici, specialmente dopo il Congresso di Vienna. Solo dopo alterne vicende, tra il 1869 e il 1871, essi ottennero la liberazione completa, anche in Prussia, stato leader della nuova nazione tedesca. Tuttavia, ciò avvenne più per realizzare un’unità legislativa nazionale e sotto la pressione dell’opinione pubblica mondiale che per volontà egualitaria delle classi dirigenti. Basti ricordare che la vittoria germanica del 1870 venne già addebitata a una superiorità razziale del popolo tedesco, con esclusione dunque degli ebrei che pure già partecipavano attivamente alla vita della nazione e che dal 86
1700 in poi si erano sempre più profondamente integrati in essa. Contemporaneamente, gli ebrei presenti in buon numero nel partito liberale furono accusati di aver causato, per mezzo di quel partito e delle sue idee, la crisi economica del 1873. («L’ebraismo è la scuola di Manchester messa in pratica e portata all’estremo», O. Glagou). Ma l’elemento che si prestava meglio in quei tempi – come forse in tutti i tempi recenti – per promuovere l’agitazione antisemitica era l’esistenza di un’immigrazione più o meno forte, ma costante in questi e nei successivi decenni, di ebrei provenienti dalle più infelici regioni dell’Europa orientale; essi avevano, fin nel modo di vestire, abitudini poco simili a quelle dell’Europa occidentale e quindi facilmente travisabili da parte d’una propaganda interessata. Possiamo così sottolineare che in Germania non ebbe mai fine una maggiore o minore agitazione antisemitica, salvo in parte nel periodo del Kaiser Guglielmo II (1888-1918). Già al momento dell’emancipazione degli ebrei nacquero vari nuovi movimenti, come la Lega Antisemitica, l’Unione Tedesca di Riforme Sociali, la Lega Popolare Antisemitica, mentre i gruppi cattolici reazionari erano rappresentati specialmente dal giornale «Germania». Tutti furono superati dall’Unione Cristiano Sociale guidata dal pastore luterano Stöcker, che nel 1878 venne nominato predicatore di corte. Da questa sua alta posizione egli ebbe l’appoggio di Bismarck e dell’aristocrazia, tradizionalmente antisemita, e poté usufruire della stampa governativa, in particolare della «Gazzetta della Croce». Inoltre, egli trovò sostegno anche presso la nuova borghesia tedesca, specialmente tra i professionisti, gli insegnanti e i giudici, esaltata dal mito della superiorità germanica e timorosa di ogni concorrenza che potesse diminuire le sue posizioni, dal momento che aveva acquistato una certa importanza solo recentemente e tra mille difficoltà. Stöcker, infine, trovò appoggio presso molti pastori luterani, cosa che non deve meravigliare giacché Lutero stesso, nel momento in cui cominciò a legarsi all’aristocrazia nazionale nella sua lotta anti-papale, aveva assunto posizioni antisemitiche, nonostante fosse stato proprio lui a rivalutare nel mondo cristiano la Bibbia e le sue prime parole fossero state favorevoli a un miglioramento 87
della condizione degli ebrei. L’influenza di Stöcker terminò quando nel 1890 il nuovo imperatore Guglielmo II lo licenziò dal suo incarico, liquidando anche Bismarck, il cui appoggio ai movimenti antisemitici era stato decisivo per il loro rapido progresso, specialmente a partire dal 1878 quando si allontanò dal partito liberale in cui gli ebrei erano numerosi. Così sotto questo imperatore l’antisemitismo decrebbe, in particolar modo dopo le elezioni del 1898 che videro i gruppi antiebraici perdere decisamente terreno. Durante il periodo dell’influenza di Stöcker l’antisemitismo attivo fu, nel complesso, piuttosto limitato, mentre la propaganda che toccò tutti gli strati sociali fu vastissima. In particolare, questa si rivolse agli studenti, usando toni demagogici e oratori che in capi quali l’ex ufficiale Liebermann de Sonnenberg e il maestro di scuola Ahlwart, poi eletti anche deputati, non furono molto dissimili da quelli che più tardi adotterà Hitler. In sostanza, durante questi anni di propaganda attiva – vedi nell’antologia il testo di Treitschke, antisemita di tipo nazionalistico e non religioso – si preparò il terreno per il grande scoppio antisemitico nazista nonostante la controazione di uomini del valore di Mommsen. Nell’impero austro-ungarico l’emancipazione degli ebrei si impose nel 1868 e contemporaneamente si sviluppò l’antisemitismo, in presenza di una situazione sociale per alcuni aspetti simile a quella germanica, con in più una molteplicità di estremismi nazionalistici che accentuavano il sentimento pangermanico di fronte al panslavismo e quindi i sentimenti antiebraici. Altra peculiare caratteristica fu che i vari governi mantennero una posizione di maggiore equilibrio e in genere non appoggiarono anzi repressero i tentativi antiebraici cruenti. In questo quadro, vi fu un notevole incremento dell’antisemitismo in Ungheria guidato dal parlamentare Istocsy che sfociò in una serie di crisi ministeriali nel 1894 sia nella feudale Galizia che in Boemia. Ciò avvenne specialmente ad opera del professore di teologia A. Rohling, incluso nell’antologia, pseudo-studioso di testi ebraici e in particolare del Talmud: la sua obiettività è tale che, a parte ogni altra confutazione di studiosi di valore, persino «La Civiltà Cattolica», nel testo qui riportato, è obbligata a riconoscere che si 88
tratta di «autore in parte romanzesco e inventore di citazioni a capriccio». Infine l’antisemitismo prese piede a Vienna, prima ad opera del partito nazionale tedesco, dove il tono antiebraico è del parlamentare Georg von Schönerer, poi dei Cristiano-Sociali, guidati a partire dal 1885 dal parlamentare Lueger, che dominò la situazione dal 1897 al 1910 dopo essere riuscito a imporsi come borgomastro di Vienna, nonostante le opposizioni politiche e la poca simpatia dell’Imperatore. Neppure la Francia fu immune dall’antisemitismo sebbene, dopo la grande emancipazione attuata dalla Rivoluzione francese, la rivoluzione del 1830 avesse fatto scomparire del tutto e per la prima volta ogni residua traccia di distinzione tra gli ebrei e gli altri cittadini. In seguito agli episodi del 1870, al grandioso sviluppo della sua industria e al colonialismo, entrarono in campo fattori che acuirono la tensione sociale interna, che non arrivò a stabilizzarsi in un equilibrio politico: fu il momento in cui i gruppi più reazionari cercarono di approfittare della situazione per una restaurazione di sistemi autoritari e assolutistici. In concomitanza con questo fenomeno nacquero una serie di fogli antisemitici; ad esempio, tra il 1881 e il 1899 apparvero ben otto giornali con il titolo «L’antijuif»: essi sfruttarono alcuni avvenimenti, come lo scandalo della Compagnia del Canale di Panama in cui erano implicati alcuni ebrei, o una certa immigrazione di ebrei dai paesi dell’Europa orientale, dove la situazione si era fatta sempre più pericolosa. Ma il gruppo di maggiore importanza fu quello che si espresse attraverso la penna del giornalista E. Drumont, prima tramite i suoi libri, in particolare La France Juive del 1886 (vedi testo incluso nell’antologia) e poi con il periodico «La libre parole» di cui fu direttore dalla fondazione (1892). Così impostata, la questione ebraica sfociò, a parte altre iniziative minori, nel famoso caso Dreyfus, il quale in Francia finì col rappresentare, al di là del suo contenuto antisemitico, la prova di forza tra la destra nazionalistica, militaristica, clericale, aristocratica e la parte laica e cattolica più democratica e liberale. I fatti furono questi e bisogna esporli con qualche particolare, perché in pochi casi risultò chiara all’opinione pubblica l’indissolubile connessione tra antise89
mitismo e reazione politica. Fin dai primi mesi di vita di «La libre parole», Drumont pubblicò alcuni articoli che, riprendendo l’accusa del tradimento militare degli ebrei, attaccavano gli ufficiali ebrei francesi: ne nacquero una serie di duelli tra alcuni di questi e i redattori del giornale, sicché la campagna si esaurì. Ma dopo due anni Drumont colse l’occasione per riprendere in mano l’imputazione di tradimento: essendo stato scoperto un caso di spionaggio a favore della Germania, Drumont, prendendo spunto dalla vaga rassomiglianza tra la grafia del testo trascritto dalla spia e quella di Dreyfus, unico ufficiale ebreo dello Stato Maggiore francese del tempo, lo accusò di essere l’autore del tradimento, dichiarò arbitrariamente che aveva già confessato e pretese a gran voce il suo arresto e la sua condanna. Il Consiglio dei Ministri, a cui il Ministro della guerra Mercier aveva demandato il caso, ben sapendo che dietro Drumont si muovevano potenti gruppi politici e specialmente i cattolici reazionari, che infatti erano entrati subito in azione contro l’ufficiale ebreo con altri giornali come «La Croix», «L’Eclair» «L’intransigent», cedette alla richiesta e dette l’ordine di procedere contro Dreyfus. Il processo svoltosi a porte chiuse, di fronte a un Consiglio di Guerra, sulla base di documenti falsi e senza testimonianze, arrivò (22 dicembre 1894) a una condanna totale (ergastolo in una fortezza e degradazione militare), nonostante Dreyfus seguitasse a dichiararsi innocente e la stessa Germania avesse reso noto, prima della fine del processo, di non aver mai avuto contatti con quell’ufficiale. Da questo momento il caso assunse veramente il significato di un simbolo giacché, al di là e insieme al caso antisemitico, s’ingaggiò la lotta tra coloro che non si peritavano di far condannare un innocente per far prevalere le loro tesi politiche reazionarie e coloro che le contrastavano. Questi erano infatti ben coscienti che non si doveva cedere ai ricatti politici per non rendere vani gli istituti democratici e repubblicani, che bisognava affermare la supremazia del potere civile su quello militare e che la condanna di un innocente significava intaccare l’equità del potere giudiziario e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Cosi, come ben si vede, il velo antisemitico celava anche qui il movente politico reazionario, mentre i 90
democratici, cattolici e laici, legavano alla battaglia contro l’antisemitismo la salvaguardia delle conquiste della Rivoluzione francese. Bisognava dunque ottenere che il processo fosse rifatto con le dovute garanzie, ma a ciò si opponevano ormai, oltre al Ministro della guerra, anche alti ufficiali e altri ministri e uomini politici coinvolti nel falso i quali, dopo il primo cedimento, non potevano più tornare indietro senza correre il rischio di perdere il prestigio politico nello scandalo: Drumont li teneva in pugno, fino a chiedere l’espulsione di tutti gli ebrei dalla Francia e a promuovere ogni sorta di manifestazioni contro di loro. Non è possibile fare qui la storia di tutti i successivi avvenimenti tuttavia, per dare il clima della situazione, basti ricordare che si riuscì a ottenere un illecito peggioramento della pena di Dreyfus (relegazione nell’isola del Diavolo, nella Caienna, e limitatissima possibilità di movimento e di comunicazione) e che al contrario il grande scrittore Zola fu processato e condannato, sotto le pressioni dello Stato Maggiore, per aver preso pubblicamente posizione riguardo alla correttezza del processo all’ufficiale ebreo. Nonostante il Parlamento volesse chiudere gli occhi, il potere giudiziario non rimase inattivo: prima fu individuata la responsabilità del comandante Henry nella costruzione di una serie di documenti falsi che avevano determinato il processo di Dreyfus e il seguito della vicenda; poi, dopo una severa inchiesta, il 3 giugno 1899 la Corte di Cassazione annullò la condanna del Consiglio di Guerra del 1894 e rinviò l’ufficiale a nuovo giudizio. Questi, portato di fronte a un nuovo Consiglio, venne di nuovo condannato a dieci anni di reclusione, con cinque voti contro due e sotto scandalose pressioni: la reazione dell’opinione pubblica fu tale che il Presidente della Repubblica F. Loubet volle pacificare gli animi, accogliendo immediatamente la richiesta di grazia. Comunque le forze reazionarie erano sul punto di esaurirsi, anche per il deciso intervento del nuovo Presidente del Consiglio Waldeck-Rousseau, il quale per pacificare il paese non si limitò a promuovere un’amnistia per tutti i fatti connessi al caso Dreyfus, ma fece anche sottoporre a processo i principali imputati di colpi di stato che erano stati tentati in quegli anni, prendendo anche posizione contro i 91
più invadenti gruppi clericali. Per arrivare alla definizione del processo Dreyfus furono comunque necessarie altre inchieste e altri anni; finalmente il 12 luglio 1906, a dodici anni dalla prima condanna, le Camere Riunite della Corte di Cassazione pronunciarono il definitivo annullamento della condanna, il pieno riconoscimento dell’innocenza di Dreyfus, la reintegrazione nei gradi e la condanna del Maggiore Esterhazy quale autore del tradimento. Come si vede, la sostanza democratica della Francia ebbe il sopravvento, esaurendo a un tempo la spinta antisemitica: in ciò stava la differenza con l’antisemitismo dei paesi dell’Europa centrale, dove un diverso equilibrio sociale e una serie di problemi nazionali non risolti spinsero il sentimento antiebraico sulla strada del successivo nazismo. Persino in Francia si ebbe successivamente la legislazione e la politica antisemitica del governo filo-nazista di Vichy, in cui le forze reazionarie, già altre volte battute, ripresero vigore. A tale proposito vedi il testo dello scrittore Céline nell’antologia, in cui l’esaltazione verbale è una vera sintesi di furore antiebraico, fino alla macabra aspirazione di togliere all’ebreo tutta la sua umanità identificandolo con un numero invece che con un cognome. In Russia, come è noto, la fine del secolo scorso fu segnata dall’inizio dei pogrom, che in pratica terminarono solo con la Rivoluzione del 1917. Già dal 1800 la Russia si mostrava come un paese dalle grandi risorse naturali delle quali, però, mancava un adeguato sfruttamento perché la classe dirigente era ferma a una concezione economico-sociale di tipo feudale; una modernizzazione significava invece la fine della servitù della gleba, la trasformazione dei contadini in operai qualificati e infine la distruzione dei grandi latifondi e di altri interessi antichi e recenti. Ogni accenno a riforme radicali era dunque rigorosamente bandito e anche l’industrializzazione procedeva a sbalzi. Tra gli altri, alcuni gruppi di ebrei avevano capito questa situazione e, militando nei partiti borghesi o proletari, costituivano uno degli esempi dei quali bisognava fare subito sparire le tracce; inoltre, ed è quel che più conta, c’era la possibilità di deviare sugli ebrei le responsabilità delle colpe della classe dirigente per la miseria morale e fisica della popolazione e, nello stesso tem92
po, si mirava a dimostrare all’opinione pubblica interna ed estera il basso livello di civiltà di una popolazione capace di mettere in atto dei pogrom e la necessità di mantenere un regime assolutista. Per questi motivi, sembra chiaro che solo la propaganda zarista tentò di dimostrare che i pogrom erano delle effettive esplosioni di odio popolare, mentre lo schema dei massacri della fine del Medioevo non sembra qui applicabile, giacché gli ebrei russi delle città non avevano in generale un livello di vita superiore a quello del resto della cittadinanza ed esisteva un largo proletariato ebraico. Solo in certe zone, nei piccoli villaggi di campagna, gli ebrei mantenevano una posizione leggermente migliore dei contadini, senza che si potesse parlare di grandi ricchezze, perché in generale essi erano dediti al piccolo commercio locale e all’artigianato. Inoltre la compagine sociale tradizionale ebraica, specie dopo il suo aumento nel 1815 con la spartizione della Polonia a favore della Russia, era stata trasformata dalle disposizioni legislative di Alessandro I, Nicola I e Alessandro II i quali, nello sforzo di integrare il gruppo ebraico al resto della popolazione, durante i primi ottanta anni dell’Ottocento avevano, tra le altre cose, imposto con particolare rigore il servizio militare e obbligato i giovani a frequentare apposite scuole governative, allontanandoli dallo studio tradizionale dei testi sacri e limitando la pubblicazione dei libri ebraici. Insomma, la Russia della fine del secolo presentava, per quanto riguarda la compagine sociale ebraica, un aspetto ben diverso dal Medioevo e quindi mancavano i presupposti per uno scoppio di grande ira popolare, salvo limitatissime zone come l’Ucraina, dove la quantità degli ebrei e il dislivello di tenore di vita potevano spiegare una certa effettiva partecipazione popolare. Fu dunque il governo stesso a promuovere i pogrom e, a partire dal 1881, il nuovo zar Alessandro III e il successore Nicola II (1897) promossero quell’era tremenda con lo specioso argomento che l’assassinio dello zar Alessandro II era opera di ebrei. Consiglieri dello Zar furono il generale Ignatief, l’ex capo della polizia Plewe, e principalmente il Procuratore del Sacro Sinodo C. P. Pobedonoschev il quale aspirava a un’unità religiosa russa sulla base della struttura 93
sociale feudale. Pare che sia da attribuirgli la seguente famosa enunciazione del principio politico a cui si attenne la politica zarista: «Un terzo degli ebrei perirà, un terzo emigrerà, un terzo morirà di fame». Sotto tali direttive furono emesse una serie di drastiche leggi antisemitiche che sono un’ulteriore prova della diretta responsabilità del governo in tutto ciò che avvenne in quegli anni terribili, mentre la polizia politica segreta – l’Okhrana, di cui vedremo più avanti l’attività disastrosa – mosse dei gruppi raccolti nei bassifondi delle città contro alcuni nuclei ebraici. In sostanza il governo si attenne al criterio di promuovere i pogrom a ogni tentativo borghese e popolare di migliorare la situazione e così, ad esempio, si ebbero tremendi pogrom nel 1905-1906 quando lo zar, sotto la pressione popolare, fu costretto a concedere una costituzione che si affrettò a revocare appena possibile. Per terminare, bisogna ancora sottolineare che è arbitraria e demagogica ogni generale identificazione degli ebrei con un dato movimento di idee o un solo partito politico – per cui gli ebrei furono massoni o liberali per la chiesa, bolscevichi per i nazisti, borghesi e occidentalizzati per l’antisemitismo di Stalin ecc. – e non sarà mai sufficientemente ribadito che i singoli ebrei hanno preso le posizioni più differenti e che i gruppi ebraici di ogni nazione hanno sempre risentito delle vicende nazionali e conseguentemente partecipato alla vita di ogni paese. Così è logico che in Russia le masse ebraiche più coscienti si opponessero alla politica zarista e si legassero sempre più, a seconda della condizione sociale e delle convinzioni personali, alle tendenze progressiste, liberali, socialiste e comuniste, alle quali erano unite da uno stesso destino di lotta emancipatrice. Né è strano, infine, che alcuni ebrei russi assumessero in seguito una posizione preminente nella vita politica del paese, se teniamo conto che, nonostante la vita difficile, una plurisecolare tradizione di studio dei testi sacri aveva mantenuto tra essi un elevato livello d’impegno culturale. A conclusione dell’esame di queste correnti antisemitiche della fine del secolo scorso, dobbiamo ripetere che la loro caratteristica fu di avere una radice extraebraica e di essere sostanzialmente politiche, quindi di fare uso dei nuo94
vi spunti nazionalistici pur mescolandoli ancora a temi di origine religiosa, sia che si trattasse dei luterani tedeschi, dei cattolici austriaci e francesi o degli ortodossi russi. Tuttavia questi ultimi motivi non avevano più una vasta presa sulla coscienza popolare, sia perché questa era generalmente indirizzata verso i nuovi princìpi laici, sia perché essi non corrispondevano più alla realtà ebraica che, come abbiamo visto, si era assai differenziata. Per tutto questo e anche perché la situazione politica stava mutando – per la nascita dei movimenti socialisti o per l’atteggiamento non antisemitico dei governi del principio del nostro secolo ad esempio – e per gli eccessi stessi dell’antisemitismo (in particolare per l’orrore universale suscitato dai pogrom russi) questi movimenti antiebraici tendettero a esaurirsi nell’Europa occidentale all’inizio del ventesimo secolo. Quanto all’Europa orientale, una situazione particolare si ebbe in Russia, dove la campagna, predisposta sotto gli zar per deviare verso falsi obiettivi il diffuso malcontento popolare, fu stroncata dalla Rivoluzione dell’ottobre 1917; Lenin infatti iniziò una decisa lotta contro l’antisemitismo, tra l’altro ancora attivo in Ucraina, giacché lo considerava contrastante con la realizzazione del socialismo. Ma quest’azione non fu di lunga durata e alla sua morte la situazione cambiò; la responsabilità di questo mutamento fu principalmente del sistema e di Stalin stesso, che attuò una politica antisemitica con il trattamento inflitto alle masse ebraiche, non sufficientemente giustificato dal pretesto della propaganda antireligiosa, con l’ostracismo totale che colpì la letteratura yiddish, con i processi contro i più notevoli nomi dell’ebraismo russo. Tra le due guerre furono fatti anche dei tentativi per risolvere la situazione degli ebrei con criteri più o meno drastici. Il caso più famoso rimane quello dell’istituzione di una regione ebraica, il Birobidjan, un’inospitale e desolata zona della parte orientale della Siberia, ai confini con la Manciuria: è ovvio che un simile tentativo di concentrare tutti gli ebrei russi in un luogo, privo di ogni significato ideale e pratico per essi, non poteva non fallire. Ma il periodo della diretta e massima azione antisemitica fu dal 1948 al 1953 cioè alla morte di Stalin e, grosso modo, i punti 95
estremi furono segnati da due importanti avvenimenti. Da un lato, nel gennaio del 1948 vi fu il misterioso assassinio di Solomon Mikhoels, grande attore in lingua yiddish, direttore del Teatro Ebraico di Mosca e presidente del Comitato Antifascista Ebraico: solo nel 1956 fu ammesso ufficialmente che l’uccisione era avvenuta per ordine di Beria; dall’altro lato, nel gennaio del 1953 vi fu l’accusa contro i medici del Cremlino di aver assassinato alcuni alti dirigenti sovietici secondo gli ordini dell’American Jewish Joint Distribution Commitee. Fortunatamente la morte di Stalin, avvenuta due mesi dopo l’arresto, permise la loro liberazione e fu quindi riconosciuto ufficialmente che si era trattato di una montatura a sfondo antisemitico. L’azione antisemitica sovietica non si fondava su una motivazione religiosa o razziale; ma gli ebrei erano accusati di essere o «cosmopoliti» o «nazionalisti» e a questa duplice imputazione era quasi impossibile sfuggire, perché negando di appartenere al gruppo ebraico si cadeva nel «cosmopolitismo», mentre accettando questo legame si era considerati «nazionalisti» e quindi propensi al sionismo, occidentale e borghese. In ambedue i casi, comunque, si diventava nemici dell’URSS e agenti effettivi o potenziali degli USA, sicché era pericoloso sia rinunciare a chiamarsi ebrei sia voler rimanere tali. Intanto seguitavano i processi e nell’agosto del 1952, neanche un anno prima della morte di Stalin, si ebbe il massacro di 25 intellettuali ebrei, già appartenenti al Comitato Ebraico Antifascista e attivi partecipanti alla lotta contro la Germania, accusati improvvisamente di essere nemici dell’URSS, in quanto agenti dell’imperialismo americano e nazionalisti borghesi. Fenomeni simili si verificarono anche in nazioni legate alla Russia: così in Cecoslovacchia, nel novembre del 1952, fu iniziato il così detto processo Slansky, dal nome dell’imputato principale (già segretario del Partito Comunista cecoslovacco, recentemente riabilitato), conclusosi con undici condanne a morte; il pubblico ministero affermò nella sua requisitoria conclusiva che «il loro cosmopolitismo e il loro nazionalismo borghese ebraico sono infatti solamente i due lati della stessa moneta coniata in Wall Street». Cosi, in questo come in tutti gli altri casi, il problema degli ebrei in 96
URSS e nei paesi satelliti dev’essere studiato principalmente sotto il profilo delle difficoltà di applicazione del criterio di «nazionalità», colà accettato come base dell’emancipazione ebraica. Quanto al resto dell’Europa la situazione si sviluppò in modo assai diverso, dopo il periodo relativamente tranquillo del principio del Novecento. Infatti la prima guerra mondiale non risolse ma acuì i problemi economico-sociali e nazionali europei, avviando quindi una crisi internazionale che rese più radicale la lotta politica e rafforzò i movimenti autoritaristici e militaristici così che l’antisemitismo, momentaneamente addormentato, si risvegliò sotto il nuovo abito nazista che, scartando i temi politici più antiquati e quelli religiosi, puntò con rinnovata efficacia sul nazionalismo e sul razzismo. E a questo movimento antiebraico bisogna ora concedere maggior spazio perché esso, con i suoi 6 milioni di ebrei uccisi nel giro di pochi anni, rappresenta il più tragico coronamento di un odio che da duemila anni insanguina le terre europee. Per comprendere come sia stato possibile l’avvento dell’antisemitismo nazista bisogna però affrontare più da vicino il problema della struttura politica, sociale e ideale della Germania. Innanzi tutto si deve sottolineare che in Germania, specie in Prussia, non prese mai piede un significativo movimento di opinione favorevole all’emancipazione ebraica e abbiamo già accennato che si arrivò alla liberazione degli ebrei tra mille difficoltà e ripensamenti. D’altronde il carattere distintivo dell’unità germanica, realizzatasi così in ritardo rispetto a quella delle altre potenze europee, fu proprio di essere avvenuta non tanto per larga partecipazione attiva della popolazione, quanto per volontà espansionistica della Prussia e grazie ai criteri autoritari di Bismarck, senza che fossero rivoluzionati i preesistenti rapporti di forza e distrutte le fondamenta dell’antica organizzazione sociale: risulta chiaro, così, che ciò non permise l’instaurazione di un’effettiva democrazia, senza la quale non si può concepire la libertà per gli ebrei, come per ogni altro gruppo minoritario. A questi fattori politici bisogna legare un articolato fenomeno culturale che aveva cominciato a svilupparsi in Germania a partire dalla 97
fine del 1700, in concomitanza con lo scompiglio ideale e sociale introdotto dall’avanzata napoleonica e per la ritardata unificazione nazionale: esso rappresentò, nella molteplice e contrastante cultura germanica, il filone a cui si rifecero le forze reazionarie e irrazionalistiche e successivamente il nazismo. In primo luogo per evadere e compensare la realtà concreta si andò verso un accentuamento del sentimento nazionale e verso il mito che il popolo tedesco fosse investito di una missione e di una capacità civilizzatrice ignota alle altre nazioni; a ciò si aggiunse il fatto che la guerra contro la Francia, napoleonica ma pur sempre rivoluzionaria sotto tanti profili, si trasformò in Germania in guerra nazionale, sicché alcuni dei migliori spiriti tedeschi, appoggiando questa lotta, finirono con l’opporsi a tutta la cultura illuministica francese e, in ultima analisi, al contenuto sostanzialmente democratico delle sue conquiste politiche. In terzo luogo, con un’elaborazione sempre più estrema del romanticismo, si fece strada in Germania e si diffuse in tutta Europa un complesso di ideali basati sull’irrazionale, col doppio effetto di disabituare gli individui alla comprensione dei princìpi razionali e universali introdotti dalla Rivoluzione Francese e di favorire uno spirito mistico, di cui la fede nel nazismo sarà il più tragico e cospicuo risultato. Infine, si verifìcò un grande sviluppo degli studi antropologici e linguistici che già alla metà dell’Ottocento, grazie a divulgatori con preparazione storico-politica, era arrivato alla pseudo-scientifica conclusione che esistesse effettivamente una antica e superiore razza ariana e che questa si identificasse oggi, nelle sue forme migliori, con il popolo tedesco. Come si vede, dunque, quel clima politico e questa situazione culturale non erano certo favorevoli a un capovolgimento della situazione interna che instaurasse la democrazia e spezzasse i ponti con il militarismo tradizionale della Prussia, i grandi proprietari agrari e il colonialismo. Intervenne poi, nel corso dell’Ottocento, una possente e rapidissima industrializzazione, compiuta secondo i canoni del più brutale colonialismo interno fino alle grandi concentrazioni industriali realizzatesi per lo sforzo bellico della prima guerra mondiale; questo sviluppo economico da un lato finì con il porre nuovi ceppi pratici e 98
ideali allo sviluppo democratico e dall’altro fornì il denaro e la giustificazione economica per una campagna di grande espansionismo.Né si dimentichi, poi, che anche il definitivo superamento economico della grande crisi del 1929 venne ottenuto dai nazisti con le forti spese per il riarmo totale della Germania, accomunando così gli interessi del nazismo, movimento politico di potenza, con gli interessi dei grandi industriali tedeschi. Non è qui il caso di precisare ulteriormente le cause dell’avvento del nazismo in Germania, ma era necessario accennare il problema nelle sue linee generali, per rendersi conto dell’indissolubile relazione tra questo fenomeno politico-sociale e l’altro, altrettanto politico e sociale nella sua essenza, che è la nascita attiva dell’antisemitismo contemporaneo tedesco. L’antica tensione sociale interna alla Germania, infatti, cresciuta nella crisi internazionale e nazionale della prima guerra mondiale, non fu risolta in senso democratico ma venne deviata dal nazismo sugli ebrei, parallelamente all’eliminazione di ogni opposizione politica e alla preparazione delle successive imprese belliche. Tale diversivo antiebraico comportava, a parte ogni altra considerazione, il fondamentale vantaggio di impedire che il popolo prendesse coscienza dei veri problemi che lo angustiavano, deviandolo dalla dura battaglia dell’autocritica verso un tradizionale simulacro di colpevolezza, concreto e a portata di mano. Fu questa un’evasione dal reale verso i fumi di un’esaltazione antiebraica, che incensava l’altare della ritrovata unità razziale della nazione: evasione dalla realtà che lo stesso popolo tedesco pagò a caro prezzo con le distruzioni e le rovine della seconda guerra mondiale. Gli avvenimenti, che incidendo sulla compagine sociale tedesca poterono essere usati per la propaganda antisemitica, furono principalmente quelli che ora indicheremo. Innanzi tutto la sconfitta patita nella prima guerra mondiale venne sfruttata politicamente da Hitler, il quale sostenne che il popolo tedesco non era stato battuto dalle forze nemiche ma dalla pugnalata alle spalle infertagli dai partiti di sinistra e che quindi, prima di tentare ogni nuova impresa, era necessario assicurarsi un fronte interno assolutamente com99
patto eliminando fisicamente ogni opposizione politica e gli ebrei che, secondo lui, erano la radice prima dei partiti democratici e la concausa della disfatta tedesca. In secondo luogo la Rivoluzione russa, oltre a produrre di riflesso un’ulteriore e insanabile lacerazione tra i partiti tedeschi di sinistra a favore dei gruppi reazionari, fornì argomenti demagogici antiebraici a quella parte dell’opinione pubblica anticomunista. Infatti, sfruttando la presenza di un notevole numero di ebrei nei partiti proletari russi e nei loro direttivi, giustificata dalle ragioni già viste, se ne ingigantì la portata e si procedette a una totale identificazione dell’ebreo con il comunista, prescindendo dalle differenze sostanziali tra la compagine ebraica russa e quella tedesca. In tal modo si finì anche con il ribadire, presso quella parte dell’opinione pubblica, il principio che l’ebreo fosse sempre la causa di ogni disgrazia nazionale, giacché per l’antisemitismo ottocentesco era stato la radice della Rivoluzione francese e per quello nazista lo era della Rivoluzione russa: in ciò sta la più cospicua differenza politica tra i due atteggiamenti antiebraici, in convergenza con la mutata situazione mondiale. Infatti il più antico in sostanza combatteva i princìpi liberali e proponeva o una vera e propria restaurazione o il mantenimento di una situazione quasi feudale o faceva eco ai nazionalismi più esasperati, mentre il più recente esprimeva una drastica opposizione al marxismo e puntava verso l’instaurazione di un nuovo tipo di dittatura, che usufruisse per i suoi fini delle immense possibilità tecniche ed economiche della moderna industria capitalistica. Quanto agli ebrei, dunque, queste arbitrarie e generali identificazioni con «il nemico» politico rivoluzionario li facevano apparire, a una parte della opinione pubblica, come se avessero sempre la dominante volontà di rovinare la nazione e fossero responsabili delle sue disgrazie («colpa» politica degli ebrei). Infine, il terzo punto che venne sfruttato propagandisticamente fu la grande depressione economica tedesca del primo dopoguerra, la quale offrì l’occasione – proprio come nel 1873 – di mettere in particolare rilievo l’attività economica degli ebrei, non tanto denigrando quella della antica compagine, almeno in principio, ma sottolineando che l’immi100
grazione di ebrei provenienti dai paesi dell’Europa orientale aveva contributo ad ampliare il preesistente nucleo ebraico a danno dei tedeschi ariani. In realtà, generalmente si trattava di gente fuggita di fronte al terrore e priva di capitali, che si era dedicata al piccolo commercio e all’artigianato, finendo in tal modo col fare concorrenza proprio alla piccola borghesia, la più toccata dagli avvenimenti bellici ed economici e in particolare dalle tendenze monopolizzatrici delle più grandi imprese industriali. La piccola borghesia era dunque più timorosa di perdere la propria precaria posizione al minimo mutamento di indirizzo politico e perciò la più sensibile al richiamo reazionario nazista Si noti che sotto questo profilo l’antisemita tipico è veramente il conformista irriducibile, che ha timore e angoscia di ogni trasformazione sociale. Questi fattori economici, in verità, non sarebbero stati neanche rilevati in un regime democratico e in un’economia non sfasata come quella tedesca, sia perché in tale regime l’estrazione sociale o ideale non incide sulla liceità giuridica dell’attività economica, almeno fintantoché essa agisce nell’interno e non col fine di sabotare la società di cui fa parte. Inoltre questi fattori non rivestivano una sostanziale importanza economica, come rimane indirettamente confermato dalla relazione a Mussolini di V. Cerruti, ambasciatore italiano a Berlino, in data 5 maggio 1933, scritta a proposito delle leggi antisemitiche che Hitler si era affrettato a emanare fin dai primi mesi di governo: «Dall’edificio totalitario si vuole ad ogni costo fin d’ora eliminare una parte, in fondo minima, della popolazione che, si voglia o no, già ne fece parte ed aveva vissuto la vita della nazione germanica, fin dal momento della sua fondazione, col prendere parte alla guerra, partecipando ai prestiti, pagando le imposte…». Comunque, la situazione tedesca era tale che non fu difficile ai nazisti speculare su questi fenomeni: sul piano propagandistico gli ebrei vennero rappresentati all’alta e media borghesia come i rappresentanti del bolscevismo in terra tedesca; al proletariato fu detto che era il capitalismo ebraico a impedire la realizzazione di un’equa distribuzione della ricchezza nazionale, nonostante «l’astuta» presa di posizione socialista e liberale di numerosi ebrei; infine alla 101
piccola borghesia, che forniva la massima parte dei quadri del movimento nazista, fu fatto presente che era il capitalismo internazionale ebraico e la sua speculazione a inquinare il capitalismo nazionale e a impedire così che anch’essa prendesse possesso in modo definito di quella parte di capitale e di potere che le spettava e che le era ingiustamente tolto. Sicché, con incredibile travisamento della realtà storica e dei complessi motivi che sono alla base dei moderni problemi economici e sociali, Hitler scrisse nel Mein Kampf che l’ebreo «distrugge le basi di una economia veramente nazionale. Col sistema delle azioni, egli si ficca nel circolo della produzione, ne fa oggetto di speculazione e toglie alle aziende il fondamento di una classe padronale personale. E così nasce tra datore di lavoro e salariato quel processo di estraniamento che condurrà più tardi alla lotta di classe». D’altro lato non possiamo neanche dimenticare che il governo nazista era ben interessato alla spoliazione economica di alcune centinaia di migliaia di ebrei, perché in tal modo reperiva una parte di quelle ricchezze che gli erano necessarie per i suoi piani di potenza e di distruzione degli ebrei stessi. Né infine al pangermanesimo nazista fu difficile attaccare anche il movimento sionistico, senza tenere conto che in sostanza questo era nato per dare un focolare a quegli ebrei che, cacciati dalle nazioni dove avevano vissuto fino ad allora, intendevano ricominciare una vita nuova e autonoma; anzi rinfocolò anche su questa base l’accusa di tradimento nazionale e di internazionalismo ebraico, quindi di indegnità a vivere nella Germania unita partecipando alle sue battaglie politiche o militari. D’altro lato i nazisti sfruttarono l’antisionismo per compiere un’efficace propaganda nei paesi arabi e per mettere così in difficoltà l’Inghilterra, che aveva nel Medio Oriente uno dei suoi capisaldi imperiali. Ma al centro di tutte le accuse e quasi sintesi di esse, si poneva l’affermazione che gli ebrei costituivano una fortissima potenza internazionale che in realtà mirava a soggiogare con lo sfruttamento e l’inganno le diverse entità nazionali, per i propri fini di potenza: per tale motivo bisognava che tutte le categorie e le classi sociali si unissero contro 102
il comune nemico, nonostante l’ebreo si presentasse astutamente come partecipe degli interessi e delle rivendicazioni di questa o quella categoria o classe. Tale accusa di internazionalismo era stata già al centro della propaganda antisemitica dei gruppi nazionalistici della fine del secolo scorso e ne abbiamo già accennato, ma è qui che bisogna ampliare l’argomento perché fu il pangermanesimo nazista a usare questo argomento in modo più duttile, cioè come uno dei mezzi propagandistici utili ad allontanare dalla Germania ogni coscienza di classe, trasformando quelle enunciazioni di pochi in una diffusa convinzione. L’occasione per riprendere quest’accusa e darle maggior forza venne da un famoso libretto, I Protocolli dei Savi anziani di Sion, che costituisce uno dei più tragici falsi della storia contemporanea. La vicenda di questa pubblicazione è piuttosto complessa, ma è indispensabile darne qui una breve sintesi. Nel 1903 apparve in Russia un libro di Sergei Nylus intitolato II grande nel piccolo ovvero l’Anticristo è prossimo e il regno del diavolo sulla terra, che conteneva tra gli altri scritti il suddetto libello, presentato come un documento di primaria importanza in quanto testimoniava l’esistenza di una grande congiura ebraica internazionale per l’instaurazione di un dominio universale; successivamente il libro di Nylus fu ripubblicato nel 1905 e nel 1907, e infine i Protocolli apparvero da soli nel 1917. Se ora osserviamo le date, notiamo che il libro venne pubblicato in corrispondenza dei periodi in cui più pressanti si facevano le universali richieste di riforme liberali e più feroci i pogrom; risulta chiaro quindi che l’intenzione principale fu quella di sollecitare e giustificare al momento giusto l’odio antiebraico, nonché di screditare i movimenti politici progressisti presentandoli come una ingannevole e astuta manovra ebraica per ridurre il mondo in schiavitù, mostrando una totale ignoranza delle profonde ragioni storiche che invece li determinavano. Nel 1919, in seguito alla fuga di tanti nobili russi nell’Europa occidentale, apparve anche qui la prima traduzione dei Protocolli e nell’arroventata situazione del dopo guerra il libro si diffuse dapprima in Germania e subito dopo in Francia, Inghilterra, USA, Scandinavia, Giappone e Italia, dove apparvero due 103
edizioni quasi contemporanee: la prima nel 1921, a cura di «La Vita Italiana» diretta dal Preziosi, di cui parleremo; l’altra pochi mesi dopo, a cura della rivista cattolica «Fede e Ragione»; bisogna tuttavia sottolineare che il libro ebbe allora scarsa diffusione, fino alle edizioni del 1937 e 1938 nel quadro della campagna ufficiale antisemitica. Il «Times» stesso, 1’8 maggio 1921, pubblicò un allarmato articolo su questa congiura ebraica, mentre il «Morning Post», nel luglio del 1920, aveva già stampato il più deciso attacco antisemitico diffuso in quel periodo in Inghilterra. Insomma l’allarme fu generale. Tuttavia molti si domandarono come S. Nylus fosse riuscito a impossessarsi di un documento così compromettente ed egli stesso s’incaricò di scriverne ben tre spiegazioni diverse, nelle differenti edizioni russe: prima disse che si trattava di documenti sottratti alla Segreteria Centrale Sionistica in Francia, relativi al Primo Congresso Sionistico di Basilea, del 1897; poi di appunti carpiti da una donna a un capo influente della massoneria francese, dopo una seduta segreta; infine di scritti consegnatigli da una persona di sicura fiducia. Alcune edizioni occidentali, poi, s’incaricarono di suggerire altre differenti spiegazioni. Ma nell’agosto del 1921 avvenne il colpo di scena: il «Times» pubblicò di nuovo alcuni articoli sull’argomento, intitolandoli questa volta «La verità sui Protocolli: un falso letterario». Era avvenuto che, casualmente, un corrispondente di questo giornale aveva acquistato un libretto usato in lingua francese, che già era appartenuto a un ex ufficiale della polizia politica segreta degli zar (la già citata Okhrana), e si era accorto che il testo assomigliava straordinariamente ai Protocolli, letti poco tempo prima: sicché, accostando questi a quello dopo una serie di ricerche, si era convinto che il testo di Nylus fosse una riduzione dell’altro. Il libro originario era stato scritto nel 1865 da un francese, Maurice Joly, e aveva originariamente il titolo di Dialogues aux Enfers entre Machiavel et Montesqieu ou la politique de Machiavel au XIX siécle, par un contemporain; si trattava di una satira, in forma di dialogo, tra i due personaggi citati nel titolo, sulla politica e i metodi di governo di Napoleone III, impersonificato da Machiavelli. Ma chi aveva trasformato le parole 104
del Napoleone-Machiavelli in un discorso minaccioso di un leader ebreo? E che parte vi aveva avuto S. Nylus? Anche a queste domande non fu impossibile dare una risposta: era stata la sezione parigina dell’Okhrana che, nell’intento di fomentare e giustificare i grandi pogrom ordinati alla fine del secolo scorso dal governo russo per le ragioni dette, aveva elaborato questo testo sulla base delle convinzioni diffuse dalla propaganda antisemitica francese d’ispirazione nazionalistica e cattolica (a questo proposito si notino alcune somiglianze tra i Protocolli e certi concetti espressi ne «La Civiltà Cattolica» precedentemente indicati); quanto al Nylus, egli era stato semplicemente il traduttore dello scritto fornitogli e colui che era stato incaricato di diffonderlo in Russia. Così il collegamento tra reazione politica e antisemitismo si manifestava, quasi simbolicamente, nell’attività di questa sezione dell’Okhrana che, costituita a Parigi per controllare i numerosi fuoriusciti politici russi, agiva anche contro gli ebrei. Quegli articoli del «Times» avevano in verità chiarito la posizione di quel libro, che invece di essere un programma anticristiano scritto da ebrei era una manifestazione antiebraica scritta da antisemiti. Tuttavia il libro seguitò il suo viaggio per il mondo, perché v’era troppa gente che aveva interesse a crederlo vero. Ma il colpo definitivo alla validità di questo libro venne dal Tribunale di Berna che nel 1935 affermò, dopo un accurato processo, l’assoluta falsità dei Protocolli; e tale concetto fu ribadito dalla Corte Suprema Cantonale di Berna nel 1937, pur essendo stata riformata la precedente condanna per quanto atteneva alle pene che la legge decretava per un caso di tal genere: sicché, a buona ragione, nel 1955 i Protocolli erano presenti all’esposizione internazionale delle «contraffazioni nella storia», organizzata a Parigi dalla Interpool. Tuttavia il libro aveva ormai esplicato la sua terribile forza distruttiva e aveva fissato convinzioni difficili a sradicarsi. In un certo senso esso costituì il testo-base dell’antisemitismo posteriore alla prima guerra mondiale, al punto che in USA lo stesso industriale H. Ford s’incaricò di diffonderlo e spiegarlo (tra l’altro, col conosciutissimo libro L’ebreo internazionale). L’importanza dei Protocolli fu di costituire uno dei 105
più netti punti di congiunzione ideale tra i temi di ispirazione nazionalistica dell’antisemitismo della fine del secolo scorso e l’antisemitismo nazista. Vediamo così che Hitler diventò veramente l’erede della propaganda antiebraica precedente, sotto i più vari profili: dalla Germania ricevette in eredità i temi razziali; in Austria, a Vienna, dove visse da giovane, trovò il suo primo maestro in Lueger, che egli esalta nel Mein Kampf e altrove, riconoscendo esplicitamente di essersi formato le prime convinzioni antisemitiche sotto la sua guida spirituale e del suo gruppo (Cristiano-Sociali); infine, attraverso i Protocolli che egli cita nel suo libro, Hitler si ricollegò alla politica zarista e all’elaborazione antisemitica francese. Quando nel Protocollo V (vedi nell’antologia) Hitler lesse che solo un «genio», forse, avrebbe potuto ancora impedire la grande manovra ebraica per la conquista del mondo, probabilmente egli sentì di essere quel «genio», prima incarnazione della stirpe ariana di nuovi dei, dalla intuizione divinatoria che, contrapponendosi al moderno «animale-massa», avrebbe innalzato i valori mistici al di sopra della razionalità della scienza moderna, della fede religiosa tradizionale, dei princìpi politici democratici. D’altronde vi sono dirette concomitanze tra le parole dei Protocolli e quelle di Hitler; così ancora nel Protocollo V leggiamo: «Noi (ebrei) abbiamo l’intenzione di assumere l’aspetto di liberatori dell’operaio», e nel libro di Hitler: «Egli (l’ebreo) si avvicina all’operaio, fìnge una grande compassione per il loro destino»; poi, ambedue i testi si dilungano a mostrare come attraverso la massoneria, i movimenti sindacali e quelli politici, l’ebreo miri a far presa sul proletariato per incatenarlo al suo destino e farne l’arma per la conquista del mondo, quindi incitano il popolo a non prestare fede né all’ebreo né alla sua diabolica arma antinazionale, cioè ai movimenti politici di tendenza democratica. In verità, le intenzioni reazionarie dello scrittore dei Protocolli sono talmente evidenti che proprio sul piano dei principi e dei metodi professati troviamo il più profondo legame con Hitler: così nel Protocollo III c’è l’esplicita dichiarazione che la libertà è un mito distruttore e l’uguaglianza non può esistere; nel Protocollo IV si dichiara che la religione, a cui Hitler sostituisce la fede nazista, è l’unica possibile base 106
per un vivere civile; infine nel Protocollo V si afferma, come scrive anche Hitler, che per conquistare il potere bisogna prima gettare la nazione nel caos e che per mantenerlo bisogna sapere fare buon uso di un’adeguata propaganda. E gli esempi potrebbero continuare. Per concludere, ci si domanda con meraviglia come questo libretto così generico nelle sue pratiche, così infantile e assurdo nelle sue proposte finanziarie e legislative, possa essere stato creduto veramente un effettivo piano per la conquista del mondo: menti ben povere avrebbero avuto questi conquistatori, questi «Savi anziani di Sion»! Ma che cosa conta ciò? Non ci sono ostacoli alla credulità umana, quando si è pregiudizialmente convinti della colpevolezza di qualcuno: lo stesso Hitler scrisse che qualunque fosse stata l’origine vera di questi Protocolli, in ogni caso essi esprimevano compiutamente la mentalità ebraica! Così questo libro si andò ad aggiungere agli altri elementi che cooperarono efficacemente alla «soluzione finale» nazista del problema ebraico. Quanto all’immensa diffusione di questi Protocolli, si spiega abbastanza chiaramente: in un momento di grande tensione politica e sociale come quello successivo alla prima guerra mondiale, il lettore di questi scritti era ben felice di avere a disposizione, nella testimonianza di una grande congiura ebraica ai suoi danni, una spiegazione tanto semplice di tutti i suoi problemi e di cullarsi così nella mitica convinzione che per risolverli sarebbe bastato limitare o escludere la libertà di un solo gruppo, quello degli ebrei; in tal modo quel lettore finiva col porgere la mano a coloro che volevano celare delle pretese dittatoriali dietro il velo di una «difesa» dalla sotterranea «guerra scatenata dai giudei», proiettando su questi le proprie aspirazioni più terribili e le proprie colpe. Fu così che gli ebrei, che attraverso l’ebraismo erano stati i primi a lanciare l’appello per un mondo giusto e pacifico, venivano chiamati ancora una volta, come quando era stata lanciata l’accusa di «deicidio», a incarnare il male o, per usare un’espressione utilizzata da S. Nylus al termine del suo epilogo ai Protocolli, a impersonare «la venuta dell’Anti-Cristo»; o infine, per esprimersi con le parole di Hitler, essi rappresentavano l’antitesi degli dei che stavano per tornare padroni della terra. 107
Fatte tutte le precedenti considerazioni per inquadrare nell’alterno sviluppo della storia tedesca la nascita dell’antisemitismo e del nazismo, bisogna sottolineare che quest’ultimo espresse un’ideologia che trovò nel razzismo un suo nucleo il quale, sotto la sua veste apparentemente scientifica, si accordava meglio con la più diffusa mentalità contemporanea. È chiaro che il razzismo, cioè il distinguere gli uomini a seconda che appartengano congenitamente a razze superiori o inferiori, non è un punto di vista che si limita a prendere in considerazione gli ebrei: basta tenere presente il secolare problema dei neri negli Stati Uniti o lo sterminio degli zingari attuato dagli stessi nazisti; tuttavia qui ci limitiamo a tracciarne le linee generali con riferimento agli ebrei, anche perché essi hanno costituito l’occasione per la sua applicazione più drastica nel territorio europeo. Abbiamo già accennato che i fondamentali argomenti razzisti sono dovuti principalmente a studiosi e divulgatori tedeschi del 1800, ma le prime integrali applicazioni di questi criteri alla storia, cioè il voler spiegare tutta la storia e il prevalere di questa o quella società con il metodo delle caratteristiche superiori o inferiori della cosiddetta razza, si devono al francese conte de Gobineau e a H. S. Chamberlain, d’origine inglese, prima vissuto in Francia e poi trapiantato stabilmente in Germania, dove nel 1909 sposò la figlia del musicista R. Wagner di cui era esaltato ammiratore. Il primo, per sue nostalgie nobiliari, si rifà a tutta una tradizione francese che parte da Boulanvilliers e cerca, nella sua opera Essai sur l’inégalité des races humaines (2 voll. nel 1853 e 2 voll. nel 1855), una giustificazione in chiave razziale al sorgere e al decadere della nobiltà, nella cui fine ormai certa egli vede anche il termine della vera civiltà. Ma è il secondo autore che, usando l’ormai vasta letteratura sull’argomento, compie alla fine del secolo la più precisa applicazione dei princìpi razzistici in termini progermanici e antisemitici, nella sua opera principale La genesi del diciannovesimo secolo (1899). Egli, contrapponendosi all’impostazione e al pessimismo finale di Gobineau, applica analiticamente il criterio – già accennato da Drumont – che tutta la storia si spieghi come una grande lotta tra due impostazioni mentali, due civiltà e quindi due razze le quali 108
sono intese, a differenza di Drumont, in senso strettamente fisico; una è rappresentata dai cosiddetti Ariani, che trovano nei Germanici la massima espressione e la possibilità di un futuro glorioso, l’altra dai cosiddetti Semiti i quali, a partire da Cartagine, attraverso l’espansione araba e fino agli ebrei, si sono introdotti nel corpo prevalentemente ariano dell’Europa. Il semitismo è per Chamberlain sinonimo di assenza di spiritualità e quindi la lotta tra le due civiltà è, come già aveva detto Drumont e poi dirà Hitler, il combattimento dello spirito contro la materia, del bene contro il male, al punto che non esiste fatto spirituale che non abbia una radice ariana (e Chamberlain tentò così di dimostrare che anche Gesù Cristo e Dante avevano questa origine). Quanto agli ebrei, essi hanno fondamentalmente una struttura psichica semitica, anche se fisicamente non hanno solo questa componente: essi costituiscono un forte miscuglio razziale e sono quindi dei bastardi che soffrono nel mondo le conseguenze di questa «incosciente colpa razziale», da cui non è possibile che si liberino. Esaminando questa concezione risulta, fin troppo chiara la sua somiglianza con l’antica concezione teologica-cristiana: da un lato gli ebrei vengono presentati come un’incarnazione del male contro il bene, sono di contro allo spirito la più viva espressione della materia – basti pensare alle medievali accuse all’ebreo come stupratore di cristiane e alle ebree considerate come le meretrici per eccellenza; all’esaltazione sessuale panica che si riscontrerebbe presso gli ebrei di fronte ai cristiani, concetti, questi, che si ritrovano ancora in Céline! Dall’altro lato gli ebrei, in quanto tali, non possono liberarsi del male perché portano in loro le ineliminabili stigmate di una colpa capitale. Questa identità di conclusioni tra due atteggiamenti antiebraici dalle origini e dalla sostanza così diverse è estremamente significativa per la comprensione di questo fenomeno e dell’atteggiamento mentale che è legato a esso in ogni tempo. Comunque, Chamberlain e le opere dei suoi predecessori e dei suoi successori fornirono la materia prima per la costruzione di una visione antisemitica in chiave moderna. In verità bisogna sottolineare che, sotto il profilo teorico, le più importanti personalità antisemite del tempo non furono del 109
tutto d’accordo, al punto che Hitler, nelle sue conversazioni (Conversazioni segrete di A. Hitler, a cura di Martin Bormann) affermò: «A Streicher si rimprovera lo Stürmer. Contrariamente a quanto si afferma, egli ha idealizzato l’ebreo. L’ebreo è molto più ignobile, più feroce, più diabolico, di quanto non lo abbia definito Streicher» (28-29 dicembre 1941); e poi: «Insisto sul punto che II mito del XX secolo di Rosenberg non va considerato come un libro che esprime la dottrina ufficiale del partito… Al pari di molti dei nostri Gauleiter, non ne ho fatto che una lettura superficiale. A mio parere, è scritto in modo eccessivamente astruso» (11 aprile 1942). Tuttavia tutto l’antisemitismo nazista ebbe alla base quel filone esaminato il quale, al di fuori di ogni realtà, poneva l’ebreo come il rappresentante del «semitismo» in Europa: non solo il razzismo giustificava ancor prima che fosse compiuta ogni atrocità tedesca commessa in nome della sua innata superiorità, ma dava inoltre la spiegazione pseudoscientifica di alto valore propagandistico della congenita inferiorità degli ebrei e della loro precipua ed eterna responsabilità nei mali nazionali. In realtà Chamberlain stesso, alla fine del capitolo principale sui semiti, aveva dovuto riconoscere che il criterio razziale era insufficiente a spiegare tutto ciò che attiene agli ebrei, sia perché bisogna tener conto che l’ebraismo è una fede e coloro che sono legati a esso hanno un punto di vista specifico sul mondo al quale ogni individuo può accedere e dal quale ognuno può uscire; sia perché il criterio razziale riguarda gli ebrei nel loro complesso e quindi sul piano individuale si possono avere ebrei buoni e cattivi. Tuttavia il nazismo accolse in modo meccanico e globale la teoria razziale in modo che per gli ebrei non vi fosse più possibilità di scampo, a differenza dei secoli precedenti nei quali la conversione costituiva una purificazione dalla «colpa» e una possibilità di salvezza fisica. Infatti quel regime, oltre a dover giustificare in modo ferreo tutte quelle accuse fatte agli ebrei, aveva bisogno di un criterio globale per colpirli tutti dopo che, come già abbiamo accennato, molti di essi avevano preso tante e diverse strade ideali, distaccandosi dall’ebraismo tradizionale; il principio adottato sostituiva perciò il ghetto, giacché in modo artificiale 110
e prescindendo da ogni distinzione, tutti gli ebrei venivano ridotti a un’unica misura e tutti venivano serrati da mura razziali dalle quali era del tutto impossibile uscire: la libertà era uccisa per sempre. Così su questa strada l’umanità dei singoli veniva nullificata, la disumanizzazione realizzata, il corpo ridotto a un oggetto, il gruppo racchiuso in un ghetto metafisico: questa è la linea teorica di ciò che, dopo non molti anni dalla pubblicazione del Mein Kampf, verrà messo in pratica con incredibile coerenza nei campi di sterminio e rappresenta ciò che Hitler si proponeva di applicare a tutte le razze inferiori e cioè a tutti i popoli non ariani che pensava di vincere e soggiogare. Dunque il nazismo, parallelamente all’eliminazione di ogni opposizione politica interna, svolse la sua manovra diversiva contro gli ebrei, emanando fin dai primi mesi di governo una serie di leggi antisemitiche che, come osserva Cerruti nella già citata relazione del 1933, «in quanto sono già dannose agli ebrei sono già in pieno corso»; proseguì poi fino alle famose leggi razziali di Norimberga (15.9.1935) che costituirono il corpo legislativo più omogeneo e definitivo. Contemporaneamente, veniva preparato il terreno per il futuro allargamento del campo di applicazione delle tragiche leggi ai territori che Hitler si preparava a invadere influenzando, con l’esempio e per mezzo di elementi indigeni filo-nazisti, altri paesi vicini già tradizionalmente poco favorevoli agli ebrei, come la Polonia, la Romania e anche la Cecoslovacchia e l’Ungheria. Ma cosa avveniva in quei decenni in Italia? Che posizione assunse il fascismo di fronte all’antisemitismo? È indiscutibile che in non si ebbe mai tale fenomeno sul piano popolare. Abbiamo già visto il parallelismo tra la liberazione ebraica e quella nazionale e il contributo ebraico al Risorgimento; assai larga fu, poi, la partecipazione ebraica all’irredentismo e alla ultima grande battaglia nazionale e popolare, cioè alla Resistenza, nonostante la precedente e nefasta azione mussoliniana. Questi fatti testimoniano più eloquentemente di ogni altra cosa l’assenza di un «problema ebraico», che neanche il regime fascista riuscì a creare. A tutto ciò hanno senza meno contribuito la completa integrazione politica, so111
ciale, culturale, economica e sentimentale degli ebrei con la compagine nazionale, la scarsità del numero di essi di fronte al resto della popolazione e la loro bimillenaria presenza in Italia, oltre la mancanza di una massiccia immigrazione di ebrei provenienti dall’Oriente che potesse prestarsi a una manipolazione propagandistica, come poi avvenne invece con le poche migliaia di ebrei che fuggivano dalla Germania di Hitler e a cui, in un primo tempo, il governo italiano fece buona accoglienza, salvo poi sfruttare e ingigantire la portata di quel fenomeno al momento della campagna razziale. A ciò bisogna aggiungere che il nazionalismo italiano del nostro secolo non fu così violento e diffuso come quello tedesco, ideologicamente più impegnato e con alle spalle una situazione militare, economica e sociale assai differente. Possiamo dunque dire che, mancando in Italia un diffuso sentimento antisemitico, in gran parte caddero nel vuoto gli attacchi de «La Civiltà Cattolica» alla fine del secolo scorso e i tentativi fascisti rilevabili a partire dal 1937. In Italia furono poche le voci costantemente antisemitiche, anche se è chiaro che non poté mancare chi facesse eco ai fenomeni d’Oltralpe e all’antisemitismo clericale. Certo, la più convinta di queste voci è quella di G. Preziosi che fin dal 1920 fece del periodico da lui diretto, «La vita italiana», un caposaldo dell’antisemitismo: ricordiamo a questo proposito la citata traduzione dei Protocolli nel 1921. Ma la nascita del suo sentimento antiebraico fu legata, oltre che al suo nazionalismo, ad alcune particolari esperienze: alle sue letture nel periodo in cui era sacerdote e alla sua difficile esperienza tra gli emigranti in USA (1905-1911), proprio nel momento delle immigrazioni degli ebrei russi in seguito ai pogrom, giacché gli emigranti italiani, per inserirsi nella società americana e non sentirsi rigettati all’ultimo gradino della scala sociale, avversavano gli ebrei, i neri e gli altri emigranti più miseri. In ogni modo l’antisemitismo di Preziosi non applicò le teorie razziali, salvo dopo il 1937 in seguito all’avvicinamento italo-tedesco, ma si rifaceva ai temi cattolici ottocenteschi e a quelli nazionalistici e per questo egli seguitò a distinguere tra ebrei buoni (ad esempio L. Luzzatti) e cattivi, mentre guardava con sospetto il panger112
manesimo e dapprima anche il razzismo, nei quali avvertiva la nota sfavorevole all’Italia. Comunque, né Mussolini né i suoi immediati collaboratori furono dichiaratamente antisemiti fino alle leggi razziali del 1938, anche se non si esclude che sulla mentalità empirica di Mussolini influisse il diffuso pregiudizio tradizionale antiebraico, sicché egli era effettivamente convinto che esistesse nella realtà la cosiddetta «internazionale ebraica», una vera e propria organizzazione unitaria, della cui potenza egli sentiva quasi un reverenziale timore al punto di ritenere che fosse il caso di accattivarsela con un favorevole atteggiamento verso gli ebrei e il sionismo. Dalla sua incomprensione della realtà ebraica, Mussolini trasse così una posizione tattica che spiega la varietà delle sue diverse manifestazioni di fronte ai problemi ebraici durante tutta la sua dittatura. Per smentire ogni ipotesi di radicato e attivo antisemitismo tra gli altri dirigenti fascisti, basti ricordare l’appoggio dato ai profughi ebrei che fuggivano dalla Germania di Hitler o, all’inizio della campagna razziale nel 1938, l’opposizione del quadrunviro Balbo alle leggi razziali, o ancora la nomina, a firma di Mussolini, pochi giorni prima che cominciasse la campagna antisemitica, di un generale di divisione ebreo. Frequenti furono anche i contatti tra le autorità italiane e i rappresentanti delle Comunità israelitiche d’Italia e sempre improntati alla cordialità, anche perché Mussolini cercò di legare gli ebrei delle nuove colonie alla madrepatria sfruttando i legami religiosi con quelli che vivevano in Italia; infine bisogna sottolineare l’appoggio dato da parte di Mussolini al sionismo per un certo periodo, nella speranza di fare di esso un cuneo nel corpo dell’impero inglese del Medio Oriente: una manifestazione di queste speranze deluse si ebbe nell’insistente propaganda che identificava la politica inglese con quella sionistica, al momento della campagna antisemitica. Forse la prova indiretta ma la più efficace della effettiva mancanza di diffuso e attivo antisemitismo nell’Italia fascista del primo periodo si può riscontrare nel fatto che quando iniziò la campagna razziale i più sorpresi furono proprio gli ebrei italiani, parecchi dei quali avevano partecipato più o meno direttamente al regime: tragica sorpresa che, dopo l’armisti113
zio, li lasciò impreparati nelle mani delle SS tedesche che ne fecero razzia. Non è il caso di fare qui un esame specifico della situazione in Italia durante il fascismo: a noi basta aver chiarito che sotto questo regime, anche se ci furono occasionali spunti antiebraici, non vi fu un movimento politico con un vero e proprio programma antisemitico. Resta solo da spiegare come si poté arrivare nel 1937-38 a una campagna antiebraica in grande stile e organizzata dallo stesso governo per il quale ogni pretesto diventò materia di accusa, oltre alle leggi razziali (fino alla vasta legge del 17 novembre del 1938) limitative della capacità giuridica degli ebrei, come in tempi lontani che sembravano superati per sempre. La spiegazione immediata si individua facilmente: fin nella loro denominazione, «razziali», quelle leggi rivelano l’origine nazista. Quando Mussolini cominciò ad accostarsi alla Germania considerò gli ebrei italiani come un elemento della sua politica estera e ritenne che fosse necessario sacrificarli sull’altare dell’alleanza con il nazismo; così, in considerazione della fissazione antisemitica di Hitler, non esitò a barattarli in cambio di una maggiore benevolenza del suo più forte alleato, con un ignobile gesto che non riuscì mai a imporre alla coscienza degli italiani. A ciò bisogna aggiungere che probabilmente lo stesso Mussolini pensò di poter finalmente sfidare, con l’aiuto di Hitler e nel momento in cui le democrazie occidentali gli sembravano vacillanti, quella misteriosa «internazionale ebraica» della cui esistenza era convinto e della quale aveva pensato negli anni precedenti di accattivarsi il favore, pur senza averla in simpatia: egli pensò insomma di sostituire la precedente tattica con una nuova, adeguata al diverso corso politico internazionale. Se questa è la spiegazione immediatamente politica, c’è da fare un’altra considerazione fondamentale su un piano più complesso, cioè che il fascismo aveva in sé il germe dell’antisemitismo per almeno due ragioni In primissimo luogo, prima o poi un tale regime non accetta al suo interno altre posizioni politiche, nazionali o religiose che non rientrino nel quadro ufficiale, o le accetta solo tatticamente se si trova di fronte a una forma maggioritaria, come avvenne per il cattolicesimo in 114
Italia; in secondo luogo perché ogni regime di tipo fascista si regge sulla forza e sul principio dell’infallibilità di un duce, perciò un errore o un’impresa poco gradita alla popolazione deve essere spiegata come una necessaria risposta a un nemico che attacca. Non è dunque da escludere che Mussolini con la campagna antisemitica volesse suscitare nell’animo italiano lo spauracchio di un nemico interno, per distrarlo dalla guerra che già si capiva inevitabile, prossima e assai poco gradita agli italiani, usando così la classica manovra diversiva applicata con successo dal suo alleato nazista. Per tutto questo la strada del fascismo doveva essere segnata, in un modo quasi inevitabile, dal solco inciso sul corpo degli ebrei italiani. Questa è, in breve, la storia delle ragioni che hanno determinato le persecuzioni antiebraiche e, in particolare, dell’antisemitismo che ha insanguinato le terre di tutta Europa; se i grandi mezzi tecnici moderni hanno permesso di trasformare l’odio antiebraico in una delle più inumane ed «efficienti» carneficine, la sua sostanza non è diversa da quelle degli altri secoli. In verità, a ogni scoppio di odio antiebraico corrispondono in ogni periodo delle condizioni politiche e sociali che, come si è tentato di fare qui, si possono rintracciare; bisogna tuttavia sottolineare che coloro che professano quest’odio si sono sempre posti al di là di quelle ragioni reali, sviluppando una sequela di accuse e di pregiudizi che non hanno base nella realtà. E se pure, a volte, alcune di quelle motivazioni potevano avere un qualche riscontro nella realtà, come si verificò nel periodo della crisi feudale in cui la condizione in cui erano costretti gli ebrei giocò effettivamente un ruolo determinante, in realtà la somma delle imputazioni è sempre andata molto al di là del concreto e spesso l’accusa si è mantenuta viva ben oltre il momento storico che l’aveva vista nascere. Così, per fare un esempio, l’affermazione che gli ebrei svolgono solo attività commerciali o finanziarie e non agricole o militari ecc… aveva una sua base nel periodo medievale, in forza delle disposizioni che proibivano ad essi altre attività, ma è una generalizzazione arbitraria oggi; è poi pura demagogia e manifestazione antiebraica la convinzione che gli ebrei sia115
no destinati a svolgere con successo solo attività mercantili e bancarie. Nei tempi attuali il maggior livello di istruzione avrebbe dovuto smentire questi pregiudizi: ma smentire è possibile solo per chi vuol capire! Perché, in realtà, l’odio antiebraico riguarda l’atteggiamento mentale di una persona e non il suo grado di istruzione; infatti la maggior parte delle accuse e in generale le più gravose non hanno altra origine che… l’odio stesso. Come si vede, quando si parla di questo triste fenomeno si nomina spesso la parola «odio»: la base psicologica di una presa di posizione antiebraica è sempre stata l’odio, una manifestazione emotiva che di norma accompagna il fanatismo (crociate, nazismo ecc..), un vero morbo psichico che ha le sue basi nell’irrazionale ricerca di una capro espiatorio. Tuttavia, i propugnatori di quelle accuse non vogliono ammettere che le radici siano sostanzialmente dentro di loro e dentro la situazione sociale in cui vivono; non vogliono accettare l’idea che il loro nemico sia interno, ma cercano di assumere un’impostazione razionale che spieghi perché esso si identifichi con l’ebreo. Così attraverso i secoli si sono sviluppate delle teorizzazioni giustificative del sentimento antiebraico, che offrivano da un lato lo spunto per creare tutta una mitologia coerente e un’ulteriore serie di accuse, dall’altro il mezzo propagandistico col quale trascinare altre persone verso la stessa posizione. Abbiamo già visto che le linee principali di queste teorizzazioni hanno messo in evidenza, in concomitanza col mutare dei tempi, prima l’aspetto religioso (posizione antiebraica cristiana) e poi, nell’ultimo secolo e mezzo, quello politico (antisemitismo antiliberale prima, antimarxista e razziale dopo), anche se al fondo siano stati sempre presenti – come abbiamo tentato di mostrare nell’esposizione precedente – sia i motivi politico-sociali sia l’aspetto irrazionale e fideistico. Seguendo queste due grandi linee, abbiamo anche visto che esse approdavano all’idea comune che esistesse una «colpa» capitale degli ebrei, se pure in un caso essa avesse radici spirituali e nell’altro caso fisiche. È logico che queste siano le conclusioni, giacché chi potrebbe perseguitare in buona coscienza colui che per un verso o per l’altro non è giudicato 116
colpevole? L’odio cerca così la giustificazione di una colpa capitale. Di fronte all’enormità delle azioni che si stanno per compiere contro altri esseri umani, il cuore degli antisemiti si stringe per un attimo di paura: poi, la convinzione della colpevolezza assoluta e non modificabile dell’ebreo libera l’antisemita da ogni senso di responsabilità ed egli colpisce, colpisce, senza più pensieri, rimorsi, domande. Quanto alla radice di questa basilare attribuzione di «colpa» (via via religiosa, politica, razziale), da cui deduttivamente discendono le altre, essa è sostanzialmente affondata nell’irrazionale; ciò si sottolinea facilmente notando che si procede sempre a un’arbitraria generalizzazione: ogni ebreo viene considerato colpevole in eterno di una presunta «colpa» che un numero limitatissimo di ebrei avrebbero commesso tanti e tanti secoli fa, partecipando al «deicidio» o dando vita a una «razza inferiore». Sicché, non solo ogni ebreo è colpevole senza prove, ma lo è senza che egli possa difendersi, giacché si ignora nei suoi riguardi il criterio della responsabilità personale. Quest’ultimo è uno degli aspetti più eccezionali del fenomeno dell’odio antiebraico, in quanto si tratta di una permanenza del criterio tribale di una responsabilità collettiva, che segue il corso delle generazioni senza nessuna eccezione. In questo senso, l’antisemitismo è veramente un ritorno irrazionale al livello di civiltà del periodo delle tribù. E non basta: poiché l’ebreo è colpito da questa «tara» ereditaria, egli non è un uomo completo, cioè imperfetto ma perfezionabile, ma è un sottouomo, un essere privo in eterno di certe qualità umane essenziali, che sono solo di colui che appartiene alla civiltà immune da quella «colpa». Come meravigliarsi, dunque, che gli aguzzini abbruttiti dei campi di sterminio nazisti abbiano considerato l’ebreo come un oggetto, invece che come un uomo? Duemila anni di persecuzione antiebraica stavano dietro le loro spalle. Ma se la coscienza addormentata di questi dirigenti dei lager arrivò a questo punto, cosa dire di coloro che, pur sapendo in altri casi distinguere il bene dal male e pur vivendo nel contesto vivo della società, traggono dalla presunta «colpa» capitale degli ebrei una definizione ancora più drastica? L’ebreo, per costoro, non è un uomo e non è neanche un oggetto, per117
ché egli è in realtà una delle più vivide espressioni del male che pullula nel mondo; anzi, per alcune estreme posizioni antisemitiche, l’ebreo è il male in se stesso, l’unica radice di tutti i mali: sicché l’ebreo viene caricato di tutte le colpe del mondo e diventa il diavolo stesso sotto forma umana. La credenza popolare che l’ebreo «abbia la coda e puzzi di cane morto», l’aspetto grifagno con cui lo si vuole rappresentare, il gusto vampiresco di sangue attribuitogli nel tempo feudale con l’accusa di sacrificio rituale, hanno questa radice psicologica. Si tratta della stessa radice che portò alle tremende carneficine di ebrei quando l’avvento della cosiddetta «morte nera», in seguito alle guerre e ai contatti con l’Oriente, appestò larga parte d’Europa: si identificò infatti con l’ebreo il notturno untore che spargeva la malattia venefica (così in Germania: 1348-1350). Puntualizzando le circostanze psichiche e teoriche delle giustificazioni antiebraiche, ci troviamo di fronte alla conclusione che l’odio antiebraico è un mito metafisico – in verità uno dei tanti, ma anche uno dei più tragici – che, in quanto inattaccabile dalla ragione e dall’esperienza, svolge la funzione di facilitare l’evasione dalla realtà e dai problemi concreti, assumendo dunque un ruolo reazionario sul piano sociale e politico. Poste queste basi, proviamo ora a cercare l’elemento costante e concreto che agisce al di sotto di quelle imputazioni, di quelle giustificazioni e di quel mito. Se volgiamo lo sguardo a quanto siamo venuti descrivendo nelle pagine precedenti, balza agli occhi che ogni grande scoppio di odio antisemitico corrisponde a un periodo di estrema tensione sociale e ideale della storia europea e a svolte decisive nei rapporti economici: si pensi al disfacimento dell’impero romano, alla crisi feudale e all’attuale lotta tra le forze che, con fini diversi, tentano di impadronirsi delle immense possibilità offerte dallo sviluppo economico moderno. Dal lato opposto vediamo che nel corso di due millenni gli ebrei si sono trovati su posizioni via via differenti, a seconda del contesto sociale in cui hanno vissuto e dell’integrazione realizzata, ma in ogni caso hanno sempre costituito una minoranza, assai caratterizzata fino all’emancipazione e in ogni tempo assai complessa. In questo quadro s’inserisce la ma118
novra antiebraica e antisemitica la quale ha sempre cercato di deviare una parte delle forze sociali e politiche, impegnate nella soluzione dei problemi reali contro gli ebrei, presentandoli come i nemici veri da battere e utilizzando a questo scopo tutta una serie di mitiche accuse. Risulta dunque chiaro che le forze politico-sociali che assumono un atteggiamento antiebraico non sono, in generale, quelle che cercano di emanciparsi da uno stato di soggezione e ne ricercano le cause all’interno della reale situazione, ma solo quelle che non desiderano tali mutamenti, che temono quell’analisi concreta: in breve, il sentimento antiebraico è uno dei vari metodi di lotta usati dalle forze più conservatrici o reazionarie per battere quelle progressiste, indirizzandole verso falsi obiettivi e dividendole. Questa constatazione è vera anche se applicata al periodo della nascita delle prime nuove entità nazionali, e gli orrori di quelle persecuzioni sanguinose che colpivano gli ebrei, in quanto tali, assai poco avevano a che fare con la finalità di togliere a una categoria il predominio di certi traffici commerciali ed economici: l’antiebraismo si innestava con violenza su una valida esigenza nazionale. Così in Castiglia, ad esempio, dove nonostante il processo unificatorio in atto nella penisola iberica, nella prima metà del quattordicesimo secolo le condizioni degli ebrei erano abbastanza buone e peggiorarono solo per l’intervento di alcuni predicatori e per l’importanza assunta dal tribunale dell’Inquisizione; così in Inghilterra, dove nel tredicesimo secolo gli ebrei, in seguito a una serie di violenze e di persecuzioni, chiesero di poter uscire dall’isola, ma ciò non ottennero sicché, nella Settimana Santa del 1264, morirono a migliaia in una sollevazione antiebraica popolare e subirono molte altre pene prima di essere espulsi nel 1290. Siamo così arrivati alla conclusione di questo rapido esame. Il problema ebraico non si presenta come un problema insolubile, come vorrebbero coloro che vogliono trasferirlo fuori della storia in un alone di incorruttibile irrazionalismo; né è il perno della storia europea, come hanno tentato di dimostrare coloro che alla «razza ariana» opponevano quella «semitica»: si tratta di un particolare problema storico, cioè umano, di un problema chiaramente politico-sociale e risol119
vibile, se si vuole. No, gli ebrei non sono preda di un «destino» inarrestabile, ma sono una concreta espressione storica che, nell’ambito dell’Europa degli ultimi duemila anni, ha dato luogo a un così detto «problema ebraico»; si tratta dunque di una situazione che, come si è storicamente determinata, così può anche essere studiata e modificata. Oggi tale problema consiste, in sostanza, nel preservare per gli ebrei, come per ogni altra persona, le fondamentali libertà democratiche e in particolare la libertà di pensiero e di coscienza, che consente loro sia di rimanere legati all’ebraismo tradizionale sia di procedere nella ricerca di un nuovo equilibrio ebraico sia di rinunciare alla qualifica di ebreo senza che nessuno, direttamente o indirettamente, si possa opporre. La sola emancipazione ebraica legale non poteva di per sé risolvere il problema, perché l’odio antiebraico era un aspetto della più complessa situazione europea, sicché forse mai come nel secolo e mezzo successivo alla Rivoluzione francese gli ebrei hanno tanto patito. In verità, un’emancipazione formale e non concreta è solo un falso aspetto della libertà. Quindi il cosiddetto «problema ebraico» è in realtà un problema di realizzazione integrale della democrazia, dove ogni uomo e ogni gruppo possa scegliere, nel rispetto degli altri, di essere se stesso senza timori per il futuro e dove le forze reazionarie non abbiano più modo di usare l’antica arma dell’odio antiebraico. Per questo fine, bisogna innanzi tutto eliminare criticamente le radici irrazionali dell’attribuzione di «colpa» agli ebrei e, contemporaneamente, bisogna fare opera costruttiva sostituendo, nella coscienza umana, a quei valori irrazionalistici l’amore per la realtà e per la storia, all’impostazione metafisica del cosiddetto problema ebraico quella storicistica e realistica. Non per nulla il razzismo non era, da questo punto di vista, che la pretesa di sopprimere la realtà storica e di sostituirvi dei valori puramente biologici, ovvero di sostituire una concezione della storia come destino predeterminato al criterio della storia come risultato di forze umane che agiscono liberamente nel reciproco rispetto. Bisogna in sostanza demitologizzare il problema ebraico, scardinare per sempre secolari pregiudizi e far sì che la società ricerchi in se stessa le cause dei propri malesseri, senza 120
evadere verso pretesti antisemitici. Ripeto, però: se a questa azione non ne corrisponde una parallela per un’universale e integrale democrazia, sarà stata assai poco efficace la liberazione ebraica da ceppi secolari. Così, in questa battaglia pro o contro la democrazia e la pace, il problema ebraico, come dicevo in principio, è un problema di tutti. Roberto Piperno
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Antologia di testi antiebraici*
* Nei testi riprodotti in questa antologia, sono stati apportati, per brevità, alcuni tagli, indicati da puntini sospensivi, e sono state abolite le note.
I Édouard Drumont
Scrittore francese (1844-1917), fu praticamente l’iniziatore, nel penultimo decennio dell’Ottocento, dell’antisemitismo francese. Nel 1892 fondò a questo scopo «La libre parole», che divenne tosto l’organo più importante deIl’antisemitismo di Oltralpe. I passi qui riprodotti sono tratti da La France Juive – Essai d’histoire contemporaine (ed. MarponFlammarion, in due volumi) edito per la prima volta nel 1886. Vediamo con un esame più attento e più serio i tratti essenziali che differenziano l’ebreo dagli altri uomini e cominciamo con dei paragoni etnografici, fisiologici e psicologici tra il Semita e l’Ariano, queste due personificazioni di razze differenti e irrimediabilmente ostili l’una all’altra, il cui antagonismo ha riempito il mondo nel passato e lo riempirà ancora di più nel futuro. Il nome generico di Ariani o Arii, da una parola sanscrita che significa nobile, illustre, generoso, designa, come si sa, la famiglia superiore della razza bianca, la famiglia indo-europea che ebbe la sua culla nelle vaste pianure dell’Iran. La razza ariana si diffuse nel mondo per mezzo di emigrazioni successive. Gli Ari-Pelasgi (i Greci e i Romani) s’arrestarono ai bordi dell’Ellesponto e del Mediterraneo, mentre i Celti, gli Arto-Slavi e gli Ario-Germanici si dirigevano verso occidente, aggirando il Mar Caspio e superando il Danubio. …. Tutte le nazioni d’Europa, come si vede, si riattaccano, con dei legami strettissimi, alla razza ariana di dove sono uscite tutte le grandi civiltà. 125
I Semiti, rappresentati da famiglie diverse (gli Aramei, gli Ebrei e gli Arabi) sembra che siano partiti originariamente dalle pianure della Mesopotamia. Senza dubbio Tiro, Sidone e Cartagine raggiunsero a un certo momento un alto grado di prosperità commerciale; l’impero arabo, più tardi, ebbe uno splendore passeggero, ma nulla di questi insediamenti effimeri assomiglia alle civiltà feconde e durevoli della Grecia e di Roma, all’ammirevole società cristiana del Medioevo. La razza ariana o indo-europea possiede essa sola la nozione di giustizia, il sentimento della libertà, la concezione del bello. Le civiltà semitiche, per quanto rifulgenti possano sembrare – dice assai bene M. Gellion-Danglar – non sono che delle immagini vane, delle parodie più o meno grossolane, delle decorazioni di cartone dipinto che certe persone hanno la compiacenza di prendere per opere di marmo o di bronzo. In queste società artificiali il capriccio e il buon piacere sono tutto, e sono coperti soltanto dal nome prostituito della giustizia, che non è nulla. Il bizzarro, il mostruoso vi tengono il posto del bello, e la profusione ha bandito dall’arte il gusto e la decenza. Il Semita non è assolutamente fatto per la civiltà e la vita sedentaria. Nel deserto, sotto la tenda, egli ha la sua bellezza, la sua propria grandezza; ivi egli segue la sua strada ed è in armonia con il resto dell’umanità. Altrove è spaesato, tutte le sue qualità spariscono e i suoi vizzi vengono alla luce di nuovo. Il Semita, uomo di preda nelle sabbie dell’Arabia, eroico in un certo senso, diventa un vile intrigante nella società. Fin dai primi giorni della storia vediamo l’Ariano in lotta con il Semita. Ilio era una città tutta semitica e il duello tra le due razze spiega la ripercussione particolare che ebbe la guerra di Troia. Il conflitto si perpetuò attraverso i secoli e quasi sempre il Semita è stato il provocatore, prima di essere il vinto. Infatti, il sogno del Semita, il suo pensiero fisso, è stato sempre quello di ridurre l’Ariano in schiavitù, di riportarlo nella condizione di servo della gleba. Egli ha tentato di realizzare questo fine con la guerra, e Littré ha mostrato, con la 126
sua abituale lucidità, il carattere delle grandi avanzate, che stavano per dare ai Semiti la egemonia del mondo. Annibale che si accampò sotto le mura di Roma fu quasi sul punto di riuscirci. Abd-or-Rahaman che, padrone della Spagna, arrivò fino a Poitiers, poté sperare che l’Europa stesse per diventare sua. Le rovine di Cartagine, le ossa dei Saraceni, che talvolta l’aratro incontra nei campi dove trionfò Carlo Martello, raccontano quale lezione fu data a quei presuntuosi. Oggi i Semiti si credono sicuri della vittoria. Non è più il Cartaginese o il Saraceno che guida il movimento, ma l’Ebreo; egli ha sostituito alla violenza l’astuzia. Al bruciante attacco è succeduta l’invasione silenziosa, progressiva, lenta. Non più orde armate annunciano il loro arrivo con gridi, ma individualità separate, che si riuniscono senza rumore in tutti i posti, in tutte le funzioni, dalle più basse alle più elevate, un paese dopo l’altro. Invece di attaccare l’Europa di fronte, l’hanno attaccata alle spalle: l’hanno aggirata. Nei dintorni di Vilna, questa Vagina Judeorum, sono state organizzate le emigrazioni che hanno occupato la Germania, superati i Vosgi e conquistata la Francia. Nulla di brutale, ripeto, ma una specie di dolce presa di possesso, una maniera insinuante di cacciare gli indigeni dalle loro case, dai loro impieghi, una maniera molle di spogliarli prima dei loro beni, poi delle loro tradizioni, dei loro costumi e infine della loro religione. Quest’ultimo punto, io penso che sarà la pietra dello scandalo. Per le loro qualità, come per i loro difetti, le due razze sono condannate a urtarsi. Il Semita è mercante, è cupido, intrigante, sottile, scaltro; l’Ariano è entusiasta, eroico, cavalleresco, disinteressato, franco, fiducioso fino alla ingenuità. Il Semita è un terrestre che non vede nulla al di là della vita presente; l’Ariano è un figlio del cielo sempre preoccupato di aspirazione superiori: l’uno vive nella realtà, l’altro nell’ideale. Il Semita non ha alcuna facoltà creatrice; al contrario l’Ariano inventa, né è stata mai fatta la più piccola invenzione da un Semita. Al contrario questi sfrutta, organizza, fa rendere l’invenzione dell’Ariano creatore, e i benefici egli li conserva naturalmente per se stesso. 127
L’Ariano esegue dei viaggi avventurosi e scopre l’America; il Semita, che avrebbe avuto una occasione così bella per strapparsi fieramente dall’Europa, dalle persecuzioni, e per mostrare che era in grado di fare qualche cosa da solo, attende che sia stato esplorato tutto, tutto dissodato, per andare ad arricchirsi a spese degli altri. In breve, tutto ciò che è escursione dell’uomo verso regioni ignorate, sforzo per allargare il dominio terrestre, è del tutto al di fuori del Semita, e soprattutto del Semita ebreo. Egli non può vivere che in mezzo all’ordinario e a una civiltà che non ha creato. La disgrazia del Semita – fissatevi ben in testa questa osservazione fondamentale, in mio ricordo – è che egli supera sempre un punto quasi impercettibile, che non bisogna oltrepassare con l’Ariano. L’Ariano è un gigantesco buon ragazzo. È felice purché gli si racconti una di quelle leggende di cui ha bisogno la sua immaginazione innamorata del meraviglioso. Ciò che gli piace non sono le avventure del tipo delle semitiche Mille e una notte, dove vi sono incantatori che scoprono tesori, o dove i pescatori gettano le reti a mare e le ritirano piene di diamanti. È necessario, perché sia toccato, che sotto la trama di tutte queste finzioni si distacchi un essere che si voti a qualcosa, che combatta per una causa, che si sacrifichi, che vada come Parsifal attraverso mille difficoltà alla conquista del Santo Graal: la coppa riempita di sangue divino. L’Ariano è restato l’essere candido che andava in estasi durante il Medioevo, ascoltando le chansons de geste, le avventure di Garain le Loherain, d’Olivier de Béthune o di Gilbert de Roussillon che, dopo aver rifiutato di sposare la figlia del sultano, trafiggeva con un colpo di lancia cinquemila miscredenti. Ha ascoltato a lungo la leggenda dell’89, come se avesse ascoltato il racconto di un ciclo cavalleresco. Ancora un po’, e i fondatori della Repubblica Francese gli avrebbero fatto credere che i membri della difesa nazionale, montati su cavalli focosi come gli antichi prodi, avevano sfidato i più orrendi pericoli per vincere la battaglia del prestito Morgan. E mentre egli è ingenuamente interessato a queste prodezze, nessun momento è più favorevole per togliergli la 128
borsa, e persino per levargli le calze, col pretesto che esse lo imbarazzerebbero per camminare sulla via del progresso. All’Ariano, lo ripeto, si può fare qualunque cosa; soltanto bisogna evitare di provocarlo. Egli si lascerà derubare di tutto ciò che possiede, ma improvvisamente diventerà furioso per una rosa che gli si vuole togliere. Allora risvegliato d’improvviso, egli capisce tutto, riafferra la spada che giaceva in un angolo, colpisce senza mezze misure, e infligge al Semita che lo sfruttava, lo depredava, lo prendeva in giro, uno di quei castighi terribili di cui l’altro porta i segni per trecento anni. Il Semita, del resto, non è affatto stupito. È nel suo temperamento di essere oppressore e nelle sue abitudini d’esser castigato. Prova quasi una certa soddisfazione quando tutto è rientrato nell’ordine normale. Così sparisce, svanisce in una nebbia, si sotterra in un buco dove rumina una nuova combinazione per ricominciare qualche secolo dopo. Quando invece è tranquillo e felice, prova ciò che un accademico di molto spirito ha chiamato: la nostalgia del San Benito. … I difetti del Semita spiegano perché l’antagonismo naturale che esiste tra lui e l’Ariano si perpetui attraverso i secoli. Se volete comprendere la storia del Medio Evo, guardate ciò che succede da noi. La Francia, grazie ai princìpi dell’89 abilmente sfruttati dagli Ebrei, cadeva in dissoluzione. Gli Ebrei avevano monopolizzato tutta la fortuna pubblica, invaso tutto, a parte l’esercito. I rappresentanti delle vecchie famiglie, gentiluomini e borghesi, si erano divisi in due classi: gli uni si davano ai piaceri, avevano come amanti delle fanciulle ebree che li corrompevano o li rovinavano, mentre mercanti di cavalli e usurai, ebrei anch’essi, aiutavano quelle donne. Gli altri obbedivano a questa attrazione che ha la razza ariana verso l’infinito, verso il Nirvana indù, il Paradiso di Odino; si disinteressavano quasi del movimento contemporaneo, si perdevano nell’estasi, non avevano quasi più i piedi nella vita reale. Se i Semiti avessero avuto qualche anno di pazienza, avrebbero raggiunto il loro fine. Uno dei rari uomini 129
veramente saggi che essi contano tra di loro è un discepolo di Filone, un rappresentante della scuola ebraica di Alessandria, Giulio Simone, che avrebbe ben detto loro ciò che c’era da fare: occupare la terra piano piano, e lasciare che l’Ariano emigrasse in cielo. Gli Ebrei non hanno mai voluto sentirci da questo orecchio. Al Semita Simone hanno preferito il Semita Gambetta. Col pretesto che questo Fontanarose aveva fatto ingoiare ai Francesi le frottole più enormi, l’hanno sostenuto, fornito di capitali, appoggiato; essi hanno pensato che stesse per sbarazzarli di quel Cristo che odiavano come nel giorno in cui l’hanno crocifisso. La Franco-Massoneria ha pagato, i giornali ebraici hanno montato l’opinione, si è prodigato l’oro e si sono comprati largamente i commissari di polizia che, fino all’ultimo momento, rifiutavano di diventare colpevoli d’un crimine. Che è successo? Ciò che dicevamo più su. L’Ariano, irritato, turbato, ferito nei sentimenti di nobiltà e di generosità che sono innati in lui, ha sentito il sangue montargli al viso davanti allo spettacolo di vecchi infelici trascinati fuori delle loro celle dagli aguzzini. Gli è stato necessario un po’ di tempo per riflettere, per radunare le proprie idee, per raccogliersi. – Infine in nome di quali princìpi si agisce? ha domandato. – In nome del principio di libertà, hanno risposto in coro i giornali dei Porgés, Reinach, dei Dreyfus, degli Eugène Mayer, dei Cannile Sée, dei Nacquet. – In che cosa consiste questo principio? – In ciò: un Ebreo qualunque esce da Amburgo, Francoforte, Vilna, non importa da dove, raduna un certo numero di milioni a spese dei goyim, può portare in giro dove vuole le sue carrozze, il suo domicilio è inviolabile, a meno che non vi sia un mandato d’arresto che naturalmente non si fa mai. Al contrario un Francese indigeno, un Francese naturale, per impiegare l’espressione di Saint-Simon, si spoglia di tutto ciò che possiede per darlo ai poveri; cammina a piedi nudi, abita in una stanza stretta e imbiancata a calce, dove non vivrebbe il domestico del domestico di Rothschild; egli 130
è fuori della legge e lo si può gettare nella strada come un cane. L’Ariano risvegliato dalla sua sonnolenza ha pensato, non senza ragione, che, dal momento che si considerava così questa tolleranza di cui si parlava da cento anni, bisognava ancora dare colpi piuttosto che riceverli. Ha pensato che fosse tempo di strappare il paese a padroni così poco pazienti «poiché la tonaca da monaco mette a disagio il tuo soprabito, ti rimetteremo il tuo straccio giallo, mio vecchio Sem». Tale è stata la conclusione di queste meditazioni. È da questa data che esiste in Francia il primo comitato antisemitico o, per dir meglio, antiebraico. Ciò che avviene in Francia, è successo in Germania. Gli Ebrei avevano aiutato per quanto era possibile il Kulturkampf, incitato con tutta la loro energia alle vessazioni anticattoliche. Il Kulturkampf è finito e la guerra antisemitica comincia appena. Leggendo quest’opera fino in fondo vedrete, d’altronde, lo stesso fatto riprodursi in condizioni quasi identiche, in tutte le epoche e in tutti i paesi. … Alla fine di questa storia cosa vedete? Io non vedo che una figura ed è la sola che desidero mostrarvi: la figura di Cristo insultato, coperto d’obbrobrio, lacerato dalle spine, crocifisso. Nulla è cambiato da diciotto secoli. La stessa menzogna, lo stesso odio, lo stesso popolo. San Pietro che fuggiva la persecuzione scorse d’improvviso sulla via Appia il suo divino maestro che si dirigeva verso Roma, portando la sua croce. – Dove andate, Signore? gli domandò l’apostolo. – Vado a farmi crocifiggere di nuovo. San Pietro comprese e ritornò a Roma. Sulle nostre strade che rassomigliano tanto, con il loro movimento incessante e lo spettacolo del lusso sparso ovunque, a quella via Appia solcata dalle lettighe di porpora dei cortigiani e dai carri dorati dei patrizi, non c’è giorno che io non incontri così la dolorosa immagine del Salvatore. Egli è dappertutto, appeso alle vetrine popolari, esposto agli urli dei sobborghi, 131
oltraggiato dalla caricatura e dagli scritti, in questa Parigi piena di ebrei, così ostinati nel deicidio come ai tempi di Caifa. Egli è lo stesso d’un tempo consolante e dolce, che compie miracoli, camminando con noi attraverso le strade tumultuose. So che a molti questa concezione non sembra abbastanza elevata. Per scusarsi, forse, della loro inazione non vogliono figurarsi Cristo che soffre ogni giorno, che sanguina dalle ferite che gli si arrecano, che piange dei sacrilegi che si commettono verso di lui; costoro non ammettono che noi possiamo essere, secondo la forte espressione dei primi cristiani, i colleghi della Passione di Cristo. Essi si attengono a una astrazione nebulosa che è meglio non difendere. Quanto amo di più il pensiero di quegli artisti primitivi che ci mostrano Gesù associato alla vita familiare della città, mentre appare nello stesso disegno della città natale del pittore, come per dimostrare, con questo errore apparente che non è che la costatazione di una verità morale, che il Dio fatto Uomo è sempre e dappertutto presente tra di noi! Io mi ricordo di un bel quadro di Filippo Lippi che si trovava, mi sembra, a Beurnonville: il Cristo conversa con i suoi discepoli sul sacrato del Tempio e la città intera si distende davanti a lui e davanti allo spettatore; i passanti si avvicinano, si salutano tra di loro, le donne si affrettano ritornando dal mercato, le barche scivolano su un fiume. Nulla è dimenticato e il dettaglio più ingenuamente naturalista è al suo posto in questa opera, che mescola l’elemento divino coll’elemento umano. Tale era il Cristo in Gerusalemme, tale è a Parigi. La Passione per lui si riproduce senza soste. Chi non ha sognato, leggendo il racconto di questa agonia orrenda, d’essersi trovato al passaggio di colui che andava a morire per noi, di risparmiargli una sofferenza, di asciugare un po’ del sangue che colava sulla sua fronte ferita dalla corona messagli per derisione, d’indirizzare almeno alla santa vittima uno sguardo che consola? Ogni giorno il Giusto va al Calvario davanti ai nostri occhi e la maggior parte delle persone lo guardano passare con indifferenza, pensando ai loro piaceri e ai loro affari. Alcuni vorrebbero protestare; non osano, temono di 132
mettersi in evidenza, si dicono «Io sono un uomo pacifico; se confesso d’essere cristiano tutta la canaglia franco-massonica ed ebraica si getterà su di me». Felice colui che ha superato questo momento di debolezza! Immagino quale sarà la sua gioia il giorno della Giustizia, quando davanti al viso luminoso del Cristo egli si ricorderà il leggero sforzo che avrà fatto per difendere questo Onnipossente al quale obbediscono i cieli. Quale istante sarà quello in cui sarà messo a nudo tutto l’immenso e complesso formicolio di tutti i pensieri umani, dove ogni cosa nascosta apparirà, quicquid latet apparebit, dove il mondo vedrà ciò che non vede: il segreto delle anime, i moventi delle azioni, i crimini sconosciuti, le infamie dissimulate, i sottofondi appena sospettati, la grandezza dei calunniati, l’abiezione di coloro che hanno camminato nella strada circondati dalla stima di tutti. Felice, allora, colui che, schiacciato sotto il peso dei suoi errori, potrà rialzarsi e dire «Signore, io non sono affatto degno di entrare nella vostra casa, ma, quel giorno, mentre voi passavate in mezzo agli oltraggi e tanti uomini tacevano, io ho tentato, io, impossente e debole, di alleggerire il vostro fardello e di aiutarvi a portare la vostra croce!». Felice colui che potrà ripetere morendo ciò che diceva Veuillot: «Spero in Gesù sulla terra, / io non ho arrossito della sua legge; / nell’ultimo giorno, davanti a suo Padre, / egli non arrossirà di me». Uniti a Cristo, partecipando alle sue sofferenze per partecipare più tardi alla sua gloria, voi sarete anche più direttamente, dal punto di vista umano, in comunione con l’anima dei vostri padri. Miei lettori, io ne sono convinto, io non mi faccio ingannare dai Farisei rossi che s’impietosiscono sugli autodafé, lodando i miserabili che, nel settembre del 1792, sgozzavano a migliaia, in nome della umanità e del progresso, i prigionieri, i vecchi, i malati, i folli, che facevano salire sui patiboli gocciolanti di sangue di bambini, di ragazze quindicenni, di donne novantenni, di infermi che non sapevano neanche di che cosa fossero accusati. 133
Malgrado tutto, è difficile sottrarsi totalmente alla influenza di ciò che si sente dal mattino alla sera, all’impressione dell’atmosfera intellettuale fittizia creata dalla stampa ebraica; e anche i migliori subiscono a volte, nonostante loro stessi, ciò che abbiamo già chiamato «i pregiudizi del modernismo». Rischiarato dal presente lavoro, che ognuno potrà completare con osservazioni personali, ciascuno si renderà meglio conto, ormai, della realtà delle cose. No, gli uomini che hanno fatto così grandi la Francia e la Spagna del passato non sono stati né degli scellerati né degli imbecilli; le misure che hanno preso non sono state delle fantasie di tiranni in delirio, ma hanno corrisposto a delle necessità evidenti, a dei pericoli che si manifestavano agli occhi di tutti. Il cristiano non ha voluto che si gettasse Cristo, come oggi avviene, giù per la scalinata dei giustiziati; l’Ariano non ha voluto sopportare l’oppressione del Semita, essere condannato a lavorare per arricchirlo. Una razza, cioè una riunione di individui che pensano nella stessa maniera, un insieme che rappresenta un certo numero di sentimenti, di credenze, di aspirazioni, di attitudini, di tradizioni, si è difesa contro una razza che rappresentava dei sentimenti, delle credenze, delle aspirazioni, delle attitudini, delle tradizioni assolutamente contrarie. Senza meno, di fronte al risultato acquisito, una tale dimostrazione non sembra avere che un interesse dottrinale. L’esame di queste questioni, almeno io credo, confermerà il credente nella sua fede mostrandogli che tutto si mantiene in questo ordine, e che l’amor di Patria e l’amor di Dio sono un’unica cosa. La storia vera distruggerà certe obbiezioni elevate dai creatori della storia falsa contro la Chiesa, dissiperà certi scrupoli che vengono talvolta alle anime tenere che conoscono male i nemici con i quali i nostri antenati hanno avuto a che fare. La Verità completa, tuttavia, non si rivelerà che alla luce orribile delle ultime catastrofi. Quando Re Lear erra sotto la pioggia, alla luce dei lampi, per una landa inospitale, è solo allora che pensa, per la prima volta, ai bambini e ai diseredati ed esclama «Infelici poveri, tutti nudi, con le teste scoper134
te, gli stomachi inappagati, come, sotto i vostri cenci pieni di buchi, vi difendete da simili tempi? Ah, mi sono troppo poco curato di tutto ciò!». È nel grandinare della tempesta che i privilegiati, i noncuranti delle classi dirigenti penseranno, sotto la punta della propria angoscia, alle anime che avrebbero potuto salvare. Io temo che il mio libro non sarà compreso che quando sarà venuta quella grande sera di cui parlano misteriosamente le società segrete dirette dagli ebrei, quella grande sera che deve sviluppare le ombre dei morti e gettare nel silenzio della solitudine le rovine di ciò che sarà stata la Francia. Allora, coloro che godono oggi andranno per le grandi strade con delle scarpe sdrucite, come gli emigranti di altri tempi. Come è viva questa stampa popolare che rappresenta una famiglia di emigranti! Il padre è là, pallido, curvo, con il cuore stretto dalla disgrazia dei suoi; la madre tiene per mano un bambino che riesce appena a stare in piedi. Sulla soglia d’una capanna tedesca, seduto a un tavolo all’ombra di un albero, un contadino guarda passare quei vagabondi e sul viso dei proscritti si legge questo sentimento: «Quest’uomo è felice! Ha una casa, un focolare, un tetto». Se i giornali conservatori non fossero, per la maggior parte, in mano agli ebrei, essi dovrebbero raccontare questa lamentevole storia ai loro lettori, invece di parlare di balli e di moda. Come pagò cari i suoi vizi, quella società del XVIII secolo, altrettanto imprevidente e frivola quanto la nostra! È all’estero che si prova la sensazione di ciò che è l’esilio. Certe città, certi alberghi avviluppano l’anima di non so quale freddo particolare. … Solo quando saranno alle prese con l’esilio e con la povertà, i compagni di piacere dei Rothschild e degli Ephrussi comprenderanno il prezzo di questa Patria che non avranno fatto nulla per difendere. Soltanto allora essi ricapitoleranno tutto ciò che sarebbe stato possibile fare per resistere, per impedire a questa società di perire. 135
La prova sarà dura per questi effeminati e per questi ingenui. Non avranno né il bell’umore, né l’indistruttibile salute, né l’inesauribile spirito dei grandi signori di altri tempi; non avranno la forma di temperamento di quei polacchi che ho visto accettare gli impieghi più modesti, qualche volta vivere di niente, restare a letto tutta una giornata quando il pane mancava e accontentarsi di una tazza di tè. San Paolo ha detto: «Bisogna sperare contro tutte le speranze». Speriamo ancora che, malgrado tanti presagi contrari, questo destino sia risparmiato a quelli che lo avranno meritato! Forse, all’ultimo momento il coraggio addormentato si risveglierà in qualcuno? Forse, uno di quegli ufficiali, che si vedono con i loro baffi ben curati, sorbire tranquillamente il loro assenzio mortifero dopo avere, durante la mattinata, aiutato ad espellere qualche vecchio prete, un giorno sentirà il sangue montargli al viso ed esclamerà: «Meglio la morte che una tale vergogna». La parola di colui che parlerà per primo terminerà, non se ne può dubitare, in un’acclamazione formidabile. Tutta la Francia seguirà il capo che sarà un giustiziere e che, invece di colpire i disgraziati operai francesi, come fecero gli uomini del 1871, colpirà gli Ebrei ricchissimi e dirà ai poveri che si raccolgono intorno a questa cuccagna che sfugge al Semita impoverito: «Se avete bisogno, raccogliete». Per quanto mi riguarda, ripeto che non ho voluto che intraprendere che un’opera di buona volontà, mostrare da quale nemico diffidente e guardingo la Francia era stata invasa, corrotta, inebetita al punto di spezzare con le sue mani tutto ciò che aveva fatto fino ad allora di potente, rispettato, felice. Ho redatto il nostro testamento? Ho preparato il nostro Rinascimento? Lo ignoro. In ogni caso ho compiuto il mio dovere rispondendo con gli insulti agli innumerevoli insulti che la stampa ebraica prodiga ai cristiani. Proclamando la Verità, ho obbedito a un ordine imperioso della coscienza, liberavi animam meam.
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II August Rohling
Sacerdote e professore universitario tedesco (1839-1931), insegnò in varie facoltà teologiche in Germania e a Praga (dal 1876). Nel 1899 dovette lasciare l’insegnamento per condanna da parte dell’autorità ecclesiastica. Il suo Der Talmudjude provocò accese polemiche e fu messo all’indice. I passi qui riprodotti sono tratti dalle conclusioni di tale opera (nell’edizione francese «considerevolmente aumentata» e con prefazione di E. Drumont del 1889). Benché il numero dei precetti immorali e criminali del rabbinismo sia quasi incalcolabile, li si può raggruppare facilmente sotto alcuni concetti principali e presentare in poche parole la quintessenza dell’insegnamento talmudico. Da tutto ciò che abbiamo esposto viene fuori con la massima evidenza: 1. – Che l’Ebreo non è affatto legato dai doveri dell’amore del prossimo e della giustizia di fronte a quelli che non sono Ebrei. 2. – Che, ancor più, l’Ebreo pecca quando osserva le leggi dell’amore del prossimo e della giustizia verso non Ebrei, almeno nei casi in cui può far loro torto impunemente. 3. – Che per un Ebreo è un diritto, e quando può, è un dovere, nuocere in tutte le maniere ai non-Ebrei, e particolarmente ai Cristiani, e annientarli sia con mezzi indiretti sia con la forza aperta. Il principio da seguire è questo: la loro vita è tra le tue mani, e quindi a maggior ragione i loro beni. 4. – Che quando un Ebreo è giudice, deve far vincere la causa all’Ebreo in tutte le sue contese con il non-Ebreo; se la legge non basta per realizzare ciò, deve ricorrere all’intrigo, ma bisogna che faccia tanta attenzione da non essere 137
mai scoperto, giacché l’incidente potrebbe compromettere il Giudaismo. 5. – Che l’Ebreo considera il non-Ebreo come un capo di bestiame; e che quindi il giuramento di un Ebreo nei suoi alterchi con il non-Ebreo non lo obbliga affatto, e se l’Ebreo è obbligato a giurare, ha diritto di annullare inferiormente il suo giuramento con una restrizione o con una frase che snatura il senso; ma anche qui egli deve star ben attento a non far capire lo spergiuro, che è proibito quando è possibile che sia scoperto. 6. – Che l’Ebreo ha il diritto di utilizzare la non-Ebrea per i suoi piaceri; che non commette adulterio se, sposato, viola una non-Ebrea ossia la moglie di un non-Ebreo, il matrimonio dei quali è un accoppiamento simile a quello degli animali. 7. – Che l’Ebreo è fatto con la sostanza di Dio come un figlio è fatto della sostanza di suo padre, e quindi può soddisfare tutte le sue inclinazioni, tutte le sue passioni, e che gli basta scusarsi mettendo in rilievo la potenza della «cattiva natura» che svincola la sua responsabilità; e soprattutto che resti fermamente Ebreo, perché la fedeltà al Giudaismo scusa tutto, persino la conversione al Cristianesimo o all’Islamismo. 8. – Che ogni Ebreo, ad eccezione dei Caraiti che abitano per la maggior parte in Crimea, può, se vuole, conformarsi a questi princìpi per motivo e per dovere religioso. 9. – Che l’Ebreo moderno, in verità, è spesso libero dall’applicare certe osservanze poco comode per lui e indifferenti per noi, perché ci importa poco che festeggi questo o quel giorno o rifiuti tale o tal’altro alimento. Ma che su tutti i punti essenziali, particolarmente per ciò che riguarda la proprietà, i mezzi per acquistarla, la condizione delle persone non-Ebree, il dominio universale, l’Ebreo riformato va d’accordo con gli ortodossi talmudisti, che d’altronde formano l’immensa maggioranza della nazione ebraica. Che il talmudismo non è stato mai condannato dai riformati come immorale e criminale, ma semplicemente sconsigliato come antiquato, poco pratico e poco adatto al 138
compimento dei destini del Giudaismo; e che perciò il talmudismo, in tutto ciò che ha di essenzialmente dannoso e pericoloso, è oggi vivo come non mai. Stabiliti questi fatti, la conclusione che s’impone è che è altrettanto ingiusto quanto pericoloso fare beneficiare del diritto comune uomini sottomessi a una legislazione speciale. Se dunque esiste una riforma giusta, indispensabile e urgente, è la revisione delle leggi anti-nazionali che hanno aperto a questi uomini le porte della nostra società. Che si lascino a loro i diritti dell’uomo, come dice Fichte, per quanto essi ce li neghino, ma si rifiuti a loro i diritti del cittadino. Che li si metta, non fuori del mondo poiché non siamo stati noi che ve li abbiamo chiamati, ma fuori della nostra nazione che ci appartiene e per la quale non sono adatti. Che li si bandisca dalla nostra vita politica civile: è ormai tempo; e, se la misura non basta, che li si bandisca dal nostro territorio che abbiamo ricevuto dai nostri padri per trasmetterlo ai nostri discendenti e non per lasciarlo prendere con la forza e derubarlo con l’astuzia, ed ancora meno per offrirlo ingenuamente in regalo ai pirati del genere umano.
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III «La Civiltà Cattolica»
Fondata nel 1850, è la principale rivista dei gesuiti italiani. A lungo gli articoli da essa pubblicati apparvero anonimi, rispecchiando il punto di vista dell’intero gruppo di coloro che la redigevano. L’articolo qui riprodotto apparve nel 1890 (serie XIV, vol. 8) anonimo e fu ristampato, anche in opuscolo, più volte. Della questione giudaica in Europa … La questione giudaica de’ nostri tempi non differisce gran cosa da quella, che tratto tratto commosse i popoli cristiani del medio evo. Stoltamente si vuol far credere che nasca da odio di religione o di stirpe. Il mosaismo in sé non potrebbe essere argomento di odio pei cristiani, giacché sino alla venuta di Cristo, esso fu l’unica vera religione, figura e preparazione del Cristianesimo, che secondo l’ordinamento di Dio gli succedette. Se non che il giudaismo da secoli ha voltato le spalle alla legge mosaica, surrogandovi il talmud, quinta essenza di quel farisaismo, che in tante guise venne fulminato dalla riprovazione di Cristo, Messia e Redentore. E benché il talmudismo entri per molto nella questione giudaica, non può perciò dirsi che le dia forma propriamente religiosa, stanteché nel talmudismo le nazioni cristiane detestano, non tanto la parte teologica, ridotta a quasi nulla, quanto la morale, che contraddice ai più elementari principî dell’etica naturale. Né pure la questione si origina da aborrimento di stirpe, come l’aggettivo improprio di semitica, che le si dà, parrebbe denotarlo. Primieramente la famiglia israelitica non è 141
la sola nel mondo, che provenga dal sangue nobilissimo di Sem; ne si vede ragione per la quale gli ariani, derivati da Iafet, dovessero nutrire un odio ereditario contro i generati da Sem, ne’ cui tabernacoli anzi, giusta la solenne profezia di Noè, essi erano predestinati ad abitare con fraterna concordia. Onde noi stimiamo irragionevole la designazione di semitica, apposta alla questione giudaica, e di semitismo, applicata al giudaismo, siccome eccessiva nella sua comprensione, scambiando il tutto per una parte e riuscendo conseguentemente falsa nel suo concetto. Tuttavia l’avversione della stirpe si aggiunge, a costituire uno dei capi della questione, in quel modo che un altro è costituito dal codice religioso del talmud; perocché la razza giudaica, in quella che è nazione, sebbene senza patria fissa e senza politico organismo, vive sparsa fra le altre nazioni, non pure senza mai con esse mescolarsi, ma da esse rifuggendo in tutto ciò che sente l’unione sociale, e riguardandole quali nemiche, o più tosto prede alla sua ingordigia assegnate in pasto. Ond’è che la gran famiglia israelitica, disseminata fra le genti del globo, forma una nazione straniera nelle nazioni in cui dimora, e nemica giurata del loro ben essere; cardine appunto del talmudismo essendo l’oppressione e la spogliazione dei popoli, che a’ suoi seguaci concedono ospitale soggiorno. Per lo che S. Paolo, fino da’ suoi tempi, chiamava i giudei a Dio spiacenti ed avversi a tutti gli uomini, Deo non placent, et ominibus adversantur. Che poi il tenebroso codice del talmud prescriva, oltreché regole di una morale esecranda, l’odio a tutti gli uomini che non hanno sangue giudaico, in ispecie a’ cristiani, e faccia lecito il depredarli e malmenarli quasi bruti nocivi, non è più uno di quei punti dottrinali che si possano mettere in controversia. Non già il Rohling, che riconosciamo anche noi per autore in parte romanzesco ed inventore di citazioni a capriccio, ma gli studiosi più assennati e gravi della Mischna, che ne è il testo, e della Ghèmara, che ne è la chiosa, non esclusi parecchi rabbini, fra i più autorevoli del tempo andato e dell’odierno, ne tolgono ogni dubbio. Basterebbe consultare l’opera di Achille Laurent, che gli ebrei hanno quasi totalmente fatta sparire, perché magistralmente svela 142
i segreti del talmudismo applicato a sterminio della civiltà cristiana, per favore che si persuadessero i più restii e dubitosi. Del resto noi in addietro ne abbiamo date dimostrazioni irrepugnabili, che sarebbe superfluo il ripetere al presente. … L’altro capo che rende pericolosissimo l’organamento degli ebrei nei paesi cristiani, e centuplica in questi l’abbominio per loro, è la superstiziosa fede ingerita dal talmud, che gl’israeliti, non solamente formano la razza superiore del genere umano, tutto composto di razze a loro inferiori; ma che, di pien diritto divino, a loro unicamente compete il possesso dell’universo, il quale un giorno dovranno godere. Di questa pazza credenza il giudaismo è da per tutto invasato; anzi può dirsi che essa è il domma capitale di quella che chiamano religione loro. In ciò consiste la depravata dottrina del messianismo che professano, dal terzo secolo dell’era cristiana, quando fu compilato il talmud di Babilonia, fino al dì d’oggi; e chi segua, pel decorrere dei tempi, i commentarii de’ più solenni rabbini, la incontra sempre invariabile, sempre identica, come ai tempi nostri la espose l’ebreo d’Israele, divenuto poi lord Beaconsfield e capo del Governo della Granbrettagna. Costui che, per sollevarsi al potere supremo, indossò la giubba anglicana, nel suo famoso libro intitolato Coningsby, scriveva: «Nessuna legge penale, nessun tormento fisico potrà mai fare, che una razza superiore sia inghiottita da una razza inferiore. La bastarda e persecutrice (la nostra cristiana) sparisce, ma quella di puro sangue e perseguitata (la giudaica) regge e dura. Invano dunque crollano addosso a noi giudei, contaminandoci ed umiliandoci sotto le mine loro, secoli e decadi di secoli: l’anima del giudeo si rialza, riprende il cammino, va innanzi, ed ai nostri giorni già esercita sopra le cose di Europa un influsso, il cui prodigio è meraviglioso». Il che soggiungeva, dopo avere asserito che «il mondo moderno è governato da personaggi, ben diversi che non si figurino coloro, i quali non vedono ciò che accade nel retroscena» e intendeva dire dai giudei, che tutto maneggiano all’oscuro. Se occorresse, potremmo accumulare le prove di questa orgogliosa credenza, cogliendole a traverso i secoli. Ma sa143
rebbe superfluo. La falsificazione delle tradizioni profetiche, riguardanti il Messia, ed il suo regno fra le genti, che è la Chiesa, correva già sino da quando Gerusalemme fu distrutta, ed il popolo giudaico sperperato o ridotto a schiavitù dai vincitori romani. Svetonio ne ha tramandata la memoria, nelle sue vite dei dodici Cesari: Percrebuerat Oriente toto vetus et constans opinio, esse in fatis, ut eo tempore Judei profecti rerum potirentur, e l’ha confermata Tacito, nelle sue storie: Pluribus persuasio inerat, antiquis sacerdotum literis contineri eo ipso tempore fore ut valesceret Oriens, profectique Judei rerum potirentur. Similmente parla S. Girolamo, delle cose vere e false del giudaismo, peritissimo. Il Drach, convertito al cristianesimo, e profondo conoscitore del talmud e dei misteri giudaici, così propone la dottrina insegnata dai maestri antichi e moderni d’Israello. «II Messia dev’essere un gran conquistatore, che sottometterà le nazioni alla schiavitù de’ giudei. Questi ripiglieranno la Terra santa, trionfatori e carichi delle ricchezze prese agl’infedeli. Scopo della venuta di questo Messia sarà di liberare lo sperso Israele, ricondurlo nella Terra santa, stabilirvi e rassodarvi un regno temporale, duraturo fino al termine del mondo. Allora tutti i popoli saranno soggetti ai giudei, che delle persone e dei beni loro faranno il piacere proprio. I dotti e i rabbini della sinagoga finiscono d’ordinario i loro discorsi col pensiero di questo trionfatore, e di tutti i beni promessi dall’avvenimento d’un sì fatto Messia. Or di questi beni uno è il momento sospirato del macello dei cristiani, e dell’estinzione totale della setta del Nazareno». Il concetto medesimo, sebbene riforbito, si scorge accarezzato da quegli ebrei ammodernati, che non danno gran peso alle rancide leggende del talmud. Al Messia personale sostituiscono il popolo messia, che è poi l’israelitico, predestinato (non sanno poi dire come o perché) a signoreggiare tutta quanta l’umana generazione. Un tal concetto, fra gli altri recenti, ebbe ad apostolo il Crémieux, uno dei principali fondatori della potenza giudaica de’ tempi odierni, che lo commentò con queste parole: «Israele non avrà mai fine. La sua piccola famiglia è la grandezza di Dio. Un messianismo dei nuovi tempi nascerà e si svolgerà. Una Gerusalemme di 144
nuovo ordine, santamente assisa fra l’Oriente e l’Occidente, succederà alla doppia città dei Cesari e dei Papi». Lo Stamm, ebreo tedesco, ha pubblicato un suo libro, per annunziare al mondo che «il regno della libertà universale sopra la terra sarà istituito dai giudei»; ed abbiamo veduta la cara libertà che questi dementi sognano pei cristiani. Un altro di costoro, nativo di Francoforte, sino dal 1858 scriveva: «Roma che, mille ed ottocento anni fa, si è messa sotto i piedi il popolo giudaico, dovrà cadere in ruina, per opera di questo popolo stesso, il quale con ciò spanderà la luce sopra l’universo, ed apporterà un vantaggio sommo al genere umano». Resta quindi stabilito che il giudaismo è forza sempre straniera e sempre nemica, nei paesi ne’ quali ha radice, non solo, ma è forza che tende a sopraffarne gli abitanti ed a predominarli, per virtù dell’intrinseca sua costituzione dommatica e civile, religiosa, giuridica e nazionale. E questo con ogni sorta di male arti e perfidie. Il che dimostrano non meno le teorie che i fatti cotidiani più manifesti. Quanto alle teorie, ecco alcuni capi di dottrina etico-religiosa, dettati ed inculcati dal talmud, codice supremo di tutta questa razza. Principio primigenio della morale giudaica, d’onde germogliano le regole degli atti da praticarsi verso il prossimo, è che gli altri uomini, per rispetto all’ebreo, non sono più che animali bruti. «O semenza di Abramo, esclama il talmud, il Signore vi ha definita per bocca di Ezechiello: voi siete l’ovile mio; cioè dire voi siete uomini, doveché gli altri popoli del mondo non sono punto uomini, ma bestie. Il giudeo che fa oltraggio ad una donna non giudea e l’accoppa, è da assolversi in giudizio, perché ha fatto male ad una giumenta». Maimonide, che gode pei ghetti credito d’infallibile, nel suo trattato dell’omicidio, sentenzia non potersi punire l’israelita che uccide un goi, ossia un uomo non giudeo. Che più? Uno de’ libri autorevoli d’Israello certifica sul serio, che «i non giudei sono animali neri» o, in altro termine, verri. E così tratta i non suoi connazionali quella razza, che, per le sue immondizie, facea schifo sino ai ro145
mani de’ Cesari; definita perciò da Tacito proiectissima ad libidem gens! Basta ciò forse? No: ché il talmud innalza il giudeo sopra tutta la umana specie, ed insegna che un israelita è più grato a Dio degli angeli del paradiso; che schiaffeggiarlo è come schiaffeggiare Iddio; che il non ebreo, il quale bastona un figliuolo di Giacobbe, è nientemeno che degno di morte. Un altro bel titolo di morale religiosa giudaica è quello che nel talmud riguarda il giuramento. Tre giudei, sedenti pro-tribunali, hanno il potere di sciogliere ogni giuramento e di liberare da ogni promessa qualsiasi. Il Drach illustra bene questa cerimonia, che si chiama Kol-Nidrai. I tre sedenti, afferma il talmud, hanno l’autorità stessa che ebbe il tribunale di Mosè. Oltre ciò, gli ebrei hanno varii loro atti esterni e varie loro formole o giri da parole, co’ quali intendono di non dare o di togliere il valore al giuramento, che pur fanno e proferiscono. Tutto quell’ammasso di malizie, che essi ed i loro ligi hanno calunniosamente apposto alla morale dei Gesuiti, è invece da lor praticato con iscrupolosa religiosità. Anzi la notte precedente la festa di Kippur, si assolvono da sé, per via di certe loro cerimonie e protestazioni, da tutti i vincoli di coscienza che hanno contratti con impegni più formali. Così che, per loro, tutti gli obblighi di coscienza pel passato, pel presente e pel futuro, tengono e non tengono, giusta il lor piacere e tornaconto. Di più, secondo il talmud, in una causa fra cristiano ed ebreo, il magistrato ebreo deve sempre, in quanto può, darla vinta al suo congenere. Medesimamente il codice di questa morale fa lecito, anzi obbligatorio, al giudeo appropriarsi gli oggetti perduti dal non giudeo; ed eccone la incredibile ragione: rendere al non giudeo è un rendersi indegno della misericordia di Dio. E proprio di stretto obbligo il Maimonide avverte essere questa birbonata. «Chi restituisce, ha scritto egli, commette un peccato, perché fortifica la mano degli empii». La legittimità del furto ai cristiani è sfacciatamente professata dalle scuole rabbiniche. «Giacché la vita degl’idolatri (e tali son tenuti da’ giudei i cristiani) è data in discrezione agl’israeliti, molto più è dato ad essi il bene loro»: 146
questo è ammaestramento del rabbino Giuseppe Albo. «I possedimenti dei cristiani, secondo la Bava-Baria, sono o debbonsi aver in conto del deserto o dell’arena del mare: il primo occupante ne diverrà padrone, purché questo primo occupante sia israelita»: questo è insegnamento del rabbino Pfetterkorn. «È permesso truffare, quanto si può, un cristiano. L’usura col cristiano non solamente è permessa, ma è altresì opera buona; e perciò è lecito seguirla anco in giorno di festa. Tanto poi si dee togliere ad un cristiano, che ne resti rovinato». Questi sono documenti rabbinici, avuti per santi. Che poi questo fior di dottrina morale, abbracciante altre turpitudini, delle quali ci asteniamo di lordare la penna, non sia predicata a’ sordi, lo sperimentano tutte le popolazioni che dalla compagnia di questa razza sono infestate. L’illustre Maxime du Camp, de’ ladri giudei di Parigi pubblicò già una monografia che meriterebbe di essere voltata in tutte le lingue. Ma il colonnello Cerfbeer, israelita di stirpe, dopo fatto il computo che a’ suoi giorni, del 1847, nella Francia, i giudei condannati per ladrerie erano comparativamente il doppio degli altri francesi, aggiungeva quest’avvertenza, che vale un Perù: «Quello che differenzia i delinquenti ebrei dagli altri è, che i delitti loro sono di una perversità più maligna, perché frutti di una premiditazione. Tali delitti sono gli scrocchi, il falso, l’usura, la captazione, il fallimento doloso, il contrabbando, la falsa moneta, lo stellionato, la concussione, la frode e l’inganno sotto ogni forma e con ogni specie di aggravanti». Se non che, dopo quarant’anni, l’etica talmudica è progredita d’assai: ed il peggio è che, in grazia dell’eguaglianza civile, della quale il giudaismo è ora in possesso per quasi tutta l’Europa, la massima parte dei delitti che si commettono da’ giudei, o per una via o per un’altra, passa impunita, seppure non ha il premio di nastri e croci da cavaliere, o di titoli baronali. Chi dunque, con animo spassionato, indaga i fatti e i documenti, deve concludere che giammai non si è data ambizione più folle e tenace, e più sfrontatamente confessata di questa de’ giudei. Si arrogano di conquistare il mondo, di regnare sopra gl’imperi da essi abbatuti, di sottoporre a sé 147
ogni popolo; e si appropriano il diritto di rivendicare a sé i beni dell’universo, quale possesso legittimo, dato loro da Dio. In verità, a leggere e ad udire questa immane sfida d’un pugno di uomini, otto milioni circa, che la gittano in faccia ad altri mille e cinquecento milioni, e sul serio si vantano di averla a vincere, par di sognare! E poi non finiscono mai di lagnarsi delle persecuzioni, che han patite in addietro e tuttora qua e là soffrono! Ma queste sono state e sono conseguenze della loro prava pazzia. Da per tutto han fatto e fanno sfoggio dell’avida loro ambizione; da per tutto si son millantati e si millantano superiori, per privilegio divino, ai popoli tra cui ora vivono o son vissuti; da per tutto si son mostrati e si mostrano intrattabili, ostili, malefici alle nazioni che li hanno tollerati o li tollerano, beneficandoli persino col diritto di cittadinanza. Ad un effetto universale corrisponde sempre una pari cagione. L’avversione al giudaismo non è nata soltanto ne’ cristiani, pel deicidio commesso da giudei nel Calvario, ma è stata ed è costante ne’ mussulmani, negli arabi, nei persiani, come fu già nei greci, negli egizii, nei romani. Il chiaro P. Ratisbonne, di nascita israelita e per la sua conversione mutato in fervente ministro di Cristo, così con molta saviezza ragionava delle persecuzioni, mosse in ogni tempo e luogo a’ suoi antichi confratelli: «II male de’ giudei è di non saper aprir gli occhi, per conoscere le vere cause delle persecuzioni, fatte loro in tutt’i secoli e senza esempio. Nello scorrere delle età si son visti molti popoli malmenati da altri popoli. Queste sevizie però avevano un termine, né si usavano all’ora stessa in tutto il mondo. La persecuzione de’ giudei invece va segnalata, per la sua perpetuità e per la sua universalità. Codesto è un caso unico, il quale umanamente non si spiega». E da ciò lo scrittore risaliva a’ disegni della giustizia di Dio, che nel percotere questo popolo, emulo in terra della ribellione satanica né cieli, si manifesta inesorabile. Se non che le cagioni umane di questo fatto, unico nelle storie, sono da ascriversi alla sua cupidigia insaziabile di arricchire coll’usura, di prepotere colle perfidie e di dominare, tutto invadendo e tutto usurpando, quanto gli è possibile, negli Stati. 148
Questa è la legge immutabile del prosperare degli ebrei in un paese qualunque, che prosperano sempre a detrimento del ben essere e della libertà dei paesani. Parecchi anni prima che Roma cadesse negli artigli delle sette, i due illustri fratelli Lémann, ambedue passati dal giudaismo al sacerdozio della Chiesa, in un loro opuscolo che meriterebbe di essere ben meditato, scrivevano: «O israeliti di Roma, noi conosciamo le attitudini della gente nostra. Se vi fosse conceduto il diritto di proprietà che invocate, noi scommettiamo che, fra trent’anni, fra cinquant’anni al più, Roma non sarebbe più dei cristiani cattolici, Roma sarebbe nelle vostre mani». E la profezia è sul compiersi. La città di Roma si avvia a gran passi verso il giogo, che materialmente ed economicamente l’assoggetterà alla signoria degli ebrei, come vi sono assoggettate quasi tutte le metropoli dei grandi Stati d’Europa. Or appunto questa soggezione, che aggrava, sotto il riguardo economico, morale e politico, i popoli europei, racchiude in sé il nodo della questione giudaica de’ nostri tempi. La rivoluzione che in quest’ultimo secolo ha soqquadrato l’intero ordinamento cristiano di quasi tutti gli Stati, a pro di chi è ella stata fatta? Non dei popoli che ne sono rimasti oppressi: non delle monarchie, che ne sono uscite menomate. Se ben si considera, dee dirsi, che si è fatta a pro unicamente del giudaismo, il quale, in virtù de’ menzogneri principii di libertà, di fraternità e di eguaglianza, ha potuto colorire a man salva il suo cupo disegno di predominio, in un grado che mai non raggiunse, da che la spada dell’ira di Dio ne disperse i seguaci per tutta la terra. Quindi se v’è caso in cui valga l’effato de’ giuristi: Is fecit cui prodest, questo è il desso. Il 29 giugno 1869 si tenne in Lipsia un gran sinodo di israeliti, raccoltisi da tutti gli angoli dell’Europa, e fu presieduto dal dottor Lazarus di Berlino. Fra i talmudisti più rigorosi e gli ammodernati che, sebbene lassi ed impastati di razionalismo, pure han comune cogli altri l’odio al cristianesimo, si ebbero lunghe dispute. Ma tutte finirono coll’unanime approvazione di questa proposta, messa innanzi dal 149
dottor Philipson di Bonna e forte appoggiata dall’Astruc, rabbino maggiore del Belgio: «II sinodo riconosce, che lo svolgimento e la pratica dei principii moderni offrono sicurtà la più solida, pel ben essere presente e futuro del giudaismo e de’ suoi addetti. Questi principii racchiudono germi efficacissimi, per la sua vita florida e per la sua più ampia dilatazione». E in effetto i principii moderni, ossia i così nominati diritti dell’uomo, furono inventati da’ giudei, per fare che i popoli e i Governi si disarmassero, nella difesa contro il giudaismo, e moltiplicassero a vantaggio di questo le armi nella offesa. Acquistata la più assoluta libertà civile e la parità in tutto coi cristiani e coi nazionali, si aperse agli ebrei la diga che prima li conteneva; ed essi, qual torrente devastatore, in breve penetrarono da per tutto e scaltramente di ogni cosa s’impossessarono: l’oro, il commercio, le borse, le cariche più elevate nell’amministrazione politica, nell’esercito e nella diplomazia; l’insegnamento pubblico, la stampa, tutto cadde in mano loro, o di chi da loro doveva dipendere. Per guisa che ai dì nostri la società cristiana incontra nelle stesse leggi e costituzioni degli Stati l’impedimento maggiore, a scuotere il giogo dall’audacia ebraica impostole, sotto colore di libertà. Di qui viene la baldanza del giudaismo che, come diceva il principe di Metternich, somministra agli Stati «i rivoluzionari di prima sfera»: e la sicumera con la quale già prenunzia il finale trionfo suo sopra la cristianità. Lo Stern, ebreo, poté sclamare in Parigi, a udita di molti: «fra dieci anni, io non so come potrà fare un cristiano per vivere»: e quel Creso, fra i principi d’Israello, che è l’Hirsch, dall’alto della scala del suo regio palazzo, mirando salire ne’ suoi appartamenti, per un festino, la eletta dei nobili di Francia: – Vedi tu costoro? disse al figliuolo; dentro vent’anni, tutti dovranno essere o nostri generi o nostri portieri. E pur troppo non disse falso. Tali sommariamente sono le cause della questione giudaica, appena indicate. In un altro articolo ne mostreremo gli effetti principali. 150
Quella collana di apotemmi, che nel 1789 si disse costituire la sintesi dei diritti dell’uomo, nel fatto non ha costituito altro, fuorché i diritti degli ebrei, a scapito dei popoli, nel cui seno la pratica di questi diritti fu intronizzata. Essi sono stati come il palladio della potenza, colla quale il giudaismo nel nostro secolo ha cinta d’assedio la società cristiana, l’ha assalita, l’ha sconvolta e se n’è in grandissima parte impadronito. Il che si fa manifesto, per l’universale stupore in cui è l’Europa, a vedere che l’oro, la diffusione delle idee e l’indirizzo politico-irreligioso de’ suoi Stati è quasi totalmente in podestà degli ebrei. Onde il Chabany ha potuto stampare con verità un libro col titolo: Les juifs nos maîtres, I giudei padroni nostri, senza che nessuno l’abbia contraddetto. Sino dal 1847, il Cerfberr, presidente del Concistoro centrale israelitico di Francia, così descriveva il prosperare dei suoi congeneri in questo paese: «I giudei, proporzionalmente al loro numero, occupano più impieghi, che i cattolici e i protestanti uniti insieme. Il ruinoso loro influsso opera più che mai in que’ negozii, che maggiormente aggravano il patrimonio della nazione. Non vi ha impresa, alla quale largamente essi non partecipino, non prestito pubblico che non attirino a sé, non capitombolo disastroso che non abbiano preparato e dal quale non cavino profitto. A torto però si lagnano, come tutto giorno fanno, essi che godono il meglio dei favori e sopra gli altri si avvantaggiano». Ed il convertito P. Ratisbonne più tardi soggiungeva: «Per la loro destrezza ed ingegno, per lo stimolo di dominare, i giudei a grado a grado hanno occupate le vie tutte che conducono alla ricchezza, alla dignità, al potere. Del loro spirito è come impregnata la società moderna. Essi regolano la borsa, la stampa, il teatro, la letteratura, le grandi strade del commercio, per terra e per mare; e colla possanza dei capitali e dell’accortezza tengono al presente rinchiusa, come in una rete, tutta quanta la società cristiana». E ciò accade, non in una regione sola dell’Europa, ma poco meno che in tutte, se se ne eccettui la Russia. Come già a tempi dell’arianesimo fu un’ora in cui il mondo, senza avvedersene, di cristiano che era si trovò ariano; così oggi vive ammirato di trovarsi, per tre quarti, non più cristiano, ma o giudaico o 151
giudaizzante. Dal che è sorta la questione che quandochessia dovrà essere sciolta, secondo i diritti del cristianesimo. Sebastiano Nicotra cita il passo di un vecchio manoscritto testé scoperto, nel quale un ebreo dà nel seguente modo la chiave della potenza giudaica a’ nostri giorni. «Figliuoli miei, parla egli a’ suoi confratelli, Jehovah è con noi, e nella sua misericordia ci ha riservata un’arma poderosa, o per dir meglio, una virtù invincibile, che deve sollevarci in mezzo alle nazioni di Cristo, e sottometterle al nostro dominio. Questa virtù ha il suo nome nel libro santo, e si chiama usura. Il libro santo, voi lo sapete, ci proibisce l’usura tra i fratelli, nelle tribù, contro noi medesimi; però non la proibisce affatto contro lo straniero, contro l’infedele, contro l’inimico, affinché ci sia un’arma di guerra ed uno strumento di vittoria. Ci rimane dunque l’usura, e meglio che la fede e la morale di Cristo, l’usura è la piccola pietra staccatasi dalla montagna, che deve coprire il mondo; il grano di senapa, che dee formare quell’albero superbo, il quale dominerà il mondo». Nove anni fa un gran rabbino, tenendo in Parigi ragionamento a’ suoi fedeli, usci a dire: «Sotto pretesto di aiutare la moltitudine dei lavoranti, bisogna che si sovraccarichino d’imposte le terre dei possidenti maggiori; e quando la costoro proprietà (per l’usura) sarà passata in potere nostro, il lavoro dei proletarii cristiani sarà tutto a nostro vantaggio. La povertà è schiavitù, ha detto un poeta. I proletarii sono servi infimi degli speculatori, ma l’oppressione e la prepotenza servono umilmente l’astuzia. Or chi potrebbe negare ai figliuoli d’Israele l’acume, la prudenza e la perspicacia?». Questo fior di dottrina talmudica ha compenetrata l’anima del giudaismo contemporaneo, memore del detto biblico, che Pecuniae obediunt omnia. Colla libertà dell’usura, ha scritto il Michelet «i giudei hanno risolto il problema di volatilizzare la ricchezza: affrancati dalla cambiale, ora sono liberi, sono padroni: da ceffata a ceffata son saliti sul trono del mondo». Nel marzo decorso il direttore della Paal Mall Gazete di Londra spedì un suo corrispondente in Berlino, affinché si fosse abboccato col predicante della corte Stoecker, uno dei 152
capi più zelanti della lega antisemitica di Germania. «Io non odio i giudei, né voglio lor male, per animosità religiosa, disse egli in sostanza al messo londinese, ma come servo di Dio, perché pastore luterano, e come rappresentante della nazione, non posso restar muto, in sentire e vedere il male infinito che i giudei hanno fatto e fanno al paese mio ed in ispecie a Berlino. Qui l’ebreo ha tutto l’oro in mano e conseguentemente ha in mano tutto il potere. Non detesto gli ebrei perché ricchi, ma perché ammucchiano ricchezze con arti disoneste. Nelle campagne truffano i commercianti, e nelle città fanno lucri turpi. Sostengo quello che spesso ho detto: cioè che dal lato del traffico, degl’interessi sociali, della politica e della moralità, i giudei conducono la Germania al precipizio». Le cose là sono a tal punto, che il settembre andato il signor Ahlward ha potuto pubblicare in Berlino un suo libro, avente per titolo: La lotta di disperazione fra i popoli ariani ed il giudaismo, di sì paurosa evidenza, che il Governo ha creduto necessario sequestrarlo. Come in quel mese il Parlamento germanico, così l’austriaco risonò di alti richiami, contro la irrompente strapotenza finanziaria del giudaismo. I giudei furono banditi dieci volte dai dominii della Casa d’Austria; e vi presero poi stanza ferma sotto Ferdinando I, fratello dell’imperatore Carlo Quinto. Vi furono accolti e vi restarono nella condizione di servi del Santo Impero, fino ai tempi di Maria Teresa che li favorì variamente, secondo le diverse province. Nei paesi ereditarii tedeschi era loro interdetto l’accesso, fuorché in Vienna; erano invece ammessi nel regno di S. Venceslao, a patto però che non passassero un numero determinato di famiglie. Più largamente erano tollerati nel regno di S. Stefano, rimanendovi per altro vietato l’ingresso o l’immigrazione da altre contrade. La massima delle libertà godevano soltanto in Trieste. Dai ghetti del ducato di Mantova, della repubblica di Venezia, degli Stati Pontificii e del levante, potevano trasmigrare nel territorio triestino, pel quale ora affettano una tenerezza così strepitosa, col pretesto del patriottismo. Avvenuto il primo spartimento della Polonia, i giudei della Galizia e delle altre regioni polacche goderono del medesimo privilegio triesti153
no. Finalmente, dal 1848 al 1869, si ruppero tutti i freni difensivi dell’Impero, ed il giudaismo fu libero di invaderlo e d’insignorirsene, come ha fatto e fa al presente. Durante la discussione che si avvivò nel Reichsrath viennese, intorno alla questione giudaica, il valente oratore Lueger ebbe a dire, fra le approvazioni del maggior numero dei deputati: «La dominazione universale degli ebrei è per avventura favola? Guardate la Francia, guardate l’Ungheria. In quest’ultimo paese, l’infimo degli ebrei ha più potere che lo stesso Cardinale Primate. E qui, nell’Austria, in prova del predominio de’giudei, non istanno forse le faccende della ferrovia del Nord, e quelle dei petrolii, e quelle dei carboni; tutte cose cedute, in loro puro vantaggio, agli ebrei? E non è egli grave argomento di predominio, l’intendere il presidente del Reichsrath invitare il collega nostro Pattaï a non parlare qui del Rothschild, per timore che egli non faccia abbassare il corso dei pubblici nostri fondi?». Un’altra volta ci è occorso di mostrare in esempio l’Austria-Ungheria, corrosa dal giudaismo, peggio che una vigna in preda alla fillossera. Il ripeterne quel cenno è ora opportuno. La progenie di Abramo, in dieci anni, si è colà accresciuta del 2.07 per cento: da 1.154.000 che i suoi rampolli erano nel 1869, sono giunti ad 1.648.708. La capacità legale di possedere in proprio terreni fu estorta dagli ebrei dopo il 1848 in Ungheria, e dopo il 1862 nel resto dell’Impero. In sì breve intervallo, la famiglia dei Rothschild, ha, nella sola Boemia, acquistato il quarto del territorio, posseduto dalle sessanta più antiche case del regno; ed ora essa sola vi possiede il settuplo più che la famiglia imperiale. Oggi, nel regno di S. Stefano, gli ebrei hanno in poter loro tanta signoria, che godono più del quarto dei suffragi riservati nelle elezioni ai grandi possidenti; e cominciano a fregiarsi dei titoli e dei nomi delle più illustri casate di quella regione. La metà della contea di Neutra appartiene ora ad un unico ebreo, il barone Poppel. Il debito pubblico ungherese, che era nel 1873 di 221 milioni, nel 1885 montò a 1461 milioni, ed ora sorpassa i 1600 milioni. Ed il ministro Tisza, gran patrono dei giudei, 154
tre anni fa, propose di concedere uno sgabello d’onore nella corte ad Alberto Rothschild ed a sua moglie, per riconoscenza dei meriti di costui nello sfruttare il credito nazionale. Al danno si è voluto aggiungere la beffa. Ma più desolata è la Galizia. I giudei, nello spazio di poco più che vent’anni, si sono impadroniti dell’80% del suo territorio, e seguitano a comperarvi sempre le tenute e i poderi, messi all’incanto per mancato pagamento d’imposte. La tracotanza di questa razza nell’Impero degli Asburgo è venuta a tale, che poco fa un consigliere municipale giudeo di Vienna rispondeva pubblicamente ad un altro cristiano, il quale si lamentava del troppo piede che da per tutto prendevano gli ebrei: – Se i cristiani non possono tollerare questo stato di cose, il rimedio è pronto: se ne vadano fuori dell’Impero, emigrino a piacer loro. Di questo passo non andrà molto, e 2 milioni appena di stranieri usurai avranno espropriati di ogni lor patrimonio i 40 milioni di austro-ungheresi, che han concessa loro l’ospitalità e l’uguaglianza civile: ed in tutto l’Impero rivivrà l’uso dei latifondi coltivati da turbe di schiavi, a puro lucro dei novelli padroni. I discendenti degli antichi principi e magnati vi zapperanno gli orti e i campi degli emancipati rigattieri di Vienna, di Presburgo e di Buda; e le loro figliuole laveranno i piedi delle costoro Sare e Giuditte. Potremmo citare l’esempio altresì dei paesi balcanici, in ispecie della Rumania, alla quale il Congresso di Berlino del 1878, dominato dall’occulta potenza giudaica, impose l’obbligo di pareggiare gli ebrei in tutto ai connazionali ed ai cittadini; ed al presente divorano liberamente quel regno, come insaziabili cavallette. Potremmo citare la Russia, dove la terra posseduta dai nobili è per di più di due terzi ipotecata a banchieri tedeschi, in gran parte ebrei, e quella dei contadini cade di giorno in giorno in mano dei Koulaki, ossia usurai della campagna. Ma diamo un’occhiata alla nostra Italia, nella quale il giudaismo da trent’anni spadroneggia e saccheggia, che non più, se gl’italiani fossero preda nemica, da esso conquistata. I circa 50 mila giudei, che si annidano nella Penisola, vi hanno il centro principale nel Veneto, nel Mantovano, negli 155
antichi Stati Estensi e nel Ferrarese. In questa regione, che si può chiamare la Giudea italica, son essi i sopracciò in tutto e per tutto. Non si spende quasi una lira, senza il loro beneplacito. Il commercio, l’industria, il cambio, lo sconto, la proprietà rustica ed urbana dipendon da loro. Basti notare, che il territorio della provincia di Padova è per quattro sue parti posseduto da ebrei, e sopra l’altra quinta vi hanno essi il diritto, coll’ipoteca in mano. Ancona, Livorno, e Firenze vivono sotto il giogo usuraio degl’israeliti. Fra costoro, parecchi già vagheggiano il giorno, nel quale le ville più sontuose, le tenute più pingui ed i palazzi più celebri del patriziato cadranno in loro balia, per essere pegni di prestiti da essi fatti agli sconsigliati o imbecilli padroni, inabili a liberarsene. Due anni fa, uno di questi ebrei, che forse poco prima campava col vendere i fiammiferi nei lungarni di Firenze, morì lasciando a’ figliuoli suoi la bellezza di 18 milioni in contante, messi insieme come Dio vel dica. Nulla diciamo di Roma, più che dalle baionette italiane, occupata dai lacci della gran rete giudaica, la quale vi serra dentro ogni sorta di pesci piccoli e grandi; che poi restano ingoiati, con una successione di guai, di pianti e di miserie che muovono a pietà. L’usura, in questa Capitale ben più del giudaismo che dell’italianità, vi regna sovrana; e coll’usura vi passeggiano fastose la frode, la camorra e la rapina. E chi penetrasse i secreti di quelle bolge, che sono i lavori pubblici, i monopolii e le società diverse che servono lo Stato, vedrebbe con orrore i milioni inghiottiti, con quella stessa disinvoltura, colla quale il gran maestro della massoneria italiana, s’è beccati i suoi famosi, per la provvisione nazionale dei tabacchi. L’agosto 1887 un giudeo scriveva da Roma, ad un foglio giudaico tedesco, queste notabili parole: «L’onorevole Francesco Crispi è amicissimo degli ebrei e protegge i loro interessi con tutta la sua anima. In questo modo noi ebrei in Italia abbiamo una grande influenza sul Governo; il che ci rallegra assai, perché possiamo sperare di poter fare buoni affari e di godere il frutto de’ nostri lavori, senza essere disturbati». La Francia, sopra ogni altro paese, merita in questa materia, di essere considerata. Quello che, ultimamente, dopo 156
le rivelazioni del Drumont, si è posto in chiaro dell’accumulamento d’oro fattovi dagli ebrei, sotto l’egida dei diritti dell’uomo, promulgati appunto cent’anni or sono dalla stessa Francia, mette ribrezzo. Epiloghiamo. Nel 1791 i giudei colà erano scarsi, appena qualche migliaio; ché più e più volte n’erano stati banditi dai re, siccome peste malefica della nazione. Ora passano forse i 60 e si accostano ai 100 mila, tutti con tipi, con lingua, con nomi che li manifestano provenuti da Francoforte, da Amburgo, dalla Polonia, dal Portogallo. La rivoluzione del 1793, sanguinosa e sparnazzatrice dei beni della nobiltà e del clero, ve li attirò, qual branco di rapaci avvoltoi. Un secolo dopo son divenuti anche là, più forse che nell’Impero austriaco ed in Italia, dominatori d’ogni cosa. Stando ai computi più recenti, gli ebrei, che sono padroni della metà del capitale circolante sulla terra, nella sola Francia posseggono 80 mila milioni: ed il capitale francese è tutto insieme calcolato fra i 150 e i 200 mila milioni! Per farsi un concetto del mostruoso patrimonio ammonticchiato ivi da’ giudei, conviene paragonare il loro numero con quello dei nazionali. Fatta questa proporzione, si ha che ogni giudeo, in media, occupa un capitale che va dagli 800 mila al milione e 200 mila franchi; oveché ogni francese, al ragguaglio stesso, ne occupa uno che non passa i 6 mila franchi. La casa dei Rothschild, da sé sola, possiede notoriamente un patrimonio di 3 mila milioni. Il principe di Bismarck assicurava che il vecchio Giacomo, fondatore di quella casa, morì lasciando ai suoi ben 100 milioni, adunati in circa cinquant’anni. Eppure, quando entrò nella Francia, il suo capitale non passava i 10 milioni. Ognuno conosce in Parigi i palazzi di questa famiglia di Cresi ebraici. Il loro costo può valutarsi a 30 milioni, e l’interno delle magnificienze che li arricchiscono, ad altri 30. Ad uguale somma salgono i castelli e le fattorie che si gode. Sono oltre i 120 milioni di beni, esposti al sole, che questa unica casa si gode sotto gli occhi dei francesi, che non ignorano le migliaia di milioni, onde va ricca in capitali mobili. Ma non è la sola. Tutta la così detta alta banca è tra le granfie di giudei non francesi, in possesso di ricchezze inestimabili. La litania di que’ principi d’Israello è lunga; 157
e tutta composta di cognomi che sanno di francese, come quelli degli arabi e dei zulù. Gli Hirsch, i Dreyfus, i Bichoffsheim, gli Oppenheim, gli Erlanger, gli Hottinguer e via via, formano tutti insieme un sinedrio bancario, che rappresenta il valore di almeno 10 mila milioni; tutti cavati dalle vene della Francia, per grazia dei diritti dell’uomo, da essa inventati e concessi a questa razza cosmopolita e vorace. Oltre ciò, sopra 600 banchieri, quanti ne conta Parigi, non meno di 300 sono provatamente giudei, altri 100 lo sono probabilmente. I mestieri poi e le professioni di lucro maggiore e più pronto, sono quasi tutte da costoro arraffate. La metà degli orefici, de’ gioiellieri, degli antiquarii, dei trafficatori di pellicce e di diamanti è colà di ebrei. Il meglio è da loro accaparrato e monopolizzato, con una ostentazione di usura, che non ha più ritegno. E si conoscono i modi, peggio che da usurai, co’ quali hanno empiti d’oro francese i forzieri. I fallimenti dolosi non hanno numero; le famose truffe di centinaia e centinaia di milioni, col gioco dei finti prestiti e de’ raggiri, come quelli dell’Honduras e del Panamà, dell’Unione generale, dei metalli e del Comptoir d’escompte sono nella memoria di tutti. Nella colonia d’Algeri, che è svenata dagli ebrei, come un corpo fra i tentacoli della piovra, da quegli ebrei che il Crémieux, durante la guerra del 1870, con un capolavoro di perfidia, fece pareggiare nei diritti ai francesi ed agli arabi, le cose non vanno diversamente. Al giornale La France di Parigi, non certo ostile al giudaismo, si scriveva dal signor Hugonnet il 3 luglio 1884, che questa razza di ladroni usurai prestano ai soldati un franco, per averne due il giorno dopo: il Maupassant, dipingendo le sozze costumanze dei ghetti algerini, dipinge l’immondo ebreo in agguato dell’arabo, cui presta uno scudo d’argento, facendogli firmare l’obbligo di rendergliene 4 fra sei mesi, o 20 dopo un anno. Se il misero non lo può, l’ingordo giudeo, colla sua cedola in mano, gli mette in vendita qualche palmo di terra, se lo possiede, ovvero il cammello, o il cavallo, od i cenci che ha nel tugurio. Con questa bell’arte, poco meno che tutta l’Algeria meridionale è venuta in potere degl’israeliti. 158
Il dottore Ratzinger ha giustamente osservato, che l’espropriazione della società, col mezzo del capitale mobile, procede a regola, come fosse una legge di natura. Se nulla si fa per fermarne il corso, fra cinquanta o al più fra cent’anni, la intera società europea sarà abbandonata alla discrezione di un pugno di banchieri giudei. Se costoro seguitano a godersi la piena sicurtà che hanno, in virtù dell’uguaglianza civile, i loro patrimonii si accresceranno sempre del doppio e del triplo. Se, dentro la sola Francia, nel giro di un secolo, i giudei hanno potuto conquistare la bellezza di presso ad 80 mila milioni, passato un altro secolo, tutto quanto il patrimonio nazionale sarà nei loro artigli. Sessantamila persone comporranno una feudalità finanziaria, che avrà per servi e per ischiavi 36 milioni di francesi. E questo sarà il degno coronamento dell’opera, ivi cominciata, colla promulgazione dei diritti dell’uomo. Come oggi non si può negoziare in Europa un prestito, senza il buon volere dei Rothschild, così fra poco non si potrà nulla trafficare, senza il consenso e l’interesse della lega internazionale giudaica. L’ebraismo viene traendosi dietro il mondo incivilito, nell’adorazione del vitello d’oro, che rappresenta la sua potenza. «Non vi ha ormai, esclama Pietro Ellero, altra virtù sulla terra che l’industria, altra religione che il lucro, altro sacerdozio che il traffico, altro rito che le cambiali, altro Dio che l’oro». Effetto luculento del predominio ebraico! Al dominio dell’oro, la razza israelitica unisce quello che più direttamente soggioga gli spiriti: vogliamo dire il magistero della pubblica stampa e delle cattedre. Nel Congresso giudaico, tenutosi l’anno 1848 in Cracovia, al quale concorsero gli ebrei più ricchi del mondo, fu decretato che il disperso Israello si avesse da impadronire de’ più potenti giornali d’Europa. «Con questo mezzo, dice lo statuto che si approvò, la stella ebraica spanderà luce sopra tutto il globo». Ed a convincersi che questo decreto si è bene eseguito, basta non vivere nei deserti dell’Africa. Il giornalismo e la scuola superiore sono come le due ali, che portano il dragone israelitico, a rapinare e corrompere da per tutto nell’Europa. Il pastore Stoecker, da noi sopra 159
mentovato, diceva al messo speditogli dalla Paal Mall Gazete di Londra: «I giudei comprano la stampa, giacché la metà dei giornali è in poter loro, e l’usano per conto delle loro idee». Prima però, nel Parlamento di Berlino, egli aveva denunziato l’influsso giudaico sopra le scuole, siccome fonte di depravazione indescrivibile. I più recenti fogli tedeschi ci fan sapere che, sopra 1000 studenti, i quali frequentano i corsi di studii superiori nella Germania, 830 sono israeliti. Nel Parlamento di Vienna, il deputato Lueger, il marzo di quest’anno, diceva ai colleghi suoi: «Ricordatevi, o signori, che le nostre scuole sono in mano degli ebrei, che i nostri maestri cristiani sono subito processati, non appena una minima accusa venga contro loro fatta dagli ebrei; che i nostri impiegati non possono pubblicarsi per cristiani, se vogliono evitare le persecuzioni; che i nostri giornali, scritti cristianamente, son di continuo sequestrati». Ma poteva soggiungere, che le università dell’Impero rigurgitano di insegnanti ebrei: ed in ispecie la cattolica di Vienna, non ha altri cattedratici battezzati, fuorché quelli delle facoltà teologiche; gli altri tutti, crediamo che nessuno eccettuato, sono circoncisi. Al presente persino il suo rettore magnifico è giudeo. Che più? Trattandosi di scegliere un maestro, per l’infelice arciduca ereditario Rodolfo, si pensò non potersi trovar meglio del giornalista ebreo Weil, che poi si diede per convertito al cristianesimo, col nome di cavaliere di Weilen, e conferì tanto a guastare il cuore, prima sì pio ed innocente, del giovane e sfortunatissimo principe. Il somigliante accade in Italia. Può dirsi con verità che quasi tutto il giornalismo liberale di ogni grado, per diretto o per indiretto, è manipolato da’ giudei. Milano, Torino, Venezia, Modena, Bologna e Firenze vivono dell’opinione pubblica, fabbricata nei ghetti e nelle sinagoghe. I giornali così detti officiosi sono tutti, o poco meno, merce ebraica, venduta al Governo. Non parliamo di Roma, dove si stenta a imbattersi in un diario liberalesco, che non dipenda da Israello. I più letti, come la Riforma, la Tribuna, l’Opinione, il Diritto, il Messaggero, la Capitale, il Capitan Fracassa, escono dal cervello de’ figliuoli di Giacobbe. Che dire poi del pubblico insegnamento? Siamo contornati da ebrei nelle università, da ebrei nei licei, da ebrei nei 160
ginnasi, da ebrei nelle scuole elementari. Basti che, a conti fatti, nel 1885, la quarta parte degli studenti delle nostre università erano di giudei. Non parliamo della Francia. Tutti in genere i giornali repubblicani, che vi si stampano, escono da fucine giudaiche. Il quadro e l’elenco, che ne ha esposto il Drumont, tiene dell’incredibile. Ma quel ch’è peggio, tutta giudaica è la stampa pornografica ed irreligiosa, che insozza il paese e non ha pari in nessun luogo incivilito. E come il giudaismo tiene colà il principato nei fogli cotidiani e nei libri, così lo tiene nell’insegnamento; a tale che i testi, che s’impongono alle scuole popolari, sono in gran parte compilati da ebrei. Insomma dovunque, nella cristianità europea, sono giudei godenti l’uguaglianza civile, il giornalismo, la stampa e l’insegnamento, o sono soggetti al loro monopolio, o si risentono dei malefici influssi del loro spirito anticristiano. Ma questi non sono altro che mezzi, ordinati al fine di predominare effettivamente nelle cose pubbliche degli Stati, e condurle agl’intenti loro. Perciò gli ebrei si sono, con singolare accortezza, serviti dei diritti d’uguaglianza, per invadere il foro, l’esercito, il Parlamento ed i Consigli dei ministri, come hanno fatto per signoreggiare le scuole. L’Impero austriaco è, può dirsi, governato, in parte segretamente, in parte manifestamente, dagli ebrei; e quando la storia sarà libera di rendere a ciascuno il fatto suo, mostrerà che le grandi sciagure militari dell’Austria, in Magenta, in Solferino ed in Sadowa, furono più dovute alla fellonia de’ giudei, che non al valore della strategia e delle armi francesi e prussiane. Dell’Italia non accade ragionare: dal 1859 in qua, essa è divenuta un regno di ebrei, che hanno saputo gabbare la moltitudine dei grulli, spacciandosi pe’ più sfegatati patrioti della Penisola. «Che disgrazia per l’Italia, esclama il valente dottor Giovanni De Stampa, nazione che si vanta di essere forte e libera, l’avere un Parlamento che sembra una sinagoga! L’Italia conta 30 milioni di abitanti, tra i quali solo 50 mila sono ebrei; quindi al Parlamento non dovrebb’essere se non un mezzo ebreo; e invece vi si trovano in numero grande e terribile. Il Veneto ha l’onore di essere rappresen161
tato, nel Parlamento, quasi unicamente da ebrei». Come poi spadroneggiano nella Camera, così la fanno da maggiorenti nei pubblici ufficii, nelle banche, nei ministeri e persino nella diplomazia. Voi non potete muovervi, che non v’imbattiate in un ispettore, in un presidente di commissione, in un magistrato, in un segretario o consigliere giudeo. Non parliamo dei municipii, in molti dei quali i giudei esercitano autorità dispotica. E non abbiamo visto finora quello di Roma sottostare, nelle parti più gelose, ad ebrei, che neppure avevano d’italiano il cognome, o se lo portavano, l’avean preso in prestanza da qualcuna delle nostre città? Del resto chi ora ami ripassare colla memoria i nomi delle cento città d’Italia, basta che, passeggiando, osservi la mostra dei negozii, nelle vie più popolate di Roma, o scorra le liste dei sopracciò nei dicasteri del Governo. Il medesimo si dica della Francia. Nel Senato e nella Camera di Parigi se ne contano oltre 20; e pure non dovrebbero rappresentare se non poco più di 60 mila loro congeneri. Se i cristiani vi fossero rappresentati a questo saggio, il Parlamento dovrebbe contare non meno di 40 mila, fra senatori e deputati. Pochi anni addietro, 42 dipartimenti erano governati da prefetti giudei; e fra prefetti, sottoprefetti e ricevitori generali, se ne noveravano ben 200. La rivoluzione del 4 settembre 1870, sollevò all’apice del potere sei israeliti; ed il feroce Governo della Comune di Parigi ne contò, per capi e faccendieri suoi primarii, altri nove. Fra costoro si segnalò Gustavo Dacosta, che dava la caccia ai preti, il Lisbonne che tentò di mettere su una birreria, servita da briffalde in abito di monachine, e Simone Mayer che presiedette all’abbattimento della colonna di Vendôme. Stabilitasi poi la Repubblica, non s’è quasi costituito ministero, cui non partecipasse o il Crémieux, o il Raynal, o il Magnin, o il Lockroy; oppure il Say, il Ferry, il Floquet, mariti di donne venute dal giudaismo. Allo stesso modo poi che nell’Italia, nell’Austria-Ungheria e nella Germania, questi pezzi grossi regolano in Francia le faccende finanziarie e politiche a senno loro, cioè in pro dell’interesse loro e della loro potenza; spalleggiati come sono da un giornalismo che confonde, imbroglia, inganna e 162
spaventa chi alle voglie del giudaismo non si arrende. Quindi è che il grido: – I giudei sono padroni, ci tengono sotto i piedi, ci riducono al nulla, è non meno giustificato dal fatto, che generale. Ma l’opera insigne, che, coll’aiuto delle sètte massoniche, ha centuplicata la moderna potenza giudaica, è 1’Alleanza israelita universale, fondata in Parigi dal Crémieux, e che si stende per tutto il globo, conferendo ai vari gruppi di ebrei, sparsi in ogni angolo, la vigoria dell’intero corpo d’Israello. Onde a ragione il suo fondatore la disse «istituzione la più bella e feconda che sia sorta nei tempi odierni, e strumento di dominazione così poderosa, che governa il mondo». Di fatto essa costituisce una specie di potere pubblico, di rappresentanza ufficiale della nazione ebraica, con diritto di parlare in suo nome. Semplice è il suo organamento. Ogni giudeo può farne parte, a condizione che paghi una tassa di dieci franchi l’anno. La regge un sinedrio di sessanta membri, con titolo di commissione centrale, che risiede in Parigi, e corrisponde colle locali. Questi membri dirigenti sono eletti per suffragio universale, e restano in carica nove anni, rinnovandosene un terzo ogni triennio. Ovunque sono dieci aderenti, si può formare una commissione locale; ed ovunque sono parecchie di queste commissioni, può istituirsi una commissione regionale. È legame di dipendenza fra queste commissioni, ogni volta che si tratti di cose che importano a tutta l’associazione. Il numero degli aderenti, o ligi o adepti, passa i 30 mila, con un capitale in cassa che si dice di un milione, ma non ha cifra determinata, perché i Cresi del sodalizio non gli lesinano le offerte. A questo centro si rannodano altre innumerabili società, disseminate in ogni paese; ed oltre il giornalismo più divulgato per l’Europa, che dall’Alleanza prende l’imbeccata, alimenta assai altri fogli periodici, stampati apposta per gli ebrei. Il Crémieux ne definì il cosmopolitismo con queste parole: «L’Alleanza non è né francese, né tedesca, né inglese; è giudaica, è universale. Ecco il perché del suo prosperare e del felice successo che ottiene». 163
Chi sia vago di farsi una idea di quello che è quest’Alleanza, può ritrarla in qualche modo dall’infame romanzo II giudeo errante, scritto da Eugenio Sue contro la Compagnia di Gesù. Ciò che è calunnioso pei Gesuiti, è veramente storico per questi alleati; e gli stessi ebrei si sono mostrati stupiti di tale contrapposto. Uno degli oratori loro, nell’assemblea generale del 3 febbraio 1870, così rendeva conto del paragone, fattosi in una seduta dell’Alleanza, tra questa società e la Compagnia di Gesù: «II paragone fra le due società cammina, quanto all’estensione delle relazioni nostre coll’intero mondo: ma non va più innanzi. Troppa è la differenza che, pel resto, corre fra lor due! L’una (quella di Gesù) ha forza per opprimere, l’altra (quella del giudaismo) per liberare; l’una si allarga per soffocare la libertà, l’altra per apportarla; l’una mira a spegner la luce, l’altra a raccenderla; l’una sparge il freddo della morte, l’altra il calore della vita». È sempre il solito linguaggio di Satana loro padre (vos ex patre diabolo estis) che fin dal principio disse menzogna la verità e vita la morte. Non è difficile argomentare da ciò, qual peso abbia da avere, nella bilancia dei diversi Stati, il concorso di un esercito di questa fatta, composto d’uomini senza patria e tutti docili ai comandi, che partono da un centro solo. Si è veduto, quando questa società trattava all’aperto ed alla pari colle Potenze, inviando note, proteste ed ultimati, per conseguire la libertà degl’israeliti nella Romania. Anzi non erra punto chi tiene l’Alleanza israelitica per nerbo principale della massoneria, e vincolo d’unione fra le logge che arreticano il mondo incivilito. Noi non asseriremo, con varii autori, che la setta dei massoni fosse in su le prime creata da’ giudei. Questa sentenza non può provarsi, ed è contraria a quanto ci rivela la critica più oculata della storia. Bensì è certo che il giudaismo non tardò, nel secolo scorso, ad intromettervisi, e, colla usata sua finezza diabolica, ad informarla del suo spirito, ad indirizzarla a’ suoi intendimenti, ad incorporarsela ed a farsene vivo nerbo, per salire ove parea sogno sperarlo. 164
Per giungere a quel fastigio di dominazione, che fu sempre ed è il superstizioso termine del talmudismo, la genia israelitica ben capiva che un formidabile ostacolo le si levava contro, le chiudeva l’entrata nella società dei battezzati, e conseguentemente le impossibilitava il conquisto dell’agognata signoria. Vogliamo dire la religione cristiana, fondamento di tutti gli istituti e di tutte le leggi, ond’era da secoli uscito l’ordinamento del civile consorzio. Ma, per tentare l’abbattimento della religione cristiana, e della cattolica in ispecie, occorreva agli ebrei lavorare sott’acqua, e dissimulatamente mandare altri avanti, e dietro loro nascondersi; non iscoprire l’artiglio giudaico, da tutti esecrato: in somma, bisognava dare l’assalto con soldatesche non proprie, e far cadere la fortezza in nome della libertà. Era quindi necessario scalzare questa granitica base, e sovvertire tutto l’edilizio della cristianità. Ed a questa impresa han posto mano, mettendosi a capo del mondo occulto, per mezzo della massoneria che si sono assoggettata. I legami che stringono il moderno giudaismo al massonismo sono ora così evidenti, che sarebbe ingenuità recarli in dubbio. Lo studio appunto della così detta questione semitica, in Francia, in Germania, in Italia ed altrove, ha fatti venire a luce segreti, che si stimava fossero inscrutabili. Si sa ora quanto la cabala talmudica ha introdotto di suo nei riti, nei misteri, nei simboli e nelle allegorie dei grandi massonici: si sa che i giudei, non solamente si frammescolano a tutte le logge, e, dove abbondano di numero, le riempiono ancora di adepti del loro genere; ma che per di più ne formano alcune supreme o direttive delle altre, nelle quali non è lecito l’accesso, fuorché a gente israelitica di sangue e di culto. Onde si tiene per certo e fermissimo, che tutta intera la compagine della massoneria è regolata da un sinedrio ebraico, la cui possanza non ha altri confini, se non quelli della setta nefanda. Per lo che giustamente uno de’ più accreditati periodici di Francia ha scritto, che «giudaismo e massoneria sembrano oggi potersi esprimere con una formola identica: il giudaismo governando il mondo, bisogna necessariamente conchiudere, o che la massoneria si è fatta giudaica, o che il giudaismo si è fatto massonico». 165
Di quanti autori recentissimi abbiamo avuti sott’occhio i libri, nessuno, giovandosi eziandio dei documenti e degli argomenti altrui, ha dimostrato quest’intima connessione, meglio dell’illustre dottor Martinez, nell’opera da noi citata: e sarebbe un gran beneficio all’Italia, che venisse convenientemente tradotta. Al suo volume adunque ed a quelli pure del Drumont, dello Stolz, del des Mousseaux e di altrettali scrittori, rimandiamo chiunque brami conoscere a fondo una si fatta materia. E noi intanto chiuderemo la nostra enumerazione degli effetti provenienti in Europa dalla questione giudaica, accennando la identità pratica che corre, tra la formola del giudaismo e quella del massonismo. Il giudaismo si epiloga tutto in un amore ed in un odio: l’insaziabile amore dell’oro, auri sacra fames, e l’odio inestinguibile a Cristo: l’amore serve all’odio; e l’odio e l’amore debbon condurre all’apogeo di quell’impero, che è il delirio satanico del reprobo Israello. Si ricerchi la storia del massonismo, e si vedrà che, dal secolo trascorso ai dì nostri, altro pur esso non ha avuto in mira, se non accumulare ricchezze e guerreggiare a morte, nella società cristiana, Cristo e la sua Chiesa. Tutto il predominio, aperto o coperto, della massoneria è giovato alla cupidigia ebraica ed all’ebraica rabbia di atterrare la potenza cristiana, per provar di assidersi sulle sue mine. Dal 1° maggio 1789, giorno in cui si divinizzarono i diritti dell’uomo a puro pro de’ giudei, sino al 20 settembre 1870, in cui colle bombe si espugnò Roma e vi si fece prigioniero il Papato, le congiure, i tumulti, le ribellioni, gli assassinamenti, le stragi, le guerre, i fatti così detti rivoluzionarii, sortirono sempre e da per tutto il medesimo esito, di accrescere la opulenza agli ebrei e di deprimere ed opprimere la civiltà cristiana. I viva e i morte variarono secondo il bisogno, ma furon tutte menzogne, o per illudere i popoli, o per abbellire i misfatti. La libertà, che si è preteso di collocare sul trono, in onta al vero Dio ed al suo Cristo, è stata unicamente in utile degli ebrei. Per essa hanno acquistata piena facoltà di sopraffare le nazioni, e di stabilire che i pochi devono tiranneggiare tutti; e tiranneggiarli coll’impostura della legalità, nei 166
beni, nella coscienza, nella fede, nella famiglia, nel sangue stesso e nella vita. Da tanto spasimo di libertà, di eguaglianza e di fraternità è venuto fuori il despotismo delle oligarchie tiranniche, a cui si riducono gli Stati ammodernati: e chi guardi dentro scorgerà, che sono oligarchie di giudei, o di massoni, vili mancipii de’ giudei. Il diritto religioso dei cattolici è incatenato; questa è la libertà del giudaismo massonico. La licenza della bestemmia e del sacrilegio è convertita in pubblico diritto; questa è la sua uguaglianza. L’odio brutale, contro chi si professa fedele al Dio de’ padri suoi, è applaudito quale amor patrio; questa è la sua fraternità. Nella Roma dei Papi, il portare in processione per le strade la Croce di Cristo, è delitto: ma il portarvi il muso di Giordano Bruno o le corna di Satana, è nobile omaggio reso alla civiltà. Quindi è che, nell’atto pratico, giudaismo e massoneria si confondono e s’immedesimano, come il ferro colla mano dell’assassino che lo vibra, come la fiaccola col pugno dell’incendiario che la stringe. Da per tutto gli ebrei si sono ingrassati, impinguati, saginati col sangue dei popoli e della Chiesa; ma i massoni non son davvero rimasti digiuni. Si guardi l’Italia. Quanto gli ebrei, tanto i massoni si veggono saliti, da pezzenti che i più di essi erano, alla condizione di opulenti. I nostri massoni hanno ambita la gloria di morir poveri; ma poveri con ville, poveri con palazzi, poveri con tenute, poveri con grosse migliaia che hanno lasciate agli eredi. Vediamo settarii matricolati, che godono lautissime pensioni e le accumulano senza scrupoli: vediamo venerabili delle logge, che figgono gli artigli nelle pubbliche amministrazioni e fiutano prese di tabacco, che costano milioni. … I nostri massoni non possederanno tutte le perfezioni dell’arte di far quattrini, come gli ebrei: ma ed essi e questi posseggono costantemente quella di arraffarne di molti, per amore dell’Italia. Chi poi tocca la massoneria, punge nel puro dell’occhio il giudaismo; e chi offende il giudaismo, ferisce nel cuore la massoneria. Come hanno comune l’ingordigia dell’oro 167
e del prepotere, così vivono insieme di livore contro il cristianesimo. Sia d’esempio la Francia. Il motto di guerra: – II clericalismo è il nemico, fu concepito fra i rigurgitanti scrigni del giudeo Rothschild, e trasmesso, per via del Cousin, gran maestro della massoneria, al Gambetta, che lo inscrisse nella sua bandiera; ed i capi più furibondi della crociata contro il clericalismo, ossia la religione cristiana cattolica, sono stati i Dreyfus, gli Hérold, i Mayer, i Naquet, gli Spuller, i Lockroy, gli Ollendorft, tutti giudei stranieri, dai massoni levati sugli scudi. Fra i più spietati persecutori del cattolicismo, portano la palma i giudei Hendlé, Schnérb, Levaillant. Il giudeo Sée inventa i licei di fanciulle per scristianizzare al possibile la donna francese. Il giudeo Griedroye mutila i capolavori dei classici, per togliervi il nome santo di Dio, affinché non cada sotto gli occhi de’ giovanetti scolari. Il giudeo Lyon-Alemand fa destituire un maestro, perché avea lodato in un libro, dato alle stampe, l’influsso benefico del cristianesimo nella civiltà. Il giudeo Nacquet propone e fa approvare la scellerata legge del divorzio. I giudei strappano dalla scuola di Parigi i Crocefissi, li spezzano e li fanno gittare nelle cloache; e sostengono a spada tratta l’obbligo della scuola infantile laica, cioè senza e contro il Dio de’ cristiani. I giudei dimandano che la chiesa del Pantheon sia sconsacrata; e tosto sono esauditi. I giudei vogliono sbanditi gli Ordini religiosi dalle case loro e le suore dagli spedali; e subito son contentati. I giudei insozzano la Francia con un giornalismo il più lurido, il più infame, il più nauseabondo che si possa immaginare; ed i massoni alacremente lo propagano. In sostanza, i giudei colà governano l’opera di distruzione del cristianesimo e d’ogni nobile tradizione nazionale; ed i massoni rinnegati a tutt’uomo la eseguiscono. Abbiamo accennata la Francia, per esempio. Ma potremmo spaziare per tutti gli altri paesi, ne’ quali il giudeo è ammesso al godimento libero dei diritti civili. Da per tutto, dando la mano ai massoni, egli tende insidie all’oro e si svelenisce contro il cristianesimo degli abitanti. Perfino negli Stati Uniti d’America, abusando della libertà concessa loro dalla Repubblica di Washington, gli ebrei già si fanno 168
campioni della scuola di Stato neutra, in odio ai cattolici che, pe’ loro figliuoli, intendono avere pur cattoliche e libere le scuole. Di che il Freeman’s journal ha mandato testé un primo grido di allarme, che speriamo non sarà privo di effetto. Lo stesso dicasi dell’Italia nostra, avvegnaché, fuori del giornalismo, nel quale i giudei si mostrano alla scoperta, del resto si tengano più riservati; e tirino i sassi celando la mano. Tutto quell’ammasso di ruine che in trent’anni la rivoluzione massonica vi ha ammonticchiato, a perdizione del cristianesimo e dell’italianità, è dovuto al giudaismo reggente le sètte di varia specie, che ne’ suoi antri han fatto capo. … Se non che è superfluo dilungarsi a provare un fatto più manifesto che la luce di mezzogiorno. Più tosto indichiamo il termine ultimo al quale il giudaismo ha l’occhio, colla sua operazione anticristiana e depredatrice, per mezzo del massonismo. Questo è il dominio universale, l’impero del mondo, vagheggiato come articolo di fede dai tralignati cabalisti di Israele. «Circa trent’anni fa (ha stampato non è molto un autorevole personaggio in un suo libro) poco prima del 1859, un esimio diplomatico, conosciutissimo in Vienna, dalla cui bocca abbiamo noi stessi udito il racconto, veniva da una città capitale dell’America del Sud alla volta d’Europa, e con lui viaggiava il ministro brasiliano per gli affari esterni di quel tempo, gran maestro delle logge massoniche del Brasile. La lunga e noiosa traversata del mare fece che i due statisti si legassero in una certa amicizia. – Voi vedrete, disse un giorno il gran maestro all’altro, che si formeranno in Europa tre grandi Monarchie, la romana, sotto la Casa Savoia, la germanica, sotto gli Hohenzollern, la slava, sotto i Romanoff-Gottorf. Queste tre monarchie serviranno come di passaggio a tre grandi Repubbliche europee, dalle quali poi nascerà quell’unica grande Repubblica dell’umanità, la quale è scopo di tutti i fratelli iniziati». 169
Per la Repubblica, il giudaismo intende affermare la dominazione da per tutto, in quella guisa che l’ha afferrata e l’esercita sovrana nella Francia. Celebrandosi lo scorso anno 1889 il primo centenario della rivoluzione francese, si tenne al grande Oriente massonico di Parigi un Congresso di rappresentanti le logge dei due emisferi, così che poté dirsi mondiale. Gli atti di questo conciliabolo sono venuti a luce sufficiente, coi discorsi ed i brindisi che vi si fecero udire. Quale fu il punto sul quale più si premette e quale l’augurio, o meglio la profezia più acclamata, che gli oratori vi fecero risonare? Ecco: che il mondo cristiano, cent’anni dopo i rivolgimenti del 1789, era all’agonia; e per l’anno 2000 sarebbe finito: che la distruzione delle Monarchie e delle religioni, nei paesi immuni ancora dai beneficii delle gioie del 1789, era vicina: che finalmente sorgerebbe quella Repubblica universale, al cui avvenimento si propinò con furibondo entusiasmo. Siccome nelle Monarchie s’incentrano, colle tradizioni dinastiche, i patrimonii morali e civili delle varie nazioni, e dalle Monarchie la religione comune suol essere tutelata, quale forza precipua degli Stati, conforme si vede in tutti i paesi non sopraffatti dalla massoneria; così ne viene che il tramarne la ruina, per sostituire alla solidità dei troni la fragilità dei Governi a popolo, è di utile sommo agl’intendimenti di una razza, che non ha né patria, né culto pubblico, né forma propria di reggimento, ma vive disseminata fra tutte le regioni, per tutte soggettarsele. Tuttavia s’ha da notare che il disordine politico, religioso ed economico, derivato in Europa segnatamente dalla questione giudaica, ha originato quel socialismo, che avrebbe da far tremare le vene e i polsi ai giudei. Perocché sembra dover essere questo il formidabile flagello nella superna giustizia, per fiaccare la superbia giudaica de’ tempi nostri e farle, tutto in una volta, pagare il fio della sua luciferina tracotanza. … Chi percorra la storia si avvede, che la questione del predominio de’ giudei fra cristiani è tanto antica, quanto la cristianità medesima. Non vi è uno Stato, che ne’ suoi annali 170
non trovi registrato un frequente avvicendarsi di permissioni ai giudei di soggiornare nel suo territorio, con solenni loro cacciate, per cagione degli abusi e disordini che vi commettevano. Se non che, fino al secolo nostro, la stirpe ebraica era nei Regni cristiani puramente tollerata, e cioè nemica, straniera e malefica, avuta in continuo sospetto e regolata da leggi particolari di eccezione, costituenti la comune difesa contro la loro dimora. Al presente non è più cosi. Per grazia dei principii della rivoluzione, prevalsi quasi da per tutto, il giudeo è stato ammesso al godimento del diritto comune: le leggi lo considerano eguale in ogni cosa agli altri, e lo proteggono al modo stesso che gli altri cittadini. Quindi la politica di difesa delle società cristiane è stata abolita, e s’è concessa al giudeo piena libertà di offesa alle società medesime, che nel seno loro lo albergano. Tale è la principalissima conquista di libertà, che il giudaismo, col mezzo della massoneria, dove a sé sottoposta e dove sua alleata, è giunto ad ottenere. Ma per darle costanza, si è forzato di abbattere tutto ciò che di storico e di nazionale era nelle istituzioni dei varii Stati, riducendoli tutti, quali più quali meno, eccetto la Russia, a tali forme di Governo, che assicurassero la somma del potere alle mani di oligarchie, per diretto o per indiretto, da sé dipendenti, come sono le moderne parlamentari, che si pretendono, con una perpetua finzione di diritti, governanti nel nome della sovranità nazionale, e nel fatto ci danno i pochi che legalmente tiranneggiano tutti gli altri. Stabiliti, quali assiomi di gius pubblico, i principii della uguaglianza di tutti in tutto; nel diritto che hanno i partiti prevalenti a reggere la nazione, e dello Stato senza religione; il giudaismo, collo strumento della massoneria, ha potuto toccare il fastigio della potenza che lo inebria, ed avere in balia i popoli cristiani da saccheggiare, da corrompere e da calpestare, come ora nella maggior parte dell’Europa sta facendo. L’arma più valida della difesa, contro il giudaismo oppressore, è adunque spezzata in pugno ai cristiani; e finché son tenuti in auge gl’insidiosi diritti dell’uomo, promulgati nel 1789, e gli Statuti parlamentari, come oggi si praticano, 171
non vi è umana speranza di liberazione cristiana dal giogo ebraico-massonico, che spossa e perverte le popolazioni. Con ragione pertanto il citato scrittore, invitante i cristiani a stringersi in lega difensiva, ne dimostra la necessità con queste verissime parole: – Intendetelo, o cattolici, intendetelo voi tutti, che, sebbene non vi conformiate alla religione di Gesù, siete però nati cristiani, cioè figliuoli di parenti inciviliti; i giudei, ancora barbari nel secolo diciannovesimo, conservano l’antica forza offensiva: e non la conservano solamente, ma la centuplicano, co’ loro assalti a traverso la breccia aperta loro dalla rivoluzione, e sopra noi si precipitano, sicuri del trionfo. E voi, voi avete perduto il diritto di difendervi: di fronte al nemico a metà vittorioso voi siete rimasti disarmati. Ecco il pericolo che accresce mille volte più che in passato i rischi del nostro conflitto col soverchiante giudaismo. Per virtù di quali principii o diritti, la rivoluzione potrebbe mai ributtarne l’invasione? Lo Stato è ateo, o, se non altro, si dichiara neutro fra le religioni, e lascia libero il campo, non alla migliore, ma alla più audace nel congiurare. Per di più, ha bandita l’egualità assoluta di tutti i cittadini, la libertà senza restrizioni; e ciò posto, la società si trasforma in un azzuffamento di forze diverse e contrarie, fra le quali la più poderosa avrà il sopravvento. E questa, per mala sorte, è sempre la più iniqua, non curante la disonestà nella scelta delle armi. Ciò premesso, riferiamo anzi tutto alcune proposte di pubblicisti, non già mossi da maltalento di socialismo contro le ricchezze degli ebrei, ma caldi di uno zelo per la religione e per la patria, che per altro si desidererebbe meglio temperato da giustizia. Vi è in Germania, in Austria ed in Francia una scuola, che mette avanti un rimedio di liberazione dalla peste giudaica, il quale per sé sarebbe più radicale di tutti, ma non conforme allo spirito cristiano: e nella pratica impossibile pel presente. Dopo provato con cento fatti e documenti che, in genere, gli ebrei sono una piaga della società cristiana, ed un flagello della Chiesa di Gesù Cristo, dimostrano che il diritto di far loro guerra, come a pubblici nemici, è manifesto. Ma non 172
convenendo ricorrere a spargimento di sangue, in due punti restringono il da farsi: – Il giudeo renda quel che ha rubato; e poi abbia il bando dal nostro suolo. Colla confisca de’ suoi beni e coll’esiglio, si ricambii del gran male da lui fatto ai paesi che gli hanno largita l’uguaglianza giuridica, e si punisca della malefica sua disconoscenza alla loro civiltà. Che la confisca sia giusta, chi può dubitarne? La maggior parte dei tesori che i giudei posseggono, è roba di malo acquisto: colla frode, coll’usura, colle truffe l’hanno messa insieme; e se non si pone un termine allo scandaloso loro accumulamento, fra poche diecine d’anni, quasi tutto il capitale mobile ed immobile dei cristiani sarà preda loro. Ora il riprendere ai ladri il maltolto è lecitissimo, se non sempre ai singoli in particolare, certamente alla nazione derubata. Che più? Dato ancora, e non concesso, che i beni ammucchiati dai giudei fossero di buono acquisto, posto che si ha diritto legittimo di far loro la guerra, si ha per certo quello di condannarli al minor male della confisca. Si aggiunga che l’oro è l’arma più potente che usino i giudei, al fine di sterminare la religione e di opprimere il popolo: dunque, a dire il meno, per titolo di necessaria difesa, si ha il diritto di strapparla loro di pugno. E quand’altro argomento non si avesse, si ha il diritto ad un compenso, per gl’inestimabili danni materiali e morali che alle genti cristiane hanno recati. Quindi ecco il caso di far vera la memorabile sentenza del celebre Pietro il Venerabile: Serviant populis christianis, etiam invitis ipsis, divitiae Judaeorum: benché a lor dispetto, le dovizie raccolte dagli ebrei ridondino in vantaggio dei cristiani. Questa prima parte del rimedio tornerebbe un far quello che, anni indietro, in un’adunanza di antisemiti, fu espresso a maniera di voto: – Si applichino ai giudei le leggi, che i giudei stessi hanno fatte approvare e sancire dai framassoni, governanti nei paesi cattolici, contro la Chiesa. Con un decreto di due righe, si dichiarino nazionali tutti, senza eccezione, i beni de’ giudei. Si avrebbe subito di che pagare i debiti pubblici degli Stati. 173
Non è mente nostra diffonderci in un esame critico di sì fatta proposta. Notiamo soltanto, che della sua esecuzione abbondano gli esempii nelle storie. Ma, per essere legittima, bisognerebbe, prima di tutto, che la confisca fosse decretata da chi esercita regolarmente nelle nazioni la pubblica autorità: ed in secondo luogo, che si effettuasse con certe norme di giustizia e di carità cristiana. Non tutti gli ebrei sono ladri, arruffoni, bari, usurai, framassoni, farabutti e corruttori dei costumi. In ogni luogo se ne conta un numero, che non è complice delle furfanterie degli altri. Perché involgere questi innocenti nella pena dovuta a’ rei? Rispondono i sostenitori dell’eroico rimedio, che nelle guerre più giuste e sante altresì perisce gran numero d’innocenti; che tutti, senza distinzione, gli ebrei sono tra loro solidarii; che tutti nutriscono in cuore odio capitale al cristiano; che tutti, per una guisa o per un’altra, concorrono al suo perdimento; che l’esperienza di altri tempi ha mostrato, come l’ebreo sempre si sia abusato della clemenza e della carità dei cristiani, per rifarsi ad insidiarli: e che perciò questa, non vendetta, ma legge di necessaria difesa, dovrebbe andare sopra ogni altro riguardo: Salus populi, suprema lex esto. Giacché si tratta di un mero disegno, che per ora sicuramente non sarà colorito, così noi lo lasceremo dove sta; paghi di soggiungere, che la giustizia e la carità avrebbero, in ogni caso, di buone ragioni da far valere contro la crudezza delle sue troppo draconiane disposizioni. Ma la confisca non basterebbe, seguitano a dire i propugnatori di questo rimedio; gioverebbe anzi poco, se al nemico comune si desse un asilo nel territorio. Non si dica: Morte al giudeo! ma si dica: Fuori il giudeo! Viva pure, ma lontano da noi. – Più che dieci secoli di prova, scrive un autore francese, ci fanno esperti che, tra la stirpe nostra e l’ebraica, corre una incompatibilità di umori al tutto invincibile. Mai noi potremo insieme vivere, immuni da sommi rischi. Già sino dal tempo del rinascimento, il Vescovo Simone Maiolo, nel suo famoso libro De perfidia Judaeorum, insegnò ai cristiani 174
l’unico partito che restava loro, per liberarsi da questi nemici implacabili del loro nome, della loro patria, della loro fede, della loro pace, dei loro beni, che egli chiamava traditori, ribaldaglia la più scellerata del genere umano, esercito di arpie, gente da forca (furciferi), flagello dei galantuomini, indegna di essere tollerata. Il conceder loro, come ha fatto la rivoluzione, il diritto di cittadini, è stato uno scatenar vampiri sopra il paese; un aprire, per sentimento di umanità, le gabbie ad un serraglio di bestie feroci. Questa razza non ha diritto alcuno di albergare nel nostro suolo. Quando vi sta, o vi sta per toglierlo a noi cristiani, o vi sta per congiurare ai danni della nostra fede. Si tratta di un nemico, che mira a spropriarci della terra ed a privarci del cielo. Noi ci limitiamo ad osservare, che ancora di questo bando generale, dato ai giudei da interi Regni e Stati, si hanno molti esempii: ma il bando era legittimo, perché veniva dato dalla legittima autorità. Per altro, se questo rimedio si avesse universalmente da praticare in tutti i paesi civili, in quale plaga dell’orbe si troverebbe più posto per gli 8 milioni di giudei, che sparsamente si annidano da per tutto? – Vadano dove lor piace, replica il detto scrittore; la loro dannazione è di errar sempre vagabondi. Ebbene, errino dunque per lo mondo. Noi non cesseremo di ripetere l’antica preghiera della sacra liturgia: Auferte gentem perfidam Credentium de finibus Per quanto, in certe congiunture ed in particolari paesi, questa cacciata in massa, come oggi si direbbe, potesse giustificarsi, pure nell’atto pratico non sarebbe generalmente possibile: anzi contrarierebbe i disegni di Dio, il quale di Israello, maledetto e disperso in ogni angolo della terra, ha fatto, per bocca de’ suoi profeti, un palpabile argomento della verità del cristianesimo. Altro è stato sempre lo spirito della Chiesa, dei Papi e di principi cattolici verso questo popolo che, da ormai venti secoli, porta in sé l’anatema del deicidio: Sanguis eius (Jesu) super nos et super filios nostros, come a sé ed alla sua 175
progenie imprecò la sinagoga di Caifasso. «I Papi, notano, i due fratelli Lémann convertiti dal giudaismo, i Papi hanno sempre permesso con benevolenza agli ebrei il soggiorno nella città loro. Questo popolo errabondo aveva libertà di non andarvi, ma sempre vi è andato, e, per gratitudine, chiamava Roma il Paradiso degli ebrei». Ed i re per lo più hanno imitato i Papi. Hanno sì tollerata la presenza de’ giudei nei loro Stati; ma contr’essi, con provvide leggi, han difese le sostanze e la fede de’ lor sudditi cristiani. Onde, ammesso pure che il rimedio dello scacciamento universale degli ebrei fosse ora praticabile, sarebbe difforme dal modo di sentire e di operare della Chiesa romana. I seguaci di una scuola più mite offrono, pel raffrenamento della prepotenza giudaica, suggerimenti di varia specie e vigore, ma pure assai difficili, ne’ tempi odierni, ad attuarsi. Oltre quelli di ordine morale, che concernono le relazioni dei cristiani cogli ebrei, e le politiche riguardanti la libertà della stampa, forza precipua del giudaismo, e la tolleranza delle sètte massoniche; ne presentano di economici o sociali, tra cui primeggiano quelli che si riferiscono alla proprietà del suolo ed al così detto capitalismo. Certo è che i prestiti usurarii, fatti dagli ebrei con ipoteca sui beni immobili, d’anno in anno agevolano il passaggio del territorio nazionale, dal possesso dei cristiani in quello de’ giudei. Nell’Austria si fa conto che annualmente da 10.000 poderi, per questa via, cadano in mani giudaiche; e nella Francia e nell’Italia ed altrove le cose non vanno molto diversamente. Di questo passo si arriverà a tal punto, che il territorio coltivabile di queste differenti nazioni si muterà in immensi latifondi, goduti da un pugno di Cresi stranieri, ai quali i popoli serviranno come schiavi. Or ecco il rimedio che si sporge a un tanto male: una legge composta di due semplici articoletti: 1) È vietato a qualsiasi forestiero ogni possesso rurale nel paese; 2) I giudei sono assimilati ai forestieri. Il primo articolo sarebbe una cautela difensiva della nazione, pienamente giusta. Si badi, che il divieto si restringerebbe alla sola proprietà rurale: il forestiero potrebbe averne 176
di urbane. Circa il secondo, sarebbe esso richiesto dalla qualità del giudeo, sempre fra noi cosmopolita, perché sempre e solo giudeo, né mai tedesco, inglese ed italiano, fuorché pel semplice caso di essere nato in Germania, nell’Inghilterra o in Italia. E questo cosmopolitismo della loro stirpe è da’ giudei medesimi confessato. Né, come avverte il de Pascal, vale ricorrere al giocherello della uguaglianza e del diritto comune. Volere un diritto comune, fra condizioni sociali disparate, è come volere una misura eguale, fra stature diverse. L’equo, il necessario, conforme soleva dire un grande uomo di Stato, è il rispetto uguale a diritti differenti. Questo intesero molto bene gli avi nostri; e perciò il loro edificio civile, alla fine dei conti, sorgeva in una bella armonia e non nell’anarchia, che ai nostri giorni si deplora. Se non che a questa difesa esterna sarebbe d’uopo unire un savio regolamento interno della proprietà, della minore e della minima in ispecie, pel quale fosse preservata dalla rapacità dell’usura. Dove non si stabiliscano così fatte guarentigie, il proletariato delle città s’ingrosserà sformatamente da quello delle campagne; plebe che, sciolta dal vincolo che la lega alla terra, rimarrà senza patria, senza tetto, senza letto, in preda a chi saprà servirsene per isconvolgere la società. Poco però si guadagnerebbe, se insieme non si provvedesse, con buone leggi, agli abusi del capitalismo, centro vitale dell’odierna potenza ebraica in Europa. La così detta libertà del commercio del denaro, sotto cui si occultano le infamie più esecrabili dell’usura, è tanto funesta all’ordine economico delle nazioni, quanto la libertà della stampa all’ordine loro morale, politico e religioso. Il dottore Ratzinger avvisa giudiziosamente, che «l’espropriazione della società, per mezzo del capitale mobile, si vien compiendo con quella esatta precisione, con cui si compiono le leggi della natura. Se nulla si oppone a fermarla, fra cinquanta o cent’anni al più, tutta la società europea cadrà, coi polsi e coi piedi legati, in balia di poche diecine di banchieri ebrei». È superfluo, per l’uopo nostro, venire ai particolari delle molteplici riforme che questa scuola, savia ed animata da ottimi intendimenti e conciliatrice dei diritti dei popoli cristiani 177
colla carità e giustizia dovuta agli ebrei, espone ed illustra, al fine di liberare la cristianità dell’oppressione del giudaismo. Ma per sino a che la cristianità non sia sottratta al giogo politico della massoneria, vano sarà proporre e discutere partiti di liberazione. L’unico e più solido di tutti è nel tornare indietro, e rifare la strada che si è sbagliata. Se non si rimettono gli ebrei al posto loro, con leggi umane e cristiane sì, ma di eccezione, che tolgan loro l’uguaglianza civile, a cui non hanno diritto, che anzi è perniciosa non meno ad essi che ai cristiani, non si farà nulla o si farà ben poco. Data la necessità della loro presenza nei vari paesi; e data la incommutabile lor natura di stranieri in ogni paese, di nemici della gente di ogni paese che li sopporta, e di società separata sempre dalle società colle quali convivono: data la morale del Talmud che seguono, e dato il domma fondamentale della loro religione, che li sprona ad impadronirsi, con qualsiasi mezzo, del bene di tutti i popoli, perché alla razza loro conferisce il possesso e l’imperio del mondo: dato che l’esperimento di molti secoli e quello che facciam ora ha dimostrato e dimostra, che la parità dei diritti coi cristiani, concessa loro negli Stati cristiani, ha per effetto o l’oppressione dei cristiani per fatto loro, od i loro eccidii per parte dei cristiani; ne scende di conseguenza, che il solo modo di accordare il soggiorno degli ebrei col diritto dei cristiani, è quello di regolarlo con leggi tali, che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani, ed ai cristiani di offendere quello degli ebrei. E questo è ciò che, in guise più o meno perfette, si fece pel passato: questo è ciò che gli ebrei da cent’anni in qua si sono studiati di disfare: ma questo è ciò che, tosto o tardi, per amore o per forza, si avrà da rifare; e forse gli ebrei medesimi saran costretti di supplicare che si rifaccia. Perocché la strapotenza alla quale il diritto rivoluzionario li ha oggi sollevati, viene scavando loro sotto i piedi un abisso, pari nella profondità all’altezza in cui sono assorti; ed al primo scoppiare del turbine che essi, con questa loro strapotenza, vengono provocando, straboccheranno in un tale precipizio, che sarà per avventura senza esempio nelle istorie loro, com’è senza esempio la moderna audacia, colla quale conculcano le nazioni che follemente li hanno esaltati. 178
Non mancano scrittori i quali opinano, che la questione giudaica si debba risolvere colla conversione di Israello al cristianesimo; e questa sia per essere quel trionfo della Chiesa, che preparerà la fine del mondo, uno de’ cui segni precursori si avrà appunto nel ritorno degli ebrei al Dio da lor messo in croce nel Calvario. Questa conversione, di cui si vedono indizii non oscuri, farebbe riversare in vantaggio di essa Chiesa le immense ricchezze, che il giudaismo possiede e la sconfinata influenza che esso quasi dappertutto ora esercita. Che l’ingresso dell’apostatico Israello nell’ovile di Cristo sia uno dei segni, dati nelle sacre Carte, come precedenti la consumazione dei secoli, è fuori di dubbio. Ma che i prodromi di un tale ingresso sieno incominciati, non sappiamo come rendercene persuasi. Il suo popolo, disperso ed errante, che deve sempre sussistere, affinché, non solo col deposito delle Scritture che custodisce, ma ancora col suo stato medesimo, testifichi la fede di Gesù Dio, rimane oggi quello che diventò dopo la distruzione di Gerusalemme; senza re, senza sacerdozio, senza tempio, senza patria, senza speranza e nemico acerrimo del nome e della Chiesa di Gesù Dio, da’ suoi antenati crocifisso. Che poi accenni a mutare in meglio e ad abbracciare per Salvatore il Gesù che uccise, non ne scorgiamo indizii, né chiari né oscuri. Vi ha chi li scorge nel diritto di uguaglianza civile, che pressoché in ogni luogo ora gode. Da questo pretendono alcuni essere derivato, che molti giudei si sono fatti scredenti e non professano più niuna religione, fuorché quella del vitello d’oro; e molti altri, con frammischiarsi più liberamente ai cristiani, si sono accostati alla Chiesa, nel cui grembo, senza strepito, ma in buona quantità, vengono entrando. Se stiamo a quello che si vede e si tocca, ed abbiamo a lungo provato, ci pare si possa dire che la uguaglianza, largita agli ebrei dalla setta anticristiana, ovunque si è usurpato il governo dei popoli, ha partorito l’effetto di collegare l’ebraismo col massonismo nella persecuzione alla Chiesa cattolica; e d’innalzare la razza giudaica sopra i cristiani, nella potenza occulta e nella opulenza manifesta. Che non pochi israeliti si facciano protestanti, o meglio fingano di 179
arruolarsi al cristianesimo razionalistico dei luterani, dei calvinisti, degli anglicani e via dicendo, è cosa notoria: ma è pure notorio, che a queste simulate conversioni si muovono per tutt’altro fine che religioso. Che poi altri passino dalla sinagoga al cattolicesimo, sarà vero, se si dà che lo facciano segretamente; ma appunto perché segrete, tali conversioni non bastano a formare un indizio riconoscibile per niente. Del resto sempre in ogni secolo Dio ha tirati alla sua Chiesa spicciolatamente, quando più quando meno, giudei in riguardevole numero: né sarebbe agevole fare il confronto dei convertiti ai tempi nostri, coi convertiti nei tempi scorsi. Ma certo è che al presente il giudaismo, considerato nel suo tutto, mostra tender senza paragone più all’odio ed all’abbattimento del cristianesimo, che alla benevolenza per esso ed alla sua edificazione: ed il satanismo onde la massoneria è invasa contro quanto sa di cattolico, da nulla è così scaltramente alimentato, come dalla penna, dai maneggi, dalle suggestioni e dall’oro degl’israeliti. Per lo che se la risoluzione della questione giudaica in Europa avesse da differirsi fino all’apostolato di Enoch e di Elia, pensiamo noi che si avrebbe tempo di vedere prima l’Europa diventar per lunghi secoli un gran tenimento, sfruttato da’ giudei, coll’opera e col sudore dei cristiani ridotti a schiavitù. Non è questo adunque un rimedio al quale possiamo acconciarci, siccome fantastico troppo da una parte, e troppo rimoto da un’altra. Quale debba essere la vera soluzione del problema ed il radicale rimedio del morbo giudaico in Europa, si è chiaramente mostrato; come si è mostrata la impossibilità pratica di ricorrervi, sino a tanto che si abbiano Governi, i quali al decalogo, alla fede ed al Vangelo di Cristo mantengono surrogati i principii dalla rivoluzione francese divinizzati. Se le società cristiane, allontanatesi dalla Chiesa di Gesù Cristo, non fanno ritorno ad essa, indarno aspetteranno la liberazione loro dal ferreo giogo de’ giudei. Finché durerà il peccato, durerà anzi si aggraverà la pena. L’apostasia dei greci fu punita dai maomettani, che ne annientarono l’Impero. Lo strumento d’ira, scelto dal cielo per 180
punire la cristianità degenere del tempo nostro, sono gli ebrei. Il loro predominio sovr’essa viene crescendo, col prevalere in essa del malvagio spirito, che ai diritti di Dio ha fatti succedere nel suo seno i diritti dell’uomo. La giustizia dell’Eterno si serve del più apostatico e maledetto dei popoli, per flagellare l’apostasia delle nazioni dalla sua clemenza più favorite. La Francia ne sta in esempio. Essa ha testé celebrato il primo centenario di quella rivoluzione, che l’affrancò da Dio, dalla Chiesa e da’ suoi re: ma come lo ha celebrato? Prostrata nella polvere del massonico tempio di Salomone, umiliata sotto i piedi della sinagoga talmudica, mancipia di un branco di stranieri avvoltoi, che già le hanno succhiati tre quinti del patrimonio degli avi. E così la rivoluzione del 1789 le ha recato il glorioso vantaggio di passare, dalla nobile soggezione de’ suoi re cristianissimi, alla ignobile servitù dei re di mammona. E dalla Francia impari l’Italia. Essa è quella a cui, da ben trent’anni, il massonismo, più che ad altra nazione, infiltra il veleno delle libertà che hanno pressoché uccisa la Francia. E gli effetti appariscono deplorevolissimi, non solo pel riguardo politico, economico e morale, onde sempre più acquista somiglianza colla sorella maggiore; ma eziandio per quello della schiavitù al ghetto, il quale, per mezzo della massoneria, ogni anno più se l’assoggetta. Si formino pure leghe di cristiani, che oppongano qualche argine alla irrompente fiumana del giudaismo, il quale, sciolto da tutti ritegni, devasta colle sostanze i più preziosi tesori della fede e della civiltà nostra: si propaghi pure l’idea della necessità, per la pubblica salvezza, di rinchiudere, con eque leggi, questa fiumana malefica nel suo letto antico: si scriva, si stampi, si parli, si operi a tale intento, entro i confini sempre di quello che il Vangelo fa lecito. Ma niuno, che abbia amore schietto di religione e di patria, si stanchi dal battere e ribattere di continuo e da per tutto il chiodo di questa grande verità: che, rispetto alle nazioni socialmente apostatiche dalla Chiesa per seguire le imposture massoniche, gli ebrei moderni sono il flagello della giustizia di Dio; e che tutto il dolce del liberalismo finisce con attirarle fra le strette della vorace piovra del giudaismo. 181
Il quale però sente già romoreggiare da lontano la tempesta di quella rivoluzione sociale, che esso ha in gran parte generata, e pare debba essere l’esterminatrice sua e dei rinnegati che seco hanno stretta alleanza. Il Toussenel, il Proudhon, il Lafargue e cento altri hanno predetto, quale sia per essere la soluzione della questione giudaica in Europa. Come i barbari di fuori sciolsero quella del corrottissimo mondo romano, così i barbari di dentro risolveranno questa, nata dalla così detta classe dirigente, o borghesia, sedotta, inebriata, guasta fino al midollo delle ossa dal giudaismo. Essa ha rifiutata, in odio a Cristo, ogni riforma sociale, che avesse la giustizia cristiana per fondamento? Ebbene, l’Attila novello sarà scatenato sopra le sue repubbliche, le sue monarchie, le sue istituzioni, le sue borse, i suoi teatri, le sue officine, i suoi luoghi di delizie; e l’avvolgerà in una ruina comune co’ giudei. Hanno insieme ripudiato il Cristo di Dio? Si godranno insieme Barabba. E quando Barabba li abbia trattati com’è il dovere, tornerà il Cristo di Dio in casa sua; rimostrando sempre vero, che chi alza il corno contro di lui finisce debellato, con baciare la polvere de’ suoi piedi, pulverem pedum tuorum lingent.
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IV Houston Stewart Chamberlain
Scrittore tedesco di origine inglese (1885-1927), genero di Richard Wagner, fu, sulle orme di Gobineau, il maggiore teorizzatore della razza ariana nel secolo scorso. I passi qui riprodotti sono tratti dalla sua opera più importante, Die Grundlagen des XIX. Jahrhunderts (1899). E bene, è su questo Caos Etnico che bisogna, innanzi tutto, concentrare la nostra attenzione. Un solo popolo sopravvive nel suo seno, come una roccia dalle cime aguzze s’innalza in mezzo all’oceano informe: un piccolo popolo: gli Ebrei. È l’unico gruppo umano, che si sia imposto questa legge fondamentale: la purezza della razza; così egli solo possiede una fisionomia e un carattere. Se si passano in rivista i centri meridionali orientali dell’impero che s’incammina verso la dissoluzione, e se si prescinde in questo esame da ogni simpatia o antipatia preconcetta, si constata che soltanto la nazione ebraica, merita, come tale, rispetto. Quanto giustamente si applica a questo popolo la espressione di Goethe «vasta la fede, stretto il pensiero». In confronto a Roma, e, ancor più, alla Grecia, il suo orizzonte spirituale appare così ristretto, le sue facoltà intellettuali si dimostrano così limitate, che viene il dubbio che esso costituisca una specie a parte, di una essenza differente. Tuttavia ciò che manca di esteso e di creativo nel suo pensiero, la potenza della sua fede lo compensa largamente. Questa fede si lascerebbe definire, dopo una prima analisi, in una maniera assai semplice: è la fede in se stessa. Ma poiché la fede in se stessa implica, presso gli Ebrei, una fede in un essere superiore, essa non è sprovvista di valore morale. Per quanto meschina sia la impressione che produce la legge ebraica dopo le creazioni 183
religiose dei diversi popoli indo-europei, c’è un vantaggio che essa sola possedeva nella decadenza dell’impero romano: e cioè che si trattava, appunto, di una legge e che a questa legge ubbidivano umilmente degli uomini, e che questa obbedienza doveva esercitare una azione morale considerevole su un mondo dove regnava la licenza, la più sfrenata. Qui, come dappertutto d’altronde, notiamo che l’influenza degli Ebrei – in bene o in male – si fonda sul loro carattere e non sul loro valore intellettuale. Certi storici del diciannovesimo secolo, e persino un pensatore chiaroveggente come Gobineau, sostengono che il giudaismo esercita, sempre e su tutti i popoli, una azione dissolvente. Io non posso abbracciare questa opinione. Senza dubbio avviene che gli Ebrei, quando il loro numero è fortemente aumentato in un paese straniero, credono che sia venuto il momento di realizzare le minacciose promesse dei loro profeti e si preparano, con la migliore coscienza del mondo, a «divorare le nazioni» (non si paragonarono, già ai tempi di Mosè, a un nuvolo di cavallette?). Ma noi dobbiamo imparare a distinguere tra Ebrei e Ebraismo; dobbiamo riconoscere che questo rappresenta, in quanto idea, un principio fondamentale conservatore. La nozione dell’unità e della purezza fisica della razza, che costituisce il fondo dell’ebraismo, implica l’ammissione d’un fatto fisiologico capitale: ovunque noi osservammo la vita, sia nella muffa sia nel più nobile animale, riscontrammo questo fatto: la «razza» – e studiammo il senso reale di questa parola. Il giudaismo ha consacrato questa legge della natura. Ecco perché ha traversato vittoriosamente quella ora critica della storia del mondo, quando si apriva una ricca eredità, senza eredi degni di raccoglierla. Invece di aumentare la dissoluzione generale, egli la represse. Il dogma ebraico fu l’acido violento che si introduce in un liquido entrato in decomposizione per chiarificarlo, per preservarlo da un dissolvimento maggiore. L’acido si può non considerare piacevole al palato, ma ciò non ha nulla a che vedere con la sua funzione. Nella storia dell’epoca culturale alla quale apparteniamo, il giudaismo ha giocato un ruolo così decisivo che ha acquisito dei grandi titoli di benemerenza. Piuttosto che rifiutare il nostro debito sarebbe meglio renderci conto della sua esatta natura. Forse 184
ci riusciremo cercando, qui, ciò che significa l’avvento degli Ebrei nella storia occidentale – fenomeno del quale non si saprebbe, in ogni caso, negare l’incalcolabile portata nella nostra cultura in via di formazione. Ancora una parola per evitare ogni equivoco nel capitolo che segue. Io parlo di Ebrei, non di Semiti in generale: non è che io disconosca il ruolo di quest’ultimi nella storia universale; il fatto è che il mio compito è limitato nel tempo e nello spazio. Senza dubbio, altri rami della razza semitica avevano, da molti secoli, fondato degli imperi possenti sulle coste meridionali e orientali del Mediterraneo e dei centri commerciali fino sulle coste dell’Atlantico; così senza dubbio, questi popoli avevano trasmesso ai loro successori ogni tipo di suggerimenti e propagato attraverso il mondo più di una conoscenza e di una tecnica: giammai, tuttavia, si è prodotto un contatto spirituale intimo tra essi e gli altri abitanti della Europa. Questo contatto si stabilì con gli Ebrei – ma tuttavia non per mezzo di quei milioni di ebrei che costituivano la Diaspora, ma propriamente per mezzo della idea cristiana. È soltanto dall’istante che gli Ebrei misero Cristo in croce che si ruppe, senza che essi ne avessero coscienza, il sortilegio che li isolava nel loro orgoglio ignorante. Più tardi, come si sa, passò ancora una volta sul mondo europeo, asiatico e africano un’onda semitica: senza la distruzione di Cartagine da parte di Roma, non c’è dubbio che essa avrebbe inondato l’Europa per sempre. Ancora una volta «l’idea» semitica – «vasta la fede, stretto il pensiero» – si dimostra più potente dei suoi campioni: gli Arabi furono, a poco a poco, respinti e, a differenza degli Ebrei, dovettero tutti abbandonare il suolo europeo; ma ovunque aveva preso piede quella sorta di idolatria astratta che è peculiare degli Arabi, ogni possibilità di cultura disparve; delle razze nobili furono per sempre «disanimate», per così dire, dal dogma semitico del materialismo che, in questo caso, e, a differenza del cristianesimo, si era conservato puro da ogni miscuglio ariano, e perciò esse rimasero escluse da «la razza che si sforza verso la luce». Soltanto gli Ebrei, tra i Semiti, collaborarono positivamente alla nostra cultura; essi raccolsero – nella misura che lo permetteva il loro spirito assai assimilatore – una parte della eredità della antichità. 185
All’espansione di questo popolo infinitesimale e prodigiosamente influente c’è una contropartita: l’avvento dei Germani nella storia universale. Anche questo fenomeno ci farà render conto di ciò che bisogna intendere per purezza della razza; ma, ancor più, studiandolo, noi apprenderemo ciò che significa la differenza delle razze, questo grande principio naturale della varietà e della ineguaglianza delle attitudini, che ancora oggi negano tanti chiacchieroni insipidi e ciarlatani. Compiangiamo queste anime di schiavi, uscite dal Caos Etnico, e tormentate dalla nostalgia della sua poltiglia amorfa, ove non galleggia né carattere né individualità. Ebrei e Germani: queste sono ancora le due potenze che si ergono una di fronte all’altra, ovunque un ritorno offensivo del Caos non ha cancellato i loro tratti: ora amici, ora nemici, sempre stranieri. Ripeto che la parola «Germani» indica in questo libro le differenti popolazioni nord-europee che appaiono nella storia sotto i tipi dei Celti, dei Germani propriamente detti, e degli Slavi e dai quali – o dal miscuglio inestricabile dei quali – sono usciti i popoli dell’Europa moderna. Che essi appartenessero, originariamente, a una sola e identica famiglia, è un fatto certo che mi sforzerò di dimostrare nel capitolo VI; ma il Germano, nel senso stretto della parola (che è quello di Tacito), si è manifestato così superiore a tutti i suoi parenti, dal triplice punto di vista, intellettuale, morale e fisico, che io mi sento autorizzato a usare il suo nome per designare la famiglia intera. Il Germano è l’anima della nostra cultura. L’Europa d’oggi, con le sue ramificazioni su tutta la superficie del globo terrestre, offre lo spettacolo di un miscuglio, proveniente da una infinita varietà di incroci: ciò che ci lega gli uni agli altri e ci riunisce a un centro di unità organica è il sangue germanico. Guardiamoci intorno e constateremo che l’importanza di ciascuna nazione, come forza viva, dipende dalla proporzione di sangue puramente germanico nella sua popolazione. Tutti i troni dell’Europa sono occupati da Germani. I fatti che la storia universale ha registrato fin’allora non sono, per noi, che dei prolegomeni; la vera storia, la storia che governa ancora oggi il ritmo del nostro cuore, la storia 186
che corre nelle nostre vene, e ci incita a delle lontane speranze, a delle future creazioni, questa storia comincia nel momento in cui il Germano raccolse, con la sua forte mano, la eredità della antichità. … Per la conoscenza del carattere di un popolo, le indicazioni delle cifre fornite dalla antropologia conservano, in ogni modo, un valore reale. Orbene esse ci insegnano, a proposito degli ebrei (d’altri tempi e di oggi, considerati nell’Est e nell’Ovest dell’Europa) che il 50 per cento di essi presenta, in misura pronunciata, le caratteristiche dell’Homo Syriacus (brachicefalo, naso «ebraico», in realtà ittita, tendenza ad ingrassare, etc.); che il 5 per cento, solamente, mostra i tratti e la struttura anatomica del puro Semita (Beduino del deserto); che in un 10 per cento di essi si riscontra un colore di pelle, di capelli, sovente di occhi, che tradisce l’Amorito di razza indo-europea; e che, il 35 per cento costituisce delle forme miste indefinibili, qualcosa come le «fotografie combinate» di Lombroso, di dove risultano dei visi nei quali un tratto contraddice l’altro, dei crani che non sono né allungati come quelli dei puri semiti né mesocefalici come quelli degli Amoriti, né rotondi come quelli dei Siriani, dei nasi che non si possono chiamare né ittiti, né ariani, né semiti; a meno che, tuttavia, il naso siriano non sia là, ma senza la testa che gli corrisponde, e così all’infinito. Ciò che dobbiamo ricavare essenzialmente dalle constatazioni anatomiche, è che la razza ebraica è certamente definitiva, ma anche che essa è bastarda da cima a fondo e che conserva durevolmente questo carattere bastardo. Ho tentato nel capitolo precedente di precisare la differenza tra «miscuglio» e «bastardaggine». Tutte le razze e le nazioni storicamente grandi provengono da miscugli; ma quando la differenza dei tipi incrociati è profonda al punto di costituire un abisso invalicabile, allora i prodotti sono bastardi. Tale è il caso in questione. L’incrocio di Beduini e di Siriani era, dal punto di vista anatomico, ancora più errato di quello tra Spagnoli e Indiani sudamericani; e a ciò s’aggiunse, più tardi, il fenomeno di una aggiunta indo-europea supplementare! È ne187
cessario che noi insistiamo assai su questo punto; perché un tale processo, per quanto sia operato inconsciamente, costituisce un crimine di leso-sangue, un crimine contro natura; e non ne può risultare che un destino miserabile o un destino tragico. Gli altri Ebrei, e con loro i Giosefiti, perirono miserevolmente; come anche le famiglie dei pseudosemiti più considerevoli (Fenici, Babilonesi, etc…) disparvero senza lasciare tracce. L’Ebreo scelse il destino tragico: ciò prova la sua grandezza, e ciò è la sua grandezza. Ritornerò ben presto su questo punto, perché questa decisione significa la fondazione del giudaismo; mi limiterò per il momento a fare una osservazione che trova qui il suo luogo e che non è stata ancora fatta: questa profonda coscienza del peccato che opprime il popolo ebraico (nei suoi giorni eroici), e che trova una espressione che colpisce nelle parole dei suoi uomini più alti, affonda le radici in queste condizioni fisiche. L’intelletto – c’è bisogno di dirlo? – e la vanità che è in tutti noi, ne dette una interpretazione essenzialmente differente: ma l’istinto si dimostrò più penetrante dell’intelletto; e da quando la estinzione degli Israeliti e la propria schiavitù ebbero svegliato nell’ebreo la coscienza di se stesso, il suo primo atto fu di porre fine a questo crimine di leso-sangue (quella prostituzione e quell’incesto che Ezechiele denuncia con tanta veemenza) per mezzo della proibizione rigorosa di ogni incrocio, persino con le popolazioni le più simili. Si è osservato che è una contraddizione inesplicabile il fatto che sono gli Ebrei che portarono nel mondo – nel mondo gioioso – una nozione di peccato eternamente incombente, e che, d’altro lato, essi intendono per peccato una cosa del tutto diversa da noi. Il peccato, infatti, è, per loro, un fatto nazionale, mentre l’individuo è «giusto», se non trasgredisce la «legge»; come dice Robertson Smith «la salvezza non è la salvezza morale dell’individuo, ma la salvezza dello Stato»; e ciò già crea per la nostra comprensione una difficoltà. E ce n’è un’altra: il peccato commesso inconsciamente equivale del tutto a un errore cosciente, secondo gli Ebrei: «L’idea del peccato non ha per loro alcun rapporto necessario con la coscienza del peccatore; essi non prendono in considerazione la nozione d’una perversità morale, ma mettono tutto l’ac188
cento sulla responsabilità legale». Così Montefiori dichiara che, nella concezione dei legislatori posteriori all’esilio, «il peccato non fu considerato come una macchia dell’anima individuale, ma come una macchia della purezza fisica, come una rottura di questo stato immacolato del paese e dei suoi abitanti, che costituisce la sola condizione in forza della quale Dio può continuare ad abitare tra il suo popolo e nel suo santuario». E Wellhausen afferma: «Tra gli ebrei non esiste alcun legame interno tra il bene e l’uomo che vive secondo il bene; l’azione delle mani e l’intenzione del cuore sono due cose indipendenti l’una dall’altra». E bene, io sono convinto, e lo ripeto, che è la storia della genesi fisica di questa razza che ci dà la chiave d’una concezione così singolare e così contraddittoria: la sua esistenza è peccato, la sua esistenza è un crimine contro le sante leggi della vita; e, in ogni caso, è proprio ciò che l’Ebreo stesso prova nei momenti in cui la sorte bussa rudemente alla sua porta. Non è l’individuo, ma il popolo intero che doveva essere lavato di un errore commesso inconsciamente, e non consciamente; e questa purificazione è impossibile «quand’anche ti laverai con la soda e impiegherai molta potassa», come grida Geremia al suo popolo, II, 22). Per cancellare un passato irrevocabile, per trasportarlo nel presente, dove una intuizione chiaroveggente e una potente volontà potevano imporre un limite al peccato e creare un impero alla purezza, bisognava che l’intera storia ebraica fosse falsificata alla sua origine, che gli Ebrei fossero rappresentati come una razza d’una purezza immacolata, eletta da Dio tra tutti i popoli, e che, ormai, delle leggi draconiane proscrivessero ogni miscuglio di sangue. Gli autori di questa opera non furono dei bugiardi, come si è amato sostenere; furono degli uomini che agivano sotto la pressione di una di quelle necessità che ci innalzano al di sopra di noi stessi e fanno di noi gli strumenti incoscienti delle grandi crisi del destino. E se mai qualcosa fu adatta a preservarci dall’accecamento della nostra epoca e da una qualche fiducia nella verbosità delle nostre «autorità», e fu adatta a testimoniarci questa legge della natura che vuole che i grandi popoli non si formino che per mezzo della nobilitazione della razza, ma che la nobilitazione della razza 189
non si effettua che in presenza di condizioni determinate, la inosservanza delle quali comporta decadenza e sterilità, questo qualcosa è lo spettacolo di questa lotta decisa, condotta disperatamente dagli Ebrei, divenuti coscienti della propria colpa razziale. … Una ultima considerazione prima di concludere. Alla domanda «chi è l’Ebreo?» io ho risposto sottolineando la sua origine, il substrato fisico del suo essere, e poi tentando di esporre la idea chiave del giudaismo nella sua genesi e nella sua essenza. Io non posso fare di più, perché la personalità appartiene all’individuo, caso particolare, e nulla è più errato che la pretesa di giudicare un popolo dai casi particolari. Io non ho invocato né il «buon» Ebreo, né il «cattivo» Ebreo: «niente non è buono» diceva Gesù Cristo. E dove si può trovare un uomo così decaduto che lo si possa dichiarare cattivo senza nessuna attenuante? Ecco sotto i miei occhi un fascio di statistiche giudiziarie; alcune mirano a stabilire che gli ebrei sono i cittadini più inoffensivi di Europa, dei veri agnelli; altre mirano a provare il contrario. In qual modo miracoloso si riesca a sostenere con le stesse cifre due tesi opposte, io proprio non capisco; ma ciò che ancora più mi stupisce è che si voglia fare della etnopsicologia in questo modo. Non esiste uomo che rubi per suo piacere, almeno che non sia cleptomane. L’uomo che diventa ladro per miseria o in conseguenza di cattivi esempi, è veramente e assolutamente un uomo cattivo? e colui che nulla può condurre al ladrocinio, è per questo un uomo da bene? Lutero dice: «colui che prende un pane al banco del fornaio quando non soffre la fame, è un ladro; se egli lo prende perché ha fame, fa bene, perché glielo si deve dare». Ah! se si possedesse una statistica che indicasse quanti uomini non divengono criminali, pur vivendo nella più estrema miseria e nel peggiore abbandono, forse se ne potrebbe dedurre qualche insegnamento, ma ciò non sarebbe ancora che poco, pochissimo. Gli avi della nostra nobiltà feudale non furono forse dei ladri di grandi strade, e forse i loro discendenti non se ne mostrano fieri? I papi non hanno fatto assassinare dei re da assassini prezzolati? 190
Nella nostra società poliziesca di oggi, il mentire e l’indurre in errore, non fa parte del buon tono della alta diplomazia? Lasciamo dunque da parte la moralità, come anche la questione quasi altrettanto ardua, quasi altrettanto sfuggente, della attitudine: constatare che ci sono, in un certo paese, più avvocati ebrei che europei, non prova ancora nulla, salvo che fare l’avvocato è un buon affare; non esige dei doni particolari… In tutti questi argomenti, specialmente nel momento che si invoca la statistica, si può provare ciò che si vuole. Ecco, invece, due fatti capitali e decisivi: la razza e l’ideale. Non ci sono uomini buoni e uomini cattivi, almeno secondo noi; non ce n’è che per Dio; perché la parola «buono» implica una stima morale e questa, a sua volta, dipende da una conoscenza dei motivi, che non arriviamo a possedere. Geremia, di già, esclamava «Chi scruterà il cuore?» (XVII, 9). Al contrario, ci sono precisamente delle buone e delle cattive razze, perché si tratta, in questo caso, di circostanze fisiche, leggi generali della natura organica, che sono suscettibili di inchiesta sperimentale. Si tratta, in questo caso, di dati sui quali, al contrario dei precedenti, le cifre forniscono degli irrefutabili attestati e la storia della umanità getta luci abbondanti. Quanto alle idee direttrici sono quasi altrettanto palpabili. In rapporto alla razza, bisogna considerarle incontestabilmente una conseguenza; ma stiamo bene attenti nel sottovalutare i contributi di questa anatomia interiore e invisibile, di questa dolicocefalia o di questa brachicefalia puramente spirituale, che agisce come causa e la cui azione ha la più vasta portata. Di là proviene che ogni nazione vigorosa ha una sì grande forza d’assimilazione. L’entrata in una nuova società non modifica, da principio, la minima fibra della struttura fisica, e non modifica che lentissimamente, nel corso delle generazioni, il sangue; ma le idee agiscono molto più rapidamente perché orientano, quasi altrettanto tutta la personalità su altre strade. E l’idea nazionale ebraica sembrava esercitare una azione particolarmente potente, forse precisamente perché in questo caso la nazione esiste unicamente come idea, non essendo mai stata, fin dall’origine del giudaismo, una «nazione» normale, ma soltanto un pensiero, una speranza. Di qui deriva anche l’errore di colo191
ro che, come il Renan nei suoi ultimi anni, danno grande importanza all’apporto di sangue straniero che gli Ebrei hanno ricevuto di tanto in tanto. Renan, tuttavia, sapeva meglio di ogni altro che l’adesione di Greci e di Romani al giudaismo costituisce un fenomeno del tutto secondario. Che cosa erano quegli «Elleni» d’Antiochia dei quali egli ci parla nella sua conferenza – «Giudaismo, razza o religione?» – e che si ritiene che siano passati in massa al giudaismo (secondo la testimonianza, di cui non ci si può fidare troppo, dell’ebreo Giuseppe)? Dei bastardi ebreo-siriani, niente di più, nei quali non scorreva, probabilmente, una goccia di sangue greco. E quei «Romani», a proposito dei quali Renan si riferisce a Giovenale (Satire XIV, 96-106)? La feccia del popolo composta di asiatici e africani affrancati. Si può citare un solo romano importante che sia diventato ebreo? Ma d’altronde anche se queste affermazioni tendenziose racchiudessero una parte di verità, il che non è, che ne seguirebbe? L’idea nazionale ebraica non possederebbe la forza che è propria alle altre idee nazionali? Tutto al contrario, essa è, come ho mostrato, più potente di ogni altra: essa è creata dagli uomini a propria immagine. Non si ha bisogno per essere dei veri ebrei, di essere segnalati da un autentico naso ittita: questa parola «Ebreo» indica, innanzi tutto, una maniera particolare di sentire e di pensare. Un uomo può diventare rapidissimamente Ebreo, senza essere affatto israelita: a questo fine, egli non deve che frequentare Ebrei, leggere giornali ebraici, abituarsi alla concezione ebraica della vita, alla letteratura ebraica, all’arte ebraica. E, d’altra parte, sarebbe assurdo chiamare «Ebreo» un Israelita del tipo più duro, al quale, però, sia accaduto di scuotere il giogo di Esdra e di Neemia, e nel cui cervello non ci sia più la legge di Mosè, e nel cui cuore non fermenti più il disprezzo dei non-Ebrei. «Quale prospettiva! – esclama Herder – se si vedessero gli ebrei diventare puramente umani nella loro mentalità». Soltanto un Ebreo diventato «puramente umano» nel senso che intende Herder e che il lettore comprende certamente, nonostante l’impossibilità di rendere esattamente il pensiero dello scrittore tedesco con la traduzione – questo tipo di Ebreo non è più un Ebreo; non lo è più perché rinunciando all’idea del 192
giudaismo egli è, ipso facto, uscito da questa nazionalità la cui coesione è dovuta a un complesso di idee, a una «fede». Ed è necessario riconoscere con San Paolo che «Ebreo non è colui che lo è al di fuori, ma colui che lo è interiormente» (Romani, II, 28 e 29). L’influenza trasformatrice di questo tipo di ideale nazionale e religioso si può dimostrare in una doppia maniera: positiva e negativa. Noi abbiamo visto come presso gli Ebrei, un pugno di uomini impose una idea nazionale determinata a un popolo, che non l’accettò affatto volentieri, e come questa idea, una volta imposta, lo segnò di una impronta così profonda, che la si può considerare, certamente, indelebile. A questo risultato concorsero la consanguineità e la congenialità: l’idea agì, dunque, come una forza positivamente creatrice. Abbiamo un esempio non meno notevole dello stesso fenomeno nella trasformazione improvvisa dei Mongoli sanguinari e selvaggi in uomini dolci e pii, dei quali un terzo visse la vita monastica, per effetto della loro conversione al buddismo. Ma una idea può anche esercitare una azione puramente negativa, e può deviare un uomo dalla propria via senza offrirgliene un’altra che corrisponda ai bisogni della sua razza; e di ciò abbiamo un esempio nell’azione del maomettismo sui Turcomanni: tutti sanno che questo popolo, di una energia selvaggia, cadde, a poco a poco, in uno stato di completa passività, allorché adottò la concezione fatalistica del mondo. Non c’è dubbio che, se l’influenza ebraica fosse diventata dominante in Europa nel dominio spirituale e culturale, avremmo dovuto registrare un nuovo esempio d’azione negativa e distruttrice.
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V Heinrich von Treitschke
Storico e uomo politico tedesco (1834-1896), liberal-nazionale sino al 1864, si fece successivamente sostenitore di un fermo «realismo-politico» che lo portò sempre più vicino agli ambienti reazionari tedeschi. Nelle sue opere più mature, tutta una serie di motivi antisemiti diventano patrimonio della cultura politica e sociologica del suo tempo e del pangermanesimo. I passi qui riprodotti sono tratti dalla sua Politica (tradotta in Italia nel 1918 per le edizioni Laterza). Il destino dell’Austria nel prossimo avvenire sarà dunque molto fecondo ancora di lotte interne. Aggiungete la dolorosa verità, che anche nella Cisleitania il germanesimo vive tuttora non altrimenti che con le ali tarpate. È sepolta da un pezzo la bella cultura tedesca della Vienna medioevale. Nel secolo decimottavo l’Austria ha ancora eccelso in un sol campo della creazione artistica, nella musica: ma la musica non opera tanto nel senso nazionale, quanto la poesia. Negli ultimi tempi è avvenuto un ravvicinamento alla vita tedesca; d’altra parte però il germanesimo austriaco è corrotto in maniera indicibile dal giudaismo. È chiaro, che qui si presenta quasi inevitabile una politica di esperimenti e di espedienti. Gli ebrei rappresentano una parte affatto anormale in questo strano garbuglio di contrasti nazionali. Un tempo, quando erano ancora un popolo a sé, si assicurarono con la conservazione di uno schietto monoteismo una posizione duratura nella storia; ma cominciò presto l’esodo: noi troviamo gli ebrei dispersi in tutto il mondo. È semitico il loro gran talento religioso, ma manca di ogni spirito di propaganda; e, in contraddizione con ciò, un istinto commerciale spinto 195
fino alla passione più selvaggia. Questo tratto saliente del carattere israelitico, oltre una mostruosa boria di razza e un odio mortale ai cristiani, spiegano la situazione affatto anormale, che il giudaismo ha occupato in tutte le epoche della storia. Gli ebrei sono stati sempre «un elemento di decomposizione nazionale», vale a dire, in buon tedesco, di dissoluzione nazionale. Hanno sempre lavorato in questo senso. Il commercio in generale non vuol più ammettere frontiere nel mondo. È chiaro e lampante come il sole, che una parte del capitalismo europeo ha costituito una lega internazionale per assicurare i propri interessi di fronte al piccolo capitale e alla proprietà fondiaria. D’altra parte gli ebrei coi matrimoni endogami proteggono così tenacemente la propria nazionalità, che non si fanno assorbire in seno ai popoli stranieri. E nella storia visibilmente diventano tutto. La più parte di loro serba inconcussa l’indole innata e porta solo come un mantello la nazionalità straniera. Donde il fatto notorio, che gli ebrei moderni mostrano soltanto in un’arte una vera genialità, nel teatro. L’imitazione senza una propria personalità intima è stata sempre la forza della letteratura ebrea. Per quanto grande sia il talento poetico di Heine, ed è stato uno dei pochi ebrei che conoscono realmente la lingua tedesca, pure, in paragone di Goethe o di Chamisso o di altri, egli è un imitatore, quelli sono i creatori (ist er doch der Anempfinder, jene sind die Empfinder). Questo popolo con le sue qualità contraddittorie ha sostenuto tre volte una parte sostanzialmente necessaria. La prima volta sotto l’impero di Alessandro Magno, quando l’ellenicità dilagò nell’ellenismo. Allora i giudei non furono meramente i commercianti del mondo intero, ma furono anche nella vita spirituale un elemento di connessione. Era appunto l’epoca in cui la cultura propriamente ellenica si dissolveva; e sorsero proprio allora ad Alessandria quelle scuole filosofiche, le cui dottrine sono commiste d’idee giudaiche e greche, e aprirono la via alla grande idea del cristianesimo. Una parte consimile sostennero poi di nuovo i giudei nell’impero degl’imperatori romani. Cesare meditamente li favorì e a ragione: egli era un sovrano mondiale. Le nazioni confederate dovevano cessare di sentirsi nazioni; 196
e il giudaismo senza patria era singolarmente appropriato a cooperare allo scopo. Perciò anche lì la sua attitudine era un dato storico. Sopraggiunse l’epoca in cui i giovani stati germanici principiarono a costituirsi sui ruderi dell’impero romano. Quei contadini germanici per orizzontarsi nella civiltà nuova e nella sua economia finanziaria abbisognavano di gente che conosceva il maneggio del denaro. Nei primi tempi del medio evo i giudei sono stati i veri e propri rappresentanti del commercio mondiale. Donde deriva, che notoriamente il basso medio evo ebbe verso i giudei disposizioni assai più amichevoli che non l’alto: Teodorico, l’ostrogoto, senza i suoi giudei non sapeva dove mettere le mani. Anche in tempi più recenti Lodovico il Pio era notoriamente un filosemita appassionato. Non usciva mai dai suoi imbarazzi. In seguito però i giudei cessarono di essere necessari: gli arii hanno fatto anch’essi la mano alla finanza. E allora venne fuori quanto vi sia di pericoloso in questo popolo; la forza dissolvente di una nazionalità che piglia la maschera di nazionalità diverse. Se i popoli avessero consapevolezza di sé medesimi, i nobili ebrei sarebbero indotti essi stessi a confessare, che oggi non c’è più spazio pel cosmopolitismo giudaico: non si comprende in che modo un giudaismo internazionale potrebbe ancora giovare al mondo. Qui bisogna parlar chiaro, senza curarsi che la stampa giudea insozzi ciò che è pura verità storica. Non può essere più contestato, che il giudaismo è in grado di rappresentare una parte solamente quando i suoi componenti si decidano a diventare tedeschi, francesi, inglesi e, senza la riserva dei ricordi antichi, a fondersi nel popolo a cui appartengono per ragion di diritto pubblico. Questa è l’esigenza del tutto equa e giusta che gli occidentali accampano: nessun popolo può permettere agli ebrei una duplice nazionalità. Ma le circostanze sono tanto ingarbugliate, per la ragione che non si ha un criterio sicuro per giudicare, in mezzo agli altri, gli ebrei assorbiti dalla nazionalità straniera. Il battesimo solo non basta. Vi sono ebrei non battezzati che sono buoni tedeschi, e io stesso ne ho conosciuti di tali; e dall’altra parte ve ne sono di battezzati, che non lo sono: la situazione quindi è davvero spinosa. Se la legislazione trattasse gli 197
ebrei come forestieri, permettesse loro l’esercizio delle professioni civili e negasse loro i diritti politici e le magistrature, sarebbe questa un’ingiustizia, perché non colpirebbe chi si crede. Non può riguardarsi come ebreo chi è battezzato cristiano: a questo criterio dovrebbe attenersi ogni legislazione. Io finora vedo assolutamente un mezzo solo, che possiamo usare: la vera energia dell’orgoglio nazionale, che diventi seconda natura, in modo che rifiuti involontariamente qualunque cosa sia estranea all’indole germanica. Valga questo in tutto e per tutto; valga questo quando si va a teatro o al caffè concerto, come nella semplice scelta dei giornali da leggere. Dovunque è lordura giudaica che insozza la nostra vita, il germano deve scostarsi e deve abituarsi a spiattellare fuori la verità. E se vediamo salire in alto un antisemitismo sudicio, chi ne ha colpa sono i partiti moderati.
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VI I Protocolli dei Savi Anziani di Sion
I Protocolli sono notoriamente un falso fabbricato dalla polizia segreta russa e pubblicato per la prima volta nel 1903 nel giornale «Snamja» (che era stato fautore dei pogrom). Negli anni immediatamente successivi ebbero altre due edizioni in russo e nel 1919 la prima in Occidente (in tedesco). I Protocolli qui riprodotti sono tratti dall’edizione italiana del 1921 curata da G. Preziosi. PROTOCOLLO III Oggi vi posso assicurare che siamo a pochi passi dalla nostra mèta. Rimane da percorrere ancora una breve distanza e poi il ciclo del Serpente Simbolico – emblema della nostra gente – sarà completo. Quando questo ciclo sarà chiuso, tutti gli Stati Europei vi saranno costretti come da catene infrangibili. La bilancia sociale ora esistente andrà presto in sfacelo, perché noi ne alteriamo continuamente l’equilibrio, allo scopo di logorarla e distruggerne l’efficienza al più presto possibile. I Gentili credettero che tale bilancia fosse forte e resistente e confidavano di tenerla sempre accuratamente in equilibrio. Ma i suoi sostegni, cioè i capi degli Stati, trovano un impedimento nei loro servitori i quali non giovano nulla ad essi, perché sono trascinati dalla loro illimitata forza d’intrigo, causata dai terrori che prevalgono nelle Corti. Il Sovrano, siccome non ha i mezzi per penetrare nel cuore del suo popolo, non può difendersi contro gli intriganti avidi di potere. Dacché noi abbiamo scisso il potere vigile dal 199
potere cieco della popolazione, entrambi hanno perduto il loro significato, perché una volta divisi, sono spersi l’uno e l’altro come un cieco al quale manchi il suo bastone. Per indurre gli amanti del potere a fare cattivo uso dei loro diritti, aizzammo tutte le Potenze, le une contro le altre, incoraggiandone le tendenze liberali verso l’indipendenza. Abbiamo fomentato ogni impresa in questo senso, ponendo così delle armi formidabili nelle mani di tutti i partiti, e abbiamo fatto sì che il potere fosse la meta di ogni ambizione. I governi li abbiamo trasformati in arene dove si combattono le guerre di partito. Fra poco il disordine ed il fallimento appariranno ovunque. Chiacchieroni irrefrenabili trasformarono le assemblee parlamentari ed amministrative in riunioni di controversia. Giornalisti audaci, e sfacciati scrittori di opuscoli, attaccano continuamente i poteri amministrativi. L’abuso del potere preparerà definitivamente il crollo di tutte le istituzioni e tutto cadrà sotto i colpi della popolazione inferocita. Il popolo è assoggettato nella miseria dal sudore della sua fronte in un modo assai più formidabile che non dalle leggi della schiavitù. Da quest’ultima i popoli poterono affrancarsi in un modo o in un altro, mentre nulla li potrà liberare dalla tirannide della completa indigenza. Ponemmo cura di inserire nelle costituzioni molti diritti che per le masse sono puramente fittizi. Tutti i cosiddetti «diritti del popolo» possono esistere solo in teorie le quali non sono praticamente applicabili. Qual vantaggio deriva ad un operaio del proletariato, curvato dalle sue dure fatiche ed oppresso dal destino, dal fatto che un ciarlone ottiene il diritto di parlare, od un giornalista quello di stampare qualsiasi sciocchezza? A che giova una costituzione al proletariato, se da essa non riceve altro benefizio che le briciole che gli gettiamo dalla nostra tavola quale ricompensa perché dia i suoi voti ai nostri agenti? I diritti repubblicani sono un’ironia per il povero, perché la dura necessità del lavoro quotidiano gli impedisce di ricavare qualsiasi beneficio da diritti di tal genere e non fa che togliergli la garanzia di uno stipendio fisso e continuo rendendolo schiavo degli scioperi, di chi gli dà lavoro e dei suoi compagni. Sotto i nostri auspici la plebe ha completamente distrutto l’aristocrazia, la quale sempre 200
la sovvenne e la custodì per il vantaggio proprio, che era inseparabile dal benessere della popolazione. Oggi giorno il popolo, avendo distrutto i privilegi dell’aristocrazia, è caduto sotto il giogo di furbi sfruttatori e di gente venuta su dal nulla. Noi abbiamo l’intenzione di assumere l’aspetto di liberatori dell’operaio, venuti per affrancarlo da ciò che lo opprime, quando gli suggeriremo di unirsi alla fila dei nostri eserciti, di socialisti, anarchici e comunisti. Sosteniamo i comunisti, fingendo di amarli giusta i principii di fratellanza e dello interesse generale dell’umanità, promosso dalla nostra massoneria socialista. L’aristocrazia, la quale – per diritto – spartiva il guadagno delle classi operaie, si interessava perché queste classi fossero ben nutrite, sane e robuste. Il nostro scopo è invece l’opposto, vale a dire che ci interessiamo alla degenerazione dei Gentili. La nostra forza consiste nel tenere continuamente l’operaio in uno stato di penuria ed impotenza, perché, così facendo, lo teniamo assoggettato alla nostra volontà e, nel proprio ambiente, egli non troverà mai la forza e l’energia di insorgere contro di noi. La fame conferirà al Capitalismo dei diritti sul lavoratore infinitamente più potenti di quelli che il legittimo potere del Sovrano potesse conferire alla aristocrazia. Noi governiamo le masse mediante i sentimenti di gelosia ed odio fomentati dall’oppressione e dalla miseria. Ed è facendo uso di questi sentimenti che togliamo di mezzo tutti coloro che ci ostacolano. Quando verrà il giorno dell’incoronazione del nostro Sovrano Mondiale, provvederemo con questi stessi mezzi, e cioè servendoci della plebe, a distruggere tutto ciò che potrebbe ostacolare il nostro cammino. I Gentili non sono più capaci di ragionare in materia di scienza, senza il nostro aiuto. Per questo motivo essi non comprendono la necessità vitale di certe condizioni, che noi ci facciamo un dovere di tener nascoste sino al momento in cui giungerà la nostra ora; specialmente, che nelle scuole si dovrebbe insegnare la sola vera e più importante di tutte le scienze, e cioè la scienza della vita dell’uomo e delle condizioni sociali, le quali richiedono entrambe la spartizione del lavoro e conseguentemente la classificazione degli individui in caste e classi. 201
È assolutamente indispensabile che tutti sappiamo che la vera eguaglianza non può esistere, data la natura diversa delle varie qualità di lavoro; e che pertanto coloro i quali agiscono a detrimento di tutta una casta incorrono in una responsabilità ben diversa, davanti alla legge, di quelli che commettono un delitto nocivo soltanto al loro onore personale. La vera scienza delle condizioni sociali, ai segreti della quale non ammettiamo i Gentili, convincerebbe il mondo che il lavoro e gli impieghi si dovrebbero assegnare a caste ben distinte, allo scopo di evitare le sofferenze umane derivanti da una educazione non corrispondente al lavoro che gli individui sono chiamati ad eseguire. Se essi studiassero questa scienza, il popolo si sottometterebbe volontariamente ai poteri governativi e alle caste di governo classificate da essi. Date le condizioni attuali della scienza, che segue una linea tracciata da noi, la plebe, nella sua ignoranza, crede ciecamente nelle parole stampate e nelle illusioni erronee opportunatamente ispirate da noi, ed odia tutte le classi che crede più elevate della sua. Ciò perché essa non comprende l’importanza di ogni singola casta. Questo odio diventerà ancora più acuto quando si tratterà di crisi economiche, perché allora arresterà i mercati e la produzione. Determineremo una crisi economica universale con tutti i mezzi clandestini possibili e coll’aiuto dell’oro, che è tutto nelle nostre mani. In pari tempo getteremo sul lastrico folle enormi di operai in tutta l’Europa. Allora queste masse si getteranno con gioia su coloro dei quali, nella loro ignoranza, sono stati gelosi sin dall’infanzia, ne saccheggeranno gli averi e ne verseranno il sangue. A noi non recheranno danno, perché il momento dell’attacco ci sarà ben noto, e prenderemo le misure necessarie per proteggere i nostri interessi. Siamo riusciti a persuadere i Gentili che il liberalismo avrebbe dato loro il regno della ragione. Il nostro dispotismo sarà di questa specie perché avrà il potere di sopprimere le ribellioni e di sradicare con giusta severità ogni idea liberale dalle istituzioni. Quando la plebe si avvide che in nome della libertà le venivano concessi diritti di ogni genere, si immaginò di essere la padrona e tentò di assumere il potere. Naturalmente s’imbatté come un cieco qualsiasi, in ostacoli innumerevoli. 202
Allora, non volendo tornare al regime di prima, depose il suo potere ai nostri piedi. Ricordatevi della rivoluzione francese, che chiamiamo la Grande Rivoluzione: ebbene, tutti i segreti della sua preparazione organica ci sono ben noti, essendo lavoro delle nostre mani. Da allora in poi abbiamo fatto subire alle nazioni una delusione dopo l’altra, cosicché esse dovranno perfino rinnegarci, in favore del Re Despota, uscito dal sangue di Sionne, che stiamo preparando al mondo. Nel momento attuale noi come forza internazionale siamo invulnerabili, perché quando siamo assaliti da uno dei governi dei Gentili, altri ci sostengono. Nella loro immensa bassezza, i popoli Cristiani aiutano la nostra indipendenza. Ciò che fanno quando si prosternano davanti alla forza; quando sono senza pietà per i deboli; crudeli per le colpe e indulgenti per i delitti; quando si rifiutano di ammettere le contraddizioni della libertà; quando sono pazienti fino al martirio nel sopportare la violenza di una tirannia audace. Essi tollerano da parte dei loro attuali dittatori, Presidenti dei Consigli e Ministri, degli abusi per il più piccolo dei quali avrebbero ucciso cento re. Come si spiega questo stato di cose? Perché le masse sono tanto illogiche nel farsi un concetto degli avvenimenti? La ragione è che i despoti persuadono il popolo, per mezzo dei loro agenti, che l’abuso del potere con evidente danno allo Stato è compiuto per uno scopo elevato, vale a dire per ottenere la prosperità della popolazione e per l’amore della fratellanza internazionale, dell’unione e dell’eguaglianza. Si capisce che questi agenti non dicono al popolo, che tale unificazione può essere ottenuta soltanto sotto il nostro dominio; di modo che vediamo la popolazione condannare gl’innocenti ed assolvere i colpevoli, convinta che potrà sempre fare ciò che le pare e piace. La plebe, data questa sua condizione mentale, distrugge tutto ciò che è stabile e crea lo scompiglio ovunque. La parola «libertà» porta la società a lottare contro tutte le potenze, persino contro le potenze della Natura e di Dio. Questo è il motivo per cui, quando noi arriveremo al potere, dovremo cancellare la parola «libertà» dal dizionario umano, essendo essa il simbolo della forza bestiale che trasforma le 203
popolazioni in belve assetate di sangue. Occorre però tener presente che queste belve si addormentano appena saziate di sangue e che in quel momento è facile affascinarle e ridurle in ischiavitù. Se non si procura ad esse del sangue, non si addormenteranno ma lotteranno fra di loro. PROTOCOLLO IV Ogni Repubblica attraversa varie fasi. La prima fase è rappresentata dai primi giorni di furia cieca, quando le turbe annientano e distruggono a destra e a sinistra. La seconda è il regno del demagogo, che promuove l’anarchia ed impone il potere assoluto. Questo dispotismo non è ufficialmente legale ed è, pertanto, irresponsabile; esso è nascosto ed invisibile, ma nel medesimo tempo si fa sentire. Esso è generalmente controllato da una organizzazione segreta la quale agisce dietro le spalle di qualche agente ed è conseguentemente tanto più audace e senza scrupoli. A questa forza segreta non importerà di mutare gli agenti che la mascherano. Questi mutamenti aiuteranno persino l’organizzazione, la quale con questo mezzo si sbarazzerà dei suoi vecchi servitori, ai quali avrebbe dovuto dare un forte premio, data la durata del loro servizio. Chi o che cosa può detronizzare una potenza segreta? Ebbene tale è appunto il nostro Governo. La loggia massonica in ogni parte del mondo agisce inconsciamente da maschera al nostro scopo. Ma l’uso che faremo di questa potenza nel nostro piano di azione, come i nostri quartieri generali, restano perpetuamente sconosciuti all’universo. La libertà potrebbe non essere dannosa e sussistere nei governi, e nei paesi senza pregiudicare il benessere del popolo, se fosse basata sulla religione, sul timore di Dio e sulla fratellanza umana, scevra da quei concetti di uguaglianza che sono in contrapposizione diretta con le leggi della creazione che hanno ordinato la sottomissione. Retto da una fede simile, il popolo sarebbe governato dalle parrocchie e vivrebbe tranquillamente ed umilmente sotto la tutela dei suoi pastori spirituali, sottomettendosi all’ordinamento da 204
Dio stabilito sulla terra. Ed è perciò che dobbiamo cancellare persino il concetto di Dio dalle menti dei Cristiani, rimpiazzandolo con calcoli aritmetici e bisogni materiali. Allo scopo di stornare le menti Cristiane dalla nostra politica è assolutamente necessario di tenerle occupate nell’industria e nel commercio. Così tutte le nazioni lavoreranno incessantemente per il loro proprio vantaggio, ed in questa lotta universale non si accorgeranno del nemico comune. Ma perché la libertà sconnetta e rovini completamente la vita sociale dei Gentili, dobbiamo mettere il commercio sopra una base di speculazione. Il risultato di ciò sarà che le ricchezze della terra, ricavate per mezzo della produzione, non rimarranno nelle mani dei Gentili, ma passeranno, attraverso la speculazione, nelle nostre casseforti. La lotta per la supremazia e la speculazione continua nel mondo degli affari, produrrà un società demoralizzata, egoista e senza cuore. Questa società diventerà completamente indifferente e persino nemica della religione e disgustata della politica. La bramosia dell’oro sarà unica sua guida. E questa società lotterà per l’oro, facendo un vero culto dei piaceri materiali che esso può procacciarle. Allora le classi inferiori si uniranno a noi contro i nostri rivali – cioè contro i Gentili privilegiati – senza neppur fingere di essere animate da un motivo nobile, e neppure per amore delle ricchezze, ma unicamente per il loro odio schietto contro le classi più elevate. PROTOCOLLO V Che genere di governo si può dare ad una società nella quale il subornamento e la corruzione sono penetrate ovunque; dove le ricchezze si possono ottenere solamente di sorpresa o con mezzi fraudolenti; dove il dissenso prevale in tutto, e la moralità si mantiene unicamente per mezzo del castigo e di leggi severe, e non in conseguenza di princìpi volontariamente accettati; dove il sentimento patriottico e religioso affoga nelle convinzioni cosmopolitane? Quale altra forma di governo si può dare a simili società, fuorché quella despotica che vi descriverò ora? 205
Organizzeremo un governo fortemente centralizzato, in modo da acquistare le forze sociali per noi. Per mezzo di nuove leggi regoleremo la vita politica dei nostri sudditi come se fossero tanti pezzi di una macchina. Tali leggi limiteranno gradatamente tutte le franchigie e le libertà accordate dai Gentili. In questo modo il nostro regno si svilupperà in un dispotismo così possente, da essere in grado di schiacciare i Gentili malcontenti o recalcitranti in qualunque ora ed in qualunque luogo. Ci diranno che il genere di potere assoluto che suggerisco non si confà col progresso attuale della civiltà, ma vi mostrerò, invece, che è proprio vero il contrario. Allorquando i popoli consideravano i loro sovrani come l’espressione della volontà di Dio, si sottomettevano tranquillamente al dispotismo dei loro monarchi. Ma dal giorno in cui infondemmo nelle popolazioni il concetto dei loro diritti, esse cominciarono a considerare i Re come semplici mortali. Al cospetto della plebe la santa unzione cadde dal capo dei monarchi, e quando ad essa togliemmo anche la religione, il potere fu gettato sulla via come pubblica proprietà e venne afferrato da noi. Oltre a ciò, fra le nostre doti amministrative contiamo quella di saper governare le masse e gl’individui per mezzo di fraseologie astute, di teorie confezionate furbamente, di regole di vita e di ogni altro mezzo d’inganno allettante. Tutte queste teorie, che i Gentili non comprendono affatto, sono basate sull’analisi e sull’osservazione unite ad una così sapiente argomentazione, che non trova l’eguale fra i nostri rivali, così come essi non possono competere con noi nella costruzione di piani di solidarietà e di azione politica. L’unica società da noi conosciuta che sarebbe capace di farci concorrenza in queste arti potrebbe essere quella dei Gesuiti. Ma siamo riusciti a screditare i Gesuiti agli occhi della plebe stupida per la ragione che questa società è un’organizzazione palese, mentre noi ci teniamo dietro le quinte, mantenendo il segreto della nostra. Al mondo, in fin dei conti, importerà poco se diventerà suo padrone il capo della Chiesa Cattolica, oppure un tiranno del sangue di Sionne. Ma per noi «popolo prediletto» la questione non è indifferente. Per un certo periodo i Gentili potrebbero forse esser capaci di tenerci testa. 206
Ma a questo riguardo non abbiamo da temere perché siamo salvaguardati dall’odio profondamente radicato che nutrono gli uni verso gli altri e che non si può estirpare. Abbiamo messo in contrasto gli uni con gli altri tutti gli interessi personali e nazionali dei Gentili, fomentandone tutti i pregiudizi religiosi e nazionali per quasi venti secoli. A tutto questo lavorio si deve il fatto, che nessun governo troverebbe appoggio nei suoi vicini, se si appellasse ad essi per opporsi a noi, perché ognuno di essi sarebbe convinto che un’azione contro di noi potrebbe essere disastrosa per la sua esistenza individuale. Noi siamo troppo potenti; il mondo intero deve fare i conti con noi. I Governi non possono fare il più piccolo trattato senza il nostro intervento segreto. «Per me reges regunt» – i sovrani regnano per mezzo mio. Leggiamo nella Legge dei Profeti, che siamo prescelti da Dio per governare il mondo. Dio ci ha dato l’ingegno e la capacità di compiere questo lavoro. Se vi fosse un genio nel campo nemico, egli potrebbe forse ancora combatterci, ma un nuovo venuto non potrebbe competere con dei vecchi lottatori come noi, e il conflitto fra lui e noi assumerebbe un carattere tale, che il mondo non ne avrebbe ancora visto l’eguale. Oramai è troppo tardi per il loro Genio. Tutte le ruote del meccanismo statale sono messe in moto da una forza che è nelle nostre mani: l’oro! La scienza dell’economia politica studiata dai nostri grandi sapienti ha già dimostrato che la forza del capitale supera il prestigio della Corona. Il capitale per avere il campo libero, deve ottenere l’assoluto monopolio dell’industria e del commercio. Questo scopo viene già raggiunto da una mano invisibile in tutte le parti del mondo. Questo privilegio farà sì che tutta la forza politica sarà nelle mani dei commercianti, i quali col profitto abusivo opprimeranno la popolazione. Oggi giorno conviene disarmare i popoli piuttosto che condurli alla guerra. È più importante sapersi servire per la nostra causa delle passioni ardenti che spegnerle. Incoraggiare le idee altrui e farne uso pel piano nostro piuttosto che disperderle. Il problema principale per il nostro governo è questo: come indebolire il cervello pubblico mediante la cri207
tica; come fargli perdere la facoltà di ragionare che è fomite d’opposizione; come distrarre la mentalità del pubblico per mezzo di fraseologie insensate. In tutti i tempi le nazioni, al pari degli individui, hanno preso le parole per fatti, perché si contentano di quello che odono e ben di rado si curano di verificare se le promesse siano state adempiute, o pur no. Conseguentemente noi, soltanto per darla ad intendere, organizzeremo delle istituzioni i cui membri dimostreranno e loderanno, con eloquenti discorsi, le loro contribuzioni al «progresso». Prenderemo un atteggiamento liberale per tutti i partiti e per tutte le tendenze e lo comunicheremo a tutti i nostri oratori, i quali saranno talmente loquaci, da stancare il pubblico, il quale sarà stufo e ristucco di qualunque genere d’eloquenza e ne avrà abbastanza. Per impadronirci della pubblica opinione dovremo anzitutto confonderla al massimo grado mediante la espressione da tutte le parti delle opinioni più contraddittorie, affinché i Gentili si smarriscano nel labirinto delle medesime. Ed allora essi comprenderanno, che la miglior via da seguire è quella di non aver opinioni in fatto di politica; la politica non essendo cosa da essere intesa dal pubblico, ma riservata soltanto ai dirigenti gli affari. E questo è il primo segreto. Il secondo segreto, necessario al successo completo del nostro governo, consiste nel moltiplicare ad un punto tale gli errori, i vizi, le passioni e le leggi convenzionali del paese, che nessuno possa vederci chiaro in simile caos. Quindi gli uomini cesseranno di comprendersi a vicenda. Questa politica ci aiuterà pure a seminare la zizzania in tutti i partiti; a dissolvere tutte le forze collettive, a scoraggiare ogni iniziativa individuale, la quale potrebbe in qualche modo intralciare i nostri progetti. Non vi è nulla di più dannoso dell’iniziativa individuale: se è assecondata dall’intelligenza essa ci può recare maggior danno dei milioni di esseri che abbiamo aizzato a dilaniarsi vicendevolmente. Dobbiamo dare all’educazione di tutta la società cristiana un indirizzo tale, che le cadano le braccia per disperazione in tutti i casi nei quali un’impresa domandi dell’iniziativa individuale. La tensione prodotta dalla propria libertà d’azio208
ne, perde di forza quando incontra la libertà d’azione altrui. Ne conseguono le scosse morali, le disillusioni ed i fallimenti. Con questi mezzi opprimeremo i Cristiani ad un tale punto, che li obbligheremo a chiederci di governarli internazionalmente. Quando raggiungeremo una simile posizione, potremo immediatamente assorbire tutti i poteri governativi del mondo e formare un Super-governo universale; al posto dei governi ora esistenti, metteremo un colosso che si chiamerà 1’«Amministrazione del Super-governo». Le sue mani si allungheranno come immense tanaglie e disporrà di una tale organizzazione, che otterrà certamente la completa sottomissione di tutti i paesi.
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VII Sergyei Nilus
Pubblicista russo legato agli ambienti della polizia segreta russa, fu colui che nel 1903 pubblicò i Protocolli dei Savi Anziani di Sion come parte di un suo libro dal titolo II grande nel piccolo, assicurando così la loro diffusione in Russia e, quindi, in tutto il mondo. I passi qui riprodotti costituiscono parte dell’epilogo che Nilus fece seguire alla sua edizione dei Protocolli tradotta anche in Occidente (nella fattispecie essi sono stati ripresi dalla edizione di Preziosi del 1921). Secondo gli archivi del Sionismo ebraico segreto, Salomone ed altri dotti Ebrei, già sin dal 929 avanti Cristo studiarono in teoria un progetto per la conquista pacifica dell’intero universo da parte di Sionne. Mentre la storia si svolgeva, questo progetto fu studiato in tutti i suoi particolari e completato da uomini che erano successivamente iniziati a questo problema. Questi sapienti decisero di conquistare il mondo per Sionne adoperando mezzi pacifici, e cioè coll’astuzia del serpente simbolico, la cui testa doveva rappresentare gli iniziati ai piani dell’Amministrazione Giudaica, ed il corpo il popolo ebraico. L’amministrazione fu sempre tenuta segreta, persino alla stessa nazione ebraica. Questo serpente, penetrando a mano a mano nel cuore delle nazioni che incontrava, scalzò e divorò tutto il potere non ebraico di questi Stati. È predetto che il serpente deve continuare il suo lavoro seguendo strettamente il piano prestabilito, fino a che il cammino che deve percorrere non sia chiuso col ritorno del suo capo a Sionne, finché, con questo mezzo, il serpente non abbia completato il suo anello intorno all’Europa, e – dopo aver incatenato l’Europa – non abbia 211
accerchiato il mondo intero. Questo compito deve condurre a termine sforzandosi di soggiogare gli altri paesi con la conquista economica. Il ritorno della testa del serpente a Sionne può aver luogo solennemente quando il potere di tutti i Sovrani dell’Europa sia stato abbattuto; vale a dire quando, per mezzo di crisi economiche e di distruzioni in massa, effettuate ovunque, sarà avvenuta la demoralizzazione spirituale e la corruzione morale, principalmente coll’aiuto di donne ebree, truccate da francesi, italiane, spagnuole. Queste sono le più sicure spargitrici di libertinaggio nella vita degli uomini più in vista ed alla testa delle nazioni. Le donne che sono al servizio di Sionne servono da attrattiva a coloro che, grazie ad esse, hanno sempre bisogno di denaro, e quindi sono sempre pronti a vendersi per denaro, che in realtà è solo imprestato dagli Ebrei, perché ritorna, attraverso le stesse donne, nelle mani del giudaismo corruttore. Ma mediante queste transazioni, esso acquista schiavi per la sua causa. È naturale che per la riuscita di un’impresa simile né i funzionari pubblici, né gli individui privati, debbano sospettare la parte rappresentata dalle donne impiegate dal Ghetto. Perché i direttori della causa di Sionne formarono una specie di casta religiosa, costituita da ardenti seguaci della legge mosaica e degli statuti del Talmud. Tutto il mondo credette che la maschera della legge di Mosè fosse la vera regola di vita degli Ebrei. Nessuno pensò di indagare gli effetti di questa regola di vita, specialmente perché tutti gli occhi erano rivolti all’oro che la casta poteva provvedere e che le dava la più assoluta libertà per intrigare economicamente e politicamente. Un abbozzo del percorso del serpente simbolico è il seguente: la sua prima tappa in Europa avvenne nel 429 avanti Cristo, in Grecia, dove, all’epoca di Pericle, il serpente cominciò a divorare la potenza di quel paese. La seconda fu a Roma, al tempo di Augusto, circa l’anno 69 a.C. La terza a Madrid, al tempo di Carlo V, nel 1552. La quarta a Parigi, nel 1700 circa, al tempo di Luigi XIV. La quinta a Londra dal 1814 in poi (dopo la caduta di Napoleone). La sesta a Berlino, nel 1871, dopo la guerra franco-prussiana. La set212
tima a Pietroburgo, su cui è disegnata la testa del serpente con la data 1881. Tutti questi Stati che il serpente ha attraversato, sono stati scossi nelle fondamenta delle loro costituzioni, non eccettuato la Germania, malgrado la sua apparente potenza. Le condizioni economiche dell’Inghilterra e della Germania sono state risparmiate, ma solo fino a quando il serpente non sarà riuscito a conquistare la Russia, contro la quale tutti i suoi sforzi sono concentrati attualmente (1905). La corsa futura del serpente non è segnata su questa carta, ma delle frecce ci indicano il suo prossimo movimento verso Mosca, Kiev e Odessa. Sappiamo ora perfettamente che queste ultime città costituiscono i centri della razza ebraica militante. Su questa carta Costantinopoli è segnata come l’ultima tappa del corso del serpente, prima che esso raggiunga Gerusalemme. Il serpente deve percorrere ancora un breve cammino per completare il suo corso, unendo la sua testa alla sua coda. Per facilitare il corso del serpente, Sionne prese le seguenti misure, allo scopo di rimodellare la società e di convertire le classi operaie. Anzitutto la razza ebraica fu organizzata in maniera tale, che nessuno vi potesse entrare e quindi svelarne i segreti. Viene presupposto che Iddio stesso abbia detto agli Ebrei che essi sono destinati a governare su tutta la terra in forma di un Regno indivisibile di Sionne. È stato insegnato agli Ebrei, che essi sono la sola razza meritevole di essere chiamata umana, tutte le altre essendo destinate a rimanere «bestie da lavoro» e schiavi degli Ebrei e che lo scopo ebraico deve essere la conquista del mondo e l’erezione del Trono di Sionne sull’universo (cfr. Sanh. 91, 21, 1051). A gli Ebrei venne insegnato che sono dei Super uomini e che si devono mantenere distinti dalle altre nazioni. Queste teorie ispirò ad essi il concetto dell’autoglorificazione perché, per diritto, sono i figli di Dio (Cfr. Jihal, 67, I; Sanh. 58, 2). La razza ebraica, vivendo separata dalle altre, aderisce strettamente al sistema del «Kaghal», il quale fa obbligo ad 213
ogni Ebreo di aiutare i suoi consanguinei indipendentemente dall’assistenza che costoro ricevono dalle amministrazioni locali di Sion che portano diversi nomi: Kaghal, Concistori, Commissioni d’affari ebraici, Uffici per esazioni di tasse ecc. Tutte queste amministrazioni servono a mascherare il governo di Sionne agli occhi dei governi di quegli Stati Gentili, che alla loro volta difendono sempre vigorosamente il diritto degli Ebrei di governarsi da sé, perché li considerano erroneamente come una comunità puramente religiosa. Le suddette idee instillate negli Ebrei, ne hanno anche considerevolmente influenzato la vita materiale. Quando leggiamo delle opere come il «Gobanyon» 14, pag. 1; «Eben Gaizar», 44, pag. 81; «XXXVI Ebamot», 98, «XXV Ketubat» 36; «XXXIV Sanudrip» 746; «XXX Kadushin», 68 A – che furono tutte scritte coll’intento di glorificare la razza ebraica – vediamo che esse trattano realmente tutti i Gentili come se fossero delle bestie, create unicamente per servire gli Ebrei. Costoro credono che i popoli, le proprietà di essi e persino le loro vite, appartengono agli Ebrei e che Iddio permette alla sua razza prediletta di farne l’uso che vuole. Secondo le leggi ebraiche, tutti i maltrattamenti fatti subire ai Gentili son perdonati nel giorno del Capodanno ebraico, nel quale gli Ebrei ricevono anche il permesso di peccare nello stesso modo durante l’anno entrante. Per eccitare l’odio dei loro contro tutti i Gentili, i capi degli Ebrei agiscono da «agenti provocatori» durante le agitazioni antisemitiche, permettendo ai Gentili di scoprire alcuni dei segreti del Talmud. Le manifestazioni antisemitiche furono anche molto utili ai caporioni Ebrei, perché destarono compassione nel cuore di alcuni Gentili verso un popolo il quale, apparentemente, veniva maltrattato. Ciò servì ad accaparrare conseguentemente molte simpatie tra i Gentili per la causa di Sionne. L’antisemitismo, che si manifestò con la persecuzione degli Ebrei di basso ceto, ne aiutò i capi a controllarli e tenerli in soggezione. Essi potevano permettere queste persecuzioni, perché al momento opportuno intervenivano e salvavano i loro correligionari. Notate che i capi Ebrei non soffrirono 214
mai, né nei loro progressi, né nelle loro posizioni ufficiali di amministratori, durante le agitazioni antisemitiche. Questo fatto non deve far meraviglia, perché furono questi stessi capi che aizzarono i «mastini cristiani» contro gli Ebrei più umili. I mastini mantenevano l’ordine nelle loro greggi e perciò aiutavano a rafforzare la stabilità di Sionne. Secondo la loro opinione, gli Ebrei hanno già raggiunto la posizione di Super-governo mondiale ed ora si tolgono la maschera. Naturalmente, la maggior forza di conquista degli Ebrei era costituita dal loro oro; pertanto essi non dovevano far altro che lavorare per dargli valore. L’alto valore dell’oro dipende specialmente dal fatto che la moneta d’oro regola tutti gli scambi. La sua accumulazione nelle mani degli Ebrei dipende dal fatto che essi hanno saputo approfittare di qualunque crisi internazionale per monopolizzarlo. Di questo si ha la prova nella storia della famiglia Rothschild, pubblicata a Parigi dalla «Libre Parole». Per mezzo di queste crisi, fu stabilita la potenza del capitalismo sotto lo stendardo del liberalismo, proteggendolo con teorie economiche e sociali astutamente congegnate. Gli Anziani di Sion ottennero un successo straordinario dando un’apparenza scientifica a queste teorie. Il sistema degli scrutinii di voto conferisce sempre agli Ebrei la possibilità di introdurre, per mezzo della corruzione, quelle leggi che possono essere utili allo scopo loro. La forma di governo dei Gentili che più corrisponde ai desideri degli Ebrei è la repubblica, perché dove essa vige, riescono con più facilità a comperarsi una maggioranza. Inoltre il sistema repubblicano conferisce una libertà sconfinata ai loro agenti ed all’esercito di anarchici che hanno al loro soldo. Questo è il motivo per cui gli Ebrei sono così ardenti sostenitori del liberalismo; ed i Gentili sciocchi, che essi abbindolano, ignorano il fatto, già così evidente, che sotto una repubblica non vi è maggior libertà che sotto un’autocrazia, anzi si verifica il contrario, perché avviene che i pochi sono oppressi dalla plebe la quale è sempre istigata dagli agenti degli Ebrei. Secondo il testamento di Montefìore, Sionne non risparmia né denaro, né mezzi, per riuscire a questi intenti. 215
Ogni giorno i governi di tutto il mondo, incoscientemente, o scientemente, sono soggetti ai comandi di quel grande Super-governo che è Sionne, perché tutte le loro cartelle di rendita sono nelle mani degli Ebrei e tutti i paesi sono talmente in debito con essi, da non potersene mai liberare. Tutto il commercio, l’industria, come pure la diplomazia, sono in mano degli Ebrei. Per mezzo dei suoi capitali il Ghetto ha rese schiave tutte le nazioni dei Gentili. A forza di un’educazione materialistica intensiva, gli Ebrei misero delle pesanti catene a tutti i Gentili e con queste li legarono al loro Supergoverno. La fine delle libertà nazionali è prossima, e quindi anche la libertà individuale cesserà, perché la vera libertà non può esistere dove la leva del denaro rende possibile al Ghetto di governare la plebe e di regnare sulla parte più degna e più responsabile della comunità! … «Coloro che hanno orecchi ascoltino»! …
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VIII Giovanni Preziosi
Uomo politico e pubblicista italiano (1881-1945), fu il maggior esponente dell’antisemitismo italiano del secolo XX. Dal 1920 la sua rivista «La vita italiana» divenne il centro di raccolta di tutti gli antisemiti italiani. Animatore della persecuzione fascista, durante la Repubblica Sociale Italiana resse l’Ispettorato per la Razza. I passi qui riprodotti sono tratti da «La vita italiana» dell’agosto 1920 e furono ripubblicati più volte. L’internazionale ebraica Il mondo ebraico è sconvolto come forse non lo fu mai prima d’ora in tutta la lunga odissea della sua storia. I pogroms contro gli ebrei in Russia, in Polonia e in Ungheria hanno fatto assistere la città di New York ad una delle più grandi dimostrazioni che quella città abbia veduto. Mezzo milione di operai ebrei hanno sospeso il lavoro a mezzogiorno. Tutti i magazzini e le case di commercio hanno chiuso. 25.000 soldati e marinai ebreo-americani e i legionari ebrei che avevano partecipato alle battaglie di Palestina, attraversarono, alla testa d’un corteo di più di 100.000 borghesi, le strade della città portando al braccio segni di lutto. In un grandioso comizio di soldati e di delegati di numerose organizzazioni, tenuto al Carnegie Hall, gli uomini politici più autorevoli protestarono con veemenza contro i pogroms. Mr. Daniels, ministro della marina, disse che l’America s’era impegnata ad opporsi all’autocrazia e alla barbarie in qualunque paese avvenissero. Monsignor Lavelle, in rappresentanza dell’arcivescovo Hayes, affermò d’esser venuto ad 217
esprimere i sentimenti che empivano il suo cuore e a portare il messaggio di simpatia dei cattolici di New York e del mondo intero verso i loro fratelli ebrei nella loro terribile afflizione. William Mac Adoo, genero del Presidente Wilson, ex-ministro delle finanze, esclamò che nessuno può leggere senza indignazione e profonda tristezza i racconti delle atrocità commesse contro gli ebrei. In Francia uomini come Anatole France, Paul Appel, Emile Combes, Henri Roger, Albert Thomas, l’abate Viollet, il pastore Wilfred Monot lanciano un appello all’umanità «ascoltando il grido di terrore e di straziante dolore che loro giunge dall’Ukraina, dalla Polonia, dalla Lituania, dalla Galizia: è il grido del popolo ebraico che chiama disperatamente soccorso». In Italia la «Pro-Israele», il Comitato delle «Comunità israelitiche», la «Federazione sionistica» levano «la voce di protesta e il grido di soccorso, chiedendo all’opinione pubblica italiana, ai rappresentanti del popolo, alla stampa, al governo di impedire la distruzione di un popolo». Nella stessa Germania una «Lega contro l’antisemitismo» elenca e diffonde nel centro d’Europa i supplizi del terrore di cui sono vittime gli ebrei e invoca, nel nome della responsabilità umana, la fine della «persecuzione». Ma le dimostrazioni, gli appelli, le proteste hanno finora lasciata inerte la diplomazia, e le opinioni pubbliche dei vari paesi sono restate più o meno sorde ed indifferenti. La ragione è forse questa: che si tratti di una colossale mensonge. Ciò sostiene Urbain Gohier, nella Vieille France (n. 144, p. 12 e 14) e si basa tra altro su di un libro dal titolo: «Les dessous d’une campagne; la question juive en Pologne; les opinions socialistes sur les Pogroms», (Picart, éditeur, 59, Boulevard Saint Michel. L’autore è Stéphane Aubac. Prefazione di Victor Charbonelle). Gohier dice altresì: «Le gouvernement britannique possède una circulaire du Ministre des Affaires étrangères de Berlin qui prescrit à ses agents de renforcer la campagne de presse contre la Pologne, surtout dans les milieux de gauche de l’Entente. «En exécution de cet ordre, les entretenus de l’Allemagne ont lancé des proclamations, signées en première ligne 218
par le gâteux Anatole Thibaut dit France, ex-greluchon de la richissime Juive Lippmann… «Partout le Juif est complice de l’Allemand; partout le socialiste est le valet, l’instrument de l’Allemand et du Juif». Eppure oggi l’alta finanza, il giornalismo, la politica internazionale sono nelle mani degli ebrei. Passate in rassegna i nomi dei capitani delle più grandi imprese bancarie, industriali, giornalistiche mondiali, delle più colossali aziende terrestri o marittime e troverete che sono tutti ebrei. Le borse di New York, di Londra, di Parigi, di Francoforte, di Zurigo, di Vienna, di Varsavia erano e sono nelle mani di ebrei. È necessario fare i nomi? Essi vanno da Jacob Schiff a Rathenau, agli eredi di Ballin. Ricordiamo solamente che Jacob H. Schiff è nato a Francoforte. Sua figlia ha sposato Félix Warburg. Paul Warburg ha sposato la cognata di Schiff. Max Warburg – uno dei plenipotenziari tedeschi a Versailles, fratello del precedente – è capo della Banca Max Warburg & C. di Amburgo ed il principale finanziere della Amburgo-America, compagnia di navigazione di cui Ballin era il direttore. Socii di Jacob H. Schiff sono Kuhn Loeb e C. di New York. Allorché Wilson creò il Federal Reserve Board designò Paul Warburg come uno dei direttori, su raccomandazione del suo genero Mac Adoo, ministro delle finanze, il quale è socio di Kuhn Loeb e C. in imprese ferroviarie. Jacob Schiff è stato il grande finanziere della «Sociétè Mutuelle des Juifs Allemands» formidabile sindacato che ha lavorato contro l’Intesa. Jacob H. Schifi creò l’«American Neutral Conference Committee», che creò la Lega delle Nazioni e la stampa contro la «vecchia diplomazia», «l’imperialismo» ecc. e procurò ai tedeschi la pace vittoriosa nella sconfitta. Ma non è nell’alta banca e nell’alta finanza che è necessario ricordare qualche nome, bensì nel grande giornalismo. Qui pochi sanno che tanta parte del giornalismo tedesco è dominato da due sole case ebree: Mosse e Ullstein; non tutti ricordano che lord Northcliffe, direttore del Times e 219
proprietario di molti giornali, è né più né meno che Alfredo Harmsworth, nipote di uno dei più famosi strozzini ebrei di Francoforte sul Meno: Isacco Harmsworth. I più ignorano che il Petit Parisien, che è il giornale di maggiore tiratura in Francia, era diretto da Paul Levy, detto Louis, «agent suspect au Ministère Affaires Étrangers et rédacteur à l’Humanìté». Poi ne è diventato direttore effettivo l’ebreo Aghion. Gohier domanda se Aghion «est le Juif qui a passé dans les procès de trahison, dont on n’a jamais pu déterminer la nationaiité (turque? egyptienne? greque?) et que nous avons vu déshonorer la presse francaise en qualité de correspondant du Figaro dans les Balkans» (Vielle France, n. 181, p. 22; n. 121, p. 19). L’agenzia Reuter fu fondata da Paul Josaphat, figlio di ebrei tedeschi di Kassel, che assunse il nome di barone Reuter. L’Havas è di origine ebraica. E abbiamo nominata la grande stampa senza tener conto di quella di casa nostra. E non è ebreo quel Isidoro Wittkowski che si fa chiamare Massimiliano Harden? Ma sovrattutto la politica è oggi guidata dagli ebrei che influiscono su gli uomini di Stato: Lloyd George è egli stesso d’origine ebraica; Wilson è nelle mani degli ebrei; Clémenceau era legato a tutta una banda di ebrei. Basta ricordare che a Parigi durante la conferenza Wilson era ospite di un ebreo; Lloyd George era ospite di un ebreo; il solo ammesso ai segretissimi colloqui dei quattro durante le sedute della conferenza era l’ebreo Mantoux. E perché tutta questa gente che ha nelle mani le sorti del mondo non è riuscita a sollevare l’opinione pubblica mondiale per far eco al grido di terrore e di straziante dolore che giunge dall’Europa orientale? Perché la grande stampa americana, inglese, tedesca, francese non leva la voce contro i «pogroms» dei quali dicono vittime gli ebrei? Gli è perché l’opinione pubblica dei paesi europei fa risalire agli stessi ebrei la responsabilità prima dei cosiddetti massacri contro il popolo ebraico. L’opinione pubblica europea è sotto l’impressione che i grandi rivolgimenti odierni sono fomentati e guidati da ele220
menti ebraici. E non è tanto quistione di numero quanto di qualità di uomini; non è quistione di folle, ma di capitani. Lasciamo stare Marx e Lassalle che si chiamavano rispettivamente Mordechai e Feist Lasall; ma, non sono forse ebrei Trotzki (il cui vero nome è Braunstein), anima dell’odierna rivoluzione russa, e quel Kerenski che ne fu il primo e maggiore responsabile ed il cui vero nome è Zederblum? Non sono ebrei quei Radek e Joffe importatori della rivoluzione in Germania? Non è ebreo Litvinof che si chiama Finckelstein? E non sono tutti ebrei i nomi dei maggiori rivoluzionari che tengono oggi il mondo in subbuglio, si chiamino essi Enver Pascià (il cui vero nome è Annar Pascià) o Bela-Kun? In Germania oggi si accusa il socialismo di origine ebraica come fattore della disfatta, e si elencano uomini e date: ebrei furono e sono in gran maggioranza i capi del Partito socialista tedesco Guglielmo e Carlo Liebknecht, Singer (che si faceva chiamare Paolo invece di Pinkus), Bernstein, Oskar Kohn Nordhausen, Davidsohn, Frank, Gradnauer, Hirsch, Herzfeld, Simon, Stadthagen, Rosa Luxemburg… I ventidue indipendenti che primi si staccarono dalla maggioranza socialista spezzando l’unione sacra, erano quasi tutti ebrei; ed ebrei i loro capi: Liebknecht, Haase e Cohn. Il primo indizio di disfacimento dell’esercito tedesco fu l’invio ad Hindenburg di una Commissione in nome di quattrocentomila soldati. E l’oratore di questa Commissione fu un semplice soldato di vent’anni: l’ebreo Levy. Ebrei furono gli oratori delle terribili giornate del sovietismo bavarese: Levinè, Lewien, Toller, Landauer – nomi che grondano ancora di sangue, perché, il giorno in cui cadde l’Impero, gli ebrei videro aprirsi quella via che Goethe diceva l’unica che si apre a «questo scaltro popolo che nulla ha da sperare finché regna il buon ordine»: la via del disordine della rivoluzione. E di Ebrei fu formata la maggioranza dei famosi Consigli di operai e soldati. E chi portò al Governo la rivoluzione? In Russia l’ebreo Hirsch; in Baviera Kurt Eisner, che, viceversa, si chiamava Salomone Kosmanowski; in Sassonia l’ebreo Gradnauer; nel Württemberg gli ebrei Heinemann e 221
Thalheimer; nell’Assia l’ebreo Fulda. Nel primo Governo repubblicano ottanta su cento dei Ministeri e delle Direzioni più importanti furono occupati dagli ebrei – che, per contro, non formano che l’uno per cento della popolazione tedesca. E ci deve essere del vero in quest’ultima lamentazione perché un giornale israelita stesso, l’Judice Echo, scriveva con rara franchezza qualche settimana dopo la rivoluzione: – Ci sono troppi ebrei al Governo, questa è l’impressione generale –. Mentre qualche altro sospirava: – Ci siamo liberati di Ventitré Principi tedeschi, per cadere sotto il gioco di mille tiranni ebrei! Il 30 marzo dello scorso anno il Daily News presso le truppe rosse del distretto della Ruhr fece intervistare a Essen il capo dei comunisti, Paul Levy. Egli disse: «Ogni tentativo di arrivare ora per mezzo delle armi ad una Repubblica dei Soviety sarebbe una pazzia. Lo scopo immediato è di disarmare le truppe reazionarie. Gli operai tedeschi sono egualmente organizzati come i russi: il borghese tedesco però è assai più forte del borghese russo». Nell’opinione pubblica tedesca v’è tutta una corrente che tende a dimostrare che ebrea fu la guerra, ebrea fu la rivoluzione, ebrea fu la pace, ebrea è la repubblica. E, quella del bolscevismo ebraico, non è, purtroppo, una leggenda; e gli ebrei fanno male, ad esempio, la loro difesa quando a prova delle atrocità antiebraiche adducono testimonianze di uomini come Isaac Don Lewin il quale se andò dall’America in Russia in qualità d’inviato del Chicago Daily News, ciò fece sotto la veste pubblica per raccogliere documenti in città e villaggi della Russia sulle atrocità antiebraiche; ma la sua veste reale fu quella di rapporti col governo bolscevico dal quale si ebbe, e li vendette a caro prezzo, quei documenti diplomatici segreti pubblicati dal Chicago Daily News che non hanno nulla a che fare con i massacri ebrei. Noi leviamo la voce contro i delitti di cui si dice vittima tutto il popolo ebraico. Ma perché l’opinione pubblica sia sollevata è indispensabile che sia tranquillizzata intorno a quella che è l’opera antinazionale che compiono l’alta fi222
nanza ebraica internazionale da un lato e l’internazionale bolscevica dall’altro. Scindano i comitati ebraici che si rivolgono alla opinione pubblica di tutti i paesi, la loro responsabilità da quella dai dissolvitori della società; ne stimmatizzino l’opera, e allora l’opinione pubblica risponderà. Perché, guardino i signori della Federazione sionistica italiana, noi non siamo antisemiti. Noi facciamo omaggio al patriottismo di molti ebrei in Italia. Tanti di costoro hanno di fronte al nostro paese benemerenze che non si distruggono: essi hanno occupato quotidianamente nella nostra storia pagine gloriose; ma è perciò che noi teniamo a veder divisi questi ebrei patriotti da coloro che dissolvono il nostro e l’altrui paese. Anche l’Italia è vittima delle internazionali ebraiche. Ricordiamo a titolo di esempio quanto sono stati funesti per noi durante l’impresa libica l’alta banca e il giornalismo ebraico. Fu Mr. Shervood Spencer, il corrispondente di guerra del «New York Herald», quegli che ebbe un giorno il coraggio di dire cose che noi vogliamo ricordare con le sue stesse parole: «L’Italia – disse lo Spencer – non si sta battendo solo con la Turchia. Essa è realmente in guerra coi grandi banchieri ebrei di tre continenti. E alla testa del nemico d’Italia è Sir Ernst Cassel con la sua banca. Il nostro Dipartimento di Stato lo sa e lo sa il Ministero degli Esteri inglese. Ma gli Stati Uniti non sono interessati nella politica mediterranea, mentre tutta l’Inghilterra, dalla famiglia reale all’ultimo membro del Parlamento, ha tali obbligazioni verso gl’interessi finanziari facenti capo alla banca di Cassel, che non osa formulare una protesta. Un solo uomo, Mr. Hilaire Belloc, ha osato insorgere e protestare, e nel corso di un anno, a motivo della sua protesta, ha perduto il suo seggio in Parlamento. «Voi chiedete perché la stampa del mondo civile non sollevi il coperchio delle macchinazioni degli usurai a Costantinopoli? Ma questa domanda non se la rivolgono quelli che sanno da qual potere siano governati per la maggior parte i nostri più influenti giornali. 223
«Chi vuol scoprire il motivo della campagna anti-italiana condotta nella stampa inglese non deve far altro che dare uno sguardo alla lista dei proprietari di giornali. Il “Daily Telegraph” appartiene a Lord Burnham, capo della famiglia Lawson, il cui vero nome è Levi. Quando il padre di Lord Burnham andò a stabilirsi in Inghilterra si chiamava Johannes Moses Levi. Il nipote, Harrv Lawson, prende parte attiva all’amministrazione del giornale, ed è voce generale nei circoli giornalistici londinesi che gli uffici del “Daily Telegraph” siano tappezzati di “bonds” turchi. Il direttore del “Daily Express” è Mr. Blumenthal; il dipartimento estero del “Daily News” è diretto da Mr. Theodor Rothstein, quelli del “Graphic” e del “Daily Graphic” sono diretti da Mr. Lucien Wolf, quello stesso che offrì gratuitamente l’opera sua a qualsiasi giornale disposto ad accettare i suoi articoli contro l’Italia. «Sir Alfred Mond, un ebreo influente, membro del Parlamento, è proprietario della “Westminster Gazzette”, e la sua “English Review” è ritenuta come il passatempo di Lady Mond. Lo “Stendard” era controllato da Pearson quando pubblicò una serie di articoli contro l’immigrazione ebraica in Inghilterra. Alcune avvedute persone profetizzarono che la voce dello «Stendard» sarebbe stata presto costretta a tacere. Infatti dopo pochi mesi il giornale passò nelle mani di un Mr. Dalziel che a quel tempo stava negoziando un’importante concessione in Tripoli. E dietro a tutto ciò, come ho detto, è Sir Ernest Cassel con la sua banca. «Che dovrei dire della Reuter Agency? «Una strana coincidenza riferentesi alla Reuter è che Ashmead-Bartlett, il corrispondente di quella agenzia a Tripoli il quale fu il primo a telegrafare le maligne invenzioni di atrocità italiane, è il figlio di un concessionario turco. E ciò non è tanto strano quanto il fatto che Ashmead-BartIett era in viaggio per mare in andata e ritorno da Bengasi dal 17 al 27 ottobre quando telegrafò a Londra le storie di atrocità che asserì aver visto compiere nelle vie di Tripoli dal 20 al 24 ottobre. E fu questo medesimo stupefacente individuo a telegrafare che un giardiniere di Mr. William Riley, il Console di Norvegia, era stato fucilato alle spalle da un soldato 224
italiano mentre lavorava pacificamente dentro il giardino del Consolato. Mr. Riley smentì il fatto dichiarando che il suo giardiniere e tutti i suoi amici arabi stavano benissimo. «E che dire di quel tale Mc. Cullaugh che rivaleggiava col Bartlett nelle invenzioni di atrocità? «Francis Mc. Cullaugh, corrispondente del “World” di New York era compagno del Bartlett». …
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IX Adolf Hitler
Uomo politico tedesco di origine austriaca (1889-1945) fondatore del nazismo, dal 1933 a capo della Germania. I passi qui riprodotti costituiscono l’undicesimo capitolo del suo libro La mia vita (pubblicato in Italia nel 1941 dalla casa editrice Bompiani). Lo spettacoloso sviluppo economico conduce a una metamorfosi della struttura sociale del popolo. In quanto il piccolo artigianato si esaurisce lentamente e cessa con ciò la possibilità per gli operai di conquistare una esistenza indipendente, il popolo si proletarizza. Nasce così l’operaio di fabbrica, la cui caratteristica principale sta nel fatto che non sarà mai in situazione di potersi creare, neanche per la vecchiaia, una vita indipendente. Egli è nel vero senso della parola, il povero; i suoi vecchi giorni sono miseria e tormento, né si possono più chiamare vita. Già prima si era avuta una situazione pressoché simile, che a sua volta urgeva verso una soluzione, e l’aveva trovata. Ai contadini e agli artigiani s’era lentamente aggiunta una nuova classe, quella dei funzionari e degli impiegati, specialmente dello Stato. Anche costoro erano in realtà dei poveri, nel vero senso della parola. Ma lo Stato trovò una via d’uscita, in quanto si incaricò del mantenimento degli impiegati nella loro vecchiaia, e introdusse l’uso della pensione. Anche le aziende private seguirono lentamente questo esempio, di modo che oggi quasi tutti gli impiegati stabili possono calcolare sulla pensione, e ciò nella misura che l’azienda che li occupa ha raggiunto una certa importanza. E soltanto questa sicurezza per la sua vecchiaia educò l’impiegato a quella fedeltà al dovere che fu nella 227
Germania prebellica la più nobile caratteristica della classe impiegatizia. A questo modo, tutta una classe che era rimasta senza proprietà, venne strappata abilmente alla miseria sociale e reintrodotta nel corpo popolare. Una nuova volta questo problema si presentò allo Stato e alla Nazione, e stavolta in dimensioni molto più vaste. Un’infinità di gente, son milioni, emigrano dalla terra verso le metropoli, per guadagnarsi il pane come operai delle nuove industrie. Le condizioni di lavoro e di vita di questa nuova classe erano più che tristi. Già il passaggio meccanico dai vecchi metodi di lavoro, dell’artigiano o del contadino, alla nuova forma non corrispondeva in nessun modo alla loro mentalità. L’attività tanto dell’uno come dell’altro non era neanche da compararsi alla fatica che l’operaio di fabbrica doveva compiere. Nell’artigianato, il tempo non aveva una grande importanza, enorme invece nei nuovi metodi di lavoro. L’applicazione automatica dell’antico orario lavorativo alle grandi aziende industriali ebbe un effetto fatale; giacché per la mancanza dei metodi intensivi di lavoro, esso era prima d’allora poco sentito. Se prima si poteva sopportare la giornata lavorativa di 14 o 15 ore, non era più possibile adesso, in un lavoro dove ogni minuto doveva essere sfruttato al massimo. È cosa certa che il risultato di questa applicazione degli antichi orari alla nuova attività industriale fu disgraziatissimo, e ciò per due motivi: la salute venne distrutta, come pure la fede in un diritto superiore. Aggiungi a ciò i salari ignobilmente bassi, e per converso la brillante situazione del datore di lavoro. In campagna la questione sociale non poteva sorgere, perché il padrone e il servo facevano lo stesso lavoro e mangiavano alla stessa scodella. Ma anche ciò andò trasformandosi. La separazione del datore di lavoro dal salariato è, oggi, completa in tutte le zone della vita. E di quanto sia avanzato con ciò il processo di giudaizzazione del nostro popolo, si può misurarlo dal disprezzo che oggi si rivolge al lavoro manuale. Questo non è certo un fenomeno tedesco. Soltanto la giudaizzazione della nostra vita mutò l’antico rispetto pel lavoro manuale in un disprezzo per ogni attività fisica. 228
A questo modo venne formandosi una categoria poco stimata; e non potrà non nascere un giorno la domanda, se la Nazione avrà abbastanza energia per farla entrare per sua iniziativa nella struttura sociale, o seppure quella differenza di categoria non si allargherà in un abisso di classe. Una cosa era sicura: la nuova categoria non possedeva nei suoi ranghi gli elementi peggiori; al contrario, certamente i più robusti. La raffinatezza della così detta cultura non aveva ancora esercitato su costoro i suoi effetti corruttori e disgregatori. Né questa casta era stata ancora contagiata dal veleno pacifista; ma era robusta e, se necessario, anche brutale. Mentre la borghesia non pareva preoccuparsi di questo problema così essenziale, e lasciava correre le cose per la loro china, l’ebreo capì le enormi possibilità che vi erano dentro, pel suo avvenire; e pur continuando ad organizzare, da una parte, i metodi capitalisti dello sfruttamento umano fino alle sue ultime conseguenze, egli si avvicinò dall’altra parte alle vittime del suo modo di agire, e divenne in breve tempo il condottiero della lotta contro se stesso. Questo «contro se stesso» bisogna considerarlo naturalmente come un tropo; perché quel gran maestro di menzogne sa sempre farsi passare per puro, e carica la colpa sugli altri. E siccome mette in mostra l’impudenza di guidare egli stesso le masse, queste non giungeranno mai a sospettare che son vittima della più colossale truffa di tutti i tempi. Ma è proprio così. Non appena quella nuova categoria cominciò a sollevarsi dalla sua informe situazione economica, l’ebreo vi vide l’avanguardia di un suo ulteriore progresso. Se egli si era servito della borghesia come di un ariete per abbattere il mondo feudale; ora si serve dell’operaio contro i borghesi. E come aveva saputo guadagnarsi all’ombra della borghesia i diritti civici, così spera ora, nella lotta degli operai per la loro esistenza, di trovare la strada per il proprio dominio. D’ora in poi l’operaio non ha più che il compito di combattere per l’avvenire del popolo ebreo. Così vien posto, inconsciamente, al servizio della potenza che egli crede di combattere. Lo si illude di attaccare il capitale, gli si addita 229
il capitale internazionale come l’ostacolo da abbattere; ma in realtà si vuol dire «l’economia nazionale». È questa che va demolita, perché al suo posto trionfi, sul cimitero, la borsa internazionale. Il modo di procedere degli ebrei, in questo caso, è il seguente: Egli si avvicina agli operai, finge una grande compassione per il loro destino, o magari indignazione per la loro miseria, per guadagnarsi così la loro fiducia. Egli si sforza di studiare le reali o immaginarie magagne della loro vita – e di svegliare così una nostalgia per un cambiamento. Quella esigenza che sonnecchia in ogni uomo ariano per una giustizia sociale, egli riesce a stimolarla, ad aumentarla, fino a gonfiarla in odio contro coloro che furono favoriti dalla fortuna; e dà così alla lotta per l’eliminazione degli inconvenienti sociali un’impronta specialissima. E fonda la dottrina marxista. In quanto gli è riuscito di farvi combaciare tutta una serie di pretese sociali giustificatissime, egli ne ottiene la sua diffusione; come anche la ripulsa della gente per bene, che si rifiuta di perseguire delle rivendicazioni le quali, presentate in quella forma e in tale compagnia appaiono già dall’inizio ingiustificate e impossibili da realizzare. Sotto il mantello di pensieri meramente sociali, si nascondono difatti scopi diabolici; anzi, questi vengono proclamati con la più insolente chiarezza. Questa dottrina presenta una miscela complicatissima di cose ragionevoli e di cose assurde. Con la negazione categorica della personalità, e quindi della Nazione con la sua sostanza razziale, essa distrugge i fondamenti elementari della cultura umana, che dipendono proprio da tali fattori. Ma precisamente in questo sta il germe profondo della visione del mondo marxista, se si può chiamare questo aborto di un cervello criminale, una visione del mondo. Con la distruzione della personalità e della razza cade difatti l’essenziale barriera che si oppone alla signoria di una genia inferiore – cioè degli ebrei. Il senso di questa dottrina inerisce proprio nella sua follia economica e politica. È per questo che i galantuomini e le persone veramente intelligenti non possono mettersi ai suoi 230
servizi, mentre vi accorrono a bandiere spiegate tutti i mediocri o ignoranti o spostati. A fornire i condottieri di quel movimento – perché anche un tale movimento ha bisogno di una intelligenza per progredire – si sacrifica naturalmente l’ebreo. A questo modo è nato il movimento di operai sotto la guida di ebrei, che apparentemente si propone di migliorare la condizione degli operai, ma in realtà si accinge a renderli schiavi e a distruggere così tutti i popoli non semiti. Ciò che la massoneria aveva introdotto nei circoli della cosidetta intelligenza con lo scopo di paralizzare l’istinto di conservazione nazionale, venne poi continuato dall’attività della stampa ebraica, che si rivolgeva al popolo minuto. A queste due armi di dissoluzione se ne aggiunge ora una terza; la più formidabile organizzazione della forza bruta. Il marxismo deve completare l’opera di dissoluzione iniziata dagli altri due, facendo maturare così l’imminente catastrofe. Si realizza finalmente un giuoco veramente abilissimo; né c’è da meravigliarsi se di fronte ad esso fan cilecca proprio quegli organi che si sono sempre vantati di rappresentare una certa favolosa autorità statale. L’ebreo ha trovato in tutti i tempi, negli ambienti dei nostri alti e altissimi funzionari, i migliori collaboratori della sua attività disgregatrice. Sono, costoro, caratterizzati da un servilismo indecoroso verso i superiori, e da una arrogante insolenza verso gli inferiori; e finalmente da una grettezza mentale che non è sorpassata che dalla loro immensa vanità. Ma son proprio queste le caratteristiche che l’ebreo ama e ricerca negli organi dello Stato. La lotta che combatte, si svolge a grandi linee così: In conformità agli scopi finali degli ebrei, che non si risolvono soltanto nella conquista economica del mondo, ma anche nella sua sottomissione politica, l’ebreo divide l’organizzazione della sua dottrina marxista in due metà, le quali, separate in apparenza, rappresentano in realtà un tutto: il movimento politico e il movimento sindacale. Il movimento sindacale è destinato all’acquisto di proseliti. Esso offre all’operaio, che deve menare una esistenza miserabile per colpa dell’avidità o della miopia di molti 231
datori di lavoro, aiuto e difesa, e con ciò la possibilità di conquistarsi migliori condizioni di vita. Se l’operaio non voglia essere sacrificato al cieco arbitrio di gente in gran parte sprovvista di senso di responsabilità e di cuore, e ciò in un tempo in cui la collettività popolare organizzata, cioè lo Stato, non si occupa di lui, bisognerà pure che si accinga per conto suo alla difesa dei suoi interessi. E nella misura che la cosidetta borghesia nazionale, accecata da interessi finanziari, oppone a questa lotta per l’esistenza i più gravi ostacoli, e resiste sabotando tutti i tentativi di diminuire il disumano e lungo orario di lavoro, di eliminare il lavoro infantile, di dar protezione alla donna, di aumentare le condizioni igieniche nelle fabbriche e nelle abitazioni; il più furbo ebreo si accinge per proprio conto a sostenere gli oppressi. Egli diventa così gradatamente il condottiero del movimento sindacale; e questo tanto più facilmente, in quanto non si tratta per lui di eliminare onestamente gli inconvenienti sociali, quanto di organizzare una truppa d’assalto che gli sia devota per distruggere l’indipendenza economica della Nazione. Mentre la linea di una politica sociale sana deve correre naturalmente dalla conservazione della salute del popolo al rafforzamento di un’indipendente economia nazionale, l’ebreo non solo non considera questi due obiettivi nella sua lotta, ma li vuole anzi eliminare del tutto. Egli non desidera la conservazione di un’economia nazionale, ma la distruzione. E nessun rimorso di coscienza gli impedirà di elevare rivendicazioni, nella sua qualità di capo sindacale, che non soltanto oltrepassino lo scopo, ma rendano praticamente impossibile il loro adempimento o rovinino l’economia nazionale. E neppure desidera di avere davanti a sé una razza sana e forte, ma piuttosto un armento molle e adatto ad essere guidato. E proprio questo desiderio gli consiglia di elevare delle pretese così insensate, da rendere impossibile la realizzazione pratica; di guisa che non si arriva a una riforma della situazione, ma soltanto a una selvaggia esasperazione delle masse. È questo che l’interessa; non un reale e onesto miglioramento delle condizioni del popolo. A questo modo la funzione direttiva degli ebrei, in cose sindacali resta senza concorrenza, finché una risoluta e positiva opera di rieducazione 232
delle grandi masse non le convinca che a questo modo non finirà mai la loro miseria; o che lo Stato stesso non elimini l’ebreo e la sua propaganda. Fin quando l’ingenuità della massa resti quale è oggi, e lo Stato si comporti così indifferentemente, la massa non potrà non seguire il primo venuto che le prometta imprudentemente un avvenire migliore. Ma proprio in ciò è maestro l’ebreo. La sua attività difatti, non è mai frenata da scrupoli morali. A questo modo gli riesce di eliminare tutti i concorrenti, da questa zona della vita. In conformità della sua brutale avidità egli imposta il movimento sindacale su un uso bestiale della violenza. Chiunque si opponga all’adescamento giudaico, costui verrà frantumato dal terrore. E il successo di una simile tattica è enorme. L’ebreo riesce così a distruggere le basi dell’economia nazionale proprio per mezzo dei sindacati, che avrebbero dovuto essere una benedizione per la Nazione. Parallele ad essi, si sviluppano le organizzazioni politiche. Esse si accordano col movimento sindacale nel senso che questo ne prepara le masse all’attività politica; anzi, in certo senso le urge verso questa con la forza e con la costrizione. Il sindacato è inoltre la sorgente finanziaria per mezzo della quale l’organizzazione politica paga le spese del suo enorme apparecchio. Esso è inoltre l’organo di controllo dell’attività politica dei singoli e convoglia le masse a tutte le dimostrazioni politiche. E finalmente non si occupa quasi più di aspirazioni economiche, ma pone il suo più efficace e tremendo mezzo di lotta, cioè lo sciopero generale, a disposizione dell’idea politica. Con la creazione di una stampa il cui contenuto si adatta al limitato orizzonte delle masse ignoranti, l’organizzazione sindacale e politica ha ottenuto finalmente quell’organismo per mezzo del quale le classi più basse della Nazione vengono trascinate alle azioni più pericolose. Il suo compito non consiste già nel togliere gli uomini dal pantano di concezioni basse e volgari, ma piuttosto nell’andare incontro ai suoi istinti più miserabili. Ottimo negozio, e redditizio assai, se si pensa alla torpidezza di pensiero delle grandi masse. 233
È questa la stampa che con gran campagne di calunnie fanatiche riesce ad imbrattare ogni cosa che serva a difendere l’indipendenza nazionale, l’elevatezza della cultura e l’indipendenza economica. Essa tambureggia prima di tutto contro ogni carattere che non si voglia piegare al dominio ebraico; o la cui genialità sembri pericolosa all’ebreo. Perché non è necessario combattere l’ebreo per essere odiato da lui; basta solo il sospetto che si possa un bel giorno aver l’idea di combatterlo, o che una superiorità intellettuale possa comunque contribuire ad aumentare la forza e la grandezza di un popolo avverso all’ebreo. Il suo istinto sensibilissimo fiuta subito le menti indipendenti, e la sua inimicizia è sempre pronta a scattare contro coloro che non sono spirito del suo spirito; anzi, siccome è l’ebreo ad attaccare, egli considera come nemico non soltanto chi attacca, ma anche chi si difende. E i mezzi che adopera in questa lotta non sono una battaglia leale, ma bugia e calunnia. L’ignoranza delle grandi masse per la natura dell’ebreo, la formidabile grettezza delle nostri classi superiori, contribuiscono a lasciare che il popolo diventi facilmente la vittima di questa grande campagna di bugie semite. Mentre le classi superiori, per innata vigliaccheria, si scostano da coloro che gli ebrei attaccano col solito corteo di bugie e di calunnie, le grandi masse invece vi cascano come mosche, per ingenuità o stupidità congenite. Gli organi dello Stato tacciono o, per far cessare quelle campagne di stampa, ne processano la vittima; il che sembra, a questi asini che siedono sulle poltrone degli uffici statali, quasi una difesa dell’«autorità dello Stato» e una sicurezza per «l’ordine e la pace». Così la paura dell’arma marxista degli ebrei pesa come un incubo sul cuore e sul cervello della gente per bene. Si comincia a tremare di fronte al pericolosissimo nemico, e se ne diventa gradatamente la vittima. Il dominio degli ebrei nello Stato sembra già così sicuro, che essi non ardiscono soltanto di presentarsi come ebrei, ma ammettono anche, spudoratamente, le loro finalità razziali e politiche. Una parte di quella razza si proclama oggi 234
come popolo straniero, mentendo anche in questa direzione. Perché se il sionismo volesse dare a intendere che il sentimento nazionale ebraico troverebbe la sua soddisfazione nella creazione di uno Stato palestinese, anche così gli ebrei imbrogliano un’altra volta il povero cristiano. Ché non passa loro neppure per la testa di creare in Palestina un nuovo Stato per andarvi poi ad abitare, ma desiderano soltanto una Centrale dotata di diritti sovrani, che li tolga dal controllo di altri Stati: un luogo di rifugio, e una università per futuri cialtroni. E tutto ciò è il segno della loro crescente sicurezza; essi parlano oggi apertamente e impunemente. Una parte di essi si fa passare ancora per tedeschi o francesi o inglesi, e l’altra invece si afferma come razza ebraica. Ciò significa che essi vedono prossima la loro vittoria: e questo risulta anche dal modo insolente con cui trattano i rappresentanti degli altri popoli. Il giovanotto ebreo, dai neri capelli crespi, spia per ore e ore, con un’espressione di gioia satanica nel viso, la ragazza ignara, che egli poi sconcia nel suo sangue ed estolle dal suo popolo. Con tutti i mezzi egli cerca di rovinare i fondamenti razziali dei popoli soggetti. Allo stesso modo che egli rovina programmaticamente donne e ragazze, non teme neppure di strappare le barriere razziali che separano gli altri popoli. Furono ebrei a portare sul Reno i negri, sempre nella speranza e con lo scopo chiaro di contribuire così a un imbastardimento della razza bianca, per precipitarla dalle sue posizioni politiche e culturali e cacciarsi al suo posto. Un popolo di razza pura, che è cosciente del suo sangue, non sarà mai assoggettato dall’ebreo. Costui non potrà essere che il signore di popoli bastardi. Perciò egli cerca programmaticamente di abbassare il livello razziale, corrompendo e avvelenando i singoli. Politicamente egli comincia col disgregare i concetti della democrazia, mediante la dittatura del proletariato. Nelle masse organizzate del marxismo egli ha trovato l’arma che gli permette di far senza la democrazia, e di governare e sottomettere i popoli con pugno brutale e dittatoriale. 235
Egli lavora programmaticamente a rivoluzionare il mondo, in due direzioni: economia e politica. In grazia delle sue relazioni internazionali egli riesce ad avviluppare in una rete di nemici i popoli che si oppongono energicamente al suo attacco, li coinvolge in guerra e, se è necessario, pianta la bandiera della rivoluzione sul campo di battaglia. Economicamente egli scrolla così a lungo gli Stati, finché le aziende statali, diventate passive, caschino sotto il controllo della sua finanza. Dal punto di vista politico egli rifiuta allo Stato i mezzi per la sua conservazione, distrugge i fondamenti della sua difesa nazionale, elimina la fede in una guida superiore, disprezza la storia e la tradizione e mette tutto ciò che c’è ancora di veramente grande alla gogna. Dal punto di vista culturale egli contagia l’arte, la letteratura, il teatro, corrompe la sensibilità naturale, capovolge tutti i concetti di bellezza, di dignità, di nobiltà e travolge gli uomini nel cerchio delle sue basse aspirazioni. Dal punto di vista religioso egli deride i culti, dichiara che la morale è sorpassata, finché anche queste ultime trincee di un popolo giacciono frantumate ed abbattute. E finalmente comincia la grande rivoluzione finale. Quando ha raggiunto il potere politico, egli getta la maschera. L’ebreo popolare e democratico si trasforma in ebreo sanguinario e in tiranno del popolo. In pochi anni egli tenta di sradicare i portatori dell’intelligenza nazionale, e togliendo ai popoli la loro guida naturale e spirituale, li fa maturi per una soggezione eterna. Il più spaventoso esempio di ciò offre la Russia, dove l’ebreo lasciò morire di fame o uccise circa 30 milioni di uomini con una rabbia fanatica e selvaggia e sotto tormenti inumani; e ciò per assicurare a un mucchio di ebrei letterati e banditi di Borsa il dominio sul popolo. La fine non è soltanto la fine della libertà dei popoli sottomessi dagli ebrei, ma anche la fine del parassita stesso. Dopo la morte della vittima morirà, presto o tardi, anche il vampiro. 236
Se noi facciamo passare davanti ai nostri occhi le cause della catastrofe tedesca, vedremo che la causa vera, ultima e definitiva, fu proprio il mancato riconoscimento del problema razziale, e specialmente del pericolo ebraico. Le sconfitte sui campi di battaglia dell’agosto del 1918 sarebbero state facili da sopportare. Esse non erano minimamente in rapporto colle vittorie precedenti. Non furono esse a farci crollare, ma piuttosto quella potenza che le preparò in quanto aveva stroncato per decenni e programmaticamente le basi e le forze morali e politiche del nostro popolo; quelle basi che sole permettono a un popolo di lottare per la sua esistenza. In quanto il vecchio Reich trascurò il problema della conservazione dei fondamenti razziali del nostro popolo, esso non individuò quell’unico diritto che permette l’esistenza, in questo mondo. I popoli che si imbastardiscono peccano contro la volontà della Provvidenza, e il loro tramonto provocato da un popolo più forte non è già un’ingiustizia ai loro danni, ma un ristabilimento del diritto. Quando un popolo non stima più le caratteristiche della sua natura, che gli son date dal suo sangue, non ha il diritto di lamentarsi se perde la sua esistenza terrena. Ogni cosa su questa terra è migliorabile. Ogni sconfitta può essere la causa di una futura vittoria. Ogni guerra persa, la base di un prossimo risollevamento. Ogni necessità, lo stimolo dell’energia umana; e da ogni soggezione possono nascere le forze di una rinascita – finché il sangue sia conservato puro. La perdita di questa purezza, soltanto, distrugge la fortuna per sempre, abbatte l’uomo, e le sue conseguenze non si possono più eliminare dal corpo e dallo spirito. Se si confrontano a questo unico problema gli altri problemi della vita, ci si accorgerà come questi siano infimi, commisurati a quello. Essi sono tutti limitati nel tempo – ma il problema della purezza del sangue esisterà sempre, finché ci siano uomini sulla terra. Anche i fenomeni di decadenza di prima della guerra si possono tutti riportare a cause razziali. Si tratti di problemi di diritto pubblico, di escrescenze nella vita morale, di processi di decadenza economica o di 237
degradazione politica, di questioni pedagogiche o di stampa, sempre e dovunque la misconoscenza delle aspirazioni razziali del proprio popolo ne forma il centro essenziale. Perciò tutti i tentativi di riforma, tutti gli sforzi politici, tutte le previdenze sociali, come pure l’aumento del sapere e i progressi economici non diedero risultato alcuno. La Nazione, e l’organismo che la sottende e conserva, cioè lo Stato, non risanarono, ma si ammalarono sempre più. Tutte le apparenze gloriose del vecchio Reich non valsero a nasconderne l’intima debolezza; e ogni tentativo di rafforzarlo realmente fallirono, per la negligenza di questo problema essenziale. Sarebbe errato credere che gli aderenti delle varie correnti politiche che dissertarono sul corpo del popolo tedesco, fossero tutti gente male intenzionata o malvagia. La loro attività rimase sterile solo perché essi videro le manifestazioni esteriori della nostra malattia, ma non seppero o non vollero individuarne il virus. Colui che segue con attenzione la linea di sviluppo del vecchio Reich, deve giungere alla conclusione che perfino all’epoca dell’unità e del successivo sviluppo della Nazione tedesca, la decadenza interna era già in corso; e che malgrado gli apparenti successi politici e l’enorme aumento della ricchezza, la situazione generale peggiorava di anno in anno. Anche le elezioni dimostrarono, con l’enorme aumento dei voti marxisti, l’imminente e premente catastrofe. Tutti i successi dei cosiddetti partiti borghesi non avevano valore, non soltanto perché, malgrado le loro vittorie elettorali, non riuscivano a contenere l’aumento della marea marxista, ma perché essi stessi portavano già nel loro corpo i fermenti della dissoluzione. Senza saperlo, il mondo borghese era già inficiato dallo spirito letale del mondo marxista, e la sua resistenza nasceva piuttosto da invidia di politicanti ambiziosi che da una negazione di principio, che poteva condurre a una lotta decisiva. Uno solo seppe combattere, durante tutti questi lunghi anni, con magnifica ostinazione: l’ebreo. La sua stella saliva all’orizzonte, quanto più calava la volontà di conservazione del nostro popolo. Nell’agosto del 1914 non fu un intero popolo risoluto che si accinse a combattere, ma soltanto l’ultima fiamma 238
di un istinto di conservazione nazionale di contro alla paralisi pacifica-marxista del nostro corpo popolare. E come neppure in quei giorni fatali si seppe individuare il nemico interno, tutta la nostra resistenza popolare esterna fu inutile, e la Provvidenza non premiò la spada vittoriosa, ma obbedì invece alla legge dell’eterna vendetta. Da questo esame rigoroso sorsero i principî fondamentali, come anche la tendenza del nuovo movimento, che secondo la nostra convinzione era l’unico capace di impedire la catastrofe del popolo tedesco, e di rifare le basi granitiche sulle quali soltanto uno Stato può vivere; non soltanto come meccanismo di interessi economici, ma come un vero organismo di popolo: Uno Stato Germanico di Nazione tedesca.
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X Alfred Rosenberg
Teorico del nazionalsocialismo (1893-1946). Redattore capo del Völkischer Beobachter e successivamente responsabile politico-ideologico del partito e Ministro per i territori occupati dell’Est, fu una delle figure di primo piano del nazismo. Fu condannato a morte a Norimberga e giustiziato. I passi qui riprodotti sono tratti dalla sua opera più significativa: Der Mythus des XX. Jahrhunderts (1930). Dal sogno di predominio universale degli ebrei si sprigiona una forza immensa, se pure distruttrice. Per tre secoli questo sogno ha fatto progredire i neri maghi della politica e dell’economia, il fiume di queste rigogliose forze dell’oro è ingordamente cresciuto; «rinnegando l’amore» i figli di Giacobbe hanno manovrato con reti dorate per incatenare popoli generosi, tolleranti o indeboliti. In Mefistofele questa forza è divenuta una figura inimitabile, ma presenta lo stesso interiore canone costruttivo dei padroni delle odierne borse di grani e brillanti, della «stampa mondiale» e della diplomazia del tipo Società delle Nazioni. Se in qualche luogo la forza di uno slancio spirituale nordico comincia a venir meno, ecco che la natura terrestre di Aasvero si attacca ai muscoli indeboliti e succhia; dove una qualche ferita viene riaperta nel corpo di una nazione, sempre il demone ebraico penetra nella parte malata e sfrutta da parassita le deboli ore dei grandi di questo mondo. La sua aspirazione non è di conquistare il dominio da eroe, bensì di rendersi il mondo «tributario»: questo fine guida il forte parassita. Non combattere a viso aperto, ma carpire con doppiezze; non rispettare i valori, ma utilizzare il deprezzamento è la sua legge. Con essa si è presentato e ad essa non può mai sfuggire fin 241
tanto che egli viva. In questo grande conflitto, forse definitivo, tra due anime astratte siamo noi oggi. E questo conflitto del genio tedesco col demone ebraico ha caratterizzato nella sua sostanza, involontariamente, un mezzo ebreo. Scrive Schmitz: «II demone maligno dell’ebreo è il… fariseismo. Esso personifica sì la speranza messianica, ma contemporaneamente sorveglia a che nessun Messia venga … È questa la specifica e assai pericolosa forma della negazione ebraica del mondo … Il fariseo nega attivamente il mondo, fa sì che nulla assuma, per quanto è possibile, alcuna configurazione, spinto a questo da uno slancio demoniaco. Tale apparente negazione è un modo particolarmente violento di affermazione del mondo, ma con segno negativo. Il buddista sarebbe felice se il mondo attorno a lui si addormentasse, il fariseo sarebbe disoccupato se la vita attorno a lui non assumesse sempre nuove forme, poiché cosi la sua funzione di negazione non avrebbe più possibilità di manifestarsi». «Essi (i negatori) sono lo spirito che sempre nega, nascondono sotto l’affermazione estatica di un Essere utopistico, che non può mai essere, la venuta del Messia. Dovrebbero impiccarsi come Giuda, se realmente il Messia venisse, poiché del tutto incapaci di dir di sì». Se vogliamo approfondire criticamente questa professione di fede e queste opinioni talvolta di subitanea evidenza, notiamo sempre un risultato: parassitismo. È un concetto che non deve essere qui inteso in senso morale, bensì come segno distintivo di una realtà fondamentale della vita biologica, proprio come nella vita delle piante e degli animali parliamo di fenomeni parassitari. Quando il gambero si introduce nel guscio del paguro, a poco a poco gli penetra dentro e gli succhia le ultime forze vitali, è lo stesso caso di quando l’ebreo penetra nella società attraverso le ferite di un popolo e ne consuma la forza razziale e creativa – fino alla sua distruzione. È proprio quella «negazione attiva del mondo» di cui parla Schmitz, quella «preoccupazione» a che «nulla assuma forma», poiché il «fariseo» – noi diciamo parassita – non possiede per se stesso alcuna statura inferiore, alcuna organica personalità spirituale e quindi alcuna personalità razziale. Su questo punto eccezionalmente importante si è soffermato fino ad oggi un solo studioso che, 242
con dimostrazione rigorosamente scientifica delle leggi fondamentali che agiscono nei parassiti ebrei, dà la giusta spiegazione del fatto che la esteriore multiformità dell’ebraismo non contraddice alla sua sostanziale uniformità interiore, ma al contrario – per quanto ciò possa suonare strano – ne è la necessaria condizione. Scickedanz conia per l’occasione il concetto assai pertinente di una controrazza ebraica nella quale l’attività vitale parassitaria si matura in una determinata scelta di sangue: all’opposto però della costruttività della razza nordica nel suo estrinsecarsi costante che resta sempre identico. E per l’inverso, dove nel mondo si formarono in passato germogli parassitari, sempre questi si sono sentiti attratti all’ebraismo, proprio come quando la feccia dell’Egitto abbandonò con gli ebrei il paese dei Faraoni. Corrisponde a questo cambiamento parassitario della vita creativa il fatto che anche il parassita abbia il suo «mito». Nel caso dell’ebraismo – come le illusioni imperiali di un pazzo – il mito dell’elezione. Suona scherno che un Dio si sia prescelto questa contronazione che Wilhelm Busche e Schopenhauer ci hanno già descritto esaurientemente. È vergognoso che un Dio abbia scelto a suo beniamino questa contronazione. Ma poiché l’immagine di Dio è formata dall’uomo, è d’altronde comprensibile che «questo» Dio si sia scelto «questo» popolo tra tutti gli altri. E fu (soltanto) un bene per gli ebrei che la loro incapacità figurativa impedisse loro di rappresentare questo «Dio» anche fisicamente. L’orrore altre volte provocato presso tutti gli Europei avrebbe sicuramente impedito fin da principio l’accettazione di Javé e la sua nobilitazione ad opera di poeti e pittori. Con queste parole è stato detto sull’ebraismo l’essenziale. Dal demone dell’eterna negazione nasce l’ininterrotta corrosione di ogni manifestazione dell’anima nordica, quella intima impossibilità di dire sì alle creazioni dell’Europa, quella perpetua lotta contro un puro assetto culturale al servizio dell’anarchismo informe, celato appena sufficientemente da vane «profezie». Il parassitismo ebraico deriva dunque, nella sua grandezza conglomerata, dal mito ebraico, il dominio universale promesso da Javé ai giusti. La razza di Esra, il Talmud dei 243
rabbini hanno creato una comunità di principî e di sangue di incredibile forza. Il carattere degli ebrei nel suo agire intermediario e nel suo disprezzare i tipi stranieri è sempre rimasto eguale, da Giuseppe in Egitto a Rothschild e Rathenau, da Filone attraverso David ben Schelomo giù fino a Heine. Fino al 1800 ebbe effetto formativo soprattutto il codice morale privo di scrupoli; senza il Talmud e lo Schulchan Aruch l’ebraismo quale entità non è pensabile. Dopo un breve periodo, in cui anche gli ebrei apparvero «emancipati» alla fine del 19° secolo, si è fatta avanti l’idea della controrazza, trovando la sua espressione nel movimento sionista. I sionisti si dichiarano per l’Oriente e si indignano energicamente all’idea di andare in Palestina come pionieri dell’Europa. Un importante scrittore ha perfino detto che i sionisti «combatteranno nelle file dei ridestati popoli asiatici». Dal fuoco di ogni roveto e dalle notti della solitudine viene solo un richiamo: Asia. Il sionismo è soltanto una parte dell’idea panasiatica. Nello stesso tempo si verifica un collegamento spirituale e politico con l’idea del bolscevismo rosso. Il sionista Holitscher vide a Mosca il parallelo interiore tra Sion e Mosca, e il sionista F. Kohn spiega come dai patriarchi una unica linea conduca fino a Carlo Marx, Rosa Luxemburg e tutti i bolscevichi ebrei, che avrebbero servito «la causa della libertà». Questo sionismo sostiene di voler fondare uno «Stato ebraico»; in alcuni dirigenti, forse onestamente, può essere divenuto vivo il desiderio del non redento di costruirsi sulle proprie zolle una piramide vivente della «nazione ebraica», una formazione dunque verticale che si distingue e si oppone alle precedenti creazioni storiche orizzontali, cioè a dire – visto da una primordiale angolazione ebraica – a un contagio straniero tramite il sentimento nazionale e alla concezione dello stato proprio dei popoli europei. Un tentativo di formare realmente una comunità organica di contadini, operai, artigiani, tecnici, filosofi, soldati, uomini di Stato ebrei è contrario a tutti gli istinti della contro-razza e destinato fin dal principio al fallimento, se gli ebrei dovessero realmente essere lasciati a se stessi. Gli ortodossi difendono dunque la vera realtà ebraica quando rifiutano questo lato del sionismo come imitazione delle concezioni di vita 244
dell’occidente, richiedono una «missione universale», combattono consapevolmente, come un «declino», il tentativo di fare di «Israele» una nazione come le altre. Una tale condotta conseguente ha portato molti sionisti a un «riesame» e il loro movimento viene anche oggi già considerato con occhi diversi dai primi tempi del suo sorgere, poiché Teodoro Herzl lo creò come protesta contro il rifiuto degli ebrei generalmente professato dagli europei. Al congresso sionista di Zurigo dell’agosto 1929 una mente direttiva, Martin Buber, cosi definì le diverse posizioni: Ci sono tre visioni fondamentali di una nazione ebraica: una che dice che Israele è meno di una nazione. Una seconda che pone Israele a fianco delle nazioni moderne. E infine una terza, che è anche quella di Buber, che indica Israele al di sopra delle nazioni. In proposito il Frankfurter Zentralblatt der Ortodoxie «Der Israelit» osservava: «È quanto noi veniamo dicendo da sempre e su cui fondiamo la nostra posizione negativa verso il moderno sionismo: cioè che esso non pone Israele al di sopra delle nazioni. Se l’ideologia sionista fosse fertilizzata dal concetto di un Israele eletto a marciare alla testa dei popoli con missione profetica, Buber, fortunato mediatore delle parole e del pensiero biblici, capirebbe il compito sovranazionale di Israele cosi come dovrebbe averlo appreso dai profeti, e se queste parole, una volta capite, formassero i punti programmatici centrali del pensiero e dell’azione sionisti, difficilmente noi avremmo ancora motivo di vedere e di combattere nel sionismo una concezione antagonista della nazione ebraica, della sua speranza e del suo compito universali». Questa «speranza universale» della «elezione» deve consistere però nel vivere attaccato come sanguisuga a tutte le nazioni e nel costituire a Gerusalemme solo un centro temporaneo di deliberazioni, dal quale possono uscire rafforzati, a mezzo di piani razionalmente elaborati, i secolari istinti. E il sionismo non sarebbe poi un movimento politico, come pensano incorreggibili visionari europei, bensì un sostanziale rafforzamento proprio dello strato parassitario orizzontale del commercio spirituale e materiale al dettaglio. L’entusia245
smo del sionista Holitscher per il caos razziale di Mosca è perciò altrettanto caratteristico quanto le indagini del sionista Buber, il sentimento filo-asiatico del sionista Höflich, l’inquadramento unitario del patriarca Giacobbe e di Rosa Luxemburg operato dal sionista Fritz Kohn. L’antico mito della «elezione» sviluppa una mossa tipologica del parassita, con l’ausilio della tecnica contemporanea e della civilizzazione universale in un mondo divenuto senz’anima.
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XI Louis-Ferdinand Céline
Pseudonimo di Louis-Ferdinand Destouches (1897-1961). Noto scrittore francese autore di molte opere, nelle quali l’antisemitismo è spesso presente in forme esasperate. Collaborò con il governo di Vichy e per questo, nel secondo dopoguerra, visse per alcuni anni esule in Danimarca. I passi qui riprodotti sono tratti da Bagatelles pour un massacre (1938 e, integrale, 1941), tradotto anche in italiano per le edizioni Corbaccio nel 1938. Assai candidamente, mi pare che tutti quelli che tornano dalla Russia, parlano soprattutto per non dire nulla … Ritornano pieni di particolari obiettivi, inoffensivi, ma evitano l’essenziale, non parlano mai dell’ebreo. L’ebreo è tabù in tutti i libri che si presentano. Gide, Citrine, Dorgelès, Serge ecc. non ne fanno parola … Dunque cicalano … Han l’aria di buttare tutto in aria, di spaccare per dritto e per traverso e invece non scalfiscono nulla. Abbozzano, parano, sfuggono davanti all’essenziale: l’Ebreo. Arrivano sino al bordo della verità: l’Ebreo. È una ricercatezza così così, un coraggio all’acqua di rose, c’è un filo, si può cadere, non ci si frattura nulla. Tutt’al più ci si farà una storta … Si esce tra gli applausi! … Rullio di tamburi! …Vi si perdonerà certamente, siatene sicuri… La sola cosa grave all’ora attuale, per un grand’uomo, scienziato, scrittore, cineasta, finanziere, industriale, uomo politico (ma allora la cosa si fa gravissima) è di mettersi in urto contro gli Ebrei. – Gli ebrei sono i nostri padroni! – qui, là, in Russia, in Inghilterra, in America, dappertutto! …Fate il clown, l’insorto, l’intrepido, l’antiborghese, l’arrabbiato raddrizzatore di torti … l’ebreo se ne infischia! … Diverti247
menti! … Sciocchezzuole! … Ma non toccate la questione ebraica, altrimenti la pagherete cara … Dritto come una palla, vi faranno colare in un modo o in un altro … L’Ebreo è il re dell’oro, della Banca e della Giustizia … Direttamente o per mezzo di un uomo di paglia … Possiede tutto … Stampa … Teatro … Radio … Camera … Senato … Polizia qui o là … I grandi scopritori della tirannia sovietica lanciano grida di scorticati … si capisce! Si battono il petto a sangue, eppure mai e poi mai scoprono il pullulare degli ebrei, rimontano al complotto mondiale … Strana cecità … Pure Stalin non è che un carnefice, di dimensioni colossali d’accordo, tutto gocciolante di trippe di congiurati, un barba-blu per marescialli, uno spauracchio formidabile, indispensabile al folklore russo … Ma, dopo tutto, null’altro che un carnefice idiota, un dinosauro umano per masse russe che strisciano solo a questo prezzo … Stalin non è che un esecutore della bisogna. Esecutore in crudeltà. La rivoluzione bolscevica è tutt’altra cosa! Infinitamente complessa! Tutta in precipizi e retroscena. E in queste retroscene vi sono gli Ebrei che comandano, padroni assoluti. Stalin non è che un fantoccio. Il trionfo della rivoluzione bolscevica non si concepisce, a lunga distanza, se non con gli ebrei, per gli ebrei e grazie agli ebrei … Kerensky prepara ammirevolmente bene Trotzky che prepara l’attuale Komintern (ebreo), Ebrei come setta, razza, Ebrei razzisti (lo sono tutti) rivendicatori circoncisi, armati di passione ebraica, di vendetta ebraica, di dispotismo ebraico. Gli Ebrei trascinano i dannati della terra, gli abbrutiti della gleba, all’assalto della cittadella Romanoff … come hanno lanciato gli schiavi all’assalto di tutto quello che dà loro noia; qui, là, dappertutto, l’armatura brucia, crolla e gli abbrutiti della gleba, della falce e del martello, ubriachi per un istante di belle parole, ricascano presto sotto altri padroni, altri funzionarii, altre schiavitù sempre più giudaiche. Quel che infatti caratterizza il «progresso» della società nel corso dei secoli, è la salita dell’ebreo al potere, a tutti i poteri … Tutte le rivoluzioni gli fanno un posto sempre più importante … L’ebreo era meno di nulla ai tempi di Nerone, ora è sul punto di divenire tutto … In Russia, questo miracolo è compiuto … In Francia, quasi … Come 248
si recluta, come si forma un Soviet in U.R.S.S.? Con operai, manovali (da due generazioni almeno) ben incretiniti, ben Stakhanovisti, e poi, con intellettuali, burocratici ebrei, strettamente ebrei … Niente intellettuali bianchi! Niente possibili critici bianchi! … Ecco l’ordine maggiore implicito di ogni rivoluzione comunista. Il potere non può restare agli Ebrei se non a condizione che tutti gli intellettuali del partito siano ebrei o per lo meno furiosamente giudaizzati … sposati con ebree, sanguemisti, mezzi ebrei, quarti di ebrei … (questi naturalmente più arrabbiati degli altri). Per la forma, qualche comparsa ariana ben addomesticata viene tollerata in vista della propaganda estera … (genere Alexis Tolstoi) … comparsa tenuta in sottomissione coi favori e la paura … Tutti gli intellettuali non ebrei, ossia quelli che potrebbero non essere comunisti (ebreo e comunista sono per me sinonimi) sono stati colpiti a morte … Vanno a vedere al Capo Baical o a Sakalin se le fragole sono mature … Esiste evidentemente qualche cattivo ebreo nel numero, dei «Radek» … alcuni traditori, così, per il loggione … dei Victor Serge, Giuda d’una nuova varietà … Li maltrattano un po’ … Ne fucilano qualche dozzina … li esiliano per la forma … ma la feroce intesa del sangue esiste, credetemi … I rari ariani sopravvissuti, gli antichi quadri ufficiali, le antiche famiglie, i rari sfuggiti alle catacombe, che vegetano ancora un po’ negli uffici … nelle ambasciate … devono dare prove quotidiane della sottomissione più assoluta, più strisciante, più devota, all’ideale giudaico, ossia alla supremazia della razza ebraica in tutti i campi: culturale, materiale, politico … L’ebreo è dittatore nell’animo. Ovunque e sempre, la democrazia è stata solo il paravento della dittatura ebrea. Nell’U.R.S.S., non c’è nemmeno più bisogno di quei fantocci politici che si chiamano «liberali». Stalin basta … Veramente ebreo, egli sarebbe forse diventato il facile punto di mira degli anti-comunisti o del mondo intero, dei ribelli all’imperialismo ebreo. Con Stalin alla loro testa, gli Ebrei sono tranquilli … Chi uccide tutta la Russia? … Chi massacra? … Chi decima? … Chi è questo abbietto assassino? … Questo carnefice super-borghese? … Chi saccheggia? Ma, per Dio, è Stalin! … È lui il capro espiatorio per tutta 249
la Russia! Per tutti gli Ebrei! … Non si deve aver soggezione in qualità di turista, si può raccontare tutto quel che si vuole a patto di non parlar degli ebrei! … Sparlare del regime comunista! … maledire! tuoneggiare! … gli Ebrei se ne infischiano altamente! La loro convinzione è fatta e arci-fatta! La Russia, per quanto spaventosamente sudicia la si possa trovare, rimane per sempre una messa in marcia assai importante per la rivoluzione mondiale, il preludio del «gran giorno» ebreo! del grande trionfo d’Israele! Voi potete sporcare quanta carta vi fa comodo, tonnellate su tonnellate, sugli orrori sovietici, voi potete far lampeggiare, elettrizzare le vostre pagine, tanto la vostra penna scatta e lavora sotto l’indignazione, tutto questo servirà al massimo a far ridere gli ebrei … Vi troveranno sempre più cieco e imbecille … Quando andrete a gridare dappertutto che l’U.R.S.S. è un inferno … sarà ancora del rumore per nulla … Ma farà loro meno piacere quando aggiungerete che sono gli Ebrei i diavoli del nuovo inferno! … E che tutti i goym vi fanno la parte dei dannati … Ma tutto questo è riguadagnato, siatene sicuri, dalla propaganda colossale … (e le miniere degli Urali non sono ancora stanche) … È un po’ più complicato quando si scoprono gli altarini, gli altarini ebrei … Insomma, costa un pochino di più … Ecco… … Devo dire che con Popol ci siamo trovati d’accordo lo stesso; e abbiamo concluso: «Sono dei vampiri! Ci fanno un danno immenso! Non possiamo tenerli in casa nostra!». Soprattutto perché Popol, sia detto tra parentesi, aveva subito uno scacco assai duro, il suo capolavoro era stato rifiutato, dal Municipio, un magnifico paesaggio per la Esposizione; tutti gli Ebrei avevano fatto affaroni, lui invece rimaneva sul lastrico … Ma per formare la mia crociata, Popol, per quanto coraggioso, per quanto valoroso, non poteva bastare … Bisognava che ne reclutassi ancora altri … Lo avverto dunque: – Aspettami! Torno subito … Faccio solo un salto sino a Bezon, vado a svegliare mio cugino, Gustin Sabayote … Vado a scuoterlo dal suo torpore … Bisogna che ci segua … 250
È celibe anche lui … è dunque libero, in principio … Sta a sinistra del municipio … Un istante … Quando l’ho sorpreso, stava in cucina, Gustin, occupato a sbucciar piselli … Gustin ha un solo vizio: fuma la pipa senza arrestarsi mai … Non faccio caso ai preamboli … lo metto al corrente in quattro e quattr’otto … Gli spiego la faccenda … Mi risponde: – Ferdinando, eccoti fanatizzato … ma parla pure … però, ti avverto, ti metto in guardia, gli Ebrei sono molto intelligenti … in Francia ci sono loro che leggono i libri, che si documentano, che si informano, sono armati di conoscenze, occupano tutti i posti, tutti i permessi sono nelle loro mani, sanno rendersi popolari, per di più fanno del bene al popolo, votano le 40 ore di lavoro settimanale … e le vacanze pagate … Rischi di farti mettere in prigione … di farti mettere a pezzi … – Intelligenti, che? … – insorgo io – sono razzisti, hanno tutto l’oro, han preso tutte le leve, si aggrappano a tutti i comandi … È questa la loro intelligenza? … Non c’è di che star allegri … Filano meravigliosamente bene il fatto loro, eliminano, disgustano, perseguitano tutto quello che può rivaleggiarli, dar loro ombra … È la loro crociata contro di noi, la crociata a morte … È questa la loro intelligenza? … Tutti i posti interessanti, se li mettono in tasca … accaparrano … espellono brutalmente o a lento fuoco tutto quello che non è ebraico … sporcamente ebraico … ebraizzato … proyoupinizzato … infilato da ebreo … È la grande tecnica del cuculo … Per citare un grande esempio, per ben illustrare le cose, se Einstein non fosse youtre, se Bergson non fosse circonciso, se Proust fosse soltanto bretone, se Freud non avesse il marchio giudaico … si parlerebbe molto meno degli uni e degli altri … non sarebbero genî che fanno sorgere il sole! … Posso garantirtelo … La minima sfiatatella di ebreo, oggi si chiama bum! diventa, amico mio, una meravigliosa rivelazione, istantaneamente … Grazie all’armatura ebraica del mondo … E la si gonfia e la si monta, ‘sta storiella, … la si trasforma in miracolo! E al galoppo! Che sia la pittura di Cézanne, di Modigliani, di Picasso o di altri … i films del signor Benhur, con musica di Tartinowsky, ecco, diventa subito un 251
avvenimento … L’enorme pregiudizio favorevole, mondiale, prelude e anticipa ogni intenzione ebrea … Ebrei, tutti i critici dell’universo, tutti i cenacoli … tutte le informazioni! … Tutte le agenzie ebree del mondo si mettono, al minimo mormorio, al minimo sussulto di produzione youtre, a lanciare tuoni e folgori … e la pubblicità parlata, razzista, ebraica, si trasforma meravigliosamente in eco … tutte le trombe echeggiano da un lato all’altro dei continenti, salutano, intonano inni, fanno baccano, rumoreggiano splendidi Osanna! al sublime inviato del Cielo! Ancora un Ebreo eccezionale! della paletta! dello schermo! dell’archetto! della politica! infinitamente più geniale! più rinnovatore, senza dubbio, di tutti i genî del passato, ariani naturalmente. L’epilessia si impadronisce subito dei goym grotteschi, esultano in coro, i fessi! si lanciano violentemente nell’esaltazione, con tutta la forza della loro imbecillità, disposti a farsi schiacciare … per il trionfo del nuovo idolo ebreo! … Per riempirli di gioia, basta che si offra loro ancora un po’ di roba ebrea in cui avvoltolarsi … Oh, non sono difficili da accontentare … Hanno perso ogni istinto … Non sanno più distinguere tra vivo e morto … tra l’organico e il velleitario, tra l’imitazione in carta-pesta e il prodotto puro tra le lucciole e le lanterne tra il falso e l’autentico … Non sanno più … Hanno ingoiato troppe porcherie, da troppi secoli, per distinguere ancora l’autentico … Si soddisfano a forza di imitazioni … Scambiano la conigrina per acqua di fonte. E la trovano migliore! Infinitamente migliore! Sono ritmati sull’impostura. E quindi, evidentemente, dàlli addosso all’indigeno che potrebbe farsi notare per una sua qualità originale, per una musica sua … per un respiro di tentativo! Diventerà subito sospetto, detestato, odiato dai suoi fratelli di razza. La legge dei paesi conquistati vuole che nulla possa mai scuotere il torpore del gregge schiavo … Tutto deve subito crollare … in discorsi di ubriachi … Son loro stessi, i fratelli di razza, che si incaricano severamente dell’ostruzionismo metodico, del denigramento, del soffocamento. Appena un indigeno si rivela un po’ … gli altri della stessa razza insorgono, per poco non lo linciano … Nei bagni penali, le peggiori sevizie sono esercitate dai forzati stessi … tra di loro, molto più crudeli che la ciurma più atroce … 252
I fratelli di razza sono ben ammaestrati … Per lo alcoolista cronico, l’acqua di sorgente diventa veleno. La odia con tutta l’anima … Non vuole vederla sul tavolo … vuole delle porcherie in bottiglia … Nei films, nei libri, nelle chiacchierate, nelle canzoni d’amore … non capisce più che l’ebreo. Se ne rimpinza, ne gode … E null’altro! … Gli Ariani, i Francesi soprattutto, non esistono più, non respirano più, non vivono più che sotto il segno dell’invidia, dell’odio reciproco e totale, della maldicenza assoluta, fanatica, massima, del pettegolezzo forsennato, meschino, delirante, dell’alienazione denigrante, del giudizio basso, sempre più basso, sudicio, accanitamente vile … Perfetti schiavi, agenti provocatori entusiasti, montoni, falsi-gettoni, teste da caffè e osterie, perfettamente ammaestrati dalla polizia ebrea, dalla stampa ebrea, dai comitati del gran potere ebreo … Nessun senso di razza li unisce … Nessuna mistica comune. Gli Ebrei nuotano divinamente in queste acque putride … Questa enorme mascalzonata permanente, questo mutuo tradimento di tutti contro tutti, li incanta e li soddisfa … La colorazione diventa facilissima. Su questa venalità meschina, assoluta, del fondo terriero francese, gli Ebrei se la godono, sfruttano, taglieggiano a piacere … Arrivano nel mezzo di questa ultrasorprendente carogneria come la jena sulle trippe in decomposizione avanzata … Questa putredine è la loro festa, il loro elemento provvidenziale … Ne trionfano sino alla cancrena … Diligenti, ondeggianti, ossequiosi, bene informati, orientali, vischiosi, segreti, sempre pronti a lasciar stagionare, ad andare verso una putredine più grande … più spugnosa, più intima… oh, hanno buon gioco, ottimo gioco! … Corrompere più largamente, «più intimamente». Non hanno mai incontrato nella strada dei loro trionfi un’orda di domestici più servile, più satura di odî reciproci, abbrutita da secoli di alcoolismo e di polemiche tra vicini. Tagliare, frugare in questa torba francese, estrarne tutto il sugo, tutto l’oro, il profitto, la potenza, è per l’Ebreo un gioco assai semplice! … Lo schiavo si presenta titubante, ben macinato, in ferri. Basta disporlo sui propri passi. Il bianco, il Francese soprattutto, detesta tutto quello che gli ricorda la propria razza … 253
Non ne vuol sapere … Tutto quello che non ha il marchio ebreo, che non puzza d’ebreo, non ha più per l’ariano alcun gusto, alcuna realtà, alcun sapore. Gli occorre, esige il bluff ebreo, la pomata ebrea, le generazioni ebree, la truffa ebrea, l’impostura ebrea, il livellamento ebreo, ovunque quel ch’egli chiama progresso, il progresso ebreo … Tutto ciò che è semplice, diretto, come la sua propria natura occidentale, lo porta al sospetto, all’odio, immediatamente … Insorge, si arrabbia, non si calma sinché non ha fatto scomparire queste evocazioni … questi fantasmi che lo urtano … La verità, la semplicità lo offendono … Una totale inversione degli istinti estetici … Si è riusciti, grazie alla propaganda e alla pubblicità, a fargli rinnegare il proprio ritmo … Quello che ora egli ricerca nel cinematografo, nei libri, nella musica, nella pittura, è la smorfia, l’artificioso, l’alambiccato, la contorsione afro-asiatica… Bisogna andar a cercare ancor più lontano … Supponete che a me, piccolo goy, capiti di pubblicare un giorno – Dio me ne scampi! – un romanzetto … di schizzare qualche ritratto delicato … di modulare qualche arietta … di redigere un breve studio, supponiamo sul «Bilboquet», e le sue regole, o uno studio più approfondito sull’origine dei bitorzoli … Se non sono che un semplice autoctono … nemmeno framassone di terz’ordine … chi mi leggerebbe? … Certamente, non i miei fratelli di razza … Venerano troppo la loro ignoranza, la loro poltroneria, la loro abitudine pretensiosa … Ma certamente tutti gli Ebrei che passeggiano nei paraggi … se il mio grande o piccolo libercolo contiene qualche vera sostanza emotiva, lirica, sarà da essi prontamente scorticato, portato via … Gli Ebrei sono piuttosto mal disposti per le arti, biologicamente, dal fondo stesso della loro natura. Cercano di fare dell’arte, in Europa per lo meno ci riescono male … Occorre che suppliscano, che barino, che rubino continuamente, che succhino i vicini, gli autoctoni per potersi sostenere … … Siamo ragionevoli. Fissiamo un compromesso. Ma, anzitutto, come bisogna chiamarli? … Nulla di più delicato … Mi domando se un numero d’ordine in ogni professione non 254
servirebbe meglio … Una matricola, per esempio, cosi semplicemente … Il signor cineasta 350. Inutile d’aggiungere ebreo, tutti capirebbero … Il signor gran pittore 792 … Il signor musicista 1617? – Oh, come trovate questa graziosa cantante folklorista? – È la piccola 1873! La riconosco perfettamente! Che spirito! Che slancio! Che piedi! … Che brio … Di chi è questo commovente articolo? – Del grande giornalista 7735 … To, rileggiamolo più attentamente … Cosi, più nessun equivoco, più nessuna maschera, più nessun uomo che si dissimula … Matricole! – Di chi è questo padiglione cosi ben dorato? – Dell’illustre architetto 1871! – E questa splendida delegazione che va a rappresentare la Francia alle feste d’America? – Suvvia! Come al solito! I signori e signore più grandi missionari rappresentativi: 1411, 742, 635, 14 e 10357 … – Non c’è nemmeno un Durand fra di loro? – No! No! No! Mai un Durand … a peggio andare, un Durand ebraizzato … – E questo professore che va dicendo in giro che ha tanto genio? – Non lo conoscete? È lo straordinario 42.186! Da anni, ci rintronano le orecchie con queste famose 200 famiglie … Ancora una trovata fantastica! … Non esiste che una sola famiglia, assai più potente di tutte le altre … la grande famiglia internazionale ebrea e i loro cuginetti massoni … Dal momento che Federico il Grande ha riempito le sue casse vendendo «nomi» agli Ebrei, non potremmo anche noi, a nostra volta, guadagnare un po’ di denaro costringendo gli Ebrei a comprare le matricole?… Secondo l’importanza… secondo il gusto… la riuscita … la professione del cliente! In moneta internazionale, ben inteso! In shillings, in Sterline, 100 Sterline, secondo la ricchezza … per unità di matricole … I nuovi arrivati a «sei cifre» pagherebbero cosi assai più caro che gli antichi immigrati … Giustizia! Il professorucolo, cenciaiuolo, operaio … ecc. uno schilling per unità. I banchieri, 100 Sterline per unità … Giustizia 255
… Certe superpopolate professioni come medici, avvocati, diverrebbero fuori prezzo! D’altronde le matricole sarebbero annuali, come per le biciclette … Bisogna decidersi … Fare qualcosa!
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XII N. Erlikh
L’articolo qui riprodotto fu pubblicato nel «Trud», il quotidiano dei sindacati sovietici, il 19 gennaio 1962. Sionismo: Una maschera per spie. Come dichiarò N. Goldman, il presidente della cosiddetta Organizzazione Sionistica Mondiale, il Sionismo sta attraversando una grande crisi morale e spirituale. Anche i partecipanti alla sessione, nell’aprile 1961, del Congresso Generale Sionista, arrivarono a una conclusione simile, dal momento che «il periodo odierno è caratterizzato da un totale esaurimento delle forze sionistiche e dalla loro estinzione». I sionisti disperatamente si sforzano di provare che le loro idee sono ancora in vita. Come un uomo che sta per essere sommerso si agguanta a un rottame, cosi essi vanno alla ricerca di spiriti venali da utilizzare per i loro fini abbietti. I sionisti perseguitano elementi progressisti e patriotici nella medesima Israele, conducono una rabbiosa propaganda antisovietica e tentano di proteggere i loro oscuri affari dietro lo schermo della mania dello spionaggio in Israele. Essi affermano che tutti gli ebrei residenti in altri paesi vivono in esilio: ma quale cinismo si nasconde dietro questo slogan. Al Congresso Mondiale Sionista tenuto in Tel Aviv, uno dei leaders sionisti dichiarò: «Noi non abbiamo bisogno qui di Abba Silver, Dott. Noimann o Rosa Halprin. Noi abbiamo bisogno dei loro figli e nipoti». Ne risulta perciò che Israele non ha posto per gli ebrei anziani. I capi israeliani hanno 257
bisogno di giovani, destinati a servire come carne da cannone per la politica aggressiva di Israele, dell’U.S.A. e di altri stati imperialistici, nel vicino e medio oriente. I sionisti si sforzano di provare che il loro movimento ancora esiste. Essi tentano di mantenere attivi i loro ranghi con verità e menzogne, utilizzando a questo proposito i metodi più spregevoli. Uno dei mezzi favoriti dei propagandisti sionisti, anche come membri del Servizio di spionaggio israeliano, è il condurre gradualmente nello spirito sionista singoli cittadini di nazionalità ebraica residenti in paesi nei quali l’Ufficio Centrale dello Spionaggio Statunitense ha particolare interesse. Dopo aver subito un trattamento di questo genere, i più adatti sono reclutati per attività spionistiche. Essendo in completa dipendenza economica e politica dagli imperialisti degli Stati Uniti, i sionisti israeliani sono totalmente subordinati nella loro politica interna ed estera agli interessi dei loro padroni transoceanici. In sostanza, le organizzazioni e i partiti sionistici israeliani sono diventate branche del Servizio di spionaggio americano. In forza di un accordo tra il governo israeliano e gli U.S.A., i rappresentanti del servizio di spionaggio americano sono incaricati di interrogare gli emigranti per Israele provenienti dall’U.R.S.S. e dagli altri paesi del settore socialista, su tutti gli argomenti di loro interesse. Su istruzione del suo padrone, anche il servizio di spionaggio israeliano è incaricato di interrogare i cittadini israeliani che sono stati nell’U.R.S.S. e negli altri paesi del settore socialista, come turisti o come viaggiatori in visita ai loro parenti che vivono colà. Essi sono di regola radunati nell’isolato 7, Kirya Area, Tel Aviv. Dato che una grande parte degli ebrei che emigrano dall’Europa orientale passa attraverso l’Austria, una organizzazione spionistica chiamata «Palestina – AMT», capeggiata da un certo Sadmi, fu fondata a Vienna su ordine degli U.S.A. e il quartier generale si trova in Shtubenring 6. La «Palestina – AMT» si occupa degli interrogatori degli emigranti; gli interrogatori sono tenuti generalmente subito nelle dipendenze della «Palestina – AMT», sebbene recen258
temente gli ebrei emigranti dall’Europa orientale sono stati interrogati per maggiore segretezza da membri del servizio di spionaggio israeliano, in alberghi e in altri luoghi. Ora, per esempio, questi sono tenuti nell’Hotel Nord, 15 Kheinemestrasse, Vienna e nella caserma Korneiburg. Durante l’interrogatorio degli emigranti, i membri del servizio di spionaggio israeliano pongono domande sulla situazione economica e politica dei paesi di provenienza e tentano di carpire informazioni sulle imprese industriali e sulla fondazione di ricerche scientifiche per la difesa. Gli emigranti sono poi più accuratamente interrogati sul Partito e sul carattere della sua attività. La «Palestina – AMT» e i diplomatici israeliani si sono occupati anche dell’arruolamento di cittadini austriaci di nazionalità ebraica e di studenti arabi che si trovano in Austria. Il tentativo del servizio di spionaggio israeliano è di usare attivamente i secondi per attività spionistiche contro i loro stessi paesi, ancor prima del loro ritorno nella madre patria. Ebrei austriaci che partono per la RAU e altri paesi arabi sono utilizzati allo stesso scopo. Un altro aspetto dell’attività della «Palestina – AMT» è l’acquisto sul mercato austriaco della valuta in circolazione nei paesi del settore socialista, per mezzo dei suoi agenti pagati. Giornali sovietici hanno stampato più di una volta nomi di membri dell’ambasciata israeliana, le attività dei quali erano incompatibili con lo stato di rappresentanza di un diplomatico. Solo recentemente sono state pubblicate informazioni sulle attività provocatorie del membro dell’ambasciata, Yakov Kelman, che distribuiva letteratura antisovietica nelle sinagoghe, e dell’allora primo segretario, Yakov Sharett, che colto in flagrante mentre riceveva informazioni spionistiche fu successivamente espulso dall’Unione Sovietica. I fatti provano che l’attività sovversiva di membri dell’ambasciata contro l’Unione Sovietica è eseguita con il beneplacito del Governo israeliano e secondo le istruzioni dei padroni d’oltre oceano. La vigilanza del popolo sovietico ha recentemente aiutato a scoprire i cittadini sovietici Pechersky G. R., Dynkin E. SH. e Kaganov N. A., residenti 259
a Mosca e Leningrado, che erano stati reclutati da membri dell’ambasciata israeliana. La corte, esaminando le testimonianze di Ezdrian A. B., Tesler A. D., Stesin A. S. Dymant S. A., Lubanova A. R., Abramzon Y. Sh e altri (in totale circa 20 persone), ha stabilito sulla base di autentici fatti e di prove materiali che Pechersky, Dynkin e Kaganov, avevano subito per parecchi anni una trasformazione, che li aveva portati nello spirito sionista, ad opera di membri dell’ambasciata israeliana ed erano stati successivamente reclutati da loro. Sempre pare che le cose comincino in modo inoffensivo. Nel corso di alcuni incontri, membri dell’ambasciata dettero a Pechersky, Dynkin e Kaganov della letteratura sionistica. Come le cose progredirono, questi libri, opuscoli e giornali cominciarono a contenere un numero sempre maggiore di articoli antisovietici. Notando che Pechersky, Dynkin e Kaganov condividevano i punti di vista dei loro «amici», l’allora segretario dell’ambasciata israeliana a Mosca, Eliav, e successivamente Sharett, chiesero loro delle informazioni di carattere spionistico. Cosi Pechersky, Dynkin e Kaganov s’incamminarono sul sentiero del tradimento. Una ispezione nell’appartamento di Pechersky rivelò, nascosti in speciali nascondigli nel bagno, dei nastri di registratore, con informazioni spionistiche, compilato per trasmissioni ai diplomatici israeliani. Anche l’allora primo segretario dell’Ambasciata, Prat, aveva una diretta relazione con le attività spionistiche di Pechersky. Egli segretamente incontrò e impartì istruzioni a Pechersky, a Leningrado e a Mosca. Nel processo a Leningrado fu stabilito irrefutabilmente che i traditori Pechersky, Dynkin e Kaganov erano stati ingaggiati, oltre che per raccogliere e trasmettere informazioni ai diplomatici israeliani, anche per mettere in giro dicerie e fabbricare calunnie sull’Unione Sovietica e il sistema pubblico e per la diffusione di letteratura antisovietica che essi ricevevano in segreto da Pratt, Sharett e altri membri dell’ambasciata israeliana. Essi ammisero anche che i nastri dei registratori, con informazioni calunniatrici, confiscati presso di loro, erano stati anch’essi preparati per i loro 260
padroni che intendevano utilizzarli per la loro propaganda antisovietica. Al processo di Pechersky, Dynkin e Kaganov fu anche documentato che i diplomatici israeliani si servivano delle sinagoghe come punto d’incontro con persone che volevano vedere per trasmettere ordini e istruzioni e per ricevere informazioni spionistiche e materiale calunnioso. Essi, probabilmente considerano il posto dove si svolgono i riti religiosi come il più adatto per attività ostili contro l’Unione Sovietica e come il migliore travestimento per le loro vili azioni. In un certo numero di lettere inviate ai ministri degli esteri dell’U.R.S.S. e delle Repubbliche, cittadini sovietici esprimono la loro indignazione per la sconveniente condotta dei membri dell’ambasciata israeliana quando viaggiano per l’Unione Sovietica. Budanitsky Marat Beniaminovich e sua moglie Evgenia Gershevna, residenti all’interno 21 di via Dzirnavu 34, Riga, raccontarono, per esempio, della diffusione della letteratura sionista fatta da membri dell’ambasciata israeliana lungo la costa di Riga. Skvirsky S. I., residente all’interno 4 b di via Sadoxoya 11, Yalta, e Shaporinsky A. I. di Simferopol, menzionarono la diffusione della letteratura sionistica in Yalta ad opera di diplomatici israeliani. Un abitante di Riga, Lazar Podriadchik, riferì che il primo segretario dell’ambasciata israeliana, Prat, aveva tentato una volta di fargli accettare dei giornali israeliani che contenevano malvagie calunnie sull’Unione Sovietica. Lettere simili a quelle sopracitate sono numerose. Tutti gli onesti cittadini sovietici sono indignati per il comportamento dei diplomatici israeliani, che utilizzano i loro viaggi attraverso il nostro paese e gli incontri con cittadini sovietici per attività sovversive. Beniaminovich Borukhov, cittadino di Mosca e invalido della guerra patriottica, parla dell’indegno comportamento di Prat nelle sinagoghe di Mosca. Egli scrive che Prat spesso distribuì letteratura antisovietica e sionistica ai fedeli, ignorando le loro decise proteste. Trattando questa putrida mercanzia, Prat impudentemente dichiarò: «Io agisco in nome degli interessi di tutti gli ebrei». 261
Fatti simili furono anche riferiti da cittadini sovietici alle redazioni dei giornali. Essi chiedono protezione dai non desiderati ospiti che convertono le sinagoghe in branche del meccanismo della propaganda israeliana. Non si può dire che le attività diplomatiche di Prat non siano molteplici. Qui egli ammassa libri religiosi con istruzioni di spionaggio nascoste nella rilegatura, lì tenta di carpire informazioni militari. Lavorando sulla sua vittima abituale, Prat sussurra segretamente che non solo lui, ma anche i suoi «amici» hanno bisogno di informazioni spionistiche. Il primo segretario dell’ambasciata israeliana non ha forse in mente i suoi amici dell’Ufficio centrale del servizio di spionaggio israeliano? In realtà la sua figura di diplomatico chi rappresenta? Israele o il servizio segreto di informazioni statunitense? Prat ed altri membri dell’ambasciata israeliana tentarono perfino di distribuire letteratura nazionalistica tra gli ospiti, a un ricevimento nell’ambasciata, come ad esempio in occasione della celebrazione del nuovo anno ebraico, il 14-9-’61. Il 7-11-’61 il giornale israeliano «Haaretz» pubblicò il triste dispaccio di un corrispondente sulla condanna per spionaggio di Pechersky. Fu perfino stampata una fotografia di Pechersky dal suo album di famiglia, e dei particolari dalla sua biografia. Ma perché la redazione del giornale passò sotto silenzio i suoi legami spionistici con i membri dell’ambasciata israeliana Eliav, Sliarett e Prat? Perché non rientrava nel suo interesse informare il pubblico delle sconvenienti attività del servizio segreto di informazioni israeliano. Se avesse desiderato essere obiettivo avrebbe dovuto chiedere spiegazioni sui fatti relativi al caso Pechersky al servizio di spionaggio israeliano. È dubbio che il redattore dell’«Haaretz» dirà la verità ai suoi lettori. In ogni modo rimangono i fatti. E la pubblicazione da parte del giornale della fotografìa e dei dati biografici di Pechersky rappresenta la volontaria o involontaria conferma dei suoi legami con Eliav, Sharett e Prat, ai quali fornì informazioni spionistiche diffamatorie. È tempo, è proprio tempo, che i provocatori sionisti si rendano conto che le loro attività sovversive contro l’Unione 262
Sovietica sollevano lo sdegno e il disprezzo di tutti i sovietici, senza tener conto della loro nazionalità. I popoli dell’Unione Sovietica vivono come in un’unica grande famiglia. Il XXII Congresso del PCUS, ha aperto dinnanzi a loro luminose prospettive e i complotti di qualunque nemico del nostro paese sono predestinati al fallimento. Che i sionisti e i loro padroni lo tengano a mente.
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XIII Robert Faurisson
Nato nel 1929 in Inghilterra da padre francese e madre scozzese, studia alla Sorbona e poi diventa professore di letteratura all’Università di Lione, da dove viene rimosso nel 1990 proprio per le sue prese di posizioni radicalmente negazioniste e per le condanne che aveva subito da tribunali francesi. Questa impostazione comincia a manifestarsi nel 1974 e Faurisson diviene sempre più il principale punto di riferimento per i negazionisti. Nel 2006 è stato uno dei più significativi invitati del presidente iraniano Ahmadinejad alla conferenza mondiale organizzata all’Università di Teheran centrata sul tema «L’Olocausto è una leggenda». I testi qui riportati provengono dall’intervista a cura di «Storia Illustrata» a Robert Faurisson pubblicata nel libro Dell’esistenza delle camere a gas (Effepi, Genova, 2003) e riguardano i tre principali temi di Faurisson: l’inesistenza delle camere a gas (pp. 6-8, 15-16), la mancanza di un piano di sterminio e soluzione finale da parte di Hitler (pp. 22-24), il numero assai ridotto dei morti (pp. 34-35). Storia Illustrata – Signor Faurisson, da qualche tempo in Francia, e non solo in Francia, lei è al centro di un’aspra polemica per certe sue affermazioni su quella che rimane una delle pagine più buie della storia della Seconda Guerra Mondiale. Ci riferiamo allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. In particolare una delle sue affermazioni appare tanto netta quanto incredibile. È vero che lei nega che le camere a gas siano mai esistite? 265
Robert Faurisson – È esatto. In effetti, io dico che queste famose camere a gas omicide non sono altro che una frottola di guerra. È una invenzione della propaganda di guerra paragonabile alle leggende sulla barbarie teutonica, diffuse durante la Prima Guerra Mondiale. Già allora i tedeschi vennero accusati di crimini del tutto immaginari: a bimbi belgi sarebbero state tagliate le mani, dei canadesi crocifissi, cadaveri trasformati in sapone… Peraltro, su questo terreno gli stessi tedeschi facevano, suppongo, buona concorrenza ai francesi… I campi di concentramento tedeschi sono realmente esistiti, ma come tutti ben sanno questa non è una cosa originale tedesca. Anche i forni crematori sono esistiti in certi campi, ma la cremazione non è fatto più grave o più criminale dell’inumazione. I forni crematori costituivano persino un progresso dal punto di vista sanitario nel caso di rischi di epidemie. Il tifo ha imperversato in tutta l’Europa in guerra. La maggior parte dei cadaveri che con tale compiacimento ci vengono mostrati in fotografia sono chiaramente cadaveri di tifici. Queste foto dimostrano solo che degli internati – e talvolta anche dei guardiani – sono morti di tifo. Non provano nient’altro. Insistere sul fatto che talvolta i tedeschi usavano dei forni crematori non è cosa molto onesta. Così facendo si punta sulla repulsione o sull’oscura inquietudine della gente abituata all’inumazione non alla cremazione. Immaginatevi una qualsiasi popolazione dell’Oceania abituata a bruciare i suoi morti, e ditele che noi interriamo i nostri; apparirete loro come una specie di selvaggio. Forse vi sospetteranno addirittura di mettere sotto terra delle persone più o meno vive. Allo stesso modo, si dà prova di completa disonestà quando ci si presentano come delle camere a gas omicide le autoclavi destinate in realtà alla disinfezione degli abiti con il gas. Questa accusa, mai chiaramente formulata, è stata abbandonata, ma in alcuni musei o in alcuni libri si osa ancora mostrare la foto di una di queste autoclavi, situate a Dachau, con davanti ad essa un soldato in uniforme americana che sta decifrando… l’orario delle gassazioni! Un’altra forma di gassazione è realmente esistita nei campi tedeschi; è la gassazione degli edifici per sterminarvi i parassiti: veniva allora impiegato quel famoso Zyklon B, 266
sul quale si è costruita una fantastica leggenda. Lo Zyklon B, la cui licenza data dal 1922, è utilizzato ancora oggi, in particolare nella disinfestazione di immobili, baraccamenti, silos, navi, ma anche per la distruzione delle tane di volpi o di altri animali nocivi. È pericoloso da maneggiare perché, come indica la lettera B, si tratta di Blausäure, cioè di acido blu, o acido cianidrico, chiamato anche acido prussico. Tra l’altro, c’è anche da rilevare che i sovietici, ingannandosi sul senso di questa lettera, hanno accusato i tedeschi di avere ucciso dei deportati con dello Zyklon A e con dello Zyklon B! Ma veniamo alle camere a gas omicide. Fino al 1960 ho creduto alla realtà di questi macelli umani dove, secondo metodi industriali, i tedeschi avrebbero ucciso degli internati in quantità e su scala industriale. Poi ho saputo che certi autori giudicavano contestabile la realtà di queste camere a gas: tra questi vi era Paul Rassinier, che era stato deportato a Buchenwald e a Dora. Questi autori hanno finito per formare un gruppo di storici che si definiscono revisionisti. Ho studiato anche le argomentazioni degli storici ufficiali. Questi ultimi credono alla realtà dello sterminio con le camere a gas. Sono, in un certo senso, sterminazionisti. Per molti anni ho minuziosamente confrontato gli argomenti degli uni e degli altri. Sono andato ad Auschwitz, a Majdanek, a Struthof. Ho cercato, ma invano, anche una sola persona che mi potesse dire: Sono stato internato in quel campo. Ho visto con i miei occhi un edificio che era sicuramente una camera a gas. Ho letto molti libri e documenti. Per anni ho studiato gli archivi del Centre de Documentation Juive Contemporaine (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) di Parigi. Va da sé che mi sono interessato in particolare ai processi detti di crimini di guerra. Un attenzione del tutto particolare ho rivolto a quelle che mi venivano presentate come confessioni di SS o di un qualsiasi altro tedesco. Non vi tedierò enumerandovi i nomi di tutti gli specialisti che ho consultato, ma voglio ricordare una cosa, peraltro curiosa. Spesso bastava qualche minuto di conversazione perché gli specialisti dichiarassero: Sappia che io non sono uno specialista in camere a gas. E, cosa ancora più curiosa, a tutt’oggi non esiste né libro né articolo della scuola stermizionista 267
sulle camere a gas. Sono cosciente che mi si potrebbero forse citare alcuni titoli, ma questi titoli traggono in inganno. In realtà, nell’incredibile montagna di scritti consacrati ai campi tedeschi, non esiste nulla su quanto li rende originali o intrinsecamente perversi! Nessun stermizionista ha scritto sulle camere a gas. Tutt’al più si può dire che Georges Wellers, del Centre de Documentation Juive Contemporaine, ha tentato di parlarne cercando di perorare la veridicità parziale del documento Gerstein sulla camera a gas di Belzec. Al contrario, i revisionisti hanno invece scritto abbastanza per dire che la loro esistenza era dubbia o per affermare che era decisamente impossibile. L’esistenza delle camere a gas è radicalmente impossibile (…) Storia Illustrata – Come può affermare tutto ciò dopo quanto è stato scritto in 35 anni? Dopo quanto hanno raccontato i superstiti dei campi, dopo i processi ai criminali di guerra, dopo Norimberga? Su quali prove e documenti basa questa sua affermazione? Robert Faurisson – Molti errori storici sono durati ben più di trentacinque anni. Quanto alcuni superstiti hanno raccontato costituisce una testimonianza fra le tante. Delle testimonianze non sono delle prove. In quanto a quelle dei processi contro i criminali di guerra, devono essere accolte con particolare diffidenza. Se non mi sbaglio, in trentacinque anni non un solo testimone è stato perseguito per falsa testimonianza, il che significa dare una garanzia esorbitante a chiunque desidera testimoniare sui crimini di guerra. Allora così si spiega il fatto che alcuni tribunali abbiano potuto stabilire l’esistenza di camere a gas in punti della Germania in cui si è finito per riconoscere che non c’erano state mai: per esempio in tutto l’antico Reich. Le sentenze emesse a Norimberga hanno un valore molto relativo, poiché dei vinti sono stati giudicati dai loro vincitori senza la minima possibilità di interporre appello. Gli articoli n. 19 e n. 21 dello statuto di quel tribunale politico dava cinicamente a quella assise il diritto di poter fare a meno di prove solide, e autorizzava il ricorso ai si dice. Tutti gli altri processi per crimini di 268
guerra si sono in seguito ispirati alla Legislazione di Norimberga. Ancora oggi in Germania fondano il loro operato su quanto essi pretendono che sia stato stabilito a Norimberga. E così per secoli hanno proceduto i tribunali che dovevano giudicare le streghe e stregoni. Sono esistite, almeno in apparenza, prove e testimonianze di gassazioni a Orianenburg, a Buchenwald, a Bergen-Belsen, a Dachau, a Ravensbrück, a Mauthausen. Professori, preti, cattolici, ebrei, comunisti hanno attestato l’esistenza di camere a gas in questi campi e dell’impiego di gas per uccidere dei detenuti. Per non fare che un esempio, Monsignor Piguet, Vescovo di ClermontFerrand, ha scritto che dei preti polacchi erano passati per le camere a gas a Dachau. Ora, oggi si riconosce che mai nessuno è stato gassato a Dachau. C’è di meglio: dei responsabili di campi hanno confessato l’esistenza e il funzionamento di camere a gas omicide laddove in seguito si è dovuto riconoscere che niente di tutto ciò era esistito. Per Ravensbrück, il comandante del campo (Suhren), il suo secondo (Schwarzhuber) e il medico del campo (Dr. Treite) hanno confessato l’esistenza di una camera a gas e ne hanno persino descritto, in modo vago, il funzionamento. Sono stati messi a morte o si sono suicidati. Stesso scenario per il Comandante Ziereis a Mauthausen, il quale, nel 1945, in punto di morte, avrebbe anche lui fatto delle confessioni. Non si creda che le confessioni dei responsabili di Ravensbrück siano state strappate dai russi o dai polacchi. È l’apparato giudiziario inglese o francese che ha ottenuto queste confessioni. Circostanza aggravante: le ottenevano ancora molti anni dopo la fine della guerra. È stato fatto tutto il necessario affinché fino alla fine, fino al 1950, un uomo come Schwarzhuber collaborasse con i suoi inquisitori, o con i giudici istruttori o i suoi giudici di tribunale. Nessuno storico serio sostiene più che delle persone siano state gassate in un qualunque campo dell’antico Reich. Ora ci si accontenta solo di alcuni campi situati attualmente in Polonia. (….) Storia Illustrata – Lei nega anche la deliberata volontà di sterminio degli ebrei da parte di Adolf Hitler (1889-1945). Anche ultimamente, durante un dibattito alla televisione 269
della Svizzera italiana, lei ha detto: «Hitler non ha mai fatto uccidere una persona in quanto ebrea». Che cosa intende dire con questa frase, dalla quale peraltro si ricava che comunque Hitler avrebbe fatto uccidere degli ebrei? Robert Faurisson – Dico esattamente questo: Mai Hitler ha ordinato né ammesso che qualcuno fosse ucciso a causa della sua razza o della sua religione. Forse questa frase scandalizzerà qualcuno, ma io la credo vera. Hitler era antiebreo e razzista. Ma il suo razzismo non gli impediva di avere ammirazione per gli arabi e per gli indù. Era anche ostile al colonialismo. Il 7 febbraio 1945 dichiara ai suoi intimi: I bianchi hanno portato a questi popoli (coloniali) il peggio, le piaghe del nostro mondo: il materialismo, il fanatismo, l’alcolismo e la sifilide. Per il resto, poiché quanto questi popoli possedevano era superiore a ciò che potevano dar loro, essi non sono cambiati (…). In una sola cosa i colonizzatori sono riusciti: a suscitare ovunque l’odio. Hitler è diventato antiebraico relativamente tardi. Prima di dire e ripetere che gli ebrei sono i grandi maestri della menzogna era loro piuttosto favorevole. Scrive in Mein Kampf: Le opinioni sfavorevoli diffuse sul loro conto mi ispiravano un’antipatia che talvolta si trasformava in orrore. Personalmente conosco male Hitler e mi interessa poco, quanto poco mi interessa Napoleone Bonaparte (1769-1821). Se egli delirava, non vedo perché dovremmo delirare noi quando si tratta di lui. Sforziamoci di parlare di Hitler a mente fredda come quando parliamo del faraone egizio Amenophis Akhenaton (1352-1354 a.C.). Tra Hitler e gli ebrei c’è stata una guerra senza pietà, ed è evidente che ciascuno addossa all’altro la responsabilità di questo conflitto. La Comunità Ebraica Internazionale ha dichiarato guerra alla Germania il 5 settembre 1939; lo ha fatto con Chaim Weizmann (1874-1952), Presidente del Congresso Ebraico Mondiale e futuro Presidente dello Stato d’Israele (nel 1948). Prima ancora, dal 1934, l’ostilità della Comunità Ebraica Internazionale si era manifestata con misure di boicottaggio economico contro la Germania nazista. Va da sé che essa agiva così per ritorsione alle misure prese da Hitler contro gli ebrei tedeschi. Questo 270
ingranaggio fatale doveva condurre, da una parte e dall’altra, a una Guerra Mondiale. Hitler diceva: gli ebrei e gli Alleati vogliono annientarci, ma saranno loro ad essere annientati, mentre gli Alleati e gli ebrei, da parte loro, dicevano: Hitler e i nazisti, e i loro alleati, vogliono annientarci, ma saranno loro ad essere annientati. E così, per tutta la durata della guerra, i due campi si esaltano di proclami bellicosi e fanatici: il nemico diventa una bestia da sgozzare. Pensate a questo proposito alle parole della Marsigliese quando dice: Che un sangue impuro abbeveri i nostri solchi. Detto questo, gli Alleati che pure hanno fatto una guerra implacabile ai nazisti e che, trentacinque anni dopo la fine della guerra, continuano una specie di caccia al nazista, tuttavia non sono mai arrivati a dichiarare che: Un nazionalsocialista, per il fatto stesso di appartenere al partito nazionalsocialista, deve essere ucciso, si tratti di uomo, donna, bambino o vecchio. Si può persino dire che Hitler, nonostante quanto ha accumulato contro gli ebrei, non ha mai dichiarato: Gli ebrei sono da uccidere, né tanto meno che: Un ebreo, per il solo fatto di essere tale, è da uccidere. Indubbiamente, in caso di rappresaglia contro partigiani o terroristi, quando i tedeschi sceglievano gli ostaggi da mettere a punto, era meglio non essere ebreo, né comunista, né prigioniero di diritto comune. Ma, questa è una conseguenza molto nota del prelevamento di ostaggi per come si pratica da sempre e dovunque. Hitler ha fatto internare una parte degli ebrei europei, ma internare non significa sterminare. Non c’è stato né genocidio né olocausto. (…) Storia Illustrata – Lei nega il numero delle vittime, i sei milioni, sia attendibile. Fossero anche di meno, cambierebbe qualcosa al fatto che genocidio c’è stato, e poco conta quante sono state le vittime? Robert Faurisson – Sei milioni di persone sono la popolazione di un Paese come la Svizzera. Nessuno, al processo di Norimberga, aveva la minima possibilità di puntellare una tesi così stravagante. È il mattino del 14 dicembre 1945 che il procuratore americano Dodd tentò di accreditare questa 271
cifra leggendo una dichiarazione del testimone Höttl. Il pomeriggio dello stesso giorno era costretto a battere in ritirata per l’intervento dell’avvocato Kauffmann, ben deciso a chiedere l’escussione del testimone per chiedergli conto di questa cifra. Disgrazia vuole che la stampa e gli storici hanno ritenuto questa cifra come se il tribunale stesso vi avesse più o meno creduto. Queste sono le mie stime: 1) il numero di ebrei sterminati dai nazisti (o vittime del genocidio) è fortunatamente uguale a zero; 2) il numero di Europei uccisi per fatti di guerra (fatti di guerra spesso atroci) potrebbe essere nell’ordine dei 40 milioni; di questi, quello degli ebrei europei potrebbe essere dell’ordine di un milione, più probabilmente di alcune centinaia di migliaia se non si contano gli ebrei combattenti sotto diverse bandiere alleate. Insisto sul fatto che da parte mia si tratta di una stima che non ha carattere propriamente scientifico. Per contro, ho molte buone ragioni per pensare che la cifra dei morti di Auschwitz (ebrei e non ebrei) sia di 50.000 circa (cinquantamila) e non di 4 milioni, come a lungo si è preteso, prima di accontentarsi di un milione come sta facendo l’Istituto di Storia Contemporanea di Monaco. Quanto al numero dei morti di tutti i campi di concentramento dal 1933-34 al 1945, penso debba essere stato di 200.000, o tutt’al più di 360.000. Un giorno citerò le mie fonti, ma già da ora dico che se si impiegassero i calcolatori si potrebbe certamente sapere presto il numero reale dei morti. I deportati venivano schedati ai diversi livelli, devono avere lasciato numerose tracce.
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XIV Karl Marx
Sulla questione ebraica (Zur Judenfrage) e Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione (Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung) sono i due articoli di Karl Marx scritti verso la fine del 1843 e pubblicati nella rivista «Deutsch-französische Jahrbücher» (Annali franco-tedeschi) fondata dallo stesso Marx e da Arnold Ruge. Il progetto era di contribuire con la pubblicazione a creare «un’alleanza franco-tedesca». La rivista aveva la redazione a Parigi, dove Marx e Ruge si erano trasferiti alla fine del 1843, e veniva stampata a Zurigo. Ne uscì solo il primo fascicolo, doppio, nel febbraio del 1844, a causa delle sostanziali divergenze di opinione subito manifestatesi tra Marx e Ruge (dalla nota introduttiva al volume Sulla questione ebraica pubblicato dagli Editori Riuniti). La traduzione italiana è di Raniero Panieri ed è tratta dal volume III delle Opere complete di Marx e Engels a cura di Nicolao Merker (Editori Riuniti, Roma, 1976, pp. 158-204) alla cui «Nota dell’editore» (ivi, pp. V-VIII) si rimanda per i criteri di traduzione. Viene qui riportata integralmente la seconda parte dell’articolo di Karl Marx «Bruno Bauer, “La capacità degli ebrei e dei cristiani d’oggi di diventare liberi”» («Einundzwanzig Bogen», pp. 56-71). In questa forma Bauer tratta il rapporto della religione ebraica e cristiana, nonché il rapporto di esse verso la critica. Il loro rapporto verso la critica è il loro rapporto «verso la capacità di diventare liberi». Ne consegue: 273
Il cristiano deve sormontare solo un gradino, vale a dire la sua religione, per abbandonare la religione in generale – quindi per diventare libero – l’ebreo, viceversa, deve romperla non soltanto con la sua essenza di ebreo, ma anche con lo sviluppo nel quale la sua religione giunge a compimento, con uno sviluppo che gli è restato estraneo (p. 71).
Bauer dunque trasforma qui la questione dell’emancipazione degli ebrei in una questione puramente religiosa. Lo scrupolo teologico: chi ha maggiore possibilità di salvarsi, l’ebreo o il cristiano? si ripete nella forma illuminata: chi dei due è più capace di emancipazione? In effetti, non ci si domanda più: è il giudaismo o il cristianesimo che rende liberi? ma piuttosto: che cosa rende più liberi, la negazione del giudaismo o la negazione del cristianesimo? Se vogliono diventare liberi, gli ebrei non devono professare il cristianesimo, ma un cristianesimo dissolto, una religione dissolta in generale, cioè l’illuminismo, la critica ed il suo risultato: la libera umanità (p. 70).
Si tratta ancor sempre per gli ebrei di fare una professione di fede, ma non più di professare il cristianesimo, bensì un cristianesimo dissolto. Bauer pone agli ebrei l’esigenza di romperla con l’essenza della religione cristiana, una esigenza che, com’egli stesso dice, non procede dallo sviluppo del giudaismo. Dato che alla fine della «Questione ebraica» Bauer aveva concepito il giudaismo solo come la grossolana critica religiosa del cristianesimo, e egli aveva quindi conferito un significato «soltanto» religioso, era da prevedersi che anche l’emancipazione degli ebrei si sarebbe trasformata in un atto filosofico-teologico. Bauer intende l’essenza ideale, astratta dell’ebreo, la sua religione, come la sua intera essenza. A ragione perciò egli conclude: «L’ebreo non dà nulla all’umanità quando sdegna per se stesso la sua legge limitata», quando sopprime interamente il suo giudaismo (p. 65) Il rapporto tra gli ebrei e i cristiani diviene di conseguenza il seguente: l’unico interesse universalmente umano, un 274
interesse teoretico. Il giudaismo è un fatto oltraggioso per l’occhio religioso del cristiano. Non appena il suo occhio cessa di essere religioso, questo fatto cessa di essere oltraggioso. In sé e per sé, l’emancipazione dell’ebreo non è un lavoro per il cristiano. L’ebreo, viceversa, per liberarsi, deve sostenere non soltanto il suo proprio lavoro, ma anche il lavoro del cristiano, la «Critica dei sinottici», La «Vita di Gesù», ecc. Questo è affar loro: essi determineranno a se stessi il loro destino; la storia però non si lascia beffare (p. 71)
Noi cerchiamo di rompere la formulazione teologica della questione. La questione della capacità dell’ebreo di emanciparsi si trasforma per noi nella questione di quale particolare elemento sociale sia da superare per sopprimere il giudaismo. Infatti la capacità ad emancipasi dell’ebreo di oggi sta nel rapporto del giudaismo con l’emancipazione del mondo di oggi. Tale rapporto risulta necessariamente dalla posizione particolare del giudaismo nell’asservito mondo odierno. Consideriamo l’ebreo reale mondano, non l’ebreo del Sabbath, come fa Bauer, ma l’ebreo di tutti i giorni. Cerchiamo il segreto dell’ebreo non nella sua religione, bensì cerchiamo il segreto della religione nell’ebreo reale. Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo. Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Quale è il suo Dio mondano? Il denaro. Ebbene, l’emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico e reale, sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo. Un’organizzazione della società che eliminasse i presupposti del traffico, dunque la possibilità del traffico, renderebbe impossibile l’ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe come un vapore inconsistente nella vitale atmosfera reale della società. D’altro lato: se l’ebreo riconosce come inconsistente questa sua essenza pratica e lavora per la sua eliminazione, distaccandosi dal suo sviluppo passato, e si 275
volge contro la più alta espressione pratica della autoestraneazione umana. Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico cui gli ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne sospinto fino al suo presente vertice, un vertice sul quale deve necessariamente dissolversi. L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione dell’umanità dal giudaismo. L’ebreo si è già emancipato in modo giudaico. L’ebreo che, ad es. a Vienna, è solo tollerato, con la sua potenza finanziaria determina il destino di tutto l’impero. L’ebreo, che nel più piccolo Stato tedesco può essere privo di diritti, decide delle sorti dell’Europa. Mentre le corporazioni e le associazioni di mestiere sono chiuse all’ebreo o gli sono ancora ostili, l’audacia dell’industria si fa beffe dell’ostinazione degli istituti medioevali (B. Bauer, «Judenfrage», p. 14)
Questo non è un fatto isolato. L’ebreo si è emancipato in modo giudaico in quanto si è appropriato in modo giudaico non solo in quanto si è appropriato della potenza del denaro, ma altresì in quanto il denaro per mezzo di lui e senza di lui è diventato una potenza mondiale, e lo spirito pratico dell’ebreo [è diventato] lo spirito pratico dei popoli cristiani. Gli ebrei si sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono diventati ebrei. Il pio e politicamente libero abitante della Nuova Inghilterra – riferisce ad es. il colonnello Hamilton – è una specie di Laocoonte, il quale non fa neppure il più piccolo sforzo per liberarsi dai serpenti che lo avvincono: Mammona è il loro idolo, essi lo pregano non soltanto con le loro labbra, ma con tutte le forze del loro corpo e del loro animo. La terra ai loro occhi altro non è se non una Borsa, ed essi sono convinti di diventare più ricchi dei loro vicini. Il traffico si è impossessato di tutti i loro pensieri, lo scambio degli oggetti forma il loro unico svago. Quando viaggiano, si portano in giro, per così dire, la loro mercanzia e il loro ufficio sulla schiena, e non parlano che d’interessi e di guadagno. Se per un istante perdono d’occhio i loro affari ciò avviene soltanto per ficcare il naso in quelli degli altri.
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Invero il dominio pratico del giudaismo sul mondo cristiano ha raggiunto nel Nordamerica l’espressione non equivoca, normale del fatto che l’annunzio stesso del Vangelo, la predicazione cristiana è divenuto un articolo di commercio, e il commerciante fallito traffica in Vangelo come l’evangelista arricchito traffica negli affari. Colui che vedete a capo d’una rispettabile congregazione ha cominciato col fare il commerciante; essendogli andato male il commercio s’è fatto ministro del culto; un altro ha debuttato col sacerdozio, ma appena ha avuto a disposizione una certa somma di denaro ha abbandonato il pulpito per i traffici. Agli occhi di moltissimi il ministero religioso è una vera e propria carriera industriale (Beaumont, op. cit. pp. 185, 186).
Secondo Bauer, è una situazione ipocrita, che in teoria all’ebreo vengano rifiutati i diritti politici, mentre in pratica egli possiede un potere enorme ed esercita en gros la sua influenza politica che en detail gli viene ridotta («Judenfrage», p. 114).
La contraddizione in cui si trova la potenza politica pratica dell’ebreo con i suoi diritti politici è la contraddizione della politica con la potenza del denaro in generale. Mentre la prima sta idealmente al di sopra della seconda, nel fatto ne è diventata la serva. Il giudaismo si è mantenuto a lato del cristianesimo non soltanto come critica religiosa del cristianesimo, non soltanto come dubbio incarnato sulla nascita religiosa del cristianesimo, ma parimenti perché lo spirito pratico-giudaico, perché il giudaismo si è mantenuto nella società cristiana, anzi vi ha ottenuto la sua massima espansione. L’ebreo, che sta nella società civile come membro particolare, è solo la manifestazione particolare del giudaismo della società civile. Il giudaismo si è conservato non già malgrado la storia, bensì ad opera della storia. Dalle sue proprie viscere la società civile genera continuamente l’ebreo. 277
Qual era in sé e per sé il fondamento della religione ebraica? Il bisogno pratico, l’egoismo. Il monoteismo dell’ebreo è perciò, nella realtà, il politeismo dei molti bisogni, un politeismo che persino della latrina fa un oggetto della legge divina. Il bisogno pratico, l’egoismo, è il principio della società civile, ed emerge come tale allo stato puro, non appena la società civile abbia completamente partorito lo Stato politico. Il dio del bisogno pratico e dell’egoismo è il denaro. Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere. Il denaro avvilisce tutti gli dei dell’uomo, e li trasforma in una merce. Il denaro è il valore universale, per sé costituito, di tutte le cose. Esso ha perciò spogliato il mondo intero, il mondo dell’uomo e la natura, del loro valore peculiare. Il denaro è l’essenza, e questa essenza estranea lo domina ed egli l’adora. Il dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un dio mondano: la cambiale è il dio reale dell’ebreo. Il suo dio è soltanto la cambiale illusoria. La concezione che si acquista della natura sotto la signoria privata e del denaro è il reale disprezzo, la pratica degradazione della natura, che esiste bensì nella religione ebraica, ma esiste soltanto nell’immaginazione. In questo senso Thomas Münzer dichiara insopportabile che tutte le creature siano diventate proprietà, i pesci nell’acqua, gli uccelli nell’aria, le piante sulla terra: anche la creatura dovrebbe diventare libera.
Ciò che si trova astrattamente nella religione ebraica, il disprezzo della teoria, dell’arte, della storia, dell’uomo come fine a se stesso è il reale, consapevole punto di partenza, la virtù dell’uomo del denaro. Lo stesso rapporto generico, il rapporto tra uomo e donna ecc., diviene un oggetto di commercio! La donna è oggetto di traffico. La chimerica nazionalità dell’ebreo è la nazionalità del commerciante, soprattutto del finanziere. La legge senza patria dell’ebreo è soltanto la caricatura religiosa della moralità senza patria e del diritto in genera278
le, dei riti soltanto formali, dei quali si circonda il mondo dell’egoismo. Anche qui il rapporto più alto dell’uomo è il rapporto legale, il rapporto verso leggi, che per lui valgono non perché siano le leggi della sua propria volontà ed essenza, ma perché esse dominano e perché l’apostasia da esse viene vendicata. Il gesuitismo giudaico, il medesimo gesuitismo pratico che Bauer indica nel Talmud, è il rapporto del mondo dell’egoismo con le leggi che lo dominano, la cui astuta elusione è l’arte suprema di questo mondo. Invero, il movimento di questo mondo entro le sue leggi è necessariamente una costante soppressione della legge. Il giudaismo come religione non poteva svilupparsi ulteriormente, sul piano teorico, poiché la concezione del mondo propria del bisogno pratico è, per sua natura, angusta e si esaurisce in pochi tratti. La religione del bisogno pratico, per la sua essenza, poteva trovare il compimento non nella teoria ma soltanto nella prassi, appunto perché la sua verità è la prassi. Il giudaismo non poteva creare un nuovo mondo; esso poteva solo attirare nell’ambito della propria operosità le nuove creazioni ed i nuovi rapporti del mondo, perché il bisogno pratico, il cui intelletto è l’egoismo, si comporta passivamente e non si amplia a piacere, ma si trova ampliato con il progressivo sviluppo delle condizioni sociali. Il giudaismo raggiunge il suo vertice col perfezionamento della società civile; ma la società civile si compie soltanto nel mondo cristiano. Soltanto sotto la signoria del cristianesimo, che rende esteriori all’uomo tutti i rapporti nazionali, naturali, etici, teoretici, la società civile poteva separarsi completamente dalla vita dello Stato, lacerare tutti i nostri legami dell’uomo col genere, porre l’egoismo, il bisogno particolaristico, al posto di questi legami col genere, dissolvere il mondo degli uomini in un mondo di individui atomistici, ostilmente contrapposti gli uni agli altri. Il cristianesimo è scaturito dal giudaismo. Nel giudaismo esso si è nuovamente dissolto. 279
Il cristiano era fin da principio l’ebreo teorizzante, l’ebreo è perciò il cristiano pratico, ed il cristiano pratico è diventato nuovamente ebreo. Solo in apparenza il cristianesimo aveva superato il giudaismo. Esso era tropo nobile, troppo spirituale per rimuovere la grossolanità del bisogno pratico in altro modo che mediante l’elevazione nel puro aere. Il cristianesimo è l’idea sublime del giudaismo, il giudaismo è la piatta applicazione utilitaristica del cristianesimo, ma questa applicazione poteva diventare universale soltanto dopo che il cristianesimo in quanto religione perfetta avesse compiuto teoricamente l’autoestranazione dell’uomo da sé e dalla natura. Solo allora il giudaismo poteva pervenire alla signoria universale e fare dell’uomo espropriato, della natura espropriata oggetti alienabili, vendibili, caduti in balia del bisogno egoistico, del traffico. L’alienazione è la pratica dell’espropriazione. Come uomo, fino a che schiavo del pregiudizio religioso, sa oggettivare il proprio essere soltanto facendone un estraneo essere fantastico, così sotto il bisogno egoistico egli può operare praticamente, praticamente produrre oggetti, soltanto ponendo i propri prodotti, come la propria attività, sotto il dominio di un essere estraneo, e conferendo ad essi il significato di un essere estraneo: il denaro. Il cristiano egoismo della beatitudine nella sua pratica compiuta si capovolge necessariamente nell’egoismo fisico dell’ebreo, il bisogno celeste in quello terreno, il soggettivismo nell’egoismo. Noi spieghiamo la tenacia dell’ebreo non con la sua religione, ma piuttosto col fondamento umano della sua religione, il bisogno pratico, l’egoismo. Poiché l’essenza reale dell’ebreo si è universalmente realizzata e mondanizzata nella società civile, la società civile non poteva convincere l’ebreo della irrealtà della sua essenza religiosa, che è appunto soltanto la concezione ideale del bisogno pratico. Dunque non soltanto nel Pentateuco o nel Talmud, ma nella società odierna noi troviamo l’essenza dell’ebreo odierno, non come essere astratto ma come essere supremamente empirico, non soltanto come 280
limitatezza dell’ebreo, ma come limitatezza giudaica della società. Non appena la società perverrà a sopprimere l’essenza empirica del giudaismo, il traffico e i suoi presupposti, l’ebreo diventerà impossibile, perché la sua coscienza non avrà più alcuno oggetto, perché la base soggettiva del giudaismo, il bisogno pratico si umanizzerà, perché sarà abolito il conflitto dell’esistenza individuale sensibile con l’esistenza generica dell’uomo. L’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dal giudaismo.
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XV Hamas
Hamas (Movimento di Resistenza Islamica) è l’organizzazione politica creata in Palestina nel 1987 dallo sceicco Ahmed Yassin dei Fratelli Mussulmani per sviluppare la Jihad, intesa come Guerra Santa. Hamas chiede la distruzione dello Stato d’Israele e la creazione di uno Stato Islamico Palestinese su tutto il territorio abitato attualmente da palestinesi e israeliani; è considerata una organizzazione a carattere terroristico dalla Unione Europea e da diversi altri Stati. Nel gennaio 2006 Hamas ha avuto una sorprendente vittoria alle elezioni palestinesi conquistando 76 dei 132 seggi; il successo è anche dovuto alla sua azione di sostegno alla popolazione palestinese con ospedali, scuole, biblioteche, servizi sociali. Qui sono riportati alcuni articoli dello statuto di Hamas scritto nel 1988 e tuttora valido, tradotti e pubblicati (pp. 112-115) sul libro di Carlo Panella Il complotto ebraico. L’antisemitismo islamico da Maometto a Bin Laden, Lindau, Torino, 2005 I poteri che sostengono il nemico. Articolo 22 Il nemico ha programmato per lungo tempo quanto poi è riuscito a compiere, tenendo conto di tutti gli elementi che hanno storicamente determinato il corso degli eventi. Ha accumulato una enorme ricchezza materiale, fonte d’influenza, che ha consacrato a realizzare il suo sogno. Con questo denaro ha preso il controllo dei mezzi di comunicazione del mondo, per esempio le agenzie di stampa, i grandi giornali, le case editrici e le catene radio-televisive. 283
Con questo denaro ha fatto scoppiare rivoluzioni in varie parti del mondo, con lo scopo di soddisfare i suoi interessi e trarre altre forme di profitto. Questi nostri nemici erano dietro la Rivoluzione francese, la Rivoluzione russa e molte rivoluzioni di cui abbiamo sentito parlare, di qua e di là nel mondo. È con il denaro che hanno formato organizzazioni segrete nel mondo, per distruggere la società e promuovere gli interessi sionisti. Queste organizzazioni sono la massoneria, il Rotary, il Lions, il B’nai B’rith e altre. Sono tutte organizzazioni distruttive dedicate allo spionaggio. Con il denaro il nemico ha preso il controllo degli Stati imperialisti e li ha persuasi a colonizzare molti paesi per sfruttarne le risorse e diffondervi la corruzione. A proposito delle guerre locali e mondiali tutti sanno che i nostri nemici hanno organizzato la prima guerra mondiale per distruggere il califfato islamico. Il nemico ne ha approfittato finanziariamente ed ha preso il controllo di molte fonti di ricchezza; ha ottenuto la Dichiarazione Balfour e ha fondato la Società delle Nazioni come strumento per dominare il mondo. Gli stessi nemici hanno organizzato la seconda guerra mondiale, nella quale sono diventati favolosamente ricchi grazie al commercio delle armi e del materiale bellico e si sono preparati a fondare il loro Stato. Hanno ordinato che fosse formata l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con il Consiglio di Sicurezza all’interno di tale organizzazione, per mezzo della quale dominano il mondo. Nessuna guerra è mai scoppiata senza che si trovassero le loro impronte digitali. «Ogni volta che i giudei accendono il fuoco di guerra, Allah lo spegne. Gareggiano nel seminare il disordine sulla Terra, ma Allah non ama i corruttori» (Corano, V, 64). I poteri imperialisti sia dell’Ovest capitalistico, sia dell’Est comunista, sostengono il nemico con tutta la loro forza, in termini materiali e umani, alternandosi in questo ruolo. Quando l’Islam si risveglia, le forze della miscredenza si uniscono per combatterlo, perché la nazione dei miscredenti è una. 284
«O voi che credete, non sceglietevi confidenti al di fuori dei vostri, farebbero di tutto per farvi perdere. Desidererebbero la vostra rovina; l’odio esce dalle loro bocche, ma quel che i loro petti secerne è ancora peggio. Ecco che vi manifestiamo segni, se potete comprenderli» (Corano, III, 118). Non è invano che il verso precedente finisca con le parole di Allah «se potete comprenderli». Gli stati e governi arabi e islamici. Articolo 28 L’invasione sionista è veramente malvagia. Non esita a prendere ogni strada e a ricorrere ai mezzi più disonorevoli e ripugnanti per compiere i suoi desideri. Nelle sue attività di infiltrazione spionistica, si affida ampiamente alle organizzazioni clandestine che ha fondato, come la massoneria, il Rotary, il Lions, e altri gruppi spionistici. Tutte queste organizzazioni, siano segrete o aperte, operano nell’interesse del sionismo e sotto la sua direzione. Il loro scopo è demolire la società, distruggere i valori, violentare le coscienze, sconfiggere le virtù, porre nel nulla l’Islam. Sostengono il traffico di droga e di alcol di tutti i tipi per facilitare la loro opera di controllo e di espansione. Ai paesi arabi che confinano con Israele chiediamo di aprire i loro confini ai combattenti, ai figli dei popoli arabi ed islamici, per permettere loro di svolgere il loro ruolo, e di unire i loro sforzi a quelli dei loro fratelli, i fratelli mussulmani della Palestina. Come minimo, gli altri Stati arabi e islamici devono aiutare i combattenti concedendo loro libertà di movimento. Non dobbiamo mancare di ricordare a ogni mussulmano che, quando gli ebrei hanno conquistato la nobile Gerusalemme nel 1967, di fronte alle porte della benedetta moschea di al-Aqsa, gridavano con gioia: «Muhammad è morto, e ha lasciato dietro di sé solo donnicciole». Israele, in quanto Stato ebraico, e i suoi ebrei sfidano l’Islam e tutti i mussulmani. «Così gli occhi dei codardi non dormono». 285
Il tentativo di isolare il popolo palestinese. Articolo 32 Il sionismo mondiale e le forze imperialiste hanno tentato, attraverso astute manovre e un’attenta programmazione, di rimuovere gli Stati arabi, uno dopo l’altro, dal circolo del conflitto con il sionismo, così da trovarsi di fronte al popolo palestinese da solo. L’Egitto è già stato rimosso dal circolo del conflitto, in gran parte attraverso gli accordi traditori di Campo David, e ha cercato di trascinare gli altri Stai arabi in accordi simili, per rimuovere anche loro dal circolo del conflitto. Il Movimento di Resistenza Islamico chiama i popoli arabi e islamici a fare uno sforzo serio e incessante per prevenire la realizzazione di questo orribile piano e per rendere le masse consapevoli del pericolo di ritirarsi dal circolo del conflitto con il sionismo. Oggi si tratta della Palestina, domani di uno o più altri paesi. Perché lo schema sionista non ha limiti, e dopo la Palestina cercherà di espandersi dal Nilo all’Eufrate. Quando avrà digerito la regione di cui si è cibato, guarderà avanti verso un’ulteriore espansione, e così via. Questo è il piano delineato nei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, e il comportamento presente dei sionisti costituisce la migliore testimonianza di quanto era stato affermato in quel documento. Abbandonare il circolo del conflitto con il sionismo è alto tradimento e comporterà una maledizione sul colpevole. «Chi in quel giorno volgerà loro le spalle – eccetto il caso di stratagemma per (meglio) combattere o per raggiungere un altro gruppo – incorrerà nella collera di Allah e il suo rifugio sarà l’Inferno. Qual triste rifugio!» (Corano, VII, 16). Dobbiamo mettere insieme le nostre forze e capacità per affrontare questa invasione malvagia, nazista e tartara. Altrimenti, perderemo le nostre patrie, i loro abitanti perderanno le loro case, la corruzione si diffonderà sulla Terra, tutti i valori religiosi saranno distrutti. Che ognuno sappia che ne sarà responsabile di fronte ad Allah. «Chi avrà fatto (anche solo) il peso di un atomo di bene lo vedrà, e chi avrà fatto (anche solo) il peso di un atomo di male lo vedrà» (Corano, IX, 7-8). All’interno del circolo del 286
conflitto con il sionismo, il Movimento di Resistenza Islamico si considera la punta di lancia o l’avanguardia. Si unisce a tutti coloro che sono attivi nell’area palestinese. Quello che rimane da fare è un’azione continua da parte dei popoli arabi e islamici, e delle organizzazioni islamiche nel mondo arabo e mussulmano, perché sono queste a essere meglio preparate per la prossima fase della lotta contro gli ebrei, i mercanti di guerre. «Abbiamo destato tra loro odio e inimicizia fino al giorno della Resurrezione. Ogni volta che (gli ebrei) accendono un fuoco di guerra, Allah lo spegne. Gareggiano nel seminare disordine sulla Terra, ma Allah non ama i corruttori» (Corano, V, 64).
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Finito di stampare nella Tipografia Giuntina Firenze, aprile 2008
IN QUESTA COLLANA 1. Elie Wiesel, La notte (20a edizione) 2. Claudine Vegh, Non gli ho detto arrivederci (2a edizione) 3. Elie Wiesel, Il testamento di un poeta ebreo assassinato (3a edizione) 4. Elie Wiesel, Il processo di Shamgorod (4a edizione) 5. Helen Epstein, Figli dell’Olocausto (esaurito) 6. Elie Wiesel, L’ebreo errante (5a edizione) 7. Walter Laqueur, Il terribile segreto (2a edizione) 8. Elie Wiesel, Il quinto figlio (2a edizione) 9. Memorie di Glückel Hameln 10. Else Lasker-Schüler, Ballate ebraiche e altre poesie (2a ed.) 11. Franz Werfel, Cecilia o i vincitori 12. Lorenzo Cremonesi, Le origini del sionismo e la nascita del kibbutz (2a edizione) 13. Vladimir Jankélévitch, La coscienza ebraica (2a edizione) 14. Liana Millu, Il fumo di Birkenau (12a edizione) 15. Elie Wiesel, Credere o non credere (2a edizione) 16. Vladimir Jankélévitch, Perdonare? (2a edizione) 17. Abraham B. Yehoshua, Il poeta continua a tacere (esaurito) 18. Giuliana Tedeschi, C’è un punto della terra... (3a edizione) 19. Elie Wiesel, Cinque figure bibliche (2a edizione) 20. George L. Mosse, Il dialogo ebraico-tedesco (2a edizione) 21. Leslie A. Fiedler, L’ultimo ebreo in America 22. Jona Oberski, Anni d’infanzia (9a edizione) 23. Elie Wiesel, La città della fortuna 24. Jakob Hessing, La maledizione del profeta 25. Abraham B. Yehoshua, Elogio della normalità (2a ed.) 26. George L. Mosse, Ebrei in Germania fra assimilazione e antisemitismo 27. Hugh Nissenson, L’elefante e la mia questione ebraica 28. Rivkah Schärf Kluger, Psiche e Bibbia 29. Józef Hen, L’occhio di Dayan 30. Jean Baumgarten, Lo yiddish (2a edizione) 31. Jacob Neusner, I fondamenti del giudaismo 32. David Vital, Il futuro degli ebrei 33. Siegmund Hurwitz, Psiche e redenzione 34. Alter Kacyzne, L’opera dell’ebreo 35. Hanna Krall, Ipnosi e altre storie 36. Else Lasker-Schüler, La Terra degli Ebrei 37. Giacoma Limentani, Nachman racconta 38. Fausto Coen, 16 ottobre 1943 (3a edizione)
39. Karl E. Grözinger, Kafka e la Cabbalà 40. Józef Hen, Via Nowolipie 41. J. Riemer - G. Dreifuss, Abramo: l’uomo e il simbolo 42. Mireille Hadas-Lebel, Storia della lingua ebraica 43. Ernest Gugenheim, L’ebraismo nella vita quotidiana (3a edizione) 44. Henryk Grynberg, Ritratti di famiglia 45. L. Kushner, In questo luogo c’era Dio e io non lo sapevo 46. Shemuel Y. Agnon, Le storie del Baal Shem Tov 47. Yitzhak Katzenelson, Il canto del popolo ebraico mas sacrato (2a edizione) 48. Hertha Feiner, Mie carissime bambine 49. Hanna Krall, La festa non è la vostra 50. Roland Goetschel, La Cabbalà 51. Friedrich G. Friedmann, Da Cohen a Benjamin 52. Shemuel Y. Agnon, Racconti di Kippur 53. Viktor E. Frankl, Sincronizzazione a Birkenwald 54. Irène Némirovsky, Un bambino prodigio (2a edizione) 55. Günther Anders, Noi figli di Eichmann (2a edizione) 56. Yossel Birstein, Il cappotto del principe 57. Gustav Dreifuss, Maschio e femmina li creò 58. Bruce Jay Friedman, Stern 59. Aryeh Kaplan, La meditazione ebraica 60. Carl Friedman, Come siamo fortunati 61. Amos Luzzatto, Una lettura ebraica del Cantico dei Cantici 62. Igal Sarna, Fino alla morte 63. Erika Mann, La scuola dei barbari 64. Hanna Krall, Il dibbuk e altre storie 65. Daniel Horowitz, Lo zio Arturo 66. Maurice-Ruben Hayoun, La liturgia ebraica 67. Julien Bauer, Breve storia del chassidismo 68. Igal Sarna, L’altra Israele 69. Ben-Ami, Il cantore della sinagoga 70. Bruno Pedretti, Charlotte. La morte e la fanciulla 71. Joseph B. Soloveitchik, Riflessioni sull’ebraismo 72. Victor Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich 73. Yeshayahu Leibowitz, Lezioni sulle «Massime dei Padri» e su Maimonide 74. Yehoshua Bar-Yosef, Il mio amato 75. Chaja Polak, Sonata d’estate 76. Margarete Susman, Il Libro di Giobbe e il destino del po polo ebraico 77. Arturo Schwarz, Cabbalà e Alchimia 78. David Banon, Il messianismo
79. Chaja Polak, L’altro padre 80. Stéphane Mosès, L’Eros e la Legge 81. Marga Minco, Erbe amare 82. Martin Buber, La modernità della Parola 83. Franz Rosenzweig, Ebraismo, Bildung e filosofia della vita 84. Adin Steinsaltz, La rosa dai tredici petali 85. David Weiss Halivni, Restaurare la Rivelazione 86. Hermann Cohen, La fede d’Israele è la speranza 87. Ivan Ivanji, La creatura di cenere di Buchenwald 88. Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt 89. Steven Aschheim, G. Scholem, H. Arendt, V. Klemperer 90. Carl Friedman, L’amante bigio 91. Yeshayahu Leibowitz, La fede ebraica 92. Ida Fink, Il viaggio 93. Laurent Cohen, Il re David 94. Aharon Appelfeld, Storia di una vita 95. Catherine Chalier, Le Matriarche 96. Danilo Sacchi, Fossoli: transito per Auschwitz 97. Grigorij Šur, Gli ebrei di Vilna 98. Wolfgang Koeppen, La tana di fango 99. Marga Minco, Una casa vuota 100. Arthur Green, Queste sono le parole 101. Ida Fink, Frammenti di tempo 102. Michael Fishbane, Il bacio di Dio 103. Yehuda Gur-Arye, Vetro di Hebron 104. Sophie Nezri-Dufour, Primo Levi: una memoria ebraica del Novecento 105. Isak Samokovlija, Samuel il facchino 106. Aharon Appelfeld, Tutto ciò che ho amato 107. Martin Buber, Daniel. Cinque dialoghi estatici 108. Chayyim N. Bialik, La tromba e altri racconti 109. Philippe Haddad, L’ebraismo spiegato ai miei amici (2a edizione) 110. Isaac Goldemberg, Il nome del padre 111. Ida Fink, Tracce 112. Leo Strauss, Filosofia e Legge 113. Lotte Paepcke, Il mio piccolo padre ebreo 114. Sima Vaisman, L’inferno sulla terra 115. Aharon Appelfeld, Notte dopo notte 116. Avraham Heffner, Come Abelardo, come Eloisa 117. Leo Baeck, Il Vangelo: un documento ebraico 118. Qohelet Rabbah. Midraš sul Libro dell’Ecclesiaste 119. Chaja Polak, Oltre il confine 120. Adin Steinsaltz, Cos’è il Talmud
121. Michał Głowin´ski, Tempi bui 122. André Neher, Faust e il Golem 123. Richard Beer-Hofmann, Il sogno di Giacobbe 124. Rami Shapiro, Un silenzio straordinario 125. Gershom Scholem, Tre discorsi sull’ebraismo 126. André Neher, Geremia 127. Anna Maria Jokl, Il colore madreperla 128. Liana Millu, Tagebuch 129. Jakob Wassermann, Il mio cammino di tedesco e di ebreo 130. Giuseppe Laras, Storia del pensiero ebraico nell’età antica 131. Piotr Rawicz, Il sangue del cielo 132. Josef Burg, La canzone dimenticata 133. Jacob Golomb, Nietzsche e Sion 134. Hanna Krall, La linea della vita 135. Sylviane Roche, Addio al tempo delle ciliegie 136. Ceija Stojka, Forse sogno di vivere 137. Elie Wiesel, Personaggi biblici attraverso il Midrash 138. Marga Minco, Giorni alle spalle 139. Sabina Berman, La bobe 140. Sherri Mandell, La benedizione di un cuore spezzato 141. Icchokas Meras, Scacco perpetuo 142. Fritz Heymann, Morte o battesimo 143. Martin Buber, Una terra e due popoli 144. Marcel Reich-Ranicki, Il caso Heine 145. Alfred Döblin, Rinnovamento ebraico 146. Israel Chalfen, Paul Celan 147. Luciana Nissim Momigliano, Ricordi della casa dei morti e altri scritti 148. Gershom Scholem - Leo Strauss, Lettere dall’esilio