Sulla mistica
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«Nello stesso modo in cui l'organista utilizza tutta la gamma corrente, ma tira il registro "voce celeste" per dare a tutta la sua dizione musicale una speciale tonalità, analogamente l'autore spirituale cerca, indicando che tutte queste parole sono da intendere su un registro "mistico", di tradurre l'intelligenza che ne ha ricevuto lui stesso, superiore e, tuttavia, necessaria a quella che già ne ha ogni cristiano al proprio livello.»

Alcune testimonianze esprimono con particolare incisività il senso di un'operosità intellettuale che ha fatto di Michel de Certeau (1925-1986) un effettivo excitateur de la pensée in campi tra i più svariati e con interventi che, a un ventennio ormai dalla morte, si sono venuti sempre più precisando nella loro portata, accrescendo l'impressione della sua lungimiranza e fornendo precise indicazioni per una eredità preziosa. L'immagine è quella di un uomo ricco di interessi e curiosità, e dalle molte imprese: radicato nel tempo e nei saperi di un'epoca che sembrava pensarsi "in modo non religioso", egli appariva pienamente sensibile alle istanze spirituali più profonde che intendeva saggiare dentro la frammentarietà del contemporaneo; mentre faceva opera di storico, seguiva le metamorfosi della mistica. I testi qui per la prima volta raccolti e curati da Domenico Bosco - sulla "mistica" appunto risentono dell'inquietudine dei tempi e dell'ambiguità della "secolarizzazione" nel suo essere, insieme, un "fatto" e un "destino" pronto a concretizzarsi come assenza del sacro e del religioso. Una dialettica pienamente afferrabile nelle pagine qui tradotte e nella quale traluce, attraverso la figura di questo pensatore - diviso fra il rigore del concetto, proprio dello storico, e l'eccedenza del religioso come sguardo del mistico -, uno spaccato sulla stessa "modernità". Michel de Certeau (1925-1986), "storico" francese di formazione poliedrica e membro della Compagnia di Gesù dal 1950, ha dedicato i suoi primi studi alle scienze religiose e alla storia della mistica incrociando le lezioni di de Lubac.

MICHEL DE CERTEAU

Sulla mistica

a cura di Domenico Bosco

MORCELLIANA

Titoli originali dei testi: Mystique au xv1re siècle. Le problème du langage mystique,

in L'homme devant Paris 1 964, 11, pp. 267-29 1 ; L'expérience spirituelle, «Christus» ( 1 970), pp. 488-498; Mystique, in Encyclopaedia universalis, t. XI (197 1 ), pp. 52 1 -526; Jésuites, in Dictionnaire de spiritualité, t. VIII, Paris 1972, pp. 985- 1 0 1 6; L'énonciation mystique, «Recherches de science religieuse» ( 1 976), pp. 1 83-2 1 5; Extase bianche, «Traverses» 29(1983), pp. 1 6- 1 8, allora con il titolo L'obscène; successivamente con questo titolo in La Faiblesse de croire, texte établi et présenté par L. Giard, Paris 1 987, pp. 3 1 5-318; Mystique et psychanalyse (1984- 1 985), in AA.VV., Miche/ de Certeau, Paris 1 987, pp. 1 83- 1 89; Historicités mystiques, «Recherches de science religieuse» ( 1 985), pp. 325-353 Dieu. Mélanges offerts à H. de Lubac,

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© 20 l O Editrice Morcelliana Via Gabriele Rosa 7 1 - 25 1 2 1 Brescia

Traduzione di Domenico Bosco

L'editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile mettersi in contatto

Prima edizione: settembre 20 l O

www.morcelliana.com

I diritti

di traduzione, di memorizzazione elettronica. di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi

mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del let·

15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dell'accordo stipulato tra SIAE, AIE. SNS. SLSI e CNA. CONFARTIGIANATO, CASARTIGIANI. CLAAI e LEGACOOP il 17 novembre 2005. Le riproduzioni ad uso diffe­ rente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume. solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe n. 2, 20121 Milano. telefax 02.809506. e-mail

tore possono essere effettuate nei limiti del dall'an.

[email protected]

ISBN 978-88-372-24 1 5-8 Tipografia La Grafica s.n.c. - Vago di Lavagno (Vr)

DOMENICO BOSCO

MISTICA E MODERNITÀ In cammino con Miche/ de Certeau

l.

L'humus contemporaneo

Raccolte, a caldo, in occasione di una morte precocemente soprav­ venuta, alcune testimonianze esprimono con particolare incisività il senso di un' operosità intellettuale che ha fatto di Michel de Certeau ( 1 925- 1 986) un effettivo excitateur de la pensée in campi tra i più sva­ riati e con interventi che, a un ventennio ormai dalla morte, si sono venuti sempre più precisando nella loro portata, accrescendo l ' impres­ sione della sua lungimiranza e fornendo precise indicazioni per una eredità multipla e preziosat . Jack Lang, allora ministro della Cultura, scriveva: «Di una rara intelligenza e di una estrema generosità, Michel de Certeau resterà il modello di intellettuale della modernità. . . Egli si è costantemente

1 Ricorderemmo almeno E. Maigret, Les trois héritages de Miche/ de Certeau. Un projet éclaté d'analyse de la modernité, «Annales>> (2000) , pp. 5 1 1 -549, con l'efficace e sintetica indi­ cazione di tre eredità: la prima, connessa a «l'attività scientifica come rapporto all'alterità» nel congiunto ricordo dello storico in atto e della sua interrogazione sulla storia; la seconda, connes­ sa alle «trasformazioni storiche del credere» che dice del vasto interesse di de Certeau per il tema dell '«antropologia del credere>> che può risultare, anzi, come un filo rosso della riflessione sul > (M. de Certeau, L 'invention du quotidien, t. 1. L'Art de faire, [ 1 980] Paris 1990), volte a imprimere, oltre che riacquisite consapevolezze critiche, un senso attivo ad un bri­ colage (culturale) troppo spesso letto in funzione della passività del consumatore, né le sue stes­ se incursioni nei territori del «politico>>, non solo per i temi di La Prise de parole in occasione del maggio 1988 o per i suoi consigli relativamente alla riforma Faure (La loi Faure, ou le statut de l 'enseignement dans la Nation, « Études>> [ 1 968], pp. 682-689), ma per le sue stesse analisi relativamente ai problemi dell'America latina, all' interno del capitolo: Foi et révolution, così come lo riassume F. Dosse, Miche/ de Certeau, cit., pp. 1 72-1 88. 7 M. de Certeau, La prise de parole et autres écrits politiques, ( 1 968), Paris 1994, p. 35. 8 Ricorderemmo almeno sinteticamente di Miche! de Certeau, Le Mémorial de Pierre Favre, Paris 1 960; Guide spiritue/ de Jean-Joseph Surin, Paris 1 963 (Guida spirituale, tr. it. , Cinisello Balsamo 1988); Correspondance de Jean-Joseph Surin, Paris 1966; La Fable mystique (XV/e-xvii' siècle), t. l, Paris 1 982 (2a ed. 1987) (Fabula mistica. La spiritualità religiosa tra il XVI e XVII secolo, tr. it. , Bologna 1 987; a cura di S. Facioni, Milano 2008); ma segnaleremmo a parte Mystique au XVII' siècle. Le problème du langage mystique, in L 'homme devant Dieu. Mélanges o.fferts à H. de Lubac, Paris 1 964, n, pp. 267-29 1 ; Mystique, in Encyc/opaedia universalis, t. XI, ( 1971 ) pp. 521 -526; Historicités mystiques, ( 1985), pp. 325353. Aggiungeremmo, come segnalava Luce Giard, che la continuazione della Fabula mistica avrebbe incluso anche uno sguardo al contemporaneo nel riferimento ad autori del xx secolo, tra i quali la Duras, Beckett, Musi!, oggetto di seminari degli ultimi anni, diventavano modelli di una «stilistica mistica>> (L. Giard, Débat général, in Histoire, mystique et politique. Miche/ de Certeau, cit. , p. 1 36; Ch. Buci-Glucksmann, Débat général, ibi, pp. 145- 147. La citazione sulla «stilistica mistica>> è della Buci-Giucksmann, p. 1 47). ,

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ni della geografia e alla diversità delle esperienze umane, disperse in un mondo dai confini planetari : egli li indagava, non già solo con lo sguardo dell'osservatore, ma con la partecipe attenzione di chi trova in esse alcune tra le molteplici espressioni dell'umano9. Ma non manca­ vano vis e attenzione al politico, mentre, desideroso di restituire voce a chi poteva esserne stato privato per indifferenza, malafede e violen­ za, si mostrava seriamente impegnato (engage) a far venire a giorno consapevolezze che restituissero volontà di fare ed un ruolo attivo nel­ la partecipazione e nelle pratichei O . Ed insomma, Miche l de Certeau si manifestava in un'opera ed in molte opere, potendoglisi ben applicare un rilievo di Merleau-Ponty : «è [ ... ] vero, ad un tempo, che la vita di un autore non ci insegna nulla e, se la sapessimo leggere, v i troveremmo tutto perché essa è aperta su li ' opera» I I .

La vita (intensa) dell'uomo della Compagnia di Gesù, del ricerca­ tore e professore, dell ' intellettuale al servizio di politiche culturali meglio adatte ai tempi potrà essere così letta (e detta) all ' insegna del viaggio, e del passar oltre («penser, c ' est passer [à l ' autre]) I 2: «Tutto l ' arresta, niente lo trattiene» aveva, del resto, detto di un suo eroe (Pierre Favre) e l ' altro suo eroe (Jean-Joseph Surin) si dichiarava «d ' ame vagabonde» n; la sua produzione, colta all ' insegna di una mai paga ricerca de li ' altro che lo storico inseguiva nel passato, l ' an tropo-

9 Ricorderemmo almeno di M. de Certeau, Le révei/ indien en Amérique latine, avec Y. Materne, Paris 1 977, nonché la raccolta di contributi presentati in Heterologies: Discours on the Other, Manchester/Minneapolis 1 986. Una utilissima testimonianza - si tratta di note fissate brevi calamo in occasione di una visita messicana - è offerta in M. de Certeau, Notes de voyage. Mexico ( 1 980), in Miche! de Certeau, cit., pp. 1 0 1 - 1 2 1 . IO Si ricorderà su questa linea almeno di M. de Certeau, La Culture au plurie/, Paris 1 974 ( 1 9802 ); L 'invention du quotidien, t. 1: L 'art de Jaire, Paris 1 980. ma anche Une politique de la langue. La Révolution française et le patois. avec D. Julia e J. Revel, Paris 1 975. Il M. Merleau-Ponty, Sens et non sens, Paris 1 966 , p. 43. L'espressione è posta come aper­ tura ai contributi posti in Miche/ de Certeau, cit., p. li ed è riferita a Cézanne (Le doute de Cé::.anne). Per una biografia ricca (e partecipe del mondo) di Miche! de Certeau. si veda F. Dosse. Miche/ de Certeau. Le marcheur blessé, cit. 1 2 Il «penser, c'est passer» è espressione tratta da M. de Certeau, Histoire et psychana/yse entre science et fiction, Paris 1 987, p. 52. A mo' di «ghirlanda», ecco comunque alcune delle espressioni con le quali Miche! de Certeau era definito: (Miche! Crepu, Panorama), cit. da L. Giard, Biobibliographie, in Miche{ de Certeau, cit. , p. 25 1 ; aggiungeremo il titolo di François Dosse, marcheur h/essé. 1 3 M. de Certeau, Un prete riformato: Pierre Favre ( 1506-1546) in Politica e mistica, Questioni di storia religiosa, Milano 1975, p. 27; J.-J. Surin, Cantiques spirituels.

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logo nelle culture e l ' uomo spirituale in quel che potrebbe dirsi la para­ dossalità dell' «esperienza spirituale», respirava di quella curiositas che, se è vastità di interessi, è anche intensità di partecipazione umana, data più che sotto il segno dell ' affermare, nel segno del ritrarsi e del­ l ' ascolto, perché l ' altro sia . . . nella differenzai4: « La

non-identità

-

riconosceva, infatti, con una espressione che d à i l pungo­

lo sulle differenze- è il modo sul quale si elabora la

comunione))Is .

Talché raccogliendo ai suoi funerali tout Parisl6, de Certeau poteva lasciarsi cogliere in un'essenzialità di cui è segno il capitolo primo del suo L'Étranger ou l'union dans la différence nel quale Odilon de Varine, antico provinciale di Parigi della Compagnia di Gesù, ricono­ sceva «uno dei più grandi libri spirituali per oggi» I 7. Una testimonian­ za che, rimontando al di là dei contrasti che, nei dibattiti del post-con­ cilio, avevano visto Michel de Certeau in rottura con la Compagniai s, dava conto di una ricerca intensa e profonda: «era così fraterno, scriveva l'antico superiore, avvincente per la sua ricerca di Dio e, nello stesso tempo, così diverso, strano

(étranger) come forse la verità))I9.

Attestazione che si accosta con levità ad una serie di espressioni che, già in una delle prime opere, illuminavano il cammino di un gesuita alle prese con i suoi grandi impegni : 1 4 Basti, una tra tante, la testimonianza di L. Giard, La passion de l 'altérité, in Miche/ de Certeau, cit., pp. 1 7-39. 1 5 M. de Certeau, L 'étranger, « Études>> ( 1 969), pp. 40 1 -406, poi in L 'Étranger ou l 'union dans la différence, nouvelle édition établie et présentée par L. Giard, Paris 1 99 1 (citiamo da qui), p. 1 8. 16 Molti furono i presenti ai funerali nella chiesa di Sant'Ignazio, rue de Sèvres, la mattina del 1 3 gennaio 1 986. L'annotazione di Serge Leclaire: «Guarda! Chi a Parigi può riunire in una stessa sala persone così diverse e che si detestano tutte?>> (la riferisce F. Dosse, Miche/ de Certeau. cit. , p. 14 nella testimonianza di E. Roudinesco) può ricevere tutto il suo senso, guar­ dando ad alcuni di quei presenti - li segnala F. Dosse, Miche/ de Certeau, cit., p. 1 2, nota 1 2 tra i quali appaiono fianco a fianco filosofi, storici, sociologi, antropologi, psicanalisti, uomini di cultura. Segnaleremo, tra i molti, almeno P. Ricoeur. G. More!, J.-F. Lyotard, Ch. Buci-Glucks­ mann, G. Petitdemange, R. Chartier, D. Richet, F. Furet, J. Le Goff, H.-H. Martin, L. Marin, C. Rabant, E. Roudinesco, S. Leclaire, J. Kristeva, L. Irigaray, P. Virilio, A. Touraine, M. Detienne, F. Héritier-Augé, P. Thibaud, O. Mongin, J. Green, Y. Hersant. 1 7 O. de Varine, Lettre à Louis de Vaucelles, I l janvier 1 986, Archives de la Compagnie de Jésus, Vanves, cit. in F. Dosse, Miche/ de Ceneau, cit., p. 1 9. 18 F. Dosse, Miche/ de Certeau, cit. 1 9 O. de Varine, Lettre à Louis de Vaucelles, in F. Dosse, Miche/ de Certeau, cit. , pp. 1 9-20.

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«Non è possibile parlare da professore, quando si tratta di esperienza [spiri­ tuale]. Non oserei nemmeno dire di parlare da testimone [ ...] Sono solo un viaggiatore. Non solo perché ho per lungo tempo viaggiato tra la letteratura mistica (e questo tipo di viaggio rende modesti), ma anche perché, avendo fatto, nel segno della storia o della ricerca antropologica, un qualche pelle­ grinaggio attraverso il mondo, ho appreso, in mezzo a tante voci, che potevo solo essere persona comune tra molte altre, raccontando solo alcuni degli iti­ nerari tracciati in tanti paesi diversi, passati e presenti, tramite un' esperien­ za spirituale »2o.

Nelle parole vi è la ritrosia, propria di chi non vorrebbe impalcarsi a «maestro» , soprattutto dove il riferimento ultimo sembrava andare all ' lnconnu, spesso anche méconnu ( Gv l, 1 1 )21 ; ma non si stenta a riconoscere sullo sfondo le esperienze dello stesso de Certeau: alcuni temi hanno lungo corso e richiamano - con la suggestione del viaggio, del mistero, della profondità dello spirituale, dell' aprirsi sorpresi verso ciò che viene22 - scampoli di un discorso che si era già venuto affinan­ do e mostravano l ' ormai affermato storico della spiritualità (e dottore in scienze della religione nel 1 960) prendersi a cura pienamente «i rischi del presente»23; né dovrà essere forse sottovalutato un appunto ancora giovanile che, se è squarcio di vita interiore , è ancor più indi­ cazione di convincimenti che tenderanno a far ben altro che «nomen­ clatura storica» , reclamando un indispensabile apporto della riflessio­ ne (e della filosofia) dentro la teologia24. 20 M. de Certeau, L 'expérience spirituelle, «ChristuS>> ( 1 970), pp. 488-498 (successivamen­ te in L 'Étranger, ou / 'union dans la différence, nouv. éd. établie et présentée par L. Giard, Paris 1 99 1 , pp. 1 - 1 2: lo citiamo da qui, pp. 1 -2). 21 M. de Certeau, L'étranger, « Études>> ( 1 969), pp. 40 1 -406; poi in L'Étranger, cit., p. 14 (dà il titolo all' intera raccolta e da qui abbiamo citato). 22 Segnaleremmo due lettere che, negli anni della formazione e della prima attività, avverto­ no di un linguaggio e di uno stile; la prima dal noviziato: «Non ho nulla da dirtene: tu conosci questa storia silenziosa, le monotonie, i miraggi e le grandezze di questo viaggio. Vivendo del Mistero senza conoscerlo, saremo sempre di nuovo stranieri a noi stessi>> (M. de Certeau, Lettre à C. Geffré, 3 mars 1 95 1 , in F. Dosse, Miche/ de Certeau, cit., p. 63); la seconda, in occasione di una sua esperienza come parroco nella banlieue parigina: « È come se delle scaglie mi fossero cadute dagli occhi e come se trovassi Gesù Cristo dopo averlo troppo lungamente e vanamente cercato là dove non si trova, nella mia solitudine. È uno strano "mestiere" quello del parroco: dare quello che non si ha e trovare, così donandolo, colui che viene sempre>> (M. de Certeau, Lettre à Henri de Lubac, 22 aoiìt 1 956, in F. Dosse, Miche/ de Certeau, cit. , pp. 69-70). 2 3 Prendre /es risques du présent è il titolo della seconda parte di M. de Certeau, La faibles­ se de eroire. te x te établi et présenté par L. Giard, Paris 1 987. 24 Si tratta di una importante lettera a C. Geffré ancora nell 'età della formazione religiosa: «Vita reclusa, vita d' attesa e di preparazione, starei per dire vita umiliata e inefficace - ma sareb-

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La volontà è stato notatozs - era quella di «portare al concetto», caratteristico della demarche hegeliana; un timbro avvertibile nella pre­ cisa determinazione di porre i problemi dentro storicità e storia, impe­ gnato in una comprensione che ne rispettasse, insieme, la "particolaris­ sima realtà" e l' intelligibilità26: una tensione che è dato avvertire in alcuni incisi, dove lo storico si interrogava sulle contrastanti esigenze di salvaguardare un 'eccedenza, senza sottrarsi all ' imperativo della «intel­ ligibilità»27, ma che - in estensione - poteva figurare come dominante fondamentale della «scenografia in movimento dei saperi»28, prospetta­ ta in La possession de Loudun, testo esemplare del «far storia» ed, insieme, di quelle interrogazioni che la storia suggeriva quanto all ' in­ tendere «ragione» e «razionalità» sulla scorta del «modemo»29. Potremo così meglio intendere alcune pagine, quasi sussurrate (e di­ messe), che ci consegnano una testimonianza di rara efficacia, non tanto e solo della sua percezione dei tempi e dei loro problemi , ma degli impegni di grande respiro intellettuale che ne conseguivano, quasi una presa d' atto delle urgenze fondamentali di una cultura e di una società che sembravano aver perso un comune linguaggio di riferimento: e que­ sto, non senza profonde ricadute nel pensare e dire il cristianesimo: -

«A sentir svanire il suolo cristiano sul quale credevo di avanzare, a veder avvicinarsi, da molto tempo in marcia, i messaggeri di una fine, a riconosce­ re così il mio rapporto alla storia sotto la forma di una morte senza domani proprio e di una credenza sprovvista di luogo garantito, scopro una violenza be falso: l'efficacia è la dove è la grazia -, ecco. Osservo sempre di più la necessità della riflessio­ ne e della filosofia in teologia: al di fuori di questo, tutto si ferma ad una nomenclatura storica» (M. de Certeau, Lettre à C. Geffré, 8 mars 1 953, cit. in F. Dosse, Miche/ de Certeau, cit., p. 66). 25 L. Giard, Mystique et politique, ou institution comme objet second, in Histoire, mystique et politique, cit. , pp. 28-3 1 . 26 Il testo canonico è quello del Fare storia, in M. de Certeau, La scrittura della storia, tr. it. , Roma 1 977, pp. 2 1 ss. Utilissimo per un primo approccio al tema H. Martin, Miche/ de Certeau et l 'institution historique, in Histoire, mystique et politique, cit., pp. 57-97. 27 M. de Certeau, Introduzione a J.-J. Surin, Guida spirituale, tr. it. , Cinisello Balsamo 1 988, pp. 5 1 -54: si tratta di analisi che M. de Certeau proponeva in relazione alla querelle Surin Chéron a proposito del linguaggio mistico. 28 L'espressione è di J. Revel, Miche/ de Certeau historien: l 'institution et son contraire, in Histoire, mystique, et politique, cit., p. 1 24. 29 M. de Certeau, La possession de Loudun, Paris 1 970. Efficace la delineazione di Loudun come un teatro, dove la possessione delle Orsoline (e di Jeanne des Anges) diventa un «grande processo pubblico: tra la scienza e la religione, sul certo e l'incerto, sulla ragione, il soprannatu­ rale e l'autorità» (p. 9). Introduce con efficacia Miche! de Certeau a partire da Loudun M. Quirico, La differenza della fede. Singolarità e storicità della forma cristiana nella ricerca di Miche/ de Certeau, Postfazione di Pierangelo Sequeri, Cantalupa (Torino) 2005, pp. 29 ss.

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dell'istante. Una necessità poetica (oserei dire un "fervore", con la forza di questa vecchia parola) nasce dalla perdita la quale apre effettivamente su una debolezza. Come se, dopo aver spiato i segni di ciò che ci mancava, nascesse a poco a poco la grazia di essere colpiti da quanto era indicato come più fra­ gile e fondamentale»JO.

Vi si dichiarava esperienza di spaesamento e sradicamento; perce­ zione di un terreno e mondo familiari che se ne erano andati; consape­ volezza di una debolezza nata dalla perdita del «privilegio» e della (scontata) autorevolezza del luogo da cui parlare: analisi, certo, con­ dotte con lo sguardo attento a fermenti e disagi del contemporaneo e, tuttavia, in de Certeau non disincantate, illuminate - lo si riferiva - da un qualche bagliore della mistica; né è forse un caso se dal silenzioso Carmelo di Lisieux, Teresa di Gesù Bambino era chiamata a parlare di «assenza», della nube che oscura il suo Cielo e che le fa dire di voler credere31, oppure se forma stessa del non brillare venisse detta il ful­ gore proprio della «Vita comune» di Ruysbroeck, capace - sans éclat - di far corpo con la storia32; moduli che si avvicinavano - in una ren­ dicontazione dell' esperienza - a quanto poteva essere l ' impegno del cantore, divenuto ormai sordo e privato del «SUO» re, chiamato - nella bellissima testimonianza di Francesco di Sales - comunque a canta­ re33: passione e tensione d ' amore, «passione prima»34, ma egualmente 30M. de Certeau, Suivre «un chemin non tracé», in Lafaiblesse de croire, cit., p. 292. 31 /bi, p. 295. Il richiamo va a S. Teresa di Gesù Bambino, Opere complete. Scritti e ultime parole, Roma 1997, pp. 240 ss. (Manoscritto «C>>). Ma legge tali espressioni con riferimento al «nulla » e a quanto esso sa evocare B. Welte, La luce del nulla. Sulla possibilità di una nuova esperienza religiosa, a cura di G. Penzo, tr. it., Brescia 1983, p. 20. 32 M. de Certeau, Suivre ..:un chemin non tracé», cit. , pp. 29 1 -292 (l'espressione far corpo con la storia è a p. 29 1 ), mentre l'importante richiamo a Ruysbroeck è a p. 292. Lo riportiamo per esteso perché il tema della «vita comune» ritorna a più riprese nella riflessione di de Certeau, offrendo una precisa modalità di espressione della «mistica>> : «[ ... ] la "vita comune" [ . .. ] lega gli esseri creati gli uni agli altri nel "servizio di tutti" e fa coincidere i "momenti" (prima distinti, successivi ed antinomici) dell'azione e della contemplazione. L'uomo "elevato" è "l'uomo comu­ ne"; egli "si deve a tutti quelli che reclamano il suo aiuto" e condivide la "vita comune" di Dio, eternamente attiva ed eternamente in quiete» (Nou.e, II, 37-38). 3 3Francesco di Sales, Trattato dell 'amore di Dio, IX, 9: > riportata da M. de Certeau, La rupture instauratrice, in La Faiblesse de croire, cit., p. 190. L'espressione «maestri del sospetto» è ricoeuriana, e rimanda alle «provocazioni» di Marx, Nietzsche e Freud, tali da produrre sospetto su modi consueti di intendere i rapporti tra coscienza, società, (tradizionali) ideali d'umanità. 37 Anche senza allargarci su un tema quale quello della secolarizzazione, che si incontrava

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vo «fervore» , incontrava le aspirazioni promosse dal Vaticano n, le sue sfide ed i suoi stessi dibattiti (e contrasti) su segni dei tempi ed aggior­ namento, fedeltà e profezia, su tradizione e rinnovamento3 8 , le rinno­ vate questioni sullo «stato del cristianesimo» si presentavano nella loro più intensa radicalità: e forse che il cristianesimo andava a morire39? Non è possibile intendere compiutamente Michel de Certeau senza guardare a questi orizzonti che costituivano il «suo» contesto, motiva­ to da precise istanze contemporanee. Alcune sue analisi (ed immagini) sembravano, dunque, confermare così quanto di irreversibile fotogra­ fava una «crisi»40 e indicava rotture che, se erano dette «instauratri­ ci»4I , patrocinando l ' inedito e l'evento nella sua insequestrabile impre­ vedibilità, mettendo in scacco ogni «stile proprietario» , segnalavano, per converso, come fosse effettivamente problematica una nuda ripro­ posizione di dottrina, al mutare dei modelli culturali che l 'avevano ini­ zialmente sostenuta: «La presa di coscienza, oggi più viva e rigorosa, di una discontinuità cultu­ rale tra i passati linguaggi delle fede notava de Certeau - ci dispone a cogliere meglio il significato che hanno avuto e il dovere presente di inventa­ re il nostro»42 . -

spesso in Francia con il richiamo alla decristianizzazione, ma sembrava offrire un'immagine «demitizzata» del cristianesimo, richiameremmo per il dibattito di quegli anni le sintetiche rifles­ sioni di Ch. Duquoc, Ambiguité des théologies de la sécularisation, Essai critique, Gembloux 1 972. 38 Un bilancio essenziale su quegli importanti anni nel dibattito su Concilio e post-concilio in G. Routhier, La reception d'un Conci/e, Paris 1 993 ; A trent'anni dal Concilio, a cura di G. Angelini, Roma 1 995; L. Scheffczyk, La Chiesa, aspetti della crisi post-conciliare . . , presenta­ zione dell'edizione italiana di J. Ratzinger, Milano 1 998. 39 Si ricorderà (e fece discutere) il libro di J. Delumeau, Il cristianesimo sta per morire, ( 1 977), tr. it., Prefazione di V. Messori, Torino 1 978. 40 M. de Certeau, Lafaiblesse de croire, cit., p. 308: . 4 1 M. de Certeau, La rupture instauratrice, in Lafaiblesse de croire, cit., pp. 1 83-227; ma di grande interesse, su terni analoghi, M. de Certeau, La parole du croyant (pubblicato originaria­ mente in [ 1 967], pp. 455-473) poi in L'Étranger, cit., pp. 1 29- 1 50 (citiamo da qui). 42 M. de Certeau, L'apologie de la di.fférence, ( 1 968), pp. 8 1 - 1 06, poi in L'É· tranger, ci t. (da cui citiamo) p. 1 78 (sottolineatura nostra). Ma sarà da dire congiuntamente anche la richiesta di re-invenzione: . 43 A modo esemplificativo, un inciso contenuto in M. de Certeau, La parole du croyant, ci t., p. 1 39: «Noi aggiustiamo [le parole della rivelazione] alla nostra mentalità, che partecipa neces­ sariamente del nostro tempo. Così nascondiamo i miracoli; ci fermiamo di preferenza alle pagi­ ne dottrinali; in quelle insistiamo su quanto ci chiama alla giustizia, alla fraternità, alla comunio­ ne ecclesiale, ma siamo molto discreti sull 'inferno e Satana, sulla rottura col mondo. . . ». 44 M. de Certeau, La parole du croyant, cit. , p. 1 39. 45 Ricorderemo la felicissima strofa del Cantico spirituale di Surin che potremmo, in qual­ che modo, ritenere la cifra profetica di un tale slancio: «le veux aller courir parmi le mondej/Où je vivrai comme un enfant perdu;//J ' ai pris l'humeur d'une ame vagabonde//Après avoir tout mon bien répandu.// Ce m 'est tout un, que je vive ou je meurej/ Il me suffit que l' Amour me demeu­ re./1>> ( ( 1 988), p. 330.

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2 . Lo sguardo dello storico

Anni importanti anche per la storia furono quelli nei quali Michel de Certeau si era messo all ' opera, ampiamente testimoniati non solo dal fitto dibattito metodologico che ebbe ad investire le discipline sto­ riche, impegnate su terni quali la «storia totale», le «lunghe durate», oppure il «quantitativo», ma ancora da non poche domande radicali che implicavano il significato stesso del «far storia» in un momento in cui l ' emergere di nuove consapevolezze critiche su ideologia e quan­ t' altro (il grado di certezza storica) rendeva più fragili antiche sicurez­ ze (e presunzioni), lasciando comunque inalterata, nella sua problema­ ticità e ricchezza, la positiva tensione che si manifesta nell'incontrare e nel fare i conti con il proprio passato54. Non si mancherà così di cogliere la finezza e l ' avvertenza con cui l' ancor giovane studioso incontrava i problemi, soprattutto dove la ma­ teria stessa dell' indagine sembrava richiedere ancor più cautele nella rimodulazione di quel che era la «storia religiosa» . L' auto-riflessione sulla «disciplina storica» non era, né doveva essere, comunque, a sca­ pito dell' «oggetto» ; una pagina di de Certeau lo avvertiva perentoria­ mente, a mo' di commentario alle sue indagini su Jean-Joseph Surinss, l 'edizione della cui Correspondance avrebbe effettivamente consacra­ to lo storico per un lavoro nel quale l 'erudizione era pari alla capacità di ricreare un mondo ed i suoi problemi riguardati dalla griglia della «mistica». 54 Utile come primo prospetto dei dibattiti P. Veyne, Comment on écrit l 'histoire, Essai d'é­ pistémologie, Paris 1 97 1 ; La storia e le altre scienze sociali, a cura di F. Braudel, Roma-Bari 1 974, G. Mairet, Le Discours et l'historique. Essai sur la représentation historienne du temps, Mame 1 974; Passés recomposés. Champs et chantiers de l 'histoire, par J. Boutier-D. Julia, Paris 1 995; G. Norie1, Sur la «crise de l 'histoire», Paris 1 996; R. Chartier, Au bord de la falaise. L'histoire entre certitudes et inquiétudes, Paris 1 998; per quanto riguarda Miche! de Certeau, si vedranno almeno i diversi testi contenuti tanto in L'Absent de l 'histoire, cit. , quanto in L' Écriture de l'histoire, cit. Interessante per inquadrare questi testi di de Certeau, il contributo di D. Julia, Une histoire en actes, cit. , pp. 321 -324. 55 Jean-Joseph Surin ( 1 600- 1 665), tra i più grandi mistici del Seicento francese, è l'«autore» che ci è stato restituito da Michel de Certeau. Entrato a sedici anni fra i gesuiti ed «allievo» di Lallemant, fu incaricato di esorcizzare Jeanne des Anges delle Orsoline di Loudun ( 1 634). Ad effetto di ciò, ebbe non pochi turbamenti psichici nella convinzione di trovarsi sotto l'influsso di spiriti maligni. Subì per vent'anni questa prova, pur avendo lucidità di scrivere opere, come Guida spirituale alla perfezione, Poesie e contratti spirituali, La scienza sperimentale delle cose dell'altra vita. Riacquistò la salute otto anni prima della morte. È fondamentale comunque di Surin, la Correspondance che de Certeau ha curato fornendo una impeccabile edizione, illumi­ nata da una pregevolissima lntroduction à J.-J. Surin, Correspondance, cit. che è anche una sto­ ria della fortuna. oltre che del testo.

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18 Scriveva, dunque, il gesuita: « . . .la

riflessione sulle ricerche storiografiche non aveva per effetto di allon­ tanarmi progressivamente dallo studio che ne era il punto di partenza, come se, per entrare in una "filosofia" del mio lavoro, abbandonassi il terreno di questo lavoro . Nel domandarmi cosa facevo perseguendo uno studio stori­ co, ero, al contrario, ricondotto all' oggetto di questo studio . Se una lunga tappa di scavi eruditi aveva messo a distanza l' oggetto della ricerca e aper­ to una seconda tappa, quella di una riflessione sulla natura di questa ricer­ ca, ecco che grazie a questo ritorno ero condotto a comprendere meglio i problemi ai quali rispondeva, nel XVII secolo, l' instaurazione del discorso mistico e a percepire più chiaramente le questioni inerenti la "ricerca" pro­ pria di Surin »s6 .

Comunque possa essere intesa, primo bilancio di un tracciato, op­ pure rimando ad interrogazioni sempre intriganti su un «oggetto» che sembrava allora nel XVII secolo aver guadagnato un suo caratteristico spazio sulla scena, la testimonianza forniva le coordinate di un impegno intellettuale, dispiegato tra storia e teoria, avvertendo sulle cautele spe­ cifiche rispetto ad un «oggetto» - quale era «la mistica» - che lo stori­ co riconosceva non essere stato sempre detto in maniera identicas7. Vi è chi ha notato - e con acutezza - in qualche audace accosta­ mento l 'originalità e l ' unità di un pensiero che si potrebbe ritenere sempre in marciass ; un pensiero - è stato detto anche - sempre un qual­ che passo avanti così da dar l ' impressione che, quando altri avevano appena incominciato a familiarizzarsi con determinati «modelli», Michel de Certeau fosse già altroves9; importante attestazione di un rigore che era via ascetica alla chiarificazione, non solo mentre dibat­ teva i temi delle fatiche contemporanee del credere60, ma mentre si 56 M. de Certeau, Histoire et mystique, in Le lieu de l'autre, cit. , pp. 50-51. 57 M. de Certeau, «Mystique» au XVII' siècle, Le problème du langage «mystique», cit., pp. 267-291. 58 S. Breton, Débat général, in Histoire, mystique et politique, cit. , p. 152 (sottolineatura nostra). L'audace accostamento è quello tra lo storico e il mistico ... 59 H. Martin, Débat général, in Histoire, mystique et politique, cit., p. 156. L'annotazione sembra ancor più valida a proposito del far storia e dei modelli che tendono a rendere imprescin­ dibile ogni far storia dalla storiografia. 60 J. Revel, Miche/ de Certeau historien: l 'institution et son contraire, cit. , p. 1 22: «La "debolezza della fede", di cui si è fatto per lungo tempo apologista, era inseparabile ai suoi occhi da una presa di rischio nella quale l'autorità, la competenza, l' identità si sarebbero esposte sul terreno dell'altro, reduplicando nella storia l'esperienza stessa della fede>>.

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cimentava ancora con l a storia61 ; una storia che era divenuta il campo privilegiato delle sue indagini62 e di fronte alla quale si sarebbero via via precisate le richieste dello storico che si fa antropologo63, dell'an­ tropologo che si estende sull ' «antropologia delle credenze» , impegna­ to a prendere le sue distanze per esaltare le differenze64: lavoro quan­ t' altro mai ricco per lasciar venire l 'altro ad un pur esile, ma non già impossibile colloquio; un altro che nella storia e nel «far storia» si dava anche come specifica percezione del limite6s. Si intuisce, dunque, più puntualmente, dentro questo orizzonte, quale possa essere, a detta di molti , l ' audace accostamento: quello tra lo storico e il mistico66 ; né forse, qualcuno più di Michel de Certeau poteva essere attrezzato nel proporlo, a ragione dell'esperienza che, in prima persona, era venuto conducendo, impegnato, insieme, sul fronte della storia e su quello dei mistici. L' orizzonte dello storico riportava agli albori di quell' «epoca moderna» (sec. XVI-XVIII) al cui studio si era accinto, su sollecitazio6 1 Su un tale nucleo di problematiche si veda il dibattito contenuto in Miche/ de Certeau historien, «Le débat>> n. 49, mars-avril l 988; ma un'ampia trattazione anche in F. Dosse, Miche/ de Certeau, cit. 62 Sulle diverse modalità dell ' intero percorso di de Certeau rimanderemmo sinteticamente a J. Le Brun, Le secret d'un travail, «Recherches de science religieuse>> ( 1 988), pp. 237-25 1 ; De la critique textuelle à la lecture du texte, «Le débat>> ( 1 988), pp. 1 09- 1 16; Miche/ de Certeau historien de la spiritualité, «Recherches de science religieuse>> (2003), pp. 535-552. 63 Di M. de Certeau si vedano almeno i saggi Etnografia: / 'oralità e lo spazio dell 'altro: Léry, in M. de Certeau, La scrittura della storia, cit., pp. 2 1 9-257; Histoire et anthropologie chez Lafiteau, in M. de Certeau, Le lieu de / 'autre, ci t., pp. 89- 1 1 1 ; Le lieu de l 'autre. Montaigne: Des cannibales. in Le racisme, éd. M. 01ender, Bruxelles 1 98 1 , pp. 1 87-200. 64 P. Royannais, Miche/ de Certeau: anthropologie du croire et la théologie de la faiblesse de croire, «Recherches de science re1igieuse>> (2003), pp. 499-533. Sui temi della salvaguardia delle differenze e sull ' incidenza del problema nell'insieme dell'elaborazione di de Certeau si ricorderanno egualmente alcuni percorsi di riflessione contenuti in M. de Certeau, L' Étranger, cit. , p. 1 8. 65 M. de Certeau, Fare storia. Problemi di metodo e problemi di senso, in Politica e mistica, cit. , p. 394. Converrà richiamare un testo particolarmente felice nella sua sintetica espressività relativamente a scienze esatte e scienze umane: «Il limite si ritrova al centro della scienza stori­ ca, designando l'altro della ragione e del possibile. È sotto questa figurazione che il reale riap­ pare al centro della scienza. D'altra parte, potrebbe essere che la distinzione tra "scienze esatte" e "scienze umane" non passi più attraverso una differenza tra formalizzazione e il rigore della verifica, ma separi piuttosto le discipline a seconda del posto da esse accordato, per le scienze esatte al "possibile", per le scienze umane, al "limite". In ogni caso, legato al mestiere di etnolo­ go o di storico, senza dubbio c'è il fascino del limite, o, ciò che è quasi identico, dell 'altro>>. 66 Ricorderemmo, almeno, alcuni tra i primi recensori di Fabula mistica: G. Petitdemange, L'invention du commencement. La Fable Mystique de Miche/ de Certeau, Première lecture, «Re­ cherches de science religieuse» ( 1 983), pp. 397-5 10; Ch. Jouhaud, La mystique comme figure de / 'histoire, «XVIIe siècle» ( 1 985), pp. 1 03- 1 08.

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ne dell ' Ordine, in una «rimeditazione delle origini»67 ; occasione per un incontro tonificante con la storia (religiosa) che, ben lungi dall'es­ sere per lui «storia edificante»6s, diventava banco di prova per cimen­ tarsi su questioni ineludibili, quali, ad esempio, quelle tra politica e mistica, come era indicato dal titolo di una raccolta di saggi, apparsi in edizione italiana promossa dal medesimo de Certeau69, oppure quelle stesse, già ricordate7o, su tradizione-traduzione che evidenzia­ vano, non già solo i problemi di una corretta trasmissione dei testi, ma ancora i problemi dei contesti dentro i quali poteva essere resa effet­ tivamente possibile (e fruttuosa), dove una cultura, avendo perso alfa­ beto e grammatica comune con cui incontrarsi, rendeva impossibile intendere ed intendersi; preoccupazione che alcuni testi (metodologi­ ci) rimarcavano, mentre mostravano nella cultura pluralità, ma anche opposizione tra punti di vista (ad esempio, spiritualismo - positivi­ smo) i quali rendevano quanto mai precario il riferirsi ad un che di immediatamente condiviso, spesso occultato e frainteso nelle pieghe stesse del linguaggio7 t . S e s i pensa, dunque, a che cosa potesse rappresentare i l divorzio tra mistica e politica nel contesto di dibattiti in cui l ' irrilevanza della religione sembrava misurarsi dalla sua estraneità-estraniazione alle fatiche per incidere nel «mondo», si avvertirà facilmente l 'effettiva 67 J. Le Brun, Miche/ de Certeau historien de la spiritualité, cit., ma dello stesso si veda ancora De la critique textuelle à la lecture du texte, «Le débat» ( 1 988), pp. 1 09- 1 1 6. 68 Si vedano, almeno, alcune dichiarazioni contenute in M. de Certeau, Storia e struttura, in Politica e mistica. Questioni di storia religiosa, Milano 1 975, pp. 292-293: «Miravo a ritrovar­ mi, a ritrovarmi oggi in quel passato. È quel che chiamiamo piamente ricostruire la storia. La "resurrezione del passato" sta nel farlo tale quale noi lo desideriamo. Orbene, questo si rivela impossibile. Perché quei cristiani del XVII secolo mi diventavano estranei non per quel tanto che conoscevo di loro, ma per quel che andavo scoprendo della mia ignoranza e della loro resisten­ za» (sottolineatura nostra). 69 M. de Certeau, Politica e mistica. Questioni di storia religiosa, cit. Il volume prende il tito­ lo da un saggio Politica e mistica: René d'Argenson, quanto mai importante per mostrare come de Certeau intenda la produzione di due registri e di due linguaggi, «perché il religioso e il pro­ fano rappresentano già, nella sua stessa esperienza, due mondi separati>> (pp. 232-233); ma è indi­ cazione che può essere trasposta anche a proposito del barone J.-B. de Renty ( 1 61 1 - 1 649), impor­ tante figura spirituale «laica» (pp. 223-234), dove a tema, più che la specifica attività interiore, era la possibilità di incidere su «strutture» che procedevano autonomamente. 70 Sono temi che abbiamo visto disseminati tanto in M. de Certeau, L' Étranger, cit., quanto in La Faiblesse de croire, cit. Ma sull'importanza (e la complessità) del tema rimanderemmo almeno a La trasmissione della fede, «Quaderni teologici del Seminario di Brescia», Brescia 2007. 71 Si prenda, ad esempio, di M. de Certeau, Culture e spiritualità, in Politica e mistica, cit., pp. 343-364.

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posta in gioco della questionen; come, d ' altra parte, non sfuggirà quanto potesse essere importante attrezzarsi per affrontare una sfida che obbligava a recuperare criticamente l ' intero orizzonte del pensa­ bile e guadagnare, al di là ed oltre i dualismi, un approccio realistico all ' umano nella sua integralità - spirituale73 ; e questo, nell' impegna­ tiva impresa di mettere in discussione presupposti sottaciuti : questi ultimi, per vero, effettivamente responsabili del giudizio di «residua­ lità» su tante «materie» messe a distanza da una sorta di communis opinio storiografica74. Insomma, per de Certeau, in un bisogno di enracinement (il radica­ mento ! ) questione, non nascosta, appariva quella di «re-inventare» la tradizione (cristiana), inscrivendola in un processo storico, il cui ap­ prendimento poteva far sperimentare l ' esaltante esperienza della stori­ cità e delle sue aperture, senza timori, ma anche vertigini; un arricchi­ mento che nasceva in un 'esperienza non eludibile dell ' uomo, già allo sbocciare delle sue prime consapevolezze. Con ampiezza di vedute, il gesuita sottolineava, infatti: «Attraverso l' analisi di uno sviluppo [la produzione storica] , egli [l'educato­ re] insegna al bambino il senso della sua esistenza insegnandogli a sperimen­ tare lui stesso la mobilità come la legge misteriosa del divenire che il rifiuto del passato o il timore di un avvenire tenta vanamente di fermare. Ma sul tempo gli fornisce una presa più larga dell ' istante che, astratto dal contesto , è un luogo di vertigine tra il passato e l' avvenire. Gli dà radice in una genesi spirituale di cui scava gli inizi reali per aprire un futuro inconoscibile»75.

Si direbbe pedagogico il proposito, inscritto com'era nel dibattito sull' impegno dell'educatore ad apprendere sempre, educando con un'a­ pertura di spirito che è un lasciar spazio all ' altro76; potrebbe essere, 72 Si tratta di tematiche su cui andavano interrogandosi in quegli stessi anni tutti coloro che si ponevano quesiti sulle problematiche della modernità: si vedranno le annotazioni che G. Riconda premette a A. Del Noce, Modernità. Interpretazione transpolitica della storia contem­ poranea, a cura di G. Riconda, Brescia 2007, p. 1 3. 73 Si tratta di prospettive e di interrogazioni di cui, da versanti non dissimili, in relazione alla provocazione delle scienze umane (psicanalisi non esclusa), si faceva interprete anche Antoine Vergote, su cui si vedrà sinteticamente J.-B. Lecuit, L 'anthropologie théologique à la lumière de la psychanalyse. La contribution majeure d'Antoine Vergote, Paris 2007. 74 M. de Certeau, Fare della storia, cit., pp. 382 ss. 75 M. de Certeau, L' Étranger, cit., p. 59. 76 /bi, pp. 53 ss. Titolo emblematico del paragrafo in cui si parla dell'educatore è La tradi­ zione del nuovo (La tradition du nouveau).

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ancora, richiamo al prendere radici, il solo antidoto - come è stato detto77 - all 'estenuazione di esperienze (anche spirituali); ma l ' invito era, soprattutto, quello di entrare nei dinamismi senza i quali tutto ri­ maneva fisso, «intemporale», mentre altro sembrava essere il luogo in cui il cristiano ha modo di distendersi nella concretezza: «proprio come cristiano io distinguo l' Eterno dall'intemporale per negare [ ] quest' ultimo. La fede cristiana si situa proprio in questa articolazione tra l' Eterno e il temporale, e si caratterizza per il fatto di eliminare l' immobile consistere di un intemporale »78. . . .

Parole forti che dicono, comunque, dell'engagement di de Certeau, radicato nella sua (e nella nostra) storia, portato anzi a leggere la «crisi secentesca» dei suoi studi eruditi, non senza attenzione alla «crisi» contemporanea79, così che pare - nonostante tutto - che l'una e l ' altra, pur nella diversità, si venissero reciprocamente illuminando, specie se l ' esito della prima, nel vasto spaccato tra Cinque e Settecento che ci era offerto, si era cristallizzato in una «Società d 'etica»so , tale, cioè, da ridisegnare priorità e gerarchizzazioni in relazione alla stessa assun­ zione del religioso ; e si badi, affermava Michel de Certeau : «Una spiritual ità "risponde" alle domande di un certo tempo e insieme non risponde mai al di fuori dei termini stessi della domanda, perché sono quelli di cui vivono e di cui parlano gli uomini di una certa società, i cristiani non diversamente da tutti gli altri»B I .

Non dovremo dunque stupirei in questa ricerca di un qualche inciso che dava conto di tempi lunghi (e di trasformazioni), rivelando in quel­ l' età sopravvenuti decentramenti e effetti insospettabili di una «crisi» che aveva investito le più profonde ed intense zone dello spirito:

77 La suggestione trova un suo articolato sviluppo in alcune efficacissime pagine di J. Greisch, Les multiples sens de l'expérience et l 'idée de vérité, in L'expérience philosophique et l 'expérien­ ce mystique, éd. Ph. Capelle, Paris 2005, pp. 53-75, dove l'attenzione è posta sul pericolo di tra­ durre l'esperienza (e l'esperienza spirituale) in puri stati d'animo, in «vibrazioni>> (p. 64). 78 M. de Certeau, Storia e strunura, cit., p. 3 1 4. 79 J. Revel, Miche/ de Certeau: l 'institution et son contraire, cit., pp. 1 1 1 - 1 1 2. so M. de Certeau, La formalità delle pratiche. Dal sistenuJ religioso all 'etica dell 'Illumi­ nismo (XVI-XVIII secolo), in La scrinura della storia, cit. , pp. 1 56-2 1 6. 8 1 M. de Certeau, Culture e spiritualità, in Politica e mistica, cit., p. 348.

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«Come stupirsi se la religione e la cultura popolare si manifestano anche come Voce? La Parola, già disgiunta dal discorso razionale ad opera della Riforma, viene condotta alla musica dall'esperienza spirituale [ . . ] . Il punto d' arrivo dell' anti-intellettualismo a cui la mistica è costretta dalla nuova intel­ lighenzia è la musica, il poema, la cantata - salvo che nel XVII secolo, essen­ do la tradizione cattolica più fortemente interessata al discorso sociale, la mistica musicale, poetica e oratoria fugge verso l'Est protestante dell'Europa, dove si trasforma in esoterismo ed occultismo »82 . .

L' occhio dello storico, concentrandosi tra Riforma e Lumières, in­ travedeva nell'età tendenze e pericoli ; opportunità per isolare proble­ mi, fors ' anche dali' ottica deli ' epistemologia; ecco allora, a proposito del «riformismo spirituale» a cavallo tra Cinque e Seicento, riletto il senso di una distanza che dovrebbe indurre a movimento: «Se le forme de li' esperienza ignaziana sono ancora riconoscibili a mezzo secolo di distanza, non hanno, comunque, lo stesso senso per coloro che le vivono; non sono più le stesse esperienze. È cambiato qualcosa, e per tutti questi gesuiti si è modificata la coscienza che essi hanno della società in cui lavorano»8 3 ;

ecco, ancora, l ' esibizione di interrogazioni radicali che richiedevano nuovi ordini di discorso, e questo proprio per la presa di coscienza dei problemi del «moderno» : «la laicizzazione della "natura" precede l'ispessimento della distinzione teo­ logica tra natura e sopranatura; la febbre dell'illuminismo [degli illuminati, alumbrados ... (n.d.c.)] e dell'eresia precedono la teoria secondo la quale, come insegnano certi teologi, non ci sarebbe esperienza del soprannaturale e la tendenza degli spirituali a esprimere queste esperienze come straordinarie; 82 M. de Certeau, La formalità delle pratiche, ci t., pp. 206-207. 8 3 M. de Certeau, Crisi sociale e riformismo spirituale all 'inizio del XVII secolo: una «Nuova spiritualità» tra i gesuiti francesi, in Politica e mistica, cit., p. 104. Estremamente importante per evidenziare l 'ottica di Miche! de Certeau dinanzi alla storia dei problemi dei gesuiti nel Seicento, provocati dal dibattito sul rapporto tra contemplazione ed azione, trasposto in quello di politica e mistica, risulta la voce Jésuites, in Dictionnaire de spiritualité, t. VIII, Paris 1 972, pp. 985- 1 0 1 6: freschissimo affresco di storia secentesca, illuminante come può essere la voce su Carlo Bor­ romeo, proposta nel Di::.ionario biografico degli italiani e ripresentata in Le lieu de / 'autre, it., pp. 1 1 5- 1 34. Su questi stessi temi e contesti si vedrà comunque a mo' di continuazione delle inda­ gini di de Certeau, i volumi Les jésuites à la Renaissance. Système éducatif et production du savoir, éd. L. Giard, Paris 1 995 ; Les jésuites et la civi/isation du baroque, éd. L. Giard-L. de Vaucelles. Grenoble 1 996.

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la de-cristianizzazione di un popolo che conserva, più o meno sconsacrati, un vocabolario e concetti cristiani, conduce così

l'élite

spirituale a ricrearsi un

linguaggio tratto dalle proprie tradizioni. Di tutto ciò, il destino di "mistico" non

è

per lo storico che un indice, lo specchio di una pozza d'acqua»S4;

ecco, poi, prospettarsi nel rilievo stesso della messa in mora di «scola­ stica>> e filosofia di marca aristotelica, la disgregazione di un mondo che rende inagibili antichi riferimenti: «ciò che era totalizzante non [era] più che una parte in un paesaggio in disordine»ss ; ecco avvertiti - tra esorcisti e indemoniati, tra religione e politica, all 'altezza del «caso Loudun» - i dibattiti sul criterio del possibile» quanto ad una credibile immagine della natura, provocata dallo straordinario: provo­ cazione emblematica dinanzi al mutare della nuova immagine scienti­ fica del mondo86; ecco ancora alcuni giudizi che avvertono di scom­ messe, il vincere o il perdere le quali spesso va oltre quegli stessi semi che sono gettati ; un giudizio che esprimeva quanto difficile potesse essere l 'impatto di quel che a taluni sembrava l ' istanza che avrebbe del tutto risolto i problemi : «La

"crociata mistica" non ha potuto cambiare il paese; ha solamente creato

tenitori decentrati in rapporto al mondo, associazioni il cui "segreto" signifi­ ca limiti sociali allo stesso tempo che una fedeltà ad ambizioni spirituali . uno di quei tracciati che anima, come fuoco dirompente gile avventuriero dell' Amore»87 .

(jeu courant),

È

il fra·

si badi, il fragile avventuriero dell 'amore era in questo caso Jean-Joseph Surin, le cui vicende biografiche rappresentavano quel «caso» che avrebbe potuto compromettere l ' intero uni·. erso della «mi­ stica» : non era forse già accaduto che, a cavallo tra Otto e Novecento, essa fosse stata ascritta tra i gironi dell ' anormale, del patologico, del­ l' occulto più che del misteross? Né si pensi Michel de Certeau sottrarE,

84 M. de Certeau. Mystique au XVI� siècle. Le problème du langage mystique, cit., p. 273. 8 5 M. de Certeau, Ln pensée religieuse en France (1600-1660), in Le lieu de l 'autre, cit., p. 20 1 . 86 Sotto questo riguardo, importante occasione di riflessione è offerta da M. de Certeau, Ln possession de Loudun, cit., felice, al proposito, relativamente a Loudun la citazione di una espres­ sione di Alfred Jarry : «la possession du Saint Esprit et du démon sont, notoirement, symétriques>> (p. 1 3), particolarmente apprezzabile se si ricorda che sul «teatro di Loudun>> ebbe a calcare la scena Jean-Joseph Surin, uno dei più grandi mistici del Seicento; ma richiameremmo ancora sul tema più generale A. Koyré, Du monde clos à l 'univers in.fini, Paris 1 962. 87 M. de Certeau, lntroduction à J.-J. Surin, Correspondance, cit p. 66. 88 Una felice rassegna già in M. de Certeau, Historicités mystiques, «Recherches de science .•

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si alla provocazione ; la fedeltà votata alla verità e la volontà di rigore erano, comunque, intesi a rendere «l'oggetto» «credibile oggetto di di­ scorso», e contro ogni facilità e semplificazione. E che cosa, in effet­ ti, poteva offrire la «mistica» in un contesto storico traversato da nuove questioni e caratterizzato da una religione, vista ormai «dali ' esterno» e divenuta «oggetto» che metteva a distanza l ' atto di credere89? La risposta, non poco suggestiva, rimandava ad una potenzialità che «la mistica» sembrava avere in proprio, mentre ritagliava un suo spazio in una cultura in cui l 'io era portato ad interrogarsi e a cimen­ tarsi con una soggettività che diventava banco di prova per quel che poteva essere il mondo ricevuto90. E, notava de Certeau, il linguaggio mistico «si caratterizza meno per il dispiegamento di verità progressivamente acqui­ site che per un riconoscimento sempre più profondo della loro verità; meno per il contenuto della conoscenza che per la sua intensità che ingrandisce; meno per lo svolgimento coerente dei misteri compresi nel Cristo che per una sorta di distanza interiore dovuta ali ' echeggiare di questi misteri - distanza che per dirsi non ha mai altro che le identiche parole e che, tuttavia, rappre­ senta in rapporto a ieri, all'altro ieri, un cogliere più intimamente la verità che esse significano. Qui,

nire

è capitale la nozione di itinerario interiore. Vi è un dive­

nascosto sotto la stabilità dei termini veri per tutti, ieri come domani»9 I .

Né andrà forse sottaciuto un rilievo che allarga in un senso forse inedito quel vagare del mistico con un linguaggio differente, e dentro un mondo che diceva e richiedeva verità diversamente intese. Perché, come scriveva il contemporaneo Giovanni di Gesù Maria (t 1 6 1 5) in La teologia mistica: «Che l'anima muoia e perda la propria fisionomia, che lo spirito sia privato delle forze e della capacità di agire, essere condotti da Dio (senza alcun pro­ prio concorso) ed altre espressioni dello stesso genere tipiche degli amanti, se consideriamo la reale natura delle cose sono false, ma sotto l'aspetto affetti­ vo le diciamo vere. Il

Filosofo, infatti, non è ritenuto menzognero per aver

religieuse•• ( 1 985), pp. 345-348; si veda ancora per un prospetto d' insieme nel corso del Nove­ cento, É . Poulat, Critique et mystique, Paris 1984; L 'université devant la mystique. Expérience du Dieu sans mode. Transcendance du Dieu d'amour, Paris 1 999. 89 M. de Certeau, La pensée religieuse en France (1600- 1660), in Le lieu de l 'autre, cit., p. 20 1 ; p. 203 (la citazione è a p. 203). La sonolineatura è nostra. 90 M. de Certeau, L'énonciation mystique, cit., pp. 200 ss. 9 1 M. de Certeau, Mystique au XVI� siècle, Le problème du langage mystique, cit., p. 287.

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affermato che l 'anima vive più dove ama che dove anima, ossia più nella per­ sona amata che in se stessa e non lo è neppure Paolo quando vivendo dice di non vivere, come se la vita di Cristo presente in lui distruggesse la sua pro­ pria vita»92.

Itinerario interiore, sonorità particolari, testi che si davano come un a parte e che, come suggeriva ancora Giovanni di Gesù Maria, sem­ bravano invitare ad analoghi tragitti d ' esperienza93, fornivano parole d 'ordine da sottoporre al vaglio della propria esperienza, perché l ' am­ bito era esteso come potevano essere le molteplici vicende del quaere­ re Deum ed, insieme anche, del pati divina, date nella particolare forza della loro espressione: testimoniale94 ! Proprio come avvertiva de Certeau, mentre qualificava i toni di quel che era dato nel linguaggio di chi, ritenuto allora autore spirituale, oggi noi diremmo mistico: «Nello stesso modo in cui l 'organista utilizza tutta la gamma corrente, ma tira il registro "voce celeste'" per dare a tutta la sua dizione musicale una speciale tonalità, analogamente l ' autore spirituale cerca, indicando che tutte queste parole sono da intendere su un registro "mistico", di tradurre l' intelligenza che ne ha ricevuto lui stesso, superiore e, tuttavia, necessaria a quella che già ne ha ogni cristiano al proprio livello>>95.

L' uso del «re-impiego» avrebbe ulteriormente connotato in Fabula mistica quel tipo di «registro», allargandone le caratterizzazioni come un corpus linguistico e suggerendo che proprio della mistica fosse 92 Giovanni di Gesù Maria O.C.D. Calagorritano, La teologia mistica ( 1 607), tr. i t., Bruxelles 1 993, pp. 9- IO (sottolineatura nostra). 93 /bi, p. 1 2: . 94 Illuminanti, d'altra parte, alcune espressioni di Giovanni della Croce, Fiamma viva d 'a· more, B strof, l , 15 (Opere, versione del Padre Ferdinando di S. Maria, O.C.D., Roma 200 J 7 ): «Ma poiché le cose rare, delle quali quindi si ha poca esperienza, come sono quelle che stiamo dicendo, destano molta meraviglia e sono poco credibili, temo che alcuni non intendendole per scienza e non conoscendole per esperienza, non le crederanno o le crederanno esagerazioni o penseranno che non corrispondano alla realtà>>. 95 M. de Certeau, Mystique au xvw siècle. Le problème du langage mystique, cit. , p. 286. Annotazione tanto più pertinente, nonostante una certa qual ritrosia che compare, ad esempio, in Giovanni della Croce relativamente al destinatario del discorso mistico (uomini o donne del solo Carmelo o tutti?), quanto più suffragata da una nota della Fiamma viva, B strof. 2. 27: « Conviene notare il motivo per cui sono tanto pochi coloro che giungono a questo stato sublime di unione con Dio. Ciò accade non perché Dio vuole che siano pochi gli spiriti elevati come questi, ma per­ ché trova pochi che si sottomettono ad opera così alta ed eccelsa>> . Come si sa, quest 'opera alta ed eccelsa, è la purificazione della notte - dei sensi e dell'intelletto.

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quello di essere ri-scritta96. Ma se per lo storico era essenziale coglie­ re come «una esperienza si iscrive in un linguaggio»91, non poca atten­ zione era posta alle modalità con cui avvicinarsi ali ' «oggetto», proprio nel segno di «una parola che si dice in un testo ed in linguaggio che bisogna analizzare con una molteplicità di tecniche e di metodi per ritrovare la voce del mistico»9s. Né si pensi la cosa facile o immediata: l 'edizione di testi, la pun­ tuale ricognizione dei contesti, il profilo di una vita tanto travagliata il gesuita secentesco perse la parola e fu in uno stato di buio profondo per lunghissimi anni99 - accompagnavano la lunga circumnavigazione di Michel de Certeau intorno a quel Jean-Joseph Surin che, se era «caso clinico», manifestava lucidità di tratto e profonda dottrina, con accenti, fossero questi in prosa o in poesia, che rivelavano forza espressiva ed allusività, come in questa strofa che, a detta di Henri de Lubac, incantava Pierre Rousselot: «Felice morte, felice sepoltura// di questo amante immerso nell'Amore// che non vede più né grazia, né natura, // ma solo l' abisso in cui è caduto» I oo .

Eppure, notava de Certeau, Surin non mancava di sfuggire: «Oggetto di scandalo come di ammirazione, screditato o venerato, Surin figu­ rava per i suoi contemporanei l'al di là di una frontiera per essi incerta : testi­ moniava un altro mondo? Era vittima della melanconia? [ . . .] A nostra volta, noi vorremmo spiegare con la malattia le forme religiose che ci sono divenu­ te estranee, o sbarazzarci in lui degli aspetti per noi incompatibili con la vita mistica. I fatti ci rifiutano questa facilitazione» 1 0 1 •

96 I l rilievo è dovuto tra gli altri a M . Bergamo, Débat général, i n Histoire, mystique et politique, cit., pp. 1 47- 148. Il riferimento a M. de Certeau, Fabula mistica, cit., pp. 204 ss. 97 M. de Certeau, L'absent de l'histoire, cit., p. 1 54. 98 J. Le Brun, Miche/ de Certeau historien de la spiritualité, cit., p. 542. 99 Sono vicende che sono consegnate nella Science e.xpérimentale des choses de l 'autre vie, in J. -J. Surin, Triomphe de l 'amour divin sur /es puissances de l 'Enfer et Science e.xpérimentale des choses de l 'autre vie, suivi de Les aventures de Jean-Joseph Surin par Miche! de Certeau, Grenoble 1 990. 100 H. de Lubac, Prefazione a La mistica e le mistiche, a cura di A. Ravier, presentazione del­ l'edizione italiana di Ch. A. Bemard, Cinisello Balsamo 1 996, p. 36. La strofa di Surin è tratta dal v cantico spirituale e si intitola L 'abbandono interiore per disporsi alla perfezione dell 'amo­ re divino: «Heureuse mort, heureuse sepulturej/De cet amant dans l' Amour absorbé// Qui ne voit plus ni grice ni nature//Mais le seui gouffre auquel il est tombé>>. 101 M. de Certeau, lntroduction à J.-J. Surin, Correspondance, cit. , p. 27.

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La storia - quella «vera» - aveva un suo rigore ! Se era con questo respinto il tentativo di sequestrare l 'oggetto, riducendo lo alla misura del nostro piccolo o grande consumo, se era pure rifiutata ogni sempli­ ficazione, rimaneva comunque tutto un corpus da decifrare: e così più che offerta di un «sistema» I 02, il corpus mistico di Surin era visto pro­ porsi nella sua intenzionalità propria, come «Un'organizzazione [di discorso] destinata a rappresentare l 'altro» I03; annotazione tanto più profonda e radicale, perché obbligava «a manifestare un assente ne­ cessario e, tuttavia, impossibile a porre come tale nell'enunciato» I 04. E rispetto a tanti altri e diversi approcci ali ' alterità ws - nella paro­ la del mistico si ritrovava «una faglia de li' indicibile [che] struttura essa stessa il linguaggio» I06; ulteriore avvertenza metodologica da parte di chi non riteneva tanto facile dire l 'indicibile Dio con lingua e in terra straniera; ma - si aggiunga - con la consapevolezza di «Un linguaggio che è rotto dalla faglia introdotta con il "linguaggio sconosciuto" che Dio "forma lui stesso grazie al suo Spirito"» I O? . Omologia, più che non concordismo, si dirà a proposito di quel che sfugge nella storia e nella misticaws; anche se - esemplare in questo la vicenda di Robinson Crusoe - potevano essere richiamati gesti che riferivano egualmente di tracce, dell 'essere passato, dell ' altro i 09 , evo102 J. Le Brun, Miche/ de Certeau historien de la spiritualité, cit. , p. 542: > (p. 325). 1 60 /bi, p. 337. 161 /bi, pp. 325-353. 1 62 M . de Certeau, L' expérience spiritue/le, ( 1 970), pp. 488-498 (successivamen­ te in L' Étranger, cit., pp. l - 1 2). 163 M. de Certeau, Mystique, cit. , pp. 523-525; L'expérience spiritue/le, cit. , pp. 2 ss. 1 64 L'espressione > ( 1 970), pp. 488-498, qui riportato [n.d.c.].

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solo un effetto esteriore ben visibile agli occhi degli uomini che non ammirano altro che simili cose straordinarie, è piuttosto da fuggire che da desiderare». Nel suo linguaggio che distingue i regimi dello psichico e dello spi­ rituale secondo una gerarchia di livelli, Constantin de Barbanson con­ clude che questa «operazione», benché «ammirata da molti» è «segno che l ' anima quanto al suo fondo è ancora molto in basso» , pur essen­ do già «molto elevata». «Ed io dico, scrive Meister Eckhart, Dio non è né essere, né ragio­ ne, né conosce questo o quello. È perché Dio è vuoto di tutte le cose ed è perché è tutte le cose». Queste voci antiche si riferiscono a concezioni dell' uomo che ci sono divenute estranee. Ma relativizzando sicurezze istituzionali o eccezionali, hanno la nettezza di tutta la tradizione mistica. Da ogni parte la reazione si fa sentire: Giovanni della Croce, Teresa d'Avila, ad esempio, i più grandi tra i mistici lo ripetono; lo straordinario non caratterizza l ' esperienza mistica più della sua conformità ad una orto­ dossia, ma il rapporto che ciascuno di questi momenti intrattiene con altri, come una parola con altre parole, in una simbolica di senso. 2.4. Il linguaggio sociale della mistica

Il mistico è portato da ciascuna di queste esperienze in un aldiquà più radicale che si traduce ancora in un aldilà dai momenti più inten­ si. L' unità che lo «attrae al l ' interno» , come alcuni dicono, lo spinge in avanti verso tappe ancora imprevedibili di cui lui stesso o altri for­ meranno il vocabolario ed in vista di un linguaggio che non appartie­ ne a nessuno. A volta a volta dice: «Ciò che ho vissuto non è nulla se accostato a quello che viene» e «Mancano altri testimoni al fram­ mento della mia esperienza». Il linguaggio mistico è un linguaggio sociale. Così ciascun «illuminato» è ricondotto al gruppo, portato verso l ' avvenire iscritto in una storia. Per lui «far posto ali ' Altro» è far posto ad altri. Il carattere eccezionale di quel che gli accade, cessa di essere un privilegio per diventare l ' indice di un posto particolare che egli occu­ pa nel proprio gruppo, in una storia, nel mondo. Non è che uno tra gli altri. Uno stesso movimento lo inserisce in una struttura sociale, facen­ dogli accettare la propria morte : sono due modi del limite, di una arti-

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colazione, cioè, con l ' Altro e con gli altri. Una vita «nascosta» trova indubbiamente la sua effettività nel momento in cui si perde in ciò che in essa si rivela più grande di essa. Le difficoltà, le «prove», gli osta­ coli ed i conflitti hanno per il mistico ancora il significato di indicargli la propria morte, la specificità della sua propria parola e il proprio vero rapporto con ciò che gli è dato di conoscere. Un simile nascondersi nel linguaggio di tutti è insomma il pudore del mistico. Di questo pudore testimonia parimenti il suo radicamento in un non sapere comune, nel modo discreto in cui ne parla un monaco egiziano del IV secolo negli Apoftegmi dei Padri del deserto: «Veramente, abba Giuseppe ha trova­ to la via, poiché ha detto: "Non lo so"». Riportare la vita personale alla vita sociale non è che un ritorno alle fonti. Non sono solo dei gesti che manifestano la verità del l 'estasi. Esse lasciano risalire quel che l ' ha preceduta e resa possibile: una situazione socio-culturale. Ma esse scoprono un senso a questo anoni­ mato dei fatti. Il «C'è» o il «C 'è stato» dei dati storici, linguistici o men­ tali di una situazione si incarica di essere riconosciuto come dato. Al principio di tutto, vi è un dato. La percezione spirituale si dispiega in un ' organizzazione mentale, linguistica e sociale che la precede e la determina. Sempre, come si sa dopo Herskovits4, «l'esperienza, anche se fosse mistica, è definita cul­ turalmente». Essa riceve la sua forma da un contesto che la struttura prima di ogni coscienza esplicita ed è sottomessa alla legge del lin­ guaggio. Un neutro e un ordine vi impongono dunque tutto quanto di senso vi scopre il mistico. Con questo «linguaggio» non bisogna intendere solamente la sin­ tassi e il vocabolario di una lingua, cioè la combinazione di accessi e preclusioni che determina la possibilità di comprendere, ma insieme ancora i codici del riconoscimento, l 'organizzazione .dell ' immagina­ rio, le gerarchizzazioni sensoriali dove predominano l 'odorato o la vista, la costellazione fissa delle istituzioni o delle referenze dottrina­ li, etc. Vi è così un regime rurale o un regime urbano dell'esperienza; vi sono epoche caratterizzate dali' esorbitanza dell'occhio e da una atrofia olfattiva; altre, da una ipertrofia dell'orecchio o del tatto. Una sociologia può egualmente classificare le manifestazioni, e anche le 4 Melville J. Herskovits ( 1 895- 1963), etnologo americano allievo di Franz Boas, manifestò interessi per l 'antropologia culturale, ma è famoso soprattutto per lo studio delle relazioni tra le culture [n.d.c.].

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visioni mistiche. In un gruppo minoritario, ad esempio, la testimonian­ za prende la forma di una verità perseguitata; il testimone, quella del martire ; le rappresentazioni, quelle di un cuore trafitto o di un illette­ rato illuminato . . . Da questo punto d i vista, i l mistico parla solamente un linguaggio ricevuto, anche se «l'eccesso» mistico, la ferita e l ' apertura del senso (o ciò che con Jacques Derrida si può chiamare il «momento iperboli­ co») non sono identificabili a una struttura storica da cui dipende la loro forma e la loro stessa possibilità. Così , con la pastorella Katharina Emmerich ( 1 774- 1 824), tutto un linguaggio emerge da una Westfalia silenziosa, nascosta agli uomini della penna e dello scritto. Esso affa­ scina il poeta romantico Clemens Brentano che se ne fece lo scribas . Grazie ali ' alleanza tra il poeta aristocratico e la mistica del villaggio, il discorso della «visionaria» fece emergere alla superficie di una «let­ teratura scritta» la lingua «selvaggia» di un mondo rurale . Una orga­ nizzazione sotterranea era portata alla luce, svelando e moltiplicando le risorse di una tradizione contadina nell 'esperienza mistica che na­ sceva da essa. Uscendo dalla propria notte, è un popolo contadino che si esprime nel poema dei gesti e delle visioni dove Caterina racconta le scene, per essa contemporanee, della vita di Gesù. Delle «profondi­ tà divine» di cui parla sono indissociabili le immensità popolari di cui è eco. Sotto forme diverse, le vaste strutturazioni latenti del l inguaggio si articolano sempre, come loro luogo e loro determinazione, sul deside­ rio e sulla sorpresa del mistico. 2.5. Il corpo dello spirito Non basta riferirsi al corpo sociale del linguaggio. Il senso ha per scrittura la lettera e il simbolo del corpo. Il mistico riceve dal proprio corpo la legge, il luogo e il limite della propria esperienza. Il monaco «Sperimentato» quale era Filosseno di Mabboug, non aveva timore di 5 Anna Katharina Emmerich. stigmatizzata. visse una vita di sofferenza. descrivendo la sua esperienza in opere focalizzate sulla passione di Cristo. di cui diffuse la pietà nella Germania del­ l " epoca. Famosa la Vita di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo ( 1 858- 1 860). Clemens Bren­ tano ( 1 778- 1 842) che ne volle essere lo scrivano ( 1 8 1 8 ). fu poeta e romanziere. capace di gran­ di affreschi e rievocazioni quali quelli consegnati in Dalla cronaca di uno scolaro vagante ( 1 8 1 8 ). sulla Germania nel tempo medievale !n.d.c. ] .

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dire: «Il sensibile è la causa del concettuale; il corpo è la causa de li ' a­ nima e la precede neli' intelletto»6. Così la preghiera è immediatamente un discorso di gesti. «Come pregare? - Non è necessario usare molte parole, rispondeva Macario. Basta tenere le mani alzate». Arsenio, altro «padre del deserto», si teneva in piedi la sera, voltando la schiena al sole che tramontava; ten­ deva le mani verso il Levante, «fino a che di nuovo il sole avrebbe rischiarato la sua faccia: allora si sedeva» . La sua vigilanza fisica era il linguaggio del desiderio, come un albero nella notte, senza che fosse necessario aggiungere un brusio di paroJe7. Non è che un indice. In tutti i modi, il mistico «somatizza» , inter­ preta la musica del senso con il repertorio del corpo, non gioca sola­ mente con il suo corpo ; è giocato da esso, come se il piano o la trom­ ba fosse l' autore di cui l'esecutore non fosse che strumento. Sotto que­ sto profilo, le stimmate, la levitazione, le visioni, etc. svelano ed impongono delle leggi oscure del corpo, note estreme di una gamma mai completamente inventariata, mai affatto addomesticata, e tale risvegliare l' esigenza stessa di cui essa è, a volta a volta, il segno e la minaccia. Una prossimità dannosa - dannosa per i suoi testimoni , ma più ancora per una società - unisce spesso, sui limiti dell 'esperienza, il «mistico» al «patologico» . Tra la follia e la verità, i legami sono enig­ matici e non costituiscono un rapporto di necessità; ma è ancor più erroneo ritenere il conformismo sociale come criterio di esperienza spirituale. L' «equilibrio» psicologico risponde a norme sociali (per altro mutevoli) che il mistico passa e ripassa, al modo con cui Giacobbe attraversò il guado dello Yabboq, afferrato un momento sul­ l ' altra riva dall' angelo notturnos. Dal «corpo profondo», e certamente da esso, nasce il movimento che caratterizza insomma il linguaggio «mistico» : quello di riconosce-

6 Filosseno di Mabboug (?-523), vescovo di Mabboug (lerapoli) è autore di alcune omelie che costituiscono il manuale del monachesimo orientale, non prive di istanze apofatiche (teolo­ gia negativa) e richiami ai Padri orientali [n.d.c.]. 7 Sui Padri del deserto - e su temi analoghi - Miche) de Certeau si diffonde anche in L 'expérience spirituelle, cit. a proposito di quel che è attesa. preghiera. I Padri del deserto (dal IV al VII secolo) - qui sono segnalati Macario, Arsenio e, più sopra, abba Giuseppe, ma è famoso soprattutto Antonio - sono alle origini del monachesimo d'Oriente ed esprimono un senso pro­ fondo della più completa (e concentrata) ricerca di Dio [n .d.c.]. 8 Gn 32,23 [n.d.c.].

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re un essenziale nella modalità di uno scarto. Il suo gesto è di passare oltre, attraverso «fenomeni» che rischiano sempre di essere presi per la «Cosa» stessa. In realtà, le manifestazioni mistiche enunciano ciò a cui anche [Friedrich] Nietzsche guardava («Sono un mistico, diceva, e non credo in nulla») quando rinviava a un aldilà emergente dalla parola: «Es spricht) scriveva («la cosa parla»); un non-soggetto (estraneo a ogni soggettività individuale) demistifica la coscienza; le acque del profon­ do agitate ne intorbidano al superficie chiara. In Sein und Zeit (Essere e tempo) [Martin] Heidegger si riferisce ugualmente a un Es gibt - che non vuoi dire solamente «c'è», ma «la cosa dà» : vi è del dato che è insieme donante. È da questa perdita che ricolma che Surin parla, da parte sua, quando mette il suo Cantico spirituale sotto il segno di un «bambino perduto» e «vagabondo»: Felice morte, felice sepoltura Di quell 'amante assorto nell 'amore Che non vede più né Grazia, né Natura Ma il solo abisso in cui è caduto.

Un itinerario sconcertante (bisognerebbe dire: sconcertato) di scar­ to in scarto, è il modo storico sotto il quale si insinua e si manifesta quel che canta anche Tukaram, mistico maratha del xvn secolo, al ter­ mine dei suoi Salmi del pellegrino, per dare il loro senso ai suoi itine­ rari sulle vie dell ' India: Voglio dire l 'indicibile Vivo la mia morte Sono non essere.

3 . La mistica e le religioni N el 1 94 1 , Re né Daumal scriveva: «Ho appena finito di leggere di seguito alcuni testi sulla bhakti [amore mistico n.d.c. ] , citazioni di autori cassidici e un passo di san Francesco d ' Assisi ; metto insieme qualche parola buddhista e sono ancora una volta colpito che si trat­ ti della stessa cosa» (La mistica e i mistici). Ma questo singolare del­ la mistica, opposto al plurale delle religioni, non è dovuto forse al fatto che si tratti dell' identico lettore? -

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Da un lato, non esiste alcun luogo d'osservazione da cui sia possi­ bile guardare la mistica indipendentemente dalle tradizioni sociocultu­ rali o religiose, e dunque precisare «obiettivamente» il rapporto che intrattiene con queste tradizioni. Non vi è per «considerarla» il punto di vista di S irio. Ogni analisi dell' Occidente è situata, lo si voglia o no, nel contesto di una cultura segnata dal Cristianesimo. D ' altro lato, la mistica implica, nelle scienze come nell 'esperienza dell 'Occidente, un distanziamento dalle infeudazioni ecclesiali. Essa designa l ' unità di una reazione moderna e profana dinanzi alle istituzioni sacre. Queste due coordinate determinano il luogo di una riflessione attuale9 sulla mistica e le religioni. 3. 1 . La pluralità delle strutture religiose I lavori asiatici o africani, pur riferendosi parimenti alla mistica, ricostruiscono la pluralità quando interpretano la mistica occidentale nuovamente in funzione di punti di vista propri. Una tale distanza tra analisi eteroclite fa apparire le differenze che specificano intere tradi­ zioni e possono essere classificate secondo tre tipi di criteri . È decisivo, innanzi tutto, il rapporto con il tempo. Esso distingue una tradizione occidentale di origine cristiana, fondata su un evento e, dunque, sulla varietà della storia. L' antichità o la civiltà indù presenta una forma di mistica più «henologica» to, caratterizzata dal ritorno verso l ' Uno, o mediante la porosità del mondo: la storia è aperta alla realtà immanente che essa riveste di apparenze. Corrispondono a que­ sta differenza alcune teologie: l ' una, ponendo al cuore del mistero una Trinità, stabilendo perlomeno tra Dio e l ' uomo la cesura della creazio­ ne e conservando una comunità come forma privilegiata della manife­ stazione� l ' altra, orientata dal sole di un Principio unico, annunciando in ogni essere il diffondersi dell 'Essere e destinando ciascuno all ' uni­ ca in-distinzione. In secondo luogo, le tradizioni che si riferiscono a una Scrittura si differenziano da quelle che assegnano il primato alla Voce. Vi è qui (troppo poco evocata, perché rifiuta essa stessa il nome di «mistica») una spiritualità della Legge che immette tra la trascendenza di Dio e la 9 Il riferimento sull'attuale va agli anni Settanta del Novecento [n.d.c. ]. IO «Henologica>>: da EV, É voa : dice riferimento all' Uno [n.d.c. ].

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fedeltà del servitore , la barriera di una «lettera» da osservare : mistica ebrea del salmo CVIII, mistica nata da un pudore che rifiuta all' uomo la pretesa di «divenire Dio» e stabilisce dei «figli» nell' amore reverenzia­ le del Padre. Ogni tradizione protestante conserva questa inaccessibili­ tà del Dio promesso, ma non dato a credenti, i quali sono chiamati, ma non giustificati. A questa tendenza si oppone una mistica della Voce, cioè di una presenza che si dà in segni umani e innalza tutta la comu­ nicazione interumana, investendola in modo reale . Le esperienze e le dottrine si distinguono, infine, secondo la priori­ tà che accordano alla visione (contemplazione) o alla parola. La prima corrente mette l ' accento sulla conoscenza, la radicalità dell'esilio, le iniziazioni incoscienti che liberano dalla coscienza, l ' inabitazione del silenzio, la comunione «spirituale» : mistiche «gnostiche» e mistiche dell' Éros. La seconda lega l ' appello ad una prassi; il messaggio alla città ed al lavoro; il riconoscimento dell' assoluto ad un 'etica; la «sa­ pienza» agli scambi fraterni : mistica dell ' ag ap e .

3.2. L'unità di distanziamento dalle religioni L' interesse per i mistici o il fascino che esercitano implica un altro tipo di rapporto con le religioni. Certo, in Occidente lo studio è attual­ mente determinato meno dalla necessità scientifica di difendersi con­ tro Chiese oggi sempre più minoritarie. Ma, per questo fatto, è portato a ritenere il linguaggio mistico come il simbolo - persino la metafora - di un ' «Essenza» nascosta da riconoscere filosoficamente oppure di un «senso di esistenza» , concettualmente da chiarire, di una società che ha cessato di essere religiosa. Da un tal punto di vista, la mistica è meno un'eresia oppure una liberazione dalla religione di quanto non sia lo strumento di un lavoro inteso a svelare, nella religione, una veri­ tà enunciabile innanzi tutto nelle modalità di un margine indicibile in rapporto ai testi e alle istituzioni ortodosse, e che potrebbe ormai esse­ re tratta fuori dalle credenze. Lo studio della mistica permette allora una esegesi non religiosa della religione. Nella relazione storica del­ l 'Occidente con se stesso, essa dà luogo ancora ad una reintegrazione che liquida il passato senza perderne il senso. Come la sfinge di un tempo, la mistica resta il crocevia di un enig­ ma: lo situa, senza classificarlo. Nonostante le differenze tra civilizza-

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zioni, si operano incroci che, in Occidente, accordano alle tradizioni induiste o buddhiste un prestigio spirituale ed in Oriente, estendono seduzioni ebraiche e cristiane mediante le loro metamorfosi marxiste. Resta, tuttavia, qualcosa di irriducibile su cui la ragione stessa prende appoggio, di cui essa demistifica i fenomeni spostando altrove i miti, ma di cui essa non libera una società. Forse, tra l'esotismo e l ' «essen­ ziale», i rapporti non saranno mai socialmente chiarificati. Ed è la sfida o il rischio del mistico quello di condurli a quella «nettezza» che Ca­ terina da Siena1 1 riteneva segno ultimo dello spirito. Bibliografia E. Behr-Sigel, Prière et sainteté dans L 'Église russe, Paris 1 950; E. Brunner, Die Mystik und das Wort, Ziirich 1 928; M. Buber, Les Récits hassidiques, tr. fr. , A. Gueme, Paris 1 963; M. de Certeau, Le langage mystique au xvw siè­ cle, Paris 1 972; M. Eliade, Le Chamanisme et les techniques de l 'extase, Paris 1 95 1 , 2e éd. augmentée, 1 96 7 ; S. Freud, L 'avenir d 'une illusion, tr. M . Bonaparte, Paris 1 932; Malaise dans la civilisation, tr. C . Odier, Paris 1 934; L. Gardet-G.C. Anawati, Mystique musulmane, Paris 1 96 1 ; L. Kolakowski, Chrétiens sans Église. La connaissance religieuse et le lien confessionnel au xvw siècle, tr. fr. A. Posner, Paris 1 969; J. Leclercq, L 'amour des lettres et le désir de Dieu, Paris 1 957; W. Lossky, Théologie négative et connaissance de Dieu chez Maitre Eckhart, Paris 1 960 ; G. Morel, Le sens de l 'existence selon Jean de la Croix, Paris 1 960; R.A. Nicholson, Studies in lslamic Mysticism, Cambridge (Mass.) 1 92 1 ; J. Orcibal, Saint Jean de la Croix et les mystiques rhéno-flamands, Paris 1 966; R. Otto, Mystique d'Orient et mystique de l 'Occident, Paris 1 95 1 ; A. Ravier, dir. La Mystique et /es mystiques, Paris 1 965 ; H. Ritter, Das Meer der Seele, Leiden 1 955 ; E.J. Thomas, The History of Buddhist Thought, London 1 95 1 ; H. Urs von Balthasar, La Gioire et la Croix, tr. R. Gibord-H. Bourboulon, Paris 1 965- 1 968.

I l «Nette::.:.a. era già con questa parola di Caterina da Genova che Léonce de Grandmaison caratterizzava infine la figura evangelica di Gesù, in Jésus Christ, Beauchesne, Paris 1928, t. 2, p. 1 2 1 » : Miche) de Certau, Suivre un «chemin non tracb in La Faib/esse de croire, Paris 1987, p. 302, nota 48 [n.d.c. ).

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«MISTICO» NEL XVII SECOLO Il problema del linguaggio mistico

[/l muoversi de/ linguaggio]*. La storia del linguaggio è già storia del pensiero. Padre de Lubac lo ha spesso ben mostrato. Così, l 'espres­ sione «corpo mistico» , dopo aver per lungo tempo designato l ' Euca­ ristia, al termine di una lunga meditazione sui rapporti tra Eucaristia e Chiesa, giunge a significare, «passata la metà del XII secolo» , il miste­ ro della seconda e non più della prima1 • Di ordine semantico, questo mutamento ha naturalmente una portata teologica: nel discorso cristia­ no, segue un percorso di riflessione e uno spostamento di prospettive. Per quanto il suo studio fosse limitato al Medioevo, padre de Lubac già segnalava che l 'evoluzione proseguiva fino al XVI secolo. Se il «corpus» continua a riferirsi alla Chiesa, l ' aggettivo «mysticum» che lo qualificava fino allora come sacramento visibile del Cristo, prende in quest'epoca una intensità e una colorazione nuova al punto che, in modo inverso rispetto alle prospettive anteriori, si finisce per opporre il corpo «mistico» al corpo «visibile» e «politico» della Chiesaz. Quan­ do il cardinale Du Perron ricorda che «il corpo mistico non è sempre utilizzato dagli autori per escludere la realtà della cosa, ma per esclu­ derne l 'evidenza e la comprensibilità»3, manifesta ancora, non fosse che per rifiutame alcune conseguenze, il significato nuovo dell ' agget­ tivo e l 'orientamento che conferisce ali ' espressione tradizionale. Il pensiero non cessa di muoversi ali ' interno di tali parole immuta­ te mediante un lavoro segreto che rispetta un linguaggio consacrato, ma scava in esso vie nuove come l ' acqua viva in grotte ancestrali. La specializzazione del termine nella sua accezione ecclesiale si accentua ancora nel XVII secolo: «Gesù, dice Bérulle, ha un corpo reale e un corpo mistico in terra. . . Noi aderiamo al corpo reale mediante la comu­ nione all 'Eucaristia, e al suo corpo mistico mediante la comunione del[l titoli dei paragrafi sono del curatore]. H. de Lubac, Corpus mysticum, 1 9492, p. 1 9. 2 /bi, pp. 1 3 1 - 1 32. 3 Traité de / 'Euch.aristie ( 1 622), p. 599, cit., ibi, pp. 282-283. •

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la Chiesa»4. Eppure , l ' accento sarà messo sul segreto di questa comu­ nione «mistica», sul fatto che «attraverso la grazia, Gesù è la sussisten­ za del suo corpo mistico»s e così , per mezzo di «questa vita e sussi­ stenza mistica dello Spirito di Gesù» in esse, «le anime sante costi­ tuiscono una sola persona mistica con Gesù»6. Meglio e altro che «un semplice corpo politico» 7 , il corpo mistico è uno «stato mistico»s, si­ lenzioso e vivente, regno interiore la cui realtà sfugge ali ' intelligenza come alla vista, formando un «ordine» della carità trascendente e nascosta agli altri «ordini dell 'esistenza» . Quali che siano i correttivi apportati dagli autori stessi o da altri teologi, vi è nella prima metà del XVII secolo, una tendenza «spiritua­ lista» che rende percepibile il valore nuovo e contagioso dell ' aggetti­ vo «mistico9» . La parola prolifera. Ramifica in forme fino allora sco­ nosciute : «i mistici», «la mistica» . È fortemente connessa al problema del linguaggio: «mysticus» caratterizza un «modus loquendi», un mo­ do di dire; la sua natura, i suoi pericoli o i suoi rapporti con altri tipi di dibattiti danno luogo a numerose discussioni, non sempre ireniche il cui rumore si manterrà per lungo tempo. Non è senza ragione perché, qui ancora, una questione di espressione è questione di metodo e, quando gli «scolastici» e gli «spirituali» discutono sulla «novità» del linguaggio «mistico», si pongono e ci pongono un problema di ordine teologico: essi cercano di leggere nel linguaggio del loro tempo l ' uni­ ca «dottrina» del Cristo e l ' impresa, sempre nuova, deve essere inces­ santemente rettificata a questo scopo con una conformità al linguaggio della santa Antichità. Per brevi che siano, queste note sullo sviluppo di questa parola e le definizioni che il XVII secolo tentò di darle permet­ tono di presentire, nel pensiero teologico di questa epoca, la fruttuosa tensione tra la fedeltà e la novità. 4 Grandeurs, Dédicace au Roi. in lEuvres. 1 644 , p. 1 3 3. Cfr. sulla sua scia Saint-Cyran, cit. in Orcibai, La spiritualité de Saint-Cyran, 1 962, p. 2 1 , n. 59. 5 Chardon, La croix de Jésus, ( 1 647), éd. 1 937, p. 30. 6 Jbi. pp. 3 1 e 35. 7 /bi, p. 37. 8 René d' Argenson, Traité de la sagesse chrétienne, 1 65 1 , pp. I I I e 1 86. 9 Cfr. Orcibal, L 'idée de l ' Église che::. les catholiques du XVII'. siècle, in Rela::.ioni del iO con­ gresso internazionale delle scienze storiche, 1 955, vol. 4, pp 1 1 1 - 1 35 . Orcibal nota soprattutto che l'apologetica condusse, per contrapposizione, a sottolineare il carattere esteriore e visibile della Chiesa. Questa reazione antiprotestante si riferiva agli eccessi dello «Spiritualismo» e non sarà estranea all 'anti-misticismo; essa tradisce, tuttavia, l 'evoluzione che porta molti cristiani a percepire lo «spirituale» come «mistico» o «nascosto». .

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Là dove noi parleremmo di «mistici». un autore del XVI secolo dice piuttosto «contemplativi» o «spirituali». Già Tommaso da Kempis si domandava: «Perché vi sono così pochi contemplativi I O ?». È il termi­ ne tradizionale. Nell 'Eden contemplativorum o nel trattato tradotto sotto il titolo Directorium aureum contemplativorum ( 1 5 1 3) , Heinrich Herp, suo contemporaneo, non usa mai «mistico» ' ' che non si incon­ tra mai nel vocabolario del proprio maestro Ruusbroecki2 - lui stesso presentato come «divino contemplativo» da Giovanni degli Angeli i3 ed «eccellentissimo contemplante» da dom Beaucousin, suo traduttore francese i4. Parimenti, per designare quel che si chiamerà più tardi «l'u­ nione mistica» , si parla allora di «unitas supereminens animae» I 5, di «estado perfectissimo de contemplaci6n» I 6, di «contemplaci6n quie­ ta» 17, etc. Si esprimono così i testimoni della mistica detta «affettiva» . Così ancora santa Teresa d' Avilai B o san Giovanni della Croce: trattan­ do sempre della «contemplazione» per parlare della vita «mistica» , egli utilizza quest' ultimo vocabolo in accezioni molto particolari 19, IO

/mita;:ione, lll , p. 3 1 . È a proposito di Dionigi che il Directorium usa l'aggettivo > (Il, cap. 22, 30 e 32; éd. Vershueren, 1 34, 1 74, 1 84). 1 2 Giovanna della Croce, in «Jahrbuch fiir mystische Theologie>> 6 ( 1 960), p. 75. Più di due secoli più tardi, è ancora lo stesso per Alvaro de Paz: messa da parte l'espressione «theologia mystica>> che rinvia a Dionigi (cfr. Opera, 1 623, t. 3, pp. l 230, 1 320 etc . ), tratta «de gradibus con­ templationis» il cui settimo e più alto è lo (De lnquisitione, v, 3), dove descrive i quindici gradi della vita spirituale fino allo stato in cui l' anima è «Unus spiritus cum Deo facta>> (De vita spirituali, Il, l, pp. 9- 1 1 ). 1 3 Didlogos, l, ed. Gonzales, p. 6 1 . 1 4 L 'Ornement des Nopces spirituelles composé par le divi n docteur et très excellent contem­ plateur Jean Rusbroche, Toulouse 1 606. 1 5 Herp, ci t. da Groult, Les Mystiques des Pays-Bas, 1 927, p. 54; o «contemplatio perfecta» cit. , ibi, p. 100. 16 Louis de Grenada, libro de la Oraci6n y Meditaci6n ( 1 554), ed. Cuervo, t. Il, p. 429. 1 7 Laredo, Subida del Monte Sion por la via contemplativa . . fino alla «contemplaci6n quie­ ta» ( 1 535). 18 C fr. Camino de Perfecci6n 4, 3, sulle sofferenze dei «contemplativos>>, o sulla «contem­ placi6n perfecta», ihi, 25, 1 -2; Moradas VI, 7, 7 (Obras, BAC, 1 954, t. 2, pp. 148, 1 92 e 450). 1 9 Cfr. Bouillard. La «Sagesse mystique>> .. . RSR, 50 ( 1 962), pp. 508-5 1 6. L'identità tra «contemplazione>> e «teologia mistica>>, molte volte affermata da Giovanni della Croce, corri­ sponde peraltro, nella maggior parte dei casi, all'aspetto «negativo» della «contemplazione infu­ sa>> (cfr. i testi citati da Eulogio de la Virgen, in DS 3, pp. 401 -402): «Contemplazione» risponde all ' insieme di quel che chiamiamo vita mistica; «teologia mistica» rappresenta il riferimento a una tradizione apofatica che ha finito per leggere tutta l'opera dello Pseudo-Dionigi nella pro­ spettiva della «tenebra», facendone il tipo di una forma della vita mistica. Se l' influenza dioni­ siana è immensa all'epoca, inversamente la natura di questa influenza ha determinato una inter­ pretazione di Dionigi. Già all' inizio del secolo, Lutero non ha «mistica» , né cita Dionigi se non a proposito della teologia «quae docet Deum quaerere negative» (Martin Luthers Werke, Tischreden, Weimar, t. I, n. 75; t. 2, n. 203 1 ). II

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riferendosi ai «contemplativi» o agli «spirituali» per designare gli au­ tori di cui riprende l ' insegnamento2o. Nel xvn secolo, la venerabile parola esiste e si mantiene presente ancora in numerosi titoli della let­ teratura mistica: Jardins des contemplatifs ( 1 605); Philosophie des contemplatifs ( 1 6 1 8) ; De contemplatione divina ( 1 620); Vie della con­ templazione ( 1 626) ; Tratado da vida contemplativa ( 1 627) ; Sospiri profondi dell 'anima contemplativa ( 1 65 1 ) ; Les contemplations ( 1 654); Tractatus brevis de vita contemplativa ( 1 663) etc. La persistenza del­ lo «spirituale» che si riallaccia a san Paolo, è ancora più manifesta. L'aggettivo «mistico», tuttavia, si insinua dopo lungo tempo, prima duplicando, poi sostituendo i sinonimi fino ad allora preferiti. Le verger spirituel ou mystique (Il frutteto spirituale o mistico) ( 1 542): la parola nuova si insinua dietro l ' antica. «Unio moralis seu mystica» , come se Vazquez scrivesse2' : si dice questo anche «mistica» - unione morale, o come si dice oggi, «mistica». Certo, la parola si riallaccia strettamente ancora alle sue accezioni antiche, connesse ad un tipo di esegesi e alla «teologia » dionisiana. Già Lutero si opponeva insieme a due aspetti della parola, criticando le «frottole» di una teologia mistica «plus pla­ tonisans quam christianisans [ . . . ] ludens allegoriis suis» (più platoniz­ zante che cristianizzante e che gioca con le proprie allegorie) e nella sua violenta e rigorosa reazione, inglobava parimenti Dionigi lo Pseudo­ Areopagita e Origene22. Nel XVII secolo, «mistico» si riferisce, dap­ prima, ad una esposizione delle Scritture, come indicano tutti i diziona­ ri , dal Vocabolario degli Accademici della Crusca ( 1 623) fino alle ulti­ me edizioni del Dictionnaire de Trévoux ( 1 77 1 ). «Vi sono due sensi perfetti, scrive Pascal, il letterale e il mistico»23 e mentre Richard Simon critica «questi tipi di interpretazioni mistiche e spirituali»24, Fénelon, al contrario, raggruppando in una stessa frase i due volti del nome, l ' antico e il moderno, difende «quei sensi mistici ed allegorici di cui i dotti disdegnosi degli ultimi secoli hanno così grande disgusto e un disprezzo tanto dichiarato quando li trovano nei rnistici»25. 2 ° Cfr. Noche u, 5, 1 ; Cantico 39, 1 2; 27, 5. Si appoggia egualmente su «libros espiritualeS>> (Subida, II, 1 7 ) che noi diremmo «mistici». 2 1 In Thom. m, 79, a.2, disp. 204, cap. 2 sulla «consummatio charitatis quae fit inter nos et Christum in Eucharistia». 22 Martin Luthers Werke, ed. Weimar, 6, pp. 56 1 -562; 1ischreden, ed. Weimar, t. I, n. 644 . 23 > (Préface, VI), ma l'uso della parola è ancora tradizionale. 26 Hersent, In Dionysii de mystica theologia librum, 1 626, p. 7. [«Si dice mistico quel che nella religione o in qualche disciplina, è più sacro o segreto, e sembra maggiormente contrastare con il senso degli uomini del volgo» n.d.c.] . -

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l 'equità per questa sola ragione che è ricevuto. È il fondamento misti­ co della sua autorità»27• Ma sono «mistiche» anche le parole, i modi, le pubblicazioni che hanno un qualche rapporto con il segreto, sia che lo rivelino, sia che lo traggano da un' ombra capace di dame il sentire piuttosto che l ' intelligenza: «Si dice di sottigliezze, novità e diverse filosofie con parole mistiche o figurate», notano i signori della Cru­ scazs ; è in questo senso che, a proposito della caduta di Roma, Bossuet menziona « i modi mistici e confusi con cui [i Padri] parlano di questo triste argomento»29. Nel corso del secolo, la parola tende a divenire meno frequente nelle scienze nella misura in cui esse si fanno più obiettive30 e secondo le accademie francesi, saggiamente ritardatarie in rapporto all ' uso, nel 1 694 «non si dice se non di ciò che riguarda le cose della religione»3 I . Di fatto, da qui si spinge e si allarga da ogni lato, indicando percor­ si alle messi più recenti della letteratura devota come papaveri in pri­ mavera. Le pressoir mystique (Il torchio mistico) di Jean d'Intras ( 1 605), La couronne mystique (La corona mistica) di Jean Boucher ( 1 624), L'abeille mystique (L'ape mistica) di Nicolas Parent ( 1 639), l ' Auri gemma rumque mystica fodina (Mistica miniera di oro e di gem­ me) di Micconi ( 1 677) . . . I titoli a dozzine, le pagine a centinaia offro­ no questi nuovi fiori. L'autore non se ne stanca. Ancora immerso in una natura le cui leggi gli sfuggono, dove il possibile non ha frontiere, dove il soprannaturale abita e porta in sé il microcosmo umano come una madre il suo piccolo, il cristiano, se è spirituale, sa vedere in ogni cosa queste «mistiche figure» che Richeome colleziona indefinitamen­ te neifolios di questi Tableaux sacrés (Dipinti sacri)32. Questo linguag­ gio «mistico», sia esso devoto o truculento - fu uno dei rari momenti in cui la spiritualità fu vivace ed attraente - nondimeno è limitato dalla molteplicità stessa degli oggetti utilizzati come tante parole, meravi­ glie cangianti, poemi viventi sempre da commentare. Da quando vuoi seguire e tradurre il fascino dell' Unico, non ha più che da assaporare 27 Pensées, éd. Lafuma 60 (Br. 294). Vocabolario . .. , 1 623, p. 522. 29 Explication de l "Apocalypse, Préface, 22; éd. Lachat, 2. p. 329. 30 Il termine, tuttavia, non scompare nel linguaggio scientifico. [Gottfried Wilhelm von] Leibniz, se non Pasca) stesso, intitolerà «esagranuna mistico» un celebre teorema di quest"ulti­ mo sulle proprietà delle sezioni coniche. 31 Dictionnaire de l "Académie française, 1 694, art. mystique. 3 2 Richeorne, Tableaux sacrés des figures mystiques . . . , 1 60 1 . 28

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queste parole fatte di profumi, di colori e di forme. San Francesco di Sales, che lo ha innalzato a capolavoro nell ' Introdu z ione alla vita de­ vota, non parla più allo stesso modo quando tratta dell'amore di Dio nelle sue vie più alte: tra lui e Teotimo, il suo interlocutore, si inaugu­ ra quel che Benoft de Canfeld chiamava già un «dialogo mistico»33. Per parlare di questa comunione più profonda, orazione «Sopranna­ turale e divina o mistica»34, bisogna dare ai termini che la descrivono un orientamento che indica il livello da cui sono presi. È il ruolo di «mistico» che rinvia a un ordine di grandezze, a una classificazione dei valori. Constantin de B arbanson spiega la sapienza, ma «questa misti­ ca e celeste sapienza» ; giunge a certe vie spirituali, ma «queste vie qui, mistiche»35. Ne Il ' Anatomie de l 'ame (Anatomia dell ' anima), presenta «ogni cosa mistica» come una partenza, ma per un «Viaggio misti­ co»36. Ugualmente, la vita di cui [Louis] Chardon vuole istruire il suo lettore è fondata su una sussistenza «non umana, ma divina; non natu­ rale, ma mistica»37. Soprannaturale o «mistico», questo sapere, questo gusto, questo viaggio, questo regno. Da «mistico» si distingue «ordi­ nario>> e si avvicina «straordinario», - o quel che esce dalle vie «comu­ ni». Così , il gesuita Bel l 'huomo tratta nel suo Pregio ( 1 678), «dell ' o­ razioni ordinarie e mistiche». Parimenti ancora, sebbene con una con­ vinzione inversa, padre Vitelleschi, inquietandosi che padre Lallemant sia «totus mysticus», teme di veder trascinare i suoi discepoli verso una devozione straordinaria, «ad devotionem extraordinariam»Js. Attraverso un implicito spostamento, la frontiera passa non già tra le due città agostiniane o la natura e la grazia, ma tra l 'ordinario e lo straordinario, tra una vita «comune» alla quale si riallaccia o, talvolta, si identifica la vita «naturale» e dali ' altra, la vita «mistica» o «sopran­ naturale». Attaccanti e difensori - vi sono anche guerre in questi paesi - ammettono allo stesso modo questa delimitazione : l 'esser pro o con­ tro queste avventure «mistiche» divide i combattenti e permette alle truppe di riconoscersi. 3 3 Benoit de Canfeld. Le chevalier chrétien, contenant u n dialogue mystique entre un chrétien et un pmen, 1609. 34 Innocent de Saint-André, Teologia m{stica, 1 6 1 8, Prologo. 35 Les secrets sentiers ( 1 623), ed. 1 932, Prologo, 27 e 25. 36 Anatomie de l 'lime. 1 635, t. l , p. 95; t. Il, p. 1 78. 37 La croix de Jésus, ( 1 647), ed. 1937, p. 22. Cfr. con una sfumatura ironica, la parola di padre [Louis) Lallemant: «Essi si offendono, vedendosi già grandi spirituali e giudicano che siete poco illuminati nelle vie mistiche, cioè straordinarie», Doctrine spirituelle, ( 1 694), ed. 1 959, p. 2 10. 38 Lettera al Provinciale di Parigi. Padre Jean Filleau, 5 aprile 1 629; ARSJ Frane. 5, 291 r.

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Per essere esatti, bisognerebbe mostrare che la teologia, persino la filosofia, avevano tracciato questa linea nello stesso tempo, se non prima, che gli spirituali si ponessero dietro di loro. Le ragioni sono ancora più generali e superano le corporazioni particolari : la laicizza­ zione della «natura» precede l ' ispessimento della distinzione teologica tra natura e sopranatura; la febbre dell 'illuminismo e dell'eresia prece­ de la teoria secondo la quale, come insegnano certi teologi, non ci sarebbe esperienza del soprannaturale e la tendenza degli spirituali a esprimere queste esperienze come straordinarie; la scristianizzazione di un popolo che conserva, più o meno sconsacrati, un vocabolario e con­ cetti cristiani, conduce così l ' élite spirituale a ricrearsi un linguaggio tratto dalle proprie tradizioni. Di tutto ciò, il destino di «mistico» non è per lo storico che un indice, lo specchio di una pozza d'acqua. [La nascita di un sapere] . Il movimento che specializza la parola «mistico» neli ' espressione di un tipo particolare di esperienza, si tra­ duce, più largamente, ancora mediante l 'apparizione di una scienza organizzata intorno a questi fatti straordinari e costituisce per loro, nella letteratura religiosa, uno «spazio vitale» autonomo: la scienza mistica, tra poco «la mistica» . L' antica «sapientia christianorum»39 era già stata prima opposta alla «sapientia philosophorum» come la «vera sapientia christianorum»40 - e questo «verus», segnale d 'allarme, testi­ monianza di una contestazione e di una distinzione, avviava l 'evolu­ zione che andava a restringere questa «sapientia» ad un tipo di cono­ scenza e di uomini. La stessa opposizione è infatti ripresa, ma la «sag­ gezza dei cristiani» si muta in «sapientia sanctorum»4 I ; è noto il pro­ digioso successo nel XVI secolo e, soprattutto nel XVII secolo, di una formula arricchita da cento varianti : la «scienza dei santi42» che si 39 Cfr. Gerson, Super magnificat, tr. 8, c. 3: éd. 1 706, 4, p. 374. 40 In Expositiones in theologiam mysticam, l 'autore oppone questa «Vera sapientia christia­

norum» alla «sapientia philosophorum>> (PL 1 22, 269). 4 1 Cfr. per esempio Nicola da Lira, /n Johannem, Prologus. 4 2 Cfr. Dagens, Bérul/e, 1 952, pp. 250-252. Adottando lui stesso la di cui parla­ vamo più sopra, Bérulle scrive della «scienza dei santi>>: essa è «più viva e più perfetta della scienza comune ai buoni e ai cattivi, ai pagani e ai cristiani>> (Correspondance, éd. Dagens, 2, p. 1 87). Bourgoing presenta la sua opera come una «sapienza>> che non si appoggia «sulla scienza umana»: è la vera scienza dei santi, la scienza della salvezza e una emanazione della sapienza e della scienza divina>> (Bérulle, (Euvres, 1 644 , pp. VII-VIII). A tutta la scolastica Saint-Cyran pre­ ferisce parimenti la «scienza dei santi>> e la «biblioteca interiore>> (ci t. Orci bai, La spiritualité de Saint-Cyran, 1962, p. 1 1 2). Nel 1 609, Solier traduce l ' Jnstru;:ione di Ricci intitolandola Scienza

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esprime nella «sanctorum vita» o i «dieta sanctorum43», è parimenti la «dottrina dei santi» , la «pratica dei santi», la «follia» o la «saggezza dei santi», le «massime dei santi» . E quali santi? Sempre di più, in primo luogo, quelli che noi chiameremmo i mistici : «> (ibi, p. 1 67), tali Dionigi (ibi, p. 1 6 1 ) e santa Teresa (ibi, p. 163). 47 (Euvres spirituelles, 1 658, p. 1 35. 48 Guide spirituel, IV, 3; o Science expérimentale, IV, 5 (BN, Fds fr. 14596, 49). 49 Louis [Ponce] de Léon, De /os nombres de Cristo, I Dedicatoria (Obras, BAC, 1 95 1 , p. 49). 50 Decreto di Gregorio XV ( 1 6 1 5), cit. Nicolas de Jésus, Éc/aircissement théologique .. . , 1 64 1 , p. I l . 5 1 Miguel de la Fuente, Libro de las tres vidas del hombre, 1 623, IV, p. 14. 52 Tomas de Jesus, Tratado de la oraci6n menta/. .., 1 6 10, p. 1 77. 53 Cfr. n. 14. 54 Nicolas de Jésus. op. cit. , p. 7.

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Croce lo decorano, pure lui, del titolo di «dottore mistico»ss ; e San­ daeus intraprende nel 1 640 una vasta inchiesta sui termini e le locuzio­ ni dei «dottori mistici», cioè dei «santi»56. Non v'è dubbio che l ' indipendenza di questa « scienza» sia stata grandemente sostenuta e facilitata dal successo dello Pseudo-Areo­ pagita che, a sua volta, le deve molto. Dopo quella del IX secolo, una nuova ondata dionisiana viene, dopo il XII secolo, a portare all'Oc­ cidente, fino al XVI e XVII secolo, gli «alti pensieri» ed i ricchi segreti del «contemplatore» orientale. Senza parlare delle grandi edizioni gre­ che57 e delle numerose edizioni parziali 58, i grandi commentari editi nel XVI secolo, quali quelli di Jean Eck ( 1 5 1 9), di Ficino ( 1 538) o di Dionigi il Certosino ( 1 5 36, 1 556), di san Tommaso ( 1 588) o del Cusano ( 1 565)59 sono rinnovati e arricchiti nel XVII secolo con quelli di Hersent ( 1 626), di padre Del Rio ( 1 633), di padre Cordier ( 1 634), di Joseph de Saint-Esprit ( 1 684), e da innumerevoli traduzioni. Le più celebri, dovu­ te a Goulu ( 1 608 e 1 629) che «assicurò una grande diffusione al corpo dionisiano» 60 , non deve far dimenticare le altre, persino quelle che i migliori teologi spirituali, come Lessio61 o Chardon [Leonard Leys]62, fanno per conto loro, inserendole nelle loro opere, ne l 'Apologie dello

55 È solo nell'edizione spagnola dei quattro trattati di San Giovanni della Croce (Madrid 1 630) che appare il titolo di «dottore nùstico», assente dall'edizione paniale di Alcalà ( 1 6 1 8), dall'edizione di Bruxelles della Decfaraci6n de las canciones ( 1 627) o della prima traduzione ita­ liana (Roma 1 627). Ormai Giovanni della Croce rimane il «mistico Dotor», - come dice il car­ melitano Nicolas de Jésus (op. cit., p. 1 2 ; cfr. 7, 1 5 , 1 8, etc.). E allora anche le Obras ( 1 6 1 8, 1 630) diventano, nella traduzione latina di André de Jésus le Opera mystica beati Joannis . . . (Coloniae 1639). 56 Secondo il titolo stesso della sua opera, la Pro theologia mystica e/avis ( 1 640), Sandaeus dichiara di voler dare la spiegazione > come . 57 1 5 1 6, Firenze; 1 539, Basilea; 1 56 1 - 1 562, Parigi; 1 634, Anversa; 1644, Parigi. 58 > (Approvazione). 60 Orcibal, in Relazioni... , cit., 1955. pp. S. 1 1 5, n. l . 6 1 Cfr. Ampe, Marginalia lessiana, in OGE 28 ( 1 954), pp. 360-367: Lessio traduce larghi passaggi della Teologia mistica nel suo De perfectionibus divinis ( 1 620). 62 Il cap. 22 del Ill Entretien nella Croix de Jésus ( 1 647; éd. 1937, pp. 496-503).

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stesso Goulu, seguita da tanto di «Vita», «Difesa» e «Gloria» di san Dionigi, soprattutto a partire dal momento in cui il suo successo attira su li' Areopagita l ' attenzione critica degli storici e dei teologi6J. Non abbiamo qui da misurare l ' influenza del Corpus, ma solo il il libro preso come una parola che riporta una tradizione così venerabile e let­ ta, commentata, diffusa, meditata in funzione della Teologia mistica. Se per l ' umanista, per Erasmo, il «divino Gerolamo» è il «princeps theologorum»64, questo onore gli è tolto dal «divino Dionigi» - e da «Dionigi che ha scritto la Teologia mistica» : secondo i Commentarii Conimbricenses studiati dalla maggior parte degli studenti di teologia all ' inizio del secolo, è ormai lui, il «Theologorum princeps»6s ; è in lui che le litanie cantate in suo onore invocano e venerano come il «theo­ logus divinissimus», il «princeps christianae theologiae», l ' «apex theologorum» , «profunditatem altissimae theologiae assecutus»66. «Summus theologus»67, «sottilissimo e antichissimo teologo»6s, come lo dichiarano le edizioni recenti di Louis de Blois o di Giovanni della Croce al loro immenso pubblico, Dionigi diviene l'eroe eponimo di una corrente e di una letteratura, come san Girolamo lo era ieri e come sant' Agostino lo sarà nella seconda metà del secolo. Non è più solo l ' oracolo di una élite. Le sue insegne fluttuano in testa a questa «turba magna» che invade l 'Occidente spirituale. Egli è il «teologo» e tutti i gradi di questa santa truppa possono portare il titolo che detiene in modo eminente, se si è constatato o potuto supporre in lui una fedeltà che garantisca la loro ortodossia69. Allora essi sono chiamati, loro stes63 Cfr. Goulu, Apologie pour /es reuvres de saint Denys. . . ( 1608); Bine!, La vie apostolique de saint Denys Aréopagite .. ( 1 624); Milet, Gloria Ecc/esiae Gal/icanae vindicata de suo Dionysio Areopagita ( 1 638); F. Gerson, Copie de la /ettre... en laquel/e est montré que saint Denys Aréopagite . . ( 1 64 1 ); dello stesso Sainte apologie pour saint Denys Aréopagite . . ( 1 642); Léon de Saint-Jean, La France convertie, octave en honneur du B.S. Denys l 'Aréopagite ( 1 66 1 ), predicata in quell' «alto luogo» dionisiano che è l 'abbazia di Montmartre; etc. Citiamo tra i criti­ ci, Sirrnond Dissertatio in qua Dionysii Parisiensis et Dionysii Areopagitae discrimen ostenditus ( 1 64 1 ) ; le diverse opere di Launoy sullo stesso argomento, tre nel 1 64 1 , una nel 1 642. una terza nel 1677; la critica di Daillé ( 1 666 ) , etc. 64 Lettera a Leone x, 21 maggio 1 5 1 5 . éd. Allen, t. 2, p. 86. 65 Commentarii ... Conimbricenses... in Physic., l, 8, cap. 6, q. l , a. 2; t. 2. 5 14. 66 Binet, La vie apostolique 1 624, pp. 449-454 [«che ha conseguito la profondità dell 'altissima·teologia>> (n.d.c.)). 67 Louis de Blois, Opera, 1632, p. 289 (lnst. Spirit., Epist. ad Aorentium, 1 ). 68 Tamajo de Vargas, in (Euvres de Jean de la Croix, 1 64 1 , Approbations, p. 47. 69 Quanti «dottori>> giustificano l' «approvazione» data a un trattato spirituale con la sua conformità alla dottrina del «divino Dionigi»! Inversamente, gli editori di > e Lemery, Cours de chimie, 1675, Préface sur les «chimistes». 80 Ed. Orcibal, La rencontre du Carme/ thérésien avec /es mystiques du Nord, 1 959, p. 1 95. 8 1 Charron, Sagesse, 1 635, Il, p. 2 1 . 82 Cla�·is, I l . Cfr. ibi, p. 1 49: «lxmi mystici doctores». 8 3 Examen de la théologie mystique, 1 657, p. 1 5 . Cfr. ibi, p. 1 1 5 («Ma di vedere che la misti­ ca segua il temperamento... »), p. 35 1 («la mistica ha talmente creduto. . . » ) . 84 La France coi'Wertie, 1 66 1 , p. 3 1 5. 8 5 Guide spiritue/, IV, p. 3. Cfr. la sua lettera del gennaio 1 66 1 : « .. .le dottrine, le storie e qua­ lunque cosa contrassegnata dallo straordinario o della mistica. . . » . 8 6 Jnstrutions sur /es états d'oraison, Lachat, 1 8, p. 443. Cft. Remarques sur la réponse à la relation (Lachat, 20, 229): «Legato ai santi Padri e ai princìpi della teologia di cui la mistica è una branca». Allo stesso modo Fénelon: «Si ecciterà (cosa facile in materia di spiritualità e di mistica) la derisione degli spiriti profani» (CEuvres, 1 850, 3, p. 49).

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Nella stessa Censura, Tomas de Jesus si riferisce alle «frasi», ai «verba», al «modus loquendi mysticorum». Va ugualmente così pres­ so altri : «Molti mistici» hanno ragione di «dire»s7 . . . ; «è ciò che i misti­ ci chiamano . . . ss» ; «mysticorum scripta et dieta», «modi loquendi quos mystici ut proprios habent89»; «secondo quanto insegnano i mistici»90; «i termini e le frasi che utilizzano i mistici»9 I ; «quel che scrivono i più eccel lenti mistici»92; «secondo lo stile di tutti i mistici>>93; etc. Gene­ ralmente, d' altra parte, li si chiama «spirituali», «contemplativi», o «il­ luminati» in quanto hanno esperienza, e «mistici» in quanto ne parla­ no; si dirà «contemplazione» o «spiritualità», nel primo caso; «teo­ logia mistica» , nel secondo94. L'aggettivo «mistico», parimenti, ag­ giunto a «morte», «tenebre» significa «lo stato di prova e di purifica­ zione che i mistici chiamano stato di morte»95, - la «morte», le «tene­ bre» di cui parlano, nel senso in cui lo intendono; è, nell'universo delle parole, un edificio nazionale, il segno di una fedeltà. È «mistico», appartiene ai «mistici» , un «modus loquendi» particolare, un «stile» , un «linguaggio»%. 87 Constantin de Barbanson, Les secrets sentiers ( 1623), ed. 1 932, 3 1 3 ; cfr. Anatomie de ( 1 635), t. l, p. 95. 88 Edizione del 1 632 del l Opera di Louis de Blois, 298. Cfr. Chardon, La croix de Jésus ( 1 647). éd. 1 937, p. 494: «È ciò che i mistici chiamano ... » ; Lallemant, Doctrine spiritue/le, ed 1 959, p. 356 («uno stato che i mistici chiamano amore bruciante»), p. 357 («il quarto grado è chiamato dai mistici abbraccio di Dio»), p. 358 («il secondo grado che i mistici chiamano la divi­ na oscurità»), etc. 89 Sandaeus, op. cit. Dedica. Cfr. «mysticorum loquendi forrnulae», «sententiae mystico­ rum» (ibi, Praeambula), [«modi di dire che i mistici ritengono propri»; «formule del dire dei mistici»; «sentenze dei mistici» (n.d.c.)]. IlO Jérome de Saint-Joseph, lntroduction et Avis général in (Euvres de Saint-Jean de la Croix, 1 64 1 . p. 2 1 . 9 1 Diego de Jestis, Notes et reiTUUques, ibi, p. 1 9. Cfr. ibi, pp. 2 1 , 27, etc. 92 Jean de Saint-Samson, (Euvres, 1 658, p. 1 4 1 . 9 3 Surin, Guide spirituelle, VII, p. 7. 94 Su questa sfumatura di «contemplazione» e «mistica.. cfr. Camus, Théologie mystique. 1 640, pp. 336-342. Cfr. Sandaeus, Clavis, 1640, p. 3: «Theologia contemplativorum quae dicitur mysti­ ca» - la scienza. il linguaggio di quelli che hanno esperienza è qualificata come «mistica». Honoré de Sainte-Marie parla dei «mistici che non sono che spirituali" per designare quelli che hanno !'«esperienza» e non la ..scienza>> (Tradition des Pères, Paris 1 708, t 2, p. 60 1 ); distingue la «spi­ ritualità» o l' «esperienza» e la rettitudine nella «scienza» o l' «insegnamento mistico». 95 Fénelon, Le Gnostique, ed Dudon, 1 930, p. 254. 96 «Modus loquendi» ritorna molto frequentemente a proposito dei «mistici» o dei «teologi mistici>>. Lessio venerava in Dionigi un «plus quam humanum loquendi modum» (cit. DS 3, p. 425). Torruis de Jestis analizzava il «modum loquendi mysticorum» (cit. Orcibal, La rencontre, 1959, p. 234). Nella sua famosa lettera dell'8 marzo 1 605, Anna di Gesù dice, a proposito delle Carmelitane francesi, che non capisce il loro modo di procedere, molto dionisiano, «non più che l "iùne

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All ' ispessimento, alla specializzazione come alle ambiguità di que­ sto linguaggio corrispondono molti fenomeni paralleli, soprattutto quando si accentua il movimento di ritorno alle fonti, quando si inten­ sificano le ricerche patristiche della teologia positiva e cambia il clima sociale: «mistica» si colora di una sfumatura nettamente sfavorevole; i «mistici» o i loro difensori - poiché essi ne hanno sempre più bisogno - sono indotti a precisare la loro terminologia e a situarla in rapporto alle altre; questo lavoro di elaborazione rende più acuto il problema delle relazioni con la Scuola e le formule adottate, integrazione nella scolastica o indipendenza totale, collocheranno la mistica sulle vie che essa prolungherà in seguito. Abbiamo visto che in modo occasionale Tomas de Jesus accostava i «mistici» agli eretici Begardi. Semplice scaramuccia, perché in real­ tà difende i veri mistici contro i falsi. Ma subito, analogamente agli «spirituali», agli «illuminati» , i «mistici» acquisiscono una reputazio­ ne inquietante. Per loro si realizza una marginalizzazione: meno con­ dannati che sospetti, l ' ammirazione che si può loro conservare, si accompagna con qualche reticenza. Mentre si dicono discendenti di una antica tradizione che risale fino a Dionigi, la critica storica toglie loro l ' autorità del loro antenato: dopo i lavori eruditi di Sirmond o di Launoy, Bossuet tratta con maggior disinvoltura «i libri attribuiti a san Dionigi l ' Areopagita»97 e dovuti ad un «abile sconosciuto». D' altra parte, senza nuocere ali ' Antichità sacra, condanna i « modi pericolosi di pregare introdotti da qualche mistico dei nostri giorni»9s; mette in guardia le proprie figlie spirituali contro «gli scritti di certi mistici»99 e trova che «tutti i mistici che [egli] ha letto» non hanno «mai fornito una idea molto netta» della fede nuda di cui parlano tanto ioo. Secondo lui, «i mistici [ . . . ] sono grandi esagerati e poco precisi nelle loro e­ spressioni» I o i . I loro pensieri sono «particolari» I 02 e conducono ad il loro modo di parlare: non lo si può nemmeno leggere» (nei Mémoires sur la fondation [ . ] des Carmélites Déchaussées, 1 894, t. 2, p. 23). Più tardi, Sandaeus si darà come compito di precisa­ re questo «modum loquendi>> ; Nicolas de Jesus di giustificarlo; etc. Fénelon, per parte sua, parla di (Ecrit antérieur au.x art. d'lssy; ed. Chérel, 1 9 1 5, p. 1 32), come faceva­ no Surin e molti altri. 97 lnstrutions sur /es états d 'oraison, Lachat, 1 8, p. 384. 98 Ordonnance sur /es états d 'oraison, Lachat, 1 8 , p. 35 1 . 99 Correspondance, ed. Urbain-Lévesque, 4, p. 354 ( 10 novembre 1 69 1 ). 100 /bi, 6, p. 424 ( 10 ottobre 1 694). Cfr. 6, p. 429 ( 1 6 ottobre 1 694), dove , è opposta a «quella dei cristiani». 1 01 /bi, 6, p. 426 ( 10 ottobre 1 694). I 02 Jbi, 6, p. 443 (26 ottobre 1 694). ..

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«astrazioni» I 03. Non solo essi stessi sono «troppo sottili» I 04; essi «abu­ sano della «dottrina dei santi Padri» e di «quella della scuola» ws, e questo «abuso del linguaggio» 106 li conduce a quelle «profane novità del linguaggio che san Paolo proibisce» e che sono come «sciocchez­ ze» IO? . Insomma, se devono essere messi «al posto che loro compete e che sarà molto basso» ws, resta il fatto che essi sono «nuovi»: i > (RAM 9 [ 1 928], p. 140). Il fenomeno non è proprio della sola Francia: dal 1 590 si accusava Acquaviva, generale dei gesuiti, per la sua compiacenza verso gli «spirituali>> e per la «novità» (cit. Schneider, AHSJ 26 [ 1 957], p. 26, n. 8 1 ). 1 1 2 Cit. G. Guitton, Le P. de la Chaize. 1 959, t. 2, p. 1 8 1 . 1 1 3 Correspondance, I O, p. 266 (24 novembre 1 698). 1 1 4 lnstruction sur /es états d 'oraison, Lachat, 1 8, p. 386. 1 1 5 Sanson, Saint Jean de la Croù entre Bossuet et Fénelon, 1 953, pp. 26-30. 1 1 6 Correspondance, IO, p. 266 (24 novembre 1 698). Cfr. ibi: > Supplément, 3 ( 1 906). p. 207. C fr Le Gnostique, ed. Dudon, 166: «> nel XVII secolo

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spressione delle «cose spirituali» in termini non tradizionali i 25. Ma il fatto è là: i termini si sono imposti come ciò che essi dicevano, reclu­ tati sotto la parola il cui successo indica la loro fortuna: «mistica». Che il sostantivo prenda alla fine del secolo una sfumatura peggiorativa; che, in Boileau, faccia rima con «fanatico» come sinonimo di «illumi­ nato» 126; che sia, d ' altra parte, preso come un equivalente di «quieti­ sta» I27 ; che «darsi alla mistica» divenga «un piccolo tratto di ridico­ lo» I 28 ; che alla «suprema misticità di Jean de Saint-Samsoni29 succeda il confuso e ingarbugliato «misticità» che d' Aguesseau rimprovera in Fénelon iJO; che infine la «misticheria» di cui i berulliani erano già ac­ cusati penetri nei dizionari come una occupazione che «fa perdere lo spirito» I3 1 , un linguaggio «mistico» esiste : ha una sua autonomia, re1 25 Cfr.

già, ad esempio, alle origini della Compagnia, ordine nuovo, le messe in guardia con­ tro i «modos dicendi novos» (Nadal, lnstructio brevis ... , nei Monumenta paedagogica S.l. 1 90 1 , pp. 1 23- 1 28) o contro tutte l e espressioni «nuove e inusitate» (Favre, Mémorial, ed. 1 960, pp. 335-336). Egualmente, nel 1 559, l'Università di Alcalà riconosce l'ortodossia di Carranza, ma ne critica le «frasi» e le «proposizioni>> che non sono «comuni>> (cit. Colunga, in «Ciencia Tomista>> 5 [ 1 9 1 4], Il, pp. 226-227). 1 26 «C'est ainsi quelquefois qu'un indolent mystique Au milieu des péchés tranquille Fanatique. . . » dice Boileau nell Epis tola 2. Egli sapeva la sua teologia: il termine «fanatico>> è consacrato per designare. fin nei testi ufficiali, gli Illuminati, quelli di Siviglia ( 1 623) o quelli di Piccardia ( 1 6301 635), e più tardi i discepoli di Molinos. È in questo senso che Bossuet dichiara pure che certi mistici sono dei «puri fanatici>> (Lachat, 19, p. 1 63; cfr. Correspondance, 7, p. I l O). 1 2 7 I libelli ostili a Fénelon, affissi a Versailles il 28 febbraio 1697, si intitolano «Apologie des chimères mystiques>>, «Apologie des simp1es quiétistes» (cit. Schmittlein. L 'aspect politique du différent.... 1 954, p. 99. Honoré de Saint-Marie dirà poco dopo «che non si può quasi più par­ lare della vita mistica senza passare nella mente di più persone come quietisti o visionari» (Tradition des Pères, 1 708, Préface). 1 28 Nel suo Mémoire sulla Bib/iothèque ecclesiastique de M. Dupin, Bossuet nota, a propo­ sito della notizia su Fulgenzio: «Egli [Du Pin] aggiunge questo piccolo tratto di ridicolo per san Fulgenzio che dava nel mistico. Non vuole che nulla gli sfugga né che alcun Padre esca dalle sue mani senza qualche graffiatura>> (Lachat, 20, p. 530). Madame de Sévigné, dice di Corbinelli, che > Richard Simon non vedeva nell'allegoria che (cit. Lubac, Histoire et esprit, 1 950, p. 425). 1 32 Cfr. la lettera di Fénelon al P. Gonzales, generale dei gesuiti, 2 aprile 1 689, ed. De Luca, «Rivista di Storia della Chiesa in Italia>> 3 ( 1 949), p. 4 1 6. 1 33 Méditations, II, 28, ed. Adam-Tannery, 9, l, 25; 7, 32. 1 34 Vida, 25 (Obras, BAC, 1 95 1 , l, p. 748).

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numerosi lessici dello spirito, non è che l 'esperienza definisca uno di essi in rapporto agli altri, ma presso i mistici la sua propria forma si traduce in un «modus loquendi» proprio. Non bisogna così limitarsi a rapportare il loro linguaggio ali ' esperienza, ma discernere la natura particolare di questo rapporto. La storia di «mistico» può illuminarci. Come molti altri termini di questo linguaggio - «affettivo» , «essenziale» , «straordinario», «illu­ minato», «ineffabile», «proprio» , «spirituale» , «soprannaturale» , etc. ­ è dapprima un aggettivo; poi, approssimativamente nello stesso loro tempo, accede alla forma di sostantivo. Prima, qualifica qualcuno di questi termini già levigati e adattati dalle generazioni anteriori. Più lo specialista dei tempi moderni si interessa al Medioevo o alla Patristica, più lo constata: le parole che esprimono l ' unione, l ' ascesa dell 'anima e l ' irruzione di Dio; i simboli in cui si è cristallizzato il rinnovamento dell'esperienza umana o cosmica attraverso una esperienza spirituale; tutto questo costituiva già un linguaggio, messo a disposizione delle nuove generazioni. Ma gli elementi di questo materiale già pronto sono ora innalzati dall' aggettivo («mistico», etc.) per essere resi capa­ ci di esprimere una nuova percezione dello Spirito che aveva ispirato quelle frasi ricevute m. Nello stesso modo in cui l ' organista utilizza tutta la gamma corrente, ma tira il registro «voce celeste» per dare a tutta la sua dizione musicale una speciale tonalità, analogamente l ' au­ tore spirituale cerca, indicando che tutte queste parole sono da inten­ dere su un registro «mistico», di tradurre l ' intelligenza che ne ha rice­ vuto lui stesso, superiore e, tuttavia, necessaria a quella che già ne ha ogni cristiano al proprio livello. Mediante alcune locuzioni annesse e nel nome di una illuminazione nuova, pretende di dire il senso di un linguaggio che annuncia a tutti la Verità di tutti. Esegesi «mistica» ancora, non solamente della Scrittura, ma di tutto il lessico religioso; non solamente per discernere il mistero del Verbo presente nella storia santa, ma per sottolineare come le parole consacrate dalla tradizione ecclesiale e scritturate siano le «parole viventi» o «sostanziali» del suo Spirito. 135 > dice a questo proposito nella sua Clavis, 1640, Praeambula, l . 1 42 La Teologia en nuestras universitades del Siglo de Oro, in «Analecta Sacra Tarracon.>> 1 4 ( 1 94 1 ) , p . 27, riportata d a Gouhier, La crise de la théologie a u temps de Descartes, i n «Revue de théologie et de philosophie>> III, 4 ( 1 954), pp. 45-47, la curiosa riunione organizzata nel 1 628 presso M. de Chandoux: il nunzio Guidi di Bagno, Bérulle, Mersenne(?) si mostrano egualmen­ te «antiscolastici>> senza reticenza. 1 43 Tale è il progetto di Fénelon, ma anche del carmelitano Honoré de Sainte-Marie, nella sua somma Traditions des Pères et des auteurs ecclésiastiques sur la contemplation, 2 voli., 1 708. Egli vuole, dice, mostrare che «i termini e le frasi mistiche [ ... ] non sono state inventate dai mistici degli ultimi secoli, ma che sono passate dai Padri della Chiesa fino a noi>>. (Op. cit. , t. l, p. 274). 1 44 Così Godinez, Prcictica de la teologia mistica ( 168 1 ). Cfr. nella traduzione latina di La Reguerra (Praxis. .. 1 740, Ad lectorem) le indicazioni sul collegamento della «praxis>> ( «theolo­ gia mystica est quaedam sapientia practica>>) alla «speculazione scolastica>>. 1 45 Per definire il proprio «metodo>> caratterizzato dal «commercium theologiae et pietatis>>, Contenson enuncia un principio che non brilla per il rigore: «Oportet haec facere et alia non omit­ tere>> (Theologia mentis et cordis, 1 688, ed 1 889, p. 19). Poiché «diuturna veritatum speculatio sterilis pietatem veluti essicat (ibi, p. 1 8), «aggiunge>> a queste «quaestiones>> delle riflessioni pie

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fissarono alla mistica il ruolo di moto interno nella riflessione teologi­ ca, d' impulso alla conoscenza, comparando, come lo fa l ' ammirabile Chardon, l ' uno al passo, l ' altro alla vista146• O ancora, sviluppando il concordismo che si vede spuntare con Tommaso di Gesù fin dalla prima generazione della riforma carmelitana, aprirono nella teologia capitoli consacrati alla vita mistica, alla contemplazione , alle grazie straordinarie, e offrirono loro delle «risoluzioni scolastico-mistiche>> nel più puro stile della Scuolai47. Quale che sia per altro la ricchezza di tutte queste opere conciliatri­ ci, esse subivano il fascino del l ' ambizione di sopprimere la differenza, di livellare il linguaggio o ancora, soprattutto nel XVII secolo, di crea­ re una sorta di «tertium quid» eclettico e unificatore. La filosofia, al tempo dei «Lumi » , offre il medesimo spettacolo. La soluzione, però, rischia ben di essere ingannevole. Essa trascura, al principio, ciò che non cessavano di ripetere i più grandi tra i mistici, i quali non diceva­ no, certo, niente di nuovo: la loro vita era nata e formulata nella prediche «sollevano lo spirito affaticato dalla speculazione>> e innaffiano questa terra «disseccata» (ibi, p. 1 9). Non era fare un onore né alla speculazione, né alla pietà. Questo non impedisce di dire cose molto belle. Bail nelle sue elevazioni che formano la sua Théologie a.ffective, 1654, cerca così e perviene meglio à «Unire in una stessa anima la scienza e la devozione» (1, 3), ma gli è mancato il genio di Bérulle per fare opera originale, ed è già un segno che, presso di lui, la «misti­ ca» sia quasi sempre legata alla temerità (cfr. 11-IIae, 2) e che preferisca ad essa la «devozione». 146 «Non so che una teologia>>, dice Chardon all 'inizio della Croix de Jésus ( 1 647), ed. 1 937, p. 9, « ... io non separo la teologia scolastica dalla mistica». Sono come due uomini di cui uno vede e l'altro cammina, ma, aggiunge, rtO con gli altri. Il dettaglio delle risposte indica dappertutto un gesto di ritiro: il biso­ gno di ricentramento, di identità, di una coesione interni - un ritorno su di sé. Dopo sessant' anni di missione, incomincia il tempo della spi­ ritualità che sarà egualmente quello dell ' installazione. Il movimento tradottosi nell' inchiesta del 1 606, ha il medesimo significato del lavoro di centralizzazione che prosegue nell'Ordine: la vitalità dei primi tempi è fissata; lo «spirito>> si localizza, le istituzioni si danno un'armatura; si costituisce una ortodossia propria. Questo, nell ' inchiesta, non appare che al negativo. E tuttavia, i «pericoli» e i «difetti» disegnano già, come un rovescio, l ' opera di preservazione che l ' amministrazione compie. Nella Compagnia europea del XVII se­ colo, l ' istituzione succede alle opere ambiziose, anzi temerarie, del XVI secolo. Così le missioni («straniere» o «popolari») faranno figura d'esteriorità se confrontate con gli «istituti» europei ed urbani. Parimenti, quanto alle norme dottrinali che stanno per essere imposte all ' insegnamento superiore gesuita

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europeo, l ' audacia intellettuale sarà esiliata nelle università e fondazioni lon­ tane (Lima, Pechino, etc.). La mistica si ritroverà nelle campagne o tra i «sel­ vaggi» ; etc.

L' ordine si struttura fortificando un interno (in cui la spiritualità «conforme al nostro istituto» gioca un ruolo essenziale), distinto dal­ l' esterno che comprende non solamente gli «altri», ma anche la fac­ cia de li ' attività rel igiosa volta verso il mondo o l ' esterno. Una logica dell' interiorità fa allora da contrappeso a quella della disseminazione apostolica. Questa reazione è provocata da quel che si può chiamare il perico­ lo dell ' ingrandimento. Esso colpisce per lungo tempo l 'organizzazio­ ne della Compagnia di Gesù, iscrivendosi indubbiamente nella conti­ nuità dell'evoluzione che già conduceva Ignazio a equilibrare con una autorità forte la dispersione pellegrinante dei suoi membri. Ma comin­ cia una tappa nuova. Il rapporto del centro all 'espansione diviene, nel­ l' Ordine stesso, una combinazione tra una interiorità assicurata e una esteriorità mobile. La solidità di un corpo di regole o di testi «per noi» è il postulato che permette la duttilità di un adattamento relativo agli altri o proporzionato ali ' «utilità delle anime». La malleabilità dei ge­ suiti ai bisogni di ogni società suppone il loro ancoraggio in un luogo protetto e fisso che, per parte sua, non dipenda dalle relazioni con altri . Una zona riservata, e di stretta osservanza, crea la distanza che permet­ te di guardare il «mondo» sotto il modo de li' «utile». Una restrizione incide dunque sulla partecipazione. Essa ne moltiplica le possibilità nella misura in cui ne diminuisce il rischio. Ed egualmente, le forme assunte dali ' adesione agli impegni sociali o alla cultura contemporanea restano, per principio, un linguaggio secondo, da dove si trovano a priori esclusi il serio di un impresa tota­ le e lo splendore di una creazione originale. Si riconoscerà ben presto questo in un certo conformismo nel pensiero filosofico, come nel colo­ re un po ' spento o, inversamente, nelle brillantezze troppo ricercate della scrittura. Altro indice: l ' azione e l'espressione dei gesuiti privile­ giano, nei loro orientamenti, un linguaggio per altri (pedagogia, teatro, «missioni popolari» , etc.) o il linguaggio obiettivo della erudizione e della scienza. Attraverso questa via, accordano lo «stile» della Com­ pagnia ad un arte «barocca» di facciata; permettono anche grandi risul­ tati nell' ordine del sapere obiettivo; eppure lasciano intatto un linguag­ gio dell' interno che è il linguaggio primo e fondamentale, conservato

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nelle «residenze» e che costituisce il luogo in cui si giocano le questio­ ni decisive. Non è dunque sorprendente che, in un ordine attivo, il linguaggio spirituale prenda una tale importanza nel corso del XVII secolo. Su questo terreno, i dibattiti mettono in causa la base del sistema, soprattutto quando ledono la distinzione tra i due linguaggi, sia conformando gli impegni alle norme della spiritualità (tendenza «mistica»), sia connettendo la spiritualità ali ' «utilità» che comanda le movenze dell' adattamento (tendenza )assista). Comunque sia dell 'avvenire innescato, la struttura messa in azione sotto Acquaviva stabilisce una sicurezza interna con una dottrina e un insieme di regolarizzazioni istituzionali. Si costituisce così un «tipo» di rifugio. Il movi­ mento che, nel XVII secolo, va tenendosi appresso una rottura con il «mondo» ha già qui un equivalente nel tipo di distinzione tra due linguaggi, l' uno, sta­ bile per l' interiore; l' altro, regolabile secondo l' opportunità. La differenza, nel caso della Compagnia, consiste nel fatto che la frattura non è posta nello stesso punto.

Quel che l ' inchiesta del 1 606 richiama, conferma, insomma, la po­ litica di Acquaviva: è la costruzione di una frontiera e di un luogo inte­ riore; è la fine de li ' itineranza. 5. Il ritratto del Padre e la letteratura all 'interno

Possono essere ricordati due segni di questo consolidamento: la messa a punto di una immagine ufficiale del fondatore e il moltiplicar­ si di una letteratura «ad usum nostrorum tantum» , cioè un ritratto del Padre e un linguaggio di famiglia. L 'immagine de/fondatore. - La Vita Ignatii Loyolae di Pedro de Ribadeneyra, testimone di tutto il primo gruppo ignaziano, ha segnato un 'epoca. lo

Fino alla beatificazione ( 1 609) e alla canonizzazione ( 1 622) del fondatore, si sono avute sette edizioni latine (Napoli 1 572; Madrid 1 586; Anversa 1 587; Roma 1 589; Ingolstadt 1 590 ; Lione 1 595 ; Colonia 1 602), sette edizioni spa­ gnole ( 1 583, 1 5 84, 1 586, 1 594, 1 595, 1 605), due italiane ( 1 586 e 1 587), tre francesi ( 1 599, 1 607, 1 608), una tedesca ( 1 590) e una inglese ( 1 622). Partita dal sud e rimasta in maggioranza spagnola, questa diffusione è scandi­ ta dalle modificazioni del testo. Dapprima tirata a 500 esemplari e riservata

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all 'uso dei soli gesuiti ( 1 572), la Vita provoca delle riserve che spiegano la forma rivista con la quale sarà nuovamente edita sotto Acquaviva e, dal 1 573, la messa in cantiere di un 'altra Vita, richiesta a Gian Pietro Maffei (MHSI, Fontes narrativi, t. 3, pp. 209-2 1 6).

Acquaviva chiede infatti a Ribadeneyra (poco entusiasta) che cor­ regga il proprio libro (ad esempio, nel 1 5 84, per quel che concerne le istituzioni ed, in particolare, le case di formazione). Fa pubblicare il manoscritto di Maffei, pronto dal 1 579, De vita et moribus lgnatii Loyolae, edito nel 1 585 contemporaneamente a Roma, Venezia, Co­ lonia e Douai. Un tale lancio europeo mette in circolazione un ritratto più ufficiale, più obiettivo ed, anche, meno familiare e personale di quello di Ribadeneyra, e che rappresenta una visione più «governati­ va» (dipende da Polanco, segretario di Ignazio dal 1 547 al 1 556, inter­ prete del fondatore nella lingua della morale antica e della tradizione cristiana). Le due opere vanno divenendo sempre maggiormente op­ poste: immagine duplicata, mutata a poco a poco. P. Ribadeneyra, Vita lgnatii Loyolae, éd. C. de Dalmases, MHSI, Romae 1 965 (soprattutto i Prolegomena, pp. 1 -54 e il testo delle «censure» dell'opera dal 1 572 al 1 609, pp. 933-998). Cfr. Jakob Gretser, [ . . . ] Libri quinque apologetici pro Vita lgnatii Loyolae [ . . . ] edita a Petro Ribadeneyra [ . . . ], Ingolstadt 1 599. Allo stesso modo, nel 1 573- 1 574, Luis Gonçalves de Camara rivede il ritrat­ to di Ignazio che ha tracciato nel 1 555, aggiungendo al proprio primo testo (spagnolo) dei «ricordi>> (in portoghese) che insistono sul «rigore» della fer­ mezza del governo ignaziano. La sua memoria obbedisce alla _congiuntura. Ed. F. Zapico e C. de Dalmases, MHSI, Monumenta ignatiana, Fontes narra­ tivi, t. l , pp. 527-752. Memoria/, tr. fr. et introduction par R . Tandonnet, coli. Christus 20, Paris 1 965 ; cfr. F. Rodrigues, Historia da compafihia de Jesus na Assistencia de Portugal, t. 2, vol. l , Porto 1 938, pp. 293-329. Nell' iconografia ignaziana, si passa ancora dal cavaliere al pellegrino, dal superiore in abito romano, o dagli episodi vicini al Flos sanctorum e del Ribadeneyra, al fondatore in abiti sacerdotali, al pontefice, o alla presentazio­ ne dei testi legislativi garantiti dall ' ispirazione divina. Cfr. P. Tacchi Venturi , S. Ignazio nell 'arte dei secoli XVII e XVIII, Roma 1 929 ed anche L. de Grandmaison, Saint /gnace de Loyola, coll. L' art et les saints, Paris 1 930. Si vedano le vite illustrate di Ignazio, come la Vita B. P. lgnatii, edita da N. Lancisius e Ph. Rinaldi (82 tavole incise, si dice, su disegni di Rubens ; Roma 1 609 e 1 6 1 2) o la Vita [. .. } ad vivum espressa ispirata dal testo di Ribadeneyra con 14 incisioni di Come1is e Théodore Galle, etc. dalle pit-

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ture di Juan de Mesa (Anvers 1 6 1 0, 1 622, Paris 1 6 1 2). Cfr. l'edizione della Vita Ignatii di Ribadeneyra a cura di Dalmases, cit. , pp. 4 1 -43. Ursula Konig prepara una tesi sulle immagini di Ignazio fino al 1 622 (Uni­ versità di Bonn). [U. Konig-Nordhoff, lgnatius von Loyola. Studien zur Entwicklung einer neuen Heiligen7/konographie im Rahmen einer kanonisa­ tions Kampagne um 1600, Berlin 1 982 - n.d.c.] Le modifiche del ritratto di Ignazio non riguardano solamente il ritorno alle fonti (ogni generazione si forma a propria immagine l ' im­ magine delle origini), ma il modo con il quale è possibile essere fede­ li allo spirito degli inizi . L'esemplarità di vita, come la presenta Ribadeneyra, si iscrive nella concezione che fa della «vocazione» del gesuita una derivazione della grazia personale del fondatore (come pensava J. Nadal). A quest' ottica che pone lo «spirito» in continuità con la grazia manifestata dagli episodi di una vita, viene sostituita a poco a poco quella che fa dei testi e delle regole la mediazione obiet­ tiva dello spirito : è una fedeltà più istituzionale, dunque, e in questo modo più tecnica. Essa passa attraverso le leggi e una scrittura. Più tardi, i è consegnato all' editore nel 1 688, vede la sua edizione sospesa; essa sarà uti­ lizzata nella Histoire de Dom Jean Palafox, IV vol. della Morale pratique des Jésuites (edita da A. Amauld, Cologne 1 690, pp. 5-50, cfr. pp. 2-3) e rimaneg­ giata dall' abbé Dinouard (Cologne 1 767), cfr. Sommervogel, t. 2, col. 1 055. Sulla presenza occulta di Champion nelle sue edizioni mistiche, si veda J. Jiménez, En torno a lajormaci6n de la «Doctrine spirituelle», AHSJ, t. 32, pp. 225-292 (troppo restrittivo). E la Correspondance de Surin, 1 966, pp. 7 1 -84.

Non potendo qui presentare i testimoni di questa pléiade dove bril­ la particolarmente il genio di Surin, sarà sufficiente aver presenti alcu­ ni tratti che li differenziano, e d 'altra parte, qualche caratteristica co­ mune del loro «radicalismo mistico» (L. de Grandmaison, citato injra, p. 1 36).

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Louis Lallemant ( 1 5 88- 1 635) è il più anziano e anche insegnante per un certo numero di altri , i suoi allievi in teologia (a Parigi 1 6261 628) o i suoi diretti nel «terzo anno» (a Rouen, 1 628- 1 63 1 ). Per tutta la sua vita, è stato professore, «istitutore» o superiore, mentre gli altri sono stati missionari o predicatori (Surin, Rigoleuc, etc.). Per mestiere, è commentatore di testi. Ma nel suo insegnamento religioso, cita poco: la Scrittura soprattutto («è un grande abuso leggere tanto libri spiritua­ li e così poco la Sacra Scrittura» [Doctrine spirituelle, éd. F. Courel, coll. Christus, Paris 1 959, p. 20 l ]); gli «autori)) classici, Padri della Chiesa, teolo­ gi antichi e moderni ; poi solamente alcuni libri spirituali, sicuri e soprattutto gesuiti. Insomma la sua cultura è tradizionale, molto differente da quella (estremamente vasta in Surin) che nutre la generazione seguente e in cui la letteratura mistica ha larga parte (in particolare Giovanni della Croce, pene­ trato in Francia da Bordeaux, ignorato da Lallemant, importante presso S urin e più ancora per Rigoleuc).

Paradossalmente, questo uomo di sapere ha pochi libri , ma il luogo della conoscenza, da dove parla, lo porta a privilegiare la contempla­ zione («è l 'orazione che ci unisce a Dio» , i vi, p. 255). Egli parte dalla tradizione ignaziana, come da un vissuto iscritto nella continuità del­ l' esperienza mistica di Ignazio (di cui ripete che «se le Sacre Scritture fossero perdute, non ci sarebbe nulla di perduto per lui», ivi, p. 36 1 ), ma un vissuto molto marcato dagli ambienti nordici che ha conosciu­ to dieci anni in Lorena ( 1 605- 1 6 1 4) e tre anni a Parigi. È sulla base di questa esperienza che chiarifica il senso tra azione e contemplazione secondo lo schema (prossimo a quello di Padre Nadal) che consiste nel trovare prima «dentro di noi», «una vita infinita» e «molto perfetta», e poi, a «uscire all 'esterno» (ivi, p. 249). La sua spiritualità vede all ' in­ temo un «vuoto» offerto ali ' «universale» che lo riempie e che «agisce ali ' esterno» attraverso «produzioni». Questo mondo, in cui la «rarefazione» ascetica è ordinata alla pie­ nezza «passiva» , accorda poco spazio ad una forma di esperienza, decisiva per la generazione seguente: l ' incontro con l 'altro. Per Surin in particolare (ed in grado minore per Rigoleuc), la conoscenza di Dio passa dali ' annientamento individuale ali ' «abbondanza» della carità, grazie a quest'altro imprevedibile : l ' interlocutore venuto da fuori, figura uscita da regioni estranee alla cultura clericale, quale la donna, il selvaggio, l ' illetterato, il povero, il folle. N eli 'itinerario che porta Surin dallo spossessarsi interiore al «dispendio» inesauribile nel servi-

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zio, l ' altro è la mediazione necessaria che rende possibile l ' azione e la parola. La relazione apostolica acquista così una pertinenza esistenzia­ le: essa sola permette di articolare l'esperienza mistica. Dettaglio significativo, come non vi sono donne nella biografia di Lallemant (esclusa santa Teresa), non vi sono nella sua vita delle misti­ che dirette, il cui ruolo è capitale negli altri ed alle quali è dovuta anche la conservazione dei testi di cui esse erano destinatarie. Le differenze create dalle appartenenze storiche, dai temperamenti e dai tipi di trasmissione sono multiple. Così in Lallemant predomina la «dottrina» ; in Surin, la peregrinazione rischiosa e la «scienza speri­ mentale». Si ha nel primo l ' instaurazione di un discorso a partire da una rarità; nel secondo, lo scarto in rapporto ad una profusione lettera­ ria. La problematica di Lallemant privilegia il Medesimo ; quella di Surin, l 'Altro. Lallemant è soprattutto il testimone dell ' interiore ; Surin, l ' avventuriero di una «perdita», che è il trionfo dell 'amore; Rigoleuc il profeta austero della rottura. Un tratto comune tuttavia li caratterizza. Essi organizzano la spiri­ tualità intorno a una fra ttura , secondo tempo in rapporto ad una prati­ ca cristiana, e sola via d'accesso alla «contemplazione» (che è visione di Dio o delle cose divine, semplice, libera, penetrante, certa, che pro­ cede dall ' amore e tende all ' amore» (Lallemant, Doctrine, p. 348). Una riforma condiziona tutta la vita del mistico. «Affrontare il passo» della «seconda conversione» , dice Lallemant. «Non ho che una canzone , quella di svuotare il cuore di tutto», scrive Surin: «salto>>. «primo passo», «grande ardimento» del vero «inizio» . «Rinuncia» secondo Rigoleuc, «con una volontà determinata di arrivare a qualunque costo . . . ». Allora si inaugurano la purificazione effettiva e il discernimento spirituale che salgono da questo primo gesto o dalle pratiche ai «motivi» dell' azione. «L'essenziale» si gioca al di qua di un linguaggio interamente mondano o dagli impegni ambivalenti , fuori dallo scenario dell'obiettività sociale, nella «purezza dell ' intenzione» , nel «formale» dell' azione (Surin). Altri elementi comuni e fondamentali: l ' annientamento del Verbo. i doni dello Spirito, l ' articolazione morale della vita «interiore», etc . L. de Grandmaison, La tradition mystique dans la compagnie de Jésus, in «Études» t. 1 66 ( 1 92 1 ), pp. 1 29- 1 56 (Lallemant e Surin). - Su Lallemant, In­ troduction de F. Courel alla sua edizione della Doctrine spirituelle, cit. , pp. 736; J . Jiménez, Précisions biographiques sur le P. Lallemant, AHSJ, t. 33, 1 964, pp. 269-332; (cfr. articolo citato sopra).

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Su Surin: S. Harent, La doctrine du pur amour, RAM t. 5 , 1 924, pp. 329-348 ; RAM t. 33, 1 957, pp. 62-87.- M . de Certeau, introduzioni alle edizioni di Guide spirituel (coli. Christus, Paris 1 963, pp. 7-6 1 ) e Correspondance (ci t. , pp. 27 -89); Les ceuvres de 1.-1. Surin, RAM t. 40, 1 964, pp. 443-476; t. 4 1 , 1 965, pp. 57-78; L 'illettré éclairé, t. 44, 1 968, pp. 369-4 1 2 ; 1.-1. Surin, interprète de S. 1ean de la Croix, t. 46, 1 970, pp. 45-70. Su Jean Rigoleuc, mistico selvaggio e pascaliano, troppo poco studiato, A. Hamon, Qui a écrit la Doctrine spirituelle?, RAM , t. 5, 1 924, pp. 233-268; - Su Suffren: t l 64 1 : L. Cognet, La spiritualité moderne, t. l , pp. 442-445 . - Su Jean­ Baptiste Saint-Jure, t 1 657, ivi, pp. 445-452. ,

F. de Dainville, La révision romaine du Catéchisme spirituel,

,

,

4. Lavori apostolici: l 'ordine sociale e il suo «altro» Congregazioni, missioni e ritiri. - Uno stesso gesto organizza i gruppi dei «mistici riformati» e altre forme d'azione, popolari e spiri­ tuali che si distaccano tra loro a partire dal 1 630. Missioni e ritiri si riferiscono parimenti a una partenza. Una serie di fondazioni, - con­ gregazioni, case di ritiro, collegi, residenze missionarie, etc. - vanno duplicando, come proprio contrappunto, lo sviluppo dei collegi, nei modi in cui la «nuova spiritualità» si distanzia dali' «umanesimo» . Sotto forme differenti , questa partenza è ugualmente un ritiro. Ha co­ me origine una seria presa d ' atto di una laicizzazione sociale che opa­ cizza il linguaggio e politicizza le istituzioni. I nuovi ampliamenti del­ l ' azione tendono a rinunciare a conciliare un «dentro» spirituale che non ne ha più né la visibilità, né la trasparenza. Sono anche movimen­ ti separatisti, l ' equivalente, dentro la Francia, delle emigrazioni cristia­ ne: assemblee segrete, esili verso le campagne o, più lontano, esercizi di ritiro. Si impongono soprattutto tre tipi. lo .

Queste forme di apostolato, benché tradizionali, si sviluppano in Francia a partire dalle iniziative esterne alla Compagnia (le congregazioni, nate intorno all 'Oratorio, i ritiri e le missioni dei lazzaristi, etc.) ma i gesuiti le riprendo­ no e le sistematizzano.

l ) Le congregazioni della Santa Vergine, la cui evoluzione si carat­ terizza per una specializzazione per età (soprattutto a partire dal l 630), poi per categorie sociali e professionali (arti�iani, marinai, com­ mercianti, borghesi ecclesiastici, nobili, etc.) riproducono l 'organizza-

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zione della società, manifestando, però, ad ogni unità uno scarto pro­ porzionato. Esse restano essenzialmente maschili. Sono gruppi spesso potenti che aggiungono alle pratiche di pietà un interventismo abba­ stanza puritano. Una condotta morale, puntualmente determinata dagli imperativi di ogni ambiente, diventa il segno sociale di una apparte­ nenza religiosa. J. de Guibert, pp. 286-292.- DS, t. 2, coll. 1 479- 1 49 1 (Congrégations maria­ nes) ; coli. 1 49 1 - 1 492 (a proposito del gesuita Jean Bagot t 1 644 , fondatore dell'Aa); coll. 1 49 1 - 1 507 (Congrégations secrètes). Tutta una letteratura di manuali e libri di preghiera, di meditazioni, è tratta dalle congregazioni, ed in particolare le «Strenne» mariane (DS, t. 4, coll. 1 5 32- 1 55 1 ) cfr. Sommer­ vogel, t. 10, coll. 438 ss.).

2) Le missioni giocano su un ' altra distinzione sociale, quella, cre­ scente, che separa città e campagna: esse vanno «ai campi». Si molti­ plicano (375 missioni di Julien Maunoir in Bretagna, dal 1 640 al 1 683); durano talvolta tre o quattro settimane, ma su aree limitate ; uti­ lizzano tecniche provate di riunione sociale e di pedagogia popolare. I loro primi obiettivi sono l ' apprendimento delle preghiere essenziali, base di un linguaggio, e la pratica dei sacramenti, articolazione visibi­ le di una piccola cristianità: di questi due segni obiettivi, i preti resi­ denti devono poi assicurare il mantenimento. Le missioni mirano così a fondare delle «riduzioni» in terra contadina e «pagana». Queste «fondazioni» di pionieri, analoghe a tante di altri contemporanee, si ispirano ad una grande utopia pedagogica che non si realizzerà piena­ mente che nel Paraguay (M. Haubert, /ndiens et Jésuites au Paraguay. Rencontre de deux messianismes, «Archives de sociologie des reli­ gions» n. 27, 1 969, pp. 1 1 9- 1 33). Esse però già formano dei «ritiri». I paesi rurali, percepiti come l ' «altro» dalla «corte e la città» , hanno l ' ambivalente significato di essere diabolici (superstizione, magia, etc.) e di essere riserve «naturali» di un nuovo inizio per la Chiesa. Tale apostolato si appoggia infatti, come in Bretagna, su una preliminare fio­ ritura di spirituali, prima raccolti da una città regionale: così, a Vannes, Jeanne l 'Evangéliste, Margherite de Sainte-Agathe, Nicolazic, Armelle Ni­ colas (DS, t. l , coll. 860-862}, Pierre de Kériolet o Jean de L' Isle (cfr. H. Marsille, in «Mémoires de la société d ' histoire et d ' archéologie de Bré­ tagne» t. 35, pp. 3 1 -37). Esso suppone anche tradizioni locali meno diaboli­ che e più cristiane. Ciò che i missionari fanno confessare agli abitanti dei vil-

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laggi o ciò che ne percepiscono, mal corrisponde ai documenti sulla vita rurale (cfr. per la Bretagna, Noel de Fail, Propos rustiques, del 1 548, in Con­ teurs français du l 6 °siècle, Paris 1 965 , pp. 599-659, fino a F. Duboisson Aubenay, ltinéraire en Brétagne, Nantes 1 902). ­

L. Kerbiriou, Les missions bretonnes, Brest 1 933. - H. Bremond, Histoire lit­ téraire du sentiment religieux, t. 6, pp. 66- 1 1 7 (su Manoir e Le Nobletz). DS, art. Julien Manoir, t. 8, infra. - Tra i mss, segnaliamo soprattutto il Journal des missions de V.P. Maunoir (Archives sj de Chantilly, AG 3, copie) che spiega un metodo centrato sui comportamenti e cerca di separare i due spazi religiosi, il cristiano e il diabolico. - Sui manuali, libretti, immagini, schemi di missione, cfr. DS, art. lmages et imagerie de piété (t. 7, coll. 1 5 1 91 535) e alcune pubblicazioni comparabili in H.-J. Martin, Livre, pouvoirs et société à Paris au / 7° siècle, (Genève-Paris 1 969, pp. 793-797). Sulle missioni di San Jean-François Régis t l 640 in Velay, vedere la biografia di G. Guitton, Paris 1 937.

3) L'organizzazione dei ritiri collettivi prolunga le missioni. Alle case di ritiro per gli uomini di cui la prima è fondata nel 1 660 a Vannes da Vincent Huby e Louis Eudo de Kerlivio t 1 685, si aggiungono ana­ loghe case per donne ; così a Vannes nel 1 675 sotto la direzione di Catherine de Francheville t l 689. Poiché la Compagnia rifiuta inizialmente di dirigere ritiri di donne (numero­ si testi nella corrispondenza con il generale della Compagnia Gian Paolo Oliva, molto fermo su questo punto fino alla morte nel 1 68 1 ), questi ritiri sono organizzati da «comunità» laiche, ulteriormente provviste (a partire dal 1 688) di predicatori gesuiti. Sono «ritiri» di preghiera che riflettono, ma in modo transitorio, una struttura monastica. La loro minuziosa programmazio­ ne reintroduce, d' altra parte, la preoccupazione moderna della tecnica e del­ l'efficacia spirituale nel ritiro spirituale. J. de la Pilitière, Histoire de la première de toutes les maisons publiques de retraites (ms, Paris Bibl. Mazarine 3264); è un testo programma. - L. Martin­ Chauffier, La fondation de la première maison de retraite . . . , «Mémoires de la société d'histoire et d'archéologie de Brétagne», t. 3, 1 922, pp. 3 1 3-322.- G. Théry, Catherine de Francheville, 2 voli., Vannes 1 956 (recensione di P. Blet, AHSI, t. 27, 1 958, pp. 385-392). - J. Héduit, Catherine de Francheville . . . , Vannes 1 957. - DS, art. Francheville, t. 5, coll. 1004- 1007; V. Huby, t. 7, coll. 842-85 1 ; Kerlivio, Retraite.

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Queste creazioni costituiscono una corrente che in Francia mostra molti altri segni. Detto altrimenti, la differenza o l 'opposizione istitu­ zionale tra differenti Ordini religiosi, tra gesuiti e giansenisti, o an­ che tra cattolici e protestanti - si sovrappone a fratture spirituali (e sociali) più profonde. Pur pesando su di esse, non determina ciò che, nelle esperienze personali o collettive, risponde alla situazione globa­ le. Il vero discrimine che traversa il corpo religioso sembra separare piuttosto degli «emigranti» che cercano esternamente al "dentro" o al "di fuori" una figura sociale dell 'esperienza cristiana ed, invece, dei tecnici (eruditi, scientifici, pedagogici) che, assumendo l ' impegno di nuove pratiche, mirano a riorientrarle correggendole dal i ' interno o mettendole al servizio di obiettivi religiosi. Le due tendenze si me­ scolano d'altra parte, secondo combinazioni in cui diventa decisivo il ruolo de li' istituzione religiosa. Nelle pratiche dei gesuiti suscettibili di essere poste sotto il segno dell ' immigrazione, colpiscono soprattutto due tratti - a) Da una parte , congregazioni mariane, case di ritiri e missioni rappresentano uno spa­ zio libero, dove possono rinascere segni cristiani. Il vocabolario reli­ gioso del «rifugio» o del «ritiro» , frequente nei testi , già lo indica. Ma le misure di protezione destinate a mettere a distanza il «mondo» e che regolano una progressiva iniziazione alle attività, al le celebrazioni o ai segreti del gruppo, fanno risaltare ancora e riempiono ogni volta uno spazio che garantisce un valore proprio alle espressioni cristiane. Esse devono permettere di significare la fede e renderle possibile uno spa­ zio di enunciazione. - b) Nelle rappresentazioni ideologiche o nelle localizzazioni de li' azione, questo spazio ha per caratteristica di essere estraneo. È definito dali' «altro» sociale : l ' infanzia, la follia, il selvag­ gio, e soprattutto il «povero popolo delle campagne» presso il quale, e a partire dal quale, si designa una rottura con il «mondo». -

Come il «selvaggio», il popolo, - l 'illetterato, l ' ignorante, etc . , - permette insieme alla fede di parlare, offrendole nuove possibilità culturali. Ne è, allo stesso tempo, il luogo ancora vuoto che si oppone alla società satura delle città, il nuovo mondo le cui profondità incolte portano in germe la Verità divi­ na, ma anche la terra da coltivare, l 'obiettivo di una educazione. Da questo punto di vista, gli scritti che provengono dalle regioni lontane giocano all ' in­ temo un ruolo di riferimento simbolico. Cfr. le Lettere dalla Cina, dal Giappone, dalle Indie, 1 573- 1 606; le Nouvelles des choses qui se passent en diverses et lointaines parties du monde [ . . . ] , par les PP. Jésuites, Paris 1 607 ; L 'histoire des choses [. . . } advenues tant ès /es

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lndes Orienta/es que autres pays . . . de Pierre de Jarric, Bordeaux 1 608- 1 6 1 4; le celebri Relations de la Nouvelle France, dal 1 632 al 1 672; fino alle Lettres édifiantes et curieuses, a partire dal 1 7 1 1 ; vedi infra cap. 6. Cfr. G. Atkinson, Les re/ations de voyages du xvue sièc/e, Paris 1 924; H. Baudet, Paradise on Earth. Some Thoughts on European /mages of non­ European Man, New Haven 1 965 ; M. de Certeau, L 'illettré éclairé, RAM, t. 44, 1 968, pp. 369-4 1 2.

Ritorno ai «tesori» nascosti nelle «miniere» delle campagne, la mis­ sione - forma attiva di quel che parimenti sviluppa una spiritualità, - è anche educatrice e conquistatrice. Vuoi far apparire quanto i predicato­ ri sperano di trovare; fa dire all ' «altro» ciò che esse già sanno; ordina e sceglie le conferme che si attendono dai «semplici». A poco a poco, l ' u­ tilità di questi «insediamenti» popolari nella lotta contro l ' incredulità o tra «religioni», e lo sviluppo dell' organizzazione ecclesiastica in una società stabilizzata, faranno prevalere nel XVIII secolo la logica delle «conquiste» a quella dei «ritiri». Il perfezionamento dei metodi e la sistematizzazione del discorso catechetico o amministrativo non lasce­ ranno più passare la parola dell' «altro», rurale o selvaggio. Indubbiamente, in questa evoluzione, bisogna tener conto del fatto che le pra­ tiche appaiono più importanti ormai delle parole. Così , la predicazione guar­ da la pratica sacramentale o devota: il confessionale focalizza il discorso sulla conversione. I segni sociali del cristianesimo diventano i segni di differenzia­ zione più sicuri delle confessioni di fede. Reciprocamente, l ' insegnamento catechetico e le «istruzioni» di ritiri riorganizzano a poco a poco la conoscen­ za religiosa secondo le linee di fratture che vi hanno iscritto le divisioni tra gruppi o «partiti» (cfr. J.-C. Dhotel, Les origines du cathéchisme moderne, Paris 1 967). La pratica la vince e con essa le tecniche d' azione che vi condu­ cono. Il risultato sarà nondimeno, nelle campagne, un cristianesimo pratico per molto tempo impermeabile alle nuove ideologie.

2° L 'erudizione e la scienza, all ' altro estremo dell'attività apostoli­ ca, articolano ancora una spiritualità su delle pratiche e delle tecniche. Così Fronton du Due t 1 624, Bibliotheca veterum patrum, 1 2 voli. , Paris 1 624; Denis Petau t i 652, De doctrina temporum, 2 voli., Paris 1 627; Jacques Sirmond t l 65 1 , Concilia antiqua Gal/iae, 3 voli. , Paris 1 629; etc. Il primo volume dei bollandisti data dal 1 643 (cfr. B. de Gaiffier, Hagiographie et cri­ tique in Religion, érudition et critique, Paris 1 968, pp. 1 -20).

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Nonostante molte reticenze, e questo fino al XVIII secolo (cfr. l. de Laubrussel, Traité des abus de la critique en matière de religion, Paris 1 7 1 O) si sposta un ' idea di verità. Per questi eruditi «ai cristiani impor­ ta non adorare dei fantasmi» (Cb. Du Cange): bisogna dunque sceglie­ re le "cose vere" nella "falsa credenza dei popoli". Una verità storica e "positiva" tiene il posto della verità. Ma nei metodi ai quali questo impegno obbedisce, non si introdu­ ce più la vita religiosa, se non a titolo dell 'oggetto (religioso) studiato, o del luogo sociale dell'erudito (l' autore è della «Compagnia di Gesù») o infine della pietà che si aggiunge esteriormente a questo lavoro. Lettere e testi devoti di questi dotti manifestano un dislocamen­ to: la loro spiritualità si orienta sia verso le virtù morali che l 'erudizio­ ne implica, sia verso virtù religiose esterne al lavoro tecnico, ma pro­ prie al luogo (dei gesuiti) in cui si effettua, sia verso l 'utilità (apologe­ tica) e la «gloria» che possono giungere all 'Ordine (è un tema centra­ le dell 'Imago primi speculi, Anversa 1 640). Crociata per recuperare una «verità» che non è variata, l' erudizio­ ne prende la figura di un 'etica scientifica, ancorata nel porto della vita religiosa solamente tramite devozione estranee a questo lavoro. Essere «buon religioso» e essere dotto: queste due cose si combinano, ma mal si articolano; si situano in due reticoli sociali sempre più distinti. Accade allo stesso modo per i gesuiti scienziati, come il matematico C. Clavio t 1 6 1 2; Grégoire de Saint-Vincent t 1 667 ; G. Saccheri t 1 733, L.-B . Castel t l 757. I loro lavori valgono per se stessi. L'elemento religioso prende la forma sia di una ortodossia che fissa limiti, sia delle virtù religiose perso­ nali o gesuitiche. Tranne le prefazioni delle loro opere scientifiche, sfortuna­ tamente vi sono pochi documenti: fatto già significativo. E.C. Philips, The Correspondence of Chr. Clavius, AHSI, t. 8, 1 939, pp. 1 93-222.

3° Il dovere di stato simbolizza la tendenza che struttura la spiritua­ lità più diffusa. Nata con la specializzazione delle congregazioni (cfr. supra) e degli aposto­ lati (popolari, scolastici, etc.) tutta una letteratura è consacrata al dovere di stato. Sono in generale opere di volgarizzazione. Si danno per tema le virtù proprie dei diversi stati: principi, gente di mondo, signori , soldati, domestici, contadini, sposi, vedovi , allievi (cfr. Sommervogel, t. 1 0, coll. 497-507 e, base dottrinale di questa spiritualità, Luis de la Puente, De la perjecci6n del cri­ stiano en todos sus estados, 4 voli. , Valladolid, poi Pamplona 1 6 1 2- 1 6 1 6.- cfr. DS, art. Devoir d 'état, t. 3, coli. 672-702 ; État, t. 4, coli. 1 372- 1 388.

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La parola stato arriva carica di una tradizione teologica e spirituale che designa una «disposizione d 'animo» abituale, un «grado» o un «ordine» della grazia, una delle tappe o delle «vie» di un itinerario cri­ stiano o mistico. Questa classificazione relativa ad una evoluzione reli­ giosa o spirituale è parzialmente sostituita da una classificazione se­ condo un ordine sociale. Una gerarchizzazione delle funzioni ecclesia­ li o dei gradi spirituali cede il posto alla gerarchizzazione degli "stati" socio-professionali che, in questa letteratura, diventa un codice delle pratiche. Le virtù sono ridistribuite conformemente a un ordine stabi­ lito e ad una organizzazione dei compiti ; ad esempio, la giustizia è accostata al padrone, la fedeltà al servitore, etc . L' approfondimento della vita cristiana si trova connesso al posto occupato o alla funzione esercitata nella società. Si insinua nella spiritualità un'etica sociale. La casistica cercherà dunque di proporzionare alla legge fondamentale di ogni stato uno scarto cristiano, sempre relativo a una situazione (sulla casistica cfr. E. Coumet, La théorie du hasard est-elle née par hasard?, «Annales» t. 25 [ 1 970] , pp. 574-598). Inversamente, una reazione contro questo «Ordine» politico che si impone alla morale si tradurrà in un ritorno alla positività del Vangelo e nella volontà di determinare comportamenti cristiani a partire dal­ l 'esegesi (cfr. E. Hamel, Retour à l ' Évangile et théologie morale en France et en /talie au xvue et xvue siècles, «Gregorianum» t. 52 [ 1 97 1 ], pp. 639-687).

4° Corrispondenze e direzione spirituale. l) Lettere. Negli scritti spirituali del xvn secolo, una regione immensa è ridivenuta silenziosa: una letteratura epistolare, pubblicata per frammenti, scomparsa in gran parte, ha tuttavia costituito la mediazione multipla tra i testi editi ali ' e­ poca e le voci perdute della direzione spirituale. Parzialmente edite o da editare, possediamo elementi di corrispondenza di J.­ B. Saint-Jure t 1 657; Paul Le Jeune t 1 664; J.-J. Surin, Fr. Guilloré, Pierre Champion, e più tardi Cl.-Fr. Milley t 1 720, Claude Judde t 1 735, J.P. de Caus­ sade t l 75 1 (DS, t. 2, coli. 354-370) Cfr. Sommervogel, t. 10, coli. 1 335- 1 337. Genere letterario molto sviluppato ali' epoca, la lettera ha anche tutta una tra­ dizione nella Compagnia di Gesù dove, all'origine, una serie di De scribendis epistolis si assomma alle circa 6500 lettere che restano di sant'Ignazio.

Queste lettere circolano. Alla partenza, hanno spesso molti destina­ tari, e passano ad altri. Sono dunque spesso dottrinali, e d' altra parte si erodono e modificano a misura che si allarga la cerchia dei lettori.

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La maggior parte dei destinatari sono donne, né il fatto risulta solo dalla preservazione meglio garantita da parte delle corrispondenti. Dal numero e dalla lunghezza, queste lettere rispondono per lo più ad una esperienza femminile, maggiormente indipendente dalla tradizio­ ne teologica o clericale. Esse formano, come per l 'Introduzione alla vita devota di Francesco di Sales, la base e spesso il contenuto dei trattati spirituali. La dottrina si elabora così a partire da questioni (che generalmente non conserviamo più) ; parla il linguaggio di tali que­ stioni che formano il nucleo generatore delle risposte ; è il reciproco di interrogazioni e orientamenti soprattutto femminili il cui primo lin­ guaggio è scomparso. Questo discorso per dialogo, di cui qui manca una metà, nasce nuovamente da altre parti nella forma di Dialoghi, data a tanti trattati. 2) Una pratica del linguaggio dell 'altro. Queste lettere sono l ' indi­ ce di una situazione più generale che permette di spiegare attraverso reticoli di «corrispondenze» due aspetti della spiritualità dei gesuiti francesi del XVII secolo. Da una parte, il suo linguaggio si rinnova a partire da quello al quale risponde e da cui riceve abbondantemente i termini ed i temi. Dali' altra, in questa nuova elaborazione, il rapporto all ' altro gioca un ruolo essenziale: «verità» ed esperienze non si enun­ ciano più all ' interno di un corpo letterario stabile, come faceva la spi­ ritualità monastica medievale, ma grazie alla ripresa, da parte di un chierico (uomo di discernimento), del linguaggio altro che viene dalle donne, dalle campagne o dai selvaggi. È fondamentale una ermeneuti­ ca dell'altro, una pratica, cioè, spirituale del linguaggio dell 'altro. Nel momento in cui l 'esegesi diventa scienza positiva, sembra che l 'esegesi spirituale risorga nelle corrispondenze, nelle biografie, nelle lettere dei mis­ sionari, molto più che nella lettura allegorizzante della Scrittura. Un esempio tra mille di queste biografie di ermeneuti spirituali, ma è un bel libro, la Vie de M. de Renty, di J.-B. de Saint-Jure ( 1 65 1 ). In egual modo, la Vie d 'Arme/le Nicolas, ispirata da V. Huby ( 1 678), la Vie de Madame Hélyot di J. Crasset ( 1 683) (cfr. DS, t. 7, coli. 1 72- 1 73) e tante altre analoghe: dialog h i esegetici dove l' altro è il principio di un linguaggio spirituale interpretativo.

5. Conflitti e dibattiti dottrinali. - La storia dei gesuiti, nel XVII seco­ lo, è piena di polemiche, come la loro letteratura spirituale; né è solo l 'effetto del successo e delle resistenze che suscita, né il risultato di

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pura opposizione tra dottrine. Segnata già nella volontà di «rottura» e di «riforma» , l ' aggressività appartiene più profondamente al fatto che ogni posizione si definisce in rapporto al suo altro. Il rigetto del «par­ tito» avverso è il modo con cui si determina un gruppo. Questa dipen­ denza riguardo ad un «fuori» ne fa ciò che specifica l ' esistenza di un «dentro» attraverso una inversione o una contraddizione. Più che in altre epoche, la frontiera organizza le regioni che essa separa. Questa pertinenza della rottura gioca in modo fortissimo nell 'elaborazione dottrinale dei gesuiti, per il fatto stesso che il proprio, l ' «interno>> , in essa è piuttosto di ordine pratico, ed il linguaggio segue dunque più docilmente la legge di una determinazione reciproca. Ma, per ciò stesso, questi discorsi anti­ nomici, strettamente relativi gli uni agli altri, svelano coerenze che situano la Compagnia in insiemi più vasti. Sono le determinazioni socioculturali dell'e­ poca ed i problemi così imposti all 'esperienza cristiana che appaiono in que­ sti dibattiti . Le crisi che segnano la seconda metà del secolo - giansenismo, quietismo -, rinviano dunque simultaneamente alle interrogazioni del tempo e alle reazioni particolari dei gesuiti.

l o Giansenisti e gesuiti - Se l ' interpretazione di sant' Agostino (la cui autorità a partire dal 1 640 si sostituisce a quella dello Pseudo­ Dionigi) fornisce al dibattito i propri punti di riferimento ideologici e lessicali, la questione aperta concerne più fondamentalmente le possibilità del cristianesimo nella società che si fa avanti. Maggiori­ tariamente (non è il caso dei «riformatori» mistici) i gesuiti optano per l ' adattamento, mentre i giansenisti oppongono la radicalità pro­ fetica di una rottura in rapporto al «mondo» . Le cose, in effetti, sono più complesse. ·

l.

Innanzi tutto, la stessa costrizione a una rottura si impone a tutti.

Nei gesuiti, l' adattamento riposa sulla possibilità di separare le pratiche inte­ riori, fermamente stabilite e la mobilità dei discorsi e dei comportamenti este­ riori (cfr. supra, cap. l ). La frattura, dunque, esiste, ma nascosta tra gli im­ pegni obiettivi. La tentazione è di dimenticarlo, riconducendo questa combi­ nazione alla logica dell' attività «esteriore». Nei giansenisti, il movimento, estendendosi, relativizza molto rapidamente la propria originaria espressione profetica e teologica per definirsi, a partire da Amauld e Nicole, mediante un'etica propria. Da una parte e dall'altra, il dibattito si concentra sul terreno di una morale pratica.

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2. Muovendosi su uno stesso terreno, quello delle condotte, i due «partiti» si situano diversamente in rapporto ai comportamenti sociali. I gesuiti formano un corpo già costituito (un Ordine) che si appoggia su pra­ tiche interne per «uscire» al di fuori. I giansenisti, «secolari» e laici, partono da una teologia berulliana, dottrina sacerdotale e mistica della gerarchia ecclesiastica, modello fortemente strutturato di una cristianità in calo e vogliono provvederlo di una effettività sociale. Il «ritiro» è il postulato dell'a­ zione gesuita e il progetto della dottrina giansenista; a tal riguardo, si trova in arretrato riguardo a dei religiosi, in avanti rispetto a dei secolari.

3 . Da una parte e dall'altra, non è così identico il rapporto della teologia con le pratiche. La pratica è per i gesuiti il «luogo protetto» da cui si producono discorsi e azioni. Per i giansenisti, se la pratica è ancora il testo decisivo, discende dalla dottrina: il loro muoversi è dunque meglio tracciato nel linguaggio, più «razionale», più elitario ancora (alcuni vescovi e intellettuali ne sono i primi propagatori, attendendo che si diffonda anche tra i preti illuminati del XVIII secolo), meno radicato nell'opacità di un corpo, più diffondibile dunque, mentre manifesta più chiaramente la questione posta a tutti .

4. L' intervento nei comportamenti sociali non si localizza, infine, negli stessi ambienti. I giansenisti privilegiano il cultuale, linguaggio visibile di opzioni teologiche e, sul fondo della società, danno rilievo a pratiche sacramentarie e scritturistiche. I gesuiti guardano alla vita civile, dove un 'educazione spirituale del volere si articola su compiti effettivi e vi si definisce. Sarà il lavoro indefinito della casistica a precisare quale modificazione intro­ duca l 'esercizio di una interiorità nelle leggi obiettive di ogni situazione. La «morale» dei gesuiti non cessa di giocare sulla dicotomia per superarla. Ma tutta questa letteratura riconosce la difficoltà dell' impresa, volgendosi sempre più dal lato delle pratiche e della «devozione» . Gli innumerevoli titoli in cui appare il binomio pietà e morale tradiscono già, per la stessa congiunzione, il punto della frattura. La bibliografia è immensa. Cfr. DS, art. Arnauld, t. l , coli. 876-888; Jansé­ nisme, t. 8, pp. 102- 148; art. Nicole, Port-Royal, Saint-Cyran, etc .

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2° Il quietismo

A prima vista, la polemica del quietismo ripete, sul finire del secolo, l ' antimisticismo degli anni 1 640- 1 650: stessi temi e stesse referenze. Il punto di riferimento ufficiale è la Guida espiritual di Miguel de Molinos (Roma 1 675 ; tr. it. Roma 1 675 ; tr. fr. Cornand de la Croze, nel suo Recueil de diverses pièces concernant le quiétisme, Amsterdam 1 688). Come quaran­ t' anni prima, l'offensiva contro i contemplativi parte da Roma, nel 1 685, per finire nel 1 687 con la messa all' indice della «nuova teologia mistica» di Molinos e con la costituzione Coelestis Pastor (20 novembre 1 687) "carta dell 'antiquietismo" della fine del XVII secolo» (J. Le Brun, La spiritualité de Bossuet, Paris 1 972, p. 5 1 4 ). Divenuto lo specialista della spiritualità con il suo Traité de l' oraison ( 1 679; ripreso come Traité de la prière nel 1 695), Nicole è «uno degli intermediari da cui passa in Francia questo antimistici­ smo romano che corrisponde così bene ai suoi princìpi» (Le Brun, op. cit. , p. 460). Sulle intenzioni di Nicole, B. Neveu, Sébastien de Pontchdteau, Paris 1 969, p. 647.

I gesuiti sono divisi. A un primo livello sono per lo più antimistici, ma, contro il "partito" giansenista, sono gli obiettivi alleati dei quietisti. Ma la divisione è più seria. Alcuni "spirituali" gesuiti sono denun­ ciati come quietisti. Tale Guilloré, apologista caloroso di Fr. Malaval, colpito da Nicole che ha raccolto degli estratti «dove vi sono cose orribili» (Antoine Arnauld, CEuvres, t. 2, Paris 1 775, p. 766); tale Surin, al quale Fénelon si riferisce e il cui Catechismo nella traduzione italiana è messo all' Indice nel 1 695. Dal 1 697 al 1 700, un gruppo di gesuiti quietisti nella provincia gallo-belga, inquieta molto T. Gonzales, generale dei gesuiti (cfr. F. Hillenaar, Fénelon et /es jésuites, La Haye 1 967, pp. 309-3 1 3).

Al contrario, invece, la dottrina gesuita è ostile alle «misticherie» dei «nuovi illuminati». L'antiquietismo di Padre Segneri (/ sette princìpi. . . , Venetia 1 682, tr. Le quié­ tisme ou /es illusions de la nouvelle oraison de quiétitude, Paris 1 687), non è che il preliminare di quel che si trova in Dominique Bouhours, La vie de Mme de Bellefonds (Paris 1 686, pp. 80-8 1 ; DS, t. l , coli. 1 895- 1 896), in Louis Bourdaloue, soprattutto nel suo celebre Sermon sur la prière ( 1 688, in CEuvres, éd. E. Griselle, t. 2, Paris 1 922, pp. 325 ss.; DS, t. l, coli. 1 90 1 - 1 905)

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o nel Panégyrique de Sainte Thérèse di Charles de la Rue ( 1 698; ed. sospetta in Panégyrique des saints, t. l , Paris 1 740, pp. 307-348).

A priori, questo antiquietismo è normale: l ' abbandono si oppone ali ' efficacia; la passività spirituale alla meditazione metodica; l ' amore puro ali ' «utilità». Ma più radicalmente, con l ' amore puro, con la nega­ zione di un rapporto necessario tra l 'esperienza spirituale e la felicità celeste, con la critica degli oggetti di conoscenza, con l ' apologia del «vuoto» e dell 'affettivo, il quietismo suppone o professa il deteriora­ mento di una cosmologia religiosa, l ' impossibilità di articolare il desi­ derio su un mondo (futuro e presente) e formularla nei termini di ciò che sono diventati il sapere e la società. Attestata dall'esperienza, que­ sta rottura è più fondamentale della rottura, etica e sociale, che Port­ Royal promuove in nome di una teologia mistica della gerarchia eccle­ siastica: essa disegna lo scacco segreto del riformismo post-tridentino che pretendeva di re-inscrivere la grazia in una figura sacramentaria, visibile e sociale. Se l'ostilità tra gesuiti e giansenisti segna un'opposizione tra due epoche, tra due teologie o tra "secolari" e regolari , essa si dispiega ali ' interno del campo creato dalla "missione" post-tridentina, parimen­ ti essenziale a questi fratelli nemici. Essa è dunque secondaria in rela­ zione alla questione che apre il quietismo, distaccando dai linguaggi sociali la radicalità del desiderio spirituale. I giansenisti lo hanno percepito lucidamente e, facendo questo, con Amauld e Nicole, si sono allontanati dal profetismo paradossale di Saint-Cyran. Nell ' insieme, più sicuri nelle loro residenze, meno sensi­ bili ai problemi dottrinali, i gesuiti sono stati ugualmente molto riser­ vati verso di esso, salvo quando l ' imbroglio delle battaglie antigianse­ niste li accecava o la loro esperienza, radicalizzandosi, li conduceva nelle vicinanze del quietismo. DS. Art. Fénelon, t. 5, coli. 1 5 1 - 1 7 1 ; Mme Guyon , t. 6, coli. 1 306- 1 336; llluminisme, t. 7, coli. 1 385- 1 390; Quiétisme; L. Kolakowski, Chrétiens sans Église (Paris 1 969) analizza il problema nell 'insieme; J. Le Brun, La spiritua­ lité de Bossuet, (citato supra, pp. 439-695) dà una presentazione a tutt'oggi la più precisa della polemica ( 1 685- 1 699). Ben presto il giansenismo, politicizzandosi, e la corrente gesuita, obbedendo alla divisione dei compiti tecnici e delle pratiche devozionali, portano una sorta di conferma all 'esperienza quietista in quanto essa disarticola dall' obiet-

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tività sociale o intellettuale il movimento spirituale. È in ogni caso sotto que­ sta forma che rinascono verso la fine del secolo i dibattiti sull ' umanità di Cristo che avevano segnato il suo inizio (cfr. J. Orcibal, La rencontre du Car­ me/ thérésien avec /es mystiques du Nord, Paris 1 959).

3° Teologi e spirituali Questi dibattiti generali si riproducono all ' interno della Compagnia, in particolare con i conflitti tra i teologi e gli spirituali. -

Mediante uno di questi aspetti, l ' antiquietismo difende la teologia ecclesiasti­ ca contro la «scienza dei santi>>, (designando i santi , allora quel che chiamia­ mo oggi i «mistich> ), né è un caso se Fénelon faccia scivolare la teologia verso una teodicea.

San Roberto Bellarmino (t 1 62 1 ) rappresenta il tempo di un accor­ do quando giudica i mistici più oscuri che erronei (De scriptoribus ecclesiasticis, Roma e Lione, 1 6 1 3 , Parigi 1 6 1 7 , etc.). Ma, dopo le grandi discussioni spagnole (dali' Indice di Gaspar de Quiroga nel 1 5 88, fino ali ' opposizione di Giovanni di San Tommaso a Suàrez e al carmelitano Tommaso di Gesù nel 1 637, etc.), la mistica è luogo di di­ scordia dove ritorna, ma in funzione dell'esperienza cristiana, «l' inter­ minabile e onnipotente questione della grazia>> (P. Chaunu, La civilisa­ tion de l 'Europe classique, Paris 1 966, p. 46 1 ). Essa mette simultanea­ mente in causa il ruolo dell'esperienza in rapporto alle istituzioni dot­ trinali (cioè al carattere ecclesiale della verità) e la relazione tra natu­ ra e soprannatura. Queste due questioni si mescolano incessantemente e si complicano poiché interferiscono con la gerarchizzazione antropo­ logica che deve stabilirsi tra volontà e intelligenza. Esse nondimeno sono distinte. l ) L'esperienza. - Nelle discussioni, l ' istituzione, presentata innan­ zi tutto (secondo una prospettiva dionisiana e berulliana) come un ordine della grazia, appare sempre più mediatrice della tradizione, cioè di una obiettività storica fornita dalla "teologia positiva". Questo spo­ stamento dal cosmo spirituale al testo tradizionale è significativo. Ora, al fatto dell'esperienza, si oppone il fatto di quel che è sempre stato cre­ duto. Dibattito tra la voce e la scrittura, tra l ' irriducibilità del vissuto e la posi­ tività stabile del testo. Prima ancora, } "'esperienza" negli spirituali rinvia all ' attualità di una enunciazione che sarebbe il luogo in cui parla lo Spirito; la

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«tradizione>> nei teologi implica il dato di enunciati i mmutabili (scritturali, conciliari, etc . ) la cui verità originaria sarebbe conservata grazie al rigore degli argomenti che ancora ne sviluppano le conseguenze o grazie alla perma­ nenza delle istituzioni ecclesiali. Costretti dalle controversie, gli spirituali sono d' altra parte obbligati a porsi anche sul terreno della tradizione e a costi­ tuire, essenzialmente formata dai «moderni», una «tradizione mistica» .

2) Una tesi teologica aggrava il dibattito: solo il «naturale>> potreb­ be essere suscettibile di esperienza, poiché, secondo una posizione fre­ quente che spinge all ' estremo la teoria del soprannaturale di pura «modalità» , l ' ordine della grazia è aggiunto a quello della natura (posi­ zione che non si trova presso teologi come Bellarmino o Suarez). Per molti altri maestri teologi - spesso tentati di nominalismo e preoccu­ pati di combattere la «persuasione interiore» protestante -, l ' autorità estrinseca dei postulati rivelati si coordina con l ' autonomia della ragio­ ne naturale. Gli spirituali si riferiscono invece ad un «istinto» fontale, che immerge pro­ gressivamente l'esperienza. Essi lo designano secondo i casi, nei termini del «desiderio» agostiniano, del «fondo» renano-fiammingo, o di quella «volontà>> che ne è l ' aldiqua assoluto, inaccessibile, di tutto il pensabile. Così, per Surin, lo spirituale è «cet amant dans l'amour absorbé// Qui ne voit plus ni grace, ni nature/l Mais le seui gouffre auquel il est tombé» («quel l' amante nell' amore assorbito// Che non vede più né Grazia né Natura// Ma il solo abisso in cui è caduto»; Cantiques spirituels, cant. 5, str. 1 9, ed. Paris 1 664, p. 24) .

Questi due poli organizzano le dispute che si moltiplicano (cfr. Surin, Guide spirituel, éd. Michel de Certeau, Paris 1 963 , pp. 39-50). Nel mezzo, si situano i gesuiti, spinti dalla loro propria esperienza e da quella della direzione spirituale a conciliare la posizione dottrinale con la conoscenza che hanno delle angosce e disposizioni più radicali. Sembra infatti che una concezione troppo ristretta della conoscen­ za, il peso esercitato dalla ricerca positiva, il sospetto che pesa sull 'or­ todossia dei mistici, abbiano paralizzato, alla fine del secolo, la chiari­ ficazione di una esperienza che ne [dal sospetto] è essa stessa colpita. Indubbiamente bisogna anche addebitare a un pudore classico la rea­ zione dei religiosi spauriti dagli eccessi affettivi dei «mistici» contem­ poranei. La maggior parte degli scrittori accusati di quietismo hanno uno stile archeologico che urta una discrezione urbana, inganna loro stessi e tradisce anche una impotenza del linguaggio.

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Tra gli uomini di questo incerto equilibrio: Jean Crasset ( 1 6 1 8- 1 692; DS, t. 2, coli. 25 1 1 -2520), che confessa a mezza voce delle «ferite» che sono delle «nozze», poeta nascosto dietro il biografo di Mr. e Mme Hélyot ( 1 683; cfr. Bremond, t. 8, pp. 209-309; t. 9, pp. 3 1 1 -339). - François Guilloré ( 1 6 1 5- 1 684; DS, t. 6, coli . 1 278- 1 294), autore dei Secrets de la vie spirituelle ( 1 673), un'o­ pera la cui perspicacia si affila in quanto è abitata dal rispetto per le vie del­ l ' Insospettato; Louis Bourdaloue ( 1 632- 1 703; DS t. 2, coli. 109 1 - 1 905), molto legato a Crasset e che è il predicatore della corte. Di lui Bremond (t. 8, p. 352) ha detto questo, che vale per molti altri: «Mistico lui stesso, ma che si ignora, sia perché non ha saputo liberare la filosofia che la sua esperienza personale implica, sia perché, respinto presto da qualche termine insolito o troppo promet­ tente in apparenza, ha trascurato di approfondire gli scritti dei maestri» (cfr. R. Daeschler, La spiritualité de Bourdaloue, Louvain 1 927). - Viene subito anche Claude Judde ( 1 66 1 - 1 735; DS, t. 8, injra) attendendo Jean-Pierre de Caussade ( 1 675- 1 75 1 ; DS, t. 2, coll. 354-370) che libererà il segreto racchiuso per pru­ denza in questi discorsi.

In questa riserva moralizzante e reverenziale, si può riconoscere l ' indice di un problema più generale. È mancata una teoria che artico­ la queste esperienze. Ma non è certo che fosse possibile nel linguaggio sociale del tempo. 6. Il «cuore» e la politica l o La Colombière ( 1 64 1 - 1 682; DS, t. 2, coll. 939-943). In una lettera del 1 67 1 al confratello D. Bouhours, Claude de La Colombière si riferisce ad un capitolo della Vita di Dom Barthélemy des Martyrs ( 1 633, livre l , eh. 4) nel quale l ' autore P. Tho­ mas de Fossé (DS., t. 3, col. 1 752) mostra come il domenicano «unisce la preghiera e la meditazione alla scienza della teologia scolastica» ( CEuvres, t. 6, Grenoble 190 l , pp. 277 -279). Tratto significativo. I due corrispondenti, per altri aspetti così diversi, non sono più sensibili al grande progetto di una alleanza tra la teologia e la pietà quale l 'avevano definito Louis Bail (Théologie affective, 1 638- 1 650; DS, t. l , coll. 1 1 921 1 94), Louis Chardon (La croix de Jésus, 1 647 ; DS, t. 2, coll. 498-503) ; Guillaume de Contenson (Theologia mentis et cordis, 1 668; DS , t. 2, coll. 2 1 93-2 1 96). Essi partecipano a una generazione che non crede più ad essa. Per questi letterati integrati nella società del tempo tramite le loro attività e la loro cultura, questa «teologia» figura come estrinseci­ smo. Ormai la tensione si situa tra gli oggetti della scienza o dell 'azione e il vuoto dell'io, di cui i moralisti denunciano la vanità. Un desiderio si traccia, ma attraverso una critica indefinita dell' illusione. -

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L' acribia demistificatrice, appresa a fianco dei «raffinati», conduce La Colombière ad un riconoscimento che lo avvicina alla «povera gente», «senza lettere», e a «idioth> (Écrits, éd. A. Ravier, t. l , Paris 1 962, p. 97). Anche lo zelo apostolico è sospetto (p. 1 69), come il «fascino che si trova a mutare i cuori » : «restano piccoli luoghi e i villaggi» (p. 1 58) che rappresentano per questo letterato una geografia del senso. La fiducia rinasce al fondo del sospetto quando l ' impoverimento si muta in meraviglia davanti al gesto che giunge e dà senza condizioni.

2° Il Sacro-Cuore: spiritualità e politica - In un modo più marcato ancora, questa devozione privilegia la relazione del cuore ( l ' interiorità individuale) alla società civile (dove una maggioranza di cattolici vede ancora una figura della cristianità). In rapporto a questa articolazione dell' esperienza intima sull'organizzazione globale del paese, le media­ zioni ecclesiastiche perdono la loro importanza (per quanto ancora i difensori della devozione tendano a provvederla di una espressione pubblica; 1 672: ufficio e messa del «Cuore divino di Gesù» etc.). Nella letteratura, nell ' iconografia e nelle pratiche che, a partire da Mar­ gherita - Maria [Alacoque] (rivelazioni del 1 675), impiegano di nuovo e trasformano una tradizione molto antica, ricordiamo, dal punto di vista che ci interessa, solamente due tratti. l ) La devozione al Sacro-Cuore non riceve il suo carattere affettivo e dolori­ sta se non dal XIX secolo. Nel XVII secolo, connota piuttosto il dovere per il cattolico (cuore designa allora la persona e non, come nel Medioevo, la Chie­ sa), di partecipare alla «riparazione di onore» richiesta dalh «rivolta» del «popolo eletto» contro il bon plaisir, beneplacito del «re potente» che è Gesù. È una reazione davanti all 'evoluzione del paese. A partire c' 1.l 1 673- 1 675, in un vocabolario giuridico e politico ormai arcaizzante, la de vozione al Sacro­ Cuore associa il sentimento di una responsabilità (vi è un «disonore» da lava­ re) con una lettura provvidenzialista delle grandi crisi nazionali ( 1 688- 1 689 soprattutto), considerate come punizioni. Ispirata dalla speranza di «salvezza» che comporterebbe la restaurazione di un ordine politico cristiano, sarà sem­ pre più marcata dallo scacco di questa reconquista religiosa. 2) D' altra parte, il «cuore>> dà risalto nello spessore del mondo a uno spazio interiore in cui piantare i segni cristiani e professare la fede. Questa spazializ­ zazione dello spirituale riprende la problematica delle «dimore» (teresiane) e delle «residenze» (berulliane). Essa riproduce nelle rappresentazioni il lavoro che fonda dei «ritiri » . Il progetto di fare del vuoto nel (troppo) pieno sociale non crea, tuttavia, che un luogo utopico (o a-topico). Il cuore, luogo del para­ dosso, concilia i contraddittori (il cuore designa una cosa e il suo contrario) senza contenuto proprio. Traccia piuttosto una sfaldatura e una reduplicazio-

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ne in ogni essere (ciò che importa non è l ' uomo, ma i l suo cuore, non Dio, ma il cuore di Dio; ma anche il cuore di Dio è nell 'uomo; il cuore dell' uomo è in Dio; etc.); il cuore è l ' al di qua di ogni reale, il segno indefinito di una fendi­ tura, il non-luogo di ogni luogo. Nell ' immaginazione popolare, l ' essenziale è la separazione tra l'abisso inte­ riore e lo spazio mondano; è la corazza del cuore che si può o no traversare, colpire, aprire. Cfr. già Le coeur dévot (Douai 1 627) nel quale Étienne Lutzvic t 1 640 commenta le immagini di A. Wierix (DS, t. 4, col . 607). DS, art. Coeur (sacré), t. 2, coll. 1 023- 1 046; Cor, t. 2, coli. 2300-2307.- J. Le Brun, Politique et spiritualité: la dévotion au Sacré-Coeur, «Concilium» n. 69 ( 1 97 1 ), pp. 25-36; - Cl. Legaré, La structure sémantique de creur dans l 'reuvre de Jean Eudes, thèse ronéoté, 1 972.

3° La politica dei gesuiti La politicizzazione della vita religiosa sta come reciproco di questa interiorità, doppio invisibile della realtà individuale o sociale. -

Un indice : il ruolo giocato dai confessori del re, in particolare da François de La Chaise, confessore di Luigi xrv, per trentun anni ( 1 675- 1 709) e che eserci­ ta un 'influenza decisiva in tutta la Compagnia francese. La sua autorità debor­ da largamente da ciò che aveva previsto l 'ordinanza di Claudio Acquaviva sui confessori dei principi ( 1 602; lnstitutum societatis /esu, t. 4, Firenze 1 893, pp. 28 1 -284 ). Tale pratica coinvolge anche modifiche dottrinali: la «sottomissione politica» la vince sull ' obbedienza religiosa. Padre de la Chaise scrive nel 1 68 1 al suo superiore generale Gian Paolo Oliva che le ordinanze del re «obbligano in coscienza con un diritto più antico, divino ed umano, naturale e positivo» e prevalgono sugli ordini del Generale che obbligano solamente in «Virtù della pietà e dei voti spontaneamente contratti» (ARSI, Gall. 72, f. 68); il segretario romano riassume : «Jussa regis obligant ex jure divino et humano, naturali, positivo. Mandata superiorum ex voto suscepto» (ivi). [«l comandi del re obbligano per diritto divino e umano, naturale e positivo. I comandi dei supe­ riori in conseguenza di un voto accettato» (n .d.c.) ] . Qualche anno più tardi, una memoria collettiva dei gesuiti francesi afferma: «nella concorrenza di due comandamenti opposti fatti a un religioso francese, l ' uno da parte del re , l ' altro da parte del legittimo superiore [ . . . ], è un pecca­ to grave contro la religione, la fedeltà, e la giustizia obbedire al (superiore) generale o al superiore locale in pregiudizio del comando del re». Nel 1 698, al Collegio Romano si censura la tesi del gesuita spagnolo Juan Bautista Gormaz: «Religiosus plus tenetur oboedire suo regi quam praeposito genera­ li» [«Il religioso è tenuto maggiormente a obbedire al proprio re che al prepo­ sito generale» (n.d.c. )] (ARSI, Fondo gesuitico 672. f. 637).

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Sulla mistica

Sono questi casi estremi, ma dovunque un nazionalismo diventa la forma sociale della vita religiosa. Cfr. G. Guitton, Le Père de la Chaise, Paris 1 959; P. Blet, Jésuites gallicanes au xvue siècle, AHSI, t. 29, 1 960, pp. 55-84.

Questa politicizzazione si basa simultaneamente sulla teologia tra­ dizionale che ritiene il potere politico come mediatore di un ordine divino (il re è un «principio inseparabile dalla vera religione»), sulle teorie moderne che stabiliscono l ' autonomia del «naturale» e del dirit­ to positivo e, più ancora, sull 'esperienza quotidiana di una società in via di secolarizzazione. Essa è accelerata, nel corso delle controversie, dali' appoggio che, fine da Enrico IV, la Compagnia attende dal potere, ma è compensata da un rafforzamento delle pratiche religiose dentro le «residenze», da un rinvigorimento e dal farsi opaco del linguaggio spi­ rituale in quei luoghi sicuri, dove si sviluppano virtù silenziose. Questa combinazione, stabilitasi fortemente dall' inizio del secolo, va renden­ do sempre più difficile l 'elaborazione di un linguaggio spirituale nel XVIII secolo. L'esperienza si investe nelle pratiche: pratiche sociali o tecniche al di «fuori» , pratiche di pietà ali ' «interno».

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L' ENUNCIAZIONE MISTICA

Una nuova «forma>> letteraria appare alle soglie della modernità con testi che si danno il nome di «mistici». L' analisi si colloca al centro del campo che mette in risalto questo nome, considerandolo nel momento della sua maggio­ re formalizzazione - da Teresa d'Avila fino ad Angelo Silesio. Tale letteratu­ ra trova il suo luogo d' origine in una società instabile dove la tradizione si muta in passato. Essa risponde al bisogno di instaurare un dialogo. L' enunciazione che si distingue dall' organizzazione obiettiva degli enunciati, le assegna la propria formalità - specificata dall'instaurazione di un luogo (l' «iO») e da operazioni di scambio (lo «spiritO>>). Tra gli elementi caratteri­ stici, indicheremmo i preliminari del discorso (una rottura instauratrice di contratti), un proprio statuto (un luogo in cui parla lo Spirito) e una sua raffi­ gurazione nel contenuto (una immagine dell' «io»). Risulteranno così alcuni tratti del «poema» mistico.

Un luogo detto

La mistica del XVI e XVII secolo prolifera intorno ad una perdita: ne è la figura storica e rende leggibile una assenza che moltiplica la pro­ duzione del desiderio. Alle soglie della modernità, si segnalano così una fine e un inizio - una partenza. Questa letteratura offre percorsi a chi «domanda un ' indicazione per perdersi - Nessuno lo sa». Là si impara «come non ritornare» ' . Ma ben oltre le «erranze» inaugurali2, questa mistica si riferisce alla storia collettiva di un passaggio. Essa racconta un «occidente» della cristianità. Essa sembra nata al tramonto per annunciare un gior­ no non conosciuto e sparisce prima del mattino, perché la «disfatta dei

l Margherite Duras, India Song, Gallimard, Paris 1 973, p. 25 e Le Vice-Consu/, Gallimard, Paris 1966, p. 9, sulla mendicante che va infine verso il Gange, (tr. R. Munier) e sopranuno canuninatore.

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Sulla mistica

mistici» coincide con il momento in cui sorge il secolo dei Lumi . L' ambizione di una radicalità cristiana si delinea su un fondo di deca­ denza o di «corruzione» dentro un universo che si disfa e che bisogna riparare. Essa ripete nello spazio biografico tutto il vocabolario della Riforma ecclesiale: la divisione, le piaghe, etc . La fine di un mondo è l 'esperienza postulata da tutte le poetiche spirituali. Le loro traiettorie luminose e avventurose si stagliano in una notte da cui le ha fatte emergere una pietà che raccoglie tracce mistiche; esse si depositavano su questa pagina annerita, dalla quale dobbiamo nuovamente imparare a leggerle. Parlando di «notti», i testi rinviano dunque a una situazione gene­ rale, ma anche a modi di viverla come questione dell 'esistenza. Sono racconti di «passioni» di e nella storia. Relative a verità che si na­ scondono, ad autorità che diventano opache, a istituzioni divise o ma­ late , i mistici definiscono meno delle conoscenza, delle topografie o delle istanze complementari o sostitutive che un diverso trattamento della tradizione cristiana. Accusati (a giusto titolo) di essere «nuovi», legati e fissati alle circostanze («un altro ti legherà»), ma fondati sulla fede in un Inizio che viene sempre al presente, essi instaurano uno «Stile» che si articola in pratiche che definiscono un modus loquendi e/o un modus aRendi. L' essenziale non è dunque in un corpo di dottri­ ne (sarà piuttosto l 'effetto di queste pratiche e soprattutto il prodotto di interpretazioni teologiche posteriori), ma la fondazione di un campo in cui si dispiegano procedure specifiche: uno spazio e dei dispositivi . I teorici di questa letteratura pongono al cuore dei dibattiti che li oppon­ gono ai «teologi» o «esaminatori» dell'epoca sia le «frasi mistiche» (le «modalità di espressione», i «giri» di linguaggio, i modi di «piegare le parole» )3, sia delle «massime» (regole di pensiero o di azione proprie ai «santi», cioè ai mistici). La re-interpretazione della tradizione ha per caratteristica un insieme di processi che permettono di trattare diversa­ mente il linguaggio - tutto il linguaggio contemporaneo, e non sola­ mente la regione delimitata da un sapere teologico o da un corpo patri­ stico e scritturistico. Sono queste pratiche che organizzano l ' invenzio­ ne di un corpo di scritture mistiche. 3 A. Furetière, Dictionnaire universe/, 1 690. In Pasca!. analoga focalizzazione sul «modo di scrivere» e, in campo logico. sul modo di piegare le cose o «le proposizioni>> cfr. sulla retorica pascaliana Pierre Kuenz. Un discours nommé Monta/te, « Revue d'histoire littéraire de la France>> 7 1 ( 1 97 1 ). pp. 195-206.

V L'enunciazione mistica -

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Da una parte, il lavoro di andare oltre si articola su una tradizione deteriorata e resa opaca dal tempo; dall ' altra, da un universo di mes­ saggi (o di «misteri») da capire, si passa a pratiche di confine che trac­ ciano nel linguaggio un passaggio indefinito di scritture : questi due tratti specificano già la modernità delle formazioni che sono state, per due secoli, prodotte e teorizzate come «mistiche». Essi indicano poi un modo di entrare oggi in questi testi antichi, ritrovando il movimento che le loro scritture operano in un quadro scenico imposto dalle nuove questioni. Infine, ultimo preambolo, dietro i documenti giunti fino a noi, si può supporre un riferimento stabile (un 'esperienza o una realtà fonda­ mentale) che permetta di scegliere i testi a seconda di quanto essi manifestino o meno? Tutti questi discorsi raccontano infatti una pas­ sione di quel che è4, del mondo quale «si trova», o della cosa stessa (das Ding) - insomma una passione di ciò che si legittima da se stes­ so e non dipende da nessuna garanzia esterna. Sono spiagge offerte al mare che viene. Mirano a perdersi in quel che mostrano, come i pae­ saggi di Turner [Joseph Mallord William Turner ( 1 775- 1 85 1 ), acque­ rellista e poi pittore a olio inglese, famoso per le sue marine e per le sue atmosfere (n.d.c.)] che svaniscono all 'aria e alla luce. Sul modo del dolore o del godimento o di un lasciar essere (geldsenheit eckartiana), un assoluto (sciolto) abita il supplizio, l 'estasi, il sacrificio del linguag­ gio che indefinitamente non può dirlo se non cancellandosi. Ma quale nome o identità attribuire a questa «cosa» indipendentemente dal lavo­ ro, ogni volta locale, di lasciarla sopraggiungere? L' altro che organiz­ za il testo, non è un fuori testo e non è nemmeno l 'oggetto (immagina­ rio) che si distinguerebbe dal movimento attraverso cui l ' Es si traccia. Localizzarlo a parte, isolarlo dai testi che si esauriscono nel dirlo, si­ gnifica esorcizzarlo, attribuendogli un posto o un nome proprio, signi­ fica identificarlo ad un resto abbandonato da razionalità costituite o trasformare in una rappresentazione religiosa particolare (di volta in volta esclusa dal campo scientifico o resa un feticcio come sostituto di una mancanza) il problema che appare sotto la figura del limite5 ; signi4 Cfr. Ludwig Wittgenstein. Tractatus logico-philosophicus. 6.44: (tr. P. Klossoswsk.i, ldées, Gallimard, Paris 1 972, p. 1 73: «ciò che è mistico, non è il come del mondo, ma il fano che è»). 5 Cfr. Wittgenstein. Notebook.s 1914-1916, Harper Torchbook s, 1 969, 25.5. 1 925: «La ten­ denza (trieb) al mistico viene dalla non soddisfazione ( Unbefriedigtheit) dei nostri desideri da parte della scienza. Sentiamo che quand'anche tutte le nostre possibili questioni scientifiche fos­ sero risolte, il problema nostro non è toccato affatto>>.

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Sulla mistica

fica postulare dietro i documenti un non so che di indicibile, plasma­ bile a tutti i fini, «notte in cui tutte le vacche sono nere». È preferibile dunque attenersi provvisoriamente a quel che accade nei testi in cui «mistico» figura come l ' indice del loro statuto, senza dare in precedenza una definizione (ideologica o immaginaria) di quel che vi iscrive un lavoro di scrittura. Quel che è inizialmente in causa è la formalità del discorso e un tracciato (un camminare, Wandern) della scrittura: la prima circoscrive un luogo; il secondo mostra uno «stile» o un «passo» nel senso in cui, secondo Virgilio, «il suo incedere rive­ la la divinità»6. Vorrei dedicarmi a precisare questo luogo instaurato da una enun­ ciazione, lasciando ad altre occasioni la possibile analisi del percorso o dei «processi» mistici , produttori di una narrativa interminabile. Allora soltanto si avrà accesso a queste scritture che fondano il sogget­ to sulla loro propria sparizione (aphdnisis) in quel che di altro e illeg­ gibile si scrive nel proprio corpo. Una nuova «forma» epistemologica e letteraria appare, infatti, alle soglie della modernità, con testi che si danno il titolo di «mistici» e si contraddistinguono per questo da altri testi contemporanei o passati (trattati teologici, commentari della Scrittura, etc.). Da quest' ottica, il problema non è di sapere se un trattato esegetico di Gregorio di Nissa nasca dalla stessa esperienza di un discorso più tardi denominato «mistico» o se entrambi si costruiscano secondo procedimenti retorici parzialmente analoghi, ma di determinare quel che sopravviene nel campo che dà risalto a un nome proprio («mistico») e dove si effettua un lavoro sottomesso ad un insieme pertinente di regole. Un corpo può essere tenuto insieme per effetto di questo rapporto tra un nome (che si mbo lizza un luogo circoscritto) e delle regole (che specificano una produzione), anche se come in molti altri casi, il nome è utilizzato per raccogliere formazioni anteriori o differenti nell ' unità che esso isola (nel XVI e XVII secolo, si chiameranno «mistici» dei discorsi preesi­ stenti e si formerà così una tradizione mistica), ed anche se le regole della costruzione «mistica» organizzano alcuni testi molto prima di dar luogo a una propria combinazione (si constata infatti che le procedure qualificate come «mistiche» all 'epoca moderna si ritrovano sotto altre intestazioni in documenti anteriori o contemporanei). All ' inizio dell 'a­ nalisi, si isola dunque una unità «mistica» nel sistema delle differen6 Virgilio, Eneide, l, 405.

. Era nel momento della sua partenza.

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ziazioni dei discorsi, il quale articola un nuovo spazio di sapere? . Un diritto di praticare diversamente il linguaggio si obiettiva in un insie­ me di delimitazioni e di processi. Ci si potrebbe certo domandare quali contaminazioni di discipline a partire dal XIII secolo hanno reso possibile la configurazione in cui la mistica riceve la sua forma propria; e quali spostamenti, a partire dalla fine del XVII secolo, hanno provocato la distribuzione della mistica in altre unità. Bisognerebbe risalire agli instauratori, Meister Eckhart ( 1 260- 1 327) e, mezzo secolo dopos, Hadewijch d 'Anversa, per coglie­ re la costituzione progressiva di una formalità mistica; oppure seguire a partire da Mme Guyon ( 1 648- 1 7 1 7), Fénelon ( 1 65 1 - 1 7 1 5), o Amo l d ( 1 666- 1 7 1 4 ) , le tappe che segnano un tragitto verso altri generi. È par­ so preferibile installarsi subito al centro di questo campo dalle frontie­ re storiche mobili e considerarlo nel momento della sua maggiore for­ malizzazione - da Teresa d'Avila a Angelo Silesio. Vi sono modi mag­ giormente leggibili di funzionamento, e dunque la determinazione di un luogo; cosa che rende possibile successivamente una storia regres­ siva della sua formazione e uno studio delle sue metamorfosi. Analizzare così dei processi, «interpretare» (nel senso musicale del termine) questa scrittura mistica come altra enunciazione, è conside­ rarla come un passato da cui siamo separati, e non supporre che ci tro­ viamo nel suo medesimo spazio; è tentare di praticame, a nostra volta, il movimento, ripassare, sebbene da lontano, sulle tracce di un lavoro, e non identificare come un oggetto di sapere questa cosa che, passan­ do, ha trasformato alcuni segni in geroglifici. Significa restare all ' in­ temo di una esperienza di scrittura e conservare una sorta di pudore rispettoso delle distanze. Il lasciarsi condurre nelle periferie di un testo insegna già tragitti per perdersi (anche se si tratta di perdere solamen7 L'isolamento di questa verità appare già linguisticamente con il mutamento che trasferisce la parola dallo statuto dell'aggettivo a quello del sostantivo. Cfr. M. de Ceneau, Mystique au XVIi€ siècle, Le problème du langage mystique in L'homme devant Dieu. Mélanges o.fferts à H. de Lubac, Paris 1 964, n, pp. 267-29 1 [in questa stessa raccolta, l (n.d.c. )) e le note di Gotthold Miiller, Ueber den Begriff der Mystik, in 1 3 ( 197 1 ) , pp. 88-98. Bisogna precisare che, nel vocabolario del tempo, «mistico>> designa essen­ zialmente un trattamento di linguaggio; è [invece] (Lo Kabba/e et sa symbo­ lique. Payot, 1 966, p. 1 2); cfr. dello stesso «Mysticisme et société» in «Diogène>> 58 ( 1 967), pp. 3-28. L. Kolakowski pretendeva «trattare>> anche le idee e i movimenti mistici «come manifesta­ zioni dei conflitti sociali>> (Chrétiens sans Église, Gallimard, Paris 1 969, pp. 44-45), senza, però, mantenere la sua promessa. Sui rapporti tra mistica e società, i lavori di base sono Emst Troeltsch, Die Sozialleheren der chrisltichen Kirchen und Gruppen, Mohr, Tiibingen 1 9 1 23, (soprattutto pp. 848-940. «Die Mystik und der Spiritualismus») et Ivo Hollhuber. Sprache Gesel/schaft Mystik, Reinhardt, Miinchen-Basel 1963 (cfr. pp. 332-333: le sue tre tesi sulla «con­ nessione del linguaggio, della società e della mistica>>). 10 Lucien Goldmann, Le Dieu cachi, Gallimard, Paris 1 955, soprattutto pp. 1 55 ss.

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in Guienna), alla miseria dei nobili di campagna, alla svalutazione degli «uffici» parlamentari, soprattutto, a «tutto un contesto di media aristocrazia, ricca di vitalità e di bisogni spirituali, ma dall ' utilità e dal­ l' ufficio sociale ridotti» 1 1 , oppure, prima nel secolo, alle disillusioni di uomini della Lega compromessi (tali gli Acarie) o a quelli degli emi­ grati (così l ' inglese Benoit de Canfeld). La stessa geografia di appar­ tenenza, ad eccezione dei parlamentari, si ritrova altrove tra gli eremi­ ti 12. Ma a parte qualche mistico situato sulla via delle promozioni sociali (tale René d' Argenson, intendente 13), il maggior numero, fino a Margherita-Maria Alacoque 14, si trova nelle fasce mediane o nei «paniti» in declino. Dei riflussi sembrano lasciar scoperte le spiagge dove la mistica appare. Nella Spagna del XVI secolo, santa Teresa d ' Avila appartiene a una hidalgu{a priva di cariche e di beni 15; Giovanni della Croce, infermie­ re negli ospedali di Salamanca, a una aristocrazia rovinata e declassa­ ta, etc. Ma più che le gerarchizzazioni sociali, contano le discrimina­ zioni etniche, la raza. Ora, vicino alla tradizione marrana (quella delle gespaltete Seelen, anime divise, vite dissociatel6, che instaura una inte­ riorità nascosta), i «nuovi cristiani» convertiti il cui volto cristiano resta per i contemporanei la maschera dell'escluso, si trovano in modo cospicuo presso gli alumbrados, rappresentandovi le più alte figure: Melchor, i Cavalla, gli Ortiz, etc., e molte beatasl1. Oppure, rifiutati in alcuni ordini (Gerolimiti, Benedettini), sospettati dai Domenicani, I l Alphonse Dupront, V!e et création religieuse dans la France moderne, in La France et /es Français, Pléiade, Paris 1 972, p. 535. 12 Jean Sainsaulieu, Les ermitesfrançais, Cerf, Paris 1 974, pp. 47-83: la spada la vince sulla toga, tra gli anacoreti del XVII secolo. Parimenti molti uomini della Lega. 13 Miche! de Certeau, Politique et mystique: René d 'Argenson, in «Revue d'Ascétique et de Mystique» t. 39 ( 1 963), pp. 45-82 e Politica e mistica, Jaca Book, Milano 1 975, pp. 1 95-233. 1 4 Cfr. Jacques Le Brun, Politique et spiritualité: la dévotion au Sacré-Coeur, in «Concilium» n. 69 ( 197 1 ), pp. 25-36. 15 Cfr. Marie du Saint-Sacrement, Les parents de Sainte Thérèse, Paris 1 9 14. 1 6 J.A. Yan Praag , Gespaltete Seelen, (tr. spag. Almas en litigio). 17 Marcel Bataillon, Erasmo y Espaiia, Mexico 1 966, cap. 4 e Antonio Dominguez Ortiz, Los Judeos conversos en Espaiia y America, Istmo, Madrid 1 97 1 , pp. 1 49-1 66, che precisa le ragio­ ni di tale adesione presso i nuovi cristiani, neofiti, staccati dai riti e dalle superstizioni secolari,

portati a liberarsi del formalismo della sinagoga e poco desiderosi di caderne in un altro, mem­ bri di una classe disprezzata, affascinata dalla concezione erasmiana del corpo mistico (così opposto al razzismo grossolano, sotteso alla gerarchizzaz ione secondo la limpieza de sangre), let­ tori della Bibbia nell' ignoranza degli scritti scolastici, etc. ibi, p. 1 60. Cfr. anche dello stesso Las clases privilegiadas en la Espafia del Antiguo Régimen, Istmo, Madrid 1 973, cap. 1 3 «Las 6rde­ nes femeninas», pp. 32 1 -336.

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questi «disprezzati» divengono i grandi spirituali francescani (Diego de Estella), agostiniani (Luis de Le6n), gesuiti (Lainez, Polanco), car­ melitani o carmelitane (il nonno di Teresa d'Avila che era passato al­ l 'ebraismo, fu costretto ad abiurare nel 1 485)18. Da Juan d'Avila (che fa dell' università di Baeza l ' asilo dei «nuovi cristiani») fino a Molinos, una strana alleanza articola la parola «mistica» sul sangue «impuro» . Infatti, l ' incontro in loro di due tradizioni religiose, la prima rimossa e interiorizzata, la seconda pubblica ma appesantita dal proprio succes­ so, ha permesso ai nuovi cristiani di essere in gran parte creatori di un discorso nuovo, liberato dalla ripetizione dogmatica, così come nel XIX secolo, la massiccia adozione della cultura tedesca da parte degli Ebrei ha permesso innovazioni teoriche ed una eccezionale produttività intellettuale, effetti della differenza mantenuta nell 'esercizio di una lingua comune. Nella Germania, la mistica del XVII secolo è anche il risultato di uomini usciti da una nobiltà rurale impoverita (J.T. von Tschech, A. von Frankenberg, F. von Spee, Katharina von Greiffenberg, J. Scheffler alias Angelus Silesius, ed anche Daniel Cepzko dal suo am­ biente di lavoro) o da un piccolo artigianato urbano (J. Bohme, Q. Kuhlmann, J.G. Gichtel, I.L. Gifftheil, etc.) cioè dei due gruppi più sfavoriti dai progressi di altre categorie (la borghesia urbana in parti­ colare)I9. La loro decadenza si accompagna ad una maggior indipen­ denza dalle autorità religiose, e da una negazione del nuovo ordine. La Slesia, terra privilegiata dei mistici (Bohme, Franckenberg, Cepzko, Silesius) è, d ' altra parte, all 'Est dell ' Impero, la provincia che la Guer­ ra dei Trent' anni ha più duramente provato (dal 60 al 70% di perdite) e che è oppressa dal deterioramento della condizione contadina, dalla concorrenza economica della Polonia e della Curlandia, dali' alienazio­ ne politica dei suoi diritti sotto Carlo VI. Sette, teosofie e mistiche pro­ liferano in questi paesi diseredati dalla storia.

«1iempo y vida de Santa Teresa» in Santa Teresa de Jesus, Bac, Madrid 1 95 1 , t. l , pp. 1 62- 1 7 1 ; Narciso Alonso Cortes, in ( 1 947); e Gera1d Brenna, St John of the Cross. Cambridge 1 973. pp. 9 1 -95. 1 9 Cfr. Friedrich Liitge, Deutsche So::.ial- und Wirtschaftsgeschichte, Berlin 1 9663 ; J . B . Neveux, Vie spirituelle et vie sociale entre Rhin et Baltique au XVII sièc/e, Klincksieck, 1 967, pp. 330-359, 503-523. etc. Bemard Gorceix. Mystique et société: à propos de la mystique baroque allemande, in >. 22 Che il presente sia «sposato>> alla morte dipende da una esperienza più ampia. L'iconogra­ fia e la la letteratura del XVI e XVII secolo lo illustrano congiuntamente. Cfr. soprattutto A. Tenenti, La vie et la mort à travers l 'art du XV" siècle, A. Colin 1 952; M. Vovelle, Mourir autrefois, Gallimard-Juillard 1974; P. Ariès, Essais sur l 'histoire de la mort en Occident, Seui!, Paris 1 975.

23 Questa chiusura in un presente contraddittorio non è senza rapporto con la situazione anti­ nomica che, nel Brasile, dà luogo a movimenti messianici, ricerca di una «terza società che non è più la società tradizionale ma che non è nemmeno la società occidentale» : M. Isaura de Queiroz, Réforme et révolution dans /es sociétés traditionnelles, «Anthropos» ( 1 968). 24 Cfr. Miche! de Certeau, L'illettré illuminé, in . 28 Cfr. nota 24.

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lettuali convertiti ai «barbari» attestano lo smarrimento del loro sape­ re davanti al malessere che colpisce un sistema di referenze; confessa­ no fors' anche un tradimento dei chierici. Entrano interamente nel pen­ siero che consolava Ockam: promissum Christi per parvulos baptiza­ tos posse salvari29. Come Bérulle che saliva nella casupola di una serva, questi re magi vengono, tra i «piccoli», per sentire chi parla an­ cora. Il sapere abbandona le «autorità» testuali per trasformarsi in ese­ gesi di voci «selvagge». Produce innumerevoli biografie di povere «fi­ glie» o di «illetterati illuminati» che costituiscono un fondo importan­ te della letteratura spirituale del tempo. Qui ancora una tradizione u­ miliata, dopo aver esercitato una magistratura della ragione, attende e riceve dal suo altro le certezze che le sfuggono. Il discorso de/l ' enunciazione

Per situare il processo che sostituisce lentamente delle unità nazio­ nali politiche alla cristianità divisa e miniaturizza in sètte, «rifugi» e comunità «spirituali» l ' organizzazione sociale delle credenze univer­ sali, bisogna prendere una via più larga, evocando almeno l ' instabilità socio-politica e la frammentazione dei quadri di riferimento. Il «mo­ mento machiavelliano»JO e l ' «invasione mistica»J I infatti coincidono. L' impegno di costruire un ordine in mezzo alle casualità dei fatti sto­ rici (la questione di una ragione politica) e la ricerca per ascoltare nel linguaggio disfatto del mondo la Parola divenuta inudibile (la questio29 Dialogus in M. Goldast. Monarchia Sancti Romani lmperii, n. Francfort 1 6 1 4, p. 506. [>. 79 Cfr. le osservazioni di Didier Anzieu: «Creare richiede, come prima condizione, una filia­ zione simbolica rispetto a un creatore sconosciuto . . . >> ( Vers una mérapsychologie de la créarion in Psychanalyse du génie créateur, Dunod, Paris 1 974, p. 3). 80 Joe Bousquet, Mystique, Gallimard, Paris 1 973, p. 33. •

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ne perché è necessario». Egli fa strada a quell ' «avvenimento dell' av­ venire»s i , che è sottratto al tempo. Et soudain vient, fond sur nous une Étrangère l ' É veilleuse la Voi x façonneuse d 'hornrnes82.

Il componimento poetico fa quel che dice, creando esso stesso ciò a cui dà spazio. Ma come l 'arpista, nel Giardino delle delizie di Hiero­ nymus Bosch, preso nella sua arpa, le braccia in croce come se fosse in volo o sul punto di morte, rapito dal canto che lo rende estasiato, e folle perché prigioniero dello strumento, nel corpo, cioè, della voce altra, anche il poeta è sottratto dali' eccesso che nomina e non è nulla di nominabile. In Giovanni della Croce, il pastorello (pastorcico) feri­ to d ' amore sale nell' albero, dove, morto, in scrive con le sue braccia aperte tra i rami la «pena» dell ' amante: se ha encumbrado sobre un arbor do abrio sus brazos bellos y muerto se ha quedado asilo de ellos el pecho del amor muy lastimado8 3 .

Questa poesia non è dell'ordine di ciò che i mistici chiamano «scri­ vere», e che concerne il commentario o il trattato. Essa si scrive. Situata da tempo, e fino a Teresa, sotto il segno della «musica dell'angelo» un angelo che «dà corpo all ' avvenimento di una misura»s4 - essa giun­ ge prima dell'ora del lavoro, «all'avvicinarsi del levarsi dell' aurora»ss. 81 Manin Heidegger. Appmche de Ho/der/in, Gallimard, Paris 1 973, pp. 252 e 244. 82 F. Holderlin. Am Quelle der Donau (À la source du Danube) in F. Holderlin, Poèmes·

Gedichte, Aubier 1 943, pp. 360-36 1 . [«All'improvviso viene, piomba su di noil/ Una straniera// Che risveglia// La voce che foggia uomini»]. 83 Jean de la Croix, Poèmes mystiques, tr. B. Lavaud, Seuil, Paris 1 948, pp. 54-55: «è salito// su un albero dove ha aperto le sue belle braccia// ed è morto restando attaccato per mezzo loro// il cuore d'amore tutto lacerato». 84 Christiane Rabant. L 'enfer des musiciens, in Musique en )eu, Seui!, Paris 1 972, n. 9, p. 30. Cfr. anche Reinhold Hammerstein, Die Musik der Ange/, Bem-Miinchen 1 962 (sul Medioevo); Ernst Benz, Die Vision. Erfahrungsformen und Bilderwelt, Klett, Stuttgan 1 969 pp. 4 1 8-440 («Die himmlische Musik») sui rapporti tra la visione e la musica; il «visioniire Wort>> (pp. 4 1 34 1 7) è mediazione, come un'aria di cui si impone la forma 8 5 Jean de la Croix, Cantico. str. 1 41 1 5. In Holderlin la norninazione che dà pace giunge anch 'essa «prima che il mattino si illumini» (Elegia: Rientro). Cfr. Heidegger. op. cit. , p . 250. ,

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La «musica callada>>, la musica silenziosas6, viene dopo. Da dove? Kant parlerà dell ' «inizio rapsodico del pensiero». Qui, la poesia genera la possibilità di esistere (altro o altrimenti). Comincia. Vi è anche un ini­ zio dell' inizio. Dante racconta che la sua «lingua parlò quasi come per se stessa mossa» e che, sorto questo verso come un' aria, «lo ripuose ne la mente con grande letizia» «pensando di prenderlo per [ . . . ] comincia­ mento» di un poema a venire e già in attesas7. Giovanni della Croce dice delle sue poesie che talvolta Dio gliene dava le parole e talvolta le cer­ cavass, studiandosi a seguire il passo delle «parole date». Così distingue le «canciones» e il commentario (o «dichiarazione») il solo, propria­ mente parlando, che egli scrive. Mentre ogni scrivere è domanda d'a­ more, i «dichos de amor» partecipano di una «abbondanza e impeto» , inaspettati ed inspiegabili. Senza perché, il troppo di una «pienezza>> eccede lo spazio in cui si dà. «Ciò che si può spiegare» (de clara), non è che il meno, un effetto in un campo particolare (del linguaggio, di scambi e di questioni), una scrittura che forma uno dei «sensi» possibi­ li generati dalla poesias9. Analogamente per Surin, la «canzone», nel suo giungere Je veux aUer courir parmi le monde Où je vivrai comme un enfant perdu 90 ...

non è a lato della prosa, ma, nata dalla «segreta» di Bordeaux dove è stato rinchiuso il « folle, come il Cantico è nato nella prigione di To­ ledo, alimenta la prosa in cui essa appare in framme nti attorno ai quali prolifera il testo. Dove è dunque il poema? Donde conserva il potere di produrre un effetto d ' amore e di affetto nell 'anima»9I , da solo, senza spiegazione? 86 Ibidem. Questa .:musica silenziosa>> sanjuanista ritrova il concerto silenzioso di Ruusbroeck (Livre des dou::.e Béguines, cap. 14). Cfr. Helmud Hatzeld, Estudio literarios sobre mistica espafiola, Gredos, Madrid 1 955, cap. 2. 87 Dante, Vita nova, XIX, in fEuvres complètes, Pléiade, 1 965, p. 36. 88 «Unas veces me las daba Dios, y otras las buscaba yo» (cit. in Roger Duvidier, Le dyna­ misme existentiel dans la poésie de Jean de la Croix, Didier, 1 973, p. 1 27). 89 Cantico, PrOlogo, Vida y Obras, cit pp. 90 1 -902. 90 J.-J. Surin, Cantiques spirituels, Bordeaux 1 662, inizio del cantico v. [«Voglio andare a correre nel mondo// dove vivrò come un bimbo perduto... » (n.d.c.)]. 9 1 Cantico, PrOlogo; ibidem. Che il componimento poetico non basti, se ne ha un esempio tra mille, nella deposizione di Madre Francisca de Jes us al processo di beatificazione di Giovanni della Croce. Ella recitò molte strofe del Cantico, che, affermò, «le fanno una tale impressione che ella spande lacrime di devozione». Queste parole che «fanno in lei tali effetti» rinviano a una pra­ tica della poesia, e non a uno studio dei trattati (cit. in Duvidier, op. cit., p. 40). .•

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Sulla mistica

In che cosa è mistico? Tre questioni che si possono seguire in Giovanni della Croce. Per lui, le «canciones» discendono da un ' «ampiezza e abbondan­ za» (anchura y copia) che, dice, tocca (toca: brucia e penetra) da una fine all 'altra»92. L' eccesso di un fuoco, in tutti gli incontri possibili della storia. Nella Scrittura, questa abundancia è meglio garantita e più leggibile, ma non più reale ed efficace che nella poesia. È la stessa a «toccare» il poeta oggi e gli ispirati ieri. Da una parte e dali' altra, non vi è certo lo stesso riconoscimento ecclesiale, ma la stessa «impoten­ za» a farla sentire altrimenti che mediante «figure e similitudini estra­ nee». La poesia canta, dunque, dal luogo stesso da cui parla la Scrittura (più esattamente, è il luogo dove può «intendersi» ciò che si dice nella Scrittura»), ma non beneficia dello stesso statuto, non ne ha ricevuto la figura di alleanza ecclesiale, in modo che, se dall' interno, non vi è dif­ ferenza, bisogna tuttavia, per interpretare (declarar) la poesia nella Chiesa, cioè insegnare commentandola, che quella scrittura sia «con­ fermata» dali' «autorità» dalla Scrittura93. È in quanto interpretazione, in una posizione didattica, che il di­ scorso è sottomesso alla memoria, alterità storica o istituzionale. Come tale la poesia non ne dipende, analoga allo spazio altro, castello e «giardino di delizie», dove le lettrici di Teresa potevano «passeggiare senza permesso dei superiori». Autonomia radicale del testo poetico. A proposito delle sue visioni, poesie senza scrittura, Ignazio di Loyola non diceva forse che «Se anche non ci fossero state le Scritture per insegnarci quelle verità di fede, sarebbe pronto a morire per esse, uni­ camente per quanto aveva allora visto»94? Proposizione più ambigua, perché presuppone l ' identità tra ciò che ha «visto» e queste «verità» della fede, mentre l'esegesi cristiana della poesia o della visione è, per Giovanni della Croce, un effetto scrittura­ le e didattico, una delle tracce e uno dei «sensi» resi possibili d�lla «parole date». Queste «canciones», in principio separabili dalla loro «declara­ ci6n» , (anche se l 'evoluzione del commentario è senza dubbio legata 92 Giovanni della Croce traduce, con il suo modo forte e originale, un versetto del libro della Sapienza (8, 1 ). Il toque, penetrazione e bruciore, assorbimento, ha significato «sostanziale>> ; è un'impronta «della sostanza di Dio nella sostanza dell' anima» (Llama, stt. 2, v. 4, n. 2 1 ). Sul «toc­ co>>, cfr. Jean Orcibal, Jean de la Croix et /es mystiques rhéno-jlamands, DDB, 1 966 , pp. 70-76. 93 Cantico, Prologo, cit. 94 Ignazio di Loyola, Récit du Pèlerin, DDB , Bruges 1 956, pp. 70-75.

V - L'enunciazione mistica

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ai ritocchi del Cdntico95), si presentano ancora come poesie d'amore. I riferimenti religiosi sono cancellati dal suo contenuto: svuotamento dei nomi propri e di ogni referenziale, erosione del l ' illusione realista «cristiana» . Questo indice di ciò che fa poetica la poesia rinvia alla forma delle «canciones», o più esattamente al loro corpo fonetico. Una organizzazione di senso (erotico) serve qui di supporto a una organizzazione dei suoni (musicali)96. Inscritto nella tradizione del cantar en romance, il Cantico, sul ritmo della lira stanza (strofe di cinque versi, due di undici piedi e tre di sette) moltiplica le rime ric­ che, le assonanze interiori, le ripetizioni foniche in una struttura che rinvia anche le parole, i pronomi, i verbi dall' uno (te) all 'altro (me): musica di echi e immagini allo specchio, dove l' Amado si sdoppia, si spezza e si ritrova nello sguardo e nell 'avvento dell ' altro97 - ma quale? La regola saussuriana dell 'anagramma, o quella del paralleli­ smo che analizza Ruwet, privilegio del significante sul significato, si accresce del gioco tra quei nomi («ferite», «ricerca» , etc . ) che passa­ no dali ' una ali ' altra e fanno svanire la stabilità dei personaggi porta­ tori di questi blasoni. Iterazione cadenzata, «palilalfa generatrice»9s, sottile glossolalfa99, la poesia non si accontenta di decostruire il senso per farne una musi­ ca; ne permette la produzione. Il «gusto dell 'eco» , così risvegliato, fa «cercare un legame semantico tra gli elementi che nulla, precisamen­ te, lega semanticamente»wo, o rende possibile indefinitamente questa ricerca in eco. Non dice nulla. Permette di dirlo. A questo titolo, vero «inizio». Spazio liberatore dove le lettrici di ieri, ma anche noi, «noi» possiamo trovare parola. Le «canciones» non hanno posto il senso una volta per tutte, ma creato un luogo d'origine per «effetti d'amore». op. cit., p . 34. 96 Su questa organizzazione fonetica della poesia cfr. Julia Kristeva, Semeiotikè. Recherches pour une semanalyse, Seui!, Paris 1 969, pp. 246-277: «Poetica e negatività>> ; Jean Starobinski, Les mots sous /es mots. Les anagrammes de F. de Saussure, Gallirnard, Paris 1 97 1 (e la sua critica da parte di Iean Baudrillard, L 'échange symbolique et la mon, Gallirnard, Paris 1 976, pp. 283-308); Roman Jakobson, Questions de poétique, Seuil, Paris 1 973; Nicolas Ruwet, Parallelismes et déviations en poésie, in Langue, discours, société (coli. ) Seuil, Paris 1 975, pp. 307-35 1 , etc. 97 C'è , della visione. Per designarla, utilizzano piut­ tosto il verbo «vedere>> , che nomina un attore sempre operante. Ad esempio, diranno: Dio è Vedere . Da qui, il loro modo di esprimersi , u n po ' strano per noi. Secondo l e loro spiegazioni, i l soggetto ed il complemento di questo verbo non sono stabili: ruotano attorno a lui. Si può dire : «Noi vediamo Dio» o «Dio ci vede». È lo stesso. Il sog­ getto e l ' oggetto si rimpiazzano, interscambiabili e non assicurati, aspirati da un verbo dominatore. Chi vede ? Chi è visto? Non si sa più. Solo resta l ' atto, slegato, assoluto. Fonde in sé soggetti vedenti ed og­ getti vistP. Come potrebbe essere altrimenti? La differenza tra veden­ te e visto non regge più, se nessun segreto pone il vedente a distanza da ciò che vede, se nessuna oscurità gli serve da rifugio da cui co­ struire davanti a sé una scena, se non vi è più una notte da cui si stac­ ca una rappresentazione. Ecco che cosa sarebbe lo stupore abbagliante della fine: essere og­ getti e soggetti assorbiti nell' atto di vedere. Nessuna violenza, solo il dispiegarsi della presenza. Chiaro. Nulla di nascosto e, dunque, nulla di visibile. Una luce senza limiti, senza differenza, in qualche modo neutra e continua. Non è possibile parlarne che in relazione alle nostre adorate attività che in esse si annullano. Non vi è più lettura là, dove i segni non sono più lontani e privati di ciò che designano. Non c ' è più interpretazione, se nessun segreto la sostiene e la invoca. Non vi sono più parole, se nessuna assenza fonda l ' attesa che esse articolano. Le nostre occupazioni sprofondano lentamente in questa estasi silenziosa. Senza catastrofe e senza rumore, semplicemente divenuto vano, il no­ stro mondo, immenso meccanismo nato dalle nostre oscurità, finisce. È comprensibile che la paura si mescoli al fascino nei marciatori partiti alla ricerca della visione. Quale presentimento li precipita verso la chiarezza? Rimango incerto, né veramente so che cosa dire. A volte, ho cattivi pensieri. Mi immagino che questi pellegrini cerchino ciò che sono certi di non trovare. E poi, ecco, un bel giorno, un giorno acce­ cante, la cosa accade. Se ne escono, portano ormai questa morte abba­ gliante, muti per aver visto a loro insaputa. A volte mi lascio prendere 3 Cfr. J G v 3,2: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però, che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, per­ ché lo vedremo così come egli è». Cfr. anche JCor 1 3, 1 2: « . . Adesso conosco in modo imperfet­ to, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto». L"'estasi bianca" è un "pregustarnento" escatologico? (n .d.c.]. .

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Sulla mistica

anch ' io dal desiderio di vedere, suppongo come tutti. Dimentico gli avvertimenti dei nostri autori, perché, a conti fatti, scrivendo su una tale cosa sublime e terribile, essi se ne proteggevano e ci mettono in guardia. Si insinua allora l ' afferrare ciò che è senza di noi , il chiarore che eccede ogni divisione, l ' estasi che uccide la coscienza e spegne gli spettacoli, una morte illuminata - un «felice naufragio» dicevano gli Antichi. Ho conosciuto tutto ciò nel mio paese , dice infine il visitatore. Là, l 'esperienza di cui parlate è banale. Tutto è già stato raggiunto grazie alla chiarezza. Viaggiavo sperando di scoprire un luogo, un tempio, un eremo in cui far soggiornare la visione . Il mio paese si sarebbe imme­ diatamente trasformato in una terra di segreti per il solo fatto di esser­ si allontanato dalla manifestazione. I vostri dubbi mi rinviano però alla mia pianura senza ombra. Non vi è altra fine del mondo.

VII MISTICA

E

PSICANALISI

Perché una «favola » ?

C i s i è meravigliati pe r i l fatto che abbia intitolato «favola» uno stu­ dio sul misticismo cristiano1 • Perché una «favola»? Si tratta di un di­ scorso che ha la funzione di favola. Si trova dalla parte della parola. La mistica è centrata sulla pratica e sulla teoria del «dialogo», sia nella preghiera che nello scambio spirituale tra soggetti parlanti. Da questo primo lato, la mistica è relativa alla «favola», concerne il parlare, come mostra la sua stessa etimologia (jari ). È una scienza del parlare , una interlocuzione. Al suo inizio, implica una identità tra teoria e pratica della parola, tra discorso, cioè, e favola. Merita di essere sottolineata almeno una tra le caratteri stiche della favola. È «favola» il discorso che assume l ' indagine sulla questione dell' inizio, ed è un inizio. Nasce da una serie di interrogazioni del tipo: che cos 'è iniziare? Può esservi un inizio? In che modo prendono ini­ zio un 'esistenza, una parola, una storia? Nel linguaggio è favola ciò che è, al tempo stesso, atto di instaurare e atto del dire l' instaurazione. Una parola, dunque, che fa parlare, genera, dà linguaggio e chiarezza. È un discorso poetico, di nascita, di sorpresa. Non è garantito da quan­ to lo precede (una realtà che esso esprimerebbe, una dimostrazione che concluderebbe), ma da ciò che rende possibile, da ciò che inaugura, attraverso i suoi effetti. Corrisponde all ' interrogazione dei mistici, come la evocavo: vi è oggi un inizio? Si connette esattamente alla que­ stione del principio: Dio è, adesso, inizio? Nasce in questo momento? La scienza mistica ha come oggetto tali questioni. Ma si interessa ad esse in quanto sono esperienza presente, non come ad un lontano passato. Non mira a raccontare quanto ha avuto luogo un tempo, ma a dire ciò che oggi ha luogo. Da qui il suo rapporto essenziale con l ' at­ to di parlare che instaura un presente della lingua. La coincidenza del­ l ' inizio e del presente affida alla parola un ruolo centrale: «Se mi parli, l

Miche! de Certau, La Fable mystique (XVY-XVII' sièc/e), Gallimard, Paris 1 982.

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Sulla mistica

nasco» ; o ancora, «Se mi parli, esisto» . Da quest'ottica, ancora, il di­ scorso dell' inizio è favola, parola fondatrice. La differenza sessuale e l 'incesto

Il linguaggio mistico dice di un 'esperienza organizzata mediante la differenza sessuale e l ' incesto. Ma lo fa in modo trasgressivo e talvol­ ta scandaloso. La bisessualità è patente nel linguaggio mistico. Essa appare nella descrizione di Dio stesso. Un libro recente2 viene sottoli­ neando la rappresentazione di Gesù come madre presso i Cistercensi del XII secolo e i grandi mistici di Hefta nel XIII secolo. E dal xv al XVII secolo in una tradizione in cui la spiritualità ebrea e cristiana si incro­ ciano, Dio stesso ha la figura femminile della Sekina (la Sapienza). Vi sarebbero ancora altri esempi della femminilità di Dio. Ma ciò che col­ pisce nei testi mistici, è la permanente indecisione sessuale degli atto­ ri messi in scena da questi testi. In un certo senso, il discorso mistico si caratterizza mediante l ' in­ stabilità della differenza sessuale. È forse ciò che lo distingue dal di­ scorso erotico. L' «io» che parla nel discorso mistico, ad esempio in un poema di Giovanni della Croce, è talvolta maschile, talvolta femmini­ le. Vale lo stesso per colui di cui il poema parla, l ' amato o l ' amata. Tra i due resta stabile il verbo, cioè l ' atto: ferire, amare, implorare, prega­ re, perseguire, etc. Ma, talvolta, «egli» è Dio, talvolta è il mistico oppure la mistica. Non vi è stabilità, né nella persona del soggetto o del complemento del verbo, né nelle loro definizioni sessuali. Passano e ruotano intorno alla parola, come colti da vertigini mediante l ' atto che solo rimane, modalizzandosi in variazioni di cui continua a susci­ tare e a far scomparire gli stati successivi. Questa indecisione introduce forse all'incesto che sottende l 'espe­ rienza mistica, tale quale essa si enuncia, come rapporto della figlia al padre o del figlio alla madre . Si ha qui frequentemente una messa in corto circuito della differenza genealogica. La cosa permetterebbe di dar conto almeno parzialmente delle reazioni violente, di cui è ogget­ to il linguaggio mistico. Con il suo carattere incestuoso, questo lin­ guaggio trasgredisce un interdetto sociale, un interdetto più annuncia­ to che praticato. Tale proibizione concerne il simbolico di una società 2 Karolina Walzer-Bynum, Jesus as Mother, University of Carolina Press, Berkeley 1 982 .

VI/ Mistica e psicanalisi -

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più che non i suoi comportamenti, anche se è impossibile separare i due. Si ha il sospetto oggi, con la psicanalisi e l ' antropologia storica, che guardi innanzi tutto una frattura tra generazioni, ponendo da que­ sto il principio di un ordine simbolico e sociale. È incontestabile che l ' amore mistico abbia tratti incestuosi, nella misura in cui mira a superare la frattura genealogica, raggiungere o ritrovare una unione tra il padre (o la madre) e la figlia (o il figlio), superare così la classificazione che istituisce la società. Sprazzi di desiderio insensato punteggiano i testi mistici. L' interpretazione resta da fare, anche se è già ben chiaro e conosciuto che qualcosa di tale de­ siderio rinvii all ' originaria esperienza del seno materno. La mistica di Lacan

Mi ha indubbiamente segnato la lunga frequentazione di Lacan3. Da questo punto di vista, è importante sottolineare il ruolo della letteratura mistica nell 'opera di Jacques Lacan. Si dovrebbe tratteggiame il pae­ saggio: una formazione legata al cristianesimo, la conoscenza della tra­ dizione mistica legata a molte letture, grazie a un fratello benedettino e a diverse amicizie. Una cosa è certa, i suoi Seminari, come i suoi primi scritti, sono costellati da citazioni e referenze concernenti i mistici: sant'Agostino, Hadewijch d'Anversa, Meister Eckhart, l'Imitazione di Gesù Cristo, Teresa d'Avila, Giovanni della Croce, Angelo Silesio, etc. Lacan cancella, tuttavia, questi riferimenti nel momento stesso in cui li indica: mediante il rapporto con i mistici, pratica la sottrazione e l ' ellisse. Li ritira mentre avanza il loro nome, o meglio li presenta quasi mascherati sotto la figura, ritenuta orientale, ma di riferimento cristiano, del «maestro di verità» , figura che indica la posizione stessa di Lacan. Detto altrimenti, là vi è qualcosa di molto vicino, di troppo vicino per essere detto in maniera diretta, senza equivoco teorico. Ne va egualmente di «quello Altro che chiamo il Dio oscuro» dice Lacan, che, «è là . . . in quanto appunto è riconosciuto, ma non conosciuto» . La mistica, dagli inizi, appare così come un paese vicino e basilare le cui frontiere restano indecise e con il quale le relazioni sono difficili, quando non pericolose . 3 Si veda Miche! de Certeau, Lacan : une éthique de la parole, ( 1 982), ripreso nella sua rac­ colta Histoire et psychanalyse entre science et fiction, Gallimard Folio, Paris 1 987, chap. 8.

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Sulla mistica

Nel 1 973, in Encore, Lacan afferma a proposito della mistica: «Da quando ho vent'anni, non faccio che questo, esplorare i filosofi a pro­ posito dell' amore»; aggiunge, però: «Naturalmente , non ho immedia­ tamente centrato la cosa a proposito dell' amore». La questione esplo­ de con il seminario Encore ( 1 972- 1 973 ) , un tornante nell ' itinerario concettuale di Lacan, nel momento in cui il godimento della donna viene rivestendo un primo posto nella teoria. Si delinea una costella­ zione triangolare: la donna, l 'amore, l ' anima, con al centro il riferi­ mento ai mistici, a un «godimento che va al di là. « È chiaro, dice La­ can, che la testimonianza essenziale dei mistici, è appunto che la pro­ vano, ma non ne sanno nulla»4. Lacan rifiuta, secondo le sue stesse parole, di «ricondurre la misti­ ca ad affari di sesso», come cercavano di fare «ogni tipo di brava gente nell' entourage di Charcot e degli altri» . Una chiave della sua posizio­ ne è fornita da ciò che concerne l'anima. In Lacan, è ciò che permette a un «essere», un «essere parlante», di «sopportare l ' intollerabile del proprio mondo», «tenergli testa». Da questo, essa è posta come «Stra­ niera». Il suo coraggio e la sua pazienza non sono sottoposti alla legge delle cose. Si ha qui dunque un principio etico radicato nel rapporto che il desiderio intrattiene con l' impossibile. Una poetica del/ ' etica

Si potrebbe, d ' altra parte, mostrare l' orizzonte degli incontri tra la psicanalisi e la mistica: giust' appunto, quand ' anche la cosa sembrasse paradossale, si tratterebbe di una poetica, ma una poetica dell'etica. L'esperienza mistica si costituisce, infatti, mediante un rapporto del desiderio con l ' impossibile, avendo fondamentalmente per linguaggio un'esperienza poetica, un discorso che instaura effetti non legittimati, né da prove, né da una realtà di riferimento. Con questo, ritroviamo la «favola», mentre la ridefiniamo come una poetica dell'etica. Quale è il motivo in gioco in questa poetica? I mistici dicono di «credere» ; è un affermare che l ' Altro è inesauribile, che non smette mai di sopraggiungere, che con lui non ci sarà mai fine. È il principio di un inizio infinito, un postulato che apre a quel che non si sa, né si 4 J. Lacan, Il seminario, libro XX. Ancora, 1 972- 1 973. Testo stabilito da J.-A. Miller, Edi­ zione italiana a cura di G. Conti, Torino 1 983, pp. 74-75 (n.d.c.].

VII Mistica -

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psicanalisi

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saprà mai . Ma qui non ci riferisce alla conoscenza. I testi mistici, nel XVI e XVII secolo, nella notte e nell' accecamento dell'esperienza misti­ ca, parlano, in ultima istanza, di un «voler credere». Si «vuole crede­ re», come si protesta contro l ' ingiustizia e la tirannide. Una tale etica, una tale credenza che afferma la possibilità dell ' impossibile, dà luogo ad affascinanti sorprese, estasi, grazie, ferite che colpiscono il corpo­ spirito, come in teatro si battono tre colpi al momento in cui il sipario si alza su un altro spazio. Ma i mistici stessi criticano e pongono in secondo piano questo punteggiarsi di momenti poetici, di trasporti, nel nome stesso di una poetica, del tutto ordinaria, che sostiene il credere a un Altro e che chiamano «la via comune della fede» . Giungono, così, perfino a supporre che, buttati in un inferno che li separerà per sempre da ciò che farà il loro godimento, nonostante ciò, continueranno a cre­ dere in questo Dio perduto. In Freud e Lacan, si trova una analoga posizione. Ma la loro insi­ stenza va piuttosto all 'etica. Uno stile più austero accompagna un altro percorso dello spirito. La psicanalisi, infatti, non ha ancora chiarito gli aspetti della sua propria poetica, dal dire del cliente durante la cura fino al permanente ricorso dell'analista a testi letterari in quanto han­ no, come poetiche, valore teorico. Che Freud stesso non abbia smesso di garantire i tornanti del proprio cammino analitico con frammenti di poesie, punteggianti la propria prosa come doni che, precedendolo, i poeti gli facevano, questo illumina la sua opera, nutrita perpetuamen­ te da parole di spirito e che termina con l 'espandersi in fantastiche fin­ zioni teoriche, prospettando egualmente figure mitiche e poetiche. [Questo testo inedito ha una storia. Durante l ' inverno 1 984- 1 985, due giorna­ liste italiane, legate al settimanale «Panorama» (Mondadori, Milano), di pas­ saggio a Parigi, avevano partecipato, talvolta, al seminario di Michel de Certeau a l 'EHESS (École Hautes Études Sciences Sociales) e gli avevano chie­ sto di scrivere alcune pagine per una rubrica di «Panorama» in cui, ogni setti­ mana, presentavano i «grandi autori» della cultura contemporanea. Egli accet­ tò e indirizzò loro nell 'aprile del 1 985 questo testo nel quale abbozza alcuni temi del tomo 2 di La fable mystique allora in preparazione (volume rimasto incompiuto . . . ). Nel frattempo la redazione del settimanale era stata rimaneg­ giata, i principali responsabili avevano rinunciato, l'organizzazione delle rubri­ che era stata modificata. In una parola, il testo richiesto dalla vecchia direzio­ ne si perse nelle sabbie del rinnovamento. Pubblico tale quale il testo; mi sono limitata a porre i due riferimenti in nota e a aggiungere una nota 3 su Lacan (Luce Giard)].

VIII STORICITÀ MISTICHE

Uno studio storico sui mistici cristiani del XVI e XVII secolo si costruisce a partire da proliferanti e silenziose masse d ' archivio molte delle quali non si lasciano rinchiudere in biblioteche e musei. Si stac­ ca, come un testo che si innalza, tra le movenze di queste mille memo­ rie. Eppure esso stesso obbedisce ad una doppia attrazione. Mira, per metodo, a scoprire come i documenti «mistici» si inseriscano nella società di un tempo e quanto la rivelino; a situarli , dunque, in un insie­ me più vasto che faccia comprendere la loro singolarità, distribuendo in quadri coerenti le correlazioni stabilite sulla base delle unità e delle regole che un lavoro scientifico si dà. Sotto questo aspetto, mette in opera il postulato di una razionalità sociale, nella possibile congiun­ zione, cioè, tra un ordine e la storia. Il ricercatore può, però, analoga­ mente sperare che i suoi archivi abbiano a modificare gli strumenti di cui si serve per analizzarli e le questioni poste giungano a scombina­ re quel che domanda loro. Attende allora non solo i modi di rinnova­ re i propri modelli secondo un processo che caratterizza ogni ars inve­ niendi, ma l 'opportunità di ritrovarsi ai limiti dell'insolito. Ci si porta così verso il mare. Analogamente all 'esigenza di razionalità, l' attra­ zione dell' altrove è una componente (repressa o che seduce) della ricerca. Quel che sconta, è che infine, in questo paesaggio tra rovine, qualcosa «accade» . Questi due movimenti del conoscere non sono mai affatto separabi­ li. Lo sforzo per costruire con alcuni dati una attuale figura di intelligi­ bilità dipende, tuttavia, da un altro «interesse» (come dice Habermas) o da un diverso «stile» di pensiero rispetto all 'attenzione allo scarto che le cose potrebbero indicare nei nostri quadri concettuali. L'analisi isti­ tuisce un luogo nel quale la storia che costruiamo viene a competere con quella che può giungere da altrove a disturbare i nostri territori. ll rischio si gioca in termini di comprensione o di instaurazione. Sotto questo aspetto, lo studio storico mette in scena (una scena scientifica) il lavoro della memoria. Di essa rappresenta, ma in modo tecnico, un'opera contraddittoria. La memoria, infatti, ora seleziona e

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Sulla mistica

trasforma esperienze anteriori per adattarle a nuovi usi, oppure pratica l ' oblio che, solo, lascia posto a un presente ; ora permette il ritorno, in forma imprevedibile, di cose che si credevano già sistemate o passate (ma che forse non hanno età) ed apre nell ' attualità la breccia di ciò che non si sa. L' analisi scientifica ripete in laboratorio le ambigue ope­ razioni della memoria. Ora conforta, ora inquieta la legittimità dell 'or­ dine presente. Tra questi due stili, le regole di una disciplina non sono conclusive. Controllano la correttezza e l 'erudizione di uno studio, ma non decidono l ' interesse che lo anima. Il movimento che lo sottende sta alla tecnica come il senso sta alla correttezza della frase. La gram­ matica della storiografiai verifica il buon procedere del lavoro; non de­ termina la direzione che prende. È dunque consentito, nel campo storiografico, scegliere una di que­ ste direzioni e chiedersi a quali condizioni i mistici di un tempo pos­ sono ancora tracciare le loro proprie operazioni nei nostri laboratori . Simile interrogazione potrebbe riallacciarsi a una banale pratica dello stupore. Così un viso, un gesto o un paesaggio trova, grazie allo scher­ mo della televisione, uno spazio di visibilità in cui si manifesta, in det­ tagli sorprendenti, il repentino inizio di un altro mondo. Una tale appa­ rizione alla finestre dei media non sopraggiunge più, certo, come «la scrittura» che in tempi lontani «tracciava» sui muri del palazzo di Bal­ thasar le parole Mene, Tekel, Peres2. Lo storico non potrebbe contare su tale rivelazione (anche se la psicanalisi registra, a partire dal sogno fino al lapsus, manifestazioni così terribili o fantastiche, suscettibili di organizzare a propria insaputa il discorso della ragione). Somiglia maggiormente al cameraman o al pittore: installa una scena (un qua­ dro di ipotesi o attese) che possa restare impressionata dal non cono­ sciuto. La stessa meticolosità della sua pazienza prepara un luogo per l ' inscrizione di quel che non sa e la cui singolarità muta una sistema­ zione del pensabile. Questo effetto di inscrizione è la forma prima di ciò che chiamerei «la storicità» dei documenti antichi: si tratta del mo­ do con cui la loro storia comincia a restare impressa nella nostra, se­ gnando l 'apparato scientifico con il quale produciamo i nostri saperi.

1 Intendo per «Storiografia» lo studio storico. «la scrittura della storia>> per distinguere l ' ana­ lisi che ne è fatta dal suo oggetto (la storia). 2 Daniele 5,24-28. [Mene: Dio ha computato il tuo regno e gli ha posto fine. Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante. Peres: il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani (n.d.c.)].

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Il possibile intersecarsi delle pratiche storiche e delle produzioni mistiche è complicato per una difficoltà supplementare: le nostre richieste scientifiche si confrontano con documenti che dipendono, si dice, da una «scienza» , la scienza mistica3. Scienza strana, è vero. Nei secoli XVI e XVII, resta legata ai presupposti cristiani della teologia medievale, ma è privata ormai dell ' apparato razionale che un tempo li articolava in oggetti di pensiero; portata così ad esumare i postulati di una credenza che va perdendo i propri oggetti, deve sostenere il loro «fondamento» con altri mezzi : una pragmatica del dialogo, una retori­ ca del corpo-soggetto, una metodologia, forse anche una tecnologia sperimentale «moderna» . In ogni caso, prendendo sul serio tale riven­ dicazione di scientificità essenziale a proposito dei mistici, si introdu­ ce un equivoco nel concetto stesso di «scienza» . Da quale ottica esa­ minare il rapporto tra il nostro concetto e il loro? Problema di una sto­ ria delle scienze, quando guarda a sistemi epistemologici eterogenei (un «pensiero selvaggio») e non già più allo sviluppo, scandito da punti di non ritorno, che permette una base comune di postulati logici. Tale premessa mette in causa la possibilità di definire la ricerca che guarda ad una «scienza» costruita fuori dai presupposti che istituisco­ no i nostri saperi. Livelli successivi di analisi corrispondono ai differenti tipi di inscrizione di questa scienza nella nostra storia: l . a tutta prima, si pre­ senta una documentazione che attesta negli archivi e nei libri i mille modi con cui questi mistici sono stati trattati e accolti nel passato; 2. gli oggetti scientifici sono oggi separati in questo materiale perché una parte del l ' informazione prenda forma intelligibile dentro i nostri qua­ dri di pensiero. Si potrebbe allora cercare (oggetto di un articolo ulte­ riore) dove e come la scienza mistica manifesta, in operazioni specifi che, la propria pratica della storia. Questi registri, relativi a iscrizioni formalmente distinte, dovrebbero portare da quel che la storia ha fatto dei mistici fino a quello che essi ne hanno fatto. Tentare tale rovescia­ mento (con la mediazione di quanto ogni scienza pretende di fare della storia), è passare dalle tracce che una mistica ha lasciato nelle nostre storie ai modi con i quali essa stessa si dice e si fa - alla sua storicità propria. È interrogarsi su che cosa «accade» in questi documenti (mistici), come, cioè, leggerli per riconoscere ciò che «producono» e ­

J Miche) de Certeau, IA Fable mystique (XVI'- XVII' siècle), Gallimard, Paris 1 982, pp. 1 381 52: Il sostantivo di una scien:a.

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quel che, a questo titolo, sono capaci di istituire nello spazio epistemo­ logico delle nostre discipline di lavoro. Dalla loro estraneità (o da ciò che ne resta) può forse nascere qualcosa? l.

Una documentazione sociale

A un uomo desideroso di avventure che conta, sulla base di quanto ha letto o capito, di scoprire i ricchi tesori di saperi sconosciuti, la documentazione disponibile sembra togliere subito le illusioni. Essa è frutto dell' immenso lavoro che ha selezionato, trasformato e manipo­ lato materiali antichi prima che fossero sistemati nei depositi in cui i ricercatori li trovano. Lo storico lavora sempre di seconda mano nel senso che utilizza quanto chi lo ha preceduto ha già definito, impiega­ to nuovamente e cento volte dispiegato nei propri uffici o tribunali. Giunge poi nei cimiteri dove sono ammucchiati i resti abbandonati da tante operazioni precedenti. Assiste alla fine di mille storie singole. Ben l ungi dal circolare in un regno di antiche mistiche, sfoglia in silen­ zio un paesaggio frammentario di residui sociali. Tale esperienza demistificante ha valore positivo. Riporta la ricerca della mistica sul terreno delle realtà sociali, là dove i sogni sono cattu­ rati dai conflitti e le idee sono colpite dal loro tempo. A inventariare qualche aspetto di questi archivi che restano, vittime e testimoni della storia, si scoprono dunque gli elementari problemi posti dalla loro interpretazione; si evita di identificare con la «mistica» quei documen­ ti che sono inizialmente gli effetti di attività sociali. Questo primo «stato» delle questione demolisce nel ricercatore l ' arroganza ideologi­ ca o l ' impazienza del sapere riguardo ad un oggetto «nascosto»4. Un quartiere sospetto. I capitoli nei quali le disposizioni d 'archivio e delle biblioteche conservano i documenti da studiare rinviano innan­ zi tutto ad un lavoro di classificazione che, nei secoli XVI e XVII , ha separato la regione specifica, posta sotto il segno, globalmente peggio­ rativo, di «mistica». Lo stesso raggruppamento del materiale pone que­ stioni sulla funzione di tale identificazione socio-ideologica. Per quali fini ne utilizzava la designazione in una società retta dal rango e dallo status sociale? Quale arma essa forniva contro determinati gruppi e 4 Per questo rapido panorama, mi astengo dal citare fonti di archivio e le «serie>> implicate: indicare una qualche fonte sarebbe ridicolo.

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convinzioni? Reciprocamente, quale interiorizzazione essa provocava in persone definite come «mistiche», a titolo di quale «abbassamento di nascita» (come diceva Maria dell'Incarnazione) essi la accettavano, in nome di quale rottura con il mondo o di quale ambizione che sfug­ giva alle loro proprie gerarchie, se ne facevano forti? La mistica è una regione stigmatizzata, gravata da un nome tanto pesante come lo sono oggi quelli di «periferie» o di «immigrati» . Nell 'età classica, non face­ va fino risiedere in questo quartiere sospetto, anche se vi sono notevo­ li varianti, locali e cronologiche, nel valore loro attribuito. Il destino ulteriore della parola fa dimenticare che esso dipende dunque da una storia delle mentalità, ossia dai rapporti di forza che vengono a legitti­ mare alcune qualificazioni culturalis. Conflitti e violenze. In questi quartieri regna la violenza. I docu­ menti relativi alla «mistica» , nella maggioranza dei casi, provengono da procedure disciplinari (dottrinali, giuridiche, mediche, etc.) impe­ gnate ad esorcizzare i «danni» di una migrazione (reale o immagina­ ria) in rapporto alle autorità ecclesiastiche, civili o del sapere. Dal­ l ' inizio del XVI secolo fino alla fine del XVII secolo, dagli «alumbra­ dos» spagnoli fino ai «quietisti» francesi, i documenti formano un' im­ mensa letteratura di procedure, riguardante «complotti» , «minacce» e segrete «sovversioni» da esibire o reprimere6. Forse ci ingannano su quanto sia effettivamente avvenuto, ma è quel che raccontano. Un fatto persistente distingue nell' informazione i fenomeni mistici: sono ge­ neralmente indissociabili da dibattiti e lotte. Non ci sono mistici senza processi. È così, innanzi tutto mediante processi (regolari e pubblici, o interni ad un gruppo o selvaggi) che i mistici si fanno conoscere. 5 Il carattere peggiorativo d i questa denominazione, nei documenti, non è u n fenomeno tar­ divo dovuto ad un «antimisticismo>> della fine del XVII secolo. Dal XVI secolo, la caccia agli «alumbrados>>, la messa all ' Indice di opere di spiritualità, i dibattiti sui Reno-fiamminghi, etc. attestano dappertutto il sospetto che grava sulla «mistica>>. Se, durante un periodo, la referenza platonica vale a questo termine un prestigio nelle diverse scienze alchemiche o ermetiche (cfr. Wayne Shumaker, Occult Sciences in the Renaissance, Univ. of California Press, Berkeley 1 973), l ' autonomizzarsi della «Scienza mistica» non ha smesso di suscitare (come un nuovo Stato che non giungesse a farsi riconoscere) iniziative per scomunicarla o per riportarla alla teologia. Già H. Bremond ha evocato questa storia (Histoire littéraire du sentiment religieux, t. XI). Essa, tut­ tavia, non è solamente il contrappunto di una «invasione mistica>> ; la domina e la avvolge. 6 Cfr. per esempio Alvaro Huerga, Historia de los Alumbrados ( 1570- 1630), Fundaci6n uni­ versitaria espaiiola, Madrid 1 978, 2 t.; Antonio Marquez, Los Alumbrados (1525-1559), Taurus, Madrid 1 980; etc., e d' altra parte, Louis Cognet, Crépuscule des mystiques, Desclée, Toumai 1 958; Jacques Le Brun, La spiritualité de Bossuet, Klincksieck, Paris 1 972, pp. 439-695 («> ).

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Un ' ostilità è legata a questi testi sull ' amore, come se non giungesse a staccarsi da essi ; spesso essi stessi si amplificano in apologie e pole­ miche ali ' indirizzo del «mondo» . Questi racconti , tutti vivi di passio­ ni, appaiono legati (inchiodati?) a una violenza della storia. Questo clima di «crisi» denota indubbiamente un elemento essen­ ziale. Le grandi e piccole tragedie mettono in causa più i soggetti che gli enunciati. «La tua esistenza deve cambiare», dicono le voci che si innalzano, «e non le proposizioni, che si conformeranno poi alle tue scelte». Non vi è più spazio autonomo dove discutere obiettivamente di verità e prove. «0 ti converti , oppure rifiuti la vita» . Il comando fa discepoli o avversari. Un simile diktat riprende l ' antico processo bibli­ co tra YHWH e il suo popolo, ma la contestazione che oppone voleri contrari tra interlocutori , conserva negli archivi caratteristiche tipolo­ gie di procedimenti giudiziari, di condanne, di carcerazioni che difen­ dono la (supposta) neutralità di un diritto comune o della ragion di Stato. Gli innumerevoli «affari» che segnano ancora le apparizioni pubbliche della mistica non rappresentano che un aspetto legale e par­ ziale di questi confronti, affiancati a rumori , denunce, dibattiti e so­ spetti che riempiono cronache e corrispondenze private e segnalano i fenomeni mistici nei villaggi o nelle città. Intorno ai «santi» si risve­ glia una quotidianità selvaggia. Si direbbe che essi guardano in ogni gruppo ad una fragilità dell ' istituzione o ad un dolore dell'esistenza (quali rinunce, quali nostalgie, quali desideri impossibili?) e che nello scuotere non si sa quale equilibrio muto, hanno da subire una anonima penalizzazione che continuamente li mette alla prova, mentre li defini­ sce. Loro tramite, si manifesta forse un «furore» originario, latente in ogni società -, violenza temporaneamente sedata dall' «ordine» che si rimprovera loro di turbare7. Rumori di un altro corpo. Paralleli a tutte queste febbri sociali, stra­ ni fenomeni fisici popolano gli archivi. Non corrispondono alle malat­ tie delle quali le «idee» conosciute e definite dalla medicina, articola­ no allora un sapere cosmo-antropologico. Non si tratta nemmeno di corpi sofferenti o gaudiosi, ma di organi sconvolti , di teste piene di 7 Quel che risvegliano intorno a loro è analogo a quanto sperimentano in loro stessi: una «passione• prima che chiamano «collera», «furore», o «odio• e deborda dalla scena individuale. come un «eccesso» originario di cui testimoniano anche le relazioni sociali. Le alternanze della sfida (un rischio) e del dolorismo (un patire) rimandano a un fondo primario sado-masochista. Sono effetto di una «discesa.. alle radici dell 'esistere ed attestano una visione non idealista della vita umana.

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dolore, di membra ferite, di calori o pustole locali, di firme corporali, cioè, isolate, che hanno forma di eccessi «straordinari». «Confessioni» o «osservazioni» dispiegano una fenomenologia, dispersa, ma inesau­ ribile, di «singolarità» fisiologiche (piaghe, incisioni, perdite di san­ gue, gonfiori , levitazioni, distorsioni fisiche) o sensoriali (tocchi inter­ ni, disgusti , allucinazioni olfattive, uditive o visive). Da documento a documento, cresce l 'estensione di questi frammenti corporali , come un mare coperto di relitti che risulterebbero le reliquie del futuro: non so­ no, infatti, residui sacri di corpi scomparsi, ma segni locali di un corpo che verrà, «spirituale» , che si impianta, già qui o là, in tatuaggi strani, come un esser-là muto, come atto anonimo di un altro corpo. Questa teratologia presuppone, invisibile, una curiosità instancabi­ le di testimoni, di biografi o di giudici che notano i più piccoli dettagli di eventi fisici e delle loro sottili varianti . Gli eccessi corporali sono distinti davanti ad occhi avidi. Nei conventi stessi, una abbondante let­ teratura necrologica presenta l ' inventario minuzioso di «mortificazio­ ni meravigliose» , di malattie e di miracoli barocchi, o di agonie sorve­ gliate, giorno dopo giorno, dagli sguardi della famiglia religiosas. Di quale dolore sono prigionieri questi sguardi? A quali anatomie fanta­ stiche si legano? Accumulate a partire da fonti differenti (religiose, mediche, giuridiche), questa moltitudine di «particolarità» rinvia ad una drammaturgia corporale della società. Collazionando tutti gli indi­ ci fisici di «combattimenti spirituali», si compone, con «blasoni» che oggi hanno dell 'osceno, un teatro de Ha crudeltà. Il ricercatore è preso da un disagio (forse a causa stessa delle com­ plicità che i documenti insinuano nel suo lavoro solitario); se si sottrae a tale vegetazione fisiologica, è grazie ali ' attività tecnica che deve eser­ citare per registrare e classificare il materiale fornito sul «terreno». Ma cosa gli rivela dunque tale inventività corporale posta sotto il segno della mistica? Ogni giurisdizione, nel passato, ha preso indubbiamente la sua rivincita sui radicalismi spiritual i, cogliendoli dal lato in cui le loro «malattie» (d ' amore o di disperazione) le davano la possibilità di un potere giudiziario o terapeutico. In modo particolare, i dolori e i godimenti dei «santi» sembrano aver fatto uscire allo scoperto un sadi­ smo collettivo elementare che provvedevano di un linguaggio il quale corrispondeva loro fin troppo bene. Nel lessico corporale degli «stati» 8

Cfr. ad esempio, Jacques Le Brun, L 'in.stitution et le corp 1 ' · ·tu de la mémoire, «Corps

écrit•> n. I l , pp. 1 1 1 - 1 2 1 .

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nnst1ci si gioca in ogni caso la relazione patologica che una società intrattiene con se stessa. Gli archivi introducono una visione nietzschia­ na dei corpi sociali, jnterrogati sulla loro propria identità dalle loro «malattie» interne, cioè da tutti quei luoghi pericolosi dove gli organi cessano di essere silenziosi per far uscire rumori inquietanti. I fenome­ ni mistici vi manifestano, infatti, questi rumori insensati, venuti da altrove (è l ' angelo, è la bestia?) e percepiti come problemi, oppure minacce per la coscienza che il corpo sociale ha di se stesso. Legittimità sociali. La documentazione riserva ben altre sorprese al visitatore che, partito in cerca di saperi mistici, scopre a poco a poco i sintomi dell ' incrociarsi di politiche dell 'ordine e «passioni» sociali che esse esprimono, regolano o rimuovono senza conoscerle. È la sco­ perta che l 'esperienza mistica potrebbe inizialmente ben caratterizzar­ si per il suo accollarsi scommesse fondamentali sepolte nel fondo della vita collettiva. Comunque sia, per sfuggire a questi rumorosi conflitti di corpi che una concezione idealizzata della mistica considera come melmosi sentieri della storia, si può tentare di separare da essi le opere maggiori nelle quali si espone una «scienza mistica» : Teresa d'Avila, Giovanni della Croce, Maria dell 'Incarnazione, Angelo Silesio, etc. Là brillerebbero i castelli di cristallo della vera scienza. Queste opere sono state, infatti, assunte con il titolo di «mi stiche» e selezionate da istituzioni (una Chiesa, una setta, una casa di edizioni). Sono state «messe in luce» e difese da gruppi di pressione nel corso di lotte tra tendenze diverse9. Si sa a quale silenzio siano stati sottoposti i testi che non beneficiavano del sostegno di un Ordine religioso o di una rete di poteri I O , ed anche come siano stati vittime di questo appoggio, quando ne beneficiavanol l . 9 Basti evocare i dibattiti appassionati di cui le opere classiche sono state, al tempo stesso, oggetto ed espressione Teresa d'Avila, Giovanni della Croce, Benoit de Canfeld etc. Cfr. Enrique Llamas Martinez, Santa Teresa de Jésus y la inquisici6n espaflola, Consejo Superior de investi­ gationes cientificas, Madrid 1 972; Jean Krynen, Le Cantique spirituel de Jean de la Croix com­ menté et refondu au XVII'" siècle, Salamanca 1 948; Jean Orcibal, w Montée du Carme/ a-t-elle été interpolée ?, > sia,

di «parlare a coloro che governano» (Libro de la Vida, cap. 2 1 ). Cfr. gli studi

Mysticism and Dissent (dovuti a Steven Ozment , Yale University Press 1 973) che risale a Engels (La guerra dei contadini) e a Emst Bloch (Miintzer. teologo delle rivolu::ione) e si ritro­ va fino a Perez Zagorin. Rebels and Rulers, 1500- 1660, Cambridge U n iversity Press, 1 982. 34 Vi è tutta una letteratura sull' argomento, ivi compreso quello che fa della persona regale il teatro per eccel le nza del confronto tra !'«anima» e il «potere». Cfr. J.E. Pocock, The Ma­ chiavelian Moment, Princeton University Press, 1 975 e H. Blumenberg, The Legitimocy of the Modem Age. Mit Press, Cambridge (Mass. ) 1 983, pp. 1 23-226. 35 Cfr. Mare B loc h , Les Rois thaumamrges ( 1 924), Paris 1 983, pp. 327-379. 36 Cfr. la sua lettera del 1 8 sett. 1 577 a Filippo u e Las Fundaciones, cap. 29. 37 Cfr. Jean-Louis Thireau, Les idées politiques de Louis XIV, PUF, Paris 1 973, pp. 33-56. 3 8 Si può estendere ai mistici la tesi (troppo unilaterale) di Micbael Walzer, The Revolution ofthe Saints, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1 965. David Hume nella sua History of England, aveva, d' altra parte, già analizzato questa portata politica - e, per lui, il pericolo ­ del l ' «entusiasmo» (cfr. L. Bolgie, David Hume. Prophet of the Counter-Revolutio11, Oxford 1965, pp. XII-Xlii ). sul tema

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gia, chimica dell' umano, scruta i meccanismi «elementari» della vita sociale e mira alla loro razionalizzazione. Essa costituisce il laborato­ rio centrale di una nuova politica. Ad essa tocca anche il compito di spiegare, nei termini di una problematica ancora pionieristica, i feno­ meni divenuti marginali, se non aberranti, della mistica. Nulla di sor­ prendente che questi fenomeni dipendano progressivamente dalla pa­ tologia, settore di élite dove ci si impegna, nel nome della psicologia e della medicina scientista, a comprendere e a curare ciò che «resiste» all ' avanzare della Ragione. Per il Dr. Michéa, nel 1 87 1 , non è così lon­ tano il tempo in cui l 'estasi, «che è sempre uno stato morbido», «non era completamente entrata nel girone della patologia»39. Al tornante del secolo seguente, essa vi rientra certamente, con i rapimenti, la lie­ vitazione e tanti altri «turbamenti», prima di tutto sotto la categorie del­ le «manie» («teofanie», «demonomanie», etc.) che designano zone a­ normali ancora da esplorare per scorgervi, dapprima, delle «affezioni» maligne, poi delle «costituzioni» patogene. E la storia che fornisce il quadro in cui si inscrivono «osservazioni» sempre più precise, con una semiologia degna di risalto e spesso successivamente ineguagliata. Altro elemento determinante di queste analisi: il loro carattere «obiettivo». Un taglio anatomico dei «fatti» permette di reperire le loro combinazioni e di stabilire dei «quadri» , ma li sottrae alla loro funzio­ ne di essere il lessico di un linguaggio parlato e di inscriversi nelle pratiche interrelazionali dove l'osservatore stesso si trova implicato. Non sorprende dunque che la concezione «patologica» di tali fenome­ ni, isolati dal processo dell ' interlocuzione, raggiunga, per molti aspet­ ti, la critica così frequente presso i mistici del XVI e XVII secolo, degli «stati» (visioni, estasi , etc.) ai quali lo spirituale si ferma, come se fos­ se «questo» l 'esperienza divina, e che le «malattie» dell ' anima diven­ gano quelle d'essere protetti così contro il necessario superamento («non è questo, né quello»). In modo analogo, colpisce che l'osserva­ zione psicopatologica, quando è abbastanza lunga e attenta da lasciar apparire nel loro movimento gli effetti dello scambio tra soggetti, prenda di nuovo l ' andatura di una «direzione spirituale» - fatto che già colpiva Freud40. Così la celebre opera, De l 'angoisse à l 'extase ( 1 926), 39 Dr. Michéa, art. Extase, in Dr. Jaccoud (éd.), Nouveau dictionnaire de médicine et de chi­ rurgie pratique, Paris 1 8 7 1 , t. XIV, pp. 337-347. È attento in modo particolare alla Nosologie méthodique de Boissier Sauvages, tr. Gouvion, Lyon 1 772. 40 «l nostri predecessori ( Vorgiinger) in psicanalisi, i direttori di coscienza cattolici>>, scrive­ va a Pfister il 1 8 marzo 1 909 (S. Freud-O. Pfister, Briefe, S. Ficher, Frankfurt/Main 1 963, p. 1 8).

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consacrata da Pierre Janet a quella «Maddalena» che, dice, ha «segui­ to per ventidue anni» . Analizzata come un caso di «astenia da costitu­ zione», è una «mistica» strana: nata in una famiglia borghese del Nord della Francia, partita a diciotto anni per partecipare in Germania alla vita del proletariato (nel 1 872, dopo la guerra del 70 e la Comune), poi vagabonda, operaia occasionale e imprigionata molte volte a Parigi dove rifiuta ogni legame con altri vicini che non fossero «miserabili» , terminata, infine, a Bichat, a Necker e alla Salpetrière ( 1 896). Ella affascina il suo osservatore, per il quale scrive più di 2000 pagine indi­ rizzate a «mio padre». Pia, estatica, ma allergica ai preti, restaura sulla scena stessa della psichiatria quei dialoghi mistici in cui il «direttore», fosse Francesco di Sales o Fénelon, diveniva il discepolo e l 'interpre­ te di colei che dirigevano. Le novecento pagine che Janet dedica alla scienza e a Georges Dumas tradiscono la conversione dell'oggetto pa­ tologico in racconto di una relazione il cui carattere dialogico è appena velato dal pudore del medico. È ali ' ospedale dove, malata simile a tante eroine di Bremond, la mistica parla4I . B . Oggetti in transito. Il fenomeno si muove e si trasforma nell ' am­ biente che gli è stato assegnato. Bisogna, dunque, formalmente circo­ scrivere quanto si intende per «mistico» . Fatica di Sisifo: l 'oggetto non cessa di ricadere fuori dal luogo teorico dove lo ha posto una defini­ zione. Tipico a questo riguardo, è il dibattito che impegna, da mezzo secolo, la riflessione americana. Semplificato ali ' estremo, mira a de­ terminare quali elementi possono riassumere tante esperienze diverse e a quale livello di analisi riconoscere quel che le unifica. Il lavoro comincia, sicuramente, con delle investigazioni psicologiche. Nella tradizione americana che ha sempre considerato il «sentimento religio­ so» come più fondamentale o «elementare» delle diverse Chiese in cui può alloggiare, William James caratterizza l' «esperienza mistica» at­ traverso quattro tratti specifici: l ' ineffabilità, la qualità noetica, la forma transitoria e la passività42 - descrizione di una fenomenologia più rigorosa della riduzione praticata più tardi da James Leuba che riconduceva i fatti mistici ali ' estasi e quella, ad una «incoscienza» 4 1 Pierre Janet, De l "angoisse à l 'extase ( 1 926), Société Pierre Janet, Paris 1 9752, 2 voli., pp. 43 1 e 480. 42 William James, The Variety of Religious Experience ( 1 902), The New American Library,

New York 1 958, pp. 292-328 (Misticismo).

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compatibile con ogni tipo di ideologizzazione secondaria, conforme al sito culturale del rapimento·B. Quando Zaehner, nel 1 957, riprende questa descrizione, ne fa la prova di un teismo e l 'emblema sperimentale di una presenza divina. Stabilendo dei caratteri che suppone costanti , pensa di isolare un feno­ meno che passa attraverso le antinomie istituzionali, le diversità socio­ storiche ed, anche, l' opposizione tra «sacro» e «profano» . Riconosce dunque la manifestazione positiva di una realtà universale44. È prende­ re una interpretazione per la Cosa stessa. Lo spostamento è notevole: la descrizione fenomenica di James viene trasformata da Zaehner in indicatore e prova di uno spiritualismo; assicura ali 'unità la vittoria sulle differenze («abissali» per R. Otto)45 che separano tra loro le intui­ zioni mistiche. La stessa concezione monista di una esperienza identi­ ficata ad un «nucleo un iversale» , si ritrova presso W.T. Stace46 o, no­ nostante le sue riserve quanto a Zaehner, in Nimian Smart, per il quale la mistica è «dovunque fenomenologicamente identica» per quanto si debba tener conto delle varianti «estrinseche» attribuibili ali' auto­ interpretazione dei visionari nei loro propri contesti socio-culturali47. In quanto mistica, l ' esperienza non appartiene né alla storia né alla sociologia. Antibabelica per essenza, restituisce ali ' Uno il suo linguag43 James Leuba, The Psychology of Religious Mysticism, London·New York 1 925. che ha avuto l 'onore di essere tradotto in francese da Lucien Herr. Era stato prima pubblicato in france­ se Les tendances fondamenta/es des mystiques chrétiens, «Revue philosophique>> juillet et no­ vembre 1 902: H. Delacroix (Études, pp. 38 1 -397) riteneva allora la «teoria>> di Leuba come «la più penetrante e larga>>, ma, maggiormente filosofo, all ' «incosciente» che l 'americano poneva al centro della sua , sostituiva l' «appercezione irrazionale di un volere e�senziale, sparso in tutta la natura e che la natura ripete in innumerevoli variazioni, come la mu' i ca scandisce i movi­ menti di un' anima>>, op. cit. , p. 389. È con I , oa più che non con James c > con . 44 R.C. Zaehner, Mysticism, Sacred and Profane ( 1 957), Oxford University Press, 1 978. L'opera si ispirava ad Aldous Huley (The Doors of Perception, Chatto and Windus, London 1 954) e a Jung. 45 R. Otto, Mystiques d'Orient et d 'Occident, tr. J. Gouillard, Payot, Paris 1 95 1 , soprattutto pp. 1 44-2 1 3 . sulla« differenziazione del sentimento mistico>> e le «differenze>> tra i mistici, a pro­ posito di S ankara e di Meister Eckhart. Un grande resto, sempre da meditare. 46 W. T. Stace, The Teaching of the Mystics. New York 1 960, e soprattutto Mysticism and Philosophy, Philadelphia 1 960. Cfr. già Mysticism di E. Underhill (London 1 9 1 1 ) che ha reso popolare tutta una corrente. 47 Nimian Smart, /nterpretation and Mystical Experience, in Religious Studies, t. 1 / 1 , 1 965. Cfr. dello stesso «Mystical Experience>> in W. H. Capitan-O. Merril (eds.), Art, Mind and Re­ ligion, Pittsburg 1 967, pp. 1 33- 1 58 e History of Mysticism in P. Edwars (ed.), Encyclopedia of Phi/osophy, New York, vol . 5 . ..

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VIII - Storicità mi.'ìtiche

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gio primo. La psicologia è divenuta lo strumento d i una teologia fon­ damentale. Contro questa tendenza, già criticata da R. Otto e portata a suppor­ re la mistica «senza patria»48, Steven Katz ha innalzato «una difesa per il riconoscimento delle differenze» : rifiuta analogamente la possibili­ tà, per un comparativismo, di assimilare il linguaggio di una tradizio­ ne spirituale a quello di un ' altra, e per una fenomenologia, di postula­ re che una stessa «intenzionalità linguistica» nei testi garantisca che riguardino uno stesso «oggetto intenzionale»49. Mediante un ' analisi del linguaggio, rende la mistica alla sua pluralità storica e riassegna alla differenza lo statuto di non essere «estrinseca» , ma essenziale. Ma che cosa è dunque allora questa mistica, contesa tra Dio e la storia, che essa pretende di riconciliare sperimentalmente? Bisogna credere ad essa, ed in che modo, quando si dice intuizione del l ' assolu­ to in una modalità singolare? I dibattiti teorici ad essa relativi la situa­ no ora da una parte, ora dall'altra. In forza di quali criteri ? È in nome di una filosofia del linguaggio, e di Wittgenstein che S. Katz rifiuta l 'u­ niversalizzazione di cui sarebbero oggetto le proposizioni mistiche. Fatto significativo, in trent'anni, la discussione è passata dal terreno della psicologia a quello della linguistica attraverso la mediazione di una fenomenologia alla quale si accordava la capacità di enunciare la struttura stessa di una esperienza fondamentale. Questa struttura non specifica, infatti, che unajorma, ridotta in ultima analisi a due caratte­ ri : il paradossale e l ' ineffabile. Al termine, si hanno così due regole essenziali proprie alla grammatica del discorso mistico. Esse non con­ cernono più né la storia, né l 'antologia. Designano un protocollo lin­ guistico al di fuori del quale non sembra esservi espressione mistica, ma che non dice nulla di quel che è l ' esperienza stessa. Necessaria, ma non sufficiente, questa determinazione non accede a un valore univer­ sale se non staccata dal i ' uso ( «use») che ne fa il soggetto mistico, cioè dell ' atto singolare che egli performa. Almeno, separando una forma di sapere che interrompe la forma usuale delle nostre, designa, come principio rubato a un a priori monista o antologico, un tipo di discor­ so - un altro «gesto del pensiero» nella lingua. Anche se non è certo che questa forma sia propria del solo discorso mistico, prospetta un «modo di dire» simultaneamente estraneo ai nostri modi scientifici di R. Otto , cit., p. 1 44 . Steven Katz, Language, Epistemology and Mysticilm, i n S . Katz (ed.), Mysticism and Philosophical Analysis, New York 1 978, pp. 22-74. 48

49

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Sulla mistica

ragionamento o di verifica, e del tutto omologo alla definizione essen­ ziale che la «scienza mistica» dei secoli XVI e XVII secolo dava di se stessa, caratterizzandosi (su un altro registro della lingua) come un «modus loquendi»50. Una volta in più, l ' «oggetto» passato sembra ri­ tornare, come un fantasma, sulla scena scientifica, ma altrove e diver­ samente da come si pensava. C. Omissioni necessarie. La difficoltà di circoscrivere formalmen­ te l 'esperienza mistica porta con sé una strategia diversa, consistente ne li ' eliminare quanto non può essere sottoposto a un trattamento. Ogni operazione scientifica deve rinunciare a mantenere la realtà degli og­ getti che essa esclude. Il suo rigore si fonda sui limiti che essa si dà. L' aver acquistato oblio sostiene, dunque, la produzione delle cono­ scenze. Forse, dopo tutto, questo non è che l ' inganno del cacciatore che prepara con cura trappole con cui arrivare a prendere quel che non può catturare, ma questo inganno si traduce reciprocamente in quello delle cose, sopraggiunte molto prima che le si cerchi e che insinuano nei testi (e dapprima, in un modo di scrivere) mille modi di uscire dagli argini o passare accanto a ciò che questi pretendevano di controllare. Non è così facile praticare l ' oblio. E dunque, anche riconoscere quel che è effettivamente omesso in uno studio scientifico. Un caso degno di nota ci è fornito dall 'opera, per tanti aspetti, mo­ numentale che Leszek Kolakowski ha consacrato ai Cristiani senza Chiesasi . Il libro che riguarda figure olandesi e francesi del radicali­ smo spirituale, tende a riorchestrare una storia sociale su una storia intellettuale. Non cessa di giocare sulla relazione tra queste due storie che rappresentano due grandi modelli contemporanei, da una parte Gyorgy Lukacs e la sua filosofia marxista della cultura, dall'altra Alexandre Koyré, l 'erudizione più acuta al servizio delle opere pionie­ ristiche della «scienza» moderna. Checché ne sia dei sistemi intellet­ tuali che successivamente riesuma (in modo più felice nella sua parte olandese più che in quella francese) , offre tutta una riflessione meto(XVF- XVIF siècle), pp. 1 56-208. L . Kolakowsk.i, Chrétiens sans Église. lA conscience religieuse et le lien confessionnel au XVII siècle, tr. Anne Posner, Gallimard , Paris 1 969 [Leszek. Kolakow ski ( 1 927-2009), al l ievo di Adam Schaff, è filosofo e intellettuale polacco. poi emigrato in Canada e in America che ha par­ tecipato ad ampi dibattiti sulla politica - dal marxismo alla dissidenza . . - ma egualmente sull 'e­ pistemologia contemporanea, non trascurando interesse verso il religioso di cui è segno, oltre il volume richiamato da M . de Certeau. anche qualche successivo intervento su Pasca! (n .d.c.)). � Cf. Michel de Certeau , lA Fable mystique SI

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V//1 -

Storicità mistiche

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dologica su questa riarticolazione il cui principio consiste nel ripropor­ re la pertinenza politica e sociale nei movimenti spirituali. All ' inizio, va a sbattere su una difficoltà preliminare riguardante, una volta in più, l 'oggetto della ricerca: che cosa è la mistica? Come è possibile trattar­ la? Per «costruire>> il proprio «oggetto», il primo gesto di Kolakowski è quello di eliminare «la mistica>> , caratterizzata, dice, dali' esperienza e dalla questione della sua autenticità: esse dipendono dalla psicologia. Per contro, conserva quel che chiama «il misticismo», una serie di «dottrine teologiche che interpretano le esperienze mistiche». Il suo «oggetto» è costituito ancora dalle varianti del rapporto tra due fatto­ ri: l ' uno, «ideologico» , relativo alle speculazioni religiose fondate su una esperienza, ma considerate indipendentemente da quel che essa è; l ' altro, «sociale» , concernente la funzione di persone o di gruppi che negano ad una Chiesa la propria autorità in materia dottrinale, ma pre­ tendono di garantire il suo vero spirito, separandosi dalle istituzioni corrotte52. Che un tale oggetto trasponga sulla scena di un passato religioso la situazione politica dell' autore, un marxista escluso dal partito comuni­ sta polacco e che si interroga sulla possibil ità di essere «marxista senza partito» , viene a dire non già l ' indice di una indebita assimilazione (data la straordinaria minuzia dell ' inchiesta storica), quanto l' eviden­ ziazione di una interrogazione contemporanea, da cui trae la propria origine ogni opera scientifica di peso. L' «oggetto» de li ' inchiesta for­ malizza una esperienza attuale che si è, qui, sostituita a quella di un tempo. L'omissione della «mistica» indica il posto lasciato all ' attuali­ tà che organizza la problematica (ma non il contenuto) della ricerca ed alla quale è offerto un altro campo di operazioni perché l ' interrogazio­ ne presente, confrontata con dati differenti, possa essere esplicitata e aperta a nuove ipotesi. Kolakowski constata piuttosto, infatti, che «il cristianesimo non confessionale>> del XVII secolo è stato un «radicali­ smo mancato», o positivamente ricondotto ad un conformismo istitu­ zionale, oppure effettivamente escluso dalla storia. Ci si può chiedere se non accada così per i mistici, ma se sia necessariamente il segno di uno scacco per quanto essi testimoniano né cessa di ricomparire, come un'esigenza etica, come una «canzone» i cui ritorni sfidano la storia. Forse l'analisi di Kolakowski, vittima di ciò che essa elimina, riduce troppo la politica ai suoi risultati. 52

/bi, pp. 1 -68.

Sulla mistica

220

In ogni caso, l ' omissione che il suo studio istituisce potrebbe trovar bene nel suo libro una traccia curiosa. Comunque sia dei punti discu­ tibili di un tale lavoro53, se l ' intenzione che lo organizza è quella di coniugare le tecniche sicure di una storia dei testi dottrinali con il qua­ dro fornito da una teoria delle lotte sociali, il matrimonio per verità non ha luogo. Piuttosto, l 'opera presenta un intreccio di due approcci eterogenei. Intercala osservazioni metodologiche sulla possibilità di trattare le dottrine come «manifestazioni di conflitti sociali>> con un ' a­ nalisi testuale, le cui qualità di precisione e acutezza corrispondono al modello di storia intellettuale fornito da Koyré . Nel suo spessore, resta divisa in una tensione la quale risulta in modo minore il segno di una impresa «fallita>> che la vibrazione di un 'opera a due battenti - una ela­ borazione della questione iniziale. Ascoltando il rumore che in que­ st'opera producono gli elementi che essa non può conciliare, come non evocare l 'esperienza che in essa è assente e che, stretta tra una violen­ za della storia e una pratica eccessiva di qualsiasi rag ione , scopre una apertura «mistica>> nello scacco? Operazioni mistiche

La mistica, analizzata, osservata e trattata in tante ricerche, assilla ormai il lavoro scientifico. Attraverso differenti echi che essa risveglia nel campo dei nostri saperi, le questioni alle quali il suo studio forni­ sce i l linguagg io, si rivelano, come per anamorfosi, aspetti di quel che riten iamo come un oggetto passato. Bisogna uscire dall ' epistemologia che opponeva ad un soggetto del sapere i propri oggetti di studio. La strana (( storicità» della mistica, all ' interno stesso dei discorsi che hanno l ' ambizione di conoscerla, obbliga ad elaborare un altro model­ lo di ana l is i al quale l 'esame della letteratura scientifica contempora­ nea servirebbe da introduzione. Mi sembra, infatti, possibile analizzare la letteratura mistica, essa stessa come campo, definito come un insieme di positività storiche in cui si effettuano e si tracciano operazioni mistiche. Detto altrimenti, la scienza mistica sarebbe costituita dalle diverse modalità sulle quali queste operazioni si iscrivono nei reticoli storici del sapere, del lin.

53 Sugli aspetti innovat ivi e sui punti deboli di questa interpretazione storica cfr. Miche! de Certeau. L 'Abseflt de l 'hisloire. Mame. Paris 1 97 3 , eh. 4.

VII/

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Storicità mistiche

22 1

guaggio del corpo e delle istituzioni proprie a un'epoca e a un conte­ sto. Ogni testo od ogni documento (essendo noi obbligati a lavorare su di essi) costituisce un teatro organizzato dal lessico e dalla sintassi di un momento della storia, ma in cui si segnano, come su un corpo toc­ cato, azioni singolari. Si dovrebbe lasciar inscrivere queste operazioni nei luoghi che esse formano e tentare di specificame le forme proprie a cui si legherebbero i mistic i quando elaborano la loro «scienza» . Da qui, essa stessa si articola su lla storia. Bisogna, dunque, poter ricono­ scere oggi nei testi di questa scienza una scrittura che è la sua «manie­ ra di fare» - come vi sono «manipolazioni>> caratteristiche nei labora­ tori . Ogni documento mistico è anche un laboratorio in cui gesti spe­ cifici si descrivono come quelli di una danza sulla scena. A questo pro­ posito ci è proposto un mode11o da G.-G. Granger se, accantonando quanto, nel suo Essai d 'une philosophie du style ( 1 968), concerne l ' «individuazione» , manteniamo il progetto di «Una stilistica della pra­ tica scientifica» , cioè la possibilità di isolare, in un 'opera, il suo stile proprio, quella «strutturazione latente e vissuta della attività scientifi­ ca, in quanto essa stessa costituisce un aspetto della pratica»54. Ana­ logamente al modo in cui vi sono stili scientifici (euclideo, cartesiano, vettoriale), vi sono stili mistici , essi stessi indissociabili da una esteti­ ca. Da qui si ritrovano, insieme, la pertinenza della definizione che la scienza mistica dava della sua inscrizione nella storia. La mistica non ha nulla di proprio: è un esercizio dell 'altro in relazione a un sito dato ; è caratterizzata da un insieme di «operazioni» specifiche in un campo che non è il proprio - mediante un modo di procedere o di dire.

54

G . -G. Granger. Essai d 'une philosophie du style,

1 87-2 1 6.

Annand Colin, Paris 1 968 , pp. 1 3- 1 6 e

Appendici

NOTA AI TESTI

Pur appartenendo a momenti diversi della produzione, i testi qui presentati possono illuminare, insieme, l' autore (Miche! de Certeau) ed uno dei suoi oggetti privilegiati di ricerca (la mistica) , fornendo di questa un nucleo forte di significati, potenzialità e profondità: tra erudizione, storia, teoria e (inesau­ rito) richiamo dell' Altro. Alcuni testi sono stati almeno parzialmente «re-impiegath> da Michel de Certeau in La Fable mystique (Paris 1 982); ma per meglio individuare senso e proposte contenute in questa nostra (piccola) antologia, richiameremmo una lettera dello stesso de Certeau a Pierre Nora ( 1 9 agosto 1 984) in cui il gesuita dava conto del piano del secondo volume della Fable mystique e dove possono ritrovarsi punti di fuga, messi a fuoco in alcuni scritti che qui presentiamo. Una scienza del soggetto. La favola mistica (XVI-XVII secolo) , t. 2. Introduzione: La parola ( The Cloud of Unknowing). La fabula del l ' origine. Una prag­ matica della storicità per la storia.

Inizi. Cap. l : Lo sguardo fondatore - (Nicola Cusano) . Cap. 2: L' invenzione autobio­ biografica (Teresa d ' Avila). Cap . 3: Il poema e la sua prosa (Giovanni della Croce). Cap 4: L' istituzione utop ica (Le ). Protocolli. Cap. 5 : La «direzione spirituale» (dialogo/ transfert). Cap. 6: Una fisica del­ .

l ' anima (i «metodi » ) . Cap. 7: La lettura assoluta. Cap. 8: Le pratiche della memoria.

Una economia. Cap. 9 : Retorica del corpo parlante. Cap. l 0: Racconti di passioni. Cap.

I l : «La scienza speri mentale» della follia. Cap. 1 2: U n parlare angelico: una teo­

ria della recezione.

Diaspora. Cap. 1 3 : Strategie pastoral i : da Borromeo a Fénelon. Cap. 1 4: L' assolu­ tismo politico: i l privato e i l pubblico. Cap. 1 5 : L' erudizione biblica: da S acy a Simon. Cap.

1 6 : Il pe n si ero di passaggio: lo strano segreto d i Pascal.

Conclusione: Un ' arte d ' amare. Finzioni etiche. I l Dio della jab ula (cit. da F. Dosse ,

Miche/ de Certeau, Le marcheur blessé, Paris 2002, p. 559, nota I O).

l ) Mystique au xvue siècle, Le problème du langage mystique in L 'homme de­ vant Dieu. Mélanges offerts à H. de Lubac, Paris 1 964, n, pp. 267-29 1 . 2 ) L'expérience spirituelle, «Christus)) ( 1 970), pp. 488-498 (successivamente in L 'Étranger, ou l 'union dans la différence, nouv. éd. établie et présentée par L. Giard, Paris 1 99 1 , pp. 1 - 1 2).

226

Appendici

3) Mystique, in Encyclopaedia universalis, t. Xl, ( 1 97 1 ) , pp. 52 1 -526. 4) Jésuites, in Dictionnaire de spiritualité, t. VIli, Paris 1 972, pp. 985- 1 0 1 6. 5) L 'énonciation mystique, . Sono gli anni in cui lavora e pubblica su Surin, Guide spirituel ( 1 963) e Correspondance ( 1 966). Dal 1 964 (per tutta la sua durata fino al 1 980) fa parte della Scuola freudiana di Parigi, legata a Jacques Lacan. Dal 1 967 inizia a partecipare ai colloqui di Bussière, significativi incontri di riflessione tra gli storici - con pronunciati interessi per la storia religiosa. Un incidente d' auto (agosto 1 967) nel quale perde la vita la madre, gli verrà creando problemi per la vista (perde l ' oc­ chio destro).

1 968- 1 978 L"'événement 68" gli fa incontrare, con maggior determinatezza,

i problemi (e gli stilemi) del contemporaneo. Sul significato di tale avvenimento pubblicherà La prise de la parole ( 1 969) ; si muove­ rà, guardando all ' apporto delle «scienze umane» nella ridefinizio­ ne di vaste regioni del sapere, incrocìando Foucault e la psicanali­ si; nel l' ambito, poi, dei grandi dibattiti post-conciliari sul «Cri­ stianesimo e mondo moderno», si confronterà con J.-M. Dome­ nach in Le Christianisme éclaté ( 1 974) ; un' opera non immune da contrasti e da cui i superiori della Compagnia ebbero a prendere le distanze, dove, invece, permaneva l' apprezzamento per L 'Étran­ ger, ou l 'union dans la différence ( 1 969). Sono tempi, comunque, di grande produttività intellettuale e di insegnamento, punteggiati da viaggi tra vari continenti (Europa, America latina, soprattutto . . . ) che lo aprono a esperienze feconde che ne segnano la riflessione, né solo per quell' aspetto problema­ ticamente descrittivo, consegnato in Le réveìl indien en Amérique latine, con Y. Materne ( 1 977). Oltre al l ' approfondimento di temi quali il «far storia» , ambito privilegiato della sua attività (La pos­ session de Loudun, 1 970; Une politique de la langue, La Ré­ volution .française et le patois, con D. Julia e J. Revel, 1 975), ma ricco, ancor più, di intense meditazioni metodologiche (L 'Absent de l 'histoire, 1 97 3 ; L ' Écriture de l 'histoire 1 97 5 ) , vengono ad aprirsi altri cantieri. Responsabile di un contratto di ricerca sulle «pratiche culturali contemporanee» ( 1 974- 1 977), si accosta a nuo­ vi o'ggetti : il «plurale» e il «quotidiano» , condensati in opere, quali La Culture au pluriel ( 1 974), e soprattutto, L ' invention du quoti­ dien , t. l : L 'art de faire ( 1 980). Si infittiscono, tuttavia, ancora impegni di insegnamento, a cui sono consacrati tempo ed energie: seminario di dottorato di teologia all ' lnstitut Catholique di Parigi ( 1 964- 1 978); corso e seminario in storia, poi in psicanalisi al­ l ' Université di Paris VIII- Vincennes ( 1 968- 1 97 1 ) ; antropologia

Biografia

229 religiosa ed antropologia culturale all ' Université de Paris vn­ Jussieu ( 1 97 1 - 1 978). Partecipa ancora a seminari, tra cui quello sulla semeiotica ad Urbino (dal 1 969) e dà corsi in Gran Bretagna (Fellow a Cambridge per un trimestre nel 1 975), in Svizzera (Ginevra nel 1 977 - 1 978).

1 978- 1 984 Diventa professore titolare a San Diego (California), opportunità

che gli consente di viaggiare molto per gli Stati Uniti. Dà alle stampe La Fable mystique (XW-XVI/e siècle) ( 1 982), annunciato come primo tomo di un 'opera per il cui secondo tomo avrebbe la­ vorato, senza riuscire a portare a termine il lavoro, ma non cessa di riflettere sulla questione delle «scienze umane)), fornendo i con­ tributi che diventeranno pars potior del (postumo) Histoire et psychanalyse entre science et fiction ( 1 987). 1 984

Eletto ali ' École des Hautes Études e n Sciences sociales, a partire dal giugno si impegna per una direzione di studi sull' > 80-8 1 (2002). - Autour de Miche/ de Certeau . ((Le marcheur blessé», RSR, 9 1 14 (2003 ). A. Abruzzese, Prefazione a M. de Certeau, L ' invenzione del quotidiano, cit. , pp. IX-XVI. J. Ahaeme, Miche/ de Certeau, lnterpretation and its Other, Cambridge 1 995 . A. Amaud, Mais les errants, in MdC 1 987, pp. 5 1 -56. · M . Augé, Présence, Absence , in MdC 1 987, pp. 8 1 -84. D. Bertrand, lL1 théologie négative de Miche/ de Certeau, in DFC, cit. , pp. 1 0 1 - 1 27 .

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