Sul destino [1 ed.] 8879283170

Pur presente nelle più diverse culture sotto varie denominazioni, l'idea del «destino» riveste senza dubbio una cen

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Sul destino [1 ed.]
 8879283170

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ALESSANDRO DI AFRODISIA

SULDESTINO Il più importante classico dell' antichità sul rapporto tra fato e libertà di scelta nella vita umana Per la prima volta tradotto in italiano

Introduzione, traduzione e note di Aldo Magris

PONTE ALLE GRAZIE

© 1 995 Ponte alle Grazie spa - Firenze

ISBN 88-7928-3 1 7-0

Indice

p. 7

IL DIBATTITO SUL DESTINO IN ETÀ ELLENISTICA

I presupposti storici Le posizioni delle scuole I temi in discussione Bibliografia ragionata Fonti citate: a} Autori b} Edizioni di frammenti 51 53

7 18 30 43 46 49

ALESSANDRO DI AFRODISIA SUL DESTINO NOTA INTRODUTTIVA

Lautore e l'opera Il foto e la questione del determinismo Le fonti di Alessandro Il testo Indicazioni bibliografiche

De

69 73

PROEMIO

82

LE APORIE DEL DETERMINISMO

LA CONCEZIONE PERIPATETICA DEL DESTINO

a. Il destino è una forma di causalità b. Il destino si identifica con la natura

a. Eventi dovuti al caso e alla fortuna b. Eventi passibili di accadere o meno c. Eventi possibili d. La deliberazione umana e. Ciò-che-sta-in-noi

53 56 61 64 66

73 77 82 88 90 94 98

INDICE

101

CONTRO L'IDENTIFICAZIONE DETERMINISTICA DELLA LIBERTÀ CON L'IMPULSO

1 09

CONTRO L'USO DETERMINISTICO DELLA CAUSALITÀ

1 12

LE IMPLICAZIONI MORALI DEL DETERMINISMO

1 20

INTERMEZZO

1 23

a. Ricapitolazione b. Le due contrapposte non sono equivalenti LA CAUSALITÀ

1 20 121

È UN PRINCIPIO INDUTTIVO,

NON DEDUTTIVO

1 33

LA LIBERTÀ UMANA COME INDIFFERENZA FRA I CONTRARI

141

L A PRESCIENZA DIVINA E LA COLPA TRAGICA

1 50

PERORAZIONE

a. La libertà del saggio b. La pericolosità sociale del determinismo c. Conclusione

1 50 1 52 1 60

Il dibattito sul destino in età ellenistica

Roberto W. Sharples grato animo dicatum

I presupposti storici Pur presente nelle più diverse culture sotto varie denomina­ zioni, l'idea del «destino» riveste senza dubbio una centralità tutta particolare nel mondo della Grecia antica; e non a caso essa ricompare sempre in primo piano anche nei tentativi let­

terari e filosofici di «ritorno» ai greci, riproposti in epoca mo­ derna e contemporanea. Tuttavia la civiltà ellenica, nella sua inesauribile ricchezza, ha sapuro elaborare non solo una visio­ ne del mondo improntata al «destino» ma anche i principi - a ciò totalmente opposti - della del divenire e della dell'uomo, quale si esplica nella vita morale e nella manipolazione tecnica della natura. È di questi due mo­ delli contrapposti, di questa doppia eredità storica che il pen­ siero occidentale resta debitore ai greci, tanto che in ultima analisi (sotto questo profilo almeno) non ha fatto altro che se­ guirne le orme. Il dibattito di cui si presenta qui uno dei do­ cumenti principali ha fissato per la prima volta e in maniera esemplare le nozioni e le tesi basilari di un confronto che si è perpetuato e si perpetuerà per secoli, ogniqualvolta la que­ stione si ripresenti, senza arrivare ad una «soluzione» definiti­ va: forse perché tra le concezioni della realtà che vi si contrap­ pongono non è l'argomentazione razionale bensÌ una in via pregiudiziale, a decidere.

bera creatività

casualità

li­

scelta,

7

I PRESUPPOSTI STORICI

Negli strati più antichi della mitologia greca l'idea del de­ stino appare rappresentata dalla figura di una Dea che presie­ de alla nascita, alla generazione e alla morte: una nel senso tecnico che la parola ha per gli storici delle re­ ligioni. Suo emblema è, fra l'altro, l'immagine del fuso e del tessuto, come del resto accade con analoghe figure divine fem­ minili dell'Anatolia e della Siria: è probabile quindi che tale rappresentazione appartenesse ad un' area culturale omogenea estesa al Mediterraneo orientale prima dell' arrivo degli in­ doeuropei (II millennio) . I greci raccolsero in modo creativo questa tradizione preesistente isolando l'aspetto «destinale» (connaturato, insieme a molti altri, alle Grandi Dee mediter­ ranee) in alcuni singoli personaggi, di regola femminili; que­ sti ricevettero nella lingua greca altrettante denominazioni che dovevano già di per sé stesse significarne la specifica funzione. Lattribuzione di significato talvolta riprendeva i valori pri­ mitivi (pregreci) , come nel caso di o Ilizia, «la Na­ scita)) ; Rapso, «la Tessitrice)) ; «l'Implacabile)) . Più spesso però si faceva riferimento a una nuova nozione di «spar­ tizione)) e a quella ad essa collegata di giustizia retributiva, co­ me (l'Equità) , (la Giusta Assegnazione) e soprat­ tutto «la Parte)) ovvero «l'Assegnatrice delle parti)) , il nome che ebbe di gran lunga maggior fortuna. In questa rein­ terpretazione delle divinità fatali da parte del mito greco, che tende a mettere in evidenza un contenuto semantico preciso non ancora delimitato nelle rappresentazioni mitologiche più antiche di «Grandi Dee)) , si delinea già l'emergere di una ri­ flessione razionale in seguito alla quale i connotati figurativi diventeranno via via secondari e il personaggio si ridurrà al «campO)) d'esperienza che rappresenta, fino a trasformarsi in un concetto filosofico l Così ad esempio n�i poemi omerici troviamo il termine sia come nome di una Dea o di un

«Grande

Dea»,

Eiléithyia Adrdsteia,

Aisa Moira,

Némesis

moira •

I Mi riferisco qui alla teoria dell' «unità campo-persona» teorizzata da W. Potscher, Das Person-Bereich Denken in der frUhgriechischen Periode ( 1 959), in Hellas und Rom, Hildesheim 1 988.

8

IL DlBAlTlTO SUL DESTINO IN ETÀ ELLENISTICA

gruppo di Dee legate alla fatalità (infatti 1(\ _rafftgurazione plurale indeterminata, oppure in numero di dueo_treeracor.­ rente nel culto di molte divinità femminili) , sia come desi­ ' gnazione impersonale del ((destino» , sia semplicemente nel senso del sostantivo ((parte». Dalla stessa radice di �eri­ ver� oi il termine che nel greco classico designa ir�tino:

(1iéimarmén

'----N6I1ò6 biamo tuttavia intendere questo processo storico secondo lo schema del passaggio ((dal al IOgos», come suonava il titolo di un libro di Wilhelm Nestle ( 1 940) dive­ nuto forse più celebre del libro stesso. Il mito non è infatti il parto di una fantasia infantile a cui vada sostituita la ragione adulta, ma il primo e per certi aspetti insuperabile sforzo dell'uomo di pensare il mondo; e la concettualizzazione razio­ nale, lungi dal ((correggerlo», non fa che approfondire con al­ tri mezzi il senso di questa originaria comprensione. Allo stes­ so modo in cui il pensiero che dobbiamo supporre alla base della figura di una Dea filatrice del destino vede nella vita umana un insieme coerente del quale la nascita, la generazio­ ne e la morte costituiscono i momenti culminanti, cosÌ l'idea di destino espressa dalla nozione di ((parte» concepisce la realtà come un tutto in qualche modo già dato, entro cui viene as­ segnato un ruolo preciso ai singoli eventi ed ai singoli indivi­ d�i . .In questo senso il tema della in Omero si sviluppa ulteriormente nel pensiero di un piano superiore, un piano di­ vino sancito dalla ZeuS» 2 o dalla ZeuS»3, che prestabilisce i vari momenti della vicenda epica e le ((par­ ti» assegnate ai protagonisti. Perciò ricorre spesso nel linguag­ gio omerico anche l'espressione di Zeus», ((la de­ gli Dei», e simili, a significare non tanto un' eventuale subor­ dinazione del destino impersonale a una provvidenza per­ sonale (problema filosofico che si porrà molto più tardi, in età ellenistica, e sotto questa forma sarà ripreso dal cristianesi-

mjthos

moira

(wolontà di

( l'àisa

2

3

Iliade, I, 5 . Iliade, XVI , 688. 9

( mente di

moira

I PRESUPPOSTI STORICI

mo4) , ma piuttosto la sostanziale identità di destino e trascen­ denza. r.: uomo non può che riconoscere e accettare la propria inclusione in un piano superiore e immodificabile, che è fata­ le e divino insieme. È questa la visione che emerge anche dal­ la poesia arcaica e dalla Tragedia di Eschilo e Sofocle. Come concetto filosofico, il destino appare fin dalle primis­ sime testimonianze dei «pensatori della p hjsis» (physiolOgot) nel­ la Ionia e nella Magna Grecia. Il senso prevalente è qui quello di una normatività onnicomprensiva, che governa e raccoglie in unità l'insieme dei fenomeni del mondo della vita (p hjsis), rendendolo perciò un kasmos. Anche in questo contesto le de­ nominazioni sono molteplici. Tò chrean ( i.­ ,. ed ignora la dottrina crisippea del .s!lJm.Es..ç���it�" e O'UVEtJ.1(lp�Vov. lO Non si può non osservare, in generale, che l'interpretazione alessandrista dello stoicismo è fortemente tendenziosa, anche se questa era nello stile tipico di tutte le po­ lemiche filosofiche dell'antichità, e forse non solo dell' anti­ chità. Quanto alla sua rivendicazione della libertà umana co­ me opzione impregiudicata e assolutamente indifferente fra esiti contrari, si tratta senza dubbio di una semplificazione (giustificata da ragioni polemiche) della ben più complessa teoria formulata nell' etica aristotelica circa il rapporto fra le

De

È,ggn,g

9

IO

Op. cit., 1 4.32. V. Cicerone, Defoto, 1 3.30. 60

NOTA INTRODlTITIVA

abitudini acquisite e la capacità di scelta dell'individuo1 I ; inol­ tre bisogna dire che è comunque ben lungi dall'essere vera­ mente «dimostrata», al di là della petizione di principio per cui, cosi non fosse, la legge e l'ordine sociale diventerebbe­ ro insostenibili. Ma tale era in fondo già il modo in cui Ari­ stotele stesso aveva posto la questione di ciò-che-sta-in-noi, e che Carneade aveva ribadito: il metodo cioè dell' del­ la confutazione per assurdo di una tesi avversa senza però adeguatamente la propria. Lincapacità di Alessandro di da­ re un fondamento teoretico al proprio assunto non fa che por­ tare alla luce le aporie ereditate dalla tradizione antidetermini­ stica greca.

se

élenchos,

re

por­

Lefonti di Alessandro Nel trattato agli Imperatori Alessandro non menziona le sue fonti, ad eccezione di Aristotele, forse perché in quella sede ciò sarebbe parso un'inutile pedanteria. Invece a conclusiont: del­ la nota sul destino nella (p. 1 86 Bruns), che riflette if contenuto delle sue lezioni sullo stesso argomento, Q.�inél; il di Teofras!,p di Polizelo a ' e il "trattato " propo�lto defl� t��;i; esposta ari"èhe nel cap. 6 del ca l'identità fra destino e natura. Di Polizelo null'altro sappia­ mo oltre a questa citazione, mentre del teofrasteo parla più d'una volta Cicerone III, 1 0.2 1 ; V, 9.25). Lopera lamentava la triste sorte dell' omonimo personaggio, il genero di Aristotele, fatto giustiziare da Alessandro Magno; di qui sottolineava l'incidenza della fortuna nelle cose umane, avanzando la maligna osservazione ch'essa è la ragione ultima non solo di eventi luttuosi, come quello di Callistene, ma an­ che di quelli che vanno a buon fine, come il successo dell'im­ presa stessa del grande Re. In qual modo ciò si connettesse al tema dell'identità fra destino e natura non è del tutto chiaro:

Callistene

Mantissa

Sul destino

(Tusc.,

Il

v.

su questo punto Donini, Ethos, p. 8 1 ss. 61

Defato èli:: Callistene

LE FONTI DI ALESSANDRO

probabilmente Teofrasto (come più tardi Polizelo) ne traeva la conclusione che il «destino» consiste nella natura dell'indivi­ duo, cioè nel suo «carattere» (per esempio il carattere violento di re Alessandro o quello fiero e temerario di Callistene) , il quale a sua volte deve fare i conti con l'ineluttabilità della «sor­ te». Comunque, nel fatto che il nostro Alessandro sia nel De foto (6, pp. 1 70- 1 7 1 Bruns) sia nella Mantissa (p. 1 85 Bruns) intenda la phjsis non solo come natura universale, ma anche come natura individuale (oÌ1cÉta q,ucnç) , e cioè come tempe­ ramento dei singoli individui, non è difficile ravvisare l'in­ fluenza dell' autore dei celebri Caratteri. Più complesso è il problema circa le fonti delle dottrine av­ versarie. Alessandro, contestando nozioni indiscutibilmente stoiche, riporta spesso ampi estratti anonimi, che von Arnim ha raccolto in blocco tra i frammenti di Crisippo negli Stoico­ rum Veterum Fragmenta. Questo metodo ha dato luogo a mol­ te perplessità, perché i passi in Alessandro non trovano ri­ scontro esatto nei frammenti autentici di Crisippo, a parte il fatto che non si fa cenno di nozioni tipicamente crisippee l'abbiamo già ricordato - come quella del syneimarménon. Forse c'è un' eco del suo stile nell' impianto schematicamente deduttivo dei ragionamenti riportati, ma è possibile che anche altri stoici lo ricalcassero. Non si può quindi provare una con­ sultazione diretta di Crisippo, pur essendo assai strano che Alessandro abbia trascurato un autore cosi importante. La sezione che confuta la dottrina stoica dell'impulso (capp. 1 3- 1 5) ha un interessante parallelo nel De natura ho­ minis di Nemesio di Emesa (capp. 35 e 40) , dove ricorrono le m.t;4esime argomentazioni ed esemplificazioni> N�J:!l� sio qllÌ nornina 12 il trattato Sul destino dello stoi�o Filop;lçò i'e� che. TheiIer suppone sia stata la principale fonte stoica di Alessan­ dro. Questo autore deve aver operato agli inizi del II secolo d.C. , perché verso il 1 44 le lezioni di un suo allievo a Perga12

Op. cit., 35, p.29 1

e

293 Matthai.

NOTA INTRODUTTIVA

mo venivano frequentate da Galeno. Naturalmente è chiaro ' èhe a quell'epoca la scolastica stoica doveva avere ben più di un rappresentante, le cui esposizioni non dovevano differire un gran che da quelle degli altri; questo fra l'altro consente di sfatare la leggenda che lo stoicismo di epoca romana (neostoi­ cismo) sarebbe stato più originale rispetto a quello del III-II secolo a.c.: semmai erano i liberi pensatori come Seneca, o quelli più interessati a comunicare una Weltanschauung come Epitteto, ad introdurre un po' di eclettismo o di pdthos, men­ tre l,O stoicismo insegnato 4�rofessori di scuola_fQ..�­ e.�toie e altri restava u.na pedisseg,ua ripetizione ,3Y�m.ual: ��n.:!u>1l!,'§11'p'çXfj,çi�!!.). g�t �is I.t:.Q!.

è

3. Abbiamo visto dunque che tutti coloro che parlano del de­ stino lo presentano come una certa causa (�itia)) degli eventi, -, .'" '-'

-. r-:

e precisamente - cosi formulano la loro defimzione - come la causa per cui le cose avvengono, ed avvengono in quella de­ terminata maniera. Qra, siccome le cause si dicono in parec­ chi modilO, per chi voglia -esaminare il probkma .metodica­ mente è necessario anzitutto individuare a quale tipo (tropos) di causalità vada ricondotto il «destino»: giacché nessuno dei concetti che si dicono in molti modi può essere compreso sen­ za appropriata distinzione. Le cause del divenire si distinguono in quattro tipi, nella maniera indicata dal divino Aristotele. l l Alcune di esse sono lO Alessandro applica qui all'indagine sul destino il principio cardine della metodologia aristotelica, che il concetto studiato «si dice in molti mo­ di»: cosi dell' essere (Metaph., 1,9, 992b 1 9 ; IV,2, l 003a33; VII, l , l 028al O) delle cause (Metaph., V,2, 1 0 1 3b4) della natura (Phys., n,2, 1 93b23) dell ' uno (Metaph., VII, 1 6, 1 040b 1 7 e V,6); del passibile-di (J Anal., 1,3, 25a37) . 1 1 2A nal, n , I l , 94a2 l -23; Phys., II,3, 1 94b23- l 95a3, 1 98aI 6-22; III,7, 207b34; IV, I , 209a20; Metaph., 1,3, 983a26-32; V,2, 1 0 1 3a24b27; VIII,4, 1 044a33; XII,4, 1 070b26, Gen.anim., l, l , 7 l 5a4.

73

ALESSANDRO DI AFRODISIA

cause efficienti (poietikdt) ; altre hanno carattere di materia (hjle); una di queste è poi la causa secondo la forma (eidos) ; ac­ canto a queste ve ne è poi un' altra, e cioè il fine ( t los) in vista del quale l'evento si verifica. Ecco quindi la differenza tra le cause. Qualsiasi cosa sia causa di un' altra dovrà trovarsi fra qu.�ste caus!!: infatti anche qualora non tutti gli eventi avesse­ ro bisogno di queste cause, comunque la maggior par­ te di quelle che richiedono una causalità non farebbe supera­ re il suddetto numero. 1 2 Tale differenza risulterà più comprensibile [ 1 67 B.] se la si considera alla luce di un esempio. Sia dunque una statua ad il­ lustrarci la distinzione fra le cause. n Come causa efficiente del­ la statua vale l'artista che l'ha fabbricata, e noi lo chiamiamo lo scultore; come materia il sostrato di bronzo, o di pietra, o qualsiasi altra cosa foggiata dall'artista secondo la sua tecnica (anche questo infatti è una causa del divenire e dell' essere del­ la statua) ; c'è poi la forma realizzata in questo sostrato dall'ar­ tista (anche questo rappresenta per la statua una causa grazie alla quale presenta la forma di un discobolo, di un arciere, o di qualsiasi altra figura determinata) . Ma non solo queste so­ no le cause che danno origine alla statua: a nessuna di esse è secondario il fine in vista del quale essa è venuta alla luce, vuoi per rendere onore a qualche personaggio o per devozione di qualcuno14 verso un Dio; senza quest'ultima causa la statua non sarebbe assolutamente apparsa. roste dunque queste cause e la loro ormai ben nota diffe­ renza reciproca, a buon diritto annovereremo fra di esse il de­ stino, tenendo conto della proporzione che esiste da un lato

é

12 Possono darsi fenomeni nei quali non si riscontrano tutte e quattro le cause, ma solo due o tre (per esempio quelli non prodotti dall' efficacia di un agente); in ogni caso le cause dei fenomeni non sono più delle quat­ tro indicate. 13 L'esempio della statua è suggerito da Aristotele, Phys., II, 3, 1 95b, dove però non viene fatto per tutti i quattro tipi di cause. 14 La lezione dei codd. 'tlVOç può essere conservata.

74

SUL DESTINO

fra il destino e ciò che avviene in base ad esso, dall'altro fra l'ar­ tista produttore e la sua statua. 15

4. Da quanto detto risulta che occorrerebbe trattare anzitutto delle cause efficienti. In tal modo infatti si potrà capire se è ne­ cessario che il destino determini quale causa l' intera realtà, o se invece si deve ammettere, oltre a questa, anche altre cause efficienti di certi fenomeni. 16 Facendo una distinzione entro la generalità del divenire, Aristotele dice che certi fatti avvengo­ no in vista di qualcosa (henekd tou) (mirando chi li produce ad un fine e a uno scopo del loro essere) , ceni altri invece no. l ? Ciò che si verifica senza conformarsi ad un proposito da par­ te dell' agente non ha alcun riferimento ad un fine determina­ to, per esempio tormentare delle pagliuzze con le dita, lisciar­ si o tendersi i capelli, ecc. : tutto questo si sa bene che succede, ma non ha una causa nel senso del fine e dell'«in-vista-di-cui», e penanto [ 1 68 B.] ciò che avviene in maniera cosÌ inconsul­ ta e immediata non rientra in alcuna ragionevole distinzione . Dei fenomeni invece aventi un punto di riferi­ mento e un «in-::vista-di-qualcosa», gli uni avvengono secon,do natura (katà phjsin) gli altri secondo ragione (katà LOgon) . I fenomeni che hanno la natura come causa del loro essere, in base a misura e ordine preciso, procedono verso un fine rag­ giunto il quale il loro divenire cessa, a meno che un impedi­ mento non si frapponga lungo il naturale processo verso il fi­ ne loro proposto. Neppure gli eventi che dipendono dalla ra­ gione avvengono a casaccio, bensì tutti in riferimento a uno Il « destino» rientra dunque nella classe delle cause «efficienti». Il problema, come abbiamo visto, non sta nell' ammissione o meno del destino come «causa», ma nella pretesa universalità di tale causa, che non lascia spazio ad alcun altro fattore produttivo (quali l'uomo o il caso) : solo in quest'ultima versione siamo di fronte al determinismo combattuto da Alessandro. 17 Phys., n,5, 1 96b 1 9-2 1 ; Metaph., XI,B, l 065a26; cfr. Gen,anim., IV,3, 767b 1 4 . 15

16

75

ALESSANDRO DI AFRODISIA

SCOpO; si tratta infatti d'un evento «secondo ragione» tutte le volte che l'agente ragioni e organizzi il verificarsi dell' evento nel modo in cui appunto si debba verificare. Cosi succede per i prodotti della tecnica e per i risultati delle scelte, i quali in ciò si differenziano dai fenomeni naturali in quanto questi ul­ timi hanno in sé stessi il principio e la causa del loro esserel8 (che è poi la natura stessaI9) . Essi avvengono bensi secondo un certo ordine, ma la natura che li produce non impiega per que­ sto un ragionamento20, come invece accade nella tecnica. Al contrario, le cose derivanti dalla tecnica (katà tàs téchnas) e dalla scelta (katà prodiresin) non hanno in sé stesse il principio del movimento e la causa efficiente, ma al di fuori di sé, per� ché all' origine del loro essere vi è il ragionamento dell' agente a loro riguardo.2l Tra gli eventi finalizzati rientrano pure quel­ li che si crede derivino dalla fortuna e dal caso.22 Essi in tanto si differenziano dai veri e propri eventi «in-vista-di-qualcosa» in quanto nel caso di questi ultimi tutto ciò che ha luogo pri­ ma del fine avviene in grazia del fine stesso, mentre negli altri ciò che precede il fine avviene in gra­ zia di qualcos' altro, e tuttavia proprio questi eventi, che si svol­ gevano in grazia di altro, si imbattono nel fine cosiddetto «ca­ suale» e «fortunoso» .

5. Cosi stando l e cose, e stabilita l a suddivisione fra i modi del divenire nel suo complesso, bisognerebbe vedere a quale delle cause efficienti va ascritto il destino. Forse nei fenomeni privi

18

Cfr. Aristotele, Phys., II, l , l 92b 1 3 , cfr. Metaph., IX, 7, I 049a5 55. Aristotele, Phys., III, l , 200b l l ; Metaph., V, 4, 1 0 1 4b 1 8. 20 Che la natura non «ragioni» nel produrre i fenomeni (a differenza ad esempio del Demiurgo nel Timeo platonico) era tesi fondamentale di Ari­ stotele, collegata peraltro alla negazione di una «provvidenza» divina, v. Protrettico, fr. l l Walzer B 1 3 Duering; Phys., II,8, 1 99a2 1 e b26 ss. Te­ si ripresa da Pio tino, Enneadi, IV,3. 1 8; 4.36; 8.8. 2 1 Aristotele, Phys., II, l , 1 92b28; Metaph., XII,3, I 070a7. 22 Quanto segue parafrasa Phys., II, 4-5. 19

=

SUL DESTINO

di finalità? Ma questo sarebbe completamente assurdo. [ 169 B.] Quando infatti si usa la parola «destino» è sempre alla fi­ nalità di qualche cosa che si pensa, dicendo appunto che si è compiuta ((secondo il destino)). Non si può quindi ravvisare il destino che negli eventi ((in-vista-di»); ma siccome di tali even­ ti gli uni sono secondo ragione, gli altri secondo natura, è gio­ coforza che il destino sia posto o in entrambi (nel senso in cui si dice che tutto avviene secondo il destino) oppure in uno so­ lo dei due. Ma gli eventi secondo ragione risultano esser tali proprio perché l'agente ha anche la facoltà di non produrli. È ovvio in­ fatti che i manufatti dell' artigiano sono da lui prodotti in ba­ se alle sue capacità tecniche, e non per necessità: non è forse assurdo dire che la casa o il letto sono venuti al mondo per de­ stino, o che la lira viene accordata per destino? D'altra parte anche gli eventi che dipendono da una scelta (cioè le azioni che denotano virtù o malvagità) , anche queste è ovvio che stanno-in-noi (eph'hemin) . Se stanno-in-noi gli atti che ci ri­ sulta essere padroni di compiere o di non compiere, non si può dire che ne sia la causa il destino, né che ci siano princìpi o , cause antecedenti, in generale, del loro realizzarsi o non rea­ lizzarsi; niente di tutto ciò starebbe in noi se venissero ad es­ sere in quel modo. < b. Il destino si identifica con la natura> 6. Non rimane che ammettere il destino nei fenomeni della natura, nel senso che destino e natura sono la stessa cosa. Ciò che è destinato è infatti secondo natura, e ciò che è secondo natura è destinato. Non è possibile infatti che la generazione di un essere umano da parte di un essere umano o di un cavallo da un cavall023 siano secondo natura ma 23 È l'esempio continuamente usato da Aristotele per mostrare l'iden­ tità della specie e la regolarità della generazione: Phys., II, l , 1 93b8; 2, 77

ALESSANDRO DI AFRODISIA

non secondo il destino: al contrario queste due causalità con­ cordano fra loro in modo da avere di diverso soltanto il nome. Perciò si dice che le prime cause secondo natura della genera­ zione di ogni essere (ossia gli enti divini e le loro ben regolate rivoluzioni) sono anche le cause del destino.24 Giacché g pr ­ ��io eli ognj�en�.!.:!?:iQ!K.s.ta_neLli.pQ_�i "���n9_.�h�.�.L�!lti i.­ vini via via presentano nel corso del loro moto, in relazione alr::-=-:- :-::r. . _-" " --'" le cose ul qu . - Tal ssen��è do il ontesto e la specificità del destino, ne deri­ ee va necessariamente che i fenomeni, cosÌ come sono secondo natura, allo stesso modo sono anche secondo il destino.25 Se-

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. . . ... -_ .. 0 0 '

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. . . . .. . . ... . . -------

1 94b 1 3 ; 7, 1 98a26; m,2, 202a l l ; Metaph. , VII, 7, l 032a25; 8, l 033b32; IX, 8 , l 049b2 5 ; XII,3, 1 070a8; 4, 1 070b3 1 ; XIV, 5 , 1 092a 1 6; De gen.corr., n,6, 333b7; Part.anim., 1, 1 , 640a2 5 ; II, l , 646a33; Gen.anim., II,I , 735a2 1 ; Eth. Eud., II,6, 1 222b 1 7. 24 Gli astri sono qui considerati come principi del divenire naturale e quindi anche del destino. Su questa dottrina tipica di Alessandro (cfr. Qu.et sol., 1,25; n,3 e 1 9) v. P. Moraux, Alexandre d'Aphrodise, Parigi 1 942, appendice n. 25 La medesima conclusione è raggiunta nella Mantissa, pp. 1 8 1 - 1 82 Bruns, ma con un procedimento alquanto diverso. Alessandro comincia qui rilevando la scorrettezza metodologica di attribuire e subordinare tut­ te le cose, senza distinzione, al destino. Ciò non vale infatti a suo avviso per le «cose eterne» , vale a dire sia le verità m��matiche (non è per desti­ no che l'ipotenusa non è comm�baecònTcateti, o che gli angoli in­ terni di un triangolo sono uguali a due retti) , sia.i..f����} ..c_el.�!� (� tazione del sole e degli astri non dipende dal destino ma dalla roro OtKEtU e-cor­ fvIp'rElu). Il destino va