Sul concetto di campo in sociologia 9788860816221


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Sul concetto di campo in sociologia
 9788860816221

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I CLASSICI DELLA SOCIOLOGIA

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Collana diretta da Alessandro Ferrara

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Pierre Bourdieu

Sul concetto di campo in sociologia A cura di Massimo Cerulo

ARMANDO EDITORE

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BOURDIEU, Pierre Sul concetto di campo in sociologia ; Pres. di Massimo Cerulo Roma : Armando, © 2010 128 p. ; 17 cm. (I classici della sociologia) ISBN: 978-88-6081-622-1 1. Campo politico, delle scienze sociali e giornalistico 2. Campo, capitale e habitus 3. Sociologia relazionale

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CDD 300

Traduzione e cura di Massimo Cerulo Volume originale: 5° Cahiers de recherche del GRS (Groupe de recherche sur la socialisation) de l’Université Lumière Lyon 2 : Pierre Bourdieu, “Champ politique, champ des sciences sociales, champ Journalistique”. © 2010 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 02-04-049 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected]

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Indice

Presentazione di Massimo Cerulo

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Campo politico, campo delle scienze sociali, campo giornalistico di Pierre Bourdieu

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Nota bio-bibliografica

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Presentazione

«I sociologi distruggono le illusioni». Pierre Bourdieu e lo svelamento della realtà sociale

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Esistono persone che segnano la realtà sociale di cui fanno parte. Uomini che lasciano un’impronta profonda negli ambiti in cui hanno espresso la loro arte. Pierre Bourdieu è uno di questi. Dalla sociologia alla letteratura, dalla filosofia all’antropologia, dalla pedagogia agli studi di genere, il sociologo francese ha marcato con le sue teorie il campo scientifico attraverso l’utilizzo di strumenti concettuali innovativi e controversi. Protagonista indiretto dell’effervescenza sociale del ’681 e viandante della postmodernità Bourdieu, attraverso una forma mentis sempre attenta a tenere insieme teoresi ed empiria («la ricerca senza teoria è cieca e la teoria senza ricerca è vuota»2), ha analizzato criticamente i diversi strati della realtà sociale, svelandone il nascosto. I suoi concetti di campo, habitus, capitale, pratica, violenza simbolica, ecc. sono entrati a far parte del linguaggio comune degli scienziati sociali (e non solo). Questa presentazione si divide in tre parti: nella prima si introdurrà il pensiero di Bourdieu, ripercorrendo le principali tappe della sua biografia; nella seconda ci si soffermerà sui concetti di campo, habitus e capitale, provando a esplicarli sinteticamente e ad evidenziare ciò che forniscono nell’osservazione della realtà sociale; nella terza, infine, si introdurrà lo scritto Champ politique, champ des sciences sociales et champ journalistique, che rappresenta il cuore di questo volume.

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Presentazione

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Un sociologo dans l’air du temps Una delle grandi e riconosciute capacità di Pierre Bourdieu è stata quella di anticipare le tendenze del tempo. Di assaporare l’aria del sociale. Di sentire, prima di altri suoi colleghi, in quale ambito concentrare la sua analisi. Non a caso, nella sua bibliografia si contano scritti che spaziano dall’etnografia alla fotografia, dalla storia dell’arte alla letteratura, dagli studi urbani e rurali a quelli sui media, dalle pratiche di consumo alla politica3. Figlio della piccola borghesia rurale della regione francese del Béarn, Pierre Bourdieu raggiunge la sua prima, grande affermazione “accademica” conquistando l’ingresso alla prestigiosa École normale supérieure della rue d’Ulm di Parigi, per un corso di laurea in filosofia (1951). È qui che si forma filosoficamente, oltre a conoscere e frequentare compagni e colleghi che animeranno il dibattito intellettuale francese (Derrida e Foucault su tutti). Gli anni trascorsi all’École non abbandoneranno mai Bourdieu e sarà forse il ricordo di quell’ambiente iperaccademico e decisamente formale a spingere il giovane Pierre a prendere distanza dalla filosofia4. Presterà servizio militare in Algeria, dove nasceranno i suoi lavori di stampo antropologico, come Sociologie de l’Algérie e Le déracinement. L’importanza di queste ricerche è anche dovuta al fatto che i francesi, all’epoca, sapevano ben poco di quello che stava accadendo in Algeria, e l’indagine antropologica di Bourdieu squarciò quel velo di oscurità che si era creato sull’ambiente socio-politico del Paese maghrebino. Non a caso utilizzo qui un verbo come squarciare, proprio perché uno dei fili conduttori della teoria sociale di Bourdieu – se non il principale – è quello di andare 10

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Massimo Cerulo

oltre i significati “comodi” veicolati dal senso comune e portare alla luce ciò che non si vede: «guardare le cose in faccia» per comprendere il mondo («necessitarlo», come direbbe lui)5, far emergere i rapporti di dominio tra gruppi dominanti e gruppi dominati, analizzare i mille interstizi all’interno dei quali si deposita ed agisce la violenza simbolica, quella violenza “dolce” che si esercita soltanto grazie alla complicità incosciente delle vittime6. Come scrive colui che forse è stato il suo allievo prediletto, Loïc Wacquant: «Vorremmo suggerire ex abrupto che l’obiettivo fondamentale del lavoro di Pierre Bourdieu consiste, sin dal suo inizio, nel “riportare alla luce” la dimensione simbolica del dominio, in modo da fondare un’antropologia generativa del potere nelle sue espressioni più diverse»7. Grazie a Raymond Aron, che lo nomina come assistente alla Sorbona, Bourdieu torna in Francia nel 1960 e diventa segretario del Centro di Sociologia Europea. In questi anni, la sua carriera accademica cresce vertiginosamente: diventa maître de conférence all’Università di Lille e poi accede all’École Pratique des Hautes Études nelle vesti di direttore di studi. Ma anche le indagini scientifiche di Bourdieu non conoscono sosta. Fedele al suggerimento di Gaston Bachelard che «la scienza svela ciò che è nascosto»8, Bourdieu continua tale processo di illuminazione della realtà sociale anche nelle due seguenti indagini sociali che lo renderanno un’icona (controversa) sia della sociologia francese sia della sinistra di stampo libertario e dei movimenti. Il riferimento è a Les héritiers (opera scritta insieme a Passeron), nei quali si analizza il rapporto tra studenti e cultura, e a La reproduction9, in cui svolge un’analisi statistica e minuziosa del modo in cui il potere riproduce il potere, i gruppi dominanti si ripro11

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Presentazione

ducono attraverso l’utilizzo del sistema educativo: non è vero, infatti – secondo l’analisi svolta da Bourdieu – che l’accesso alla cultura è ugualitario, in quanto non sono eguali le condizioni in cui si apprende la cultura. Dire che la possibilità di studiare è consentita a tutti comporta una falsità sociale ed epistemologica, in quanto non si fa altro che mascherare l’enorme disuguaglianza insita nelle condizioni di accesso alle istituzioni educative (scuola in primis, ma anche università, Grandes Écoles, istituti di specializzazioni). Secondo Bourdieu, infatti, è il capitale detenuto in origine dall’individuo (e quindi dalla sua famiglia di appartenenza) che disciplina realmente l’accesso alla cultura. E attraverso la gestione di tale quantità di capitale (inteso come risorse, mezzi, capacità), i gruppi dominanti si riproducono, nascosti dietro l’illusorio specchio dello slogan statale “la cultura per tutti”10. Nel 1981 Bourdieu diviene titolare della cattedra di sociologia al Collège de France11. È quest’evento, a mio parere, che rappresenta la spinta decisiva per convincere Bourdieu a un ingresso a piccoli passi nell’arena politica, pur non entrando mai in partiti, sindacati o associazioni12. Essere professore al Collège de France significava detenere la più prestigiosa carica accademica francese disponibile e, nello stesso tempo, godere di un tale potere scientifico per intervenire, scrivere o indagare altri campi della realtà sociale13. Cosa che, puntualmente, avviene. Dall’inizio degli anni ’80, infatti, assistiamo al progredire dell’attivismo politico di Bourdieu14, sempre conciliato però con una fedeltà al metodo d’indagine scientifico e al riferimento a dati empirici. Mai fedele al settarismo accademico che continuava a ritenere come eretico l’affacciarsi in altri campi del sociale15, Bourdieu tenta di costruire ponti e di distruggere 12

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barriere tra le discipline, facendo capire che le sue intenzioni sono quelle di rapportarsi dal basso, e attraverso molteplici prospettive, alla torre d’avorio nella quale sono rinchiusi diversi scienziati e maîtres sorbonnardes. Cambia nuovamente oggetto di studio e si dedica all’analisi dei gusti, dei consumi e delle pratiche culturali che caratterizzano i francesi. Nasce così quello che forse, nel campo scientifico e non solo, è il suo studio ad oggi più noto, ossia La distinzione (tra le 10 opere sociologiche più influenti del XX secolo, secondo l’International Sociological Association), nel quale mostra come le scelte di consumo degli individui non siano qualcosa di puramente individuale – mostrando così l’illusione della soggettività del gusto –, bensì il frutto di strategie collettive, consce o inconsce, direttamente collegate alla posizione sociale occupata dall’individuo16. In altri termini, è la stratificazione sociale che indirizza a una determinata scelta di consumo, e non viceversa. Sono gli anni in cui a Parigi prende forma la leggenda Bourdieu. Le voci corrono e la curiosità di assistere di persona a un seminario del Professor Bourdieu contagia studenti e assistenti, sociologi, filosofi e studiosi dei più disparati campi. Ma difficilmente si viene delusi dalle performance del Professore, che sembra incantare tutti con uno stile diretto, semplice, efficace17, con un modus operandi del pensiero che suole sistematizzare in fieri le sue teorie e con un’abitudine all’interazione con gli studenti nel creare mappe teoriche e universi concettuali. Restano storici i “compiti” che proponeva in aula, come: «prendete un foglio di carta e disegnatemi un mondo sociale»18, oppure, a scelta tra: «Spiegare perché una persona ragionevole sarebbe pronta a tutto, anche a vendere la madre per essere nominata decano di un istituto di 13

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filologia romanza» e «spiegare perché un salumiere investe una quantità di milioni sufficienti a comprare un altro negozio, solo perché suo figlio impari a memoria esametri greci»19. Il tutto accompagnato da una cultura enciclopedica: citava a memoria Platone e Pascal, Heidegger e Spinoza, Husserl e Merleau-Ponty, Panofsky e Wittgenstein, Bachelard e Cassirer, fino a Flaubert, Sartre, Ponge, oltre ai riferimenti ai classici della sociologia. È un Bourdieu simile a un fiume in piena, che riesce a portare avanti parallelamente insegnamento e attività di ricerca, creando un connubio inscindibile tra i due: Bourdieu ha bisogno delle lezioni, dei seminari, per mettere alla prova in ambiti diversi le sue ipotesi, per verificare dati e statistiche, per perfezionare concetti e definizioni. Ma continua inarrestabile anche la sua produzione scientifica che si caratterizza per una capacità di passare da un ambito all’altro della realtà sociale mantenendo sempre il marchio di fabbrica di scientificità e correlazione tra teoresi ed empiria: nel 1980 appare Le sens pratique (sistematizzazione dell’opera Esquisse d’une théorie de la pratique del 1978, in cui riprende i suoi studi algerini), dove concettualizza organicamente i concetti, fra gli altri, di habitus e pratica; nel 1982 Ce que parler veut dire, in cui concentra la sua attenzione sulle regole del linguaggio; nel 1984 Homo academicus, esercizio di autoriflessione su vizi e virtù della classe docente (opera che gli procurerà fiumi di critiche serrate da parte della maggior parte dei professori universitari); nel 1989 La noblesse d’état, dove riprende, ampliandoli e attualizzandoli, concetti ed analisi sviluppati ne La reproduction; nel 1992 è pubblicato Les Règles de l’art. Genèse et structure du champ littéraire, in cui Bourdieu fa emergere in modo imponente il suo concetto di “campo”, partendo 14

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dall’ambito letterario e da quello artistico e prendendo spunto in particolare da L’educazione sentimentale di Flaubert; nel 1993 vede la luce quella che forse è l’opera più “commovente” della sua carriera, La Misère du monde, volume di quasi 1000 pagine in cui lascia la parola a coloro che occupano gli ultimi posti nella scala sociale, analizzando gli effetti delle politiche neoliberali sulla popolazione20. Non si pensi però che tutte le ricerche sopraccitate siano opera esclusiva dell’instancabile lavoratore Bourdieu. Se esse esistono e hanno visto la luce è anche perché Bourdieu era sempre accompagnato da un gruppo di ricercatori che lavoravano per lui e con lui, che lo seguivano come gli orchestranti seguono il loro direttore (forse non è un caso che Bourdieu da giovane volesse diventare proprio direttore d’orchestra)21. E se è controverso il ruolo giocato da Bourdieu nella carriera accademica intrapresa dai suoi allievi22, è certo che molti poterono mostrare le loro capacità grazie alla nascita della rivista «Actes de la recherche en science sociale», che Bourdieu creò nel 1975 e che rappresenterà fino alla sua morte (ma la rivista esiste tuttora) fucina di idee e confronto tra scienziati sociali e non solo23. Quando nel 1997 viene pubblicato Méditations Pascaliennes – primo libro teorico che non nasce da una ricerca empirica ma che rappresenta una sorta di dimora in cui Bourdieu si racconta e riflette su se stesso e sui suoi studi – viene formalizzato uno dei punti cardine della teoria sociale bourdieusiana: l’importanza della riflessività (il tema sarà ripreso e perfezionato anche nel 2001 con lo scritto Science de la science et réflexivité e nel testo pubblicato postumo nel 2004 Esquisse pour une auto-analyse). Affinché una ricerca possa analizzare in 15

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profondità la realtà sociale è necessario, secondo Bourdieu, riflettere non solo sull’oggetto che si va ad analizzare, ma anche e soprattutto sul ricercatore che compie l’analisi: «oggettivare il soggetto dell’oggettivazione»24, come era solito dire, significa proprio considerare le condizioni storiche e sociali di possibilità che avevano creato l’opera e, di conseguenza, la sua ricezione; riflettere sulla storia del soggetto che compie la ricerca, «decostruire il decostruttore»25, per citare un’altra formula che utilizzava in contrapposizione a Derrida. Non può esistere, nella logica bourdieusiana, una ricerca priva di autoriflessività e di coscienza storica (non a caso egli scrive: «la separazione tra storia e sociologia mi pare disastrosa e totalmente priva di giustificazione epistemologica: ogni sociologia deve essere storica e ogni storia sociologica»26), perché uno degli errori più influenti in cui sono incorsi anche grandi studiosi è stato proprio quello di dimenticare di rivolgere la riflessione su se stessi, di analizzarsi storicamente, di comprendere il processo che li aveva portati in quel momento a scrivere o indagare un particolare oggetto27. La storicizzazione e la riflessività come antidoti al rischio di finire sul letto di Procuste della facile universalizzazione e dell’ortodossia intellettuale: «Lasciare in uno stato impensato il proprio pensiero, per un sociologo, più ancora che per qualsiasi altro pensatore, significa votarsi a non essere altro che lo strumento di quello che egli pretende di pensare»28. Bourdieu non abbandona comunque l’engagement en politique. In quegli stessi anni egli fa emergere, attraverso dei pamphlet carichi, nello stesso tempo, di rabbia e di ipotesi scientificamente fondate, il ruolo illusorio, ingannevole e dominante che svolgerebbero sia i sondaggisti ingaggiati dai politici di professione (L’opinion publique 16

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n’existe pas, testo del 1973 ma ripreso e attualizzato nelle sue lezioni e seminari degli anni ’90), sia i giornalisti, «individui estremamente fragili»29 i quali, cedendo alla logica del consumismo e della commercialità del prodotto, sacrificano l’autonomia e la scientificità del proprio campo di appartenenza per vendersi al miglior offerente (Sur la télévision, del 1995, che diverrà un best seller in Francia e resterà nella classifica dei libri più venduti per mesi, testimoniando così la maestria di Bourdieu nello sfruttare le peculiarità dei giornalisti e del campo mediatico a proprio favore). Ma l’impegno politico bourdieusiano trova diverse strade per agire. Nel 1994 era apparso Libre échange, una conversazione con l’artista tedesco Hans Haacke nella quale si discuteva criticamente sui poteri sovversivi dell’arte nei confronti delle multinazionali del commercio. Mentre è il 1998 quando vede la luce La domination masculine, in cui Bourdieu, cambiando nuovamente oggetto d’analisi, si concentra sulla violenza simbolica esercitata dal genere maschile su quello femminile, mostrando come il rapporto di discriminazione non sia dovuto ad una sorta di trasmissione generazionale e culturale di norme, valori e comportamenti, bensì all’incorporazione automatica e inconscia di strutture mentali generate dalla società di appartenenza, che fa apparire come naturale, nei termini di Bourdieu, il dominare e l’essere dominati30. È un Bourdieu de combat, che aveva partecipato agli scioperi che infiammarono il dicembre francese del 1995 (rimase storica la sua partecipazione allo sciopero dei ferrovieri, quando salì su un palco alla Gare de Lyon per solidarizzare con i manifestanti, contro le politiche neoliberali e le privatizzazioni portate avanti dal governo 17

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Juppé)31, che aveva partecipato all’appello per la costituzione di un Parlamento Internazionale degli Scrittori (1993) e che, nello stesso tempo, non arretrava di un passo nel suo processo di ricerca scientifica. È il 1999 quando all’Università di Lione presenta la sua Propos sur le champ politique, in cui riprende, approfondendola, la sua tesi di «pensare la politica senza pensarla politicamente: pensarla sociologicamente»32. Ossia uscire dalla logica dei politici di professione che tenderebbero ad una sorta di populismo generalizzato, giocando sulla legittimità della delega alla rappresentanza ricevuta, e provare a osservare e comprendere la loro vita quotidiana: osservare il campo politico dal di dentro, per analizzare comportamenti, atteggiamenti e abitudini dei professionisti della politica anche allo scopo di scorgere quel senso del far politica così caro agli studiosi della scienza politica e alla società stessa. Gli ultimi anni di vita di Pierre Bourdieu rappresentano la sua duplice celebrazione. Dal punto di vista accademico, con il riconoscimento tributatogli da diverse università europee e statunitensi33 oltre che dal CNRS francese (è il primo sociologo ad aver ricevuto la medaglia d’oro), e dal punto di vista socio-mediatico, con una fama ormai mondiale e un riconoscimento quotidiano del suo spessore culturale e politico-sociale da parte dei media francesi che raggiunge il culmine nel 2001 con il documentario cinematografico incentrato su di lui dal titolo La sociologie est un sport de combat34. Come detto poc’anzi, nell’ambito delle scienze sociali Bourdieu rappresenta un pioniere. Uno di quei pochi esseri umani dotati di un talento naturale nel vedere prima e con occhi nuovi le ambivalenze della realtà sociale. In tale processo, i concetti da lui creati o, meglio, rigenerati 18

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di campo, capitale e habitus rappresentano la tela sulla quale ha dipinto gran parte dei suoi quadri di teoria sociale.

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Campo, capitale e habitus: punti di una sociologia relazionale La sociologia di Bourdieu viene definita (da lui stesso) un modo di pensare relazionale35, perché quello che conta nella sua analisi della realtà sociale è l’insieme delle relazioni che tengono insieme i soggetti («il reale è relazionale»)36. Come scrive Karl Marx nei suoi Grundrisse: «La società non è fatta d’individui, essa esprime l’insieme di legami e relazioni entro cui si trovano inseriti gli individui»37. E Bourdieu sottoscriverebbe questa frase38. Lui che è stato sempre attento a non cadere nelle rigidità createsi dall’opposizione tra determinismo oggettivo o materialismo positivista e relativismo soggettivo o idealismo intellettualista, sostenendo che la realtà sociale che percepiamo, il mondo nel quale viviamo si caratterizza per una relazione dialettica tra strutture oggettive e costruzioni soggettive39. Tra beni materiali (risorse economiche, norme sociali, valori, istituzioni, ecc.) e schemi mentali incorporati che ci permettono di andare avanti un giorno dopo l’altro (modi di comportamento, atteggiamenti, emozioni, sentimenti). La relazione tra le strutture oggettive della realtà e le costruzioni soggettive di ogni individuo è biunivoca e continua (anche per questo motivo, Bourdieu definisce la sua teoria sociale come “strutturalismo costruttivista” o “prasseologia”)40. Le une influiscono sulle altre e viceversa. In un processo che non conosce fine e che trova il suo dispiegarsi all’interno 19

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di particolari “universi” o “mondi” sociali che Bourdieu definisce campi41. Con tale termine egli intende un microcosmo, ossia un piccolo mondo sociale relativamente autonomo all’interno del mondo sociale più grande. […] Autonomo, secondo l’etimologia, vuol dire che ha una sua propria legge, un suo proprio nomos, che detiene al suo interno il principio e la regola del suo funzionamento. È un universo nel quale sono all’opera criteri di valutazione a lui propri e che non hanno valore nei microcosmi vicini. Un universo obbediente alle proprie leggi, che differiscono da quelle del mondo sociale ordinario. Chi entra [in un determinato campo] deve operare una trasformazione, una conversione e, anche se quest’ultima non gli appare come tale, anche se egli non ne ha coscienza, gli è tacitamente imposta, in quanto un’eventuale trasgressione comporterebbe scandalo o esclusione42.

Il concetto di campo, che rappresenta una delle innovazioni apportate dalla sociologia bourdieusiana, significa quindi uno spazio sociale abitato da persone che sono in relazione l’una con l’altra e che sono costrette ad agire (non a caso egli le definisce agenti, ossia «attivi e operanti»)43. L’immagine è quella del campo magnetico, all’interno del quale le particelle non possono smettere di muoversi44: «Campo di forze che si impone con la sua necessità agli agenti che vi operano, e insieme campo di lotte al cui interno gli agenti si affrontano, con mezzi e fini differenziati a seconda della loro posizione nella struttura del campo di forze, contribuendo così a conservarne o a trasformarne la struttura»45. 20

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Gli agenti che abitano il campo sono legati da rapporti di forze che li differenziano a seconda del momento vissuto e della contingenza storica: Situato, egli non può situarsi, non distinguersi, e questo anche al di fuori di qualunque ricerca della distinzione: entrando nel gioco, accetta tacitamente vincoli e possibilità inerenti al gioco, che si presentano a lui e a tutti quelli che hanno il senso del gioco come altrettante cose da fare, forme da creare, modi da inventare, in breve come possibili dotati di maggiore o minore “pretesa di esistere”. La tensione fra le posizioni, costitutiva della struttura del campo, ne determina anche il mutamento attraverso le lotte in nome di poste che sono esse stesse il prodotto di una lotta46.

Questi campi quindi (per Bourdieu ce ne sono diversi, tanti quanti sono gli ambiti del sociale) sono campi di rapporti di forza, spazi sociali in cui gli agenti sono in lotta (simbolica) tra loro. Che essi lo vogliano o no, infatti, essere membri di un campo significa investire all’interno di esso (Bourdieu parla a tal proposito di illusio, ossia “investimento nel gioco”, paragonando l’attività del campo a un gioco)47, essere in competizione per un obiettivo (per delle poste in gioco). E il fine principale che guida l’azione degli agenti consiste nell’acquisire l’autorità per indicare agli altri membri la visione dominante da adottare all’interno di quel particolare campo. Dove per visione dominante si devono intendere le categorie di percezione e valutazione della realtà sociale48:

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Se una verità esiste, è perché la verità è la posta in gioco di una lotta. Questa affermazione vale in particolare per quegli universi sociali relativamente autonomi che chiamo campi, in cui dei professionisti della produzione simbolica si confrontano in lotte che hanno per posta l’imposizione di principi legittimi di visione e di divisione del mondo naturale e sociale49.

Chi, all’interno del campo, detiene l’autorità d’imporre agli altri le proprie categorie di visione del mondo rappresenta il leader di quel campo, che avrà quindi a sua disposizione notevoli risorse materiali e la possibilità di obbligare gli altri a guardare la realtà dalla sua prospettiva (ossia convincere loro che la realtà sia proprio così come egli vuole che sia). Tale discorso acquista importanza fondamentale se lo si considera nei termini di lotta per il riconoscimento. In effetti, ogni agente situato nel campo lotta per imporre i propri principi di visione dominante che significa, fuor di metafora, lottare per essere riconosciuti. Essere considerati dagli altri membri, tenuti in conto, notati, identificati. Si tratta di lotte col fine di continuare ad esistere senza precipitare nel caos cognitivo-esistenziale che subentrerebbe nel caso di una mancanza di considerazione. A tal proposito, il riconoscimento primario arriva dagli appartenenti al campo, da coloro cioè che condividono il medesimo investimento nel gioco, che sono legittimati ad agire in quel determinato campo. Corollario a ciò è il fatto che ogni campo è comprensibile e abitabile soltanto dagli agenti ammessi ad entrarvi. Perché coloro che si trovano al di fuori sono condannati «all’allodoxia, errore di percezione e di valutazione consistente nel riconoscere una 22

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Massimo Cerulo

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cosa per l’altra»50. Ogni campo detiene quindi un codice d’accesso che permette di vivere, agire, lottare ed essere riconosciuti all’interno del microcosmo: sorta di codice specifico, a un tempo giuridico e comunicativo, la cui conoscenza e il cui riconoscimento rappresentano il vero diritto d’ingresso nel campo. Come una lingua, questo codice costituisce allo stesso tempo una censura, per i possibili che esclude di fatto o di diritto, e un mezzo di espressione che racchiude entro limiti definiti le possibilità di invenzione infinita che offre; funziona come un sistema storicamente situato e dotato di schemi di percezione, di valutazione e di espressione che definiscono le condizioni sociali di possibilità – e nello stesso tempo, i limiti – della produzione e della circolazione delle opere culturali, e che esistono contemporaneamente allo stato oggettivato, nelle strutture costitutive del campo, e allo stato incorporato, nelle strutture mentali e nelle disposizioni costitutive degli habitus51.

Secondo Bourdieu, studiando le diverse posizioni assunte nel campo è possibile risalire al posto occupato dall’agente nel processo di stratificazione sociale e, nello stesso tempo, prevedere come si evolveranno i rapporti all’interno del campo e come matureranno le prese di posizione degli agenti (opinioni, rappresentazioni, giudizi)52. Il campo poi, come si evincerà dalla lettura proposta in questa sede, ha due poli opposti al suo interno: il polo dell’autonomia e quello dell’eteronomia. Ogni campo, nel processo della sua formazione, raggiunge un certo grado di autonomia53, che lo porta a munirsi di 23

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proprie regole, di una propria legge interna e di accordi taciti o manifesti valevoli esclusivamente per gli appartenenti al campo in questione54. Tuttavia, mai e poi mai un campo può rendersi completamente autonomo, altrimenti scomparirebbe, imploderebbe, crollerebbe su se stesso. Questo perché ogni microcosmo sociale è legato al macrocosmo sociale circostante da un rapporto di omologia, ossia di somiglianza strutturale. In altri termini, quello che avviene all’interno di ogni singolo campo è la riproduzione, in prospettiva, di ciò che esiste e si manifesta all’esterno di esso, nel mondo sociale globale. Da quest’ultimo ogni campo trae quindi ispirazione e legittimità di esistenza, nell’ottica di un legame non recidibile. Come detto poc’anzi, inoltre, all’interno di ogni campo vi è una parte più autonoma, che tende alla chiusura nei confronti del mondo esterno, e una parte più eteronoma che, aprendosi al di fuori dei confini del campo, tende a “commercializzarsi”, a perdere quella caratteristica di “autenticità” che l’appartenenza al campo fornisce (come si vedrà bene nel testo che proponiamo). Qual è lo strumento principale che consente di prender parte ai giochi e alle lotte simboliche che avvengono all’interno dei campi? La risposta è data dalle forme di capitale detenute55, ossia dalla quantità e dalla qualità delle risorse che un agente può vantare. Per Bourdieu esistono tre tipi principali di capitale: economico, che consiste nell’insieme delle risorse materiali detenute (denaro, mezzi di produzione, possedimenti mobiliari e immobiliari, ecc.); sociale, che riguarda i rapporti intrattenuti dall’agente (persone e luoghi frequentati, cerchia sociale di appartenenza, gruppo lavorativo, ecc.); culturale (le competenze e le conoscenze detenute). Il capitale culturale può essere a sua volta incorporato (conoscen24

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ze e cultura soggettiva), oggettivato (libri, dischi, opere d’arte, ecc.) e istituzionalizzato (lauree, master, corsi di specializzazione)56. A questi tre tipi di capitale va aggiunto il capitale simbolico, ossia l’insieme delle caratteristiche – materiali e ideali – che rendono ogni agente unico e diverso dall’altro (lingua, religione, etnia, nazionalità, ecc.). Il capitale simbolico è formato dall’insieme di tutte le altre forme di capitale57 e costituisce quello scrigno individuale di risorse personali che ognuno di noi serba dentro di sé e che lo caratterizza socialmente e, nello stesso tempo, quella possibilità di riconoscimento sociale per il quale si lotta quotidianamente58. Il capitale è quindi l’arma che permette di agire, lottare, muoversi e prendere posizione all’interno del campo e solo in relazione a quest’ultimo esso esiste e funziona (potremmo dire che il campo contribuisce a formare capitale, ma quest’ultimo modifica relazioni e rapporti di forza presenti nel campo). Il capitale deve essere quindi inteso come una dimensione del potere detenuto «al cui possesso è legata la possibilità di ottenere i profitti specifici […] in gioco nel campo»59. Se il capitale rappresenta lo strumento attraverso il quale situarsi ed agire nei diversi campi di cui quotidianamente facciamo parte, l’habitus rappresenta il nostro computer di bordo, ossia quella capacità di vivere quotidianamente le situazioni in cui ci troviamo senza sprofondare nel caos cognitivo60. Nella teoria di Bourdieu l’habitus rappresenta una sorta di mappa della quotidiana esistenza che ognuno di noi si costruisce e scopre pian piano col passare degli anni61. L’habitus è un insieme di principi generatori di pratiche, un sistema di schemi di percezione e di disposizioni62 (di potenzialità, di modi di porsi nei confronti delle situazioni sociali di cui si è 25

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parte), ma è anche struttura strutturata e strutturante, ossia legata sia alle relazioni oggettive nelle quali gli agenti sono immersi, sia alle percezioni personali attraverso le quali ognuno di noi incorpora le situazioni sociali nelle quali vive e, contemporaneamente, agisce all’interno di esse: «struttura strutturante che organizza le pratiche e la percezione delle pratiche, l’habitus è anche struttura strutturata: il principio di divisioni in classi logiche che organizza la percezione del mondo sociale è esso stesso il prodotto dell’incorporazione della divisione in classi sociali»63. Frutto delle esperienze di vita – dalla socializzazione primaria alle successive (comprese quelle che avvengono all’interno dei campi di cui si è parte) –, l’habitus entra a far parte di noi, si inscrive nei nostri corpi, ci guida, ci possiede ed è da noi detenuto (non a caso il termine viene dal latino habeo, che significa acquisire, possedere). L’habitus è «necessità fatta virtù»64. È quel faro che c’indica la strada da percorrere: «quel “poteressere” che tende a produrre pratiche oggettivamente adeguate alle possibilità, in particolare orientando la percezione e la valutazione delle possibilità inscritte nella situazione presente»65. Quell’istinto che ci fa prendere un sentiero piuttosto che un altro (le scelte dell’habitus sono «volute e incoercibili, ragionevoli senza essere ragionate»)66. Quel senso pratico incorporato67 che, come avviene per i calciatori, i rugbisti o i tennisti, ci permette di prender posizione all’interno del “campo da gioco”68 ossia nelle diverse situazioni sociali che ci troviamo ad esperire. L’habitus, inoltre, contrariamente alle visioni estremamente deterministiche che ne sono state prodotte69, è caratterizzato per una forte componente di elasticità: 26

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esso si (e ci) adatta ai frame sociali che esperiamo nel corso della nostra vita. Habitus e capitale, oltre che mezzi di differenziazione sociale, si configurano come strumenti di azione e posizionamento sociale: essi ci permettono di agire e reagire all’interno degli ambiti sociali in cui, di volta in volta, siamo coinvolti. Direi che se il campo è lo spazio sociale, il luogo materiale e simbolico, all’interno del quale viviamo quotidianamente, il capitale rappresenta lo strumento principale di “lotta” ed azione sociale, mentre l’habitus si configura come la nostra capacità di adattarci alle situazioni sociali, di seguire una strada piuttosto che un’altra, di “sentire il vento”70. I tre termini sono inscindibili nella teoria bourdieusiana e ciascuno di essi necessita degli altri due per sopravvivere. Come sintetizza Bourdieu: È lo stato dei rapporti di forza tra i giocatori a definire in ogni momento la struttura del campo: [questi rapporti] dipendono non solo dal volume e dalla struttura del suo capitale nel momento considerato e dalle chances nel gioco che quelle risorse gli consentono, ma anche dall’evoluzione nel tempo, del volume e della struttura del suo capitale, cioè dalla traiettoria sociale e dalle disposizioni (habitus) che si sono venute a costituire nel rapporto prolungato con una certa struttura oggettiva di chances71.

I tre concetti, così brevemente (e certo non esaustivamente) esplicati, rappresentano la necessaria cassetta degli attrezzi per immergersi nel testo che in questa sede andiamo a proporre e nel quale è possibile scorgere parte della “costellazione” Bourdieu. 27

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La sociologia come strumento di analisi e conoscenza Campo politico, campo delle scienze sociali, campo giornalistico è il testo della conferenza che Bourdieu tenne all’Università “Lumière” di Lione nel novembre del 1995. È un testo breve, abbastanza semplice, concettualmente abbordabile, che si rivolge anche a un pubblico di non addetti ai lavori. Le poche pagine che qui si presentano sono sufficienti a trasmettere il modus operandi di Bourdieu, caratterizzato da uno stile unico: lunghe frasi, incisi, parentesi, digressioni storico-filosofiche, citazioni, richiami a fatti dell’attualità, critiche sardoniche (a volte feroci) ad esponenti dell’establishment politico, mediatico e intellettuale francese. Un modo di esporre basato sull’esplicazione e la riformulazione in progress di concetti, ipotesi e teorie. Una particolare forma di eloquenza che incantava i partecipanti alle sue lezioni al Collège ma che, nello stesso tempo, rendeva spesso ostico seguire i suoi peripli retorici (ed egli era ben cosciente di ciò: anche nel testo che qui si presenta si evince la sua consapevolezza di non essere sempre molto chiaro e l’invito ad andare sui testi per approfondire i concetti: «non posso fare di più in questa sede»). Eppure Bourdieu non ha mai rinunciato al suo modo di fare teoria sociale, in quanto assoluto sostenitore dell’importanza del linguaggio, che non può sminuirsi per rendersi accessibile ai più, ma che deve mantenere una coerenza e una struttura interna in modo da essere il più preciso possibile, senza cedere alle sirene mediatiche della sintesi o della frase a effetto72. L’interesse specifico del testo in questione è dovuto al fatto che Bourdieu si concentra esplicitamente nell’analisi del concetto di campo, applicando quest’ultimo a tre universi sociali differenti ma, come direbbe lui, “omolo28

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ghi”, ossia rispecchianti la medesima realtà sociale a loro esterna (e l’obiettivo che si pone è decisamente ambizioso per una conferenza, come ammette egli stesso quando afferma: «per svolgere seriamente quello che farò nelle prossime due ore servirebbe un anno di insegnamento, forse due anni di seminari»). Non si tratta di un testo esclusivo sulla teoria dei campi. Più che altro siamo di fronte all’osservazione di tre ambiti sociali, caratterizzati da rapporti di forze, dinamiche, mediazioni e violenze simboliche e habitus differenti eppure simili, per il rapporto di inclusione/ esclusione che viene a crearsi fra gli appartenenti ai campi e coloro che non ne fanno parte. Direi che proprio l’analisi di tale rapporto rappresenta il maggior pregio del libro, in quanto si configura come lente d’ingrandimento per cogliere come le differenti sfere di realtà presenti nei diversi campi vengano quotidianamente e socialmente costruite da coloro che agiscono all’interno degli stessi. Potremmo dividere il testo in due parti: nella prima, Bourdieu concentra la sua attenzione sul chiarimento del concetto di campo, provando a spiegarne brevemente le caratteristiche principali, i rapporti con l’esterno, il ruolo svolto dagli agenti operanti al suo interno. Nella seconda parte il testo diventa marcatamente politico, i riferimenti a fatti di attualità sono numerosi e Bourdieu ne approfitta, da un lato, per formulare giudizi chiari e diretti su eventi contemporanei (con buona pace dell’avalutatività weberiana), dall’altro, per mettere al lavoro la sua proposta di un’azione politica di impegno civico che dovrebbe coinvolgere tutti gli intellettuali. Andiamo per ordine. Nella prima parte Bourdieu, attraverso il suo metodo d’analisi comparativo, rac29

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conta peculiarità e “movimenti” di tre ambiti sociali all’interno dei quali è presente un’ininterrotta lotta per l’acquisizione e il mantenimento di posizioni di potere. Lotta che si gioca sul terreno dell’investitura garantita dall’appartenere allo stesso campo e dalla capacità di gravitare al suo interno adeguandosi alle sue dinamiche e, nello stesso tempo, sfruttandole per scalare posizioni nella gerarchia sociale di riferimento. In questo contesto acquista valore la riflessione che egli compie sul grado di autonomia che caratterizza ogni campo. Come visto in precedenza, nella sua teoria sociale egli sostiene che nessun campo può rendersi completamente autonomo, altrimenti scomparirebbe. Ma in questo testo sembra emergere il problema contrario, in particolare per quel che concerne il campo mediatico (definito “giornalistico” nel testo). Quest’ultimo sembra soffrire della sindrome dell’eteronomia, di un’apertura “perversa” al sociale, della ricerca della visibilità a tutti i costi. Ma ciò comporterebbe una perdita della dignità degli agenti, una commercializzazione negativa di quell’autonomia professionale che dovrebbe caratterizzare la personalità dei giornalisti. Questi ultimi, cedendo alle logiche capitalistiche del mercato e degli indici di share, rischiano di svendere la propria professionalità, comportandosi alla stregua di mercenari dell’apparire e mettendo a rischio l’autonomia necessaria al mantenimento di quella deontologia professionale che dovrebbe caratterizzare il loro campo di appartenenza. Ma il rischio paventato da Bourdieu – che non lesina critiche a nomi di punta del giornalismo francese, così come a testate televisive o giornali nazionali e locali – è anche quello d’inficiare la visione della realtà sociale degli ignoti cittadini i quali, basandosi ciecamente sulle analisi svolte dai media, credono che 30

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la realtà sia davvero quella che la televisione trasmette o che i giornali descrivono. E qui la relazione prende una piega diversa, caratterizzata da una marcata vis polemica, e si entra nella seconda parte del testo in cui Bourdieu, sfruttando le sue competenze scientifiche e i risultati emersi dai suoi studi precedenti (questi ultimi aleggiano in tutto il testo: è come se il sociologo francese, pur non richiamandoli direttamente, utilizzasse i risultati delle sue indagini a supporto di ogni frase), chiarisce la sua posizione politica senza alcuna formalità. Emerge così, nella seconda parte del testo, il Bourdieu de combat che si sarebbe visto da lì a qualche settimana negli scioperi dicembrini della Gare de Lyon. Rifiutando di restare al di fuori dall’arena civico-politica, egli scende in campo analizzando criticamente il comportamento ingannevole della maggior parte dei politici di professione. E l’accusa principale la rivolge allo strumento della delega politica, che ritiene «un’alienazione»73, in quanto priverebbe i cittadini non solo del potere decisionale, ma soprattutto li escluderebbe dal processo di produzione e discussione politica. In tale contesto, Bourdieu fonde la critica alle dinamiche del campo politico a quelle vigenti nel campo mediatico, in quanto la parte più eteronoma o, meglio, commerciale di quest’ultimo avrebbe contagiato i politici di professione che baderebbero più all’apparire, a partecipare ai dibattiti televisivi, a rilasciare un’intervista, che a lavorare effettivamente per il bene comune e il perseguimento dell’universale. Inoltre, l’invasione mediatica dei doxosofi (giornalisti, opinionisti, tuttologi, pseudo-studiosi), «nuovi maestri di pensiero senza pensiero»74, non fa altro che confondere le idee al cittadino, infondergli una visione falsata della realtà sociale e 31

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renderlo assuefatto alle dinamiche mediatiche (tenendo, d’altra parte, al sicuro il politico dallo svelamento della sua azione). In effetti, il punto che sta più a cuore a Bourdieu riguarda la lotta presente in ogni campo per imporre le categorie di visione legittima della realtà. E tale discorso acquista un valore fondamentale quando si tratta del campo politico o di quello mediatico, in cui la visione dominante del mondo sociale, veicolata da poche persone legittimate a fornirla, andrà a influire su milioni di individui75. In tale situazione di pericolo è il campo delle scienze sociali – che si mantiene il più puro fra i tre analizzati – che deve venire in soccorso del cittadino. In questo senso, Bourdieu rivolge agli intellettuali una chiamata alle armi. Si dichiara convinto che lo scienziato sociale debba intervenire in politica, che sia legittimato a farlo in quanto intellettuale: «credo […] che sia venuto il momento in cui gli scienziati intervengano nel politico, con tutta la loro competenza, per imporre utopie fondate sulla verità e sulla ragione»76. È questo, in estrema sintesi, il nucleo di quel programma di azione da lui denominato Realpolitik della ragione77, in cui gli intellettuali, superando la dannosa antinomia tra impegno e autonomia, partecipano collettivamente, internazionalmente e attivamente alle discussioni politiche, mettendo a frutto le competenze che sono loro proprie: intelligenza, spirito critico, riflessività, cultura e, soprattutto, capacità di autocritica. Per Bourdieu – che non accetta la continua latitanza degli intellettuali dal dibattito pubblico –, oggi più che mai (e le parole del sociologo francese suonano, io credo, di una sconcertante attualità a quindici anni di distanza) è necessario che gli intellettuali intervengano nell’universo politico e sociale con le competenze che 32

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sono peculiari dell’ambito scientifico di appartenenza, proprio come fece Zola nel caso Dreyfus, perché «l’intellettuale autentico è colui il quale è in grado di instaurare una collaborazione nella separazione: […] egli deve solo a sé e alle sue opere un’autorità propriamente intellettuale e una competenza di cui si avvale per intervenire, come autore, a suo rischio e pericolo, nella politica»78. Bourdieu sottolinea quanto sia importante che i campi non si commercializzino, non cedano alle logiche mediatiche e a quelle imposte dagli indici di share. Per lui, autonomia è sinonimo di etica, di spessore scientifico, di dignità degli agenti, di serietà delle poste in gioco e delle lotte esistenti per raggiungerle. Per tutti e tre i campi analizzati, cedere alle logiche televisive o commerciali significa perdere parte di quell’umanesimo che gli esseri umani hanno conquistato dopo secoli di lotte politiche e sociali. Significa omologarsi: rinunciare a “fermarsi e pensare”. E questo, colui che considera la riflessività come fuoco sacro dell’azione umana, non lo può certo consentire. Dotato di naturale forza produttrice, Pierre Bourdieu è stato una persona che ha generato, attraverso il connubio di pensiero e pratica, profondi concetti, innovative teorie, rivoluzionari modi di osservare la realtà sociale svelandone il nascosto. Non si è mai adeguato all’“ordine delle cose”, ma ha sempre lottato per svegliare i significati dormienti che costellano la nostra vita quotidiana. Diceva che «i sociologi distruggono le illusioni»79, con il loro lavoro di ricerca teso a scavare oltre la coltre di ovvietà ed omologazione che spesso avvolge le attività quotidiane. E lui amava quel «piacere, sempre un po’ tetro, di sapere come stanno le cose»80. 33

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Al termine della lettura del testo qui presentato ci si renderà conto, io credo, di quanto siano vere le parole che Marco d’Eramo ha utilizzato per ricordare Pierre Bourdieu il giorno in cui morì: «Uno di quei rari umani che ai propri lettori e discepoli regalano occhiali magici con cui guardare il mondo, la società, gli individui, le motivazioni: sono occhiali infrarossi che permettono di orientarsi nella notte della società; sono lenti mentali che consentono all’improvviso di scorgere impensati paesaggi, inopinate configurazioni umane, ci offrono alla comprensione quel che prima appariva terra incognita»81.

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NOTE 1 Bourdieu non partecipò direttamente alle manifestazioni del ’68, in quanto su posizioni antigauchiste che mal si conciliavano con le caratteristiche del movimento francese (N. Heinich, Pourquoi Bourdieu, Gallimard, Paris, 2007, p. 84; si vedano anche la nota 4 in P. Bourdieu, Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, il Saggiatore, Milano, 2005, p. 472n e Id., Homo academicus, Minuit, Paris, 1984). Tuttavia, come ricorda Raymond Aron, la presenza di Bourdieu aleggiava nelle manifestazioni: gli studenti si ritrovavano di fronte alla Sorbona per far circolare fotocopie del testo Les héritiers, sul rapporto tra studenti e cultura; gli insegnanti, dal canto loro, iniziavano a prendere confidenza con gli studi sul sistema educativo francese che verranno poi pubblicati ne La reproduction (R. Aron, Mémoires, Julliard, Paris, 1983, p. 350). 2 P. Bourdieu, Risposte. Per un’antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, Torino, 1992. 3 A mio parere, la migliore introduzione italiana all’universo Bourdieu è P. Bourdieu, Risposte, cit.; decisamente utili anche A. Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, Marsilio, Venezia, 2003 e G. Marsiglia, Pierre Bourdieu. Una teoria del mondo sociale, Cedam, Padova, 2002. Diversi, invece, i volumi disponibili in lingua francese. Tra gli altri, si vedano: AA.VV., Pierre Bourdieu: Son œuvre, son héritage, Éditions Sciences Humaines, Auxerre, 2008; P. Champagne, Pierre Bourdieu, Milan, Toulouse, 2008; M.A. Lescouret, Bourdieu, vers une économie du bonheur, Flammarion, Paris, 2008; J.-P. Cazier, Abécédaire de Pierre Bourdieu, Sils Maria, Mons, 2007; N. Heinich, Pourquoi Bourdieu, cit.; A. Accardo, Introduction à une sociologie critique. Lire Bourdieu, Agone, Marseille, 2006; L. Pinto, Pierre Bourdieu et la théorie du monde social, Seuil, Paris, 2002; B. Lahire, Le travail sociologique de Pierre Bourdieu. Dettes et critiques, La Découverte, Paris, 2001; P. Mounier, Pierre Bourdieu: une introduction, Pocket,

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Presentazione Paris, 2001. Sulla ricezione del pensiero bourdieusiano nelle diverse comunità scientifiche, si vedano il simposio The International Circulation of Sociological Ideas: The Case of Pierre Bourdieu organizzato dalla rivista on-line «Sociologica» (n. 1, 2009 e n. 2, 2008) e D.L. Swartz, V.L. Zolberg, After Bourdieu: influence, critique, elaboration, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 2004. Sulla ricezione della teoria bourdieusiana in Italia, vedi anche M. Santoro, L’intellettuale in campo. Bourdieu e la cultura italiana, «il Mulino», n. 1, 2003, pp. 67-77. Sulla sterminata bibliografia di Pierre Bourdieu si rimanda a Y. Delsaut, M.-C. Rivière, Bibliographie des travaux de Pierre Bourdieu, Le Temps des Cerises, Pantin, 2002 e, soprattutto, al sito “Hyperbourdieu” creato da ricercatori austriaci http:// www.iwp.uni-linz.ac.at/lxe/sektktf/bb (oppure http://hyperbourdieu.jku.at/). 4 «Mi è capitato spesso di definirmi, un po’ per gioco, il leader di un movimento di liberazione delle scienze sociali in lotta contro l’imperialismo della filosofia» (P. Bourdieu, Questa non è un’autobiografia. Elementi per un’autoanalisi, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 71). 5 P. Bourdieu, Nécessiter, in AA.VV., Francis Ponge, L’Herne, Paris, 1986, pp. 434-435. 6 Per violenza simbolica Bourdieu intende «quel potere invisibile che si può esercitare soltanto con la complicità di coloro che non vogliono sapere che lo subiscono oppure che lo esercitano. […] Il potere di imporre (o di inculcare) strumenti di conoscenza e di espressione (tassonomie) arbitrarie (ma ignorate come tali) della realtà sociale» (P. Bourdieu, Sul potere simbolico, in A. Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, cit., pp. 120, 124). 7 L. Wacquant, Il potere simbolico nel governo della “nobiltà di Stato”, in Id. (a cura di), Le astuzie del potere. Pierre Bourdieu e la politica democratica, Ombre corte, Verona, 2005, p. 143. E lo stesso Bourdieu dichiarava che compito della sociologia è quello di «disseminare armi per difendersi contro

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Massimo Cerulo il dominio simbolico» (P. Bourdieu, Questions de sociologie, Minuit, Paris, 1980, p. 13, cit. in L. Wacquant, Presentazione, in P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 12). Come riassume Heinich, i meriti principali degli studi di Bourdieu consistono nell’aver messo in evidenza e mostrato da innovative prospettive l’importanza di una serie di punti chiave dell’analisi sociologica: 1) stratificazione e gerarchia sociale; 2) determinazioni immateriali; 3) contestualizzazione dell’oggetto d’analisi; 4) incorporazione individuale delle regole collettive (N. Heinich, Pourquoi Bourdieu, cit., p. 51). 8 «La sociologia è certo un fattore di disturbo. Disturba perché svela. Simile in ciò ad ogni altra scienza. “La scienza svela ciò che è nascosto”, diceva Gaston Bachelard. Ma in questo caso il “nascosto” è di natura particolare. Spesso si tratta di un segreto – che come molti segreti familiari non si vorrebbe assolutamente svelare – o ancora più spesso di qualcosa di rimosso. […] Per questo, quando non si accontenta di constatare e di ratificare l’apparenza, ma compie il suo lavoro di ricercatore scientifico, il sociologo sembra un delatore» (P. Bourdieu, Sociologia e democrazia, in A. Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, cit., p. 153). 9 Tra le due opere citate, tuttavia, Bourdieu (insieme ai suoi collaboratori) trova il tempo di dedicarsi allo studio dell’arte con due ricerche inerenti al pubblico frequentante i musei (L’amour de l’art. Les musées d’art européens et leur public) e alla fotografia (Un art moyen. Essai sur les usages sociaux de la photographie) e il manuale in cui inizia a tracciare regole e teorie sul mestiere di sociologo (Le métier de sociologue). 10 Sul punto, si veda P. Bourdieu, Il nuovo capitale, in Id., Ragioni pratiche, il Mulino, Bologna, 2009, pp. 33-44. 11 A tal proposito, rimane storica la lezione inaugurale che Bourdieu tenne al Collège de France che gli valse l’accusa di “terrorismo sociologico”, in quanto non citò nessuno dei suoi predecessori e dichiarò di non appartenere a nessuna corrente sociologica (J. Verdès-Leroux, Le savant et la politique. Essai

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Presentazione sur le terrorisme sociologique de Pierre Bourdieu, Grasset, Paris, 1998, pp. 33, 36). 12 L. Wacquant, Note su Pierre Bourdieu e la politica democratica, in Id., Le astuzie del potere, cit., p. 19. 13 «[il] Collège de France era (soprattutto) un luogo di consacrazione degli eretici, situato ai margini di tutti i poteri temporali sull’istituzione accademica» (P. Bourdieu, Questa non è un’autobiografia, cit., p. 80). 14 In riferimento all’engagement politique di Bourdieu, è disponibile un elenco cronologico delle sue attività in N. Heinich, Pourquoi Bourdieu, cit., pp. 76-77. Si vedano anche J. Bouveresse, Bourdieu, savant et politique, Agone, Marseille, cap. 5, 2004 e M. Offerlé, Engagement sociologique: Pierre Bourdieu en politique, «Regards sur l’actualité», n. 248, 1999, pp. 37-50. Un’altra corrente di pensiero, tuttavia, sostiene che Bourdieu si sia sempre impegnato nella sfera della politica, fin dal 1961. A tal proposito, si veda l’utilissimo testo P. Bourdieu, Interventions 1961-2001. Science sociale et action politique, Agone, Marseille, 2002, in cui sono raccolti numerosi scritti del sociologo francese apparsi in quotidiani e riviste oltre a trascrizioni di interviste. 15 Come puntualizza Anna Boschetti: «Rifiutando esplicitamente le opposizioni, “epistemologicamente fittizie, ma socialmente reali”, che impongono di schierarsi pro o contro, egli ha combinato liberamente, e cercato di superare, eredità teoriche e disciplinari che le routine dell’“inconscio accademico” tendono a contrapporre» (A. Boschetti, Introduzione all’edizione italiana, in P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 14). Sulle difficoltà accademiche insite nel confronto tra differenti ambiti scientifici si veda P. Bourdieu, L’objectivation participante, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 150, pp. 4358. 16 Più volte Bourdieu ha cercato di chiarire il senso della ricerca, rispondendo alle critiche ricevute. Si vedano fra gli altri P. Bourdieu, Spazio sociale e spazio simbolico, in Id., Ra-

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Massimo Cerulo gioni pratiche, cit., 2009; P. Bourdieu, Éspace social et pouvoir symbolique, in Id., Choses dites, Minuit, Paris, 1987; P. Bourdieu, Éspace social et genèse des “classes”, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 52-53, 1984, pp. 3-12. Si noti, in quest’ultimo riferimento, l’attenzione nell’uso del termine “classe”. In effetti, può generare confusione parlare di classi sociali quando si fa riferimento a Bourdieu, perché per lui «le classi sociali non esistono (anche se in certi casi il lavoro politico orientato dalla teoria di Marx può aver contribuito a farle esistere almeno attraverso istanze di mobilitazione e mandatari). Esiste uno spazio sociale, uno spazio di differenze, in cui le classi in qualche modo esistono allo stato virtuale, tratteggiate, non come dato ma come qualcosa che deve essere fatto. […] Lo spazio sociale è la realtà prima e ultima, perché determina anche le rappresentazioni che gli agenti sociali possono averne» (P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 25-26). 17 Come ricorda uno studente dopo aver assistito ad alcuni seminari al Collège: «È così semplice, diretto, simpatico, naturale che fatico a credere che sia davvero Bourdieu» (N. Heinich, Pourquoi Bourdieu, cit., p. 15, trad. mia). 18 Questions à Pierre Bourdieu, in G. Mauger, L. Pinto, Lire les sciences sociales, 1989-1992, vol. 1, Belin, Paris, 1994, p. 323, in AA.VV., Pierre Bourdieu: Son œuvre, son héritage, cit., p. 108. 19 M. d’Eramo, È morto Pierre Bourdieu. Il grimaldello della ragione, “il Manifesto”, 25 gennaio 2002. 20 Il libro è composto da una serie d’interviste appena analizzate, trascritte “al naturale”, con ben pochi sforzi ermeneutici da parte dei ricercatori, come a voler lasciare al lettore il compito di interpretarle. Per tale innovazione metodologica (le regole classiche di analisi dell’intervista venivano stravolte), negli ambienti accademici francesi si parlò – alquanto sarcasticamente – di “intervista à la Bourdieu” (si veda N. Mayer, L’entretien selon Pierre Bourdieu. Analyse critique de La misère du monde, «Revue française de sociologie», XXXVI, 2, 1995,

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Presentazione pp. 355-370). Ma l’eclettismo metodologico è un’altra delle caratteristiche principali del Bourdieu ricercatore, che non è mai sceso a patti con le rigidità imposte dai maîtres della metodologia. Come chiarisce Anna Boschetti: «Bisogna praticare il “politeismo metodologico” che Bourdieu rivendicava espressamente, avendo cura di distinguere tra il piano dei princìpi teorici, che devono essere coerenti e sistematici, e quello dei metodi, tecniche di rivelazione e di elaborazione che vanno scelte secondo le caratteristiche dell’oggetto e possono andare dalla statistica all’analisi delle scelte metriche e linguistiche. L’assolutismo metodologico è forse solo un modo di giustificare i propri limiti» (A. Boschetti, Introduzione all’edizione italiana, cit., pp. 37-38). 21 La presenza della équipe era parte precipua nell’esistenza del Bourdieu ricercatore: ancora oggi, nelle aule delle università parigine, non è difficile sentir dire “Bourdieu era la sua équipe”. Tuttavia, sembra che egli si ponesse da padre padrone nei confronti dei propri collaboratori (come sembra ammettere nel corso di un’intervista in cui si definisce “mandarino”: P. Bourdieu, Il mondo sociale mi riesce sopportabile perché posso arrabbiarmi, Nottetempo, Roma, 2004), lasciando ben poco spazio ad ipotesi o iniziative che non provenissero direttamente da lui (Aron lo definisce “capo di una setta e dominatore”, R. Aron, Mémoires, cit., p. 350, trad. mia). A conferma di quanto detto potrebbe essere il fatto che allievi storici di Bourdieu hanno intrapreso strade diverse, criticandolo aspramente (Boltanski, Chamboredon, Passeron, ecc.). Certo è che il sistema di ricerca bourdieusiano possedeva una formidabile capacità di attrazione e di assorbimento delle energie intellettuali di coloro che entravano a farvi parte (N. Heinich, Pourquoi Bourdieu, cit., p. 108). Sul punto, si veda in particolare Y. Delsaut, Sur l’esprit de la recherche, in Y. Delsaut, M.-C. Rivière, Bibliographie des travaux de Pierre Bourdieu, cit. 22 Bourdieu non era ben visto da molti colleghi dell’università francese sia per i suoi modi “particolari” di far ricerca e di

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Massimo Cerulo non rispettare gli steccati accademici tra discipline, sia per gli effetti della pubblicazione di Homo academicus. Per tali motivi sembra che non detenesse molto potere accademico nel “piazzare” i suoi allievi all’interno del mondo universitario. 23 La rivista rappresentò veicolo di conoscenza di nuovi studi che si affacciavano sul panorama internazionale (cultural studies, postcolonial studies, i lavori di alcuni membri del “collegio invisibile” statunitense come Erving Goffman o William Labov, ecc.), caratterizzandosi per un formato decisamente ampio e per il ricorso a strumenti di analisi innovativi per la scienza sociale come le fotografie o i fumetti. Oltre agli Actes, Bourdieu è: dal 1964 direttore della collana Le sens commun per la casa editrice Éditions de Minuit e, dal 1992, per quella delle Éditions du Seuil dove fonda la collezione Liber (quest’ultima è anche il titolo di una rivista internazionale fondata da Bourdieu nel 1989); nel 1995, in seguito agli scioperi dell’autunno francese, fonda una propria casa editrice, Raisons d’agir, caratterizzata da una logica militante e universitaria, nelle quale appaiono diversi lavori di critica neoliberista. 24 P. Bourdieu, Risposte, cit., pp. 159-168 e P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 280. «Una cosa che mi avvilisce quando leggo certi lavori sociologici, è vedere come chi si incarica, per professione, di oggettivare il mondo sociale raramente si mostri poi capace di oggettivare se stesso, senza nemmeno accorgersi che il suo discorso apparentemente scientifico non parla tanto dell’oggetto quanto del suo rapporto con l’oggetto» (P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 46). In tal senso, uno dei rischi maggiori in cui può incorrere lo studioso sociale, da cui Bourdieu mette in guardia, è quello di confondere la realtà con il modello utilizzato per analizzarla. 25 P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 114. 26 P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 62. 27 «Fra i principali ostacoli che il ricercatore deve superare ci sono gli effetti dell’“impensato” che è in lui: disposizioni,

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Presentazione determinazioni che si esercitano a sua insaputa sul suo modo di pensare. Se vuole tentare di controllare i meccanismi che condizionano il suo lavoro, deve prendersi come oggetto, analizzando lo “spazio dei possibili” con cui si confronta, gli interessi simbolici associati alla posizione che occupa nel campo intellettuale, le abitudini mentali e le false evidenze che deve alla sua formazione» (A. Boschetti, Introduzione all’edizione italiana, cit., p. 38). 28 P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 189. «In effetti la riflessività pone in questione il senso sacro dell’individualità e la rappresentazione carismatica che hanno di sé gli intellettuali, sempre portati a concepirsi come liberi da ogni condizionamento sociale. Per Bourdieu essa è proprio ciò che ci consente di liberarci da simili illusioni facendoci scoprire il sociale in seno all’individuale, l’impersonale nascosto nei recessi più intimi, l’universale sepolto nel privato più recondito» (L. Wacquant, Introduzione, in P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 35). 29 Citato in N. Heinich, Pourquoi Bourdieu, cit., p. 91. 30 P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 132. La domination masculine suscitò scalpore anche perché Bourdieu non citava alcuna opera sugli studi di genere prodotta dalle sue colleghe. Anche per questo fu accusato di perpetuare, denunciandola, la discriminazione di genere (si veda N. Heinich, cit., p. 170). 31 Si veda “Le Monde”, 14 dicembre 1995 e il testo che scaturì da quelle esperienze: P. Bourdieu, Controfuochi, PL Promozione Libri, Roma, 1999. 32 P. Bourdieu, Propos sur le champ politique, Presses universitaires de Lyon, Lyon, 2000. Sul punto si vedano anche P. Bourdieu, Penser la politique, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 71-72, 1988, pp. 2-3; P. Bourdieu, La représentation politique. Éléments pour une théorie du champ politique, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 36-37, 1981, pp. 3-24. Il testo dove appare per la prima volta la tesi in questione è P. Bourdieu, Questions de politique, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 16, 1977, pp. 55-89.

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Massimo Cerulo 33

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lume.

Si veda la nota bio-bibliografica alla fine di questo vo-

34 La sociologie est un sport de combat, di P. Carles, C-P Productions & VF Films, France, 2001. 35 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 7. Si veda anche P. Bourdieu, Structuralism and Theory of Sociological Knowledge, «Social Research», XXXV, n. 4, pp. 681-706. 36 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 15. 37 Cit. in L. Wacquant, Introduzione, in P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 22. 38 «La “realtà” che il sociologo persegue non si lascia ridurre ai dati immediati dell’esperienza sensibile nei quali essa si manifesta; egli non ha l’obiettivo di far vedere, o sentire, bensì di costruire sistemi di relazioni intelligibili in grado di rendere ragione dei dati sensibili» (P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 51). 39 «Si può dire senza contraddirsi che le realtà sociali sono finzioni sociali senza altro fondamento che la costruzione sociale, e nello stesso tempo affermare che, in quanto riconosciute collettivamente, esistono realmente» (P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 123). Bourdieu è sempre stato molto attento alla ricerca empirica, a mettere alla prova in diversi ambiti le sue ipotesi di ricerca, nell’ottica di un confronto continuo tra dati e tesi, evitando così di chiudersi sia in un idealismo astratto sia in un empirismo radicale o localistico. Come puntualizza Marco Santoro: «Non una teoria o un sistema generale, si badi, quanto piuttosto un insieme di principi epistemologici e di dispositivi teorici da utilizzare nella pratica della ricerca sociale, che per Bourdieu trova la sua specificità e la sua forza solo in quanto ricerca empirica ed empiricamente controllabile. Si tratta di una postura intellettuale molto diversa da quella non solo di un Talcott Parsons, ma anche di due sociologi a lui contemporanei come Anthony Giddens e Niklas Luhmann, i quali se pure hanno fatto uso nelle loro ricerche anche di materiale empirico (normalmente di tipo storico), lo hanno fatto

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Presentazione con l’obiettivo di illustrare un modello teorico già definito, più che di elaborare e affinare strumenti concettuali ad hoc al confronto con i dati della ricerca sul campo, o di proporre spiegazioni per fenomeni sociali circoscritti e localizzati direttamente osservati» (M. Santoro, Presentazione, in P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. X). Su una presunta svolta soggettivistica operata da Bourdieu negli ultimi venti anni della sua vita, si veda P. Ravaioli, Tra oggettivismo e soggettivismo. Problemi ed evoluzione della teoria sociale di Bourdieu, «Rassegna italiana di sociologia», XLIII, n. 3, 2002, pp. 459-485. 40 Si veda P. Bourdieu, I tre modi della conoscenza teorica, in Id., Per una teoria della pratica, Raffaello Cortina, Milano, 2003, p. 185 e sgg. 41 Il concetto di campo appare per la prima volta nell’articolo Champ intellectuel et projet créateur, «Les Temps modernes», n. 246, novembre 1966, pp. 865-906. Tuttavia, la nozione è presente in quasi tutti i lavori di Bourdieu e prende spunto dalla sociologia religiosa weberiana, passando per l’uso psicologico che del concetto ha fatto Kurt Lewin nella sua field theory. In particolare, la nozione di campo nasce, nello stesso tempo, da Weber e contro Weber: «Ho spesso ricordato, in particolare per quanto riguarda il mio rapporto con Max Weber, che si può pensare con un pensatore contro quel pensatore. Per esempio ho costruito la nozione di campo al tempo stesso contro Weber e con Weber, riflettendo sull’analisi weberiana dei rapporti tra prete, profeta e stregone. Dire che si può pensare con e, al tempo stesso, contro un pensatore, equivale a contraddire radicalmente la logica classificatoria secondo la quale si usa pensare […] il rapporto con le posizioni del passato. […] Per definizione, la scienza è fatta per essere superata. E il solo modo di rendere omaggio a Marx, che ha sempre rivendicato il titolo di scienziato, è servirsi di quello che ha fatto e che altri hanno fatto con quello che aveva fatto per superare quello che aveva creduto di fare» (P. Bourdieu, Choses dites, pp. 63-64, cit. in A. Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu,

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Massimo Cerulo cit., pp. 21-22). L’opera principale in cui Bourdieu procede ad una articolazione storica, teorica ed empirica del termine è Le regole dell’arte, cit. Il campo si differenzia sia dall’apparato althusseriano che dal sistema luhmanniano: la differenza essenziale è che «in un campo ci sono delle lotte, quindi c’è storia. […] Certo in determinate condizioni storiche […] un campo può mettersi a funzionare come un apparato. Quando il dominante riesce a schiacciare e ad annullare la resistenza e le reazioni del dominato, quando tutti i movimenti avvengono esclusivamente dall’alto verso il basso, la lotta e la dialettica costitutive del campo tendono a scomparire. C’è storia solo fino a che la gente si ribella, resiste, reagisce. […] Gli apparati dunque rappresentano un caso limite, qualcosa come uno stato patologico del campo. […] Per quanto riguarda la teoria dei sistemi è vero che si possono trovare alcune superficiali somiglianze con la teoria dei campi. I concetti di “autoreferenzialità” o “autorganizzazione” potrebbero facilmente essere ritradotti con ciò che io designo con la nozione di autonomia: è vero che in entrambi i casi il processo di differenziazione e di autonomizzazione svolge un ruolo centrale. Ma le differenze tra le due teorie sono comunque radicali. Prima di tutto la nozione di campo esclude il funzionalismo e l’organicismo: i prodotti di un determinato campo possono essere sistematici senza essere il prodotto di un sistema e in particolare di un sistema caratterizzato da funzioni comuni, da una coesione interna e da un’autoregolazione: tutti postulati della teoria dei sistemi, questi, che vanno respinti. […] Il campo è luogo di rapporti di forza – e non solo di senso – e di lotte mirate a trasformarlo, e di conseguenza è luogo di cambiamento costante. La coerenza che si può osservare in un determinato stato del campo, il suo apparente orientamento verso una funzione unica […] sono il prodotto del conflitto e della concorrenza e non di una sorta di autosviluppo immanente della struttura. Una seconda grande differenza sta nel fatto che il campo non ha parti o componenti» (P. Bourdieu, Risposte, cit., pp. 72-74).

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Presentazione 42

P. Bourdieu, Propos sur le champ politique, cit., p. 52. P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 8. Utilizzando il termine agente, Bourdieu si contrappone chiaramente alla visione strutturalista che considera invece l’individuo come semplice epifenomeno della struttura sottolineandone la caratteristica passiva (ibidem). Nella visione bourdieusiana, gli agenti non sono vittime né del meccanicismo, né del finalismo: la loro azione non è obbligatoriamente determinata dalla struttura né, d’altra parte, libera, cosciente o frutto di una scelta razionale. Siamo in presenza di un’azione che, in quanto espressione diretta dell’habitus, può essere inconscia, “automatica”, generata dall’esperienza pregressa e, nello stesso tempo, generante nuovo bagaglio esperienziale. 44 «Autentico ambiente nell’accezione newtoniana in cui agiscono forze sociali, attrazioni o repulsioni» (P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 63). 45 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 46-47. 46 Ivi, p. 61. 47 «L’illusio è dunque il contrario dell’atarassia, è l’essere investiti, l’investire in poste che esistono in un certo gioco, per effetto della concorrenza, e esistono solo per chi, preso nel gioco e dotato di disposizioni a riconoscere le poste che vi si giocano, è pronto a morire per delle poste che, dal punto di vista di chi non è preso in quel gioco, sembrano prive di interesse e lasciano freddi. […] Ogni campo sociale […] tende a ottenere che coloro che vi entrano instaurino col campo il rapporto che chiamo illusio. Possono voler rovesciare i rapporti di forza del campo, ma anche così facendo riconoscono le poste, non sono indifferenti. […] Tra persone che in un campo tengono posizioni opposte e sembrano opposte in tutto, in modo radicale, c’è un accordo nascosto e tacito sul fatto che vale la pena di lottare per le cose che si giocano in quel campo» (P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 136). Per Bourdieu quindi, l’illusio è «la condizione del funzionamento di un gioco del quale essa è anche, almeno in parte, il prodotto» (P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 303).

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E inoltre «non basta dire che la storia del campo è la storia delle lotte per il monopolio dell’imposizione delle categorie di percezione e di valutazione legittime; è la lotta stessa che fa la storia del campo, è attraverso la lotta che esso assume una dimensione temporale» (P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 225). E in un altro testo aggiunge: «Il campo è sempre un prodotto della storia che è esso stesso storia» (M. d’Eramo, Tra struttura e libertà. Conversazione con Pierre Bourdieu, in P. Bourdieu, Campo del potere e campo intellettuale, cit., p. 38). 49 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 81. Non a caso, lo stesso testo si apre con una citazione dalla sociologia della scienza di Robert Merton: «Nel dominio cognitivo come in altri, c’è competizione tra gruppi o collettività per conquistare ciò che Heidegger chiamò l’“interpretazione pubblica della realtà”. Con vari gradi di intenzionalità, i gruppi in conflitto vogliono far prevalere la propria interpretazione di come le cose sono state, sono e saranno» (ibidem). Compito delle scienze sociali è proprio quello di svelare la realtà: «L’oggetto della scienza sociale è una realtà che ingloba tutte le lotte, individuali e collettive, volte a conservare o a trasformare la realtà, e in particolare quelle che hanno per oggetto l’imposizione della definizione legittima della realtà, e la cui efficacia propriamente simbolica può contribuire alla conversazione o alla sovversione dell’ordine costituito, cioè della realtà» (P. Bourdieu, Il senso pratico, Armando, Roma, 2005, p. 221). 50 P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 73. 51 Ivi, p. 351. 52 P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., p. 137. 53 «Contro l’ambiguità del concetto e le tentazioni prescrittive o performative che si possono mascherare nei suoi usi, conviene ricordare che l’autonomia è un valore prodotto dal campo, un’idea regolatrice e una parola d’ordine, che possono avere effetti reali rilevanti, e quindi rientrano tra le percezioni e le rappresentazioni che occorre prendere in considerazione

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Presentazione se si vuole spiegare il funzionamento del campo» (A. Boschetti, Introduzione all’edizione italiana, cit., p. 42). 54 «Universi sociali che hanno una legge fondamentale, un nómos, indipendente da quello degli altri universi: sono autonomi, valutano ciò che si compie al loro interno e le poste che vi si giocano secondo principi e criteri non riducibili a quelli degli altri universi. […] Ogni campo, producendosi, produce una forma di interesse che, dal punto di vista di un altro campo, può sembrare disinteresse (e anche assurdità, mancanza di realismo, follia, ecc.)» (P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 142-143). Per nómos si deve intendere “principio costituente”. 55 Bourdieu mutua elementi della teoria marxiana del capitale e di quella weberiana della stratificazione sociale. Per approfondimenti si veda P. Bourdieu, The Forms of Capital, in J.G. Richardson (ed.), Handbook of Theory and Research for the Sociology of Education, Greenwood Press, New YorkWestport-London, 1986, pp. 241-258. 56 Si veda P. Bourdieu, Les trois états du capital culturel, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 30, 1980, pp. 3-6. 57 «Chiamo capitale simbolico ogni specie di capitale (economico, culturale, scolastico o sociale). […] È un capitale a base cognitiva, fondato sulla conoscenza e sul riconoscimento. […] È una proprietà qualsiasi, forza fisica, ricchezza, valore guerriero, la quale, percepita da agenti sociali dotati di categorie di percezione e valutazione che consentono di coglierla, di conoscerla e di riconoscerla, diventa simbolicamente efficiente come una vera forza magica: una proprietà che, per il fatto di rispondere a delle “attese collettive” socialmente costituite, a delle credenze, esercita una sorta di azione a distanza, senza contatto fisico. Se si dà un ordine, esso viene eseguito: è un atto quasi magico» (P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 144, 169). 58 Riconoscimento che veicola forme di dominio: «Il capitale simbolico assicura forme di dominio che implicano la dipendenza nei confronti di coloro che esso permette di do-

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Massimo Cerulo minare: è infatti un capitale che esiste solo nella e grazie alla stima, al riconoscimento, alla credenza, al credito, alla fiducia degli altri, e può perpetuarsi solo finché riesce a ottenere che si creda alla sua esistenza» (P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., pp. 174-175). 59 P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 307. 60 Il termine deriva dalla filosofia aristotelica e da quella tomistica, attraversando Mauss, Panofsky e la nozione husserliana di Habitualität. La concettualizzazione più profonda e articolata del concetto di habitus (e di quello di pratica, ad esso strettamente correlato) è in P. Bourdieu, Il senso pratico, cit. e in P. Bourdieu, Per una teoria della pratica, cit. Ma per una chiara sintesi si veda anche P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., pp. 145-171. 61 Attraverso l’habitus è possibile tracciare le diverse traiettorie, ossia le diverse posizioni occupate da un soggetto all’interno dei campi frequentati nel corso della sua vita. Queste ultime segnano la singolarità esistenziale di ognuno che si configura esclusivamente in relazione alle altrui traiettorie. Con tale tesi Bourdieu – che, citando Lo specchio che ritorna di Robbe-Grillet, sostiene l’assenza di un significato unificante dell’esistenza – si contrappone a quella “illusione biografica” della storia di vita, che ha portato diversi studiosi a credere che il corso dell’esistenza sia l’esplicazione di un progetto già definito nell’infanzia (P. Bourdieu, L’illusione biografica, in Id., Ragioni pratiche, cit., pp. 71-79). Si veda anche P. Bourdieu, Campo del potere e campo intellettuale, cit., p. 114n. 62 «Sistema di disposizioni acquisite, permanenti e generatrici» (P. Bourdieu, Il senso pratico, cit., p. 84n). 63 P. Bourdieu, La distinction. Critique social du jugement, Éditions de minuit, Paris, 1979, p. 191, cit. in M. d’Eramo, Introduzione, in P. Bourdieu, Campo del potere e campo intellettuale, cit., p. 19. 64 P. Bourdieu, Il senso pratico, cit., p. 86. 65 P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., p. 228.

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Presentazione 66

P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 126. «È un corpo socializzato, un corpo strutturato, un corpo che ha incorporato a sé le strutture immanenti di un mondo o di un settore particolare di quel mondo, di un campo, e che struttura la percezione di quel mondo e anche l’azione in quel mondo» (P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit. p. 139). Inoltre, come chiarisce in un altro testo: «Direi che in sostanza la teoria dell’habitus e del senso pratico presenta molte similitudini con le teorie che, come quella di Dewey, attribuiscono un posto centrale all’habit, inteso non come abitudine ripetitiva e meccanica, ma come rapporto attivo e creativo col mondo, e rifiutano tutti i dualismi concettuali sui quali sono state costruite quasi tutte le filosofie postcartesiane: soggetto e oggetto, interiore ed esteriore, materiale e spirituale, individuale e sociale, ecc.» (P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 90). 68 La metafora sportiva è molto presente nelle opere di Bourdieu. Secondo lui, infatti, l’habitus è ben visibile studiando diversi tipi di sport e il comportamento degli atleti sul campo. Si veda P. Bourdieu, Program for a Sociology of Sport, «The Sociology of Sport Journal», V, n. 2, 1988, pp. 153-161. 69 Sulle critiche ricevute, si vedano in particolare R. Jenkins, Pierre Bourdieu, Routledge, London, 1992 e Id., Pierre Bourdieu and the Reproduction of Determinism, «Sociology», XVI, n. 2, 1982, pp. 270-281; molto utile inoltre anche la nota 39 in P. Bourdieu, Risposte, cit., pp. 216-217. Bourdieu dichiara di sfuggire alla scelta tra determinismo e soggettivismo: «Per me il campo e l’habitus permettono praticamente di sfuggire all’alternativa tra il determinismo oggettivista, che produce una specie d’irresponsabilità degli agenti, e dall’altro lato la libera attività del soggetto che renderebbe inutile parlare di società» (P. Bourdieu, Tra struttura e libertà, cit., p. 45). Citando Grandezza e miseria di Pascal, sosteneva che «determinato (miseria), l’uomo può conoscere le sue determinazioni (grandezza) e impegnarsi a superarle» (P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., p. 138).

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Tra campo e habitus esiste una relazione di condizionamento: «il campo struttura l’habitus che è il prodotto dell’incorporazione della necessità immanente di quel campo o di un insieme di campi più o meno concordanti; […] ma è anche una relazione di conoscenza o di costruzione cognitiva: l’habitus contribuisce a costituire il campo come mondo significante, dotato di senso e di valore, nel quale vale la pena investire la propria energia. […] La realtà sociale esiste per così dire due volte, nelle cose e nei cervelli, nei campi e negli habitus, all’esterno e all’interno degli agenti» (P. Bourdieu, Risposte, cit., pp. 94-95). Si veda anche P. Bourdieu, The Genesis of Concepts of Habitus and Field, «Sociocriticism, Theories and Perspectives», II, n. 2, 1985, pp. 11-24. 71 A. Boschetti, Introduzione all’edizione italiana, cit. p. 31. 72 Quando, nel corso di una conferenza sul problema del precariato, si levò un applauso che lo interruppe, Bourdieu fu lesto a zittire la platea: «Vi prego! La verità non si misura con l’applausometro. Non siamo in televisione» (si veda il documentario La sociologie est un sport de combat, cit.). 73 P. Bourdieu, Proposta politica. Andare a sinistra oggi, Castelvecchi, Roma, 2005, p. 94. Nello stesso testo scrive: «L’ultima rivoluzione politica, la rivoluzione contro il clero politico e contro l’usurpazione potenzialmente iscritta nella delega resta ancora tutta da fare» (ivi, p. 93). 74 P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 435. Si vedano anche P. Bourdieu, Fonder la critique sur une connaissance du monde social, in Id., Interventions 1961-2001, cit.; Id., Les doxosophes, «Minuit», 1, pp. 26-45; Id., Per un corporativismo dell’universale, in Id., Le regole dell’arte, cit., pp. 427-437 e Id., Meditazioni pascaliane, cit., p. 190. 75 Per chiarire la forza omologante che può detenere una visione dominante della realtà sociale, Bourdieu porta come esempio nel testo la dichiarazione di un noto cardinale francese, tirando in ballo il concetto di “idea forza”. Con tale termine egli intende un’asserzione espressa da un individuo, rivestito

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Presentazione di autorità in uno o più determinati campi sociali, la quale acquista la forza di mobilitare un elevato numero di persone che tendono a condividere ed omologarsi alla visione della realtà che quell’asserzione esprime. Tale “condivisione” però – e questa è la peculiarità di una “idea-forza” – non si basa su riflessioni o ragionamenti, bensì sul potere e l’autorità (forme di “capitale reputazionale”) detenuti dalla persona che esprime l’asserzione. In altri termini, l’“idea forza” rappresenta, nella teoria sociale bourdieusiana, un esempio pratico di violenza simbolica. All’opposto vi è l’“idea vera”, ossia un’asserzione dotata di verità scientifica o oggettiva. 76 P. Bourdieu, Proposta politica, cit., p. 98. Si tenga presente che «per Bourdieu, la sociologia è una scienza eminentemente politica in quanto profondamente coinvolta nelle strategie e nei meccanismi di dominio simbolico nei quali si trova essa stessa inserita. Per la natura stessa del suo oggetto e per la situazione di coloro che la praticano, la scienza sociale non può essere neutra, distaccata, apolitica» (L. Wacquant, Introduzione, in P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 38). 77 Con tale termine intende una nuova forma di azione collettiva, politica e sociale degli intellettuali, caratterizzata da una critica etica, da una ricerca della morale, da un impegno civico e da una tendenza all’ambizione dell’universale. Un’azione collettiva mirante a creare le condizioni sociali di un dialogo razionale fra intellettuali (universalisme intellectuel), al fine di accumulare e internazionalizzare le conoscenze e le differenti categorie di pensiero (P. Bourdieu, Les conditions sociales de la circulation internationale des idées, «Romanistische Zeitschrift für Literaturgeschichte/Cahiers d’Histoire des Littératures Romanes», 14, 1/2, 1990, pp. 7, 10). Era in fondo questo l’obiettivo del Parlamento Internazionale degli Scrittori (IPW), di cui Bourdieu è stato uno dei trecento fondatori. Sul punto si vedano P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 213-218 e Id., Post scriptum. Per un corporativismo dell’universale, in Id., Le regole dell’arte, cit., pp. 425-437.

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Massimo Cerulo 78

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P. Bourdieu, Monopolio politico e rivoluzioni simboliche, in Id., Proposta politica, cit., p. 99. Bourdieu parla di “intellettuale autentico”, in contrapposizione all’“intellettuale totale” di Sartre e all’“intellettuale specifico” di Foucault. 79 P. Bourdieu, Propos sur le champ politique, cit., p. 45. 80 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 68. 81 M. d’Eramo, Introduzione, in P. Bourdieu, Campo del potere e campo intellettuale, cit., p. 31.

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PIERRE BOURDIEU Campo politico, campo delle scienze sociali, campo giornalistico

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Nota del curatore Essendo il testo in questione la trascrizione di una conferenza, si è preferito mantenere le caratteristiche del “parlato” (incisi, parentesi, lunghe frasi, uso ripetuto degli “eccetera”) come testimonianza diretta del modus operandi di Bourdieu, modificando solo ove necessario la struttura del discorso. Un ringraziamento profondo a Laura Balbo, Franco Crespi e Paolo Jedlowski per aver letto i testi e per i preziosi suggerimenti fornitimi. E a Francesca Galmacci, la prima ad avermi mostrato la costellazione Bourdieu. 56

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Con la mia relazione spero di soddisfare due tipi di attese: da una parte quelle che potremmo definire accademiche, inerenti alla presentazione degli strumenti teorici che potrebbero essere utili per analizzare, da una prospettiva molto generale, i fenomeni sociali e in particolare i fenomeni di produzione culturale, quali la letteratura, l’arte, il giornalismo, ecc.; dall’altra parte, le attese inerenti gli interessi politici o civici – dico spesso che la sociologia può essere una sorta di combattimento1 simbolico, che permette di difendersi contro le differenti forme di violenza simbolica che possono esercitarsi sui cittadini, in particolar modo oggi, come spesso avviene attraverso il campo mediatico. La relazione che presenterò s’inserisce nel percorso che ho sviluppato nei corsi che ho tenuto a Friburgo e a Strasburgo. Proverò dunque a richiamare molto rapidamente una serie di definizioni preliminari, senza soffermarmi troppo sull’approfondimento delle stesse. La nozione di campo. Per chi volesse approfondire i concetti che andrò a trattare: ho esposto la genealogia intellettuale della nozione di campo nel libro Le Regole dell’Arte2 (alle pagine 248-255). Inoltre, un’analisi del campo religioso si trova nella «Revue française de sociologie» (Genèse et structure du champ religieux, «Revue 1

Sport de combat (N.d.T.). Per facilitare la ricerca, i riferimenti bibliografici sono direttamente alle traduzioni italiane, ove disponibili (N.d.T.). 2

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Sul concetto di campo in sociologia

française de sociologie», XII, 3, 1971, pp. 295-334). Per quanto riguarda gli altri tipi di campi, invece, come ad esempio il campo scientifico, il campo politico o il campo giuridico, è possibile trovarne analisi in diversi numeri della rivista «Actes de la recherche en sciences sociales». Il libro intitolato Führer della filosofia? L’ontologia politica di Martin Heidegger (il Mulino, Bologna, 1989) presenta un’analisi del campo filosofico tedesco nel (e in rapporto al) quale ha preso forma il pensiero di Heidegger. Infine, è possibile trovare ne Le regole dell’arte un’esposizione particolarmente approfondita del funzionamento del campo letterario e una serie di esempi in cui quest’ultima nozione viene applicata allo studio della letteratura. In questa sede ho scelto di trattare un oggetto un po’ bizzarro ma, a mio parere, estremamente importante sia dal punto di vista scientifico che da quello politico, ossia la relazione che viene a crearsi tra il campo politico, il campo delle scienze sociali e il campo giornalistico3. Parliamo di tre universi sociali, autonomi, relativamente indipendenti, ma che esercitano degli effetti gli uni sugli altri. In questa sede vorrei cercare di chiarire questi effetti per mostrare come fenomeni che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni – quando accendiamo la televisione, quando sfogliamo un giornale o quando consultiamo una ricerca di sociologia, ecc. – come questi effetti, spesso spiegati attraverso le risorse della sociologia spontanea e imputati alle responsabilità individuali, alla malignità delle istituzioni, ecc., non possono a mio parere essere compresi se non ricorrendo a un’analisi di quelle strut3

Si tenga presente che la traduzione aggiornata di champ journalistique sarebbe “campo mediatico” (N.d.T.).

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Pierre Bourdieu

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ture invisibili che sono i campi e, nel caso particolare, di quelle strutture ancora più invisibili che sono le relazioni che esistono tra i tre campi sopracitati. Definizione semplice, comoda ma, come tutte le definizioni, decisamente insufficiente, della nozione di campo: un campo è un campo di forze all’interno del quale gli agenti occupano posizioni che determinano statisticamente le loro prese di posizione sul medesimo campo di forze. Tali prese di posizione mirano sia a conservare, sia a trasformare la struttura del rapporto di forze costitutiva del campo. Detto in altri termini, per alcuni versi il campo (ad esempio, il campo letterario inteso come microcosmo che raccoglie gli agenti e le istituzioni impegnate nella produzione di opere letterarie) è equiparabile a un campo di forze fisiche. Ma non è ad esso riducibile: esso è il luogo di azioni e reazioni compiute da parte degli agenti sociali dotati di disposizioni permanenti, queste ultime in parte acquisite nell’esperienza degli stessi campi sociali. Gli agenti reagiscono a questi rapporti di forza, a queste strutture, contribuiscono a costruirle, le percepiscono, se ne fanno un’idea, se ne creano una rappresentazione, ecc. E, essendo legati a queste forze iscritte nei campi e determinati nelle loro disposizioni permanenti da queste stesse forze, gli agenti hanno la possibilità di influire sui campi, di agire all’interno di essi, seguendo strade parzialmente pre-obbligate ma conservando comunque un margine di libertà. Ho detto troppo o forse troppo poco, e in modo organizzativo molto astratto, ma in questa sede non posso 59

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Sul concetto di campo in sociologia

fare di più. Detto questo, la nozione di campo è uno strumento di ricerca la cui funzione principale è di permettere di costruire scientificamente oggetti sociali. Ecco perché, per farvi comprendere, per permettervi di accedere a ciò che io intendo con la nozione di campo, piuttosto che parafrasare quello che ho appena detto, piuttosto che fornirvi una genealogia del concetto – cosa che, tuttavia, potrebbe essere utile per alcuni fra voi: esso deriva da Cassirer, attraversa Lewin, ecc., deriva da loro eppure non deriva da loro… –, piuttosto quindi che compiere un esercizio di genealogia, invece che mostrare contemporaneamente i rapporti di continuità e di rottura con le nozioni equivalenti utilizzate da Max Weber (lo studioso che più si è avvicinato alla nozione di campo e che, nello stesso tempo, è sempre stato privato di questa nozione, cosa che, a mio parere, gli ha impedito di fare ciò per cui ha lavorato per tutta la vita: c’è progresso, a mio avviso, anche nelle scienze sociali), piuttosto quindi che proporre degli esercizi scolastici sulla nozione di campo, vorrei far funzionare quest’ultimo davanti a voi in una sorta di esercizio di costruzione dell’oggetto, con tutto quello che ciò può avere di incerto, imperfetto e incompiuto. Detto questo, per svolgere seriamente quello che farò nelle prossime due ore servirebbero un anno di insegnamento, forse due anni di seminari, essendo il seminario un modo di comunicazione di tutt’altro tipo in confronto a quello che mi trovo ad utilizzare oggi (caratterizzato da una struttura diversa, da un pubblico differente, ecc.). Proverò dunque in forma accelerata a elaborare qualcosa che si avvicini il più possibile a quello che si potrebbe costruire in un seminario di ricerca, dove si farebbe lavorare la nozione di campo a proposito dell’oggetto che ho cercato di costruire proprio grazie a tale nozione. 60

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Pierre Bourdieu

Secondo il senso comune, all’interno dell’universo sociale odierno ci sono dei giornalisti, degli uomini politici, dei giornalisti televisivi che intervistano uomini politici, dei sociologi che rilasciano interviste sui giornali o che intervistano uomini politici e giornalisti, ecc.; ci sono dunque agenti visibili, percettibili, che si incontrano, che possono scontrarsi, che possono farsi concorrenza. Cosa ci si guadagna nel sostituire a questa visione fenomenica, a questo insieme di agenti singoli designati da nomi propri, degli spazi di relazioni invisibili che sono costitutive di quello che io chiamo campo delle scienze sociali o campo giuridico o campo politico? Cosa ci si guadagna nel sostituire queste relazioni invisibili agli agenti visibili e alle interazioni visibili che tra gli stessi agenti prendono corpo? In televisione, ad esempio durante una serata elettorale, i campi che ho appena evocato – campo politico, campo delle scienze sociali e campo giornalistico – sono presenti, ma lo sono sotto forma di individui. Ad esempio, potrete trovarvi di fronte René Raymond, storico di nota fama (a torto o a ragione) che commenterà i risultati elettorali. Di fianco a lui ci sarà Paul Amar, che fa parte del campo giornalistico, e ancora Monsieur Lancelot, direttore dell’Istituto di Scienze Politiche e membro di non so quale campo, diciamo pure di quello accademico e di quello delle scienze sociali, per via della sua collaborazione con gli istituti di sondaggi ai quali egli fornisce suggerimenti. Ora, si potrebbe effettuare una descrizione interazionista, ossia limitata all’analisi delle interazioni fra gli individui, oppure un’analisi dei discorsi che si basa sulla retorica impiegata, gli schemi utilizzati, le strategie, ecc. Quello che io propongo invece è completamente differente: io ipotizzo che quando René Raymond si rivolge a Paul Amar non siamo di fronte a uno storico che parla 61

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Sul concetto di campo in sociologia

a un giornalista – cosa che rappresenterebbe già un inizio di costruzione dell’oggetto –, bensì siamo di fronte a uno storico, che occupa una posizione determinata all’interno del campo delle scienze sociali, che parla con un giornalista che occupa una posizione determinata all’interno del campo giornalistico. Da ciò si deduce che siamo, di fatto, di fronte al campo giornalistico che si rapporta al campo delle scienze sociali. E le proprietà che caratterizzano l’interazione tra Paul Amar e René Raymond – ad esempio il fatto che, in ultima analisi, Paul Amar si rivolgerà a René Raymond identificandolo come una sorta di arbitro trascendente rispetto al dibattito strettamente politico, come colui che può avere l’ultima parola, che fa riferimento alle passate elezioni, che invoca i precedenti – o l’interazione tra Paul Amar e quel particolare uomo politico che abbia la parola in quel momento, esprimono la struttura della relazione tra il campo giornalistico e il campo delle scienze sociali. E, ad esempio, l’oggettività statutaria che si accorda a René Raymond è legata non a proprietà intrinseche dell’individuo René Raymond, bensì al campo di cui lui fa parte, campo che intrattiene una relazione oggettiva di dominio simbolico in rapporto al campo giornalistico (il quale può a sua volta esercitare un dominio simbolico rispetto al campo delle scienze sociali sotto un altro tipo di rapporto: ad esempio quello inerente al dominio delle modalità d’accesso al pubblico, ecc.). In breve, un programma televisivo, osservato con gli strumenti che vi propongo, svela un insieme di proprietà che non si potrebbero notare se si utilizzasse soltanto l’intuito. Il campo che propongo all’analisi è quindi una forma allargata di quello che viene ordinariamente chiamato il 62

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Pierre Bourdieu

mondo politico, il microcosmo politico. È raro che io citi Raymond Barre, soprattutto considerandolo nelle vesti di sociologo, ma per una volta casca a pennello. Il termine microcosmo evoca bene il fatto che l’universo politico, con le sue istituzioni, i partiti, le sue regole di funzionamento, i suoi agenti selezionati attraverso determinati processi (elettorali), ecc., è un mondo autonomo, un microcosmo inserito e vivente all’interno del macrocosmo sociale. Il microcosmo politico è una sorta di piccolo universo che vive all’interno delle leggi di funzionamento del grande universo sociale di cui fa parte, e tuttavia è dotato di una autonomia relativa all’interno di questo grande universo e obbedisce alle sue proprie regole, al suo proprio nomos, alla sua propria legge che si caratterizza per essere, in una parola, indipendente. È necessario prendere atto di questa autonomia relativa se si vogliono comprendere le pratiche e le opere che si generano all’interno di questi universi. Così, tradizionalmente, la maggior parte degli studi consacrati al diritto, alla letteratura, all’arte, alla scienza, alla filosofia, a tutte le produzioni culturali, si dividono in due grandi canali di approccio interpretativo: il primo, che possiamo chiamare “internalista”, sostiene che per comprendere il diritto, la letteratura, ecc., sia sufficiente leggere i testi senza necessariamente fare riferimento al contesto, in quanto il testo è autonomo e autosufficiente e non necessita quindi di essere rapportato a fattori esterni: economici, geografici, ecc.; il secondo, molto più raro e sottoposto al controllo di coloro che detengono il potere nel campo di riferimento, sostiene, al contrario del primo, la necessità di rapportare i testi al contesto in cui questi vengono prodotti. Da un punto di vista generale, 63

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Sul concetto di campo in sociologia

quest’ultima lettura, definita “esternalista”, è considerata come sacrilega, mal vista dalla casta dei commentatori, dei lectores, dei “sacerdoti del commento”, che detengono il monopolio dell’accesso legittimo al testo sacro. Contro la visione internalista, che è decisamente potente in filosofia (le due discipline che sono riuscite a conservare il monopolio della loro storia, almeno fino ad oggi, sono la filosofia e il diritto), sono solito sempre invocare uno splendido scritto di Spinoza che, nel Tractatus theologico-politicus4 – contro il sacro io invoco il sacro, è una bella battaglia –, a proposito dei problemi classici dell’esegesi da cui sono venute fuori le tradizioni ermeneutiche che oggi ci propinano in continuazione – Gadamer, Ricœur e altri –, pone una serie di questioni: come potete comprendere i testi sacri, quelli dei profeti, della Bibbia se non conoscete chi li ha scritti, quando li ha scritti, come li ha scritti, in che lingua, chi ne ha costituito il canone – ossia il corpus dei testi canonici, di quei testi che meritano di essere considerati come sacri? Spinoza pone tutte queste domande facendo riferimento ai testi sacri della tradizione religiosa e, in maniera bizzarra, i filosofi che si richiamano a Spinoza, perlomeno alcuni tra loro (penso ad esempio a Macherey di cui è stato pubblicato un commentario al libro V dell’Etica spinoziana in cui prende autorizzazione dallo stesso Spinoza – egli ha di certo stravolto il testo spinoziano che sto citando – per autogiustificarsi una lettura strettamente internalista del testo sacro), considerano ancora come sacrilego il fatto di porre in riferimento a questi testi le domande che avanzava Spinoza: “chi lo ha scritto?”, os4 Il

riferimento è in Spinoza, Trattato teologico politico, Einaudi, Torino, 1981, p. 190.

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Pierre Bourdieu

sia cosa ha fatto, come lo ha creato, dove ha studiato, di chi è stato allievo, contro chi scriveva. In altri termini: in quale campo era inserito l’autore del testo? In origine, la nozione di campo ha svolto la funzione di sottrarsi a questa alternativa, di rifiutare di scegliere tra una lettura “interna” del testo – dentro se stesso e per se stesso – e una lettura “esterna” che rapporta brutalmente lo scritto alla società in generale. Tra le due alternative, se si vuole, esiste un universo sociale che si dimentica sempre: l’universo dei produttori delle opere, l’universo dei filosofi, l’universo degli artisti, l’universo degli scrittori. E non soltanto quello delle istituzioni letterarie, delle riviste, delle università in cui gli scrittori si formano. Parlare di campo significa nominare questo microcosmo che è anche un universo sociale, ma un universo sociale non vincolato a un certo numero di costrizioni che caratterizzano invece l’universo sociale globale. Questo microcosmo è un universo quasi a parte, dotato di sue proprie regole, di un suo proprio nomos, di una sua propria legge di funzionamento, e però non del tutto indipendente dalle leggi esterne. Una delle questioni che bisogna porre quando si parla di campo è quella inerente al suo grado di autonomia. Ad esempio, tra i tre che ho evocato, il campo giornalistico in confronto al campo della sociologia (a fortiori in confronto al campo della matematica5) è segnato da un alto grado di eteronomia. Esso è caratterizzato da una 5 Qui “matematica” sta per scienze della cultura, in quanto Bourdieu la utilizza con un significato greco, ossia come scienza che stimola il pensiero. Più avanti nel testo si provvederà a un’ulteriore chiarificazione del termine (N.d.T.).

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Sul concetto di campo in sociologia

scarsissima autonomia, la quale però, per quanto debole, fa sì che non si possa comprendere tutto ciò che avviene al suo interno a partire dalla sola conoscenza dell’ambiente esterno: per comprendere quello che accade nel campo giornalistico non è sufficiente conoscere chi garantisce i finanziamenti, chi sono gli imprenditori, chi paga la pubblicità, da dove arrivano le sovvenzioni, ecc. Una parte di quello che si produce all’interno del mondo del giornalismo è comprensibile soltanto se si pensa a quest’ultimo come un microcosmo sociale relativamente autonomo e se ci si sforza di comprendere gli effetti che gli agenti che agiscono all’interno di tale microcosmo esercitano gli uni sugli altri. Ci avviciniamo così al concetto di campo politico in senso specifico. Marx dice – non ricordo esattamente in quale testo – che l’universo politico, inteso come il mondo dei parlamentari, è una sorta di teatro e in quanto tale propone una rappresentazione teatrale del mondo sociale, della lotta sociale, che non è mai del tutto seria, bensì è derealizzata, in quanto le vere discussioni, i veri accordi hanno luogo in altri contesti. Sottolineando tale caratteristica, Marx indica una delle proprietà fondamentali del campo politico: il fatto che tale campo, per quanto poco autonomo possa essere, conserva comunque un grado di autonomia, una certa indipendenza che, detta in altri termini, rappresenta una sorta di gioco contraddistinto dalle sue proprie regole, tali che, ancora una volta, per comprendere ciò che avviene al suo interno non è sufficiente descrivere gli agenti che al gioco prendono parte semplicemente come, ad esempio, individui al servizio di qualcuno (dei produttori d’acciaio, o dei bieticoltori, come si diceva un po’ di decenni 66

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Pierre Bourdieu

fa, o del mondo imprenditoriale, ecc.). Dire che gli uomini politici, i parlamentari, i ministri, ecc., sono iscritti in un campo significa che gli obiettivi che li muovono, le motivazioni che li animano trovano il loro principio all’interno del microcosmo sociale di appartenenza e non direttamente nel macrocosmo. Significa che per comprendere le prese di posizione di un deputato socialista o di uno facente parte del Rassemblement pour la République6 non è sufficiente fare riferimento alle variabili ordinarie (mi riferisco, ad esempio, alla loro appartenenza di classe, alla loro posizione sociale all’interno dello spazio sociale globale), non è sufficiente neanche conoscere le loro relazioni di dipendenza diretta da un qualsivoglia potere esterno (il fatto che essi siano pensionati di banca ad esempio – motivazioni che vengono spesso ricordate durante le campagne elettorali), non è sufficiente quindi caratterizzare tali individui in base alle determinanti esterne che possono essere loro ascritte in riferimento all’origine sociale o alla loro professione o ai legami sociali o economici, diretti o indiretti, che hanno luogo in un determinato momento. È necessario invece comprendere la posizione che gli agenti occupano nel gioco politico: se si situano nella parte più autonoma del campo o in quella più eteronoma, se sono membri di un partito caratterizzato da una maggiore o minore indipendenza e da quale grado di autonomia, all’interno di tale partito, è contrassegnata la linea politica di cui si fanno promotori. In effetti, quanto maggiore è il grado di autonomia detenuto dal campo, tanto maggiori saranno gli aspetti 6

Partito politico francese scomparso nel 2002 (N.d.T.).

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Sul concetto di campo in sociologia

e le dinamiche esistenti al suo interno spiegabili attraverso la logica di funzionamento del campo stesso. Il campo politico, nonostante sia in apparenza sottomesso a una pressione costante esercitata dalla domanda dei rappresentati e a un controllo continuo da parte della sua clientela (attraverso il meccanismo elettorale), risulta oggi fortemente indipendente da questa pressione e tendente a richiudersi su se stesso, verso i suoi interessi interni (ad esempio la lotta per il potere, che ha luogo tra i differenti partiti e all’interno di ogni singolo partito). Questa vaga impressione di chiusura del campo politico sugli interessi privati dei rappresentanti trova oggi conferma e si esprime nell’antiparlamentarismo diffuso e nell’ostilità, più o meno affermata, nei confronti degli uomini politici, della corruzione, ecc. Alcuni sociologi, definiti neo-machiavellici come Michels, teorico tedesco della social-democrazia, o Mosca, teorico italiano, hanno svelato la logica – quella che essi chiamano la legge di ferro delle oligarchie o degli apparati, in particolare degli apparati politici – che favorisce questo distacco e questa chiusura, mostrando come anche quei partiti che dovrebbero farsi portatori delle istanze espresse dagli individui appartenenti agli strati sociali meno abbienti finiscano per giustificare delle forme di rappresentanza autoritarie: una sparuta minoranza di rappresentanti finisce per monopolizzare l’energia sociale che è stata loro consegnata dai rappresentati. In altri termini, tale logica fa sì che il potere democraticamente acquisito dai rappresentanti di un partito si concentri nelle mani di pochi tra loro che, gradualmente, prendono le distanze dalla base e finiscono per agire come una sorta di oligarchia, forte del potere derivante dai rappresentati. La legge di ferro delle oligarchie politiche è l’equivalente 68

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Pierre Bourdieu

della “tendenza del corpo sacerdotale” ad arrogarsi, come dice Weber, «il monopolio legittimo dei beni di salvezza». Questa tendenza alla concentrazione dei mezzi politici, che è l’equivalente alla concentrazione delle modalità d’accesso ai mezzi di salvezza, la si può vedere sotto forma di concentrazione della parola. Ad esempio: si delega ai parlamentari, che a loro volta delegano al portavoce e così via, fino ad avere oggi, per la felicità dei media, quattro o cinque portavoce, presenti in pianta stabile in televisione, che si arrogano una sorta di monopolio dell’accesso ai mezzi di manipolazione legittima della visione del mondo (che è la definizione dell’azione politica). Questa concentrazione è iscritta nella logica di funzionamento dei campi ma, e i neo-machiavellici tendono a dimenticarlo, essa ha delle basi sociali che si situano al di fuori del microcosmo. Affinché un campo politico, così come lo conosciamo oggi, funzioni con un grado tale di mancanza nella e dalla rappresentanza, è necessario che, in una certa misura, i rappresentati siano inclini ad accettare di essere spodestati nell’accesso ai mezzi di produzione politica. E questa propensione è tanto più grande, lo sappiamo scientificamente, quanto più si è sguarniti di capitale culturale, di capitale economico, ecc. Sono disponibili indici che tendono a confermare quanto detto finora: ad esempio quelli emersi in una serie di analisi che ho compiuto sui tassi di non-risposta ai sondaggi d’opinione (contro l’abitudine degli istituti di sondaggi che sono soliti restituire percentuali ricalcolate escludendo le non-risposte, eliminando così il fatto, estremamente importante, che le probabilità di rispondere affermativamente o negativamente a una 69

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Sul concetto di campo in sociologia

domanda sono probabilità secondarie, come dicono gli statistici, che hanno come presupposto probabilità primarie inerenti all’accesso alla possibilità di rispondere). L’accesso alla risposta è distribuito in maniera decisamente ineguale in base al livello di istruzione detenuto dagli individui: più si è istruiti, più si detiene una capacità di risposta, più ci si sente in diritto e in dovere di rispondere, più si ha la competenza per rispondere. Nello stesso modo è possibile osservare come gli uomini abbiano una probabilità di risposta molto più alta delle donne e lo scarto è tanto maggiore quanto più le domande poste si contraddistinguono per un accentuato carattere politico. Le leggi di ferro, quindi, hanno maggior influenza quanto più gli agenti sono sguarniti di capitale. I diritti dei cittadini restano a un livello puramente formale fino a quando gli stessi cittadini non hanno accesso ai mezzi di produzione autonoma di libere opinioni e, contrariamente a quello che vuol far credere una sorta di democratismo utopista e in sostanza conservatore, i cittadini non sono uguali di fronte al processo di produzione di un’opinione; i cittadini non hanno uguale accesso agli strumenti di produzione di quella che viene definita un’opinione. Quindi, affinché il mondo politico funzioni, come nella visione neo-machiavellica, ossia come un microcosmo all’interno del quale i professionisti della politica combattono per interessi e poste in gioco privati (interessi che sono direttamente legati alla posizione occupata dai professionisti politici all’interno di queste lotte), è necessario che i rappresentati non detengano il monopolio dei mezzi di produzione delle opinioni. Ciò implica che i partiti di sinistra sono quelli maggiormente 70

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Pierre Bourdieu

esposti alle leggi di ferro degli apparati poiché, sociologicamente, si fanno portatori delle istanze provenienti da quegli strati sociali che sono maggiormente sguarniti di capitale. I partiti che propongono la riforma o la rivoluzione dell’ordine sociale sono, per ragioni storiche, particolarmente esposti alle leggi di ferro degli apparati; in effetti, quelli che si fanno rappresentanti di valori sovversivi hanno maggiori possibilità, in confronto ai partiti che si fanno portatori di valori conservatori, di ricevere la legittimazione democratica da parte di persone prive di capitale che si affidano a tali partiti e lasciano nelle mani dei rappresentanti un’enorme libertà d’azione, compresa la libertà di parlare a loro nome (e dire cose che essi non direbbero se avessero il potere e la competenza di rappresentarsi autonomamente). Una delle virtù della nozione di campo consiste nel permettere l’elaborazione di analogie razionali, controllate. Nella tradizione teologica, quando si parla della fede degli umili, della fede delle persone semplici, si usa dire la “fede del carbonaio” (in latino la si definisce fides implicita), per indicare quella fede che non si serve di parole e che si esprime attraverso pratiche rituali e condotte spesso condannate dai chierici, soprattutto quelle moderne (accendere ceri votivi, ecc.). Questa fides implicita è l’equivalente – per la chiesa e per il monopolio sacerdotale dell’accesso ai beni di salvezza – di quello che rappresenta l’affidamento del sé politico da parte del rappresentato nei confronti del rappresentante, di cui hanno beneficiato, ad esempio, i partiti comunisti nel corso di diverse congiunture storiche e che lascia ai responsabili di questi partiti un’immensa libertà di parlare per conto dei rappresentati. 71

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Sul concetto di campo in sociologia

Il campo politico è dunque una specie di gioco a parte, all’interno del quale si definiscono interessi e obiettivi specifici e che, tutt’al più, può funzionare un po’ come un campo di poeti o di matematici, ossia come un campo quasi del tutto autonomo. Per comprendere quello che succede nell’ambito della poesia contemporanea si potrebbe apparentemente effettuare un’economia della conoscenza di ciò che accade nel mondo politico – e ciò genera la credenza che le analisi sociologiche siano impotenti – mentre invece le letture esterne sono manifestamente riduttrici. Ad esempio, esiste un lavoro di Monsieur Fauré sulla musica in Francia nel XIX secolo in cui si dimostra che, mettendo la musica di Fauré in relazione diretta con gli scioperi di Fourmies7 e con altri drammi sociali contemporanei, emerge una forma d’escapismo, come dicono gli anglosassoni, ossia un modo per fuggire dalle difficoltà insite nella condizione sociale, di dimenticare gli scioperi e le rivolte popolari, ecc. Queste letture sono del tutto ridicole. È vero invece che nei campi letterari o artistici molto specialistici, fortemente autonomi, la messa in relazione diretta di ciò che avviene all’interno del campo con degli avvenimenti esterni (una guerra, un’epidemia, una crisi economica, ecc.), è completamente inefficace. Possiamo anche immaginare alcuni sottocampi all’interno dei campi politici in cui tale discorso sarebbe valido, ossia se andiamo a considerare gli individui con basso capitale culturale, economico, ecc. e quindi totalmente impossibilitati ad accedere ai mezzi di produzione delle opinioni politiche all’interno 7 Riferimento alle storiche manifestazioni di protesta dei lavoratori verificatesi nella cittadina di Fourmies nel 1891 (N.d.T.).

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Pierre Bourdieu

dei microcosmi politici, i quali finiscono per funzionare in uno stato d’isolamento, esattamente come avviene per l’universo dei poeti, in modo tale che per comprendere quello che accade nell’universo in questione basta conoscere le poste in gioco e gli interessi che si generano e per i quali si lotta all’interno dell’universo stesso. Per comprendere in maniera immediata quello che sto dicendo basti pensare al congresso del partito socialista tenutosi recentemente a Rennes (vedo che non vi fa ridere, e in effetti non c’è niente da ridere). In questo caso si vede bene che, per comprendere le correnti, le tendenze, le frazioni o le fazioni all’interno di uno spazio politico fortemente autonomo, è sufficiente conoscere le posizioni relative che gli agenti assumono nel microcosmo e non c’è più alcun bisogno di far riferimento agli scioperi di Fourmies se non per comprendere i conflitti tra i poeti simbolisti e i poeti realisti8. È esclusivamente all’interno del campo che si generano le differenze, ciò non vuol dire però che tali differenze siano puramente personali; sono differenze radicate nella base sociale, ma quest’ultima non è lì dove crediamo che sia, ovvero nello spazio sociale globale: essa si trova all’interno del microcosmo politico. Ho preso ad esempio il congresso di Rennes, ma avrei anche potuto considerare il rapporto tra Balladur9 e Chirac per chiarire il concetto. Ho riportato esempi di sottocampi ma bisognerebbe proporre esempi globali, in modo da notare come una parte fondamentale di ciò che si genera all’interno del 8 Evidente in questo passaggio la marcata ironia di Bourdieu (N.d.T.). 9 Noto uomo politico francese (N.d.T.).

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Sul concetto di campo in sociologia

campo politico (ed è qui che l’intuizione populista colpisce) trovi il suo principio in complicità che s’instaurano fra i membri e che sono legate al fatto di appartenere allo stesso campo politico. Ritradotto nella lingua antiparlamentarista, antidemocratica, che è quella utilizzata dai partiti fascistoidi, queste complicità vengono descritte come partecipazioni a una sorta di gioco corrotto. In effetti, queste particolari forme di complicità sono inerenti alla pratica dello stesso gioco da parte degli agenti e una delle proprietà generali dei campi è l’esistenza al loro interno di lotte per imporre al campo stesso la visione dominante (da parte di un agente piuttosto che di un altro). Ma se queste lotte hanno luogo è perché anche tra gli avversari più irriducibili c’è accordo sull’accettazione di un certo numero di presupposti che sono costitutivi del funzionamento stesso del campo. Per battersi è necessario che ci si accordi sui terreni su cui poi essere in disaccordo. Si crea quindi una sorta di complicità fondamentale tra i membri di un campo. E gli interessi inerenti all’appartenenza a un campo generano complicità che, almeno in parte, vengono nascoste ai membri del campo da conflitti dei quali esse stesse sono il principio generatore. Detto in altri termini, tali complicità generano conflitti che hanno per effetto quello di nascondere il principio stesso che crea tali conflitti. Ho però intrapreso la descrizione del campo politico senza precisare ciò che lo accomuna al campo delle scienze sociali e al campo giornalistico. Se ho affiancato questi tre universi per provare a pensare alle relazioni che li caratterizzano – a dire il vero bisognerebbe aggiungere anche il campo giuridico, ma il tutto diverrebbe poi troppo complicato – è perché hanno in 74

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comune la pretesa di imporre una visione legittima del mondo sociale. Hanno in comune il fatto di essere il luogo in cui avvengono lotte interne per l’imposizione del principio di visione e di divisione dominante. Tutti gli agenti sociali sono portatori di tali principi. Nessuno di noi vive nel mondo, in particolare in quello sociale, senza occhiali per interpretarlo. Facciamo esperienza del mondo sociale attraverso categorie di percezione, principi di visione e di divisione, che sono essi stessi, in parte, il prodotto dell’incorporazione delle strutture sociali. Applichiamo al mondo categorie: ad esempio, maschile/femminile, alto/basso, raro/comune, signorile/volgare, ecc., una serie di aggettivi che funzionano spesso per coppie. Un buon esercizio di sociologia consiste nel prendere un dizionario e scegliere un termine da cui partire, un aggettivo (intenso o insignificante) e cercare gli antonimi, i sinonimi, ecc., e così di seguito; si finirà con lo scoprire l’enorme universo degli aggettivi (pesante/leggero, saporito/insipido) e tutti quei termini che maneggiamo in pratica ogni giorno per dare un giudizio su un quadro, un compito (brillante/notevole), un taglio di capelli, una bella ragazza, ogni cosa insomma. E questi aggettivi che maneggiamo, che funzionano per coppie, parzialmente indipendenti, parzialmente sovrapposti, sono categorie nel senso kantiano del termine, ma anche categorie socialmente costruite e acquisite. E di queste categorie è possibile formulare genealogie, tenendo presente che esse differiscono a seconda delle tradizioni nazionali. L’homo academicus dello spazio delle scienze sociali ha la testa piena di coppie oppositive (spiegare e comprendere, ad esempio), di schemi di classificazione im75

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pliciti che gestiamo nella vita pratica, che riusciamo a utilizzare nelle diverse situazioni in cui veniamo a trovarci, ma sui quali non deteniamo un controllo esplicito. Molti giudizi di gusto sono una via di mezzo tra l’aggettivo e l’esclamazione; molto spesso essi hanno come principio schemi pratici che permettono di organizzare il mondo, ma che restano impliciti (ritroviamo la fides implicita) e che sono estremamente difficili da spiegare (basti pensare alle dissertazioni sui concetti di quantità o qualità, o ancora a quelle inerenti i metodi quantitativi e i metodi qualitativi), eppure così profondi e così fortemente radicati nel pensiero e perfino nel corpo. In tal senso, una studiosa americana10 ha svolto un ottimo lavoro sull’opposizione tra hard e soft, dimostrando come ci sia sostanzialmente una differenza di genere tra i due (hard è maschile, mentre soft femminile) che corrisponde alla distribuzione delle differenti discipline, delle differenti specialità secondo il sesso. Queste opposizioni, in apparenza vaghe e indefinite, sono decisamente fondamentali in quanto, essendo utilizzate da una società intera, finiscono per definire la realtà. Questi schemi pratici, impliciti, taciti, difficilissimi da esplicitare, sono costitutivi della fides implicita, della doxa, come dicono i filosofi, ossia fanno parte di quell’universo di presupposti taciti che tutti noi accettiamo in quanto indigeni di una certa società; ma esiste anche una doxa specifica, un sistema di presupposti inerenti all’appartenenza a un campo: se facciamo parte del campo sociologico, ad esempio, accettiamo tutta una 10

Il riferimento è a Evelyn Fox Keller e alla sua opera Sul genere e la scienza, Garzanti, Milano, 1987 (N.d.T.).

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serie di opposizioni dotte o semi-dotte che sono spesso delle opposizioni del mondo sociale globale, solo un po’ arrangiate, aggiustate, eufemizzate (un esempio su tutti, l’opposizione tra individualismo e olismo, che fa oggi furore negli insegnamenti di sociologia, è una forma appena ritoccata dell’opposizione tra individualismo o liberalismo e collettivismo o totalitarismo, ed è proprio a questo titolo che essa produce i suoi effetti simbolici più influenti). I professionisti della spiegazione e delle parole – sociologi, storici, uomini politici, giornalisti, ecc. – hanno due cose in comune: da una parte si sforzano di esplicitare principi pratici di visione e di divisione del mondo, dall’altra essi lottano, ciascuno all’interno del proprio universo, per imporre questi principi di visione e di divisione affinché tutti li riconoscano come categorie legittime di costruzione del mondo sociale. Il cardinale Lustiger, nel corso di un’intervista pubblicata da “Libération”, sostiene che dovranno trascorrere ancora venti anni prima che i francesi di origine algerina siano considerati come francesi musulmani. È una previsione degna di un sociologo: ma io non so quale sia la base empirica alla quale egli si riferisce, forse dichiarazioni che il cardinale ha ascoltato in confessionale. Il punto che mi preme sottolineare è che tale predizione ha conseguenze sociali estremamente pesanti. Ecco un esempio di pretesa alla manipolazione legittima delle categorie di percezione, di violenza simbolica fondata su un’imposizione tacita, surrettizia di categorie di percezione dotate di autorità e destinate quindi a divenire categorie legittime di percezione. Esattamente dello stesso tipo di quelle che operano quando si scivola insensibilmente da islamico 77

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a islamista, da islamista a terrorista. Su questo punto si potrebbe proporre una politica scolastica, una politica del velo, ecc. È un esempio, se ne potrebbero prendere altri: in ogni momento, i portavoce, gli agenti dotati del potere di far sentire la propria voce in pubblico, compiono operazioni dello stesso tipo. I professionisti della spiegazione e dell’imposizione di categorie di costruzione della realtà devono quindi, prima di tutto, trasformare gli schemi di classificazione in categorie esplicite. È una etimologia decisamente interessante quella di categoria, viene dal verbo greco kategorein, che vuol dire accusare pubblicamente: gli atti di categorizzazione ai quali facciamo ricorso durante la nostra vita sono spesso insulti (“non sei altro che un…”, “specie di prof.”), e gli insulti, quelli razzisti ad esempio, sono categoremi, come diceva Aristotele, ossia atti di classificazione fondati su un principio classificatorio spesso implicito, che non ha bisogno di enunciare i suoi criteri, di essere coerente con se stesso, ecc. Bisogna quindi svolgere un primo tipo di lavoro, esplicitare gli schemi, trasformarli in categorie esplicite, in parole e, eventualmente, creare tabelle di categorie sistematiche; e una buona parte del lavoro ideologico consiste nel trasformare le categorie implicite di una classe, di un ceto, di un gruppo, in tassonomie dallo stile coerente, sistematico. Per approfondire tale argomentazione, mi permetto di rinviare al campo filosofico e al concetto di tempo in Heidegger, che ho analizzato nel libro Führer della filosofia? L’ontologia politica di Martin Heidegger (il Mulino, Bologna, 1989), dove, nello specifico, ho cercato di mostrare come, dietro un certo numero di tesi filosofiche centrali nell’opera di Heidegger, ci siano tas78

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sonomie del senso comune, come ad esempio l’opposizione tra unico o raro e comune o volgare, tra il soggetto autentico, inimitabile, ecc., e das Man, il “sì”, l’ordinario, l’indistinto, ecc. Queste opposizioni, tipiche del razzismo delle classi più comuni – le genti signorili, le genti volgari – essendo riconvertite in opposizioni filosofiche irriconoscibili, sono destinate a passare inosservate anche agli occhi del professore di filosofia, dopo tutto assolutamente democratico, che può commentare il famoso testo di Heidegger sul concetto di “sì” senza rendersi conto che si tratta di un’espressione irreprensibile di un razzismo sublimato. Coloro i quali agiscono all’interno dei tre campi che ho evocato lavorano dunque a esplicitare alcuni principi di qualificazione impliciti, pratici, a sistematizzarli, a donar loro coerenza (o una quasi-sistematicità, come avviene nel campo religioso). Così, di seguito, gli agenti lottano per imporre questi principi e tali scontri – che hanno luogo per acquisire il monopolio della violenza simbolica legittima – sono scontri per ottenere la regalità simbolica nel campo. Mi riferisco in questo caso all’etimologia del termine rex, che Benveniste propone nel suo splendido libro Le Vocabulaire des institutions indoeuropéennes: rex viene da regere, che vuol dire reggere, dirigere, e uno dei compiti principali di un re è proprio quello di regere fines, ossia di delimitare le frontiere, come Romolo con il suo aratro. Una delle funzioni delle tassonomie è di indicare chi è in, chi è out, i cittadini, gli stranieri; ad esempio, uno dei drammi della lotta politica francese odierna è che, attraverso l’irruzione nel campo di un nuovo giocatore, ossia il partito del Front National, il principio di divisione tra cittadini e stranieri si è 79

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imposto in maniera molto generale a tutti gli agenti del campo, a scapito di un principio che un tempo era dominante, ossia l’opposizione tra ricchi e poveri (“Proletari di tutti il mondo, unitevi!”). Adesso, dopo aver passato rapidamente in rassegna gli obiettivi comuni ai tre campi, proverò a concentrarmi sulla logica specifica che caratterizza ciascuno di loro. Il campo politico si afferma in maniera esplicita per il suo fine particolare, che consiste nel dire cosa accade nel mondo sociale. In una discussione tra due uomini politici che snocciolano cifre e numeri, l’obiettivo di entrambi è quello di propinare la propria visione del mondo come fondata, oggettiva, in quanto dotata di referenti reali e basata sull’ordine sociale, grazie alla conferma che essa riceve da tutti coloro che la fanno propria, che la utilizzano. In altri termini, quella che nasce come idea speculativa diviene una “idea forza”, attraverso la sua capacità di mobilitare numerose persone che adottano il principio proposto di visione del mondo. Se io dico: “Domani, tutte le persone povere alla Concorde” e ciò effettivamente accade, la mia asserzione viene validata e ho creato un gruppo potente che, con la sua esistenza, è testimone diretto della forza della mia asserzione. I divari inerenti alle cifre sui partecipanti alle manifestazioni (tre milioni secondo i manifestanti, trecentomila secondo la polizia) sono un esempio di lotta simbolica per l’imposizione di una visione del mondo che trova la sua ratifica nel fatto che tutti coloro che la adottano la validano, la sottoscrivono, la verificano nel momento in cui la utilizzano ed agiscono di conseguenza. L’imposizione di una particolare visione del mondo è un atto di mobilitazione che tende a confermare o trasformare i 80

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rapporti di forza. La mia idea diviene così una “idea forza” attraverso la potenza che essa manifesta nell’imporsi come principio di visione del mondo. A una “idea vera” non si può che opporre una confutazione, mentre a una “idea forza” si deve necessariamente opporre un’altra idea forza, capace di mobilitare una contro-forza, una contro-manifestazione11. La politica è una lotta per l’imposizione del principio di visione e di divisione legittimo, ossia dominante e riconosciuto come meritevole di essere tale, carico quindi di violenza simbolica. Per ricapitolare, quali sono le proprietà che emergono dal fatto di considerare l’universo politico come un campo? Innanzitutto il fatto che il principio delle visioni proposte per plebiscito, per approvazione al di fuori del microcosmo, matura in gran parte all’interno di quest’ultimo, frutto della concorrenza tra agenti individuali e collettivi impegnati all’interno di esso. Ne consegue che – e ciò sorprende sempre – anche gli scontri politici più cruenti hanno luogo tra partiti o sette o tendenze o correnti o movimenti che si trovano particolarmente vicini nello spazio politico. Tenendo presente che, all’interno del campo politico, l’obiettivo è quello di accumulare potere simbolico per imporre credenze, principi riconosciuti di visione del mondo e che, per imporre tali principi, bisogna essere credibili, avere del credito, disporre di capitale specifico, reputazionale, d’autorità (quest’ultima deriva in parte dall’effetto che essa stessa produce), e infine che il capitale simbolico detenuto da un agente all’interno del campo politico è in parte una 11

Per la distinzione tra idea vera e idea forza si veda la presentazione in questo volume, pp. 51-52, n. 75.

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forma di capitale distintivo, differenziale, nulla è più pericoloso per un detentore di capitale simbolico dell’alter ego, quest’ultimo inteso come colui che differisce, che propone un programma capace di privare il detentore di capitale della sua esistenza stessa. Esistere all’interno di un campo (artistico, letterario, ecc.) significa differire. È come un fonema: possiamo dire ad esempio che un intellettuale esiste perché differisce dagli altri intellettuali. Cadere nell’indeterminazione – è il problema che caratterizza il centro nello spazio politico – significa smarrire l’esistenza, e niente è più pericoloso della perdita dell’identità, assimilandola a quella di un altro agente del campo. Si spiega così il fatto che due estremi traggono reciprocamente forza dalla loro opposizione; possono perfino non avere nulla in comune se non la loro relazione oppositiva. (A tal proposito, però, possiamo osservare come ci siano delle parti del campo letterario nelle quali le uniche opposizioni esistenti sono anziani/giovani, antichi/contemporanei, opposizioni praticamente prive di spessore). Ho affermato, anche se forse in modo troppo sintetico, che i tre campi da me evocati hanno la stessa posta in gioco: imporre la visione legittima del mondo sociale. E i sociologi intervengono in questo processo, che essi lo vogliano o no, che essi lo sappiano o no. Ad esempio, se io intervengo in uno scontro politico regionale – lotta del tipo rex, alla Benveniste, ossia con l’obiettivo di definire le frontiere: esiste l’Occitania? – invece che considerarlo come oggetto d’analisi, se io prendo posizione nella lotta per l’esistenza o meno della regione occitana, credo di esprimermi come una sorta di arbitro 82

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al di sopra delle parti per le mie competenze scientifiche quando invece, nei fatti, che io lo voglia o no, io sentenzio, prendo posizione all’interno di un dibattito politico. E una parte dell’eteronomia propria dei sociologi viene dalla tendenza che li caratterizza ad entrare nella lotta politica nel ruolo di arbitri efficienti («vi dico che non esistono tre classi come teorizzava Marx, ma quattro»; «vi dico che l’Occitania è una falsa regione in quanto, per esserlo per davvero, dovrebbe essere caratterizzata da quattro elementi fondamentali e gliene manca uno»; «vi dico che nelle banlieu non ci sono islamisti ma Beurs12»; ecc.). In altri termini, significa ricoprire il ruolo che si aspettano i giornalisti. Un sociologo che rilascia un’intervista sulla esistenza o non esistenza della regione Occitania riceverà un brevetto di scientificità se dice al giornalista, e quindi al lettore dell’intervista, ciò che egli si aspetta di sentire («è un vero sociologo perché dice proprio quello che io penso sia vero»). E, alle sirene di questo ruolo di ratifica, i sociologi fanno grande fatica a resistere. Il campo delle scienze sociali non ha come obiettivo quello di intervenire nella lotta per la visione dominante del mondo sociale. Tuttavia, esso s’interessa a tale fine nella misura in cui le conseguenze delle azioni che accadono al suo interno divengono nell’immediato strumen12

Termine dalla sfumatura razzista con cui si designano i figli degli immigrati dal Nord-Africa, nati sul suolo francese. Sono i cosiddetti “immigrati di seconda generazione”, definiti così utilizzando un’antinomia caratterizzata dal fatto che se sono nati sul suolo francese non possono essere definiti immigrati (N.d.T.).

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ti di lotta. D’altra parte, come tutti gli altri campi, anche quello delle scienze sociali è organizzato secondo il grado di autonomia delle istituzioni o degli agenti che vi si trovano impegnati, sebbene la rottura epistemologica, di cui si parla spesso da Bachelard in poi, rappresenti fondamentalmente un distacco nei confronti della domanda sociale, delle attese sociali che racchiudono una serie di problematiche. Ad esempio, firmare un contratto, per un ricercatore di scienze umane, è un’operazione seria e delicata, è un’operazione epistemologica che raramente viene percepita come tale. Nello specifico, una proposta d’indagine sociologica formulata dallo Stato a chi fa questo di mestiere – una parte cospicua dei fondi di ricerca con cui i sociologi lavorano proviene dallo Stato –, una commessa dello Stato, come l’ordine di un mecenate a un pittore del Quattrocento13, racchiude un programma. I pittori hanno dovuto lottare per diversi secoli prima di emanciparsi dagli ordini dei mecenati e imporre la loro autonomia (il diritto di utilizzare i colori a loro piacimento, il diritto di scegliere, quant’anche fosse imposto il colore, almeno la modalità d’uso di quest’ultimo, il diritto di individuare il soggetto da ritrarre, il diritto di soddisfare o meno la richiesta dell’ordinante, di ritrarre quest’ultimo in ginocchio o in piedi, in grande o in piccolo). Sfortunatamente, i sociologi, gli storici, ecc., non sempre e non tutti sono riusciti a raggiungere il livello di conoscenza acquisito dai pittori dal Quattrocento in poi e non hanno ancora appreso come negoziare i contratti per difendere la loro padronanza sull’oggetto d’indagine, la competenza che li caratterizza: e ciò condiziona la loro autonomia. I so13

In italiano nel testo (N.d.T.).

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ciologi devono ancora imparare a difendere la libertà di costruire autonomamente il loro oggetto di analisi e di definire con indipendenza il programma di lavoro. Gli strumenti che ho evocato, come la nozione di campo, si configurano come strumenti di rottura epistemologica ma anche sociale. Quanto al campo giornalistico, perché mi sembra così importante parlarne? Perché (e qui si ritrova la funzione civica a fianco di quella scientifica) mi sembra che da un po’ di anni il campo giornalistico eserciti un’influenza sempre più grande, in quanto campo, sugli altri campi – e non mi riferisco quindi al “potere dei giornalisti” – e, in particolare, trattandosi di produzioni simboliche, nei confronti del campo delle scienze sociali (potremmo inserire al suo interno anche la filosofia) e del campo politico; si potrebbe anche aggiungere il campo scientifico, nella misura in cui, a causa del desiderio di raggiungere la notorietà – la quale diviene sempre più indispensabile per ottenere crediti, contratti, ecc. – i ricercatori scientifici sono obbligati a competere per il raggiungimento di quella notorietà che soltanto i media possono attribuire. Come la maggior parte dei campi (teatrale, letterario, ecc.), anche quello giornalistico, di cui abbiamo notato la scarsa autonomia, è strutturato sulla base di un’opposizione fra due poli: gli agenti più puri, quelli più indipendenti dal potere di Stato, dal potere politico e da quello economico, e quelli più commerciali e direttamente legati ai poteri sopracitati. L’ipotesi che propongo – ma che risulta già dimostrata con incisività – è che il campo giornalistico, sempre più eteronomo, ossia sempre più sottomesso ai diktat dell’economia e della politica (per quanto riguarda l’economia essenzialmente attraverso lo 85

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strumento dell’audimat14), imponga sempre di più i suoi dettami a tutti gli altri campi e, in particolare, a quelli inerenti alla produzione culturale, come il campo delle scienze sociali, della filosofia e al campo politico. Perché è importante parlare del campo giornalistico e non dei giornalisti? Perché se si continua a parlare di giornalisti si resta in una logica di responsabilità personale: si cercano i responsabili (“è Poivre d’Arvor15 che…, ecc.”) e, d’altra parte, si oscilla tra la definizione positiva che i giornalisti continuano a veicolare, contro ogni evidenza, sostenendo il tema del giornalismo come contropotere, strumento di critica (senza i giornalisti non ci sarebbe democrazia, ecc.), e la visione opposta che identifica il giornalismo come ripetitore degli strumenti di oppressione, ecc. Si trasformano così i giornalisti in responsabili e di conseguenza, ponendo il problema nella logica della responsabilità, in quegli agenti visibili che ho evocato prima, cioè in capri espiatori, mentre esprimersi in termini di campo significa operare una sostituzione di questi agenti visibili che altro non sono che, secondo la metafora di Platone, delle marionette di cui bisogna identificare i fili, la struttura del campo giornalistico e i meccanismi che agiscono in tale processo. Ho insistito sul fatto che il campo giornalistico sembra perdere sempre più autonomia e si può comprendere perché: attraverso l’utilizzo dell’audimat, come strumento di misurazione dell’audience, le costrizioni economiche pesano maggiormente sulla produzione, poiché gli 14 15

Vecchio sistema di misurazione dell’audience (N.d.T.). Noto giornalista francese (N.d.T.).

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imprenditori proporzionano i loro investimenti, ossia il finanziamento senza il quale la televisione non potrebbe continuare ad esistere, in base alle caratteristiche del pubblico misurato dall’audimat. Detto in altri termini, attraverso l’audimat, che influisce soprattutto sul settore più eteronomo del giornalismo, ossia sulla televisione e sui settori più eteronomi all’interno del sottocampo di quest’ultima, il peso dell’economia continua ad aumentare all’interno del campo. Ma, e questa è la prova che il giornalismo è un campo, il modello che rappresenta la zona più eteronoma del microcosmo, ossia quella della televisione, s’impone pian piano in tutto il campo, espandendosi anche nelle zone che dovrebbero essere più “pure”. Si può notare tale processo consultando semplici indici: l’importanza sempre maggiore che la televisione acquista sui giornali (“Le Monde” compreso); l’aumento continuo del peso che i giornalisti televisivi detengono nel mondo giornalistico, fino ad arrivare ad essere direttori di testate di carta stampata, ecc. Detto questo, il dominio del polo commerciale del campo giornalistico non è privo di divisione interna e possiamo osservare a tal proposito una struttura chiasmatica omologa a quella che si ritrova nel campo del potere (con l’opposizione artisti/borghesi) o in quello letterario o artistico (arte pura/arte commerciale). Il capitale culturale resta dalla parte dei giornalisti della carta stampata più “puri” e sono spesso questi ultimi (“Libé”, «Le Canard», ecc.)16 a lanciare dibattiti dallo spirito critico, ripresi poi dalla televisione. L’eteronomia legata alla pressione 16 Cita “Libération”, storico quotidiano della gauche francese fondato, tra gli altri, da Jean-Paul Sartre e «Le Canard enchaîné», settimanale satirico (N.d.T.).

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esercitata dagli imprenditori, attraverso lo strumento dell’audimat, è raddoppiata grazie alla situazione congiunturale di precarietà direttamente legata all’esistenza di una forte disoccupazione nell’ambito della professione intellettuale. Ciò a partire dalla iperproduzione di diplomati, che si traduce nel fatto che, intorno ai campi di produzione culturale, graviti un esercito di riserva culturale che oggi rappresenta l’equivalente di quelli che tempo fa erano gli eserciti di riserva industriali. Questa pressione da parte di un esercito di riserva sull’universo della produzione culturale favorisce una politica di precarizzazione delle professioni, che a sua volta favorisce l’esercizio della censura attraverso il controllo politico o economico. Il modello dei media risulta decisamente interessante in quanto può essere applicato anche all’ambito universitario. In un ateneo come quello di Strasburgo – ma immagino che tale discorso valga anche qui a Lione – credo che il 60% degli insegnamenti sia a contratto: ci sono i docenti precari a cui vengono assegnate posizioni nell’ambito dell’università, posizioni molto differenti da quelle che esistevano trenta anni fa nell’insegnamento superiore. (In generale, tutti i termini che adoperiamo per parlare del sistema scolastico hanno cambiato totalmente di significato in questi ultimi trent’anni: professore, ad esempio, non ha più lo stesso significato che aveva trent’anni fa; stesso discorso vale per assistente, e per studente… Ora, noi continuiamo ad utilizzare gli stessi termini. E questo è un fenomeno classico, molto importante in sociologia, legato a quello che chiamo hysteresis degli habitus. Infatti, noi siamo caratterizzati da un sistema di disposizioni dotate di 88

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una forte inerzia, che mutano meno velocemente delle condizioni sociali che le hanno generate. Ciò si traduce nel fatto che, per pensare il mondo presente che ci circonda, abbiamo a disposizione delle categorie che sono il prodotto del passato: è la sindrome di Don Chisciotte. Molte discussioni relative al sistema scolastico sono decisamente patetiche, in quanto vedono uno scontro tra persone che utilizzano categorie di percezione formatesi in epoche differenti e che con lo stesso termine – professore o assistente, ecc. – intendono concetti del tutto differenti. Ma questa è solo una parentesi). Una parte considerevole del corpo docente, in senso lato, è oggi formata da precari o da professori del liceo o della scuola media che, per fuggire dalla loro triste condizione professionale, si offrono per tenere corsi integrativi nelle facoltà universitarie. La stessa cosa accade nell’ambito dei media: una frazione sempre più grande dei produttori culturali si trova in uno stato di instabilità: i precari con contratto rinnovabile di anno in anno, ecc. La precarietà implica di certo una forma di costrizione e di censura. L’autonomia che caratterizzava quei professori che hanno seguito Zola nell’affaire Dreyfus era legata, in parte, al fatto che essi fossero titolari di cattedra. In questo caso, in modo assai bizzarro, il privilegio si traduceva in una condizione di libertà. Quindi, la precarizzazione è una perdita di libertà e attraverso di essa può esercitarsi più facilmente la censura e l’effetto legato ai vincoli economici. Si potrebbe dire la stessa cosa dello Stato. Il campo giornalistico risulta quindi sempre più eteronomo, sempre più dominato dal suo polo più eteronomo: “Le Monde” – senza voler fare del quotidiano 89

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un’oasi di purezza, ma tutto è relativo – subisce il peso di TF117, del polo commerciale, ecc. Essere agenti in un campo significa esercitarvi degli effetti, che saranno tanto maggiori quanto più grande sarà il peso specifico detenuto dall’agente stesso. Come insegna la fisica einsteiniana, più un corpo possiede energia, più esso deforma lo spazio circostante e all’interno di un campo, quindi, un agente molto potente può deformare tutto lo spazio che lo circonda, ossia far sì che tale spazio si organizzi in base alla sua volontà. Il processo di cui siamo oggi spettatori è un processo secondo il quale le forze di eteronomia commerciale, rappresentate dalla televisione più generalista, s’impongono pian piano fino ad arrivare a un punto in cui tutti i campi (giornalistico, editoriale, ecc.) vengono penetrati da quella che potremmo definire la mentalità audimat. Soltanto trent’anni fa il successo temporale di un libro era una sorta di condanna: come nelle religioni di salvezza, un grande successo di vendita veniva visto con sospetto in rapporto ai valori veicolati dal libro. Oggi Bobin18 è considerato uno scrittore. Anche al CNRS19 si prende in considerazione il successo mediatico o il successo commerciale di un lavoro. In altri termini, i valori di vendita, contro i quali si sono costruite tutte le autonomie specifiche – tutti i microcosmi hanno come fattore comune di essersi costruiti in opposizione all’ambito commerciale, generalista; perfi17

Il primo canale della televisione pubblica francese (N.d.T.). 18 Noto scrittore francese che proviene dal campo giornalistico (N.d.T.). 19 In Francia, il Centro Nazionale della Ricerca Scientifica (N.d.T.).

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no il campo giuridico –, divengono, se non dominanti, per lo meno estremamente pericolosi per l’autonomia di ogni campo. Per comprendere quello che avviene all’interno del campo giornalistico è necessario avere presente il grado di autonomia del campo e, all’interno di quest’ultimo, il grado di autonomia del giornale su cui scrive un giornalista. Esistono indici che permettono di compiere tale operazione: ad esempio, per un giornale, bisogna analizzare le risorse che riceve dallo Stato, quelle che riescono ad ottenere i giornalisti, ecc. Per un giornalista, il grado di autonomia dipenderà dalla sua posizione all’interno del campo, ossia dall’autorità ch’egli detiene. È possibile dunque creare indici di autonomia attraverso i quali possiamo supporre di prevedere le condotte pratiche che gli agenti avranno, la loro capacità di resistere alle imposizioni dello Stato o a quelle economiche. La libertà non è una proprietà che cade dal cielo; essa si conquista per gradi, e questi ultimi dipendono direttamente dalla posizione che si occupa nei giochi sociali. Questo giornalismo, sempre più dominato da valori commerciali, accresce la sua influenza sugli altri campi. In altri termini, il giornalismo tende a rinforzare in ciascuno degli altri campi – scientifico, giuridico, filosofico, ecc. – la parte più eteronoma di essi. In estrema sintesi: nel campo filosofico esso tenderà a rafforzare i nuovi filosofi, i filosofi mediatici. Valorizzando così ciò che ha maggior valore sui mercati esterni questo giornalismo colpisce, sminuendoli, i rapporti interni al campo, quelli fra gli agenti impegnati nel campo stesso. 91

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Sul concetto di campo in sociologia

Come ho detto nella definizione iniziale, il campo rappresenta sia un rapporto di forze sia un insieme di lotte per trasformare il campo delle forze. In altri termini, nel microcosmo vi è concorrenza per l’appropriazione legittima di ciò che rappresenta la posta in gioco di quel particolare campo. E, all’interno del campo giornalistico, vi è di certo una continua concorrenza per l’appropriazione della maggiore quantità di pubblico, ma anche una concorrenza per l’appropriazione di quello che si ritiene fornisca il pubblico stesso, ossia la priorità dell’informazione, lo scoop, l’informazione esclusiva; ma anche la distinzione, la possibilità di diventare una grande firma, ecc. Uno dei paradossi che vorrei almeno ricordare, essendo impossibilitato ad analizzarlo, è che la concorrenza, che si concepisce sempre come condizione di libertà, ottiene l’effetto opposto all’interno dei campi di produzione culturale che sono sotto il controllo della logica commerciale: produce uniformità, censura e anche conservatorismo. Un esempio molto semplice: la lotta tra i tre settimanali francesi, «L’Observateur», «L’Express», «Le Point», fa sì che essi divengano indistinguibili. E perché si verifica ciò? Perché la lotta di concorrenza che li oppone e che li porta alla ricerca ossessiva della differenziazione, della notizia esclusiva, ecc., tende non a differenziarli, bensì ad avvicinarli. Si rubano a vicenda le notizie, gli editorialisti, i soggetti (basta che un giornale faccia un servizio di due pagine su Deleuze, che subito l’altro ne farà uno di quattro pagine). Talvolta ciò può significare mettersi al servizio di una buona causa, come nell’esempio appena citato, ma molto spesso tale concorrenza favorisce il peggiore o i peggiori fra i tre. Questa sorta di concorrenza forsennata si estende poi dal campo giornalistico agli altri 92

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campi. Abbiamo un esempio nel mondo dei premi letterari, il quale rappresenta un piccolo sottocampo degli organismi di consacrazione letteraria: ci sono stati ben due premi attribuiti alla stessa persona, perché il premio Médicis, una volta relativamente libero, che veniva assegnato dopo il Goncourt, ha spostato la propria data di conferimento per anticipare lo stesso Goncourt il quale, offeso, ha consegnato lo stesso il premio alla medesima persona. Altra lotta tipica di ciò che avviene nel campo giornalistico: «Le Nouvel Observateur» e «L’Express» hanno posticipato uno dopo l’altro il giorno di uscita. Elemento fondamentale per comprendere un campo è che la relazione diretta produttore-cliente viene mediatizzata dalla relazione tra i produttori. Per comprendere un prodotto come i due giornali sopracitati non serve a molto studiare il loro target (guardando le statistiche, quest’ultimo è pressoché indistinguibile, almeno utilizzando le categorie di analisi classiche per le statistiche disponibili). L’essenziale di tutto ciò che viene prodotto ne «Le Nouvel Observateur» e ne «L’Express» è determinato dalla relazione che s’istaura tra i due giornali e quindi dai “colpi” che essi si sferrano. Tutto considerato possiamo affermare che i lettori de «L’Express» stanno ai lettori de «Le Nouvel Observateur» come i giornalisti di quest’ultimo stanno a quelli del primo. Ma non è tutto, in quanto i produttori dell’uno e dell’altro giornale si adegueranno al loro pubblico di riferimento; ciò avviene perché vi è un’omologia tra lo spazio del microcosmo di produzione e lo spazio sociale globale. Si è parlato di civismo e ne sono ben lieto. In quello che ho detto – mi dispiace di non essermi espresso in modo più efficace ma è davvero difficile –, in quello 93

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Sul concetto di campo in sociologia

che ho descritto, la posta in gioco è rappresentata da un processo senza soggetto – con ciò sia chiaro, però, che non voglio privare Jean Daniel delle sue responsabilità, e ne ha di grosse, ahimè! Così come non voglio privare di responsabilità Christine Ockrent20 (lei rappresenta un chiaro esempio di eteronomia: personaggio televisivo divenuto direttrice de «L’Express»). Queste persone, pur avendo tutte delle responsabilità, sono inglobate in processi strutturali che esercitano su di loro una pressione tale che le loro scelte si rivelano del tutto obbligate. Attraverso questi processi emerge un pericolo globale per l’autonomia di tutti i campi di produzione culturale, ossia per tutti quegli universi all’interno dei quali sono stati prodotti quei concetti per noi di maggior valore: la scienza, il diritto, ecc.; compreso il campo politico il quale, se si eteronomizza, se si subordina alle costrizioni esterne, svolge una funzione alchemica. A prova di ciò che dico riassumo in tre parole una breve analisi che ho svolto a proposito di quello che è stato definito l’affaire “della piccola Karine”21. Nel mese di giugno, a Montpellier, appare una postilla su un giornale locale22; da lì interviene il padre di Karine che protesta sulla stampa locale, poi interviene il padrino, insieme fondano un’associazione, 20

Entrambi noti giornalisti francesi (N.d.T.). Bourdieu fa riferimento all’omicidio di una bambina francese avvenuto nel 1993 nella zona di Montpellier, per evidenziare come, attraverso il lavoro svolto dai mezzi di stampa (prima quelli della zona e poi quelli nazionali), un caso locale si trasformò in affare di Stato (alla fine del processo mediatico che si generò dall’omicidio, infatti, il Parlamento francese approvò una legge che introduceva la reclusione a vita) (N.d.T.). 22 “L’Indépendant” di Perpignan che il 15 settembre dà l’annuncio della sparizione della piccola (N.d.T.). 21

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quindi organizzano una piccola manifestazione con cento persone, il tutto viene ripreso dai giornali, ecc., e alla fine si arriva a restaurare la reclusione a vita (è possibile trovare i dettagli del processo nel numero degli «Actes de la recherche en sciences sociales» intitolato L’emprise du journalisme)23. I giornalisti, attraverso il loro lavoro di spiegazione, di costruzione di categorie – “sono raccapriccianti i crimini sui bambini!” –, creano una sorta di movimento di opinione, nella logica della democrazia diretta, ma nel senso più terribile del termine, che può portare ad instaurare la pena di morte. Quando gli organismi specializzati, le associazioni dei magistrati, quelle degli avvocati, intervengono per reintrodurre la logica specifica del campo giuridico, è ormai troppo tardi. E si può sentire un uomo politico demagogico, anche lui schiavo della logica dell’audimat, dire: “sì, è necessaria la reclusione a vita…”. E così le deboli resistenze dell’autonomia sono spazzate vie dal movimento populista, che viene dal basso, che ha dalla sua parte tutte le apparenze della democrazia (vedi l’audimat). La demagogia, incarnata dall’audimat, riduce le conquiste dell’autonomia. Detto questo, c’è ambiguità nell’autonomia per quel che concerne le sue condizioni sociali di possibilità. Come ci ricorda il Congresso di Rennes del Partito Socialista, l’autonomia può portare alla chiusura «egoistica» negli interessi privati delle persone impegnate all’interno del campo. Ma tale chiusura, come abbiamo visto nel caso della piccola Karine, può essere condizione di libertà rispetto a una richiesta immediata e alla demagogia. Mallarmé, contrariamente a 23

Vol. 101, 1, 1994, pp. 3-9 (N.d.T.).

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quello che si è soliti pensare (egli scrisse, da giovane, delle cose orribili sulla folla, sul popolo, ecc.), ha trascorso la sua vita chiedendosi come salvare ciò che ha possibilità di esistenza soltanto nell’autonomia, nel privilegio dell’esoterismo, cercando nello stesso tempo di trasmetterlo a un pubblico più ampio. La relazione tra le condizioni di produzione, ossia la rarità, il privilegio, e le condizioni della diffusione, è complessa. E ci sono persone, mi riferisco a quei sociologi, che cadono nella rete. Nel libro Éloge du grand public, che non posso non citare in quanto rappresenta, a mio parere, la resa del sociologo di fronte ai vincoli dell’audimat, Wolton pone il problema in questi termini: «bisogna scegliere Arte24, ossia la cultura esoterica mandarinesca, o TF1?». E, con un grande gesto liberale d’intellettuale che getta alle ortiche i suoi privilegi, egli aggiunge: “scegliamo TF1, viva il grande pubblico!”. Ed è subito applaudito da tutti i giornalisti di TF1, che lo reputano un grande sociologo. Ma cosa c’è in gioco? Non si tratta dell’opposizione elitismo/democrazia. Ma autonomia/eteronomia. Certamente, per fare della matematica25 è necessario disporre di ozio – la skholè platonica, termine che assume anche il significato di scuola – di libertà, di tempo libero. Il giornalismo, invece, è l’urgenza, è come una clessidra. Non si può fare matematica26 su TF1 e neanche sociologia: non si può fare nulla. Ti dicono – mi sarà capitato 24

Rete televisiva francese specializzata in documentari e programmi culturali (N.d.T.). 25 È come se dicesse “per esercitare il pensiero”. Il riferimento qui è al ruolo che i Greci davano alla matematica, intesa come scienza che sviluppa il pensiero (N.d.T.). 26 Leggi “non si può riflettere su…” (N.d.T.).

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cento volte: «vuole venire a Antenne 227 alle 8? Ha tre minuti per parlare della crisi…». L’autonomia presuppone un diritto d’ingresso: “nessuno entri, se non è uno studioso di geometria”28. Significa che per partecipare ai giochi della matematica avanzata di oggi è necessario avere accumulato del capitale specifico inerente alla cultura matematica, altrimenti non si riescono neanche a scorgere i problemi. Oggi, per entrare nel campo sociologico – cosa che ignorano la maggior parte dei sociologi e, a fortiori, i non-sociologi –, è necessario disporre di una notevole quantità di capitale. Tale condizione, che permette di oltrepassare la barriera d’ingresso, consente di mantenere l’autonomia rispetto alle domande sociali stupide; è grazie alla lettura di Max Weber e di tanti altri che è possibile resistere alla domanda sociale del tipo: “siete per TF1 o per Arte?” e rispondere “il problema è mal posto, non rispondo”. Difendere il diritto d’ingresso non significa difendere l’elitismo, ma vuol dire difendere le condizioni sociali di produzione di cose che non sono accessibili se non rispettando determinate modalità. Questo diritto d’ingresso può anche essere una barriera protettrice di privilegi, ma non necessariamente. C’è un problema d’ingresso, ma c’è anche un problema di uscita: in questi campi, in questi microcosmi, è necessario entrarci ma si può sempre uscirne. Cosa ha fatto Zola? Il 27

Canale televisivo francese, l’attuale France 2 (N.d.T.). Chiaro riferimento alla frase che Platone avrebbe fatto scrivere sul peristilio all’ingresso della sua scuola (l’Accademia), metafora con lo scopo di allontanare coloro che non erano in grado di riflettere. Per i Greci, infatti, la geometria rappresentava una scienza del pensiero, produttrice di riflessione (N.d.T.). 28

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famoso affaire Dreyfus rappresenta la storia di una persona che, trovandosi all’interno di un campo letterario che aveva raggiunto alfine l’autonomia (e tale processo è durato diversi secoli), ne è uscito per dire: in nome dei valori di libertà, di purezza, di verità, ecc., che sono quelli caratteristici del campo letterario, entro nel campo politico da scrittore (non è mai diventato un uomo politico) e dico che… All’alternativa posta da Walton – TF1 o Arte –, bisogna sostituire la questione dell’autonomia e quella inerente al diritto di ingresso e al dovere di uscita. Si può anche porre in modo nuovo un problema sul quale tutta la riflessione politica sul mondo intellettuale si è soffermata: come è possibile difendere le condizioni necessarie alla produzione di un certo tipo di opere specifiche, specialistiche, senza rinunciare a ogni inquietudine democratica?

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Nota bio-bibliografica

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Considerata la gargantuesca produzione bibliografica di Bourdieu, la nota qui fornita presenta una selezione delle sue principali pubblicazioni in volumi e riviste, con relativa traduzione italiana ove disponibile. Le fonti utilizzate nello stilare la seguente nota sono: Y. Delsaut, M.-C. Rivière, Bibliographie des travaux de Pierre Bourdieu, Le Temps des Cerises, Pantin, 2002; P. Bourdieu, Risposte, Bollati Boringhieri, Torino, 1992; il sito internet hyperbourdieu.jku.at al quale si rimanda per la bibliografia completa e per eventuali traduzioni in altre lingue delle opere citate.

1) Cenni biografici 1930 Nasce il 1º di agosto a Denguin, nella regione del Béarn. 1951 Ingresso alla École normale supérieure de la rue d’Ulm di Parigi. 1954 Ottiene l’Agrégation in filosofia. 1955 Presta servizio militare in Algeria. 1958 Assistente alla Facoltà di Lettere dell’Università di Algeri (fino al 1960). 101

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Nota bio-bibliografica

1960 Assistente di Raymond Aron alla Sorbona e segretario del Centre de sociologie européenne. 1961 Maître de conférence presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Lille.

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1962 Sposa Marie-Claire Brizard, dalla quale avrà tre figli: Jérôme, Emmanuel e Laurent. 1964 Direttore di studi all’École pratique des hautes études (fino al 2001). 1964 Insegna all’École normale supérieure di rue d’Ulm a Parigi (fino al 1984). 1964 Direttore della collana Le sens commun per le Éditions de Minuit. 1972 Visiting Member presso l’Institute for Advanced Study (IAS) di Princeton (fino al 1973). 1975 Fonda la rivista «Actes de la recherche en Sciences Sociales». 1981 Titolare della cattedra di sociologia al Collège de France. 1985 Dirige il Centre de Sociologie Européenne (CSE) del Collège de France e dell’École des hautes études en sciences sociales (fino al 1998). 1989 Dottore honoris causa alla Freie Universität di Berlino. 102

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Pierre Bourdieu

1989 Direttore della rivista «Liber» (fino al 1998). 1993 Riceve la medaglia d’oro dal CNRS (primo sociologo ad ottenerla). 1993 Partecipa all’appello per la costituzione di un Parlamento Internazionale degli Scrittori.

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1995 Fonda la casa editrice Raisons d’agir. 1995 Partecipa agli scioperi dei ferrovieri contro le politiche neoliberali del governo Juppé. 1996 Presiede gli stati generali del Movimento sociale. 1996 Riceve l’Erving Goffman prize dall’Università della California-Berkeley. 1996 Dottore honoris causa alla Johann Wolfgang Goethe Universität di Francoforte e all’Università di Atene. 1997 Riceve l’Ernst-Bloch-Preis della città di Ludwigshafen am Rhein. 1998 Direttore della collana Liber per le Éditions du Seuil. 2000 Riceve la Huxley Memorial Medal dal Royal Anthropological Institute. 2001 È il protagonista del documentario di Pierre Carles La sociologie est un sport de combat. 103

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Nota bio-bibliografica

2002 Muore il 23 gennaio a Parigi, stroncato da un cancro ai polmoni.

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2) Principali pubblicazioni in volumi e riviste 1958 a) Sociologie de l’Algérie, PUF, Paris. b) La culture Mozabite, Société Nationale des Entreprises de Presse, Alger. 1959 a) Tartuffe ou le drame de la foi et de la mauvaise foi, «Revue de la Méditerranée», nn. 4-5, pp. 453-458. b) La logique interne de la civilisation algérienne traditionnelle, in AA.VV., Le sous-développement en Algérie, Secrétariat social, Alger, pp. 40-51. c) Le choc des civilisations, in AA.VV., Le sous-développement en Algérie, Secrétariat social, Alger, pp. 5264. 1960 Guerre et mutation sociale en Algérie, «Études méditerranées», n. 7, pp. 25-37. 1961 Révolution dans la révolution, «Esprit», n. 1, pp. 27-40. 1962 a) De la guerre révolutionnaire à la révolution, in F. Perroux (ed.), L’Algérie de demain, PUF, Paris, pp. 5-13. 104

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b) Célibat et condition paysanne, «Études rurales», nn. 5-6, pp. 32-136. c) La hantise du chômage chez l’ouvrier algérien. Prolétariat et système colonial, «Sociologie du travail», n. 4, pp. 313-331. d) Les relations entre les sexes dans la société paysanne, «Les Temps Modernes», n. 195, pp. 307-331. e) Les sous-prolétaires algériens, «Les Temps Modernes», n. 199, pp. 1030-1051. f) Le Centre sociologie européenne, «Revue française de sociologie», n. 3, pp. 325-328. 1963 a) Travail et travailleurs en Algérie (con A. Darbel, J.-P. Rivet, C. Seibel), Mouton, Paris-La Haye. b) La société traditionnelle. Attitude à l’égard du temps et conduite économique, «Sociologie du travail», n. 1, pp. 24-44. c) Sociologues des mythologies et mythologies de sociologues (con J.-C. Passeron), «Les temps modernes», n. 211, pp. 998-1021 (tr. it. Sociologi delle mitologie e mitologie dei sociologi, in P. Bourdieu, Mitosociologia. Contributi a una sociologia del campo intellettuale, Guaraldi, Rimini, 1971). 1964 a) Le déracinement. La crise de l’agriculture traditionnelle en Algérie (con A. Sayad), Minuit, Paris. b) Les héritiers. Les étudiants et la culture (con J.-C. Passeron), Minuit, Paris (tr. it. I delfini. Gli studenti e la cultura, Guaraldi, Rimini, 1971).

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c) Paysans déracinés. Bouleversements morphologiques et changements culturels en Algérie (con A. Sayad), «Études rurales», n. 12, pp. 56-94. d) L’universitaire et son université (con E. Boupareytere, J.-C. Passeron, J.-D. Reynaud, J.-R. Treanton), «Esprit», nn. 5-6, pp. 834-847. 1965 a) Un art moyen. Essais sur les usages sociaux de la photographie (con L. Boltanski, R. Castel, J.-C. Chamboredon), Minuit, Paris (tr. it. La fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media, Guaraldi, Rimini, 1972). b) Rapport pédagogique et communication (con J.-C. Passeron, M. de Saint Martin), Mouton, Paris-La Haye (il saggio Langage et rapport au langage dans la situation pédagogique è tradotto in italiano come Il linguaggio nell’apprendimento, «Scuola e città», 20, 7-8, pp. 331-334, 1969). c) Le paysan et la photographie (con M.-C. Bourdieu), «Revue française de sociologie», 6, 2, pp. 164-174 (tr. it. I contadini e la fotografia, «Rivista di economia agraria», XXI, 3, pp. 50-58, 1966). d) The Sentiment of Honour in Kabyle Society, in J.G. Peristiany (ed.), Honour and Shame. The Values of Mediterranean Society, Weidenfeld and Nicholson, London, pp. 191-241. 1966 a) L’Amour de l’art. Les musées d’art européens et leur public (con A. Darbel, D. Schnapper), Minuit, Paris (tr. it. L’amore dell’arte. I musei d’arte europei e il loro pubblico, Guaraldi, Rimini, 1972). 106

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b) Condition de classe et position de classe, «Archives européennes de sociologie», VII, 2, pp. 201-223. c) Champ intellectuel et projet créateur, «Les Temps Modernes», n. 246, pp. 865-906. d) L’école conservatrice, les inégalités devant l’école et devant la culture, «Revue française de sociologie», VII, 3, pp. 325-347. 1967 a) Postface, in E. Panofsky, Architecture gothique et pensée scolastique, Minuit, Paris, pp. 137-167. b) Systèmes d’enseignement et systèmes de pensée, «Revue internationale des sciences sociales», XIX, n. 3, pp. 367-388. c) Sociology and Philosophy in France since 1945. Death and Resurrection of a Philosophy without Subject (con J.-C. Passeron), «Social Research», 34, 1, pp. 162-212 (tr. it. Sociologia e filosofia in Francia dal 1945. Morte e resurrezione della filosofia senza soggetto, «Trimestre», 1, 2, 1967, pp. 3-36). 1968 a) Le métier de sociologue. Préalables épistémologiques (con J.-C. Chamboredon, J.-C. Passeron), MoutonBordas, Paris (tr. it. Il mestiere di sociologo, Guaraldi, Rimini, 1976). b) Éléments d’une théorie sociologique de la perception artistique, «Revue internationale des sciences sociales», XX, n. 4, pp. 640-664. c) Structuralism and Theory of Sociological Knowledge, «Social Research», XXXV, n. 4, pp. 681-706.

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Nota bio-bibliografica

1970 a) La reproduction. Éléments pour une théorie du système d’enseignement (con J.-C. Passeron), Minuit, Paris (tr. it. La riproduzione. Sistemi di insegnamento e ordine culturale, Guaraldi, Rimini, 1972). b) La maison kabyle ou le monde renversé, in J. Pouillon, P. Maranda (curr.), Échanges et Communications. Mélanges offerts à Claude Lévi-Strauss à l’occasion de son soixantième anniversaire, Mouton, Paris-La Haye, pp. 739-758. c) L’excellence scolaire et les valeurs du système d’enseignement français (con M. de Saint Martin), «Annales ESC», XXV, 1, pp. 147-175. 1971 a) Champ du pouvoir, champ intellectuel et habitus de classe, «Scolies. Cahiers de recherche de l’École Normale Supérieure», n. 1, pp. 7-26 (tr. it. Campo del potere, campo intellettuale e habitus di classe, in P. Bourdieu, Campo del potere e campo intellettuale, Lerici, Roma, 1978, pp. 59-93). b) Disposition esthétique et compétence artistique, «Les Temps Modernes», n. 295, pp. 1345-1378. c) Genèse et structure du champ religieux, «Revue française de sociologie», XII, 3, pp. 295-334. d) Le marché des biens symboliques, «L’Année sociologique», 22, pp. 49-126. e) Reproduction culturelle et reproduction sociale, «Information sur les sciences sociales», X, 2, pp. 45-99. f) Une interprétation de la théorie de la religion selon Max Weber, «Archives européennes de sociologie», XII, n. 1, pp. 3-21. 108

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g) La défense du corps (con L. Boltanski, P. Maldidier), «Information sur les sciences sociales», X, n. 4, pp. 45-86. 1972 a) Esquisse d’une théorie de la pratique. Précédée de trois études d’ethnologie kabyle, Droz, Genève (tr. it. Per una teoria della pratica. Con tre studi di etnologia cabila, Raffaello Cortina, Milano, 2003). b) Les stratégies matrimoniales dans le système de reproduction, «Annales ESC», nn. 4-5, pp. 1105-1127. c) Composition sociale de la population étudiante et chances d’accès à l’enseignement supérieur (con C. Grignon e J.-C. Passeron), «Orientations», n. 41, pp. 89-102. d) Les doxosophes, «Minuit», n. 1, pp. 26-45. 1973 a) L’opinion publique n’existe pas, «Les Temps Modernes», n. 318, pp. 1292-1309 (tr. it. L’opinione pubblica non esiste, «Problemi dell’Informazione», n. 1, 1976, pp. 71-88). b) Les stratégies de reconversion. Les classes sociales et le système d’enseignement (con L. Boltanski, M. de Saint Martin), «Information sur les sciences sociales», XII, n. 5, pp. 61-113. 1974 a) Avenir de classe et causalité du probable, «Revue française de sociologie», XV, n. 1, pp. 3-42. b) Les fractions de la classe dominante et les modes d’appropriation des œuvres d’art, «Information sur les sciences sociales», XIII, n. 3, pp. 7-32. 109

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Nota bio-bibliografica

1975 a) L’invention de la vie d’artiste, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 2, pp. 67-94 (tr. it. L’invenzione della vita d’artista, in P. Bourdieu, Campo del potere e campo intellettuale, Lerici, Roma, 1978, pp. 95-182). b) Le couturier et sa griffe. Contribution à une théorie de la magie (con Y. Delsaut), «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 1, pp. 7-36. c) Le titre et le poste. Rapports entre le système de production et le système de reproduction, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 2, pp. 95-107. d) Les catégories de l’entendement professoral (con M. de Saint Martin), «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 3, pp. 68-93. e) Le fétichisme de la langue (con L. Boltanski), «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 4, pp. 2-32. f) Le langage autorisé. Note sur les conditions sociales de l’efficacité du discours rituel, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 5-6, pp. 183-190. g) La critique du discours lettré, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 5-6, pp. 4-8. h) La lecture de Marx: Quelques remarques critiques à propos de «Quelques remarques critiques à propos de Lire le Capital», «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 5-6, pp. 65-79. i) L’ontologie politique de Martin Heidegger, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 5-6, pp. 109156. j) La spécificité du champ scientifique et les conditions sociales du progrès de la raison, «Sociologie et Sociétés», VII, 1, pp. 91-118. 110

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k) Les conditions sociales de la production sociologique: sociologie coloniale et décolonisation de la sociologie, «Cahiers Jussieu», n. 2, 1974-1975, pp. 416-427. l) La spécificité du champ scientifique et les conditions sociales du progrès de la raison, «Sociologie et sociétés», 7, 1, pp. 91-118. 1976 a) Le sens pratique, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 1, pp. 43-86. b) La production de l’idéologie dominante (con L. Boltanski), «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 2-3, pp. 3-73. c) Anatomie du goût (con M. de Saint Martin), «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 5, pp. 2-112. 1977 a) Algérie 60. Structures économiques et structures temporelles, Minuit, Paris. b) La production de la croyance: Contribution à une économie des biens symboliques, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 13, pp. 3-43. c) L’économie des échanges linguistiques, «Langue française», n. 34, pp. 17-34. d) Questions de politique, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 16, pp. 55-89. e) Sur le pouvoir symbolique, «Annales ESC», n. 3, pp. 405-411 (tr. it. Sul potere simbolico, in A. Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, Marsilio, Venezia, 2003, pp. 119-129).

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Nota bio-bibliografica

1978 a) Capital symbolique et classes sociales, «L’Arc», n. 72, pp. 13-19. b) Le patronat (con M. de Saint Martin), «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 20-21, pp. 3-82. c) Sur l’objectivation participante. Réponses à quelques objections, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 23, pp. 67-69. d) Dialogue sur la poésie orale en Kabylie (con M. Mammeri), «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 23, pp. 51-56. e) Classement, déclassement, reclassement, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 24, pp. 2-22. f) Titres et quartiers de noblesse culturelle. Éléments d’une critique sociale du jugement esthétique (con M. de Saint Martin), «Ethnologie française», VIII, nn. 2/3, pp. 107-144. 1979 a) La distinction. Critique sociale du jugement, Minuit, Paris (tr. it. La distinzione. Critica sociale del gusto, il Mulino, Bologna, 1983). b) Les trois états du capital culturel, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 30, pp. 3-6. 1980 a) Le sens pratique, Minuit, Paris (tr. it. Il senso pratico, Armando, Roma, 2005). b) Questions de sociologie, Minuit, Paris. c) Le mort saisit le vif. Les relations entre l’histoire réifiée et l’histoire incorporée, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 32-33, pp. 3-14. 112

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d) Le Nord et le Midi. Contribution à une analyse de l’effet Montesquieu, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 35, pp. 21-25. e) L’identité et la représentation. Éléments pour une réflexion critique sur l’idée de région, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 35, pp. 63-72. 1981 a) La représentation politique. Éléments pour une théorie du champ politique, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 36-37, pp. 3-24. b) Épreuve scolaire et consécration sociale. Les classes préparatoires aux grandes écoles, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 39, pp. 3-70. 1982 a) Ce que parler veut dire. L’économie des échanges linguistiques, Fayard, Paris (tr. it. La parola e il potere, Guida, Napoli, 1988). b) Leçon sur la leçon, Minuit, Paris (tr. it. Lezione sulla lezione, Marietti, Genova, 1991). c) La sainte famille. L’épiscopat français dans le champ du pouvoir (con M. de Saint Martin), «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 44-45, pp. 2-53. 1983 a) Vous avez dit “populaire”?, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 46, pp. 98-105. b) Les sciences sociales et la philosophie, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 47-48, pp. 45-52 (tr. it. L’oblio della storia, in P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., pp. 50-55). 113

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c) The Field of Cultural Production or The Economic World Reversed, «Poetics», XII, nn. 4-5, pp. 311356. d) The Philosophical Establishment, in A. Montefiore (ed.), Philosophy in France Today, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 1-8. 1984 a) Homo academicus, Minuit, Paris. b) Espace social et genèse des “classes”, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 52-53, pp. 3-12. c) La délégation et le fétichisme politique, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 52-53, pp. 4955. d) Non chiedetemi chi sono. Un profilo di Michel Foucault, «L’indice», n. 1, pp. 4-5. 1985 a) The Genesis of the Concepts of Habitus and Field, «Sociocriticism», Theories and Perspectives II, 2, pp. 11-24. b) Vernunft ist eine historische Errungenschaft, wie die Sozialversicherung (con B. Schwibs), «Neue Sammlung», n. 3, pp. 376-394. 1986 a) Habitus, code et codification, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 64, pp. 40-44. b) La force du droit. Éléments pour une sociologie du champ juridique, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 64, pp. 3-19. c) Nécessiter, in AA.VV., Francis Ponge, L’Herne, Paris, pp. 434-437. 114

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d) The Forms of Capital, in J.G. Richardson (ed.), Handbook of Theory and Research for the Sociology of Education, Greenwood Press, New York-WestportLondon, pp. 241-258. 1987 a) Choses dites, Minuit, Paris. b) Für eine Realpolitik der Vernunft, in S. Müller-Rolli (hg.), Das Bildungswesen der Zukunft, Ernst Klett, Stuttgart, pp. 229-234. c) L’assassinat de Maurice Halbwachs, «La Liberté de l’esprit», n. 16, pp. 161-168. d) Legitimation and Structured Interests in Weber’s Sociology of Religion, in S. Whimster, S. Lash (eds.), Max Weber, Rationality and Modernity, Allen und Unwin, London, pp. 119-136. e) L’institutionnalisation de l’anomie, «Cahiers du Musée national d’art moderne», nn. 19-20, pp. 6-19. f) Agrégation et ségrégation. Le champ des Grandes écoles et le champ du pouvoir (con M. de Saint Martin), «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 69, pp. 2-50. g) Variations and invariants. Éléments pour une histoire structurale du champ des grandes écoles, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 70, pp. 3-30. h) What Makes a Social Class? On the Theoretical and Practical Existence of Groups, «Berkeley Journal of Sociology», XXXII, pp. 1-17. 1988 a) L’Ontologie politique de Martin Heidegger, Minuit, Paris (tr. it. Führer della filosofia? L’ontologia politica di Martin Heidegger, il Mulino, Bologna, 1989). 115

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b) Flaubert’s Point of View, «Critical Inquiry», 14, 3, pp. 539-562. c) Penser la politique, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 71-72, pp. 2-3. d) Program for a Sociology of Sport, «The Sociology of Sport Journal», V, 2, pp. 153-161. e) Vive la crise! For Hetrerodoxy in Social Science, «Theory and Society», XVII, 5, pp. 773-788. 1989 a) La Noblesse d’État. Grandes écoles et esprit de corps, Minuit, Paris. b) For a Socio-Analysis of Intellectuals: On “Homo academicus”, «Berkeley Journal of Sociology», XXXIX, pp. 1-29. c) Genèse historique d’une esthétique pure, «Cahiers du Musée national d’art moderne», pp. 95-106. d) Reproduction interdite. La dimension symbolique de la domination économique, «Études rurales», nn. 113-114, pp. 15-36. e) The Corporatism of the Universal: The Role of Intellectuals in the Modern World, «Telos», n. 81, pp. 99110. f) From the Sociology of Academics to the Sociology of the Sociological Eye, «Social Theory», 7, 1, pp. 32-55. g) Intérêt et désintéressement, «Cahiers de Recherche», n. 7, GRS, Lyon. h) Aspirant philosophe. Un point de vue sur le champ universitaire dans les années cinquante, in AA.VV., Les Enjeux philosophiques des années cinquante, Centre George Pompidou, Paris, pp. 15-24 (tr. it. Confessioni impersonali, in P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., pp. 41-50). 116

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1990 a) Animadversiones in Mertonem, in J. Clark, C. Modgil, S. Modgil (eds.), Robert K. Merton: Consensus and Controversy, The Falmer Press, London-New York, pp. 297-301. b) Un placement de père de famille. La maison individuelle: spécificité du produit et logique du champ de production (con S. Bouhedja, R. Christin, C. Givry), «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 8182, pp. 6-33. c) Un contrat sous contrainte (con S. Bouhedja e C. Givry), «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 81-82, pp. 34-51. d) Le sens de la propriété. La genèse sociales des systèmes de préférence (con M. de Saint Martin), «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 81-82, pp. 5264. e) La construction du marché. Le champ administratif et la production de la «politique du logement» (con R. Christin), «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 81-82, pp. 65-85. f) Droit et passe-droit. Le champ des pouvoirs territoriaux et la mise en œuvre des règlements, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 81-82, pp. 8696. g) La domination masculine, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 84, pp. 2-31. h) Les conditions sociales de la circulation internationale des idées, «Romanistische Zeitschrift für Literaturgeschichte/Cahiers d’Histoire des Littératures Romanes», 14, 1/2, pp. 1-10. i) The Scholastic Point of View, «Cultural Anthropology», nn. 4-5, pp. 380-391. 117

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1991 a) Die Intellektuellen und die Macht, VSA-Verlag, Hamburg, pp. 67-100. b) Que faire de la sociologie?, «CFDT Aujourd’hui», n. 100, pp. 111-124. c) The Peculiar History of Scientific Reason, «Sociological Forum», VI, 1, pp. 3-26. d) Le champ littéraire, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 89, pp. 3-46. e) La responsabilità degli intellettuali, Laterza, RomaBari. 1992 a) Les règles de l’art. Genèse et structure du champ littéraire, Seuil, Paris (tr. it. Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, il Saggiatore, Milano, 2005). b) Réponses. Pour une anthropologie réflexive (con L. Wacquant), Seuil, Paris (tr. it. Risposte. Per un’antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, Torino, 1992). c) Thinking about Limits, «Theory, Culture & Society», 9, 1, pp. 37-49. 1993 a) La misère du monde (con A. Accardo et al.), Seuil, Paris. b) Esprits d’État. Genèse et structure du champ bureaucratique, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 96-97, pp. 49-62. c) Structures, Habitus, Power. Basis for a Theory of Symbolic Power, in N.B. Dirks, G. Eley, S.B. Ortner (eds.), Culture/Power/History: A Reader in Contem118

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porary Social Theory, Princeton University Press, Princeton (NY), pp. 155-199. 1994 a) Raisons pratiques. Sur la théorie de l’action, Seuil, Paris (tr. it. Ragioni pratiche, il Mulino, Bologna, 1995). b) Libre-Échange (con H. Haacke), Seuil, Paris. c) Stratégies de reproduction et modes de domination, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 105, pp. 3-12. d) L’Économie des biens symboliques, «Cahiers de Recherche», n. 13, GRS, Lyon. 1995 a) L’État et la concentration du capital symbolique, in B. Théret (ed.), L’État, la finance et le social. Souveraineté nationale et construction européenne, La Découverte, Paris, pp. 73-105. b) Les medias font-ils l’élection?, «MediasPouvoirs», n. 38, pp. 21-125. c) Extra-ordinaire Baudelaire, in J. Delabroy, Y. Charnet (eds.), Baudelaire: nouveaux chantiers, Presses universitaires du Septentrion, Lille, pp. 279-288 (tr. it. Come leggere un autore?, in P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., pp. 91-98). 1996 a) Sur la télévision; suivi de l’emprise du journalisme, Éditions Liber, Paris & Dijon-Quetigny (tr. it. Sulla televisione, Feltrinelli, Milano, 1997). b) Sociologie et histoire, in M. Juffé (ed.), Aux Frontières du savoir, Presses de l’École Nationale des Ponts et Chaussées, Paris, pp. 111-131. 119

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c) Champ politique, champ des sciences sociales, champ journalistique, «Cahiers de Recherche», n. 15, GRS, Lyon. 1997 a) Méditations pascaliennes. Éléments pur une philosophie négative, Seuil, Paris (tr. it. Meditazioni pascaliane, Feltrinelli, Milano, 1998). b) De la maison du roi à la raison d’État. Un modèle de la genèse du champ bureaucratique, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 118, pp. 55-68 (tr. it. Dalla casa del re alla ragion di Stato. Un modello della genesi del campo burocratico, in L. Wacquant (a cura di), Le astuzie del potere, Ombre corte, Verona, 2005, pp. 37-62). c) Le champ économique, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 119, pp. 48-66. d) Défataliser le monde, «Les Inrockuptibles», n. 99, pp. 22-29 (tr. it. Defatalizzare il mondo, in A. Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, cit., pp. 130-148). 1998 a) Contre-feux. Propos pour servir à la résistance contre l’invasion néo-libérale, Liber, Paris (tr. it. Controfuochi. Argomenti per resistere all’invasione neoliberista, PL, Roma, 1999). b) La domination masculine, Seuil, Paris (tr. it. Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano, 1999). c) Sur les ruses de la raison impérialiste (con L. Wacquant), «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 121-122, pp. 109-118 (tr. it. Astuzie della ragione 120

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imperialista, in L. Wacquant (a cura di), Le astuzie del potere, cit., pp. 161-178). d) On the Fundamental Ambivalence of the State, «Polygraph», n. 10, pp. 21-32. 1999 a) Une révolution conservatrice dans l’édition, «Actes de la recherche en sciences sociales», nn. 126-127, pp. 3-28. b) Le fonctionnement du champ intellectuel, «Regards sociologiques», nn. 17-18, pp. 5-27. 2000 a) Les structures sociales de l’économie, Seuil, Paris (tr. it. Le strutture sociali dell’economia, Asterios, Trieste, 2004). b) Propos sur le champ politique, Presses universitaires de Lyon, Lyon (tr. it. Proposta politica. Andare a sinistra, oggi, Castelvecchi, Roma, 2005). 2001 a) Contre-Feux 2. Pour un mouvement social européen, Raisons d´agir, Paris (tr. it. Controfuochi 2. Per un nuovo movimento sociale europeo, Manifestolibri, Roma, 2001). b) Langage et pouvoir symbolique, Seuil, Paris. c) Science de la science et réflexivité (Cours du Collège de France, 2000-2001), Raison d’agir, Paris (tr. it. Il mestiere di scienziato. Corso al Collège de France 20002001, Feltrinelli, Milano, 2003). d) Le mystère du ministère. Des volontés particulières à la “volonté générale”, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 140, pp. 7-11 (tr. it. Il mistero del mini121

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stero. Dalle volontà particolari alla “volontà generale”, in L. Wacquant (a cura di), Le astuzie del potere, cit., pp. 63-71). 2002 a) Interventions (1961 - 2001). Sciences sociales et action politique, Agone, Marseille. b) Le bal des célibataires: crise de la société paysanne en Béarn, Points Seuil, Paris. c) «Si le monde social m’est supportable c’est parce que je peux m’indigner», Éditions de l’Aube, La Tourd’Aigues (tr. it. Il mondo sociale mi riesce sopportabile perché posso arrabbiarmi, Nottetempo, Roma, 2004). d) Wittgenstein, le sociologisme et la science sociale, in J. Bouveresse, S. Laugier, J.-J. Rosat (eds.), Wittgenstein, dernières pensées, Agone, Marseille, pp. 345353. e) Incorrigiblement optimiste, «Révue Agone», nn. 2627, pp. 233-245. f) Sur l’esprit de la recherche, in Y. Delsaut, M.-C. Rivière, Bibliographie des travaux de Pierre Bourdieu, Le Temps des Cerises, Pantin, pp. 175-240. 2003 a) Images d’Algérie: Une affinité élective. Textes et photographies de Pierre Bourdieu, Actes Sud, Arles. b) L’objectivation participante, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 150, pp. 43-58. 2004 Esquisse pour une auto-analyse, Raisons d’agir, Paris (tr. it. Questa non è un’autobiografia. Elementi di autoanalisi, Feltrinelli, Milano, 2005). 122

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ADORNO T.W. Sulla Popular Music, a cura di M. Santoro, 20062, pp. 128

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BATAILLE G. Il dispendio, a cura di E. Pulcini, 1997, pp. 88 BELLAH R.N. La religione civile in Italia e in America, 2009, pp. 128 BERGER P. - KELLNER H. Il matrimonio e la costruzione della realtà, 2010, pp. 128 DURKHEIM E. Per una definizione dei fenomeni religiosi, a cura di E. Pace, 20062, pp. 88 DURKHEIM E. Per una sociologia della famiglia, a cura di F. Citarrella, 1999, pp. 128 DURKHEIM E. Il divorzio consensuale, 2010, pp. 128 GARFINKEL H. Agnese, a cura di R. Sassatelli, 20051, pp. 128 GARFINKEL H. La fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione, a cura di M. Pendenza, 20051 pp. 144 GOFFMAN E. L’ordine dell’interazione, a cura di P. Giglioli, 20073, pp. 112 GOFFMAN E. Il rapporto tra i sessi, 2010, pp. 218 GOULDNER A. La sociologia e la vita quotidiana, a cura di R. Rauty, 20083, pp. 80 123

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GURVITCH G. Il controllo sociale, a cura di A. Giasanti, 1997, pp. 96 HALBWACHS M. Memorie di famiglia, a cura di B. Arcangeli, 1996, pp. 88 HALBWACHS M. Chicago, a cura di M. Bergamaschi, 2008, pp. 112

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LUHMAN N. Conoscenza come costruzione, 2008, pp. 96 MERTON R.K. Sociologia e medicina, a cura di G. Cersosimo, 2006, pp. 160 MILLS WRIGHT C. Il mito della patologia sociale, a cura di R. Rauty, 2001, pp. 96 OGBURN W. Tecnologia e mutamento, a cura di G. Iorio, 2006, pp 112 PARK R.E. La folla e il pubblico, a cura di R.Rauty, 19971, pp 128 PARSONS T. Prolegomeni a una teoria delle istituzioni sociali, 19981, pp. 96 PARSONS T., I giovani nella società americana, a cura di M. Merico, 2006, pp. 96 SACKS H. A. L’analisi della conversazione, a cura di E. Caniglia 20082, pp. 112 SCHUTZ A. Don Chischotte e il problema della realtà, a cura di P. Jedlowski, 20082, pp. 64 SIMMEL G. Le metropoli e la vita dello spirito, a cura di P. Jedlowski, 200810, pp. 64

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SIMMEL G. La socievolezza, a cura di G. Turnaturi, 20052, pp. 72 SIMMEL G. Sull’intimità, a cura di V. Cotesta, 20053, pp. 128

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SIMMEL G. Il denaro nella cultura moderna, a cura di N. Squicciarino, 20051, pp. 108 SIMMEL G. Sul pessimismo, a cura di D. Ruggeri, 2006, pp. 96 SIMMEL G. Sulla guerra, a cura di S. Giacometti, 2003, pp. 128 SIMMEL G. Tecnica e modernità nella Germania di fine Ottocento, a cura di N. Squicciarino, pp. 128, 2000 SIMMEL G . Forme dell’individualismo (a cura di A. Andolfi) pp. 112, 2001 SIMMEL G. Il povero (a cura di G. Iorio) pp. 112, 2001 SIMMEL G. La legge individuale ( a cura di F. Andolfi) pp. 128, 2001 SIMMEL G. Saggi sul paesaggio, a cura di M. Sassatelli, pp. 240, 2005 SIMMEL G. Individuo e gruppo, 2006, pp. 160 SIMMEL G. Estetica e sociologia, 2006, pp. 128 SIMMEL G. Frammento sulla libertà, 2009, pp. 128 SOMBART W. Dal lusso al capitalismo (a cura di R. Sassatelli) pp. 128, 20061 SOMBART W. Le origini della sociologia pp. 128, 2009 125

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THOMAS W. I. La medicina e l’origine delle professioni. La misurazione dell’influenza sociale, 2007, pp. 128 WEBER M.Considerazioni intermedie. Il destino dell’Occidente, 20065, pp. 112

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WEBER M. La politica come professione, introd. di L. Cavalli, 20062, pp. 64 WEBER M. La scienza come professione, a cura di L. Pellicani 1997, pp. 88 WIRTH L. L’urbanesimo come modo di vita, a cura di R. Rauty, 1998, pp. 128 ZNANIECKI F. Saggio sull’antagonismo sociale pp. 128, 2009

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