Studio sul perfetto indoeuropeo [1-3] 9788885134256, 8885134254, 9788885134416, 8885134416, 9788885134423, 8885134424

Parte 1: La funzione originaria del perfetto studiata nella documentazione delle lingue storiche ; Parte 2: La posizione

171 9 18MB

Italian Pages [781] Year 1990

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
I. La funzione originaria del perfetto studiata nella documentazione delle lingue storiche
INDICE
PREMESSA
SIGLE NEL TESTO
1. INTRODUZIONE
2. I VERBI «PROTERODINAMICI» STATIVI
3. I VERBI DI RUMORE
4. I VERBI DI LUMINOSITA
5. GLI ALTRI VERBI STATIVI MANCANTI DI UN PERFETTO ORIGINARIO
6. ECCEZIONI: VERBI (APPARENTEMENTE) STATIVI CON UN PERFETTO ANTICO
7. CONCLUSIONI
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
INDICE DELLE RADICI VERBALI INDIANE
II. La posizione del perfetto all'interno del sistema verbale indoeuropeo
INDICE
PRESENTAZIONE
1. INTRODUZIONE
2. UTILIZZAZIONE DELLE DIVERSE LINGUE INDOEUROPEE NELLA RICERCA SUL PERFETTO
3. IL RADDOPPIAMENTO NEL PERFETTO INDOEUROPEO
4. IL VOCALISMO RADICALE NEL PERFETTO INDOEUROPEO
5. LE DESINENZE NEL PERFETTO INDOEUROPEO
6. IL SISTEMA VERBALE RICOSTRUITO: LA POSIZIONE DEL PERFETTO
BIBLIOGRAFIA
ATTI DI COLLOQUI, CONGRESSI, CONVEGNI
OPERE COLLETTANEE
FESTSCHRIFTEN
ABBREVIAZIONI
III. Indici
Recommend Papers

Studio sul perfetto indoeuropeo [1-3]
 9788885134256, 8885134254, 9788885134416, 8885134416, 9788885134423, 8885134424

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

BIBLIOTECA DI •1caCBE

LINGUJmam

E PILOLOGICIIB

26

PAOLO DI GIOVINE

STUDIO SUL PERFET~ro INDOEUROPEO PARTE I La funzione originaria del perfetto studiata nella documentazione delle lingue storiche

DIPARTIMENTO DI STUDI GLOTTOANTROPOLOGICI DELL'UNIVERSITA' DI ROMA « LA SAPIENZA,. 1990

A Walter Belardi e Romano Lazuroni con riconoscenza

D.h 1-L01. xa.l. wv, xa.>.t~a.v 6i Ì.VO'OV tx µEp/.µv11v, !lo-o-a. 6É µoL ·dMO'O'a.L ~µoç /.µÉppet,,'tÉMO"OV, crv6'a.ih·a. avµj.UJ.XOt; laao. Sapph. 1 D, 25-28

INDICE

p.

9



11

I - Introduzione 1.1. Considerazioni generali 1.2. Metodo e finalità del lavoro . 1.3. La scelta dell'area linguistica e la tipologia semantica verbale 1.4. Fonti e criteri di presentazione .

• • • • •

13 13 15 23 28

II • I verbi « proterodinamici • stativi: as-, Ji-, vas- 'esser vestito' .



29

• • • •

45 45 57 81



87

Premessa

.

Sigle nel testo .

III • I verbi di rumore 3.1. Verbi indicanti il 'risonare, aver suono' 3.2. Verbi relativi a espressioni vocali del mondo ferino 3.3. Excursus: i perfetti intensivi nell'indiano e nel greco .

IV - I verbi di luminosità . V • Gli altri verbi stativi mancanti di un perfetto originario VI • Eccezioni: verbi (apparentemente) stativi con un perfetto antico

• 123 • 243

VII - Conclusioni .

• 367

Riferimenti bibliografici Indice delle radici verbali indiane

• 371

• 397

PREMESSA

Il lavoro di ricerca alla base di questo libro ha avuto inizio nel 1986, presso il Dipartimento di Linguistica dell'Università di Pisa, da me frequentato dopo la laurea romana. L'idea di utilizzare una metodologia certo insolita nell'analisi di un settore importante del sistema verbale indoeuropeo è nata dai colloqui e dai seminari di Linguistica indiana che in quel periodo frequentai a Pisa sotto la guida di Romano Lazzeroni. Ai suoi consigli, e al costante incoraggiamento del mio Maestro Walter Belardi, va il merito dei risultati raggiunti nel presente lavoro: e a loro in primo luogo rivolgo il mio ringraziamento. Vari colleghi ed amici hanno a più riprese fornito preziosi consigli e suggerimenti; desidero qui ricordare con gratitudine, tra gli altri, Palmira Cipriano e Marco Mancini, con i quali ho avuto fecondi scambi di idee, Guido Michelini, Marina Benedetti - che ha anche collaborato alle ricerche bibliografiche -, Daniele Maggi e Saverio Sani, dalla cui esperienza nel settore dell'indianistica ho più volte tratto profitto. A costoro, e a quanti altri hanno dato il loro contributo alla stesura del presente lavoro, va il mio sincero grazie, e l'invito a considerare il libro - se merita! - un poco anche loro *.

* La pubblicazione del presente volume è stata possibile grazie a un contributo erogato dal C.N.R.: desidero esprimere un vivo ringraziamento ai componenti del Comitato 08, e specialmente al prof. Romano Lazzcroni, presidente del Comitato stesso.

SIGLE NEL TESTO

Le abbreviazioni adoperate nel testo e nelle note sono per lo più di

immediata evidenza (e comunque la bibliografia può aiutare in qualche eventuale caso dubbio). Le opere vediche e sanscrite sono citate per esteso, con l'eccezione delle comuni sigle RV (J.lgveda), AV (Atharvaveda), YV (Yajurveda) e SV (Samaveda). Tuttavia, nel testo, si è fatto uso delle seguenti sigle per opere di citazione assai frequente: Banholomae: Oi. Bartholomae, Aitiranisches Worterbuch, Strassburg 1904, rist. Berlin-New York 1979. .Bohtlingk: O. Bohtlingk - R. Roth, Sanskrit Worterbuch, St. Petersburg 18551875 (rist. 1966) [cditio maior]. Delbr. V gl. Synt.: B. Dclbriick, Vergleichende Syntax der indogermanischen Sprachen, II ( = Brugmann - Delbriick, Grundriss, IV), Strassburg 1897. Grassmann: H. Grassmann, Worterbuch z.um Rig-Veda, Lcipzig 1873, 4• rist. Wiesbadcn 1964. Kellens: J. Kcllens, ù verbe avestique, Wiesbaden 1984. Macd. VG: A. A. Macdoncll, Vedic Grammar, Strassburg 1910. Macd. VGS: A. A. Macdoncll, A Vedic Grammar /or Students, Oxford 1916, rist. 1977. Mayrhofer: M. Mayrhofer, Kurz.gefasstes etymologisches Worterbuch des Aitindischen, Heidclbcrg 19.53-80 (il recente Etymologisches Worterbuch des Aitindodrischen, Heidelbcrg 1986-, riguarda ancora solo i termini inizianti per vocale e kt1-). M.-W.: M. Monier-Williams, A Sanskrit-English Dictionary, Oxford 1899, rist. 1979. Renou P/.: L. Rcnou, LII valeur du parfait dans les hymnes védiques, Paris 19.25. Wack. AiG,.: J. Wackernagel - A. Debrunncr - L. Renou - R. Hauschild, Aitindische Grammatik, Gottingen 1896- (tuttora da completare). Wh. IndexAV: W. D. Whitney, Index Verborum to the Published Text of the Atbarva-Veda, « Journ. of the Amer. Or. Soc. • 12 (1881), pp. 1-383. Wh. Roots: W. D. Whitney, The Roots, Verb-Forms and Primary Derivatives o/ tbe Sansluil Lllng""ge, New Havcn 188.5, rist. 1963. Wh. SG.: W. D. Whitney, Sanskrit Grammar, 2• cdiz. (1889), S- rist., Cambridae Mau. 1955.

CAPITOLO

I

INTRODUZIONE

1.1. Considerazioni generali Allorché si pone mano a uno studio riguardante il perfetto indoeuropeo, si prospettano immediatamente alcuni problemi, di varia natura. Da un punto di vista pratico, il compito è di per sé non indifferente, considerata la letteratura amplissima sulla questione, che è nata con i primi lavori di grammatica comparata (Bopp, poi Osthoff, e numerosi altri indoeuropeisti già nel secolo scorso). I titoli che riguardano il problema del perfetto indoeuropeo nel suo complesso o in aspetti specifici ammontano ormai a parecchie centinaia, tra studi monografici e articoli; non è facile, pertanto, utilizzare senza incorrere in omissioni questo imponente materiale di ricerca; certamente qualche articolo - mi auguro non tra i più importanti - potrà esser sfuggito alla presente indagine. Una lacuna, comunque, è « programmatica», per cosl dire: non ho tenuto conto, se non in casi eccezionali, di quei lavori pubblicati nel secolo scorso prima dello studio fondamentale del Wackernagel 1, che ha segnato una svolta nelle ricerche relative al perfetto indoeuropeo. Più gravi, forse, sono i problemi di metodo. Infatti, nel momento in cui si intende l'indoeuropeo ricostruito non come una entità concreta, bensl come un insieme di principt funzionali, la cui potenzialità è a noi nota soltanto in quanto riflessa nelle lingue storiche, e anche qui con eccezioni (in questo tipo di interpretazione seguo le ipotesi esposte da W. Belardi in vari scritti, cf. infra, nota 1

J. Wackemagel,

Studien zum griechischen Perfektum, Gottingen 1904, p. 4 ( = Kl. Schr., II, p. 1001); ancor più circostanziato è Vorlesungen ube, Syntax, 'J!&ediz., I, Basel 1926, p. 166 sgg.

14

I - Introduzione

182), non si può più operare semplicisticamente con uno schema di ricostruzione « lineare». Di fatto, tale ricostruzione può interessare solo le forme linguistiche - o meglio i « moduli » componenziali -, il cui mutamento nel tempo (dalla preistoria alle lingue storiche) è per lo più regolare. Ma quando si passa a considerare i significati - e i significati morfologici in questo caso specifico -, ci si trova di fronte a un ostacolo non trascurabile: la funzione, il significato di una forma linguistica è molto più facilmente soggetto a mutamenti, ad alterazioni anche profonde in diacronia (come ben sa, ad esempio, chi si occupa di romanistica). Pertanto, in linea teorica non è possibile porre a confronto il valore morfologico di un determinato tema flessionale attestato in varie lingue indoeuropee, e attribuire senz'altro tale valore - se coincidente - alla fase preistorica; per questo possiamo dire che nell'indoeuropeo ricostruito includiamo forme, ma non siamo certi delle funzioni - e dei significati - che tali forme dovevano avere (con ciò si giustifica, naturalmente, una certa cautela nell'accogliere conclusioni di opere quali il Vocabulaire des institutions indo-européennes del Benveniste). Nel caso specifico del perfetto, poi, le lingue storiche che hanno conservato tale categoria morfologica ancora vitale, oppure a livello di relitto, non concordano pienamente nella funzione ad essa attribuita. Pertanto, se si considera esclusivamente il metodo (della sostanza dirò più avanti), le conclusioni raggiunte dal Wackernagel (cit. nota 1), il quale attribuiva al perfetto indoeuropeo la funzione di indicare lo stato conseguente a un'azione o processo, sono in buona parte demotivate da un difetto d'origine: l'utilizzazione della testimonianza delle lingue storiche, o meglio di una lingua storica particolare (il greco omerico), per proiettare in fase preistorica comune il valore del perfetto quale è attestato nei documenti più antichi. Nulla vieterebbe di pensare che già i primi documenti storici, ad es. omerici, riflettano una evoluzione rispetto al significato originario del perfetto, e che invece altre aree linguistiche siano più conservative al riguardo (o al limite che tutte le lingue indoeuropee abbiano innovato rispetto alla funzione del perfetto). Sarà necessario, dunque, seguire un'altra via, che consenta di utilizzare fenomeni documentati nelle lingue storiche in quanto presuppongano l'esistenza di condizioni funzionali più antiche, riferibili a una fase comune (« tardoindoeuropea », se vogliamo seguire la classificazione corrente). Questo è l'intento della prima parte del presente lavoro, vòlta ad attin-

1.1. Considerazioni generali

15

gere il valore originario del perfetto con il metodo che ora si cercherà di delineare. La seconda parte di questo Studio sarà invece dedicata alla ricostruzione della posizione del perfetto nel sistema verbale indoeuropeo; ricostruzione che, ove attuata senza alcuna considerazione di ordine funzionale, può portare - e ha portato - a conclusioni tra loro profondamente difformi. 1.2. Metodo e finalità del lavoro Alla esposizione dei criteri utilizzati nel presente lavoro, è opportuno premettere una sintesi dei dati a nostra disposizione nel dominio linguistico indoeuropeo e dei risultati cui sono pervenute le ricerche sin qui svolte. Nell'indiano antico, il ~gveda presenta un discreto numero di perfetti con riferimento a uno stato atemporale (accanto ad altri perfetti nei quali già è attestata la valenza di passato generale, poi destinata a prevalere nel tardo vedico - Braluna.r:ia,Sutra, etc.) 2 • Le altre due aree linguistiche indoeuropee nelle quali il perfetto è attestato come categoria morfologica bene individuabile e vitale, l'iranica e la greca, presentano una situazione sostanzialmente analoga: nell'avestico coesistono perfetti indicanti lo stato risultante

a. B. Delbriick, Altindische Tempuslehre ( = Syntaktische Forschungen, II), Halle (Saale) 1876, pp. 101 sgg. e 131 sg.; Id., Altindische Syntax ( = Syntakt. Forschungen, V), Halle (Saale) 1888, p. 296 sgg.; L. Renou, La valeu, du par/ait dans les hymnes védiques, Paris 1925, pp. 3, 10 sgg., 29 sgg., 50 sgg., 82 sgg.; T. Elizarenkova, On the Problem of the Development of Tenses in Old Indo-Aryan, Moskow 1960, p. 10 sg.; Id., G,ammatika vediiskogo iazyka, Moskva 1982, p. 287 sg.; J. Gonda, The Aspectual Function of the "f!,.gvedicPresent and Ao,ist, 's-Gravenhage 1962, pp. 162 sg. e 166 sgg.; Id., Old Indian, in Handbuch der Orientalistik, II, 1, 1, Leiden - Koln 1971, pp. 100 sg. e 129 sg.; una sintesi, infine, è nel recente lavoro di A. Etter, Die Fragesatze im ]!..gveda,Berlin - New York 1985, pp. 143-145 e 160-167 (l'autrice traspone - forse troppo meccanicamente - i dati indiani nella più ampia prospettiva indoeuropea comune, cf. infra, nota 5). Nel tardo vedico (prosa dei Brahm&J}a,Siitra, etc.) il valore temporale di preterito tende a divenire pressoché esclusivo; la concorrenza semantica con l'imperfetto (e, in parte, con l'aoristo) conduce a una graduale rarefazione dell'impiego del perfetto, fino alla sua definitiva scomparsa dall'uso nel medio-indiano: cf. L. Renou, Pf., cit., p. 28 sgg. (specie pp. 185-188), e soprattutto W. D. Whitney, On the Narrative Use of Imperfect and Perfect in the Brahma,:,as, « Trans. of tbc Amer. Philol. Ass. • 23 (1892), p. 5 sgg. 2

I • Introduzione

16

accanto a perfetti nei quali ormai prevale la caratteristica temporale di preterito (in principio passato risultativo) 3 ; più chiara è la testimonianza del greco, che nell'epos omerico conosce quasi esclusivamente perfetti atemporali (proprio a partire dal greco il Wackernagel - cit. nota 1 - ha potuto attribuire al perfetto indoeuropeo un originario valore stativo)". La funzione del perfetto, e la sua collocazione nel sistema verbale indoeuropeo, sono state oggetto di numerose puntualizzazioni ad opera degli studiosi. Due sono le principali opinioni espresse al riguardo: da un lato è stato sottolineato il carattere aspettuale del perfetto, con una proiezione in fase preistorica di quello che è il valore parzialmente riscontrabile nelle testimonianze indo-iraniche e greche 5 ; dall'altro, Cf. J. Kellens, Le verbe avestique, Wiesbaden 1984, p. 412 sgg.; A. Meillet, in « Bull. Soc. Ling. » 26 (1925), 3, p. 70; L. H. Gray, Contributions to Avestan Syntax - The Preterite Tenses of the Indicative, « Joum. of the Amer. Or. Soc. » 21, 2 (1901), p. 112 sgg. e soprattutto p. 114. Per l'area iranica, il solo avestico testimonia un discreto numero di perfetti; sono privi di interesse specifico, invece, il persiano antico, che mostra in tutto non più di un paio di forme identificabili come perfetti, e i dialetti medio-iranici (dal sogdiano al khotansacio, che posseggono solo perfetti perifrastici, al pahlavico, che ha drasticamente ridotto la coniugazione verbale): d. C. Salemann, Mittelpersisch, in Grundriss der iranischen Philologie, I, 1, Strassburg 1895-1901, p. 295; É. Benveniste, Essai de grammaire sogdienne, II, Paris 1929, pp. 2 sg. e 48 sgg.; D. Weber, Das Perfekt transitiver Verben im Khotansakischen, « Sprache » 28 (1982), 2, p. 165 sgg.; H. S. Nyberg, A Manual of Pahlavi, :zaediz., II, Wiesbaden 1974, p. 282 sg.; W. B. Henning, Das Verbum des Mittelpersischen der Turfanfragmente, « Zeitschr. f. Indo!. u. Iran.» 9 (19331934), p. 165 sg. 4 Sul valore originario del perfetto greco, soprattutto in riferimento alla lingua omerica, si vedano P. Chantraine, Histoire du parfait grec, Paris 1927, p. 4 sgg., e Grammaire homérique, II, Paris 1953, p. 197 sgg.; S. Lyonnet, Parfaits et plus-que-parfaits résultatifs chez Homère, « Bull. Soc. Ling. » 35 (19341935), 1, p. 39 sgg.; P. Berrettoni, L'uso del perfetto nel greco omerico, « Studi e Saggi ling. » 12 (1972), p. 25 sgg.; G. Michelini, I « genera verbi» nella lingua omerica, « Studi It. di Ling. teor. e appl. » 5 (1976), p. 437 sg. 5 Si vedano al riguardo, tra gli altri, A. Meillet, De l'expression du temps, « Bull. Soc. Ling. » 20 (1916), p. 138; E. Schwyzer - A. Debrunner, Griechische Grammatik, Il, Mi.inchen 1950, p. 253; W. Schlachter, Der Verbalaspekt als grammatische Kategorie, « Mi.inch. Studien z. Sprachw. » 13 (1959), p. 66; P. Chantraine, Morphologie historique du xrec, 2" ediz. riv. e corr., Paris 1973, p. 201; Id., Histoire, cit., pp. 2 e 8 sgg.; P. Berrettoni, L'uso del perfetto, cit., p. 153 sgg.; Id., Per un'analisi del rapporto tra significato lessicale 3

1.2. Metodo e finalità del lavoro

17

sulla base di considerazioni prevalentemente formali e del raffronto con i dati ittiti (d. infra, nota 16, e soprattutto la II parte di questo Studio), si è ritenuto di poter ricondurre il medio e il perfetto a una

e aspetto in greco antico, « Studi e Saggi ling. » 16 (1976), p. 212 sgg. (con riferimento anche alla schematizzazione di J. Lyons, Structural Semantics, Oxford 1972, p. 112); Id., Aspetto verbale e viaggi temporali. Sulla rappresentazione semantica del perfetto risultativo, in Studi linguistici in memoria di Angelo Penna, Rimini 1983, pp. 49 sg. e 55 sgg.; J. Puhvel, « Perfect Tense » and « Middle Voice ». An I ndo--European Morphological Mirage, in Actes du X" Congrès lntern. d. Linguistes, IV, Bucarest 1970, p. 632; J. Kurylowicz, The lnflectional Categories of lndo-European, Heidelberg 1964, p. 94 sg. Un rapporto del perfetto con l'aspetto verbale è stato rilevato ad es. da K. H. Schmidt, Das Perfektum in indogermanischen Sprachen • Wandel einer zustiindliche AusVerbalkategorie, «Glotta» 42 (1964), p. 7 («Als sageform gehort es [scil.: das zustandl. Perfekt] zu den Diathesen, als Kategorie, die den Ab se h 1u s s eines Vorganges anzeigt, zu den Aspekten »; d. anche C. Watk.ins, lndogermanische Grammatik, III, 1 [Formenlehre], Heidelberg 1969, p. 118, in riferimento alle lingue indoeuropee storiche), e da K. Hoffmann, Das Kategoriensystem des indogermanischen Verbums, « Miinch. Studien z. Sprachw. » 28 (1970), p. 39 (« ... ein Verbalstamm, der den perfektiven Aspekt zum Ausdruck bringt. »). Più sfumato il giudizio di J. Brunei, L'aspect et « l'ordre de procès » en grec, « Bull. Soc. Ling. » 42 (1942-45), p. 54 sgg., e di W. Belardi, La formazione del perfetto nell'indoeuropeo, « Rie. ling. » 1 (1950), 1, p. 93, i quali riportano il perfetto piuttosto a una Aktionsart o « ordre de procès » (J. Brunei, l. cii.), e lo collocano sullo stesso piano dei « presenti derivati» (causativi, incoativi, iterativi, etc.: W. Belardi, l. cit.); si vedano al riguardo anche J. Kurylowicz, Problèmes de linguistique indo-européenne, Wroclaw - Warszawa - Krak6w • Gcl.ansk 1977, pp. 60 e 62, e H. Rix, Das keltische Verbalsystem auf dem Hintergrund des indo--iranisch-griechischen Rekonstruktionsmodells, in I ndogermanisch und Keltisch - Akten d. Koll. d. ldg. Ges., Wiesbaden 1977, p. 137 sg.; Id., Zur Entstehung des urindogermanischen Modussystems, Innsbruck 1986, pp. 8 e 13 (la tesi del Rix è stata ripresa da O. Szemerényi, Strukturelle Probleme der indogermanischen Flexion. Prinzipien und Model/alle, in Grammatische Kategorien - Akten der VII. Fachtagung d. ldg. Ges., Wiesbaden 1985, p. 523, il quale aveva in precedenza espresso una diversa opinione in merito, d. nota seguente). Anche H. V. Velten, Studien zu einer historischen Tempustheorie des I ndogermanischen mit besonderer Berucksichtigung der modernen euro-piiischen Sprachzweige, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 60 (1933), p. 194 sgg., inserisce il perfetto in un quadro di opposizioni di Aktionsarten, ma si tenga presente che il Velten include sotto la denominazione di Aktionsarten anche quelli che sono propriamente valori aspettuali. Secondo A. Etter, Die Fragesatze, eit. nota 2, pp. 144 sg. e 160 sg., infine, il perfetto non si inserirebbe

18

I - Introduzione

unica diatesi mediopassiva opposta alla diatesi attiva 6 • ~ ormai fuori questione il carattere secondario del perfetto come tempo storico, quale appare negli sviluppi seriori dell'indo-iranico e del greco, nonché nel latino, nel celtico, nel tocario e, in parte, nel germanico e nell'albanese 7 •

nel sistema di opposizioni aspettuali, neppure come un terzo genere di aspetto verbale, ma si opporrebbe alla coppia «perfettivo-imperfettivo» in quanto esprimerebbe lo stato risultante indipendentemente dal punto di vista del parlante. 6 Si vedano ad es. Ch. S. Stang, Perfektum und Medium, « Norsk Tidsskr. f. Sprogvid. » 6 (1932), p. 34; J. Safarewicz, Sur les désinences verhales en grec et en latin, « Eos » 53 (1963), pp. 110 e 112; R.S.P. Beekes, The Proterodynamic 'Perfect', « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 87 (1973), pp. 88 sgg.; W. Meid, Prohleme der riiumlichen und zeitlichen Gliederung des Indogermanischen, in Flexion und Worthildung - Akten d. V. Fachtagung d. Idg. Ges., Wiesbaden 1975, p. 215 sgg.; E. Neu, Zur Rekonstruktion des indogermanischen Verhalsystems, in Studies in Greek, Italic and Indo-European Linguistics Offered to R. L. Palmer, Innsbruck 1976, p. 252; J. Tischler, Zur Reduplikation im Indogermanischen, lnnsbruck 1976 (IBS, 16), nota 51 a p. 19 (con opportune precisazioni); O. Szemerényi, On Reconstruction in Morphology, in Linguistic and Literary Studies in Honor of A. A. Hill, III, The Hague 1978, p. 279; G. Michelini, Flessione tematica e medio in « indoeuropeo», « Studi lt. di Ling. teor. e appl. » 7 (1978), p. 148; C. F. Justus, Directions in Indo-European Etymology, with Special Reference to Grammatica/ Category, in Perspectives on Historical Linguistics (Current Trends in Ling. Theory, 24), Amsterdam - Philadelphia 1982, pp. 301 e 324. Sostanzialmente analoga è la posizione del Pisani, che vede nel perfetto originario « kein 'Tempus' mit ausgebildetem Paradigma, sondem eine einzige Fonn auf -a, ein Impersonale» (V. Pisani, Vher einige ai. -r-Endungen und Verwandtes, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 60 [1933], p. 222; d. anche Glottologia indeuropea, 4• ediz., Torino 1971, p. 260). Può essere interessante notare che l'enucleazione di una diatesi perfetto-media ricalca, per lo più inconsapevolmente, la classificazione di Dionisio Trace, il quale distingueva (Techne, § 13) tre 61,a.i'~É a; *o > e) simile a quella del latino e del germanico (rimane problematica la classificazione dei preteriti albanesi dei verbi in dittongo originario, i quali si caratterizzano unicamente per le desinenze: solo quella di III sg. -i è notevole, mentre -va, -ve rispettivamente di I e II sg. corrispondono regolarmente ad -a, -e degli altri temi verbali, e non hanno alcuna relazione con il suffisso di perfetto latino -ui etc.; -i di III sg., in luogo dell'atteso **-vi, probabilmente è dovuto a ragioni puramente fonetiche, poiché la sequenza -6i-, -6j- è frequente in albanese, a differenza di **-6a-, **6e-, inusitati in tale lingua). R J. Wackernagel, Studien z. ;,r. Per/., cit., p. 3 ( Kl. Schr. II, p. 1000); Id., Vorlesun;,en, cit., I, p. 172. 9 P. Chantraine, Histoire, cit., p. 2. 10 J. Brunei, art. cit., p. 54. 11 W. Belardi, La formazione del pf ., cit., p. 108 e nota 4 a p. 94. 12 :É. Benveniste, Sur quelques développements du parfait indo-européen, « Archivum ling.,. 1 (1949), p. 20. 13 F. Bader, Vocalisme et redoublement au parfait radical en latin, « Bull. Soc. Ling. » 63 (1968), p. 160. 14 P. Berrettoni, L'uso del perfetto, cit., p. 65 sg.; Id., Per un'analisi, cit., p. 211. 15 P. Berrettoni, Per un'analisi, cit., p. 209 sgg. Ulteriori indicazioni, specie bibliografiche, in K. Strunk, Oberlegungen zu Defektivitiit und Suppletion im Griechischen und Indogermanischen, « Glotta,. 55 (1977), p. 2 sgg.

=

I - Introduzione

20

ressante chiave di lettura del più antico valore aspettuale dei vari temi verbali, e in particolare di quello del perfetto. La stessa discordanza delle opinioni espresse fa comprendere che per poter delineare con maggiore affidabilità la funzione del perfetto indoeuropeo non è sufficiente una pura e semplice comparazione formale tra le lingue che hanno conservato questo tema verbale ancora vitale oppure allo stato di relitto (in questo secondo caso è necessario procedere con estrema cautela, per non incorrere in « petitiones principii » prive di solido fondamento) 16: per tale via - e con tutte le riserve sopra esposte - si può solo giungere a proiettare in epoca preistorica una forma di perfetto che avrebbe posseduto un valore di stato (presumibilmente conseguente a un'azione) quale appare nelle più antiche attestazioni, e a stabilire una parziale corrispondenza formale tra le desinenze del perfetto e quelle del medio. La comparazione formale può poi procedere nella ricostruzione alla ricerca di una origine unitaria di varie categorie verbali (in questo senso il Kurylowicz e soprattutto il Watkins 17 hanno posto alla base del perfetto,

16

Può capitare, ad esempio, che taluno, sulla base della sola testimonianza dell'ittito (privo di un perfetto autonomo), affermi che « il tipo raddoppiato del perfetto, come lo presuppongono greco e indo-iranico » non è indoeuropeo comune né tanto meno antico (W. Meid, Osservazioni sul perfetto indoeuropeo e sul preterito forte germanico, « Incontri ling. » 4, 1 [1978], p. 36); se volessimo liquidare questo problema - che è peraltro assai complesso - fondandoci unicamente sulla testimonianza dell'ittito, potremmo tranquillamente, e con pari verisimiglianza, rovesciare i termini del discorso del Meid, ed affermare all'opposto che l'ittito ha perduto la categoria del perfetto (raddoppiato), poiché esso si è trasformato in una classe flessionale di presente (cosi ad esempio H. Eichner, Die Vorgeschichte des hethitischen Verbalsystems, in Flexion und Wortbildung - Akten d. V. Fachtagung d. Idg. Gesellsch., Wiesbaden 1975, p. 101; ma di tale problema si tratterà più ampiamente nella II parte del presente lavoro). Come è facile capire, non mancano ragioni per considerare con estrema prudenza i dati inferibili, per quel che concerne il perfetto indoeuropeo, dall'area ittito-anatolica (si veda in proposito già W. Petersen, The Persona! Endings of the Hittite Verb, « Amer. Journ. of Philol. » 53 (1952), p. 194 sgg.). 17 Cf. in particolare J. Kurylowicz, The Infl. Categories, cit., p. 56 sgg., e C. Watkins, Idg. Gramm., cit., III, 1, pp. 66 e 105 sgg. L'origine nominale del sistema verbale indoeuropeo, o di buona parte di esso, non è certo una idea nuova: basti pensare al lapidario « Im Anfang war das Nomen » con cui il Griinenthal concludeva il suo articolo sul perfetto (Zum Perfekt, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf.» 63 [1936), p. 140). Si veda anche la giusta critica metodo-

1.2. Metodo e finalità del lavoro

21

del medio e della coniugazione tematica una unica forma nominale); ma una siffatta analisi, laddove svincolata da una approfondita ricognizione delle valenze funzionali attestate (se per il perfetto il valore stativo protostorico - non necessariamente preistorico - è abbastanza evidente, già non si è concordi nell'identificare il valore più antico del medio; e che dire, poi, della categoria dei verbi tematici?), rischia di configurarsi come una ricerca squisitamente glottogonica, dettata dalla necessità cosiddetta logica di ridurre tutto il complesso sistema verbale indoeuropeo a una unica, indifferenziata entità formale, cui corrisponderebbero - si suppone - più valori funzionali 18 . Proprio per poter giungere a conclusioni meno labili e arbitrarie sembra allora necessario integrare l'analisi comparativa con un esame del rapporto tra semantica verbale e presenza o assenza di perfetto, al fine di indagare la valenza più antica di tale formazione verbale. In considerazione del valore attestato nella fase più antica delle lingue che hanno conservato un perfetto autonomo, è opportuno esaminare la presenza o assenza di perfetto nei verbi stativi: infatti, se è giusta l'ipotesi che il perfetto indichi uno stato conseguente a un processo, è ragionevole pensare che esso compaia nei soli verbi non stativi, mentre dovrebbe essere assente nei verbi che hanno già nella propria semantica una valenza di stato (si avrebbe altrimenti un vistoso esempio di ridondanza morfosemantica) 19• In una tale prospettiva, non paiono molto pertinenti affermazioni come quella del Benveniste, il quale, constatato il valore di « état du sujet » dei perfetto-presenti (o preterito-presenti) germanici, afferma

logica formulata da George Cardona nella sua recensione al volume del Watkins, apparsa in « lndo-lranian Joum. • 17 (1975), p. 109. 18 Sintomatica di un desiderio di semplificazione portato alle estreme conseguenze è la posizione di T. Elizarenkova, On the Problem, cit., p. 17 sg., la quale, in un articolo peraltro non privo di acute osservazioni, giunge però a ricostruire per l'indoario antico un sistema verbale a due soli elementi (!), l'ingiuntivo e il perfetto. 19 Cf. P. Berrettoni, Per un'analisi, cit., p. 230, il quale, però, ritiene inadeguata una tale supposizione (d. infra). Più sfumata appare comunque la successiva presa di posizione del Berrettoni in Aspetto verbale, cit. nota 5, p. 51 sg.; in quest'ultima sede (p. 53 sg.) il Berrettoni riferisce la classe dei perfetti risultativi ai soli verbi indicanti un cambiamento di stato (incoativi).

I - Introduzione

22

che il perfetto « dénote l'état du sujet, et ne se constitue donc que sur des racines propres à convoyer cette expression » 20 : se i perfettopresenti germanici continuano degli antichi perfetti, il minimo che ci si possa attendere è che essi indichino uno stato, e ciò indipendentemente dalla semantica della radice verbale di cui sono espressione (di fatto si vedrà che in molti casi la semantica originaria dei verbi alla base dei perfetto-presenti non era affatto stativa) 21 • Maggior peso ha, invece, l'obiezione del Berrettoni, il quale afferma che « l'ipotesi [di una incompatibilità tra verbi stativi e perfetto] sembra contraddetta dal fatto che il greco antico conosce tutta una serie di verbi stativi che si inseriscono normalmente e tipicamente al tema del perfetto: si tratta soprattutto dei ben noti verbi che indicano un'operazione psichica o percettiva » 22 • Questa obiezione pone il problema di quali verbi siano effettivamente da considerare stativi ai fini della nostra indagine (cf. infra); ma è subito evidente che quando si parla dei verbi indicanti una o p e r a z i o n e psichica o percettiva come di verbi stativi, si adotta una terminologia non del tutto soddisfacente (l'affinità di « operazione » con « processo» piuttosto che con « stato» appare di immediata evidenza). Non mi sembra, pertanto, che vi siano considerazioni di ordine generale che precludano la via a un'analisi del rapporto tra semantica

20

:É. Benveniste, Sur quelques développements, cit., p. 20 sg. (con le osservazioni di M. S. Ruipérez, Benveniste, les perfecto-présents germaniques et le grec, in E. Benveniste au;ourd'hui, II, Paris 1984, p. 137 sgg.); cf. anche Les noms abstraits en -ti- du gothique, « Sprache » 6 (1960), p. 169. 21 Forzando in qualche misura la lettera dell'affermazione del Benveniste qui citata, si potrebbe supporre un riferimento a radici atte a convogliare a 1 p e r f e t t o l'espressione di stato del soggetto. A parte il fatto che una tale interpretazione renderebbe il discorso estremamente banale (Benveniste dà per scontato che il perfetto era comunque in origine stativo), dall'intero contesto sembra chiaro che il Benveniste alluda a valori stativi di radici e non di perfetti: si veda, ad esempio, p. 21 dell'art. cit.: « Meme prises une à une, ces formes [scii.: les pf.-prés. à valeur stative] répondent bien aux diverses catégories de verbes qui sont dans d'autres langues (grec et indo-iranien notarnment) aptes à donner un parfait » (segue un elenco di verbi indicanti stato del soggetto; il corsivo è mio). 22 P. Berrettoni, Per un'analisi, cit., p. 230. Il Meid, Das germanische Praeteritum, Innsbruck 1971 (IBS, 3), p. 33 sgg., tenta di risolvere l'« aporia » attribuendo al perfetto indoeuropeo un carattere accessorio « intensivoiterativo ».

1.2. Metodo e finalità del ltJvoro

23

stativa dei verbi e assenza del perfetto; il vantaggio di tale metodo, come detto, risiede nella posibilità di operare su dati storici che però costituiscono il riflesso di fenomeni e situazioni funzionali preistoriche. L'attendibilità di una siffatta indagine, e soprattutto dei suoi risultati, dipende in buona misura dal rigore dei criteri adottati nel redigerla; non sarà dunque inopportuno premettere all'esposizione dei dati un breve quadro dei punti di riferimento - spazio-temporali, morfologici, semantici - della presente ricerca. 1.3. La scelta dell'area linguistica e la tipologia semantica verbale Un problema fondamentale riguarda l'area linguistica da prendere in esame. Si è già detto che possono essere prese in considerazione le sole lingue indoeuropee antiche che testimoniano un perfetto formalmente e funzionalmente autonomo dagli altri temi verbali: la scelta si restringe pertanto al greco antico, all'iranico (avestico) e all'indiano antico (vedico). Una analisi quale la presente, che si basa essenzialmente su un « argumentum ex silentio » (verbi che non hanno perfetto), per avere una qualche attendibilità deve operare su un corpus di verbi e forme verbali estremamente ampio, sl da ridurre al minimo l'incidenza del caso sui risultati (insufficiente documentazione); è evidente che, da questo punto di vista, l'area iranica (avestico) si presenta come la meno idonea a fornire elementi di valutazione sicuri (appena una sessantina di verbi avestici presenta un perfetto 23). Vi è allora la possibilità di impostare la ricerca a partire dal greco oppure dall'indiano, o, per meglio dire, dalle loro fasi più antiche, rispettivamente la lingua omerica e il vedico (nelle fasi successive il passaggio del perfetto a tempo storico - cf. supra ha portato a una sua estensione anche a radici che in origine ne erano prive). Sarebbe certo assai utile poter effettuare un'analisi che considerasse parallelamente i dati forniti dalle due lingue; tuttavia, una tale ricerca non solo richiederebbe uno sforzo non com23

Tale dato è facilmente desumibile dagli elenchi di perfetti presentati da J. Kellens, Le verbe, cit., p. 400 sgg. Per avere un termine di raffronto, nd solo RV ben 240 radici (circa i 2/3 del totale) posseggono un perfetto (d. L. Renou, Pf., cit., p. 2; e abbiamo addirittura 360 temi di perfetto se si considera l'intero vedico: d. W. D. Whitney, The Roots, Verb-Forms and Primary DerivtJtives o/ the Sanskrit Language, New Haven 1885, rist. Delhi 1963, pp. 219-221).

I - Introduzione

24

misurato ai vantaggi, ma offrirebbe anche gravi problemi, in quanto non sono molte le radici verbali indiane e greche a semantica stativa tra loro connesse a livello etimologico; e di queste poche, la maggior parte ha scarse attestazioni sull'uno o sull'altro versante linguistico. Si impone, pertanto, una scelta, che non può essere dettata da ragioni puramente quantitative, poiché la documentazione vedica antica (rigvedica) e quella omerica hanno un'estensione pressappoco analoga 24 • Due sono i motivi che inducono a concentrare l'interesse sul vedico piuttosto che sul greco omerico. In primo luogo, la composizione degli inni vedici, e in particolare del RV, ha il suo punto di partenza forse mezzo millennio prima dell'epos omerico; inoltre, il vedico offre il vantaggio di una chiara stratificazione cronologica interna 25 , mentre nei poemi omerici, per il rimaneggiamento avvenuto in fase terminale, le parti antiche e le parti recenti si trovano strettamente interconnesse. In secondo luogo, all'interno del RV (e delle altre Samhita veNell'Iliade figurano 1628 perfetti o piuccheperfetti (931 di modo finito) su un totale di oltre 22.000 forme verbali (15.299 di modo finito), e nell'Odissea 1254 perfetti o piuccheperfetti (771 di modo finito) su quasi 18.000 forme verbali (12.553 di modo finito): cf. L. Schlachter, Statistische Untersuchungen uber den Gebrauch der Tempora und Modi bei einzelnen griechischen Schriftste/lern, « Indog. Forsch. » 22 (1907-8), p. 210 sg. Nel RV, invece, figurano 2607 perfetti (o piuccheperfetti) di modo finito su un totale di quasi 22.500 forme verbali di modo finito (nell'AV, pur su un numero di forme verbali molto inferiore a quello del RV, i perfetti di modo finito non arrivano a 900): per i dati vedici si vedano soprattutto L. Renou, Pf., cit., p. 2 sg., e J. Avery, Contributions to the History of Verb-Inflection in Sanskrit, « Journ. of the Amer. Or. Soc. » 10, 2 (1880), p. 311 sgg. (in questa pur ottima sintesi statistica non sono purtroppo inclusi i participi). 25 Cf. R. Lazzeroni, Fra glottogonia e storia: ipotesi sulla formazione del sistema verbale sanscrito, « Studi e Saggi ling. » 20 (1980), p. 28. Sulla cronologia relativa dei libri del RV si vedano l'ormai classico lavoro del Wiist, Stilgeschichte und Chronologie des "fl..gveda,Leipzig 1928 (« Abh. f. die Kunde d. Morgenl.», 17/4), p. 160 sgg., e inoltre A.S.C. Ross, Philological Probability Problems, « Journ. of the R. Statist. Soc. - Series B (Methodol.) », 12 (1950), pp. 37 e 56 sg., e P. Poucha, Schichtung des J.l..gveda,« Archiv Or.» 13 {1942), p. 103 sgg. {entrambi su base statistica); J. Gonda, Vedic Literature, in A HiJtnry of Indian Literature, I, 1, Wiesbaden 1975, pp. 9 sgg. e 20 sgg. (con bibliografia); R. Lazzeroni, Il vedico come lin?,ua letteraria, in La formazione delle lingue letterarie - Atti del Convegno della S.I.G. - Siena 16-18 aprile 1984, Pisa 1985, p. 81 e nota 2. 24

13. La scelta dell'area linguistica e la tipologia semantica

25

diche) riscontriamo una netta prevalenza di perfetti (o piuccheperfetti) attivi rispetto a quelli medi (per l'indicativo, nel RV il rapporto è di 1563 contro 843, cioè quasi di 2 a 1) lii, e dunque l'innovazione - il perfetto medio (solo le desinenze « attive » sono tipiche del perfetto 27) - ha ancora uno spazio limitato; al contrario, l'epos omerico mostra di essere in uno stadio di sviluppo più avanzato, poiché nell'Iliade i perfetti o piuccheperfetti attivi sono 933 contro i 695 medio-passivi (in un rapporto di 7 a 5 circa), e nell'Odissea i perfetti o piuccheperfetti attivi superano di pochissimo quelli medio-passivi (655 contro 599) 28 • Per quel che riguarda una caratteristica fondamentale del perfetto, dunque, abbiamo la certezza che il vedico è molto più conservativo del greco omerico. Alle due ragioni sopra esposte si aggiunge un terzo motivo di ordine pratico, connesso con la più funzionale sistemazione dei dati relativi ai verbi vedici rispetto a quelli omerici e in generale greci: per questi ultimi non abbiamo a disposizione repertori di verbi ordi-

Cf. J. Avery, Contributions, cit., pp. 311 e 315; L. Renou, P/., cit., p. 2. La vasta letteratura al riguardo sarà ricordata per esteso nella II parte, nella sezione relativa alle desinenze; mi limito qui a menzionare B. Delbriick, V ergleichende Syntax der indogermanischen S prachen, Il ( Grundriss d. vgl. Gramm. d. idg. Sprachen, IV), Strassburg 1897, p. 415 (il quale sembra essere stato il primo ad aver sollevato il problema, d. E. H. Sturtevant, The Development o/ Prehistoric Latin Accented woi, « Language • 10 [1934], p. 12 e nota 28; nello stesso Grundriss si veda anche la trattazione di K. Brugmann, 2• ediz., Il, 3, Strassburg 1916, p. 680 sg. § 607, 3 ); A.Meillet, Les désinences du parfait indo-européen, « Bull. Soc. Ling. » 25 (1924-25), 1, p. 96; L. Renou, Pf., cit., pp. 139 sgg., 159, etc.; E. F. Claflin, The Voice of the IndoE11ropeanPerfect, « Language » 15 (1939), p. 155 sg.; J. Safarewicz, Sur les désinences, cit., p. 112 sgg.; J. Gonda, Old Indian, cit., p. 107; J. Kurylowicz, Problèmes, cit., p. 66. Non si può in alcun modo condividere l'ipotesi di M. Durante (Sulla preistoria della tradizione poetica greca - II. Risultanze della comparazione indoeuropea, Roma 1976, p. 18 sgg. [specie 21 sg.]), il quale, sopravvalutata l'importanza dei dati greci, e sulla base di indicazioni non sempre precise tratte dal materiale linguistico indiano antico, è indotto a vedere nell'esistenza del perfetto medio una concordanza greco-aria di notevole antichità. 31 Cf. L. Schlachter, Statisi. Untersuchungen, cit., p. 210 sg. ~ particolarmente notevole, all'interno del paradigma, notare il capovolgimento del rapporto tra i participi perfetti attivi e quelli medio-passivi: nell'Iliade i primi prevalgono per 374 a 251 (circa 3:2), nell'Odissea, al contrario, il rapporto è di 199 a 245 (circa 4:5)! lii 27

=

I - Introduzione

26

nati per radici comparabili con quelli compilati per l'indiano antico a partire dal secolo scorso 29 • Pertanto in un primo momento si prenderanno in considerazione i verbi vedici con valore stativo i quali risultano, almeno nella fase più antica, difettivi del perfetto (a complemento di tale analisi saranno poi discussi gli esempi di verbi stativi che invece sembrano mostrare un perfetto antico); là dove possibile, si confronteranno tali verbi vedici privi di perfetto con le corrispondenti forme verbali iraniche (avestiche) e greche (e, solo dove non ambigue, anche latine, germaniche e ittite), in modo da individuare eventuali, significative corrispondenze a livello indoeuropeo riguardo alla incompatibilità tra semantica verbale stativa e formazione di perfetto. Rimane infine da chiarire quali verbi possano esser ragionevolmente definiti « stativi». Ritengo che una valutazione prudente debba suggerire di considerare stativi solo quei verbi che indicano una posizione nello spazio ('giacere', 'star seduti' ...), una caratteristica o qualità fisica stabilmente inerente ('essere alto', 'esser magro', 'esser curvo' ...), e infine una condizione ('esser triste', 'essere affamato' ...). Non mi sembra che possano legittimamente esser considerati stativi quei verbi che indicano una operazione psico-fisica o percettiva: dunque i verbi la cui semantica attiene al 'vedere', al 'sentire', al 'parlare' etc. sono a tutti gli effetti, secondo la mia classificazione, verbi di processo (o eventivi) ~. Più incerta risulta la classificazione dei verbi indicanti il 'risonare' e lo 'splendere': in

29

Mi riferisco soprattutto al ricco repertorio verbale realizzato dal Whitney (Roots, cit. nota 23) e all'altro che costituisce la prima Appendice di A Vedic Grammar /or Students di A. A. Macdonell (lA ediz., Oxford 1916, rist. 1977, pp. 369-435); si aggiungano a questi il Worterbuch zum Rig-Veda di H. Grassmann (Leipzig 1873; 4• rist. Wiesbaden 1964) e i numerosi contributi relativi al sistema verbale indiano apparsi nel corso degli ultimi cinquant'anni. ~ Ovviamente assumo qui 'vedere' nel senso di 'percepire con gli occhi, ricevere una impressione visiva', che appare normalmente nelle lingue storiche indoeuropee antiche, e non in quello più astratto di 'esser dotato del senso della vista' (questo secondo valore, relativo a uno stato o condizione permanente, si riferisce invece a una caratteristica o qualità fisica): cf. P. Berrettoni, Vedere e fatti connessi, « Studi e Saggi ling. » 14 (1974), p. 116 sgg., e soprattutto p. 136 (il Berrettoni, su un piano di distinzione semantica generale, pone senz'altro due verbi indipendenti per 'vedere'); non condivido, pertanto, l'analisi di F. Bader (Autour de Polyphème le Cyclope à l'oeil bril-

1.3. La scelta dell'area linguistica e la tipologia semantica

27

questo caso senz'altro potrebbero rientrare nella categoria degli stativi quei verbi che fanno riferimento a una caratteristica fisica (vale a dire 'aver suono', 'aver luce'), mentre non si dovrebbero ritener tali quei verbi che esprimono un'azione occasionale e volontaria (ciò indipendentemente, com'è ovvio, dall'Aktionsart o dall'aspetto verbale specifico); pertanto si potrebbero considerare verbi di processo, ad esempio, anche quelli indicanti il 'gridare', forse il 'muggire' e il 'belare', nonché, in genere, i cosiddetti verbi agentivi 31 • In sostanza, si possono ritenere stativi i verbi che rinviano a un « essere ,. e non a un « divenire ,. o a un « agire ». In conformità alle considerazioni ora esposte, e tenuto conto delle caratteristiche morfologiche dei cosiddetti verbi « proterodina-

lant: diathèse et Vtston, « Sprache » 30 [ 1984], 2, pp. 110, 122 sg.. etc.), la quale include tra i verbi a « diatesi statica » quelli che indicano una percezione sensoriale ('vedere' etc.). Quel che si sta verificando in fase moderna a carico di antichi participi (tipo non-vedente, non-udente, etc.) non interessa in questa sede, trattandosi di una chiara conseguenza di un processo di nominalizzazione, peraltro con scopi eufemistici. - t da notare l'accezione non univoca del termine « eventivo »: il Gonda, ad esempio, considera eventivi i verbi « denoting something happening to, or befalling, a subject, somcthing taking piace in the person of tbc subject; a process takes piace, by which the subject is, in some way or other, affected » (J. Gonda, Reflections on the lndoEu,opean Medium, «Lingua» 9 [1960], p. 53). 31 Il Berrettoni, citando dal Lakoff, suddivide i verbi in agentivi e nonagentivi (o stativi); un'altra classificazione, proposta dal Chafe e ripresa dal Berrettoni, si articola in verbi agentivi, verbi che indicano un processo (o eventivi) e verbi stativi: cf. P. Berrettoni, Pe, un'analisi, cit., p. 227 sg. Il Michelini pone invece su piani distinti la opposizione processivo/stativo e quella agentivo/inagentivo/pseudoagentivo (Diatesi e riflessività in una teoria strutturale,« St. ltal. di Ling. teor. e appl. » 6 [1977], p. 31 sgg., e in particolare pp. 34 e 38; Flessione tematica, cit., p. 142 sg.; a p. 34 del primo art. è ricordata una ragionevole definizione di « stativo » dovuta al Katz: « a state is a condition of something - be it a person, piace, thing or whatever at a given time interval, while a process is a change or transition from one state to another over a given time, interval »). In ogni caso, nella mia esposizione, lo «stativo» è solo una classe lessicale, non una categoria morfologica verbale (come invece intendono, ad es., N. Oettinger, Der indogermanische Stativ, «Miinch. Studien z. Sprachw.» 34 [1976], p. 109 sgg., o I.A. Perel'muter, Stativ, ,ezul'tativ, passiv i pe,fekt v drevnogreéeskom ja1.yke, in Tipologija rezul'tativnyx konstrukcij, Leningrad 1983, p. 144 sg.) o pre-verbale (cosl Ju. S. Maslov, Rezul'tativ, per/ekt i glagol'nyj vid, in Tipologija, cit., p. 46).

I - Introduzione

28

miei », suddividerò la totalità dei verbi stativi (o presunti tali) nelle seguenti classi: 1) verbi proterodinamici (vedi cap. II); 2) verbi indicanti l' 'aver suono' (vedi cap. III);

3) verbi indicanti l' 'aver luce' (vedi cap. IV); 4) verbi relativi ad altri specifici caratteri fisici ('essere alto 7 7 'esser magro' ...), o a condizioni psico-fisiche ('esser triste', 'essere affamato' ...), o ancora a condizioni comunque stabili nel tempo (vedi capp. V e VI). 1.4. Fonti e criteri di presentazione Nella menzione dei verbi vedici seguirò il tradizionale sistema di citazione per radici, raggruppate secondo l'ordine alfabetico indiano all'interno di ogni gruppo semantico. Di ogni radice saranno sempre segnalati: valore semantico fondamentale, principali forme verbali attestate nel vedico, assenza del perfetto o epoca di apparizione dello stesso. Ai fini della presente analisi, le radici difettive del perfetto le quali siano testimoniate in poche forme di un solo tema verbale saranno considerate scarsamente indicative (e quindi poste entro parentesi quadre), poiché c'è la probabilità che la mancata attestazione di un perfetto sia casuale; l'assenza del perfetto in radici di alta frequenza e delle quali sia documentato già in antico più di un tema verbale va invece considerata un buon indizio « ex silentio ». Come base di partenza ho assunto i repertori del Whitney e del Macdonell (cf. nota 29) - repertori comodi, pur se non sempre affidabili -, cercando di integrare i dati con l'ausilio dei numerosi contributi relativi al verbo indiano antico apparsi successivamente; in linea di principio ho dato rilievo alla cronologia relativa delle forme verbali (i perfetti attestati solo a partire dal tardo vedico sono poco significativi, dato il carattere temporale di preterito già definitivamente affermatosi in tale epoca, cf. supra), attribuendo scarsissimo peso alle forme testimoniate dai soli grammatici indiani (ho in genere seguito le indicazioni metodologiche contenute in un importante articolo di J. Narten 32 ).

32

J. Narten,

Das altind. Verb, cit., p. 113 sgg.

CAPITOLO

I VERBI«

II

PROTERODINAMICI » STATIVI iis-, sz-,vas- 'essere vestito'

Una prima, importante categoria di verbi stativi è costituita da tre verbi « proterodinamici » (vale a dire presenti radicali - generalmente « media tantum » - a grado pieno e accento sulla sillaba radicale) 33 : iis- 'star seduto', fi- 'star disteso, giacere' e vas'esser vestito, avere indosso'.

I. iis- 'star seduto' (Wh. Roots, 6 sg.; Macd. VGS, 371; Bohtlingk, I, 729 sgg. + V, 1128 sg. + VII, 1712; M.-W., 159 +

23 ... ; Grassmann, 188 sgg. + 1754). Nel RV tale radice verbale è attestata in oltre 60 esempi tra presente (ivi compresi due participi, l'uno, asina-, più antico, I 'altro, iisiina-, secondario, con epitesi del formante -iina- tipico dei participi dei verbi della seconda classe: Wack. AiGr., 11/2, p. 276 S 162 e f3,e p. 432, § 265 c) 34 e imperfetto (media tantum); nel tardo vedico 33 Per una definizione dei verbi « proterodinamici ,. e un esame della consistenza di tale classe è sufficiente rinviare a J. Narten, Zum « proterodynamischen » Wurzelpriisens, in Pratidiinam (Studies Presented to F. B. J. Kuiper), The Hague - Paris 1968, p. 9 sgg. (con riferimento alla bibliografia precedente), e ai successivi studi di S. lnsler, On Proterodynamic Root Present Inflection, « Miinch. Studien z. Sprachw. » 30 (1972), p. 55 sgg., e Some Irregular Vedic Imperatives, « Language » 48 (1972), 3, p. 557 sg. La tesi della Narten è stata anche ripresa, ma in una prospettiva a mio avviso inaccettabile (cf. infra, nota 44), da R. S. P. Beekes, The Proterodyn. 'Perfect', cit., p. 87 sgg.; né sembra possibile considerare, come invece fa F. O. Lindeman, Zu dem sogen. « protero-dynamischen » Medium im Indogermanischen, « Norsk Tidsskr. f. Sprogvid. » 26 (1972), p. 65 sgg., tale categoria come una innovazione relativamente tarda, a meno di sostituire ai dati disponibili ipotetiche teorie difficilmente dimostrabili. 34 Cf. anche J. Narten, Zum « proterodyn. » Wurzelpriisens, cit., p. 10 e nota 7.

II - I verbi « proterodinamici • stativi

30

(Bràhmax:iaetc.) compaiono un futuro (attivo e medio), un aoristo sigmatico e un causativo (attivo); solo a partire dall'epica, infine, si hanno forme attive del presente indicativo. Il perfetto è totalmente sconosciuto, considerato che la forma perifrastica asam cakre (dai Bràhmax:ia),poi anche asam cakara (nella poesia epica), non ha nulla a che vedere con il perfetto indoeuropeo, e rappresenta uno sviluppo relativamente tardo dell'area indiana. L'assenza del perfetto trova conferma a livello comparativo: in greco i'jµaL 'io sto seduto' (per *i'jµaL, da *i'joµaL) non possiede perfetto 35 , e ugualmente nell'avestico la radice ah- 'star seduto' è difettiva di tale tempo (Bartholomae, 344 sg.; Kellens) 36• Per quel che riguarda l'ittita, l'unica altra lingua indoeuropea nella quale si continui la radice *es- (altrove, per 'star seduto' hanno avuto fortuna derivati di *sed- tramite il suffisso stativo *-e-) '9, nulla induce a ritenere che itt. es-(as-) 'sedersi, esser seduto' sia altro che un comune verbo mediopassivo; esiste invero un tema raddoppiato ases-, ma si tratta semplicemente di un fattitivo (transitivo) 38 • Non trova dunque conforto l'ardita ipotesi della Bader 39 , la quale, sulla base di una discutibile valutazione dei dati ittiti, interpreta *es- indoeuropeo come L'uso di rjµ11L (e XELµllL) come sinonimi di fcrTr}xa o di altri perfetti di tale sfera semantica (cf. J. Wackernagel, Vorlesungen, cit., I, p. 172) è un bell'indizio, nell'àmbito del greco, della sostanziale affinità (e quindi comp l e m e n t a r i e t à ) tra semantica stativa e valore del perfetto (si vedano anche alcune osservazioni di K. H. Schmidt, Das Perfektum, cit., p. 4). 36 Come nota J. Narten, Zum « proterodyn. » Wurzelpriisens, cit., p. 10, dTJhiiireè la originaria forma di presente indicativo medio III pl. (solo in séguito interpretata come perfetto in opposizione alla nuova formazione - analogica - dTJh~~te); cf. anche C. Watkins, [dg. Gramm., cit., III, 1, p. 93; J. Kellens, Le verbe, cit., p. 216 sg. ":rl Cf. P. Tedesco, La racine sed- en indo-iranien, « Bull. Soc. Ling. • 24, 3 (1924), p. 197 sg. Tra i lavori più recenti, si veda Ch. R. Barton, PIE *s1,1epand *ses-, « Sprache » 31 (1985), 1, p. 21 sg. e nota 13 (con ulteriori rinvii). 38 Si veda N. van Brock, Les thèmes verbaux à redoublement du bitti/e et le verbe indo-européen, « Revue hitt. et asian. » 22 (1964), fase. 75, p. 136. Sulle forme flessionali di e.f. (raramente attive) si veda anche H. Oettinger, Der idg. Stativ, cit. nota 31, p. 121 sg. 39 F. Bader, Présents moyens hittites à vocalisme -e- et formations de présents indo-européens, in Recberches de linguistique - Hommages à Maurice Leroy, Bruxelles 1980, p. 22 sg. L'ipotesi della Bader risale ad alcune osservazioni di H. Eichner (« redupliziertes athemat. Prasens »: Die Etymologie von heth. mehur, « Miinch. Studien z. Sprachw. » 31 [1973], p. 54) e di R. S. P. Beekes, The proterodyn. 'Perfect', cit., p. 90 sg.). :i.~

I -

as-

31

un perfetto-presente raddoppiato a grado zero radicale; né oggi è ritenuta ormai attendibile l'analisi di Tj considerato l'aumento, si veniva a creare una sequenza di due e spesso di ben tre sillabe brevi, ristrutturata in v - v tramite allungamento della sillaba del raddoppiamento), si sia poi estesa, parzialmente e per breve tempo, anche al perfetto, a partire da un nucleo di perfetti nei quali il raddoppiamento lungo doveva già avere una propria funzione morfosemantica. È noto che in buona parte delle radici uscenti in consonante semplice il raddoppiamento intensivo è espresso solo dalla quantità lunga - o gur:iata - della vocale della sillaba di raddoppiamento: Ca- per le radici in -a- o in -r-;Ce-, Co- per le radici in -i- e -u- (cf. Wh. SG, 363 sg. § 1002). Si può allora constatare che il tipo di radici che ha il raddoppiamento intensivo con -a-corrisponde esattamente al tipo di radici che, secondo la « legge di Kuryfowicz », al perfetto deve presentare un raddoppiamento con vocale lunga (in altre parole, si ha una identità del raddoppiamento intensivo con il raddoppiamento lungo del perfetto). Inoltre, un'analisi del valore semantico dei verbi che al perfetto presentano tale singolarità, consente di stabilire che quasi tutte le radici in questione esprimono « affezioni » dell'animo o del fisico (kan- 'godere, aver piacere', trp- 'godere', tu- 'aver sete', ra,:z'aver piacere', vas-'desiderare', etc.), condizioni fisiche (k[p- 'essere in ordine, andar bene', grdh- 'esser goloso', drh'esser fermo', tu- 'esser forte', etc.) o infine azioni (van- 'vincere', vas-'muggire', vri-'agitare', vu- 'piovere', etc.) comunque dispo-

K. Strunk, Ai. babhùva, av. buuauua: ein Problem der Perfektbildung im lndo-lranischen, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 86 (1972), p. 22 sg., e per l'area iranica da J. Kellens, Le verbe, cit., p. 408 sg. 76 Cf. H. Osthoff, Zur Geschichte des Perfects im lndogermanischen, Strassburg 1884, p. 56; J. Wackernagel, AiGr., cit., I, p. 47, S 43; L. Renou, Pf., cit., p. 189 (« Le redoublement long, hérité en partie du védique où il servait à faciliter le rythme, devient caractéristique du sens présent dans les Brahmal}a»); T. Elizarenkova, Grammatika, cit., p. 341. Si veda al riguardo anche la posizione, più cauta, di H. Oldenberg, Vedische Untersuchungen, « Zeitschr. d. deutschen morgenl. Ges. » 60 (1906), p. 161 sgg.

III - vas- 'esser vestito'

43

nibili a ricevere un valore intensivo ('godere intensamente', 'esser molto goloso', 'vincere nettamente, sbaragliare', etc.) 77 • Nel caso qui preso in esame, premesso che il valore di vas- nei pochi esempi di perfetto non è quello proprio di 'esser vestito', bensl quello metaforico di 'esser coperto, protetto', suscettibile di una «nuance» intensiva, si noterà che il tema di « perfetto » vavas- coincide esattamente con l'intensivo del verbo testimoniato poi dai grammatici (vavasyate, vavasti: M.-W., 932). Non mi pare allora molto ardita l'ipotesi che il participio vavasana- non sia un participio perfetto, bensl un vero e proprio participio intensivo medio 78 (su -iinanegli intensivi cf. badbadhana-,marmrjana- [Wh. SG 368, § 1013 a; Wack. AiGr, II/2, 276, S 162 e y], e probabilmente anche jahrfii1_1a-, rarakfii1_1a-, rarahiit;ta-) 7Sbl•; come si è detto in precedenza, vavasiina-, interpretato come participio perfetto medio, ha costituito la base per la creazione estemporanea di un indicativo perfetto medio III sg. vavase.

77

Cf. B. Delbriick, Altindische Tempuslehre, cit., p. 102 sg.; Id., Vgl. Syntax, cit., II, p. 173 sgg. Una analisi specifica di alcune di queste radici verbali sarà compiuta nel séguito del presente lavoro. Ovviamente le considerazioni qui esposte non hanno nulla a che vedere con l'ipotesi, che ebbe fortuna fino agli anni '30, ma oramai superata, di una origine intensiva del perfetto indoeuropeo (oggi ci si accontenta al più di parlare di una « Nebenfunktion » intensivo-iterativa del perfetto indoeuropeo: d. W. Meid, Pro• bleme, cit., p. 216; Id., Das germ. Praeteritum, cit., p. 33 sg.; J. Tischler, Zur Reduplikation, cit. nota 6, p. 10 sg.). "' È significativo che il Renou, Et. véd., cit., XIV, p. 5, traduca viivasiiné in X, 5, 4, con 'largement-revetues'! 78bis Gli ultimi tre esempi sono citati come intensivi da J. Gonda, The Medium, cit., p. 191 sg.; in precedenza gli studiosi erano rimasti incerti riguardo all'attribuzione di tali forme al perfetto o all'intensivo, d. Wackernagel-Debrunner, AiGr., cit., 11/2, p. 277, S 162. L'accentazione non ossitona di alcuni participi « perfetti » a raddoppiamento lungo (« as if rather they were intensive»: W. D. Whitney, Skt. Gramm., cit., p. 292, S 806 a) può costituire un ulteriore indizio dell'originario carattere intensivo di tali forme (p. es. babadhiina- - e si veda badbadhiina-! -, iasadiina-,JfJiujiina-, ifJiuviina-); è difficile pensare con il Debrunner (AiGr., l. cit.) a un fenomeno dovuto all'influenza dell'intensivo sul perfetto (l'interferenza, per solito, avviene nella direzione opposta, con la creazione di un perfetto dal tema dell'intensivo: sui cosiddetti « perfetti intensivi» d. J. Narten, Vedisch Iel~ya 'zittert', « Sprache » 27 [ 1981), 1, p. 2 sgg.; S. W. Jamison, Two Problems in the lnf/exion of the Vedic Intensive, «Miinch. Studien z. Sprachw.» 42 [1983], p. 41sg.).

CAPITOLO

III

I VERBI DI RUMORE

3.1. Verbi indicanti il 'risonare, aver suono' Tra i verbi che esprimono un suono o un rumore, sono da considerare stativi solo quelli che non pertengono a una azione volontaria ('gridare', 'parlare' ...), ma esprimono una caratteristica o qualità intrinsecamente valida, e per ciò stesso indipendente dalla realizzazione di un processo. Per individuare concretamente questa categoria lessicale, potremmo dire che rientrano tra i verbi stativi tutti quelli che esprimono il 'risonare', il 'rimbombare', il 'tonare' (intesi impersonalmente, nel senso sopra indicato). Ritengo sia allora particolarmente significativo il fatto che tutti i verbi indiani antichi afferenti a tale sfera semantica si mostrano in origine difettivi del perfetto (spesso non attestato affatto, per il resto documentato solo in epoca tarda). Tratto qui di séguito i verbi per 'risonare', in ordine alfabetico. Pongo tra parentesi quadre gli esempi poco significativi; ometto senz'altro la trattazione di tre radici verbali quali ;han-, ta/- e vra,;'risonare', la cui individuazione si fonda su una singola attestazione flessionale, tra l'altro non antica. kva,;- '(ri)sonare' (Wh. Roots, V, 1344; M.-W., 324 + 655). È una radice della quale, a partire testimoniati solo un presente (kva,;ati), sigmatico (III pi. akvat;ifur). La mancanza del perfetto, data la del verbo, è poco significativa; oltretutto [I.

27; Bohtlingk, II, 521

+

dal sanscrito classico, sono un causativo e un aoristo tarda epoca di attestazione la radice in questione pare

III - I verbi di rumore

46

essere di origine onomatopeica, e non trova corrispondenze in altre lingue indoeuropee (Mayrhofer, I, 283).] gu- 'risonare' (Wh. Roots, 36; Bohtlingk, II, 750; M-W., 356 + 665; Grassmann, 402; Mayrhofer, I, 314, 331, 445). Il valore originario di tale verbo (medium tantum) sembra essere quello di 'risonare', stante la testimonianza dei grammatici indiani riguardo al presente tematico gavate; il verbo è attestato già in tre passi del RV, nel tema dell'intensivo i6guve, i6guvana- (con un senso fattitivo: 'far risonare', 'invocare') 79 ; un'altra formazione riportabile in ultima analisi a gu- è l'impf. III sg. aganguyat 'egli alzava grida di gioia' (nel Tar:i) 'gemere', nel lituano stenéti id., nel lettone stenet id.; nel germanico, infine, sono da ricordare numerosi verbi correlati con la radice *(s)ten-, dal nord. ant. stynja all'ags. stenan, stunian, Punian, al m.b.t. stenen, slonen, neerl. med. slenen, etc. 'ruggire, far rumore' (di questi solo l'ags. stenan - peraltro raro e di non sicura individuazione 95 - e il neerl. med. stenen - che però presenta anche la flessione debole - mostrano un preterito forte, vale a dire con alternanza vocalica: probabilmente si tratta di una innovazione). È pertanto possibile affermare, con ridotto margine di incertezza, che la radice ind. ant. tan-, stan- era priva di perfetto e che la mancanza di tale forma verbale non è il risultato di una innovazione monoglottica, ma riflette una situazione le cui premesse si pongono già in fase indoeuropea comune. 93

Si vedano, oltre ovviamente a M. Mayrhofer, Kurzgef. etym. Wb., cit., I, p. 476, e soprattutto III, p. 510, anche A. Meillet, De quelques présents athématiques à voca/isme radical o, « Mém. Soc. Ling.,. 19 (191416), 4, p. 182, e W. P. Schmid, Studien, cit., p. 71 e nota 299 (con particolare riferimento alle lingue baltiche). 94 La recenziorità di fo·nvayµÉvoc; (una creazione erudita come non mancano in Licofrone) è garantita ancor più che dal grado pieno -e- radicale e dalla desinenza non attiva, dal fatto che si tratta di un passivo (ovµòc; la'-t-tvcxyµÉvoc;ya.µoc;: Alex. 412), in un verbo che in realtà non conosce tale diatesi (cf. Etym. Magn., 725, 52 sgg., s.v. l:'tEv«yµ6c;: 1tapà 'tÒ lzmimet, e interpretava tale forma come intensivo. 122 Si vedano anche le coppie did4ya : lzdidet; didhaya (I sg.) : adidbet; pip4ya : apipet [piplzyat] (J. Narten, Ved. lel~ya, cit., p. 3; pip4ya è stato comunque emendato in pip4ya da H. Oldenberg, J!..gvedaVI, 1-20, « Zeitschr. d. deutschen morgenl. Ges. » 55 [1901], p. 299, e Ved. Untersuchungen, cit., p. 161). Il raddoppiamento lungo in mimayat non è dovuto a ragioni metriche, poiché una forma a raddoppiamento breve del tipo **mimayat (con -a- radi· cale in sillaba aperta) si sarebbe inserita perfettamente nella clausola metrica di RV, X, 27, 22: **gaur mimayat (- v • v) in luogo dell'attestato mimayad glzus (- v • v). I due esempi di amimet nel RV sono in posizione relativamente libera da un punto di vista metrico (a partire dalla prima o seconda sillaba del verso), e lo stesso può dirsi di due delle attestazioni di mimaya (RV, I, 164, 41 e RV, III, 53, 15), mentre le altre due (RV, III, 55, 13 = X, 27, 14) sono in clausola di endecasillabo (quindi in un **(riha)ti mimaya si sarebbe comunque dovuta abbreviare la sillaba del raddoppiamento: (riha)ti mimaya).

3.2. Verbi relativi a espressioni del mondo ferino

61

sicuri inidizi in tal senso, che anche il presente dovesse essere in antico *mimii-). Dai dati qui esaminati emerge una indicazione non ambigua: questo verbo in realtà si caratterizzava per la presenza di un raddoppiamento (lungo), che pertanto non aveva alcuna specifica valenza morfologica, bensl rispondeva a uno schema di tipo esclusivamente lessicale (iterativo-intensivo) 123; l'ipotesi pare senz'altro suffragata dall'esistenza di analoghe formazioni con raddoppiamento - anch'esse di origine onomatopeica - in altre lingue indoeuropee (si vedano ad es. il gr. µLµl~w 'nitrisco', Io si. ant. m'imati 'balbettare', presumibilmente anche l'itt. memii(i)- 'parlare, dire' 1:i.). IV. rambh- 'muggire, mugghiare, risonare' (Wh. Roots, 137; Bohtlingk, VI, 281; M.-W., 868 + 205). Insieme con gli allotropi lambh-, ramb-, lamb-, il verbo rambhcostituisce una famiglia lessicale di attestazione assai tarda (il partic. nella letteratura post-epica Bhagavata-Pupres. rambhama1_1arai:ia -; per il resto solo testimonianze dei grammatici), e di probabile origine anaria (Mayrhofer, III, 45).

123

Si veda in proposito l'acuta analisi di B. Delbriick, V gl. Syntax, cit., Il, p. 221. La forma del raddoppiamento dell'intensivo (me-) coincide con quella delle radici uscenti in -1, nonostante il fatto che ma- dovesse in origine appartenere a un tipo radicale a vocale lunga (presumibilmente da dittongo lungo originario); mancano esempi antichi di intensivi di radici uscenti in -a o in -a(y) (d. A. A. Macdonell, Ved. Gramm., cit., p. 390, S 545), ma si può ritenere che la sillaba del raddoppiamento dovesse in tal caso presentare piuttosto -ii- (da vocale lunga o grado pieno di dittongo lungo -a(y)-) o -i- (se dal grado ridotto di un dittongo lungo). D'altra parte si deve osservare che, sia per il tipo di raddoppiamento che per il grado vocalico radicale, mém(i)yat (la forma è trisillabica, d. ad es. S. W. Jamison, Two Problems, cit., p. 50 (coincide esattamente con l'intensivo di una radice uscente in -i, vale a dire m1- 'danneggiare' (pres. min4ti, minoti, d. gr. µLwltw, lat. minube etc.): mém(i)yane (RV, I, 96, 5); ciò potrebbe avvalorare il sospetto che mém(i)yat sia una formazione costruita direttamente sul tema mima(y)- < *mimii(y)-, già dotato, in origine, di raddoppiamento lungo (iterativo-intensivo). 124 Sull'itt. mema(i)- d. in primo luogo ~- Benveniste, Sur le consonantisme, cit., p. 140; sulla valenza del raddoppiamento in tale verbo d. N. van Brock, Les thèmes, cit., p. 138, S 21.

III - I verbi di rumore

62

V. ras- 'muggire, mugghiare, ululare, gridare' (Wh. Roots, 137 e 139; Bohtlingk, VI, 289 e 339; M.-W., 869 + 37 ...). Il verbo ras- (due distinte radici ras- e ras- per i grammatici indiani) non è documentato prima dell'epoca tardo-vedica (Satapatha-Brahmai:ia: impf. arasat e causativo in -aya-, d. anche apa rasya in Gopatha-Br. II, 6, 13); dal Mahabharata compaiono il pres. rasate, il pf. rarasa, resur, e l'intensivo (pt.) rarasyamatJa-;le altre forme flessionali (aoristo, futuro, etc.) sono date soltanto dai grammatici. Anche in considerazione delle incerte connessioni indoeuropee (è stato proposto un accostamento con got. razda 'dialetto, lingua', nord. ant. r9dd 'voce', ags. reord id., ma l'unica corrispondenza attendibile è, a mio avviso, quella con il khotansacio rrays-, che allude al verso di corvi e avvoltoi 125), non sembra possibile trarre da tale verbo indiano antico dati di grande interesse riguardo alla presenza o meno di un perfetto originario. VI. ru- 'muggire, mugghiare, gridare' (Wh. Roots, 141; Macd. VGS, 413; Bohtlingk, VI, 354 sgg. + VII, 1796; M.-W., 881 + 37 ... ; Grassmann, 1169 sg.). Il verbo ru-, che in antico indica soprattutto l'espressione inarticolata propria dei bovini, ma nella letteratura epica può riferirsi anche allo stridere degli uccelli o al ronzare delle api, è presente nel RV in numerose attestazioni (poco meno di 30) distribuite su più temi verbali: presente, aoristo in -#-, intensivo (quest'ultimo particolarmente adoperato, con quasi due terzi del totale degli esempi rigvedici). Nella prosa tardo-vedica dei Brahmai:ia appare un pf. (medio!) III pl. ruruvire (in Aitareya-Br. VII, 27, 2), e nel Baudhayana-Srautasutra (XVIII, 45, 7) ruruve (ancora medio) 126; nel Mahabharata ricorre per la prima volta il pf. attivo rurava. Il verbo ind. ant. ru- trova ampia corrispondenza in numerose lingue indoeuropee: è particolarmente interessante il confronto con

125

La riconduzione del khotans. rrays- a un ario comune *rii- suscettibile di vari ampliamenti (*riis-; *riiy-, cf. infra, ind. ant. rii(i)- 'abbaiare', etc.) è stata proposta da H.W. Bailey, Indo-Scythian Studies - Khotanese Texts VI, Prolexis to the Book of Zambasta, Cambridge 1967, p. 316, s.v. liistanu; Id., Dictionary, cit., p. 361, s.v. rriiys-. Al contrario, T. Goto, Die « I. Priisensklasse », cit., p. 267, pensa senz'altro a un'origine onomatopeica del verbo. 126 Per questa seconda indicazione cf. Visva-Bandhu Siistri, op. cit., IV, 3, p. 2079.

3.2. Verbi relativi a espression; del mondo ferino

il gr.

63

'ululo, ruggisco', difettivo del perfetto (attestati invece il presente, il futuro e l'aoristo), ma non vanno trascurati lo si. ant. ruti 'muggire, mugghiare', il lat. ravus 'rauco', ravire 'parlare con voce rauca', l'ags. reon 'lamento', m.a.t. rienen 'lamentarsi', il nord. ant. rymr 'rumore, muggito', rymja (debole) 'muggire, mugghiare', il lat. rumor etc. (gli ultimi termini con ampliamento radicale in nasale; ampliamento in palatale sonora nel gr. ÈpEvyoµa~ 'ruggisco', lat. rugire etc., in sorda nell'ags. ryn < *ruhjan, a.a.t. ruhen 'ruggire' etc.; ampliamento in dentale, infine, nell'ind. ant. rud- 'piangere, urlare', avest. rud- 'lamentarsi', lat. rùdere 'ragliare, ruggire', ags. reotan 'piangere', etc.) 127 • wpvoµa~

VII. viii- 'muggire, belare' (Wh. Roots, 158; Macd. VGS, 418; Bohtlingk, VI, 958 sg. + VII, 1803; M.-W., 947 + 38 ... ; Grassmann, 1262 sg.). Al pari di ma-, vai- fa riferimento specifico al 'muggire' dei bovini, oltre che, per estensione analogica, ad altri tipi di espressioni, inarticolate ('belare' di capre e pecore, 'barrire' di elefanti, 'cantare' di volatili) 128 e non 129 • Le forme di questo verbo prive di un qualche raddoppiamento sono ben poche nelle Samhita, e non vanno oltre un esempio di pres. vaiati nel RV, uno di partic. pres. v!Jsyamana nell'AV, e uno di causativo (impf.) avasayas nel RV; per il resto predominano formazioni raddoppiate, siano esse aoristi fattitivi (tema avivai-; sette esempi, tutti nel IX e nel X libro del

127

L'ind. ant. ru- sembra trovare riscontro anche nell'area iranica, sempre che il khotans. pary- (parau- etc.) 'comandare' rifletta un *pati-rau- e non un *pati-raud- (cf. H.W. Bailey, Dictionary, cit., p. 219); si veda anche il participio avest. uruuant- < *ruvant-, in Yt. XIV, 11 (ustrahe uruuato) e Yt. V, 7 (araduui uruuaiti) - cf. da ultimo H. Humbach, nella recensione al dizionario etimologico del Mayrhofer, apparsa nella « Deutsche Literaturzeit. ,. 89 (1968), col. 219 -, e forse rauuo.niimanJ (Yt. IV, 3: Bailey, l. cit.), se non è da leggere invece raiio.niimano e confrontare con la radice indiana rii(y)- 'abbaiare' (cosi O. Fris, Indo-Iranica, «Archiv. Or.» 18 [1950], 3 [= Symbolae ... Hro:r.nj, IV], p. 76 sgg.). 128 Questi ultimi due valori sono ben attestati nei numerosi dialetti iranici che continuano la stessa radice di ind. ant. viii-: per una ottima sintesi al riguardo cf. H. W. Bailey, Prolexis, cit. (= Khotan. Texts, VI), p. 148, s.v. nviisa, e soprattutto Dictionary, cit., pp. 195 sg., s.v. nvàis-, e 279, s.v. biisii. 129 Si veda ad es. l'uso eulogistico in RV, IX, 19, 4 e in RV, IX, 66, 11 (avavaianta dhitayab): cf. B. Schlerath, Beobachtungen, cit., p. 192.

64

III - I verbi di rumore

RV), o perfetti (due forme mediali: abhi vavase in RV, Il, 14, 9 1~ e vavasire in RV, II, 2, 2), o intensivi (sicuramente il pt. femm. ace. pl. vavasatis in RV, IV, 50, 5). Rimangono da spiegare alcune forme con raddoppiamento in -a-lungo, le quali sono state variamente intese dagli studiosi: avavasanta (tre esempi nel IX libro del RV), che è stato identificato dal Thieme 131 per aoristo raddoppiato; avavafitam (lii du. medio, in RV, I, 181, 4), che sembra essere un imperfetto dell'intensivo 132; la III pl. vavasre (RV, IX, 94, 2) e il pt. vavasiina- (una quindicina di volte nel RV; le due attestazioni in AV, IX, 1, 8 e IX, 10, 6 - cf. Wh. IndexAV, 267 non vanno considerate, in quanto riprendono RV, I, 164, 28), che già il Delbriick giudicava varianti ritmico-prosodiche dei perfetti a raddoppiamento non lungo 133• Non credo che una siffatta spiegazione possa reggere a una disamina più attenta: se il raffronto tra vaviisire (cf. supra) e vavasre può far pensare a un abbreviamento secondario in sillaba chiusa per quest'ultima forma (ma non dà conto della quantità della sillaba del raddoppiamento), l'esempio di viivasiina-,con una vocale breve radicale in sillaba aperta, dimostra chiaramente l'inadeguatezza di tale ipotesi. :È logico pensare, piuttosto, o a una base *viiviis- (raddoppiamento lungo e grado pieno radicale), con abbreviamento della vocale radicale nell'un caso (schema sillabico - v - v in vavasana-; in vavasre è comunque evitata una sillaba stralunga), e della vocale del raddoppiamento nell'altro (sche-

Sulla classificazione cli tale forma come perfetto si vedano L. Renou, Pf., cit., p. 124, e, con un atteggiamento più problematico, J. Ganda, The Medium, cit., p. 72. 131 P. Thieme, Das Plusquampf., cit., p. 33. Se si accoglie tale spiegazione, viivafanta in RV, I, 62, 3 e RV, VII, 75, 7 andrebbe classificato come ingiuntivo dell'aoristo raddoppiato; si veda però K. Hoffmann, Der In;unktiv, cit., p. 172 sg., il quale vede in tale forma un ingiuntivo presente (scii.: dell'intensivo), e implicitamente concorda con la classificazione già del Grassmann, Wb., cit., col. 1262, riguardo al carattere di imperfetto indicativo (dell'intensivo) della forma aviivafanta. 132 Cosl già Grassmann, Wb., cit., col. 1262. 133 Cf. B. Delbriick, V gl. Syntax, cit., II, p. 176. Più recentemente si vedano, ad es., M. Mayrhofer, Kurzgef. etym. Wb., cit., III, p. 196, e M. Leumann, Der ai. kausat. Aor., cit., p. 155. AI contrario P. Thieme, Das Plusquampf., cit., p. 33, vede in viivafre un intensivo medio III pi. In questo gruppo di forme verbali potrebbe essere inserito, come si mostrerà più ampiamente in séguito, anche il viivase precedentemente citato. 1~

3.2. V erbi relativi a espressioni del mondo ferino

6,

ma sillabico v - v - in vavasire) 134, oppure, eventualmente, a una base *vavas- (raddoppiamento lungo e grado « ridotto » -a- radicale, in quanto forma mediale), donde vavasre e vavasana-135; nell'una come nell'altra spiegazione, tuttavia, si deve ammettere il carattere originario del raddoppiamento lungo (che prevale sulla opportunità di evitare confusioni con vas- 'desiderare'). E allora, se

134

L'analisi metrica dei brani nei quali compaiono le forme di vai- qui esaminate reca una importante conferma all'ipotesi che l'archetipo di tutte le attestazioni catalogate come perfetti (viivaire, viivaie, viivafiina-, vaviiiire) presentasse in origine un tema a raddoppiamento lungo (intensivo) *viiviiJ-. Infatti, le forme verbali, data la prevalente collocazione finale, spesso costituiscono la clausola del verso, la quale nell'endecasillabo è - u - x e nel dodecasillabo è - v - v x: nell'uno come nell'altro caso una forma trisillabica o quadrisillabica iniziante con due sillabe lunghe non poteva essere adattata allo schema metrico. Tale considerazione di ordine generale trova riscontro nell'analisi dei singoli brani rigvedici. In RV, II, 14, 9 la clausola dell'endecasillabo è viivafe va, cioè - v - v (impossibile *viiviife va perché - - ...,, mentre, se fosse davvero esistito un pf. **vavaie, esso avrebbe potuto trovare agevole collocazione nelle tre sillabe conclusive del verso: v - x). In RV, II, 2, 2 la clausola del dodecasillabo è (ufa)so vaviifire, cioè (v v) - v - v -: impossibile *(ufa)so viiviifire, perché (v v) - - - v -, ma ugualmente impossibile, in questo caso, l'abbreviamento della vocale radicale in *(ufa)so viivaJire, in quanto (v v) - - v v -; dunque un *viiviisire poteva essere inserito nella clausola del verso solo con abbreviamento della sillaba del raddoppiamento. In RV, IX, 94, 2, infine, la prosodia di viivasre imponeva di collocare la sillaba del raddoppiamento fuori clausola (con abbreviamento di -e in samdhi): (vii)vaJra lndum, (-) - u • -; se fosse esistita una forma a raddoppiamento breve **vaviiire o **vavaire, si sarebbe integrata perfettamente nella clausola dell'endecasillabo, ad es. **(in)dum vavasre: (-) - v - - ! Non mi pare necessario, a questo punto, considerare uno per uno anche i quattordici esempi relativi al partic. viivaJiina-: basti osservare che tale sequenza - v - x si identifica esattamente con la clausola di un endecasillabo e si inserisce senza difficoltà in quella di un dodecasillabo, e pertanto non sorprende che viivaiiina- di fatto compaia in clausola metrica in ben undici esempi su un totale di quattordici (non sarebbe stato utilizzabile, invece, l'originario *viiviiiiina-: - - - x). Da quanto detto, mi sembra legittimo poter concludere che l'analisi metrica indica in viivase, viivaliinada un lato e vaviifire dall'altro forme complementari derivate per « correptio • - secondo le diverse necessità prosodiche - da un unico tema *uiiviii- coo raddoppiamento lungo. 135 Questa seconda ipotesi appare meno probabile, visto che nell'aor. radd. avivaJat, avivasan, avivaianta si ha vocale breve radicale pur in presenza di forme per Io più attive; è invece presumibile che si sia verificato un abbreviamento cli *aviviiianta ([v] ... v) in avivasanta ( [v] • V. v) per un adattamento metrico identico a quello già visto in precedenza, d. nota 134.

III - I verbi di rumore

66

consideriamo che la sillaba di raddoppiamento va- è attestata, assai per tempo, quale indicatore dell'intensivo (pt. vavafant-, impf. avavafitam), sembra necessario ammettere che vavafre e vavafana(sull'ossitonia del participio cf. supra, s.v. vas- 'esser vestito') - cui aggiungerei vavafe - fossero, almeno in origine, non perfetti ma intensivi; che difficilmente si possa essere in presenza di antichi perfetti è oltretutto suggerito dal fatto che le desinenze sono mediali, in contrasto con quella che sappiamo essere stata in origine la diatesi del perfetto (e dunque sembra legittimo sospettare dell'antichità anche di vavasire, con raddoppiamento a vocale breve non originario, cf. nota 134). Non è possibile individuare in altre lingue indoeuropee non arie verbi confrontabili con l'ind. ant. vaf-; come si è osservato (cf. nota 128), solo nell'area iranica si dànno sicure corrispondenze tali da consentire la ricostruzione di una protoforma *wak- (dove con -a-si indica evidentemente una vocale lunga non meglio precisabile) 136, e tra queste va citato in primo luogo l'avest. vas- nel partic. vasaiiatqm (gen. pi., detto di buoi) 137• b) Un solo verbo sembra far riferimento specifico al 'bar, rire' degli elefanti: VIII. brmh- (vrmh-) 'barrire' (Wh. Roots, 163; Bohtlingk, V, 27 + 1645; M.-W., 737). ~ un verbo che non figura affatto nella letteratura vedica; solo nel Mahabharata è attestato il presente brmhati (vrmhati), e ancora più tardi compare un perfetto medio III pi. babrmhire. Come ha osservato il Mayrhofer (II, 44 3), è assai probabile che in brmh- si rifletta una formazione espressiva non molto antica, della quale sarebbe vano cercare riscontri indoeuropei (in questo senso andrebbe valutato anche l'accostamento con il gr. ~pa:yxo,; 'raucedine' e il verbo l~pa.XE [aor.] 'risonò, rimbombò' proposto dallo Johansson 138). Scarso è dunque il peso di tale verbo ai fini

136

Cosl H. W. Bailey, Dictionary, cit., p. 279, s.v. basii (con breve discussione etimologica); cf. anche T. Goto, Die « I. Prasensklasse», cit., p. 297. 137 Nel Nérangistin: la lezione vasaiiatfm è stata restituita dal Waag, Nirangistan, Leipzig 1941, pp. 21 sg. e 51 (r. 2 e nota 6). 138 Cf. K. F. Johansson, Anlautendes i!ldogermanischesb-, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 36 (1898-99), p. 345 sg. Non mi sembra che debba godere di

3.2. Verbi relativi a espressioni del mondo ferino

67

comparativo-ricostruttivi; semmai si può sottolineare come, da un punto di vista storico-culturale, la comparsa in epoca tarda e nella letteratura sanscrita dell'unica radice indiana che indichi specificamente il 'barrire' degli elefanti costituisca una ulteriore prova dell'esistenza di una distinzione areale (cui si accompagna una successione temporale) tra le genti indoarie del Nord-Ovest portatrici della lingua e della tradizione vedica e le genti indoarie stanziate nella pianura indiana, la cui lingua di cultura fu il sanscrito classico 139• IX. Molto più incerta è l'individuazione della sfera semantica originaria di un altro verbo, gar;-, che nella letteratura sanscrita fa spesso riferimento al 'barrire' di elefanti (d. gar;a- 'elefante (che barrisce)', gar;ita- etc.), pur nell'ambito di un più generale valore 'rombare', 'mugghiare', etc. (Wh. Roots, 34; Bohtlingk, Il, 696 sg. + V, 1373 + VII, 1738; M.-W., 349 + 13 ...); dato che le forme iraniche presumibilmente correlate con l'ind. ant. gar;- confermano solo il secondo tipo di significati ('rombare, tonare' di nube, 'sibilare' di serpente, etc.) •«>,non sembra possibile enucleare con sicurezza la valenza più antica del verbo in questione. ! da notare che gar;. non figura nella documentazione vedica; la prima testimonianza del presente (attivo e medio) e di un perfetto ;agar;arisale al Mahabharata, e per il resto ci sono note soltanto forme date dalla tradizione grammaticale sanscrita. Se è giu-

maggior credito l'ipotesi etimologica avanzata dal Kuiper (Die indogermanischen Nasalpriisentia, 2a ediz., Amsterdam 1937, p. 138), secondo il quale l'ind. ant. brmhati sarebbe il risultato di un ampliamento in palatale (* bhl-n• egh-) della radice i.e. *bhel- 'muggire, abbaiare': da un lato il raffronto con l'avest. bt1ra;aiieiti 'dà il benvenuto' non è molto persuasivo, sia dal punto di vista semantico (la valenza 'parlare' del verbo indiano non figura in testi letterari, ma è attribuita, con molte altre, a un barbate, vrmhayati - che potrebbe non identificarsi col nostro verbo, d. Bohtlingk - Roth, op. cii., V, col. 27 - solo dalla trattatistica grammaticale tarda), sia dal punto di vista formale (nella forma avestica non compare infisso nasale, cf. ancheH. W. Bailey, Dictionary, cit., p. 298 sg. s.v. buli-); dall'altro è certo che il significato ongmario - e l'unico attestato nella letteratura sanscrita - di br,nh- ~ 'barrire', non 'muggire' o 'abbaiare' (si veda anche il derivato br,i,hita- n. 'barrito'). 139 Una puntuale messa a fuoco del problema è nel recente articolo di R. Lazzeroni, Il vedico, cit., p. 81 sgg. (con bibliografia). ,.io Cf. H. W. Bailey, Dictionary, cit., p. 81, s.v. ggal;-.

68

III - I verbi di rumore

sta l'analisi di G. Ciardi-Dupré e poi del Meillet 141, in tale verbo andrebbe riconosciuta una formazione a grado *-o- radicale, derivata dal verbo semplice gr-I jf- 'cantare, chiamare, far rumore' (*g(V)r-) per suffissazione (o « reduplicazione mutila »: Ciardi-Dupré); è in ogni caso verisimile che l'affinità con altre forme di lingue indoeuropee (arm. karkac' 'strepito, rumore', a.a.t. krahhon 'far rumore', etc.: cf. Mayrhofer, I, 327) sia piuttosto da attribuire ad analogia di procedimenti fonosimbolici (onomatopea) che non a discendenza da una protoforma comune (solo alcune voci iraniche, come accennato in precedenza, sono etimologicamente connesse con l'ind. ant. garj-).

Alcuni verbi indiani si caratterizzano per il riferimento al 'latrare', al 'ringhiare' di cani o lupi. e)

X. bhaf- 'latrare, abbaiare' (Wh. Roots, 109; Bohtlingk, V, 226 sg.; M.-W., 750). Le più antiche forme verbali di questa radice sono post-vediche (pres. bhafati, -te nel Mahabharata); non sono attestati neppure in séguito temi verbali diversi da quello di presente (solo i grammatici costruiscono un paradigma completo comprendente perfetto, aoristo e futuro). Quale esponente vedico della radice viene ricordato (ad es. in Mayrhofer, II, 498) l'agg. bhafa- 'che abbaia' (poi sost.: 'cane'), che figura nel Yajurveda bianco; l'indicazione cronologica è però da accogliere con estrema cautela, dal momento che il passo della Vajasaneyi-Samhita nel quale figura bhafas (nom. masch.) fa parte di una delle sezioni più recenti del YV 142, generalmente ritenute dalla tradizione indiana e dalla critica moderna integrazioni secondarie 143• Appare dunque ragionevole l'ipotesi del Mayrhof er (l. cit. e III, 771) 144 di una origine onomatopeica della ra141

G. Ciardi-Dupré, Etimologie sanscrite, « Giorn. d. Soc. Asiat. Ital. i. 13 (1900), p. 221 sg.; A. Meillet, De quelques prés., cit., p. 187. 1.a Cap. XXX, 19 nella recensione Madhyamdina cap. XXXIV, 4, 1 nella recensione Kai:iva: cf. Visva-Bandhu $astri, op. cit., I, 4, p. 2325, s.v. bhaf-. 143 Cf. ad es. J. Gonda, V ed. Literature, cit., p. 327 sgg. (specie p. 330). 144 Il primo ad avanzare l'ipotesi di una onomatopea sembra essere stato C. C. Uhlenbeck, Kurzgefasstes etymologisches Worterbuch der altindischen Sprache, Amsterdam 1898-99, p. 198 (in alternativa alla improbabile riconduzione a un i.e. *bhel-s-, fondata sull'erroneo presupposto che ind. ant. -[sia da *-ls-; non è pertanto accettabile la protoforma *bhelseti ricostruita dal

=

3 .2. V erbi relativi a tspressioni del mondo ferino

69

dice indiana bhaf- (indicativa, oltre tutto, la presenza di una cerebrale etimologica, non condizionata foneticamente), analogamente, ad esempio, al neerl. bassen 'abbaiare', isolato nelle lingue germaniche. Xl. ra(i)- 'latrare, abbaiare' (Wh. Roots, 138; Macd. VGS, 412; Bohtlingk, VI, 304; M.-W., 888 + 68; Grassmann, 1155). Già nel RV appaiono tre forme di questo verbo, il pres. indicat. II sg. rayasi e imperat. II sg. raya (entrambi in RV, VII, 55, 3), e il pt. pres. rayatas (ace. pl.: RV, I, 182, 4); il tema del presente è poi attestato sporadicamente anche nella prosa dei Brahma.T)a. Nei documenti letterari non figurano altre forme verbali; come spesso avviene, gli altri temi verbali di ra(i)- sono integrati dai grammat1c1, ma nulla ci autorizza a considerare rarau, arasit, etc. diversamente da costruzioni artificiali dettate da una esigenza di completezza flessionale. Che il verbo indiano ra(i)- sia antico è confermato anche dalla esistenza di una serie di corrispondenze in àmbito indoeuropeo: per citare le più interessanti, vorrei ricordare il gr. À.ctlnv, À.ctr]µEvctt'stridere, risonare' (Esichio) e probabilmente anche ùÀ.ciw 'io abbaio' (già in Omero; solo presente e imperfetto, così come i corradicali ÙÀ.ctx'tÉW - anche aoristo in un passo di Luciano -, ùÀ.cicrxw,ù).cicr145 crw) , il lit. loti 'latrare' etc., il lett. lat id., lo sl. ant. lajati, russo lajat' id., l'alb. leh 'io abbaio', il lat. latrare (il pf. latravi è di tipo recente), il got. (preter. III pl.) lai/un 'insultarono', nonché alcune forme di significato affine le quali presentano, invece, r- iniziale (per il balto-slavo cf. lit. rieti 'sgridare, gridare, abbaiare', roj6ti - detto del canto intempestivo di un gallo -, lett. riet 'abbaiare', rat 'sgridare, rimproverare', russo rajat' 'risonare'; per il germanico cf. a.a.t. Burrow, A New Look at Brugmann's Law, « Bull. of the School of Or. and Afr. Studies » 38 [ 1975], p. 58). 145 Non appare privo di interesse questo etimo proposto dal Meillet, De la prothèse vocalique en grec et en arménien, « Bull. Soc. Ling. » 27 (1926-27), 1, p. 132, il quale respinge la tradizionale connessione di ÙÀ.a.w con il lat. ululare etc.; l'ipotesi del Meillet, ignorata nei più recenti dizionari etimologici greci (ad es. in Frisk, Gr. etym. Wb., cit., II, p. 961 sg., e in Chantraine, Dict. étym., cit., IV, 1, p. 1154) e non accolta nel Lateinisches etymologisches Worterbuch di Walde e Hofmann (I, p. 755, e II, p. 813 sg.), è stata ultimamente ripresa da E. Tichy, Onomatop. Verbalbild., cit., nota 1 a p. 167.

70

III - I verbi di rumore

reren 'muggire, belare', ags. rarian 'gridare, muggire', etc.: si noti che tutti i verbi germanici, formazioni e raddoppiamento, hanno una flessione debole) l-46. Non è questa la sede per disquisizioni - peraltro difficilmente argomentabili sulla base di indizi concreti - intorno a quella che doveva essere la situazione a livello indoeuropeo comune; pare prudente ammettere l'esistenza di due radici di valenza assai simile, *laye *ray-, certo di origine espressiva, ancora vitali nelle varie lingue indoeuropee (solo nell'area balto-slava e, parzialmente, in quella germanica figurano contemporaneamente i continuatori di entrambe). A questo punto non è possibile - né ha, del resto, molta importanza - stabilire l'appartenenza dell'ind. ant. ra(i)- (e delle molte forme iraniche corrispondenti i."")all'una o all'altra di queste radici; si può comunque affermare con sicurezza che il verbo indiano antico deve essere considerato di eredità indoeuropea. XII. riph- 'ringhiare' (Wh. Roots, 140; Bohtlingk, VI, 349; M.-W., 880 + 102 ...). Il verbo riph- esprimeva, con una onomatopea di immediata evidenza, l' 'arrotare i denti' tipico, ad esempio, degli animali (cani, etc.) che ringhiano, oppure degli esseri umani che pronunziano la polivibrante [r]: non è un caso che nelle più antiche attestazioni la semantica di questo verbo vada dal 'ringhiare' in AV, III, 28, 1 XVII, 9 (pt. pres. riphat1) al 'russare' nello Sa.tikhayana-Brahmru:ia, 14 (pt. pres. a rephantat,) , al 'pronunziare r' nell'Asvalayana-Srautasiitra (I, 5, 10), uno dei commenti rigvedici (pres. passivo riphyate), etc. La radice non è documentata nel RV, ma solo in un vedico più recente; tuttavia, il fatto che il verbo non figuri nell'epica e nel

Oltre a M. Mayrhofer, Kurzgef. etym. Wb., cit., III, p. 55, d. ad es. F. Specht, Zur Geschichte, cit., p. 112; per la sezione balto-slava d. M. Vasmer, Russisches etymologisches Worterbuch, Heidelberg 1953-58, II, p. 21, s.v. laiat', e II, p. 487, s.v. ra;, e E. Fraenkel, nella ree. a H. Wagner, cit. nota 44, p. 221; per la sezione germanica, buoni dati sono forniti dal Trubners deutsches Wiirterbuch, cit., V, p. 432, s.v. rohren. 1'°'Al riguardo si veda soprattutto H. W. Bailey, Prolexis, cit., p. 312 sg., s.v. rrai, e Dictionary, cit., p. 369, s.v. rrai-. 14 Su tale forma, oltre al lessico di Bohtlingk e Roth, cit., d. W. Caland, Erkliirende und kritische Bemerkungen zu den Brahma,:zas und Sutras, « Zeitschr. d. deutschen morgenl. Ges. » 72 (1918), p. 2. l-46

3.2. Verbi relativi a espressioni del mondo ferino

71

sanscrito classico ci induce a ritenere questa radice piuttosto tipica dell'area nord-occidentale. Il paradigma completo - ivi incluso un perfetto rirepha -, che è dato dai lessicografi e grammatici tardi, è presumibilmente una costruzione fittizia. La natura espressiva di riph- rende a priori improbabili connessioni etimologiche con altre forme indoeuropee; di fatto i tentativi compiuti in tal senso non hanno raggiunto alcun risultato positivo 149• Alcune radici verbali indiane indicano il 'ronzare' delle api (k1vid-, gunj-) o il 'gridare' degli uccelli (kuj-, kharj-, rat-): d)

XIII. kuj- 'cinguettare', 'gridare (di uccelli)' etc. 150 (Wh. Roots, 20; Bohtlingk, II, 377 sg. + V, 1315; M.-W., 299 + 31. ..). La più antica attestazione di kuj- risale all'AV (VII, 95, 2: pt. pres. duale kajantau); poi un presente tematico (medio) è documentato nell'epica (Mahabharata, Ramayal}a). Solo nell'età classica (Kalidasa e altri) figurano un perfetto (cukuja) e un aoristo in -i (akuji); le altre forme verbali, tolti il pt. in -ta kujita- e il gerundio kujitva) appartengono alla testimonianza dei grammatici. Non è possibile individuare una convincente etimologia di kuj-: vi è chi ha pensato a un allotropo (con sviluppo fonetico di tipo «popolare») di una radice *kru(n)c- I *kruk-, a sua volta variante di krus- 'gridare' 151; altri, invece, ha ritenuto kuj- forma ampliata di klJ- 'gridare' (attestato solo dai grammatici; la più antica forma è l'intensivo kokuyate nel Nirukta di Yaska), e ha incluso kuj- e ku- al pari di gr. xwxuw 'io grido', m.a.t. hiulen 'urlare, ululare', lit.

Cf. M. Mayrhofer, Kurzgef. etym. Wb., cit., III, p. 61, nonché la opportuna confutazione fatta da I. Gcrshevitch, The Avestan Hymn to Mithra, Cambridge 1959, p. 264, contro l'accostamento con avest. srifa 'fremito (di cavallo)'. Il russo ryp 'stridio', rypét', rypat' etc. 'stridere' ovvia• mente riflette una base con *-ii-, e non è niente più che un esempio di analogo procedimento fonosimbolico (Mayrhofer, l. cit.; Vasmer, Russ. etym. Wb., cit., II, p. 557, s.v. ryp). 150 Sui valori di ku;- si veda P. Thieme, Atharva-Veda 5.23.4, in Antiquitates Indogermanicae - Gedenkschrift f. H. Giintert, lnnsbruck 1974, p. 296. 151 Cf. P. Thieme, A.-V. 5.23.4, cit., p. 27 sg. (ma la ipotesi dd Thieme appare tutt'altro che lineare e persuasiva). 1""

III - I verbi di rumore

72

kaiikti id. - tra le creazioni di origine onomatopeica (Mayrhofer, I, 250 e 274, s.v. kauti) 152 •

XIV. k1vid- (k1vù;i-) 'fischiare, ronzare' 153 (Wh. Roots, 31; Bohtlingk, II, 583 sg. + V, 1354 + VII, 1735; M.-W., 334). Di questo verbo, la cui forma più antica presenta una dentale non cerebralizzata, sono attestati non più di due temi, il presente, a partire dal YV nero (in passi omologhi della Maitriiyat;ti-Samh.,della Kaµiaka-Samh. e della Kapi~thala-Kafha-Samh.), e il causativo, per la prima volta adoperato nel Mahàbhàrata. Ove si consideri che, tranne due o tre esempi tardo-vedici, la documentazione di k1vid-/ k,!virJ- appartiene integralmente al periodo epico e sanscrito classico, sembra giusto dubitare dell'antichità del verbo, e accogliere pertanto la spiegazione del Mayrhofer (I, 295: origine espressiva); l'ipotesi del Thurneysen 154, secondo il quale una base ksvefr.d- (sic; = *ksweyzd-?) o sveizd- (= *sweyzd-) permetterebbe di spiegare sia il verbo indiano che il gr. aisw 'io sibilo', lo sl. ant. svistati, zvizdati etc. 'fischiare', l'irl. ant. sétim 'io soffio, suono', non può godere di grande credibilità 155•

Un ulteriore problema è dato dalla presunta connessione con kui- del sostantivo koka- masch. 'lupo, anatra, rana', kokila- masch. 'cuculo': cf. P. Thieme, A.-V. 5.23.4, cit., P· 27 sgg.; Id., Kranich und Reiher im Sanskrit, « Studien z. Indol. u. Iran.» 1 (1975), nota 62 a p. 34; T. Burrow - M. B. Emeneau, Dravidian Etymological Notes, « Joum. of the Amer. Or. Soc. » 92 (1972), p. 478 (qui è menzionato kòg, il nome del 'cane selvaggio' in alcuni dialetti anari). 153 Il valore del verbo, secondo il Burrow (nella recensione al dizionario etimologico del Mayrhofer, in« Archivum ling. » 9 [1957], p. 133 sg.) non è tanto quello di 'ronzare, mormorare' dato dal Mayrhofer, quanto piuttosto quello più generale, di 'emettere suoni stridenti, fischiare, cigolare'; appare comun'que innegabile il riferimen~o a varie specie animali, ad es. nel Ràmaya.r;i.a (IV, 45, 8 dell'ediz. di GorresIO = IV, 44, 9 nella più recente edizione, The Kiskindhàkà1_11Ja - The Fourth Book of the Vàlmiki Ramaya!Ja, Baroda 1965, 291) è detto della rana (plavamgama-), nella Susruta-Sarilhi.tii è detto del cigno (hamsa-}, etc. 154 R. Thumeysen, Italisches, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 32 (1891-92}, p. 570. . . 155 È appena il caso di notare ~ « monstrum,. (da un punto di vista indoeuropeo, s'intende) *ks":?~d-; d al~~a parte una base *sweyzd- non renderebbe conto della velare mlZ!ale nell md. ant. k~vid-. 152

p.

.3.2. Verbi relativi a espressioni del mondo ferino

7.3

XV. khari- 'stridere, cigolare' (Wh. Roots, 32; Bohtlingk, Il, 603; M.-W., 337). La valenza dell'unica attestazione letteraria di kharj- (una forma di presente nel Kiityiiyana-Srautasiitra, commento al YV bianco} è 'cigolare' in modo simile alle ruote di un carro; tuttavia la presenza nel RV (VII, 104, 17) di un sostantivo chiaramente corradicale quale khargala-'civetta, gufo' costituisce una precisa indicazione riguardo all'originario riferimento di kharj- alla espressione inarticolata ('gracchiare, squittire'} dei volatili (cf. Grassmann, 373). Non è improbabile che, come ha ipotizzato il Hiersche 156, si debba ricondurre questo verbo indiano a una base *(s}ker- ampliata in velare sonora, il cui gruppo iniziale *sk- mostrerebbe una evoluzione di tipo «popolare» (pracritismo assai antico): in tal caso andrebbe istituito un confronto con il gr. xpw~w 'io gracchio, strido', xpl~w 'strido' (pt. pf. XEXpi:ywç) lo sl. ant. skrugati, skrugutati, skrufitati 'scricchiolare' (e molte altre forme slave), il nord. ant. hark, skark 'rumore', etc. (Mayrhofer, I, 303, e III, 689) 157• Inoltre, se ha ragione T. Goto 157bi•, kharj- sarebbe una variante di sarj- (di significato analogo), che è attestato (nel presente tematico) a partire dal RV (una volta) per l'intera letteratura vedica (poco meno di dieci esempi in totale). XVI. gufij- 'ronzare' (Wh. Roots, 36; Bohtlingk, Il, 752 + V, 1381; M.-W., 356 + 1167). Il verbo gufij- è documentato esclusivamente nel tema del presente, a partire dal sanscrito classico; il pf. jugufija e altri tempi verbali sono forniti dai grammatici 158 •

156

R. Hiersche, Untersuchungen, cit., p. 81 sg. La diversa struttura radicale del gr. xplt;w, xpwt;w rispetto agli altri termini posti a confronto dà adito in ogni caso a qualche dubbio sulla legittimità della comparazione (ad es. E. Tichy, Onomatop. Verbalbild., cit., pp. 58 sg. e 129, considera senz'altro xplt;w, xpLX-e xpwt;w formazioni di tipo onomatopeico); ove si escludessero, però, i vocaboli greci da tale famiglia lessicale, diverrebbe superflua la spiegazione di kh- indiano come antico pracritismo, poiché una radice con sorda aspirata originaria può rappresentare il prototipo - certo di natura espressiva - tanto di khar;- quanto delle voci germaniche e slave qui menzionate. 157h;, T. Gotò, Die « I. Priisensklasse », cit., pp. 86 e 324 (con nota 787). 158 Non appare del tutto giustificata la citazione del pf. ;ugun;a da parte del Mayrhofer (Kurzgef. etym. Wb., cit., I, p. 337), senza alcuna indicazione 157

74

III - I verbi di rumore

Dato che gun1- è, con ogni verisimiglianza, verbo di ongme onomatopeica (cf. ad es. Mayrhofer, I, 337), la comparazione con il gr. rorrv~w'io mormoro, brontolo' (presente e aoristo) 159 e lo sl. ant. g9gnati 'mormorare' 160 etc., va intesa nel senso di una analogia di procedimento fonosimbolico più che come indizio di una parentela etimologica (non a caso - a parte l'esempio slavo - si tratta di verbi attestati solo in fasi recenti delle rispettive storie linguistiche).

XVII. rat- 'urlare' (Wh. Roots, 135; Bohtlingk, VI, 241 + VII, 1795; M.-W., 863 + 149). La radice rat- è testimoniata nella letteratura indiana per la prima volta nel Ramayar;ia (Il, 77, 32), in una forma di participio intensivo raratantim(ace. femm. sg.: riferito all'urlo tipico del chiurlo [kraunci]) 161; nel sanscrito classico compare anche un presente relativa al fatto che si tratta di forma data dai grammatici: infatti, il testo nel quale ;ugun;a ricorre, il Bhagikiivya, è un vero trattato grammaticale «mascherato» da poema epico (d. ad es. M. Winternitz, Geschichte der indischen Literatur, Leipzig 1907-20, rist. anast. Stuttgart 1968, III, p. 70 sgg.), e non è certo un caso che il passo (XIV, 2) nel quale è citato tale perfetto faccia parte della sezione dell'opera dedicata all'esemplificazione di tempi e modi verbali (in particolare, dall'inizio del cap. XIV e per poco meno di una quindicina di strofe ogni paragrafo è costituito da un distico con quattro forme verbali - sempre perfetti attivi o medi, per lo più di verbi indicanti un suono -, nella regolare disposizione di una per emistichio). 159 Su origine onomatopeica e attestazione di yoyy,jt;w d. ad es. E. Tichy, Onomatop. Verbalbild., cit., p. 225. 160 t! sufficiente dare un'occhiata alla desinenza di infinito (-ti) per capire che l'indicazione « russ. gugnati » è una svista (forse tipografica) del Mayrhofer (/. cit. ); visto lo si. ant. J!,ç>gnati(citato, insieme a molte altre forme slave, da F. Miklosich, Etymologisches Worterbuch der slavischen Sprachen, Wicn 1886, p. 72, s.v. gonJ!,-),J!,Ugnatiè senza dubbio una forma del verbo slavo-antico adattata nel russo ecclesiastico (con il passaggio di p in u), e pertanto, secondo l'uso del Mayrhofer, andrebbe classificato con la sigla « ksl. » (kirchenslavisch) oppure, meno bene, « russ. (alt)» - quest'ultima è la notazione adottata non solo da E. Berneker, Slavisches etymologisches Worterbuch, I, Hcidelberg 1924, p. 341, ma anche da Waldc e Pokorny, nel Vergleichendes Worterbuch der indogermanischen Sprachen, I, Bcrlin-Leipzig 1930, p. 535, fonte citata dal Mayrhofer -. Ampi ragguagli sulla famiglia lessicale di si. ant. g9gnati in F. Miklosich, l. cit., e in M. Vasmer, Russ. etym. Wb., cit., I, p. 317, s.v. gugnivy;. 161 Il brano in questione del Ramiiyai:i,a(II, 77, 32 nell'edizione di Gorresio II, 72, 25 nella recente edizione critica The Ayodhyaka,;,/a • The

=

3.2. Verbi relativi a espressioni del mondo ferino

75

tematico (riferito pure ad altri animali e ad esseri umani), mentre perfetto, aoristo, futuro etc. sono formazioni che non hanno storia al di fuori della tradizione grammaticale indiana. L'origine espressiva di rat- ipotizzata, ad esempio, dal Mayrhofer (III, 36), sembra confermata dall'assenza di qualsiasi plausibile corrispondenza in altre lingue indoeuropee; l'àmbito semantico della radice, in genere pertinente all'urlo di animali e soprattutto degli esseri umani, doveva probabilmente gravitare, in origine, intorno alla espressione vocale dei volatili, visto il riferimento specifico nella più antica attestazione (Ramayru:ia,cf. supra) nonché in alcuni altri esempi seriori (cf. Bohtlingk, l. cit.).

Second Book of the Viilmiki Riimiiyara, Barocla 1962, p. 439) al posto della lezione bhayiirtiim iva riirafantim ha vilagniim iva r.,ik[amiiriim (dove vilagnaè detto di un uccello 'in gabbia', e vik[- è vi-ikf- 'vedere, osservare'). Questa seconda lezione, appartenente al ramo « meridionale » della tradizione del Riimiiyai:ia(14 mss.), non impedisce certo di considerare il pt. intens. riira{antlegittimo nella recensione «settentrionale» dell'opera. A favore dell'antichità della lezione scelta da Gorresio stanno varie ragioni. In primo luogo, bhayiirtiim iva riira{antim, non meno corretto dell'altra lezione da un punto di vista metrico, si fonda su una buona tradizione manoscritta: infatti, bhayiirtiim è dato da ben 13 mss. (su un totale di 29 utilizzabili), di origine occidentale e settentrionale, e riira{antim, presente in 5 mss. (uno dei quali notevolmente antico) facenti capo ai diversi rami - occidentale, nord-occidentale, nord-orientale - della recensione settentrionale, è indirettamente confermato da tutti gli altri codici di questa recensione, vuoi per l'uscita in -antim, vuoi per le sillabe iniziali. In secondo luogo, sia bhayiirta- che riira{ant- sono due « hapax » nel Riimiiyai:ia,e in questo senso possono esser considerati senz'altro una « lectio difficilior » (la variante meridionale presenta invece vilagna-, che è testimoniato già in un passo precedente del II libro, cf. Bohtlingk-Roth, Skt. Wb., cit., VI, col. 478 s.v. vi-lag-, e vik[amii~a-, ricorrente almeno altre cinque volte nel Ramayai:ia,cf. Bohtlingk-Roth, Skt. Wb., cit., I, col. 841 s.v. vi-ikf-). In terzo luogo, il composto bhayiirta- (bhaya-iirta-) 'afflitto da timore ➔ tenorizzato' sembra ben richiamare l'iirtarùpa- (iirta-rùpa-) 'afflitto, addolorato' del verso precedente, con una significativa collocazione chiastica di iirta- (ll primo, qui secondo elemento di composto). Infine, l'intera espressione bhayiirtiim iva riira{antim 'come un (chiurlo) che urla terrorizzato' si integra nel contesto in modo assai più felice non solo delle altre lezioni settentrionali, ma anche della stessa variante « meridionale » sopra ricordata. Sulla base di tali considerazioni ritengo che il participio intensivo riirafant- possa essere senz'altro attribuito all'archetipo della recensione settentrionale del Ramayai:ia, se non addirittura alla stesura originale dell'opera, e debba quindi figurare tra le attestazioni documentarie della radice raf-.

76

III - I verbi di rumore

e) Tre verbi indiani, infine, fanno riferimento al 'nitrire' di cavalli e puledri: XVIII. krand- 'nitrire, mugghiare, gridare' (Wh. Roots, 24; Macd. VGS, 376 sg.; Bohtlingk, II, 475 sgg. + V, 1337 sg.; M.-W., 319 + 31. .. ; Grassmann, 355 sg.). L'àmbito semantico di questo verbo è in genere identificabile con l' 'urlare', il 'gridare'; tuttavia, come ha mostrato il Liiders 162, molte delle attestazioni di krand- nel RV si riferiscono all'espressione vocale di cavalli e puledri, e ciò costituisce un interessante indizio riguardo all'eventualità che proprio il 'nitrire' rappresenti il valore più antico del verbo nell'area indiana 163 (notevole è poi il fatto che il riferimento ai cavalli sia un arcaismo vedico non più vitale in epoca sanscrita). Il verbo krand- è tra i meglio documentati nel RV: in tale opera figurano oltre quindici esempi di presente o imperfetto, varie forme aoristiche (due attestazioni di aoristo radicale, quattro di aoristo sigmatico, ventuno di aoristo raddoppiato - fattitivo - (a)cikrada-, sei di aoristo raddoppiato - intransitivo-intensivo - cakrada-)164, tre esempi di causativo (presente e imperfetto), ben trentasei forme di intensivo (in gran parte participi; il tema dell'intensivo è il più attestato in assoluto), e infine un perfetto medio anu cakradé in un brano dell'VIII libro (RV, VIII, 3, 10). Quest'ultima forma, isolata, di aspetto recenziore (si tratta di un medio), inserita in un inno appartenente a una sezione non molto antica del RV (cf. supra, nota 68), priva di continuazioni nel vedico e nel sanscrito (il pf. caleranda,attivo [ ! ] , appare poi nel Raghuvarn~a di Kalidasa, ormai

162

H. Lliders, Philologica Indica, Gottingen 1940, p. 770 sgg.; cf. ora anche T. Gotò, Die « I. Priisensklasse », cit., p. 116 (con discussione delle interpretazioni divergenti da quella del Liiders). 163 Inoltre, come osserva il Liiders, cit. nota prec., è interessante l'equivalenza formulare di vajam krand- (tre esempi nel RV) con v4jam hef- (V, 48, 2, l'unica - pur se incerta, cf. nota 168 - attestazione di hef- nel RV), dove hef- vale soltanto 'nitrire'. 164 Non pochi studiosi hanno preso in esame le varie forme dell'aoristo di krand-; oltre al lavoro di J. Narten, Die sigm. Aoriste, cit., p. 98 sg., vorrei ricordare, tra gli altri, W. Neisser, Zum Worterbuch, cit., II, p. 68; P. Thieme, Das Plusquampf., cit., pp. 28 sgg. e 34; H. Liiders, Philologica Indica, cit., p. 770 sgg. (ulteriori indicazioni bibliografiche in J. Narten, I. cit.).

3.2. Verbi relativi a espressioni del mondo ferino

77

nella seconda metà del primo millennio d.Cr.), difficilmente potrà esser considerata il relitto di un perfetto originario. Riterrei piuttosto che occorra partire dalle forme di aoristo raddoppiato cakradas, cakradat. È possibile che tali forme siano state intese come piuccheperfetti privi di aumento, e che pertanto da esse sia stato tratto il pf. cakradé165 • Ma è anche possibile che tali forme, nella loro qualità di aoristi, abbiano generato una III sg. media cakrad-a+i, con -i desinenziale dell'aoristo passivo, che troviamo adoperato anche in uno dei due soli esempi vedici di medio III sg. di un aoristo raddoppiato, vale a dire atitape in RV, VIII, 72, 4, cf. Wh. SG, 311 § 865a; Macd. VG, 376 § 514. Qualche dubbio circa questa seconda possibilità può però sorgere, oltre che per l'ossitonia di cakradé, anche per la rarità e recenziorità delle forme mediali dell'aoristo raddoppiato nella lingua vedica 166• Non si dànno sicure corrispondenze dell'ind. ant. krand- in altre lingue indoeuropee: visto anche l'allotropo sanscrito kland-, si potrebbe pensare a una base in laterale originaria, ma gli accostamenti proposti con ags. hlimman 'sonare, far rumore' e lat. e/amare, oppure con nord. ant. hlakka 'gridare' e lat. clangere, sono tutt'altro che soddisfacenti, ove si consideri la divergenza nel consonantismo finale della radice 167•

La suppos1z10ne di un rifacimento analogico di cakradi sull'aor. cakradas, cakradat, trova a mio avviso un supporto nella seguente osservazione: la presenza di un perfetto medio in un verbo che nel vedico non conosce altrimenti la flessione mediale, e in condizioni contesruali che non sembrano richiedere tale diatesi, potrebbe giustificarsi solo come un fatto condizionato dalla struttura del tema cakrad-, che presentava un grado apofonico debole ( = ridotto) difficilmente conciliabile con una forma forte quale è normalmente la III persona singolare attiva del perfetto. Si può dunque ritenere che il carattere mediale del pf. cakradé rappresenti un ulteriore indizio del fatto che esso si è costituito secondariamente sul tema (aoristico) cakrada-. 166 ~ da notare che nell'aoristo (tematico) raddoppiato le forme mediali sono in numero nettamente inferiore a quelle attive, in un rapporto di circa 1 : 8; è dunque probabile che, al pari dell'aoristo tematico privo di raddoppiamento (sul quale cf. R. Lazzeroni, Fra glottogonia e storia: i verbi sanscriti della VI classe, « Studi e Saggi ling. » 18 [1978], p. 138 sg.), anche l'aoristo (tematico) raddoppiato abbia posseduto in un primo tempo la sola diatesi attiva, e che le forme mediali rappresentino uno sviluppo ancora più recente. 167 Ancor più arduo appare il confronto con il gr. x0.a.6oç 'rumore' (A. Sharma, Beitriige zur vedischen Lexikographie: neue Worter in M. Bloom165

78

III - I verbi di rumore

XIX. he~- 'nitrire' (Wh. Roots, 208; Bohtlingk, VII, 1660; M.-W., 1305 + 74 ... ; Grassmann, 1681). Il verbo he~- 'nitrire' figura nel tema del presente già nella letteratura vedica (pur se l'unica attestazione nel RV, individuata dal Liiders - cf. supra, nota 163 -, è stata da più parti revocata in dubbio) 168, poi nell'epica; molto più recente è la documentazione di un pf. III pl. jihe#re (medio!) nel Sisupalavadha (ca. VII secolo d.Cr.). Vista l'assenza di plausibili concordanze in ambito indoeuropeo, si può senz'altro accogliere la spiegazione del Mayrhofer (III, 610), il quale ritiene he~- formazione di origine espressiva. XX. hre~- 'nitrire' (Wh. Roots, 209; Bohtlingk, VII, 1676; M.-W., 1307). Non si hanno documentazioni letterarie di href- nel periodo vedico; solo a partire dal Mahabharata sono attestati un presente (attivo e medio) e un causativo (gli altri tempi, ivi incluso il perfetto - medio - jihrefe, figurano soltanto nei trattati grammaticali). L'evidente affinità di href- con l'altro verbo per 'nitrire' he;-, la tarda epoca di attestazione, la mancanza di sicure corrispondenze indoeuropee, orientano l'analisi etimologica verso il riconoscimento di un'origine onomatopeica di tale verbo (cf. Mayrhofer, III, 617 sg.); il brillante tentativo del Pisani 169, il quale ha istituito un rap-

fields V edic Concordance, « 'Piiµ(i » 5 / 6 [ 1959-60], p. 187), che presuppone la riconduzione a un prototipo comune *k(e)l-1,;td-(ma ciò non spiega ancora il grado pieno radicale krand-, per il quale andrebbe ricostruito un *klemd-

[sic], peraltro abbastanza sorprendente da un punto di vista indoeuropeo). Un'indicazione sulle possibili corrispondenze indoeuropee di krand- in F. B. J. Kuiper, Die idi!,. Nasalpriisentia, cit., 2• ediz., p. 143 sg. 168 Cf. R. Pischel - K. F. Geldner, Vedische Studien, I, Stuttgart 1889, p. 47 sg. (e cosl K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., II, p. 87), i quali pensavano piuttosto a un aoristo sigmatico di hi- 'spingere, affrettare'; ulteriori ragguagli in H. Oldenberg, J!.gveda, cit., I, p. 366. Si tratta di un interessante problema di esegesi vedica, che tuttora non sembra aver trovato un chiarimento definitivo (valga per tutti il commento del Geldner, l. cit.: « Schwierig. [ ... ] Das Ganze aber bleibt hochst unsicher » ). 169 V. Pisani, 'EÀ.Àl]vLxat yÀi~aaaL, in Scritti in onore di G. Bonfante, Brescia 1976, II, p. 707 sg.; cf. anche la recensione dello stesso Pisani al dizionario etimologico indiano del Mayrhofer, in « Paideia » 29 (1974), p. 3.59.

3.2. Verbi relativi a espressioni del mondo ferino

79

porto etimologico tra l'ind. ant. href- e il gr. XLXÀ.lsEi.vnel senso di 'nitrire', non risulta persuasivo per via dell'epoca di attestazione non molto antica non solo di href-, ma anche del gr. XLXÀ.lsw(da Aristofane), e soprattutto: a) perché il gr. XLXÀ.l~w'io sogghigno, ridacchio, zirlo, nitrisca' presenta quest'ultimo valore solo in Eroda, nell'Anth. Pal. e in Esichio; b) perché tale verbo appare piuttosto essere un denominale di xlxÀ.TJ'tordo' (non vi sono prove che la connessione con xlxÀ.TJsia frutto di una interferenza secondaria) 170 •

* * * I dati che emergono dall'analisi dei verbi indiani denotanti esclusivamente o almeno primariamente l'espressione inarticolata delle varie specie animali suggeriscono alcune interessanti consideraz1oru. In primo luogo, su venti verbi esaminati (quelli che presentano un qualche interesse da un punto di vista diacronico e statistico), più della metà sono di origine onomatopeica, e riflettono creazioni monoglottiche - quindi seriori - dell'area indoaria (in uno o due casi forse indo-iranica); solo tre dei rimanenti verbi hanno sicure corrispondenze indoeuropee (nlJ-, ra(i)-, ru-, non a caso presenti già nel RV; qualche dubbio sussiste per khar;-, mentre vasnon trova confronto al di là delle lingue iraniche). :E:evidente, pertanto, la ridotta utilità del gruppo lessicale relativo al « verso • degli animali ai fini di una ricostruzione della situazione a livello indoeuropeo comune. Una buona conferma riguardo a tale conclusione è data dall'epoca di più antica attestazione dei verbi in questione: infatti, su un totale di venti verbi, solo sei o sette (krand-, nli-, ma-, ra(i)-, ru-, vaf-, più forse hef-) figurano nel RV, e uno (ku;-) nell'AV; altri cinque (kfvid-, khari-, nard-, ras-, riph-) sono tardo-vedici, cinque (gar;-, brmh-, bhaf-, raf-, href-) compaiono nella letteratura 170

L'ipotesi di un accostamento secondario di XLX~ a xlx).11,avanzata dal Pisani (cit. nota prec.) per ragioni semantiche, e - indipendentemente da E. Tichy (Onomatop. Verbalbild., cit., p. 254), a suffragare l'esistenza di un originario *xLxll;wdi origine onomatopeica (poi rimodellato secondo xlx).11), non può essere considerata più che una elegante costruzione teorica, purtroppo priva - come dichiara la stessa Tichy, l. cit. - di adeguati riscontri nei dati a disposizione.

80

III - I verbi di rumore

epica (Mahabharata, Ramayai;ia), e infine due (gun;., rambh-) appartengono soltanto al periodo classico. In secondo luogo, il perfetto è estremamente raro in questa categoria lessicale (come già nella categoria dei verbi indicanti il 'risonare'). Per nove verbi (kfvid-, kharj-, gufij-, bhaf-, ra/-, rambh-, ra(i)-, riph-, href-) il perfetto non è affatto documentato in testi letterari; due verbi vedici (kuj-, hef-) e uno epico (hrmh-) presentano un perfetto solo nel periodo classico e post-classico; altri due verbi vedici (nard-, ras-) sono coniugati al perfetto nell'epica (Mahabharata); un verbo rigvedico (ru-) possiede un perfetto - medio - nella prosa dei Brahmai;ia; un verbo epico (garj-) ha una contemporanea attestazione anche al perfetto. Infine, per quanto riguarda i quattro verbi documentati al perfetto già nel RV, in un caso (nu-) siamo di fronte a una formazione derivata dal tema dell'intensivo; in un altro caso (vas-) tale derivazione appare più che plausibile, come ho cercato di dimostrare; in un terzo esempio (krand-) siamo in presenza di una formazione quasi certamente costruita sull'aoristo raddoppiato (non fattitivo); il quarto esempio, infine, appartiene a una radice (ma-) nella quale il raddoppiamento, comune a tutte le forme verbali rigvediche, è un procedimento di tipo puramente espressivo. Al contrario del perfetto, l'intensivo è ampiamente rappresentato soprattutto nei verbi di più antica attestazione (il dato è significativo ove si consideri che nel RV le forme finite di intensivo sono appena 516, contro le circa 2600 forme finite di perfetto o piuccheperfetto - escluso il perfetto dell'intensivo -, quindi in un rapporto di frequenza di circa 1: 5). Dei sei (o sette) verbi rigvedici appartenenti alla classe lessicale qui presa in esame, ben cinque (krand-, nu-, ma-, ru-, vai-) presentano forme di intensivo, che in due casi (krand-, ru-) costituiscono addirittura il tema meglio attestato in assoluto; si può anche ricordare il significativo esempio di ra/-, la cui prima documentazione (nel Ramayai;ia, d. supra) è un participio dell'intensivo. Un ulteriore elemento da sottolineare è dato dalla tendenza del perfetto a costituirsi talora sul tema dell'intensivo: oltre al pf. non ava, la cui origine intensiva è da tempo riconosciuta, sembrano poter rientrare in questa categoria anche vavasre, vavasanaetc. (tema dell'intensivo vavas-), nonché cakradé, se dall'aoristo raddoppiato (con valore intransitivo-intensivo) cakrada-, e mimaya

3.2. Verbi relativi a espressioni del mondo ferino

81

(se da *mimaya, con il raddoppiamento lungo a valore iterativo-intensivo caratteristico della radice ma-). Per quel che riguarda i verbi che esprimono il verso t1p1co delle varie specie animali l'indoario, nella sua fase antica, presenta dunque un ristretto numero di verbi di eredità indoeuropea, accanto a numerose formazioni monoglottiche di tipo onomatopeico; in tale categoria lessicale il perfetto è raro, e anche nei pochi casi in cui è di antica attestazione appare non originario, e in genere derivato dall'intensivo (il tema più tipico di questo gruppo di verbi). 3.3. Excursus: i « perfetti intensivi » nell'indiano e nel greco L'interesse di questi dati relativi all'indiano antico risiede, come già segnalato in sede introduttiva, non tanto nell'accertamento della difettività del perfetto (tutt'al più, una volta dimostrata su base più ampia l'incompatibilità tra perfetto e semantica stativa, si potrebbe dedurne che i pochi verbi di eredità indoeuropea appartenenti a questa classe dovessero avere una valenza primariamente stativa 171, vista la generale assenza di un perfetto originario), quanto piuttosto nella immediata confrontabilità con il gruppo dei cosiddetti « perfetti intensivi » greci, buona parte dei quali gravita in un àmbito semantico analogo a quello dei verbi indiani ora esaminati. Con la definizione di « perfetti intensivi » si intendono quei perfetti, in larga misura omerici, che non indicano uno stato risultante, bensì uno stato puro e semplice, e in ciò non si distinguono da un presente; caratteristici di questi perfetti, oltre al raddoppiamento, sono un grado apofonico radicale con vocale lunga 172 e una sfumatura semantica intensivo-iterativa 173 (spesso, inoltre, il perfetto rappresenta l'unico o il più antico tema attestato per un determinato verbo).

Pertanto il 'muggire', l' 'abbaiare' etc. dovevano esser visti in origine come qualità intrinseche delle diverse specie animali piuttosto che come singole realizzazioni di un'azione vocale. in I participi femminili con grado ridotto radicale, come ì.EMxvuz.e pochi altri, sembrano essere, a quanto afferma E. Tichy, Onomatop. Verbalbild., cit., p. 70, formazioni seriori di tipo analogico. 173 ad es. E. Schwyzer, Griech. Gramm., cit., II, p. 263 sg. 171

a.

82

III - I verbi di rumore

Tra i perfetti intensivi (il cui numero per solito è fatto ascendere a non più di una ventina, senza che vi sia perfetta concordanza tra gli elenchi dati dai diversi studiosi), una buona parte fa riferimento al 'muggire', al 'belare', al 'gridare' (di animali o di esseri umani): si possono citare, al riguardo, ~É~PVXE (Omero), yÉywvE (Omero), XEXÀ'l')'Y~ (Omero; attico xÉxÀ.a.yya.), xÉxpaya. (attico), xExpi:y~ (attico), ÀEÀ.'l')~ (Omero), µEµ'l')~ (Omero), µÉµvu (Omero), 't"E'tpi:yui:a. (Omero), forse anche à.µq>~a.xu~a.(Omero: à.µq>11 uixw 'strido svolazzando') ", e XEXÀ«i6wc; (dorico), se XÀ.a.6- 'esultare rumorosamente', 'gorgogliare' etc. è verbo di rumore connesso con l'ind. ant. hrad- (ma vedi ivi). Queste formazioni sono state classificate in vario modo dai molti studiosi che si sono interessati a tale problema: taluno ha negato una diversità sostanziale rispetto agli altri perfetti indicanti stato (raggiunto) 175; talaltro ha addotto questi perfetti intensivi quali testimoni dell'originaria « nuance » iterativo-intensiva del perfetto indoeuropeo 176; altri, infine, ha ipotizzato per i perfetti intensivi una convergenza soltanto secondaria con i perfetti indicanti stato risultante 177• Una complessa e acuta spiegazione di recen-

174

Tale forma è presa in esame ad es. da E. Tichy, Onomatop. Verbalbild., cit., p. 72 e nota 24 (con bibliografia). 175 Si vedano soprattutto, oltre a B. Delbriick, V gl. Syntax, cit., II, p. 202 sgg., P. Chantraine, Histoire, cit., p. 16 sgg., P. Berrettoni, L'uso del perfetto, cit., p. 145 sgg. (specie p. 149), e K. L. McKay, The Use of the Ancient Greek Perfect down to the Second Century A.D., « Bull. of the Inst. of Class. Studies » 12 (1965), p. 6. 176 Questa opinione è stata espressa principalmente da W. Meid, Osservazioni, cit., p. 32 sg. (cf. anche Probleme, cit., p. 216); in parte tale ipotesi si ricollega alla spiegazione prospettata dal Bréal, Les commencements du verbe, « Mém. Soc. Ling. » 11 (1899-1900), p. 277 sg., il quale interpreta i perfetti come una sorta di « presenti intensivi» (cf. anche E. Schwyzer, Griech. Gramm., cit., Il, p. 263, nonché I. A. Perel'muter, O pervonaéal'no; funkcii indoevrope;skogo perfekta, « Vopr. Jazyk. » 1967, 1, p. 99 sg., il quale vede nei perfetti intensivi greci una testimonianza della situazione più antica, nella quale la funzione del perfetto era connessa con l'espressione di uno stato psichico o di una percezione sensoriale). 177 L'antichità indoeuropea della categoria dei « perfetti intensivi» fu sottolineata da J. Wackemagel, Vorlesungen, cit., I, p. 166 sg.; la sostanziale diversità di origine, o almeno di funzione, di tale categoria rispetto ai perfetti di stato risultante è stata ribadita, in epoca più recente, da M. S. Ruipércz, Estructura del sistema de aspectos y tiempos del verbo griego, Salamanca 1954,

3.3. Excursus: i« perfetti intensivi»

83

te 178 avanzata, quale sviluppo di quest'ultima ipotesi, muove da formazioni a valenza iterativa con raddoppiamento di tipo onomatopeico (ripetizione della radice) e desinenze tematiche secondarie; tali formazioni, per via del vocalismo lungo radicale (inusitato nei presenti tematici a raddoppiamento) e delle desinenze secondarie, sarebbero state identificate per piuccheperfetti e inserite cosl nel sistema flessionale del perfetto tramite riduzione a -e- della vocale del raddoppiamento. Alla luce dei dati individuati per i verbi indiani antichi di àmbito semantico analogo alla maggior parte dei perfetti intensivi greci, sembrerebbe possibile fornire una ricostruzione per qualche verso ancora più circostanziata riguardo alla genesi delle formazioni greche qui in esame. Un punto in particolare appare evidente: l'intensivo, vitale nell'indiano antico, ma ormai scomparso in quanto categoria morfologica nel greco antico, costituisce il punto di partenza di questi « perfetti » greci. Non è necessario, credo, dilungarsi sulla peculiare valenza iterativa e rafforzativa dell'intensivo; è parimenti chiaro che proprio le espressioni inarticolate degli animali si prestano, per la loro caratteristica ripetitività, a esser realizzate attraverso un presente derivato quale l'intensivo. Tale stadio linguistico è evidente nell'indiano antico (cf. supra), e per analogia sembra poter essere ricostruito con buona approssimazione in riferimento alla fase greca predocumentaria. Il successivo trapasso da formazioni originariamente intensive a formazioni di perfetto si inquadra perfettamente nella tipologia evolutiva di una lingua come il greco la quale ha eliminato la categoria dell'intensivo come tema

p. 49 sgg. (specie p. 51); K. H. Schmidt, Das Perfektum, cit., p. 4 (mistione tra formazioni a raddoppiamento espressivo e perfetti di stato); O. Szemerényi, Einfuhrung in die vergleichende Sprachwissenschaft, Darmstadt 1970, p. 275 e nota 2 a p. 310 (« ... driickt das Perfekt auch elementare Handlungen aus ..., die nicht aus dem 'resultierenden Zustand' :tbgeleitet werden kéinnen, dagegen sehr gut als Intensiva verstiindlich sind »; « lch schliesse die [Perfekta] Intensiva (~É~PVXE)und Priiterito-Priisentia [ ...] aus, da sie Oberbleibsel einer vergangenen Epoche sind » [senza modifiche nell'edizione italiana, Introduzione alla linguistica indeuropea, Milano 1985, p. 339 e nota 2 a p. 381]: dichiarazione non priva di ambiguità, che lascia la porta aperta anche a una spiegazione come quella proposta dal Meid, d. nota prec.); J. Tischler, Zur Reduplikation, cit., p. 18 e nota 49, per non citare che alcuni dei più noti contributi in proposito. 178 Cf. E. Tichy, Onomatop. Verbalbild., cit., p. 69 sg.

84

III - I verbi di rumore

indipendente, tanto più ove si consideri che un siffatto sviluppo è attestato nello stesso indiano antico, che pure conserva per lungo tempo la categoria dei « presenti derivati » (i quattro perfetti rigvedici relativi ai verbi per 'muggire', 'latrare', etc., derivano dall'intensivo o comunque da un tema raddoppiato a valenza iterativa o intensiva). Per quel che riguarda le modalità dell'inclusione di tali forme originariamente intensive nel sistema del perfetto, ritengo che il raddoppiamento lungo (sia esso da intendere come ripetizione della radice, del tipo *µv(x)µvx- ricostruito dalla Tichy - cf. nota 178 -, sia esso da intendere come iterazione della consonante iniziale seguita da *e, *ò, oppure dittongo, del tipo *µ11µvx- o *µwµvx. o *µE/ovµvx) 179 potesse facilmente subire abbreviamento per « cor179

Al riguardo il Meillet (Sur le timbre, cit., p. 216 sgg.) era incline a sottolineare il carattere arcaico del raddoppiamento bisillabico (ripetizione della radice + i), e a riconoscervi un timbro vocalico *-o- originario (più cauta la posizione assunta nella Introduction à l'étude comparative des langues Indo-Européennes, ga ediz., rist. Forge Village Mass. 1964, p. 180); una netta distinzione tra raddoppiamento di presente/perfetto e raddoppiamento intensivo è operata inoltre da V. Pisani, Sul raddoppiamento indoeuropeo, « Rendic. Ace. Naz. Lincei», serie VI, voi. 2 (1926), p. 321 sgg. (specie p. 331; a p. 334 il Pisani interpreta il raddoppiamento in *-e-come variante del raddoppiamento di perfetto in *-e-). Senza voler entrare a fondo nella questione, ho impressione che il raddoppiamento intensivo (cosl come quello cli presente, perfetto, aoristo) presentasse una notevole oscillazione (o libertà, se si preferisce) nel timbro della vocale del raddoppiamento, e che solo in séguito le varie lingue i.e. (in misura notevole il greco, in misura più modesta l'indiano) abbiano « regolarizzato» l'uso delle diverse vocali in funzione delle differenti categorie morfologiche. Mi pare infatti innegabile l'esistenza cli un raddoppiamento a vocale *-~- in larga parte degli intensivi indiani, come dimostrano i numerosi esempi (oltre dieci radici verbali) con k-, g- iniziali palatalizzati in e-, i· nella sillaba di raddoppiamento (spesso senza che, a spiegare la palatalizzazione, si possa invocare l'analogia con il perfetto, l'aoristo raddoppiato etc., in quanto si tratta cli radici difettive di tali tempi), a fronte di non più cli cinque casi con velare non palatalizzata (due di questi con variante palatalizzata). Si noti che, tranne che in un esempio, karikr- /carikr-, siamo in presenza cli una struttura particolare, CVN-i-C(V)N(C)-; è certo che tra gli allotropi can-i-fkad- e kan-i-fkand-, entrambi rigvedici - il secondo in un inno, il 103 del VII libro, sicuramente tardo -, il primo potrebbe presupporre una facies antica, nella quale dovevano sussistere tracce cli nasalità nella forma radicale a grado zero (prima che si completasse dunque il passaggio cli *·!'· in -a-; non è escluso comunque un conguagliamento analogico); lo stesso si può dire per can-i-scad-:

3.3. Excursus: i« perfetti intensivi»

85

reptio » avanti ad altra sillaba lunga oppure, nei non pochi verbi llllZianti con un gruppo consonantico, per evitare una sillaba stralunga (ad es. in un *~i:i~pux- o *~T)~pvx- etc.); la vocale lunga della radice consentiva un agevole inserimento nel tipo di perfetti a grado apofonico radicale lungo 11K);infine, la consonante finale di radice, che era -x- in tre verbi (À.EÀ.T)x-,µEµ'l']x-, µEµvx-), -X- in altri due verbi (~E~pvx- àµcptax-), suggeriva immediatamente l'identificazione con i comuni tipi di perfetto rispettivamente « cappatico » e « aspirato » (con estensione analogica agli altri verbi, uscenti in -Y- ad eccezione di yÉywvE, il quale comunque presentava di per sé un grado * -o- radicale non raro nel perfetto). La parziale originaria diversità di collocazione del tono nelle forme finite degli intensivi rispetto alle forme del perfetto ovviamente non ha avuto più alcuna rilevanza nel momento in cui si è verificata la rimorfologizzazione degli antecedenti (intensivi) di ~É~PVXEetc., visto il generale livellamento dovuto alla anaclisi accentuativa (le forme nominali, come ad es. il participio, potevano essere accentate sul suffisso anche nell'intensivo: cf. supra, s.v. vas-). Se risultasse attendibile la spiegazione dei « perfetti intensivi » greci qui prospettata, che si fonda su un importante confronto morfologico e semantico (i perfetti indiani derivati da intensivi assumono quasi sùbito valenza preteritale, al pari dei perfetti intensivi greci, sui quali si « costruisce » ben presto un presente: ~pvxa.oµat, µvxa.oµat, µ'l']xa.oµat, yEywvÉw, etc. 181), sarebbe allora possibile tentare di stabilire la cronologia relativa del passaggio dagli intensivi originari ai perfetti intensivi nella lingua greca: il fenomeno è predocumentario (in Omero appare già concluso), ma non risale ad epoca molto antica, poiché presuppone già

(s)cand-, e, per altro verso, di kan-i-krad- - probabilmente da un *kranikrad- - : krand-. Sul grado vocalico *-e- del raddoppiamento intensivo indiano d. anche K. Hoffmann, « Wiederholende » Onomatopoetika im Altindischen, « lndog. Forsch. » 60 [1952], p. 262 (= Aufsi:itze, cit., I, p. 43); per altro verso, non mancano neppure nel greco antico esempi di raddoppiamento intensivo a vocalismo -1-, -ei- (d. E. Schwyzer, Griech. Gramm., cit., I, p. 647 sg.: 6Ev6puw, 6Ev6l).ì.w, oltre ai noti 6EL6Éxa-taL,6EL6r.ax6µEvo;; etc., sui quali d. soprattutto B. Forssman, Homerisch 6E~6ixa-ta~ und Verwandtes, « Sprache » 24 [1978], 1, p. 3 sgg. e specie p. 18 sg.). 1 1Kl Cf. E. Tichy, Onomatop. Verbalbild., cit., p. 70. 181 Un elenco in I. A. Perel'muter, O pervonacal'noj, cit., p. 95 sg.

III - I verbi di rumore

86

l'esistenza di perfetti a grado vocalico lungo radicale e di perfetti « cappatici » e/o aspirati; di fatto è noto che tutti questi tipi di perfetto rappresentano innovazioni abbastanza tarde, specifiche della lingua greca. Una volta di più il dato è confermato nel raffronto con l'indiano antico, in quanto il gruppo dei perfetti dell'intensivo e dei perfetti comunque derivati da temi raddoppiati a valenza iterativo-intensiva si configura come una categoria ancora in fase di costituzione nel RV 182•

Sulle attestazioni dei perfetti intensivi indiani rinvio a J. Narten, Vedisch lelitya, cit., p. 2 sg. La cronologia qui delineata prescinde dal riconoscimento dell'esistenza di un intensivo già stabilmente fissato nell'i.e. comune (negata, ad es., da K. Hoffmann, « Wiederholende » Onomatop., cit., p. 44 sg.); è infatti ammissibile l'esistenza in àmbito i.e. comune di un tipo di presente con valore intensivo-iterativo derivabile dalla radice verbale con diversi meccanismi di raddoppiamento, spesso in concorrenza tra loro, e in tal modo si spiega la mancanza di esatte corrispondenze tra forme intensive indiane e greche antiche; inoltre, come visto, molto spesso l'intensivo si realizza in radici di origine onomatopeica, che per ciò stesso sono escluse dal confronto comparativo-ricostruttivo. ~ del resto assai discutibile, nel campo della morfologia, proiettare in epoca indoeuropea-comune intere forme ricostruite, dalle quali discenderebbero per filiazione le forme verbali o nominali delle singole lingue indoeuropee; credo sia invece legittimo ricostruire solo dei principi di funzionalità operanti in fase preistorica, i quali trovano concreta realizzazione nelle lingue storiche individuando morfologicamente i lessemi - vale a dire la struttura semasiofonologica delle radici di eredità indoeuropea - (per tale interpretazione della situazione linguistica indoeuropea mi ricollego alle osservazioni di W. Belardi espresse da ultimo in Considerazioni sulla ricostruzione dell'indoeuropeo, in Tra linguistica storica e linguistica generale - Studi in onore di T. Bolelli, Pisa 1985, p. 39 sgg. e soprattutto pp. 50-53). In un siffatto quadro, allora, l'intensivo - al pari del causativo, del perfetto, etc. si configura come una di tali categorie funziona I i , non attuali, ricostruibili per la fase indoeuropea-comune. 182

CAPITOLO

IV

I VERBI DI LUMINOSITA

Numerosi verbi indiani antichi esprimono le nozioni del1' 'aver luce', del 'risplendere', del 'brillare'. Il carattere stativo di questo gruppo lessicale va riferito evidentemente alla condizione o qualità intrinseca dell' 'esser luminoso'; non di rado, però, a tale valenza si associa - o addirittura si sostituisce - l'indicazione di un processo occasionale e volontario, e il verbo assume il significato - transitivo o comunque agentivo - di 'dar luce', 'illuminare'. Sarà allora interessante osservare il rapporto che intercorre tra assenza o presenza di un perfetto antico e carattere originariamente (o almeno prevalentemente) stativo oppure « processivo » dei verbi indiani antichi facenti parte della classe semantica ora delineata. Tali verbi per 'risplendere' sono, in ordine alfabetico (entro parentesi quadre gli esempi non pertinenti oppure scarsamente significativi): [I.

are- 'cantare, lodare' (comunemente si r1t1ene che valga

anche 'splendere') (Wh. Roots, 4; Macd. VGS, 370; Bohtlingk, I, 423 sg. + V, 1042 sg.; M.-W., 89 + 46 ... ; Grassmann, 110 sgg.). La radice indiana antica are- è attestata in un notevole numero di forme verbali (tra le quali anche il perfetto) già nel RV. Come, però, ha di recente mostrato in modo persuasivo S. Sani 183,

S. Sani, Considerazioni su sscr. are, in Studi linguistici in onore di Tristano Bolelli, Pisa 1974, p. 242 sgg. Purtroppo tale articolo non sembra esser stato utilizzato in studi recenti, quale ad es. quello di T. Goto, Die « I. Priisensklasse», cit., p. 98 sg. (solo l'Etymologisches Worterbuch def 183

88

IV - I verbi di luminosità

l'unico significato delle forme v e r b a 1 i indiane antiche è quello di 'cantare, onorare', mentre il rinvio alla luminosità (segnata probabilmente da una seconda radice are- omofona della precedente, e forse di origine nominale 1114) è riscontrabile solo in talune formazioni nominali; i due soli esempi verbali vedici (arcayas 'tu facesti splendere' in RV, III, 44, 2, e arca 'splendi!' in AV, II, 19, 3 = 20, 3 = 21, 3 = 22, 3), nei quali sembra esservi un riferimento a un fenomeno luminoso 185, sono in realtà creazioni estemporanee - quasi-denominali, secondo la definizione della Jamison 186 - sul sostantivo arei-, arcis- 'raggio, fiamma', che nei versi sopra indicati precede o segue il verbo. Pertanto una radice indiana are- 'splendere' (o che abbia occasionalmente il senso di 'splendere', se si sostiene l'identità con are- 'cantare, lodare'), priva com'è di qualsiasi concretizzazione in forme verbali antiche, non ha alcuna rilevanza ai fini della presente analisi.] [II. kas- 'apparire'; 'splendere, esser brillante' (Wh. Roots, 18; Macd. VGS, 375; Bohtlingk, II, 267 sgg. + V, 1293; M.-W., 280 + 61 ... ; Grassmann, 324 sg.). Nel RV è attestato più volte il tema dell'intensivo cakas- (sul-

Altindoarischen di M. Mayrhofer, Heidelberg 1986 sgg., I, p. 115, cita il lavoro, pur senza accoglierne la tesi). 1114 Cosl S. Sani, Considerazioni, cit., specie p. 255 sgg., e, precedentemente, K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., I, p. 118 {nota a RV, I, 93, 3 a) e p. 386 {nota a RV, III, 44, 2); T. Burrow, nella recensione al dizionario etimo!. del Mayrhofer, in « Archivurn ling. » 7 (1955), p. 153; M.B. Emeneau, anch'egli in una recensione al dizionario del Mayrhofer, in « Languagc » 33 (1957), p. 596. L'altra ipotesi, quella di una compresenza dei due valori 'cantare' e 'risplendere' {il secondo per un giuoco di opposizioni e analogie non raro nell'uso poetico indiano) nella medesima radice are-, è stata sostenuta soprattutto dal Renou, Les éléments védiques dans le vocabulaire du sanskrit classique, « Journ. Asiat. » 231 (1939), nota 1 a p. 344, e Sur l'utilisation linguistique du Rgveda (sic), « Bull. Soc. Ling. » 61 (1966), p. 7 (d. anche I'Etym. Wb. d. Altindoarischen di M. Mayrhofer, cit. nota prcc.). 185 Ma vedi S. Sani, Considerazioni, cit., p. 248 sgg., riguardo ad arcayas in RV, III, 44, 2. In AVS., II, 23, 3, in luogo di arca compare arcata (per il resto si hanno condizioni analoghe a II, 19-22, 3). i111, Cf. S. W. Jamison, Ftmction, cit., p. 79 sg. e nota 1, la quale giunge alla stessa conclusione raggiunta alcuni anni prima dal Sani, del cui lavoro sembra non aver avuto conoscenza.

II - kai-

89

l'abbreviamento metrico, cf. supra, s.v. vaf-, il caso di vavaf- da un più antico *vavaf-): tre esempi di presente (RV, I, 164, 20, e IV, 58, 5 e 9), due imperfetti (RV, X, 86, 19, e X, 135, 2), e nove participi (distribuiti nel I, IV, VIII e X libro del RV). Sempre nel periodo vedico, l'AV presenta una attestazione del causativo sam kafayami 'io faccio vedere' 187 , oltre ad alcuni esempi di intensivo (Wh. IndexAV, 83); nella prosa dei Brahma9a, poi, compare con una certa frequenza il presente medio kaf ate. II perfetto cakafe, cakafire figura per la prima volta solo nel Mahabharata (e si noti che i grammatici conoscono anche la forma perifrastica kafam cakre): si osservi la diatesi media, certamente ricalcata sul presente kafate (medium tantum). II verbo kaf- è dunque un chiaro esempio relativo alla mancanza di un perfetto originario; tuttavia la sua appartenenza in una fase più antica alla categoria dei verbi indicanti l' 'esser luminoso', il 'risplendere' appare estremamente dubbia. Infatti, per quanto il valore di 'splendere, brillare' sia ben attestato nel corso della tradizione letteraria sanscrita, nella fase vedica più antica l'unica valenza riferibile a kaf- è 'apparire, sembrare', nonché 'fare attenzione, osservare' (l'interpretazione 'brillare, splendere', data dal Grassmann alle occorrenze rigvediche del verbo, oggi non è più accolta 188). Inoltre, la comparazione con le altre lingue indoeuropee, dall'iranico (avest. a kas- 'guardare, scorgere' e numerose forme dialettali medio-iraniche e neo-iraniche 189) al greco ('t'Éxµ11p 'segno, mèta'), allo slavo (sl. ant. kazati 'mostrar(si)': si noti la variante con sonora finale di radice), ci pone di fronte a voci totalmente estranee all'àmbito semantico dello 'splendere' 190•

Cf. S. W. Jamison, Function, cit., p. 125. Si veda ad es. la traduzione del Geldner (Der Rig-Veda, cit.) a RV, I, 24, 10; I, 164, 20; IV, 53, 4; IV, 58, 5 e 9; VIII, 32, 22; VIII, 91, 2; IX, 32, 4; X, 43, 6; X, 86, 19 (due volte); X, 135, 2; X, 136, 2. Viene pertanto a cadere la ipotetica « sinestesia » tra i valori di 'guardare' [?] e 'brillare', dal Kuryfowicz (Un archa'isme, cit., p. 95) attribuita a kas- sulla base di RV, I, 24, 10 e VIII, 91, 2. Una situazione in parte analoga a quella qui evidenziata per kas- è riscontrabile per la radice pu-, che significa 'purificare (col fuoco)', ma dal Grassmann, Wb., cit., col. 838 sgg., è arbitrariamente riportata a un valore originario 'esser chiaro'/ 'render chiaro'. lll'l Cf. H. W. Bailey, Dictionary, cit., p. 57, s.v. kas-. 190 Diverso parere esprime F. Bader, Autour de Polyphème, cit., p. 130. Nei lessici osseti del Miller (Osetinsko-russko-nemeckii slovar', II, Leningrad lA7

188

90

IV - I verbi di luminosità

:8 pertanto ragionevole ritenere che la valenza originaria del1'ind. ant. kàs- fosse 'apparire, sembrare' (con riferimento seriore all' 'apparir luminoso'), e che dunque si tratti di verbo invero stativo, ma non appartenente alla classe lessicale qui presa in considerazione.] [III. cakas- 'splendere, esser luminoso' (Wh. Roots, 43; Bohtlingk, II, 905 sg. + V, 1403; M.-W., 380). Questo verbo non è testimoniato nella letteratura indiana prima dell'epoca sanscrita classica (pres. cakasti, cakasati; causativo perifrastico). Sebbene il Mayrhofer (I, 365) affermi che « das lautliche Verhaltnis [scii.: von cakasti zu kafate] ist nicht ganz klar », mi pare abbastanza evidente che -s- per -f- sia un pracritismo (cf. ad es. pali s per sanscr. s,!, s). Tale ipotesi è avvalorata, a mio parere, dall'esistenza di due forme verbali che solitamente i lessici riportano alla radice cakas-: cakàsete 'loro due splendono', nel Mahiibharata (due volte, in III, 438 [ = III, 12, 53 nella edizione critica di Poona, 1942] e in VIII, 2328 [ = VIII, 33, 16 nella edizione critica di Poona, 1954]), e il pt. pres. cakafant- 'splendente' nel Bhagavata-Purit}a (III, 19, 14) 191. Queste due forme sembrano documentare una fase di transizione, nella quale il tema raddoppiato cakas-, derivato di kas- nella valenza specifica (attestata proprio a partire dal periodo epico) di 'brillare, splendere', iniziava ad acquisire una autonomia flessionale, cioè a funzionare come una vera e propria radice (I classe, vale a dire presente di tipo tematico); tale autonomia flessionale di cakaf- ha poi consentito il pre1929 [rist. anast. The Hague - Paris 1972], p. 684 sg.) e dell'Abaev (Istorikoetimologiceskii slovar' osetinskogo ;azyka, I, Moskva - Leningrad 1958, p. 589 sg.) non ho trovato conferma del secondo valore ('to shine') dato per l'oss. kiisun / kiisyn da H. W. Bailey, Dictionary, cit., p. 57, s.v. kas-; pertanto non mi sembra prudente ritenere che l'osseto manifesti, unico tra i dialetti iranici, una isoglossa lessicale con l'indiano antico kas-. 191 Questa seconda forma è talora « normalizzata i. come cakasat (con s in luogo di s) in edizioni indiane del Bhagavata-PuriJ:ia (d. ad es. l'edizione di Madras [1937], I, p. 292 sg.). In realtà la lezione originale cakiisat non rappresenta necessariamente un anacronismo, poiché il Bhagavata-Pur~, sebbene redatto nel XII secolo o poco prima, per argomenti e per lingua riflette una tradizione assai più antica, identificabile con il tardo periodo epico (d. ad es. M. Winternitz, Geschichte, cit., I, p. 464 sgg.).

III • cakiis-

91

valere, in epoca tardo-sanscrita, dell'allotropo « popolare » cakas- e ciò a sua volta ha determinato la definitiva separazione di tale verbo dalla base originaria kas-,e la creazione di ulteriori forme verbali testimoniate nell'ampia trattatistica grammaticale (un perfetto perifrastico nel Bhagikavya - cf. supra, nota 158 -; un piuccheperfetto, un aoristo raddoppiato, etc., in epoca ancor più recente}.]

[IV. cand-, scand- 'splendere, esser luminoso' (Wh. Roots, 177; Bohtlingk, II, 938; M.-W., 386 e 1093; Grassmann, 1414). Al di là di una isolata attestazione del participio intensivo caniscadant-nel RV (V, 43, 4) - cf. anche supra, nota 179 -, la radice verbale (s)cand- non è documentata nella letteratura indiana antica; il pres. candati è nel Nirukta di Yaska, opera lessicografica di poco anteriore a quella di Pai:iini; altri temi verbali sono « costruiti » dai grammatici successivi. È pertanto evidente che la grave carenza di forme documentarie impedisce di trarre una qualsiasi conclusione in merito a una originaria difettività del perfetto; e questo nonostante il fatto che (s}cand- sia radice di sicura eredità indoeuropea, come dimostrano da un lato le numerose attestazioni di formazioni nominali già in fase rigvedica (soprattutto l'agg. candra- 'luminoso', -scandra-come secondo elemento di composto}, dall'altro le corrispondenze in diverse lingue indoeuropee (dal participio khotansacio cadana- 'splendente' 192 al lat. candere 'brillare, esser candido' - pf. candui, di tipo non molto antico -, al cimr. cann 'bianco, luminoso', all'alb. bene 'luna' - cf. ved. candra- m. [poi anche f.] 'luna' -).]

cit- 'percepire, osservare'; (med.} 'apparire' (Wh. Roots, 47; Macd. VGS, 382; Bohtlingk, II, 1009 sg. + V, 1419; M.-W., [V.

+ 48 ... ;

Grassmann, 447 sgg. + 1761). Questo verbo, uno dei meglio attestati nell'intero RV, viene qui segnalato solo per via dei valori '(er)glanzen, strahlen, (er)leuchten' che il Grassmann (l. cit.) credeva di poter attribuire a una parte delle attestazioni di cit- nel più antico documento letterario 395

Cf. soprattutto H. W. Bailey, Irano-Indica N, « Bull. of the School of Or. and Afr. Studies » 13 (1951), 4, p. 926 sgg. (specie pp. 928-930), nonché Dictionary,cit., p. 98, s.v. cadana-(da un iran. *candana-). 192

92

IV - I verbi di luminosità

indiano 193• Se la interpretazione del Grassmann fosse corretta, si sarebbe indotti a supporre che il valore 'splendere' sia notevolmente arcaico, e pertanto cit- potrebbe essere incluso nel gruppo dei verbi relativi all' 'esser luminoso', al 'risplendere'. Di fatto, come nel caso di are- e di kas-,una siffatta ipotesi si rivela fallace. In primo luogo, il Grassmann, probabilmente ingannato dal non raro riferimento ad Agni, U~as o altra divinità che incarna un principio luminoso, ha - per cosl dire - «forzato» il senso di cit- (basta dare, ad esempio, un'occhiata alla traduzione del Geldner 194 per accorgersi che tale verbo anche nei passi in questione conserva la valenza generale di 'percepire', ovvero di 'mostrarsi, apparire, esser visto', al più 'distinguersi'). In secondo luogo, cit- è etimolo-

Non è agevole redigere un elenco dei passi nei quali il Grassmann intende cit- come '(er)gllinzen, strahlen, (er)leuchten'; tenuto conto del fatto che spesso tali valori sono rubricati insieme a 'erscheinen', un conto approssimativo, che per la ragione suesposta pecca per eccesso, darebbe un totale di 38 esempi, cui potrebbero aggiungersi i 6 esempi di cétif{ha-, superlativo inteso dal Grassmann come 'der gllinzendste, sehr gliinzende'. Sul presunto valore originario 'divenir chiaro, luminoso' di cit- d. anche B. Delbriick, Vgl. Syntax, cit., II, p. 180, nonché il recente contributo di T. Goto, Die « I. Priisensklasse », cit., p. 137 sgg. 194 Cf. K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., passim (traduzione di RV, III, 11, 3; VI, 12, 3; V, 59, 3; VII, 42, 4; Il, 4, 5; IV, 23, 2; X, 3, 4, etc.); sulle forme causative si veda anche S. W. Jamison, Function, cit., pp. 57 sg., 74 e 161 sgg. (a p. 60 la Jamison è incerta se tradurre citayanta di RV, Il, 34, 2 come 'apparivano' - con il Geldner -, oppure 'splendevano'). Un caso a sé stante è costituito dal pt. causativo citayantam (ace. sg. m.), che figura in RV, VI, 6, 7: in questo unico esempio nel quale cit- sembra dover essere interpretato (K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., Il, p. 99) nel senso di 'brillare, splendere' (vedi comunque S. W. Jamison, Function, cit., p. 57 e nota 25), siamo in presenza di un estemporaneo accostamento paretimologico come non di rado avviene nel RV. Infatti, la strofa in questione è: sa citra citram citayantam asmé citrak;atra citratamam vayodham I cand,am rayim puruvtram brhantam candra candrabhir gr,:zatéyuvasva I I' e appare di immediata evidenza che l'uso di citayantam nel senso di 'brillante' è qui dettato da un giuoco etimologico (Geldner, /. cit.: « Spiel ») con citra, citram, citrak;atra, citratamam, tutti termini nei quali l'elemento connotativo è citra- 'luminoso, eccellente', erroneamente riportato alla radice cit- (si veda al riguardo la nota seguente), secondo il comune schema derivazionale degli aggettivi in -ra-. 193

V· cit-

93

gicamente connesso con ci- 'osservare, notare' (ampliamento in dentale: cf. Mayrhofer, I, 398 sg.) 195, e pertanto il suo significato più antico appare essere precisamente 'percepire, osservare' (né sono disponibili raffronti con verbi indoeuropei di luminosità). Pertanto, l'ind. ant. cit- non appartiene al gruppo dei verbi indicanti l' 'esser luminoso', lo 'splendere', e non è neppure verbo stativo - nel senso qui accolto -, in quanto fa riferimento a un processo sensoriale quale è la percezione visiva o mentale.] [VI. jyut- 'brillare, splendere' (Wh. Roots, 57; Bohtlingk, III, 157 + V, 1451; M.-W., 427 + 98; Grassmann, 503). Come da tempo noto (cf. già Wack. AiGr., I, 163), jyut- è un allotropo tardo-vedico di dyut- id., con uno sviluppo fonetico dy- > j(y )· che sarà poi proprio anche della fase pracritica 196• È da notare la presenza non solo di un causativo jyotaya (imperat. II sg.) già nell'AV (VII, 16, 1), e di un pres. indicat. jyotati, jy6tate in una delle recensioni del YV nero nonché in un paio di commenti vedici 197, ma anche del sostantivo deverbale jy6tis- n. 'luce' - in un numero di esempi largamente superiore al centinaio - in tutti i libri del RV (non esiste, nell'intero RV, una sola attestazione di

195

Come giustamente osserva il Mayrhofer, Kur:r.gef. etym. Wb., cit., p. 398 sg., s.v. cétati, e p. 387 sg., s.v. citra!,, l'agg. citra- 'eccellente, luminoso ...' non va riportato a cit- 'percepire, osservare', ma va connesso con ketu- 'luminosità, luce, forma', e risale, in ultima analisi, a una radice iniziante non per labiovelare originaria (come invece ci-, cit-), bensl per velare pura (come dimostrano le forme gotiche corrispondenti a citra-, ketu-). Sul valore di ketu-, citra-, cit-, si veda anche L. Renou, Etudes sur le vocabulaire du Rgveda, Jére série, Pondichéry 1958, p. 15 sgg. (cit- 'distinguere' a p. 17 sg.). 196 Oltre a M. Mayrhofer, Kurzgef. etym. Wb., cit., I, p. 449, s.v. iy6tati, e p. 9, cf., a notevole distanza di tempo, A. Meillet, De quelques dilficultls de la théorie des gutturales indo-européennes, « Mém. Soc. Ling. » 8 (1892-94), p. 295, e S. W. Jamison, Function, cit., p. 82, nonché T. Goto, Die « I. Priisensklasse », cit., p. 176 sg. (il quale riscontra un'accezione di iyut- leggermente diversa rispetto a dyut-). La diversa ipotesi avanzata dal Tumer (A Comparative Dictionary o/ the Indo-Aryan Languages, London 1966, p. 291, s.v. JYUT·), secondo il quale iyut- potrebbe essere stato influenzato da ;var-, ;val- 'bruciare (luminosamente)', sembra essere inficiata da un anacronismo di fondo (iy6tis- 'luce' è voce rigvedica, ;var- e ;val- sono il primo solo sanscrito, il secondo tardo-vedico). 197 Cf. Visva-Bandhu Sastri, op. cit., I, .3, p. 1394, e IV, 2, p. 1127.

IV - I verbi di luminosità

94

dy6tis-). Il carattere bisillabico di jy6tis- nel RV 198 denunzia l'avvenuta confusione di dy- (realizzato come / diy/) in ;- (forse affricata palato-alveolare; la presenza, nel testo, di -y- è probabilmente dovuta soltanto all'analogia con dyut-). Abbiamo dunque la possibilità di collocare jyut- in un'epoca piuttosto arcaica, e utilizzare le forme documentarie di tale radice a complemento di quelle testimoniate per dyut-.]

VII. di-, didi- 'splendere, brillare' (Wh. Roots, 74; Macd. VGS, 389 sg.; Bohtlingk, Ili, 641; M.-W., 480 + 63 ... ; Grassmann, 608 sgg.). La radice ind. ant. di-, didi- è rappresentata in un ampio numero di forme verbali nel corso della letteratura vedica: nel RV figurano numerose attestazioni del presente, del perfetto (didétha, didaya, etc.), del piuccheperfetto (cf. infra), e il verbo è largamente adoperato nelle altre Sam.hita e nella prosa successiva (è invece pressoché assente nel periodo sanscrito). È da notare che t u t t e le forme verbali attestate nel RV, con l'eccezione dell'imperat. II sg. didihi (su cui vedi oltre), presentano raddoppiamento lungo (di-); e lo stesso imperat. II sg. didihi (in 11 esempi) alterna con didihi (in 14 esempi), presumibilmente per effetto di un abbreviamento che interessa in clausola di endecasillabo o dodecasillabo ora la sillaba del raddoppiamento, ora la sillaba radicale, a partire da una base *didihi 199•

Cf. M. B. Emeneau, The Dialects of Old Indo-Aryan, in Ancient IndoEuropean Dialects, Berkeley - Los Angeles 1966, p. 130. 199 Su tale punto mi discosto dalla spiegazione fornita da M. Leumann, Der ai. kaus. Aorist, cit., p. 155 sg. (il quale ritiene che « offentsichtlich ist didihi als grammatisch richtige Form in der Dichtertradition erhalten geblieben. In didihi muss man eine Neuerung sehen [ ...] »), e da J. Narten, la quale, nel suo ampio e documentato studio dedicato a tale verbo indiano (Vedisch didltya « leuchtet » und Zugehoriges, « Zeitschr. f. lndol. u. Iran. » 13/14 [1987], p. 151 sg. e nota 4), si limita a osservare la distribuzione complementare di didihi e didihi in funzione del metro. Una valida indicazione in favore dell'esistenza originaria di un prototipo *didihi comune alle due forme documentarie è fornita, a mio avviso, dalla conservazione di forme a raddoppiamento lungo e sillaba radicale lunga là dove il metro lo consentiva (cioè fuori di clausola): didJya in RV, Il, 35, 4; IV, 6, 7; VII, 3, 5; VII, 12, l; VIII, 102, 11; didétha in RV, I, 36, 19 e I, 44, 10; didet in Il, 2, 8 (ing. perfetto: d. K. Hoffmann, Der In;unktiv, cit., p. 121 e nota 28): se si pensasse che il 198

VII - di-, didJ-

95

Da questa constatazione possiamo trarre una prima indicazione di un qualche rilievo: il raddoppiamento, costantemente lungo, non sembra costituire una marca morfologica, ma si configura come un procedimento espressivo (con valenza presumibilmente intensiva, cf. infra) che interessa tutto lo spettro delle formazioni verbali di di- (e gran parte di quelle nominali :m). In un siffatto quadro, il perfetto didétha, didiiya, didiyur, didet, didiviirhs- etc. rappresenterebbe, in quanto tale, una formazione non ereditaria, bensl creata secondariamente nella lingua indiana. Non è sempre possibile individuare con sicurezza il tempo dell'azione - presente ovvero preterito - relativo alle forme rigvediche sopra citate, ma in entrambi i casi sembra necessario ammettere l'origine secondaria di tali perfetti: se, con il Delbriick z, 1, si intendono didétha, didiiya etc. come preteriti, si è indotti a ritenere che il perfetto sia stato coniato per esprimere il tempo passato in una radice che di per sé presentava già un raddoppiamento (lungo); se, invece, come pare di gran lunga più probabile :m, nella maggior parte delle occorrenze rigvediche il pf. didétha, didiiya etc. non ha valore preteritale ma di presente, allora vien naturale supporre che tali forme costituiscano una « retroformazione» a partire dal preterito (imperfetto - forse di un intensivo? - interpretato come piuccheperfetto) adides (tre attestazioni nel RV), adidet (due esempi nel RV) a:xn,i•• Secondo entrambe le spiegazioni, comunque, il perfetto del verbo di-, didi- non rifletterebbe uno stato di cose molto antico, ma sarebbe il risultato di uno sviluppo interno alla lingua indiana :m.

raddoppiamento lungo sia l'effetto della brevità della sillabaradicale(,.u u > - u), non si spiegherebbero certo questi casi nei quali la sillaba del raddoppiamento è lunga nonostante il fatto che la sillaba successiva sia già essa stessa lunga. :m Cf. P. Kretschmer, Dyaus, ZEvç, Diespiter und die Abstrakta im Indogermanischen, « Glotta,. 13 (1924), p. 110; _J.Narten, Ved. clidiya, cit., p. 1.53, suppone che nella formazione cli su-dldati-, dldyagni-, etc., abbia avuto un peso determinante l'analogia sull'imperativo didihi. Z11 B. Delbriick, V gl. Syntax, cit., II, p. 173 sg.; si veda però la Altind. Syntax, cit., p. 297 sg. :m In questo senso si veda già P. Thieme, Das Plusquampf., cit., p. 37; cf. anche, più recentemente, J. Narten, Ved. leliya, cit., p. 3, e soprattutto Ved. cliditya, cit., p. 150 11g. 2l21>i• didet in RV, Il, 2, 8 (I, 193, 8 per Thiemc, cit. nota 202!), è seriore, cf. Hoffmann, cit. nota 199, p. 276 e nota 19. :m La valutazione del presente inclicat. didyati (III pi.: AV, X, 10, 28),

96

IV • I verbi di luminosit~

Per quel che concerne le corrispondenze dell'ind. ant. di-, did'lcon forme verbali di altre lingue indoeuropee, va ricordato in primo luogo il gr. (hapax omer.) oÉa'to 'sembrava', congiuntivo (arcad.) oÉti'to (nonché altre forme, sigmatiche, in parte con grado *-oy- radicale: oocicrcra'to,oocicrcrE'tT}O'E't'rx.t225, all'aoristo tematico omer. cpa.E; per il resto si è generalizzato un tema a suffisso nasale cptxv- (pres. cptxlvoµaL), con tre tipi di perfetto 1tÉcptxv't'txL, 1tÉcpT)va.e 1tÉcptxyxtx,nessuno dei quali va però considerato molto antico 226• Continuatori (verbali e nominali) della ra-

223

Su quest'ultima forma si veda in particolare P. Thieme, Remarks on the Avestan Hymn to Mithra, « Bull. of the School of Or. and Afr. Studies », 23 (1960), 7, p. 267; altre indicazioni in Ch. Bartholomae, Altiran. Wb., cit., coll. 1453 e 1479, e J. Kellens, Le verbe, cit., p. 88 sg. e nota 3 (con bibliografia). 224 Cf. soprattutto H. W. Bailey, Dictionary, cit., p. 277. 225 Sul futuro raddoppiato cf. V. Magnien, Le futur grec, Paris 1912, I, p. 326; P. Chantraine, Histoire, cit., p. 142 sgg.; Id., Gramm. homér., cit., I, p. 447 sg. 226 Dei tre perfetti, 1tÉq>a:yxa., transitivo, è ovviamente tardo, come conferma l'attestazione solo a partire da Dinarco (IV sec. a.C.; cf. P. Chantraine, Histoire, cit., p. 140). L'intransitivo -n:Éq>TJ'Vllè anch'esso una innovazione greca, post-omerica (da Eschilo in poi; oltretutto il grado apofonico radicale *-iin- è estraneo alla struttura indoeuropea, cf. P. Chantraine, Histoire, cit., (III sg.; I sg. 1tÉq>a.aµa.~- da Sofocle -, pt. pp. 43 e 81). Infine, 1tÉq>a.V't'a.~ omer. 1tEq>a.crµlvo"V)è il più antico (in tutto quattro occorrenze nell'Iliade; si aggiunga il ppf. III pl. i1tÉq>a.'V't'Onello Scutum pseudo-esiodeo), ma denuncia esso stesso la propria origine secondaria, sia per la diatesi media (secondo il pres. q>a.l'Voµa.~), sia per il grado apofonico q>a.'11-anteconsonantico in luogo dell'atteso grado zero *q>a.- (*bht1-C): cf. P. Ch~ntraine, Gramm. homér., cit., I, pp. 432 sg. e 448; E. Schwyzer, Griech. Gramm., I, p. 694 e nota 3 (la

XI - bha-

105

dice i.e. *bhà(w)- sono presenti m varie altre lingue indoeuropee, dall'armeno (banam, aor. bac'i 'porto alla luce, apro, spiego') all'irl. ant. han 'bianco', all'ags. bonian 'polire, lucidare' (derivato causativo, quindi comunque debole), ma non forniscono alcuna testimonianza in merito alla presenza o meno di un perfetto antico. [XII. bhas- 'splendere, esser luminoso, apparire' (Wh. Roots, 110; Bohtlingk, V, 272 sgg. + 1658; M.-W., 755 sg. + 101. .. ; Grassmann, 934). La radice verbale bhàs-, non rappresentata nel RV, è testimoniata nell'AV (indicat. pres. vi bhasati in AV, XIII, 4, 7; cong. pres. vi bhasasi in AV, XIX, 26, 3), nonché nel YV bianco (VajasaneyiSarhh., XII, 32: pt. pres. bhasant-)e nero (Maitrayar:iI-Sarhh.,IV, 14, 14, etc.: pt. pres. medio a bhasamana-).Nella prosa tardo-vedica tale verbo compare nel solo tema di presente e nel causativo (Upani~ad); a partire dall'epica, invece, è documentato anche un perfetto medio (babhiise),con ogni evidenza costruito sul presente, che nell'epica è « medium tantum ». Come osserva il Mayrhofer (II, 498 sg.), bhas- presenta un ampliamento in -s- a partire da bha- (cf. supra); appare dubbio se tale formazione sia da riportare a un periodo indoeuropeo comune, oppure rappresenti una creazione monoglottica dell'indiano antico: gli unici elementi certi a disposizione sono dati da alcune corrispondenze - nominali, non verbali - nei dialetti kafir w, mentre, tra

I sg. 1tÉq>ciaµ.a~e il pt. 'ltEq>aCTµ.Évov,irregolari da un punto di vista fonetico, possono spiegarsi per analogia sui temi verbali uscenti in dentale o su forme nominali come cpa.aµn. etc., piuttosto che come le uniche «sopravvivenze» greche di un terzo tema - o radice? - *q>aCT-,da comparare con l'ind. ant. bhas- [d. nr. XII]). Quanto poi alla glossa esichiana 1tÉT1·fcpa.vrii'i 1tEq>vxa~, che lo Schwyzer, Griech. Gramm., cit., I, p. 770 e nota 7, sembra considerare il tipo più arcaico di perfetto, non si può non concordare con il Frisk (Gr. etym. Wb., cit., II, p. 983) sullo scarso peso da attribuire a questa e all'altra glossa di Esichio q>a'll'tll• À.a.µ1to'll'ta (tra l'altro si deve osservare che 'ltÉq>TJè glossato non con un perfetto, ma con l'aoristo fq>livri,e ciò costituisce un ulteriore motivo di dubbio riguardo all'attendibilità dell'analisi dello Schwyzer). m Cf. G. Morgenstierne, The Language of the Ashkun Kafirs, « Norsk Tidsskr. f. Sprogvid. » 2 (1929), p. 249, s.v. bas.

IV - I verbi di luminosità

106

le altre lingue i.e., solo il russo bas, bas' 'ornamento, gioiello' potrebbe essere confrontato con la formazione indiana antica 228• Stante l'impossibilità di accertare l'antichità - indoeuropea oppure soltanto indiana - di bhiis-, credo si debba rinunziare ad attribuire alla mancanza di un perfetto antico in questo verbo una particolare rilevanza; una valutazione prudente suggerisce, piuttosto, di considerare i dati di bhas- complementarmente a quelli individuati per la radice bha-, e a vedere nella forma derivata la conferma di quanto si era precedentemente evidenziato nell'analisi della forma senza suffisso.] XIII. bhraj- 'splendere, scintillare' (Wh. Roots, 115; Macd. VGS, 403; Bohtlingk, V, 406 sg. + 1662; M.-W., 770 + 36 ... ; Grassmann, 966). La radice indiana bhraj- emerge alla documentazione letteraria in epoca assai alta, visto che nel RV sono attestate ben 13 forme dell'indicativo presente tematico (solo medio) e 11 del participio presente tematico (6 volte attivo); sempre nel RV figurano un aoristo radicale II sg. abhraf (due esempi) e un aoristo « passivo » III sg. abhraji (una attestazione). Alle forme di presente, ben testimoniate anche nell'AV, si aggiunge in quest'ultimo un esempio di precativo dell'aoristo (AV, XVII, 20); l'ottativo aoristo in -ifnel Yajurveda nero (MaitrayaQ.I-Samh.,IV, 9, 5 : 126, 1: bhrai#iya) va invece considerato una creazione occasionale, come ha osservato J. Narten 229• Nella letteratura vedica non sono testimoniati altri temi verbali; il perfetto babhraja e il futuro bhrajifyate appartengono al periodo epico (Mahabharata), al pari del causativo bhrajayati. La seriorità del perfetto nella radice ind. ant. bhraj- appare dunque senz'altro significativa, considerata l'antichità indiana e indoeuropea di tale radice. Proprio dal raffronto con le altre lingue indoeuropee emergono ulteriori indizi in favore della ipotesi di una generale mancanza di un perfetto originario: il verbo avestico braz-

228

Una discussione al riguardo, che non trascura gli elementi contrari alla ipotetica corrispondenza, in M. Vasmer, Russ. etym. Wb., cit., I, p. 58; ulteriori ragguagli nel recente V ergleichendes W orterbuch der slavischen Sprachen di L. Sadnik e R. Aitzetmiiller, I, Wiesbaden 1975, p. 127 (nr. 129 b). m Cf. J. Narten, Die sigm. Aoriste, cit., p. 184.

XIII - bhrai-

107

'brillare, splendere' (Bartholomae, 972; Kellens, 16 sg.) non è documentato al perfetto; se poi le radici indiana e iranica appartengono a un tipo con laterale originaria, allora potrebbero essere addotti anche i dati del greco {cpÀ.Éyw 'brucio, ardo, illumino' possiede un perfetto - medio - solo con Licofrone e Plutarco), del latino (fulgere, poi fulgere, ha un perfetto fulsi che è in realtà un antico aoristo sigmatico; flagrare - forse in origine verbo denominale - presenta un pf. flagravi di tipo recente), nonché del germanico (l'a.a.t. blecchen 'risplendere, brillare', il neerl. med. blaken 'fiammeggiare, ardere' etc. sono verbi deboli; i verbi forti nord. ant. blikja, ags. blican etc. 'splendere, rilucere, illuminare' appartengono invece a un'altra struttura radicale, *bhl(V)yg/g-) e del tocario (toc. A e B piilk- 'brillare', con preterito - forte - A pi:ilk, B pi:ilka,privo di alternanza vocalica nelle forme documentate) L'attribuzione di ind. ant. bhraj-, avest. braz- etc. a una radice indoeuropea con laterale ovvero con vibrante non può ovviamente esser definita con certezza, visto che l'indo-iranico ha quasi totalmente confuso *[ e *r in un'unica articolazione vibrante; né si può escludere, come nota il Mayrhofer (II, 530), che le due radici i.e. siano confluite nell'indiano antico bhraj- (vorrei ricordare, d'altra parte, che già a livello indoeuropeo sembra talora manifestarsi una allotropia tra radici con vibrante e con laterale: cf. supra, s.v. ra(i)-, S 3.2, nr. Xl). In ogni caso, se è vero che i grammatici indiani testimoniano non solo bhras-, ma anche bhlas- 'brillare, ardere' quali allotropi di bhraj- (suffisso in palatale sorda, cf. Mayrhofer, II, 532), tuttavia, nel quadro indoeuropeo generale sembra che un vocalismo lungo originario risultante da contrazione con scevà appaia solo quando la radice presenta vibrante, e cioè *bh(V)r(V)ag-. 23:).

[XIV. raj- ['splendere']; 'regnare' (Wh. Roots, 138; Macd. VGS, 412; Bohtlingk, VI, 310 sgg.; M.-W., 872 + 15 ...; Grassmann, 1156).

23l Se si muove invece da una radice con vibrante ongmaria, allora il confronto riguarda solo forme nominali (got. bairhts 'chiaro', etc., cf. S. Feist, Vgl. Wb., cit., p. 76 sg.) oppure verbali, ma appartenenti a gruppi linguistici (p. es. lit. bréksti 'far giorno', russo breziit 'fa giorno', cf. E. Fraenkel, Lit. etym. Wb., cit., I, p. 55 b) che non conservano comunque alcuna traccia del perfetto indoeuropeo. Questa scelta è fatta propria anche da T. Goto, Die « I. Prii.rens/elasse,., cit., p. 233.

IV - I verbi di luminosità

108

La tradizione dell'esegesi rigvedica assegna a rai- i due distinti valori di 'regnare' (cf. raj- 're, dominatore') e di 'splendere' (il Grassmann, l. cit., giunge a distinguere due radici verbali in conformità ai due àmbiti semantici; cf. anche il Mayrhofer, III, p. 56). A ben vedere, però, l'interpretazione dei passi del RV (nemmeno una ventina) nei quali raj- significherebbe 'splendere' è tutt'altro che pacifica 231; vi è anzi chi, come il Renou 232, nega totalmente la legittimità di attribuire a (vi) raj- del RV la valenza 'brillare, splendere'. E, per quel che concerne l'uso del verbo nel periodo tardo-vedico e sanscrito, le non molte attestazioni di raj- quale verbo di luminosità (a titolo indicativo si veda il dizionario di Bohtlingk e Roth, l. cit.) si spiegano facilmente o come sviluppi semantici secondari 233, oppure come ripresa di una valenza che la tradizione grammaticale indiana attribuiva (forse a torto) a raj- in taluni brani del RV. Sulla base di una documentazione cosl incerta, non sembra né prudente né ragionevole utilizzare raj- quale verbo per 'splendere, brillare' ai fini di stabilirne l'originaria difettività del perfetto; tra l'altro non si deve dimenticare che raj- nel senso di 'regnare, governare' non poteva di per sé possedere un perfetto, in quanto antico denominale.] XV. ruc- 'splendere, brillare, illuminare' (Wh. Roots, 141 sg.; Macd. VGS, 413; Bohtlingk, VI, 358 sgg. + VII, 1796; M.-W., 881 sg. + 15 ... ; Grassmann, 1170 sgg. + 1768). La radice verbale ruc- è largamente documentata nel RV, in cui a un presente (r6cate) e a un imperfetto (arocata) medi, fanno riscontro un perfetto attivo (ruroca) e medio (rurucé) - in tutto 13 esempi, compresi due participi -; un pt. aoristo (medio) rucana-; un aoristo passivo (aroci, due volte); un aoristo raddoppiato (aru231

Cf. già H. Oldenberg, 'J!..gveda,cit., I, p. 81. Nella recensione al dizionario etimologico del Mayrhofer, apparsa in « Kratylos » JO (1965), p. 102. Già il Geldner, comunque, nella traduzione dei brani rigvedici optava in genere per la valenza 'regnare, governare' là dove il Grassmann intendeva 'brillare, splendere'. La scelta dei due studiosi non è totalmente condivisa da T. Goto, Die « I. Prasensklasse », cit., p. 270 sg. (il quale però non propone una soluzione che spieghi la duplicità dei valori eventualmente riconoscibili in raj-). m Cf. soprattutto J. Gonda, Semantisches zu idg. reg- « Konig » und zur Wurzel reg- « (sich aus)strecken », « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 73 (1956), p. 164 sg. 232

XV - ruc-

109

rucat); un causativo m -aya-; un intensivo (pt. r6rucana-, un esempio) zi.1. La ricchezza di temi verbali attestati per ruc- nel RV e l'elevato numero delle forme di perfetto inducono a ritenere tale tipo di formazione assai antico. Si devono tuttavia evidenziare alcuni dati di notevole interesse. La radice ruc- è adoperata nel presente indicativo (medium tantum) se non con valenza transitiva - solo la diatesi attiva di tale verbo, già a livello indoeuropeo, possedeva un caratcerto con una sfumatura agentiva ben tere transitivo-fattitivo 235 -, percepibile: nella grande maggioranza degli esempi si tratta del 'dare luce' operato da Agni (il Fuoco) o Surya (il Sole), non dello 'splendere', del 'brillare', dell' 'esser luminoso' di un luogo o di un oggetto. Tale carattere intransitivo ma agentivo è ugualmente riscontrabile nei cinque perfetti medi, mentre ben cinque o sei degli otto perfetti attivi (rurucur in RV, IV, 7, 1; IV, 16, 4; VI, 62, 2; VIII, 3, 20 [se si accoglie l'interpretazione del Grassmann e del Roth piuttosto che quella di Sayai;ia]; X, 122, 5; rurucyas in VI, 35, 4) hanno valore transitivo o addirittura fattitivo 236 ! Ovviamente una sifSu tali forme si veda soprattutto K. Hoffmann, Heth. luk(k)-, cit., p. 215 sgg. n~ Cf. K. Hoffmann, Heth. luk(k)-, cit., p. 215 sg. e p. 219. Zl6 Cf. ad es. L. Renou, Pf., cit., p. 142 sg., e S. Insler, The Origin of the Sanskrit Passive Aorist, « Indog. Forsch. » 73 (1968), nota 11 a p. 318 (il quale senza discussione ritiene intransitivo rurucur in RV, VIII, 3, 20, e considera originaria [ ? ] la valenza intransitiva del perfetto attivo di ruc[ così già A. Margulies, Verbale Stammbildung und Verbaldiathese, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 57 (1930), p. 210, non menzionato dall'Insler]). L'ottat. perf. II sg. rurucyas in RV, VI, 35, 4, è tradotto 'brille' dal Renou (l. cii.); in realtà, come osserva il Geldner (Der Rig-Veda, cit., II, p. 133, nota a VI, 35, 4 d), la traduzione della espressione bharadvajeru suruco rurucyal?, rivolta a Indra, dipende dal valore attribuito a suruco [ = surucas]: se è inteso come accusat. pl. di suruc- f. 'luce chiara, bella' (nove occorrenze nel RV, sette delle quali in funzione attributiva 'dalla bella luce', quale composto bahuvrihi), è necessario vedere in rurucyas una forma transitiva; se invece è inteso come nominat. sg. di un aggettivo suruca- 'dalla bella luce' (riferito a Indra), allora si giustificherebbe l'interpretazione intransitiva. Mi sembra che la prima interpretazione sia di gran lunga preferibile, visto il largo impiego rigvedico di suruc-, mentre l'agg. suruca- conosce solo una sporadica attestazione nell'AV (IV, 1, 1); l'argomentazione del Renou (parallelo con bharadvajeru ... vi bhiiva in RV, I, 59, 7) non persuade, dal momento che, oltretutto, il passo rigvedico posto a confronto appartiene a un inno piuttosto recente, e quindi è quasi certamente successivo a quello qui considerato. zi.1

IV - I verbi di luminosità

110

fatta valenza, che non può essere ritenuta seriore rispetto all'altra intransitiva (pt. rurukvasan in un brano di un inno recente, RV, I, 149, 3, oltre all'incerto ruroca in RV, IV, 5, 15 Z16hi•), rappresenta la prova più evidente del fatto che il perfetto attivo di ruc- non continua un perfetto di eredità indoeuropea (il cui carattere intransitivo è fuor di dubbio). Si possono allora avanzare, con il Gonda rn, due ipotesi: o il perfetto attivo si è costituito direttamente sul tema del presente medio, a esprimere una valenza transitivo-fattitiva parallelamente al causativo e all'aoristo raddoppiato (anch'essi attivi), e il perfetto medio ha convogliato il carattere intransitivo sul modello del presente medio, oppure, com'è più probabile, sul presente medio si è costituito dapprima il perfetto medio (rurucé etc.), con identica valenza - ricordo che il perfetto a desinenze medie non è di eredità indoeuropea -, e su questo il perfetto attivo a indicare un'azione verbale transitiva o fattitiva (lo sviluppo potrebbe esser stato: r6cate-+ rurucé [pf. medio III sg.]-+ rurucur [stesso grado apofonico, ma III pi. attv.], ruroca [Ili sg. attv.], etc.). In conclusione, vediamo che la radice indiana ruc-, una delle prime, tra quelle indicanti il 'risplendere', ad aver costituito un perfetto - esso stesso non originario, come mostrato-, si distingue da altri verbi di questa categoria lessicale per un più accentuato carattere agentivo. Tale carattere agentivo trova conferma sia all'interno

236his

Come nel caso di rurucyas in RV, VI, 35, 4, anche per quel che riguarda ruroca in RV, IV, 5, 15 non è possibile formulare un'interpretazione priva di incertezze. In attesa di sviluppare la complessa argomentazione in altra sede, mi limiterò qui a ricordare da un lato che l'intendimento di ruroca dipende dal valore che si attribuisce al sostantivo neutro fznikam (soggetto oppure complemento oggetto dipendente da ruroca), dall'altro che un interessante parallelo con un altro passo rigvedico, ove ritenuto fondato, darebbe motivo di supporre che ruroca in IV, 5, 15 abbia sostituito un ruruce inadatto all'endecasillabo (ma di ciò si dirà altrove). In ogni caso, è da notare che l'inno IV, 5 in generale è un inno «mistico» (Renou, :6t. véd., cit., XIII, p. 96; Geldner, Der Rig-Veda, cit., I, p. 423); il carattere «speculativo» e alcuni punti di contatto con gli inni del X libro e quelli atharvavedici sembrerebbero indicare l'appartenenza di IV, 5 a una « facies » non molto antica del RV. Si aggiunga che la strofa 15, conclusiva dell'inno, potrebbe esser stata giustapposta in una fase successiva, in quanto contiene un « éloge banal d'Agni, destiné simplement à clore le poème ... » (Renou, :6t. véd., cit., II, p. 59): sarà dunque difficile attribuire alta antichità al perfetto ruroca che qui compare.

XV • ruc-

111

dell'indiano stesso, nel quale è attestato, a partire dal periodo tardovedico, un derivato « dialettale » della stessa radice indoeuropea *l(V)wk-, cioè lokate (causat. locayati etc.), che ha anch'esso valore agentivo e transitivo 'vedere, osservare', sia dal confronto con altre lingue i.e., e in primo luogo l'avestico, dove raok-/ruk- è adoperato « in connexion (sic) with celestial elements, the sky itself, the sun, moon and stars» Zl8' e il greco, dove À.Evo-o-w (*lewk-yi5) vale 'vedere, osservare' (ma il fenomeno è comune a più aree linguistiche indoeuropee, come mostra il Frisk 2:39;né si dimentichi che in questa radice l'attivo aveva comunque valenza transitivo-fattitiva, cf. Hoffmann, cit. nota 235). XVI. vas- 'splendere' (Wh. Roots, 155 sg.; Macd. VGS, 417; Bohtlingk, VI, 825 sg. + VII, 1801; M.-W., 930; Grassmann, 1229 sgg. + 1769). II verbo vas- 'splendere' si presenta nell'indiano antico nei due temi ad antico vocalismo radicale *-e- (vas-) e a vocalismo radicale zero (Uf·); non è sempre facile distinguere nel RV il grado zero di vas- (cioè Uf-) dalla forma della radice Uf- 'bruciare, ardere'. Questa seconda appartiene etimologicamente a una base i.e. (*(V)ws-, cf. gr. Evw etc.), connessa con la base di vas- (*(a)wes-, cf. infra) solo per quanto riguarda la struttura semasiofonologica (consonanti e sonanti). Nel RV sono attestati il presente (ucchasi, ucchati ... ; più di 60 esempi in tutto, compreso il pt.), l'imperfetto (aucchas, aucchat;

Zl8Cf. F. Mawet, « Light » in Ancient lranian, « Joum. of I.-E. Studies » 10 (1982), 3-4, p. 284 sgg. (specie p. 289); si veda anche F. Bader, Autour de Polyphème, cit., p. 113 sg. L'avest. ruk- è privo di perfetto (d. Kellens, Le verbe, cit., passim; Bartholomae, Altiran. Wb., cit., col. 1487). 239 Cf. Hj. Frisk, Gr. etym. Wb., cit., II, p. 110; altri dati in M. Mayrhofer, Kurzgef. etym. Wb., cit., III, p. 75 sg., e una spiegazione di tipo «culturale» in J. Gonda, Reflections, cit., p. 179 e nota 157. Si veda, inoltre, il recente contributo di M.L. Mayer-Modena, « Vedere», « illuminare» ed « esprimere » nella comparazione semantica indeuropeo-camito-semitica, in Contributi di orientalistica, glottologia e dialettologia, Milano 1986, p. 45 sgg. (per l'area indiana si perviene invero - p. 45 sg. - a una conclusione priva di è privo di perfetto. L'assenza di un fondamento). - Anche il gr. À.Evcrcrw perfetto nell'avestico (d. nota precedente) e nel greco ci permette di intuire che lo sviluppo del perfetto di ruc- nel!'indiano parte da premesse semantiche antiche, ma è una realizzazione formale recente.

IV - I verbi di luminosità

112

4 volte), l'aoristo radicale (avas [cf. Wack. AiGr., I, 335, § 284a]; avasran), il causativo (vasayat etc.; 6 attestazioni), e infine il perfetto attivo uvasa, Ula [Il pl.], Ulur (in 7 passi, tre dei quali appartenenti al I libro, due al III, uno al IV e uno al X). Appare dunque certa la vitalità del perfetto di vas- già nel RV; come detto, la diatesi solo attiva si accorda con le condizioni strutturali del perfetto più antiche, e la presenza di più della metà delle attestazioni nei libri meno antichi (I e X) non costituisce di per sé una indicazione molto rilevante, dal momento che i due libri in questione comprendono da soli oltre il 37 % degli inni rigvedici e oltre il 38% delle parole del RV 2AO. Quanto alla forma del raddoppiamento, molto si è scritto per sostenerne il carattere innovativo o, al contrario, conservativo; il Bartholomae e il Brugmann 241 , in particolare, consideravano il raddoppiamento in u- (uvasa etc. in sostituzione di *vavasa) la più recente innovazione indiana nel campo della formazione del perfetto (di innovazione vedica parla anche il Pisani 242, pur estremamente critico riguardo alla tesi del Bartholomae), mentre altri studiosi, tra i quali il Fortunatov, il Meillet, il Devoto, il Hauschild 243, hanno visto in tale forma di raddoppiamento un relitto indoeuropeo. Non sembra possibile, comunque, raggiungere alcun risultato certo in merito all'antichità di uvasa; si può notare,

240

Quest'ultimo dato - da prendere, com'è ovvio, a titolo puramente indicativo - è facilmente desumibile dal lavoro statistico di A. S. C. Ross, Philol. Probab. Problems (cit. nota 25), p. 37. 241 Cf. Ch. Bartholomae, Zur Vokaldehnung (cit. nota 57), p. 38 sg., e K. Brugmann, soprattutto nell'articolo Zu den reduplizierten Verbalbildungen des Indoiranischen, « lndog. Forsch. » 31 (1912-13), p. 98 (ma la prima esposizione della ipotesi risale alla 18 ediz. del Grundriss, II, 2 [ 1892], p. 1220 sg. e nota 1): entrambi riportano l'origine del tipo uvaca, uvasa etc. a uno sviluppo analogico, e superano la tradizionale ipotesi (d. J. Wackernagel, AiGr., cit., I, p. 262, § 228 a (3, e ancora di recente A. L. Sihler, Loss of *w and *y in Vedic Sanskrit, « Indo-Iran. Journ. » 19 [1977], p. 11 sg.) di una «assimilazione» vavaca > *vuvaca seguita da dissimilazione in uvaca. 242 V. Pisani, Sul raddoppiamento, cit., p. 323. 243 Cf. F. Fortunatov, Ober die schwache Stufe der urindogermanischen 'a'-Vocale, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 36 (1898-99), p. 49 sg.; A. Meillet, Introduction, cit., p. 181; G. Devoto, I perfetti indiani del tipo uviica/iicu}:i e la teoria del raddoppiamento, « Riv. lndo-Gr.-Ital. » 9 (1925), 3-4, p. 75 sgg. [227 sgg.], e soprattutto p. 82 [234]; A. Thumb-R. Hauschild, Handbuch, cit., 3a ediz., I, 2, Heidelberg 1959, p. 285 sg. (§ 521).

XVI - vas- 'splendere'

113

al più, che nell'avestico - che pure possiede una radice vah- 'risplendere' (detto dell'aurora) - non vi è traccia di un perfetto (Bartholomae, 1393 sg., Kellens; ma non si dimentichi la frammentarietà della documentazione avestica, soprattutto riguardo ai perfetti). L'attenzione va piuttosto incentrata su quella che è la semantica del verbo indiano antico e sul suo peculiare impiego. Infatti, vas(uf-) è sempre riferito (fanno eccezione solo sei attestazioni su un totale di oltre un centinaio) alla Ufas-, cioè all' 'Aurora' che 'dà luce, fu giorno', quindi anche 'sorge' (cf. 13iàGrassmann, l. cit.). Si può anzi affermare che proprio vas- (uf-) è il verbo tipico degli inni a Ufas-, in un nesso che ovviamente era suggerito ai poeti vedici da una relazione etimologica di immediata evidenza. Due sono gli elementi che emergono in un tale quadro d'uso: da un lato la valenza agentiva che ha vas- nel suo riferirsi a una divinità celeste quale Ufas-, dall'altro la connotazione « processiva » che si manifesta là dove vas- indica il 'far giorno', il 'divenir chiaro' 244 • È allora da presumere che proprio la precoce tendenza di tale radice indiana a perdere una possibile originaria valenza stativa (ammesso che *(a)w(V)savesse carattere stativo a livello indoeuropeo, il che non è dato stabilire con sicurezza 2-15 ) abbia favorito l'introduzione del perfetto là dove il contesto (riferimento a UfaS- appena prece-

Tale valore processivo appare, ad esempio, stando all'interpretazione del Geldner (Der Rig-Veda, cit., ad Il.), in I, 113, 10 (2 x), 12, 18 e 19; III, 7, 10; III, 55, 1; IV, 2, 19; IV, 51, 4, etc. (in tutto una quindicina di volte; si aggiungano 5 o 6 passi nei quali vas- è transitivo, e vale 'illuminare' o 'scacciar con la luce'). Si vedano inoltre G. Cardona, il quale, nella recensione alla Indogermanische Grammatik del Kuryfowicz, apparsa in « IndoIran. Journ. » 14 (1972), p. 67, traduce vas- / Uf· con 'become light', o, in precedenza, B. Delbriick, V gl. Syntax, cit., II, p. 214 (vas-: 'erscheinen'), e lo stesso Grassmann, /. cit. ('hell werden'). Non diversa è la situazione in taluni dialetti iranici che continuano la radice verbale *(a)wes-: per fare un esempio, nel khotansacio il verbo byus- vale 'far luce, albeggiare' (H. W. Bailey, Dictionary, cit., p. 310, s.v. byus-). 2-15 A livello indoeuropeo, oltre a una serie cospicua di nomi per l' 'aurora' (gr. T)Wpalvoµa.L(forse del 328 ; tale ipotesi offre non lievi difficoltà, evitipo *gwh(V)r-(V).1-)

Cosi J. Narten, Das altind. Verb, cit., nota 61 a p. 123. Il perf. III pi. ;aghrur nel Bhanikiivya (XIV, 12) può essere incluso tra le testimonianze dei grammatici: sul valore da attribuire al Bhattikivya nell'àmbito della documentazione indiana antica si veda sopra, nota 1.58. -.ro Tale verbo greco sembra essere primario: cf. ad es. A. Debrunner, Zu den konsonantischen io-Priisentien im Griechischen, « lndog. Forsch. ,. 21 (1907), p. 42, e il favorevole commento del Frisk, Gr. etym. Wb., cit., II, p. 439. 328 Si veda soprattutto K. Brugmann, Lat. frigriire, « Indog. Forsch. ,. 6 (1896), p. 100 sgg. (la vocale radicale è in realtà breve, cf. Catullo, Carm. 6, 8). 325

326

XI - gbra-

147

denziate soprattutto dal Walde 32'\ e tuttavia non si può escludere che il lat. fragrizre sia formazione a raddoppiamento espressivo (intensivo?) corradicale dei verbi indiano e greco :m.] [XII. can- 'provar piacere, esser soddisfatto, rallegrarsi' (Wh. Roots, 44; Bohtlingk, II, 937; M.-W., 386; Grassmann, 434). L'enucleazione di una radice verbale can- si fonda su due esempi vedici: cani!/am (aor. ingiunt. II duale) in RV, VII, 70, 4, e cani!that ([aor.] congiuntivo III sg.) in RV, VIII, 74, 11. Come è stato mostrato in più riprese, soprattutto da K. Hoffmann e J. Narten (cf. note segg.), entrambe le forme sono occasionali e analogiche: cani!/hat è l'ibrido risultato - si noti la cerebrale aspirata! - di un incrocio tra il superlativo cani,fha- 'ben accetto, molto gradito' (cf. canas-n. 'piacere, soddisfazione') e un aoristo congiuntivo *cani!at331; cani!{am è pur esso creato secondo

329

Cf. A. Walde, Aspiratendissimilation im Latein, « Indog. Forsch. » 19 (1906), p. 101 sg., e Walde - Hofmann, Lat. etym. Wb., cit., I, p. ,40 s.v. /ragro. :m Nel Dici. étym., cit., di Ernout e Meillet, p. 251, si parla ad es. di un « rapprochement [ ...] séduisant pour le sens », pur senza nascondersi le due difficoltà insite nel vocalismo del raddoppiamento e nella sequenza consonantica. La prima difficoltà, tuttavia, non è - a mio parere - insormontabile, dal momento che il raddoppiamento espressivo (ove si supponga che fragrare sia una formazione di tale genere) è particolarmente libero quanto al vocalismo. Più arduo è spiegare l'esito -g- della labiovelare sonora aspirata in posizione interna, poiché in latino il gruppo *gwhr- sembra dar luogo a /r· se iniziale, e a -br- nelle altre posizioni (cosl A. Walde, Aspiratendissimilation, cit., p. 102, ripreso da M. Leumann, Lateinische Laut- und Formenlehre, I, Miinchen 1963, p. 133 sg.; assai più problematica è l'esposizione nell'ediz. del 1977, p. 166); tuttavia, l'esito -br- non iniziale è tutt'altro che certo, d. da ultimo W. Belardi, in L. Ceci, Latium Vetus, Alatri 1987, nota 76 c a p. 117 (l'unico esempio valido disponibile è il lanuv. nebrundines), e dunque non si può scartare a priori l'ipotesi che in fragrare si rifletta un diverso risultato di *-gwhr- interno (come è noto, l'area latina presenta più varianti diatopiche e forse diastratiche nell'esito delle labiovelari originarie); sempre che non si debba pensare, invece, a una occasionale dissimilazione della seconda occlusiva aspirata, con regolare esito -gr- da *-g(w)r- (in questo senso d. anche la nuova ediz. della Latein. Laut- und Formenlehre, p. 166). 331 Si veda in particolar modo K. Hoffmann, Zur vediscben V erbalflexion, « Miinch. Studien z. Sprachw. » 2 (1952), 2" ediz. 1957, p. 131 sg. (con ulteriori indicazioni bibliografiche); altre osservazioni in P. Thicme, psu, in Beitrage .t. indiscben Philologie u. Altertumsltunde, W. Schubring .t. 70. G,-

148

V - Gli altri verbi stativi

l'agg. cani1tha-, ma in una forma morfologicamente corretta (con procedimento analogo a quello che ha dato luogo ad a gami1tam, vi cayi1tam, etc.) 332 • Se queste uniche due attestazioni documentarie di un verbo cali- risultano essere in realtà formazioni denominali (dal superlativo cani1tha-), possiamo sottoscrivere la conclusione cui perviene la Narten, secondo la quale « can nichts als lebendige Verbalwurzel empfunden wurde » 333.] XIII. JÌV- 'vivere, esser vivo' (Wh. Roots, 54; Macd. VGS, 384; Bohtlingk, III, 111 sgg. + V, 1445 sg.; M.-W., 422 + 13 .. ;; Grassmann, 491 sg. + 1762). L'unico verbo indiano per 'vivere', Jìv-, è ben attestato a partire dal RV. In quest'opera figurano sedici esempi di presente (cinque participi) e uno di causativo (in un inno recente, X, 137, 1) :n.1; nell'AV le attestazioni del presente superano di tre volte quelle del RV, e inoltre compaiono diversi esempi di aoristi sigmatici (1ìvis, pvi1ur, nonché l'ottativo-precativo Jìvyasam) 335• Nella prosa dei Brahmar:ia sono documentati altri temi verbali: il pf. ii1ìva 336, il fut. pvi1yati, il desiderat. ii1ìvi1ati e ;u;yu1ati, tutte formazioni - con l'eccezione dell'ultima - da ascrivere a una facies linguistica non molto antica. Per poter includere JÌV- tra le radici originariamente prive del perfetto sarebbe vantaggioso appurare se la difettività dipende da una valenza stativa della radice oppure da una sua origine denominale.

=

bùrtstag dargebracht, Hamburg 1951, nota 2 a p. 10 ( Kl. Schr., I, nota 2 a p. 81). 332 In questo senso argomenta persuasivamente J. Narten, Die sigm. Aoriste, dt., p. 111. 333 J. Narten, Die sigm. Aoriste, cit., p. 111. Si veda anche, più sommariamente, M. Mayrhofer, Kurzgef. etym. Wb., cit., I, p. 372. 334 Cf. S. W. Jamison, Function, cit., pp. 114 e 212. 5 :1:1 Su tali forme cf. J. Narten, Die sigm. Aoriste, cit., p. 120. 336 Ad es. iijivima (I pi.) ricorre due volte nel Taittiriya-Brahm~a (cf. H. S. Ananthanarayana, Perfect Forms in the Taittiriya Briihmara, « Bull. of the Deccan College Research lnstitute » 25 (1966], p. 35), e jijiva in tre brani del Jaiminiya-Briihmai:iae in uno del Siinkhiiyana-Ar~yaka (cf. VisvaBandhu SiistrI, op. cit., Il, 1, p. 661). ~ da notare come in ogni caso nella prosa tardo-vedica il perfetto di jiv- sia decisamente raro in confronto alle altre forme flessionali di questo verbo (specie il presente).

XIII - iiV•

l49

Qualche indizio di valenza processiva e non stativa emerge sul piano comparativo: ad esempio, il gr. ~t6w, che vale specifica-. mente 'passare la vita', tende poi ad essere talora impiegato con una sfumatura processiva, come quando indica il 'comportarsi'; è stato notato anche un impiego occasionale dei corrispondenti verbi di altre lingue indoeuropee 337 con valore eventivo o processivo. Ma tale occasionalità è da attribuire per larga parte a una « polarizzazione » con il verbo per 'morire', di tipo eventivo 338 • Inoltre, P. Berrettoni 339 ha dimostrato in maniera convincente che in Omero 2;wwè per lo più antinomico non del presente eventivo à.1tolhincrxw 'muoio', ma del perfetto ·dihn)xa, dunque di una forma che indica anch'essa uno stato (risultante). Accertata la possibilità di una statività originaria, si tratta di vedere se, dal lato morfologico, ci sono argomenti oppure no per trarre una conclusione circa il carattere denominale di JÌV-.A quanto mi risulta, i vari studiosi che si sono interessati a tale questione hanno espresso quattro diversi punti di vista: 1) fiv- è uno dei regolari risultati fonetici della radice indoeuropea per 'vivere' (quindi, ad es., il gr. 2;wwe l'ind. ant. 7ìv- risalgono a due gradi apofonici differenti della medesima radice): tale ipotesi è avanzata dal Martinet nel quadro di un suo saggio relativo alla laringale *Aw 340 ; ·

337

Avest. ;uuaiti (cf. Ch. Bartholomae, Altiran. Wb., cit., col. 502; Le verbe, cit., p. 162 e nota 1), pers. ant. iiv-, lat. vivere, si. ant. i.iv, pmss. ant. giwu, giwassi 'tu vivi', lett. dzivu, lit. f.iiù I gyiù e gyvenù, etc. (sulle forme baltiche cf. ad es. E. Fraenkel, Zur Herkunft der litauischen V erba auf -inti und der Adiektiva auf -intelis, « Archivum •Philol. » [Kaunas] 7 [1938], p. 19; W.P. Schmid, Studien, cit., p. 30 e nota 124; R. Trautmann, Die altpreussischen Sprachdenkmiiler, Gottingen 1910 [rist. 1970], p. 339 s.vv. giiwan ... giwato). Delle forme slave antiche, lettoni e lituane cito qtU, per comodità la I persona sg., poiché mostra l'ampliamento in *-w- meglio che non l'infinito (cf. invece l'infinito si. ant. ziti, nota 349, o lett; d:dt; o lit. gyti). 338 Cosl F. O. Lindeman, Grec ~Eloµa.~,!(,lwv, « Symb. Osloenses,. 39 (1964), p. 109 sg. 339 P. Berrettoni, Per un'analisi, cit., p. 214 sgg. 340 A. Martinet, Economie des changements phonétiques, Bem 1955, trad. it. Torino 1968, p. 207 (§ 8.22). La spiegazione del- Martinet- modifica in parte l'ipotesi avanzata da F. Specht, Zur Geschichte, cit., p. 111, il quale riteneva che la radice indoeuropea per 'vivere' terminasse in dittongo lungo con secondo elemento *-w (caduto in circostanze non meglio precisabili);

J. Kellens,

uo

V • Gli altri verbi stativi

2) l'ind. ant. /ÌV· continua un allotropo della radice indoeuropea per 'vivere', e precisamente una forma ampliata in *-(e)w-: cosi supponeva il Meillet in un suo articolo del 191O 341; 3) l'ind. ant. 1ìv- rappresenta, al pari di avest. ;uuaiti, lat. vivere, lett. dzivu, etc., un verbo denominale assai antico - risalente a una fase indoeuropea comune - costruito sull'agg. in *-w6-, tratto dalla radice per 'vivere' nella sua forma con grado zero (o base) delle due sillabe (cf. ind. ant. pva- 'vivo', lat. vivus id., lit. gjvas, sl. ant. iivu etc.: *gw;- < *gwya-). Tra i più autorevoli sostenitori di una siffatta spiegazione si possono citare il Fraenkel (cf. nota 337) e, più di recente, il Lindeman 342; 4) l'ind. ant. 1ìv- costituisce un verbo denominale piuttosto recente, formatosi nella lingua vedica sull'agg. 1ìva-, secondo un procedimento analogo a quello che avrebbe dato luogo al lat. vivere da vivus, etc. Questa ipotesi è dovuta al Thieme 343• L'incidenza dell'analisi etimologica del verbo fiv- è tutt'altro che marginale ai fini della interpretazione dell'assenza di un perfetto antico. Infatti, solo nel caso si accolgano la prima o la seconda spiegazione si potrebbe attribuire un valore specifico alla difettività paradigmatica del verbo indiano, ponendo in rilievo contemporaneamente la sua possibile valenza stativa. Se, invece, si ritiene valida la terza ipotesi, la mancanza di un perfetto non andrebbe posta in relazione con il carattere stativo del verbo, ma andrebbe ascritta alla sua origine denominale (i denominali in antico A. Meillet, Deux notes sur des formes verbales indo-européennes, « Mém. Soc. Ling. » 16, 4 (1910), p. 243 sg., ripreso in Introduction, cit., 341

a.

anche J. Charpentier, Zur altindischen Etymologie, « Le Monde p. 178 sg. Orient. » 6 (1912), p. 59; K. Brugmann, Grundriss, cit., II, 3/1, p. 270 sg. (S 186 e sgg.); t. Benveniste, Origines, cit., pp. 70 e 161; J. Schindler, Die idg. Worter fiir « Vogel » und « Ei », « Sprache » 15 (1969), p. 145 sg.; G. Klingenschmitt, Das altarmenische Verbum, Wiesbaden 1982, nota 4 a p. 231; M. Mayrhofer, Idg. Gramm., cit., I, p. 174. 342F. O. Lindeman, Grec ~EloµaL, cit., p. 102 sg.; Id., Notes sur le désidératif v. ind. jujyii~ati, « Studia Linguistica» 16, 2 (1962), p. 101 sg. Si vedano al riguardo anche R. Anttila, Proto-I.-E. Schwebeablaut, cit., p. 137, E.P. Hamp, *g"'eiH0 - 'live', in Studies in Greek ... Olfered to L. R. Palmer, Innsbruck 1976, p. 89 sg., e A. Bammesberger, Reflexe der ùtdogermanischen Wurzel *gwyò-/ gWJ-im Griechischen, « Indog. Forsch. » 88 (1983), p. 232 sg. [cf. ora J. S. Klein, in Die Laryngaltheorie... (hg. v. A. Bammesberger), Heidelberg 1988, pp. 258 sgg. e 273]. 34.'I P. Thieme, psu, cit., p. 9 e nota 4 ( Kl. Schr., I, p. 80 e nota 4).

=

XIII - Jìv-

non possedevano che il presente), come già osservava il Fraenk:el (cit. nota 337); e infine, ove si accettasse l'ipotesi del Thieme (origine denominale recente), cadrebbe ogni presupposto di antichità del verbo indiano fiv-. Non è difficile trovare obiezioni all'interpretazione di fiv- come denominale indiano di JÌva-: si può, con il Mayrhofer (I, 439), osservare che il Thieme ha tenuto in scarso conto il numero tutt'altro che esiguo di formazioni indoeuropee analoghe all'ind. ant. JÌV-, al lat. vivere, etc.; inoltre, pare strano dover ammettere che una nozione basilare del lessico quale quella del 'vivere' fosse espressa nell'indoario soltanto da un verbo costituitosi in una fase relativamente recente, a partire da una forma aggettivale. Anche la prima ipotesi, quella fondata dal Martinet sulla ricostruzione di una laringale labiovelarizzata finale di radice (*-Aw), poggia su presupposti assai fragili: l'esistenza stessa di una pluralità di laringali è un dato tutt'altro che acquisito nel campo della indoeuropeistica 344, e in particolare la ricostruzione di *-Aw quale elemento finale della radice indoeuropea per 'vivere' pone più di una difficoltà 345• Rimangono, dunque, due sole spiegazioni atte a render conto dell'origine di JÌv-: quella che presuppone una forma radicale ampliata in *-w-, e quella che attribuisce a un periodo indoeuropeo comune il costituirsi di un verbo per 'vivere' denominale dell'aggettivo *g-Z-w6-(ind. JÌva-, lat. vivus, etc.). Qualche ulteriore dato a nostra disposizione dà motivo di preferire la prima soluzione. Gli studiosi che hanno sostenuto l'origine denominale di ind. ant. ;tvati, avest. juuaiti, pers. ant. Jìva (imperat. II sg.), lat. vivere, si. ant. zivg, pruss. ant. giwu, giwassi, lett. dzivu, lit. gyvenù, avevano dinanzi agli occhi l'inoppugnabile esistenza di aggettivi in *-w6- in tutte queste lingue (rispettivamente ind. ant. Jìva- 'vivo', avest. juua- id., pers. ant. 1ìva- id., lat. vivus, si. ant. zivu 'vivo', pruss. ant. gijwans 'vivi' [ace.], lett. dzivs 'vivo', lit. gyvas id.);

344

Al riguardo si vedano vari contributi, tra i quali si segnalano gli

articoli di L. Zgusta, La théorie larynf,ale, « Archiv Or.» 19 (1951), p. 428 sgg., di R. Gusmani, Ittito, teoria laringalistica e ricostruzione, in Hethitiscb

und Indogermanisch, Innsbruck 1979 ( = IBS, 25), p. 63 sgg., e il recentissimo di P. Cipriano, Implicazioni metodologiche e fattuali della teoria di W. Belardi sull'indoeuropeo, « Studi e Saggi Ling. » 28 (1988), p. 123 sgg. :i.t5 Cf. ad es. F. O. Lindeman, Notes (cit, nota 342), p. 98 sg.

V - Gli altri verbi stativi

152

spiegare i verbi a partire da tali aggettivi offre il vantaggio innegabile di poter muovere da una radice indoeuropea priva di ampliamento in *-w-, e consente di motivare la presenza di un grado zero radicale, più comune negli aggettivi che nei verbi (*gw(V)y-(V)a- > *gw;-).E tuttavia, l'esempio del tocario A so-,B fau- (da *gwyow-)346 dimostra che il verbo per 'vivere' può presentare ampliamento in *-windipendentemente dall'esistenza di un aggettivo in *-w6- (che di fatto nel tocario sembra mancare). Inoltre, il formante *-w- compare in altre forme verbali indiane isolate, non riportabili all'aggettivo in *-w6- (iiva-): il desiderativo jujyii!ati (pt. jijyii#ta-) che, pur essendo tardo-vedico (Satapatha-Brahmai:ia), presenta caratteristiche arcaiche, riflette presumibilmente una originaria base con suffisso *-w- 347 ; il verbo jin6ti / jfnvati 'animare, agitar(si), spingere, affrettare' (RV), anch'esso risalente alla radice indoeuropea per 'vivere', ma con infisso nasale transitivizzante (*'far vivere' -+ 'animare', 'agitare, spingere' etc.), mostra indubbiamente un formante *-w-, la cui presenza non può certo essere attribuita a derivazione dall'agg. 7ìva- o dal verbo fÌV- ( dai quali doveva apparire piuttosto lontano sia per la semantica che per la struttura radicale: tant'è che i grammatici indiani hanno sempre isolato una radice ji- I jinv- distinta da 1ìv-) 348• Si è indotti, allora, a concludere che la radice per 'vivere' do-

Tra i primi a intuire l'etimo del toc. A fo-, B sau- va menzionato il Meillet, Le Tokharien, « Indog. Jahrb. » 1 (1913[-14]), p. 16; si vedano poi G.S. Lane, Problems o/ Tokharian Phonology, « Language » 14 (1938), p. 26, e soprattutto A.J. van Windekens, Notes étymolof!.iques, « AION-L » 1, 1 (1959), p. 19 sgg.; Id., Le Tokharien, cit., I, p. 484 sg.; Id., P.tudes de phonétique tokharienne Xl: Le traitement des labiovélaires indo-européennes, « Orbis » 18 (1969), p. 494 (con ulteriori osservazioni in « Orbis » 19 [1970], p. 106; 20 f1971], p. 114 sg.; 22 [1973], p. 371). 347 Per quanto l'argomentazione del Lindeman, Notes, cit., p. 97 sgg., sia in più punti carente (non si indagano, in particolare, epoca e testi nei quali ricorre ;u;yusati), essa appare comunque più persuasiva rispetto all'ipotesi del Wackernagel (AiGr., cit., I, p. 86; lndoiranica, cit., p. 361) di una origine analogica su verbi quali div-, rthiv-, siv-: infatti, il desiderativo dei verbi -posti a confronto con ;11iYliratinon è antico, e anzi non è neppure documentario, visto che rientra nel novero delle forme testimoniate dai grammatici. Ma di ciò pare non si siano accorti né il Wackemagel né - ed è, credo, più grave il Lindeman stesso. 348 Su ;in6ti, ;invé (dove il suffisso è *-ew- / *-w- alternante) e iinvati (dove si ha tematizzazione e formante *-w- al grado zero generalizzato), d. M. Mayrhofer, KurzJ!.ef. etym. Wb., cit., I, p. 435, e III, p. 712; F. O. Linde346

XIII -

fÌV-

vesse presentare - in fase comune cosi come in alcune lingue storiche - un ampliamento in semivocale labiovelare non solo in formazioni aggettivali, ma anche in formazioni verbali da queste indipendenti 349 • Restano da spiegare l'origine dell'insolita struttura radicale dell'ind. ant. j1vati (lat. vivere etc.), e la ragione della mancata alternanza apofonica nell'àmbito del paradigma del verbo indiano. Come si è detto, se si muove da una radice bisillabica *gw(V)y(V)a-w-, il grado zero (o base) di entrambe le sillabe si realizza nella sequenza *g"'ya-w-, cioè *g"'r-w-: una tale sequenza può esser considerata il prototipo di forme verbali quali ind. ant. jtvati (tematico), avest. juuaiti, pruss. ant. giwu, lett. dzivu, lat. vrvere, sl. ant. ziv9 (questi ultimi due verbi potrebbero riflettere eventualmente, secondo il Kurylowicz - cf. nota 351 -, un grado pieno in *-e- della prima sillaba). All'interno dell'indiano antico un siffatto grado apofonico non è un'eccezione: già nella fase vedica almeno cinque verbi pre-

:e.

man, Notes, cit., p. 101 sg.; Benveniste, Origines, cit., p. 161 (*g'"éi-w- / *gwyéu- -+ *gwi-n-éu- [;in6ti]). Il grado -i- radicale (in luogo dell'atteso -i-) potrebbe essere indizio, secondo il \Vackernagel (Kleine Beitriige, cit. nota 275, p. 2 [ = Kl. Schr., I, p. 418 ]), di una ristrutturazione di tale verbo secondo lo schema analogico di in6ti / invali 'egli fa andare' e hin6ti / hinvati 'egli spinge'. 349 Cf. ad es. quanto scrive K. Strunk, Nasalpriisentien und Aoriste, Heidelberg 1967, p. 104: « Aber -v- ( ...) bei diesem Verbum [scii.: ai. jtvati, aw. Jvaiti usw.] ( ...) gehort zur Wurzel, clic auch in nominalen lat. viv-us ( ...), ab. zivr"t 'lebendig' vorliegt ». Si deve anche segnalare l'alternanza tra un tema ziv- (*g'"i-w-) e un tema zi- (*gwz.) che sembra riconoscibile all'interno del paradigma del verbo slavo antico per 'vivere': mentre le forme del presente, dell'imperfetto e alcune di aoristo (III sg. -1.ive) sono costituite sul tema ziv-, l'infinito ziti, il pt. preter. attivo II zilu e I zivu, e l'aoristo III sg. zi, paiono riportabili piuttosto al tema privo di semivocale labiovelare ii- (cosl ad es. P. Diels, Altkirchenslawische Grammatik, I, Heidelberg 1932, p. 250, nota 8 al § 121; diversa la spiegazione di A. Martinet, Économie, cit., trad. it., p. 207, il quale muove da un'unica protoforma indoeuropea con * Aw fihale, passato a -w [-v] avanti a desinenze vocaliche e scomparso avanti a desinenze consonantiche). Se tale classificazione è corretta, avremmo certo un elemento in più per dubitare della origine denominale di sl. ant. iivg (ind. ant. ;tvati, lat. vivere, etc.): risulterebbe infatti più agevole pensare che nel paradigma del verbo slavo antico alternino forme flessionali con diverso formante (*-w- o -0-), anziché supporre che in tale verbo coesistano forme ereditate dalla radice verbale indoeuropea (iiti etc.) e forme invece denominali (iivg etc.). 0

1.54

V - Gli altri verbi stativi

sentano una struttura radicale (Civ-) analoga a quella di /ÌV·, e precisamente àiv- 'giocare', miv- 'premere', ;fhiv- 'sputare', siv- 'cucire', sriv- 'errare, sbagliare'. Si può notare che queste cinque radici sono sicuramente non denominali (mancano aggettivi del tipo *àiva-, *miva-, etc.), e per la maggior parte appartengono al nucleo lessicale ereditario (miv-, ;!hiv- e siv- presentano ampie - e ben note corrispondenze indoeuropee; div- potrebbe avere un corrispettivo nello si. ant. divjp, diviti 350): dunque l'ind. ant. fiv- può benissimo riflettere una formazione non denominale e un tipo apofonico già indoeuropeo. Vorrei aggiungere che non è raro, nell'àmbito dei cinque verbi ora citati, trovare un presente tematico privo di ulteriori suffissi (mtvati, ;fhtvati = jtvati); sempre in questi verbi si nota una ridotta funzionalità dell'alternanza apofonica all'interno del paradigma, come dimostra, ad es., un pt. in -ta quale mivita- (con lo stesso grado apofonico del presente, al pari di jivita-); l'unica altra struttura radicale documentata in tali verbi, il tipo Cyu- (d. syuta-, ;fhyuta-, etc.), trova anch'essa riscontri nell'àmbito della flessione di 1ìv- (d. il sopra menzionato desiderat. jujyti~ati, jijyu;ita-) 351• Alla luce di queste considerazioni, la interpretazione di ind. ant. 1ìv- quale verbo non denominale mi pare senz'altro legittima; si potrà semmai discutere se esso risalga direttamente a una forma ampliata di radice bisillabica con grado zero di entrambe le sillabe (*gwya-w-), oppure eventualmente a una forma di radice monosillabica al grado pieno, con ampliamento al grado zero (*gwey-w-,secondo il meccanismo ricostruito ipoteticamente dal Kurylowicz, d. nota prec.) :m. Indoiranisches, cit., p. 402 [ = Kl. Schr., I, p. 321]. L'alternanza indiana -yu-I -iv- è giustamente riportata dal Kuryrowicz, L'apophonie en indo-européen, Wroclaw 1956, p. 128, e ldg. Gramm., cit., II, p. 218, alla posizione rispettivamente anteconsonantica o antevocalica (ivi compreso -y-) dell'elemento radicale; il Kuryfowicz, tuttavia, ritiene che per spiegare il grado apofonico di queste radici indiane non sia necessario supporre una contrazione di *-y- o *-w- con lo scevà *-.J-, e prospetta l'interessante ipotesi che -yii-/ -iv- sia l'esito regolare di un *-eyw- originario (ldg. Gramm., II, I. cit.). Se la spiegazione del Kurylowicz, peraltro non da tutti accolta, fosse ritenuta valida, si dovrebbe porre alla base di ind. ant. 1ìv- un *gwey-w- (e in tal caso la radice indoeuropea per 'vivere' sarebbe del tipo

m

J. Wackemagel,

351

f

*gw (V)y- -(V)a-(V)w. ). :m Questa seconda spiegazione avrebbe comunque il vantaggio cli giu-

1,,

XIII - jiv-

In questa prospettiva, se l'assenza del perfetto non appare imputabile all'origine denominale di /iv-, allora è assai probabile che essa dipenda dal carattere stativo della radice indiana; l'assenza di un perfetto antico si allinea con quanto è riscontrabile nelle altre forme verbali indoeuropee corradicali: infatti, l'avest. juuaiti non possiede un tema di perfetto 353; il gr. swwha un perfetto solo in Aristotele e Dionigi d'Alicarnasso, ~Low,grazie alla sua parziale processività, acquista un perfetto con leggero anticipo, ma comunque non prima della prosa attica del V secolo, e ~Éoµat..l~EloµaL è un isolato relitto di antico congiuntivo con valore di futuro 354; infine, il lat. vivere ha come « perfetto » un aoristo sigmatico (vixi). La situazione riscontrabile in altre lingue indoeuropee sembra confermare l'incompatibilità originaria del verbo per 'vivere' con il perfetto; se pertanto, come si è cercato di mostrare, l'ind. ant. jiv- è verbo primario piuttosto che denominale, esso può utilmente trovare collocazione nella presente rassegna di radici indiane a valore stativo prive di un perfetto antico. [XIV. tand- 'stancarsi, esser stanco' (Wh. Roots, 61; Bohtlingk, III, 234; M.-W., 436; Grassmann, 521). Scarsissime sono le attestazioni documentarie della radice indiana antica tand-, pur se antiche: presente indicat. III sg. (medio)

stificare senza alcuna difficoltà il verbo jin6ti / jinvati a infisso nasale: si tratterebbe di grado zero (o base) radicale, segulto dall'infisso e dall'ampliamento (*g"'y-n-(V)w-). 353 Il jryaeia (ingiunt. o ottat. II sg. medio) che compare in Y. LXII, 10 è un presente raddoppiato (non si comprende il riferimento al perfetto in S. lnsler, The Vedic Type dheyam, « Sprache » 21 [1975], 1, nota 37 a p. 19), ma non può essere utilizzato quale sicuro testimone avestico di una struttura radicale priva dell'ampliamento *-w- (accanto al cit. juuaiti etc., nel quale juuV- < *gwiwV-, d. ad es. K. Hoffmann, Altiranisch, in Handb. d. Orientalistik, I, 4 Iranistik, 1 Linguistik, 1958-67, p. 8 Aufsatze, I, p. 65, con bibliografia precedente): infatti siamo in presenza di una forma recente, isolata, per più aspetti difficile - potrebbe nascondere un *jiyaiiaeia, dunque un ottativo, cf. Kellens, Le verbe, cit., p. 193, e già Bartholomae, Altiran. Wb., cit., col. 502 -, e forse in qualche modo influenzata dal sostantivo gaiia'vita', abbastanza comune già in fase gathica (sempre che non si debba analizzarla come *jiraewia, con semplificazione del gruppo consonantico). 35'1 Cf. P. Berrettoni, Per un'analisi, cit., p. 216 sg., e F. O. Lindeman, Grec ~ELoiuu,cit., p. 104 sgg.

=

V - Gli altri verbi stativi

156

tandate in RV, I, 138, 1, e ingiunt. III sg. tandat in RV, II, 30, 7 (ma la tradizione dà tandrat, lezione difesa da taluni studiosi 355). A queste non va aggiunto tandrayate (in due o tre esempi tardo-vedici), che è presumibilmente formazione denominale sull'agg. tandra'stanco'. L'esiguità delle forme verbali attestate per tand- rende improponibile ogni « argumentum ex silentio » in merito all'assenza del perfetto (che potrebbe non essere documentato per puro caso). Appare quindi superfluo l'ulteriore accertamento dei requisiti di antichità indoeuropea (ammessa dal Mayrhofer, I, 476, e dal Fraenkel 356 , ma negata dal Kuiper, cit. nota 355) e di semantica stativa di questo verbo indiano antico, che risulta inutilizzabile nell'àmbito del presente lavoro.]

[XV. tam- 'soffocare (intrans.), esser stanco, indebolirsi, esser fuori di sé' (Wh. Roots, 61; Macd. VGS, 386; Bohtlingk, III, 250 sgg. + V, 1462 + VII, 1748; M.-W., 438 + 134; Grassmann, 524). Nel RV, in un brano (Il, 30, 7) di non facile interpretazione 'S' compare una prima attestazione verbale della radice tam-, in una forma tamat di incerta classificazione (probabilmente congiuntivo dell'aoristo radicale piuttosto che ingiuntivo dell'aoristo tematico) 358 • Al di là di questo esempio isolato, il verbo tam- non è altrimenti attestato nelle Sarilhita; piuttosto ricca è, invece, la documentazione del pres. t/Jmyati, del caus. tamayati, dell'aor. tematico (ingiunt. tamas, tamat) e del pt. in -ta tanta-, nella prosa tardo-vedica (Brihmai::iaetc.). L'aoristo in -i;-che figura solo nel Jaiminiya-Br. (I, 109) è presumibilmente lezione corrotta 359; il pf. III sg. tatama, non documentato all'infuori dello Satapatha-Br. (una volta) e del JaiminiyaBr. (due volte), è una creazione dòtta occasionale, suggerita da parSi veda in particolare F. B. J. Kuiper, Rigvedic Loanword:r, in Studia Indologica - Festschrift Willibald Kirfel, Bonn 1955, p. 176 sg. 356 E. Fraenkel, Beitriige :r:urbaltischen W ortforschung, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 69 (1948-51), p. 85 sgg. 'JSI Sul problematico intendimento del brano d. ad es. J. Ganda, Reflections, cit., nota 175 a p. 183 sgg., e soprattutto K. Hoffmann, Der In;unktiv, cit., p. 240. 358 Cf. K. Hoffmann, Der Injunktiv, cit., p. 240; J. Narten, Die sigm. Aoriste, cit., p. 259. 359 J. Narten, Die sigm. Aoriste, cit., p. 101 sg. 355

XV - tam-

157

ticolari contesti, ma non vitale nella lingua vedica né prima né dopo tali attestazioni 360 • Il verbo ind. ant. tam- ha un ampio spettro di valenze, non tutte stative (così il 'soffocare' [intrans.], l' 'indebolirsi' fanno riferimento a un processo piuttosto che a uno stato); un aiuto nel recupero della semantica di base può esser comunque offerto dalla comparazione con altre lingue indoeuropee. È verisimile la corrispondenza di tam- con il lat. temulentus 'ebbro', (abs)temius etc.; inoltre possono esser confrontati l'arm. t'mbrim 'sono assopito, inebriato', lo sl. ant. tomiti 'affaticarsi, crucciarsi', l'irl. med. tam 'debolezza, morte', e alcune forme dialettali tedesche (diimlich, damisch, etc.) che indicano chi è 'stordito, fuori di sé' 361 • Ma l'innegabile raf-

Nel brano dello Satapatha-Br. (IV, 2, 2, 11 della recensione Miidhyamdina, corrispondente a V, 2, 2, 1 della recensione Kii,;iva) il tempo della narrazione principale è preterito, come appare chiaro dai due imperfetti di verbi a raddoppiamento adadhur, sam ajihita che seguono il nostro tatiima. Nella necessità di adoperare il verbo tam- - suggerito dal ricorrere di tiinta(in origine pt. in -ta di tam-) appena dopo tatiima e altre due volte nello stesso passo - l'autore del brano aveva a disposizione, nel repertorio della tradizione vedica, solo il presente e !'(ingiuntivo) aoristo tamas, tamat (unicamente in frase proibitiva), ed era pertanto costretto a creare «ex-novo» una forma di imperfetto o di perfetto (equivalenti nell'uso narrativo della prosa dei Brahma,;ia, cf. \V.D. Whitney, On the Narrative Use, cit., p. 6 sgg.). La scelta del perfetto è stata presumibilmente dettata, oltre che dalla generale predilezione dello (o degli) estensori dello Satapatha-Br. per tale tempo (cf. W.D. Whitney, sopra cit., p. 17 sg.), anche dal desiderio di simmetria, in modo da affiancare una terza forma raddoppiata alle due raddoppiate adadhur e ajihita. Lo stesso discorso vale per l'occorrenza di tatiima nel Jaiminiya-Br. (in due brani omologhi, I, 42 e II, 160: cf. ad es. H. W. Bodewitz, Jaiminiya-Briihma~a I, 1-65, Leiden 1973, p. 102, e nota 3 a p. 105): tale perfetto è anche qui condizionato da tiinta- appena successivo, in un brano che presenta una sequenza di perfetti (jagiima, ii jagiima). Quanto a 'vatatiima (= ava tatama) che figura solo in Jaiminiya-Br., II, 160, poco prima dell'espressione sa ha tatiima / sa ha tanta!J... (cito secondo l'ediz. di Raghu Vira e Lokesh Chandra, Nagpur 1954, pp. 17 sg. e 228 sg.), si può ritenere che si tratti di forma suggerita dal contesto successivo (ripreso, come detto, da I, 42); l'eccezionalità di questo ava tatiima è palese anche in considerazione del fatto che nell'intera letteratura indiana tam- non è mai preceduto dal preverbio ava-. 361 Cf. ad es. Walde - Hofmann, Lat. etym. Wb., cit., II, p. 657 s.v. tèmulentum, oltre a M. Mayrhofer, Kurzgef. etym. Wb., cit., I, p. 495, e F. Holthausen, Wortkundliches, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 71 (1953-54), 3l,O

158

V • Gli altri verbi stativi

fronto all'interno dell'indiano antico con il sostantivo tamas- n. 'oscurità' e, nell'àmbito indoeuropeo, con avest. ttJmah- 'oscurità', nord. ant. pam 'oscurità dell'aria', lat. tenebrae, etc., suggerisce di attribuire alla radice i.e. *t(V)m- e all'ind. ant. tam- un riferimento originario ali' 'essere oscuro' o all' 'oscurarsi' 362 (l'animo dell'ebbro è 'oscurato, obnubilato', la morte è uno stato di 'oscurità' e l'indebolimento, la stanchezza rappresentano un 'appannamento' delle funzioni vitali e psichiche): dunque, una semantica originaria che esprime una condizione nella quale si trova (o si viene a trovare) l'individuo. Nella ricerca del valore stativo basilare della radice indiana antica tam- si è avuto modo di mostrare anche che essa appartiene al lessico di eredità indoeuropea. E tuttavia, la scarsità della documentazione letteraria di tale verbo, specie nella fase vedica più antica, non permette di includere tam- tra i testimoni sicuri déll'incompatibilità originaria tra perfetto e semantica stativa.] XVI. tij- 'essere appuntito'; 'appuntire, acuminare' (Wh. Roots, 62; Macd. VGS, 386; Bohtlingk, III, 325; M.-W., 446 + 179 ... ; Grassmann, 535). Il verbo ind. ant. tij- è adoperato con maggiore frequenza nella lingua vedica piuttosto che nell'epica e nel sanscrito classico. Già nel RV figurano il presente tejate (X, 138, 5), con il pt. téjamana(III, 8, 11), l'intensivo tétikte (IV, 23, 7), forse il desiderativo titikfate (II, 13, 3), titikfante (III, 30, 1) 36.3, oltre al pt. in -ta tikta(X, 111, 9) e all'infinito téjase (I, 55, l; III, 2, 10): in totale tre temi verbali (quattro forme finite più un participio) e due temi

p. 59 nr. 103; poco propensi ad accogliere l'accostamento di lat. temulentum etc. con l'ind. ant. tam- sono invece Ernout e Meillet, Dici étym., cit. (4• ediz.), p. 679 sg. s.v. tèmètum (cf. anche W. Belardi, in « Rie. ling. » 4 (1958], p. 194). 362 Così ad es. J. Pokorny, Idg. etym. Wb., cit., I, p. 1063 sg., e M. Mayrhofer, cit. nota prec. In parte contraddittoria è la valutazione che il Bailey dà nel Dictionary, cit., p. 125 s.v. ttama 'fatigue', e 236 s.v. patam- 'to obscure': nel primo lemma ricostruisce una radice i.e. *tem- 'esser scuro, confuso', nel secondo ritiene di dover distinguere due radici omofone *tem-, l'una indicante l'oscurità, l'altra la confusione e la stanchezza. 363 Ma si veda T. Goto, Die « I. Prasensklasse », cit., nota 268 a p. 165 sg. (titikf- da tyai-; con indicazioni bibliografiche).

XVI -

tii-

159

«nominali» (tre esempi). Nell'AV figura solo il desiderativo titikfante (VIII, 6, 12: Wh. IndexAV, 129, sempre che non sia da tyai-, cf. nota 363); nella restante produzione vedica sono ancora adoperati principalmente il desiderativo (ma cf. supra) e l'intensivo (nel sanscrito anche il causativo). Un discorso a parte merita l'imperativo II sg. -titigdhi, considerato un perfetto dal Whitney (Roots, 62 - dubitativamente -, e SG, 294 § 813) e dal Macdonell (VGS, 386; non è menzionato però nella VG). Tale forma compare per la prima e unica volta in un brano in prosa del Yajurveda nero (che rielabora AV, Il, 19), ma le lezioni variano secondo le diverse recensioni: a fronte dell'atharvavedico ate;asam kr,:zu (Saun., Il, 19, 5) o prati daha (Paipp., II, 48, 5), nella Maitriiyai:ii-Samhitii (I, 5, 2 : 68, 6) figura pratititigdhi 364 , nella Kapi~thala-Katha-Samhita (IV, 8) pratitigdhi, nella Kaihaka-Samhitii (VI, 9) pratitityagdhi, e infine nel Sutra di Apastamba (Apastamba-Srautas., VI, 21, 1) pratitiiuf.hi. Quest'ultima forma è palesemente una « corruzione » - forse di tipo medio-indiano - di un precedente *pratitigdhi (si consideri la nasale velare!) 365• Il pratitigdhi della Kapi~thala-Kaiha-Samh. è presumibilmente una aplografia per pratititigdhi - come nella Maitriiyal,lio per pratitityagdhi, come nella Kii!haka-Samh. (con Samh. 366 -,

36 H. Oldenberg, igveda, cit., II, p. 56. L'indicazione dell'Oldcnberg,

XII .

;na-

283

in I, 159, 3 ni, jajnivan in III, 2, 11 712 e jajnanap in X, 14, 2 723• Gli unici esponenti rigvedici del perfetto di jnii- sarebbero, allora, jajnur in X, 28, 7 e l'insolito vijanufap (genit. sg.) in X, 77, 1; ma nel primo caso è più che ragionevole la scelta operata dal Geldner in appendice alla sua traduzione del RV n4, dove intende jajnzip come 'haben dich erzeugt', tenuto conto di janita e jajana nella strofa precedente (X, 28, 6 d), nel secondo caso siamo di fronte a una formazione di participio assolutamente eccezionale, priva di raddoppiamento, e probabilmente di origine analogica 725 (che non presuppone in alcun modo l'esistenza di un tema verbale di perfetto per la radice jna-). Si può pertanto affermare con ridottissimo margine di dubbio, vista la ricchezza della documentazione, che il verbo indiano antico jna- era privo di un perfetto originario; il perfetto entra nel paradigma (ma senza essere mai impiegato con alta frequenza) solo a partire dalla prosa tardo-vedica, naturalmente con valore di preterito puro e semplice. La mancanza del perfetto in jna- non va certo imputata alla parziale identità con il perfetto di jan- (e quindi al desiderio di evitare confusione tra i due verbi) 726 , ma si colloca in un più vasto quadro di corrispondenze indoeuropee. circoscritta a VII, 79, 4, è stata poi accolta dal Renou, Ét. véd., cit., III, p. 99 sg. (in parte contraddetto - ma si tratterà di una svista - da Ét. véd., XV, p. 115), e dal Geldner, Der Rig-Veda, cit., II, p. 251 sg. (specie nota a II, 79, 4 c-d). ni Cf. L. Renou, Ét. véd., cit., XV, p. 115; K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., I, p. 217 (e nota a I, 159, 3 a-b). 722 Cf. L. Renou, Pf ., cit., p. 136; Id., Ét. véd., cit., XII, p. 52; K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., I, p. 336 (specie nota a III, 2, 11 a). 723 Si vedano L. Renou, Ét. véd., cit., XVI, p. 124; Id., Hymnes spéc., cit., p. 59; K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., III, p. 143. m K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., IV, p. 269 (a rettifica di III, p. 172; R. Ambrosini, Dal X libro, cit., p. 34, non accenna a questa nuova interpretazione adombrata dal Geldner). 725 Cf. W. D. Whitney, Skt. Gramm., cit., p. 282 § 790 b; A. A. Macdonell, Ved. Gramm., cit., p. 353 § 482 a; H. Oldenberg, J!..gveda,cit., II, p. 281 (il quale acutamente osserva che la creazione di vijiinu1afi in luogo di *viianatafi probabilmente deve essere ascritta all'influenza di abhrapru10, pru1a nel verso precedente). 726 In questo senso non si può accogliere quanto dice il Renou, in Ét. ved., cit., XV, p. 115: altrimenti non si capirebbe perché invece poi nella produzione successiva non si sia avvertita affatto la difficolta conseguente a tale presunta omonimia.

284

VI - Eccezioni: verbi (apparentemente) stativi

In particolare, le due lingue indoeuropee che hanno conservato la piena funzionalità della categoria del perfetto, vale a dire l'avestico e soprattutto il greco, concordano con l'indiano nel non mostrare un perfetto originario (l'avest. zan-, discretamente attestato, non possiede affatto tale tema flessionale; il gr. 'YL'YVW. La situazione del RV è però leggermente diversa: in tale Sari:thitiil presente e l'aoristo di stha- per solito indicano piuttosto una condizione momentanea o il raggiungimento di tale condizione, e spesso si oppongono al perfetto, con cui è espresso lo stato raggiunto durevolmente, per dirla con il Renou « ... l'idée de la chose établie » (Renou Pf., 17 sg.) 941 • Quindi, nel RV, da un lato presente e aoristo di stha- mostrano per la radice un valore di base non inequivocabilmente stativo (un senso 'collocarsi su, salire su' è certo individuabile nei presenti che figurano in I, 174, 4, VI, 18, 9 e X, 132, 7, e soprattutto in molti degli usi con preverbio), dall'altro il perfetto spesso si caratterizza per l'espressione dello stato risultante (e questo è un ulteriore indizio di antichità per tale tema flessionale). Ma le perplessità riguardo al significato originario della radice verbale indiana derivanti dall'analisi della documentazione lettera-

939

Mi limito a segnalare, tra i lavori recenti che trattano il problema del rapporto tra il perfetto lat. in -ui, quello ind. ant. in -au, e altre forme indoeuropee eventualmente confrontabili, A. Martinet, Économie, cit., trad. it., p. 201 sgg. e nota a p. 202; F. Bader, Vocalisme et redoublement au parfait radical en latin, « Bull. Soc. Ling. » 63 (1968), 1, p. 164 sgg.; J. Narten, Zur Flexion, cit., p. 136 sg.; A. Bammesberger, The Formation of the East Baltic Stative Verbs *stiiw-e- and *dew-e-, « Language » 50 (1974), p. 688 sgg.; W. Meid, Das germ. Praeteritum, cit., p. 81 sgg.; T.L. Markey, Deixis a,ul the u-Perfect, « Joum. of 1.-E. Studies » 7 (1979), p. 65 sgg.; M. Hocquard, Les verbes d'état, cit., p. 310 sgg.; G. Schmidt, Lateinisch amiivi, amasti und ihre indogermanischen Grundlagen, « Glotta » 63 (1985), 1-2, p. 52 sgg. (in tali articoli si troveranno ampie indicazioni bibliografiche sulla dibattuta questione, che esula dagli interessi del presente lavoro). 940 E. W. Fay, Derivatives of the Root stha- (sic) in Composition, « Amer. Joum. of Philol. » 33 (1912), specie p. 380 sg. (« sto ergo sum »). ~, In altre circostanze, naturalmente, il perfetto è un puro e semplice preterito; ma, come osserva il Renou (/. cit. e p. 170 sg.), ciò è vero (per l'attivo, non per il medio) in riferimento agli inni più recenti del RV; non del tutto chiara appare l'esposizione di J. Gonda, The Medium, cit., p. 166 sgg. Sul valore del perfetto di stha- nel RV si veda anche, in generale, B. Delbriick, Vgl. Syntax, cit., II, p. 186.

XXXV - sthà-

351

ria più antica trovano larga conferma in un più vasto quadro indoeuropeo. Infatti, come già era stato notato da vari studiosi 942, la radice i.e. *st(V)a- era aoristica, e indicava un processo puro e semplice, un'azione considerata a prescindere dalla sua durata (quindi 'por(si), collocar(si), alzarsi (in piedi)', donde 'stare'). Questa indicazione risulta chiara in alcune lingue indoeuropee: non rivestono importanza tanto i presenti raddoppiati gr. La-tt)µL 'pongo', lat. sisfere 'porre, fermar(si)' (nei quali si può supporre che il valore specifico sia connesso con la forma del tema a raddoppiamento) 9,43, quanto piuttosto esempi come lit. stati 'porsi, fermarsi' (contro

942

Per tutti vorrei citare un paio di testi ormai « classici »: B. Delbriick, Vgl. Syntax, cit., II, pp. 21, 77 e 186, e A. Meillet, Introduction, cit., pp. 198 e 200; si vedano inoltre J. Narten, Das ai. Verb, cit., p. 134; K. Hoffmann, Das Kategoriensystem, cit., p. 30; W. Cowgill, The Source o/ Lat. stare, with Notes on Comparable Forms elsewhere in Indo-European, « Journ. of 1.-E. Studies » 1 (1973), 3, p. 273 sg. Non mi pare si possa accogliere il suggerimento di E. Campanile, Sul presente di *(s}tehr, in Scritti in onore di Riccardo Ambrosini, Pisa 1985, p. 64 sgg., per rivedere status e definizione del tipo *e-st(V)a-t: i dati celtici non bastano di per sé a dimostrare l'esistenza di un presente radicale originario (senza raddoppiamento) - del quale tale forma sarebbe l'imperfetto -, visto che l'esempio avestico (recente) addotto a supporto è più che sospetto (si può consultare utilmente in proposito l'ampia analisi di J. Kellens, Un prétendu présent radical, « Miinch. Studien z. Sprachw. » 34 r1976l, p. 59 sgg., il quale spiega fraxstiiite - da emendare in fraxstaite - in Y t. X, 107 come presente raddoppiato da un tema xstapiù volte ricorrente quale allotropo fonetico o grafico di hista-; tale articolo non sembra noto neppure a F. Bader, che ha recensito lo scritto dd Campanile in « Bull. Soc. Ling. » 81 [1986], 2, p. 129 sgg.). Nel quadro di una teoria sul verbo indoeuropeo che previlegia la priorità cronologica della diatesi media, la Bader (Hittite Duratives and the Problem o/ I. E. Present Formations with In/ix and Suffix, « Journ. of I.-E. Studies » 15 [ 1987], 1-2, p. 135 sg., e nella recensione al Campanile, sopra cit.) individua in una forma radicale (senza raddoppiamento) medi a il prototipo della flessione verbale di tale radice; come si è sottolineato altrove, non è possibile convenire con un metodo di « reductio ad unum » che parte dal presupposto - parlerei piuttosto di pregiudizio razionalistico - della monogenesi del sistema verbale indoeuropeo (senza considerare che una pluralità di funzioni morfolessicali doveva ben difficilmente essere espressa da una unica forma!). 943 Non è molto probabile che si tratti di forme in origine causativali, analoghe all'aoristo raddoppiato indiano (cosi invece P. Thieme, Das Plusquampf., cit., p. 55): si vedano in proposito, ad es., Hj. Frisk, Gr. etym. Wb., cit., I, p. 739; P. Chantraine, Dict. étym., cit., p. 654 (dove si distingue il tipo greco da quello latino).

VI - Eccezioni: verbi (apparentemente) stativi

352

stovéti, forma in *-e- !, 'stare, star fermo, risiedere'), lett. stat 'porsi, fermarsi, cessare' (contro stavét, anch'esso in *-e-, 'stare, essere, dimorare'), pruss. ant. postat 'divenire', sl. ant. stati 'porsi, alzarsi, dirigersi verso' (contro sto;ati 'stare') 944 , le forme intransitive greche (aor. Éai:l)v etc.) con valore processivo 'porsi, fermarsi' 945 , vari verbi celtici (specie con preverbio) 946 , l'itt. tiie- 'porsi, fermarsi' 947 • Se poi si considera anche come il lat. stare e forse l'ant. sass., ant. fris. stan, a.a.t. stan, sten 'stare' sembrino essere formazioni costruite con suffisso stativo (presumibilmente *-yo- o *-e- per il latino 948 , *-e- per i verbi germanici 949 ), l'ipotesi che la radice i.e. *st(V)aavesse un originario valore processivo assume contorni definiti e

Su queste forme balto-slave si vedano: E. Fraenkel, Zum baltischen und slavischen Verbum, « Zeitschr. f. slav. Philol. » 20 (1948-50), p. 245; Id., nella ree. a Wagner, cit., p. 219; Id., Lit. etym. Wb., cit., Il, p. 914 sgg.; W. P. Schmid, Studien, cit., p. 76 e nota 319; J. Kurylowicz, Das idg. Perfekt im Slavischen, in Esq. Ling., II, p. 451 (la redazione in polacco dell'articolo risale al 1965); W. Cowgill, The Source, cit., pp. 279 sg. e 286; A. Bammesberger, The Formation, cit., p. 687 sgg.; J. H. Jasanoff, Stative, cit., p. 115. 945 Per la fase più antica, mi pare più che esauriente l'esposizione di P. Berrettoni, L'uso del perfetto, cit., pp. 115-118. 946 La documentazione celtica è peraltro assai varia, e di interpretazione non univoca: d. ad es. J. Pokomy, Idg. etym. Wb., cit., I, p. 1004 sg.; J. Vendryes, Lex. étym. irl., cit., S-118 sgg. (siss-) e N-11 (ness-); W. Cowgill, The Source, cit., p. 294 sgg.; E. Campanile, Sul presente, cit., p. 65. 947 Su questo verbo ittita (in verità con suffisso *[-éye-/]-(i)yé-) d. in particolare N. Oettinger, Stammbildung des hethitischen Verbums, Niimberg 1979, p. 350 (con ulteriori rinvii bibliografici). In aggiunta a questi esempi si può addurre probabilmente l'alb. shtoi 'aggiungo, aumento', se continua una base *st(h)ii- (*-nyo > -ni, -i è il normale suffisso della I sg. dell'indicativo presente dei temi in vocale, e non presuppone una formazione in nasale). 948 Cf. M. Leumann, Lat. Laut- und Formenlehre, cit. (ediz. 1977), p. 531 sg. § 404; Walde - Hofmann, Lat. etym. Wb., Il, p. 597; H. Eichner, menzionato da N. Oettinger, l. cit. nota prec.; W. Cowgill, The Source, cit., pp. 275 e 288 sgg. (a p. 280 sgg. ampia discussione anche relativamente alle forme verbali documentate nell'umbro e nell'osco). 949 Oltre a W. Cowgill, The Source, cit., p. 296 sg., e J. Jasanoff, Stative, cit., p. 115, d. E. Fraenkel, nella ree. a H. Wagner, cit., p. 220 (non del tutto convincente); A. Ernout -A. Meillet, Dict. étym., cit., 4• ediz., p. 654; E. Seebold, V gl. u. etym. Wb., cit., p. 465; A. Bammesberger, Der Aufbau des germanischen Verbalsystems, Heidelberg 1986, p. 114. 944

XXXV - stha-

353

meno incerti rispetto a quel che risultava dalla sola analisi della situazione indiana antica. Sarebbe possibile anche addurre i numerosi esempi nei quali * st(V)a- con preverbio assume valori che implicano chiaramente un processo piuttosto che uno stato (e questo fenomeno è rintracciabile, come detto, anche nell'area indiana); per limitarmi a un caso ben noto, se il gr. É1tlcr-.a.µa.t 'conosco' non è solo lo 'star su qualcosa', ma il 'porsi', il 'fermarsi' sull'oggetto della conoscenza (con allusione al processo intuitivo 950), sarà allora ragionevole intendere il 'conoscere' espresso in varie lingue indoeuropee con preverbi vari (lat. super-, a.a.t. fir-, ant. sass. fer-, ags. under-, etc. 951 ) come il 'porsi', il 'fermarsi' sopra, davanti, sotto l'oggetto che si conosce. Il fatto che il 'porsi, fermarsi' ha per conseguenza lo 'stare' ha poi indotto in alcune lingue indoeuropee - tra le quali l'indiano antico, specie in fase tarda - la generalizzazione di questo secondo valore, indipendentemente dai temi flessionali (il perfetto o forme ampliate in *-e-, *-yo-) atti a convogliare tale nozione stativa; ma si tratta di fenomeno secondario, al pari della utilizzazione del verbo quale suppletivo della radice per 'essere, esistere', ad es. nell'irlandese antico, nel tocario 952 e nelle lingue romanze (forme perifrastiche). In conclusione, pertanto, il perfetto del verbo ind. ant. sthaè certo antico, e si è creato in un'epoca nella quale la radice conservava il proprio valore processivo originario (cioè in un periodo appena predocumentario, dal momento che tracce di un senso non stativo sono ancora presenti nel RV). XXXVI. svap- 'dormire', 'addormentarsi' (Wh. Roots, 201; Macd. VGS, 432; Bohtlingk, VII, 1428 sgg.; M.-W., 1280 + 40 ... ; Grassmann, 1625). La radice verbale ind. ant. svap- copre - a differenza dell'arcaica sas-, cf. supra - tutto l'arco della letteratura indiana fino al sanscrito classico. La documentazione rigvedica è relativamente mo-

950 Ampie

indicazioni riguardo alla metafora alla base di È1tla--c11µ11~in W. Belardi, Superstitio, Roma 1976, p. 78 sgg. 951 Cf. W. Belardi, Superstitio, cit., p. 83 sgg. (con ulteriori dati relativi alle aree celtica e iranica). 952 Cf. F. Bader, Présents moyens, cit., p. 33 e nota 60.

VI - Eccezioni: verbi (apparentemente)stativi

354

desta rispetto a quella poi riscontrabile nelle altre Samhita, nella prosa tardo-vedica e ancor più nell'epica e nel sanscrito classico; tuttavia, il RV mostra comunque un totale di diciotto esempi, ripartiti su cinque temi flessionali: il presente (aoristo secondo il Barton, cit. nota 953, p. 22 sg.) atematico (pt. svapant-, due volte) e tematico (nz ... svapa, imperat. II sg.: tre esempi in VII, 65, 2-4), il causativo (a)svapaya-(il più frequente, con sei attestazioni), l'aoristo raddoppiato (II sg. sz~vap, si~vapas, tre volte), e infine il perfetto, in quattro inni (indicat. III pi. nz ... su~upur, VII, 18, 14; pt. attv. su~upv/Jms-,I, 117, 5 e 161, 13; pt. medio su~upa,;za-, IV, 19, 3). Nelle altre Samhita e nella prosa tardo-vedica continuano a figurare questi temi flessionali (compreso il perfetto: cf. sufvapa nella recens. Paippalada dell'AV, XX, 61, 8, su~upthas in SatapathaBr., XI, 5, 4, 5, etc.), con l'aggiunta di futuro, aoristo sigmatico e radicale, pt. in -ta e « gerundio» (suptv/J), e con l'esclusione dell'aoristo raddoppiato 953 ; analogo discorso si può fare per l'epica e il sanscrito classico. Vari indizi convergono a mostrare l'antichità del tema del perfetto: la frequenza proporzionalmente alta nel RV (22% del totale, e tema flessionale secondo per rango dopo il causativo in -aya-), il valore non preteritale (per su~upur)954 e con una peculiare connotazione di durata (per i pt. su~upv/Jms-e su~upa,;za-,altrimenti sinonimi del pt. presente 955), la corrispondenza con il perfetto avestico

Ampie e puntuali indicazioni sulla documentazione vedica di svapin G. Klingenschmitt, Zum Ablaut, cit., p. 8 sgg.; d. anche Ch. R. Barton, PIE *s!)ep-, cit., p. 20 sgg. 954 Il passo (versi a-b di VII, 18, 14) non è chiarissimo, e offre qualche problema d'intendimento (si noti la doppia traduzione del Geldner, Der RigVeda, cit., dapprima in II, p. 197, poi nei Nachtriige [IV], p. 258); non mi pare ponga alcuna difficoltà, comunque, riferire ni ... SU!upur al presente, come stato risultante da un'azione già compiuta (quindi si può tradurre 'sono addormentati' o 'si sono addormentati', consapevoli del fatto che l'accento è posto non sul tempo passato dell'azione, bensl sulla sua conseguenza attuale; probabilmente ha ragione il Barton [d. nota prec.], specie a p. 25 sg. e nota 27, nel riconoscere in questo brano un'allusione alla morte). 955 Il pt. in -iina-,se non ha qui una funzione semantica peculiare rispetto a quello in -vilms- (negata dal Renou, Pf., cit., pp. 121 sg. e 176, ammessa invece da J. Gonda, The Medium, cit., p. 77), si spiegherà allo stesso modo di sasramii!Ja-,cf. supra, s.v. sram- (in entrambi i verbi il paradigma è solo 953

XXXVI- svap-

3.5.5

(avest. husxvafa, Kellens, 400 e 407, con identico raddoppiamento in -u-). Sul senso originario della radice indiana antica svap- si è già accennato a proposito di sas-; sarà qui utile ricordare, con il Mayrhofer 956, che ni ... svapa in RV, VII, 55, 2-4 ha il valore ingressivo {quindi processivo) del!' 'addormentarsi', in opposizione a sastu della strofa seguente; analoga opposizione si ravvisa in VI, 20, 13, tra l'aoristo raddoppiato si~vap e sastas; infine, il significato 'uccidere' del causativo (o dell'aoristo raddoppiato) in I, 121, 11, IV, 30, 21, VII, 19, 4 e IX, 97, 54, sembra presupporre un *'far morire', cioè *'far addormentare (per sempre)' (quindi un processo, non uno stato) 957• Quindi, l'uso di svap- nella fase più antica della documentazione letteraria mostra per tale verbo un senso non ancora cristallizzato nell'accezione stativa del 'dormire' - come poi avviene nella produzione successiva, in concomitanza con la scomparsa di sas- -, ma ancora in parte dinamico, quale espressione di un processo 958 • Le conclusioni del Mayrhofer (cit. nota 956), che proietta la distinzione tra i verbi svap- (« aktiver ») e sas- nella fase preistorica indoeuropea, possono trovare supporto in alcuni dati che qua e là appaiono in diverse aree linguistiche. In genere, là dove non si è

attivo). Solo su1upvlzms- in RV, I, 161, 13, sembrerebbe avere valore preteritale (cf. L. Renou, Pf., cit., p. 176, e la traduzione di K. F. Geldner, Der Rig-Veda, cit., J. p. 221). 956 M. Mayrhofer, Heth. u. ar. Lexikon, cit., p. 250; d. anche Ch. R. Barton, PIE *s~ep-, cit., p. 20 sgg. 957 Cosl anche il Barton, cit. nota prec., p. 25 sgg. (inclusi esempi nei quali svap- significherebbe 'morire'). Mi pare meno probabile uno sviluppo da 'far dormire' a 'uccidere', come quello ricostruito da A. Bammesberger, Zur Bildungsweise des indogermanischen Kausativs, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 94 (1980), p . .5. 958 Ciò, com'è ovvio, non significa necessariamente che svap- sia radice di tipo aoristico (tra l'altro, se non ha ragione il Barton [cit. nota 953], manca l'aoristo nelle attestazioni più antiche), né tanto meno che il verbo sia un originario denominale (transitivo in -aya-) da svapna-, con costruzione secondaria di un presente intransitivo: quest'ultima ipotesi, avanzata da S. W. Jamison (« Sleep », cit., p. 6 sgg., e Function, cit., p. 120 sg. e nota 11 a p. 16), è estremamente incerta, considerate le argomentazioni precedentemente addotte da G. Klingenschrnitt, Zum Ablaut, cit., p. 8 sgg., e da J. Schindler, Bemerkungen zum idg. Wort fiir « Schlaf », « Sprache » 12 (1966), 1, nota 1.5 a p. 71 sg., riguardo alla formazione del presente di svap-.

VI - Eccezioni: verbi (apparentemente) stativi

356

continuato *s(V)s-, la radice *sw(V)p- ha assunto anche i valori propri dell'altra, e quindi è passata a indicare il 'dormire' « tout court »: cf. avest. xvap- (anche se il medio « exprime le passage d'un état à un autre », Kellens, 79), si. ant. supati (glossato con ùm1oùv - ma anche con xa.aEv6Ew-), russo spat' etc., nord. ant. so/a, ags. swefan etc. E tuttavia, a parte i dati avestici e slavi sopra menzionati (ai quali non si può attribuire troppo peso, pur se non è detto che nella flessione di avest. xvap- il medio esprima il senso secondario), si deve ricordare: che l'ags. swefan vale anche 'cessare (un'attività)' 959 ; che i causativi nordici antichi (sdfa, sw~fa) indicano l' 'uccidere (uomini oppure bestie sacrificali)' 96(), e questo dato è interessante se è valida la trafila semantica sopra ricostruita a proposito del causativo di ind. ant. svap-; che il nord. ant. so/a può talora indicare anche l' 'addormentarsi', oltre che il 'dormire' 961• Considerato il livellamento semantico avvenuto a séguito dell'eliminazione di *s(V)s- in tali gruppi linguistici 962, questi dati mi paiono fornire una non del tutto irrilevante conferma della spiega-

Cf. Bosworth - Toller, An Anglo-Saxon Dict., cit., p. 945. ~ oltremodo verisimile che il significato alla base di questo valore dovesse essere ingressivo ('mettersi a riposare, a dormire' - 'cessare [ un'attività]'). 960 Su tali formazioni cf. soprattutto G. Klingenschmitt, Zum Ablaut, cit., p. 1 sg., e, in polemica con la tesi del Klingenschmitt riguardo ai causativi, A. Bammesberger, Zur Bildungsweise, cit., p. 5 sgg. 961 Cf. ad es. E. Seebold, Vgl. u. etym. Wb., cit., p. 482 sg. 962 La situazione dell'ittito è particolare, in quanto, accanto al comune fef'dormire, riposare' (= ind. ant. sas-), è documentato un raro verbo fup-, in genere glossato dagli studiosi con 'schlafen' (cioè 'dormire'): cf. per tutti N. Oettinger, Der idg. Stativ, cit., p. 132. Le forme verbali di sup-, tutte recenti, si ripartiscono tra attive (due) e medie (quattro); di queste, almeno due esprimono sicuramente un valore ingressivo, come mostra ad es. la traduzione di E. Neu (I nterpretation der hethitischen mediopassiven Verbalformen, Wiesbaden 1968, p. 157): KBo V 4 II 38: 'und (wenn) jemand (ein)schliift'; KUB XXXVII 190 I 6: 'komrnt nicht zur Rube'. Delle altre, secondo il Barton (PIE *sl)ep-, cit., p. 29 sg.), solo fu-up-pa-at-ta in KUB LIII 60 I 1-2 si presterebbe a una duplice interpretazione, mentre sembra preferibile attribuire a tutte le altre il valore ingressivo riscontrato in queste due sopra menzionate. Questo è dunque un importante indizio del fatto che in ittito la radice Iup- doveva per lo più esprimere non uno stato (come invece se.I-- che però non rientrerebbe nella flessione da Oettinger interpretata come « stativa »!), ma più propriamente l' 'addormentarsi'. 959

XXXVI- svap-

357

zione proposta dal Mayrhofer. Pertanto, credo si possa legittimamente concludere che il perfetto su1upur etc. è antico, e si giustifica, per così dire, in considerazione del senso non stativo ma processivo (ingressivo) proprio della radice svap- in fase preistorica e ancora rintracciabile nei primi documenti letterari indiani. XXXVII. hid- '(irritarsi, essere irritato)' (Wh. Roots, 206; Macd. VGS, 434; Bohtlingk, VII, 1630 [ I, 577 sg.]; M.-W., 1300 + 1303 + 1003; Grassmann, 1669 + 167). Nel caso dell'ind. ant. hicf,-(hi/-) ci troviamo di fronte a una radice verbale che conosce quasi esclusivamente il tema del perfetto (sarà questa la ragione per la quale il Mayrhofer, Ili, 601, menziona il lemma non nel tema di presente, ma solo nella forma radicale). Il RV mostra quattro esempi del perfetto (attv. I sg. jihi{a; med. III sg. jihi/e, III pl. jihi/iré; pt. jihi{a,:za-);per il resto due esempi del participio in -ta (hi{ita-), e alcune forme participiali attive e medie con prefisso a- privativo (ahe{ant-, cinque volte; ahe{ama,:za-,in tre attestazioni; e infine l'isolato ahe/ayant-). Nell'AV, oltre ai perfetti jihicf,ae jihirf,é, compaiono una forma ajthirj,at,generalmente considerata aoristo raddoppiato (così ad es. Grassmann, 1669; Bohtlingk, VII, 1630; Macd. VG, 375 § 514, etc.), che tradisce la propria recenziorità per l'abbreviamento di -z-radicale (cf. Wack. AiGr., I, 272 § 236 a), e il pt. in -ta (due volte) 963; nella Maitraya.i:u-Samh.si ha hiTJµE~v, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 38 (1902-3), pp. 496-499 (= Kl. Schr., I, pp. 741-744). \X'ACKERNAGEL, J.: Studien zum griechischen Perfektum, Gottingen 1904 (= Kl. Schr., II, pp. 1000-1021). WACKERNAGEL, J.: Indisches und Italisches, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 41 (1907), pp. 305-319 (= Kl. Schr., I, pp. 494-508). WACKERNAGEL, J.: Indoiranica, « Zeitschr. f. vgl. Sprachf. » 43 (1909-10), pp. 292-313; 61 ([1933-]34), pp. 190-208 (= Kl. Schr., I, pp. 277-298 e 351-369). WACKERNAGEL, J.: Sprachliche Untersuchtmgen zu Homer, Gottingen 1916 (= «Glotta» 7 [1916], pp. 161-319). WACKERNAGEL, J.: Indoiranisches, « Sitzungsb. d. k. Akad. d. Wiss. zu BerIin », Jhg. 1918, pp. 380-411 (= Kl. Schr., I, pp. 299-330). WACKERNAGEL, J.: Zu a/tir. fitir, « Indog. Forsch. » 39 (1921), pp. 220-223 Kl. Schr., I, pp. 509-512). WACKERNAGEL, J.: Kleine Beitrage wr indischen Wortkunde, in: Beitrage zur Uteraturwissenschaft und Geistgeschichte Indiens - Festgabe H. Jacobi, Bonn 1926, pp. 1-17 (= Kl. Schr., I, pp. 417-433). J.: Vorlesungen iiber Syntax, 2a ediz., 2 voli., Basel 1926-28. WACKERNAGEL, J.: Vergessene Wortdeutungen, « lndog. Forsch. » 45 (1927), WACKERNAGEL, pp. 309-327 ( Kl. Schr., II, pp. 1249-1267). WACKERNAGEL, J.: Kleine Schriften, 3 voll., Gottingen 1955-79. WACKERNAGEL, J. - DEBRUNNER, A. - RENOU,L. - HAUSCHILD,R.: Altindische Grammatik, 4 (8) voll., Gottingen 1896-1964 e sgg. (sigla: Wack. AiGr.). WAGNER,H.: Zu den indogermanischen e-Verben, « Zeitschr. f. celt. Philol. » 25 (1956), pp. 161-173. WALDE, A.: Aspiratendissimilation im Latein, « Indog. Forsch. » 19 (1906), pp. 98-111. WALDE, A. - HoFMANN, J.B.: Lateinisches etymologisches Worterbuch, 3 voll., Heidelberg 1938-56. W ALDE,A. - PoKORNY,J.: Vergleichendes W orterbuch der indogermanischen Sprachen, 3 voll., Berlin- Leipzig 1930-32. WATKINS,C.: Indogermanische Grammatik, III, 1 (Formenlehre), Heidelberg 1969. WATKINS,C.: Etyma Enniana, « Harvard Studies in Class. Philol. » 77 (1973), pp. 195-206. WEBER, D.: Das Perfekt transitive, Verben im Khotansakischen, « Sprache » 28 (1982), 2, pp. 165-170. WEST, E. W.: Pahlavi Texts III, Oxford 1885, rist. Delhi - Patna - Varanasi 1970.

(=

=

396

Riferimenti bibliografici

WHITNEY, W. D.: I ndex V erborum to the Published T ext o/ the AtharvaV eda, « Joum. of the Amer. Or. Soc.» 12 (1881), pp. 1-383 (sigla: Wh.

IndexAV). The Roots, Verb-Forms and Primary Derivatives o/ the Sanskrit l.Anguage, Leipzig 1885, rist. Delhi 1963 (sigla: Wh. Roots). WHITNEY, W. D.: Sanskrit Grammar, 2a ediz., Cambridge Mass. 1889, rist. 1955 (sigla: Wh. SG). WHITNEY, W.D.: On the Narrative Use of Imperfect and Perfect in the Brahma,:ras,« Trans. of the Amer. Philol. Ass. » 23 (1892), pp. 5-34. WHITNEY, W. D.: Atharva-Veda Samhita, Cambridge Mass. 1905, rist. Delhi Patna - Varanasi 1962. WIJSEKERA,O. H. DE A.: A Socio-Semantic Analysis of Sanskrit kalp-, « Annals of the Bhandarkar Or. Res. Inst. » 48/49 (1968), pp. 161-171. WIKANDER,S.: Der arische Miinnerbund. Studien zur indo-iranischen Sprachund Religionsgeschichte, Lund 1938. WINDEKENS,A. J. VAN: Notes étymologiques, « Ann. 1st. Or. Napoli - Sez. Ling. » 1 (1959), 1, pp. 15-21. W1NDEKENS,A.J. VAN: Études de phonétique tokharienne XI. Le traitement des labiovélaires indo-européennes, « Orbis » 18 (1969), 2, pp. 485-512. WINDEKENS, A. J. VAN: Études de phonétique tokharienne XII. Encore le traitement des labiové/aires indo-européennes, « Orbis » 19 (1970), 1, pp. 102-109. WINDEKENS, A. J. VAN: Études de phonétique tokharienne XV, « Orbis » 20 (1971), pp. 108-117. WINDEKENS,A. J. VAN: Études de phonétique tokharienne XX, « Orbis » 22 (1973), pp. 369-371. WINDEKENS,A. J. VAN: B saiwai « à droite » et A çalyi « situé à gauche », B çwalyai « à gauche », « Orbis » 22 (1973), pp. 437-438. WINDEKENS,A. J. VAN: Le tokharien confronté avec les autres langues indoeuropéennes, 2 (3) voll., Louvain 1976-82. WINTERNITZ,M.: Geschichte der indischen Literatur, 3 voll., Leipzig 1907-20, rist. Stuttgart 1968. WiisT, W.: Das rgvedische tavagitm etymologisch, « Zeitschr. f. Indo!. u. Iran.» 4 (1926), pp. 167-170. WiisT, W.: Stilgeschichte und Chronologie des IJ..gveda,Leipzig 1928 ( Abh. f. d. Kunde d. Morgenl., XVIl/4). WiisT, W.: Altpersische Studien, Miinchen 1966 ( = « 'Ffiµa » 8/11 [ 196265]). WiisT, W.: Von indogermanischer Dichtersprache, « 'Pijµci » 12 (1967-68), pp. 1-112, rist. Miinchen 1969. WHITNEY, W.D.:

=

ZGusTA, L.: 1A théorie laryngale, « Archiv Or.» 19 (1951), pp. 428-472. ZwART, H. J.,DE: IJ.gvedaX, 95. Pururavas and Urvaii, in: Orientalia Neerlandica, Leiden 1948, pp. 363-371.

INDICE DELLE RADICI VERBALI INDIANE

NOTA. Nel presente indice figurano le radici verbali indiane antiche di cui si offre una pur breve discussione. I numeri in tondo si riferiscono alle pagine del testo, quelli in neretto alla trattazione specifica come lemma, quelli in corsivo alle note. Un indice completo dei vocaboli uscirà con la II parte dell'opera. Nella citazione delle radici ometto l'indicazione relativa al carattere « set» o « aniç », in quanto tale dato non riveste particolare interesse nella presente trattazione (e comunque talora richiederebbe approfondite discussioni, anche etimologiche, impossibili in questa sede).

are- 87-88, 92, 119; 184, 185 arh- 124-127, 242, 249, 252; 272, 274276 as- 'essere' 243-248, 304, 365, 368, 369; 600, 602, 603, 609, 610, 788 iis- 29-31, 35, 348, 369; 41 indh- 131-133; 291 il- 127-129, 242; 278-280, 283 ikf- 'guardare' 486 inkh- 486 ir- 283, 486 ii- 248-255, 365, 368; 303, 615-617, 620, 625 ih- 129-130, 241, 257 uc- 171, 255-257, 364; 632 us- 'bruciare' 111 rdh- 294, 295 edh- 130-134, 242, 253; 288, 294, 295, 440

kan- 42, 171, 257-260, 264, 321-324, 364, 369; 641, 642, 644, 645, 648 kii- 171, 257; 397, 641 kiis- 88-90, 91, 119; 188, 190, 191 kup- 134-135, 241; 297, 298 kuj- 71-72, 79, 80; 150 kr- 'fare' 265-266; 179 krp- 262; 656, 667 krs-260-262, 365; 651-653 ku- 653 klp- 42, 262-266, 365; 659-662, 666 bis668, 670

krand- 76-77, 79, 80, 179, 368; 163-165, 167, 179 krudh- 136-137, 142, 242; 299-301 klam- 344, 345 kva?J- 45-46 kfii- (k#-) 'possedere' 137-139, 242, 369; 306 kfi- 'abitare' 137, 139-141, 242, 369; 308, 310, 311 kfudh- 141-143, 241, 294 k1vid- (k1vi *lik..,-,nella radice i.e. per 'lasciare') 7 • La questione delle laringali indoeuropee continua a dividere gli studiosi; in altra occasione• ho ricordato alcune ragionevoli prese di posizione al riguardo ', ma non è questo il luogo per anaHzzue a fondo tale controverso problema. Senza pertanto voler prefigurare alcuna soluzione riguardo alla ricostruibilità di una ovvero più laringali per la fase indoeuropea preistorica 10, adotterò in linea di masW. Bclardi, Genealogia, tipologia, ricostruzione e leggi fonetiche, in Li11guistica generale, filologia e critica dell'espressione, Roma 1990, p. 187 sgg. 7 Incidentalmente osserverò che, a differenza dell'uso prevalente, seguirò la convenzione di citare le radici (sia attribuite alla fase indoeuropea preistorica, sia in riferimento alle lingue storiche, come l'indiano antico etc.) con un trat• tino dopo l'ultimo elemento: ~ pur vero che in taluni ambienti culturali le radici sono state considerate forme a sé stanti, in qualche modo autonom~ (ad es. dai grammatici indiani), ma cib non toglie che si tratti a tutti gli effetti di monemi lessicali (ci~ lessemi) che traggono la loro ragion d'essere dalla combinabilità con morfemi diversi, per lo più suffissi moduli• derivazionali, desinenze), nella parola internamente articolata. Se in genere si accoglie l'uso di segnalare le desinenze con un trattino precedente (che indica il punto di affissione), i suffissi fra due trattini (per la loro generale collocazione fra radice e desinenze), gli eventuali prefissi con trattino seguente, mi pare coerente indicare anche la radice con un trattino seguente, a segnalare il più comune punto di giunzione con altri monemi. • Studio sul perfetto, cit., I, p. 1.51 e nota .344. 9 Tra gli autori più •scettici" riguardo alla necessità di ricostruire tre o più laringali, vanno certo ricordati ancora O. Szcmctényi,Tbe New Look of Indo-European. Reconstruction and Typology, •Phonetica" 17 (1967), p. 89 sgg. (d anche la Einfuhrung in die vergleichende Sprachwissenschaft, 4• ediz., Darmstadt 1990, pp. 127 sgg. e 141 sgg.), e E. C. Polomé, la cui posizione ~ chiaramente sintetizzata in The Present State o/ Proto-Indo-European Studies, in Proceedings of the XIII'" International Congress o/ Linguists (August 29Scptembcr 4, 1982, Tokyo), Tokyo 198.3, p. 1.362. 10 A mio parere, comunque, risultano particolarmente persuasive le argomentazioni addotte da R. Gusmani, Ittita, teoria laringalistica e ricostru%ione, in Hethitisch und Indogermanisch, hg. v. E. Neu u. W. Meid, Innsbruck 1979 IBS, 2.5), pp. 63 sg. e 67 sgg. [ Itinerari linguistici, Alessandria 1995, pp . .3 sg. e 7 sgg.], ora integrato da Tracce di laringali in uralico?, •JnL• 17 (1994), p . .3.3sgg. 6

e•

(=

=

18

I - I ntrod11%ione

si.ma un tipo di rappresentazione tradizionale (*a in luogo di *Hze etc.), che spesso consente di dar conto altrettanto bene delle forme ricostruite. Una tale scelta è in particolare giustificata da due ragioni: da un lato, la ricostruzione che sarà effettuata si limiterà alla prima fase raggiungibile in base agli elementi posti a raffronto (senza quindi porsi il problema di attingere fasi indoeuropee recuperate a partire da ciò che già è un reconstructum - cf. infra, S 2.9.2 -, fasi per le quali la rappresentazione "laringalista• potrebbe offrire qualche vantaggio); dall'altro, la constatazione che, nel settore di ricerca qui indagato, le lingue anatoliche - uniche testimoni dirette di almeno una laringale - rivestono un'importanza piuttosto rilevante, ma certo non decisiva (cf. infra, S 2.9), consente di prescindere da un sistema di notazione comunque complesso, in favore di ·una rappresentazione grafica di evidenza più immediata. Un ultimo punto per il quale mi atterrò all'uso tradizionale è quello della trascrizione delle (sorde e) sonore aspirate originarie: certamente molti contributi sono apparsi negli ultimi lustri - specialmente ad opera di studiosi russi -- riguardo alla determinazione delle caratteristiche da attribuire alle cosiddette "occlusive aspirate" indoeuropee; sicché sono state proposte, in alternativa, varie interpretazioni, in una cornice che presuppone articolazioni eiettive o glottidalizzate, o ancora sequenze di occlusiva + laringale. Anche se è vero che in qualche caso spiegare l'aspirazione documentata in varie lingue indoeuropee come il risultato di uno sviluppo secondario può aiutare a comprendere meglio taluni fenomeni (ad es. la "legge di Grassmann" nel greco, etc.), tuttavia non mi pare che sia conveniente, nella pratica, discostarsi dalla consueta - e comoda - rappresentazione del tipo *bh, *dh etc. (dove *-h, naturalmente, potrà essere interpretato nel modo che si preferisce). La bibliografia riguardante il perfetto indoeuropeo e le questioni ad esso attinenti è straordinariamente ampia, e impone alcune - dolorose - scelte. Ho pertanto evitato di menzionare opere appartenenti alla fine del secolo scorso, tranne che nei rari casi in cui gli spunti d'indagine ivi presenti siano stati trascurati dagli studiosi successivi. Nella imponente massa di trattazioni recenti relative al sistema verbale indoeuropeo ho poi dovuto necessariamente selezionare gli autori e gli articoli maggiormente affidabili (talora accade, infatti, di imbattersi in lavori poco rispettosi delle norme che dovrebbero presiedere alla comparazione e alla ricostruzione sul

1.4. Convenzioni adottate nel presente lavoro

19

versante non solo formale, ma anche funzionale). Nonostante lo sforzo di tener conto della bibliografia, certamente mi sarà potuto sfuggire qualche contributo (spero non essenziale) sulla questione: esprimo in anticipo il mio rammarico, ma nella considerazione del fatto che la bibliografia, anche se è il corredo indispensabile per l'avvio, non esaurisce certo i compiti della ricerca, si vorrà apprezzare che in questo lavoro il posto centrale è occupato dall'esame e dalla valutazione dei dati linguistici.

CAPITOLO

II

UTILIZZAZIONE DELLE DIVERSE LINGUE INDOEUROPEE NELLA RICERCA SUL PERFETIO

2.1. Considerazionipreliminari. La prospettiva di ricerca delineata nel I capitolo deve avva-

lersi di un metodo comparativo-ricostruttivo, sulla base del quale siano posti a raffronto elementi attribuibili alla categoria flessionale del cosiddetto "perfetto n. In particolare potranno essere posti a confronto, all'interno del materiale documentario delle lingue storiche della famiglia indoeuropea: a) intere forme flessionali appartenenti a una categoria di • perfetto n distinta sia forma]m~te che funzionalmente dalle altre categorie verbali; b) singoli elementi che figurano (in sinergia oppure isolatamente) quali costituenti di forme flessionali di "perfetton (o eventualmente evolutesi dal perfetto).

:8 di immediata evidenza la piena utilizzabilità dei dati del gruppo a ai fini della ricostruzione delle caratteristiche più antiche e della collocazione originaria del perfetto all'interno del sistema verbale indoeuropeo. Gli elementi indicati nel gruppo b, invece, vanno considerati con maggiore circospezione, dal momento che, come si vedrà nei capitoli seguenti, ciascuno di essi (raddoppiamento, alternanza apofonica, eventuali suffissi, desinenze) non è caratteristico esclusivamente del perfetto, ma figura anche in altre forma-

II - Utili:u.azione delle lingue indoeuropee

22

zioni verbali (per tacere, owiamente, della flessione nominale, che qui non viene presa in considerazione 1). Sarà quindi necessario distinguere le lingue indoeuropee, sulla base di questi due parametri, secondo una "scala gerarchica" (decrescente) di utmzzabllità ai fini della presente ricerca. In tal senso potremmo selezionare quattro gruppi di lingue: I. lingue che conservano un perfetto non solo formalmente autonomo dagli altri temi flessionali, ma anche fornito di un valore analogo a quello ricostruibile per la fase più antica; Il. lingue che conservano un perfetto formalmente autonomo, ma funzionalmente non conforme ai valori più antichi (e spesso, perciò, profondamente ristrutturato o addirittura confluito con altri temi flessionali); III. lingue che non conservano più una formazione di "perfetto", ma sembrano presentare, in diversi temi flessionali, ora 1

Varie voci, in un passato anche recente, si sono levate, con argomenti spesso discutibili, e comunque in una prospettiva largamente • glottogonica•, a sostenere l'origine nominale del perfetto indoeuropeo (quand'anche non addirittura dell'intero sistema verbale). Tra queste, mi limito a ricordare: H. Hirt, Vber den Ursprung der Verbalflexion im Indogermanischen, •IF• 17 (1904-.5), p. 36 sgg. (più ancora che nella Indogermanische GrammatiJ:); O. Griinenthal, Zum PerfeJ:t, •KZ• 63 (1936), p. 133 sgg.; L. G. Hcller, Th, First Person Singular Verbal Endings in Indo-European. A Study in Syntagmlllic Phonetics, •1..g• 33 (19.57), 1, p. 19 sgg.; C. Watkins, Indogermanische GrammatiJ: • III. Formenlehre, Heidelberg 1969, p. 10.5 sg. (in forma peraltro pr blematica); W. R. Schmalstieg, Speculations on the lndo-European Active tmtl Middle Voices, •KZ" 90 (1976), p. 23 sg., e The Shift of Intransitive to Transitive Passive in the Lithuanian and Indo-European Verb, •Baltistica• 18 (1982), 2, p. 131 (l'intera flessione verbale di tipo •stativo• ~ riportata • un'origine nominale); G. Schmidt, Das Medium im vorhistorischen Keltiscb, in Indogermanisch und Keltisch, Kolloquium d. ldg. Gcscllsch., hg. v. K. H. Schmidt, Wiesbaden 1977, p. 107 (limitatamente alla III persona plur.); W. Schulze, PrototypiJ: in der Diachronie. Zur Frage des indogermanischen Di4thesensystem, •FoLH• 10 (1989), 1-2, p. 13 sg. Serie obiezioni a una tale conclusione sono state mosse, tra l'altro, da W. Bclardi, LI formazioM del perfetto nell'indoeuropeo, •Rie. Ling." 1 (19.50), 1, p. 102, e, successivamente, da J. Puhvcl, "'Perfect Tense" and "Middle Voice•. An Indo-European MorCongrès I nternational des Linguistes (Buphological Mirage, in Actes du (arest, 28.8 - 2.9.1967), IV, Bucarest 1970, p. 631; d. anche il recentissimo articolo di W. P. Lchmann, Person MarJ:ing in Indo-European, •HS• 107 (1994), 1, p. 6 sg.

xe

2.1. Considerazioni preliminari

23

l'uno, ora l'altro degli elementi costitutivi del perfetto indoeuropeo (raddoppiamento, alternanza apofonica, desinenze); IV. lingue che affidano ad altri procedimenti flessionali - tra i quali si segnala la suffissazione - quell'indicazione funzionale che doveva essere propria del perfetto indoeuropeo nella fase più antica. Sulla base di questa classificazione - certo empirica, ma estremamente pratica ai fini della discussione successiva - sarà opportuno considerare il contributo che ciascun gruppo linguistico indoeuropeo può fornire per consentirci di individuare la più antica collocazione del perfetto all'interno del sistema verbale.

2.2. L'indiano antico e il perfetto indoeuropeo. L'indoario presenta nella sua fase più antica una ricca testimonianza relativa al perfetto. Come si è ricordato nella prima parte del presente lavoro 2, il vedico ci offre numerosissime forme di perfetto, in riferimento ad alcune centinaia di radici verbali. Per altro verso, il valore di stato risultante, proprio in origine di tale tema flessionale, risulta ancora parzialmente documentato, sia pure in fase recessiva, nei testi più antichi, specialmente nel igveda; già nella documentazione vedica, e poi nel sanscrito classico, si manifesta comunque appieno lo slittamento verso l'indicazione di un preterito (e la concorrenza con l'imperfetto e con l'aoristo in questo nuovo valore costituisce il presupposto per la scomparsa del perfetto nel medio-indiano) 3• L'importanza dell'indiano antico in una ricerca di tipo comparativo-ricostruttivo è accresciuta dalla notevole conservatività nel campo della fonologia (escluso in parte il vocalismo) e soprattutto

2

Studio sul perfetto, cit., I, p. 23 sgg. Per tutti questi dati rinvio senz'altro a L. Rcnou, La valeur du parfait dans les hymnes vldi(Jues, Paris 1925, passim, integrato da J. Avcry, Contributions to the Histo,y o/ Verb-Inflection in Sansltrit, •JAOS• 10, 2 (1880), p. 311 sgg., e da W. D. Whitncy, On the Na"ative Use o/ Imperfect and Perfect in the BrahmalJas, •TAPA• 23 (1892), p. 5 sgg. 3

24

II - Utiliw,1.ione delle lingue indoeuropee

dalla accentuata modularità del segno linguistico ': è dunque agevole individuare gli elementi componcnziali del perfetto, i cui confini sono ancora ben netti. Proprio la considerazione della trasparenza formale delle formazioni verbali indiane antiche, unitamente alla ricca attestazione documentaria e alla ben evidenziabile dinamica diacronica e diastratica dell'indoario 5, rende tale settore linguistico di particolare rilevanza nell'indagine sul perfetto indoeuropeo; e dunque non sembra coglier nel segno certa affrettata critica recente 6 intesa a svalutare il modello ricostruttivo greco-ario(-armeno), anche nel settore della flessione verbale. C.ome si vedrà più avanti, a proposito delle lingue anatoliche, la scelta di certe lingue a preferenza di altre non è il retaggio di una tradizione ormai obsoleta, ma il risultato di considerazioni nelle quali la valutazione del dato cronologico e delle testimonianze linguistiche converge con una obiettiva situazione di minore evoluzione strutturale rispetto al prototipo.

2.3. Il greco antico e il perfetto indoeuropeo. La lingua greca, almeno per la sua fase più antica, offre una situazione estremamente simile a quella riscontrata nel settore indoario: esiste un perfetto, autonomo dagli altri temi flessionali, con una notevole riconoscibilità dei moduli costitutivi. Oltre a ciò, già

' Sui problemi connessi con la modularità del segno linguistico nella fase indoeuropea ricostruita e in alcune lingue antiche si veda soprattutto W. Be. lardi, Genealogia, cit., p. 158 sgg., con le ulteriori importanti osservazioni contenute in Sulla tipologia della struttura formale della ptlrOla nelle lingue indoeuropee, •RAUnc• s. IX, voi. IV (1993), 4, p. 536 sgg. 5 Si veda in tal senso, ad esempio, la netta puntuelizzazfone di R. Lazzeroni, Fra glottogonia e storia: ipotesi sulla formar.ione del sistema verbale sanscrito, •SSL• 20 (1980), p. 28. 6 Tra i lavori dell'ultimo decennio si possono citare E. Ncu, Dicbotomk im grundspr«hlichen Verbalsystem des Indogermanischen, in Indogermanic• Europua - Festschrift fur Wolfgang Meitl zum 60. Geburtstag am 12.11.1989, Graz 1989, p. 161, e E. C. Polomé, How Archaic is Olà Indie?, in Stutlu, Linguistica Dillchronica et Synchronica W. Winter Sexagenario ... Obldhi (a cura di U. Piepcr e G. Stickel), Bcrlin 198S, pp. 678 sg. e 681 sg. Ulteriori indicazioni in merito alle differenti concezioni dell'indoeuropeo ricostruito saranno fornite nel S 2.9.2.

2.3. Il greco antico e il perfetto indoeuropeo

25

da tempo 7 era stata osservata l'accezione particolarmente arcaica del perfetto nell'epos omerico, dove per lo più è attestata una valenza di stato (conseguente al processo indicato dalla radice verbale). Anche il greco, pertanto, offre in linea di principio un contributo essenziale per la ricostruzione dei caratteri originari del perfetto indoeuropeo e della sua posizione all'interno del sistema verbale. In_ aggiunta a queste considerazioni generali, si può osservare che l'alto numero di forme documentarie, anche per il periodo più antico •, e la sicurezza dell'interpretazione garantiscono un notevole margine di tranquillità nell'analisi (anche da un punto di vista filologico). Per altro verso, come vedremo più avanti, il greco potrebbe essere incluso anche nel IV gruppo, quello delle lingue che affidano ad altri procedimenti flessionali l'indicazione funzionale propria del perfetto indoeuropeo nella sua fase più antica. Mi riferisco in particolare al suffisso *-e-,che contribuisce alla formazione del cosiddetto "aoristo passivo,,, con un valore - secondo vari studiosi di "stato (raggiunto)"'. Non sembra possibile, pertanto, prescindere dal greco allorché si voglia ricostruire la situazione più antica nel campo della morfologia verbale indoeuropea (e segnatamente del perfetto). Quanto alle ricordate critiche al modello greco-ario, possono essere accantonate con motivazioni in tutto analoghe a quelle prospettate a proposito dell'indiano antico (cf. § 2.2).

J. Wackcmagcl,Studien zum griechischenPer/eletum,Gottingen 1904, p. 3 sgg. (= Kleine Schri/ten, Il, Gottingcn 1955, p. 1000 sgg.); cf. ancora P. Chantraine, Grammairehomérique, Paris 1948-53, Il, p. 197 sgg. 8 Oltre alle indicazioni fornite nella I parte del cit. Studio sul perfetto (p. 23 sgg.), si veda la monografia di P. Chantraine, Histoire du parfait grec, Paris 1927, passim; per una raccolta relativa al periodo miceneo (meno significativa, poiché per lo più si tratta di participi) si vedano, dello stesso Chantraine, Le parfait mycénien, •sMEA" 3 (1967), p. 19 sgg., e di M. Lejeune, Mémoires de philologie mycénienne (Premih-e série: 19.5.5-.57), Paris 1958, p. 224 sgg. (entrambi ora largamente integrabili sulla base delle più rcc:cnti acquisizioni e letture di testi in Lineare B). 9 Cf. ad esempio P. Chantraine, Le rdle de l'élargissemente/o d1111s 14 conjugaisongrecque, •BSL" 28 (1927-28), p. 33 sg., o H. Rix, Historische Grammatiledes Griechischen.Laut- und Formenlehre,Darmstadt 1976, p. 218. Di tale suffisso *-e-si parlerà comunque più ampiamente nel capitolo VI. 7

26

II - Utiliuazione delle lingue indoeuropee

2.4. Le lingue iraniche e il perfetto indoeuropeo. Il gruppo linguistico iranico presenta solo nella fase più antica una discreta documentazione di un perfetto formalme.nte autonomo (e in parte fornito ancora della valenza originaria). Come si è indicato nella prima parte del presente Studio 10, il persiano antico presenta rarissime forme di perfetto, mentre nella lingua avestica una sessantina di radici verbali possiede un perfetto vitale, ben raffrontabile alle omologhe formazioni indiane e greche antiche (anche nell'avestico con una evoluzione verso la pura e semplice indicazione di un preterito 11). L'iranico può pertanto a buon diritto figurare nel I gruppo di lingue, per quel che riguarda l\1tHizzabilità nella presente ricerca, sia pure in una posizione meno privilegiata dell'indiano e del greco, considerato il limitato numero di forme documentarie. Il fatto che in fase medievale varie lingue iraniche sviluppino forme perifrastiche di perfetto riveste minore importanza, poiché vcrisimilmente si tratta di innovazioni monoglottiche, piuttosto che cli relitti di una fase comune. 2.5. Le lingue germaniche e il perfetto indoeuropeo. Tra le lingue che conservano un perfetto formalmente autonomo, ma funzionalmente evoluto rispetto ai valori più antichi, possiamo ricordare in prima istanza le lingue germaniche. Infatti, nel gotico e, in parte, nelle fasi più antiche delle altre parlate germaniche, sussiste una ristretta categoria di presenti - i cosiddetti per/etto-presenti, oggi più comunemente noti come preterito-presenti - i quali, se funzionalmente non si distinguono in nulla dagli altri presenti 12, mostrano tuttavia un'origine affatto 10

Studio sul perfetto, cit., I, pp. 1.5 sg. e 23 (con indicazioni bibliografi-

che). 11

In questo senso sarebbe estremamente utile poter disporre di uno studio monografico sul perfetto avestico, analogo a quelli del Renou e dello Chantraine per il vedico e il greco antico (citt. note 3 e 8), nel quale fossero ulteriormente sviluppati gli spunti di ricerca forniti da J. Kellens, Le verbe avestique, Wiesbadcn 1984, p. 400 sgg. 12 E dunque ammettono la costituzione di un preterito (debole) a partire dal presente a grado zero radicale.

2-'. Le

lingue germaniche e il perfetto indoeuropeo

21

diversa da questi ultimi: l'altt!maoza apofonica all'interno della flessione (*-o- nelle forme forti, *-0- nelle forme deboli), la presenza di almeno una desinenza peculiare del perfetto originario (Il sg. -t), il valore intransitivo-stativo (in radici al contrario processive), sono tutti elementi che permettono di ricondurre questa categoria flessionale - nella sua globalità, pur se non in tutti i verbi che ne fanno parte - a un perfetto antico 13• Più complesso appare il discorso relativo ai preteriti forti delle lingue germaniche: in questo caso non solo il valore è diverso da quello originario del perfetto, ma le caratteristiche formali proprie del perfetto indoeuropeo non compaiono simultaneamente (ora l'alternanza apofonica - spesso ristrutturata in senso quantitativo -, ora il raddoppiamento, e la desinenza di II sg. -t nei soli gotico e nordico) 14• Il fatto che questi procedimenti formali si applichino

13

Cf. ad es. la chiara esposizione in 2. Benvcniste, Sur quelques dlveloppements du parfait indo-europlen, • ArchL• 1 (1949), p. 19: « Le pttSent de ccs verbes [scii.: Ics pcrfecto-pr6ients germaniques] rcpose sur un parfait ancien et a rcçu un p~t&it nouveau. Il ne ~Me sa fonction premièrc quc par sa forme, interp~tl!e comparativement. • (su un errore di prospettiva neJ quale incorre il Benvcniste in questo articolo, rinvio a quanto detto in Studio sul perfetto, cit., I, nota 21 a p. 22). Sui •prcteritpresenti• germanici in prospettiva indoeuropea si vedano in primo luogo E. Prokosch, A Comparative Germanic Grammar, PhiladeJphia 1939, p. 187 sgg., H. Krahe, Germanische Sprachwissenschaft, Il, 7• ediz. (bearb. v. W. Meid), Bcrlin 1969, p. 135 sgg. (S 96), e la documentata monografia di Th. Birkmann, Prateritoprasentia, Tiibingen 1987, p. 62 sgg.; ulteriori utili indicazioni in W. Meid, Das germanische Praettritum. Indogermanische Grundlagen und Ausbreitung im Germanischen, Innsbruck 1971 ( IBS, 3), pp. 13 e 32 sgg.; W. C.Owgill,More Evidence /or Indo-Hittite: the Tense-Aspect Systems, in Proceedings o/ the Eleventh International Congress o/ Linguists (Bologna-Florence, Aug. 28 • Sept. 2, 1972), ed. by L. Heilmann, Il, Bologna 197.5, p. 568 sg. (per la semantica); A. Austcrfjord, Zur Gestaltung des germanischen Tempussystems, •1p• 89 (1984), p. 161 sg.; A. Bammesberger, Der Aufbau des germanischen Verbalsystems, Heidelberg 1986, p. 72 sgg. Sull'eventualità che leann : leunnum possa non riflettere un antico perfetto si vedano le osservazioniin Studio sul perfetto, cit., I, p. 284 e nota 728. 14 Oltre ad A. Meillet, Caractères glnbaux des langues germaniques, 3• ediz., Paris 1926 (cito dalla 7• ediz., Paris 1949), p. 143, e H. Krahe, Germ. Sprachwissenschaft, cit., II, p. 102 sgg., si vedano in particolare Th. Bi.rkrnaoo, Prateritoprasenti4, cit., p. 64; W. Meid, Das germ. Praeteritum, cit., pp. 12 sg. e 42 sgg.; Id., Osservazioni sul perfetto indoeuropeo e sul preterito forte germanico, •InL • 4 (1978), 1, p. 36 ag. (Partirolo è successivamente apparso

=

II - Utiliua:done delle lingue ind~uropee

28

alle diverse radici senza alcuna restrizione semantica (in funzione del carattere stativo ovvero proccssivo) sconsiglia di individuare nel preterito forte germanico la diretta continuazione di un antico per• fetto 15; sarà invece preferibile vedere in tale classe flessionale un indizio della produttività (talora notevolmente espansa) di singole marche morfologiche caratteristiche, tra l'altro, del perfetto indoeuropeo. In questo senso, il preterito forte germanico si inquadra bene nella tipologia di quello che qui è stato classificato come III gruppo di lingue indoeuropee (lingue che non conservano più una formazione di •perfetto•, ma sembrano presentare, in diversi temi

in tedesco, con il titolo: Bemultungen :um indoearopiiscbm Perfeltt und :u111 gumanischen starlem Prulmlum, •ZPhon• 36 [1983], 3, pp. 329-336); A. Bammesbergcr, Der Au/bau, cit., p. 46; K. H. Mottausch, Zwei verleannte germanisch-italische Jsoglossen, •HS" 106 (1993), 1, p. 1,6. Sembra possibile concordare con il Bammcsberger (Du indogumanische Aorist und das gtr• manische PriJtmlum, in Langllllges and Cultures. Stwlies in Honor o/ Bdgar C. Poloml, ed. by M. A. Jazayery and W. Winter, Berlin-New York-Amsterdam 1988, p. sgg.) quando, sulle orme di E. Prokosch (A Compar. Gumanic Grammar, cit., p. 160 sg.) e di W. Krausc (Handbuch des Gotischen, zweite, vcrbcss. Aufl., Miinchcn 1963, p. 211), e rettificando una precedente ipotesi del Polomé (cit. nota seguente), riporta la desinenza di II sg. -i del germanico occidentale a un antico aoristo (secondo il Bammcsbergcr, ottativo dell'aoristo radicale); di ingiuntivo invece parla P. Ramat, Le lingue germaniche, in Le lingue indoeuropee, a cura di A. Giacalone Ramat e P. Ramat, 2- cdiz., Bologna 1994, p. 433. 15 In questo senso cf. soprattutto Th. Birkrnano, cit. nota prcc. (che ia parte riprende opinioni espresse da E. Prokosch, A Compar. Germanic Grammar, cit., p. 162 sgg.), e W. Mcid, Das gum. Praetmtum, cit., p. 74 - per quanto riguarda le forme raddoppiate -; non convincono le argomentazioni in favore di una diretta discendenza del preterito forte germanico dal perfetto indoeuropeo addotte dal Bammesberger, Der Au/bau, cit., p. 46, da E. C. Polomé, Diachronic Development of Structural Pattuns in the Germanic Coniugation System, in Proceedings o/ the Ninth Jnternational Congress o/ Linguists [Cambridge Mass., August 27-31, 1962], ed. by H. G. Lunt, Tbc lùgue 198}, p. 870 sgg., e - in parte - da J. Kurylowicz, Zar Vorgeschichte tles gumanischen Verbalsystems, in BeilriJge :ur Sprachwissenscha/t [. .. ] Wol/gang Steinitz [ ... ] dargebrachl, Berlin/O. 196.5, rist. in Esquisses linguisliques, Il, Miinchcn 197.5, pp. 376 e 380. - Si può notare che nel solo gotico esiste un tipo di preteriti a raddoppiamento, nei quali si evidenzia anche una differenziazione apofonica rispetto al presente (grado *-o-, a fronte di *-i• nel presente), pur se non tra forme forti (singolare) e deboli (plurale): cf. H. Krahe, cit. nota prcc., p. 106 sgg., e A. Bammesbcrger, Du Aufbau, cit., p. 62 sg.; ulteriori ragguagli più avanti, S 4.1.2.

,1

2.5. Le lingue germaniche e il perfetto indoeuropeo

29

flessionali, ora l'uno, ora l'altro degli elementi costituitivi del perfetto indoeuropeo). Infine, un certo numero di verbi (soprattutto la III classe dei verbi deboli, comprendente deverbali e denominali) a valenza prevalentemente intransitivo-stativa mostra, nelle fasi più antiche delle lingue germaniche, un suffisso -e-,la cui origine, peraltro, non è del tutto chiara 16• 2.6. Il latino, le lingue italiche e il perfetto indoeuropeo. Nella lingua latina si può riscontrare una situazione per molti versi analoga a quella delle lingue germaniche. Come è noto, infatti, esiste un ristrettissimo gruppo di perfettopresenti, vale a dire antichi perfetti raddoppiati con valore di stato risultante: memini, odi, forse didici (assai più problematica è l'inclusione di novi in questa classe) 17• Si può comunque osservare che, da un punto di vista flessionale, i per/ etto-presenti ora ricor16

Mi riferisco in particolare alle osservazioni di J. H. Jasanoff, Statiue and Middle in Indo-European,Innsbruck 1978 (= IBS, 23), pp. 19 (« Althougb a dircct relationship between the Germanic forms and the e-formations surveyed above is suggested by their dose semantic agreement, it should be noted that nowhere in the Germanic verbal system is an unequivocal reflex of IE *-i• prcserved •) e 56 sgg. Ampie osservazioni sui verbi germanici in -i- sono anche in W. P. Schmid, Studien tum baltischen und indogermanischen Verbum, Wiesbaden 1963, p. 94 sgg. (con il quale ll()§tsozialmenteconcordano A. Bammesberger, Die halbthematische Prasensflexion auf -i im Baltischen, io Studia Indogermanica et Slauica. Festgabe fiir Werner Thomas tum 65. Geburtstag, hg. v. P. Kosta, unter Mitarb. v. G. Lerch u. P. Olivier, Miinchen 1988, p. 4, e J. E. Rasmussen, The Slavic i-Verbs. With an Excursus on the lndo-European e-Verbs, in Comparative-HistoricalLinguistics • Indo-Europe11n and Finnn-Ugric.Papers in Honor of O. Stemerényi III, ed. by B. Brogyanyi and R. Lipp, Amsterdam-Philadclphia 1993 [ = CILT, 97], nota 2 a p. 486). 17 Su questo gruppo di verbi cf. ad es. F. Sommer, H11ndbuchder lateinischen Lllut- und Formenlehre,2• e 3• ediz., Heidclberg 1914, rist. 1948, Lllteinische p. 480; M. Leumann, Lllteinische Lllut- und Formenlebre ( Grammatik, I), 5• ediz., Neuausg., Miinchen 1977, p. 508; M. Hocquard, I.es uerbes d'état en -e-en latin, Lille 1981, p. 31 sg.; R. Ambrosini, Le lingue come rappresenta.ioni formali della conoscenta, Lucca 1995 ( = Accad. Lucchese di Se., Lett. e Arti - Studi e Testi, 37), p. 177. Sui problemi connessi con novi rinvio senz'altro a Studio sul perfetto, cit., I, p. 284 sg. e nota 729, con ulteriore bibliografia.

=

II - Utilizzazione delle lingue indoeuropee

30

dati non hanno alcuna autonomia, e si coniugano come gli altri perfecta. Il perfectum latino, nonostante il nome, non continua direttamente il perfetto più antico: si tratta piuttosto di una vera e propria "Mischflexion" 11, nella quale sono confluiti antichi aoristi (anche raddoppiati 19}, forme raddoppiate - con grado zero radicale generalizzato, oppure vocalismo esemplato sul presente -, forme senza raddoppiamento (per lo più con vocale radicale allungata}, forme a suffisso *-w-; il tutto con una serie di desinenze assai eterogenea (anche qui risultanti da confluenza tra desinenze di perfetto - provviste di "ampliamento" in *-i, cf. infra cap. V - ed elementi tratti dall'aoristo} 31• Possiamo dunque dire che nel perfetto latino sono certamente documentati procedimenti formali in origine propri del perfetto indoeuropeo, ma per lo più isolatamente, non organizzati in una formazione autonoma: la valenza del perfectum latino, esclusivamente preteritale (eccettuati, memini, odi, in parte didici, [navi]}, al tempo stesso permette di comprendere la ragione del precoce sincretismo con l'aoristo e impone di considerare il latino a uno stadio evolutivo più avanzato di altre lingue sopra ricordate (stadio evolutivo avanzato che, peraltro, si manifesta anche al livello della struttura della parola, nella quale la costituzione modulare - o monematica, che dir si voglia - è già mal riconoscibile per effetto di assimilazioni, soluzioni di nessi, etc.}. Del carattere innovativo del per/ectum latino rispetto al prototipo sono del resto chiaro indizio due fatti: da un lato gli unici perfetti latini con grado -oattestato rappresentano rifacimenti sul presente (causativo, inten-

C.osl J. Narten, Zur Flexion des lateinischen Perfekts, •MSS• 31 (1972), p. 142. 19 Su questo tipo di aoristi raddoppiati divenuti perfetti latini (ad es. tet1gi, etc.), d. da ultimo K. H. Mottausch, Zwei verkannte Isoglossen, cit., p. 155 sg. 31 Un quadro efficace della eterogeneità del sistema desinenziale del perfetto latino è fornito da J. Untcrmann, Zwei Bemerkungen zur lateinischen Perfektflcxion, in Studien zur Sprachwissenschaft und Kulturkunde - Gedenkschrift Brandenstein, Innsbruck 1968, rist. in Probleme der lateinischen Grammatik, hg. v. K. Strunk, Darmstadt 1973, p. 266 (l'Untermann poi - p. 269 - attribuisce all"'ampliamento• in *-i un valore non mediale, bcnsl di indicazione della persistenza della validità dell'azione). 18

2.6. Il latino, le lingue italiche e il perfetto indoeuropeo

31

sivo, etc.: momordi su mordeo, etc.) 21; dall'altro, il perfetto a suffisso *-w- rappresenta una innovazione piuttosto recente, tant'è che esso caratterizza soprattutto le formazioni nelle quali il perfetto non era originario (temi di presente derivati, come causativi, denominativi, etc., o ancora verbi stativi in principio privi di perfetto) 22•

C.Crtamcnte alcuni perfetti latini con vocalismo radicale ..;.. (vidi, liqul, etc.) oppure -i- (/idi, figi, etc.} potrebbero essere riportati a dittonghi in *-o- (*-oy-, *-ow-: cosl Fr. Bader, Vocalismeet redoublement au parfait radical en latin, "BSL• 63 [1968], 1, p. 161 sgg., e A. Mayer, Die Entstehung des lateinischen Perfeletsystems, •Glotta• 32 [1953], rist. in Probleme der lateinischen Grammatile,hg. v. K. Strunk, Darmstadt 1973, p. 243 sg.), ma nulla impedirebbe di vedere invece in queste forme una estensione analogica del rapporto tra perfetti a vocalismo lungo e presenti a vocalismo breve, assai produttivo nel latino (sulla cui origine cf. già Benvcniste, Sur quelques développements,cit., p. 16 sgg.; F. Sommer, Handbuch, cit., p. 550 sgg.; M. Leumann, LateinischeLaut- und Formenlehre,cit., p. 589 sgg.; A. L. Prosdocimi, Appunti sul verbo latino (e) italico. VI. Perfetti non raddoppiati.I perfetti a vocale lunga, in Studi in onore di Carlo Alberto Mastre/li. Scritti d, allievi e amici fiorentini, a cura di G. Del Lungo Camiciotti, F. Granucci, M. P. Marchese, R. Stefanelli, Padova 1994, p. 220 sgg.). La questione rimane comunque aperta, e ne fa fede l'esistenza di opinioni - anche autorevoli (d. C. Watkins, Idg. Gr11mmatile - III., cit., p. 152 sg.) - favorevoli invece ad interpretare parte di tali forme come antichi aoristi radicali tematizzati; né si dimentichi, per altro verso, che l'effetto dell'accento dinamico ha indotto un generale indebolimento del vocalismo in sillaba posttonica, e dunque non è sempre agevole individuare il timbro originario della vocale radicale nelle formazioni di per/ectum latino. 22 Questa importante osservazione è già in W. Krausc, Zur Entstehung des lateinischenuI- und vi-Perfekts,in Corollalinguistica- FestschriftFerdi1111nd Sommer zum 80. Geburtstag,Wiesbadcn 1955, p. 137 sgg. (in un quadro non del tutto convincente), poi in J. Nartcn, Zur Flexion, cit., p. 137 e nota 9 (p. 146), e in T. L. Markcy, Deixis and the u-Perfect, • JIBS•7 (1979), p. 68 sgg. Sulla complessa questione dell'origine di tale tipo di perfetto (che presenta qualche analogia con altre lingue indoeuropee) si veda in primo luogo Studio sul perfetto, cit., I, p. 349 sg. e nota 939, con una sommaria bibliografia, alla quale si possono aggiungere: F. Sommer, Handbuch, cit., p. 558 sgg., integrato da Kritische Erliuterungen zur lateinischen L4Mt-und Formenlehre, Heidelberg 1914, p. 161 sgg.; A. Burger, Le parfait latin en -uI et le problème des formes « contractes», "REL" 4 (1926), pp. 119 e 216 sg.; Id., 'Studes de phonétique et de morphologielatines, Neuchitel 1928, p. 112 sgg.; G. Bonfante, The Latin and Romance Weak Perfect, "Ls• 17 (1941), 2, rist. in Scritti scelti di G. Bonfante, Il. Latino e romanzo, Alessandria 1987, p. 360 sg.; Fr. Bader, 'Lesystème des désinencesde troisièmepersonnedu pluriel du perfectum latin, "BSL • 62 (1967), 1, p. 96; H. Rix, Zur Entstehung des lateinischen 21

:e.

32

II - Utilizzazione delle lingue indoeuropee

A parte i tre (o al più quattro) perfetto-presentidi cui si è detto sopra, il senso proprio dello stato (risultante) trova espressione nel latino attraverso un procedimento di suffissazione in -i- non solo a partire da forme nominali, ma anche, molto spesso, a partire da radici verbali non stative (in questo senso d. iacere,sedere, etc.; per lo più si ha grado zero radicale) zi. Un tale suffisso *-i- compare in varie lingue indoeuropee (già sono state ricordate analoghe formazioni nel greco e - con qualche margine di dubbio - nelle lingue germaniche; più avanti si dirà dei gruppi baltico e slavo), e, per il suo valore assai vicino a quello originario del perfetto indoeuropeo, rappresenta un elemento sul quale converrà tornare nel séguito del presente lavoro. Le lingue italiche presentano una fenomenologia notevolmente

simile a quella del latino, per quel che riguarda le continuazioni del perfetto indoeuropeo (con un numero di ricorrenze assai più ridotto, com'è naturale). Nel "perfetto" delle lingue italiche confluiscono, infatti, for-

Perfektparadigmas, in Latein und Indogermanisch, Akten d. Kolloquiums d. Idg. Gesellsch. (Salzburg, 23.-26. Sept. 1986), hg. v. O. Panagl u. Th. Krisch, Innsbruck 1992 [= IBS, 64], p. 221 sgg.); A. L. Prosdocimi - A. Marinetti, Appunti sul verbo italico (e) latino, in Oskisch-Umbriscb: Texte untl Grammatik, Arbcitstagung der Idg. Gcsellsch. und dcr Soc. Ital. di Glottologia vom 25. bis 28. Septembcr 1991 in Freiburg, hg. v. H. Rix, Wicsbadcn 1993, p. 266 (in favore di un'origine "morfologica" di tale tipo di perfetto); A. L. Sihler, New Comparative Grammar o/ Greek and Latin, New York-Oxford 1995, p. 584 sgg. zi « [ ... ] une partic dcs verbcs d'l~tat en -i- du latin corrcspond à la gamme des valeurs du parfait [scil.: grcc] •; « Lcs verbcs d'~tat cn -i- du latin offrent une structurc particulière: dcgré zéro du radical et morphèmc -i-.•: M. Hocquard, Les verbes d'état, cit., pp. 29 e 545. Il volume di M. Hocquard rappresenta senz'altro lo studio più ampio su questo suffisso verbale latino; ma già il Meillet, Observations sur le verbe latin, •MSL• 13 (1903-5), p. 363 sgg., aveva raccolto importanti esempi al riguardo, cosl come lo Chantraine (cit. nota 9) a proposito del greco. Tra i lavori recenti sul suffisso -i- in latino vorrei citare per lo meno: I. A. Perel'muter, K stanovleniiu kategorii vremeni v sisteme indoevrope;skogo glagola, "VJa" 1969, 5, p. 15 sgg.; C. Watkins, Hittite and Intlo-European Stutlies: the Denominative Statives in -e-, "TPhS" 1971 (197.3], p. 61 sgg.; W. Cowgill, The Source o/ Latin stire, with Notes on Comparable Forms Elsewhere in Intlo-European, • JIES" 1 (1973), .3, p. 280; J. H. Jasanoff, Stative and Mitltlle, cit., p. 17.

2.6. Il latino, le lingue italiche e il perfetto indoeuropeo

33

mazioni in origine diverse, tra le quali - a differenza del latino non sembrerebbero esservi rilevanti esempi di aoristi sigmatici"' (e raro è il "perfetto" a suffisso *-w-) 25• In particolare, il "perfetto" in -/- è probabilmente il risultato di una più antica forma perifrastica con il verbo per 'essere, divenire' (fu-) 26, quello (osco) in -k- rappresenta una innovazione analogica'D, quello (umbro) in -nI(i)-, -ns-, -nç- ( < *-nky-), di origine non chiara, potrebbe forse risalire a un tipo perifrastico 28• Mentre, a differenza che nel latino, non sussistono nelle lingue italiche esempi di "perfetto-presenti", un gruppo di perfetti a radoppiamento, con valenza preteritale, sembra effettivamente da connettere con il perfetto indoeuropeo. In particolare, un numero non troppo ristretto di forme a raddoppiamento e grado zero radicale è testimoniato nell'osco, nell'umbro, ma anche in lingue dell'Italia antica più strettamente connesse con il latino, quali il sa-

~ C.Onl'cccczione di peligno lexe, giusta l'interpretazione di A. L. Prosd~ cimi, Appunti sul verbo latino (e) italico. VI., cit., p. 238 (sulla desinenza di lexe d. infra, p. 219 [S 5.1.4.5]). 25 Cf. in generale T. L. Markey, Some Italic Perfects Revisiled, •:iz• 98 (1985), 2, p. 266, e A. Mayer, Die Entstehung, cit., p. 241 sg.; alcuni esempi di perfetto in *-w- (-u-) compaiono certamente nel sudpiceno, come mostrato da Prosdocimi e Marinetti, da ultimo in Appunti sul uerbo italico (e) latino, cit., p. 225 sgg. 26 Oltre a T. L. Markey, cit. nota prec., d. H. Ri.x,Zur Entstehung, cit., p. 239, e, per l'umbro, A. L. Prosdocimi - A. Marinetti, Appunti sul uerbo latino (e) italico. II. Umbrica 2., "SE" 69 (1993 [1994]), p. 193 sgg.; più ampie osservazioni (non sempre condivisibili) in K. Olzscha, Das f-Perfektum im Oskisch-Umbrischen, "Glotta" 41 (1963), 3-4, p. 290 sgg. Interessante ~ l'ipotesi di M. Negri, I perfelli oscoumbri in -f-, •RIL" 110 (1976), p. 3 sgg. (specie p. 10), il quale connette tale "perfetto" italico con il suffisso preteritale greco -8- ( < *-dh-). 'D Cf ad es. H. Rix, cit. nota prec.; non pare possibile accogliere la diversa spiegazione suggerita da O. Parlangèli, Isoglosse italiche: perfelli in -ke in -v-, "RIL" 106 (1972), p. 237 sgg. 28 C.OSlT. L. Markcy, Some Italic Perfecls, cit., p. 260 sgg.; d. anche A. L. Prosdcximi - A. Marinetti, Appunti sul uerbo italico (e) latino, cit., p. 253 sgg. (dove ci si astiene da proposte etimologiche), e K. Shields jr., The Origin of the Umbrian Perfect Sulfix *-nky-, "HS" 102 (1989), p. 74 sgg. Sui perfetti italici in generale, e in particolare sugli altri tipi di perfetto (in -s-,in -t-, etc.), si può ancora utilmente consultare R. von Planta, Grammatik der oskisch-umbrischen Di4lekte, II, Strassburg 1897, p. 326 sgg. (specie pp. 337 sg. e 342 sgg.).

II - Utiliwzzione delle lingue indoeuropee

34

bino e il falisco 29• Nelle lingue italiche, inoltre, una ristrutturazione assai profonda ha prodotto non solo "perfetti" a vocalismo radicale lungo (o. hipid, etc.), ma anche "perfetti" a vocalismo radicale breve (o. facus [pt. pf.], k u mb e ne d, etc.), come ha recentemente illustrato il Prosdocimi 30; non si dà più di un caso - oltretutto non sicuro - di grado *-o-radicale 31• Più interessante, in una prospettiva indoeuropea, si presenta il sistema delle desinenze: in tre o quattro casi è testimoniata una desinenza di III sing. -e 32, che potrebbe essere identificata con l'omologa desinenza del perfetto indoeuropeo; notevolmente arcaico sarebbe pure l'isolato esempio peligno di II pl. -e (se si ricostruisce per una fase comune un tipo desinenziale *-é, d. infra, § 5.1.4.5). Infine, le lingue italiche attestano l'esistenza di verbi in *-e-a valenza stativa, ma in misura decisamente più limitata rispetto al latino 33•

2. 7. Le lingue celtiche e il perfetto indoeuropeo. Anche le lingue celtiche presentano una situazione analoga a quella del germanico e dal latino (sia pure in un quadro meno ricco di dati, d. infra). Sui perfetti raddoppiati dell'italico, oltre al Pianta, cit. nota prcc., d. in particolare i contributi di Fr. Bader, Vocalisme et ,edoublement, cit., p. 184 sgg., e di A. L. Prosdoci.mi- A. Marinetti, Appunti sul verbo latino (e) italico. V. La vocale del ,addoppiamento nel perfetto, in Miscellanea di studi linguistici in onore di Walter Bela,di, Roma 1994, I, p. 284 sgg.; si noti poi la divergenza con il latino, sottolineata da G. Meiser, Uritalische Modussyntax: zu, Genese des Kon;unlttiv Impe,feltt, in Osltisch-Umbrisch:Texte und G,ammatilt, cit., p. 170 sg. 30 A. L. Prosdoci.mi,Appunti sul verbo latino (e) italico. VI., cit., p. 226 sgg. 31 Fr. Bader, Vocalisme et redoublement, cit., pp. 184 e 188. 32 A. L. Prosdocimi • A. Marinetti, Appunti sul verbo latino (e) italico. II., cit., pp. 185 e 192, e Appunti sul verbo latino (e) italico. V., cit., p. 287 e nota 10; ulteriori ampi ragguagli saranno prevedibilmente forniti in Appunti sul verbo latino (e) italico. IV., S 1.1 (in corso di stampa nel vol. 80 del1'« AGI» [1995]). t forse interessante notare come il Bonfante (Osservazioni su finali latine e greche, "RlL" 65 [1932], p. 961) avesse già incidentalmente prospettato l'eventualità che -e nelle forme di III sing. del perfectum italico riflettesse un'antica desinenza di perfetto *-e. 33 a. ad es. C. Watkins, Hittite and Indo-Eu,opean Studies, cit., p. 62 sg. 29

2.7. Le lingue celtiche e il perfetto indoeuropeo

.35

Ove si prescinda da due o tre forme irlandesi antiche che potrebbero eventualmente essere classificate come "perfetto-presenti" (ad.agathar'egli teme', ro.fitir 'egli sa', forse du.futharcair'egli vuole, volle') 34, tutte le continuazioni celtiche di perfetti originari presentano valore preteritale, e questo già nell'isolato esempio gallico 6e6e 'posuit'. In particolare, uno dei vari tipi di preterito celtici, quello privo di suffisso, presenta raddoppiamento oppure grado radicale allungato (con netta prevalenza di un vocalismo -a-) 35• In ogni caso, il grado *-o-radicale non sembra direttamente attestato nelle lingue celtiche, mentre è possibile che parte dei preteriti con

La prima di queste forme è interpretata come •perfetto-presente" da C. Watkins, Indo-European Origins of the Celtic Verb - I. The Sigmatic Aorist, Dublin 1962, p. 122; all'analisi della seconda sono dedicati, tra l'altro, uno studio di K. H. Schmidt, Altirisch ro.fitir und das Deponens des sog. suffixlosen Prateritums, "Sprachc" 10 (1964), 2, p. 1.34 sgg. (dove si pone in risalto l'innovazione intervenuta con la flessione mediale), e un ampio - ma discutibile - articolo di G. Schmidt, Altirisch ro-fitir und Verwandtes, "KZ" 85 (1971), 2, p. 242 sgg. (per la spiegazione tradizionale si veda in particolare R. Thumeysen, A Grammar of Old Irish, revised and enlarged ed. translated from the German by D. A. Binchy and O. Bergin, Dublin 1946, p. 4.36); sulla terza delle forme citate, si veda soprattutto K. H. Schmidt, cit. sopra, p. 1.36 sg. t assai dubbio se anche in ro.laimethar 'egli osa' possa davvero individuarsi un "perfetto-presente", come vorrebbe E. P. Hamp, Some i-Preterites, "Celtica" 10 (197.3), p. 1.57, o non piuttosto un antico aoristo sigmatico (in questo senso d. C. Watkins, cit. sopra, p. 169). 35 Sulle continuazioni celtiche del perfetto indoeuropeo, oltre ai manuali di carattere generale (ad es., oltre al Thumeysen - cit. nota prec. -, H. Pedersen, Vergleichende Grammatik der keltischen Sprachen, Gottingen 1909-1.3, II, p . .378 sgg., e H. Lcwis - H. Pedersen, A Concise Comparative Celtic Grammar, .3• ediz., Gottingen 1989, p . .300 sg.), si vedano soprattutto C. Watkins, Indo-European Origins, cit., pp. 109, 116 sgg., 121 sg.; Fr. Bader, Vocalisme et redoublement, cit., p. 189 sg.; W. Meid, Keltisches und indogermanisches Verbalsystem, in Indogermanisch und Keltisch, cit., p. 12.3 sgg.; K. R. McCone, From Indo-European to Old Irish: Conservation and Innovation in the Verbal System, in Proceedings of the Seventh International Congress of Celtic Studies, ed. by D. E. Evans, J. G. Griffith and E. M. Jope, Oxford 1986, pp. 2.3.3sgg. e 261 sg.; K. H. Schmidt, On the Prehistory o/ Aspect and Tense in Old Irish, "Celtica" 21 (1990), p . .597 sgg.; G. Schmidt, Indogermanische Perfekta oder Aoriste mit Langvokal in der Wurzelsilbe, in Aspekte der Albanologie - Akten des Kongresses 'Stand und Aufgaben der Albanologie beute' (J.-5. 0kt. 1988), hg. v. W. Breu, R. Kodderitzsch, H.-J. Sassc, Berlin 1991, p. 1.39. 34

II • Utilizzazione delle lingue indoeuropee

36

-a-radicale rifletta

un *-o-36; quanto alle desinenze, queste solo in parte si lasciano ricondurre alle desinenze del perfetto originario st • Si noterà che, come nel caso del germanico e del latino (nonché dell'italico), anche nel celtico la perdita abbastanza precoce del valore originario del perfetto ha indotto la confluenza di quest'ultimo con l'aoristo in una unica categoria di preterito; l'argomentazione del Watkins 31 in favore di una datazione recente di tale sincretismo nel celtico appare assai debole 39 • Infine, nelle lingue celtiche appaiono tracce - comunque piuttosto labili - di verbi a suffisso *-e-con valenza stativa 411•

a.

in questo senso soprattutto Fr. Badcr, Vocalisme et redoublement, cit., pp. 181 sg. e 189; W. Meid, Keltisches und idg. Verbalsystem, eit., p. 124 sg. (e si aggiungano le osservazioni di W. Bclardi, La formazione, eit., p. 124 sg.). Più incline a vedere in -4· il risultato di un allungamento di un *.J-, esito dd grado zero radicale, è invece C. Watkins, Indo-European Origins, cit., p. 116 sg. Infine, va ricordato - ma con estrema cautda, poiché la forma si lascia interpretare anche in altro modo - un possibile esempio gallico di antico perfetto non raddoppiato a vocalismo *-o-,e precisamente AVVOT(E) 'FECIT' (su cui d. la bibliografia segnalata da P. Sims-Wj)]iarns, Le lingue celtiche, in Le lingue indoeuropee, eit., 2• cdiz., p. 401). 'SI Per una trattazione complessiva si vedano H. Pcdcrsen, V gl. Grammatilt:, cit., II, p. 381 sg., e R. Thumeyscn, A Grammar, eit., p. 433 sg.; ulteriori indicazioni saranno fornite infra, S 5.1. 38 C. Watkins, Indo-European Origins, eit., p. 121. 39 La regolarità che sembra contraddistinguere nd celtico la distribuzione ddle continuazioni rispettivamente di un perfetto e di un aoristo originari, in dipendenza dalla struttura delle radici verbali, difficilmente potrà esser considerata come il riflesso di una situazione antica - che a livello •indoeuropeo comune" sarebbe tutta da dimostrare. Pare più probabile, infatti, che si tratti di una ristrutturazione secondaria, nd senso di una redistribuzione a posteriori di forme diverse (in quanto di differente origine) già confluite in un'unica categoria funzionale. Sull'antichità del valore preteritale assunto dal perfetto originario nelle lingue celtiche si veda dd resto il cit. gallico Sc61 'posuit'. «> Oltre al "classico" studio di J. Vendrycs, Restes en celtique du th~me verbal en -e-,in Mélanges linguistiques olferts à M. Holger Pedersen, Kebcnhavn 1937, p. 287 sgg. (specie 290-292), d. H. Wagner, Zu den indoger• manischen é-Verben, •zCPh" 25 (1956), p. 163 sgg.; W. P. Schmid, Studien, cit., p. 98 (molto prudente); K. H. Schmidt, Die indogermanischen e-Praesentia im Altirischen, "triu" 20 (1966), p. 205 sgg.; C. Watkins, Hittite and IndoEuropean Studies, cit., p. 58 sg.; J. H. Jasanoff, Stative and Middle, eit., p. 17. 36

2.7 .1. Le lingue i.e. occidentali: tra arcaismoe innovazione

37

2.7 .1. Le lingue indoeuropeeoccidentali:tra arcaismoe inno-

v(lzjone. Prima di esaminare lingue nelle quali si continuano soltanto singoli elementi caratterizzanti il perfetto indoeuropeo, sarà opportuno anticipare alcune brevi considerazioni complessive riguardo alle tre aree linguistiche "occidentali" (germanico, celtico, latino) che presentano situazioni parzialmente analoghe. A partire dagli elementi sopra ricordati, e in un tentativo di rivalutare l'importanza delle lingue "occidentali" nella ricostruzione, alcuni studiosi sono giunti ad attribuire tout court all'indoeuropeo ricostruito la situazione riscontrabile nel germanico, nel latino, nel celtico: sarebbero quindi esistiti due tipi di perfetto, l'uno a grado *-o- e senza raddoppiamento, l'altro a grado zero e con raddoppiamento 41, e il tipo greco-ario rappresenterebbe « [ ... ] ein sekundirer Mischtyp » 42• Una tale prospettiva non può essere condivisa. Non solo contro l'antichità della situazione presentata dalle lingue indoeuropee occidentali depongono varie considerazioni di ordine generale (relative al carattere spesso innovativo della morfologia di tali aree linguistiche) 43, ma la valenza ormai preteritale, e il conseguente sincretismo con l'aoristo, dimostrano uno stadio evolutivo assai più avanzato di quello del greco o dell'indiano antico. Vi è chi ha osservato che nel perfetto documentato dal greco, dall'indiano antico e dall'avestico si manifesta una ridondanza, « [ ..• ] was niemals ein urspriinglicher Zustand ist » '". A parte C.OSlFr. Bader, d~, lot.XWci et le parfait redoublé en grec, •BSL• 64 (1969), 1, p. 87 sg.; Ead., Vocalisme et redoublemenl, cit., p. 19.5; una prospettiva analoga era già adombrata in E. Prokosch, A Compar. Germanic Grammar, cit., p. 187 sg. 42 W. Meid, Keltisches und idg. Verbalyslem, cit., p. 124; cf. anche M. Beeler, Verbal Reduplicalion in Germanic and Indo-European, "Pacif. Coast Philol." 13 (1978), p. 8 sgg., e H. Kurzova, From Indo-European lo Latin, Amsterdam-Philadelphia 1993 ( CILT, 104), p. 143 sgg. (specie p. 1.51). 43 Appaiono ancor oggi appropriate le considerazioni sul verbo germanico pttSCntate dal Meillet, Caraclères, cit., p. 122 sg. (il Meillet sottolinea la forte tendenza alla regolarizzazione e alla semplificazione flessionale che opera nella morfologia del verbo germanico). 44 W. Meid, cit. nota 42; d. anche E. Neu, Das fruhindogermanische Dillthesensystem. Funlelion und Geschichle, in Grammatische Kategorim Funletion und Geschichte, Akten d. VII. Fachtagung d. Idg. Gesellschaft (Berlin, 20.-2.5. Feb. 1983), hg. v. B. Schlerath, Wiesbaden 198.5, p. 280. 41

=

II - Utilizzazione delle lingue indoeuropee

38

l'opinabilità dell'ultima parte di tale netta affermazione45, si deve osservare come il solo raddoppiamento, o il solo grado *-o- (o grado zero, o grado allungato radicale) non siano affatto peculiari del perfetto: si vedrà oltre (capitoli III e IV) che il raddoppiamento caratterizzava, ad esempio, presenti, aoristi, temi della coniugazione "secondaria" come gli intensivi, etc., e che il grado *-o- radicale figurava tra l'altro in alcuni presenti, certamente negli iterativi e causativi, molto probabilmente negli intensivi. Solo la congruenza di entrambi questi morfemi, nonché delle desinenze caratteristiche del perfetto (e non solo di questo, cf. infra, SS5.3-5.5)46, doveva dar luogo a una formazione autonoma alla quale convenzionalmente potremo attribuire il nome di "perfetto indoeuropeo". Ma su ciò converrà tornare più avanti.

2.8. Il tocario e il perfetto indoeuropeo. Le lingue (o dialetti) che costituiscono il gruppo tocario q presentano condizioni in larga misura omogenee per quel che riguarda vari aspetti della flessione verbale; sarà dunque possibile, nel séguito del presente paragrafo, far riferimento al "tocario" tout court (inteso nel senso che Werner Winter in vari lavori recenti - cf. nota 56 - attribuisce alla denominazione di "tocario comune").

45

La ridondanza, come noto, ha una sua ben precisa funzione nella comunicazione linguistica, vale a dire la riduzione dell'incidenza di quello che, nella teoria della comunicazione, è detto "rumore•. A proposito del perfetto, quando si è parlato di ridondanza tra semantica radicale stativa e valore di stato convogliato dal perfetto, si è anche detto (Studio sul perfetto, cit., I, p. 369) che non si tratta tanto di ridondanza, quanto piuttosto di "non pertinenza•, poiché l'indicazione di uno stato conseguente a un processo (funzione originaria del perfetto) doveva rappresentare un valore non pertinente - incommensurabile, potremmo dire - nel caso dei verbi a semantica stativa (quindi non processivi). 46 Anche queste, sia detto per inciso, non ben conservate nei tre gruppi linguistici "occidentali• in questione. q Ai dialetti A (o agneo) e B (o cucco) si possono forse aggiungere ta. luni elementi - prevalentemente lessicali - individuabili nel dialetto attestato a Niya (su cui cf. già ad esempio T. Burrow, Tokharian Elements in the Kharotthi Documents /rom Chinese Turkestan, "]RAS• 193.5, p. 667 sgg.).

2.8. Il tocario e il perfetto indoeuropeo

39

Tra i primi il Benveniste• aveva individuato rapporti tra il perfetto indoeuropeo, i verbi in -/Jidell'ittito e il preterito tocario. Altri studiosi, dal Pedersen al Lane, dal Van Windekens al Krause, sono ritornati sull'argomento", e una opinione che attualmente gode di un certo favore riconosce nel tocario i seguenti riflessi del perfetto indoeuropeo: a) il congiuntivo atematico (I classe) e in

-a-(V classe);

b) l'imperativo (III classe e in parte I classe), con caratteristiche apofoniche analoghe a quclle del congiuntivo atematico e in -a-rispettivamente; e) il preterito in -s- (III classe) e in

-a-(classe I b);

d) il participio preterito raddoppiato s,.

Se si accogliesse una tale ipotesi, il tocario potrebbe a buon diritto allinearsi tra quelle lingue che conservano un perfetto formalmente autonomo, anche se funzionalmente non conforme ai valori più antichi (Il gruppo, nella classificazioneproposta in questo capitolo). Tuttavia, la situazione non è affatto cosl chiara come può apparire a prima vista. In primo luogo, che dal valore antico del perfetto (stato risultante) si possa esser sviluppata una valenza modale (di congiuntivo - sulla cui natura, comunque, non vi è consenso di opinioni -, o addirittura di imperativo) è ipotesi che avrebbe bisogno di dimostrazione solida e ben argomentata, e non fondata a sua volta su un'altra ipotesi (tale è in ogni caso il quadro del sistema verbale t. Bcnvcniste, Toltharien et indo-européen, in Germanen und Indogermanen.Festschrift fur H. Hirt, II, Heidelberg 1936, p. 230 sg. "' Ampie indicazioni bibliografiche al riguardo in D. Q. Adams,Tocharian Historical Phonology and Morphology, New Haven 1988, pp. 49 sgg. e 16"9 sgg., e in W. Thomas, Die Erforschung des Tocharischen (1960-1984), 48

Stuttgart 1985, pp. 75 sgg., 86 sgg. e soprattutto 168 sgg. (bibliografia). s, Questo quadro può essere ricavato dalla esposizione (chiara, anche se opinabile da un punto di vista comparativo) di D. Q. Adams,On the Development of the Tocharian Verbal System, "JAOS• 98 (1978), p. 280 sgg., e Tocharian Histor. ... Morphology, cit., pp. 49 sgg. e 169 sgg. Altre utili indicazioni possono essere desunte da G. Bonfante - R. Gendre, La posizione linguistica del tocario fra le lingue indeuropee, "RALinc• s. VIII, voi. XLII (1987), 7-12, p. 252 sgg.

II - Utilizzavone delle lingue indoeuropee

40

[tardo-] indoeuropeo ricostruito da Kurylowicz e Watkins) 51• Ma quando si va a considerare l'aspetto formale dei congiuntivi e imperativi tocari sopra ricordati sub a e b, ei si accorge che l'unica ragione per una riconduzione a un perfetto originario è costituita dal grado apofonico, con alternanza *-o- (nel singolare)/-0- (nel plurale); manca il raddoppiamento, spesso compaiono ampliamenti caratteristici di altre formazioni, e, soprattutto, le desinenze sono le normali desinenze del presente. Si vedrà nel séguito del presente lavoro come il grado apofonico *-o-(anche alternante con zero) non fosse certo esclusivo del perfetto, in fase indoeuropea preistorica, e dunque l'apofonia documentata nel congiuntivo (classi I e V) e imperativo (classi III e I) non può affatto costituire di per sé la prova di una derivazione da un perfetto originario. Sicché ha più probabilità di cogliere nel segno l'analisi di chi ha individuato in tali formazioni l'evoluzione ultima di altra categoria flessionale antica (presente radicale atematico o forse piuttosto una formazione corrispondente all'"aoristo passivo" indoario) sz. Per quel che riguarda, invece, il preterito tocario, è necessario sottolineare che si è manifestata in tocario una fortissima espansione del tipo a suffisso -s- (aoristico) o -a-(forse anch'esso aoristico). Per questo motivo, se mai si voglia rintracciare un'eco del perfetto indoeuropeo nel preterito tocario 53, si dovrà parlare di relitti dei A tale modello si riporta esplicitamente l'Adams, On the Deoelopment, cit., p. 277 sg., e Tocharuzn Histor. ... Morphology, cit., p. 49 sgg. sz La prima ipotesi risale a W. Cowgill, Ablaut, Accent and Umlaut in the Tocharian Subiunctioe, in Studies in Historical Linguistics in Honor o/ George Sherman une, cd. by W. W. Arndt, P. W. Brosman Jr., F. E. c.ocncn,W. P. Fricdrich, Chapcl Hil1 1967, pp. 172 e 179 sg. (d. anche D. A. Ringe Jr., Eoidence /or the Position o/ Tocharuzn in the Indo-European Family?, •Spra• che" 34 [ 1988-90], 1, p. 97, il quale parla di « [ ..•] athematic subjunctivcs to roots in *-a-»); la seconda ~ invece suggerita da J. H. Jasanoff, The IE. •a-Preterite" and Related Forms, "IF" 88 (1983), p. 82 sg.; Id., Reconstructing Morphology: the Role o/ ~,ade in Hittite and Tocharuzn Verb Inflection, in Reconstructing IAnguages and Cultures, cd. by E. C. Polomé and W. Wintct, Bcrlin-Ncw York 1992, pp. 134 e 146 sgg.; G.-J. Pinault, Introduction au Tokharien, in IAlies - Actes des sessions de linguistique et de littérature, VII (27 aotit - 1• scptembrc 198.5), Paris 1989, p. 14.5 sg. Sia il Cowgill che il Jasanoff hanno opportunamente sottolineato il pericolo di fondarsi sul solo vocalismo radicale per la classificazione di una forma verbale; si vedano anche i SS 4.1.3 e 4.2.2. 53 Si veda ad esempio quanto afferma al riguardo W. Krausc, Tochariscb, 51

2.8. Il tocario e il perfetto indoeuropeo

41

singoli elementi costituenti tale formazione: il raddoppiamento (e il suffisso *-wos-} nei participi 54 peraltro, in quanto formazioni nnrnioaH, di scarso interesse per l'argomento di cui ci stiamo occupando -; il grado apofonico nelle classi III e I b (però con ristrutturazioni molto profonde, che hanno indotto taluni a dubitare persino della riducibilità a un perfetto originario 515}; alcune delle desinenze personali, distinte da quelle del presente, e probabilmente da ricondurre al sistema delle desinenze del perfetto indoeuropeo 56•

in Handbuch der Orientalistilt,[Abt. I], Bd. IV (lranistilt), Abschn. 3, Leidcn 19,,, p. 22 sg.: « Die idg. Perfektbildung selbst ist im Tocharischen als selbstiindige Kategorie untergegangen, lebt aber in gewisscn Formen des tochar. Priteritums fort [ ...] ,. . 54 Sui participi raddoppiati del tocario d. D. Q. Adams, The Pre-History of TocharianPreteriteParticiples,in Bono Homini Donum • Essaysin Historical Linguisticsin Memory of J. A. Kerns, ed. by Y. L. Arbeitman and A. R. Bomhard, I, Amsterdam 1981, p. 17 sgg., e J. H. Jasanoff, ReconstructingMorphology, eit., p. 134. L'ipotesi dello Schulze, ancora accolta dalla Bader (Vocalisme et redoublement,cit., p. 183), secondo la quale alcune forme non participiali di preterito a raddoppiamento del dialetto A sarebbero da interpretare come antichi perfetti, non sembra ormai godere di grande favore; visto il valore causativo, appare certamente più attendibile l'analisi nel senso di antichi aoristi raddoppiati: d. ad es. W. Krause - W. Thomas, TochariscbesElementarbuch, I, Heidelberg 1960, p. 244; D. Q. Adams, On the Development, dt., sgg. (ai quali va p. 282 sg.; Id., TocharianHistor. ... Morphology,dt., p. certo aggiunto l'intervento di H. Saito, Ober die reduplu.iertenPriiterita des Tocharischenund des Germanischen,tenuto a Saarbriicken nella Arbeitstagung 100 Jahre Tocharologieil 14.10.199,, la cui redazione a stampa ancora non ~ disponibile). 55 Cf. J. H. Jasanoff, The IE. •a-Preterite",cit., p. ,6 sgg. e nota 7 a p. ,1. Sui preteriti della I classe si veda anche D. A. Ringe Jr., Evidence, eit., p. 91 sgg. (specie p. 9'); sui preteriti della III classe d. G.-J. Pinault, Introduction, dt., p. 1,1 sg. 56 In particolare, la desinenza di III pi. (A: -(a)r; B: -(ti)re)certamente ricbiarna la corrispondente desinenza del perfetto i.e. Una parziale conservazione - con ampliamento in sibilante - della desinenza originaria di II sg. (cf. ind. ant. -tha, gr. -k etc.) si rifletterebbe in toc. A -(a)tl, B -(ti)sta. Infine, la desinenzadi I sg. (A: -u, -(w)ti; B: -wa) risale a un più antico *-wa, se ba ragione W. Winter (Zur Vorgeschichteeiniger V erbformen in T ocharischA, •KZ• 79 [196,J, 3.4 p. 206 sgg.; cf. anche K. T. Schmidt - W. Winter, Dk

s,

Pormen der 1. Singular Alttiv der unerweiterten Priiterita in TocharischB,

,o

•HS• 10, [1992], 1, p. sgg.), e dunque parrebbe presentare una qualche "'°'iglianzacon -(ti)11dell'ind. ant. tasth411etc., con -wi, -u(n) di alcune lingue anatoliche, e con la serie dei perfetti (latino etc.) a •ufflsso *•w- (ma per quanto

42

II - Utili:aavone delle lingue indoeuropee

Infine, nel tocario non sembrano rintracciabili deverbali a suffisso *-e-con valenza stativa; taluni hanno comunque ipotizzato che il suffisso stativo sopravviva in un grado zero *-a-,donde, per contrazione con il suffisso intransitivo *-yé/6-, si sarebbe avuto il prototocario *-ez-51 •

2.9. Le lingue anatoliche e il perfetto indoeuropeo sa. La questione dell'utilizzabilità delle lingue anatoliche nella presente ricerca si manifesta particolarmente complessa, e merita una trattazione molto più approfondita, considerata anche l'estrema antichità della documentazione in quest'area linguistica. Il fatto che le lingue anatoliche siano pervenute alla conoscenza degli studiosi in epoca troppo recente perché il quadro dell'" indoeuropeo ricostruito" potesse tener conto di tale realtà linguistica,

attiene al tocario si può ben trattare di sviluppo secondario, come osserva il Winter, Zur Vorgeschichte, cit., p. 208 sg.; per il resto, oltre a G.-J. Pinault, Introduction, cit., p. 157 sg., si veda sopra il S 2.6, con la nota 22); sull'origine di -a finale nel tocario A, d. infra, S 5.1.1. Per un quadro d'assieme - ancora largamente provvisorio - sulle desinenze di preterito nel tocario si possono consultare (a partire dai contributi più recenti): W. Winter, Tocllrio, in Le lingue indoeuropee, cit., 2• ediz., p. 195; D. Q. Adams, Tocharian Histor . ... Morphology, cit., p. 52 sgg.; G.-J. Pinault, Introduction, cit., p. 157 sgg.; C. Watkins, Idg. Grammatik - III., cit., p. 198 sgg.; G. Bonfante - R. Gendre, La posizione linguistica, cit., p. 252 sg.; risultano utili anche talune osservazioni di E. Evangelisti, Grammatica del tocarico. III. Il oerbo, in Scritti tocarici e altri studi, Brescia 1990, pp. 32 sgg. e 44 sgg. (pur se le conclusioni inevitabilmente risentono del rifiuto di ammettere un esito toc. B e da un •~ originario). 51 Riguardo al suffisso prototoc. *-er (riscontrabile nei presenti tocari della III. e IV classe, e da porre in diretta relazione con la classe dei presenti •stativi" in -i- del baltico e dello slavo e con la III classe dei presenti germanici), d. D. A. Ringe Jr., Evidence, cit., p. 84 sgg. Sull'assenza del suffisso stativo *-e-nel tocario si vedano C. Watkins, Hittite and Indo-European Studies, dt., p. 57 e nota 1; J. H. Jasanoff, Stative and Middle, cit., p. 24 sgg. · sa In questo paragrafo compaiono - con alcune modifiche e aggiornamenti - osservazioni e spunti di ricerca già presentati nell'articolo Le lingue anatoliche e il perfetto indoeuropeo, in Miscellanea di studi linguistici in onore di Walter Belardi, Roma 1994, I, pp. 113-130.

2.9. Le lingue 11n11toliche e il perfetto indoeuropeo

43

pone il problema - affrontato in vario modo dai diversi autori 59 di una corretta valutazione dei dati anatolici (in primo luogo ittiti, 59

Un sommario (!) elenco dei lavori che maggiormente trattano - in tempi abbastanza recenti - la questione dcll'i1tm:amone del sistema verbale ittito in una prospettiva indoeuropea può includere, in ordine alfabetico: F. R. Adrados, Hethitisch und lndogermanisch, in Il. F11eht11gung fur indogerm11nischeund allgemeine Spr11ehwissenschaft(Innsbrucle, 10.-15. O/et. 1961), lnnsbruck 1962 (= IBK, 1,), p. 1,1; Id., Hethitische Endungen und inder germanisches Verb, "FoL" , (1971), 3-4, p. 366 sgg.; Id., lndo-Europe11n +Stems and the Origins o/ Polythematic Verbal lnflection, "IF" 86 (1981), p. 96 sg.; Id., The Archaic Structure o/ Hittite: the Crux o/ the Problem, •JIES" 10 (1982), 1-2, p. 1 sgg.; Id., The New lmage o/ Indoeurope11n- The History o/ a Revolution, "IF• 97 (1992), p. 1 sgg. (senza dimenticare, ovviamente, Evoluci6n y estructura del verbo indoeuropeo, Madrid 1963, 2• ediz. 1974); R. Ambrosini,Convergenze nella formazione della lega linguistic11indoeurope11, in Tipologie della convergenza linguistica. Atti del C.Onvcgno della S.I.G. (Bergamo, 17-19 dic. 1987), a cura di V. Oriolcs, Pisa 1988, p. 148 sg.; B. Barschel, Der Modusbestand des Hethitischen - eine Altertumlichleeit?, "MSS" 47 (1986), pp. , sgg. e 16 sg.; O. Carruba, Anatolico e indoeuropeo, in Scritti in onore di Giuliano Bonfante, I, Brescia 1976, p. 121 sgg. (specie 143-1 ◄◄); W. C.Owgill,More Evidence, cit., pp. ,62 e ,69; H. Eichncr, Die Vorgeschichte des hethitischen Verbalsystems, in Flexion und Wortbildung. Aktcn dcr V. Fachtagung d. Indogcrmanischen Gescllschaft, hg. v. H. Rix, Wicsbadcn 197,, pp. 73 sg. e 99; J. GonzallczFcrnindez, El car4cter temporal de la oposici6n infectum/perfectum y el testimonio del verbo hitita, "Em" 48 (1980), l, pp. 79 e 94 (più che altrO una buona rassegna delle opinioni in favore dall'arcaicità dell'anatolico); A. Kammcnhubcr, Zur Stellung des Hethitisch-Luvischen innerhalb der indogermanischen Gemeinsp,11ehe, "KZ" 77 (1961), pp. 69-70; Ead., Hethitisch, Palaisch, Luwisch und Hieroglyphenluwisch, in Handbuch de, Orientalisti/e, Abt. I, Bd. II, Abschn. 1/2, Ug. 2 (Altleleinasiatische Spr11ehen),Lciden-Koln 1969, pp. 2,, sgg. e 337; Ead., Zum indogermanischen Erbe im Hethitischen, "KZ" 94 (1980), p. 33 sg.; W. Meid, Probleme der riiumlichen und zeitlichen Gliederung des lndogermanischen, in Flexion und Wortbildung, cit., p. 206 sgg.; Id., Der Archaismus des Hethitischen, in Hethitisch und Indogermanisch, hg. v. E. Ncu u. W. Mcid, Innsbruck 1979 ( IBS, 2,), p. 161 sgg. (specie pp. 16, e 168-170); E. Ncu, Zur Releonstruletion des indogermanischen Verbalsystems, in Studies in Greek, Italic, and Indo-European Linguistics Olfered to Leonard R. Palmer, cd. by A. Morpurgo Davies and W. Mcid, Innsbruck 1976 (= IBS, 16), pp. 241 sgg., 2,1, 2,3; Id., Dichotomie, cit., p. 1,3 sgg. (specie p. 161); N. Octtingcr, Stammbildung des hethitischen Verbums, Niirnbcrg 1979, passim; Id., Die hethitischen Verbalstamme, in Per una grammatica ittita - Towards a Hittite Gramm11r,a cura di O. Carruba, Pavia 1992, p. 213 sgg.; E. C. Polom~, Creoliution Theory and Linguistic Prehistory, in Studies in Di11ehronic,Synchronic and Typological Linguistics • Festschrift /or Oswald Szemerlnyi on the

=

44

II • Utilizzazione delle lingue indoeuropee

ma ora anche palaici, luvi cuneiformi e luvi geroglifici, lici, lidi..,) ai fini della ricostruzione del sistema verbale originario. Occasion of His 6,1h Bir1bda1, cd. by B. Brogyanyi, II, Amsterdam 1979, p. 681 sgg.; Id., How Archaic is OlJ Indie?, cit., p. 671 sgg.; J. Puhvcl, Wbence lhe Hiltite, Wbither lhe Jonesi4n Vision?, in Spn1ng /rom Some Co111mon Source • Investigations into the Prehislory, cd. by S. M. Lamb - E. D. Mitchell, Stanford Ca. 1991, pp. 54 sgg. e 60; E. Risch, Zur Enlslehung UJ hethitischen Verbalparadigmas, in Flexion und Wortbildung, cit., p. 247 ssg.; B. Roscnkranz,Dk Strultlur der hethitischen Sprache, in XVII. Deutscbn Orientalistenlag - Vortrage - Teil I, hg. v. W. Voigt, Wicsbadcn 1969 (= •zoMG" - Supplcmcnta I), p. 164 sgg.; Id., Archaismen in Hethiliscben, in Hethitisch und Indogermanisch, cit., p. 227; K. C. Shiclds, A History o/ Indo-European Verb Morphology, Amstcrdam-Philadclphia 1992 (CILT, 88), passim (specie p. 87 sgg.); B. Schlerath, 1st ein Raum/Zeit-Modell fur ei,u rekonstruierte Sprache miiglich?, •KZ" 95 (1981), 2, p. 191 sg. (di altri interventi dello Schlerath, incentrati più in generale sulla concezione dell'indoeuropeo ricostruito, si farà cenno più avanti); W. P. Schmid, Das Hethitische in einem neuen Verwandtscha/tsmodeU, in Hethitisch und lndoger• manisch, cit., p. 23.3 sg.; K. Strunk, Probleme der Sprachrekonstruktion und das Fehlen 1.weier Modi im Hethitischen, •InL" 9 (1984), p. 142 sgg. (cui a.i ricollega il recentissimo articolo di J. A. ~arson, Der Verlust 1.weier wicbtiger Flexionskategorien im Uranatolischen, •HS" 107 [1994], 1, p. 31 sg.); O. Szcmcrényi, Rekonstruktion in der indogermanischen Flexion. Priniipun und Probleme, in Flexion und Wortbildung, cit., pp. 331 e 335; J. Tisdùer, Zur Entstehung der -bi-Konjugation: Vberlegungen an Hand des Flexionsklassmwechsels, in Investigationes philologicae et comparativae - Gedenkschrift filr Hein1. Kronasser, hg. v. E. Ncu, Wicsbadcn 1982, p. 235 sgg.; F. Villar, Hetita e indoeuropeo, •Em" 47 (1979), 1, p. 180 sgg. 60 Oltre ad alcuni saggi citati nella nota precedente, si vedano: O. Carruba, Die I. und 11. Pers. Plur. im Luwischen und im Lykischen, •Sprachc" 14 (1968), 1, p. 13 sgg.; Id., Beitrage 1.um Palaischen, Istanbul 1972 (specie p. 42); J. Fricdrich, Zum Verwandtscha/tsverhiltnis von Keilhethitisch, Luwisch, Palaisch und Bildhethitisch, in MNHMHl: XAPIN - Gedenkschrift Pal Kretschmer, I, Wicn 1956, p. 108 sgg. (ormai in gran parte superato); R. Gusmani, Zur Komparation des Lydischen, •KZ" 95 (1981), 2. p. 280 sgg.; J. D. Hawkins • A. Morpurgo Davics, Studies in Hieroglyphic Luwi4n, in Kanilluwar. A Tribute to H. G. Guterbock, hg. v. H. A. Hoffncr - G. Beckman, Chicago 1986, p. 79 sgg.; M. Marazzi, Il geroglifico anatolico. Probkm, di analisi e prospettive di ricerca, Roma 1990, p. 74 sg. (con ampia bibli~ grafia); H. C. Mclchcrt, The Middle Voice in Lyci4n, •Hs• 105 (1992), p. 189 sgg.; A. Morpurgo Davics, The Luwi4n ùnguages .,,tl the Hittite •biConi•&dtion, in Studies in Diachronic, Synchronic and Typological Linguistics • Festschri/t /or Oswald S1.emerényi,cit., pp. 594 sg. e 605; Ead., The Persoru,l Bndings o/ the Hieroglyphic Luwi4n Verb, "KZ" 94 (1980), p. 86 sgg. (specie 107 sgg.); Ead., Dentals, Rhotacism and Verbal Endings in the Luwi4n Lan-

2.9. Le lingue anaJoliche e il perfetto indoeuropeo

45

La questione appare tanto più delicata quando l'attenzione si concentra su una formazione verbale quale il perfetto indoeuropeo: nelle lingue anatoliche, infatti, non è attestato un tema definibile come "perfetto" da un punto di vista formale e funzionale. Di qui un fiorire di ipotesi, in un settore che presto ha acquisito una importanza centrale nell'intera morfologia verbale delle lingue anatoliche. Vi è dunque chi ha intravisto relitti formali del perfetto ora nella coniugazione in -!Jidell'ittito, ora nel preterito di tale coniugazione (con particolare riferimento alle desinenze preteritali del luvio), ora nel cosiddetto "mediopassivo"; ma vari altri studiosi hanno piuttosto preferito attribuire la formazione del perfetto a una fase successiva alla "separazione" dell'ittito dalle altre lingue indoeuropee ,1. Si pone quindi una triplice questione preliminAre, dalla quale dipende l'utilizzazione dell'ittito - e delle lingue anatoliche ai fini della ricostruzione del perfetto indoeuropeo:

a) l'ittito deve essere considerato lingua estremamente arcaica, o meglio conservativa, e dunque testimone di uno stadio linguistico già cosl costituitosi - circa il problema che ci concerne in tempi anteriori alla creazione della categoria del "perfetto" nelle altre lingue, oppure lingua estremamente innovativa, e dunque testimone soltanto di relitti di quel che un tempo deve essere stato appunto il perfetto? b) in connessione con questo primo problema, quale modello di indoeuropeo è legittimo ricostruire (e mi riferisco in particolare alla triplice stratificazione ipotizzata dal Meid 62)? e) infine, soppesata l'incidenza del punto di vista nella valutazione dei dati anatolici, tale gruppo linguistico è effettivamente

guages, "KZ" 96 (1982-83), 2, p. 24.5 sgg.; N. Oettingcr, Die Gliederung deJ anatolischen Sp,achgebietes, "KZ" 92 (1978), p. 89 sgg.; K. Yoshida, Notes on the Prehistory o/ Preterite Verbal Endings in Anatolian, "HS" 106 (1993), 1, p. 26 sgg. 61 La bibliografia relativa alle diverse soluzioni proposte sarà presentata più avanti, S 2.9.1. 62 Si veda in particolare W. Mcid, Probleme, cit., p. 206 sgg.; Id., Der Arcbaismus, cit., p. 1.59 sgg. (con ulteriori precisazioni di Adrados e Neu in particolare, citt. nota .59).

II - Utiliuavone delle lingw indon,opee

46

utiH:uabile - e in quale misura - nell'esame della posizione del perfetto all'interno dd sistema verbale indoeuropeo?

2.9.1. Le lingue anatoliche tra arcaismo e innovazione. Una prima ipotesi, la cui originalità è stata puntigliosamente rivendicata dall'Adrados 6.1, ma che ha avuto certo maggi'>re fortuna dopo i lavori di Erich Neu e Wolfgang Meid 64 , attribuisce all 'anatolico non tanto un carattere collaterale al gruppo delle altre lingue indoeuropee (la cosiddetta teoria "indo-ittita", formulata dallo Sturtevant 65 e poi ripresa, più recentemente, dal C.Owgill 66), quanto piut-

6.1 F. R. Adrados, Evolucion, cit., passim (spede il cap. VIII); Id., Heth. Endungen, cit., pp. 367 e 377 sgg.; Id., Hethitisch, cit., p. 146 sgg. (spede p. 151); Id., Indo-Eu,opean -s-Stems, cit., p. 96 sg.; Id., Perfect, Middle Voice and Indoeu,opean Verbal Endings, •Em• 49 (1981), 1, pp. 28 e 32 sgg.; Id., The Archaic St,uctu,e, cit., p. 2 sgg.; Id., Ideas on the Typology o/ ProtoIndo-Eu,opean, "JIES" 15 (1987), 1-2, p. 97 sgg.; Id., The New Image, cit., p. 1 sgg. L'alto numero di contributi (e qui ne ho tTSJesciati alcuni meno rilevanti) non deve comunque ingannare, poiché per lo più si tratta di una stessa idea sviluppata con variazioni marginali. Un buon quadro d'insieme - nella prospettive delineata dall'Adrados - è fornito da F. Villar, Hetita, cit., p. 175 sgg. 64 E. Neu, Die Bedeutung des Hethitischen fu, die Reltonst,ulttion des /riihindogermanischen Verbalsystems, •IF• 72 (1967), 3, p. 221 sg.; Id., Das hethitische Mediopassiv und seine indogermanischen G111ndlagen,Wiesbaden 1968 ( StBoT, 6), pp. 125 sgg. e 154 sgg.; Id., Zu, Reltonstrulttion, cit., p. 240 sgg. (spede p. 253); W. Meid, Probleme, cit., p. 209 sgg.; Id., De, Archaism11s,cit., p. 164 sgg. C.Oncorda sostenzie)mf'.Dte con tale impostazione del problema anche J. Tischler, in un paio di articoli assai pertinenti (Relative Ch,onology: the Case o/ P,oto-Indo-Eu,opean, in A Linguistic Happening in Memory o/ Ben Schwartz. Studies in Anatolian, Italic, and othe, Indo-European IAnguages, ed. by Y. L. Arbeitman, Louvain-le-Neuve 1988, p. 560 sgg.; Bemerltungen zum Rllum-Zeit-Modell, in Indogermanica Eu,opaea - Festschrift fu, Wolfgang Meid zum 60. Geburtstag am 12.11.1989, Graz 1989, p. 407 sgg.). Sempre nel senso di un forte arcaismo dcll'ittito si era pronunciato a più riprese B. Rosenkranz (Die Strulttu,, cit., p. 164 sgg.; Archaismen, cit., p. 2.7."i). 65 Si vede, ad esempio, E. H. Sturtevant [-E. A. Hahn], A Comparative G,amma, of the Hittite IAnguage, 211 ediz., New Haven 1951, p. 5 sgg. (spede p. 9, con bibliografia precedente}. 66W. C'.owgill, More Evidence, cit., p. 557 sgg.; Id., Anatolian bi-Coniuga tion and Indo-Eu,opean Perfect: Instalment Il, in Hethilisch •nd Indo-

=

2.9.1. Le lingue anatoliche tra arcaismo e innovazione

41

tosto la collocazione in una fase più arcaica dello sviluppo dal protoindoeuropeo alle lingue storiche a noi note (il problema della appartenenza dell'anatolico all'uno o all'altro ramo del gruppo indoeuropeo perderebbe in tal modo gran parte della propria rilevanza). In sostanza, secondo il Meid, a una prima fase indoeuropea unitaria avrebbe fatto séguito una fase durante la quale il sistema flessionale (soprattutto verbale) sarebbe stato caratterizzato ancora da una estrema semplicità. A tale secondo periodo risalirebbe la separazione dell'anatolico dalle altre lingue indoeuropee, le quali avrebbero poi continuato la propria evoluzione verso un sistema flessionale "post-anatolico" più complesso (peculiare di quell'" indoeuropeo" tradizionalmente ricostruito già a partire dai Neogrammatici). Dal momento che la creazione del perfetto indoeuropeo si collocherebbe in una fase successiva alla separazione dell'anatolico, la conseguenza di tale ipotesi è che le lingue anatoliche non possono testimoniare né il perfetto, né relitti di un tale tema verbale, che non hanno mai posseduto. In verità, le spiegazioni di Adrados (e della sua scuola) differiscono in parte da quelle di Meid e Neu. Lo studioso spagnolo, infatti, attribuisce all'ittita una situazione flessionale ancora pressoché indifferenziata - che rifletterebbe la semplicità della coniucaratterizzata soltanto da amgazione verbale indoeuropea 67 -, pliamenti e non ancora da temi verbali autonomi. Al contrario, il Meid, e soprattutto il Neu, hanno ricostruito una diatesi di "(medio-)

germanisch, cit., p. 32 sgg. Da presupposti non dissimili da quelli del C.Owgill (e in parte dcll'Adrados) muove K. C. Sbields, A History, cit., p. 86 sgg., d quale, tra l'altro, giunge a supporre che i verbi in -!;i e il perfetto indoeuropeo derivino da una comune categoria flcssionale di temi verbali in *-li-; sulla cautela necessaria di fronte alle disinvolte argomentazioni dello Shields si veda peraltro la recensione di J. T. Katz, in •1g• 69 (1993), 3, p. 636 sg. 67 A questo proposito, non si pub tacere di un singolare appiattimento di prospettiva al quale viene indotto l'Adrados (More on the Laryngeals with L4billl 11mlPalatal Appendixes, "FoLH" 2 [ 1981 ], 2, p. 226, e The Archllic Structure, cit., p. 30) quando di fatto tende a identificare l'origine delle lingue indoeuropee con l'origine delle lingue tout court! t questo uno dei pericoli che si presentano allorch~. ad esempio, si fa ricorso a considerazioni di ordine tii» logico senza alcune cautele preliminari; ma di questo, e della convinzione per la quale nclla storia delle lingue si procederebbe dal semplice al complesso, farò cenno più avanti (S 2.9.2).

II - Utiliuazione delle lingue indoeuropee

48

perfetto" - da riferire alla prima fase dell'indoeuropeo ricostruito - opposta alla diatesi attiva; dalla diatesi di "medio-perfetto", caratterizzata dal valore di stato, deriverebbero da un lato il perfetto (e il medio) delle altre lingue indoeuropee, dall'altro il mediopassivo e i verbi in -bidell'ittito (e delle altre lingue anatoliche in cui tali temi sono conservati) 68 • Senza accogliere ovvero respingere per il momento una tale impostazione - il problema è complesso, e si avrà modo di riconsiderarlo più avanti (§§ 2.9.2 e 5.3) -, si può notare che, in base a una siffatta interpretazione del sistema verbale anatolico, tale gruppo , linguistico non potrebbe gettare alcuna luce sulla formazione del perfetto indoeuropeo, sviluppatosi solo in una fase indoeuropea più recente (al più, secondo la teoria del Neu, l'ittito potrebbe esser chiamato in causa per la ricostruzione del "protoperfetto-medio", un antenato comune al perfetto cd anche ad altri tipi di formazioni verbali di lingue storiche). Un altro gruppo di studiosi, sia indoeuropeisti che specialisti di lingue anatoliche, ha invece ritenuto che l'ittito e le altre lingue del gruppo anatolico si collochino al punto terminale di una lunga e profonda evoluzione rispetto al prototipo indoeuropeo. In questo caso, il tentativo è stato quello di rintracciare, nelle poche categorie flessionali del verbo ittito (e in quelle non senza difficoltà estrapolabili in riferimento alle altre lingue anatoliche},

In questo senso si vedano soprattutto E. Ncu, Die Beàeutung, cit., p. 223 sgg.; Id., Zur Releonstruletion, cit., p. 249 sgg.; Id., Das fruhidg. Du,. thesensystem, cit., p. 289 sg.; W. Meid, Das germ. Praeteritum, cit., p. 36 sgg. (con una interpretazione che richiama molto da vicino quella fornita da B. Rosenkranz, Die hethitische bi-Kon;ugation unà àas iàg. Perfelet, •KZ• 75 [1958], p. 215 sgg.); Id., Probleme, cit., p. 217; Id., Der Archaismus, cit., p. 173 sgg.; J. Tischler, Relative Chronology, cit., p. 562 sg.; Id., Zur Entstehung, cit., p. 240 sgg. (specie p. 249). Opinioni analoghe sull'origine dei verbi in -bisono state espresse anche da W. P. Lehmann, Theoretical Bases of Indo-European Linguistics, London-New York 1993, pp. 211 sg. e 218 sgg., nonché da J. Kurylowicz (The Inflectional Categories of Indo-European, Heidelberg 1964, p. 67 sgg.; Zur Vorgeschichte, cit., p. 378; Die hethitische bi-Kon;ugation, in Hethitisch unà Indogermanisch, cit., p. 144 sgg.), quest'ultimo però in un quadro di riferimenti differente (il Kurylowicz non riconosceva all'ittito un carattere particolarmente arcaico rispetto alle altre lingue indoeuropee: si veda più avanti, note 71 e 72). 68

2.9.1.

u

lingue anatoliche Ira 11rcaismo e innovazione

49

i relitti di formazioni temporali, modali, etc. indoeuropee parzialmente o totalmente obsolete 111• Sono state pertanto formulate spiegazioni diverse - e mutuamente esclusive - riguardo alla questione che ci interessa, schematizzabili nel seguente modo: a) il perfetto indoeuropeo si è continuato nel presente dei verbi in -bi(l'ipotesi appare presso lo Sturtevant, ed è stata fatta propria da vari studiosi) 10; "' Esemplari cli questo secondo modo cli intendere il sistema verbale delle lingue anatoliche, come risultato della scomparsa cli numerose categorie flcssionali (Schwundhypotese), sono, a mio parere, un articolo cli E. Risch, Zur Entstehung, cit., p. 248 sgg., e uno cli A. Kammcnhuber, Zum idg. Erbe, cit., p. 3.3 sgg. Più in generale, si pub dire che una certa resistenza a vedere nell'ittito e nelle lingue anatoliche un carattere cli alto arcaismo risalga agli insegnamenti cli K. Hoffmann (è nota la posizione cli rifiuto nei riguardi del l'ittito assunta dal Hoffmann nel - magistrale - saggio Das K.ategoriensystem des indogermanischen Verbums, •MSS• 28 [1970], p. 22 sgg.). Un esempio estremo cli interpretazione dell'ittito in termini innovativi per effetto cli para· strato e sostrato anindocuropco è invece quello portato avanti da H. Wagncr, Das Hethitische vom Standpunltte der typologischen Sprachgeographie, Pisa 198,, p. 92 sgg.; più che cli innovazione, R. Ambrosini (Convergenze, cit., p. 148 sgg.) preferisce infine parlare cli convergenza verso una "lega linguistica anatolica•, comprendente anche tradizioni locali non indocuropcc. 10 In ordine cronologico, si possono citare, tra i contributi più importanti: E. H. Sturtcvant, The Source o/ the Hittite bi-Coniflgation, •tg• 14 (1938), p. 13 sgg.; H. Pedersen, Hittitisch und die anderen indoeuropaischen Sprachm, Kebcnhavn 1938, p. 80 sgg.; V. I. Gcorgiev, Die Lllryngaltheorie und die Herltun/t der hethitischen hi-Kon;ugation, •ZPhon• 22 (1969), 6, p. sgg.; G. Schmidt, Altirisch ro-fitir, cit., 2, p. 2,2 sgg.; O. Carruba,Anatolico, cit., pp. 130 e 136 sg.; F. O. Lindeman, Remarques sur la /lexion des 11erbes du type de tcbl)i en hittile, in Hethitisch und lndogermanisch, cit., p. 1,3; A. Erhart, Zur Entwicltlung der Kategorien Tempus und Modus im lndogermanischen, Innsbruck 198.5 (= IBS - Vortrigc u. Id. Schr., 3.5), p. 1.5 sg.; H. Izui, Indo-European Per/ect and Hittite Verbal System, "JIES• 14 (1986), 3-4, p. 196 sg.; H. Rix, The Proto-Indo-European Middle: Conteni, Forms and Origin, •MSS• 49 (1988), p. 108. Va considerata a parte la posizione del Juanoff, il quale ha riportato la flessione in -!Jia una coniugazione in *-Hze,nella quale andrebbero inclusi anche il perfetto, il medio e il presente tematico (d. J. H. Juanoff, The Position o/ the bi-Con;ugalion, in Hethitisch und lndogermanisch, cit., p. 79 sgg.; Id., Aspects o/ tbe Internal History o/ the PIE Verbal System, in Friih-, Mittel-, Spatindogermanisch, Alttcn d. IX. Fachtagung d. ldg. Gescllschaft [vom .5. bis 9. Oktober 1992 in Ziirich], hg. v. G. E. Dunkel, G. Mcycr,S. Scarlata, Chr. Scidl, Wicsbadcn 1994, p. 1,,

,,1

sg.).

,o

II - Utilituiio11e delle lingue indonropee

b) il perfetto indoeuropeo si ~ continuato nel pr~terito dei verbi in -!Ji (di qui la successiva creazione del presente in -bi, da considerare una sorta di "neoperfetto •) 71; e) il perfetto indoeuropeo si è continuato in più di una forma verbale ittita, dal preterito al presente dei verbi in -!Ji,al mediopassivo 72• Queste tre spiegazioni prestano comunque il fianco a più di una critica, di ordine sia formale che funzionale. Una prima osservazione riguarda la classe dei presenti in -!}i, che, come è stato osservato da più parti 73, sono costituiti da verbi aventi per lo più valore non stativo (ma processivo). Certamente si può pensare a una profonda ristrutturazione secondaria - per

In questo senso si vedano ad esempio J. Kurylowicz, Le hittite, in Proceedings o/ tbe Eigbtb International Congress o/ Linguists, Oslo 19,8, rist. 1972, p. 236 sgg.; t. Bcnvcnistc, Hittite et indo-européen. ltudes comp,11tives, Paris 1962, p. 18; H. Eichncr, Die Vorgescbicbte, dt., p. sgg.; E. Risch, Zur Entslehung, dt., p. 250 sgg.; N. Oettingcr, Die betb. Verbalstamme, dt., p. 227 sgg. 72 Se anche non si wol risalire ai primi tentativi in questo senso compiuti da Kuryfowicz e Stang al principio degli anni '30 (ai quali si ricollegano, ad esempio, C. Watkins, Indogermanische Grammalilt - III. Form,nlebre, Heidelberg 1969, pp. 66 sg. e 78 sg., e sulle sue orme Fr. Bader, P11rfaitet 111oyenen grec, in Mél11ngesde linguistique et de pbilologie grecques olferts à P. Chantraine, Paris 1972, p. 13 - entrambi in un quadro di riferimento per certi versi analogo a quello del Neu), sarà necessario comunque citare, dopo W; Peterscn, The Persona/ Endings o/ the Hittite Verb, • AJPh• ,3 (1932), 3, p. 200 (dal perfetto discenderebbero sia il presente che il preterito della coniugazione in -!Ji ittita), i lavori di A. Kammenhubcr (Die Spracben des vorhellenistischen Kleinasien in ihrer Bedeutung fur die beutige Indogermanistilt, •Mss•·24 [1968], p. 72 sgg.; Hethitisch, cit., pp. 233 sg. e 330 sgg.; Zum idg. Erbe, cit., p. 34 sgg.), la quale individua relitti del perfetto nel presente e preterito dei verbi in -!Ji, nonché nel mediopassivo, e di O. Carruba, Unità e varietà nell'anatolico, "AION-L• 3 (1981), p. 126 sgg. (specie p. 129: dal perfetto deriverebbero la flessione in -!Ji e il mediopassivo). In qualche misura analoga è la presa di posizione del Georgiev, Das Medium: Funlttion und Geschichte, in Grammalische Kategorien - Funlttion und Geschichte, dt., p. 22,. n Cf ad es. W. Cowgill, More Evidence, cit., p. ,66 sg.; J. H. Jasanoff, The Position, cit., p. 79; Id., Reconstructing Morphology, cit., p. 133; Id., Aspects., dt., p. J. Tischler, Zur Entstehung, dt., p. 238; A. L. Sihlcr, New Compar. Grammar, cit., p. ,66. 71

s,

1,,;

2.9.1. Le lingue anatoliche tra arcaismo e innovazione

.51

espansione progressiva - della coniugazione in -bi,ma in ogni caso una ricostruzione priva di serie corrispondenze sul piano funzionale non può avere il peso di una prova. Per altro verso, l'identificazione del preterito anatolico quale diretto continuatore del perfetto indoeuropeo imporrebbe, sempre dal punto di vista funzionale, di attribuire al perfetto uno stadio di avanzata evoluzione in senso preteritale, sl da permetterne l'omologazione a un qualsiasi tempo storico: saremmo allora in presenza di una forma funzionalmente molto lontana dal prototipo, e come tale di scarsa utilità al fine di ricostruire una situazione preistorica. Non mi riesce facile, poi, comprendere come un tema flessionale quale il perfetto indoeuropeo avrebbe potuto contemporaneamente dar luogo a forme di valore ben diverso, quali un presente, un preterito, un mediopassivo (la presunta identità originaria tra perfetto e mediopassivo, invocata a tale riguardo, non potrebbe comunque avere alcun rilievo quando si parla dell'ittito in termini di lingua estremamente innovativa!). Vi è inoltre un argomento interno ai dati delle altre lingue anatoliche. Dall'analisi approfondita del sistema verbale del luvio (cuneiforme e geroglifico) la Morpurgo Davies 1' giunge a formulare l'ipotesi che la coniugazione in -!Ji possa costituire una innovazione del solo ittito (i dati a disposizione sembrerebbero escludere la possibilità di una spiegazione nel senso di un arcaismo monoglottico): in questo caso, evidentemente, verrebbe meno l'eventuale nesso tra il perfetto indoeuropeo e la coniugazione in -bi. Infine, va sollevata una obiezione di ordine generale, relativa alla costante abitudine di ricostruire il rapporto genealogico tra classi flessionali in base alle sole desinenze, nel presupposto - tutto da dimostrare - che le desinenze abbiano costituito, in una fase molto remota, l'elemento essenziale nella individuazione di un tema flessionale. Questo discorso sarà ripreso nel capitolo dedicato alle desinenze (cap. V); non si può comunque fare a meno di osservare che tutte le corrispondenze tra il perfetto indoeuropeo e il presente o preterito dei verbi in -!}i, o ancora il mediopassivo, sono dedotte dalla somiglianza - spesso imperfetta - delle desinenze (e dal grado

7 '

A. Morpurgo Davics, The Luwian Languages, cit., p. 606 sg. (tale conclusione ~ poi fatta propria, ad es., da O. Szemerényi, Ein/uhrung, cit., p. 262).

II • Utiliwz:ione delle lingue indoeuropee

52

-a- radicale del singolare - cui corrisponde, peraltro, un grado -edel plurale in luogo dell'atteso grado zero 75). Ora, se pensiamo all'ampia gamma di uso, nelle lingue indoeuropee di più antica attestazione, delle desinenze primarie e ancor più di quelle secondarie (e a questa polifunzionalità, come si vedrà, non si sottraggono af. fatto le desinenze del perfetto), sembra ben difficile ricostruire per la fase preistorica un rapporto di corrispondenza biunivoca tra desinenze e temi flessionali. Eppure, nella ricerca si nota molto spesso un procedere a tentoni, fondato esclusivamente sul raffronto tra elementi desinenziali ai fini della identificazione di categorie flessionali. Si vedano, invece, le opportune cautele al riguardo avanzate dal Belardi, in un articolo non sufficientemente ricordato 76, e la giusta presa di posizione del Barton 77• 2.9.2. Modelli interpretativi dell'indoeuropeo ricostruito.

L'argomento relativo alle desinenze introduce un discorso più ampio, che concerne il modo stesso di interpretare quello che chiamiamo "indoeuropeo ricostruito" (o meglio ancora "comunione linguistica indoeuropea", cf. infra), ai fini di attribuire una più precisa collocazione alle lingue anatoliche. In particolare, è necessario vedere sino a che punto sia sostenibile il modello della stratificazione spazio-temporale dell'indoeuropeo proposto dal Meid, che costituisce in qualche modo il presupposto dell'ipotesi di una estrema arcaicità del sistema verbale ittito. Come è noto, l'ipotesi di una triplice stratificazione cronologica (e molteplice distribuzione areale, per la fase più recente) delSi noterà, tra l'altro, che il raddoppiamento presente in taluni temi ittiti ha una funzione iterativa ben diversa da quella riscontrabile nel perfetto indoeuropeo: d. N. van Brock, Les thèmes verbaux à redoublement du hittite et le verbe indo-europlen, •RHA • 22, fase. 75 (1964), p. 119 sgg. (specie p. 147 sgg.; le conclusioni relative all'ittita sono assai più persuasive che non il quadro di riferimento indoeuropeo utilizzato). 76 W. Belardi, La formazione, cit., p. 104 sgg. 77 Ch. R. Barton, Hittite me-ri-ir, epp- and a Note on the Ablaut of Root Verbs, "KZ" 98 (1985), 1, p. 14: « ... an ending may spread far beyond its origina! domain and [ ...] accordingly productive endings in particular cannot be used flatly as evidence for the original form or class-membership of the stems to which they bave bccomc attached. ». 75

2.9.2. Modelli interpretativi dell'indoeuropeo ricostruito

,.3

l'indoeuropeo ricostruito è stata dal Meid 71 riportata alla necessità di considerare tale realtà linguistica né più né meno che come una entità concreta, la quale doveva essere funzionante in un certo (ampio) lasso di tr.mpo nella competenza di parlanti distribuiti su una determinata area geografica (sarà qui superfluo ricordare le lontane ascendenze schleicheriane di una siffatta impostazione). Ma una visione del genere, pur apprC?.Zabilenella sua aspirazione ad operare entro un orizzonte di concretezza, offre il destro a più di una critica. Quando lo Schlerath ", ad esempio, insiste sul carattere astratto di una lingua ricostruita, non si può certo dargli torto: di fatto, al livello della •comunione linguistica indoeuropea", ricostruiamo con certezza soltanto elementi funzionali e principt di funzionalità, ma non siamo assolutamente in grado di ricostruire né alcuna struttura grammaticale compiuta funzionale né tanto meno - come si conviene in una preistoria - alcun tipo di testo complesso proprio perché non si dànno concordanze sintagmatiche tra le lingue storiche (ove si eccettuino i rari casi di formule - comunque elementari - appartenenti al patrimonio della • Dichtersprache "). L'assenza di testi scritti in "indoeuropeo preistorico" comporta necessariamente, da parte degli addetti ai lavori, la consapevolezza dei limiti della ricostruzione - che non arriva ad attingere una lingua in funzione ma soltanto alcune sue funzionalità - e al tempo stesso la consapevolezza della libertà interna della struttura ricostruita (nella quale gli elementi funzionali minimi dovevano possedere una estrema duttilità d'impiego nella costituzione di elementi - nominali, verbali - complessi).,_ Per altro verso, la ricostruzione di fasi più antiche a partire da un'unica realtà anch'essa 71

W. Meid, Probleme, cit., p. 206 sgg. La tesi del Meid ha trovato par· tlcolarc accoglienza, ad es., da parte del Polom6, Creoliiation Theory, cit., p. 687 sg. 19 Cf. B. Schlerath, Ist ein Raum/Zeit-Modell ..., cit., p. 181 sgg.; Id., Sp,achvergleich und Rekonstrulttion: Methoden und Moglichkeiten, •1nL• 8 (1982-8.3), p. ,, sgg. (specie p. 68); Id., On the Reality and Status o/ 11 Reconstructed L4ngt'4ge, • JIES• 1, (1987), 1-2, p. 42 sgg. ., Nel formulare queste osservazioni mi avvalgo di vari spunti di riflessione contenuti nell'ampio articolo di W. Belardi, Genealogia, cit., p. 1,, sgg., integrato da Sulla tipologia, cit., p. ,36 sgg. Sul concetto di •comunione linguistica indoeuropea• si vedano poi le indicazioni bibliografiche riportate nell'art. Aspetto e tempo nel sistema verbale indoeuropeo, in rorso di stampa nella Miscellanea in memoria di Enrico Campanile, Pisa 1996, S 1 e note 2-3.

54

II - Utiliua%ione delle lingue indoeuropee

ricostruita (ad esempio, la individuazione del • Mittelindogcrmanisch• a partire dallo "Spiitindogermanisch", o del • Friihindogcrmanisch• a partire dal "Mittelindogermanisch") è sconsigliabile in un'argomentazione scientifica, come è stato osservato 81• E ancora, seri problemi sorgono allorché si cerchi di ragionare in termini di cronologia assoluta piuttosto che di cronologia relativa 112• Ma basterà un esempio, credo, a mostrare i pericoli cui può andare incontro una concezione dell'indoeuropeo ricostruito "trifasica• (e in generale eccessivamente ancorata a un'idea di concretezza, oltre che nella forma, anche nel tempo della preistoria). Se poniamo a raffronto le lingue romanze (di numero ampio e attestazione assai ricca), sulla base delle mutue corrispondenze possiamo ricostruire una realtà comune - il latino parlato in epoca tarda nelle regioni dell'impero romano, comunemente denominato "latino volgare" -, dalla quale discendono le diverse lingue e dialetti neolatini. Ma ove tentassimo di ricostruire, a partire dal latino volgare cos} individuato, un latino via via più antico, fino al latino arcaico, qual è l'immagine del latino del V o IV secolo a.C. che ne risulterebbe? Certamente una immagine molto diversa - e più evoluta - rispetto a quella di fatto documentata in testi ed epigrafi arcaiche. Nessuno infatti, credo, sarebbe in grado di attribuire allo sviluppo del latino dalle origini ai primi secoli della nostra èra una dinamka tanto più rapida e profonda di quella evidenziabile nel passaggio dall'èra volgare alle lingue romanze: sl che tipologicamente il latino volgare è già largamente lingua a segno fisso come le neolatine, mentre nel latino dei primi documenti sopravvive una struttura internamente articolata 83• Questo raro e fortunato caso nel quale abbiamo 81

Cf. B. Sclùcrath, Sprachvergleicb, cit., p. 68. Analogheosscrvazioru compaiono - sia pure piuttosto in riferimento all'applicazione di tale teoria fatta dal Neu - in A. Kammenhubcr, Zum Modus Iniunletiv und zum DrriGenus-System im Ur-Indogermanischen (ca. J000-2500 v. Chr.), in Studi4 Linguistica Diacb,onica et Synch,onica We,ner Winter Sexagenario ... oblllla, cdd. U. Piepcr, G. Stickcl, Bcrlin[-NewYork-Amsterdam] 1985, p. 440. Si veda ancora H. Eichncr, Sp,acbwandel und Releonst,uletion, in Altten der 1J. Oste"eichischen Linguistentagung (Graz, 25-27 Olet. 198J), hg. v. Olr. Zinko, Graz 1988, p. 17 sgg. 112 Si veda E. Campanile, Quale ricostruzione dell'indoeuropeo?, •JnL• 9 (1984), p. 69 sg. 83 Sul mutamento strutturale dal latino arcaico alle lingue romanze d. in particolare W. Bclardi, Genealogi4, cit., p. 174 sg.

2.9.2. Modelli interpretativi dell'indoeuropeo ricostruito

55

la possibilità di confrontare una realtà ricostruita e una realtà documentaria dovrebbe accrescere la nostra prudenza riguardo alla possibilità di ricostruire a partire da quel che è già esso stesso ricostruito; senza dimenticare, come si è detto precedentemente, quanto di astratto inerisce necessariamente a una realtà linguistica preistorica (quindi non affidata a documenti scritti). Infine, si può notare come spesso, in questo risalire la scala cronologica dall'indoeuropeoIII verso l'indoeuropeo I, venga posta (consapevolmente oppure inavvertitamente) l'equazione "arcaico = semplice", e "recente = complesso"; per cui la fase più antica del sistema verbale indoeuropeo sarebbe quella costituita da due o al massimo tre categorie flessionali ". Un'occhiata alla storia delle lingue dovrebbe permettere di evitare una tale semplicisticaconclusione: non è un caso, ad esempio, che una lingua moderna come l'inglese presenti un altissimo grado di semplificazione morfologica, mentre lingue antiche come il vedico o il greco mostrino una estrema ricchezza e complessità flessionale. Tutte le categorie flessionali (tempi, modi, etc.) sono soggette di volta in volta a incrementi o riduzioni - e addirittura più spesso riduzioni che incrementi 85 -, con ristrutturazioni anche profonde di pertinenza (dal livello morfematico a quello di parola a quello di frase: si veda per tutti l'individuazione del soggetto che, dal latino all'italiano, o dall'anglosassone all'inglese moderno, si trasferisce dalla desinenza nominale all'ordine delle parole nella frase). Né considerazioni tipologiche possono modificare sensibilmente la prospettiva ora delineata (posto che

" In questo senso d. ad esempio J. Safarcwicz,Les dlsinences moyennes de l'indoeuroplen, •Bull. Acad. Polon." 1938, pp. 149-156, versione inglese Tbe Primary Endings of the Middle Voice in the Indo-European Language, in Linguistic Studies, The Hague-Paris-Warszawa 1974, p. 50, E. Neu, Zut Rekonstruktion, cit., p. 253, E. C. Polomé, Creolization Theory, cit., p. 688, o ancora,con valutazioni certo radicali, F. R. Adrados (in vari articoli, ripresi in Itleas, cit., p. 98 sg.). 15 Mentre ~ abbastanza comune il sincretismo di casi e di tempi (ma anche di numeri: si veda la perdita del duale), sono relativamente più rari fenomeni di innovazioni che diano luogo a sdoppiamento di classi: in questo aecondo senso, potrei citare la sistematizzazione dell'opposizione tra perfettivo e imperfettivo nello slavo (molto al di là dell'àmbito aspettuale condizionato dalla semantica radicale), o ancora la nascita di un nuovo modo, l'ammirativo, nella lingua albanese, o il debitivo nella lingua l~ttone.

II - Utiliun.ione delle lingue indoe,m,pee

56

considerazioni tipologiche siano comunque legittime in sede di ricostruzione linguistica 16). Quindi, non è legittimo tacciare di arcaicità un sistema flessionale solo perché è estremamente semplice; se proprio vogliamt) attribuire alta arcaicità al sistema verbale ittito, lo possiamo certo fare, ma sulla base di argomenti affatto diversi (senza dimenticare, comunque, che solo l'ittito, tra le lingue indoeuropee antiche, presenta un sistema verbale relativamente poco complesso)". 2.9.3. Problemi connessi con l'utilizza.ione dell'anatoliconella

presente ricerca. A questo punto, credo sia possibile tirare le somme di quanto è stato detto in una prospettiva metodologica prelimio~ - il confronto puntuale dei dati a disposizione sarà oggetto dei capitoli seguenti - riguardo all'11tHiwtbilitàdelle lingue anatoliche nell'esame

Una netta chiusura in questo senso ~ espressa da G. Dunkel, Typology oersus Reconslruclion, in Bono Homini Donum, cit., II, p. 559 sgg. (specie p. 568); serie perplessità, ampiamente motivate, sono avanzate anche da W. Bclardi, Sulla tipologia, dt., p. 5.36 sgg. (specie pp. 569-570). Più ottimistica riguardo alla compatibilità tra tipologia e ricostruzione indoeuropea era invece la valutazione di E. Campanile (Typologischt Reltonslrtdttion und Indo,. germanisch, in Studies in Diachronic, Synchronic and Typological Linguistics • Ftslschri/1 /or Oswald Szemerén,;, cit., I, pp. 179 e 189). " Contro questa tendenza al riduzionismo, che spinta oltre il ragionevole porta poi a formulare ipotesi glottogonichc non passibili di dimostrazione (origine nominale del verbo, origine pronominale dclle desinenze personali del verbo, etc.), si vedano, oltre al Dunkel, dt. nota prcc., p. 560, alla Kammcnhubcr, Zum Modus, dt., p. 440, e al Kurylowicz,The lnflecl. Calegories, dt., p. 58, anche le ragionevoli osservazioni di K. Strunk, Stammhaumlheorit und Stleltlion, in Logos Semantiltos - Studia linguistica in honorem Eugenio Coseriu, cds. H. Gcckelcr, B. Schliebcn-Lange,J. Trabant, H. Wcydt, II, Madrid [-Bcrlin-NcwYork] 1981, p. 163 sg., di R. Lazzcroni, Fra glottogonia t storia: ipotesi, cit., p. 42, e il bcll'cscmpio fornito, per l'imperativo indoeuropeo, da B. Forssman, Der Imperatio im urindogermanischtn Verhalsyslem, in Gram. malischt Kategoritn - Funltlion und Gtschichtt, dt., p. 194. Valutazioni simili a quelle presentate in questa sede sono espresse da J. Untcrmann, U,sp,acht und historischt Realitiit: der Btilrag der lndogmnanistilr zu Fragm tkr Ethnogenese, in Studitn zur Ethnogentst, •AR.WAW• 72 (1984 [1985]), p. 153. 16

2.9.3. Problemiconnessicon l'utiliuavone deU'•natolico

,1

della posizione del perfetto all'interno del sistema verbale indoeuropeo. Si è visto, in primo luogo, che la pregiudiziale del carattere arcaico o al contrario innovativo delle lingue anatoliche ha un peso determinante nella ntmzzazfone di tali lingue in rapporto con il problema del perfetto indoeuropeo. Se le lingue anatoliche riflettono una situazione anteriore alla creazione del perfetto, non sono pertinenti in un'indagine relativa al perfetto indoeuropeo; se invece presentano uno stadio di avanzata ristrutturazione, in esse il perfetto apparirà come attraverso un vetro smerigliato e deformante, in una luce ormai fioca e in una forma profondamente alterata. Si potrebbe a questo punto giungere ad affermare che comunque le lingue anatoliche andrebbero espunte da una trattazione concernente il perfetto indoeuropeo. Riterrei, piuttosto, che un atteggiamento più ragionevole potrebbe essere quello di una consapevole prudenza nell'utilizzazione dei dati che provengono da tale area linguistica. Infatti, se è il quadro di riferimento generale (stratificazione dell'indoeuropeo ricostruito, arcaicità e semplicità) a render male accetta l'ipotesi di un sistema verbale ittito (e anatolico) di tipo paleo-indoeuropeo, dall'altro lato sono problemi specifici di congruenza (formale e soprattutto funzionale) dei dati anatolici con quelli delle altre lingue indoeuropee a impedire una utile comparazione in un'ottica ricostruttiva. Al riguardo, mi pare condivisibile l'opinione espressa dallo Strunk in un suo lavoro del 1984 •: l'ittito (e le lingue anatoliche) da un lato hanno perso alcuni tratti antichi, dall'altro hanno sviluppato - in misura anche superiore ad altre lingue indoeuropee - determinate tendenze proprie della fase linguistica comune. Se non pensiamo all'indoeuropeo ricostruito come a una lingua compatta e funzionante, ma a un insieme di elementi, un inventario di morfemi e lessemi combinabili in vario modo, talvolta in alternativa tra loro, talaltra complementarmente, possiamo più facilmente immaginarci lo sviluppo assunto da ogni singola lingua indoeuropea storica: ognuna ha selezionato e sviluppato la funzionalità di alcuni elementi e non di altri, secondo una "strategia" peculiare, nella quale l'unico cardine doveva esser costituito dal principio di combinabilità di morfemi (e lessemi) in unità più complesse internamente articolate. Ma su ciò tornerò più avanti.

• K. Strunk, Probleme, cit., p. 142 sgg.

,8

II - Utiliwwone delle lingue indoeuropee

Al di là di queste considerazioni generali,con le quali si potrà naturalmente anche non convenire, vorrei aggiungere un paio di ulteriori motivi di cautela nell'utilizzazione dcll'ittito e delle lingue anatoliche nella ricostruzione del perfetto indoeuropeo. In primo luogo, è necessario tener conto di qualche problema di lettura che talora ci si presenta allorché tentiamo di trascrivere con estrema precisione termini in grafia cuneiforme (ovvero geroglifica, per quel che riguarda il luvio geroglifico). Dopo le ricerche dell 'Eichner e del Melchert in particolare ", l'approssimazione è assai ridotta 90 ; e tuttavia la non rara equivalenza tra alcuni segni vocalici (in special modo «e,. cd «i,. in fase tarda), unitamente a fenomeni fonologici quali la confluenza in .;. di un *-ey- originario, e probabilmente anche degli altri dittonghi in *-y-, non garantiscono sempre un'assoluta sicurezza nella valutazione di forme verbali, per le quali si può essere in dubbio riguardo al grado apofonico. In secondo luogo, il problema dell'effetto del sostrato e del parastrato sulle lingue anatoliche indoeuropee rimane un capitolo a tutt'oggi di difficile valutazione; e anche se, come accennato, le posizioni del Wagner (d. nota 69) appaiono certo estreme, fonc sarebbe opportuno non attribuire senz'altro a eredità indoeuropea tutto quel che compare nel sistema flessionale dell'ittito, del luvio, del palaico (pur se, per il principio della continuità genealogica, nella storia di una lingua la morfologia costituisce uno dei settori meno soggetti a interferenza).

• Cf. ad esempio H. Eichncr, Phonetilt unti Lllutgesene des Hetbitiscbe11 - ei11W eg zu ibrer Entschlusselung, in Lllutgescbicbte unti Etymologie. Akteo d. VI. Fachtagung dcr ldg. Gcscllschaft (Wicn, 24.-29. Scpt. 1978), hg. v. M. Mayrhofcr - M. Pctcrs - O. E. Pfciffcr, Wicsbadcn 1980, pp. 120-16, vor Nu.Z(specie p. 132 sgg.); Id., Neue Wege im Lydischen: Voltal111Ualitat ltonsonanten, "KZ" 99 (1986), 2, p. 203 sgg. (specie nota 10 a p. 206 sg.); H. C. Mekhert, Studies in Hittite Historical Phonology, Gottingcn 1984 KZ - Ergiinzungsheft 32), passim (una valutazione molto prudente riguardo alla confusione di «e» ed «i,. ~ a p. 78 sgg.); Id., Hittite Vocalism, in Per una grammatica ittita, cit., p. 181 sgg.; Id., Anatolian Historical Pbonoloa, Lciden Studies in Indo-European, 3), pp. Amsterdam-Atlanta Ga. 1994 ( 100 sgg. e 182 sg. Sono debitore a M. Marazzi di questi dati bibliografici relativi alle più recenti acquisizioni nel campo della trascrizione dcll'ittito. 90 Quindi non sono più attuali le riserve del Pctencn, The Pers. Endi11gs, cit., p. 193, oppure, per il periodo più recente, di A. Kammcnhubcr, Modus Injunlttiv, cit., p. 442.

(=

=

z,,,,,

2.9.3. Problemi connessi con l'utiliW1Zione dell'anatolico

.59

Nelle lingue anatoliche, per qud che riguarda altri procedimenti per esprimere lo stato (risultante) - relativi al IV gruppo di lingue, secondo la classificazione proposta al principio dd capitolo -, sembra aver avuto limitata fortuna il suffisso *-é- 91 • Jacqueline Boley 92 ha invece individuato ndle costruzioni ittite con bar/eseguito dal participio neutro l'esatto equivalente funzionale dd perfetto indoeuropeo: dal momento che tale costruzione è già anticoittita, si potrebbe pensare che l'ittito abbia sviluppato uno dei mezzi con i quali in fase indoeuropea si poteva indicare il valore di • stato raggiunto", qudlo di tipo perifrastico, a preferenza degli altri (il tipo "indo-greco", qudlo a suffisso *-e-,etc.).

2.10. Le lingue ba/.tiche, le lingue slave e il perfetto indoeuropeo. In molti settori della morfologia verbale le lingue baltiche e le lingue slave - che risalgano o meno a un unico gruppo - presentano notevoli analogie. Le somiglianze sono particolarmente accentuate allorché si considerino quelle categorie flessionali alle quali doveva inerire una valenza di stato (raggiunto) analoga a quella ricostruibile per il perfetto indoeuropeo; sicché l'esame "sinottico" dei due gruppi linguistici consente di evitare inutili ripetizioni, e di presentare, al tempo stesso, un quadro più ampio e completo. Due categorie flessionali del verbo baltico e slavo sono state poste in rdazione con un perfetto originario: a) i presenti atematici con grado sivamente baltici);

*-o-radicale

(quasi esclu-

Su alcuni verbi ittiti a suffisso *-i- d. C. Watkins, Hittite and IndoBuropea,, Studies, cit., pp. -'9 è 72 sgg., nonch~ J. H. Jasanoff, Stative antl Middle, dt., p. 17. N. Octtinger, Der indogermaniscbe Stativ, •MSS" 34 (1976), p. 111 sgg., ha riconosciuto la continuazione del suffisso *-i- (*-eHr) nella desinenza •stativa" di III sg. -dri. 92 J. Bolcy, Tbe Hittite hark.Construction, Innsbruck 1984 (= IBS, 44), p. 102 sg. (una prima intuizione in tal senso sembra risalire a J. Kurylowicz, L'apopbonie en indo-europlen, Wrodaw 19-'6, p. 41; d. ancora E. Ncu, Das Hetbitiscbe im Werke Smile Benvenistes, in S. Benveniste aujourd'bui, II, 61. J. Taillardat - G. Lazard - G. Scrbat, Louvain 1984, p. 103 sg.). 91

60

II • Utiliw,vone delle lingw mdonropee

b) i verbi •stativi• aventi un presente in *-ye/o-, *-!- e un infinito a suffisso *-é- (l'infinito in *-é- può talora comparire anche in alcuni presenti atematici a grado*-o-l'ldicale). Inoltre, i preteriti a suffisso*-é- o *-i- delle lingue baltiche da taluni studiosi sono stati connessi con gli •stativi•. Per poter capire quale sia il contributo che possono apportare le lingue baltiche e slave alla ricostruzione del perfetto indoeuropeo, sarà dunque necessario considerare brevemente - all 'intemo di una bibliografia che al riguardo è vastissima - la natura delle formazioni verbali sopra ricordate; dell'origine e della funzione del suffisso *-é-, presente in altri settori del dominio indoeuropeo, si discuterà in un successivo capitolo (S 6.4.1). Per quel che riguarda il gruppo a), se anche non vogliamo risalire alle prime analisi compiute tra la fine del secolo scorso e il principio di questo, possiamo per lo meno ricordare che il van Wijk, il Vaillant e lo Stang, tra gli anni '30 e '50 ", avevano riportato alcuni presenti atematici lituani a un perfetto originario, là dove era possibile muovere da un vocalismo radicale*-o-(oppure lungo); tale ipotesi, arricchita via via da ulteriori esempi tratti anche dalle altre lingue baltiche ", ha poi trovato una formulazione complessiva nella Grammatica comparata delle lingue baltiche dello Stang". In sostanza, gli antichi perfetti indoeuropei, provvisti di valore di presente, avrebbero assunto una flessione atematica (si qualificherebbero, dunque, come veri e propri •perfetto-presenti•), con successiva - e non generale - epitesi del suffisso *-é- nell'infinito. La identificazione di questi presenti atematici del baltico come antichi perfetti troverebbe una conferma nel trattamento della forma verbale per 'sapere' nel prussiano antico: il pr. ant. II sing. waisei, inf. waist, mostrerebbe bene la tendenza di un perfetto originario (d. ind. ant.

" N. van Wijk, Le p,oblème des p,lthilo-p,lsmts suzves et bdltiqws, •Studi Baltici• 3 (1933), p. 134 sgg. (specie p. 137); A. Vaillant, L'impt,rfm slave et les p,ltbits en -e-et en -i•, •BSL" 40 (1938-39), p. 22; Chr. S. Stang, Das slavische und baltische Verbum, Oslo 1942, pp. 24 e 103; Id., Litauisch tàpti, •NTs• 16 (1952), p. 259 sgg. . 94 a. ad es. Chr. S. Stang, Zum baltisch-suzuischenVerbr,m, •IJSLP• 4 (1961), p. 67 sgg. (specie pp. 70-73). 95 Chr. S. Stang, V ergleichende Gr11111matilt der baltischen Sp,«hm, Osl~Bcrgcn-Tromso1964, p. 310 sgg.

2.10. Le lingue baltiche, le lingue slave e il perfetto i.e.

61

véda, gr. otScx,etc.) alla inclusione nella classe flessionale atematica per quel che riguarda le lingue baltiche ". Anche alcuni presenti delle lingue slave sono stati ricondotti a un perfetto originario: l'atematico sl. ant. védéti 'sapere' (I sing. védé/ vémi: dittongo radicale), forse iméti 'avere' (I sing. imam'i), molti 'potere' (I sing. mogc,), e un piccolo gruppo di verbi (prevalentemente intransitivi) con infinito in *-e-e grado apofonico radicale *-o-(tipo goréti 'bruciare'; taluni aggiungono anche il più numeroso gruppo di verbi con vocsUsmo lungo radicale, tipo sédéti 'star seduto') w. Sarebbe certo molto importante poter trovare continuazioni di un perfetto originario in un'area linguistica per molti versi innovativa nel sistema flessionale del verbo; e tuttavia le perplessità superano le certezze. Infatti, è da notare che, sia nel baltico sia nello slavo, mancano forme raddoppiate (ove si prescinda da un paio di antichi presenti atematici a raddoppiamento, d. infra S 3.1.10); quanto alle desinenze, non compaiono significativi esempi riportabili a una serie specifica del perfetto (l'isolato védé sopra ricordato comunque non può riflettere direttamente una desinenza

• Oltre a Stang, Vgl. Grammatik, cit., pp. 311 e 313, cf. ad es. R. Hiersche, Archaische Strukturelemente im baltischen Verbum, •KZ• 94 (1980), p. 222; A. Erhart, Zur Entwicklung, cit., p. 1.5. w Una esposizione complessiva - non sempre sorretta da rigore aitico ~ fornita da A. Vaillant, Grammaire comparée des langues slaves, III. Le verbe, Paris 1966, pp. 77 sgg., 377 sgg. e 441 sg. (specie pp. 77-78, 398-401 e 4.51-4.54);cf. inoltre Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., pp. 22 sgg., 7.5, 93; A. Vaillant, Le par/ait indo-européen en balta-slave, •BSL• .57 (1962), 1, p . .52 sgg. (dove l'allungamento radicale ~ inteso quale tratto caratteristico dd perfetto, in sostituzione del raddoppiamento); R. Aitzctmiiller, Slav. im~ti und das ùlg. Per/e/et, •Sprache• 8 (1962), 2, pp. 2.50 e 2.53 sgg.; Id., Zu imaml, •zsIPh• 30 (1962), p. 37.5 sgg.; Id., Alesi. ~~ und die slavischen Zustandsverba, in Slawistische Studien zum V. Internationalen SlawistenkongreP in Sofia 196J, hg. v. M. Braun u. E. Koschmicder, Gottingcn 1963 (= Opera Slavica, IV), p. 209 sgg.; F. Kortlandt, Toward a Reconstruction o/ the Balto-Slavic Verbal System, •Lingua• 49 (1979), p. 66 sgg.; J. E. Rasmussen, The Slavic i-l'erbs, cit., p. 480 sgg. Sui problemi di intcrprc• tazione dd grado apofonico di sl. ant. stojati d. ad es. W. Cowgill, The Source, cit., p. 286; A. Bammcsbcrgcr, The Formation o/ the Basi Baltic Stative Verbs *stiw-c- and *dew-e-, •1..g• .50 (1974), 4, p. 687 sg. (e nota 6); J. H. Jasanoff,Stative and Mùldle, dt., p. 11.5.

II • Utilizzazione delle lingue indoeuropee

62

di I sg. *-a - o *-H2e,se si preferisce) 91• Rimane il grado apofonico radicale, che in taluni verbi è *-o-(non alternante); ma a questo proposito si deve osservare che un grado *-o-radicale è ben attestato nelle lingue baltiche in intensivi, iterativi, denominali e, owiamente, causativi 99 (alcune di queste categorie presentano normalmente anche un infinito in -éti), e non molto diversa è la situazione per quanto riguarda le lingue slave 1m. Ma c'è di più: se dovesse aver ragione R. Hiersche 101, sulla base della comparazione andrebbe attribuito alla fase indoeuropea preistorica un gruppo di presenti primari a grado *-o-radicale, in principio atematici (poi anche tematici, e con suffisso *-ye/o-). Se si pone mente al fatto che i presunti continuatori del perfetto i.e. nel baltico e nello slavo presentano proprio una flessione per buona parte atematica, può sorgere legittimo il dubbio che non di antichi perfetti si tratti, bensl di antichi atematici a grado *-o-radicale. L'indicazione fornita dal pruss. ant. waisei, sl. ant. védé va in ogni caso ridimensionata, considerato lo status particolare che questo perfetto mostra nelle varie lingue indoeuropee im. Non sembra pertanto prudente asserire che nel baltico e nello slavo si diano continuatori diretti di un perfetto originario (" perfetto-presenti"); più ragionevole appare riconoscere semplicemente la presenza di quel vocalismo radicale *-o-,che in origine poteva

91

99

Cf. infra, S 5.1.1 e note .30-.34. Cf. Chr. S. Stang. Vgl. Grammatile, cit., pp . .312 e .329, H. Schelcsnikcr,

Das slavische Verbalsystem und seine sprachhistorischen Grundlagen, Innsbruclc 1991 (= IBS, Vortr. u. Id. Schr., 51), p. 10, e soprattutto R. Hiersche, Archaische Struleturelemenle, cit., p. 224 sg. icx, Tra la letteratura più recente segnalo ad es. J. E. Rasmussen, The Slavic i-Verbs, cit., p. 475 sgg. 101 R. Hiersche, Gab es im ldg. ein o-stufiges primiires Prisens?, •IF• 68 (196.3), 2, p. 151 sgg. (cito da p. 154 sg.: « Es gab im Indogermanischcn den Typus eines o-stufigen primaren Priisens, und zwar bereits in der iltcstcn Schicht mit athematischer Flexion, zu der dann die thematische -e/o-Flexion und die mit dem Element -ie/io- hinzutrat. •). L'idea sviluppata dal Hiersche risale in ultima analisi a una intuizione del Meillet, De quelques prlsenls athlmatiques i vocalisme radical o, "MSL • 19 (1914-16), 4, p. 181 sgg. (spede p. 188), contro la spiegazione tradizionale del Brugmann. Per una discussione ulteriore d. infra, S 4.2.1. 102 L'ipotesi di una precoce • tessicalizzazione• potrebbe ben adattarsi agli esempi balto-slavi; ma su tale argomento si tornerà più avanti (S 3.4).

2.10. Le ling1" baltiche, le lingue slave e il perfetto i.e.

63

essere un elemento portatore, tra gli altri, anche di un valore di stato (raggiunto). Più semplice e univoca l'interpretazione del suffisso *-e-,che sembra porsi quale elemento atto a convogliare una valenza intransitivo-stativa in radici transitivo-processive, quindi funzionerebbe come procedimento morfologico alternativo e al tempo stesso sostanzialmente analogo rispetto al perfetto '011 (in questo senso, le lingue baltiche e slave andrebbero incluse nel IV gruppo, secondo la classificazione suggerita all'inizio del capitolo). Precisato questo punto di ordine generale, è però necessario sottolineare alcune peculiaritàdi tale tipo di verbi: a) il suffisso *-e-compare nell'infinito (e nel preterito, su cui però cf. infra); se ne hanno numerosi esempi nel lituano e per altro verso nello slavo antico, ricorrenze più rare e dialettali nel lèttone, isolate nel prussiano antico; b) nella maggior parte dei casi a *-e-dell'infinito corrisponde • -t-• ( = *V) • -t-• ( = ·--t-, o eventualmente un presente m -t- nelli tuano, m *-ey-) nello slavo antico; degli esempi nei quali verbi atematici hanno assunto secondariamente *.,e-nell'infinito si è detto sopra; e) i verbi in *-e-presentano per la maggior parte un grado zero radicale, con un più ristretto nucleo a vocalismo lungo, oppure a vocalismo *-o-(vedi sopra), o altro ancora 104•

La presenza di un suffisso *-e-,con la funzione di esprimere uno stato in radici verbali processive (cf. ad es. ind. ant. sadati 'si siede',

1011Cf.

in particolare W. P. Schmid, Studien (il lavoro di gran lung, più completo riguardo alla questione dei verbi baltici - e slavi - in *-i-), cit., pp. 67 e 77 (con bibliografia precedente); A. Bammcsbcrgcr, The Formation, cit., p. 689; Id., Die balbthemat. Prisensflexion, cit., p. 6; J. H. Jasanoff, Stative and Middle, cit., p. 94 sgg.; R. Aitzctmiiller, Ahi. vai~, cit., p. 212 sg.; Id., Altbulgarische Grammatile, Freiburg i. Br. 1978, p. 22, sg. 104 Per la situazione nel lituano e nel prussiano antico si veda soprattutto W. P. Schmid, Studien, cit., pp. 27 sg., 31 sg., 60 sgg. (un elenco dei verbi prussiani antichi - suddivisi secondo classi flcssionali - è in W. R. Schmalstieg, The Old Prussian Verb, in Baltic Linguistics, ed. by Th. F. Magner and W. R. Schmalstieg, University Park and London 1970, p. 133 sgg.); d. anche, in genctalc, Ott. S. Stang, Vgl. Grammatile, cit., p. 319 sgg., per il gruppo baltico, e A. Vaillant, Grammaire, cit., III, p. 377 .a;, per il gruppo slavo.

64

II - Utiliwavone delle ling11einaonropet

lit. sésti, sl. ant. sésti 'sedersi', ma lat. sedere, lit. sedéti, sl. ant. sédéti 'star seduto'), trova ampio riscontro in altre lingue indoeuropee, come segnalato nei paragrafi precedenti: si tratta di un tema derivazionale, che "predilige• la forma ridotta (grado zero) della radice. Non vi sono indizi consistenti per far risalire un tale tipo flessionale al perfetto indoeuropeo 101S: manca ogni traccia di raddoppiamento o di desinenze specifiche; quanto al vocalismo radicale, il grado zero era in origine proprio di vari temi flcssionali, e non può esser ritenuto caratteristico del perfetto (in cui era complementare a *-o-del singolare) 1°'. Più difficile - e controversa - è la spiegazione del suffisso -i- che, per solito in associazione con un infinito in *-e-,contribuisce a formare sia nel lituano che nello slavo antico una ricca classe di presenti "semitematici" (tematici nella sola I sing.). 2 certo assai aff11scinante, ma altrettanto fragile, l'ipotesi del Kurylowicz •, secondo il quale lit. -i- (attraverso uno stadio intermedio -ie-) e sl. ant. -i- continuerebbero una desinenza di perfetto medio III sing. *-ei (poi gcnerali:aata alle altre persone, con tematizzazione secondaria nella I sing.). Al di là di una obiezione di ordine generale, connessa con il carattere generalmente recenziore del perfetto medio, la spiegazione del Kurylowicz va incontro a qualche difficoltà anche su punti specifici, come è stato osservato 108• Né appaiono percorribili strade IOISLo Stang, V gl. Grammatilt, cit., p. 321, e il Vaillant, Grammllire,cit., III, p. 400, riportavano ad antichi perfetti per lo meno i temi a vocalismo

radicale lungo oppure *-o-.Per l'Aitzetmiiller, Altsl. v&le, cit., pp. 210 e 214, tutti i verbi •stativi" a suffisso *-e-continuano un antico tipo di perfetto (il cui formante *-i- avrebbe assunto in primo luogo valore preteritale); opinione sostanzialmente analoga ~ espressa dallo Schelesniker, Das sl4v. Vtrblllsystem, cit., p. 25. 106 Dei pochi esempi con *-o-si ~ detto in precedenza; il vocalismo lungo non doveva appartenere affatto al perfetto i.e., come si ~ accennato a proposito del germanico e del latino, e come si mostrerà più ampiamenteod séguito del presente lavoro. J. H. Jasanoff, Stative and Middle, cit., p. 115 sg., individua in (presenti) atematici medi il nucleo delle formazioni beltiche e slave sopra ricordate. 107 J. Kurylowicz, The Inflect. Categories, cit., p. 79 sgg. (le pp. 79-84 corrispondono all'articolo Das idg. Perfeltt im Slavischen, pubblicato in Polonia in quegli stessi anni, e successivamente ristampato in tedesco in Esquisses linguistiques, Il, Miinchen 1975, pp. 447-453). 108 Cf. ad es. J. E. Rasmussen, The Slavic i-Verbs, cit., p. 483, e A. Bammesberger, Die halbthemat. P,as,nsfltxion, cit., p. , sg.

2.10. Le lingue baltiche, le ling1'e slave e il perfetto i.e.

65

che pongano in una qualche relazione apofonica i suffissi di infinito io *-e- e di presente in -i- 111', e difficile si presenta l'ipotesi di una rianalisi della desinenza di III plur. *-inti come *-i-nti (donde la successiva generalizzazione di -i- all'intero presente) 110• Appare dunque di gran lunga più persuasiva la comparazione suggerita - e ampiamente documentata - da W. P. Schmid 111, il quale ha individuato nei verbi indiani in -ya- una notevolissima corrispondenza con i verbi io -i- del baltico e dello slavo: tale corrispondenza è non solo formale (pressoché totale nel caso della I persona sing.), ma anche, io larga misura, semantica, visto il carattere intransitivo o "passivo• di tali forme verbali indiane (e non sarà un caso il fatto che si diano molti esempi di verbi indiani in -ya- corradicali dei verbi baltici e slavi in -i- I *-e-,oltre che di verbi latini e germaniciin *-e-). Quindi, due classi flessionali con suffissi di forma diversa 112, ma di valore non dissimile, le quali nelle lingue baltiche e slave hanno dato luogo a un tipo •misto" di coniugazione. Un'ultima questione da chiarire riguarda il suffisso *-e- documentato in formazioni di preterito appartenenti a entrambi i gruppi linguistici. Su tale questione si è dibattuto a lungo, a partire dalla

°' Un'ampia rassego• in proposito è fornita da J. H. Jasanoff, Stative and Midàle, dt., p. 94 sgg.; si aggiunga la derivazione di *-i- da UD *-oy- + Cons., proposta da W. R. Schmalstieg, lndo-E1'ropean Ling1'istics. A New Syntbesis, University Park and London 1980, pp. 99 e 128. 110 Cf. J. H. Jasanoff, Stative and Middle, dt., p. 11.5sgg., e soprattutto J. E. Rasmusscn,Tbe Slavic i-Vnbs, dt., p. 483 sg. Il Bammesberger, Die balbtbemat. Prisensflexion, dt., p. 6 sg., ritiene invece che tale *-inti vada ricondotto a una sorta di incrodo tra una originaria desinenza di perfetto III plur. •.;, (esito baltico di UD *-r) e la desinenza di III plur. •-nt(i) caratteristica del sistema di presente-aoristo. 111 W. P. Scbmid, Studien, dt., p. 60 sgg. (specie p. 66 sgg.). Tale spiegazione, che sviluppa alcune osservazioni del Meillet (Le slave co1111111'n, 2• ediz. riv. e corr. da A. Vaillant, Paris 1934, p. 2.33 sg.), è sostaozis)mente fatta propria, ad es., da R. Aitzetmiiller, Altbulgllrische Grammatik, dt., p. 224. 112 Lo Scbmid, Studien, dt., p. 91 sgg., illustra compiutamente le condizioni apofoniche proprie delle diverse persone dei verbi in .;. nel baltico e nello slavo (si potrebbe ricostruire, tra l'altro, UD formante *-iy- nelle Il e III persone, per lo meno nello slavo e nel prussiano antico). Tra i lavori più recenti, si segnalala spiegazione di W. Hock, Die slavischen i-Vnben, in Vnba et structuru. Festschrift f. K. Str1'nltz. 65. Geburtstag, hg. v. H. Hettrich, W. Hock, P.-A. Mumm u. N. Oettinger, Innsbruck 1995 (= IBS, 8.3), p. 7.5 sgg. (speciep. 8.3 SS·, dove figuraUD intcressaote raffronto con il tipo in *-e,e/o-). 1

II - UtiliullZione tlelk lingue intloewo~e

66

fine del secolo scorso 113; una tesi che ha goduto di qualche favore identifica tale suffisso con quello stativo attestato nell'infinito di alcuni verbi baltici e slavi (cf. supra) 11•. A una siffatta ipotesi si possono muovere due gravi obiezioni: a) nel lituano esiste anche un preterito in *-a-,per lo più in verbi intransitivi, mentre il preterito in *-e-si caratterizza per una quasi generale transitività: sembra strano che un suffisso stativo abbia poi assunto una funzione - potremmo dire - antitetica; non è facile spiegare come un identico suffisso abbia - sia pure, ipoteticamente, in tempi diversi - contribuito alla formazione di temi flessionali a valenza alquanto differente (da un lato infiniti a valore stativo, dall'altro preteriti). b)

Un passo in avanti verso una soluzione del problema è stato compiuto dallo Schmid 115: la distribuzione di *-a-e *-e-nei preteriti lituani sembra rispondere prevalentemente alla struttura radicale del tema (al grado zero - oppure allungato, o ancora *-o-corrisponde un preterito in *-a-;negli altri casi si ha il suffisso *-e-). A partire da questa osservazione altri studiosi 116 hanno fornito ulte-

113

Per una sintetica storia del problema (fino al 1960) rinvio a W. R. Preterit [sic] in -e,•Lingua• 10 (1961), p. 93 Scbroa)sdeg, The LithU1111ian sgg. (con ulteriori notazioni in: AgllÌn the LithUdnian Preterit [sic] in -e, •AION-L• 6 [196.5], p. 123 sgg.). 11• In tal senso si vedano, ad es., Oir. S. Stang, Zum baltisch-suzv. V erbum, cit., p. 70 (assai più problematica ~ l'esposizione dallo Stang in Du suzv. und balt. Verbum, cit., pp. 84 sg., 166, 189, e in Vgl. Grammatik, cit., p. 386 sgg.); A. Vaillant, L'impar/ait slave, cit., p. 10 sgg.; Id., Le par/ait, cit., pp . .52 e .5.5; R. Aitzetmiiller, Alesi. vcd~, cit., pp. 210 e 214. 115 W. P. Scbmid, Baltische Beitriige IV. Zur Biltlung tles lillluischen Praeteritums, •1p• 71 (1966), 3, p. 286 sgg. 116 Cito, ad esempio, Ch. R. Barton, Notes on the Baltic Preterite, •IF• 8.5 (1980), p. 246 sgg. (la riconduzione di lit. -i- a un *-(J)ya- ~ poi accolta, tra gli altri, da A. Erhart, Zur baltischen Verbalflexion, •IF• 89 [1984], p. 227, a rettifica dell'opinione precedentemente espressa dallo stesso Erhart, Das Verbalsystem im lndoeuropiiischen untl im Baltischen, •Baltistica• 11 [197.5], 1, p. 28 sg.); J. E. Rasmussen, The lndo-European Origin o/ the Balto-Slavic -e- and -i- Preterite, in Papers /rom the 6th International Con/erence on Historical Linguistics, ed. by J. Fisiak, Amsterdam-Poznan 198-', p. 441 sgg. (specie p. 44.5 sg.); R. Schmitt-Brandt, Aspektkategorien im PIE?, "JIES" 1.5 (1987), 1, p. 91 sg. (poco sensibile alle indicazioni dello Schmid);

2.10.

u

lingue baltiche, le lingue slave e il perfetto i.e.

61

riori analisi,spesso complesse, ma comunque accomunate dal rifiuto di identificare il suffisso del preterito con il suffisso stativo *-e-. Certamente è connesso con il perfetto indoeuropeo, infine, il suffisso di participio perfetto attivo (*-wos- ~ *-us-), che figura come -(v)us-/-(v)u- nel participio preterito attivo delle lingue baltiche e slave 117; si tratta, comunque, di una forma nominale, che ben scarsa luce può gettare sul problema della posizione originaria del perfetto nel sistema verbale indoeuropeo.

2.11. La lingua armena e il perfetto indoeuropeo. 2 noto che nel sistema verbale dell'armeno classico sono ben documentati il tema di presente e quello di aoristo originari; non si può dir lo stesso per il perfetto indoeuropeo, che certamente non sopravvive quale categoria flessionale autonoma (rimpiazzato da una forma perifrastica) 111• Come è stato, tuttavia, osservato 119, tre verbi armeni sono collegabili con un antico perfetto 121):gitem 'io so', goy 'egli è, esiste', ownim 'io ho'. Si deve comunque osservare che gitem rientra in una fenomenologia particolare, come già si è osservato a proposito

G. Mic:hclini,Die intlogermanische Vorlage der -i- untl -è-Pratmta in den baltischen Sp,acben, •zs1• 3.5 (1990), 6, p. 841 sgg.; W. R. Sc:hmalsticg, Marginalia lo the Baltic Verb, •LgB• 1 (1992), p. 30 sgg. (connessione con antichi aoristi tematici; una diversa interpretazione era stata fornita in prcc:cdcnza dallo stesso Sc:hmalstieg,cf. i due articoli sopra ricordati nella nota 113). 117 Cf. A. Bammesbcrger, The Formation, cit., p. 690 sgg. 111 Si vedano ad esempio A. Mcillet, Esquisse d'une grammaire comparle pa,de l'armlnien classique, 2• cdiz., Vicnne 1936, p. 104, e S. Lyonnet, /ait en armlnien classique p,incipalement tlans la traduction des Svangiles et che%E%nik, Paris 1933, p. 1. 119 Rinvio volentieri alla chiara e prudente - sintesi di R. Sc:hmitt, Grammatik des Klassisch-Armenischen mii sp,achvergleichenden Erlauterungen, Innsbruck 1981 (= IBS, 32), p. 134 sg. Tra i primi a sottolineare la derivazione di gitem (e, assai dubitativamcnte, di goy) da un antico perfetto è ccnamente da ricordare A. Meillet, Recherches su, la syntaxe camparle de l'armlnien, •MSL" 16 ([1909-]1910-11), p. 111. 121 « A1s eigene Kategorie untergegangen ist das Perfekt der idg. Grundsprac:he, wcnnglcic:h wenige Reste alter Pcrfektformen in Umbildungen noc:h wcitcrlebcn i.: R. Sc:hmitt,cit. nota prec:., p. 134 (corsivo mio).

u

II - Utiliuavone deUe lingue indoe11ropee

68

di si. ant. védé (il tipo gr. ot6«, ind. ant. véda etc. si continua anche in lingue che non hanno altrimenti conservato la categoria del perfetto originario); quanto a goy, se è vero che il grado apofonico *-6· potrebbe far pensare a un perfetto, solleva più di un dubbio la riconduzione alla radice *wes- 'dimorare, pernottare', in origine difettiva del perfetto in quanto a valenza stativa 121• Per quel che riguarda, infine, ownim, è interessante la connessione con l'ind. ant. san6ti 'ottiene' etc., e il valore della forma armena potrebbe riflettere un perfetto antico. In ogni caso, l'armeno mostra tracce davvero esigue del perfetto indoeuropeo, e dunque la sua utilizzazione nell'àmbito della presente ricerca non può che essere minima (si noti l'assenza del raddoppiamento di perfetto, nonché di desinenze specifiche di tale tema flessionale). Infine, si può notare l'assenza, in armeno, di continuazioni del suffisso "stativo" *-e-; non sono mancati, comunque, tentativi di vedere nei passivi armeni in -im lo sviluppo di un suffisso *-!- o *-ecomparabile con quello tipico dei presenti "stativi" del baltico e dello slavo 122• 2.12. Il venetico, il messapico, l'albanese e il perfetto indoeuropeo.

Se riunisco qui in uno stesso paragrafo la trattazione del venetico, del messapico e dell'albanese, ciò dipende unicamente dall'analoga scarsità della documentazione relativa a tale categoria flessionale nelle tre lingue in questione, e non certo da una reciproca relazione di parentela, che non esiste (come noto, il venetico presenta forti punti di contatto con le lingue italiche; quanto all'albanese, chi scrive è personalmente convinto dell'improponibilità di una de-

121

Un'ampia disamina dell'etimologia di arm. go, è in G. Klingcnschmitt, Das altarmenische Verbum, Wiesbadcn 1982, p. 260 sg.; si veda inoltre quanto osservavo in Studio sul per/etto, cit., I, p. 336 e note 899 e 901 (con ulteriore bibliografia), e in Gli Aivin sul far dell'alba (RV, X, 40, 2b), in Ethnos, lingua e cultura. Scritti in memoria di Giorgio Raimondo Cardona, Roma 1993 (BRLF, 34), pp. 30-32. 122 C.OSl,ad esempio, A. Vaillant, L'imparfait slave, cit., p. 18 sg. Più prudente è l'analisi di W. P. Schmid, Studien, cit., p. 98 e nota 396 (con bibliografia precedente).

2.12. Il venetico,il mess11pico e il perfetto i.e. 1 l'alb1111ese

rivazione di tale lingua dall'illirico m -

69

e quindi anche dal messa-

pico).

Il venetico presenta alrune forme di preterito (non raddoppiate) di un certo interesse per quel che riguarda la desinenza di III sing. -, (III plur. -r- [-rs]) 124; si tratta di un fenomeno assai singolare, per il quale recentemente il Prosdocimie la Marinetti hanno proposto una spiegazione in prospettiva indoeuropea

125 •

Alruni preteriti del messapico (cinque o sei esempi in tutto 136) presentano un formante -o-,che ha suggerito il confronto con il perfetto latino in -oi 1" e con altre formazioni in *-w- di alrune lingue indoeuropee. Naturalmente la corrispondenza non va sopravvalutata, visto il carattere seriore del "perfetto" latino in -oi e la problematicità delle altre forme indoeuropee in *-w- (cf. supra, S 2.6 e nota 22). Dell'albanese si è già detto nella I parte del presente lavoro 121; in particolare, si è osservato come in tale lingua aironi preteriti si caratterizzino rispetto ai presenti per un'alternanza nella vocale radicale, in senso però quantitativo 12' (divenuto qualitativo solo per

m Q si augura di poter trattare la questione approfonditamente in un futuro non lontano. 124 Cf. A. L. Prosdocimi, Il venetico,in Le lingue indoeuropeedi frammmt4ri4 llttestaione - Die indogermanischenRestsprachen, Atti del C.Onvcgno della Soc. ltal. di Glottologia e della Idg. Gcscllschaft (Udine, 22-24 sctt. 1981), a cura di E. Vincis, Pisa 1983, p. 166 sgg. 125 Sull'intera questione rinvio a A. L. Prosdocimi - A. Marinetti, Sull4

tDU plurale del perfetto latino e indiano antico - Appendice: Perfetto e IIOristonell'Italia antica, • AGI" 73 (1988), 2, p. 114 sgg. (con ulteriori rimandi bibliografici); cf. anche, in una prospettiva in parte differente, M. Lcjcune, Manuel de la langue vbl~te, Hcidelbcrg 1974, p. 80 sgg. Una più -.mpia :discussione sarà qui proposta nel S ,.1.4. 1» Cf. in particolarel'equilibrata esposizionedi V. Oriolcs, Il mes111pico nel· (JU4droindoeuropeo: tra innovazionee .conservazione,in R4pporti lingui-

stici e culturali tra i popoli dell'Italia antic11(Pisa~6-7 ott. 1989), a cura di E. c.ampanile, Pisa 1991, p. 173 sg. i 11-.c.os1 O. ParlangMi, Isoglosse ilalicht, cit., p. 239 sgg. 121 Studio sul perfetto, cit., I, p. 18 e nota 7. 12P.Cf. da ultimo G. Schmidt, Indogmnanische Perfeltta, dt., p. 131 sgg. (con qualche imprecisione).

11 • Utilizza.ione delle li11g11e i,ulonropee

70

effetto dell'evoluzione fonologica propria della lingua albanese, che ha eliminato le vocali lunghe originarie). Si tratta quindi di un principio oppositivo non direttamente riconducibile a un perfetto originario, pur se produttivo nel preterito di alcune lingue indoeuropee occidentali. Quanto alle desinenze del preterito, e al formante -v- caratteristico dei temi in dittongo, non ci si deve lasciar ingannare dalle apparenze. La desinenza di I sing. -a (dola 'uscii', mora 'presi', etc.), infatti, non continua direttamente una desinenza di perfetto *-a, ma rappresenta una innovazione a partireda un più antico -e (che può derivare da *·'fl/*-0111, d. gli antichi aoristi dhashe'diedi', pashe 130 'vidi' etc., oppure da *-a) ; le desinenze di II sing. -e e III sing. -i (-u in alcuni temi in dittongo) appaiono ancor più difficilmente riducibili alle desinenze del perfetto indoeuropeo, considerato che nella lingua albanese un *-e o un *-i (*-u) originario, ad esempio, è caduto assai per tempo in posizione finale 131• Nulla di più inverisimile, poi, che -v- in punova 'lavorai' etc. continui un antico suffisso *-w- di perfetto(?): come ha mostrato lo Jokl 132, *-w- intervocalico è caduto in albanese non solo nel lessico ereditario, ma anche negli slavismi (e dunque -v- è stato introdotto in fase recente, nella I e II sing., ad evitare le sequenze **-oa, **-oe [**-ea, **-ee etc.], ma non nella III sing., dove -oi oppure -eu, -yu etc. erano perfettamente ammissibili).

2.13. Osservazioni conclusive. Il quadro delineato in questo capitolo dovrebbe consentire di impostare su basi meno fragili la comparazione relativa al perfetto indoeuropeo, per quanto attiene sia alla sua strutturazione for-

130

Per una prima informazione d. N. Jokl, Beitrige %tirlllbtlMsiscbn Grammatilt:. J. Der Aklt:usativ-Nomi11ativ u,ul das Geschlecbtswechsel ;,,, Albanesiscben, •IF" .36 (1916), pp. 98 sgg. e 1.31 sg.; Sh. Dcmiraj, G,.,,,di/tt historilt:e e gjuhes shqipe, Tirane 1985, pp. 680 e 684 sg. 131 Si vedano i lavori ricordati nella nota prcc:cdcnte. 132 Anche se la dimostrazione dc11acaduta di *•W- in albaneseriaaleal Mcyer, lo Jokl, Zur Geschichte des alb. Dipbtho,,gs -ua•, -uc-, •IF• 49 (19.31), pp. 278 e 295, ha per primo fornito le dimensioni spazio-temporali del fcno.

meno.

2.13. Osservazioniconclusive

71

male, sia, soprattutto, alla sua collocazione all'interno del sistema verbale originario. Non tutte le lingue indoeuropee, pur se dotate - ci mancherebbe altro! - di identica "dignità•, sono parimenti ut;Jizzabili per la ricerca che qui si wol compiere. E proprio in base a quanto è stato detto nei precedenti paragrafi, un gruppo di lingue indoeuropee (il I, nella classificazionesuggerita) sarà tenuto in considerazione per tutti gli aspetti comparativo-ricostruttivi, un secondo gruppo potrà tornare utile in una analisi formale, piuttosto che funzionale, un terzo gruppo contribuirà al chiarimento delle caratteristiche di singoli elementi costituenti il perfetto indoeuropeo, e infine un quarto gruppo di lingue fornirà interessanti indicazioni relative a categorie (flessionali o derivazionali) funzionalmente analoghe al perfetto. La rassegna - critica - qui presentata potrà forse apparire superflua, tenuto conto del fatto che molte delle considerazioni ora esposte di fatto erano ben presenti agli addetti ai lavori, già alla fine del secolo scorso. Ho però ritenuto che in un quadro dell'indoeuropeo che viene continuamente arricchito dal materiale linguistico proveniente da aree precedentemente ignote o mal conosciute, ed è spesso posto in discussione senza mezzi termini 133, non si potesse prescindere da una cornice di riferimenti ben definita, all'interno della quale operare una ricostruzione non minata da pregiudizi o preconcetti. Se, ad esempio, si operasse una ricostruzione non "calibrata•, il primo argomento che sarà trattato nel prossimo capitolo, il raddoppiamento, finirebbe per costituire un problema insolubile, poiché ogni lingua indoeuropea si regola - se cosl vogliamo dire a modo proprio: ma non tutte le lingue, come si è visto, possono fornire a questo riguardo un'immagine parimenti arcaica.

,. Rinvio in particolare a quanto segnalato nei SS2.7.1 e 2.9.2.

CAPITOLO

III

IL RADDOPPIAMENTONEL PERFETIO INDOEUROPEO

3.1. Caratteristiche formali e funz.ione morfologica del raddoppiamento nel sistema verbale delle lingue indoeuropee antiche. 3.1.1. Prima di considerare la funzione originaria del raddoppiamento, e la sua utiUzzazione nel costituirsi del perfetto indo europeo, è necessario anzitutto delineare il quadro documentarie. per noi disponibile relativamente al raddoppiamento. A tal fine saranno considerate le diverse lingue indoeuropee antiche - escluse quindi in linea di massima le fasi recenziori dei diversi gruppi linguistici (lingue romanze a fronte del latino, lingue germaniche moderne a fronte delle lingue germaniche antiche, lingue slave moderne a fronte dello slavo antico, etc.) -, secondo l'ordine delineato nel precedente capitolo (contrassegnato dallo stesso numero di riferimento nei sottoparagrafi) . .3.1.2. L'indiano antico, sin dalla fase vedica, mostra una notevole produttività del raddoppiamento, in vari temi flessionali (oltre che in alcuni sostantivi). Secondo l'uso tradizionale, si pos.sono distinguere due tipi di raddoppiamento: a) il cosiddetto "raddoppiamento intensivo• 1, nel -quale si manifesta una generica tendenza alla iterazione della sillaba radicale. Nel raddoppiamento intensivo possono esser certo riconosciute alcu-

1

Seguo qui -

e nella restante parte del lavoio -

la denominazione

utilizzata dal· Meillet, Introduclion tl l'ltude comparllli11t des l1111gues indonropltnnes, 8• ecliz., Paria 1937 (riat. Forge Village Mlii. 1964), p. 179.

III • Il raddoppiamento nel perfetto u,don,ropeo

74

ne costanti: viene ripetuta la consonante iniziale della radice (l'occlusiva, nel caso di gruppi con s- + occlus.); la sillabadel raddoppiamento deve essere sempre pesante (dittongo, cioè ind. ant. e, o, oppure vocale lunga, o ancora sillaba chiusa, nel caso di radici uscenti in nasale o •liquida") 2 • La forma del raddoppiamento, tuttavia, non è "prevedibile" in base a rigide regole d'impiego, e non di rado si ha concorrenza di raddoppiamenti intensivi differenti per una stessa radice, anche in testi tra loro coevi 3 • La palatalizzazione che in più casi è documentata per le dorsali (ad es. c4rlurmi, j4garti, etc.) dà motivo di ritenere che il vocalismo indiano della sillaba del raddoppiamento possa talora risalire a un *-é originario;

-a

b) il raddoppiamento non intensivo, nel quale è iterata la consonante iniziale della radice (con modalità identiche a quelle del raddoppiamento intensivo), seguita da -a, -i, -u (in certi casi -a,-i, -i, cf. infra). Il timbro della vocale della sillaba del raddoppiamento' varia in funzione sia della categoria flessionale, sia del vocalismo della radice (cf. infra). Nelle radici inizianti per vocale il raddoppiamento viene per lo più a coincidere con l'aumento; fanno cccczione alcuni verbi nei quali si manifesta un raddoppiamento parzialmente analogo a quello noto in greco come "raddoppiamento attico,. (oltre a pochi esempi nell'aoristo raddoppiato - 4mamat, iJiJat etc. 5 -, si possono ricordare i vari casi nei quali la sillaba an-è premessa alla radice).

Relativamente meno comune (una trentina di radici nella fase p~ antica, secondo il Whitncy, Sanslerit Grammar, 2• cdiz., Cambridge Mus.London 1889, p . .364 S 1002g) ~ il raddoppiamento bisillabico, nel quale -Isi interpone fra la sillaba di raddoppiamento (uscente in -n oppure in -r o ancora in .,, [*-w]) e la sillaba radicale. Sul raddoppiamento bisillabico R. S. P. Bcckcs ha scritto un articolo (The Disyllabic Reduplication o/ the Sanslml Intensives, •MSS• 40 [1981], pp. 19-25), purtroppo non molto attendibile n~ da un punto di vista comparativo n~ da un punto di vista indiano antico. 3 Sulla distribuzione e sulle modalità del raddoppiamento intensivo nell'indiano antico si vedano in particolare W. D. Whitney, Sansleril Gr11111m11r, cit., p . .362 sgg., A. A. Macdonell, Vedic Grammar, Strassburg 1910, p . .390 51., e ora Oir. Schacfcr, Das Intensivum im Vedischen, Gottingcn 1994 (= •HS• • Ergiinzungshcft .37), p. 22 sgg. " Si tenga presente che nel raddoppiamento non intensivo -' indiano·titlette sempre un più antico •~. 5 Si vedano in particolare A. Thumb, Handbuch des Sansltrit, .3- cdiz. • curadi R. Hauschild, Hcidelbcrg 1958-,9, 1/2, p. 301 51., e W. Winter, O• 2

.3.1.Caratteristicheformali e funzione morfologicanelle lingue i.e.

75

Il raddoppiamento, come si diceva, trova impiego··in vari temi flessionali: 1) intensivi ("raddoppiamento intensivo", cf. a); 2) presenti raddoppiati atematici (III classe): la vocale del raddoppiamento, breve, riflette in linea di massima il vocalismo radicale, cf. dadati etc. (nel caso di una vibrante, per lo più si ha -i, cf. bibharti, I plur. bibhcmas); 3) almeno tre presenti raddoppiati tematici (I classe): questo tipo si distingue dal precedente, oltre che per il carattere tematico, anche per il fatto che la vocale del raddoppiamento è sempre

-i (tif/hati, pibati, sldati [ < *sisd-]); 4) aoristi raddoppiati (a valenza causativale): la vocale del raddoppiamento è normalmente -i (acikradatetc.), ma si ha -u (abubudhat etc.) nei verbi con -u- radicale (né mancano esempi con raddoppiamento in -a, in genere con valore non fattitivo) 6 ; nel caso - tutt'altro che raro - di radici "leggere" (con vocalismo breve e non più di una consonante - o sonante - finale) la vocale del raddoppiamento è allungata (ajijanat).Nell'indicativo dell'aoristo raddoppiato alla sillaba del raddoppiamento è premesso l'aumento; .5) perfetti: la vocale del raddoppiamento, per solito breve, riflette in linea di massima il vocalismo radicale (-a, -i, -u, secondo

i casi; le radici con vibrante sillabica presentano -a nella sillaba del raddoppiamento). Alcune forme verbali raddoppiate, che presentano anche aumento e desinenze secondarie, possono essere interpretate come piuccheperfetti 7 ;

the Origin of the Samprasara,:,a Reduplication in Sanslmt, "Lg• 26 (19,0), p . .36, sgg. 6 Cf. ad es. A. Thumb, cit. nota prcc., p . .302; P. Thicme, Das PlusqU11m• pn-felttum im Veda, Gottingcn 1929 ( •KZ• - Erginzungshcft 7), p . .34 sg. Su tali formazioni si veda ora anche K. Strunk, Relative Chronologyand lndoE11rope1111 Verb-System: The Case of Present- and Aorist-Stems, "JIES• 22

=

(1994), .3/4, p. 424 sgg. 7 Sulla delicata questione della distinzione tra imperfetti di presenti raddoppiati, aoristi raddoppiati e piucchepcrfetti, rinvio senz'altro al saggio di P. Thicmc, Das PlusqU11mperfeltt1'm, cit., passim.

76

III - Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo

6) desiderativi: la vocale del raddoppiamento è -i (;lghimsati etc.), tranne che per i verbi a vocalismo -u- radicale (in tal caso si ha -u anche nella sillaba del raddoppiamento) •. Dal snroroario quadro sopra presentato risulta evidente che di fatto si ha un considerevole margine di sovrapposizione tra i diversi tipi di raddoppiamento in rapporto alle varie categorie flessionali; questa parziale coincidenza si JDaoifesta particolarmente nella fase più antica, mentre nel periodo sanscrito classico il rapporto tra tipo di raddoppiamento e categoria flessionale tende a fissarsi in senso biunivoco. In fase vedica - e specialmente rigvedica ...;.. nel caso del raddoppiamento costituito da una consonante seguita da -i si manifesta il livello probabilmente massimo di ambiguità: dovremo di volta in volta, in base a considerazioni contestuali (quando, ovviamente, non soccorrano peculiarità desinenziali), stabilire se si tratti di un intensivo (" raddoppiamento intensivo"), oppure di un perfetto (con allungamento secondario, per lo più condizionato dalla collocazione nel verso), o ancora di una forma modale (non di indicativo) di un presente o di un aoristo raddoppiati (anche qui con allungamento)'. Per concludere il discorso relativo al raddoppiamento nell'indoario, si può senz'altro affermare che il cosiddetto "raddoppiamento intensivo" presenta caratteri di sicura arcaicità; gli indizi in tal senso all'interno dell'indiano antico sono essenzialmente due;

• Un quadro complessivo, e notevolmente chiaro, delle formazioni verbali indiane a raddoppiamento ~ presentato da S. Sani, Grammatica sanscrita, Pisa 1991, p. 97. Per indicazioni più specifiche si possono consultare: W. D. Whitney, Sansltrit Grammar, cit., pp. 87, 242, 247 sgg., 279 sgg., 309 sg., 363 sg., 373 sg.; A. A. Macdonell, Vedic Grommar, cit., pp. 340 sg., ·3,-1 sgg., 374 sg.; 390 sg.; L. Renou, Grammaire de la langtu ndique, Lyon-Pans·19,2, pp. 2,0 sg., 21, sgg., 286 sg., 295 sgg.; A. Thumb, Handbuch des Sanslml, cit., 1/2, pp. 192 sg., 274 sgg., 284 sgg., 300 sgg. 9 Nella I parte dello Studio sul perfetto, cit., si ~ discusso in più occasioni di forme vediche con raddoppiamento lungo (in -o): cf. ad es. pp. 167 sgg., 177 sg., 2,8 sg., 262 sgg., etc. Risulta unilaterale, e pcrcib solo parzialmente adeguata, la spiegazione prospettata dal Kuryfowicz, L'apophonie, cit., p ..· .)42 sgg., e Indogermanische Grommatile - Il. Akzent, Ablaut, Hcidclbcrg 1968, p. 312 sgg. (raddoppiamento in -ti attribuito soltanto ad allungamento secondario).

3.1. Caratteristicheformali e funvone morfologicanelle lingue i.e.

77

a) l'irregolarità del raddoppiamento intensivo, e l'imprevedibilità dello stesso {cf. supra) riportano a un tipo di formazione non ancora sistematizzato, strettamente connesso con la struttura della radice verbale; il raddoppiamento non intensivo, al contrario, presenta via via una più definita caratterizzazione distribuzionale, in funzione delle diverse categorie flessionali 10 {non sarà un caso che la massima "regolarità" della vocale di raddoppiamento si abbia nel desiderativo, vale a dire in una categoria flessionale di costituzione - relativamente - recenziore rispetto alle altre a raddoppiamento) 11; b) mentre il raddoppiamento intensivo presenta una chiara riconoscibilità quanto alla funzione, che è essenzialmente lessicale (convoglia nel tema dell'intensivo indiano l'indicazione di un'Aktionsart intensiva e iterativa) 12, il raddoppiamento non intensivo non ha più - o forse non ha mai avuto - un rapporto biunivoco con una ben determinata accezione: nei presenti raddoppiati, nei perfetti, etc. dell'indiano antico il raddoppiamento è una pura e semplice marca morfologica, la cui funzione primaria si è opacizzata {e non solo agli occhi degli studiosi contemporanei, ma già per gli stessi grammati.ci sanscriti). Si può dunque ritenere che, nell'indoario, il raddoppiamento abbia conosciuto due impieghi: da un lato, secondo un procedimento sicuramente arcaico ("raddoppiamento intensivo"), ha contri-

10

In questo senso, la differenziazione nel vocalismo del raddoppiamento nel perfetto, secondo che si abbiano radici con vocalismo radicale -I- (-r·,-i·, etc.), oppure -1-,oppure ancora -IJ-,potrebbe essere considerata un tratto con• servativo - quindi un arcaismo - a fronte del livellamento (raddoppiamento con -e) che si manifesta ad esempio nel perfetto greco. La questione è comunque complessa, e sarà riconsiderata nel S 3.3.1. 11 Per quel che riguarda il desiderativo, si può certo ntiJizwtt il confronto tra indiano e avestico per proiettare senz'altro questa categoria flcssionale - compreso il raddoppiamento in -i - in fase indoeuropea comune (cosl ad es. il Rix, Hist. Grammatile,cit., p. 202), purch~ si abbia presente il limitato valore di prova che può avere una comparazione cosl ristretta; ma di ciò si dirà più avanti, S 3.2.3. 12 Sul valore del raddoppiamento intensivo nell'indiano antico d. ad esempio W. Drcsslcr, Ober die Releonstruletion der indogermanischenSyntax, "KZ" (1971), 1, p. 15 sg. (con ulteriore bibliografia).

s,

III • Il raddoppiamento nel perfetto indoe"ropeo

78

buito alla formazione dell'intensivo 13; dall'altro, come elemento formativo di diversi temi flessionali (e in una valenza essenzialmente morfologica), ha avuto una forte espansione funzionale, dal perfetto e dal presente raddoppiato al desiderativo (la categoria flessionale con le caratteristiche più recenti tra quelle a raddoppiamento, come si è detto) .

.3.1..3.Nella lingua greca antica il raddoppiamento ha conosciuto una fortuna relativamente più circoscritta rispetto all'indiano antico. Un "raddoppiamento intensivo" è ancora riconoscibile in greco, ma non è più funzionalmente autonomo: infatti, il greco non possiede più una categoria flessionale di intensivo, e pertanto gli originari temi con raddoppiamento intensivo sin dalla documentazione più antica appaiono inclusi - spesso con alcuni adattamenti nel grado apofonico, o nelle desinenze, o ancora nella sillabadel raddoppiamento - ora nella flessione del presente (come ad es. 6,x.1.6upw, etc.) 14, ora nella flessione del perfetto (si vedano i cosiddetti "perfetti intensivi", dei quali si è ampiamente discusso in altra sede) 15• In favore della inclusione di una parte delle forme a raddoppiamento intensivo nel paradigma del presente è prevalsa la considerazione funzionale (valore non preteritale) 13

L'intensivo rappresenta esso stesso una categoria recessiva e arcaica nell'àmbito della documentazione indoaria (al pari del caratteristico raddoppiamento che contraddistingue tale formazione): come osserva ad esempio il Whitney (Sanslerit Grammar, cit., p. 363, S 1001 a; cf. anche A. Thumb, Handbuch des Sanslerit, eit., I/2, p. 345 sg.), nell'Atharvaveda il numero dei temi di intensivo è meno della metà rispetto al $,.gveda, e tale formazione diviene progressivamente più rara nel periodo tardo-vedico e classico. 14 ~ sufficiente, credo, rinviare alla trattazione di E. Schwyzcr, Griechische Grammatile, I, Miinchen 1939, p. 647, e alle osservazioni di A. Meillet, Le ty~ grec 6ar.Mlw, xoLXuÀ.w,"BSL" 27 (1926-27), 1, p. 136 sgg.; un'ampia ttat• tazione recente, nella quale i dati greci sono inquadrati in una cornice generale (tipologica), è quella della Skoda, Le redoublement expressif: "n "niversal ling"istique. Analyse du procédé en grec ancien et en d'a"tres langues, Paria 1982 (specie pp. 32 sgg. e 171 sgg.). 15 Si veda Studio sul perfetto, eit., I, pp. 81-86, S 3 ..3 (con bibliografia). Per quel che riguarda le formazioni verbali nelle quali il raddoppiamento ha valenza lessicale (incluse le vere e proprie forme onomatopeiche) è d'obbligo il rinvio all'accurato studio di E. Tichy, Onomatopoetische Verbalbildungen des "SbOAW" - Phil.-hist. Kl., 409). Griechischen, Wien 1983 (

=

3.1. Caratteristiche formali e funzione morfologica nelle lingue i.e.

19

e formale (desinenze primarie - o eventualmente secondarie); l'inserimento delle restanti forme nel paradigma del perfetto è stato invece suggerito da una duplice analogia di ordine formale (relativa al raddoppiamento e, in vari casi, al grado apofonico radicale) 16• Nella lingua greca è molto meglio documentato il raddoppiamento non intensivo, costituito dalla iterazione della consonante iniziale della radice (anche nel caso di gruppi con sibilante), seguita da una vocale che varia in dipendenza del tema flessionale (cf. infra). Le radici inizianti in vocale presentano un allungamento della vocale, oppure il cosiddetto "raddoppiamento attico" (iterazione della vocale iniziale seguita dalla consonante immediatamente successiva, come in &:yayetv etc.) 17• Il raddoppiamento non intensivo, come "marca" ormai esclusivamente morfologica, è utilizzato nella costituzione di temi appartenenti a quattro categorie flessionali: 1) presenti raddoppiati: un certo numero di presenti (tra i

quali alcuni atematici) mostra un raddoppiamento con generalizzazione del vocalismo -i (6l6wµ1., ylyvoµat., etc.) 18;

Per più ampie indicazioni al riguardo si vedano le trattazioni ricordate nella nota precedente. 17 Sul •raddoppiamento attico• e in in- dell'indiano antico, d. supra, S 3.1.2 e nota ,. Lo Schwyzcr,Griechische Grammatilt, dt., I, p. 647, interpreta il •raddoppiamento attico• come "raddoppiamento totale• (= •intensivo"); si può concordare con il Sihler, New Campar. Grammar, cit., p. 488 sg., sulla scarsa attendibilità di una siffatta classificazione, a maggior ragione ove si consideri che il •raddoppiamento attico" è complementare al raddoppiamento non intensivo, e precisamente in aoristi raddoppiati e in perfetti di radici inizianti per vocale (naturalmente, come osserva opportunamente il Rix, Hist. Grammatile, cit., p. 205, si ha anche una divergenza funzionale rispetto al raddoppiamento intensivo). Si noterà che forme verbali con •raddoppiamento attico" sono documentate già nel miceneo, d. ad es. P. Chantraine, ù par/ait mycénien, cit., p. 26 sg. (e ciò aiuta a capire l'imprecisione del tra· dwonale riferimento all'attico). Un contributo all'analisi delle caratteristiche (spede formali) del "raddoppiamento attico" è recentemente venuto da S. Suzuki, Accounting /or Attic Reduplication: A Synthesis, •JIES" 22 (1994), 3-4, p. 399 sgg. 18 Alame •eccezioni", con raddoppiamento a vocalismo -e nel presente, sono ricordate dallo Schwyzer(cit. nota prec., p. 648); per la maggior parte, comunque, si tratta di forme problematiche, nelle quali la presenza di un raddoppiamento con -e potrebbe riflettere sviluppi secondari (presenti costruiti a partire da perfetti, etc.). 16

III • Il raddoppiamentonel perfetto mdonropeo

80

2) aoristi raddoppillli:una ventina di verbi presenta sin dalle fasi più antiche un aoristo raddoppiato, con vocaJisfflO-e nella sillaba iterata (6i6tu, -rn-Clywv,etc.) tranne che nei verbi inizianti per vocale (nei quali è normale il "raddoppiamento attico•, con ripetizione del vocalismo radicale); la valenza di tali aoristi raddoppiati è solo in pochi casi fattitiva ";

il perfetto greco si caratterizza costantemente (tranne che nel caso di radici inizianti in vocale, cf. supra) per un raddoppiamento con vocalismo -e; dei rari perfetti privi di raddop3) perfetti:

piamento si dirà più avanti (SS 3.3.4 e 3.4). Accanto ai perfetti, sono piuttosto ben documentati nel greco temi di piuccheperfetto (coincidenti con il perfetto per il solo raddoppiamento, e caratterizzati anche da aumento); 4) futuri raddoppiati:

il futuro raddoppiato (o /uturum

exactum) greco, di costituzione non particolarmente antica

e

rela-

tivamente poco diffuso z, è individuato dalla presenza di un raddoppiamento (a vocalismo -e) e di un suffisso sigmatico, preceduto da un -è-. Per riassumere le indicazioni relative al greco antico, si può dire che in questa lingua il raddoppiamento è certo produttivo, ma ormai soltanto come procedimento morfologico e nella forma noo intensiva; relitti di un "raddoppiamento intensivo• (con funzione lessicale) sono rintracciabili in alcuni presenti e perfetti che si dimostrano come il risultato di metaplasmo da un precedente intensivo (categoria flessionale scomparsa nella lingua greca). Come procedimento morfologico, il raddoppiamento si presenta in una forma ben fissata in rapporto ai diversi temi flcssionali; la tendenza alla regolarizzazione paradigmatica fa sl che la vocale del raddoppia19

Oltre allo SchWY7-Cr, 11.citt., su questo punto si vedano in particolare

W. Belardi,L4 fo,111111.ione, cit., p. 96, e P. Chantraine, Morphologiehistoriqfll du grec, 2• cdiz., Paris 1973, p. 173 sgg. (lo Chantraine fornisce un elenco degli aoristi raddoppiati - molti dei quali già omerici, cf. Gr11111111aire ho•lrique, cit., I, p. 39, sgg. -; di questi, solo quattro sembrano possedere una connotazione fattitiva). Sull'aoristo raddoppiato greco si veda infine M. C. Beckwith, Greele T)Upov,uzryngeal Loss and the Greelt Reduplicaled Aorist, "Glotta• 72 (1994 [199,]), 1-4, p. 24 sgg. (specie nota 30 a p. 29). 31 Cf. E. Sch'WJ7.Cf, GriechischeGr1111111111lilt, cit., I, p. 783 sg.; altre indicazioni comparative in H. Rix, Hist. Gr11111mt11ilt, cit., p. 196.

3.1. Car11tteristicbe formlllie funzione morfologic11 nelle lingue i.e.

81

mento sia totalmente svincolata dalla struttura della radice. In tal senso, sembra possibile collocare il greco antico, a questo riguardo, su un gradino leggermente più alto di innovatività rispetto all'indiano antico 21• 3.1.4. Per quel che riguarda le lingue iraniche antiche il raddoppiamento è ben documentato nel solo avestico; nel persiano antico, infatti, non compaiono intensivi, e le uniche forme attestanti una qualche vitalità del raddoppiamento (in funzione morfologica) sono alcuni presenti raddoppiati, con sillaba del raddoppiamento conforme al tipo indoario (escluso il caso di s- + occlusiva, nel quale il persiano antico presenta un raddoppiamento in sibilante, analogamente al greco) 22• La lingua avestica, pur in una documentazione non particolarmente ricca, mostra comunque una notevole varietà di temi flessionali raddoppiati, in una situazione che si avvicina più all'indoario che non al greco; con quest'ultimo l'avestico concorda per il vocalismo del raddoppiamento (quasi sempre -i), nel caso dei presenti raddoppiati, e per il consonantismo della sillaba del raddoppiamento, là dove si diano gruppi con sibilante iniziale (la sibilante del raddoppiamento poi, secondo le condizioni fonetiche, può evolvere ulteriormente a h-, [ x- J: hiJtaiti, xitaite etc.). Nell'avestico si ha dunque una dozzina di verbi forniti di "raddoppiamento intensivo", con modalità analoghe a quelle dell'indiano antico (cosl come nel vedico, in particolare, non mancano un paio di casi con sillaba del raddoppiamento a vocalismo -a).Il "raddoppiamento intensivo", che convoglia una nuance rafforzativa del 0

21

In termini funzionalisti, si potrebbe dire che si ha uno slittamento di peninenza del raddoppiamento: dalla pertinenza lessicale e dalla connessione con la struttura della radice si manifesta un progressivo passaggio a una pertinenza morfologica e a una dipendenza dalla categoria flessionale; si noti, comunque, che né in indiano antico (dove l'innovazione è più lenta), né in greco antico (dove pure è attestato uno stadio di sviluppo più avanzato) il raddoppiamento assume 1~ caratteristiche di un preverbio, diversamente da quanto avviene per l'aumento. Ma di ciò si dirà più avanti (S 3.2.3). 22 Cf. R. G. Kent, Old Persilln,2• ediz., New Haven C.onn. 19.53, p. 70 sgg.; secondo il Kent, oltre ai presenti raddoppiati, nel persiano antico è riconoscibile una singola forma di perfetto, cllXriya (ottat.), nella quale il raddoppiamento (a vocalismo *-e) è perfettamente comparabile con quello del perfetto indiano antico e avestico (cf. infra).

III - Il ,addoppiamentonel perfetto indonu-opeo

82

valore di base della radice, è caratteristico di una sola categoriaflessionale: 1) intensivi: come detto, solo una dozzina di radici attesta

un intensivo; a differenza che nell'indiano antico, dove l'intensivo presenta anche una specifica alternanza apofonica, nella lingua avestica l'intensivo - categoria flessionale in estinzione - ormat s1 distingue dai presenti raddoppiati atematici solo per il differente raddoppiamento 23• Assai meglio rappresentato è il raddoppiamento non intensivo, che si caratterizza per una funzione chiaramente morfologica: concorre, infatti, alla formazione di vari temi flessionali: 2) presenti raddoppiati, sia atematici (come normalmente nell'indiano antico), sia tematici (non meno di nove, contro i tre esempi indiani); il vocalismo della sillaba di raddoppiamento è per lo più -i, in qualche caso -a (tre radici uscenti in -a), oppure -u (radici con u finale o intemo); 3)

presenti raddoppiatia suffisso -iia-: i tre esempi avestici,

privi di connotazione semantica particolare, potrebbero esser ritenuti una Mischform dovuta a contaminazione tra il tipo raddoppiato e il tipo in -iia- (di fatto mancano corrispondenze in altre lingue indoeuropee) 24;

aoristi raddoppiati: tre soli esempi, tutti con vocalismo -a nella sillaba del raddoppiamento (solo nel caso di vat- 'inspirare', cf. vaotat [cong. aor. III sing.], non sembra escluso un valore fatti4)

tivo) 25;

Sull'intensivo avestico si può senz'altro consultare il Kellens, Le verbe avestique, cit., p. 194 sgg., cui si aggiungono le osservazioni comparative con l'indoario presentate da Chr. Schaefer, Das Intensivum, cit., p. sg. Il volume del Kellens rappresenta in linea di massima il repertorio più aggiornato - e, in genere, attendibile - per quel che riguarda le forme verbali dell'avestico, e pertanto nel séguito della trattazione sul raddoppiamento nell'avestico farò riferimento quasi esclusivamente a tale monografia. 24 Ampi dati sullC"classi dei presenti raddoppiati sono in J. Kellens, Le verbe avestique, cit., p. 182 sgg.; si veda inoltre - con valutazioni non sempre coincidenti con quelle del Kellens - K. Strunk, Relative Ch,onology, cit., p. 42, sgg. 25 Cf. J. Kellens, cit. nota prec., p . .374. 23

,o

3.1. Caratteristicheformali e funzione morfologicanelle lingue i.e.

83

5) perfetti: un buon numero di perfetti è documentato nell'avestico (d. supra, S 2.4); il vocalismo della sillaba del raddoppiamento presenta condizioni perfettamente analoghe a quelle viste per l'indiano antico 26; 6) desiderativi: l'avestico documenta un tema di desiderativo per una ventina di radici; tale tema flessionale è costituito dal raddoppiamento (con generalizzazione del vocalismo -i, talora anche nei verbi con -u- radicale - che per il resto hanno raddoppiamento in -u) e da un suffisso -ha- (d. z.ixsndvha-da z.an-'conoscere', etc.)". L'avestico, in conclusione, mostra una notevole concordanza con la situazione indiana antica per quel che riguarda il raddoppiamento; rispetto all'indoario si ha soltanto una più ridotta funzionalità del raddoppiamento intensivo, in parallelo con la tendenza dell'intensivo a un parziale conguagliamento flessionale con il presente raddoppiato atematico .

.3.1.5.

Le lingue germaniche evidenziano una progressiva crisi del principio flessionale morfo-semantico rappresentato dal raddoppiamento. Infatti, il raddoppiamento è ben documentato nel solo germanico orientale, segnatamente nel gotico; le altre lingue germaniche mostrano solo relitti di forme raddoppiate (che si configurano come arcaismi, e rientrano tra le irregolarità flessionali, vedi infra). Inoltre, il solo tipo di raddoppiamento produttivo nella flessione dei preteriti gotici raddoppiati si presenta con valenza nettamente morfologica (tant'è che nella maggior parte dei casi il raddoppiamento ha una funzione individuante del preterito in alternativa all'alternanza vocalica radicale) 28• Un "raddoppiamento intensivo" potrebbe essere attestato, a livello di relitto, nel got. reiran 'tremare' (« ei » = /i/) 29; non mi

Fa eccezione la III pi. bibuuara, che peraltro trova corrispondenza in vedico (d. infra, S 3.3.1). Sul raddoppiamento nel perfetto avestico d. J. Kellens, Le verbe avestique, cit., p. 406 sgg. 71 Cf. J. Kellens, cit. nota prec., p. 196 sgg. 28 Cf. A. Meillet, Ca,actères,cit., p. 139 sgg. 29 Oltre a W. Meid, apud H. Krahc, Ge,m. Sp,achwissenschafl,cit., III, p. 23, (S 181), e a J. H. Jasanoff, Stalive and Middle, cit., p. 72, si veda 26

84

III - Il raddoppi4mento nel perfetto indoeuropeo

risultano esservi altri verbi germanici con tale tipo di raddoppiamento (si veda, comunque, quanto osservato nella nota 30). Il raddoppiamento non intensivo presenta l'iterazione della consonante iniziale (entrambe le consonanti, nel caso di gruppi con s + occlusiva: got. skaiskaid, di contro a saislep); il vocalismo del raddoppiamento era *-e (got. « af »), *-i in un paio esempi di presente raddoppiato. A parte, i sopra ricordati esempi di presente 30, per il resto il raddoppiamento costituisce la "marca" caratteristica di alcuni preteriti: 1) preteriti raddoppiati con grado *-o- radicale (che dunque alterna con il presente a grado *-e-): una mezza dozzina di esempi nel gotico, e alcuni relitti di questo tipo nell'anglosassone (in

particolare nell'anglo) e nel nordico (limitatamente al tipo sera 'seminai' - corrispondente al got. saiso -, rera 'remai') 31 ; l'ampia disamina dd problema condotta da J. Narten, Vedisch lcl4ya '%itteri', •Sprache• 27 (1981), 1, pp. 5 e 9 sgg. (la studiosa ragionevolmente interpreta il verbo gotico e l'ind. ant. lelayati 'oscilla, tremola' etc., come formazioni di tipo intensivo - qui, naturalmente, con valenza iterativa). Di un tema di presente *reiroi- (sic) parla invece il Kortlandt, The Proto-Germanic Pluper/ect, "ABiiG" 40 (1994), p. 3. 31 Entrambi i presenti con raddoppiamento in *-i, il nord. ant. titra, a.a.t. %ittaron, e l'a.a.t. biben etc. (d. W. Meid, cit. nota prec., e E. Prokosch, A Compar. Germanic Grammar, cit., p. 148) fanno riferimento a un àmbito semantico analogo a quello di got. reiran; si potrebbe pensare, pertanto, che anche questi due presenti •nascondano" una più antica forma intensiva, oppure, secondo quanto propone W. Meid, Das germ. Praeteritum, cit., p. 21 sg., supporre che biben - e forse zittaréin - siano in realtà •perfetto-presenti• con raddoppiamento espressivo. - Nel preterito del verbo per 'fare' (a.a.t. teta etc., sass. ant. deda etc., ags. dede etc.) sembra invece continuarsi un presente raddoppiato (atematico) della radice *dhe-, con vocalismo *-l della sillaba iterata e desinenze secondarie (d. R. Liihr, Reste der athematischen Kon;ugation in den germanischen Sprachen, in Das Germanische und die Releonstruletion der idg. Grundsprache, hg. v. J. Untermann u. B. Brogyanyi, Amsterdam 1985, p. 39 sgg., e K. Strunk, Zum Postulai 'vorhersagbaren' Sprachwandels bei unregelmapigen oder leomplexen Flexionsparadigmen, "SbBAW" 1991/6, p. 18 sg.; sul problematico esempio costituito da got. faran, etc., d. l'art. cit. della Liihr, nota 79 a p. 64 sg.). 31 Cf. H. Krahe, Germ. Sprachwissenschaft, cit., II, p. 106 sg.; E. Prokosch, A Compar. Germanic Grammar, cit., p. 176 sgg. (trattazione ampia ma discutibile); W. Belardi, Lz formazione, cit., p. 96 sg.; J. Kurylowicz, L'apophonie, eit., p. 312 e nota 26; W. Meid, Das germ. Praeteritum, cit., p. 67 sgg. (specie pp. 78 sgg. e 101); A. Bammcsberger, Der Au/bau, cit., p. ,9 sgg.

3.1. C11ratteristicbe /om,ali e /"ntione morfologicanelle linguei.e.

8,

2) preteriti raddoppiati senza alternanzaapofonica rispetto al presente: un buon numero di esempi nel gotico, ai quali le altre lingue germaniche (con parziale eccezione dell'anglosassone) rispondono con preteriti privi di raddoppiamento (ma con alternanza apofonica rispetto al presente) 32• Nelle lingue germaniche, dunque, il raddoppiamento appare nettamente recessivo; il fatto che sia documentato nel gotico - la lingua più conservativa -, in una sezione dell'anglosassone, e in isolati (e irregolari) esempi nelle altre lingue del gruppo 33, permette di interpretare la perdita di produttività del raddoppiamento (in quanto elemento morfo-semantico) come una tendenza innovativa caratteristica del germanico - da porre forse in relazione anche con la rapida espansione funzionale di altre forme prefissali, come ad esempio i preverbi. 3.1.6. Nel latino e nelle lingue italiche non appaiono esempi che attestino una originaria produttività del raddoppiamentointensivo nel sistema verbale (tali lingue, inoltre, non conoscono la categoria flessionale dell'intensivo). Si può tuttavia osservare che,

La monografia più ampia, ma anche ormai datata, sul raddoppiamento nel preterito ~co - gotico escluso - è quella di H. Karstien, Die red"plitierlen

Perfekta tles Nord- ""' Weslgermaniscbm,GicBen 1921; ulteriori indicazioni in F. van Coetscm, Abla"I and Red"plicationin tbe GermanicV erb, Hcidelbcrg 1990, p. 72 sgg., e in G. Bech, Das germaniscbered"plitierte Priterit""'• Kebcnhavn 1969, p. 4 sgg. (originale, e assai poco fondata, è l'interpretazione

1,

che quest'ultimo dà del raddoppiamento come infissazione, p. 6 sgg.; n~ si può condividere l'inclusione - p. sgg. - dei preteriti in -r- nordici e alto tedeschi antichi tra i preteriti a raddoppiamento, visto che tali preteriti in .,. sono semplicemente forme analogiche sul tipo sera, cf. W. Meid, cit. sopra, p. 101). 32 Cf. H. Krahc, Germ. Sprachwissenscba/t, cit., II, p. 108 sg.; W. Meid, Da gem,. Praeterilum, cit., p. 67 sgg.; A. Bammesbcrger, De, Aufba", cit., p. 6.3 sgg.; F. van Coetscm, Abla"t and Red"plication, cit., pp. 71 e 81 sgg. Una sintesi delle diverse ipotesi sull'origine delle alternanze riscontrabili in questa categoria flessionale è presentata da G. L. Fullcrton, Historical Germanic Verb Morpbology,Bcrlin-New York 1977, p. 94 sgg. 33 Si vedano analoghe considerazioni formulate in termini gcolinguistici (arca periferica arca conservativa) ad es. da H. Liidtke, Der Ursp,ung des germanischeni2 ""' die Red"pliltationspriterita,•Phonetica• 1 (19,7), p. 162

=

•·

III - li raddoppiamento nel per/elio indoetm>peo

86

specialmente nel latino, non mancano alcuni presenti nei quali compare un raddoppiamento non avente valore morfologico: si tratta o di forme denominali (è questo il caso, ad esempio, di murmuro, palpo,, susu"o) 34 o di verbi che riproducono l'espressione vocale di animali, con la caratteristica iterazione (baubo,, cucurrio, etc.)•. In questo secondo caso si ha parziale analogia con i cosiddetti • perfetti intensivi" greci (con la differenza che nel greco è possibile ricostruire una vera e propria categoria dell'intensivo - nella quale rientravano altre forme oltre a quelle relative alle espressioni vocali degli ,mimali -, mentre i verbi latini sopra ricordati si inquadrano nella fenomenologia di una elementare riproduzione onomatopei-

ca)•. Nella lingua latina è invece ben attestato il raddoppiamento non intensivo, con funzione essenzialmente morfologica (sulla ipotetica valenza perfettivizzante della iterazione sillabica nei presenti raddoppiati si dirà più avanti, S 3.2.3). La consonante della sillaba iterata è sempre quella iniziale della radice; nel caso di gruppi di s+ occlusiva, nel presente viene iterata la sola sibilante, nel perfectum l'intero gruppo (cf. sisto, ma spopondi, con successiva dissimilazione della sibilante iniziale di radice) 37• La vocale del raddoppiamento varia secondo i temi flessionali, che sono due:

34

In tal senso si pub certo condividere l'argomentazionedi A. Ernout A. Meillet, Dictionnaire étymologique de 111l11nguellltine, 4• cdiz., Paris 19.59, TV rist. (a cura di J. André) 1985, s.vv. (pp. 423, 477, 670). 35 Oltre a M. Leumann, ùzt. Laut- und Formenlebre, cit., p. 381 sg., e A. Meillet, Esquisse d'une histoire de 111lllngue latine, 3• cdiz., Paris 1933, rist 1979, p. 172 sg., si vedano in particolare J. Marouzeau, Le redollhlemmt expressif en latin, •Latomus" 5 (1946), p. 341 sgg., e J. André, Les mots ~ redoublement en latin, Paris 1978, passim. Evidentemente non si pub condividere l'opinione dell'André quando (p. 105) afferma: e Il n'y a pas [ ...] de aifférencc morphologique cntre po-pl-es, te-tr-icus et gi-gn-o, entre pa-pil-io et pe-pul-i. •· 36 Sempre di tipo espressivo (riproduzione acustica) sono tintinn(i)o e titiJbo (quest'ultimo verbo solo se ~ da riconoscere come originario il senso concreto del 'balbettare', cf. Ernout-Mcillet, Dict. étym. liii., cit., s.v.; diverso ~ il parere dcll'André, Les mots à redoublement, cit., p. 103); vanno considerate a parte, poi, le onomatopee di tipo infantile (caco, titillo < tilt11,etc.). 37 Sul raddoppiamento latino, oltre a M. kumaon, ùzt. Ùlut• 11nd For• menlehre, cit., pp. 532 sg. e .586 sg., si veda il recentissimo contributo di A. L. Prosdocimi e A. Marinetti, Appunti sul verbo latino (e) italico. V., cit., p. 291 sgg.

3.1. C"'attmstiche formali e f11n%ione morfologicanelle ling11ei.e.

87

1) presenti raddoppiati (tematici): si tratta di una categoria «residuale•• nel latino, con sei o sette esempi in tutto (in parte non più trasparenti). Il vocalismo del raddoppiamento è costantemente -i; 2) perfetti raddoppiati: è l'unica categoria flessionale a raddoppiamento ancora relativamente produttiva nel latino (su alcuni originari aoristi raddoppiati confluiti nel perfetto latino cf. infra, S 3.2.3 e nota 10.5). Di norma il vocalismo del raddoppiamento è -e•; gli esempi con -o (momordi, poposci, spopondi etc.) rappresentano il risultato di un'assimilazione secondaria alla vocale radicale (in testi arcaici sono documentati solo gli allotropi con raddoppiamento in -e). Diverso è il discorso per quegli esempi di raddoppiamento con -i oppure -u, in radici - o presenti - rispettivamente a vocalismo -i- o -u-: nel primo caso (raddoppiamento con -i) siamo certamente in presenza di un tipo di raddoppiamento antico, come hanno dimostrato il Prosdocimi e la Marinetti 41; nel secondo (raddoppiamento con -u), la stessa cronologia interna alla documentazione latina sembrerebbe indicare una maggiore antichità del tipo cucurri, pupugi, tutudi, rispetto a cecurri, pepugi (non è attestato un **tetudi) ..1• Infine, nelle radici inizianti per vocale, il raddoppiamento si manifesta come allungamento della vocale iniziale. Le lingue italiche non si differenziano molto dal latino, per quanto attiene al raddoppiamento. Manca, infatti, come detto, un • raddoppiamento intensivo", e il raddoppiamento a valenza morfologica interessa rarissimi esempi di presenti (vest. didet, o. didest

• C.osl Prosdocimie Marinetti, cit. nota prcc., p. 299. • Cf. M. Lcumann,1.At. La11t-11ndFormenlehre,cit., p. ,s6 sg. 41 A. L. Prosdocimi- A. Marinetti, App11ntisul verbo latino (e) italico. V., cit., p. 291 sgg. Secondo i due autori, il raddoppiamento di perfetto in -i-, attestato anche nel (latino) falisco, rappresenta il risultato di un antico congnagliarnientoparadigmatico sul presente. 41 In questo senso si veda M. Nicpokuj, The Development of Perfecl ktl11plication in Indo-E11ropean,in Explanation in Historical Lingllistics, cd. by G. W. Davis and G. K. Ivenon, Amsterdam-Philadelphia 1992, p. 201 sgg. Sull'antichità del vocalismo -i, -11nella sillaba del raddoppiamento si era già pronunciato in senso favorevole l'Ernout, Morpbologie historiq11etl11 latin,

l- cdiz., Paria 19,3, p. 190.

88

III - Il radJoppu,,,,mlo nel perfetto iNJoelll'opeo

etc., u. se s tu, u. si s tu) 42, e un più ooosistmte rn•mcm di •perfetti". Le modaJit~del raddoppiamento non si discostano da quelle riscontrate nel latino; in partirolare, nel perfetto raddoppiato (che coesiste con vari altri tipi, d. S 2.6) è normale il vocalismo -e nella sillaba del raddoppiamento, ma non manca per lo meno un esempio aberrante(o. f i f i k u s 'feceris')0 • Sia il latino che l'italico, in conclusione, testimoniano una certa produttività del raddoppiamento solo in funzione modologica, nella costituzione in primo luogo di temi di • pedetto", e in pochi casi di temi di presente (raddoppiato); nel presente il vocalismo della sillaba di raddoppiamento è -i, mentre nel pedetto prevale -e, pur se nel latino non mancano esempi - in parte sicuramente antichi di concordanza con il vocalismo radicale. 3 .1.7. Nelle lingue celtiche il raddoppiamento trova applicazione esclusivamente in funzione modologica, quale formante - alternativo a vari altri, cf. supra, S 2.7 - del preterito (dal gallico 6,6, alle poche decine di preteriti forti irlandesi antichi a raddoppiamento) .. e del futuro (specialmente sigmatico) 45 •

.a Rinvio senz'altro a R. von Pianta, Grammatilt, dt., II, p. 2,8 sg. (S 296); cf. ora anche A. L. Prosdocimi - A. Marinetti, Appunti sul verbo latino (e) italico. II., cit., p. 187 sg. 0 Prosdocimi e Marinetti, Appunti sul verbo latino (e) italico. V., cit., p. 300 sgg., ritengono che qui la grafia sia da intendere come *fifileus,e quin-

di si abbia un vocalismo -i del raddoppiamento: [fefekus]; su tale forma - e su quelle coMcssc ad es. in falisco - cf. anche J. Untermann, G,. l&t}X4 lat. feci, gr. ~xa. lat. ieci?, in Indogermanicaet Italica. Festschrlft fiJr Htlmut Rix :um 65. Geburtstag,hg. v. G. Meiscr, Innsbruck 1993 (= IBS, 72), p. 464 sg. Sui perfetti italici a raddoppiamento fornisce buone lndica1.ioni l'articolo di Fr. Bader, Vocalismeet redoublement,cit., p. 18, sgg., cui ora ai può aggiungere, per l'umbro, A. L. Prosdocimi - A. Marinetti, App14nti sul verbo Ialino (e) italico. 11., cit., p. 187 sgg. M Cf. ad es. H. Pedersen, Vgl. Grammatile,cit., II, p. 378 sgg.; R. Tburncyscn, A Grammar,cit., p. 424 sgg.; Fr. Bader, Vocalisme et redoublement, cit., p. 189 sg.; K. R. MCC.One,From Indo-Europeanto Old Irisb, cit., p. 233; Id., Tbe Early Irish Verb, Maynooth 1987, p . .51 sgg. .., Nel futuro raddoppiato (sigmatico) dell'irlandese antico si pu~ vedere un JQtico congiuntivo di un aoristo (sigmatico), oppure, in alternativa, un antico desiderativo (ipotesi che sembra godere del SOStCBJlO relativamente pifl

=

=

.3.1. Caratteristicheformali e f11111.ione morfologicaneUelingue i.e.

89

Appare di un certo interesse l 'anaHsi della sillaba del raddo1>piamento nel preterito irlandese antico. Infatti, in tale sillaba non è generaUzzata la vocale -e, ma si ha piuttosto una dipendenza dal vocalismo radicale: si avrà quindi -o (da *-u) nel caso di radici a vocalismo radicale -u- (-o-), e -e (da *-i!) nel caso di radici a vocalismo radicale -i• 46• Quanto al consonantismo, viene iterata regolarmente la consonante (solo la prima là dove si abbiano gruppi, anche con sibilante); singolare, ma con paralleli in altre lingue indoeuropee, è il raddoppiamento in an-nel verbo -ic(c), iniziante per vocale 11• · . Il raddoppiamento nel futuro presenta caratteristiche in parte analoghe a quelle del preterito per quanto riguarda il consonantismo (ma cf. infra); per quanto riguarda il vocalismo, le possibilità sembrano invece limitate a -e oppure -i. Come osserva il Meid •, la sillaba di raddoppiamento che compare nel futuro si presenta particolarmente stabile, a differenza di quanto avviene nel preterito (dove si manifesta ancora pienamente l'effetto della lenizione, della riduzione di gruppi, etc.): dunque il futuro, almeno nella sua forma raddoppiata dell'irlandese antico, sembra caratterizzarsi per una costituzione recenziore. Vari indizi (presenza del raddoppiamento già nel celtico continentale, lenizione in casi come génair < *gegn- etc., raddoppiamento in an-,forse anche il vocalismo stesso del raddoppiamento) convergono nell'indicazione di un carattere ereditario del ¼"addoppiamento celtico, per lo meno per quanto riguarda il preterito; tale ampio), o ancora una sorta di *congiuntivo" (secondario) del preterito: cf. ad esempio H. Pcderscn, Vgl. G,a,nmatile,cit., II, p. .36,; R. Thumcyscn, Zum indoge,manischenund g,iechischen Futu,um, •IF" .38 (1917-1920), p. l44 sgg.; K. H. Schmidt, Kon;unletiv und Futurum im Altirischen, •SQI• 1 (1966), p. 20 sgg.; W. Mcid, Keltisches und idg. Verbalsystem,dt., p. 121; W. C.Owgill,nella recensione a Indoge,manischund Keltisch, dt., apparsa in •Kratylos" 26 (1981), p. 6.3 sg.; O. Szcmerényi, EinfiJhrung,cit., p . .307 sgg.; K. R. McConc, From Indo-Eu,opean to Old I,ish, cit., p. 248 sgg. (specie pp. 254-2,5 e 261); Id., The Ea,ly Irish Ve,b, cit., p. 4.3 sgg.; Id., The IndoEu,opean Origins of the Old Irish Nasal P,esents, Subjunctives and Futu,es, ,In.Qllbruck 1991 ( = IBS, 66), p. 1.37 sgg.; J. H. Jasanoff, Aspects, cit., p. 162. 46 In questo senso si vedano soprattutto: R. Thurncyscn, A G,ammar, cit., p. 424 sg.; K. R. McCone, F,om Indo-Europeanto Old Irish, cit., pp. 2.33:e

2,, .. Su

analoghe forme di raddoppiamento nell'indiano antico e nel greco antico cf. supra, nota 17. • W. Mcid, Keltisches und idg. Ve,balsystem, dt.,. p. 1~1. 11

90

III - Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo

procedimento appare recessivo in gran parte delle lingue del gruppo, e nello stesso irlandese antico, dove pure il raddoppiamento ha trovato applicazione ad un'altra categoria flessionale (il futuro), la sua espansione nel preterito è senza dubbio limitata•. Si deve infine osservare come nel celtico non siano produttivi presenti raddoppiati, ove si prescinda dall'irl. ant. siss- 'stare' (deponente e, oltretutto, tematizzato) SI e dall'irl. ant. ib- 'bere', che comunque continua una forma ormai lessicalizzata *pib-, certo non più avvertita come presente a raddoppiamento (tant'è vero che il tema *pib-, in irl. ant. ib-, è generalizzato in tutte le forme temporali e modali); quanto a -iada 'chiude', l'analisi del Watkins 51 (in ultima analisi da un *e[p]i-dhe-) appare più ragionevole della riconduzione a un presente raddoppiato successivamente suggerita dal Hamp sz. 3.1.8. I dialetti tocari non sembrano presentare tracce di un • raddoppiamento intensivo", e mostrano in generale una tendenza alla restrizione del campo d'uso del raddoppiamento nel sistemaverbale. Una sillaba di raddoppiamento, con funzione morfologica, è riconoscibile in due classi flessionali:

• Solo i pochi preteriti nei quali sono conservati i gruppi gl-, gr-, cbl- iniziali di radice (senza lenizione dopo la sillaba iterata) si caratterizzano come neoformazioni: in tal caso il tema raddoppiato si è sostituito per analogiaa un altro tipo di preterito (sempre che il consonantismo iniziale di radice non sia stato invece ripristinato secondariamente, ad esempio secondo il modello del presente). SI Il carattere tematico della flessione di siss-, rimarcato ad es. da K. R. McCone (From lndo-European to Old lrisb, cit., p. 228), costituisce un buon indizio della prccocc lcs"icalizzazione di tale tema in origine raddoppiato. Alcune forme ccltiberiche di presente, quali sisonti e sistat, sono di incerta classificazione (non è chiaro se si tratti di presenti raddoppiati o invece di congiuntivi a suffisso sigmatico): d. W. Meid, Das Verbum im Keltiheriscbe11, in Verba et structurae. Festschrift f. K. Strunlt z. 65. Geburtstag, hg. v. H. Hettrich, W. Hock, P.-A. Mumm u. N. Oettingcr, Innsbruck 199, [ IBS, 83], pp. 146 sg. e 162. 51 C. Watkins, lndo-European Origins, cit., p. 190. sz E. P. Hamp, Varia I - 2. Notes on Some lndo-European Preuerbs, •:e.nu• 24 (1973), p. 163. L'unico elemento che induce il Hamp a postulare una forma raddoppiata è il confronto con i corradicali presenti raddoppiati ind. ant. dadhiti e gr. -;'9TJ,&4,

=

}.1. Caratteristicheformali e funzione morfologica nelle lingue i.e.

91

1) aoristi raddoppiati,di valenza causativa, attestati nel solo tocario A: mentre è agevole l'individuazione del meccanismo che determina la consonante del raddoppiamento (iterazione della consonante o del gruppo consonantico iniziale di radice "'), il timbro della vocale della sillaba di raddoppiamento (-a oppure -a) non è riportabile con sicurezza a un determinato prototipo (maggiori indicazioni possono provenire dalla documentazione del participio preterito, cf. infra). Sulla inappropriata classificazione dell'aoristo raddoppiato come preterito derivante da un perfetto originario cf. supra, S 2.8 e nota .54; 2) participi preteriti: una parte consistente dei participi preteriti presenta sia in A che in B una sillaba di raddoppiamento. Le modalità di tale raddoppiamento sono analoghe a quelle attestate per l'aoristo raddoppiato agneo; la testimonianza di entrambi i dialetti consente in questo caso di formulare qualche ipotesi riguardo al vocalismo originario della sillaba iterata (vi è chi ha ricostruito un *-o, chi un *-e) 54; sembra comunque probabile che la vocale del raddoppiamento dipenda in parte anche dal vocalismo radicale 55• Come si può vedere, nella fase linguistica attestata dai documenti tocari il raddoppiamento, privo di valenza lessicale, doveva avere un campo d'impiego assai limitato; tale situazione riflette, presumibilmente. uno stadio avanzato di evoluzione (in senso re-

"' Fa eccezione il gruppo sp-, che presenta nel raddoppiamento la sola occlusiva (cf. A. J. Van Windekens, Le tokbarien confronti avec les autres langues indo-europlennes, Il, 2, Louvain 1982, p. 109). 54 A titolo di esempio cito A. J. Van Windekens, Le tokbarien, cit., II, 2, p. 108 sgg. (con rassegna delle opinioni precedenti); Fr. Bader, Vocalismt et redoublement, dt., p. 178; D. Q. Adams, Tocharian Histor . ... Morphology, cit., p. 87. Lo studio più approfondito in materia ~ probabilmente quello di F. O. Lindeman, Zur Reduplileation beim Verbum im Tocharischen, •NTs• 23 (1969), p. 15 sgg. (a p. 20 sgg. *-e ricostruito dal Lindeman alla base delle forme raddoppiate tocarie ~ confrontato con il raddoppiamento a vocale lunga dell'indiano antico e del greco antico, in una prospettiva indoeuropea). 515 In questo senso cf. W. Krause, Westtocharische Grammatik, I. Das Verbum, Heidelberg 19,2, p. 15.~: e Der Reduplikationsvokal ist von dem Vokal der Wurzelsilbe abhingig [ ...] •; si vedano anche G.-J. Pinault, Introduction, dt., p. 127, e W. Cowgill, Ablaut, Accent and Umlaut, dt., p. 177 (il quale riconosce due varianti nella vocale del raddoppiamento in fun. zione del diverso vocaiismo radicale).

III - Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo

92

cessivo), dal momento che, con ogni probabilità, in un periodo più antico il raddoppiamento conosceva una diffusione più ampia 56• 3.1.9. Le lingue anatoliche, per quel che riguarda il raddoppiamento, si pongono in una situazione agli antipodi di quella riscontrabile nelle lingue indoeuropee occidentali. Infatti, l'ittita, la lingua anatolica che meglio documenta temi a raddoppiamento, presenta un numero considerevole di radici verbali nelle quali è riscontrabile una ripetizione della prima sillaba(o di parte di essa, d. infra), ma tali temi raddoppiati si distinguono dagli altri solo per una peculiare valenza lessicale (iterativo-intensiva, come si vedrà). Il raddoppiamento non è in alcun modo utilizzato per distinguere diverse categorie flessionali, e forme raddoppiate compaiono indiscriminatamente in entrambe le coniugazioni del presente (in -mi e in -bi). Nell'ittito sono attestati non meno di una quarantina di verbi con tema raddoppiato 51 : in più di dieci casi si ha una iterazione dell'intera sillaba radicale (tipo katkattiia- 'tremare', kurkuriia- 'tagliare', etc.), secondo uno schema che, per altre lingue indoeuropee, è stato qui definito di "raddoppiamento intensivo"; negli altri esempi si ha una sillaba di raddoppiamento costituita soltanto dalla consonante iniziale e. da una vocale spesso -. ma non sempre - .identica a quella radicale 58 • Almeno una radice iniziante per vocale co-

56

Pare ragionevole l'ipotesi del Krausc, Westtochariscbe Grammatile,dt., I, p. 1.56, il quale riporta i participi preteriti non raddoppiati a più antiche forme a raddoppiamento; ci si può inoltre chiedere se il taddoppiamcnto non dovesse in antico applicarsi anche ad alcune classi flessionali del preterito (al di là del participio). 51 Questi dati numerici possono essere ricavati dall'articolo di N. van Brock, Les th~mes verbaux, dt., p. 120 sgg.; tale studio, certamente meglio documentato sul versante anatolico che non su quello indoeuropeo, risale comunque a trent'anni fa, e dunque gli esempi presentati sono suscettibili di accrescimento, in base alle più recenti letture di nuovi testi ittiti e luvi. Ancora precedente è l'accurato articolo di R. Ambrosini, Ricerche ittite, "ASNP•, s. Il, voi. 28 (19.59), .3-4,p. 28.5 sgg. (nel quale sono considerati anche f temi nominali a raddoppiamento). · 58 a. N. van Brock, l. cit. · nota prcc. (spede p. 12.3 sg.) e R. Ambrosini, dt. nota prcc. (specie p. 28.5 sg.). Su forme anatoliche di raddoppiamento con dissimilazione (analogamente all'ind. ant. tlffbati) d. O. Carruba, Anatolico, dt., p. 141 sg.

3.1. Cardtleristiche formali e funzione morfologie" nelle lingue i.e.

93

nosce un tema raddoppiato secondo lo schema altrove noto come "raddoppiamento attico" (itt. ases[asas-] 'sedersi'} 59 • Il raddoppiamento, indipendentemente dal tipo ("intensivo" o meno}, conferisce al tema verbale, come detto, una particolare sfumatura lessicale: nella maggior parte dei casi è evidente una valenza iterativa, spesso mal separabile da quella intensiva•; talora si può poi individuare un senso durativo 61, che tuttavia potrebbe essersi manifestato indipendentemente dall'altro (di questo problema si discuterà nel S 3.2.2). La produttività del raddoppiamento sembra ridursi nel corso del tempo: vari temi raddoppiati del periodo antico non sono più vitali nell'ittita recente, come ha osservato la Kammenhuber 62• In questo senso il raddoppiamento nei temi verbali non sembra nell'it-

• Su tale tema verbale si veda in particolare N. Oettingcr, Stdmmbildung, dt., p. 430 sg. (il quale ritiene di scorgere un senso fattitivo: 'insediare, far sedere'); J. E. Rasmusscn, Miscellaneous Morphological Problems in IndoEuropedn Lllnguages, 1-11, •LPosn• 28 (1987), p . .56 sg., interpreta tale tema come un vero e proprio intensivo, ma una siffatta analisi, al di là della generica difficoltà inerente alla mancanza di una categoria flcssionale di intensivo ncll'ittito, presenta più di un problema di ordine formale, come del resto ammette lo stesso autore. • Oltre a N. van Brock, Les thlmes verbaux, dt., p. 144 sg., e R. Ambrosini, RJcerche ittite, dt., p. 286 sgg., cf. ad es. B. Rosenkranz, Die heth. bi-Konjugation, dt., p. 219 (con bibliografia precedente); J. Fricdrich, Heth. Elementarbuch, dt., I, p. 7.5; W. Drcsslcr, Studien zur verbalen Pluralitat · Iterativum, Distributivum, Durativum, Intensivum in dn allgemeinen Grdm matilt, im Lllteinischen und Hethitischen, Wien 1968 (= •sbOAW•, 2.59/1), p. 209 sgg.; P. Meriggi, Schiuo grammaticale dell'anatolico, •MAUnc•, s. VIII, voi. 24 (1980), 3 p. 332; O. Carruba, Anatolico, cit., p. 141; N. Oettingcr, Stammbildung, dt., p. 346 sg. Non convincono le interpretazioni del Kronasscr, Vergleichende Lllut- und Formenlehre des Hetbitischen, Hcidclbcrg 19.56, p. 214 (escluderci senz'altro, in particolare, che nel tipo mema!J!Ji'parlo' si manifesti un antico raddoppiamento di perfetto). 61 Si vedano gli artt. citati nella nota precedente. 62 A. Kammenhubcr, Hethitisch, dt., p. 217. La recessività del raddoppiamento ncll'ittito è ben evidenziata dal Laroche, Studes de vocabulaire VII, •RHA• 16, fase. 63 (19.58), p. 104, in un raffronto con la diversa situazione del luvio: quest'ultima lingua conosce una più ridotta gamma di impiego del suffisso -Jlt- (solo per la formazione di denominativi nel luvio), e dunque ha conservato temi raddoppiati in radici per le quali l'ittito ha preferito temi non raddoppiati a suffisso -Jlt- (ncll'ittito tale suffisso ha assunto, a diffcrcoza che nel luvio, molteplici valori, tra cui quello iterativo).

94

III • Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo

tito un tratto innovativo, e dunque pare difficile attribuirne l'origine a effetto secondario di parastrato (sumerico o accadico)63 : si tratterà, presumibilmente, di sviluppi indipendenti in una direzione abbastanza simile. Nel luvio (cuneiforme e geroglifico) la situazione è sostanzialmente analoga a quella riscontrabile nell'ittito: si ha soltanto un raddoppiamento con funzione lessicale (espressione di un'Aktionsart), nel quale il vocalismo della sillaba di raddoppiamento è per lo più conforme a quello radicale (né mancano iterazioni della intera radice verbale, o ancora esempi di "raddoppiamento attico•) ... Simile è anche la valenza, prevalentemente iterativa, dei temi verbali raddoppiati. Le altre lingue anatoliche di matrice indoeuropea offrono pochi

elementi riguardo alla questione che qui interessa. Il palaico attesta forse un paio di temi di presente nei quali si ha iterazione dell'intera radice 65• Nel licio sembra documentato un solo esempio (con tre ricorrenze) di tema raddoppiato, vale a dire un presente con valenza presumibilmente iterativo-durativa (pibiieti, rispetto a piie- 'dare') 66: il vocalismo del raddoppiamento e il valore (lessicale) non differiscono sostanzialmente da quanto riscontrato nell'ittito e nel luvio. Altre

Il confronto con il sumerico e l'accadico ~ suggerito da R. Ambrosini, Ricerche ittite, dt., p. 289 sg. (il quale, comunque, segnala anche talune dif. formità d'impiego). Più vistosa ~ la concordanza tra ittito e sumerico/accadico per quel che riguarda il raddoppiamento nominale (oltretutto ben documentato nell'intero Vicino Oriente antico). .. Gli esempi luvi sono menzionati specialmente dalla van Brock, Les thèmes verbaux, cit., p. 120 sgg., e da P. Meriggi, Schiuo grammaticale, dt., p. 3.32; ulteriori dati in F. Starke, Keilschri/tluwisch JDani.tti • sehen•, mammanna-' •schauen•, •Kadmos" 19 (1980), p. 145 sgg., e in N. Octtingcr, Die heth. Verbalstamme, dt., p. 231 sg. (con la bibliografia più recente, citata nelle note 57-59 a p. 246); d. inoltre E. Laroche, P.tudes, dt., p. 104. 65 Cf. ad esempio A. Kammenhuber, Esquisse de grammaire palaite, •BSL" ,4 (1959), 1, p. 40; O. Carruba, Beitr. zum Palaischen, dt., p. 16 (con bibl» grafia). 66 Cf. ad es. G. Neumann, Lykisch, in Handbuch der Orientalistik, Abt. I, Bd. II, Abschn. 1/2, Lfg. 2 (Altkleinasiatische Sprachen), Leiden-Koln 1969, p. 390; P. Meriggi, Schiuo grammaticale, dt., p. 3.32. 63

3.1. Carotteristiehe/ormali e /1111%ione mor/ologieanelle linguei.e.

95

quattro o cinque forme verbali a raddoppiamento (con caratteristiche analoghe al pibiieti sopra citato) sono attestate nel "licio B• (altrimenti noto come "milio" o "mj)iaco"), varietà maggiormente affine al luvio 67 • Non si evidenziano, a quanto mi risulta, casi di raddoppiamento verbale nel lidio 61• Una lingua •anatolica" da un punto di vista geografico più che linguistico, il frigio, sembra invece testimoniare alcuni participi perfetti mediopassivi raddoppiati 69 ; tali forme, tuttavia, appartenenti al periodo recente (neofrigio), paiono notevolmente influenzate dal corrispondente tipo greco, e dunque non offrono indicazioni di qualche affidabilità riguardo alla originaria vitalità del raddoppiamento nel &igio 70 •

Alcuni di questi esempi risultano problematici; in ogni caso, solo una volta la vocale del raddoppiamento non sembra coincidere con il vocalismo radicale (lic. B Jeiltbatia fronte di lic. ltba- 'lavorare'). Sulle forme del licio B d. soprattutto P. Meriggi, Der lndogmnanismus des Lyltischen,in Germanen 11ndlndogermanen - Festschri/t Ju, H. Hi,t, hg. von H. Arntz, Heidelberg 1936, Il, p. 274 (ripreso, con qualche lieve differenza, in Schiuo grammaticale, cit., p. 332). • Non trovo menzione di forme verbali raddoppiate ad es. in: P. Meriggi, Der indogmnanische Charaltterdes Lydischen, in Germanen und lndogmnanen, cit., II, p. 283 sgg.; A. Heubeck, Lydisch, in Handb11chde, Orientalistilt,Abt. I, Bd. II, Abschn. 1/2, Lfg. 2 (AltltleinasiatischeSprachen), Leiden-Koln1969, p. 397 sgg.; R. Gusmani, Lydisches Worterbuch. Mii g,ammotiscberSltiv.e und lnschri/tensammlung,Heidelberg 1964, passim (del verbo si tratta a p. 40 sgg.; d. anche l'Ergiinzungsband,Lief. 1, Heidelberg 1980, p. 24 sg.). • Un elenco in O. Haas, Die Phrygischen Sp,achdenltmiile,, Sofia 1966 (= •BalkE", 10), p. 228, e in Diakonoff e Neroznak, Phrygi4n,De1marN. Y. 198,, p. 32. 70 Tra gli elementi che inducono a considerare con estrema circospezione forme quali 'fE'fi.xµ&V~, 'Y"YIXP''fµav~, yryp&t.µEVOV, etc., sono da un lato il valore per lo più passivo di tali "participi perfetti" (è noto come il valore passivo del participio perfetto si sia seriormcnte sviluppato nel greco e nel latino), dall'altro ]a mancanza del raddoppiamento nei - pochi - esempi non participiali di perfetto riconoscibili nel frigio (le forme ncofrigie citate da Diakonoff e Ncroznak,Pbrygian, cit., p. 31 sg., sono, per ammissione degli stessi autori, alquanto incerte). L'ipotesi di un •calco" sul greco - pur con materiale linguistico frigio - è stata del resto parzialmente adombrata già dal Gusmani, Studi frigi, Milano 1959, p. 898 sgg., a proposito di yayup,~ e, più problematicamente, di YE"f~", -ov (il Gusmani - ibid., p. 890 sg. - è invece incline a vedere una formazione esclusivamente frigia in 'ftt~). 67

III • Il raddoppillmento nel perfetto indoeuropeo

96

Per ricapitolare le indicazioni risultanti dall'esame delle lingue anatoliche, si può senz'altro affermare che in nessun caso abbiamo esempi di raddoppiamento in funzione morfologica (vale a dire, come elemento caratteristico di specifiche categorie flessionali); è invece abbastanza ben documentato un raddoppiamento in funzione lessicale, che convoglia l'indicazione di un'Aktionsart sostanzialmente iterativa (di certo iterativo-intensiva, forse anche durativa). Tale raddoppiamento, costituito dalla replica della sillaba radicale (non di rado ridotta alla sola sequenza di consonante e vocale iniziali della radice), sembra essere un tratto arcaico e recessivo, sia all'interno della lingua ittita (dove tende ad essere soppiantato dal suffisso iterativo -.fk-), sia nell'intera Anatolia, se consideriamo che le lingue del I millennio a.C. testimoniano solo relitti di forme verbali raddoppiate. 3.1.10. Nel sistema verbale delle lingue baltiche e delle lingue slave si riscontrano tracce davvero esigue di raddoppiamento. Il tipo di raddoppiamento "intensivo", in funzione lessicale, è individuabile in pochissimi presenti slavi, quali si. ant. glagolati 'parlare', slavone plapolati 'fiammeggiare', ceco tratofiti, russo torotorit', taratorit' 'cicalare, ciarlare', e vari altri con una più netta connotazione espressiva 71• Nelle lingue baltiche il raddoppiamento in-

Non ~ sempre facile rintracciare, nelle grammatichestoriche delle lingue baltiche e slave, esempi di verbi a raddoppiamento, e questo in gran parte per via della lessicalizzazione delle forme raddoppiate (tali forme sono considerate - dai grammatici oltre che dai parlanti - puri e semplici presenti). Gli esempi qui segnalati sono tratti da A. Meillet (- A. Vaillant), Le slave commun, cit., p. 373 (a proposito delle forme nominali, per le quali gli esempi con raddoppiamento sono pià numerosi), e Introduction, cit., p. 180, da Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., p. 38, e soprattutto da W. Vondrik, Vergleichende slavische Grammatilt, .zaediz., I, Gottingen 1924, p. 671 sg., e A. Vaillant, Grammaire, cit., III, p. 328 sgg. e 340 sgg. (il Vondrik e il Vaillant sono inclini a riconoscere in tutti gli esempi formazioni di tipo espressivo). A questo proposito si noterà che in effetti il tipo trato,fiti, torot6rit' per il suo àmbito semantico ('cicalare, ciarlare') potrebbe eventualmente rappresentare, in alternativa, una formazione espressiva (sulla distinzione tra ripetizione espressiva e raddoppiamento d. infra, nota 8,): mi pare che glagolati (antico e panslavo) e plapolati siano invece senz'altro da analizzare come temi a raddoppiamento intensivo-iterativo (a partire da radici documentate nella forma non raddoppiata). 71

.3.1. Caratteristicheformali e fun%ionemorfologicanelle lingue i.e.

97

tensivo non compare, ove si prescinda da forme onomatopeiche come lit. ulul6ti etc. (che riproducono il grido degli anjmali: cf. supra, S 3.1.6). In funzione morfologica, il raddoppiamento doveva contribuire alla formazione di presenti (atematici). Il gruppo baltico conserva a tutt'oggi presenti raddoppiati solo nel caso delle radici i.e. per 'dare' e 'porre' (*do- e *dhe-rispettivamente, secondo la rappresentazione tradizionale), in una forma fortemente evoluta nella quale ormai il raddoppiamento non è ben riconoscibile72; analogo discorso va fatto per lo slavo, che mostra una più avanzata tendenza alla perdita del carattere atematico 73• Non sussiste alcun serio argomento per ritenere che nelle lingue baltiche e slave sia mai esistito un perfetto raddoppiato (cui si sarebbe sostituito un perfetto a vocale lunga radicale) 74• Si può dunque ritenere che le lingue slave abbiano posseduto in antico un raddoppiamento intensivo (a valenza certamente anche iterativa), mai particolarmente produttivo. :B inoltre evidente che nel baltico e nello slavo deve essere esistito anche un limitato numero di presenti raddoppiati, pur se con caratteristiche innovative rispetto al tipo attestato in varie altre lingue indoeuropee (in parti-

Cf. Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., pp. 86, 9.3, 99 sg.; Id., Zum baltisch-slav.Verbum, cit., p. 67; R. Hiersche, ArchaischeStrukturelemente, cit., p. 221 sg. I presenti baltici in questione sono lit. ant. (Klein, metà XVII sec.) dtltl(i), dtist, dt2st(i);demmi, dedi, dest etc.: cf. Chr. S. Stang, Vgl. Grammatile,cit., pp . .310 e .317 sgg. (le forme con mantenimento di -dndicale riflettono una posizione antevocalica, dowta a una tematizzazione secondaria). 73 Forme raddoppiate atematiche sono, nello slavo antico, quelle della ndicc per 'dare': III sing. tlastll, III plur. tlaattu (nella I sing. il risultato di un *dodami > *dodmi è il poco trasparente dam'i); nel caso della radice *dbi- è invece già avvenuta tematizzazione (tramite il suffisso *-ye/o-), cf. sl. ant. -tldtl9 (con -U- esito di *-dy-): si vedano A. Meillet (- A. Vaillant), Le slave commun, cit., pp. 208 e 226; Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., pp. 21 sg., 86, 9.3; W. R. Schmalstieg, Some Comments on Old Church Slavic ~ti and basti, • AION-L • 2 (1960), 1, p. 104 sg. L'ipotesi del Szemerényi (specie in The Problem of Balto-SlavUnity, •Kratylosn 2 [19,7], p. 11,), il (e lit. duomi) proponeva una derivazione da temi privi quale per sl. ant. dt1111'i di raddoppiamento, sembra tener conto solo di una parte della documentazione (anche antica) disponibile. 74 L'ipotesi - priva, come si è detto, di qualsiasi riscontro - ha trovato una formulazione esplicita in A. Vaillant, Le par/ait, cit., p. ,, sg. 72

III - Il rtUldoppu,,,,mlo nn~etio

98

intlon11op«,

colare, si ha grado pieno - a vocale lunga - della sillaba iterata, e invece grado zero generalizzato della radice). 3.1.11. L'armeno (classico) conosce un isolato esempio di raddoppiamento in funzione morfologica, nella costituzione dell'aoristo (raddoppiato) arari, da ainem 'faccio' 75• Molto più produttivo è, invece, il raddoppiamento con valenza lessicale (intensivo-iterativa), anche nel sistema verbale, oltre che, più frequentemente, nel campo nominale 7'. Il genere più comune di raddoppiamento corrisponde al tipo "intensivo", con iterazione della sillaba radicale: ka.lua.em 'corro qua e là', p•aJp•aJim'brillo', etc. (talora con trasformazione della consonante finale in nasale o vibrante: bambasem,per *basbasem, parpatim, per *patpatim, etc.) 11• Abbastanza frequente è anche un raddoppiamento semplificato, nel quale si ripetono soltanto la consonante iniziale e la vocale seguente: dadarem 'smetto', p•op•oxem 'trasformo», etc. 71• Le radici inizianti per vocale presentano un raddoppiamento sillabico, analogo al cosiddetto "raddoppiamento attico" del greco: aazim 'mi dissecco', ololem 'straripo'. Cf. in particolare A. Meillet, Esquisse ... arm., dt., p. 1.32; R. Schmitt, Grammatile d. Kl.-Arm., dt., p. 1,.3; G. R. Solta, Die Stellung des Armenischm im Kreise der indogermaniscben Sp,achen, Wien 1960, p . .367; G. Klingenschmitt, Das altarm. Verbum, dt., p. 284; M. Lcroy, Le redoublement comme procédé de formation nominale en arménien classique, in LA pl«e de l'arménien dans les langues indo-européennes, cd. par M. Lcroy et Fr. Mawct, Lovanii 1986, nota 2 a p. 6.3. 76 Sul valore del raddoppiamento nell'armeno classico rinvio senz'altro a R. Schmitt, Grammatile d. Kl.-Arm., dt., p. 87 sg. 11 Se si contano gli esempi spesso tra loro non coincidenti - forniti dai manuali, si arriva facilmente a una decina di temi verbali con raddoppiamento intensivo. Si vedano in proposito: A. Mcillct, Esquisse ... arm., dt., p. 11.3; Id., AJtarmenisches Elementarbuch, Hcidelbcrg 191.3, p. 4.3; H. Jcnscn,AJtarmenische Grammatile, Hcidelbcrg 19,9, p. 4, sg.; R. Schmitt, Grammatile d. Kl.-Arm ., dt., p. 87; G. Klingcnschmitt, Da dltarm. V erlnlm, dt., p. 147 sg. 71 Alla mezza dozzina circa di temi che presentano una tale tipologia si affianca un caso anomalo, quello di cicalim 'io rido' (d. clJlr 'risata' etc.): dal momento che un •.;. atono non si sarebbe potuto conservare, la vocale del raddoppiamento andrebbe riportata, secondo il Klingcnschmitt (Das al111r111. Verbum, cit., p. 147), a un dittongo *-ey-, nel quale si manifesterebbe l'effetto di una dissimilazione tra laterali analoga a quclla riscontrabile nel gr. ~. da un precedente *S«U«i.-. 75

3.1. C11r111teristicbe formali e funzione morfologicaneUe lingue i.e.

99

Il raddoppiamento, quasi esclusivamente in funzione lessicale, risulta dunque abbastanza vitale nella lingua armena; alcune delle formazioni raddoppiate presentano un carattere relativamente antico, dal momento che vi compaiono fenomeni di dissimilazione (d. i tipi hececem e hototim, con caduta in sillaba interna di h- iniziale di radice, o ancora t'awfapem e koikoéem, con mutamento della consonante finale della sillaba raddoppiata), e certo antico è anche un relitto quale il citato aoristo raddoppiato arari. 3.1.12. Altre lingue indoeuropee quali il venetico, il messapico, l'albanese, si caratterizzano per la scarsissima produttività del raddoppiamento. Il corpus - comunque non molto ampio - di forme verbali venetiche non sembra evidenziare casi di raddoppiamento intensivo. Quanto al raddoppiamento morfologico, esso non figura in temi di perfetto, e l'unica ricorrenza potrebbe eventualmente esser ravvisata nel presente raddoppiato III sing. medio [ d]ido.r. "; per quel che riguarda atisteit, infine, molti sono i dubbi riguardo a un'analisi come presente raddoppiato (eventualmente con preverbio a- < *a-).,_ Nella lingua messapica la situazione è perfettamente comparabile a quella del venetico: mancano esempi sia di raddoppiamento intensivo, sia di perfetto raddoppiato, mentre la forma verbale apista8iè da taluni riportata a un *opi-sista-ti(con aspirazione e successiva caduta della sibilante del raddoppiamento) 11•

" Cf. M. Lcjcune, Manuel, cit., p. 80.

• :e.questa

una delle interpretazioni suggerite dall'Untcrmann, Die venetische Sp,ache - Berichl und Besinnung, •Glotta• 58 (1980), 3-4, p. 301 sg. Secondo il Prosdocimi, Il venetico, cit., p. 167 sg., saremmo invece senz'altro in presenza di un tema causativale a suffisso *-eyef~ (e in tal caso, esclusa una formazione raddoppiata, si dovrebbe interpretare la forma come ali-sleil, dove ati- rivestirebbe la funzione di prcverbio); il Lcjcune, Manuel, cit., p. 80, ritiene infine possibile una interpretazione come presente radicale privo di raddoppiamento (ipotesi non del tutto persuasiva da un punto di vista comparativo, d. la nota seguente, a meno che non si pensi a una caduta della sillaba raddoppiata dopo il prcvcrbio [ali-], cosl come talora avviene in latino). 11 V. Oriolcs, Il messapico,cit., p. 170, non esclude, in alternativa, che si possa trattare, invece, di un presente radicale senza raddoppiamento (secondo quanto suggerito, per l'irlandese antico e per l'avestico, da E. Campanile, Sul presente di *(s)tcH 2, in Scritti in onore di Rkcardo Ambrosini, a cura di E. Campanile, R. Lazzcroni,R. Peroni, Pisa 1985, p. 65 sgg.). Tuttavia, aup-

100

III • Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo

L'albanese, infine, a quanto mi risulta, non possiede alcun tipo di raddoppiamento nel sistema verbale; rarissimi sono anche i casi di raddoppiamento (espressivo) nella formazione di sostantivi 12•

3.2. Funzione e forma originarie del raddoppiamento: i limiti della ricostruzione. Una volta passata in rassegna la documentazione delle varie lingue indoeuropee per quanto attiene alle forme verbali raddoppiate, l'analisi dovrà operare nel senso di una ricostruzione delle caratteristiche formali e funzionali dei due tipi di raddoppiamento evidenziati (§S 3.2.2 - 3.2.3); sarà utile, in ogni caso, premettere una sintesi (corredata di una tabella sinottica) dei dati risultanti dalla comparazione ( S 3 .2 .1). 3.2.1. Tipi di raddoppiamento nel sistema verbale indoeuropeo. I dati offerti dalle principali lingue indoeuropee - riassunti nella tabella riportata di fianco - consentono di trarre alcune prime conclusioni non prive di interesse riguardo alle caratteristiche originarie del raddoppiamento nel sistema verbale. Una prima osservazione riguarda la diffusione del raddoppiamento quale costituente di forme verbali. Si può tranquillamente dire che tutte le principali lingue indoeuropee attestano una qualche produttività del raddoppiamento nel sistema verbale; fa eccezione l'albanese, privo di forme verbali raddoppiate (per l'illirico balcanico e per il traco-dacio manca una adeguata documentazione della flessione verbale), e qualche dubbio potrebbe sorgere riguardo al mes-

porre l'esistenza di originari presenti radicali privi di raddoppiamento in questa radice - che è aoristica - appare difficile, e semmai si dovrebbe ritenere che il messapico abbia innovato parallelamente all'irlandese antico (l'avestico va presumibilmente escluso da questa tipologia): su questo problema rinvio a Studio sul perfetto, cit., I, nota 942 a p . .351. 82 Alcuni esempi sono ricordati da N. Jokl, Studien ,:ur albanesiscben Etymologie und Wortbildung, •sbOAW" 168, 1, Wien 1911, pp. 15 sg., 24 sg. e 72. - Uno studio di M. Ridulescu, Dacian Reduplications, •IF" 99 (1994), p. 157 sgg., ha ora evidenziato alcune formazioni (per lo più nominali) del dado nelle quali è riscontrabile un raddoppiamento di tipo espressivo.

3.2.1. Tipi di raddoppiamento nel sistema verbale i.e.

101

TABELLA 1

LA DISTRIBUZIONE DEL RADDOPPIAMENTO NEL DOMINIO LINGUISTICO INDOEUROPEO

~

... ·."'"< '(i1il:\t

·-~~~~l~~

sl

I

sl sl sl (raro) (no)l no no no sl sl sl sl (no) 1 sl (raro) sl no no no

(1)2

si sl sl sl sl sl sl sl no no no no sl sl sl (1 es.) sl (raro} sl ? no

5 I 63 4 / 53 5 1 / 24 1 / 24 1 / 24 2 (3)4 2

(1)4 (1)4 (1)S (1)4 (1)4

sl sl sl (sl)6 (sl)6 (sl)6 (sl)6 ((sl))7 no no no no no no no no no no

= radic.

-e = radic. -e -e (-i, -u) -e (-i) = radic. ( =radic. ?)

NOTE: 1 Gli esempi latini e lituani di temi verbali a raddoppiamento non morfologico rientrano piuttosto nella categoria delle formazioni espressive (onomatopea). - 2 Nell'avestico l'intensivo tende a perdere le caratteristiche di classe flessionale autonoma. - 3 La seconda cifra si riferisce a un calcolo che tenga conto del piuccheperfetto. - 4 Sono documentati pochi esempi di presenti raddoppiati, che non costituiscono più un tema flessionale autonomo; i rari esempi di antichi aoristi raddoppiati nel germanico e nel latino non sono più in nulla distinguibili dagli altri preteriti (d. S 3.2.3). - 5 L'unico esempio armeno di aoristo raddoppiato non costituisce più un tema flessionale autonomo. 6 In queste lingue il perfetto originario non si è conservato quale categoria funzionalmente e formalmente autonoma, ma è per lo più confluito (con altre classi flessionali) in un preterito. - 7 Nel tocario non esiste un perfetto quale categoria flessionale a sé stante, e inoltre il raddoppiamento appare solo in forme panicipiali del preterito.

III - Il ratldoppillmentonel perfetto indot11ropto

102

sapico. Tutte le altre lingue indoeuropee antiche presentano, nel sistema verbale, temi raddoppiati. Il raddoppiamento documentato nelle lingue storiche si presenta con due funzioni di ordine diverso 13, alle quali in genere corrispondono due differenti tipologie della sillaba iterata: a) funzione lessicale: il raddoppiamento contribuisce a conferire una particolare Aktionsart iterativo-intensiva (cf. infra) rispetto al significato di base della radice; da un punto di vista formale, alla funzione lessicale corrisponde in genere la ripetizione dell'intera sillaba radicale o, in alternativa, di una sillaba comunque "pesante• (raddoppiamento intensivo) .. ; b) funzione morfologica: il raddoppiamento serve a distinguere temi appartenenti a varie categorie flessionali (presente raddoppiato, perfetto, etc.), senza che normalmente ciò comporti una

tra le quali è giusto ricordare V. Pisani, Stil raddoppiamento indoeuropeo, •RALinc" s. VI, voi. 2 (1926), p . .331, e, più recentemente, J. Tischler, Zu, Reduplileationim Indogermanischen,Innsbruck 1976 ( IBS, Vortrige, 16), p. 15 sg. - gli studiosi che si sono interessati al valore del raddoppiamento indoeuropeo non hanno riconosciuto questa distinzione di funzioni, nella ipotesi che l'un tipo di valenza sia riconduabile all'altro (per lo più definito come •intensivo-iterativo", d. infra). Ogni ipotesi, tuttavia, va dimostrata, e questo - non insignificante - particolare sembra esser fin qui sfuggito all'attenzione dei più. M Il raddoppiamento (per lo più non •pesante", d. S 3.1.2) che figura nei desiderativi e negli aoristi raddoppiati indiani antichi associa a una indicazione di AJ:tionsa,t (quindi in certa misura lessicale), anche una, non meno rilevante, funzione morfologica (individuazione di classi flessionali). Nel desiderativo, infatti, si ha un valore anche modale, nell'aoristo raddoppiato l'indicazione di un'AJ:tionsartfattitiva sembra costituire lo sviluppo di una generica transitività: non solo sono documentate anche forme di aoristo raddoppiato non fattitive (d. supra, S .3.1.2), ma la stessa associazione con i presenti (causativi) in -aya-(X classe) è rcccnziorc, come dimostra la presenza dell'elemento -p- negli aoristi raddoppiati corrispondenti a causativi in -paya (di origine analogica!); su questo problema d. A. Thumb, Handbuch dts Sanslerit,dt., 1/2, p. 301 sg. (il quale comunque, sulla base di un raffronto col latino, afferma che il fenomeno « ... ist, wcnn auch sckundir, so doch wahrschcinlich crcrbt [ ...] »). L'interesse delle osservazioni del Kurylowicz, The Inflect. Categories,cit., p. 119, a proposito dell'aoristo raddoppiato, è in parte pregiudicato da un certo appiattimento di prospettiva cronologica (talora forme e funzioni ricostruite o ipotizzate per !'•indoeuropeo comune" sono - forse inconsapevolmente - attribuite alla documentazione vedica). 13

Con rare eccezioni -

=

3.2.1. Tipi di rlllldoppiammtonel sistema verbale i.e.

103

chiaraalterazione della semantica radicale; in taluni casi - ad esempio nel presente raddoppiato in radici aoristiche - il raddoppiamento sembra porsi in connessione piuttosto con l'aspetto verbale. A tale "funzione morfologica" fa riscontro, da un punto di vista formale, la ripetizione della consonante iniziale della radice segulta da una vocale (spesso differenziata in funzione del tema flessionale, e comunque per solito breve). Non mi pare necessario soffermarsi particolarmente su quel tipo di raddoppiamento che compare, un po' in tutte le lingue - indoeuropee e non -, quale diretta riproduzione (di tipo espressivo) di grida di animali, o di altri suoni nei quali si ha una caratteristica modulazione ripetitiva; va inoltre esclusa l'onomatopea di tipo infantile (anch'essa basata spesso sulla iterazione di sillabe)15• Si deve dire, comunque, che in questo gruppo di formazioni raddoppiate di origine espressiva i verbi sono nettamente minoritari rispetto ai nomi e alle forme interiettive. 3.2.2. Il raddoppiamentoin funzione lessicale(raddoppiamento

intensivo). L'antichità indoeuropea della funzione lessicale del raddoppiamento (contraddistinta, come si è visto, da una iterazione dell'intera radice, o comunque di una sillaba "pesante") ci è garantite da] numero e dalla distribuzione geografica delle lingue che ne dànno testimonianza. Essa è riconoscibile nell'indiano antico, nel greco antico, nell'avestico, nel germanico (a livello di relitti), in quasi tutte le lingue anatoliche, nello slavo (a livello di relitti) e nell'armeno. Non solo il nucleo centrale greco-ario, dunque, ma anche un gruppo occidentale come il germanico, un gruppo notevolmente autonomo come l'anatolico, e ancora lo slavo e l'armeno. Si tratta, per-

15

Vorrei qui segnalareuna interessanteosservazionecli R. Godei, Formes et emplois du ,edoublement en ture et en armlnien moderne, •CFS" 5 (1945), p. 15 sg.: secondo lo studioso si potrebbe, infatti, distinguere la ripetWone espressiva,in quanto fenomeno appartenente al linguaggio (langage)e non

alle singole lingue, dal vero e proprio rlllldoppiamento,che invece ~ un procedimento cui le singolelingue storiche affidano ben precise funzioni. All'interno di un tale quadro cli riferimento potrebbe trovare una giustificazione teorica la sc:elta, qui adottata, cli escludere le formazioni espressive dalla discussione relativa al raddoppiamento.

III - Il raddoppiamentonel perfetto indonropeo

104

tanto, di un principio/un1.ioMlecertamente riferibile alla entità che denominiamo "comunione linguistica indoeuropea•. Il discorso si fa in parte più delicato allorché si tenti di individuare la valenza precisa del "raddoppiamento lessicale" (evito, per il momento, la denominazione "raddoppiamento intensivo", che io qulache modo potrebbe prefigurare una soluzione preconcetta). Un certo numero di lingue associa, nel raddoppiamento in fun. zione lessicale, due valenze, la iterativa e la intensiva, che si configurano come modalità particolari dell'azione (o dello stato) espressi dalla radice verbale. In questo senso, le formazioni indiane a raddoppiamento intensivo (che costituiscono la categoria denominata "intensivo" o, meno comunemente, •frequentativo") in certi casi rimarcano un grado particolarmente accentuato dell'azione o dello stato, in altri una ripetizione dell'evento o processo 16 ; si dovrà aggiungere che nei verbi stativi si può avere ovviamente solo una sfumatura intensiva, io quelli proccssivi l'una o l'altra oppure entrambe (in dipendenza dal valore di base della radice) 17• Nel greco antico i presenti nei quali si meniff"Jltaun raddoppiamento io funzione lessicale hanno un valore iterativo oppure intensivo•. Nell 'avcstico il • raddoppiamento lessicale• contribuisce alla formazione di presenti intensivi, nei quali si evidenzia una particolare « mise en relief de l'action cxprimée,. ". In qualche caso,

116

a.

soprattutto A. Thumb, Handbuch des Sansltrit, cit., 1/2, p. 344; analoghe osservazioni in A. Mcillct, Introduction, cit., p. 208. A titolo cli ruriosità si può ricordare come già nel 1869 fosse apparso un - non esile lavoro dedicato al rapporto tra intensivo e iterativo: G. Gcrland, Intensiva""" Tterativa und ihr Verhiiltnis zu ei1111nder. Bine spr11chwinenscb11ftliche Abhandlung, Lcipzig 1869. 17 Sulla complementarità tra Alttionsart (iterativa, intensiva etc.) e carattere del verbo cf. ad esempio W. Drcsslcr, Studien z. verb. Pluralitlt, cit., p. 48 sgg. Lo stesso studioso altrove (Vber die Rekonstndtlion, cit., p. 15 sg.) individua negli intensivi indiani antichi ulteriori 111M11Ces, segnatamente distributiva, ambulativa ( !), divcrsativa, alternativa, etc. • Si vedano gli esempi forniti da E. Schwyzcr, GriechischeG,11#1,,,.tilt, cit., I, p. 647; ulteriori dati in W. Drcsslcr, Vber die Rekonstruktion, cit., p. 15. " J. Kcllcns, Le verbe avestique, cit., p. 194. In verità nell'avestico si hanno intensivi anche nel caso cli verbi che esprimono uno stato (,11111'vivere in pace', rah- 'essere infedele') piuttosto che un'aziooc.

3.2.2. Il rddtloppi4mentoin funzione lessicale

comunque, la semantica della radice (ad es. dis- 'mostrare', 1vul'trovare' etc.) suggerisce di attribuire al presente •intensivo" dell'avestico piuttosto l'indicazione dell'iteratività. Tra iterazione e intensità sembrano collocarsi anche i pochissimi esempi di formazioni a "raddoppiamento lessicale,, nel germanico e nello slavo (cf. supra, SS 3.1.5 e 3.1.10). Una valenza intensiva - ma anche in qualche caso iterativa - è poi riconoscibile nelle formazioni verbali a raddoppiamento (in funzione lessicale) dell'armeno classico90• Più articolata, invece, appare la gamma d'impiego del raddoppiamento (esclusivamente in funzione lessicale) nelle lingue anatoliche. La gran parte delle forme raddoppiate dell'ittito e del luvio ha indubitabilmente senso iterativo (non di rado anche intensivo) 91; in rari casi nell'ittito sembra possibile individuare altre valenze, dalla durativa, alla distributiva (riferita all'oggetto), alla terminativa 92• 2 molto probabile che proprio il senso iterativo sia da considerare caratteristico del raddoppiamento nell'ittito e nelle altre lingue anatoliche 93; tuttavia l'alta frequenza del suffisso -Jk- (tra l'altro iterativo) nelle formazioni raddoppiate potrebbe far ritenere che la larga prevalenza della nuance iterativa sia in parte dovuta anche alla concomitanza del suffisso -Jk-,._ Come si è notato nel S 3.1.9, le formazioni a valore durativo (un paio di esempi soltanto nell'ittito) potrebbero essere primarie, e non rappresentare dunque uno sviluppo secondario degli iterativi; invece, se anche fosse davvero riconoscibile nei temi a raddoppiamento ittiti, l'occasionale senso distributivo (riferito all'oggetto) o terminativo si lascia facilmente spiegare come sviluppo secondario (a partire da un valore iterativo o intensivo) 95• 90

Per un sommario elenco degli esempi di forme verbali nddoppiate nell'armeno classico si vedano le indicazioni fornite nella nota 77. 91 Cf. N. van Brock, Les thèmes verbllux, cit., p. 144 sgg. 92 Oltre alla van Brock, l. cit. nota prec., cf. W. Dresslcr, Stutlien i. verb. Plt1rlllital,cit., p. 209 sgg.; O. isaoi, Sul raddoppilzmento,. cit., p. 334; G. Bonfaotc,

III • Il raddoppi4mento nel perfetto buloetmJpeo

122

a) la mancanza del raddoppiamento nel tipo ind. ant. olda, gr. ot6«, etc.; b) la mancanza del raddoppiamento in alcune altre forme

di perfetto indiane antiche e greche antiche; e) la mancanzadel raddoppiamentoinpreteritigermanici,latini,ita-

lici,celtici e tocari, nonché nella classe dei preterito-presenti germanici. a)

Il tipo ind. ant. oéda, gr. ots«, etc. costituisce una testimo-

nianza di particolare rilievo, e dunque merita una trattazione specifica (d. infra, S 3.4). b) Più semplice è l'argomentazione relativa alle

altre attesta-

zioni di perfetti privi di raddoppiamento nell'indiano antico e nel greco antico. A parte il tipo véda, alcune forme indiane antiche sono state considerate perfetti privi di raddoppiamento: taleiathur, taleiur; yamathur; skambhathur, skambhur; nindima; arhire; cetatur, oltre a tre o quattro forme participiali 134• Di queste ricorrenze, arhire, rigvedico, sembra essere un presente, non certo un perfetto 135; takiathur, takiur, yamlzthur, skambhlzthur, skambhur e cetatur sono forme aoristiche, come ha mostrato il Leumann 136; quanto a nindima, si tratta di una occasionale "Mischform ", certamente influenzata dal

=•

I dialetti indoeuropei, Napoli 1931 ( AION", 4, pp. 69-185), p. 129; A. Meillet, lntroduction, cit., p. 206 sg.; Id., CartJCtb-es, cit., p. 138; T. Burrow, The Sanskrit Language, cit., p. 343 sg.; R. Birw~,Griechisch-arischeSprt1ehbeziehungen im Verbalsystem, Walldorf Hesscn 19.56, p. 3.3; B. Roscnknnz, Die heth. bi-Kon;ugation, cit., p. 220 sg.; R. Hicrschc, Gab es im Idg. ein o-stufiges Prasens?, cit., p. 158; E. G. Polo~. DitlChronicDevelopment, cit., p. 171; Fr. Badcr, Vocalisme et redoublement, cit., p. 17.5 sgg.; P. Chantrainc, Morphologie hist. du grec, cit., p. 187; C. Watkins, Idg. Grammatik • 111., cit., p. 112; W. Mcid, Osservazioni,cit., p . .3.3sgg.; K. H. Schmidt, Die uorgeschichtlichenGrundlagen der Kategorie •Perfekt• im Indogermanischen,md Siidkaukasischen, in Arnold Cikobavas dabadebis 80 çlistavisadmi mùl1J.uinili lp-ebuli,Thilisi 1979, p. 78; E. Ncu, Das frlihùlg. Dillthesensystem,cit., p. 280. 134 L'elenco completo ~ in A. A. Macdonell, Vedic Grammar,cit., p . .353 (S 482e). 135 136

Cf. Studio sul perfetto, cit., I, p. 12.5 sg. M. Leumann,Morphol. Neum.ngen, cit., p. 32 sg. (=

104 sg.); ~

3.3.4. Caratterefacoltativoo obbligatoriodel raddoppiamento

123

tema del presente nind- (si veda invece il regolare perfetto raddoppiato III plur. ninidu,, ugualmente rigvedico). Le forme participiali prive di raddoppiamento si spiegano facilmente con il carattere largamente autonomo delle forme nominali del verbo; né possono assumere valenza probatoria occasionali aplologie in composti, o ancora esempi tardi privi di raddoppiamento 137• Se è certo che l'avestico, a parte il tipo vaeda( ind. ant. véda, gr. ot6a., etc.), non mostra alcun altro tema di perfetto privo di raddoppiamento 138, apparentemente diversa è la situazione del greco antico. Infatti, oltre alla flessione di ot6a., alcune altre forme di perfetto già in antico sembrerebbero evidenziare l'assenza della sillaba iterata (non sono in discussione, ovviamente, i verbi inizianti. per vocale, nei quali si ha allungamento della vocale oppure "raddoppiamento attico,,). In particolare, vanno menzionati lo ion. e col. (lesbio) otxa. etc., lo ion. &61pci,omer. lpxa-ta.1.e &wp-to(ppf.), tre o quattro esempi dopo preverbio (il più antico dei quali è il cret. [Gortina] xa.-ta.fE)..µiv~), e tre o quattro forme participiali (tra e «l1.-niµev~) 139• Le forme participiali, cole quali omer. ciµcl,1.a.xvta. me detto a proposito dell'indiano antico, vanno considerate a parte, vista la loro natura nominale (cf. ad es. &yv1.a.'strada', o ancora l'uso avverbiale di Et~); nei casi con preverbio è facile pensare a occasionali aplologie ie1 (l'antichità del raddoppiamento è ad esempio documentata dall'omer. Ulµt8a etc., a fronte del participio [ ! ] cret. xa.-ta.fElµev~). Quanto alle restanti forme, lpxa.-ta.1. è il risultato di una ristrutturazione secondaria (come mostra, tra l'altro, il vocalismo

=

spiegazione~ accoltada R. Hauschild(in A. Thumb, Handbuchdes Sanslmt, cit., 1/2, p. 276 sg.). 137 Per queste considerazioni rinvio al manuale del Thumb, cit. nota prec., e a L. Renou, Gramm. de la langue vldique, cit., p. 276. La Badcr, Vocalisme et redouhlement, cit., p. 177, ritiene che la situazione più arcaica del perfetto sia conservata da quei (pochi) participi vedici privi di raddoppiamento; evidentemente si tratta di una posizione di principio, connessa con la convinzione dell'origine nominale del perfetto indoeuropeo. 131 Si veda in proposito la presa di posizione di J. Kellcns, verhe avestique, cit., nota 2 a p. 404; d. inoltre lo Studio sul perfetto, cit., I, n. 918 a p. 342. 139 Sintetizzo qui i dari ricavabili da E. Schwyzcr,GriechiscbeGrammatilt, cit., I, p. 766 sg.; P. Clwitraine, Morphologiehist. du grec, cit., p. 187; Id., Gr11111mllire hommque, cit., I, p. 421; Fr. Badcr, dxwt;, ~. cit., p. 84 sg. wo Cf. ad es. E. Schwyzcr,GriecbiscbeGrammatilt,cit., I, p. 6.52 (dove sono forniti anche alcuni esempi di età ellenistica).

u

III - Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo

124

e- radicale) w, !w!)'t'oè di analisi molto incerta

142 ;

rimangono dunque olxa. (Erodoto, Alcmane), che non trova conferme sicure nclla documentazione omerica, e dunque potrebbe essere una occasionale innovazione analogica secondo ol6a.143, e ion. (lpponatte) l16T)u, anch'esso però privo di conferme nella documentazione più antica (omer. la.6~, Iocr. fefa.6Cq61:a.,etc.) 144, senza contare la difficoltà di attribuire alto arcaismo a un perfetto "cappatico ". Non sembra possibile, pertanto, riconoscere neppure nel greco l'esistenza di antichi perfetti privi di raddoppiamento, ove si prescinda dal tipo

ol6a.145• L'argomentazione addotta sotto il punto b) si rivela dunque, sulla base di quanto visto rdativamente all'indoario e al greco antico, del tutto priva di valore. e) Nelle lingue indoeuropee "occidentali" e nel tocario la presenza del raddoppiamento nel preterito è solo parziale; questo ha indotto vari studiosi ad attribuire alla fase indoeuropea ricostruita due tipi di perfetto, l'uno raddoppiato e senza alternanza apofonica, l'altro privo di raddoppiamento ma con alternanza della vocale radicale (lunga nel perfetto, divenuto preterito) 1-16. In base a questa teow Cosl P. Chanttaine, Grammaire homérique, cit., I, p. 421. 142 Si veda E. Schwyzer, GriechischeGrammatik, cit., I, nota 12 • p. 769, con bibliografia precedente. 143 Fr. Bader, 1txwc;, to~~. cit., p. 76 sgg., cerca invero di proporre - sulla base di considerazioni metriche - l'attribuzione di un ow al testo omerico; si tratta, però, di un'ipotesi essenzialmente basata su argumenta ex silenlio, e dunque accoglibile solo ove si ritenesse plausibile la ricostruzione di due tipi di perfetto indoeuropeo (cf. infra, e nota 146). 144 Su queste forme d. ora H. Hagen, Zu lweci bei Herodot, •Glotta• 71 (1993), 3-4, p. 155 sg. 145 Una tale conclusione è confermata dalla testimonianza del miceneo, nel quale l'unico perfetto privo di raddoppiamento è un antroponimo derivato dal participio della radice *wVyd-: wid(u)woiio (Pilo): d. ad es. P. CJian. traine, Le parfail mycénien, cit., pp. 22 sg. e 26, e M. Lcjeune, Mém. M philologie mycén. (Première série), cit., p. 224. Sul miccn. wo-ke d. Fr. Badcr, ,txwc;,lo\XWC;, cit., p. 85 sg. (la quale, pur incline a una interpretazione nel senso di un perfetto, correttamente segnala i forti argomenti contrari • una tale ipotesi). l-16 Tra le esposizioni più chiare in questo senso ricorderei Fr. Badcr, dxwc;, to~xwc;, cit., p. 87 sgg.; Ead., Vocalisme et redoublement, cit., p. 175 sgg.; W. Meid, Keltisches und idg. Verbalsystem, cit., p. 124; Id., Osserv11%ioni,cit., p. 35 sgg.; d. inoltre M. Beclcr, Verbal Reduplication,cit., p. 8 sg.

3.3.4. Caratterefacoltativo o obbligatoriodel raddoppiamento

12,

ria, il perfetto greco-indo-iranico sarebbe una innovazione, con cumulo (ridondante) di due "marche" in antico alternative; in plltticolare, nel perfetto originario il raddoppiamento costituirebbe un tratto facoltativo, non obbligatorio. Si è già detto sopra, nel § 2. 7 .1, come l'argomento della ridondanza tra le diverse marche del perfetto non regga a una valutazione complessiva (tra l'altro sarebbe necessario dimostrare che il raddoppiamento in tale tema dovesse avere una valenza identica a quella portata dall'alternanza radicale *-o- : *-0- o dalle desinenze, e questo pare ben difficile alla luce di quanto sopra evidenziato, cf. S 3.3.2). Ma l'argomentazione è debole anche perché il germanico, il latino, l'italico, il celtico e il tocario di fatto non posseggono un perfetto funzionalmente e formalmente autonomo: talora - assai raramente - si è avuta una confusione con il presente (preterito-presenti germanici), talaltra con l'aoristo e altre formazioni preteritali (preterito forte germanico, per/ectum latino e italico, preterito celtico, [participio] preterito tocario), e in generale la valenza originaria si è trasformata per dar luogo a un puro e semplice tempo storico (con l'eccezione del valore di presente assunto dai preterito-presenti germanici e da lat. memini, odi, forse didici). Dunque, si vorrebbero individuare le caratteristiche del perfetto indoeuropeo a partire da lingue che hanno con certezza innovato su un duplice piano! La difficile proponibilità di una tale soluzione per quel che riguarda in particolare il carattere facoltativo del raddoppiamento è confermata da un ulteriore significativo indizio: proprio le lingue sopra ricordate, come risulta dalla tabella del § 3.2.1, presentano una chiara tendenza a ridurre il campo d'impiego del raddoppiamento. Laddove greco, indiano antico e avestico conoscono sia un raddoppiamento lessicale (intensivo) che un raddoppiamento morfologico - quest'ultimo in almeno 4 o 5 categorie flessionw. diverse -, il germanico, il latino, l'italico, il celtico e il tocario hanno perduto il primo (con un isolato relitto nel germanico), e ridotto l'àmbito d'uso del raddoppiamento morfologico a una o tutt'al più due categorie flessionali. In una situazione del genere, appare naturale inquadrare la ridotta funzionalità del raddoppiamento nel preterito delle lingue i.e. occidentali e del tocario all'interno della più generale tendenza di queste lingue a limitare l'impiego del raddoppiamento nell'intero sistema verbale. Quanto ai due tipi flessionali che direttamente o indiretta-

126

III - Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo

mente sembrano continuare (con le alterazioni di cui si è detto sopra) un perfetto originario, si può dire che i preterito-presenti germanici - tra i quali wait - probabilmente debbono la perdita del raddoppiamento al conguagliamento (formale e funzionale) con il presente 147, forse proprio a partire dal tipo got. wait etc. (già in origine mancante della sillaba iterata); nel latino, invece, memini e didici (nonché odi, d. infra, S 4.1.2) conservano il raddoppiamento (forse perché da un punto di vista formale - e flcssionale - identici a un preterito). Considerata la indubbia convergenza degli argomenti sopra ricordati, sembra ben difficile riconoscere nella ridotta funzionalità del raddoppiamento nelle lingue indoeuropee occidentali e nd tocario una caratteristica arcaica; si tratta, verisimHmente, di una innovazione, dovuta a fattori molteplici in ciascuno di tali gruppi linguistici 148• Gli elementi a disposizione consigliano dunque di attribuire al raddoppiamento un carattere originariamente non facoltativo, bensl obbligatorio nella costituzione di temi di perfetto 149; ma ciò non significa affatto che il raddoppiamento fosse un tratto specifico e caratterizzantedel perfetto indoeuropeo: ché anzi, come si è visto,

147

Cf. ad es. Th. Birkmann, Prateritop,iisentia, cit., pp. 62 sgg., 68 sg.,

8-'sgg. (specie

p. 89 sg.). Non è facile spiegare la ragione della tendenza alla perdita del raddoppiamento nelle lingue sopra menzionate. Per quel che riguarda il germanico, il Meillet (Caractères, cit., p. 140 sg.) sottolineava che l'accentazione sulla sillaba del raddoppiamento (in quanto sillaba iniziale) mal si doveva conciliare con la tendenza delle lingue germaniche a far cadere l'accento principale sulla sillaba radicale; in epoca più recente altri hanno spiegato il fenomeno come l'effetto di spinte strutturali determinate da fatti fonologici oltre che accentuativi (cosl ad es. F. van C.OCtsem,Ablaut and Reduplication, cit., p. 79 sgg.), o ancora in termini di cancellazione di regola (cosl ad es. G. L. Fullerton, Hist. Germanic Verb Morphology, cit., p. 100). Al di là delle motivazioni specifiche di ogni singola lingua, aedo comunque che la perdita del raddoppiamento possa anche esser posta genericamente in relazione con la perdita di trasparenza formale della parola in quelle strutture linguistiche che tendono verso il segno fisso (e le lingue germaniche, il celtico, in parte il latino e il tocario sono certamente più avanti su questa strada rispetto al greco antico, all'indiano antico e all'avestico). 149 In questo senso d. ad es. H. Rix, Hist. Grammatik, eit., p. 221 sg.; A. Bammesberger, De, Aufbau, cit., p. 48 sg.; O. Szemermyi, Einfuhrung, cit., p. 314 sg. 141

.3..3.4. Caratterefacoltativoo obbligatoriodel ,addoppitlmento

127

tale procedimento accomuna il perfetto a varie altre categorie flessionali, profondamente diverse anche quanto a funzione. L'unica eccezione significativa è costituita dalla serie lessicale di cui al punto a), quella di ind. ant. véda, gr. ot6a., etc. 3.4. Il caso di véda, ot6a., etc.: una "imbarau.ante11 eccezione?

V arie lingue indoeuropee mostrano continuazioni di un tema *woyd- (alternante), privo di raddoppiamento e con desinenze cli perfetto (o di presente, cf. infra), tratto dalla radice verbale *wVyd'vedere, scorgere': ind. ant. I sing. véda 'io so', I plur. vidma; gr. ant. I sing. ot6a. [ = (f)oi:6a.] 'io so', I plur. t6µiv [ = (f)'6µiv] (grado -i1.- nelle forme di congiuntivo e ottativo); avest. I sing. (gath.) vaeda 'io so', III plur. (ree.) viòara; got. I sing. wait 'io so', I plur. witum (preterito-presente diffuso anche nelle altre lingue germaniche) 1S>; irl. ant. I sing. ro.fetar 'io so>, III sing. .fitir, I plur . .fitemmar I .feta(m)mar (deponente di un "preterito privo di suffisso", con valore di presente, diffuso anche nelle altre lingue celtiche; nell'irlandese antico si continua un grado zero radicale) 151; pr. ant. II sing. waisei 'tu sai', I plur. waidimai (flessione di un presente atematico, nel plurale - secondariamente - presente in -i-); si. ant. I sing. védé 'io so' (poi vém'i),III sing. véstu, I plur. V

vemu; V

arm. I sing. gitem 'io so', I plur. gitemk•.

Ampie indicazioni in proposito sono in Tb. Birkroann, Priiteritop,iJsentitJ,cit., p. 66 sg. 151 Cf. soprattutto K. H. Schmidt, Altiriscb rolitir, cit., p. 1.34 sgg.; altre valutazioni (meno prudenti) in G. Schmidt, Altiriscb rolitir, cit., p. 242 sgg. Forse è ricostruibile un grado pieno (*-ey- < *-oy-?) nel britannico: cf. ad es. R. Thumeysen, A G,ammar, cit., p. 4.36; K. H. Schmidt, cit. sopra, lS>

p. 1.39 sg.

III - Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo

128

In ben otto gruppi linguistici indoeuropei sono dunque documentate continuazioni di un tema *woyd- (*wyd- nell'irlandese antico) 152; un'altenanza apofonica tra singolare e plurale appare nell'indiano antico, nel greco antico, nell'avestico e nelle lingue germaniche. In tutti gli otto gruppi manca il raddoppiamento; le tre famiglie linguistiche nelle quali si è conservata la classe del perfetto testimoniano desinenze specifiche del perfetto, tutte le altre documentano desinenze di presente (con l'eccezione delle lingue germaniche, che in parte continuano le antiche desinenze del perfetto, del celtico, nel quale si è avuto un precoce passaggio alla flessione mediale, e dello sl. ant. I sing. -é 1:.:t). Tale tema - in nessun caso con valenza pretcritale - fa costante riferimento alla nozione del 'sapere': considerato il fatto che il sapere, l'aver conoscenza, rappresentano lo stato conseguente all'aver visto, e considerate le caratteristiche formali anzidette, tutte queste forme sono state dunque legittimamente riportate a un antico perfetto indoeuropeo 154• A questo punto si pone il problema di spiegare la generale mancanza del raddoppiamento in tale forma verbale; ché il tentativo di ricostruire uno sviluppo fonetico già preistorico da un ipotetico *we-woyd- al nostro *woyd-155 urta contro difficoltà a mio parere insormontabili (e in primo luogo la altrimenti inspiegabile conservazione del raddoppiamento nelle altre radici inizianti in *w-, mentre nel caso di *woyd- non presentano una sillaba iterata nep-

152

Il lat. vidi va considerato a parte, non solo per ragioni formali, ma anche per via del suo valore: d. infra, S 5.1.1 e nota 32. 153 Sull'origine di tale desinenza slava antica d. infra, S 5.1.1 e note 31-34. 154 Tra le più circostanziate osservazioni al riguardo vanno ricordati, già a partire dagli anni '20-'30, i contributi di .J. Wackcmagel, Vorlesungen iiber Syntax mii besonderer Be,iicksichtigung von Griechisch, 1.Ateiniscb und Deutscb, 2• ediz., I, Basel 1926, p. 168 sg.; J. Vendtyes, Su, les uerbes qui expriment l'idée de« voi,•• •CRAi- 1932 (pp. 192-207), rist. in Cboix d'ltudes linguistiques et celtiques, Paris 1952, p. 117 sg.; H. Oertel, Idg. vofda ,,icb babe gesehen" ,,ich wei~", •KZ" 63 (1936), p. 260 sgg. 155 Cf. ad es. O. Szemerényi, Comparative Linguistics, in Cu"enl Trends in Linguistics, ed. by Th. A. Sebeok, IX/1, Tbc Hague-Paris 1972, p. 165; Id., Einfubrung, cit., p. 314; una più ampia discussione in O. Szemer6nyi, Tbe Perfect Participle Active in Mycenaean and Indo-European, •SMEA • 2 (1967), p. 25 sg.

=

3.4. Il casodi v6da, ots«,etc.: """ •;mbarau.tmte•eccevoneJ

129

pure le lingue che in genere meglio documentano il raddoppiamento morfologico) 156• Una prima osservazione di un certo interesse riguarda la presenza del tema *woyd- non solo nelle tre aree linguistiche che hanno conservato un perfetto autonomo, non solo nelle lingue germaniche e celtiche 157, che continuano alcuni degli elementi caratteristici del perfetto originario (e si ricordi che i preterito-presenti rappresentano nel germanico la classe flessionale meglio riconducibile al perfetto i.e.), ma anche in gruppi linguistici che altrimenti non documentano continuazioni di un antico perfetto: nelle lingue baltiche, il pr. ant. waisei costituisce l'unico relitto certo di un "perfetto", e lo stesso può dirsi per lo sl. ant. védé all'interno delle lingue slave (d. supra, § 2.10); quanto all'arm. gitem, si deve osservare che tale presente è riportabile a un perfetto originario al pari di solo una, o al massimo due altre forme verbali (d. supra, § 2.11). Non può essere casuale il fatto che appaiano testimonianze di un antico tema di perfetto *woyd- in lingue altrimenti prive di perfetto o di suoi continuatori. Un secondo dato interessante è costituito dalla assoluta identità semantica delle forme poste a confronto (tenuto conto del fatto che normalmente i continuatori del perfetto presentano invece valori differenti - ora di presente, ora di preterito - nelle diverse

Per ulteriori osservazioni critiche riguardo alla ricostruibilità di un tema *we-woyd-d. W. Belardi, La formazione,cit., p. 9, e nota 4 (con bibliografia precedente). Appare acuto e interessante il tentativo operato di recente dal Winter (Oberlegungen:rumFehlen der Reduplikationin aind. v6da, gr. otda, usw., in Indogermanicaet Italica, cit., p. 479 sgg.), il quale muove da un plurale con raddoppiamento a grado zero della sillaba iterata, del tipo *uwidmé (> ind. ant. *uvidma - vidm4, etc., secondo le condizioni morfonologiche descritte dalla •teggc di Sicvers-Edgcrton"), successivamente esteso al singolare con gcneraUzzazione dell'allomorfo privo di raddoppiamento. Si pub comunque osservare: a) che per la fase ricostruita non abbiamo prove che il plurale raddoppiasse in modo diverso rispetto al singolare; b) che una spiegazione del genere pub dar ben conto dclla situazione indoaria, molto meno per quanto riguarda altre aree linguistiche; c) che tutte le altre radici indiane inizianti per vV- non presentano alcuna traccia dello sviluppo ipotizzato per véda (vidm4), ma hanno conservato la sillaba iterata (u- o va-). Non mi pare, dunque, che la ipotesi del Winter - con il quale certo si concorderà nel giudizio sulla obbligatorietà del raddoppiamento nel perfetto - riesca a risolvere in termini puramente fonetici la questione dclla mancanzadclla sillaba iterata in véda, ot&r.etc. 157 Nelle lingue celtiche, ricordo, si ha grado zero radicale nell'irlandese antico, forse grado pieno nel brif•ooico. 156

III - Il raddoppU1111ento nel perfetto indoeuropeo

130

lingue indoeuropee): la I sing. significa 'io so' - e non 'vedo', o 'vidi', o ancora 'seppi' - in tutte le lingue nelle quali si continua *woyd-. Anche in questo caso è difficile pensarea una mera coinci-

denza. Un terzo ed ultimo elemento significativo è dato dalla netta tendenza ad includere i continuatori di *woyd- nella flessione del presente. Nell'indoario, da véda si costituisce in fase tardo-vedica un presente atematico 158; nel greco antico, ot6« è l'unico perfetto che - sulla falsariga di un presente - tenda a costituire per tempo una regolare flessione modale (esempi già omerici) 1", con il grado pieno -El.- nel congiuntivo e nell'ottativo (proprio come nelle forme modali di un presente 1d0). Nel germanico, l'inclusione nel gruppo dei preterito-presenti ha favorito l'equiparazione flessionale a un presente, sul quale si è creato un preterito debole in tutte le lingue dei gruppo (got. wissa, etc., da *wid-t-). L'inclusione nella flessione del presente si è già completata fin dalle più antiche attestazioni nel baltico e nell'armeno 161; nel celtico l'avvenuto passaggio alla categoria dei deponenti è un indizio nello stesso senso, e nello slavo la sola I persona singolare, e limitatamente all'allotropo védé (ma non nell'atematico vémi 162), è aberrante rispetto a un normale paradigma di presente. Le particolarità ora ricordate in riferimento a tale tema verbale avevano indotto già il W ackernagel a sottolineare il suo carattere di « prisentische[s] Perfekt » 163; proprio a partire da questa osservazione si può supporre che un tema *wewoyd- (o forse *wiwoyd-, d. § 3.3.2), originariamente di perfetto, abbia assai per tempo - anche per la semantica specifica - acquisito una parziale o totale autonomia paradigmatica dalla radice indicante il 'vedere' 1"'. A tale

Cf. M. Leumann,Morphol. Neuerungen,cit., p. 31 sg. (= 103 sg.). Cf. E. Schwyzer, GriechischeGrammatile,cit., I, pp. 778, 790 e 795; J. Bcchert, Die Diathesen von 1.6,i:"und c!,pci",Miinchen 1964, p. 106 sgg. ldO Cf. A. Meillet, De quelques présents, cit., p. 190, e ora A. L. Sihler, New Compar. Grammar, cit., p. 572 sg. 161 Su quest'ultimo d. in particolare A. Meillet, Recherches, cit., p. 111. 162 Sulla distribuzione dei due allotropi védé / véml nelle lingue slave d. A. Vaillant, Grammaire,cit., III, p. 448 sg. 16.1 J. Wackernagd, Vorlesungen, cit., I, p. 168 sg. 1"' e.osi K. Hoffmann, Das Kategoriensystem,cit., p. 40 (pur se nel quadro 1• 1"

di una spiegazione del valore del raddoppiamento diversa da quella qui p~

3.4. Il caso di véda, otk, etc.: una •imbar11U11nte• eccezione?

131

precoce lessicalizzazionepotrebbe essere attribuita la trasformazione in vera e propria radice, con perdita del raddoppiamento, e successiva creazione di nuove formazioni di presente e modali, accanto ai più antichi perfetti (ancora conservatisi nel greco e nell'indoiranico per via del caratteristico grado apofonico). La mancanza del raddoppiamento nel tipo véda, ol6a. etc. rientrerebbe dunque nel quadro di un'evoluzione da tema di perfetto ('io so in quanto ho visto') a radice autonoma ('io so'), disponibile per la formazione di un presente e di altri temi flessionali 165• g quanto testimoniano, del resto, i grammatici indiani, allorché pongono due distinte radici vvid, l'una indicante il 'trovare', lo 'scorgere', l'altra il 'sapere'. Una tale spiegazione consentirebbe di comprendere perché tale tema *woyd- si conservi anche in lingue che non posseggono (più) alcun perfetto, perché la valenza ('io so' etc.) sia costante in tutte le lingue che documentano continuatori di detto tema, perché, infine, in pressoché tutte le aree linguistiche considerate si manifesti la tendenza alla creazione di presenti o di interi paradigmi flessionali a partire dalla base in questione. Non si tratterebbe, dunque, di un arcaismo, sibbene di una (antica) occasionale innovazione, una eccezione che conferma la regola, quella del carattere obbligatorio del raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo.

sentata, cf. supra, S 3.3.2 e nota 12,), e M. Leumann,Griech. hom. ~ tsut« und ioucwc;li:xut«, ~ ckp«put«,"c.eltica• 3 (19,,), p. 242 (= Kl. Scbr., I, Ziirich 19,9, p. 2,2). 165 Alcune osservazioni che vanno nel senso del ragionamento qui sviluppato sono rintracciabili in (cito in ordine cronologico): R. Aitzetmiiller, Aksl. v&le, cit., p. 214; K. H. Schmidt, Das Perfelttum in indogermanischenSprachen. Wandel einer Verballtategorie,"Glotta• 42 (1964), p. 16; G. Cardona, nella recensione a C. Watkins, !dg. Grammatilt - lii, apparsa in "IIJ• 17 (197,), p. 109; H. Rix, Hist. Grammatilt, cit., p. 221 sg.; W. C.Owgill,Anatolian bi· Conjugation,cit., p. 36 (con una interpretazione dd perfetto non condivisibile); R. Hicrsche, Archaische Strultturelemente, cit., p. 222; A. Bammesberger, Der Aufbau, cit., p. 19; Th. Birkmann, PriiteritopriJsentia,cit., p. 67.

CAPITOLO

IV

IL VOCALISMORADICALENEL PERFETIO INDOEUROPEO

4.1. Caratteristiche apofoniche della radice nella flessione del perfetto nelle lingue storiche. Una discussione relativa al grado apofonico radicale caratteristico del perfetto indoeuropeo non può prescindere da un'attenta disamina della documentazione delle lingue storiche, secondo i criteri qui segnalati in sede introduttiva (cap. Il). In una tale prospettiva, dunque, assumeranno un interesse par• ticolare quelle lingue nelle quali il perfetto è sopravvissuto in quanto categoria flessionale a sé stante. Saranno anche utilizzabili i dati di quelle lingue che hanno perduto il perfetto in quanto tale, ma continuano - per solito con alterazioni funzionali - singoli temi in origine appartenenti a tale categoria (alludo specialmente ai preterito-presenti germanici), oppure utilizzano moduli propri di tale categoria (raddoppiamento etc.); come più volte sottolineato, non si deve comunque dimenticare che il sincretismo con formazioni di altra origine (specialmente aoristi), in larga misura dovuto al mutamento di valenza intervenuto a carico del perfetto, può avere inciso in misura talora sensibile sulla riconoscibilità degli elementi costitutivi di tale categoria flessionale (riconoscibilità in parte pregiudicata anche dalla perdita di trasparenza formale connessa con l'instaurarsi di un forte accento dinamico e di processi fonetici di assimilazione e dissimilazione). Minore peso nella ricostruzione avranno, infine, quelle lingue nelle quali sussistono solo isolate tracce di singoli costituenti del perfetto indoeuropeo. Per quel che riguarda la terminologia relativa al vocalismo radicale, mi atterrò all'uso tradizionale, codificato nella ben nota

IV - Il vocalismo radicale nel perfetto indoe1'ropeo

134

monografia del Kurylowicz 1 ( talora discutibile, ma comunque sempre ricca di spunti di riflessione). Saranno poi utilizzate indifferentemente le locuzioni "apofonia (radicale)" e "alternanza vocalica (radicale)", com'è ormai larga consuetudine. Infine, secondo quanto già segnalato nel S 1.4, si prescinderà dalla notazione "laringalistica", senza distinguere, inoltre, il "grado ridotto" dal "grado zero" (entrambe le situazioni, infatti, si caratterizzano per l'assenza della vocale *-e-, *-o-, *-a-). 4.1.1. La documentazione del perfetto nell'indo-iranico e nel greco antico.

Nel perfetto indiano antico le condizioni apofoniche della radice sono le seguenti 2 : a) grado pieno, con vocalismo indiano -a- (rispettivamente -e-, -o- - da più antichi dittonghi - nel caso delle radici che presentavano *-y- o *-w- intermedio), nelle tre persone del singolare (le cosiddette "forme forti"), e in una parte delle non molte - e seriori, cf. S 6.5 - forme modali (l'intero congiuntivo e l'imperativo 111 sing. attivo). Il vocalismo indiano -a- nel singolare del perfetto non risale a un *-e-originario, come dimostrano indirettamente forme senza palata1izzazione della velare iniziale di radice, del tipo cakara (rad. kr-), cikéta (rad. cit-), etc., ma continua un antico *-o-.L'allungamento della vocale radicale che si manifesta normalmente nella III sing., e assai più raramente nella I sing. 3, è dovuto - come hanno mostrato il Belardi e in parte il Kurylowicz 4 - a una differenziazione secondaria di tipo morfologico, e

1

J. Kuryfowicz,

L'apophonie, cit., passim. Per ampi ragguagli in merito si possono consultare soprattutto: A. Thumb, Handbuch des Sanskrit, cit., 1/2, p. 277 sgg. (particolarmente utile in prospettiva indoeuropea); W. D. Whitney, Sanskrit Grammar, cit., p. 283 sgg.; A. A. Macdonell, Vedic Grammar, cit., p. 3.53 sgg.; L. Renou, Gramm. de la lang1'e uédique, cit., p. 276 sgg.; S. Sani, Grammatica sanscrita, cit., p. 140 sgg. 3 Un parziale elenco di forme di I sing. con allungamento della vocale radicale ~ fornito da A. Debrunner, nella recensione alla Grammaire de 1', langui! védique del Renou, apparsa in "Kratylos" 1 (1956), 1, p. 44. 4 W. Belardi, La formazione, cit., pp. 109 sgg. e 125 sgg.; J. Kurylowicz, 2

4.1.1. L4 tlocumentavone nelrintlo-iranico e nel greco antico

135

non va presumibilmente inquadrato nella fenomenologia descritta dalla cosiddetta "legge di Brugmann" (-a- indiano giudicato esito di un *-o-indoeuropeo in sillaba aperta) 5 • Le forme forti, con grado *-o-originario, presentano in fase vedica l'accento (presumibilmente già di tipo dinamico) sulla sillabaradicale; b) il duale, il plurale, il medio (nonché le restanti forme modali e il participio) si contraddistinguono per un grado zero radicale ("forme deboli"): se la radice presenta una sonante intermedia, questa diviene centro sillabico (*-y- ➔ -i-, *-w- ➔ -u-, *-r-1*-l-➔ -r-, *·'l'·l*-r,-➔ -a-), altrimenti si ha assenza di vocale (talora, al fine di evitare gruppi consonantici particolarmente complessi, si ha estensione analogica del tipo a vocalismo -e- 6 , come in luogo di **saskur). Le forme deboli, con grado ad es. in sekur, zero originario, presentano in fase vedica l'accento sulla sillaba desinenziale. In funzione dell'accento il meccanismo di alternanza sopra deLe tlegré long en intlo-iranien, •BSL" 44 (1947-48), p . .52 sgg.; Id., L'apophonie, cit., p. 33.5 sgg.; Id., Idg. Grammatilt - II., cit., p. 281 sg. (in questi lavori il Kuryfowicz supera una ipotesi precedentemente proposta, nella quale si cercava di conciliare la •legge di Brugmann" con la teoria delle laringali: d. infra, S .5.1.1 e nota 29). Una negazione della validità della •tegge di Brugmann" in riferimento al perfetto, ma con una diversa spiegazione della vocale -a-indiana (connessione con i perfetti a vocalismo radicale lungo, d. infra, S 4.1.2), figura nella 3• ediz. (curata da R. Hauschild) di A. Thumb, Handbuch des Sansltrit, cit., 1/2, p. 278; una posizione più problematica - ma comunque nettamente orientata a negare l'effetto della "legge di Brugmann" nel perfetto - è espressa infine da J. Gonda, Oltl Indian, cit., p. 102. 5 In favore di una spiegazione inquadrabile nella cosiddetta "legge di Brugmann" si sono pronunciati recentemente (con opinioni comunque assai diverse quanto alle modalità secondo le quali si sarebbe manifestato un tale effetto): M. Mayrhofcr, Indogermanische Grammatilt - 1/2. Ùlutlehre, Hcidclberg 1986, p. 148; S. W. Jamison, Function and Form in the -6.ya-Formations of the RJg Veda and Atharva Veda, Gottingcn 1983 (= •KZ• Erginzungshcft 31), p. 204 sgg.; A. Lubotsky, The Ved. -6.ya-Formations, ·111· 32 (1989), 2 p. 107. 6 Sull'origine di tale tipo di perfetto rinvio alle osservazioni in Studio sul perfetto, cit., I, nota 88 a p. 49 (con bibliografia, alla quale va aggiunto ora R. Lazzcroni, Mutamento morfologico e diffusione lessicale. Il contributo del sanscrito, in Studia Linguistica Amico et Magistro Oblata - Scritti tli amici e allievi dedicati tzlla memoria di Enzo Evangelisti, Milano 1991, p. 209 sgg.).

136

IV - Il vocalismo radicale nel perfetto indoeuropeo

scritto (accento radicale nelle forme forti, desinenziale nelle forme deboli) può esser detto, con l'Eichner 7, anficinetico, o meglio ancora anfidinamico. All'alternanza sopra delineata tra forme forti e deboli si sottraggono alcune radici con peso sillabico "stralungo" (vocale lunga seguita da una consonante, oppure vocale breve seguita da due consonanti), nelle quali è generalizzato il grado pieno, o eventualmente il grado zero (d. vavak1a: vavak1é;;;;tva : iilivima, etc.). Il perfetto avestico • presenta condizioni apofoniche in tutto comparabili con quelle vediche. Nelle forme forti (singolare dell'indicativo attivo) si ha un grado pieno radicale -a- (-ae-, -ao-/-au-,nel caso di radici con *-y-, *-w-),che continua un antico *-o-'. Nella III sing. non di rado si ha allungamento della sillaba radicale. Nelle forme deboli (duale e plurale dell'attivo, tutto il medio, le rare e secondarie forme modali 10 e il participio) si ha di norma il grado zero radicale; sono da ritenere innovazioni occasionali la III plur. (gith.) cikoitaraI e i participi attivo (ree.) iarauruuah-,medio (ree.) vauuazana-. L'avestico, naturalmente, non getta alcuna luce diretta sulle condizioni accentuative nelle forme forti o nelle forme deboli.

7

H. Eichner, Die Etymologie von betb. mehur, •MSS" 31 (1973), p. 91 (nota 33); d. ancora H. Rix, Hist. Grammatik, cit., p. 123; O. Szemerényi, Ein/ubrung, cit., p. 170 sg.; J. A. Han,arson, Studien %Umindogermaniscben Wun.elaorist und dessen Vertretung im Indoiranischen und Griechiscben, Innsbruck 1993 ( = IBS, 74), p. 26 e nota 6; W. Hock, Der urindogermaniscbe Flexionsalezent und die Ak%entologiekonzeption, •MSS• 54 (1993 [1994]), p. 177 sgg. • La trattazione più chiara ed esauriente al riguardo ~ quella del Kellens, Le verbe avestique, cit., p. 400 sgg.; altre indicazioni in H. Reichelt, Awestiscbes Elementarbucb, Heidelberg 1909, rist. 1967, p. 123 sgg. 9 ad es. la mancata pal.ataJizz~ione nella sillaba radicale in casi quali avest. (ree.) caleana (rad. 1/t.an-), %cikae8ii"(rad. cit-, ciO-), etc.: d. J. Kcllcns, cit. nota prcc. 10 Sul valore e sulle ricorrenze del congiuntivo e dell'ottativo del perfetto in avestico d. soprattutto J. Kellens, Le uerbe auestique, cit., pp. 419-424 (si noterà che non ~ documentato affatto un imperativo del perfetto); per ulteriori indicazioni d. infra, S 6.5.

a

4.1.1. L, documentavonenell'indo-iranico e nel greco antico

1.31

Nel perfetto del greco antico si ha la documentazione diretta del grado *-o-radicale. Tale vocalismo è caratteristico delle sole tre persone del singolare (dell'indicativo), certo in un numero limitato di esempi, tutti però notevolmente arcaici: oltre a ot6ci : t6µav (cf. supra, S 3.4), vanno ricordati omer. lof.XCl: lt.x~ov, yiyOVE : "(IYcicioi., IJ4LOVC1 : µq.uxµav, e altri cinque o sei casi (alcuni dei quali in perfetti secondariamente divenuti "cappatici ") 11• In molti altri verbi il grado *-o-si è genera1izzatoall'intera flessione dell'attivo, che si pone dunque in alternanza con il medio (lµµopi, etc. : Elµci()'fci1., aµ«P'fo, etc.). Raro è un vocalismo *-o-radicale (per lo più non alternante), relativamente più comune un grado *-a-(alternante con *-adel medio e del participio) 12• A differenza che nell'indiano antico e nell'avestico, nel greco antico non si dànno esempi di opposizione tra vocalismo radicale della I sing. e della III sing. Il grado zero caratterizza il medio in buona parte dei casi 13 (e anche il duale e il plurale nei sopra ricordati t6µEV,11.x~ov, yEycicioi., µ.ɵtlµEv, etc.). Il participio tende a presentarsi con un grado zero radicale (ma è piuttosto frequente una opposizione tra maschile con grado pieno - *-o-,*-a-,etc. - e femminile con grado zero) 14• Le rare e secondarie forme modali (congiuntivi, ottativi, imperativi) non si caratterizzano per uniformità di grado apofonico, e talora il grado zero (ricalcato sul medio) o il grado *-o-(ripreso dall'attivo) lasciano il posto a un insolito grado *-e-(si vedano omer. Et6w,d6oµEV,etc.: cf. supra, S 3.4). La lingua greca antica, nel corso della sua storia, ha notevolmente sviluppato alcuni tipi di perfetto secondari, come il perfetto

11

Cf. E. Schwyzer, Griechische Grammatile, dt., I, p. 769; P. Chantraine, Grammairehomlrique, dt., I, p. 424 sgg.; Id., Morphologie hist. du grec, dt., pp. 190 sg. e 194 sg.; H. Rix, Hist. Grammatile, dt., p. 220 sg.; M. Lcumann, Griech. hom. d6wJ>..Er.µpar., etc. pR:ICDte: xixÀEµp41., 14 Sull'alternanza ravvisabile nei participi perfetti si veda soprattutto dt., p. 251 sgg. (spede pp. 254-258): M. Lcumann,Griech. hom. d&:>r;CSutct, il tipo più produttivo ~ forse quello in cui ad *-a-(> -i.-/-~) del maschile fa riscontro il grado zero (*-a- > -4-) del femminiJ~, come negli esempi già

omerici m. ÀIÀ.T)xwç : f. ÀIÀ.Cbutct; m. 'fE8riM>ci : f. uecnutct, etc.

IV - Il vocalismo radicalenel perfetto indoe,uopeo

138

aspirato, o il perfetto "cappatico", nei quali le "marche" specifiche possono aggiungersi all'alternanza apofonica oppure sostituirsi ad essa (nel senso di un livellamento del vocalismo radicale). La generale baritonesi manifestatasi nella flessione verbale greca impedisce di rinvenire attestazioni dirette di una anficinesi (alternanza originaria fra tono radicale e tono desinenziale) nel tema del perfetto. Le tre lingue indoeuropee che documentano una categoria flessionale di perfetto autonoma e con valenza ancora parzialmente conforme a quella originaria convergono pertanto nella indicazione di un tema in origine caratterizzato dal seguente vocalismo radicale:

- grado *-o-(e tono radicale} nelle tre persone singolari dell'attivo: direttamente attestato dal greco, e indirettamente - ma con certezza - dal vedico e dall'avestico,

al.ternantecon: - grado *-0- (e tono desinenziale} nelle altre persone dell'attivo, e in tutte le altre forme costituitesi secondariamente, dal medio - il cui carattere non originario è confermato dalle desinenze, cf. infra, § 5.2 - alle forme modali: attestato dal vedico e dall'avestico in primo luogo, e dal greco specialmente in alcuni esempi più antichi. Il quadro qui descritto risponde al tipo anfidjnamko, per quel che riguarda lo schema accentuativo (o meglio "tonale", se ci si riferisce a una fase ricostruita}. L'attribuzione al perfetto di una flessione originariamente aerostatica, con antica alternanza tra grado *-oed *-e- 15, non trova alcuna conferma nei dati delle tre lingue sopra menzionate, e si fonda su un presupposto (ricostruibilità di forme originariamente prive di raddoppiamento} tutto da dimostrare.

15

C.OSlL. Isebaert, Réflexions su, l'apophonie IJUalitaliveen p,oto-indoeu,opéen, •SEL" 3 (1986), p. 126.

4.1.2. Le alternanzenei preteriti delle lingue i.e. occidentali

139

4.1.2. Le alternanze - anche quantitativenei preteriti (e nei preterito-presenti) delle lingue indoeuropee "occidentali•.

All'interno della documentazione delle lingue germaniche, particolare rilievo per questa ricerca rivestono quelle forme verbali dette "preterito-presenti", nelle quali si continua per lo più un antico perfetto, pur in un quadro di riferimento alteratosi (interpretazione come presenti, per via del valore di stato [risultante], con costituzione di un preterito, etc.: cf. supra, S 2.5 e nota 13). Dei tredici preterito-presenti attribuibili con sicurezza al germanico (non tutti comunque risalenti a un perfetto originario), più di due terzi presentano un'apofonia con grado *-o-(*-oy-, *-ow-)nel singolare e grado zero nel plurale. A queste chiare condizioni apofoniche si aggiunge talora anche la testimonianu di una flessione anficinetica che indirettamente ci è offerta dal trattamento delle sorde originarie (tipo *j,arf : *j,urhum) 16• I preterito-presenti del germanico confermano dunque pienamente i dati ricavabili dall'indiano antico, dal greco antico e dall'avestico per quel che riguarda le condizioni apofoniche (grado *-o-alternante con *-0-) e accentuative della sillaba radicale nel perfetto indoeuropeo. Più complessa è la valutazione dei preteriti forti delle lingue germaniche, che certamente mostrano l'utilizzazione di elementi propri del perfetto originario, ma difficilmente possono esser ricondotti, in quanto categoria, al perfetto indoeuropeo (sull'alterazione del valore più antico e sul sincretismo con forme e morfemi di aoristo, cf. supra, S 2 ..5 e nota 14, e § 3.2.3 e nota 10.5). Le prime tre classi dei verbi forti germanici evidenziano, nel preterito, un'altemanm tra il singolare a grado*-~-(> -a-) e il duale/ plurale a grado *-0- (con vocalizzazione della sonante contigua): si tratta dello stesso tipo di apofonia che caratterizzava il perfetto indoeuropeo (manca il raddoppiamento, cf. S 3.1..5, e le desinemc sono di origine eterogenea, cf. infra, S .5.1). La IV e la V classe si differenziano dalle prime tre per il grado radicale -e-,in luogo di *-0-, nel duale e nel plurale del preterito (il grado zero compare nel solo participio); la VI classe, invece, gene-

16

Per ulteriori indicazioni rinvio senz'altro all'ampia e documentatamonografia del Birkmann, Priiteritop,asentia,cit., pp. 85 sg. e 349 sg.

IV - Il vocalismo radicalenel perfetto indoeuropeo

140

ralizza all'intero preterito un vocalismo radicale -o-(non alternante). I preteriti con raddoppiamento (gotici, in parte nordici e germanici occidentali) non presentano alternanza nel vocalismo radicale, incluso il raro e secondario tipo raddoppiato con grado -o-(VII classe dei verbi forti) 17• Nel preterito non raddoppiato dei verbi forti germanici si evidenziano, dunque, da un lato l'utilizzazione dell'alternanza apofonica caratteristica del perfetto indoeuropeo - con assenza del raddoppiamento -, dall'altro la tendenza allo sviluppo di un grado a vocale lunga, che ora si afferma nelle sole forme deboli, ora trova utilizzazione nell'intero preterito. Dell'origine e delle condizioni di impiego di tale grado lungo si discuterà più avanti, dopo aver considerato gli esempi del latino, dell'italico e del celtico. Nella flessione del per/ectum latino - nel quale sono confluiti, ricordo, antichi perfetti e antichi aoristi-, non si evidenziano sicuri esempi di continuazione di un grado vocalico *-o-nella sillaba radicale. Una tale situazione è dovuta a due fattori: a) nelle forme a raddoppiamento, il precoce instaurarsi di un forte accento dinamico sulla prima sillaba ha comportato l'alterazione del vocalismo radicale: un *-o-,come giustamente osserva il Leumann 18, ben defficilmente avrebbe potuto conservarsi in sillaba interna (tant'è vero che i rari esempi che presentano un vocalismo -o-, come totondi, poposci [ < *pe-pork-sk-], etc., sono retroformazioni sul presente oppure riflettono l'esito -or- di *-r-, che rappresenta il grado zero); b) sempre nelle forme di perfectum a raddoppiamento, il latino mostra una certa tendenza da un lato a privilegiare il grado zero della radice (specie nel caso di verbi con -i- e -u- radicali), dal-

17

Una sommaria - ma accurata - informazione sull'apofonia nel verbo forte delle lingue germaniche è fornita da H. Krahe, Germ. Sprachwissenschaft, cit., I, p. 74 sgg., e Il, p. 102 sgg.; più ampie indicazioni in E. Prokosch, A Compar. Germanic Grammar, cit., p. 160 sgg.; W. · Mcid, Das germ. Pruteritum, cit., p. 44 sgg. (specie p. 49 sgg.); A. Bammesbcrgcr, Der Aufbau, cit., p. 43 sgg.; F. van C.OCtscm,Ablaut and Reduplication, cit., p. 27 sgg. Una sintesi in prospettiva indoeuropea è presentata da W. Mcid, Osservazioni, cit., p. 34 sgg. 18 M. Lcumann, Ùlt. Laut- und Formenlebre, cit., p. 587 sg.

4.1.2. Le alternan%tnti preteriti dellt lingue i.e. occidentali

141

l'altro a uniformare il vocalismo del perfectum a quello del presente: cf. ad es. da un lato scic'idi,tutudi, dall'altro tetendi, pependi, spopondi 19• Si deve anche osservare che non esistono esempi di alternanza tra forme forti e forme deboli all'interno della flessione del perfectum. · I due o tre verbi che, in quanto preterito-presenti, meglio si lasciano ricondurre a un perfetto originario (cf. supra, S 2.6), vale a dire mem'ini,forse did'ici,e odi, non dànno maggiori informazioni: nei primi due casi -i- (in sillaba interna aperta) non offre alcuna indicazione chiara, nel terzo caso la vocale iniziale della radice (*od-, cf. odium) presenta un allungamento, che tiene regolarmente il luogo del raddoppiamento nei verbi inizianti per vocale. Un tipo di grado apofonico radicale particolarmente produttivo nel per/ectum latino è costituito da una vocale lunga, a fronte di un vocalismo breve nel presente. Il fenomeno si manifesta con la massima evidenza per -e-,e in parte per ~- e -o- (veni, scabi, /odi, etc.) 20• Non mancano, inoltre, vari esempi di -i- e -u-a fronte di -le -u-rispettivamente del presente: in alcuni di questi casi (vici, (re)liqui, /udi, fugi, etc.), si potrebbe teoricamente risalire a ditton~ radicali *-oy-, *-ow-,ma certamente non si può trascurare l'even7 ·tualità che in tutto o almeno in parte le forme di per/ectum con -i- e -u-radicali traggano piuttosto la loro origine da un'estensione analogica del tipo a vocale lunga ~-, -e-,-o-21• Nelle lingue italiche (per un verso osco e umbro, per altro verso falisco e sabino) è abbastanza ben documentato un tipo di per/ectum a raddoppiamento, nel quale il vocalismo radicale continua un grado zero (quindi senza alternanza tra forme forti e deboli). Come si è osservato nel S 2.6, nelle lingue italiche sono piuttosto frequenti forme di per/ectum prive di raddoppiamento e con vocalismo radicale lungo (a fronte di presenti con vocale breve), Un'ampia esemplificazione in M. Lcumann,l. cit. nota prec. Ovviamente non mi soffermo in questa sede sul rappono fra il timbro vocalico del presente e quello del per/tctum, in quanto argomento ben noto e ampiamente discusso; basti solo ricordare il notevole numero di casi nei quali -i- del per/tctum risponde a un -a-del presente (capio : cipi etc.). 21 Si vedano in proposito la bibliografia e la breve discussione qui presentate nel S 2.6, nota 21. 19

20

IV - Il 11ocolismo rodicolenel perfetto indonropeo

142

cosl come nel latino; mancano esempi certi di grado (cf. supra, S 2.6 e nota 31).

*-o-radicale

Le condizioni apofoniche riscontrate nel perfectum del latino e delle lingue italiche trovano notevole rispondenza nel vocalismo radicale dd preterito irlandese antico privo di suffissi. Le forme raddoppiate di questo tipo di preterito si caratterizzano per un grado zero radicale (con la conseguente semplificazione dei gruppi consonantici che si vengono a costituire), che spesso però è sostituito dal vocalismo dd presente (con prevalenza di -a-): irl. ant. -cechan,-nenasc etc. 22• Altri preteriti senza suffisso si distinguono per un grado vocalico radicale lungo -a-(irl. ant. -4- etc.) e mancanza di raddoppiamento; un numero più limitato di preteriti - anch'essi privi di raddoppiamento - presenta invece -i- radicale 23 • Non si può negare che almeno tre caratteristiche accomunino queste formazioni di preterito delle principali lingue indoeuropee occidentali ora sommariamente passate in rassegna"': a) le forme raddoppiatenon presentano alternanza, e tendono a generalizzare il grado zero radicale (oppure il grado vocalico dd presente): cosl nel germanico (esclusi i verbi della VII classe a grado -o-),nel latino, nell'italico, nel cdtico; b) le forme non raddoppiatesi caratterizzano per un rilievo particolare attribuito al vocalismo radicale: a parte l'alternanza tra grado *-o-e grado *-0- riscontrabile nel germanico, è ben documentata la tendenza ad acquisire un grado vocalico lungo nelle sole forme deboli (germanico) o nell'intera flessione pretcritalc (in tal caso non alternante: latino, cdtico, in misura minore italico e germanico); Cf. anche il S 2.7, con bibliografia; sul grado apofonico nell'irlandese antico si veda ancora l'approfondita discussione in K. R. MCC.One,From IndoEuropean to Old Irish, cit., p. 233 sgg.; sull'ipotetico grado *4 nel gallico, cf. supra, S 2.7 e nota 36. 23 Su tali formazioni si veda soprattutto R. Thurneyscn, A G,ammar, cit., p. 429 sg.; cf. inoltre supra, S 2.7 e nota 36. "' La discussione relativa ai singoli tipi flcssionali nelle varie lingue considerate è stata limitata allo stretto necessario in funzione del problema trattato nel presente studio; su alcuni aspetti di tali questioni si tornerà comunque più avanti, nel séguito del paragrafo. 22

4.1.2. Le lllternan%e nei preteriti delle lingue i.e. occidentllli

143

e) alternanza apofonica e vocalismo lungo radicali non si combinano mai con il raddoppiamento (eccettuato il caso - secondario della VII classe dei verbi forti germanici). Come accennato precedentemente (d. supra, § 2.7 .1), la situazione qui descritta nei punti b) e c), unitamente ad alcuni dati tratti - forse affrettatamente - dalle lingue anatoliche, ha suggerito a taluni studiosi 25 di ricostruire un secondo tipo di perfetto indoeuropeo, diverso da quello greco-indo-iranico, e a differenza di quest'ultimo connotato da mancanzadi raddoppiamentoe da vocalismo radicalealternante (o lungo). Tale ipotesi non sembra suffragata dagli elementi a disposizione, i quali, come si vedrà, paiono convergere nell'indicare nel vocalismo radicale lungo (non accompagnato da raddoppiamento) il risultato di innovazioni manifestatesi in modo indipendente all'interno di questi gruppi linguistici, innovazioni che hanno conosciuto maggiore o minore fortuna in base a ben precise condizioni strutturali. ·,

·.·,

'- ' Per quel che riguarda il punto a), nel germanico la presenza di forme raddoppiate è certo sostanzialmente sporadica, ma si configura come arcaismo, considerata la distribuzione nei diversi gruppi: il gotico (la lingua di più antica attestazione all'interno del germanico, ove si prescinda dalle rune nordiche) presenta la più ricca documentazione di forme raddoppiate, e forme raddoppiate compaiono - in via di eliminazione o addirittura non più riconoscibili, si noti bene - nel nordico antico e in un dialetto di una delle lingue germaniche occidentali. :E:ben difficile, dunque, che i preteriti raddoppiati rappresentino un tipo innovativo :i&.

Cf. ad esempioFr. Badcr,Voclllismeet redoublement,dt., p. 194 sgg.; W. Meid, Osservavoni, dt., p. 36 sg.; Id., Keltisches und idg. Verblllsystem, cit., p. 124 sg. Tali studiosi hanno comunque sviluppato spunti di riflessione già presenti nella indoeuropcistica di inizio secolo, dal Bmgmaoo al Feist e a vari altri (per riferimenti bibliografici in proposito d. spccia]rnf'tlte H. Liidtke, Der Ursprung,dt., pp. 165 sg. e 182 sg.). • Sembra di diretta matrice schleicheriana - con tutte le conseguenze del caso - l'affermazione del Meid, Osservavoni, dt., p. 36 sg., secondo il quale i verbi inclusi nelle classi con preterito a raddoppiamento « [ .••] sono in gran parte senza connessione etimologica al di fuori dd germanico •• e questo ~ «f ...] un argomento contro la generale validità dd raddoppiamento nell'indoeuropeo•. L'osservazione avrebbe una qualche pertinenza solo nell'ipotesi- oggi ben difficilrnfflte sottoscrivibile - che dal]'indoeuropeo preistorico alle lingue storiche 25

144

IV - Il vocalismo radicale nel perfetto indoeuropeo

Il latino, l'italico e il celtico (quest'ultimo per lo meno per quel che riguarda il goidelico) confermano indirettamente i dati del germanico. In particolare, in queste lingue le condizioni apofoniche delle sillabe atone si sono oscurate e livellate per effetto di un energico accento dinamico sulla sillaba iniziale: è chiaro, dunque, perché i preteriti raddoppiati dell'irlandese antico, del latino e dell'italico tendano a presentare un grado zero radicale, talora sostituito con il ripristino analogico del vocalismo del presente (cf. anche i preteriti raddoppiati del gotico). La produttività dell'alternanza apofonica all'interno delle forme raddoppiate era certo pregiudicata dalla collocazionedi tale morfema in sillaba interna: il fatto che normalmente in queste lingue non coesistano raddoppiamento e alternanza apofonica si spiega dunque nel senso di una evoluzione dovuta a condizioni strutturali, e non come il risultato di una tendenza a sopprimere una ridondanza tra "marche" presunte omofunzionali. Il punto b), vale a dire la questione dell'origine e della produttività delle forme di preterito prive di raddoppiamento - con alternanza apofonica o a vocalismo lungo - nelle lingue indoeuropee "occidentali", è stato oggetto di numerosissimi studi (dei quali

si siano trasmesse forme verbali intere e stabilmente costituite; ma questo, con rarissime eccezioni (come il citato esempio del tipo *woyd-), non risponde certo alla realtà, dal momento che ogni singola lingua ha costruito autonomamente il proprio sistema verbale con monemi (o •moduli•) e principt funzionali (o "regole di funzionamenton), questi sl ereditati. In caso contrario non si spiegherebbe perché, ad esempio, da una identica radice originaria ogni lingua storica indoeuropea - addirittura all'interno di una stessa sottofamiglia abbia potuto trarre temi di presente differenti (con infissi, raddoppiamento, etc.), e le concordanze tra più lingue siano percentualmente molto esigue (per una più ampia discussione in proposito rinvio a quanto si è osservato in Aspetto e tempo nel sistema verbale indoeuropeo, in corso di stampa nella Miscellanea di studi in memoria di Enrico Campanile, Pisa 1996, S .3.2.1). Se nella flessione dd preterito (alternante e privo di raddoppiamento) delle prime cinque classi germaniche compaiono numerose radici sicuramente appartenenti al lessico ereditario, questo sta solo a dimostrare la alta - e forse precoce produttività di tale schema flessionale nelle lingue germaniche, e nulla di più. Detto per inciso, quando si comparano temi verbali di diverse lingue ~ europee al fine di ricostruire un prototipo comune, bisognerebbe preoccuparsi di accertare l'antichità e la pertinenza delle forme poste a raffronto: e non sembra essere questo il caso, ad esempio, né di ind. ant. jajnau né di ags. cniow (cf. Studio sul perfetto, cit., I, p. 284 sg. e note 728-729, 9.39).

4.1.2. Le alternanze nei preteriti delle lingue i.e. occidentali

14.5

non sarebbe qui possibile fornire un elenco neppure vagamente esaustivo 2'1). Le lingue germaniche offrono un quadro particolarmente interessante, poiché sembrano evidenziare l'affermarsi di un vocalismo lungo per effetto di due spinte convergenti: nella VI classe, il vocalismo radicale -o-(non alternante} del preterito riflette in larga misura il risultato di radici verbali pesanti (*st(h)a- etc.} 28; nella V classe - anticipo qui il punto di vista cui penso si debba aderire-, il grado -e-del duale/plurale potrebbe in certe radici aver sostituito una antica forma (raddoppiata} a grado zero per effetto di sviluppi fonetici, in altre radici essersi instaurato per estensione analogica29• Sulla questione dell'origine del vocalismo -i- nel duale e nel plurale del preterito della V classe dei verbi forti germanici si è molto dibattuto, a partire dalla fine del secolo scorso 30• Una spiegazione assai fortunata riportava il tipo *situm (preterito plur. V classe) a una formazione di perfetto a raddoppiamento, con il grado zero radicale che è normale nelle forme deboli: in un *se-sd-- e in altri preteriti di struttura radicale analoga - la semplificazione del gruppo consonan• tico avrebbe comportato un allungamento di compenso, cosl come avvenuto nel lat. sidi e nell'ind. ant. sedur etc. (ricordo che e dell'indiano antico è una vocale lunga, risultante per lo più dalla monottongazione di un dittongo, oltre che dall'esito di vocale breve avanti a *-zd-) 31• A tale ipotesi sono state mosse varie obie'Zio-

2'1 Per indicazioni bibliografiche abbastanza aggiornate si può consultare R. D. Fulk, The Origins of Indo-European Quantitative Ablaut, lnnsbruck 1986 ( IBS, 49), volume peraltro di interesse marginale per la questione che qui viene considerata. 21 Accolgo qui la spiegazione del Bammesbcrgcr, Der Aufbau, cit., p. sgg. (in buona parte analogaè la spiegazione del Kortlandt, The Proto-Germ. Pluperfect, cit., p. 6, e The Germanic Sixth Class of Strong Verbs, •NOWELE• 23 [1994], p. 69 sgg.); più complessa - ma non per questo più persuasiva la spiegazione del Meid, Das germ. Praeteritum, cit., p. 5' sgg. 29 In questo senso cf. ad esempio A. Bammesberger, Der Aufbau, cit., sgg. (per ulteriori indicazioni cf. infra, intertesto). p. 30 Indicazioni bibliografiche in E. Prokosch, A Compar. Germanic Grammar, cit., p. 161 sgg., e in W. Meid, Das germ. Praeteritum, cit., note 56 e 57 a p. 126 sg. Uno dei contributi più recenti - ma non necessariamente più convincenti - è quello del Kortlandt, The Germanic Fifth Class of Strong Verbs, "NOWELE• 19 (1992), p. 101 sgg. 31 Sullo sviluppo indoario da *-azd. a -ed- si può ricordare l'opinione espressa dal Gonda, Old Indùm, cit., p. 33 sg.; il Lane (nella ree. a E. Pro-

=

,o

,4

146

IV• Il vocalismoradicalenel perfetto indoeuropeo ni 32; di queste l'unica davvero imponante riguarda il trattamento del gruppo *-sd-, che nel germanico per effetto della I Lautverschiebung appare come *-st, il quale si conserva (del resto, anche altri verbi di questa clas&!,nel grado zero, avrebbero presentato gruppi consonantici perfettamente arorois.. IbiJ., p. 220. 36

31

4.1.2. Le altm,anze nei preteriti delle lingue i.e. occidentali

149

partire dai quali si è potuta manifestare una progressiva diffusione dell'alternanza tra presente a vocalismo breve e perfectum (non raddoppiato) a vocalismo lungo: i tipi feci, ieci, edi, odi, forse sedi, nei quali la vocale lunga è etimologica oppure è il risultato di un raddoppiamento 41, hanno costituito il punto di partenza per un progressivo ampliamento della sfera d'impiego del morfema {"Q'} nel perfectum latino, a scapito del raddoppiamento e dell'altemsou. *-o-: *-0-, secondo un meccanismo analogo a quello riscontrato per i perfetti in -e- dell'indiano antico 42 • :8 indubitabile che una delle concause del fenomeno sia da ricercarsi nella crisi del raddoppiamento nel caso di verbi già provvisti di un preverbio: com'è noto, si contano alcune decine di esempi (in accresciro~.ntoin fase tarda e volgare) nei quali al perfectum raddoppiato del verbo semplice fa riscontro, nelle corrispondenti forme con preverbio, un tipo privo di raddoppiamento, non di rado a vocale lunga radicale (compegi : compingo, a fronte di pepigi : pango, etc.) 43 , Le lingue italiche documentano alcuni esempi di preteriti nei quali, in assenza di raddoppiamento, si ha lunghezza della vocale radicale; sono tuttavia frequenti, come è stato sottolineato di recente, anche casi nei quali il preterito, a vocalismo radicale breve e privo di raddoppiamento, non si oppone al presente se non per le desinenze 44• Infine, come già ricordato, nel celtico un certo numero di preteriti irlandesi antichi privi di raddoppiamento a vocalismo -é-( = -e-) radicale riflette più antiche formazioni raddoppiate a grado zero

41

IbiJ., p. 221 sgg. (con bibliografia precedente). R. Lazzcroni,Mutamento morfologico, cit., p. 208 sgg.; dello stcs.10 Lazzcroni si veda inoltre, per un quadro teorico più generale, Strategie del mutamento morfologico, in Parallela 4., Alti del V 0 [sic] Incontro ItaloAustri4co della Societ~ di Linguistica Itali4na (Bergamo 2-4 ott. 1989), Tiibingcn 1990, p. 55 sgg. 43 Sulla perdita del raddoppiamento nei verbi composti latini d. ora A. L. Prosdocimi,Ùltino (e) italico e indeuropeo: appunti sul fonetismo, •Mes.ssoa" 12 (1992), p. 153 sgg. 44 Sul vocalismo radicale nei preteriti italici si può senz'altro far riferimento all'aggiornata presentazione aitica di A. L. Prosdocimi, Appunti sul verbo latino (e) italico. VI, cit., p. 226 sgg. (d. specislrn""nteil S 2., intitolato: L4 quantit~ vocalica nel perfetto italico). Altri dati - in parte da riconsiderare alla luce del contributo del Prosdocimi - sono in Fr. Bader, Vocalisme et redoublement, cit., p. 184 sgg. 42

a.

150

IV - Il vocalismo radicalenel perfetto indoeuropeo

< *ge-gn-, .chér < *ce-cr-, etc.) 45:

quindi in questo caso il vocalismo lungo è certamente il risultato secondario di uno sviluppo fonetico. Analoga sembra essere la tipologia di alcuni preteriti a vocalismo -i- (irl. ant. -i- etc.), come ha osservato il Meid •. Più controversa è l'origine dei preteriti celtici caratterizzati da un vocalismo radicale -a-(irl. ant. etc.), che può risalire ad *--aoppure ad *-o-.Considerato il fatto che il presente di tali verbi di norma mostra un grado -e- radicale, la Bader ha pensato a un allungamento secondario del grado *-o- caratteristico del perfetto (*-o-+ *-o-)e; il Watkins, invece, riteneva piuttosto trattarsi di un allungamento secondario in -a-di quel vocalismo "neutro" -a- che - come si è visto - spesso nel celtico si sostituisce al grado zero nelle forme raddoppiate•; il Meid, infine, muove da allotropi intensivo-iterativi di presente a grado *-o-,a partire dai quali si sarebbe costituito un preterito a grado allungato *-o-•. I dati sopra segnalati (del tocario si dirà nel S 4.1.3) indicano con una certa evidenza che i casi di preterito a vocalismo lungo radicale non costituiscono una isoglossa indoeuropea "occidentale", né tanto meno risalgono alla fase "comune" s:i, ma in ciascun gruppo linguistico sono il risultato di innovazioni in certa misura coincidenti, dovute a cause ben precise, specifiche di ogni sistema; è

(.gén

-a-

"' Per ulteriori esempi cf. specialmente Fr. Bader, Vocalisme et redoublement, cit., p. 189 sg. • W. Meid, Keltisches und idg. Verbalsystem, cit., p. 124 (d. fich < *w,wilt-, etc.). e Fr. Bader, Vocalisme et redoublement, cit., pp. 182, 190 sg. e soprattutto 195 sg. • C. Watkins, Indo-European Origins, cit., p. 116 sg. Si ricollega in parte alla tesi dd Watkins - oltre che ad alcune intuizioni dd Cowgill - il McCone (From Indo-European to Old Irish, cit., p. 2.35 sgg.), il quale ritiene che un grado *-o-si sia originato nelle forme dd plurale (privo di raddoppiamento e a vocalismo lungo), dalle quali si sarebbe esteso all'intera flessione di questo tipo di preteriti cdtici. • W. Mcid, Keltisches und idg. Verbalsystem, cit., p. 125. 51 Non si può trascurare, in questa sede, la menzione di una ipotesi di J. Puhvd, "Perfect Tense" and •Middle Voice•, cit., p. 633, il quale pensa che il grado allungato *-e-caratterizzasse in origine la III persona plurale dd perfetto (tipo *lewlt-!). Una tale ipotesi, alla luce degli dementi disponibili, non può che rimaner tale, fondata com'è soltanto sulla IV e V classe dei verbi forti germanici e sull'interpretazione come -e-di «e,. radicale ittito nel plurale dei verbi in -!Ji(d. infra, S 4.1..3).

4.1.2. Le alternanze nei preteriti delle lingue i.e. ocddentllli

151

possibile vederne la progressiva espansione (cioè incremento di produttività), ai danni della sfera d'impiego del raddoppiamento, e in vari casi i più antichi esempi di forme a vocalismo lungo si lasciano spiegare come evoluzioni (o ristrutturazioni) di precedenti temi raddoppiati a grado zero radicale. Non sussistono, com'è ovvio, elementi in grado di avvalorare la tesi che attribuisce al vocalismo lungo (in opposizione al vocalismo breve) una valenza semantica originaria nel senso di una « [ ... ] Globalitit, Kollektivitat, Kontinuierlichkeit [ ... l » 51• Per quel che riguarda, infine, il punto e), la tendenziale incompatibilità tra raddoppiamento e vocalismo radicale lungo è stata da taluni ricondotta alla ridondanza di due "marche,, che si sarebbero trovate a svolgere una funzione assai simile. Se, come si è cercato di mostrare, una tale spiegazione è priva di fondamento 52, la mancata compresenza del raddoppiamento e del vocalismo radicale lungo può essere riportata soltanto al fatto che quest'ultimo in parte trae direttamente origine da forme anticamente raddoppiate 53, in parte si è sostituito al raddoppiamento come "marca" di preterito notevolmente produttiva (in presenza di particolari condizioni strutturali). Si può anche notare che, se è vero che la coesistenza di raddoppiamento e vocalismo lungo radicale è affatto rara e secondaria nelle lingue indoeuropee che serbano tracce o elementi di un perfetto antico, non si può certo dire lo stesso per quel che riguarda raddoppiamento e vocalismo radicale *-o-(alternante con *-0-), normalmente compresenti in tutte le lingue che hanno conservato un perfetto a sé stante 54 ( e forse andrebbero ricordate anche alcune

51

W. Meid, Keltisches und idg. Verblllsystem, dt., p. 124. Una ampia discussione in merito alla questione della ridondanza è stata già svolta precedentemente: d. supra, S 2.7.1 (con le note 44-45) e S 3.3.4. 53 Una recente presa di posizione in questo senso è ad esempio quella di G. Schmidt, Indogermanische Perfekta, cit., p. 143; ma la stessa Badcr, che pure ritiene valida la ricostruzione di due tipi antichi di perfetto (l'uno raddoppiato a vocalismo radicale *-0-, l'altro non raddoppiato a vocalismo *-6[altemante]), giunge alla conclusione che i temi a vocalismo lungo radicale rappresentino, per lo meno in parte, lo sviluppo di antiche forme raddoppiate a grado zero (Fr. Badcr, Voclllisme et redoublement, cit., p. 194). 54 In questo senso è significativa una frase del Mcillet, De quelques p,1sents, dt., p. 190: « Si le vocalisme radical o a p~alu dans trois formcs 52

1,2

IV - Il vocalismor11dicalenel perfetto indoe11ropeo

forme raddoppiate di perfectum latino, dove -i-, -ii- radicali potrebbero eventualmente risalire a *-oy-, *-ow-, cf. supra). Le considerazioni qui esposte suggeriscono di interpretare le condizioni apofoniche rintracciabili nel vocalismo radicale di forme preteritali nel germanico, nel latino, nell'italico e nel celtico, come tl risultato di sviluppi propri delle singole aree linguistiche, le quali hanno ora preservato un principio di alternanza tra *-o-e *-0-, ora innovato con la espansione funzionale del vocalismo radicale lungo venutosi a determinare per vari accidenti (per lo più fonetici) 55; il tutto a scapito del raddoppiamento, che è un morfema nettamente in crisi nell'intera area considerata (cf. supra, S 3.3.4 e nota 148).

4.1.3. La testimonianu delle altre lingue indoeuropee. Nella discussione relativa al grado apofonico del perfetto indoeuropeo sono state chiamate in causa anche, in varie occasioni, altre lingue indoeuropee, e specialm~te il tocario e l'ittito. Il tocario presenta una particolare produttività del vocalismo *-o-radicale nella flessione verbale (spesso in alternanza con un grado zero). Come si è notato in precedenza (§ 2.8), i temi flessionali di congiuntivo e di imperativo che presentano una tale apofonia

importantes du parfait, Ics trois formes du singulier de l'indicatif, ccci provient sans doute du grand nombre des formes à redoublement; on conçoit bien que le vocalisme o ait été normai dans des formes à redoublement [ ...] •· 55 C.Onciò verrebbe a cadere anche l'ultimo fragile puntello della ipotesi di R. S. P. Beekes, The Proterodynamic'Perfect', •KZ• 87 (1973), p. 88 sg., il quale ha interpretato la flessione di presente (medio) •proterodioamko•, in• dividuata dalla Narten, come un originario perfetto medio a vocalismo radicale *-1-, corrispondente al perfetto attivo a vocalismo radicale lungo: di fatto, risultano essere innovazioni secondarie - e non certo arcaismi - sia il perfetto medio (d. infra, S ,.2), sia - come si è mostrato ora - il perfetto • voc:alismo radicale lungo. La debolezza della ipotesi ioizialmi:ntc prospettata è stata dd resto implicitamente riconosciuta dallo stesso Beekes, il qualeha molto ridimensionato le conclusioni relative a una categoria di • perfetto protcrodinamico•, nell'articolo sul grado allungato apparso nd colloquio su W11ckernagcl(Wackernagel'sExplanation o/ the Lenghtened Grade, in Spracbwissenschaftund Philologie.Jakob W ackernagelund die Indogermanistikbeute. Kolloquium der Idg. Gcsellschaft vom 13. bis 1.5. Oktober 1988 in Basel, hg. v. H. Eichncr u. H. Rix, Wiesbadcn 1990, p . .50).

4.1..3. Ùl testimoni4nzadelle altre lingue indoeuropee

1,.3

non si lasciaoo tuttavia ricondurre ad antichi perfetti (una possibile soluzione alternativa sarà ricordata più avanti, S 4.2.2); e forti dubbi si possono avanzare anche in merito alla origine dei preteriti a suffisso *-a- (classe Ib) oppure sigmatici (classe Ili), che più facilmente saranno da aoatizzare come formazioni aoristiche 56 • Dunque, tutte queste forme dd tocario, probabilmente non derivate da perfetti originari, ben difficilmente possono fornire indicazioni attendibili riguardo alle condizioni apofoniche dd perfetto indoeuropeo. I participi preteriti raddoppiati in -u, -au (documentati in entrambi i dialetti A e B) sono formazioni nominali costruite su un antico tema di perfetto (cf. SS 2.8 e 3.1.8). Tali formazioni sono caratterizzateda un grado zero (con ulteriori adattamenti, che talora dànno origine a un vocalismo radicale breve) 51, e pertanto confermano su questo punto le indicazioni di quelle lingue indoeuropee che meglio hanno conservato il perfetto. Il tocario è stato da taluni 58 chiamato in causa come testimone - accanto a germanico, latino e celtico - di un tipo di perfetto a vocatismo lungo radicale: tale osservazione si fondava essen, zialmente sui preteriti dd dialetto B cala, yailea,lelyautlea-,etc., che corrispondono ai preteriti raddoppiati dd dialetto A. E tuttavia, una volta riconosciuto che i preteriti raddoppiati dell'agneo (fattitivi!) non sono antichi perfetti, bensl aoristi raddoppiati (cf. supra, S 3.1.8), non potrà esser diversa la interpretazione dei corrispondenti preteriti cucci a vocalismo radicale lungo (anch'essi - con pochissime eccezioni - fattitivi): tali preteriti, che evidentemente continuano un altro tipo di formazione (il cosiddetto •aoristo raddoppiato"), non possono perciò essere addotti a documentare la presenza nd tocario di un antico perfetto a vocalismo radicale lungo. Tra le lingue anatoliche, la coniugazione in -bidell'ittito è stata ritenuta da più parti un continuatore dd perfetto indoeuropeo anche in considerazione delle condizioni apofoniche presentate da alcuni

Cf. supra, S 2.8. Sui participi preteriti del tocario d. spcda]rn~utc D. Q. Adams, Tht Pre-History,cit., p. 17 sgg.; W. Krausc - W. Thomas, Tochar.Elementarbuch, cit., I, p. 241 sgg.; J. H. Juanoff, ReconstructingMorphology,cit., p. 1.34. 58 Tra i contributi più recenti in questo senso citerei quelli di Fr. Badcr, Vocalismeet redoublement,cit., p. 192 sgg., e di G. Bonfantc - R. Gcndrc, Ùl pomione linguistica,cit., p. 257 "' (entrambi con bibliografia prcccdcnte). 56

51

IV - Il vocalismoradicalenel perfetto indoeuropeo

154

verbi di tale classe: vocalismo radicale -a- nel singolare, -e- nel plurale. Opinione prevalente 59, in questa prospettiva, è che -a- del singolare rifletta un originario *-o-,mentre -e- del plurale si sarebbe sostituito secondariamente - a partire dalle radici prive di sonanti intermedie - al grado zero (assenza di vocale) che ci si sarebbe aspettati di trovare nel continuatore di un perfetto. Una variante della ipotesi sopra ricordata riconosce certamente in -a- il riflesso di un *-o-,ma interpreta -e- del plurale come vocale lunga, da connettere con i preteriti a vocalismo radicale lungo delle lingue germaniche (IV-V classe dei verbi forti, cf. supra)-. Ma altre spiegazioni, che prescindono dal riconoscimento della dipendenza dei verbi in -bida un antico perfetto, sono state formulate riguardo all'origine dell'alternanza nel vocalismo radicale riscontrabile all'interno di tale coniugazione ittita. In particolare, il Kurylowicz, in lavori 61 più recenti di quello sopra citato nella nota 59, riconduceva -a- radicale del singolare a un originario grado zero (in particolare nelle radici con sonante intermedia), ed -e- del plurale a un conguagliamento analogico sulla coniugazione in -mi (della quale il plurale dei verbi in -bicondivide le desinenze): il tutto nella prospettiva di uno specifico rapporto etimologico con il mediopassivo. Infine, Jasanoff e Hart hanno individuato nell'alternanza -a- : -e- la continuazione di una apofonia *-o-: *-e-caratteristica di una antica flessione in *-H2e62 • Una valutazione per quanto possibile obiettiva dei dati ittiti

59

Nd novero dei molti contributi in proposito, vorrei citare per lo meno: W. Bclardi, La formazione, cit., p. 115 sgg. (con bibliografia precedente); J. Kwylowicz, Le hittite, cit., p. 228 sg.; A. Kammcnhubcr, Hethitisch,cit., p. 234; W. Cowgill, More Euidence, cit., p. ,66; H. Eichner, Die Vorgeschichte,cit., p. 85 sgg. Si vedano, inoltre, in generale, gli articoli che riconoscono nella coniugazione in -bila continuazione di un perfetto indoeuropeo (citati nd S 2.9.1, note 70-71). dO In questo senso si possono citare, ad esempio, K. H. Schmidt,' Das Perfektum, cit., p. 6, e G. Schmidt, Altirisch ro-fitir, cit., p. 252 sg. 61 J. Kurylowicz, The lnflect. Categories,cit., p. 68; Id., Die heth. bi· Konjugation,cit., p. 145. 62 Cf. J. H. Jasanoff, The Position, cit., p. 86; Id., ReconstructingMorphology,cit., p. 133; G. R. Hart, The Ablaut of Present and Preteritein Hittite sg. Radical Verbs, •AnatS" 30 (1980), p.

,1

4.1.3. La testimoni4nu delle llltre lingue indoeuropee

15,

dovrebbe suggerire una estrema cautela nella loro utilizzazione in riferimento all'apofonia originaria del perfetto. Infatti, non solo - come si è ampiamente detto nel S 2.9 - sussistono fondati dubbi sulla riconducibilità di una qualunque classe flessionale dell'ittita (presente - o preterito - della coniugazione in -bi,mediopassivo) a un perfetto originari,ma, nello specifico, la stessa alternanza nel vocalismo radicale riscontrabile in una parte dei verbi in -bisi presta - come si vede - a interpretazioni diverse, tra loro ben difficilmente conciliabili. Se si aggiunge che la classe dei verbi in -bt potrebbe eventualmente configurarsi come una innovazione del solo ittito tra le lingue anatoliche (S 2.9.1 e nota 74), non può che risultarne una conclusione: la testimonianza dell'ittita - e in generale delle lingue anatoliche - non accresce in modo significativo le nostre conoscenze riguardo alla originaria apofonia radicale nel perfetto indoeuropeo, né certo può valere da supporto per stabilire l'antichità del vocalismo radicale lungo nel perfetto. Non sembra possibile chiamare in causa altre lingue indoeuropee per quel che riguarda la testimonianza di un vocalismo radicale caratteristico del perfetto indoeuropeo (ove si eccettuino le continuazioni prussiana antica, slava e armena del tipo *woyd-,cf. S .3.4). Si è ampiamente detto in altra parte (S 2.10) della difficoltà di riconoscere continuazioni di perfetti originari in alcuni presenti atematici a grado *-o-radicale delle lingue baltiche e - in parte delle lingue slave. Né paiono significativi i non molti esempi baltici e slavi nei quali il preterito mostra un vocalismo radicale lungo (oltre al caratteristico suffisso *-e-[ *-a-]): come hanno suggerito il Kurylowicz e lo Stang 63, si tratta di sviluppi secondari, da non porre in relazione con il preterito a vocalismo radicale lungo del germanico, del latino etc.

63

I due studiosi concordano su questo punto e sul rapporto di tali formazioni con l'aoristo, pur se prospettano spiegazioni in qualche misura differenti: d. J. Kurylowicz,L'apophonie, cit., p. 298 sgg.; Id., ldg. Grammatilt 11., cit., p. 318 sgg.; Chr. S. Stang, Vgl. Grammatilt, cit., p. 389 sgg. L'accostamento con i preteriti a vocalismo radicale lungo del germanico, del latino etc., prospettato dallo Stang in precedenza (Das slav. und blllt. Verbum, cit., p. 188 sgg.), e successivamente destituito di fondamento (Vgl. Grammatile, cit. sopra), ~ ancora ritenuto plausibile da G. Schmidt, lndogermanische Per/e/eta, cit., p. 133 •·

1,6

IV - Il vocalismo radicale nel per/etto indoeuropeo

Le formazioni preteritali albanesi a vocalismo radicale originariamente lungo (con alb. -o- da *-e-,*-a-)rappresentano un tipo discretamente produttivo in tale lingua"'; non è però possibile stabilire a quale genere di formazione debbano esser ricondotte (e una analisi più approfondita potrebbe, credo, condurre a una spiegazione analoga a quella evidenziata per le lingue baltiche e slave)•.

Possiamo pertanto affermare che le altre lingue indoeuropee, quelle che hanno conservato solo scarse tracce frammentarie del perfetto indoeuropeo, poco o nulla aggiungono al quadro delle conoscenze disponibili riguardo al grado apofonico caratteristico di tale tema flessionale. Un grado radicale * -o-è infatti certamente documentato, ma in formazioni che probabilmente non risalgono ad antichi perfetti; il grado zero, meglio testimoniato, non alterna però mai con "forme forti" a vocalismo radicale *-o-(si ricordi che nei verbi ittiti in -!;i citati al riguardo il plurale comunque si presenta con un vocalismo radicale -e- !) .

4.2. Distribuzione del grado *-0- radicale in altri temi flessionali. L'alternanza apofonica radicale tra *-o-e *-0- rappresentava dunque, come si è visto, un "modulo" (cioè un morfema) tipico del perfetto indoeuropeo 66 ; ma possiamo spingerci ad affermare che il

Su tali formazioni d. da ultimo G. Schmidt, Indogermtlnische Perfeltta, cit., p. 131 sg. 65 L'argomento meriterebbe uno studio spcdfico, che sin qui a quanto mi risulta - non è stato ancora compiuto: lo Schmidt, cit. nota prcc., si limita alla menzione dei fatti albanesi, ma senza entrare nel merito della questione; l'ampia grammatica storica del Demiraj (Grtlmtltilte historike, cit., pp. 93 sg. e 783), segnala soltanto che l'alternanza nel vocalismo radicale tra presente e preterito è anteriore ai prestiti latini, nei quali -l-, -.i- vengono adattati con +, + albanesi (ma questo è vero sino a un certo punto, come ho awto modo di notare ad altro proposito, d. Su Untl presunta peculitlrit~ fonetica dei prestiti greco antichi in albanese, •ssL• 28 [1988], p. 147 sgg.}. Se non erro, dunque, fin qui è mancata un'analisi del problema in prospettiva indoeuropea. 66 Nel negare l'antichità del grado *4 nel perfetto i.e., K. H. Schmidt, Die vorgesch. Grundlagen, cit., p. 78 sg., si lasciava condizionare dall'errata attribuzione di alta antichità ai cosiddetti "perfetti intensivi• del greco antico (sui quali d. S 3.1.3 e nota 1,). 61

4.2. Distribuzionedel grado *- -a-), non alternante, che dall'Oettinger è stato rintracciato in alcune formazioni luvie di presente con raddoppiamento, ipoteticamente riportate a un originario intensivo: oltre al recentissimo articolo di N. Oettinger, Die heth. Verbalstiimme, cit., p. 229, si veda anche F. Starke, Keilschri/tluwisch mani-'tt, dt., p. 146 sg. 85

,6

4.2.2. Formazioni non radicali a vocalismo

*-o-

163

I numerosissimi esempi, diffusi, come detto, in varie lingue storiche, possono suggerire diversi tipi di analisi. Taluni 88 hanno ritenuto di evidenziare resistenza di una sola categoria flessionale, a valore inizialmente iterativo(-intensivo), in ultima analisi di origine denominale; secondariamente, in séguito alla creazione di iterativi (intensivi) a raddoppiamento, la valenza di questi temi a grado *-o- radicale e suffisso *-éye/o-(*-aye/o-) sarebbe divenuta prevalentemente fattitiva. L'origine denominale 89 suggerirebbe di ricostruire un grado zero originario, cui si sarebbe poi sostituito il grado *-o-effettivamente documentato - direttamente o indirettamente - nelle diverse lingue indoeuropee. Mi pare più prudente, tuttavia, attenersi alla documentazione disponibile, e, senza proiettarsi in una lontana preistoria, individuare almeno due tipi di temi a grado radicale *-o-e suffisso contenente *-y-90: a) causativi. Il suffisso si presenta costantemente come *-éye/o-, e il senso è fattitivo (o transitivo, nel caso di radici primariamente intransitive) 91 : di tale formazione sono documentati moltis88

Al riguardo, in una bibliografia piuttosto ampia, non si può comunque fare a meno di ricordare in particolar modo l'analisi compiuta dal Kurylowicz in più occasioni (L'apophonie, cit., p. 88 sgg.; The lnflect. Categories, cit., p. 86 sgg.; ldg. Grammatile - Il., cit., p. 277 sgg.). Opinioni in larga misura analoghe - pur se più sommarie - sono espresse da O. Szemerényi, Ein• /uhrung, cit., p. 295 sg. (al quale si può far riferimento per ulteriori indicazioni bibliografiche; per i contributi precedenti agli anni '50 d. anche la 3• ediz. di A. Thumb, Handbuch des Sanslerit, cit., 1/2, p. 234 sgg.). 89 Il Kurylowicz fa riferimento a un nome radicale quale punto di partenza per tali formazioni iterative, poi causative; il Michelini (*a indoeuropeo, cit., p. 451), ad esempio, compie un passo ulteriore, e propone di muovere da nomina agentis del tipo gr. -ro~. 90 Quella che segue è, in sostanza, la posizione già assunta dal Brugmann, Grundriss der vergleichenden Grommatile der indogermanischen Sprachen, 2• ediz., 11/3, Strassburg 1913, p. 247 (sia pure in un quadro che in ultima analisi attribuiva a tutte queste formazioni un'origine denominale). La più recente rassegna sui verbi in *-éye/er nelle lingue indoeuropee è quella di W. Hock, Die slav. i-Verben, cit., p. 74 sg. (con ricca bibliografia in apparato). 91 Sul valore originario di tali formazioni si può da ultimo vedere A. Lubotsky, The Vedic -aya-Formations, cit., p. 109. Il Lubotsky distingue tra "fattitivo" e "causativo" (in italiano grosso modo rappresentabile come opposizione tra il tipo 'arricchire', 'accecare' - cioè 'render ricco. cieco' - da un lato, e il tipo 'far vedere', 'far crescere', etc. dall'altro); in questa sede, dal

164

IV • Il vocalismo raditalt nel perfetto indoeuropeo

si.mi esempi nell'indiano antico (in cui non è attestato un senso iterativo o intensivo) 92, nell'avestico 93 e nel persiano antico (entrambi apparentemente privi di esempi a valore iterativo) 94 , nel greco antico (in cui sia i causativi che gli iterativo-intensivi sono confluiti nella flessione del presente in -Éw)95 , nel germanico (verbi deboli della I classe, nella quale sono incluse anche alcune formazioni a valenza iterativa o intensiva) 96 , nel latino"', nell'italico 98 , nel celtico (dove momento che tale sottile differenza non ha rilievo nella trattazione, e comunque spesso sfugge nella ricostruzione di fasi predocwnentarie, si preferisce utilizzare il termine "causativo" esclusivamente come sostantivo, con riferimento specifico a un tipo di formazione dotato di senso "fattitivo" (ovvero "causativale"). 92 Più che alle tradizionali grammatiche storiche o descritti.ve dell'indiano antico, oggi si può direttamente far riferimento all'accurato studio di S. W. Jamison, Function, cit. (specie p. 78 sgg.; a p. 183 sgg. si esclude la presenza di valore iterativo-intensivo nelle formazioni in questione), integrato dalle importanti osservazioni di T. Goto, nella recensione apparsa in "IIJ" 31 (1988), 4, p. 303 sgg., e di A. Lubotsky, The Ved. -a.ya-Formations,cit., p. 89 sgg. Il vocalismo di tali formazioni causativali è prevalentemente riconducibile • *-o-(d. Jamison, cit. sopra, pp. 178 e 202 sgg.), ma non mancano formazioni a grado zero (per le quali il Lubotsky, ad es., rivendica - pp. 105 e 107 un carattere ugualmente antico). Più avanti si dirà delle formazioni a vocalismo radicale indiano -a-(d. infra e note 103-104). 93 Cf. in particolare H. Reichelt, Awestisches Elementarbuch, cit., p. 118 sgg.; J. Kellens, Le verbe avestique, eit., p. 141 sgg. ,.. Per il persiano antico d. ad es. R. G. Kent, Old Persian, cit., p. 72 sg. Riguardo all'assenza di un tipo di formazione in -aiia- a valenza iterativa nell'avestico d. in particolare J. Kellens, Le verbe avestique, cit., p. 148 e nota 1 (a p. 150), e ancora p. 134 e nota 1. 95 Cf. in particolare E. Schwyzer, Griechische Grammatilt, cit., I, pp. 717 e 719 sgg.; altri dati in A. L. Sihler, New Compa,. Grammar, cit., p. 503 sgg. Sugli esempi a vocalismo radicale lungo d. infra. 96 Per una prima informazione si veda ad es. W. Meid, apud H. Krahe, Germ. Sp,achwissenscha/t, eit., III, p. 243 sgg. (§ 185); alla luce degli esempi disponibili non sembra possibile, dunque, convenire con l'opinione de1 Kurylowicz, il quale (L'apophonie, cit., p. 91 sg.) negava l'esistenza di formazioni iterative di questo tipo nelle lingue germaniche. "' Cf., ad es., M. Leumann, Lat. Laut- und Formenlehre, cit., p. 540 sg., e A. L. Sihler, New Compa,. Grammar, cit., pp. 503 sgg. e 531 sg., i quali opportunamente ribadiscono che non sono denominali le formazioni latine - a valenza causativa o, più raramente, intensiva o iterativa - uscenti in -eo (*-eyo) e aventi grado radicale -o- (del ti.po moneo, mordeo etc.). 98 Sui causativi italici d. in prima istanza R. von Pianta, Grammatilt, dt., Il, p. 238 sg.

4.2.2. Por11111%ioni non radicali a vocalismo •❖

165

non sono distinti causativi e iterativo-intensivi originari) 99 , nel baltico 100, nello slavo (dove sono confluiti nella classe dei verbi in -i- al pari di un gruppo di antichi iterativi) 101, nell'albanese 102• La casistica indo-iranica, con ampia testimonianza di un vocalismo radicale -a- in sillaba aperta, andrà presumibilmente considerata uno sviluppo secondario 103• Alcuni esempi latini e germanici (lat. sopio,

99

Cf. ad es. H. Pcderscn, Vgl. Grammatik, cit., II, p. 340; R. Thurneysen, A Grammar, cit., p. 336 sg.; J. Vendrycs, Restes, cit., pp. 288 e 291; K. H. Schmidt, Die idg. e-Praesentia,cit., p. 204; W. Meid, Keltisches 11114 idg. Verbalsystem, cit., p. 125; K. R. McCone, From Indo-European to Old Irish, cit., pp. 230 e 232. 100 Nelle lingue baltiche la situazione ~ estremamente complessa, per l'estrema produttività dell'elemento suffissale *-ye/o-, molto al di là delle formazioni che qui interessano. Comunque, continuatori di un antico causativo in *-iye/o- (e a grado vocalico *-o- radicale) sembrerebbero identificabili nei verbi lett. gràuzdeiu, ;auce;11etc. (d. Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verb11m,cit., p. 164 sgg. e, più dubitativamente, Vgl. Grammatik, cit., p. 362 sg.). Sembrano invece essere formazioni in origine iterative quelle in *-ili (lit. -yti, lett. -lt), nelle quali talora compare l'esito di un antico grado *-o- radicale: si veda ad es. lo Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., p. 147 sgg., e Vgl. Grammatik, cit., p. 325 sgg. 101 La trattazione forse più ampia al riguardo ~ quella del Vaillant, Grammaire, cit., III, p. 414 sgg. (per quel che riguarda i causativi) e p. 410 sgg. (per quel che riguarda gli iterativi). Non tutti ammettono, comunque, che il tipo slavo a suffisso .;. sia riconducibile a un antico tipo a suffisso *-lye/o-: contro tale ipotesi - ora ripresa, con ampia dimostrazione, da W. Hock, Die balt. slav. i-Verben, cit., p. 74 sgg. - d. ad es. Chr. S. Stang, Das slav. 11114 Verb11m,cit., p. 25 sgg. 102 Nella lingua albanese sono rintracciabili continuazioni di antichi causativi a grado *-o- e suffisso *-iye/o-. Tali formazioni, ridotte a poche unità e non riunite in un'autonoma classe flessionale, sono (cito quelle che sono riuscito a identificare in base alla bibliografia a mia disposizione): dhez, 114el 'io accendo' (da un *dhog••béyo),heq 'io tiro' (*solklyo), mbar 'io trasporto' (*[en]bhorlyo), sic.-alb. qell 'io porto' (*/eWoUyo): d. H. Pederscn, Die G11t• 111,aleim Albanesischen, "KZ" 36 (1900), pp. 278 e 323 sg.; N. Jokl, Beitriige

albanischm Grammatik. 4. Die Verbreitung de, Dehnstufebild11ngenim Albanischen, "IF" 37 (1916-17), p. 105; Id., Linguistisch-kulturhistorische Unters11eh11ngen aus dem Bereiche des Albaniscben, Berlin-Leipzig 1923, nota 1 a p. 266. A questi esempi andrà aggiunto ancora l'alb. te, 'io asciugo, c:liuecco',di cui si ~ detto nel I volume, nota 757 a p. 294 sg. 1o:1Risultato di innovazione analogica secondo vari studiosi, effetto della "lcgc di Bnigmaon• secondo altri (d. supra, S 4.1.1 e note 4-5). Qualunque sia la spiegazione che si voglia accogliere, si dovrà com,mque concludere che

%tir

166

IV - Il vocalismo radicale nel perfetto indoeuropeo

nord. ant. sé/a etc.) hanno indotto taluni 104 a postulare l'esistenza di un secondo tipo di formazioni causativali, a grado radicale *-6- e suffisso *-yeI o- (cui si ricondurrebbe anche il tipo slavo a suffisso -i-, d. supra); si tratta comunque, come è stato notato 1115, di una ipotesi suffragata da indizi non decisivi. b) iterativo-intensivi. Nelle lingue indoeuropee sono documentati due tipi di formazioni a valore iterativo-intensivo. Il primo tipo coincide formalmente con i causativi in *-éye/o-, e presenta anch'esso vocalismo *-o-radicale. Come si è detto, più di uno studioso ha fatto derivare i causativi (d. a) da questo tipo di formazione iterativa; e tuttavia, può sorgere più di una perplessità riguardo a una tale argomentazione, non solo per la difficoltà di ridurre una semantica fattitiva ad una iterativa (o intensiva), ma anche in considerazione della distribuzione riscontrabile nelle diverse lingue indoeuropee. Infatti, se il tipo iterativo fosse da considerare il più antico, ci attenderemmo che almeno qualche area linguistica indoeuropea particolarmente conservativa documentasse tracce dei soli iterativi in *-éyeI o-: al contrario, in più aree (indiano antico, iranico, albanese, probabilmente baltico) sono soltanto attestate proprio quelle formazioni di causativo in *-éye/o- che sarebbero secondarie (senza alcuna traccia di antichi iterativi) 1116, in altre sono compresenti entrambi i tipi, mentre non risultano esservi esempi di aree linguistiche indoeuropee nelle quali si abbiano i soli

il vocalismo radicale del causativo indo-iranico va in ultima analisi ricondotto

*-o-e

non a un *-o-. Oltre al Meillet, Introduction, cit., p. 212, d. soprattutto G. Klingenschmitt, Zum Ab/aut des indogermanischen Kausativs, "KZ" 92 (1978), p. 1 sgg. (specie p. 12 sg.), e L. Isebaert, Spuren akrostatischer Prasensflexion im Lateinischen, in Latein und Indogermanisch, cit., p. 200 sgg. (con ulteriore bibliografia alla nota 41). Il Klingenschmitt, in particolare, è incline a ritenere che formazioni di questo genere abbiano sublto metaplasmo ncll'indo-iranico, per confondersi con il comune tipo a suffisso -aya- (e a vocale radicale -à-, la quale, secondo lo studioso, è il risultato di *-o-per effetto del meccanismo descritto dalla "legge di Brugmann"). 105 Cf. A. Bammesberger,Zur Bildungsweise des i11dogermanische11 Kous11tivs, "KZ" 94 (1980), 1-2, p. 4 sgg. · 1116 Appartengono ad un altro tipo di formazione, quello dei temi (am> tonici!) in *-ye/o-, i rari iterativo-intensivi tocari a grado *-o- radicale, come ad es. B mely- [A malyw-] 'macinare, pestare', B ltery- [A ltary-] 'ridere', etc.: d. ad es. D. Q. Adams, Tocharian Histor . ... Morphology, cit., p. a un

104

1,.

4.2.2. Formazioninon radicali a vocalismo *-o-

167

iterat1v1 m *-éye/o-. Certamente una siffatta argomentazione non può avere valore di prova, ma sembra costituire un discreto indizio contrario alla identificazione diacronica delle sopra ricordate formazioni di causativi e iterativo-intensivi. Alcune lingue indoeuropee denotano una notevole produttività di un secondo tipo di iterativo (raramente provvisto di una nuance intensiva), in *-iye/o-: le formazioni appartenenti a questa classe spesso presentano un vocalismo *-o-radicale, anche se vi è un notevole spettro di altre possibilità, dal grado zero (il più comune, dopo *-o-), a vari tipi a vocale lunga (tra i quali è abbastanza frequente *-o-) 101• La parziale concordanza con i verbi denominali che questi iterativi in *-4ye/o- presentano per quel che riguarda la notevole gamma di possibilità del vocalismo radicale sembra comunque da interpretare come il risultato di un accostamento secondario, piuttosto che di una affinità etimologica 108• Esempi del tipo iterativo a suffisso *-4ye/o-, con grado *-o- radicale, sono rintracciabili per lo meno nel greco antico 109, nel germanico 110, nel baltico 111, 101

Si veda in proposito L. Isebaert, Spuren, cit., p. 202 sgg. (il quale pone tali formazioni a vocalismo lungo radicale in rapporto con antichi presenti radicali atematici "proterodinamici", cioè acrotonici con vocalismo lungo nelle forme forti). 108 Si veda, ad esempio, quanto osservava in riferimento al greco già lo Schwyzer, Griechische Grammatile,cit., I, p. 718 sgg. Riguardo all'origine degli esempi a vocalismo radicale lungo cf. anche quanto qui ricordato nella nota precedente. 109 C:Omead es. ffo-tcioµti~ etc. Lo Schwyzer, cit. nota prec., fornisce un elenco di verbi (soltanto iterativi) appartenenti a questo tipo; per il periodo più antico cf. anche P. Chantraine, Grammaire homlrique, cit., I, p. 358. 110 C:Onvalore sia intensivo che iterativo, del tipo got. h,arbon 'vagare, girovagare' etc.: cf. ad es. W. Meid, apud H. Krahe, Germ. Sprachwissenschaft, cit., III, p. 240 sgg. (S 183.2); sono meno frequenti i casi a vocalismo *.Sradicale, rari gli esempi con grado *-e- o vocalismo lungo radicale. · 111 Nelle lingue baltiche si possono distinguere due tipi principali: i temi a grado radicale *4 (più raramente *-0- o allungato) e suffisso *-4ye/o-, tematici, prevalentemente documentati nel lettone (vada;u 'porto qua e là' etc.), e i temi a grado radicale *4 (più raramente *-0- o allungato}, ma con suffisso -à-/-iti (semitematici, a valenza iterativa o intensiva originaria), ben documentati specialmente nel lituano; non ~ chiaro se il suffisso riscontrabile in questo secondo tipo possa essere ricondotto a un *-àye/o-, o debba invece esser confrontato con i causativi e iterativi in -i- baltici e slavi (cf. supra note 100-101). Per una trattazione al riguardo cf. in primo luogo Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., pp. 156 sg. e 147 sgg. rispettivamente; ulteriori indicazioni

168

IV - Il vocalismo radicalenel pe,felto indonropeo

ncllo slavo 112, forse nel latino 113 e nel celtico 11•. Si può dunque ritenere che le lingue indoeuropee continuino più di un tipo di formazioni deverbali in antico caratterizzate da vocalismo radicale *-o-e suffisso (tonico): appare sicura la ricostruzione di causativi con suffisso *-éye/o-, assai probabile quella di iterativo-intensivi di analoga struttura (ma distinti dai causativi), oppure con suffisso *-4ye/ o- 115•

[5. aoristo raddoppiato.] Alcuni studiosi hanno recentemente riproposto l'ipotesi che l'aoristo raddoppiato presentasse in origine - per lo meno nelle forme atematiche documentate in vedico nella Vgl. Grammatile,cit., pp. 360 sg. e 325 sgg. rispettivamente, e in G. Michelini, I deverbativi •indoeuropei• in *-1-//*-ii.e/~; con particolare riferimento olle lingue baltiche, •Baltistica• 13 (1977), p. 252 sgg. 112 A parte un gruppo di iterativi antichi a vocalismo radicale *4 (scrbo-cr. g6nati etc.: d. A. Vaillant, Grammaire, cit., III, p. 358), va ricordata l'ampia e proouttiva classe flessionale degli imperfettivi - originari iterativi - in -a;e-,-ati (o -iati), nella quale si~ comunque determinato un allungamento (probabilmente secondario) della vocale radicale, sicché di fatto il grado *4 non ~ testimoniato in questo tipo (d. A. Vaillant, cit. sopra, p. 476 sgg.). 113 Il latino conosce certamente intensivi (e iterativi) in -ire (d. ad es. M. Lcumann, Lat. Laut- und Formenleh,e, cit., p. 549 sgg.), e ancor più ampio ~ il novero degli iterativi in -tiire (su cui d. già M.-L. Sjocstcdt, Les itbati/1 latins en -tirc (-sire), •BSL• 25 [1925], 3, p. 153 sgg.); in questi casi, tuttavia, tende a generalizzarsi un vocalismo radicale lungo (-i-, come in sidare, ciliire, oppure -o-,come in plora,e, solari etc., d. L. Iscbaert, Spu,en, cit., p. 202 sgg.), oppure *-0- (d. ad es. J. Vendryes, Su, (JUel(Juesprbents en -i- du uerbe italo-celti(Jue,•MSL• 16, 5 [1909], p. 303 sgg., A. Mcillet - J. Vendryes, Traiti, cit., p. 287, e A. L. Sihler, New Campa,. Grammar, cit., pp. 505 e 528), e solo /orbe, tonare, forse vo,a,e - più difficilmente inte,poliire - potrebbero testimoniare un originario grado *4 (se /or-, in forare, riflette un *bhor-, come suggeriscono Emout e Mcillet, Dici. étym. lat., cit., p. 248 sg.; né si dimentichi che tonare ~ allotropo del raro tonlre). Non sono infine chiari valenza originaria e tipo di formazione di domare, p,ocare, uocire (su cui d. già K. Brugmann, Grundriss, cit., 11/3, p. 162 sg.). 11 " Nelle lingue celtiche ~ ben documentato un gruppo di temi di presente in -a-,che in parte continuano un tipo a suffisso *.Jye/o- (d. H. Pcdersen, V gl. Grammatile,cit., II, p. 339 sg.), a valenza intensivo-durativa (cosl M.-L. Sjocstcdt, l. cit. nota prcc.), in parte sono di origine denominale (d. R. Thumcyscn, A Grammar, cit., p. 336 sgg.). 115 Tra gli studi più recenti, si può ricordare che una tale conclusione ~ fatta propria, ad esempio, da J. H. Jasanoff, Reconstructing Morpholoa,, cit., p. 130.

4.2.2. Formavont non radicali a vocalismo

•❖

169

un grado apofonico radicale *-o-(grado zero nelle forme deboli) 116• In particolare, esempi quali l'ind. ant. II sing. a1ìgar(documentato sia per gf-,ir-'ingoiare' cheper ir-1gr- 'svegliarsi'), alternante con il tipo ;igrtam, pgrta (imperat. II du. e plur. di ir-/gr- 'svegliarsi'), sembrerebbero costituire, considerata l'assenza di palatalizzazione della velare iniziale, un buon indizio per la ricostruzione di un vocalismo radicale *-o-(cf. il perfetto ;aglraetc., con mancanza di palatalizzazione avanti a *-o-) 117• Una prudente valutazione dei dati indiani antichi impone comun• que di ridimensionare l'importanza degli esempi sopra ricordati, per lo meno in riferimento all'intera categoria dell'aoristo raddoppiato: è vero che si tratta di forme atematiche, all'apparenza più arcaiche rispetto al comune aoristo raddoppiato tematico (tipo a1iianat),ma gli altri pochi esempi atematici (aulhar,sitvap) non forniscono alcuna indicazione chiara sul timbro della vocale radicale. Probabilmente ha ragione il Burrow allorché propone di considerare le forme atematiche come « an alternative typc of the reduplicated aorist which was early abandoned owing to the prevalence of thc thematic typc » 111; anche il parellelo con il presente raddoppiato atematico e tematico, per quel che concerne la forma del tema 119, è senz'altro ragionevole, ma non getta molta luce sulla questione del timbro vocalico radicale (è comunque soltanto un'ipotesi, oltre tutto non generalmente accettata, quella che individua in una parte dei presenti raddoppiati atematici indiani antichi il riflesso di un originario grado *-o-radicale, cf. supra e nota 85). Né vanno sottovalutati tre elementi: a) la maggior parte degli aoristi raddoppiati indiani mostra invece un grado zero radicale 131; b) la mancata palatalizzazione di -g- in a1ìgarpo-

116

In questo senso si veda, ad esempio, il recente contributo di

J. E.

Rasmussen,One Type of o-Grade: a Consonantal Root In/ix?, in Rekonstruletion und relatiue Chronologie. Aktcn der VIII. Fachtagung der Indogermanischen Gesellschaft (Leiden, .31. Aug. - 4. Sept. 1987), hg. v. R. [S. P.] Bcckes, A. Lubotsky u. J. Wcitenbcrg, Innsbruck 1992 (= IBS, 6,), p. 3.37. 117 Sulle forme verbali della radice ir-1 gr- 'svegliarsi' d. anche quanto segnalato in Studio sul perfetto, cit., I, p. 266 sgg. 111 T. Burrow, The Sanskrit unguage, cit., p . .3.3, sg. 119 Ibid., p. 3.36. 131 Su questo punto insiste particolarmente L. Renou, Gramm. de la langue vlditJue, cit., pp . .36 sgg. e 286, e soprattutto Grammaire Sanscrite, Paria 1961, p. 444; d. anche P. Thicme, Das PlustJuamperfektum, cit., p. 10 sgg., e S. W. Jamison, Function, cit., p. 216 sgg. (con l'indicazione dei principali

esempi).

IV - Il vocalismo radicalenel perfetto inJoe14ropeo

170

trebbe dipendere da un fatto analogico (influenza dell'imperativo ;igrtam,iigrta,o del perfetto ;ag4ra,o di altre forme ancora), e in tal caso non dimostrerebbe nulla riguardo al timbro originari.odella vocale radicale; e) le altre lingue indoeuropee che presentano - sia pure in misura assai ridotta - aoristi raddoppiati, vale a dire il greco, il tocario (A), il latino, il germanico e l'armeno (le ultime tre aree linguistiche con esempi isolati), non evidenziano in alcun modo un originario vocalismo *-o-radicale 121• Mi pare, pertanto, che l'attribuzione di un grado *-o-radicale all'aoristo raddoppiato non poggi su basi sufficienti perché possa esser senz'altro accolta; tutt'al più si potrà - problematicamente ricostruire un tale vocalismo radicale per un ristretto gruppo di forme atematiche indiane antiche, senza che comunque questo dato possa esser riferito all'intera categoria degli aoristi raddoppiati. 6. "aoristo passivo". Sotto la denominazione di "aoristo passivo" sono tradizionalmente riunite alcune forme indo-iraniche di III persona sing. a grado pieno radicale e desinenza -i (tipo ind. ant. 4sar;;, aceti, aroci etc.) 122; la testimonianza dell'indiano antico 123

121

Nella ventina cli esempi greci è normale il grado zero, ove si ccccttuino alcune forme a "raddoppiamento attico• (tra le quali solo i:>popcpresenta grado -o-): d. P. Chantraine, Morphol. historique, cit., p. 192. Quanto al tocario A, il vocalismo è *-0- oppure *-l-, d. D. Q. Adams, Tocharian Hist . ... Morphology, cit., p. 87, o ancora A. J. Van Windekens, Le tokharien, cit., 11/2, p. 143. Per quel che riguarda, poi, il latino tet1gi, pepuli, non può esservi evidenza cli un vocalismo *4 radicale, il got. taJtok semmai riflette una vocale lunga radicale, e l'arm. arari, infine, è un esempio a "raddoppiamento attico•, e con vocalismo radicale diverso da *4. 122 Qui e nel séguito della trattazione indicherò con la denominazione "aoristo passivo• la formazione indo-iranica (con alcune corrispondenze in altre linguè indoeuropee, d. infra) tradizionalmente classificata con tale nome; il cosiddetto "aoristo passivo• del greco antico, che presenta caratteri peculiari, e del quale si avrà modo cli parlare più avanti (S 6.4.2), sarà invece sempre indicato più specificamente come • aoristo passivo greco•. 123 Sulle forme indiane antiche, oltre ad A. Thumb, Handbuch des Sanskrit, dt., 1/2, p. 298 sg., d. soprattutto S. Insler, The Origin of the San~krit Passive Aorist, "IF" 73 (1968), p. 312 sgg., e S. Migron, The Rgvedic Passive Aorist in -i. A FunctioMl Study, "FoL • 8 (197.5), p. 271 sgg.; sulle (più rare) forme avestiche e persiane antiche - che mostrano una perfetta concordanza con il veclico, ove si ccccttui, ovviamente, l'assen,;a dell'accento-, d. specialmente J. Gonda, Remarks on the Sanskrit Passive, Lcidcn 19-'1,

4.2.2. Formazioni non radicali a vocalismo

•❖

171

evidenzia una generale acrotonia, anche nelle non rare forme di ingiuntivo (céti etc.), e la tendenza all'allungamento di -a- radicale etc.), esattamente come nel causativo e nella in sillaba.aperta (aie.ari, III sing. del perfetto. Il cosiddetto "aoristo passivo" tende ad assumere un senso propriamente passivo solo nella maggior parte delle radici transitive sulle quali può esser costituito; ma basterebbe ricordare come una consistente percentuale degli aoristi passivi indiani antichi appartenga a radici intransitive per convincersi del fatto che la valenza originaria di tale classe flessionale doveva essere intransitivo-impersonale, e non passiva 12A. L'opinione tradizionale tendeva a riconoscere in tale formazione la continuazione di un grado *-e- radicale 125• Più recentemente è stato sottolineato, con ragione, come l'aoristo passivo presenti in vedico condizioni apofoniche assolutamente identiche a quelle del causativo e del perfetto 126: di qui, considerata anche la mancata palats1izzazionedella velare in akari, agamietc., la ben fondata ipotesi che anche nell'"aoristo passivo" indoario si continui un grado *-o-originario. Se ha ragione, poi, S. Insler 127, agli esempi di III sing. in -i dell'"aoristo passivo" andrà aggiunta una serie di forme vediche di III plur. in -ran, caratterizzate da grado zero radicale: in tal caso, si dovrà pensare a un tipo apofonico alternante, cosl come

p. 101, e, in parte, J. Kcllens, ù verbe avestique, cit., p . .3.53sgg. (le forme di •aoristo passivo" sono dal Kcllcns menzionate assieme a quelle degli aoristi radicali, e solo a p. 361 è presente un riferimento specifico). l2A Cf. in proposito soprattutto i lavori di S. lnsler, S. Migron e J. Gonda (p. 49 sgg.), citati nella nota precedente, e ancora W. Bclardi, La formazione, cit., nota 2 a p. 106. O. Szcmerényi, forse ingannato da una lettura frettolosa, nella sua Einfuhrung, cit., p. 305, afferma che il Migron « [ ... ] die Form als ein richtiges Passiv anschen will [ ...] i.; in realtà il Migron (pp. 293 e 299) parla di "passivo del perfetto" [?], ma anche di "impersonale". Il Migron (p. 299 sg.) sottolinea anche, giustamente, che tale formazione non è affatto aoristica, ma presenta semmai più punti di contatto con il perfetto. 125 In questo senso cf. ad es. C. Watkins, Idg. Grammatik - III., cit., p. 138 sg. (singolarmente in contrasto con quanto precedentemente da lui stesso accennato a p. 52 - sulla base, comunque, di argomentazioni alquanto deboli). 126 Tra i più significativi contributi in questo senso vanno ricordati J. Kurylowicz, The lnflect. Categories, cit., p. 76 (dove esplicitamente si parla di un grado -o- radicale); Id., Idg. Grammatik - II., cit., p. 288; R. Ambrosini, Concordanze, cit., p. 79 sg.; S. Inslcr, The Origin, cit., pp. 313 sg. e 332 sgg.; J. Puhvcl, •Perfect Tense", cit., p. 634. 127 S. Inslcr, The Origin, cit., p. 318 sgg.

IV - Il vocalismortldicale"el perfetto itsdonropeo

172

nel perfetto e nell'intensivo, tra forme forti a vocalismo *-o-e forme deboli a grado zero radicale. Le conclusioni ora ricordate hanno recentemente trovato supporto nella comparazione con un altro gruppo linguistico indoeuropeo, il tocario. In questa lingua, infatti, compaiono formazioni di congiuntivo atematico (classe I) o a suffisso *-i- (classe V) che, per via dell'alternanza apofonica radicale *-o-I *-0-, erano tradizionalmente - e a torto, d. supra S 2.8 - riportate ad antichi perfetti; più verisimile, almeno dal punto di vista formale, ~ l'ipotesi che tali congiuntivi costituiscano una controparte dell'aoristo passivo indo-iranico 121, del quale condividono la struttura radicale e l'assenza del raddoppiamento (le desinenze sono le normali desinenze atematiche nella I classe - rappresentata soprattutto nel dialetto B -, tematiche nella V classe 129). Se rimane ancora difficile spiegare in termini generali il passaggio da un valore genericamente intransitivo (o impersonale), quale viene evidenziato nelle formazioni indo-iraniche, al valore modale proprio dei congiuntivi tocari 130, tuttavia non può non colpire la perfetta confrontabilità di un buon numero di aoristi passivi indiani con congiuntivi tocari della I e V classe tratti dalle medesime radici indoeuropee 131• A titolo di informazione, si può ricordare che anche alcuni verbi ittiti della coniugazione in -!Jisono stati confrontati con aoristo

r•

128

Cf. J. H. Jasanoff, The IE. •a-Preterite",cit., p. 82 sg. (dove si menziona un primo tentativo in tal senso prospettato da P. Hollificld); Id., Reconstr11ctingMorphology,cit., p. 141 sgg. (specie pp. 14,-148); Id., Aspects, cit., p. 16, sg.; si veda inoltre G.-J.Pinault, Introduction, cit., p. 14, sg. 129 Per una sintesi relativa ai congiuntivi tocari della I e della V eluse si veda G.-J. Pinault, Introduction, cit., p. 14, sg., meglio di D.Q. Adams, TocharianHist. ... Morphology,cit., p. 78 sgg.; d. inoltre le osservazioniqui presentate nel S 2.8 e note ,1.,2. 130 Anche se il Jasanoff (artt. citt. nella nota 128) muove dal presupposto che la formazione alla base dcli'• aoristo passivo,. indo-iranico e del congiuntivo tocario fosse aoristica (aoristo radicale in *-Hze) - ci~ perfettiva -, e di qui fa discendere facilmente il passaggio a valenze modali (ad esprimere eventualità, possibilità nel futuro, etc.), si deve peroobiettare che gli indizi disponibili non offrono valido suppono a una tale premessa: l'aoristo passivo indoiranico, infatti, non presenta in alcun modo valenza perfettiva, ci~ aoristica (d. supra e nota 124), e deve il proprio nome esclusivamente alla connessione - secondaria - con forme preteritali (specia)rn,.nte aoristi), in funzione di passivo. 131 Cf. J. H. Jasanoff, Recomtr11eting Morpboloa. cit., p. 146 sg.

4.2.2. Formazioninon rt1dicalia vocalismo*-0-

173

passivo" indo-iranico e i congiuntivi tocari della I e V classe; ma al di là di alcune difficoltà di ordine formale 132, la comparazione rimane comunque problematica in rapporto al particolare - e per molti versi ancora oscuro - status delle lingue anatoliche {senza contare le molteplici questioni connesse con l'origine della coniugazione in -/;i, d. supra, S 2.9.1). 4.3. Distribuzione del grado *-0- in altri temi flessionali. Prima di trarre alcune conclusioni dalla sommaria rassegna relativa alle categorie flessionali originariamente caratterizzate da un vocalismo radicale *-o-{alternante con il grado zero delle forme deboli, oppure generalizzato all'intera flessione), converrà brevemente ricordare quanto sia ampia l 'uti1izzazione del grado zero nel sistema verbale indoeuropeo 133• Tale grado apofonico radicale {nel quale riunisco, come detto nell'introduzione - § 1.4 -, sia i casi di mancanza di vocale, sia quelli in cui l'assenza della vocale fa emergere la sillabicità di una sonante contigua) limitatamente alle forme tematiche gioca certo un ruolo fondamentale nella differenziazione aspettuale di un aoristo {perfettivo) rispetto a un presente (imperfettivo): l'aoristo tematico doveva presentare per l'appunto un grado zero, mentre il presente tematico tendeva a "prediligere" il grado *-e-134•

132

Riconosciute, del resto, dallo stesso Jasanoff, cit. nota prcc., p. 145. La letteratura sull'argomento è talmente vasta che non è facile neppure operare una ragionevole selezione dei titoli più significativi (e del resto non avrebbesenso nel presente lavoro, incentrato su altra tematica). Mi limito, pertanto, a scgnalarc J. Kurylowicz, L'apopbonie, cit., p. 97 sgg., pct quel che riguarda specialmente le conseguenze fonetiche della perdita della vocale nel grado zero; sull'utilizzazione del grado zero quale morfema distintivo di classi flessionali d. ad es. la Idg. Grammatilt - II., cit., p. 208 sgg., dello stesso Kurylowicz, e i vari manuali di morfologia indoeuropea (per la bibliografia più aggiornata si può consultare ad es. O. Szemcrényi, Einfuhrung, cit., pp. 86 sgg. e 116 sgg.). 134 Il Lazzcroni, Fra glottogoniae storitl: i verbi st1nscritidella VI classe, •SSL" 18 (1978), p. 135 sgg., e Frt1glottogoniae storia: ipotesi, cit., p. 34 sg., mostra comunque che l'aoristo tematico costituisce una innovazione a partire dall'aoristo radicale, di cui continua il grado zero delle forme deboli (scanatamcnte la III pcnona plur.). 133

174

IV - Il vocalismo radicale nel perfetto indoeuropeo

Un altro settore nel quale il grado zero conosce larga fortuna in varie lingue indoeuropee è quello degli aggettivi verbali (o participi) in *-t6; né si può trascurare l'impiego di tale grado apofonico a contraddistinguere - unitamente a un suffisso specifico - formazioni modali, in particolar modo di ottativo. Ma una funzione del grado zero nel sistema verbale indoeuropeo forse ancora più importante - e certo con caratteristiche in larga misura arcaiche - doveva essere quella di segnalare, in classi flessionali alternanti (in primo luogo atematiche), le cosiddette "forme deboli", vale a dire le persone del duale e del plurale, nonché buona parte delle forme modali. Le "forme deboli", accomunate in genere dal grado zero qualunque fosse il vocalismo radicale nelle "forme forti", si vengono cosi a caratterizzare come uno dei luoghi preferenziali di questo grado apofonico; certamente una tale caratteristica è un tratto notevolmente arcaico per quel che riguarda presenti e aoristi radicali atematici (che sono soggetti anche nel greco e nell'indiano antico a una progressiva scomparsa in favore delle corrispondenti forme tematiche), mentre potrebbe costituire il risultato di un'estensione analogica nel caso dell'intensivo e del perfetto (formazioni anch'esse non tematiche). Ma su questo problema si tornerà nei paragrafi seguenti.

4.4. Alternanze tra europeo.

*-o-e

*-0- radicale al di là del perfetto indo-

Sulla base dei dati ora presentati, con ampiezza di particolan per quel che riguarda le forme della flessione verbale a vocalismo *-o-,assai più sinteticamente per quanto attiene al grado zero radicale (più largamente diffuso, e dunque in qualche misura meno ricco di informazione, se si vuole far ricorso ai principi noti sotto il nome di "leggi di Zipf"), è ora possibile individuare alcune categorie del verbo indoeuropeo contraddistinte da alternanza tra i due gradi apofonici: 1. perfetto. Rinvio a quanto osservato nel§ 4.1 (§§ 4.1.1-4.1.3). 2. intensivo. Come visto nel S 4.2.2, l'intensivo - formazione atematica a desinenze primarie - doveva in origine presentare un vocalismo radicale *-o-nelle forme forti, che alternava con il

4.4. Alternanze tra *-o-e *-S-radicale al di là del perfetto

175

grado zero proprio delle forme deboli. Non è chiaro quale fosse lo schema accentuativo di tale tema flessionale; la documentazione indiana antica sembrerebbe accreditare l'ipotesi di un'antica mobilità, con tono originario sulla sillaba dd raddoppiamento (non sulla sillaba radicale!) ndle forme forti, e sulla desinenza in qudle deboli 135• 3. "aoristo passivo". Anche l'" aoristo passivo" è una formazione atematica ndla quale il singolare si oppone al plurale per il grado apofonico: l'indicazione convergente ddl'indiano antico, dell'avestico/persiano antico e del tocario permette di ricostruire una alternanza radicale originaria tra *-o-ndle forme forti (essenzialmente il singolare) e *-0- nelle forme deboli. Le condizioni accentuative di questa classe flessionale sono poco chiare, dal momento che l'indiano antico - l'unico testimone utilizzabile in tal senso sembra evidenziare un tipo aerostatico (accento sulla prima sillaba - che viene a coincidere con l'aumento ndl'indicativo, con la radice ndl'ingiuntivo - non solo nella III sing., ma anche ndla III plur.). È comunque da sottolineare che le forme di III plur. abudhran etc. sono state assai presto intese come aoristi radicali, e dunque non si può escludere che proprio tale precoce metaplasmo abbia portato con sé anche un'alterazione ddl'originario schema accentuativo (nell'aoristo radicale l'intero indicativo è aerostatico). 4.5. La funzione originaria dell'apofonia nel perfetto indoeuropeo. Alla luce degli dementi qui ricordati (in larga misura già ampiamente discussi da diversi studiosi, ma non ancora presentati organicamente a proposito del tema che ci interessa) è possibile trarre alcune conclusioni rdativamente alla funzione ddl'apofonia nel perfetto indoeuropeo.

135

:B largamente documentata, tuttavia, la tendenza a una evoluzione

versoun

tipo aerostatico, con accento iniziale anche nelle forme deboli; sicandranno considerate arcaismi quelle occasionali ricorrenze di participi intensivi · mcdi (badbadhana- etc.) nei quali il morfema -ana-è per l'appunto tonico (sulla errata attribuzione di alcuni participi raddoppiati in -anJ-al perfetto, invece che all'intensivo, d. Studio sul perfetto, cit., I, p. 43 e note 78-78bis).

~

IV - Il vocalismoradicalenel perfetto uuloeuropeo

176

Una prima importante indicazione pertiene al grado apofonico radicale *-o-,la cui utilizzazione nella flessione verbale eccede di gran lunga il solo perfetto. Non sarà pertanto possibile ritenere che tale morfema sia l'elemento che doveva caratterizzare il perfetto in opposizione alle altre categorie flessionali: esso infatti ricorre in un ristretto numero di formazioni radicali, e, in aggiunta ad altri morfemi, nell'intensivo, nel causativo, nell'iterativo, e nell'"aoristo passivo", oltre che nel perfetto stesso. Né si può attribuire al perfetto indoeuropeo la peculiarità dell'alternanza *-o-: *-0- all'interno della flessione, dal momento che condizioni analoghe sono riscontrabili nell'intensivo e nell'" aoristo passivo•. Quest'ultima osservazione introduce una interessante prospettiva di analisi, attraverso la quale si può forse tentare di gettare una qualche - necessariamente pallida - luce sulla funzione più antica del grado apofonico. Le formazioni a grado *-o-radicale sembrano accomunate da un'unica caratteristica saliente: si tratta di categorie flessionali deverbative, nelle quali viene morfologizzata l'indicazione non dell'aspetto, bensl di un'Aktionsart, vale a dire una connotazione particolare dell'azione (o dello stato). Questo è vero certamente per quel che riguarda l'intensivo, l'iterativo, il causativo; è possibile, se non addirittura probabile, per quel che riguarda il cosiddetto "aoristo passivo" (in linea di massima caratterizzato da una nuance intransitivo-impersonale, cf. supra), e forse può essere anche riferito a quelle formazioni radicali a vocalismo *-o-di cui si è detto nel S 4 .2 .1. Possiamo dunque affermare che il grado *-o-doveva esser strettamente connesso non con un presunto carattere denominale 136, bensl con la natura d e v e r b a 1e delle formazioni in questione (spesso denominate infatti, nelle trattazioni grammaticali relative all'indiano antico, presenti secondari, o ancora coniugazione secondaria). Sarebbe vano cercare una valenza comune a tutte le classi flessionali che presentano un vocalismo *-o-radicale; il senso fattitivo, ad esempio, non è riducibile a quello iterativo o 136

Il Kurylowicz, L'apophonie,dt., pp. 40 e 86 sgg., e Idg. Gram1'Ullilt II., dt., p. 2,1 sgg. (spede p. 279), riconosce in effetti l'importanza del grado *-o-nel causativo, nell'iterativo, etc.; tuttavia, tale affermazione si inquadra in una complessa teoria, secondo la quale il punto di origine del arado *-o-sarebbe da individuare nel perfetto e in un nome radicale (sul quale ultimo si sarebbero poi costituite formazioni quali le iterativo-causative, da considera?C dunque primariamente denominali).

4 ..5. La funzione originariadell'apofonianel perfetto indoeuropeo

177

intensivo, e si oppone nettamente al valore intransitivo-impersonale dell'" aoristo passivo". Quanto all'alternanza con un grado zero, specifico delle "forme deboli", ci troviamo con ogni evidenza di fronte a un tratto connesso con il carattere atematico dell'intensivo, dell'"aoristo passivo" e, ovviamente, del perfetto: non può esser dovuto al caso il fatto che tutte le formazioni atematiche caratterizzate dal grado *-o-presentino alternanza con *-0-, mentre i causativi e iterativi tematici in *-éyeI o- ( *-4yeI o-) hanno generalizzato il vocalismo *-o-radicale. In questa distribuzione tra formazioni tematiche non alternanti e formazioni atematiche alternanti si può ravvisare una perfetta analogia con quanto avviene nei "presenti primari"; anche se mancano prove in tal senso, si sarebbe certo tentati di vedere nella situazione ora descritta per i deverbali l'effetto di un'estensione analogica dell'opposizione apofonica tra presenti atematici (alternanti) e tematici (non alternanti) 137• Credo che spingersi più in là con un'argomentazione di tipo glottogonico sarebbe alquanto pericoloso 131, e forse le stesse conclusioni in merito alla genesi dell'apofonia riscontrabile nei deverbali poggiano su una buona serie di argomenti, suffragati però da dati relativamente esigui. Quel che appare chiaro, in ogni caso, è che nel perfetto indoeuropeo il grado radicale *-o-(alternante) non

137

Una analoga situazione è riscontrabile anche nelle formazioni aoristiche,

che sono alternanti se atematiche, mentre non presentano alternanza se tematiche; ma qui un ruolo rilevante nell'affermarsi di tale opposizione è stato certamente svolto dal fatto che l'aoristo tematico nasce - in fase non molto antica - a partire dalla III persona plurale (a grado zero radicale) dell'aoristo radicale, per rianalisi della desinenza atematica *-ent (*-ont) come *-e/o-nt (d. soprattutto R. Lazzcroni, Fra glottogonia e storia: i verbi, cit., p. 129 sgg.). 138 Se è necessaria cautela nel trarre conclusioni da una serie di dati comunque non irrilevante, ancora maggiore dovrebbe essere la prudenza allorcM ci si avventura in affermazioni drastiche senza neppure disporre di qualche elemento concreto che possa fornire un sia pur labile indizio. In questo senso, non sarà possibile seguire la precipitosa affermazione del Jasanoff (Aspects, cit., p. 1.53), quando sostiene che « ... Tbc consistcnt *o : zero ablaut pattern of tbc perfcct is clearly an old fcaturc [ ... ]; tbc classical middle, on the othcr band, is conspicuous for its lack of paradigmatic ablaut [ ... ] ,., e considera questo uno degli argomenti in favore del carattere più arcaico del perfetto rispett *-un}: se davvero dunque la desinenza dd perfetto I sing. fosse stata *·'I', allora il gotico, che tende a conservare -u- del protogermanico in sillaba finale (tolti, in parte, i trisillabi}, avrebbe dovuto mostrare almeno in qualche caso - per esempio nel tipo wait - una desinenza -u (lo stesso discorso vale per il nordico runico, che testimonia un'assenza di vocale finale - cf. ad es. prct. I sing. un-nam -, nonostante -u- in sillaba finale in tale lingua sia conservato ancor più generalmente che nel gotico}. 7 In questo senso si veda ad es. A. Barnmcsberger, Der Au/bau, cit., p.

9.,.

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

182

questo punto di vista l'idioma più conservativo nel gruppo - mostrano una situazione perfettamente comparabile a quella delle lingue germaniche. Nella I sing. del preterito irlandese antico privo di suffissi, quello meglio riconducibile a un perfetto originario, la desinenza è -0 (.cechan etc.), e l'assenza di palsttaBzzazfone(cf. invece III sing. .cechain(n), .cechuin) impone di ricostruire una vocale finale (breve) diversa da *-e oppure *-i: è dunque anche qui indirettamente confermata la legittimità di attribuire al perfetto una desinenza originaria di I sing. *-a8• Il latino offre dati che si discostano nettamente dalla situazione direttamente o indirettamente testimoniata da indo-iranico, greco, germanico e celtico: la I sing. del perfectum (inclusi i perfettopresenti) è infatti caratterizzata da una desinenza -i. Tale desinenza, che nelle iscrizioni arcaiche appare come -ei, e nel falisco come -ai 9 , non è direttamente riportabile a un *-a originario; di qui vari tentativi di spiegazione, il cui unico elemento in comune è costituito dalla ricostruzione di una protoforma *-ai ( *-ay). Senza voler approfondire la questione, che oltretutto può esser chiarita solo in una più ampia prospettiva indoeuropea, posso ricordare come tale desinenza sia stata analizzata tradizionalmente 10 come quella di un (perfetto) medio - quindi corrispondente, ad esempio, all'ind. ant. -e < *-ay11 -, ma non è mancato chi ha cercato di riconoscere nella desinenza latina quella di un antico perfetto attivo (o di un suo allotropo) 12• In ogni caso i dati interni alla lingua latina diffi-

=

8

Cf. in particolare H. Pedersen, Vgl. Grammatile, cit., II, p. 381; R. Thurneysen, A Grammar, cit., p. 433 (il quale non esclude, invero, la possibilità di risalire a un *-om, vale a dire l'antica desinenza di aoristo tematico); K. R. McC.one, From Indo-European to Old Irish, cit., p. 238; C. Watkins, On the Prehistory o/ Celtic Verb In/lexion, •triu• 21 (1969), p. 8 (specie riguardo alla desinenza di III sing.). 9 Per una prima indicazione relativa ai dati latini d. M. Leumann,ÙI. Laut- und Formenlehre, cit., p. 606 sg. 10 Oltre al Leumann, l. cit. nota preccd. (con bibliografia), vorrei limitarmi a ricordare le intercssll!lti osservazioni del Meillet, Les dlsinences du pttr/ait, cit., p. 96 sg. Problematici, ma ancora inclini ad accogliere l'analisi tradizionale, sono O. S7.emerényi, Ein/uhrung, cit., p. 313, e E. Neu, Dicbotomk, cit., note 2, (a p. 162 sg.) e 30 (a p. 16,). 11

Dei possibili confronti con la situazione anatolica e slava antica si dirà più avanti. 12 In particolare J. Safarcwic:z (The Primary Endings, cit., p. 46 sg.; S11r

les dlsinences verbales en grec et en utin, •Eos• ,3 [1963), p. 110

sg.)e

.5.1.1. La I persona singolare

183

cilmente confortano l'idea di un carattere altamente conservativo delle desinenze del perfectum, dal momento che, come si vedrà più avanti, le terminazioni delle altre persone rappresentano il risultato della confluenza - evidentemente secondaria - tra elementi alquanto eterogenei (in parte aoristici) 13• Le indicazioni del latino non trovano supporto nelle lingue italiche, per le quali la carenza di esempi relativi alla I persona sing. induce gli studiosi a un generale atteggiamento di cautela (pur se l'osco man a fu m potrebbe far supporre un'estensione al perfetto della desinenza secondaria *-m) ". Il tocario, ove si escludano i participi preteriti, non offre formazioni immediatamente riportabili al perfetto indoeuropeo, come si è visto precedentemente (§ 2.8); tuttavia, in alcuni elementi del preterito possono essere riconosciuti i continuatori di morfemi in origine propri del perfetto indoeuropeo (nel preterito tocario confluiti con elementi aoristici etc.). Per quel che riguarda le desinenze, in

J. Untermann (Zwei Bemerkungen zur lateinischen Perfektflexion, in Studien zur Sprachwissenschaft und Kulturkunde - Gedenkschrift Brandenstein, Innsbruck 1968, rist. in Probleme der lateinischen Grammatik, cit., p. 268 sgg.) parlano di un allotropo del perfetto attivo, integrato dalla •marca• *-i, non mediale; in particolare, si tratterebbe di quello stesso *-i indicatore dello •ruc et nunc• (o genericamente rafforzativo, secondo il Safarewicz), che è riconoscibile nelle desinenze primarie (in questo senso d. anche M. S. Ruipérez, DesinencitJs medias primarias indoeuropeas sg. l.• *-(m)ai, 2.• *-soi, J.• *-(t)oi, pi. J.• *-ntoi, •Etn• 20 [19.52], p . .30 sg.; C. Watkins, Preliminaries to a Historical and Comparative Syntax of Old Irish Verb, •Celtica" 6 [1963], p. 48; H. B. Rosén, Amamini und die idg. Diathesen- und Valenz/eategorien, •KZ• 92 [1978], p. 147; J. H. Jasanoff, The Tenses of the Latin Perfect System, in Festschri/1 for Henry Hoenigswald - On the Occasion of bis Seventieth Birthday, ed. by G. Cardona and N.H. Zide, Tiibingen 1987, p. 178; E. Vineis, Latino, in Le lingue indoeuropee, cit., 2• ecliz., p. 329; A. L. Sihler, New Campar. Grammar, cit., pp. 570 e .587). 13 a. ad esempio J. Untermann, Zwei Bemerkungen, cit., p. 266. 14 In questo senso la trattazione più ampia e circostanziata rimane quella del von Planta, Grammatik, cit., Il, p. 3.59 sgg. (ivi si può leggere anche la discussione relativa alla problematica forma umbra subocau(u) nelle T abulae lguvinae}; analoga è, ad esempio, la posizione del Buck, A Grammar of Oscan ànd Umbrian, Boston 1904, rist. Hildesheim-New York 1974, pp. 1.57 e 170, é del Bottiglioni, Manuale dei dialetti italici, Bologna 19.54, p. 131 sg. Grande cautela riguardo all'utili7.zabilità dei due esempi italici è stata più recentemente espressa dall'Untermann, Zwei Bemerkungen,cit., nota 2.5 a p. 277.

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

184

particolare, la I persona sing. attiva del preterito (A: -u, -(w)a; B: -wa) risale probabilmente a un più antico *-wa 15; la semivocale -wpotrebbe essersi originata secondariamente nel tocario come transizione tra una vocale lunga finale del tema (*-o- > -i-) e la desinenza vera e propria. La forma più antica della desinenza di I sing. nel preterito tocario sarebbe dunque -a, conservato nel dialetto B, allungato secondariamente in -i nel dialetto A. Se questa ricostruzione è corretta 16, la testimonianza del tocario in favore di una originaria desinenza di pedetto I sing. *-a verrebbe ad aggiungersi a quella dell'indo-iranico e del greco 17 (e, indirettamente, del germanico e del celtico). Le lingue anatoliche offrono una obiettiva difficoltà allorché si cerchi di utilizzare la loro testimonianza per la ricostruzione della desinenza di I persona singolare del pedetto indoeuropeo. Infatti, come si è ampiamente sottolineato in altra sezione (§ 2.9), non solo l'ittito

Cf. supra, S 2.8 e nota 56 (con indicazioni bibliografiche). In questa sede mi attengo all'argomentazione presentata dal Winter, Zur Vorgeschichte, cit., p. 208 sgg., il quale sviluppa un'idea del Krausc (Zur Entstehung, cit., p. 137 sgg.); contro tale spiegazione si veda invece la netta presa di posizione del Van Windekens, Le toltharien, cit., Il, 2, p. 15

16

279 sgg. 17 Non va comunque dimenticato che il tasso di attendibilità del dato tocario è, per ragioni intrinseche, inferiore a quello delle altre lingue ora ricordate. Infatti, la riconduzione della desinenza tocaria di preterito attivo I sing. alla omologa desinenza del perfetto indoeuropeo si fonda pur sempre su almeno quattro condizioni presupposte: a) che il preterito tocario, pur non identificabile né funzionalmente né formalmente con il perfetto indoeuropeo (d. supra, S 2.8), possa presentare singoli elementi riportabili a una formazione di perfetto originario; b) che la desinenza più conservativa sia -wa del tocario B (piuttosto che -wadel tocario A); e) che la semivocale -w- rappresenti uno sviluppo secondario, e dunque non debba esser considerata parte integrante della desinenza; d) che la desinenza del presente I sing. -u I -w del tocario B sia etimologicamente non connessa con -wa (secondo quanto detto in e), oppure, in alternativa, sia il risultato di una estensione analogica seriore dal preterito al presente. C.ome si vede facilmente - ed è questa la ragione per la quale mi sono soffermato su questo punto -, ntmzzarc lingue piuttosto innovative (a livello di articolazione interna della parola e a livello di strutturazione del sistema verbale nel suo complesso) per la ricostruzione di una fase •indoeuropea comune" è impresa difficile e delicata, che richiede comunque una costante consapevolezza dei limiti entro i quali si è costretti ad operare.

,.1.1. La I persona singolare

e le altre lingue anatoliche non posseggono un perfetto (da addurre al confronto per la ricostruzione della desinenza in questione), ma non è neppure chiaro se queste lingue abbiano mai posseduto una tale categoria flessionale: in sostanza, non si può dire se il perfetto non era ancora emerso nella struttura del verbo indoeuropeo documentata dall'anatolico, oppure se, al contrario, il perfetto doveva esser già confluito con altre classi flessionali all'epoca delle prime attestazioni dell'anatolico stesso. Nella prima ipotesi, si dovrebbero individuare all'interno di altre formazioni verbali anatoliche quei nuclei che avrebberopoi dato origine alle desinenze del perfetto; nella seconda ipotesi, al contrario, sarebbe sl necessario aoaUzzare le desinenze di altre categorie flessionali del sistema verbale anatolico, ma al fine di rintracciarvi le continuazionidi desinenze del perfetto indoeuropeo. Se non bastasse, all'interno sia della prima che della seconda prospettiva le opinioni espresse sono tutt'altro che univoche, e dunque di volta in volta sono stati addotti al raffronto con il perfetto ora il mediopassivo, ora il presente dei verbi in -bi, ora il preterito dei verbi in -bi, ora più classi verbali assieme: in una battuta, solo il presente e il preterito dei verbi in -mi e l'imperativo non hanno avuto il "privilegio" di una connessione con il perfetto indoeuropeo. Un ulteriore fattore di complicazione è poi dato dalla (talora imbarazzante) presenza della "laringale" -!J-nelle desinenze anatoliche poste a confronto con quelle del perfetto (specie nel caso della I persona sing.): di qui l'esigenza di scomporre ulteriormente la desinenza -a - concordemente testimoniata nel perfetto I sing. di varie altre lingue indoeuropee - nei suoi dementi costitutivi (quindi come *-Hze, secondo la opinione prevalente) 1•. Ciò premesso, gli accostamenti tra le desinenze anatoliche e quelle del perfetto risultano, per quanto attiene alla I singolare dell'attivo, tutti plausibili e al tempo stesso non certi. Infatti, se si muove da una desinenza di I sing. -!Je, che parrebbe costituire allotropo antico di -!Jinel presente di questa classe verbale

Sulla evoluzione di *-Hze in -a rinvio senz'altro alla sintesi di M. Mayrhofer, Idg. Grammatik - I., dt., p. 1.32 sgg. (con bibliografia precedente). Sulla teoria per cui anche *-Hz0 avrebbe potuto dar luogo ad -a d. ad esempio F. O. Lindeman, Introduction lo the 'Laryngeal Theory', Oslo 1987, p. 37 sg. (S 26); in favore, invece, dell'ipotesi di un mantenimento del timbro di *-o dopo *-Hr (quindi: *-Hz0 > *-o) si era pronunciato R. S. P. Beekes, Hl), •Sprache" 18 (1972), 2, p. 117 sgg. 11

V - Le desinen%enel perfetto indoe,u,opeo

186

ittita 19, tale desinenza sarebbe riportabile a un *-bay'10, a sua volta risultante da *-Hze ampliato con il deittico *-i dello "hic et nunc• (si tratterebbe quindi dell'antica desinenza del perfetto, modificata in rapporto al nuovo valore temporale di presente assunto nell'ittito) 21• L'ipotesi è certo legittima, ma tutt'altro che sicura, visto che presta il fianco a un paio di obiezioni piuttosto serie già segnalate precedentemente (d. S 2.9.1: difformità tra valenza del perfetto indoeuropeo e valenza dei verbi in -/Ji;isolamento - e forse recenziorità - della coniugazione in -biittita, che ha ben pochi riscontri nelle altre lingue anatoliche). Altra eventualità è che la desinenza del preterito I sing. -ba, documentata non nell'ittito ma nel luvio (cuneiforme e geroglifico) 22, Si vedano in proposito, ad esempio, R. S. P. Beekes, Old Hittite l sg. -he: J sg. -i, •IF" 76 (1971) [1972], p. 72 sgg.; H. Eichner, Die Etymologie, cit., p. 79; W. Cowgill, More Evidence, dt., p. ,66; H. C. Melchert, Studies, cit., p. 68 e nota 127; Id., Anatolian Histor. Phonology, cit., pp. 102 e 184. 31 In genere si ammette che nell'ittito gli originari dittonghi *-oy e *-41 si siano monottongati in -e in sillaba finale: d. da ultimo il recentissimo artioolo della Kimball, The IE Short Diphthongs *oi, *ai, *ou IUld *au in Hittite, •sprache" 36 (1994), 1, p. 2 sg. (con bibliografia precedente), e H. C. MclC'hert, Anatolian Hist. Phonology, cit., p. 100 sgg. (su alcuni punti discordante con la Kimball). Non sembra più ammessa la riconduzione di itt. -fii a un *-H;zi,come invece aveva proposto Fr. Bader, Relations de structure entre les désinences d'in/ectum et de per/ectum en latin, •word" 24 (1968), 1-2-3 Linguistic Studies Presented to A. Martinet, 11], p. 26 sg. (d. in pi:oposito R. S. P. Bcekes, Old Hittite l sg. -hc, cit., p. 72). 21 Ai riferimenti bibliografici già forniti nel S 2.9.1 (note 70 e 72), si aggiungano ancora, in un quadro di riferimenti leggermente diverso, J. Untermann, Zwei Bemerkungen, dt., p. 267 sg., Fr. Bader, Relations de structure, cit., p. 26 sg., e F. Kortlandt, Toward a Reconstruction, dt., p. 67 sg. Seamdo il Neu, Das /riihidg. Diathesensystem, dt., p. 289, il quale accoglie la rioostruzione di un *-!Jay alla base della desinenza ittita, tale *-!Jay rifletterebbe protonon la desinenza del perfetto, bensl quella di un • mcdioperfetto" ( perfetto/ protomcdio) rideterminato con *-i (inutile ricordare che il Neu ~ tra i più convinti assertori del carattere arcaico del sistema verbale anatolico). Si segnala infine per originalità - non necessariamente per vcrisim{gliaom la tesi di H. lzui, lndo-European Perfect, dt., p. 198 sg., il quale ritiene che il perfetto dovesse funzionare già in origine come vero e proprio presente (quindi l'ittito preserverebbe l'antico stato di cose, mentre il dcittico •.; sa~ rebbc stato eliminato secondariamente nelle altre lingue indoeuropee). 22 Con tale desinenza del luvio è stata confrontata l'omologa desinenza di I sing. del preterito licio (A) -xa (-ka, -ga), sulla quale d. G. Ne1,mano, Lykisch, cit., p . .389, e P. Meriggi, Schiuo g,11111111aticllle, cit., p . .340 88· 19

[=

=

5.1.1. La I pe,so1111 singolare

187

rappresenti la diretta continuazione anatolica della omologa desinenza del perfetto indoeuropeo: nel luvio un *-Hze (o *-Hzo)23 avrebbe dato luogo a -/;a,mentre nell'ittito la desinenza di preterito I sing. -bun (verbi in -!Jì)sarebbe il risultato di un incrocio con la desinenza di preterito dei verbi in -mi (I sing. -un) 24 • Anche questa spiegazione, formalmente e funzionalmente forse meno difficile della precedente, si presta comunque ad alcune osservazioni critiche, come si è visto altrove (S 2.9.1). Il confronto con la desinenza ittita di mediopassivo I sing. -éa(!Ja),-!Ja(ba)riè stato invece proposto specialmente dai sostenitori del carattere estremamente arcaico del sistema verbale ittito: tale desinenza (analizzabile come *-Hze o *-Hz0,d. supra) rappresenterebbe un riflesso di quella categoria di "medio-perfetto,, dalla quale avrebbero poi avuto origine, nelle altre lingue indoeuropee, da un lato il perfetto, dall'altro il medio 25• Si è già ampiamente ricordato (SS 2.9.1 e 2.9.2) come una tale ipotesi presenti più di una difficoltà, soprattutto per quel che riguarda l'inquadramento dei dati anatolici nella più generale cornice indoeuropea •. Quale indicazione si può dunque trarre dalle lingue anatoliche

Si veda quanto detto precedentemente, nota 18; naturalmente *-H,.o può esser comunque chiamato in causa quale precursore della desinenza luvia -ba, anche se si ritiene che la laringale non abbia modificato il timbro della vocale seguente (comunque *o confluisce in a nell'intero anatolico, quindi da un protoanatol. *-bo si sarebbe senz'altro awto -ba). Solo in una prospettiva più ampia si potrà invece esprimere una qualche valutazione riguardo alla proposta del Kortlandt, Toward a Reconstruction,cit., p. 67 sg., secondo il quale *·Hr avrebbe caratterizzato sia le desinenze del perfetto che dello •stativo• [?], mentre la vocale seguente sarebbe stata *-e nel perfetto, *-o nello •stativo". 24 Per indicazioni bibliografiche si veda il S 2.9.1, con le note 71-72; si veda inoltre G. R. Hart, Anatolian Evidence and the Origin o/ the IndoEuropeanMedio-Passive,•BSOAS• 51 (1988), p. 85. 25 Anche in questo caso rinvio alle indicazioni bibliografiche già fornite in altio capitolo: cf. S 2.9.1 e note 63-68, 72 (cui si può aggiungere J. Kurylowicz, Studes indoeuroplennes- I, Krak6w 19.35, pp. 74 e 254). · • Se ha ragione il Melchert (cito da una relazione che ha tenuto presso individua, nelle fasi più antiche delle l'I.U.O. di Napoli il 5.6.1995) allo~ lingue anatoliche, relitti di una opposizione aspettuale, avremmo motivo di interpretare la semplicità del sistema verbale ittito come un tratto almeno in parte innovativo, piuttosto che come un tratto conservativo di una situa• zione attaica protoindoeuropea. 23

188

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

riguardo alla desinenza di I sing. del perfetto indoeuropeo? I dati sono difficilmente valutabili, per le ragioni più volte ricordate, e soprattutto perché non è chiaro quale categoria flessionale anatolica possa esser legittimamente raffrontata con il perfetto indo-iranico, greco, etc.: di qui la diversità delle soluzioni proposte, nessuna delle quali può dirsi certa. E dunque sembra poco prudente valersi della coniugazione in -!;i dell'ittito per ricostruire - sulla base del confronto con il per/ectum latino in -i e con lo sl. ant. védé - un antico allotropo del perfetto indoeuropeo contraddistinto da desinenze con epitesi di *-i '11, o per trarre decisive indicazioni riguardo al rapporto originario tra medio e perfetto (cf. infra, § 5.3). Ma finanche una indicazione normalmente data per acquisita, e cioè che le lingue anatoliche dimostrino l'esattezza della riconduzione della desinenza di perfetto attivo I sing. indo-iranica e greca -a ad un *-Hze(o eventualmente *-Hzo) si rivela in parte discutibile. Sono due, infatti, gli indizi in favore della ricostruzione di una laringale alla base della desinenza -a 31: ma il primo - connesso con gli effetti della "legge di Brugmann" nell'indiano - è poco significativo 29, mentre il secondo - fondato sulla presenza di -/J-nelle desinenze anatoliche poste a confronto - difetta quanto all'attendibilità degli elementi stessi addotti alla comparazione per quel che riguarda il versante anatolico. '11 Cf. ad es. gli articoli di J. Safarcwia e J. Untcrmann, sopra ricordati nella nota 12. 31 Si veda in particolare W. Cowgill, The First Person Singular Medio-

Passive o/ Indo-Iranian, in Pratidanam - Indian, Iranian and Indo-European Studies Presented to F. B.]. Kuiper on His Sixtieth Birtbday, cd. by J. C. Heestcrman, G. H. Schokkcr, V. I. Subramoniam, Tbc Haguc-Paris 1968, p. 31. 29 Già il Kuryfowia, a indoeuroplen et b hittite, in Symbolae grt11111114• ticae in honorem ]. Rozwadowslti, I, Cracoviac 1927, p. 103, aveva connesso l'opposizione nella quantità della vocale radicale nel perfetto indiano antico (I sing. ca/tara : III sing. ca/tara) con la "legge di Brugmaoo": *-o- radicale avrebbe dato luogo "regolarmente" ad -a-nella III sing., in quanto la desinenza *-e, priva di laringalc, avrebbe determinato condizioni di sillaba aperta; al contrario, la desinenza di I sing. -a, in quanto riportabile in ultima analisi a un *·lit, avrebbe comportato la chiusura della sillaba radicale, e dunque il trattamento di *-o- come -a- breve. L'argomentazione del Kuryiowia, certo assai acuta, non teneva conto, ad esempio, delle radici set (si vedano specialmente le osservazioni del Belardi, La formauone, cit., p. 109 sgg.); sicché lo stesso studioso polacco in vari lavori successivi (citt. nel S 4.1.1, nota 4)

5.1.1. La I persona singolare

189

Sembra pertanto giusto concludere che le lingue anatoliche, le quali certo in linea di principio rivestono fondamentale importanza nella comparazione indoeuropea, nel campo specifico delle desinenze del perfetto - a partire dalla I sing. - non sono però in grado di offrire un contributo chiaro ed univoco ai fini della ricostruzione. Tra le altre lingue indoeuropee che conservano sporadiche tracce di un antico perfetto, solo lo slavo è stato talora chiamato in causa per la ricostruzione della originaria desinenza di I sing. de] perfetto: la forma citata in proposito è lo sl. ant. védé 'io so', in un presente per il resto atematico (si veda la precoce sostituzione con vém'i nella stessa I persona sing.) 30 • Non sono concordi, in ogni caso, le spiegazioni fomite dagli studiosi riguardo all'origine della desinenza -é in védé. Dal momento che sl. ant. -é non può continuare un *-a (o *-Hze etc.), per un confronto soccorreva il parallelo con il lat. vidi: di qui la ricostruzione di una desinenza *-ai ( *-ay), da interpretare come la forma propria della I persona sing. del perfetto medio 31• Vi è stato, però, chi ha obiettato che il raffronto con il lat. vidi non è pertinente, poiché vidi è un preterito e per giunta fa riferimento a un 'vedere' piuttosto che a un 'sapere' 32 ; si è pensato, pertanto, a una serie di desinenze di perfetto caratterizzate da un ampliamento in *-i che non sarebbe mediale, ma tratto dalle desinenze primarie dell'attivo•, o addirittura alla continuazione del suffisso di stato *-i- (da

=

preferiva interpretare l'opposizione tra le due persone del perfetto indiano quale effetto di una ristrutturazione morfologica (per analogia). 30 Sulla distribuzione delle due forme nello slavo antico (e nelle varie lingue slave in fase antica e moderna) si veda in primo luogo A. Vaillant, Grammaire, cit., III, p. 76. 31 Oltre al Vaillant, cit. nota prec., d. in particolare Chr. S. Stang, Per/eletum und Medium, •NTs• 6 (19.32), p . .37 sg.; Id., Das slav. und balt. Verbum, cit., p. 22; Id., Vgl. Grammatile, cit., p . .315; J. Kuryrowicz,Das idg. Per/e/et, cit., p. 448 sg. ( = The Inflect. Categories, cit., p. 80 sg.); M. Lcumann, Lat. Laut- und Formenlehre, cit., p. 606; W. Porzig, Die Gliederung des indogermanischen Sprachgebiets, Hcidelbcrg 1954, p. 1.32 sg. 32 In questo senso, tra i contributi relativamente meno antichi, si vedano ad es. R. Aitzctmiiller, Altsl. vede,cit., p. 209; C. Watkins, Idg. Grammatile III., cit., p. 152 sg.; F. Kortlandt, Toward a Reconstruction, cit., p. 54 sg. • Cf. ad es. F. Kortlandt, cit. nota prec., p. 55; ma già indicazioni in tal senso erano fornite da J. Safarcwicz, The Primary Endinis, cit., p. 46 sg.

V - Le desinenze nel perfetto indonm,peo

190

un protosl. *waidé(m) [sic] si sarebbe avuto l'attestato

oédé) 14 •

Sulla base della documentazione disponibile nelle diverse lingue indoeuropee, e considerato il valore ~pecifico delle varie testimonianze, si può senz'altro affermare che la desinenza (attiva) di I persona singolare caratteristica del perfetto doveva essere *-a; l'ulteriore analisi. di tale *-a in elementi compoDeoziaH (*-Hze, o eventualmente *-Hzo) risulta necessaria solo ove si ritenga pienamente uti1iziabile anche la testimoniaoia - peraltro non univoca - delle lingue anatoliche, in un quadro ricostruttivo comprendente almeno tre diverse "laringali". Non sembra si diano indizi sufficienti perchési possa attribuire alla fase comune un secondo tipo di desinenza di I persona singolare, con ampliamento in *-i (vale a dire *-ay, ovvero *-Hzey): la situazione del latino è infatti chiaramente innovativa (e questo vale anche per le desinenze delle altre persone del per/ectum), le lingue anatoliche offrono dati di difficile inquadramento, e infine l'isolata testimonianza delle lingue slave - come si è ora visto - si colloca in una posizione a sé stante, e in particolare si differenzia parzialmente da quella del latino .

.5.1.2. La II persona singolare. La desinenza della II persona singolare del perfetto attivo offre all'aoa1isi difficoltà sostanzialmente analoghe a quelle già evidenziate per la desinenza di I persona. L'indiano antico testimonia inequivocabilmente una desinenza -tha, documentata senza eccezioni nel perfetto attivo II sing. dei verbi che possiedono un tale tema flessionale 315• L'omologa desi-

Questa ipotesi ~ stata sostenuta principalmente dall'Aitzetmiiller, Alul. fflie, cit., p. 209 sgg. (spede p. 214); Id., SIIW.imeti, cit., p. 2,0 588· (spede pp. 2,4-255). Nella trafila ricostruita dall'Aitzetmiiller può destare qualche perplessità la caduta di *-m, che sarebbe avvenuta senza lasciar tracce (per solito i dittonghi in nasale, anche lunghi, dànno origine alle vocali oasa]i1zate slave antiche t, 9); si noti dcl resto la cautela sucxcssivamcnte espressa dallo stesso Aitzetmiiller, AJtbulgarischeGrammlllilt,cit., nota 256 a p. 174. 315 Per un clcnco dclle ricorrenze ncl vedico cf. A. A. Macdoncll, Vedic Gram11111r, cit., p. 588· 34

3,,

5.1.2. La II persona singolare

191

nenza avestica, documentata in pochi esempi 36, è -Da,che si predopo X (vauuaxòa)e come -ta dopo s (voista): se è senta come -Ba vero che in varie situazioni contestuali O avestico può risalire indifferentemente a una occlusiva sorda tenue *t o aspirata *th, il tipo dadaOa(posizione postvocalica) sembra indicare in un *-tha l'archetipo della desinenza in questione nell'iranico 37• Nel caso della desinenza di II persona singolare del perfetto il greco antico si distingue dall'indo-iranico per una forte tendenza innovativa: com'è noto, per effetto dell'analogia sull'aoristo sigmatico, la desinenza -~ si sostituisce nella quasi totalità dei casi - non solo di perfetto "cappatico" - alla forma più antica -8tL,la quale è conservata in ota8tL( < *ol6-8tL),è indirettamente presup(A 35: creazione analogica, a posta dall'ottat. omerico ~,~pw8o~ partire da un perfetto indicativo II sing. •~i~pw8tL),ed è stata introdotta secondariamente nell'imperfetto iia8tL'tu eri' 38• Nel greco antico, inoltre, ha una qualche fortuna, anche al di fuori della flessione del perfetto, una desinenza -a8tL,isolata per discrezione paretimologica dal tipo ota8tL,iia8tL: proprio la circostanza del (quasi) esclusivo ricorrere di -8tLdopo sibilante ha indotto vari studiosi a considerare la sorda aspirata -8- come una variante di -"t- indotta da rr- precedente», oppure da analogia con le desinenze -aOE,-a8tL1., -8" etc. 40. Cf. ad es. J. Kcllens, Le verbe avestique, cit., p. 410. Sugli esiti di *t e *th nell'avestico, oltre a H. Reichelt, Awest. Blementarbuch, cit., p. 41 sg., cf. ad es. il recente contributo di J. Kcllens, Avestique, in Compendium Linguarum lranicarum, hg. v. R. Schmitt, Wiesbadeo 1989, p. 41. 38 Cf. in proposito speciaJrn,.ute E. Schwyzer, Griechische Grammatile, cit., I, p. 662 (il quale considera ~ un antico perfetto; si veda peroquanto 36

37

osservato in Studio sul perfetto, cit., I, p. 245 sg. e nota 607); altre indicazioni, tra gli altri, in H. Rbi:,Hist. Grammatilt, cit., p. 256, e in E. Neu, Dichotomie, cit., p. 157. • Cito per tutte la spiegazione proposta da W. Cowgill, Bvidence in Greelt, in Bvidence /or Laryngeals, ed by W. Winter, London-The HagueParis 1965, p. 171 sgg. (con ulteriore bibliografia), e le osservazioni di E. Seebold, V ersuch iJber die Herltunft der indogermanischen Personalendungssysteme, •KZ" 85 (1971), p. 200 sgg. (in un quadro tuttavia sotto vari aspetti discutibile). 40 In questo senso d. già Hj. Frisk, Su//ixales -th- im Indogermanischen, •Goteborgs Hogsk. Anskr." 42 (1936), 2, pp. 3-46, rist. in KJeine Scbriften tMr Indogermanistile und :tMrgriechischen Wortltunde, Goteborg 1966, p. 179

192

V - Le dtsintn%t ntl ptr/ttto indoeuropeo

Mentre il greco offre una conferma solo parziale (almeno da un punto di vista numerico) ai dati indo-iranici, il germanico in questo caso documenta molto bene la continuazione delPantica desinenza di perfetto attivo II sing.: come si è accennato in precedenza (S 2..5), nei preterito-presenti - la categoria flessionale del germanico meglio riportabile al perfetto indoeuropeo - la II persona singolare esce in -t, e questa desinenza -t compare anche nei preteriti forti gotici e antico-nordici. Ovviamente il germanico non può fornire indicazioni precise riguardo alla ricostruzione di un archetipo *-tha o eventualmente *-ta per la desinenza in questione; si noterà, in ogni caso, che la mancata spiratttizzazinne in **-], si spiega come una generalizzazione dello sviluppo in • sandhi • morfologico (in contatto con la consonante finale della radice, per lo più spirantizzata, si doveva conservare il carattere occlusivo di *-t[ h }) •1• Nel celtico sembra difficile rinvenire tracce della desinenza originaria del perfetto attivo II sing. .a, e Pitalico difetta di esempi relativi alla II persona singolare del preterito 0 ; il latino, al con43 1), a parziale rettifica della posizione espressa da J. Kurylowicz, Studts indoturop. - I, cit., p. 52; la posizione del Frisk è sostanzialmenteaccolta dal Belardi, 1A /ormaz.iont, cit., nota 1 a p. 99. Altra ancora è la spiegazione prospettata dai •laringalisti ", della quale si discuteràpiù avanti. • 1 Riguardo alle desinenze dei preterito-presenti e dei preteriti forti germanici si vedano i riferimenti bibliografici già forniti nel S 25; sull'esito -t d. in particolare la spiegazione del Bammesberger, Dtr AM/bau, cit., p. 9S sg. Si noterà, infine, che *-a finale è caduto senza lasciar tracce, cosl come nel caso della desinenza di I persona singolare. .a Circa il preterito irlandese antico privo di suffissi mi pare nel complesso persuasiva la trattazione di K. H. Schmidt, Altirisch ro.fitir, cit., p. 140 e nota 40 (con riferimenti bibliografici), il quale ricostruisce un *-os (desinenza secondaria tematica rifatta secondo la I sing. *-om) o *-as(desinenza originatasi per analogia, a partire dalla I sing. *-a caratteristica del perfetto); si veda anche K. R. Mc -e): oltre a O. Parlangèli, Isoglosse italiche, cit., p. 2.39, d. V. Orioles, Il messapico, cit., pp. 171 e 17.3 (nella nota 1.3 a p. 171 sono richiamati gli argomenti del Gusmani in favore di una caduta generalizzata di *-t finale nel messapico).

5.1.J. ù, III persona singolare

20.5

dare in questo caso su un numero meno ampio di dati, provenienti però quasi esclusivamente - è bene sottolinearlo - dalle aree linguistiche che meglio continuano un perfetto originario. La necessità di porre, quale più antica desinenza di III persona singolare attiva del perfetto, un *-e a preferenza di un *-o oppure di un *-a, si fonda sulla concordanza tra il greco, il celtico e l'italico,,,; neszrunadelle altre aree linguistiche, inoltre, presenta controindicazioni a una tale ipotesi (sia *-e confluito per tempo con le altre vocali, come nell'indo-iranico, sia esso prematuramente caduto, come nel germanico}. Una desinenza *-e, per la sua singolarità in prospettiva indoeuropea (di fatto potrebbe essere interpretata come vocale tematica priva di ulteriori determinazioni}, sembrerebbe porsi quale preziosa testimonianza di uno stato di cose assai remoto. Di fatto, non è mancato chi, sulla base della sola desinenza di III persona (considerata come "desinenza 0"), ha sottolineato l'origine nominale del perfetto indoeuropeo•; per altro verso, alcuni studiosi dalla forma di tale desinenza hanno tratto un'indicazione di ordine generale riguardo al fatto che la III persona (singolare) sarebbe stata in principio la "nonpersona" per eccellenza •. Al di là di tali audaci proiezioni nella glottogonia, mi par giusto sottolineare che la desinenza di III persona singolare del perfetto da un punto di vista formale era certamente meno caratterizzata rispetto alla II singolare, o ancora rispetto alla III plurale (cf. infra}; sarei alquanto più prudente, invece, in merito alla identificazione con la vocale tematica, la quale si pone

,,, In questo caso si può concordare con la valutazione già espressa ad esempio - in base ai dati del greco e del celtico - dal Szem~nyi, Einfiibrung, cit., p. 312; più ampia discussione in E. Seebold, Versuch, cit., p. 190 e ~ ta 19. • Sulla presunta origine nominale del perfetto indoeuropeo si veda ad esempio la sommaria bibliografia qui addotta all'inizio del II capitolo (nota 1); di altre questioni coMessc si farà cenno più avanti. " :t d'obbligo citare in primo luogo il Benveniste, Structure, cit., p. 229 sg. (nelle pagine precedenti l'Autore adduce anche dati tratti da lingue non indoeuropee); considerazioni in parte analoghe - con un più esplicito riferimento alla situazione, per molti versi simile, dell'imperativo II sing. sono in E. Ncu, Zum V erbaltnis der grammatischen Kategorien Person und Modus im Indogermanischen, in ùznguages and Cultures. Studies in Honor of Edgar C. Polomé, cit., p. 462 sg.

206

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

in un contesto flessionale alquanto differente (e la cui funzione a tutt'oggi sfugge alla nostra comprensione) 90•

5.1.4. Il duale e il plurale. Molto spesso, nelle trattazioni complessive riguardanti le formazioni verbali nelle lingue indoeuropee, allorché - dopo l'esame delle desinenze primarie e secondarie - si perviene alle terminazioni del perfetto, il novero delle persone prese in considerazione si riduce drasticamente: dalle nove desinenze primarie e secondarie (tre per ogni numero), si passa, per la serie del perfetto, a quattro (le tre del singolare e la III plurale) o al più cinque (con la II plurale) ' 1 • T aie asimmetria viene per solito motivata sulla base di una generica - anche se non infondata - considerazione relativa al fatto che le desinenze del duale e di parte del plurale del perfetto coinciderebbero con quelle della serie primaria (oppure secondaria) 92 ; per altro verso, è evidente che la documentazione si presenta inevitabilmente più scarsa proprio in riferimento al duale (scomparso in molte lingue indoeuropee) e alle prime due persone del plurale (poco frequenti in testi scritti che non abbiano struttura dialogica). E tuttavia, i dati a disposizione non sono poi del tutto irrilevanti, come si potrà constatare; sembra dunque opportuno passare brevemente 'IO L'argomento della connessione tra perfetto e forme tematiche del verbo si fonda essenzialmente su considerazioni relative alle desinenze; l'esposizione più organica della materia ~ certamente contenuta in C. Watkins, ldg. Grammatile - lii., cit., pp. 66 sgg. e soprattutto 10, sgg. (cui si possono aggiungere alcune notazioni di Fr. Bader, Relations de structure, dt., p. sgg., e la rielaborazione presentata da J. H. Jasanoff, The Position, dt., p. 82 sg.). Su alcune delle questioni connesse con tale teoria si avrà modo di tornare più avanti. 91 Per limitarmi a un esempio illustre citerei A. Meillet, lntroduction, cit., p. 230 sg.; si veda ancora la recentissima sintesi di C. Watkins,Il proto-indoeuropeo, in Le lingue indoeuropee, dt., 2• ediz., p. 77. 92 Cosl argomentano, ad es., Fr. Bader, Relations de structure, cit., p. 24, o ancora più nettamente W. P. Lehmann, Earlier Stages of Proto-lndo-Eu,opean, in Indogermanica Europaea - Feslschrifl fur Wolfgang Meid, dt., p. 121; E. Neu, Das fruhidg. Diathesensystem, dt., p. 292 e nota ,4, considera invece le desinenze di I e II plur. attestate nel perfetto greco e vedico come neoformazioni (analogiche) che avrebbero sostituito le forme più antiche (dal Neu identificate con le desinenze mediali).

2,

,.1.4. Il dllllle e il plflrale

207

in rassegna tutti gli elementi disponibili per quanto attiene alle tre persone del duale e alle prime due del plurale, prima di soffermarsi più ampiamente sulla desinenza di III persona plurale del perfetto . .5.1.4.1. I persona duale. Nel perfetto indiano antico è testimoniata una desinenza -va, di fatto coincidente con la omologa desinenza secondaria. t estremamente probabile che nel perfetto tale desinenza sia stata introdotta proprio a partire dalla serie secondaria; è inoltre possibile - ma ben difficilmente dimostrabile - che detta terminazione vada identificata con il pronome personale duale (*we 'noi due') 93 • Nel perfetto avestico e in quello greco non sono disponibili esempi relativi a desinenze di I persona duale ,..; per quel che riguarda le lingue germaniche, invece, il preterito gotico presenta una desinenza di I du. -u, la quale rinvia a un *-we (o *-wo, o eventualmente *-wa)95 • Considerato che l'intero plurale del preterito nel germanico utilizza le desinenze secondarie, e che la desinenza secondaria della I persona duale nelle lingue germaniche doveva essere *-wè (cf. *-we > got. -wa nell'ottativo I du.) '6, si può ragionevolmente affermare che nel germanico la desinenza di I duale del preterito appartiene alla serie secondaria (probabilmente tratta dall'aoristo)"'. Tra le poche altre lingue indoeuropee nelle quali sia sopravvissuta una desinenza di I persona duale vanno certo ricordati il lituano e varie lingue slave (specie in antico). Nel lituano, -va ( < *-va) è desinenza di I persona duale sia nella flessione tematica che in quella atematica (senza differenziazione tra serie primaria e secondaria) 98 ; nelle lingue slave si hanno, indistintamente per la serie primaria e per la secondaria, forme con timbro vocalico differente 93

In questo senso d. già A. Thumb, Hlltldbuch des S1111Sluit, cit., 1/2,

p. 199 sg. (S 422). " Cf. ad es. J. Kellcns, Le verbe ll1Jestiqfle, cit., p. 410; H. Rix, Hist. Grammatile,cit., p. 2,1. 95 In questo senso si vedano già E. Prokosch, A Compar. Germanic Grammar, cit., p. 218; H. Krahe, Germ. Sp,achwissenscha/t,cit., II, p. 10,; E. C. Polom~, DillchronicDevelopment, cit., p. 874 (dove si parla di desinenza di •perfetto•). 96 Cf. ad es. H. Krahe, Germ. Sp,achwissenscha/t,cit., II, p. 111. "' E. Prokosch, A Compa,. Germanic Grammar, cit., p. 210. 98 Cf. Ott. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., pp. 224 e 236; Id., Vgl. Grammatile,cit., p. 419 sg.

V • Le desinenze nel per/etto indoeuropeo

208

(sl. ant. -vé < *-ve, etc., a fronte di poi. -wa, russo ant. -va, etc.)~Non è pensabile, in ogni caso, che tale desinenza di I duale del baltico e dello slavo sia da attribuire al perfetto, e di qui si sia estesa alle serie primaria e secondaria: si è ampiamente segnalato in precedenza come in nessuno di questi due gruppi linguistici si siano altrimenti conservate desinenze caratteristiche del perfetto indoeuropeo (su sl. ant. védé cf. supra, S ,.1.1). Sulla base degli clementi ora sinteticamente ricordati, si può senz'altro concludere che la desinenza di I persona duale occasionalmente utilizzata in forme di perfetto (o con il perfetto connesse), rappresentabile come *-we (e *-we 100), non appartiene alla serie specifica del perfetto, ma alla serie delle desinenze secondarie. Non appare dunque legittimo riferire una tale protoforma al perfetto indoeuropeo 101, a meno che non si ricordi esplicitamente che si tratta di elemento integrato con procedimenti di tipo suppletivo nelle singole aree linguistiche (al pari, del resto, delle altre desinenze di duale, cf. infra).

,.1.4.2. II personaduale. Oltre alle aree linguistiche sopra ricordate a proposito della I persona, nel caso della desinenza di II duale del perfetto si può addurre anche la testimoniao1.- del greco. Ma converrà procedere con ordine. Nel perfetto delPindiano antico la II persona del duale si con-

Una chiara indicazione al riguardo è fornita dallo Stang, Das sl11v.11nd balt. Verbum, cit., p. 223; si veda anche A. Vaillant, Grammaire, cit., III, p. 14 sg. 100 La fortuna avuta dal tipo a vocale lunga (con diversi timbri) nel 99

baltico, nello slavo e - in parte - nel germanico può certo essere attn"buita a una interferenza con il pronome personale di I persona duale: sotto quea sto rispetto si può utilmente riprendere l'ipotesi del Thumb (d. supra, nota 93), integrata dalle notazioni dello Stang (Das slav. und balt. Verbum, cit., p. 223; Vgl. Grammatile,cit., p. 419 sg.). Non può essere ritenuta più che una congettura la spiegazione del Burrow (The SansleritLangwge, cit., p. 309), il quale - sulla base del raffronto con la desinenza ittita di presente I pi. -wen(i) - considera le desinenze della I persona duale in origine puri e ICIDplici allomorfi di quelle dclla I persona plurale (secondo una formula esemplificabile come { /mc .../ /wc .../}). 101 A tale riguardo non sembra condivisibile, pertanto, la sintesi proposta dal Szcmcrmyi, Ein/iib111ng,cit., p. 259.

~

,.1.4.2. II persona duale

209

traddistingue per una desinenza -athur 102, che differisce sia da quella primaria (-thas) che da quella secondaria (-tam). Come hanno giustamente osservato il Pisani e il Leumann ios, la desinenza di perfetto II du. -athur (al pari della III du. -atur) riflette una chiara innovazione, a partire dalla desinenza primaria (-athas nei tematici), incrociatasi per analogia con la III plur. del perfetto -ur"". Il greco documenta nel perfetto una desinenza di II duale -"fov, che è la stessa della serie primaria 1115; identità con la desinenza primaria è ravvisabile anche nel gotico, dove -u-ts del preterito coincide con la desinenza primaria (-a-ts), salvo che per l'introduzione di -u- in luogo della vocale tematica -a-, in analogia con la serie delle desinenze preteritali -um, -uj:,, -un del plurale (e con la I du. -u) 106• Infine, non vi è motivo per ritenere che le desinenze di II du. tematica e atematica del lituano (-ta) e primaria e secondaria delle lingue slave (si. ant. -ta etc.) vadano ascritte a una ipotetica serie del perfetto; si tratta invece, come è stato osservato, della originaria desinenza primaria 1117• Considerato il fatto che l'unica desinenza di II persona duale specifica del perfetto, vale a dire -athur dell'indiano antico, costituisce una innovazione (sulla cui epoca si dirà più avanti), mentre nelle altre aree linguistiche viene utilizzata la corrispondente desi-

102

C'.oslA. Thumb, Hantlbuch tles Sansltrit, dt., 1/2, p. 194; non appare giustificata l'indicazione di -athus fornita dal Burrow, The Sanslerit Lmguage, dt., p. 306, dal momento che solo -, finale si spiega in una prospettiva etimologica (d. infra). 103 V. Pisani, Vber einige ai. r-Entlungtn, dt., p. 221; M. Lcumann, Mo,phol. Ntuerungtn, dt., p. 20 sg. ( = 92 sg.); d. anche R. Hauschild nella J• cdiz. di A. Thumb, Hantlbuch tlts Sanslerit, dt., 1/2, p. 201. 104 Ovviamente, il fenomeno avrà awto luogo dapprima nella III duale (influenzata dall'omologa persona del plurale), e successivamente nella II duale, secondo la proporzione « -athas (prcs. II du.) : -atas (prcs. III du.) x (pf. II du.) : -4tur (pf. III du.) •• per la quale x = -athur. 105 Cf. H. Rix, Hist. Grammatile, dt., p. 257. 106 Cf. E. Prokosch, A Compar. Gtrmanic Grammar, dt., pp. 210, 212 e 218; H. Krahe, Germ. Sp,achwisstnschaft, dt., Il, pp. 99 e 105; E. C. Polomé, Diachronic Dtvtlopmtnt, dt., p. 874. 1117Su alcune peculiarità nel vocalismo di tali desinenze rispetto a quello ricostruibile per le altre lingue indoeuropee d. in particolare Chr. S. Stang, Das slav. untl balt. Verbum, dt., pp. 223 e 236; Id., Vgl. Grammatile, dt., p. 420; A. Vaillant, Grammairt, dt., p. 15 (dove si suppone un'interferenza con il duale •-aappartenente alla flessione nominale).

=

V • Le desinenu nel pn/etto indoetU'Opeo

210

nenza primaria, si dovrà senz'altro concludere che in riferimento al perfetto indoeuropeo non è possibile ricostruire alcuna desinenza autonoma di II persona duale 108• 5.1.4.3. lii persona duale. Si è precedentemente osservato come la desinenza di III persona duale documentata nel perfetto indiano antico sia -atur, la quale, al pari della II duale -athur, costituisce il risultato di un incrocio tra la omologa desinenza principale e quella di III persona plurale del perfetto (-ur). Una tale spiegazione trova conferma, nella fattispecie, dai dati dell'avestico, nel quale sono documentati tre esempi di perfetto III du. con desinenza -atara: se si considera che da un lato la desinenza primaria di III du. è *-(a)tas (> -(a)to in finale assoluta) 1°', e dall'altro -ara è la normale desinenza di III plur. del perfetto, appare chiaro come nella genesi di -atara si sia manifestato un incrocio perfettamente analogo a quello riscontrabile in -atur vedico 110• L'evidente concordanza dei due fenomeni ha indotto a parlare di una innovazione comune indo-iranica, da situare quindi nella fase proto-aria; non sarei però cosl sicuro in merito a una tale conclusione, in quanto il fenomeno - che ha comportato una ristrutturazione analogica alquanto elementare - potrebbe anche essersi manifestato indipendentemente nei due gruppi linguistici. In ogni caso, solo l'area indo-iranica attesta una desinenza specifica per la III persona duale del perfetto; il greco, al contrario, utilizza nel perfetto la terminazione della serie primaria, vale a dire -'fov 111, e nella flessione verbale delle lingue slave la III persona duale è segnalata da una desinenza (di uso indifferenziato) -te I -ta,

108

Su questo punto ha certamente ragione O. Szemcrmyi, Einfihrung, cit.,

p. 259.

°' Cf. J. Kellens, Le verbe avestique, cit.,

1

p. 212. Oltre a Leumann e Hauschild-Thumb, citt. nota 103, c:f.anche J. Kurylowicz, The Inflect. Categories, cit., p. 153. 111 Cf. H. Rix, Hist. Grammatile, cit., p. 257; la desinenza primaria di III du. --tov (che si oppone alla desinenza secondaria -flJV) costituisce in greco il punto di arrivo di una complessa ristrutturazione analogica, nella quale la desinenza secondaria di II du. --tov si è sostituita all'antica desinenza primaria di II du. (*-t(h)e/os), e successivamente ha esteso la gamma d'uso alla III persona duale sempre della serie primaria (in luogo di un *-te/os): cf. E. Schwyzer, Griechische Grammatile, cit., I, p. 666 sg. 110

,.1.4.3. III persona duale

211

nella quale si potrebbe forse riconoscere la confluenza del tipo primario e di quello secondario, ma certo in nessun caso l'esito di una ipotetica desinenza specifica del perfetto 112• Non sono disponibili indicazioni relative ad altre aree linguistiche, dal momento che nella documentazione delle lingue germaniche è ignota la III persona del duale, e lo stesso si può dire per le lingue baltiche (nel lituano si ha una generica III persona indifferenziata nel numero); per il resto, i due o tre esempi tocari relativi al preterito III du. non forniscono alcun elemento utile 113• Su queste premesse, sembra giusto ritenere che la serie di desinenze del perfetto indoeuropeo non abbia conosciuto una specifica forma di III persona duale n.,,che poi è invece emersa alla luce in singole aree linguistiche (con innovazioni peculiari, oppure con la estensione analogica della omologa desinenza primaria o secondaria). Le conclusioni suggerite dai dati disponibili riguardo alle caratteristiche delle desinenze duali nel perfetto indoeuropeo sono riassumibili in breve: nulla indica che la serie delle desinenze del perfetto possedesse terminazioni specifiche per quanto attiene al numero duale. Le non molte lingue indoeuropee che hanno conservato tale numero nella flessione verbale evidenziano - nel perfetto o in forme ad esso parzialmente riconducibili - una costante utilizzazione delle corrispondenti desinenze duali primarie, più raramente secondarie, secondo strategie in larga misura tra loro differenti (a ulteriore dimostrazione della recenziorità del fenomeno).

Ampi ragguagli(con indicazioni bibliografiche) in Chr. S. Stang, Das slar,. und balt. V erbum, dt., p. 223 sg.; una spiegazione in parte diversa ~ presentata da A. Vaillant, Grammaire, dt., III, p. 15. 113 Sugli esempi tocari difficili da spiegare e forse confrontabili con le desineru:e nominali del duale - si può vedere A. J. Van Windekens, u toleharien, dt., II, 2, p. 286 sgg.; rilevanza ancora minore riveste in questa sede la desinenza (primaria) attiva del presente III du. -le1f1 nel toc. B (sulla quale si veda ora O. Hackstein, On the Prehistory of Dual Inflection in the Tocharian Verb, •Sprache" 35 [1995], 1, p. 50 sgg.). 114 C.oslO. Szemerényi, Einfiihrung, dt., p. 259. 112

V • Le deslnenie nel perfetto indoeuropeo

212

.5.1.4.4. I persona plurale. Nel ricostruire l'originaria desinenza di I persona plurale del perfetto si incontrano problemi parzialmente analoghi a quelli evidenziati per l'intero duale: è difficile, infatti, individuare per questa persona una desinenza specifica del perfetto, distinta, cioè, da quelle della serie primaria e secondaria. Già l'indiano antico offre un saggio delle difficoltà di cui si è ora fatto cenno: la I persona plurale del perfetto si contraddistingue per una desinenza -ma, la quale - ove si prescinda dal carattere isterodinamico, che comunque è in funzione della struttura radicale - di fatto è identica alla desinenza secondaria -ma 115• Il perfetto avestico conferma i dati vedici: anche qui la desinenza di I persona plurale, -ma, coincide esattamente con quella secondaria (-ma)116• In parte diversa è la situazione del greco, la terza area linguistica che testimonia un perfetto a sé stante. Anche qui la desinenza ove si eccettui la sezione nord-occidentale, del perfetto I plur. (-J.LEV, dove si ha -µte;) coincide di fatto con la secondaria, ma si noterà che: a) nel tipo (pan)greco -J.LEV (e in quello nord-occ. -µte;) si

è avuto per tempo un sincretismo della desinenza primaria con quella secondaria; b) sia

la forma nord-occidentale

-µte;, sia l'altra -J.LEV, non indo-iranico -ma; e se in pro-

corrispondono esattamente al tipo spettiva etimologica -J.LEV può identificarsi con l'omologa desinenza secondaria indo-iranica (a patto di interpretare -v come ampliamento recenziore), -µte; sembra piuttosto riflettere l'antica desinenza pri. (cf . m • d . ant. -mas) 111. mar1a Cf. A. Thumb, Handbuch des Sansltril, cit., 1/2, p. 202 (minor interesse rivestono le considerazioni sulla genesi di tale desinenza, presentate a p. 199 sg.); ulteriori osservazioni (non sempre condivisibili) in E. Ncu, Dicbolomie, cit., p. 162 sg. Si prescinde, com'è ovvio, da -i- prcdesinenziale, che si espande a partire dalle radici set (vale a dire con *-a di seconda sillaba), e comunque non è affatto esclusivo del perfetto (cf. ad es. A. Thumb, cit. sopra, p. 283 sg., e J. Gonda, O/d Indian, cit., p. 106). 116 Gli esempi in J. Kellens, Le verbe avestique, dt., pp. 410 (per il perfetto) e 228, 380, etc. (per la desinenza secondaria). 117 Ampi riferimenti bibliografici in proposito sono fomiti da E. Schwy7.Ct, Griecbische Grammatilt, dt., I, nota 9 a p. 662 sg.; cf. anche, ad es., E. Sccbold, Versucb, cit., p. 194. Argomenti contrari alla ipotesi che .µiv possa essere analizzato come *-µt-v sono addotti da A. L. Sihlcr, New Compar. Grammar, dt., p. 463 sg. 115

.5.1.4.4. I pe,so1111 plurale

213

Le lingue germaniche forniscono una indicazione parzialmente ambigua. La desinenza di I persona plurale attestata infatti nella flessione del preterito (compresi i preterito-presenti) è nel gotico e nell'alto tedesco antico -um, nel nordico antico -om (altrove si è generalizzata la forma della III plur.); tale esito - secondo la spiegazione tradizionale - rinvia a un *-'!', a sua volta originatosi in posizione post-consonantica per effetto della caduta di una vocale breve finale 111 (altra ipotesi, più recente, è che in -um la vocale -usia subentrata per analogia sulla III plur. -un 119). Si può pertanto ricostruire una desinenza protogermanica di I plur. *-me (o eventualmente *-mo), ma non si può affatto stabilire se tale desinenza appartenesse in origine a una specifica serie del perfetto, piuttosto che a quella secondaria 131• Gli altri gruppi linguistici indoeuropei non offrono indicazioni di particolare interesse in merito alla originaria desinenza di I persona plurale del perfetto. Per quel che riguarda il celtico, infatti, la desinenza attestata nel preterito irlandese antico privo di suffissi - il meglio confrontabile con il perfetto i.e. - è per la I plur. -a(m)mar, con una scn-

111

La trafila potrebbe dunque esser rappresentata come *-C-me(o *-C-mo)

> *-C-m > *-C-1/1> *-C-um: d. H. Krahc, Germ. Spr«hwissenschaft, dt., Il, p. 10.5 sg., e E. C. PoJomé, Di«hronic Deuelopment,cit., p. 874. Il Prokosch, A Compar.Germanic Grammar,cit., a p. 209 segnala per la I plur. due archetipi possibili (*-men oppure *-me/*-mo), ma successivamente (p. 217) sembra optare per il primo dei due (*-men), nonostante questo sia proprio il meno facile da spiegare da un punto di vista fonologico. 119 In questo senso d. A. Bammcsbergcr, Der Aufbau, dt., p. 96; nella breve nota Urgermanisch-u-, cit., p. 154, lo stesso Bammesberger non esclude però che l'influenza analogica si sia manifestata invece a partire dalla I persona singolare (con *-u" da *-1/', desinenza secondaria in forme atematiche di imperfetto). 120 Non appare giustificata la sicurezza manifestata dal Krahc e dal Pe> lomé (li. citi. nota 118) nell'attribuire al perfetto l'archetipo ricostruito per la desinenza di I plur. del preterito germanico; anzi, considerato il fatto che nel preterito germanico le altre desinenze del plurale appartengono alla serie secondaria, e tenuto conto della fortissima solidarietà all'interno della flessione del plurale, sembrerebbe semmai più ragionevole l'opposta interpretazione del Prokosch (A Compar.GermanicGrammar,cit., p. 210: « Whatcver the originai [perfcct] plural cndings werc, the Gmc. pretcrit shows merely thc aoristic sccondarycndings- »).

V - Le desinenze nel perfetto indoe11ropto

214

sibile ristrutturazione (forse analogica sulla III plur.) 121, che rende impossibile stabilire a quale serie di desinenze si debba risalire; forse solo il tipo di preterito I plur. medio cimr. -(a)m si lascia ben ricondurre a un *-me (o eventualmente *-mo) 122• Analogo discorso vale per il latino e per le lingue italiche. Nel latino la desinenza del perfectum I plur. -mus ( < *-mos) mostra la generaHzzazione del tipo primario (d. ind. ant. -mas etc.), e nulla dice sull'esistenza di una forma specifica del perfetto 121; per quanto riguarda l'italico, il problema maggiore è invece costituito dalla assoluta povertà di esempi relativi alla I persona plurale del preterito 124• Anche il tocario offre scarse indicazioni per ricostruire la desinenza di I persona plurale della serie del perfetto. In primo luogo, si noterà che nel tocario la desinenza di I persona plur. del preterito è identica a quella del presente (A -miis; B -m); in secondo luogo, una valutazione etimologica porterebbe a ricondurre la forma del dialetto agneo alla desinenza primaria (forse con ulteriore ampliamento vocalico), mentre quella del dialetto cucco rifletterà probabilmente la desinenza secondaria (pur se le opinioni divergono riguardo al vocalismo in questo caso ricostruibile) 125• Non si dànno dunque elementi per individuare relitti di una specifica desinenza originariamente di perfetto, e, del resto, la stessa mancanza di una forma unica riferibile al "tocario comune,, impone estrema prudenza nell'utilizzare i dati tocari in una prospettiva indoeuropea. Poco utile risulta anche quel che emerge dalla documentazione anatolica. Nella flessione del presente l'ittito non distingue - per

121

Cf. H. Pcderscn, Vgl. Grammatik, cit., Il, p. 381; R. Thumcyscn, A Grammar, cit., p. 434; qualche ulteriore indicazione è in K. H. Schmidt, Priiteritum und Medio-Passiv,•Sprache" 9 (1963), 1, p. 16 sg., e in W. Cowgill, On the Prehistoryo/ Celtic Passiveand Deponent lnflection, •triu" 34 (1983), p. 77 sg. 122 C.oslH. Pcdencn, l. cit. nota prcc. 121 Cf. ad es. M. Lcumann,lAt. lAut- und Formenlebre,cit., p. 607. 124 In questo senso si veda già R. von Pianta, Gram11111tik, cit., II, pp. 283, 359 sg., e soprattutto 366. 125 Si veda in primo luogo G.-J. Pinault, Introduction, cit., pp. 1.53 18· e 157 sg.; altri dati - con riferimenti bibliografici più specifici - in A. J. Van Windckcns, Le tolcharien,cit., II, 2, pp. 266 sgg. e 283, e in D. Q. Adams, TocharianHistor. ... Morphology,cit., p. 52 sgg. (dove alla desinenza di I plur del perfetto i.e. si attribuisce una protoforma *-mesinon meglio giustificata).

,.1.4.4. I persona plurale

quanto attiene alla I plur. - tra verbi in -mi e verbi in -bi. La desinenza del presente -weni (con le varianti, più rare, -wani e -u(m)meni), se pure non riflette un'antica I persona del duale piuttosto che del plurale 126, non può comunque fornire indicazioni attendibili riguardo alla serie del perfetto (si può anche ricordare, in una prospettiva anatolica, che non andrà trascurato il confronto con la desinenza -min documentata nel presente del luvio geroglifico 127). Se si preferisce, invece, chiamare in causa la desinenza del preterito I plur. itt. -wen (più raramente -u(m)men), sarà allora certo proponibile un raffronto con il gr . ..µav, che è una desinenza primaria/secondaria; anche qui, peraltro, non è escluso che si tratti piuttosto dell'antica forma di I duale (primaria o secondaria) 121• Infine, anche le desinenze del mediopassivo ittito sono state invocate in relazione alle originarie desinenze del perfetto; ma certo, nel caso della I plur. mediopass. (pres.) -waita(ri), -wasta(ti), (pret.) -waitat non è facile argomentare un confronto con la desinenza altrove attestata nel perfetto di altre lingue indoeuropee 129• Una corretta sintesi sull'argomento ~ già in A. Kammcnhuber, Hetbiliscb, dt., p. 318 sg. (con bibliografia aggiornata agli anni '60). 127 Si veda l'argomentata trattazione di A. Morpurgo Davies, The Personal Endings, dt., p. 93 sgg., a conforto della segnalazione di P. Meriggi, Schizzo grammaticale,dt., p. 347. Tra i primi ad aver studiato le desinenze di I plur. del luvio (e lido) va ricordato O. Carruba, Die I. und II. Pers. Plur., dt., p. 13 sgg.; per ulteriori indicazioni bibliografiche d. M. Marazzi, Il geroglifico anatolico, dt., p. 74 sg., e per un quadro complessivo S. Luraghi, Le lingue anatoliche,in Le lingue indoeuropee, dt., 2- cdiz., p. 210 sg. 121 Non sembra possibile seguire l'Octtinger (Die Gliederung, dt., p. 76) nel ricostruire su tale malcerta base una desinenza di perfetto I plur. *-wl; ~ perfettamente accettabile, invece, l'analisi dcll'Eichner, Die Vorgeschichte,dt., p. 86 sg., quando precisa: « 1. PI. sctz die uridg. Dualendung fort [ ...] •· Per quel che riguarda le altre lingue anatoliche, si può ricordare il solo luvio geroglifico, con la desinenza prcteritale -han - di origine analogica (d. I sing. -ha) -, individuata dalla Morpurgo Davies (The PersonalEndings, dt., p. 97 sgg.). 129 Difficilmente si potrà convenire con il Neu (Das heth. Mediopassiv,dt., p. 137 sg.; Die indogermanischenprimdren Medialendungen *-(m)ai, *-sai, *·(t)ai, •-ntai, •IF" 73 [1978], nota 14 a p. 3,o sg.; Das fruhidg. Diathesensystem, dt., p. 291 sg. e nota ,4) nel supporre che proprio il mcdiopassivo ittito conservi la situazione più antica contro la testimonianza dcll'indo-iranico, del greco etc. (più problematico O. Carruba, Anatolico, dt., p. 137). Molto più ngioncvole ~ al contrario la comparazione delle desinenze ittite di I plur. 126

mcdiopass. con le desinenze medie di altre lingue indoeuropee (gr. omcr . O. Szcmerényi, Einfubrung, dt., p. 2,, sg. (con bibliografia nella nota 4). .parie&, etc.): si veda per tutti

V - Le desinenze nel per/etio i11doeuropeo

216

Tra le rimanenti lingue indoeuropee, quelle che presentano pochi e incerti elementi eventualmente riconducibili a un perfetto originario, vanno ricordati i gruppi slavo e baltico; nelle lingue slave, in particolare, vi è chi ha ravvisato la continuazione di una desinenza di perfetto I plur. *-m6 nella flessione atematica del serbocroato e dello sloveno (dove è attestata la d~ineoia -mo) 1311• A parte la difficoltà di ordine generale insita nel riconoscimento di una antica desinenza di perfetto niente meno che nella coniugazione deJ presente atematico, anche una valutazione interna ai dati slavi genera più di un sospetto sull'arcaicità di tale desinenza -mo; sitthé molto probabilmente coglie nel segno chi, come lo Stang 131, è incline a ricostruire per tutte le lingue le slave una protoforma *-mos (appartenente alla serie primaria) 132• Quanto al baltico, le desinenze di I persona plurale lit. -me (con varianti dialettali), lett. -m, pr. ant. -mai (con epitesi di -i), rinviano a una desinenza della serie secondaria *-me (*-mo), con allungamento della vocale finale nel protolituano 133; dal momento che le lingue baltiche nel duale e nel plurale posseggono un'unica serie di desinenze (risultanti dal sincretismo delle primarie e delle secondarie), sarà vano ricercarvi la testimonianza di una specifica terminazione del perfetto per quel che riguarda la I persona plurale. Il quadro che risulta dagli indizi forniti dalle diverse lingue indoeuropee si presenta in certo modo in "chiaroscuro"per quanto attiene alla ricostruzione di una desinenza di perfetto specifica della I persona plurale. Si può notare, comunque, che l'indo-iranico, il germanico e - forse - il celtico, concordano nell'utiHuare per il perfetto (o per temi con questo connessi) una desinenza identica a quella secondaria *-me (forse alternante con *-mo) 134; dunque, nel perfetto - o in temi connessi - non si ha l'utilizzuione della omo-

1311Cf.

A. Vaillant, Grammai,e, cit., III, p. 11 sg. Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., p. 222 sg. 132 Oltre al cit. -mo, nelle lingue slave sono testimoniati -mi (nello slavo antico), -my, -me. Ricordo che le lingue slave nella I e nella II persona plurale comunque non distinguono una desinenza primaria da una secondaria. 133 Cf. ad es. Chr. S. Stang, Dar slav. und balt. Verbum, cit., p. 234 sg., trattazione rifluita - con pochi aggiustamenti - in Vgl. Grammatik, cit., p. 416 sg. 134 L'ossitonia, ovviamente, non è elemento distintivo della desinenza, poiché dipende piuttosto dalla struttura del tema flcssionale. 131

,.1.4.4. I persona plurale

217

Ioga desinenza primaria *-mes (*-mos) 135, tranne che in quelle lingue nelle quali la desinenza secondaria si è precocemente confusa con quella primaria (greco, latino, etc.). Pertanto, si può ragionevolmente pervenire alle seguenti conclusioni: a) per la fase più antica della "comunione linguistica indoeuropea" non abbiamo tracce dell'esistenza di una specifica desinenza di I persona plurale nella serie del perfetto 136; b) i dati disponibili indicano che, piuttosto per tempo - in uno stadio linguistico probabilmente ancora parzialmente "unitario" -, tale desinenza fu supplita nella serie del perfetto con l'utiJizzazione del tipo secondario *-me (*-mo); e) tale nuova desinenza di I plur. del perfetto ha condiviso le vicende della desinenza secondaria, ed è quindi confluita nella serie primaria in singole aree linguistiche (greco, forse latino) . .5.1.4..5. II persona plurale. La ricostruzione della desinenza di II persona plurale ndla serie del perfetto indoeuropeo offre interessanti spunti di riflessione. Nel perfetto indiano antico la desinenza di II plur. si distingue nettamente dalle serie primaria (-tha) e secondaria (-ta): è infatti attestata una forma -a,che di fatto è identica - ove si prescinda dall'ossitonia, peraltro qui connessa con la struttura del tema - alla desinenza del perfetto I e III sing. -a 137• Sulla base della sola testi135

L'ampliamento in sibilante certamente caratterizzava la desinenza primaria rispetto alla secondaria; più difficile è individuare il ruolo awto dall'ampliamento in nasale (contro l'interpretazione nel senso di una desinenza secondaria - cf. supra la testimonianza del greco - sembrerebbe deporre il luvio geroglifico, dove -min è desinenza di presente). Sull'argomento si veda anche C. Watkins, ldg. Grammatik - III., cit., p. ,, (del quale non sembra pero condivisibile la conclusione: « Dic Mannigfaltigkcit dcr oft in glcichcn Dialckt vcrschicdencn Formen gcniigt, um zu zcigcn, daB clic Formcn im Idg. sclbst nicht cinhcitlich warcn. », ibid.; cosl anche E. Sccbold, Versuch, cit., p. 193 sg.). 136 Non sembra pertanto giustificata la sicurezza con la quale il Szcmcttnyi, Einfuhrung, cit., p. 2.59, postula un *-me quale desinenza originaria di I plur. del perfetto indoeuropeo: si può certo supporre che una desinenza specifica di I plur. del perfetto sia esistita in una qualche fase preistorica, ma anche se si ammettesse una tale ipotesi, per mancanza di clementi si dovrebbe comunque rinunciare ad attribuire a tale entità una forma meglio definita. 137 Cf. A. Thumb, Handbuch des Sanskrit, cit., I/2, p. 203.

V • Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

218

moniaoza dell'indiano antico oon sarebbe possibile identificare il timbro vocalico sottostante al documentato -a; non possono essere invocati confronti con le citate desinenze del singolare, in quanto in linea di principio appare difficilmente proponibile una interferenza tra la I o la III persona del singolare e la II persona del plurale. Proprio l'" anomalia" e irregolarità della desinenza -a,che - a differenza di II du. -athure III du. -atur- non si lascia spiegare come il risultato di ristrutturazioni analogiche, ha indotto vari studiosi a sospettare che tale -4 rappresenti una desinenza di perfetto antica, più dell'altro tipo (-te, etc.) attestato in varie lingue indoeuropee (cf. infra); la questione, però, appariva fino a non molti anni or sono ancora aperta, in mancanza di ulteriori elementi che confortassero la testimonianza indoaria 131• Nel perfetto avestico, in effetti, non sembrano disponibili esempi relativi alla II persona plurale, ove si eccettuino il congiuntivo (gith.) vaorazaOa (Y. 50, 5) e la controversa forma hauhana(Y. 8, 2). Il primo esempio, però, di fatto non fornisce alcuna indicazione in merito alla desinenza della serie del perfetto: com'è noto, il congiuntivo (formazione modale solo secondariamente creata sul tema del perfetto, cf. infra, S 6.5) è caratterizzato - e non solo nell'avestico - da desinenze ora primarie ora secondarie, mai di perfetto, e dunque .Oaqui è la desinenza primariadi II plur. 1•. Il secondo esempio, vale a dire hauhana,è di difficile interpretazione: in principio si riteneva fosse perfetto indicat. III sing. 1•, in séguito si è fatta strada l'ipotesi di una II persona plurale (sempre del perfetto indicativo), a desinenza -a cosl come nell'indoario 141, ma la forma verbale in questione a tutt'oggi appare poco perspicua 142• 131

Cf. ad es. V. Pisani, Ober einige ai. r-Endungen, cit., p. 220 sg., ricordato anche in A. Thumb, cit. nota prcc. Della forma avest. vaoràzaOi,menzionata dal Pisani, si dirà più avanti. 1• Si può senz'altro sottoscrivere l'affermazione in tal senso fatta dal Kcllcns, Le verbe avestique, cit., p. 419. Come nota il Kcllcns, la vocale + che precede la desinenza sarà vcrisimilmcnte il suffisso modale caratteristico del congiuntivo, e non il relitto di una antica desinenza *-a (ardita ipotesi, quest'ultima, formulata dal Pisani, l. cit. nota prcc.). 1• Cf. ad es. H. Rcichclt, Awest. Elementarbuch, cit., p. 123. 141 In questo senso si può vedere, ad esempio J. Kurylowicz,The Inflect. Categories, cit., p. 1.53,con le ulteriori osservazioni di C. Watkins,Idg. Grammatilt - Ili., cit., p. 3.5. 142 Cf. J. Kcllcns, Le verbe avestique, cit., nota 4.5 a p. 404.

S.1.4 ..5. II persona plurale

219

Se dunque è difficile trarre dall'iranico sicure conferme riguardo all'antichità della desinenza di II plur. attestata nel perfetto indiano antico, una indicazione piuttosto significativa viene invece da un'area linguistica alquanto distante dall'indoaria, quella dei dialetti dell'Italia antica. Nel peligno lexe, infatti, si è vista - probabilmente con ragione 143 - una II persona plur. di perfetto, caratterizzata da una desinenza -e perfettamente comparabile con -a dell'indiano antico. Nell'àmbito latino e italico, peraltro, tale desinenza risulta isolata: nell'italico sembra attestato un solo altro esempio - oltre tutto non certo - di II plur. del perfetto, vale a dire sudpic. videtas 144, mentre nel latino, come noto, la desinenza è -tis, che si aggiunge al suffisso -is- caratteristico anche della II sing. (cf. supra, S .5.1.2) 145• Nelle altre lingue indoeuropee non compaiono tracce di una desinenza di perfetto II plur. diversa da quella primaria o secondaria. Nel perfetto greco è documentata una desinenza -'te, che probabilmente va identificata con la originaria desinenza secondaria (cf. ind. ant. -ta) 146• I preteriti forti e i preterito-presenti delle lingue gerRinvio senz'altro all'ampia trattazione di A. L. Prosdocimi, Appunti sul verbo latino (e) italico. VI., cit., p. 237 sgg.; riferimenti alla bibliografia precedente in W. Belanti, La formazione, cit., p. 102 e nota 1. 144 Su tale forma cf. A. L. Prosdocimi e A. Marinetti, Appunti sul verbo italico (e) latino, cit., p. 241 sgg. (i quali invero non escludono che vitletas, in alternativa, possa essere interpretato come II persona singolare). 145 Prosdocimi e Marinetti, citt. nota prcc., ritengono che il sudpiceno -tas e il latino -tis possano rinviare etimologicamente all'antica desinenza di II persona singolare del perfetto, vale a dire *-tH-ze, ampliata con un *•s plu• ,alizzaote; l'ipotesi, non del tutto priva di controindicazioni fonetiche (comunque non insormontabili), ~ interessante, pur se difficilmente dimostrabile in considerazione degli scarsi clementi di raffronto disponibili. Spiegazione in parte analoga ~ quella di A. L. Sihler, New Compar. Grammar, cit., p. 46S, il quale pensa peroa una titilizzazione dell'antica desinenza di II persona duale (*-tHies). Per l'analisi tradizionale - ma non necessariamente meno attendibile - della desinenza latina, d. ad es. J. Narten, Zur Flexion, cit., p. 139 sg. (-tis < *-tes, cosi come I plur. -mus < *-mos). 146 Cf. ad es. E. Schwyzer,Griechische Grammatilt, cit., I, p. 662 sg., e H. Rix, Hist. Grammatilt, cit., p. 2S6. Si noterà che nell'area greca si ~ manifestato un prccocc sincretismo tra le desinenze primaria e secondaria di II persona plurale (forse facilitato da una confusione formale, se ~ valida l'ipotesi di una generale tendenza alla dcaspirazione di *th in greco, tranne che dopo sibilante e in pochi altri particolari contesti: cf. supra, S .5.1.2 e note .59-60). 143

220

V -

Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

maniche attestano la desinenza secondaria (-], < *-te, cf. got. -up, nord. ant. -o],, etc.) anche nella II plur., cosl come, del resto, nelle altre persone del plurale''°. Quanto al celtico, nell,irlandese antico e nel cimrico il preterito privo di suffissi - al pari di quegli altri tipi di preterito di origine invece aoristica - sembra evidenziare nella II persona plurale un archetipo *-te ( > irl. ant. -(i)d etc.) 1•. Il tocario presenta un rimaneggiamento seriore (preterito II plur. A -s, B -s, -so) u,, e di fatto non offre valide indicazioni in prospettiva indoeuropea. Problematica è anche la testimonianza delle lingue anatoliche, dove si evidenzia solo la continuazione della desinenza primaria/secondaria (con ampliamento in nasale), nella flessione del presente (itt. -teni - anche nei verbi in -mi - luvio cun. e gerogl. -tani, lic. -téni etc.) cosl come in quella del preterito (itt. -ten - anche nei verbi in -mi - luvio cun. -tan, etc.) 151• Le lingue baltiche e slave, infine, le quali non distinguono tra serie primaria e secondaria, testimoniano una desinenza di II persona plurale *-t(h)é (lit. -te, si. ant. -te, etc.), la quale certo non può fornire alcun dato relativamente alla serie del perfetto 151• Le indicazioni che in una prospettiva genealogica possono esH. Krahc, Germ. Sp,achwissenschaft, eit., II, pp. 99 e 106; E. Prokosch, A Compar. Ge,manic G,amma,, eit., p. 217; E. C. Polomi, Diachronic Development, eit., p. 874. Solo la presenza della vocale got. e a.a.t. -u-, nord. ant. -o- (di probabile origine analogica, secondo le altre persone del plurale) contraddistingue la desinenza del preterito in opposizione a quella del presente, anch'essa caratterizzata dalla dentale (got. e nord. ant. -J, < *-te o *-the). 1• Si può convenire con la conclusione in tal senso raggiunta dal Pcderscn, V gl. Grammatilt, cit., II, p. 381 sg.; d. anche R. Thurncysen, A Gramma,, eit., p. 434. In ogni caso va ricordata la povertà di esempi relativi alla II plur. del preterito senza suffisso per quel che riguarda l'irlandese antico. 149 Cf. soprattutto G.-J. Pinault, Introduction, eit., p. 1.58sg.; per indicazioni bibliografiche si vedano anche A. J. Van Windekens, Le toltharien, cit., Il, 2, p. 283 sgg., e D. Q. Adams, Tocharian Histo, . ... Mo,phology, cit., p . .52 sg. e nota 12 (a p. 100). ,si Alle indicazioni di ordine generale contenute, ad es., in A. Kammcnhubcr, Hethitisch, eit., pp. 319 e 334, o in E. Neu, Das f,uhidg. Diathesensystem, eit., p. 289, si aggiungano, con particolare riferimento al luvio (cuneiforme e geroglifico) e al licio, O. Carruba, Die I. und II. Pers. Plur., eit., p. 1.5 sgg., e A. Morpurgo Davies, The Personal Endings, eit., pp. 90 sg. e 108. 151 Cf. Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, eit., pp. 223 e 23.5 sg.; Id., V gl. Grammatilt, eit., p. 417 sgg.; A. Vaillant, Grammaire,eit., III, p. 12. 147

.5.1.4..5. II persona plurale

221

ser riferite alla desinenza di II persona plurale del perfetto si lasciano dunque riassumere come segue: a) delle tre lingue che conservano un perfetto funzionalmente autonomo, una, l'indiano antico, evidenzia una desinenza di II plur. -anettamente distinta dalle omologhe desinenze primaria e secondaria (e a queste irriducibile), una seconda, l'avestico, non offre indicazioni, e l'ultima, il greco antico, presenta un'unica desinenza -'t'E per la serie primaria, per quella secondaria (nella quale è certo antica) e per il perfetto. Vi è stato chi ha opportunamente rilevato che -avedico, nella sua ccirregolarità", non si lascia spiegare come innovazione 152; all'opposto, -'t'E del greco antico rientra in quel generale fenomeno di coalescenza tra desinenze (primarie, secondarie, del perfetto) che in tale area linguistica si è precocemente manifestato nel duale e nel plurale; b) negli altri gruppi linguistici indoeuropei si riscontra l'utilizzazione - in forme flessionali riconducibili a un perfetto o con esso confrontabili - della desinenza secondaria di II plur. *-te (o eventualmente primaria *-the): in questo senso si possono citare il germanico, il celtico, forse il latino (con ristrutturazioni) e l'anatolico (nei limiti in cui si vogliano rinvenirvi tracce del perfetto) 153; e) un esempio isolato nell'Italia antica, il peligno lexe, si proporrebbe come testimone ccoccidentale" di una desinenza di perfetto II plur. *-e, alla quale potrebbe certo esser riportato anche il tipo indiano antico -a. Queste considerazioni permettono di affermare che, per quanto attiene all'originaria desinenza di II persona plurale del perfetto indoeuropeo, si riscontra una situazione affatto diversa da quella 152

Cf. A. L. Prosdocimi, Appunti sul verbo latino (e) italico. VI., cit.,

p. 237 sg. 153 Per completezza, va detto che il Neu (ad es. in Das heth. Mediopassiv, cit., p. 137 sg.; Zur Rekonstrulttion, cit., p. 2.52; Das fruhidg. Diathesensystem, cit., p. 291 sg.), e con lui gli altri sostenitori dell'originario rapporto etimologico tra perfetto e medio, hanno affermato che le desinenze di II plur. del mediopassivo ittito - pres. -duma(ri), prct. -dumat(i) - rifletterebbero il tipo più antico di desinenze di II plur. del perfetto (*-dhwa/*-dhwo). In mancanza di riscontri in qualunque forma di perfetto di altre lingue storiche (ind. ant. -dhve, gr. ant. -(cr)Otsono infatti desinenze esclusivamente medie), l'attendibilità del confronto non può che rimanere ipotetica.

V - Le desinenze nel perfetto indoetll'opeo

222

evidenziata per la desinenza di I persona plurale. In primo luogo, la presenza di varie e importanti "eccezioni" non consente di riconoscere nel tipo *-te la desinenza di II persona plurale specifica del perfetto; d'altronde, non è neppure giustificato - come vari studiosi hanno invece fatto 154 - ritenere irrecuperabile la forma più antica della desinenza che qui interessa. In secondo luogo, considerazioni interne all 'indoario e la comparazione con l'isolato esempio peligno suggeriscono di attribuire un carattere comunque arcaico a una desinenza di perfetto II plur. *-e 1515• In terzo e ultimo luogo, non può valere come obiezione la presunta identità di tale desinenza di perfetto II plurale con la desinenza di III persona singolare *-e, identità che avrebbe potuto pregiudicare la funzionalità del sistema: infatti, si può notare che in lingue come l'indiano antico, nelle quali ben si conserva l'alternanza apofonica radicale tra singolare e plurale/ duale, la desinenza *-e si è conservata a lungo nella II plurale, in quanto indissolubilmente connessa con un tema a grado zero (isterotonico) diverso da quello a grado *-o- (acrotonico) della III singolare; in altre lingue (greco antico, latino, etc.), nelle quali si è awto invece un forte livellamento dell'alternanza apofonica tra singolare e plurale, la sopravvenuta identità tra le forme di perfetto III sing. e II plur. può aver certo costituito una delle cause della crisi di *-e nella II persona plurale del perfetto (o dei suoi succedanei), e della conseguente sostituzione con *-te (desinenza secondaria). .5.1.4.6. III personaplurale. Le attestazioni della desinenza cli III persona plurale nel perfetto (o in formazioni ad esso riconducibili) sono certamente numerose nelle singole aree linguistiche indoeuropee, e dunque la ricostruzione di un prototipo comune presenta

Cf. ad es. E. Secbold, Versuch, cit., p. 193; E. Ncu, Da friJbidg. Diathesensystem, cit., nota ,4 a p. 292; Id., Dichotomie, cit., p. 162 sg.; H. Rix, The PIE Middle, cit., p. 102; O. Szemerényi, Einfiihrung, cit., p. 2,9. 1515Sul carattere arcaico della desinenza di pf. II plur. *-e cf. già C. Watkins, Idg. Grammatik - III., cit., p. 3, (a integrazione di quanto suggerito dal Kurylowicz,The Inflect. Categories, cit., p. 1,3), o ancora N. Oettiqer, 154

,n

Die Gliederung, cit., p. 76, K. H. Schmidt, Die vorgesch. Grundlagen, cit., sg., R. S. P. Beck.es, p. 79, A. L. Silùer, New Campar. Grammar, cit., p. Comparative lndo-European Linguistics. An lntroduction, Amsterdam-Philadelphia 199,, p. 238, e soprattutto A. L. Prosdocimi, Appunti sul verbo latino (e) italico. VI., cit., p. 237 sg.

,.1.4.6. III pnso1111plurale

223

minori difficoltà che non nel caso del duale, o delle stesse I e II persona del plurale. Il fatto che questa desinenza di III plur. attri • buibile al perfetto indoeuropeo fosse presumibilmente caratterizzata da una vibrante (cf. infra) ha ingenerato tutta una serie di speculazioni riguardo alla possibilità di riconoscere uno stretto rapporto tra il perfetto (o per lo meno tra questa persona del perfetto) e il medio, visto che in vari gruppi linguistici indoeuropei la vibrante -r- si configura quale elemento specifico delle desinenze mediopassive (deponenti, etc.). Su questo secondo problema, vale a dire il rapporto tra perfetto e medio, mi soffermerò più avanti (S .5.3); in questo paragrafo ci si limiterà invece ad argomentare sulla esistenza di una specifica desinenza di III persona plurale nel perfetto indoeuropeo, e - se del caso - sulla sua forma originaria. Il perfetto indiano antico e quello avestico rinviano concordemente a una desinenza di III plur. caratterizzata da una vibrante; i dati disponibili, tuttavia, hanno suggerito di risalire ora ad un archetipo *-r, ora ad un archetipo *-rs.In particolare, nel perfetto indiano antico è testimoniata la desinenza -ur156, la quale, in posizione finale di parola, può certo risalire a un *-rs,ma in alternativa, in determinati contesti fonosintattici, potrebbe ben riflettere un tipo *-r151• Per decidere quale delle due forme rappresenti l'archetipo della desinenza indoaria può soccorrere la comparazione con l'avestico (connesso con il vedico da solidarietà particolarmente strette). In tale lingua è ben documentata la desinenza di perfetto III plur. -araI -ara(in poco meno di una dozzina di radici); l'altra desinenza Tale desinenza ha poi conosciuto nell'indiano antico un vasto campo d'impiego, a partire dal nucleo originario che comunque va identificato nd perfetto: al riguardo si vedano soprattutto M. Lcumann,Morphol. Neuerungen, cit., p. 20 sgg.; J. Kurylowicz, uzdésinence verbale -r en indo-européen et en celtique, •Ec• 12 (1968), rist. in Esquisses linguistiques, II, Miinchen 197,, p. 332 sg. [ 9 sg.]; R. Lazzcroni,Gli ottativi vedici del tipo gam~ma e le forme modali autonome indoeuropee, •ssL• 27 (1987), p. 14, sg.; Id., Mutamento morfologico, cit., p. 211 sgg. (dove sono ddincate le modalità d'espansione funzionale di -ur). 151 Si vedano le osservazioni già presentate nd 1911 dal Mcillet, uzfinale -ul} de skr. pituJ:i, vidul;t etc., in Mélanges d'Indianisme olferts par ses élives ii M. Sylvain Uvi, Paris 1911, p. 20 sg.; ulteriori indicazioni in A. Thumb, Handbuch des Sansltrit, cit., 1/2, p. 204 sg.; V. Pisani, Vber einige ai. r-Endungen, cit., p. 216 sgg.; A. L. Prosdocimi - A. Marinetti, Sulla ter1.11 plurale, cit., p. 99 sgg.; H. Katz, Zu den 'r-Endungtn' dts indogermanischtn Verbs, •Hs• 101 (1988), 1, p. 40 sg. e nota 49. 156

=

V - Le desinenze nel per/etto indoeuropeo

224

(gath.) -at'tJsè eccezionale (un solo esempio), e compare in una forma (cikoitat'tJJ)che è anomala anche per il grado apofonico 1• (cf. supra, § 4.1.1). Considerato che avest. -at'tJ(-ara)può esser senz'altro ricondotto a *-r"', mentre -at'tJJsi lascia facilmente spiegare come creazione occasionale (e difficilmente potrà esser disgiunto dalla desinenza di ottativo -at'tJJ,documentata in presenti atematici, perfetti etc.), ritengo si debba porre alla base delle desinenze di perfetto III plur. indo-iraniche una singola protoforma *-r; del resto, i dati a disposizione non sembrano evidenziare alcuna necessità di ricostruire un allotropo *-rsper tale desinenza di perfetto"°. La lingua greca ha con ogni verii;imig)ianza innovato anche nel caso della desinenza di III plur., cosl come nell'intero duale e nelle altre persone del plurale: qui ha prevalso - forse per influenza dei presenti raddoppiati - la desinenza primaria *-nti, talora preceduta dalla vocale -a-,di origine analogica: ion. att. ..ao,.,lesb. -a.t.01.,arcad. -a.va,.,dor. -a.vn risalgono infatti a un archetipo *-anti, comune all'intero gruppo linguistico greco, mentre il più raro tipo etolico, focese, rodio -!"ti., ion. arcad. -!cn., riflette la forma postconsonantica *-czti161• Nel preterito (forte, ma anche debole) delle lingue germaniche invece ha prevalso - come nel resto del plurale,

Si veda in proposito J. Kellens, Le verbe avestique, cit., p. 411 sg. C.omeosserva il Kellens, Avestique, cit., p. 42 sg., l'esito avestico di *-r~ normalmente, in posizione interna, -~ra-, mentre -ara- riflette piuttosto un *-f-. In questo caso, tuttavia, la comparazione della desinenza avestica -ara con l'ind. ant. -ur (che non può riflettere una sonante lunga) appare certa - cf. J. Kellens, Le verbe avestique, cit., p. 411, e H. Katz, cit. nota 1,1 -, e dunque ~ ben probabile che -ara rappresenti precisamente l'esito di *-r in sillaba finale (cf. anche avest. yaleara < *yefew.t,etc.). ldO L'opinione qui espressa presenta punti di contatto con la ricostruzione suggerita dalla Bader, Le syst~me, cit., p. 10,, e Relations de structure, cit., p. 2.3; diverge totalmente, invece, dalle conclusioni cui pervengono - forse per una valutazione sommaria dei dati avestici - ad esempio E. C. Poi~ (DiachronicDevelopment, cit., p. 87') e J. H. Jasanoff (ReconstructingMorphology,cit., nota 20 a p. 150). La testimonianza - peraltro isolata e incerta del venetico teuters, invocata da A. L. Prosdocimi e A. Marinctti (Sulla teru plurale, cit., p. 114 sgg.) per la ricostruzione di un *-rs {*-rs), non ~ comunque decisiva in riferimento all'indo-iranico. 161 Un quadro chiaro, pur se sintetico, ~ offerto da H. Rix, Hist. Grammatile,cit., p. 2,6 sg.; più ampie indicazioni in E. Schwyzer, GriechischeGrammatile, cit., I, p. 664 sg. (riprese ad es. da E. C. Polom~, DiachronicDevelopment, cit., p. 874 sg.). 151

15'

,.1.4.6. III perso,u plurdle

22,

cf. supra - la desinenza secondaria*-nt (donde, regolarmente, got. -un, etc.) 162. Nel per/ectum latino sono documentate alcune desinenze di III persona plurale non riconducibili alla serie primaria né a quella se,. condaria. In particolare, riflettono un'antica desinenza in *-er(e) sia il tipo -ere (-'ér) che il più arcaico -er(a)i163, mentre opinione comune - non però da tutti condivisa 164 - è che -erunt risalga ad altro tipo di formazione (*-is-ont), a desinenza secondaria 165• Anche l'italico, seppure assai sporadicamente, sembra documentare desinenze di preterito III plur. caratterizzate da -r- (-re in area marso-umbra), accanto al ben più comune tipo -(e)ns 166• Infine, il venetico, lingua in qualche modo vicina all'italico, documenta desinenze in -(e)r, ma

162

Oltre al Polomé, cit. nota prcc., d. H. Krahe, Germ. Sprachwissenschaft, cit., Il, p. 106; E. Prokosch, A Campar. Germanic Grammar, cit., p. 217; A. Bammcsbcrgcr, Der Aufbau, cit., p. 96. 163 Lo studio più ampio e sostanziaJm,..nte affidabile - in proposito ~ certo quello di Fr. Badcr, Le système, cit., p. 87 sgg.; si vedano ancora, tra i contributi recenti, Fr. Badcr, Relations de structure, cit., p. 18 sgg.; J. Nartcn, Zur Flexion, cit., p. 140 (i riferimenti bibliografici sono offerti nella nota 22 a p. 148); M. Leumann, ùzt. ùzut- und Formenlehre, cit., p. 607 sg.; J. H. Jasanoff, The Tenses, cit., p. 178 sg.; A. L. Prosdocimi - A. Marinetti, Sulla tena plurdle, cit., p. 103 sgg.; H. Rix, Zur Entstehung, cit., p. 232 sg. Per una corretta rassegna relativa all'uso di tali desinenze (nonché di -erunt) presso gli autori latini si veda la breve monografia di 01. F. Bauer, The Latin Perfect Endings -ere and -crunt, Philadclphia 1933 ( = LanguagcDiss., 13), rist. New York 1966, passim. 164 Si vedano, ad esempio, le riserve in merito espresse da Fr. Badcr, Le système, cit., p. 92 sgg., e da A. L. Prosdocimi e A. Marinetti, Sulla terza plurdle, cit., pp. 96 e 106 sg. 165 Cf. J. Narten, Zur Flexion, cit., p. 140 e nota 23 (a p. 149); M. Lcumann, ùzt. ùzut- und Formenlebre, cit., p. 608; E. C. Polomé, Diacbronic Development, cit., p. 87,; H. Rix, Zur Entstebung, cit., p. 233 sg. Il tipo "classico" -irunt ~ considerato dai più il risultato dell'incrocio tra -ire cd -lrunt (ovvero della ridetcrminazione di -ire per mezzo della desinenza secondaria): d. già Fr. Badcr, Le système, cit., pp. 100 sg. e 104, o ancora H. Rix, cit.

sopra. 166

Oltre a R. von Planta, Grammatilt:, cit., II, pp. 280 sgg. e 366 sg., si veda soprattutto il recente contributo di A. L. Prosdocimi e A. Marinetti, Sulla terza plurdle, cit., p. 107 sgg.; non altrettanto persuasiva risulta l'analisi dai due studiosi italiani compiuta (Appunti sul verbo latino (e) itdlico. II., cit., pp. 19, e 200 sg.) riguardo a forme umbre in -uso (ipoteticamente ricon• dotto a un *-us-ro).

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

226

quasi esclusivamente nella III persona singolare del preterito; per la III persona plurale avremmo, quale unico esempio, teuters, dove, più che un'antica desinenza *-(e)rs 167, sembra riflettersi piuttosto un'innovazione specifica del venetico 168 . Le lingue celtiche serbano poche e incerte tracce di una desinenza di III plur. in -r (accanto a più chiare continuazioni della desinenza secondaria *-nt): va probabilmente accantonato l'esempio irl. ant. di preterito(-presente) III sing. ( !) ./itir 'egli sa, sapeva' (cf. anche .gén(a)ir etc.), che appartiene invece alla flessione deponente 169, mentre, sempre nell'irlandese antico, una desinenza di III plur. *-r sembrerebbe essersi aggiunta alla desinenza secondaria (mediale) *-nto nel preterito senza suffissi, per dar luogo al documentato -tar 170. La rilevanza di questo dato irlandese antico non va comunque sopravvalutata, considerata l'abbondanza, in questa lingua, di desinenze in -r appartenenti alle diatesi deponente e passiva (dalle

a. A. L. Prosdocimi e A. Marinetti, Sulla terza plurale, cit., p. 115 sgg. (specie p. 119 sg.), i quali sono inclini a considerare arcaica la desinenza -ers sulla base del confronto con i dati indo-iranici; tali dati però - come si è qui mostrato - si prestano meglio a un'analisi diversa da quella fatta propria dai due studiosi. 168Andrebbe in proposito considerata l'eventualità che il venetico -(e)rs sia il risultato di un incrocio tra il tipo -(e)r e un *-(e)ns corrispondente all'omologa desinenza del preterito italico. In una Restsprache qual è il venetico la povertà di esempi lascia inevitabilmente lo spazio - nella maggior parte dei casi - a più di una ipotesi etimologica, ed è questa una delle ragioni per le quali risulta spesso difficile 1'11ti1izzazionedei dati venetici in una prospettiva indoeuropea. 169 Basti qui rinviare all'ampia e persuasiva argomentazione addotta da K. H. Schmidt, Altirisch ro.fitir, cit., p. 134 sgg. (specie p. 141), contro la riconduzione di .fitir a un perfetto III plur. *wid-r, sostenuta specialmente da G. Schmidt (Altiriscb rolitir, cit., p. 242 sgg.; Das Medium, cit., p. 105); presso tali autori si troverà un'ulteriore ampia bibliografia delle ricerche precedenti. 170Questa spiegazione è suggerita da K. H. Schmidt, Priteritum und Medio-Passiv, cit., p. 14 sgg. (il quale giustifica la ricostruzione di *-nto mediale in base alla osservazione che la flessione del plurale attivo del preterito senza suffissi coincide con quella deponente, d. ancora Altirisch ro.fitir, cit., p. 136); analoghe considerazioni sono state poi sinteticamente presentate da W. Cowgill, On the Prehistory, cit., p. 108. Una desinenza di perfetto III plur. in vibrante era ricostruita anche nell'ipotesi tradizionale, che vedeva in -(a)tar lo sviluppo di un *-(o)nt-r (desinenza secondaria segulta da desinenza di perfetto): d. per tutti R. Thurneysen, A Grammar, cit., p. 434. 167

.5.1.4.6. III persona plurale

227

quali potrebbe esser stata influenzata secondariamente la forma -ta, assunta dalla desinenza di III plur. attiva di tale preterito, l'unico confrontabile con il perfetto indoeuropeo). Più interessante appare la testimonianza del tocario. Nel preterito di entrambi i dialetti, infatti, la III persona plurale è contraddistinta da una desinenza in vibrante: si hanno dunque -r nel tocario A, -r e -re in B. Tali desinenze risalgono a due distinti prototipi, e precisamente *-,per la desinenza -r caratteristica della III e in parte della I classe dei preteriti tocari B, *-ro (> toc. com. *-ra) per le desinenze agnea -,, cucea -re 171• Dato che la forma *-ro ha tutte le caratteristiche per essere interpretata come antica terminazione mediale 172, si può concludere che il tocario documenta una unica desinenza di preterito III plur. riportabile alla serie del perfetto attivo: il tipo *-r, sopravvissuto nel dialetto B. Le lingue anatoliche presentano un quadro di desinenze di III plurale piuttosto significativo. Se il tipo itt. -(a)nzi del presente di entrambe le coniugazioni con ogni evidenza continua la desinenza primaria di III persona plurale, e il mediopassivo del presente -(a)nta(ri) e del preterito -(a)nta(ti) non appare confrontabile se non con le omologhe desinenze secondarie in, diverso è il discorso per

Mi sembra esemplarmente chiara la sintesi di G.-J. Pinault, Introduction, cit., p. 1.57 sgg. (specie p. 1.59), sostanzialmente in accordo con A. J. Van Windekens, Le tokharien, cit., II, 2, p. 28.5 sg. (al quale rinvio per la 171

bibliografia precedente); va dunque parzialmente rettificata l'analisi di Fr. Bader (Le système, cit., p. 9.5 sg.; Relations de structure, cit., p. 23), la quale - per aver tenuto conto della vocale predesinenziale, che invece va considerata un suffisso dell'intero preterito, cf. C. Watkins, Idg. Grammatik - III., cit., p. 20i - ricostruiva rispettivamente un primo archetipo *-e, e un secondo *-ero.Utili indicazioni sulla desinenza in questione - specie sul versante geolinguistico sono fornite anche dal Watkins, cit. sopra, e da G. Bonfante - R. Gendre, La posivone linguistica,cit., p. 2.52 sg. 172 Cf. G.-J. Pinault, cit. nota prec. Il sincretismo di *-ro con *-r nella desinenza attiva del preterito tocario certamente si connette - non è chiaro se come causa o come effetto - con l'introduzione del tipo *-nto (appartenente alla serie secondaria) nella diatesi media dello stesso preterito. 173 La presenza dell'ampliamento -ri costituisce un problema a sé stante, poiché tale formante è caratteristico di gran parte della flessione mediopassiva nel presente, e non solo della III persona plurale: al riguardo si può utilmente consultare l'ampia monografia di K. Yoshida, The Hittite MediopassiveEndings in -ri, Berlin-New York 1990. H. C. Melchert (Word-final -r in Hittite, in A

LinguisticHappening in Memory of Ben Schwart1..Studies in Anatolian, Italic,

228

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

quanto riguarda la desinenza attiva del preterito III plur. In questo caso, mentre le altre lingue anatoliche mostrano esclusivamente il tipo secondario (pal., luvio cun. -nt(a), luvio gerogl. _nt(a),lic. _nte,_nté, _nJe, _nJ'é17.. ), l'ittito attesta una desinenza -er (-ir), la quale andrà certo riportata a un *-er(e)175• Non sembra che l'ittito evidenzi continuazioni di un prototipo *-er 176, o *-air177; incerta è l'interpretazione etimologica di alcuni preteriti ittiti in -ar, che il Neu voleva

and other Indo-European Languages, ed. by Y. L. Arbeitman, Louvain-la-Neuve 1988, p. 22.5 sgg.) ha, in modo a mio parere convincente, dimostrato l'impossibilità di ricondurre la desinenza mediopassiva itt. -anta a un precedente *-antar, ipotesi avanzata dal Ncu in più occasioni (e specialmente in: Hethitisch /r/ im Wortauslaut, in Seria Indogermanica. Festschrift fiir Giinter Neumann IBS, 40], p. 222 zu11160. Geburtstag, hg. v. J. Tischlcr, lnnsbruck 1982 [ sgg.). 17_. Cf. ad es. J. Friedrich, Zum Verwandtschaftsverhaltnis, cit., p. 108; A. Kammenhubcr, Hethitisch, cit., p. 320 sg.; G. Neumann, Lyltisch, cit., p. 388 sg.; O. Carruba, Uniti e varieti, cit., p. 12.5 sgg.; K. Yoshida, Notes on the Prehistory o/ Preterite Verbal Endings in Anatolian, •HS• 106 (1993), 1, p. 368 sgg. 175 Mi pare decisiva la dimostrazione fondata su un'analisi sistematica delle evidenze grafiche - presentata da H. C. Melchert, Studies, cit., p. 117 sgg. (delle fasi ittite media e recente l'autore tratta alle pp. 137 sg. e 1.52); si vedano ancora, in tal senso, F. Bader, Le syst~me, cit., pp. 9.5 sg. e 10.5 (con bibliografia pi-ecedcnte); R. S. P. Beekes, The Proterodyn. 'Perfect', cit., p. 89; H. Eichner, Die Vorgeschichte, cit., p. 87 (e ancor prima in Untersuchungen zur hethitischen Deltlination, Inaugural-Dissertation ..., Erlangcn-Niirnbcrg, 1974, p. 17); E. Risch, Zur Entstehung, cit., p. 2.52; N. Octtinger, Stammbildung, cit., p. 112 sgg. (*-eHrre); J. H. Jasanoff, The Position, cit., p. 90; H. C. Melchert, Anatolian Histor. Phonology, cit., p. 103. Va infine citata, per scrupolo di completezza, la recensione-articolo di K. Shields, Hittite Jrd PI. Pret. -er and Its Indo-European Origins, "IF" 99 (1994), p. 86 sgg. (la cui parte migliore è data dalla sintesi dell'articolo di Yoshida da cui prende le mosse). 176 Di un prototipo *-b per la desinenza di preterito III plur. ittita parla, tra gli altri, E. C. Polomé, Diachronic Development, cit., p. 87.5 sg., e uns tale ipotesi è ancora ripresa recentemente da K. Yoshida, Reconstruction, cit., p. 369 sgg.; si vedano però le solide argomentazioni in contrario addotte dal Melchert, Studies, cit., p. 118 sg. 177 Già il Beekes, The proterodyn. 'Perfect', cit., nota 4 a p. 89, aveva ampiamente argomentato contro questa tesi, formulata dal Neu (una chiara sintesi in Die Bedeutung, cit., p. 232; si veda comunque la posizione molto prudente di recente assunta al riguardo dallo stesso Neu, Das fruhidg. Diathesensystem, cit., nota 32 a p. 285), e ripresa dal Carruba (Anatolico, cit., p. 136).

=

.5.1.4.6. III perso114pl"rale

229

riportare a una desinenza di III plur. *-or 171, ma RCmmairisaliranno, come è stato recentemente notato, a un archetipo *-r, sempre di III persona plurale 179• Quasi tutti gli studiosi sopra ricordati hanno infine interpretato queste forme ittite di III plur. in -r (-er [ -ir}, eventualmente -ar) come relitti del perfetto 1811• Ammesso pure che il solo ittito tra tutte le lingue anatoliche abbia conservato un tratto arcaico 181, una più corretta valutazione suggerirebbe di affermare che non siamo in presenza di relitti di intere forme di perfetto indoeuropeo - come detto nel S 2.9, non è possibile rintracciare un per~ fetto nelle lingue anatoliche -, quanto piuttosto di conservazione di un morfema di III plur., per un verso distinto dalle desinenze della serie primaria e secondaria, per altro verso coincidente con la desinenza del prefetto di altre lingue indoeuropee. Del venetico si è detto sopra, insieme al latino e all'italico; l'albanese documenta i soli tipi primario (*-nti > -n(e): ;ane 'essi sono' etc.) nel presente, e secondario (*-nt > -n: ishin 'erano' etc.) nell'imperfetto, nel passato remoto etc. 182, e peraltro, come si è ampiamente ricordato (§ 2.12), è tutta da dimostrare la persistenza del perfetto - e persino di qualche elemento costitutivo di tale tema - nella lingua albanese. Analoga è la situazione dello slavo, che nella fase antica mostra solo la continuazione del tipo primario (*-(o)nti > -p, -f) 183; il baltico, invece, non conosce desinenze di 111

E. Ncu, Hethitisch /r/, cit., p. 223 sg.; Id., Z" einer hethitischen Priiteritalend"ng-ar, "HS• 102 (1989), p. 16 sgg. (con ulteriori riferimenti bibliografici, e - a p. 19 sg. - con un poco plausibile riferimento a *-or come desinenza di un ingiuntivo [!] del perfetto). 179 C.osl,da ultimo, K. Yoshida, Notes, cit., p. 29 sg.; Id., Reconstruction, cit., p. 369 sgg. (si veda ancora J. Gonzalez Femmdez, El caracter,cit., p. 92); sui problemi connessi con il trattamento di -r finale di parola nell'ittito d. anche H. C. Melchert, Word-Final -r, cit., pp. 21, e 224 sgg., e An11toli1111 Histor. Phonology,cit., pp . .55 (*·r > itt. -ar), 87, 125. 1m Tra i pochi che non hanno ritenuto di poter ricondurre la desinenza ittita di preterito III plur. alla desinenza di perfetto, va ricordato H. Pederscn, Hittitisch, cit., p. 98 sg. (dove si propende piuttosto per un'originaria desinenza di piuccheperfetto). 181 Per dar conto di una tale distribuzione delle desinenze, O. Carruba (Uniti e varietà, cit., p. 126 sgg.) ha elaborato una teoria, secondo la quale l'introduzione di -er/-ir nel preterito ittito rappresenterebbe il punto di arrivo di una complessa ristrutturazione. 1 1:1 Cf. ad es. Sh. Dcmiraj, Gramatilee,cit., p. 679 sgg. • La diversa qualità della vocale nasalizzata nello slavo antico dipende

2.30

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

III persona plurale (per il noto sincretismo con le desinenze di III singolare) 11".Le lingue storiche offrono dunque un quadro sufficientemente chiaro riguardo alle caratteristiche della desinenza di III persona plurale del perfetto indoeuropeo, sintetizzabile in tre punti:

a) si può senz'altro ritenere che tale desinenza non dovesse coincidere né con quella della serie primaria né con quella della serie secondaria. Là dove, infatti, il perfetto o formazioni con esso collegabili presentano desinenze primarie o secondarie, siamo in presenza di chiare innovazioni. Una tale conclusione è avvalorata non solo dall'analisi dei dati interni alle singole aree (ad es. il greco, cf. supra), ma risulta anche evidente ove si consideri che in un caso (perfetto greco antico) compare la desinenza primaria, in un altro (preterito forte germanico) la desinenza secondaria, in un altro ancora (preterito senza suffissi irlandese antico) una desinenza secondaria, per giunta forse mediale. Una siffatta discrepanza si spiega facilmente come il risultato di specifiche innovazioni monoglottiche; b) una maggioranza di lingue mostra invece la continuazione di una - o più - desinenze di III plur. caratterizzate dalla presenza di una vibrante, ma, con poche eccezioni, ben distinte dalle desinenze medie o deponenti. Questa peculiarità della desinenza di III persona plurale attribuibile alla serie del perfetto era -stata da tempo notata, e aveva· suggerito a molti studiosi più o meno arditi raffronti del perfetto con la diatesi media (si veda, più avanti, il § 5 .3); meno numerosi, e non sempre del tutto accettabili, sono stati

dalla vocale tematica, o dall'esito di *·!'· (allorché la desinenza è postconsonantica), o ancora dal fatto che si tratti di aoristo o meno: d. ad es. Chr. S. Stang, Das slav. und balt. Verbum, cit., p. 213 sgg.; A. Vaillant, Grammaire, cit., 111, p. 13 sgg. 184 Cf. specialmente Chr. S. Stang, Vgl. Grammatilt, cit., p. 411 sgg. :2 una mera congettura l'ipotesi del Bammesbergcr, Die halbthem. Prasens/le:xion, cit., p. 7, secondo il quale una desinenza *·r avrebbe dato luogo a una III plur. balt. *-ir, la quale sarebbe stata sostituita da un *-inti per incrocio con la desinenza secondaria (e questo *-inti avrebbe generato la flessione di presente in -i-, prima di scomparire nel baltico). Su basi tanto ipotetiche, naturalmente, è impossibile affermare che nel baltico sia sopravvissuta una desinenza di III persona plur. in *-r.

.5.1.4.6. III persona plurale

231

i tentativi di ricostruire più concretamente l'archetipo di tale desinenza. Non vi è dubbio che un archetipo *-r sia da ricostruire alla base delle desinenze di perfetto ind. ant. -ur e avest. -ara; nella forma non acrosillabica (cioè postvocalica) *-r, esso appare anche nel celtico (preter. irl. ant. -(ata)r) e nel tocario (preter. toc. B -r); forse - ma con più di un dubbio - una desinenza *-r (*-r) va postulata anche per l'anatolico (pret. itt. -ar < *-r) e per il venetico (cf. supra). Un secondo tipo potrebbe esser rappresentato come *-er(e), dal momento che alcune lingue impongono di ricostruire una vocale lunga *-e- prima della vibrante, la quale facilmente è seguita da altra vocale (probabilmente -e, anche se il dato è stato posto in discussione 185): in tal senso possono essere addotti i dati del latino (-er, -ere nel per/ectum) e dell 'ittito (-er [ -ir] < *-er(e) nel preterito); e) non è giustificato, a mio avviso, supporre l'esistenza di altri archetipi per la desinenza di III persona plurale del perfetto 186: la ricostruzione di un tipo *-er (o eventualmente *-or) non può basarsi né sul tocario, né sull'ittito (cf. supra), e l'indicazione fornita dal lat. -erunt è debole e opinabile; inoltre, come si è osservato, non può esser proiettato in fase comune il tipo *-rs, che appare una innovazione episodica della lingua avestica (ed eventualmente del venetico). Quanto alla ricostruzione di una forma uscente in vocale (a1

185

Vi è chi, ad esempio, ha ritenuto che il lat. -ere rifletta un *-ir-i, dove *-i sarebbe lo stesso elemento (indicatore dello "hic et nunc") riscontrabile nclle desinenze di I sing. *•i ( < *•a-i) e II sing. *-ti ( < *•t(h)a-i): d. in questo senso A. L. Sihler, New Campar. Grammar, cit., pp . .572 e .589. 186 Qui la presente analisi si differenzia apprezzabilmente dalle conclusioni raggiunte dapprima dal Pisani (Uxor. Ricerche di morfologia indeuropea, in Miscellanea Giovanni Galbiati, III, Milano 19.51,p. 29 sgg.), e quindi dalla Bader (Le système, cit., pp. 103 e 105) in pur accurati lavori di sintesi: in particolare, ritengo che da un lato non si debba confondere - almeno al momento della sistemazione dei dati - la desinenza del perfetto attivo (III plur.) con le desinenze medie o deponenti in -r (elemento che appare in tutte le persone), e che dall'altro non possa esser ricostruita per il perfetto attivo III plur. una desinenza *-lr (con vocalismo breve). A questo proposito, è interessante notare come il Jasanoff, The r-Endings o/ the IE Middle, "Sprache" 23 (1977), 2, nota 6 a p. 161, ammetta la mancanza di prove in favore della ricostruzione di un *-lr, ma ritenga necessario postulare comunque un tale archetipo - accanto a *·r e *-er(i) - "only for thcoretical completencss": dimostrazione concreta di quanto sia pericoloso lasciare che preconcetti razionalinanti prevalgano sulla analisi dei dati disponibili.

V - Le desinenze nel per/etto indoeuropeo

232

di là di *-er(e) sopra citato), si osserverà che *-ro nel tocario si spiega come desinenza mediale, e che l'isolato -re nel marso-umbro si presta a ben più di una interpretazione 187• Sarebbe forse poco ragionevole spingere oltre l'analisi; certo, non sono mancati tentativi - talora anche apprezzabili - di indagare i rapporti tra le due diverse desinenze di III persona plurale attribuibili al perfetto indoeuropeo: e in questo senso, pare affascinante l'ipotesi di alcuni studiosi, i quali hanno analizzato il tipo *-èr(e) come la concrezione del suffisso - stativo? - *-e- (*-eH,-, secondo la notazione laringalista), e della desinenza vera e propria *-r(e) 1•. Come detto, mancano però elementi certi per avvalorare un qualsiasi passo ulteriore ed in particolare una ricostruzione operata a partire da quel che già è un reconstructum (i due archetipi *-cl*-r e *-er(e), individuati quali desinenze originarie di III plurale del perfetto).

5.2. Le desinenze del perfetto medio. Come si è altrove osservato 189, la concorde testimonianza delle tre lingue che hanno conservato una categoria flessionale di perfetto converge nell'indicazione di un carattere piuttosto recente del per187

Cf. A. L. Prosdocimi - A. Marinetti, Sulla teru plurale, cit., p. 110 sgg. Non persuade l'argomentazione - fondata su un confronto con la desinenza mediale di II persona sing. - che il Szemerényi (Ein/uhrung, cit., p. 2,9) adduce per ricostruire alla base di lat. -be un archetipo *-ero, e su tale base una desinenza indoeuropea di perfetto III plur. *-,(o). 188 Ad es. H. Eichner, Die Vorgeschichte, cit., p. 87; N. Octtingcr, Stammbildung, cit., p. 114; Id., Die Gliederung, cit., p. 76; R. S. P. Bcckcs, Comparative 1.-E. Linguistics, cit., p. 238. C.Onsidcrata la difficoltà di ammettere l'esistenza di un archetipo *-rs per la desinenza di III plur. del perfetto indoeuropeo, rimane invece alquanto problematica la riconduzione di *-ir a un precedente *-ers, ipoteticamente riproposta di recente da Prosdocimi e Marinetti, Sulla tena plurale, cit., p. 119, o ancora da J. H. Jasanoff, Reconstructing Morphology, cit., nota 20 (a p. 1.50): si pub concordare, in proposito, con lo scetticismo di R. S. P. Bcckcs (da ultimo nell'art. W acleemagel's Explanation, dt., pp. 37 sg. e 4.5 sg.). 189 Cf. Studio sul perfetto, cit., I, p. 2, e nota 27 (con indicazioni bibliografiche essenziali, alle quali ora si aggiungerà A. L. Sihler, New Compdr. Grammdr, cit., p. ,11).

5.2. Le desinenze del pnletto medio

233

fetto medio. I due argomenti più forti in tal senso sono, secondo quanto è stato sottolineato da più parti: a) l'utilizzazione pressoché esclusiva di desinenze primarie nelle forme mediali del perfetto 190; b) l'esclusiva attestazione del perfetto a desinenze attive in verbi che per il resto sono media tantum 191• Solo due elementi potrebbero indurre - e hanno di fatto indotto alcuni studiosi - ad attribuire al contrario notevole antichità alle desinenze mediali del perfetto: da un lato le desinenze di III persona sing. e plur., che nel perfetto medio dell'indiano antico presentano caratteristiche originali (cf. supra, nota 190), dall'altro l'ampliamento in *-i riconoscibile nel perfectum latino, nella coniugazione in -!;i ittita e forse nell'isolato sl. ant. védé, che ha fatto pensare a un riflesso di antiche desinenze di perfetto medio. Delle desinenze ind. ant. -e, -(i)re conto di trattare nel para-

Una tabella sinottica per l'area greca e quella indoaria è presentata da R. Birwé, Griech.-arische Sprachbeziehungen, cit., p. 33 sg. Nel perfetto medio del greco antico sono utilizzate sistematicamente le desinenze primarie (cf. ad es. H. Rix, Hist. Grammatilt, cit., p. 258 sg.; cib vale, tra l'altro, anche per la I sing. ;uu, già essa stessa una innovazione, come ha mostrato M. S. Rui~ pm:z,Desinmciu media, cit., p. 24 sg.). Per quel che riguarda l'indiano antico e l'avestico, ~ pur vero che la III sing. (ind. ant., avest. -e) e la III plur. (ind. ant. -(i)re, avest. -are) si differenziano dalle omologhe desinenze primarie (rispettivamente -te, e ind. ant. -nte / -ate, avest. -aitl / -(a)!ftl), ma l'indiano antico in particolare mostra che anche -e, -(i)re non sono affatto peculiari del perfetto medio, poiché ricorrono - qui come tratto arcaico e recessivo - nella flessione media di alcuni presenti, a prevalente valore stativo (cf. infra, S 5.3); considerato anche il fatto che nelle altre persone la desinenza del perfetto medio ~ quella primaria (l'anaptissi di -i- tra tema e desinenza è uno sviluppo secondario, cf. supra, nota 115), nulla autorizza ad affermare che nel perfetto medio ind~iranico siano attestate desinenze specifiche e originali. 191 Su questo particolare aspetto del problema, oltre agli studi menzionati nel I volume (nota 27 a p. 25), vorrei ricordare almeno A. Meillet, Remarquessur les dlsinences verbales de l'intlo-europkn, •BSL • 23 (1922), p. 67; P. Chantraine, Histoire, dt., p. 22 sg.; L. Renou, ÙI valeur, cit., pp. 139 sgg. e 159 sg.; J. Safarewicz, The Primary Entlings, cit., p. 45; T. Burrow; The Sltt. ùtnguage, cit., p. 344; J. Untermann, Zwei Bemerltungen, cit., p. 270 (con ulteriore bibliografia nella nota 7); O. Szemerényi, EinfiJbrung, cit., p. 270 sg. 190

V • Le tUSUlfflU nel pnfetto i~uropeo

234

grafo seguente, in quanto, come detto, appaiono anche in alaini presenti medi; più attenzione merita l'altro argomento, che trac origine da una peculiarità clclle desinenze latine, ittite e in parte - slave. Le desinenze del perfectum latino, come si è osservato (SS 5.1.1-5.1.4), si potrebbero prestare a un confronto con le desinenze medie di altre lingue indoeuropee, e specialmente dcll'indiano antico: pertanto, la desinenza latina di I sing. -i rifletterebbe un archetipo *-ay (*-a-11identico a quello della I sing. media ind. ant. -e 192; nella desinenza latina di II sing. -(is)-ti ( < *-t(h)ay) si continuerebbe una formazione in parte paral1ela a quella della II sing. media ind. ant. -se ( < *-soy); e -i- ( < *-ey) chefigura nclla desinenza -it di III sing. nel per/ectum latino ben richiama l'omologa desinenza media -e del perfetto (e non solo) indiano antico ( < *-ey) 193• Simile argomentazione è stata riferita alle desinenze del presente dei verbi in -/Jiittiti (I sing. -!Ji,II sing. -ti,III sing. -i), riportabili ad archetipi identici a quelli dclle omologhe desinenze del per/ectum latino 194, e allo si. ant. védé, la cui desinenza di I sing. -l potrebbe riflettere un *-ay. Non è faci1e condividere una tale interpretazione dclle desinenze latine, ittite, cd eventualmente slava antica. Da un lato, è tutta da spiegare la ragione per la quale il latino e l'ittito avrebbero dovuto utUizzsre desinenze medie, in luogo dclle antiche desinenze attive, in formazioni quali il perfectum, o il presente dei verbi in -!Ji,che di per sé non comportano di norma connotazioni mediali. Per altro verso, le desinenze mediali (nel perfetto cosl come in ogni altra formazione atematica) si dovrebbero accompagnare alle "forme deboli" del tema, caratterizzate da un grado zero radicale; al contrario, una parte non esigua dei per/ecta latini e dei presenti in -!Ji ittiti mostra un grado radicale che certo non continua il grado zero (cf. supra, SS 4.1.2 e 4.1..3). Infine, lascia più di una perplessità la comparazione dello si. ant. védé con il per/ectum lat. vidi (cf. supra, S 5.1.1 e note .31-.32). 192

Cf. supra, nota 12, per una sommaria bibliografia (cui si pub aggiungere - in una prospettiva indoeuropea - W. Porzig, Die Gliederung, cit., p. 132 sg.). 193 Cf. supra, S ,.1.3. 1 "' Sulle desinenze di presente dei verbi in -!Jirinvio alla trattazione specifica già svolta nei SS ,.1.1-,.1.3.

,.2. Le desinenze del

perfetto medio

235

Senza ricostruire ad hoc una serie di desinenze di perfetto medio, la cui antichità è oltretutto messa in questione dai dati delle altre lingue indoeuropee, sarà più ragionevole riportare le desinenze latine, ittite etc. ora ricordate alla serie attiva, con un ampliamento in *-i (generale nell'ittito, limitato al singolare nel latino 195). Quanto alla funzione del deittico *-i, non è questa la sede per una discussione approfondita; tra le diverse ipotesi presentate 1"', identificare tale elemento con l'indicatore del presente, dello "hic et nunc", può forse esser soddisfacente per l'ittito (dove siamo di fronte a un presente), assai meno per il latino, nel quale il perfectum - .eccezion fatta per i rarissimi preterito-presenti - non fa riferimento a un tempo presente 197• Gli elementi ora sommariamente considerati sono di per sé sufficienti, a mio parere, a negare ogni attendibilità all'ipotesi secondo la quale in origine la serie di desinenze del perfetto avrebbe posseduto anche una diatesi media; la diatesi propria delle desinenze di tale serie è unica, e si lascia ben classificare come "attiva" (si osserverà, tra l'altro, che tali desinenze, nel singolare, si associano con temi a grado pieno, caratteristici di formazioni [atematiche] attive, e non con temi a grado zero, proprio del medio).

5 .3. Per/etto e medio. Già dagli anni '30 di questo secolo si era notata la somiglianza, specie etimologica, tra le desinenze (attive) del perfetto e le desinenze (primarie e secondarie) del medio; il fenomeno assume particolare evidenza nel caso delle desinenze in *-r (documentate nel perfetto III plur. e nel medio, per quest'ultimo in varie persone e in un buon numero di aree linguistiche). Sulla base di tale generica somiglianza il

195

Ed eventualmente alla III plur., se davverofosse da accoglierel'ana• lisi del Sihlcr, d. supra, nota 1s,. 196 Per una sommaria bibliografia d. supra, nota 12. 197 C.Onsideratoil fatto che nel latino la presenza di *-i non ~ sistematica in tutte le persone, non ~ irragionevole pensare che qui tale elemento potesse convogliare un senso pià generico, magari asseverativo (cosl Safarcwicz, The Primary Endings, cit., p. 46 sg.), oppure riferito alla persistenza dclla validità dell'azione in rapporto al soggetto (d. J. Untcrmann, Zwei Bemer ltungen, cit., p. 269 sg.).

V - Le desinenze nel perfetto indoe"ropeo

2.36

KuryJowicz e soprattutto lo Stang già nel 1932 1• avevano ipotizzato l'esistenza di uno stretto rapporto genealogico non solo tra le due serie di desinenze, ma anche tra le stesse categorie flessionali de) perfetto e del medio. Successivamente, anche sulla base dei dati provenienti dalle lingue anatoliche, innumerevoli contributi 199 hanno cercato di portar luce sulle relazioni tra le due categorie flessionali. L'argomentazione - che comunque ha condotto gli studiosi a conclusioni spesso tra loro alquanto difformi - si .è fondata essenzialmente su tre punti: a) le desinenze, che certo costituiscono un elemento caratterizzante del medio, sarebbero di per sé essenziali anche per l'individuazione del perfetto ZX>; per gettare una luce sul rapporto tra perfetto e medio basterebbe dunque analizzare le relazioni etimologiche intercorrenti tra le rispettive desinenze; b) una desinenza media -a di III persona singolare, indirettamente documentata in alcuni presenti indiani antichi - dove è distinta dalla primaria e dalla secondaria - 201, risulta identica alla omologa desinenza del perfetto attivo; tale osservazione si aggiunge alla constatazione che - sempre nell'indiano antico - le peculiari desinenze di III sing. -e, plur. -re, accomunano alcuni presenti medi e il perfetto medio, e che, come detto, l'àmbito d'uso delle desinenze in *-r sembra ristretto al perfetto (III plur. attv.} e al medio; 198

J.

Kurylowicz, Les désinences moyennes de l'indo-e"1opéen et d11 hittite, •BSL" 33 (1932), p. 1 sgg.; Chr. S. Stang, Perfeletum und Medi"m, •NTS" 6 (1932), p. 29 sgg.; cf. anche S. Bcnvcniste, Le participe indoe"ropéen en -mno-, "BSL" .34 (193.3), p. 19 sg. 199 Un'analisi approfondita dell'intera bibliografia sull'argomento porterebbe molto lontano, ben al di là dei limiti del presente lavoro; ci si limiterà, pertanto, alla segnalazione dei contributi di maggiore pertinenza per l'argomento qui trattato - la più antica collocazione del perfetto all'interno del sistema verbale indoeuropeo -, senza trascurare alcuni aspetti metodologici di più specifico intcrcssc. ZX> In questo senso si veda ad esempio A. Meillet, Remarq"es, cit., p. 67; Id., Les désinences du parfait, cit., p. 95 sg.; cf. ancora J. Kurylowicz, oltre che nell'articolo cit. nella nota 198, in altri contributi, tra i quali si 6Cgl)S]a On the Methods of Internal Reconstruction, in Proceedings o/ the Ninth International Congress of Ling"ists (Cambridge Mass., Aug. 27-.31, 1962), ed. by H. G. Lunt, Tbc Hague 1964, p. 25. 201 Cf. già J. Wackernagel, Indisches und Italisches, •KZ• 41 (1907), p . .309 sgg.

5.3. Perfetto e medio

237

e) la forte simmetria che, a livello questa volta di comunione linguistica indoeuropea, sembra ravvisabile tra gran parte delle desinenze del perfetto attivo - l'intero singolare e la III persona del plurale - e quelle ricostruibili per il medio, consentirebbe di delineare due serie omologhe di desinenze, differenziate solo dal grado apofonico (*-e nel perfetto, *-o nella serie secondaria del medio) 212 oppure dall'epitesi di un *-i (nella serie primaria del medio) 213• Su queste basi non sono mancati quanti hanno riferito ad una delle fasi protoindoeuropee (a scelta) una diatesi di perfetto(-medio) in opposizione all'attivo, caratterizzata forma)mP,nte dagli archetipi delle desinenze del perfetto; da questa diatesi - talora qualificata come "stativo", cf. infra, S 5.4 - si sarebbe poi sviluppata, per incrocio con le desinenze primarie e secondarie, anche la duplice serie delle desinenze mediali 314• Le desinenze, dunque, costituirebbero da

Oltre a J. Kurylowicz, The Inflect. Categories,cit., p. 56 sgg. (spede p. 70), F. O. Lindeman, Zu dem sog. « protero-dynamischen • Medium im Indogermanischen,•NTS• 26 (1972), p. 68 sg., e J. H. Jasanoff, Reconstructing Morphology, cit., p. 139, cf. soprattutto E. Neu, Zur Rekonstruktion, cit., pp. 248 e 250 sgg.; Id., Das friihidg. Diathesensystem,cit., p. 283 sgg.; Id., Dichotomie, cit., pp. 155 sg. e 159 (le desinenze mediali rappresenterebbero, nella ricostruzione operata dal Neu, uno sviluppo - conseguente anche a un parziale incrocio con le serie primaria e secondaria - dd tipo di desinenze di perfetto-medio], caratterizzato dal vocalismo *-o). Più com• •stative• [ plessa, ma poi superata dai successivi contributi, è la tesi che il Ncu prospettava in uno dei suoi primi saggi sull'argomento, Die Bedeutung, cit., p. 234 sgg. 313 Alcune osservazioni in tal senso sono già in Oir. S. Stang, Perfektum, cit., p. 36 sgg.; d. ancora varie opinioni che in maggiore o minore misura si collegano con una siffatta impostazione, espresse, ad esempio, da J. Safarewicz, Sur le tllsinences, cit., p. 111 sg.; T. Burrow, The Skt. Language,cit., p. 315 sg.; J. Untermann, Zwei Bemerkungen, cit., p. 268 sgg.; E. Neu, Zur Rekonstruktion, cit., p. 248 (pur in un quadro assai più complesso). Si vedano inoltre le argomentazioni addotte da taluni riguardo alle desinenze dd perfectum latino (e dei verbi in -biittiti), S 5.2. 314 Il più noto sostenitore di una tale ipotesi è certo il Neu (si vedano specialm"nte i titoli qui ricordati nella nota 202 e nd S 2.9.1, nota 64); vanno ricordati, tra gli altri, Oir. S. Stang, I. cit. nota prec. (secondo il quale la diatesi di perfetto è affine ma non identica a quella mediale); J. Safarewicz, The PrimaryEndings, cit., p. 47 sg.; E. F. Oaflin, The Voice of the Indo-European Perfect, •Lg" 15 (1939), p. 156 sgg.; J. Untermann, Zwei Bemerkungen, cit., p. 271; W. Meid, Probleme, cit., p. 209 sgg.; Id., Osservazioni,cit., p. 39; Id., Der Archaismus, cit., p. 164 sgg.; F. Kortlandt, Towartl II Reconstruction, 212

=

238

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

sole la chiave di lettura privilegiata per far luce sulla più antica natura del perfetto.

In una trattazione come la presente, finaHzzata al chiarimento della posizione originaria del perfetto nel sistema verbale indoeuropeo, l'argomento sopra ricordato è troppo importante perché si possa trascurarne una sia pur breve discussione. In particolare, dopo aver sinteticamente considerato i tre punti che hanno indotto a supporre una cosl stretta relazione originaria tra perfetto e medio(passivo), si passerà senz'altro a un più ampio esame del punto di equilibrio ragionevolissimo - e a mio parere definitivo, nei limiti entro i quali si può dir definitiva una qualsiasi acquisizione della ricerca - suggerito da alcuni studiosi. a) Nella parte conclusiva del S 2.9.1 già si è fatto cenno della inadeguatezza di un'argomentazione che cerchi di ricostruire il rapporto genealogico tra classi flessionali sulla base delle sole desinenze. A più di uno studioso sfugge, evidentemente, il fatto che in un tema flessionale - almeno per quanto riguarda la fase indoeuropea che ricostruiamo - non solo le desinenze, ma anche altri elementi (grado apofonico, suffissi, prefissi, etc.) concorrevano a pari titolo nel determinare la struttura specifica di una qualsiasi forma verbale - o nominale - in opposizione a un'altra. Ciò è vero a maggior ragione per quanto riguarda il perfetto, come già aveva osservato il Belardi 215, e come in buona parte risulta dalle osservazioni specifiche illustrate nel presente lavoro; né è credibile l'ipotesi di un originario rapporto biunivoco (1 : 1) tra desinenze e categorie flessionali, considerata la versatilità d'impiego, ad esempio, delle serie primaria e secondaria •. Lo •specchio deformante• di una valutazione nella qualealla sola desinenza è attribuita •tout court" l'individuazione di intere classi flcssionali non è difficile da identificare: nelle lingue anatoliche la dcsidt., p. 67 sg. (con qualche differenza rispetto alla ricostruzione operata dal Ncu); H. Kurzovi, From Indo-European to Llltin, dt., pp. sgg. e 143 18· 2115W. Bclardi, LII formazione, dt., p. 104 sgg. • Richiamerei, in tal senso, alcune considerazioni svolte da J. H. Jasanoff, The Position, dt., p. 80 sg., Oi. R. Barton, Hittite mc-ri-ir, dt., p. 14, ed E. Risch, Die Entwicklung der verbalen Kategorien im Indogermaniscben, in Grammatiscbe Kiltegorien, dt., p. 407 (il quale rileva il notevole carico funzionale che viene a cumularsi sulle singole desinenze).

11,

,.3.Perfttto

, mttlio

239

nenza costituisce in pratica l'unico mezzo di differenziazione morfologica •. Se, dunque, si parte da un pregiudizio di estrema arcaicità dell'anatolico (S 2.9.1), e si ritiene che la povertà di classi flcssionali e morfologiche ivi riscontrabile rifletta la situazione più antica delle lingue indoeuropee, non è poi troppo lungo il passo ulteriore per attribuire alle desinenze dell'indoeuropeo ricostruito un'analoga forza individuante di classi morfologiche o classi flcssionali. Ma si tratta di una conclusione opinabile, contraddetta dalla testimoni8DZ8delle altre lingue indoeuropee, e specialmente di quelle più conservative a. Solo per quel che riguarda le classi flcssionali possiamo proiettare in fase preistorica un modello tendenzialmente orientato verso un rapporto biunivoco (1 : 1) tra forma e funzione. Ciò non è affatto vero, invece, per quanto riguarda gli elementi costitutivi, vale a dire i morfemi (o moduli morfologici), ciascuno dei quali per solito era fornito di più valenze (cooccorrcnti o alternative): in aggiunta a quanto si è osservato in merito al raddoppiamento e al grado apofonicoradicale,basterà ricordare che la polifunzionalità dei morfemi è evidentissima,ad esempio, nel campo dei suffissi, da *-eyt/o- a *-11/0- a *-slct/o-, etc.

b) Come si è detto, le desinenze medie -e, -re, che nell'indiano antico accomunano un ristretto numero di presenti medi (lii sing. Jlzye,duhé etc.; plur. Jére, duhré, etc.) e il perfetto (medio: III sing. e plur.), hanno costituito un rilevante argomento in favore di una stretta relazione etimologica tra perfetto e medio; tale argomento riscosse ulteriore credito dopo che il Wackemagel (cit. nota 201) ebbe mostrato l'identità (dal punto di vista dell'indiano antico) tra la desinenza di perfetto III sing. -a(§ 5.1.3) e la desinenza media secondaria III sing. -a (documentata in aisa, ed estrapolabile in forme atematiche quali lzJay-a-t,lzduh-a-t,nelle quali -t è dowto ad erronea rideterminazione - con desinenza attiva - di verbi che sono media tantum, e -a costituisce appunto l'antica desinenza). Tracce di desinenze corrispondenti a quelle dell'indiano antico sono riscontrabili anche nell'avestico.

• Cf. ad es. E. Risch, Di, Entwicltlung, cit., p. 40.5. Si noterà, incidentalmente, che persino nella riconoscibilità dello stesso medio non è determinante la sola informazione fornita dalle desincmc: con queste, almeno in origine, concorreva anche il grado zero radicale (con cccczione dei presenti proterodinamici), e le stesse desinenze medie, lungi dal convogliare la sola indicazione della diatesi, segnalavano anche il tempo (prcacntc - non-presente), il modo (indicativo - ottativo, etc.), oltre alla persona e al numero, ovviamente. D

V • Le desinenze nel per/etio ilulonropeo

240

Vari studiosi 8 hanno dedicato particolare attenzione a questo gruppo di desinenze mediali dell'indiano antico, chi - come detto - per ricostruire una vera e propria diatesi di perfetto (comNon è possibile qui presentare un elenco completo dei lavori nei quali è stato trattato l'argomento; tra i più significativi - anche se non tutti in senso positivo - si segnalano comunque, dopo il cit. art. del Wackcrnagcl: A. Mcillct, Sur les désinencesen -r, •BsL• 24 (1923-24), pp. 189 e 192 sg. (le pp. 190-191 sono saltate nella numerazione progressiva del volume); J. A. Kcrns e B. Schwartz, Structural Types o/ the IE Medio-PassiveEndings: r and t Semes, •1,g• 13 (1937), p. 266; J. Safarcwicz, The Primary Endings, cit., p. 47 sg.; M. Lcumann, Morphol. Neuerungen, cit., pp. 13 sgg. e 39; R. Birw~, Griech.-arischeSprachbeziehungen,cit., p. 34 sg.; T. Burrow, Tbe Slct. Language,cit., pp. 311 sg. e 316; J. Kurylowicz, L'apophonie,cit., p. 41 sg.; Id., The In/lect. Categories,cit., p. 58 sg.; G. Cardona, lugvedic sp:i.,., •1,g• 37 (1961), 3, pp. 338 e 340 sg.; Id., nella ree. a C. Watkins, Idg. G,o,matilt:- III, in •nJ• 17 (1975), p. 107 sgg.; R. Ambrosini, lii. dat e lii. Mluhat, •ssL • 6 (1966), p. 89 sgg.; S. Inslcr, The Origin, cit., p. 321 sg. (trattazione assai ampia, con riferimento anche all'avestico); W. Cowgill, The First Person S,ng., cit., pp. 26 e 29 sg.; J. Nartcn, Zum •proterodynamiscbm·• Wurzelprasens,in Pralidanam,eit., p. 9 sg.; C. Watkins, ldg. Grammatilt:III., cit., p. 88 sgg. (con ampia disamina delle forme indiane antiche); G. Schmidt, Altirisch ~fitir, cit., p. 256 sgg.; F. Badcr, Par/ail et moym, cit., p. 11 sgg.; F. O. Lindcman, Zu dem sog. « prolero-dynamischen • Medium, cit., p. 68 sg.; W. R. Schmalsticg, Speculations,cit., p. 28 sgg. (insostenibile il raffronto con la desinenza tematica attiva -e&. del greco antico); Id., IndoEuropean Linguistics, cit., p. 98 sg.; W. Mcid, Kellisches und iJg. Verblllsyslem, cit., p. 117 sg.; H. B. Rosm, Amaroioi und die idg. Diathesen-und Valenzlcategorien,•KZ" 92 (1978), nota 19 a p. 149; K. H. Schmidt, Die vorgesch. Vorlagen, cit., p. 79; Id., Zur Typologie des Vorindogermanischen, in Linguislic Reconstruction and Indo-European Syntax, Procccdings of tbc Colloquium of tbc Idg. Gcscllschaft [Pavia, 6-7 Scpt. 1979], ed. by P. Ramat, Amsterdam 1980 (CILT, 19), p. 101 sg.; F. Kortlandt, 1st sg. middle *-Hz, •JF" 86 (1981), p. 125 sg.; K. C. Shields, A History, cit., pp. 95 e 113; H. C. Mclchcrt, Proto-lndo-EuropeanVelars in Luvian, in Studies in Nemor, o/ Warren Cowgill, ed. by C. Watkins, Bcrlin-Ncw York 1987, p. 19, ss.; O. Szcmcrényi, Einfuhrung, cit., p. 363 sg.; R. Lazzcroni, La diatesi come categorialinguistica:studio sul medio indoeuropeo,•ssL • 30 (1990), p. 14 sg. (specie p. 19 sg.); Id., Arcaismi e innovazioni nella flessione 11erhlllevedica: le forme dello stativo, •ssL• 33 (1993), p. 11 sgg. (con ampia e persuasiva argomentazione); E. Campanile, Cronologiarelativa e sue tecniche, •1nL• 14 (1991), p. 37; Id., Recentiores, non deteriores, 42 (1992), pp. 33 e 39 sg.; N. Oettingcr, Zur Funlction des indogermfflischm Stws, in Indogermanicaet Italica, cit., pp. 355 sg. e 358 sg. (ultimo di una serie di contributi sullo stativo: d. infra, S 5.4). Si vedano inoltre gli articoU segnalatinel.la nota seguente. •

•se.o•

5.3. Perfetto e medio

241

prendente in nuce l'antecedente del medio), chi per estrapolare - in base al confronto con l'ittita - una specifica categoria flessionale, lo stativo (cf. infra, S 5.4), chi, infine, per negare ogni comunanza etimologica tra il perfetto e il medio 210• Un'accurata analisi della distribuzione di -e, -re ha condotto R. Lazzeroni 211 a individuare in un gruppo di verbi stativi dell'indiano antico (media tantum: Jayeetc.) il nucleo iniziale di applicazione di tali desinenze, che poi compaiono anche in verbi eventivi (caratterizzati comunque dalla "non-agentività ") e in varie altre forme verbali, secondo una modalità di espansione per affinità formali e funzionali. Una tale conclusione, che poggia su argomentazioni estremamente solide, comporta una ulteriore conseguenza: nell'indoario esiste un antico settore di utilizzazione delle desinenze -e, -re che non si identifica affatto con il perfetto. Dunque, cade l'ipotesi che tali desinenze mediali abbiano avuto origine - almeno per quanto riguarda l'indiano antico - a partire dal perfetto (la cui flessione mediale, oltretutto, presenta rilevanti caratteri di recenziorità, cf. supra, S 5.2). e) Se l'identità etimologica delle desinenze di perfetto e medio non trova riscontro nell'area indiana antica, ben pochi sono anche gli elementi che potrebbero consentire di evidenziare un loro archetipo comune in una più ampia prospettiva indoeuropea. Come è stato osservato 212, la serie delle desinenze secondarie del medio presenta affinità con quelle del perfetto per quel che riguarda il singolare e la III persona plurale; tuttavia, solo nel caso della I persona singolare si può teoricamente ricostruire un archetipo comune (*-a, o *-Hze,se

210

A titolo di esempio di quest'ultima tesi, si possono ricordare M. S. Rui~, Desinenciasmedias,cit., p. 30 sg.; W. Cowgill, The First PersonSing., cit., p. 26; H. Rix, Zur Entstebung des urindogermanischenModussystems, Innsbruck 1986 (= IBS - Vortrige u. Kl. Schr., 36), nota 6 a p. 23; J. H. Jasanoff, Statiue and Middle, cit., pp. 74, 78 sg., 118 sg.; Id., Aspects, c:it., p. 1,1 sgg.; A. L. Sihlcr, New Compar. Grammar,cit., p. ,67. 211 R ..azzerom, I ' L.u ' - u.tlltes,, J • • at., • . . e 1nnou11%1on1, . . . p. 16 sgg.; Id ., Arca1sm1 cit., p. 11 sgg. Tra quanti in precedenza avevano riconosciuto un originario valore di stato alle desinenze -e, -re, va senz'altro ricordato G. Cardona, FJguedic srovi~,cit., p. 341. Sul problema dello •stativo" d. infra, S ,.4. 212 Cf. ad es. G. Cardona, nella ree. a Watkins, Idg. Grammatilt- III, cit., p. 109; W. Cowgill,Tbe First PersonSing., cit., p. 2, sgg.; Id., More Euidmce, cit., p. ,,9 sgg.; H. Rix, The PIE Middle, c:it., p. 102 sgg.; R. Lazzcroni, La ditltesi. c:it., p. 17 sgg.; Id., ArC4ismie innova.ioni, cit., p. 14 sg.

V • Le desinmie Ml perfetto indot1110peo

242

si preferisce) 213, mentre nella II singolare la desinenza media (*-this) differisce per la quantità della vocale e per l'epitesi di una sibilante, nella III singolare il medio continua un *-o (diverso da *-e del perfetto, pur se forse connesso da un rapporto di alternanza apofonica), e infine nella III plurale il tipo medio *-ro si contrappone al perfetto *-(e)r. che in sostanza si è limitata all'illustrazione delle persuasive conclusioni raggiunte da alcuni studiosi, e specialmente dal Laueroni -, si possono trarre alcune indicazioni di un certo interesse per quanto attiene alla testimonianza delle desinenze in favore di una presunta identità originaria di perfetto e medio. In particolare, gli clementi che sconsigliano di identificare in un'unica diatesi comune gli archetipi del perfetto e del medio sono più d'uno, e di non poco peso: - le due categorie non si sovrappongono da un punto di vista funzionale (il perfetto è proprio dei verbi proccssivi; il medio ha uno dei nuclei fondamentali in un gruppo di verbi stativi 214 ); - da un punto di vista formale, il perfetto è caratterizzato da raddoppiamento e grado *-o- alternante con *-0-, mentre il medio non si connota per la presenza di un raddoppiamento, e mostra graDa questa esposizione -

Si noterà, comunque, che la desinenza mediale di I persona sing. concordemente attestata nella gran parte delle lingue indoeuropee antiche è il tipo primario *-ay, e una desinenza secondaria priva del deittico *•i è testimoniata dal solo ittito (-f,a), mentre altre lingue sembrerebbero suggerire piuttosto la ricostruzione di una laringale (*.;;,, o *-H 2 , secondo i diversi tipi di notazione). Per evidenziare le difficoltà poste dalla ricostruzione della desinenza secondaria di I sing. del medio basterà ricordare alcuni articoli nei quali si The First Person perviene a conclusioni spcs~ assai problematiche: W. C.OWgill, Sing., cit., p. 24 sgg.; F. Kortlandt, 1st sg. Middle, cit., p. 12.3 sgg.; G. Schmidt, Griechisch ..µ11vund der idg. Kon;unktio des Perfekts, in Serta Indogermanica, cit., p .. 345 sgg.; J. L. Garda Ram6n, Die Sekundarendung, cit., p. 202 sgg. 214 Sulla funzione del perfetto d. Studio sul perfetto, cit., I, P4Ssim; sui medi4 tantum stativi si vedano le osservazioni di R. Lazzeroni, La dWesi, cit., p. 1 sgg. (specie p. 16 sg.). L'affinità semantica tra perfetto e medio, da più puri notata (d. ad es. J. Gonda, Reflections on the Indo-European Medium, "Lingua" 9 [1960], soprattutto p. 59 sg.), è dunque solo parziale. Probabilmente ha ragione lo Stempel (Stativ, Perfekt und Medium: Eine vergleichende Analyse fur das I ndogermaniscbe und Semitische, in Kurylowicz Memorùtl Volume. I, Cracow 199.5, p . .523 sgg.) quando sottolinea piuttosto il parallelismo tra il perfetto e il medio in riferimento anche alle lingue semitiche. 213

5.3. Perfetto e medio

243

do zero non alternante (grado pieno in *-e- nei "proterodioamici"); - sempre da un punto di vista formale, anche le tanto invocate desinenze presentano affinità solo parziali, e riesce comunque difficile ricostruire un archetipo comune alla serie del perfetto e a quella del medio; - infine, la dibattuta questione delle desinenze in *-r sembra costituire un falso problema: le III persone plurali del perfetto e del medio, come accennato, risalgono ad archetipi diversi, mentre l'ampia utilizzazione di un elemento *-r- quale indicatore della flessione media/ deponente in varie lingue indoeuropee occidentali e nell'ittito difficilmente potrà essere attribuita all'influenza della III persona plurale del perfetto 215• In base a queste considerazioni non sembra possibile accogliere - per lo meno in riferimento alla fase protoindoeuropea che si ricostruisce a partire dai dati delle lingue storiche - l'ipotesi secondo la quale il perfetto e il medio deriverebbero da una protoforma comune, una diatesi contrapposta all'attivo e segnalata da una specifica serie di desinenze216•

Quella delle cosiddette •desinenze in -,• ~ stata una delle questioni più dibattute nel campo della morfologia verbale indoeuropea, specie a par, tire dagli anni '30 di questo secolo (con l'apporto dei dati anatolici). Sareb~ inutile anche soltanto fornire un elenco dei moltissimi lavori concernenti tale problema; mi limito, pertanto, a rinviare ai titoli già segnalati nelle note 157 e 186, con l'aggiunta di: A. Meillct, Sur les dlsinences, cit., p. 189 sgg.; J. A. Kcrns -B. Schwartz, Structural Types, cit., p. 269 sgg.; E. F. Oaflin, The Indo-European Mùldle Ending -r, •Lg• 14 (1938), p. 4 sgg.; H. Pcdcrsen, Hittitisch, cit., p. 103 sgg.; J. Kurylowicz, The Inflect. Categories, cit., p. 64 sgg.; C. Watkins, Idg. Grammatilt - 111., cit., p. 174 sgg.; W. R. Schmalsticg, Speculations, dt., p. 30; H. B. Rosén, Amamini, cit., p. 160 sgg.; B. Roscn• kranz, Vergleichende Untersuchungen der altanatolischen Sprachen, Tbc Haguc 1978, pp. 84 sg., 88 sg. e 132; K. R. McConc, From Indo-European to Old Irish, cit., p. 239 sgg.; O. S:r.cme~nyi, Einfuhrung, cit., p. 257 sgg.; J.H. Jasanoff, Aspects, dt., p. 150 sgg. 216 Non mi sembra necessario soffermarsi in modo particolare sull'altra ipotesi, prospettata in particolare dal Watkins (Idg. Grammatilt • III., dt., p. 105 sgg.), secondo il quale le desinenze del perfetto avrebbero un'origine in comune con le desinenze tematiche: la confrontabilità delle due serie di desinenze ~ davvero minima, e la prospettiva glottogonica sulla quale ci si fonda (origine denominale, a partire dalla III persona sing.) risente oltretutto del peso attribuito alla non univoca testimonianza dell'ittito, d. supra, S 2.9.1. 215

V - Le desinen%enel perfetto indoeuropeo

244

5.4. Lo stativo: una categoria flessionale? Soprattutto a partire dalla metà di questo secolo si è via via affermata, negli studi relativi a questioni di morfologia verbale indoeuropea, l'utilizzazione del termine "stativo" 217, sia come aggettivo (a qualificare la valenza di un determinato tema flessionale), sia come sostantivo, in riferimento a una specifica categoria funzionale o morfologica, che avrebbe fatto parte del sistema verbale in una fase preistorica. L'uso di "stativo" a qualificare la semantica di alcune radici verbali indoeuropee è stato illustrato in altra sede 218, e comunque non mi pare si presti a particolari obiezioni; né appare discutibile riferire la qualificazione di "stativo,, a una categoria in larga misura di natura lessicale qual è l'Aktionsart (dunque, si può tranquillamente parlare di un'Aktionsart "stativa" accanto all'Aktionsart fattitiva, a quella intensiva, a quella iterativa, etc.) 219• 217

Una storia della questione, dal Delbriick in poi, è stata presentata da T. Goto, nella sua relazione dedicata allo stativo nell'àmbito del Colloquio della Indogermanische Gesellschaft (Berthold Delbriick y la sintaxis indoeuropea boy) tenuto a Madrid dal 21 al 24 settembre 1994 (in attesa del testo a stampa definitivo, traggo queste notizie dalla raccolta delle sintesi degli interventi predisposta preliminarmente alla riunione). 218 Si veda Studio sul perfetto, cit., I, p. 26 sgg. La qualificazione di •stativo" può trovare appJicazione anche nella classificazione tipologica di una determinata lingua (o famiglia linguistica): d. ad esempio vari contributi cli W. P. Lehmann (da ultimo in: Problems in Proto-Indo-European Grammfll': Residues /rom Pre-Indo-European Active Structure, •GL• 29 [1989], 4, p. 231 sgg.; The Cu"ent Thrust of Indo-European Studies, •GL• 30 [1990], 1, pp. 13 sg. e 38), il quale comunque è incline ad attribuire la fase più antica del protoindoeuropeo piuttosto al tipo "attivo•. 219 Sui criteri generali di fatto comunque riferiti principalmente all'inglese e all'italiano moderni - per la classificazione di un'Aktionsfll't come "stativa" ha scritto a più riprese P. M. Bertinetto, Il carattere del processo ('Aktionsart') in italiano. Proposte, sintatticamente motivate, per una tipologia del lessico verbale, in Tempo verbale, strutture quantificate in forma logica, Firenze 1981, p. 12 sgg. (si veda specialmente lo schema a p. 24); Id., Tempo, aspetto e ll%Ìonenel verbo italiano - Il sistema dell'indicativo, Firenze 1986, p. 250 sgg.; Id., Statives, Progressives and Habituals: Analogies and Differences, "Quad. Labor. Ling." 7 (1993), pp. 71-101. Alcuni autori (d. per tutti M. Wilmet, Aspect grammatical, aspect sémantique, aspecl lexical: un problème de limiles, in La notion d'aspecl. Colloque organisé par le Centre d'Analyse synlaxique de lVniversité de Met% [18-20 mai 1978], Actcs pubi.

.5.4. Lo stllliuo: #114 ct1tegoriaflessionale?

245

Diverso è il discorso allorché si allude a uno •stativo• come specifica categoria funzionale o morfologica. Per quel che riguarda una categoria funzionale di •stativo•, comprendente formazioni quali il perfetto, alcuni verbi di stato, }"'aoristo passivo" greco e gli altri temi in *-e-,e opposta all'•eventivo" (presenti, aoristi etc.) a, si può dire che si tratta di una classificazione plausibile, ma certo di ben difficile dimostrazione, dal momento che sul piano strettamente formale non si dànno tratti che accomunino le formazioni incluse in ciascuna delle due categorie 221. Altri ha visto nello stativo una diatesi, morfologicamente espressa eia un "protoperfetto •, evolutosi nel perfetto e poi, per altro verso, nel medio: di tale ipotesi, formulata in primo luogo dal Neu, si è awto modo di discutere - e di porre in evidenza i punti deboli - nel paragrafo precedente m. par J. David et R. Martin, Metz 1980, p. 51 sgg.), nel momento in cui non riconoscono l'esistenza di Aletionsartendistinte dagli aspetti, preferiscono parlare di •aspetto stativo": mi pare accettabile che lo •stativo", assieme al •conclusivo• figuri tra i cosiddetti •aspetti semantici", mentre non si può condividere che sullo stesso piano di questi •aspetti semantici" siano posti l'imperfettivo e il perfettivo (i quali implicano l'interpretazione - di tipo binario: cf. W; Drcssler, StUtlien %, verb. Pluralitiit, cit., p. 47 sgg. - dell'azione da parte del soggetto). Ma sul problema terminologico relativo all'aspetto verbale e alla A/etionsartsi avrà modo di tornare più ampiamente nel S 6.2. ZII La più recente applicazione sistematica di questa classificazione binaria è dowta al Sihler, New Compa,. Grammar,cit., p. 442 sgg. Il Sihler rielaborauna tesi del suo Maestro Warrcn C.Owgill,il quale (The Source, cit., p. 273) aveva parlato più specificamente dello •stativo" come terzo aspetto (opposto all'imperfettivo e al perfettivo), e ne aveva individuato la manifestazione morfologica nel perfetto; molti punti di contatto sono inoltre riscontrabili con le osservazioni di J. H. Jasanoff (Stative and Middle, cit., p. 13 sgg.), secondo il quale lo stativo è ugualmente una categoria funzionale, della quale fanno parte alcuni verbi indicanti stato, il perfetto, i verbi in *-i-, e un numero consistente di formazioni denominali. 221 Più che di formazioni incluse in un'unica categoria funzionale, sembrerebbe ragionevole parlare di formazioni tra loro indipendenti, ma caratterizzate da funzioni analoghe o affini. Mi pare di poter ravvisare un'implicita indicazione in questo senso in un recente articolo di J. L. Garda Ram6n, L4t. c:eosere, got. hazjan und das idg. Priisens *kms-e-ti (und •~e-ti?) 'uerltiindigt, schiJtzt', Statiu *kv,s-ch 1- 'verltiindigt, geschatzt sein I werden', in Indo1.ermanicaet Italica, cit., p. 121. m La spiegazione formulata da F. R. Adrados (Perfect, cit., p. 43 sgg.)

246

V - Le desinmu 11elperfetto illdonrop«,

Secondo N. Oettinger •, infine, lo stativo dovevaoriginariamente costituire un'autonoma categoria flessionale, distinta dal medio e dal perfetto, e caratterizzata da desinenze di III persona singolare (*-o(y) nel presente, *-ot nell'ingiuntivo) e plurale (*-(e)-re,, *-(e)-re rispettivamente). Queste desinenze che, secondo l'Oettinger, contraddistinguerebbero lo stativo, sono, come è facile constatare, le desinenze alla base di ind. ant. -e, -at, -re, -ra(n) (e di avest. -4ire) da un lato, di itt . .J(ri), .Jt(i) dall'altro: dunque, le desinenze proprie del medio di alcuni verbi indiani antichi a semantica stativa (d. supra, S 5.3 b), e quelle mediopassive (presente e preterito) dei verbi in -fii ittiti 224• La funzione dello stativo sarebbe stata quella di indicare lo stato, l'evento o l'evento subito, e tale classe morfologica si differenzierebbe dal medio, che in più segnala anche la riflessività (in verbi agentivi), e dal perfetto, che indica lo stato raggiunto. Dal momento che lo "stativo• ricostruito da Oettinger verrebbe a configurarsi come una categoria ben distinta - forma]m~tc e funzionalmente - dal perfetto, non sarà necessario discutere nei particolari la plausibilità della ipotesi formulata dallo studioso (che ha riscosso discreta fortuna, come dimostra il tentativo del Rix 225

in parte analogaa quella del Ncu, ma con due differenze: lo •atattvo• arebbc una formazione (dcvcrbativa) di tipo aspcttuale - e non una diatesi-; dallo •stativo• avrebbe awto origine dapprima il medio, e solo in una fase successiva il perfetto (si inverte dunque l'ordine cronologico suggerito dal Ncu). Per sostenere una tale tesi - fondata su argomenti csscnzialmcntc tipologici - la Kurzova (From Indo-Eu,opean to ùtin, cit., p. 144) giunge ad asserire che « ... In tbc originai [ = PIE] structurc, tbc aorist was formed from the active verb alone and tbc pcrfcct from thc inactivc alone.». Peccato che i dati documentari indichino con evidenza una situazione esattamente opposta a quella immaginata dalla KUt7.0va (d. Studio sul perfetto, cit., I, p. 367 sgg.). m N. Octtingcr, Der indogermanische Stativ, •MSS• 34 (1976), p. 109 sgg.; Id., Die heth. Verbalstiimme, cit., p. 238 sg.; Id., Zu, Funlttion, cit., p. 347 sgg. Si vedano inoltre le pwtua1izzazioni di J. L. Garda Ram6n, Ok Sekundiirendung, cit., pp. 210 e 213 sg., e le indicazioni riferite al tocario addotte da H. Katz, Zu den 'r-Endungen', cit., p. 34 sg. 224 Nei lavori più recenti (Die heth. Verbalstiimme, cit., p. 238 sg.; Zw Funktion, cit., p. 358) l'Octtinger aggiunge alle testimonianze indo(-iraniche) e ittite anche le forme deponenti in -, di verbi di stato irlandesi antichi, e alcuni congiuntivi italici (umbri) in -,. 225 H. Rix, Das keltische Ve,balsystem auf dem Hintergr11nd dn illdoiranisch-g,iechischen Rekostruktionsmodells, in IndogefflUlflisch """ Keltisch, ~

,.4.Lo stdlitJO:"""

categoriaflessio114leJ

247

di attribuirle lo status di terza diatesi, accanto all'attivo e al medio). Ciò nonostante, si deve pur dire che alcuni elementi di debolezza appaiono evidenti 2», dal pregiudizio per il quale una categoria morfologica sarebbe segnalata esclusivamentedalle desinenze - e per giunta limitate alla III persona! -, alla ridotta base comparativa (tra l'altro, l'ittito testimonierebbe direttamente la sola III persona singolare dello stativo), dalle difficoltà connesse con l'interpretazione di -ri nelle desinenze mediopassive ittite, ai problemi relativi all'analisi di ind. ant. -e, -re (cf. supra). Sicché probabilmente non va lontano dal vero chi ha suggerito che il cosiddetto stativo non vada considerato quale categoria a sé stante, ma semplicemente come la più antica forma flessionale delle desinenze di III persona del medio 'ZII. Si può quindi ritenere che la nozione di "stativo", certamente utiUzzabile per qualificare certi àmbiti funzionali all'interno del sistema verbale indoeuropeo - anche in relazione alla valenza originaria del perfetto -, mal si adatta alla individuazione di una qualche categoria morfologica a sé stante caratterizzata da desinenze specifiche. Le desinenze "stative" sembrano piuttosto costituire, come si è detto, una forma arcaica delle desinenze mediali, distinta dalla serie delle desinenze del perfetto ma con queste ultime connessa da un'indubbia affinità 221• dt., p. 134 sgg.; Id., The PIE Middle, cit., p. 109 sgg. Il Rix, in sostanza, vede lo stativo come una categoria autonoma, distinta dall'attivo e dal medio, e con il Ncu lo interpreta come diatesi; questa terza diatesi del sistema verbale i.e. sarebbe segnalata da desinenze denominate di •perfetto-stativo• (le desinenze dello stativo dell'Oettingcr, integrate nelle I e II persone dalle desinenze del perfetto). Altrove, comunque, il Rix (Hist. Grammatile,cit., p. 218) aveva parlato dello •stativo" come di un'Aletionsart, scnta specificarne il rapporto con un'eventuale diatesi omologa; il che la dice lunga sul fatto che spesso la •stativo" ha costituito un'etichetta attribuita alle più disptrate categorie, quale deus ex machina che poteva permettere di venire a capo di problemi di classificazione altrimenti difficilmente risolvibili. • Per riferimenti bibliografici d. O. Szemermyi, Einfiihrung,cit., p. 272. 'ZII In questo senso si veda soprattutto R. Lazzcroni,Arcaismie innovazioni, dt.; p·. 14 ag.; d. inoltre C. Watkins, ·Idg. Grammatile- III, cit., p. 88 sgg. Ricordo che, secondo il Neu (Das friihidg. Diathesensystem,dt., p. 292 sg.), le desinenze dello stativo rappresenterebbero invece un'evoluzione delle desinenze del perfetto. • Faccio mia la formulazione di R. Lazzcroni, La diatesi, cit., pp. 17 sg. e 20; d. ora anche R. Stcmpel, Stativ, dt., p. 520 sgg. con l'Oettingcr

248

V - ù desinenze nel perfetto uulonro~

5 .5. La funzione origi1111ria delle desinenze nel pe,f etto indoeuropeo Nd concludere la trattazione relativa alle desinenze nd per· fetto indoeuropeo, si può tentare di trarre dagli dementi fin qui acquisiti alcune indicazioni - indirette, ma non dd tutto prive di consistenza - riguardo alla funzione che in origine tale serie di desinenze doveva avere ndla formazione dd perfetto. Attraverso l'analisi specifica delle forme attestate nelle lingue storiche, si è potuto constatare che le desinenzedd perfetto costituiscono una serie pressoché completa (con l'cccczionc dd duale; non è possibile ricostruire la forma originaria ddla I persona plur.), limitata all'attivo e all'indicativo 229• Tale serie di desinenze dd perfetto si distingue nettamente dalle serie primaria e secondaria dd1'attivo, mentre presenta particolari affinità con le più antiche desinenze dd medio (quelle ancora parzialmente conservate in alami media tantum a valore di stato). In questo senso, se è vero che le desinenze costituiscono certo un tratto significativo nella formazione dd perfetto, non si può tuttavia affermare che ne rappresentino l'demento in assoluto caratterizzante e distintivo a, visto che desinenze analoghe - se non proprio identiche - compaiono nelle più antiche forme mediali. Un ulteriore passo in avanti può ora esser compiuto, in base alle conclusioni sin qui raggiunte, riguardo alla funzione più antica delle desinenze nella formazione dd perfetto. L'affinità riconosciuta con le desinenze originarie dd medio 231 potrebbe suggerire di riferire anche alle desinenze dd perfetto quella generica indicazione di uno stato in linea di massima ravvisabile nella sfera di applicazione più antica delle desinenze mediali. Tale conclusione sembra trovare Sull'impossibilità di ricostruire antiche forme modali di perfetto si ~ già detto incidentalmente in più occasioni (SS 3.4, 4.1.1, etc.), e si veda ora anche la recensione a W. Eulcr, Modusleategoriender Perfeletoprue11tim;,,, Indoge,manischen,lnnsbruck 1993, appana in •Kratylos• 40 (199,), p. 10, sgg. Per una trattazione specifica rinvio al capitolo seguente (S 6-'). 211 Mi ricollego alle affermazioni all'epoca tutt'altro che ovvie presentate nel 19,0 da W. Bclardi, 14 formazione,cit., p. 98 sgg. (specie p. 104); cf. ora anche J. H. Juanoff, Aspects, cit., p. 167 (il quale non menziona l'art. del Bclardi). 231 Tale affinità, ~ opportuno ribadire, non presuppone ncc:cssariamcntc una identità etimologica, ·e tanto meno una originaria identità tra le due formazioni del perfetto e del medio. 229

,.,. La f#nvone originaria delle desinen1.enel per/etto i.e.

249

conforto in un ragionamento per esclusione: se è vero che il perfetto - come si è mostrato - doveva esprimere uno stato conseguente a un processo, si potrebbe allora supporre che l'indicazione dello stato fosse convogliata da uno dei suoi elementi modulari (morfemi). Ma il raddoppiamento e l'alternanza apofonica radicale segnalavano, come si è visto nei capitoli precedenti, tutt'altra funzione; appare verisimile, dunque, che proprio alla desinenza fosse deputata l'espressione dello stato. Dunque, nella costituzione del perfetto avrebbe trovato una collocazione particolarmente idonea una serie di desinenze che in origine doveva indicare lo stato 232, serie inizialmente produttiva - in una forma forse allotropica - anche nella flessione (mediale) dei verbi a semantica stativa. Una tale conclusione non rappresenta in assoluto una novità: già Karl Hoffmann, nella sua magistrale sintesi sul sistema verbale indoeuropeo Zl3, e in parte George Cardona ZM, avevano formulato l'ipotesi che le desinenze nel perfetto convogliassero l'indicazione di uno stato Zl5. Forse in parte nuova - e spero persuasiva - è invece l'argomentazione specifica qui addotta a supporto della ipotesi già da alcuni decenni avanzata. Si tratta comunque, è bene sottolinearlo in conclusione, di un'ipotesi destinata a rimaner tale, poiché manca ogni possibilità di riscontro diretto della funzione di una qualsiasi desinenza, che costituisce pur sempre solo un elemento, un singolo morfema all'interno di una formazione complessa (solo questa direttamente accessibile nella sua funzione).

232

Non si pub comunque escludere a priori che le desinenze della serie qui individuata potessero avere anche altre valenze, oltre a quella •stativa•, pur se nella documentazione a noi accessibile mancano indizi in tal senso: sulla polifunzionalità che spesso caratterizza i singoli morfemi componenziali si veda quanto precedentemente osservato nel S ,.3. 233 K. Hoffmann, Das Kategoriensystem, cit., p. 39 sg. 2M G. Cardona, Rigvedic 'rovi~, dt., p. 341. m J. H. Juanoff, Aspects, dt., pp. 154 e 163, obietta che l'indicazione dello stato, nel perfetto, ~ data dall'insieme dei morfemi costituenti tale formazione (inclusi il raddoppiamento e il grado apofonico radicale), e dunque non va necessariamente attribuita alle desinenze, che anzi sarebbero da considerare mere varianti morfologiche di quelle attive; tale obiezione, in linea di principio corretta, perde pero gran parte della sua efficacia alla luce di quanto si ~ qui detto riguardo alla funzione specifica del raddoppiamento e del grado apofonico nel perfetto indoeuropeo.

CAPITOLO

VI

IL SISTEMA VERBALERICOSTRUITO: LA POSIZIONE DEL PERFETIO

6.1. ConsidertJZioni preliminari.

Al momento di trarre le indicazioni più importanti dall'analisj qui effettuata sarà opportuno ricollegarsi al progetto d'indagine prc• sentato in sede introduttiva (S 1.1). La pianificazione iniziale della ricerca sul perfetto indoeuropeo prevedeva, in particolare, un'articolazione su tre piani distinti: in primo luogo la ricostruzione della più antica valenza del perfetto, in secondo luogo la ricostruzione della struttura formale del perfetto nel suo complesso e nei suoi componenti, e da ultimo - in parte come risultato degli elementi tratti dalle due prime analisi, in parte sulla base di ulteriori considerazioni - l'accertamento della collocazione originaria di tale categoria morfologica all'interno del sistema verbale che possiamo ragionevolmente attribuire alla "comunione linguistica indoeuropea". · Sul primo punto vi era un ampio consenso riguardo alla più antica valenza (stato conseguente ad un processo) individuabile per il perfetto indoeuropeo, e la novità della ricerca I è consistita più che altro nel metodo. Al contrario, l'anaUsi, in questa sede compiuta sul versante formale ha spesso comportato la scelta di una tra le soluzioni alternative prospettate nel corso degli ultimi decenni (e in qualche caso la formulazione di ipotesi in parte nuove). Il teff.O problema, infine, vale a dire la determinazione della posizione del perfetto, in sostanza la sua natura (aspettuale, di diatesi, di Aletionsart, modale, nominale, o quant'altro), costituisce un tema di intc-

1

Cf. Studio sul perfetto, cit., I, passim.

VI • Il sistem• r,erb.Je rieosnito: Z. poshione del perfetto

2,2

resse centrale nel presente studio, ma risulta estremamente delicato e controverso, per la difficoltà di iitilizzare con la necessaria prudenza i dati a disposizione: pochi altri settori della morfologia indoeuropea, in effetti, hanno goduto del singolare privilegio di conoscere proposte interpretative tanto numerose e tanto eterogenee. Nell'esposizione sarà dunque opportuno fornire immediatamente (S 6.2) un quadro d'assieme delle diverse soluzioni a tutt'oggi prospettate riguardo alla collocazione originaria del perfetto nel sistema verbale indoeuropeo ricostruito (senza trascurare un cenno all'uso - non sempre costante - della terminologia relativa alle categorie funzionali individuabili all'interno di tale sistema). Successivamente (S 6.3) l'argomentazione cercherà di avvalersi delle indicazioni direttamente risultanti dall'analisi sin qui condotta nel presente studio riguardo alla forma e alla funzione dei tre morfemi principali che dovevano concorrere alla realizzazione di un tema di perfetto. A tali indicazioni, che provengono da una ricostruzione interna al perfetto stesso, si aggiungeranno infine(SS 6.46..5) gli ulteriori elementi ricavabili dal confronto con temi flcssionali funzionalmente affini al perfetto, in modo da completare il quadro dei riferimenti utili per poter pervenire a conclusioni se non incontrovertibili, per lo meno largamente plausibili.

6.2. Lo stato della questione. Il ventaglio delle ipotesi formulate riguardo alla più antica collocazione del perfetto all'interno del sistema verbale indoeuropeo risulta, come si è accennato in sede di presentazione, particolarmente ampio. Una tesi già risalente agli inizi di questo secolo, e successivamente ripresa da taluni studiosi, vede nel perfetto indoeuropeo una formazione di origine nominai~, inclusa solo in un secondo tempo nel sistema verbale. Non mi soffermo ulteriormente su tale spiegazione, dal momento che si è già avuto modo di trattarne in precedenza 2 •

Rinvio senz'altro alle indicazioni bibliografiche fornite nel S 2.1, nota 1, anche per quel che riguarda le obiezioni che possono essere facilmente opposte a una siffatta conclusione. 2

6.2. Lo stillo della questione

Più complessa, ma in parte riconducibile a questa ipotesi, è l'argomentazione presentata dal Watkins e da alcuni altri indoeuropeisti 3 : il perfetto risalirebbe a una protoforma nominale tematica (rappresentabile ad es. come *gb-ene/o- [sic] 4), dalla quale avrebbero tratto origine da un lato la coniugazione tematica, dall'altro - per diversa segmentazione della vocale tematica *-e/o-, interpretata come desinenza di III sing. - il perfetto e il medio (atematico). All'intuizione del Watkins relativa a una particolare affinità - per lo meno a livello di desinenze - tra perfetto, medio, presenti in -!Jiittiti e presenti tematici, si ricollega la complessa spiegazione elaborata dal Jasanoff 5, il quale include il perfetto in un tipo di presenti a desinenza *-H2e, opposto ai presenti atematici (in *-mi). t evidente che in tal modo si finisce per prender di peso la situazione dell'ittito (con tutti i problemi del caso) e rietichettarla come "protoindoeuropea". Altri 6 ha ritenuto che il perfetto in principio possedesse uno status affatto specifico, non verbale né nominale, ma intermedio,

3

C. Watkins, Idg. Grammatik - III, cit., p. 105 sgg. Si ricollega esplicitamente alla teoria del Watkins, pur con una più attenta considerazione del versante funzionale, Fr. Bader, specialmiente in Par/ait et moyen, cit., p. 11 sg., e in Rl/lexions su, le verbe indo-europlen, •RPh", s. IX, 45 (1971), p. 305 sg. (successivamente la Bader perviene a conclusioni in parte diverse, d. infn, nota 17). Più di un punto di contatto con l'ipotesi del Watkins presenta inoltre una delle spiegazioni proposte da W. Cowgill, là dove (Anatolian hi-Conjugation, cit., nota 13 a p. 30 e p. 39) muove da un tema nominale a grado *-o- radicale e suffisso *-e/o-,e quindi ritiene che il perfetto in origine si ponesse al di fuori del sistema di tempi e modi del presente e dell'aoristo. Si deve comunque rilevare che alcuni anni prima il Cowgill aveva interpretato invece il perfetto come forma aspettuale (d. infra, nota 18). 4 C. Watkins, l. cit. nota prcc. Si pub notare la discutibile collocazione dell'aspirazione prima della semivocale ad esponente: in tal modo si trascura la circostanza per cui - sulla base degli sviluppi nelle lingue storiche - con ogni verisimiglianu la labiovelare protoindoeuropea doveva essere un'unica articolazione, con doppio diaframma (velare e bilabiale), seguita eventualmente da aspirazione, piuttosto che una sequenza di due articolazioni tra loro discrete (e magari inframmezzate dalla fricativa laringale). 5 J. H. Jasanoff, The Position, cit., p. 82 sgg.; Id., Aspects, cit., p. 1,4 sgg. (dove vengono inclusi nella coniugazione in *-H~ anche r•aoristo passivo" indo iranico e una classe di preteriti medi del tocario A). Sui rapporti di questo tipo flessionale con i verbi in -biittiti, cf. supra S 2.9.1 e nota 70. • Cf. H. Schelesniker, Das sl4v. Verbalsystem, cit., p. 11 sg.

VI - Il sistema verbale ricostruito: 14 posWoM del perfetto

254

e in qualche misura fondante dei due sistemi flessionali: « [ ... ] Vorerst sei festgchalten, da6 das indogermanische Perfekt dcn Angelpunkt unseres verbalen, nominalen und temporalen Deokcos bil-

det.•

1.

In una posizione in qualche modo intermedia tra verbo e nome si doveva collocare il perfetto anche secondo il Pisani, che oc individuava l'origine in una singola forma in *-Il ( « cin Impersonale •) •. Sui problemi specifici che presenta uno dei presupposti da cui muove il Pisani, e precisamente la ricostruzione di una desinenza *-a in riferimento anche alla III persona sing. del perfetto (oltre che alla I sing.), si è detto nel S .5.1.3. Diversa è la prospettiva di quanti hanno sostenuto che il perfetto indoeuropeo rappresentasse in principio una vera e propria diatesi, contrapposta all'attiva e invece connessa con il medio (anche se sulle modalità di tale connessione le opinioni espresse si sono ampiamente differenziate). Si tratta di una spiegazione nclJa quale questa diatesi ipoteticamente rappresentata dal "protoperfetto • è stata spesso denominata •stativo" (in considerazione della valenza più antica del perfetto): per indicazioni più specifiche (anche bibliografiche)' e per una sintetica discussione si può quindi senz'altro rinviare alla trattazione concernente i rapporti tra perfetto e medio (S .5.3) e lo stativo (S .5.4). Ben distinta dalle posizioni fin qui passate in rassegna è la tesi di chi attribuisce al perfetto indoeuropeo, in una fase di • comunione linguistica", l'espressione di un aspetto oppure di una Aktionsart (in qualità di formazione deverbale). Prima di richiamar,.

Das slav. Verbalsystem, cit. nota prcc., p. 12. • V. Pisani, Vbe, einige ai. r-Endungen, cit., p. 222. All'ipotesi del Pisani si ricollega esplicitamente W. R. Schmalsticg, Speculations, cit., p. 29 sg. ' t qui sufficiente aggiungere, a integrazione delle indicazioni bibliografiche sopra fornite nel S 5.3 (note 202 e 204), le più generiche osservazioni cli A. Erhart, Zur balt. Verbalsystem, cit., p. 216 sg., cli G. Schmidt, Das MedilUII, cit., p. 89 (perfetto come diatesi •stativa", con origine nominale della forma cli III plur.), di J. Gormlcz Femandcz, El perfecto, cit., pp. 15 sgg. e 108 sg. (una - improbabile - aggregazione di clementi temporali a una diatesi di base), e di K. H. Schmidt, On the P,ehisto,y, cit., p. 593 sg. (K. H. Schmidt aveva in precedenza già notato una particolare affinità tra il perfetto e i presenti - mccli- dei verbi stativi, c:f. Das Per/elttum, cit., p. 4 sg.; Die r,orgescb. Vorlagen, cit., p. 82 sg. - dove ha un certo peso il raffronto tipologico con le lingue caucasiche meridionali). 7

6.2. Lo stt1to dellt1'l"estione

sinteticamente queste due ipotesi, è necessario chiarire che cosa si intenda per •aspetto" e per "Aktionsart" nel campo della linguistica indoeuropea: non tutti gli studiosi, infatti, individuano allo stesso modo Aktionsarten distinte dagli aspetti, e, ad esempio, una parte della scuola comparatistica francese e anglo-americana tende a riunire sotto la generica denominazione di aspect anche quel che altrove viene considerato categoria funzionale a sé stante, l'Aktionsart. L'individuazione delle categorie funzionali dell'aspetto e dell'Alttionsart (cui si può aggiungereil cosiddetto •carattere verbale•, d. infra) nel sistema verbale delle lingue indoeuropee antiche (non~ nella fase ricostruita) ~ il frutto di una sistemazione dei dati abbastanza recente, e comunque non uoaoimt"'1J1enteaccolta. C.Oroesi può facilmente desumere dalle accurate informazioni offerte dal Knobloch 10, a partire dall'inizio del nostro secolo le due voci Aspeltt (t1Spect,t1Spetto,etc.) e Alttionsart (Manne, o/ action, ordre de p,oc~s, etc.) - utilizzate negli studi di morfologia storica, specie delle lingue slave, già dal secolo precedente - vengono a indicare due caratteristiche funzionali distinte individuabili nel sistema verbale di varie lingue indoeuropee antiche (quale tratto ereditato dalla fase preistorica): l't1Spetto,nel quale si esprime l'interpretazione soggettiva di un'azione o di uno stato nel suo svolgimento oppure nel suo complesso, costituisce un'opposizione binaria (imperfettivo perfetti, 11 vo) , che trova riscontro a livello morfologico nell'opposizione tra presente e aoristo; nella Alttionsart, invece, si manifesta l'indicazione oggettiva di una specifica modalità dell'azione (o dello stato), e dunque si ha una più stretta connessione con valeme lessicali 12 (l'Alt-

~

J. Knobloch, Sp,achwissenscha/tlichesWorterbucb, Heidelberg 1961 sgg., Lief. 1, pp. 76-78 (s.v. Alttionsart), e Lief. 3, pp. 172-176 (s.v. Aspeltt). 11 A livello terminologico, in ragione della non felice somiglianzatra • perfettivo• e •perfetto•, vi ~ chi preferisce parlare di un'opposizione aspettuale tra •cursivo" (= imperfettivo} e •complessivo• (= perfettivo}: d. ad es. un interessante articolo di J. Brunei, L'aspect et « l'ordre de proc~s• en grec, •BSL• 42 (1942-45 (1946)), p. 45 sgg., o ancora R. Schmitt-Brandt, Aspelttltategorienim PIE?, "JIES" 15 (1987), 1, p. 81. 12 Mi attengo, in questa sede, alle definizioni fornite da Agrell e Jacobsohn, riportate dal Knobloch (1.cit. nota 10); in riferimento alla morfologia verbale 10

delle lingue indoeuropee, in questo senso vorrei ricordare per lo meno le osservazioni di: J. Brunei, L'aspect, cit., p. 44 sgg.; W. Belardi, La formazione, cit., nota 2 a p. 107; M. S. Rui~rcz, Estruct"ra del sistema de t1Spectos'Y tiempos del verbo griego antiguo, Salamanca 1954, p. 40 sgg.; W. Krause, Handbuch, cit., p. 200 sg.; K. Hoffmann, DtlS Kategoriensystem,cit., p. 27 sgg. (e si veda anche Hetbitisch luk(k)-, lukki-, •KZ• 82 [1968], p. 219 sg.}; W. Dressler,

256

VI - Il sistema verbale ricostruito: la posizione del perfetto tionsart può essere di vario tipo, e trova per lo più espressione in dcverbativi, vale a dire temi derivati da presenti o aoristi radicali a mCZ7.0 di uno o, spesso, più affissi diversi). Su questo tipo di interpretazione delle categorie di •aspetto• e • Aktionsart• in riferimento alle lingue indoeuropee antiche concorda la maggior parte degli studiosi; si deve comunque ribadire come in àmbito francese 13 e soprattutto anglo-americano sia spesso riscontrabile un uso differente dei due termini, che non di rado sono adoperati a indicare semplicemente il •versante• flessionale ( morfologico) e quello lessicale di un'unica 14 categoria funzionale • Se poi si passa a una determinazione dell'àmbito di riferimento di •aspetto• e • AJetionsart• da un punto di vista generale, o in rapporto a lingue moderne di differenti gruppi, il consenso sulla terminologia è davvero scarso, e le prospettive assaieterogenee 15 (ciò dovrebbe mettere in guardia quanti potrebbero esser tentati di intendere l'aspetto e la Aktionsart quali categorie universali).

=

Vber die Releonstruletion, cit., p. 14 (con qualche marginale differenza riguardo alla definizione dell'aspetto); H. Rix, Hist. Gram'1141ile,cit., p. 192 sg.; H. Schclesniker, Das slav. Verbalsystem, cit., p. 18 sgg.; K. Strunk, ReZ.twe Chronology, cit., p. 418 sg.; A. L. Silùer, New Campar. Grammar, cit., p. 442 sgg. 13 Basti citare, per tutti, A. Meillet, lntroduction, cit., pp. 204 e 247 sgg. (il termine aspect qui si riferisce a valenze di Aktionsart piuttosto che propriamente aspettuali). 14 In questo senso si veda specialmente W. P. Lchmann, PIE Syntax, cit., p. 96 sg.; Id., Theoretical Bases, cit., p. 176 sgg.; un compromesso fra questa interpretazione e la teoria tradizionale è suggerito da S. McCray, On the Notion o/ Morpho-Syntactic Stability: Aspe/et vs. Aktionsart in Indo-European, •IF• 87 (1982), p. 15 sgg. Infine, presso alcuni indoeuropeisti studiosi di lingue slave le nozioni di •aspetto" e • Aktionsart'" tendono a sovrapporsi parzialmente: d. ad es. R. Aitzetmiiller, Altbulgarische Grammatik, cit., p. 162 sgg., o ancora A. Erhart, Zur Entwiclelung, cit., p. 6 sg. 15 Oltre alle voci specifiche nel dizionario del Knobloch (cit. nota 10), e alla storia della questione in fase prc-glottologica, delineata da P. Berrettoni, Quando i verbi 11011avevano l'aspetto, •Messana• 18 (1993) [1995), p. 17 sgg., per questo problema si dovrebbe far riferimento a una letteratura estremamente ampia, specie nell'ultimo scorcio di questo secolo (sulla quale fornisce utili indicazioni O. Szemerényi, Struleturelle Probleme der indogermanischen Flexion Prinvpien und Model/alle, in Grammatische K.ategorien, cit., p. 522 sgg.). Poiché un elenco tanto ricco esulerebbe dai limiti e dagli interessi del presente Studio, ritengo utile fornire qui soltanto alcuni esempi di studi particolarmente indicativi riguardo alla disparità di vedute tra i diversi studiosi. Si vedano dunque i vari articoli usciti negli Atti del C.Onvcgnodi Metz sulla nozione d'aspetto, tra i quali si !ICgDalanoE. C.Oseriu, Aspect verbal ou aspects verbaux?, in ÙI notion d'aspect. Colloque organisé par le Centre d'Analyse syntaxif/ue tle l'Université de Men (18-20 ma 1978), Actes publ. par J. David et R. Martin, Mctz 1980, p. 13 sgg., B. Pottier, Essa de syntbise sr,r l 1111pect,ibid., p. 239

6.2. Lo sttJto delltJ questione

2'J7

Più controversa ~ la ricostruzione di una terza categoria funzi~ nale, il •carattere verbale•, che, secondo alcuni studiosi, farebbe riferimento a una specifica caratteristica - puntuale, durativa, etc. - in diretta dipendenza dalla semantica della radice verbale (e dunque in stretta connessione con l'Aktions•t) 16•

Tenuto conto di quanto si è ora detto in merito alle categorie dell'"aspetto" e della "Aktionsart" {con le relative implicazioni a livello terminologico), si può segnalare come un certo numero di studiosi abbia ritenuto di poter vedere nel perfetto indoeuropeo la espressione di un aspetto, sia esso il perfettivo 17, sia esso invece sgg., e M. Wilmet, Aspect grtJmmtJticlll, dt., p. ,1 sgg. A questi articoli si possono aggiungere, per lo meno: H. J. Verkuyl, On the CompositionlllNtJture of Aspects, Dordrccht 1972; C. Bache, Aspect tJnd AktionstJrt: Tow•ds tJ

SemtJnticDistinction, •JL• 18 (1972), p. ,1 sgg.; H.G. Klein, Tempus, Aspe/et, AktionsM't,Tiibingen 1974 (specie p. 103 sgg.); B. Comrie, Aspect, Cambridge 1976; J. Lyons, Semantics, Il, Cambridge 1977 (specie p. 703 sgg.); O. Dahl, Tense tJnd Aspect System, Oxford-New York 198,; U. Schwall, Aspeletulllitat. Eine semtJntisch-funletionelle KtJtegorie,Tiibingen 1991 (specie p. 8, sgg.). Infine, tra i vari linguisti che in Italia hanno lavorato su questo argomento, oltre agli studi del Bertinetto (citati nel S ,.4, nota 219), ricorderei soprattutto l'eccellente sintesi critica di P. Berrettoni, clusificwone semtJntictJ dei verbi. ProposttJdi revisioneterminologictJ,in Tra linguisticastorica e linguisticagenerllle.Scritti in onore di T. Bolelli, a cura di R. Ambrosini,Pisa 198,, p. 67 sgg., e i contributi di E. T. Saronne, The Catego,y of Aspect in Itllli4n: a Trans/or• mationlll App,oach, •SILTA • 1 (1972), 2, p. 21, sgg., G. Borgato, Aspetto verbllle e Aktionsart, •LeCo• 3 (1976), p. 6, sgg., C. Piva, L'upetto verbllle. Una categori4controversa,in LI, grammatica:upetti teorici e didattici. Atti del Convegno della S.L.I., a cura di F. Albano Leoni e L. R. Pigliasco, Roma 1979, II, p. 479 sgg., e A. Alonge, Sulla clusificazione verblllecosiddetta « upettt111le •: discussionedi lllcuni problemi, • AGJ- 79 (1994), 2, p. 160 sgg. 16 Sul •carattere verbale• si può vedere in primo luogo W. Dressler, Studien, dt., p. 49 sgg. (con bibliografia), e Ober die Releonstruletion, dt., p. 14, con le ulteriori punn,alizzazioni di K. Strunk, Relative Chronology, cit., p. 419 sg. 17 In questo senso d. specialmente W. P. Lehmann, PIE SynttlX, dt., pp. 107 sg. e 140 sg. (dove si avanza l'ipotesi che il perfetto si sia sviluppato a partire da un presente perfettivo); in gran parte simile ~ il presupposto da cui muove D. Q. Adams, TocharianHistor. ... Morphology,dt., p. 49. Di un perfetto come categoria aspettuale parlano anche K. H. Schmidt, Das Perfeletum, cit., p. 7 (il passo, nel quale si sottolinea anche il rapporto con la diatesi stativa, ~ stato riportato nella I parte di questo Studio sul perfetto, dt., nota , a p. 16 sg.), Fr. Bader, Prlsents moyens, dt., pp. 27 sg. e 39 (ma si noti che la Bader usa il termine upect nell'accezione ampia diffusa tra gli studiosi francesi, cf. supra), e W. Euler, Modusleategorien,dt., p. 7.

u

VI - Il sistema verbale ricostruito: la posizione del perfetto

258

un terzo aspetto 18 (genericamente qualificabile come •stativo•), opposto all'imperfettivo (sistema del presente) ma anche al perfettivo (sistema dell'aoristo). Non è difficile muovere a tale classificazione una obiezione di ordine funzionale: se la valenza più antica de] perfetto indoeuropeo consisteva - come si è visto altrove, cf. nota 1 - nell'indicazione di uno stato conseguente a un processo, tale formazione doveva necessariamente essere estranea all'opposizione aspettuale tra perfettività (pertinente, semmai, al solo presupposto del perfetto, vale a dire il processo) e imperfettività (pertinente, nel caso, alla sola conseguenza, vale a dire lo stato) 19• Per altro verso, se anche si volesse ricostruire ad hoc un terzo aspetto cui sarebbe corrisposto il perfetto indoeuropeo, si dovrà pur sempre osservare che la stretta connessione più volte evidenziata tra semantica radicale e presenza o assenza di un perfetto pone tale formazione - strettamente agganciata a fatti lessicali - piuttosto lontano dalle categorie aspettuali, che si connotano invece per una interpretazione soggettiva dell'azione (o dello stato). Altri elementi, oltre a questi di natura funzionale, sconsigliano di accogliere la proposta classificazione del perfetto indoeuropeo quale categoria aspettuale: ma di ciò si dirà più ampiamente nei paragrafi seguenti. Infine, due posizioni in qualche misura tra loro connesse sono quelle di chi ha visto nel perfetto indoeuropeo una formazione derivata di tipo non aspettuale :io (deverbale piuttosto che denominale), e di quanti hanno classificato il perfetto come originaria espres-

18

Un terzo aspetto •stativo" (rappresentato dal perfetto) è attribuito alla fase indoeuropea preistorica da J. Kuryfowicz, The Inflect. Categories, cit., pp. 62 sg. e 94 sg., e da W. Cowgill, The Source, cit., p. 273. Di un aspetto •risultativo" fa cenno invece, sempre in rdazione al perfetto indoeuropeo, G. S. Lane, The Formation o/ the Tocharian Subiunctive, •1,g• 35 (1959), 2, p. 160 (non è chiaro, comunque, se il Lane con aspect intenda riferirsi alle sole valenze aspettuali); sull'aspetto •risultativo" (che avrebbecaratterizzato il perfetto nel momento ddla sua inclusione nd sistema verbale) cf. anche Ju. S. Maslov, Rezul'tativ, perfekt i glagol'nyi vid, nel volume collettaneo Tipologiia rezul'tativnyx konstrukcii (rezul'tativ, stativ, passiv, perfekt), Leningrad 1983, p. 44 sgg. (specie p. 46 sg.). 19 Una sintesi assai chiara al riguardo è fornita da A. Etter, Die Fragesilt%e im $.gveda, Berlin-New York 1985, pp. 144 sg. e 160 sg. 21 Cf. specialmente J. Kuryfowicz, Problèmes, cit., p. 60 sgg. (a rettifica di quanto affermato precedentemente dallo stesso studioso, d. supra, nota 18). F. R. Adrados, Perfect, cit., p. 43 sgg. (specie p. 46) ricostruisce una antica

6.2. Lo stato della questione

sione di una Aletionsart21: se si considera che le Aletionsarten da un punto di vista morfologico per lo più si esprimono attraverso formazioni deverbali (causativi, intensivi, etc.), la differenza tra le due classificazioni risiede nel fatto che la prima pone l'accento su una più generica ricostruzione di ordine formale, la seconda comprende anche una valutazione di ordine funzionale. In questo senso, è indicativo il fatto che il principale argomento addotto in favore di una classificazionedel perfetto indoeuropeo come Aletionsart discenda dalla valenza originaria di tale formazione, valenza che non si presta ad essere inquadrata nell'opposizione aspettuale (cf. supra). Dal momento che gli argomenti utilizzati in favore di ciascuna delle diverse interpretazioni del perfetto indoeuropeo risultano poco plausibili, o comunque insufficienti (è questo il caso dell'ultima ipotesi qui segnalata), ritengo opportuno ricapitolare gli elementi di valutazione sin qui acquisiti nella presente analisi, prima di apportare alcuni ulteriori elementi atti ad aprire una ragionevole prospettiva di soluzione. 6.3. Le indicazioni fornite dai morfemi costitutivi del perfetto. Nella costituzione di un tema di perfetto, cosl nelle lingue indoeuropee che tale categoria hanno conservato, come anche in une fase ricostruita, sono individuabili tre elementi morfologici principali, tra loro discreti nella sequenza sintagmatica, i quali si integrano

opposizione •aspettuale• tra stativo - espresso dal perfetto, categoria deriva• zionale - e non-stativo; si noterà che l'Adrados (come risulta ampiamente da Evoluci6n, cit., passim) spesso non distingue le nozioni di "aspetto• e di

• Alttionsart•. 21

Tra i primi ad intuire che il perfetto indoeuropeo in origine potesse costituire l'espressione di una Alttionsart vanno certamente ricordati W. Belardi, La formazione, cit., p. 107 sg. e nota 2 a p. 107, e M. Leumann, Lat. Laut- •· Formenlehre,cit., p. 508 sg. Molto più tardi, e apparentemente senza aver notizia del suggerimento del Belardi e del Leumann,ha (ri)proposto una tale soluzione H. Rix (dopo un cenno nella Hist. Grammatilt, cit., p. 192 sg., in varie occasioni: Das ltelt. Verbalsystem, cit., p. 138; Zur Entst. d. uridg. Modussystems, cit., p. 7 sg.; The PIE Middle, cit., p. 103 - dove comunque si delinea uno stretto rapporto anche con la diatesi "stativa", d. supra, S 5.4 e nota 225), seguito da O. Szemer~nyi, Strultturelle Probleme, cit., p. 523 sg., e Ein/uh,-ng, cit., p. 369, e da J. A. Harnarson, Studien, cit., p. 26 sg.

260

VI - Il sistem11unbllle ricostruito: l11posivone del perfetto

con le diverse radici verbali 22: il raddoppiamento, l'alternanza apofonica radicale tra *-o-e *-0-, le desinenze. Un quarto elemento, vale a dire il tono (il perfetto rientra nel tipo an/icinetico),sembra dipendere direttamente dall'alternanza apofonica (che presenta grado zero nelle forme deboli, cosi come, del resto, in tutte le formazioni atematiche), e quindi riveste interesse senz'altro minore (d. supra, cap. IV). Si è ampiamente visto come i tre morfemi sopra ricordati fossero in origine cooccorrenti nel perfetto, non facoltativi, né alternativi (S 2. 7 .1). Per altro verso, nessuno di questi caratterizza esclusivamente il perfetto, neppure le desinenze (che presentano una rilevante affinità con quelle dei verbi di stato). Più in particolare, il raddoppiamento doveva avere carattere generale nel perfetto indoeuropeo, e poteva mancare solo per effetto di innovazioni, per lo più monoglottiche (ove si eccettui il caso di véda, ot6« etc., dowto a precoce lessicslizzazione). Il raddoppiamento attestato nel perfetto indoeuropeo, che si configura come un'espansione della radice più che come un preverbio, presenta forti analogie con quello di altre formazioni, dai presenti raddoppiati ai cosiddetti "aoristi raddoppiati• (in realtà causativi), ai desiderativi. Nel perfetto, cosi come nelle formazioni ora ricordate, il raddoppiamento è portatore di una funzione morfologica, quale elemento formativo di diversi temi flessionali; va dunque distinto fun. zionalmente - almeno al livello di ricostruzione cui siamo in grado di pervenire - dal cosiddetto "raddoppiamento intensivo•, caratteristico di forme verbali iterativo-intensive, alle quali doveva conferire la specifica nuance lessicale (connessa con la iterazione della sillaba radicale). Non è legittimo, pertanto, attribuire al raddoppiamento documentato nel perfetto l'indicazione di una originaria valenza intensiva o iterativa. Anche il grado apofonico radicale, *-o-nel singolare, *-0- nel

t

forse il caso di ribadire, secondo quanto ha recentemente osservato,ad esempio, W. Bclardi (Sull11tipologuz,cit., p. 557 sgg.), che l'apofonia radicale - o, meglio ancora, lo •schema apofonico" radicale, secondo la definizione del Bclardi - si inserisce all'interno della struttura lessicale (consonanti/sonanti) della radice, nel luogo della virtualitA vocalica; e sempre all'interno della struttura radicale possono trovar collocazione gli infissi (ad esempio nasali). Quindi, solo i diversi morfemi sono tra loro discreti, mentre il lessema radicale e gli elementi morfologici sono integrati non necessariamente in successione. 22

6.3. Le indicazioni forniie dai morfemi costitutivi del perfetto

261

duale e nel plurale, non è caratteristico del solo perfetto, ma doveva ricorrere in altre formazioni. L'esame comparativo ha consentito di individuare nel carattere deverbale l'elemento che accomuna tutte le categorie flessionali (intensivo, causativo, etc.) nelle quali figura un vocalismo *-o-radicale: appare dunque ragionevole ritenere che anche nel perfetto indoeuropeo tale grado apofonico fosse in origine connesso proprio con la natura deverbale della formazione. L'alternaom tra il singolare e il duale/ plurale (a grado zero radicale) sembra senz'altro da ricondurre al carattere atematico del perfetto, come del resto risulta anche dal confronto con altre situazioni analoghe all'interno del sistema verbale indoeuropeo (cf. supra, S 4.5). Le desinenze del perfetto indoeuropeo, le quali dovevano costituire una serie pressoché completa (con l'eccezione del duale), avvicinano il perfetto non tanto al medio in generale, quanto piuttosto a un tipo particolare di forme mediali, quelle dei verbi indicanti uno stato ("verbi stativi"). Si è dunque ritenuto di poter riconoscere nelle desinenze del perfetto l'indicazione originaria di uno stato, secondo quanto già ipotizzato da Karl Hoffmann e da alcuni altri studiosi (S 5 ..5). Il perfetto indoeuropeo, nella fase più antica ricostruibile in base alla documentazione fornita dalle lingue storiche, viene dunque a configurarsi come una formazione connotata morfologicamente per lilèZZo del raddoppiamento, di tipo deverbale (come mostra il grado apofonièo) e con valenza stativa "acquisita" (segnalata dalle desinenze di stato utilizzate in radici processive). Ogni morfema, all'interno del perfetto, doveva dunque contribuire in modo decisivo alla costituzione della valenza complessiva di tale formazione, e risultare quindi ine1iminabile non solo in fase preistorica, ma ancora nelle fasi più antiche delle lingue storiche a struttura internamente articolata. Per altro verso, la perdita di trasparenza formale già riscontrabile in varie lingue indoeuropee sin dalle prime attestazioni - e nelle altre nel corso della storia - ha avuto la conseguenza di oscurare la funzione specifica dei morfemi componenti, e di consentirne dunque la parziale o totale eliminazione: in questo senso si spiegheranno allora la perdita del raddoppiamento nei continuatori dd perfetto in varie lingue indoeuropee, il conguagliamento del grado apofonico a quello di altre formazioni verbali, la sostituzione ~ parziale o totale -. delle desinenze "stative" con il tipo primario o secondario, e vari altri fenomeni orientati nella stessa direzione. Queste indicazioni potrebbero già di per sé offrire elementi

VI - Il sistema verbale ricostruito:la posizione del perfetto

262

utili a una corretta collocazione del perfetto all,intemo del sistema verbale indoeuropeo; in particolare, si può immediatamente osservare come tale formazione, derivata e non radicale, si ponga su un piano sostanzialmente diverso rispetto ai temi aspettuali, che nella fase più antica conoscevano un tipo di formazione radicale (presente e aoristo radicali) 23• Il raffronto con formazioni a valenza analoga al perfetto potrà comunque consentire di accrescere ulteriormente la base di giudizio sulla quale formulare le conclusioni del presente lavoro. 6.4. Formazioni a valenza analoga al perfetto. Nelle lingue storiche indoeuropee la valenza di "stato conseguente a un processo" o, più genericamente, di "stato riferito a una radice indicante un processo", non sembra essere esclusiva del perfetto, come è stato notato da più parti (d. infra). In particolare, rattenzione degli studiosi si è appuntata su due tipi di formazioni, entrambe caratterizzate da un suffisso *-e-,e quasi certamente tra loro connesse: i verbi "stativi" in *-e-(tra i quali andrà incluso anche il tipo con infinito in *-e-del baltico e dello slavo) e il cosiddetto "aoristo passivo" greco (esso pure segnalato da un suffisso -i-, ma rispetto all'altro tipo più nettamente connotato come categoria flessionale autonoma). Anche se, come detto, l'origine delle due formazioni è presumibilmente comune, converrà comunque trattarne separatamente in considerazione del diverso sviluppo conosciuto in fase storica. 6.4.1. I verbi "stativi" in

*-e-.

Come si è avuto modo di segnalare nella parte conclusiva di ciascun paragrafo del II capitolo, vari gruppi linguistici indoeuropei testimoniano formazioni deverbali a suffisso *-e-,caratterizzate da un valore di stato (risultante, acquisito, etc.) a fronte del senso

23

Su tali formazioni rinvio a quanto osservato in Aspetto e tempo nel sistema verbaleindoeuropeo,in corso di stampa nella Miscellaneain memoriatl, Enrico Campanile,Pisa 1996, S 3.2.2.

263

primariamente processivo delle radici verbali sulle quali si sono costituite (non rivestono particolare interesse, in questa sede, le formazioni denominali - spesso ugualmente a valenza stativa - costituitesi con analogo suffisso *-e-) 34 • Tra i pruni ad osservare questa caratteristica che accomuna da un punto di vista formale e funzionale - tante lingue indoeuropee antiche, va certo ricordato il Meillet 25, il quale riportava questo tipo morfologico a una fase notevolmente antica; vari altri studiosi hanno successivamente anaJizuto la questione nel suo complesso » nonché in riferimento alle singole aree linguistiche z,. Un elemento è stato opportunamente posto in rilievo da più parti: di fatto, le formazioni deverbali a suffisso *-i- presentano una valenza alquanto simile a quella ricostruibile per la fase più antica del perfetto indoeuropeo 28: cosi come nel caso del perfetto, tali

34

Su quest'ultimo tipo di formazioni, non deverbali, si vedano specialmente C. Watkins, Hittite and IE Studies, cit., p. 51 sgg.; Id., Hittite and Indo(198') [ Festgabe f. K. Hoffmann, II], European Studies II, •MSS• p. 245 sgg.; J.H. Jasanoff, Statiue and Middle, cit., p. 17 sg. 25 A. Meillct, Observations sur le verbe latin, •MSL• 13 (1903-5), p.

4,

=

363 188· » Sarebbe inutilmente lungo un elenco completo dei lavori di indoeuropeistia che hanno fornito una trattazione complessiva - spesso molto sintetica dei verbi a suffisso *-i-; mi limito qui a segnalare un paio di articoli degli anni '30, dovuti a J. Vendryes, Sur les uerbes, cit., p. 119, e F. Spccht, Zu, Gescbichte der Verbalklasse auf -e, •KZ" 62 ([1934)-35), p. 29 sgg. (specie p. 77), la monografia di H. Wagner, Zur Herkunft der e-Verba in den tndogfflflllnischm Sprachen, Ziirich 19,0 (con la recensione-articolo di E. Fracnkcl, in •ZSIPh• 22 [19,3], p. 217 sgg., e le ulteriori precisazioni dello stesso Wagncr,Zu den indogermaniscben i-Verben, "ZCPh" 2, [1956], p. 161 sgg.), e; tra i moltissimi studi più recenti (sui quali si avrà modo di tornare più avanti), per lo meno: I. A. Pcrcl'mutcr, K stanouleniju kategorii, cit., p. 15 sgg.; M.

Hocquard,Les uerbes d'ltat, cit., pp. 15 sgg. e 545 sgg.; J. E. Rasmusscn, Tbe Slaflic i-Verbs, cit., p. 480 sgg.; R. Stcmpcl, Statiu, cit., p. 524 sg. z, Rinvio alle indicazioni bibliografiche fornite nei SS 2.3-2.11. 28 Cf. ad es. R. Aitzetmiiller, S/au. im~ti, cit., p. 2,3 sgg.; Id., Altbulgar. Grammatik,cit., pp. 194 sg. e 224 sgg.; R. Ambrosini, Concordanze, cit., p. 72 sg. (in un quadro che forse avrebbepotuto csscrc ulteriormente circosaitto); W. P. Schmid, Studien, cit., pp. 67 e 77; H. Jankuhn, Die passive Bedeuttmg mediillei-Formen untersucht an der Sprache Homers, Gottingen 1969 ( •KZ• · Erpnzungshcft 21), p. 27 sg.; A. Bammcsbcrgcr, The Formation, cit., p. 689; Id., Die balbtbemat. Prisensflexion, cit., p. 5 sg.; C. F. JustuS, Directions in lndo-European Etymology witb Special Reference to Grammatical Category,

=

264

VI - Il sistnna 11erbalericoslnlÙo: L, posh:ione del perfetto

formazioni in *-e-si costituiscono in radici processive, per convogliare una indicazione di stato. A questa affinità funzionale con il perfetto (ogni tentativo di ricondurre etimologicamente - e dunque anche formalmi:ntc l'una classe flcssionale all'altra si scontra con la totale discrepanza tra i due tipi di formazione) 2'' si aggiungeuna caratteristica particolarmente significativa: le formazioni a mffiuo *-e- hannouna distribuzione in parte complementare a quella del perfetto. Tra le lingue indoeuropee che hanno conservato per un certo tempo un perfetto quale categoria autonoma, il solo greco antico presenta anche formazioni in *-e- (rifluite nel cosiddetto •aoristo passivo•, d. infra, S 6.4.2); e la massima produttività dei temi in *-e-si manifesta in gruppi linguistici, quali il baltico e lo slavo, che non posseggono apprezzabili tracce del perfetto originario (d. S 2.10). Là dove si ha compresenza di perfetto (o suoi sviluppi) e formazioni in *-e-,si riscontra o una sensibile alterazione funzionale - oltre che strutturale - del perfetto (latino e germanico,dove assume precocemente valore temporale di preterito), oppure una altrettanto sensibile alterazione funzionale dei temi in *-e-(greco) 311• L'equivalenza funzionale - che in parte, come detto, comporta anche una distribuzione complementare - tra il perfetto indoeuropeo e le formazioni in *-e-offre dunque un elemento di notein Persptctives on Historictll Linguistics,cd. by W. P. LchmannandY. Mallriel. Amsterdam-Philadclphia 1982, p . .316 sgg.; J. L. Garda Ram6n, ccmere, c:it., p. 122. La critica formulata dal Watkins, Hittite ,11111 IE Studies, c:it., p. 92 sg., va riferita esclusivamente ai tentativi cli identificare anche formalmente le due categorie (cf. nota seguente). Ha solo parzialmente ragione lo Strunk:, Zum idg. Medium unti ltonltu"ierentlen K.ategorien, in Wege v,r Uni11erstllienforschung• Sp,achwissenschaftlicbe Beitrige %Mlii 60. Geb11rtsl4& von Hans;altob SeiJer, hg. v. G. Brcttschneidcr - Chr. l.cbmaoo, Tiibingm 1980, p. .324, allorch~ individua un'antica equivalenza delle formazioni in *-i- con il medio: tale equivalenza funzionale in realtà si limita ad alcuni metli4 tantum a semantica stativa, esattamente come nel caso del perfetto. 2P Questo dato cli fatto evidentemente ~ ad esempio sottovalutato dal1'Aitzctmiillcr (ll. ciii. nota prcc.), dallo Stang, V gl. Grammatilt, c:it., p . .310 "88·, dallo stesso Kurylowicz, The lnflect. Categories, c:it., p. 79 sgg., o ~ cora dal Vaillant, Grammaire, cit., III, pp. 76 sgg. e .399 sgg., e L'impafait slave, eit., p. 22, e dal Hierschc, Archaische Strllltturelemente, eit., p. 224 sgg. 311 Questa situazione è stata esplicitamente sottolineata da W. Cowgill, nella recensione a J. Puhvel, Laryngetlls and the lntlo-Buroptan Verb (BcrkeleyLos Angeles 1960), appana in •1.g• .39 (196.3), 2, p. 26,.

ut.

6.◄ .1.

I uerbi

•11,m,;•in *-e-

26,

vole interesse per la presente ricerca: il perfetto si rivela infatti avere una sfera di utjljzzazionc in origine analoga a quella di una formazione che si caratterizza con ogni evidenza come deverbale, per epitesi di un suffisso *-e-a una radice di semantica proccssiva (per lo più con gencrsUzzsz!one del grado zero radicale); e ancor più significativa si configura una tale circostanza, ove volessimo considerare anche l'ulteriore affinità funzionale che può essere individuata soprattutto in rapporto con le formazioni a suffisso *-ye/o- ("intransitivo-stativon), come sembra dimostrare il balto-slavo (cf. gli in• transitivi e "passivin in -ya- dell'indiano antico) 31• - Non ha infinela minima rilevanza, per l'analisi qui compiuta, appurare quale sia l'origine di tale suffisso *-e-"',e se esso debba venir distinto - come credo probabile, cf. supra, S 2.10 - dall'omologo suffisso preteritale documentato nelle lingue baltiche e slave. 6.4.2. L'•aoristo passivo• greco. Nel paragrafo precedente si è sottolineato come il cosiddetto "aoristo passivo n del greco antico possa a pieno titolo rientrare .nel novero delle formazioni in *-e-.Appare utile, tuttavia, trattare a parte di tale formazione, essenzialmente per due ragioni: a) l'" aoristo passivo n greco rappresenta l'unico caso nel .quale, in una lingua indoeuropea, una formazione in *-e-coesista accanto a un perfetto formalmente e funzionalmente autonomo; b) l'" aoristo passivo n greco si pone come vera e propria

11

a.

spedt1rn"'1lte W. P. Schrnid, Studien, cit., p. 79 sgg., e ora

Rasmussen,Tbe Slllvic i-Verbs, cit., p. 481 sgg., nonch6

ut.

J. L.

J.E.

Garda Ràrn6n,

dmerc, cit., p. 120 sgg. "' Sull'origine del suffisso "stativo• *-i- sono state formulate varie ipotesi, ognuna delle quali presenta comunque notevoli margini di incertezza (inevitabilmente connessi con la difficoltà di una ricostruzione che si spinga molto in profondità nella preistoria, in una prospettiva latamente glottogonica); a puro titolo di esempio ricordett> i tentativi di: J. H. Jasanoff, Stative and Midale, cit.; specie p. 124 sgg.; Id., The IB. •a-Preterite", cit. p. sg.; G. Michelini, I deverbatioi, cit., p. 2,6 sg.; W. R. Schrnalstieg, IB Linguistics, cit., pp. 99 sg. e 128•.

6,

266

VI - Il sistema verbale ricostruito: la posizione del perfetto

categoria morfologica, mentre in altre lingue (e in massima misura nel latino) il suffisso *-e-presenta una prevalente funzione lessicale. Ciò premesso, si osserverà che in tale formazione greca il va-

lore •passivo" rappresenta l'evoluzione da un più antico senso intransitivo-stativo (peraltro ancora ampiamente attestato, specie in Omero :s:,),parallelamente a quanto si evidenzia nel caso cldle forme indoarie in -ya-; per altro verso, la classificazione come •aoristo• è riconducibile ad analogie di natura formale, quali il grado 7.Cl'O radicale (al pari di alcuni aoristi radicali e soprattutto tematici) e l'aumento (ben di rado assente, e solo nell'epos omerico), non certo alla valenza, tutt'altro che perfettiva. La concomitante presenza nel greco antico anche di un perfetto, che per un congruo periodo aveva conservato l'originaria funzione di indicare lo stato (conseguente al processo pertinente alla radice verbale) 34 , avrà con ogni verisimiglianza determinato lo slittamento della valenza della formazione in *-e-,che in principio doveva essere sostanzialmente analoga a quella del perfetto: si è dunque avuta una polarizzazione del tipo a suffisso *-e-·verso l'intransitività 35 , e - ormai in fase storica - verso un carattere propriamente passivo (ma con il mantenimento delle originarie desinco~ attive!•).

:s:,Nell'epos omerico, come osserva H. Rix, Hist. Grammatilt, p. 218, for. mc quali ix«P"l,lM11, etc. indicano lo stato che viene a interessare il soggetto (« Das Eintrcten eincs Zustands am Subjckt •: ibid.), e sono del tutto sporadici gli esempi nei quali si abbia un valore già propriamente passivo. Cf. ancora E. Schwyzcr, Griechische Grammatilt, cit., I, p. 756 sgg. (con un elenco delle forme intransitive); A. Meillet - J. Vendrycs, Traiti, cit., pp. 184, 186 e 227 sg. (SS283, 286 e 338); A. L. Sihlcr, New Compar. Gram,,,.,., cit., pp. 497 sg. e 563 sg. -- - - --··- "- 34 Cf. Studio sul per/elio, cit., I, p. 16 e nota 4 (con bibliografia). 35 In questo senso J. E. Rasmusscn, The Slavic i-Verbs, cit., p. 481 sg., rileva come non di rado nel greco antico a un •aoristo passivo• cotrispmida un presente (intransitivo) in *-ye/o-·(f4id.V'IJV: clici(vw; lxcip,r,,·: x~. etc.). Il carattere intransitivo dcll'•aoristo passivo" greco era stato già sottolineato ad es. da P. Chantrainc, Le rdle, cit., p. 34; l'ulteriore sviluppo da un ICDIO intransitivo a un senso passivo trova più di un parallelo in altrelingue, come OISICrVa R. Ambrosini, Convergen%e,dt., p. 147. 36 Questo elemento, che conferma il carattere anticamente non passivo delle formazioni in *-i-, è opportunamente sottolineato da E. Schwyzcr, Gri~ chische Grammatilt, cit., I, p. 758, e da G. Schmidt, Griecbisch i''IJV, cit., p.

,,1.

J.67

La affinità funzionale e il carattere in certo modo complementare dd perfetto e ddle formazioni in *-e-offrono alcuni elementi utili per meglio definire la originaria collocazione dd perfetto all'interno dd sistema verbale indoeuropeo. In particolare, si è constatato che il perfetto doveva esser portatore di una valenza assai simile a qudla di una formazione a suffisso (quindi di una formazione deverbale 37), e che, ndle diverse aree dd dominio indoeuropeo, per l'espressione di uno "stato conseguente a un processo" ha conservato la propria funzionalità uno solo dei due tipi (mentre l'altro è scomparso, oppure si è evoluto verso altra valenza). Una tale situazione richiama da vicino - e in modo direi sorprendente - quanto riscontrabile in riferimento al1'Aktionsart di causativo: ndl'area indo-iranica, in particolare, tale Aktionsart trova espressione tramite una formazione a raddoppiamento (il cosiddetto "aoristo raddoppiato") da un lato, e una formazione a suffisso (*-éye/o-) dall'altro 38• Il perfetto, dunque, sembra partecipare - almeno ndle fasi più antiche per noi ricostruibili - di una rete di più strette affinità paradigmatiche con formazioni deverbali, e in particolare con qudle che dovevano essere espressione di Aktionsarten».

37

t

possibile, anzi probabile - considerata la generale tendenza a garantire un rapporto biunivoco tra forma e funzione in ogni classe flessionale -, che in principio i due tipi esprimessero funzioni non perfettamente identiche, ma nulla di più preciso ~ dato ricostruire sulla ·base degli elementi disponibili. 38 Su tali classi flessionali d. supra, SS 3.2.3 e 4.2.2. Si noti come anche nel causativo una delle due formazioni (in questo caso la formazione a raddoppiamento, e non quella a suffisso) tenda ad essere inclusa nel sistema delr•aoristo• (pur non essendo affatto perfettiva). I rapporti tra causativi a raddoppiamento e in -ayanell'indoario sono stati esaminati ampiamènte da S. W. Jamison, Function, dt., p. 214 sss. (con le integrazioni fornite dai due citati articoli-recensione di T. Goto e di A. Lubotsky, in •nJ• 31 [1988], 4, p. 303 188·, e 32 [1989], 2, p. 89 sss,); d. anche il cenno contenuto nel volume di R. Ambrosini, Le lingue, dt., p. 138 sg. • All'interno di una generale tendenza a trasferire la pertinenza del carattere deverbale da un complesso di elementi (affissi, infissi, apofonia, etc.) al morfema suffissale si inquadra presumibilmente anche il fenomeno per il quale, nel corso della storia della lingua greca, tende a regredire progrcssiv• mente la diffusione del perfetto di tipo più antico (con alternanza apofonica radicale,oltre che con raddoppiamento e desinenze specifiche), in favore di for, mazioni rccenziori nelle quali, accanto al raddoppiamento, assume rilievo prc-

268

VI · Il siste11111 uerbllk ricostnlito: 14 positicme del perfetto

65. Carlltteristiche assenti nella flessione del perfetto. Sin qui si è parlato delle caratteristiche riscontrabili nel perfetto, che sembrano accomunare tale classe morfologica con altri tipi di formazioni verbali. Per concludere, sarà ora necessario vedere quali clementi siano significativi non tanto per la loro presen:ra, quanto piuttosto per la loro assenza nclla flessione del perfetto. Un primo elemento da sottolineare è la mancanza di forme modaliche sembra necessario ammettere nel perfetto, per lo meno in una fase antica. C.ome si è brevemente segnalato in prcccdema (S ,., e nota 229), la tcstimoniao:ra delle lingue che hanno conservato un perfetto quale categoria morfologica autonoma è alquanto significativa. Il greco antico, infatti, conosce solo pochissime forme modali del perfetto «>, e con caratteri rcccnziori (quali le desinenze primarie o secondarie, o il grado apofonico radicale *-e-, che accomuna tali forme modali a tipi certamente non antichi quali attv. ~ti o medio lt>..,1.µJ.141., etc.) •1• Ncll'avcstioo il congiuntivo del perfetto è assai raro, utilizza indifferentemente grado pieno (non si può stabilire se *-ey- oppure, eventualmente, *-oy-) e grado 7.Cl'O, dcsincnzc primarie o secondarie (mai di perfetto), e ha una funzione sintattica esattamente parallela a quella del congiuntivo presente 42 ; manca poi del tutto l'imperativo del perfetto, e solo l'ottativo CO-

minente un elemento suffissale (-x- nei • perfetti cappatici •, l'aspirazione nei • perfetti upirati 41 Un elenco delle attestazioni antiche ~ ricavabile da E. Sch'W}'7,er,Griechische Grammatile,cit., I, pp. 790 sg. (per il congiuntivo), 795 -(per l'ottatiw) e 799 sgg. (per l'imperativo). • 1 Si vedano in proposito le osservazioni già presentatein merito alle forme modali di ol&t., S .3.4 e note 160-161. Le forme modali relative al perfetto lvwyti andranno poi considerate in rapporto con la prccoc:c creazione di un e da vari altri esempi (cf. P. presente *«ivw-rw,presupposto dall'omer. «i'\M\'11, Owitraine, Histoire, cit., p. 18, e Grammaire homlrique, cit., I, p . .312, non~ il recente volume di E. Tichy, Onomatopoet. Verbalbildungen, cit., p. 74 sg. e nota .32, più ancora che E. Schwyzcr, GriechischeGrammati/e,cit., I, p. 767 e nota 10); ma anche le poche altre forme modali di perfetto documentate nella fase più antica si presterebbero facilmente ad esser spiegate come inne> vazioni di tipo analogico (un'analisi puntuale potrà auspicabilmente esser sviluppata in altra sede). e Cf. ad es. J. Kcllcns, pe,be tlfJestiq,u, cit., p. 419 188·

•>.

u

6.,. C111utnistiche .ssenti nella flessione del perfetto

269

nosce una qualche fortuna - connessa con il fatto che viene ad esprimere l'irrealtà nel passato -, ma formalmente presenta anch'esso caratteri di recenziorità (desinenze secondarie 43, livellamento pressoché generale delle alternanze) .. . Infine, l'indiano antico presenta una maggiore produttività delle forme modali nel perfetto, ma tali forme modali, oltre che comunque rare e spesso esemplate sul presente e sull'aoristo raddoppiati (anche per quanto riguarda le desinenze) 45, non di rado si rivelano innovative anche da un punto di vista funzionale 46• Se questi sono i dati riscontrabili nelle lingue storiche che hanno conservato un perfetto a sé stante, pare ben difficile trarne indicazioni in favore dell'esistenza di un'antica flessione modale del perfetto indoeuropeo "'; né sembra ragionevole ricostruire ad hoc un

.a

Fa eccezione il tipo -iraJ (III plur.), che comunque corrisponde alla omo-

loga desinenza ottativale del presente atematico (cf. J. Kellcns, Le verbe avesti• que, cit., p. 296); anche nel vedico, del resto, nella III persona plur. si ha identità tra la desinenza dell'ottativo presente e quella dei 6 esempi di ottativo perfetto, in entrambi i casi -ur (su ulteriori concordanze tra desinenze di otta• tivo [presente] e di [ottativo] perfetto cf. J. L. Garda-Ram6n, Die Seltun• darnulung, cit., nota 40 a p. 210). 4'I Un solo esempio di ottativo del perfetto appartiene comunque al periodo githico, ci~ alla sezione più antica dell'Avesta: e non sarà probabilmente un caso che si tratti di vidiiat, ci~ proprio del tipo di perfetto precocemente lessi• calizzato nelle altre lingue indoeuropee (cf. S 3.4). 45 Cf. ad es. A. Thumb, Handbuch, cit., 11/1, p. 280, o ancora L. Renou, Gramm. de la langue vldique, cit., p. 279 sg., e La valeur, cit., p. 2. Per un elenco delle forme modali nel vedico cf. A. A. Macdoncll, Vedic Gramm111, cit., p. 360 sgg. 46 In più occasioni, nello Studio sul perfetto, cit., I, pp. 109, 11,, etc., si ~ avuto modo di notare come le forme modali del perfetto possano caratterizzarsi per un valore transitivo, a fronte di un indicativo spesso ancora intransitivo-stativo. Cf. ancora J. Vckcrdi, On Past Tense and Verbal Aspect in the &,veda, • AOH• , (195,), p. 91 sgg. 11 Non a caso W. Euler, Modusltategorien, cit., pp. 13 sgg. e 34, per ricostruire le forme modali dei (perfetto-)prescnti indoeuropei [?], si trova costretto a ricorrere al tipo vlda, olSa. (senza però considerare l'eccezionalità di tale tipo, più volte qui sottolineata), e per il resto a supplire con esempi tratti dai presenti atematici. Molto più ragionevoli appaiono peraltro le considerazioni - improntate a una apprezzabile cautela - cui lo stesso Euler perviene in un successivo articolo riguardante l'ottativo del perfetto (Herleunft und ursp,ungliche Fun/etion des Optativs Priteriti im Germanischen, in DiachronieKontinuitit-Impulse. Sprachwissenscbaftliches Kolloquium - Halle 1992, hg.

270

VI • Il sistema verbale ricostruito: la posizione del perfetto

ingiuntivo o un congiuntivo del perfetto indoeuropeo •, magari solo per spiegare singole particolarità di qualche lingua (ittito, lingue indoeuropee occidentali) che non conserva oltretutto l'autonomia morfologica del perfetto. Dovremo dunque ammettere che, a differenza del presente e dell'aoristo (che conoscono in varie lingue storiche indoeuropee un organico sistema modale), il perfetto dovesse in origine caratterizzarsi per un tema di indicativo, cui presto si aggiunse - con l'affermarsi della categoria funzionale del tempo - un preterito (con aumento e desinenze secondarie), il cosiddetto piuccheperfetto". Nella prospettiva che qui maggiormente interessa, l'originaria mancanza di forme modali nel perfetto non solo, come detto, disgiunge nettamente tale categoria da quelle connotate aspettualmente (presente e aoristo), ma ancora una volta evidenzia rilevanti affinità con le Aktionsarten: anche il causativo, o l'intensivo, o il desiderativo, là dove sono categorie morfologiche a sé stanti, si "egnalano per la rarità delle forme modali non di indicativo 50, menv. G. Bensc, Frankfurt a/M 1994, specie p. 43 sg.). Sull'intera problematica (e su esempi quali ind. ant. vidy4t) rinvio comunque alla cit. recensione apparsa in "Kratylos• 40 (1995), p. 107 sgg., e alle osservazioni di A. Bammcsberger, nella recensione a un altro studio dell'Euler (Modale Aoristbildungen, IMsbruck 1992), pubblicata in "Kratylos• 39 (1994), p. 202. • Di ingiuntivo del perfetto parlano ad esempio E. Ncu, Zu einer hetb. Priiteritalendung,cit., p. 19 sg. (in riferimento a una desinenza *-or e [ ... ] im Nicht-Priiscns des Pcrfektum ... » [ ! ], ricostruibile alla base di itt. -a), e G. Schmidt, Altirisch ro.fitir, cit., p. 259 sg. (in riferimento alle desincmc -a, -ra riconoscibili ncll'ind. ant. aduhat,aduhran:ma d. supra, S 5.3). Su un presunto congiuntivo del perfetto (a suffisso *-s-a-!) si incentra invece l'articolo di G. Schmidt, Griechisch ..µ1)V,cit., specie p. 352 sgg. " Non sembra possibile condividere lo stupore di J. H. Jasanoff, Aspects, cit., p. 153 sg., quando osserva che « [ ... ] Tbc modal forms of tbc pcrfect, forno apparent synchronic reason, takc tbc active endings », mentre « [ ... ] tbc corresponding pcrfect ending might ratber bave bccn cxpccted. ». Senza necessità di scomodare complesse spiegazioni (e pervenire a negare il valore stativo delle desinenze del perfetto), la ragione di tale fenomeno sarà semplicemente da identificare nel fatto che solo l'indicativo - attivo! - rappresentava il nucleo più antico del perfetto (e dunque le altre forme modali, costituitesi in séguito, haMo acquisito desinenze non specifiche, quali le primarie o le secondarie, per lo più attive). 50 Il carattere presumibilmente seriore delle formazioni modali (non di indicativo) nei temi che esprimono Aletionsarten(causativo, intensivo, desiderativo etc.) è ancora ben evidenziabile, ad esempio, nell'indoario, dove per

6.5. Caratteristiche assenti nella flessione del perfetto

271

tre diviene presto produttiva - cosi come nel perfetto - una formazione preteritale (imperfetto). Se è giusta questa spiegazione, la difettività del perfetto riguardo ai modi (escluso l'indicativo) si pone direttamente in relazione con la sua natura non aspettuale 51, dal momento che solo il sistema del presente (aspetto imperfettivo) e dell'aoristo (aspetto perfettivo) sembrano caratterizzarsi, sin dalle fasi più antiche, per la utmzzazione dell'intera gamma delle formazioni modali. Una seconda caratteristica difettiva, forse anche più rilevante della prima, contraddistingue il perfetto originario e lo accomuna ad alcune formazioni piuttosto che ad altre. Come è stato notato già da tempo 52, le formazioni deverbali di A.ktionsarten(causativi, iterativi, intensivi, desiderativi, etc.) evidenziano la mancanza di un perfetto nelle fasi più antiche; quand'anche poi si viene a costituire - per varie ragioni - un perfetto, esso è del tipo più recente 51,

l'appunto tali formazioni conservano autonomia flessionale: si~, ad esempio, nel RV gli ottativi sono rarissimi nel causativo e assenti del tutto per quanto riguarda l'intensivo, e sporadiche sono in generale un po' tutte le forme modali (non di indicativo) del desiderativo (d. A. A. Macdonell, Vedic Grammar, dt., pp . .392, .397 e 389 rispettivamente). In altre aree linguistiche (greco antico, latino, germanico), nelle quali le Aktionsarten non hanno mantenuto un'autonomia a livello morfologico, la precoce confusione con la flessione del presente ha fatto sl che tali formazioni abbiano presto acquisito le normali forme modali del sistema di presente. In questo senso si veda anche W. Hock, Die slav. i-Verben, dt., p. 1,. 51 Potrebbe apparire superflua, a questo riguardo, la congettura del Bammesberger (nella dt. recensione al saggio dell'Euler apparsa in •Kratylos• .39 [1994], p. 202) e del Sihlcr (New Compar. Grammar, dt., p. ,6,), i quali connettono la mancanza di congiuntivo, ottativo etc. nel perfetto con la valenza originaria di questa formazione: secondo i due studiosi, lo stato (espresso dal perfetto) non sarebbe immediatamente compatibile con valori modali. 52 a. ad es. già A. Meillet, Aperçu d'une histoire de la langue grecque, Paris 1930, cdiz. ital. (Lineamenti di storia della lingua greca), Torino 1976, p. sg., e P. Chantraine, Histoire, dt., pp. 2, 14, e soprattutto 70. 51 Si vedano al riguardo ad es. W. C:Owgill, More Evidence, cit., p. (in generale); J. Nartcn, Zur Flexion, cit., pp. 141 e note 7 e 9 a p. 14, sg. (per quanto riguarda il latino); H. Rix, Hist. Grammatile, dt., p. 19,, e Zur Entstehung, cit., p. 227 (per il greco e per il latino rispettivamente). L'indicazione in assoluto più chiara è quella fornita dal vedico, nel quale, ad esempio, l'unica attestazione di perfetto del causativo nel RV è di tipo perifrastico [ ! ] , perifrastico è anche il perfetto - seriore - del desiderativo (d. A. Thumb,

,s

,68

272

VI • Il sistema verbale ricostruito: 14 posWone del perfetto

a conferma della originaria incompatibilità tra Aktionsarten e perfetto. Ma questa incompatibilità tra perfetto e Aktionsarten ben si inquadra nella generale incompatibilità riscontrabile tra forme deverbali corrispondenti alle diverse Aktionsarten: non si poteva avere, in origine, un perfetto del causativo, o dell'intensivo, etc., esattamente come non poteva darsi un intensivo del causativo, o un causativo del desiderativo, etc. 54 (mentre era del tutto normale avere Aktionsarten costruite su temi di presente o di aoristo). Invero, tale incompatibilità, per la quale non doveva esser possibile una formazione di Aktionsart a partire da un tema già caratterizzato esso stesso come Aktionsart, rientra nella normale funzionalità in origine propria del sistema flessionale indoeuropeo: in un tipo linguistico flessivo come quello indoeuropeo - per lo meno nelle fasi documentarie più antiche - le valenze lessicali (oggettive) portate dalle Aktionsarten (cf. supra, S 6.2) non erano addizionabili sequenzialmente, e questo sia per una ragione di carattere generale (spesso i valori convogliati da due diverse Aktionsarten risultavano mutuamente esclusivi) 55, sia per una ragione genealogico-strutturale (il sistema verbale indoeuropeo difficilmente doveva contemplare procedimenti di tipo agglutinante).

Handbucb, cit., 11/1, pp. 294, 343 e 352; A. Dcbrunncr, in J. Wackcmagel, Altindiscbe Grammatilt, Gottingen 1896-1964 e sgg., 11/2, p. 2,2 sg.), e infine il perfetto dell'intensivo è raro e secondario (si vedano spccialmcntc J. Nartcn, Vediscb lel4ya, cit., p. 2 sgg., e ora Chr. Schacfer, Das lntensivum, cit., p. 4,). 54 Anche in questo caso l'indiano antico, che meglio ha conservato la autonomia morfologica delle Alttionsarten, fornisce una tcstimooiann oltremodo significativa: se si consultano gli indici in appendice al repertorio di W. D. Whitncy, Tbe Roots, Verb-Forms and Primary Derivatives of tbe Sansltrit Language. A Supplement to bis Sansltrit Grammar, Lcipzig 188.5 (rist. New Havcn 194.5), si noterà, sotto la voce •Tcrtiary (derivative from sccondary) conjugation-stems" (pp. 238-240), che rarissimi e quasi interamente tardi sono i temi vedici di questo tipo (passivi di desiderativi o causativi, desiderativi di causativi, causativi di intensivi o desiderativi, etc.). 55 Al contrario, è perfettamente plausibile che il senso lessicale ogettivo (iterazione, fattitività, etc.) potesse eventualmente innestarsi - magari con un'affinità specifica per ciascuna delle Alttionsarten - su uno dei due valori aspettuali, quindi sulla considerazione soggettiva (complessiva oppure cursiva) de-I processo o dello stato.

6.6. Conclusioni

273

6.6. Conclusioni. Al termine di questa seconda e ultima parte della ricerca sul perfetto indoeuropeo, sembra possibile evidenziare i punti di convergenza delle indicazioni risultanti dall'indagine condotta a partire dalle lingue storiche, utilizzate secondo un criterio •selettivo" di cui si è ampiamente discusso in un capitolo specifico (cap. Il). Nella fase che possiamo denominare • comunione linguistica indoeuropea", la quale rappresenta l'insieme dei tratti e dei principi funzionali comuni alle lingue storiche di tale famiglia 56 , dovremo ricostruire una categoria morfologica di perfetto, il cui tema rappresenta la sintesi di un lessema ( = radice verbale) e di tre distinti morfemi (raddoppiamento, grado apofonico *-o-alternante con *-0-, desinenze), ciascuno dei quali al contempo necessario e non sufficiente a costituire tale formazione. Il perfetto indoeuropeo non doveva configurarsi come una diatesi (eventualmente in comune con il medio, cf. SS 5.3-5.4), e neppure come un aspetto (perfettivo, imperfettivo, o magari altro ancora, cf. S 6.1). Al contrario, sono assai consistenti gli indizi i quali avvalorano l'ipotesi che in origine il perfetto esprimesse una specifica Alttionsart, che potremmo denominare lo "stato risultante", in concorrenza con un'altra formazione (a valenza certo molto simile), caratterizzata da un suffisso *-e-.Sia il perfetto che i temi in *-e-non potevano costituirsi a partire da radici verbali stative, proprio per via della loro specifica valenza (che doveva presupporre una radice processiva) SI. Il perfetto - e la complementare forma-

Sul concetto cli •comunione linguistica indoeuropea• rinvio al S 2.9.2, e soprattutto a quanto si è osservato nell'articolo Aspetto e tempo, cit., S 1 e note 2-3. SI Considerato il fatto che non cli rado con le radici processive è connesso un aspetto perfettivo, mentre le radici stative si prestano prevalentemente a un'interpretazione imperfettiva, non potrà destar sorpresa che il perfetto in antico si costituisca facilmente su radici aoristiche, mentre manca in gran parte delle radici caratterizzate da presenti radicali (imperfetti..-e): basti qui ricordare, tra i verbi difettivi dcll'indoario, coppie quali il pres. radicale atti 'egli mangia',privo cli un corrispondente perfetto, e l'aor. radicale aghas, accanto al quale si ha il perf. iaghha, o ancora il pres. radicale hte 'è seduto', privo cli perfetto (d. Studio, cit., I, p. 29 sgg.), mentre la radice aoristica sad'scdcrsi' (aor. radicale ➔ aor. tcmat. asadat)conosce un perfetto molto antico, sas"'4. Quanto ora indicato in riferimento al perfetto (tendenziale innesto su 56

274

VI - Il sistema verbale ricostruito: la posivone del perfetto

zione in *-e-- si ponevano dunque sullo stesso piano del causativo, dell'intensivo, etc., se vogliamo prestar fede a sei argomenti, di ordine formale e funzionale, dei quali si è ampiamente discusso nel corso del lavoro: a) il senso convogliato dal pedetto rientra pienamente nel tipo lessicale, "oggettivo", proprio delle Aktionsarten (di contro alla interpretazione soggettiva dell'azione o dello stato, espressa dalle formazioni aspettuali di presente e di aoristo); b) il raddoppiamento accomuna il pedetto a formazioni che esprimono Aktionsarten (causativo - nell'"aoristo raddoppiato" -, desiderativo, intensivo) 58 ; e) il grado apofonico *-o-caratterizza le formazioni deverbali, in opposizione ai temi aspettuali (primari) di presente e di aoristo (l'alternanza con il grado zero dipende dal carattere atematico del pedetto); d) la distribuzione del pedetto, complementare alle formazioni in *-e-,e la sostanziale equivalenza funzionale ricostruibile per le due categorie, suggeriscono di riferire anche al pedetto il carattere dell'altra formazione, indubitabilmente deverbale";

radici aoristiche) vale ~taozialmente ancheper le formazioni in *-i-: cf. ad es. lat. sedere etc. 58 A queste tre formazioni di Aktionsarten va aggiunto l'isolato esempio del presente raddoppiato (tema in linea di massima aspettuale). La ptescn7.S del raddoppiamento può dunque ostare all'interpretazione del perfetto come diatesi, ancor più che alla sua eventuale classificazione come aspetto. " Quando il Neu, Dichotomie, eit., p. 168 sg., afferma che la preseon di suffissi caratterizza le Aktionsarten, per dimostrare che il perfetto - privo di suffissi - non poteva essere una Aktionsart, evidentemente non immagina che proprio tale argomento, alla luce dell'accertata affinità tra perfetto e formazioni in *-e•, perde ogni forza, e anzi semmai si volge proprio nella direzione opposta a quella segnalata dal Neu. L'altro argomento che il Neu (ibid.) adduce contro la classificazione del perfetto come una Aktionsart è rappresentato dalla assoluta singolarità delle desinenze del perfetto (mentre nei temi di Aktionsart viene utilizzata la serie primaria o secondaria); ma le desinenze (stative), come si è visto, isolano il perfetto da tutte le altre classi flcssionali - inclusa la diatesi media -, e lo connettono esclusivamente con i verbi di stato: dunque, esse nulla dimostrano, né in favore, né contro una classifica• zione del perfetto indoeuropeo in un senso piuttosto che in un altro.

6.6. Conclusioni

275

e) il perfetto si manifesta in origine essenzialmente monotematico, limitato all'indicativo attivo (il medio è secondario, d. § .5.2, e le forme modali diverse dall'indicativo, oltre che rare, appaiono seriori), in analogia con le formazioni che esprimono una Aktionsart, e in opposizione alle formazioni aspettuali (presente e aoristo) •; /) mentre è normale che una Aktionsart si innesti su un tema aspettuale (di presente o di aoristo), altrettanto non si può dire per quel che riguarda Aktionsarten costruite su temi che già di per sé esprimono altra Aktionsart. Cosl come non si poteva avere, ad esempio, un desiderativo di un causativo, o un intensivo di un desiderativo, ugualmente - possiamo constatare - non doveva darsi in origine un perfetto di un causativo, o di un desiderativo, o di una qualsiasi altra formazione di Aktionsart. Tale situazione si spiega solo se si suppone che il perfetto fosse in tutto e per tutto considerato esso stesso espressione di una Aktionsart. Le argomentazioni sopra elencate, intorno alle quali si è articolato il presente studio, apportano elementi di giudizio in larga misura nuovi (con l'eccezione del punto a), i quali possono contribuire ad orientare una discussione meglio fondata su un tema per certi versi estremamente complesso e delicato. Allo stato delle nostre conoscenze, in ogni caso, è difficile sottrarsi alla suggestione fornita dalla convergenza degli indizi - per certi versi impressionante - verso una conclusione univoca: il perfetto indoeuropeo in origine doveva costituire l'espressione di una Aktionsart, al pari del causativo, dell'intensivo, del desiderativo, etc. (contro una tale interpretazione non riesco a vedere argomenti davvero significativi, d. supra, nota .59). Si conferma dunque l'acuta

• Lo studio dei modi e della loro natura (formale e funzionale), con riferimento a una fase indoeuropea preistorica, rappresenta un settore a tutt'oggi poco esplorato (nonostante alcuni studi monografici); la parziale affinità funzionale con alcune Aktionsarten, che talora è stata sottolineata (si vedano, ad es., l'ottativo da un lato e il desiderativo dall'altro), potrebbe trovare un qualche riscontro nella parallela incompatibilità tendenziale con temi di Aktionsarten (sui quali non si dovevano dunque costituire né modi - escluso l'indicativo - né altre Aktionsarten). Ma si tratta, in questo caso, di pure e semplici congetture, su un argomento che merita certamente indagini approfondite.

276

VI - Il sistema verbale ricostruito: la posizione del perfetto

intuizione di coloro i quali (il Belardi e il Lewnann tra i primi), pur disponendo ancora di pochissimi indizi, quasi soltanto di ordine funzionale, avevano correttamente inquadrato il perfetto indoeuropeo tra le originarie Aktionsarten. Ciò può valere a riprova del fatto che il progresso negli studi non significa necessariamente la formulazione di soluzioni nuove, ma talora più semplicemente la ricerca di tutti gli elementi utili a trasformare un'intuizione in una dimostrazione. Ricerca forse per certi versi ingrata, ma a mio giudizio assolutamente necessaria per evitare di costruire splendidi edifici su fondamenta fragilissime.Forse un argomento di riflessione, specie nel quadro attuale degli studi sul sistema verbale dell'indoeuropeo ricostruito. E tanto può bastare a chi scrive.

BIBLIOGRAFIA

Sono qui riportati tutti i titoli menzionati nel volume, incluse le raccolte di scritti di singoli studiosi. Le sigle dei periodici si conformano all'uso della •Bibliographie Linguistique - Linguistic Bibliography"; per quel che non figura in tale repertorio si è fatto ricorso alla citazione per esteso (o con abbreviazione comunque di immediata evidenza). Le sigle delle C.Ollane sono riunite in un elenco a parte, tra le Abbrevillzioni. Gli Atti di C.Onvcgni,C.Ongrcssi etc., le Festschriften e gli altri volumi miscellanei sono qui menzionati in forma sintetica; per la citazione completa si rinvia agli elenchi che seguono la presente Bibliografia. Purtroppo non è stato possibile - salvo rare cccczioni - tener conto dei lavori usciti nel 1996; si è potuta inoltre utiUzzare solo parzialmente la bibliografia del 1995.

Adams, D. Q., On the Development o/ the Tocharian Verbal System, "JAOS• 98 (1978), pp. 277-288. Adams,D. Q., The Pre-History o/ Tocharian Preterite Participles, in: Bono Homini Donum • Essays in Historical Linguistics in Memory o/ ]. A. Kerns, I, Amsterdam 1981, pp. 17-24. Adams, D. Q., Tocharian Historical Phonology and Morphology, New Haven 1988. Adrados, F. R., Hethitisch und lndogermanisch, in: Il. Fachtagung fur indogermanische und allgemeine Sprachwissenschaft, Innsbmck 1962, pp. 145151. Adrados, F. R., Evoluci6n y estructura del verbo indoeuropeo, Madrid 19631 (19742). Adrados, F. R., Hethitische Endungen und indogermanisches Verb, "FoL" 5 (1971), 3-4, pp. 366-381. Adrados,F. R., lndo-European -s-Stems and the Origins o/ Polythematic Verbal lnflection, "IF" 86 (1981), pp. 96-122. Adrados,F. R., Perfect, Middle Voice and lndoeuropean Verbal Endings, "Em" 49 (1981), 1, pp. 27-58. Adrados,F. R., More on the Laryngeals with Labial and Palatal Appendixes, "FoLH" 2 (1981), 2, pp. 191-235. Adrados, F. R., The Archaic Structure o/ Hittite: the Crux o/ the Problem, • JIES• 10 (1982), 1-2, pp. 1-35. Adrados, F. R., Ideas on the Typology o/ Proto-Indo-European, "JIES" 15 (1987), 1-2, pp. 97-119. Adrados, F. R., The New Image o/ Indoeuropean - The History o/ a Revolution, "IF" 97 (1992), pp. 1-28.

Bibliografia

278

Aitzetmiillcr, R., Slav. imcti und das idg. Perfekt, •sprachc• 8 (1962), 2, pp. 2.50-262. Aitzetmiillcr, R., Zu imaml, •ZSIPb• 30 (1962), pp. 37.5-377. Aitzetmiillcr, R., Alesi. ved~ und die slavischen Zustandsverba, in: Slawistische Studien z.um V. lnternationlllen Slawistenkongrej, Gottingcn 1963, pp. 209-214. Aitzetmiillcr, R., Altbulgarische Grammatik, Frciburg i. Br. 1978. Alongc, A., Sulla classificavone verbllle cosiddelta « apellullle »: discussione di alcuni problemi, • AGJ- 79 (1994), 2, pp. 160-199. Ambrosini,R., Ricerche ittite, • ASNP•, serie Il, vol. 28 (19.59), 3-4, pp. 285• 302.

Ambrosini,R., Concordanze nella struttura formllle delle categorie verbllli indoeuropee, •ssL• 2 (1962), pp. 33-97. Ambrosini,R., ltt. dat e ai. iduhat, •ssL • 6 (1966), pp. 89-9.5. Ambrosini,R., Convergenze nella formavone della lega linguistica indo-europea, in: Tipologie della convergenu linguistica - Atti del Convegno della S.I.G., Pisa 1988, pp. 12.5-1.59. Ambrosini,R., Le lingue come ,app,esentavoni formllli della conoscmu, Lucca 199.5 ( Ac:cad.Lucchese di Se., Lctt. e Arti - Studi e Testi, 37). André, J., Les mots à redoublement en latin, Paria 1978. Austcrfjord, A., Zu, Gestllltung des germanischen Tempussystems, •IF• 89

=

(1984), pp. 160-168.

Avcry, J., Contributions to the History o/ Ve,b-Infltction in Sanslerit, •JAOS• 10, 2 (1880), pp. 219-324. Bachc, C., Asptct and Aletionsart: Towards a Stmantic Distinction, • JL• li (1972), pp . .57-72. Badcr, Fr., Le systèmt dts dlsinences de troisièmt personne du pluriel du pe,. fectum latin, •BSL" 62 (1967), 1, pp. 87-10.5. Badcr, Fr., Voclllisme et redoublement au parfait radiclll en latin, •BSL• 63 (1968), 1, pp. 160-196. Badcr, Fr., Relations de structure tntrt les désinences d'in/tctum ti dt ptrfectum en latin, •word" 24 (1968), 1-2-3 [ Linguistic StuJits Prtsenttd to A Martinet, II], pp. 14-47. lo~ ti lt parfait rtdoub/1 tn grtc, •BSL• 64 (1969), 1, Badcr, Fr., 1~, pp . .57-100. Badcr, Fr., Ré/ltxions su, le verbe indo-européen, •RPb•, s. IX, 4.5 (1971), pp. 304-317. Badcr, Fr., Parfait et moyen tn grec, in: Mélanges dt linguistitjue et dt phiJo. logie grectjues olferts à P. Chantraine, Paris 1972, pp. 1-21. Badcr, Fr., Présents moyens hillites à vocalismt -e-, et formations de p,ésents

=

indo-europétns, in: Recherches de linguislitjut. Hommages à Na#rice Lnoy, Bruxcllcs 1980, pp. 21-40.

Bibliog,afi4

279

Bammesberger,A., Tht Formation of tht Basi Baltic Statiut V nbs *stiw-e- 111111 *dew-e-, •1.g• (1974), 4, pp. 687-69,. Bammesberger, A., Zur Bildungsweist des indogtrmaniscbtn Kausativs, •KZ• 94 (1980), 1-2, pp. 4-9. Bammesberger,A., Dn Aufbau dts gtrmanischtn V nbals,sttms, Hcidclberg 1986. Bammesberger,A., Die balbthtmatiscbt Prasms/ltxion auf -i im Baltiscbtn, in: Studi4 Indogtrmanica tt Sldvica. Festgabt fir Wernn Thomas, Miinchcn 1988, pp. 3-7. Bammesberger,A., Dn indogtrmflllische Aorist und das gnmaniscbe Priiteritum, in: Lznguages 1111d Cultures. Studies in Honor of BJgar C. Poloml, Bcrlin• New York-Amsterdam 1988, pp. ,,-62. Bammesbergcr, A., Urgemtdllisch -u- im Prileritalparadigma, •HS• 107 (1994), 1, p. 1,4. Bammesbergcr,A., recensione a: W. Eulcr, Modale Aoristbildungen (lnnsbruck 1992), in •Kratylos• 39 (1994), p. 202. Barschcl, B., Dn Modusbestand des Hetbitiscben - eine Altntimlicbleeit?, •MSS• 47 (1986), pp. ,.23, Barton, Cli. R., Notes on tbe Baltic Preterite, "IF• 8, (1980), pp. 246-278. Barton, Cli. R., Greele f-rtlpci,•Giotta• 60 (1982), 1-2, pp. 31-49. Barton, Cli. R., Hittite mc-ri-ir, cpp- anà a Note on the Ablaut of Root Verbs, •KZ" 98 (198,), 1, pp. 13-19. Baucr, Cli. F., The Latin Pnfect Bndings -ere anà -crunt, Philadelphia 1933 (= Languagc Diss., 13), rist. New York 1966. Bcch, G., Das gnmaniscbe reduplizierte Priiteritum, K0benhavn 1969 ( "Hist.Fil. Meddd. udg. af dct Kg!. Danskc Vidcnskab Sclskab" 44 [1969-71), 1). Bcch, G., Beitriige zur genetischen inàoeuropiiischen Vnbalmorphologie, K0bcnhavn 1971 ( "Hist.-Fil. Meddel. udg. af dct Kg!. Danskc Vidcnskab Sclskab" 44 [1969-71], ,). Bcchcrt, J., Die Diatbesen von t&tv und 6piv, Miincben\964. Bcckwith, M. C., Greele ~pov, Laryngeal Loss and tbe Greele Reduplicated Aorist, "Glotta" 72 (1994 [199,J), 1-4, pp. 24-30. Bcckes, R. S.P., Tbe Development of tbe Proto-Indo-Buropean Laryngeals in Greele, Tbc Haguc-Paris 1969. Bcckcs, R. S. P., Olà Hittile l sg. -hc : J sg. -i, •Jp• 76 (1971 [1972]), pp. 72-76. Bcckcs, R. S. P., Hz(), •Sprachc" 18 (1972), 2, pp. 117-131. Bcckcs, R. S. P., Tbe Proterodynamic 'Perfect', •KZ• 87 (1973), pp. 86-98. Bcckcs, R. S. P., Tbe Disyllabic Reduplication of tbt Sanslerit Intensives, •MSS• 40 (1981), pp. 19-2,. Bcckes, R. S. P., W acleernagel's Bxplanation of tbe Lengbtened Grade, in: Sprachwisrenschaft und Philologie. ]aleob Wacleernagel und die Inàogmnanistile beute. Kolloquium der Idg. Gcsdlschaft, Wiesbadcn 1990, pp. 33-,3.

,o

=

=

280

bibliografù,

Bcekcs, R. S. P., Comparative Indo-EuropeanLinguistics. An Introduction, Amstcrdam-Philadclphia199, (cdiz. riveduta dell'originale in nederlandese, Utrecht 1990). Bccler, M., V erbai Reduplication in Gmnanic and ],ulo-Eu,opet111,•Pacif. C.oast Philol.• 1.3 (1978), pp. ,.10.

Bclardi, W.,

uz

formazione del perfetto neU'i"'1oet11opeo,•Rie. Ling. • 1 (19,o), 1, pp. 93-1.31. Bclardi, W., Lessemi ,omanv nel bavarese meridionale antico, in: Stirpi e imprestiti, Roma 1990, pp. 77-86. Bclardi, W., Stirpi e imprestili (Stwli laàini XII), Roma 1990 (= BRLF,

2,.2). Bclardi, W., Gentalogi4, tipologi4, ricostruvone e leggi fonetiche, in: Linguistica generale, filologi4 e critica dell'espressione, Roma 1990, pp. 1,,. 216. Belardi, W., Linguistica generale, filologi4 e critica dell'espressione, Roma 1990. Bclardi, W., Sulla tipologia della struttura formale della parola nelle lingue i,uloeuropee, •RALinc• s. IX, 4 (199.3), 4, pp. ,.3, •.570, Benveniste, t., Le pa,ticipe indo-europlen en -mno-, •BSL• .34 (19.3.3), pp. ,.21. Benveniste, t., Toltharien et indo-europlen, in: Germanen u,ul ],ulogermantn. Festschrift fii, H. Hirt, Il, Heidclberg 19.36, pp. 227-240. Benveniste, t., Structure des ,elations de personne dans le verbe, •BSL• 43 (1947), pp. 1-12, rist. in P,oblèmes de linguistique glnbale, I, Paria 1966, pp. 22,-2.36. Benveniste,t., Su, quelques dlveloppements du pa,fait indo-europlen, •An:bL• 1 (1949), pp. 16-22. Benveniste, :e.,Hittite et indo-europlen. Stw:Jes compa,atives, Paris 1962. Benveniste, :e.,Le ,edoublement au pa,fait indo-iranien, in: Symbolu linguisticae in honorem Georgii Ku,ylowicz, Wroclaw- Warszawa• Krak6w 196,, pp. Benveniste, t., P,oblèmes de linguistique glnbale, 2 voll., Paris 1966-1974. Berrettoni, P ., classificazione semantica dei verbi. Proposta di rtvisione terminologica, in T,a linguistica storica e linguistic11generale. Scritti ili onore di T. Bolelli, Pisa 1985, pp. 67-88. Berrettoni, P., Quando i verbi non avevano l'aspetto, •Messana• 18 (199..3) [1995], pp. 17-60. Bertinetto, P. M., Il carattere del processo ('Alttionsart') in italùzno. Proposte, sintatticamente motivate, pe, una tipologi4 del lessico vtrbale, in: [AA. VV.], Tempo verbale, strutture quantificate in forma logica, Fircme 1981, pp. 12-90. Bertinetto, P. M., Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano - Il sistema del• l'indicativo, Firenze 198b.

2,.,,. uz

Bibliog,11/itl

281

Bertinetto, P. M., Stlllioes, Prog,essioes 11ml Habituals: Analogies 111111 Differences, •Quad. Labor. Ling.• 7 (1993), pp. 71-101. Birkmann, Th., Pri1tmtop,asenti4, Tiibingen 1987. Birw~. R., Griechisch-arische Sp,achbevehungen im Verbalsystem, Walldorf Hcsscn 1956. Boley, J., The Hittite hark-Construction, Innsbruck 1984 ( =IBS, 44). Bonfante, G., I di4letti indoeuropei, Napoli 1931 (= •AioN•, 4, pp. 69-185), rist. 1976. Bonfantc, G., The IAtin antl Romance Weak Perfect, •ts• 17 (1941), 2, pp. 201-211, rist. in: Scritti scelti. Il. IAiino e roman%o,Alessandria 1987, pp. 353-365. [Bonfante, G.], Scritti scelti di G. Bonfante, a cura di R. Gcndrc, 4 voli., Alessandria 1986-1994. Bonfante, G. • Gcndrc, R., 1A posizione linguistica del tocario fra le lingue indeuropee, •RAUnc" serie VIII, 42 (1987), 7-12, pp. 247-281. Borgato, G., Aspetto oerbale e Alttionsart, •LcCo" 3 (1976), pp. 65-197. Bottiglioni, G., Manuale dei dialetti italici: osco, umbro e di4letti minori. Grammatica, testi, glossario con note etimologiche, Bologna 1954. Brock, N. van, I.es thèmes oerbaux à redoublement du hittite et le verbe indoeuroplen, •RHA" 22, fase. 75 (1964), pp. 119-165. Brugmann, K. (- Dclbriick, B.), Grundriss de, vergleichenden Grammatik de, indogermanischen Sprachen, 2• cdiz., 11/3, Strassburg 1913. Brunei,J., L'aspect et« l'ordre de procès,. en grec, •BSL" 42 (1942-45 [1946]), pp. 43-75. Buck, C. D., A Gramma, of Oscan and Umbrian, Boston 1904, rist. Hildcshcim • New York 1974. Burger, A., Le parfait latin en -ui et le p,oblème des formes « contractes •• •REL" 4 (1926), pp. 11.5-119, 212-217. Burgcr, A., Studes de phonltique et de morphologie latines, Neuchltcl 1928. Burrow, T., Tokharian Elements in the Kharof/hi Documents /rom Chinese Turkestan, • ]RAS• 1935, pp. 667-675. Burrow, T., The Sanskrit IAnguage, London s.d. [1955].

Campanile, E., Typologische Rekonstruktion unti lmlogermanisch, in: Studies in Di4chronic, Synchronic and Typological Linguistics - Festschrift /or OswaU S%emerlnyi, I, Amsterdam 1979, pp. 179-191. Campanile,E., Quale ricostruvone dell'indoeuropeo?, •InL" 9 (1984), pp. 67-73. Campanile, E., Sul presente di *(s)tcH 2, in: Scritti in onore di Riccardo Ambrosini, Pisa 1985, pp. 65-67. Campanile, E., Cronologi4 relativa e sue tecniche, •InL" 14 (1991), pp. 29-40. Campanile, E., Recentiores, non deteriores, •sco• 42 (1992), pp. 31-42.

282

Cardona, G., RJgvedic ip:i~, •tg• 37 (1961), 3, pp. 338-341. Cardona, G., recensione a: C. Watkins, Indogm,,aische Gr111nmatilt- 111/1 (Hcidelberg 1969), in: •111• 17 (197,), pp. 103-111. Carruba, O., Die I. und 11. Pers. Plur. im Luwischm ""' im Lyltischm, •spracbe• 14 (1968), 1, pp. 13-23. Carruba, O., Beitrage :um Palaischen, Istanbul 1972. Carruba,O., Anatolico e indoeuropeo, in: Scritti in onore di Giuliano Bonfante, I, Brescia 1976, pp. 121-146. Carruba, O., Unittl e variettl nell'anatolico, • AmN-L• 3 (1981), pp. 113-140. Otantraine, P., Histoire du parfait grec, Paris 1927. Owitrai.ne, P., Le r8le de l'élargissement e/o dans 14 conjugaison grecque, •BSL• 28 (1927-28), pp. 9-39. Owitraine, P., Gr11111maire bombique, Paris 1948-,3. Owitraine, P., Le parfait mycénien, •sMEA• 3 (1967), pp. 19-27. Owitrainc, P., Morphologie historique du grec, 2- ediz., Paris 1973. Oaflin, E. F., Tbe Indo-Europe11nMiddle Ending -r, •tg• 14 (1938), pp. 1-9. Oaflin, E. F., Tbe Voice of tbe Indo-European Perfect, •tg• 1, (1939), pp. 1,,.1,9. U>etsem,F. van, Abl4ut and Reduplicalion in tbe Gmnanic Verb, Heidelbcrg 1990. Comrie, B., Aspecl, Cambridge 1976. Coseriu, E., Aspect verbal ou aspects verbaux?, in: La notion d'aspect. Colloque organisé par le Centre d'Analyse syntaxique de l'Université de Met:, Mctz 1980, pp. 13-23. Cowgill, W., recensione a: J. Puhvel, Laryngeals and tbe Indo-Europe11nVerb, (Berkeley - Los Angeles 1960), in •tg• 39 (1963), 2, pp. 248-270. Cowgill, W., Evidence in Greelt, in: [AA. VV.], Evidence for Laryngeals, London - Thc Haguc - Paris 1965, pp. 143-180. Cowgill, W., Ablaut, Accent and Umlaut in tbe Tocbllri4n Subjunctive, in: Studies in Historical Linguistics in Honor of George Sbm,,an Lane, Oiapcl Hill 1967, pp. 171-181. Cowgill, W., Tbe First Person Singulllr Medio-Passive of Indo-Irani4n,in: Pratiunam - Indian, Iranian ad Indo-European Studies Presented to F. B.]. Kuiper, The Hague- Paris 1968, pp. 24-31. Cowgill, W., The Source of Latin stire, with Notes on Comparable Forms Elsewhere in Indo-European, "JIES• 1 (1973), 3, pp. 271-303. Cowgill, W., More Evidence for Indo-Hitiite: the Tense-Aspect Systems, in: Proceedings of the Eleventh Intemational Congress of Linguists, II, Bologna 197,, pp. ,,1.,10. Cowgill, W., Anatolian hi-Conjugation and Indo-European Perfect: Instalment II, in: [AA. VV.], Hethitisch und Indogm,,anisch, lnnsbruck 1979, pp. 2'-39.

283

Bibliogrofi4

C.OWgill, W., recensione a: Indogermonisch unti Keltiscb. Kolloquium d. Idg. Gcscllschaft(Wicsbadcn 1977), in •Kratytos• 26 (1981), pp. 60-64. C.OWgill, W., On tbe Prehistory of Celtic PflSsiue flnd Deponent Inflection,

•:enu•34 (1983), pp.

73-111.

Dahl, O., Tense ond Aspect System, Oxford-New York 198,. Dcbrunner, A., recensione a: L. Renou, Grommoire de lo langue védique (Lyon • Paris 19,2), in •Kratylos• 1 (19,6), 1, pp. 38-4,. Dcbrunner, A., recensione a: F. R. Adrados, Védico y sanscrito clasico (Madrid 19,3), in •Kratylos• 1 (19,6), 2, pp. 1,0-1,,. Dclbriick, B., Vergleichende SynttJX der indogermaniscben Spr«ben, II (= Grundriss der vergleichenden Grommotik der indogermaniscben Spr«hen, IV), Strassburg 1897. Dcmiraj, Sh., Gramatike historike e gjubes sbqipe, Tirane 198,. Devoto, G., I perfetti indiani del tipo uvica / ii~ e la teorio del roddoppillmento, "RIGI" 9 (1923), 3-4, pp. 1,-82 [ 227-234] (con appendice 23,]). di F. Ribc7.zo,p. 83 [ Diakonoff, I. M. - Ncroznak, V. P., Phrygi4n, Dclmar N. Y. 198,. Di Giovine, P., Su una presunta peculiari/' fonetica dei prestiti greco antichi in albanese, •SSL" 28 (1988), pp. 147-17,. Di Giovine, P., Studio sul perfetto indoeuropeo. Porte I: la funzione originario del perfetto studiata nella documentazione delle lingue storiche, Roma 1990 ( BRLF, 26). Di Giovine, P., Gli AJuin sul far dell'alba (RV, X, 40, 2b), in: Ethnos, lingua e cultura. Scritti in memoria di Giorgio Rilimando Cardona, Roma 1993, pp. 27-47. Di Giovine, P., Le lingue onotoliche e il perfetto indoeuropeo: una •petitio principii•ì, in: Miscellaneo di studi linguistici in onore di Walter Belordi, Roma 1994, I, pp. 113-130. Di Giovine, P., recensionea: W. Eulcr, Moduskategorien der Per/ektoprasentien im Indogermonischen (lnnsbruck 1993), in •Kratytos• 40 (199,), pp .. 10,. 109. Di Giovine, P., Aspetto e tempo nel sistema verbale indoeuropeo, in corso di stampa nella Miscellanea in memoria di Enrico Campanile, Pisa 1996. Dtcssler, W., Studien zur uerbalen Pluralitilt - Iteratiuum, Distributiuum, Durotivum, Intensivum in der allgemeinen Grommotik, im Lateiniscben und Hetbitischen, Wicn 1968 (= •SbOAW•, 2,9/1). Dressler, W., Vber die Rekonstruktion der indogermonischen Synta, •KZ• (1971), 1, pp. ,.22. Dunkel, G. [E.], Typology versus Reconstruction, in: Bono Homini Donum • Essays in Historicol Linguistics in Memory of ]. A Kerns, II, Amsterdam 1981, pp.

=

=

=

8,

,,9-,69.

Bibliografia

284

Eichner, H., Die Etymologie von hetb. mehur, •MSS" 31 (1973), pp . .53-107. Eichner, H., Untersucbungen zu, bethitischen Deltlination, Inaugural-Dissertation der Philosophischen Fakultit der Friedrich-Alexander-Universitit zu Erlangcn-Niimberg, 1974. Eichner, H., Die Vorgeschichte des hethitischen Verbalsystems, in: Flexion ,11,d W ortbildung. Akten d. V. Fachtagung d. Indogermanischen Gcsellschaft, Wiesbaden 197.5, pp. 71-103. Eichner, H., Phonetilt und Lautgesetze des Hethitischen - ein Weg zu ihre, Entschlusselung, in: Lautgeschichte und Etymologie. Akten d. VI. Fachtagungd. lndogermanischen Gesellschaft, Wiesbaden 1980, pp. 120-

16.5. Eichner, H., Sp,achwandel und Reltonstrulttion, in: Akten de, 1J. C>sterreicbiscben LJnguistentagung, Graz 1988, pp. 10-40. Erhart, A., Zu, baltischen Verbal/lexion, •JF" 89 (1984), pp. 21'-2.50. Erhart, A., Das Verbalsystem im Indoeuropaiscben und im Baltischen, •Battistica" 11 (197.5), 1, pp. 21-30. Erhart, A., Zu, Entwicltlung de, Kategorien Tempus und Modus im Indogermaniscben, Innsbruck 1985 (= IBS, Vortt. u. IO. Schr., 35). Ernout, A., Morphologie bistorique du latin, 3• ediz., Paris 19.53. Ernout, A. - Meillet, A., Dictionnaire étymologique de la langue latine, 4• ediz., Paris 19.59 (IV rist., a cura di J. André, 198.5). Etter, A., Die Fragesiitze im :P.,gveda,Berlin-New York 1985. Euler, W., Modusltategorien der Per/elttoprasentien im Indogermaniscben, Innsbruck 1993 ( IBS, Vortt. u. Kl. Schr., .58). Euler, W., Herltun/t und ursprunglicbe Funlttion des Optativs Priiteriti im Germanischen, in: Diachronie-Kontinuitiit-Impulse. Sprachwisscnschaftlichcs Kolloquium - Halle 1992, Frankfurt a/M 1994, pp. 2.5-49. Evangelisti, E., Grammatica del tocarico. III. Il verbo, in: Scritti tocarici e altri studi, Brescia 1990, pp. 23-57. Evangelisti, E., Scritti tocarici e altri studi, Brescia 1990.

=

Forssman, B., Der Impe,ativ im urindogermanischen Verbalsystem, in: G,.,,,. matiscbe Kategorien - Funlttion und Geschicbte. Akten d. VII. Fachtagung d. Indogermanischen Gesellschaft, Wicsbadcn 198.5, pp. 181-197. Fraenkel, E., recensione a: H. Wagner, Zur Herltun/t der e-Verba in de, intlogermanischen Spracben (mit besontlerer Berikltsicbtigung de, germanischen Bildungen), Ziirich 1950, in •zsIPh" 22 (19.53), pp. 217-223. Friedrich, J., Zum Verwandtscha/tsve,baltnis von Keilhethitisch, Luwiscb, P11liiisch untl Biltlhethitisch, in: MNHMHl: XAPIN - Getlenltschri/1 P11ul Kretschme,, I, Wien 19.56, pp. 107-113. Frisk, Hj., Sulfixales -th- im Indogermanischen, •Goteborgs Hogsk. Arsskr.• 42 (1936), 2, pp. 3-46, rist. in K.leine Schri/ten, Goteborg 1966, pp. 139182.

Bibliog,11#4

Frisk, Hj., Kleine Schriften zur lndogmn11nistile und zur griechischen Wort• lt11nde,Goteborg 1966. Fullc:, R. D., The Origins of lndo-Europe11n Qu11ntit11tiveAblaut, lnnsbruck

=

1986 ( IBS, 49). Fullerton, G. L., Historical Germanic Verb Morphology, Bcrlin-New York 1977.

Garda Ram6n, J. L., Die Seltundiirendung de, 1. Sg. Medii im Indogermanischen, in: Grammatische Kategorien - Funlttion und Geschichte. Aktcn d. VII. Fachtagung d. lndogennsoiS R. PALMER,cd. by A. Morpurgo Davies and W. Meid, lnnsbruck 1976 (= IBS, 16). Mélanges linguistiques o/ferts à M. HoLGER Pm>ERSEN à l'occasion de son soixante-dixième anniversaire (7 avril 19Jl), Kebcnhavn 19.37 (= Acta Jutland., IX/1). Languages and Cultures. Studies in Honor o/ EooARC. PowMt, ed. by M. A. Jazaycry and W. Winter, Bcrlin-Ncw York-Amsterdam 1988 ( = Tl..5M, .36). Indogermanica et Italica. Festschri/t /iir HELMUTRIX zum 65. Geburtstag, hg. v. G. Meiser, Innsbruck 199.3 ( = IBS, 72). Symbolae grammaticae in honorem ]. RozwADOWSKI, 2 voll., Cracoviac 19271928. A Linguistic Happening in Memory o/ BENScHwARTZ. Studies in Anatoluzn, Italic, and other Indo-European Languages, ed. by Y. L. Arbcitman, Louvain-la-Ncuvc 1988. Wege zur Universalien/orschung - Sprachwissenscha/tliche Beitriige zum 60. Geburtstag VON HANSJAICOB SEILER,hg. v. G. Brettschneider - Chr. Lchmann, Tiibingcn 1980.

=

Festschri/ten

315

Corolla linguistica - Festschri/t FmmINAND SoMMER zum 80. Geburtstag am 4. Mai 1955, Wiesbaden 1955. Beitriige zur Sprachwissenscha/t, Volltsltunde und Literatur/orschung, WoLFGANG STEINITZ zum 60. Geburtstag am 28. Februar 1965 dargebracht, hg. v. A. V. lsa~o, W. Wissmann, H. Strobach, Berlin/0. 1965. Verba et structurae. Festschrift fii, Ku.us STRUNIC z. 65. Geburtstag, hg. v. H. Hettrich, W. Hock, P.-A. Mumm u. N. Oettinger, Innsbruck 1995 (= IBS, 83). Studies in Diachronic, Synchronic and Typological Linguistics - Festschri/t /or OswALD SZEMERÉNYI on the Occasion o/ His 65th Birthday, ed. by B. Brogyanyi, 2 voli., Amsterdam 1979 (= CILT, 11.1-2). Comparative-Historical Linguistics - Indo-European and Finno-Ugric. Papers in III, ed. by B. Brogyanyi and R. Lipp, AmsterHonor o/ O. SZEMERÉNYI dam-Philadelphia 1993 (= CILT, 97). Studia Indogermanica et Slavica. Festgabe fii, WERNER THOMAS zum 65. Geburtstag, hg. v. P. Kosta, unter Mitarb. v. G. Lerch u. P. Olivier, Miinchcn 1988. Studia Linguistica Diachronica et Synchronica WERNER WINTER Sexagenario ... Oblata, hg. v. U. Pieper u. G. Stickel, Berlin[-New York-Amsterdam l 1985.

ABBREVIAZIONI

Collane: Si riportano di slguito le sigle co"ispondenti alle Collane più comunemente citate (negli altri casi si è fatto ricorso alla citazione per esteso, o con una abbre11iazionedi per si e11idente). BRLF

-

Biblioteca di Ricerche linguistiche e filologiche, dir. da W. Belardi, Roma (Dipartimento di Studi Glottoantropologici e Discipline musicali - Università •La Sapienza•), ed. Il Calamo.

CILT

-

Current Issues in Linguistic Theory ( Amsterdam Studies in the Theory and History of Linguistic Science, Series IV), Amsterdam,

=

]ohn Ben;amins B. V. IBK

-

Innsbrucker Beitriige zur Kulturwissenschaft, hg. von der Innsbrucker Gesellschaft zur Pflege der Geisteswissenschaft, Innsbruck, lnstitut fiir Sprachwissenschaft der Universitiit.

IBS

-

Innsbrucker Beitriige zur Sprachwissenschaft, hg. von W. Meid, Innsbruck, Institut fiir Sprachwissenschaft der Universitiit.

StBoT

-

Studien zu den Bopzkoy-Texten, hg. von der Kommission fiir den Alten Orient der Akademie der Wissenschaften und der Literatur • Mainz, Wiesbaden, Otto Harrassowitz Verlag.

TLSM

-

Trcnds in Linguistics - Studies und Monographs, Editor W. Winter, Berlin-Ncw York-Amsterdam, Mouton Publishers.

Periodici: Le sigle dei periodici si conformano all'uso della Bibliographie Linguistique - Linguistic Bibliography; per quel che non figura in tale repertorio si i

fatto ricorso alla citazione per esteso (o con abbre11iazionecomunque di immediata e11idenu).

Abbrevùwoni

318

Altre abbreviaz.ioni: a. a. t. accad.

ags. alb. ant. aor.

arcad. arm. att. avcst. biclor. brct. budd. cimr. cong. corcsm. com. crct. cun. dial. dor. dravid. du.

-

---

-

alto tedesco antico accadico anglosassone albanese antico aoristo arcadico armeno attico avestico bielorusso btttone buddista cimrico congiuntivo corcsmio (corasmio) comico cretese cuneiforme dialettale dorico dravidico duale ecclesiastico eolico frisone gathico germanico (comune) gotico

cccl. col. fris. gath. gmc. got. gr. - greco i. e. indoeuropeo (ricostruito) imperf. - imperfetto ind. - indiano indie. (indicat.) = indicativo inf. - infinito ing. (ingiunt.)

ion. irl. itt. khotans. lanuv.

--

= ingiuntivo

ionico irlandese ittito khotansacio (catanese) lanuvino

-manicb. m. a. t. = lat. lett. lic. lit. locr. luv.

m. b. t. med. miccn.

mitann. mpcrs.

-

=

--

latino lettone licio lituano locrcsc luvio

manicheo alto tedesco medievale basso tedesco medievale medievale, medio miceneo mitannico mcdiopersiano neerlandese ncopersiano nordico norvegese

nccrl. ncopcrs. nord. norvcg. o. - osco oss. - osscto pahl. pahlaviro part. •partico pers. persiano pf.(pcrf.) perfetto plur. (pl.) plurale pr. (pruss.) pnmiano prcs. presente prct. (prcter.) preterito pt. participio ree. - recente sass. sassone scit. scitico serbo-cr. serbo-croato sing. (sg.) singolare si. slavo sogd. sogdiano tcd. tedesco toc. A tocario A (agneo) toc. B - tocario B (cucco) u. umbro vcst. vcstino -

-

-=

=

-

--

=

--

=

=

Finito di stampare il 4 novembre 1996 con i tipi della Tipografia Don Guanella s.rJ. Via Bernardino Telesio, 4/b - 00195 Roma

BIBLIOl'ECADI RICERCHELINGUISTICHEE FILOLOGICHE 41

PAOLO DI GIOVINE

STUDIO SUL PERFETTO INDOEUROPEO PARTE III Indici

EDITRICE "IL CALAMO" ROMA 1996

Il presente volume è stato pubblicato con un contributo erogato dal M.U.R.S.T. - Quota 60% di Facoltà, presso il Dipartimento di Studi glottoantropologici e discipline musicali dell'Università di Roma "La Sapienza".

La presente pubblicazione non dà luogo ad alcuna forma economica di diritti d'autore.

ISSN 0392-9361 ISBN 88-85134-42-4 Biblioteca di ricerche linguistiche e filologiche

Nr. 41 Casa editrice "Il Calamo• s.n.c. di Fausto Liberati 00195 Roma Via Bernardino Telesio, 4b Tel. e Fax (06) 37.24.546

INDICE

p.

7

»

9

indoeuropeo ricostruito

»

10

tocario

»

10

indoario

»

11

iranico persiano antico avestico lingue medio-iraniche lingue neo-iraniche

» » » » »

15 15 16 17 18

armeno

»

18

anatolico ittito luvio licio licio B (

» » » » »

19 19 19 19 19

frigio

»

19

messapico

»

19

albanese

»

19

greco antico

»

19

latino

»

21

italico

»

23

venetico

»

23

germanico protogermanico gotico nordico germanico occidentale

» » » » »

23 23 23 24 24

I - Avvertenza

II - Indice dei vocaboli

=

milio)

Indice

6

celtico • irlandese altre lingue celtiche

• • •

26 26 26

baltico . lèttone lituano prussiano antico

• ,.

26 26

• •

27 27

slavo slavo antico russo . altre lingue slave

• •

27 27

• •

28 28

lingue non indoeuropee accadico dravidico

• » »

28 28 28

III - Indice dei brani vedici e sanscriti discussi nella I parte dello Studio

»

29

IV - Indice degli argomenti

,.

.31

»

61

,.

6.3

V - Abbreviazioni Indice generale dell'opera

AVVERTENZA

Il presente volume di indici costituisce la III parte dello Studio sul per/etto indoeuropeo. Gli indici qui contenuti fanno riferimento (salvo indicazione contraria) all'opera nel suo complesso, composta da una I parte (nr. 24 della "Biblioteca di Ricerche linguistiche e filologiche", ISBN 88-85134-25-4) e da una II parte (nr. 40 della "Biblioteca di Ricerche linguistiche e filologiche", ISBN 88-85134-41-6). In tutti gli indici (con esclusione dell'Indice dei brani vedici) il riferimento alla prima parte è segnalato dal numerale « I » premesso al numero della pagina, il riferimento alla seconda parte dal numerale « II» premesso al numero della pagina. Le Abbreviazioni si riferiscono all'opera nel suo complesso (incluse le abbreviazioni adoperate negli indici); per le sigle di articoli, collane, etc. si rinvia alla II parte> di séguito alla Bibliografia. Indicazioni specifiche riguardo alla organizzazione dei lemmi sono fornite nelle note premesse all'Indice dei vocaboli e all'Indice degli argomenti. Nel redigere quest'ultimo, ci si è attenuti a un criterio di selezione per quanto possibile largo, e ciò ha inevitabilmente comportato un non facile lavoro di organizzazione degli argo?1-enti(sulla base di un ordinamento gerarchico spesso opinabile, con il corredo dei necessari rinvii incrociati); mi scuso sin d'ora se in tale complessa operazione potrà esser stato omesso qualche argomento notevole, o qualche rinvio che appariva superfluo al solo autore.

INDICE DEI VOCABOLI

Come segnalato nell'Avvertenza, le indicazioni si riferiscono a entrambi i volumi dello Studio sul perfetto indoeuropeo. Le pagine relative alla I parte sono segnalate con il numero «I» (romano) premesso alla cifra araba; le pagine relative alla II parte sono precedute dal numerale « II » (romano), sempre premesso alla cifra araba. La sigla « e n. » indica che il vocabolo figura sia nel testo sia in una o più note della pagina; la sigla « n. » indica che il vocabolo figura esclusivamente in una o più note della pagina. La cifra in corsivo rinvia alle pagine di trattazione specifica delle singole radici indiane antiche. L'ordine di citazione è quello alfabetico, tranne che nel caso dell'indoario (dove ci si conforma alla sequenza tradizionale). Nelle forme verbali viene citata la radice, oppure la I sing. del presente indicativo, o ancora l'infinito, secondo l'uso consolidato in riferimento alle diverse aree linguistiche. Il significato viene indicato solo nel caso di più radici o temi omonimi, o ancora laddove il verbo o il sostantivo debbano essere menzionati in un tema diverso da quello di base (aoristo o preterito o perfetto, in luogo dell'infinito o del presente indicativo, plurale in luogo del singolare, etc.).

INDOEUROPEO JlICOSTRUITO

(il simbolo V indica il luogo della virtualità vocalica nelle diverse radici, tradizionalmente citate secondo il grado pieno *-e- [*-o-], oppure il grado zero; nell'ordine alfabetico delle radici, pertanto, -V- viene considerato alla stregua di -e-. La vocale lunga nelle basi pesanti non è ulteriormente analizzata nelle componenti eventualmente estrapolabili, cf. il S 1.4 della II parte)

*bha(w)- I: 104, 105 *bhVl- 'muggire, abbaiare' I: 67 n.,

68 n. *bhVr- 'ribollire' I: 184 e n. *bhVrVt1g- I: 107 *bhVw(t1)- I: 246, 304 e n. *d(V)y;,- I: 102 *do- II: 97 e n., 108 *dyVw- I: 102 *dhVrgh- I: 182 *dhe- II: 109 e n., 120 *dhrVwgh- I: 299 *Vs- I: 214 n., 246, 247 e n., 248

e n. *algwh. I: 127 *(a)wVs- I: 111, 113 e n.

*Vws- I: 111 *Vyk- I: 252, 253, 254

10

Indice dei vocaboli

*es- I: 30, 31 e n., 248 n., 348 *ghVgh- I: 214 n. *ghVldh- I: 271 n. *gVnVa- 'conoscere' I: 284 n., 285 *ghVrs- I: 363 *ghVw- 'esser curvo' I: 241 *ghwVl- I: 239, 240, 241 *ghwVr- I: 240, 241 *gwV/-dh- I: 271 n. *gwVs-: d. (s)gwVs*gwVy-Va-, *gwVy-Vw- I: 150, 152, 153 e n., 154 e n., 155 n. *gwhVr-Va- I: 146 *g(w)hVrs- I: 363 *kVr-: d. *(s)kVr*kVrk- I: 262 n. *kPly- (*kPlw-) I: 139 n. *kVy- I: 31 n., 32 e n., 140 n. *klVm(a)- I: 344 *kpVy- I: 141 *kwpay- (*kwpey-) I: 139 **lab-k- I: 329 n. *lay- I: 70 *lVwk- I: 111; Il: 150 n. *lVy- 'piegarsi, scomparire' I: 198 *lVya- (?) 'essere attaccato, aderire' I: 198, 199 n. *lVykw- II: 17 *mVgh- I: 306 n., 309 *mVldh- I: 191 *mVw- I: 189 *mVwd-: d. *(s)mVwd*riiy- I: 70 *rVy- 'strappare, tagliare' I: 331 *sVd- I: 30, 31 e n., 347, 248 *sV gwh- I: 211 *sVs- I: 213 n., 214 n., 356 *sVws- I: 208, 214 n. *(s)gwVs- I: 276 n. *(s)kVr- I: 73 *sk(b)Vnd- I: 273 *(s)mVwd- I: 315 n. *stVa- (*st[ h ]ii-) I: 351 e n., 352, 353; Il: 145 *(s)tVn- I: 51 *(s)tVyg- I: 164 n. *swVp- I: 213 e n., 356 *swVr- I: 54

*tVaw-Va- I: 288-289 *tVm- I: 158 e n. *tVn-: d. *(s)tVn*tVrs- I: 294 e n., 295 n. *tVyg-: d. *(s)tVyg*tkVy (> *kpey-) I: 140 n. *twVys- I: 297 *wVg- I: 201 *wVs- 'abitare' I: 246, 336 e n., 337 e n.; Il, 68 *wVs- 'esser vestito' I: 36, 37 e n., 38 n. *wVyd- 'vedere, scorgere' Il: 118, 124 n., 127, 128, 129 e n., 130, 131, 144 n., 155, 226 n. *wVys- I: 202, 204 n.

TOCARIO

B aik- I: 251, 253, 254 B akiilk I: 130 A iikiil I: 130 B cala: d. AB tiilAB kiis-, B kes- I: 276 n. B kery- [A kary-] II: 166 n. A kla(w)- I: 145 e n. B kliiy- I: 145 B kl(y)utk- II: 153 AB kul- I: 145 B mely- [A malyw-] II: 166 n. A nak-, niik- I: 303 n. B nek-, niik- I: 303 n.; II: 202 n. AB nu- I: 59 A ok- (= B auk-) I: 256 n. A okilii[ (caus. cong. III sg.) I: 256 e n. AB piilk- I: 107 B iau- I: 152 e n. A io- I: 152 e n. B saiwai 'a destra' I: 217 AB tiil-, pret. B cala II: 153 A tsiim-, çiim- I: 289 B tsiim-, tsiim- I: 289 B wiis- 'dimorare, riposare' I: 336 AB wiis- 'vestire' I: 38 n. AB wik-, pret. B yaika II: 153 B yaika: d. AB wik-

lndoario INDOARIO

(vedico o sanscrito classico, salvo specificazioni: le cifre in corsivo si riferiscono alla trattazione specifica delle singole radici verbali; il mitannico conclude l'elenco) akf- I: 125 n. ad- II: 273 n. adikka- I: 340 n. am- II:

74 are- I: 87-88, 92, 119 arci(s)- I: 88 arh- I: 124-127, 242; II: 122 ai- 'mangiare' II: 74 Aivagho[a• I: 47 as- 'essere' I: 243-248, 303 n., 304, 365, 368, 369 iim6da- I: 316 n. iirtariipa- I: 75 n. iis- I: 29-31, 35, 348, 369; Il: 273 n. i-, inv- 'inviare' I: 125, 153 n. idam 'ora, adesso' I: 168 indh-, idh- I: 131, 132 e n., 133 e n. il- I: 127-129, 242 ikf- I: 203 n., 253 inkh- I: 203 n. i,f.- I: 253 ir- I: 129 n., 203 n., 253 ii- I: 138 n., 248-255, 365, 368; II: 239 is- (es-) I: 253 ih- I: 129-130, 241 irm4 I: 128 UC· I: 171, 255-257, 364; II: 114 Uf· 'bruciare, ardere' I: 111

Ufas- I: 113

uh-'considerare' I: 35 r· 'andare' I: 97, 125 rdh- I: 133 n., 134 n. ei- (ii-) I: 253 edh- I: 130-134, 186 n., 242, 253 kan-, kii- I: 42, 171, 257-260, 264, 276 n., 309, 321, 322, 323, 324, 364, 369 kalpa- I: 265 n. kiii- I: 88-90, 91, 92, 119

11

kiJ- 'gridare' I: 71 kup- I: 134-135, 241 ku;- I: 71-72, 79, 80 kr- I: 84 n., 266; II: 74, 134, 171, 188 krp- I: 262 e n., 265 n. kri- I: 260-262, 365 kria- I: 261 e n. kn- I: 261 n., 294 *kl- 'fare' I: 265 k[p- I: 42, 262-266, 365 ketu- I: 93 n. koka- I: 72 n. kokila- I: 72 n. krand- I: 76-77, 78 n., 79, 80, 85 n., 179, 368; II: 75 krudh- I: 136-137, 226 n., 242 /erui- I: 71 kland- I: 77 klam- I: 344, 345 kva,;- I: 45-46 k[ii- (k!i-) 'possedere' I: 137-139, 140, 242, 369 kfi- 'abitare' I: 97, 137, 138, 139-141, 242, 369 kfudh- I: 141-143, 241, 294 k!vid- kfvi,J.- I: 71, 72, 79, 80 khari- I: 71, 73, 79, 80 khargalii- I: 73 gam- I: 148; II: 171 garj- I: 67-68, 79, 80 garja- I: 67 ga- 'andare' II: 108 n. gu- I: 46, 47 n. gufij- I: 71, 73-74, 80 guh- I: 226 n. gr-,;agr-'svegliarsi, esser sveglio' I: 266-269, 277,278,364; II: 74, 169 e n., 170 gr- Or-)'cantare, chiamare' I: 68 gr- (gf-, ir-) 'ingoiare' II: 169 grdh- I: 42, 269-271, 364 gf-: cf. gr- 'ingoiare' glii- I: 143-145, 146, 242 gliip- I: 145 n. ghas- II: 273 n. ghuf- I: 46-48, 56 ghr- I: 145 n.

12

Indice dei vocaboli

-ghofa- I: 47 ghra- I: 145-147, 241 cakas-, cakas- I: 90-91, 119 can- I: 147-148, 171, 241 canas- I: 147 canif!ha- I: 147, 148 cand-, icand- I: 84-85 n., 91, 120 candra- I: 91 ci- 'osservare, notare' I: 93, 148, Il: 162 n. cit- I: 91-9J, 119, 276 n.; II: 122, 134, 170, 171 citra- I: 92 n., 93 n. cétif(ha- I: 92 n. chand-, chad- I: 272-275, 365 chanda(s)- I: 273 n. ;an- (ia-) I: 282,283, .364; II: 75, 169 ;as- I: 275-279, .364 iiigar~ka- I: 269 n. iiigr-: cf. gr;agrvi- I: 269 n. ;;- 'sconfiggere' I: 97, 137 ;;-, ;;nv- 'animare, spingere' I: 152 e n., 153 n., 155 n. 1ìv- I: 148-155, 203 n., 242; II: 136 iiva- I: 150, 151, 152 ;u,-I: 123, 171, 276 n., 363 n. iu- I: 279-281, 364 ieh- I: 294 ;na-I: 281-286, 364, 369; II: 144 n. ;,yut- I: 9J-94, 102, 120 iy6tis- I: 93 e n., 94 ;var-, ;val- I: 93 n. ;han- I: 45 takf- II: 122 la!- I: 45 tan- 'tendere' Il: 147 tan- 'rimbombare' I: 48, 50-51, 56, .368 tand- I: 155-156, 241 tandra- I: 156 tap- I: 77 tam- I: 156-158, 241 tamas- I: 158 tavas- I: 286 tavifa- I: 286, 287 n. taVÌ!i-'forza', tavi[yate 'dimostra forza' I: 287 n.

t4trpi- I: 169 e n., 170 tii- I: 158-164, 242 tu- I: 42, 286-290, 291, 364 tura- I: 286 tus- I: 165 e n. IU[· I: 164-166, 171, 242 tuf,:zim 'tranquillamente' I: 166 trp- I: 42, 166-172, 178, 242, 293, 294, .312, .3.3.3,.362 tr,- I: 42, 291-295, .333, 364 téias- I: 162 n., 163 e n. tyai- I: 158 n., 159, 160 e n., 163 n. tras- I: 172-174, 219, 242 tvif- I: 295-298, 364 IVt[( i)- I: 296 tve,a- I: 296 tve,aratha- I: 297 n. daks- I: 174-175, 241 daksa- I: 174, 175 n. dak,i,:za- I: 175 e n. dabh- (dambh-) I: 171 n. das- I: 275 n. dii- 'dare' I: 104, 144; Il: 75, 159 n., 162 n., 181 n. dii(i). 'dividere' I: 137 div- I: 98 n. dii- I: 276 n., .340 n. di-, did'I- I: 59 n., 60 n., 94-96, 97 e n., 98 n., 101 n., 102, 120, 122 dip- I: 96-97, 98 n., 120, 20.3 n. dipra- I: 97 n. d;pa(na)- I: 97 n. div-, d(y)u- 'giocare, gettare' I: 98 e n., 152 n., 154 du!- I: 226 n. dt1h- I: .35, 126, 249; Il: 2.39, 270 n. dr- 'perforare, spaccare' I: 294, .362 drkkar,:za-I: .340 n. drp- I: 175-176, 242 drs- I: 252 n., 276 n., .340 n. drh- I: 42, 177-18J, 242, 29.3 dyut- I: 9.3 e n., 94, 97, 98-102, 118 n., 120, 122 dy6tis- I: 94 Dyau- I: 102 dra- I: 213 n. dru- I: 267 druh- I: 298-299, .364

Indoario dhà- 'porre' I: 97, 104, 144, 276 n.; II: 90 dhà(i)- 'succhiare' I: 137 dhi- I: 59 n., 60 n. dhlJ- I: 290 dhunaya- I: 48 n. dhuni- I: 48 n. dhr- I: 181, 182, 363 n.; Il: 169 dhr!- I: 180 n., 299-302, 364 dhvan- I: 48-49, 50 n., 56 nad- I: 49, 56, 58 nam- I: 179 n. nard- I: 58, 79, 80 nai- 'scomparire, morire' I: 302-303, 364 nid- (nind-) II: 122, 123 nlJ- I: 58-59, 79, 80, 290, 294, 368 pat- II: 147 pà- 'bere' II: 75 pi- I: 59 n., 60 n., 125, 137 Pii- I: 89 n. Pr- 'passare' II: 162 n. Prd- I: 209 n. Pi- 'riempire' Il: 162 n. pril?tadbfle- I: 181 pri- I: 276 n. badh- I: 35 n., 43 e n., 308, 362; II: 175 n. budh- Il: 75, 175 brmh- (vrmh-) I: 66-67, 79, 80 brh- I: 364 n. brii- I: 50 n. bhadra- I: 103 e n. bhand- I: 102-103 119 bhandi!fha- I: 10j bhayàrta- I: 75 n. bhas- II: 159 n. bha!- I: 68-69 79 80 bhà- I: 103-1 Ò5 i20 121 e n., 122 bhàs- I: 105-106 120 bhi- I: 338 ' bhuj- 1: 123. 171, 363 n. bhur- I: 183-185, 219, 241 bhura,:za-I: 183 n. bhù- I: 36 n_. 276 n., 303-304, 364; II: 114, 181 n. bhr- 'portare• I: 183 n.; II: 75 bhrài- I: 106-107 120 121 122

'

'

'

13

bhriii-, bhliiJ- I: 107 mamh-, mah- I: 276 n., 305-310, 364 matizhaytidrayi-'che dona forza' I: 310 **magh- 'potere' I: 307 n., 309 magha- I: 310 mad- (mand-) I: 171, 276 n., 310-314, 321, 364 mah-: cf. mamhmaha-, mah- 'grande' I: 306, 307 n. mii- 'muggire, belare' I: 58, 60-61, 63, 79, 80, 81, 368 m7- 'danneggiare' I: 61 n. mik,-: cf. myak!mid-: cf. medmii- I: 320, 321 mifra-, -mii/a- I: 321 mih- I: 320 miv- I: 154 mugdha- I: 190 muc- I: 276 n. mud- 'provar piacere' I: 171, 314-316, 321, 364 *mud- 'esser odoroso' I: 315 n., 316 n. *mud- 'esser umido' I: 316 n. mudira- I: 316 n. muh- I: 187-190, 242 mri·I: 43, 294, 319 mrtf·(mr!-)I: 226 n., 316-320, 365 mrd- I: 190 n. mrdh- I: 190-192, 242 mrdhraviic- I: 191 n. mr!·I: 319 med- (mid-) I: 185-187, 242, 313 médas- I: 185 m6gha- I: 190 myak!- (mik!-) I: 276 n., 320-321, 364 mlà- I: 145 n. yat- I: 35 yam- I: 49 e n., 171, 194; Il: 122 yu- 'separare' I: 225 ramh- I: 43 rak!- I: 43 ra/- I: 71, 74-75, 79, 80 ra,:z-(ran-) 'provar piacere' I: 42, 167 n., 171, 195, 276 n., 321-324, 326, 364, 369 ra,:za-I: 322 n.

14

Indice dei vocaboli

radh-, randh- I: 324-328, 365 rapi- I: 328-330, 365 rapiadiidhan- 'con le mammelle gonfie' I: 329 n. rabh- I: 193 n., 194 n. ram- I: 171, 192-195, 242, 344 n. ramb(h)- I: 58, 61, 80 ras- I: 58, 62, 79, 80 ra- 'latrare': d. rairaj- I: 107-108, 119 radh- I: 325 n. rai- (ra-) 'latrare' I: 62 n., 63 n., 6970, 79, 80 rJ- I: 195 n. riph- I: 70-71, 79, 80 rif- I: 330-332, 364 ru- 'muggire, mugghiare' I: 58, 62-63, 79, 80 ruc- I: 99 n., 108-111, 120, 121, 122, 226 n., 368, 369; II: 170 rud- I: 63 lamb(h)- I: 61 li- 'esser attaccato, aderire' I: 195-198, 242 li- 'tremare, oscillare' I: 59 n., 198200, 241; II: 84 n. luk-, lok- I: 111 vakf- I: 40; II: 136 vac- I: 50 n.; II: 106 n., 114 va;- I: 200-201, 242 vad- I: 49, 50 n. van- I: 42 vai- I: 40 n., 65, 332-334, 364 vas- 'splendere' I: 111-114, 120, 121, 122, 335 e n., 368, 369 vas- 'esser vestito' I: 29, 36-43, 99, 334 n., 362 vas- 'abitare' I: 39 n., 334-337, 365 **vas- 'mangiare'; 'mirare a' I: 40 n. vastor 'al mattino' I: 335 n. vai- I: 40 n., 42, 58, 63-66, 79, 80, 89, 178, 368 vid- 'trovare' I: 363 n.; II: 131 vid- 'sapere': d. véda virapJa- I: 329 virapit-, virapsin- I: 329 vif- 'agire' I: 337-339, 364 vif- 'versarsi in' I: 337 n.

vi- 'tendere a' I: 338 n. vi4- (vi!-) I: 201-204, 242, 319 n. vi!u- I: 202, 203 vrmh-: cf. hrmhvri-I: 42, 276 n. vrt- I: 276 n. vrdh- I: 134 n., 276 n., 288, 315 e n. V(f· I: 42, 276 n. véda 'io so' I: 286, 363 n.; II: 61, 67, 118, 122, 123, 127, 129 n., 130, 131, 260, 269 n., 270 n. vyac- I: 160 vyadh- I: 160 e n. vra!J- I: 45 sak- I: 339-342, 365; II: 135 iad- 'prevalere' I: 43 n. Jam- 'stancarsi' - 'esser calmo' I: 204205, 241, 344 n. ias- I: 276 n. siva- I: 217 n. .fi- I: 29, 31-36, 37, 39, 40, 41 n., 126, 249,250,252,291,296 n., 369; II: 114 n., 239, 241 I: 114-115, 120, 122, 276 n., 368, 369 suj- I: 43 n. iubh- I: 116, 117 e n., 119 subhra- I: 116, 117 SUf· I: 206-209, 242 sttfka- I: 206, 207, 208 e n. I: 43 n. srdh- 'mostrarsi forte, audace' I: 209210, 242 srdh- 'pedere' I: 209 e n. séva- I: 217 n. icand-: d. candsram- I: 36 n., 342-345, 364 sra- I: 97 Jri- 'ricorrere a' I: 137 sri-,sr- 'mescolare' I: 321 n. sru- I: 125 svit- I: 102, 117-119, 120, 121, 122 svitra- I: 118 e n. svind- I: 118 n. svela- I: 118 e n. f/hiv- I: 152 n., 154 sagh- I: 210-211, 242 sac- II: 147

sue-

su-

lndoario sad- I: 49 e n., 133, 185, 194, 313, 345-349, 364; Il: 63, 75, 145, 146 n., 273 n. san- Il: 68 sap- I: 216, 217 sarj- I: 73 s,;s- I: 211-214, 242, 355, 356 n. sasvar(ta) 'di nascosto' I: 213 sah- I: 211, 340 sidh- I: 346 n. siv- I: 152 n., 154 SU· I: 126 suruc- I: 108 n. suruca- I: 108 n. sii- 'generare' Il: 114 n. sùd- I: 222-227 suda- I: 222 sarta- I: 119 sri-Il: 170 sev- I: 215-218, 241, 242 soma- I: 313 n. somamad- 'inebriato dal soma' I: 312 skand- I: 84 n. ska(m)bh- II: 122 stan- I: 50-51, 56, 368 stu- I: 35 stha- I: 349-353, 364; Il: 75, 92, 113 sna- I: 97 spand- I: 218-219, 241 sprkka- I: 340 n. sprJ- I: 340 n. SP[b- I: 219-221, 242 spbùrj- I: 52, 56 sriv- I: 154, 204 n. svad-, svad- I: 221-229, 242 svan- I: 52-54, 56 svap- I: 212 e n., 213 e n., 214, 353357, 364; Il: 169 svapna- I: 213, 355 n. svar- 'risonare' I: 54-55, 56 svar- 'risplendere' I: 54, 119, 120 svàr 'luce, sole' I: 54, 119 svadu- I: 221, 227 han- I: 145 n.; II: 76 Harigbora- I: 47 har- 'gradire, provar piacere' I: 167 n., 171, 229-231, 242 har- 'prendere': cf. hr-

15

ha- II: 108 n. bi- I: 78, 126, 153 n. bùizs- (hir-) I: 359 e n., 360 bi/-, hel- I: 357, 358, 359 hitj- (bi{-) I: 204 n., 357-360, 365 hii- ( hva-) I: 294 hiirch- I: 236, 238 hrddy6ta- I: 101 n. hr- (bar-) 'prendere' I: 183 n., 229 n., 231 hr- 'essere adirato': cf. brhrr· I: 35 n., 43, 360-363, 365 hr- 'essere adirato' I: 231-236, 238 n., 241 hé{a(s)-, bé{a!Ja•I: 358, 359 ber- I: 76 n., 78, 79, 80 brad- I: 55-56, 82 hrer- I: 78-79, 80 bvr- I: 232, 233 e n., 234, 236-241, 242 bvf- (bval-) I: 236,237,238,239,240 n. mitann. Tusratta- I: 297 n.

IRANICO

persiano antico ah- I: 245 n. caxriya (pf. ottat.) Il: 81 n. diln- I: 286 darI- I: 301 d(u)ruj- I: 299 jiv- I: 149 n. jiva- I: 149 n., 151 nafJ- I: 302 tars- I: 173 e n. tav- I: 289 e n. fJa"d- I: 272, 274 Ukbaema I: 217 Uiema I: 217 uika- I: 208 e n. ufJandu- I: 274 xiay- I: 138 1.ùra240 n. 1 z/Jrab- I:

16

Indice dei vocaboli

avestico (le vocali lunghe seguono le corrispondenti vocali brevi; nell'ordine alfabetico s segue s, 8 segue t) ah- 'essere' I: 245, 342 n. airime, armae- I: 128 aok- I: 256 apa.hiòa- I: 346 n. ari- I: 127 afamaoya-, -maoya- I: 189, 190 azdiia- I: 133, 186 e n. azgata- I: 211 iih- I: 30 e n., 31 n., 252 bar- 'agitarsi, ribollire' (?) I: 184 bar;- I: 67 n. 0 barz- I: 182 n. bii- I: 104, 121 briiz- I: 106-107, 121 bii- I: 36 n., 303-304; Il: 83 n., 114 n. cit- (ci8-) Il: 136 e n., 224 darz- I: 182 e n. daxiat (daxI-) I: 175 n. dii- 'dare' Il: 191 dis- Il: 105 druj- I: 299 du- 'parlare' I: 48 e n. gaoI- 'che grida forte' I: 47 n. gaoia- I: 47 gar- 'svegliar(si)' I: 268 n., 269 n.; II: 136 garaòa- I: 271 n. guI- I: 47 gusayat-uxòa- I: 47 n. hac- I: 214 n. had- 'sedersi' I: 346 n., 347 bah- I: 214 e n. han- Il: 218 ha1JVhara.stiit-I: 213 haoma- I: 313 n. haoI-: d. huIhaza- I: 211 hiivista- I: 338 bus- (haoI-) I: 208 huska- I: 208 e n. is- (is-) I: 251 e n., 253

iz- I: 130 **iauua (recte: jasa) I: 281 n. ji- (iuua-) 'vivere' I: 149 n., 150, 151, 153 n., 155 e n. ;uua- 'vivo' I: 151 kan- 'gradire' I: 259; Il: 136 n. karapan- I: 265 n. 0 kas- I: 89 karasa- I: 261 mad- I: 312, 313 n. mard- 'trascurare' I: 191 mari.d- (marai.dii-) I: 318, 319 e n. marai.dika-, mari.dika- I: 318-319 m4zii.raiia (strum.) 'che dona forza' I: 310 nad- I: 49 nas- 'scomparire' I: 302 nauuiti 'egli urla' (?) I: 59 rah- Il: 104 n. ram- I: 194; Il: 104 n. rauuo.niimand I raiio.niimano I: 63 n. riiman- I: 128 riI- I: 331 ruc- (ruk-) I: 111 e n., 121 rud- 'lamentarsi' I: 63 sac- (sak) 'intendersi di' I: 341, 342 e

n. sa(,:z)d-I: 272, 273 n., 274 saradanii- I: 210 saskuitama- 'espertissimo di' I: 341, 342 sii.d- I: 319 n. spaeta, 0 spita I: 119 0 sparz- I: 220 e n., 221 n. sparazuuant- I: 220 srifa- I: 71 n. stii- I: 351 n.; Il: 81, 113 sue- (suk-) I: 114, 116 n. Ii- I: 140, 141 Iud- I: 142 taeya- I: 164 tarI- I: 173 tav-: d. tiitamah- I: 158 tiyra- I: 164 tu- (tav-) I: 289 e n. 8/3i- I: 297 8rqf(a)òa- I: 171

Iranico uruuant- I: 63 n. uruuaz- Il: 218 e n. vac- II: 191 vaeda 'io so' Il: 123, 127, 191, 269 n. vah- 'splendere' I: 113 n. vah- 'abitare' I: 336 vah- 'esser vestito' I: 38 vari- 'voltarsi' I: 182 n. vas- I: 333 val- Il: 82 vaz- Il: 136 vazd- I: 186 n. vas- I: 66 e n. vid- 'trovare' Il: 105 vizd- (voizd-) I: 203 e n., 319 n. x"an- (apa.x"anu-) I: 53 x"ap- I: 355, 356 xrud- I: 136, 137 n. x1a- I: 138, 139 e n., 140 yakar., II: 224 n. zan- 'conoscere' I: 284, 286; II: 83 zar- 'irritar(si)' I: 232 n., 235 e n., 236 e n. zar1aiiamna-'che drizza le penne' I: 363 za-'alzarsi' Il: 108 n. zbar- I: 239, 240 zoizdi1to 'il più raccapricciante' I: 360

n. :dJro.I: 240 n.

lingue medio-iraniche coresm. byws- 'tacere' I: 47 n. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans.

arma-, irma- I: 128 n. biriit'- I: 331 n. bif/a-, bii1/a-... I: 339, 340 n. biysar- I: 363 byus- I: 113 n. cadana- I: 91 dar(r)v- I: 301 gvaha- 'dimora' I: 336 n. hatiys- I: 163 hu1- I: 208 hvan-, hvaii- I: 53

17

khotans. khotans. khotans. khotans. khotans.

khvih- (kvih-) I: 135 mastaiia- I: 186 maysdara- I: 186 muysaf!ZdaiI: 189, 190 nuvaindii 'fanno rumore' I:

53 khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. khotans. mpers. mpers. mpers. mpers. pahl. pahl. pahl. pahl. pahl. pahl. pahl. pahl. pahl. pahl.

nyuj- I: 256 n. panai(i)- I: 302 e n. paysan- I: 286 n. piitam- I: 158 n. phast- I: 219 rrays- I: 62 e n. f1r- Uir-) I: 240 n. ,ava- I: 139 n. sphan-, phan- I: 219 ttamii I: 158 n. vaska 'per' I: 334 n.

manich. manich. manich. manich.

syryd I: 210 syrysn I: 210 xwn-, xw'n- I: 53 z'wr(yg) I: 240 n.

amurzitan I: 319 drahitan I: 55 drayitan I: 55 drai I: 55 druxtan, droi- I: 299 haviit I: 338 vinasitan I: 302 n. viyak I: 336 n. xvandan I: 53 zur I: 240 n.

part. gI- I: 363 part. 'bgw1- I: 48 n. part. zwr (z'wr) I: 240 n. scit. 'Pa8aywcr~ I: 48 n. sogd. (budd.) nwP I: 59 sogd. ywé I: 256 sogd. wrI- I: 363

lingue neo-iraniche baluci 1u6ar- I: 142

18

Indice dei vocaboli

neopers. neopers. neopers. neopers. neopers. oss. oss. oss. oss. oss.

iimoxtan I: amurzidan nawidan I: niiyidan I: zur I: 240

256 n.

I: 319 59 59 n.

(ir.) iivziir I: 240 n. kiisun, kiisyn I: 90 n. (digor.) kowun I: 59 niwyn, newun I: 59 uat I: 336 n.

pasto bgalga I: 55 pasto cwab I: 135 pasto zerai 'buone notizie' I: 231 e n. sughni kivd- I: 135 yidgha anuv- I: 59 ARMENO

aganim I: 336 arnem, aor. arari Il: 98, 99, 110 n., 170 n. azazim II: 98 azdoy, azdow I: 133 e n. bambasem II: 98 banam I: 105 calr II: 98 n. cicalim II: 98 n. éanac'em I: 285, 286 n. dadarem II: 98 ég- I: 217 e n. gitem 'io so' Il: 67 e n., 127, 129 go- 'essere, esistere' I: 336 e n., 337 n.; Il: 67 e n., 68 e n. hececem II: 99 hototim Il: 99 karkaé' I: 68 kazkaxem Il: 98 koskoéem II: 99 nstim I: 348 n. ololem II: 98 ownim 'io ho' Il: 67, 68 parpatim Il: 98 p'alp'alim Il: 98 p'op'oxem Il: 98 surb I: 116

Jén, Iinem I: 141 e n. t'aramim, t'ariamim I: 294 t'awt'apem Il: 99 t'mbrim I: 157 usanim I: 256

ANATOLICO

itt. aieI- (aiaI-) II: 93 itt. duik- duikiia- I: 166 itt. eI- (al-) I: 30 e n., 31 n. itt. !Jark- II: 59 itt. !JtJiI-'vivere' I: 336 itt. kappilii- I: 135 itt. karpi- I: 136 n. itt. kartimmifa- I: 136 n. itt. kait- I: 143 itt. katkattiia- II: 92 itt. ki- I: 33 e n. itt. kiitanziia- I: 143 itt. kurkuriia- II: 92 itt. mema- (memài-) I: 61 e n.; Il: 93 n. itt. piii- 'dare' Il: 202 n. itt. IeI- I: 214 e n., 356 n. itt. Ieid-, Iisd- I: 347 itt. Iup- I: 356 n. itt. suppi- I: 116, 117 itt. tiie- I: 252 itt. uskiz(z)i I: 113 n. itt. wek- I: 333, 334 n. itt. weI- I: 38 e n. luvio (cun.) saHa(i)- I: 214 e n. licio licio licio licio

kba- II: 95 pibiie- Il: 94, 95 pije- II: 94 l:l~poc;, l:l~pi.c;I: 116

licio B ( = mii.) kikbati II: 95 n. frigio yEyapL-rµtvoc; II: 95 n. frigio YEYPELµEvovII: 95 n. frigio -rE-rLxµtvoc;Il: 95 n. mitannico -

indoario (fine)

Messapico

19

ciEaa. 'passai la notte' I: 336 «MoµaL II: 113 «ì..lvw I: 197 apistafJi II: 99 «À.L-ra.lvw Il: 123 hadive II: 204 n. «Mj>tivwI: 127 oupave II: 204 n. preve II: 204 n. ciµq,La.XVLa. I: 82, 85; II: 123 «µcj>Lx-rlovEc; I : 141 civ6a.vwI: 228 e n., 229 e n., II: 123, 124 ALBANESE *«vwyw II: 268 n. «1t08vnaxw I: 149 dola 'uscii' Il: 70 C166.!;w I: 219 e n. acj,clpe1yÉoµ11L, acj,clp11yll;w I: 52 e n. 'TE9TJÀ.vi;, 'TE811).v~:d. 86.).ì..w "tixµ(xp I: 89 'TMEL (col. ?) I: 51 "tÉpma),'TÉçrnoµ11L I : 171 e n. 'TE()0'11lvw I: 295 n. 'TÉpaoµ11L I: 294, 295 n. 'TE"t11ywv (aor. radd.) Il: 80 'TE"tptyv~ I: 82 'Tl&Jn,u. II: 90 n. 'TO~ II: 163 n. \IMX'TÉWI: 69 uÀ.a.W, vMcrxw, vÀ.a.O'CTW I: 69 e n. 1nt'116w I: 356 cj,cllvw,aor. a.t I: 104 e n., 105 n.; Il: 266 n. 4>6.0"µC1 I : 1O5 n. CFVYW II: 268 cl>¼wI: 107 cl>o).x6i; I: 239, 241 cl>Opw I: 184 cl>vw I: 304 xCllpwI: 231 e n.; Il: 266 n. X«PL preterito) II: 41 n., 91, 109, 153 congiuntivo atemat. II: 39-40, 152153, 172 grado apofonico radic. II: 172 valenza II: 172 congiuntivo in -a- II: 39-40, 152153, 172 grado apofonico radic. II: 172 valenza II: 172 dialetti A e B II: 38 e dialetto di Niya II: 38 n. elementi aoristid II: 40, 153, 194, 201 e perfetto i.e. II: 38-42, 152-153, 183, 184 n. imperativo II: 39-40

Indice degli argomenti

(segue) presente desinenze I sing. (B) -u (-w) Il: 184 n. III du. (B) -lef!t II: 211 n. preterito a suffisso -a-II: 39, 40-41, 153 a suffisso -s- II: 39, 40-41, 153 desinenze II: 41, 42 n., 214, 220,

TOCARIO

227

I sing. *-{w]a II: 184, 193 II sing. *-s-t(a) II: 194 III sing. -(s)i1 II: 201 confronto con anatolico II: 202 n. II du. (problematica) II: 211 I plur. (= pres.) Il: 214 II plur. -s, -s(o) Il: 194, 220 III plur. -r, -r(e) Il: 227, 231232 grado apofonico II: 40-41, 152153

d.

VENETICO

desinenze pret. III sing. -r Il: 69, 201 pret. III plur. -rs II: 69, 201, 224 n., 225-226, 231 e perfetto i.e. Il: 68, 69 posizione linguistica II: 68 preterito (non raddopp.) Il: 69 desinenze: d. supra, s.v. VENETICO - desinenze preverbi a- II: 99 ati- II: 99 n. raddoppiamento Il: 99 morfologico II: 99 utilizzazione nella comparazione i .e. Il: 226 n. e perfetto i.e. I: 364 processiva I: 171, valenza stativa 230-231, 257, 259-260, 312, 315, 321, 324, 364

~

I: 87-122 e perfetto i.e. I: 120-122, 367-368 valenza stativa ~ agenti va I: 87, 120-122

VERBI DI LUMINOSITÀ

VERBI DI POSSESSO

valenza stativa I: 138 VERBI DI RUMORE

VERBI

TRACO-DACIO

I: 45-86

e perfetto i.e. I: 56, 367-368 VERBI DI STATO: (VERBI)

S.V. ACCENTO/TONO

d. s.v.

DI VOLONTÀ

I:

STATIVI

129-130, 220,

257, 271, 333

flessione verbale II: 100 raddoppiamento Il: 100 n.

TRANSITIVITÀ/INTRANSITIVITÀ

Upanifad cronologia I: 165 n.

VERBI DI GODIMENTO

medio (A) Il: 253 n. origine eterogenea II: 40-41, 194 participio Il: 41, 91, 92 n., 110 125, 153 raddoppiamento II: 40-41, 91, 95 n., 115 vocalismo II: 91, 115 raddoppiamento Il: 90-92 caratteristiche formali Il: 91 funzione II: 90 produttività II: 90, 91-92, 125 •tocario comune" Il: 38, 214 trasparenza formale II: 126 n. utilizzabilità nella ricostruzione II: 184 n. verbi in *-e- (*-er?) II: 42 TONO:

59

Il: 163

Ya;urveda tradizione testuale I: 180 n.

159-161,

ABBREVIAZIONI

Nel presente elenco - che comprende le abbreviazioni utilizzate nell'intera parti 1-11-111- non figurano le sigle dei periodici, delle collane e di volumi citati con particolare frequenza: per le sigle che compaiono nella 1 parte di questo Studio, si rinvia alle apposite indicazioni presentate al principio e nei Riferimenti bibliografici (I, pp. 11 e 371), per le sigle relative alla Il parte, si veda quanto segnalato nella sezione finale di quel volume (Il, pp. 277 e 317). opert1-

a. a. t. = alto tedesco antico

ace. = accusativo accad. = accadico agg. = aggettivo ags. = anglosassone alb. = albanese analog. = analogico aor. = aoristo arcad. = arcadico arm. = armeno atemat. = atematico att. = attico attv. = attivo avest. = avestico balt. = baltico bielor. = bielorusso bret. = brètone budd. = buddista capen. = capenate causat. = causativo cimr. = cimrico col. = colonna cong. = congiuntivo conson. = consonante, consonantico coresm. = coresmio (corasmio) com.= comico cret. = cretese cun. = cuneiforme desider. = desiderativo

dial. = dialettale dor. = dorico dravid. = dravidico du. = duale cccl. = ecclesiastico col. = eolico fattit. = fattitivo femm. (f.) = femminile fris. = frisone giith. = gathico gmc. = germanico (comune) got. = gotico gr. = greco i.e. = indoeuropeo (ricostruito) imperat. = imperativo imperf. = imperfetto ind. = indiano indie. (indicat.) = indicativo inf. = infinito ing. (ingiunt.) = ingiuntivo intens. = intensivo intrans. (intransit.) = intransitivo ion. = ionico irl. = irlandese itt. = ittito khontans. = khotansacio (cotanese) lanuv. = lanuvino lat. = latino lett. = lèttone

62

Abbreviazioni

lit. = lituano Iocr. = locrese luv. = luvio manich. = manicheo masch. (m.) = maschile m. a. t. = alto tedesco medievale m. b. t. = basso tedesco medievale med. = medievale, medio mediopass. = mediopassivo . . m1cen. = miceneo mitann. = mitannico mpers. = mediopersiano neerl. = neerlandese neopers. = neopersiano nom. = nominativo nord. = nordico norveg. = norvegese o.= osco oss. = osseto ottat. = ottativo pahl. = pahlavico part. = partico pel. = peligno pers. = persiano pf. (perf.) = perfetto plur. (pi.) = plurale pr. (pruss.) = prussiano pres. = presente pret. (preter.) = preterito

prim. = primario protonord. = protonordico (runico) pt. = participio rad. = radice radd. = raddoppiato radic. = radicale ree. = recente sanscr. = sanscrito sass. = sassone scit. = scitico second. = secondario serbo-cr. = serbo-croato sic.-alb. = siculo-albanese sili. = sillaba, sillabico sing. (sg.) = singolare si. = slavo sogd. = sogdiano sost. = sostantivo sudpic. = sudpiceno suff. = suffisso ted. = tedesco temat. = tematico toc. A = tocario A (agneo) toc. B = tocario B (cuceo) trans. (transit.) = transitivo u. = umbro ved. = vedico vest. = vestino vocal. = vocalico

INDICE GENERALE DELL'OPERA

I LA FUNZIONE ORIGINARIA DEL PERFETIO STUDIATA NELLA DOCUMENTAZIONE DELLE LINGUE STORICHE Premessa

p.

9

Sigle nel testo

»

11

I - Introduzione 1.1. Considerazioni generali 1.2. Metodo e finalità del lavoro 1.3. La scelta dell'area linguistica e la tipologia semantica verbale . 1.4. Fonti e criteri di presentazione

»

13

» »

13

» »

23 28

II - I verbi « proterodinamici » stativi: as-, si-, vas- 'esser vestito'

»

29

III - I verbi di rumore 3.1. Verbi indicanti il 'risonare, aver suono' 3.2. Verbi relativi a espressioni vocali del mondo ferino 3.3. Excursus: i perfetti intensivi nell'indiano e nel greco

» » » »

45 45 57

IV - I verbi di luminosità .

»

87

»

123

antico

»

243

VII - Conclusioni



367

Riferimenti bibliografici

»

371

Indice delle radici verbali indiane



397

V - Gli altri verbi stativi mancanti di un perfetto originario .

15

81

VI - Eccezioni: verbi (apparentemente) stativi con un perfetto

64

Indice generale dell'opera

II LA POSIZIONE DEL PERFETTO ALL'INTERNO DEL SISTEMA VERBALE INDOEUROPEO Presentazione di Walter Belardi

I - Introduzione 1.1. 12. 1.3. 1.4.

Ambito della ricerca Prospettive della ricostruzione Modelli di riferimento Convenzioni adottate nd presente lavoro

II - Utilizzazione delle diverse lingue indoeuropee nella ricerca sul perfetto 2.1. Considerazioni preliminari 2.2. L'indiano antico e il perfetto indoeuropeo 2.3. Il greco antico e il perfetto indoeuropeo . 2.4. Le lingue iraniche e il perfetto indoeuropeo 2.5. Le lingue germaniche e il perfetto indoeuropeo . 2.6. Il latino, le lingue italiche e il perfetto indoeuropeo . 2.7. Le lingue celtiche e il perfetto indoeuropeo 2.7 .1. Le lingue indoeuropee occidentali: tra arcaismo e innovazione 2.8. Il tocario e il perfetto indoeuropeo 2.9. Le lingue anatoliche e il perfetto indoeuropeo 2.9.1. Le lingue anatoliche tra arcaismo e innovazione 2.9.2. Modelli interpretativi dell'indoeuropeo ricostruito 2.9.3. Problemi connessi con l'utilizzazione dell'anatolico nella presente ricerca 2.10. Le lingue baltiche, le lingue slave e il perfetto indoeuropeo 2.11. La lingua armena e il perfetto indoeuropeo . 2.12. Il venetico, il messapico, l'albanese e il perfetto indoeuropeo 2.13. Considerazioni conclusive

p.

11

»

13

» »

13 14 16

» »

16

»

21

» » »

»

21 2.3 24 26 26 29

»

34

»

»

.37 38 42 46

»

.52

»

.56

»

.59

»

67

»

68 70

»

»

» »

»

Indice generale dell'opera

III - Il raddoppiamento nel perfetto indoeuropeo . 3.1. Caratteristiche formali e funzione morfologica del raddoppiamento nel sistema verbale delle lingue indoeuropee antiche 3.2. Funzione e forma originarie del raddoppiamento: i limiti della ricostruzione 32.1. Tipi di raddoppiamento nel sistema verbale indoeuropeo 3.2.2. Il raddoppiamento in funzione lessicale (raddoppiamento intensivo) 3.2.3. Il raddoppiamento in funzione morfologica 3.3. Il raddoppiamento e il perfetto indoeuropeo . 3.3.1. La forma più antica del raddoppiamento nel perfetto 3.3.2. La funzione originaria del raddoppiamento nel perfetto 3.3.3. Il rapporto tra il raddoppiamento in funzione morfologica e il raddoppiamento in funzione lessicale (intensivo) 3.3.4. Carattere facoltativo oppure obbligatorio del raddoppiamento nella costituzione dei temi di perfetto 3.4. Il caso di véda, ot6a., etc.: una "imbarazzante" eccezione?

IV - Il vocalismo radicale nel perfetto indoeuropeo . 4.1. Caratteristiche apofoniche della radice nella flessione del perfetto nelle lingue storiche . 4.1.1. La documentazione del perfetto nell'indo-iranico e nel greco antico . 4.1.2. Le alternanze - anche quantitative - nei preteriti (e nei preterito-presenti) delle lingue indoeuropee "occidentali" 4.1.3. La testimonianza delle altre lingue indoeuropee . 4.2. Distribuzione del grado *-o-radicale in altri temi flessionali 4.2.1. Formazioni radicali a vocalismo *-6- . 422. Formazioni non radicali a vocalismo *-64.3. Distribuzione del grado *-0- in altri temi flessionali . 4.4. Alternanze tra *-6- e *-0- radicale al di là del perfetto indoeuropeo 4..5. La funzione originaria dell'apofonia nel perfetto indoeuropeo

p.

73



73



100



100

• • •

103 106 112



113



116



119

• •

121 127



133



133



134

• •

139

• • • •

1.56 1.58 160 173



174



17.5

1.52

66

Indice generale dell'opera

p.

179

»

»

179 180 190 199 206 207 208 210 212 217 222 232 235

»

244

»

248

»

251

» »

251 252

»

259

»

262

»

262

»

265

»

268

»

273

Bibliografia . Atti di Colloqui, Congressi, Convegni Opere collettanee Festschriften

» » »

277 307 311 313

Abbreviazioni

»

317

V - Le desinenze nel perfetto indoeuropeo

5.1. Le desinenze del perfetto attivo 5.1.1. La I persona singolare . 5.1.2. La II persona singolare . 5.1.3. La III persona singolare ~.1.4. Il duale e il plurale 5.1.4.1. I persona duale 5.1.4.2. II persona duale 5.1.4.3. III persona duale 5.1.4.4. I persona plurale 5.1.45. II persona plurale 5.1.4.6. III persona plurale 52. Le desinenze del perfetto medio . 5.3. Perfetto e medio . 5.4. Lo stativo: una categoria flessionale? 5 5. La funzione originaria delle desinenze nel perfetto indoeuropeo

VI - Il sistema verbale ricostruito: la posizione del perfetto 6.1. 62. 6.3. 6.4.

Considerazioni preliminari Lo stato della questione . Le indicazioni fomite dai morfemi costitutivi del perfetto Formazioni a valenza analoga al perfetto 6.4.1. I verbi "stativi" in *-é- . 6.4.2. L'"aoristo passivo" greco 65. Caratteristiche assenti nella flessione del perfetto 6.6. Conclusioni

» »

» » » » »

» » »

»

»

Indice generale dell'opera

67

III INDICI

I - Avvertenza

p.

7

II - Indice dei vocaboli

»

9

III - Indice dei brani vedici e sanscriti discussi nella I parte dello Studio

»

29

IV - Indice degli argomenti

»

31

»

61

V - Abbreviazioni

Finito di stampare il 25 novembre 1996 con i tipi della Tipografia Don Guanella s.rl. Via Bernardino Telesio, 4/b • 00195 Roma