Storia e archeologia del commercio nell'Oriente antico 8843045016, 9788843045013

Prefazione di Paolo Matthiae. Dai villaggi neolitici alle prime città della Mesopotamia, dagli imperi d'Assiria e B

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Italian Pages 213/212 [212] Year 2018

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Storia e archeologia del commercio nell'Oriente antico
 8843045016, 9788843045013

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STUDI SUPERIORI

/ 5 59

ARCHEOLOG lA

Ai miei genitori

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229

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Luca Peyronel

Storia e archeologia del commercio nell'Oriente antico Prefazione di Paolo Matthiae

Carocci editore

1a ristampa, maggio 2018 1a edizione, maggio 2oo8 ©copyright 2008 by Carocci editore S .p.A., Roma Realizzazione editoriale: Fregi e Majuscole, Torino

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. r7r della legge 22 ap rile r94r, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Prefazione di Pao lo Matth iae

II

I.

Teoria e pratica dell'archeologia del commercio

13

I. I.

15

!.3.

Archeologia e commercio : un legame sostanziale Livelli di scambio e modelli interpretativi Studiare il commercio antico : la pratica contro la teoria?

21

2.

Le forme dello scambio nel Vicino Oriente antico

23

2.!.

All 'origine dei commerci su lunga distanza. L'Oriente antico e le risorse primarie TI sistema degli scambi e l'economia del Vicino Oriente tra modelli interpretativi e realtà documentaria

!.2.

2.2.



Palazzi e cimiteri reali. La circolazione del lapislazzuli

3·!.

Oro , argento e pietre preziose . Lo sfarzo dei corredi funebri nella U r dei Caldei Le miniere di Badakhshan e la lavorazione del lapislazzuli nell'Iran orientale Le tesorerie del Palazzo Reale di Ebla

3.2. 3·3·



I vasi intagliati in clorite e la scoperta della civiltà di Jiroft

4·!.

Dalla Mesopotamia verso Oriente. Viaggio alla ricerca

7

13

23 31

41

41 52 59

67

STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

dell'origine di una produzione artistica del III millennio a.C. Le scoperte di Tepe Yahya e lo stile interculturale La " rivoluzione" di Jiroft

67 76 79



Lungo le coste del Mare inferiore. I mercanti di Dilmun e il rame di Magan

91

5·1 .

Alla ricerca del Paese di Dilmun : navi, mercanti e rame nei testi cuneiformi di Mesopotamia Attraverso il "Mare inferiore " : breve storia delle interazioni commerciali nel Golfo L'originalità di Dilmun fra traffici commerciali e specificità culturali

4 .2. 4·3·

5.2. 5·3 ·

6.

6.1. 6.2. 6.3 . 6.4.

Assiri di Cappadocia . Le vie carovaniere in Anatolia e Mesopotamia La scoperta del commercio assiro in Cappadocia Archeologia a Kiiltepe: gli scavi del quartiere dei commercianti assiri Metalli e tessuti. n circuito degli scambi tra Anatolia e Alta Mesopotamia I commercianti di Kanesh , imprenditori privati in un mercato senza moneta?

91 96 99

II3 II3 II 5

1 24 130



Scambi, tributi e doni tra " grandi re " e " piccoli re " nel Bronzo Tardo

7· 1.

Lo scacchiere geo-politico nel Vicino Oriente durante il Bronzo T ardo Commerci e ideologia degli scambi Alcuni riflessi archeologici: coppe, avori e ceramica micenea

147

Relitti e lingotti. n commercio marittimo nel Mediterraneo

159

n rame di Alashiya e i lingotti " a pelle di bue " I relitti di Capo Gelidonya e Uluburun in Turchia

159 174

7.2. 7·3·

8.

8.1. 8 . 2.

8

135

135 139

I N DICE



Epilogo Il commercio interregionale dell 'Età del Bronz o in prospettiva storica Dai mercanti fenici alle carovaniere dell'Arabia: nuovi orizzonti nell'età dei grandi imperi del I millennio a.C.

Bibliografia

201

9

Prefazione

L'archeologia come scienza del passato è una disciplina che, dopo lunghi decenni di stagnazione, ha iniziato, negli anni sessanta del Novecento, a riflettere su se stessa, a considerarsi criticamente per cercare di capire da dove veniva, in che modo e verso che cosa procedeva. L a denuncia dell'inadeguatezza delle procedure tradizionali che intendevano, essen­ zialmente se non unicamente, classificare e datare si associò a una sorta di manifesto programmatico di un'archeologia che intendeva superare tale inadeguatezza, ponendosi come fine di interpretare e di capire. La preci­ sazione e l'identificazione, per ogni testimonianza materiale del passato, delle coordinate dello spazio e del tempo - quando e dove un singolo manufatto, una classe di materiali, una serie di opere erano stati realizzati - non apparivano più sufficienti a soddisfare la domanda, appassionante e appassionata, dei nuovi ricercatori su chi realmente fossero coloro che quei manufatti, quei materiali, quelle opere avevano realmente prodotto. Non era, dunque, più sufficiente classificare e datare, bensì era neces­ sario interpretare e capire. Capire chi fossero gli autori di quei manufatti, in che tipo di società e in quale economia fossero vissuti, ma anche in quali valori e in quali ideologie avessero creduto . Lo studio di manufatti, mate­ riali e opere non poteva più essere un fine ultimo , bensì il mezzo per una ricostruzione storica a tutto tondo, di uomini che dovevano risultare di carne, sangue , valori e idee, pien amente inseriti nella storia, non più soltanto pallide ombre, incorporee e indistinte, di fatto fuori della storia. È stato detto icasticamente che non ci si poteva più accontentare di rispondere alle domande " dove? " e " quando? " , ma ci si doveva porre domande nuove: " come? " e " perché? " . Non è semplice rispondere alle domande " dove? " e " quando? " , ma, qualora si siano accumulate eviden­ ze comparative adeguate , la risposta emerge ed è, si può dire , di tipo puntuale, mentre, rispondere alle domande " come? " e " perché? " è ogget­ tivamente molto più complesso , dal momento che la prospettiva di chi cerca la risposta deve dilatarsi oltre i limiti ristretti della disciplina e trava­ licare in ambiti disciplinari anche distanti, insoliti e non familiari.

II

STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

Per il secondo tipo di domande, se ci si attiene alla metodologia stret­ tamente archeologica, le risposte restano opache, scontate, generiche; in una parola, di norma, assai insoddisfacenti . Se, invece, si contamina la metodologia propriamente archeologica con le problematiche via via offerte dalla storia dell'economia, dallo studio della società, dall'etnologia, dalla linguistica, dalla storia delle religioni, dalla storia dell'arte, le risposte che si possono formulare divengono vivide, contrastate, non ovvie, speci­ fiche, ossia, in genere, piuttosto soddisfacenti. È, tra l'altro, per questo, ma non soltanto per questo, che in quegli anni fecondi della moderna archeo­ logia si parlò con entusiasmo, a proposito della fase più recente della storia dell'archeologia, di "perdita dell'innocenza" della disciplina. La contaminazione metodologica appariva, ed era nella più profonda realtà, un modo fondamentale di revitalizzare una disciplina che in quel tempo sembrava agonizzante. È da quegli anni che l'archeologia, percor­ rendo itinerari spesso tortuosi e talora viziosi, ha cercato sempre più di studiare classi di materiali senza arrestarsi a individuare soltanto dove e quando erano stati prodotti, per andare oltre la semplice fisicità di quei manufatti, per interpretare e capire di quali significati erano portatori e in quali dinamiche, soprattutto economiche e sociali, essi si collocavano . Questo modo nuovo di guardare ai manufatti della cultura materiale ha prodotto, nella più recente ricerca archeologica , un ' amplissima gamma di indagini che sono state ispirate da una prospettiva assai fruttuo­ sa di sostanziale, e non nominalistica , interdisciplinarità. L 'archeologia dello scambio e del commercio è un settore privilegia­ to di studio, nel quale la contaminazione disciplinare delle metodologie è essenziale perché i manufatti dell'evidenza archeologica, combinati con i dati testuali, possano produrre proposte interpretative efficaci e radica te nelle specificità delle situazioni storiche. I capitoli nelle pagine che seguono illustrano, in maniera esemplare, casi assai diversi di commerci prevalentemente dell'età del Bronzo dell 'Oriente antico , dai quali risultano con grande evidenza la varietà degli scenari, la particolarità delle dinamiche, la specificità degli interes­ si, la pluralità dei rapporti, la differenza delle prospettive dei protagoni­ sti degli scambi nelle varie aree e nelle varie epoche . La vigile attenzione alle evidenze archeologiche particolari, la diretta esperienza dei materia­ li oggetto degli scambi, la buona conoscenza delle fonti scritte da parte dell'autore sono garanzia del superamento di ogni genericità e generaliz­ zazione . I casi studiati costituiscono un contributo importante per una futura storia dei commerci nell'Oriente antico anteriore all'età ellenistica. PAOLO MATTHIAE

12

I

Teoria e pratica dell'archeologia del commercio

I. I

Archeologia e commercio: un legame sostanziale n commercio è uno degli aspetti delle società antiche che meglio si presta a essere investigato attraverso la ricerca archeologica. n motivo è innan­ zitutto di ordine pratico: i materiali e gli oggetti che si rinvengono negli scavi possono essere classificati in base alle provenienze e alla distribu­ zione territoriale; in alcuni casi le materie prime consentono una precisa caratterizzazione, che associa le fonti di approvvigionamento ai manufat­ ti, in altri i luoghi di origine sono così circoscritti da facilitare la ricostru­ zione delle rotte di scambio interregionale, oppure è l' abbinamento tra materiale e lavorazione a offrire spunti utili per l'indagine sulla diffusio­ ne, coinvolgendo aspetti iconografici e tipologici. Esiste però anche una ragione di natura teoretica per spiegare la fortuna delle ricerche sui siste­ mi di scambio in archeologia: l ' an alisi di un fenomeno commerciale consente di lavorare su piani diversi ma interrelati di una società antica, da quelli più fortemente connotati dall'aspetto materiale (sussistenza, tecnologia, economia) a quelli di ordine sociale e ideologico . In questo capitolo introduttivo presenteremo brevemente alcuni passaggi di or di­ ne pratico e metodologico indispensabili per lo studio del commercio . Un a prima questione da affront are è di ordine epistemologico e serve a circoscrivere il campo di ricerca, operazione niente affatto bana­ le. Che cos'è il commercio? O meglio, esiste una definizione univoca del commercio? Sul piano storico e antropologico commercio è sinonimo di " scambio " , in quanto movimento di beni tra referenti diversi . Questo scambio , per avvenire, necessita di due elementi: l'oggetto, i beni, appun­ to, e il soggetto, le persone che compiono materialmente l'azione. Possia­ mo così focalizzare le due facce complementari dello scambio , il movi­ mento di beni e l'interazione umana. Se mettiamo in rapporto questi due elementi rispetto a una specifica unità socioculturale, definita nel tempo e nello spazio , otterremo la distinzione fondamentale tra " scambio inter-

13

STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

no" e "scambio esterno " . Nel primo caso l'azione dei referenti e il movi­ mento dei beni si svolgono entro i limiti circoscritti dall'ambito di aggre­ gazione preso in esame, sia questo rappresentato da una comunità di villaggio , da un regno territoriale o da un impero sovraregionale , nel secondo vi sarà invece una qualche circolazione di prodotti , materie prime o manufatti dall'interno verso l'esterno e/o viceversa, connotando un bene come " importazione " o " esportazione " . Argomento principale d i questo libro sono l e forme di scambio tra culture differenti nell 'Oriente antico , e pertanto sarà preso in esame soprattutto l'ambito " esterno" del commercio, spesso individuato dal movimento su lunga distanz a delle merci. Intendendo con scambio il rapporto mutuale tra referenti che permette il passaggio di beni nello spazio, vengono esclusi dal sistema l'appropriazione tramite coercizio­ ne (bottino militare, tributo) e , in linea teorica, anche il procacciamen­ to diretto di materie prime senza interlocutori . Casi più difficili da inquadrare sono invece quelli in cui il contatto pacifico tra referenti diversi esiste , m a la direzionalità del flusso dei beni è univoca e non bilaterale. n commercio rientra nella sfera generale del rapporto uomo-natura, connotato dalla trasformazione attraverso l'intervento umano delle risor­ se naturali, sia quelle destinate alla sussistenza, sia quelle impiegate per realizzare prodotti secondari, non di uso alimentare. Questa trasforma­ zione è un processo che può essere schematizzato in una serie di momen­ ti distinti, legati alle fasi di approvvigionamento, produzione, circolazio­ ne e consumo. L ' analisi dello scambio , essendo questo un a forma essenziale di movimento nello spazio di materie prime, sia trasformate sia ancora non lavorate, si dovrà pertanto occupare di ricostruire il pattern distributivo e spaziale delle risorse (nei loro diversi contesti) e descrivere il meccani­ smo che ne spieghi la distribuzione. Non v'è dubbio però sul fatto che il commercio sia un aspetto dell'economia, che a sua volta è parte della struttura complessa della società umana. n fatto che il movimento dei beni sia determinato dall'interazione umana impone insomma un' atten­ ta valutazione delle caratteristiche economiche, sociali e culturali degli individui e dei gruppi coinvolti negli scambi, se si vogliono davvero cogliere le motivazioni , il significato e le conseguenze delle relazioni commerciali in una determinata cultura ( definita su base geografica, sociale e temporale) . Per far ciò abbiamo a disposizione innanzi tutto le evidenze 1nateriali desumibili attraverso il record archeologico , cui si affiancano le informazioni epigrafiche, laddove siano presenti documen­ ti scritti. La raccolta dei dati significativi è dunque legata della decodifi­ cazione degli elementi utili alla ricerca che ci si è prefissati .

14

I.

TE O RIA E PRATICA D E L L'ARCH E O LOGIA D E L COMMERCI O

Un sistema di scambio , e in particolar modo il commercio su lunga distanza, risulta scomponibile in cinque settori d'indagine interrelati: a) il settore relativo ai re/erenti, ovvero i soggetti generali o specifici coinvolti negli scambi; b) il settore degli agenti, che compiono materialmente le operazioni connesse al movimento dei beni, in relazione ai soggetti, ma che possono anche essere diversi da essi in quanto semplici intermediari; c) il settore dei beni oggetto dello scambio, che implica vari tipi di suddivisioni tra materie prime non lavorate, oggetti finiti, beni di sussi­ stenza ecc . ; d) i l settore degli strumenti operativi dello scambio, dai sistemi d i garan­ zia (come le sigillature) a quelli di computo delle quantità (pesi e bilance) ai sistemi di equivalenza o di pagamento (moneta, merci-valore ecc . ) ; e) il settore dei trasporti, che include i mezzi di trasporto ma anche i percorsi e le rotte seguite dai beni commerciati . L'indagine deve procedere organizzando gli elementi a disposizione per l'ambito storico-culturale che si vuole indagare in modo funzionale al riconoscimento delle dinamiche commerciali. Partendo dagli oggetti/beni rinvenuti in un determinato contesto primario , bisogna innanzitutto chie­ dersi come e perché essi siano arrivati in quel contesto , quale sia il loro impiego e se possano essere correlati alla sfera degli scambi interni o ester­ ni. In altre parole, bisogna individuare le relazioni significative tra i setto­ ri sopra elencati ricostruendo le azioni poste in essere per il movimento dei beni, cercando di stabilire in che misura esso venga determinato dallo scambio e attraverso che parametri di intensità e frequenza. 1.2

Livelli di scambio e modelli interpretativi

Per rispondere a queste doman de gli archeologi hanno proposto dei modelli generali di funzionamento del commercio nelle società preindu­ striali, che si collegano a più ampie valutazioni teoretiche della cultura e dell'economia, intrecciandosi all'antropologia e agli studi storici . Una loro descrizione esaustiva comporterebbe quindi continui rimandi alla storia del pensiero archeologico e al rapporto della disciplina con le altre scienze umane. N eli' operare un 'inevitabile scelta si è ritenuto opportu­ no fornire una rapida descrizione almeno di quelle teorie, sviluppate nell' ambito dell 'antropologia economica , che hanno più influenzato l'approccio degli studiosi dell'economia e del commercio antico.

Modello marxista Le osservazioni di Marx sulle economie antiche sono secondarie e funzionali alla sua interpretazione del capitalismo, basando-

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STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

si sul paradigma del conflitto endemico tra proprietari dei mezzi di produzione e lavoratori senza proprietà di tali mezzi, ovvero sul concet­ to di conflitto di classe. A partire da questa impostazione storico-filoso­ fica, Marx elabora uno schema evoluzionistico lineare, per cui l'uomo sarebbe passato da una condizione originaria di comunismo primitivo fino al capitalismo industriale, attraverso gli stadi successivi della società schiavistica, feudale, e capitalistica preindustriale. L 'Oriente è collocato nel sistema, ricorrendo all'elaborazione del " modo di produzione asiati­ co " . Le caratteristiche della forma asiatica sarebbero la proprietà comu­ nitaria della terra riferibile ai villaggi, la proprietà " superiore " e unica di tutta la terra da parte del " despota " orientale, l' autosufficienza interna della comunità di villaggio , il diritto del despota di riscuotere corvée e t ributi , il continuum citt à-villaggi . Sebbene la visione marxiana dell'Oriente sia basata soprattutto sulle società indiana e cinese arcaiche, vedremo meglio nel prossimo capitolo come essa abbia ancor oggi una sua utilità per lo studio dell'economia del Vicino Oriente p redassico . Qui ci interessa piuttosto evidenziare l'importanza che hanno assunto anche nell' analisi del commercio alcuni strumenti interpretati vi della teoria marxista, come la schemati ca ma fondamentale suddivisione della " struttura " economica in forze e rapporti di produzione, il concetto di proprietà dei mezzi di produzione e di divisione del lavoro, la ricaduta dei modi della produzione nelle relazioni sociali, e più in generale l 'im­ piego delle sovrastrutture in termini di rappresentazione del sistema economico. Nell'ambito degli studi antropologici e archeologici sulle società primitive la corrente neomarxista ha offerto spunti interessanti proprio nella definizione dei modelli di società a partire dagli elementi strutturali, tenendo quindi conto del carattere dinamico delle comunità umane , dovuto ai conflitti e alle contraddizioni presenti in rapporto ai mezzi di produzione e ai processi di trasformazione sociale che ne d eri­ vano , in modo da superare l' aspetto descrittivo delle meccaniche di funzionamento economico-sociali.

Modello sostantivista Il sostantivismo è la corrente di antropologia economica che più riguarda l'analisi del commercio , dal momento che si è occupata a fondo degli aspetti legati a distribuzione, trasferimento e appropriazione dei beni. Il principio generale che guida la teoria è la presenza di significati " sostanziali " dell'economia, intesa come il proces­ so attraverso cui l'uomo ottiene i mezzi dalla natura per soddisfare i propri bisogni. Tali significati sono presenti ed essenziali in tutte le socie­ tà umane, ma la loro organizz azione, valore , significato in termini sia qualitativi che quantitativi variano molto da caso a caso . Pertanto, gli strumenti di indagine messi a punto per l'economia moderna non posso-

16

I.

TE O RIA E PRATICA D E L L'ARCH E O LOGIA D E L COMMERCI O

no essere applicati a quelle antiche. Da questo presupposto si muove il teorico principale del modello sostantivista , Karl Polanyi, ma prima di lui già Karl Bi.icher e Max Weber avevano posto in evidenza la proble­ matica dell'inadeguatezza degli strumenti economici moderni nello studio dell'antichità. L 'economia non può dunque essere studiata come una categoria astratta, ma solo come parte integrante di contesti storico­ culturali specifici . Polanyi definisce come principi ordinatori delle strut­ ture economiche tre configurazioni o modelli "transattivi " , così chiama­ ti in quanto definiscono operazioni attive a più livelli economici, differenti settori (interno e esterno, di sussistenza e di prestigio) e linee di produzione: a) la reciprocità, ovvero lo scambio vincolato da un rapporto socialmen­ te definito tra le parti secondo uno schema paritetico. TI meccanismo reci­ procativo è caratterizzato dalla simmetria e prende sovente la forma dello scambio di doni, legandosi ideologicamente ai codici della fratellanza e dell'amicizia in contesti cerimoniali. Una chiara descrizione del funziona­ mento di questo modello (in base ai beni, alle società, alla distanza ecc.) nelle società primitive è stata realizzata da Marshall Sahlins; b) la redistribu zione, ovvero lo scambio vincolato da un rapporto sbilanciato tra le p arti con un ' autorità centrale che vincola a sé dei soggetti a essa subordinati in uno schema non paritetico . Il modello è applicabile al settore economico di un qualunque sistema centralizzato e in generale consiste nell 'accentramento di beni, risorse , lavoro da parte dell'entità politica istituzionale che lo usa per servizi alla comunità e per il mantenimento stesso del suo potere . Nel campo archeologico tale modello risulta particolarmente adatto a descrivere il funzionamento economico dell'accumulo di surplus di beni alimentari nella formazione delle prime città e dello stato arcaico ; c) lo scambio, ovvero lo scambio in cui le parti interagiscono in uno schema impersonale regolato dal sistema di mercato, inteso come istitu­ zione basata sulla possibilità di comparare qualunque tipo di bene e di prestazione lavorativa in termini di prezzi espressi da unità monetarie e determinati dalla dinamica della domanda e dell'offerta. I modelli di integrazione polanyiani sono strettamente legati al concetto di " incastonamento " o " incorporazione " del fattore economi­ co entro il contesto sociale, politico, ideologico. L'economia, in quanto legata al soddisfacimento dei bisogni umani, non potrà mai essere scissa dagli altri aspetti della società, che contribuiscono a determinare il cara t­ tere dei bisogni stessi . N ella proposta sostantivista i livelli transattivi sono ritenuti categorie nelle quali il grado di incastonamento del fattore economico diminuisce progressivamente dalla reciprocità al mercato. In quest 'ultimo il sistema economico non sarebbe più condizionato dal

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STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

contesto socioculturale e funzionerebbe in maniera indipendente secon­ do i principi del profitto e i meccanismi della domanda e dell'offerta. n valore dell'approccio polanyiano non è però tanto nella sequenza " evolu­ tiva " dell'incastonamento, quanto nell' aver stabilito che nelle società antiche l'economia e lo scambio operano spesso attraverso il loro legame con aspetti extraeconomici e il loro funzion amento risp onde a tale combinazione dinamica. Altro grande merito del modello sostantivista è l'aver evidenziato la possibilità di un 'azione sin cronica dei livelli di inte­ grazione nel medesimo contesto sociale . Nell'analizzare lo scambio su lunga distanza Polanyi ne definisce il significato economico sostanziale come «acquisizione pacifica di beni a distanza attraverso altri beni scam­ biati in una varietà di forme» . Nelle società arcaiche esso assume tratti particolari, derivati soprattutto dai rischi e dalle difficoltà delle spedizio­ ni, che impongono il movimento di beni di alto valore (inteso in senso globale) piuttosto che di materiali comuni o alimentari. È dunque il desi­ derio di ottenere specifici beni/oggetti e non la necessità economica di esportazione a motivare il commercio arcaico . In rapporto ai modelli transattivi e al principio della bidirezionalità vengono definite tre tipolo­ gie di commercio esterno: lo scambio cerimoniale di doni (reciprocità), lo scambio amministrato o " regolamentato " ( redistribuzione) e il commercio mercantile (mercato) . Prendendo in considerazione le forme di acquisizione di beni da parte di una autorità centrale, Polanyi distin­ gue sei differenti sistemi: tre di questi ( razzia e bottino , tributo da un regno satellite, tasse da regioni sotto il controllo del regno) sono forme coercitive non definibili come scambio bidirezionale, mentre le altre, lo scambio di doni, il commercio esterno (controllato o non controllato) e il commercio amministrato dall 'autorità, mostrano l'intersezione di aspetti reciprocativi e redistributivi . N el commercio amministrato entrambi i referenti sono interessati alle importazioni, che avvengono tramite cana­ li controllati dalle istituzioni e determinano la formazione di enclavi commerciali chiamate ports o/ trade, nelle quali sono garantite le funzio­ ni di sicurezza, protezione civile per gli stranieri, presenza di luoghi di stoccaggio e rifornimento , accordi giuridici sui beni commerciati .

Modello neo /iberista o formalista La corrente economica neoliberista, definita " formalista " in contrapposizione all'indirizzo sostantivista, ritie­ ne i termini concettuali di riferimento dell'economia di mercato come universali e adatti per analizzare anche le società antiche. Di conseguen­ za l'enfasi ricade sui principi della domanda e dell'offerta e tutte le socie­ tà sarebbero regolate, in modo certo differente tra loro , da principi economici " puri " , che rappresentano pertanto anche le ragioni sostan­ ziali dei meccanismi di scambio . In tal modo , un sistema economico si

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I.

TE O RIA E PRATICA D E L L'ARCH E O LOGIA D E L COMMERCI O

reggerebbe sul principio della " massimizzazione " , secondo il quale la scelta di destinare i mezzi a determinati fini risponde sempre alla razio­ nalità economica, indipendentemente dai diversi contesti socioculturali. L' affermazione del formalismo economico si collega in archeologia alla teoria del sistema -mondo, in origine creata per descrivere la nascita dell'economia moderna, come modello globale di interpretazione stori­ ca. N el rifiutare l'assunto polanyiano di una traiettoria evolutiva lineare dei sistemi di scambio , dalla reciprocità al capitalismo, passando attra­ verso la redistribuzione e il mercato arcaico , il sistema-mondo è stato usato per descrivere delle reti di mercato interregionali presenti in diver­ se situazioni del mondo antico, e in particolare nel Vicino Oriente, che funzionavano attraverso processi economici generati dallo sviluppo di aree di forte " offerta" di prodotti e beni specifici contrapposte ad aree di altrettanto forte " domanda " (cfr. CAP. 4) . Questi modelli sono stati variamente utilizzati da storici e archeolo­ gi per l'analisi delle forme economiche nel mondo antico e per la defini­ zione degli aspetti legati allo scambio dei beni, sia in adesione piena ai principi di originaria formulazione , sia modificandoli attraverso forme ibride che tentavano di coniugare gli strumenti analitici reputati più utili. Sul piano teorico il significato dell'economia antica in ognuno dei tre modelli appare inconciliabile: nell'approccio marxista le norme sociali e le istituzioni derivano dai rapporti economici e dal controllo sui mezzi di produzione, in quello formalista sono il risultato delle strategie indivi­ duali di massimizzazione e nel sostantivismo la base dei processi econo­ mici stessi. Tuttavia, se si sposta l'attenzione al livello pratico della docu­ mentazione gli strumenti critici elaborati a partire dalle differenti concezioni possono essere impiegati utilmente privandoli del loro valore di norma assoluta del sistema socioeconomico . Una seria riflessione in ambito archeologico sul valore e il significato del commercio prende l'avvio alla metà degli anni settanta, portando al superamento dell'impostazione tradizionale, di matrice storico-cultura­ le, che ragionava essenzialmente in termini " diffusionisti " . Gli strumen­ ti dell 'antropologia economica e i modelli da essi derivati sono stati applicati alle evidenze archeologiche, registrando i maggiori progressi nel campo degli studi sulle culture preistoriche e protostoriche. L' ap­ proccio volto a ricostruire schemi e modalità delle forme di scambio nelle società primitive si è concentrato soprattutto nella ricerca di una metodologia di indagine degli indicatori del contatto e della loro distri­ buzione sul territorio in rapporto ai modelli di strutturazione insedia­ mentale . La classificazione più appropriata risulta quella di Colin Renfrew, non tanto per lo schema in sé, che non esaurisce tutte le possi­ bili variazioni della fenomenologia del contatto e che risente dell'influs-

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STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

so degli studi neoevoluzionisti sullo sviluppo culturale, ma per l'applica­ zione dei modelli transattivi polanyiani (cfr. supra) all'analisi insediamen­ tale. Attraverso il doppio approccio sulle forme dello scambio e i modi di organizzazione territoriale si tenta di spiegare la distribuzione spazia­ le del bene commerciato. Tuttavia, nelle varie configurazioni dello scam­ bio tende a prevalere il carattere sedentario dei referenti, mentre è anche opportuno tenere in debito conto il ruolo svolto da gruppi a forte mobi­ lità, siano essi nomadi, pastori transumanti o gruppi di specialisti, che possono agire in maniera indipendente o intersecata con i modelli commerciali proposti. Dati due o più referenti con possibilità di flussi uni- o bidirezionali dei beni, la fenomenologia del contatto assume caratteri di tipo diretto (direct contact trade) secondo un modello di scambio ineguale oppure reciprocativo, di tipo down-the-line, con una somma di scambi multipli che conducono a una progressiva diminuzione del bene che parte dal referente iniziale in funzione proporzionale alla distanza e al numero dei passaggi , oppure di tipo indiretto (indirect contact trade) con i beni provenienti da due referenti che vengono assunti da un terzo che funge da "luogo centrale " secondo un modello redistributivo. Quest 'ultima è la forma comune di scambio interno nelle società complesse, dove le città maggiori funzionano come luoghi di accentramento delle risorse e di redistribuzione di servizi. Nei luoghi-centrali e nei luoghi " di mercato " lo scambio diretto o indiretto , amministrato o "libero " , diviene più effi­ ciente e meno legato agli aspetti cerimoniali o ideologici prop ri del modello reciprocativo . In realtà abbiamo già detto che in un sistema commerciale possono essere attivi più modelli contemporaneamente; inoltre, come vedremo meglio attraverso l' analisi di casi concreti vicino- orientali , gli aspetti ideologici del livello recip rocativo e redistributivo possono essere presenti simultaneamente nella presentazione di un medesimo commer­ cio . Ma a Renfrew interessa di più verificare se esista una corrisponden za tra distribuzione materiale e spaziale degli indicatori e tipologia dello scambio , ovvero se un determinato modo di commerciare un bene deter­ mini un peculiare schema di dispersione di esso nel territorio, discerni­ bile pertanto attraverso il record archeologico, mediante adeguati stru­ menti analitici. Renfrew elabora in tal senso una serie di diagrammi-tipo tenendo conto delle variabili della quantità del bene commerciato e della distanza dello scambio, ognuno dei quali rifletterebbe il comportamento spaziale dei beni in un determinato modello di scambio . Così la recipro­ cità, la sua moltiplicazione del commercio down-the-line e lo scambio " di prestigio " determinano una curva che decresce progressivamente con l'aumentare della distanza, il commercio direzionale e la redistribuzione

20

I.

TE O RIA E PRATICA D E L L'ARCH E O LOGIA D E L COMMERCI O

hanno dei picchi in corrispondenza dei luoghi -centrali non dipendenti dalla distanza e il commercio free-lance o quello tramite intermediari sono definiti dalla caduta verticale al di fuori dell ' aera di azione dei mercanti. Sebbene a livello teorico la proposta di Renfrew abbia un effet­ tivo valore, il p roblema sta tutto nella sua applicazione pratica. Dal momento che la raccolta dei dati non sarà mai completa, il rischio è quel­ lo di ottenere dei diagrammi falsati per lo sbilanciamento stesso dei materiali scoperti, costringendo quindi a un continuo aggiornamento e verifica del risultato mano a mano che si ottengono nuovi dati . Inoltre, la possibile coesistenza delle forme di scambio determina un'oggettiva difficoltà nell 'assegnare le evidenze archeologiche a un modello o a un altro , ma il coraggio della scelta è d 'altronde un compito irrinunciabile dell'archeologia in quanto scienza umana, mai esatta e assoluta. 1 .3 Studiare il commercio antico: la pratica contro la teoria?

Nel settore dell'analisi archeologica del commercio, come riflesso delle tendenze meto dologiche che coniugano paradigmi teorici in origine reputati inconciliabili e dell 'estrema difficoltà ad avere un quadro completo e oggettivo di un fenomeno attraverso la documentazione materiale, vi è oggi la tendenza a lasciare da parte modelli e visioni gene­ rali a vantaggio di una più diretta considerazione del record archeologi­ co, in un ritorno consapevole ai punti di vista. Ciò permette di utilizzare in modo più disinvolto e interfluente gli strumenti critici offerti dai modelli euristici per tentare di rappresentare e spiegare le situazioni particolari, senza sentire l'obbligo " scientifico " dell'elaborazione di un sistema o di una teoria che organizzi l'evidenza specifica in una struttura generale . In tal senso, i dati raccolti in relazione a un segmento commer­ ciale, organizzati e classificati tenendo presenti le categorie individuate nel paragrafo p recedente, possono essere considerati e interp retati ponendosi obiettivi di diverso grado di complessità: al livello minimo, descrittivo , si riconduce l' analisi spaziale e distributiva delle materie prime; a un gradino superiore possiamo collocare l'elaborazione di una griglia di indicatori archeologici significativi che diano importanza al rilevamento sia della frequenza dello scambio che della quantità dei beni. Contemporaneamente , si potranno prendere in esame tutti gli aspetti operativi dello scambio , che coinvolgono il settore degli agenti, degli strumenti e dei mezzi di trasporto, vedendo in quale forma influenzino la distribuzione. A questo punto sarà necessario il corretto inquadramen­ to del segmento commerciale nell'ambito storico e socioculturale di rife­ rimento, cercando di ricostruire le motivazioni che muovono referenti,

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piuttosto che un vero e proprio modello processuale . La comparazione dei modi dello scambio/commercio in rapporto ai soggetti allargati e ai referenti particolari permette così di indagare taluni aspetti extraecono­ mici dell'organizzazione delle società, dal momento che lo scambio viene a determinare oltre che interrelazioni economiche anche interazioni sociali e culturali. Da queste non scaturiscono necessariamente trasfor­ mazioni e cambiamenti, anche se è indubbio che il commercio è un processo che genera differenziazione o integrazione socioculturale, con implicazioni molto ramificate nella struttura della comunità presa in esame. Quel che è invece importante è tenere conto dell'associazione tra bene oggetto di scambio e informazione a questo connessa, e del fatto che alcuni modi di contatto commerciale sono più attivi di altri nel consenti­ re il flusso di informazioni. Sia in un 'analisi globale di un sistema commerciale sia nella ricostru­ zione di segmenti circoscritti meglio documentabili, appare comunque necessario un approccio multiplo che tenda a definire l'impatto proces­ suale e strutturale della " diffusione " (scambio/commercio) insieme agli elementi specifici oggetto di diffusione, che costituiscono certamente la base di partenza irrinunciabile. La valutazione dell'elemento dinamico del processo dovrà pertanto specificare gli agenti e i referenti in termini di posizione, ruolo, tradizioni e obiettivi, verificandone la coincidenza ovvero la discrasia . Il ruolo dello scambio è flessibile e molteplice nei suoi aspetti significanti e la sua ricaduta sulla società antica deve essere considerata da varie angolazioni e non soltanto come espressione dei rapporti economici tra individui, gruppi, società. Questo passaggio criti­ co comporta l'individuazione delle relazioni sociali in rapporto agli scambi (interni ed esterni) , attingendo, se possibile in modalità interdi­ sciplinare, sia ai dati epigrafici e archeologici sia agli elementi ricavabili attraverso comparazioni e analogie etnografiche ed etnostoriche.

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Le forme dello scambio nel Vicino Oriente antico

2.1

All'origine dei commerci su lunga distanza. L'Oriente antico e le risorse primarie TI Vicino Oriente occupa un 'area geografica dai caratteri ambientali e climatici diversificati . N el raggio di un migliaio di chilometri si passa dall'inospitale deserto dell'Arabia alle paludi della Bassa Mesopotamia, dai massicci montuosi della Turchia centrale (Tauro e Antitauro ) e dell'Iran occidentale (la dorsale degli Zagros) alle coste mediterranee della fascia siro-palestinese. Le montagne e gli altopiani sono ricchi di materie prime (legname e minerali) , mentre la Mesopotamia, formata dalla piana alluvionale del Tigri, dell'Eufrate e dei principali affluenti (il Balikh e il Khabur per l'Eufrate, la Diyala, il Grande e il Piccolo Zab per il Tigri) , ha scarse risorse , eccezione fatta per l'acqua dei fiumi e l'argilla. Oltre alla palma da datteri e la canna palustre poche altre specie di alberi possono resistere senza irrigazione al clima caldo dell' alluvio basso-mesopotami­ co e a un ridotto regime di precipitazioni annue. Materiali litici adatti alla scultura e alla produzione di oggetti o a un impiego architettonico si limi­ tano ad alcune rocce calcaree, mentre disponibile in affioramenti concen­ trati è il bitume, usato nell 'antichità per le sue proprietà impermeabiliz­ zanti. Diversa la situazione sull'altro versante della Mezzaluna fertile, defi­ nito dalle valli dello Wadi Arabah , del Giordano e dell'Oronte, dove una serie di rilievi, come i monti del Libano e dell'Amano, offre legname e un'ampia gamma di rocce sedimentarie, metamorfiche e vulcaniche. Di là dall'arco definito dalle vallate fluviali inizia invece una zona steppica e arida, cui segue ancora più a sud il deserto siro-arabico . La marcata discontinuità ambientale ha sempre rappresentato un elemento importante nello sviluppo delle comunità umane, garantendo l ' accesso a risorse diversificate e favorendo processi di aggregazione sedentaria in ambienti posti a ridosso di plurime interfacce ambientali. Proprio lungo la Mezzaluna fertile, nel corso di diversi millenni, l'uomo

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passerà da una condizione di totale dipendenza dalla natura a un model­ lo di sussistenza basato sull' agricoltura e l'allevamento , attraverso la domesticazione di piante e animali. Questo processo avvenne in passag­ gi graduali e in focolai indipendenti , disseminati nelle protette nicchie ecologiche marginali, in territori dove le precipitazioni erano sufficienti a un'agricoltura non irrigua. La fase formativa si colloca variamente tra il IX e il VII millennio a.C. , mentre nei due millenni seguenti le culture neolitiche occupano anche i territori degli altopiani e l' alluvio mesopo­ tamico. I villaggi sono ora a base pienamente agropastorale, si individua­ no le prime forme di diversificazione sociale, sono introdotte innovazio­ ni tecnologiche di forte impatto economico, com e la ceramica e la tessitura. La Bassa Mesopotamia, conquistata all'occupazione stabile durante le fasi mature e tarde del Neolitico , sarà poi lo scenario della rivoluzione urbana, il processo che porterà alla formazione delle prime società complesse e alla nascita della città . Il termine fu coniato negli anni quaranta del secolo scorso da Vere Gordon Childe, il quale propo­ se un modello interpretativo del fenomeno urbano che ancora mantiene la sua validità generale . È oggi chiaro che alle origini dell'urbanizzazione vi furono moltepli­ ci fattori (economici, sociali, demografici) che interagirono attraverso un meccanismo di influssi reciproci . All'interno dello schema sistemico esiste però una scala di priorità, in cui gli elementi di tipo economico legati alla produzione del cibo sembrano assumere un peso maggiore rispetto agli altri, determinando le condizioni adatte alla nascita della città. L ' accumulo di surplus primario, ovvero d'eccedenza alimentare , possibile grazie a fondamentali innovazioni tecnologiche nel campo agri­ colo (aratro-seminatore, campo lungo con irrigazione a solco) , fu il vero motore del cambiamento della s ocietà mesopotamica. L ' aumento progressivo dell'eccedenza portò a forme di gestione centralizzata e a cambiamenti strutturali nei rapporti interni alla comunità. Si formarono grandi aziende agricole legate a istituzioni pubbliche , fisicamente rappresentate dai primi edifici templari, come quelli scoperti a Uruk, che coordinavano le opere idrauliche di sistemazione dei canali e riuscirono, tramite l'imposizione di vincoli ideologici e religiosi, a drenare risorse umane e prodotti. Divenne così disponibile quel " capitale" necessario a mantenere personale svincolato dagli obblighi di produzione diretta di cibo (ad esempio artigiani, funzionari, personale di servizio ecc. ) . La base economica delle prime città mesopotamiche è dunque rappresenta­ ta dalle colture cerealicole e dall'allevamento di bestiame e il tempio e il palazzo funzionano come degli organismi che accentrano risorse ( di prodotti alimentari, di uomini, di beni) e distribuiscono servizi (razioni di cibo , protezione militare , amministrazione, manifatture p articolari

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ecc.): si strutturano così nuove forme di complessità e di stratificazione sociale che articolano i rapporti non più in base a vincoli di parentela (come nei villaggi del Neolitico) , ma inserendoli in un sistema che vede la centralità del settore pubblico , all'inizio rappresentato soprattutto dal polo religioso. Le forme di scambio e d'interazione commerciale muteranno rapi­ damente proprio a partire dall'avvento delle culture protostatali, quan­ do il perfezionamento di sistemi di registrazione contabile, la nascita della scrittura , l'introduzione del sigillo cilindrico e l'individuazione di equivalenze tra i beni forniranno gli strumenti fondamentali per un'or­ ganizzazione amministrata delle attività economiche. La formazione di una gerarchia di funzioni e di ruoli, legata alle istituzioni templare e pala­ tina, comportò presto la necessità di giustificare la stratificazione sociale mediante forme accettate di necessità generale, spesso ancorate proprio all 'ideologia religiosa . Il sistema redistributivo centrale , tipico delle prime forme di Stato arcaico , più che determinare integrazione genera disparità e la differenza di status che si crea tra chi detiene il controllo del meccanismo e il resto della popolazione può essere rafforzata mediante consumi e accumuli ostentatori di ricchezza. Il commercio su lunga distanza e il controllo sugli specialisti coinvolti nella produzione artigia­ nale divengono forme per garantire il distacco dell'élite all'interno della comunità, attraverso il possesso esclusivo di alcuni tipi di materiali e oggetti di prestigio . La lettura delle prime forme di commercio su lunga distanza in chia­ ve sociale, come risposta al bisogno di ricchezza in termini di differenzia­ zione da parte delle élite , non esclude una valutazione attenta di altri parametri, come quelli legati alla spinta economica del modello urbano e alle esigenze accresciute delle comunità nel campo dell'edilizia, dei biso­ gni quotidiani e dell'artigianato . L' avvento della metallurgia e la produ­ zione di oggetti in bronzo rappresenta ad esempio uno stimolo tecnolo­ gico indubbio per lo sviluppo di una rete di scambi con le regioni in cui si trovano le fonti di approvvigionamento o verso gli intermediari coin­ volti nella circolazione del metalli. Nel periodo neolitico, quando il ruolo della metallurgia era ancora ridotto, gran parte dello strumentario veni­ va realizzato in selce e in pietra, reperibili localmente o mediante scambi di breve raggio, ma la circolazione dell'ossi diana nel Vicino Oriente permette di analizzare i modelli di scambio in società ancora egalitarie e di confrontarli con quelli adottati in seguito dalle società più complesse, verificandone i cambiamenti strutturali. Lo studio del commercio si compone di più ambiti d'analisi, in rife­ rimento all'oggetto/bene dello scambio e ai soggetti/referenti coinvolti nell'interazione (cfr. CAP . r).

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Una suddivisione tra materiali " comuni " e " di pregio " è certo trop­ po rigida, ma aiuta a orientarsi all'interno dell 'elenco assai ampio di materiali utilizzati nel mondo mesopotamico durante l'Età del Bronzo, iniziando a distinguere alcune direttrici primarie dei commerci su lunga distanza. Nei capitoli successivi vedremo, ad esempio , come alcune pietre semi-preziose, impiegate per realizzare beni di pregio, assumono precisi significati simbolici. Al primo posto, per continuità cronologica, valore economico e valenze extraeconomiche si trova il lapislazzuli, repe­ ribile soltanto alle estreme periferie centroasiatiche e afghane ( cfr . CAP. 3) , ma un ruolo importante lo avrà anche la cornalina, lavorata nei centri della Valle dell'Indo e importata attraverso l'altopiano iranico , oppure per via m arittima lungo il Golfo Persico, a cavallo tra III e II millennio a . C . La lavorazione della madreperla e delle conchiglie si affianca spesso a quella delle pietre dure e l'impiego di specie provenien­ ti dall'Oceano Indiano o dal Mar Rosso rivela i percorsi su lunga distan­ za seguiti da questo materiale . Tra le pietre comuni una richiesta costan­ te di rocce bianche traslucide (alabastri, calcite) o scure e molto resistenti (la diorite o l ' olivina/gabbro) orienterà i traffici mesopotamici verso l'Asia Media e il Golfo, mentre i centri siro-palestinesi privilegeranno un afflusso dall'Egitto, favorito dalla continuità di rapporti culturali con le terre nilotiche fin dalla urbanizzazione secondaria dell'area del Levante. n loro impiego prevalente sarà nella produzione di contenitori e nella statuaria: in particolare , la diorite/gabbro è, insieme ai metalli preziosi, la pietra privilegiata per la realizzazione delle steli e delle statue regali in Mesopotamia, a partire dagli ultimi secoli del III millennio a.C. n gusto per abbinamenti cromatici e la tecnica dell'intarsio ricorrono soprattutto in prodotti miniaturistici e determinano una forte richiesta di pietre e metalli diversi, come dimostrano gli eccezionali ritrovamenti del Cimitero Reale di Ur in età protodinastica (cfr. CAP. 3) . Un ruolo partico­ lare è assunto durante il Bronzo Antico dalla steatite/ clorite, una roccia di colore verde-grigio di facile lavorazione, reperibile soprattutto in Iran. La diffusione nel territorio mesopotamico di vasi intagliati a figure e motivi geometrici prodotti nei centri urbani dell 'Iran sud-orientale è forse il migliore esempio di una rete di contatti internazionali durante il Bronzo Antico, che mostra l'intersezione di circuiti commerciali, doni e scambi di prestigio tra culture dissimili (cfr. CAP . 4) . I minerali metalliferi sono variamente distribuiti nelle regioni circo­ stanti l' alluvio e una ricognizione in prospettiva diacronica delle preva­ lenze d ' afflusso in Mesopot amia evidenzia importanti cambiamenti nell 'ottica di lunga durata. L'oro, l 'argento e l'elettro (lega naturale o artificiale di oro e argento) non sono soltanto beni di grande valore, indi­ spensabili per i prodotti di prestigio, ma anche beni di riferimento per lo

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scambio , circolando sotto forma di anelli, lingottini e frammenti (oro e argento) , granuli e polvere (oro) . L'oro nativo ha una distribuzione piut­ tosto ampia, che comprende Egitto e Nubia, Turchia occidentale, Arabia e Iran . Le analisi metallografiche non possono indicare con esattezza la provenienza originaria, anche se gli elementi in traccia permettono di distinguere tra giacimenti primari e secondari di deposito alluvionale. Sono le fonti scritte che aiutano a inquadrare il commercio dell'oro in una prospettiva storica: nel III-inizi II millennio a.C. la Mesopotamia regi­ stra territori variamente localizzati tra Golfo, Iran e Valle dell'Indo come luoghi associati al metallo, ma per alcuni di questi (ad esempio Dilmun) è certo il ruolo di intermediazione . Altri toponimi mostrano l'afflusso contemporaneo da nord (Anatolia) , mentre è solo durante il Bronzo T ardo che l'Egitto diviene il principale esportatore d'oro nella Babilonia e in tutto il Vicino Oriente, rispetto a un suo intervento limitato all'area siro-palestinese nei periodi precedenti (CAP. 7) . L 'argento compare in quasi tutta l'area orientale attorno al IV millennio a.C. e gli studiosi sono concordi nell'attribuire ai giacimenti di piombo argentifero (galena e cerussite) concentrati in Anatolia, soprattutto nell'area di Bolkardag nel Tauro e di Keban nell'alto corso dell'Eufrate, i centri primari di approv­ vigionamento . Da queste zone certamente proveniva gran parte del metallo che circolava in Oriente: in età akkadica il re Sargon ricorda la sua spedizione verso le " montagne d 'argento " , mentre i documenti dei mercanti assiri di Cappadocia attestano il grande flusso commerciale del metallo prezioso verso l'Alta Mesopotamia. Tuttavia, l'argento è associa­ to anche a toponimi localizzati nelle regioni a est dell' alluvio , testimo­ niando che almeno in parte il metallo proveniva anche attraverso rotte carovaniere alternative . Il rame è concentrato in tre zone geografiche diverse : l'Anatolia centro-orientale, la penisola dell 'Oman e l'isola di Cipro. Durante il Bronzo Antico e Medio (3ooo-16oo a. C . ) le miniere amanite sono la fonte primaria per la Mesopotamia, mentre quelle anato­ liche rifornivano soprattutto le regioni occidentali e coprivano il fabbi­ sogno interno all'altopiano. A partire dalla metà del II millennio a.C. , con il tramonto dei commerci marittimi nel Golfo , il rame dell'Oman cessa di essere esportato in grandi quantità, mentre diviene centrale il ruolo di Cipro, sia in rapporto ai fiorenti traffici nel Mediterraneo orientale sia nella distribuzione del metallo sul mercato siro-mesopotamico (CAP. 8) . Lo stagno, l'altro minerale indispensabile per ottenere la lega bronzea, sembra invece provenire costantemente dall' area irano- afghana, attra­ verso scambi in cui sono coinvolti referenti diversi , alcuni dei quali (Assur, Eshnunna, Elam ) riescono a volte a " monopolizzarne " i flussi, almeno sulla base di quanto deducibile delle informazioni testuali. Per concludere questa breve rassegna non si può non menzionare

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l'avorio, la materia dura animale che più si affermerà nell'artigianato di lusso (decorazioni di mobilio , contenitori, piccole figurine, oggetti da toletta) . La Mesopotamia si approvvigiona dall'India fino all'inizio del II millennio a.C. , soprattutto attraverso il Golfo Persico , mentre la presen­ za dell'elefante asiatico e dell'ippopotamo in Siria e Palestina favorirà lo sviluppo dell'arte dell'intaglio eburneo nel Levante già nel III millennio a.C. per poi conquistare anche il mercato mesopotamico . Con l' estinzio­ ne degli animali nelle regioni occidentali , l'unico avorio disponibile durante il I millennio a.C. sarà quello africano , controllato dall 'Egitto, ma trasformato nei centri fenici e neosiriani, forti della lunga tradizione artigianale , in pro dotti che avranno ampia distribuzione nel mondo mediterraneo e in tutto il Vicino Oriente. Un tale sbilanciamento di risorse - in cui l 'alluvio mesopotamico è contraddistinto da una produzione agricola con rese altissime e dall'alleva­ mento che sostiene una florida industria tessile, mentre le regioni limitrofe sono ricche di materie prime come i metalli , il legname e le pietre semi­ preziose è alla base della visione centralistica mesopotamica, che oppo­ ne un mondo civilizzato e urbano a una periferia caotica e selvaggia. Si trat­ ta di un'evidente distorsione celebrativa, ma in chiave storiografica moder­ na ipotesi " diffusioniste " , che postulavano nella Mesopotamia il motore della civilizzazione orientale, sono state elaborate a partire dalla presup­ posta asimmetria di un centro e una periferia. Più di recente il modello centro-periferia è stato riproposto in chiave prettamente economico­ commerciale, rispetto sia alla prima urbanizzazione sia alla fase di forti inte­ razioni culturali del III millennio a.C. Sebbene esso possa avere una sua vali­ dità nel descrivere alcuni fenomeni commerciali, le scoperte archeologiche in Iran, in Anatolia, in Asia Centrale evidenziano sempre più la presenza di focolai indipendenti di processi di aggregazione urbana e di sviluppi socioeconomici complessi, la cui matrice non può essere imputata soltan­ to a stimoli esterni, né all'impatto degli scambi su lunga distanza. Si tratta quindi di indagare le forme dell'interazione o dell'integra­ zione culturale in prospettiva policentrica e nel divenire storico, senza cercare a tutti i costi una chiave di lettura univoca che comporti la costruzione di un modello o sistema entro cui far rientrare tutti i parame­ tri che emergono dal record archeologico o testuale . N on vogliamo pertanto trattare le forme di scambio nel Vicino Oriente in modo troppo generale, dal momento che l'unico approccio corretto è quello che parte dalla precisa definizione del contesto storico. Si è preferito dunque presentare nei capitoli successivi dei casi esemplificativi o emblematici di commerci interregionali precis ati nel tempo e nello spazio e dunque storicizzabili, vedendo di volta in volta quale sia stato il loro significato nel quadro culturale complessivo . -

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Un approccio molto simile fu del resto adottato da Horst Klengel, uno dei più affermati storici dell 'Oriente antico , nel suo studio sugli scambi internazionali, che ancora oggi rappresenta il solo lavoro d 'insie­ me realizzato sul commercio a partire dalle evidenz e epigrafiche e archeologiche discusse in prospettiva diacronica. Fino a ora abbiamo accennato alle materie prime che affluivano nel territorio mesopotamico dall'esterno, ma non si è detto nulla né dei beni offerti in contropartita, né dei possibili modi delle relazioni . La Mesopo­ tamia si avvale come merce di scambio tanto dei prodotti derivati da risorse locali quanto di materiali ottenuti da altre regioni, sia non lavora­ ti che trasformati in oggetti. N el primo caso si tratta di prodotti agricoli o di tessili, purtroppo quasi sempre invisibili sul piano archeologico , ma documentati ampiamente dalle evidenze epigrafiche. Questi si integrano in vario modo ai beni veicolati mediante il controllo su determinati flus­ si commerciali: ad esempio, durante il periodo dei commerci di Cappa­ docia (cfr. CAP. 6) , i mercanti assiri gestivano l'afflusso di stagno dall'Iran verso occidente insieme all'esportazione di tessili di produzione mesopo­ tamica, ottenendo in cambio dall'Anatolia metalli preziosi , a loro volta destinati a essere convertiti in ulteriori merci . n circuito escludeva inve­ ce il rame, ottenuto ad Assur dal Golfo via Mesopotamia meridionale, ma non richiesto in Anatolia, in quanto risorsa già presente sul territorio. È questo un buon esempio d 'integrazione di reti multiple, per cui il siste­ ma funzionava mediante scambi diretti e indiretti , in un meccanismo complesso del quale ricostruiamo nel dettaglio solo alcuni segmenti. n tema dell'interazione commerciale necessita di un chiarimento in rapporto al quadro geografico . Nel Vicino Oriente, l'unica barriera inva­ licabile, fino alla domesticazione del dromedario nel I millennio a.C., è quella del deserto arabico , che terrà separate le culture delle regioni arabiche meridion ali e yemenite dal resto dell 'Oriente. Le catene montuose, pur condizionando i percorsi attraverso i p assi e le vallate interne, non sono invece un ostacolo insuperabile t ra le " alte terre " anatoliche e iraniche e le "basse terre " dell ' alluvio mesopotamico . La rete di comunicazioni nel Vicino Oriente è sorretta da due assi portanti: le grandi vie fluviali, con il Tigri e l'Eufrate a garantire il collegamento sud-nord che penetra nell'acrocoro anatolico e l' asse est-ovest che segue l'arco superiore della Mezzaluna fertile, a ridosso delle montagne . La valle dell'Eufrate, che in Siria segue un percorso che si avvicina molto alle regioni costiere, consente poi un'ideale congiunzione tra il Mediter­ raneo e il Golfo Persico (non a caso chiamati nelle fonti testuali rispetti­ vamente " Mare superiore " e " Mare inferiore " ) . La rotta carovaniera che taglia l'Alta Mesopotamia e la Siria settentrionale, seguendo la fascia pedemontana, costituisce invece un ponte naturale tra l' altopiano irani-

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co e il Levante che si interseca ai percorsi terrestri e fluviali che risalgo­ no dalla Bassa Mesopotamia verso nord. Sul versante occidentale il corri­ doio siro-palestinese e le rotte marittime lungo le coste mediterranee assicurano il collegamento con l'Egitto e l'Egeo (cfr. CAP. 8 ) , mentre a est l'altopiano iranico è attraversato da una carovaniera a nord, la cosiddet­ ta " Grande Strada del Khorassan " (la più tarda " Via della Seta " ) e da una meridionale , variamente articolata sulla base delle vallate interne, con una primaria deviazione mediana. TI Golfo Persico è infine facilmen­ te navigabile grazie agli approdi naturali di cui dispone sul lato occiden­ tale (cfr. CAP. 5) e, superato lo stretto di Hormuz , è possibile raggiunge­ re la Valle dell'Indo costeggiando il Makran irano-pakistano . La possibilità di questi collegamenti naturali che formano un intreccio di percorsi di terra e di acqua sarà un elemento di forte impulso agli scam­ bi e alle interazioni politico-culturali. La formazione di una rete viaria è un fenomeno lento e influenzato da molteplici fattori, sia umani che naturali. Non può essere ricondotto unicamente a una prospettiva ambientale, né alle esigenze commerciali di reperimento delle materie prime. Certamente il precoce sviluppo delle vie carovaniere è facilitato dalla continuità insedia­ mentale e dalla presenz a di comunità di seminomadi caratterizz ate da mobilità territoriale, come dimostra ad esempio la circolazione dell' ossidia­ na su lunghe distanze fin dal Neolitico Antico, mentre nelle regioni centro­ meridionali della Mesopotamia la rete fluviale e dei canali artificiali garan­ tiva collegamenti facili e lo spostamento di merci pesanti. Esistono però fattori umani che si oppongono al processo, dall'aggressività delle tribù che controllano le steppe a ridosso delle vallate o delle popolazioni montanare, alla belligeranza tra entità politico-territoriali. Tuttavia proprio la guerra, paradossalmente, può aiutare alla costituzione di nuovi percorsi: l'integra­ zione di spostamenti militari, che sperimentano passaggi inesplorati, e le vie carovaniere è difatti una costante nella storia del Vicino Oriente. I mezzi di trasporto adottati nei traffici mercantili rimangono pres­ soché invariati nel corso del tempo . Per via terrestre le merci si spostano fondamentalmente sul dorso dei muli o su carri pesanti a quattro ruote, mentre il mezzo a due ruote era riservato a spostamenti più rapidi. Lungo la rete di canali e fiumi si impiegano chiatte o battelli di vario tipo di legno e fasci di canne e nel Golfo Persico la navigazione marittima avviene su barche a vela con prua e poppa rialzate. L 'area mediterranea è interessata da un precoce sviluppo delle tecniche nautiche e della mari­ neria durante l'Età del Bronzo, con innovazioni agevolate dal confronto tra modalità costruttive egiziane e cananee . L'apogeo si raggiunge nel I millennio a.C. quando le navi fenicie , simili alle biremi greco-romane, solcano il Mediterraneo in flotte mercantili e da guerra e la fama della marineria di Tiro e Sidone è conosciuta dalla Grecia all'Assiria.

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2.2

Il sistema degli scambi e l'economia del Vicino Oriente tra modelli interpretativi e realtà documentaria

Abbiamo visto nel c apitolo precedente come il commercio si possa suddividere tra movimento interno di beni e scambio verso l'esterno, in rapporto all'unità politico-culturale di riferimento . Nell'Oriente antico non è sempre facile definire i due ambiti, perché i confini di una determi­ nata entità politica possono essere diversi da quelli culturali, il modello di organizzazione territoriale varia nel tempo, le situazioni sono spesso sfumate e cambiano a seconda di quale sia il punto di osservazione adot­ tato . Lo scambio di beni è solo un aspetto dell'economia e pertanto la sua analisi non può essere svincolata da una più ampia considerazione dei mezzi di produzione e dell 'organizz azione del lavoro . Inoltre, dal momento che l'economia nel Vicino Oriente è tipicamente multicentrica e "incastonata " entro relazioni diverse, bisogna cercare di capire come e quanto le strutture politiche, sociali , ideologiche influenzassero il siste­ ma economico e finanziario nel divenire storico . Il mondo preclassico non dispone di moneta, ovvero non è caratterizzato da quel sistema che assegna contemporaneamente a un oggetto le tre funzioni di valore, mezzo di pagamento e forma di tesaurizzazione, dotandolo di obbligo di accettazione e connotandolo come puro segno di valore. Sebbene l' ar­ gento sembri assumere abbastanza presto le tre funzioni monetarie , il suo impiego nelle transazioni economiche non prescinde mai dalla veri­ fica contestuale del peso e il metallo è affiancato da altri beni usati come standard di riferimento . Ma, soprattutto, il sistema di scambio adotta modalità in cui il valore non sempre equivale al prezzo , essendo stabilito anche attraverso parametri extraeconomici . Inoltre , meccanismi di compenso in argento per la forza-lavoro , pur attestati in determinate epoche, non soppiantano mai del tutto il pagamento del personale attra­ verso razioni di orzo e di lana nel quadro del modello redistributivo . Quest'ultimo risulta anzi nell'economia vicino-orientale il sistema di retribuzione più diffuso . Proprio le esigenze legate alle istituzioni centralizzate, che richiedo­ no forme di controllo e di registrazione dei beni, gestite attraverso docu­ menti amministrativi, furono responsabili non solo della formazione di misure per il computo delle quantità, ma anche di un sistema di equiva­ lenze tra le merci, di straordinaria coerenza e durata nel tempo . A parti­ re certo dalla pratica empirica delle attività umane si svilupparono il concetto di misura e quello di numero e, dalla loro combinazione, si arti­ colarono i sistemi di misure (con rapporti organizzati in multipli e sotto-

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multipli) . La numerazione del Vicino Oriente è sessagesimale e decima­ le e, per quanto riguarda le misure ponderali, le unità adottate sono il grano, il siclo (= I8o grani), la mina (= 6o sicli) e il talento (= 6o mine = 3 . 6oo sicli) . In termini assoluti, grazie al ritrovamento di pesi da bilancia con legende e segni numerici incisi sulla superficie, si è potuto appurare che il siclo aveva una massa di circa 8 ,4 g, la mina era di 500 g e il talento pesava attorno ai 30 kg. Dal III al I millennio tutta la Mesopotamia adotta sempre questi valo­ ri ponderali, fissati dalle divinità ( Shamash per primo, essendo il dio solare della giustizia e dell'equità) e garantiti dall'autorità pubblica attra­ verso pesi ere ufficiali di riferimento (N abucodonosor di Babilonia nel VI secolo a.C. basava le sue norme ponderali sui pesi di Shulgi, re di Ur alla fine del III millennio a.C. ! ) . In area occidentale esisteva invece una mina comune più leggera, di ca. 470 g, con talento sessagesimale, ma formata da 40 sicli (ca. n , 65 g) in Anatolia, 50 sicli (ca. 9 ,4 g) nelle regioni levanti­ ne costiere e 6o sicli (ca. 7,8 g) nella Siria interna, in un rapporto 4 : 5 : 6 dell'unità. n sistema di misure di capacità mesopotamico , sia di liquidi che di aridi, comprendeva un 'unità inferiore chiamata sila (ca. o,84 litri) e una maggiore, il gur, che nei periodi più antichi era formato da 300 sila e, dalla metà del II millennio a.C. , da I8o sila, ma esistevano anche altri valori (su base sia decimale che sessagesimale) con differenze regionali e cronologiche. La formazione delle equivalenze, necessaria per agevolare le opera­ zioni di scambio e distribuzione dei prodotti , avvenne stabilendo dei rapporti fissi tra i beni principali (oro, argento, rame, lana, orzo, olio) e, soprattutto, comportava l'individuazione di alcuni prodotti come valori di riferimento, facendoli misura degli altri. In area siro-mesopotamica, a partire dalla metà del III millennio a. C . , vediamo che tali beni si colloca­ vano in due diverse sfere materiali: quella dei prodotti agricoli e quella dei metalli. Inizialmente orzo, rame e argento funzionarono come beni­ valore, con i due metalli legati da un rapporto di I8o a I, poi furono in prevalenza l'orzo e l'argento, nel loro rapporto fisso di I gur = I siclo, a regolare il meccanismo economico complessivo . Da un lato, il bene alimentare più diffuso e comune nel territorio mesopotamico consentiva con facilità di valutare le merci di ampio consumo ma basso valore e, dall'altro, il metallo prezioso garantiva il calcolo dei materiali più pregia­ ti. n loro impiego come mezzo di pagamento , e quindi la nascita del concetto di prezzo, è assai p recoce: già nei testi del III millennio a . C . esiste infatti u n segno cuneiforme (NINDAx: SE) che significa "prezzo di acquisto " , la cui forma ideografica originaria rappresenta un vaso che contiene una spiga di orzo, evidentemente legata alla funzione di stan­ dard di valore del prodotto. In atti di cessione di appezzamenti di terre-

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ni databili attorno al 2 5 00 a.C. troviamo per la prima volta la vendita calcolata in sicli d 'argento e la nozione del rapporto fisso argento: orzo. La documentazione che indica l'impiego dell'argento come mezzo di pagamento e di equivalenza implica tuttavia due problemi di ordine interpretativo: quello del meccanismo della formazione dei prezzi e quel­ lo dell'effettiva circolazione dell'argento . L'esistenza di anelli, spirali e pezzi di argento di peso e dimensioni standardizzate è stata considerata la prova di una moneta primitiva nel mondo orientale e quindi i compu­ ti in argento non sarebbero stati soltanto un calcolo di valore delle merci ma l 'indicazione del pagamento attraverso il passaggio effettivo del metallo . Coloro che sostengono l 'uso monetario dell 'argento pesato tendono a configurare l'economia prevalente come quella " di mercato " e quindi ritengono possibile applicare regole come la ricerca del profitto, il rischio d 'impresa o i meccanismi della domanda e dell'offerta, a parti­ re già dalla metà del III millennio a.C. Tuttavia, gli indicatori del livello dei prezzi, come i tassi di interesse, rimangono pressoché immutati per un arco cronologico lunghissimo , con i procedimenti creditizi impernia­ ti su un sistema di prestiti che prevedeva il 33 ,3 o/o di interesse sull'orzo e il 2oo/o sull ' argento . Il problema è complesso ed è profondamente influenzato dalle posizioni metodologiche assunte dai vari studiosi: sarà utile pertanto una breve premessa storiografica, a integrazione di quan­ to già detto in prospettiva generale nel CAP. r. Un paradigma storico-economico che per molto tempo rimase radi­ cato nell ' orientalistica, elaborato negli anni venti del Novecento da An ton Deimel e sistematizzato da Adam F ankelstein, è la teoria della " città-tempio " , secondo la quale alle origini della città la terra coltivabi­ le era tutta nelle mani della casta sacerdotale, come proprietà della divi­ nità poliade, non esisteva proprietà privata e il sistema era centralizzato e a carattere redistributivo . In realtà, l'ipotesi si basava su una documen­ tazione limitata e proveniente solo da archivi templari e venne confutata da ricerche che chiarirono il concetto di unità economica, dimostrando la compresenza di proprietà privata e pubblica nella Mesopotamia del III millennio a.C. A partire dalla rivoluzione urbana si venne a creare una dialettica complessa tra il modello di gestione dei mezzi di produzione ancorato al villaggio e alla famiglia e quello centralizzato , gestito dalle grandi orga­ nizz azioni p alatine e templari . In t al senso si è rivelato assai efficace applicare in maniera critica il concetto di "modo di produzione asiatico " , elab orato i n origine da Marx per definire il sistema economico dell 'Oriente antico (cfr . CAP . r ) . Il modello marxiano pone al centro dell'analisi il rapporto intercorrente tra la comunità di villaggio e l'entità pubblica, soprattutto a livello della proprietà della terra e più in genera-

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le dei mezzi di produzione e ipotizza l'autosufficienza della comunità di villaggio con proprietà condivisa delle terre (sebbene successivamente in rapporto alla famiglia estesa e poi nucleare) e la sua relazione " critica " con il sistema superiore delle grandi organizzazioni. Tale relazione scatu­ risce dunque dalla fondamentale dicotomia tra un modo di produzione domestico (di villaggio) e un modo di produzione palatino (inteso come pubblico, cioè tipico delle istituzioni sia templari sia palatine) , caratteri­ stica della storia orientale preclassica, ma che va precisata all 'interno delle varie fasi storiche e delle varie specificità regionali. Mentre il primo sistema è autosufficiente ma statico e si limita a un'economia di sussistenza, il secondo è dotato di grande forza propul­ siva grazie all 'accumulo e alla gestione del surplus primario e impose all'economia mesopotamica il carattere di "finanza delle derrate " . n suo sviluppo , che comporta stratificazione sociale, specializzazione lavorati­ va, organizzazione burocratica, è tuttavia possibile solo grazie a un conti­ nuo drenaggio di risorse ai danni delle comunità agropastorali alle quali sono imposte prestazioni lavorative e soprattutto la consegna di parte della produzione . Parallelamente, le istituzioni acquisiscono appezz a­ menti di terra e mandrie di bestiame e li sfruttano attraverso il personale al servizio del tempio o del palazzo, mantenuto grazie a forme di retribu­ zione centralizzata. Con il passare del tempo alcuni settori dipendenti di forte impatto specialistico, dotati di più ampio potere sociopolitico (come gli scribi o i funzionari di grado più alto) , ottengono sgravi fiscali e si sottraggono al meccanismo redistributivo, ricevendo la proprietà di terreni agricoli in cambio delle loro prestazioni. In tale meccanismo, che segue processi non sempre in progressione lineare, si assiste alla costan­ te alienazione delle risorse afferenti al modo di produzione domestico a vantaggio sia di privati sia delle grandi aziende pubbliche. Queste ultime cedono però parte delle loro prerogative e con esse ricchezza economica a individui singoli inseriti negli apparati del potere, che possono pertan­ to assumere il controllo sul settore produttivo attraverso ricompense, p remi e assegnazioni di terre. La situazione di squilibrio sociale che produce asservimento sulle campagne e lavoro salariato può mettere però in crisi il sistema redistributivo delle grandi aziende templari e pala­ tine ed è per questo motivo che le autorità centrali hanno bisogno di introdurre forme che arginino l'impoverimento troppo accentuato della popolazione libera, testimoniate dai codici di leggi e dagli editti di remis­ sione dei debiti . Lo sviluppo cronologico delle relazioni economiche tra i detentori dei mezzi di produzione va considerato tenendo conto anche di un altro aspetto fondamentale della società orientale antica, ovvero il rapporto tra comunità seminomadi e sedentarie , che rappresentano due mondi

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interdipendenti, ma anche opposti e in conflitto . Le tribù dedite alla pastorizia transumante (con un movimento tra le vallate fluviali e le step­ pe circostanti) possono infatti rappresentare un'alternativa alla vita lega­ ta al modello urbano, quando le condizioni di sussistenza sono critiche e si rischia l' asservimento per debiti. Ciò avviene di norma nelle fasi di maggiore pressione economica sugli strati più bassi della popolazione, come nel Bronzo Tardo (cfr. CAP . 7) , mentre il crollo verticale del sistema p alatino attorno al 1 200 a . C . determina una completa ristrutturazione degli stati "nazionali " nell'area occidentale in cui avrà un ruolo decisivo il modello gentilizio e tribale. Definiti gli aspetti generali dei modi di produzione, passiamo ora agli strumenti d ' analisi delle forme di scambio e circolazione dei beni . All ' epoca delle ricerche di Karl Polanyi, che portarono alla formulazione dei modelli transattivi (reciprocità, redistribuzione e mercato) , discussi nel CAP . 1, furono pochissimi gli studiosi della Mesopotamia che aderiro­ no agli enunciati sostantivisti. n rifiuto polanyiano di forme di " mercato arcaico " nell 'Oriente antico soffriva di una limitata conoscenza della documentazione e i casi scelti come esempi (ad esempio il commercio paleoassiro in Cappadocia) mal si attagliavano alla ricostruzione econo­ mica proposta, come ampiamente dimostrato dagli specialisti del settore (cfr. CAP . 6) . Più di recente è stato ribadito il ruolo secondario del merca­ to nell'economia del Vicino Oriente, riaccendendo un dib attito che ris chia di ridursi a sterile opposizione tra modernisti e primitivisti , perdendo di vista il merito fondamentale del costrutto polanyiano, ovve­ ro l'aver posto in piena luce la pluralità dei meccanismi di distribuzione, trasferimento, appropriazione dei beni e la necessità di studiare l' econo­ mia nel contesto sociale di riferimento . D'altronde non è più possibile negare la presenza e l'importanza di un settore economico mercantile , t anto nell' ambito privato quanto in quello controllato dalle strutture pubbliche, e l'importanza del sostanti­ vismo risiede più nell' avere compreso l 'intreccio profondo di fattori diversi che nella troppo rigida applicazione dei modelli transattivi. Tale fondamentale riconoscimento è merito soprattutto di alcuni orientalisti italiani (Mario Liverani , Carlo Zaccagnini ) , che hanno inquadrato le categorie polanyiane in una corretta prospettiva storica e culturale. L 'interfluenza dei modelli di scambio, la funzione attiva degli aspetti ideologici e rituali, il ruolo decisivo delle istituzioni politiche nella circo­ lazione dei beni sono elementi ricorrenti del commercio orientale preclassico. L'esistenza di margini di attività autonome e private svolte dai mercanti, evidentemente improntate al raggiungimento di un guada­ gno rispetto ai parametri imposti dalle organizzazioni palatine e templa­ ri, emerge in diverse epoche a una attenta lettura del dato testuale, così

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come le fluttuazioni del valore di alcune merci, mentre le relazioni tra i diversi beni appaiono indiscutibilmente legate a precise condizioni della realtà storica entro la quale si svilupparono le forme e i modi degli scam­ bi. A livello internazionale hanno di certo un grande peso parametri diversi (scambi rituali , doni, prefe renze ideologiche per determinati beni e/o materiali ecc . ) da quelli legati a presunte condizioni di libero scambio regolato dalla domanda e dall 'offerta. La constatazione che questi fattori mutano con i cambiamenti culturali privano il capitale di quella funzione unificante di molla per il progresso economico , rispon­ dente a leggi sempre e comunque indissolubilmente legate al concetto di guadagno. Proprio nell'ambito dei circuiti internazionali dello scam­ bio elitario è dimostrabile inoltre il funzionamento , per così dire, soggettivo dei modelli della reciprocità e redistribuzione, applicabili come " interpretazione " , che i referenti antichi davano dei rapporti stes­ si nel quadro strutturale , formale e ideologico che si situava alla base degli scambi (cfr. CAP. 7) . Se ha ancora senso parlare di ports o/ trade per i karum dell'Oriente antico , veri e propri distretti commerciali in cui si condensavano le atti­ vità commerciali e operavano precise istituzioni organizzate (cfr. CAP. 6), recuperando alcuni strumenti descrittivi polanyiani, è d'altronde innega­ bile che anche altri luoghi " di mercato " erano presenti nelle città meso­ potamiche e siriane già dall'Età del Bronzo Antico. Ancora non abbiamo prove archeologiche dirette, ma seppur limitate, le evidenze epigrafiche attestano degli spazi cittadini (situati in genere vicino alle porte urbiche) nei quali si svolgevano transazioni economiche con passaggio di argento o altri beni-valore: va però osservato che in origine essi paiono stretta­ mente legati ad aspetti e occasioni rituali e cerimoniali (fiere e feste) , ed è probabile che la loro funzione si esaurisse in circuiti limitati di vendita al dettaglio propri del commercio interno, mentre il volume maggiore degli affari passava attraverso la redistribuzione dei prodotti gestita dalle strutture pubbliche . Manufatti e materiali preziosi necessari alle botte­ ghe artigianali per il circuito di scambi di prestigio potevano arrivare attraverso funzionari pala tini oppure mercanti privati, ma la distribuzio­ ne aveva un carattere del tutto svincolato da luoghi pubblici di vendita, regolati dal meccanismo puro della domanda e dell'offerta. È interessante a questo punto domandarsi chi fossero gli agenti del commercio nel mondo vicino-orientale e quali caratteristiche possiamo ricostruire per la figura del mercante. La bipartizione tra scambi interni ed esterni non trova una co rrispondenza nella terminologia adottata dalle culture mesopotamiche, sebbene esista un termine (garas) riservato soprattutto ai mercanti che si occupavano di traffici marittimi o su lunga distanza. Con il sumerico dam-gàr e l' accadico tamkarum si intendeva

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invece non soltanto il mercante vero e proprio (in tutte le variabili " quantitative " dei suoi traffici) , ma anche una persona le cui attività erano collegate in vario modo con gli scambi e i commerci. L'analisi delle modalità operative permette di definire una tipologia dei mercanti meso­ potamici : il caso più frequente è quello del commerciante che si sposta per vendere e scambiare le proprie mercanzie o quelle altrui, ma è defini­ to come tamkarum anche colui che affida ad agenti i propri beni con lo scopo di scambiarli, oppure la persona che finanzia imprese commercia­ li attraverso prestiti di argento, svolgendo una funzione creditizia con precisi scopi che oggi diremmo " imprenditoriali " . L a figura del mercante-viaggiatore è una costante del mondo orien­ tale preclassico , così come altamente specifica risulta la funzione crediti­ zia , sebbene non la si ritrovi in tutte le fasi storiche. Questione di capitale importanza è poi definire la posizione sociale del mercante rispetto alle grandi organizzazioni e verificarne l' evoluzio­ ne attraverso il tempo . In astratto, due opzioni antitetiche sono possibi­ li : il mercante-funzionario del palazzo o del tempio e il libero professio­ nista che scambia prodotti di sua proprietà, guadagna att raverso la vendita su commissione o finanzia imprese commerciali. In epoca p roto­ dinastica sembra dominare il ruolo istituzionale e il mercante è di fatto uno specialista al servizio del tempio o del palazzo. Un certo margine di attività autonome emerge dalla documentazione della III dinastia di U r (ca. 2roo-2ooo a.C . ) , quando tuttavia sono i templi a gestire gran parte dei traffici commerciali . L' attività dei mercanti è documentata soprattut­ to da una serie particolare di testi definibili come bilanci "a pareggio " , rendiconti tra il capitale (in argento e altri beni) consegnato dall' ammi­ nistrazione centrale al funzionario e gli acquisti effettuati , e dai docu­ menti di Ur relativi ai commerci marittimi nel Golfo Persico (cfr. CAP. 5) . Nel periodo paleobabilonese ( 2ooo-r 6oo a . C . ) , gran parte dei flussi mercantili su lunga distanza passa alla Corona, ma al contempo si nota un evidente incremento dell'attività commerciale privata. È in questo stesso periodo che nel Nord si sviluppano i commerci assiri verso l'Ana­ tolia, nei quali il ruolo " pubblico " sembra marginale e le attività di mercanti indipendenti sono la regola (CAP. 6) . Per il Bronzo Tardo, quando lo scacchiere vicino-orientale è control­ lato da un sistema di regni maggiori e minori subordinati, il commercio è accentrato nelle mani dei palazzi e inserito in un circuito di relazioni diplomatiche. n ruolo del mercante torna a essere quello del funzionario che compie e organizza le spedizioni commerciali, ma riveste una posi­ zione privilegiata nella gerarchia sociale perché strumento di rapporti anche politici, come messaggero e ambasciatore per conto del palazzo (CAP. 7 ) . La situazione si presenta più articolata dopo il crollo del siste-

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ma regionale e la crisi del r 2oo a.C.: da un lato emergono nel Levante stati nazionali di dimensione cantonale, che mantengono lo schema proprio del commercio statale , con le città fenicie che assumono il controllo degli scambi marittimi nel Mediterraneo, e, dall'altro, si forma­ no i grandi imperi neoassiro (IX-VII secolo a.C.) e neobabilonese (VII-VI secolo a.C. ) , le cui strutture economiche si reggono sullo sfruttamento delle risorse mediante conquista diretta e tributo . Tuttavia una grande novità è rappresentata dall'aprirsi della rotta carovaniera lungo la costa del Mar Rosso, grazie alla domesticazione del dromedario, battuta anche da spedizioni di mercanti indipendenti che intrattengono rapporti con le entità politiche dello Y emen (si pensi al miti co regno della regina di Saba) , mentre in Babilonia si assiste alla nascita di forme associative tra mercanti e, soprattutto, al formarsi di grandi patrimoni terrieri da parte di pochi individui che, disponendo di ingenti capitali, organizzano attivi­ tà sistematiche di prestito di argento. Nel sistema di scambi interregionali il modello economico mesopota­ mico, che dunque si compone di un modo di produzione asiatico attra­ verso una "finanza delle derrate" , con interazione di modelli redistributi­ vi/reciprocativi accanto a margini di attività di mercato arcaico, si trovò a interagire direttamente o indirettamente con sistemi elaborati in culture diverse, come quelle iraniche o harappana nella valle dell'Indo durante il Bronzo Antico (cfr. CAPP . 3 e 4) , quella dilmunita nel Golfo Persico agli inizi del II millennio a . C . (CAP. 6) , quella minoica e micenea tra Bronzo Medio e Bronzo Tardo (CAPP . 7 e 8) . Ognuna di queste si rapportava al settore commerciale dell'economia in maniera differente, determinando una commistione di modi d'interazione mercantile che cercheremo di cogliere in un percorso esemplificativo diacronico, tenendo sempre conto delle specificità culturali interne al mondo vicino-orientale. Spunti utili sono certo rappresentati dal tipo di beni/materie oggetto di scambio e dal ruolo che rivestivano nelle varie culture, nell' ambito delle quali se ne effettuava la raccolta e la prima lavorazione, ne avveniva il transito o, infi­ ne, se ne in dividuavano i beneficiari ultimi . Si riesce così a tracciare a grandi linee un quadro dei percorsi commerciali (terrestri e marittimi) che debbono essere valutati in rapporto ai modi operativi degli scambi su lunga distanza. La ricerca di una visione che seguisse uno sviluppo storico ampio ha risposto al bisogno di valutare alcuni processi economici in una prospet­ tiva di lunga durata, utile soprattutto nello studio di determinati settori dell'economia antica, primo fra tutti quello dell 'artigianato e della tecno­ logia. N el settore specifico della m anifattura e del commercio a lunga distanza, vedremo nei capitoli successivi come l'identificazione di cambiamenti delle strategie produttive e la diversa distribuzione dei

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prodotti grezzi, semifiniti e finiti possono essere utilmente considerati secondo i parametri propri dell'analisi storica della lunga durata, debita­ mente calata nel contesto di riferimento attraverso l'indagine economica sui modi di produzione e sulle forme di interazione culturale . Queste ultime risultano cruciali nel porre a confronto gli aspetti sociali, ideologi­ ci e religiosi di mondi spesso molto diversi tra loro , nel tentativo di valu­ tare accanto allo scambio dei beni anche il flusso di informazioni veico­ lato attraverso il contatto .

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3 Palazzi e cimiteri reali .

La circolazione del lapislazzuli

3 ·1 Oro, argento e pietre preziose . Lo sfarzo dei corredi funebri nella Ur dei C aldei

L'antica città di Ur (Tell al-Muqayyar) si trova in Mesopotamia meridio­ nale, a poca distanza da Nassiriya . Gli scavi qui condotti da una spedi­ zione angloamericana diretta da Sir Leonard W oolley suscitarono negli anni venti del secolo scorso un grande interesse in Europa e in America. Le imprese di Woolley, coadiuvato da sua moglie e dal giovane assisten­ te Max Mallowan, divennero presto celebri in tutto il mondo e Ur, città che nella tradizione biblica aveva dato i natali ad Abramo, si trasformò in una meta ricercata da viaggiatori e intellettuali . Le visite di Agatha Christie e il suo successivo matrimonio con Mallowan sono entrate a far parte della storia dell' archeologia vicino-orientale : l 'ambientazione di alcuni gialli della scrittrice o il diario autobiografico dei viaggi accanto al marito archeologo hanno contribuito a comunicare il fascino, il mistero e l'avventura dell'archeologia nella Mesopotamia, tra finzione e realtà. La scoperta certamente più nota di U r è stata quella della necropoli, con le sue sedici tombe reali e le circa duemila sepolture indagate . Il sepolcreto è localizzato all'est remità sud- orientale della terrazza che ospitava gli edifici pubblici cittadini a partire dalla fine del III millennio a.C . , al tempo della " rinascita sumerica " dei sovrani della Terza Dinastia ( 211 2-2004 a .C. ) . Il primo impiego funerario dell'area risale al Protodina­ stico rnA (ca. 2600-2450 a .C . ) , sebbene di recente siano state proposte anche datazioni leggermente più basse . La necropoli continuò a essere utilizzata nei secoli successivi fino al periodo akkadico ( 2350-2200 a.C . ) , come provano alcuni sigilli di funzionari della sacerdotessa Enkheduan­ na, figlia di Sargon di Akkad . Almeno seicentocinquanta sono le sepolture riferibili al primo seco­ lo e mezzo di uso della necropoli . Si tratta di inumazioni entro fossa rettangolare, in cui la salma era posta in sarcofagi (di legno, di vimini o di mattoni crudi) o semplicemente avvolta in una stuoia. I corredi di

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PALAZZI E CIMI T E RI REALI

queste tombe sono, in genere, piuttosto omogenei, con alcuni gioielli attorno al corpo, un sigillo cilindrico, vasi in pietra e ceramica con offer­ te di cibo . Ma non è una regola assoluta: la semplice fossa PG 755 conte­ neva una bara di legno che ospitava il corpo di un giovane, insieme a un ricchissimo corredo di bacili e vasi in metalli preziosi, armi intarsiate, contenitori in alabastro , gioielli e uno splendido elmo d 'oro con ripro­ dotta a sbalzo e incisione l'acconciatura con banda frontale e chignon . Le sedici tombe reali, poste tutte in un 'area circoscritta della necropoli, sono invece accomunate dalla tecnica costruttiva, dal corredo sempre molto ricco e da un presunto rituale funerario assimilabile. Sono tutte tombe " costruite " , nel senso che possiedono un pozzo o dromos d' acces­ so, che termina in una camera o grande fossa dalla quale si accede e una o più cripte, rivestite di pietra o mattoni, con il soffitto voltato (FIG . 3 . 2) .

FIGURA

3.2

Pianta della tomba

PG 7 8 9

del Cimitero Reale di Ur

O

Fonte: C. L. Woolley, Ur Excavations.

IL

2 m

The Royal Cemetery, London 1934, tav. 3 5 .

Lo spazio che introduce alla tomba è denominato da Woolley " fossa della morte " , per la ricorrente presenza di deposizioni , a volte in gran numero, fino a un massimo di ottanta. N ella sua ricostruzione, accettata ancora oggi dalla maggior parte degli studiosi, si tratta del corteo fune-

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rario sacrificato insieme al principe: ancelle agghindate di gioielli, musi­ ci con i loro strumenti, soldati con ancora gli elmi e le lance, palafrenieri che conducevano il carro, trainato da buoi o da muli, per la lettiga fune­ bre. Impressionante è la Great Death Pit PG 123 7 , con sei scheletri di uomini e sessantotto di donne, disposti in file. La presenza di un grande calderone di metallo e di molte coppe ancora associate agli scheletri dei defunti ha fatto ipotizzare un rituale di morte, secondo il quale gli inser­ vienti e parte del corteo venivano avvelenati o si avvelenavano volonta­ riamente alla fine del seppellimento del sovrano, bevendo una pozione tossica. Sacrifici umani dunque, per i primi re della Mesopotamia . Guar­ dando le piante schematiche dell'epoca colpisce proprio la cristallizza­ zione di quello che doveva essere il momento culminante della celebra­ zione del funerale del personaggio a cui era destinata la tomba: nel pozzo di ingresso spesso si incontrano gli scheletri delle guardie, alla fine del corridoio giacciono le bestie da soma e i resti dei carri e delle slitte, lungo le pareti - quasi fossero anche loro parte del corredo - i corpi di donne e uomini, accanto a lire e arpe, vasi e gioielli. Un problema che ha fatto molto discutere gli studiosi è l' attribuzio­ ne effettiva delle sedici tombe ai re di Ur. La differenziazione del corredo e della tipologia della tomba implica senza dubbio uno status sociale molto alto dei defunti . Ma come possiamo essere sicuri che le tombe fossero destinate proprio ai sovrani e alle regine di Ur? Dal momento che i nomi iscritti negli oggetti dei corredi menzionano dei personaggi che non comp aiono nella Lista Reale Sumerica, si tratterebbe di sovrani precedenti il primo re della Lista, Mesannepada, agganciati alla sequen­ za grazie a un'iscrizione su una perla in lapislazzuli proveniente dalla città di Mari , che riporta la parentela diretta di Mesannepada con il padre Meskalamdug. Secondo Woolley il rituale del sacrificio di inservienti e di membri della corte sarebbe un ulteriore indizio del carattere regale delle tombe. Rimane però il problema della totale assenza di riferimento al sacrifi­ cio umano nei testi di Mesopotamia, a eccezione di rarissimi e non chiari passaggi contenuti in testi mitologici e in una preghiera alla dea !nanna. È stato osservato che l'usuale abitudine mesopotamica di seppellire i perso­ naggi della dinastia regnante al di sotto dei pavimenti degli edifici palati­ ni si oppone alla teoria di Woolley. Secondo un'ipotesi alternativa, i morti delle tombe " reali " sarebbero dei re sostituti, in una celebrazione fune­ raria del rituale del Nuovo Anno, che ricalcava un processo di rigenera­ zione della natura attraverso la morte del dio (incarnato dal re) e della dea (incarnata dalla sacerdotessa) dopo avere celebrato le nozze sacre . Che siano appartenute a re, principi o sacerdoti, le tombe più ricche visualiz­ zano comunque il processo socioeconomico che portò la Mesopotamia

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PALAZZI E CIMI T E RI REALI

antica nell'arco di pochi secoli e una marcata stratificazione della comu­ nità cittadina, esito della cosiddetta rivoluzione urbana. Le élite al gover­ no delle città-stato protodinastiche hanno bisogno di sottolineare lo status attraverso l'accesso preferenziale a beni preziosi e il possesso di oggetti e arredi di pregio, mentre il valore ideologico della differenza risie­ de tutto nell'investitura divina al ruolo di amministrazione della comuni­ tà, garantita dalla pietas religiosa verso il pantheon sumerico e il dio polia­ de in particolare . La Mesopotamia è terra povera di materie prime. L' ac­ qua dei fiumi , l'argilla dei depositi alluvionali e l'opera dell'uomo per irri­ gare i campi attraverso canali artificiali possono fornire però incredibili risorse alimentari e l 'accumulo di un surplus primario è il vero motore dell'economia redistributiva delle prime città (CAP. 2) . Ma l'orzo e il grano non sono simboli tangibili ed evidenti del potere: lo sono invece i metalli e le pietre preziose o rare, plasmati dagli artigiani delle botteghe templa­ ri e palatine in gioielli, contenitori, statuine, sigilli, che visualizzano il " distacco " dal resto della comunità da parte dei membri ai vertici della piramide sociale. Regioni lontane, difficili da raggiungere perché protet­ te da montagne e deserti, custodiscono queste materie così importanti per i Sumeri: l'Anatolia, l'Iran e l'Afghanistan, separati da cime innevate e aridi deserti salati, nonché il subcontinente indopakistano, raggiungibile navigando lungo le coste del Golfo e l'Oceano Indiano . Non sono terre inabitate, ma luoghi in cui sono attivi fenomeni di strutturazione e defi­ nizione di varie entità culturali a partire dal Neolitico. Con tali culture le città dell' alluvio mesopotamico entreranno presto in contatto, stabilendo rapporti commerciali, interazioni sociali e legami di varia natura . Tra tutte le pietre semipreziose che raggiungono la Mesopotamia, quella che senza dubbio, già in tempi molto remoti , assunse un significa­ to distintivo , è il lapislazzuli . È questa una pietra composta principal­ mente da un minerale di colore blu (haunite, con anche la varietà detta lazurite) , associato a pirite e a vene di calcite bianca. Di durezza media ( 5,5-6 secondo i valori della scala Mohs) poteva essere lavorata attraverso intaglio e politura, ottenendo manufatti di colore azzurro più o meno intenso , con la pirite che risaltava sulla superficie in minute pagliuzze lucenti. Nella necropoli di Ur si riscontra una grandissima abbondanza di oggetti in lapislazzuli . Gli oltre 2o .ooo reperti rappresentano quasi i due terzi del lapislazzuli lavorato di Siria e Mesopotamia nel periodo compreso tra il 7 ooo al 2000 a.C. ! Gli oggetti sono concentrati in meno di quattrocento tombe, con una prevalenza in quelle del Protodinastico, e una netta concentrazione nelle tombe reali . Dalla sola tomba di Pu-Abi (PG 8oo) viene quasi la metà del lapislazzuli del sepolcreto, in pressoché tutte le tipologie di manufatti conosciute all 'epoca: perle, intarsi, scultu­ ra miniaturistica, piccoli contenitori, elementi di oggetti compositi, sigil-

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FIGURA 3 · 3

Collane in oro, corniola e lapislazzuli dal Cimitero Reale d i U r

Fonte: ].-D. Forest, Mesopotamia. Vinvenzione dello Stato, Milano 1996, p. 227.

li. L'impiego maggiore si ha negli splendidi gioielli che accompagnavano i defunti nel viaggio verso l'aldilà. Enorme è la quantità di perle dalle varie forme e dimensioni : da quelle cilindriche , sferoidali , discoidali , biconiche, più semplici, fino alle grandi perle a melone e agli elementi triangolari con costolature parallele (FIG . 3 .3 ) . Pur esistendo collane e ornamenti composti solo d a elementi di lapi­ slazzuli, nella maggioranza dei casi si riscontra un abbinamento di lapi­ slazzuli, corniola e oro, in un contrasto ricercato di colori azzurro , rosso e giallo . Di superba finezza e di qualità artigianale straordinaria sono le acconciature e i diademi. Nel caso della dama Pu-Abi, una retina forma­ ta da fili di perle cilindriche di lapislazzuli alternate a perle discoidali in corniola era arricchita da elementi foliati in oro e da una corona in lami­ ne auree ed elementi vegetali a rosetta; il corpo indossava ancora una veste fittamente decorata da almeno cinquanta fili di centinaia di perli-



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3 ·4 Capride rampante dalla tomba PG

FIGURA

123 7

Fonte: R. Zettler, L. Horn e (eds.), Treasures /rom the Royal Tombs o/Ur, Philadelphia 1998, p. 42·

ne di lapislazzuli , corniola, agata, oro e argento. il lapislazzuli trova un esteso impiego anche nella plastica polimaterica e negli oggetti intarsia­ ti. Gli arieti rampanti da PG 1237 hanno le corna e gli occhi in lapislazzu­ li , così come la parte superiore del vello , formata da elementi lanceolati (FIG . 3-4) .

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FIGURA 3 · 5

Particolare della decorazione di lira dalla tomba

PG r237

Fonte: Zettler, Home (eds.), Treasures /rom the Royal Tombs o/ Ur, cit, cat. n .



Le lire e le arpe possono avere la cassa decorata da una protome anima­ le, come nello splendido esemplare dalla tomba PG 789, dove una testa taurina in oro ha la barba a riccioli composta da elementi di lapislazzuli (FIG. 3 . 5) . L a pietra blu ricorre pressoché sempre, significativamente , negli oggetti e arredi più preziosi decorati mediante tarsie, come le scatole da gioco o i contenitori da cosmetici . Nel famosissimo Stendardo dz' Ur, conservato al British Museum, i vari intarsi - tenuti insieme da un sotto­ fondo in bitume - sono organizzati mediante tre registri separati da fasce composte da piccoli elementi triangolari e romboidali in lapislazzuli , conchiglia e diaspro (FIG . 3 . 6) . La raffigurazione mostra su un lato una scena di battaglia e su quel­ lo opposto la celebrazione di un b anchetto, con le figure intagliate in conchiglia e il campo riempito da intarsi di lapislazzuli a creare uno sfon­ do di colore blu intenso. Tra i contenitori in pietra, il lapislazzuli è atte­ stato solo da una piccola coppetta, mentre altri oggetti unici sono una cote/lisciatoio con anello di sospensione in oro e un manico di pugnale. In molte sepolture il defunto era accompagnato dal suo sigillo cilindrico. Su una novantina di esemplari, la metà sono di lapislazzuli, con raffigura-

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FIGURA 3 . 6

Stendardo di Ur dalla tomba P G 779

Fonte: Woolley, Ur Excavations II, cit., tavv. 91-92 .

zioni di banchetti e simposi o scene di combattimento tra animali ed esseri compositi, di solito sviluppate su due registri sovrapposti (FIG. 3 .7) . La disomogeneità della documentazione mesopotamica sui manufat­ ti in lapislazzuli, certo sbilanciata cronologicamente e geograficamente sulla Ur del Cimitero Reale, suggerisce di valutare statisticamente l'af­ flusso della pietra semipreziosa sulla base di una classe di oggetti diffusi in modo più costante attraverso i vari periodi storici: sono proprio i sigil­ li a cilindro che presentano i requisiti migliori al fine di questa valutazio­ ne diacronica. Dall'analisi quantitativa emerge che il picco di attestazio­ ni del lapislazzuli si colloca durante il Protodinastico III, rispetto a più limitate presenze nei periodi Jemdet Nasr (3r00- 2900 a.C.) e Protodina­ stico I-II (2900- 26oo a.C . ) , mentre le percentuali diminuiscono gradual­ mente dall 'età akkadica al periodo paleobabilonese ( 23 5o-r6oo a.C. ) . Questi dati, unitamente alla valutazione delle altre categorie di reperti in lapislazzuli, permettono di ricostruire con una buona approssimazione le "tendenze " generali e le prevalenze distributive nel territorio vicino­ orientale e di trarne considerazioni sul carattere dei commerci . Le prime importazioni sicure della " pietra blu " in Mesopotamia risalgono alla fase finale del periodo Ubaid e provengono soprattutto da

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FIGURA 3 · 7

Sigillo cilindrico in lapislazzuli dal Cimitero Reale di Ur

Fonte:

Zettler, Home (eds.), Treasures /rom the Royal Tombs o/ Ur, cit., cat. n. r8a.

siti dell'Alta Mesopotamia, indicando scambi che seguivano flussi cata­ lizzati dai centri settentrionali posti lungo la valle del Tigri. Con la rivo­ luzione urbana in Mesopotamia meridionale e l'affermazione della cultu­ ra di Uruk (IV millennio a.C.) , sigilli cilindrici, amuleti, pendenti e intarsi da numerose città dell' alluvio sembrano indicare lo spostamento dell' as­ se dei commerci di lapislazzuli verso il Sud, cui segue però , all'inizio del Protodinastico , un a scarsezza documentaria così accentuata da far ipotizzare l 'interruzione degli scambi con le regioni nelle quali erano presenti le miniere. Le attestazioni riprendono a partire dal 28oo/2700 a.C., per raggiungere, come visto, l' apice durante il Protodinastico rnA (ca. 2600-2400 a.C.) , e proseguire ininterrottamente nei secoli restanti del III millennio a.C. Da dove giungeva in Mesopotamia il lapislazzuli? In quale maniera e attraverso quali percorsi era organizzato lo scambio della preziosa pietra? Un importante testo letterario sumerico, chiamato dagli studiosi Enmerkar e zl signore di Aratta, che fa parte di un ciclo mitologico più ampio sulle imprese del leggendario re di Uruk, contiene una serie di riferimenti molto importanti sui luoghi lontani da cui proveniva il lapi­ slazzuli. n poema è ambientato in un tempo mitico nel quale non esiste­ vano ancora il commercio , né la scrittura per comunicare, e racconta come alla fine di una lunga e articolata contesa tra U ruk (la più antica città della Mesopotamia) e la terra di Aratta vennero stabilite pacifiche relazioni di scambi di beni. Dove fosse di preciso Aratta non è mai detto in modo esplicito nel poema, ma è chiaro che si tratta di un'imprecisata



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e lontana regione a est del Tigri , per raggiungere la quale bisognava superare varie catene montuose, dopo aver oltrep assato le terre di Anshan (regione del Fars, in Iran sud-occidentale) . n re di Uruk, Enmer­ kar, vuole procurarsi oro, argento e pietre semipreziose, e in particolare lapislazzuli , per abbellire i luoghi santi di Uruk e di Eridu . Forte del favore della dea Inanna, chiede al signore di Aratta, che in un altro componimento correlato viene chiamato Ensukheshdanna, di sottomet­ tersi e di inviare i materiali preziosi. n re si rifiuta, sentendosi protetto dalla distanza e dalle barriere naturali che lo separano dalla Mesopota­ mia. Nasce dunque una contesa tra le due città, molto articolata, che si sviluppa su più piani , religiosi , intellettuali ed economici, nei quali Enmerkar riesce sempre a dimostrare la propria superiorità sul rivale orientale . Quando un'improvvisa carestia colpisce le terre di Aratta e i suoi abitanti non possono sopravvivere senza i prodotti alimentari della Mesopotamia, il conflitto sembra volgere a favore di Uruk. La resa appa­ re inevitabile, ma giunge inaspettato l'intervento del dio Ishkur, figlio di lnanna, che porta la pioggia nel paese e lo rende nuovamente fertile. Nel finale, dove il testo è purtroppo in parte danneggiato, giunge ad Aratta una spedizione con a capo lo stesso Enmerkar: non è chiaro se si verifichi o meno uno scontro, ma dopo una serie di negoziati e trattative, è stipu­ lato l'accordo secondo il quale , in cambio dei materiali preziosi, Uruk darà ad Aratta fichi e uva. Sempre prodotti agricoli dunque, ma non di primaria necessità come i cereali. N el racconto epico la temati ca commerciale è molto accentuata ed è alla base della costruzione stessa dell 'impianto narrativo . Da una condizione di assenza di meccanismi di scambio, ritenuti caratterizzanti la stessa civiltà urbana al pari della scrittura cuneiforme, si arriva allo stabilirsi di relazioni regolate da trattati e accordi pacifici . Se appare forzata una lettura in chiave storica , secondo la quale il poema riflette­ rebbe il ristabilirsi della rotta del lapislazzuli dopo un periodo di sospen­ sione dei traffici, corrispondente ai primi due secoli del III millennio a.C. , più approp riata è l'interpretazione in chiave economica . Ovviamente sono presenti nel racconto molteplici significati e intenti ideologici, ma è possibile individuare un esplicito riferimento ai vari meccanismi dello scambio su lunga distanza, dalla richiesta senza alcuna controparte di beni preziosi avanzata dal re di U ruk ad Aratta, allo scambio diseguale di beni in cambio di orzo , al tributo da fornire per non essere attaccati, fino alla regolamentazione dei flussi commerciali secondo parametri stabiliti dalle autorità cittadine/regionali. n lapislazzuli (accadico uqnu, sumerico ZA.GIN) compare piuttosto di frequente in testi letterari e religiosi , most rando un abbinamento costante allo splendore e alla forza, in riferimento alle divinità, agli eroi e

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ai sovrani . Usuale è l 'espressione " come il lapislazzuli " per denotare qualità positive e ricchezza, mentre la polvere veniva impiegata in incan­ tesimi e come rimedio contro le forze maligne . Abbiamo poi elenchi e liste lessicali che enumerano diversi tipi di oggetti in lapislazzuli e speci­ ficano varie qualità della pietra, nonché testi che registrano consegne di quantitativi, in genere non molto alti, a lapicidi, mercanti, funzionari di vario genere . Manca però un lotto unitario di documenti relativi e un archivio relato alla gestione del movimento del materiale. Sembra piut­ tosto probabile che il circuito dello scambio fosse infatti organizz ato secondo canali reciprocativi controllati dai sovrani e dalle élite, attraver­ so doni e consegne mirate, meno visibile sul piano della rendicontazione burocratica. I nomi geografici associati al lapislazzuli non rispecchiano necessariamente i luoghi di approvvigionamento , quanto piuttosto dei punti di transito o regioni che gestivano parte dei traffici. È certamente il caso del Paese di Dilmun (odierne isole di Failaka e Bahrain nel Golfo Arabo-Persico ; cfr. CAP. 5) o di Melukhkha (Valle dell'Indo) , entrambi localizzati in zone senza miniere di lapislazzuli, ma potrebbe essere il caso della stessa Aratta. Dalle informazioni ricavabili dal ciclo mitologi­ co Enmerkar-Lugalbanda, Aratta sembra indubbiamente rivestire un ruolo primario nei meccanismi di scambio della pietra verso la Mesopo­ tamia e, soprattutto, sembra avere accesso alle fonti di approvvigiona­ mento . Significativi in tal senso gli epiteti di Aratta come «montagna di argento e lapislazzuli» oppure «casa del lapislazzuli» . Questo paese si trovava di certo nei territori a oriente di Anshan e forse con il toponimo, impiegato soltanto nei testi a carattere mitologico, si intendeva non una determinata entità region ale/ culturale, ma in generale tutta la fas cia orientale dell'Iran , da Kerman ( dove si trova l'importante centro di Shahdad) alla valle di Jiroft ( dove si trovano diversi insediamenti urbani; cfr. CAP. 4) , al Sistan (con Shahr-i Sokhta come centro primario) . 3·2 Le miniere di Badakhshan e la lavorazione del lapislazzuli nell'Iran orientale

Le miniere di lapislazzuli sono poche e concentrate in aree non molto estese. In tutto il Vicino Oriente e l'Asia Media sono presenti solo in Afghanistan (Badakhsh an ) , Siberia (lago Baikal) e in Tadj ikistan (Pamir) . Dal momento che uno sfruttamento delle miniere del Pamir e del Baikal per i commerci mesopotamici sembra escluso dalla lontanan­ za e dalla difficoltà d'accesso, è comune opinione che pressoché tutto il lapislazzuli vicino-orientale fosse estratto dalla regione di Badakhshan in Afghanistan nord-orientale (la Sogdiana delle fonti persiane) . Diverse



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cave si trovano in un raggio di pochi chilometri e ad altitudini comprese tra i 2.300 e i 3 .ooo m. Siamo nella catena dell'Hindu Kush, lungo la valle del Kochka, affluente dell'Amu Darya . Una formazione minore di lapi­ slazzuli è anche stata individuata sui rilievi montuosi del Chagai, al confi­ ne afghano-pakistano, a sud-ovest della valle di Quetta. In questa zona sono presenti altre pietre dure , come calcedonio e agata , sfruttate dai centri soprattutto della valle dell'Hilmand, come Shahr-i Sokhta e Mundigak, ma verosimilmente l'impiego si limitava alla richiesta locale ed è incerta l'esportazione verso la Mesopotamia . Dobbiamo in realtà procedere per ipotesi : il lapislazzuli non può, infatti, essere caratterizzato in modo preciso nelle varie provenienze, come accade ad esempio per l 'ossi diana. n problema è nella forte varia­ bilità degli elementi in traccia anche nelle formazioni molto ravvicinate e, del resto, non è stata ancora realizz ata una mappatura ampia delle caratteristiche mineralogiche del lapislazzuli afghano. n metodo fondamentale di estrazione prevedeva due fasi distinte. La roccia era prima riscaldata con il fuoco e successivamente bagnata con acqua fredda. n brusco cambiamento di temperatura provocava delle crepe sulla roccia, che facilitavano la frantumazione mediante martelli, picche e scalpelli in pietra e/ o metallo . La roccia era poi liberata delle più macroscopiche impurità, sgrossando i pezzi con prevalenza di ganga di calcite. Le evidenze di Ebla, che discuteremo alla fine del capitolo , hanno dim ostrato che anche grandi quantità di lapislazzuli erano commerciate a questo stadio del tutto preliminare di lavorazione, spesso con ancora la parte corticale di affioramento della roccia . Pochissimi sono i dati sulle tecniche di manifattura rinvenute in Mesopotamia e in Siria, dove sono documentati quasi esclusivamente i due estremi della catena artigianale (blocchetti grezzi e oggetti finiti) . Gran parte della nostra conoscenza sulle tecniche impiegate nella lavorazione delle pietre dure proviene invece dall'Iran e dal Pakistan . In queste regioni durante il IV e il III millennio a.C. si sviluppano dei centri specializzati nella lavo­ razione delle pietre, sia quelle locali , sia quelle che venivano reperite attraverso scambi di media e lunga distanza. Lapislazzuli, corniola, agata, diaspro , clorite, alabastro e calcite servivano a produrre soprattut­ to ornamenti, piccoli oggetti e contenitori, destinati e un consumo inter­ no, mentre il bagaglio tecnologico poteva diffondersi rapidamente grazie ai gruppi a forte mobilità territoriale che interagivano con le comunità stanziali . La documentazione più antica sulla lavorazione del lapislazzuli proviene da Mehrgahr. n sito si trova nel Baluchistan pakistano e ha resti­ tuito una sequenza occupazionale decisiva per indagare le fasi formative del Neolitico nella regione a cavallo tra il Sistan e la pian a dell 'Indo.

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Piccole perline in lapislazzuli sono presenti fin dal VII millennio a.C. e un costante incremento della pietra si registra durante i millenni successivi, fino all'impiego estensivo nella fase VI, databile agli inizi del III millennio a.C. Il centro è caratterizzato da una grande diversificazione di attività manifatturiere (ceramica, metalli, pietre dure) mostrando l 'integrazione dell'artigianato con la base economica agropastorale . Studi dettagliati sulla lavorazione delle perle in lapislazzuli hanno permesso di identifica­ re un atelier, dove erano presenti blocchetti semilavorati , scarti e stru­ menti litici. La sequenza operazionale è stata ricostruita nei vari passaggi o steps tecnologici, dalla preparazione dei blocchetti alla realizzazione del prodotto finale, soprattutto perle di morfologia discoidale piatta a profi­ lo biconico e perline cilindriche. Un altro sito che ha fornito importanti testimonianze è Mundigak, nel Baluchistan afghano, a nord-ovest di Kandahar. L'insediamento, che sorge nel bacino superiore del fiume Hilmand ha restituito strutture monumentali in mattoni crudi, aree di lavorazione e sepolture, databili soprattutto alle fasi III-IV (3000-2500 a.C. ) . Elementi ornamentali in lapi­ slazzuli e turchese compaiono alla fine del IV millennio , mentre nella prima metà del III millennio a.C. si registra il massimo consumo di lapi­ slazzuli, con perle ed elementi ornamentali , numerosi scarti e alcuni blocchetti grezzi. La caratteristica più interessante del sito è la contem­ poranea lavorazione di pietre molto diverse tra loro , da quelle di prove­ nienza regionale a materiali " importati " , come il lapislazzuli e il turchese. Si elaborano tecniche di percussione, lisciatura, perforazione applicate a materiali con durezza che variava da r a 8 della scala Mohs , in una progressiva specializzazione e affinamento delle botteghe di lapicidi in relazione ai materiali da trasformare . La situazione di Mundigak è simile e forse integrata a quella di Shahr-i Sokhta, l'altro centro maggiore dell'Hilmand . Sono stati gli scavi italiani condotti dall'ISMEO (oggi ISIAO) tra 1967 e 1978 in questo sito ad aprire la strada per un ' approfondita conos cenza degli sviluppi culturali nelle regioni dell ' Iran orientale in epoca protostorica, dando l' avvio e una fortunata stagione di ricerche interdisciplinari, i cui risultati più fruttuo­ si si ebbero proprio nel settore dell'archeologia della produzione. Shahr­ i Sokhta, il cui nome moderno significa " città bruciata " , era il centro più grande e importante del Sistan, la valle meridionale del fiume Hilmand , durante il III millennio a.C. Dalla sua fondazione intorno al 3roo a.C. l'in­ sediamento crebbe fino a raggiungere 1 50 ettari di estensione verso il 2 500 a . C . Anche in questo centro si registra un ruolo fondament ale dell 'artigianato delle pietre semi preziose: lapislazzuli , turchese , agata e altre varietà di calcedonio, provenienti dalle catene montuose che circon­ dano l 'Hilmand , tra Baluchistan, Afghanistan e Khorassan, ma anche

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steatite, calcite e altre pietre meno pregiate, dalle quali si ricavavano contenitori e suppellettili varie. D ai vicini rilievi del Chagai, a sud del delta, arrivavano calcedonio e agata, e forse lapislazzuli, che in gran parte doveva però essere reperito nelle miniere afghane di Badakhshan . La produzione riguardava soprattutto perline e ornamenti per gli abitanti della città, ma non può essere escluso un commercio di materie prime verso l'Iran occidentale (Anshan , Susa) e la Mesopotamia. Preziose infor­ mazioni vengono dalla necropoli, scavata dalla missione italiana e oggi dalla nuova spedizione iraniana diretta da Mansur Sajjadi. L'area funera­ ria occupava un 'estensione superiore ai 30 ettari , e venne utilizzata per quasi un millennio, da poco dopo la fondazione della città alla fine del III millennio a.C. Con alcune centinaia di sepolture scavate, Shahr-i Sokhta è il sito più rappresentativo dell'Iran sud-orientale per l'analisi dei costu­ mi funerari durante l'Età del Bronzo. L 'eccezionale stato di conservazio­ ne di molti corredi , sigillati dalla crosta superficiale formata dal riaffiora­ re dei sali minerali in un ambiente molto arido, ha permesso il recupero di manufatti in materiali organici (legno, tessuti, pellame) , offerte alimenta­ ri e persino parti di tessuto organico dei corpi . Alcuni oggetti forniscono invece preziosi indizi di rapporti culturali su lunga distanza: nella tomba 731 una tavoletta da gioco intagliata in legno di palissandro con la super­ ficie decorata da figure di serpenti intrecciati a formare le caselle, trova non solo dei confronti in oggetti di clorite da Jiroft (cfr. CAP . 4) , ma anche nella tavola da gioco intarsiata proveniente dal Cimitero Reale di Ur. ll rituale funerario prevedeva l'inserimento della salma inumata in una fossa scavata nel terreno , m a sono anche documentate tombe sotterranee costruite, mentre la variabilità dei corredi testimonia da un lato la diver­ sificazione sociale (in prospettiva sia diacronica che sin cronica) e dall'al­ tro è indice delle attività svolte in vita dal defunto. La maggiore presenza di turchese e di lapislazzuli nelle tombe con i corredi più ricchi dimostra il consumo prevalente di queste pietre da parte dell'élite e lo status sociale elevato dei lapicidi specializzati nella loro lavorazione . Sepolture appartenenti ad artigiani o mercanti sono state identificate nella zona IR-IW della necropoli . In particolare, la tomba 1 2 (Periodo III, 2500- 2300 a.C . ) ospitava l o scheletro d i un adulto insieme a 24 vasi in ceramica, una tavoletta di scisto con pestello , lisciatoi, stru­ menti in bronzo, una ciotola di alabastro entro la quale erano posizionati tre blocchetti semilavorati di lapislazzuli, 59 lamelle in selce e, nelle vici­ nanze, 258 elementi di collana in lapislazzuli, turchese e alabastro. Si trat­ ta di una delle tombe più ricche scoperte fino a ora e il materiale che accompagnava il defunto può essere interpretato come una rappresenta­ zione simbolica della operazioni legate alla manifattura di oggetti in lapi­ slazzuli e turchese.

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Fonte: G. M. Bulgarelli, La lavorazione delle perle in pietre dure nel m millennio a. C. : testimonianze da Shahr-i Sokhta (Sistan, Iran), in G. di) , Perle orientali. Tradizione antica e artigianato moderno nella lavorazione delle pietre semipreziose in Medio Oriente, Roma 1998, fig. 1 .

traccia del solco guida

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Ricostruzione del p rocesso di lavorazione del la p islazzuli a Shahr-i Sokhta e Bissar

FIGURA 3 . 8



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La distribuzione spaziale degli indicatori d'attività artigianali a Shahr-i Sokhta conferma l'apparente divisione tra la lavorazione del lapislazzuli e del turchese e quella di altre pietre, come il calcedonio e la corniola, abbinati a strumenti diversi, come le punte di trapano in diaspro o quar­ zite. Tuttavia, l 'ipotesi iniziale che voleva le botteghe e i laboratori del lapislazzuli legate ad edifici pubblici è stata di recente ridimensionata. Una zona di trasformazione del lapislazzuli si trovava all'estremità occi­ dentale del sito, associata a strutture di fase III (2500-2200 a.C . ) . I quasi 3000 pezzi di lapislazzuli lavorato rappresentano il 90% dei manufatti dell'area scavata. La grande abbondanza di scarti di lavorazione, semifi­ niti e utensili in selce evidenzia una produzione soprattutto di elementi di collana per ornamenti di consumo interno. Attraverso l'analisi del materiale rinvenuto nella necropoli e nell'insediamento è stato possibile ricostruire nel dettaglio la sequenza tecnologica della " pietra blu " (FIG . 3 . 8) . A Shahr-i Sokhta il lapislazzuli doveva arrivare a una fase in cui era già stato liberato delle impurità più grossolane, sotto forma di fram­ menti più o meno irregolari. Da questi, attraverso riduzione progressiva, si ottenevano blocchetti più piccoli e regolari mediante percussione indi­ retta con scalpellini inseriti in un solco praticato con strumenti da taglio. Si passava poi alla sbozzatura delle perle attraverso lisciatura e, infine, alla perforazione bipolare con punte di trapano in selce, su alcune delle quali ancora si trovano residui di polvere di lapislazzuli. Le evidenze iraniche, afghane e pakistane testimoniano da un lato la lunga tradizione dello sfruttamento del lapislazzuli e dall'altro lo svilup­ po ininterrotto di un artigianato rivolto alla produzione di ornamenti per le comunità locali . L ' alto livello tecnologico è intimamente legato alla disponibilità ampia di pietre semipreziose e alla precoce messa a punto di processi di lavorazione che potevano circolare insieme alle materie prime . I dati archeologici dall' area orientale non forniscono evidenze dirette degli scambi con la Mesopotamia, ma indicano la presenza di comunità organizzate ed autonome che erano in grado di trasformare pressoché tutte le risorse naturali ed anche di veicolare i flussi dei beni verso l' alluvio mesopotamico . Sebbene , infatti , la produzione di orna­ menti di lapislazzuli nei territori orientali dell'Asia Media fosse diffusa e probabilmente rivolta a sottolineare ruoli sociali ed economici all'interno dei gruppi indigeni, questa risulta pur sempre limitata a piccoli manufat­ ti (perle, pendenti e amuleti) e a ridotte quantità. La maggior parte del materiale estratto dalle miniere dell 'Afgh anistan doveva arrivare in Mesopotamia e Siria ancora non lavorato, per soddisfare le richieste dell 'elite cittadine che ne gestivano direttamente l ' acquisizione e ne controllavano la successiva produzione. Ma altri oggetti di manifattura straniera erano importati insieme o parallelamente al lapislazzuli grezzo ,

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come i vasi intagliati in clorite (CAP. 4) dall'Iran sud-orientale o le perle in corniola dalla Valle dell'Indo . I circuiti delle materie prime e quelli lega­ ti allo scambio di manufatti risultano pertanto intrecciati, anche se la richiesta primaria era rivolta a pietre dure (lapislazzuli e corniola) e metalli preziosi (oro e argento) da lavorare nelle botteghe artigianali mesopotamiche. Allo stesso modo gli itinerari commerciali sembrano essere più di uno, così come gli " agenti " coinvolti negli scambi. N on è facile ricostruire dei percorsi precisi sulla base dell'esclusiva presenza di lapislazzuli, trattenuto, come visto , sull'altopiano iranico per un "merca­ to " locale e mai testimonianza certa del "passaggio " della pietra verso la Mesopotamia. La documentazione archeologica rende possibile almeno tre rotte diverse, non necessariamente esclusive. Quella settentrionale, a partire dalle miniere di Badakhshan , seguiva il Kokcha per piegare a ovest attraversando il Turkmenistan, fino ad arrivare a Tepe Bissar nella piana di Gorgan . Da qui proseguiva verso Godin Tepe, per superare infine le catene degli Zagros e penetrare nell' alluvio lungo la vallata del fiume Diyala, oppure piegava a Sud verso Tepe Sialk , giungendo nel Khuzistan dove Susa ne costituiva il terminale iranico occidentale. Si tratta della carovaniera conosciuta anche come la Grande Strada del Khorassan , che divenne poi la celebre "Via della Seta" di Marco Polo. Le evidenze più importanti per sostenere l'adozione nel IV- III millennio a.C. di questa rotta terrestre , che tagliava l'altopiano iranico lungo i suoi margini settentrionali, sono state rinvenute a Tepe Hissar. L'identifica­ zione sulla collinetta meridionale di notevoli concentrazioni di lapislaz­ zuli con scarti e semifiniti associati ad abbondante strumentario litico (soprattutto punte di trapano) dimostra l'esistenza di atelier specializza­ ti databili alla fine del IV millennio a.C., in quello che doveva essere un vero e proprio distretto artigianale con dislocazione differenziata delle attività su una superficie di almeno tre ettari . N el sito è attestata una produzione costante di ornamenti personali (perle e pendenti) di lapi­ slazzuli durante tutto l'arco del III millennio a.C . , mentre i risultati della ricognizione sembrano indicare che Bissar fosse un centro specializzato nella lavorazione della pietra e dei metalli, nel quale almeno un decimo della superficie era destinato ad aree di produzione. Un secondo asse viario è identificato dal passaggio meridionale , che sfruttava le vallate fluviali dell'Hilmand (dove si trovano Mundigak e Shahr-i Sokhta) e del Bampur per poi attraversare le regioni montuose fino al Fars e al Khuzi­ stan . In realtà si poteva anche seguire un itinerario mediano che dopo Bampur risaliva la valle dell 'Halil fino a Shah dad nella regione di Kerman tagliando a ovest verso Sialk per ricollegarsi alla via settentrio­ nale, oppure scendere verso la costa del Makran da dove si poteva sfrut­ tare la via marittima del Golfo, superato lo stretto di Hormuz . In genera-



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le tutte le vie di comunicazione terrestri/fluviali che dall'Afghanistan si dirigevano verso l'altopiano iranico erano condizionate dall'insuperabi­ le barriera dei grandi deserti salati del Lut e del Kevir e dai passi montuo­ si interni, che imponevano percorsi difficoltosi e lunghe deviazioni per aggirare gli ostacoli naturali. n ruolo esercitato negli scambi e nelle in te­ razioni culturali dalla componente nomadica della popolazione durante il III millennio a.C . , l'eterogeneo mosaico delle identità regionali, la scar­ sa conoscenza di estese aree dell ' altopiano , rendono ancora del tutto provvisorio il quadro ricostruttivo di quella che è stata definita da Pierre Amiet in maniera efficace "l'età degli scambi interiraniani " , ma ciò che comunque sembra emergere è una situazione in cui lo sviluppo di socie­ tà complesse nelle vallate interne bagnate dall'Hilm and, dal Bampur, dallo Halil è parallelo all'affermarsi delle grandi entità urbane arcaiche in Mesopotamia e nell'Indo e alla comparsa di centri cittadini in Asia Centrale. Quando però si tenta di individuare dei tratti culturali geogra­ ficamente definiti l'impressione è quella di una forte permeabilità ed elasticità delle " frontiere " e di una spiccata tendenza a fenomeni d'inte­ razione, con elementi diffusi su territori molto vasti che si oppongono a particolarità regionali. n blocco del così variegato altopiano iranico pote­ va però essere aggirato attraverso la terza via di collegamento con la Mesopotamia, quella che dall'Afghanistan scendeva attraverso la valle di Quetta e l' alluvio dell'Indo raggiungendo le coste dell'Oceano Indiano. In questo caso il traffico commerci ale doveva essere gestito dai centri urbani della civiltà harappana e l 'itinerario marittimo costeggiava le coste del Makran pakistano e iraniano, attraversava lo stretto di Hormuz e seguiva le coste occidentali del Golfo fino alle città del sud mesopota­ mico , lungo un tragitto fondamentale soprattutto a partire dell 'epoca akkadica, fino ai primi secoli del II millennio a.C. (cfr. CAP. 5) . L'interes­ se dei centri dell'Indo per il controllo delle risorse minerarie afghane sembra dimostrato dal sito di Shortugai, nella piana di Taluqan, vicino alla confluenza tra Kokcha e Amu Darya. Qui la prima occupazione ha il carattere di una vera e propria colonia harappana, sorta nell'ultimo quar­ to del III millennio a.C. per reperire il lapislazzuli, sfruttato soprattutto per gli scambi con la Mesopotamia, dal momento che lo si trova scarsa­ mente impiegato per la manifattura di oggetti nella Valle dell'Indo. 3 ·3 Le tesorerie del Palazzo Reale di Ebla

L'ampiezza geografica della circolazione di lapislazzuli nel Vicino Orien­ te durante la seconda metà del III millennio a.C. è stata clamorosamente rivelata dalle scoperte della Missione archeologica italiana in Siria (MAIS) ,

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STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

che, sotto la direzione di Paolo Matthiae, conduce scavi sistematici a Tell Mardikh , l'antica Ebla, fin dal 1964. n ritrovamento alla metà degli anni settanta degli Archivi di Stato nel Palazzo Reale G (2400-2300 a.C.) ha permesso di fare luce su una fase storica del Bronzo Antico fino ad allora sconosciuta. La ricca documen­ tazione testuale, soprattutto di tipo amministrativo, redatta su tavolette scritte in caratteri cuneiformi, contiene preziosissime informazioni a carattere economico, sociale e politico . n regno eblaita era esteso, nella fase di maggiore espansione, dai margini del deserto siro arabico sino alle rive dell'Eufrate. n controllo di un territorio così vasto appare politica­ mente variato , con i centri più vicini alla capitale sicuramente sotto diret­ ta gestione amministrativa, mentre quelli più distanti in parte autonomi, ma legati ad Ebla attraverso alleanze e matrimoni dinastici. Più difficili e mutevoli nel tempo i rapporti con le grandi città di Mari (Tell Hariri) , sul medio corso dell'Eufrate, di N agar (T eli Brak) , nell'Alta Mesopotamia, e di Kish nella Mesopotamia centrale. Sotto l'ultimo dei tre sovrani menzionati nei testi , Ish'ar-Damu, Ebla raggiunge l ' apice del potere . Contatti e commerci sono stabiliti con le zone costiere del Levante (Biblo) e perfino con l'Egitto faraonico . Lo testimoniano gli oggetti egiziani rinvenuti nel palazzo, tra i quali assume un particolare significa­ to storico il coperchio d'alabastro con il cartiglio del faraone Pepi I della VI dinastia. Merci esotiche e preziose (lapislazzuli , corniola, stagno) giungevano nel centro siriano anche dalle remote regioni orientali, attraverso scam­ bi indiretti su lunga distanza, in una fitta rete di relazioni favorite dalla posizione geografica strategica . Metalli preziosi (oro e argento) , rame, cristallo di rocca ed ematite, erano invece inseriti in un circuito setten­ trionale di scambi con le autonomie culturali dell'altopiano anatolico , attraverso la valle dell'Eufrate, ovvero risalendo l'Oronte e la piana dello 'Amuq. Le strutture economiche portanti rimasero tuttavia sempre incentra­ te sui pilastri dell 'allevamento e dell'agricoltura ( cereali , olivo e vite) . L'industria tessile era gestita in modo centralizzato negli atelier palatini e garantiva una produzione su larga scala di tessuti di lana che circolavano mediante meccanismi redistributivi e reciprocativi, mentre nel palazzo si accumulavano soprattutto metalli preziosi (oro e argento) . La registra­ zione scrupolosa dei beni in entrata e in uscita procedeva con rendicon­ ti mensili (tessili) e annuali (metalli) , dai quali si ricava la cronologia rela­ tiva degli archivi per un periodo di circa un cinquantennio. Il cosiddetto Palazzo Reale G comprendeva una serie di unità funzionalmente differenziate , riferibili agli edifici pubblici della cittadel­ la di epoca protosiriana (FIG. 3 . 9) .

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PALAZZI E C I M I T E RI REALI

FIGURA 3 · 9

Pianta del Palazzo Reale G di Ebla

Fonte: Archivio MAIS.

Quartieri di rappresentanza, residenza, amministrazione, di stoccaggio e trasformazione delle derrate alimentari, laboratori artigianali e spazi dedicati al culto degli dèi, erano parte del composito, ma ideologicamen­ te unitario, organismo pubblicp centrale eblaita, nei testi degli Archivi indicato con il termine SA.zA ki. Tra i settori riportati alla luce, di straor­ dinario rilievo per monumentalità delle strutture e numero di reperti è il nucleo formato dal Quartiere amministrativo e dalla Corte delle Udien­ ze, un grande spazio porticato a cielo aperto, sul quale si apriva l'impo­ nente scalinata in gradini di basalto, di certo l'ingresso ufficiale ai settori centrali dell'edificio. Dalla fronte est della corte si accedeva al Quartiere amministrativo vero e proprio . Un vestibolo comunicava però a nord con la Sala degli Archivi (L .2769) , all'interno della quale erano disposte su tre piani di mensole lignee diverse migliaia di documenti cuneiformi relativi all' amministrazione palatin a. Il Quartiere amministrativo era imperniato su una corte colonnata quadrangolare (L.2913) che immette­ va a sud nell 'ampia sala di rappresentanza, alle spalle della quale si apri­ vano due ambienti quadrangolari, destinati alla conservazione di beni preziosi (L.2982 e L.2984) .

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STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

L 'abbondantissimo materiale recuperato disperso sui piani pavimen­ tali offre un quadro eccezionale della varietà di produzioni artistiche di pregio che erano presenti all'interno della struttura, sia come decorazio­ ne delle sale sia co1ne beni tesaurizzati. Esso rappresenta solo una mini­ ma parte di quanto si trovava nel palazzo prima del sistematico saccheg­ gio operato probabilmente dall'esercito del re Sargon di Akkad . Basti pensare ai dati desunti dai testi amministrativi che rivelano come ogni anno entrassero nelle tesorerie reali svariati chilogrammi di oro e decine di argento: nel decennio finale del regno gli introiti totali ammontavano a oltre 5 . 500 kg di argento e r8o kg di oro ! Eccezione a queste condizioni generali è rappresentata dal lapislaz­ zuli grezzo, non lavorato o solo parzialmente preparato per la successiva manifattura di ornamenti e oggetti preziosi . Questo materiale è infatti sfuggito in ingente quantità alla spoliazione, per un totale che supera attualmente i 43 chilogrammi. n lapislazzuli era conservato soprattutto in blocchetti di forme più o meno irregolari, del peso oscillante tra i roo e i 6oo grammi , ma alcuni pezzi raggiungono dimensioni ragguardevoli e masse che sfiorano i due chilogrammi (FIG . 3 . 10) . Numerosi sono poi i frammenti più piccoli, inferiori ai roo g, e le scaglie minute derivate da fratture casuali . In alcuni casi dei solchi retti­ linei ottenuti con strumenti metallici a sezione quadrata segnalano la preparazione del blocchetto per il successivo intervento di riduzione mediante percussione indiretta. Molto lapislazzuli mostra ancora la pati­ na grigiastra della parte corticale di affioramento della roccia e non ha subito alcuna lavorazione se non la frantumazione originaria nel luogo di reperimento. La qualità non è omogenea , con pezzi in cui domina la lazurite di un colore blu intenso , altri più impuri con presenza di calcite, mentre diffusa è la pirite sotto forma di piccoli inclusi . La distribuzione del lapislazzuli nel palazzo eblaita è limitata al solo Quartiere ammini­ strativo , dove le due concentrazioni maggiori si trovavano nella corte L . 2913 e nei vani- tesoreria L . 29 8 2 e L . 29 84 . Solo piccoli frammenti e scaglie minute provengono da vani limitrofi , evidentemente dispersi a seguito del saccheggio dell'edificio. Il lapislazzuli della corte comprende una trentina di blocchetti di peso superiore ai 100 g, e molte decine di scaglie e frammenti, per un totale di quasi 12 kg . Insieme sono stati trova­ ti anche cristallo di rocca, ossidiana e conchiglia, rivelando una tesauriz­ zazione articolata di materie prime semipreziose , sempre associata a oggetti finiti di piccole dimensioni, relativi a pannelli intarsiati e plastica composita. L'analisi del materiale in rapporto ai livelli di crollo e di distruzione ha indotto Frances Pinnock a suggerire che almeno in parte il lapislazzu­ li fosse conservato al piano superiore, mentre i frammenti sul piano pavi-



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FIGURA 3 . !0

Blocchetti di lapislazzuli grezzo dal Palazzo Reale G di Ebla

Fonte: Archivio

MAIS.

mentale potevano in origine essere stati trasportati dai due ambienti posti dietro la sala del trono . Sono questi certamente due vani molto particolari ed è possibile forse identificarvi la tesoreria del palazzo . In uno (L.2982) sono stati raccolti sul piano pavimentale quasi 20 kg di lapi­ slazzuli grezzo (una quarantina di blocchetti medio-grandi e numerosi frammenti) , ma anche molti oggetti preziosi , tra cui decine d'intarsi in steatite, l apislazzuli , calcare , conchiglia e un gran numero di lamine d'oro. Diversi pezzi appartenevano a piccole statuine composite con le braccia e le gambe ricoperte di foglia aurea, il volto intarsiato e la capi­ glia tura realizzata in steatite o lapislazzuli . L'altro ambiente era stato invece completamente svuotato , ma nella zona della porta di collega­ mento venticinque blocchetti e alcuni frammenti di lapislazzuli sono stati trovati raggruppati, insieme a tracce di fibre carbonizzate, resti del sacco che in origine li conteneva. Tra i pesi da bilancia del Bronzo Antico IV di Ebla esistono alcuni esemplari conici, forati orizzontalmente all'apice, che erano destinati alla pesatura del lapislazzuli grezzo . L 'analisi ponderale ha mostrato che tutti rientrano in un'oscillazione compresa tra 900 e 960 g, ovvero corrispon-

STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

dono a una doppia mina del sistema locale (ca. 470 g 7,8 g x 6o) . L'asso­ ciazione costante dei pesi conico/piriformi ai blocchetti di lapislazzuli nel Quartiere amministrativo rende assai plausibile l'ipotesi che si tratti di strumenti ponderali impiegati dall'amministrazione per operazioni di controllo sulle quantità di materiale tesaurizzato nel palazzo. Le consegne e le verifiche di materiali preziosi di più ridotta entità avvenivano invece tramite le classiche bilancine di precisione con piatti bronzei e set di picco­ li pesi in ematite, a Ebla solitamente a morfologia ellissoidale o emisferica. Interessante osservare infine che i blocchetti integri, senza fratture o inter­ venti di riduzione, tendono ad avere una massa oscillante tra i 400 e 6oo g: doveva essere questa la forma standard di circolazione del materiale grez­ zo, grosso modo riferibile a una mina, sia essa quella propria dei sistemi occidentali (ca. 470 g) oppure quella mesopotamica (ca. 504 g) . Alla fine della catena processuale della lavorazione del lapislazzuli si trovano i manufatti: oltre a perle ed elementi di collana, erano realizzati ad Ebla elementi di statuaria miniaturistica composita a tutto tondo e intarsi figurativi o geometrici per pannelli compositi a rilievo . Sono attesta­ te diverse capigliature e parrucche, riccioli di barbe e di capigliature, parti di occhi, tarsie e tessere, elementi vari per decorazioni. La superficie dei manufatti è accuratamente lisciata e i particolari sono ottenuti mediante incisioni. n lapislazzuli era abbinato alla corniola, alla steatite, al diaspro, al calcare bianco, alla conchiglia, all'oro , secondo la classica abitudine di accostare pietre e metalli di colori diversi, in un gioco di contrasti croma­ tici tipico delle botteghe di età protosiriana e protodinastica. Osservando la distribuzione delle tavolette cuneiformi in archivi sia temporanei che definitivi, delle cretule con impronte di sigillo, dei pesi da bilancia e, infine, dei materiali non lavorati , si è potuto osservare una precisa dislocazione, esclusiva o intersecata, degli indicatori di attività amministrative all'interno dell'edificio palatino. Nella Corte delle Udien­ ze dovevano essere trattati, sovente al cospetto del sovrano , la maggio­ ranza degli affari economici, commerciali e politici dello stato, mentre il " risultato " di essi veniva gestito, amministrato e formalizzato mediante processi i cui indicatori archeologici erano distribuiti in luoghi adiacenti alla corte stessa . n Quartiere amministrativo era destinato alla registra­ zione economica tramite documenti scritti, al controllo amministrato dei beni (cretule che sigillavano contenitori) e degli scambi (pesi da bilan­ cia) , all'immagazzinamento di beni e materiali (lapislazzuli, cristallo di rocca, oggetti di pregio ecc.) , con il settore meridionale caratterizzato da un 'accentuata tesaurizzazione di lapislazzuli e oggetti preziosi . Testi scritti e materiali conservati nell 'edificio palatino consentono solo in parte di individuare le modalità della circolazione dei prodotti, ma è certa la compresenza di forme di scambio regolato da meccanismi =



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reciprocativi e redistributivi, mentre si intuisce l'esistenza di luoghi di mercato , senza dubbio abbinati a ricorrenze particolari come feste e fiere religiose. TI mercante di Ebla è dunque innanzitutto un funzionario del palazzo e la maggioranza del movimento dei beni di lusso si doveva svol­ gere a livello recipro cativo sotto forma di doni e scambi cerimoniali (festività, matrimoni, alleanze ecc . ) o di tributo ( reciprocità negativa) , mentre il movimento di lana, tessuti, prodotti alimentari era regolato da assegnazioni a funzionari e personale dipendente, fissate a monte dall' au­ torità pubblica. Nei documenti epigrafici il lapislazzuli compare raramente, ed è chiaro che la documentazione in nostro possesso non riguarda mai diret­ tamente il commercio di questo bene . L'interesse della cancelleria era rivolto soprattutto al movimento di tessili e di metalli preziosi, alla redi­ stribuzione delle razioni alimentari e all'allevamento del bestiame . L 'im­ piego del lapislazzuli in un circuito artigianale per la manifattura di prodotti di pregio non richiedeva forse una dettagliata registrazione, ma i passaggi della catena manifatturiera, così come il calcolo delle quantità tesaurizzate di pietra grezza necessitavano dell'intervento dei funzionari sotto forma di operazioni di verifica del peso , ampiamente testimoniato dai campioni ponderali rinvenuti nel palazzo. Le poche notizie fornite dai testi indicano nella città di Mari il partner principale per l'approvvi­ gionamento del lapislazzuli, suggerendo che l'asse primario del commer­ cio fosse quello che risaliva il corso dell'Eufrate partendo dalle città del Sud mesopotamico. Si tratta pertanto di un commercio indiretto su lunga distanza che legava la Siria interna alle lontane miniere dell' Afgha­ nistan . I canali sembrano essere quelli dello scambio di beni attraverso referenti paritetici , mediante spedizioni commerciali di mercanti e funzionari pala tini, che si recavano a Mari o, più raramente, in città della Mesopotamia centro-meridionale . La via carovaniera che tagliava la Gezira e l'Alta Mesopotamia, attestata dai rapporti politico-diplomatici di Ebla con N agar, poteva altresì essere sfruttata per re perire materie prime dalle regioni orientali, anche se il flusso più consistente di lapislaz­ zuli doveva seguire il percorso dell 'Eufrate. Del resto la documentazione mariota conferma l' adozione diffusa del lapislazzuli come bene di prestigio nei contesti pubblici palatini e templari e il rinvenimento del cosiddetto Tesoro di Ur, in una giara inse­ rita nel deposito di fondazione del Palazzo presargonico I, documenta l'invio di doni da parte dei sovrani della I dinastia . L'oggetto più signifi­ cativo rinvenuto al suo interno è una grande perla fusiforme a lati sfac­ cettati in lapislazzuli con iscrizione centrale di sette linee , ritenuta da alcuni decisiva per stabilire la parentela tra Mesannepada e Meskalam­ dug, suo padre.

STORIA E ARC H E O L O GIA DEL C O M ME RC I O N EL L' O RI E N T E AN T I C O

Fino a oggi non vi è traccia a Ebla dei contenitori in clorite decorati a intaglio figurativo, prodotti in Iran sud -orientale, la cui circolazione avveniva t ramite doni, scambi rituali o cerimoniali verso occidente (CAP. 4) . Arrivando la clorite fino a Mari ma non oltre, e veicolato certa­ mente il lapislazzuli fino a Ebla tramite Mari, si pone il problema dell' at­ tuale non sovrapposizione delle sfere dei due beni/materiali. Certamen­ te non si fermava invece a Ebla tutto il lapisazzuli, che, sotto forma di oggetti lavorati ma anche di materiale grezzo, doveva proseguire fino alle coste del Levante, per essere imbarcato nei maggiori insediamenti portuali, come Biblo, veleggiando fino all'Egitto dove era richiesto dalla corte menfita . Era questo il viaggio del lapislazzuli , lungo percorsi di mare, di fiume e di terra che lambivano gli inospitali deserti iranici e le steppe siriane, superavano impervie catene montuose, si incanalavano per vallate fluviali, costeggiavano le sponde del mare " inferiore " (Golfo Persico) e del mare " superiore " (Mediterraneo orientale) . Un intreccio di scambi fitto e variato, nel quale non è sempre facile percepire i ruoli specifici delle molteplici entità culturali coinvolte. Dagli artigiani di Shahr-i Sokhta ai principi di Ur e ai sovrani di Ebla, 4 . 500 anni fa.

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4 I vasi intagliati in clorite

e la scoperta della civiltà di Jiroft

4·1 Dalla Mesopotamia verso Oriente . Viaggio alla ricerca dell'origine di una produzione artistica del III millennio a.C .

Serpenti dalle spire intrecciate in lotta con felini dalle fauci pronte ad azzannare, scorpioni e zebù dal lungo vello, rigogliosi palmizi e raffinati motivi decorativi, edifici e facciate architettoniche su cui si aprono porte e nicchie sagomate. Queste raffigurazioni, assai diverse dalle usuali iconografie della Mesopotamia, sono intagliate con maestria su vasi e contenitori in clorite o steatite, rinvenuti in varie città del Sumer, da contesti databili al III millennio a.C. La clorite, o più in generale gli scisti cloritici, sono delle rocce non molto dure , di colore grigio-verde, appar­ tenenti al gruppo dei silicati di indrossido di magnesio, come anche la steatite, varietà compatta del talco, detta "pietra saponaria " per la carat­ teristica untuosità della superficie. Entrambe le rocce sono particolar­ mente adatte all'intaglio e alla manifattura di oggetti e recipienti, vista la loro sfaldatura perfetta e la rapidità di lavorazione. n materiale è diffuso sull'altopiano iranico, in Oman e nella Valle dell'Indo , mentre ne è privo l' alluvio mesopotamico . Le particolarità dell'iconografia e l'abbinamento esclusivo alla clori­ te/steatite hanno presto fatto pensare che questi vasi fossero importazio­ ni provenienti da aree esterne la vallata del Tigri e dell'Eufrate, ipotesi suggerita anche dal moltiplicarsi di ritrovamenti nel Golfo e sull' altopia­ no iranico . Ma proprio la grande diffusione geografica ha determinato un acceso dibattito sui modi e i significati dello scambio di questi prodotti. Più di centoventi esemplari sono noti da siti della Mesopotamia centrale e meridionale, con i gruppi più consistenti da Adab, Ur, Mari, Khafaja , Nippur, Kish e Uruk . Laddove disponibili, i contesti primari sono di tipo funerario (Ur) , templare (tempio di !nann a a Nippur,

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Fonte:

disegno di Elena Felluca.

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Carta del Vicino Oriente e dell'Asia Media con indicazione dei siti citati

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(P e sulla necessità di storicizzare l'economia per trovarne il senso compiuto all'in­ terno della struttura sociale di riferimento . Ciò che qui interessa sottoli­ neare è che la matrice prettamente economica delle attività di scambio non può essere appieno compresa se è considerata in modo avulso dalle componenti sociali, politiche, religiose, psicologiche ecc . , che ne influen­ zano e spesso ne determinano i modi e i processi, in un complesso intrec­ cio di interdipendenze funzionali. Sottoposto a un'indagine formalista, il commercio internazionale di età amarniana (cfr. CAP . r ) mostra spesso apparenti irrazionalità econo­ miche , che divengono del tutto razionali, qualora la lettura del dato sia calata nel contesto storico-culturale e ideologico del periodo. Un esem­ pio per tutti: in una lettera spedita dal re di Cipro ad Amenophi IV si ricorda l'invio di tre zanne di elefante in Egitto , apparentemente assai poco giustificabile sul piano puramente economico, visto che il materia­ le eburneo è certo molto scarso nell 'isola del Mediterraneo e assai abbondante in Egitto: si tratta quindi di un dono " p rovocatorio " e " controcorrente " atto a sollecitare proprio l'invio dello stesso materiale pregiato (che infatti viene richiesto nella lettera) , in cambio dei prodotti tipici di Cipro, rame e legname. Negli scambi internazionali nel Bronzo T ardo è la presentazione ideologica e la rappresentazione che si fa del livello che sembra contare: il commercio di rame da Cipro verso l'Egit­ to, ad esempio, assume la forma del dono cerimoniale, ma maschera una vera e propria attività mercantile, che del resto rappresenta la base

' STO RIA E ARC H E O L O G I A D E L C O M ME RC I O N EL L O RI E N TE AN T I C O

economica della fortuna del regno di Alashiya (cfr. CAP . 8) . La forma è dunque sostanza ideologica e la catena dei doni, oltre a essere il meccani­ smo cardine del sistema dei rapporti interstatali è anche un vero e proprio scambio di beni che permette la circolazione di materiali e manufatti di valore attraverso regioni distanti migliaia di chilometri . Il processo è dissimulato da procedure in cui l'attenzione primaria risiede nel sottolineare l'eguaglianza dei referenti, l'invio disinteressato del dono e il disinteresse economico per ciò che si riceve, come naturali conseguenze della fratellanza e dell ' amicizia tra i sovrani . Quando i soggetti sono di pari rango, nell'elenco dei doni non interviene mai l' ar­ gento, usato nel Vicino Oriente per il calcolo delle equivalenze sotto forma di argento pesato, mentre a livello amministrativo è prassi consue­ tudinaria il suo impiego nei rendiconti economici . Tuttavia, e qui emer­ ge il fattore commerciale del sistema del dono, si danno sempre tutti gli elementi utili (tipologia, qualità e peso degli oggetti e dei beni) affinché il valore (in argento) possa essere calcolato implicitamente. L'unica ecce­ zione si trova nella corrispondenz a amarniana con Cipro, dove il re di Alashiya rapporta del legname all 'argento ed esorta il faraone a inviare argento in gran quantità, con un utilizzo del metallo sia come mezzo di calcolo del valore sia come mezzo di pagamento. È pertanto possibile ricostruire il seguente quadro complessivo: negli scambi tra regni indipendenti l'intervento dell'argento è escluso dal livello cerimoniale (ma se ne permette implicitamente il calcolo) e avvie­ ne solo se la trattativa è di carattere commerciale e riguarda beni di consumo . Nel caso di trattative tra referenti di rango diverso (tra un grande re e un piccolo re o tra un re e un funzionario) , l'argento può svolgere la sua normale funzione, ma spesso sono presenti forme miste, in cui allo scambio commerciale si aggiungono doni e sono previsti controdoni in funzione di prestigio, in una chiara situazione di interazio­ ne di meccanismi economici ed extraeconomici . N elle società arcaiche lo scambio dei doni interviene solitamente in determinate occasioni , mentre nel caso dei circuiti internazionali del Bronzo Tardo il dono , pur potendosi individuare anche eventi fissi a cui si accompagna (matrimoni, intronizzazioni, trattati, celebrazioni di trion­ fi e festività , arrivo di messaggeri) , nella maggior parte dei casi avveniva autonomamente; le occasioni ricorrenti possono essere elemento iniziale o intermedio del processo, ma la catena dei doni era sorretta in modo automatico dal motore della reciprocità e dal principio del contraccam­ bio. Il disinteresse verso i beni che si ricevono , è come detto, una " finzio­ ne " del meccanismo ideologico , ma spesso nelle lettere di Amarna si individuano contrasti, rifiuti e dilazioni , che sottintendono un 'attenta valutazione di quanto si scambiava in termini di prestigio e di impatto



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economico. N el caso dell'oro egiziano si nota l'estrema attenzione delle corti asiatiche a verificare il peso e il titolo di purezza, e non si esita mai a protestare o a denunciare incongruenze tra quanto promesso e quanto effettivamente inviato dal faraone, salvo premurarsi di salvaguardare la forma attraverso diversi escamotage : la colpa era attribuita ai funzionari egizi e non al sovrano, la necessità di oro veniva legata alla realizzazione di specifiche opere, la richiesta era appositamente sminuita calcando l'accento sull'estrema abbondanza del metallo nobile in Egitto . La tendenza è dunque quella di rifuggire dalla forma degli scambi commerciali e a caratterizzare una parte di essi attraverso il modello dello scambio di doni. Tipico del periodo è l'impiego diffuso di termini tecnici che qualificano come " dono " una serie molto ampia di apporti (fulmanu) e il costante ricorso al principio di reciprocità, che prevede l'obbligo di donare, ricevere e ricambiare: la durata della catena proces­ suale è la caratteristica fondamentale del rapporto, insieme a quella della personalizzazione mediante i codici della " fratellanza " e dell'" amicizia " , che impongono atti d i generosità e il ricorso continuo a connotare psico­ logicamente gli scambi mediante espressioni di gioia (all'arrivo dei doni) e di dolore (nel caso di mancato invio) . Nei rapporti sbilanciati (tra gran­ de re e piccolo re, tra re e funzionario ecc.) il meccanismo è quello redi­ stributivo, con l'invio di beni da parte dei subordinati in forme tributa­ rie , ma la rappresentazione del fenomeno nei documenti rivolti a interlocutori esterni può assumere lo schema del dono e dello scambio paritetico , con, da un lato , i beni forniti dal soggetto subordinato e , dall' altro, l a protezione e la vita, assicurati dal grande re. La presenza di una lettura differenziata di una medesima attività di scambio si coglie in modo esemplare se si analizza la documentazione (epigrafica e iconografica) egizia. Dalle lettere di Amarna sopra discusse sappiamo che il faraone intratteneva rapporti pariteti ci con i regni asiati­ ci indipendenti, formalizzati attraverso lo scambio di prodotti e beni , ma certamente anche attivi attraverso attività commerciali. Tuttavia, nell' ot­ tica egizia, così come non era possibile dare in moglie una principessa, altrettanto difficile, ed esclusa a livello propagandistico interno , era una presentazione di questi scambi secondo un modello paritetico . Intervie­ ne dunque una tipica distorsione centralistica, di norma attraverso il ricorso a due meccanismi giustificativi diversi : i beni importati sono considerati come materie p rime , p resenti all 'esterno dell 'impero ma inutilizzabili, perché in quei luoghi gli abitanti non detengono le capaci­ tà tecniche di lavorarle o ne ignorano gli impieghi; al contempo la perife­ ria fornisce questi beni, ricevendo in cambio la vita (il " soffio vitale " ) , eventualmente viveri , cioè beni di sussistenz a, in un meccanismo che estende in linea di principio il controllo del " centro " a tutto il mondo.

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Negli Annali di Tuthmosi III, redatti per celebrare le vittorie militari egiziane e il conseguente afflusso di ricchezze nel paese, è possibile osser­ vare importanti differenze nella registrazione dei prodotti, in base alla loro origine geografica, ai tempi e alle modalità del meccanismo centri­ peto di accumulo delle risorse. Mentre , infatti, si denomina " prodotto " tutto ciò che arriva dalla fascia territoriale di diretta amministrazione egizia, il termine usato per registrare i beni in arrivo da zone esterne è " apporto " (o "bottino " nel caso di chiare conquiste militari) . Si tratta di tributi dei regni vassalli e di doni offerti dalle corti asiatiche, ma l' ammi­ nistrazione egizia opera un voluto appiattimento delle realtà politiche esterne, mascherando come tributo uni direzionale anche ciò che doveva essere un dono di un regno indipendente. Sappiamo invece che questo stesso era presentato in altri documenti esterni (lettere, trattati interstata­ li) sotto forma di rapporto paritetico . Una terza categoria è infine quella dei beni chiamati " meraviglie " , provenienti dalle terre di Punt, ovvero dalle regioni africane orientali al di fuori del controllo egizio, ma, a diffe­ renza dei regni asiatici, collocati oltre la sfera civilizzata. Questa t rip artizione (p rodotti , apporti e meraviglie ) ha precisa rispondenza nella tipologia dei beni : dai territori interni il prodotto è quello dell'economia primaria, agropastorale, con varianti o aggiunte da alcune regioni, come oro, avorio ed ebano dalla Nubia o legname , olio e vino dall' area levantina. Sono questi gli introiti raccolti dall' ammini­ strazion e , in un regime di tassazione e attraverso il classico mo dello redistributivo delle grandi organizzazioni statali arcaiche (cfr. CAP . 2) . Gli apporti sono invece più vari (dai generi alimentari, ai metalli , agli animali) , ma prevalgono gli oggetti lavorati e i materiali di pregio (corri­ spendenti ai circuiti dei doni , ma anche a quelli dei tributi dei regni sottomessi) . Le meraviglie di Punt sono invece mirra e incenso (soprat­ tutto) , avorio , ebano, schiavi, bestiame, pelli di animali , che ricorrono anche nel racconto visivo e testuale del tempio della regina Hatshepsut a Deir el-Bahari . La medesima ideologia centralistica , espressione di propaganda interna e di celebrazione trionfalistica delle imprese faraoniche, il cui chiaro intento è quello di collocare in una condizione d 'inferiorità i regni esterni, qualunque essi siano, si ritrova nelle iscrizioni e nelle pitture tombali dei funzionari della XVIII dinastia. In queste tombe private del N uovo Regno compare spesso una scena in cui il faraone assiso in trono presiede a una cerimonia con corteo di tributari stranieri, asiatici e africa­ ni, ma anche provenienti dall'Egeo . TI messaggio celebrativo è quello di mostrare un Egitto dominatore di genti e paesi d'ogni luogo , e l'ottica assolutamente centralistica determina una generalizzazione di situazioni diverse, presentate nella stessa maniera visiva, difficilmente ascrivibili a

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FIGURA 7.2

Scena complessiva di tributo dalla tomba di Rekhmire a Tebe

Fonte: J. Vandier, J.V!anuel d'archéologie égyptienne,

tome IV, Bas-rehe/s et peinture, Paris 1964,

fig. 310.

un unico evento ricorrente, come anche è stato proposto . Per lo studio dei commerci e degli scambi interregionali la documentazione è di stra­ ordinario interesse: integra elementi iconografici e dati testuali e offre raffigurazioni dettagliate di beni e prodotti considerati tipici e caratteriz­ zanti le diverse regioni, così come altrettanto ben connotate sono le genti tributarie. L'esempio migliore è quello della tomba di Rekhmire a Tebe, nella quale la parete occidentale di fondo del vestibolo è istoriata con una grande scena pittorica suddivisa in cinque registri (FIG. 7.2) . In ognuno si vede un corteo di stranieri trasportare prodotti verso gli scribi egizi che ne annotano natura e quantità. N el primo registro dall'al­ to è rappresentato il tributo di Punt: davanti a due scribi troviamo accu­ mulato l'incenso (in grani che formano due obelischi e due monticoli conici) , mentre su delle scaffalature sono poggiati anelli d'oro e minerali preziosi . Seguono quindici tributari che trasportano collane , pelli di animali, vassoi con incenso, zanne di elefante, tronchi di legno pregiato, una pianta di incenso e animali esotici (le " meraviglie " di Punt descritte negli Annali di Tuthmosi) . Nel partito sottostante il tributo dei Keftiu, ovvero gli abitanti di Creta, è ordinatamente suddiviso in tre registri e rendicontato dagli scribi (FIG . 7 . 3 , registro superiore ) . In alto , entro contenitori, sono posti i materiali preziosi (argento in anelli e lingottini, lapislazzuli), mentre al centro e in basso si vedono diversi vasi metallici e rhyta a protomi di animale. La sfilata dei tributari è composta da sedici personaggi che trasportano quasi tutti vasi ansati o zoomorfi; tre di essi

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FIGURA 7·3

Particolare del registro con il tributo dell'Egeo e della Nubia, tomba di Rekhmire a Tebe

Fonte:

N. De G. Davies, The Tomb o/Rekh-Mi-Re' at Thebes, New York 1943, tav.

r8.

sostengono un grande lingotto di rame del tipo " a pelle di bue " ( cfr. CAP. 8 ) , mentre l'ultimo tiene in spalla una zanna d'elefante (un dono controcorrente? ) . Anche in questo caso siamo dinanzi a prodotti assolu­ tamente tipici dell'area egea (a eccezione dell'avorio e del lapislazzuli) e soprattutto i vasi (in metallo prezioso o ceramica) trovano precisi paralle­ li nella documentazione materiale. n terzo registro è riservato ai prodotti delle genti africane della Nubia, che accumulano e trasportano uova di struzzo , tronchi di ebano, vassoi con oro e minerali preziosi , zanne di elefante e pelli di leopardo (FIG . 7 . 3 , registro inferiore) . La connotazione african a, oltre dall 'abbigliamento e dai caratteri soma ti ci negroidi, è rafforzata dalla presenza di animali selvatici tenuti al guinz aglio (una giraffa, un leopardo , scimmie e babbuini) , mentre l'apporto di animali domestici è indicato da bestiame e levrieri. Segue il corteo degli asiatici di Siria-Palestina (Retenu) , che indossano la tipica veste lunga di foggia orientale e portano davanti ai funzionari egizi giare cananee piene di olio o vino, crateri con anelli di argento, vasellame in metallo, lingotti di rame e piombo , carri e cavalli (FIG. 7 . 4 , registro superiore) . A dimostrazione della totale sottomissione di questi p aesi, l'ultimo registro è riservato a



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FIGURA 7·4

Particolare del registro con tributari siropalestinesi e schiavi, tomba di Rekhmire a Tebe

Fonte:

Davies, The Tomb o/Rekh-Mi-Re', cit., tav.

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una scena con le genti siriane e nubiane in schiavitù, che divengono quin­ di esse stesse tributo per l'Egitto (FIG . 7.4, registro inferiore) . 7 ·3 Alcuni rifle ssi archeologi ci: coppe, avori e ceramica m i cene a

La circolazione di beni di prestigio, ampiamente attestata nelle evidenze epigrafiche, trova riscontri nella documentazione archeologica: la diffu­ sione in particolare nell 'area levantina di avori, coppe decorate a sbalzo e incisione, gioielli, armi da parata, permette di materializzare quella rete di scambi e doni così attiva durante il Bronzo Tardo. La trasmissione di tecniche artigianali e di elementi iconografici, favorita dal movimento di specialisti tra le varie città , dalla nascita di botteghe nelle quali operavano maestranze di origini diverse e dal siste­ ma di traffici mercantili su lunga e media distanza, è testimoniata non solo dagli oggetti di lusso ma anche dalla scultura, dalle decorazioni pittoriche e, soprattutto, dalla glittica. n quadro generale delle espres­ sioni artistiche nel Levante si definisce per complessi fenomeni d'intera-

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zio ne, commistioni, rielaborazioni , a cui contribuiscono anche l' area egiziana e il mondo egeo. Se è forse eccessivo parlare, come anche è stato fatto, di uno stile inter­ nazionale, è molto probabile che le botteghe artigianali palatine avessero a disposizione un repertorio stilistico-iconografico che mescolava elemen­ ti locali e allogeni, rispondente a un gusto della committenza per prodotti caratterizzati da suggestioni culturali polivalenti. Tuttavia, anche le classi di materiali che più mostrano questo carattere apparentemente eclettico (come gli avori) sono ben radicate nel contesto culturale specifico e affon­ dano le radici nei secoli precedenti : è la tradizione indigena insomma a dettare le linee evolutive , che però si concretizzano in modelli espressivi permeati di quegli elementi interculturali propri di un mondo regolato dalle dinamiche politiche e dai sistemi di scambio sopra discussi. Nella documentazione epigrafica del Bronzo Tardo ricorrono soven­ te le consegne (come doni e tributi) di coppe d'oro e d ' argento, il cui peso mostra valori standardizz ati , equivalenti a una mina o a frazioni semplici di essa , e tip ologie anch 'esse molto uniformi. Decorazione, purezza del metallo , forma del contenitore erano parametri qualitativi che aumentavano il valore oggettivo del pezz o, calcolato mediante operazioni di pesatura. Queste ultime, imprescindibili, escludono peral­ tro l'utilizzo delle coppe come " moneta primitiva " (cfr. CAP. 2) e le confi­ gurano come un tipico prodotto di prestigio, destinato alla tesaurizzazio­ ne e a sottolineare il rango del proprietario , ottimo indicatore del livello degli scambi elitari . Rispetto alla frequenza del dato testuale, sono anco­ ra pochi i reperti rinvenuti, con gli esempi più eloquenti dalla Siria e da Cipro, ed è assai difficile valutare in modo complessivo quest 'importan­ te produzione toreutica. Due splendide patere auree di Ugarit , scoperte nelle vicinanze del tempio di Baal , sono realizzate con una tecnica di martellatura e cesellatura. Un a coppa è decorata all'esterno mediante un tondo centrale a rosetta e tre registri concentrici separati da spirali conti­ nue (FIG . 7. 5 ) . Si succedono così, dall'interno verso l'esterno, una teoria di capridi e piante stilizzate, una composizione con tori affrontati segui­ ti da leoni, separati mediante un albero sacro, e, nel registro principale, una serie di animali in lotta, una sfinge e una scena di caccia al leone. I motivi di origine siriana, egizia ed egea sono fusi insieme e saldati in un solido impianto a carattere ornamentale, che intreccia schemi narrativi a simmetrie araldiche. L'altra coppa, bassa e a pareti verticali, presenta invece la decorazio­ ne all'interno, con il centro formato da quattro capridi disposti a raggie­ ra e un largo registro in cui si sviluppa una scena di caccia sul carro, dove un personaggio maschile, forse il sovrano , tende l' arco pronto a scocca­ re la freccia, verso tori e cervi in fuga , inseguiti da levrieri (FIG . 7.6) .



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FIGURA 7·5

Coppa in oro da U garit

Fonte: P. Rehak, J. C.

Younger, International Styles in Ivory Carving in the Bronze Age, in E. H. Cline, D. Harris-Cline (eds.), The Aegean and the Orient in the Second Millennz'um, Liège 1998, pp . 229- 55, tav. 27:h.

FIGURA 7.6

Piatto in oro da U garit

Fonte: P. Matthiae, La storia dell'arte dell'Oriente Antico. I primi imperi e i principati del Ferro. I60o-JOO a. C , Milano 1997, p. 131.

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Un'altra classe di oggetti molto apprezzata dai ceti più elevati della società urbana è quella dei manufatti in avorio, prodotti nelle botteghe arti­ gianali soprattutto siriane. La tradizione legata alla lavorazione eburnea nel Levante risale ai periodi precedenti ed ebbe una grande diffusione duran­ te il I millenio a.C. , quando fiorirono svariati centri di produzione fenici e neosiriani. TI materiale era ricavato sia dalle zanne d'elefante che dagli inci­ sivi dell'ippopotamo ed era sfruttato per realizzare un'ampia gamma di prodotti: elementi decorativi per mobilio (placchette, intarsi, pomelli ecc . ) , contenitori per cosmetici, cofanetti, oggetti d i toletta, statuaria miniaturi­ stica, parti di oggetti compositi. Ugarit e Megiddo hanno restituito i lotti più consistenti di reperti e permettono di avere un'immagine abbastanza dettagliata di questa importante categoria di prodotti di pregio. Il lotto ugaritico include manufatti di alto livello qualitativo , di committenza reale o di altissimo rango , oltre ad oggetti di uso personale. Uno dei pezzi più notevoli è il pannello eburneo che doveva decorare la testata di un letto, trovato nel Palazzo Reale (FIG . 7.7) . Si componeva di sei placchette giustapposte con motivi figurativi scolpiti a bassorilievo su entrambe le facce, inquadrate da due intagli a forma di p almette e sormontate da un elemento rettangolare con un fregio continuo di animali, esseri mitici e scene di caccia. Le figure dei pannelli sono di vario genere, con motivi che mescolano influssi egizi , ittiti e siriani . Su u n lato i motivi richiamano il tema della celebrazione della forza e della potenza della regalità, attraverso le scene del sovrano che abb atte il nemico e che uccide il leone. N ella parte opposta, al centro, una divinità femminile alata a testa hatorica allatta due fanciulli, mentre ai lati sono disposti una coppia reale abbracciata e un personag­ gio femminile con coppa ed elemento floreale (forse la principess a) , seguita da due figure che offrono selvaggina. Sempre dall'edificio palatino proviene una splendida testina eburnea intarsiata in lapislazzuli e oro, il cui alto copricapo conico rastremato richiama la tiara di Hadad/Baal, il dio della tempesta venerato nella città siriana. Un altro capolavoro , purtroppo solo in parte ricostruibile, è la decorazione per il piano di una grande tavola circolare (tre metri di diametro) , eseguita a incisione senza rilievo con fregi concentrici di grifo­ ni, alberi sacri, figure umane, con evidenti richiami al mondo egizio, ma anche ai temi canonici delle coppe medio-siriane . Una categoria assai tipica di manufatti in avorio è quella delle fiasche ricavate dall'estremità delle zanne, sovente interpretate, senza prove sicure, come degli olifanti (trombe cerimoniali) . La superficie esterna poteva essere decorata con figure femminili a rilievo, animali o esseri compositi. Gli avori rinvenuti in un m agazzino sotterraneo del palazzo di Megiddo (XIII-XII secolo a.C . ) , quasi trecento reperti, formano una colle-



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FIGURA 7 · 7

Pannello in avorio dal Palazzo reale di Ugarit

Fonte: A. Caubet, F. Poplin, Matières dures anima/es: étude du materiaux, in M. Yon et al. , Ras Shamra-Ougarit, 3· Le centre de la ville. 38e -44 e campagnes (1978-1984), Paris 1987, pp. 273-306,

fig. 1 9 .

zione altrettanto variata, per stili e per tipologia d 'oggetti . Domina la serie " siriana " , con placchette intagliate destinate a ornare mobilio , contenitori per cosmetici in forma umana o di anatra e cofanetti scolpiti­ con sfingi e leoni. Di grande interesse è la placca incisa con la rappresen­ tazione di un corteo di trionfo incedente verso il sovrano, assiso su un elaborato trono con fiancate a forma di sfingi alate (FIG. 7.8) . In altri avori il richiamo all'Egitto è evidente, soprattutto nei pettini, nelle tavole da gioco , nei pannelli lavorati a giorno e nelle placche rettan­ golari allungate, incise e intagliate con motivi nilotici, a volte completati da geroglifici. Un raro esempio di contatti con il mondo anatolico è infi-

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FIGURA 7.8

Intarsio in avorio con decorazione incisa da Megiddo

Fonte:

G. Loud, The Megiddo Ivories, Chicago 1939, tav. 4:2b.

ne la placca (forse un coperchio) con due figure divine o reali, sormonta­ te dal disco alato , e sostenute da teorie sovrapposte di esseri mitici e divi­ nità del pantheon ittita in atteggiamento di atlante. La presenza a Megid­ do di questo eccezionale pezzo , di cui è stata ipotizzata la provenienza dalle botteghe imperiali della stessa capitale Hattusha o da quelle di Karkemish, sede del viceré ittita, rim ane certo enigmatica, ma vi si è voluto riconoscere una testimonianza degli scambi di doni tra Ittiti ed Egizi in occasione del trattato di pace al tempo del faraone Ram esse IL Durante il XIV e XIII secolo a . C . è possibile enucleare anche una produzione cosiddetta levanto-micenea, ascrivibile a botteghe fortemen­ te influenzate dal mondo egeo . n coperchio di una pisside, rinvenuta in una tomb a di Minet el -Beidha, il porto di Ugarit, mostra una figura femminile assisa , posta su di una montagna, mentre nutre dei capridi rampanti. La tipologia della veste, il paesaggio roccioso, la posizione della figura trovano confronti in ambito miceneo , sebbene altre partico­ larità (come la capigliatura e il busto nudo) suggeriscano il carattere ibri­ do del manufatto (FIG . 7.9) . Se la toreutica e l 'arte dell'intaglio eburneo sono ottimi indicatori dell'artigianato di lusso che circolava negli ambienti di corte , una diver­ sa valutazione è necessaria per le ceramiche importate dall 'Egeo in Oriente. La presenza di vasellame miceneo nelle regioni siropalestinesi e in Egitto è, infatti, un importante segnale degli scambi commerciali nel Mediterraneo , e si collega alla più generale (e dibattuta) questione del ruolo dei Micenei nei traffici mercantili marittimi durante il Bronzo Tardo, anche in rapporto ai precedenti minoici . Ceramiche ascrivibili al Tardo Elladico I-II e IIIA-B (ca. 1 5 50-r2oo a.C . ) , nei tipi prevalenti dei crateri, delle tazze, delle giare piriformi, delle anforette " a staffa " , degli alabastra, dei rhyta conici e zoomorfi e delle



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FIGURA 7·9

Coperchio di pisside in avorio da Minet el-Beidha

Fonte: Rehak, Younger, International Styles in Ivory Carving, cit., tav. 27:a.

fiasche " del pellegrino " , sono state rinvenute in Egitto, in molti siti levantini, soprattutto costieri, e a Cipro . Le orm ai numerose pubblicazioni del materiale orientale hanno chiarito in modo esaustivo gli aspetti distributivi e tipologici, integran­ dosi più di recente alla precisa classificazione regionale della ceramica micenea in madrepatria e ai contributi offerti dalle analisi chimico-fisi­ che sulle argille. È stato possibile quindi focalizzare l'attenzione sull'esat­ ta provenienza delle produzioni elladico-micenee (soprattutto dall'Argo­ li de, ma anche da Creta, nella fase più antica , e dalla Beozia ) , dimostrando l'esistenza di una produzione rivolta al mercato orientale, accanto a una d'imitazio ne, realizzata in particolare dalle botteghe cipriote. L ' analisi morfologica e stilistica ha permesso inoltre di dare

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profondità cronologica al fenomeno e di registrare il graduale incremen­ to delle importazioni nell'area levantina durante i secoli XV-XIII. In una prima fase ceramiche minoiche e micenee sono presenti negli stessi contesti e la distribuzione è ancora limitata ad alcuni centri ciprio­ ti, palestinesi e a pochi siti siriani. Con il Tardo Elladico nrA-B, la cera­ mica micenea diviene prevalente e diffusa in molti insediamenti della fascia costiera siropalestinese, ma penetra anche all'interno, lungo le direttrici carovaniere. A Cipro la carta distributiva copre quasi tutti i siti conosciuti e nell'isola si sviluppano botteghe artigianali che realizzano vasi d'ispirazione micenea, accanto a manifatture locali di alta qualità, anch'esse esportate verso il Levante. È pertanto possibile credere a un iniziale impulso tardo-minoico (dovuto a esperienze pregresse del Bronzo Medio) , al quale si sostituisce durante il XN secolo una gestione privilegiata dei rapporti con l'Oriente da parte dei centri micenei del Peloponneso , Micene in primis, rivolta verso le città del Levante e i centri protourbani emergenti di Cipro. Lo schema non è ovviamente rigido e i meccanismi d'interazione sono più intersecati di quanto si riteneva un tempo. Creta e Rodi funzionavano come punti di smistamento e d'interfaccia anche dopo il XV secolo a.C. , sfruttando inoltre le rotte meridionali, in parte svincolate dai centri del Peloponneso. Cipro assorbiva una buona parte del mercato, ma al tempo stesso funzionava come trampolino verso i mercati orientali , entrando nel sistema come soggetto attivo . La diffusione della ceramica micenea al di fuori della madrepatria non può ascriversi al circuito dei doni (non è mai citata negli elenchi di beni di prestigio) e il suo valore non sembra dovuto né al materiale, né alla particolare qualità del prodotto. Si è pertanto pensato che la molla decisiva andasse cercata non tanto nel vaso, quanto in ciò che contene­ va, ma la presenza costante di forme aperte, come le coppe e i crateri, non permette di considerare le ceramiche soltanto come il riflesso mate­ riale del trasporto di sostanze deperibili. Se dunque almeno una parte della ceramica era pensata come prodotto commerciabile, vuol dire che il mercato orientale la recepiva per delle ragioni extraeconomiche. D'al­ tro canto il mondo miceneo aveva tutto l'interesse affinché il circuito di scambio interregionale includesse questi prodotti, di basso dispendio economico, e che ben si prestavano ad affiancare materie prime di maggiore pregio, attraverso meccanismi mercantili anche indipendenti dalla gestione centralizzata dei traffici. In tal senso , va tenuto debito conto della sovrapposizione dei canali commerciali (ad es . circolazione del rame e delle ceramiche micenee , cfr . CAP . 8) e della funzione del vasellame importato . Specifiche forme si legano al simposio (crateri e tazze) , altre al culto (rhyta conici e zoomorfi) , altre ancora certamente

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alla circolazione di sostanze aromatiche (alabastra, fiaschette, anforette a staffa) . Le forme aperte sembrano dunque provenire dall'Egeo verso Orien­ te perché nel contesto allogeno trovavano una collocazione in p articola­ ri momenti della vita sociale e privata, nei quali era previsto il consumo di bevande e alimenti secondo modalità conviviali rinnovate. La diffusio­ ne delle morfologie chiuse individua, invece, un commercio di oli e unguenti aromatici, confermato dalla tendenza a riprodurre localmente proprio queste forme, perché adatte al contenuto . Non si tratta di due circuiti separati: le merci viaggiavano insieme, come dimostra il carico della nave di Uluburun e i ritrovamenti siropalestinesi (cfr. CAP . 8 ) . I contesti, tanto a Cipro quanto nel Levante, sono di tipo cultuale, funera­ rio e domestico/residenziale, secondo modelli conformi non soltanto al canale degli scambi interregionali , ma anche a una rete composita di distribuzione di prodotti sul mercato interno. In Siria la documentazione più cospicua proviene da Ugarit , dove la p resenz a di materiale miceneo va oggi valutata nel quadro region ale complessivo dei flussi mercantili e non può più essere usata per sostene­ re l'esistenza di una colonia occidentale e di un quartiere egeo nella città siriana. Che mercanti stranieri occidentali potessero frequentare in determinati periodi U garit e il suo porto di Minet el-Beidha è del resto plausibile, e le spedizioni commerciali di Ugarit erano certamente indi­ rizzate anche verso l'Egeo , ma l 'intensità maggiore dei contatti, sulla base del record archeologico (ceramica, sigilli , coroplastica ecc . ) , ma anche dei riferimenti testuali, la si riscontra con Cipro . In tal senso , una parte della ceramica micenea, prodotta in Argolide, poteva arrivare proprio attraverso l'intermediazione degli insediamenti ciprioti, così come diverse produzioni vascolari d'imitazione (ad es . il cosiddetto stile pastorale) . n corpus miceneo di Ugarit , sebbene meno stratificato di altri (la maggior parte della ceramica si data al Tardo Elladico IIIB, ca. 130012oo a.C. ) , rimane comunque il più ampio e diversificato dell'area orien­ tale, paragonabile solo a quello del porto meridionale palestinese di Tell Abu Hawam , e ha restituito numerosi pezzi interi, provenienti da conte­ sti funerari e cultuali, e alcune forme rarissime nel Levante (FIG . 7.10) . n ruolo di Cipro emerge come centrale nel sistema degli scambi e va senza dubbio rapportato allo sfruttamento delle risorse minerarie presenti nell'isola e allo sviluppo del commercio del rame , che permise la nascita di agglomerati urbani durante il Bronzo Tardo (cfr. CAP. 8 ) . Da Cipro proviene un 'abbondante e complessa documentazione archeolo­ gica che testimonia rapporti con l'Egeo . Materiale miceneo del Tardo Elladico I-IlA si trova insieme a ceramiche minoiche e minoicizzanti, e un rapporto privilegiato con Creta sembra continuare anche nel Bronzo

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FIGURA 7 . 10

Ceramica micenea da U garit

Fonte: M. Yon et al. , Ras Shamra-Ougarz't XIII. Céramiques mycénienne d'Ougarit, Paris 2ooo, figg. 14, 21, 29.

Tardo II, confermato dal ritrovamento di ceramiche cipriote sull'isola greca (ad es. a Kommos) . Le importazioni micenee, spesso provenienti dai ricchi corredi tombali insieme a oggetti di prestigio, sembrano stimo­ late dalla necessità delle élite emergenti di sottolineare il proprio rango, e da usi legati al banchetto funerario. Nascono atelier di ceramisti ciprio­ ti che producono vasi influenzati dagli stili egei, destinati a un consumo interno ma anche all 'esportazione verso le prospicienti coste siriane e palestinesi. n quadro è complicato ulteriormente dalla presenza di esem­ plari con marchi raffrontabili ai segni di scrittura ciprominoica, incisi sulla superficie dopo la cottura del vaso, presenti in numero ridotto anche in area peloponnesiaca, che dovrebbero individuare prodotti destinati al mercato orientale attraverso l'intermediazione di Cipro . Le



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produzioni vascolari più tarde si intrecciano invece a fenomeni di accul­ turazione di genti egee sull'isola e meno a una matrice commerciale, e vanno pertanto relazionate ai profondi cambiamenti che il Mediterraneo orientale e centrale attraversa nei secoli XII-XI. I rapporti dei Micenei con il mondo faraonico si instaurano in un sistema di relazioni egiziane preesistenti con i Keftiu (gli abitanti di Creta, chiamata nei testi egizi del Medio e Nuovo Regno " Kaptara " ) . L'abbondante ceramica micenea del Tardo Elladico IIIA di Tell el-Amar­ na costituisce certamente un unicum, sebbene il materiale mi c eneo sia diffuso in modo piuttosto regolare, mai comunque in grandi quantità, dal Delta all'Alto Egitto. È certo difficile ricostruire tempi e meccanismi della penetrazione di ceramiche egee nelle terre faraoniche e il confron­ to, pur possibile, tra Amarna, dove le importazioni prevalenti micenee potrebbero riflettere contatti di tipo elitario, e il villaggio degli artigiani di Deir el-Medina, dove invece la dominanza di ceramiche orientali ­ cipriote e levantine - è stata vista come il riflesso del più basso livello sociale degli abitanti , rimane isolato e senza possibilità di più generali verifiche. Una rete di commerci lungo le coste africane , gestita anche dagli Egizi, con insediamenti a prevalente carattere militare e mercantile, usati al contempo come punti di difesa e come trampolino verso le regioni egee per i traffici provenienti dal Levante, è invece dimostrata dagli scavi a Marsa Matruh , dove sono state trovate ceramiche siropalestinesi , cipriote e micenee associate a magazzini , atelier artigianali e prodotti pregiati e nella fortezza di Umm el-Rakham datata al tempo di Ramesse II (r279-12I3 a.C. ) . Inoltre, la sequenza di toponimi egei iscritta sulle statue del tempio funerario di Amenophi III a Kom el-Khetan, se non addirittura un viaggio faraonico, dimostra comunque la consapevo­ lezza egizia delle entità politiche dell 'Egeo e lo specifico interesse del faraone verso quelle terre, confermata dalla presenza a Mi cene di svaria­ te enigmatiche placche in pasta vitrea con cartigli del suo nome e della regina Tiy. Del resto, le spedizioni marittime lungo le coste del Mediter­ raneo orientale e nell'Egeo, citate nelle lettere di Amarna e visualizzate nelle pitture egizie, sono confermate dai relitti di due navi scoperte in Turchia, cariche di lingotti di metallo, anfore , oggetti e materiali pregia­ ti di provenienz a tanto egizia quanto vicino-orientale. Come si vedrà meglio nel prossimo capitolo, la circolazione di beni nel Mediterraneo risulta imperniata sul rame cipriota, che muoveva il sistema complessivo. I testi ci dicono che navi egizie , cipriote, siriane, micenee solcavano il mare , cariche di prodotti diversi, ma la " nazionalità" dell'equipaggio è difficile da specificare quando ci troviamo dinanzi le evidenze archeolo­ giche dei relitti. Sulla base del carico si deduce però che il livello dei traf-

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' STO RIA E ARC H E O L O G I A D E L C O M ME RC I O N EL L O RI E N TE AN T I C O

fici variava da imprese gestite dalle autorità pubbliche , in cui al modello mercantile si affiancava il circuito dei doni, ad altre a carattere più vero­ similmente privato e che le tipologie dei beni erano molto diverse, non necessariamente legate alla provenienza della spedizione o al flusso dire­ zionale. Ancora una volta il record archeologico mostra l'insufficienza di modelli generali che pretendono di spiegare attraverso schemi univoci una realtà composita, nella quale necessità economiche, aspetti sociali, esigenze ideologiche delle singole entità politiche formano il complesso gioco delle interrelazioni culturali .

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Relitti e lingotti . Il commercio marittimo nel Mediterraneo

8 .1 Il rame di Alashiya e i lingotti " a pelle di bue "

Dagli archivi epistolari di el-Amarna provengono otto lettere inviate da un sovrano di Alashiya al faraone Amenophi IV. Le lettere rispondono ai principi diplomatici dei rapporti tra grandi re : la titolatura, lo scambio di saluti e gli affari trattati mostrano con chiarezza che il mittente si ritene­ va ed era considerato formalmente sullo stesso piano del sovrano d'Egit­ to (cfr. CAP . 7) . Gli argomenti affrontati nelle epistole sono di natura soprattutto mercantile: il re di Alashiya non esita a dichiarare in modo esplicito le sue richieste al faraone, anche facendo ricorso all 'argento come bene di equivalenza e di calcolo del valore, normalmente escluso dall'etichetta formale dello scambio di doni. n regno appare ben inseri­ to nel circuito delle relazioni internazionali e dalle lettere emerge chiara­ mente che il suo prodotto più richiesto era il rame. Le fonti egiziane e orientali del Bronzo Medio e Tardo forniscono solidi indizi per identificare Alashiya con Cipro. Lo sfruttamento delle miniere di rame e lo sviluppo della metallurgia sull'isola risalgono alme­ no al Bronzo Antico, come rivelano le più recenti scoperte, tra cui quel­ le della missione italiana a Pyrgos , dove è stato riportato alla luce un complesso artigianale destinato alla lavorazione del metallo e dei tessili, ma anche alla produzione di olio e di essenze profum ate. Durante il periodo Tardo Cipriota (corrispondente al Bronzo Tardo nel Vicino Oriente) , assistiamo a un forte incremento dell'occupazione territoriale, con i centri maggiori ubicati lungo la costa sud (Alassa, Enkomi, Kition, Hala Sultan Tekké, Kalavassos) , gli insediamenti interni orientati alla produzione agricola e numerosi siti specializzati per la metallurgia. La maggiore novità del periodo è costituita dallo sfruttamento su larga scala delle risorse di rame, presenti in abbondanza nelle montagne interne del Troodos, e una conseguente ristrutturazione delle basi economiche della società cipriota. La raffinazione del metallo non è più

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GOTTI

legata soltanto al fabbisogno interno, ma serve ora a produrre materiale esportabile, inserendo Cipro nel sistema dei commerci interregionali. n rame cipriota diviene, infatti, la fonte prim aria per la produzione del bronzo nell'area orientale durante la seconda metà del II millennio a. C . , così come l o era stato il minerale amanita nel Bronzo Medio (cfr. CAP. 5) . Il riflesso dei cambiamenti socioeconomici a Cipro si coglie bene assumendo come punto d'osservazione il rituale funerario, che prevede in questo periodo l'inserimento delle necropoli all'interno degli insedia­ menti, la variabilità tipologica delle tombe e dei corredi , la comparsa di corredi con manufatti di lusso (avori, bronzi, gioielli) e ceramiche d'im­ portazione, come quella micenea (cfr. CAP . 7) . I dati archeologici conver­ gono nell 'indicare una progressiva stratificazione sociale e l'emergere di nuclei umani in posizione preminente nella comunità, proprio grazie al controllo delle risorse metallifere e delle attività di trasformazione e scambio dei prodotti derivati. Più complesso capire quale fosse la forma politica dell'organizzazio­ ne sul territorio, in assenz a di testi scritti comprensibili , di un centro chiaramente primario sugli altri, di sicuri edifici palatini. Nella corri­ spondenza di Amarna è un grande re di Alashiya che scrive ad Ameno­ phi IV e alcune lettere di Ugarit forniscono il nome di un sovrano ciprio­ ta, facendo intendere una struttura verticistica del tutto simile a quella delle altre entità regionali del periodo. Lo sviluppo urbano di Enkomi agli inizi del Tardo Cipriota è stato visto da alcuni come la prova di un 'unific azione territoriale attuat a dai principi di questa città e del processo di aggregazione protostatale in atto sull'isola. Altri studiosi preferiscono invece un quadro meno rigido, che prevede l'esistenza di vari piccoli regni , in cui agivano gruppi elitari separati e in potenziale competizione, ma che condividevano la medesima identità culturale , secondo un modello eterarchico di gestione del potere. L'ipotesi di una " confederazione " che investe un principe della facoltà di occuparsi delle relazioni internazionali è senza dubbio forzata e non sembra necessaria per spiegare la documentazione epistolare amarniana . Questa, infatti , riflette una visione esterna semplificata e adatta all'ideologia egiziana: il referente del faraone, essendo indipendente, non può che essere un suo pari e, dunque, un grande re , a prescindere dai rapporti di potere che costui aveva all'interno del territorio cipriota . n sovrano di Alashiya, in tal senso, può benissimo essere il p rincipe di uno dei maggiori centri regionali, senza che ciò implichi in modo automatico un suo controllo su tutta Cipro . n problema della fine del Bronzo Tardo sull'isola (Tardo Cipriota III, ca. 1200-1050 a.C.) si lega invece alla più generale questione della crisi del 1200 a.C. e ai movimenti dei cosiddetti popoli del mare nel Mediterraneo

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orientale. La fine dei palazzi micenei, il crollo del sistema regionale del Levante e la situazione di Cipro vanno considerati tenendo conto sia di fattori interni , sia della pressione determinata sul sistema da elementi esterni . È questa un 'epoca di profondi cambiamenti sociali , politici ed economici nella quale non è semp re facile distinguere con sicurezza tanto gli eventi specifici quanto i fenomeni generali. Nel caso cipriota, la comparsa massiccia di ceramica di tipo Miceneo IIIC:1, prodotta local­ mente, è stata interpretata come una prova dell'insediamento stabile di genti egee sull'isola, emigrate dopo il crollo del potere centrale palatino miceneo , analogamente allo stabilirsi in Palestina di gruppi di Filistei . Una serie di distruzioni interessa inoltre i centri ciprioti (ad es . Enkomi e Kition) verso la fine del XIII secolo a.C., cui segue solo in alcuni casi una fase occupazionale nel secolo successivo , mentre compaiono insedia­ menti fortificati di nuova fondazione e breve vita. n problema si lega anche all'analisi dei traffici mercantili, perché nel passato la " miceneizzazione " di Cipro è stata associata al commercio del rame e la cronologia piuttosto tarda dei lingotti "a pelle di bue " nell 'isola ha fatto ipotizzare l'introduzione e il controllo della produzione da parte della popolazione micenea residente. Si preferisce oggi un quadro rico­ struttivo che contempla la possibilità di un apporto egeo nella riorganiz­ zazione del XII secolo a .C . , ma lo ridimensiona, ponendo l'accento sulla sostanziale continuità del modello socioeconomico . È solo alla fine del secolo (Tardo Cipriota IIIB) che va posta la vera rottura culturale e l'av­ vento dell 'Età del Ferro nell 'isola. Qualunque siano state le forme di governo a Cipro nel Bronzo T ardo e i cambiamenti avvenuti durante il XII secolo a .C . , è fuor di dubbio che i principali insediamenti urbani della costa meridionale esercitassero una forma centralizzata di controllo sulle varie fasi della catena artigianale legata all 'estrazione , raffinazione e trasformazione dei minerali cupriferi , secondo forme organizz ate e controllate in ogni fase procedurale . I villaggi dell'interno , ubicati nelle vicinanze delle miniere, erano specializzati nelle operazioni di prima lavo­ razione, mentre i centri maggiori della costa, funzionando come empori orientati ai traffici mercantili marittimi, documentano le fasi successive di p roduzione ed esportazione del rame . Anche la comparsa di luoghi cultuali e complessi sacri, piuttosto diversi per tipologie architettoniche, ma uniformi per i materiali di pregio associati e le installazioni rituali , potrebbe essere legata ai nuovi modi di sfruttamento del rame: spesso nelle vicinanze dei complessi religiosi si trovano atelier metallurgici, mentre alcune figurine, su cui torneremo più avanti, suggeriscono l'esi­ stenza di un forte legame simbolico tra il rame e il mondo divino. n centro urbano di maggior importanza dell 'isola è Enkomi, sulla costa sud-orientale. Le indagini estensive hanno permesso di conoscere a

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FIGURA 8.2

Pianta di Enkomi nel Tardo Cipriota m

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Fonte: rielaborazione da L. Steel, Cyprus be/ore History. From the Earliest Settlers to the End o/ the Bronze Age, London 2004, fig. 6. 5 .

fondo l'urbanistica e l'architettura della città, la cui sequenza occupazio­ nale è marcata da una distruzione attorno al r2oo a.C. e da una fase di ripresa e forte sviluppo durante il XII secolo . La città è protetta da mura scandite da torrioni e ha una pianta quadrangolare, suddivisa in isolati. Nel fitto tessuto abitativo si inseriscono edifici di culto, officine artigia­ nali e strutture complesse come l'edificio r8, secondo alcuni la residenza del principe (FIG . 8 . 2) . L ' analisi degli indicatori d ' attività riferibili alla metallurgia h a evidenziato una concentrazione rilevante soprattutto nella zona periferi­ ca nord, ma al tempo stesso una distribuzione ampia in molti settori della città. Un vero e proprio quartiere industriale si impianta, nel XIII secolo a . C . , presso la porta fortificata (settore rW) , organizzato in ambienti

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FIGURA 8.3

Pianta dell'Area II di Kition nel Tardo Cipriota III

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Fonte:

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rielaborazione da Steel, Cyprus be/ore History, cit., fig. 6.13.

dotati di installazioni per la raffinazione, la fusione e il raffreddamento dei metalli, mentre un'area destinata allo scarico delle scorie si trovava subito all 'esterno . L ' accumulo dei prodotti di scarto , spesso oltre un metro ed esteso su quasi cento metri quadrati , implica una produzione su vasta scala gestita in modo centralizzato dalle autorità cittadine . Tra gli altri luoghi di lavorazione si distinguono gli atelier metallurgici del quartiere 5E - collegati a un edificio cultuale in cui è stata scoperta una figurina bronzea di divinità la cui base è foggiata come un lingotto -, le installazioni del quartiere centrale 5W e, soprattutto , quelle scoperte nell'area 6W. In questo settore occidentale, oltre a utensili , semifiniti e scorie, insieme a installazioni artigianali , alla fine dell 'Ottocento fu portato alla luce un deposito di un centinaio di oggetti in metallo , la cui ubicazione topografica venne confermata da ritrovamenti successivi di lingotti e frammenti bronzei pertinenti allo stesso insieme. L'altra prospera città costiera era Kition, nel Golfo di Larnaca, dota­ ta di un porto interno e di fortificazioni fin dalla fondazione del XIII seco-

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lo a.C. Gli scavi hanno evidenziato un importante complesso pubblico nell'Area II (FIG. 8 .3) , formato da templi e recinti sacri, oltre ad abitazio­ ni e tombe nell'Area L Gli spazi e le strutture adibiti ad attività di trasformazione segnalano anche a Kition il legame tra le funzioni religiose e quelle artigian ali : nell'Area II, inseriti nella struttura sacra, diversi ambienti erano chiara­ mente adibiti alla raffinazione e fusione del metallo, vista la presenza di fornaci, fosse e cavità nel terreno associate a riempimenti cinerosi, scorie e utensili vari (ugelli di mantici, crogiuoli, strumenti da percussione in pietra ecc . ) . Grazie a questi molteplici in dicatori di lavorazione del metallo è stato possibile ricostruire con precisione le varie fasi della cate­ na processuale, le tecniche adottate e le modalità di riciclaggio dei manu­ fatti bronzei. Le evidenze archeologiche di Cipro indicano dunque una crescita esponenziale della metallurgia, il forte impatto socioeconomico dello sfruttamento del rame sulle comunità dell'isola e l'importanza delle atti­ vità di scambio interregionale. In quali forme circolava il metallo e quali erano le procedure seguite nella distribuzione della materia prima? Tra il XV e il XII secolo a . C . l ' artigi anato del bronzo nel Vicino Oriente e nell'Egeo riveste un ruolo decisivo, sia nella sfera utilitaria sia in quella di prestigio, a seconda della categoria di oggetti prodotta. Per realizzare la lega era pertanto necessario un approvvigionamento costante di rame e di stagno . n primo minerale fu fornito soprattutto da Cipro , i cui giaci­ menti assunsero presto una posizione dominante, per intensità di sfrutta­ mento e raggio di distribuzione della materia prima . n movimento della materia prima avveniva in prevalenza mediante lingotti, ma l'industria del bronzo era alimentata anche attraverso il riciclaggio sistematico di oggetti e di scarti metallici, commerciati per essere rifusi . I due tipi di lingotti di rame usati nel Bronzo Tardo sono i pani rettangolari appiattiti con prese allungate agli angoli e i dischi a forma piano-convessa. n lingotto rettangolare piatto , ottenuto colando il rame, già sottoposto a processo di riduzione, entro stampi aperti, è specifico dell'epoca e ha ampia distribuzione nel Mediterraneo . È pertanto un ottimo indicatore per stabilire i modelli di scambio nei traffici marittimi e tentare di individuare le fonti di provenienza, i luoghi di produzione, le procedure di trasporto, la nazionalità degli agenti, il sistema di control­ lo complessivo. La sua forma, pur variando nei dettagli, ha caratteristi­ che ricorrenti (FIG . 8 . 4) : le prese angolari, più o meno accentuate, la morfologia rettangolare appiattita (ca. 4-6 cm di spessore) , le dimensio­ ni piuttosto standardizzate (3o- 6o cm di lunghezza e 20-40 cm di larghez­ za) , la massa elevata, compresa tra i 15 e 40 kg (maggiore addensamento intorno ai 25 kg) , la superficie inferiore levigata e quella superiore ruvi-

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FIGURA 8.4

Lingotto in rame di forma rettangolare con manici da Cipro

Fonte:

V. Karageorghis, Cipro: crocevia del Mediterraneo orientale r6oo-soo a. C. , Milano 2002,

fig. rq.

da, per il raffreddarsi del metallo a contatto con l ' aria , la ricorrente presenza di marchi , sia incisi a freddo che stampigliati nel metallo anco­ ra non solidificato, la pratica diffusa della frammentazione per ottenere pezzi più piccoli. Rappresentazioni di lingotti nelle pitture e rilievi egiziani, a partire dal regno di Tuthmosi III (1490-1436 a.C . ) , ne associano il commercio ad ambienti levantino-ciprioti ed egei (FIG . 8 . 5 ) . Del resto, d a Cipro provengono anche esemplari miniaturistici e imm agini su bronzetti e sigilli , mentre è più dubbia l'identific azione dell 'iconografa su ceramiche dipinte micenee. Il disegno schematico ricorre invece sicuramente in diverse tavolette lineari B di Cnosso . Il numero complessivo di lingotti con manici supera i 5 00 numeri d'inventario , di cui oltre i1 7 o o/o è rappresentato dal carico della nave affondata presso Uluburun, dove sono stati recuperati ben 3 54 esempla­ ri , quasi tutti interi . Il primo lingotto fu rinvenuto in Sardegna (Serra llixi) , a metà dell'Ottocento, seguito da scoperte in Grecia (Mi cene) e a Cipro (Enkomi) sul finire del secolo e dal rinvenimento nel 1 903 di un deposito con una ventina di pani di rame nel centro minoico di Aghia Triada a Creta . L ' ampiezza geografica della distribuzione apparve dunque subito evidente, ma la portata del commercio si materializzò in

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FIGURA 8.5

Raffigurazione di tributari siriano ed egeo, particolari dalle pitture della tomba di Rekhmire a Tebe

Fonte: rielaborazione da N. De G. Davies, The Tomb o/Rekh-Mi-Re' at Thebes, New York 1943,

tavv. 19, 22 .

modo eclatante con le scoperte delle navi naufragate presso Capo Geli­ donya e Uluburun , lungo le coste della Turchia meridionale, con i loro carichi di rame. Sulla terraferma sono noti circa 1 50 esemplari, ma si trat­ ta in gran parte di frammenti o elementi frazionati . La concentrazione maggiore è nelle tre grandi isole del Mediterraneo: in Sardegna ( quattro lingotti interi e il resto in frammenti, da una ventina di siti), a Creta (Pala­ iokastro, Kato Zakros, Mochlos, Cnosso, Aghia Triada , Chania, Tylissos, Kato Symi, Gournia) e a Cipro ( Skouriotissa, Enkomi, Mathiati, Kalavas­ sos , Maa-Paleokastro , Pyla-Kokkinokremos) , comprendendo oltre il 70 % del totale . I pani di rame sono attestati anche in Sicilia (Lipari, Cannatello, Thapsos) e in Grecia, a Micene, Kyme e Keos. Scarse eviden-

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ze provengono dalla Siria-Palestina (Ugarit, Tell Beit Mirsim) , sebbene non vi siano dubbi sul coinvolgimento e la gestione dei traffici da parte delle entità politiche del Levante, vista la probabile relazione delle navi naufragate in Turchia con l' area siriana, l'associazione dei lingotti con i tributari Retenu nelle pitture egiziane (cfr. CAP . 7) e la scoperta di uno stampo per lingotti nel Palazzo settentrionale di Ras Ibn Hani nel regno di Ugarit . Dall 'entroterra orientale sono noti solo due lingotti, uno frazionato da Hattusha, la capitale ittita, e uno da Dur-Kurigalzu, la capi­ tale del regno cassita di Babilonia, a testimonianza del prevalere delle rotte marittime e dell 'asse sbilan ciato verso l ' Oves t . Il terzo reperto "fuori area " è stato recuperato nel Mar Nero , presso l' antica Apollonia, in Bulgaria, mentre le propaggini più occidentali della diffusione sono individuate da ritrovamenti isolati in Corsica e in Francia meridionale. Lo studio di questa classe di manufatti metallici è stato segnato da fraintendimenti d'ordine funzionale, tipologico e cronologico, con in evi­ tabili ricadute sull'interpretazione degli scambi marittimi nel Mediterra­ neo . La forma peculiare a lati convessi e appendici angolari si ritenne ispi­ rata a una pelle di bue stesa per seccare al sole e fu coniato così il termine lingotto " a pelle di bue " (in inglese oxhide) ancora presente nella lettera­ tura specifica. n motivo di questa presunta somiglianza fu visto nell'espii­ cito rimando al valore economico di un capo di bestiame, ipotesi poi smentita, perché sono noti sia lingotti in stagno di analoga forma (il cui valore era certo diverso dal rame) , sia esemplari in rame senza manici o con solo due prese. L'elaborazione del tipo dipende piuttosto da esigen­ ze funzionali, come la praticità del trasporto (prese agli angoli) e l' effica­ cia dell'immagazzinamento e stivaggio (forma piatta e allungata) . La presenza a Cipro di lingotti a pelle di bue in contesti del tardo XIII e XII secolo a.C. e le rappresentazioni dipinte nella tomba di Rekhmire a Tebe, in cui si vedono dei tributari di Kaptor (Creta) trasportare sulla spalle i lingotti, hanno indotto a postulare un monopolio dei traffici del rame da parte delle popolazioni egee, che avrebbero " colonizzato " Cipro all fine del XIII secolo a.C . , impiantandovi le proprie fonderie. Per lo stesso motivo Hans Gi.inter Buchholz adottò il termine "lingotto dei Keftiu " (in tedesco Ke/tiubarren ) , distinguendo tre tipologie principali, ognuna delle quali , a suo giudizio , specifica di una determinata fase cronologica. Da un tipo arcaico chiamato "a cuscino " , con protuberan­ ze angolari poco accentuate o definite appena dai lati lunghi convessi (fine XVI-XV secolo a.C. ) , si sarebbe passati al lingotto classico con quat­ tro appendici, noto in una variante più antica (XIV secolo a. C.) e in una più tarda (secoli XIII-XII) . Lo schema evolutivo è però contraddetto dal ritrovamento di esemplari appartenenti ai tre gruppi tipologici nel carico delle navi naufragate in Turchia meridionale. Sulla base dei materiali

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cretesi, datati al xv secolo a. C., si può solo supporre che il lingotto senza manici sia leggermente più antico di quello a pelle di bue, introdotto per i motivi funzionali sopra ricordati. Le varianti assumono invece un signi­ ficato formale di classificazione e non rispecchiano una marcata scansia­ ne temporale . L 'iniziale proposta di una gestione tardominoica e micenea del commercio del rame è stata anch'essa oramai abbandonata, a favore di un controllo da parte dei centri costieri del Levante e degli empori ciprioti . Una sola rappresentazione egiziana collega gli oxhide a Egei , mentre tutte le altre li associano, infatti, a genti dei territori levantini ( che forse includevano anche Cipro nella visione egiziana) . Decisiva è stata inoltre la scoperta a Ras Ibn Hani di un atelier metallurgico nel Palazzo settentrionale , in cui si trovava uno stampo da fusione rettangolare di calcare sulla cui faccia superiore è ricavata la forma del lingotto a pelle di bue. È l'unico stampo noto per la produzione di questo tipo d'oggetti e dimostra la produzione siriana e il legame con le istituzioni pubbliche, oltre all'impiego di matrici aperte in pietra . A partire dagli anni settanta del secolo scorso le analisi scientifiche condotte sui reperti hanno dato nuovo impulso allo studio dei lingotti di rame. L'apporto archeometrico è stato sostanziale sul piano tecnologico, mentre gli studi di provenienza hanno mostrato le potenzialità ma anche i limiti delle analisi chimico -fisiche per un preciso abbinamento tra manufatti e possibili fonti del metallo . Si è dimostrato, in particolare, che i lingotti a pelle di bue sono composti da rame puro, eliminando defini­ tivamente l'ipotesi di riciclaggio da oggetti in bronzo . La presenza nelle sezioni campionate di porosità e di scorie con spigoli vivi, l'alta concen­ trazione in inclusi di ossidi di rame, la struttura a " colate " sovrapposte sono tutti elementi che suggeriscono un processo di fusione con rame grezzo già sottoposto a riduzione, ma non del tutto raffinato . n lingotto era un prodotto secondario che richiedeva successivi trattamenti per rendere il metallo pronto alla fusione e alla lega con lo stagno. Era insom­ ma il modo più agevole ed economico per far circolare il rame anche su lunghe distanze. n problema è vedere se sia possibile " caratterizzare " il minerale dei lingotti al fine di individuarne la provenienza. Nonostante i grandi progressi dei sistemi d'analisi , non vi è ancora uniformità di vedute nell'interpretare i dati: in generale, il metodo più adatto allo scopo sembra quello dell'isotopo del piombo , in associazione con il calcolo degli elementi in traccia, come l'oro e l' argento, che forni­ scono una specie di carta d 'identità dei giacimenti cupriferi . Esistono però due ordini di questioni che impediscono di avere risposte del tutto efficaci . In primo luogo , il fatto che i lingotti derivino da processi di fusione secondaria e non da riduzione implica che il rame grezzo colato

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nello stampo poteva in teoria provenire da più fonti e che dunque la sua caratterizzazione non necessariamente rispecchia quella del giacimento. Inoltre, va sempre tenuto a mente che le analisi ci possono soltanto dire se il rame è o non è compatibile con quello presente in una determinata area mineraria , ma non possono indicare con precisione la fonte di approvvigionamento. I risultati sono egualmente di grande importanza: i campioni di Cipro , Sardegna e dei relitti di Capo Gelidonya e Ulubu­ run sono tutti affini al rame delle miniere cipriote, mentre la loro compo­ sizione porta a escludere le altre fonti . Un problem a assai dib attuto riguarda il materiale della Sardegna, tutto piuttosto tardo , perché non vi è coincidenza tra il rame dei lingotti e quello dei prodotti in bronzo, il cui metallo era ottenuto da giacimenti locali. Solo i lingotti più antichi di Creta hanno una caratterizzazione diversa, che li avvicina di più al rame orientale ( Iran, Afghanistan ) . Le analisi del metallo, pur apren do questioni specifiche e sollevando nuove problem atiche d'indagine, confermano in generale le altre evidenze archeologiche, ponendo il rame dell'isola di Cipro al centro del complesso sistema commerciale . Biso­ gnerebbe comunque evitare di proporre abbinamenti troppo precisi , come è stato fatto ad esempio per le miniere di Apliki, reputate la fonte primaria dei lingotti del tardo XIII secolo a.C. Una delle caratteristiche più interessanti dei lingotti oxhide è la prati­ ca della marcatura, diffusa in tutta l 'area di distribuzione del materiale, dalla Sardegna a Cipro . I segni si trovano, quasi sempre, nella parte supe­ riore ruvida del lingotto e sono apposti mediante incisione a freddo, oppure impressi quando il metallo ancora non si era del tutto solidifica­ to . Le incisioni, diversamente dagli stampi realizzati durante le fasi fina­ li del processo di lavorazione, potevano essere aggiunte in un qualunque momento successivo alla manifattura . In questo caso i motivi della prati­ ca andranno ricercati nell'ambito dello scambio piuttosto che in quello della produzione. Un loro impiego per indicare i luoghi d'estrazione del minerale o gli atelier artigianali è poco verosimile, dal momento che esistono segni eguali anche su lingotti di stagno , sicuramente originari di zone completamente differenti. Si calcola che la metà circa dei 350 lingot­ ti con manici trovati nel relitto di Uluburun avesse segni incisi, mentre solo una trentina di lingotti piano-convessi (su un totale di 120) risulta marcata, sempre sul lato piatto e liscio inferiore , t ranne in un caso . Essendo questo il lotto più ampio di lingotti relativo a una singola spedi­ zione commerciale, stupisce la difficoltà a cogliere la ratio del sistema: non si riscontra un rapporto tra segni, tipologie e masse , non c'è ricor­ renza nella posizione del segno sulla superficie, la forma delle marche varia da incisioni semplici, a combinazioni articolate, fino a una rappre­ sentazione schematica di una barca . Le informazioni veicolate del

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marchio del lingotto sfuggono dunque alla nostra comprensione, ma sembrano legate al momento della composizione dei carichi e a notazio­ ni di carattere organizzativo . n supposto ed erroneo legame tra la forma del lingotto e la pelle del bue nasceva dalla convinzione di un rapporto tra l'oggetto e un determi­ nato valore fisso. Questa corrispondenza è il presupposto necessario per le teorie economiche che riconoscono negli oggetti metallici di forma e peso standardizzati un sistema arcaico di " segni " pre-monetari . Senza cadere nell'approccio minimalista, la verità sta forse nel mezzo : metten­ do in rapporto il peso dei lingotti con i sistemi metrologici vigenti nel Levante nell'Età del Bronzo, si osserva che la maggior parte dei reperti rientra nei limiti circoscritti dai talenti " occidentale " (ca. 28 kg) , " di Ashdod " (ca. 23 kg) e mesopotamico (ca. 30 kg) (cfr. CAP. 2) . D'altronde, l'oscillazione ampia non permette una diretta equivalenza tra un lingot­ to e uno dei tre talenti, anche provando a far corrispondere le marche con le masse . Inoltre, nella documentazione epigrafica (lettere amarnia­ ne di Alashiya, Annali di Tuthmosi III; cfr. CAP . 3) il calcolo delle quanti­ tà non è quasi mai espresso dal semplice numero di lingotti, mostrando che a questi non erano assegnati valori precisi inquadrabili in un sistema ponderale. n metallo circolava dunque in varie forme (lingotti grandi e piccoli, frazionati o interi, scarti bronzei) e tra queste il lingotto con manici si afferma per ragioni pratiche legate al trasporto e anche perché semplifi­ cava le operazioni di pesa tura e verifica, adeguandosi in modo app rossi­ mativo a dei parametri metrologici. n numero di esemplari dava quindi solo l'indicazione di massima, da precisare avvalendosi dei pezzi frazio­ nati e di pesi da bilancia per il confronto . L 'estrazione del rame e la produzione dei lingotti avvenivano nell'isola di Cipro, sebbene la fase di manifattura fosse effettuata anche nei centri della costa siriana, coinvolti sicuramente nei traffici mercanti­ li . n legame preferenziale con Cipro è indicato non solo dal ritrovamen­ to di lingotti sull'isola, ma anche da alcune categorie di oggetti metallici: i bronzetti figurati , i lingottini in miniatura con iscrizioni cipro-minoiche e i piedistalli decorati. Da un santuario di Enkomi databile al XII secolo a.C. proviene una figurina che rappresenta una divinità guerriera nell' at­ to di colpire con la lancia, posta su una base a forma di lingotto (FIG. 8 . 6) . Rinvenuta all'interno della cella, la statuetta è interpretata come l'imma­ gine di un dio cipriota, protettore delle miniere di rame. La medesima base si ritrova in un bronzetto femminile oggi al museo Ashmolean di Oxford : la figura è nuda, il volto incorniciato da lunghe trecce, il copricapo piatto e il pube triangolare ben evidenziato, secon­ do moduli iconografici che richiamano il tema della fertilità, ricorrente

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FIGURA 8 . 6

I l " dio con i l lingotto " , figurina maschile i n bronzo da Enkomi

Fonte: Karageorghis, Cipro: crocevia del Mediterraneo orientale, cit. , fig. 192.

nella tradizione cipriota e siriana dell'Età del Bronzo. Sempre a Enko­ mi sono stati rinvenuti anche lingottini miniaturistici , alcuni incisi con iscrizioni cipro-minoiche. Si tratta di repliche realizzate nelle botteghe metallurgiche dell 'isola per veicolare significati evidentemente celebra­ tivi o comunque attribuibili alla sfera ideologica, mostrando le valenze extraeconomiche nella cultura Tardo Cipriota dell 'oggetto/ concetto "lingotto " .

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FIGURA 8.7

Frammento di sostegno in bronzo con portatore di lingotto

Fonte:

Karageorghis, Cipro: crocevia del Mediterraneo orientale, cit., fig. 197.

Tipici della toreutica cipriota del XIII e XII secolo a.C. sono i piedistalli in bronzo, formati da un telaio quadrangolare a elementi scontornati " a giorno " e da un anello superiore di raccordo e sostegno, a volte provvisti di ruote. Alcuni esemplari sono decorati da immagini di personaggi nell'a t­ to di trasportare sulle spalle un lingotto oxhide, come il sostegno comple­ to da Kourion , che mostra in ogni pannello figure maschili davanti a un albero sacro , oppure il frammento del Royal Ontario Museum (FIG. 8 .7) . È dunque evidente il ricorrere del simbolo in associazione a prodot­ ti di prestigio dalle funzioni ideologiche precise. n tema cultuale sembra il filo conduttore che lega i diversi reperti ed è assai suggestiva l'ipotesi che identifica nelle due statuette una coppia divina, nelle iscrizioni sulle miniature delle dediche votive e nelle scene sui piedistalli la rappresen­ tazione di offerte rituali. Le figurine bronzee potevano pertanto ripro­ durre l'immagine delle divinità che incarnavano la base economica della società , mentre i lingottini ne erano i segni materiali simbolici . In tal senso , la prossimità delle installazioni metallurgiche ai luoghi di culto potrebbe indicare la " santificazione " dell'industria del rame, oltre che la probabile gestione accentrata da parte di un 'unica istituzione politico­ economica, che controllava sia i templi che la metallurgia.

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I regni della Siria, pur entrando a pieno titolo nel sistema del commercio del rame e organizzando spedizioni marittime su lunga distanza , non sembrano aver mai sviluppato , al contrario di Cipro, un così intenso legame ideologico con il metallo e la sua forma primaria di circolazione . L'aspetto rituale del commercio era sancito in altri modi, per esempio attraverso la consacrazione alle divinità di ancore in pietra, collocate in luoghi santi, come avviene nel recinto del tempio di Baal a U garit. Ancore identiche a quelle recuperate in due navi mercantili, che, salpate dai porti del Mediterraneo orientale, erano naufragate lungo le rocciose coste turche senza mai raggiungere la loro meta . 8.2 I relitti di Capo Gelidonya e Uluburun in Turchia

Gli anni sessant a aprirono una nuova fase degli studi sui commerci marittimi nel Bronzo Tardo . Lo scavo di un relitto localizzato presso Capo Gelidonya, in Turchia meridionale, consentì per la prima volta di visualizzare una di quelle spedizioni mercantili attraverso cui circolavano nel Mediterraneo metalli, ceramiche e manufatti. Il promontorio , chia­ mato " Chelidonio " da Plinio, delimita a ovest la grande baia di Antalya e ha davanti cinque isolette che rendono questo tratto di mare insidioso per gli scogli affioranti . La scoperta avvenne casualmente nel 1954 e alcu­ ni anni dopo iniziarono le prospezioni subacquee di una missione dell'Università della Pennsylvania. La direzione degli scavi fu affidata a George F. Bass, un giovane studioso che diede grande impulso all' ar­ cheologia subacquea statunitense, fondando nel 1973 l'Institute of N auti­ cal Archaeology, oggi uno dei centri più avanzati e attivi nel settore. La nave di Capo Gelidonya era un mercantile di una decina di metri, naufragato su un fondale a circa 30 m di profondità, e trasportava lingot­ ti di rame e decine di manufatti e frammenti bronzei da riutilizzare come materia prima. Il sito sommerso si presentava come un esteso ammasso di metallo compattato dalle concrezioni, tanto che si decise di sezionare il conglomerato , portandolo in superficie e procedendo all' asciutto a isolare, ripulire e consolidare i vari manufatti. La distribuzione dei reper­ ti ha permesso di ricostruire le modalità del carico: i lingotti erano stiva­ ti in tre file e separati da stuoie, il bronzo da riciclare riposto entro ceste, gli oggetti di proprietà del personale di bordo o dei passeggeri concen­ trato ai margini del relitto , suggeren do la posizione della cabina di poppa. Il rame era trasportato sotto forma di grandi lingotti a pelle di bue (34 in totale) , dal peso medio intorno ai 25 kg, lingotti a forma piano­ convessa di ca. 3 kg, interi o sezionati a metà, e lingottini "a piastra " ovoi­ dale, con grammature attorno al chilogrammo. Nel carico era presente

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anche lo stagno, sotto forma di barrette rettangolari, assai corrose e così concrezionate da non poterne determinare il numero esatto e il peso complessivo. La stiva della nave di Capo Gelidonya ospitava inoltre un insieme eterogeneo d'oggetti (interi o frammentari) e pezzi bronzei raccolti come materiale metallico da rifondere : strumenti agricoli e di carpenteria, armi, contenitori e ornamenti, oltre a moltissimi frammenti e scarti informi. La collezione ha una grande importanza per la varietà delle tipologie, che trovano precisi confronti soprattutto in ambito siro­ palestinese e cipriota, e perché indica con sicurezza la pratica diffusa del riciclaggio su larga scala nello scambio dei metalli. n cargo ha restituito anche un interessante lotto di pesi da bilancia, in dotazione ai mercanti coinvolti nella spedizione marittima. Gli oltre sessanta campioni ponde­ rali sono quasi tutti in pietra, di forme in prevalenza ellissoidali, a cupo­ la o sferoidali, e sono riferibili, con multipli o valori frazionari , al siclo levantino di 9 ,4 g, ma anche a un'unità egea di 6,5- 6,8 g, ricorrente nel suo multiplo decimale. La datazione del naufragio può essere stabilita solo genericamente a un periodo compreso tra la fine del XIII e gli inizi del XII secolo a.C. Le questioni interpretative legate alla natura della spedizione e alla " nazio­ nalità" della nave sono dibattute, con posizioni a volte divergenti. N on sembra esservi tuttavia dubbio sul fatto che l'imbarcazione faceva rotta verso l'Egeo provenendo dalle coste del Mediterraneo orientale o da Cipro . Sull'isola potrebbero essere stati caricati i lingotti di rame , ma è impossibile stabilire se la nave fosse da qui partita o avesse soltanto fatto una tappa durante il viaggio . n tipo di carico non molto consistente e poco variato (circa una tonnellata di materiale non deperibile) , si adatta a una spedizione, organizzata da mercanti siriani o ciprioti e non neces­ sariamente gestita da un 'autorità pubblica. Ciò che affiorava dalle acque turche di fronte al Capo Gelidonya era solo la punta di un iceberg, ma già in grado di rivoluzionare la conoscen­ za dei rapporti tra Levante e Grecia nel Bronzo Tardo . La clamorosa conferma arrivò vent'anni più tardi, quando un altro relitto fu identifica­ to nei pressi di Uluburun, otto chilometri a sud-est di Ka�. Lo scavo, diret­ to dallo stesso Bass e poi dal suo allievo Cemal Pulak, portò, tra il 1984 e il 1994, al recupero di un'imbarcazione risalente alla fine del XIII secolo a.C. (la più antica del Mediterraneo) e di un sensazionale carico formato da materie prime e beni commerciabili. n relitto si trovava su una franata tra 44 e 52 m di profondità, con la prua nella parte più bassa, e il materiale disperso fino a oltre 6o m. Alcune parti dello scafo si sono conservate schiacciate sotto le ancore e il carico , consentendo di ricostruire la sezio­ ne della nave e di ipotizzare una lunghezza dell'imbarcazione superiore ai 15 metri e uno stivaggio di almeno venti tonnellate. Lo scafo era costruito

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FIGURA 8 . 8

Ricostruzione della nave di Uluburun con la presunta disposizione del carico

Fonte: U. Yalçin et al. (Hrsg. ), Das Schifi von Uluburun. Welthandel vor 3000 Jahren, 16 0kt. 2005 - 16]uli 2006 Eine Sonderausstellung anli:isslich des 75-jiihrigen Bestehens des Deutschen Bergbau-Museums Bochum, Bochum 2005, p. 6o, Abb. II.

mediante fasciame portante fissato attraverso mortase e tenoni, secondo una tecnica che assemblava prima le tavole esterne , in legno di cedro, inserendo successivamente lo scheletro. L'equip aggiamento includeva ventiquattro ancore in pietra, stiva te a prua e a metà nave, di forma arcua­ ta con foro passante all'estremità superiore, di una tipologia nota in molti centri siro-palestinesi e ciprioti, ma rarissima in ambiente egeo. Lo scavo subacqueo è un lavoro lento e difficile: per completare il recupero del carico e dei resti della nave , gli archeologi dell'équipe turcostatunitense hanno dovuto fare più di 22.000 immersioni, per un totale di 6. 6oo ore di interventi sul relitto . Una volta riportati in superfi­ cie , i reperti devono essere sottoposti a un minuzioso intervento di conservazione e restauro e analizz ati per acquisire elementi utili a una loro corretta interpretazione. Da anni esperti da tutto il mondo si dedica­ no allo studio del carico di Uluburun e nel 2005 i risultati di questa spet-

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FIGURA 8.9

Lingotti in stagno, rame, vetro e altri manufatti rinvenuti nel relitto di Uluburun

Fonte: Yalçin et al. , Das Schiff von Uluburun, cit., p. 20, Ab b.

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tacolare scoperta sono stati per la prima volta esposti in Europa , nella mostra organizzata per il 75° anniversario del Deutsches Bergbau-museum di Bochum, il più importante museo mondiale sulla metallurgia. Per meglio orientarsi nella varietà dei beni stivati nella nave (FIG . 8 . 8 ) possiamo operare una prima distinzione tra materie prime e oggetti lavo­ rati, tenendo sempre presente che nella realtà degli scambi non esisteva una precisa dicotomia (economica e concettuale) tra le due categorie . La base del carico era formata da rame e stagno in forma di lingotti, in quantità nettamente superiori al cargo di Gelidonya (FIG. 8 . 9 ) . Ben dieci tonnellate d i rame erano suddivise i n 3 54 grandi lingotti rettangolari appiattiti e 130 lingotti piano-convessi. Gli esemplari rettan­ golari sono quasi tutti del tipo classico, con quattro manici e peso medio attorno ai 25 kg, ma una trentina di pezzi ha solo due prese laterali , e alcuni sono del tipo arcaico , più piccolo e senza manici. Le analisi degli elementi in traccia hanno dimostrato una composizione del rame diver­ sa da quella riscontrata nei lingotti di Gelidonya, anche se l'isotopo del piombo indica la compatibilità del metallo con i giacimenti di Cipro . Lo stivaggio del materiale era un'operazione delicata, dal momento che la massa notevole poteva ostacolare la navigazione qualora il carico non fosse ben bilanciato e fissato . Almeno la metà della poppa era occu­ pata dai lingotti rettangolari, impilati fino a quindici uno sull ' altro e disposti in quattro file accostate e parallele all' imb arcazione . Alcuni

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accorgimenti garantivano la stabilità complessiva: i lingotti poggiavano sempre con il lato liscio in basso, per favorire l ' aderenza tra i livelli, facendo attenzione a che le pile fossero incastrate tra loro mediante parziale sovrapposizione dei pezzi, mentre il pagliolo della stiva era costi­ tuito da ramaglia e fascine, così da impedire eventuali slittamenti. Lo stagno è l'altro metallo necessario a preparare il bronzo . Visto che il rapporto con il rame per ottenere una buona lega è di circa r a 9 , è logico che queste proporzioni trovino corrispondenza nel carico di una spedizione che commerciava entrambi i metalli . A Uluburun si è recupe­ rata, infatti, quasi una tonnellata di minerale, in lingotti piano-convessi, barre rettangolari, piastre, ma anche lingotti appiattiti con manici, spes­ so frazionati in quarti o in metà. Il materiale è di grande importanz a, perché sono noti pochissimi ritrovamenti in area mediterranea, nessuno da un contesto così antico. Oltre allo stagno di Gelidonya gli unici altri esemplari provengono dalle acque israeliane di fronte a Haifa, evidente­ mente parte di un carico trasportato lungo una rotta che seguiva la costa palestinese, forse diretto in Egitto. Se confrontiamo il rame e lo stagno stivati nella nave risalta immedia­ tamente la m aggiore standardizz azione del primo (lingotti oxhide e piano-convessi) a fronte della variabilità di forme del secondo. Si è così pensato che lo stagno giungesse da molteplici provenienze, ma l'origine del minerale rimane comunque incerta e dibattuta : lo sfruttamento di giacimenti centro-asiatici è probabile , attraverso rotte che passavano dall'Alta Mesopotamia, come già avveniva nel Bronzo Medio per i commerci assiri in Cappadocia (cfr. CAP . 6) , ma non è escluso anche lo sfruttamento di fonti in Turchia orientale e in Cilicia . I centri siriani e ciprioti funzionavano di certo come punti di raccolta e di smistamento, e forse di produzione secondaria, d ata la morfologia a pelle di bue di diversi lingotti e la presenza di segni cipro-minoici come marchi. Non è convincente, invece, l'ipotesi secondo cui gli oxhide di stagno giungesse­ ro in questa forma dalle terre orientali e che, pertanto , la loro morfologia peculiare fosse dipesa da esigenze legate al trasporto su bestie da soma. Siamo convinti che il lingotto piatto rettangolare sia un'invenzione occi­ dentale, stimolata dall'intensificarsi dei traffici marittimi e dallo sfrutta­ mento del rame di Cipro e che, quindi, gli esemplari di stagno siano piut­ tosto un'imitazione realizzata in centri del Levante. N ella parte di prua della stiva erano caricate altre due materie prime di grande valore: resina di terebinto e vetro sotto forma di lingotti. Quasi tutte le centocinquanta giare da trasporto " cananee " (FIG . 8 . ro) erano riempite con almeno un a tonnellat a di resina, ricavata dal terebinto (Pistacia atlantica) , un arbusto tipico della macchia mediterranea, usata come sostanza aromatica e profumata.

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FIGURA 8 . 10

Anfora cananea riempita con resina di terebinto da Uluburnn

Fonte: Yalçin et al. , Das Schifi von Uluburun, cit., p. 73 , Abb. 24.

L 'identificazione è stata decisiva per ricostruire un commercio rimasto invisibile, nonostante l' ampio numero di anfore cananee scoperte nel Mediterraneo, ma tradizionalmente associate al trasporto di liquidi . n vetro era stivato in 175 blocchetti di colore blu cobalto e turchese a forma tronco -conica. I pezzi risultano prodotti in serie colando il vetro fuso entro stampi cilindrici , simili a quelli rinvenuti ad esempio a T eli el­ Amarna. È dunque probabile un'origine egiziana del materiale, anche se la tecnologia e la lavorazione del vetro si svilupparono prima nel Vicino Oriente e da qui furono trasferite al mondo faraonico durante il Bronzo Tardo . Rami di cedro e di un legno scuro , simile all 'ebano , di origine africana (Dalbergia melanoxylon) , una zanna di elefante e tredici incisivi d'ippopotamo, alcune uova di struzzo e dei c arapaci di tartaruga completano la lista delle materie prime di pregio presenti nel carico . Se vi sono pochi dubbi nel considerare questi beni tutti destinati al commercio, meno agevole è valutare correttamente la funzione degli oggetti trasportati a bordo della nave, che potevano essere sia proprietà dell'equipaggio o dei passeggeri, sia manufatti destinati al mercato e allo scambio. n caso meno dubbio è quello del vasellame di piccole e medie dimensioni (lampade, coppe, calici, brocche) , in ceramica fine cipriota, contenuto in tre grandi pithoi, per un totale di 86 pezzi. I prodotti cera-

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miei delle botteghe cipriote sono ampiamente diffusi soprattutto in area siropalestinese e in Egitto, nei tipi distintivi a lustratura bianca e pittura geometrica (Ceramica White-Slip) e a larga base anulare, con decorazio­ ne a rilievo e incisione ( Ceramica Base-Ring) . Molto più limitate le evidenze in area egea, tanto che, prima della scoperta di Uluburun , si tendeva a escludere un ruolo importante di Cipro nell'esportazione di prodotti ceramici verso Occidente, in opposizione a una forte ricettività di vasellame miceneo nell'isola. Anche in questo caso il relitto di Ulubu­ run ha dimostrato dunque come facilmente il record archeologico possa distorcere la realtà del commercio . Una splendida serie di gioielli e oggetti in oro (pettorali, medaglioni, pendenti , perle , una anello , frammenti e lamine varie) e alcuni sigilli cilindrici (in quarzo, fritta ed ematite) potevano appartenere certo a delle persone che si trovavano a bordo, ma sembra più verosimile la loro appartenenza unitaria a un tesoretto trasportato per essere scambiato o offerto in dono all'arrivo nei centri dell' Egeo . Alcuni oggetti sono di grande pregio e di superba lavorazione, certamente prodotti nelle botte­ ghe artigianali del Levante , come un pendente decorato da una figura femminile nuda con in braccio una gazzella, quattro medaglioni fine­ mente incisi con una stella a raggi rettilinei e curvi intervallati, un raffi­ nato calice biconico su alto piede, un pettorale che ritrae un falcone ad ali spiegate mentre artiglia due cobra, una figurina in bronzo con testa, braccia, mani e piedi ricoperti di lamina d 'oro , rappresentata con un braccio disteso l'alto e l'altro ripiegato con la mano chiusa a pugno come per sostenere un emblema o uno stendardo (FIG. 8.n) . Tra i pezzi di provenienza egizia il più importante è uno splendido scarab eo in oro iscritto con il nome della regina N efertiti , moglie di Akhenaton/Amenophi IV. Scarabei aurei del periodo di Amarna e della XVIII dinastia sono molto rari perfino in Egitto e la sua presenza a bordo , insieme ad altri prodotti egiziani risalenti a fasi diverse del Nuovo Regno, mostra un insieme eterogeneo forse destinato al riutilizzo del metallo prezioso , raccolto da un mercante in un periodo successivo all'età amar­ niana. Alcuni manufatti in avorio (due contenitori a forma di anatra, un cucchiaio foggiato come una mano) e in faiance (quattro coppe a forma di ariete e uno a testa femminile) e dei contenitori in bronzo (coppe , patere e c alderoni) potrebbero essere egualmente beni preziosi per scambio elitario o doni cerimoniali tra corti, così come le migliaia di perle (in origine bracciali e collane) , di un 'impressionante varietà di pietre e materiali pregiati ( agata, ambra, corniola, quarzo, oro , osso , conchiglia, faiance e vetro) . Egualmente complicato valutare la funzione delle armi e degli utensili in bronzo (punte di freccia, punte di lancia, mazze, un 'ascia, spade e pugnali di diversa tipologia, falcetti , burini ,

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FIGURA 8 . n

Figurina i n bronzo

e

o r o d a Uluburun

Fonte: C. Pulak, The Uluburun Shipwreck, in S. Swiny, et al. (eds.), Res Maritimae, Cyprus and the Eastern Mediterranean /rom Prehistory to Late Antiquity, Atlanta 1997, pp. 233-62, fig. 1 5.

punte di trapano, scalpelli, asce e accette, coti, pinze) : alcuni pezzi pote­ vano rientrare nel circuito del riciclaggio del metallo, ma altri sembrano essere proprietà di personaggi stranieri e di alto rango che accompagna­ vano la spedizione . Un certo numero di oggetti micenei (ceramiche, due spade , due sigilli, alcune punte di lancia, tre pugnali ricurvi e tre rasoi) , un 'ascia cerimoniale in pietra di origine baltica e una spada di tipologica i tali ca, hanno fatto ipotizzare la presenz a di almeno un paio di Micenei a bordo , forse funzionari o messaggeri incaricati di seguire il cargo fino alla sua destinazione nell'Egeo, mentre più difficile pensare a dei mercanti, dal momento che pressocché tutti i pesi da bilancia trovati nella nave (insieme a due coppie di piatti da bilancia) appartengono a sistemi metrologici chiaramente orientali . Su 149 campioni ponderali oltre 100

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sono in pietra ( quesi tutti di ematite) e di morfologie prevalentemente ovoidali o cupoliformi, mentre i restanti sono in metallo (bronzo e piom­ bo) , con una splendida serie zoomorfa (a forma di bovino, leone/leones­ sa, anatra, rana, insetto) . n sistema più attestato è, come a Ugarit, quello basato sul piede levantino di 9,4 g, ma sono presenti anche alcuni campioni riconducibili ai sistemi siriano e anatolico , e campioni di raccordo con le unità egee, evidenziando la necessità commerciale di pesiere riferibili ai vari standard ponderali diffusi nel Mediterraneo. L'esistenza di documenti scritti è invece testimoniata dall'ecceziona­ le ritrovamento di due dittici lignei. L'esemplare più completo presenta una coppia di tavolette rettangolari e incavate, entro le quali veniva stesa la cera su cui redigerere il documento, tenute insieme mediante giunti cilindrici in avorio , che ne permettevano l ' apertura e la chiusura. Supporti scrittori di legno o avorio, a due o più elementi, sono attestati in Assiria durante il I millennio a.C., mentre nel Bronzo Tardo la tecnica risulta caratteristica soprattutto dell'ambiente ittita, dal quale si presup­ pone una diffusione nelle regioni siriane settentrionali, e un impiego legato a disp acci reali , lettere, liste di accomp agnamento per beni di prestigio, perfettamente compatibile con la scoperta di Uluburun. Non possiamo ovviamente sapere nulla del testo conservato nel dittico e scomparso insieme alla cera sul quale era vergato: era forse la lettera di un sovrano che accompagnava il carico reale verso lidi lontani o l'elenco minuzioso dei beni preziosi e delle rispettive quantità, stilato prima della partenza? Queste ipotesi ci introducono alle spinose questioni dell'inter­ pretazione e della datazione del relitto . Gli aspetti cronologici sono oggi sufficientemente chiariti grazie all'aiuto di datazioni ricavate attraverso il metodo della conta degli anelli di accrescimento del legno ( dendrocro­ nologia) . Dalle analisi sui campioni dello scafo e del pagliolo il naufragio dovrebbe risalire agli ultimi anni del XIV secolo a.C . , in linea con l'inqua­ dramento cronologico dei materiali ceramici e il termine assoluto offerto dallo scarabeo di Nefertiti . n carico eccezionale della nave implica un carattere ufficiale della spedizione o comunque un 'impresa mercantile organizzata da un'autorità centrale che aveva la capacità di raccogliere sia le quantità enormi di rame, stagno, vetro e terebinto (si pensi che nelle lettere di Amarna i carichi " reali " di Alashiya verso l'Egitto traspor­ tano un massimo di 200 talenti di rame, ovvero circa cinque tonnellate e mezzo) , sia una tale varietà di oggetti preziosi. Da un punto di vista delle merci, praticamente tutto il carico potrebbe essere stato imbarcato in un singolo porto cipriota o siriano, m a non siamo in grado di escludere eventuali scali lungo la costa siriana. La destinazione del cargo , come nel caso di Gelidonya, era verosimilmente l'Egeo, ma è difficile scegliere tra una rotta occidentale verso Creta e un percorso che piegava invece verso

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nord per giungere presso le coste dell ' Argolide, dove si trovavano gli scali marittimi controllati da Mi cene. I rari materiali di origine balcanica (l' ascia votiva, uno spillone in bronzo e alcune punte di freccia) sono considerati da alcuni come elementi a sostegno di quest'ultima destina­ zione, ma non v'è certezza. Di recente è stato anche sostenuto che la tipo­ logia dei materiali si accorda bene con i traffici elitari tra Levante ed Egitto, ed è pertanto possibile, in teoria, un circuito che, seguendo una rotta antioraria, raggiungesse dopo gli scali nell'Egeo un porto egiziano. Altrettanto difficile stabilire con precisione la nazionalità della nave, ma tutto, dalle ancore ai dittici, dal metallo in lingotti alle ceramiche, sembra indicare che essa sia siriana o cipriota . Una serie di indizi suggerisce però la presenza a bordo di due personaggi di alto rango di orgine micenea, ma anche qui spingersi oltre sarebbe un azzardo, sebbene sia suggestiva l'ipotesi di un loro ruolo in una missione diplomatica in Oriente . Dalla scoperta del relitto di Gelidonya all'inizio degli anni sessanta, la ricerca archeologica e lo studio del commercio marittimo durante il Bronz o Tardo ha fatto enormi progressi e il quadro complessivo del sistema degli scambi risulta oramai definito nei suoi aspetti generali. Se si tolgono gli isolati ritrovamenti fortuiti di anfore e lingotti dispersi in mare sia in Grecia che nel Levante, e alcuni eccezionali ritrovamenti sulla terraferma, gran parte della ricostruzione poggia ancora sulle due navi qui descritte e su un relitto databile tra la fine del XIII e gli inizi del XII secolo a . C . , affondato lungo la costa orientale del Golfo dell'Argolide presso Capo Iria, il cui carico era però rappresentato solamente da cera­ miche cipriote, cretesi ed elladico-micenee. Da questi tre relitti emerge un meccanismo complesso e assai più articolato di quanto era prevedibile attraverso i dati testuali, i manufatti importati o imitati e gli scavi dei siti costieri ( cfr. CAP . 7) . Ogni nave mercantile ha le sue specificità e non può essere ricondotta a un model­ lo unitario di tipologia commerciale . Uluburun , con il suo insieme spet­ tacolare per quantità e qualità di reperti, rientra agevolemente nel modus operandi delle spedizioni gestite da un 'autorità centrale, come quelle descritte nelle lettere am arniane spedite al faraone dal principe di Alashiya. A Gelidonya il cargo era invece più piccolo e modesto, ma aveva un carico importante di metalli in lingotti e scarti da riciclo, mentre la nave di Capo Iria trasportava ceramica e forse essenze pregiate, ma non metalli, confermando quanto si può dedurre dalla distribuzione delle ceramiche di importazione che circolavano da Oriente a Occiden­ te e viceversa. A Gelidonya e Iria abbiamo due tipi differenti d'imprese " minori " , che mostrano l'insufficienza del principio secondo cui la tendenza era quella di assemblare la maggiore varietà possibile di beni in un unico viaggio. La tipologia delle merci e la composizione dei carichi

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FIGURA 8 . 12

Scene di commercio dalla pittura dalla tomba di Kenamun a Tebe

Fonte: N. De G. Davies, R. O. Faulkner, A Syrian Trading Venture to Egypt, in "Journal of Egyptian Archaeology" , 33, pp. 40-6.

mostrano che l'intensità dei traffici era variabile e non racchiudibile entro un meccanismo generale, il cui motore fosse ad esempio l'offerta di mercato , oppure il bisogno di oggetti elitari o il metallo grezzo per forgiare manufatti in bronzo. n sistema reggeva forse proprio per questa estrema adattabilità delle forme dello scambio, entro cui esisteva un margine di manovra sia per le imprese gestite in modo in parte autonomo da mercanti del Levante, di Cipro e dell'Egeo, sia per l'impulso trainan­ te delle grandi spedizioni reali, a cui la nave di Uluburun è probabile che appartenga . Nella decorazione pittorica della tomba di Kenamun, governatore di Tebe e alto funzionario del tempio di Ammone al tempo di Amenophi III, è presente una scena strettamente collegata al commercio marittimo nel Mediterraneo (FIG.8 .r2) in cui sono visibili delle navi mercantili che attrac­ cano a un porto egiziano. Il partito figurativo è suddiviso in modo diseguale: a sinistra una grande nave con le vele spiegate domina tutta l' ampiezza del campo pittorico, mentre al centro varie imbarcazioni, disposte su due registri, sono chiaramente ferme alla banchina del porto e da esse le mercanzie vengono scaricate sul molo, dove iniziano le operazioni di scambio , pesa­ tura e controllo dei beni, suddivise in tre registri sovrapposti . La scena doveva culminare con la presentazione del carico davanti al proprietario della tomba, nella parte non conservata della pittura. Si tratta dunque di una vivida rappresentazione dell'arrivo di una spedizione straniera in

8.

REL I TT I E LI

GOTTI

Egitto, il cui destinatario Kenamun agiva come rappresentante del tempio o come alto funzionario del regno. I personaggi sulle navi e le merci trasportate identificano con chiarezza la provenienza levantina o cipriota della spedizione: l'equipaggio è costituito da semplici marinai, riconoscibili per le mansioni che svolgono (ammainano le vele, tengono i remi, trasportano le mercanzie) e per l'abbigliamento, costituito solo da un corto gonnellino , e personale di grado più alto, ufficiali o funzionari. Questi ultimi indossano sempre una lunga veste decorata avvolta sulle spalle e attorno ai fianchi e sono impegnati in operazioni di comando e organizzazione del lavoro a bordo. Il carico è form ato soprattutto da anfore sigillate di tipo cananeo , il cui contenuto poteva essere olio, vino o terebinto, ma si riconoscono anche tessuti, vasellame di piccole dimen­ sioni, pezzi di legname pregiato. n grande pithos visibile su una delle navi attraccate è identico per forma a quelli del relitto di Uluburun riempiti con vasellame cipriota e, pertanto , si può pensare che anche questo aves­ se la stessa funzione di contenitore da trasporto per ceramica fine . Il momento dello scambio è infine con chiarezza illustrato dai mercanti egiziani che calcolano il controvalore dei beni mediante operazioni di pesatura su bilance a due piatti. È così che dobbiamo immaginare la conclusione delle imprese mari t­ time narrate dalle lettere di Alashiya e rappresentate , in due scale commerciali diverse, dalle navi naufragate a Capo Gelidonya e Ulubu­ run . Merci , scambi , contrattazioni , " meraviglie " esotiche e bilance, confusione e lingue diverse: l'interazione culturale che si intreccia ai modi dello scambio, mescolando merci, informazioni, valori effettivi e valenze concettuali . Ma anche queste immagini, così realistiche, non potranno rim anere reali nella sfera egiziana . Ecco allora irrompere il filtro implacabile dell'ideologia centralistica del regno faraonico nella parte celebrativa della pittura, all ' estrema sinistra della scena ( cfr . CAP. 7) : i beni scambiati divengono offerte e doni portati davanti a Kena­ mun e i mercanti siriani si prostrano a terra e si inchin ano davanti al potere del faraone, divenendo tributari dell'impero , il solo che , dalle terre di Punt all'isola di Kaptor, può davvero dominare il mondo .

9 Epilogo

9 ·1 Il commercio interregionale dell'Età del Bronzo in prospettiva storica

Nei capitoli precedenti sono stati presi in esame i principali circuiti di scambi interregionali attestati nell'Oriente durante l 'Età del Bronzo. L'attenzione è stata posta tanto sui beni quanto sui referenti del commer­ cio , cercando di descrivere il meccanismo dello scambio e le ricadute di questo sulle culture e le entità politiche coinvolte nel processo di intera­ zione . In prospettiva diacronica, dallo sviluppo delle prime città nel IV millennio a.C. alla form azione dei grandi imperi dell'Età del Ferro , è possibile marcare alcuni cambiamenti nei contatti a lunga distanza (cfr. CAP. 2) . La storia del commercio orientale (e ancor più quella economica) non si può ridurre tuttavia a uno schema evolutivo lineare, se non evidenziando delle tendenze di lunga durata, imputabili a fattori diversi­ ficati e intrecciati tra loro . L'analisi deve pertanto cercare di individuare nel cambiamento storico quali elementi ebbero ricadute dirette sul setto­ re commerciale e, al contempo, valutare il peso dei meccanismi di scam­ bio interculturale all'interno delle diverse società coinvolte nelle attività legate al movimento di beni su lunga distanza. Si è ripetutamente insisti­ to nel corso del presente saggio sulla pluralità delle forme di scambio, sia interno che esterno, e sulla conseguente necessità di partire dalla descri­ zione dei casi meglio documentati (in un percorso impostato sulla diacronia) , rifuggendo dalla rigidità dei paradigmi economici ( cfr . CAP. r ) . È però possibile e doveroso offrire in conclusione un quadro riassuntivo che evidenzi tratti unificanti , elementi di discontinuità e congiunture favorevoli dei sistemi commerciali presi in esame . Al di là del quadro storico-culturale di riferimento, il processo di nascita, sviluppo e mantenimento nel tempo di reti complesse di scam­ bio sembra influenzato da precisi bisogni sociali , dalla distribuzione

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delle risorse sul territorio e dall'interazione culturale che accompagna il flusso dei beni. Il primo aspetto rimanda alla struttura socioeconomica delle culture urbane di area siromesopotamica, nelle quali, a partire dal IV millennio a. C . , la centralità del polo pubblico e il modo di produzione palatino (cfr. CAP . 2) generano stratificazione e squilibrio interno. Il siste­ ma statale arcaico ha bisogno tanto di una giustificazione a livello ideolo­ gico e religioso condivisibile dalla comunità, quanto di meccanismi atti a mantenere e rafforzare le differenze che si venivano a creare. L' accumu­ lo di ricchezza da parte dei vertici della piramide sociale non assume solo un significato ostentatorio, ma comporta la capacità di procurarsi beni di prestigio, di trasformarli e, eventualmente, di offrirli alle divinità o ad altri referenti fisici . Tale politica delle risorse, costante nel mondo urbano orientale , ha certo costituito un fattore decisivo nella genesi di alcuni contatti su lunga distanza. Mentre le importazioni sono presentate come funzionali rispet­ to al " centro " , i prodotti in uscita tendono a configurarsi secondo para­ metri di tipo redistributivo anche quando si tratta di commercio esterno. Le azioni poste in atto per procurarsi alcuni beni e materiali di pregio sono dunque inscindibili dal processo di stratificazione socioeconomica. Ma è soprattutto la diversa allocazione delle risorse sul territorio, con l'al­ luvio mesopotamico sprovvisto di risorse naturali , presenti invece nelle regioni mon tuose circostanti , a condizionare la configurazione degli scambi. L 'impalcatura generale delle rotte commerciali si regge soprattut­ to sugli assi prim ari di app rovvigionamento dei metalli (innanzi tutto stagno, rame e argento) , costruiti sui percorsi legati anche ad altre mate­ rie preziose (si pensi alle rotte del lapislazzuli descritte al CAP . 3 ) , dal momento che le sperimentazioni della metallurgia avvennero proprio nelle regioni della "periferia" ricche di risorse minerali. Queste grandi vie di scambio interregionali, di mare e di terra, si consolidano e si mantengo­ no finché subentrano elementi (strutturali di medio termine o evene­ menziali) che ne provocano l'interruzione, cui corrisponde la nascita di scambi alternativi , basati sullo sfruttamento di nuove fonti (così, ad esem­ pio , il rame dell 'Oman viene sostituito da quello cipriota all 'inizio del Bronzo Tardo , cfr. CAPP . 5 e 8 ) . Diversi circuiti si possono saldare e sovrapporsi, entrando in gioco fattori di convenienza economica: l'Assi­ ria esporta in Anatolia stagno (indispensabile per il mantenimento dell'in­ dustria, locale e in parte siriana, del bronzo) , ma non importa il rame del Tauro, perché la sua metallurgia è supportata dal minerale proveniente dal Golfo Persico e dall'Iran lungo la rotta fluviale del Tigri (cfr. CAP. 5) . Un aspetto extraeconomico di grande importanza per gli sviluppi dei commerci su lunga distanza è quello dell'interazione che accompagna il movimento di manufatti e materie prime tra soggetti socioculturali diver-

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EPILOGO

si. L'emergere di entità a prevalente vocazione commerciale nelle zona di interfaccia e parziale sovrapposizione culturale ne è una conseguenz a perlomeno indiretta e, in tal senso, l'interazione culturale, al di là del suo esito come integrazione o differenziazione, sostiene e sostanzia lo scam­ bio tra referenti " allargati " , che si considerano vicendevolmente stranie­ ri. Il modello delle sfere di interazione si dimostra adatto , nella sua versa­ tilità, a meglio inquadrare taluni p rocessi, superando lo schematismo economico del sistem a- mondo o del modello centro -periferia (cfr. CAP. 2) . Ad esempio , il lapislazzuli grezzo, veicolato mediante scambi indiretti tra Mesopotamia e Mghanistan, si accompagna nel III millennio a.C. alla diffusione nell' alluvio di oggetti in clorite intagliata, ritrovati in contesti funerari e cultuali . Questi manufatti sono prodotti nei centri dell'Iran sud -orientale per il consumo interno e non per l'esportazione (cfr. CAPP. 3 e 4) , ma si muovono lungo le rotte sia carovaniere sia marit­ time grazie al loro valore culturale e a pratiche reciprocative di scambi rituali. Se guardiamo poi al mosaico delle culture negli estesi spazi dell 'alto­ piano iranico , l'interazione tra gruppi sedentari , nomadi , dei villaggi specializzati o delle comunità cittadine è una condizione essenziale per il mantenimento durante il Bronzo Antico della serrata rete di scambi inte­ riraniani , che ha un ruolo determinante nei processi di crescita delle varie entità politico-territoriali. Il sistema non è dunque solo alimentato dalla domanda di materie prime da parte delle città sumeriche o dalle pressioni tecnologiche e artigianali dell'Indo , ma si riconoscono molte­ plici fattori in azione contemporaneamente, in una congiuntura storica favorevole . Durante il Bronzo Antico l' urbanizzazione secondaria di Siria e i fenomeni di crescita e stratificazione protourbani dell'Iran (con esiti e situazioni variate da regione a regione) , si intrecciano con le formazioni statali arcaiche consolidate (Mesopotamia e Indo) . L'improvvisa impen­ nata di domanda di specifici materiali preziosi (lapislazzuli, oro e argen­ to, pietre dure) , causata dall'emergere delle élite e dalle esigenze di culto, ha come effetto il moltiplicarsi delle forme d'interazione culturale, veico­ late dai flussi di scambio di beni, soprattutto sugli altopiani anatolico e iranico . In questo periodo si formano le grandi rotte carovaniere che collegano la Mesopotamia con le regioni circostanti e si consolidano le vie marittime nel Golfo e lungo le coste del Mediterraneo orientale. Gli scambi avvengono tra culture molto distanti e del tutto diverse tra loro, attraverso la mediazione di gruppi a forte mobilità, il coinvolgimento di grandi centri urbani, villaggi specializz ati nella trasformazione delle materie prime, porti commerciali e comunità che agiscono nelle zone di interfaccia culturali e/ o ambientali , in un processo multiforme, che

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include ovviamente soggetti diversamente consapevoli della totalità del circuito di scambio . A partire dal Bronzo Medio , il costante bisogno di metalli aprì la strada a forme più chiaramente strutturate di relazioni internazionali, nelle quali emerge il ruolo degli intermediari (come il Paese di Dilmun, cfr. CAP. 6) o quello dei distretti commerciali formati da stranieri residen­ ti presso contesti alieni (come il karum assiro di Kanesh, cfr. CAP. 7) . n fattore puramente economico o di mercato è sembrato secondario , comunque mai esclusivo , per la formazione di queste reti di scambio . Anche nel caso dei commerci assiri in Cappadocia , dove i referenti operano prevalentemente secondo principi di mercato arcaico , la griglia strutturale rimanda alla distribuzione ineguale delle risorse sul territorio, alle relazioni politiche, alla presenza contemporanea di meccanismi redi­ stributivi negli Stati a cui i mercanti appartengono (fondamentale per la manifattura dei tessili) . Nel Bronzo Tardo lo scambio di prestigio assume invece la forma più compiuta , variamente ibridata a quella del sistema dei doni secondo principi reciprocativi e con forza ancorata all'ideologia delle classi diri­ genti dei centri urbani (cfr . CAP. 7) . Ciò avviene proprio nel momento in cui la struttura sociale e politica raggiunge il massimo di compattezza e i bisogni delle élite al potere sono gli stessi nelle varie entità regionali che si dividono il territorio, dalla Bassa Mesopotamia al Levante. Dietro la serrata rete dei contatti diplomatici trova spazio il commercio di beni di lusso che apre la strada ad altre forme di scambio , basate anche su esigenze mercantili . Queste ultime sembrano più evidenti nel caso di Cipro e dei Micenei, quindi allontanandosi dai "grandi regni " orientali, oppure riferendosi al livello inferiore dei rapporti politici . n sistema politico dell'Età del Bronzo, ora al suo apice, è però desti­ nato a entrare in crisi, innanzitutto perché si sfilaccia il legame (e la soli­ darietà , apparente o sostanziale) tra la popolazione libera (ancorata al modo di produzione domestico, cfr. CAP. 2) e quella alle dipendenze del palazzo, innescando processi di asservimento e impoverimento dei ceti produttori e il distacco dall'ambiente urbano di strati sociali . L'apparato economico , seriamente compromesso anche per il sopraggiungere di periodi di carestia a seguito di cambiamenti climatici, non è in grado di sorreggere più in modo adeguato le strutture politiche. La crisi non arri­ va ovunque nello stesso tempo e allo stesso modo (nel Levante e in Anatolia è repentina e violenta, a causa di invasioni) ma, a partire dal XII secolo a.C . , inizia una profonda ristrutturazione sociopolitica del Vicino Oriente che porterà, da un lato, alla nascita degli stati " nazion ali " dell 'area occidentale e, dall 'altro , al sorgere dei grandi imperi assiro e babilonese.

EPILOGO

9 ·2 Dai mercanti fenici alle carovaniere dell'Arabia: nuovi orizzonti commerciali nel I millennio a . C .

L e regioni occidentali del Levante furono dunque precocemente interes­ sate dalla crisi che definisce il passaggio all'Età del Ferro (nel XII-XI seco­ lo a.C . ) , con il crollo dei palazzi e del sistema complessivo regionale, la fine dell'impero hittita e l'arrivo di nuove popolazioni che si insediarono lungo la costa. Al contempo, in Mesopotamia la maggiore solidità dei regni assiro e babilonese ritardò il fenomeno, tanto che una vera e propria recessione si colloca solo attorno al X secolo a.C. La base degli stati nazionali che si svilupparono lungo tutta la fascia siropalestinese ebbe nel I millennio a.C. il suo fondamento in strutture a carattere genti­ lizio che legavano le comunità nel rimando ad anten ati comuni e a elementi tribali. Questo tipo di impianto societario, che rifonda i rappor­ ti politici su base parentelare, affiora sia nei regni cosiddetti neosiriani e aramei delle regioni settentrionali, sia in Israele e Giuda e nelle entità politiche transgiordaniche (Ed o m, Moab e Ammon) , mentre sulla costa convivono centri di nuova fondazione, popolati da nuclei etnici esterni (la penta poli dei Filistei) e città che ereditano la tradizione cananea del Bronzo Tardo (le città-stato fenicie) . Nelle terre dell' alluvio mesopota­ mico si assiste invece al sorgere (in prospettiva diacronica) dei grandi imperi neoassiro (IX-VII secolo a.C.) e neobabilonese (VII-VI secolo a.C . ) , a i quali s i sostituì infine quello achemenide dei Persiani ( v -I V secolo a . C . ) , il cui nucleo origin ario si colloca sull 'altopiano iranico . Questi imperi sono basati certo su un modello strutturale completamente diver­ so da quello che si afferma nel Levante, ma la massiccia infiltrazione di nuclei tribali sul territorio (Aramei , Sutei, Caldei) , soprattutto in Bassa Mesopotamia, determinò una significativa intersezione di aspetti gentili­ zi e gerarchie politico-amministrative. Quali furono i riflessi sul commercio e gli scambi a lunga distanza di questi processi storici ? Nello sviluppo dell'impero assiro assistiamo a una progressiva politica di conquista, definita schematicamente in una fase iniziale di espansione e sottomissione a tributo dei regni sconfitti e una , successiva , di trasformazione e riorganizzazione del territorio nel sistema provinciale . L'ideologia della propaganda è essenziale all 'impal­ catura del potere imperiale per giustificare lo squilibrio e lo sfruttamen­ to che accompagna i diversi passaggi storici, attraverso il processo dina­ mico della periferia che, assoggettata, si trasforma in " centro " mediante inglobamento, dello straniero che diviene assiro attraverso la deportazio­ ne forzata e lo sradicamento culturale. La cesura tra il controllo della " periferia " attraverso subordinazione

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e sottomissione e l'avvento della gestione territoriale diretta si riflette sull'apparato economico imperiale nel passaggio dal sistema tributario a quello di tassazione provinciale . Con la definizione di quest' ultimo si determina l' allargamento e la formalizzazione del modello redistributivo a tutto il territorio controllato dagli Assiri, come conseguenza della poli­ tica di annessione e conquista continua, a cui corrisponde nell'ideologia la visione dell 'ordine e dell 'unità in contrapposizione al caos e alla parzialità delle entità esterne. n sistema della tassazione e il metodo della deportazione sistematica di nuclei di popolazione dovettero certo ridur­ re i margini del commercio interregionale, relegato almeno in alcuni periodi a un ruolo secondario nel sistema economico imperiale . Gli strumenti di afflusso coatto di risorse nei centri provinciali e nel nucleo territoriale dell'Assiria determinano di fatto uno scambio inegua­ le o meglio si fondano sulla reciprocità negativa (che è una assenza di scambio) , ma la presentazione ideologica avviene secondo i principi del modello redistributivo, perché le risorse della periferia sono tali in quan­ to funzionali al centro e i benefici di ritorno non sono altro che l'inseri­ mento nel sistema assiro , l'unico regolato da ordine, giustizia, ammini­ strazione . È pertanto difficile valutare la portata dei traffici mercantili lungo le rotte carovaniere verso l'Occidente, la Babilonia o l'altopiano iranico, in quanto il piano commerciale risulta fortemente intrecciato a quello delle dinamiche di espansione militare. Da un punto di vista archeologico è spesso impossibile distinguere quali beni , tra manufatti di lusso e materie prime che affluivano nelle capitali assire, fossero stati acquisiti attraverso tributo, tassazione, scam­ bio . n problema si lega inoltre alla valutazione del rapporto tra Assiria e le regioni del Levante , dal momento che soprattutto le città fenicie mantennero un certo livello di indipendenza nella gestione dei commer­ ci verso la Mesopotamia e che il numero davvero esiguo di documenti assiri riguardanti il commercio internazionale sia stato spiegato proprio sulla base del presunto controllo dei traffici da parte dei centri fenici e aramaici . D ' altro canto è indubbio il condizion amento della politica imperiale assira sul sistema complessivo degli scambi vicino-orientali, così come il pagamento di pesanti tributi da parte dei regni dell'area siro­ palestinese. n quadro che si definisce appare dunque quello di un flusso unidire­ zionale dei beni e prodotti, con le attività commerciali indirizzate verso aree periferiche quali il Golfo Persico o l'Arabia. Dopo il crollo dell'im­ pero, segn ato dalla caduta di Ninive nel 6r2 a . C . , sarà la Babilonia a ereditare la maggior parte dei territori assiri, mentre le popolazioni dei Medi avranno il controllo dell'area montuosa degli Zagros, giustificando solo in parte lo schema storiografico antico di un 'evoluzione quadripar-

EPILOGO

tita degli imperi orientali (Assiria, Babilonia, Media, Persia) . Pur essendo il sistema politico neobabilonese simile al precedente per le tecniche di controllo territoriale e per le esigenze di espansione, non è supportato dal poderoso apparato bellico assiro e manca di una vera coesione inter­ na. In particolare, sul versante socioeconomico interno, si osserva un allentamento del potere centrale sui processi produttivi, riflesso dalla nascita di corporazioni artigianali, dallo sviluppo di un settore creditizio privato e dal formarsi di vasti latifondi nelle mani di poche famiglie. T ale fenomeno prosegue e anzi diviene ancora più evidente all'epoca persia­ na, quando sono documentati in Babilonia imprenditori privati che basa­ no le proprie fortune pressoché esclusivamente sulle attività creditizie. Una maggiore attività di scambio si registra verso le regioni occidentali e potrebbe essere stata il risultato del più blando accentramento imperia­ le, ma anche dell'intervento diretto nell' area, marcato dalla presa di Tiro da parte di N abucodonosor e dalla concessione di una relativa autono­ mia a Sidone. Con l'avvento dell'impero achemenide i confini territoriali e le fron­ tiere culturali tradizionali del Vicino Oriente sono completamente ride­ finiti attraverso il sistema delle satrapie, che divengono la base territoria­ le del sistema persiano e dalle quali affluiscono le risorse sotto forma di tributi e tasse. Questa gestione fiscale è ampiamente documentata dalle tavolette amministrative di Persepoli e dalle fonti indirette greche . I centri del potere si spostano nell'Iran sud -occidentale, con le capitali politiche a Susa e Pasargadae e il centro cerimoniale e ideologico dell'im­ pero a Persepoli, dove troviamo scolpiti sulle pareti degli edifici pubbli­ ci i lunghi cortei dei tributari che portano beni e prodotti al cospetto del sovrano . Le fonti epigrafiche tacciono sui commerci e gli scambi internazio­ nali, ma è evidente che il complesso sistema di strade e rotte di comuni­ cazione (nel quale si distingue la " Grande strada reale " , che collega Perse­ poli a Sardi) , perfettamente organizzato e funzionale a rapidi collegamen­ ti politico-militari, fosse usato anche per veicolare merci attraverso un sistema di scambi meno rigido di quello centralizzato imperiale. La cita­ zione di emporia e centri commerciali , soprattutto nell 'area mediterra­ nea orientale, dimostra peraltro l'esistenza di traffici mercantili autonomi e l'intersezione del sistema di scambio con quello redistributivo: il primo, agendo su scala region ale o interregionale, è la base che garantisce la possibilità di applicazione del secondo su scala complessiva. Esemplifica­ tivo è, in tal senso, il dono di mille talenti di incenso (quantità davvero notevole) che le popolazioni arabe offrono al " gran re " persiano nel loro versamento "volontario " annuale (gli Arabi non sono in senso stretto dei tributari) e che va letto come una sorta di tassa legata certo (benché non

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sia possibile valutarne la proporzione) ai profitti derivati dal commercio lungo la carovaniera che collega l'Arabia alla Palestina. Gli orizzonti geografici in cui si inseriscono i meccanismi commer­ ciali sono quelli di un mondo assai più vasto del solo Vicino Oriente e in cui agiscono soggetti estremamente diversificati. All'interno dell'impero persiano troviamo le città dell 'Asia Minore come le grandi capitali del passato recente, Babilonia in primis, le nuove capitali del Fars iraniano e le estreme sedi periferiche orientali (Battriana, Sogdiana) . Lo scenario diviene veramente globale e gli elementi economici unitari sono soltanto quelli garantiti (e imposti) dal potere politico imperiale, che ci informa­ no sulla circolazione delle merci attraverso il sistema della prelievo fisca­ le sulle regioni assoggettate, mentre il commercio (nei suoi aspetti opera­ tivi e nelle sue relazioni tra referenti) si compone in sottosistemi a scala territoriale variabile con ricadute specifiche sulle economie locali. Focalizzando l'attenzione sul Levante, l'espansione fenicia del Medi­ terraneo e l' apertura della via carovaniera verso la penisola sud-arabica avranno dirompenti conseguenze sul sistema dei commerci , segnando rispettivamente la continuità e la discontinuità rispetto al Bronzo Tardo dopo l'invasione dei popoli del mare . L 'Arabia felix, ricca di essenze aromatiche ( mirra e incenso, ma anche cinnamomo, cassio , landano) , era rimasta nettamente separata dal resto dell'Oriente durante l'Età del Bronzo. L'invalicabile Rub al-Khali la divide dal Golfo Persico , mentre fasce desertiche più o meno estese ost acolano i collegamenti lungo il versante orientale del Mar Rosso. Senza l'ausilio di animali da trasporto, come il cammello e il dromedario, che sopportano lunghi tragitti senza bisogno d'acqua, i percorsi di terra risultano impraticabili e l'unica modalità di contatto è via mare. Le miti­ che terre di Punt da cui provenivano le "meraviglie " citate degli Annali di Tuthmosi III e nel racconto della regina Hashtepsut (cfr. CAP . 7) dimo­ strano i traffici mercantili nell'Egitto del N uovo Regno alla ricerca di oro ed essenze profumate, ma la localizzazione di queste regioni è in Sudan orientale ed in Eritrea e se vi fu contatto con l'Arabia in tale epoca avven­ ne sempre in modalità indiretta. n sistema che imponeva una mediazio­ ne dell'Egitto via Mar Rosso oppure il lungo periplo del " Mare Eritreo " passando per il Golfo Persico fu scardinato completamente all'inizio del I millennio a.C. , grazie all' addomesticamento dei camelidi e al costituir­ si della carovaniera che risaliva dallo Y emen la dorsale dell " Asir e raggiungeva la Giordania e la Palestina attraverso l'Hejaz , con una serie di oasi utilizzate come punti di sosta. Vivido ricordo di questo processo si trova nel passo biblico del I Libro dei Re ( r o : r - r o ) , in cui si narra che la regina di Saba giunse al cospetto di Salomone con beni preziosi in dono (tra cui oro, pietre preziose ed essenze profumate) trasportati su

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EPILOGO

cammelli o nel racconto neotestamentario dei re magi che portano a Gesù bambino oro , incenso e mirra . I due estremi cronologici della Bibbia definiscono prop rio il periodo in cui ebbero grande fortuna i commerci dei profumi d'Arabia, favorendo lo sviluppo dei regni carova­ nieri sud-arabici di Saba e Qataban, tra il x secolo a.C. e l'era cristiana. La " rivoluzione dei trasporti " scatenata dall'addomesticamento del cammello, che avrà effetti importanti anche nell'area dell'altopiano irani­ co, rivitalizzando i traffici e i collegamenti lungo i deserti salati interni, va inoltre considerata insieme all'emergere del nomadismo delle tribù di allevatori che si insediano nelle oasi , praticando agricoltura intensiva e gestendo il controllo sulle vie carovaniere. A differenza dei pastori semi­ nomadi che, nel loro rapporto dialettico con le popolazioni sedentarie, erano durante l 'Età del Bronzo una componente dinamica del dimorfi­ smo sociale della Mezz aluna fertile, i cammellieri arabi si pongono in maniera del tutto indipendente dalle città . Occupando nuovi territori divengono presto una realtà politica di cui tanto gli stati nazionali siro­ palestinesi quanto i grandi imperi di Mesopotamia dovranno tener conto . La campagna neoassira di Assurbanipal contro gli Arabi e addi­ rittura lo spostamento della capitale dell'impero babilonese per alcuni anni a Teima in Arabia (sotto Nabucodonosor) sono la prova di un inte­ resse forte di entrambi gli imperi verso le regioni sud-arabiche e testimo­ niano la volontà di appropriarsi dei vantaggi economici derivati dai traf­ fici commerciali gestiti dalle tribù arabe. Nell'analisi dei commerci su lunga distanz a in una prospettiva di lunga durata l'ascesa dei centri fenici può essere invece considerata il processo che conferisce continuità, non soltanto rispetto al passaggio dal II al I millennio a . C . , ma anche all 'interno della successione dei grandi imperi nel I millennio . Su scala macroregionale, infatti, la Fenicia costi­ tuisce quella saldatura tra Oriente e Occidente che garantisce l' afflusso di merci nei circuiti vicino-orientali e al contempo la diffusione di prodotti (e repertori iconografici) verso ovest (si pensi al fenomeno cosiddetto orientalizzante) , grazie alla (totale o parziale) autonomia rispetto all'apparato amministrativo imperiale (assiro, babilonese e ache­ menide) . Le principali città fenicie (Arado, Biblo, Tiro e Sidone) eredita­ no, d'altro canto, la tradizione culturale cananea e riprendono la rete dei commerci marittimi cipro-siriani dell'Età del Bronzo Recente. I Fenici sfruttano alcune forme di artigianato di lusso già in precedenza tipiche dell' area siropalestinese, come quella dell ' avorio , dei legni pregia ti e della toreutica, ne perfezionano altre (in particolare la tintura dei tessuti mediante la porpora) e ne sviluppano di nuove (lavorazione del vetro) . Tuttavia, l'analisi del commercio fenicio risente dei limiti imposti dalla documentazione, sia archeologica che epigrafica . La quasi completa

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mancanza di fonti fenicie sulle attività mercantili costringe, infatti , a rivolgersi (con tutti i rischi che ciò comporta) alle evidenze indirette offerte dall'Antico Testamento e dalle fonti classiche. Anche sul piano del dato materiale la documentazione archeologica è pressoché soltanto quella esterna alla madrepatria, con i centri fenici del I millennio a.C. ancora di fatto inesplorati . n commercio fenicio si lega al tema, assai discusso, della colonizza­ zione fenicio-punica nel Mediterraneo . n problema maggiore con cui ci si deve confrontare è quello della discrepanza tra le fonti letterarie e i dati archeologici. Dalle informazioni testuali, infatti, emergono con evidenza due momenti cronologicamente distinti per l'espansione fenicia (legata soprattutto alla città di Tiro) , con una serie di fondazioni più antiche risalenti al XII secolo (Cadice, Utica, Lixus) e una fase del tardo IX seco­ lo a.C. con movimenti di occupazione coloniale a Cipro ( Kition) e in Mrica (Cartagine) . La prima serie di colonie non è confermata sul piano archeologico (i materiali più antichi in Spagna e Africa risalgono all 'VIII secolo) ed è tradizionalmente interpretata come una precolonizzazione (termine in appropriato che andrebbe sostituito semplicemente con commerci diretti) , invisibile sul piano materiale, dal momento che gli avamposti commerciali avrebbero avuto il carattere di scali portuali ridotti e punti di appoggio per gli scambi con le popolazioni locali . La frequenza del contatto sarebbe stata episodica con spedizioni dirette mirate soltanto al reperimento dei beni. Con le fondazioni coloniali della seconda fase abbiamo invece l'inizio di una sistematica occupazione delle coste del Mediterraneo . La p rima vera e propria colonia fenicia (Kition) si stabilisce a Cipro alla fine del IX secolo a.C. ( 82o a.C. ) , segui­ ta dalla creazione di scali a Creta e nel Dodecaneso e, soprattutto, dalla fondazione di Cartagine in Tunisia (che secondo le fonti risale all'814 a . C . ) . Mentre il problema di come considerare le informazioni della tradizione classica sulle fondazioni fenicie più antiche rimane ancora controverso, non v'è dubbio sulla veridicità (lo confermano le evidenze archeologiche) della grande espansione dell'VIII-VII secolo a.C. n punto è tuttavia comprendere le cause e le dinamiche della disse­ minazione coloniale fenicia nel Mediterraneo. L 'ipotesi più verosimile è quella che vede in azione una molteplicità di fattori, tra cui quello della pressione su Tiro esercitata dall'Assiria non può essere assunto come decisivo, dal momento che la politica dei vari imperi orientali lasciò l' au­ tonomia dei commerci verso Occidente alle città fenicie. Fu, piuttosto, la richiesta di metalli (rame, stagno, piombo, argento , ferro) , motore del sistema economico, che spinse i Fenici a cercare nuove fonti di approvvi­ gionamento alternative a quelle dell 'Anatolia (in Spagna e S ardegna, oltre che attraverso Cipro) . La prosperità dei Fenici sembra dipendere

EPILOGO

dal ruolo d'intermediazione rispetto agli imperi orientali, dalla produzio­ ne di lusso specialistica per il mercato elitario esterno, dal controllo monopolistico dei traffici dei metalli. Si tratta di elementi interdipenden­ ti e relazionati certo al mondo esterno, ma la loro realizzazione è legata alle condizioni interne socioeconomiche. li fenomeno commerciale e coloniale, declinato nei tre settori sopra menzion ati, è l'esito di una combinazione di fattori, dalla riduzione del territorio (per le campagne di conquista assire) che può aver generato pressione demografica e richiesta di risorse primarie , alla forte specializzazione artigianale in rapporto a produzioni di manufatti di pregio che si abbina alla domanda dei mercati orientali. L'espansione fenicia sarebbe dunque il risultato di forme diverse di pressioni economiche e non di una crisi determinata dall ' avanzata dell 'impero neoassiro verso il Levante. Si trattò, almeno all'inizio , di un'impresa della società fenicia e delle sue istituzioni, ma l'opinione sulla prevalenza dell'elemento privato o di quello pubblico ancora una volta è motivo di dissenso tra gli studiosi (e risente dell' annosa opposizione tra modernisti e primitivisti ; cfr. CAPP . r e 2) . L 'emergere del commercio fenicio è stato letto come un'iniziativa in mano a privati secondo i princi­ pi di mercato , dal momento che la dissoluzione dei palazzi del Bronzo Tardo aveva fatto venir meno il legame privilegiato tra specialisti e orga­ nismi pubblici, nonché la protezione al sistema assicurata dai rapporti diplomatici tra i sovrani dei vari regni. La scomparsa degli stessi commit­ tenti (le élite palatine) richiese una profonda riorganizzazione del siste­ ma di approvvigionamento e di distribuzione di materie prime e prodot­ ti, modificando progressivamente il ruolo e lo status del mercante. Si sviluppò un ' oligarchia mercantile associata all'attività privata, attraverso la costituzione di " ditte " commerciali che soppiantarono il palazzo nel controllo del commercio su lunga distanza . Proprio l o sviluppo di tale oligarchia avrebbe spostato l'epicentro degli scambi verso Occidente e sarebbe stato responsabile dell'istituzio­ nalizzazione delle colonie, mediante strategie variabili operate dall'inizia­ tiva privata che sosteneva il ris chio dell ' apertura di nuovi circuiti commerciali. Questa ricostruzione contiene elementi in parte condivisi­ bili ma l' aspetto " privato " del processo economico dei commerci fenici, stando alla documentazione disponibile, va associato a un ruolo attivo e, almeno all'inizio , decisivo della monarchia nell ' organizz azione del commercio . La forza del " commercio di stato " si deduce ancora dalle fonti del X secolo relative ai rapporti tra Hiram di Tiro e Salomone per lo svolgimento dei commerci verso il paese di Ofir (localizz ato su una delle due sponde del Mar Rosso , tra Y emen e Somalia) . Lo scenario muta invece nei secoli IX-VIII quando si accentua il processo che inseri-

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sce elementi mercantili a sostenere le attività tanto del palazzo quanto delle ditte commerciali private, configurando in maniera assai più dina­ mica di un tempo lo svolgimento dei traffici. Di recente si è sostenuta l'utilità di descrivere il processo della rete di scambi fenici attraverso il modello della " diaspora " commerciale , secondo il quale nelle forme di scambio interculturale la costante neces­ sità di mediatori attivi sul territorio straniero determina sempre la nasci­ ta di insediamenti commerciali . Sebbene appaia forz ato cercare un a corrispondenza tra sistemi commerciali molto dissimili nel tempo e nello spazio , l'analisi comparata delle diaspore commerciali è interessante perché sposta l'attenzione dai fattori economici (che rimangono in ogni caso determinanti) ai meccanismi psicologici dell'interazione (rapporto tra straniero e società ospite, ricorrente caratterizzazione negativa del mercante) e sull'importanza delle forme di assimilazione, integrazione o segregazione culturale che si determinano attraverso il con tatto . Il commercio fenicio nelle fonti classiche è presentato come l' azione di mercanti individuali che operano scambi su piccola scala insieme ad altre attività (traffico di schiavi, trasporto di passeggeri) e risente di una valu­ tazione ideologica negativa del commercio (ed esso si preferisce la pira­ teria ! ) , considerato dai Greci come attività non aristocratica, di basso rango e bandita dall'etichetta sociale e dall'ideale eroico : la sua esistenza viene quindi associata allo straniero e il mercante equivale al mercante fenicio. Dal binomio commercio fenicio/ colonizzazione deriva una visione sbilanciata verso l'Occidente, che ha portato a trascurare una seria disa­ mina del rapporto fra traffici marittimi e terrestri in termini di ricaduta sull'economia delle città fenicie. La rilevanza del commercio fenicio svol­ to lungo le vie carovaniere è tendenzialmente sottovalutata, ma l'impor­ tanza che esso doveva rivestire nel sistema complessivo si ricava ad esem­ pio da un passo della p rofezia di Ezechiele contro Tiro ( Ezechiele 27 : 1 -25) . Il testo risale agli inizi del VI secolo a.C. e si compone di due parti : la descrizione poetica di Tiro paragonata a una nave (versetti r - n ) , cui segue una parte in prosa (versetti 12-25) con la lista dei paesi che intrattenevano rapporti commerciali con la città, forse derivata da una fonte fenicia più antica, sicuramente unita alla prima al momento della composizione, di età esilica. Nonostante alcune minori incertezze topo­ grafiche e problemi interpretativi, la successione dei partner commercia­ li di Tiro evidenzia un percorso che procede da sud -ovest a nord -est, con all'inizio dell'elenco il paese di Tarshis (la Spagna meridionale) e Y awan (la Grecia) e alla fine le regioni della Mesopotamia settentrionale. Dalla lista dei prodotti ottenuti in cambio delle mercanzie fenicie si deducono quattro zone geografiche concentriche, caratterizzate, partendo dalla più

EPILOGO

interna, da prodotti agricoli, da animali e prodotti derivati dagli animali, da metalli, tessili e tessuti, e infine da metalli e beni di prestigio. È chiara qui l'applicazione di una " ideologia delle importazioni " , che pone l' ac­ cento sul flusso di beni verso la città fenicia, applica ai referenti la defini­ zione di agente commerciale, quasi le nazioni citate fossero al servizio del meccanismo mercantile interno di Tiro, e relega ai margini le regioni che erano mercati piuttosto che zone di approvvigionamento di materie prime. Osservando la dislocazione topografica di questi partner commer­ ciali risalta il contrasto tra la metafora della città fenicia come una nave e il ruolo secondario degli scambi marittimi che emerge dalla lista (solo Tarshis e Yawan, assenza di Cipro , delle colonie africane e delle isole mediterranee) , certo in parte dovuta alla deformazione del punto di vista israelitico (prevalenz a dei commerci con Arabia e Levante ) , ma che sembra anche riflettere , invece di una situazione precoloniale , come anche si è proposto, il maggiore peso in termini commerciali -economici dei traffici di terra , nell 'epoca immediatamente successiva al crollo dell'impero assiro . Nel I millennio a . C . la storia del commercio nell 'Oriente antico travalica dunque definitivamente i confini della Mezzaluna fertile e lo scenario diviene insieme più ampio , ma anche frammentato nel moltipli­ carsi delle forme di interazione . Lo svolgimento degli scambi si colloca in scenari diversi (dalla penisola iberica all'Asia Centrale, dalle isole del Mediterraneo centrale alle città dell 'Asia Minore , dalla penisola sud­ arabica all'India) . Decisive innovazioni economiche , come la nascita della moneta coniata, si collocano al di fuori della sfera vicino-orientale, mentre lo slit­ tamento progressivo del controllo dei traffici nel Mediterraneo dai Feni­ ci ai Cartaginesi sposta l'asse delle relazioni verso la penisola italica, contesa da vecchi e nuovi competitori (Greci ed Etruschi, poi Romani) . Sul piano storico generale contribuiscono alla globalizzazione del commercio da un lato la definitiva rottura del sistema politico multicen­ trico del Vicino Oriente, con l'avvento dei grandi imperi e, dall'altro , la nascita del sistema coloniale legato alla diaspora commerciale dei Fenici nel Mediterraneo , che si intreccia al fenomeno di espansione greca verso l'Italia. L'impero achemenide , con il suo tentativo di dominio universale, rappresenta l'unione del " centro " e della " periferia " orientali, e anzi in qualche modo ne è l'inversione, con i centri politici spostati nell'Iran e quelli produttivi localizzati ai margini dell'impero (città fenicie , arabi, regioni centro-asiatiche) . Se vogliamo, esso segna il culmine e al tempo stesso la fine degli scambi interculturali dell'Oriente antico . TI tentativo

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di estendere il controllo oltre le frontiere tradizionali delle sponde del Mediterraneo orientale, che si risolve militarmente nelle guerre persiane ( 500-478 a.C . ) , è reso ideologicamente nella storiografia classica come la contrapposizione tra il mondo delle poleis greche e la millenaria tradizio­ ne del governo assoluto di matrice orient ale. Lo schema è riduttivo e distorto, ma è indubbia la frattura laddove nel passato vi era stata inte­ grazione commerciale. Con un esito simile, partendo da una condizione diametralmente opposta , Cartagine ( all'origine un insediamento commerciale) eredita dalla Fenicia la rete degli scambi marittimi, ma la trasforma in strumento di espansione politica e si avvia ad entrare in collisione prima con le città della Magna Grecia e poi con la potenza di Roma. Anche in questo caso lo scontro cruento delle guerre puniche sancirà l'interruzione della pacifica convivenze dello scambio tra culture diverse e la prima grande vittoria del futuro Impero romano.

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