Stavros Tornes, cineasta greco e italiano
 8888357084, 9788888357089

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STAVROS TORNES CGINEASTA

GRECO

SEME CIANO

A CURA DI Erras KANELLIS, STAVROS KAPIANIDIS

SERGIO GRMEK GERMANI, se

TORINOFILMFESTIVAL

UNINUF ILIVICCILIVAL

TNRINNETL

MEFSTIVAI

:

È

G

21° TORINO FILM FESTIVAL

13-21 Novembre 2003 via Monte di Pietà, 1 - 10121 Torino

tel. +39-011-5623309, fax +39-011.5629796

Direttori Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto

http://www.torinofilmfest.org

e-mail: [email protected]

Segretario generale Davide Bracco

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI - DIREZIONE GENERALE CINEMA

Il presente volume è pubblicato in occasione della retrospettiva Stavros Tornes, cineasta greco e italiano a cura di Sergio Grmek Germani, Stavros Kaplanidis, Roberto Turigliatto realizzata dal Torino Film Festival in collaborazione con Ellinikò Kèntro Kinimatoghràfou (Greek Film Center), Atene Festivàl Kinimatoghràfou Thessa-

Assistente dei Direttori

Angela Savoldi

lonìkis (Thessaloniki International Film Festival). Si ringraziano in particolare Michel Demopoulos e Voula Georgakakou.

REGIONE PIEMONTE

Programmazione e ricerca film PROVINCIA DI TORINO CITTÀ DI TORINO

Luca Andreotti

Hanno

con la collaborazione di

Cinémathèque Frangaise, il CNC-Centre Nationale de la

Mercedes Fernandez Alonso

inoltre

collaborato

la Cineteca

Greca,

la

Cinématographie. A Torino ha collaborato l'Associazione Piemonte-Grecia

COMMISSIONE

EUROPEA

Segreteria Alfonso Papa

IL PIEMONTE SCOPRITELO ADESSO

“Santorre di Santarosa”.

Concorso Internazionale cortometraggi

Si ringrazia il Thessaloniki International Film Festival per aver concesso l’utilizzo di testi e fotografie del volu-

COMPAGNIA DI SAN PAOLO

Paolo Manera

me Stàvros Tornès, a cura di Elias Kanellis e Stavros

FONDAZIONE

Concorsi Spazio Italia, DOC 2003 e Spazio Torino

Kaplanidis, Atene 2001. CRT

Chiara Andruetto SKY

Hanno

collaborato per il reperimento delle pellicole

Tainiothikì

KODAK

Segreteria concorsi Spazio Italia, DOC 2003 e Spazio Torino Davide Oberto

FIAPF

Consulenti per la selezione

tis Ellàdos, Atene,

Ellinikì Radhiofonìa

Tileoràsi, Atene, Cinémathèque francaise, Parigi, Archives du film de la CNC, Bois d’Arcy, Museo Nazionale del Cinema, Torino, RAI3 “Fuori orario”, Roma.

Giuseppe Gariazzo, Nicola Rondolino

Si ringraziano gli autori dei testi e delle dichiarazioni

ASSOCIAZIONE AMICI

Hanno inoltre collaborato: Lorenzo Esposito, Giona A.

in volume e inoltre: Anno uno / I mille occhi (Trieste),

DEL TORINO FILM FESTIVAL

Nazzaro, Roger Garcia (Estremo Oriente) Dave Kehr

Adriano

(USA), Bill Krohn (USA) e Elena Pollacchi (Cina).

(Udine), Cineteca del Friuli (Gemona), Fulvia Farassino, Paola Febbraro, Paolo Luciani, Paolo Lughi

William Friedkin Giulia D’Agnolo Vallan

Michele Mancini, Nico Papatakis, Giampiero Rizzo, Agnès Varda.

Gianni Rondolino (Presidente) Claudio Gorlier (Vice Presidente) Alberto Barbera

Eclissi di cinema. Tutti ifilm di Aleksandr Sokurov Stefano Francia di Celle,

Susanna Bourlot, Caterina Carpinato, Federica Ferrieri,

Davide Bracco

enrico ghezzi e Alexei Jankowski

Gabriella Macrì, Paola Maria Minucci, Gaia Zaccagni.

Stefano Della Casa

Stavros Tornes, cineasta greco e italiano Sergio Grmek Germani,

due fotogrammi (r6mm) da Balamòs (1982) di e con

Ansano Giannarelli

Stavros Kaplanidis e Roberto Turigliatto

COORDINAMENTO ASSOCIAZIONE

FESTIVAL EUROPEI

CINEMA GIOVANI

Aprà,

Alain

Brillon,

«Libération»,

CEC

Traduzioni

Valerio Castronovo Francesco De Bartolomeis

Paolo Manera

Giuseppe Riconda

In copertina: Stavros Tornes,

în prima con il cavallo, in quarta con Konstadìnos Pàgalos

Baldo Vallero

Ufficio stampa e comunicazione Marzia Milanesi, responsabile

Marco Vallora

Tiziana Ciancetta, Barbara Sassano, Jenny Bertetto

Alfrontespizio:

Ufficio Stampa e P.R internazionali

Stavros Tornes, subito dopo la proiezione fuori selezione di Karkaloù al Festival di Salonicco, ottobre 1984, alza il

Richard Lormand e Viviana Andriani

pugno in risposta agli applausi entusiastici del pubblico.

Gianni Vattimo

Lorenzo Ventavoli

Coordinamento editoriale

Giorgio Gianotto

Progetto grafico:

adfarm&chicas srl

Manifesto 2003 Stan Brakhage

© 2003 Torino Film Festival Sigla Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian

Associazione Cinema Giovani

ISBN: 9-788888357089

Stavros Tornes Cineasta greco e italiano

a cura'di

Sergio Grmek Germani Elias Kanellis Stavros Kaplanidis

Indice

Premessa

00

Sergio Grmek Germani

Màgika - Rebètika - Erotikà Canzoni popolari (canzoni amare)

per un film di Stavros Tornes di 45-60’ Nota sulla traslitterazione II

15

79

La vitalità dell’effimero

Elias Kanellis, Stavros Kaplanidis

83

Karkaloù

Cronologia

85

Danilo Treles

Introduzione all'edizione greca

Voglio continuare a fare film STAVROS TORNES: SCRITTI, PROGETTI, CONVERSAZIONI

95

D)

Cinema impossibile

IOI Un airone per la Germania

Hi

Incarnazione del cinema

103 Ritrovare la chiarezza e la forza

35

Esiste un cinema inesplorato

105 Brani di passione poetica

39

Siamo impazienti...

107 Per uno sguardo rivelatore

4I

Addio Anatolia

II5

3.

Coatti

43

Guida poetica italiana

49

Eksopragmatikò (Fuori della pratica)

SI

Parola di Prometeo

53

Lupi mannari ovvero Licantropia a Roma

13I

La fine di un mestiere

133 Testimonianze italiane

2I

Il Silenzioso (Progetto di sceneggiatura)

Robinson Crusoe

I19 INCONTRI I2I

Augurio dall’Anatolia Elia Kazan

123 Ricordi

YI

Balamòs (Colui che è in estasi e che vive con le favole)

Demosthenes Theos

Il battesimo di Balamòs e il Profeta Charlotte van Gelder

Francesco Rosi, Mario Monicelli, Mimmo Rafele, Ugo Adilardi, Nico D’Alessandria,

Roberto Mastropasqua, Roberto De Angelis, Simone Carella, Ciriaco Tiso, Ivo Barnabò

75

Balamòs è un film

Micheli, Vincenzo Attingenti

143

Un debito Theo Angelopoulos

145

Senza regole Alèksis Dhamianòs

147

La pellicola e il caffè Stàvros Tsiòlis

149

I71

Stavros Tornes, cineasta inattuale ovvero Il povero viaggiatore del Sud Marco Melani

177 PERSISTENZE

Uno sguardo dalla Germania Anna Wich

179 Attraversare il cinema greco come un lampo Michel Demopoulos

181

E senza Tornes...? Stavros Kaplanidis

ISI FOLGORAZIONI 155

Orientamenti Jean Douchet,

Vasîlis Rafailîdhis t55

Hyères: oggi Louis Skorecki

159 La solitudine senza protezione di Stavros Tornes Ghiòrghos Bràmos I6I

Arriva dalla Grecia un principe ingenuo che compra cavalli Alberto Farassino Nessuno stile cinematografico codificato Chrìstos Vakalòpoulos Un film contro le leggi Serge Daney Karkaloù, ci sei? Louis Skorecki La morte di un uomo. Chi era Stavros Tornes? Louis Skorecki

185 Stavros Tornes: il grande provocatore Elias Kanellis 207 La poetica di Stavros Tornes Adrèas Paghoulòtos 209 Stavros Tornes: il cinema

come mitologia estatica dell’immaginario Ciriaco Tiso

219 FILMOGRAFIA

221 Filmografia Sergio Grmek Germani 231 Nota bibliografica

Qualcosa qui diventò orfano, la candela di qualcuno si esaurì; si rubò la gioia di qualcuno,

qualcuno cantò e il canto si spense.

Traduzione della didascalia-titolo all’inizio di Adio Anatolì/Addio Anatolia

Premessa SERGIO

GERMEK

GERMANI

“Quando giravo Coatti a Cinecittà [...] l’intero cinema italiano era morto. Stavros Tornes

«Molto lavoro mi aspetta» diceva Dreyer negli ultimi anni, cercando di realizzare i suoi progetti maggiori. «Voglio continuare a fare film» diceva Tornes nell'intervista dopo il penultimo film. Uniamo, non

trova

attraverso un

una

bellezza

“funzionamento”

assoluta

che

economico,

due

cineasti che si sono già incontrati, poiché Balamòs e Karkaloù prolungano Vampyr e le sue bare in movimento.

Molte punte di bellezza sono state sottratte alla realizzazione. C'è stato un cinema fuori della pratica che oggi rimane un puro dono di vite che ci sono passate davanti. È sorprendente quante persone si

scoprano oggi distratte rispetto alla presenza di Tornes nella vita e nel cinema: registi affermati che l'hanno avuto come attore, Bernardo Bertolucci che l’ha incontrato (vedi testimonianza in foto) a un convegno di cineasti a Salso, noi stessi che lo vedevamo con Marco Melani e per qualche anno ci muovevamo a pochi metri dalla “sua” Piazza Santa Maria in Trastevere. Come dice Roberto Turigliatto nella prima presentazione di questo omaggio: «Stavros Tornes resta “il segreto meglio celato del cinema europeo”. Questo filmmaker totale, autore del cinema “poetico-politico” più povero ed estremista degli anni "70 e ’80 (cinque lungometraggi, diversi corti e medi), è stato soprattutto un viandante apolide che attraverso i metodi e le lezioni del cinema postrosselliniano più radicale e moderno ha intrapreso un viaggio alla ricerca delle origini, verso il luogo della nascita e della morte. È stato un cineasta tellurico, primitivo, capace delle stupefazioni più folli (le pietre, gli alberi, i cavalli, i bambini, i fantasmi, i paesaggi notturni, i sogni...), come delle deambulazio-

ni e dei detours più inattesi».

Che questa retrospettiva si intrecci alle proiezioni dell'’omaggio a Monteiro, altro grande cineasta scomparso che sulla presenza del proprio corpo ha “centrato” i film e la vita, è forse il maggior segno che questo è il momento e il luogo giusto per accorgersi finalmente di Tornes: anche per i più attenti cinefili e cineasti che avevano lasciato questa consapevolezza a una piccola minoranza di rivelatori, i cui scritti hanno la giusta posizione in questo volume. Non è che Tornes coltivasse nei propri film delle intenzioni esoteriche. Essi sono anzi nati dalla frequentazione di un cinema popolare, sia italiano che greco (del quale poco si conosce), sapendo che i segreti sono più profondi se posti in evidenza. Che poi, nella sua diffidenza verso il cinema della macchina hollywoodiana, emergessero passioni come quella per Tourneur (rendendo davvero rabdomantica la folgorazione di Skorecki, testimoniata anche dalla conclusione del-

l'articolo per la morte: «eppure, da qualche parte, nel mondo, un orfano piange»), è ulteriore conferma di come Tornes sapesse orientarsi vagando nel cinema. «Colui che è costretto a errare in eterno» è il senso della parola valacca che dà il nome a Balamòs («Balamòs è un film»). Dobbiamo cominciare a parlare delle colpe dell’Italia, e la Grecia è un territorio giusto per farlo. La Grecia, è vero, ha fatto lottare Tornes per ogni metro di pellicola, ma a un certo punto, tra odi e invidie, qualcuno ha saputo riconoscerlo come maestro. L'Italia, che l’ha ospitato per anni, non ha riconosciuto nelle sue opere dei grandi film italiani. Nemmeno Coatti, italiano per lingua, paesaggi, corpi e “produzione”, che oggi bisogna finalmente vedere tra i capolavori del cinema italiano apolide, con il da lui amatissimo Viaggio in Italia rosselliniano (e ne è una sorta di seguito anni ‘70), oltre che con film dispersi come Lo sconosciuto di San Marino di CottafaviWaszynski, Città dolente di Bonnard, Maddalena di

Genina, Tropici di Amico, gli Straub-Huillet...

Questo omaggio vuole avvalersi di tutti i precedenti strati del riconoscimento di Tornes, in Grecia, in Francia e in Italia, ma deve imporsi (proprio perché arriva tardi) di andare oltre, di colmare quelle disattenzioni che le precedenti attenzioni più “sintetiche” potevano concedersi. È il senso del nostro lavoro rispetto a quello dei curatori dell'omaggio greco di due anni fa. Siamo loro riconoscenti, oltre che per i materiali raccolti, perché sono stati capaci di compiere dei gesti in controtendenza. Così come consideriamo un eroe quel dirigente della televisione greca che, di fronte alla bocciatura tecnica del film di Tornes, ne ha chiosato la scheda con un netto «passa per ordine del signor Alevràs». Non è una morbosa ricerca di conflitti se vogliamo sapere chi sono stati i giusti e chi i colpevoli: in Grecia si tendono oggi a dimenticare questi dettagli, e il fatto che l’intervento di Thèos sugli “stalinisti” che hanno combattuto Tornes esca prima in questo

volume che in patria è significativo. È la storia del «mai più» che ci interessa, quella che ha mosso l’indispensabile neorealismo rosselliniano esaltatosi nell’«anche i morti» di Europa 51, o il cinema del «mai più Auschwitz» di Munk. Vogliamo smentire che vi siano zone trascurabili nel cinema di Tornes. Questo omaggio vuole indicare delle direzioni in cui superare la nostra ignoranza. Non è più ammissibile che dei primi due cortometraggi, attualmente invisibili, non ci si voglia occupare perché sarebbero lavori su commissione. Quando invece tutte le successive menzioni da parte dell’autore portano a vedere Mikìne (primo film cui ha voluto dare un titolo italiano finale, Tomba) e Kiklàdhes come i primi due tasselli di un trittico che si compie con Thiraikòs òrthros. E forse di pochi altri cineasti degli ultimi decenni

vi sono tanti film «perduti»: Studenti, Fantastikò reportàz, la prima interpretazione alla Scuola di cinema e quella in Nausicaa... una maledizione che i tempi di preparazione di questo omaggio non hanno consentito di scongiurare, ma che non vogliamo accettare per definitiva. I film con Tornes attore, per il modo stesso in cui si mette in gioco come corpo, sempre un po’ di passaggio, vengono generalmente visti al polo opposto rispetto ai film da lui diretti e alle sue gioiose interpretazioni in essi. Ma la frase misteriosa che Rafele ricorda («io e te dopo cominciamo e facciamo una bella cosa») pare riferirsi sia alla cosa che si sta facendo che a un’altra possibilità, contenendole entrambe. Non è una tattica di comunicazione la sottolineatura dell’italianità del cinema di Tornes, che non era dovuta unicamente all’esilio politico, come prova il suo splendido ultimo film, vera summa del mondo in cui ha vissuto con noi, nella quale ricorda anche le esperienze italiane, quasi bibliografandole. Film lieve come il volo dell’airone e insieme enciclopedico, vicino in ciò al recente Um filme falado di Oliveira, nel quale si ritrova anche una zona del miglior cinema greco. Tornes è stato all’altezza del passato della sua terra, su cui non ha mai voluto costruire un cinema sterilmente culturale. Ma è diventato anche (come testimonia la sua filmografia) un cineasta italiano, e quel suo sentirsi a Cinecittà (nome pom-

poso per dei super8 gonfiati a 16) come in un deserto non è un atto di presunzione verso una cinematografia che sovente riusciamo a amare, ma che riesce a diventare grande se si dimentica come

macchina produttiva. Tornes è un segreto benevolo. Molto lavoro ci aspetta.

a

Nota sulla traslitterazione

Poiché non vi sono criteri generalmente condivisi, nemmeno nell’ambito specialistico, italiano ed estero, per la traslitterazione dal neogreco, si è elaborata per questo volume una scelta a partire dalle diverse soluzioni proposte, con alcune esigenze prioritarie per questa edizione, ma perseguendo anche un minimo di coerenza più ampiamente accettabile. Trattandosi di un autore che ha vissuto a lungo in Italia, ci si è posti il problema di quali scelte egli avesse fatto in quel periodo, soprattutto per i titoli di testa e di coda, spesso fotografanti una scrittura autografa, e per gli scritti pubblicati, e si sono poste in rapporto ai diversi orientamenti di traslitterazione. Poiché dalla prolungata diglossia del neogreco, tra il dhimotikì (lingua popolare) e la katharèvousa, la «lingua epurata» quale compromesso tra il greco antico e la prima, si è gradualmente e definitivamente affermata nel secondo dopoguerra la «lingua popolare», che privilegia la chiave fonetica nell’uso dei caratteri alfabetici, appare coerente che anche nella traslitterazione nel nostro alfabeto si scelga come guida la leggibilità fonetica. Tuttavia ciò può provocare talvolta un’utilizzabilità strettamente nazionale (italiana) di certe soluzioni, che ci pare insoddisfacente, forse non solo per un libro di cinema. Nel tener conto sia delle scelte fatte nelle pubblicazioni con versione inglese del festival di Salonicco, sia di quelle in The Greek Filmography di Dimitris Koliodimos (McFarland, JeffersonLondon 1999), è rimasto però il bisogno di precisarle. La sfida, che ogni scelta di traslitterazione dovrebbe sentire, di corrispondere il più possibile alle varianti della grafia originale, in modo da consentire anche un'ipotetica ritraslitterazione verso l'originale, potrebbe essere soddisfatta col neogreco solo al prezzo di complicazioni e abbinamenti dei segni latini che, non collocandosi qui né in una proposta alfabetica né in una sua lettura filologica, avrebbero reso molto artificiale la grafia di nomi e titoli. Solo così però avremmo potuto soddisfare il desiderio di evidenziare nella traslitterazione i diversi segni originali che corrispondono allo stesso suono. Essendo risultato ciò impraticabile, si è voluta però evitare anche una «iperfonetizzazione», che cercasse di trovare per lo stesso carattere diverse soluzioni traslitteranti in diversi contesti (o anche sopprimendo le doppie che invece si leggono scempie, o invece raddoppiando foneticamente la s tra due vocali). Al di fuori delle lettere singole vi sono però nel neogreco i gruppi vocalici e consonantici, che in alcuni casi suppliscono all’assenza di segni per certi suoni: questa realtà ulte-

riore si è perciò trattata separatamente ma anche nel caso dei gruppi si è voluto adottare per ciascuno una sola chiave di traslitterazione, senza adattamenti rispetto alla pronuncia nei diversi contesti (realtà che agisce in diversa misura in tutte, o

quasi, le lingue, che pertanto richiedono sempre un supplemento di conoscenze non risolvibili nella scrittura, e a cui solo in minima parte cerchiamo di supplire con questa nota). Infine, perché la chiave fonetica fosse conseguente, si è voluto evitare che suoni diversi, per i quali l'alfabeto greco prevede soluzioni diverse, venissero resi nello stesso modo, ed è ciò che ha favorito in rari casi, in particolare nell’uso della d e della g, soluzioni apparentemente più complicate ma che riteniamo coerenti nel generale rapporto tra suoni e grafemi del neogreco. Le scelte personali di Stavros Tornes si manifestano essenzialmente: — nella scrittura del proprio nome senza accenti, il che appare più un’assunzione apolide che una regola generalizzabile (e vale non solo per la scrittura a tutte maiuscole del proprio nome, che anche in greco sarebbe priva di accenti, ma nello stesso caso di scrittura minuscola con sole iniziali maiuscole); c'è tuttavia l'eccezione, non si sa quanto controllata da Tornes,

nella «Guida poetica italiana» di cui riproduciamo le pagine, dove per due volte l’accento tronco del cognome si anticipa sul nome, non sappiamo se per errore redazionale; — nella scrittura con caratteri latini del titolo greco di un suo film italiano: Eksopragmatikò indica sia la preferenza di ks rispetto a x, sia l'accettazione della sostituzione traslitterante dell’accento grave al posto dell’acuto, unico utilizzato nel neogreco (coerentemente riportato invece nelle traslitterazioni dei maggiori atlanti italiani e internazionali: e il territorio atlante ci sarebbe altrimenti più congeniale di altri terreni editoriali, anche in onore ai viaggi del cinema di Tornes).

Pertanto il nome di Stavros Tornes, che secondo le regole

che ci diamo andrebbe

traslitterato e pronunciato

Stàvros

Tornès, verrà da noi scritto senza accenti, rispettando qui come

altrove le scelte di scrittura del proprio nome di cineasti con attività anche extragreca: come per Theo Angelopoulos, Nico Papatakis, Ado Kyrou, Michael Cacoyannis, Manos Hadjidakis, Irene Papas, Melina Mercouri, Michel Demopoulos...

AI di fuori di queste eccezioni nomi e titoli sono traslitterati secondo la tabella che segue, nella quale alle lettere singole seguono i gruppi: A, o

a

B, B SS,

Vv gh

(indipendentemente dalla lettera che segue, ma forse più preciso per la gutturale aspirata cui seguono a, 0, ou, che non davanti a e 0 i, dove la

A, è

dh

E, £

e

ZARE

z

H,n

i

0, d I,

th i

K,k

k

A,

l

M, W

m

N, v

n

ENG

ks

0, 0

Do)

II, x P, p

12) iù

2,00)

5

Tur

t

0

i

D, d X,%

f ch

pronuncia vicina alla j suggerisce fuori d’Italia la scelta y) (pronuncia d interdentale come nell’inglese other) (pronuncia comela sdi Asia) (pronuncia t interdentale come nell’inglese think)

(preferita peril neogreco a ph) (più precisa della semplice h, il cui uso resta legato allo spirito aspro del greco antico, corrisponde ai due diversi suoni del ch tedesco, quello di ich davanti a e e i, quello di nach davanti ad a, 0, ou,

cui si aggiunge dopo la s quello di kh) Py

ps

Q, 0

o

LT VT YK

b(ancheall’interno delle parole, dove suona mb) d (anche all’interno delle parole, dove suona nd) E (sempresenza ha prescindere dalla vocale che segue, e anche all’interno delle parole, dove

v rx Y6 (040) 0) mv ov

ngh nch nks av. (anche davanti alle lettere dove la pronuncia diventa af ev. (anche dove la pronuncia è ef iv. (anche dove la pronuncia è if) ou (preferita alla semplice u corrispondente alla

£L, 01, Ut

i

al



suona Ng)

pronuncia)

Si riportano tutti gli accenti, traslitterandoli da acuti a gravi (sui gruppi vocalici in cui la seconda lettera si traslittera in v, l’accento si anticipa sulla prima lettera). Non si riportano invece le dieresi poiché il gruppo vocalico vi si traslittera con entrambe le lettere. Nella traslitterazione di to e t$ si succedono le singole lettere, benché il suono possa corrispondere rispettivamente alla

ce alla g palatali. Le mutazioni che avvengono nei gruppi consonantici con nasale riguardano anche il rapporto tra parole successive, ma in questo caso la traslitterazione non le adotta.

S.L.g.

Balamòs, 1982

Introduzione all'edizione greca Ln

IN

SA

vapor

KA

PLAINIS

Conoscemmo Stavros Tornes subito dopo il suo ritorno in patria, intorno al 1982. Prima di incontrarlo, avevamo visto il primo dei suoi film girati in Grecia, Balamòs, e quando lo conoscemmo ci rendemmo conto che era completamente estraneo al narcisismo estetico spesso definito come compiaciuta avanguardia: simboleggiava anzitutto la profonda concretezza incarnata nella realizzazione del film e in particolare nella sezione che celebrava l'immaginario. Conoscemmo prima di tutto un artista che si opponeva con passione a ogni genere di stereotipo. Non era mai a corto di sogni, di ideali, di combattività e di iniziativa, mentre le entrate («soldi, sempre questi dannatissimi soldi», diceva), che avrebbero dovuto giustificare la sua scelta creativa ma innanzitutto lavorativa, non gli bastavano mai, nemmeno

lontanamen-

te. Un cineasta così profondo, che non veniva pagato per il lavoro che faceva, che non poteva contare neanche sui mezzi per sopravvivere, era per noi una manna scesa dal cielo. Si era guadagnato la nostra ammirazione con la sua opera, ma ci aveva conquistati anche con il suo stile di vita. Lo osservammo da vicino nei sei anni successivi, fino alla sua morte. Grazie a lui conoscemmo molti altri personaggi interessanti, ma si trattò soprattutto dell’apertura a un pensiero complesso, che lottava per spiegare un mondo pieno di contraddizioni e di contrasti. Non è esagerato dire che l’impacciata connotazione rivoluzionaria della nostra giovinezza ha preso forma e acquisito obiettivi, prospettive e contenuto stando a stretto contatto con una persona che non aveva neppure la licenza elementare, che possedeva però una conoscenza profonda delle cose, capace di farci distogliere lo sguardo da qualsiasi aspirante maestro borioso e pieno di titoli di studio letterari e artistici. Accanto a lui imparammo a distinguere e a sostenere tutto ciò che aveva valore per noi, invece di rivolgere la nostra attenzione ai prodotti propagandati dai venditori di stereotipi sociali e artistici. La morte di Stavros Tornes è stata una grande perdita per tutti i registi e per tutti gli spettatori che cercavano nel cinema una visione propositiva del mondo, ha rappresentato la fine di un’occasione per pensare e per commuoversi. E in particolare i cinefili greci sono stati privati di un personaggio emblematico, che avrebbe potuto ispirare la demistificazione dell'immagine (in un’epoca in cui i concetti arretrano, arrendendosi al senso assoluto delle immagini audiovisive in continua espansione), e parallelamente rafforzare in uno spazio familiare i miti vitali dell’esistenza, dietro cui si cela la verità delle cose, la loro atro-

cità e la loro dolcezza. Perché Tornes era riuscito a raggiungere un compromesso nella dialettica dell’esistenza: l’atrocità e, insieme, la dolcezza.

Stavros Tornes è scomparso all’età di 56 anni, nel luglio 1988. Tredici anni dopo — un lasso di tempo che nemmeno per approssimazione può essere assimilato a un anniversario — il Festival del Cinema di Salonicco decide di ricordare al pubblico cinefilo la figura del regista. La retrospettiva dedicata al suo cinema è l’occasione ideale per rivalutare l’opera, le idee, ma anche le ossessioni per cui lottò. Gli spettatori più giovani, le giovani promesse della cinematografia e parecchi tra i giovani critici che non conoscono i film di Stavros

Tornes hanno l'opportunità di confrontarsi con un «mostro sacro»: con l’espressione cinematografica, con una complessità di pensiero che porta verso la semplicità, con la precisione e la forza nella formulazione, con la combattività che si impone completamente sull’espressione artistica, con la vita come percorso creativo rettilineo espresso in un rapporto irrisolto con la realtà e con l’arte narrativa per cui combatté.

II

Questa retrospettiva è molto importante proprio perché non trae spunto da un anniversario: in un periodo difficile per la cultura audiovisiva, la proposta di un artista scomparso ma non dimenticato appare di forte attualità. Attualità che non soddisfa un pretesto commemorativo, ma è dettata dalla situazione, dalla necessità di riconsiderare le certezze audiovisive che, sempre più spesso, sempre più regolarmente, sempre più massicciamente, abbagliano le persone con uno sguardo che rifugge gli aspetti importanti,

focalizzandosi su quelli accessori, diventando indiscreto e meschino. La spiegazione è semplice: Stavros Tornes non aspirava soltanto a esprimere lo spirito della sua epoca. Le sue immagini, pur consumate, lacunose, frammentarie, «sporche», sono riuscite a sopravvivere all’epoca in cui sono state prodotte, sono in grado di rivolgersi con la stessa attualità anche alla nostra epoca, forse anche alle epoche future. Come le immagini dei pionieri del cinema, scoperte e riscoperte senza sosta.

[n]

Il presente volume è, a nostro avviso, un’indispensabile «bussola» per comprendere in tutta la sua ampiezza l’opera di questo importante cineasta. Nella prima sezione vengono presentati in ordine cronologico alcuni brani di Tornes sotto forma di manifesto programmatico, nonché alcune interviste che illustrano la sua ricerca creativa ma anche la sua posizione nei confronti della realtà. Due di queste interviste è come se fossero pubblicate per la prima volta. Una, per nulla rielaborata nel dettato, era stata pubblicata in un opuscolo del circolo cinematografico di quartiere Màati di Mìikonos, rimanendo inaccessibile anche per il più volenteroso dei lettori. La seconda — l’ultima intervista concessa da Tornes — era stata pubblicata sulla rivista «Adì» nel 1988, ma con tagli dovuti a ragioni di spazio. È stato necessario sbobinarla daccapo, e le parti eliminate sono state aggiunte al testo tra parentesi quadre. Nella stessa sezione vengono inoltre proposti alcuni brani in cui Tornes presenta personalmente i suoi film, nonché sceneggiature inedite o progetti di sceneggiatura che attestano l’inesauribile vena creativa ma anche le ossessioni che muovevano il suo pensiero creativo.

[...] La presente edizione contiene un gran numero di documenti e di fotografie, gran parte delle quali mai publicate. Non è stato possibile utilizzare tutto il materiale inedito, ma crediamo che i documenti scelti contribuiscano alla completezza dell’edizione, documentando a vantaggio del lettore (e dello studioso) l’immagine di Stavros Tornes. Un artista che mantenne la semplicità, l'umorismo e l’umanità, che non

KAPLANIDIS |STAVROS ELIAS KANELLIS, N

volle mai, neanche per un istante, nascondere il proprio vero volto dietro la boriosa facciata spesso imposta dal mondo dell’arte: era un uomo autentico e non un paradigma di presuntuoso esibizionismo. Il materiale fotografico tratto dai film di Stavros Tornes è esiguo, poiché sul set non c’era un fotografo di scena. Per stampare le fotografie riservate alla distribuzione (comunque limitata) delle sue opere, il cineasta scelse un numero limitato — limitato per ragioni economiche, ovviamente — di fotogrammi dei film. Una volta individuati i negativi, i fotogrammi andarono in stampa, ma le dimensioni ridotte (16 millimetri) non consentivano una resa adeguata, almeno secondo i criteri del mercato. Ma le fotografie esistenti, proprio per le loro caratteristiche, rappresentano, per così dire, lo spirito e l'atmosfera dei suoi film. Sui set dei tre film girati in Italia (Adìo Anatolì, Coatti ed Eksopragmatikò) non furono scattate fotografie. Perché la documentazione fotografica del volume fosse completa abbiamo acquisito in digitale alcuni fotogrammi dei tre film, con la speranza che la riproduzione tipografica, particolarmente curata e attenta, risulti soddisfacente per il lettore. Le fotografie delle troupe impegnate nelle riprese sono anch'esse rare, scattate da amici presenti occasionalmente o da chi partecipava in vario modo alla realizzazione dei film. Lo stesso vale anche per i ritratti di Tornes. Le fotografie sono pochissime, ma siamo riusciti a trovare qualche testimonianza: un ritratto si deve alla curiosità del cineasta Levtèris Dhanìkas, che fotografò il cineasta al Festival di Salonicco del 1982, quando fu presente con Balamòs; altre fotografie si devono ad Anna Wich, che partecipò con dedizione alle riprese e alla vita di Stavros Tornes. Dopo la morte di Stavros Tornes, la sua compagna, Charlotte van Gelder, affidò a Stavros Kaplanidis e a Màrios Karamànis alcuni scritti: testi, progetti di sceneggiatura, corrispondenza, ritagli di giornale e fotografie dei suoi film. Il materiale fu conservato per tredici anni, alcuni frammenti erano già stati richiesti e utilizzati, ma questo volume propone per la prima volta gli scritti nella loro interezza. Tale documentazione è la base da cui sono partiti il volume e la retrospettiva. Le ricerche hanno portato all’individuazione di altri materiali: diverse interviste concesse a giornalisti, critici, colleghi, ma anche a semplici ammiratori. Sono state ripescate anche diverse scatole con restì di negativi «inutili», di inquadrature non utilizzate nei film, fra cui le riprese — che a volte gli operatori rèalizzano fuori piano — incluse nel documentario Stàvros Tornès: o fiochòs kinigòs tou Nòtou, di Stavros Kaplanidis. Questo materiale ha

dimostrato che nel cinema niente è inutile: anche l’ultimo fotogramma sovraesposto ha un valore quando si tratta dell’opera di personaggi che meritano l’attenzione. Abbiamo raccolto punti di vista e testimonianze di chi ha condiviso con Tornes momenti di vita, venendo a conoscenza di particolari inediti: preziose sono state le testimonianze di Ghiòrghos Zervoulàkos e di Dhìmos Thèos, che ci hanno concesso molto del loro tempo. Ci hanno dimostrato un'eccezionale disponibilità il vecchio collaboratore italiano di Tornes, Ciriaco Tiso e il giovane studioso dell’opera del regista Michàlis Traìtsis, che non hanno potuto contribuire al volume per motivi indipendenti dalla loro volontà. Ringraziamo tutti caldamente. Dobbiamo ugualmente ringraziare Charlotte van Gelder, che, pur vivendo ormai in Olanda, ci ha sempre incoraggiato quando eravamo in difficoltà nelle nostre ricerche. Ringraziamo inoltre il regista Màrios Karamànis (per il suo contributo alla conservazione della maggior parte del materiale che abbiamo avuto a nostra disposizione); il montatore Chrònis Theochàris (per l’acquisizione digitale dei fotogrammi); Margharìta Bousoùni per aver dattiloscritto gran parte degli scritti inediti di Tornes e una parte del materiale critico; Natàsa Adhàmi per lo sbobinamento professionale e la revisione dell’ultima intervista del cineasta. Ringraziamo, infine, Michel Demopoulos e i suoi collabora-

tori per l'appoggio e la comprensione, in particolare quando non abbiamo rispettato i tempi fissati, così come Thòdhoros Stefanòpoulos ed Elèni Mavroidhì delle edizioni Kastaniòtis, che si sono adoperati perché il libro fosse il più completo possibile.

|a ALL'EDI INTRODU GRECA

Stavros Tornes adolescente

In alto: Stavros Tornes all’inizio degli anni ’50 In basso: Fotografia scattata da Anna Wich a casa di Stavros Tornes pochi giorni prima che il cineasta venisse ricoverato all'ospedale, 1988

Cronologia

1932 Stavros Tornes nasce il 12 giugno a Ghalàtsi (un sobborgo di Atene) da genitori profughi dell’Asia

rando di riuscire a trasformarla in un ritrovo di giovani animati da inquietudini intellettuali e artistiche. Il tentativo fallisce.

Minore.

1940 L'Italia dichiara guerra alla Grecia. Stavros è costretto ad abbandonare la scuola, che non fre-

1959 Compare in un piccolissimo ruolo nel film di uno dei maestri del cinema popolare, I lìmni ton stenaghmòn di Ghrighòris Ghrighorìou, vicenda di

quenterà mai più.

esotismo antiturco con protagonista Irene Papas.

1949 Nell’anno in cui si conclude la triennale guerra civile greca, presta servizio militare sull’isola di Makrònisos, dove ha delle lunghissime conversazioni con i confinati politici. La sua geniale inventiva lo porta a inventare storie, attraverso le quali, come dichiarerà in seguito, ogni giorno ideava un film diverso.

1960 Viene distribuito anche un altro film della Scuola Ioannìdhis, in cui Tornes è protagonista (con Lilì Papaghiànni), To mistikò tou kòkkinou mandhìa di Kòstas Fotinòs.

1961 Oltre a ottenere un piccolo ruolo accreditato in una commedia

1950-1956 Cinefilo appassionato, frequenta con assiduità le sale cinematografiche di Atene. Ha una particolare predilezione per i film di Alfred Hitchcock e rimane affascinato da Jacques Tourneur. Scopre anche Rossellini e, tra gli altri film italiani, Riso amaro (1949) di De Santis. Il cinema greco vive in questo periodo la sua prima affermazione ai festival internazionali, con gli esordi di Michael Cacoyannis e Nikos Koundouros, mentre l’«americano» Gregg Tallas torna in patria per realizzarvi alcuni film. 1957 Si iscrive alla Scuola di Cinema Ioannìdhis.

1958 Ir parte alla produzione della Scuola di Cinema Ioannìdhis, To meghàlo kòlpo di Chrìstos Theodhoròpoulos, che è anche il primo film greco in scope, e in cui egli è protagonista di una storia d’amore con Ksènia Kalogheropoùlou; il film uscirà nelle sale nel 1960. In via Efesto 3, nel quartiere Monastiràki, apre una libreria di libri usati, spe-

di Ghrighorìou,

Dhiavòlou kàltsa,

con il popolare comico Thanàsis Vènghos, è attore e aiuto regista di To spîti tis idhonîs di Ghiòrghos Zervoulàkos, con la provocante Rìka Dhialinà. Frequenta i cineasti Kòstas Sfìkas (che collabora alla sceneggiatura del film precedente) e Dhìmos Thèos, e il poeta Thomàs Gòrpas; con essi condivide l'interesse per il cinema e per la politica, discu-

tendo del cinema militante al servizio della classe operaia. È il periodo della politica greca in cui prende avvio il rafforzamento del «centro» progressista di Ghiòrghos Papandrèou, contro il predominio della destra legalitaria di Konstadìnos Karamanlìs. Tornes tenta di creare con Vasîìlis Rafailìdhis una casa di produzione, condannata all’insuccesso per mancanza del capitale necessario. 1962 Oltre a interpretare la parte dell’innamorato povero in I orèa tis Roùmelis di Ghiòrghos Delèrno, prende parte come attore e aiuto regista al film Ouranòs di Tàkis Kanellòpoulos, una delle opere che maggiormente segnano una direzione più libera nella produzione greca.

1963 Si occupa del casting di America! America! di Elia Kazan e l’anno successivo di quello di Aléksis Zorbàs/Zorba the Greek di Michael Cacoyannis, con il mitologizzante personaggio romanzesco di Nìkos Kazantàkis interpretato da Anthony Quinn: due titoli diversamente significativi di un momento di slancio dell’esotismo ellenico (in cui rientrano i film di Jules Dassin con Melina Mercouri, l’affermazione internazionale di Irene Papas, l'erotismo di Zoe Laskari, il fascino delle musiche di

Theodorakis e Hadjidakis). È il momento in cui l’Ente Ellenico per il Turismo vara una serie di documentari realizzati da Roùssos Koùndhouros: Mikîne diventa l’esordio nella regia di Tornes.

1964 Kikladhes è il secondo cortometraggio di Tornes per l'Ente turistico.

Us)

1965 Ha un ruolo in Blòko, la più importante opera greca di Ado Kyrou, che presto lascerà il paese d’origine per la Francia.

| ON CRONOLOGIA

1966 Nell'anno in cui esordisce, con il primo dei suoi soli tre film, l’altro grande autore misconosciuto del cinema greco, Alèksis Dhamianòs, Tornes collabora con Dhìmos Thèos alla sceneggiatura di Kièrion, sul caso Paulk che anticipa il coinvolgimento americano nei retroscena dell’eversione antidemocratica; Tornes vi ha anche un ruolo, come altri cineasti del nuovo cinema greco. Il film sarà definitivamente edito solo dopo la fine della dittatura, e sarà distribuito nel 1974, ma già nel 1968, in una prima versione, otterrà una menzione speciale alla Mostra del cinema di Venezia. 1967 Dirige insieme a Kòstas Sfîkas il cortometraggio

Thiraikòs òrthros. È assistente al film del ritorno in Grecia di Nico Papatakis, I voskì/Les pàtres du désordre, con Olga Karlatos: la realizzazione del film si protrae semiclandestinamente oltre la data del colpo di stato militare, il 21 aprile. In questo periodo Tornes abbandona la Grecia per l’Italia insieme all'attrice Irò Kiriakàki, che ha sposato da poco e con cui il rapporto s’interromperà dopo breve tempo. 1968 Abita a Roma, sopravvivendo faticosamente con lavori da imbianchino e muratore. La sua vita si svolge perlopiù a Trastevere, dove conosce vari gio-

vani artisti e intellettuali. Saltuariamente crea scul-

ture in pietra.

1969 Ottiene le prime piccole parti in film italiani (tra cui un western non meglio identificato). Francesco Rosi, per aiutarlo a sbarcare il lunario, gli dà un piccolo ruolo non accreditato (come quasi tutti quelli che seguiranno in Italia), in Uomini contro, che esce l’anno successivo.

1979-1971 Durante un viaggio a Marsiglia incontra Agnès Varda, cineasta di origini greche. È protagonista nel suo film Nausicaa, produzione televisiva che, per non intralciare i traffici commerciali con la Grecia dei colonnelli, non sarà né programmata né distribuita, e che successivamente andrà perduta. Al ritorno in Italia Tornes conosce l’olandese Charlotte van Gelder, che vive a Roma seguendo la propria passione creativa nella musica e nella poesia. Ha inizio un sodalizio sentimentale e artistico che sarà interrotto solo dalla morte. 1972 Interpreta ruoli secondari

in Uno dei tre di Gianni Serra e in Il caso Mattei di Francesco Rosi, in entrambi i casi con caratterizzazioni da uomo dei servizi segreti, e nel primo caso all’interno di una fiction che metaforizza la dittatura greca e il mondo degli esuli. 1973 In Grecia è un anno di manifestazioni studente-

sche contro il regime, e Tornes, alcuni mesi prima della repressione dell'esercito al Politecnico di Atene in novembre, vi gira un film non allineato, Studenti, editato in Italia e scarsamente visto anche prima di andare presumibilmente perduto. Per il cinema italiano partecipa con un ruolo più consistente a Vogliamo i colonnelli, film dal titolo emblematico di Mario Monicelli, al quale Tornes viene indicato da Rosi, per il quale interpreta ora vari piccoli ruoli in Lucky Luciano. Conosce Roberto Rossellini e ha una piccola parte in Cartesius. È protagonista in un mediometraggio televisivo di Mimmo Rafele, Domani. Scrive in italiano la prima versione di un testo poetico, Addio Anatolia.

1974 Ha una

piccola ma ben visibile parte in Allonsanfàn dei fratelli Taviani. Nell'anno in cui in Grecia torna la democrazia, nella variante della destra legalitaria di Karamanlìs, Tornes interpreta

con slancio il ruolo di Ferruccio Parri, presidente del consiglio che si ribella alle scelte «atlantiche», nel film su De Gasperi di Rossellini, Anno uno. Non farà ritorno in Grecia ancora per molti anni, se non occasionalmente per presentare qualche film al festival di Salonicco.

1975-1979 Viaggia in India, in Palestina e in Egitto. Legge molto e parla con molti come un filosofo carismatico. Dal mondo greco e italiano sente l’attrazione per la cultura orientale e africana. Il 1975 è l’anno della morte di Pasolini, la cui ispirazione sull’opera di Tornes non risulta mai essersi realizzata in un incontro, ed è l’anno dell’affermazione internazionale di un regista greco, Theo Angelopoulos. 1976 Gira il cortometraggio in 16mm che, dopo alcuni altri titoli, acquisirà quello di Adîo Anatolì, e che sarà proiettato l’anno successivo. 1977 Realizza, tra Roma e la Calabria, il film Coatti.

1978 Viene proiettato in vari piccoli festival il suo primo lungometraggio, Coatti. La al festival di Hyères provoca uno scritto co di Louis Skorecki sui «Cahiers du

Incontra il cineasta e critico Ciriaco Tiso, manifestandogli l'ammirazione per il suo primo lungometraggio Anche l’estasi: i due film verranno abbinati in alcune proiezioni successive, dando l’occa-

sione di uno scritto a quattro mani, che Tornes riproporrà come proprio manifesto, con lievi varianti, nove anni dopo. È interprete nella produzione svizzera Hotel Locarno di Bernard Weber, girata nell'omonimo albergo di Roma.

1979 La prolungata, occasionale produzione poetica di Tornes in lingua italiana trova delle occasioni importanti: è tra i poeti che intervengono al Festival di Castelporziano (lo accompagna al violoncello Charlotte van Gelder), e pubblica alcuni testi nella «Guida poetica italiana», n. 1, edita per l’occasione dall’appassionato di poesia Roberto De Angelis, già amico di Tornes e suo collaboratore per Coatti. Ha una piccola parte in Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi. 1980 Interpreta un piccolo ruolo in La città delle donne di Federico Fellini.

IG CRONOLOG

e cineclub proiezione entusiastiCinéma».

1981 Presenta Fksopragmatikò, progettato dal 1978, e che resterà il suo ultimo film italiano. Al festival di Salsomaggiore, dove è presente con il film, partecipa

(1958) Stavros Tornes (a destra) al suo debutto come attore in To meghàlo kòlpo

alla tavola rotonda sulle nouvelle vague degli anni °Go. Gira con ruoli più o meno consistenti la serie dei sei racconti diretti da Ciriaco Tiso per la RAI, sotto il titolo Un racconto un autore. Con Tiso e Charlotte elabora anche il progetto Lupi mannari, che non sarà realizzato ma influirà sui film che seguono. È un momento di intensa e insufficientemente percepita progettualità: una sceneggiatura di ambientazione calabrese con Tonino Nieddu, alcune proposte rivolte anche a un possibile ritorno in patria, dove va al potere il primo governo socialista del PASOK guidato da Andrèas Papandrèou e dove diventerà ministro alla cultura Melina Mercouri, che Tornes ipotizza di coinvolgere in film ispirati a tragedie classiche.

critici cinematografici. Realizza poi il «documentario» Me ton Nîko Kavvadhîa per il programma televisivo Paraskiînio. 1983 Gira per l’ERT il cortometraggio Platia Ippodhamìias, progettato come parte di un trittico, e per il quale ha inizio l'importante collaborazione con il pittore e scenografo, poi anche attore, Stèlios Anastasiàdhis. Inizia anche una serie di presenze come attore: in I pareksìghisi di Dhimìtris Stàvrakas, in cui è il medico che cura il protagonista Alèksis Dhamianòs, e nella serie televisiva sull'epoca della dittatura, I archèa skourîa di Kòstas Aristòpoulos, dal romanzo di Màro Dhoùka .

1982 Ritorna in Grecia, cercando di inserirsi nell’am-

Hi

biente cinematografico e proponendo alla Radiotelevisione greca (ERT) la produzione di un «documentario» di 30 minuti sui cavalli della Tessaglia. Ne risulta Fantastikò reportàz ghia èna thessalikò àlogho, che viene contrastatamente trasmesso, ma successivamente

CRONOLOGIA | 00

si perde. Costituisce

il nucleo del suo primo lungometraggio greco, realizzato con l’esiguo finanziamento dell’ERT: Balamòs. Il film è presentato al Festival del Cinema di Salonicco e viene fischiato dal pubblico, ma ottiene l'appoggio e il premio dell’Unione greca dei

Stavros Tornes (a destra) in un caffè, fine anni ’50

1984 Gira il lungometraggio Karkaloù con un esiguo finanziamento del Centro Greco del Cinema. Il film è escluso dal programma dei film in concorso al Festival di Salonicco. È incluso nella sezione informativa, e quando viene proiettato è acclamato dalla sala gremita di spettatori. Tornes si allontana dalla sala alzando il pugno chiuso. La critica cinematografica difende ancora una volta il cinema di Tornes, premiando anche Karkaloù. Angelopoulos gli offre una parte in Taksìdhi sta Kîthira, ma non la include nel montaggio.

1985 Con l’aiuto di alcuni amici può realizzare Danilo Treles (0 fimisménos andhalousiànos mousikòs), che uscirà l’anno successivo. La sua fama critica in ascesa lo rende ormai un autore di culto in patria, ma ciò sembra provocare reazioni di invidia e odio che finiscono nuovamente per danneggiarlo nei progetti produttivi. È anche l’anno in cui inizia il secondo governo PASOK, sempre più indirizzato verso una

gestione clientelare del potere, oltre che verso la gestione aggressiva delle tensioni nazionali (ad esempio con la Turchia). Un segno di come la presenza di Tornes nei film di giovani autori stia diventando marcante, sono i suoi ruoli in Tòpos di Antouanètta Anghelìdhi, e come protagonista nel televisivo Apokdlipsi tou Ioànnis di Ghiòrghos Karipìdhis e in due cortometraggi, Afighisi di Tàkis Dhimitrakòpoulos e Se stàsi ghalînis di Làkis Matthiòpoulos. Un referendum tra critici greci sui migliori film della cinematografia pone tra i primi dieci entrambi i suoi lungometraggi realizzati in patria. Ottiene anche un premio speciale al Salso Film Festival. 1986 L'uscita di Danilo Treles segna un pericoloso «successo di stima». É anche l’anno di un nuovo ritorno in Grecia di Papatakis, con I fotografia [La

Tornes in un luna-park nei panni di un cavaliere aristocratico, 1955

fotografia], molto amato da Tornes. Gira per l’ultima volta come attore in Italia, in un film di Claudio

Sestieri che uscirà l’anno dopo con un titolo insidioso: Dolce assenza. 1987 Porta a termine quello che resterà il suo ultimo film, Ènas erodhiòs ghia ti Ghermaniìa, benché già coltivi altri progetti tra cui un Robinson Crusoe. Il finanziamento del Centro Greco del Cinema all’ultimo film è stato, ancora una volta, molto esiguo, e

arriverà a realizzazione avvenuta. Prende parte all'inchiesta di «Libération» Pourquoi filmez-vous? (è l’unico regista greco con Angelopoulos, il quale l’anno dopo sarà di nuovo preferito a Tornes nella selezione a Venezia).

1988 Muore il 27 luglio, in seguito a una malattia fulminante che gli provoca molte sofferenze. Nel giorno stesso del decesso l’allora ministro alla cultura, Melina Mercouri, rende nota la decisione di offrirgli un finanziamento di un milione di dracme per il progetto che s'intitola O ftochòs kinighòs tou Nòtou. L’ERT, in occasione della morte, trasmette per la prima volta un suo film, Ènas erodhiòs ghia ti Ghermania, dopo averne scrupolosamente censurato il linguaggio osceno.

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INS CRONOLOG

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scritti, progetti, conversazioni.

1987 Stavros Tornes nei panni di Polidhoros in Enas erodhiòs ghia ti Ghermania,

In alto: L'Uomo-Volpe, Stélios Anastasiàdhis, si disseta durante una pausa delle riprese di Danilo Treles, 1985 In basso: Stavros Tornes e Sàkis Maniàtis alla macchina da presa sul set di Balamòs, 1982 a

Cinema impossibile

Filmografia: 1963 Tompa, 1964 Cicladi, 1967 Santorino (Tiraicos Ortros), 1973 Studenti, 1977 Qualcuno cantò, 1978 Coatti, 1979 Eksopragmatiko. Dopo il colpo di stato in Grecia, con un tentativo estremo avevo realizzato il documentario Santorino, un film che esprimeva nel suo tempo la rottura con il vecchio modo di fare del cinema. Sino allora avevo lavorato come assistente alla regia ma mai integrato nelle regole del mestiere legato a un mercato puramente speculativo. In ogni caso con i tempi che correvano la volontà di continuare a voler fare del cinema urtava con la tentazione di chiudere per sempre. Così, con la mia emigrazione era finito un periodo di esperienze originali che mi avevano tracciato nella mente la voglia disperata di una autonomia esistenziale che al livello pratico prefigurava il capovolgimento di schemi e di modelli produttivi. Nel ’73, con il film documento Studenti che annunciava i fatti del Politecnico, finisce un altro periodo con un episodio di intolleranza dalla parte dei compagni dell’indottrinamento maoista che pretendevano di censurarlo. E dopo ancora tre anni di crisi esistenziali, e di lavori diversi come la scultura sulla pietra, la pittura, la muratura, e la poesia, stranamente nel ’76 feci un film sulla Città di Roma e sul suo tempo. Ma ancora più strano era quello che sembravo agli occhi degli altri: secondo le voci, l’unico pazzo sulla terra ero io che facevo un film che nessuno me l’aveva ordinato, ma la sensazione era straordinaria, e quando tutto era terminato ho capito che avevo fatto un film le cui immagini trascendevano tutti i tempi ma con i piedi piazzati su oggi. L’astrazione filmica si confondeva con la città reale del vissuto e si trasformavano in uno spazio intermedio con la sua bellezza e con i suoi punti oscuri. Ancora una volta il film toccava quel punto di essere un arrivo e la sua metastoria. Intanto a questa metastoria avevano contribuito Charlotte van Gelder con le sue musiche originali, Ugo Adilardi fotografia, Nico D’Alessandria montaggio, e l’amico architetto De Coromilas che aveva sostenuto una parte finanziaria. Da tutte queste esperienze partiva il progetto di fare Coatti un film che doveva «captare» il nostro vivere quotidiano, questa carica esistenziale e pesante che diventa insopportabile con le nostre contraddizioni, ma che siamo noi. In un contesto sociale che sentivo mutare momento per momento, e in cui, anzi,

nessuno più mi guardava come pazzo all’inizio del "77, e c’era in giro solo l’aria di terra bruciata, il decidere con la propria testa ti portava dritto a una opposizione totale contro tutti i meccanismi produttivi sociali che spingevano al mutismo e nella disperazione; ne parlai allora con tanti, di più con Charlotte, e con Roberto de Angelis, ci meravigliava la sfida di fare un film senza niente perché noi ci sentivamo la carica di quella sintesi primordiale del mezzo che si chiama Cinema.

Testo scritto da Stavros Tornes in italiano, pubblicato nel foglio-programma del Cineclub Georges Sadoul di Roma per il 2, 3 e 4 maggio 1978, che unisce nelle due pagine intitolate Due film, molte storie le presentazioni di Ciriaco Tiso al suo Anche l’estasi, 1978, nell'intera prima pagina, e di Tornes, il cui nome è sistematicamente scritto Stravros, a Coatti: la seconda pagina ne include una foto e i credits, ed è seguita dalla presentazione del film, che ripubblichiamo più avanti sotto il titolo Coatti, e dalla filmografia sopra ripresa, particolarmente interessante per le varianti delle versioni italiane e per l’anticipazione del progetto Eksopragmatikò, titolo che come gli altri qui rendiamo nella variante ivi usata, pur correndo il rischio di accettare interpolazioni redazionali, con la sola introduzione dei corsivi per i titoli. Alla filmografia segue il testo sopra riportato, e in calce alla pagina, con firma «Stravros Tornes, Ciriaco Tiso» e il titolo Note sui film, un testo in tre parti, di cui la seconda verrà riproposta da Tornes in francese, con una diversa divisione in paragrafi che abbiamo voluto applicare all’originale testo italiano, nella risposta al numero speciale di «Libération», maggio 1987, intitolato Pourquoi filmezvous?, con una breve nota iniziale che traduciamo dal francese, facendole seguire la prima versione comprensiva dell'esordio e della parte finale, omesse nella riproposta a nove anni di distanza.

Perché faccio cinema? Dieci anni fa ho redatto, insieme al cineasta Ciriaco Tiso, questo piccolo manifesto. Mi ci attengo tuttora.

Dedica

A tutti, a tutte, a tutto! Questo programma è dedicato proprio a Tutti! Anche al Comune e ai cittadini di Roma. PR TORNES STAVROS

Pretesa

Il cinema Non È i film dei Miliardi. Il cinema Non È i film dei Divi.

Il cinema NON È i film passati in Televisione. Il cinema NON È lo spettacolo delle Multinazionali. Il cinema NON È registrazione da Videotape. Il cinema NON È il diktat degli Specialisti. Il cinema NON È i film della bella Fotografia, della perfetta inquadratura, della lussuosa Scenografia, della Colonna sonora pulitina e convenzionale. Il cinema NON esiste senza film. Ma un Film esiste solo a partire dalla viscerale decisione di chi lo fa e NON dalla decisionale idiozia di Programmisti, Operatori culturali, Produttori del cazzo, Direttori d’azienda, Funzionari vari, Bancari, Burocrati, Ausiliari. Il cinema è i Nostri film. Il cinema È la negazione del tecnicismo e del semiologismo. Il cinema È il luogo dove Tu e Io si riconoscono, «io» e Altre si abbracciano. Il cinema È tutti i film non fatti ma pure contemplati nella esplosione dell’Esistenza. Il cinema È il dominio dei film impossibili e fragili. Il cinema È la carica liberatoria del Margine alla ricerca del proprio Cosmos. Il cinema È lo spazio della Maledizione e dell’Ebbrezza. Il cinema È eterna proposizione dell'Essere. Il cinema È il Sociale che si produce a una sola condizione: lasciar trasparire l’Essere, il Cosmico, dietro le facciate del Cogito. Il cinema È il punto d’incontro-scontro tra il reale e l’impensato, l'immaginario e l'impossibile. Il cinema è questa Promessa-Minaccia: il Ritorno dell’impensabile, l’Audacia dell’imprevedibile. x

Dichiarazione

Questi due film sono stati proiettati qua e là, a festivals e gallerie, dappertutto e da nessuna parte. Dunque

sono fondamentalmente

due Fantasmi, due parti maledette del Cinema.

In definitiva, due

Inediti. Qualcuno li ha esaltati fino alla pura passione, gli Apparati li hanno ignorati. A chi li ha fatti manca ormai il respiro nel vedere scorrere attorno, nella Storia quotidiana, anche in

questa Fase di profonda crisi, fiumi di banalità e volgarità biecamente impressionate su chilometri di costosissima pellicola colorata. Gli Apparati allora temono questi due film come Corpi avversi e perversi da schiacciare e da escludere.

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1978 Stavros Tornes e Charlotte van Gelder in tre fotogrammi di Coatti,

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dei Yorace! Quaderni e pubblicazioni appartenenti agli anni giovanili di Tornes. Si vede la pagina di un giornale dal 1896 sui rapporti tra anarchici e socialisti e la trascrizione autografa di Tornes di un testo che parla di Manuel Azafia, Francisco Largo Caballero e Buenaventura Dorruti sulla guerra civile spagnola.

Incarnazione del cinema

Prima di prendere in considerazione chi fa cinema e per chi, dobbiamo innanzitutto precisare che, parlando di cinema, ci riferiamo alle nostre opere, ai nostri film. Per la nostra generazione di cineasti, credo esista un periodo (che mi pare inizi attorno al 1935) in cui si osserva una sorprendente armonia tra lo spettatore e il film. Penso che l’armonia si sia esaurita negli anni ’50, assieme al rebètiko (il rebètiko non è finito, ma si è esaurito dal punto di vista creativo). Così, è finito anche il cinema come creazione, e il rapporto funzionale tra cinema e spettatore ha iniziato a degenerare (benché siano stati girati film sorprendenti anche dopo il 1950). I motivi sono certamente da ricercare anche nello sviluppo tecnologico, con il cambiamento del concetto di immagine. Ma non si limitano a questo. La storia di ciò che riguarda il cinema si spinge oltre, poiché esiste come parte integrante di processi diversi che hanno anche un carattere transitorio. Il cinema, cioè, al di là del piacere di vederlo, gustarlo, goderne, era al contempo anche una cultura. Forse la sola vera cultura. Di conseguenza la risposta al quesito «chi fa cinema e per chi» è: Colui che è stato allevato con il cinema. Perciò tutti gli uomini fanno cinema. Ogni uomo ha dentro di sé delle pellicole (cioè dei film). Ed è questa la materia prima, la celluloide di cui è fatta la pellicola; e se gli uomini non avessero avuto queste pellicole dentro di sé, non avremmo mai potuto riconciliarci con il cinema. Tutti, quindi, producono in qualche modo dei film. Sia chi fruisce del film sia chi lo crea. Nel senso che il cinema è un mezzo, un taxi, serve a viaggiare. In più oggi il cinema è andato oltre (oppure no) rispetto ad alcune questioni, come, ad esempio, se si tratti di spettacolo o di qualcosa di più. Questo perché, in passato, il cinema ha dovuto interpretare molti ruoli (quello che spettava al romanziere, al teatrante, al Karaghiòzis') e, a un certo punto, è dovuto arrivare a rinnegarli. Ormai la chiarificazione e l’avvicinamento del mezzo (di quello, cioè, che rappresenta la somma di tutti gli altri mezzi) sono diffusi, come del resto le possibilità che ha il cinema in quanto mezzo in grado di permettere una comunicazione autentica. Perché, quando parliamo del «mezzo», non dobbiamo immaginare un cinema che ci farà dimenticare l’altro che si trova dinanzi a noi, ma un cinema che, al contrario, ci avvicinerà a lui. Questa è la sostanza. E parlo di sostanza nel senso in cui la intendevano gli antichi, cioè la costante necessità che hai, in quanto «esistenzialità», di incarnarti. Se non mangi il pane che è spirito non puoi incarnarti, non puoi avere un altro domani. In questo senso il cinema esiste nell’ambito della possibilità di un risveglio del domani, di un’eventuale «esistenzialità» del domani (perché quando parliamo di esistenza, entra in ballo la questione dell’«essere o non essere»). L’«essere o non essere», però, è una realtà che si compie in di diversi processi: lo zucchero che ora metti nel caffè, il caffè che berremo tra poco, la voglia di continuare che ci darà questa conversazione, e per estensione il lato fantastico di tutto questo. E dico incarnazione e vita e morte e ancora vita, e ancora, e ancora ogni volta, perché altrimenti l’esistenza sarebbe uno stupido caso: ti svegli una mattina e tutte le altre mattine saranno sempre uguali. Invece ti svegli perché la mattina di domani sarà una mattina diversa. E dunque ecco il mezzo, che questa volta ritorna illuminato nella sua sostanza, come la maggiore necessità che lo caratterizza: l’espressione della vera comunicazione tra me e te (perché si tratta di un mezzo che ti avvicina affettivamente a un’altra persona). Non solo affettivamente. Ti permette di reincarnarti per poter distinguere al meglio, con sorprendente chiarezza, una bella donna, un bel sorriso: le cose essenziali. ‘Protagonista del teatro greco delle ombre [N.d.T].

Il cinema, dunque, non è un mezzo che non ti lascerà vedere questo genere di cose, non ti condurrà a

Di |TORNES STAVROS

concezioni estetiche in cui gli uomini sono scissi nell’eterna contrapposizione Occidente-Oriente e soggetto-oggetto; ti condurrà verso un’unità sostanziale, perché le divisioni esistono, ma hanno bisogno di questa unità: dialettica, ma principalmente sostanziale. Lo spettatore attuale è in balia di un'epoca di transizione. La storia comincia in un’epoca molto lontana, nel 1950, cioè nel periodo in cui i centri di produzione cinematografica (intesa come spettacolo), l'Europa ma soprattutto l'America, disponevano, per questa forma di spettacolo, di un’enorme varietà di generi. Producevano anche un cinema impegnato, poiché una volta il cinema impegnato poteva contare su un buon numero di spettatori... Per questa ragione abbiamo il cinema straordinario di Jacques Tourneur, che ha girato film dell’orrore di grande valore, che oserei definire «classici». Cat People (Il bacio della pantera) di Tourneur è un film straordinario. E questo succedeva perché la programmazione di alcuni cinema di seconda o terza visione andava incontro alle aspettative di un pubblico molto particolare. A quell’epoca il pubblico (era questo l'elemento funzionale), nella sensibilizzazione al consumo di questi prodotti formava analogamente anche il proprio gusto. E così i centri che producevano cinema contribuivano alla formazione di un certo gusto, ma nel contempo si formava anche un gusto che richiedeva con insistenza il mito personale, vale a dire il mito esistenziale, per vederlo all’interno del mito cinematografico. E proprio in questo il mito faceva acqua (il cinema americano, cioè, iniziò a imbarcarne). Perché il mito contemporaneo, il mito esistenziale, non poteva entrare negli schemi. Per questa ragione negli anni ’50 assistiamo all’incredibile apertura rappresentata dal neorealismo italiano (che è un discorso a parte): si tratta ancora una volta di un’apertura esistenziale, perché l’uomo vede che esistono uomini in grado di parlare, vede che non è tutto di cartone. Qualcuno soffre e senti il suo cuore battere forte. Quando vedi Viaggio in Italia di Rossellini, senti che la tua angoscia sta dentro l'angoscia degli uomini sepolti sotto la lava del Vesuvio. È straordinario, il passaggio del tempo che in quel momento avviene davanti a te è maestoso, perché esistenza non significa solo caffè, pane e incarnazione, ma anche l'incarnazione di ciò che sei stato nei secoli e in cui ti devi reincarnare in ogni momento. Allora diventi un’esistenza importante. Per quanto riguarda il rapporto di allora con il pubblico, e dunque il cinema di un tempo, esistevano uomini dotati di un’incredibile chiarezza, con un incredibile bisogno di comunicare attraverso il cinema. Ed è ancora più importante oggi in cui l’immagine del cinema è l’occhio umano che, come la moviola o la macchina da presa, si è aperto e ha raddoppiato la propria capacità di cogliere il mondo. Tutto il mondo, cioè, è cambiato in relazione al cinema da quando questo è entrato nella nostra vita. Non dimentichiamo che il cinema ha debuttato come una macchina non proficua, che non recava vantaggi a nessuno e non produceva nulla. Il cinema, cioè, ha cominciato come un circo e sarebbe finito così. Ma questo meccanismo che riproduceva la nostra vita possedeva dentro di sé uno strano seme, creava problemi alle persone che potevano sfruttarlo. E fu allora che cominciarono a svilupparsi osservazioni significative e operazioni importanti sul mito della vita contemporanea. Non dimentichiamo gli stupendi film comici di Buster Keaton. Opere di grande valore sull’interiorità dell’essere umano, grazie a una maschera che in realtà non ride. Senza arrivare a una commedia graffiante sull’altro (perché comunque bisogna ridere) ha una funzione liberatrice. L'inganno più grande nel cinema può essere la commedia, commedia che non riscatta perché priva degli elementi della comunicazione. Invece con Buster Keaton la comunicazione è molto più profonda, perché la nostra identificazione e la nostra angoscia di esseri umani

corrispondono all’angoscia dell’uomo che non ride affatto, che semplicemente subisce. Perciò la redenzione era enorme, e la speranza di poterti reincarnare domani aveva una forza sorprendente. Dopo il 1950, dunque, inizia una degenerazione che arriva sino ai giorni nostri, mentre viene rinnegato questo autentico contatto, anche perché alcuni individui che amavano quello che facevano si sono esaurirti e hanno raggiunto la propria fine biologica (benché fossero degli spietati professionisti in fatto di Zen). Si fa dunque strada un cinema che non può contare sull’investimento personale. Certo un Bufiuel e un Hitchcock investivano, ma il loro investimento avveniva in un altro senso, non era un investimento freddo per produrre denaro. Si fecero strada coloro che investivano qualcosa di personale e prevalsero per un periodo quelli che volevano soltanto guadagnare denaro. Ricordo decine di film dopo il 1950, quando ero adolescente, con Maria Montez e Jon Hall a Tahiti che ballavano «Honolulu» [in White Savage (La selvaggia bianca), 1943, di Arthur Lubin] o The Island ofthe Blue Dolphins [L'isola dei delfini blu), 1964, di James B. Clark]. E cioè film tutti uguali, come se uscissero dalla stessa macchina da presa. Ma questo non è cinema. È degenerazione e scarnificazione, poiché non dà assolutamente nessuna dimensione esistenziale al mito. E la cosa tragica della maggior parte dei film di oggi è che entri, ti svaghi per due ore e ti ritrovi in un baratro.

E come un'iniezione di eroina. Viviamo in un’epoca drogata, nel senso che la dolcezza del cinema e l’im-

possibilità del rapporto tra colui che vede e colui che crea dà vita all’epoca dell’eroina. Con il feticismo della materia e con un feticismo della merce siamo giunti irrevocabilmente al momento dell’iniezione. La colpa, però, non è della «droga», perché la droga è anch’essa materia, come il pane e il caffè. La causa è questa molteplice possibilità di fantasticare (e il cinema è il mezzo in questo caso) che, invece di aprirsi, si chiude di continuo. L’uomo non è più capace di fantasticare. E non essendo più capace di farlo aspetta di essere redento e finisce nell’eroina. Ed è finita. Ora, per i pochi film che ho fatto e per il modo in cui li ho fatti (e cioè con pochi mezzi e poche possibilità) esiste un’unica ragione: Difendo l’idea e l'elemento fantastico. L’«esistenzialità», cioè, in rapporto al fantastico. «Esistenzialità» che si basa sulla sintesi antropologica della comunicazione con il mondo, e sul superamento della gravità del mondo (vale a dire della sua materialità). Senza questi due elementi, il meccanismo è di nuovo quello dell’eroina. Il fantastico è un enorme spazio spirituale che non ha mai cessato di esistere e mai cesserà. È proprio questa la grande possibilità del cinema: possiamo costituire nello stesso momento una sintesi che unisca (sia pure intuitivamente) ciò che potevamo essere dieci, venti, cinquanta anni fa, o due, tre, cinque e dieci secoli fa. E non solo perché questo genere di comunicazione è una giustificazione per il mondo, ma anche perché all’interno di questa meraviglia c’è la possibilità che tu possa affrontare come «esistenzialità» ciò che sei, non sapendo ciò che sarai. Non intendo dire che tutte le mie teorie sull’«esistenzialità» siano estranee a qualsiasi cosa ti definisca uomo, con le tue paure e le tue angosce. Queste migliaia di questioni insolubili non significano essere avulsi dalla socialità, non devono diventare un tappo che ti chiude: il doveroso rispetto per le angosce, le migliaia di lacrime e la fame che hai dentro non deve diventare un feticcio. Non bisogna, in nome del dolore e della tragedia, restare schiavi di questo dolore, anche se è una dimensione umana. Se guardiamo un po’ più in là delle nostre conoscenze e delle nostre culture (come il cristianesimo, ad esempio), scopriremo che il buddismo, una grande epoca con un’enorme cultura, prova un timore incredibile di fronte a tutto ciò che ha a che vedere con il dolore umano. Non vuole il dolore e cerca di sensibilizzare fortemente gli uomini a riguardo. Penso che non si debba perdere il bisogno di uscire da questa accettazione del dolore, da questa non-gioia. Con questo non intendo dire che si debba, cancellare ciò che fa crescere un uomo: il dolore, l'angoscia, le altre esperienze di vita determinano la vita stessa, non c'è dubbio. Ma in ogni momento deve esistere questa possibilità, questa tendenza, questa necessità di uscire, perché l'accettazione del dolore non sia totale. Diversamente non vedo alcuna luce. Proprio per questo mi rivolgo all'elemento fantastico, che cercherò di non abbandonare fino all’ultimo istante della mia vita. Un altro elemento che mi interessa è quello cosmico. L'uomo stesso è un elemento cosmico, è composto cioè di sangue, carne e ossa, che sono anch'essi elementi cosmici al pari dell’acqua, dei monti, del cielo

e delle stelle. Ma in ambito filosofico e intellettuale non si prende in considerazione questa possibilità cosmica, la possibilità umana in tutta la sua meraviglia. Il mondo, il mondo umano, e non solo l’ambiente,

ma l’ambiente-uomo nel suo insieme, rappresenta una dimensione che mi interessa moltissimo. Con il fantastico ti viene offerta una possibilità di vedere te stesso fuori da (e a partire da) alcune forme. Lì, da qualche parte, ti aiuta a immaginare anche un futuro in arrivo, chiuso profondamente dentro di te. Guai se vai incontro a un futuro matematicamente calcolato, infernale o paradisiaco che sia. Se non riesci ad andare nel mondo futuro con un simile mondo dentro di te, allora la vita è solo dolore. E non voglio credere che la sorte umana sia solo questo, anche se sono molto pessimista e provo paura in ogni istante. E d’altra parte, nei momenti di splendore, perché non sognare ciò che verrà, ciò che è oscuro come il domani, ma assolutamente luminoso quando ci entri e ti ritrovi al suo interno? Tutto ciò esercita un’enorme forza dentro di te, come un’immagine. Ricordo sempre una frase (che non è una sola ma migliaia di frasi assieme) di un mistico tedesco, Jakob Bòhme, secondo cui il niente è l'annuncio del qualcosa. Questa sentenziosità escatologica è immensa per forza e speranza. È proprio questa la dimensione cosmica che mi interessa. Forse mi sono rimbecillito o sono invecchiato, ma quando cammino, in ogni istante, percepisco l’altro a ogni passo, nella terra e nel legno che tocco. È assolutamente commovente, e in quel momento potresti anche morire. Perché improvvisamente percepisci un grandioso coinvolgimento di tutto il mondo e incominci a vedere quanto vive siano le cose. Sono commosso anche per un altro motivo. Ho visto un film di Jean Rouch, incredibile etnologo e cineasta: Le vieil Anai [sottotitolo di Funerailles à Bongo, 1972]. Ci mostra un uomo di 150 anni che muore

(IS INCARNAZ CINEMA DEL

in Africa, dove si fa festa perché morendo il vecchio conclude due cicli di vita umana. E si svela improvvisamente tutta la meraviglia di questo ambiente e della cultura africana, le credenze di questi uomini. Assapori una tale dose di ottimismo e una tale apertura cosmica che ti viene da pensare che il mondo non siano quei ridicoli colonialisti che sono andati a civilizzare gli africani. Sono la super-cultura, i loro corpi sono cultura. E quando i due nipoti ottantenni del morto si riuniscono, si chinano a terra e tracciano delle forme arabescate, le vedi e impazzisci, perché sono teoremi di Einstein. Loro li guardano e dicono: «il mondo andrà bene. Possiamo andare a bere una birra alla taverna del paese». Qualcosa del genere ti trasmette un terribile senso di incarnazione, che non avevi immaginato nemmeno in sogno. Tutto andrà bene. Possiamo andare a bere una birra. Ma oltre a ciò, quando vedi nel film gli strati geologici solcati dall’acqua, gli strati di milioni di animali che sono stati sepolti lì e allo stesso tempo il mago che di notte fa una processione con un campanello e parla con l'universo, ti auguri che tutte le opere d’arte e tutte le culture possano esprimersi con questa forza comunicativa. Perché il mio senso cosmico dice che questi uomini parlano con le stelle, parlano con l’acqua. Hai questa capacità? No, e se anche ce l’avevi, l'hai perduta. Oggi possiamo andare in giro a parlare con l’acqua? Non lo so. Ma almeno con le stelle dobbiamo ricominciare a parlare. Certo, alcuni tentativi ci sono. Speriamo che non restino solo tentativi. Speriamo cioè di riuscire nuovamente a parlare, di trovare di nuovo, di riuscire a viaggiare e diffonderci nell’universo, smettendo di approfittarci del prossimo, di renderlo schiavo e di rifilargli la Coca Cola in Africa, lasciando che gli uomini muoiano come mosche. Potrei dire che le divisioni in cinema nazionali, se parliamo di comunicazione autentica, non sussisto-

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no. Esiste un cinema prodotto in Grecia, un cinema prodotto in Jugoslavia e così via. Il cinema periferico ha la possibilità di costituirsi una difesa contro l'atteggiamento oligarchico di coloro che decidono quello che devi volere tu e quello che devo volere io. Gli uomini dotati di ispirazione e della necessità di comunicazione possano essere fermati? No di certo. Perciò anche il cinema, che è un’arte in senso cosmico e

|ISTAVROS TORNES O

fantastico, che ora, in questo preciso momento, si trova dinanzi a noi, è un obiettivo che dobbiamo raggiungere, perché grazie a esso possiamo comunicare in modo più sostanziale. Com'è possibile, allora, che oggi qualcuno abbia deciso che questo non è il mezzo? Possono esserci anche altri mezzi, ma come arte, come somma, come totalità, come sintesi, questo, al momento, è l’unico mezzo, e noi rimaniamo aggrappati a esso come bestie. Il mio rapporto esistenziale con il cinema si basa proprio su questo. Sento di averlo quasi previsto, e per questo ho cominciato a fare cinema come ho deciso di farlo, anche a prezzo di non fare più cinema per dieci anni. In questo senso, il mio cinema è un cinema della ribellione,

è un cinema della rivoluzione, è

un cinema che non accetta nulla: perché io farò cinema finché avrò le forze per farlo. Mi si dirà che entra in ballo anche una questione di denaro. Ma ho girato film facendo la resistenza, ho girato film facendo una colletta tra gli amici, perché, quando avvertiamo la necessità di comunicare, tutte le necessità econo-

miche trovano una soluzione.

Se mi si chiede se questo costituisca un cinema nazionale, direi che si tratta di un prolungamento del mio atteggiamento personale, vale a dire del mio atteggiamento esistenziale in un territorio neutrale come poteva essere l’Italia (che essendo uno spazio di riferimento non era per niente neutrale). Quando ho girato il film Coatti a Cinecittà, mangiavo un panino? (perché non avevo altri soldi). C'ero solo io e giravo quel film senza un soldo in tasca, ma con passione e voglia di riuscire a finirlo (a quei tempi l’intero cinema italiano era morto). E non mi si venga a dire che non sappiamo cosa sia la crisi. Quando c'era la crisi, però, non ero in crisi. Perché avrei dovuto essere in crisi? Come può il soggetto umano essere in crisi Può avere anche momenti di forte crisi ma li può superare, come il cane che si mette nella cuccia a leccarsi la ferita, facendo comunque qualcosa, qualunque cosa sia. Quando è in crisi, l’uomo non deve abbassare la testa e piegarsi all’eroina, deve opporre resistenza alla droga. Ci vogliono far pensare che è tutto finito e che per lasciare spazio al fantastico ci rimane solo l'eroina. Io mi oppongo, perché il cinema è per me una possibilità di fantasticare, di essere vicino agli uomini. Come è possibile che il cinema finisca? Ora inizia il cinema, cari signori. Potete chiamarlo cinema marginale, o come vi pare. Se volete potete chiuderci le porte dei

“In italiano nell'originale [N.d.T]. v

A lato: Stavros Tornes e Ksènia Kalogheropoùlou sul set di Tò meghàlo kòlpo di Christos Theodhoròpoulos, 1958

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vostri festival, non ne abbiamo bisogno, perché il nostro soggetto è vivo, ha iniziato a comunicare con il mondo. Magari con pochi: cinque, dieci o venti persone, non ha importanza. Quando comunichiamo con il fantastico, non abbiamo paura di niente, neanche di un embargo di vent'anni, perché qui siamo stati assediati per quaranta, cinquant'anni: l'eroina attecchisce su ciò che è perduto, dove non funziona il fantastico. Probabilmente qualcuno immagina di poter organizzare tutto con un computer e di potercelo dare da mangiare già masticato. Fortunatamente, però, non siamo ancora zombi. Certo, siamo circondati da un tentativo che direi proprio degli zombi. Ma il cinema che ora definiremo nazionale (nel senso dell’«esistenzialità» e della peculiarità di ciascuno) si oppone sullo stesso terreno del cinema: con una passione esclusivamente cinematografica, senza nient'altro. È solo immagine, ma la partita si gioca anche su un altro piano, con un'immagine esistenziale, vera, viva, umana e soprattutto antropologica che comporta

anche un’indagine nel cosmico, contro l’immagine che non deriva dalla sintesi ma dai numeri, dalle banche, dai robot e da svariati altri flip. Gli spazi sono flippati, perché non intrattengono una relazione dia-

IS STAVROS TORNES

Stavros Tornes durante le riprese di Me ton Nìko Kavvadhìa, 1982

lettica, storica o sociologica (e soprattutto non antropologica) con il soggetto vivente, con l’«esistenzialità» di ciascuno. La nostra difficoltà è la comunicazione in sé, la fantasmagoria e la meraviglia rappresentate dall’«esistenzialità» dell'altro, che non è né il mercato né i numeri né le banche. Le difficoltà sono moltissime ed è possibile che già domani ti uccidano. Del resto siamo circondati da fascismi che stanno in agguato dietro la nostra porta. Ma questo tipo di comunicazione è sostanziale, è l’unica alternativa per non cedere alla dittatura di alcuni individui che da molto tempo hanno perso la gioia di comunicare, la gioia di riconciliarsi con l’altro e la gioia di riconoscerlo: dal punto di vista antropologico si manifestano una mostruosità, una cristallizzazione e un narcisismo che si relaziona solo con chi lo nutre. Certo faccio film per la mia soddisfazione, ma pensando che di questa soddisfazione possa partecipare anche qualcun altro. Non faccio un film per restare a guardarlo e per trarne piacere come se mi stessi facendo una sega. Perché l’incarnazione non è una sega, è una scopata. E quindi il narcisismo, dal momento che non presuppone la dialettica rispetto all’altro, visto che non significa scopare con l’altro, è qualcosa di mostruoso: il rapporto con l’altro significa riconoscimento, non sottomissione. Gli uomini sono deboli, anch’io sono debole, anch'io voglio avere una sicurezza, ma non ha niente a che vedere con il desi-

derio di sottomettere l’altro. E non è questione di volontà, perché se cerchi la volontà umana in questi «grandi» uomini, riconoscerai una volontà simile a quella di Bihme, che però è un «mistico» e la volontà te la offre gratis, come un dono divino, con una generosità irripetibile. Spielberg è assolutamente privo di generosità, non ti offre un dono divino: è una mostruosità che poggia sulla tua assoluta neutralizzazione all’interno di un'immagine catastrofica. Come si può immaginare un mondo simile, definito infernale da tutti i libri sacri (e non)? Come puoi immaginare un’avventura nell’ignoto, nel domani come ignoto, nel tuo domani non esistenziale in un simile inferno? Ma si roderanno il fegato. Lavorerò dieci volte di più nel cinema. L’ho fatto una volta, e sono caricato per farlo altre dieci volte. Perché ho un bisogno viscerale di decidere quello che voglio fare, ma anche perché la mia «esistenzialità» mi ha offerto l'opportunità di vedere.

Epikoinonìa, lìtrosi kai kinimatogràfos eksèghersis, conversazione con Ghiànnis Ioannîdhis, pubblicato in Stàvros Tornès, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene 1994.

as INCARNAZ CINEMA DEL

Esiste un cinema inesplorato

Per me il cinema è, anzitutto, un lavoro. Un lavoro che, tuttavia, mi conferma quotidianamente che sono vivo, che esisto... Credo che sia una cosa essenziale anche per molta altra gente, e non solo perché con le immagini cinematografiche si ha la possibilità di fuggire, di lasciarsi incantare, di sognare... soprattutto perché il cinema può essere anche un canale importantissimo di solidarietà, di amore, di comprensione reciproca tra le persone... L'avventura di un film è come un’avventura amorosa? In un certo senso sì... Ora, facendo riferimento all'amore, mi hai trasmesso un'immagine curiosa. La primavera, con le rondini che costruiscono i nidi, è anche il momento in cui nascono più frequentemente le relazioni amorose... Le rondini trasportano in fretta e furia la creta e fanno i loro bei nidi. Costruiscono. E proprio la costruzione ha in sé una chiara componente amorosa, anche se i misteri come questi rimangono generalmente irrisolti. «Costruire» forse è un'espressione sbagliata... Non è un’espressione sbagliata. «Costruire» significa lavoro, lavoro creativo. Non è un termine riprovevole. Al contrario, se costruisco vuol dire che sono attivo, che creo, che faccio cose di cui ho bisogno [...]. Il cinema è un bisogno. Un profondo bisogno sociale. È per soddisfare un simile bisogno che fanno cinema tutti coloro che non rientrano in un sistema organizzato di produzione, nella metropoli del cinema, l'America, tutti coloro che lavorano autonomamente... E poi il mio cinema è il bisogno di un’autonomia assolutamente esistenziale e assolutamente personale nei confronti di questa metropoli, al centro della quale altri decidono chi deve fare cinema e perché. Fai cinema perché lo decidi tu, visceralmente, e non perché lo decidono altri, che interpretano i bisogni del mercato e chissà quali altri ancora. Il cinema è arte, ma è nelle mani dei commercianti. È un dato di fatto...

Non sono contro alcuna classe specifica e in particolar modo non sono contro i commercianti. Direi però che bisognerebbe aspettarsi fiducia e amore per il prodotto cinematografico anche dai commercianti. E i bravi commercianti non puntano sempre al colpo sicuro, rischiano anche su prodotti diversi... Ha vissuto e lavorato molti anni in Italia. Quanto è stato influenzato dal cinema italiano? Ho amato il cinema italiano, che però ha avuto una certa influenza su di me negli anni ’50, prima del mio arrivo in Italia nel 1967. Cioè quando faceva ancora l’attore in Grecia... Negli anni ‘50, quando andavo ancora al cinema. Mentre eravamo paralizzati dai film hollywoodiani — di una Hollywood insopportabile —, improvvisamente in Grecia vedemmo Riso amaro, che rappresentava un mondo vivo, un mondo che esisteva nella realtà. Era anche questo il fascino del cinema di allora. Quando, più tardi, mi trovai in Italia, ebbi indubbiamente l’occasione di studiare il cinema italiano, nel senso che vidi tutto ciò che non avevo potuto vedere in Grecia... Vidi Accattone di Pasolini, ad esempio...

Macchine per la trebbiatura, operai nelle fabbriche, allevatori e operai nelle cave. Le fotografie sono state trovate in un album di Stavros Tornes

Procediamo con ordine. Quando ha cominciato a lavorare nel cinema? Alla fine degli anni ’s0, intorno al 1958. Ho cominciato con la Scuola di Ioannìdhis, per poi debuttare come attore in un film di Chrìstos Theodhoròpoulos, che era professore nella scuola. Ho recitato al fianco di Ksenia Kalogheropoùlou e ricordo che nel film recitavano anche Mìmis Fotòpoulos, Dhionisis Papaghiannòpoulos, Tassòs Kavvadhìas. Era il primo cinemascope in Grecia. Da allora ho cominciato a lavorare nel cinema come tecnico o aiutante, e nel frattempo avevo anche delle parti, che mi affidavano più che altro colleghi che conoscevo... È andata così anche con Tàkis Kanellòpoulos, nel film Ouranòs, in cui ero direttore di produzione, aiuto regista e attore. Non ho mai fatto esclusivamente l’attore. In Italia era diverso, bisognava sopravvivere.

È andato in Italia dopo, nel 1967... Ero in Italia mentre in Grecia c’era la dittatura. Non mi piaceva la situazione qui, e me ne andai... È stata un’esperienza importante, decisiva. Ho conosciuto persone che stimavo e amavo, come Francesco Rosi, che mi ha aiutato moltissimo. Mi ha fatto lavorare nei suoi film, in cui ho interpretato diverse parti. Ricordo che c’è stato un film in cui mi ha offerto tre o quattro ruoli diversi, naturalmente da comparsa,

per darmi la possibilità di lavorare per più giorni. In Lucky Luciano interpreto la parte di un mafioso, quella di un ufficiale americano, quella di un infermiere e non so di chi altro. Da allora, ho recitato in molti

altri film... [...]

DI

|STAVROS TORNES N

In seguito al suo ritorno in Grecia, i suoi quattro film sono stati definiti «cinema povero», per via delle condizioni produttive. La definizione è usata quasi esclusivamente per classificare il suo cinema. Si tratta di una scelta consapevole o di una condizione dettata dal bisogno? Entrambe le cose. La definizione «cinema povero», o meglio «arte povera», rappresenta anche, in un certo senso, un’ideologizzazione delle possibilità che un luogo offre agli artisti. Un’area geografica come il Mediterraneo, ad esempio, capitalizza valori come la spiritualità e l'immaginario. Valori che non stanno in rapporto diretto con ciò che consideriamo ricchezza in senso stretto. Non mi schiero certo contro la ricchezza materiale — per carità! —, ma rifiuto la volgare materialità che la nostra epoca pianifica, la materialità che vincola le coscienze, vincola le situazioni, vincola l’uomo. Perciò, rifugiarsi in questa posizione

della «povertà» è anche un percorso obbligato per rompere la cosiddetta imposizione della necessità [...]. Voglio portare un esempio personale, che risale a un periodo di crisi esistenziale: una volta ho provato a improvvisarmi scultore e tentavo di incidere le pietre utilizzando ferri che si rompevano ogni volta che li percuotevo. Allora ho cercato di utilizzare creativamente la resistenza opposta dai mezzi che utilizzavo. Le cose stanno esattamente così: prendendo coscienza dei bisogni materiali proiettati dalla realtà, ciascuno è costretto a stare all’erta per poter trarre profitto dalle possibilità che gli vengono offerte. Questo vale anche per il cinema. Quando emergono difficoltà tecniche, occorre prontezza per fare fronte al problema. Con questo voglio dire che, per quanto la tecnologia sia necessaria, è altrettanto necessario sottometterla a ciò che siamo, perché venga in soccorso alla nostra dimensione umana, che altrimenti diventerebbe anch’essa un'imposizione. La tecnologia può creare solo una perfezione standard, che è qualcosa di morto, una forma morta. E non possiamo certo offrire agli altri un prodotto standard, morto, solo perché possediamo la tecnologia. Perciò dobbiamo mettere in discussione anche la tecnica, dobbiamo sottometterla ai nostri bisogni espressivi, alle speranze, ai sogni, a tutto ciò che abbiamo dentro. La tecnica non può riuscire in tutto. Ma l’artista autentico è colui che mette in discussione la tecnica mettendola in relazione ai sogni, alle speranze, al suo mondo immaginario. Altrimenti produrrebbe soltanto forme morte...

Mettiamo in discussione soltanto la tecnica o tutto il cinema? Il cinema, perché il cinema si basa sulla tecnica. L'uomo è cinema in sé. Ad un certo punto ha creato una macchina che riproduceva ciò che vedevano gli occhi degli uomini. Una macchina, cioè, completamente inutile, che non serviva a niente se non a vedere come vedono tutti. Poi fu necessaria l’inventiva,

l’abilità che l’uomo ha di comporre, ricomporre e scomporre le immagini. La macchina riusciva a trasmettere non soltanto tutto ciò che si vedeva, ma anche tutto ciò che si poteva immaginare... Sono passati gli anni, e si dice che oggi il cinema sia in crisi [...]. In questo momento di crisi, a chi si rivolge? Chi dovrebbe vedere i suoi film? Ì Quando fai un film lo fai anzitutto per te stesso. Lo fai perché è un bisogno che devi soddisfare per sen-

tirti a posto. Poi però pensi che non fai mai nulla solo per te stesso, perché sarebbe una follia. Quindi il cinema esiste come possibilità di comunicare con gli altri, di parlare con gli altri. Detto questo, al giorno d’oggi un film non corrisponde più solo allo sguardo limpido del passato, ma soprattutto alle rivoluzioni tecnologiche, alle immagini che derivano dallo sviluppo. Non è più il momento della fioritura del cinema o la fase della prima magia, della fede nel cinema. Il cinema è ormai cultura, i tempi in cui si entrava in sala senza domandare «Di chi è questo film, chi l’ha fatto?» sono passati. E anche noi siamo il risultato di questa cultura. Esistono quindi cambiamenti strutturali in ambito cinematografico. Un secondo elemento che attesta la cosiddetta crisi strutturale è la concorrenza della televisione. Se si tratta di una battaglia dobbiamo combattere, e io credo che la lotta per l’indipendenza del cinema abbia senso. Il punto è che, al di là di ciò che ognuno vuol far vedere alla gente con i propri film, bisogna anche puntare sull’indipendenza del cinema, senza lasciarsi influenzare dalla concorrenza televisiva

e dai cambiamenti strutturali.

Non credo sia una questione di obbligo: il desiderio che la gente ha di andare al cinema porta con sé una nuova

iniziazione, un nuovo

avvicinamento,

un nuovo

affetto, un nuovo

amore, una nuova fiducia. In

questo modo ci riconosceremo nel cinema. Non ci riconosceremo nelle scene spettacolari, dove corrono i

carri, né nelle actions dei thriller. Al contrario, troveremo noi stessi nel bisogno di ricorrere all’immagi-

nario, nella possibilità di trasgredire, nella potenzialità antropologica offerta dal cinema. E non è poco... Quindi il tentativo di riscoprire il cinema in un suo stadio precedente, quando era più autentico? In questo periodo il cinema è contaminato da altre arti. È diventato romanzo, fiction, teatro, mitografia. Ma il cinema nel suo senso originario non esiste più. L'avvenire del cinema? Bella domanda! Quello in grado di passare attraverso la cruna di un ago. È questo il cinema che ci interessa, ci interessa cioè l’indipendenza dell'immagine, dell’essere cinema... del tempo filmico. Il cinema è questo, e credo abbia immense, inesauribili possibilità. Negli ultimi anni quali sono stati i tentativi di fare fronte ai cambiamenti strutturali a cui accennava? Credo che esista un cinema inesplorato. Credo che, al di là di tutte le crisi, esista un cinema inedito. Inedito, non aneddotico: qualcosa che ignoriamo, che non abbiamo ancora visto [...].

Frammenti di una conversazione radiofonica con Adònis Kòkkinos e Nikos Ghrammatikòs per il programma O kinimatoghràfos sto Trìto, trasmesso dal Terzo canale della radio greca, 1987.

Pd

pr

ke

ss

ea

Ù

Es

Probabilmente Stavros Tornes (in piedi al centro, con il maglione nero) nel periodo in cui partecipava al film in costume I orèa tis Roumelìs. la fotografia riprende comparse e attori del film sul set, 1962

iS ESISTE INESPLOR CINEMA UN

ia ic ME

ff

Sg

olamo impazienti...

Innanzitutto voglio evitare qualsiasi malinteso. Il mio cinema non è una ricetta medica o una ricetta di cucina che dice come si deve fare un film. Insisto su questo punto e intendo dimostrare che combatto, se non altro, quella che potremmo chiamare illusione. Perché, se oggi ci sono film che hanno a disposizione 2, 4, 8,20 0 50 milioni di dollari sarebbe terribilmente stupido pensare di essere a buon punto con 20 milioni di dracme, pensare di poter reggere il confronto e vendere o altre illusioni del genere. Io credo in qualcos'altro. Non credo tanto negli investimenti materiali — che per fortuna ci sono: è un bene che esistano anche film da 20, 30, 50 milioni, perché magari procurano qualche milione in più anche a noi, che non guasterebbe — quanto in un investimento di altro tipo, culturale, esistenziale e così via: credo nella ricchezza antropologica che un film può avere. È questo che mi spinge a iniziare un film, perché se domani non dovessi trovare la pellicola non so cosa potrei fare, forse cercherei i ritagli di stoffa di mia nonna, li metterei in fila e comincerei a scriverci sopra, creando un nuovo tipo di cinema. E, in tutta onestà, dico che la ric-

chezza e la generosità di un film non dipende dalle mille, dalle cinquanta o dalle venti luci che ho a disposizione. Non voglio farmi prendere dal panico, perché sconvolgerei i miei ritmi, perciò ben venga anche un nuovo tipo di cinema: sono pronto, non sono chiuso, per iniziare un film non devo avere 20 milioni a disposizione. Per cominciare un film bastano un operatore e poche altre persone: lo faremo insieme. Troveremo il modo... Se abbiamo da mangiare, se abbiamo da bere, procediamo con il nostro lavoro. A un certo punto mi sono chiesto: «Adesso cosa stai facendo?», e mi sono risposto: «Faccio solo questo». Cioè faccio solo cinema. Anche nei periodi in cui in realtà non faccio niente che abbia a che fare con il cinema, nei momenti in cui voglio farla finita, darci un taglio, non voglio averci più nulla a che fare, non è così: il cinema ritorna sempre, nelle mie espressioni, nel modo di muovermi, di vivere... Perciò questo cinema che si identifica così tanto con la mia vita, con quello che sono, con quello che faccio è come un’avventura. Certo è un fenomeno che ha assunto dimensioni per me sconosciute... Questa avventura con il cinema è quasi uno stato patologico. Vedo che è così anche per altre persone. Non voglio dire di saper fare questo mestiere, perché di mestieri ne conosco una decina, ma da un certo punto in avanti ho fatto solo questo, tutto quello che può avere a che fare con il cinema — ho ricoperto molti ruoli, ho lavorato come attore, come tecnico, come aiutante per molti anni, in molti film e con molti registi — e nel mestiere ci si porta dietro tutto quello che si è capaci di fare, non si è solo registi.

Io non ho nessun tabù riguardo alla professionalità degli attori. Per me è un problema se l’attore mi pone un limite, se non è quello che è. Voglio che anche l’attore sia così, che non sia qualcos'altro. Da un certo punto in poi comincia l’abilità recitativa, ma voglio che un dato personaggio abbia la propria identità, perché è uno stimolo anche per me. Quando un attore è limitato e non riesce a trasmettermi la sua identità (o

Set del film di Ghiòrghos Zervoulàkos Sto spîti tis idhonìs. In piedi, vicino alla cinepresa, il regista. Alla sua sinistra, Christos Bilarìkis, secon-

do aiuto regista. Al centro, seduto, l'operatore Làkis Kalìvas con la cinepresa in mano. Dietro di lui, ilfactotum Làzaros Gheorghiàdhis, cinea-

sta, tipografo, editore e fondatore del Sèchis tou Dhìskou [Club del Disco]. In primo piano, a destra, il direttore della fotografia Giovanni Variano, circondato dagli elettricisti, Kòstas Sàmbas e Michàlis Michailidhis. Accanto a Gheorghiàdhis, a destra nella foto, il suo caro amico Stavros Tornes, che lavorava nel film come attore e aiuto regista (foto archivio Ghiòrghos Zervoulàkos), 1961

me la trasmette in modo sfocato), non mi interessa. Voglio cioè che il personaggio sia immediatamente leggibile per quello che è, in tutta la sua grandezza: che sia uomo, l’uomo in questione. E allora combatto una battaglia che considero necessaria, perché lo stimolo per me più necessario è quello dell'identità... Per quanto la tecnologia sia necessaria, bisogna sottometterla a ciò che siamo, alla dimensione umana. Altrimenti è un’imposizione, perché la tecnologia può creare soltanto una perfezione standardizzata, qualcosa di morto, una forma morta. Usiamo la tecnologia come mezzo ma non possiamo trasmettere cose morte agli altri. A questo punto è necessario mettere in discussione anche la tecnica. Attraverso i nostri bisogni vogliamo esprimerci, vogliamo parlare, ma la tecnica non può ancora arrivare ai sogni e a tutte le cose importanti che abbiamo dentro di noi. La tecnica continua a essere limitata, come è sempre stata. L’artista autentico mette in discussione il contenuto della tecnica correlandolo al sogno umano, alla speranza o all’immaginario. Altrimenti il risultato sarà fatto solo di forme morte standardizzate. Siamo immersi nel fascino di una realtà che si chiama Grecia. [...] La nostra ricchezza sta nelle nostre azioni. Il cinema greco è una realtà diversa da quella del cinema americano, europeo o italiano. Per lavorare in un film greco dovevi fare molte cose diverse. Ma è stata una liberazione: ha liberato forze, cioè azioni. Non bastava saper fare un carrello, dovevi anche saper fare un costume, trovare un attore, gestire le dieci dracme che ti venivano affidate per risolvere mille problemi, dovevi sapere, sapere, sapere... Dovevi sapere tutto. È l’eredità dei vecchi del cinema greco. È la nostra dote, la nostra ricchezza, il nostro capita-

le. È l’unico vero capitale che abbiamo, tutti gli altri capitali sono fasulli, finti. Siamo impazienti perché ciò che sta accadendo dinanzi ai nostri occhi in questo momento non può ripetersi. Siamo più impazienti ancora perché pensiamo che non ci sia più margine. E siamo impazienti anche perché ormai il termine regista ha cambiato definitivamente valore, nessuno ti chiede di essere un regista, nessuno vuole che tu sia un regista. Per quanto mi riguarda, però, credo che anche il peggior regista rappresenti un universo umano, a prescindere dal cinema attuale e dalle sue mille colpe. Viviamo in un’epoca tecnocratica, dove le persone che pensano, che hanno un’opinione sulla vita, che cercano di vedere qualcosa nell’uomo sono automaticamente out, sono Terzo Mondo, terza classe, come dicono gli italiani... Il regista cinematografico è una specie in via di estinzione. Ma vale fino a un certo punto per coloro che sono pieni di vita e temprati... Temprati in senso buono, naturalmente, perché niente li spaventa... I vili e quelli che si aspettano qualcosa in cambio è meglio che prendano le loro cose e se ne vadano, perché è una vita dura.

Frammenti di conversazioni radiofoniche con Adònis Kòkkinos e Nîìkos Ghrammatikòs, inclusi nel film di Stavros Kaplanidis Stàvros Tornès: o ftochòs kinighòs tou Nòtou, 1994.

Addio Anatolia

Addio Anatolia... / forse non vuoi sapere / che su di me / hai lasciato un segno indelebile / come uno di quei graffiti primitivi sulle pareti delle grotte / che sono rimasti per sempre nei secoli, Ahmet / e che scompariranno solo nel caso / in cui la Terra sia consumata / nell'Universo, Mehme / nel modo in cui si consuma il mio corpo nella Terra, Halil / ... addio. Poi sono rimasto solo, / accerchiato dai tuoi sensi / dalla tua presenza / senza il tuo volto preciso / senza le tue mani leggermente sudate / — senza niente —, / ora piango / come ogni notte i burocrati / con la Terza Internazionale tradita. 1973... Anno del colera e dell’amnistia. / Ci sono posti per tutti. / Qui ne è previsto uno anche per te. /Non

devi dimenticare che ormai siamo arrivati sulla luna. / Ci saranno nuovi posti. / Poi... /poi ci sarà un salario garantito per tutti, / riforme, il progresso / riguarda tutti i popoli, / e tra un po’ più di tempo / che tuttavia è stato previsto / ci sarà il socialismo. Quello dal volto umano naturalmente... / 0, se vuoi, autogestito. / E non fare l’intelligente / con il suicidio o la rivoluzione / perché creeremo anche per questo nuovi posti. Mi sono donato a loro / sono rimasto per sempre / nei fiumi asciutti della Calabria / con le pietre levigate. / Opera del sole e dell’acqua, / dell’acqua e del sole. Occhi / occhi degli uomini del luogo. / Fiumi navigabili / di un entroterra infinito.

Nella rivoluzione palestinese / sono quel che sono, / cioè presente, passato / e quel che verrà... Per secoli o secondi nuoto / percorro i mari, volo / cammino sulla terra / arrivo / Alì / - Abuleila / — Mesir. Nella nostra certezza del grande incontro / non ci sono morti / perché ciascuno è libero / di diventare ciò che vuole / uccello, foglia, lacrima, vento, nebbia, amore, stella, dio per mezzo del nostro intimo rapporto. Questa versione del testo pronunciato in greco da Stavros Tornes nel suo film del 1976, che diventerà noto con lo stesso titolo, può essere confrontata con le altre due varianti rese in italiano dall’autore: quella della sola prima strofa, datata 1973, nella «Guida poetica italiana», e quella più ampia letta a Castelporziano nel 1979, che contiene brani qui assenti e non contiene la seconda e la terza strofa della versione del film. Si è preferito rendere di questa una traduzione autonoma, anziché interpolarvi brani delle versioni d’autore, che peraltro si possono leggere in altre parti del volume, perché, accanto alle numerose varianti, si potrà notare meglio l'italiano insieme ruvido e preciso di Tornes, che può includere, nella versione forse in parte improvvisata di Castelporziano, anche l’inclusione di un termine greco come «ergo».

d

Fotogrammi di Adìo Anatolì, 1976

Due scene di Coatti, 1977. Stavros Tornes e Charlotte van Gelder sono i protagonisti

Coatti

Due persone che viaggiano di cui uno fa un viaggio da solo, cercando l’altro amico e il quotidiano che si mescolano con questi viaggi. Questa proiezione del presente è la testimonianza di tutto ciò che è vivo tra di loro. Il viaggio in due va a finire in uno spazio che li schiaccia come anche il viaggio solitario finisce, lasciando la presenza degli amici e del quotidiano. N.B. Le persone del film e i loro rapporti non sono inventati: Stavros Tornes, vive in Italia, a Roma, dal periodo del colpo di stato in Grecia, come attore e operaio; Charlotte van Gelder, una olandese neutra che vive di traduzioni; Abner Pier Loui, profugo politico haitiano; Mhadi, figlio di un amico di origine russa; Roberto, romano extraparlamentare (autonomo); Mario, pittore (della papata); Fabricio, giornalista comunista (La Stampa); Professore, funzionario dimenticato del convento abbandonato di Santa Maria della Salute; Vincenzo, «matto» del villaggio; Gianni, tecnico

del teatro; Pino, commerciante (improvvisato) di vecchi costumi di Fellini.

Nota scritta in italiano da Stavros Tornes, pubblicata nel già citato programma del Cineclub Georges Sadoul di Roma, 1978.

Assessorato alla Cultura Comune

di Roma

Assessorato alla Cultura Provincia di Roma

PRIMO

FESTIVAL

INTERNAZIONALE

FIRST INTERNATIONAL

FESTIVAL

DEI POETI

OF THE POETS

Roma - Castel Porziano 28 - 29 - 30 Giugno 1979

Comitato promotore: Teatro Autobus

Poesia

Beat

72

-

Roma

- Roma

-

Roma

Guida

Società

Poetica

di Poesia

Arci Provinciale

Beat 72 via G. Belli 00193 Roma

Italiana

- Milano

- Roma

- Roma

Movimento

Seg. c/o Teatro

tel. 06/317715

Poeti invitati

Allen Ginsberg William Burroughs Lawrence Ferlinghetti Peter Orlewsky Gregory Cerso Brion Gysin Amiri Baraka (Le Roi Jones) Miguel Algarin Ted Joans Ann Waldmann Diana Di Prima John Giorno Ted Berrigan Egor Issaev Eugheni Evtuscenco (Aserbagiano) Curciaili (Usbeco) Arapov George Barker Pete Brown Charles Tomlison Desmond O'Grady Peter Handke Gerald Bisinger Erich Fried Denis

Roche

Marcelin Pleynet

Jacqueline Risset Osvaldo Soriano

Mohmud Derwishi Cesare Zavattini Vittorio Sereni Mario Luzi Francesco Leonetti Maria Luisa Spaziani Elio Pagliarani Edoardo Sanguineti Antonio Porta Alfredo Giuliani Amelia Rosselli Dario Bellezza Valentino Zeichen Giuseppe Conte Giorgio Manacorda Nico Orengo Milo De Angelis Maurizio Cucchi Corrado Costa Nanni Balestrini Andrea Zanzotto Giovanni Testori Renzo Paris. Giovanni Raboni Giovanni Giudici Dacia Maraini Sebastiano Vassalli Ignazio Buttitta Roberto Trovato Aldo Piromalli Adriano Dorato Ivano Urban Roberto De Angelis. Patrizia Bettini Giles Wright Alberto Gasparri. Stavros Tornes Charlotte Van Gelder Victor Cavallo Massimo De Feo Paolo Morelli Luciana Martucci Rossella Or e la partecipazione di Fernanda Pivano

Annuncio dell'importante evento dell'estate romana 1979, riprodotto da «Guida poetica italiana» n.1, giugno 1979, un «periodico in lingua poetica ideato da Simone Carella, Riccardo Tronca, Norma Novelli, redatto da Roberto De Angelis». Iniquesto primo dei due numeri pubblicati anche le due successive pagine di testi poetici di Stavros Tornes (con un'accentuazione forse redazionale) e, con la stessa indicazione di indirizzo, due poesie di Charlotte van Gelder.

Guida poetica italiana

Stavròs Tornes

Via della Penna, 60 Roma

(Addio Anatolia)

(Contatto)

Forse tu non vuoi sapere che tu a me hai lasciato una traccia profonda e insuperabile una traccia come quelle primitive delle caverne che sono rimaste per sempre nei secoli

Con l'autobus n° 9 della piazza dei treni SÌ, sono venuto io (con la poesia in tasca che costituiva l’arma di scusa) senza perché perché, nella piazza dei treni nella piazza dei soldati nella piazza delle ragazze di servizio nella piazza della solitudine quotidiana nella piazza delle esecuzioni sommarie nella piazza delle prospettive distrutte nella piazza delle speranze di ogni giorno nella piazza della gente qualsiasi la mia verità esistente i tuoi occhi, il tuo sorriso, la tua pelle stavano lontano sì, sono venuto io devo dirti, ammettimi come sono uno qualsiasi della piazza.

(AHMET) e che saranno sparite solo nel caso che l’intera terra sarà assorbita nello spazio

(MEMET) o come il mio corpo nella terra

(HALIL) addio. (Roma 73)

(Roma 73)

45

(Sofistìa) Ho acceso ancora un fiammifero per il piacere di sigaretta (nella sua piccola fiamma istantanea c’è un certo lirismo) ma non dimentichiamo il fiammifero ci serve per tante altre cose

Bisogna tornare indietro Hai camminato troppo, ti sei allontanato, fermati Sù i fatti delle tue illusioni Sù i fatti che costituiscono te Risalire

in realtà (è segreto comune)

Camminare con Mitsos Camminare con l’asino zoppo Con tutti

un fatto chimico che si blocca nella sua struttura la dinamica di un incendio

Che tu hai accordato nel quotidiano sudore Speranze di mitiche rivoluzioni Iconoclaste

già, siamo tutti accontentati (più di tutti industriali e poeti) per la sua momentanea fiamma

regolata ordinata pianificata commercializzare Prometeo è stato un atto di responsabilità verso l'umanità amen. (Roma 73)

Restituire Restituirsi integro Bambino affascinato dal sole che tramonta Seduto nella tua merda Bisogna tornare indietro.

(Roma 77)

Segue il testo dell'intervento di Stavros Tornes, accompagnato al violoncello da Charlotte van Gelder, alla serata finale del festival, come risulta dalla trascrizione in Il romanzo di Castelporziano, a cura di Simone Carella, Paola Febbraro, Simona Barberini, Stampa Alternativa, Roma 1999 .

30 giugno 1979

TERZA SERATA

Stavros Tornes Intervallata da musica Le vostre proposte, idoli, mi sono ridotto di raccogliere monetine, io preparo la vostra eliminazione. Pane e vino mi bastano, carne e ossa della mia madre, del mio padre, trasformati in macina. Vi dò le mani,

il mio cervello chiaro, attenzione dinamite, sto con quelli che fumano la marjuana, sto con quelli che rifiutano la vostra macchina menzognera, io sono nato con la macina, quando si spenge dopo il lavoro rimane calda, un po’, come il seno della ragazza, della donna, della nonna. La terra, persisto, il nuovo proleta-

riato nega di essere, essere la libertà che abolisse la morte. Scacco...

Addio Anatolia. Forse tu non puoi sapere che tu a me hai lasciato una traccia profonda e insuperabile, una traccia come quelle primitive delle caverne che sono rimaste per sempre, nei secoli, che spariranno solo nel caso che l’intera terra sarà assorbita nello spazio o come il mio corpo nella terra, addio... La mia esecuzione. A me crudele è stato il fato che mentre il plotone sparava sulla mia inesistenza voluta, hai partecipato anche tu con la stessa pallottola dicendo... ciao. Invisibilmente ho seguito la vostra passeggiata nei ristoranti e nei bar dove gli esecutori hanno mangiato e hanno bevuto alla mia eliminazione, se mi permetti avete dimenticato il colpo di grazia (musica). Mi sono donato. Mi sono donato ai seccati fiumi di Calabria con le pietre arrotondate, ergo dell’acqua e del sole, del sole e dell’acqua, occhi, occhi della gente del luogo, fiumi navigabili, fiumi dell’entroterra; e poi d’un tratto il mare come tu hai potuto sognarlo viaggio senza ritorno, senza passato, senza lacrime, senza pietà, come è stato il vuoto viaggiatore (musica).

Alla rivoluzione palestinese. Nella rivoluzione palestinese sono quello sono cioè: presente passato e quello che verrà. Se con i minuti sto lottando, sto percorrendo tutti i mari, sto volando, sto camminando sulla terra, sto arrivando Alì Abulena Mekil. Ci incontreremo di nuovo perché i morti non esistono, perché ognuno è libero di diventare quello che vuole: uccello foglia lacrima vento nebbia amore stella Dio come la nostra intimità. Victor Cavallo — Questo è Stavros Tornes, un poeta greco...

Dino M’Fadoul in Danilo Treles, 1985

he GUIDA ITALIANA POETICA

Wta Foto; gram mi di1 Eks to) pra gmatitikò . Nell a

foto grafiaifia ini bass oasi inistri ‘a si diistin gue S tavro: s Torni es » 1979

Eksopragmatikò Fuori della pratica

Una barca, un fiume, frammenti della città, alcune persone. Uno si sposta più lontano, calamitato come Vulcano, Manda segnali eterei dappertutto.

Presentazione di Stavros Tornes nella scheda, comprensiva della traduzione italiana del titolo, per il catalogo degli Incontri cinematografici di Salsomaggiore, 1981. Si pubblica di seguito la trascrizione del testo pronunciato in italiano dall’autore nella parte conclusiva del film

Ormai, l’attesa è stata troppo lunga... non è più praticabile un ritorno. Nel modello omerico, si parla di un eroe, che davanti alla tragedia della dispersione cosmica, preferisce di ristabilirsi nella casa paterna. Il viaggio è dunque... rimasto sospeso. Rimane sospeso ancora e indeterminato, perché l’angoscia dell’esistenza, come realtà di oggi e di ogni epoca, si può creare soltanto dalla sua fonte... di più, perché il cosiddetto rivolgimento del mondo, come fenomeno universale infinito... antropologicamente, insomma... non riguarda solo una concezione fisiocratica astratta... tocca a te, perché quello che ti colloca ogni momento con la totalità del mondo rimane angoscia. La prova più concreta sei tu stesso, nel tempo naturale cosmico, anzi in tutti i tempi... La tua scelta... non ti devi fidare troppo... ti aspetta il compromesso del comportamento pratico che ammaestra e trasforma l'angoscia in masochismo... Emerge un rapporto reciproco... il quale non si trova allineato, in parte perché fa parte del Tutto... il nostro tempo indeterminato o la rivoluzione del tempo attivo, [tecto ?]... qui non si tratta di dare più spazio o vitalità e relazione, ma recuperare energia per il compire conoscitivo della nuova formazione, perché il nostro tempo indeterminato, nella sua immobilità del tempo evolutivo, è la dinamica vitale che ci fa entrare in movimento... che appunto non è lineare o ciclico, ma ha una disponibilità espansiva in tutte le direzioni. Spesso... questa disponibilità, movimento o viaggio che sia, si svolgono e rimangono sulla necessità del desiderio empirico... terrestre, che non accetta nessun superamento astratto della dipendenza materiale, ma presuppone una esistenzialità sensibile alla visione del reale vivo, che è la prole... prova di una testimonianza che la passione dei sogni, questa carica del tempo indeterminato, non sono trasfigurazioni estraniati, chimerici... ma intendono di riaffermarsi alla luce, di ricomporsi della visione del reale, e rivelare un possibile incontro, un possibile contatto che sarà in grado di toccare quello di altre esistenze umane... altre realtà, hanno potuto tracciare degli itinerari precisi, dei punti di riferimento, degli incontri reali e concreti dove la libertà della persona umana si compie e si ricarica per la dispersione cosmica... come promessa di risposta.

Stavros Tornes: in alto probabilmente con un giovane parente

Parola di Prometeo

Tema: Vita e morte di Nikos Ploubîdhis per un film di Stavros Tornes Narrazione e supporto visivo con l’ausilio di fotografie scattate al processo di Nìkos Ploubìdhis davanti alla corte marziale e alla sua esecuzione. Di tanto in tanto la narrazione è interrotta da ricostruzioni filmiche basate su materiale d’archivio. Agitazioni sociali, Guerra Mondiale, Resistenza, Guerra Civile sulla base delle testimonianze di individui che hanno vissuto i fatti su fronti opposti. Le ricostruzioni filmiche sono completate da una scena finale in cui Serse, re dei Persiani, assi-

ste alla battaglia navale di Salamina. (È lo stesso luogo dove è avvenuta l’esecuzione di Ploubîdhis, ora pieno di petroliere di armatori greci).

Progetto narrativo: Ploubìdhis è processato per alto tradimento

dalla Corte Suprema di Atene. Sono passati quattro

anni dalla fine della guerra civile. Il Partito Comunista è al bando. I suoi capi, in seguito alla sconfitta militare, operano all’estero. In Grecia si impongono leggi speciali a ogni progetto politi-

co. Ploubìdhis respinge le accuse, nega di essere una spia.

Dimostra che il processo in realtà non è contro di lui, ma contro le idee che rappresenta. Nel frattempo la stampa pubblica un comunicato del Comitato Centrale in esilio. Descrive il procedimento come una farsa di cattivo gusto e Ploubìdhis come uno che gioca sporco, sostenendo che è al

servizio della polizia e della CIA. Come tutti sappiamo, continua il comunicato, il capo della poli-

zia e Ploubìdhis sono originari dello stesso paese.

Ploubìdhis, senza lasciarsi intimorire dalle calunnie del Partito, si dimostra ancora più irremovibile dinanzi al tribunale. Difende il Partito, si dichiara ancora una volta comunista e attacca il giudice,

che

non

rappresenta

il popolo

in alcun

modo.

Spetta

al popolo

giudicare

le azioni

di

Ploubìdhis.

Il tribunale condanna a morte Ploubìdhis

Un piccolo plotone di soldati conduce Ploubìdhis al piccolo colle brullo da cui Serse assistette

alla battaglia di Salamina, e lì lo uccide.

Progetto inedito di sceneggiatura per un film per la televisione, in inglese nell'originale, scritto intorno al 1980 per essere proposto all’ERT.

Lupi mannari Licantropia a Roma OVVero

SOGGETTO E SCENEGGIATURA DI?

altro

StAVROS TORNES

lotta cade nell’acqua.

cane

che

gli è venuto

incontro

e nella

CIRIACO TIso

Il suo padrone, un giovane sui 24 anni, rimane

CHARLOTTE VAN GELDER

paralizzato nel vederlo sparire nel fondo.

Una donna di circa 28 anni, corre disperata verso il suo cane gravemente ferito e rimprovera l’uomo.

Roma I980/8I

stacco

2. L’uomo e la donna sono dal veterinario, dove il cane viene salvato. L’uomo, Luca Boaro, paga Spuntino sulla trama del film

la visita, si compra un altro cagnolino e, seguito dagli sguardi compiaciuti

Il Protagonista Luca, pian piano si trasforma in

del veterinario

e

della donna, se ne va.

lupo mannaro. Dopo alcuni avvenimenti decisivi rimane esauri-

stacco

to ed entra in trance. Senza più riprendere conoscenza è trasportato dalla stirpe della madre a

3. Casa di Luca. Nella navata di una piccola chie-

una festa orgiastica.

sa sconsacrata di rito greco, vi sono alcune gab-

La madre cerca di possederlo.

bie con uccelli esotici di piccole dimensioni. In diversi angoli vi sono dei reparti archeologici.

Luca si prende cura prato,

del cagnolino

gli dà da mangiare

appena

e prende

com-

anche

lui

Personaggi:

qualche boccone da una scatola. Intanto un gio-

Luca

vane

La madre — Signora Lisa

con molta disinvoltura

dall’aspetto

serio e laborioso,

movendosi

e familiarità nell’am-

La sorella — Suor Lucia

biente, con atteggiamenti da grande professioni-

Jacopo

sta scatta fotografie a diversi scorci della vec-

Andrea - L’amico

chia costruzione.

Adele — L’amante mancata

Un uomo dall’aspetto misterioso e taciturno, si aggira per casa. Andrea, l’amico, di Luca, lo vede

Costruttore edile Romano

e chiede a bassa voce chi sia quel vecchio. Luca,

che non lo ha notato, dice sorpreso: «Chi? Oh, è uno che sta qui».

Intanto, Andrea dice a Luca che verranno fuori

1. Roma — esterno — giorno Un pomeriggio di settembre, un cagnolino brutto

delle

corre

architettura. Chiede a Luca di non dimenticarsi

su una

banchina

del Tevere;

attacca

Stavros Tornes durante una pausa delle riprese di Karkaloù, 1984

un

belle

illustrazioni

per

la

sua

tesi

di

di preparare le didascalie e di andarlo a trova-

fa dei gesti, è quasi assente.

Si alza, si aggira

re in stamperia fra qualche giorno.

per

frasi

Luca gli risponde che non c’è da preoccuparsi —

imbocca una porta e sparisce su per una scala,

manca più di un anno alla laurea. Poi aggiunge:

mormorando: «La roba è mia, eh!».

negozio

mormorando

sconnesse,

«Voglio dirti la verità. L’architettura m’inte-

La signora, rimasta sola nel negozio deserto, si

ressa

reca in uno sgabuzzino e fissa il suo volto in uno

caro

poco.

Sono

tutto

mio. Sono stufo

preso

delle

dall’archeologia,

civiltà verticali



specchio. Prende da un cassetto due fotografie:

devo ritrovare la solarità dell’orizzontale».

una di quelle è una ragazza vestita da suora la

Andrea

figlia

non sa che dire, gli rimprovera

la sua

Lucia,

ma

la mette

da parte



stringe

pigrizia, sa bene che Luca, con Il suo talento,

invece tre le mani il ritratto del figlio Luca e se

potrebbe

l’avvicina al seno.

laurearsi

anche

subito

con

un po’ di e per-

Un giovane di circa 18 anni la sta osservando,

plesso, però dice con decisione: «Ma prima, pren-

appoggiato al banco — è entrato senza che lei se

buona diti

volontà. una

Andrea

laurea,

Comunque,

rimane

poi

fai

ammirato

quello

vuoi.

ne accorgesse. Appena lo vede, rimette il ritrat-

l’amico

to nel cassetto e gli sorride con molta accoglien-

che

cazzi tuoi». Luca accompagna

alla porta sul retro della chiesa. Poi, con il suo

za. Gli offre un bicchiere di vino.

cagnolino in braccio si avvia su per le scale che

Il giovane

conducono in una spaziosa camera di soffitta. Si

guarda

avvicina

s’illumina

a una

delicatamente (Wi

il

grande

finestra

e, carezzando

il cagnolino, guarda l’amico che

attraversa la piazzetta sottostante. Appena 1l’a-

con

invece

le acchiappa

severità di un

il seno.

e secchezza.

potere

Lei lo

Il suo

insospettato,

volto

segreto,

che annichilisce il giovane, il quale inchinandosi, dice: «Perdonami, nostra Signora!».

mico scompare, nello spazio deserto giunge da un vicolo

un grosso

lupo che guarda

verso

l’alto,

stacco

quasi fissando Luca.

5. Roma — esterno — giorno. stacco

Luca

I STAVROS TORNES

cammina

per una

via di Roma

tenendo

in

mano una gabbia seminascosta in una borsa. Sul

l. Un villaggio della Tuscia. Esterno — interno

suo volto c’è un’espressione di ottimismo.

— giorno. Un emporio. La proprietaria, una signora sui 45

anni,

mostra

impachetta

una

grande

un cestino

vitalità

e finezza

ripieno di cibi genuini:

latte, formaggio, prosciutto ecc.

già

visto

nella

6. Treno — interno — giorno. Jacopo nel trenino che lo porta dal paese a Roma.

Lo consegna a un uomo di età indefinibile e che abbiamo

stacco



chiesa

sconsacrata.

Un calabrone entra dal finestrino e ronza attorno

alla

gente

che

L’uomo con molta severità controlla il pacco e

Tutti sonnecchiano

chiede

alla donna:

lo scompartimento.

— sono pendolari. Un bambi-

dell’erba

no è divertito e impressionato dal volo del cala-

medica?». La donna consente.

brone. Jacopo che siede leggendo dignitosamente

Un vecchio sugli 80 anni che sta mangiando in un

un giornale, all’improvviso acchiappa al volo il

angolo, si lamenta che tutte le belle cose se ne

calabrone a senza badare alla gente, se lo ingoia

vanno

come una pillola e riprende a leggere.

pian

piano

«Ti sei ricordata

affolla

dalla

casa.

La signora

dice

all’uomo: «Mi raccomando Jacopo, l’altra volta l’ho visto, un po’ male».

gli dà uno sguardo

L’altro

leggere.

prende

il pacco

e rassicura

la donna:

Il bambino

lo guarda

con

ammirazione.

di simpatia,

Jacopo

poi riprende

a

«Luca sta bene. Si è messo pure a studiare».

La donna dice: «Però dovrebbe smetterla di anda-

stacco

re a trovare Lucia al convento, gli crea solo confusione».

7. Un

Jacopo risponde: «Vedrai che smetterà. Questo si

vestito,

risolverà da solo. Le cose andranno come devono

calore nel suo ufficio Luca. È un costruttore,

andare»,

amico di famiglia.

uomo

sui

dinamico

quaranta

anni

e ben

nutrito,

elegantemente

accoglie

con

Jacopo saluta e se ne va.

L’uomo

La signora si rivolge al vecchio e gli chiede con

dice: «Ah vieni, vienî. Allora, sei andato avanti

premura se ha finito la sua colazione. Il vecchio

con quel progetto?»

che

evidentemente

lo stava

aspettando

Luca invece evade la domanda, apre la gabbia che è piena di piccoli uccelli molto graziosi, e con

stacco

passione

9. Un

fornisce

dettagliate

spiegazioni

sui

colibrì.

ristorante

di lusso

nel

centro

storico

nella zona del Pantheon. È un locale di vecchio

il

stampo, mancano i soliti rumori da ristorante. I

pappagallo che sta in un angolo ammutolito e che

Il costruttore,

clienti sembrano di un’altra epoca. Qualcuno sta

gli

leggendo un libro, mentre mangia senza interes-

ha

cerca

spazientito

regalato

qualche

di riportare

programma prietà

tempo

a Luca

addietro.

Poi

il discorso sul loro comune

di sfruttare

della

ricorda

Tutti i clienti hanno

un

aspetto indefinibile ma che nello stesso tempo li

il

il giovane

gli

Jacopo sta per finire il suo pranzo. È seduto a un

aveva proposto. Con entusiasmo gli dice: «Lo sai

tavolo nel centro della sala, e sembra godere il

che avevi ragione. Devi darti da fare — altro che

suo isolamento voluto. È servito da diversi came-

che

di Luca

se i suoi bocconcini.

di pro-

e realizzare

progetto

famiglia

alcuni terreni

da diverso

tempo

unisce. C'è un’atmosfera distesa e protetta.

supermarket come pensavo io. Là è proprio ora di

rieri che lo trattano come un cliente di rilievo.

costruire

Jacopo con mite disprezzo rifiuta i dolci, frutti

un centro

multiplo.

Ci sono

pure

le

sovvenzioni dalla regione — fini culturali caro

e amari

mio. Non perdere tempo con i tuoi giochetti.

conto.

vuoi

capire

che hai un

futuro

davanti,

Lo

gli vengono

proposti

e chiede

il

te lo

garantisco io. Ma tu devi lavorare però». Luca è imbarazzato

che

stacco

da questa predica grottesca

che già altre volte ha respinto, ma dato che gli

10. Casa Luca — interno — giorno.

servono

soldi

Nel tardo pomeriggio Luca sta dormendo, abbrac-

anticipo

una

non

indugia

a chiedergli

considerevole

un gesto paternalistico

somma.

come

L’altro

che nasconde

con

Luca

costruttore,

esce,

la pelliccia.

Jacopo è seduto

accanto

e

osserva impassibile Luca. Il giovane si sveglia e

agita.

scende

fissa la sedia dove sedeva l’altro — è vuota. Luca

dio, gli fa un assegno. Mentre

ciando

il fasti-

il pappagallo

agitandosi

anche

si

lui,

con

Il

gesto

nella

chiesa.

Jacopo

lo osserva

da un

angolo buio. Luca vaga tra oggetti e gabbie con

isterico lancia una matita contro il pappagallo.

distacco.

Poi schiaccia un pulsante. Risponde la segreta-

D’un tratto afferra

ria

andando incontro con festosità e lo rinchiude in

alla

quale

dice

con

stanchezza:

«Vieni

a

il cagnolino

che gli stava

riprendere *’sto pappagallo!».

una gabbia.

stacco

stacco

8. Qualche ora dopo — Sala asta — interno.

11. È sera.

Un’asta di pellicce al Monte di Pietà. È piena di

Luca

gente e di mercanti.

magra cena. Mangia senza appetito e senza gusto.

È in corso la vendita di un

a una

tavola

calda,

sta consumando

una

visone di valore, quando entra Luca con la sua gab-

Siede assente tra la gente che affolla il locale e

bia di uccelletti. La pelliccia viene acquistata da

non vede neanche

un’anziana signora ricoperta di preziosi gioielli.

entra con un uomo degenerato che veste con esa-

Il banditore annuncia adesso una pelliccia di lupo

gerata eleganza. La danna si sente imbarazzata e

e fornisce con molta retorica dati sulla sua prove-

frustrata per non poter avvicinare Luca.

Adele, la donna del cane, che

nienza. Luca lascia cadere la gabbia ai suoi piedi mentre si sente la prima offerta. Luca raddoppia

stacco

la cifra e ammutolisce la sala. Il banditore cerca di guadagnare

tempo, ma ritrovandosi

davanti il

12. È notte.

volto deciso di Luca, di fretta pone fine al ceri-

Luca vaga per la città, passa tra la gente e attra-

moniale e dice: «Consegnata al signore».

versa strade in uno stato di assenza. Non sa dove

Ma la pelliccia gli è quasi strappata dalle mani

va ma è trascinato da una strana inquietudine.

da Luca che lascia i soldi sul banco. Mentre esce corsa, seguito dagli sguardi della gente,

Un gatto, disteso tranquillo su una macchina, al

di

passaggio di Luca è come se si sentisse braccato,

i

miagola

colibrì che avvolgono la sala con l’intreccio di

attacco.

voli e cinguettii.

Luca

dalla

gabbia

dimenticata

si liberano

tutti

con

ferocia

lo guarda.

e assume

una

posizione

Il gatto lo aggredisce

di

aggrap-

[4 LUPI MANNARI

pandosi al collo. Luca spaventato si difende con

sfera

pesante

l’istintività

entra

una

di un cane.

C’è una

lotta ango-

del

convento.

novizia

molto

Dopo

bella

un

con

istante

lo sguardo

sciante per tutti e due. Infine il gatto, con un

timido. La porta si chiude alle sue spalle. È suor

salto molto rapido, scappa. Anche Luca scappa e

Lucia. Luca

si contorce in gesti di fastidio.

si precipita

con

grande

gioia

verso

la

sorella, ma si blocca quando vede che lei è presa da tremore. Poi le si avvicina e tenta un abbrac-

stacco

cio, quasi per rassicurarla. Suor Lucia, impauri13. Luca arriva sul Tevere e riprende fiato. Si

ta, sviene.

ritrova.

Di colpo

Su

un

ponte

gesticola

un

po’ spaventando

la

gesto

rientra

deciso

la madre

superiora

e autoritario

e con

accompagna

un

Luca

gente. Poi scende sulla banchina e si siede dove

all’uscita.

era sparito il suo cagnolino. Una schiera di ran-

Attraversando il giardino incontrano un gruppo

dagi correndo in silenzio e quasi in fila india-

di preti e monache africani. La madre superiore

na, viene giù dalla scala e passa alle spalle di

dimentica subito Luca e si dedica ai nuovi venu-

Luca. L’ultimo della fila si stacca e va ad annu-

ti che la salutano con grandi sorrisi.

Luca rimane sbalordito a guardare e non reagisce

sare il giovane. Si sentono

le grida

di un

uomo

e una

donna

mescolati al grugnire selvatico dei cani. Luca,

gesto caloroso di uno dei preti. Molto preoccupato si allontana

agitato, si alza e va sotto il ponte dove avviene n

l’incidente. I cani scappano

dietro un improv-

stacco

viso ululato di Luca. La coppia che mostra delle ferite per un attimo si rassicura, ma con l’av-

16. Luca è seduto su una panchina al Gianicolo e

vicinarsi

guarda verso il convento in uno stato di passivi-

dei

due

del passo pesante di Luca, sul volto si

Rimangono | lo TORNES STAVROS

forma

una

pietrificati

smorfia

di

quando

Luca

terrore. con

lo

slancio di un animale si allontana nella dire-

tà. Alle sue spalle, a breve distanza, due o tre ufficiali

caricano

un

cannone.

Un

dalla forza dello sparo, si riscuote

zione dei cani.

orologio

segna le 12. Il cannone esplode. Luca, investito dalla

sua

preoccupazione. stacco stacco

14. Casa Luca — interno — mattina. È l’alba. Luca fa colazione con molto godimento.

17. Esterno giorno — campagna.

Beve quattro o cinque uova.

Un

Mangia

del pane di

campagna. E in continuazione strappa ampie sorsate

da una

Jacopo

bottiglia

osserva

con

Luca e gli versa

un

piena

di latte

approvazione cucchiaio

genuino.

l’appetito

di sciroppo

di nel

cascinale

abbandonato,

di proprietà

della

madre di Luca, con un’aia davanti e un porcile sulla

sinistra.

La terra

intorno

verso le colline inselvaggita. una

montagna

alta

e nuda.

è incolta

e

Più in sù domina

Un sentiero

arriva

latte. Luca beve. Poi stirandosi con molta soddi -

quasi sino al cascinale. Di là si vede anche una

sfazione

parte del villaggio della madre di Luca.

si alza e si prepara

gliandosi

Prende

in

maniera

dal suo vecchio

con

raffinata

vestito

cura, ed

abbi-

elegante.

del denaro,

ed

Il costruttore si aggira con una macchina fotografica attorno al cascinale. Da varie posizioni

esce.

scatta delle foto.

stacco

volte di forzarla. La porta resiste. Improvvisa-

Attirato dalla porta del cascinale, tenta varie mente il costruttore si ferma, gli sembra di sen-

15. Luca entra in un monastero che si trova sul

tire uno strano rumore, che è una musica. Guarda

Gianicolo. Dà una mancia a un giardiniere che lo

intorno ai campi, ma non vede niente, mentre la

introduce in una sala d’attesa. Arriva una vec-

musica

chia monaca, la madre superiora. Saluta Luca e

costruttore si avvia di fretta verso la sua mac-

accetta dei soldi che lui le offre in beneficenza.

china

Poi sparisce da una porta.

tutta velocità verso il villaggio.

Luca

rimane

in piedi.

Dall’esterno

voci molto gioiose che contrastano

e diventa

quasi per prendere da)

si sentono

con l’atmo-

si avvicina

stacco

più insistente.

coraggio

Il

e parte con

18. Paese — interno giorno. Nell’emporio cerimonia

cate

particolare.

delle

Il prete con tono inquisitorio, persuaso da vero

della madre

ghirlande

di Luca si svolge una

Dappertutto

festose.

sono attac-

Da un

angolo

un

interessamento «Questo

Luca

e quasi

parlando

si fa sempre

più

tra

sé, dice:

desiderare,

eh

signora?»

Juke-box suona a tutto volume una musica rock.

«Ma ci sarà di mezzo qualche donna, si sà come

Quasi tutti gli abitanti del villaggio sono pre-

vanno le cose a Roma» — replica il giovane sinda-

senti, dai piccoli sino all’età media, ma si avver-

co del paese, mentre offre un bicchiere di spu-

te

mancanza

la

di

sono

quanti

Tutti

vecchi.

mante al costruttore.

vestiti in un modo lussuoso e all’ultima moda che

«Perché, qui al paese non ci sono le donne?»

contrasta

aggiunge il farmacista, avvicinandosi. La madre

con i loro volti. Malgrado

il caldo,



alcune donne portano la pelliccia. Solo la signo-

di Luca

ra Lisa è vestita in modo classico e semplice, e

«Lasciamole

per questo si fa notare. Nel centro dell’emporio

la sua sedia, seguita dal sindaco, dal farmacista

grande tavola

c’è una

a forma p greca piena di

Luca

gente

ormai,

seduta

tavola.

della

all’esterno

All’interno c’è una piccola tavola dove ci sono

quasi

in difesa

del figlio:

perdere le donne!» e andando

verso

e dal prete aggiunge: «A me sarebbe piaciuto che

dolci tipo panettone e bottiglie di spumante. La

è

interviene

si fosse

trovato

le donne

sono

una

brava

tutte

ragazza...

stranite

ma

qui e in

città... Non sono come una volta».

esposti dei doni, elettrodomestici tipo mixer.

Il costruttore rimane indietro, isolato e indeci-

C’è un’atmosfera frustrata — nessuno beve, nes-

so. Alcuni adolescenti si aggirano attorno a lui.

suno mangia, qualcuno tenta di ballare. Gli ado-

I loro

lescenti

si esibiscono

qualcuno manca il naso, a un altro l’orecchio di

attirare

l’attenzione

con

ballo

della

siede un po’ distaccata

rumoroso

signora

per

Lisa

che

accanto alle persone di

volti

sono

segnati

da strane

ferite.

A

sinistra, uno ha il mento storto. Il costruttore sente un disagio e con il loro avvi-

cinarsi, si avvia istintivamente verso la porta.

rilievo del paese.

Con l’arrivo di Jacopo tutti applaudono. Jacopo

In quel momento la porta si apre improvvisamen-

molto

te e il costruttore si trova di fronte a tre perso-

serio

fa un

segno

che

la cerimonia

può

cominciare e va a sedere accanto alla signora.

Un piccolo mostrando

corteo

si muove

attorno

ne con in braccio degli strumenti

al tavolo,

una fotografia incorniciata

con due

musicali non

comuni. Il loro aspetto solenne appartiene a un

altro

mondo.

Il

costruttore

intanto

sembra

sposi. La posano sul piccolo tavolo dei doni. Gli

ricordare

la musica che aveva sentito prima di

adolescenti

arrivare

all’emporio

gli sposi»

esplodono



con

e aprono

Improvvisamente

Tutti guardano

cade

con

grida

gioiose:

bottiglie un

«Viva

di spumante.

silenzio

di

grande tensione

attesa.

la signora

e

con

sollievo

fa

un

applauso per i musicisti, dicendo:

«Bravi! bravi!» E, avendo ritrovato il suo atteggiamento

da

personaggio

ben

piazzato

torna

si reca

indietro per lasciare il suo dono sotto la foto-

verso la fotografia per portare il suo dono — un

grafia (un bel malloppo di danaro), saluta tutti

capretto.

e se ne va.

Lisa

che si alza e, seguita

da Jacopo,

Il prete, quasi per impedire un rituale, occultato

interviene

bruscamente

con

un

discorso

stacco

sociale. Parla dei compatrioti emigrati, onesti lavoratori, che non dimenticano le loro radici.

19. Tardo pomeriggio a Roma.

ritorna,

Luca angosciato si reca alla stamperia dell’ami-

il prete si avvicina alla fotografia incornicia-

co fotografo Andrea. Andrea è molto contento di

ta e dà la sua benedizione.

vederlo.

Jacopo

fotografie

Mentre

l’atmosfera

si dilegua.

festosa e rumorosa

Sulla porta

il costruttore,

Interrompe per

il suo lavoro,

il libro

sono

dice che le

a buon

punto

e

appena entrato, sta guardando con un’aria sbi-

riescono bene. Gliene mostra qualcuna e poi gli

gottita.

Con

chiede se lui ha preparato qualche didascalia.

riscuote

e si avvicina

circondata

l’allontanamento

di

alla signora

da adolescenti.

Cerca

Jacopo

si

Lisa che è

di parlarle.

Dice che è venuto per la questione dei terreni. La signora

Lisa è sfuggente.

Dice che Luca non

ha

Luca risponde che non ha avuto il tempo e poi in questi ultimi

volto c’è tensione. Andrea lo guarda con simpa-

potuto venire e che per questo non è disposta a

tia

firmare

venire

il contratto

di vendita



importante che sia presente suo figlio.

per

lei

è

giorni non si sente molto bene —

non dorme la notte, la notte lo esaurisce. Sul suo preoccupata. con

Improvvisamente

lui per fare un

fretta ed esce con Luca.

lo invita

giro. Si cambia

a di

| LUPI MANNARI

magnetica

stacco

si riflette

sul volto della

ragazza.

Lentamente, seguendo il ritmo, Luca e la ragazza,

20. Adele, la donna del cane, davanti alla casa di

avvicinandosi

Luca passeggia con il suo cane guarito. Mentre si

accoccolano

avvicina

piedi della gente, che non

alla

porta

della

Jacopo che esce con una

chiesa

sconsacrata,

certa fretta

— la sor-

prende. Si guardano per un attimo, poi si allon-

con

crescente

per terra,

eccitazione,

e si annodano

quasi

bada neppure

si ai

a quel

loro tentativo di amore.

Il desiderio di Luca però, va al di là di un normale rapporto d’amore. Il suo volto è trasforma-

tanano tutti e due.

to da questo desiderio, infatti comincia a coprire di piccoli

Stacco

morsi,

il corpo

della

ragazza

la

quale si eccita di più. Il ballo prosegue

in un

21. Sera.

ritmo

segue

In una grande piazza, è in corso una festa.

tutto. La feste procede con altre rappresentazio-

incalzante,

Jacopo

da

un

angolo

A un tavolo Luca con gli amici di Andrea consu-

ni. D’un tratto un grido violento rompe l’incan-

mano

to e la frenesia della folla.

con

molta

voracità,

bevande

e cibi vari.

Attorno imperversa l’esibizione di poeti e clown.

Luca stringendo

Una delle ragazze,

della

amica di Andrea, mostra un

certo interesse per Luca, il quale è compiaciuto.

Preso

dall’atmosfera

mente

al suo carattere

festosa,

Luca

introverso,

ragazza,

in maniera

la sta

animalesca

ferocemente

il corpo

mordendo

al

collo e al seno. Si sentono altre grida, di donne

contraria-

isteriche — Si crea il panico generale. Un altopar-

pare

lante

molto

invita

la folla

a non

perdere

la calma.

gioviale e ha improvvise esplosioni di riso.

Jacopo da una certa distanza

La gente si affolla attorno a un complesso che fa

preoccupato. È lui, che stacca le luci nel momento

musica moderna. La folla si scatena in un ballo

giusto. Si sentono degli spari. Luca scappa. È notte.

segue Luca. Sembra

frenetico.

Luca, preso da entusiasmo, si trascina dietro la

stacco

ragazza e si fa largo tra la folla. Vl TORNES STAVROS

La piazza freme nella danza collettiva. Il volto

22. Interno — notte.

di Luca fissa la ragazza con sguardo sensuale e

Al paese, la signora Lisa sta per chiudere l’emporio.

eccitato,

Le passa davanti come un fulmine la figura fanta-

quasi

la ipnotizza;

una

forza

Una scena di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

quasi

smatica del vecchio, il quale, quasi rivolto a dei

tosa che invoca

nemici immaginari dice: «Non riuscirete a fregarmi,

Chiama più volte e ogni volta il suono si prolun-

la roba è mia eh». Poi sparisce sù per le scale.

ga come un ululato.

La donna,

dargli peso, va ansiosa

di donna:

«Lucia!...».

nello

È Luca che chiama la sorella rivolto al vicino con-

sgabuzzino e da una cassetta tira fuori la foto-

vento. Qualcuno, con aria quasi offesa, si volta a

grafia

senza

un nome

di Luca, contornata

signora,

con

gesti rapidi

da lunghi

e sacrali,

peli.

osserva

La

guardarlo con smorfia minacciosa. Ma il volto ormai

e

trasformato di Luca impaurisce tutti. Si stringono

accarezza il ritratto.

tra di loro come per prepararsi ad affrontare un

Il giovane diciottenne, che già altre volte aveva

pericoloso attacco di un animale feroce.

tentato

Luca chiama ancora: «Lucia!...»

di possederla,

sempre

in balia

del suo

desiderio, blocca l’ingresso dello sgabuzzino. La

La gente a poco a poco si dilegua nella notte.

signora depone nel cassetto il feticcio del figlio

e va verso il giovane. Lui l’abbraccia e lei smar-

rita, si lascia

abbracciare,

poi lentamente

stacco

lo

stringe asee con furia selvaggia gli strappa con

24. Luca vaga di notte per la città. Su un ponte

un morso un orecchio.

del Tevere (Ponte Sisto) spaventa delle persone

Il giovane, gridando ferocemente, scappa tenen-

con grida e gesti aggressivi. Aggredisce un grup-

dosi una mano sulla ferita.

po di giovani turisti. Si crea tra loro una con-

fusione, qualcuno chiama la polizia. stacco

Accorre qualche curioso.

D’un

tratto,

23. Interno — notte.

loro,

cerca

Sul muro del Gianicolo, alcuni uomini dai volti

ubriaco.

molto tesi, chiamano i loro amici o parenti che

E lo trascina via.

Jacopo

di far

interviene,

capire

che

scusandosi

il suo

amico

co

n

è

sono nel carcere sottostante. Il richiamo avviene

prolungando

Qualcuno

il

trasmette

suono anche

finale

del

dei messaggi.

nome.

stacco

I nomi

chiamati sono tutti maschili.

25. Interno — convento notte.

All’improvviso si sente una voce acuta e lamen-

Suor Lucia nella sua cella non riesce a dormire. È

Màrios Karamànis in Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

INS LUPI MANNARI

inquieta. C'è un silenzio pesante. Si sente solo il suo

madre di Luca. Guarda attentamente attorno a sé,

respiro irregolare e agitato e ogni tanto uno scric-

senza però toccare niente.

chiolio del letto. Suor Lucia si alza dal suo letto e

Il cagnolino appena comprato, abbaia ferocemen-

si aggira, guardando i libri senza voler toccarli. Di

te dalla sua gabbia. La madre di Luca si avvia su

nuovo si sdraia e chiude la luce. Rimane un attimo a

per le scale che portano alla stanza di Luca.

guardare il soffitto nella penombra, poi pian piano

Rimanendo

si alza e senza fare rumore, tira una sedia sotto la

letto di Luca, coperto dalla pelliccia acquista-

sulla porta guarda per un attimo il

ta all’asta. Poi emozionata si distacca da questa

finestra, sale sù e rimane a guardare fuori.

visione e con rapidità scende e se ne va. stacco

stacco

26. casa di Luca — interno notte. Luca esasperato nella sua stanza sta camminan-

28. Porta Portese — esterno.

do

Il cane trascina Adele attraverso il mercato di

attorno

al suo

tavolo

coperto

di libri

di

studi. Sembra che si è calmato un po’, ma sul suo

Porta

volto si vedono ancora le tracce delle esplosioni

ferma e comincia ad abbaiare in direzione di una

emotive su ponte Sisto. Jacopo sta immobile sulla

lunga fila di gabbie ripiene di animali di vario

pieno

di gente.

D’improvviso

si

porta e lo osserva con distacco. Ogni tanto Luca

genere.

prende un libro dal tavolo e lo sfoglia con mani

Adele così scopre Luca che sta osservando atten-

agitate e rapide come cercando una cosa precisa,

tamente

poi lo chiude con disgusto. Tocca leggermente il

Adele

un

coniglio

sembra

rigirandolo

commossa

tra

di vederlo,

le mani.

si avvicina

suo volto mormorando: «Non capisco».

decisa e con un leggero tocco su una spalla lo

Quando Jacopo gli dice: «Dormi», rimane immobi-

saluta.

le e lo guarda come un fantoma. Improvvisamente di |STAVROS TORNES

Portese

sembra

Luca è stupito, mentre

riconoscerlo.

Lo avvi-

Adele lo sommerge

cina con speranza e prendendolo per le braccia

cose

gli dice: «Jacopo! Dimmi tu..»

Luca non attacca discorso.

Jacopo

con

libera

dalle

calma

superiore

mani

e ben calcolato

di Luca, senza

si

rispondere

e

in un

fiume di parole piene di entusiasmo e tra le altre confessa

di averlo

cercato

diverse

volte.

Adele si gira verso il suo cane e incomincia a far notare a Luca che è guarito, e gli dichiara la sua

senza muoversi.

gratitudine. Jacopo cammina tra la folla facen-

Luca lascia cadere le sue mani e si rimette in moto

dosi largo anche con qualche dignitosa spallata.

attorno al tavolo, mormorando: «Devo spiegarmi».

Ha in mano

Su un foglio bianco disegna alcune figure geome-

Adele. Con decisione si avvicina.

dei pacchi.

Scorge

triche senza finirle. Poi di nuovo si avvicina a

Luca si volta a guardarlo

Jacopo,

sfugge

ma

vedendo

che

questo

fa una

leggera

mossa indietro, si ferma a distanza e dice: «Non mi

il coniglio

luci

insieme

ad

e dalle sue mani gli

che scappa

tra la gente.

Il

cane immediatamente lo insegue abbaiando. Adele

sento più, Jacopo... c’è questo vuoto... sta dapper-

preoccupata, chiama il suo cane. Adele si rivolge

tutto, come un’invasione

verso

nel mio corpo... qua...

Luca per chiedergli

di intervenire

qua... ma soprattutto qua...». E si tocca tutto il

quasi vergognandosi,

corpo,

fronte il volto ostile e severo di Jacopo.

finendo

sullo stomaco.

Jacopo con un’e-

Luca

si dilegua, ma si trova di

spressione contemplativa da filosofo risponde:

«Questo può essere anche un bene. Più c’è vuoto,

stacco

più c’è disponibilità... comunque, hai mangiato?». Luca, che stava ancora con le mani sullo stoma-

29, Luca si allontana a passo veloce dal mercato.

co, le congiunge

Alle sue spalle il costruttore lo segue in mac-

con disperazione e si siede sul

letto. «Sì, ho mangiato».

china.

«Allora domi, adesso ti preparo qualcosa che ti farà

Lo chiama due o tre volte e quando vede che Luca

bene», dice Jacopo allontanandosi nel corridoio.

non lo sente e neppure si accorge della sua pre-

stacco

Scende

senza,

a una svolta gli taglia la strada.

dall’auto

annuncia

e con

che l’affare

una

voce

di trionfo

è quasi fatto, basta

che

si aggira

sia disponibile a' mettere la firma. Per suor Lucia ci penserà luîl

una figura di una donna. È la signora Lisa, la

Luca con un grido animalesco gli dà una spinta

27. Interno— mattina — Roma. All’interno

della chiesa

sconsacrata

violenta

e si allontana. Il costruttore, quasi cadendo sul cofano della macchina, è sbigottito

gli occhi di Luca non sono rivolti allo schermo

in una smorfia bambinesca.

ne e gli prende una mano. Luca risponde al gesto

ma sono fissi al pavimento. È presa da compassio-

di Adele con una carezza automatica, senza nepstacco

pure voltarsi. Adele, incoraggiata, lo abbraccia

30. Interno — giorno.

Adele, in una atmosfera di assoluta finzione, lo

e lo bacia sulla bocca. Luca è in stato di ipnosi.

Nella sala d’attesa al convento

suor Lucia sta

prende per mano e lo conduce fuori dal cinema.

parlando con sua madre, signora Lisa. Non è più una novizia timida, e di fronte alla sua madre si

stacco

presenta come una donna che ha saputo decidere

per se stessa.

di andare

ha deciso

Difatti,

in

Africa come missionaria.

32. La ragazza trascina Luca attraverso un vico-

lo del centro storico dalla parte del Tevere.

Sua madre dice che non sarà certo lei ad impedi-

Li vediamo entrare in un vecchio elegante palaz-

re una vocazione autentica, comunque

zo, con un ampio giardino e un cortile spazioso

non capi-

sce perché deve andare così lontana.

con antiche statue e alberi secolari.

La discussione tra le due donne è interrotta dal-

Nello spazio interno del palazzo deserto, Luca e

l’improvvisa apparizione di Luca, il quale rima-

Adele si avviano su per le scale maestose.

ne immobile sulla porta. La signora Lisa, dimen-

Quando

ticando sua figlia e l’ambiente dove si trova, si

vecchi quadri, Adele apre una porta.

precipita

Entrano.

verso

suo

figlio.

Lo

abbraccia

con

sono su un ampio corridoio

arredato

di

(N)

eccessivo calore e lo intimidisce senza volerlo.

Dentro

Poi lo trascina verso l’angolo dove stava seduta

miscuglio di oggetti ereditati e oggetti moderni.

con

suor

Lucia

e annuncia

la decisione

della

l’ambiente

è molto

accogliente.

C’e un

Luca ha un attimo di esitazione, ma dietro l’in-

sorella di lasciare l’Italia per fare la missio-

vito

naria,

anche se con fare un po’ brusco e maldestro.

e domanda a Luca di dire la sua opinione.

premuroso

di Adele

si siede

su un

divano |LUPI MANNARI n

Luca non riesce ad alzare la testa né a guardare

Adele prepara senza perdere tempo, uno spuntino

sua sorella. È molto docile verso la madre e dice

e nel frattempo apre una bottiglia di vino buono.

solo alcune volte:

Poi Adele si aggira per casa indaffarata.

«Sì mamma»,

Luca si alza lentamente e va verso una finestra

Lucia, infastidita nel vedere il fratello così ridot-

come dietro a un richiamo.

to, reagisce con una certa violenza verso la madre,

Luca ha bisogno di aria, va a spalancare la finestra e incomincia a dare particolari spiegazioni

esigendo la sua parte ereditaria delle terre.

La signora

Lisa, con

irritazione

Adele, pensando che

le chiede

la

sulle origini e sulla storia della casa e della

ragione, anche se deve ammettere che si tratta di

sua

un diritto legittimo.

fuori

Poi aggiunge

Tevere. Intanto, tra una cosa e l’altra, Adele ha

con

disprezzo

che i santi

di una

famiglia.

Ma

lo sguardo

nel panorama,

dove

Lucia risponde che questa sua parte è destinata

Adele

per

siede accanto a Luca, versa del vino nei due bic-

il Fondo

alzandosi,

contro

ritrova

la

il suo

fame

del

aspetto

mondo. ascetico

Poi, da

un

Luca

bel piatto

si siede

il

già apparecchiato

con

tavola.

si perde

silenzioso

volta non erano così attaccati ai beni terrestri.

arriva

una

di Luca

scorre

di arrosto.

e

Si

chieri e invita Luca al brindisi.

monaca e s'inchina per ritirarsi.

Luca è apatico, sembra timido. Adele, quasi per

A quel punto Luca si alza bruscamente ed esce di

vincere l’imbarazzo di Luca lo guarda e incomin-

corsa.

cia a mangiare di buon gusto. Luca la imita. Adele mangia e beve con molto piacere e Luca si sente

stacco

quasi obbligato a seguirla in questo edonismo.

31 È sera.

tenera passione, gli tocca una mano. Luca abbas-

Adele entra in un cinema del centro. Si proietta

sando lo sguardo sulla carezza di Adele, vede che

un vecchio film sentimentale.

le unghie

D’un tratto il suo sguardo cade su Luca che siede

mente

in prima fila e visto di spalle, sembra che stia

crescita. Luca è spaventato. Sottrae la mano alla

guardando con molta attenzione il film.

carezza di Adele, e si alza, dirigendosi verso la

Adele va a sedersi accanto a lui e allora nota che

finestra. Adele pensa che deve essere lei a deci-

D’un tratto

Adele guardandolo

delle

allungate

proprie

mani

e sembrano

negli occhi con

sono ancora

incredibilin fase

di

Frangois Stefànou in Danilo Treles, 1985

SD |STAVROS TORNES

dere a prendere l’iniziativa, gli va vicino e lo

La ragazza lo affronta con disprezzo e disgusto,

abbraccia.

e incomincia a frustarlo con violenza.

Quando Luca si volta le sue guance sembrano oscu-

Luca si muove

rate da un miscuglio di sudore e di leggera barba.

sul tavolo e cade. Adele, con un ghigno feroce gli

maldestro

per la casa, inciampa

Adele immagina che Luca sia eccitato, allora gli

va addosso e tenta di violentarlo.

toglie la giacca, lo accarezza, lo abbraccia tra-

sforzo

scinandolo

scappa dal balcone.

sul divano.

passivamente.

Luca

sembra

rispondere

Adele senza indugiare, si prepara

ormai a possederlo. In quell’istante

sta attraversando

con

un

mugolare

selvatico

Scivolando

i muri,

appare

sul balcone

lamentevole.

giardino

appare

attaccato

viene

da Adele che è presa

ed emettendo

ululati

nel

di

giardino

e

quanto è accaduto e chiama: «Luca», quasi con un sussurro

ma

e

ad

andare

finestra,

Luca, con uno

a liberarsi

lungo le piante

il cielo, precipita

Adele e seguendo il tragitto della luna cerca di

alla

infine

contorto come un animale lo attraversa. Adele

si sottrae

verso

riesce

lo

spazio rettangolare della finestra. Luca

che adornano gioia

la luna

disperato,

prontamente

da un desiderio

la

e sembra

Da

un

figura

confusa

angolo

buio

impenetrabile

per del di

Jacopo che fissa Adele.

irrefrenabile e selvaggio. Luca

per

riafferrare

l’immagine

della

luna

si

stacco

sposta a una altra finestra, cercando inutilmente di allontanare

Adele

che è aggrappata

e lo

33. È notte.

maledice. Adele si sente offesa e con autoritari-

Luca vaga per la città. Il suo corpo, nel cammi-

smo

Luca,

nare è molto irrigidito, il capo curvo, le braccia

facendogli capire che lei è la padrona. E dicendo:

e le mani contorte. Gesticola in maniera incon-

fuori

di sé insulta

sfacciatamente

«Adesso t’insegno io, il tuo posto, vai a prendere

trollata.

una frusta», e strappa la frusta da un angolo.

abbaiare di cani in allarme.

Luca, con il volto completamente lunga

barba,

diventate

i capelli

pelose,

ricoperto

elettrizzati

le unghie

lunghe,

giunge

un

insistente

di

e le mani

con

Da più parti

stacco

occhi

ardenti e ululando ferocemente, si scaglia con-

34. Luca percorre ùn vicolo. Si ferma un attimo e

tro Adele.

stirandosi, lancia &1 cielo un potente ululato.

All’improvviso

un cane gli piomba addosso, abbaiando ferocemente. Luca se ne libera prendendolo per il collo e lo getta contro un muro.

un artiglio gli blocca il passaggio, l’altro allo-

Luca si lecca la mano, soddisfatto.

lo insegue con grugniti rabbiosi. Il costruttore

Luca con un salto piomba davanti all’uomo e con

ra imbocca la scala che porta in soffitta. Luca con

una

rapidità

insospettata,

spalanca

una

stacco

porticina ed esce sul terrazzo, e da qui raggiun-

35. In un bar-pasticceria, il costruttore compra

spetta in un angolo.

ge il campanile della chiesa. Luca è già là e l’adei cioccolatini. Poi esce.

Il costruttore in un estremo tentativo di sfuggi-

Ma si blocca sulla porta, perché nella piazzetta davanti al locale, si sta svolgendo una furiosa e impressionante lotta, tra un branco di cani e un

re, si lancia da un’arcata del campanile verso il

uomo molto strano che quasi sembra un barbone.

nuamente, il nome di Luca, ma si rassicura quando

Il costruttore

impaurito,

fa un passo indietro

vuoto. Cade ai piedi di Jacopo che sta arrivando in quel momento.

L’uomo pronuncia sottovoce conti-

sente gli ululati di Luca che giungono dall’alto.

verso l’interno e rimane ad osservare la lotta.

Intanto si sente arrivare una guardia notturna

L’uomo, che è Luca non riconosciuto però dal

in bicicletta, che attacca cartoncini di control-

costruttore, strangola uno dei cani e mette in

lo alle saracinesche.

fuga gli altri. Ululando li insegue. Il costrut-

Jacopo con calma e in silenzio prende per i piedi

tore, che non riesce a rendersi conto di quel che

il costruttore e lo trascina dentro.

ha visto, terrorizzato, guardandosi attorno con circospezione,

si infila veloce nella sua mac-

stacco

Di

china e si allontana. 37. Roma — Tevere esterno — La mattina seguente.

stacco

La mattina dopo, il cadavere di Adele galleggia sulle acque del Tevere, tutto il suo corpo ha un di

aspetto di serenità e di bellezza. Il corpo tra-

aprire la porta dell’ingresso principale. Allora

36. Luca

scinato dalla corrente va alla deriva, sbanda e

fa ilgiro del cortile ed entra dalla porta poste-

va ad impigliarsi tra le erbacce.

riore

arriva

della

a casa.

chiesa

Cerca

inutilmente

sconsacrata.

L’ambiente

è

avvolto nell’oscurità, qualche piccola lampada

stacco

rotta qua e là, illumina le gabbie degli uccelli. Si sente un agitarsi degli animali che con l’en-

38. A1 convento — Interno giorno.

trata

Suor Lucia sta parlando con la madre superiora.

di Luca

ammutoliscono.

Da un angolo

la

C’e un clima di intimità. Lucia dice che ha com-

voce familiare del costruttore lo accoglie.

Luca non ci fa caso, ma con un mugolare sordo si

messo una grave colpa, la sua scelta del convento

aggira per la sala.

non è stata una vocazione di vita, non è avvenu-

Il costruttore, con grande allegria, parla ancora

ta liberamente. È stato per sfuggire a una segre-

del progetto edilizio che finalmente può partire.

ta paura

Intanto mostra un contratto e chiede a Luca di

strano comportamento del fratello verso di lei.

che ha avuto

fin da bambina

per lo

mettere la firma. Gli lancia un malloppo di dana-

Ora si sente smarrita, e vuole un consiglio.

ro. Poi agita in alto la scatola di cioccolatini.

Ma il suo sguardo si perde nel vuoto più assoluto

Luca non reagisce e continua a vagare per la casa.

della faccia della madre superiora.

Il costruttore gli rimprovera il suo assenteismo e

Nell’occhio di Lucia si accende improvvisamente

mentre già stappa una bottiglia di champagne, dice:

una luce demoniaca, che trasforma tutto il suo

«Luca, bisogna

volto e come parlando a se stessa dice:

brindare

al nostro

accordo,

le

«Devo fare qualcosa... devo salvarlo».

nostre costruzioni». Mentre pronuncia queste ultime parole, riconosce

con terrore nella persona di Luca, l’uomo che poco

stacco

prima, aveva strangolato un cane davanti al bar. Il tappo della bottiglia parte da solo.

39. Casa Luca — Interno.

i1 costruttore preso da panico lascia cadere la

In un angolo Luca è disteso su un letto coperto

bottiglia,

e si muove

cercando

di guadagnare

l’uscita. Lo champagne si perde per terra.

dalla pelliccia di lupo acquistata all’asta, ed è in uno

stato di trance.

Il suo sguardo

è molto

|S LUPI MANNARI

lontano.

Attorno al suo letto ci sono vari:fia-

41. Tramonto.

sconi che ovviamente non hanno avuto effetto su

Fuori

di lui. Jacopo sta preparando una strana bevan-

abbandonato

da. È molto attento e meticoloso nel misurare le

c’è uno strano raduno di una trentina di perso-

porzioni delle varie erbe.

ne. Sul ritmo ripetitivo e ossessivo di una fisar-

Ogni tanto mormora anche qualche formula. Scende

monica,

con un vassoio in mano nella chiesa sconsacrata.

creata

Jacopo imbastisce nuova

con molta

di proprietà

di un violino un’atmosfera

al cascinale

della madre

e di una

estatica:

di Luca,

zampogna, alcuni

si è

ballano,

la

altri si rotolano per terra, qualcuno gira attor-

ma sempre

no a se stesso e si allontana dal cascinale vagan-

preoccupazione

formula, un poco impazientito

al paese, sull’aia, davanti

con rispetto aspetta la reazione. Luca non dimo-

do per i campi. La musica cresce sempre di più.

stra nessun cambiamento.

Sul posto della festa arriva Jacopo con la pellic-

Jacopo s’inchina

frasi

e comincia

nell’orecchio

a mormorare

di Luca, in un

estremo di rianimarlo.

nelle

tentativo

Lo prende per le spalle e

cia di lupo. È accolto con molta festosità. I partecipanti e i musicisti lo circondano

e l’accom-

pagnano come omaggio sino alla porta del casci-

insistenza

nale. Jacopo, prima di entrare, si devia con un

negli occhi, come per ipnotizzarlo, ma la forza

passo da ladro di miele verso Il porcile e con un

magnetica

gesto

lo fa rialzare,

poi lo guarda

con

del suo potere segreto non ha nessun

generoso

che

fa parte

del

rituale

della

festa, apre la porta. I festeggianti, senza perde-

effetto su Luca. Mantenendo sempre Luca per le spalle, lo sguardo

re tempo, s’infilano silenziosamente nel porcile.

di Jacopo

Segue un pandemonio di grugniti mescolati con le

rimane

sconfitto

lupo. .Improvvisamente,

con

sulla un

pelliccia gesto

di

abile

e

gride animalesche dei partecipanti. Alcuni porci

rapido, sottrae la pelliccia e fa sdraiare Luca di

scappano

nuovo. Piega la pelliccia e con sacrale passione

Jacopo con molta dignità sparisce nel cascinale.

fuori

e tentano

in vano

di fuggire.

bacia la mano di Luca. Poi lentamente esce dalla chiesa, e chiude la porta a chiave. Immediatamente, KS TORNES STAVROS

mentre

Jacopo

stacco

si allontana

dalla piazza, Andrea, l’amico di Luca, tenta di

32. Al paese — casa — sera.

fermarlo: «Signor Jacopo, signor Jacopo!».

La madre di Luca sta finendo di prepararsi per

Jacopo gli dà una spinta violenta e si allontana

andare ad una cerimonia. Dal negozio, che è sotto

rapidamente. Andrea, con decisione, entra nella

al

sua macchina.

mescolati con le grida lamentose del vecchio che

piano

terra,

giungono

rumori

di

sfascio

abbiamo visto altre volte in negozio.

La madre

stacco

di Luca,

impassibile,

scende

ed esce

sulla piazzetta davanti casa. Il vecchio intanto l0. Tardo pomeriggio — al paese.

nel negozio

Jacopo nell’emporio riferisce alla madre di Luca

dare fuoco a qualcosa.

degli avvenimenti di Roma. Sostiene che tutto deve

Fuori, la madre di Luca è accolta con molta vene-

essere rimandato. Con molta rabbia la madre di Luca

razione da un gruppo di adolescenti.

rimprovera

l’uomo:

«Non

doveva

accadere»,

e gli

molla una sberla violenta. E fuori di sé continua:

sta rompendo

tutto e incomincia

a

Sullo sfondo del negozio giungono i lamenti del vecchio e si vedono aumentare le fiamme.

«Lo sapevi che non c’è più tempo. Non posso aspet-

Gli adolescenti aiutano la signora a salire su un

tare!».

piccolo

Jacopo

cerca

di tranquillizzarla

senza

perdere la sua dignità.

carro

trainato

da sei lupi e formando

una corte si allontanano con passo lento e solen-

«Le cose andranno come devono andare. Non sono

he. Il negozio va in fiamme.

preoccupato». La signora le fa ricordare che qua

Il rumore

tutto è pronto. Non può essere rimandato niente.

zante della musica sull’aia.

del fuoco si mescola

al ritmo incal-

Con più calma, gli chiede le chiavi. Ci penserà lei a Luca. Jacopo umiliato

gli dà le chiavi e

stacco

vuole consegnare anche la pelliccia di lupo. Ma

la signora, con riconoscimento della sua funzio-

43. Sera — Paesé della madre di Luca.

ne, lo ordina

Andrea, appena arrivato, vaga nei vicoli del vil-

di tenerla e di dare inizio alla

cerimonia. Jacopo fiero e commosso, se ne va.

laggio della madre di Luca. Dappertutto, regna un silenzio

stacco

strano, come nei villaggi

abbandonati.

Da lontano arrivano onde della musica sull’aia.

Attraversando

un

improvvisamente porio.

Rimane

vicolo,

Andrea

si

davanti all’incendio

per

un

attimo

trova

dell’em-

pietrificato,

poi

di benedizione. un sacerdote

Accanto sta Jacopo in piedi con

che conosce tutti i segreti di una

enorme cerimonia.

preso da panico corre istintivamente nella direzione della musica.

stacco

stacco

45. Sull’aia l’orgia cresce. Il farmacista si sta bestialmente accoppiando con una ragazzina. Un

UL. La festa

estatica

continua

sotto

la luce

adolescente

all’espressione

sinistra della luna piena. Da un sentiero arriva

un feroce morso

la corte che trasporta la signora. D’un tratto la

scenti

musica

estasi si lascia fare.

smette.

I suonatori

s’inchinano

al pas-

lupesca

gli sferra

sul collo. Un gruppo di adole-

sta possedendo

il sindaco,

il quale

in

saggio della signora. Anche altri fanno gesti di

Tutt’intorno

venerazione, qualcuno spinge fino a sfiorare le

solita danza: qualcuno, per sfuggire ad insegui-

vesti,

menti di lupi mannari

quasi

per prendere

energia.

L’atmosfera

diventa sacrale.

alcune

persone

si agitano

nella

si rifugia su un albero.

Uno dei musicisti lascia il suo strumento e par-

I lupi vengono sciolti e si mescolano agli uomi-

tecipa all’orgia.

ni, mentre

in una

Andrea, che da lontano aveva creduto che si trat-

sala del cascinale dove è accolta da altri adole-

tasse di una festa del paese si nasconde dietro un

scenti i quali la conducono a una specie di alta-

cespuglio.

re e la fanno sedere sul trono. Fuori la musica

Non crede ai suoi occhi.

ricomincia.

la signora

Intanto

viene introdotta

arrivano

(Ca)

in fila discipli-

nata uomini e donne con in braccio degli anima-

stacco

li e dei bambini. La signora fa uno strano segno

|S LUPI MANNARI

di Preveza, 1985 Stélios Anastasiàdhis si lava, dopo il bagno nel fango per le riprese di Danilo Treles, nei dintorni

346. All’improvviso la festa orgiastica sull’aia

sulla

s’illumina

dalla propria impotenza lascia cadere la testa di

con i fari di una

macchina

che sta

bocca.

Improvvisamente,

arrivando — Tutto intorno sembra un quadro apo-

Luca sul letto e si allontana.

calittico.

viscerale incomincia

La macchina tre

si ferma con i fari accesi; escono

adolescenti

che

trascinandolo, gruppo

di

accompagnano

verso

giovani

Luca,

il cascinale.

partecipanti

Un

che

quasi

altro

stavano

intorno al farmacista si precipita da loro, accocon movimenti

Con un lamento

a girare attorno all’alta-

re, come per mantenere la sua forza vitale che la sta abbandonando. Il suo corpo si muove contorto

e spasmodico. Il suo lamento stridulo è in continuo

aumento.

Il suo

girare

intorno

all’altare

diventa frenetico. D’un tratto la donna si lancia

automatici,

completamente

Luca, lentamente gira la sua testa verso di lei,

assente non è in grado di sentire quello che acca-

ma

de attorno a lui.

appare

i suoi

Ad Andrea, alla vista, del suo amico Luca prende

che

invernale

e si

occhi

come

un colpo. Non trova la forza di chiamarlo,

veda

sono

se

stesso;

e desolato

rifugia terrorizzato nel cespuglio come un anima-

tranti

ed ardenti

figura

inafferrabile.

il gruppo

sta per arrivare

attratti

inchiodata

le braccato.

Mentre

colpita

contro il muro della grotta e rimane immobile.

gliendo Luca con eccitazione.

Luca

come



dalla

luna

sulla finestra.

correndo con

in

occhi

cerca

un

paesaggio

da lupo, pene-

di raggiungere

La sua

che

Sembra

angoscia

una

rimane

sulla porta, si fa avanti Jacopo, e con un gesto

sospesa. Nello stesso istante, come un’immagine

ieratico accoglie Luca coprendolo con la pelliccia

sovvrapposta, la madre muovendosi da sonnambu-

di lupo. Il suo intervento energico e severo ammu-

la si avvicina al suo amato figlio; si curva su di

tolisce tutti e li costringe di rimanere fermi, poi

lui e con un gesto che sembra un’ultima carezza

Jacopo con passo solenne introduce Luca all’inter-

lo soffoca.

no del cascinale.

Sull’ingresso vanno

a sedere i

lupi illuminati dalla luna piena, sono molto tran-

stacco

quilli, hanno quasi l’aspetto di sapienti. 49, Fuori, il ritmo della festa improvvisamente si 2 |STAVROS TORNES

interrompe. Tutto rimane immobile e silenzioso.

stacco

Sull’ingresso

del

cascinale

appare

la

figura

37. Jacopo fa entrare Luca in una specie di grot-

della madre di Luca. Non è più quella donna viva

ta illuminata

di prima — sembra una vecchia.

un finestrone.

dalla luce lunare che penetra da Su un letto acconciato

come

un

Con passo incerto si allontana, va sotto un albe-

altare, la madre di Luca è in estatica attesa. La

ro e si siede. Alcuni della sua stirpe si avvici-

madre con una voce commossa e passionale chiama

nano con tremore e si siedono anche loro, crean-

Luca:

do un cerchio ambiguo e distante.

«Luca, figlio mio, vieni. Ti ho tanto aspettato».

bassa

Jacopo,

sul letto,

Jacopo è inquieto. Rimane sulla porta con i lupi.

accanto alla madre si ritira. Esce come un’ombra

Non si muove più niente. La luna riappare da un

dopo aver

fatto

sedere

Luca

voce,

incomincia

un

La signora, a

lamento

funebre.

dal cascinale e rimane in piedi accanto accanto

cielo nuvoloso. Una strana figura di donna arri-

ai lupi. Osserva l’orgia con superiorità e sembra

va sull’aia. Con la rapidità e decisione di uno

in attesa di qualche avvenimento.

che

conosce

Nessuno

l’ambiente

si

reca

alla

porta.

s’accorge di lei. Solo Jacopo ha la cer-

stacco

tezza che questa immagine è reale. Il momento è

48. Nella grotta, la madre da un angolo con il

vorevole.

volto smarrito sta contemplando il corpo nudo e

strana

molto grave: una mossa sbagliata può essere sfa-

immobile contrasto

di suo figlio Luca, poi lentamente con la musica

esaltata

che arriva

Ma può essere anche favorevole.

figura

della

donna

Jacopo

Nella

riconosce

in

Lucia, e senza badare più alla madre di Luca, la

da

fa passare nel cascinale.

fuori, si curva su di lui e con tremore passionale lo bacia e lo copre di carezze. Luca non si muove. Non dà segni di riconoscerla.

stacco

I suoi occhi hanno

una strana luce che esclude il mondo esteriore.

50. Un uccello notturno dà il segno dell’alba. I

La madre, ossessionata, e con angoscia, alza con

lupi

le sue mani la testa di Luca e lo bacia a lungo

inquietudine. C’è un risveglio generale, I musi-

sulla

porta

cominciano

a muoversi

con

cisti, uno dopo l’altro ricominciano a suonare, come in un tentativo di allungare la notte. La madre, concentrando

le ultime sue forze chiede

Andrea, di corsa segue il branco di lupi, chiamando Luca. I lupi salgono

rapidamente

alla sua stirpe di preparare il rito funebre. Ma

viandosi

nessuno si muove per andare a prendere il corpo

primi raggi di sole.

verso

le

su una

montagne

dove

collina,

av

appaiono

i

di Luca. La donna da sola si alza e si reca alla porta.

Con

i lupi prendono

arrivo,

il suo

una

posizione di attacco, mostrano i denti e hanno i La donna, guardando

peli drizzati.

simpatia,

umile rimane

il suo

cerca

Jacopo

Improvvisamente

e duro.

distaccato

Jacopo con

aiuto, ma

un

forte ululato dall’interno del cascinale crea il

TITOLI

DI

CODA:

Vediamo

le immagini

di una

rivolta di animali nello zoo. I guardiani non riescono

a domarla.

Da varie

parti,

giunge

un

mugolare di altri animali che scappano in massa,

dal canile, dalle gabbie, dal mattatoio e invado-

no la città.

panico. Tutti si buttano per terra e nascondono

il volto. Solo la madre rimane in piedi, e confusa fissa la porta. Jacopo fa una mossa involonta-

Dattiloscritto inedito, conservato da Ciriaco Tiso, che

ria per scappare. Tutto è imprevedibile.

ne attribuisce a Charlotte van Gelder la stesura materie una

ale, a seguito di vari incontri a tre, caratterizzati da

gioia che non ha mai avuto. Il suo sguardo rapido capta tutto — il suo respiro è profondo e lungo.

vivaci discussioni tra Tornes e Tiso con rari interventi di Charlotte; sempre secondo Tiso, le scelte definitive di

La madre, con forza primordiale corre come una

questa versione sono da attribuirsi a Tornes, con limi-

furia

nel

cerca

di fermarla.

tate tracce dei suggerimenti di Tiso. Si riproduce il testo rispettandone le particolarità lessicali e correggendo solo gli evidenti errori di ortografia. Nel 1983 Stavros e Charlotte riproporranno il soggetto in Grecia, in una

Sulla

porta

appare

Luca,

cascinale,

con

una

sfuggendo

Da un

angolo

forza

a Jacopo

che

dell’ingresso

toglie una lampada a petrolio accesa e la scaglia contro Jacopo che la segue. sulla pelliccia in

versione di cui si è conservata una stesura molto più breve, pubblicata nell'edizione greca di questo volume.

una posizione di attesa, la guarda con disprezzo.

Vi rimane l’indicazione dei tre autori, il titolo diventa

Per

un

attiro

della grotta.

rimane

congelata

Lucia, distesa

sulla

soglia

La madre si precipita al letto e si butta su Lucia,

L, il protagonista si chiama Loukàs Matoùsis, sua sorel-

cercando

la Loukìa,

di strangolarla.

Lucia resiste con la

delle

fuori

come

mani

due uno

romana

si sposta

a

donne.

La madre,

trascinata

straccio

da Jacopo,

cade nelle

mali di Danilo Treles, nella loro imbalsamazione in

su di lei

Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, il cui protagonista si chiama Loukà.

Jacopo, dopo aver spento il fuoco (con l’aiuto di altri lupi mannari) interviene e pone fine alle

lotta

e l'ambientazione

Kastorià. Nemmeno in Grecia Tornes riuscirà a varare il progetto, di cui però troviamo l’impronta nei quattro lungometraggi realizzati: nel vampirismo di Balamòs, nel fantastico cupo di Karkaloù, nelle mutazioni ani-

stessa violenza.

dei lupi mannari

che piombano

come degli avvoltoi e la spranano.

| RI

Di |LUPI ! MANNA

Charlotte van Gelder e Stavros Tornes durante le riprese di Balamòs, Arcadia, 1982

La fine di un mestiere

Il tuo dono, Nikitaràs, è un cavallo senza coda: o mi mandi anche dell’orzo o ti mando la pellaccia

Tsopanàkos (poeta popolare), 1821 — Nelle antiche canzoni popolari, in quelle medievali, il cavallo è un’entità eterna e umanizzata. — Fedele ed eroico compagno di vita, è legato all’uomo da una coscienza trascendente e metafisica. — I morti lasciano qualcosa nel mondo dei vivi per mezzo della forma ingentilita del cavallo. — Questo legame quasi svanisce nei secoli della dominazione

turca. Ritorna con forza durante la

Rivoluzione del 1821, come simbolo del bisogno di una nuova vita.

— Abbiamo notizia di cavalieri, Thodhorìs Kolokotrònis e Gheòrghios Karaiskàkis, che sottrassero icavalli ai conquistatori, esprimendo la propria volontà individuale e quella della nazione. — Theòfilos ha saputo cogliere meglio di chiunque questo bisogno e lo ha espresso nei suoi dipinti. — Rapida

menzione

della

Resistenza,

i cavalieri

partigiani

dell’accampamento

in Tessaglia

di

Mîmis Tàsos (Boukouvàlas). Ora:

— Uno dei pochi tsabàsidhes (mercanti di animali) che continua a fare questo mestiere è il vecchio Anghelakòpoulos di Nèa Ionîa a Vòlos. Il suo punto di ritrovo è il caffè del «Cretese» che si trova vicino al porto, dietro la stazione fer-

roviaria, incuneato tra officine di fabbri, pescherie, botteghe di sarti, quasi tutte chiuse. Anghelakòpoulos

ci fornisce tutte le informazioni che desideriamo riguardo al suo mestiere, che

non esiste più. Il suono della sua voce assomiglia a quello del curbascio che sferza. Non sa più nem-

meno lui che cosa rappresenta e che cosa sta aspettando.

Sui monti del Pelio ci sono ancora alcuni cavalli, che servono per trasportare merci nei luoghi dove non arriva l’automobile. Trasportano pietre, ferro e cemento per costruire ville.

I pochissimi clienti che gli fanno visita al punto di ritrovo vengono dal Pelio.

Arrivano anche dei contadini tessali per scaricare l’ultimo mulo. All’esterno del caffè alcuni carrettieri

sfaccendati

fanno

mostra

dei loro cavalli,

lo sguardo

di Anghelakòpulos

si rianima

quando passano, ma dalla bocca gli escono soprattutto bestemmie indirizzate al cavallo e all’uomo.

Nel ritrovo appare del tutto magicamente Kiriàkos Vasilìou con due bei cavalli che hanno un nastro rosso legato alla coda; secondo la simbologia del mestiere sono in atto trattative di compravendita.

Kiriakos, faccia appuntita da zingaro, tsabàsis quarantenne, scambia cavalli, compra muli, rivende asini; e se ne frega se sono vecchi o zoppi, perché li pesa e li vende al chilo.

Conclude in fretta l’affare dei due cavalli, offre un caffè, ha la sua opinione sulla vita, ma ora si affretta,

Tìrnavos.

ha otto

figli che adora,

Alla tradizionale

fiera

vuole

vedere

del bestiame

e parlare

di Tìrnavos,

di persona

con

oltre che dalla

Anghelakòpoulos

Tessaglia

a

arrivano

cavalli anche dalla Grecia occidentale, dalla Macedonia, persino dal Peloponneso.

Kiriàkos si muove più di tutti, conclude un grosso affare con Vissarìonas, mitico tsabàsis di Trikàla che i figli hanno portato al mercato per l’aceto. Un armento di cavalli tessali cambia padro-

ne. L’affare sta per essere concluso, si stringono la mano, il biblico vecchio Vissarìonas tiene per le

redini uno stallone dal corpo minuto. Kiriàkos allunga la mano per prenderlo, è compreso nell’accordo. Il vecchio fa resistenza, questo non lo può prendere, questo non lo dà via, perché questo cavallo si

porterà con sé la sua anima. Kiriàkos fa scendere 180 bestie dai camion al porto di Ighumenìtsa, dove il commerciante italiano lo aspetta per il carico.

Progetto inedito per la sceneggiatura di Reportàz ghia èna thessalikò àlogho pou pouliètai stin Itàlia ghia krèas [Reportage su un cavallo di Tessaglia che viene venduto in Italia per la sua carne] (o To tèlos ènos epanghèlmatos [La fine di un mestiere]), documentario di 25-30 minuti proposto da Stavros Tornes all’ERT. La proposta, risalente all’aprile del 1982, viene approvata e il documentario viene realizzato. Secondo il bollettino ERT di controllo tecnico dei film per il cinema, n. 0441, il servizio tecnico della televisione di Stato riceve un film intitolato Fantastikò reportàz ghia èna thessalikò àlogho, con una durata finale di 34’ 49”. Il responsabile del controllo tecnico osserva: «La trasmissione presenta una qualità del suono carente, una gradazione inesatta del nero, un cromatismo scadente. In un’inquadratura entra a un certo punto un fascio luminoso blu acce-

70

so, ingiustificatamente. Non appare sincronizzato in 9’ 30” e in alcuni punti si rileva una cattiva regolazione del suono. INADEGUATO». IL 28 luglio 1982 l’allora presidente della ERT non accoglie la proposta di rifiuto del responsabile del controllo tecnico e scrive di suo pugno: «Passa per ordine del sig. Alevràs». La ERT manda in onda ilfilm. Nonostante le ricerche dei responsabili della Videoteca della Televisione di Stato, ilfilm non è ancora stato trovato. Particolare: grazie all’assegnazione di questo documentario, Tornes ha potuto raccogliere il materiale cinematografico da cui è nato Balamòs, il primo film girato dal regista dopo il ritorno in Grecia.

Aren Bee in Danilo Treles, 1985

Balamoòs (Colui che è in estasi e che vive con le favole)

Non so perché mi trovassi a Vòlos e come mi fosse venuto il desiderio di comprare un cavallo. Avevo un po’ di denaro in tasca, ma credo che la ragione non fosse questa.

Dopo un incontro imprevisto con A — un tale che amava i cavalli, e che, come seppi in seguito, commerciava in animali — mi sembrò che il mio sogno, il mio desiderio, si potesse realizzare.

A voleva che andassimo nella stalla per mostrarmi i cavalli, e, mentre parlavamo, vidi per la prima volta quel suo amico.

Arrivò all’improvviso con un camion immenso, che rombava accanto alle nostre sedie. La sua faccia, ironicamente sorridente, rimase per un attimo sospesa sulle nostre teste. Disse di fretta qualcosa ad A, e poi iniziò a fare delle domande su di me. In quel fracasso non riusci-

vo a sentire nulla.

Poi si allontanò

a gran velocità, rischiando

di trascinarsi la mia sedia, che

riuscii a trattenere per miracolo. Mi lasciò un’impressione inspiegabiles mentre A mi mostrava i suoi cavalli nella stalla, mi disse che il suo amico era un vero e proprio tsabàsis. Dopo aver fatto un giro che mi aveva portato in altre

parti della città, al tramonto tornai alla stalla di A per parlare di prezzi.

Stranamente non c’era più nessuno: né i cavalli né As c’era solo il vecchio con le colombe. Mi feci coraggio e gli chiesi informazioni,

ma il vecchio, con un certo disprezzo, mi rispose che

c’era solo lui, che lì non c’erano né padroni di cavalli, né cavalli: «Qui ci sono solo colombe». Ormai avevo capito che non mi sarebbe stato possibile procurarmi un cavallo, ma il mio desiderio si

era trasformato in attrazione incontrollata Così mi ritrovai in innumerevoli mercati di animali. Dove vidi molti cavalli e molti commercianti, che mi sembravano quasi sempre gli stessi.

Incontrai nuovamente K, esile, rapido nelle trattative con gli altri mercanti, era etereo come un folletto. Vedendomi

mi salutò cordialmente,

ma rimaneva

avvolto in un alone di mistero. «Ancora

senza un cavallo, eh? Se ne vuoi uno buono vieni con me», Non sapevo se seguirlo, non so se lo seguii. So soltanto che lo rividi molte altre volte. Appariva sem-

pre improvvisamente, in posti strani, travestito, e parlava lingue straniere.

Lo vidi di notte mentre dormivo accanto al fuoco, lo vidi in una fumeria abbandonata. Ero entrato in estasi per il fascino dell’avventura, valicando i confini dello spazio e del tempo. Dentro la fumeria non vedevo nulla, solo i piccoli fori per la fuoriuscita del fumo sulla calotta,

che assomigliavano

alla volta celeste stellata. Stavo per uscire, ma quando mi voltai per dare un

ultimo sguardo percepii confusamente alcune figure umane sospese in alto sulla calotta. Poi scorsi chiaramente la faccia luccicante del grassone che avevo visto altre volte con K.

Mi ritrovai su un palco, tra altre persone che per il momento erano soltanto ombre. Udivo un fiume di mormorii e brontolii. Mi sembrò che qualcuno mi chiamasse per nome, ma non era il mio vero nome. Rimasi immobile all’ingresso mentre i miei occhi si abituavano al buio. Alla fine riuscii a distinguere ciò che stava avvenendo sotto 11 palco: la scena sembrava avere un’importanza primordiale.

C’era un tavolo quadrato con tre persone sedute e immobili. Erano vestite di nero, in modo austero, con tonache larghe come quelle dei sacerdoti, e due di loro indossavano anche un cappello.

Non mi sorprese il fatto di riconoscere K tra i tre uomini, bensì il cenno severo con cui mi intimò di ascoltare con attenzione ciò che avrebbero detto. Ascoltavo, ma non capivo, perché mentre mi indi-

cavano i tre parlavano fra di loro in turco: dal tono era chiaro che stavano emettendo una condanna contro di me. Un uomo di dimensioni microscopiche portò una lampada e la lasciò sul tavolo, illuminando così il grande libro che uno dei tre aprì in un punto determinato, per poi cominciare a leggere con voce seria e monotona. Temevo di addormentarmi

e iniziai a guardare attentamente

i due cavalli che si trovavano

alla

destra e alla sinistra del tavolo. Mi rasserenarono. Erano immobili, pazienti, sembravano pronti ad accettare qualsiasi cosa. Improvvisamente il cavallo bianco iniziò a muovere leggermente il capo e a dire alcune frasi. Le parole erano pronunciate lentamente e in un’altra lingua, che però non mi era incomprensibile. I giudici continuavano a parlare tra loro scuotendo affermativamente la testa. Erano concordi, mi

era assolutamente chiaro. Mi fecero segno di avvicinarmi, mi mossi verso il tavolo, la luce della lam‘© A questo punto K mi annunciò il verdetto, continuando a parlare in turco, come se non potesse fare a

pada era accecante.

meno di parlare quella lingua. Completò l’accusa con una frase pronunciata nella lingua degli zingari, e concluse la discussione con una frase in greco. «Secondo la legge gli schiavi non hanno cavalli». Mi avvicinai al cavallo bianco, sperando che mi parlasse ancora. Ma si limitava a muovere nervosamente il muso, come un cavallo normale.

Poi ci guardammo

negli occhi e fu come guardare in uno

specchio magico. All’interno

della densa luminosità della pupilla del suo occhio lampeggiavano

immagini

a onde

alternate. Fui investito da un fiume di ricordi di altri luoghi e di altri tempi. Mi vidi molte volte, mi vidi al lavoro in un campo aperto, accanto ad altri.

Lì, nel campo sterminato del patrizio greco, c'erano Romani, Greci, negri, barbari e alcuni ebrei. Macinavamo il grano. Vidi il patrizio greco, il nostro padrone, in crisi profonda, pronto a partire per Gerusalemme. iS TORNES STAVROS

Vidi l’ufficiale romano ripartire la terra e darne un pezzo a ciascuno con l’obbligo di consegnar-

gli i tre quarti del raccolto. Mi vidi che camminavo da solo, diretto verso 1°0limpo, (vidi) l’incontro a metà strada con lo scheletrito nunzio sacro. Tentai di estorcergli informazioni sui movimenti

di Cristo. Mi rimproverò perché non ero rimasto insieme agli altri. Parlammo di Spartaco.«Spartaco

aveva ucciso il suo cavallo prima della battaglia», dissi, e volevo continuare il mio cammino verso l’Olimpo, ma qualcuno mi chiamò da lontano. Udii il mio nome, era la voce del grande padrone. (Udii) la decisione dei giudici. Gli schiavi non hanno il diritto di avere cavalli. E mentre le immagini pro-

venienti dall’occhio del cavallo continuavano a sommergermi, dissi: «Sì, sono schiavo. Sì, sono scappato perché non ammetto la proprietà privata, la lascio ai padroni, non voglio nulla, sono libero. Sì, adesso me ne vado sull’Olimpo per trovare gli dei». Iniziai a sentirmi bene nei panni dello schiavo fuggitivo.

Ma qualcuno mi afferrò con violenza per le spalle, «Hai iniziato a straparlare», mi disse, e mi spinse verso la porta. Alla luce del tramonto K si trasformò ancora una volta. Era vestito come un uomo

di fatica, e mi trascinò con sé. Aveva fretta. «Sali», mi disse aprendo la porta del grande camion. «Ti

mostrerò io qual è la realtà, e allora vedremo se sei degno di avere un cavallo». Mise in moto e partì; dopo un po’ riprese a parlare. Gli affari non andavano tanto bene quando apparve quell’inglese, «So

tutto di te», mi disse, e mi diede un pacco di fotografie. Mi seguiva da un mese scattandomi fotografie di nascosto. «Ormai ti conosce», mi disse, e mi propose di lavorare con lui. Lui ha trovato il macello

di Lamia e io ho raccolto i cavalli e li ho condotti lì... Mi addormentai. Ogni tanto mi svegliavo e sentivo alcuni frammenti della sua confessione sponta-

nea. La vita di K era ricca di eventi e di storie, il traballio del camion mi aveva intontito e avevo sempre più sonno. Poco dopo non si muoveva più nulla, era tutto buio e sentivo di esser morto: mi sem-

brò che qualcuno me lo dicesse, mi guardai intorno, il caffè dove ero seduto era deserto.

Balamòs (Avtòs pou eksasiàzete, pou zi me ta paramìtha), progetto di sceneggiatura per Balamòs datato 1982. Molti elementi della descrizione sono stati effettivamente utilizzati nella realizzazione finale del film.

73

Stavros Tornes. In basso nei panni di uno schiavo in Balamòs, 1982

KIrIàKoss E con tutte quelle cose che diceva, coincidenza, un giorno con-

tinuava a pregare. Come l’ho accettato io, Dio mio, devi accettarlo

anche tu, e lo mandò — anzi, mandò la ragazza - la mandò alla fontana con la brocca a prendere l’acqua, dove si tolse i braccialetti e l’anello, li lasciò sulla pietra, si lavò le mani, li dimenticò lì. Quando fece ritorno e gli porse l’acqua... Disse: «Non va bene, Chartzì, figliola

mia, quest’acqua non è della fonte, è della vasca...» Su, Kambèri, vai tu a prendere l’acqua buona». Il ragazzo afferrò la brocca, corse... Quando mise la brocca a riempirsi, vide i braccialetti, li riconobbe e

capì che erano di sua sorella, li prese... La ragazza si era ricordata, stava tornando di corsa alla fonte. Il ragazzo veniva e lei andava, con

l’incontro che ci fu — comincia a parlare la ragazza (si sente una canzone dialettale). Parla il ragazzo (si sente un’altra strofa della stessa canzone). E la ragazza ripete e dice (si ripete la prima strofa). Che cosa stai

dicendo, dice, tu sarai il mio dono. Dato che ho trovato i braccialetti, sarò io il tuo dono. Dice bene, noi siamo come fratelli, come si fa? No, dice, non siamo per niente fratelli e ci dobbiamo sposare.

Balamòs è un film

Volevo comprare un cavallo che potesse portarmi là dove un uomo solo non arriva facilmente. Mi sono messo in contatto con dei cavallari, e non ho comprato nessun cavallo. Ma è con questo desiderio in me che ho iniziato il film. Il mercante Kyriàkos mi ha portato in posti dove non è facile trasportare una macchina da presa. Così è nato il personaggio di Balamòs, un uomo sempre in viaggio, sempre in estasi dinnanzi al mondo (Balamòs è un epiteto gergale con cui gli zingari designano una persona «con la testa fra le nuvole»). Balamòs cammina senza una meta, va incontro all’avventura, e immerso nel suo sogno si getta a capofitto in tutte le situazioni che si presentano. Di quando in quando incontra Kyriàkos che, trasformatosi in mago, in mercante di bestiame, in Gran Maestro e in sacerdote caldeo, esercita su tutti un’invincibile attrazione. Cammin facendo, il tempo cessa di essere un limite. Balamòs si ritrova in epoche e situazioni diverse. È accusato da un tribunale medievale, viene fatto schiavo agli albori del cristianesimo, incontra la donna

delle nevi, consulta l'oracolo in riva a un fiume, bacia la mano al Profeta che ha assistito alla crocifissione di Cristo, poi finalmente arriva sull’Olimpo. Balamòs si trasforma in Dracula e succhia il sangue ai cavalli. Poi perde l’incanto che gli conferiva questi poteri magici. Ed eccolo in un taxi, come una persona qualsiasi. Balamòs è un film.

Testo scritto in italiano da Stavros Tornes, pubblicato senza titolo e con la firma dell’autore come scheda del film,

illustrata con la foto della nostra copertina, nel catalogo degli Incontri cinematografici di Salsomaggiore 1983; ne manteniamo tutte le particolarità, inclusa la variante di traslitterazione su Kiriàkos, limitandoci a introdurre su esso e su Balamòs l’accento.

Parole di Kiriàkos Vilanàkis (nella foto), Balamòs, 1982

Stavros Tornes balla zeibèkiko nel mercato di Modiano, Festival di Salonicco, 1987

Magika - Rebètika — Erotika' Canzoni popolari (canzoni amare) per un film di Stavros Tornes di 45-60’

Gli uomini e le loro musiche, gli spazi e le città che sono cambiati per sempre: Costantinopoli,

Smirne, Salonicco, Sira, Atene, Pireo.

Canzoni di: Baghiantèras, Bàtis, Màrkou, Papaioànnou, Tsitsànis ecc. Strumenti musicali: oùti, sàzi, santoùri, armonica (laterna), baghlamàs, bouzoùki. Appunti e commenti alle immagini: Tutta l’Asia Minore, la capitale «Istanbul», tutto il territorio dell’Impero

Ottomano,

che ha preso il posto di quello Bizantino.

Insieme

ai turchi vivono

greci,

armeni, curdi, caucasici, siriani, arabi e altre nazionalità minori. Nonostante l’autonomia lingui-

stica e religiosa (caratteristica multietnica della civiltà orientale), con il passare del tempo (la vita degli uomini) questa vicinanza, questa «mescolanza» hanno come conseguenza un’influenza reci-

proca sulla vita quotidiana, sulla cucina, sulle usanze e sui costumi delle festività e, spesso, la tendenza spontanea a parlare la lingua delle altre nazionalità per comunicare meglio.

Questa usanza, questo modo di vivere, entrano in crisi con il nazionalismo, che nell’Impero Ottomano ha i suoi principali esponenti tra le file del movimento dei Giovani Turchi, agli inizi del secolo. La crisi raggiunge il suo apice con le persecuzioni durante la Prima Guerra Mondiale e si conclude tragicamente con l’eccidio degli armeni, che cercano di opporre resistenza nei loro territori (lago di Bay) e dei

greci, che vengono sradicati in massa dalle loro terre (1922), pagando così, collettivamente, una posizione greca sciovinista e nazionalista a cui sicuramente non aderiscono e che non cercano di imporre. Improvvisamente la popolazione della Grecia aumenta di un terzo. I profughi dell’Asia Minore fanno

raddoppiare la popolazione dei grandi centri, le baraccopoli uniscono Atene e Pireo in una sola città. Nei «sobborghi» si stipano centinaia di migliaia di persone che, in pochi mesi, si trasformano in una

folla di disoccupati, di «proletari» senza fabbriche, visto che le fabbriche sono pochissime. Si susseguono sommosse

e gravi avvenimenti che portano alla caduta della monarchia e alla pro-

clamazione della democrazia presidenziale. Il gran numero di profughi favorisce la nascita di nuove

occupazioni, la vita comincia a riorganizzarsi, l’alta qualità del lavoro e il basso costo dei piccoli laboratori

tessili familiari

(con uno o due telai) attirano

i capitali dei compratori

locali, che

imparano a gestire questa ricchezza come imprenditori.

La vita nei grandi centri cambia volto. I profughi mangiano diversamente, i cibi e la cucina, più ricchi e saporiti, danno vita a una rivoluzione gastronomica. Al vino preferiscono l’oùzo, ogni sera si incontrano con gli amici e con le loro mogli fuori di casa, molti fumano hashish. La musica dei profughi, con il suo fascino orientale, la sua vivacità e la sua ricchezza culturale

‘ scardina, a contatto con la realtà greca, un falso sistema musicale e culturale che consuma operette e canzonette importate -dall’estero. La povera gente del luogo non si riconosce nelle musiche dei ric-

chi, ma condivide quotidianamente il destino dei profughi (i gusti, le privazioni e i controlli della

polizia). In questo contesto sociale nasce, soprattutto nei luoghi riservati ai reietti, nelle prigioni,

nei porti, nei mercati ortofrutticoli, nei mattatoi dove si lavora per 12-14 ore, una nuova lingua intuitiva, chiusa, intimamente diretta, che esclude il borghese, lo sbirro, il piedipiatti. Profughi e gente del posto sono uniti dalla musicalità di una comunicazione autonoma; sono emarginati, ma hanno musica, canzoni e strumenti propri, sono capaci di esprimere gioia, di avere sentimenti, di vivere, si

‘Canzoni di malavita, di emarginazione e d'amore.

contrappongono al perbenismo dei piccoloborghesi e finiscono per essere odiati da preti, poliziotti e

ufficiali. Questo genere di musica è disdegnato dai ricchi e dagli intellettuali. L’accettazione della musica e delle canzoni popolari incomincia dopo la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto dopo la Guerra Civile, quando tutto quel mondo, tutto il contesto sociale che le metteva in relazione con gli avvenimenti nazionali è ormai andato perduto. I nuovi ricchi cercano di appro-

fittare, come dice il poeta «della sua catastrofe».

Piovvero soldi sulle canzoni Piovvero canzoni sui soldi

Le canzoni portarono alla rovina i soldi I soldi portarono alla rovina le canzoni E le macchine di seta dell’amore.

Thomàs Gòrpas

Da quel momento in poi si susseguono immagini e musiche dell’odierna Turchia, dove esiste ancora una

musica

simile

(rivolta dei curdi).

Nei villaggi

dei profughi

turco-cretesi,

nei quartieri

di

Costantinopoli, nei piccoli porti dei pescatori curdi che vivono ancora a contatto con i greci. Chiude su immagini di oggi.

Immagini della quotidianità di alcuni prigionieri si mescolano a immagini delle attività portuali, del mercato ortofrutticolo, dei modesti lavori manuali, degli operai nei mattatoi, dei lavapiatti

arabi, con domestiche, infermiere e donne ovunque, viste come madri, figlie o femministe, ma sempre come donne da amare e capaci di amare. L’immagine della donna, tenuta lontana dalla notte, dal filo spinato, dalle guardie, emerge dal buio silenziosa come una visione, supera le mura e resta con i pri-

gionieri che vegliano nell’oscurità fumando sigarette. Personaggi e ambiente entrano in un’altra dimensione. Un gobbo comincia a suonare il suo baglamàs fatto a mano. Una voce, con un bordone da salmodia, scuote con colpi deflagranti il corpo di un dete-

nuto che danza lentamente, compiendo dei movimenti verso l’alto che ricordano un uccello in volo. La deflagrazione diffusa del momento investe tutti come la luce. Testimonia che l’uomo povero e perseguitato rimane il solo libero e capace di poesia.

Progetto inedito, datato 22 febbraio 1982, scritto in vista di una coproduzione con la Televisione tedesca da proporre all’ERT.

La vitalità dell’effimero

1. Krà... Tròi o Ghiànnis tò theriò kai tò theriò

10. Per le strade sporadici passanti. Il mercato è

to Ghiànni (Cra cra... Chi la fa l’aspetti)

finito, soltanto

(Trìkala-Kalabàka-Meteore); colore, 30°

pastore nomade contempla le Meteore. Le cornac-

il vecchio

con il mantello

da

chie fanno ritorno ai nidi. Scaletta

11. Al momento

del crepuscolo,

in alto

sulla

montagna si distingue una piccola luce, come una

1. Notte. Alla luce di una lampada, mani di donna

lucciola

raccolgono dai nidi uova di galline, anatre, oche.

fuoco che fuoriesce da un buco. Il goffo uccello,

E le collocano con cura in ceste foderate di paglia.

attirato, si avvicina. Si libra nell’aria e, con

2. La luce all’interno

un volo estasiato,

stelle

cadenti

di un uovo

ultraviolette

assomiglia

che

a

permettono

che

cresce

pian

piano.

È un

cade nel fuoco.

grande

Il fuoco

si

spegne.

appena di indovinare il guscio.

3. Alle prime luci dell’alba, le cornacchie iniziano a volare sopra la città, gracchiando.

2. Pandoksîo «Tà trìa arapàckia» (Locanda «I tre

3. Le donne della Tessaglia vestite di nero rag-

negretti»)

giungono con i propri prodotti le strade che por-

(Ksaànthi)s colore, 50°

tano al mercato. 5. Un vecchio, imbacuccato

nel suo mantello

da

Scaletta

pastore nomade, prende parte alla scena, goden-

dosi dal suo angolo

delle donne

1. Nel vecchio mercato di Ksànthi, un commercian-

i propri posti. È l’unica presenza

te cerca di negozio in negozio, sceglie e interroga

maschile. Nel suo sguardo si alternano puerilità

venditori e artigiani sulla merce in qualche modo

e saggezza.

legata al folclore locale (sezione documentaria).

che occupano

l’andirivieni

6. La cicogna cattura il serpentello

nello sta-

gno. Si leva in volo.

e, sugli scaffali, piccoli oggetti dimenticati dal

7.I1l sorgere del sole infuocato.

8. Un uovo gigantesco

dal

lago.

uccello

2. Inuna piccola bottega che sembra uscita da un

libro di favole, il commerciante scopre erbe rare affiora

Si schiude.

Compare

(preistorico).

inaspettatamente

enorme

L’uccello,

e goffo

inizialmente

tempo che trova interessanti. Durante le trattative la proprietaria appare distaccata e indif-

ferente

e non nasconde

il suo scarso

interesse

con piccoli voli malfermi, riesce a sollevarsi,

nei confronti del cliente straniero.

lasciandosi alle spalle le acque del lago. Il suo

3. Di

volo

ristorante del centro; attorno a lui gli avvento-

ha una

destinazione

costante.

Le magiche

le acque

del

tardi

il commerciante

cena

in un

ri sembrano buongustai.

montagne della Tessaglia. 9. Laddove

sera

lago

si sono

ritirate,

È. Nella camera di un albergo moderno, il com-

altre uova si schiudono e nascono animali, far-

merciante

falle, uomini,

gli

effettuare sulla base dei campioni raccolti, ma

del mercato

il saliscendi dell’ascensore comincia a distrar-

animali

in continua

e il pollame

alternanza

che le donne

con

fa i conti

dopo,

oltre

degli

acquisti

all’ascensore,

che

tengono in mano. Ieratica offerta della religio-

lo. Poco

ne più segreta: il viaggio dell’uccello alla volta

rumori

della montagna magica, un viaggio che con tinua.

risate sguaiate dalle camere adiacenti.

di passi che corrono

deve

si sentono

per il corridoio

e

Innervosito,

alza

la

cornetta

del

telefono.

lustrascarpe.

Apre la portafinestra, in terrazza giungono voci

eterno, a meno che...

di ubriachi,

La maga si interrompe, non vede nient’altro. Il

sul

muro

di fronte

ombre che si inseguono.

vede

le loro

Il commerciante

racco-

mercante

Il negretto dovrà restare così in

orientale

nel sogno ridiventa

ciò che

era prima.

glie le proprie cose e se ne va. 5. Chiede una stanza in un albergo situato in un

12.11 commerciante, disperato, fa ritorno all’al-

luogo meno frequentato. L’albergatore è pronto a

berghetto, i due tipi che avevano amichevolmente

congedarlo

interceduto

con qualche

scusa, ma intervengono

due individui che siedono nella hall e convincono l’albergatore

a dare

la camera

al commer-

in suo favore

con

l’albergatore

lo

invitano a una rappresentazione del teatro delle

ombre, il cortile è pieno di gente. Il burattinaio

ciante;s poi i due uomini gentili invitano il com-

mette

merciante a bere qualcosa assieme a loro.

negretto trasformato in statua di legno.

in scena

uno

spettacolo

storia

13. Il commerciante

essersi

voce del burattinaio è quella dell’albergatore.

la buona-

Balza in piedi e grida: «Che cosa hai fatto al mio

due,

l’albergatore

sembra

Gi amici gli augurano

con terrore

del

6. Il tempo passa con le strane storie raccontate

dei

scopre

sulla

da uno

addormentato.

che la

notte e il commerciante attraversa vari corridoi

negretto, mascalzone?».

prima di trovare la propria stanza.

In preda alla collera, il burattinaio-alberga-

Inaspettatamente,

si imbatte in un negretto di

tore

gli risponde

che farà

meglio

a vedere

la

legno che gli sorride.

fine della storia.

7. Entra nella sua stanza, si butta sul letto e si

1%. Vediamo Karagiòzis in scena che, trasforma-

addormenta

tosi in una bella ragazza bianca, si innamora del

quasi subito, mentre il negretto lo

negretto

veglia da un angolo. 8. Il protagonista

9 |STAVROS TORNES

cristallo, l’albergatore lo ha trasformato in un

Nessuno risponde.

sogna

di essere

un mercante

e lo libera

Improvvisamente

dall’involucro

il negretto

di legno.

liberato

scompare

orientale e di arrivare con la propria carovana

dal sipario. «Voglio il mio negretto, dov’è fini-

al mercato di Ksànthi.

to?», grida il commerciante. «Sono qui», risponde

Accanto a lui, nel variopinto baldacchino

tra-

il negretto dall’angolo dove si è addormentato.

sportato da due cavalli, c’è un piccolo negretto

15. Il commerciante si muove per raggiungere il

sorridente che gli fa fresco con un ventaglio di

negrettos interviene l’albergatore.

piume di struzzo, senza mai stancarsi.

16. Il commerciante

9. Nello spazio vuoto dove ha luogo il mercato, le

sudore, si alza dal letto, apre la porta e si trova

persone al suo seguito piantano una tenda impo-

faccia a faccia

nente,

vassoio un caffè fumante e gli sorride.

al cui

sdraiato

interno

il mercante

su ricchi cuscini,

orientale,

assapora

si sveglia

in un bagno

con il negretto,

di

che porta sul

fantasti-

cando il suo narghilè, mentre il negretto gli si

addormenta ai piedi (fondu-enchaîné).

3. Platîa Ippodhamîas (Piazza Ippodhamìas) .

10. a) L’affollato mercato del sabato di Ksànthi in tutta

la sua

maestosità

(sezione

documenta-

Scaletta

ria). b) Mangiafuoco, acrobati su corde tese e lottato-

1. Sezione documentaria sul mercato. Atmosfera

ri conferiscono

domenicale

alla

scena

un’atmosfera

che

del

Porto

e dei quartieri

Pèrama,

evoca mille favole insieme.

Abelàkia,

c) Il negretto, che ha l’obbligo di sbrigare una

poveri scendono a comperare camicie, pantaloni,

piccola

calze... E a curiosare gratis.

mentre

commissione contempla

per

il padrone,

si perde

il grande bazar. Tutto soddi-

Dhrapetsòna,

Piazza

Ippodhamìas.

I

2. Un vecchio burattinaio del teatro delle ombre

sfatto «sogna», mangia dolciumi, beve tè e infine

che

si addormenta in un angolo.

riparando un negretto.

vende

marionette

di legno

al mercato

sta

d) Il mercato inizia a essere smontato, il mer-

3. Un giovane ragazzo di colore, che lavora come

cante orientale dà ordine alla sua guardia arma-

portuale

ta di trovare il negretto e di riportarglielo, il

uccelli

e dei

tempo passa, inizia a cercare anche lui.

ragazzo

di colore comincia

11. Nessuno

Il giovane

improvvisamente

ad

vendeva

le

mercianti lo accolgono con cordialità mista ad

erbe) vede un negretto di legno nella sua sfera di

ammirazione, insistono perché tocchi i loro ani-

(la donna

abbia

alla vista degli

gabbie.

assomigliare a .ùn re di un Paese esotico, i com-

maga

fine

nelle

il

una

che

conigli

fatto

negretto,

sa dirgli

a Pèrama, è sorpreso

che

mali. Un ragazzo gli regala una gabbia piena di

6. Uno stormo di uccelli passa davanti agli occhi

uccelli variopinti, mettendogliela in mano.

del vecchio

l. Il giovane ragazzo di colore resta stupefatto

negretto di legno mentre il mercato si è svuotato.

alla vista di una statua «di legno» di una donna

‘7. Il giovane ragazzo

nella vetrina di un rigattiere.

ciato alla figura femminile di legno (polena), e

5.Inunangolo della stazione della metropolita-

il

na del Pireo

Abelakìa

il giovane

ragazzo

di colore si è

addormentato per la stanchezza. Immagina che la statua

di

legno

della

donna

sia

il

caicco

burattinaio,

che

rimasto

a riparare il

di colore viaggia abbrac-

percorre

l’itinerario

Pèrama-

diventa una nave che viaggia in mare

aperto.

totem

dell’Oceano che lo condurrà lontano.

5. (a) Dalla gabbia che ha ricevuto in dono escono come per incanto decine, centinaia di uccel-

lini, che invadono con i loro battiti d’ali la stazione della metropolitana.

Di questa versione integrale in tre parti, presentata all’ERT con il titolo I zodània tou efimeroù [La vitalità dell’effimero] è stata realizzata solo l’ultima parte, Platìàa Ippodhamìas.

CO |DELL’EFFI VITALITÀ LA

Sul set di Platàa Ippodhamìas, 198

CAPOMASTRO: Una chiave ventidue. Dammi il martello! (bestemmia) Dunque, dove eravamo rimasti? Ah, sì, Simonìdhis? Sembra che quel bel tipo avesse combinato qualche guaio nei monasteri del Monte Athos. Allora molla tutto e se ne va ad Atene. Era l’epoca in cui lo Stato greco era appena nato e aveva bisogno di un mito, di un’idea su cui reg-

gersis arriva e mostra dei manoscritti che aveva prodotto lui stesso: stava alzato a scrivere tutta la notte, era un tipo incredibile. Mostra dunque dei manoscritti e dice che la fotografia l’hanno scoperta i

greci nel 1450 e non gli europei ora. Per l’esattezza, un certo Pansèlinos, pittore del 1450, aveva scoperto per primo il sistema fotografico, l’«eliotipia». Prima di essere scoperto, Simonidis era il personaggio del momento. Ogni sera ricevimenti, smoking, viaggi... era

tremendo, incredibile. A un certo punto scoprono la truffa e lui dove va? In Europa, a Berlino per la precisione, e comincia a mettere su un

nuovo racconto, secondo cui aveva trovato dei manoscritti e aveva fatto luce sulla misteriosa questione della Marina a Bisanzio. Io che

li ho trovati so come stanno le cose. Dopo neanche sei mesi anche quella truffa viene scopertas molla tutto e se ne va a Londra, ma un giorno

lo scovano anche là; poi se ne va in Medio Oriente, ad Alessandria. Lì ha messo su la storia sugli episcopati della Chiesa ed è arrivato addi-

rittura a rivendicare l’Arcivescovado dell’Abissinia...

|

Karkaloù

Karkaloù è un film di finzione sulla finzione. Qualcuno, un nessuno, un uomo maturo comunque... Il

presente dell’uomo è estremamente limitato. Quanto al futuro ne è escluso, e il suo passato non è che una raccolta di teneri ricordi. Senza amarezza cerca di giocare la sua ultima carta. Una carta che forse non esiste, ma che offre qualche speranza per chi la gioca. Introduce un giovane nel suo gioco. Si instaura un clima di dissimulazione. La loro relazione reciproca si basa sull’arte della simulazione. Il giovane, un tassista, entra nel gioco senza riserve e riesce a dar vita a una folla di scene che provengono dal passato dell’altro. Si identifica così con le situazioni e con gli individui che vi svolgono una parte e, in questa maniera, perde la capacità di giocare. È la fine del gioco, che finisce per essere limitato come il presente del nostro eroe.

Testo italiano di Stavros Tornes, pubblicato a firma dell’autore come scheda, illustrata con la stessa foto di questa pagina, nel catalogo del Salso Film&TV Festival 1985; ci si è limitati qui a introdurre l’accento sul titolo.

Karkaloù, 1984 A lato: Parole di Dhèìmos Thèos In alto: Stélios Anastasiàdhis

— Credi

troppo!

Devi sapere

in cosa

credere,

altrimenti

sei solo uno

sciocco. Ti parlerò di una persona: Danilo Treles. Ti parlerò della sua verità profonda. (Vai, vai piccolina, non sono cose per te). - È pericoloso. I suoi desideri sono folli. Il mondo non ha mai visto niente di

simile, con la sua voglia di catastrofe consuma un albero al giorno, le sue labbra tremende si attaccano al tronco e non lasciano neppure una goccia di linfa. Neppure nelle radici. Ne ingoia a migliaia spostandosi da un luogo all’altro. Stupendi alberi vigorosi o teneri e pieni di promesse. Ho visto con i miei occhi lo strano pallore, l’essiccamento improvviso e lo spirito che se

ne va. È sempre insoddisfatto. Si adira con la notte che lo obbliga a fermarsi. E una creatura cui ti devi opporre, se ne hai la forza, altrimenti è meglio se ti nascondi.

— Non è vero. So che è un musicista, è il più grande musicista di tutti i tempi. È il sole che sorge. E io lo troverò! — Vai! Ma ogni volta che vedrai un tronco morto sappi che qualcuno ne ha suc-

chiato la linfa.

Danilo Treles

Dov'è Danilo Treles? Perché lo cercano sui monti dell'Epiro? Perché Francesco e Pupo usano il Gallo per intrappolare l’Uomo-Volpe? Che rapporto c’è tra lo sciamano africano Deedee e i Misteri Eleusini? Cosa spera Bee, il bluesman inglese che cerca di trovare la magica musica andalusa di Danilo Treles? Sotirìa era davvero l'amante di Danilo Treles? Perché il biologo Frangois studia l’Uomo-Volpe? Chi è dunque Danilo Treles? Nota di presentazione dell'autore, 1986.

al i x Danilo Treles, 1985 indovina A lato: Dialogo tra Stélios Anastasiàdhis-Uomo-Volpe e Sotiria LeonàrdhouIn basso Deedee M’Fadoul e Sotirìa Leonàrdhou

Voglio continuare a fare film

Dove è Danilo Treles? Il luogo in cui si trova potrebbe anche essere un pretesto. È importante la ricerca. Può sembrare poco serio che siano in così tanti a cercarlo, e infatti diventa una buona occasione per ridere. Va contro ogni genere di immobilità, contro la tendenza a rimanere freddi. La seconda parte del nome, Treles, è in qualche modo collegato alla follia (in greco: «trèla»)? L’interpretazione è legittima. È sicuramente una possibile risposta, perché il film ha determinate caratteristiche, una serie di idee guida, anche se non amo parlarne in questi termini. Una di queste idee, ad esempio, riguarda le sette-otto lingue parlate nel film. C'è un riferimento al mito della Torre di Babele e il cognome Treles richiama foneticamente la parola greca «trèla», qualcosa di folle; l’ecolalia rimanda al mito della Torre di Babele, in cui gli uomini non potevano comunicare perché ognuno parlava una lingua diversa. Ma non mi interessa scrivere un saggio sulle lingue, e mi limito a dire che questo film ha contribuito a formare dentro di me la convinzione che, prima di Babilonia, la lingua fosse una sola, univer-

sale. La convinzione che prende forma durante le riprese del film si deduce dal costruzione umana, la non comunicazione è opera dell’uomo. Ne aveva bisogno tà, di cui fa parte anche la lingua. Anche la non comunicazione — se si arrivasse poveri noi; non ci sarebbe più amore, non ci sarebbe più nulla — comporta uno prezzo: incontrare l’altro, imparare la sua lingua. È uno sforzo che stanca...

mito: le lingue sono una per trovare la sua identidavvero a questo punto, sforzo che si paga a caro

Nei suoi film stupisce la distanza, per lo meno apparente, dal modo di vivere contemporaneo, riscontrabile negli elementi caratteristici delle sue opere e in quelli comuni. Non ci sono città, macchine, accessori moderni. Si trat-

ta quasi di paesaggi lunari, di montagna, di un tuffo nella natura. Come può una persona che vive in città uscirne nei suoi film e nelle sue riflessioni? Nel cinema è fondamentale la creazione di una realtà, necessaria per convincere e di cui è indispensabile convincersi. Non si tratta soltanto di una proposta sociale, storica o politica, è anche la dichiarazione del bisogno di costruire un ambiente diverso. Il cinema è un lavoro sul tempo. Ma ogni tempo richiede un suo spazio specifico. Si potrebbe obiettare che lo spazio è costituito dalle città in cui vivono gli uomini. E infatti è proprio questo il problema dei nostri tempi.

Ma lei non affronta direttamente questo problema come altri registi di film che ritraggono la strada, in cui le scene della natura sono un'alternativa, una via di fuga... Nei film a cui si riferisce l'elemento nostalgico è molto forte. Nel mio caso non è così: la nostalgia è stata rimossa, è scomparsa. Non c'è.

Forse questo viaggio non è soltanto una ricerca, ma anche una fuga... Non direi. Forse non è neppure un viaggio, è un girovagare in un luogo determinato, che in quel momento, però, assume una consistenza. E non parlo di consistenza per caso: c'è, perché esiste davvero

Stelios Anastasiàdhis con la maschera dell’Uomo-Volpe in Danilo Treles, 1985

accanto a noi. I condizionamenti ci hanno portato ad accettare l’ambiente che abbiamo costruito, in cui viviamo, di cui siamo prigionieri. Basta poco per ritrovarsi in questo spazio dell'immaginario, e basta pensare al territorio greco, incredibilmente ricco ed esteso in rapporto alla popolazione greca: è una realtà, non un sogno. In Danilo Treles l’ambiente non ha una funzione mondana come, ad esempio, in Balamòs. Ha prima di tutto una funzione decorativa, è una scenografia, per nulla monotona: si può fare una ripresa qui e andare in Epiro per quella successiva. Abbiamo lavorato con tenacia, non abbiamo girato tutto il film in una stretta vallata di montagna, abbiamo approfittato della varietà dei paesaggi naturali.

Nel film si muovono molti personaggi diversi. Qual è il ruolo, personale e collettivo, di ognuno di loro, dall’Uomo-Volpe al Galletto? Che significato ha l’uovo? L’uovo è una trovata. Quando siamo arrivati sul luogo delle riprese l’idea dell’uovo non c’era ancora. Se fosse stata prevista sarei stato pronto per girare una scena cosmogonia: ho già pronta un’intera sceneggiatura con una cosmogonia e un uovo, ma quella volta abbiamo semplicemente trovato un uovo abbandonato in campagna. Da quel momento è diventato tutto molto semplice. Tra i nostri amici c’era il sudanese Deedee con la sua diversa civiltà, vicina a una cosmogonia, con il suo mondo primitivo, se mi sì passa il termine tecnocratico. Al di là delle definizioni Deedee rappresenta una civiltà stupefacente, che è cellula, corpo, carne, e si esprime di conseguenza. Per questo la sequenza dell’uovo rappresenta per me una delle scene più macabre e più concrete del film.

Si |STAVROS TORNES

La scena ha provocato molte reazioni nel pubblico... Credo dipendano anche da una componente in qualche modo razzista. Parlo di razzismo in un senso preciso: non credo che in Grecia le persone di colore siano un problema, non in maniera esplicita, almeno. C’è una forma di razzismo che consiste nel non accettare un’altra cultura, una civiltà diversa. Ma la colpa delle reazioni è soprattutto mia, perché la scena ha tempi lunghi, dura molto, anche se questi tempi dilatati hanno una funzione. Che diritto ho di intervenire mentre l’altro prende coscienza del suo rapporto con l’uovo? In quel momento è in atto un vero e proprio gioco cosmogonico. Il rapporto di Deedee con l’uovo ha la precedenza su tutto il resto. La durata della scena è quella perché la cerimonia non permette alcun intervento, non si può abbreviare o velocizzare: ha un significato molto lontano dalle costrizioni fasciste che impongono il modo di costruire una sequenza. È una scena del mio film, ovviamente, ma è anche una performance, la rappresentazione di un mondo primordiale che ancora nasconde la forza dell’estasi, capace di entrare dentro di te e mostrarti il mito dell’origine della vita, della sua provenienza. Se si interviene il miracolo svanisce, perché è fragile, non resiste, non sa niente di cineprese. O lo rispetti perché è un uovo ed è primordiale o niente. Per razzismo intendo questo, non voglio affrontare discussioni ideologiche, ma credo nella disposizione ad accettare, a riconoscere e a comunicare con altre civiltà. Anche noi rappresentiamo una cul-

tura: la cultura occidentale. Ma non ha nessun significato se si crede che le civiltà siano terreni recintati, che una civiltà possa esistere e un’altra no. Dal punto di vista ideologico esistono diverse civiltà, che si influenzano reciprocamente. E gli altri personaggi del film? Si tratta di un processo, come nel caso dell’uovo. Nel film ci sono presenze culturali diverse, che insieme - italiani, francesi e tutti gli altri — formano «la gente». E sono questi e non altri perché erano alla mia portata: sono i miei amici le persone con cui posso collaborare. Danno vita a una specie di prova generale del mondo che rappresentano, ma non si tratta di un metro di giudizio per il mondo odierno, perché Francesco e Pupo non sono per forza i rappresentanti della nostra civiltà, perlomeno nella loro dimensione quotidiana: acquistano valore in una dimensione di performance, davanti alla cinepresa, perché le diverse lingue che si intrecciano danno vita a una rappresentazione. L’inglese, ad esempio, che è un bambino, un cantante rock ma anche un cantante di strada, cioè un trovatore medievale dei nostri tempi che

vive di musica, quando è davanti alla cinepresa con la sua cultura, quando recita, può evocare persino Shakespeare. Non è certo un attore shakespeariano di teatro, ma l’insieme di ciò che porta con sé, i miti, la lingua, ciò che rappresenta, fanno sì che assuma ai nostri occhi una dimensione shakespeariana. Lo stesso accade anche con gli italiani, che in questa rappresentazione hànno dei punti di contatto con la Commedia dell'Arte. Quindi la lingua e la rappresentazione permettono%ai personaggi di diventare rappresentativi della propria cultura.

L’Uomo-Volpe rappresenta uno degli anelli di questa catena di culture intrecciate... Parte tutto da una mia idea, che a sua volta deriva da Esopo, probabilmente. L’Uomo-Volpe è un animale che ammiro molto, perché riesce a sopravvivere grazie alla sua furbizia. La volpe parla tutte le lingue, anche se qualche volta le va male e diventa pelliccia. L’Uomo-Volpe esprime senza dubbio lo spirito del popolo greco. E rispetto alla produzione, all’organizzazione del film e al clima che si è creato durante le riprese? In Balamòs, che è un film prodigioso per la singolare forza con cui si è imposto per venire alla luce, eravamo in pochi, e questo ha influenzato le riprese. In Danilo la gioia di comunicare di chi ci ha lavorato è triplicata, perché a un certo punto eravamo veramente tanti. I problemi non sono mancati, ma più di convivenza che di produzione, perché abbiamo vissuto insieme per dieci giorni. I personaggi erano molti, e in certi momenti ci trovavamo tutti sulla scena come capita soltanto nelle grandi produzioni: viste le dimensioni del film, che era una produzione povera, è stato un evento eccezionale. Siamo stati tutti molto bene, durante le riprese c'era un clima diffuso di buonumore, anche se a dire il vero, in alcune parti del film il clima allegro si è un po’ attenuato. C'era stato un incidente.

Quando è accaduto? Verso la fine. Ma dal film non si riesce a capire, perché le cose si mescolano. L’incidente ci ha messo in crisi. Ha messo in crisi anche ilfilm?

È un punto interrogativo... Forse l’eco dell'incidente sfiora anche ilfilm. Ma abbiamo fatto tutto fino in fondo. Ne abbiamo risentito perché il nostro gruppo era molto aperto, scherzavamo, giocavamo ed eravamo pieni di buon umore. Ci sono strani momenti di freddezza che però non influenzano l’insieme, perché la prima fase era una vera e propria orgia di improvvisazione, con incredibili occasioni di allegria. Avete improvvisato? Certo, soprattutto nella prima parte. Il copione c’era ed era anche molto preciso, ma durante le riprese spariva...

Si VOGLIO FILM AFARE CONTINUA

C'erano un percorso, un'evoluzione? C'è una sequenza in cui entrano in scena l’inglese e l’Uomo-Volpe, e passando davanti a una laguna che ricorda ?hernobyl l'inglese dice «Tzatzìki», l’Uomo-Volpe risponde «Sì, sì, ma non qui». Ci sono battute una dietro l’altra. E poi ci sono i bagni di fango: tutto è allegro e giocoso e si sente, casualmente, una canzone che dice: «You talk too much» che significa «Parli troppo»... Che rapporto ha con Godard, ad esempio? Non mi emoziona molto come regista. M’interessa intellettualmente. Chi ha influito davvero su di lei? Ho i miei amori, ma non significa che io non stimi Godard. Lo stimo profondamente, ma amo soltanto alcuni dei suoi film. La sua è una strada cinematografica diversa, una strada importante; Godard è un viale centrale, ma nel cinema mi emozionano altre cose. Posso fare alcuni nomi: Fellini, Bufiuel, Murnau

[...] Ho conosciuto Jarmusch di persona, conosco i film che ha fatto, ho visto anche il suo secondo film, Stranger Than Paradise, nella sua prima versione di 45-50 minuti, quando girava in lungo e in largo cercando di trovare i soldi per finirlo. Conoscevo il film, e ne ho parlato ovunque in Grecia.

Dicono che Jarmusch rappresenti una ventata di aria fresca...

È sicuramente cinema. Non è un po’ troppo americano? È veramente americano, ma nel senso della ricerca di un nuovo mito, non della ripetizione di un cliché.

Come Wim Wenders, che andava alla ricerca del classico sogno americano... Quello che in Wenders è appiattimento, in Jarmush è apertura. Indubbiamente è un cineasta di grande interesse, come sua moglie, Sara Driver, anche lei regista. Comunque, senza voler fare una critica e pur riconoscendo che si tratta di vero cinema, devo ammettere che ho una specie di blocco nei confronti

degli americani, Jarmusch compreso. Riguarda la possibilità estatica, che è la nostra prerogativa culturale, e che nel caso degli americani non può funzionare: il racconto è lineare, deve iniziare da un punto e finire in un altro, non può uscire dai binari. I personaggi non possono cadere in estasi se non da ubriachi. Non vuol essere una critica: l'estasi come funzione spirituale non esiste nel cinema americano, tranne che in pochi maestri. Ma vale anche per Wenders, che è europeo. Risulta chiaro in Paris-Texas, girato in America: è una storia con un inizio e una fine, non si va oltre il film narrativo. Il racconto ha molti elementi che definiscono il mondo in modo deterministico, non c'è verso di sottrarsi agli schemi. I registi che vanno a fare film in America vengono assimilati? Va di moda [...). Ma c'è anche un altro elemento: il cinema appiattito lavora sul remake, sulla commemorazione. Ha un atteggiamento necrofilo nei confronti del corpo del cinema e non crea qualcosa di proprio. È evidente negli americani, ma non è una loro prerogativa, visto che anche in Wenders si può riscontrare la stessa caratteristica: rimasticano quello che hanno già detto altri, con continui rinvii, ad esempio al film giallo e così via. Un cinema diverso, come quello di Fassbinder, ad esempio, ha una grande forza, una tensione, una tendenza a dare forma, a mostrare o ad avvicinare il bisogno del nuovo mito, sempre in relazione al mito del cinema del passato, non con uno sguardo critico. Non si fa un film con determinate caratteristiche dicendo chiaramente: «Non m'interessa il cinema del passato». Non si può ignorare, ognuno deve cercare di articolare l’eredità del passato... E pur ammirando Bufiuel, ad esempio, non lo si cita per dire quanto è bello. Si vede un suo film e si è presi dal panico perché sembra che sia già stato detto tutto. Ma in realtà sono state dette le cose di Bufiuel, non le tue, ha trovato una sua articolazione il mondo di Bufiuel, non il tuo. Per questo ognuno deve

assolutamente trovare il suo modo per comunicare, per parlare, per esprimersi o per imparare a esprimersi,

che è un modo di porsi molto diverso dalla rivisitazione del cinema di qualcun altro, per quanto bello. li STAVROS TORNES

Ma ci sono modelli di partenza, che poi vengono plasmati... I modelli ci sono perché siamo il risultato di un determinato passato, non abbiamo scoperto noi il cinema. E per le generazioni successive alla sua nascita il cinema è cultura: siamo figli della cultura cinematografica. Ma tutta l'umanità ha aperto gli occhi, perché il cinema c'è da un secolo, e grazie al cinema e alle immagini sono cambiati la dimensione dello sguardo e il cervello dell’uomo. Esiste la possibilità di stupire, di dire qualcosa di nuovo? Non c’è niente di scontato, non si può escludere qualcosa a priori. Ma non puoi stupire con un remake, ripercorrendo qualcosa che è già stato fatto. Bisogna passare attraverso il bisogno, un bisogno sostanziale di esprimere la realtà, l'immaginario, il mondo nella sua interezza e i desideri. Più concretamente, si tratta di capire che cosa desidera l’essere umano da un punto di vista ontologico. Che posto occupa Stavros Tornes nel cinema greco? Voglio continuare a fare film. È l’unica cosa davvero importante. Voglio continuare per quanto posso.

Nient'altro. È un mio bisogno. Ha comunque un suo stile... Ma non è il caso di mitizzare. Lotto per il mito, che non ha niente a che vedere con la mitizzazione, e non voglio fraintendimenti, nel cinema che faccio e che voglio fare una cosa non ha niente a che vedere con l’altra. Non si vuole ripetere... La risposta è nel mio film [Danilo Treles]). Credo che non esista trappola peggiore dell’identificazione in un unico tipo di cinema, in una scuola: è la fine, la morte. Solo se il cinema rimane vivo dentro di te puoi continuare, altrimenti rimani intrappolato negli schemi che rappresenti. Io non rappresento nulla in generale, rappresento di volta in volta qualcosa di preciso e concreto. &

Quindi la sua opera non è connotata nettamente... Karkaloù è una cosa, Danilo un’altra. Si può obiettare, come ha fatto [Grigoris] Grigoriou quando mi ha intervistato: «Se uno vede un tuo film non può non capire che è tuo». Ma c'è un motivo: questi film sono costati da uno a tre milioni. Non voglio fare il marxista, ma il budget fa assomigliare anche cose molto diverse. Al di là di questo deve riconoscere che Balamòs è una cosa e Karkaloù tutt'altra... Parlando di soldi, che cosa farebbe se le venisse data la possibilità di lavorare con molti milioni?

Sicuramente prenderei l’occasione al volo. Ma non sarei disposto a pagare alcun prezzo. In che senso «prezzo»? La possibilità di buttare via il film che hai fatto se non è venuto come avresti voluto. Quando ci sono in gioco molti soldi ci si muove in un'atmosfera di terrore: chi ti dà i soldi ha paura di perderli. Io non voglio avere questa paura. So di chiedere molto ma non si può fare altrimenti. E i soldi non li puoi certo procurare con una pistola...

Quindi il basso costo non è una scelta. Il basso costo è una soluzione per riuscire a fare cinema. Si può fare cinema anche soltanto con la terra, se non c’è altro modo, ma si deve riuscire a farlo. Una volta ho detto: «Abbiamo da mangiare? Allora il film può continuare. Non abbiamo più da mangiare? non si può più andare avanti» [...]. Cosa ha da dire ai giovani che cominciano a occuparsi di cinema? Buttatevi senza paura! È una follia, una splendida follia. Il cinema è pieno di promesse, ma bisogna lavorare! La presenza dei giovani mi mette di buonumore, in questo momento la loro partecipazione alle riprese è il mio cibo, come per un vampiro. All’inizio poteva sembrava che non prendessero la faccenda troppo sul serio, perché si dice che i giovani non abbiano niente da fare, ma, indipendentemente dal motivo, è molto importante che entrino nell'ambiente del cinema. Da parte dei registi e dell’establishment c’è però un certo snobismo... Se li devi affrontare, se nel momento in cui ti sforzi ti mettono i bastoni tra le ruote, lotterai...

Bisogna essere ostinati, quindi... Bisogna essere disposti a fare il cameriere, l’operaio, ad accettare qualunque lavoro. Il cinema è questo. Per me è molto importante che i giovani si avvicinino all'ambiente cinematografico, perché rappresenta quello che gli italiani chiamano «formazione mentale»: l’esperienza dà conoscenza, non in senso scolastico, per carità, le scuole devono sparire...

Che cosa pensa delle scuole filosofiche? Bisogna lavorare, cercare, trovare. Altrimenti è la morte. Che cosa pensa delle scuole di cinema? Se si tratta solo di fornire degli stimoli a chi ne ha bisogno vanno bene. Ma una volta che le hai frequentate sei finito. Dura solo un giorno, ma il giorno in cui provi l'emozione di entrare in un tempio, ha il valore di un’iniziazione. È solo un giorno. In un giorno hai chiuso con tutto il resto...

Comunque Danilo Treles è un film molto esotico... Sono contento che sia piaciuto ai giovani. Continuo a credere che andare avanti non sia facile, ma quando un film piace ai giovani mi ritengo soddisfatto. Non lo dico per commuovere, mi dà coraggio, perché se i giovani hanno questa sensibilità allora le cose vanno bene. C'è troppa arteriosclerosi in giro, ed è una cosa atroce.

Hanno etichettato la sua opera come cinema poetico... Mi dà molto fastidio. Il che non significa che il mio cinema non sia poetico, soltanto che non si limita a questo.

|\9 VOGLIO FILM AFARE CONTINUA

Quali sono state le influenze e gli stimoli fondamentali di questo film? Tutto comincia da molto lontano, da una storia medievale. Ci sono gli scritti, siamo nel Medioevo, ci sono i trovatori che viaggiano in questi luoghi, Danilo Treles è uno di loro. Ma c’è soprattutto un cavaliere che è rimasto ad aspettare: è Danilo, che rappresenta l’attualità di una realtà moderna. Ora ho dimenticato come è cominciata questa storia, perché ha preso una strada diversa da quella che avevo pensato, la sceneggiatura originaria è cambiata completamente. Sta succedendo anche con il film a cui ho cominciato a lavorare. Quando andai in Epiro per iniziare le riprese vidi che l’idea iniziale non si sarebbe potuta realizzare per mancanza dei mezzi necessari per la ricostruzione in costume. Ma ebbi la fortuna di conoscere Aren Bee, il cantante, e pensai: «Questo è il trovatore». Così la sceneggiatura di Danilo è cambiata. Cerco di vivere facendo economia: mangio molto, spendo per il cibo, per gli spostamenti, per comprare i giornali, ma nel resto cerco di risparmiare. [Come nel detto greco: «Passiamo dalla strada dove non si paga il pedaggio per risparmiare»] Non sono tirchio, ma quando faccio un film divento molto avveduto nelle spese. Credo sia giusto pagare sempre le persone, magari poco, senza mai accettare che qualcuno lavori gratis. È normale che un operatore chieda 12 o 15 mila dracme, ma gliene posso dare al massimo 5 o 8 mila, anche se il suo contributo vale molto più di qualsiasi corrispettivo economico. Credo che nel cinema sia importante partecipare con il sudore, con la creatività, che contribuiscono al risultato finale al di là dei soldi. Bisogna ancora lavorare molto, ma io non mi tiro indietro, se mi presento come produttore di un film e qualcuno mi dice: «Voglio il 5%», gli dirò: «Prendilo e vattene»... Riuscirebbe a fare-un film ugualmente esotico anche in città? Anche la città fa parte dell'ambiente, smog compreso. Anzi, fare un film dentro lo smog può essere una bella idea. [Se piace a qualcuno, la usi! Le idee non si pagano... Un italiano sostiene addirittura che non ci sono idee vere e proprie. LE STAVROS TORNES

L’eco delle idee si diffonde... Bisogna lavorare molto sulle idee. È importante essere sempre attenti. I soldi però non ci sono... Torniamo sempre ai condizionamenti economici. Per questo è molto importante il film I Fotoghrafia [La fotografia] (1986) di Nico Papatakis: i condizionamenti sono ovunque, il destino domina su tutto, come nella tragedia greca. Non esiste libertà di nessun genere.

Intervista con Ghiòrghos Spanòs e Michàlis Mèneghos, registrata a Salonicco il 2 ottobre del 1987, durante il XXVII Festival del Cinema. La pubblicazione è avvenuta diversi anni dopo, su un opuscolo stampato in poche copie in occasione della proiezione di Danilo Treles al Club del Cinema Màti tis Mikònou nel gennaio del 1992. L'intervista è stata rivista per questa edizione, in modo da chiarire, senza alterare il significato, diversi punti che nella prima pubblicazione risultavano incomprensibili.

x

Stàvros Melèas prova la maschera dell'Uomo-Volpe che portava Stélios Anastasiàdhis in Danilo Treles, 1985

ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987 In alto: Mirsìni Tsiàpa, Stràtos Tzìtzis, Stàvros Tsiòlis In basso: (da sinistra) Stàvros Tsiòlis, Elèni Stefànou e Màrios Karamànis

Il Silenzioso

(Progetto di sceneggiatura)

Personaggi principali:

Le pile di libri crescono sempre di più e l’ango-

LOUKAS — 53 anni. Editore per passione, commer-

scia di Màrios aumenta.

ciante per sopravvivere.

Si ferma un attimo a un’edicola’ per fare una

cominciato

a fornire

Da un po’ di tempo ha

materiale

didattico

alle

telefonata. Non parla, ascolta soltanto. Un sor-

scuole private. Ha la mania di stupire conoscen-

riso

ti e amici con continui riferimenti all’0ccupa-

volto: la voce viene da un altro «Mondo».

zione

tedesca,

mentre

discute

rincaro

della

ma

sempre

in tono

sul ristagno

carta,

dire,

«Questo è niente, i tedeschi

pieno

di bontà

gli si disegna

sul

colloquiale:

del mercato

può

calmo,

ad

o sul

esempio:

mi hanno

risolto

LOUKAS CON POLIDOROS DA UN TIPocRAFO — Non ha ordina-

zioni da fare ma vuole assolutamente

tutti i problemi con un calcio in culo».

va,

Rimangono sempre tutti ammutoliti.

Polìdhoros.

MARIOS — 23 anni. Suo aiutante.

Il

Un po’ tonto e

forse

il prossimo

tipografo

sempre con la testa tra le nuvole. Fedele e affe-

riprendere

zionato a Loukàs, ma imprevedibile nei suoi cam-

qualche

biamenti

esaurite.

d’umore. È particolarmente

aggressivo

perché la ragazza lo ha appena lasciato. Le poche

mantenere

buoni rapporti. «In questi giorni la poesia non

tenta

mese», di

prima,

con

convincere

la pubblicazione

anno

dice

Loukàs

di romanzi,

e gli ricorda

Guadagnerebbero

enfasi

tempo

a

come

le edizioni

e danaro.

Ma

Loukàs non ne vuole sentir parlare.

informazioni sull’Occupazione tedesca avute dal

suo capo hanno dato vita a un nuovo mondo imma-

PICCOLA

ginario che il giovane considera più o meno «sto-

poeta trova la porta chiusa. Decide di aspettare

CASA EDITRICE

— «IL SILENZIOSO»,

un giovane

ria» recente. Qualche volta, facendo confusione,

nel bar accanto.

parla di «Pavaria», quando gli sembra di riscontrare qualche riferimento nel mondo attuale.

MARIOS, DI RITORNO — si ferma un attimo davanti al

Immagini di altri mondi prendono forma nella sua

bar e fa segno

testa, intrecciandosi con i1 mondo del passato.

preferisce

al giovane

aspettare

di seguirlo.

Loukàs.

Il Poeta

Si tratta

di una

faccenda delicata. STRADA CENTRALE DI ATENE — ora di punta. Due indivi-

dui sul marciapiede continuano

a parlare senza

INTERNO DELLA CASA EDITRICE «IL SILENZIOSO» — Màrios

muoversi, fregandosene altamente del concitato

approfitta della solitudine per fare una telefo-

andirivieni nelle strade.

nata.

Sono

l’editore

Loukàs

e

l’amico

poeta,

Polîdhoros.

L’ambiente è scuro, un vero caos di pacchi e oggetti inutili, alcune sedie pressoché irriconoscibili. In un angolo un letto rifatto con molta cura dove in

UN PO” PIÙ IN ALTO. ALL’INCROCIO TRA VIA IPPOKRATOUS, VIA

genere dorme Màrios. Appena Loukàs entra, Màrios

SOLONOS E VIA DIDOTOU — Màrios ha cominciato a darsi

riattacca in fretta la cornetta, con il suo sorriso

da fare per le rese mensili.

Gli impiegati delle

da tonto, ma Loukàs non gli presta molta attenzio-

librerie sono gentili con lui, ma gli restituisco-

ne. È in compagnia

no i libri rimasti invenduti.

ancora tante cose da dire. Manda Màrios a prendere

' In Grecia nelle edicole è frequente trovare telefoni a scatti.

del poeta Polìdhoros,

che ha

due caffè senza zucchero e gli dà un po’ di soldi per il giovane poeta. Polìdhoros ritrova il suo estro.

HALL DELL'ALBERGO — Loukàs, l’acquirente dell’airone, una tedesca di 30 anni, e Màrios. Loukàs è di

Il suo monologo potrebbe andare avanti per anni.

buon umore e ordina due cognac. Màrios non parte-

Nel suo delirio, non beve neppure il caffè.

cipa, rimane in un angolo buio in disparte, sedu-

Loukàs

lo ascolta

con

gli occhi

sgranati,

ma

to con l’airone

impacchettato

sulle ginocchia,

immobile. Segue con attenzione la vivace conver-

taglia corto. Deve lavorare.

sazione.

Quando Loukàs chiede alla donna

se ha

BAR Accanto — Polìdhoros blocca il giovane Poeta e

visto l’Acropoli, Màrios non sente la risposta.

riprende

Vede un’Acropoli di altri tempi. Un luogo deserto,

il suo

monologo

dal punto

in cui

lo

aveva interrotto con Loukàs.

sorvegliato da una guardia tedesca dell’esercito

SCUOLA PRIVATA — dopo la fine delle lezioni. Loukàs

portando con sé anche l’airone, mentre Loukàs e

e Màrios

la ragazza tedesca sono immersi in una discussio-

di Occupazione. Màrios scompare in punta di piedi

sono

a colloquio

con il Direttore.

Il

Direttore fa capire a Loukàs che non ha più biso-

ne

gno della sua merce: un pacco di uccelli imbalsa-

Loukàs sogna da sempre di pubblicare in edizione

animata

sulle

mati

di J. J. Bachofen,

sé.

Secondo

il

bilingue.

Viviamo

in

contatto con alcuni editori tedeschi interessati a

un’epoca ecologica, è più utile che gli scolari

una collaborazione. Gli consiglia anche di anda-

familiarizzino

re al Salone del libro di Francoforte.

Màrios

porta

i tempi

congedarsi,

sono

con

con

piccoli

Loukàs

animali

promette

vivi.

Nel

al Direttore

che

gli promette

che

cambiati.

che

Direttore,

La donna

opere

di metterlo

in

DI FRONTE ALL’ALBERGo — Màrios fa una telefonata

presto gli porterà un pony.

anonima da una cabina. LABORATORIO

iS TORNES STAVROS

DI

FRANGOIS

l’IMBALSAMATORE



Vecchia

È molto contento perché la sua ragazza Nîna lo

casa con vista su un giardino trascurato dove si

ha riconosciuto, e cerca di articolare un saluto.

aggirano diversi animali domestici.

La cattiva abitudine di non parlare al telefono

Frangois lavora con l’aiuto della bella figlia

l’ha reso incapace sostenere una conversazione.

dodicenne.

Rimane zitto e soffre.

Arrivano Loukàs e Màrios. Màrios sparisce quasi

Ma Nîna gli spiega «per l’ultima volta» che si è

subito. Loukàs parla con molto entusiasmo di un

stufata dei «suoi giochetti» e che deve lasciarla

appuntamento

in pace e smettere di disturbare i suoi amici.

che avrà quella

sera

con alcuni

stranieri e chiede a Frangois se ha ancora quel-

A questo punto Loukàs, uscito di corsa dall’alber-

l’esemplare stupendo, il meraviglioso airone.

go, apre la cabina e prende il pacco con l’airone.

Frangois manda Elèni in soffitta, dove conserva

Màrios lo saluta gentilmente quasi senza ricono-

gli animali pronti.

scerlo, tutta

Mentre Elèni torna con l’airone vede Màrios che

ragazza,

cerca qualcosa in giardino. Continua a chiamare

vita sia diventata

a intervalli «Cannella», con voce dolce.

intenzione di andarsene a Chicago.

la sua attenzione

che continua

un inferno

Màrios, un po’ sorpreso dalla sua presenza, chie-

Màrios

visualizza

con

de a Elèni

l’altro

capo della

linea

ragazza,

se

sa

stupita,

suonare risponde

la

fisarmonica.

che non

La

sa suonare

mentino

è rivolta

a spiegargli

come

alla

la sua

e gli dice che ha

dolorosa

chiarezza

il simpatico

di Nìna, dove un tempo

dal-

apparta-

abitava

anche

nessuno strumento, che non le piace la musica.

lui. Da quel momento Màrios comincia a «vedere»

«Peccato — pensa — sarebbe brava». Màrios promet-

quando telefona.

te di aiutarla: suonare la fisarmonica è facile. SERATA POETICA — Come ogni mercoledì i poeti sono

DAVANTI A UN PICCOLO ALBERGO DI PLAKA — Màrios e Loukàs

riuniti a casa di Loukàs per recitare le poesie

si fermano

scritte nel corso della settimana.

per un attimo

all’ingresso prima

di

È stata invi-

entrare. Màrios chiede dei soldi per comprarsi le

tata anche la tedesca che ha comprato l’airone.

sigarette, Loukàs gli dà 100 dracme, sapendo che

Uno dopo l’altro i poeti si alzano

non

leggere, correggendo qua e là qualche parola.

gli serviranno

per 20 sigarette

ma per 20

in piedi per

telefonate. Gli dice che non fumare gli fa bene,

Màrios, dopo la prima lettura, se la svigna mor-

ma telefonare gli fa male. E gli chiede se capisce

morando che la poesia è un’altra cosa, ma nessuno

che con 100 dracme si possono comprare quattro

gli

chili

Qualcuno tenta di tradurre un verso in tedesco,

di patate.

«Devi

imparare

il valore

cose. Anche di una semplice patata».

alle

presta

attenzione.

La

serata

è vivace.

ma la donna lo zittisce dicendo che capisce tutto.

Qualcun altro dice che Rilke è il più grande, ma

arrosto. La carne non ha un aspetto invitante. Ma

Loukàs

all’improvviso

preferisce

Hòlderlin.

Il suo

parere

fa

esplodere un’accesa polemica.

Màrios comincia

a mangiare

voracità come se non mangiasse

Loukàs impone il silenzio. Lascia l’ultima paro-

piendosi non solo la bocca ma anche

la alla tedesca.

Sente il suono di una fisarmonica e smette.

La donna

comincia

a recitare

Omero lasciando tutti a bocca aperta.

con

da sempre, riem-

le tasche.

Da una finestra vede nel cortile una ragazza che suona la fisarmonica per un soldato dell’esercito

SERENATA — Màrios davanti

alla casa di Nîna, un

tedesco di guardia. È Elèni e suona Paloma. È spor-

palazzo enorme. Un vecchio violinista si prepara

ca e vestita in modo trasandato come tutti in quel

ad accompagnarlo mentre canta la sua serenata.

periodo. Ma la sentinella è come rapita in una spe-

La luce della stanza si spegne dopo le prime note,

cie di estasi, e non vede i ragazzi che, sotto ai suoi

ma Màrios sa che Nîna si è infilata nel letto,

occhi, scivolano sotto il filo spinato e irrompono

tappandosi disperatamente le orecchie. Tuttavia

nella cucina a cui è vietato l’accesso.

Màrios è convinto che in fondo Nîna sia conten-

Elèni continua a suonare. Un suo amico è in ritar-

ta, ed è pronto a cantare per tutta la notte.

do: Loukàs.

I vicini, però, vogliono dormire. Aprono le fine-

riesce a passare con fatica sotto il filo spinato.

stre, volano improperi e sacchetti dell’immondizia.

Ha 53 anni, ma con i pantaloncini

Il vecchio violinista se la dà a gambe, cercando

un ragazzo. Non ha dubbi: va direttamente verso

di trascinare con sé anche Màrios. Ma Màrios,

alcune donne che stanno lavorando, perché è un

Arriva

correndo,

sudato

fradicio

e

corti sembra

intrepido, continua la sua serenata finché arri-

luogo meno rischioso per un ragazzo.

va la polizia.

si mantiene

Sei donne stanno sbucciando una montagna di pata-

calmo e si lascia portare via, ma poi fa un movi-

te. Sono giovani e spesso generose con i ragazzi.

mento che coglie i poliziotti di sorpresa e riesce

Mentre

a scappare.

divertenti.

Inizialmente

Per

Màrios

i poliziotti

non

vale

la pena

lavorano

cantano

Ogni

tanto

e raccontano

qualcuno

storie

arriva

dalla

d’inseguirlo. Gli vanno dietro lentamente, guar-

cucina con un recipiente a prendere le patate sbuc-

dandolo mentre continua a correre. Poi lo vedo-

ciate

no sparire in uno scantinato.

delle donne, cogliendole alla sprovvista.

e, velocemente,

SCANTINATO — il luogo in cui si è infilato Màrios è

LAVANDERIA — i ragazzini nascosti in ogni angolo

composto da una serie di locali collegati a uno

stanno

spazio centrale inutilizzato, simile a un garage,

piccola banda di sei-sette

dove si è costretti a procedere tentoni.

più coraggiosi e i più affamati del vicinato.

aspettando

mette

la mano

il momento

sul sedere

giusto. Sono una

ragazzi e ragazze,

i

Màrios sente i passi dei poliziotti che si allon-

Il meno abile dei ragazzi è Loukàs, forse è per

tanano

questo che Elèni cerca di proteggerlo.

ma anche

strani rumori

che provengono

dall’interno dello scantinato: una porta si apre

Ora gli mette nel pentolino

con gran fracasso. La risata sonora di una donna

dicendogli di non muoversi. Sarà lei a procurar-

accompagna

il respiro

gli qualcosa da mangiare.

Ora,

semioscurità,

nella

intravedere

uno

affannoso

spazio

con

Màrios

di un

uomo.

comincia

la volta

a

ad archi,

un po’ di minestra,

Elèni se la cava meglio di tutti perché è bella. Si muove con attenta lentezza tra le enormi pen-

pieno di sacchi di patate.

tole della cucina e riesce a commuovere

All’improvviso, si spalanca una porta e sbuca un

Karl, il più duro e violento dei cuochi.

uomo tutto allegro, un gigante vestito da cuoco

Le donne

buttano

che trascina con sé una donna. La butta sui sacchi

mucchio

di bucce.

e cerca di spogliarla. Màrios non riesce a nascon-

tentazione e si precipitano sul sacco, scegliendo

dersi dietro le patate, viene visto dalla donna

quelle che non sono completamente andate a male.

che

gli fa cenno

con

gli occhi

Màrios obbedisce e si allontana

di andarsene.

a quattro zampe

un sacco

persino

di patate marce

I ragazzi non resistono

nel alla

Il cuoco Karl, che sa aspettare il momento giusto, vuota un recipiente di acqua calda sul mucchio, i

muovendosi all’indietro come un granchio.

ragazzi indietreggiano per un attimo tra lacrime

Quando si rialza in piedi, Màrios si ritrova in

e risate, ma ritornano più decisi che mai.

un’ampia sala piena di vapore: è una grande cuci-

Sulla porta compare un ufficiale minuto che con

na

la sua presenza

di altri

tempi

assolutamente

funzionante.

impone

un rispettoso

silenzio.

Pentole con minestroni, verdure e acqua che bol-

L’ufficiale, rivolgendosi alle donne, chiede che

lono sulle stufe a carbone.

i ragazzi vengano mandati in cucina. Oggi darà

Accanto al fornello

acceso c’è un enorme tegame con pezzi di maiale

loro da mangiare personalmente.

IS SILENZIOSO IL

Su un tavolo,

in fila, ci sono

giganti. L’ufficiale

almeno

30 ossi

dice loro di scegliersi gli

CASA

NEOCLASSICA

Governo

esce

A KOLONAKI

dalla

casa



Un

Ministro

e si dirige

verso

del una

Mercedes nera che lo aspetta in strada.

ossi più belli e di seguirlo.

Un poliziotto gli apre la portiera. Il Ministro

cortILE — L’ufficiale ha già montato una macchi-

entra. Un taxi passa a gran velocità, dal vetro

na fotografica

spuntano due mani destre armate di pistole, spa-

sul cavalletto.

Mette

i ragazzi

uno dopo l’altro davanti all’obiettivo con l’or-

rano e il poliziotto cade a terra.

dine di succhiare gli ossi. I ragazzi si lasciano

Sul lato opposto della strada, il carretto con i

fotografare docilmente.

Quando arriva il turno

ragazzi è fermo. Màrios corre verso la macchina

nera come se ci fosse un accordo.

di Loukàs, l’ufficiale si arrabbia. Loukàs crede che l’ufficiale si sia insospettito

Estrae una grossa pistola e spara alcuni proietti-

per via della sua età. Si contrae più che può per

li contro il Ministro, che dall’interno della mac-

sembrare più piccolo.

china, illeso, guarda stupito. Màrios corre, scalzo

In realtà lo disturba qualcos’altro: un vecchio

com’è, nel tentativo di raggiungere il taxi che si

ossuto e spigoloso che rimane

allontana in fondo alla strada, fino a perdersi.

immobile

davanti

al filo spinato sperando in un po’ di fortuna. È il posto in cui ogni tanto

buttano

gli avanzi

virroria — I ragazzi della banda di Loukàs, su tre

della cucina. L’ufficiale, fuori di sé, chiama un

aeroplanini di legno con le ruote, terrorizzati

soldato.

dalla

Il Vecchio

gli rovina

l’inquadratura.

grande

velocità,

oltrepassano

la

Gli ordina di scomparire.

Sentinella tedesca, entrano in città senza che

Il soldato urla intimando al Vecchio di andarse-

nessuno riesca a fermarli, neppure le automobili

ne. «Oggi per te non c’è niente, mangiamo solo noi

di un’Atene contemporanea.

e i bambini», gli dice seccamente. Il Vecchio

RS TORNES STAVROS

non

si sposta

di un

millimetro.

Il

MARIOS SI SVEGLIA NELLO SCANTINATO — Alba. Guardando

militare lo picchia. Il Vecchio continua a pian-

stordito intorno a sé, chiama: «Cannella».

gere e non se ne va. Il soldato lo trascina fuori

In un angolo dello scantinato, è seduto uno scono-

dall’inquadratura

sciuto. È magro, con la pelle scura e gli occhi spi-

L’ufficiale,

della macchina

avendo

ormai

perso

fotografica.

entusiasmo

e

ritati come carboni ardenti. Non parla, non ce n’è

pazienza, dice che vuole fare un’ultima fotogra-

bisogno. Màrios capisce che si tratta di un Poeta

fia di gruppo. I ragazzi, schifati dalla miseria

autentico e decide di portarlo alla casa editrice.

del cibo e terrorizzati dalla paura, si mettono in fila con gli ossi che pendono loro dalle mani. L’ufficiale incita

con

i suoi

a mangiare

MARIOS IMPARTISCE LEZIONI di pony ai piccoli scolari della scuola privata. Riscuote un grande successo,

Qualche osso cade in terra.

ordini

gli ossi,

isterici

ripete

che

li gli

gli scolari non desiderano nient’altro. Anche se alcuni sono distesi a terra con le gambe lussate.

ossi sono buoni. Fa finta di leccarsi i baffi, si

Il Direttore, infastidito da tanto amore per gli

lecca, si lecca e si prepara

animali,

a scattare la foto-

grafia.

con

tono

severo

ordina

a Loukàs

di

riportargli il pony imbalsamato.

A questo punto interviene Màrios, bisbigliando a

In un luogo desertico Loukàs, con Polìdhoros, cerca

bassa voce: «Non leccate, non leccate». Ma veden-

di uccidere un pony, ma non è un’impresa facile.

do che i ragazzi non lo ascoltano, esce fuori e

Dalle

grida loro di scappare.

intenzioni

Poi, dopo aver dato un calcio al cavalletto, corre

«Uccidono il cavallino, uccidono il cavallino!»...

case

vicine,

alcune

di Loukàs

persone

capiscono

e cominciano

le

a urlare:

via con i ragazzi lasciandosi alle spalle l’uffi-

Loukàs

ciale preoccupato per la sua macchina fotografica.

veste velocemente per andare alla casa editrice.

ATTENTATO — La piccola banda di Loukàs, su un car-

LOUKAS ARRIVA Nel suo UFFICIO — rimane stupito dalla

retto. In piedi dentro al cassone, Elèni e Loukàs.

presenza dello Sconosciuto, ma lo saluta gentil-

Màrios

mente.

tira

il carretto.

I ragazzi

guardano

dalla parte dell’Ente di Assistenza Militare, su via

Panepistimìou.

Dietro

al

Milite

Ignoto,

verso il teatro di Erode Attico, il carretto con i

si sveglia

e, guardando

l’orologio,

si

L’altro non risponde, ma continua a fissarlo.

Loukàs siede davanti allo straniero con l’intenzione di scambiare due parole, come è sua abitu-

ragazzi incrocia gli euzoni che vanno a fare il

dine fare con i gievani poeti. Ma, in preda a uno

cambio di guardia.

strano

imbarazzo,

rimane

muto.

Lo

guarda

in

volto e rimane

sconvolto

dallo sguardo

fisso e

luminoso dello sconosciuto.

passano «migliaia» di gambe, poi le gambe di una persona che trascina un’asse di legno. Si ferma

Quando arriva Màrios con due caffè, Loukàs lo

davanti agli occhi dell’ebreo spagnolo imprigio-

guarda

nato. La persona con l’asse di legno s’inginoc-

con

aria interrogativa,

ma Màrios

non

dice nulla che chiarisca la situazione.

chia leggermente, senza scoprirsi il volto, illu-

Senza

minando in maniera intensa la prigione...

aprire

bocca

offre

un caffè allo scono-

sciuto e l’altro a Loukàs. Lo straniero,

vedendo

che Loukàs

non

beve il

LOUKAS INTERROMPE il silenzio telefonico di Màrios,

caffè, beve anche il suo.

dicendo

Loukàs è colto da un attacco di tosse nervosa e

cercare ancora. È costretto a sottrarre brusca-

esce

fuori

segue.

a fumarsi

Loukàs

una

il pony

lo

mente Màrios al suo silenzio e si è pentito di avergli lasciato guidare la macchina.

MAccHINA — Màrios e Loukàs discutono dello sconoMàrios

sostiene cominci

è convinto

autentico. che a

Un

Màrios

capirci

che

si tratti

talento —

unico.

sebbene

qualcosa



Devono

la

All’improvviso Màrios fa inversione, e comincia

a sfrecciare sciuto.

moltissimo.

Màrios

macchina. «Dobbiamo andare a cercare un pony».

poeta

costa

a prendere

sigaretta.

gli dice di andare

che

sa

verso

la città, senza

di un Loukàs

ultimamente non

follemente

prestare attenzione alle proteste di Loukàs.

ancora

CASA EDITRICE — Màrios e Loukàs guardano in dire-

zioni opposte. Lo Sconosciuto

è scomparso

distinguere i poeti dai parassiti. Potrebbe anche

sé uno strano vuoto.

essere un anarchico ricercato dalla polizia.

Màrios dice: «Dovevamo

lasciando

dietro di

portarlo con noi, aveva

le chiavi del XX secolo». FUORI CITTÀ — Màrios telefona alla casa editrice.

Loukàs risponde che era un analfabeta.

Al

Màrios si precipita fuori dicendo che andrà a

suo

silenzio

risponde

«un

altro

silenzio».

Màrios «vede» lo sconosciuto con maggiore chia-

cercarlo.

rezza.

Loukàs, pieno di dubbi, corre dietro a Màrios e

Non si è sbagliato sul grande talento di

gli grida:

questo poeta autentico. È un ebreo spagnolo, sopravvissuto ai secoli. Ha

«Forse ha ragione. Ci potrebbe aiutare a trovare

capito

un pony».

tutto.

Ha

visto

tutto.

Ha

visto

anche

Cristo.

Màrios ora capisce perché ha trovato l’ebreo spagnolo nello scantinato, ne intuisce il significato. Davanti al campo recintato con grosse inferriate

O Siopilòs, progetto inedito datato «Atene 1987». Si tratta di una variante di elaborazione della sceneggiatura di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa.

MIIRITIPIIMENE INt4: LAtie NANTO xp 4

SES TL

Pe

RI

Stavros Tornes dà indicazioni a Anna Wich, ornitologa tedesca in Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

RS SILENZIOSO IL

POLIDHOROS:

O siamo tutti poeti o sono cazzi amari, va bene? Il problema

però è che i poeti paura e c’è stato il fenomeno del sindacalismo in poesia. Cioè gli americani dicono... EvtuSenko, il russo, dice: « questa è una dittatura da spiaggia. È un caos». Poi si alza il nostro Thomàs e dice «Quale

caos? Hai proposte da fare nel caos?» Era una piazza con trentamila per-

sone dove, a turno, uno dopo l’altro, prendevano tutti il microfono e cercavano di articolare qualche parola. Capisci? Cercavano di pronunciare parole poetiche,

cioè il discorso

poetico era arrivato

a una

situazione

paradossale. Dicevano: «sze, sze, sze».

LOUKAS: Sze! E cosa vuol dire? POLIDHOROS:

Dunque! Vuol dire, dunque, dunque, dunque, come la canzone

che dice: «Il pappagallo ha detto, ha detto», qualcosa del genere, capisci? E dunque, in tutta questa storia, in questo caos, in questa situazione

di

bisogno in cui il microfono significa potere e potere significa microfono, arriviamo noi con Thomas. E Thomàs comincia a leggere una poesia! E con

quale

poesia

comincia,

secondo

te?

Con

quale

poesia?

Con

Costantino

Kavafis. In italiano! Costantino Kavafis! LOUKAS: Quale poesia? POLIDHOROS: Una poesia, ora non ricordo, una poesia di Kavafis. Forse «Il (ohio gi:=10]o}-Nolole)et-MP:Velvo)ehLoPPPILAPPM et: ci-10oxhogo\bE- 0-20 clo)elo;-[ch i)

Un airone per la Germania

La trama e l’intreccio di Erodhiòs sono ormai lineari. Non verticali. Il film segue un percorso ascendente e decolla. Un’altra differenza è l'espansione della parola: dialoghi e monologhi ben organizzati, a seconda dei personaggi. È anche il mio primo lavoro con musica orchestrale. Ne avevo bisogno, perché mi confrontavo con l’uomo greco e con il suo sentimentalismo. I personaggi centrali sono tre. L’editore Loukàs, che stampa solo raccolte poetiche ma, siccome non ce la fa economicamente, si dedica anche alla vendita di uccelli imbalsamati. Il suo assistente Màrios, e Nìna, di cui Màrios è innamorato. I primi due sono personaggi legati al passato e al sogno. L'editore rappresenta per il suo aiutante la storia, mentre la nostra epoca è l’epoca di Nìna. Nìna prenderà le redini della piccola casa editrice. Si distingue perché è ostinata e cerca di realizzare ciò che vuole. È il personaggio al centro dell’azione. i Intorno ai protagonisti si muovono il poeta Polìdhoros, il poeta Ghiòrghos, un poeta ispano-ebreo, un’ornitologa tedesca, un portiere, un bidello, il direttore della scuola, un vero imbalsamatore con la sua vera figlia e altri personaggi. Spesso i personaggi recitano ruoli doppi, perché nel sogno e nella fantasia fanno rivivere gli anni dell’Occupazione. ... Secondo un’altra chiave di lettura, Erodhiòs è un film sull’Occupazione che continuiamo a portarci dentro, anche se è finita.

Nota di presentazione dell’autore, 1987.

Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987 In alto: Èvris Papanikòlas e Anna Wich

A lato: Stavros Tornes-Polìdhoros e Stàvros Tsiòlis-Loukàs discutono sulla poesia

IOI

NE punt le

Stavros Tornes: in basso con il direttore della fotografia Stamàtis Ghiannobùlis

durante le riprese di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

il)

Ritrovare la chiarezza e la forza

Come giudica la tendenza del cinema internazionale a fare film sempre più costosi e qual è la sua posizione come regista greco? Quando si investe un capitale, per stare alle regole del gioco bisogna recuperarlo e in più guadagnarci. Visto il fiorire di nuovi mezzi audiovisivi, possiamo parlare di tentativi di sopravvivenza concorrenziale di questo sistema di produzione, non di fioritura. Il gran numero di film ad alto costo, che allettano e adulano lo spettatore di oggi, le sembra legittimato da una tendenza predominante nel cinema internazionale? La legittimazione viene dal numero dei biglietti venduti. Un numero preciso, carico di forza feticista, annulla qualsiasi obiezione alla necessità di un film. Negli ultimi anni si discute sull’opportunità che il cinema greco si apra al mercato internazionale (produzionedistribuzione). Crede che per ilfilm greco ci siano esigenze particolari da parte del mercato internazionale, di carattere estetico, tematico o di altro tipo? La coproduzione internazionale vede di buon grado soltanto ifilm ad alto costo? La produzione straniera in Grecia non è presa neanche in considerazione, perché non ci sono le infrastrutture. Per i film già girati la distribuzione all’estero non è facile. Forse però i paesi esteri sono i destinatari naturali di questi film. Per quanto riguarda l’aspetto estetico o tematico bisogna superare un certo tipo di folclore, dal momento che le culture dei paesi stranieri hanno già assimilato la dimensione storica e quella mitologica dell'ambiente greco. La diffidenza degli spettatori rispetto ai film greci è dovuta al costo relativamente basso rispetto all’elevato corrispettivo della maggior parte dei film stranieri? Il film straniero esercita un’attrattiva maggiore sullo spettatore greco, come conseguenza di una pubblicità sistematica, della. moda, della sua superiorità quantitativa e tecnica, e del primato di paesi in cui il cinema è nato e si è sviluppato come industria. Come giudica il livello dei film greci e in che misura influisce su tali prodotti la ristrettezza dei budget produttivi? La ristrettezza dei budget è determinante nella misura in cui consente un cinema personale e artigianale, dove il creatore ha la supervisione complessiva e la possibilità di intervenire sul suo materiale. Indipendentemente dal livello qualitativo, la caratteristica dei film greci è la polifonia. Come mai ifilm internazionali di qualità sono sempre stati relativamente a basso costo?

Cosa pensa della scelta, anche occasionale, di alcuni grandi cineasti che hanno girato film a basso costo (Eric Rohmer, Martin Scorsese ecc.), spesso considerati tra le opere migliori di questi artisti, come nel caso di Le rayon vert (Il raggio verde) e After Hours (Fuori orario), ad esempio... Da molti anni a questa parte ci sono grandi artisti (ad esempio Ermanno Olmi, in Italia) che realizzano un cinema artigianale e personale, e lo teorizzano anche, facendone un modello.

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Ci sono artisti che, mossi dall’impellenza della loro necessità espressiva, hanno fatto film troppo a basso costo. In Grecia questi film sono stati inclusi, durante le riprese o dopo la realizzazione, nei programmi di finanziamento statale. Le pare possibile la prospettiva di una produzione di film di qualità attraverso l'acquisizione di mezzi produttivi minimi e con l’autofinanziamento della produzione? Se sì, che tipo di produzione propone? Si potrebbe destinare una parte del complesso dei finanziamenti statali stanziati per lo sviluppo del cinema ai film a basso costo. Con questa somma, i registi interessati si libererebbero della difficoltà di organizzare le loro urgenze espressive. La constatata tendenza all’aumento del costo di produzione spingerà all'aumento della somma dei finanziamenti da parte del Centro Greco del Cinema, alla diminuzione del numero dei film prodotti o all’arbitraria diminuzione dei costi? Come si potrà dare a un maggior numero di registi l'occasione di esprimersi e in che modo sarà istituzionalizzata la possibilità di accedere ai finanziamenti per i registi esordienti (primo o secondo film)?

Il suo modo di produrre ifilm contempla uno sceneggiatore, un regista e un produttore. Le modalità di produzione dei suoi diversi film hanno qualcosa in comune tra loro o con quelle dei suoi colleghi? Tutti i miei film sono personali e sono accomunati dalla produzione artigianale, al contrario delle opere di molti altri registi che, pur essendo le condizioni della Grecia favorevoli alle produzioni artigianali, producono film con modalità paragonabili a quelle della produzione industriale.

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Potrebbe girare il prossimo film con meno soldi senza alterarne le qualità? E se avesse una maggiore disponibilità economica, pensa che il suo film riuscirebbe meglio? Non credo sarebbe peggiore, la mancanza di soldi non sarebbe un ostacolo per la ricerca di una nuova qualità. Non so se il film verrebbe meglio con una maggiore disponibilità economica. Il basso o l’alto costo non devono essere intesi secondo una logica economica, perché i soldi non sono una panacea. Come immagina ilfuturo del cinema greco dal punto di vista della produzione? (tenga presente nelle sue previsioni o nei suoi auspici il recente passato e le promesse delle istituzioni). Vorrei che il cinema prodotto in Grecia ritrovasse ciò che ci ha lasciato in eredità il cinema muto: la chiarezza e la forza.

Risposta a un'inchiesta pubblicata dalla rivista «Kàmera» (n. 7, maggio-giugno 1987), intitolata Ellinikòs kinimatoghràfos: zìtima kòstous? [Il cinema greco: questione di costi] Sono stati interpellati anche Nîkos Peràkis, Christos Vakalòpoulos, Nikos Koundouros, Frìdha Liàppa, Mànos Zacharìas, Michàlis Koutoùzis.

Brani di passione poetica

Il cinema era ed è l’espressione di un’altra libertà, di una diversa possibilità di vita che oggi scopre un aspetto nuovo: il piacere autentico. Il cinema ha sempre contemplato l’elemento del piacere, ma ai nostri giorni lo riscopre con modalità più dinamiche. Da dove deriva questo dinamismo? Il cinema può contrapporre il piacere ai circuiti commerciali chiusi (come la televisione), che creano un prodotto di consumo, un'immagine secca, inaridita. Il rituale di entrare insieme agli altri in una sala buia, di vedere insieme ad altre persone, di essere abbagliato dalla grandezza dell'immagine, non può essere sostituito da nient'altro. [...] La differenza tra l’immagine televisiva e il cinema riflette la differenza fra l'elettronica e la chimica. La chimica è più vicina a una certa antropologia, e l’immagine chimica è qualcosa di più vivo e di più sensibile ai cambiamenti, proprio come l’uomo. L'immagine elettronica, invece, anche quando sarà perfezionata a sufficienza, non potrà mai avere quella sensibilità dell’indeterminatezza, quel fascino del casuale che ha la chimica, importante prerogativa di un procedimento che io non abbandonerei mai. [...] Come potrà un film incontrare il suo pubblico? Sicuramente presentando proposte interessanti. Un regista non può rimanere indifferente al fatto che le persone hanno smesso di interessarsi al cinema. Mi piace quando i giovani dimostrano curiosità per il mio lavoro, ridono, discutono, ne parlano, insomma: mi interessa molto di più che un generico ritorno del pubblico nelle sale. Io non faccio film per arricchirmi o per fare incassi, ma per trarne io stesso piacere. Devo però essere sensibile alla rete dei rapporti, alla distribuzione e a quello che ci sta intorno. Il film deve avere un elemento di fascino per farsi strada. Con ciò non intendo dire che un film debba ubbidire a delle regole, o che debba avere determinate caratteristiche per piacere. Il film deve in qualche modo disturbarti, deve opporsi a te, deve andare al di là delle tue aspettative. L’uniformità è la morte. [...] Il cinema è i nostri film. Senza di essi non siamo nulla. I festival non creano il cinema, esistono suo malgrado. Eppure sono interessanti: sono un luogo in cui le persone si confrontano, ricevono stimoli, sia pure negativi, si trovano ad affrontare un pubblico duro, spesso addirittura cannibale, pensano e riescono a vedere cosa rappresentano esattamente in una determinata realtà sociale negativa. [...] Forse la reazione del pubblico al Festival di Salonicco ci pone un interrogativo. Sebbene mi rifiuti con tutte le mie forze di fare autocritica (perché i film che fai te li fai per te e di tutto il resto non t’interessa niente), non posso però negare che le reazioni del festival mi fanno riflettere. Provi a cercare l’altro e l’altro non ti vuole. Ma in questo contatto negativo esisti con il tuo film, sia quando ti annulli letteralmente sia quando arrivi a confrontarti nuovamente con te stesso: è un processo liberatorio. Senza arrivare ad augurarmi che le persone si insultino o vengano alle mani, preferisco uno scontro piuttosto che l’in-

differenza.

i

[...] Nel cinema greco ci sono molta passione e molto divertimento, ma poco amore. Con l’amore si potrebbe supplire alla negatività dell’ambiente con cui si confronta il film durante la fase di realizzazione. Certo, in questo Paese qualcuno può farti facilmente uno sgambetto, cadi giù e non ti rialzi più. Ma di questo non ho paura. Io, per quanti sgambetti mi faranno, presto o tardi farò il mio film, sia pure con un pezzetto di pellicola. Mi rattrista che gli uomini di cinema si blocchino di fronte alle avversità, che sicu-

ramente sono vere, ma non possono essere la loro verità. Dove è la loro verità? [...] Se vuoi fare un film e non hai i mezzi mi chiedi «Stavros, hai per caso qualche pezzo di pellicola?». To posso dartelo e se hai 20-25 anni e sei pieno di risorse puoi fare il tuo film. Non avere fretta, anche se

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devi arrivare a 30 anni per finirlo, non è grave, anzi, sarai maturato grazie a questa esperienza. Sono molti i film che hanno richiesto molto tempo per essere portati a termine. Oggi non ci sono solo il cinema hollywoodiano e il cinema europeo di qualità: in Europa abbiamo anche film di un altro tipo, che parlano davvero dell’esistenza e dell’uomo. Ci sono film realizzati in 12 anni, film sconvolgenti: l’uomo che li ha

fatti è impresso nel film. [...] Bisogna anche sapersi regolare... perché altrimenti ci si limita a vantarsi di regie e creazioni. Il rischio è dentro di noi, annidato nelle nostre debolezze. Perché il cinema è una cosa difficile, è arte. Se non t'interessa il cinema in quanto arte, allora perché dovresti fare un film? È solo la realizzazione del desiderio umano di essere fotografati? Chiunque sarebbe in grado di farlo.

Frammenti di un'intervista con Katerìîna Skîna pubblicata in Stàvros Tornès, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene 1984.

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Stavros Tornes al Festival di Salonicco, 1982 (fotografia di Levtèris Dhanîkas)

Per uno sguardo rivelatore

Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa è davvero ilfilm più a basso costo di tutti i tempi? Penso che sia il più caro tra i miei film. Più caro da tutti i punti di vista: dal punto di vista materiale, ma anche come investimento umano, che non si può monetizzare. Ma se si vuole sapere quanto è costa-

to, basta vedere il film e fare due conti. Purtroppo molte persone, quando non si tratta di vedere quanto hai intascato ma quanto avevi a disposizione e quanto hai speso, diventano cavillose. Mi chiedo la ragione di tutta quest’insistenza sul costo dei film... Sembra il tribunale dell’Inquisizione... Quando si parla di spettacolo si fa finta di essere generosi, superiori ai soldi, ma alla fine il cinema viene affrontato con un atteggiamento da commercianti. Si sta attenti ai centesimi come se fossero d’oro. Credo che quest’austerità abbia delle buone giustificazioni, non credo sia un’assurdità. Diventa assurda quando

sei ostaggio della necessità di fare economia, quando provi a non buttare neppure un centesimo per di strazione o spreco e vieni criticato e disprezzato perché sei «a basso costo». [Si creano labirinti classisti e] non ti viene riconosciuto il merito di aver tenuto bassi i costi pur continuando a rimanere produttivo. Esiste un feticismo dei numeri, ma i numeri sono relativi. È molto più importante il modo in cui ti poni nei confronti dei soldi. Tu fai cinema con pochi soldi. È una specie di suggerimento ai produttori? L'eccesso chiassoso, le manie di grandezza, il presunto «Spendiamo» — che anche quando è reale dovrebbe essere accompagnato da uno spontaneo «Perché spendiamo?» — non sono una proposta creativa. Si vedono film ad alto costo — ad esempio l’ultimo film di Spielberg [E.T. the Extra-Terrestrial (E.T. L'extraterestre)] — e ci si rende conto che si sarebbero potuti realizzare con meno soldi. Non credo sia auspicabile che venga istituito un controllo sul modo di lavorare di ognuno. Ma in questa logica del gonfiare i costi intravedo una vera e propria tattica: sembra che nel cinema il risultato sorprenda in modo direttamente proporzionale all’alto costo. Così l’alto costo viene usato come arma contro coloro che non hanno a disposizione budget alti. Tutto questo ha una sfumatura classista, rientra nella logica del potere.

Quindi distingui fra film che fanno vedere i soldi e film che, visto che di soldi non ne hanno, fanno vedere altre cose? ... Film che vogliono far vedere spudoratamente quanto sono costati. L'aspetto feticista della faccenda sta nell’investimento economico. È come fare un confronto fra due puttane: una di strada — che avvicini senza tanti preamboli mettendoti subito d'accordo sul prezzo — e una che vai a trovare in un appartamento con luci e musica, che costa molto di più. La puttana di strada è una cosa onesta, l’altra è un imbroglio: si paga la confezione. In Erodhiòs la ricerca dei soldi necessari per sopravvivere diventa il tema principale. È un riferimento alle tue vicende personali, una metafora, sullo schermo, del tuo calvario? Nel nostro paese la ricerca dei capitali è sempre stata un problema. I capitali sono sempre mancati. Ci sono sempre stati i ricchi, gli speculatori, ma il capitale non c'è stato mai. Sin dall’antichità la società si è basata sullo scambio, su un continuo «dare-avere» molto diverso dall’accumulo di capitali.

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l’abilità Il capitale umano, dunque, è più importante. Come nel tuo film. Si riesce a capitalizzare solo umana... È così anche nella vita. Anche quando non esiste una prospettiva «di ampio respiro» — come nel film, conin cui si deve pubblicare un libro — si vive una situazione di estrema angoscia. Per i greci tutta l'epoca questioalla inizio temporanea è stata segnata dall’angoscia. La fondazione dello Stato neogreco ha dato ne dei prestiti: «i prestiti dell’Inghilterra». I prestiti supplivano alla mancanza di capitali. Questo tema ritorna in termini angosciosi nella vicenda personale di Loukàs Kostòghlou, il protagonista del mio film, e credo abbia un valore antropologico. Osserviamo alcuni uomini che tentano, senza lamentarsi, di trovare capitali. E dove arrivano queste persone, nel film? Vendono aironi... Quando si è privi di capitale, ci si riempie di inventiva. Si acquista un’abilità pari a quella di un mago, di un uomo che può arrivare a fare miracoli: per riuscirci bisogna conservare la purezza.

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Come nella scena dell’albergo, dove, invece di uno scambio formale è stata messa in scena una recita... È una performance, infatti. Lo scambio non è un’arida compravendita: «Ti do un coniglio, mi dai dei dollari», ma «Ti do un coniglio che in più balla, sa stare in piedi»... In altri tempi era ancora più sorprendente, più esotico. Viviamo in un paese che può vendere esotismo, e in fin dei conti è ciò che vendiamo. Cos'altro possiamo vendere? Mi si risponderà: patate, limoni e così via. Ma chi commercia in questi prodotti all’estero è molto più potente, e la concorrenza è spietata. Quindi vendiamo esotismo, mito, poesia, in ultima analisi. Abbiamo la possibilità di creare e di convincere il prossimo che le nostre creazioni valgono qualcosa. In un luogo dove le persone hanno preso coscienza che la ricchezza economica e la potenza sono impossibili, ha preso vita un mondo di poeti, stratificato socialmente in tutta la Grecia. Se, ad esempio, vai dal generale Kitrilàki e gli dici: «Generale...», ti risponderà: «Sì, ragazzo mio, anch'io ho qualche poesia...». Quest'identificazione del nostro popolo con la poesia dà vita a uno spazio (uno spazio per molti versi utopico) dove esistere insieme agli altri. Anche se questo luogo pieno di poeti può sembrare un indice di decadenza, siamo comunque tutti poeti... Il film, quindi, è una risposta al modello del poeta isolato che ha preso il Nobel. Qui, la poesia è una condizione quotidiana... Nel nostro mondo il poeta indossa i panni del mago. E il più grande mago della nostra stirpe è Kavafis. Eppure, in molte interviste, dici che non vuoi essere definito «il poeta del cinema». Finiamo sempre per essere etichettati come «poeti», secondo un luogo comune,

in quanto greci.

Scegliere il cinema non vuol dire schierarsi contro la poesia, ma compiere questa scelta significa rifiutare l'etichetta generica e stereotipata di poeta. Il cinema è determinato, fra le altre cose, anche dalla sua concretezza. E questa concretezza non si addice alla libertà propria della parola poetica. È una dimensione nuova: tecnologia, ma anche rifiuto della tecnologia; immagine, ma immagine impressa sulla celluloide nella sua concretezza. Il cinema ha una dimensione plastica, e la consapevolezza di questa componente crea una sorta di contrapposizione tra la poesia pura e sfuggente e la tecnologia. Io reagisco alla leggerezza con cui mi definiscono poeta del cinema, perché ritengo che la definizione non si addica alla mia scelta particolare di cineasta: narrare con un filtro le immagini e la loro concatenazione. D'altro canto, il termine cineasta non equivale esattamente al termine regista. Il regista ha più a che fare con il teatro. Il cineasta, invece, assume un ruolo molto più difficile... Il cineasta ha un ruolo molto più ampio. È colui che si occupa di cinema, nelle sue diverse fasi creative. Rimanda a qualcosa di alchimistico: il cineasta combatte con la chimica, con le immagini, con gli avvenimenti, con i tempi, con i vuoti temporali, e tutto deve acquistare una coerenza, una continuità, una connessione. A maggior ragione oggi, che stiamo vivendo un «dopo» rispetto a quello che c'è già stato, che è già stato detto ed esaurito nel primo periodo di vita del cinema. I cineasti di oggi sono il risultato della cultura cinematografica. Il cinema non è più qualcosa che sta nascendo sotto i nostri occhi, non dobbiamo più accompagnarlo e seguire le tracce delle sue possibilità espressive. Questa fase è finita già dagli anni °60. Oggi siamo, in qualche modo, già sazi: abbiamo già visto, già conoséiuto, già classificato. [Siamo un risultato, siamo la cultura, deriviamo da una condizione chiamata cinema].

In questo «dopo» del cinema, che segue l’affermazione del cinema commerciale in Grecia e l’entrata in scena

di molti nuovi cineasti, durante il cambio di regime, con opinioni del tutto diverse dai loro predecessori, come vedi la situazione nazionale e come ti collochi in questo panorama? Tutto cambia in continuazione, per fortuna. Oggi intravedo uno spostamento verso il territorio del «gioco» cinematografico, che si ricollega al modo in cui si guarda l’immagine: è una novità che si è imposta come tendenza. Tutto il resto del cinema — un cinema di imposizioni — non si fonda sul puro rapporto con l’immagine, ma sulle immagini che le altre arti hanno scartato. Il cinema ha saccheggiato immagini-significanti di altre arti, le ha «prese in prestito», le ha adottate e fuse insieme in quella che definiamo opera cinematografica. Io sostengo il ritorno al significante-immagine, all'immagine autosufficiente, che custodisce in sé la possibilità di un nuovo inizio e di una rinnovata, immediata e diretta relazione con lo sguardo. Erodhiòs è interessante perché, pur essendo un film realista, continua ad aprirsi a improvvisi salti. Sembra accettare l’esistenza di uno sguardo unitario, organizzato, ma in esso vi sono dei salti...

...Che alla fine vengono accettate. Ma è importante il modo in cui ci si arriva. Non ho mai negato di essere un narratore, di avere bisogno di creare intrecci, ma non ero soddisfatto del risultato: volevo rinnovarmi, ma senza perdere di vista i codici ormai riconosciuti. Avevo bisogno di una trama narrativa, anche se le salti della trama hanno un ruolo fondamentale nell'immagine. Ho sempre ricercato uno sguardo capace di dilatarsi e di penetrare nell'immagine. Voglio che si comprenda che un film è una successione di immagini, ma anche un'immagine completa in sé. Anche se si procede in un puzzle labirintico, che stranamente finisce per coincidere in un'immagine, alla fine si ha di nuovo di fronte agli occhi il film nella sua interezza: è l’opera cinematografica ideale, il fine da perseguire. Non credo nel susseguirsi delle immagini. Credo nel dinamismo dell'immagine, in cui risiede il contributo coesivo che Dhìmos Thèos chiama «significato» cinematografico. Lo spettatore deve avere la possibilità di cogliere una grande quantità di cose tenute in sospeso, che in un solo momento convergono in un’impressione unitaria e nello stesso tempo si espandono e diventano migliaia. Cerco, in sostanza, uno sguardo rivelatore: raccontare qualcosa di minimo che diventa il mondo intero. In passato non sono riuscito a esprimere con chiarezza questo concetto, ma ora ho capito che il mondo è fatto di cose semplici. Puoi avere davanti semplicemente una formica che si muove, ma se il tuo occhio è in grado di vedere, hai di fronte il meccanismo del funzionamento del mondo [e non t'importa di nient'altro]. Il valore dell’arte cinematografica dipende dalla capacità di proiettare un effetto del genere: il cinema procede per evoluzioni, è [una possibilità di sperimentazione] capace di mettere in risalto il tuo rapporto con un aspetto del mondo. Tornando a Erodhiòs, come potresti definirlo in modo un po’ più ampio? Erodhiòs siamo noi: Atene, la follia della metropoli, lo smog... Quindi la prospettiva non può che essere ristretta. Come dicono gli italiani: «facciamo i conti». Il mio film riconduce alla consapevolezza dello spazio, degli uomini che lo abitano e così via... E il personaggio di Robinson Crusoe, su cui vuoi fare un film nell'immediato futuro? Forse sarà una follia, la follia assoluta. Ma può anche offrirci l'occasione di aprirci a qualcosa di nuovo... Se si ha un progetto, è meglio avere venti progetti insieme: unendoli, al momento giusto, verrà fuori qualcosa. Se dici Robinson Crusoe dici anche licantropo e mille altre cose... Nella parte di Robinson immagino Harry Klynn, perché è un uomo capace di risolvere i problemi: puoi fargli fare Robinson, Venerdì, un capitano matto che appare nel film... Se i ruoli gli si addicono, se capisce dove vuoi arrivare, «partorirà» da solo la sua parte.

Sembra che tu abbia in mente una commedia, per così dire, di tipo nuovo. Da dove vengono le tue influenze? Dalla commedia italiana? La commedia italiana mi piace molto, ma è in armonia con l'antropologia dell'ambiente italiano. Il greco non ride. I greci di una volta ridevano, ma solo per merito di alcuni attori, i comici, che riassumevano in sé tutto il cinema del passato. Rendevano cinematografico quello che recitavano a teatro. Oggi non possiamo contare su attori in grado di indurre il pubblico a ridere con la loro sola presenza, e anche se li avessimo non sarebbe lecito usarli. Sarebbe sbagliato, non funzionerebbe: non si possono far risorgere i morti. È diverso il modo in cui il pubblico si pone nei confronti della comicità o è cambiata la società? Sono cambiate le persone, i riferimenti, le situazioni... Allora la gente rideva, ma c'era un background di rife-

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RIVELATORE | PER SGUARDO UNO

rimento. È come il tentativo di far rivivere il vecchio rebètiko: non si può. Oggi ci sono orizzonti sociali diversi. Un rebètis che canta oggi non potrebbe dire «la mia giacca è invecchiata», perché di giacche ne ha 20, 50... In Erodhiòs si ride senza comici. Credi che la comicità possa scaturire da una nuova antropologia? Se me lo domandassi ti direi che voglio fare una commedia. Ma c'è molto da imparare, bisogna studiare e faticare. Mi ricordo una scena di Frodhiòs in cui Polìdhoros (interpretato da me) cerca di afferrare un pony imbizzarrito. La scena mi fa ridere molto, ma mi commuove anche fino alle lacrime. È la mia idea di comicità: pianto e riso insieme. Del resto, credo che il registro comico mi si addica abbastanza... Nel cinema greco di oggi l’elemento comico è raro. Ma quella che tu chiami «terza fase» converge verso l’elemento comico. Penso al film di Avdheliodhis. Dhìmos Avdheliòdhis ha una vena comica autentica. Nella commedia è importante che non ci siano vuoti, e il cortometraggio Athèmitos sinaghonismòs [Concorrenza sleale] è una commedia molto densa. Come mai hai coniato la definizione «terza fase»? Non l’ho coniata io, è una condizione a cui siamo stati costretti. Fino agli anni ’60 il Terzo Mondo non era ancora stato «scoperto». Oggi proliferano le definizioni che iniziano con il termine «Terzo». Ma non ci arrendiamo: in questo senso siamo dei perfetti Lumumba!. Rappresentiamo l’esaltazione, le speranze... Anche se alcuni ne sono convinti, il mondo non è finito. HiHi(e)

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Nonostante l'atmosfera pesante che grava sul cinema greco si affermano produzioni sempre più audaci, che hanno il coraggio di non accettare le regole del Centro Cinematografico Greco (EKK). Come giudichi questo movimento? Un regista che inizia a fare un film da solo si differenzia dagli altri perché decide di fare ciò che vuole. Non pretende 50 milioni come condizione per poter fare un film. Fa un film, ed è una scelta di libertà. L'indipendenza non riguarda semplicemente la partecipazione statale alla produzione: sarebbe un bene se lo Stato rispondesse alle richieste di coloro che lo desiderano. Visti i tempi che corrono è importante anche la posizione «estremista» di chi dice «sono solo», perché esprime il bisogno di libertà, ma non come rivendicazione astratta: concretamente, attraverso la creazione dell’opera. La creazione di un’opera è sempre degna di rispetto. Quindi il movimento definito «cinema indipendente», che ora sta acquistando caratteristiche proprie all’interno del cinema greco, non si esaurisce nell’idea di una base che si contrappone allo Stato: è una tendenza caratterizzata dall’ostinazione, dall’anticonformismo e dal bisogno di fare cinema dei registi, che del resto è ciò che sanno fare. Ed è un bisogno che suggella una posizione pura: purezza nelle intenzioni, ma anche nella trasmissione dell’esistenza. Non è una dinamica di poco conto, molto diversa dalle dinamiche europee.

Non accadeva qualcosa di analogo, ad esempio, con ifilm degli anni '60? C'erano varie «follie» anche allora, ma erano sempre «follie mascherate»: il modello dominante era «io e il mio produttore». Oggi quel modello è superato, il cineasta fa il regista, il produttore, il distributore, il curatore, il ragazzo tuttofare... E visto che è cambiato il modello, la condizione necessaria non può più essere la propaganda personale, l’«io regista» prima di tutto: bisogna preoccuparsi soprattutto dei rapporti «io e i film che voglio fare», «io e la gente con cui collaboro», inediti in ambito cinematografico. [Ogni individuo, ogni caso è a sé, non esistono cristallizzazioni ideologiche e produttive, ma nemmeno distri-

butive]. Gli artisti hanno in comune soltanto questo genere di rapporti. Esistono una coscienza di sé, il bisogno di trovare una sala per proiettare i film e il desiderio di rettificare il contesto legislativo: la legge per il cinema, recente e molto criticata, è anticostituzionale. Contiene due elementi (le condizioni perché siano concessi a un film la cittadinanza greca e il permesso di proiezione, un minimo obbligatorio di 13 persone per la troupe di ogni produzione) che non riguardano minimamente il sostegno e la promozione dell’arte cinematografica. Le condizioni produttive di un film determinano, in un certo senso, anche la sua estetica. Ci sono film con troupe formate da molte persone, e ce ne sono altri in cui bastano il regia



A lato: Ricordi dell’Occupazione dall'ultimo film di Stavros Tornes Ènas erodhiòs ghia ti Ghermamìa, 1987. Stàvros Tsiòlis (a sinistra) nella parte di un ragazzo di 49 anni e, accanto a lui, il critico cinematografico e regista Chrìstos Vakalòpoulos, in divisa da ufficiale tedesco

propria sta, l'operatore e uno o due assistenti. Una legge che dica come si deve lavorare per produrre la deve cineasta Un uomini. gli «finire» vuole che civiltà una di opera è l'imposizione tecnocratica propria possono troupe della persone le che contributo al opporsi opporsi a quest’imposizione, che non significa dare al film. Se i tecnici hanno proposte sulle scelte produttive o estetiche sono sempre bene accette. queUn'opera appartiene a tutti coloro che contribuiscono a realizzarla, non è un'operazione privata. Se perché cinema, del sviluppo di parlare di permettere sti elementi della legge non cambiano, non ci si può è ipocrita. È tra le leggi più illiberali mai concepite.

HiHiN

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In generale il mondo del cinema ha accolto positivamente questa disposizione legislativa. Tranne nel caso di alcuni registi che finora hanno lavorato in modo diverso... I tecnici migliori sono favorevoli alla libertà di produzione, ed è naturale, perché chi si sente collaboratore, chi non ritiene di svolgere un lavoro imposto non ha interesse a metterti il coltello alla gola: si rende conto che diventerebbe impossibile portare a termine un’opera. Queste leggi sono macchinazioni distorte che corrispondono agli interessi di partito, sventolate in nome della presunta protezione di una certa classe di lavoratori. Ma non è così: i tecnici non si considerano mal pagati. Quando si lavora con altre persone ci devono essere regole accettate da tutti. Non riesco a capire perché i tecnici siano i più accesi sostenitori di una legislazione così illiberale. Forse odiano il lavoro che fanno, ma non riesco a credere che il rapporto del tecnico con l’opera sia alienante come nel caso di un operaio che lavora in fabbrica per la paga giornaliera. Il rapporto con il cinema è, soprattutto, un rapporto d'amore, un investimento spirituale. Se s'imporranno simili disposizioni, si rischierà di perdere anche i giovani che sono in grado di rinnovare il nostro cinema dal punto di vista estetico. Se non ci saranno nuovi artisti e nuove problematiche, se si impedirà che queste problematiche si esprimano, avanzerà il deserto. Queste imposizioni dipendono da interessi organizzati che, anno dopo anno, limitano il nostro cinema? Il cinema esiste grazie a molti mestieri; negli ultimi anni, siamo stati testimoni della scalata di molti personaggi — sempre gli stessi — alle posizioni in cui si prendono le decisioni: soprattutto membri delle corporazioni/associazioni. [Si sente dire, ad esempio: Koundhoùros di qua, Koundhoùros di là, Koundhoùros su, Koundhoùros giù; Papakiriakòpoulos qui, Papakiriakòpoulos lì, Papakiriakòpoulos su, Papakiriakòdpoulos giù; Dhanàlis di qua, Dhanàlis di là, Dhanàlis a Salonicco, Dhanàlis che tiene le chiavi, Dhanòlis al Ministero...]. Pietà! Se vivessimo in un paese veramente democratico, interverrebbe il pubblico ministero. Non è possibile che accadano cose del genere, è corruzione. Non è possibile continuare ad essere il preferito per più di cinque o sei anni...

Potresti ricordare il periodo in cui hai vissuto in Italia, che, probabilmente, ha plasmato il tuo modo di pensare e ha determinato le tue scelte cinematografiche successive? Preferirei raccontarvi una storia personale a cui si potrebbe dare un titolo a parte: Come ho conosciuto il poeta russo Evgenij Evtusenko, che spiega anche la scena di Frodhiòs in cui Loukàs e Polìdhoros discutono di poesia in una strada di Atene, in mezzo al traffico e alla confusione. Al Festival Internazionale dei Poeti di Castelporziano [28-30 giugno 1979] c’è stato il sabato fantastico in cui è avvenuto il miracolo: 30.000 persone si sono riunite insieme, in piazza, ed è diventata una serata di poesia. Il giorno dopo, tutti felici, verso mezzogiorno, ci svegliamo e andiamo a prendere il sole. La gente va e viene, ma alcuni non sono troppo in forma ed è già tanto se riescono a muoversi. Io, [il mio amico greco, il poeta Thomàs] Gòrpas, Charlotte, Ferlinghetti, la sua ragazza ci sdraiamo e parliamo di varie cose. Il tempo trascorre piacevolmente, passano anche alcuni tedeschi, ci salutano. A un certo punto ci separiamo. Prendiamo il trenino e andiamo a Roma. Tutto questo avviene in una pausa delle riprese del film di Fellini La città delle donne. Il venerdì avevamo interrotto una lunga scena, girata vicino al castello di Katzone, dove eravamo stati tutti intorno a guardare. Io, adesso, sono in primo piano. Appena arrivo allo studio, il lunedì mattina: «Vieni, vieni Tòrnes, Tòrnes, To... To... non riesco a pronunciare questo cognome», Federico ha i nervi già di prima mattina. «Tòrnes», gli dico, «Sì, Tòrnes». Si sta allestendo la scena, Rotunno prepara le luci, ma qualcosa «sta bollendo in pentola» un po’ più in là... Lavoriamo allo Studio 5. Entrando dalla porta centrale nel luogo in cui giriamo, si arriva in un enorme corridoio che porta al castello di Katzone, da cui si vede il set, perché c’è un separé di plexiglas... Quindi vedo Evtusenko che entra nello studio vestito da turista — foularino, macchina fotografica e tutto il resto —, con cui mi ero seontrato al convegno poetico. Si dirige verso Fellini. Abbracci e baci (si conoscono da tempo); a un certo punto Fellini si gira per vedere

cosa succede: «Su, Tòrnes, andiamo» o qualcosa di simile. Allora Evtusenko gira lo sguardo nella direzione in cui è puntata la macchina da presa e all'improvviso mi vede in primo piano. E «gli dà sui nervi». «Com'è possibile», avrà pensato, «sabato litigavo con questo a Castel Porziano e adesso è in primo piano nel film di Fellini?». Non ci ha più visto. L'ho visto sparire, ho detto «Fate attenzione che non gli capiti qualcosa!» e sono andato a cercarlo: «Ciao, come stai Evtu$enko?». Non poteva dire niente, e rispose: «Ah, bene, grazie»... Ma poi ha pubblicato un articolo sulla «Literaturnaja Gazeta», che mi hanno fatto leggere. Nell’articolo faceva riferimento anche a me, mi chiamava «il greco Stavros», come se mi prendesse sul

serio... Dev’essere rimasto impressionato perché mi aveva visto nel film di Fellini: «Non può essere altrimenti, dev'essere uno importante», avrà pensato.

‘Patrice Lumumba (1925-61) era il primo ministro congolese dopo il raggiungimento dell’indipendenza; fu destituito dal presidente Kasavubu e poi assassinato dai secessionisti del Katanga [N.d.T.].

Testo completo dell’ultima intervista di Tornes, concessa a Chrìstos Vakalòpoulos e Elias Kanellis. L'intervista fu pubblicata per la prima volta, quasi integralmente, sulla rivista «Adì» (n. 347, 27 maggio 1988). L'ultima parte, relativa a Fellini ed Evtusenko, fu pubblicata dopo la morte del cineasta, in Mikrò afièroma mnìmis [Breve dedica in memoria] sempre su «Adì» (n. 381, 26 agosto 1988). Le frasi tralasciate nelle precedenti pubblicazioni sono state integrate tra parentesi quadre. 113

RIVELATORE | PER SGUARDO UNO

Elèni Stefànou e Màrios Karamànis in Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

Stélios Anastasiàdhis, Karkaloù,

1984

Robinson Crusoe

Dedicato a Luis Bufiuel 9 luglio 1986

Pian

piano

ritrova

il ritmo

della

solitudine.

Sembra aver dimenticato il suo antico progetto e

il desiderio di raggiungere l’Europa. Soltanto i Stando

alle

descrizioni

di

suoi occhi

sono

Defoe, la capanna fortificata di Robinson Crusoe

aspettando

qualcosa.

venne costruita su un’isola deserta dalla lussu-

all’orizzonte qualcosa che assomiglia a un nau-

reggiante vegetazione

del

celebre

tropicale.

un club, stile «Mediterranée»,

libro

È proprietà di

riservata

a una

ristretta clientela di «iniziati». Ogni tanto uno

frago,

al mare

Ma

un

come

giorno

se stesse DD

scorge

e rimane turbato: per tre giorni non capi-

sce che cosa sia e dove abbia intenzione di approdare.

degli Iniziatori viene a trascorrervi le vacanze.

In mare

Al programma

che

del club partecipa anche Patatì-

rivolti

aperto galleggia una zattera primitiva

trasporta

il

giovane

irlandese

Patrick

Patatà, cioè Venerdì, un allegro giovane di colo-

O’Malone.

re al servizio dell’impresa. Patatì-Patatà, con

Lo trasporta per modo di dire, perché la zattera

l’aiuto dell’Iniziatore, supererà il suo passato

è quasi immobile,

da cannibale.

fretta, ha un lungo viaggio

La spedizione della «Robinsonia-

dè» finisce. L’isola ridiventa deserta. Abitante stabile

dell’isola è DD, un minuto

trent’anni.

Alcuni

in Inghilterra.

sudanese

anni prima voleva

di

studiare

ma Patrick 0*Malone

perché viaggia a piedi. È contrario trasporto.

Benché

non ha

alle spalle.

le condizioni

non siano affatto favorevoli,

Lungo

ai mezzi di

sulla

zattera

Patrick 0*Malone

Era stato costretto a viaggiare

guarda sorridente i pesciolini attorno a sé. Ogni

di nascosto. Aveva trovato una nave e vi si era

tanto, sfinito dalla mancanza di acqua e di cibo,

imbarcato

si abbandona tra le braccia di Morfeo.

come

clandestino.

Ma in Inghilterra

non ci era mai arrivato. Lo avevano scoperto e lo

Ora il fotografo che gli scatta le fotografie per

avevano gettato in mare! E così si era ritrovato

il passaporto gli parla in continuazione dell’im-

sull’isola.

portanza della foto piccola e dei viaggi brevi e

Se

la

passa

capanna

abbastanza

fortificata,

non

bene

da

gli manca

solo

nella

niente, la

gli chiede

dove vuole

andare.

Patrick

0*Malone

non risponde, le fotografie dello strano fotogra-

sua vita trascorre in pace. Soltanto nei periodi

fo sono

in cui arriva qualche Iniziatore, DD si nascon-

fiducia e al confine lo sottopongono a estenuan-

de come

ti indagini.

un selvaggio

e spia i movimenti

degli

ben fatte, ma il passaporto Le

avventure

vere

non

ispira

e proprie

di

sconosciuti.

Patrick O’Malone, tuttavia, iniziano dall’incon-

Guarda con odio l’Iniziatore che ripete il gioco

tro con la vecchia sulla spiaggia deserta.

con le armi di Robinson, le infinite sbronze con

Quando la donna lo chiama, lui pensa che abbia

il cognac

E,

bisogno

di

donna lo conduce alla propria dimora, gli dà da

Patatì-Patatà Venerdì ad opera dei cannibali. DD

mangiare e gli parla a lungo in una strana lin-

ritrova

il

gua. La voce della vecchia, che sussurra con fare

veloce yacht del club che deve riportare indietro

ammaliante, non gli è estranea. Patrick 0*Malone

lo straniero. Non nasconde il proprio entusiasmo

capisce

e festeggia con un ballo, al quale partecipano il

insiste a lavargli i piedi, che cosparge con un

pappagallo, i gatti e i capretti.

unguento curativo. Durante la notte lo sveglia e

alcuni

e gli scherzi

giorni

dopo,

con

il pappagallo.

l’eroica

la tranquillità

liberazione

solo quando

arriva

di aiuto

e le va

che trascorrerà

incontro.

lì la notte.

Invece

la

La donna

II5

la cascata ed è disposta a indicargli la strada

l’isola è piuttosto comica. Al contrario DD odia gli Iniziatori. Non vede l’ora di toglierli di mezzo e cerca la complicità di Patrick 0*Malone.

che lo condurrà dalla mitica vecchia in possesso

Nel frattempo le donne ogni tanto si fanno vive,

del segreto della comunicazione

sempre di notte e sempre con un buon consiglio.

lo fa scivolare in un antro sotterraneo dove vive la vera vecchia di 250 anni. Lo accoglie dietro

delle tenebre,

nella parte più interna della spelonca.

Patrick 0°Malone le ascolta con rispetto e ne sop-

Patrick 0°Malone preferisce il sole e vuole tor-

pesa le parole. Invece DD le considera

nare indietro. Ma indietro e avanti non esistono.

da scacciare

È una specie di labirinto. In fondo, che sia cen-

dall’Africa per trovare altri fenomeni sopran-

tro o periferia, c’è un porticciolo. Dei pirati si

naturali». Infatti, ogni volta che gli amici pre-

preparano

parano un trabocchetto a spese dell’Iniziatore,

a salpare.

Se si guarda più attenta-

mente, si scopre che i pirati sono donne: sono le

le donne intervengono e lo vanificano.

stesse donne dell’antro sotterraneo, trasforma-

Ma da che parte stanno?

te

Nel

in

avvenenti

pirati.

Non

appena

vedono

Patrick 0*Malone, vogliono portarselo dietro. Si

Hi Hi DD

TornEs |STAVROS

fantasmi

«Non se ne è andato

come zanzare:

frattempo

l’Iniziatore

non

sospetta

nulla

degli intrighi sull’isola tropicale. Porta a ter-

sono convinte che porti fortuna!

mine

Il viaggio con i pirati si svolge esclusivamente

Solo Patatì-Patatà

il proprio

incarico

con

beata

dedizione.

di notte, e, quando come per miracolo

ridiventa

qualcosa, ma istintivamente, da bravo «Contadino

giorno, Patrick 0*Malone è in salvo sulla zattera.

Furbo», finge di non vedere nulla. Infine segue

Adesso che il sole gli batte dritto sulla testa,

l’Iniziatore quando arriva lo yacht.

non è così sicuro di essere uscito dal labirinto.

Mentre assiste alla partenza, DD ha l’impressione

intuisce che sta succedendo

Quando la zattera tocca infine la terra dell’isola,

che lo yacht sia seguito da un altro naufrago, ma

Patrick 0*Malone trova tutto pronto ad aspettarlo

non ne è sicuro. È una strana barchetta

nella capanna di Robinson. Per alcuni giorni man-

stretta,

gia in abbondanza, senza far caso agli occhi di DD

l’onda. Ogni tanto scompare, riportando alla memo-

che lo spiano pieni d’ira. DD ha dei dubbi sull’i-

ria di DD le Fate Morgane del Paese natale. Patrick

veloce

come

un insetto,

lunga e

sfuggente

come

dentità dello straniero, gli sembra semplicemente

O°Malone, che ci vede meglio, scopre che si tratta di

un morto di fame che si comporta in modo strano:

uno dei veicoli dell’antro sotterraneo. Di certo le

non

dimostra

alcun

interesse

per

le armi

di

donne avranno le loro ragioni per seguire lo yacht

Robinson, non dorme nella capanna dove avrebbe il

dell’Iniziatore.

«diritto» di dormire, e, benché siano passati parec-

trova

chi giorni, non si fa vivo nessun Patatì-Patatà!

decidono

DD, che non parla con un essere umano da anni, si

costruire con entusiasmo una barca che permetterà

fa infine

loro di andare dove vogliono.

momento

coraggio ed esce allo scoperto, ma al

dell’incontro

non

sa esattamente

che

una

L’arrivo

Ma

nemmeno

spiegazione di diventare

del

quarto

Patrick

convincente. indipendenti

Iniziatore

0*Malone

I due amici e iniziano

esaspera

a

i due

cosa dire ed emette un suono incomprensibile.

amici, perché sono costretti

Patrick 0’Malone, per il quale tutto è possibile e

costruzione della barca. Questa volta sono asso-

naturale,

lutamente

non

fare rilassato

sembra

sorpreso

lo invita

alla

di vederlo. capanna

come

Con se

stratagemma

d’accordo. che

a interrompere

Devono

li liberi

escogitare

fosse il vero Venerdì, ma la violenta reazione di

possibile dalla fastidiosa presenza.

Sfortunatamente

alla

realtà.

Segue

uno

scontro

questo

uno

il più velocemente

DD

lo riporta

la

quarto

soprannominato

cipa anche il pappagallo, gridando «Fantastic»,

simpatico. È un uomo discreto amante delle arti,

«Fantastic»,

che di tanto in tanto investe nel cinema. È faci-

cattiva

abitudine

presa

da

un

«Fantastic»,

Iniziatore,

ideologico sul soggetto di Daniel Defoe. Vi parte-

è particolarmente

Iniziatore (di cui si parlerà alla fine).

le preda dell’estasi e per questo è soprannomina-

Il tema scottante

del dissidio è la possibilità

to «Fantastic»,

parola che ripete spesso. Il suo

dell’utopia.

comportamento

dimostra

Lo scontro non arriva a una soluzione. Ciascuno disposto ad andare incontro all’altro e iniziano

regole e formalità: veste come Robinson Crusoe, è terribilmente trasandato, tratta Patatì-Patatà come un piccolo lord e di notte ascolta musica

a vivere guardandosi in cagnesco. Ma con l’arri-

classica di nascosto.

vo

diventano

DD conosce bene Fantastic, è la sesta volta che lo

amici. Patrick 0°*Malone impara presto a nascon-

vede. Forse è questa la ragione per cui l’attacco

dersi e a spiare. Si accorge che la situazione sul-

non ha luogo. Oltre a ciò, anche le donne cercano

resta della propria opinione.

di

un

giovane

Iniziatore

Nessuno

i due

dei due è

che

non

obbedisce

a

di

scongiurare

la

sfida

nei

confronti

continui

dell’Iniziatore. Alcune donne, per essere certe

donne

che i due non commettano qualche pazzia, si pre-

club.

parano

Mentre

a rapire

Patrick

0*Malone.

Ma un altro

gruppo, che non è d’accordo, prende le parti dei

attacchi,

dà l’allarme

moderne

arrivano e cani,

attraverso

alle

le guardie dalla

le urla

guardie

giurate

parte

delle

giurate

opposta

con

del armi

rispetto

due amici ed è pronto a gettarsi nella mischia.

alla spelonca marina sbuca la banda degli eter-

Patatì-Patatà,

ni pirati. La lunga inattività 1i ha inferociti.

approfittando

della

tregua

momentanea, si avvicina ai due amici e promette

Sono

loro aiuto. DD non si fida, ma non c’è tempo per

amici sono scappati in una spiaggia scoscesa, in

discutere:

attesa del segnale di Moby Dick.

le

donne

hanno

già

assaltato

la

pronti

a combattere

contro

tutti.

I tre

capanna fortificata difesa da un Fantastic tra-

Patatì-Patatà, che rinnega la circostanza meta-

sformato

i tre

fisica, ruba il vascello alle donne, prende con sé

momento

i due amici e, alla velocità della marea, si diri-

assistono

in eroe.

In preda

istupiditi

agli

allo stupore,

eventi.

Nel

decisivo della battaglia, Fantastic, sfinito dai

ge, forse, verso il regno del Sole.

Hi N

|H CRUSOE ROBINSON

Èvris Papanikòlas e Stavros Tsiòlis in Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

Incontri

A

Stavros Tornes con Nico Papatakis,

l’altro grande apolide del cinema greco al Festival di Salonicco, 1986

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Augurio dall’Anatolia

Bra

KIA ZAN

Caro Stavros, è molto molto raro che un regista pensi che qualcun altro abbia davvero apportato buto alla sua produzione. Siamo tipi egocentrici, noi. Ma io so che tu l’hai fatto. Averti la più grande fortuna che mi sia capitata in Grecia, sul serio. Il tuo contributo quanto e sincerità è stato incommensurabile. Ti ringrazio di cuore, e credo che ogni volta che film, penserò: grazie a Stavros...

un enorme contrinel mio staff è stata a devozione, gusto vedrò i volti di quel

Buona fortuna. Che tu possa diventare ciò che vuoi, qualunque cosa sia. Ricorda che avrai sempre un amico in America. Elia

Lettera di ringraziamento di Elia Kazan a Stavros Tornes, in segno di riconoscenza per i consigli ricevuti durante le riprese di America! America!, di cui il giovane cineasta ha curato il casting.

I2I

In alto: Anèstis Vlàchos (a sinistra) e Stavros Tornes in una scena delfilm Kièrion di Dhìmos Thèos In basso: (da sinistra) Stavros Tornes, Stamàtis Ghiànnoulis, Ghiànnis Kostòglou, Chrìstos Vakalòpoulos durante le riprese di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

Ricordi

DEE NtTONstTE HE N ES

THE

08

Doveva essere l'autunno del 1959. La Scuola di Cinema Ioannìdhis, presso la quale ero stato invitato a tenere alcune lezioni, annoverava parecchi studenti meritevoli — oggi noti cineasti — tra cui anche Stavros. Se paragonata allo squallore piccolo borghese della maggior parte di noi, la presenza di questo studenteproletario si distingueva ancor più. Si vociferava che avesse prestato servizio militare a Makrònisos?, e ciò accresceva la sua immagine di combattente-ideologo. Inutile dire che il clima dell’epoca favoriva lo sviluppo di un'intera letteratura sulla «coscienza di classe», sull’intellettuale impegnato e così via. Benché avesse interpretato il ruolo del protagonista nel film To meghàlo kòlpo (1959), continuava a lavorare come operaio e ad andare fiero delle proprie origini proletarie, come si addiceva allora a un comunista. Suo padre — nei confronti del quale nutriva un affetto sincero e profondo —, profugo dell'Asia Minore, era meccanico specializzato in generatori mobili. Un mestiere con molte incertezze. La scarsità di lavoro e la disoccupazione di «mastro Alèkos» (così chiamava il padre) costringevano gli altri membri della famiglia a lavorare dove capitava per far fronte alle necessità primarie della famiglia. Stavros crebbe e sperimentò la vita del lavoratore a giornata a Ghalàtsi*: le sue prime esperienze (relative alla stratificazione sociale) sono legate alle cave di pietra della zona. (Più tardi, questi paesaggi sassosi fungeranno spesso da cornice ai vagabondaggi fantastici dei suoi eroi.) Tuttora ho la sensazione che, sebbene avesse interiorizzato alla perfezione l’idea della missione storica della classe operaia, lo spaventasse l'allontanamento — grazie al cinema — dalle sue origini. Gli creava dilemmi di coscienza. In ogni caso, si avvicinò al cinema come professione gradualmente e dopo parecchie esitazioni. Quando, infine, si staccò dalla consorteria della cava di marmo, si sentiva un po’ come un disertore! Ciò nonostante, non spezzò mai i legami di amicizia con i vecchi compagni. (Dopo il lungo periodo trascorso in Italia, la sua prima preoccupazione, appena mise piede ad Atene, fu la ricerca di quelle persone, che nel frattempo avevano costituito una piccola organizzazione di «Operai Autonomi» a Kalogrèza).

Dopo la già menzionata esperienza di attore nel film di Chrìstos Theodhoròpulos, negli anni a seguire (durante il decennio 1960-70) cominciò a lavorare più sistematicamente, e in qualità di aiuto regista. Tuttavia, la scarsità di lavoro che la qualifica di aiutante implicava lo costringeva a fare anche il trovarobe, attività che lo mise in contatto con il mondo di Monastiràki'. Così, in un certo qual modo, si crearono le premesse per aprire una bottega di libri usati, un suo vecchio sogno. La bottega di via Efesto® fu principalmente un luogo di incontro, un punto di ritrovo di cineasti, ma anche di scrittori, primo tra tutti il poeta Thomàs Gòrpas’, ma fu anche un’impresa. Assai spesso i nostri vagabondaggi senza meta ci portavano alla bottega di Stavros, e le discussioni sull’«altro» cinema e sulla rivoluzione si protraevano sino a notte ‘Contributo pervenutoci con la variante internazionale del nome d’autore, più noto in Grecia come Dhìmos Thèos, e

così indicato altrove in questo volume. Le note che seguono sono dell’autore. *Isola arida e priva di vegetazione dell’Attica meridionale. Luogo di confino di cittadini e soldati con ideologia di sinistra durante il periodo successivo alla guerra civile. *Lungometraggio di Chrìstos Theodhoròpoulos, Direttore della Scuola Ioannìdhis. ‘All’epoca, sobborgo operaio di Atene. sobborgo di Atene con botteghe d'antiquariato. Strada centrale di Monastiràki. "Thomàs Gòrpas (1935-1999). Poeta della seconda generazione del dopoguerra.

123

inoltrata. Ricordo che a quel tempo lo sguardo di tutti noi era rivolto al neorealismo italiano. Ed era normale. Il nostro impoverimento sociale e la mancanza di libertà politica erano ragioni sufficienti a farci trovare nei film italiani dell’epoca l’ideale artistico al quale valeva la pena dedicare la parte migliore di se stessi. Del resto, l'avanguardia russa e la produzione americana (film e movimenti ideologici) esterna a Hollywood nel periodo successivo alla guerra civile erano sconosciute in Grecia. Ignoravamo i film di Jean Rouch, di Bresson e di Cassavetes. Una grande rivelazione per tutti noi furono Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (andammo a vederlo una decina di volte) e Mamma Roma di Pasolini. Accattone non era stato ancora proiettato ad Atene e non so dire quale sarebbe stata l'impressione di Stavros se lo avesse visto allora... Anni dopo mi avrebbe confidato che aveva visto il film-feticcio di Pasolini intorno al 1970 a Roma. Fu quindi il «colpo di stato di aprile», che lo spinse a vagare in Occidente, a offrirgli l'occasione di conoscere il cinema di Pasolini, e in particolar modo Accattone, che sarebbe rimasto il suo vangelo. In quello stesso periodo comincia a vacillare anche la sua fede nell’ideologia staliniana, specialmente dopo gli eventi di Praga. A partire da quel periodo comincerà gradualmente a prendere le distanze dalla dominante ideologia del marxismo balcanico-ortodosso. Durante la sua permanenza in Italia, dove vive il declino del movimento comunista, per la sincera com-

passione nei confronti dei perseguitati di ogni genere ma anche per ragioni di sopravvivenza, si ritroverà «impercettibilmente» in un mondo di clandestini e moribondi. Per fortuna, da «levantino», sfuggì all’inferno non solo sano e salvo, ma anche più saggio.

124

THEOS DEMOSTHENES

Durante l’ultimo periodo prima di lasciare la Grecia (settembre 1967), seguivamo un percorso pressappoco parallelo in ambito cinematografico, mentre i nostri punti di vista politici divergevano sempre di più. Il mio orientamento volgeva progressivamente verso una sinistra liberale, il cui ruolo si sarebbe dovuto limitare all'opposizione, con una strategia concentrata su tematiche di critica sociale che escludesse ogni tentativo di scalata al potere. A quel tempo, questa posizione ideologica si opponeva radicalmente a quella di Stavros, per cui l'effettiva missione della sinistra continuava a essere quella tradizionale della presa di potere e della «Dittatura del proletariato!». Eppure queste divergenze non erano determinanti nei nostri rapporti personali. I suoi criteri di valutazione dell’«Altro» avevano a che vedere più con il cuore e i sentimenti che con le ideologie. Nella sua visione della vita contava la moralità, non i pregiudizi ideologici. Mentre lavoravamo entrambi come tecnici (in Ouranòs, I voskì tis Anatarachis e altri), ci fu offerta l’opportunità, assieme ad altri compagni (T. Kalatzìs, Panusòpoulos, tra gli altri), di mettere in pratica un programma che unisse l’attività politica e la pratica cinematografica. Consideravamo l’attività sindacale e la produzione cinematografica indissolubilmente connesse, specialmente in un periodo in cui la mancanza di libertà politica procedeva di pari passo con la farsa del cinema commerciale. Per noi giovani la questione sindacale era direttamente collegata alla produzione di un «altro» cinema. In questo senso, il nostro coinvolgimento nelle attività sindacali (partecipazione attiva al Sindacato dei Tecnici del Cinema) nel periodo 1962-67 ebbe come risultato la creazione dei primi cortometraggi greci di orientamento chiaramente politico e sociale (Fkatò òres tou Mài, Platìa Kotzià, Thiraikòs òrthros). Ma sfortunatamente, al Consiglio Amministrativo dell’ETEK®, oltre che con le difficoltà (economiche, amministrative, di collaborazione e così via), dovevamo fare i conti anche con i profittatori stalinisti, che ci creavano ulteriori problemi. Nel programma da noi adottato, cioè l’attivismo sindacale al servizio di un cinema politicizzato, i più vecchi non vedevano altro che la contestazione del modello stalinista, che a mio parere era (e continua a essere) non politico. Così, le «controversie» politico-ideologiche erano all'ordine del giorno. Da parte nostra quei contrasti erano spontanei e sinceri, ma sfortunatamente si sarebbero rivelati fatali. Oggi tutta quell’estenuante esperienza merita di essere menzionata e ricordata, semplicemente e unicamente perché connessa ad alcuni dolorosi avvenimenti. Ha a che vedere con il fatto che Stavros fosse stato messo in disparte, ma soprattutto con la sua scomparsa. La vita e l’attivismo sindacale di qualche protettore dei lavoratori stalinista diventerà lo strumento con cui la meschina società greca colpirà il poeta al capolinea della sua esistenza. Sul «protettore dei lavoratori» in questione sarò obbligato a ritornare anche in seguito.

Durante il periodo dell’autoesilio di Stavros in Italia mi trovavo all’estero anche io, ma non ci fu possibile incontrarci. Di tanto in tanto comunicavamo telefonicamente, in altre occasioni avevo sue notizie da “

*Unione dei Tecnici del Cinema Greco.

amici comuni. Le poche e vaghe informazioni che avevo non mi permettevano di valutare precisamente il suo percorso intellettuale. Da un breve incontro a Parigi nell'estate del 1972, durante il quale conobbi anche Charlotte van Gelder, non ebbi l'impressione che il suo modo di pensare fosse cambiato in maniera sostanziale. Solo quando, nella primavera del 1975, si trattenne per alcuni giorni ad Atene, ebbi l'occasione di constatare il cambiamento della sua ideologia politica secondo un percorso parallelo alla sua evoluzione artistica. Il monolitismo comunista di un tempo era scomparso, per lasciare il posto a una liberalità beffarda ma benevola, che lì per lì mi mise in imbarazzo. Inizialmente, supposi che dietro quell’atteggiamento cinico si nascondesse qualche delusione, dovuta a problemi di natura personale. Ma non tardai a constatare che Stavros, in fondo, era sempre lo stesso. Era sempre l’amico dai sentimenti sinceri nei confronti dei compagni che, con l’arte e la lotta, costituivano o rappresentavano la redenzione storica della sua generazione. Del resto, la generosità e l'entusiasmo (qualità di uno spirito indipendente) non lo abbandonarono mai. Così presto capii che non aveva cambiato carattere ma orizzonte intellettuale: non voleva più sentir parlare dell’«intellettuale organico» e di cose simili. Durante i suoi viaggi in Occidente aveva maturato un punto di vista estetico secondo cui il vissuto, in quanto «diversità», doveva costituire il nucleo dell’opera d’arte. Era

questa la novità. Il procedimento interno di questa «svolta» ideologica e artistica (una sorta di conversione sulla via di Damasco), rimarrà sempre un interrogativo insoluto. È difficile dire se le intime motivazioni di questa svolta abbiano a che fare con nuove esperienze estranee al ghetto neogreco balcanico-ortodosso, o se siano dovute a influenze marginali provenienti da persone o da libri (in Italia, Stavros si buttò a capofitto nella lettura dei neoplatonici del Rinascimento, come Giordano Bruno o il «negativo» Nicola Cusano, ma la mancanza di una cultura di base non gli consentiva di sviluppare sufficientemente il suo pensiero in questa direzione, di penetrare fino in fondo il neoplatonismo). Poco a poco cominciai a convincermi che le cause della sua svolta fossero da ricercare nelle esperienze vitali delle sue origini. Un’angoscia metafisica che sgorga spontanea — specialmente nei film del periodo italiano — difficilmente riesce a nascondere il proprio punto di partenza. Se ben ricordo, doveva essere il 1983. Solo quando vidi per la prima volta l’opera complessiva del periodo italiano (Coatti, Adîo Anatolì, Eksopragmatikò), riuscii a comprendere il significato del suo cambiamento: avevo dinanzi a me un’opera di una nudità disarmante. Vedevo sfilare una moltitudine di diseredati e di reietti che facevano irruzione nella mia coscienza con singolare familiarità. Forme provenienti dalle viscere del tempo, tormentate ma archetipiche, direi, venivano a rammentarmi la natura elegiaca di ogni periodo di transizione. Non era la prima volta che vedevo sullo schermo diseredati e bricconi, ma la solitudine di quei personaggi aveva qualcosa di impalpabile, di inafferrabile, e solo dopo una profonda riflessione riuscii a capire che la solitudine di quelle esistenze era l’altra faccia dell'innocenza! E naturalmente maneggiare quest’'innocenza mortificata e deformata aveva un prezzo. Chiaramente questa scelta, così come la concepiva (e così come è impressa nella sua opera), dimostra un rapporto assai profondo tra Stavros stesso e i personaggi della creazione mitica. Presuppone l’identificazione del creatore con i personaggi delle sue opere. Consapevolmente o inconsapevolmente, non ha importanza. Ciò che conta è che questa sua incondizionata identificazione con ogni genere di perseguitati e di emarginati, da un certo momento in poi si sarebbe trasformata in un inferno personale. In quest'ottica può essere comprensibile il suo inserimento, nel 1969, in un Corpo di combattenti per la Liberazione della Palestina. L'ipotesi (diffusa negli anni ’60), secondo cui le minoranze, gli emarginati e ogni sorta di individui etichettati compongono il potenziale sottovalutato del cambiamento rivoluzionario, doveva essere convalidata e assumere una sembianza in carne e ossa. Di conseguenza, la famigerata questione della «diversità», secondo Stavros, non

poteva consistere soltanto in un significato che si esaurisce in ambito linguistico. Doveva diventare un modus vivendi e, successivamente, essere transustanziata in opera d'Arte! Quando, infine, tornò definitivamente in Grecia (1981), esternamente sembrava abbattuto, in un certo qual modo invecchiato. Tuttavia, la sua forza d'animo, così come la sua ispirazione erano in pieno vigore. In condizioni di indescrivibili ristrettezze economiche, in Grecia riuscì a girare quattro lungometraggi, che restano unici nel nostro cinema nazionale. Paradossale, ma meritevole di attenzione, è il fatto che i film girati dopo il ritorno in Grecia sono chiaramente sarcastici, e che la derisione si evolve talora in umorismo macabro! (Va sottolineato che i film che girò in Italia sono caratterizzati dal senso del «tragico», e varrebbe la pena di esaminare questa differenza.) Stavros inoltre creò un metodo che deve il proprio valore all'esaurimento delle riserve di inventiva e prontezza di spirito: l’improvvisazione. Tale metodo riguarda le modalità per rendere un'idea o un sentimento, tramite immagini casuali e rapporti che non presuppongono la struttura geometrica dell'affresco, ma la registrazione istantanea dell’acquarello. L'ispirazione non si esaurisce nella pianificazione e nel calcolo,

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RICORDI

si concentra con ostinazione in un unico istante che non si può correggere, rinviare o registrare una seconda volta! Tutto deve essere compiuto in quell’istante irripetibile, durante quell’«improvvisa» illuminazione dell’«epoca» platonica. Qualcosa come il gerne dei pittori fiamminghi, che in istanti di raro raccoglimento concepiscono e conferiscono alla casualità della quotidianità un significato universale e atemporale. In questo senso, era pronto a cominciare dal nulla! Seguii da vicino tutti gli stadi della produzione di Balamòs, e ci furono momenti in cui ebbi l'impressione che stesse cospirando. L’improvvisazione, lo sfruttamento della casualità, le ispirazioni momentanee, tutto era «possibile» e ben accetto. L’improvvisazione non si limitava al mon-

taggio di una scena, ma anche alla struttura della narrazione (Balamòs l'ho montato io stesso e conosco nei minimi dettagli le varie, estenuanti fasi della moviola. Ritornerò su questo argomento). Quanto a Balamòs, l'accordo con la ERT era relativo a un documentario sui cavalli vecchi che andavano a finire nei macelli italiani. E, del tutto inaspettatamente, cominciarono i cambiamenti! Stavros iniziò a

mettere in scena delle rappresentazioni. «Sono pronto... È giunto per me il momento di interpretare il ruolo del vampiro, che mi tormenta da anni!», mi disse una volta al Caffè Koraîs, poco prima di iniziare le riprese.

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Il principe Diamante®, l'aspirante Signore di Epiro e Tessaglia, diventa un vampiro dell’entroterra valacco! Stavros, originario dell'Asia Minore, scopriva cromosomi di vampiri nei «valacchi» della Grecia epirota...! Quando io obiettavo che bene o male i valacchi avevano fatto la Rivoluzione del ’21, mi rispondeva che la «rivoluzione» avrebbero dovuto farla gli abitanti dell'Asia Minore! Quando io protestavo, sostenendo che le rivoluzioni non vengono fatte da chi è nemico della libertà e ha la pancia piena ma dagli affamati e dai perseguitati, Stavros rispondeva con una risata sardonica... Ricordo che a un certo punto, mentre gli rammentavo che la favola della vampirizzazione dei Balcani da parte del principe Vlad Tepes era stata un invenzione prima dei tedeschi (con macabre narrazioni) e poi degli anglosassoni, per mano di Bram Stoker, ribatté che Murnau è un «grande poeta»! Insistetti: se la faccenda sta così, dissi, allora l'ideatore di Nosferatu avrebbe dovuto fare, anche soltanto in breve e allusivamente, un qualche riferimento alla battaglia di Vlad contro i Turchi ottomani! Concluse, tra il serio e il faceto, che lo stesso Murnau era un vampiro!

|DEMOSTHENES THEOS

Nelle pianure della Tessaglia, dove ebbero luogo le riprese di Balamòs, conobbe per caso Kiriàkos! Uno zingaro commerciante di bestiame che era anche un ineguagliabile contastorie! Kiriàkos, poco a poco ma con costanza, diede vita personalmente al tipo cinematografico del levantino in grado di liberare dagli incantesimi e capace di propiziare non solo gli elementi naturali, ma anche i demoni sublunari. E, ovviamente, creò anche il cattivo del film (lui stesso si occupò di Diamante, il principe vampirizzato). Durante la proiezione al Festival di Salonicco, Kiriàkos, nella confusione creata dall’ostilità nei confronti del film, estrasse la rivoltella e, se non lo avessimo portato fuori dalla sala, avrebbe cominciato a sparare, avrebbe potuto anche uccidere. Quando, infine, vennero ultimate le riprese di Balamòs, montare quel materiale caotico, composto di fiere di bestiame, pascoli e ricostruzioni confuse senza filo conduttore fu un problema. Dopo il primo montaggio, il film durava cinque ore! E, prima che nel gruppo che assisteva Stavros maturasse l’idea che il film dovesse essere limitato a due ore, ci furono risse omeriche.

Benché il suo talento, specialmente dopo Karkaloù, in qualche modo pasoliniano, fosse stato riconosciuto anche dai critici più esigenti (assetati di complessi di Edipo, di fronte a cui continuano a rimanere estasiati), la sua situazione economica rimaneva drammatica. Circondato da una prosperità consumistica piuttosto volgare (ma anche da riccastri «esperti» delle sovvenzioni statali per il cinema), Stavros faceva la fame. Se non crollò sfinito nel mezzo della sua lotta vana fu essenzialmente grazie alla solidarietà e all’aiuto economico offerti da molti amici e compagni, che insieme formano una lista molto lunga.

*Il principe Diamadìs rappresenta una piccola minoranza di valacchi cattolici della regione di Aspropòtamos, dove vi erano paesi di partigiani. Nel periodo delle guerre balcaniche si mobilitò in favore delle rivendicazioni dei romeni e contro l'integrazione nazionale. Si recò in Italia nel periodo di Mussolini, entrò in un corpo speciale e, in seguito, durante la Seconda Guerra Mondiale, creò, con la copertura dell'esercito di Occupazione, un corpo per la fondazione del Despotato di Epiro e di Tessaglia, con il paese di Samarina come capitale!

Dopo il comico Danilo Treles (che segue percorsi codificati, noti alla psicanalisi e al surrealismo, e in questo senso è la sua opera maggiormente tipizzata) e nonostante il peggioramento della sua salute ormai logorata, Stavros fece appello a tutte le sue forze per realizzare quello che sarebbe rimasto il suo canto del cigno! Un'opera che richiedeva una rigorosa pianificazione e la stesura di un copione narrativo. Un’impresa cui non aveva osato metter mano sino ad allora. Un film che doveva guadagnarsi l’amore del grande pubblico. Così, al termine delle riprese di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermania, si ritrovò sull’orlo di un baratro. Eppure, grazie al caloroso sostegno di collaboratori e amici, e in particolar modo di Charlotte van Gelder, l’elaborazione tecnica del film fu portata a termine senza grossi problemi. Quando vidi per la prima volta alla moviola anche Erodhiòs, capii che si trattava della sua opera più compiuta. Lui stesso aveva riposto tutte le proprie speranze in quel film. Voleva credere che Erodhiòs avrebbe incontrato la risposta sperata da parte del grande pubblico, e si aspettava un riassestamento economico. Ma, come per l'intervento di una divinità malvagia, come avrebbe detto Borges, andò tutto storto. Il primo shock fu l'eliminazione del film dal programma ufficiale del Festival di Salonicco (1987). (Ahimè! Per consolarlo mi affrettai a rammentargli la sorte che il ghetto greco balcanico-ortodosso aveva riservato al grande matematico greco Karatheodhorìs'!) A tutti noi era nota la meschinità delle faccende cinematografiche, soprattutto dopo l’approvazione della Legge sulla Cinematografia, ma nessuno aveva previsto che una marmaglia di sindacalisti e commissari analfabeti avrebbe acquistato una tale forza. Piccoli borghesi «intellettuali» ed ex gruppuscoli di sinistra, collaborando spontaneamente con vari opportunisti che si occupavano esclusivamente di pornografia e di pubblicità, si erano dedicati metodicamente all’annientamento di artisti che non avevano la copertura del Partito. Questo fu il colpo di grazia per Stavros, già prostrato fisicamente e psicologicamente. In un mio articolo sul quotidiano «Ta nèa» (27 febbraio 1988), relativamente alla filosofia corporativa da quattro soldi e alle sovvenzioni statali, concludevo: «... L'ente statale può continuare a scegliere quali film finanziare. E, qualora lo ritenga produttivo, può imporre, attraverso le leggi, troupe ancor più grandi, uguali a quelle americane. Ma permetta almeno a coloro che amano con passione il cinema-pensiero di continuare indisturbati per la propria strada. E ciò significa concedere alle produzioni indipendenti gli stessi diritti concessi ai prodotti dell'ente statale. Lo stesso trattamento al Festival di Salonicco e gli stessi diritti nelle sovvenzioni statali. Così, in futuro, un qualsiasi sindacalista sconosciuto non potrà condannare Stavros Tornes alla propria fine naturale. È il minimo che qualsiasi artista libero abbia il diritto di esigere da un governo democratico». Sfortunatamente, non solo il mio appello non fu esaudito, ma fece incollerire gli esperti. Alcuni mesi dopo, Stavros Tornes sarebbe morto in condizioni di indescrivibile sfinimento. Chi avrebbe mai potuto immaginare, ahimè, che questo Ulisse dei nostri giorni, dopo un sofferto vagabondaggio di due decenni e con un’opera unica per originalità e importanza, conquistata con sacrifici sovrumani, avrebbe dovuto nuovamente incontrare al suo passaggio i malvagi Lestrigoni? Chi avrebbe mai potuto aspettarsi che quell’analfabeta protettore dei lavoratori, aiutato da ex registi falliti del Partito e ora amministratori dell’arte, sarebbe stato proclamato «papa» del cinema greco! Ciò nonostante, quel vendicativo cospiratore aveva progettato con grande cura la sua scalata ai posti statali, e aveva giurato, nell'oscurità del passato, di annullare Ulisse. Intendo un annullamento fisico. Perché la sua opera è qui. E rimarrà per ricordare ai posteri il

passaggio di Stavros Tornes attraverso il paese dei Lotofagi.

Autunno 2001

mondiale e ‘Fondatore della sezione matematica della teoria della relatività, riconosciuto dalla comunità matematica dallo stesso Einstein.

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| RICORDI

Riba.

Stavros Tornes sul set delfilm perduto di Agnès Varda Nausicaa, 1970

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Stavros Tornes sul set del film perduto di Agnès Varda Nausicaa, 1970

Balamòs, 1982 In alto, Charlotte van Gelder e Stavros Tornes, durante le riprese

Il battesimo di Balam0s e il Profeta RS

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Mi ricordo che un sabato mattina scomparisti nel mercato di Xànthi, dove ogni settimana si riunisce gente proveniente da tutta la Tracia. Alcune ore dopo riapparisti, completamente balamizzato, trascinandoti dietro degli immensi sacchi per le patate. «Aspetta, che ora ne arrivano altri...». Era già stato girato mezzo film, ma dove era finito Stamatis per pianificare il battesimo di Balamòs? C'erano tanti sacchi: tessuti, strumenti di lavoro, colori, pezzi di legno, ruote, berretti, dimbelek [nota], spade e altre armi. Un sacco tutto pieno di pellicce sporche, da cui proveniva la puzza di pesce che ci avrebbe accompagnato per tutto il resto del viaggio. Non ci mancherà nulla, pensai. Ma fu subito chiaro che tu avresti potuto prendere anche dell’altro, quasi tutto il mercato e gli uomini per portarli con te, perché ti seguissero in una carovana illuminata che sarebbe partita per molto lontano. Non riuscimmo a trovare l'indicazione per il famoso paese, meta del viaggio che ci aveva portati fino lì, dove avremmo dovuto trovare i discendenti degli schiavi dei Romani. Avevi letto qualcosa su di loro, circa vent'anni prima — forse anche trenta — e da allora avevi sempre avuto voglia di andarci. Si trovava da qualche parte in Tracia. Ti faceva impressione non aver visto neanche un negretto tra le persone di tutti i tipi che affollavano il mercato? Ma eri ancora ottimista. Non avevi forse un appuntamento con la fortuna? Li avresti trovati, dunque. Avevo i miei dubbi, nonostante sapessi che tutta la sequenza della Calabria (Coatti) era stata girata con questa «guida» . Ti eri messo in cammino anche allora senza certezze — non era neppure vicino —, avevi trovato ogni cosa ed era tutto come te l’eri sempre immaginato, compreso il cane. Soltanto il personaggio politicamente sospettato non aveva dato segni di vita. E non avevi avuto ragione ancora una volta? Era come se il paese ti stesse aspettando, con un sacco di discendenti. Il paese era piccolo, neppure seicento abitanti, e sembrava molto tranquillo, lì nel caldo. Ma come si poteva prevedere che quella gente pacifica fosse suddivisa da secoli in tre diverse fazioni chiuse e piene di serpi? Presto si sarebbe visto che con il nostro arrivo si erano risvegliati e dopo un po’ avrebbero tirato fuori dalle loro testoline anche quelle linguette biforcute... Decidesti di rimanere in disparte e di aspettare, avevamo da fare anche altre riprese, e dovevamo pre-

parare i costumi Cercavamo di far Non seppi mai rare con noi, solo

di scena. Le ruote della macchina erano scomparse completamente nella sabbia. passare il tempo. i cosa avevi detto loro, ma pochi giorni dopo si presentarono alcune persone per collaboche volevano stare lontano dal paese. Vennero nel campo, inquieti, e si vergognavano. Quando videro gli abiti di scena, vollero quasi scappar via. Adesso non avremmo avuto la scena se non ti fossi deciso a fare la comparsa anche tu, interpretando il ruolo del semplice schiavo timido, in modo da rendere l'atmosfera a poco a poco sempre più rilassata. Due settimane dopo la fortuna ci aveva di nuovo abbandonato. Eravamo in Tessaglia ormai da diversi giorni e non era apparso nessuno che potesse assomigliare al Profeta. Il tempo iniziava a stringere. Un pomeriggio, nel centro di Larissa, eccolo lì, accanto al chiosco dove eri andato a comprarti per caso delle sigarette. «Sai cantare gli amanèdes?». «Certo». E subito lo dimostrò con tutto il cuore. «Ho bisogno di te per il film. Tu sarai il Profeta». «Sarò il Profeta», rispose, e non c’era alcun dubbio.

Testo pubblicato in Stàvros Tornès, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene, 1994.

13I

suite

È

#

Stavros Tornes sul set di Dolce assenza, di Claudio Sestieri, 1986, in una foto di Fulvia Farassino. Ultima apparizione in un film italiano, nella parte del rabbino

Testimonianze italiane

Stavros Tornes giunge in Italia nel 1967, e i primi anni di questo, che è uno dei molteplici inizi della sua vita, non sono facilmente ricostruibili. Né per ciò che riguarda la conclusione della vicenda amorosa, che forse doveva avere anche sviluppi cinematografici (lui regista, lei attrice...), che non ebbe, con Irò Kiriakàki, né per ciò che riguarda qualcosa di più preciso sui lavori manuali con cui per anni guadagnò pochi soldi per la sopravvivenza. Non si sa nemmeno dove siano finite le sculture in pietra che creava. Non è molto più ricco di testimonianze il rapporto col mondo del cinema. C’è persino da identificare il titolo di un western (almeno uno) in cui egli apparve: i suoi amici che lo videro qualche anno dopo non sono in grado di precisarlo. Si sa che il primo regista che gli offrì dei lavori è stato Francesco Rosi, il quale, in ciò esemplare rappresentante del cinema italiano per il carattere dei rapporti con Stavros, non può che stupirsi che dietro quella figura di esule greco bisognoso di lavoro ci fosse qualcuno di cui ora ci si occupa perché era un creatore. Rosi ebbe il merito di inventare primi piani e battute per fargli guadagnare qualche lira in più, facendolo parlare, nell'ultimo dei quattro film in cui gli affidò dei ruoli, Cristo si è fermato a Eboli, con la sua stessa voce da straniero, compatibile con quella di un meridionale. Ma a parte ciò non potrebbe dirci molto di Stavros. Dopo la breve parentesi francese, nella sua vita entra Charlotte van Gelder, che oggi vive con estrema riservatezza la memoria del suo lungo, per entrambi fondamentale, rapporto con Stavros. Se Santa Maria in Trastevere era già diventata l’agorà del mondo di Tornes, d’ora in poi l’assenza di una casa stabile in cui abitare, quando non troverà l’ospitalità di qualche amico, potrà contare sulla casa di Charlotte, che più tardi diventerà la casa di entrambi. I suoi primi tentativi italiani di fare cinema non hanno lasciato tracce: Studenti (1973) è un film che non si è conservato e che nessuno dei testimoni raggiunti ricorda di aver visto. E se Mario Monicelli, che pur gli affida un ruolo di una sola inquadratura ma esemplare (un militare già di destra che rifiuta di partecipare al colpo di stato) in Vogliamo i colonnelli, ha difficoltà di ricordare anche la sua presenza (è stato Rosi a indicarglielo), di quello che dev'essere stato un incontro non indifferente, con Roberto Rossellini, non troviamo dichiarazioni né dell’uno né dell’altro. È notevole però che,

nel primo dei due film rosselliniani interpretati, Cartesius, egli sia colui che parla per primo al filosofo dell'Olanda, in un momento in cui un’olandese sta entrando nella sua vita. L’apparizione nel successivo Anno uno è ancora più significativa, e quanti amano l’estremismo politico di questo film di Rossellini non possono che rafforzare la propria ammirazione attraverso la presenza in esso di Tornes, interprete di un Ferruccio Parri che è l’unico personaggio del film a far perdere l'equilibrio da mediatore a De Gasperi: la gesticolazione di Vannucchi durante il discorso gauchiste di Tornes-Parri va ormai vista tra i vertici della consapevolezza politica di questo grande film che nessuno ha potuto far proprio. La prima persona che ha incontrato Tornes in Italia e che può parlarcene in modo preciso è Mimmo Rafele, che nel 1973 gli affida il ruolo da protagonista nel mediometraggio Domani. Avevo poco più di vent'anni: era un’epoca felice in cui la RAI invece di fare concorsi per Veline, faceva concorsi per giovani autori, e un ragazzo che amava il cinema poteva ritrovarsi a fare un film. Piccolo, con pochissimi soldi, ma comunque un film. Vero. Il protagonista del mio film (oggi mi chiedo perché) aveva l’età che io ho adesso, né giovane né vecchio, e una lunga parentesi di dura emigrazione alle spalle. Non era facile trovare un attore con quelle caratteristiche, che accettasse di

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lavorare praticamente gratis. Vidi la foto di Stavros in un fascio di foto d’agenzia, stava per recitare un piccolo ruolo in un film dei fratelli Taviani, Allonsanfàn. Dissi: «È lui!», sentendomi molto «regista». In realtà non lo ero ancora, come Stavros non era un attore, anzi, anche se non lo sapevo, era più regista di me. Quando ci incontrammo mi guardò tutto il tempo con quel suo sorriso appena accennato, quietamente ironico, il sorriso di chi guarda il mondo da molto lontano. Io, sempre molto «regista» e molto cinéphile raccontavo e citavo, lui più che ascoltare, sentiva. Alla fine non aveva capito nulla, né volle leggere subito la sceneggiatura. Mi disse sol-

tanto in quel suo italiano oscuro come un indovinello della Sfinge: «Io e te dopo cominciamo e facciamo una bella cosa». Mimmo Rafele, testimonianza scritta del 7 ottobre 2003.

Benché il 1973 sia anche l’anno a cui saranno datati successivamente i primi testi poetici di Tornes in italiano, in questo primo periodo non risultano ancora sviluppati i contatti con quell’underground romano di poeti e amanti della poesia che porterà all'esperienza di Castelporziano. E la prima opera da cineasta su cui sia possibile ricostruire delle testimonianze è il film che diventerà noto col titolo Adîo Anatolì, o in italiano Addio Anatolia. Ma mentre lo sta realizzando a metà degli anni ‘70, Tornes lo chiama ancora Roma, secondo la testimonianza di Ugo Adilardi, che ne è stato operatore e uno dei montatori. wwd

Un)

| TESTIMONIANZE ITALIANE

Era una persona veramente pulita. Lavorava come imbianchino, e a fine giornata gli restavano i soldi per comprarsi qualcosa da mangiare e una bobina da 30 m di pellicola, a 120 credo non ci arrivasse mai, forse Go... Per girare Roma mi ha fatto scoprire le pietre di Roma, che io pur vivendoci da sempre non conoscevo: lui le vedeva lungo via Giulia anche a sette, otto metri di altezza. Aveva il gusto della scoperta. Leggeva in queste facce storie inverosimili ma nelle quali credeva. Sapeva cogliere le occasioni non programmate. Gli è capitata per caso, in mezzo alla pellicola in bianco e nero, una bobina a colori, e vi ha girato il lungo camera car, un 16 agosto, in corso Vittorio Emanuele, e l’ha inserito nel film... Lui sosteneva che l’aveva voluto così. Andavamo in giro, e le cose nascevano a mano a mano. Siamo andati a mangiare

in Campo de’ Fiori, al tavolo accanto c'era gente che gli interessava e ha fatto mettere la macchina sul tavolo, facendo finta di niente. Frequentavamo dei palestinesi, anche se nulla era estraneo a me e a lui quanto lo schierarsi fanaticamente. Perciò eravamo vicini soprattutto al Fronte popolare democratico della Palestina. Lui era un esule, ma non la faceva lunga con questo. Non l'ho mai visto dentro il mondo degli studenti greci. Forse ne frequentava, ma io l'ho visto sempre tra noi. Politicamente non è che mi ricordi esattamente cosa diceva, ma so che non mi ci sono mai incazzato. Io ad esempio non sopportavo gli emme-elle, e noi eravamo tutti e due dei cani sciolti... Charlotte, presenza importante e riservata, arrivava dall'Olanda ed era di famiglia ricca, ma a Roma non aveva una lira neppure lei. Stavros ruotava attorno a Santa Maria in Trastevere, andava soprattutto al bar di piazza San Calisto, dove il caffè costava veramente poco. È da quelle parti che conobbe Pupo, vero trasteverino, popolaresco all’estremo, generoso, spontaneo, pasoliniano. Diventerà l’immagine che Stavros voleva dare dei coatti. Ugo Adilardi, testimonianza rilasciata a Roma, 17 settembre 2603. n

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In alto:JoChampa e Stavros Tornes in una foto di Fulvia Farassino sul set di Dolce assenza, di Claudio Sestieri, 1986 In basso: Stavros Tornes in Apokàlipsi tou Ioànni, serie televisiva di Ghiòrgos Karipìdhis

Nico D’Alessandria, uno dei più interessanti marginali del cinema italiano fino a oggi, è intervenuto successivamente

in Addio Anatolia, come

uno

dei montatori,

insieme

a Stavros, Charlotte,

Giorgio

Patrono (che poi costituirà la Cooperativa maestranze e tecnici del cinema), Marco Spinello e lo stesso Adilardi. In quella fase il film ha un altro titolo, che corrisponde sinteticamente alla didascalia iniziale

ripresa da scrittura autografa in greco: Qualcosa qui diventò orfano, qualcuno cantò e il canto si spense (Tornes lo riporterà poi nelle schede inviate ai festival come Qualcuno cantò).

Hi\SDi

Sì, lo montavamo a via Margutta 46. Lui spesso di giorno andava a fare il muratore, a dipingere le pareti. Ugo Adilardi mi mise in contatto con lui, io avevo già dal Centro Sperimentale la passione per il montaggio, anche se facevo regia. A Stavros penso ogni volta che mi faccio un caffè, per quella macchinetta che c'è in Coatti, ed è un vero personaggio. Lui aveva imparato che si poteva andare a Cinecittà, farsi stampare dei materiali firmando un contratto, e non si pagava mai. Tra tutti noi era chiaro che non avremmo preso una lira, che anzi, se si girava fuori, si rischiava la fame, o al massimo una pizza con dentro la mortadella, cosa molto romana che lui aveva fatto propria. Io prima ero stato il factotum di Luciano Emmer, e già lì avevo un salario da fame. Poi io gli feci il montaggio del suono di Coatti, aveva pochissimo materiale e io lasciai questi vuoti, che a lui piacquero molto. Ma il lavoro più grosso è stato su Addio Anatolia: montavamo insieme, si parlava in continuazione, lui motivava sempre le scelte, aveva le idee molto chiare. Non mi ricordo delle parole esatte, ma che aveva degli atteggiamenti da mago, da stregone: per esempio nell’accendere i fiammiferi, se lo fai in un verso o nell’altro cambia molto il rapporto tra persone. Se accendi la sigaretta col fiammifero verso qualcuno, gli mandi il malocchio, se verso di te lo prendi. Lui lo prendeva. Ma lo si faceva giocando. Lui giocava sempre, era... felice, diversamente da alcuni registi italiani. Il rapporto con Charlotte era molto bello, molto libero, perché lei si isolava ogni tanto a scrivere, portava con sé un quaderno... Scriveva pezzi di romanzi, poesie...

|TESTIMONIANZE ITALIANE

Per andare a presentare Addio Anatolia al Festival di Salonicco, siamo partiti insieme, in treno fino a Brindisi, poi in traghetto, e poi in pullman attraverso la Grecia. Nico D'Alessandria, testimonianza rilasciata a Roma, 16 settembre 2003.

Le tracce lasciate a Roma da Stavros sono molteplici, ma non meno segrete e disperse di quelle che i suoi film hanno lasciato nel cinema. Andare un giorno qualsiasi a Santa Maria in Trastevere, a piazza San Calisto o anche a Campo de’ Fiori o al bar oltre Ponte Sisto, fa scoprire certamente delle persone nei cui occhi si è fermata la sua immagine. Come Roberto Mastropasqua, che al bar di San Calisto ricorda come Stavros si divertisse ad andare a Porta Portese per guardare le collezioni e i collezionisti di francobolli, ma anche l’esposizione dei canarini. Invece l'icona Pupo stamattina non passa. «Ieri è passato di qua» dice qualcuno «Dovrebbe passare anche oggi». Qualcuno consiglia di andare a trovare il pittore Turchiaro, che gli era amico e gli donava dei quadri perché se li rivendesse. Colui che seguì Stavros in Grecia, come attore insieme a Pupo, è stato il cultore di poesia Roberto De Angelis, oggi convinto proprio della scoperta poetica di Victor Cavallo, che a Castelporziano presentò Stavros e che però sempre sfuggì ai suoi film. Il testo per Coatti l’ha scritto con Paolo Morelli, anche lui oggi, secondo De Angelis, appena alla sua giovinezza di scrittore. L'altro collaboratore a questi film, Marco Spinello, che lavorò come montatore e fonico, è morto poco dopo, per la droga. Curiosamente né De Angelis né Simone Carella, l’altro interlocutore di Stavros per la poesia, hanno un ricordo preciso dei suoi testi poetici, non li rileggono da anni, non ricordano esattamente cosa abbia fatto a Castelporziano, a parte l’aver recitato con l’accompagnamento al violoncello di Charlotte: era successo l’ultima sera, e il giorno prima tutta la discussione era se continuare dopo le contestazioni del primo giorno.

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Francesco Calimera (altrove Pupo) e, alla sua destra, Roberto De Angelis in Danilo Treles, 1985

L'amico poeta di Stavros, Thomàs Gòrpas, era fisicamente molto diverso da lui, secondo Carella: sembrava un massiccio marinaio greco, invece Stavros era sottile, mistico, gli ricordava Pound. In questo mondo di poeti, popolani, pittori, il rapporto col cinema, finora basato su un’isolata realizzazione dei propri film, con alcuni «tecnici» di fiducia, si ampliò nel contatto con Ciriaco Tiso.

Per me era come un filosofo presocratico. Quando parlava non è che dicesse delle grandi cose, ma era già la voce, come girava intorno alla parola. Mi spiegò il «kòsmos», il «pràgma». Pensava sempre a fare cinema. Diceva delle cose, magari io non ci pensavo più, e lui ci ritornava. Non era davvero un attore, magari ne aveva la capacità ma non era realmente inte-

ressato. Quando ha fatto con me la serie dei racconti, in realtà voleva girare lui,

diceva: perché non facciamo questo? «Ho visto un cane...», e mentre si mangiava con la troupe RAI voleva che ci alzassimo a girare. Non si prendeva molto con Jobst [Grapow], che è un po’ il protagonista della serie. Stavros aveva anche dei lati oscuri, e io penso di averli ripresi in certi momenti dei film. Del cinema greco detestava Angelopoulos. Invece raccontava molto del fatto di aver insegnato a ballare a Anthony Quinn, e credo l’abbia poi anche cercato per dei finanziamenti. Pensare che a lui bastavano veramente pochi soldi... Poi diceva che conosceva Rosi... ma in realtà nessuno di questi si è accorto di lui. La gente è chiusa, cieca... poi quando ne ha scritto Skorecki, ha detto: «qualcuno comincia ad accorgersi». Io poi riconosco che non parlavo tanto di cinema con lui, come con altri amici, forse in ciò lo sottovalutavo. Né si parlava di quelli che erano i suoi lavori, questo non lo interessava. La licantropia gliel'ho suggerita io. Ma lui conosceva un tipo strano, che per lui era il personaggio del film, l'aveva visto frequentare una chiesa sconsacrata di rito

| TESTIMONI ITALIANE

greco. Si è fatto coinvolgere molto da quel progetto. Io gli obiettavo che non c’era un finale, che le cose non tornavano... Forse lui e Charlotte ci tenevano più di me a quel progetto. So che ne lessero dei brani a un’estate romana, hanno affisso pagine della sceneggiatura... Per lui che il film avesse una vera conclusione era quasi un’uccisione della vita. Credo che lui, quando si rivolse a me parlando entusiasticamente del mio film, avesse un po’ un impulso a proporsi. Interiorizzava la realtà e, mentre io sono fatalista, lui credeva nella realizzabilità delle cose. Che poi dovesse vivere senza poter pagare il caffè al bar, mentre a me avrebbe fatto star male, lui non ne risentiva. Ciriaco Tiso, testimonianza rilasciata a Roma, 15 settembre 2003.

Nel 1980 Tornes interpreta un ruolo minuscolo, ma dove il suo agire da non-attore fa trasparire sullo schermo tutta la gioiosità del set felliniano: ci è difficile ormai vedere la sequenza delle magie di Katzone, o di Fellini, in La città delle donne, senza che lo sguardo segua il corpo che guarda di Tornes. Sul film è rimasto il divertentissimo racconto di Stavros, qui ripubblicato nell’ultima intervista, e nel quale egli gioca anche su come Fellini non ne ricordasse il nome, e comunque quando gli veniva diceva «Tòrnes», e lui a

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confermare «sì, Tòrnes»... ecco perché è meglio continuare a traslitterare il suo nome senza accento: ogni volta dobbiamo rischiare di sbagliarne la pronuncia, finché non entreremo nel mondo di Tornès. Egli sapeva che molti non si accorgevano di lui, e se talvolta poteva soffrirne (soprattutto perché ciò non gli permetteva di «continuare a fare cinema»), ciò gli dava anche un paradossale senso di potenza. Lui gioiva delle magie di Fellini, anche se Fellini probabilmente non vedeva le sue. C'è da sperare che l'odierno dilagare di ricerche felliniane sappia includere nei propri orizzonti anche ciò che Fellini non ha visto. Per il suo ultimo film italiano, Eksopragmatikò, Tornes si rivolgerà per concluderlo a un altro cineasta marginale, Ivo Barnabò Micheli.

|TESTIMONIANZE ITALIANE

Pausa sul set di Enas erodhiòs ghia ti Ghermanìa. A sinistra Dhimìtris Koromillas, produttore deifilm di Tornes già a partire dal periodo italiano, al centro, di spalle, Mirsìni Tsiàpa, accanto a lei, Stàvros Tsiòlis e un'amica, 1985 +

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Venne a trovarmi per chiedermi io allora avevo un po’ di soldi, e Cinquecento scopribile. Mi parlò della sua esperienza in scultore in uno spazio messogli

se potevo aiutarlo di finire a girare questo super8, potemmo fare un camera car in via Giulia da una Calabria dove era andato a lavorare la roccia come a disposizione da un amico calabrese che viveva a

Roma.

Prendeva tutta una serie di contatti per dei grandi progetti: voleva fare delle tragedie greche al cinema, voleva come attrice Melina Mercouri, lei doveva cantare... Forse era rimasto colpito anche dalle tragedie pasoliniane. Poi aveva contattato Oriana Fallaci perché conosceva Panagoulis. Ivo Barnabò Micheli, testimonianza rilasciata a Roma, 1 7 settembre 2003.

Per Eksopragmatikò Tornes si avvale anche della collaborazione produttiva di Enzo (oggi ha ripreso il nome intero Vincenzo) Attingenti, che poi collaborerà anche ai primi due lungometraggi greci, e che già in occasione di passati omaggi scrisse di questa esperienza. Ti ho visto, Stavros, per la prima volta una sera del 1979 al bar di San Calisto di Trastevere. A quei tempi, come ancora oggi, il bar pullulava di ragazzi e tu, con la tua figura austera, stonavi in quell’ambiente pieno di giovani estremisti in crisi con i valori della politica. La tua figura magra, il tuo volto scavato, gli occhi penetranti esercitarono su di me un'attrazione fatale. Trovai il coraggio di avvicinarmi e ti dissi che ti distinguevi in quel contesto. Mi rispondesti, niente affatto lusingato dal mio complimento, che facevi parte come tutti gli altri del movimento. Mi accogliesti al tuo tavolo e iniziammo una discus‘sione che durò tutta la notte. Sostenevi che la sinistra italiana s’era dispersa in tanti gruppetti e che questo era stato un danno per l’Italia. Avevo 19 anni e il mio estremismo si scontrò con la-tua saggezza antica. Quella sera non avesti neanche il tempo di parlarmi della tua attività. Seppi che eri un regista qualche mese dopo, quando fosti tu a chiamarmi e a rinnovare l’amicizia nata quella notte. Non ci fu bisogno di parole, non ti chiesi mai di diventare il tuo assistente, cominciammo a incontrarci tutti i giorni. Ogni mattina urlavo sotto la tua finestra della pensione di Ponte Sisto per svegliarti. Cominciavi la giornata con due caffè. Scherzavi quando mi raccontavi che avevi scelto l’Italia alla Francia come terra d’esilio proprio per il caffè. Non sarebbe mai nato in me il sogno di fare cinema se non ti avessi conosciuto, Stavros. Mi colpiva la tua capacità di raccontare, di affabulare, il modo con cui usavi la lingua italiana. Nella tua bocca le parole più semplici acquistavano profondità. Parole come essere, libertà dell’essere, tempo, erano il tuo pane quotidiano. La tua poesia non era avulsa dalla realtà, la tua poesia era pratica, azione della vita. Dell’essere umano t’interessava soprattutto la componente animale. Ti si illuminavano gli occhi verdi quando ti capitava di incontrare un giovane con le caratteristiche del lupo mannaro che cercavi per un film che poi non hai mai girato ma che ti ha occupato la mente per molti anni. La ricerca di questo giovane timido, oppresso ma pronto a trasformarsi in animale è stata la lezione più importante che mi hai dato. Un uomo irriducibile, la reincarnazione di un filosofo presocratico che odiava ogni filosofia sistematica, ogni interpretazione psicologica dell’essere umano, ogni compromesso con il potere che limitasse e oscurasse il bisogno cosmico di fare cinema. Il cinema non era rappresentazione, ma messa in vita della libertà dell’essere e della tua libertà di uomo che viveva il tempo come possibilità di trascendere il quotidiano, il presente, la Storia. Dopo la tua morte ho fatto spesso questo sogno: eravamo al solito bar. Tu parlavi del cinema, del grande cinema italiano, dell’ Accattone di Pasolini, di Viaggio in Italia di Rossellini. Poi nel sogno mi meravigliavo, ti interrompevo e

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| TESTIMONI ITALIANE

ti chiedevo: «Scusa, Stavros, ma tu non eri morto?». E tu mi rispondevi: «No, non

sono morto». Tu non sei morto non solo perché vivi nei tuoi film, ma perché vivi nella memoria di tutte le persone semplici che qua a Roma ti hanno conosciuto e che ti sono state vicine. Quando cammino per Trastevere, quando attraverso Ponte Sisto ti rivedo ancora, rivedo le immagini del piccolo film Eksopragmatikò, il puro film di pure immagini girato senza neanche cento lire. Giravi i tuoi film e il budget era fatto del tuo respiro, del tuo sangue. Ciao Stavros: Roma non ti dimenticherà mai, ognuno di noi ha un ricordo diverso di te che si somma ai ricordi di tutti gli altri. Vincenzo Attingenti, testo per l’omaggio a Stavros Tornes, Atene 1994, pubblicato nell’originale versione italiana per l'omaggio al festival Arcipelago, Roma 1995.

Oggi Vincenzo Attingenti si conferma una delle persone che a Roma maggiormente tiene le fila di quello che era stato il mondo di Stavros, abita tuttora a un passo da Santa Maria in Trastevere, e lì vede passare quasi sempre Pupo.

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|TESTIMONIANZE ITALIANE

Stavros aveva una presenza fisica molto forte, non potevi non accorgerti di lui, e così in quel primo incontro lo notai subito. La sua cultura non era accademica... Purtroppo poi si sono fatti sentire questi problemi fisici: aveva fatto anche il minatore da giovanissimo, poi fumava sessanta sigarette al giorno... La corsa che lo si vede fare in Balamòs... si vede proprio che gli viene il fiatone... Talvolta dimostrava novanta, cento anni... non aveva tempo... Questi capelli bianchi da vecchio li porta già in Domani di Rafele, dove credo non abbia più di 45 anni... Quando lo conobbi già mi chiedevo com'è che vivesse, nel suo stato fisico. E allo stesso tempo ci si rendeva conto che avrebbe potuto vivere ancora a lungo, così come avrebbe potuto mollare vent'anni prima. Quando poi ho visto Coatti, che era dell’anno prima, mi sembrava che da allora fosse invecchiato di dieci anni... I registi italiani lo facevano lavorare perché sapevano della sua condizione politica, ma poi... quando per Allonsanfàn cadde dal mulo e si ferì, ne cominciò a risentire, e dato che era orgoglioso e non voleva mettere nei guai i Taviani, non chiese soldi. E pensare che era proprio ai limiti della sopravvivenza. Era praticamente senza casa, per un po’ ha abitato dallo scenografo Burchiellaro. Quando lo conoscevi, era talmente carismatico, con una capacità di affabulazione così forte... il miglior Stavros ce l’avevi davanti a un caffè, e lui spaziava, senza alcun accademismo. A Castelporziano, quando ci fu la contestazione, lui era tra quelli che volevano continuare, ha detto a quelli che volevano interrompere il festival, come certi poeti americani: «che vi siete ingrassati tutti la pancia?». Io ero tra il pubblico dei giovani, non lo frequentavo ancora... Pupo è stato per lui un personaggio importante, anche se era uno che ha avuto problemi: galera, tossicodipendenza... Ma ha anche salvato la vita a Stavros quando era andato sull'Etna per girare Eksopragmatikò: c'era un tale freddo che Stavros è collassato, lui gli ha fatto la respirazione bocca a bocca... Ero stato io a prestargli la mia super8 per girare. Così divenni produttore associato, poi seguii la stampa, il missaggio... Negli ultimi tempi a Roma è vissuto a casa di Charlotte, che era come un villaggetto delizioso dentro Trastevere... una casa piccolissima macon un giardino meraviglioso, dove ha girato anche delle scene di Coatti. Lei era una persona molto introversa e insieme di grande cuore. Lui invece sembrava subito uno facile con cui familiarizzare, ma se gli davi fastidio per i tuoi convenzionaliSmi, ti annientava con lo sguardo, chiudeva ogni forma di comunicazione.

Io lo seguii anche in Grecia, Balamòs lo girammo in un villaggio della Tracia, di cento abitanti, con il più alto concentrato di varietà razziale: neri... proprio africani... gente con occhi a mandorla, turchi, greci... Poi al festival di Salonicco fischiarono il film già sui titoli di testa coi nomi turchi... Una cosa che l’ha fatto star male è che al posto del suo ultimo film a Venezia sia stato preso Angelopoulos. E nell’Airone si parla a un certo punto della fondazione Ford, ed è una cosa contro Angelopoulos, perché secondo Stavros era quella che pagava i suoi film. Il progetto sui licantropi per lui è stato importante. Non parlava d'altro! C'era un periodo in cui era veramente fissato, se mentre stava al bar vedeva qualcuno che in qualche modo corrispondesse al ragazzo che stava cercando, si illuminava e diceva: eccolo qua! In fondo la licantropia c'è già in Eksopragmatikò, dove non a caso è inquadrato il Ponte Sisto dove lui si è convinto di aver visto il licantropo che ha ispirato il film... E poi ci sono i cani al guinzaglio delle donne ricche in pelliccia... Tutto quello che era animale, lo adorava. Aveva la casa piena di gatti, a Roma e poi anche in Grecia. Lui è tornato in Grecia, attratto dalla possibilità di fare cinema. Ma ormai era diventato più italiano degli italiani. Quando lo sentii parlare il greco (e io il greco l'ho imparato perfettamente) capii che era ancora più meraviglioso il suo italiano. L’italiano di Stavros era da farti accapponare la pelle. Vincenzo Attingenti, testimonianza rilasciata a Roma, 16 e 18 settembre 2003.

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Testimonianze raccolte e montate da Sergio Grmek Germani.

|TESTIMONI ITALIANE

Stavros Tornes in Allosanfàn dei fratelli Taviani, 1974

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Sotirìa Leonàrdhou e Stélios Anastasiàdhis in Danilo Treles, 1985

Un debito

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Il mio primo ricordo di Stavros Tornes risale agli anni ’60, epoca in cui si stava costruendo un rapporto di solidarietà tra le nuove promettenti leve del nostro cinema, che ne contestavano il carattere com-

merciale andando alla ricerca di nuove estetiche e di nuove tematiche che, grazie a concezioni innovative in ambito produttivo e formale, avrebbero avvicinato il cinema greco alla moderna produzione europea. Lo incontrai di nuovo al suo ritorno dall’Italia, impegnato, fra infinite avversità, a lasciare il suo marchio creativo, quello di un cineasta ormai maturo e formato. Nel 1974 stavo girando Taxìdhi sta Kîìthira e tentammo una collaborazione: gli chiesi di recitare in una scena del film, e partecipò a una ripresa notturna a Omonia, accanto a Giulio Brogi. Peccato che la scena non sia stata inclusa nel film. Sapevo che Tornes era faticosamente impegnato nel tentativo di esprimere la sua idea di cinema. Sapevo anche che era indipendente, perseverante e soprattutto troppo orgoglioso per accettare qualsiasi genere di appoggio proveniente dall'alto, specie se sotto forma di patronato. Assistevo con discrezione alla sua lotta per creare qualcosa in ambito cinematografico, sapendo che i suoi film erano frammenti di un vero e proprio artista. La sua morte improvvisa, nel 1988, ha privato il cinema greco di un grande autore. Il Festival del Cinema chiama il pubblico alla riscoperta di questo cineasta autentico. Ne vale la pena.

Scritto per la personale Tornes del Festival di Salonicco, di cui Angelopoulos è presidente.

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Sul set di Me ton Nìko Kavvadìa, 1982 >

Senza regole

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Una personalità particolare, senza precedenti in Grecia. Fuori da ogni schema, ha pagato molto cara, addirittura con la vita, la passione per le proprie idee e per il cinema. Mangiare, dormire, ammalarsi, avere soldi erano tutte cose a cui non dava grande importanza. Niente

contava veramente per lui, tranne la passione che lo dominava. Era un poeta e cercava di esprimersi attraverso il cinema senza regole precise, senza cliché, senza intenti commerciali o pubblicitari, in maniera disinteressata... E riusciva sempre a rivelarci un mondo affascinante: il suo. Con la morte di Tornes, il cinema greco ha perso una personalità preziosa.

Atene, 8 settembre 2003, scritto per l’edizione italiana di questo volume.

Stavros Tornes, medico che cura Alèksis Dhamianòs attore in I Paezksìghisi, di Dhimîtri Stràvrakas, 1983

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Stavros Tornes e Stàvros Tsiòlis sul set di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

La pellicola e il caffè SEDE

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Stavros beveva il caffè espresso come gli italiani, tutto d’un fiato. Ed era un problema, perché tre ore da Zònars erano lunghe, e dopo un po’ era costretto a ordinarne un secondo e un terzo. Di me diceva che ero un provinciale perché bevevo l’espresso come se fosse un caffè turco, lentamente, per ore. Per motivi economici fu costretto a fare lo stesso, e diceva a Vakalopòulos che io avevo un’influenza negativa su di lui. Andavamo da Zònars perché era di fronte al Centro Greco del Cinema. E tenevamo d’occhio l’ora a cui arrivava il presidente Koutoùzis. Lo spiavamo perché volevamo andargli a chiedere una pellicola per girare Erodhiòs: l’avremmo pagato più tardi, con gli incassi. Ci eravamo preparati varie argomentazioni per convincerlo, ma Stavros pensò che sarebbe stato meglio chiedere una pellicola per ciascuno piuttosto che una sola. Io, però, non avevo una sceneggiatura pronta, e gli dissi: «Stavros, che me ne faccio della pellicola se non ho la sceneggiatura?» Ribatté arrabbiato: «E dai, Tsiòlis, qual è il problema, la sceneggiatura o la pellicola?». «La pellicola», gli dissi. «Appunto, e quindi...?». Koutoùzis ci dette davvero le pellicole, che avremmo pagato più tardi. Questa azione, poi, fu considerata illegale. Stavros cominciò subito a girare Erodhiòs, e io rimasi con lui. Una settimana prima di finire le riprese mi disse: «Ora vai a girare il tuo film!». «Cosa dovrei fare?», gli dissi. Mi rispose: «Vai nel Peloponneso». Tre giorni dopo partivo con quattro tecnici e con l’improbabile storia di un giovane paesano che va a cercare la nonna al paese. Per due mesi siamo stati a girare in Peloponneso e abbiamo intitolato il film Akatanîketi erastès [Amanti Invincibili]. Quando Stavros vide il film al Pallàs, mi disse: «Va bene, non è male!». Siccome rideva sotto i baffi, ne fui contento. Poco prima di morire mi disse: «Senti, quando sei con qualcuno, bevi l'espresso tutto d’un fiato. Altrimenti nessuno ti prenderà sul serio». Io continuo a bere l'espresso come se fosse un caffè turco, ma Stavros e Chrìstos se ne sono andati...

Testo pubblicato in Stavros Tornes, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene 1994.

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Uno sguardo dalla Germania ANNA

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Mi ricordo che Stavros Tornes diceva con semplicità e a bassa voce «sono greco». Mi piaceva come lo diceva, come se per lui fosse una filosofia. Che cosa significa «sono greco», mi chiedevo. La spiegazione storica di un mio amico — anche se molto importante — non mi convinceva del tutto. Sono tedesca. La Germania non gli piaceva, ma non era categorico. Era naturale che non gli piacesse. Per Stavros la Germania rappresentava, soprattutto, un’evoluzione razionale e tecnologica. «Venderemo poesia ai tedeschi», diceva sorridendo. Non sembrava pessimista. Non voleva credere che la poesia può anche andare perduta. Conobbi Stavros Tornès nello studio di Dhìmos Thèos. Era appena tornato dall’Italia. Dhìmos aveva comprato da poco una moviola. Molti suoi studenti montavano lì i loro film e Dhìmos li aiutava. Nello studio c'era sempre movimento — era il 1981, più o meno — ma c’era sempre tempo per un caffè, per due parole. Stavros, vecchio amico di Dhìmos, venne molte volte. Credo che lo studio di Dhìmos fosse a quel tempo un luogo di comunicazione, come lo studio di Ghiòrgos Emirzà e della Cinetic. Lì, dunque, nella moviola di Dhìmos, vidi per la prima volta i film di Stavros, quelli girati in Italia: i corti, in cui ammirai il sentimento di libertà, e Coatti, un lungometraggio che per me rappresenta un'epoca e, al contempo, qualcosa che travalica ogni epoca. I suoi film italiani, in particolare, mi ricordano intensamente l’atmosfera degli anni ’6o e ’70. Anche se a quel tempo vivevo in Germania. Mi trasmettono un familiare «sguardo» esistenziale. Forse Stavros Tornes e Charlotte van Gelder erano i bohémien della loro epoca. Naturalmente entrambi militavano a sinistra. Credo però che in sostanza fossero esistenzialisti. In Stavros riconobbi sin dal primo momento il vero cineasta. Una volta Ismene Kariotaki disse una cosa in cui mi riconosco: prima di assumere il ruolo principale in Karkaloù, vide Stavros e osservò «come parlava, come viveva» e allora capì che «era una cosa seria». Tornes stava iniziando a fare film in condizioni incredibili anche in Grecia, sempre con la sua compagna Charlotte van Gelder e con altre persone che lo accompagnavano e lo aiutavano. Sapeva incantare gli uomini con il suo amore, il cinema. Avevo l'impressione che Stavros insistesse su qualcosa che amavo anch'io, che aveva senso anche per me. Non si è limitato a trovare una storia e a renderla «realtà» in un film, ha trovato la realtà e l’ha resa storia e poesia in un film. Era un cantastorie, come diceva a volte.

Gentile e coerente di fronte al racconto, al sogno, alla creazione. Di fronte all'uomo, quindi.

Testo pubblicato in Stàvros Tornès, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene 1994.

Da destra, Charlotte van Gelder e Anna Wich durante le riprese di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987

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Folgorazioni

Stavros Tornes e France Dougnac in una scena di Nausicaa di Agnès Varda, 1970

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In alto: Stavros Tornes (a sinistra) durante le riprese di Ouranòs, di Tàkis Kanellopoulos. Grecia settentrionale, 1962 In basso: Thiraikòs òrthros di Stavros Tornes e Kòstas Sftkas, 1967

Orientamenti

RECANTDOUCHET

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Mercoledì 22 maggio — Ouranòs, di Tàkis Kanellòpoulos, non mi dispiace affatto. Il film, che racconta la disfatta greca del 1940, quando, dopo una prima vittoria sugli italiani, il paese venne sopraffatto dai tedeschi, si presenta come una sorta di Odissea a ritroso. Triste come una melopea, quest'opera è la descrizione di un’erranza. Personaggi che si confondono (volontariamente) gli uni con gli altri, luoghi e avvenimenti che non vengono mai precisati creano un mondo astratto che assume rapidamente l'aspetto di un mondo morto in cui degli uomini marciano, soffrono e muoiono senza sapere perché. Nessuna azione drammatica. Semplicemente, il racconto di piccoli

I primi cortometraggi da regista di Tornes vengono ignorati in quanto «film turistici». Solo al terzo, che però è già il tassello finale di un trittico, in Grecia compare qualche nota più attenta, come quella dell’amico, critico e cineasta, Vasìlis Rafailìdhis, che così scrive in un programma del 1969 del cinema Studio.

incidenti: lo smarrimento, da parte di un sottufficiale addetto al servizio postale, di un pacco, il furto

di una scarpa al cadavere di un soldato. Ouranòs non è un grande film, ma è sensibile e affascinante. Kanellòpoulos, ex assistente di Cacoyannis, rifiuta ogni effettismo e lavora in riservatezza. Mi sembra più dotato del suo maestro.

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«Indagine sociale visiva» sull’arida Santorini, sui suoi abitanti scheletrici e denutriti e sui suoi ben pasciuti turisti. I protagonisti sono i turisti, gli asinelli e gli «indigeni» affamati e sazi. E ancora, la fava, alimento nutriente per sottosviluppati, e la

polvere di pietra pomice «sostanza» nociva che danneggia soprattutto i delicati polmoni di chi si muove in groppa agli asini. Si tratta di un documentario puro, che descrive, sceglie, sottolinea e denuncia.

Questa nota di un grande critico, pubbliacata con il titolo Cannes 1963 in «Cahiers du Cinéma», non fa menzione naturalmente di Tornes, assistente e interprete del film di

Kanellòpoulos, ma conferma l’acume critico di Douchet nel sentire l’importanza dell’opera: è anche un sintomo di come di Tornes spesso non ci si accorgesse, anche quando poi divenne regista. Peraltro Kanellòpoulos è una figura ancora più perdente, per la sua morte dopo pochi film. (Curiosamente nella stessa corrispondenza si tratta sbrigativamente l’esordio di Papatakis, cui nello stesso numero dedica una recensione molto complice Pierre Kast).

Thiraikòs-òrthros di Stavros Tornes e Kòstas Sfikas, 1967

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In alto: Ismìni Kariotàki in Karkaloù, 1984 In basso: Stavros Tornes in Balamòs, 1982

Hyéres: oggi

PORRI

ESTKO

RECSKT

(14° Festival internazionale del cinema giovane, 29 agosto — 5 settembre) Tre parti, di lunghezza e importanza diverse, in questa recensione. 1) Innanzi tutto su Hyères, per rammentare, in poche parole, in cosa consista questo festival. (Per un po’ di cronistoria, può esser utile andare a rivedere i nn. 262, 263, e 283 dei «Cahiers». Con una ricerca un po’ più ampia — cioè risalendo più indietro nel tempo — si potrà tentare di capire come degli incontri si siano trasformati in festival.) 2) Poi, Ieri, considerato quanto quest'anno i film siano datati. (I più brutti sono obsoleti, alcuni altri sono démodé, quasi tutti sono già sorpassati.) 3) Infine, Oggi. Perché un film, arrivato per sbaglio, rivendicato da alcuni degli organizzatori (Coatti di Stavros Tornes), un film che sfugge a qualsiasi nozione di categoria o di riuscita (sopraggiunto in extremis e per i rari «maniaci» di cinema presenti al festival), ci ha regalato l’unica occasione di applaudire a due mani; il solo film di questo festival (e il solo film da molto tempo) a esser nostro contemporaneo: un film d’oggi. È l’inizio della corrispondenza, pubblicata sui «Cahiers du Cinéma», n. 294, 1978, con il titolo Hyères: à deux mains!, divisa poi in tre parti: Hyères, Hier e Aujourd'hui. Quest'ultima è integralmente dedicata a Coatti ed è seguita da una doppia pagina di testi e immagini dal film, che ripubblichiamo nelle due pagine successive reinserendovi gli originali testi italiani da Coatti.

Coatti è un film italiano in 16mm, bianco e nero. Dura 86 minuti. È stato diretto da Stavros Tornes. Coatti (cioè, in italiano, persone sottoposte a domicilio coatto), è interpretato da Stavros Tornes e Charlotte van Gelder (un greco che da quando c'è stato il colpo di Stato nel suo paese vive a Roma e lavora — nel cinema — come attore e operaio, e un’olandese, neutrale, che vive di traduzioni), Abner (un rifugiato politico haitiano), Madhi (il figlio d’un amico di Stavros Tornes. di origine russa), Roberto (un romano, extraparlamentare autonomo), Mario (un pittore della papata'), Fabricio (un giornalista comunista), Professore (un funzionario dimenticato di un convento abbandonato), Vincenzo (lo scemo del villaggio), Gianni (un tecnico teatrale), Pippo (un commerciante improvvisato di vecchi costumi di Fellini). Il film è distribuito in versione originale (nell’attesa di un'eventuale uscita commerciale in sala, dalla Coopérative des Cinéastes (42, rue de l’Quest, 75014 Paris). Coatti racconta (per fare un riassunto del riassunto) un viaggio di due personaggi. Uno dei due fa un viaggio in solitudine cercando l’altro. Gli amici e la quotidianità si fanno percepire dentro il viaggio. I personaggi del film e i loro rapporti non sono inventati. Coatti è un film povero. Non è costato più di tre o quattro milioni di vecchi franchi. Se i tecnici e gli attori non sono stati pagati, non è — come spesso capita — perché erano disposti, per una ragione o per un’altra, a essere sfruttati. È stato solo per amicizia nei confronti di Stavros Tornes (e nei confronti del suo progetto) che hanno accettato di non ricevere denaro (secondo me, hanno ricevuto altro: il film parla per essi). Stavros Tornes ha 45 anni. Attualmente sta girando a Roma un lungometraggio in Super8. In Italia, i suoi film sono stati visti poco, o per niente. Stavros Tornes in questo momento è senza lavoro, si autofinanzia

i film, vive molto poveramente, ha dei debiti. ‘In italiano nel testo. Poi tradotto «de la papauté».

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Sul furgone Pipo, Stavros (e Charlotte, in silenzio) S: Allora sei stanco, no?!? P: Sono quattro giorni che vado in giro...

S: Cioè? P: Sì, sono andato a Arezzo, a fare la fiera, il mercato... S: Ah, sììì 2!? Ma c’è un grosso mercato? P:È un grosso mercato quello di Arezzo, per i mobili...

S: E poi da... da Arezzo? P: Poi, da Arezzo sono andato a San Gimignano, sono ritornato indietro... poi sono venuto qua a Roma... adesso vado a casa.

S: Tu abiti a Napoli?

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P: Sì, ma io giro a Castellamare di Stabbia. S: Catellamare?...

P: A Castellamare... ma tu di dove sei?

S: Io? io sono... cioè... io sono mediterraneo, cioè... P: Lei è tedesca, francese... che è? Che è... tedesca? S:... Sì, hai fatto centro proprio... cioè olandese...

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Sul furgone Pipo, Stavros (e Charlotte) P: Ma tu che fai? Eh? S: Eh... io faccio... faccio un po’ di pittura... si, tanto lavoro...

no?!? Lavoro come ville, come fabbro... qualche cosa del genere...

P: Quindi, ti adatti...

S: Sì, direi... P: E lei? Lei che fa? S: Lei scrive... P: Che tipo di scrittura?... giornalismo?... S: Sì, scrive qualche cosa... scrive un libro...

P: Ma vi fermate parecchio a Napoli? S: No, siamo... siamo di... come si chiama?... siamo di passaggio... noi

andiamo a Calabria... Charlotte, Charlotte, Charlotte... guarda,

guarda, guarda i bufali... che dormono, dormono... li vedi? ehin? guarda, guarda bene! C:... Ahyahy ah...

S: No, guardali là! che mignotte, proprio...?

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Esterno notte. Abner e Stavros

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A: Allora il pazzo mi viene così... S: Come?... cioè... A: ... A toccarmi così... ho detto: ma è un ammalato... quando gli infermieri, no?!? mi hanno detto: ma qui è il manicomio... capito? gli infermieri...

è allora che mi sono

reso conto che stavo al manicomio...

S:... E tu ridi allora ehin?... ah, ah) ah... A: Ah, ah) ah... uomo bello... che cavolo potevo fare?... ho detto: esco subito! S: Come: esci subito?... ah, ah; ah... A: Ho detto, la sera stessa... esco subito! Ho chiamato... ho voluto avere il medico di servizio... non c’era, era sera... mi hanno detto: ah, per forza, devi aspettare la mattina... ahy ahy ah...

S:... Ahy ah, ah... allora, come è andata a finire? A: La mattina, quando è arrivato il medico... ho detto: guarda, voglio firmare per

andarmene via.

S: E allora? A:

E bon... e come stai? mi prendeva ancora per pazzo!!!

S: Ma come sei arrivato qui?

A: ...Ho detto: dottore voglio andarmene da qui! e poi mi han detto, bon... e la sorella viene a firmare per tes Stavros e Charlotte

S:... Lui non ha capito un cazzo!!! questo io ho sentito dire... io non faccio una critica del rivoluzionario Mao... ma Mao appartiene a un Jie[oJelelopMib.IeMbuTo)eToloRe]etoMeto)eU[

Stavros e Charlotte C:... Eh, senti... sono stata con qualcuno... S: Io me ne frego di questo... non mi importa niente che te ne vai con

i tuoi amici, hai capito?!? sto male... C: Anche io sono stata male quando te ne sei andato... molto male...

S: Ma tu sapevi che io tornavo, no?!? C: No. i C:... Ma se vuoi ci vediamo prima... che parti... possiamo vederci...

Sosio C:...Andiamo, ehin?!?...

=

Coatti non è un film sentimentale (benché sia eccessivamente commovente). È un film mentale e fisico. Coatti dimostra chiaramente che le dispute tra il contenuto e la forma, l’enunciato e l'enunciazione, sono dispute oziose: qui, nulla prende il sopravvento su nulla, tutto si riassume e si concentra nel proposito che tiene la macchina da presa, la storia e lo storico fanno un corpo. Coatti è un film in cui la parola solidarietà ha un significato. Solidarietà tra i personaggi, certo, ma anche solidarietà tra le immagini, catena delle immagini. Coatti, come tutti i grandi film, come tutti i film unici, non serve al cinema. Si serve del cinema. Non (ce ne) possiamo far altro che vederlo. E sentirlo. Coatti non assomiglia a niente, a nessun altro film, ma ne richiama altri, film unici come questo: Nationalité immigré (Sidney Sokhona), Anatomie d’un rapport (Luc Moullet, Antonietta Pizzorno), L'avventura (Michelangelo Antonioni), Milestones (Robert Kramer, John Douglas), La terra trema (Luchino Visconti). Benché incompleta, questa lista dovrebbe dare un'idea del film. Coatti è un film di Stavros Tornes, ma non si sarebbe mai potuto realizzare senza l’amore (termine abusato, ma non saprei con che cosa sostituirlo) di Charlotte van Gelder. E di tutti gli altri partecipanti attivi a questo film. Coatti è uno di quei film che suscitano dubbi in coloro che — come me, come noi — amano un così gran numero di film. Che credito possiamo attribuirci, che fiducia possiamo accordare alle nostre parole, dopo averle usate con tanta leggerezza? Coatti è un romanzo, un feuilleton, un film. Romanzo-fiume, fotoromanzo, romanzo-feuilleton, le cui scarse tracce (fotografiche e parlate) sono qui solo per lasciare il più ampio spazio al desiderio del futuro spettatore di saperne di più.

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Karkaloù, 1984

La solitudine senza protezione di Stavros Tornes GdiiTtorREGHOos

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Conobbi per la prima volta Stavros Tornes nel 1979, a Venezia. Era l’anno in cui ricominciava in via sperimentale la Mostra del Cinema, senza carattere di concorso. Il famoso Festival era stato sospeso agli inizi di quell’infuocato decennio, quando alcune voci importanti, da Pasolini e Bertolucci al critico cine-

matografico Lino Miccichè e allo sceneggiatore Cesare Zavattini, rivendicavano un altro, diverso modo di

considerare il cinema. Ero insieme a Chrìstos Vakalòpoulos. Tornes presentava, in una sezione informativa, Coatti, girato in Italia. Chrìstos mi ricordò che Stavros aveva recitato in Allonsanfàn dei fratelli Taviani. Inoltre, naturalmente, c’era stato Thiraikòs òrthros, che Tornes e Sfikas avevano diretto insieme

prima della dittatura. Coatti fu proiettato in una piccola sala del lussuoso e carissimo Hotel Excelsior, al Lido di Venezia, a cento metri dal Palazzo del Cinema. Erano anni in cui un simile estremismo cinematografico poteva trovare spazio anche a lì. Del resto, l’allora direttore della Mostra Carlo Lizzani, regista e

membro del Partito Comunista Italiano, aveva incluso nel programma ufficiale anche il film di un grande estremista del cinema, Jean-Marie Straub. Pochi anni più tardi, al Festival di Salonicco, Stavros Tornes

presentò Balamòs, il suo primo film greco dopo il ritorno in patria. Quando la proiezione finì, alcuni «ragazzi del loggione» e i membri «ufficiali» della Gioventà Comunista chiesero la testa di Tornes. Era una delle volte in cui si manifestarono i primi segni, ancora rari, di un'alleanza ancora inconcepibile. Rosìta Sòkou trovò insperati sostenitori tra coloro secondo cui l’arte cinematografica doveva assolutamente sottostare a determinate regole. Balamòs non compiaceva la militanza politica dei giovani comunisti e non si accordava alla divertente leggerezza della Finos Film. E così venne fischiato di comune accordo. Come apparve chiaro in seguito, avevano ragione. Perché i tempi, intanto, stavano cambiando. Stavros Tornes era un estremista del cinema. Il fatto che non venisse accettato dagli accaniti sostenitori del realismo socialista e dai nostalgici del vecchio cinema greco può essere considerato il primo indizio del nuovo assetto che avrebbe predominato nella cinematografia mondiale. Proviamo a esprimere il concetto in modo schematico: dal cinema d’autore si stava passando ormai al cinema del fabbricante. Jean-Luc Godard era un paradosso, le nuove onde cominciavano a perdere la loro egemonia. Più o meno nello stesso periodo, i movimenti giovanili che negli anni ’60 e "70 avevano tentato di ridefinire le basi della cultura, si esprimevano ormai nel più radicale e inefficace dei modi: il terrorismo. Per ricordare l’Italia, il paese più rappresentativo di questa trasformazione, la dicotomia tra il riformismo e il pragmatismo del Partito Comunista da una parte, e la cieca e sanguinaria retorica delle Brigate Rosse dall’altra, si risolse in una tragedia che coinvolse l’intera Sinistra, fuori e dentro le istituzioni. Il «sinistrismo» non era più il sale, la versione utopistica, provocante, fantasiosa e liberale della Sinistra, ma un mostro senza rimedio. Il cinema di Tornes si trovò sprofondato in un vortice: come in politica, la frattura tra l'ambito istituzionale e quello non istituzionale era insanabile in ogni ambito. Balamòs rimanda a richieste e a diritti della cultura cinematografica, che, nel periodo e nel contesto in cui fu proiettato, non si sarebbero comunque potuti comprendere. Il suo valore consisteva in un significato diverso che, come si è visto, pochissimi erano in grado di rispettare. Qualche anno dopo ebbi un’altra esperienza traumatica. Quale membro della Commissione di Preselezione del Festival di Salonicco, che allora era esclusivamente greco, vidi scartato dal concorso Karkaloù. Io e alcuni altri cercammo invano di convincere gli altri che il cinema non si

giudica in base a norme prestabilite, e che Tornes meritava, forse anche più di altri artisti del cinema del nostro paese, almeno la nostra attenzione, il nostro disaccordo e le nostre discussioni. Mi sono pentito,

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perché non ci siamo battuti fino in fondo e abbiamo lasciato Tornes da solo, senza nessuno che lo difendesse. La solitudine di Tornes è indicativa della strada tortuosa percorsa dal cinema greco nel suo complesso. Non si è sviluppato, purtroppo, un dialogo fecondo sull’inquietudine estetica, sull’approccio sociale e sugli obiettivi artistici della nostra cinematografia. Eppure, quest'uomo estremo poneva alcune questioni fondamentali: come può una scrittura cinematografica personale essere arrogante, egoista, autoreferenziale ed ermeticamente chiusa in se stessa? Come può una produzione povera non sminuire e non indebolire la ricchezza dei pensieri e dei sentimenti sviluppati nel film? Cosa significa fare cinema e, per estensione, come lo accetta il pubblico? Da dove deriva e a cosa mira la bellezza dell'immagine cinematografica? In poche parole, il cinema di Tornes ha sollevato una serie di interrogativi, ancora aperti, che hanno attraversato il cinema contemporaneo. Sfortunatamente, a quell’epoca furono considerati problematiche irrilevanti e marginali. Tornes, e in seguito anche Avdheliòdhis o Anghelìdhis (gli esempi sono indicativi) hanno avuto un’accoglienza estatica, commossa, al limite dell’annullamento di ogni altra manifestazione del cinema greco, oppure sono stati assolutamente disdegnati. Per questo, l'occasione offerta da quest'omaggio a Tornes non deve andare sprecata.

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Questa testimonianwa del critico e scrittore Bràmos, scritta nell'ottobre 2001 segnala un altro evento sfuggente della circolazione dell’opera di Tornes. La presentazione di Coatti a Venezia assume in certi scritti greci un rilievo che sembra ignorarne la quasi clandestinità: ilfilm non è inserito in catalogo, come anche altri film di quella edizione di Venezia e della sua sezione Officina. Tuttavia la sua presentazione ha, malgrado ciò, una reale importanza: si tratta infatti, oltre che della prima Venezia diretta da Lizzani, del primo programma ideato da Enzo Ungari, con film che non si temeva di riproporre anche a un anno di distanza dalla loro presentazione per esempio a Hyères, facendo arrivare registi «fuori catalogo». Molti forse non si sono accorti che quell’anno passava anche Tornes. Oggi, anche in assenza di scritti sulla sua opera a firma EnzoUngari, che pure si sapeva suo ammiratore, le tracce evanescenti di quella proiezione sono preziose.

Ismini Kariotàki e Stélios Anastasiàdhis a Salonicco in una foto di Anna Wich, 1994. Era l’anno del documentario Stàvros Tornès: o ftochòs kinighòs tou Nòtou di Stavros Kaplanidis. L'ultima fotografia di Stèlios Anastasiadhis, l’attore più rappresentativo in due film di Tornes, 1994

Arriva dalla Grecia un principe ingenuo che compra cavalli AUS BSE Ret 000 Fear AS SENO

E anche il regista e attore greco Stavros Tornes, faccia antica, scura, mediterranea, assomiglia ai suoi film. Tornes non solo interpreta, ma forse è Balamòs, l’uomo con la testa tra le nuvole, colui che conosce l'estasi. Percorre le strade e le montagne della Grecia di oggi e di sempre, è un ingenuo che vuol comperare un cavallo, è uno schiavo di duemila anni fa, è un principe folle durante l'occupazione fascista, è Dracula che succhia il sangue dei cavalli. La storia fuori dal tempo di Balamòs è raccontata con poche parole, parole che sono rocce, terra, animali, acqua, con il respiro di un cinema in perfetta armonia con la natura e con i miti perenni che essa racchiude. Quello di Tornes è un cinema fatto per gli dei, dovrebbe essere proiettato sulle nuvole dell'Olimpo. Perché il cinema è Al Capone e Rossellini, è l'elettricità banditesca di Edison e la luce del cielo.

«la Repubblica», 28 aprile 1983, corrispondenza da Salsomaggiore con il titolo che riprendiamo per tutto il capitolo; il riferimento a Edison si esplicita nella prima parte dell'articolo, sul progetto Nikola Tesla di Skolimowski.

Un fantastico arcano, intessuto di miti e storia, ma aspro, quasi impenetrabile, sassoso e scarnificato come i suoi paesaggi è quello di Karkaloù di Stavros Tornes, cineasta-asceta e autore di un cinema elementare e poverissimo ma in cui c'è sempre un «lusso» dei più preziosi: la poesia. «la Repubblica», 24 aprile 1985, corrispondenza da Salsomaggiore.

Uomini-animali sono anche alcuni personaggi dell’ultimo film del greco Stavros Tornes, cineasta scabro, magico e «preistorico» che vive e lavora davvero agli antipodi della California delle sue luci e dei suoi rumori. Il film si chiama Danilo Treles ilfamoso musicista andaluso e raduna, sulle aride montagne dell'Epiro un eterogeneo gruppo di personaggi-mito. Un uomo-volpe, che parla tutte le lingue. Un uomo-gallo, che ovviamente parla francese. Due ladri di polli in cerca di un tesoro che parlano romanesco di Campo de’ Fiori. Un biologo che parla latino. Un cantante folk americano un arabo una maga più innumerevoli animali veri. Tutti cercano o ruotano attorno a Danilo Treles, il «famoso musicista andaluso» che si è perso su quelle montagne, che non si vede mai, di cui solo una volta si sentirà il canto.

Concentrato personalissimo di favole e di mitologie il film di Tornes è insieme la massima povertà del cinema e la sua massima ricchezza. Per fare un uomo-volpe non occorrono trucchi sofisticati, basta una mascherina fatta come un muso di volpe vera, e per fare un uomo-gallo basta un ciuffo di piume sul sedere. Ma per raccontare tutte queste storie, far risuonare tutte queste voci e culture ci vuole la saggezza di tutta una vita. «la Repubblica», 12 aprile 1987, corrispondenza da Salsomaggiore.

È morto qualche giorno fa Stavros Tornes, attore e regista greco che aveva soggiornato a lungo in Italia ai tempi della dittatura dei colonnelli e vi aveva interpretato in parti secondarie vari film, anche per Antonioni e Fellini. In Italia aveva realizzato le sue prime cose da regista «alternativo» come Studenti o

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Coatti prima di ritornare in Grecia e dare inizio a una serie di film scarni e poetici, poverissimi nella materia ma ricchissimi di fantasia e suggestioni, girati fra le pietre e le mitologie eterne della sua terra. Si intitolavano Karkaloù, Balamòs, Eksopragmatikò,

Danilo Treles e raccontavano di uomini-dei, o di

uomini-animali, di vagabondi, di poeti. Stavros Tornes era come i suoi film: aveva cinquantasei anni ma ne dimostrava forse venti di più, con i suoi capelli lunghi e bianchi, il volto ossuto, l’aria spesso sofferente ma gli occhi e la fantasia vivacissima. Il suo ultimo film si intitola Una gru per la Germania [sic] ed era stato in predicato per andare a Venezia. Gli altri erano stati visti da noi a Salsomaggiore dove qualche anno fa Tornes ricevette anche un premio. Vi arrivava dopo lunghi viaggi in pullman attraverso la Jugoslavia, rifiutando il biglietto d'aereo, come un vagabondo, un emigrante di altri tempi, un uomo di un altro cielo e di un altro universo quale ha sempre voluto essere.

«la Repubblica», agosto 1988 (ritaglio non datato): È morto Stavros Tornes uomo di un altro tempo regista di poeti e vagabondi.

E perfino Un airone per la Germania, ultimo film di Stavros Tornes e omaggio postumo a un cineasta poetico e scabro forse come nessuno, individuava una nuova strada, più aperta e disponibile, per questo giovane vecchio morto in ogni caso prematuramente. 162,

«la Repubblica», 20 aprile 1989, corrispondenza da Salsomaggiore.

Da destra: Chiistos Vakalòpoulos, Stavros Tornes e Charlotte van Gelder al bar del Festival di Salonicco, 1987

Nessuno stile cinematografico codificato Cartesio ES AVA SK' AT

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Venerdì, 5 ottobre 1984: Karakaloù Nella proiezione pomeridiana della rassegna completa sarà presentato il film, eliminato dalla Commissione di Preselezione, Karakaloù, di Stavros Tornes, pioniere del nuovo cinema greco con una personalità che non scende a compromessi e che sente il cinema nel sangue. Nel 1982 Balamòs, il suo precedente film, fu fischiato duramente in sala. Due anni dopo, Karkaloù ha ottenuto caldi applausi. Tornes alza il pugno ed esce dalla sala. Il cinema di Tornes pone, innanzi tutto, un problema di tipo antropologico: in un film, chi guarda (il cineasta) è obbligato a lasciarsi guidare da colui che vede, deve abbandonarsi con fiducia cieca a un corpo reale, in carne e ossa (l’attore è una preoccupazione molto relativa, vista la presenza umana nei film di Tornes). In Karkaloù Stèlios Anastasiàdhis incarna questo genere di corpo, è l’uomo che vive la propria morte movendosi all’interno di in una strana geografia, che mescola i ricordi con le fantasie, l'infanzia con l’arte culinaria, sua moglie Karkaloù con il cinema (nella scena magistrale nella capanna). Filmando con un sentimento di libertà assoluta, Tornes dimostra (come anche in Balamòs) che la spiritualità è questione di precisione, mentre al contrario la schematicità ha bisogno di una certa indefinitezza per esistere. Così Karkaloù, esempio unico di cinema surreale in Grecia, riesce a completare il suo «sistema» estetico, esau-

rendo la materialità degli oggetti filmati. La trasgressione nasce solo nel momento in cui le cave di pietra diventano vere, quasi tangibili per lo spettatore, e le situazioni divengono spirituali (paesaggi della mente) all’interno di condizioni estremamente realistiche. Gli attori sono corpi che vibrano, non accomunabili all’isteria di qualsiasi drammaturgia già data a priori, a ogni genere cinematografico codificato. «Adì», n. 272, 12 ottobre 1984.

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Stavros Tornes in Nausicaa, film perduto di Agnès Varda, 1970

Un film contro le leggi

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DANEY

Theo Angelopoulos, come improvvisamente tutti a Salonicco, dice un gran bene di un altro regista greco, Stavros Tornes. Ha ragione. Se esiste un poeta-artigiano e un radicale errante, è proprio Tornes. A 49 anni, è più leggendario che conosciuto, coscienza del cinema greco fuori dalla Grecia (da lungo tempo vive in Italia, dove fa l'attore), spina nel fianco di ogni organismo sindacale, istituzionale o assistenziale. Stavros Tornes (e il suo «alter ego» Charlotte van Gelder) ha fatto i propri film da solo, nel corso di una vita movimentata, senza aspettare alcuna luce verde, con la forza di chi possiede il lusso supremo: il tempo di pensare quel che sta facendo. I suoi film italiani (tra cui Coatti) e il suo primo film del ritorno in Grecia (Balamòs), sono a malapena conosciuti. In Francia è stato «scoperto» da un curioso, di cui taccio il nome in onore della sua modestia (scrive per «Libération»). Speriamo che sia solo il primo. È un peccato, ma il film di un poeta non si può raccontare. Karkaloù fa pensare, di volta in volta, a Murnau, agli Straub, ad Antonio Reis o ai fratelli Taviani. Nel film la pietra è di pietra, la finzione è una finzione, anche i fantasmi muoiono, un vecchio interpreta un bambino, un giovane diventa vecchio, dei bambini simboleggiano la morte, un’inquadratura succede a un’altra con l’inevitabile (e non dimostrabile) nitidezza del sogno. A Salonicco, il film è stato acclamato. Stavros Tornes ha abbandonato la sala, molto commosso, con il pugno alzato. Per tutta la serata, l’intero cinema greco è andato ad abbracciarlo. Spesso, in modo mellifluo. Dopo tutto, il migliore di loro non aveva atteso una legge per trovare la forza di fare un film contro le leggi.

«Libération», 16 ottobre 1984.

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Karkaloù, 1984 In alto: Ismîni Kariotaki e Stélios Anastasiadhis In basso: Màrios Karamànis

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Karkaloù, ci sei?

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Stavros Tornes verrà a Cannes, un giorno? Due anni fa, il suo splendido Balamòs è stato presentato all’interno del mediocre panorama del Marché du Film. Quest'anno è andata anche peggio: Karkaloù è stato proiettato un’unica volta, di fronte a cinque spettatori, sabato alle nove e mezza del mattino. Le ragioni? 1) Il cine-poema, nonostante la gloria postuma di Pasolini, non gode dei favori del pubblico. Un cineasta che si batte da anni per mettere insieme, prima in Italia e poi nella sua Grecia natale, immagini aspre e suoni rudi in cui poter intrappolare i suoi personaggi allucinati, fa paura. Ci si dovrà affidare al ritmo dell’alba vera (non quella dei festival nottambuli) per coglierne il senso. Stavros Tornes filma la sabbia grigia delle spiagge e la luce ingannevole della luna. Non le vetrine di Faubourg St. Antoine. E così, restiamo inevitabilmente stupiti. Non siamo più abituati. 2) Anche con un argomento familiare, Stavros compie miracoli. Un giovane irretito ora da una vamp sul viale del tramonto ora da un comico steward, non può che essere l'ennesima variazione per trio infernale. Armstrong canta Georgia on My Mind, due uomini si dividono la scena, ma l’apertura nel muro che lascia intravedere il loro sguardo vago è un’autentica «ouverture». Fatta di vere pietre. Mineralmente, Karkaloù fa pensare a Cocteau e a Genèt. Imbarazzante!? 3) Mostrare che un uomo-eroe può avere occhi da bue, o da rospo, è rischioso in tempi di truffa stilizzata come questi. La fatica dei corpi di operai-artisti non è vista meglio. Mescolare, senza cercare, Sayat Nova ad Antonioni, è spiazzante. Gilles Jacob ha rifiutato Karkaloù nella selezione ufficiale. Pierre-Henri Deleau ha preferito passare nella sua «Quinzaine des réalisateurs» un film del tutto inconsistente, L’amour d’Ulysse. Due anni fa avevamo detto, in questa stessa sede, che Balamòs era un capolavoro. Karkaloù è più bello ancora.

«Libération», 13 maggio 1985. Non risultano scritti di Skorecki sul successivo film di Tornes, Danilo Treles, in cui Tornes, invece, scrive nei titoli una dedica a Skorecki e al suo film da regista, L’escalier de la haine.

‘In francese «génant»: si perde l’assonanza con Genét (N.d.T.)

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Stavros Tornes e Catherine de Seynes in una scena di Nausicaa di Agnès Varda, 1970