132 103 21MB
Italian Pages 232 [236] Year 2004
STAVROS TORNES CGINEASTA
GRECO
SEME CIANO
A CURA DI Erras KANELLIS, STAVROS KAPIANIDIS
SERGIO GRMEK GERMANI, se
TORINOFILMFESTIVAL
UNINUF ILIVICCILIVAL
TNRINNETL
MEFSTIVAI
:
È
G
21° TORINO FILM FESTIVAL
13-21 Novembre 2003 via Monte di Pietà, 1 - 10121 Torino
tel. +39-011-5623309, fax +39-011.5629796
Direttori Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto
http://www.torinofilmfest.org
e-mail: [email protected]
Segretario generale Davide Bracco
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI - DIREZIONE GENERALE CINEMA
Il presente volume è pubblicato in occasione della retrospettiva Stavros Tornes, cineasta greco e italiano a cura di Sergio Grmek Germani, Stavros Kaplanidis, Roberto Turigliatto realizzata dal Torino Film Festival in collaborazione con Ellinikò Kèntro Kinimatoghràfou (Greek Film Center), Atene Festivàl Kinimatoghràfou Thessa-
Assistente dei Direttori
Angela Savoldi
lonìkis (Thessaloniki International Film Festival). Si ringraziano in particolare Michel Demopoulos e Voula Georgakakou.
REGIONE PIEMONTE
Programmazione e ricerca film PROVINCIA DI TORINO CITTÀ DI TORINO
Luca Andreotti
Hanno
con la collaborazione di
Cinémathèque Frangaise, il CNC-Centre Nationale de la
Mercedes Fernandez Alonso
inoltre
collaborato
la Cineteca
Greca,
la
Cinématographie. A Torino ha collaborato l'Associazione Piemonte-Grecia
COMMISSIONE
EUROPEA
Segreteria Alfonso Papa
IL PIEMONTE SCOPRITELO ADESSO
“Santorre di Santarosa”.
Concorso Internazionale cortometraggi
Si ringrazia il Thessaloniki International Film Festival per aver concesso l’utilizzo di testi e fotografie del volu-
COMPAGNIA DI SAN PAOLO
Paolo Manera
me Stàvros Tornès, a cura di Elias Kanellis e Stavros
FONDAZIONE
Concorsi Spazio Italia, DOC 2003 e Spazio Torino
Kaplanidis, Atene 2001. CRT
Chiara Andruetto SKY
Hanno
collaborato per il reperimento delle pellicole
Tainiothikì
KODAK
Segreteria concorsi Spazio Italia, DOC 2003 e Spazio Torino Davide Oberto
FIAPF
Consulenti per la selezione
tis Ellàdos, Atene,
Ellinikì Radhiofonìa
Tileoràsi, Atene, Cinémathèque francaise, Parigi, Archives du film de la CNC, Bois d’Arcy, Museo Nazionale del Cinema, Torino, RAI3 “Fuori orario”, Roma.
Giuseppe Gariazzo, Nicola Rondolino
Si ringraziano gli autori dei testi e delle dichiarazioni
ASSOCIAZIONE AMICI
Hanno inoltre collaborato: Lorenzo Esposito, Giona A.
in volume e inoltre: Anno uno / I mille occhi (Trieste),
DEL TORINO FILM FESTIVAL
Nazzaro, Roger Garcia (Estremo Oriente) Dave Kehr
Adriano
(USA), Bill Krohn (USA) e Elena Pollacchi (Cina).
(Udine), Cineteca del Friuli (Gemona), Fulvia Farassino, Paola Febbraro, Paolo Luciani, Paolo Lughi
William Friedkin Giulia D’Agnolo Vallan
Michele Mancini, Nico Papatakis, Giampiero Rizzo, Agnès Varda.
Gianni Rondolino (Presidente) Claudio Gorlier (Vice Presidente) Alberto Barbera
Eclissi di cinema. Tutti ifilm di Aleksandr Sokurov Stefano Francia di Celle,
Susanna Bourlot, Caterina Carpinato, Federica Ferrieri,
Davide Bracco
enrico ghezzi e Alexei Jankowski
Gabriella Macrì, Paola Maria Minucci, Gaia Zaccagni.
Stefano Della Casa
Stavros Tornes, cineasta greco e italiano Sergio Grmek Germani,
due fotogrammi (r6mm) da Balamòs (1982) di e con
Ansano Giannarelli
Stavros Kaplanidis e Roberto Turigliatto
COORDINAMENTO ASSOCIAZIONE
FESTIVAL EUROPEI
CINEMA GIOVANI
Aprà,
Alain
Brillon,
«Libération»,
CEC
Traduzioni
Valerio Castronovo Francesco De Bartolomeis
Paolo Manera
Giuseppe Riconda
In copertina: Stavros Tornes,
în prima con il cavallo, in quarta con Konstadìnos Pàgalos
Baldo Vallero
Ufficio stampa e comunicazione Marzia Milanesi, responsabile
Marco Vallora
Tiziana Ciancetta, Barbara Sassano, Jenny Bertetto
Alfrontespizio:
Ufficio Stampa e P.R internazionali
Stavros Tornes, subito dopo la proiezione fuori selezione di Karkaloù al Festival di Salonicco, ottobre 1984, alza il
Richard Lormand e Viviana Andriani
pugno in risposta agli applausi entusiastici del pubblico.
Gianni Vattimo
Lorenzo Ventavoli
Coordinamento editoriale
Giorgio Gianotto
Progetto grafico:
adfarm&chicas srl
Manifesto 2003 Stan Brakhage
© 2003 Torino Film Festival Sigla Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian
Associazione Cinema Giovani
ISBN: 9-788888357089
Stavros Tornes Cineasta greco e italiano
a cura'di
Sergio Grmek Germani Elias Kanellis Stavros Kaplanidis
Indice
Premessa
00
Sergio Grmek Germani
Màgika - Rebètika - Erotikà Canzoni popolari (canzoni amare)
per un film di Stavros Tornes di 45-60’ Nota sulla traslitterazione II
15
79
La vitalità dell’effimero
Elias Kanellis, Stavros Kaplanidis
83
Karkaloù
Cronologia
85
Danilo Treles
Introduzione all'edizione greca
Voglio continuare a fare film STAVROS TORNES: SCRITTI, PROGETTI, CONVERSAZIONI
95
D)
Cinema impossibile
IOI Un airone per la Germania
Hi
Incarnazione del cinema
103 Ritrovare la chiarezza e la forza
35
Esiste un cinema inesplorato
105 Brani di passione poetica
39
Siamo impazienti...
107 Per uno sguardo rivelatore
4I
Addio Anatolia
II5
3.
Coatti
43
Guida poetica italiana
49
Eksopragmatikò (Fuori della pratica)
SI
Parola di Prometeo
53
Lupi mannari ovvero Licantropia a Roma
13I
La fine di un mestiere
133 Testimonianze italiane
2I
Il Silenzioso (Progetto di sceneggiatura)
Robinson Crusoe
I19 INCONTRI I2I
Augurio dall’Anatolia Elia Kazan
123 Ricordi
YI
Balamòs (Colui che è in estasi e che vive con le favole)
Demosthenes Theos
Il battesimo di Balamòs e il Profeta Charlotte van Gelder
Francesco Rosi, Mario Monicelli, Mimmo Rafele, Ugo Adilardi, Nico D’Alessandria,
Roberto Mastropasqua, Roberto De Angelis, Simone Carella, Ciriaco Tiso, Ivo Barnabò
75
Balamòs è un film
Micheli, Vincenzo Attingenti
143
Un debito Theo Angelopoulos
145
Senza regole Alèksis Dhamianòs
147
La pellicola e il caffè Stàvros Tsiòlis
149
I71
Stavros Tornes, cineasta inattuale ovvero Il povero viaggiatore del Sud Marco Melani
177 PERSISTENZE
Uno sguardo dalla Germania Anna Wich
179 Attraversare il cinema greco come un lampo Michel Demopoulos
181
E senza Tornes...? Stavros Kaplanidis
ISI FOLGORAZIONI 155
Orientamenti Jean Douchet,
Vasîlis Rafailîdhis t55
Hyères: oggi Louis Skorecki
159 La solitudine senza protezione di Stavros Tornes Ghiòrghos Bràmos I6I
Arriva dalla Grecia un principe ingenuo che compra cavalli Alberto Farassino Nessuno stile cinematografico codificato Chrìstos Vakalòpoulos Un film contro le leggi Serge Daney Karkaloù, ci sei? Louis Skorecki La morte di un uomo. Chi era Stavros Tornes? Louis Skorecki
185 Stavros Tornes: il grande provocatore Elias Kanellis 207 La poetica di Stavros Tornes Adrèas Paghoulòtos 209 Stavros Tornes: il cinema
come mitologia estatica dell’immaginario Ciriaco Tiso
219 FILMOGRAFIA
221 Filmografia Sergio Grmek Germani 231 Nota bibliografica
Qualcosa qui diventò orfano, la candela di qualcuno si esaurì; si rubò la gioia di qualcuno,
qualcuno cantò e il canto si spense.
Traduzione della didascalia-titolo all’inizio di Adio Anatolì/Addio Anatolia
Premessa SERGIO
GERMEK
GERMANI
“Quando giravo Coatti a Cinecittà [...] l’intero cinema italiano era morto. Stavros Tornes
«Molto lavoro mi aspetta» diceva Dreyer negli ultimi anni, cercando di realizzare i suoi progetti maggiori. «Voglio continuare a fare film» diceva Tornes nell'intervista dopo il penultimo film. Uniamo, non
trova
attraverso un
una
bellezza
“funzionamento”
assoluta
che
economico,
due
cineasti che si sono già incontrati, poiché Balamòs e Karkaloù prolungano Vampyr e le sue bare in movimento.
Molte punte di bellezza sono state sottratte alla realizzazione. C'è stato un cinema fuori della pratica che oggi rimane un puro dono di vite che ci sono passate davanti. È sorprendente quante persone si
scoprano oggi distratte rispetto alla presenza di Tornes nella vita e nel cinema: registi affermati che l'hanno avuto come attore, Bernardo Bertolucci che l’ha incontrato (vedi testimonianza in foto) a un convegno di cineasti a Salso, noi stessi che lo vedevamo con Marco Melani e per qualche anno ci muovevamo a pochi metri dalla “sua” Piazza Santa Maria in Trastevere. Come dice Roberto Turigliatto nella prima presentazione di questo omaggio: «Stavros Tornes resta “il segreto meglio celato del cinema europeo”. Questo filmmaker totale, autore del cinema “poetico-politico” più povero ed estremista degli anni "70 e ’80 (cinque lungometraggi, diversi corti e medi), è stato soprattutto un viandante apolide che attraverso i metodi e le lezioni del cinema postrosselliniano più radicale e moderno ha intrapreso un viaggio alla ricerca delle origini, verso il luogo della nascita e della morte. È stato un cineasta tellurico, primitivo, capace delle stupefazioni più folli (le pietre, gli alberi, i cavalli, i bambini, i fantasmi, i paesaggi notturni, i sogni...), come delle deambulazio-
ni e dei detours più inattesi».
Che questa retrospettiva si intrecci alle proiezioni dell'’omaggio a Monteiro, altro grande cineasta scomparso che sulla presenza del proprio corpo ha “centrato” i film e la vita, è forse il maggior segno che questo è il momento e il luogo giusto per accorgersi finalmente di Tornes: anche per i più attenti cinefili e cineasti che avevano lasciato questa consapevolezza a una piccola minoranza di rivelatori, i cui scritti hanno la giusta posizione in questo volume. Non è che Tornes coltivasse nei propri film delle intenzioni esoteriche. Essi sono anzi nati dalla frequentazione di un cinema popolare, sia italiano che greco (del quale poco si conosce), sapendo che i segreti sono più profondi se posti in evidenza. Che poi, nella sua diffidenza verso il cinema della macchina hollywoodiana, emergessero passioni come quella per Tourneur (rendendo davvero rabdomantica la folgorazione di Skorecki, testimoniata anche dalla conclusione del-
l'articolo per la morte: «eppure, da qualche parte, nel mondo, un orfano piange»), è ulteriore conferma di come Tornes sapesse orientarsi vagando nel cinema. «Colui che è costretto a errare in eterno» è il senso della parola valacca che dà il nome a Balamòs («Balamòs è un film»). Dobbiamo cominciare a parlare delle colpe dell’Italia, e la Grecia è un territorio giusto per farlo. La Grecia, è vero, ha fatto lottare Tornes per ogni metro di pellicola, ma a un certo punto, tra odi e invidie, qualcuno ha saputo riconoscerlo come maestro. L'Italia, che l’ha ospitato per anni, non ha riconosciuto nelle sue opere dei grandi film italiani. Nemmeno Coatti, italiano per lingua, paesaggi, corpi e “produzione”, che oggi bisogna finalmente vedere tra i capolavori del cinema italiano apolide, con il da lui amatissimo Viaggio in Italia rosselliniano (e ne è una sorta di seguito anni ‘70), oltre che con film dispersi come Lo sconosciuto di San Marino di CottafaviWaszynski, Città dolente di Bonnard, Maddalena di
Genina, Tropici di Amico, gli Straub-Huillet...
Questo omaggio vuole avvalersi di tutti i precedenti strati del riconoscimento di Tornes, in Grecia, in Francia e in Italia, ma deve imporsi (proprio perché arriva tardi) di andare oltre, di colmare quelle disattenzioni che le precedenti attenzioni più “sintetiche” potevano concedersi. È il senso del nostro lavoro rispetto a quello dei curatori dell'omaggio greco di due anni fa. Siamo loro riconoscenti, oltre che per i materiali raccolti, perché sono stati capaci di compiere dei gesti in controtendenza. Così come consideriamo un eroe quel dirigente della televisione greca che, di fronte alla bocciatura tecnica del film di Tornes, ne ha chiosato la scheda con un netto «passa per ordine del signor Alevràs». Non è una morbosa ricerca di conflitti se vogliamo sapere chi sono stati i giusti e chi i colpevoli: in Grecia si tendono oggi a dimenticare questi dettagli, e il fatto che l’intervento di Thèos sugli “stalinisti” che hanno combattuto Tornes esca prima in questo
volume che in patria è significativo. È la storia del «mai più» che ci interessa, quella che ha mosso l’indispensabile neorealismo rosselliniano esaltatosi nell’«anche i morti» di Europa 51, o il cinema del «mai più Auschwitz» di Munk. Vogliamo smentire che vi siano zone trascurabili nel cinema di Tornes. Questo omaggio vuole indicare delle direzioni in cui superare la nostra ignoranza. Non è più ammissibile che dei primi due cortometraggi, attualmente invisibili, non ci si voglia occupare perché sarebbero lavori su commissione. Quando invece tutte le successive menzioni da parte dell’autore portano a vedere Mikìne (primo film cui ha voluto dare un titolo italiano finale, Tomba) e Kiklàdhes come i primi due tasselli di un trittico che si compie con Thiraikòs òrthros. E forse di pochi altri cineasti degli ultimi decenni
vi sono tanti film «perduti»: Studenti, Fantastikò reportàz, la prima interpretazione alla Scuola di cinema e quella in Nausicaa... una maledizione che i tempi di preparazione di questo omaggio non hanno consentito di scongiurare, ma che non vogliamo accettare per definitiva. I film con Tornes attore, per il modo stesso in cui si mette in gioco come corpo, sempre un po’ di passaggio, vengono generalmente visti al polo opposto rispetto ai film da lui diretti e alle sue gioiose interpretazioni in essi. Ma la frase misteriosa che Rafele ricorda («io e te dopo cominciamo e facciamo una bella cosa») pare riferirsi sia alla cosa che si sta facendo che a un’altra possibilità, contenendole entrambe. Non è una tattica di comunicazione la sottolineatura dell’italianità del cinema di Tornes, che non era dovuta unicamente all’esilio politico, come prova il suo splendido ultimo film, vera summa del mondo in cui ha vissuto con noi, nella quale ricorda anche le esperienze italiane, quasi bibliografandole. Film lieve come il volo dell’airone e insieme enciclopedico, vicino in ciò al recente Um filme falado di Oliveira, nel quale si ritrova anche una zona del miglior cinema greco. Tornes è stato all’altezza del passato della sua terra, su cui non ha mai voluto costruire un cinema sterilmente culturale. Ma è diventato anche (come testimonia la sua filmografia) un cineasta italiano, e quel suo sentirsi a Cinecittà (nome pom-
poso per dei super8 gonfiati a 16) come in un deserto non è un atto di presunzione verso una cinematografia che sovente riusciamo a amare, ma che riesce a diventare grande se si dimentica come
macchina produttiva. Tornes è un segreto benevolo. Molto lavoro ci aspetta.
a
Nota sulla traslitterazione
Poiché non vi sono criteri generalmente condivisi, nemmeno nell’ambito specialistico, italiano ed estero, per la traslitterazione dal neogreco, si è elaborata per questo volume una scelta a partire dalle diverse soluzioni proposte, con alcune esigenze prioritarie per questa edizione, ma perseguendo anche un minimo di coerenza più ampiamente accettabile. Trattandosi di un autore che ha vissuto a lungo in Italia, ci si è posti il problema di quali scelte egli avesse fatto in quel periodo, soprattutto per i titoli di testa e di coda, spesso fotografanti una scrittura autografa, e per gli scritti pubblicati, e si sono poste in rapporto ai diversi orientamenti di traslitterazione. Poiché dalla prolungata diglossia del neogreco, tra il dhimotikì (lingua popolare) e la katharèvousa, la «lingua epurata» quale compromesso tra il greco antico e la prima, si è gradualmente e definitivamente affermata nel secondo dopoguerra la «lingua popolare», che privilegia la chiave fonetica nell’uso dei caratteri alfabetici, appare coerente che anche nella traslitterazione nel nostro alfabeto si scelga come guida la leggibilità fonetica. Tuttavia ciò può provocare talvolta un’utilizzabilità strettamente nazionale (italiana) di certe soluzioni, che ci pare insoddisfacente, forse non solo per un libro di cinema. Nel tener conto sia delle scelte fatte nelle pubblicazioni con versione inglese del festival di Salonicco, sia di quelle in The Greek Filmography di Dimitris Koliodimos (McFarland, JeffersonLondon 1999), è rimasto però il bisogno di precisarle. La sfida, che ogni scelta di traslitterazione dovrebbe sentire, di corrispondere il più possibile alle varianti della grafia originale, in modo da consentire anche un'ipotetica ritraslitterazione verso l'originale, potrebbe essere soddisfatta col neogreco solo al prezzo di complicazioni e abbinamenti dei segni latini che, non collocandosi qui né in una proposta alfabetica né in una sua lettura filologica, avrebbero reso molto artificiale la grafia di nomi e titoli. Solo così però avremmo potuto soddisfare il desiderio di evidenziare nella traslitterazione i diversi segni originali che corrispondono allo stesso suono. Essendo risultato ciò impraticabile, si è voluta però evitare anche una «iperfonetizzazione», che cercasse di trovare per lo stesso carattere diverse soluzioni traslitteranti in diversi contesti (o anche sopprimendo le doppie che invece si leggono scempie, o invece raddoppiando foneticamente la s tra due vocali). Al di fuori delle lettere singole vi sono però nel neogreco i gruppi vocalici e consonantici, che in alcuni casi suppliscono all’assenza di segni per certi suoni: questa realtà ulte-
riore si è perciò trattata separatamente ma anche nel caso dei gruppi si è voluto adottare per ciascuno una sola chiave di traslitterazione, senza adattamenti rispetto alla pronuncia nei diversi contesti (realtà che agisce in diversa misura in tutte, o
quasi, le lingue, che pertanto richiedono sempre un supplemento di conoscenze non risolvibili nella scrittura, e a cui solo in minima parte cerchiamo di supplire con questa nota). Infine, perché la chiave fonetica fosse conseguente, si è voluto evitare che suoni diversi, per i quali l'alfabeto greco prevede soluzioni diverse, venissero resi nello stesso modo, ed è ciò che ha favorito in rari casi, in particolare nell’uso della d e della g, soluzioni apparentemente più complicate ma che riteniamo coerenti nel generale rapporto tra suoni e grafemi del neogreco. Le scelte personali di Stavros Tornes si manifestano essenzialmente: — nella scrittura del proprio nome senza accenti, il che appare più un’assunzione apolide che una regola generalizzabile (e vale non solo per la scrittura a tutte maiuscole del proprio nome, che anche in greco sarebbe priva di accenti, ma nello stesso caso di scrittura minuscola con sole iniziali maiuscole); c'è tuttavia l'eccezione, non si sa quanto controllata da Tornes,
nella «Guida poetica italiana» di cui riproduciamo le pagine, dove per due volte l’accento tronco del cognome si anticipa sul nome, non sappiamo se per errore redazionale; — nella scrittura con caratteri latini del titolo greco di un suo film italiano: Eksopragmatikò indica sia la preferenza di ks rispetto a x, sia l'accettazione della sostituzione traslitterante dell’accento grave al posto dell’acuto, unico utilizzato nel neogreco (coerentemente riportato invece nelle traslitterazioni dei maggiori atlanti italiani e internazionali: e il territorio atlante ci sarebbe altrimenti più congeniale di altri terreni editoriali, anche in onore ai viaggi del cinema di Tornes).
Pertanto il nome di Stavros Tornes, che secondo le regole
che ci diamo andrebbe
traslitterato e pronunciato
Stàvros
Tornès, verrà da noi scritto senza accenti, rispettando qui come
altrove le scelte di scrittura del proprio nome di cineasti con attività anche extragreca: come per Theo Angelopoulos, Nico Papatakis, Ado Kyrou, Michael Cacoyannis, Manos Hadjidakis, Irene Papas, Melina Mercouri, Michel Demopoulos...
AI di fuori di queste eccezioni nomi e titoli sono traslitterati secondo la tabella che segue, nella quale alle lettere singole seguono i gruppi: A, o
a
B, B SS,
Vv gh
(indipendentemente dalla lettera che segue, ma forse più preciso per la gutturale aspirata cui seguono a, 0, ou, che non davanti a e 0 i, dove la
A, è
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E, £
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ZARE
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2,00)
5
Tur
t
0
i
D, d X,%
f ch
pronuncia vicina alla j suggerisce fuori d’Italia la scelta y) (pronuncia d interdentale come nell’inglese other) (pronuncia comela sdi Asia) (pronuncia t interdentale come nell’inglese think)
(preferita peril neogreco a ph) (più precisa della semplice h, il cui uso resta legato allo spirito aspro del greco antico, corrisponde ai due diversi suoni del ch tedesco, quello di ich davanti a e e i, quello di nach davanti ad a, 0, ou,
cui si aggiunge dopo la s quello di kh) Py
ps
Q, 0
o
LT VT YK
b(ancheall’interno delle parole, dove suona mb) d (anche all’interno delle parole, dove suona nd) E (sempresenza ha prescindere dalla vocale che segue, e anche all’interno delle parole, dove
v rx Y6 (040) 0) mv ov
ngh nch nks av. (anche davanti alle lettere dove la pronuncia diventa af ev. (anche dove la pronuncia è ef iv. (anche dove la pronuncia è if) ou (preferita alla semplice u corrispondente alla
£L, 01, Ut
i
al
€
suona Ng)
pronuncia)
Si riportano tutti gli accenti, traslitterandoli da acuti a gravi (sui gruppi vocalici in cui la seconda lettera si traslittera in v, l’accento si anticipa sulla prima lettera). Non si riportano invece le dieresi poiché il gruppo vocalico vi si traslittera con entrambe le lettere. Nella traslitterazione di to e t$ si succedono le singole lettere, benché il suono possa corrispondere rispettivamente alla
ce alla g palatali. Le mutazioni che avvengono nei gruppi consonantici con nasale riguardano anche il rapporto tra parole successive, ma in questo caso la traslitterazione non le adotta.
S.L.g.
Balamòs, 1982
Introduzione all'edizione greca Ln
IN
SA
vapor
KA
PLAINIS
Conoscemmo Stavros Tornes subito dopo il suo ritorno in patria, intorno al 1982. Prima di incontrarlo, avevamo visto il primo dei suoi film girati in Grecia, Balamòs, e quando lo conoscemmo ci rendemmo conto che era completamente estraneo al narcisismo estetico spesso definito come compiaciuta avanguardia: simboleggiava anzitutto la profonda concretezza incarnata nella realizzazione del film e in particolare nella sezione che celebrava l'immaginario. Conoscemmo prima di tutto un artista che si opponeva con passione a ogni genere di stereotipo. Non era mai a corto di sogni, di ideali, di combattività e di iniziativa, mentre le entrate («soldi, sempre questi dannatissimi soldi», diceva), che avrebbero dovuto giustificare la sua scelta creativa ma innanzitutto lavorativa, non gli bastavano mai, nemmeno
lontanamen-
te. Un cineasta così profondo, che non veniva pagato per il lavoro che faceva, che non poteva contare neanche sui mezzi per sopravvivere, era per noi una manna scesa dal cielo. Si era guadagnato la nostra ammirazione con la sua opera, ma ci aveva conquistati anche con il suo stile di vita. Lo osservammo da vicino nei sei anni successivi, fino alla sua morte. Grazie a lui conoscemmo molti altri personaggi interessanti, ma si trattò soprattutto dell’apertura a un pensiero complesso, che lottava per spiegare un mondo pieno di contraddizioni e di contrasti. Non è esagerato dire che l’impacciata connotazione rivoluzionaria della nostra giovinezza ha preso forma e acquisito obiettivi, prospettive e contenuto stando a stretto contatto con una persona che non aveva neppure la licenza elementare, che possedeva però una conoscenza profonda delle cose, capace di farci distogliere lo sguardo da qualsiasi aspirante maestro borioso e pieno di titoli di studio letterari e artistici. Accanto a lui imparammo a distinguere e a sostenere tutto ciò che aveva valore per noi, invece di rivolgere la nostra attenzione ai prodotti propagandati dai venditori di stereotipi sociali e artistici. La morte di Stavros Tornes è stata una grande perdita per tutti i registi e per tutti gli spettatori che cercavano nel cinema una visione propositiva del mondo, ha rappresentato la fine di un’occasione per pensare e per commuoversi. E in particolare i cinefili greci sono stati privati di un personaggio emblematico, che avrebbe potuto ispirare la demistificazione dell'immagine (in un’epoca in cui i concetti arretrano, arrendendosi al senso assoluto delle immagini audiovisive in continua espansione), e parallelamente rafforzare in uno spazio familiare i miti vitali dell’esistenza, dietro cui si cela la verità delle cose, la loro atro-
cità e la loro dolcezza. Perché Tornes era riuscito a raggiungere un compromesso nella dialettica dell’esistenza: l’atrocità e, insieme, la dolcezza.
Stavros Tornes è scomparso all’età di 56 anni, nel luglio 1988. Tredici anni dopo — un lasso di tempo che nemmeno per approssimazione può essere assimilato a un anniversario — il Festival del Cinema di Salonicco decide di ricordare al pubblico cinefilo la figura del regista. La retrospettiva dedicata al suo cinema è l’occasione ideale per rivalutare l’opera, le idee, ma anche le ossessioni per cui lottò. Gli spettatori più giovani, le giovani promesse della cinematografia e parecchi tra i giovani critici che non conoscono i film di Stavros
Tornes hanno l'opportunità di confrontarsi con un «mostro sacro»: con l’espressione cinematografica, con una complessità di pensiero che porta verso la semplicità, con la precisione e la forza nella formulazione, con la combattività che si impone completamente sull’espressione artistica, con la vita come percorso creativo rettilineo espresso in un rapporto irrisolto con la realtà e con l’arte narrativa per cui combatté.
II
Questa retrospettiva è molto importante proprio perché non trae spunto da un anniversario: in un periodo difficile per la cultura audiovisiva, la proposta di un artista scomparso ma non dimenticato appare di forte attualità. Attualità che non soddisfa un pretesto commemorativo, ma è dettata dalla situazione, dalla necessità di riconsiderare le certezze audiovisive che, sempre più spesso, sempre più regolarmente, sempre più massicciamente, abbagliano le persone con uno sguardo che rifugge gli aspetti importanti,
focalizzandosi su quelli accessori, diventando indiscreto e meschino. La spiegazione è semplice: Stavros Tornes non aspirava soltanto a esprimere lo spirito della sua epoca. Le sue immagini, pur consumate, lacunose, frammentarie, «sporche», sono riuscite a sopravvivere all’epoca in cui sono state prodotte, sono in grado di rivolgersi con la stessa attualità anche alla nostra epoca, forse anche alle epoche future. Come le immagini dei pionieri del cinema, scoperte e riscoperte senza sosta.
[n]
Il presente volume è, a nostro avviso, un’indispensabile «bussola» per comprendere in tutta la sua ampiezza l’opera di questo importante cineasta. Nella prima sezione vengono presentati in ordine cronologico alcuni brani di Tornes sotto forma di manifesto programmatico, nonché alcune interviste che illustrano la sua ricerca creativa ma anche la sua posizione nei confronti della realtà. Due di queste interviste è come se fossero pubblicate per la prima volta. Una, per nulla rielaborata nel dettato, era stata pubblicata in un opuscolo del circolo cinematografico di quartiere Màati di Mìikonos, rimanendo inaccessibile anche per il più volenteroso dei lettori. La seconda — l’ultima intervista concessa da Tornes — era stata pubblicata sulla rivista «Adì» nel 1988, ma con tagli dovuti a ragioni di spazio. È stato necessario sbobinarla daccapo, e le parti eliminate sono state aggiunte al testo tra parentesi quadre. Nella stessa sezione vengono inoltre proposti alcuni brani in cui Tornes presenta personalmente i suoi film, nonché sceneggiature inedite o progetti di sceneggiatura che attestano l’inesauribile vena creativa ma anche le ossessioni che muovevano il suo pensiero creativo.
[...] La presente edizione contiene un gran numero di documenti e di fotografie, gran parte delle quali mai publicate. Non è stato possibile utilizzare tutto il materiale inedito, ma crediamo che i documenti scelti contribuiscano alla completezza dell’edizione, documentando a vantaggio del lettore (e dello studioso) l’immagine di Stavros Tornes. Un artista che mantenne la semplicità, l'umorismo e l’umanità, che non
KAPLANIDIS |STAVROS ELIAS KANELLIS, N
volle mai, neanche per un istante, nascondere il proprio vero volto dietro la boriosa facciata spesso imposta dal mondo dell’arte: era un uomo autentico e non un paradigma di presuntuoso esibizionismo. Il materiale fotografico tratto dai film di Stavros Tornes è esiguo, poiché sul set non c’era un fotografo di scena. Per stampare le fotografie riservate alla distribuzione (comunque limitata) delle sue opere, il cineasta scelse un numero limitato — limitato per ragioni economiche, ovviamente — di fotogrammi dei film. Una volta individuati i negativi, i fotogrammi andarono in stampa, ma le dimensioni ridotte (16 millimetri) non consentivano una resa adeguata, almeno secondo i criteri del mercato. Ma le fotografie esistenti, proprio per le loro caratteristiche, rappresentano, per così dire, lo spirito e l'atmosfera dei suoi film. Sui set dei tre film girati in Italia (Adìo Anatolì, Coatti ed Eksopragmatikò) non furono scattate fotografie. Perché la documentazione fotografica del volume fosse completa abbiamo acquisito in digitale alcuni fotogrammi dei tre film, con la speranza che la riproduzione tipografica, particolarmente curata e attenta, risulti soddisfacente per il lettore. Le fotografie delle troupe impegnate nelle riprese sono anch'esse rare, scattate da amici presenti occasionalmente o da chi partecipava in vario modo alla realizzazione dei film. Lo stesso vale anche per i ritratti di Tornes. Le fotografie sono pochissime, ma siamo riusciti a trovare qualche testimonianza: un ritratto si deve alla curiosità del cineasta Levtèris Dhanìkas, che fotografò il cineasta al Festival di Salonicco del 1982, quando fu presente con Balamòs; altre fotografie si devono ad Anna Wich, che partecipò con dedizione alle riprese e alla vita di Stavros Tornes. Dopo la morte di Stavros Tornes, la sua compagna, Charlotte van Gelder, affidò a Stavros Kaplanidis e a Màrios Karamànis alcuni scritti: testi, progetti di sceneggiatura, corrispondenza, ritagli di giornale e fotografie dei suoi film. Il materiale fu conservato per tredici anni, alcuni frammenti erano già stati richiesti e utilizzati, ma questo volume propone per la prima volta gli scritti nella loro interezza. Tale documentazione è la base da cui sono partiti il volume e la retrospettiva. Le ricerche hanno portato all’individuazione di altri materiali: diverse interviste concesse a giornalisti, critici, colleghi, ma anche a semplici ammiratori. Sono state ripescate anche diverse scatole con restì di negativi «inutili», di inquadrature non utilizzate nei film, fra cui le riprese — che a volte gli operatori rèalizzano fuori piano — incluse nel documentario Stàvros Tornès: o fiochòs kinigòs tou Nòtou, di Stavros Kaplanidis. Questo materiale ha
dimostrato che nel cinema niente è inutile: anche l’ultimo fotogramma sovraesposto ha un valore quando si tratta dell’opera di personaggi che meritano l’attenzione. Abbiamo raccolto punti di vista e testimonianze di chi ha condiviso con Tornes momenti di vita, venendo a conoscenza di particolari inediti: preziose sono state le testimonianze di Ghiòrghos Zervoulàkos e di Dhìmos Thèos, che ci hanno concesso molto del loro tempo. Ci hanno dimostrato un'eccezionale disponibilità il vecchio collaboratore italiano di Tornes, Ciriaco Tiso e il giovane studioso dell’opera del regista Michàlis Traìtsis, che non hanno potuto contribuire al volume per motivi indipendenti dalla loro volontà. Ringraziamo tutti caldamente. Dobbiamo ugualmente ringraziare Charlotte van Gelder, che, pur vivendo ormai in Olanda, ci ha sempre incoraggiato quando eravamo in difficoltà nelle nostre ricerche. Ringraziamo inoltre il regista Màrios Karamànis (per il suo contributo alla conservazione della maggior parte del materiale che abbiamo avuto a nostra disposizione); il montatore Chrònis Theochàris (per l’acquisizione digitale dei fotogrammi); Margharìta Bousoùni per aver dattiloscritto gran parte degli scritti inediti di Tornes e una parte del materiale critico; Natàsa Adhàmi per lo sbobinamento professionale e la revisione dell’ultima intervista del cineasta. Ringraziamo, infine, Michel Demopoulos e i suoi collabora-
tori per l'appoggio e la comprensione, in particolare quando non abbiamo rispettato i tempi fissati, così come Thòdhoros Stefanòpoulos ed Elèni Mavroidhì delle edizioni Kastaniòtis, che si sono adoperati perché il libro fosse il più completo possibile.
|a ALL'EDI INTRODU GRECA
Stavros Tornes adolescente
In alto: Stavros Tornes all’inizio degli anni ’50 In basso: Fotografia scattata da Anna Wich a casa di Stavros Tornes pochi giorni prima che il cineasta venisse ricoverato all'ospedale, 1988
Cronologia
1932 Stavros Tornes nasce il 12 giugno a Ghalàtsi (un sobborgo di Atene) da genitori profughi dell’Asia
rando di riuscire a trasformarla in un ritrovo di giovani animati da inquietudini intellettuali e artistiche. Il tentativo fallisce.
Minore.
1940 L'Italia dichiara guerra alla Grecia. Stavros è costretto ad abbandonare la scuola, che non fre-
1959 Compare in un piccolissimo ruolo nel film di uno dei maestri del cinema popolare, I lìmni ton stenaghmòn di Ghrighòris Ghrighorìou, vicenda di
quenterà mai più.
esotismo antiturco con protagonista Irene Papas.
1949 Nell’anno in cui si conclude la triennale guerra civile greca, presta servizio militare sull’isola di Makrònisos, dove ha delle lunghissime conversazioni con i confinati politici. La sua geniale inventiva lo porta a inventare storie, attraverso le quali, come dichiarerà in seguito, ogni giorno ideava un film diverso.
1960 Viene distribuito anche un altro film della Scuola Ioannìdhis, in cui Tornes è protagonista (con Lilì Papaghiànni), To mistikò tou kòkkinou mandhìa di Kòstas Fotinòs.
1961 Oltre a ottenere un piccolo ruolo accreditato in una commedia
1950-1956 Cinefilo appassionato, frequenta con assiduità le sale cinematografiche di Atene. Ha una particolare predilezione per i film di Alfred Hitchcock e rimane affascinato da Jacques Tourneur. Scopre anche Rossellini e, tra gli altri film italiani, Riso amaro (1949) di De Santis. Il cinema greco vive in questo periodo la sua prima affermazione ai festival internazionali, con gli esordi di Michael Cacoyannis e Nikos Koundouros, mentre l’«americano» Gregg Tallas torna in patria per realizzarvi alcuni film. 1957 Si iscrive alla Scuola di Cinema Ioannìdhis.
1958 Ir parte alla produzione della Scuola di Cinema Ioannìdhis, To meghàlo kòlpo di Chrìstos Theodhoròpoulos, che è anche il primo film greco in scope, e in cui egli è protagonista di una storia d’amore con Ksènia Kalogheropoùlou; il film uscirà nelle sale nel 1960. In via Efesto 3, nel quartiere Monastiràki, apre una libreria di libri usati, spe-
di Ghrighorìou,
Dhiavòlou kàltsa,
con il popolare comico Thanàsis Vènghos, è attore e aiuto regista di To spîti tis idhonîs di Ghiòrghos Zervoulàkos, con la provocante Rìka Dhialinà. Frequenta i cineasti Kòstas Sfìkas (che collabora alla sceneggiatura del film precedente) e Dhìmos Thèos, e il poeta Thomàs Gòrpas; con essi condivide l'interesse per il cinema e per la politica, discu-
tendo del cinema militante al servizio della classe operaia. È il periodo della politica greca in cui prende avvio il rafforzamento del «centro» progressista di Ghiòrghos Papandrèou, contro il predominio della destra legalitaria di Konstadìnos Karamanlìs. Tornes tenta di creare con Vasîìlis Rafailìdhis una casa di produzione, condannata all’insuccesso per mancanza del capitale necessario. 1962 Oltre a interpretare la parte dell’innamorato povero in I orèa tis Roùmelis di Ghiòrghos Delèrno, prende parte come attore e aiuto regista al film Ouranòs di Tàkis Kanellòpoulos, una delle opere che maggiormente segnano una direzione più libera nella produzione greca.
1963 Si occupa del casting di America! America! di Elia Kazan e l’anno successivo di quello di Aléksis Zorbàs/Zorba the Greek di Michael Cacoyannis, con il mitologizzante personaggio romanzesco di Nìkos Kazantàkis interpretato da Anthony Quinn: due titoli diversamente significativi di un momento di slancio dell’esotismo ellenico (in cui rientrano i film di Jules Dassin con Melina Mercouri, l’affermazione internazionale di Irene Papas, l'erotismo di Zoe Laskari, il fascino delle musiche di
Theodorakis e Hadjidakis). È il momento in cui l’Ente Ellenico per il Turismo vara una serie di documentari realizzati da Roùssos Koùndhouros: Mikîne diventa l’esordio nella regia di Tornes.
1964 Kikladhes è il secondo cortometraggio di Tornes per l'Ente turistico.
Us)
1965 Ha un ruolo in Blòko, la più importante opera greca di Ado Kyrou, che presto lascerà il paese d’origine per la Francia.
| ON CRONOLOGIA
1966 Nell'anno in cui esordisce, con il primo dei suoi soli tre film, l’altro grande autore misconosciuto del cinema greco, Alèksis Dhamianòs, Tornes collabora con Dhìmos Thèos alla sceneggiatura di Kièrion, sul caso Paulk che anticipa il coinvolgimento americano nei retroscena dell’eversione antidemocratica; Tornes vi ha anche un ruolo, come altri cineasti del nuovo cinema greco. Il film sarà definitivamente edito solo dopo la fine della dittatura, e sarà distribuito nel 1974, ma già nel 1968, in una prima versione, otterrà una menzione speciale alla Mostra del cinema di Venezia. 1967 Dirige insieme a Kòstas Sfîkas il cortometraggio
Thiraikòs òrthros. È assistente al film del ritorno in Grecia di Nico Papatakis, I voskì/Les pàtres du désordre, con Olga Karlatos: la realizzazione del film si protrae semiclandestinamente oltre la data del colpo di stato militare, il 21 aprile. In questo periodo Tornes abbandona la Grecia per l’Italia insieme all'attrice Irò Kiriakàki, che ha sposato da poco e con cui il rapporto s’interromperà dopo breve tempo. 1968 Abita a Roma, sopravvivendo faticosamente con lavori da imbianchino e muratore. La sua vita si svolge perlopiù a Trastevere, dove conosce vari gio-
vani artisti e intellettuali. Saltuariamente crea scul-
ture in pietra.
1969 Ottiene le prime piccole parti in film italiani (tra cui un western non meglio identificato). Francesco Rosi, per aiutarlo a sbarcare il lunario, gli dà un piccolo ruolo non accreditato (come quasi tutti quelli che seguiranno in Italia), in Uomini contro, che esce l’anno successivo.
1979-1971 Durante un viaggio a Marsiglia incontra Agnès Varda, cineasta di origini greche. È protagonista nel suo film Nausicaa, produzione televisiva che, per non intralciare i traffici commerciali con la Grecia dei colonnelli, non sarà né programmata né distribuita, e che successivamente andrà perduta. Al ritorno in Italia Tornes conosce l’olandese Charlotte van Gelder, che vive a Roma seguendo la propria passione creativa nella musica e nella poesia. Ha inizio un sodalizio sentimentale e artistico che sarà interrotto solo dalla morte. 1972 Interpreta ruoli secondari
in Uno dei tre di Gianni Serra e in Il caso Mattei di Francesco Rosi, in entrambi i casi con caratterizzazioni da uomo dei servizi segreti, e nel primo caso all’interno di una fiction che metaforizza la dittatura greca e il mondo degli esuli. 1973 In Grecia è un anno di manifestazioni studente-
sche contro il regime, e Tornes, alcuni mesi prima della repressione dell'esercito al Politecnico di Atene in novembre, vi gira un film non allineato, Studenti, editato in Italia e scarsamente visto anche prima di andare presumibilmente perduto. Per il cinema italiano partecipa con un ruolo più consistente a Vogliamo i colonnelli, film dal titolo emblematico di Mario Monicelli, al quale Tornes viene indicato da Rosi, per il quale interpreta ora vari piccoli ruoli in Lucky Luciano. Conosce Roberto Rossellini e ha una piccola parte in Cartesius. È protagonista in un mediometraggio televisivo di Mimmo Rafele, Domani. Scrive in italiano la prima versione di un testo poetico, Addio Anatolia.
1974 Ha una
piccola ma ben visibile parte in Allonsanfàn dei fratelli Taviani. Nell'anno in cui in Grecia torna la democrazia, nella variante della destra legalitaria di Karamanlìs, Tornes interpreta
con slancio il ruolo di Ferruccio Parri, presidente del consiglio che si ribella alle scelte «atlantiche», nel film su De Gasperi di Rossellini, Anno uno. Non farà ritorno in Grecia ancora per molti anni, se non occasionalmente per presentare qualche film al festival di Salonicco.
1975-1979 Viaggia in India, in Palestina e in Egitto. Legge molto e parla con molti come un filosofo carismatico. Dal mondo greco e italiano sente l’attrazione per la cultura orientale e africana. Il 1975 è l’anno della morte di Pasolini, la cui ispirazione sull’opera di Tornes non risulta mai essersi realizzata in un incontro, ed è l’anno dell’affermazione internazionale di un regista greco, Theo Angelopoulos. 1976 Gira il cortometraggio in 16mm che, dopo alcuni altri titoli, acquisirà quello di Adîo Anatolì, e che sarà proiettato l’anno successivo. 1977 Realizza, tra Roma e la Calabria, il film Coatti.
1978 Viene proiettato in vari piccoli festival il suo primo lungometraggio, Coatti. La al festival di Hyères provoca uno scritto co di Louis Skorecki sui «Cahiers du
Incontra il cineasta e critico Ciriaco Tiso, manifestandogli l'ammirazione per il suo primo lungometraggio Anche l’estasi: i due film verranno abbinati in alcune proiezioni successive, dando l’occa-
sione di uno scritto a quattro mani, che Tornes riproporrà come proprio manifesto, con lievi varianti, nove anni dopo. È interprete nella produzione svizzera Hotel Locarno di Bernard Weber, girata nell'omonimo albergo di Roma.
1979 La prolungata, occasionale produzione poetica di Tornes in lingua italiana trova delle occasioni importanti: è tra i poeti che intervengono al Festival di Castelporziano (lo accompagna al violoncello Charlotte van Gelder), e pubblica alcuni testi nella «Guida poetica italiana», n. 1, edita per l’occasione dall’appassionato di poesia Roberto De Angelis, già amico di Tornes e suo collaboratore per Coatti. Ha una piccola parte in Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi. 1980 Interpreta un piccolo ruolo in La città delle donne di Federico Fellini.
IG CRONOLOG
e cineclub proiezione entusiastiCinéma».
1981 Presenta Fksopragmatikò, progettato dal 1978, e che resterà il suo ultimo film italiano. Al festival di Salsomaggiore, dove è presente con il film, partecipa
(1958) Stavros Tornes (a destra) al suo debutto come attore in To meghàlo kòlpo
alla tavola rotonda sulle nouvelle vague degli anni °Go. Gira con ruoli più o meno consistenti la serie dei sei racconti diretti da Ciriaco Tiso per la RAI, sotto il titolo Un racconto un autore. Con Tiso e Charlotte elabora anche il progetto Lupi mannari, che non sarà realizzato ma influirà sui film che seguono. È un momento di intensa e insufficientemente percepita progettualità: una sceneggiatura di ambientazione calabrese con Tonino Nieddu, alcune proposte rivolte anche a un possibile ritorno in patria, dove va al potere il primo governo socialista del PASOK guidato da Andrèas Papandrèou e dove diventerà ministro alla cultura Melina Mercouri, che Tornes ipotizza di coinvolgere in film ispirati a tragedie classiche.
critici cinematografici. Realizza poi il «documentario» Me ton Nîko Kavvadhîa per il programma televisivo Paraskiînio. 1983 Gira per l’ERT il cortometraggio Platia Ippodhamìias, progettato come parte di un trittico, e per il quale ha inizio l'importante collaborazione con il pittore e scenografo, poi anche attore, Stèlios Anastasiàdhis. Inizia anche una serie di presenze come attore: in I pareksìghisi di Dhimìtris Stàvrakas, in cui è il medico che cura il protagonista Alèksis Dhamianòs, e nella serie televisiva sull'epoca della dittatura, I archèa skourîa di Kòstas Aristòpoulos, dal romanzo di Màro Dhoùka .
1982 Ritorna in Grecia, cercando di inserirsi nell’am-
Hi
biente cinematografico e proponendo alla Radiotelevisione greca (ERT) la produzione di un «documentario» di 30 minuti sui cavalli della Tessaglia. Ne risulta Fantastikò reportàz ghia èna thessalikò àlogho, che viene contrastatamente trasmesso, ma successivamente
CRONOLOGIA | 00
si perde. Costituisce
il nucleo del suo primo lungometraggio greco, realizzato con l’esiguo finanziamento dell’ERT: Balamòs. Il film è presentato al Festival del Cinema di Salonicco e viene fischiato dal pubblico, ma ottiene l'appoggio e il premio dell’Unione greca dei
Stavros Tornes (a destra) in un caffè, fine anni ’50
1984 Gira il lungometraggio Karkaloù con un esiguo finanziamento del Centro Greco del Cinema. Il film è escluso dal programma dei film in concorso al Festival di Salonicco. È incluso nella sezione informativa, e quando viene proiettato è acclamato dalla sala gremita di spettatori. Tornes si allontana dalla sala alzando il pugno chiuso. La critica cinematografica difende ancora una volta il cinema di Tornes, premiando anche Karkaloù. Angelopoulos gli offre una parte in Taksìdhi sta Kîthira, ma non la include nel montaggio.
1985 Con l’aiuto di alcuni amici può realizzare Danilo Treles (0 fimisménos andhalousiànos mousikòs), che uscirà l’anno successivo. La sua fama critica in ascesa lo rende ormai un autore di culto in patria, ma ciò sembra provocare reazioni di invidia e odio che finiscono nuovamente per danneggiarlo nei progetti produttivi. È anche l’anno in cui inizia il secondo governo PASOK, sempre più indirizzato verso una
gestione clientelare del potere, oltre che verso la gestione aggressiva delle tensioni nazionali (ad esempio con la Turchia). Un segno di come la presenza di Tornes nei film di giovani autori stia diventando marcante, sono i suoi ruoli in Tòpos di Antouanètta Anghelìdhi, e come protagonista nel televisivo Apokdlipsi tou Ioànnis di Ghiòrghos Karipìdhis e in due cortometraggi, Afighisi di Tàkis Dhimitrakòpoulos e Se stàsi ghalînis di Làkis Matthiòpoulos. Un referendum tra critici greci sui migliori film della cinematografia pone tra i primi dieci entrambi i suoi lungometraggi realizzati in patria. Ottiene anche un premio speciale al Salso Film Festival. 1986 L'uscita di Danilo Treles segna un pericoloso «successo di stima». É anche l’anno di un nuovo ritorno in Grecia di Papatakis, con I fotografia [La
Tornes in un luna-park nei panni di un cavaliere aristocratico, 1955
fotografia], molto amato da Tornes. Gira per l’ultima volta come attore in Italia, in un film di Claudio
Sestieri che uscirà l’anno dopo con un titolo insidioso: Dolce assenza. 1987 Porta a termine quello che resterà il suo ultimo film, Ènas erodhiòs ghia ti Ghermaniìa, benché già coltivi altri progetti tra cui un Robinson Crusoe. Il finanziamento del Centro Greco del Cinema all’ultimo film è stato, ancora una volta, molto esiguo, e
arriverà a realizzazione avvenuta. Prende parte all'inchiesta di «Libération» Pourquoi filmez-vous? (è l’unico regista greco con Angelopoulos, il quale l’anno dopo sarà di nuovo preferito a Tornes nella selezione a Venezia).
1988 Muore il 27 luglio, in seguito a una malattia fulminante che gli provoca molte sofferenze. Nel giorno stesso del decesso l’allora ministro alla cultura, Melina Mercouri, rende nota la decisione di offrirgli un finanziamento di un milione di dracme per il progetto che s'intitola O ftochòs kinighòs tou Nòtou. L’ERT, in occasione della morte, trasmette per la prima volta un suo film, Ènas erodhiòs ghia ti Ghermania, dopo averne scrupolosamente censurato il linguaggio osceno.
bel
INS CRONOLOG
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scritti, progetti, conversazioni.
1987 Stavros Tornes nei panni di Polidhoros in Enas erodhiòs ghia ti Ghermania,
In alto: L'Uomo-Volpe, Stélios Anastasiàdhis, si disseta durante una pausa delle riprese di Danilo Treles, 1985 In basso: Stavros Tornes e Sàkis Maniàtis alla macchina da presa sul set di Balamòs, 1982 a
Cinema impossibile
Filmografia: 1963 Tompa, 1964 Cicladi, 1967 Santorino (Tiraicos Ortros), 1973 Studenti, 1977 Qualcuno cantò, 1978 Coatti, 1979 Eksopragmatiko. Dopo il colpo di stato in Grecia, con un tentativo estremo avevo realizzato il documentario Santorino, un film che esprimeva nel suo tempo la rottura con il vecchio modo di fare del cinema. Sino allora avevo lavorato come assistente alla regia ma mai integrato nelle regole del mestiere legato a un mercato puramente speculativo. In ogni caso con i tempi che correvano la volontà di continuare a voler fare del cinema urtava con la tentazione di chiudere per sempre. Così, con la mia emigrazione era finito un periodo di esperienze originali che mi avevano tracciato nella mente la voglia disperata di una autonomia esistenziale che al livello pratico prefigurava il capovolgimento di schemi e di modelli produttivi. Nel ’73, con il film documento Studenti che annunciava i fatti del Politecnico, finisce un altro periodo con un episodio di intolleranza dalla parte dei compagni dell’indottrinamento maoista che pretendevano di censurarlo. E dopo ancora tre anni di crisi esistenziali, e di lavori diversi come la scultura sulla pietra, la pittura, la muratura, e la poesia, stranamente nel ’76 feci un film sulla Città di Roma e sul suo tempo. Ma ancora più strano era quello che sembravo agli occhi degli altri: secondo le voci, l’unico pazzo sulla terra ero io che facevo un film che nessuno me l’aveva ordinato, ma la sensazione era straordinaria, e quando tutto era terminato ho capito che avevo fatto un film le cui immagini trascendevano tutti i tempi ma con i piedi piazzati su oggi. L’astrazione filmica si confondeva con la città reale del vissuto e si trasformavano in uno spazio intermedio con la sua bellezza e con i suoi punti oscuri. Ancora una volta il film toccava quel punto di essere un arrivo e la sua metastoria. Intanto a questa metastoria avevano contribuito Charlotte van Gelder con le sue musiche originali, Ugo Adilardi fotografia, Nico D’Alessandria montaggio, e l’amico architetto De Coromilas che aveva sostenuto una parte finanziaria. Da tutte queste esperienze partiva il progetto di fare Coatti un film che doveva «captare» il nostro vivere quotidiano, questa carica esistenziale e pesante che diventa insopportabile con le nostre contraddizioni, ma che siamo noi. In un contesto sociale che sentivo mutare momento per momento, e in cui, anzi,
nessuno più mi guardava come pazzo all’inizio del "77, e c’era in giro solo l’aria di terra bruciata, il decidere con la propria testa ti portava dritto a una opposizione totale contro tutti i meccanismi produttivi sociali che spingevano al mutismo e nella disperazione; ne parlai allora con tanti, di più con Charlotte, e con Roberto de Angelis, ci meravigliava la sfida di fare un film senza niente perché noi ci sentivamo la carica di quella sintesi primordiale del mezzo che si chiama Cinema.
Testo scritto da Stavros Tornes in italiano, pubblicato nel foglio-programma del Cineclub Georges Sadoul di Roma per il 2, 3 e 4 maggio 1978, che unisce nelle due pagine intitolate Due film, molte storie le presentazioni di Ciriaco Tiso al suo Anche l’estasi, 1978, nell'intera prima pagina, e di Tornes, il cui nome è sistematicamente scritto Stravros, a Coatti: la seconda pagina ne include una foto e i credits, ed è seguita dalla presentazione del film, che ripubblichiamo più avanti sotto il titolo Coatti, e dalla filmografia sopra ripresa, particolarmente interessante per le varianti delle versioni italiane e per l’anticipazione del progetto Eksopragmatikò, titolo che come gli altri qui rendiamo nella variante ivi usata, pur correndo il rischio di accettare interpolazioni redazionali, con la sola introduzione dei corsivi per i titoli. Alla filmografia segue il testo sopra riportato, e in calce alla pagina, con firma «Stravros Tornes, Ciriaco Tiso» e il titolo Note sui film, un testo in tre parti, di cui la seconda verrà riproposta da Tornes in francese, con una diversa divisione in paragrafi che abbiamo voluto applicare all’originale testo italiano, nella risposta al numero speciale di «Libération», maggio 1987, intitolato Pourquoi filmezvous?, con una breve nota iniziale che traduciamo dal francese, facendole seguire la prima versione comprensiva dell'esordio e della parte finale, omesse nella riproposta a nove anni di distanza.
Perché faccio cinema? Dieci anni fa ho redatto, insieme al cineasta Ciriaco Tiso, questo piccolo manifesto. Mi ci attengo tuttora.
Dedica
A tutti, a tutte, a tutto! Questo programma è dedicato proprio a Tutti! Anche al Comune e ai cittadini di Roma. PR TORNES STAVROS
Pretesa
Il cinema Non È i film dei Miliardi. Il cinema Non È i film dei Divi.
Il cinema NON È i film passati in Televisione. Il cinema NON È lo spettacolo delle Multinazionali. Il cinema NON È registrazione da Videotape. Il cinema NON È il diktat degli Specialisti. Il cinema NON È i film della bella Fotografia, della perfetta inquadratura, della lussuosa Scenografia, della Colonna sonora pulitina e convenzionale. Il cinema NON esiste senza film. Ma un Film esiste solo a partire dalla viscerale decisione di chi lo fa e NON dalla decisionale idiozia di Programmisti, Operatori culturali, Produttori del cazzo, Direttori d’azienda, Funzionari vari, Bancari, Burocrati, Ausiliari. Il cinema è i Nostri film. Il cinema È la negazione del tecnicismo e del semiologismo. Il cinema È il luogo dove Tu e Io si riconoscono, «io» e Altre si abbracciano. Il cinema È tutti i film non fatti ma pure contemplati nella esplosione dell’Esistenza. Il cinema È il dominio dei film impossibili e fragili. Il cinema È la carica liberatoria del Margine alla ricerca del proprio Cosmos. Il cinema È lo spazio della Maledizione e dell’Ebbrezza. Il cinema È eterna proposizione dell'Essere. Il cinema È il Sociale che si produce a una sola condizione: lasciar trasparire l’Essere, il Cosmico, dietro le facciate del Cogito. Il cinema È il punto d’incontro-scontro tra il reale e l’impensato, l'immaginario e l'impossibile. Il cinema è questa Promessa-Minaccia: il Ritorno dell’impensabile, l’Audacia dell’imprevedibile. x
Dichiarazione
Questi due film sono stati proiettati qua e là, a festivals e gallerie, dappertutto e da nessuna parte. Dunque
sono fondamentalmente
due Fantasmi, due parti maledette del Cinema.
In definitiva, due
Inediti. Qualcuno li ha esaltati fino alla pura passione, gli Apparati li hanno ignorati. A chi li ha fatti manca ormai il respiro nel vedere scorrere attorno, nella Storia quotidiana, anche in
questa Fase di profonda crisi, fiumi di banalità e volgarità biecamente impressionate su chilometri di costosissima pellicola colorata. Gli Apparati allora temono questi due film come Corpi avversi e perversi da schiacciare e da escludere.
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1978 Stavros Tornes e Charlotte van Gelder in tre fotogrammi di Coatti,
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dei Yorace! Quaderni e pubblicazioni appartenenti agli anni giovanili di Tornes. Si vede la pagina di un giornale dal 1896 sui rapporti tra anarchici e socialisti e la trascrizione autografa di Tornes di un testo che parla di Manuel Azafia, Francisco Largo Caballero e Buenaventura Dorruti sulla guerra civile spagnola.
Incarnazione del cinema
Prima di prendere in considerazione chi fa cinema e per chi, dobbiamo innanzitutto precisare che, parlando di cinema, ci riferiamo alle nostre opere, ai nostri film. Per la nostra generazione di cineasti, credo esista un periodo (che mi pare inizi attorno al 1935) in cui si osserva una sorprendente armonia tra lo spettatore e il film. Penso che l’armonia si sia esaurita negli anni ’50, assieme al rebètiko (il rebètiko non è finito, ma si è esaurito dal punto di vista creativo). Così, è finito anche il cinema come creazione, e il rapporto funzionale tra cinema e spettatore ha iniziato a degenerare (benché siano stati girati film sorprendenti anche dopo il 1950). I motivi sono certamente da ricercare anche nello sviluppo tecnologico, con il cambiamento del concetto di immagine. Ma non si limitano a questo. La storia di ciò che riguarda il cinema si spinge oltre, poiché esiste come parte integrante di processi diversi che hanno anche un carattere transitorio. Il cinema, cioè, al di là del piacere di vederlo, gustarlo, goderne, era al contempo anche una cultura. Forse la sola vera cultura. Di conseguenza la risposta al quesito «chi fa cinema e per chi» è: Colui che è stato allevato con il cinema. Perciò tutti gli uomini fanno cinema. Ogni uomo ha dentro di sé delle pellicole (cioè dei film). Ed è questa la materia prima, la celluloide di cui è fatta la pellicola; e se gli uomini non avessero avuto queste pellicole dentro di sé, non avremmo mai potuto riconciliarci con il cinema. Tutti, quindi, producono in qualche modo dei film. Sia chi fruisce del film sia chi lo crea. Nel senso che il cinema è un mezzo, un taxi, serve a viaggiare. In più oggi il cinema è andato oltre (oppure no) rispetto ad alcune questioni, come, ad esempio, se si tratti di spettacolo o di qualcosa di più. Questo perché, in passato, il cinema ha dovuto interpretare molti ruoli (quello che spettava al romanziere, al teatrante, al Karaghiòzis') e, a un certo punto, è dovuto arrivare a rinnegarli. Ormai la chiarificazione e l’avvicinamento del mezzo (di quello, cioè, che rappresenta la somma di tutti gli altri mezzi) sono diffusi, come del resto le possibilità che ha il cinema in quanto mezzo in grado di permettere una comunicazione autentica. Perché, quando parliamo del «mezzo», non dobbiamo immaginare un cinema che ci farà dimenticare l’altro che si trova dinanzi a noi, ma un cinema che, al contrario, ci avvicinerà a lui. Questa è la sostanza. E parlo di sostanza nel senso in cui la intendevano gli antichi, cioè la costante necessità che hai, in quanto «esistenzialità», di incarnarti. Se non mangi il pane che è spirito non puoi incarnarti, non puoi avere un altro domani. In questo senso il cinema esiste nell’ambito della possibilità di un risveglio del domani, di un’eventuale «esistenzialità» del domani (perché quando parliamo di esistenza, entra in ballo la questione dell’«essere o non essere»). L’«essere o non essere», però, è una realtà che si compie in di diversi processi: lo zucchero che ora metti nel caffè, il caffè che berremo tra poco, la voglia di continuare che ci darà questa conversazione, e per estensione il lato fantastico di tutto questo. E dico incarnazione e vita e morte e ancora vita, e ancora, e ancora ogni volta, perché altrimenti l’esistenza sarebbe uno stupido caso: ti svegli una mattina e tutte le altre mattine saranno sempre uguali. Invece ti svegli perché la mattina di domani sarà una mattina diversa. E dunque ecco il mezzo, che questa volta ritorna illuminato nella sua sostanza, come la maggiore necessità che lo caratterizza: l’espressione della vera comunicazione tra me e te (perché si tratta di un mezzo che ti avvicina affettivamente a un’altra persona). Non solo affettivamente. Ti permette di reincarnarti per poter distinguere al meglio, con sorprendente chiarezza, una bella donna, un bel sorriso: le cose essenziali. ‘Protagonista del teatro greco delle ombre [N.d.T].
Il cinema, dunque, non è un mezzo che non ti lascerà vedere questo genere di cose, non ti condurrà a
Di |TORNES STAVROS
concezioni estetiche in cui gli uomini sono scissi nell’eterna contrapposizione Occidente-Oriente e soggetto-oggetto; ti condurrà verso un’unità sostanziale, perché le divisioni esistono, ma hanno bisogno di questa unità: dialettica, ma principalmente sostanziale. Lo spettatore attuale è in balia di un'epoca di transizione. La storia comincia in un’epoca molto lontana, nel 1950, cioè nel periodo in cui i centri di produzione cinematografica (intesa come spettacolo), l'Europa ma soprattutto l'America, disponevano, per questa forma di spettacolo, di un’enorme varietà di generi. Producevano anche un cinema impegnato, poiché una volta il cinema impegnato poteva contare su un buon numero di spettatori... Per questa ragione abbiamo il cinema straordinario di Jacques Tourneur, che ha girato film dell’orrore di grande valore, che oserei definire «classici». Cat People (Il bacio della pantera) di Tourneur è un film straordinario. E questo succedeva perché la programmazione di alcuni cinema di seconda o terza visione andava incontro alle aspettative di un pubblico molto particolare. A quell’epoca il pubblico (era questo l'elemento funzionale), nella sensibilizzazione al consumo di questi prodotti formava analogamente anche il proprio gusto. E così i centri che producevano cinema contribuivano alla formazione di un certo gusto, ma nel contempo si formava anche un gusto che richiedeva con insistenza il mito personale, vale a dire il mito esistenziale, per vederlo all’interno del mito cinematografico. E proprio in questo il mito faceva acqua (il cinema americano, cioè, iniziò a imbarcarne). Perché il mito contemporaneo, il mito esistenziale, non poteva entrare negli schemi. Per questa ragione negli anni ’50 assistiamo all’incredibile apertura rappresentata dal neorealismo italiano (che è un discorso a parte): si tratta ancora una volta di un’apertura esistenziale, perché l’uomo vede che esistono uomini in grado di parlare, vede che non è tutto di cartone. Qualcuno soffre e senti il suo cuore battere forte. Quando vedi Viaggio in Italia di Rossellini, senti che la tua angoscia sta dentro l'angoscia degli uomini sepolti sotto la lava del Vesuvio. È straordinario, il passaggio del tempo che in quel momento avviene davanti a te è maestoso, perché esistenza non significa solo caffè, pane e incarnazione, ma anche l'incarnazione di ciò che sei stato nei secoli e in cui ti devi reincarnare in ogni momento. Allora diventi un’esistenza importante. Per quanto riguarda il rapporto di allora con il pubblico, e dunque il cinema di un tempo, esistevano uomini dotati di un’incredibile chiarezza, con un incredibile bisogno di comunicare attraverso il cinema. Ed è ancora più importante oggi in cui l’immagine del cinema è l’occhio umano che, come la moviola o la macchina da presa, si è aperto e ha raddoppiato la propria capacità di cogliere il mondo. Tutto il mondo, cioè, è cambiato in relazione al cinema da quando questo è entrato nella nostra vita. Non dimentichiamo che il cinema ha debuttato come una macchina non proficua, che non recava vantaggi a nessuno e non produceva nulla. Il cinema, cioè, ha cominciato come un circo e sarebbe finito così. Ma questo meccanismo che riproduceva la nostra vita possedeva dentro di sé uno strano seme, creava problemi alle persone che potevano sfruttarlo. E fu allora che cominciarono a svilupparsi osservazioni significative e operazioni importanti sul mito della vita contemporanea. Non dimentichiamo gli stupendi film comici di Buster Keaton. Opere di grande valore sull’interiorità dell’essere umano, grazie a una maschera che in realtà non ride. Senza arrivare a una commedia graffiante sull’altro (perché comunque bisogna ridere) ha una funzione liberatrice. L'inganno più grande nel cinema può essere la commedia, commedia che non riscatta perché priva degli elementi della comunicazione. Invece con Buster Keaton la comunicazione è molto più profonda, perché la nostra identificazione e la nostra angoscia di esseri umani
corrispondono all’angoscia dell’uomo che non ride affatto, che semplicemente subisce. Perciò la redenzione era enorme, e la speranza di poterti reincarnare domani aveva una forza sorprendente. Dopo il 1950, dunque, inizia una degenerazione che arriva sino ai giorni nostri, mentre viene rinnegato questo autentico contatto, anche perché alcuni individui che amavano quello che facevano si sono esaurirti e hanno raggiunto la propria fine biologica (benché fossero degli spietati professionisti in fatto di Zen). Si fa dunque strada un cinema che non può contare sull’investimento personale. Certo un Bufiuel e un Hitchcock investivano, ma il loro investimento avveniva in un altro senso, non era un investimento freddo per produrre denaro. Si fecero strada coloro che investivano qualcosa di personale e prevalsero per un periodo quelli che volevano soltanto guadagnare denaro. Ricordo decine di film dopo il 1950, quando ero adolescente, con Maria Montez e Jon Hall a Tahiti che ballavano «Honolulu» [in White Savage (La selvaggia bianca), 1943, di Arthur Lubin] o The Island ofthe Blue Dolphins [L'isola dei delfini blu), 1964, di James B. Clark]. E cioè film tutti uguali, come se uscissero dalla stessa macchina da presa. Ma questo non è cinema. È degenerazione e scarnificazione, poiché non dà assolutamente nessuna dimensione esistenziale al mito. E la cosa tragica della maggior parte dei film di oggi è che entri, ti svaghi per due ore e ti ritrovi in un baratro.
E come un'iniezione di eroina. Viviamo in un’epoca drogata, nel senso che la dolcezza del cinema e l’im-
possibilità del rapporto tra colui che vede e colui che crea dà vita all’epoca dell’eroina. Con il feticismo della materia e con un feticismo della merce siamo giunti irrevocabilmente al momento dell’iniezione. La colpa, però, non è della «droga», perché la droga è anch’essa materia, come il pane e il caffè. La causa è questa molteplice possibilità di fantasticare (e il cinema è il mezzo in questo caso) che, invece di aprirsi, si chiude di continuo. L’uomo non è più capace di fantasticare. E non essendo più capace di farlo aspetta di essere redento e finisce nell’eroina. Ed è finita. Ora, per i pochi film che ho fatto e per il modo in cui li ho fatti (e cioè con pochi mezzi e poche possibilità) esiste un’unica ragione: Difendo l’idea e l'elemento fantastico. L’«esistenzialità», cioè, in rapporto al fantastico. «Esistenzialità» che si basa sulla sintesi antropologica della comunicazione con il mondo, e sul superamento della gravità del mondo (vale a dire della sua materialità). Senza questi due elementi, il meccanismo è di nuovo quello dell’eroina. Il fantastico è un enorme spazio spirituale che non ha mai cessato di esistere e mai cesserà. È proprio questa la grande possibilità del cinema: possiamo costituire nello stesso momento una sintesi che unisca (sia pure intuitivamente) ciò che potevamo essere dieci, venti, cinquanta anni fa, o due, tre, cinque e dieci secoli fa. E non solo perché questo genere di comunicazione è una giustificazione per il mondo, ma anche perché all’interno di questa meraviglia c’è la possibilità che tu possa affrontare come «esistenzialità» ciò che sei, non sapendo ciò che sarai. Non intendo dire che tutte le mie teorie sull’«esistenzialità» siano estranee a qualsiasi cosa ti definisca uomo, con le tue paure e le tue angosce. Queste migliaia di questioni insolubili non significano essere avulsi dalla socialità, non devono diventare un tappo che ti chiude: il doveroso rispetto per le angosce, le migliaia di lacrime e la fame che hai dentro non deve diventare un feticcio. Non bisogna, in nome del dolore e della tragedia, restare schiavi di questo dolore, anche se è una dimensione umana. Se guardiamo un po’ più in là delle nostre conoscenze e delle nostre culture (come il cristianesimo, ad esempio), scopriremo che il buddismo, una grande epoca con un’enorme cultura, prova un timore incredibile di fronte a tutto ciò che ha a che vedere con il dolore umano. Non vuole il dolore e cerca di sensibilizzare fortemente gli uomini a riguardo. Penso che non si debba perdere il bisogno di uscire da questa accettazione del dolore, da questa non-gioia. Con questo non intendo dire che si debba, cancellare ciò che fa crescere un uomo: il dolore, l'angoscia, le altre esperienze di vita determinano la vita stessa, non c'è dubbio. Ma in ogni momento deve esistere questa possibilità, questa tendenza, questa necessità di uscire, perché l'accettazione del dolore non sia totale. Diversamente non vedo alcuna luce. Proprio per questo mi rivolgo all'elemento fantastico, che cercherò di non abbandonare fino all’ultimo istante della mia vita. Un altro elemento che mi interessa è quello cosmico. L'uomo stesso è un elemento cosmico, è composto cioè di sangue, carne e ossa, che sono anch'essi elementi cosmici al pari dell’acqua, dei monti, del cielo
e delle stelle. Ma in ambito filosofico e intellettuale non si prende in considerazione questa possibilità cosmica, la possibilità umana in tutta la sua meraviglia. Il mondo, il mondo umano, e non solo l’ambiente,
ma l’ambiente-uomo nel suo insieme, rappresenta una dimensione che mi interessa moltissimo. Con il fantastico ti viene offerta una possibilità di vedere te stesso fuori da (e a partire da) alcune forme. Lì, da qualche parte, ti aiuta a immaginare anche un futuro in arrivo, chiuso profondamente dentro di te. Guai se vai incontro a un futuro matematicamente calcolato, infernale o paradisiaco che sia. Se non riesci ad andare nel mondo futuro con un simile mondo dentro di te, allora la vita è solo dolore. E non voglio credere che la sorte umana sia solo questo, anche se sono molto pessimista e provo paura in ogni istante. E d’altra parte, nei momenti di splendore, perché non sognare ciò che verrà, ciò che è oscuro come il domani, ma assolutamente luminoso quando ci entri e ti ritrovi al suo interno? Tutto ciò esercita un’enorme forza dentro di te, come un’immagine. Ricordo sempre una frase (che non è una sola ma migliaia di frasi assieme) di un mistico tedesco, Jakob Bòhme, secondo cui il niente è l'annuncio del qualcosa. Questa sentenziosità escatologica è immensa per forza e speranza. È proprio questa la dimensione cosmica che mi interessa. Forse mi sono rimbecillito o sono invecchiato, ma quando cammino, in ogni istante, percepisco l’altro a ogni passo, nella terra e nel legno che tocco. È assolutamente commovente, e in quel momento potresti anche morire. Perché improvvisamente percepisci un grandioso coinvolgimento di tutto il mondo e incominci a vedere quanto vive siano le cose. Sono commosso anche per un altro motivo. Ho visto un film di Jean Rouch, incredibile etnologo e cineasta: Le vieil Anai [sottotitolo di Funerailles à Bongo, 1972]. Ci mostra un uomo di 150 anni che muore
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in Africa, dove si fa festa perché morendo il vecchio conclude due cicli di vita umana. E si svela improvvisamente tutta la meraviglia di questo ambiente e della cultura africana, le credenze di questi uomini. Assapori una tale dose di ottimismo e una tale apertura cosmica che ti viene da pensare che il mondo non siano quei ridicoli colonialisti che sono andati a civilizzare gli africani. Sono la super-cultura, i loro corpi sono cultura. E quando i due nipoti ottantenni del morto si riuniscono, si chinano a terra e tracciano delle forme arabescate, le vedi e impazzisci, perché sono teoremi di Einstein. Loro li guardano e dicono: «il mondo andrà bene. Possiamo andare a bere una birra alla taverna del paese». Qualcosa del genere ti trasmette un terribile senso di incarnazione, che non avevi immaginato nemmeno in sogno. Tutto andrà bene. Possiamo andare a bere una birra. Ma oltre a ciò, quando vedi nel film gli strati geologici solcati dall’acqua, gli strati di milioni di animali che sono stati sepolti lì e allo stesso tempo il mago che di notte fa una processione con un campanello e parla con l'universo, ti auguri che tutte le opere d’arte e tutte le culture possano esprimersi con questa forza comunicativa. Perché il mio senso cosmico dice che questi uomini parlano con le stelle, parlano con l’acqua. Hai questa capacità? No, e se anche ce l’avevi, l'hai perduta. Oggi possiamo andare in giro a parlare con l’acqua? Non lo so. Ma almeno con le stelle dobbiamo ricominciare a parlare. Certo, alcuni tentativi ci sono. Speriamo che non restino solo tentativi. Speriamo cioè di riuscire nuovamente a parlare, di trovare di nuovo, di riuscire a viaggiare e diffonderci nell’universo, smettendo di approfittarci del prossimo, di renderlo schiavo e di rifilargli la Coca Cola in Africa, lasciando che gli uomini muoiano come mosche. Potrei dire che le divisioni in cinema nazionali, se parliamo di comunicazione autentica, non sussisto-
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no. Esiste un cinema prodotto in Grecia, un cinema prodotto in Jugoslavia e così via. Il cinema periferico ha la possibilità di costituirsi una difesa contro l'atteggiamento oligarchico di coloro che decidono quello che devi volere tu e quello che devo volere io. Gli uomini dotati di ispirazione e della necessità di comunicazione possano essere fermati? No di certo. Perciò anche il cinema, che è un’arte in senso cosmico e
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fantastico, che ora, in questo preciso momento, si trova dinanzi a noi, è un obiettivo che dobbiamo raggiungere, perché grazie a esso possiamo comunicare in modo più sostanziale. Com'è possibile, allora, che oggi qualcuno abbia deciso che questo non è il mezzo? Possono esserci anche altri mezzi, ma come arte, come somma, come totalità, come sintesi, questo, al momento, è l’unico mezzo, e noi rimaniamo aggrappati a esso come bestie. Il mio rapporto esistenziale con il cinema si basa proprio su questo. Sento di averlo quasi previsto, e per questo ho cominciato a fare cinema come ho deciso di farlo, anche a prezzo di non fare più cinema per dieci anni. In questo senso, il mio cinema è un cinema della ribellione,
è un cinema della rivoluzione, è
un cinema che non accetta nulla: perché io farò cinema finché avrò le forze per farlo. Mi si dirà che entra in ballo anche una questione di denaro. Ma ho girato film facendo la resistenza, ho girato film facendo una colletta tra gli amici, perché, quando avvertiamo la necessità di comunicare, tutte le necessità econo-
miche trovano una soluzione.
Se mi si chiede se questo costituisca un cinema nazionale, direi che si tratta di un prolungamento del mio atteggiamento personale, vale a dire del mio atteggiamento esistenziale in un territorio neutrale come poteva essere l’Italia (che essendo uno spazio di riferimento non era per niente neutrale). Quando ho girato il film Coatti a Cinecittà, mangiavo un panino? (perché non avevo altri soldi). C'ero solo io e giravo quel film senza un soldo in tasca, ma con passione e voglia di riuscire a finirlo (a quei tempi l’intero cinema italiano era morto). E non mi si venga a dire che non sappiamo cosa sia la crisi. Quando c'era la crisi, però, non ero in crisi. Perché avrei dovuto essere in crisi? Come può il soggetto umano essere in crisi Può avere anche momenti di forte crisi ma li può superare, come il cane che si mette nella cuccia a leccarsi la ferita, facendo comunque qualcosa, qualunque cosa sia. Quando è in crisi, l’uomo non deve abbassare la testa e piegarsi all’eroina, deve opporre resistenza alla droga. Ci vogliono far pensare che è tutto finito e che per lasciare spazio al fantastico ci rimane solo l'eroina. Io mi oppongo, perché il cinema è per me una possibilità di fantasticare, di essere vicino agli uomini. Come è possibile che il cinema finisca? Ora inizia il cinema, cari signori. Potete chiamarlo cinema marginale, o come vi pare. Se volete potete chiuderci le porte dei
“In italiano nell'originale [N.d.T]. v
A lato: Stavros Tornes e Ksènia Kalogheropoùlou sul set di Tò meghàlo kòlpo di Christos Theodhoròpoulos, 1958
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vostri festival, non ne abbiamo bisogno, perché il nostro soggetto è vivo, ha iniziato a comunicare con il mondo. Magari con pochi: cinque, dieci o venti persone, non ha importanza. Quando comunichiamo con il fantastico, non abbiamo paura di niente, neanche di un embargo di vent'anni, perché qui siamo stati assediati per quaranta, cinquant'anni: l'eroina attecchisce su ciò che è perduto, dove non funziona il fantastico. Probabilmente qualcuno immagina di poter organizzare tutto con un computer e di potercelo dare da mangiare già masticato. Fortunatamente, però, non siamo ancora zombi. Certo, siamo circondati da un tentativo che direi proprio degli zombi. Ma il cinema che ora definiremo nazionale (nel senso dell’«esistenzialità» e della peculiarità di ciascuno) si oppone sullo stesso terreno del cinema: con una passione esclusivamente cinematografica, senza nient'altro. È solo immagine, ma la partita si gioca anche su un altro piano, con un'immagine esistenziale, vera, viva, umana e soprattutto antropologica che comporta
anche un’indagine nel cosmico, contro l’immagine che non deriva dalla sintesi ma dai numeri, dalle banche, dai robot e da svariati altri flip. Gli spazi sono flippati, perché non intrattengono una relazione dia-
IS STAVROS TORNES
Stavros Tornes durante le riprese di Me ton Nìko Kavvadhìa, 1982
lettica, storica o sociologica (e soprattutto non antropologica) con il soggetto vivente, con l’«esistenzialità» di ciascuno. La nostra difficoltà è la comunicazione in sé, la fantasmagoria e la meraviglia rappresentate dall’«esistenzialità» dell'altro, che non è né il mercato né i numeri né le banche. Le difficoltà sono moltissime ed è possibile che già domani ti uccidano. Del resto siamo circondati da fascismi che stanno in agguato dietro la nostra porta. Ma questo tipo di comunicazione è sostanziale, è l’unica alternativa per non cedere alla dittatura di alcuni individui che da molto tempo hanno perso la gioia di comunicare, la gioia di riconciliarsi con l’altro e la gioia di riconoscerlo: dal punto di vista antropologico si manifestano una mostruosità, una cristallizzazione e un narcisismo che si relaziona solo con chi lo nutre. Certo faccio film per la mia soddisfazione, ma pensando che di questa soddisfazione possa partecipare anche qualcun altro. Non faccio un film per restare a guardarlo e per trarne piacere come se mi stessi facendo una sega. Perché l’incarnazione non è una sega, è una scopata. E quindi il narcisismo, dal momento che non presuppone la dialettica rispetto all’altro, visto che non significa scopare con l’altro, è qualcosa di mostruoso: il rapporto con l’altro significa riconoscimento, non sottomissione. Gli uomini sono deboli, anch’io sono debole, anch'io voglio avere una sicurezza, ma non ha niente a che vedere con il desi-
derio di sottomettere l’altro. E non è questione di volontà, perché se cerchi la volontà umana in questi «grandi» uomini, riconoscerai una volontà simile a quella di Bihme, che però è un «mistico» e la volontà te la offre gratis, come un dono divino, con una generosità irripetibile. Spielberg è assolutamente privo di generosità, non ti offre un dono divino: è una mostruosità che poggia sulla tua assoluta neutralizzazione all’interno di un'immagine catastrofica. Come si può immaginare un mondo simile, definito infernale da tutti i libri sacri (e non)? Come puoi immaginare un’avventura nell’ignoto, nel domani come ignoto, nel tuo domani non esistenziale in un simile inferno? Ma si roderanno il fegato. Lavorerò dieci volte di più nel cinema. L’ho fatto una volta, e sono caricato per farlo altre dieci volte. Perché ho un bisogno viscerale di decidere quello che voglio fare, ma anche perché la mia «esistenzialità» mi ha offerto l'opportunità di vedere.
Epikoinonìa, lìtrosi kai kinimatogràfos eksèghersis, conversazione con Ghiànnis Ioannîdhis, pubblicato in Stàvros Tornès, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene 1994.
as INCARNAZ CINEMA DEL
Esiste un cinema inesplorato
Per me il cinema è, anzitutto, un lavoro. Un lavoro che, tuttavia, mi conferma quotidianamente che sono vivo, che esisto... Credo che sia una cosa essenziale anche per molta altra gente, e non solo perché con le immagini cinematografiche si ha la possibilità di fuggire, di lasciarsi incantare, di sognare... soprattutto perché il cinema può essere anche un canale importantissimo di solidarietà, di amore, di comprensione reciproca tra le persone... L'avventura di un film è come un’avventura amorosa? In un certo senso sì... Ora, facendo riferimento all'amore, mi hai trasmesso un'immagine curiosa. La primavera, con le rondini che costruiscono i nidi, è anche il momento in cui nascono più frequentemente le relazioni amorose... Le rondini trasportano in fretta e furia la creta e fanno i loro bei nidi. Costruiscono. E proprio la costruzione ha in sé una chiara componente amorosa, anche se i misteri come questi rimangono generalmente irrisolti. «Costruire» forse è un'espressione sbagliata... Non è un’espressione sbagliata. «Costruire» significa lavoro, lavoro creativo. Non è un termine riprovevole. Al contrario, se costruisco vuol dire che sono attivo, che creo, che faccio cose di cui ho bisogno [...]. Il cinema è un bisogno. Un profondo bisogno sociale. È per soddisfare un simile bisogno che fanno cinema tutti coloro che non rientrano in un sistema organizzato di produzione, nella metropoli del cinema, l'America, tutti coloro che lavorano autonomamente... E poi il mio cinema è il bisogno di un’autonomia assolutamente esistenziale e assolutamente personale nei confronti di questa metropoli, al centro della quale altri decidono chi deve fare cinema e perché. Fai cinema perché lo decidi tu, visceralmente, e non perché lo decidono altri, che interpretano i bisogni del mercato e chissà quali altri ancora. Il cinema è arte, ma è nelle mani dei commercianti. È un dato di fatto...
Non sono contro alcuna classe specifica e in particolar modo non sono contro i commercianti. Direi però che bisognerebbe aspettarsi fiducia e amore per il prodotto cinematografico anche dai commercianti. E i bravi commercianti non puntano sempre al colpo sicuro, rischiano anche su prodotti diversi... Ha vissuto e lavorato molti anni in Italia. Quanto è stato influenzato dal cinema italiano? Ho amato il cinema italiano, che però ha avuto una certa influenza su di me negli anni ’50, prima del mio arrivo in Italia nel 1967. Cioè quando faceva ancora l’attore in Grecia... Negli anni ‘50, quando andavo ancora al cinema. Mentre eravamo paralizzati dai film hollywoodiani — di una Hollywood insopportabile —, improvvisamente in Grecia vedemmo Riso amaro, che rappresentava un mondo vivo, un mondo che esisteva nella realtà. Era anche questo il fascino del cinema di allora. Quando, più tardi, mi trovai in Italia, ebbi indubbiamente l’occasione di studiare il cinema italiano, nel senso che vidi tutto ciò che non avevo potuto vedere in Grecia... Vidi Accattone di Pasolini, ad esempio...
Macchine per la trebbiatura, operai nelle fabbriche, allevatori e operai nelle cave. Le fotografie sono state trovate in un album di Stavros Tornes
Procediamo con ordine. Quando ha cominciato a lavorare nel cinema? Alla fine degli anni ’s0, intorno al 1958. Ho cominciato con la Scuola di Ioannìdhis, per poi debuttare come attore in un film di Chrìstos Theodhoròpoulos, che era professore nella scuola. Ho recitato al fianco di Ksenia Kalogheropoùlou e ricordo che nel film recitavano anche Mìmis Fotòpoulos, Dhionisis Papaghiannòpoulos, Tassòs Kavvadhìas. Era il primo cinemascope in Grecia. Da allora ho cominciato a lavorare nel cinema come tecnico o aiutante, e nel frattempo avevo anche delle parti, che mi affidavano più che altro colleghi che conoscevo... È andata così anche con Tàkis Kanellòpoulos, nel film Ouranòs, in cui ero direttore di produzione, aiuto regista e attore. Non ho mai fatto esclusivamente l’attore. In Italia era diverso, bisognava sopravvivere.
È andato in Italia dopo, nel 1967... Ero in Italia mentre in Grecia c’era la dittatura. Non mi piaceva la situazione qui, e me ne andai... È stata un’esperienza importante, decisiva. Ho conosciuto persone che stimavo e amavo, come Francesco Rosi, che mi ha aiutato moltissimo. Mi ha fatto lavorare nei suoi film, in cui ho interpretato diverse parti. Ricordo che c’è stato un film in cui mi ha offerto tre o quattro ruoli diversi, naturalmente da comparsa,
per darmi la possibilità di lavorare per più giorni. In Lucky Luciano interpreto la parte di un mafioso, quella di un ufficiale americano, quella di un infermiere e non so di chi altro. Da allora, ho recitato in molti
altri film... [...]
DI
|STAVROS TORNES N
In seguito al suo ritorno in Grecia, i suoi quattro film sono stati definiti «cinema povero», per via delle condizioni produttive. La definizione è usata quasi esclusivamente per classificare il suo cinema. Si tratta di una scelta consapevole o di una condizione dettata dal bisogno? Entrambe le cose. La definizione «cinema povero», o meglio «arte povera», rappresenta anche, in un certo senso, un’ideologizzazione delle possibilità che un luogo offre agli artisti. Un’area geografica come il Mediterraneo, ad esempio, capitalizza valori come la spiritualità e l'immaginario. Valori che non stanno in rapporto diretto con ciò che consideriamo ricchezza in senso stretto. Non mi schiero certo contro la ricchezza materiale — per carità! —, ma rifiuto la volgare materialità che la nostra epoca pianifica, la materialità che vincola le coscienze, vincola le situazioni, vincola l’uomo. Perciò, rifugiarsi in questa posizione
della «povertà» è anche un percorso obbligato per rompere la cosiddetta imposizione della necessità [...]. Voglio portare un esempio personale, che risale a un periodo di crisi esistenziale: una volta ho provato a improvvisarmi scultore e tentavo di incidere le pietre utilizzando ferri che si rompevano ogni volta che li percuotevo. Allora ho cercato di utilizzare creativamente la resistenza opposta dai mezzi che utilizzavo. Le cose stanno esattamente così: prendendo coscienza dei bisogni materiali proiettati dalla realtà, ciascuno è costretto a stare all’erta per poter trarre profitto dalle possibilità che gli vengono offerte. Questo vale anche per il cinema. Quando emergono difficoltà tecniche, occorre prontezza per fare fronte al problema. Con questo voglio dire che, per quanto la tecnologia sia necessaria, è altrettanto necessario sottometterla a ciò che siamo, perché venga in soccorso alla nostra dimensione umana, che altrimenti diventerebbe anch’essa un'imposizione. La tecnologia può creare solo una perfezione standard, che è qualcosa di morto, una forma morta. E non possiamo certo offrire agli altri un prodotto standard, morto, solo perché possediamo la tecnologia. Perciò dobbiamo mettere in discussione anche la tecnica, dobbiamo sottometterla ai nostri bisogni espressivi, alle speranze, ai sogni, a tutto ciò che abbiamo dentro. La tecnica non può riuscire in tutto. Ma l’artista autentico è colui che mette in discussione la tecnica mettendola in relazione ai sogni, alle speranze, al suo mondo immaginario. Altrimenti produrrebbe soltanto forme morte...
Mettiamo in discussione soltanto la tecnica o tutto il cinema? Il cinema, perché il cinema si basa sulla tecnica. L'uomo è cinema in sé. Ad un certo punto ha creato una macchina che riproduceva ciò che vedevano gli occhi degli uomini. Una macchina, cioè, completamente inutile, che non serviva a niente se non a vedere come vedono tutti. Poi fu necessaria l’inventiva,
l’abilità che l’uomo ha di comporre, ricomporre e scomporre le immagini. La macchina riusciva a trasmettere non soltanto tutto ciò che si vedeva, ma anche tutto ciò che si poteva immaginare... Sono passati gli anni, e si dice che oggi il cinema sia in crisi [...]. In questo momento di crisi, a chi si rivolge? Chi dovrebbe vedere i suoi film? Ì Quando fai un film lo fai anzitutto per te stesso. Lo fai perché è un bisogno che devi soddisfare per sen-
tirti a posto. Poi però pensi che non fai mai nulla solo per te stesso, perché sarebbe una follia. Quindi il cinema esiste come possibilità di comunicare con gli altri, di parlare con gli altri. Detto questo, al giorno d’oggi un film non corrisponde più solo allo sguardo limpido del passato, ma soprattutto alle rivoluzioni tecnologiche, alle immagini che derivano dallo sviluppo. Non è più il momento della fioritura del cinema o la fase della prima magia, della fede nel cinema. Il cinema è ormai cultura, i tempi in cui si entrava in sala senza domandare «Di chi è questo film, chi l’ha fatto?» sono passati. E anche noi siamo il risultato di questa cultura. Esistono quindi cambiamenti strutturali in ambito cinematografico. Un secondo elemento che attesta la cosiddetta crisi strutturale è la concorrenza della televisione. Se si tratta di una battaglia dobbiamo combattere, e io credo che la lotta per l’indipendenza del cinema abbia senso. Il punto è che, al di là di ciò che ognuno vuol far vedere alla gente con i propri film, bisogna anche puntare sull’indipendenza del cinema, senza lasciarsi influenzare dalla concorrenza televisiva
e dai cambiamenti strutturali.
Non credo sia una questione di obbligo: il desiderio che la gente ha di andare al cinema porta con sé una nuova
iniziazione, un nuovo
avvicinamento,
un nuovo
affetto, un nuovo
amore, una nuova fiducia. In
questo modo ci riconosceremo nel cinema. Non ci riconosceremo nelle scene spettacolari, dove corrono i
carri, né nelle actions dei thriller. Al contrario, troveremo noi stessi nel bisogno di ricorrere all’immagi-
nario, nella possibilità di trasgredire, nella potenzialità antropologica offerta dal cinema. E non è poco... Quindi il tentativo di riscoprire il cinema in un suo stadio precedente, quando era più autentico? In questo periodo il cinema è contaminato da altre arti. È diventato romanzo, fiction, teatro, mitografia. Ma il cinema nel suo senso originario non esiste più. L'avvenire del cinema? Bella domanda! Quello in grado di passare attraverso la cruna di un ago. È questo il cinema che ci interessa, ci interessa cioè l’indipendenza dell'immagine, dell’essere cinema... del tempo filmico. Il cinema è questo, e credo abbia immense, inesauribili possibilità. Negli ultimi anni quali sono stati i tentativi di fare fronte ai cambiamenti strutturali a cui accennava? Credo che esista un cinema inesplorato. Credo che, al di là di tutte le crisi, esista un cinema inedito. Inedito, non aneddotico: qualcosa che ignoriamo, che non abbiamo ancora visto [...].
Frammenti di una conversazione radiofonica con Adònis Kòkkinos e Nikos Ghrammatikòs per il programma O kinimatoghràfos sto Trìto, trasmesso dal Terzo canale della radio greca, 1987.
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pr
ke
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Ù
Es
Probabilmente Stavros Tornes (in piedi al centro, con il maglione nero) nel periodo in cui partecipava al film in costume I orèa tis Roumelìs. la fotografia riprende comparse e attori del film sul set, 1962
iS ESISTE INESPLOR CINEMA UN
ia ic ME
ff
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olamo impazienti...
Innanzitutto voglio evitare qualsiasi malinteso. Il mio cinema non è una ricetta medica o una ricetta di cucina che dice come si deve fare un film. Insisto su questo punto e intendo dimostrare che combatto, se non altro, quella che potremmo chiamare illusione. Perché, se oggi ci sono film che hanno a disposizione 2, 4, 8,20 0 50 milioni di dollari sarebbe terribilmente stupido pensare di essere a buon punto con 20 milioni di dracme, pensare di poter reggere il confronto e vendere o altre illusioni del genere. Io credo in qualcos'altro. Non credo tanto negli investimenti materiali — che per fortuna ci sono: è un bene che esistano anche film da 20, 30, 50 milioni, perché magari procurano qualche milione in più anche a noi, che non guasterebbe — quanto in un investimento di altro tipo, culturale, esistenziale e così via: credo nella ricchezza antropologica che un film può avere. È questo che mi spinge a iniziare un film, perché se domani non dovessi trovare la pellicola non so cosa potrei fare, forse cercherei i ritagli di stoffa di mia nonna, li metterei in fila e comincerei a scriverci sopra, creando un nuovo tipo di cinema. E, in tutta onestà, dico che la ric-
chezza e la generosità di un film non dipende dalle mille, dalle cinquanta o dalle venti luci che ho a disposizione. Non voglio farmi prendere dal panico, perché sconvolgerei i miei ritmi, perciò ben venga anche un nuovo tipo di cinema: sono pronto, non sono chiuso, per iniziare un film non devo avere 20 milioni a disposizione. Per cominciare un film bastano un operatore e poche altre persone: lo faremo insieme. Troveremo il modo... Se abbiamo da mangiare, se abbiamo da bere, procediamo con il nostro lavoro. A un certo punto mi sono chiesto: «Adesso cosa stai facendo?», e mi sono risposto: «Faccio solo questo». Cioè faccio solo cinema. Anche nei periodi in cui in realtà non faccio niente che abbia a che fare con il cinema, nei momenti in cui voglio farla finita, darci un taglio, non voglio averci più nulla a che fare, non è così: il cinema ritorna sempre, nelle mie espressioni, nel modo di muovermi, di vivere... Perciò questo cinema che si identifica così tanto con la mia vita, con quello che sono, con quello che faccio è come un’avventura. Certo è un fenomeno che ha assunto dimensioni per me sconosciute... Questa avventura con il cinema è quasi uno stato patologico. Vedo che è così anche per altre persone. Non voglio dire di saper fare questo mestiere, perché di mestieri ne conosco una decina, ma da un certo punto in avanti ho fatto solo questo, tutto quello che può avere a che fare con il cinema — ho ricoperto molti ruoli, ho lavorato come attore, come tecnico, come aiutante per molti anni, in molti film e con molti registi — e nel mestiere ci si porta dietro tutto quello che si è capaci di fare, non si è solo registi.
Io non ho nessun tabù riguardo alla professionalità degli attori. Per me è un problema se l’attore mi pone un limite, se non è quello che è. Voglio che anche l’attore sia così, che non sia qualcos'altro. Da un certo punto in poi comincia l’abilità recitativa, ma voglio che un dato personaggio abbia la propria identità, perché è uno stimolo anche per me. Quando un attore è limitato e non riesce a trasmettermi la sua identità (o
Set del film di Ghiòrghos Zervoulàkos Sto spîti tis idhonìs. In piedi, vicino alla cinepresa, il regista. Alla sua sinistra, Christos Bilarìkis, secon-
do aiuto regista. Al centro, seduto, l'operatore Làkis Kalìvas con la cinepresa in mano. Dietro di lui, ilfactotum Làzaros Gheorghiàdhis, cinea-
sta, tipografo, editore e fondatore del Sèchis tou Dhìskou [Club del Disco]. In primo piano, a destra, il direttore della fotografia Giovanni Variano, circondato dagli elettricisti, Kòstas Sàmbas e Michàlis Michailidhis. Accanto a Gheorghiàdhis, a destra nella foto, il suo caro amico Stavros Tornes, che lavorava nel film come attore e aiuto regista (foto archivio Ghiòrghos Zervoulàkos), 1961
me la trasmette in modo sfocato), non mi interessa. Voglio cioè che il personaggio sia immediatamente leggibile per quello che è, in tutta la sua grandezza: che sia uomo, l’uomo in questione. E allora combatto una battaglia che considero necessaria, perché lo stimolo per me più necessario è quello dell'identità... Per quanto la tecnologia sia necessaria, bisogna sottometterla a ciò che siamo, alla dimensione umana. Altrimenti è un’imposizione, perché la tecnologia può creare soltanto una perfezione standardizzata, qualcosa di morto, una forma morta. Usiamo la tecnologia come mezzo ma non possiamo trasmettere cose morte agli altri. A questo punto è necessario mettere in discussione anche la tecnica. Attraverso i nostri bisogni vogliamo esprimerci, vogliamo parlare, ma la tecnica non può ancora arrivare ai sogni e a tutte le cose importanti che abbiamo dentro di noi. La tecnica continua a essere limitata, come è sempre stata. L’artista autentico mette in discussione il contenuto della tecnica correlandolo al sogno umano, alla speranza o all’immaginario. Altrimenti il risultato sarà fatto solo di forme morte standardizzate. Siamo immersi nel fascino di una realtà che si chiama Grecia. [...] La nostra ricchezza sta nelle nostre azioni. Il cinema greco è una realtà diversa da quella del cinema americano, europeo o italiano. Per lavorare in un film greco dovevi fare molte cose diverse. Ma è stata una liberazione: ha liberato forze, cioè azioni. Non bastava saper fare un carrello, dovevi anche saper fare un costume, trovare un attore, gestire le dieci dracme che ti venivano affidate per risolvere mille problemi, dovevi sapere, sapere, sapere... Dovevi sapere tutto. È l’eredità dei vecchi del cinema greco. È la nostra dote, la nostra ricchezza, il nostro capita-
le. È l’unico vero capitale che abbiamo, tutti gli altri capitali sono fasulli, finti. Siamo impazienti perché ciò che sta accadendo dinanzi ai nostri occhi in questo momento non può ripetersi. Siamo più impazienti ancora perché pensiamo che non ci sia più margine. E siamo impazienti anche perché ormai il termine regista ha cambiato definitivamente valore, nessuno ti chiede di essere un regista, nessuno vuole che tu sia un regista. Per quanto mi riguarda, però, credo che anche il peggior regista rappresenti un universo umano, a prescindere dal cinema attuale e dalle sue mille colpe. Viviamo in un’epoca tecnocratica, dove le persone che pensano, che hanno un’opinione sulla vita, che cercano di vedere qualcosa nell’uomo sono automaticamente out, sono Terzo Mondo, terza classe, come dicono gli italiani... Il regista cinematografico è una specie in via di estinzione. Ma vale fino a un certo punto per coloro che sono pieni di vita e temprati... Temprati in senso buono, naturalmente, perché niente li spaventa... I vili e quelli che si aspettano qualcosa in cambio è meglio che prendano le loro cose e se ne vadano, perché è una vita dura.
Frammenti di conversazioni radiofoniche con Adònis Kòkkinos e Nîìkos Ghrammatikòs, inclusi nel film di Stavros Kaplanidis Stàvros Tornès: o ftochòs kinighòs tou Nòtou, 1994.
Addio Anatolia
Addio Anatolia... / forse non vuoi sapere / che su di me / hai lasciato un segno indelebile / come uno di quei graffiti primitivi sulle pareti delle grotte / che sono rimasti per sempre nei secoli, Ahmet / e che scompariranno solo nel caso / in cui la Terra sia consumata / nell'Universo, Mehme / nel modo in cui si consuma il mio corpo nella Terra, Halil / ... addio. Poi sono rimasto solo, / accerchiato dai tuoi sensi / dalla tua presenza / senza il tuo volto preciso / senza le tue mani leggermente sudate / — senza niente —, / ora piango / come ogni notte i burocrati / con la Terza Internazionale tradita. 1973... Anno del colera e dell’amnistia. / Ci sono posti per tutti. / Qui ne è previsto uno anche per te. /Non
devi dimenticare che ormai siamo arrivati sulla luna. / Ci saranno nuovi posti. / Poi... /poi ci sarà un salario garantito per tutti, / riforme, il progresso / riguarda tutti i popoli, / e tra un po’ più di tempo / che tuttavia è stato previsto / ci sarà il socialismo. Quello dal volto umano naturalmente... / 0, se vuoi, autogestito. / E non fare l’intelligente / con il suicidio o la rivoluzione / perché creeremo anche per questo nuovi posti. Mi sono donato a loro / sono rimasto per sempre / nei fiumi asciutti della Calabria / con le pietre levigate. / Opera del sole e dell’acqua, / dell’acqua e del sole. Occhi / occhi degli uomini del luogo. / Fiumi navigabili / di un entroterra infinito.
Nella rivoluzione palestinese / sono quel che sono, / cioè presente, passato / e quel che verrà... Per secoli o secondi nuoto / percorro i mari, volo / cammino sulla terra / arrivo / Alì / - Abuleila / — Mesir. Nella nostra certezza del grande incontro / non ci sono morti / perché ciascuno è libero / di diventare ciò che vuole / uccello, foglia, lacrima, vento, nebbia, amore, stella, dio per mezzo del nostro intimo rapporto. Questa versione del testo pronunciato in greco da Stavros Tornes nel suo film del 1976, che diventerà noto con lo stesso titolo, può essere confrontata con le altre due varianti rese in italiano dall’autore: quella della sola prima strofa, datata 1973, nella «Guida poetica italiana», e quella più ampia letta a Castelporziano nel 1979, che contiene brani qui assenti e non contiene la seconda e la terza strofa della versione del film. Si è preferito rendere di questa una traduzione autonoma, anziché interpolarvi brani delle versioni d’autore, che peraltro si possono leggere in altre parti del volume, perché, accanto alle numerose varianti, si potrà notare meglio l'italiano insieme ruvido e preciso di Tornes, che può includere, nella versione forse in parte improvvisata di Castelporziano, anche l’inclusione di un termine greco come «ergo».
d
Fotogrammi di Adìo Anatolì, 1976
Due scene di Coatti, 1977. Stavros Tornes e Charlotte van Gelder sono i protagonisti
Coatti
Due persone che viaggiano di cui uno fa un viaggio da solo, cercando l’altro amico e il quotidiano che si mescolano con questi viaggi. Questa proiezione del presente è la testimonianza di tutto ciò che è vivo tra di loro. Il viaggio in due va a finire in uno spazio che li schiaccia come anche il viaggio solitario finisce, lasciando la presenza degli amici e del quotidiano. N.B. Le persone del film e i loro rapporti non sono inventati: Stavros Tornes, vive in Italia, a Roma, dal periodo del colpo di stato in Grecia, come attore e operaio; Charlotte van Gelder, una olandese neutra che vive di traduzioni; Abner Pier Loui, profugo politico haitiano; Mhadi, figlio di un amico di origine russa; Roberto, romano extraparlamentare (autonomo); Mario, pittore (della papata); Fabricio, giornalista comunista (La Stampa); Professore, funzionario dimenticato del convento abbandonato di Santa Maria della Salute; Vincenzo, «matto» del villaggio; Gianni, tecnico
del teatro; Pino, commerciante (improvvisato) di vecchi costumi di Fellini.
Nota scritta in italiano da Stavros Tornes, pubblicata nel già citato programma del Cineclub Georges Sadoul di Roma, 1978.
Assessorato alla Cultura Comune
di Roma
Assessorato alla Cultura Provincia di Roma
PRIMO
FESTIVAL
INTERNAZIONALE
FIRST INTERNATIONAL
FESTIVAL
DEI POETI
OF THE POETS
Roma - Castel Porziano 28 - 29 - 30 Giugno 1979
Comitato promotore: Teatro Autobus
Poesia
Beat
72
-
Roma
- Roma
-
Roma
Guida
Società
Poetica
di Poesia
Arci Provinciale
Beat 72 via G. Belli 00193 Roma
Italiana
- Milano
- Roma
- Roma
Movimento
Seg. c/o Teatro
tel. 06/317715
Poeti invitati
Allen Ginsberg William Burroughs Lawrence Ferlinghetti Peter Orlewsky Gregory Cerso Brion Gysin Amiri Baraka (Le Roi Jones) Miguel Algarin Ted Joans Ann Waldmann Diana Di Prima John Giorno Ted Berrigan Egor Issaev Eugheni Evtuscenco (Aserbagiano) Curciaili (Usbeco) Arapov George Barker Pete Brown Charles Tomlison Desmond O'Grady Peter Handke Gerald Bisinger Erich Fried Denis
Roche
Marcelin Pleynet
Jacqueline Risset Osvaldo Soriano
Mohmud Derwishi Cesare Zavattini Vittorio Sereni Mario Luzi Francesco Leonetti Maria Luisa Spaziani Elio Pagliarani Edoardo Sanguineti Antonio Porta Alfredo Giuliani Amelia Rosselli Dario Bellezza Valentino Zeichen Giuseppe Conte Giorgio Manacorda Nico Orengo Milo De Angelis Maurizio Cucchi Corrado Costa Nanni Balestrini Andrea Zanzotto Giovanni Testori Renzo Paris. Giovanni Raboni Giovanni Giudici Dacia Maraini Sebastiano Vassalli Ignazio Buttitta Roberto Trovato Aldo Piromalli Adriano Dorato Ivano Urban Roberto De Angelis. Patrizia Bettini Giles Wright Alberto Gasparri. Stavros Tornes Charlotte Van Gelder Victor Cavallo Massimo De Feo Paolo Morelli Luciana Martucci Rossella Or e la partecipazione di Fernanda Pivano
Annuncio dell'importante evento dell'estate romana 1979, riprodotto da «Guida poetica italiana» n.1, giugno 1979, un «periodico in lingua poetica ideato da Simone Carella, Riccardo Tronca, Norma Novelli, redatto da Roberto De Angelis». Iniquesto primo dei due numeri pubblicati anche le due successive pagine di testi poetici di Stavros Tornes (con un'accentuazione forse redazionale) e, con la stessa indicazione di indirizzo, due poesie di Charlotte van Gelder.
Guida poetica italiana
Stavròs Tornes
Via della Penna, 60 Roma
(Addio Anatolia)
(Contatto)
Forse tu non vuoi sapere che tu a me hai lasciato una traccia profonda e insuperabile una traccia come quelle primitive delle caverne che sono rimaste per sempre nei secoli
Con l'autobus n° 9 della piazza dei treni SÌ, sono venuto io (con la poesia in tasca che costituiva l’arma di scusa) senza perché perché, nella piazza dei treni nella piazza dei soldati nella piazza delle ragazze di servizio nella piazza della solitudine quotidiana nella piazza delle esecuzioni sommarie nella piazza delle prospettive distrutte nella piazza delle speranze di ogni giorno nella piazza della gente qualsiasi la mia verità esistente i tuoi occhi, il tuo sorriso, la tua pelle stavano lontano sì, sono venuto io devo dirti, ammettimi come sono uno qualsiasi della piazza.
(AHMET) e che saranno sparite solo nel caso che l’intera terra sarà assorbita nello spazio
(MEMET) o come il mio corpo nella terra
(HALIL) addio. (Roma 73)
(Roma 73)
45
(Sofistìa) Ho acceso ancora un fiammifero per il piacere di sigaretta (nella sua piccola fiamma istantanea c’è un certo lirismo) ma non dimentichiamo il fiammifero ci serve per tante altre cose
Bisogna tornare indietro Hai camminato troppo, ti sei allontanato, fermati Sù i fatti delle tue illusioni Sù i fatti che costituiscono te Risalire
in realtà (è segreto comune)
Camminare con Mitsos Camminare con l’asino zoppo Con tutti
un fatto chimico che si blocca nella sua struttura la dinamica di un incendio
Che tu hai accordato nel quotidiano sudore Speranze di mitiche rivoluzioni Iconoclaste
già, siamo tutti accontentati (più di tutti industriali e poeti) per la sua momentanea fiamma
regolata ordinata pianificata commercializzare Prometeo è stato un atto di responsabilità verso l'umanità amen. (Roma 73)
Restituire Restituirsi integro Bambino affascinato dal sole che tramonta Seduto nella tua merda Bisogna tornare indietro.
(Roma 77)
Segue il testo dell'intervento di Stavros Tornes, accompagnato al violoncello da Charlotte van Gelder, alla serata finale del festival, come risulta dalla trascrizione in Il romanzo di Castelporziano, a cura di Simone Carella, Paola Febbraro, Simona Barberini, Stampa Alternativa, Roma 1999 .
30 giugno 1979
TERZA SERATA
Stavros Tornes Intervallata da musica Le vostre proposte, idoli, mi sono ridotto di raccogliere monetine, io preparo la vostra eliminazione. Pane e vino mi bastano, carne e ossa della mia madre, del mio padre, trasformati in macina. Vi dò le mani,
il mio cervello chiaro, attenzione dinamite, sto con quelli che fumano la marjuana, sto con quelli che rifiutano la vostra macchina menzognera, io sono nato con la macina, quando si spenge dopo il lavoro rimane calda, un po’, come il seno della ragazza, della donna, della nonna. La terra, persisto, il nuovo proleta-
riato nega di essere, essere la libertà che abolisse la morte. Scacco...
Addio Anatolia. Forse tu non puoi sapere che tu a me hai lasciato una traccia profonda e insuperabile, una traccia come quelle primitive delle caverne che sono rimaste per sempre, nei secoli, che spariranno solo nel caso che l’intera terra sarà assorbita nello spazio o come il mio corpo nella terra, addio... La mia esecuzione. A me crudele è stato il fato che mentre il plotone sparava sulla mia inesistenza voluta, hai partecipato anche tu con la stessa pallottola dicendo... ciao. Invisibilmente ho seguito la vostra passeggiata nei ristoranti e nei bar dove gli esecutori hanno mangiato e hanno bevuto alla mia eliminazione, se mi permetti avete dimenticato il colpo di grazia (musica). Mi sono donato. Mi sono donato ai seccati fiumi di Calabria con le pietre arrotondate, ergo dell’acqua e del sole, del sole e dell’acqua, occhi, occhi della gente del luogo, fiumi navigabili, fiumi dell’entroterra; e poi d’un tratto il mare come tu hai potuto sognarlo viaggio senza ritorno, senza passato, senza lacrime, senza pietà, come è stato il vuoto viaggiatore (musica).
Alla rivoluzione palestinese. Nella rivoluzione palestinese sono quello sono cioè: presente passato e quello che verrà. Se con i minuti sto lottando, sto percorrendo tutti i mari, sto volando, sto camminando sulla terra, sto arrivando Alì Abulena Mekil. Ci incontreremo di nuovo perché i morti non esistono, perché ognuno è libero di diventare quello che vuole: uccello foglia lacrima vento nebbia amore stella Dio come la nostra intimità. Victor Cavallo — Questo è Stavros Tornes, un poeta greco...
Dino M’Fadoul in Danilo Treles, 1985
he GUIDA ITALIANA POETICA
Wta Foto; gram mi di1 Eks to) pra gmatitikò . Nell a
foto grafiaifia ini bass oasi inistri ‘a si diistin gue S tavro: s Torni es » 1979
Eksopragmatikò Fuori della pratica
Una barca, un fiume, frammenti della città, alcune persone. Uno si sposta più lontano, calamitato come Vulcano, Manda segnali eterei dappertutto.
Presentazione di Stavros Tornes nella scheda, comprensiva della traduzione italiana del titolo, per il catalogo degli Incontri cinematografici di Salsomaggiore, 1981. Si pubblica di seguito la trascrizione del testo pronunciato in italiano dall’autore nella parte conclusiva del film
Ormai, l’attesa è stata troppo lunga... non è più praticabile un ritorno. Nel modello omerico, si parla di un eroe, che davanti alla tragedia della dispersione cosmica, preferisce di ristabilirsi nella casa paterna. Il viaggio è dunque... rimasto sospeso. Rimane sospeso ancora e indeterminato, perché l’angoscia dell’esistenza, come realtà di oggi e di ogni epoca, si può creare soltanto dalla sua fonte... di più, perché il cosiddetto rivolgimento del mondo, come fenomeno universale infinito... antropologicamente, insomma... non riguarda solo una concezione fisiocratica astratta... tocca a te, perché quello che ti colloca ogni momento con la totalità del mondo rimane angoscia. La prova più concreta sei tu stesso, nel tempo naturale cosmico, anzi in tutti i tempi... La tua scelta... non ti devi fidare troppo... ti aspetta il compromesso del comportamento pratico che ammaestra e trasforma l'angoscia in masochismo... Emerge un rapporto reciproco... il quale non si trova allineato, in parte perché fa parte del Tutto... il nostro tempo indeterminato o la rivoluzione del tempo attivo, [tecto ?]... qui non si tratta di dare più spazio o vitalità e relazione, ma recuperare energia per il compire conoscitivo della nuova formazione, perché il nostro tempo indeterminato, nella sua immobilità del tempo evolutivo, è la dinamica vitale che ci fa entrare in movimento... che appunto non è lineare o ciclico, ma ha una disponibilità espansiva in tutte le direzioni. Spesso... questa disponibilità, movimento o viaggio che sia, si svolgono e rimangono sulla necessità del desiderio empirico... terrestre, che non accetta nessun superamento astratto della dipendenza materiale, ma presuppone una esistenzialità sensibile alla visione del reale vivo, che è la prole... prova di una testimonianza che la passione dei sogni, questa carica del tempo indeterminato, non sono trasfigurazioni estraniati, chimerici... ma intendono di riaffermarsi alla luce, di ricomporsi della visione del reale, e rivelare un possibile incontro, un possibile contatto che sarà in grado di toccare quello di altre esistenze umane... altre realtà, hanno potuto tracciare degli itinerari precisi, dei punti di riferimento, degli incontri reali e concreti dove la libertà della persona umana si compie e si ricarica per la dispersione cosmica... come promessa di risposta.
Stavros Tornes: in alto probabilmente con un giovane parente
Parola di Prometeo
Tema: Vita e morte di Nikos Ploubîdhis per un film di Stavros Tornes Narrazione e supporto visivo con l’ausilio di fotografie scattate al processo di Nìkos Ploubìdhis davanti alla corte marziale e alla sua esecuzione. Di tanto in tanto la narrazione è interrotta da ricostruzioni filmiche basate su materiale d’archivio. Agitazioni sociali, Guerra Mondiale, Resistenza, Guerra Civile sulla base delle testimonianze di individui che hanno vissuto i fatti su fronti opposti. Le ricostruzioni filmiche sono completate da una scena finale in cui Serse, re dei Persiani, assi-
ste alla battaglia navale di Salamina. (È lo stesso luogo dove è avvenuta l’esecuzione di Ploubîdhis, ora pieno di petroliere di armatori greci).
Progetto narrativo: Ploubìdhis è processato per alto tradimento
dalla Corte Suprema di Atene. Sono passati quattro
anni dalla fine della guerra civile. Il Partito Comunista è al bando. I suoi capi, in seguito alla sconfitta militare, operano all’estero. In Grecia si impongono leggi speciali a ogni progetto politi-
co. Ploubìdhis respinge le accuse, nega di essere una spia.
Dimostra che il processo in realtà non è contro di lui, ma contro le idee che rappresenta. Nel frattempo la stampa pubblica un comunicato del Comitato Centrale in esilio. Descrive il procedimento come una farsa di cattivo gusto e Ploubìdhis come uno che gioca sporco, sostenendo che è al
servizio della polizia e della CIA. Come tutti sappiamo, continua il comunicato, il capo della poli-
zia e Ploubìdhis sono originari dello stesso paese.
Ploubìdhis, senza lasciarsi intimorire dalle calunnie del Partito, si dimostra ancora più irremovibile dinanzi al tribunale. Difende il Partito, si dichiara ancora una volta comunista e attacca il giudice,
che
non
rappresenta
il popolo
in alcun
modo.
Spetta
al popolo
giudicare
le azioni
di
Ploubìdhis.
Il tribunale condanna a morte Ploubìdhis
Un piccolo plotone di soldati conduce Ploubìdhis al piccolo colle brullo da cui Serse assistette
alla battaglia di Salamina, e lì lo uccide.
Progetto inedito di sceneggiatura per un film per la televisione, in inglese nell'originale, scritto intorno al 1980 per essere proposto all’ERT.
Lupi mannari Licantropia a Roma OVVero
SOGGETTO E SCENEGGIATURA DI?
altro
StAVROS TORNES
lotta cade nell’acqua.
cane
che
gli è venuto
incontro
e nella
CIRIACO TIso
Il suo padrone, un giovane sui 24 anni, rimane
CHARLOTTE VAN GELDER
paralizzato nel vederlo sparire nel fondo.
Una donna di circa 28 anni, corre disperata verso il suo cane gravemente ferito e rimprovera l’uomo.
Roma I980/8I
stacco
2. L’uomo e la donna sono dal veterinario, dove il cane viene salvato. L’uomo, Luca Boaro, paga Spuntino sulla trama del film
la visita, si compra un altro cagnolino e, seguito dagli sguardi compiaciuti
Il Protagonista Luca, pian piano si trasforma in
del veterinario
e
della donna, se ne va.
lupo mannaro. Dopo alcuni avvenimenti decisivi rimane esauri-
stacco
to ed entra in trance. Senza più riprendere conoscenza è trasportato dalla stirpe della madre a
3. Casa di Luca. Nella navata di una piccola chie-
una festa orgiastica.
sa sconsacrata di rito greco, vi sono alcune gab-
La madre cerca di possederlo.
bie con uccelli esotici di piccole dimensioni. In diversi angoli vi sono dei reparti archeologici.
Luca si prende cura prato,
del cagnolino
gli dà da mangiare
appena
e prende
com-
anche
lui
Personaggi:
qualche boccone da una scatola. Intanto un gio-
Luca
vane
La madre — Signora Lisa
con molta disinvoltura
dall’aspetto
serio e laborioso,
movendosi
e familiarità nell’am-
La sorella — Suor Lucia
biente, con atteggiamenti da grande professioni-
Jacopo
sta scatta fotografie a diversi scorci della vec-
Andrea - L’amico
chia costruzione.
Adele — L’amante mancata
Un uomo dall’aspetto misterioso e taciturno, si aggira per casa. Andrea, l’amico, di Luca, lo vede
Costruttore edile Romano
e chiede a bassa voce chi sia quel vecchio. Luca,
che non lo ha notato, dice sorpreso: «Chi? Oh, è uno che sta qui».
Intanto, Andrea dice a Luca che verranno fuori
1. Roma — esterno — giorno Un pomeriggio di settembre, un cagnolino brutto
delle
corre
architettura. Chiede a Luca di non dimenticarsi
su una
banchina
del Tevere;
attacca
Stavros Tornes durante una pausa delle riprese di Karkaloù, 1984
un
belle
illustrazioni
per
la
sua
tesi
di
di preparare le didascalie e di andarlo a trova-
fa dei gesti, è quasi assente.
Si alza, si aggira
re in stamperia fra qualche giorno.
per
frasi
Luca gli risponde che non c’è da preoccuparsi —
imbocca una porta e sparisce su per una scala,
manca più di un anno alla laurea. Poi aggiunge:
mormorando: «La roba è mia, eh!».
negozio
mormorando
sconnesse,
«Voglio dirti la verità. L’architettura m’inte-
La signora, rimasta sola nel negozio deserto, si
ressa
reca in uno sgabuzzino e fissa il suo volto in uno
caro
poco.
Sono
tutto
mio. Sono stufo
preso
delle
dall’archeologia,
civiltà verticali
—
specchio. Prende da un cassetto due fotografie:
devo ritrovare la solarità dell’orizzontale».
una di quelle è una ragazza vestita da suora la
Andrea
figlia
non sa che dire, gli rimprovera
la sua
Lucia,
ma
la mette
da parte
—
stringe
pigrizia, sa bene che Luca, con Il suo talento,
invece tre le mani il ritratto del figlio Luca e se
potrebbe
l’avvicina al seno.
laurearsi
anche
subito
con
un po’ di e per-
Un giovane di circa 18 anni la sta osservando,
plesso, però dice con decisione: «Ma prima, pren-
appoggiato al banco — è entrato senza che lei se
buona diti
volontà. una
Andrea
laurea,
Comunque,
rimane
poi
fai
ammirato
quello
vuoi.
ne accorgesse. Appena lo vede, rimette il ritrat-
l’amico
to nel cassetto e gli sorride con molta accoglien-
che
cazzi tuoi». Luca accompagna
alla porta sul retro della chiesa. Poi, con il suo
za. Gli offre un bicchiere di vino.
cagnolino in braccio si avvia su per le scale che
Il giovane
conducono in una spaziosa camera di soffitta. Si
guarda
avvicina
s’illumina
a una
delicatamente (Wi
il
grande
finestra
e, carezzando
il cagnolino, guarda l’amico che
attraversa la piazzetta sottostante. Appena 1l’a-
con
invece
le acchiappa
severità di un
il seno.
e secchezza.
potere
Lei lo
Il suo
insospettato,
volto
segreto,
che annichilisce il giovane, il quale inchinandosi, dice: «Perdonami, nostra Signora!».
mico scompare, nello spazio deserto giunge da un vicolo
un grosso
lupo che guarda
verso
l’alto,
stacco
quasi fissando Luca.
5. Roma — esterno — giorno. stacco
Luca
I STAVROS TORNES
cammina
per una
via di Roma
tenendo
in
mano una gabbia seminascosta in una borsa. Sul
l. Un villaggio della Tuscia. Esterno — interno
suo volto c’è un’espressione di ottimismo.
— giorno. Un emporio. La proprietaria, una signora sui 45
anni,
mostra
impachetta
una
grande
un cestino
vitalità
e finezza
ripieno di cibi genuini:
latte, formaggio, prosciutto ecc.
già
visto
nella
6. Treno — interno — giorno. Jacopo nel trenino che lo porta dal paese a Roma.
Lo consegna a un uomo di età indefinibile e che abbiamo
stacco
—
chiesa
sconsacrata.
Un calabrone entra dal finestrino e ronza attorno
alla
gente
che
L’uomo con molta severità controlla il pacco e
Tutti sonnecchiano
chiede
alla donna:
lo scompartimento.
— sono pendolari. Un bambi-
dell’erba
no è divertito e impressionato dal volo del cala-
medica?». La donna consente.
brone. Jacopo che siede leggendo dignitosamente
Un vecchio sugli 80 anni che sta mangiando in un
un giornale, all’improvviso acchiappa al volo il
angolo, si lamenta che tutte le belle cose se ne
calabrone a senza badare alla gente, se lo ingoia
vanno
come una pillola e riprende a leggere.
pian
piano
«Ti sei ricordata
affolla
dalla
casa.
La signora
dice
all’uomo: «Mi raccomando Jacopo, l’altra volta l’ho visto, un po’ male».
gli dà uno sguardo
L’altro
leggere.
prende
il pacco
e rassicura
la donna:
Il bambino
lo guarda
con
ammirazione.
di simpatia,
Jacopo
poi riprende
a
«Luca sta bene. Si è messo pure a studiare».
La donna dice: «Però dovrebbe smetterla di anda-
stacco
re a trovare Lucia al convento, gli crea solo confusione».
7. Un
Jacopo risponde: «Vedrai che smetterà. Questo si
vestito,
risolverà da solo. Le cose andranno come devono
calore nel suo ufficio Luca. È un costruttore,
andare»,
amico di famiglia.
uomo
sui
dinamico
quaranta
anni
e ben
nutrito,
elegantemente
accoglie
con
Jacopo saluta e se ne va.
L’uomo
La signora si rivolge al vecchio e gli chiede con
dice: «Ah vieni, vienî. Allora, sei andato avanti
premura se ha finito la sua colazione. Il vecchio
con quel progetto?»
che
evidentemente
lo stava
aspettando
Luca invece evade la domanda, apre la gabbia che è piena di piccoli uccelli molto graziosi, e con
stacco
passione
9. Un
fornisce
dettagliate
spiegazioni
sui
colibrì.
ristorante
di lusso
nel
centro
storico
nella zona del Pantheon. È un locale di vecchio
il
stampo, mancano i soliti rumori da ristorante. I
pappagallo che sta in un angolo ammutolito e che
Il costruttore,
clienti sembrano di un’altra epoca. Qualcuno sta
gli
leggendo un libro, mentre mangia senza interes-
ha
cerca
spazientito
regalato
qualche
di riportare
programma prietà
tempo
a Luca
addietro.
Poi
il discorso sul loro comune
di sfruttare
della
ricorda
Tutti i clienti hanno
un
aspetto indefinibile ma che nello stesso tempo li
il
il giovane
gli
Jacopo sta per finire il suo pranzo. È seduto a un
aveva proposto. Con entusiasmo gli dice: «Lo sai
tavolo nel centro della sala, e sembra godere il
che avevi ragione. Devi darti da fare — altro che
suo isolamento voluto. È servito da diversi came-
che
di Luca
se i suoi bocconcini.
di pro-
e realizzare
progetto
famiglia
alcuni terreni
da diverso
tempo
unisce. C'è un’atmosfera distesa e protetta.
supermarket come pensavo io. Là è proprio ora di
rieri che lo trattano come un cliente di rilievo.
costruire
Jacopo con mite disprezzo rifiuta i dolci, frutti
un centro
multiplo.
Ci sono
pure
le
sovvenzioni dalla regione — fini culturali caro
e amari
mio. Non perdere tempo con i tuoi giochetti.
conto.
vuoi
capire
che hai un
futuro
davanti,
Lo
gli vengono
proposti
e chiede
il
te lo
garantisco io. Ma tu devi lavorare però». Luca è imbarazzato
che
stacco
da questa predica grottesca
che già altre volte ha respinto, ma dato che gli
10. Casa Luca — interno — giorno.
servono
soldi
Nel tardo pomeriggio Luca sta dormendo, abbrac-
anticipo
una
non
indugia
a chiedergli
considerevole
un gesto paternalistico
somma.
come
L’altro
che nasconde
con
Luca
costruttore,
esce,
la pelliccia.
Jacopo è seduto
accanto
e
osserva impassibile Luca. Il giovane si sveglia e
agita.
scende
fissa la sedia dove sedeva l’altro — è vuota. Luca
dio, gli fa un assegno. Mentre
ciando
il fasti-
il pappagallo
agitandosi
anche
si
lui,
con
Il
gesto
nella
chiesa.
Jacopo
lo osserva
da un
angolo buio. Luca vaga tra oggetti e gabbie con
isterico lancia una matita contro il pappagallo.
distacco.
Poi schiaccia un pulsante. Risponde la segreta-
D’un tratto afferra
ria
andando incontro con festosità e lo rinchiude in
alla
quale
dice
con
stanchezza:
«Vieni
a
il cagnolino
che gli stava
riprendere *’sto pappagallo!».
una gabbia.
stacco
stacco
8. Qualche ora dopo — Sala asta — interno.
11. È sera.
Un’asta di pellicce al Monte di Pietà. È piena di
Luca
gente e di mercanti.
magra cena. Mangia senza appetito e senza gusto.
È in corso la vendita di un
a una
tavola
calda,
sta consumando
una
visone di valore, quando entra Luca con la sua gab-
Siede assente tra la gente che affolla il locale e
bia di uccelletti. La pelliccia viene acquistata da
non vede neanche
un’anziana signora ricoperta di preziosi gioielli.
entra con un uomo degenerato che veste con esa-
Il banditore annuncia adesso una pelliccia di lupo
gerata eleganza. La danna si sente imbarazzata e
e fornisce con molta retorica dati sulla sua prove-
frustrata per non poter avvicinare Luca.
Adele, la donna del cane, che
nienza. Luca lascia cadere la gabbia ai suoi piedi mentre si sente la prima offerta. Luca raddoppia
stacco
la cifra e ammutolisce la sala. Il banditore cerca di guadagnare
tempo, ma ritrovandosi
davanti il
12. È notte.
volto deciso di Luca, di fretta pone fine al ceri-
Luca vaga per la città, passa tra la gente e attra-
moniale e dice: «Consegnata al signore».
versa strade in uno stato di assenza. Non sa dove
Ma la pelliccia gli è quasi strappata dalle mani
va ma è trascinato da una strana inquietudine.
da Luca che lascia i soldi sul banco. Mentre esce corsa, seguito dagli sguardi della gente,
Un gatto, disteso tranquillo su una macchina, al
di
passaggio di Luca è come se si sentisse braccato,
i
miagola
colibrì che avvolgono la sala con l’intreccio di
attacco.
voli e cinguettii.
Luca
dalla
gabbia
dimenticata
si liberano
tutti
con
ferocia
lo guarda.
e assume
una
posizione
Il gatto lo aggredisce
di
aggrap-
[4 LUPI MANNARI
pandosi al collo. Luca spaventato si difende con
sfera
pesante
l’istintività
entra
una
di un cane.
C’è una
lotta ango-
del
convento.
novizia
molto
Dopo
bella
un
con
istante
lo sguardo
sciante per tutti e due. Infine il gatto, con un
timido. La porta si chiude alle sue spalle. È suor
salto molto rapido, scappa. Anche Luca scappa e
Lucia. Luca
si contorce in gesti di fastidio.
si precipita
con
grande
gioia
verso
la
sorella, ma si blocca quando vede che lei è presa da tremore. Poi le si avvicina e tenta un abbrac-
stacco
cio, quasi per rassicurarla. Suor Lucia, impauri13. Luca arriva sul Tevere e riprende fiato. Si
ta, sviene.
ritrova.
Di colpo
Su
un
ponte
gesticola
un
po’ spaventando
la
gesto
rientra
deciso
la madre
superiora
e autoritario
e con
accompagna
un
Luca
gente. Poi scende sulla banchina e si siede dove
all’uscita.
era sparito il suo cagnolino. Una schiera di ran-
Attraversando il giardino incontrano un gruppo
dagi correndo in silenzio e quasi in fila india-
di preti e monache africani. La madre superiore
na, viene giù dalla scala e passa alle spalle di
dimentica subito Luca e si dedica ai nuovi venu-
Luca. L’ultimo della fila si stacca e va ad annu-
ti che la salutano con grandi sorrisi.
Luca rimane sbalordito a guardare e non reagisce
sare il giovane. Si sentono
le grida
di un
uomo
e una
donna
mescolati al grugnire selvatico dei cani. Luca,
gesto caloroso di uno dei preti. Molto preoccupato si allontana
agitato, si alza e va sotto il ponte dove avviene n
l’incidente. I cani scappano
dietro un improv-
stacco
viso ululato di Luca. La coppia che mostra delle ferite per un attimo si rassicura, ma con l’av-
16. Luca è seduto su una panchina al Gianicolo e
vicinarsi
guarda verso il convento in uno stato di passivi-
dei
due
del passo pesante di Luca, sul volto si
Rimangono | lo TORNES STAVROS
forma
una
pietrificati
smorfia
di
quando
Luca
terrore. con
lo
slancio di un animale si allontana nella dire-
tà. Alle sue spalle, a breve distanza, due o tre ufficiali
caricano
un
cannone.
Un
dalla forza dello sparo, si riscuote
zione dei cani.
orologio
segna le 12. Il cannone esplode. Luca, investito dalla
sua
preoccupazione. stacco stacco
14. Casa Luca — interno — mattina. È l’alba. Luca fa colazione con molto godimento.
17. Esterno giorno — campagna.
Beve quattro o cinque uova.
Un
Mangia
del pane di
campagna. E in continuazione strappa ampie sorsate
da una
Jacopo
bottiglia
osserva
con
Luca e gli versa
un
piena
di latte
approvazione cucchiaio
genuino.
l’appetito
di sciroppo
di nel
cascinale
abbandonato,
di proprietà
della
madre di Luca, con un’aia davanti e un porcile sulla
sinistra.
La terra
intorno
verso le colline inselvaggita. una
montagna
alta
e nuda.
è incolta
e
Più in sù domina
Un sentiero
arriva
latte. Luca beve. Poi stirandosi con molta soddi -
quasi sino al cascinale. Di là si vede anche una
sfazione
parte del villaggio della madre di Luca.
si alza e si prepara
gliandosi
Prende
in
maniera
dal suo vecchio
con
raffinata
vestito
cura, ed
abbi-
elegante.
del denaro,
ed
Il costruttore si aggira con una macchina fotografica attorno al cascinale. Da varie posizioni
esce.
scatta delle foto.
stacco
volte di forzarla. La porta resiste. Improvvisa-
Attirato dalla porta del cascinale, tenta varie mente il costruttore si ferma, gli sembra di sen-
15. Luca entra in un monastero che si trova sul
tire uno strano rumore, che è una musica. Guarda
Gianicolo. Dà una mancia a un giardiniere che lo
intorno ai campi, ma non vede niente, mentre la
introduce in una sala d’attesa. Arriva una vec-
musica
chia monaca, la madre superiora. Saluta Luca e
costruttore si avvia di fretta verso la sua mac-
accetta dei soldi che lui le offre in beneficenza.
china
Poi sparisce da una porta.
tutta velocità verso il villaggio.
Luca
rimane
in piedi.
Dall’esterno
voci molto gioiose che contrastano
e diventa
quasi per prendere da)
si sentono
con l’atmo-
si avvicina
stacco
più insistente.
coraggio
Il
e parte con
18. Paese — interno giorno. Nell’emporio cerimonia
cate
particolare.
delle
Il prete con tono inquisitorio, persuaso da vero
della madre
ghirlande
di Luca si svolge una
Dappertutto
festose.
sono attac-
Da un
angolo
un
interessamento «Questo
Luca
e quasi
parlando
si fa sempre
più
tra
sé, dice:
desiderare,
eh
signora?»
Juke-box suona a tutto volume una musica rock.
«Ma ci sarà di mezzo qualche donna, si sà come
Quasi tutti gli abitanti del villaggio sono pre-
vanno le cose a Roma» — replica il giovane sinda-
senti, dai piccoli sino all’età media, ma si avver-
co del paese, mentre offre un bicchiere di spu-
te
mancanza
la
di
sono
quanti
Tutti
vecchi.
mante al costruttore.
vestiti in un modo lussuoso e all’ultima moda che
«Perché, qui al paese non ci sono le donne?»
contrasta
aggiunge il farmacista, avvicinandosi. La madre
con i loro volti. Malgrado
il caldo,
—
alcune donne portano la pelliccia. Solo la signo-
di Luca
ra Lisa è vestita in modo classico e semplice, e
«Lasciamole
per questo si fa notare. Nel centro dell’emporio
la sua sedia, seguita dal sindaco, dal farmacista
grande tavola
c’è una
a forma p greca piena di
Luca
gente
ormai,
seduta
tavola.
della
all’esterno
All’interno c’è una piccola tavola dove ci sono
quasi
in difesa
del figlio:
perdere le donne!» e andando
verso
e dal prete aggiunge: «A me sarebbe piaciuto che
dolci tipo panettone e bottiglie di spumante. La
è
interviene
si fosse
trovato
le donne
sono
una
brava
tutte
ragazza...
stranite
ma
qui e in
città... Non sono come una volta».
esposti dei doni, elettrodomestici tipo mixer.
Il costruttore rimane indietro, isolato e indeci-
C’è un’atmosfera frustrata — nessuno beve, nes-
so. Alcuni adolescenti si aggirano attorno a lui.
suno mangia, qualcuno tenta di ballare. Gli ado-
I loro
lescenti
si esibiscono
qualcuno manca il naso, a un altro l’orecchio di
attirare
l’attenzione
con
ballo
della
siede un po’ distaccata
rumoroso
signora
per
Lisa
che
accanto alle persone di
volti
sono
segnati
da strane
ferite.
A
sinistra, uno ha il mento storto. Il costruttore sente un disagio e con il loro avvi-
cinarsi, si avvia istintivamente verso la porta.
rilievo del paese.
Con l’arrivo di Jacopo tutti applaudono. Jacopo
In quel momento la porta si apre improvvisamen-
molto
te e il costruttore si trova di fronte a tre perso-
serio
fa un
segno
che
la cerimonia
può
cominciare e va a sedere accanto alla signora.
Un piccolo mostrando
corteo
si muove
attorno
ne con in braccio degli strumenti
al tavolo,
una fotografia incorniciata
con due
musicali non
comuni. Il loro aspetto solenne appartiene a un
altro
mondo.
Il
costruttore
intanto
sembra
sposi. La posano sul piccolo tavolo dei doni. Gli
ricordare
la musica che aveva sentito prima di
adolescenti
arrivare
all’emporio
gli sposi»
esplodono
—
con
e aprono
Improvvisamente
Tutti guardano
cade
con
grida
gioiose:
bottiglie un
«Viva
di spumante.
silenzio
di
grande tensione
attesa.
la signora
e
con
sollievo
fa
un
applauso per i musicisti, dicendo:
«Bravi! bravi!» E, avendo ritrovato il suo atteggiamento
da
personaggio
ben
piazzato
torna
si reca
indietro per lasciare il suo dono sotto la foto-
verso la fotografia per portare il suo dono — un
grafia (un bel malloppo di danaro), saluta tutti
capretto.
e se ne va.
Lisa
che si alza e, seguita
da Jacopo,
Il prete, quasi per impedire un rituale, occultato
interviene
bruscamente
con
un
discorso
stacco
sociale. Parla dei compatrioti emigrati, onesti lavoratori, che non dimenticano le loro radici.
19. Tardo pomeriggio a Roma.
ritorna,
Luca angosciato si reca alla stamperia dell’ami-
il prete si avvicina alla fotografia incornicia-
co fotografo Andrea. Andrea è molto contento di
ta e dà la sua benedizione.
vederlo.
Jacopo
fotografie
Mentre
l’atmosfera
si dilegua.
festosa e rumorosa
Sulla porta
il costruttore,
Interrompe per
il suo lavoro,
il libro
sono
dice che le
a buon
punto
e
appena entrato, sta guardando con un’aria sbi-
riescono bene. Gliene mostra qualcuna e poi gli
gottita.
Con
chiede se lui ha preparato qualche didascalia.
riscuote
e si avvicina
circondata
l’allontanamento
di
alla signora
da adolescenti.
Cerca
Jacopo
si
Lisa che è
di parlarle.
Dice che è venuto per la questione dei terreni. La signora
Lisa è sfuggente.
Dice che Luca non
ha
Luca risponde che non ha avuto il tempo e poi in questi ultimi
volto c’è tensione. Andrea lo guarda con simpa-
potuto venire e che per questo non è disposta a
tia
firmare
venire
il contratto
di vendita
—
importante che sia presente suo figlio.
per
lei
è
giorni non si sente molto bene —
non dorme la notte, la notte lo esaurisce. Sul suo preoccupata. con
Improvvisamente
lui per fare un
fretta ed esce con Luca.
lo invita
giro. Si cambia
a di
| LUPI MANNARI
magnetica
stacco
si riflette
sul volto della
ragazza.
Lentamente, seguendo il ritmo, Luca e la ragazza,
20. Adele, la donna del cane, davanti alla casa di
avvicinandosi
Luca passeggia con il suo cane guarito. Mentre si
accoccolano
avvicina
piedi della gente, che non
alla
porta
della
Jacopo che esce con una
chiesa
sconsacrata,
certa fretta
— la sor-
prende. Si guardano per un attimo, poi si allon-
con
crescente
per terra,
eccitazione,
e si annodano
quasi
bada neppure
si ai
a quel
loro tentativo di amore.
Il desiderio di Luca però, va al di là di un normale rapporto d’amore. Il suo volto è trasforma-
tanano tutti e due.
to da questo desiderio, infatti comincia a coprire di piccoli
Stacco
morsi,
il corpo
della
ragazza
la
quale si eccita di più. Il ballo prosegue
in un
21. Sera.
ritmo
segue
In una grande piazza, è in corso una festa.
tutto. La feste procede con altre rappresentazio-
incalzante,
Jacopo
da
un
angolo
A un tavolo Luca con gli amici di Andrea consu-
ni. D’un tratto un grido violento rompe l’incan-
mano
to e la frenesia della folla.
con
molta
voracità,
bevande
e cibi vari.
Attorno imperversa l’esibizione di poeti e clown.
Luca stringendo
Una delle ragazze,
della
amica di Andrea, mostra un
certo interesse per Luca, il quale è compiaciuto.
Preso
dall’atmosfera
mente
al suo carattere
festosa,
Luca
introverso,
ragazza,
in maniera
la sta
animalesca
ferocemente
il corpo
mordendo
al
collo e al seno. Si sentono altre grida, di donne
contraria-
isteriche — Si crea il panico generale. Un altopar-
pare
lante
molto
invita
la folla
a non
perdere
la calma.
gioviale e ha improvvise esplosioni di riso.
Jacopo da una certa distanza
La gente si affolla attorno a un complesso che fa
preoccupato. È lui, che stacca le luci nel momento
musica moderna. La folla si scatena in un ballo
giusto. Si sentono degli spari. Luca scappa. È notte.
segue Luca. Sembra
frenetico.
Luca, preso da entusiasmo, si trascina dietro la
stacco
ragazza e si fa largo tra la folla. Vl TORNES STAVROS
La piazza freme nella danza collettiva. Il volto
22. Interno — notte.
di Luca fissa la ragazza con sguardo sensuale e
Al paese, la signora Lisa sta per chiudere l’emporio.
eccitato,
Le passa davanti come un fulmine la figura fanta-
quasi
la ipnotizza;
una
forza
Una scena di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
quasi
smatica del vecchio, il quale, quasi rivolto a dei
tosa che invoca
nemici immaginari dice: «Non riuscirete a fregarmi,
Chiama più volte e ogni volta il suono si prolun-
la roba è mia eh». Poi sparisce sù per le scale.
ga come un ululato.
La donna,
dargli peso, va ansiosa
di donna:
«Lucia!...».
nello
È Luca che chiama la sorella rivolto al vicino con-
sgabuzzino e da una cassetta tira fuori la foto-
vento. Qualcuno, con aria quasi offesa, si volta a
grafia
senza
un nome
di Luca, contornata
signora,
con
gesti rapidi
da lunghi
e sacrali,
peli.
osserva
La
guardarlo con smorfia minacciosa. Ma il volto ormai
e
trasformato di Luca impaurisce tutti. Si stringono
accarezza il ritratto.
tra di loro come per prepararsi ad affrontare un
Il giovane diciottenne, che già altre volte aveva
pericoloso attacco di un animale feroce.
tentato
Luca chiama ancora: «Lucia!...»
di possederla,
sempre
in balia
del suo
desiderio, blocca l’ingresso dello sgabuzzino. La
La gente a poco a poco si dilegua nella notte.
signora depone nel cassetto il feticcio del figlio
e va verso il giovane. Lui l’abbraccia e lei smar-
rita, si lascia
abbracciare,
poi lentamente
stacco
lo
stringe asee con furia selvaggia gli strappa con
24. Luca vaga di notte per la città. Su un ponte
un morso un orecchio.
del Tevere (Ponte Sisto) spaventa delle persone
Il giovane, gridando ferocemente, scappa tenen-
con grida e gesti aggressivi. Aggredisce un grup-
dosi una mano sulla ferita.
po di giovani turisti. Si crea tra loro una con-
fusione, qualcuno chiama la polizia. stacco
Accorre qualche curioso.
D’un
tratto,
23. Interno — notte.
loro,
cerca
Sul muro del Gianicolo, alcuni uomini dai volti
ubriaco.
molto tesi, chiamano i loro amici o parenti che
E lo trascina via.
Jacopo
di far
interviene,
capire
che
scusandosi
il suo
amico
co
n
è
sono nel carcere sottostante. Il richiamo avviene
prolungando
Qualcuno
il
trasmette
suono anche
finale
del
dei messaggi.
nome.
stacco
I nomi
chiamati sono tutti maschili.
25. Interno — convento notte.
All’improvviso si sente una voce acuta e lamen-
Suor Lucia nella sua cella non riesce a dormire. È
Màrios Karamànis in Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
INS LUPI MANNARI
inquieta. C'è un silenzio pesante. Si sente solo il suo
madre di Luca. Guarda attentamente attorno a sé,
respiro irregolare e agitato e ogni tanto uno scric-
senza però toccare niente.
chiolio del letto. Suor Lucia si alza dal suo letto e
Il cagnolino appena comprato, abbaia ferocemen-
si aggira, guardando i libri senza voler toccarli. Di
te dalla sua gabbia. La madre di Luca si avvia su
nuovo si sdraia e chiude la luce. Rimane un attimo a
per le scale che portano alla stanza di Luca.
guardare il soffitto nella penombra, poi pian piano
Rimanendo
si alza e senza fare rumore, tira una sedia sotto la
letto di Luca, coperto dalla pelliccia acquista-
sulla porta guarda per un attimo il
ta all’asta. Poi emozionata si distacca da questa
finestra, sale sù e rimane a guardare fuori.
visione e con rapidità scende e se ne va. stacco
stacco
26. casa di Luca — interno notte. Luca esasperato nella sua stanza sta camminan-
28. Porta Portese — esterno.
do
Il cane trascina Adele attraverso il mercato di
attorno
al suo
tavolo
coperto
di libri
di
studi. Sembra che si è calmato un po’, ma sul suo
Porta
volto si vedono ancora le tracce delle esplosioni
ferma e comincia ad abbaiare in direzione di una
emotive su ponte Sisto. Jacopo sta immobile sulla
lunga fila di gabbie ripiene di animali di vario
pieno
di gente.
D’improvviso
si
porta e lo osserva con distacco. Ogni tanto Luca
genere.
prende un libro dal tavolo e lo sfoglia con mani
Adele così scopre Luca che sta osservando atten-
agitate e rapide come cercando una cosa precisa,
tamente
poi lo chiude con disgusto. Tocca leggermente il
Adele
un
coniglio
sembra
rigirandolo
commossa
tra
di vederlo,
le mani.
si avvicina
suo volto mormorando: «Non capisco».
decisa e con un leggero tocco su una spalla lo
Quando Jacopo gli dice: «Dormi», rimane immobi-
saluta.
le e lo guarda come un fantoma. Improvvisamente di |STAVROS TORNES
Portese
sembra
Luca è stupito, mentre
riconoscerlo.
Lo avvi-
Adele lo sommerge
cina con speranza e prendendolo per le braccia
cose
gli dice: «Jacopo! Dimmi tu..»
Luca non attacca discorso.
Jacopo
con
libera
dalle
calma
superiore
mani
e ben calcolato
di Luca, senza
si
rispondere
e
in un
fiume di parole piene di entusiasmo e tra le altre confessa
di averlo
cercato
diverse
volte.
Adele si gira verso il suo cane e incomincia a far notare a Luca che è guarito, e gli dichiara la sua
senza muoversi.
gratitudine. Jacopo cammina tra la folla facen-
Luca lascia cadere le sue mani e si rimette in moto
dosi largo anche con qualche dignitosa spallata.
attorno al tavolo, mormorando: «Devo spiegarmi».
Ha in mano
Su un foglio bianco disegna alcune figure geome-
Adele. Con decisione si avvicina.
dei pacchi.
Scorge
triche senza finirle. Poi di nuovo si avvicina a
Luca si volta a guardarlo
Jacopo,
sfugge
ma
vedendo
che
questo
fa una
leggera
mossa indietro, si ferma a distanza e dice: «Non mi
il coniglio
luci
insieme
ad
e dalle sue mani gli
che scappa
tra la gente.
Il
cane immediatamente lo insegue abbaiando. Adele
sento più, Jacopo... c’è questo vuoto... sta dapper-
preoccupata, chiama il suo cane. Adele si rivolge
tutto, come un’invasione
verso
nel mio corpo... qua...
Luca per chiedergli
di intervenire
qua... ma soprattutto qua...». E si tocca tutto il
quasi vergognandosi,
corpo,
fronte il volto ostile e severo di Jacopo.
finendo
sullo stomaco.
Jacopo con un’e-
Luca
si dilegua, ma si trova di
spressione contemplativa da filosofo risponde:
«Questo può essere anche un bene. Più c’è vuoto,
stacco
più c’è disponibilità... comunque, hai mangiato?». Luca, che stava ancora con le mani sullo stoma-
29, Luca si allontana a passo veloce dal mercato.
co, le congiunge
Alle sue spalle il costruttore lo segue in mac-
con disperazione e si siede sul
letto. «Sì, ho mangiato».
china.
«Allora domi, adesso ti preparo qualcosa che ti farà
Lo chiama due o tre volte e quando vede che Luca
bene», dice Jacopo allontanandosi nel corridoio.
non lo sente e neppure si accorge della sua pre-
stacco
Scende
senza,
a una svolta gli taglia la strada.
dall’auto
annuncia
e con
che l’affare
una
voce
di trionfo
è quasi fatto, basta
che
si aggira
sia disponibile a' mettere la firma. Per suor Lucia ci penserà luîl
una figura di una donna. È la signora Lisa, la
Luca con un grido animalesco gli dà una spinta
27. Interno— mattina — Roma. All’interno
della chiesa
sconsacrata
violenta
e si allontana. Il costruttore, quasi cadendo sul cofano della macchina, è sbigottito
gli occhi di Luca non sono rivolti allo schermo
in una smorfia bambinesca.
ne e gli prende una mano. Luca risponde al gesto
ma sono fissi al pavimento. È presa da compassio-
di Adele con una carezza automatica, senza nepstacco
pure voltarsi. Adele, incoraggiata, lo abbraccia
30. Interno — giorno.
Adele, in una atmosfera di assoluta finzione, lo
e lo bacia sulla bocca. Luca è in stato di ipnosi.
Nella sala d’attesa al convento
suor Lucia sta
prende per mano e lo conduce fuori dal cinema.
parlando con sua madre, signora Lisa. Non è più una novizia timida, e di fronte alla sua madre si
stacco
presenta come una donna che ha saputo decidere
per se stessa.
di andare
ha deciso
Difatti,
in
Africa come missionaria.
32. La ragazza trascina Luca attraverso un vico-
lo del centro storico dalla parte del Tevere.
Sua madre dice che non sarà certo lei ad impedi-
Li vediamo entrare in un vecchio elegante palaz-
re una vocazione autentica, comunque
zo, con un ampio giardino e un cortile spazioso
non capi-
sce perché deve andare così lontana.
con antiche statue e alberi secolari.
La discussione tra le due donne è interrotta dal-
Nello spazio interno del palazzo deserto, Luca e
l’improvvisa apparizione di Luca, il quale rima-
Adele si avviano su per le scale maestose.
ne immobile sulla porta. La signora Lisa, dimen-
Quando
ticando sua figlia e l’ambiente dove si trova, si
vecchi quadri, Adele apre una porta.
precipita
Entrano.
verso
suo
figlio.
Lo
abbraccia
con
sono su un ampio corridoio
arredato
di
(N)
eccessivo calore e lo intimidisce senza volerlo.
Dentro
Poi lo trascina verso l’angolo dove stava seduta
miscuglio di oggetti ereditati e oggetti moderni.
con
suor
Lucia
e annuncia
la decisione
della
l’ambiente
è molto
accogliente.
C’e un
Luca ha un attimo di esitazione, ma dietro l’in-
sorella di lasciare l’Italia per fare la missio-
vito
naria,
anche se con fare un po’ brusco e maldestro.
e domanda a Luca di dire la sua opinione.
premuroso
di Adele
si siede
su un
divano |LUPI MANNARI n
Luca non riesce ad alzare la testa né a guardare
Adele prepara senza perdere tempo, uno spuntino
sua sorella. È molto docile verso la madre e dice
e nel frattempo apre una bottiglia di vino buono.
solo alcune volte:
Poi Adele si aggira per casa indaffarata.
«Sì mamma»,
Luca si alza lentamente e va verso una finestra
Lucia, infastidita nel vedere il fratello così ridot-
come dietro a un richiamo.
to, reagisce con una certa violenza verso la madre,
Luca ha bisogno di aria, va a spalancare la finestra e incomincia a dare particolari spiegazioni
esigendo la sua parte ereditaria delle terre.
La signora
Lisa, con
irritazione
Adele, pensando che
le chiede
la
sulle origini e sulla storia della casa e della
ragione, anche se deve ammettere che si tratta di
sua
un diritto legittimo.
fuori
Poi aggiunge
Tevere. Intanto, tra una cosa e l’altra, Adele ha
con
disprezzo
che i santi
di una
famiglia.
Ma
lo sguardo
nel panorama,
dove
Lucia risponde che questa sua parte è destinata
Adele
per
siede accanto a Luca, versa del vino nei due bic-
il Fondo
alzandosi,
contro
ritrova
la
il suo
fame
del
aspetto
mondo. ascetico
Poi, da
un
Luca
bel piatto
si siede
il
già apparecchiato
con
tavola.
si perde
silenzioso
volta non erano così attaccati ai beni terrestri.
arriva
una
di Luca
scorre
di arrosto.
e
Si
chieri e invita Luca al brindisi.
monaca e s'inchina per ritirarsi.
Luca è apatico, sembra timido. Adele, quasi per
A quel punto Luca si alza bruscamente ed esce di
vincere l’imbarazzo di Luca lo guarda e incomin-
corsa.
cia a mangiare di buon gusto. Luca la imita. Adele mangia e beve con molto piacere e Luca si sente
stacco
quasi obbligato a seguirla in questo edonismo.
31 È sera.
tenera passione, gli tocca una mano. Luca abbas-
Adele entra in un cinema del centro. Si proietta
sando lo sguardo sulla carezza di Adele, vede che
un vecchio film sentimentale.
le unghie
D’un tratto il suo sguardo cade su Luca che siede
mente
in prima fila e visto di spalle, sembra che stia
crescita. Luca è spaventato. Sottrae la mano alla
guardando con molta attenzione il film.
carezza di Adele, e si alza, dirigendosi verso la
Adele va a sedersi accanto a lui e allora nota che
finestra. Adele pensa che deve essere lei a deci-
D’un tratto
Adele guardandolo
delle
allungate
proprie
mani
e sembrano
negli occhi con
sono ancora
incredibilin fase
di
Frangois Stefànou in Danilo Treles, 1985
SD |STAVROS TORNES
dere a prendere l’iniziativa, gli va vicino e lo
La ragazza lo affronta con disprezzo e disgusto,
abbraccia.
e incomincia a frustarlo con violenza.
Quando Luca si volta le sue guance sembrano oscu-
Luca si muove
rate da un miscuglio di sudore e di leggera barba.
sul tavolo e cade. Adele, con un ghigno feroce gli
maldestro
per la casa, inciampa
Adele immagina che Luca sia eccitato, allora gli
va addosso e tenta di violentarlo.
toglie la giacca, lo accarezza, lo abbraccia tra-
sforzo
scinandolo
scappa dal balcone.
sul divano.
passivamente.
Luca
sembra
rispondere
Adele senza indugiare, si prepara
ormai a possederlo. In quell’istante
sta attraversando
con
un
mugolare
selvatico
Scivolando
i muri,
appare
sul balcone
lamentevole.
giardino
appare
attaccato
viene
da Adele che è presa
ed emettendo
ululati
nel
di
giardino
e
quanto è accaduto e chiama: «Luca», quasi con un sussurro
ma
e
ad
andare
finestra,
Luca, con uno
a liberarsi
lungo le piante
il cielo, precipita
Adele e seguendo il tragitto della luna cerca di
alla
infine
contorto come un animale lo attraversa. Adele
si sottrae
verso
riesce
lo
spazio rettangolare della finestra. Luca
che adornano gioia
la luna
disperato,
prontamente
da un desiderio
la
e sembra
Da
un
figura
confusa
angolo
buio
impenetrabile
per del di
Jacopo che fissa Adele.
irrefrenabile e selvaggio. Luca
per
riafferrare
l’immagine
della
luna
si
stacco
sposta a una altra finestra, cercando inutilmente di allontanare
Adele
che è aggrappata
e lo
33. È notte.
maledice. Adele si sente offesa e con autoritari-
Luca vaga per la città. Il suo corpo, nel cammi-
smo
Luca,
nare è molto irrigidito, il capo curvo, le braccia
facendogli capire che lei è la padrona. E dicendo:
e le mani contorte. Gesticola in maniera incon-
fuori
di sé insulta
sfacciatamente
«Adesso t’insegno io, il tuo posto, vai a prendere
trollata.
una frusta», e strappa la frusta da un angolo.
abbaiare di cani in allarme.
Luca, con il volto completamente lunga
barba,
diventate
i capelli
pelose,
ricoperto
elettrizzati
le unghie
lunghe,
giunge
un
insistente
di
e le mani
con
Da più parti
stacco
occhi
ardenti e ululando ferocemente, si scaglia con-
34. Luca percorre ùn vicolo. Si ferma un attimo e
tro Adele.
stirandosi, lancia &1 cielo un potente ululato.
All’improvviso
un cane gli piomba addosso, abbaiando ferocemente. Luca se ne libera prendendolo per il collo e lo getta contro un muro.
un artiglio gli blocca il passaggio, l’altro allo-
Luca si lecca la mano, soddisfatto.
lo insegue con grugniti rabbiosi. Il costruttore
Luca con un salto piomba davanti all’uomo e con
ra imbocca la scala che porta in soffitta. Luca con
una
rapidità
insospettata,
spalanca
una
stacco
porticina ed esce sul terrazzo, e da qui raggiun-
35. In un bar-pasticceria, il costruttore compra
spetta in un angolo.
ge il campanile della chiesa. Luca è già là e l’adei cioccolatini. Poi esce.
Il costruttore in un estremo tentativo di sfuggi-
Ma si blocca sulla porta, perché nella piazzetta davanti al locale, si sta svolgendo una furiosa e impressionante lotta, tra un branco di cani e un
re, si lancia da un’arcata del campanile verso il
uomo molto strano che quasi sembra un barbone.
nuamente, il nome di Luca, ma si rassicura quando
Il costruttore
impaurito,
fa un passo indietro
vuoto. Cade ai piedi di Jacopo che sta arrivando in quel momento.
L’uomo pronuncia sottovoce conti-
sente gli ululati di Luca che giungono dall’alto.
verso l’interno e rimane ad osservare la lotta.
Intanto si sente arrivare una guardia notturna
L’uomo, che è Luca non riconosciuto però dal
in bicicletta, che attacca cartoncini di control-
costruttore, strangola uno dei cani e mette in
lo alle saracinesche.
fuga gli altri. Ululando li insegue. Il costrut-
Jacopo con calma e in silenzio prende per i piedi
tore, che non riesce a rendersi conto di quel che
il costruttore e lo trascina dentro.
ha visto, terrorizzato, guardandosi attorno con circospezione,
si infila veloce nella sua mac-
stacco
Di
china e si allontana. 37. Roma — Tevere esterno — La mattina seguente.
stacco
La mattina dopo, il cadavere di Adele galleggia sulle acque del Tevere, tutto il suo corpo ha un di
aspetto di serenità e di bellezza. Il corpo tra-
aprire la porta dell’ingresso principale. Allora
36. Luca
scinato dalla corrente va alla deriva, sbanda e
fa ilgiro del cortile ed entra dalla porta poste-
va ad impigliarsi tra le erbacce.
riore
arriva
della
a casa.
chiesa
Cerca
inutilmente
sconsacrata.
L’ambiente
è
avvolto nell’oscurità, qualche piccola lampada
stacco
rotta qua e là, illumina le gabbie degli uccelli. Si sente un agitarsi degli animali che con l’en-
38. A1 convento — Interno giorno.
trata
Suor Lucia sta parlando con la madre superiora.
di Luca
ammutoliscono.
Da un angolo
la
C’e un clima di intimità. Lucia dice che ha com-
voce familiare del costruttore lo accoglie.
Luca non ci fa caso, ma con un mugolare sordo si
messo una grave colpa, la sua scelta del convento
aggira per la sala.
non è stata una vocazione di vita, non è avvenu-
Il costruttore, con grande allegria, parla ancora
ta liberamente. È stato per sfuggire a una segre-
del progetto edilizio che finalmente può partire.
ta paura
Intanto mostra un contratto e chiede a Luca di
strano comportamento del fratello verso di lei.
che ha avuto
fin da bambina
per lo
mettere la firma. Gli lancia un malloppo di dana-
Ora si sente smarrita, e vuole un consiglio.
ro. Poi agita in alto la scatola di cioccolatini.
Ma il suo sguardo si perde nel vuoto più assoluto
Luca non reagisce e continua a vagare per la casa.
della faccia della madre superiora.
Il costruttore gli rimprovera il suo assenteismo e
Nell’occhio di Lucia si accende improvvisamente
mentre già stappa una bottiglia di champagne, dice:
una luce demoniaca, che trasforma tutto il suo
«Luca, bisogna
volto e come parlando a se stessa dice:
brindare
al nostro
accordo,
le
«Devo fare qualcosa... devo salvarlo».
nostre costruzioni». Mentre pronuncia queste ultime parole, riconosce
con terrore nella persona di Luca, l’uomo che poco
stacco
prima, aveva strangolato un cane davanti al bar. Il tappo della bottiglia parte da solo.
39. Casa Luca — Interno.
i1 costruttore preso da panico lascia cadere la
In un angolo Luca è disteso su un letto coperto
bottiglia,
e si muove
cercando
di guadagnare
l’uscita. Lo champagne si perde per terra.
dalla pelliccia di lupo acquistata all’asta, ed è in uno
stato di trance.
Il suo sguardo
è molto
|S LUPI MANNARI
lontano.
Attorno al suo letto ci sono vari:fia-
41. Tramonto.
sconi che ovviamente non hanno avuto effetto su
Fuori
di lui. Jacopo sta preparando una strana bevan-
abbandonato
da. È molto attento e meticoloso nel misurare le
c’è uno strano raduno di una trentina di perso-
porzioni delle varie erbe.
ne. Sul ritmo ripetitivo e ossessivo di una fisar-
Ogni tanto mormora anche qualche formula. Scende
monica,
con un vassoio in mano nella chiesa sconsacrata.
creata
Jacopo imbastisce nuova
con molta
di proprietà
di un violino un’atmosfera
al cascinale
della madre
e di una
estatica:
di Luca,
zampogna, alcuni
si è
ballano,
la
altri si rotolano per terra, qualcuno gira attor-
ma sempre
no a se stesso e si allontana dal cascinale vagan-
preoccupazione
formula, un poco impazientito
al paese, sull’aia, davanti
con rispetto aspetta la reazione. Luca non dimo-
do per i campi. La musica cresce sempre di più.
stra nessun cambiamento.
Sul posto della festa arriva Jacopo con la pellic-
Jacopo s’inchina
frasi
e comincia
nell’orecchio
a mormorare
di Luca, in un
estremo di rianimarlo.
nelle
tentativo
Lo prende per le spalle e
cia di lupo. È accolto con molta festosità. I partecipanti e i musicisti lo circondano
e l’accom-
pagnano come omaggio sino alla porta del casci-
insistenza
nale. Jacopo, prima di entrare, si devia con un
negli occhi, come per ipnotizzarlo, ma la forza
passo da ladro di miele verso Il porcile e con un
magnetica
gesto
lo fa rialzare,
poi lo guarda
con
del suo potere segreto non ha nessun
generoso
che
fa parte
del
rituale
della
festa, apre la porta. I festeggianti, senza perde-
effetto su Luca. Mantenendo sempre Luca per le spalle, lo sguardo
re tempo, s’infilano silenziosamente nel porcile.
di Jacopo
Segue un pandemonio di grugniti mescolati con le
rimane
sconfitto
lupo. .Improvvisamente,
con
sulla un
pelliccia gesto
di
abile
e
gride animalesche dei partecipanti. Alcuni porci
rapido, sottrae la pelliccia e fa sdraiare Luca di
scappano
nuovo. Piega la pelliccia e con sacrale passione
Jacopo con molta dignità sparisce nel cascinale.
fuori
e tentano
in vano
di fuggire.
bacia la mano di Luca. Poi lentamente esce dalla chiesa, e chiude la porta a chiave. Immediatamente, KS TORNES STAVROS
mentre
Jacopo
stacco
si allontana
dalla piazza, Andrea, l’amico di Luca, tenta di
32. Al paese — casa — sera.
fermarlo: «Signor Jacopo, signor Jacopo!».
La madre di Luca sta finendo di prepararsi per
Jacopo gli dà una spinta violenta e si allontana
andare ad una cerimonia. Dal negozio, che è sotto
rapidamente. Andrea, con decisione, entra nella
al
sua macchina.
mescolati con le grida lamentose del vecchio che
piano
terra,
giungono
rumori
di
sfascio
abbiamo visto altre volte in negozio.
La madre
stacco
di Luca,
impassibile,
scende
ed esce
sulla piazzetta davanti casa. Il vecchio intanto l0. Tardo pomeriggio — al paese.
nel negozio
Jacopo nell’emporio riferisce alla madre di Luca
dare fuoco a qualcosa.
degli avvenimenti di Roma. Sostiene che tutto deve
Fuori, la madre di Luca è accolta con molta vene-
essere rimandato. Con molta rabbia la madre di Luca
razione da un gruppo di adolescenti.
rimprovera
l’uomo:
«Non
doveva
accadere»,
e gli
molla una sberla violenta. E fuori di sé continua:
sta rompendo
tutto e incomincia
a
Sullo sfondo del negozio giungono i lamenti del vecchio e si vedono aumentare le fiamme.
«Lo sapevi che non c’è più tempo. Non posso aspet-
Gli adolescenti aiutano la signora a salire su un
tare!».
piccolo
Jacopo
cerca
di tranquillizzarla
senza
perdere la sua dignità.
carro
trainato
da sei lupi e formando
una corte si allontanano con passo lento e solen-
«Le cose andranno come devono andare. Non sono
he. Il negozio va in fiamme.
preoccupato». La signora le fa ricordare che qua
Il rumore
tutto è pronto. Non può essere rimandato niente.
zante della musica sull’aia.
del fuoco si mescola
al ritmo incal-
Con più calma, gli chiede le chiavi. Ci penserà lei a Luca. Jacopo umiliato
gli dà le chiavi e
stacco
vuole consegnare anche la pelliccia di lupo. Ma
la signora, con riconoscimento della sua funzio-
43. Sera — Paesé della madre di Luca.
ne, lo ordina
Andrea, appena arrivato, vaga nei vicoli del vil-
di tenerla e di dare inizio alla
cerimonia. Jacopo fiero e commosso, se ne va.
laggio della madre di Luca. Dappertutto, regna un silenzio
stacco
strano, come nei villaggi
abbandonati.
Da lontano arrivano onde della musica sull’aia.
Attraversando
un
improvvisamente porio.
Rimane
vicolo,
Andrea
si
davanti all’incendio
per
un
attimo
trova
dell’em-
pietrificato,
poi
di benedizione. un sacerdote
Accanto sta Jacopo in piedi con
che conosce tutti i segreti di una
enorme cerimonia.
preso da panico corre istintivamente nella direzione della musica.
stacco
stacco
45. Sull’aia l’orgia cresce. Il farmacista si sta bestialmente accoppiando con una ragazzina. Un
UL. La festa
estatica
continua
sotto
la luce
adolescente
all’espressione
sinistra della luna piena. Da un sentiero arriva
un feroce morso
la corte che trasporta la signora. D’un tratto la
scenti
musica
estasi si lascia fare.
smette.
I suonatori
s’inchinano
al pas-
lupesca
gli sferra
sul collo. Un gruppo di adole-
sta possedendo
il sindaco,
il quale
in
saggio della signora. Anche altri fanno gesti di
Tutt’intorno
venerazione, qualcuno spinge fino a sfiorare le
solita danza: qualcuno, per sfuggire ad insegui-
vesti,
menti di lupi mannari
quasi
per prendere
energia.
L’atmosfera
diventa sacrale.
alcune
persone
si agitano
nella
si rifugia su un albero.
Uno dei musicisti lascia il suo strumento e par-
I lupi vengono sciolti e si mescolano agli uomi-
tecipa all’orgia.
ni, mentre
in una
Andrea, che da lontano aveva creduto che si trat-
sala del cascinale dove è accolta da altri adole-
tasse di una festa del paese si nasconde dietro un
scenti i quali la conducono a una specie di alta-
cespuglio.
re e la fanno sedere sul trono. Fuori la musica
Non crede ai suoi occhi.
ricomincia.
la signora
Intanto
viene introdotta
arrivano
(Ca)
in fila discipli-
nata uomini e donne con in braccio degli anima-
stacco
li e dei bambini. La signora fa uno strano segno
|S LUPI MANNARI
di Preveza, 1985 Stélios Anastasiàdhis si lava, dopo il bagno nel fango per le riprese di Danilo Treles, nei dintorni
346. All’improvviso la festa orgiastica sull’aia
sulla
s’illumina
dalla propria impotenza lascia cadere la testa di
con i fari di una
macchina
che sta
bocca.
Improvvisamente,
arrivando — Tutto intorno sembra un quadro apo-
Luca sul letto e si allontana.
calittico.
viscerale incomincia
La macchina tre
si ferma con i fari accesi; escono
adolescenti
che
trascinandolo, gruppo
di
accompagnano
verso
giovani
Luca,
il cascinale.
partecipanti
Un
che
quasi
altro
stavano
intorno al farmacista si precipita da loro, accocon movimenti
Con un lamento
a girare attorno all’alta-
re, come per mantenere la sua forza vitale che la sta abbandonando. Il suo corpo si muove contorto
e spasmodico. Il suo lamento stridulo è in continuo
aumento.
Il suo
girare
intorno
all’altare
diventa frenetico. D’un tratto la donna si lancia
automatici,
completamente
Luca, lentamente gira la sua testa verso di lei,
assente non è in grado di sentire quello che acca-
ma
de attorno a lui.
appare
i suoi
Ad Andrea, alla vista, del suo amico Luca prende
che
invernale
e si
occhi
come
un colpo. Non trova la forza di chiamarlo,
veda
sono
se
stesso;
e desolato
rifugia terrorizzato nel cespuglio come un anima-
tranti
ed ardenti
figura
inafferrabile.
il gruppo
sta per arrivare
attratti
inchiodata
le braccato.
Mentre
colpita
contro il muro della grotta e rimane immobile.
gliendo Luca con eccitazione.
Luca
come
—
dalla
luna
sulla finestra.
correndo con
in
occhi
cerca
un
paesaggio
da lupo, pene-
di raggiungere
La sua
che
Sembra
angoscia
una
rimane
sulla porta, si fa avanti Jacopo, e con un gesto
sospesa. Nello stesso istante, come un’immagine
ieratico accoglie Luca coprendolo con la pelliccia
sovvrapposta, la madre muovendosi da sonnambu-
di lupo. Il suo intervento energico e severo ammu-
la si avvicina al suo amato figlio; si curva su di
tolisce tutti e li costringe di rimanere fermi, poi
lui e con un gesto che sembra un’ultima carezza
Jacopo con passo solenne introduce Luca all’inter-
lo soffoca.
no del cascinale.
Sull’ingresso vanno
a sedere i
lupi illuminati dalla luna piena, sono molto tran-
stacco
quilli, hanno quasi l’aspetto di sapienti. 49, Fuori, il ritmo della festa improvvisamente si 2 |STAVROS TORNES
interrompe. Tutto rimane immobile e silenzioso.
stacco
Sull’ingresso
del
cascinale
appare
la
figura
37. Jacopo fa entrare Luca in una specie di grot-
della madre di Luca. Non è più quella donna viva
ta illuminata
di prima — sembra una vecchia.
un finestrone.
dalla luce lunare che penetra da Su un letto acconciato
come
un
Con passo incerto si allontana, va sotto un albe-
altare, la madre di Luca è in estatica attesa. La
ro e si siede. Alcuni della sua stirpe si avvici-
madre con una voce commossa e passionale chiama
nano con tremore e si siedono anche loro, crean-
Luca:
do un cerchio ambiguo e distante.
«Luca, figlio mio, vieni. Ti ho tanto aspettato».
bassa
Jacopo,
sul letto,
Jacopo è inquieto. Rimane sulla porta con i lupi.
accanto alla madre si ritira. Esce come un’ombra
Non si muove più niente. La luna riappare da un
dopo aver
fatto
sedere
Luca
voce,
incomincia
un
La signora, a
lamento
funebre.
dal cascinale e rimane in piedi accanto accanto
cielo nuvoloso. Una strana figura di donna arri-
ai lupi. Osserva l’orgia con superiorità e sembra
va sull’aia. Con la rapidità e decisione di uno
in attesa di qualche avvenimento.
che
conosce
Nessuno
l’ambiente
si
reca
alla
porta.
s’accorge di lei. Solo Jacopo ha la cer-
stacco
tezza che questa immagine è reale. Il momento è
48. Nella grotta, la madre da un angolo con il
vorevole.
volto smarrito sta contemplando il corpo nudo e
strana
molto grave: una mossa sbagliata può essere sfa-
immobile contrasto
di suo figlio Luca, poi lentamente con la musica
esaltata
che arriva
Ma può essere anche favorevole.
figura
della
donna
Jacopo
Nella
riconosce
in
Lucia, e senza badare più alla madre di Luca, la
da
fa passare nel cascinale.
fuori, si curva su di lui e con tremore passionale lo bacia e lo copre di carezze. Luca non si muove. Non dà segni di riconoscerla.
stacco
I suoi occhi hanno
una strana luce che esclude il mondo esteriore.
50. Un uccello notturno dà il segno dell’alba. I
La madre, ossessionata, e con angoscia, alza con
lupi
le sue mani la testa di Luca e lo bacia a lungo
inquietudine. C’è un risveglio generale, I musi-
sulla
porta
cominciano
a muoversi
con
cisti, uno dopo l’altro ricominciano a suonare, come in un tentativo di allungare la notte. La madre, concentrando
le ultime sue forze chiede
Andrea, di corsa segue il branco di lupi, chiamando Luca. I lupi salgono
rapidamente
alla sua stirpe di preparare il rito funebre. Ma
viandosi
nessuno si muove per andare a prendere il corpo
primi raggi di sole.
verso
le
su una
montagne
dove
collina,
av
appaiono
i
di Luca. La donna da sola si alza e si reca alla porta.
Con
i lupi prendono
arrivo,
il suo
una
posizione di attacco, mostrano i denti e hanno i La donna, guardando
peli drizzati.
simpatia,
umile rimane
il suo
cerca
Jacopo
Improvvisamente
e duro.
distaccato
Jacopo con
aiuto, ma
un
forte ululato dall’interno del cascinale crea il
TITOLI
DI
CODA:
Vediamo
le immagini
di una
rivolta di animali nello zoo. I guardiani non riescono
a domarla.
Da varie
parti,
giunge
un
mugolare di altri animali che scappano in massa,
dal canile, dalle gabbie, dal mattatoio e invado-
no la città.
panico. Tutti si buttano per terra e nascondono
il volto. Solo la madre rimane in piedi, e confusa fissa la porta. Jacopo fa una mossa involonta-
Dattiloscritto inedito, conservato da Ciriaco Tiso, che
ria per scappare. Tutto è imprevedibile.
ne attribuisce a Charlotte van Gelder la stesura materie una
ale, a seguito di vari incontri a tre, caratterizzati da
gioia che non ha mai avuto. Il suo sguardo rapido capta tutto — il suo respiro è profondo e lungo.
vivaci discussioni tra Tornes e Tiso con rari interventi di Charlotte; sempre secondo Tiso, le scelte definitive di
La madre, con forza primordiale corre come una
questa versione sono da attribuirsi a Tornes, con limi-
furia
nel
cerca
di fermarla.
tate tracce dei suggerimenti di Tiso. Si riproduce il testo rispettandone le particolarità lessicali e correggendo solo gli evidenti errori di ortografia. Nel 1983 Stavros e Charlotte riproporranno il soggetto in Grecia, in una
Sulla
porta
appare
Luca,
cascinale,
con
una
sfuggendo
Da un
angolo
forza
a Jacopo
che
dell’ingresso
toglie una lampada a petrolio accesa e la scaglia contro Jacopo che la segue. sulla pelliccia in
versione di cui si è conservata una stesura molto più breve, pubblicata nell'edizione greca di questo volume.
una posizione di attesa, la guarda con disprezzo.
Vi rimane l’indicazione dei tre autori, il titolo diventa
Per
un
attiro
della grotta.
rimane
congelata
Lucia, distesa
sulla
soglia
La madre si precipita al letto e si butta su Lucia,
L, il protagonista si chiama Loukàs Matoùsis, sua sorel-
cercando
la Loukìa,
di strangolarla.
Lucia resiste con la
delle
fuori
come
mani
due uno
romana
si sposta
a
donne.
La madre,
trascinata
straccio
da Jacopo,
cade nelle
mali di Danilo Treles, nella loro imbalsamazione in
su di lei
Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, il cui protagonista si chiama Loukà.
Jacopo, dopo aver spento il fuoco (con l’aiuto di altri lupi mannari) interviene e pone fine alle
lotta
e l'ambientazione
Kastorià. Nemmeno in Grecia Tornes riuscirà a varare il progetto, di cui però troviamo l’impronta nei quattro lungometraggi realizzati: nel vampirismo di Balamòs, nel fantastico cupo di Karkaloù, nelle mutazioni ani-
stessa violenza.
dei lupi mannari
che piombano
come degli avvoltoi e la spranano.
| RI
Di |LUPI ! MANNA
Charlotte van Gelder e Stavros Tornes durante le riprese di Balamòs, Arcadia, 1982
La fine di un mestiere
Il tuo dono, Nikitaràs, è un cavallo senza coda: o mi mandi anche dell’orzo o ti mando la pellaccia
Tsopanàkos (poeta popolare), 1821 — Nelle antiche canzoni popolari, in quelle medievali, il cavallo è un’entità eterna e umanizzata. — Fedele ed eroico compagno di vita, è legato all’uomo da una coscienza trascendente e metafisica. — I morti lasciano qualcosa nel mondo dei vivi per mezzo della forma ingentilita del cavallo. — Questo legame quasi svanisce nei secoli della dominazione
turca. Ritorna con forza durante la
Rivoluzione del 1821, come simbolo del bisogno di una nuova vita.
— Abbiamo notizia di cavalieri, Thodhorìs Kolokotrònis e Gheòrghios Karaiskàkis, che sottrassero icavalli ai conquistatori, esprimendo la propria volontà individuale e quella della nazione. — Theòfilos ha saputo cogliere meglio di chiunque questo bisogno e lo ha espresso nei suoi dipinti. — Rapida
menzione
della
Resistenza,
i cavalieri
partigiani
dell’accampamento
in Tessaglia
di
Mîmis Tàsos (Boukouvàlas). Ora:
— Uno dei pochi tsabàsidhes (mercanti di animali) che continua a fare questo mestiere è il vecchio Anghelakòpoulos di Nèa Ionîa a Vòlos. Il suo punto di ritrovo è il caffè del «Cretese» che si trova vicino al porto, dietro la stazione fer-
roviaria, incuneato tra officine di fabbri, pescherie, botteghe di sarti, quasi tutte chiuse. Anghelakòpoulos
ci fornisce tutte le informazioni che desideriamo riguardo al suo mestiere, che
non esiste più. Il suono della sua voce assomiglia a quello del curbascio che sferza. Non sa più nem-
meno lui che cosa rappresenta e che cosa sta aspettando.
Sui monti del Pelio ci sono ancora alcuni cavalli, che servono per trasportare merci nei luoghi dove non arriva l’automobile. Trasportano pietre, ferro e cemento per costruire ville.
I pochissimi clienti che gli fanno visita al punto di ritrovo vengono dal Pelio.
Arrivano anche dei contadini tessali per scaricare l’ultimo mulo. All’esterno del caffè alcuni carrettieri
sfaccendati
fanno
mostra
dei loro cavalli,
lo sguardo
di Anghelakòpulos
si rianima
quando passano, ma dalla bocca gli escono soprattutto bestemmie indirizzate al cavallo e all’uomo.
Nel ritrovo appare del tutto magicamente Kiriàkos Vasilìou con due bei cavalli che hanno un nastro rosso legato alla coda; secondo la simbologia del mestiere sono in atto trattative di compravendita.
Kiriakos, faccia appuntita da zingaro, tsabàsis quarantenne, scambia cavalli, compra muli, rivende asini; e se ne frega se sono vecchi o zoppi, perché li pesa e li vende al chilo.
Conclude in fretta l’affare dei due cavalli, offre un caffè, ha la sua opinione sulla vita, ma ora si affretta,
Tìrnavos.
ha otto
figli che adora,
Alla tradizionale
fiera
vuole
vedere
del bestiame
e parlare
di Tìrnavos,
di persona
con
oltre che dalla
Anghelakòpoulos
Tessaglia
a
arrivano
cavalli anche dalla Grecia occidentale, dalla Macedonia, persino dal Peloponneso.
Kiriàkos si muove più di tutti, conclude un grosso affare con Vissarìonas, mitico tsabàsis di Trikàla che i figli hanno portato al mercato per l’aceto. Un armento di cavalli tessali cambia padro-
ne. L’affare sta per essere concluso, si stringono la mano, il biblico vecchio Vissarìonas tiene per le
redini uno stallone dal corpo minuto. Kiriàkos allunga la mano per prenderlo, è compreso nell’accordo. Il vecchio fa resistenza, questo non lo può prendere, questo non lo dà via, perché questo cavallo si
porterà con sé la sua anima. Kiriàkos fa scendere 180 bestie dai camion al porto di Ighumenìtsa, dove il commerciante italiano lo aspetta per il carico.
Progetto inedito per la sceneggiatura di Reportàz ghia èna thessalikò àlogho pou pouliètai stin Itàlia ghia krèas [Reportage su un cavallo di Tessaglia che viene venduto in Italia per la sua carne] (o To tèlos ènos epanghèlmatos [La fine di un mestiere]), documentario di 25-30 minuti proposto da Stavros Tornes all’ERT. La proposta, risalente all’aprile del 1982, viene approvata e il documentario viene realizzato. Secondo il bollettino ERT di controllo tecnico dei film per il cinema, n. 0441, il servizio tecnico della televisione di Stato riceve un film intitolato Fantastikò reportàz ghia èna thessalikò àlogho, con una durata finale di 34’ 49”. Il responsabile del controllo tecnico osserva: «La trasmissione presenta una qualità del suono carente, una gradazione inesatta del nero, un cromatismo scadente. In un’inquadratura entra a un certo punto un fascio luminoso blu acce-
70
so, ingiustificatamente. Non appare sincronizzato in 9’ 30” e in alcuni punti si rileva una cattiva regolazione del suono. INADEGUATO». IL 28 luglio 1982 l’allora presidente della ERT non accoglie la proposta di rifiuto del responsabile del controllo tecnico e scrive di suo pugno: «Passa per ordine del sig. Alevràs». La ERT manda in onda ilfilm. Nonostante le ricerche dei responsabili della Videoteca della Televisione di Stato, ilfilm non è ancora stato trovato. Particolare: grazie all’assegnazione di questo documentario, Tornes ha potuto raccogliere il materiale cinematografico da cui è nato Balamòs, il primo film girato dal regista dopo il ritorno in Grecia.
Aren Bee in Danilo Treles, 1985
Balamoòs (Colui che è in estasi e che vive con le favole)
Non so perché mi trovassi a Vòlos e come mi fosse venuto il desiderio di comprare un cavallo. Avevo un po’ di denaro in tasca, ma credo che la ragione non fosse questa.
Dopo un incontro imprevisto con A — un tale che amava i cavalli, e che, come seppi in seguito, commerciava in animali — mi sembrò che il mio sogno, il mio desiderio, si potesse realizzare.
A voleva che andassimo nella stalla per mostrarmi i cavalli, e, mentre parlavamo, vidi per la prima volta quel suo amico.
Arrivò all’improvviso con un camion immenso, che rombava accanto alle nostre sedie. La sua faccia, ironicamente sorridente, rimase per un attimo sospesa sulle nostre teste. Disse di fretta qualcosa ad A, e poi iniziò a fare delle domande su di me. In quel fracasso non riusci-
vo a sentire nulla.
Poi si allontanò
a gran velocità, rischiando
di trascinarsi la mia sedia, che
riuscii a trattenere per miracolo. Mi lasciò un’impressione inspiegabiles mentre A mi mostrava i suoi cavalli nella stalla, mi disse che il suo amico era un vero e proprio tsabàsis. Dopo aver fatto un giro che mi aveva portato in altre
parti della città, al tramonto tornai alla stalla di A per parlare di prezzi.
Stranamente non c’era più nessuno: né i cavalli né As c’era solo il vecchio con le colombe. Mi feci coraggio e gli chiesi informazioni,
ma il vecchio, con un certo disprezzo, mi rispose che
c’era solo lui, che lì non c’erano né padroni di cavalli, né cavalli: «Qui ci sono solo colombe». Ormai avevo capito che non mi sarebbe stato possibile procurarmi un cavallo, ma il mio desiderio si
era trasformato in attrazione incontrollata Così mi ritrovai in innumerevoli mercati di animali. Dove vidi molti cavalli e molti commercianti, che mi sembravano quasi sempre gli stessi.
Incontrai nuovamente K, esile, rapido nelle trattative con gli altri mercanti, era etereo come un folletto. Vedendomi
mi salutò cordialmente,
ma rimaneva
avvolto in un alone di mistero. «Ancora
senza un cavallo, eh? Se ne vuoi uno buono vieni con me», Non sapevo se seguirlo, non so se lo seguii. So soltanto che lo rividi molte altre volte. Appariva sem-
pre improvvisamente, in posti strani, travestito, e parlava lingue straniere.
Lo vidi di notte mentre dormivo accanto al fuoco, lo vidi in una fumeria abbandonata. Ero entrato in estasi per il fascino dell’avventura, valicando i confini dello spazio e del tempo. Dentro la fumeria non vedevo nulla, solo i piccoli fori per la fuoriuscita del fumo sulla calotta,
che assomigliavano
alla volta celeste stellata. Stavo per uscire, ma quando mi voltai per dare un
ultimo sguardo percepii confusamente alcune figure umane sospese in alto sulla calotta. Poi scorsi chiaramente la faccia luccicante del grassone che avevo visto altre volte con K.
Mi ritrovai su un palco, tra altre persone che per il momento erano soltanto ombre. Udivo un fiume di mormorii e brontolii. Mi sembrò che qualcuno mi chiamasse per nome, ma non era il mio vero nome. Rimasi immobile all’ingresso mentre i miei occhi si abituavano al buio. Alla fine riuscii a distinguere ciò che stava avvenendo sotto 11 palco: la scena sembrava avere un’importanza primordiale.
C’era un tavolo quadrato con tre persone sedute e immobili. Erano vestite di nero, in modo austero, con tonache larghe come quelle dei sacerdoti, e due di loro indossavano anche un cappello.
Non mi sorprese il fatto di riconoscere K tra i tre uomini, bensì il cenno severo con cui mi intimò di ascoltare con attenzione ciò che avrebbero detto. Ascoltavo, ma non capivo, perché mentre mi indi-
cavano i tre parlavano fra di loro in turco: dal tono era chiaro che stavano emettendo una condanna contro di me. Un uomo di dimensioni microscopiche portò una lampada e la lasciò sul tavolo, illuminando così il grande libro che uno dei tre aprì in un punto determinato, per poi cominciare a leggere con voce seria e monotona. Temevo di addormentarmi
e iniziai a guardare attentamente
i due cavalli che si trovavano
alla
destra e alla sinistra del tavolo. Mi rasserenarono. Erano immobili, pazienti, sembravano pronti ad accettare qualsiasi cosa. Improvvisamente il cavallo bianco iniziò a muovere leggermente il capo e a dire alcune frasi. Le parole erano pronunciate lentamente e in un’altra lingua, che però non mi era incomprensibile. I giudici continuavano a parlare tra loro scuotendo affermativamente la testa. Erano concordi, mi
era assolutamente chiaro. Mi fecero segno di avvicinarmi, mi mossi verso il tavolo, la luce della lam‘© A questo punto K mi annunciò il verdetto, continuando a parlare in turco, come se non potesse fare a
pada era accecante.
meno di parlare quella lingua. Completò l’accusa con una frase pronunciata nella lingua degli zingari, e concluse la discussione con una frase in greco. «Secondo la legge gli schiavi non hanno cavalli». Mi avvicinai al cavallo bianco, sperando che mi parlasse ancora. Ma si limitava a muovere nervosamente il muso, come un cavallo normale.
Poi ci guardammo
negli occhi e fu come guardare in uno
specchio magico. All’interno
della densa luminosità della pupilla del suo occhio lampeggiavano
immagini
a onde
alternate. Fui investito da un fiume di ricordi di altri luoghi e di altri tempi. Mi vidi molte volte, mi vidi al lavoro in un campo aperto, accanto ad altri.
Lì, nel campo sterminato del patrizio greco, c'erano Romani, Greci, negri, barbari e alcuni ebrei. Macinavamo il grano. Vidi il patrizio greco, il nostro padrone, in crisi profonda, pronto a partire per Gerusalemme. iS TORNES STAVROS
Vidi l’ufficiale romano ripartire la terra e darne un pezzo a ciascuno con l’obbligo di consegnar-
gli i tre quarti del raccolto. Mi vidi che camminavo da solo, diretto verso 1°0limpo, (vidi) l’incontro a metà strada con lo scheletrito nunzio sacro. Tentai di estorcergli informazioni sui movimenti
di Cristo. Mi rimproverò perché non ero rimasto insieme agli altri. Parlammo di Spartaco.«Spartaco
aveva ucciso il suo cavallo prima della battaglia», dissi, e volevo continuare il mio cammino verso l’Olimpo, ma qualcuno mi chiamò da lontano. Udii il mio nome, era la voce del grande padrone. (Udii) la decisione dei giudici. Gli schiavi non hanno il diritto di avere cavalli. E mentre le immagini pro-
venienti dall’occhio del cavallo continuavano a sommergermi, dissi: «Sì, sono schiavo. Sì, sono scappato perché non ammetto la proprietà privata, la lascio ai padroni, non voglio nulla, sono libero. Sì, adesso me ne vado sull’Olimpo per trovare gli dei». Iniziai a sentirmi bene nei panni dello schiavo fuggitivo.
Ma qualcuno mi afferrò con violenza per le spalle, «Hai iniziato a straparlare», mi disse, e mi spinse verso la porta. Alla luce del tramonto K si trasformò ancora una volta. Era vestito come un uomo
di fatica, e mi trascinò con sé. Aveva fretta. «Sali», mi disse aprendo la porta del grande camion. «Ti
mostrerò io qual è la realtà, e allora vedremo se sei degno di avere un cavallo». Mise in moto e partì; dopo un po’ riprese a parlare. Gli affari non andavano tanto bene quando apparve quell’inglese, «So
tutto di te», mi disse, e mi diede un pacco di fotografie. Mi seguiva da un mese scattandomi fotografie di nascosto. «Ormai ti conosce», mi disse, e mi propose di lavorare con lui. Lui ha trovato il macello
di Lamia e io ho raccolto i cavalli e li ho condotti lì... Mi addormentai. Ogni tanto mi svegliavo e sentivo alcuni frammenti della sua confessione sponta-
nea. La vita di K era ricca di eventi e di storie, il traballio del camion mi aveva intontito e avevo sempre più sonno. Poco dopo non si muoveva più nulla, era tutto buio e sentivo di esser morto: mi sem-
brò che qualcuno me lo dicesse, mi guardai intorno, il caffè dove ero seduto era deserto.
Balamòs (Avtòs pou eksasiàzete, pou zi me ta paramìtha), progetto di sceneggiatura per Balamòs datato 1982. Molti elementi della descrizione sono stati effettivamente utilizzati nella realizzazione finale del film.
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Stavros Tornes. In basso nei panni di uno schiavo in Balamòs, 1982
KIrIàKoss E con tutte quelle cose che diceva, coincidenza, un giorno con-
tinuava a pregare. Come l’ho accettato io, Dio mio, devi accettarlo
anche tu, e lo mandò — anzi, mandò la ragazza - la mandò alla fontana con la brocca a prendere l’acqua, dove si tolse i braccialetti e l’anello, li lasciò sulla pietra, si lavò le mani, li dimenticò lì. Quando fece ritorno e gli porse l’acqua... Disse: «Non va bene, Chartzì, figliola
mia, quest’acqua non è della fonte, è della vasca...» Su, Kambèri, vai tu a prendere l’acqua buona». Il ragazzo afferrò la brocca, corse... Quando mise la brocca a riempirsi, vide i braccialetti, li riconobbe e
capì che erano di sua sorella, li prese... La ragazza si era ricordata, stava tornando di corsa alla fonte. Il ragazzo veniva e lei andava, con
l’incontro che ci fu — comincia a parlare la ragazza (si sente una canzone dialettale). Parla il ragazzo (si sente un’altra strofa della stessa canzone). E la ragazza ripete e dice (si ripete la prima strofa). Che cosa stai
dicendo, dice, tu sarai il mio dono. Dato che ho trovato i braccialetti, sarò io il tuo dono. Dice bene, noi siamo come fratelli, come si fa? No, dice, non siamo per niente fratelli e ci dobbiamo sposare.
Balamòs è un film
Volevo comprare un cavallo che potesse portarmi là dove un uomo solo non arriva facilmente. Mi sono messo in contatto con dei cavallari, e non ho comprato nessun cavallo. Ma è con questo desiderio in me che ho iniziato il film. Il mercante Kyriàkos mi ha portato in posti dove non è facile trasportare una macchina da presa. Così è nato il personaggio di Balamòs, un uomo sempre in viaggio, sempre in estasi dinnanzi al mondo (Balamòs è un epiteto gergale con cui gli zingari designano una persona «con la testa fra le nuvole»). Balamòs cammina senza una meta, va incontro all’avventura, e immerso nel suo sogno si getta a capofitto in tutte le situazioni che si presentano. Di quando in quando incontra Kyriàkos che, trasformatosi in mago, in mercante di bestiame, in Gran Maestro e in sacerdote caldeo, esercita su tutti un’invincibile attrazione. Cammin facendo, il tempo cessa di essere un limite. Balamòs si ritrova in epoche e situazioni diverse. È accusato da un tribunale medievale, viene fatto schiavo agli albori del cristianesimo, incontra la donna
delle nevi, consulta l'oracolo in riva a un fiume, bacia la mano al Profeta che ha assistito alla crocifissione di Cristo, poi finalmente arriva sull’Olimpo. Balamòs si trasforma in Dracula e succhia il sangue ai cavalli. Poi perde l’incanto che gli conferiva questi poteri magici. Ed eccolo in un taxi, come una persona qualsiasi. Balamòs è un film.
Testo scritto in italiano da Stavros Tornes, pubblicato senza titolo e con la firma dell’autore come scheda del film,
illustrata con la foto della nostra copertina, nel catalogo degli Incontri cinematografici di Salsomaggiore 1983; ne manteniamo tutte le particolarità, inclusa la variante di traslitterazione su Kiriàkos, limitandoci a introdurre su esso e su Balamòs l’accento.
Parole di Kiriàkos Vilanàkis (nella foto), Balamòs, 1982
Stavros Tornes balla zeibèkiko nel mercato di Modiano, Festival di Salonicco, 1987
Magika - Rebètika — Erotika' Canzoni popolari (canzoni amare) per un film di Stavros Tornes di 45-60’
Gli uomini e le loro musiche, gli spazi e le città che sono cambiati per sempre: Costantinopoli,
Smirne, Salonicco, Sira, Atene, Pireo.
Canzoni di: Baghiantèras, Bàtis, Màrkou, Papaioànnou, Tsitsànis ecc. Strumenti musicali: oùti, sàzi, santoùri, armonica (laterna), baghlamàs, bouzoùki. Appunti e commenti alle immagini: Tutta l’Asia Minore, la capitale «Istanbul», tutto il territorio dell’Impero
Ottomano,
che ha preso il posto di quello Bizantino.
Insieme
ai turchi vivono
greci,
armeni, curdi, caucasici, siriani, arabi e altre nazionalità minori. Nonostante l’autonomia lingui-
stica e religiosa (caratteristica multietnica della civiltà orientale), con il passare del tempo (la vita degli uomini) questa vicinanza, questa «mescolanza» hanno come conseguenza un’influenza reci-
proca sulla vita quotidiana, sulla cucina, sulle usanze e sui costumi delle festività e, spesso, la tendenza spontanea a parlare la lingua delle altre nazionalità per comunicare meglio.
Questa usanza, questo modo di vivere, entrano in crisi con il nazionalismo, che nell’Impero Ottomano ha i suoi principali esponenti tra le file del movimento dei Giovani Turchi, agli inizi del secolo. La crisi raggiunge il suo apice con le persecuzioni durante la Prima Guerra Mondiale e si conclude tragicamente con l’eccidio degli armeni, che cercano di opporre resistenza nei loro territori (lago di Bay) e dei
greci, che vengono sradicati in massa dalle loro terre (1922), pagando così, collettivamente, una posizione greca sciovinista e nazionalista a cui sicuramente non aderiscono e che non cercano di imporre. Improvvisamente la popolazione della Grecia aumenta di un terzo. I profughi dell’Asia Minore fanno
raddoppiare la popolazione dei grandi centri, le baraccopoli uniscono Atene e Pireo in una sola città. Nei «sobborghi» si stipano centinaia di migliaia di persone che, in pochi mesi, si trasformano in una
folla di disoccupati, di «proletari» senza fabbriche, visto che le fabbriche sono pochissime. Si susseguono sommosse
e gravi avvenimenti che portano alla caduta della monarchia e alla pro-
clamazione della democrazia presidenziale. Il gran numero di profughi favorisce la nascita di nuove
occupazioni, la vita comincia a riorganizzarsi, l’alta qualità del lavoro e il basso costo dei piccoli laboratori
tessili familiari
(con uno o due telai) attirano
i capitali dei compratori
locali, che
imparano a gestire questa ricchezza come imprenditori.
La vita nei grandi centri cambia volto. I profughi mangiano diversamente, i cibi e la cucina, più ricchi e saporiti, danno vita a una rivoluzione gastronomica. Al vino preferiscono l’oùzo, ogni sera si incontrano con gli amici e con le loro mogli fuori di casa, molti fumano hashish. La musica dei profughi, con il suo fascino orientale, la sua vivacità e la sua ricchezza culturale
‘ scardina, a contatto con la realtà greca, un falso sistema musicale e culturale che consuma operette e canzonette importate -dall’estero. La povera gente del luogo non si riconosce nelle musiche dei ric-
chi, ma condivide quotidianamente il destino dei profughi (i gusti, le privazioni e i controlli della
polizia). In questo contesto sociale nasce, soprattutto nei luoghi riservati ai reietti, nelle prigioni,
nei porti, nei mercati ortofrutticoli, nei mattatoi dove si lavora per 12-14 ore, una nuova lingua intuitiva, chiusa, intimamente diretta, che esclude il borghese, lo sbirro, il piedipiatti. Profughi e gente del posto sono uniti dalla musicalità di una comunicazione autonoma; sono emarginati, ma hanno musica, canzoni e strumenti propri, sono capaci di esprimere gioia, di avere sentimenti, di vivere, si
‘Canzoni di malavita, di emarginazione e d'amore.
contrappongono al perbenismo dei piccoloborghesi e finiscono per essere odiati da preti, poliziotti e
ufficiali. Questo genere di musica è disdegnato dai ricchi e dagli intellettuali. L’accettazione della musica e delle canzoni popolari incomincia dopo la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto dopo la Guerra Civile, quando tutto quel mondo, tutto il contesto sociale che le metteva in relazione con gli avvenimenti nazionali è ormai andato perduto. I nuovi ricchi cercano di appro-
fittare, come dice il poeta «della sua catastrofe».
Piovvero soldi sulle canzoni Piovvero canzoni sui soldi
Le canzoni portarono alla rovina i soldi I soldi portarono alla rovina le canzoni E le macchine di seta dell’amore.
Thomàs Gòrpas
Da quel momento in poi si susseguono immagini e musiche dell’odierna Turchia, dove esiste ancora una
musica
simile
(rivolta dei curdi).
Nei villaggi
dei profughi
turco-cretesi,
nei quartieri
di
Costantinopoli, nei piccoli porti dei pescatori curdi che vivono ancora a contatto con i greci. Chiude su immagini di oggi.
Immagini della quotidianità di alcuni prigionieri si mescolano a immagini delle attività portuali, del mercato ortofrutticolo, dei modesti lavori manuali, degli operai nei mattatoi, dei lavapiatti
arabi, con domestiche, infermiere e donne ovunque, viste come madri, figlie o femministe, ma sempre come donne da amare e capaci di amare. L’immagine della donna, tenuta lontana dalla notte, dal filo spinato, dalle guardie, emerge dal buio silenziosa come una visione, supera le mura e resta con i pri-
gionieri che vegliano nell’oscurità fumando sigarette. Personaggi e ambiente entrano in un’altra dimensione. Un gobbo comincia a suonare il suo baglamàs fatto a mano. Una voce, con un bordone da salmodia, scuote con colpi deflagranti il corpo di un dete-
nuto che danza lentamente, compiendo dei movimenti verso l’alto che ricordano un uccello in volo. La deflagrazione diffusa del momento investe tutti come la luce. Testimonia che l’uomo povero e perseguitato rimane il solo libero e capace di poesia.
Progetto inedito, datato 22 febbraio 1982, scritto in vista di una coproduzione con la Televisione tedesca da proporre all’ERT.
La vitalità dell’effimero
1. Krà... Tròi o Ghiànnis tò theriò kai tò theriò
10. Per le strade sporadici passanti. Il mercato è
to Ghiànni (Cra cra... Chi la fa l’aspetti)
finito, soltanto
(Trìkala-Kalabàka-Meteore); colore, 30°
pastore nomade contempla le Meteore. Le cornac-
il vecchio
con il mantello
da
chie fanno ritorno ai nidi. Scaletta
11. Al momento
del crepuscolo,
in alto
sulla
montagna si distingue una piccola luce, come una
1. Notte. Alla luce di una lampada, mani di donna
lucciola
raccolgono dai nidi uova di galline, anatre, oche.
fuoco che fuoriesce da un buco. Il goffo uccello,
E le collocano con cura in ceste foderate di paglia.
attirato, si avvicina. Si libra nell’aria e, con
2. La luce all’interno
un volo estasiato,
stelle
cadenti
di un uovo
ultraviolette
assomiglia
che
a
permettono
che
cresce
pian
piano.
È un
cade nel fuoco.
grande
Il fuoco
si
spegne.
appena di indovinare il guscio.
3. Alle prime luci dell’alba, le cornacchie iniziano a volare sopra la città, gracchiando.
2. Pandoksîo «Tà trìa arapàckia» (Locanda «I tre
3. Le donne della Tessaglia vestite di nero rag-
negretti»)
giungono con i propri prodotti le strade che por-
(Ksaànthi)s colore, 50°
tano al mercato. 5. Un vecchio, imbacuccato
nel suo mantello
da
Scaletta
pastore nomade, prende parte alla scena, goden-
dosi dal suo angolo
delle donne
1. Nel vecchio mercato di Ksànthi, un commercian-
i propri posti. È l’unica presenza
te cerca di negozio in negozio, sceglie e interroga
maschile. Nel suo sguardo si alternano puerilità
venditori e artigiani sulla merce in qualche modo
e saggezza.
legata al folclore locale (sezione documentaria).
che occupano
l’andirivieni
6. La cicogna cattura il serpentello
nello sta-
gno. Si leva in volo.
e, sugli scaffali, piccoli oggetti dimenticati dal
7.I1l sorgere del sole infuocato.
8. Un uovo gigantesco
dal
lago.
uccello
2. Inuna piccola bottega che sembra uscita da un
libro di favole, il commerciante scopre erbe rare affiora
Si schiude.
Compare
(preistorico).
inaspettatamente
enorme
L’uccello,
e goffo
inizialmente
tempo che trova interessanti. Durante le trattative la proprietaria appare distaccata e indif-
ferente
e non nasconde
il suo scarso
interesse
con piccoli voli malfermi, riesce a sollevarsi,
nei confronti del cliente straniero.
lasciandosi alle spalle le acque del lago. Il suo
3. Di
volo
ristorante del centro; attorno a lui gli avvento-
ha una
destinazione
costante.
Le magiche
le acque
del
tardi
il commerciante
cena
in un
ri sembrano buongustai.
montagne della Tessaglia. 9. Laddove
sera
lago
si sono
ritirate,
È. Nella camera di un albergo moderno, il com-
altre uova si schiudono e nascono animali, far-
merciante
falle, uomini,
gli
effettuare sulla base dei campioni raccolti, ma
del mercato
il saliscendi dell’ascensore comincia a distrar-
animali
in continua
e il pollame
alternanza
che le donne
con
fa i conti
dopo,
oltre
degli
acquisti
all’ascensore,
che
tengono in mano. Ieratica offerta della religio-
lo. Poco
ne più segreta: il viaggio dell’uccello alla volta
rumori
della montagna magica, un viaggio che con tinua.
risate sguaiate dalle camere adiacenti.
di passi che corrono
deve
si sentono
per il corridoio
e
Innervosito,
alza
la
cornetta
del
telefono.
lustrascarpe.
Apre la portafinestra, in terrazza giungono voci
eterno, a meno che...
di ubriachi,
La maga si interrompe, non vede nient’altro. Il
sul
muro
di fronte
ombre che si inseguono.
vede
le loro
Il commerciante
racco-
mercante
Il negretto dovrà restare così in
orientale
nel sogno ridiventa
ciò che
era prima.
glie le proprie cose e se ne va. 5. Chiede una stanza in un albergo situato in un
12.11 commerciante, disperato, fa ritorno all’al-
luogo meno frequentato. L’albergatore è pronto a
berghetto, i due tipi che avevano amichevolmente
congedarlo
interceduto
con qualche
scusa, ma intervengono
due individui che siedono nella hall e convincono l’albergatore
a dare
la camera
al commer-
in suo favore
con
l’albergatore
lo
invitano a una rappresentazione del teatro delle
ombre, il cortile è pieno di gente. Il burattinaio
ciante;s poi i due uomini gentili invitano il com-
mette
merciante a bere qualcosa assieme a loro.
negretto trasformato in statua di legno.
in scena
uno
spettacolo
storia
13. Il commerciante
essersi
voce del burattinaio è quella dell’albergatore.
la buona-
Balza in piedi e grida: «Che cosa hai fatto al mio
due,
l’albergatore
sembra
Gi amici gli augurano
con terrore
del
6. Il tempo passa con le strane storie raccontate
dei
scopre
sulla
da uno
addormentato.
che la
notte e il commerciante attraversa vari corridoi
negretto, mascalzone?».
prima di trovare la propria stanza.
In preda alla collera, il burattinaio-alberga-
Inaspettatamente,
si imbatte in un negretto di
tore
gli risponde
che farà
meglio
a vedere
la
legno che gli sorride.
fine della storia.
7. Entra nella sua stanza, si butta sul letto e si
1%. Vediamo Karagiòzis in scena che, trasforma-
addormenta
tosi in una bella ragazza bianca, si innamora del
quasi subito, mentre il negretto lo
negretto
veglia da un angolo. 8. Il protagonista
9 |STAVROS TORNES
cristallo, l’albergatore lo ha trasformato in un
Nessuno risponde.
sogna
di essere
un mercante
e lo libera
Improvvisamente
dall’involucro
il negretto
di legno.
liberato
scompare
orientale e di arrivare con la propria carovana
dal sipario. «Voglio il mio negretto, dov’è fini-
al mercato di Ksànthi.
to?», grida il commerciante. «Sono qui», risponde
Accanto a lui, nel variopinto baldacchino
tra-
il negretto dall’angolo dove si è addormentato.
sportato da due cavalli, c’è un piccolo negretto
15. Il commerciante si muove per raggiungere il
sorridente che gli fa fresco con un ventaglio di
negrettos interviene l’albergatore.
piume di struzzo, senza mai stancarsi.
16. Il commerciante
9. Nello spazio vuoto dove ha luogo il mercato, le
sudore, si alza dal letto, apre la porta e si trova
persone al suo seguito piantano una tenda impo-
faccia a faccia
nente,
vassoio un caffè fumante e gli sorride.
al cui
sdraiato
interno
il mercante
su ricchi cuscini,
orientale,
assapora
si sveglia
in un bagno
con il negretto,
di
che porta sul
fantasti-
cando il suo narghilè, mentre il negretto gli si
addormenta ai piedi (fondu-enchaîné).
3. Platîa Ippodhamîas (Piazza Ippodhamìas) .
10. a) L’affollato mercato del sabato di Ksànthi in tutta
la sua
maestosità
(sezione
documenta-
Scaletta
ria). b) Mangiafuoco, acrobati su corde tese e lottato-
1. Sezione documentaria sul mercato. Atmosfera
ri conferiscono
domenicale
alla
scena
un’atmosfera
che
del
Porto
e dei quartieri
Pèrama,
evoca mille favole insieme.
Abelàkia,
c) Il negretto, che ha l’obbligo di sbrigare una
poveri scendono a comperare camicie, pantaloni,
piccola
calze... E a curiosare gratis.
mentre
commissione contempla
per
il padrone,
si perde
il grande bazar. Tutto soddi-
Dhrapetsòna,
Piazza
Ippodhamìas.
I
2. Un vecchio burattinaio del teatro delle ombre
sfatto «sogna», mangia dolciumi, beve tè e infine
che
si addormenta in un angolo.
riparando un negretto.
vende
marionette
di legno
al mercato
sta
d) Il mercato inizia a essere smontato, il mer-
3. Un giovane ragazzo di colore, che lavora come
cante orientale dà ordine alla sua guardia arma-
portuale
ta di trovare il negretto e di riportarglielo, il
uccelli
e dei
tempo passa, inizia a cercare anche lui.
ragazzo
di colore comincia
11. Nessuno
Il giovane
improvvisamente
ad
vendeva
le
mercianti lo accolgono con cordialità mista ad
erbe) vede un negretto di legno nella sua sfera di
ammirazione, insistono perché tocchi i loro ani-
(la donna
abbia
alla vista degli
gabbie.
assomigliare a .ùn re di un Paese esotico, i com-
maga
fine
nelle
il
una
che
conigli
fatto
negretto,
sa dirgli
a Pèrama, è sorpreso
che
mali. Un ragazzo gli regala una gabbia piena di
6. Uno stormo di uccelli passa davanti agli occhi
uccelli variopinti, mettendogliela in mano.
del vecchio
l. Il giovane ragazzo di colore resta stupefatto
negretto di legno mentre il mercato si è svuotato.
alla vista di una statua «di legno» di una donna
‘7. Il giovane ragazzo
nella vetrina di un rigattiere.
ciato alla figura femminile di legno (polena), e
5.Inunangolo della stazione della metropolita-
il
na del Pireo
Abelakìa
il giovane
ragazzo
di colore si è
addormentato per la stanchezza. Immagina che la statua
di
legno
della
donna
sia
il
caicco
burattinaio,
che
rimasto
a riparare il
di colore viaggia abbrac-
percorre
l’itinerario
Pèrama-
diventa una nave che viaggia in mare
aperto.
totem
dell’Oceano che lo condurrà lontano.
5. (a) Dalla gabbia che ha ricevuto in dono escono come per incanto decine, centinaia di uccel-
lini, che invadono con i loro battiti d’ali la stazione della metropolitana.
Di questa versione integrale in tre parti, presentata all’ERT con il titolo I zodània tou efimeroù [La vitalità dell’effimero] è stata realizzata solo l’ultima parte, Platìàa Ippodhamìas.
CO |DELL’EFFI VITALITÀ LA
Sul set di Platàa Ippodhamìas, 198
CAPOMASTRO: Una chiave ventidue. Dammi il martello! (bestemmia) Dunque, dove eravamo rimasti? Ah, sì, Simonìdhis? Sembra che quel bel tipo avesse combinato qualche guaio nei monasteri del Monte Athos. Allora molla tutto e se ne va ad Atene. Era l’epoca in cui lo Stato greco era appena nato e aveva bisogno di un mito, di un’idea su cui reg-
gersis arriva e mostra dei manoscritti che aveva prodotto lui stesso: stava alzato a scrivere tutta la notte, era un tipo incredibile. Mostra dunque dei manoscritti e dice che la fotografia l’hanno scoperta i
greci nel 1450 e non gli europei ora. Per l’esattezza, un certo Pansèlinos, pittore del 1450, aveva scoperto per primo il sistema fotografico, l’«eliotipia». Prima di essere scoperto, Simonidis era il personaggio del momento. Ogni sera ricevimenti, smoking, viaggi... era
tremendo, incredibile. A un certo punto scoprono la truffa e lui dove va? In Europa, a Berlino per la precisione, e comincia a mettere su un
nuovo racconto, secondo cui aveva trovato dei manoscritti e aveva fatto luce sulla misteriosa questione della Marina a Bisanzio. Io che
li ho trovati so come stanno le cose. Dopo neanche sei mesi anche quella truffa viene scopertas molla tutto e se ne va a Londra, ma un giorno
lo scovano anche là; poi se ne va in Medio Oriente, ad Alessandria. Lì ha messo su la storia sugli episcopati della Chiesa ed è arrivato addi-
rittura a rivendicare l’Arcivescovado dell’Abissinia...
|
Karkaloù
Karkaloù è un film di finzione sulla finzione. Qualcuno, un nessuno, un uomo maturo comunque... Il
presente dell’uomo è estremamente limitato. Quanto al futuro ne è escluso, e il suo passato non è che una raccolta di teneri ricordi. Senza amarezza cerca di giocare la sua ultima carta. Una carta che forse non esiste, ma che offre qualche speranza per chi la gioca. Introduce un giovane nel suo gioco. Si instaura un clima di dissimulazione. La loro relazione reciproca si basa sull’arte della simulazione. Il giovane, un tassista, entra nel gioco senza riserve e riesce a dar vita a una folla di scene che provengono dal passato dell’altro. Si identifica così con le situazioni e con gli individui che vi svolgono una parte e, in questa maniera, perde la capacità di giocare. È la fine del gioco, che finisce per essere limitato come il presente del nostro eroe.
Testo italiano di Stavros Tornes, pubblicato a firma dell’autore come scheda, illustrata con la stessa foto di questa pagina, nel catalogo del Salso Film&TV Festival 1985; ci si è limitati qui a introdurre l’accento sul titolo.
Karkaloù, 1984 A lato: Parole di Dhèìmos Thèos In alto: Stélios Anastasiàdhis
— Credi
troppo!
Devi sapere
in cosa
credere,
altrimenti
sei solo uno
sciocco. Ti parlerò di una persona: Danilo Treles. Ti parlerò della sua verità profonda. (Vai, vai piccolina, non sono cose per te). - È pericoloso. I suoi desideri sono folli. Il mondo non ha mai visto niente di
simile, con la sua voglia di catastrofe consuma un albero al giorno, le sue labbra tremende si attaccano al tronco e non lasciano neppure una goccia di linfa. Neppure nelle radici. Ne ingoia a migliaia spostandosi da un luogo all’altro. Stupendi alberi vigorosi o teneri e pieni di promesse. Ho visto con i miei occhi lo strano pallore, l’essiccamento improvviso e lo spirito che se
ne va. È sempre insoddisfatto. Si adira con la notte che lo obbliga a fermarsi. E una creatura cui ti devi opporre, se ne hai la forza, altrimenti è meglio se ti nascondi.
— Non è vero. So che è un musicista, è il più grande musicista di tutti i tempi. È il sole che sorge. E io lo troverò! — Vai! Ma ogni volta che vedrai un tronco morto sappi che qualcuno ne ha suc-
chiato la linfa.
Danilo Treles
Dov'è Danilo Treles? Perché lo cercano sui monti dell'Epiro? Perché Francesco e Pupo usano il Gallo per intrappolare l’Uomo-Volpe? Che rapporto c’è tra lo sciamano africano Deedee e i Misteri Eleusini? Cosa spera Bee, il bluesman inglese che cerca di trovare la magica musica andalusa di Danilo Treles? Sotirìa era davvero l'amante di Danilo Treles? Perché il biologo Frangois studia l’Uomo-Volpe? Chi è dunque Danilo Treles? Nota di presentazione dell'autore, 1986.
al i x Danilo Treles, 1985 indovina A lato: Dialogo tra Stélios Anastasiàdhis-Uomo-Volpe e Sotiria LeonàrdhouIn basso Deedee M’Fadoul e Sotirìa Leonàrdhou
Voglio continuare a fare film
Dove è Danilo Treles? Il luogo in cui si trova potrebbe anche essere un pretesto. È importante la ricerca. Può sembrare poco serio che siano in così tanti a cercarlo, e infatti diventa una buona occasione per ridere. Va contro ogni genere di immobilità, contro la tendenza a rimanere freddi. La seconda parte del nome, Treles, è in qualche modo collegato alla follia (in greco: «trèla»)? L’interpretazione è legittima. È sicuramente una possibile risposta, perché il film ha determinate caratteristiche, una serie di idee guida, anche se non amo parlarne in questi termini. Una di queste idee, ad esempio, riguarda le sette-otto lingue parlate nel film. C'è un riferimento al mito della Torre di Babele e il cognome Treles richiama foneticamente la parola greca «trèla», qualcosa di folle; l’ecolalia rimanda al mito della Torre di Babele, in cui gli uomini non potevano comunicare perché ognuno parlava una lingua diversa. Ma non mi interessa scrivere un saggio sulle lingue, e mi limito a dire che questo film ha contribuito a formare dentro di me la convinzione che, prima di Babilonia, la lingua fosse una sola, univer-
sale. La convinzione che prende forma durante le riprese del film si deduce dal costruzione umana, la non comunicazione è opera dell’uomo. Ne aveva bisogno tà, di cui fa parte anche la lingua. Anche la non comunicazione — se si arrivasse poveri noi; non ci sarebbe più amore, non ci sarebbe più nulla — comporta uno prezzo: incontrare l’altro, imparare la sua lingua. È uno sforzo che stanca...
mito: le lingue sono una per trovare la sua identidavvero a questo punto, sforzo che si paga a caro
Nei suoi film stupisce la distanza, per lo meno apparente, dal modo di vivere contemporaneo, riscontrabile negli elementi caratteristici delle sue opere e in quelli comuni. Non ci sono città, macchine, accessori moderni. Si trat-
ta quasi di paesaggi lunari, di montagna, di un tuffo nella natura. Come può una persona che vive in città uscirne nei suoi film e nelle sue riflessioni? Nel cinema è fondamentale la creazione di una realtà, necessaria per convincere e di cui è indispensabile convincersi. Non si tratta soltanto di una proposta sociale, storica o politica, è anche la dichiarazione del bisogno di costruire un ambiente diverso. Il cinema è un lavoro sul tempo. Ma ogni tempo richiede un suo spazio specifico. Si potrebbe obiettare che lo spazio è costituito dalle città in cui vivono gli uomini. E infatti è proprio questo il problema dei nostri tempi.
Ma lei non affronta direttamente questo problema come altri registi di film che ritraggono la strada, in cui le scene della natura sono un'alternativa, una via di fuga... Nei film a cui si riferisce l'elemento nostalgico è molto forte. Nel mio caso non è così: la nostalgia è stata rimossa, è scomparsa. Non c'è.
Forse questo viaggio non è soltanto una ricerca, ma anche una fuga... Non direi. Forse non è neppure un viaggio, è un girovagare in un luogo determinato, che in quel momento, però, assume una consistenza. E non parlo di consistenza per caso: c'è, perché esiste davvero
Stelios Anastasiàdhis con la maschera dell’Uomo-Volpe in Danilo Treles, 1985
accanto a noi. I condizionamenti ci hanno portato ad accettare l’ambiente che abbiamo costruito, in cui viviamo, di cui siamo prigionieri. Basta poco per ritrovarsi in questo spazio dell'immaginario, e basta pensare al territorio greco, incredibilmente ricco ed esteso in rapporto alla popolazione greca: è una realtà, non un sogno. In Danilo Treles l’ambiente non ha una funzione mondana come, ad esempio, in Balamòs. Ha prima di tutto una funzione decorativa, è una scenografia, per nulla monotona: si può fare una ripresa qui e andare in Epiro per quella successiva. Abbiamo lavorato con tenacia, non abbiamo girato tutto il film in una stretta vallata di montagna, abbiamo approfittato della varietà dei paesaggi naturali.
Nel film si muovono molti personaggi diversi. Qual è il ruolo, personale e collettivo, di ognuno di loro, dall’Uomo-Volpe al Galletto? Che significato ha l’uovo? L’uovo è una trovata. Quando siamo arrivati sul luogo delle riprese l’idea dell’uovo non c’era ancora. Se fosse stata prevista sarei stato pronto per girare una scena cosmogonia: ho già pronta un’intera sceneggiatura con una cosmogonia e un uovo, ma quella volta abbiamo semplicemente trovato un uovo abbandonato in campagna. Da quel momento è diventato tutto molto semplice. Tra i nostri amici c’era il sudanese Deedee con la sua diversa civiltà, vicina a una cosmogonia, con il suo mondo primitivo, se mi sì passa il termine tecnocratico. Al di là delle definizioni Deedee rappresenta una civiltà stupefacente, che è cellula, corpo, carne, e si esprime di conseguenza. Per questo la sequenza dell’uovo rappresenta per me una delle scene più macabre e più concrete del film.
Si |STAVROS TORNES
La scena ha provocato molte reazioni nel pubblico... Credo dipendano anche da una componente in qualche modo razzista. Parlo di razzismo in un senso preciso: non credo che in Grecia le persone di colore siano un problema, non in maniera esplicita, almeno. C’è una forma di razzismo che consiste nel non accettare un’altra cultura, una civiltà diversa. Ma la colpa delle reazioni è soprattutto mia, perché la scena ha tempi lunghi, dura molto, anche se questi tempi dilatati hanno una funzione. Che diritto ho di intervenire mentre l’altro prende coscienza del suo rapporto con l’uovo? In quel momento è in atto un vero e proprio gioco cosmogonico. Il rapporto di Deedee con l’uovo ha la precedenza su tutto il resto. La durata della scena è quella perché la cerimonia non permette alcun intervento, non si può abbreviare o velocizzare: ha un significato molto lontano dalle costrizioni fasciste che impongono il modo di costruire una sequenza. È una scena del mio film, ovviamente, ma è anche una performance, la rappresentazione di un mondo primordiale che ancora nasconde la forza dell’estasi, capace di entrare dentro di te e mostrarti il mito dell’origine della vita, della sua provenienza. Se si interviene il miracolo svanisce, perché è fragile, non resiste, non sa niente di cineprese. O lo rispetti perché è un uovo ed è primordiale o niente. Per razzismo intendo questo, non voglio affrontare discussioni ideologiche, ma credo nella disposizione ad accettare, a riconoscere e a comunicare con altre civiltà. Anche noi rappresentiamo una cul-
tura: la cultura occidentale. Ma non ha nessun significato se si crede che le civiltà siano terreni recintati, che una civiltà possa esistere e un’altra no. Dal punto di vista ideologico esistono diverse civiltà, che si influenzano reciprocamente. E gli altri personaggi del film? Si tratta di un processo, come nel caso dell’uovo. Nel film ci sono presenze culturali diverse, che insieme - italiani, francesi e tutti gli altri — formano «la gente». E sono questi e non altri perché erano alla mia portata: sono i miei amici le persone con cui posso collaborare. Danno vita a una specie di prova generale del mondo che rappresentano, ma non si tratta di un metro di giudizio per il mondo odierno, perché Francesco e Pupo non sono per forza i rappresentanti della nostra civiltà, perlomeno nella loro dimensione quotidiana: acquistano valore in una dimensione di performance, davanti alla cinepresa, perché le diverse lingue che si intrecciano danno vita a una rappresentazione. L’inglese, ad esempio, che è un bambino, un cantante rock ma anche un cantante di strada, cioè un trovatore medievale dei nostri tempi che
vive di musica, quando è davanti alla cinepresa con la sua cultura, quando recita, può evocare persino Shakespeare. Non è certo un attore shakespeariano di teatro, ma l’insieme di ciò che porta con sé, i miti, la lingua, ciò che rappresenta, fanno sì che assuma ai nostri occhi una dimensione shakespeariana. Lo stesso accade anche con gli italiani, che in questa rappresentazione hànno dei punti di contatto con la Commedia dell'Arte. Quindi la lingua e la rappresentazione permettono%ai personaggi di diventare rappresentativi della propria cultura.
L’Uomo-Volpe rappresenta uno degli anelli di questa catena di culture intrecciate... Parte tutto da una mia idea, che a sua volta deriva da Esopo, probabilmente. L’Uomo-Volpe è un animale che ammiro molto, perché riesce a sopravvivere grazie alla sua furbizia. La volpe parla tutte le lingue, anche se qualche volta le va male e diventa pelliccia. L’Uomo-Volpe esprime senza dubbio lo spirito del popolo greco. E rispetto alla produzione, all’organizzazione del film e al clima che si è creato durante le riprese? In Balamòs, che è un film prodigioso per la singolare forza con cui si è imposto per venire alla luce, eravamo in pochi, e questo ha influenzato le riprese. In Danilo la gioia di comunicare di chi ci ha lavorato è triplicata, perché a un certo punto eravamo veramente tanti. I problemi non sono mancati, ma più di convivenza che di produzione, perché abbiamo vissuto insieme per dieci giorni. I personaggi erano molti, e in certi momenti ci trovavamo tutti sulla scena come capita soltanto nelle grandi produzioni: viste le dimensioni del film, che era una produzione povera, è stato un evento eccezionale. Siamo stati tutti molto bene, durante le riprese c'era un clima diffuso di buonumore, anche se a dire il vero, in alcune parti del film il clima allegro si è un po’ attenuato. C'era stato un incidente.
Quando è accaduto? Verso la fine. Ma dal film non si riesce a capire, perché le cose si mescolano. L’incidente ci ha messo in crisi. Ha messo in crisi anche ilfilm?
È un punto interrogativo... Forse l’eco dell'incidente sfiora anche ilfilm. Ma abbiamo fatto tutto fino in fondo. Ne abbiamo risentito perché il nostro gruppo era molto aperto, scherzavamo, giocavamo ed eravamo pieni di buon umore. Ci sono strani momenti di freddezza che però non influenzano l’insieme, perché la prima fase era una vera e propria orgia di improvvisazione, con incredibili occasioni di allegria. Avete improvvisato? Certo, soprattutto nella prima parte. Il copione c’era ed era anche molto preciso, ma durante le riprese spariva...
Si VOGLIO FILM AFARE CONTINUA
C'erano un percorso, un'evoluzione? C'è una sequenza in cui entrano in scena l’inglese e l’Uomo-Volpe, e passando davanti a una laguna che ricorda ?hernobyl l'inglese dice «Tzatzìki», l’Uomo-Volpe risponde «Sì, sì, ma non qui». Ci sono battute una dietro l’altra. E poi ci sono i bagni di fango: tutto è allegro e giocoso e si sente, casualmente, una canzone che dice: «You talk too much» che significa «Parli troppo»... Che rapporto ha con Godard, ad esempio? Non mi emoziona molto come regista. M’interessa intellettualmente. Chi ha influito davvero su di lei? Ho i miei amori, ma non significa che io non stimi Godard. Lo stimo profondamente, ma amo soltanto alcuni dei suoi film. La sua è una strada cinematografica diversa, una strada importante; Godard è un viale centrale, ma nel cinema mi emozionano altre cose. Posso fare alcuni nomi: Fellini, Bufiuel, Murnau
[...] Ho conosciuto Jarmusch di persona, conosco i film che ha fatto, ho visto anche il suo secondo film, Stranger Than Paradise, nella sua prima versione di 45-50 minuti, quando girava in lungo e in largo cercando di trovare i soldi per finirlo. Conoscevo il film, e ne ho parlato ovunque in Grecia.
Dicono che Jarmusch rappresenti una ventata di aria fresca...
È sicuramente cinema. Non è un po’ troppo americano? È veramente americano, ma nel senso della ricerca di un nuovo mito, non della ripetizione di un cliché.
Come Wim Wenders, che andava alla ricerca del classico sogno americano... Quello che in Wenders è appiattimento, in Jarmush è apertura. Indubbiamente è un cineasta di grande interesse, come sua moglie, Sara Driver, anche lei regista. Comunque, senza voler fare una critica e pur riconoscendo che si tratta di vero cinema, devo ammettere che ho una specie di blocco nei confronti
degli americani, Jarmusch compreso. Riguarda la possibilità estatica, che è la nostra prerogativa culturale, e che nel caso degli americani non può funzionare: il racconto è lineare, deve iniziare da un punto e finire in un altro, non può uscire dai binari. I personaggi non possono cadere in estasi se non da ubriachi. Non vuol essere una critica: l'estasi come funzione spirituale non esiste nel cinema americano, tranne che in pochi maestri. Ma vale anche per Wenders, che è europeo. Risulta chiaro in Paris-Texas, girato in America: è una storia con un inizio e una fine, non si va oltre il film narrativo. Il racconto ha molti elementi che definiscono il mondo in modo deterministico, non c'è verso di sottrarsi agli schemi. I registi che vanno a fare film in America vengono assimilati? Va di moda [...). Ma c'è anche un altro elemento: il cinema appiattito lavora sul remake, sulla commemorazione. Ha un atteggiamento necrofilo nei confronti del corpo del cinema e non crea qualcosa di proprio. È evidente negli americani, ma non è una loro prerogativa, visto che anche in Wenders si può riscontrare la stessa caratteristica: rimasticano quello che hanno già detto altri, con continui rinvii, ad esempio al film giallo e così via. Un cinema diverso, come quello di Fassbinder, ad esempio, ha una grande forza, una tensione, una tendenza a dare forma, a mostrare o ad avvicinare il bisogno del nuovo mito, sempre in relazione al mito del cinema del passato, non con uno sguardo critico. Non si fa un film con determinate caratteristiche dicendo chiaramente: «Non m'interessa il cinema del passato». Non si può ignorare, ognuno deve cercare di articolare l’eredità del passato... E pur ammirando Bufiuel, ad esempio, non lo si cita per dire quanto è bello. Si vede un suo film e si è presi dal panico perché sembra che sia già stato detto tutto. Ma in realtà sono state dette le cose di Bufiuel, non le tue, ha trovato una sua articolazione il mondo di Bufiuel, non il tuo. Per questo ognuno deve
assolutamente trovare il suo modo per comunicare, per parlare, per esprimersi o per imparare a esprimersi,
che è un modo di porsi molto diverso dalla rivisitazione del cinema di qualcun altro, per quanto bello. li STAVROS TORNES
Ma ci sono modelli di partenza, che poi vengono plasmati... I modelli ci sono perché siamo il risultato di un determinato passato, non abbiamo scoperto noi il cinema. E per le generazioni successive alla sua nascita il cinema è cultura: siamo figli della cultura cinematografica. Ma tutta l'umanità ha aperto gli occhi, perché il cinema c'è da un secolo, e grazie al cinema e alle immagini sono cambiati la dimensione dello sguardo e il cervello dell’uomo. Esiste la possibilità di stupire, di dire qualcosa di nuovo? Non c’è niente di scontato, non si può escludere qualcosa a priori. Ma non puoi stupire con un remake, ripercorrendo qualcosa che è già stato fatto. Bisogna passare attraverso il bisogno, un bisogno sostanziale di esprimere la realtà, l'immaginario, il mondo nella sua interezza e i desideri. Più concretamente, si tratta di capire che cosa desidera l’essere umano da un punto di vista ontologico. Che posto occupa Stavros Tornes nel cinema greco? Voglio continuare a fare film. È l’unica cosa davvero importante. Voglio continuare per quanto posso.
Nient'altro. È un mio bisogno. Ha comunque un suo stile... Ma non è il caso di mitizzare. Lotto per il mito, che non ha niente a che vedere con la mitizzazione, e non voglio fraintendimenti, nel cinema che faccio e che voglio fare una cosa non ha niente a che vedere con l’altra. Non si vuole ripetere... La risposta è nel mio film [Danilo Treles]). Credo che non esista trappola peggiore dell’identificazione in un unico tipo di cinema, in una scuola: è la fine, la morte. Solo se il cinema rimane vivo dentro di te puoi continuare, altrimenti rimani intrappolato negli schemi che rappresenti. Io non rappresento nulla in generale, rappresento di volta in volta qualcosa di preciso e concreto. &
Quindi la sua opera non è connotata nettamente... Karkaloù è una cosa, Danilo un’altra. Si può obiettare, come ha fatto [Grigoris] Grigoriou quando mi ha intervistato: «Se uno vede un tuo film non può non capire che è tuo». Ma c'è un motivo: questi film sono costati da uno a tre milioni. Non voglio fare il marxista, ma il budget fa assomigliare anche cose molto diverse. Al di là di questo deve riconoscere che Balamòs è una cosa e Karkaloù tutt'altra... Parlando di soldi, che cosa farebbe se le venisse data la possibilità di lavorare con molti milioni?
Sicuramente prenderei l’occasione al volo. Ma non sarei disposto a pagare alcun prezzo. In che senso «prezzo»? La possibilità di buttare via il film che hai fatto se non è venuto come avresti voluto. Quando ci sono in gioco molti soldi ci si muove in un'atmosfera di terrore: chi ti dà i soldi ha paura di perderli. Io non voglio avere questa paura. So di chiedere molto ma non si può fare altrimenti. E i soldi non li puoi certo procurare con una pistola...
Quindi il basso costo non è una scelta. Il basso costo è una soluzione per riuscire a fare cinema. Si può fare cinema anche soltanto con la terra, se non c’è altro modo, ma si deve riuscire a farlo. Una volta ho detto: «Abbiamo da mangiare? Allora il film può continuare. Non abbiamo più da mangiare? non si può più andare avanti» [...]. Cosa ha da dire ai giovani che cominciano a occuparsi di cinema? Buttatevi senza paura! È una follia, una splendida follia. Il cinema è pieno di promesse, ma bisogna lavorare! La presenza dei giovani mi mette di buonumore, in questo momento la loro partecipazione alle riprese è il mio cibo, come per un vampiro. All’inizio poteva sembrava che non prendessero la faccenda troppo sul serio, perché si dice che i giovani non abbiano niente da fare, ma, indipendentemente dal motivo, è molto importante che entrino nell'ambiente del cinema. Da parte dei registi e dell’establishment c’è però un certo snobismo... Se li devi affrontare, se nel momento in cui ti sforzi ti mettono i bastoni tra le ruote, lotterai...
Bisogna essere ostinati, quindi... Bisogna essere disposti a fare il cameriere, l’operaio, ad accettare qualunque lavoro. Il cinema è questo. Per me è molto importante che i giovani si avvicinino all'ambiente cinematografico, perché rappresenta quello che gli italiani chiamano «formazione mentale»: l’esperienza dà conoscenza, non in senso scolastico, per carità, le scuole devono sparire...
Che cosa pensa delle scuole filosofiche? Bisogna lavorare, cercare, trovare. Altrimenti è la morte. Che cosa pensa delle scuole di cinema? Se si tratta solo di fornire degli stimoli a chi ne ha bisogno vanno bene. Ma una volta che le hai frequentate sei finito. Dura solo un giorno, ma il giorno in cui provi l'emozione di entrare in un tempio, ha il valore di un’iniziazione. È solo un giorno. In un giorno hai chiuso con tutto il resto...
Comunque Danilo Treles è un film molto esotico... Sono contento che sia piaciuto ai giovani. Continuo a credere che andare avanti non sia facile, ma quando un film piace ai giovani mi ritengo soddisfatto. Non lo dico per commuovere, mi dà coraggio, perché se i giovani hanno questa sensibilità allora le cose vanno bene. C'è troppa arteriosclerosi in giro, ed è una cosa atroce.
Hanno etichettato la sua opera come cinema poetico... Mi dà molto fastidio. Il che non significa che il mio cinema non sia poetico, soltanto che non si limita a questo.
|\9 VOGLIO FILM AFARE CONTINUA
Quali sono state le influenze e gli stimoli fondamentali di questo film? Tutto comincia da molto lontano, da una storia medievale. Ci sono gli scritti, siamo nel Medioevo, ci sono i trovatori che viaggiano in questi luoghi, Danilo Treles è uno di loro. Ma c’è soprattutto un cavaliere che è rimasto ad aspettare: è Danilo, che rappresenta l’attualità di una realtà moderna. Ora ho dimenticato come è cominciata questa storia, perché ha preso una strada diversa da quella che avevo pensato, la sceneggiatura originaria è cambiata completamente. Sta succedendo anche con il film a cui ho cominciato a lavorare. Quando andai in Epiro per iniziare le riprese vidi che l’idea iniziale non si sarebbe potuta realizzare per mancanza dei mezzi necessari per la ricostruzione in costume. Ma ebbi la fortuna di conoscere Aren Bee, il cantante, e pensai: «Questo è il trovatore». Così la sceneggiatura di Danilo è cambiata. Cerco di vivere facendo economia: mangio molto, spendo per il cibo, per gli spostamenti, per comprare i giornali, ma nel resto cerco di risparmiare. [Come nel detto greco: «Passiamo dalla strada dove non si paga il pedaggio per risparmiare»] Non sono tirchio, ma quando faccio un film divento molto avveduto nelle spese. Credo sia giusto pagare sempre le persone, magari poco, senza mai accettare che qualcuno lavori gratis. È normale che un operatore chieda 12 o 15 mila dracme, ma gliene posso dare al massimo 5 o 8 mila, anche se il suo contributo vale molto più di qualsiasi corrispettivo economico. Credo che nel cinema sia importante partecipare con il sudore, con la creatività, che contribuiscono al risultato finale al di là dei soldi. Bisogna ancora lavorare molto, ma io non mi tiro indietro, se mi presento come produttore di un film e qualcuno mi dice: «Voglio il 5%», gli dirò: «Prendilo e vattene»... Riuscirebbe a fare-un film ugualmente esotico anche in città? Anche la città fa parte dell'ambiente, smog compreso. Anzi, fare un film dentro lo smog può essere una bella idea. [Se piace a qualcuno, la usi! Le idee non si pagano... Un italiano sostiene addirittura che non ci sono idee vere e proprie. LE STAVROS TORNES
L’eco delle idee si diffonde... Bisogna lavorare molto sulle idee. È importante essere sempre attenti. I soldi però non ci sono... Torniamo sempre ai condizionamenti economici. Per questo è molto importante il film I Fotoghrafia [La fotografia] (1986) di Nico Papatakis: i condizionamenti sono ovunque, il destino domina su tutto, come nella tragedia greca. Non esiste libertà di nessun genere.
Intervista con Ghiòrghos Spanòs e Michàlis Mèneghos, registrata a Salonicco il 2 ottobre del 1987, durante il XXVII Festival del Cinema. La pubblicazione è avvenuta diversi anni dopo, su un opuscolo stampato in poche copie in occasione della proiezione di Danilo Treles al Club del Cinema Màti tis Mikònou nel gennaio del 1992. L'intervista è stata rivista per questa edizione, in modo da chiarire, senza alterare il significato, diversi punti che nella prima pubblicazione risultavano incomprensibili.
x
Stàvros Melèas prova la maschera dell'Uomo-Volpe che portava Stélios Anastasiàdhis in Danilo Treles, 1985
ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987 In alto: Mirsìni Tsiàpa, Stràtos Tzìtzis, Stàvros Tsiòlis In basso: (da sinistra) Stàvros Tsiòlis, Elèni Stefànou e Màrios Karamànis
Il Silenzioso
(Progetto di sceneggiatura)
Personaggi principali:
Le pile di libri crescono sempre di più e l’ango-
LOUKAS — 53 anni. Editore per passione, commer-
scia di Màrios aumenta.
ciante per sopravvivere.
Si ferma un attimo a un’edicola’ per fare una
cominciato
a fornire
Da un po’ di tempo ha
materiale
didattico
alle
telefonata. Non parla, ascolta soltanto. Un sor-
scuole private. Ha la mania di stupire conoscen-
riso
ti e amici con continui riferimenti all’0ccupa-
volto: la voce viene da un altro «Mondo».
zione
tedesca,
mentre
discute
rincaro
della
ma
sempre
in tono
sul ristagno
carta,
dire,
«Questo è niente, i tedeschi
pieno
di bontà
gli si disegna
sul
colloquiale:
del mercato
può
calmo,
ad
o sul
esempio:
mi hanno
risolto
LOUKAS CON POLIDOROS DA UN TIPocRAFO — Non ha ordina-
zioni da fare ma vuole assolutamente
tutti i problemi con un calcio in culo».
va,
Rimangono sempre tutti ammutoliti.
Polìdhoros.
MARIOS — 23 anni. Suo aiutante.
Il
Un po’ tonto e
forse
il prossimo
tipografo
sempre con la testa tra le nuvole. Fedele e affe-
riprendere
zionato a Loukàs, ma imprevedibile nei suoi cam-
qualche
biamenti
esaurite.
d’umore. È particolarmente
aggressivo
perché la ragazza lo ha appena lasciato. Le poche
mantenere
buoni rapporti. «In questi giorni la poesia non
tenta
mese», di
prima,
con
convincere
la pubblicazione
anno
dice
Loukàs
di romanzi,
e gli ricorda
Guadagnerebbero
enfasi
tempo
a
come
le edizioni
e danaro.
Ma
Loukàs non ne vuole sentir parlare.
informazioni sull’Occupazione tedesca avute dal
suo capo hanno dato vita a un nuovo mondo imma-
PICCOLA
ginario che il giovane considera più o meno «sto-
poeta trova la porta chiusa. Decide di aspettare
CASA EDITRICE
— «IL SILENZIOSO»,
un giovane
ria» recente. Qualche volta, facendo confusione,
nel bar accanto.
parla di «Pavaria», quando gli sembra di riscontrare qualche riferimento nel mondo attuale.
MARIOS, DI RITORNO — si ferma un attimo davanti al
Immagini di altri mondi prendono forma nella sua
bar e fa segno
testa, intrecciandosi con i1 mondo del passato.
preferisce
al giovane
aspettare
di seguirlo.
Loukàs.
Il Poeta
Si tratta
di una
faccenda delicata. STRADA CENTRALE DI ATENE — ora di punta. Due indivi-
dui sul marciapiede continuano
a parlare senza
INTERNO DELLA CASA EDITRICE «IL SILENZIOSO» — Màrios
muoversi, fregandosene altamente del concitato
approfitta della solitudine per fare una telefo-
andirivieni nelle strade.
nata.
Sono
l’editore
Loukàs
e
l’amico
poeta,
Polîdhoros.
L’ambiente è scuro, un vero caos di pacchi e oggetti inutili, alcune sedie pressoché irriconoscibili. In un angolo un letto rifatto con molta cura dove in
UN PO” PIÙ IN ALTO. ALL’INCROCIO TRA VIA IPPOKRATOUS, VIA
genere dorme Màrios. Appena Loukàs entra, Màrios
SOLONOS E VIA DIDOTOU — Màrios ha cominciato a darsi
riattacca in fretta la cornetta, con il suo sorriso
da fare per le rese mensili.
Gli impiegati delle
da tonto, ma Loukàs non gli presta molta attenzio-
librerie sono gentili con lui, ma gli restituisco-
ne. È in compagnia
no i libri rimasti invenduti.
ancora tante cose da dire. Manda Màrios a prendere
' In Grecia nelle edicole è frequente trovare telefoni a scatti.
del poeta Polìdhoros,
che ha
due caffè senza zucchero e gli dà un po’ di soldi per il giovane poeta. Polìdhoros ritrova il suo estro.
HALL DELL'ALBERGO — Loukàs, l’acquirente dell’airone, una tedesca di 30 anni, e Màrios. Loukàs è di
Il suo monologo potrebbe andare avanti per anni.
buon umore e ordina due cognac. Màrios non parte-
Nel suo delirio, non beve neppure il caffè.
cipa, rimane in un angolo buio in disparte, sedu-
Loukàs
lo ascolta
con
gli occhi
sgranati,
ma
to con l’airone
impacchettato
sulle ginocchia,
immobile. Segue con attenzione la vivace conver-
taglia corto. Deve lavorare.
sazione.
Quando Loukàs chiede alla donna
se ha
BAR Accanto — Polìdhoros blocca il giovane Poeta e
visto l’Acropoli, Màrios non sente la risposta.
riprende
Vede un’Acropoli di altri tempi. Un luogo deserto,
il suo
monologo
dal punto
in cui
lo
aveva interrotto con Loukàs.
sorvegliato da una guardia tedesca dell’esercito
SCUOLA PRIVATA — dopo la fine delle lezioni. Loukàs
portando con sé anche l’airone, mentre Loukàs e
e Màrios
la ragazza tedesca sono immersi in una discussio-
di Occupazione. Màrios scompare in punta di piedi
sono
a colloquio
con il Direttore.
Il
Direttore fa capire a Loukàs che non ha più biso-
ne
gno della sua merce: un pacco di uccelli imbalsa-
Loukàs sogna da sempre di pubblicare in edizione
animata
sulle
mati
di J. J. Bachofen,
sé.
Secondo
il
bilingue.
Viviamo
in
contatto con alcuni editori tedeschi interessati a
un’epoca ecologica, è più utile che gli scolari
una collaborazione. Gli consiglia anche di anda-
familiarizzino
re al Salone del libro di Francoforte.
Màrios
porta
i tempi
congedarsi,
sono
con
con
piccoli
Loukàs
animali
promette
vivi.
Nel
al Direttore
che
gli promette
che
cambiati.
che
Direttore,
La donna
opere
di metterlo
in
DI FRONTE ALL’ALBERGo — Màrios fa una telefonata
presto gli porterà un pony.
anonima da una cabina. LABORATORIO
iS TORNES STAVROS
DI
FRANGOIS
l’IMBALSAMATORE
—
Vecchia
È molto contento perché la sua ragazza Nîna lo
casa con vista su un giardino trascurato dove si
ha riconosciuto, e cerca di articolare un saluto.
aggirano diversi animali domestici.
La cattiva abitudine di non parlare al telefono
Frangois lavora con l’aiuto della bella figlia
l’ha reso incapace sostenere una conversazione.
dodicenne.
Rimane zitto e soffre.
Arrivano Loukàs e Màrios. Màrios sparisce quasi
Ma Nîna gli spiega «per l’ultima volta» che si è
subito. Loukàs parla con molto entusiasmo di un
stufata dei «suoi giochetti» e che deve lasciarla
appuntamento
in pace e smettere di disturbare i suoi amici.
che avrà quella
sera
con alcuni
stranieri e chiede a Frangois se ha ancora quel-
A questo punto Loukàs, uscito di corsa dall’alber-
l’esemplare stupendo, il meraviglioso airone.
go, apre la cabina e prende il pacco con l’airone.
Frangois manda Elèni in soffitta, dove conserva
Màrios lo saluta gentilmente quasi senza ricono-
gli animali pronti.
scerlo, tutta
Mentre Elèni torna con l’airone vede Màrios che
ragazza,
cerca qualcosa in giardino. Continua a chiamare
vita sia diventata
a intervalli «Cannella», con voce dolce.
intenzione di andarsene a Chicago.
la sua attenzione
che continua
un inferno
Màrios, un po’ sorpreso dalla sua presenza, chie-
Màrios
visualizza
con
de a Elèni
l’altro
capo della
linea
ragazza,
se
sa
stupita,
suonare risponde
la
fisarmonica.
che non
La
sa suonare
mentino
è rivolta
a spiegargli
come
alla
la sua
e gli dice che ha
dolorosa
chiarezza
il simpatico
di Nìna, dove un tempo
dal-
apparta-
abitava
anche
nessuno strumento, che non le piace la musica.
lui. Da quel momento Màrios comincia a «vedere»
«Peccato — pensa — sarebbe brava». Màrios promet-
quando telefona.
te di aiutarla: suonare la fisarmonica è facile. SERATA POETICA — Come ogni mercoledì i poeti sono
DAVANTI A UN PICCOLO ALBERGO DI PLAKA — Màrios e Loukàs
riuniti a casa di Loukàs per recitare le poesie
si fermano
scritte nel corso della settimana.
per un attimo
all’ingresso prima
di
È stata invi-
entrare. Màrios chiede dei soldi per comprarsi le
tata anche la tedesca che ha comprato l’airone.
sigarette, Loukàs gli dà 100 dracme, sapendo che
Uno dopo l’altro i poeti si alzano
non
leggere, correggendo qua e là qualche parola.
gli serviranno
per 20 sigarette
ma per 20
in piedi per
telefonate. Gli dice che non fumare gli fa bene,
Màrios, dopo la prima lettura, se la svigna mor-
ma telefonare gli fa male. E gli chiede se capisce
morando che la poesia è un’altra cosa, ma nessuno
che con 100 dracme si possono comprare quattro
gli
chili
Qualcuno tenta di tradurre un verso in tedesco,
di patate.
«Devi
imparare
il valore
cose. Anche di una semplice patata».
alle
presta
attenzione.
La
serata
è vivace.
ma la donna lo zittisce dicendo che capisce tutto.
Qualcun altro dice che Rilke è il più grande, ma
arrosto. La carne non ha un aspetto invitante. Ma
Loukàs
all’improvviso
preferisce
Hòlderlin.
Il suo
parere
fa
esplodere un’accesa polemica.
Màrios comincia
a mangiare
voracità come se non mangiasse
Loukàs impone il silenzio. Lascia l’ultima paro-
piendosi non solo la bocca ma anche
la alla tedesca.
Sente il suono di una fisarmonica e smette.
La donna
comincia
a recitare
Omero lasciando tutti a bocca aperta.
con
da sempre, riem-
le tasche.
Da una finestra vede nel cortile una ragazza che suona la fisarmonica per un soldato dell’esercito
SERENATA — Màrios davanti
alla casa di Nîna, un
tedesco di guardia. È Elèni e suona Paloma. È spor-
palazzo enorme. Un vecchio violinista si prepara
ca e vestita in modo trasandato come tutti in quel
ad accompagnarlo mentre canta la sua serenata.
periodo. Ma la sentinella è come rapita in una spe-
La luce della stanza si spegne dopo le prime note,
cie di estasi, e non vede i ragazzi che, sotto ai suoi
ma Màrios sa che Nîna si è infilata nel letto,
occhi, scivolano sotto il filo spinato e irrompono
tappandosi disperatamente le orecchie. Tuttavia
nella cucina a cui è vietato l’accesso.
Màrios è convinto che in fondo Nîna sia conten-
Elèni continua a suonare. Un suo amico è in ritar-
ta, ed è pronto a cantare per tutta la notte.
do: Loukàs.
I vicini, però, vogliono dormire. Aprono le fine-
riesce a passare con fatica sotto il filo spinato.
stre, volano improperi e sacchetti dell’immondizia.
Ha 53 anni, ma con i pantaloncini
Il vecchio violinista se la dà a gambe, cercando
un ragazzo. Non ha dubbi: va direttamente verso
di trascinare con sé anche Màrios. Ma Màrios,
alcune donne che stanno lavorando, perché è un
Arriva
correndo,
sudato
fradicio
e
corti sembra
intrepido, continua la sua serenata finché arri-
luogo meno rischioso per un ragazzo.
va la polizia.
si mantiene
Sei donne stanno sbucciando una montagna di pata-
calmo e si lascia portare via, ma poi fa un movi-
te. Sono giovani e spesso generose con i ragazzi.
mento che coglie i poliziotti di sorpresa e riesce
Mentre
a scappare.
divertenti.
Inizialmente
Per
Màrios
i poliziotti
non
vale
la pena
lavorano
cantano
Ogni
tanto
e raccontano
qualcuno
storie
arriva
dalla
d’inseguirlo. Gli vanno dietro lentamente, guar-
cucina con un recipiente a prendere le patate sbuc-
dandolo mentre continua a correre. Poi lo vedo-
ciate
no sparire in uno scantinato.
delle donne, cogliendole alla sprovvista.
e, velocemente,
SCANTINATO — il luogo in cui si è infilato Màrios è
LAVANDERIA — i ragazzini nascosti in ogni angolo
composto da una serie di locali collegati a uno
stanno
spazio centrale inutilizzato, simile a un garage,
piccola banda di sei-sette
dove si è costretti a procedere tentoni.
più coraggiosi e i più affamati del vicinato.
aspettando
mette
la mano
il momento
sul sedere
giusto. Sono una
ragazzi e ragazze,
i
Màrios sente i passi dei poliziotti che si allon-
Il meno abile dei ragazzi è Loukàs, forse è per
tanano
questo che Elèni cerca di proteggerlo.
ma anche
strani rumori
che provengono
dall’interno dello scantinato: una porta si apre
Ora gli mette nel pentolino
con gran fracasso. La risata sonora di una donna
dicendogli di non muoversi. Sarà lei a procurar-
accompagna
il respiro
gli qualcosa da mangiare.
Ora,
semioscurità,
nella
intravedere
uno
affannoso
spazio
con
Màrios
di un
uomo.
comincia
la volta
a
ad archi,
un po’ di minestra,
Elèni se la cava meglio di tutti perché è bella. Si muove con attenta lentezza tra le enormi pen-
pieno di sacchi di patate.
tole della cucina e riesce a commuovere
All’improvviso, si spalanca una porta e sbuca un
Karl, il più duro e violento dei cuochi.
uomo tutto allegro, un gigante vestito da cuoco
Le donne
buttano
che trascina con sé una donna. La butta sui sacchi
mucchio
di bucce.
e cerca di spogliarla. Màrios non riesce a nascon-
tentazione e si precipitano sul sacco, scegliendo
dersi dietro le patate, viene visto dalla donna
quelle che non sono completamente andate a male.
che
gli fa cenno
con
gli occhi
Màrios obbedisce e si allontana
di andarsene.
a quattro zampe
un sacco
persino
di patate marce
I ragazzi non resistono
nel alla
Il cuoco Karl, che sa aspettare il momento giusto, vuota un recipiente di acqua calda sul mucchio, i
muovendosi all’indietro come un granchio.
ragazzi indietreggiano per un attimo tra lacrime
Quando si rialza in piedi, Màrios si ritrova in
e risate, ma ritornano più decisi che mai.
un’ampia sala piena di vapore: è una grande cuci-
Sulla porta compare un ufficiale minuto che con
na
la sua presenza
di altri
tempi
assolutamente
funzionante.
impone
un rispettoso
silenzio.
Pentole con minestroni, verdure e acqua che bol-
L’ufficiale, rivolgendosi alle donne, chiede che
lono sulle stufe a carbone.
i ragazzi vengano mandati in cucina. Oggi darà
Accanto al fornello
acceso c’è un enorme tegame con pezzi di maiale
loro da mangiare personalmente.
IS SILENZIOSO IL
Su un tavolo,
in fila, ci sono
giganti. L’ufficiale
almeno
30 ossi
dice loro di scegliersi gli
CASA
NEOCLASSICA
Governo
esce
A KOLONAKI
dalla
casa
—
Un
Ministro
e si dirige
verso
del una
Mercedes nera che lo aspetta in strada.
ossi più belli e di seguirlo.
Un poliziotto gli apre la portiera. Il Ministro
cortILE — L’ufficiale ha già montato una macchi-
entra. Un taxi passa a gran velocità, dal vetro
na fotografica
spuntano due mani destre armate di pistole, spa-
sul cavalletto.
Mette
i ragazzi
uno dopo l’altro davanti all’obiettivo con l’or-
rano e il poliziotto cade a terra.
dine di succhiare gli ossi. I ragazzi si lasciano
Sul lato opposto della strada, il carretto con i
fotografare docilmente.
Quando arriva il turno
ragazzi è fermo. Màrios corre verso la macchina
nera come se ci fosse un accordo.
di Loukàs, l’ufficiale si arrabbia. Loukàs crede che l’ufficiale si sia insospettito
Estrae una grossa pistola e spara alcuni proietti-
per via della sua età. Si contrae più che può per
li contro il Ministro, che dall’interno della mac-
sembrare più piccolo.
china, illeso, guarda stupito. Màrios corre, scalzo
In realtà lo disturba qualcos’altro: un vecchio
com’è, nel tentativo di raggiungere il taxi che si
ossuto e spigoloso che rimane
allontana in fondo alla strada, fino a perdersi.
immobile
davanti
al filo spinato sperando in un po’ di fortuna. È il posto in cui ogni tanto
buttano
gli avanzi
virroria — I ragazzi della banda di Loukàs, su tre
della cucina. L’ufficiale, fuori di sé, chiama un
aeroplanini di legno con le ruote, terrorizzati
soldato.
dalla
Il Vecchio
gli rovina
l’inquadratura.
grande
velocità,
oltrepassano
la
Gli ordina di scomparire.
Sentinella tedesca, entrano in città senza che
Il soldato urla intimando al Vecchio di andarse-
nessuno riesca a fermarli, neppure le automobili
ne. «Oggi per te non c’è niente, mangiamo solo noi
di un’Atene contemporanea.
e i bambini», gli dice seccamente. Il Vecchio
RS TORNES STAVROS
non
si sposta
di un
millimetro.
Il
MARIOS SI SVEGLIA NELLO SCANTINATO — Alba. Guardando
militare lo picchia. Il Vecchio continua a pian-
stordito intorno a sé, chiama: «Cannella».
gere e non se ne va. Il soldato lo trascina fuori
In un angolo dello scantinato, è seduto uno scono-
dall’inquadratura
sciuto. È magro, con la pelle scura e gli occhi spi-
L’ufficiale,
della macchina
avendo
ormai
perso
fotografica.
entusiasmo
e
ritati come carboni ardenti. Non parla, non ce n’è
pazienza, dice che vuole fare un’ultima fotogra-
bisogno. Màrios capisce che si tratta di un Poeta
fia di gruppo. I ragazzi, schifati dalla miseria
autentico e decide di portarlo alla casa editrice.
del cibo e terrorizzati dalla paura, si mettono in fila con gli ossi che pendono loro dalle mani. L’ufficiale incita
con
i suoi
a mangiare
MARIOS IMPARTISCE LEZIONI di pony ai piccoli scolari della scuola privata. Riscuote un grande successo,
Qualche osso cade in terra.
ordini
gli ossi,
isterici
ripete
che
li gli
gli scolari non desiderano nient’altro. Anche se alcuni sono distesi a terra con le gambe lussate.
ossi sono buoni. Fa finta di leccarsi i baffi, si
Il Direttore, infastidito da tanto amore per gli
lecca, si lecca e si prepara
animali,
a scattare la foto-
grafia.
con
tono
severo
ordina
a Loukàs
di
riportargli il pony imbalsamato.
A questo punto interviene Màrios, bisbigliando a
In un luogo desertico Loukàs, con Polìdhoros, cerca
bassa voce: «Non leccate, non leccate». Ma veden-
di uccidere un pony, ma non è un’impresa facile.
do che i ragazzi non lo ascoltano, esce fuori e
Dalle
grida loro di scappare.
intenzioni
Poi, dopo aver dato un calcio al cavalletto, corre
«Uccidono il cavallino, uccidono il cavallino!»...
case
vicine,
alcune
di Loukàs
persone
capiscono
e cominciano
le
a urlare:
via con i ragazzi lasciandosi alle spalle l’uffi-
Loukàs
ciale preoccupato per la sua macchina fotografica.
veste velocemente per andare alla casa editrice.
ATTENTATO — La piccola banda di Loukàs, su un car-
LOUKAS ARRIVA Nel suo UFFICIO — rimane stupito dalla
retto. In piedi dentro al cassone, Elèni e Loukàs.
presenza dello Sconosciuto, ma lo saluta gentil-
Màrios
mente.
tira
il carretto.
I ragazzi
guardano
dalla parte dell’Ente di Assistenza Militare, su via
Panepistimìou.
Dietro
al
Milite
Ignoto,
verso il teatro di Erode Attico, il carretto con i
si sveglia
e, guardando
l’orologio,
si
L’altro non risponde, ma continua a fissarlo.
Loukàs siede davanti allo straniero con l’intenzione di scambiare due parole, come è sua abitu-
ragazzi incrocia gli euzoni che vanno a fare il
dine fare con i gievani poeti. Ma, in preda a uno
cambio di guardia.
strano
imbarazzo,
rimane
muto.
Lo
guarda
in
volto e rimane
sconvolto
dallo sguardo
fisso e
luminoso dello sconosciuto.
passano «migliaia» di gambe, poi le gambe di una persona che trascina un’asse di legno. Si ferma
Quando arriva Màrios con due caffè, Loukàs lo
davanti agli occhi dell’ebreo spagnolo imprigio-
guarda
nato. La persona con l’asse di legno s’inginoc-
con
aria interrogativa,
ma Màrios
non
dice nulla che chiarisca la situazione.
chia leggermente, senza scoprirsi il volto, illu-
Senza
minando in maniera intensa la prigione...
aprire
bocca
offre
un caffè allo scono-
sciuto e l’altro a Loukàs. Lo straniero,
vedendo
che Loukàs
non
beve il
LOUKAS INTERROMPE il silenzio telefonico di Màrios,
caffè, beve anche il suo.
dicendo
Loukàs è colto da un attacco di tosse nervosa e
cercare ancora. È costretto a sottrarre brusca-
esce
fuori
segue.
a fumarsi
Loukàs
una
il pony
lo
mente Màrios al suo silenzio e si è pentito di avergli lasciato guidare la macchina.
MAccHINA — Màrios e Loukàs discutono dello sconoMàrios
sostiene cominci
è convinto
autentico. che a
Un
Màrios
capirci
che
si tratti
talento —
unico.
sebbene
qualcosa
—
Devono
la
All’improvviso Màrios fa inversione, e comincia
a sfrecciare sciuto.
moltissimo.
Màrios
macchina. «Dobbiamo andare a cercare un pony».
poeta
costa
a prendere
sigaretta.
gli dice di andare
che
sa
verso
la città, senza
di un Loukàs
ultimamente non
follemente
prestare attenzione alle proteste di Loukàs.
ancora
CASA EDITRICE — Màrios e Loukàs guardano in dire-
zioni opposte. Lo Sconosciuto
è scomparso
distinguere i poeti dai parassiti. Potrebbe anche
sé uno strano vuoto.
essere un anarchico ricercato dalla polizia.
Màrios dice: «Dovevamo
lasciando
dietro di
portarlo con noi, aveva
le chiavi del XX secolo». FUORI CITTÀ — Màrios telefona alla casa editrice.
Loukàs risponde che era un analfabeta.
Al
Màrios si precipita fuori dicendo che andrà a
suo
silenzio
risponde
«un
altro
silenzio».
Màrios «vede» lo sconosciuto con maggiore chia-
cercarlo.
rezza.
Loukàs, pieno di dubbi, corre dietro a Màrios e
Non si è sbagliato sul grande talento di
gli grida:
questo poeta autentico. È un ebreo spagnolo, sopravvissuto ai secoli. Ha
«Forse ha ragione. Ci potrebbe aiutare a trovare
capito
un pony».
tutto.
Ha
visto
tutto.
Ha
visto
anche
Cristo.
Màrios ora capisce perché ha trovato l’ebreo spagnolo nello scantinato, ne intuisce il significato. Davanti al campo recintato con grosse inferriate
O Siopilòs, progetto inedito datato «Atene 1987». Si tratta di una variante di elaborazione della sceneggiatura di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa.
MIIRITIPIIMENE INt4: LAtie NANTO xp 4
SES TL
Pe
RI
Stavros Tornes dà indicazioni a Anna Wich, ornitologa tedesca in Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
RS SILENZIOSO IL
POLIDHOROS:
O siamo tutti poeti o sono cazzi amari, va bene? Il problema
però è che i poeti paura e c’è stato il fenomeno del sindacalismo in poesia. Cioè gli americani dicono... EvtuSenko, il russo, dice: « questa è una dittatura da spiaggia. È un caos». Poi si alza il nostro Thomàs e dice «Quale
caos? Hai proposte da fare nel caos?» Era una piazza con trentamila per-
sone dove, a turno, uno dopo l’altro, prendevano tutti il microfono e cercavano di articolare qualche parola. Capisci? Cercavano di pronunciare parole poetiche,
cioè il discorso
poetico era arrivato
a una
situazione
paradossale. Dicevano: «sze, sze, sze».
LOUKAS: Sze! E cosa vuol dire? POLIDHOROS:
Dunque! Vuol dire, dunque, dunque, dunque, come la canzone
che dice: «Il pappagallo ha detto, ha detto», qualcosa del genere, capisci? E dunque, in tutta questa storia, in questo caos, in questa situazione
di
bisogno in cui il microfono significa potere e potere significa microfono, arriviamo noi con Thomas. E Thomàs comincia a leggere una poesia! E con
quale
poesia
comincia,
secondo
te?
Con
quale
poesia?
Con
Costantino
Kavafis. In italiano! Costantino Kavafis! LOUKAS: Quale poesia? POLIDHOROS: Una poesia, ora non ricordo, una poesia di Kavafis. Forse «Il (ohio gi:=10]o}-Nolole)et-MP:Velvo)ehLoPPPILAPPM et: ci-10oxhogo\bE- 0-20 clo)elo;-[ch i)
Un airone per la Germania
La trama e l’intreccio di Erodhiòs sono ormai lineari. Non verticali. Il film segue un percorso ascendente e decolla. Un’altra differenza è l'espansione della parola: dialoghi e monologhi ben organizzati, a seconda dei personaggi. È anche il mio primo lavoro con musica orchestrale. Ne avevo bisogno, perché mi confrontavo con l’uomo greco e con il suo sentimentalismo. I personaggi centrali sono tre. L’editore Loukàs, che stampa solo raccolte poetiche ma, siccome non ce la fa economicamente, si dedica anche alla vendita di uccelli imbalsamati. Il suo assistente Màrios, e Nìna, di cui Màrios è innamorato. I primi due sono personaggi legati al passato e al sogno. L'editore rappresenta per il suo aiutante la storia, mentre la nostra epoca è l’epoca di Nìna. Nìna prenderà le redini della piccola casa editrice. Si distingue perché è ostinata e cerca di realizzare ciò che vuole. È il personaggio al centro dell’azione. i Intorno ai protagonisti si muovono il poeta Polìdhoros, il poeta Ghiòrghos, un poeta ispano-ebreo, un’ornitologa tedesca, un portiere, un bidello, il direttore della scuola, un vero imbalsamatore con la sua vera figlia e altri personaggi. Spesso i personaggi recitano ruoli doppi, perché nel sogno e nella fantasia fanno rivivere gli anni dell’Occupazione. ... Secondo un’altra chiave di lettura, Erodhiòs è un film sull’Occupazione che continuiamo a portarci dentro, anche se è finita.
Nota di presentazione dell’autore, 1987.
Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987 In alto: Èvris Papanikòlas e Anna Wich
A lato: Stavros Tornes-Polìdhoros e Stàvros Tsiòlis-Loukàs discutono sulla poesia
IOI
NE punt le
Stavros Tornes: in basso con il direttore della fotografia Stamàtis Ghiannobùlis
durante le riprese di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
il)
Ritrovare la chiarezza e la forza
Come giudica la tendenza del cinema internazionale a fare film sempre più costosi e qual è la sua posizione come regista greco? Quando si investe un capitale, per stare alle regole del gioco bisogna recuperarlo e in più guadagnarci. Visto il fiorire di nuovi mezzi audiovisivi, possiamo parlare di tentativi di sopravvivenza concorrenziale di questo sistema di produzione, non di fioritura. Il gran numero di film ad alto costo, che allettano e adulano lo spettatore di oggi, le sembra legittimato da una tendenza predominante nel cinema internazionale? La legittimazione viene dal numero dei biglietti venduti. Un numero preciso, carico di forza feticista, annulla qualsiasi obiezione alla necessità di un film. Negli ultimi anni si discute sull’opportunità che il cinema greco si apra al mercato internazionale (produzionedistribuzione). Crede che per ilfilm greco ci siano esigenze particolari da parte del mercato internazionale, di carattere estetico, tematico o di altro tipo? La coproduzione internazionale vede di buon grado soltanto ifilm ad alto costo? La produzione straniera in Grecia non è presa neanche in considerazione, perché non ci sono le infrastrutture. Per i film già girati la distribuzione all’estero non è facile. Forse però i paesi esteri sono i destinatari naturali di questi film. Per quanto riguarda l’aspetto estetico o tematico bisogna superare un certo tipo di folclore, dal momento che le culture dei paesi stranieri hanno già assimilato la dimensione storica e quella mitologica dell'ambiente greco. La diffidenza degli spettatori rispetto ai film greci è dovuta al costo relativamente basso rispetto all’elevato corrispettivo della maggior parte dei film stranieri? Il film straniero esercita un’attrattiva maggiore sullo spettatore greco, come conseguenza di una pubblicità sistematica, della. moda, della sua superiorità quantitativa e tecnica, e del primato di paesi in cui il cinema è nato e si è sviluppato come industria. Come giudica il livello dei film greci e in che misura influisce su tali prodotti la ristrettezza dei budget produttivi? La ristrettezza dei budget è determinante nella misura in cui consente un cinema personale e artigianale, dove il creatore ha la supervisione complessiva e la possibilità di intervenire sul suo materiale. Indipendentemente dal livello qualitativo, la caratteristica dei film greci è la polifonia. Come mai ifilm internazionali di qualità sono sempre stati relativamente a basso costo?
Cosa pensa della scelta, anche occasionale, di alcuni grandi cineasti che hanno girato film a basso costo (Eric Rohmer, Martin Scorsese ecc.), spesso considerati tra le opere migliori di questi artisti, come nel caso di Le rayon vert (Il raggio verde) e After Hours (Fuori orario), ad esempio... Da molti anni a questa parte ci sono grandi artisti (ad esempio Ermanno Olmi, in Italia) che realizzano un cinema artigianale e personale, e lo teorizzano anche, facendone un modello.
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Ci sono artisti che, mossi dall’impellenza della loro necessità espressiva, hanno fatto film troppo a basso costo. In Grecia questi film sono stati inclusi, durante le riprese o dopo la realizzazione, nei programmi di finanziamento statale. Le pare possibile la prospettiva di una produzione di film di qualità attraverso l'acquisizione di mezzi produttivi minimi e con l’autofinanziamento della produzione? Se sì, che tipo di produzione propone? Si potrebbe destinare una parte del complesso dei finanziamenti statali stanziati per lo sviluppo del cinema ai film a basso costo. Con questa somma, i registi interessati si libererebbero della difficoltà di organizzare le loro urgenze espressive. La constatata tendenza all’aumento del costo di produzione spingerà all'aumento della somma dei finanziamenti da parte del Centro Greco del Cinema, alla diminuzione del numero dei film prodotti o all’arbitraria diminuzione dei costi? Come si potrà dare a un maggior numero di registi l'occasione di esprimersi e in che modo sarà istituzionalizzata la possibilità di accedere ai finanziamenti per i registi esordienti (primo o secondo film)?
Il suo modo di produrre ifilm contempla uno sceneggiatore, un regista e un produttore. Le modalità di produzione dei suoi diversi film hanno qualcosa in comune tra loro o con quelle dei suoi colleghi? Tutti i miei film sono personali e sono accomunati dalla produzione artigianale, al contrario delle opere di molti altri registi che, pur essendo le condizioni della Grecia favorevoli alle produzioni artigianali, producono film con modalità paragonabili a quelle della produzione industriale.
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Potrebbe girare il prossimo film con meno soldi senza alterarne le qualità? E se avesse una maggiore disponibilità economica, pensa che il suo film riuscirebbe meglio? Non credo sarebbe peggiore, la mancanza di soldi non sarebbe un ostacolo per la ricerca di una nuova qualità. Non so se il film verrebbe meglio con una maggiore disponibilità economica. Il basso o l’alto costo non devono essere intesi secondo una logica economica, perché i soldi non sono una panacea. Come immagina ilfuturo del cinema greco dal punto di vista della produzione? (tenga presente nelle sue previsioni o nei suoi auspici il recente passato e le promesse delle istituzioni). Vorrei che il cinema prodotto in Grecia ritrovasse ciò che ci ha lasciato in eredità il cinema muto: la chiarezza e la forza.
Risposta a un'inchiesta pubblicata dalla rivista «Kàmera» (n. 7, maggio-giugno 1987), intitolata Ellinikòs kinimatoghràfos: zìtima kòstous? [Il cinema greco: questione di costi] Sono stati interpellati anche Nîkos Peràkis, Christos Vakalòpoulos, Nikos Koundouros, Frìdha Liàppa, Mànos Zacharìas, Michàlis Koutoùzis.
Brani di passione poetica
Il cinema era ed è l’espressione di un’altra libertà, di una diversa possibilità di vita che oggi scopre un aspetto nuovo: il piacere autentico. Il cinema ha sempre contemplato l’elemento del piacere, ma ai nostri giorni lo riscopre con modalità più dinamiche. Da dove deriva questo dinamismo? Il cinema può contrapporre il piacere ai circuiti commerciali chiusi (come la televisione), che creano un prodotto di consumo, un'immagine secca, inaridita. Il rituale di entrare insieme agli altri in una sala buia, di vedere insieme ad altre persone, di essere abbagliato dalla grandezza dell'immagine, non può essere sostituito da nient'altro. [...] La differenza tra l’immagine televisiva e il cinema riflette la differenza fra l'elettronica e la chimica. La chimica è più vicina a una certa antropologia, e l’immagine chimica è qualcosa di più vivo e di più sensibile ai cambiamenti, proprio come l’uomo. L'immagine elettronica, invece, anche quando sarà perfezionata a sufficienza, non potrà mai avere quella sensibilità dell’indeterminatezza, quel fascino del casuale che ha la chimica, importante prerogativa di un procedimento che io non abbandonerei mai. [...] Come potrà un film incontrare il suo pubblico? Sicuramente presentando proposte interessanti. Un regista non può rimanere indifferente al fatto che le persone hanno smesso di interessarsi al cinema. Mi piace quando i giovani dimostrano curiosità per il mio lavoro, ridono, discutono, ne parlano, insomma: mi interessa molto di più che un generico ritorno del pubblico nelle sale. Io non faccio film per arricchirmi o per fare incassi, ma per trarne io stesso piacere. Devo però essere sensibile alla rete dei rapporti, alla distribuzione e a quello che ci sta intorno. Il film deve avere un elemento di fascino per farsi strada. Con ciò non intendo dire che un film debba ubbidire a delle regole, o che debba avere determinate caratteristiche per piacere. Il film deve in qualche modo disturbarti, deve opporsi a te, deve andare al di là delle tue aspettative. L’uniformità è la morte. [...] Il cinema è i nostri film. Senza di essi non siamo nulla. I festival non creano il cinema, esistono suo malgrado. Eppure sono interessanti: sono un luogo in cui le persone si confrontano, ricevono stimoli, sia pure negativi, si trovano ad affrontare un pubblico duro, spesso addirittura cannibale, pensano e riescono a vedere cosa rappresentano esattamente in una determinata realtà sociale negativa. [...] Forse la reazione del pubblico al Festival di Salonicco ci pone un interrogativo. Sebbene mi rifiuti con tutte le mie forze di fare autocritica (perché i film che fai te li fai per te e di tutto il resto non t’interessa niente), non posso però negare che le reazioni del festival mi fanno riflettere. Provi a cercare l’altro e l’altro non ti vuole. Ma in questo contatto negativo esisti con il tuo film, sia quando ti annulli letteralmente sia quando arrivi a confrontarti nuovamente con te stesso: è un processo liberatorio. Senza arrivare ad augurarmi che le persone si insultino o vengano alle mani, preferisco uno scontro piuttosto che l’in-
differenza.
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[...] Nel cinema greco ci sono molta passione e molto divertimento, ma poco amore. Con l’amore si potrebbe supplire alla negatività dell’ambiente con cui si confronta il film durante la fase di realizzazione. Certo, in questo Paese qualcuno può farti facilmente uno sgambetto, cadi giù e non ti rialzi più. Ma di questo non ho paura. Io, per quanti sgambetti mi faranno, presto o tardi farò il mio film, sia pure con un pezzetto di pellicola. Mi rattrista che gli uomini di cinema si blocchino di fronte alle avversità, che sicu-
ramente sono vere, ma non possono essere la loro verità. Dove è la loro verità? [...] Se vuoi fare un film e non hai i mezzi mi chiedi «Stavros, hai per caso qualche pezzo di pellicola?». To posso dartelo e se hai 20-25 anni e sei pieno di risorse puoi fare il tuo film. Non avere fretta, anche se
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devi arrivare a 30 anni per finirlo, non è grave, anzi, sarai maturato grazie a questa esperienza. Sono molti i film che hanno richiesto molto tempo per essere portati a termine. Oggi non ci sono solo il cinema hollywoodiano e il cinema europeo di qualità: in Europa abbiamo anche film di un altro tipo, che parlano davvero dell’esistenza e dell’uomo. Ci sono film realizzati in 12 anni, film sconvolgenti: l’uomo che li ha
fatti è impresso nel film. [...] Bisogna anche sapersi regolare... perché altrimenti ci si limita a vantarsi di regie e creazioni. Il rischio è dentro di noi, annidato nelle nostre debolezze. Perché il cinema è una cosa difficile, è arte. Se non t'interessa il cinema in quanto arte, allora perché dovresti fare un film? È solo la realizzazione del desiderio umano di essere fotografati? Chiunque sarebbe in grado di farlo.
Frammenti di un'intervista con Katerìîna Skîna pubblicata in Stàvros Tornès, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene 1984.
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Stavros Tornes al Festival di Salonicco, 1982 (fotografia di Levtèris Dhanîkas)
Per uno sguardo rivelatore
Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa è davvero ilfilm più a basso costo di tutti i tempi? Penso che sia il più caro tra i miei film. Più caro da tutti i punti di vista: dal punto di vista materiale, ma anche come investimento umano, che non si può monetizzare. Ma se si vuole sapere quanto è costa-
to, basta vedere il film e fare due conti. Purtroppo molte persone, quando non si tratta di vedere quanto hai intascato ma quanto avevi a disposizione e quanto hai speso, diventano cavillose. Mi chiedo la ragione di tutta quest’insistenza sul costo dei film... Sembra il tribunale dell’Inquisizione... Quando si parla di spettacolo si fa finta di essere generosi, superiori ai soldi, ma alla fine il cinema viene affrontato con un atteggiamento da commercianti. Si sta attenti ai centesimi come se fossero d’oro. Credo che quest’austerità abbia delle buone giustificazioni, non credo sia un’assurdità. Diventa assurda quando
sei ostaggio della necessità di fare economia, quando provi a non buttare neppure un centesimo per di strazione o spreco e vieni criticato e disprezzato perché sei «a basso costo». [Si creano labirinti classisti e] non ti viene riconosciuto il merito di aver tenuto bassi i costi pur continuando a rimanere produttivo. Esiste un feticismo dei numeri, ma i numeri sono relativi. È molto più importante il modo in cui ti poni nei confronti dei soldi. Tu fai cinema con pochi soldi. È una specie di suggerimento ai produttori? L'eccesso chiassoso, le manie di grandezza, il presunto «Spendiamo» — che anche quando è reale dovrebbe essere accompagnato da uno spontaneo «Perché spendiamo?» — non sono una proposta creativa. Si vedono film ad alto costo — ad esempio l’ultimo film di Spielberg [E.T. the Extra-Terrestrial (E.T. L'extraterestre)] — e ci si rende conto che si sarebbero potuti realizzare con meno soldi. Non credo sia auspicabile che venga istituito un controllo sul modo di lavorare di ognuno. Ma in questa logica del gonfiare i costi intravedo una vera e propria tattica: sembra che nel cinema il risultato sorprenda in modo direttamente proporzionale all’alto costo. Così l’alto costo viene usato come arma contro coloro che non hanno a disposizione budget alti. Tutto questo ha una sfumatura classista, rientra nella logica del potere.
Quindi distingui fra film che fanno vedere i soldi e film che, visto che di soldi non ne hanno, fanno vedere altre cose? ... Film che vogliono far vedere spudoratamente quanto sono costati. L'aspetto feticista della faccenda sta nell’investimento economico. È come fare un confronto fra due puttane: una di strada — che avvicini senza tanti preamboli mettendoti subito d'accordo sul prezzo — e una che vai a trovare in un appartamento con luci e musica, che costa molto di più. La puttana di strada è una cosa onesta, l’altra è un imbroglio: si paga la confezione. In Erodhiòs la ricerca dei soldi necessari per sopravvivere diventa il tema principale. È un riferimento alle tue vicende personali, una metafora, sullo schermo, del tuo calvario? Nel nostro paese la ricerca dei capitali è sempre stata un problema. I capitali sono sempre mancati. Ci sono sempre stati i ricchi, gli speculatori, ma il capitale non c'è stato mai. Sin dall’antichità la società si è basata sullo scambio, su un continuo «dare-avere» molto diverso dall’accumulo di capitali.
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l’abilità Il capitale umano, dunque, è più importante. Come nel tuo film. Si riesce a capitalizzare solo umana... È così anche nella vita. Anche quando non esiste una prospettiva «di ampio respiro» — come nel film, conin cui si deve pubblicare un libro — si vive una situazione di estrema angoscia. Per i greci tutta l'epoca questioalla inizio temporanea è stata segnata dall’angoscia. La fondazione dello Stato neogreco ha dato ne dei prestiti: «i prestiti dell’Inghilterra». I prestiti supplivano alla mancanza di capitali. Questo tema ritorna in termini angosciosi nella vicenda personale di Loukàs Kostòghlou, il protagonista del mio film, e credo abbia un valore antropologico. Osserviamo alcuni uomini che tentano, senza lamentarsi, di trovare capitali. E dove arrivano queste persone, nel film? Vendono aironi... Quando si è privi di capitale, ci si riempie di inventiva. Si acquista un’abilità pari a quella di un mago, di un uomo che può arrivare a fare miracoli: per riuscirci bisogna conservare la purezza.
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Come nella scena dell’albergo, dove, invece di uno scambio formale è stata messa in scena una recita... È una performance, infatti. Lo scambio non è un’arida compravendita: «Ti do un coniglio, mi dai dei dollari», ma «Ti do un coniglio che in più balla, sa stare in piedi»... In altri tempi era ancora più sorprendente, più esotico. Viviamo in un paese che può vendere esotismo, e in fin dei conti è ciò che vendiamo. Cos'altro possiamo vendere? Mi si risponderà: patate, limoni e così via. Ma chi commercia in questi prodotti all’estero è molto più potente, e la concorrenza è spietata. Quindi vendiamo esotismo, mito, poesia, in ultima analisi. Abbiamo la possibilità di creare e di convincere il prossimo che le nostre creazioni valgono qualcosa. In un luogo dove le persone hanno preso coscienza che la ricchezza economica e la potenza sono impossibili, ha preso vita un mondo di poeti, stratificato socialmente in tutta la Grecia. Se, ad esempio, vai dal generale Kitrilàki e gli dici: «Generale...», ti risponderà: «Sì, ragazzo mio, anch'io ho qualche poesia...». Quest'identificazione del nostro popolo con la poesia dà vita a uno spazio (uno spazio per molti versi utopico) dove esistere insieme agli altri. Anche se questo luogo pieno di poeti può sembrare un indice di decadenza, siamo comunque tutti poeti... Il film, quindi, è una risposta al modello del poeta isolato che ha preso il Nobel. Qui, la poesia è una condizione quotidiana... Nel nostro mondo il poeta indossa i panni del mago. E il più grande mago della nostra stirpe è Kavafis. Eppure, in molte interviste, dici che non vuoi essere definito «il poeta del cinema». Finiamo sempre per essere etichettati come «poeti», secondo un luogo comune,
in quanto greci.
Scegliere il cinema non vuol dire schierarsi contro la poesia, ma compiere questa scelta significa rifiutare l'etichetta generica e stereotipata di poeta. Il cinema è determinato, fra le altre cose, anche dalla sua concretezza. E questa concretezza non si addice alla libertà propria della parola poetica. È una dimensione nuova: tecnologia, ma anche rifiuto della tecnologia; immagine, ma immagine impressa sulla celluloide nella sua concretezza. Il cinema ha una dimensione plastica, e la consapevolezza di questa componente crea una sorta di contrapposizione tra la poesia pura e sfuggente e la tecnologia. Io reagisco alla leggerezza con cui mi definiscono poeta del cinema, perché ritengo che la definizione non si addica alla mia scelta particolare di cineasta: narrare con un filtro le immagini e la loro concatenazione. D'altro canto, il termine cineasta non equivale esattamente al termine regista. Il regista ha più a che fare con il teatro. Il cineasta, invece, assume un ruolo molto più difficile... Il cineasta ha un ruolo molto più ampio. È colui che si occupa di cinema, nelle sue diverse fasi creative. Rimanda a qualcosa di alchimistico: il cineasta combatte con la chimica, con le immagini, con gli avvenimenti, con i tempi, con i vuoti temporali, e tutto deve acquistare una coerenza, una continuità, una connessione. A maggior ragione oggi, che stiamo vivendo un «dopo» rispetto a quello che c'è già stato, che è già stato detto ed esaurito nel primo periodo di vita del cinema. I cineasti di oggi sono il risultato della cultura cinematografica. Il cinema non è più qualcosa che sta nascendo sotto i nostri occhi, non dobbiamo più accompagnarlo e seguire le tracce delle sue possibilità espressive. Questa fase è finita già dagli anni °60. Oggi siamo, in qualche modo, già sazi: abbiamo già visto, già conoséiuto, già classificato. [Siamo un risultato, siamo la cultura, deriviamo da una condizione chiamata cinema].
In questo «dopo» del cinema, che segue l’affermazione del cinema commerciale in Grecia e l’entrata in scena
di molti nuovi cineasti, durante il cambio di regime, con opinioni del tutto diverse dai loro predecessori, come vedi la situazione nazionale e come ti collochi in questo panorama? Tutto cambia in continuazione, per fortuna. Oggi intravedo uno spostamento verso il territorio del «gioco» cinematografico, che si ricollega al modo in cui si guarda l’immagine: è una novità che si è imposta come tendenza. Tutto il resto del cinema — un cinema di imposizioni — non si fonda sul puro rapporto con l’immagine, ma sulle immagini che le altre arti hanno scartato. Il cinema ha saccheggiato immagini-significanti di altre arti, le ha «prese in prestito», le ha adottate e fuse insieme in quella che definiamo opera cinematografica. Io sostengo il ritorno al significante-immagine, all'immagine autosufficiente, che custodisce in sé la possibilità di un nuovo inizio e di una rinnovata, immediata e diretta relazione con lo sguardo. Erodhiòs è interessante perché, pur essendo un film realista, continua ad aprirsi a improvvisi salti. Sembra accettare l’esistenza di uno sguardo unitario, organizzato, ma in esso vi sono dei salti...
...Che alla fine vengono accettate. Ma è importante il modo in cui ci si arriva. Non ho mai negato di essere un narratore, di avere bisogno di creare intrecci, ma non ero soddisfatto del risultato: volevo rinnovarmi, ma senza perdere di vista i codici ormai riconosciuti. Avevo bisogno di una trama narrativa, anche se le salti della trama hanno un ruolo fondamentale nell'immagine. Ho sempre ricercato uno sguardo capace di dilatarsi e di penetrare nell'immagine. Voglio che si comprenda che un film è una successione di immagini, ma anche un'immagine completa in sé. Anche se si procede in un puzzle labirintico, che stranamente finisce per coincidere in un'immagine, alla fine si ha di nuovo di fronte agli occhi il film nella sua interezza: è l’opera cinematografica ideale, il fine da perseguire. Non credo nel susseguirsi delle immagini. Credo nel dinamismo dell'immagine, in cui risiede il contributo coesivo che Dhìmos Thèos chiama «significato» cinematografico. Lo spettatore deve avere la possibilità di cogliere una grande quantità di cose tenute in sospeso, che in un solo momento convergono in un’impressione unitaria e nello stesso tempo si espandono e diventano migliaia. Cerco, in sostanza, uno sguardo rivelatore: raccontare qualcosa di minimo che diventa il mondo intero. In passato non sono riuscito a esprimere con chiarezza questo concetto, ma ora ho capito che il mondo è fatto di cose semplici. Puoi avere davanti semplicemente una formica che si muove, ma se il tuo occhio è in grado di vedere, hai di fronte il meccanismo del funzionamento del mondo [e non t'importa di nient'altro]. Il valore dell’arte cinematografica dipende dalla capacità di proiettare un effetto del genere: il cinema procede per evoluzioni, è [una possibilità di sperimentazione] capace di mettere in risalto il tuo rapporto con un aspetto del mondo. Tornando a Erodhiòs, come potresti definirlo in modo un po’ più ampio? Erodhiòs siamo noi: Atene, la follia della metropoli, lo smog... Quindi la prospettiva non può che essere ristretta. Come dicono gli italiani: «facciamo i conti». Il mio film riconduce alla consapevolezza dello spazio, degli uomini che lo abitano e così via... E il personaggio di Robinson Crusoe, su cui vuoi fare un film nell'immediato futuro? Forse sarà una follia, la follia assoluta. Ma può anche offrirci l'occasione di aprirci a qualcosa di nuovo... Se si ha un progetto, è meglio avere venti progetti insieme: unendoli, al momento giusto, verrà fuori qualcosa. Se dici Robinson Crusoe dici anche licantropo e mille altre cose... Nella parte di Robinson immagino Harry Klynn, perché è un uomo capace di risolvere i problemi: puoi fargli fare Robinson, Venerdì, un capitano matto che appare nel film... Se i ruoli gli si addicono, se capisce dove vuoi arrivare, «partorirà» da solo la sua parte.
Sembra che tu abbia in mente una commedia, per così dire, di tipo nuovo. Da dove vengono le tue influenze? Dalla commedia italiana? La commedia italiana mi piace molto, ma è in armonia con l'antropologia dell'ambiente italiano. Il greco non ride. I greci di una volta ridevano, ma solo per merito di alcuni attori, i comici, che riassumevano in sé tutto il cinema del passato. Rendevano cinematografico quello che recitavano a teatro. Oggi non possiamo contare su attori in grado di indurre il pubblico a ridere con la loro sola presenza, e anche se li avessimo non sarebbe lecito usarli. Sarebbe sbagliato, non funzionerebbe: non si possono far risorgere i morti. È diverso il modo in cui il pubblico si pone nei confronti della comicità o è cambiata la società? Sono cambiate le persone, i riferimenti, le situazioni... Allora la gente rideva, ma c'era un background di rife-
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rimento. È come il tentativo di far rivivere il vecchio rebètiko: non si può. Oggi ci sono orizzonti sociali diversi. Un rebètis che canta oggi non potrebbe dire «la mia giacca è invecchiata», perché di giacche ne ha 20, 50... In Erodhiòs si ride senza comici. Credi che la comicità possa scaturire da una nuova antropologia? Se me lo domandassi ti direi che voglio fare una commedia. Ma c'è molto da imparare, bisogna studiare e faticare. Mi ricordo una scena di Frodhiòs in cui Polìdhoros (interpretato da me) cerca di afferrare un pony imbizzarrito. La scena mi fa ridere molto, ma mi commuove anche fino alle lacrime. È la mia idea di comicità: pianto e riso insieme. Del resto, credo che il registro comico mi si addica abbastanza... Nel cinema greco di oggi l’elemento comico è raro. Ma quella che tu chiami «terza fase» converge verso l’elemento comico. Penso al film di Avdheliodhis. Dhìmos Avdheliòdhis ha una vena comica autentica. Nella commedia è importante che non ci siano vuoti, e il cortometraggio Athèmitos sinaghonismòs [Concorrenza sleale] è una commedia molto densa. Come mai hai coniato la definizione «terza fase»? Non l’ho coniata io, è una condizione a cui siamo stati costretti. Fino agli anni ’60 il Terzo Mondo non era ancora stato «scoperto». Oggi proliferano le definizioni che iniziano con il termine «Terzo». Ma non ci arrendiamo: in questo senso siamo dei perfetti Lumumba!. Rappresentiamo l’esaltazione, le speranze... Anche se alcuni ne sono convinti, il mondo non è finito. HiHi(e)
ToRNES |STAVROS
Nonostante l'atmosfera pesante che grava sul cinema greco si affermano produzioni sempre più audaci, che hanno il coraggio di non accettare le regole del Centro Cinematografico Greco (EKK). Come giudichi questo movimento? Un regista che inizia a fare un film da solo si differenzia dagli altri perché decide di fare ciò che vuole. Non pretende 50 milioni come condizione per poter fare un film. Fa un film, ed è una scelta di libertà. L'indipendenza non riguarda semplicemente la partecipazione statale alla produzione: sarebbe un bene se lo Stato rispondesse alle richieste di coloro che lo desiderano. Visti i tempi che corrono è importante anche la posizione «estremista» di chi dice «sono solo», perché esprime il bisogno di libertà, ma non come rivendicazione astratta: concretamente, attraverso la creazione dell’opera. La creazione di un’opera è sempre degna di rispetto. Quindi il movimento definito «cinema indipendente», che ora sta acquistando caratteristiche proprie all’interno del cinema greco, non si esaurisce nell’idea di una base che si contrappone allo Stato: è una tendenza caratterizzata dall’ostinazione, dall’anticonformismo e dal bisogno di fare cinema dei registi, che del resto è ciò che sanno fare. Ed è un bisogno che suggella una posizione pura: purezza nelle intenzioni, ma anche nella trasmissione dell’esistenza. Non è una dinamica di poco conto, molto diversa dalle dinamiche europee.
Non accadeva qualcosa di analogo, ad esempio, con ifilm degli anni '60? C'erano varie «follie» anche allora, ma erano sempre «follie mascherate»: il modello dominante era «io e il mio produttore». Oggi quel modello è superato, il cineasta fa il regista, il produttore, il distributore, il curatore, il ragazzo tuttofare... E visto che è cambiato il modello, la condizione necessaria non può più essere la propaganda personale, l’«io regista» prima di tutto: bisogna preoccuparsi soprattutto dei rapporti «io e i film che voglio fare», «io e la gente con cui collaboro», inediti in ambito cinematografico. [Ogni individuo, ogni caso è a sé, non esistono cristallizzazioni ideologiche e produttive, ma nemmeno distri-
butive]. Gli artisti hanno in comune soltanto questo genere di rapporti. Esistono una coscienza di sé, il bisogno di trovare una sala per proiettare i film e il desiderio di rettificare il contesto legislativo: la legge per il cinema, recente e molto criticata, è anticostituzionale. Contiene due elementi (le condizioni perché siano concessi a un film la cittadinanza greca e il permesso di proiezione, un minimo obbligatorio di 13 persone per la troupe di ogni produzione) che non riguardano minimamente il sostegno e la promozione dell’arte cinematografica. Le condizioni produttive di un film determinano, in un certo senso, anche la sua estetica. Ci sono film con troupe formate da molte persone, e ce ne sono altri in cui bastano il regia
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A lato: Ricordi dell’Occupazione dall'ultimo film di Stavros Tornes Ènas erodhiòs ghia ti Ghermamìa, 1987. Stàvros Tsiòlis (a sinistra) nella parte di un ragazzo di 49 anni e, accanto a lui, il critico cinematografico e regista Chrìstos Vakalòpoulos, in divisa da ufficiale tedesco
propria sta, l'operatore e uno o due assistenti. Una legge che dica come si deve lavorare per produrre la deve cineasta Un uomini. gli «finire» vuole che civiltà una di opera è l'imposizione tecnocratica propria possono troupe della persone le che contributo al opporsi opporsi a quest’imposizione, che non significa dare al film. Se i tecnici hanno proposte sulle scelte produttive o estetiche sono sempre bene accette. queUn'opera appartiene a tutti coloro che contribuiscono a realizzarla, non è un'operazione privata. Se perché cinema, del sviluppo di parlare di permettere sti elementi della legge non cambiano, non ci si può è ipocrita. È tra le leggi più illiberali mai concepite.
HiHiN
TORNES |STAVROS
In generale il mondo del cinema ha accolto positivamente questa disposizione legislativa. Tranne nel caso di alcuni registi che finora hanno lavorato in modo diverso... I tecnici migliori sono favorevoli alla libertà di produzione, ed è naturale, perché chi si sente collaboratore, chi non ritiene di svolgere un lavoro imposto non ha interesse a metterti il coltello alla gola: si rende conto che diventerebbe impossibile portare a termine un’opera. Queste leggi sono macchinazioni distorte che corrispondono agli interessi di partito, sventolate in nome della presunta protezione di una certa classe di lavoratori. Ma non è così: i tecnici non si considerano mal pagati. Quando si lavora con altre persone ci devono essere regole accettate da tutti. Non riesco a capire perché i tecnici siano i più accesi sostenitori di una legislazione così illiberale. Forse odiano il lavoro che fanno, ma non riesco a credere che il rapporto del tecnico con l’opera sia alienante come nel caso di un operaio che lavora in fabbrica per la paga giornaliera. Il rapporto con il cinema è, soprattutto, un rapporto d'amore, un investimento spirituale. Se s'imporranno simili disposizioni, si rischierà di perdere anche i giovani che sono in grado di rinnovare il nostro cinema dal punto di vista estetico. Se non ci saranno nuovi artisti e nuove problematiche, se si impedirà che queste problematiche si esprimano, avanzerà il deserto. Queste imposizioni dipendono da interessi organizzati che, anno dopo anno, limitano il nostro cinema? Il cinema esiste grazie a molti mestieri; negli ultimi anni, siamo stati testimoni della scalata di molti personaggi — sempre gli stessi — alle posizioni in cui si prendono le decisioni: soprattutto membri delle corporazioni/associazioni. [Si sente dire, ad esempio: Koundhoùros di qua, Koundhoùros di là, Koundhoùros su, Koundhoùros giù; Papakiriakòpoulos qui, Papakiriakòpoulos lì, Papakiriakòpoulos su, Papakiriakòdpoulos giù; Dhanàlis di qua, Dhanàlis di là, Dhanàlis a Salonicco, Dhanàlis che tiene le chiavi, Dhanòlis al Ministero...]. Pietà! Se vivessimo in un paese veramente democratico, interverrebbe il pubblico ministero. Non è possibile che accadano cose del genere, è corruzione. Non è possibile continuare ad essere il preferito per più di cinque o sei anni...
Potresti ricordare il periodo in cui hai vissuto in Italia, che, probabilmente, ha plasmato il tuo modo di pensare e ha determinato le tue scelte cinematografiche successive? Preferirei raccontarvi una storia personale a cui si potrebbe dare un titolo a parte: Come ho conosciuto il poeta russo Evgenij Evtusenko, che spiega anche la scena di Frodhiòs in cui Loukàs e Polìdhoros discutono di poesia in una strada di Atene, in mezzo al traffico e alla confusione. Al Festival Internazionale dei Poeti di Castelporziano [28-30 giugno 1979] c’è stato il sabato fantastico in cui è avvenuto il miracolo: 30.000 persone si sono riunite insieme, in piazza, ed è diventata una serata di poesia. Il giorno dopo, tutti felici, verso mezzogiorno, ci svegliamo e andiamo a prendere il sole. La gente va e viene, ma alcuni non sono troppo in forma ed è già tanto se riescono a muoversi. Io, [il mio amico greco, il poeta Thomàs] Gòrpas, Charlotte, Ferlinghetti, la sua ragazza ci sdraiamo e parliamo di varie cose. Il tempo trascorre piacevolmente, passano anche alcuni tedeschi, ci salutano. A un certo punto ci separiamo. Prendiamo il trenino e andiamo a Roma. Tutto questo avviene in una pausa delle riprese del film di Fellini La città delle donne. Il venerdì avevamo interrotto una lunga scena, girata vicino al castello di Katzone, dove eravamo stati tutti intorno a guardare. Io, adesso, sono in primo piano. Appena arrivo allo studio, il lunedì mattina: «Vieni, vieni Tòrnes, Tòrnes, To... To... non riesco a pronunciare questo cognome», Federico ha i nervi già di prima mattina. «Tòrnes», gli dico, «Sì, Tòrnes». Si sta allestendo la scena, Rotunno prepara le luci, ma qualcosa «sta bollendo in pentola» un po’ più in là... Lavoriamo allo Studio 5. Entrando dalla porta centrale nel luogo in cui giriamo, si arriva in un enorme corridoio che porta al castello di Katzone, da cui si vede il set, perché c’è un separé di plexiglas... Quindi vedo Evtusenko che entra nello studio vestito da turista — foularino, macchina fotografica e tutto il resto —, con cui mi ero seontrato al convegno poetico. Si dirige verso Fellini. Abbracci e baci (si conoscono da tempo); a un certo punto Fellini si gira per vedere
cosa succede: «Su, Tòrnes, andiamo» o qualcosa di simile. Allora Evtusenko gira lo sguardo nella direzione in cui è puntata la macchina da presa e all'improvviso mi vede in primo piano. E «gli dà sui nervi». «Com'è possibile», avrà pensato, «sabato litigavo con questo a Castel Porziano e adesso è in primo piano nel film di Fellini?». Non ci ha più visto. L'ho visto sparire, ho detto «Fate attenzione che non gli capiti qualcosa!» e sono andato a cercarlo: «Ciao, come stai Evtu$enko?». Non poteva dire niente, e rispose: «Ah, bene, grazie»... Ma poi ha pubblicato un articolo sulla «Literaturnaja Gazeta», che mi hanno fatto leggere. Nell’articolo faceva riferimento anche a me, mi chiamava «il greco Stavros», come se mi prendesse sul
serio... Dev’essere rimasto impressionato perché mi aveva visto nel film di Fellini: «Non può essere altrimenti, dev'essere uno importante», avrà pensato.
‘Patrice Lumumba (1925-61) era il primo ministro congolese dopo il raggiungimento dell’indipendenza; fu destituito dal presidente Kasavubu e poi assassinato dai secessionisti del Katanga [N.d.T.].
Testo completo dell’ultima intervista di Tornes, concessa a Chrìstos Vakalòpoulos e Elias Kanellis. L'intervista fu pubblicata per la prima volta, quasi integralmente, sulla rivista «Adì» (n. 347, 27 maggio 1988). L'ultima parte, relativa a Fellini ed Evtusenko, fu pubblicata dopo la morte del cineasta, in Mikrò afièroma mnìmis [Breve dedica in memoria] sempre su «Adì» (n. 381, 26 agosto 1988). Le frasi tralasciate nelle precedenti pubblicazioni sono state integrate tra parentesi quadre. 113
RIVELATORE | PER SGUARDO UNO
Elèni Stefànou e Màrios Karamànis in Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
Stélios Anastasiàdhis, Karkaloù,
1984
Robinson Crusoe
Dedicato a Luis Bufiuel 9 luglio 1986
Pian
piano
ritrova
il ritmo
della
solitudine.
Sembra aver dimenticato il suo antico progetto e
il desiderio di raggiungere l’Europa. Soltanto i Stando
alle
descrizioni
di
suoi occhi
sono
Defoe, la capanna fortificata di Robinson Crusoe
aspettando
qualcosa.
venne costruita su un’isola deserta dalla lussu-
all’orizzonte qualcosa che assomiglia a un nau-
reggiante vegetazione
del
celebre
tropicale.
un club, stile «Mediterranée»,
libro
È proprietà di
riservata
a una
ristretta clientela di «iniziati». Ogni tanto uno
frago,
al mare
Ma
un
come
giorno
se stesse DD
scorge
e rimane turbato: per tre giorni non capi-
sce che cosa sia e dove abbia intenzione di approdare.
degli Iniziatori viene a trascorrervi le vacanze.
In mare
Al programma
che
del club partecipa anche Patatì-
rivolti
aperto galleggia una zattera primitiva
trasporta
il
giovane
irlandese
Patrick
Patatà, cioè Venerdì, un allegro giovane di colo-
O’Malone.
re al servizio dell’impresa. Patatì-Patatà, con
Lo trasporta per modo di dire, perché la zattera
l’aiuto dell’Iniziatore, supererà il suo passato
è quasi immobile,
da cannibale.
fretta, ha un lungo viaggio
La spedizione della «Robinsonia-
dè» finisce. L’isola ridiventa deserta. Abitante stabile
dell’isola è DD, un minuto
trent’anni.
Alcuni
in Inghilterra.
sudanese
anni prima voleva
di
studiare
ma Patrick 0*Malone
perché viaggia a piedi. È contrario trasporto.
Benché
non ha
alle spalle.
le condizioni
non siano affatto favorevoli,
Lungo
ai mezzi di
sulla
zattera
Patrick 0*Malone
Era stato costretto a viaggiare
guarda sorridente i pesciolini attorno a sé. Ogni
di nascosto. Aveva trovato una nave e vi si era
tanto, sfinito dalla mancanza di acqua e di cibo,
imbarcato
si abbandona tra le braccia di Morfeo.
come
clandestino.
Ma in Inghilterra
non ci era mai arrivato. Lo avevano scoperto e lo
Ora il fotografo che gli scatta le fotografie per
avevano gettato in mare! E così si era ritrovato
il passaporto gli parla in continuazione dell’im-
sull’isola.
portanza della foto piccola e dei viaggi brevi e
Se
la
passa
capanna
abbastanza
fortificata,
non
bene
da
gli manca
solo
nella
niente, la
gli chiede
dove vuole
andare.
Patrick
0*Malone
non risponde, le fotografie dello strano fotogra-
sua vita trascorre in pace. Soltanto nei periodi
fo sono
in cui arriva qualche Iniziatore, DD si nascon-
fiducia e al confine lo sottopongono a estenuan-
de come
ti indagini.
un selvaggio
e spia i movimenti
degli
ben fatte, ma il passaporto Le
avventure
vere
non
ispira
e proprie
di
sconosciuti.
Patrick O’Malone, tuttavia, iniziano dall’incon-
Guarda con odio l’Iniziatore che ripete il gioco
tro con la vecchia sulla spiaggia deserta.
con le armi di Robinson, le infinite sbronze con
Quando la donna lo chiama, lui pensa che abbia
il cognac
E,
bisogno
di
donna lo conduce alla propria dimora, gli dà da
Patatì-Patatà Venerdì ad opera dei cannibali. DD
mangiare e gli parla a lungo in una strana lin-
ritrova
il
gua. La voce della vecchia, che sussurra con fare
veloce yacht del club che deve riportare indietro
ammaliante, non gli è estranea. Patrick 0*Malone
lo straniero. Non nasconde il proprio entusiasmo
capisce
e festeggia con un ballo, al quale partecipano il
insiste a lavargli i piedi, che cosparge con un
pappagallo, i gatti e i capretti.
unguento curativo. Durante la notte lo sveglia e
alcuni
e gli scherzi
giorni
dopo,
con
il pappagallo.
l’eroica
la tranquillità
liberazione
solo quando
arriva
di aiuto
e le va
che trascorrerà
incontro.
lì la notte.
Invece
la
La donna
II5
la cascata ed è disposta a indicargli la strada
l’isola è piuttosto comica. Al contrario DD odia gli Iniziatori. Non vede l’ora di toglierli di mezzo e cerca la complicità di Patrick 0*Malone.
che lo condurrà dalla mitica vecchia in possesso
Nel frattempo le donne ogni tanto si fanno vive,
del segreto della comunicazione
sempre di notte e sempre con un buon consiglio.
lo fa scivolare in un antro sotterraneo dove vive la vera vecchia di 250 anni. Lo accoglie dietro
delle tenebre,
nella parte più interna della spelonca.
Patrick 0°Malone le ascolta con rispetto e ne sop-
Patrick 0°Malone preferisce il sole e vuole tor-
pesa le parole. Invece DD le considera
nare indietro. Ma indietro e avanti non esistono.
da scacciare
È una specie di labirinto. In fondo, che sia cen-
dall’Africa per trovare altri fenomeni sopran-
tro o periferia, c’è un porticciolo. Dei pirati si
naturali». Infatti, ogni volta che gli amici pre-
preparano
parano un trabocchetto a spese dell’Iniziatore,
a salpare.
Se si guarda più attenta-
mente, si scopre che i pirati sono donne: sono le
le donne intervengono e lo vanificano.
stesse donne dell’antro sotterraneo, trasforma-
Ma da che parte stanno?
te
Nel
in
avvenenti
pirati.
Non
appena
vedono
Patrick 0*Malone, vogliono portarselo dietro. Si
Hi Hi DD
TornEs |STAVROS
fantasmi
«Non se ne è andato
come zanzare:
frattempo
l’Iniziatore
non
sospetta
nulla
degli intrighi sull’isola tropicale. Porta a ter-
sono convinte che porti fortuna!
mine
Il viaggio con i pirati si svolge esclusivamente
Solo Patatì-Patatà
il proprio
incarico
con
beata
dedizione.
di notte, e, quando come per miracolo
ridiventa
qualcosa, ma istintivamente, da bravo «Contadino
giorno, Patrick 0*Malone è in salvo sulla zattera.
Furbo», finge di non vedere nulla. Infine segue
Adesso che il sole gli batte dritto sulla testa,
l’Iniziatore quando arriva lo yacht.
non è così sicuro di essere uscito dal labirinto.
Mentre assiste alla partenza, DD ha l’impressione
intuisce che sta succedendo
Quando la zattera tocca infine la terra dell’isola,
che lo yacht sia seguito da un altro naufrago, ma
Patrick 0*Malone trova tutto pronto ad aspettarlo
non ne è sicuro. È una strana barchetta
nella capanna di Robinson. Per alcuni giorni man-
stretta,
gia in abbondanza, senza far caso agli occhi di DD
l’onda. Ogni tanto scompare, riportando alla memo-
che lo spiano pieni d’ira. DD ha dei dubbi sull’i-
ria di DD le Fate Morgane del Paese natale. Patrick
veloce
come
un insetto,
lunga e
sfuggente
come
dentità dello straniero, gli sembra semplicemente
O°Malone, che ci vede meglio, scopre che si tratta di
un morto di fame che si comporta in modo strano:
uno dei veicoli dell’antro sotterraneo. Di certo le
non
dimostra
alcun
interesse
per
le armi
di
donne avranno le loro ragioni per seguire lo yacht
Robinson, non dorme nella capanna dove avrebbe il
dell’Iniziatore.
«diritto» di dormire, e, benché siano passati parec-
trova
chi giorni, non si fa vivo nessun Patatì-Patatà!
decidono
DD, che non parla con un essere umano da anni, si
costruire con entusiasmo una barca che permetterà
fa infine
loro di andare dove vogliono.
momento
coraggio ed esce allo scoperto, ma al
dell’incontro
non
sa esattamente
che
una
L’arrivo
Ma
nemmeno
spiegazione di diventare
del
quarto
Patrick
convincente. indipendenti
Iniziatore
0*Malone
I due amici e iniziano
esaspera
a
i due
cosa dire ed emette un suono incomprensibile.
amici, perché sono costretti
Patrick 0’Malone, per il quale tutto è possibile e
costruzione della barca. Questa volta sono asso-
naturale,
lutamente
non
fare rilassato
sembra
sorpreso
lo invita
alla
di vederlo. capanna
come
Con se
stratagemma
d’accordo. che
a interrompere
Devono
li liberi
escogitare
fosse il vero Venerdì, ma la violenta reazione di
possibile dalla fastidiosa presenza.
Sfortunatamente
alla
realtà.
Segue
uno
scontro
questo
uno
il più velocemente
DD
lo riporta
la
quarto
soprannominato
cipa anche il pappagallo, gridando «Fantastic»,
simpatico. È un uomo discreto amante delle arti,
«Fantastic»,
che di tanto in tanto investe nel cinema. È faci-
cattiva
abitudine
presa
da
un
«Fantastic»,
Iniziatore,
ideologico sul soggetto di Daniel Defoe. Vi parte-
è particolarmente
Iniziatore (di cui si parlerà alla fine).
le preda dell’estasi e per questo è soprannomina-
Il tema scottante
del dissidio è la possibilità
to «Fantastic»,
parola che ripete spesso. Il suo
dell’utopia.
comportamento
dimostra
Lo scontro non arriva a una soluzione. Ciascuno disposto ad andare incontro all’altro e iniziano
regole e formalità: veste come Robinson Crusoe, è terribilmente trasandato, tratta Patatì-Patatà come un piccolo lord e di notte ascolta musica
a vivere guardandosi in cagnesco. Ma con l’arri-
classica di nascosto.
vo
diventano
DD conosce bene Fantastic, è la sesta volta che lo
amici. Patrick 0°*Malone impara presto a nascon-
vede. Forse è questa la ragione per cui l’attacco
dersi e a spiare. Si accorge che la situazione sul-
non ha luogo. Oltre a ciò, anche le donne cercano
resta della propria opinione.
di
un
giovane
Iniziatore
Nessuno
i due
dei due è
che
non
obbedisce
a
di
scongiurare
la
sfida
nei
confronti
continui
dell’Iniziatore. Alcune donne, per essere certe
donne
che i due non commettano qualche pazzia, si pre-
club.
parano
Mentre
a rapire
Patrick
0*Malone.
Ma un altro
gruppo, che non è d’accordo, prende le parti dei
attacchi,
dà l’allarme
moderne
arrivano e cani,
attraverso
alle
le guardie dalla
le urla
guardie
giurate
parte
delle
giurate
opposta
con
del armi
rispetto
due amici ed è pronto a gettarsi nella mischia.
alla spelonca marina sbuca la banda degli eter-
Patatì-Patatà,
ni pirati. La lunga inattività 1i ha inferociti.
approfittando
della
tregua
momentanea, si avvicina ai due amici e promette
Sono
loro aiuto. DD non si fida, ma non c’è tempo per
amici sono scappati in una spiaggia scoscesa, in
discutere:
attesa del segnale di Moby Dick.
le
donne
hanno
già
assaltato
la
pronti
a combattere
contro
tutti.
I tre
capanna fortificata difesa da un Fantastic tra-
Patatì-Patatà, che rinnega la circostanza meta-
sformato
i tre
fisica, ruba il vascello alle donne, prende con sé
momento
i due amici e, alla velocità della marea, si diri-
assistono
in eroe.
In preda
istupiditi
agli
allo stupore,
eventi.
Nel
decisivo della battaglia, Fantastic, sfinito dai
ge, forse, verso il regno del Sole.
Hi N
|H CRUSOE ROBINSON
Èvris Papanikòlas e Stavros Tsiòlis in Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
Incontri
A
Stavros Tornes con Nico Papatakis,
l’altro grande apolide del cinema greco al Festival di Salonicco, 1986
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KIA ZAN
Caro Stavros, è molto molto raro che un regista pensi che qualcun altro abbia davvero apportato buto alla sua produzione. Siamo tipi egocentrici, noi. Ma io so che tu l’hai fatto. Averti la più grande fortuna che mi sia capitata in Grecia, sul serio. Il tuo contributo quanto e sincerità è stato incommensurabile. Ti ringrazio di cuore, e credo che ogni volta che film, penserò: grazie a Stavros...
un enorme contrinel mio staff è stata a devozione, gusto vedrò i volti di quel
Buona fortuna. Che tu possa diventare ciò che vuoi, qualunque cosa sia. Ricorda che avrai sempre un amico in America. Elia
Lettera di ringraziamento di Elia Kazan a Stavros Tornes, in segno di riconoscenza per i consigli ricevuti durante le riprese di America! America!, di cui il giovane cineasta ha curato il casting.
I2I
In alto: Anèstis Vlàchos (a sinistra) e Stavros Tornes in una scena delfilm Kièrion di Dhìmos Thèos In basso: (da sinistra) Stavros Tornes, Stamàtis Ghiànnoulis, Ghiànnis Kostòglou, Chrìstos Vakalòpoulos durante le riprese di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
Ricordi
DEE NtTONstTE HE N ES
THE
08
Doveva essere l'autunno del 1959. La Scuola di Cinema Ioannìdhis, presso la quale ero stato invitato a tenere alcune lezioni, annoverava parecchi studenti meritevoli — oggi noti cineasti — tra cui anche Stavros. Se paragonata allo squallore piccolo borghese della maggior parte di noi, la presenza di questo studenteproletario si distingueva ancor più. Si vociferava che avesse prestato servizio militare a Makrònisos?, e ciò accresceva la sua immagine di combattente-ideologo. Inutile dire che il clima dell’epoca favoriva lo sviluppo di un'intera letteratura sulla «coscienza di classe», sull’intellettuale impegnato e così via. Benché avesse interpretato il ruolo del protagonista nel film To meghàlo kòlpo (1959), continuava a lavorare come operaio e ad andare fiero delle proprie origini proletarie, come si addiceva allora a un comunista. Suo padre — nei confronti del quale nutriva un affetto sincero e profondo —, profugo dell'Asia Minore, era meccanico specializzato in generatori mobili. Un mestiere con molte incertezze. La scarsità di lavoro e la disoccupazione di «mastro Alèkos» (così chiamava il padre) costringevano gli altri membri della famiglia a lavorare dove capitava per far fronte alle necessità primarie della famiglia. Stavros crebbe e sperimentò la vita del lavoratore a giornata a Ghalàtsi*: le sue prime esperienze (relative alla stratificazione sociale) sono legate alle cave di pietra della zona. (Più tardi, questi paesaggi sassosi fungeranno spesso da cornice ai vagabondaggi fantastici dei suoi eroi.) Tuttora ho la sensazione che, sebbene avesse interiorizzato alla perfezione l’idea della missione storica della classe operaia, lo spaventasse l'allontanamento — grazie al cinema — dalle sue origini. Gli creava dilemmi di coscienza. In ogni caso, si avvicinò al cinema come professione gradualmente e dopo parecchie esitazioni. Quando, infine, si staccò dalla consorteria della cava di marmo, si sentiva un po’ come un disertore! Ciò nonostante, non spezzò mai i legami di amicizia con i vecchi compagni. (Dopo il lungo periodo trascorso in Italia, la sua prima preoccupazione, appena mise piede ad Atene, fu la ricerca di quelle persone, che nel frattempo avevano costituito una piccola organizzazione di «Operai Autonomi» a Kalogrèza).
Dopo la già menzionata esperienza di attore nel film di Chrìstos Theodhoròpulos, negli anni a seguire (durante il decennio 1960-70) cominciò a lavorare più sistematicamente, e in qualità di aiuto regista. Tuttavia, la scarsità di lavoro che la qualifica di aiutante implicava lo costringeva a fare anche il trovarobe, attività che lo mise in contatto con il mondo di Monastiràki'. Così, in un certo qual modo, si crearono le premesse per aprire una bottega di libri usati, un suo vecchio sogno. La bottega di via Efesto® fu principalmente un luogo di incontro, un punto di ritrovo di cineasti, ma anche di scrittori, primo tra tutti il poeta Thomàs Gòrpas’, ma fu anche un’impresa. Assai spesso i nostri vagabondaggi senza meta ci portavano alla bottega di Stavros, e le discussioni sull’«altro» cinema e sulla rivoluzione si protraevano sino a notte ‘Contributo pervenutoci con la variante internazionale del nome d’autore, più noto in Grecia come Dhìmos Thèos, e
così indicato altrove in questo volume. Le note che seguono sono dell’autore. *Isola arida e priva di vegetazione dell’Attica meridionale. Luogo di confino di cittadini e soldati con ideologia di sinistra durante il periodo successivo alla guerra civile. *Lungometraggio di Chrìstos Theodhoròpoulos, Direttore della Scuola Ioannìdhis. ‘All’epoca, sobborgo operaio di Atene. sobborgo di Atene con botteghe d'antiquariato. Strada centrale di Monastiràki. "Thomàs Gòrpas (1935-1999). Poeta della seconda generazione del dopoguerra.
123
inoltrata. Ricordo che a quel tempo lo sguardo di tutti noi era rivolto al neorealismo italiano. Ed era normale. Il nostro impoverimento sociale e la mancanza di libertà politica erano ragioni sufficienti a farci trovare nei film italiani dell’epoca l’ideale artistico al quale valeva la pena dedicare la parte migliore di se stessi. Del resto, l'avanguardia russa e la produzione americana (film e movimenti ideologici) esterna a Hollywood nel periodo successivo alla guerra civile erano sconosciute in Grecia. Ignoravamo i film di Jean Rouch, di Bresson e di Cassavetes. Una grande rivelazione per tutti noi furono Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (andammo a vederlo una decina di volte) e Mamma Roma di Pasolini. Accattone non era stato ancora proiettato ad Atene e non so dire quale sarebbe stata l'impressione di Stavros se lo avesse visto allora... Anni dopo mi avrebbe confidato che aveva visto il film-feticcio di Pasolini intorno al 1970 a Roma. Fu quindi il «colpo di stato di aprile», che lo spinse a vagare in Occidente, a offrirgli l'occasione di conoscere il cinema di Pasolini, e in particolar modo Accattone, che sarebbe rimasto il suo vangelo. In quello stesso periodo comincia a vacillare anche la sua fede nell’ideologia staliniana, specialmente dopo gli eventi di Praga. A partire da quel periodo comincerà gradualmente a prendere le distanze dalla dominante ideologia del marxismo balcanico-ortodosso. Durante la sua permanenza in Italia, dove vive il declino del movimento comunista, per la sincera com-
passione nei confronti dei perseguitati di ogni genere ma anche per ragioni di sopravvivenza, si ritroverà «impercettibilmente» in un mondo di clandestini e moribondi. Per fortuna, da «levantino», sfuggì all’inferno non solo sano e salvo, ma anche più saggio.
124
THEOS DEMOSTHENES
Durante l’ultimo periodo prima di lasciare la Grecia (settembre 1967), seguivamo un percorso pressappoco parallelo in ambito cinematografico, mentre i nostri punti di vista politici divergevano sempre di più. Il mio orientamento volgeva progressivamente verso una sinistra liberale, il cui ruolo si sarebbe dovuto limitare all'opposizione, con una strategia concentrata su tematiche di critica sociale che escludesse ogni tentativo di scalata al potere. A quel tempo, questa posizione ideologica si opponeva radicalmente a quella di Stavros, per cui l'effettiva missione della sinistra continuava a essere quella tradizionale della presa di potere e della «Dittatura del proletariato!». Eppure queste divergenze non erano determinanti nei nostri rapporti personali. I suoi criteri di valutazione dell’«Altro» avevano a che vedere più con il cuore e i sentimenti che con le ideologie. Nella sua visione della vita contava la moralità, non i pregiudizi ideologici. Mentre lavoravamo entrambi come tecnici (in Ouranòs, I voskì tis Anatarachis e altri), ci fu offerta l’opportunità, assieme ad altri compagni (T. Kalatzìs, Panusòpoulos, tra gli altri), di mettere in pratica un programma che unisse l’attività politica e la pratica cinematografica. Consideravamo l’attività sindacale e la produzione cinematografica indissolubilmente connesse, specialmente in un periodo in cui la mancanza di libertà politica procedeva di pari passo con la farsa del cinema commerciale. Per noi giovani la questione sindacale era direttamente collegata alla produzione di un «altro» cinema. In questo senso, il nostro coinvolgimento nelle attività sindacali (partecipazione attiva al Sindacato dei Tecnici del Cinema) nel periodo 1962-67 ebbe come risultato la creazione dei primi cortometraggi greci di orientamento chiaramente politico e sociale (Fkatò òres tou Mài, Platìa Kotzià, Thiraikòs òrthros). Ma sfortunatamente, al Consiglio Amministrativo dell’ETEK®, oltre che con le difficoltà (economiche, amministrative, di collaborazione e così via), dovevamo fare i conti anche con i profittatori stalinisti, che ci creavano ulteriori problemi. Nel programma da noi adottato, cioè l’attivismo sindacale al servizio di un cinema politicizzato, i più vecchi non vedevano altro che la contestazione del modello stalinista, che a mio parere era (e continua a essere) non politico. Così, le «controversie» politico-ideologiche erano all'ordine del giorno. Da parte nostra quei contrasti erano spontanei e sinceri, ma sfortunatamente si sarebbero rivelati fatali. Oggi tutta quell’estenuante esperienza merita di essere menzionata e ricordata, semplicemente e unicamente perché connessa ad alcuni dolorosi avvenimenti. Ha a che vedere con il fatto che Stavros fosse stato messo in disparte, ma soprattutto con la sua scomparsa. La vita e l’attivismo sindacale di qualche protettore dei lavoratori stalinista diventerà lo strumento con cui la meschina società greca colpirà il poeta al capolinea della sua esistenza. Sul «protettore dei lavoratori» in questione sarò obbligato a ritornare anche in seguito.
Durante il periodo dell’autoesilio di Stavros in Italia mi trovavo all’estero anche io, ma non ci fu possibile incontrarci. Di tanto in tanto comunicavamo telefonicamente, in altre occasioni avevo sue notizie da “
*Unione dei Tecnici del Cinema Greco.
amici comuni. Le poche e vaghe informazioni che avevo non mi permettevano di valutare precisamente il suo percorso intellettuale. Da un breve incontro a Parigi nell'estate del 1972, durante il quale conobbi anche Charlotte van Gelder, non ebbi l'impressione che il suo modo di pensare fosse cambiato in maniera sostanziale. Solo quando, nella primavera del 1975, si trattenne per alcuni giorni ad Atene, ebbi l'occasione di constatare il cambiamento della sua ideologia politica secondo un percorso parallelo alla sua evoluzione artistica. Il monolitismo comunista di un tempo era scomparso, per lasciare il posto a una liberalità beffarda ma benevola, che lì per lì mi mise in imbarazzo. Inizialmente, supposi che dietro quell’atteggiamento cinico si nascondesse qualche delusione, dovuta a problemi di natura personale. Ma non tardai a constatare che Stavros, in fondo, era sempre lo stesso. Era sempre l’amico dai sentimenti sinceri nei confronti dei compagni che, con l’arte e la lotta, costituivano o rappresentavano la redenzione storica della sua generazione. Del resto, la generosità e l'entusiasmo (qualità di uno spirito indipendente) non lo abbandonarono mai. Così presto capii che non aveva cambiato carattere ma orizzonte intellettuale: non voleva più sentir parlare dell’«intellettuale organico» e di cose simili. Durante i suoi viaggi in Occidente aveva maturato un punto di vista estetico secondo cui il vissuto, in quanto «diversità», doveva costituire il nucleo dell’opera d’arte. Era
questa la novità. Il procedimento interno di questa «svolta» ideologica e artistica (una sorta di conversione sulla via di Damasco), rimarrà sempre un interrogativo insoluto. È difficile dire se le intime motivazioni di questa svolta abbiano a che fare con nuove esperienze estranee al ghetto neogreco balcanico-ortodosso, o se siano dovute a influenze marginali provenienti da persone o da libri (in Italia, Stavros si buttò a capofitto nella lettura dei neoplatonici del Rinascimento, come Giordano Bruno o il «negativo» Nicola Cusano, ma la mancanza di una cultura di base non gli consentiva di sviluppare sufficientemente il suo pensiero in questa direzione, di penetrare fino in fondo il neoplatonismo). Poco a poco cominciai a convincermi che le cause della sua svolta fossero da ricercare nelle esperienze vitali delle sue origini. Un’angoscia metafisica che sgorga spontanea — specialmente nei film del periodo italiano — difficilmente riesce a nascondere il proprio punto di partenza. Se ben ricordo, doveva essere il 1983. Solo quando vidi per la prima volta l’opera complessiva del periodo italiano (Coatti, Adîo Anatolì, Eksopragmatikò), riuscii a comprendere il significato del suo cambiamento: avevo dinanzi a me un’opera di una nudità disarmante. Vedevo sfilare una moltitudine di diseredati e di reietti che facevano irruzione nella mia coscienza con singolare familiarità. Forme provenienti dalle viscere del tempo, tormentate ma archetipiche, direi, venivano a rammentarmi la natura elegiaca di ogni periodo di transizione. Non era la prima volta che vedevo sullo schermo diseredati e bricconi, ma la solitudine di quei personaggi aveva qualcosa di impalpabile, di inafferrabile, e solo dopo una profonda riflessione riuscii a capire che la solitudine di quelle esistenze era l’altra faccia dell'innocenza! E naturalmente maneggiare quest’'innocenza mortificata e deformata aveva un prezzo. Chiaramente questa scelta, così come la concepiva (e così come è impressa nella sua opera), dimostra un rapporto assai profondo tra Stavros stesso e i personaggi della creazione mitica. Presuppone l’identificazione del creatore con i personaggi delle sue opere. Consapevolmente o inconsapevolmente, non ha importanza. Ciò che conta è che questa sua incondizionata identificazione con ogni genere di perseguitati e di emarginati, da un certo momento in poi si sarebbe trasformata in un inferno personale. In quest'ottica può essere comprensibile il suo inserimento, nel 1969, in un Corpo di combattenti per la Liberazione della Palestina. L'ipotesi (diffusa negli anni ’60), secondo cui le minoranze, gli emarginati e ogni sorta di individui etichettati compongono il potenziale sottovalutato del cambiamento rivoluzionario, doveva essere convalidata e assumere una sembianza in carne e ossa. Di conseguenza, la famigerata questione della «diversità», secondo Stavros, non
poteva consistere soltanto in un significato che si esaurisce in ambito linguistico. Doveva diventare un modus vivendi e, successivamente, essere transustanziata in opera d'Arte! Quando, infine, tornò definitivamente in Grecia (1981), esternamente sembrava abbattuto, in un certo qual modo invecchiato. Tuttavia, la sua forza d'animo, così come la sua ispirazione erano in pieno vigore. In condizioni di indescrivibili ristrettezze economiche, in Grecia riuscì a girare quattro lungometraggi, che restano unici nel nostro cinema nazionale. Paradossale, ma meritevole di attenzione, è il fatto che i film girati dopo il ritorno in Grecia sono chiaramente sarcastici, e che la derisione si evolve talora in umorismo macabro! (Va sottolineato che i film che girò in Italia sono caratterizzati dal senso del «tragico», e varrebbe la pena di esaminare questa differenza.) Stavros inoltre creò un metodo che deve il proprio valore all'esaurimento delle riserve di inventiva e prontezza di spirito: l’improvvisazione. Tale metodo riguarda le modalità per rendere un'idea o un sentimento, tramite immagini casuali e rapporti che non presuppongono la struttura geometrica dell'affresco, ma la registrazione istantanea dell’acquarello. L'ispirazione non si esaurisce nella pianificazione e nel calcolo,
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RICORDI
si concentra con ostinazione in un unico istante che non si può correggere, rinviare o registrare una seconda volta! Tutto deve essere compiuto in quell’istante irripetibile, durante quell’«improvvisa» illuminazione dell’«epoca» platonica. Qualcosa come il gerne dei pittori fiamminghi, che in istanti di raro raccoglimento concepiscono e conferiscono alla casualità della quotidianità un significato universale e atemporale. In questo senso, era pronto a cominciare dal nulla! Seguii da vicino tutti gli stadi della produzione di Balamòs, e ci furono momenti in cui ebbi l'impressione che stesse cospirando. L’improvvisazione, lo sfruttamento della casualità, le ispirazioni momentanee, tutto era «possibile» e ben accetto. L’improvvisazione non si limitava al mon-
taggio di una scena, ma anche alla struttura della narrazione (Balamòs l'ho montato io stesso e conosco nei minimi dettagli le varie, estenuanti fasi della moviola. Ritornerò su questo argomento). Quanto a Balamòs, l'accordo con la ERT era relativo a un documentario sui cavalli vecchi che andavano a finire nei macelli italiani. E, del tutto inaspettatamente, cominciarono i cambiamenti! Stavros iniziò a
mettere in scena delle rappresentazioni. «Sono pronto... È giunto per me il momento di interpretare il ruolo del vampiro, che mi tormenta da anni!», mi disse una volta al Caffè Koraîs, poco prima di iniziare le riprese.
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Il principe Diamante®, l'aspirante Signore di Epiro e Tessaglia, diventa un vampiro dell’entroterra valacco! Stavros, originario dell'Asia Minore, scopriva cromosomi di vampiri nei «valacchi» della Grecia epirota...! Quando io obiettavo che bene o male i valacchi avevano fatto la Rivoluzione del ’21, mi rispondeva che la «rivoluzione» avrebbero dovuto farla gli abitanti dell'Asia Minore! Quando io protestavo, sostenendo che le rivoluzioni non vengono fatte da chi è nemico della libertà e ha la pancia piena ma dagli affamati e dai perseguitati, Stavros rispondeva con una risata sardonica... Ricordo che a un certo punto, mentre gli rammentavo che la favola della vampirizzazione dei Balcani da parte del principe Vlad Tepes era stata un invenzione prima dei tedeschi (con macabre narrazioni) e poi degli anglosassoni, per mano di Bram Stoker, ribatté che Murnau è un «grande poeta»! Insistetti: se la faccenda sta così, dissi, allora l'ideatore di Nosferatu avrebbe dovuto fare, anche soltanto in breve e allusivamente, un qualche riferimento alla battaglia di Vlad contro i Turchi ottomani! Concluse, tra il serio e il faceto, che lo stesso Murnau era un vampiro!
|DEMOSTHENES THEOS
Nelle pianure della Tessaglia, dove ebbero luogo le riprese di Balamòs, conobbe per caso Kiriàkos! Uno zingaro commerciante di bestiame che era anche un ineguagliabile contastorie! Kiriàkos, poco a poco ma con costanza, diede vita personalmente al tipo cinematografico del levantino in grado di liberare dagli incantesimi e capace di propiziare non solo gli elementi naturali, ma anche i demoni sublunari. E, ovviamente, creò anche il cattivo del film (lui stesso si occupò di Diamante, il principe vampirizzato). Durante la proiezione al Festival di Salonicco, Kiriàkos, nella confusione creata dall’ostilità nei confronti del film, estrasse la rivoltella e, se non lo avessimo portato fuori dalla sala, avrebbe cominciato a sparare, avrebbe potuto anche uccidere. Quando, infine, vennero ultimate le riprese di Balamòs, montare quel materiale caotico, composto di fiere di bestiame, pascoli e ricostruzioni confuse senza filo conduttore fu un problema. Dopo il primo montaggio, il film durava cinque ore! E, prima che nel gruppo che assisteva Stavros maturasse l’idea che il film dovesse essere limitato a due ore, ci furono risse omeriche.
Benché il suo talento, specialmente dopo Karkaloù, in qualche modo pasoliniano, fosse stato riconosciuto anche dai critici più esigenti (assetati di complessi di Edipo, di fronte a cui continuano a rimanere estasiati), la sua situazione economica rimaneva drammatica. Circondato da una prosperità consumistica piuttosto volgare (ma anche da riccastri «esperti» delle sovvenzioni statali per il cinema), Stavros faceva la fame. Se non crollò sfinito nel mezzo della sua lotta vana fu essenzialmente grazie alla solidarietà e all’aiuto economico offerti da molti amici e compagni, che insieme formano una lista molto lunga.
*Il principe Diamadìs rappresenta una piccola minoranza di valacchi cattolici della regione di Aspropòtamos, dove vi erano paesi di partigiani. Nel periodo delle guerre balcaniche si mobilitò in favore delle rivendicazioni dei romeni e contro l'integrazione nazionale. Si recò in Italia nel periodo di Mussolini, entrò in un corpo speciale e, in seguito, durante la Seconda Guerra Mondiale, creò, con la copertura dell'esercito di Occupazione, un corpo per la fondazione del Despotato di Epiro e di Tessaglia, con il paese di Samarina come capitale!
Dopo il comico Danilo Treles (che segue percorsi codificati, noti alla psicanalisi e al surrealismo, e in questo senso è la sua opera maggiormente tipizzata) e nonostante il peggioramento della sua salute ormai logorata, Stavros fece appello a tutte le sue forze per realizzare quello che sarebbe rimasto il suo canto del cigno! Un'opera che richiedeva una rigorosa pianificazione e la stesura di un copione narrativo. Un’impresa cui non aveva osato metter mano sino ad allora. Un film che doveva guadagnarsi l’amore del grande pubblico. Così, al termine delle riprese di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermania, si ritrovò sull’orlo di un baratro. Eppure, grazie al caloroso sostegno di collaboratori e amici, e in particolar modo di Charlotte van Gelder, l’elaborazione tecnica del film fu portata a termine senza grossi problemi. Quando vidi per la prima volta alla moviola anche Erodhiòs, capii che si trattava della sua opera più compiuta. Lui stesso aveva riposto tutte le proprie speranze in quel film. Voleva credere che Erodhiòs avrebbe incontrato la risposta sperata da parte del grande pubblico, e si aspettava un riassestamento economico. Ma, come per l'intervento di una divinità malvagia, come avrebbe detto Borges, andò tutto storto. Il primo shock fu l'eliminazione del film dal programma ufficiale del Festival di Salonicco (1987). (Ahimè! Per consolarlo mi affrettai a rammentargli la sorte che il ghetto greco balcanico-ortodosso aveva riservato al grande matematico greco Karatheodhorìs'!) A tutti noi era nota la meschinità delle faccende cinematografiche, soprattutto dopo l’approvazione della Legge sulla Cinematografia, ma nessuno aveva previsto che una marmaglia di sindacalisti e commissari analfabeti avrebbe acquistato una tale forza. Piccoli borghesi «intellettuali» ed ex gruppuscoli di sinistra, collaborando spontaneamente con vari opportunisti che si occupavano esclusivamente di pornografia e di pubblicità, si erano dedicati metodicamente all’annientamento di artisti che non avevano la copertura del Partito. Questo fu il colpo di grazia per Stavros, già prostrato fisicamente e psicologicamente. In un mio articolo sul quotidiano «Ta nèa» (27 febbraio 1988), relativamente alla filosofia corporativa da quattro soldi e alle sovvenzioni statali, concludevo: «... L'ente statale può continuare a scegliere quali film finanziare. E, qualora lo ritenga produttivo, può imporre, attraverso le leggi, troupe ancor più grandi, uguali a quelle americane. Ma permetta almeno a coloro che amano con passione il cinema-pensiero di continuare indisturbati per la propria strada. E ciò significa concedere alle produzioni indipendenti gli stessi diritti concessi ai prodotti dell'ente statale. Lo stesso trattamento al Festival di Salonicco e gli stessi diritti nelle sovvenzioni statali. Così, in futuro, un qualsiasi sindacalista sconosciuto non potrà condannare Stavros Tornes alla propria fine naturale. È il minimo che qualsiasi artista libero abbia il diritto di esigere da un governo democratico». Sfortunatamente, non solo il mio appello non fu esaudito, ma fece incollerire gli esperti. Alcuni mesi dopo, Stavros Tornes sarebbe morto in condizioni di indescrivibile sfinimento. Chi avrebbe mai potuto immaginare, ahimè, che questo Ulisse dei nostri giorni, dopo un sofferto vagabondaggio di due decenni e con un’opera unica per originalità e importanza, conquistata con sacrifici sovrumani, avrebbe dovuto nuovamente incontrare al suo passaggio i malvagi Lestrigoni? Chi avrebbe mai potuto aspettarsi che quell’analfabeta protettore dei lavoratori, aiutato da ex registi falliti del Partito e ora amministratori dell’arte, sarebbe stato proclamato «papa» del cinema greco! Ciò nonostante, quel vendicativo cospiratore aveva progettato con grande cura la sua scalata ai posti statali, e aveva giurato, nell'oscurità del passato, di annullare Ulisse. Intendo un annullamento fisico. Perché la sua opera è qui. E rimarrà per ricordare ai posteri il
passaggio di Stavros Tornes attraverso il paese dei Lotofagi.
Autunno 2001
mondiale e ‘Fondatore della sezione matematica della teoria della relatività, riconosciuto dalla comunità matematica dallo stesso Einstein.
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| RICORDI
Riba.
Stavros Tornes sul set delfilm perduto di Agnès Varda Nausicaa, 1970
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Stavros Tornes sul set del film perduto di Agnès Varda Nausicaa, 1970
Balamòs, 1982 In alto, Charlotte van Gelder e Stavros Tornes, durante le riprese
Il battesimo di Balam0s e il Profeta RS
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Mi ricordo che un sabato mattina scomparisti nel mercato di Xànthi, dove ogni settimana si riunisce gente proveniente da tutta la Tracia. Alcune ore dopo riapparisti, completamente balamizzato, trascinandoti dietro degli immensi sacchi per le patate. «Aspetta, che ora ne arrivano altri...». Era già stato girato mezzo film, ma dove era finito Stamatis per pianificare il battesimo di Balamòs? C'erano tanti sacchi: tessuti, strumenti di lavoro, colori, pezzi di legno, ruote, berretti, dimbelek [nota], spade e altre armi. Un sacco tutto pieno di pellicce sporche, da cui proveniva la puzza di pesce che ci avrebbe accompagnato per tutto il resto del viaggio. Non ci mancherà nulla, pensai. Ma fu subito chiaro che tu avresti potuto prendere anche dell’altro, quasi tutto il mercato e gli uomini per portarli con te, perché ti seguissero in una carovana illuminata che sarebbe partita per molto lontano. Non riuscimmo a trovare l'indicazione per il famoso paese, meta del viaggio che ci aveva portati fino lì, dove avremmo dovuto trovare i discendenti degli schiavi dei Romani. Avevi letto qualcosa su di loro, circa vent'anni prima — forse anche trenta — e da allora avevi sempre avuto voglia di andarci. Si trovava da qualche parte in Tracia. Ti faceva impressione non aver visto neanche un negretto tra le persone di tutti i tipi che affollavano il mercato? Ma eri ancora ottimista. Non avevi forse un appuntamento con la fortuna? Li avresti trovati, dunque. Avevo i miei dubbi, nonostante sapessi che tutta la sequenza della Calabria (Coatti) era stata girata con questa «guida» . Ti eri messo in cammino anche allora senza certezze — non era neppure vicino —, avevi trovato ogni cosa ed era tutto come te l’eri sempre immaginato, compreso il cane. Soltanto il personaggio politicamente sospettato non aveva dato segni di vita. E non avevi avuto ragione ancora una volta? Era come se il paese ti stesse aspettando, con un sacco di discendenti. Il paese era piccolo, neppure seicento abitanti, e sembrava molto tranquillo, lì nel caldo. Ma come si poteva prevedere che quella gente pacifica fosse suddivisa da secoli in tre diverse fazioni chiuse e piene di serpi? Presto si sarebbe visto che con il nostro arrivo si erano risvegliati e dopo un po’ avrebbero tirato fuori dalle loro testoline anche quelle linguette biforcute... Decidesti di rimanere in disparte e di aspettare, avevamo da fare anche altre riprese, e dovevamo pre-
parare i costumi Cercavamo di far Non seppi mai rare con noi, solo
di scena. Le ruote della macchina erano scomparse completamente nella sabbia. passare il tempo. i cosa avevi detto loro, ma pochi giorni dopo si presentarono alcune persone per collaboche volevano stare lontano dal paese. Vennero nel campo, inquieti, e si vergognavano. Quando videro gli abiti di scena, vollero quasi scappar via. Adesso non avremmo avuto la scena se non ti fossi deciso a fare la comparsa anche tu, interpretando il ruolo del semplice schiavo timido, in modo da rendere l'atmosfera a poco a poco sempre più rilassata. Due settimane dopo la fortuna ci aveva di nuovo abbandonato. Eravamo in Tessaglia ormai da diversi giorni e non era apparso nessuno che potesse assomigliare al Profeta. Il tempo iniziava a stringere. Un pomeriggio, nel centro di Larissa, eccolo lì, accanto al chiosco dove eri andato a comprarti per caso delle sigarette. «Sai cantare gli amanèdes?». «Certo». E subito lo dimostrò con tutto il cuore. «Ho bisogno di te per il film. Tu sarai il Profeta». «Sarò il Profeta», rispose, e non c’era alcun dubbio.
Testo pubblicato in Stàvros Tornès, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene, 1994.
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Stavros Tornes sul set di Dolce assenza, di Claudio Sestieri, 1986, in una foto di Fulvia Farassino. Ultima apparizione in un film italiano, nella parte del rabbino
Testimonianze italiane
Stavros Tornes giunge in Italia nel 1967, e i primi anni di questo, che è uno dei molteplici inizi della sua vita, non sono facilmente ricostruibili. Né per ciò che riguarda la conclusione della vicenda amorosa, che forse doveva avere anche sviluppi cinematografici (lui regista, lei attrice...), che non ebbe, con Irò Kiriakàki, né per ciò che riguarda qualcosa di più preciso sui lavori manuali con cui per anni guadagnò pochi soldi per la sopravvivenza. Non si sa nemmeno dove siano finite le sculture in pietra che creava. Non è molto più ricco di testimonianze il rapporto col mondo del cinema. C’è persino da identificare il titolo di un western (almeno uno) in cui egli apparve: i suoi amici che lo videro qualche anno dopo non sono in grado di precisarlo. Si sa che il primo regista che gli offrì dei lavori è stato Francesco Rosi, il quale, in ciò esemplare rappresentante del cinema italiano per il carattere dei rapporti con Stavros, non può che stupirsi che dietro quella figura di esule greco bisognoso di lavoro ci fosse qualcuno di cui ora ci si occupa perché era un creatore. Rosi ebbe il merito di inventare primi piani e battute per fargli guadagnare qualche lira in più, facendolo parlare, nell'ultimo dei quattro film in cui gli affidò dei ruoli, Cristo si è fermato a Eboli, con la sua stessa voce da straniero, compatibile con quella di un meridionale. Ma a parte ciò non potrebbe dirci molto di Stavros. Dopo la breve parentesi francese, nella sua vita entra Charlotte van Gelder, che oggi vive con estrema riservatezza la memoria del suo lungo, per entrambi fondamentale, rapporto con Stavros. Se Santa Maria in Trastevere era già diventata l’agorà del mondo di Tornes, d’ora in poi l’assenza di una casa stabile in cui abitare, quando non troverà l’ospitalità di qualche amico, potrà contare sulla casa di Charlotte, che più tardi diventerà la casa di entrambi. I suoi primi tentativi italiani di fare cinema non hanno lasciato tracce: Studenti (1973) è un film che non si è conservato e che nessuno dei testimoni raggiunti ricorda di aver visto. E se Mario Monicelli, che pur gli affida un ruolo di una sola inquadratura ma esemplare (un militare già di destra che rifiuta di partecipare al colpo di stato) in Vogliamo i colonnelli, ha difficoltà di ricordare anche la sua presenza (è stato Rosi a indicarglielo), di quello che dev'essere stato un incontro non indifferente, con Roberto Rossellini, non troviamo dichiarazioni né dell’uno né dell’altro. È notevole però che,
nel primo dei due film rosselliniani interpretati, Cartesius, egli sia colui che parla per primo al filosofo dell'Olanda, in un momento in cui un’olandese sta entrando nella sua vita. L’apparizione nel successivo Anno uno è ancora più significativa, e quanti amano l’estremismo politico di questo film di Rossellini non possono che rafforzare la propria ammirazione attraverso la presenza in esso di Tornes, interprete di un Ferruccio Parri che è l’unico personaggio del film a far perdere l'equilibrio da mediatore a De Gasperi: la gesticolazione di Vannucchi durante il discorso gauchiste di Tornes-Parri va ormai vista tra i vertici della consapevolezza politica di questo grande film che nessuno ha potuto far proprio. La prima persona che ha incontrato Tornes in Italia e che può parlarcene in modo preciso è Mimmo Rafele, che nel 1973 gli affida il ruolo da protagonista nel mediometraggio Domani. Avevo poco più di vent'anni: era un’epoca felice in cui la RAI invece di fare concorsi per Veline, faceva concorsi per giovani autori, e un ragazzo che amava il cinema poteva ritrovarsi a fare un film. Piccolo, con pochissimi soldi, ma comunque un film. Vero. Il protagonista del mio film (oggi mi chiedo perché) aveva l’età che io ho adesso, né giovane né vecchio, e una lunga parentesi di dura emigrazione alle spalle. Non era facile trovare un attore con quelle caratteristiche, che accettasse di
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lavorare praticamente gratis. Vidi la foto di Stavros in un fascio di foto d’agenzia, stava per recitare un piccolo ruolo in un film dei fratelli Taviani, Allonsanfàn. Dissi: «È lui!», sentendomi molto «regista». In realtà non lo ero ancora, come Stavros non era un attore, anzi, anche se non lo sapevo, era più regista di me. Quando ci incontrammo mi guardò tutto il tempo con quel suo sorriso appena accennato, quietamente ironico, il sorriso di chi guarda il mondo da molto lontano. Io, sempre molto «regista» e molto cinéphile raccontavo e citavo, lui più che ascoltare, sentiva. Alla fine non aveva capito nulla, né volle leggere subito la sceneggiatura. Mi disse sol-
tanto in quel suo italiano oscuro come un indovinello della Sfinge: «Io e te dopo cominciamo e facciamo una bella cosa». Mimmo Rafele, testimonianza scritta del 7 ottobre 2003.
Benché il 1973 sia anche l’anno a cui saranno datati successivamente i primi testi poetici di Tornes in italiano, in questo primo periodo non risultano ancora sviluppati i contatti con quell’underground romano di poeti e amanti della poesia che porterà all'esperienza di Castelporziano. E la prima opera da cineasta su cui sia possibile ricostruire delle testimonianze è il film che diventerà noto col titolo Adîo Anatolì, o in italiano Addio Anatolia. Ma mentre lo sta realizzando a metà degli anni ‘70, Tornes lo chiama ancora Roma, secondo la testimonianza di Ugo Adilardi, che ne è stato operatore e uno dei montatori. wwd
Un)
| TESTIMONIANZE ITALIANE
Era una persona veramente pulita. Lavorava come imbianchino, e a fine giornata gli restavano i soldi per comprarsi qualcosa da mangiare e una bobina da 30 m di pellicola, a 120 credo non ci arrivasse mai, forse Go... Per girare Roma mi ha fatto scoprire le pietre di Roma, che io pur vivendoci da sempre non conoscevo: lui le vedeva lungo via Giulia anche a sette, otto metri di altezza. Aveva il gusto della scoperta. Leggeva in queste facce storie inverosimili ma nelle quali credeva. Sapeva cogliere le occasioni non programmate. Gli è capitata per caso, in mezzo alla pellicola in bianco e nero, una bobina a colori, e vi ha girato il lungo camera car, un 16 agosto, in corso Vittorio Emanuele, e l’ha inserito nel film... Lui sosteneva che l’aveva voluto così. Andavamo in giro, e le cose nascevano a mano a mano. Siamo andati a mangiare
in Campo de’ Fiori, al tavolo accanto c'era gente che gli interessava e ha fatto mettere la macchina sul tavolo, facendo finta di niente. Frequentavamo dei palestinesi, anche se nulla era estraneo a me e a lui quanto lo schierarsi fanaticamente. Perciò eravamo vicini soprattutto al Fronte popolare democratico della Palestina. Lui era un esule, ma non la faceva lunga con questo. Non l'ho mai visto dentro il mondo degli studenti greci. Forse ne frequentava, ma io l'ho visto sempre tra noi. Politicamente non è che mi ricordi esattamente cosa diceva, ma so che non mi ci sono mai incazzato. Io ad esempio non sopportavo gli emme-elle, e noi eravamo tutti e due dei cani sciolti... Charlotte, presenza importante e riservata, arrivava dall'Olanda ed era di famiglia ricca, ma a Roma non aveva una lira neppure lei. Stavros ruotava attorno a Santa Maria in Trastevere, andava soprattutto al bar di piazza San Calisto, dove il caffè costava veramente poco. È da quelle parti che conobbe Pupo, vero trasteverino, popolaresco all’estremo, generoso, spontaneo, pasoliniano. Diventerà l’immagine che Stavros voleva dare dei coatti. Ugo Adilardi, testimonianza rilasciata a Roma, 17 settembre 2603. n
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In alto:JoChampa e Stavros Tornes in una foto di Fulvia Farassino sul set di Dolce assenza, di Claudio Sestieri, 1986 In basso: Stavros Tornes in Apokàlipsi tou Ioànni, serie televisiva di Ghiòrgos Karipìdhis
Nico D’Alessandria, uno dei più interessanti marginali del cinema italiano fino a oggi, è intervenuto successivamente
in Addio Anatolia, come
uno
dei montatori,
insieme
a Stavros, Charlotte,
Giorgio
Patrono (che poi costituirà la Cooperativa maestranze e tecnici del cinema), Marco Spinello e lo stesso Adilardi. In quella fase il film ha un altro titolo, che corrisponde sinteticamente alla didascalia iniziale
ripresa da scrittura autografa in greco: Qualcosa qui diventò orfano, qualcuno cantò e il canto si spense (Tornes lo riporterà poi nelle schede inviate ai festival come Qualcuno cantò).
Hi\SDi
Sì, lo montavamo a via Margutta 46. Lui spesso di giorno andava a fare il muratore, a dipingere le pareti. Ugo Adilardi mi mise in contatto con lui, io avevo già dal Centro Sperimentale la passione per il montaggio, anche se facevo regia. A Stavros penso ogni volta che mi faccio un caffè, per quella macchinetta che c'è in Coatti, ed è un vero personaggio. Lui aveva imparato che si poteva andare a Cinecittà, farsi stampare dei materiali firmando un contratto, e non si pagava mai. Tra tutti noi era chiaro che non avremmo preso una lira, che anzi, se si girava fuori, si rischiava la fame, o al massimo una pizza con dentro la mortadella, cosa molto romana che lui aveva fatto propria. Io prima ero stato il factotum di Luciano Emmer, e già lì avevo un salario da fame. Poi io gli feci il montaggio del suono di Coatti, aveva pochissimo materiale e io lasciai questi vuoti, che a lui piacquero molto. Ma il lavoro più grosso è stato su Addio Anatolia: montavamo insieme, si parlava in continuazione, lui motivava sempre le scelte, aveva le idee molto chiare. Non mi ricordo delle parole esatte, ma che aveva degli atteggiamenti da mago, da stregone: per esempio nell’accendere i fiammiferi, se lo fai in un verso o nell’altro cambia molto il rapporto tra persone. Se accendi la sigaretta col fiammifero verso qualcuno, gli mandi il malocchio, se verso di te lo prendi. Lui lo prendeva. Ma lo si faceva giocando. Lui giocava sempre, era... felice, diversamente da alcuni registi italiani. Il rapporto con Charlotte era molto bello, molto libero, perché lei si isolava ogni tanto a scrivere, portava con sé un quaderno... Scriveva pezzi di romanzi, poesie...
|TESTIMONIANZE ITALIANE
Per andare a presentare Addio Anatolia al Festival di Salonicco, siamo partiti insieme, in treno fino a Brindisi, poi in traghetto, e poi in pullman attraverso la Grecia. Nico D'Alessandria, testimonianza rilasciata a Roma, 16 settembre 2003.
Le tracce lasciate a Roma da Stavros sono molteplici, ma non meno segrete e disperse di quelle che i suoi film hanno lasciato nel cinema. Andare un giorno qualsiasi a Santa Maria in Trastevere, a piazza San Calisto o anche a Campo de’ Fiori o al bar oltre Ponte Sisto, fa scoprire certamente delle persone nei cui occhi si è fermata la sua immagine. Come Roberto Mastropasqua, che al bar di San Calisto ricorda come Stavros si divertisse ad andare a Porta Portese per guardare le collezioni e i collezionisti di francobolli, ma anche l’esposizione dei canarini. Invece l'icona Pupo stamattina non passa. «Ieri è passato di qua» dice qualcuno «Dovrebbe passare anche oggi». Qualcuno consiglia di andare a trovare il pittore Turchiaro, che gli era amico e gli donava dei quadri perché se li rivendesse. Colui che seguì Stavros in Grecia, come attore insieme a Pupo, è stato il cultore di poesia Roberto De Angelis, oggi convinto proprio della scoperta poetica di Victor Cavallo, che a Castelporziano presentò Stavros e che però sempre sfuggì ai suoi film. Il testo per Coatti l’ha scritto con Paolo Morelli, anche lui oggi, secondo De Angelis, appena alla sua giovinezza di scrittore. L'altro collaboratore a questi film, Marco Spinello, che lavorò come montatore e fonico, è morto poco dopo, per la droga. Curiosamente né De Angelis né Simone Carella, l’altro interlocutore di Stavros per la poesia, hanno un ricordo preciso dei suoi testi poetici, non li rileggono da anni, non ricordano esattamente cosa abbia fatto a Castelporziano, a parte l’aver recitato con l’accompagnamento al violoncello di Charlotte: era successo l’ultima sera, e il giorno prima tutta la discussione era se continuare dopo le contestazioni del primo giorno.
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Francesco Calimera (altrove Pupo) e, alla sua destra, Roberto De Angelis in Danilo Treles, 1985
L'amico poeta di Stavros, Thomàs Gòrpas, era fisicamente molto diverso da lui, secondo Carella: sembrava un massiccio marinaio greco, invece Stavros era sottile, mistico, gli ricordava Pound. In questo mondo di poeti, popolani, pittori, il rapporto col cinema, finora basato su un’isolata realizzazione dei propri film, con alcuni «tecnici» di fiducia, si ampliò nel contatto con Ciriaco Tiso.
Per me era come un filosofo presocratico. Quando parlava non è che dicesse delle grandi cose, ma era già la voce, come girava intorno alla parola. Mi spiegò il «kòsmos», il «pràgma». Pensava sempre a fare cinema. Diceva delle cose, magari io non ci pensavo più, e lui ci ritornava. Non era davvero un attore, magari ne aveva la capacità ma non era realmente inte-
ressato. Quando ha fatto con me la serie dei racconti, in realtà voleva girare lui,
diceva: perché non facciamo questo? «Ho visto un cane...», e mentre si mangiava con la troupe RAI voleva che ci alzassimo a girare. Non si prendeva molto con Jobst [Grapow], che è un po’ il protagonista della serie. Stavros aveva anche dei lati oscuri, e io penso di averli ripresi in certi momenti dei film. Del cinema greco detestava Angelopoulos. Invece raccontava molto del fatto di aver insegnato a ballare a Anthony Quinn, e credo l’abbia poi anche cercato per dei finanziamenti. Pensare che a lui bastavano veramente pochi soldi... Poi diceva che conosceva Rosi... ma in realtà nessuno di questi si è accorto di lui. La gente è chiusa, cieca... poi quando ne ha scritto Skorecki, ha detto: «qualcuno comincia ad accorgersi». Io poi riconosco che non parlavo tanto di cinema con lui, come con altri amici, forse in ciò lo sottovalutavo. Né si parlava di quelli che erano i suoi lavori, questo non lo interessava. La licantropia gliel'ho suggerita io. Ma lui conosceva un tipo strano, che per lui era il personaggio del film, l'aveva visto frequentare una chiesa sconsacrata di rito
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greco. Si è fatto coinvolgere molto da quel progetto. Io gli obiettavo che non c’era un finale, che le cose non tornavano... Forse lui e Charlotte ci tenevano più di me a quel progetto. So che ne lessero dei brani a un’estate romana, hanno affisso pagine della sceneggiatura... Per lui che il film avesse una vera conclusione era quasi un’uccisione della vita. Credo che lui, quando si rivolse a me parlando entusiasticamente del mio film, avesse un po’ un impulso a proporsi. Interiorizzava la realtà e, mentre io sono fatalista, lui credeva nella realizzabilità delle cose. Che poi dovesse vivere senza poter pagare il caffè al bar, mentre a me avrebbe fatto star male, lui non ne risentiva. Ciriaco Tiso, testimonianza rilasciata a Roma, 15 settembre 2003.
Nel 1980 Tornes interpreta un ruolo minuscolo, ma dove il suo agire da non-attore fa trasparire sullo schermo tutta la gioiosità del set felliniano: ci è difficile ormai vedere la sequenza delle magie di Katzone, o di Fellini, in La città delle donne, senza che lo sguardo segua il corpo che guarda di Tornes. Sul film è rimasto il divertentissimo racconto di Stavros, qui ripubblicato nell’ultima intervista, e nel quale egli gioca anche su come Fellini non ne ricordasse il nome, e comunque quando gli veniva diceva «Tòrnes», e lui a
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confermare «sì, Tòrnes»... ecco perché è meglio continuare a traslitterare il suo nome senza accento: ogni volta dobbiamo rischiare di sbagliarne la pronuncia, finché non entreremo nel mondo di Tornès. Egli sapeva che molti non si accorgevano di lui, e se talvolta poteva soffrirne (soprattutto perché ciò non gli permetteva di «continuare a fare cinema»), ciò gli dava anche un paradossale senso di potenza. Lui gioiva delle magie di Fellini, anche se Fellini probabilmente non vedeva le sue. C'è da sperare che l'odierno dilagare di ricerche felliniane sappia includere nei propri orizzonti anche ciò che Fellini non ha visto. Per il suo ultimo film italiano, Eksopragmatikò, Tornes si rivolgerà per concluderlo a un altro cineasta marginale, Ivo Barnabò Micheli.
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Pausa sul set di Enas erodhiòs ghia ti Ghermanìa. A sinistra Dhimìtris Koromillas, produttore deifilm di Tornes già a partire dal periodo italiano, al centro, di spalle, Mirsìni Tsiàpa, accanto a lei, Stàvros Tsiòlis e un'amica, 1985 +
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Venne a trovarmi per chiedermi io allora avevo un po’ di soldi, e Cinquecento scopribile. Mi parlò della sua esperienza in scultore in uno spazio messogli
se potevo aiutarlo di finire a girare questo super8, potemmo fare un camera car in via Giulia da una Calabria dove era andato a lavorare la roccia come a disposizione da un amico calabrese che viveva a
Roma.
Prendeva tutta una serie di contatti per dei grandi progetti: voleva fare delle tragedie greche al cinema, voleva come attrice Melina Mercouri, lei doveva cantare... Forse era rimasto colpito anche dalle tragedie pasoliniane. Poi aveva contattato Oriana Fallaci perché conosceva Panagoulis. Ivo Barnabò Micheli, testimonianza rilasciata a Roma, 1 7 settembre 2003.
Per Eksopragmatikò Tornes si avvale anche della collaborazione produttiva di Enzo (oggi ha ripreso il nome intero Vincenzo) Attingenti, che poi collaborerà anche ai primi due lungometraggi greci, e che già in occasione di passati omaggi scrisse di questa esperienza. Ti ho visto, Stavros, per la prima volta una sera del 1979 al bar di San Calisto di Trastevere. A quei tempi, come ancora oggi, il bar pullulava di ragazzi e tu, con la tua figura austera, stonavi in quell’ambiente pieno di giovani estremisti in crisi con i valori della politica. La tua figura magra, il tuo volto scavato, gli occhi penetranti esercitarono su di me un'attrazione fatale. Trovai il coraggio di avvicinarmi e ti dissi che ti distinguevi in quel contesto. Mi rispondesti, niente affatto lusingato dal mio complimento, che facevi parte come tutti gli altri del movimento. Mi accogliesti al tuo tavolo e iniziammo una discus‘sione che durò tutta la notte. Sostenevi che la sinistra italiana s’era dispersa in tanti gruppetti e che questo era stato un danno per l’Italia. Avevo 19 anni e il mio estremismo si scontrò con la-tua saggezza antica. Quella sera non avesti neanche il tempo di parlarmi della tua attività. Seppi che eri un regista qualche mese dopo, quando fosti tu a chiamarmi e a rinnovare l’amicizia nata quella notte. Non ci fu bisogno di parole, non ti chiesi mai di diventare il tuo assistente, cominciammo a incontrarci tutti i giorni. Ogni mattina urlavo sotto la tua finestra della pensione di Ponte Sisto per svegliarti. Cominciavi la giornata con due caffè. Scherzavi quando mi raccontavi che avevi scelto l’Italia alla Francia come terra d’esilio proprio per il caffè. Non sarebbe mai nato in me il sogno di fare cinema se non ti avessi conosciuto, Stavros. Mi colpiva la tua capacità di raccontare, di affabulare, il modo con cui usavi la lingua italiana. Nella tua bocca le parole più semplici acquistavano profondità. Parole come essere, libertà dell’essere, tempo, erano il tuo pane quotidiano. La tua poesia non era avulsa dalla realtà, la tua poesia era pratica, azione della vita. Dell’essere umano t’interessava soprattutto la componente animale. Ti si illuminavano gli occhi verdi quando ti capitava di incontrare un giovane con le caratteristiche del lupo mannaro che cercavi per un film che poi non hai mai girato ma che ti ha occupato la mente per molti anni. La ricerca di questo giovane timido, oppresso ma pronto a trasformarsi in animale è stata la lezione più importante che mi hai dato. Un uomo irriducibile, la reincarnazione di un filosofo presocratico che odiava ogni filosofia sistematica, ogni interpretazione psicologica dell’essere umano, ogni compromesso con il potere che limitasse e oscurasse il bisogno cosmico di fare cinema. Il cinema non era rappresentazione, ma messa in vita della libertà dell’essere e della tua libertà di uomo che viveva il tempo come possibilità di trascendere il quotidiano, il presente, la Storia. Dopo la tua morte ho fatto spesso questo sogno: eravamo al solito bar. Tu parlavi del cinema, del grande cinema italiano, dell’ Accattone di Pasolini, di Viaggio in Italia di Rossellini. Poi nel sogno mi meravigliavo, ti interrompevo e
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| TESTIMONI ITALIANE
ti chiedevo: «Scusa, Stavros, ma tu non eri morto?». E tu mi rispondevi: «No, non
sono morto». Tu non sei morto non solo perché vivi nei tuoi film, ma perché vivi nella memoria di tutte le persone semplici che qua a Roma ti hanno conosciuto e che ti sono state vicine. Quando cammino per Trastevere, quando attraverso Ponte Sisto ti rivedo ancora, rivedo le immagini del piccolo film Eksopragmatikò, il puro film di pure immagini girato senza neanche cento lire. Giravi i tuoi film e il budget era fatto del tuo respiro, del tuo sangue. Ciao Stavros: Roma non ti dimenticherà mai, ognuno di noi ha un ricordo diverso di te che si somma ai ricordi di tutti gli altri. Vincenzo Attingenti, testo per l’omaggio a Stavros Tornes, Atene 1994, pubblicato nell’originale versione italiana per l'omaggio al festival Arcipelago, Roma 1995.
Oggi Vincenzo Attingenti si conferma una delle persone che a Roma maggiormente tiene le fila di quello che era stato il mondo di Stavros, abita tuttora a un passo da Santa Maria in Trastevere, e lì vede passare quasi sempre Pupo.
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Stavros aveva una presenza fisica molto forte, non potevi non accorgerti di lui, e così in quel primo incontro lo notai subito. La sua cultura non era accademica... Purtroppo poi si sono fatti sentire questi problemi fisici: aveva fatto anche il minatore da giovanissimo, poi fumava sessanta sigarette al giorno... La corsa che lo si vede fare in Balamòs... si vede proprio che gli viene il fiatone... Talvolta dimostrava novanta, cento anni... non aveva tempo... Questi capelli bianchi da vecchio li porta già in Domani di Rafele, dove credo non abbia più di 45 anni... Quando lo conobbi già mi chiedevo com'è che vivesse, nel suo stato fisico. E allo stesso tempo ci si rendeva conto che avrebbe potuto vivere ancora a lungo, così come avrebbe potuto mollare vent'anni prima. Quando poi ho visto Coatti, che era dell’anno prima, mi sembrava che da allora fosse invecchiato di dieci anni... I registi italiani lo facevano lavorare perché sapevano della sua condizione politica, ma poi... quando per Allonsanfàn cadde dal mulo e si ferì, ne cominciò a risentire, e dato che era orgoglioso e non voleva mettere nei guai i Taviani, non chiese soldi. E pensare che era proprio ai limiti della sopravvivenza. Era praticamente senza casa, per un po’ ha abitato dallo scenografo Burchiellaro. Quando lo conoscevi, era talmente carismatico, con una capacità di affabulazione così forte... il miglior Stavros ce l’avevi davanti a un caffè, e lui spaziava, senza alcun accademismo. A Castelporziano, quando ci fu la contestazione, lui era tra quelli che volevano continuare, ha detto a quelli che volevano interrompere il festival, come certi poeti americani: «che vi siete ingrassati tutti la pancia?». Io ero tra il pubblico dei giovani, non lo frequentavo ancora... Pupo è stato per lui un personaggio importante, anche se era uno che ha avuto problemi: galera, tossicodipendenza... Ma ha anche salvato la vita a Stavros quando era andato sull'Etna per girare Eksopragmatikò: c'era un tale freddo che Stavros è collassato, lui gli ha fatto la respirazione bocca a bocca... Ero stato io a prestargli la mia super8 per girare. Così divenni produttore associato, poi seguii la stampa, il missaggio... Negli ultimi tempi a Roma è vissuto a casa di Charlotte, che era come un villaggetto delizioso dentro Trastevere... una casa piccolissima macon un giardino meraviglioso, dove ha girato anche delle scene di Coatti. Lei era una persona molto introversa e insieme di grande cuore. Lui invece sembrava subito uno facile con cui familiarizzare, ma se gli davi fastidio per i tuoi convenzionaliSmi, ti annientava con lo sguardo, chiudeva ogni forma di comunicazione.
Io lo seguii anche in Grecia, Balamòs lo girammo in un villaggio della Tracia, di cento abitanti, con il più alto concentrato di varietà razziale: neri... proprio africani... gente con occhi a mandorla, turchi, greci... Poi al festival di Salonicco fischiarono il film già sui titoli di testa coi nomi turchi... Una cosa che l’ha fatto star male è che al posto del suo ultimo film a Venezia sia stato preso Angelopoulos. E nell’Airone si parla a un certo punto della fondazione Ford, ed è una cosa contro Angelopoulos, perché secondo Stavros era quella che pagava i suoi film. Il progetto sui licantropi per lui è stato importante. Non parlava d'altro! C'era un periodo in cui era veramente fissato, se mentre stava al bar vedeva qualcuno che in qualche modo corrispondesse al ragazzo che stava cercando, si illuminava e diceva: eccolo qua! In fondo la licantropia c'è già in Eksopragmatikò, dove non a caso è inquadrato il Ponte Sisto dove lui si è convinto di aver visto il licantropo che ha ispirato il film... E poi ci sono i cani al guinzaglio delle donne ricche in pelliccia... Tutto quello che era animale, lo adorava. Aveva la casa piena di gatti, a Roma e poi anche in Grecia. Lui è tornato in Grecia, attratto dalla possibilità di fare cinema. Ma ormai era diventato più italiano degli italiani. Quando lo sentii parlare il greco (e io il greco l'ho imparato perfettamente) capii che era ancora più meraviglioso il suo italiano. L’italiano di Stavros era da farti accapponare la pelle. Vincenzo Attingenti, testimonianza rilasciata a Roma, 16 e 18 settembre 2003.
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Testimonianze raccolte e montate da Sergio Grmek Germani.
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Stavros Tornes in Allosanfàn dei fratelli Taviani, 1974
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Sotirìa Leonàrdhou e Stélios Anastasiàdhis in Danilo Treles, 1985
Un debito
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Il mio primo ricordo di Stavros Tornes risale agli anni ’60, epoca in cui si stava costruendo un rapporto di solidarietà tra le nuove promettenti leve del nostro cinema, che ne contestavano il carattere com-
merciale andando alla ricerca di nuove estetiche e di nuove tematiche che, grazie a concezioni innovative in ambito produttivo e formale, avrebbero avvicinato il cinema greco alla moderna produzione europea. Lo incontrai di nuovo al suo ritorno dall’Italia, impegnato, fra infinite avversità, a lasciare il suo marchio creativo, quello di un cineasta ormai maturo e formato. Nel 1974 stavo girando Taxìdhi sta Kîìthira e tentammo una collaborazione: gli chiesi di recitare in una scena del film, e partecipò a una ripresa notturna a Omonia, accanto a Giulio Brogi. Peccato che la scena non sia stata inclusa nel film. Sapevo che Tornes era faticosamente impegnato nel tentativo di esprimere la sua idea di cinema. Sapevo anche che era indipendente, perseverante e soprattutto troppo orgoglioso per accettare qualsiasi genere di appoggio proveniente dall'alto, specie se sotto forma di patronato. Assistevo con discrezione alla sua lotta per creare qualcosa in ambito cinematografico, sapendo che i suoi film erano frammenti di un vero e proprio artista. La sua morte improvvisa, nel 1988, ha privato il cinema greco di un grande autore. Il Festival del Cinema chiama il pubblico alla riscoperta di questo cineasta autentico. Ne vale la pena.
Scritto per la personale Tornes del Festival di Salonicco, di cui Angelopoulos è presidente.
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Sul set di Me ton Nìko Kavvadìa, 1982 >
Senza regole
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Una personalità particolare, senza precedenti in Grecia. Fuori da ogni schema, ha pagato molto cara, addirittura con la vita, la passione per le proprie idee e per il cinema. Mangiare, dormire, ammalarsi, avere soldi erano tutte cose a cui non dava grande importanza. Niente
contava veramente per lui, tranne la passione che lo dominava. Era un poeta e cercava di esprimersi attraverso il cinema senza regole precise, senza cliché, senza intenti commerciali o pubblicitari, in maniera disinteressata... E riusciva sempre a rivelarci un mondo affascinante: il suo. Con la morte di Tornes, il cinema greco ha perso una personalità preziosa.
Atene, 8 settembre 2003, scritto per l’edizione italiana di questo volume.
Stavros Tornes, medico che cura Alèksis Dhamianòs attore in I Paezksìghisi, di Dhimîtri Stràvrakas, 1983
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Stavros Tornes e Stàvros Tsiòlis sul set di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
La pellicola e il caffè SEDE
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Stavros beveva il caffè espresso come gli italiani, tutto d’un fiato. Ed era un problema, perché tre ore da Zònars erano lunghe, e dopo un po’ era costretto a ordinarne un secondo e un terzo. Di me diceva che ero un provinciale perché bevevo l’espresso come se fosse un caffè turco, lentamente, per ore. Per motivi economici fu costretto a fare lo stesso, e diceva a Vakalopòulos che io avevo un’influenza negativa su di lui. Andavamo da Zònars perché era di fronte al Centro Greco del Cinema. E tenevamo d’occhio l’ora a cui arrivava il presidente Koutoùzis. Lo spiavamo perché volevamo andargli a chiedere una pellicola per girare Erodhiòs: l’avremmo pagato più tardi, con gli incassi. Ci eravamo preparati varie argomentazioni per convincerlo, ma Stavros pensò che sarebbe stato meglio chiedere una pellicola per ciascuno piuttosto che una sola. Io, però, non avevo una sceneggiatura pronta, e gli dissi: «Stavros, che me ne faccio della pellicola se non ho la sceneggiatura?» Ribatté arrabbiato: «E dai, Tsiòlis, qual è il problema, la sceneggiatura o la pellicola?». «La pellicola», gli dissi. «Appunto, e quindi...?». Koutoùzis ci dette davvero le pellicole, che avremmo pagato più tardi. Questa azione, poi, fu considerata illegale. Stavros cominciò subito a girare Erodhiòs, e io rimasi con lui. Una settimana prima di finire le riprese mi disse: «Ora vai a girare il tuo film!». «Cosa dovrei fare?», gli dissi. Mi rispose: «Vai nel Peloponneso». Tre giorni dopo partivo con quattro tecnici e con l’improbabile storia di un giovane paesano che va a cercare la nonna al paese. Per due mesi siamo stati a girare in Peloponneso e abbiamo intitolato il film Akatanîketi erastès [Amanti Invincibili]. Quando Stavros vide il film al Pallàs, mi disse: «Va bene, non è male!». Siccome rideva sotto i baffi, ne fui contento. Poco prima di morire mi disse: «Senti, quando sei con qualcuno, bevi l'espresso tutto d’un fiato. Altrimenti nessuno ti prenderà sul serio». Io continuo a bere l'espresso come se fosse un caffè turco, ma Stavros e Chrìstos se ne sono andati...
Testo pubblicato in Stavros Tornes, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene 1994.
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Uno sguardo dalla Germania ANNA
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Mi ricordo che Stavros Tornes diceva con semplicità e a bassa voce «sono greco». Mi piaceva come lo diceva, come se per lui fosse una filosofia. Che cosa significa «sono greco», mi chiedevo. La spiegazione storica di un mio amico — anche se molto importante — non mi convinceva del tutto. Sono tedesca. La Germania non gli piaceva, ma non era categorico. Era naturale che non gli piacesse. Per Stavros la Germania rappresentava, soprattutto, un’evoluzione razionale e tecnologica. «Venderemo poesia ai tedeschi», diceva sorridendo. Non sembrava pessimista. Non voleva credere che la poesia può anche andare perduta. Conobbi Stavros Tornès nello studio di Dhìmos Thèos. Era appena tornato dall’Italia. Dhìmos aveva comprato da poco una moviola. Molti suoi studenti montavano lì i loro film e Dhìmos li aiutava. Nello studio c'era sempre movimento — era il 1981, più o meno — ma c’era sempre tempo per un caffè, per due parole. Stavros, vecchio amico di Dhìmos, venne molte volte. Credo che lo studio di Dhìmos fosse a quel tempo un luogo di comunicazione, come lo studio di Ghiòrgos Emirzà e della Cinetic. Lì, dunque, nella moviola di Dhìmos, vidi per la prima volta i film di Stavros, quelli girati in Italia: i corti, in cui ammirai il sentimento di libertà, e Coatti, un lungometraggio che per me rappresenta un'epoca e, al contempo, qualcosa che travalica ogni epoca. I suoi film italiani, in particolare, mi ricordano intensamente l’atmosfera degli anni ’6o e ’70. Anche se a quel tempo vivevo in Germania. Mi trasmettono un familiare «sguardo» esistenziale. Forse Stavros Tornes e Charlotte van Gelder erano i bohémien della loro epoca. Naturalmente entrambi militavano a sinistra. Credo però che in sostanza fossero esistenzialisti. In Stavros riconobbi sin dal primo momento il vero cineasta. Una volta Ismene Kariotaki disse una cosa in cui mi riconosco: prima di assumere il ruolo principale in Karkaloù, vide Stavros e osservò «come parlava, come viveva» e allora capì che «era una cosa seria». Tornes stava iniziando a fare film in condizioni incredibili anche in Grecia, sempre con la sua compagna Charlotte van Gelder e con altre persone che lo accompagnavano e lo aiutavano. Sapeva incantare gli uomini con il suo amore, il cinema. Avevo l'impressione che Stavros insistesse su qualcosa che amavo anch'io, che aveva senso anche per me. Non si è limitato a trovare una storia e a renderla «realtà» in un film, ha trovato la realtà e l’ha resa storia e poesia in un film. Era un cantastorie, come diceva a volte.
Gentile e coerente di fronte al racconto, al sogno, alla creazione. Di fronte all'uomo, quindi.
Testo pubblicato in Stàvros Tornès, Edizioni del Teatro Sfendhònis, Atene 1994.
Da destra, Charlotte van Gelder e Anna Wich durante le riprese di Ènas erodhiòs ghia ti Ghermanìa, 1987
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Folgorazioni
Stavros Tornes e France Dougnac in una scena di Nausicaa di Agnès Varda, 1970
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In alto: Stavros Tornes (a sinistra) durante le riprese di Ouranòs, di Tàkis Kanellopoulos. Grecia settentrionale, 1962 In basso: Thiraikòs òrthros di Stavros Tornes e Kòstas Sftkas, 1967
Orientamenti
RECANTDOUCHET
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Mercoledì 22 maggio — Ouranòs, di Tàkis Kanellòpoulos, non mi dispiace affatto. Il film, che racconta la disfatta greca del 1940, quando, dopo una prima vittoria sugli italiani, il paese venne sopraffatto dai tedeschi, si presenta come una sorta di Odissea a ritroso. Triste come una melopea, quest'opera è la descrizione di un’erranza. Personaggi che si confondono (volontariamente) gli uni con gli altri, luoghi e avvenimenti che non vengono mai precisati creano un mondo astratto che assume rapidamente l'aspetto di un mondo morto in cui degli uomini marciano, soffrono e muoiono senza sapere perché. Nessuna azione drammatica. Semplicemente, il racconto di piccoli
I primi cortometraggi da regista di Tornes vengono ignorati in quanto «film turistici». Solo al terzo, che però è già il tassello finale di un trittico, in Grecia compare qualche nota più attenta, come quella dell’amico, critico e cineasta, Vasìlis Rafailìdhis, che così scrive in un programma del 1969 del cinema Studio.
incidenti: lo smarrimento, da parte di un sottufficiale addetto al servizio postale, di un pacco, il furto
di una scarpa al cadavere di un soldato. Ouranòs non è un grande film, ma è sensibile e affascinante. Kanellòpoulos, ex assistente di Cacoyannis, rifiuta ogni effettismo e lavora in riservatezza. Mi sembra più dotato del suo maestro.
REATEZA TED
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«Indagine sociale visiva» sull’arida Santorini, sui suoi abitanti scheletrici e denutriti e sui suoi ben pasciuti turisti. I protagonisti sono i turisti, gli asinelli e gli «indigeni» affamati e sazi. E ancora, la fava, alimento nutriente per sottosviluppati, e la
polvere di pietra pomice «sostanza» nociva che danneggia soprattutto i delicati polmoni di chi si muove in groppa agli asini. Si tratta di un documentario puro, che descrive, sceglie, sottolinea e denuncia.
Questa nota di un grande critico, pubbliacata con il titolo Cannes 1963 in «Cahiers du Cinéma», non fa menzione naturalmente di Tornes, assistente e interprete del film di
Kanellòpoulos, ma conferma l’acume critico di Douchet nel sentire l’importanza dell’opera: è anche un sintomo di come di Tornes spesso non ci si accorgesse, anche quando poi divenne regista. Peraltro Kanellòpoulos è una figura ancora più perdente, per la sua morte dopo pochi film. (Curiosamente nella stessa corrispondenza si tratta sbrigativamente l’esordio di Papatakis, cui nello stesso numero dedica una recensione molto complice Pierre Kast).
Thiraikòs-òrthros di Stavros Tornes e Kòstas Sfikas, 1967
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In alto: Ismìni Kariotàki in Karkaloù, 1984 In basso: Stavros Tornes in Balamòs, 1982
Hyéres: oggi
PORRI
ESTKO
RECSKT
(14° Festival internazionale del cinema giovane, 29 agosto — 5 settembre) Tre parti, di lunghezza e importanza diverse, in questa recensione. 1) Innanzi tutto su Hyères, per rammentare, in poche parole, in cosa consista questo festival. (Per un po’ di cronistoria, può esser utile andare a rivedere i nn. 262, 263, e 283 dei «Cahiers». Con una ricerca un po’ più ampia — cioè risalendo più indietro nel tempo — si potrà tentare di capire come degli incontri si siano trasformati in festival.) 2) Poi, Ieri, considerato quanto quest'anno i film siano datati. (I più brutti sono obsoleti, alcuni altri sono démodé, quasi tutti sono già sorpassati.) 3) Infine, Oggi. Perché un film, arrivato per sbaglio, rivendicato da alcuni degli organizzatori (Coatti di Stavros Tornes), un film che sfugge a qualsiasi nozione di categoria o di riuscita (sopraggiunto in extremis e per i rari «maniaci» di cinema presenti al festival), ci ha regalato l’unica occasione di applaudire a due mani; il solo film di questo festival (e il solo film da molto tempo) a esser nostro contemporaneo: un film d’oggi. È l’inizio della corrispondenza, pubblicata sui «Cahiers du Cinéma», n. 294, 1978, con il titolo Hyères: à deux mains!, divisa poi in tre parti: Hyères, Hier e Aujourd'hui. Quest'ultima è integralmente dedicata a Coatti ed è seguita da una doppia pagina di testi e immagini dal film, che ripubblichiamo nelle due pagine successive reinserendovi gli originali testi italiani da Coatti.
Coatti è un film italiano in 16mm, bianco e nero. Dura 86 minuti. È stato diretto da Stavros Tornes. Coatti (cioè, in italiano, persone sottoposte a domicilio coatto), è interpretato da Stavros Tornes e Charlotte van Gelder (un greco che da quando c'è stato il colpo di Stato nel suo paese vive a Roma e lavora — nel cinema — come attore e operaio, e un’olandese, neutrale, che vive di traduzioni), Abner (un rifugiato politico haitiano), Madhi (il figlio d’un amico di Stavros Tornes. di origine russa), Roberto (un romano, extraparlamentare autonomo), Mario (un pittore della papata'), Fabricio (un giornalista comunista), Professore (un funzionario dimenticato di un convento abbandonato), Vincenzo (lo scemo del villaggio), Gianni (un tecnico teatrale), Pippo (un commerciante improvvisato di vecchi costumi di Fellini). Il film è distribuito in versione originale (nell’attesa di un'eventuale uscita commerciale in sala, dalla Coopérative des Cinéastes (42, rue de l’Quest, 75014 Paris). Coatti racconta (per fare un riassunto del riassunto) un viaggio di due personaggi. Uno dei due fa un viaggio in solitudine cercando l’altro. Gli amici e la quotidianità si fanno percepire dentro il viaggio. I personaggi del film e i loro rapporti non sono inventati. Coatti è un film povero. Non è costato più di tre o quattro milioni di vecchi franchi. Se i tecnici e gli attori non sono stati pagati, non è — come spesso capita — perché erano disposti, per una ragione o per un’altra, a essere sfruttati. È stato solo per amicizia nei confronti di Stavros Tornes (e nei confronti del suo progetto) che hanno accettato di non ricevere denaro (secondo me, hanno ricevuto altro: il film parla per essi). Stavros Tornes ha 45 anni. Attualmente sta girando a Roma un lungometraggio in Super8. In Italia, i suoi film sono stati visti poco, o per niente. Stavros Tornes in questo momento è senza lavoro, si autofinanzia
i film, vive molto poveramente, ha dei debiti. ‘In italiano nel testo. Poi tradotto «de la papauté».
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Sul furgone Pipo, Stavros (e Charlotte, in silenzio) S: Allora sei stanco, no?!? P: Sono quattro giorni che vado in giro...
S: Cioè? P: Sì, sono andato a Arezzo, a fare la fiera, il mercato... S: Ah, sììì 2!? Ma c’è un grosso mercato? P:È un grosso mercato quello di Arezzo, per i mobili...
S: E poi da... da Arezzo? P: Poi, da Arezzo sono andato a San Gimignano, sono ritornato indietro... poi sono venuto qua a Roma... adesso vado a casa.
S: Tu abiti a Napoli?
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P: Sì, ma io giro a Castellamare di Stabbia. S: Catellamare?...
P: A Castellamare... ma tu di dove sei?
S: Io? io sono... cioè... io sono mediterraneo, cioè... P: Lei è tedesca, francese... che è? Che è... tedesca? S:... Sì, hai fatto centro proprio... cioè olandese...
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Sul furgone Pipo, Stavros (e Charlotte) P: Ma tu che fai? Eh? S: Eh... io faccio... faccio un po’ di pittura... si, tanto lavoro...
no?!? Lavoro come ville, come fabbro... qualche cosa del genere...
P: Quindi, ti adatti...
S: Sì, direi... P: E lei? Lei che fa? S: Lei scrive... P: Che tipo di scrittura?... giornalismo?... S: Sì, scrive qualche cosa... scrive un libro...
P: Ma vi fermate parecchio a Napoli? S: No, siamo... siamo di... come si chiama?... siamo di passaggio... noi
andiamo a Calabria... Charlotte, Charlotte, Charlotte... guarda,
guarda, guarda i bufali... che dormono, dormono... li vedi? ehin? guarda, guarda bene! C:... Ahyahy ah...
S: No, guardali là! che mignotte, proprio...?
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Esterno notte. Abner e Stavros
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A: Allora il pazzo mi viene così... S: Come?... cioè... A: ... A toccarmi così... ho detto: ma è un ammalato... quando gli infermieri, no?!? mi hanno detto: ma qui è il manicomio... capito? gli infermieri...
è allora che mi sono
reso conto che stavo al manicomio...
S:... E tu ridi allora ehin?... ah, ah) ah... A: Ah, ah) ah... uomo bello... che cavolo potevo fare?... ho detto: esco subito! S: Come: esci subito?... ah, ah; ah... A: Ho detto, la sera stessa... esco subito! Ho chiamato... ho voluto avere il medico di servizio... non c’era, era sera... mi hanno detto: ah, per forza, devi aspettare la mattina... ahy ahy ah...
S:... Ahy ah, ah... allora, come è andata a finire? A: La mattina, quando è arrivato il medico... ho detto: guarda, voglio firmare per
andarmene via.
S: E allora? A:
E bon... e come stai? mi prendeva ancora per pazzo!!!
S: Ma come sei arrivato qui?
A: ...Ho detto: dottore voglio andarmene da qui! e poi mi han detto, bon... e la sorella viene a firmare per tes Stavros e Charlotte
S:... Lui non ha capito un cazzo!!! questo io ho sentito dire... io non faccio una critica del rivoluzionario Mao... ma Mao appartiene a un Jie[oJelelopMib.IeMbuTo)eToloRe]etoMeto)eU[
Stavros e Charlotte C:... Eh, senti... sono stata con qualcuno... S: Io me ne frego di questo... non mi importa niente che te ne vai con
i tuoi amici, hai capito?!? sto male... C: Anche io sono stata male quando te ne sei andato... molto male...
S: Ma tu sapevi che io tornavo, no?!? C: No. i C:... Ma se vuoi ci vediamo prima... che parti... possiamo vederci...
Sosio C:...Andiamo, ehin?!?...
=
Coatti non è un film sentimentale (benché sia eccessivamente commovente). È un film mentale e fisico. Coatti dimostra chiaramente che le dispute tra il contenuto e la forma, l’enunciato e l'enunciazione, sono dispute oziose: qui, nulla prende il sopravvento su nulla, tutto si riassume e si concentra nel proposito che tiene la macchina da presa, la storia e lo storico fanno un corpo. Coatti è un film in cui la parola solidarietà ha un significato. Solidarietà tra i personaggi, certo, ma anche solidarietà tra le immagini, catena delle immagini. Coatti, come tutti i grandi film, come tutti i film unici, non serve al cinema. Si serve del cinema. Non (ce ne) possiamo far altro che vederlo. E sentirlo. Coatti non assomiglia a niente, a nessun altro film, ma ne richiama altri, film unici come questo: Nationalité immigré (Sidney Sokhona), Anatomie d’un rapport (Luc Moullet, Antonietta Pizzorno), L'avventura (Michelangelo Antonioni), Milestones (Robert Kramer, John Douglas), La terra trema (Luchino Visconti). Benché incompleta, questa lista dovrebbe dare un'idea del film. Coatti è un film di Stavros Tornes, ma non si sarebbe mai potuto realizzare senza l’amore (termine abusato, ma non saprei con che cosa sostituirlo) di Charlotte van Gelder. E di tutti gli altri partecipanti attivi a questo film. Coatti è uno di quei film che suscitano dubbi in coloro che — come me, come noi — amano un così gran numero di film. Che credito possiamo attribuirci, che fiducia possiamo accordare alle nostre parole, dopo averle usate con tanta leggerezza? Coatti è un romanzo, un feuilleton, un film. Romanzo-fiume, fotoromanzo, romanzo-feuilleton, le cui scarse tracce (fotografiche e parlate) sono qui solo per lasciare il più ampio spazio al desiderio del futuro spettatore di saperne di più.
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Karkaloù, 1984
La solitudine senza protezione di Stavros Tornes GdiiTtorREGHOos
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Conobbi per la prima volta Stavros Tornes nel 1979, a Venezia. Era l’anno in cui ricominciava in via sperimentale la Mostra del Cinema, senza carattere di concorso. Il famoso Festival era stato sospeso agli inizi di quell’infuocato decennio, quando alcune voci importanti, da Pasolini e Bertolucci al critico cine-
matografico Lino Miccichè e allo sceneggiatore Cesare Zavattini, rivendicavano un altro, diverso modo di
considerare il cinema. Ero insieme a Chrìstos Vakalòpoulos. Tornes presentava, in una sezione informativa, Coatti, girato in Italia. Chrìstos mi ricordò che Stavros aveva recitato in Allonsanfàn dei fratelli Taviani. Inoltre, naturalmente, c’era stato Thiraikòs òrthros, che Tornes e Sfikas avevano diretto insieme
prima della dittatura. Coatti fu proiettato in una piccola sala del lussuoso e carissimo Hotel Excelsior, al Lido di Venezia, a cento metri dal Palazzo del Cinema. Erano anni in cui un simile estremismo cinematografico poteva trovare spazio anche a lì. Del resto, l’allora direttore della Mostra Carlo Lizzani, regista e
membro del Partito Comunista Italiano, aveva incluso nel programma ufficiale anche il film di un grande estremista del cinema, Jean-Marie Straub. Pochi anni più tardi, al Festival di Salonicco, Stavros Tornes
presentò Balamòs, il suo primo film greco dopo il ritorno in patria. Quando la proiezione finì, alcuni «ragazzi del loggione» e i membri «ufficiali» della Gioventà Comunista chiesero la testa di Tornes. Era una delle volte in cui si manifestarono i primi segni, ancora rari, di un'alleanza ancora inconcepibile. Rosìta Sòkou trovò insperati sostenitori tra coloro secondo cui l’arte cinematografica doveva assolutamente sottostare a determinate regole. Balamòs non compiaceva la militanza politica dei giovani comunisti e non si accordava alla divertente leggerezza della Finos Film. E così venne fischiato di comune accordo. Come apparve chiaro in seguito, avevano ragione. Perché i tempi, intanto, stavano cambiando. Stavros Tornes era un estremista del cinema. Il fatto che non venisse accettato dagli accaniti sostenitori del realismo socialista e dai nostalgici del vecchio cinema greco può essere considerato il primo indizio del nuovo assetto che avrebbe predominato nella cinematografia mondiale. Proviamo a esprimere il concetto in modo schematico: dal cinema d’autore si stava passando ormai al cinema del fabbricante. Jean-Luc Godard era un paradosso, le nuove onde cominciavano a perdere la loro egemonia. Più o meno nello stesso periodo, i movimenti giovanili che negli anni ’60 e "70 avevano tentato di ridefinire le basi della cultura, si esprimevano ormai nel più radicale e inefficace dei modi: il terrorismo. Per ricordare l’Italia, il paese più rappresentativo di questa trasformazione, la dicotomia tra il riformismo e il pragmatismo del Partito Comunista da una parte, e la cieca e sanguinaria retorica delle Brigate Rosse dall’altra, si risolse in una tragedia che coinvolse l’intera Sinistra, fuori e dentro le istituzioni. Il «sinistrismo» non era più il sale, la versione utopistica, provocante, fantasiosa e liberale della Sinistra, ma un mostro senza rimedio. Il cinema di Tornes si trovò sprofondato in un vortice: come in politica, la frattura tra l'ambito istituzionale e quello non istituzionale era insanabile in ogni ambito. Balamòs rimanda a richieste e a diritti della cultura cinematografica, che, nel periodo e nel contesto in cui fu proiettato, non si sarebbero comunque potuti comprendere. Il suo valore consisteva in un significato diverso che, come si è visto, pochissimi erano in grado di rispettare. Qualche anno dopo ebbi un’altra esperienza traumatica. Quale membro della Commissione di Preselezione del Festival di Salonicco, che allora era esclusivamente greco, vidi scartato dal concorso Karkaloù. Io e alcuni altri cercammo invano di convincere gli altri che il cinema non si
giudica in base a norme prestabilite, e che Tornes meritava, forse anche più di altri artisti del cinema del nostro paese, almeno la nostra attenzione, il nostro disaccordo e le nostre discussioni. Mi sono pentito,
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perché non ci siamo battuti fino in fondo e abbiamo lasciato Tornes da solo, senza nessuno che lo difendesse. La solitudine di Tornes è indicativa della strada tortuosa percorsa dal cinema greco nel suo complesso. Non si è sviluppato, purtroppo, un dialogo fecondo sull’inquietudine estetica, sull’approccio sociale e sugli obiettivi artistici della nostra cinematografia. Eppure, quest'uomo estremo poneva alcune questioni fondamentali: come può una scrittura cinematografica personale essere arrogante, egoista, autoreferenziale ed ermeticamente chiusa in se stessa? Come può una produzione povera non sminuire e non indebolire la ricchezza dei pensieri e dei sentimenti sviluppati nel film? Cosa significa fare cinema e, per estensione, come lo accetta il pubblico? Da dove deriva e a cosa mira la bellezza dell'immagine cinematografica? In poche parole, il cinema di Tornes ha sollevato una serie di interrogativi, ancora aperti, che hanno attraversato il cinema contemporaneo. Sfortunatamente, a quell’epoca furono considerati problematiche irrilevanti e marginali. Tornes, e in seguito anche Avdheliòdhis o Anghelìdhis (gli esempi sono indicativi) hanno avuto un’accoglienza estatica, commossa, al limite dell’annullamento di ogni altra manifestazione del cinema greco, oppure sono stati assolutamente disdegnati. Per questo, l'occasione offerta da quest'omaggio a Tornes non deve andare sprecata.
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Questa testimonianwa del critico e scrittore Bràmos, scritta nell'ottobre 2001 segnala un altro evento sfuggente della circolazione dell’opera di Tornes. La presentazione di Coatti a Venezia assume in certi scritti greci un rilievo che sembra ignorarne la quasi clandestinità: ilfilm non è inserito in catalogo, come anche altri film di quella edizione di Venezia e della sua sezione Officina. Tuttavia la sua presentazione ha, malgrado ciò, una reale importanza: si tratta infatti, oltre che della prima Venezia diretta da Lizzani, del primo programma ideato da Enzo Ungari, con film che non si temeva di riproporre anche a un anno di distanza dalla loro presentazione per esempio a Hyères, facendo arrivare registi «fuori catalogo». Molti forse non si sono accorti che quell’anno passava anche Tornes. Oggi, anche in assenza di scritti sulla sua opera a firma EnzoUngari, che pure si sapeva suo ammiratore, le tracce evanescenti di quella proiezione sono preziose.
Ismini Kariotàki e Stélios Anastasiàdhis a Salonicco in una foto di Anna Wich, 1994. Era l’anno del documentario Stàvros Tornès: o ftochòs kinighòs tou Nòtou di Stavros Kaplanidis. L'ultima fotografia di Stèlios Anastasiadhis, l’attore più rappresentativo in due film di Tornes, 1994
Arriva dalla Grecia un principe ingenuo che compra cavalli AUS BSE Ret 000 Fear AS SENO
E anche il regista e attore greco Stavros Tornes, faccia antica, scura, mediterranea, assomiglia ai suoi film. Tornes non solo interpreta, ma forse è Balamòs, l’uomo con la testa tra le nuvole, colui che conosce l'estasi. Percorre le strade e le montagne della Grecia di oggi e di sempre, è un ingenuo che vuol comperare un cavallo, è uno schiavo di duemila anni fa, è un principe folle durante l'occupazione fascista, è Dracula che succhia il sangue dei cavalli. La storia fuori dal tempo di Balamòs è raccontata con poche parole, parole che sono rocce, terra, animali, acqua, con il respiro di un cinema in perfetta armonia con la natura e con i miti perenni che essa racchiude. Quello di Tornes è un cinema fatto per gli dei, dovrebbe essere proiettato sulle nuvole dell'Olimpo. Perché il cinema è Al Capone e Rossellini, è l'elettricità banditesca di Edison e la luce del cielo.
«la Repubblica», 28 aprile 1983, corrispondenza da Salsomaggiore con il titolo che riprendiamo per tutto il capitolo; il riferimento a Edison si esplicita nella prima parte dell'articolo, sul progetto Nikola Tesla di Skolimowski.
Un fantastico arcano, intessuto di miti e storia, ma aspro, quasi impenetrabile, sassoso e scarnificato come i suoi paesaggi è quello di Karkaloù di Stavros Tornes, cineasta-asceta e autore di un cinema elementare e poverissimo ma in cui c'è sempre un «lusso» dei più preziosi: la poesia. «la Repubblica», 24 aprile 1985, corrispondenza da Salsomaggiore.
Uomini-animali sono anche alcuni personaggi dell’ultimo film del greco Stavros Tornes, cineasta scabro, magico e «preistorico» che vive e lavora davvero agli antipodi della California delle sue luci e dei suoi rumori. Il film si chiama Danilo Treles ilfamoso musicista andaluso e raduna, sulle aride montagne dell'Epiro un eterogeneo gruppo di personaggi-mito. Un uomo-volpe, che parla tutte le lingue. Un uomo-gallo, che ovviamente parla francese. Due ladri di polli in cerca di un tesoro che parlano romanesco di Campo de’ Fiori. Un biologo che parla latino. Un cantante folk americano un arabo una maga più innumerevoli animali veri. Tutti cercano o ruotano attorno a Danilo Treles, il «famoso musicista andaluso» che si è perso su quelle montagne, che non si vede mai, di cui solo una volta si sentirà il canto.
Concentrato personalissimo di favole e di mitologie il film di Tornes è insieme la massima povertà del cinema e la sua massima ricchezza. Per fare un uomo-volpe non occorrono trucchi sofisticati, basta una mascherina fatta come un muso di volpe vera, e per fare un uomo-gallo basta un ciuffo di piume sul sedere. Ma per raccontare tutte queste storie, far risuonare tutte queste voci e culture ci vuole la saggezza di tutta una vita. «la Repubblica», 12 aprile 1987, corrispondenza da Salsomaggiore.
È morto qualche giorno fa Stavros Tornes, attore e regista greco che aveva soggiornato a lungo in Italia ai tempi della dittatura dei colonnelli e vi aveva interpretato in parti secondarie vari film, anche per Antonioni e Fellini. In Italia aveva realizzato le sue prime cose da regista «alternativo» come Studenti o
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Coatti prima di ritornare in Grecia e dare inizio a una serie di film scarni e poetici, poverissimi nella materia ma ricchissimi di fantasia e suggestioni, girati fra le pietre e le mitologie eterne della sua terra. Si intitolavano Karkaloù, Balamòs, Eksopragmatikò,
Danilo Treles e raccontavano di uomini-dei, o di
uomini-animali, di vagabondi, di poeti. Stavros Tornes era come i suoi film: aveva cinquantasei anni ma ne dimostrava forse venti di più, con i suoi capelli lunghi e bianchi, il volto ossuto, l’aria spesso sofferente ma gli occhi e la fantasia vivacissima. Il suo ultimo film si intitola Una gru per la Germania [sic] ed era stato in predicato per andare a Venezia. Gli altri erano stati visti da noi a Salsomaggiore dove qualche anno fa Tornes ricevette anche un premio. Vi arrivava dopo lunghi viaggi in pullman attraverso la Jugoslavia, rifiutando il biglietto d'aereo, come un vagabondo, un emigrante di altri tempi, un uomo di un altro cielo e di un altro universo quale ha sempre voluto essere.
«la Repubblica», agosto 1988 (ritaglio non datato): È morto Stavros Tornes uomo di un altro tempo regista di poeti e vagabondi.
E perfino Un airone per la Germania, ultimo film di Stavros Tornes e omaggio postumo a un cineasta poetico e scabro forse come nessuno, individuava una nuova strada, più aperta e disponibile, per questo giovane vecchio morto in ogni caso prematuramente. 162,
«la Repubblica», 20 aprile 1989, corrispondenza da Salsomaggiore.
Da destra: Chiistos Vakalòpoulos, Stavros Tornes e Charlotte van Gelder al bar del Festival di Salonicco, 1987
Nessuno stile cinematografico codificato Cartesio ES AVA SK' AT
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Venerdì, 5 ottobre 1984: Karakaloù Nella proiezione pomeridiana della rassegna completa sarà presentato il film, eliminato dalla Commissione di Preselezione, Karakaloù, di Stavros Tornes, pioniere del nuovo cinema greco con una personalità che non scende a compromessi e che sente il cinema nel sangue. Nel 1982 Balamòs, il suo precedente film, fu fischiato duramente in sala. Due anni dopo, Karkaloù ha ottenuto caldi applausi. Tornes alza il pugno ed esce dalla sala. Il cinema di Tornes pone, innanzi tutto, un problema di tipo antropologico: in un film, chi guarda (il cineasta) è obbligato a lasciarsi guidare da colui che vede, deve abbandonarsi con fiducia cieca a un corpo reale, in carne e ossa (l’attore è una preoccupazione molto relativa, vista la presenza umana nei film di Tornes). In Karkaloù Stèlios Anastasiàdhis incarna questo genere di corpo, è l’uomo che vive la propria morte movendosi all’interno di in una strana geografia, che mescola i ricordi con le fantasie, l'infanzia con l’arte culinaria, sua moglie Karkaloù con il cinema (nella scena magistrale nella capanna). Filmando con un sentimento di libertà assoluta, Tornes dimostra (come anche in Balamòs) che la spiritualità è questione di precisione, mentre al contrario la schematicità ha bisogno di una certa indefinitezza per esistere. Così Karkaloù, esempio unico di cinema surreale in Grecia, riesce a completare il suo «sistema» estetico, esau-
rendo la materialità degli oggetti filmati. La trasgressione nasce solo nel momento in cui le cave di pietra diventano vere, quasi tangibili per lo spettatore, e le situazioni divengono spirituali (paesaggi della mente) all’interno di condizioni estremamente realistiche. Gli attori sono corpi che vibrano, non accomunabili all’isteria di qualsiasi drammaturgia già data a priori, a ogni genere cinematografico codificato. «Adì», n. 272, 12 ottobre 1984.
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Stavros Tornes in Nausicaa, film perduto di Agnès Varda, 1970
Un film contro le leggi
SEG
DANEY
Theo Angelopoulos, come improvvisamente tutti a Salonicco, dice un gran bene di un altro regista greco, Stavros Tornes. Ha ragione. Se esiste un poeta-artigiano e un radicale errante, è proprio Tornes. A 49 anni, è più leggendario che conosciuto, coscienza del cinema greco fuori dalla Grecia (da lungo tempo vive in Italia, dove fa l'attore), spina nel fianco di ogni organismo sindacale, istituzionale o assistenziale. Stavros Tornes (e il suo «alter ego» Charlotte van Gelder) ha fatto i propri film da solo, nel corso di una vita movimentata, senza aspettare alcuna luce verde, con la forza di chi possiede il lusso supremo: il tempo di pensare quel che sta facendo. I suoi film italiani (tra cui Coatti) e il suo primo film del ritorno in Grecia (Balamòs), sono a malapena conosciuti. In Francia è stato «scoperto» da un curioso, di cui taccio il nome in onore della sua modestia (scrive per «Libération»). Speriamo che sia solo il primo. È un peccato, ma il film di un poeta non si può raccontare. Karkaloù fa pensare, di volta in volta, a Murnau, agli Straub, ad Antonio Reis o ai fratelli Taviani. Nel film la pietra è di pietra, la finzione è una finzione, anche i fantasmi muoiono, un vecchio interpreta un bambino, un giovane diventa vecchio, dei bambini simboleggiano la morte, un’inquadratura succede a un’altra con l’inevitabile (e non dimostrabile) nitidezza del sogno. A Salonicco, il film è stato acclamato. Stavros Tornes ha abbandonato la sala, molto commosso, con il pugno alzato. Per tutta la serata, l’intero cinema greco è andato ad abbracciarlo. Spesso, in modo mellifluo. Dopo tutto, il migliore di loro non aveva atteso una legge per trovare la forza di fare un film contro le leggi.
«Libération», 16 ottobre 1984.
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Karkaloù, 1984 In alto: Ismîni Kariotaki e Stélios Anastasiadhis In basso: Màrios Karamànis
È
Karkaloù, ci sei?
MOI
SRO
RECKI
Stavros Tornes verrà a Cannes, un giorno? Due anni fa, il suo splendido Balamòs è stato presentato all’interno del mediocre panorama del Marché du Film. Quest'anno è andata anche peggio: Karkaloù è stato proiettato un’unica volta, di fronte a cinque spettatori, sabato alle nove e mezza del mattino. Le ragioni? 1) Il cine-poema, nonostante la gloria postuma di Pasolini, non gode dei favori del pubblico. Un cineasta che si batte da anni per mettere insieme, prima in Italia e poi nella sua Grecia natale, immagini aspre e suoni rudi in cui poter intrappolare i suoi personaggi allucinati, fa paura. Ci si dovrà affidare al ritmo dell’alba vera (non quella dei festival nottambuli) per coglierne il senso. Stavros Tornes filma la sabbia grigia delle spiagge e la luce ingannevole della luna. Non le vetrine di Faubourg St. Antoine. E così, restiamo inevitabilmente stupiti. Non siamo più abituati. 2) Anche con un argomento familiare, Stavros compie miracoli. Un giovane irretito ora da una vamp sul viale del tramonto ora da un comico steward, non può che essere l'ennesima variazione per trio infernale. Armstrong canta Georgia on My Mind, due uomini si dividono la scena, ma l’apertura nel muro che lascia intravedere il loro sguardo vago è un’autentica «ouverture». Fatta di vere pietre. Mineralmente, Karkaloù fa pensare a Cocteau e a Genèt. Imbarazzante!? 3) Mostrare che un uomo-eroe può avere occhi da bue, o da rospo, è rischioso in tempi di truffa stilizzata come questi. La fatica dei corpi di operai-artisti non è vista meglio. Mescolare, senza cercare, Sayat Nova ad Antonioni, è spiazzante. Gilles Jacob ha rifiutato Karkaloù nella selezione ufficiale. Pierre-Henri Deleau ha preferito passare nella sua «Quinzaine des réalisateurs» un film del tutto inconsistente, L’amour d’Ulysse. Due anni fa avevamo detto, in questa stessa sede, che Balamòs era un capolavoro. Karkaloù è più bello ancora.
«Libération», 13 maggio 1985. Non risultano scritti di Skorecki sul successivo film di Tornes, Danilo Treles, in cui Tornes, invece, scrive nei titoli una dedica a Skorecki e al suo film da regista, L’escalier de la haine.
‘In francese «génant»: si perde l’assonanza con Genét (N.d.T.)
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Stavros Tornes e Catherine de Seynes in una scena di Nausicaa di Agnès Varda, 1970