Soggetti connettivi. Esercizi di semiotica e teoria della comunicazione 9788892952355, 9788892952362


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Soggetti connettivi. Esercizi di semiotica e teoria della comunicazione
 9788892952355, 9788892952362

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NICOLÒ FAZIONI

Soggetti connettivi Esercizi di semiotica e teoria della comunicazione

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NICOLÒ FAZIONI

Soggetti connettivi Esercizi di semiotica e teoria della comunicazione

SAGGI

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tab edizioni © 2021 Gruppo editoriale Tab s.r.l. viale Manzoni 24/c 00185 Roma www.tabedizioni.it Prima edizione novembre 2021 ISBN versione cartacea 978-88-9295-235-5 ISBN versione digitale 978-88-9295-236-2 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, senza l’autorizzazione dell’editore. Tutti i diritti sono riservati.

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Indice

p. 7 Introduzione 17 Capitolo 1 Modelli di comunicazione 27 Capitolo 2 Il mito delle origine dell’Automotive 55 Capitolo 3 Il mito del made in Italy 69 Capitolo 4 Il mito del fast-food 81 Conclusioni 85 Bibliografia

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Introduzione Società, comunicazione, identità

Il termine comunicazione deriva dal latino communicare, cioè “mettere in comune”, che risale a sua volta a communis (comune). Nel linguaggio quotidiano significa condividere qualcosa con altri, far conoscere e far sapere, scambiare qualche parola, conversare. Non possiamo, però, non interrogarci sul valore logico di quel “cum” che sottolinea la dimensione relazionale della comunicazione, la capacità di creare un legame, un incontro o uno scontro, tra due individui almeno; il tutto attraverso lo scambio di segni tra loro molto diversi come parole, testi scritti, immagini e, come dimostreremo, anche suoni, profumi, espressioni, posizioni, sguardi, oggetti, vestiti, tatuaggi, trucco, pietanze, luoghi di consumo e di svago. Se ognuno di questi elementi è un sistema linguistico con proprie regole e se la società intera, come hanno dimostrato sociologi e fi1 losofi , è una rete di linguaggi e di strutture comunicative è perché, prima di tutto, ogni forma di comunicazione è sempre una forma di relazione e un dispositivo intersoggettivo.

1. Cfr. Mauss (1928), Lévi-Strauss (1958, 1962), Barthes (1957), Lotman (1961), Baudrillard (1966, 1968), Floch (1990).

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Introduzione

Già Aristotele lo ricorda nelle pagine della Retorica quando afferma2: I generi della retorica sono tre di numero: altrettanti sono infatti le specie di coloro che ascoltano i discorsi. Il discorso consta di tre elementi: colui che parla, ciò di cui parla, colui al quale si parla. Il fine del discorso è diretto a costui – voglio dire all’ascoltatore (Aristotele, Retorica, 384-322 a.C.).

La comunicazione crea uno “spazio comune”, quello dei significati che vengono scambiati tra un mittente e un ricevente: in questo spazio avviene una vera e propria negoziazione tra soggetti differenti, tra l’io e l’altro. Bisogna farsi comprendere, modificare l’agire altrui, convincere e persuadere. Non basta limitarsi a trasferire un messaggio da un punto all’altro, come avviene nell’informazione. Proprio per questo i fenomeni comunicativi sono sempre fenomeni sociali e viceversa. Il contesto sociale è la piattaforma all’interno della quale i soggetti negoziano i significati, mediano le loro differenti esperienze-conoscenze-competenze (Eco, 1970 direbbe le loro «enciclopedie»). Il termine negoziazione indica che si tratta di un’attività di mediazione continua, nient’affatto scontata, il cui esito è del tutto contingente: può trattarsi di un incontro o di uno scontro, di uno scambio reciproco o meno. La comunicazione mira sempre a produrre dei cambiamenti concreti, tangibili, quasi misurabili nell’interlocutore o nella cerchia dei riceventi. Austin (1962) e Searle (1969), due importanti filosofi anglosassoni, hanno intuito che il 2. Su questi passaggi cfr. Barthes (1972), Mortara Garavelli (1998).

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Introduzione9

linguaggio presenta diverse funzioni ed oltre ad una dimensione descrittiva esiste una, ben più importante, funzione pragmatica: le parole sono speech acts, atti linguistici, vere e proprie azioni che modificano la realtà. Andando oltre, alcuni socio-semiotici hanno iniziato a sostenere che gli atti comunicativi, anche quelli che sembrano avere una dimensione puramente descrittiva, non sono mai formule neutre ed astratte ma hanno sempre una forte funzione pragmatica. Questa dimensione relazionale spinge il teorico della comunicazione ad unire ai propri strumenti linguistici e filosofici, una serie di competenze che provengono dalla sociologia dei processi culturali e dei consumi, così come dalla psicologia sociale. La dimensione della società, dei gruppi, delle culture e delle sub-culture è l’ambito nel quale prendono vita gli atti comunicativi. Oggi, infatti, siamo di fronte ad una progressiva frammentazione del contesto sociale; una frammentazione che risponde sempre meno alle segmentazioni proposte dalla sociologia classica attraverso la geografia, il reddito, l’anagrafe3. Se la modernità nasce con il passaggio dalle comunità di luogo alla società che dissolve i legami del vicinato e le altre forme di relazione diretta e di calore umano4, la contemporaneità è segnata da un meccanismo di micro-frammenta3. Su questi fattori di segmentazione e sulla loro perdita di importanza nel contemporaneo cfr. Codeluppi (2005), pp. 135-167. Sulla famosa segmentazione generazionale (maturi, baby boomers, generazione x) cfr. Smith-Clurman (1998). Nuovi tentativi, più attuali, di micro-segmentazione sono descritti da Fabris (2003). Ricolfi (1989) ha iniziato a parlare di «multiappartenenza» per evidenziare il fatto che un individuo può fare parte contemporaneamente di più gruppi. 4. Cfr. Tönnies (1912), Weber (1922).

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Introduzione

zione della società connessa a nuove forme di comunicazione e di costruzione delle identità5. La rivoluzione tecnologica e digitale iniziata negli anni ’90 del secolo passato, con la sua attuale accelerazione, ha spezzato le barriere spazio-temporali tipiche delle società moderne6: le società iper-moderne vivono l’eliminazione del problema della distanza e della durata, laddove lo spazio diventa connessione informatica, e il tempo diviene l’istante che intercorre tra un clic e quello successivo. Il web ha trasformato lo spazio-tempo, invalidando ogni distinzione sociale basata sulla geografia o sulla dimensione della distanza. Il reddito, l’altro grande predittore dei comportamenti postulato dall’economia moderna, manca sempre più il suo ruolo guida: le società iper-moderne tendono a proporci decisioni dove il reddito non è più il fattore decisivo. Lo dimostrano il mercato dell’elettronica e quello dell’informatica che ci rivela comportamenti d’acquisto apparentemente contradditori: persone con basso reddito, che risparmiano sulle spese necessarie, accedono comunque all’ultimo iPhone. I segmenti anagrafici legati alle generazioni, che hanno ottenuto tanta fortuna nel marketing americano, spiegano diverse situazioni ma mostrano sempre maggiori falle: baby boomers, generazione Z, millenials, generazione X sono categorie trasversali destinate ad incrociarsi, a complicarsi, a incontrarsi in una serie di spazi comuni d’acquisto e di comunicazione come sono i social network e i negozi digitali. 5. Cfr. Codeluppi (2010), p. 13. 6. Cfr. Paccagnella (2020) e Paccagnella, Vellar (2016). Cfr. anche il classico Turkle (1995).

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Introduzione11

Il panorama socio-culturale tende ad essere attraversato da tendenze complesse, che mixano logiche globali e locali, e mettono in gioco fattori nuovi. Si creano gruppi, stili di vita, tribù legate a tendenze politiche, ma anche a forme di acquisto o di fedeltà ad un personaggio mediatico, e perché no di fedeltà ad un brand che esprime con la propria identità un forte fattore di identificazione. Si tratta di micro-gruppi, spesso «liquidi»7 e destinati a rapidi re-impasti, dissoluzioni che liberano gli elementi per nuove forme di unione. Dalle comunità digitali legate ad una saga televisiva, così fortemente teatralizzate dalle fiere dedicate negli Stati Uniti (Comiket, Wondercon, San Diego Comicon) fino ai gruppi degli “alfisti” o dei sostenitori delle auto tedesche, dei pro-Apple e dei contrari. Sono forme di gruppi fluidi, difficili da identificare, distanti da ogni forma di identificazione sbandierata o di stabile localizzazione (una sede, un luogo comune). Nella creazione di queste forme di sub-identità, sub-culture, micro-gruppi, un ruolo fondamentale è svolto dai media8, sia da quelli ormai classici come la televisione e la pubblicità9, sia da quelli più recenti, come le forme di Branding tramite i social e il web o come i nuovi linguaggi filmici espressi dalle serie e dalle piattaforme tipo Netflix e Amazon Prime Video. Analizzare queste forme di comunicazione, spinte dai linguaggi mediatici, ci permette di comprendere le relazioni che caratterizzano le società contemporanee e le diverse for7. Cfr. Bauman (2000). 8. Sui media cfr. Bentivegna, Boccia Artieri (2019). 9. Cfr. Volli (2002) e Marrone (2007).

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Introduzione

me di soggettività e di identificazione che noi stessi veniamo ad assumere. Le nostre società stanno, infatti, operando un passaggio sotterraneo ma ormai visibile tra la centralità delle merci e quella delle marche: i consumi, i luoghi stessi del consumo, sono stati caratterizzati fin dalla fine del ’700 da un incremento esponenziale delle merci, dei prodotti immessi nel mercato, quasi subiti passivamente dai consumatori. Il sistema fordista e la produzione massiva hanno letteralmente ricoperto la società di merci, verso cui dirigere i nostri desideri e la nostra ricerca di acquisire e manifestare uno status ed una appartenenza ad un gruppo. Oggi, siamo di fronte ad un fenomeno che è il frutto di un processo molto lento di reciproca contaminazione tra la produzione delle merci e la loro comunicazione mediatica e pubblicitaria: oltre ad una progressiva mercificazione di ogni aspetto socio-culturale è avvenuto anche il contrario, una culturalizzazione della merce che viene ad avere sempre più un valore simbolico, ad essere parte di un mondo di significati ulteriori al solo valore d’uso. Ecco, noi viviamo immersi in questi mondi simbolici, dove le merci hanno innanzitutto una funzione comunicativa e relazionale: «il funzionamento dell’odierna industria culturale si basa, più che sulle singole merci, su soggetti totalmente comunicativi, come le marche, le quali si caratterizzano per la loro capacità di dare vita a relazioni sociali e per il loro possesso di una storia e di una memoria, grazie alle quali sono in grado di alimentare l’identità dei prodotti»10. 10. Codeluppi (2010), p. 16.

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Introduzione13

Nascono, così, comunità internazionali che valicano ogni confine spazio-temporale sulla base di una relazione mediata da una marca, da un sistema di valori, storie, credenze, abitudini, preferenze. Questi nuovi soggetti connettivi, le marche, rappresentano un nodo decisivo per ogni teoria della comunicazione e della società. Non sono soggetti individuali perché vivono grazie all’intersoggettività ma non sono nemmeno soggetti collettivi perché non garantiscono uno stabile e solido punto di incontro tra gli individui, una dimensione di continuità. Soggetti connettivi in quanto implicano una connessione, indipendente dal luogo e dalla distanza, dal reddito e dall’età: una forma di comunità dove le persone si connettono, si toccano senza per forza incontrarsi veramente. Le connessioni non sono vere e proprie relazioni, ma punti di contatto: quello che avviene dopo è tutt’altro che necessario e duraturo. La connessione non è, già di per sé, relazione ma può diventarlo: tutto dipende dalle pratiche che la comunità mette in gioco. Ciò che rema contro è l’instabilità delle connessioni, il repentino cambio di paradigma a cui sono sottoposti i mondi di marca, con i loro frequenti riassestamenti interni ed esterni. In un’epoca dove tutto sembra accelerare e dove le identità si disgregano velocemente, le marche assumono un ruolo rassicurante: da una parte appaiono solide, presenti, forti, dall’altra celebrano tramite i loro costanti cambiamenti il cambiamento a cui noi stessi siamo soggetti. Le marche ci orientano nel cambiamento, connettendoci con altri a chilometri di distanza e a numerosi fusi orari di differenza. Per sviluppare questa analisi è necessario introdurre un modello teorico che ci permetta di comprendere i meccani-

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Introduzione

smi della comunicazione, così come è fondamentale mostrare il legame tra quest’ultimo e le tecniche tramite cui vengono prodotti i messaggi comunicativi che caratterizzano il contemporaneo. Dedicherò perciò un primo capitolo ad una concisa introduzione del modello teorico che applicheremo nei capitoli successivi: mi limiterò a fornire al lettore una serie di strumenti, introducendoli senza trarne tutte le conseguenze epistemologiche. Mi permetto, infatti, di segnalare che ho dedicato un intero testo all’introduzione scientifica e dettagliata di questo apparato concettuale ed euristico (Fazioni 2021), al quale rimando per una comprensione più dettagliata e dimostrativa. I capitoli che seguono sono, invece, dedicati all’applicazione del modello e all’analisi delle tecniche della comunicazione messe in campo, tramite media differenti, da alcune marche: Mercedes e BMW, il mercato del made in Italy nel mondo dell’arredamento con la case histories di Porada, la nuova cultura McDonald’s’s sono occasioni per descrivere alcune forme di identità sociale, alcuni mondi di marca. Si tratta di esercizi che tendono a saggiare il modello presentato e a verificarne la capacità di penetrare nelle maglie del quotidiano11. Automotive, design/arredamento, food: tre ambiti centrali all’interno del contesto dei consumi (alimentarsi, abitare, viaggiare/spostarsi), anche se non unici (manca certamente il mondo delle tecnologie). La disparità tra i marchi del primo e del terzo ambito rispetto a quello più di nicchia del design si spiega facilmente: abbiamo la volontà di 11. Il riferimento è alla tradizione sotterranea della sociologia e della filosofia che ritroviamo in De Certeau (1990).

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Introduzione15

comprendere gli schemi del made in Italy proprio attraverso la molteplicità di firme di qualità che lo promuovono nel mondo. Così il marchio scelto diviene esempio di una molteplicità di brand che mirano a costruire il concetto del “vivere italiano”. Alla loro base si trovano vere e proprie mitologie, per dirla con Roland Barthes (1957), che si affermano come forze aggreganti per la creazione di stili di vita e di acquisto. Ciò che rimane solo appena accennato in queste analisi è lo statuto dei consumatori, che tenderemo a visualizzare nel loro aspetto “passivo” o “inter-passivo” nei confronti delle strategie dei brand. Le loro contro-tattiche e le loro capacità di trasformare le logiche sociali attraverso pratiche quotidiane, sotterranee, singolari, non può che essere considerata come elemento decisivo ma dovrà essere demandata ad un nuovo lavoro che si chieda cosa avviene quando i soggetti assumono e rielaborano la cultura e l’identità delle marche in questione: «l’uso che ne viene fatto da gruppi o individui» (De Certeau 1990, p. 7), «un’attività astuta, dispersa, che però s’insinua ovunque, silenziosa e quasi invisibile, poiché si segnala con prodotti propri, ma attraverso i modi di usare quelli imposti da un ordine economico dominante» (ibidem)12.

12. «Per esempio, l’analisi delle immagini diffuse dalla televisione (rappresentazioni) e dalla quantità di tempo passata davanti allo schermo (comportamento) dev’essere completata dallo studio di ciò che il consumatore culturale “fabbrica” durante queste ore e con queste immagini» (De Certeau 1990, p. 7).

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Capitolo 1

Modelli di comunicazione

La comunicazione è, prima di ogni altra cosa, relazione. Ci sono almeno due soggetti, ma non per forza solo due, che si incontrano e si scambiano dei contenuti. Il modello di Jakobson1 è uno strumento potente per comprendere ed analizzare i fenomeni comunicativi. Esso ha subito diverse revisioni ed è parso a molti eccessivamente semplice. In queste pagine aggiungeremo alcuni operatori concettuali aggiuntivi, che derivano da successive rielaborazioni del modello, e che intendono renderlo efficace per interpretare i problemi comunicativi aperti dalle società contemporanee, società di massa e dei consumi (Codeluppi 2005, Diotto 2018). Ciò nonostante il modello jakobsoniano proprio per la sua semplicità risulta estremamente lucido e capace di evidenziare gli operatori e le funzioni necessarie per comprendere la comunicazione anche attuale. Esso nasce come superamento del “modello postale” che si regge sulla metafora della consegna di un pacco (il messaggio) da parte di un mittente (soggetto attivo) verso un ricevente (soggetto 1. Questo modello nasce sulle basi della linguistica strutturale di Saussure (1916) e dell’intesa attività culturale della stagione del pensiero francese che va sotto il nome di strutturalismo e che ha Lévi-Strauss (1962) tra i suoi fondatori.

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Soggetti connettivi

Figura 1.1.  Teoria della comunicazione secondo Roman Jakobson.

passivo), ma anche del modello matematico-informazionale di Shannon-Weaver (1949) che lo anticipa ma risulta limitato quando si voglia passare dalla teoria dell’informazione a quella della comunicazione. Informare non è comunicare: perché ci sia informazione basta che una serie di dati passi da una fonte A ad un punto di arrivo B, poco conta che A e B siano persone o macchine; affinché ci sia comunicazione è necessario che un messaggio, costruito sulla base di un codice linguistico condiviso, parta da un soggetto e ne raggiunga un altro che lo coglie, lo comprende, vi aderisce o lo nega. Nella comunicazione non basta la ricezione. È necessario convincere, trasmettere, far riflettere, spingere, respingere l’altro: modificarne concretamente il comportamento, incidere su di lui. Prima di tutto essere compresi, secondariamente convincere e persuadere. Il messaggio è il contenuto o l’insieme di contenuti che vengono scambiati. Jakobson (1963) aveva ben presente la teoria linguistica di Saussure (1916) e della semiotica strutturalista, e per lui il messaggio era un insieme di segni, dove per segno si intende qualcosa di presente (significante) che rappresenta qualcosa di assente (significato) per qualcuno:

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1. Modelli di comunicazione19

il significante è l’aspetto materiale (/c-a-n-e/), il significato è il concetto mentale (l’idea del cane) e non il referente o la cosa esterna (il cane che abbaia e che vedo dalla finestra). La semiotica attuale, forte delle teorie di Greimas da una parte e di Eco dall’altra, ha però compreso che non esistono segni isolati e che ogni fenomeno sociale va inteso come un testo: un’unione articolata di segni verbali e non-verbali che intende trasmettere un significato più o meno unitario ad un pubblico di “lettori/riceventi”. Un testo può essere un libro, un quadro, un video, una pubblicità ma anche una merce, un luogo di consumo, un pezzo di design, un oggetto quotidiano: tutti sono fatti di segni, sono sistemi linguistici che si esprimono tramite sostanze non sempre o, anzi, sempre meno, verbali2. I messaggi vanno intesi come veri e propri testi e i testi come unioni di segni che rimandano gli uni agli altri. I testi stessi rimandano tra loro, non sono mai isolati, ma sempre iper-connessi. Gli ipertesti tipici del mondo digitale e del web sono perfetti esempi di quanto detto3. Il mittente diventa perciò un autore: non solo uno scrittore, ma anche un pittore, un videomaker, un marketer, un designer, un product manager sono autori di un testo. L’autore produce in maniera attiva una serie di contenuti, ma lo fa con l’obiettivo esplicito di mettersi in relazione con uno o più riceventi/lettori. Egli perciò avvia un’attività di simulazione: definisce l’autore ideale, ovvero l’immagine di sé che vuole trasmettere agli altri e che si distingue dall’autore 2. Su questi punti cfr. Floch (1990, 1995), Semprini (2003), Landowski (1999), Volli (2002), Fabbri (1998), Marrone (2001, 2007), Caro (2013), Rolle (2014), Mangano (2019). 3. Cfr. Cosenza (2014).

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Soggetti connettivi

empirico in carne ed ossa; sviluppa anche un attento design del lettore ideale, del tipo di riceventi a cui si immagina di rivolgersi (Eco 1979). Tanto più questi destinatari ideali combaceranno con i lettori empirici, coloro che effettivamente fruiscono del testo, tanto più la strategia dell’autore sarà incisiva. Il ricevente sarà quindi un lettore, non più un soggetto passivo ma un elemento attivo e fondamentale della comunicazione: se il termine ricevente sembrava evidenziare una totale passività di “chi riceve”, il lettore è colui che coopera all’operazione comunicativa (Eco 1979). Il lettore ha un ruolo centrale nell’operazione di interpretazione del testo, della sua comprensione, ma anche nella decisione di accettare e condividere determinati contenuti. C’è una negoziazione attiva e continuativa tra autori e lettori: non subiamo solamente i testi pubblicitari, il mercato, il consumo ma abbiamo sempre una possibilità di interazione, sia pur limitata. Il codice: Saussure parlava di langue, Hjelmslev di codice4. In sintesi, il codice è l’insieme di regole che spiegano la molteplicità dei processi, sulla base di alcuni principi di base. Se posso creare indefinite frasi in italiano è perché utilizzo alcune regole sintattiche e semantiche tramite cui posso connettere un soggetto, un verbo ed uno o più complementi. I codici sono molteplici e ci permettono di estendere il modello comunicativo al di là del linguaggio verbale. La psicologia del linguaggio e della comunicazione5 (Watzlawick et al. 1971) ci insegna che il verbale è solo la minima 4. Umberto Eco (1984) in Semiotica e filosofia del linguaggio traccia la storia e i limiti di questo concetto che si basa sulle analisi di Hjelmslev (1953). 5. Cfr. Anolli (2002) e Cacciari (2011).

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1. Modelli di comunicazione21

parte, quella emersa e cosciente, dell’atto comunicativo. Il resto, inconsapevole e irriflesso, è dato dalla componente non verbale (gesti, espressioni, posizioni…) e da quella para-verbale (ritmo del discorso, pause, espressioni ricorsive quali “ehm” che dividono il discorso in segmenti di senso). Quindi ci sono almeno tre macro-codici (verbale, non verbale, para-verbale), all’interno dei quali le scienze della comunicazione hanno individuato notevoli codici particolari6. Il verbale ospita al proprio interno, il registro orale e quello scritto. Ad essi molti aggiungono il codice musicale che ha nei suoni il suo focus7. Il non-verbale ci permette di parlare del visuale: codice fotografico, grafico, video (immagini in movimento). Il visuale è l’intreccio di immagini, colori, movimenti8. Il corpo9 ha un suo codice o una serie di codici: sguardi, posizioni, prossemica, ma anche tatuaggio, trucco (incrocio tra corporeo e grafico)10, moda (il vestire come codice)11. Il contesto è l’insieme socio-culturale di pensieri, idee, valori a cui emittente e destinatario possono riferirsi nel momento in cui comunicano. Il fatto che sia socio-culturale non significa affatto che sia extra-linguistico o extra-cognitivo: parliamo dei riferimenti, dei valori simbolici, delle conoscenze (storia, etica e comportamento, moda, media) che chi appartiene ad una cultura condivide. 6. Cfr. Fabbri e Marrone (2001), pp. 10-15. 7. Cfr. Lomuto-Ponzio (1998). 8. Cfr. Polidori (2008) sulla semiotica visiva. 9. Cfr. Fontanille (2004). 10. Cfr. Magli (2013). 11. Cfr. Barthes (1967).

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Soggetti connettivi

Il canale è il legame fisico e psicologico che unisce materialmente o virtualmente i soggetti implicati in questa relazione: utilizzare un computer connesso alla rete, uno smartphone che permette l’invio di foto, audio implica condizioni differenti da ogni canale analogico ma anche da ogni strumento digitale che non abbia quelle funzioni. Nel suo meraviglioso saggio Linguistica e poetica (ivi, pp. 181-218), Jakobson estrapola dal proprio modello comunicativo sei funzioni principali che descrivono l’azione compiuta da ognuno dei sei termini prima precisati. Funzione emotiva o espressiva: è legata al mittente o, come dirà Benveniste (1966), all’attività di enunciazione, e consiste nella capacità di esprimere contenuti personali, emozioni e sentimenti tramite il proprio discorso. Nella performance discorsiva, il mittente testa quindi la sua competenza, servendosi di pronomi personali, verbi alla prima persona singolare (o alla prima plurale in alcune lingue), aggettivi possessivi. Questi sono i principali indizi da controllare per rintracciare tale funzione, tenendo naturalmente conto del fatto che ognuno di essi può comparire in modo implicito, velato, figurato, in particolare quando al posto di essere affidato ad un elemento linguistico, sia rappresentato da un segno di diversa natura (immagine e/o grafema per esempio). Ne segue che le emozioni introdotte dall’io parlante all’interno del discorso non siano spontanee. C’è una progettazione, un design della funzione emotiva che sfrutta una dinamica psicologico-cognitiva: l’empatia, il rispecchiamento da parte del lettore che si identifica nel protagonista (nell’io che compare nel testo), la capacità di mettersi nei panni dell’altro e

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1. Modelli di comunicazione23

provare le sue stesse emozioni12. La dimensione dell’empatia, si fonda su un meccanismo neurologico molto importante, quello dei neuroni-specchio, una classe di neuroni particolare che si attiva sia quando compiamo un gesto sia quando vediamo un nostro simile compierlo (Rizzolati, Sinigaglia 2006). Funzione fa’tica: questa funzione riguarda la verifica del funzionamento del canale come nei celebri esempi della formula “pronto” che ogni italiano dice rispondendo al telefono. Durante i difficili mesi del lockdown dovuto alla crisi Covid-19, si sono diffuse forme di video-call con strumenti evoluti come Google Meet, Zoom, Skype tramite cui abbiamo comunicato, lavorato, partecipato a lezioni e riunioni. Ad ogni pausa del segnale, della rete sovraccaricata, ci siamo abituati a nuove domande fa’tiche “mi senti?”, “ci sei ancora?”. Funzione referenziale: il messaggio ha una funzione denotativa che descrive il mondo esterno e i suoi significati. Funzione conativa: riguarda la produzione di effetti persuasivi nell’interlocutore. Le parole producono effetti reali (Austin-Searle) ed ogni scambio comunicativo è finalizzato a modificare l’agire altrui. Durante le nostre navigazioni digitali le call to action sono onnipresenti: ci viene richiesto di “cliccare qui”, “comprare a”, “scoprire di più”.

12. Per un quadro sul tema psicologico delle emozioni rimane fondamentale D’Urso-Trentin (2001).

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Soggetti connettivi

Funzione metalinguistica: riguarda l’applicazione dei codici. Funzione poetica: «non consiste nell’aggiungere al discorso ornamenti retorici: essa coinvolge una rivalutazione integrale del discorso e di tutte le sue componenti quali che esse siano» (Jakobson 1963, p. 217). Il modo in cui vengono espressi i contenuti modifica i contenuti stessi. L’allitterazione, la rima, le regole del verso, la sineddoche e l’iperbole, la metonimia e la metafora (per citare le principali) sono i mezzi della funzione poetica; strumenti che operano anche fuori dalla poesia13 in ambiti come quelli di una campagna politica o di una campagna di marketing14. Anche gli psicologi della comunicazione, come Watzlawick e il suo team, hanno distinto con forza due elementi dell’atto comunicativo: il contenuto e la relazione, la quale dipende da una serie di “impliciti”, di segnali non verbali, di atteggiamenti anche inconsci che modificano sempre la linearità del contenuto. In altre parole, non esiste mai un contenuto “puro”, astratto dai modi 13. «Ogni tentativo di ridurre la sfera della funzione poetica alla poesia, o di limitare la poesia alla funzione poetica sarebbe soltanto una ipersemplificazione ingannevole. La funzione poetica non è la sola funzione dell’arte del linguaggio, ne è soltanto la funzione dominante, determinante, mentre in tutte le altre attività linguistiche rappresenta un aspetto sussidiario, accessorio. Questa funzione, che mette in risalto l’evidenza dei segni, approfondisce la dicotomia fondamentale dei segni e degli oggetti. Quindi, trattando della funzione poetica, la linguistica non può limitarsi al campo della poesia» (Jakobson 1963, p. 190). 14. Jakobson parla dello slogan della campagna elettorale presidenziale di Dwight (Ike) Eisenhower nel 1952, I like Ike. Lo slogan pensato da Peter George Peterson, che nel 1953 sarà direttore della fortunata agenzia pubblicitaria McCann Erickson, applica alla lettera la funzione poetica attraverso una serie di allitterazione e di rime interne che la rendono particolarmente fluida e orecchiabile per chi la ascolta. La sua efficacia si traduce, quindi, in una maggiore capacità di essere memorizzata e perciò riutilizzata.

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1. Modelli di comunicazione25

relazionali tramite cui viene espresso (Watzlawick et al. 1967). Difatti la comunicazione si compone di un registro verbale (parole dette e scritte secondo regole sintattiche e semantiche), un registro non-verbale (linguaggio del corpo, espressioni, mimiche, gesti, posture), ed uno para-verbale (pause, espressioni sonore come lo schiarirsi la voce, ritmo del parlare…). Queste componenti non-verbali arricchiscono il contenuto in modo imprevisto.

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Capitolo 2

Il mito delle origini dell’Automotive Comunicazione e identità sociali nella competizione Mercedes-BMW

Floch (1990, 1995), uno dei maggiori studiosi dei fenomeni di marca come meccanismi socio-comunicativi decisivi per comprendere il contemporaneo, ha definito quattro tipologie di “valorizzazioni” che definiscono la strategia di posizionamento di un’azienda ma allo stesso tempo anche gli atteggiamenti decisionali dei consumatori. Egli distingue due valori fondamentali: i valori d’uso, connessi alla funzionalità di un prodotto, e i valori di base, ovvero quelli che rispondono ad esigenze esistenziali e identitarie. Abbiamo, perciò, una valorizzazione pratica connessa all’uso concreto di un prodotto (una macchina mi deve portare da A a B in sicurezza), una valorizzazione critica che si basa sulla valutazione di costi-benefici, qualità-prezzo, promozioni (un’auto che costa qualcosa in più ma che poi consumerà meno). Dall’altra parte troveremo una valorizzazione utopica che si riferisce alla capacità del prodotto di costituire uno stile o comunque di rispondere a domande e desideri personali (compro quest’auto perché amo l’avventura e l’eleganza e voglio essere identificato come una persona che ha questo stile). Completa il quadrato la valorizzazione

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ludico-estetica, nella quale un prodotto non ha valore d’uso, o meglio sebbene serva a fare qualcosa questa non è la ragione per cui è comprato e nemmeno quella che gli conferisce valore (un’auto fuoriserie ci porta da A a B ma noi la compriamo per il suo design, la sua unicità e per lo status che garantisce). Mercedes e BMW condividono una valorizzazione utopica, di cui sono addirittura i brand “top of mind”, ovvero le marche che vengono immediatamente riconosciute (brand awarness1) come simboliche e immediatamente note al maggior numero delle persone: come avviene quando si parla di bibite gassate e si pensa a Coca-Cola o di smartphone e si pensa iPhone. Le comunicazioni di marca di Mercedes e BMW si posizionano quindi alla stessa altezza e mirano a medesimi gruppi sociali, agli stessi stili di vita, rispondendo a desideri ed esigenze similari. Quello che vogliamo scoprire è se ciò conduca alla stessa forma di identità: ricordando che l’identità è sempre anche fattore di identificazione, di costituzione di nuovi gruppi di stile, di tribù di marca, di forme identitarie che differenziano una società. Per farlo, oltre ad aver compiuto un’operazione minuziosa di ricerca dei testi istituzionali e pubblicitari delle due marche, ci rifaremo a due video-spot che si offrono come elementi centrali nella costruzione dell’identità e della strategia comunicativa di Mercedes e BMW. L’uno risponde 1. I brand Top of Mind sono quelli che vengono identificati come riferimenti per eccellenza di una categoria merceologica: non dico compro una cola ma acquisto una Coca-cola ad esempio. Esiste una metrica di valutazione dell’awarness: Farris-Bendle-Pfeifer-Reibstein (2010). Su questi punti vedi anche Diotto (2018), cap. 3.

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all’altro, e crea un gioco differenziale per cui ciascuna identità si costruisce in relazione all’altra. Mercedes lancia un mini-film dal titolo The Journey that changed everything dedicato a Bertha Benz nel quale racconta quello che dovrebbe essere il primo viaggio compiuto in auto. BMW risponde con il mini-film The Small Escape che narra le gesta eroiche di Klaus-Gunter Jacobi e di Manfred Koster che, modificando una iconica BMW Isetta, fecero fuggire nove persone da Berlino Est ricongiungendole alle loro famiglie. Non c’è quasi ostensione dei prodotti oggi venduti dalle due marche, manca quasi del tutto una dichiarazione commerciale. Storia, memoria, etica dei valori, società: ecco cosa è in gioco in questi video. 2.1. Mercedes

Il video in questione inaugura la campagna pubblicitaria She’s Mercedes, che parla di specifiche figure femminili che sono ormai modelli sportivi, imprenditoriali, sociali e perciò di emancipazione e parità sessuale. Bertha Benz2, moglie di Karl, è la forza femminile che scorre nelle vene del noto brand tedesco. Le macchine realizzate dal marito non erano ancora state testate e godevano di scarsa attenzione da parte del mercato: quello che era un prodotto rivoluzionario rischiava di rimanere dimenticato in una officina tedesca. Bertha, nota per la sua determinazione e per il suo coraggio, decide di compiere il primo viaggio su lunga di2. Per approfondire: https://www.mercedes-benz.com/en/classic/bertha-benz/.

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stanza con una delle auto del marito, andando contro l’opinione di tutti. Nel 1888 Bertha si mette alla guida della sua “carrozza a motore”, assieme ai suoi figli. Potete vedere qui il testo/video: https://www.youtube. com/watch?v=vsGrFYD5Nfs. Analizziamo di seguito il modello comunicativo alla base del testo. Mittente: il brand Mercedes-Benz. Autore empirico: la lead creative agency che ha eseguito il lavoro a nome del brand. Autore modello: Mercedes vuole trasmettere una immagine di sé come brand che ha dato vita alla storia della macchina o anzi, al primo viaggio, quindi alla prima relazione tra l’uomo e la macchina. Mercedes vuole parlare al femminile,

Figura 2.1.  The Journey that changed everything.

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rivelare la sua diversità dalle altre marche, la sua originaria femminilità. Il sé ideale di Mercedes è donna, è casa automobilistica al femminile. Destinatario: Lettore empirico: chiunque veda il video. Lettore modello: una figura femminile (ma non solo) che crede in se stessa e nella possibilità di «compiere ciò in cui crede», colei che crede nei suoi sogni e nei suoi progetti e fa di tutto per renderli reali. Tutto ciò vale naturalmente anche per la figura maschile che crede in questi valori. Canale: spot video trasmesso in tv, presso il website e tramite YouTube, concepito quindi come un mini-film che ha una durata coerente con le aspettative di una piattaforma digitale che non sia un Social Network dove la durata dovrebbe essere nettamente minore. Utente modello: un utente che sa accedere alle piattaforme digitali via pc o smartphone e che è capace di sfruttare le connessioni multicanale offerte dal web. È un utente curioso ma che ha un timing non esageratamente lungo. Non seguirebbe mai un film autobiografico intero ma predilige una storia concisa ed efficace, che lo tocchi e che gli permetta di parlarne agli amici. L’utente sa anche navigare collegandosi da questo contenuto ad un altro all’interno del mondo testuale del brand. Enciclopedia/codici: 1. codici visivi, immagine in movimento (video), codice dell’immagine fortemente sbilanciato verso un codice

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fotografico sapientemente elaborato a livello di inquadrature e di luci per trasferire un’atmosfera narrativa ottocentesca ma anche suggestiva e similare a quella dei film holliwoodiani che parlano di quell’epoca o di grandi biografie. Quest’ultimo aspetto permette al “lettore” di uscire dal mood “sto vedendo una pubblicità” e di entrare nel mood “sto ascoltando un racconto di valori e di personaggi eccezionali”: passare dall’interrumption marketing allo storytelling certe volte è questione di codice3. Anche il codice dei colori che riprende le vecchie foto dell’epoca rimanda ad un mondo filmico; 2. codici linguistico verbale e scritto, sui quali torneremo poi. A livello scritto va sottolineata l’importanza del testo che appare in sovraimpressione nell’ultima immagine della storia She believe in more than a car (credeva in qualcosa di più di una macchina). Richiamando la funzione di ancoraggio di Barthes potremmo dire che questo testo scritto ci offre le chiavi per accedere al valore di fondo di questo testo narrativo: non stiamo parlando di macchine, stiamo parlando di scelte, di visione, di coraggio, di determinazione, di essere modello per chi viene dopo di noi. Questa frase sposta Mercedes sul versante della valorizzazione «utopica»4 e differenzia la scelta di una Mercedes da quella di gran parte delle altre auto. Tutte vanno da A a B, tutte hanno un motore, tutte sono “carrozze a motore” ma nessuna ci permette di identificarci con una scelta, con un modo di essere libero 3. Cfr. Kotler et al. (2016). 4. Il riferimento è a Floch (1995).

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e determinato, con un’anima visionaria e così tenacemente femminile e sinuosa; 3. codice sonoro e musicale con una scelta ritmica incalzante, rinforzata dai forti rumori iniziali. Anche qui la finalità è quella di creare una atmosfera che ci suggestioni, convincendoci a seguire la trama, quasi come in un film thriller o del mistero. L’abbinata dell’immagine e del suono evocano citazioni da Tim Burton ed in particolare dalle ambientazioni dello Sleepy Hollow (1999). Il lettore ormai prova ansia, curiosità e deve sedarle capendo cosa succederà; 4. codice del corpo (sguardi, posture, prossemica, cinesica). Le posture e gli sguardi sono tra gli elementi segnici più importanti perché è a loro che è affidato il registro plastico del testo visivo: come sappiamo le componenti plastiche rappresentano «sulla superficie del testo, opposizioni e trasformazioni di valori che riguardano il contenuto profondo» (Polidoro 2008, p. 100). Si tratta delle invarianti che permettono di leggere un livello di senso ulteriore a quello delle figure presenti sulla scena: sono forme, cromatismi, disposizioni spaziali e topologiche, l’omogeneità e la disomogeneità (la testura, la materia, la grana), la continuità e la discontinuità. Floch (1995) ci ha mostrato come le identità visive di IBM e di Apple si distinguano soprattutto a livello di invarianti plastiche e da lì è risalito alle diverse strutture logiche che caratterizzano questi brand. Nel nostro caso avviene lo stesso, con la complicazione del fatto che le immagini sono in movimento, e che il movimento diventa un elemento plastico da considerare.

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Figura 2.2.  Lo sguardo di Bertha.

I corpi, gli sguardi, le posture indicano una serie di movimenti che a loro volta disegnano opposizioni plastiche: direzioni, topologie, spazialità. La storia comincia con una serie di umili braccianti chini con la testa completamente rivolta alla terra che stanno lavorando, quasi inginocchiati davanti alla forza intransigente delle tradizioni e di quello “che si sa”. L’auto, invece, scorre rapida con i suoi passeggeri ritti ed impegnati a guardare avanti, verso l’orizzonte. Gli sguardi si susseguono l’uno dopo l’altro, allarmati dalle grida del messaggero (la bambina). La telecamera li insegue per mostrarceli nel loro sbigottimento verso quella novità che spinge a pensare ad una stregoneria. La diffidenza si percepisce nel gioco degli sguardi che fuggono, in ogni modo, lo sguardo di Bertha. Il movimento di Bertha è interrotto dal guasto dell’auto, dalle angherie della gente, dal fango: il verbo che la caratterizza, “viaggiare” è indice di continui cambiamenti, di discontinuità. Le altre persone rimangono ferme, restano

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Figura 2.3.  Persone curve intente in lavori agricoli.

dove le abbiamo trovate, non si muovono, continuano a fare quello che devono fare. Bertha realizza ciò che si è prefissa perché esce dalle regole del gregge, pensa fuori dagli schemi, mettendo in luce un tratto che vedremo riguarderà l’identità di tutte le Mercedes. Possiamo riassumere così le coppie plastiche considerando le due aree come sistemi opposti: Alto

Basso

Davanti

Dietro

(sguardo) Diritto

(sguardo) Chino

Movimento

Stare fermi

Discontinuità Continuità

Contesto: il mondo ottocentesco che ancora non conosce il motore e le rivoluzioni tecnologiche e che è abituato a vedere le carrozze trainate dai cavalli. È particolarmente importante perché è a questo livello che si gioca gran parte della strategia comunicativa: la differenza di contesti tra il

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Figura 2.4.  L’ironia del farmacista.

mondo che guarda al futuro di chi crede nei suoi progetti (Bertha Benz e dopo di lei la bambina) e il mondo di chi rimane legato unicamente ai dati di fatto di una tradizione (le altre persone) che impone regole e blocca ogni progetto. La campagna contro la città è un tema dell’Ottocento, oggi ancora valido in determinate zone del mondo come dimostra molto del cinema contemporaneo a stelle e strisce. Messaggio: valorizzare la storia del brand tramite la storia di uno dei suoi personaggi fondatori come Bertha Benz, trasmettendo l’idea che chi crede nei propri progetti ed è capace di perseguirli anche di fronte all’incredulità e all’ostilità della massa può raggiungere grandi risultati. Il contenuto nella sua concretezza si articola come segue: Bertha e la sua auto stanno per giungere in un villaggio campestre durante il loro viaggio / le persone immerse nei loro lavori sono colte da paura e curiosità rispetto a questo evento ignoto (la visione di una carrozza a motore) ed in particolare una bambina corre ad avvertire tutti che una strega sta arrivando / l’auto di Bertha

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Figura 2.5.  Scena conclusiva.

sembra guastarsi e si ferma di colpo / la protagonista cerca il farmacista e viene derisa o evitata dalla folla, tranne che dalla bambina dell’inizio che sembra entrare con lei in un rapporto di fiducia, tanto da indicarle dove si trovi il farmacista / Bertha entra nella locanda dove parla con il farmacista a cui chiede 10 litri di Ligroin, sentendosi rispondere se con quella sostanza essa «voglia avvelenare i cavalli» / grazie alla sua astuzia Bertha usa la sostanza come carburante, l’auto riparte e il viaggio continua / la bambina insegue Bertha che le ha insegnato il valore della determinazione e dell’ingegno. 2.1.1. Le funzioni

Funzione emotiva: è una delle funzioni principali in questo video ed è veicolata non tanto dagli elementi verbali ma dalla qualità e dalla tipologia della fotografia, dalla capacità di rappresentare il non verbale, lo sguardo. Anche il sonoro ci permette di costruire la funzione emotiva.

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Funzione fatica: la brocca di latte che si rompe, il ritmo incalzante del sonoro ci catturano, svolgendo la funzione di aprire un canale di ascolto e di attenzione. Visivo e sonoro colpiscono il nostro cervello primitivo catturandoci e predisponendoci a valutare il linguaggio verbale, i contenuti razionali (Morin e Renvoisée 2017). Funzione metalinguistica: oltre all’elenco dei codici prima citati, va sottolineata come la costruzione delle inquadrature ci permetta di vivere la scena dall’interno, quasi fossimo anche noi abitanti del luogo in cui Bertha Benz viene a trovarsi. Funzione referenziale: non è una delle funzioni principali come, invece, avviene negli spot di prodotto quali quelli che presentano le auto Mercedes all’opera. Si veda per esempio questa presentazione della nuova Classe A (https://www.youtube. com/watch?v=panTInC2F-0), dove ad essere privilegiati sono aspetti legati al prodotto, alla sua utilità, alle sue performances e ai problemi concreti che permette di risolvere. Qui di una Mercedes c’è solo una vaga traccia, una carrozza a motore, che non dice molto agli appassionati della casa automobilistica tedesca. Non si parla di prodotto. Si racconta che siamo nel 1888 in un villaggio periferico dove l’auto non è ancora conosciuta e dove abbiamo a che fare con la presenza di un personaggio non atteso che sembra portare lo scompiglio. Tutto quello che cogliamo sul piano referenziale e denotativo in realtà ha ulteriori funzioni. Funzione poetica (retorica del video): carrozza a motore: nel contesto storico in cui ci troviamo si tratta di un vero e proprio ossimoro, di un accostamento inatteso.

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La “carrozza a motore” è una figura che rimanda a livello simbolico alla libertà, diventa metafora della libertà in contrapposizione all’aratro che è come un “giogo”. Le pubblicità (i testi) Mercedes che possiamo analizzare lo confermano, equiparando ogni volta l’auto con un mezzo di libertà. L’aratro è una figura che ricorre spesso quando è in gioco il tema del “duro lavoro”, della “servitù”, del passato. Dialogo con il farmacista: abbiamo un gioco di parole che ci permette di attribuire senso al messaggio di fondo, l’uso della figura retorica dell’ironia5. «Mi serve per la mia carrozza» dice Bertha al farmacista che vuole sapere a cosa serva quella quantità di Ligroin. «Vuole avvelenare i cavalli?» chiede il farmacista di contro. È evidente che i cavalli sono equini nella visione dei paesani, ma allo stesso tempo sono anche quelli del motore di una Mercedes. Il continuo gioco tra la carrozza (il passato) e l’auto (il futuro) viene costruito tramite questo tessuto poetico. Funzione conativa: abbiamo una call to action implicita che è quella che potremmo esprimere così «credi nei tuoi obiettivi, non farli venir meno e non farti confondere dalla massa, produci il tuo punto di discontinuità». Questa funzione ricompare anche nel video spot di Classe A del 2019 Chiedi di più (https://www.youtube.com/watch?v=HxUoIrQNIEc) nel momento in cui vediamo la classe A gialla che risalta tra la miriade di auto incolonnate e grigie. Tramite un linguaggio poetico, tutto visivo, l’auto gialla spicca tra 5. Il ruolo dell’ironia è stato particolarmente esplorato da Freud 1905, 1915. Sull’ironia come fattore generativo del sapere si veda anche Nietzsche 1882.

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Figura 2.6.  Scena pubblicitaria riferita a Mercedes Classe A.

la massa uniforme ed individua grazie al suo computer di bordo, al suo cervello (che parla con voce femminile), una serie di alternative, di nuove strade per raggiungere i propri obiettivi. La guidatrice, divenuta tutt’uno con la propria classe A, sfida la realtà, percorrendo decisa la nuova strada: la macchina tramite la figura della personificazione ha assunto i tratti della prima donna Mercedes, Bertha. Di nuovo appaiono i cavalli, che galoppano con l’auto come a formare un branco. Si accendono colori, si modificano le dimensioni fino a quando la protagonista dice «Sembra di essere in una pubblicità»: una forma di metalinguaggio che richiama l’autocritica di registi di grande spessore come Quentin Tarantino. 2.2. BMW

In The Small Escape (https://www.youtube.com/watch?v=bkho 0RB0zz0&ab_channel=BMW) non c’è una figura mitica, un fondatore/fondatrice della marca. Protagonista è una figura altra, un utilizzatore qualsiasi, il cliente tipo di BMW. È Jaco-

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bi, che nel 1958 aveva abbandonato la parte Est di Berlino con tre anni di anticipo dalla costruzione del muro. Stimolato dalla richiesta d’aiuto dell’amico Koster, che intende fuggire dalla parte Est, nel 1963 Jacobi aguzza l’ingegno e modifica la sua BMW Isetta per farle nascondere un fuggitivo da traghettare dalla parte orientale verso quella occidentale. Le dimensioni minuscole dell’auto non avrebbero, infatti, destato sospetto alcuno di fronte ai controlli. Nei 2,3 metri di lunghezza e 1,4 metri di larghezza, pare del tutto improbabile riuscire a nascondere una persona nella piccola bubble car. Jacobi, forte della sua abilità progettuale, continuamente testimoniata dai disegni che sfodera durante il film, rimuove la ruota di scorta e il serbatoio (sostituendolo con un piccolo contenitore da due litri di gasolio); crea, così, proprio dietro il sedile, un vano, quasi un cunicolo, dove una persona può infilarsi. Si scopriranno molte informazioni interessanti al riguardo, visitando l’area dedicata del sito all’indirizzo https://www.bmw.com/it/automotive-life/ fuga-dalla-rdt-con-bmw-isetta.html6. Autore: l’autore empirico è il regista Alex Feil, assieme al cameraman Khaled Mohtaseb e allo scenografo Erwin Prieb, che hanno girato le scene a Budapest in Ungheria dove era ancora possibile sfruttare ambientazioni che ricordassero quelle dell’epoca. Mentre l’autore ideale è il brand BMW che si propone come paladino dei valori della libertà personale e della rot6. Qui ci viene raccontato l’incontro tra Jacobi e la BMW Isetta: «Klaus-Günter Jacobi ha scoperto la sua piccola “bubble car”, come veniva chiamata, nel 1961 nella vetrina di una concessionaria di Charlottenburg, accanto alla sua osteria abituale “Badewanne” (“La vasca da bagno”). Per 1.500 marchi, la BMW Isetta rossa e bianca era diventata sua».

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tura delle barriere divisive. Seguendo la teoria della narratività di Propp-Greimas, BMW si propone come aiutante. BMW dichiara alla fine del video i valori che vuole lanciare Freedom and Indipendence for all new generations (libertà e indipendenza per tutte le future generazioni). Ricevente: il lettore ideale viene individuato, con un targeting di respiro internazionale, nelle persone istruite, di ceto socio-culturale medio ed alto, per le quali i diritti umani ed in particolar modo l’idea di libertà sono condizioni di base per stabilire se un fenomeno può appartenere o meno al loro cerchio esistenziale. Si mira, a maggior ragione, ad un consumatore evoluto che non si persuade per via diretta, mostrandogli l’auto in vendita, ma tramite una strategia che sostituisce ai referenti materialistici e commerciali dei simboli ideali e culturali. Codice: sono attivi diversi codici, da quello verbale che troviamo nel parlato e nello scritto a quello musicale che determina il pathos emotivo della vicenda con un sapiente gioco di interruzioni e ripartenze. Il codice visuale è quello del video, delle immagini (fotografiche non grafiche) in movimento. Il linguaggio del corpo (sguardo, posizioni del corpo) ha un ruolo centrale nel raccontarci la tensione dei protagonisti. I primi piani sul volto di Jacobi e del fuggitivo mettono in evidenza lo sguardo che produce un intero vocabolario di emozioni. Lo sguardo del fuggitivo che scruta nascosto all’interno dell’auto, quello del gendarme che sembra sempre sul punto di incrociare il primo, quello di Jacobi che pare sul punto di cedere, quello del cane che abbaiando porta il climax emotivo al suo picco per farlo poi defluire quando ci accorgiamo che il suo richiamo ha distolto l’attenzione

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Figura 2.7.  BMW Isetta nell’officina dove verrà “modificata”.

delle guardie. Ma anche quello del tutto incredulo dei due uomini a cui Jacobi mostra la BMW Isetta (come farà, una persona, a starci?)7. Il codice sonoro emerge ancora, tramite i rumori, quello dello sparo di pistola con cui si conclude la prima scena (quella del sogno) a cui fa eco l’abbaiare del cane che conclude la scena del controllo dei documenti: due suoni che interrompono il silenzio, che riportano alla realtà il prota7. Cito dal sito: «Da una parte, le dimensioni ridotte di Isetta la rendono un veicolo perfetto per una fuga: ai posti di blocco, le auto grandi vengono controllate molto più minuziosamente dai funzionari della RDT, a volte vengono addirittura misurate per verificare che non siano stati aggiunti nascondigli segreti. Ma nessuno immaginerebbe che si possa nascondere un “disertore della Repubblica” in un “motore con un sedile di emergenza”, come i suoi detrattori chiamavano Isetta. Dall’altra parte, come nascondere in una due posti un clandestino di 1,75 metri per trasportarlo di nascosto oltre il sorvegliatissimo confine tra le due Germanie? Dove i soldati ispezionano l’abitacolo e mettono specchi sotto l’auto per controllare anche il sottoscocca? L’unico nascondiglio possibile, per Klaus-Günter Jacobi, era un minuscolo spazio dietro al sedile posteriore, direttamente sul motore. Per trasformare Isetta in un’auto adatta a una fuga, per fortuna Klaus-Günter Jacobi poteva contare sulla sua formazione come meccanico».

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gonista, la prima volta svegliandolo, la seconda “portandolo fuori” dai suoi pensieri. Contesto: il mondo post-muro di Berlino che ha ormai fatto propri i valori della libertà occidentale. Un contesto che richiede conoscenze oggi piuttosto diffuse a livello di storia moderna: cosa è stato il muro di Berlino, quali gli schieramenti. Canale: video per YouTube e altri canali digitali. 2.2.1. Funzioni

Funzione emotiva: la prospettiva sembra essere quella della prima persona e questo “io enunciato” che si trova a guidare la narrazione è il personaggio di Jacobi. È lui che sogna anche se noi non sappiamo ancora che stiamo guardando un sogno e siamo convinti che si tratti della realtà. È lui che si sveglia e ci guida, tramite spostamenti e sguardi, per le strade di Berlino Ovest ed Est. Questo io prova emozioni e ce le racconta in modo diretto e non verbale: tensione, preoccupazione, stress in un climax ascendente vertiginoso. Il cane è un elemento emotivo, una figura emotiva per dirla con Greimas: rappresenta il punto di rottura della tensione. Crediamo che abbia scoperto il fuggitivo, invece il suo ululato distrae le guardie che lasciano passare Jacobi. Solo in conclusione l’io narrativo non è più quello del protagonista ma quello degli uomini che si ricongiungono ai propri cari: negli occhi di questo nuovo io c’è l’attesa, il timore che questa realtà sia un sogno, non sia vera, il desiderio di testarne la concretezza tramite l’incontro fisico.

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Dalla paura che un sogno sia realtà al timore che una realtà sia un sogno. Questo è il movimento emotivo del testo. Funzione fatica: siamo ancora all’interno del primo sogno, la guardia scopre Jacobi, sbraita e ci richiama all’attenzione, tramite lo sparo («ci siete, guardate!»). Funzione referenziale: la situazione designata/descritta all’inizio con tutti i segni che potremmo enumerare. A questo vanno aggiunte alcune scene di cui non abbiamo ancora parlato, dove vengono inserite diapositive storiche che filmano l’episodio reale avvenuto nel 1961 ed altre scene dell’epoca. La realtà, quella storica e concreta, entra all’interno del testo, lo interrompe e diventa parte del testo, dandogli valore, quasi verificandolo. Funzione metalinguistica: l’insieme di tutti i codici di cui abbiamo parlato. Funzione vocativa: la call to action è implicita, quasi completamente sepolta dall’aspetto culturale ed etico del testo. Associare BMW a questi valori significa spingere a «scegliere la libertà» tramite la scelta di un’auto tedesca. La call to action più esplicita, che troviamo a livello di superficie del testo, è quella di «non dimenticare», richiamando tutti gli elementi connotavi legati al giorno della memoria e alla salutare retorica contro i totalitarismi. D’altra parte, come dimostreremo al punto seguente, c’è anche una call to action meno evidente che ci invita a «diventare ciò che vogliamo essere, con l’aiuto di una BMW».

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Funzione poetica: – L’elemento del sogno interno alla realtà narrativa del testo oppone ideale e reale, valori e materialità. – Per dirla con Roland Barthes, il testo ci offre un ancoraggio imprescindibile quando compare la scritta In 1964, nine people found freedom in West Berlin. E dopo pochi attimi compare sotto la scritta With the help of a BMW Isetta. BMW non pretende di essere protagonista, eroe della libertà. Sarebbe troppo, non sarebbe realistico. Essa opera uno spostamento narrativo decisivo: diventa aiutante ed insieme oggetto magico. L’auto, BMW Isetta, assume quasi una propria personalità, divenendo il mezzo che ha aiutato il protagonista, il suo cavallo alato. Dall’altra parte, sempre rifacendoci a Propp e a Greimas, potremmo notare come spesso nelle narrazioni compaiano oggetti magici (Excalibur, la bacchetta del mago, gli spinaci di Braccio di Ferro, il detersivo Mastro Lindo nella celebre pubblicità). Isetta, e per proprietà transitiva BMW, diviene questo, un oggetto magico: del resto tutto il video gioca sul fatto che «sarebbe troppo piccola perché qualcuno possa nascondervisi» eppure «grazie alla sua funzionalità, si ricava una sorta di cunicolo segreto»8. È una magia dell’ingegno, permessa dall’acu8. Cito dal sito per spiegare le modifiche praticate sull’auto: «Smontare il ripiano dietro al divanetto posteriore e poi risaldarlo dieci centimetri più in alto. In questo modo si crea una maggiore libertà di movimento per i lavori da fare e anche per il passeggero clandestino da trasportare: 1. smontare il divanetto posteriore, togliere la ruota di scorta dal vano relativo e praticare un foro di 50

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Figura 2.8.  Progetto di personalizzazione dell’auto.

me di Jacobi simboleggiato dalla figura del disegno/ progetto ma anche dalla flessibilità funzionale della BMW, nata per ospitare le persone e per condurle a realizzare i propri sogni: portarle da quello che sono a quello che vogliono essere. – Il registro visuale ci propone una serie di metafore visive: i meccanismi segreti della macchina, così come lo spazio ricavato per nascondere il passeggero sono metafora di uno spazio profondo, nascosto e privato che x 50 centimetri nella lamiera della piastra posteriore; 2. smontare la copertura del terminale di scarico, togliere il filtro dell’aria. Eliminare tutto ciò che occupa spazio inutilmente; 3. piegare il terminale di scarico: è necessario per via delle modifiche tecniche e per la posizione del passeggero; 4.montare un pianale di lamiera nella sospensione del paraurti come protezione dal calore del terminale di scarico; 5. alla fine, levigare di nuovo tutto e accorciare i paraspruzzi posteriori per evitare che tocchino terra per via del peso del clandestino e provochino sospetti; 6. l’ultima modifica si svolgerà solo il giorno della fuga: il grande serbatoio da 13 litri che Klaus-Günter Jacobi ha già staccato dal suo supporto, verrà staccato dal tubo della benzina e al suo posto verrà attaccata una piccola tanica, poco più grande di una latta di olio. Può contenere solo 2 litri di benzina, che devono bastare per portare il fuggiasco al di là dal confine…»

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si oppone alla vita della superficie, luogo del controllo e della negazione della libertà. C’è una mitologia della profondità, come luogo libero, spazio di libertà, che si contrappone ad una mitologia della superficie: quando la superficie è contrassegnata dal totalitarismo e dall’impossibilità di realizzare se stessi esiste, ecco che ci viene in aiuto la profondità, metafora del ritorno in noi stessi, della nostra capacità creativa (significata dai disegni di Jacobi) di autodeterminarci. Non è un caso che tutto il video sia caratterizzato da un cambio continuo delle tonalità cromatiche: la luce del Sole a cui si contrappone quella soffusa delle lampade di allora, altra figura della creatività secondo una tradizione fumettistica e culturale ormai secolare (lampadina = idea = Archimede = trovata ingegnosa = problem solving). La profondità corrisponde all’autodeterminazione, la superficie al controllo e al divieto. La profondità, introdotta dai disegni di Jacobi, sottrae e nasconde alla vista tramite un movimento del tipo “dentro-fuori”: il fuggitivo entra, si nasconde, esce ed esulta. Mentre lo spazio della superficie è caratterizzato da un movimento “avanti-indietro”: le guardie che controllano, Jacobi che si guarda dietro e davanti, la strada percorsa da dietro verso avanti. Tutto questo non traspare esclusivamente a livello figurale, ma sul piano plastico delle direzioni, delle cromie, delle posizioni e disposizioni topologiche. Ne consegue un simile piano di valori plastici:

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Valori euforici: autodeterminazione, libertà, individualità

Valori disforici: controllo, totalitarismo, servitù, “tutti uguali”

Profondità

Superficie

Luce indiretta

Luce solare

Dentro/Fuori

Davanti/Dietro

– La guardia, anche quando svita la chiusura laterale, si limita a guardare avanti, non in basso, non in alto. Soprattutto si limita alla “vista”, funzione metaforica del controllo: il grande occhio che ci osserva, presenza di un Grande Fratello che ci scruta, telecamere che si accendono nei film più visionari. In superficie non esiste altro senso che la vista, emblema di una razionalità burocratica che non riconosce i sentimenti e che si realizza nel controllo dei documenti: affermazione cieca delle regole contro gli ideali.

Figura 2.9.  Abbraccio di ricongiungimento.

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Soggetti connettivi

Non si sente, si vede solamente. Non abbiamo che sguardi per più di tre minuti, intervallati da qualche parola. Poi alla fine, l’abbraccio dei ricongiunti che affermano, in un’esplosione di emozioni, il primato del sentire e la complessità dell’essere umano. Un essere profondo, fatto di molti aspetti e sfumature, che vuole autodeterminarsi e raggiungere la propria indipendenza; non un essere di superficie, piatto, in chiaro-scuro, determinato da altri e pensato come parte di un ingranaggio sociale. Jacobi, invece, resta in disparte, osserva, si lascia scivolare una lacrima. Egli è divenuto a tutti gli effetti un interpretante della BMW Isetta, un aiutante, che serve e poi si pone rispettosamente da una parte, senza invadere lo spazio privato dei veri protagonisti. La funzione poetica motiva la funzione conativa: qualsiasi BMW per metonimia rispetto all’Isetta è aiutante nella missione di autodeterminarci e permetterci di realizzare noi stessi; ma, appunto, è un aiutante che non invade il nostro spazio; che si emoziona sì assumendo una connotazione magica e umanizzata, ma che non toglie nulla alla nostra autoaffermazione. BMW, tramite la mitologia della profondità, è uno spazio sottratto alla realtà esterna e ai suoi rischi, uno spazio ideale che ci permette di muoverci da ciò che è negativo verso ciò che è realizzante: la metafora del viaggio diviene valore esistenziale. Si sarà notato uno spostamento progressivo dall’utilizzo dei termini libertà e indipendenza al significante autodeterminazione e individualità: nonostante tutti appartengano al grande vocabolario concettuale della

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2. Il mito delle origini dell’Automotive 51

democrazia e della filosofia politica moderna, ciò che suggerisco merita un breve approfondimento. Autodeterminazione è un termine molto ricco, polisemico, una sorta di forma che lascia spazio a differenti contenuti: che io mi autodetermini è un diritto umano ma come io mi autodetermino rimane una scelta privata, individuale appunto. Io posso trovare autodeterminazione in un percorso filosofico ma anche nell’acquisto di una BMW X6: Floch parlava appunto di una valorizzazione utopica tramite cui il consumatore sceglie un dato oggetto di consumo per la capacità che quest’ultimo ha di rispondere alle sue esigenze interiori e di differenziarlo dagli altri, di attribuirgli un ruolo. Allo stesso tempo l’indipendenza, che spesso nelle pubblicità dell’automotive (da Land Rover a BMW) viene equiparata al senso dell’avventura, si realizza come individualità, capacità paradossale di assumere una identità sociale: di assumere un ruolo e di differenziarsi dagli altri tramite esso. 2.2.2. Annotazioni sociologiche

Sebbene non creda affatto sia volontà esplicita di BMW portare avanti il sistema di significati che metteremo ora in luce, ritengo necessario proporre un livello più profondo di lettura. Il muro di Berlino non è solo un elemento reale, è anche una figura che appartiene al tema della “lotta di civiltà”, della “guerra fredda”, della “battaglia tra il bene e il male”. Il richiamo al muro di Berlino è, perciò, una metafora visi-

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Soggetti connettivi

va che dovrebbe esporre, secondo il programma narrativo esplicitato dall’autore «il passaggio dalla schiavitù morale alla libertà, dall’omologazione all’autodeterminazione». Il muro di Berlino è una figura della divisione, quella tra il mondo sovietico con il suo sistema commerciale standardizzato e il mondo Occidentale con il suo sistema capitalistico dove fioriscono le merci più diverse. Al di là del muro c’è l’America, figura contraddittoria. Da una parte metafora della democrazia, della libertà come valore etico-filosofico: da Benjamin Constant ai padri costituenti. Dall’altra della società dei consumi e delle libere scelte di mercato: la società delle merci, avrebbe detto Baudrillard (1986), che nell’America vedeva proprio la realizzazione di un universo dove la realtà è completamente sostituita dalle sue immagini e dai suoi simboli. Se ci spostiamo dal piano figurale a quello plastico, emerge l’importanza del “movimento” compiuto dalla BMW Isetta attraverso il muro, da sinistra verso destra, da Oriente a Occidente. Un movimento «euforico», per dirla con Floch (1995), che sembra proporre un vero e proprio passaggio verso la democrazia, ma allo stesso tempo verso la società dei consumi. Non sto dicendo che BMW voglia celebrare quest’ultima, ma che all’interno del suo universo di marca non possiamo non considerare questi significati indiretti e questa rete di connotazioni che, sebbene inconsapevolmente, continua ad agire. Certo, c’è la tragicità della storia a cui questo video si ispira, una storia di liberazione. Ma, nel venire sussunta all’interno del racconto di marca, del dispositivo narrativo di un brand, non possiamo non cogliere la sottile ironia: la liberazione diviene libera scelta, l’autodeterminazione è anche differenziazione sociale.

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Il movimento verso Occidente permette la libertà ma fa di quest’ultima la libertà di consumare, di scegliere tra le merci proposte per differenziarsi dagli altri. La libertà è una scelta: scegliere una BMW per differenziarsi pare essere una delle possibilità che, senza la società dei consumi, sarebbe impossibile.

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Capitolo 3

Il mito del made in Italy Forme e significati dell’arredamento di casa Porada1

Barthes sostiene che il segno sia una entità composta da significante e significato, dove quest’ultimo può essere schematizzato tramite una simile esemplificazione:

Ogni significato ha un nocciolo denotativo dai confini chiari che permette di definire un significante in modo dizionariale. La connotazione produce, invece, un «alone semantico», potenzialmente illimitato: un significante assume nuove significazioni e nuovi valori. 1. Oltre alle altre fonti istituzionali, sono stati di grande aiuto una “intervista” e un confronto scritto con Sara Allevi, marketing & communication manager: 1-16 settembre 2020, che ringrazio vivamente.

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Soggetti connettivi

Il segno “spaghetti” è formato da un significante con un primo significato di «tipo di pasta da farsi asciutta, a forma di lunghi e sottili cilindretti pieni» ma preso nella sua interezza, magari nella rappresentazione grafica che si trova spesso nelle insegne dei ristoranti italiani all’estero, esso accende un significato secondo di “cucina italiana”. La connotazione aggiunge senso ed impedisce che esistano segni unicamente denotativi: il dizionario è sempre limitato, astrattivo. La lingua ha una dimensione sociale e culturale. Ogni parola porta con sé una storia e un bagaglio emozionale: tutti aspetti che non sono mai soggettivi ma condivisi tutti i partecipanti di un certo contesto linguistico e socio-culturale. In Miti d’oggi (Barthes 1957, p. 197) il tema della connotazione porta a quello del mito: 1. significante

LINGUA MITO

2. significato

3. segno i. significante

ii. significato

iii. segno

Proprio questo è il mito, un sistema semiologico secondo che si aggancia ad un linguaggio-oggetto (verbale, visivo, grafico…) fungendo quasi da seconda lingua tramite cui si parla della prima2. Il mito trasforma qualcosa di culturale ed umano (come una data prospettiva, una preferenza, una visione del mondo…) in qualcosa che sembrerà corrispondere allo stato naturale delle cose (così come se quella visione che 2. «C’è dunque il significante, il significato e il segno, che è il totale associativo dei primi due termini» (Barthes 1957, p. 195).

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3. Il mito del made in Italy 57

è frutto di un punto di vista umano corrisponda all’unica visione esistente e perciò realistica)3. Nemmeno l’immagine fotografica è una semplice riproduzione della realtà, ma una trasformazione che dipende da una prospettiva, una scelta autoriale, un utilizzo mitico dei segni: l’immagine è sempre frutto di un bricolage che prende alcuni elementi, li riproduce, ma al contempo li modifica e li ricontestualizza. 3.1. Vivere l’arredamento italiano

Poarda è un marchio brianzolo di arredamento di fascia medio-alta che nasce da una tradizione famigliare ed artigianale, assumendo poi una presenza internazionale nel mercato di settore. L’advertising che analizzeremo fa parte di una campagna più ampia intitolata Learn, Live, Dream partita nel 2016 con una serie di scatti fotografici tesi a raccontare i valori dell’azienda, poi utilizzati all’interno di riviste di settore a livello nazionale e internazionale. Rifacendoci a Barthes possiamo ritrovare un piano del significante: una stanza con un pavimento rustico, un tavolo con una signora anziana e due bambine che lavorano la pasta a mano, all’esterno delle colline ricche di vegetazione, ma anche il marchio Porada. Sul piano del significato denotativo possiamo dire che abbiamo una nonna che insegna alle 3. «Nel linguaggio secondo (mitico), la causalità è artificiale, falsa, ma in qualche modo si insinua nei furgoni della natura. Ecco perché il mito è vissuto come una parola innocente: non perché le sue intenzioni siano nascoste – se fossero nascoste non potrebbero avere efficacia – ma perché sono naturalizzate» (ivi, p. 212).

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Soggetti connettivi

Figura 3.1.  Advertising

Porada.

due giovani nipoti a fare la pasta a mano, servendosi di un tavolo in legno, il tutto all’interno di una casa di campagna e/o di collina. In alto a destra spicca un logo aziendale, quello di Porada, azienda di arredamento italiana. Fin da subito ci sembra che il marchio d’arredo abbia davvero poca parte nella scena: c’è qualche mobile del tutto coperto dall’azione del tirare la pasta, ci sono delle sedie dove si appoggiano le piccole protagoniste. Ricordiamo, grazie al sito web Porada, che l’azienda ha le sue origini (1948) proprio nella produzione di sedie, di cui anche l’imponente gamba del tavolo è un richiamo dato che molto spesso i seggiolai realizzano anche le gambe per la costruzione dei tavoli. La risposta ai nostri dubbi ci viene data dal significato connotativo che ora miriamo a ricostruire. La posizione del tavolo è leggermente sfasata, le sedie poste in modo disordinato. C’è una discontinuità della composizione fotografica che non ci fa pensare ad una foto da

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catalogo: tutto ciò indica il carattere “vissuto – da vivere” dell’arredamento, elemento di vita quotidiana oltre che di bellezza. L’apertura sullo sfondo illumina la stanza e ci mostra delle colline verdi e rigogliose che, rifacendoci alla presentazione della campagna presente sul sito web, scopriamo essere quelle di Greve in Chianti: “italianità”, “paesaggio”, “stile di vita italiano” o addirittura “toscano” con tutti i suoi rimandi connotativi al vino, allo stare assieme, alle cene estive, al vivere in armonia con la natura. Dopo una fase della fotografia d’arredo che imponeva la presenza di modelle/i, personaggi eterei e disinteressati alla realtà, il contemporaneo sembra volto all’eliminazione di ogni figura con l’obiettivo di umanizzare e rendere protagonisti i mobili Porada ripropone, invece, le figure in tutti gli episodi fotografici di Learn, Live, Dream, con la differenza che questi personaggi sono legati ad un fare, lo stesso compiuto dai maestri artigiani che plasmano il legno. Tramandare le tradizioni del fare “italiano” significa creare uno spazio autentico, fatto di valori che non siano effimeri. Questi valori sono la base robusta (robusta come i mobili in legno massello) per costruire la propria casa, simbolo del presente e del futuro. Proviamo ora ad approfondire applicando il modello comunicativo descritto nel primo capitolo. Autore: l’autore empirico è l’agenzia4 che ha realizzato il lavoro, mentre l’autore ideale è Porada inteso come brand 4. Adv: Massimo Abbondi – ph: Davide Cerati Lamole – Greve in Chianti FANCY libreria-bookcase nissa sedia-chair kevin tavolo-table imparare dal passato vivere per il presente sognare per l’avvenire Learn, Live, Dream.

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Soggetti connettivi

che si fa portavoce della capacità di innovare conservando le tradizioni della nostra penisola dal rischio della dimenticanza. Lettore: quello empirico è dato da tutte le persone che possono incontrare l’advertising che però è inserito solo in riviste di settore, quindi l’identificazione del lettore ideale è particolarmente avanzata e mira ad una fascia di persone, uomini o donne, che deve potersi permettere un prodotto di design, studiato da progettisti di fama e realizzato in modo quasi sartoriale: non si tratterà di una giovane coppia che vuole acquistare ciò che nel gergo del settore si chiama “primo impianto”, l’arredo per la prima casa. Canale: rivista di settore. L’utente modello sarà dunque una persona che conosce il mondo dell’arredamento, che conosce i competitor, le principali fiere, che frequenta gli showroom. Non c’è bisogno di spiegare nulla a livello tecnico, come invece avviene in alcune pubblicità “didattiche” delle insegne della GDO/DO che si rivolgono ad utenti inesperti. L’advertising è studiato per essere divulgato per via cartacea con il suo formato verticale che contraddice le principali tendenze della digital communication, questo per selezionare già tramite il proprio canale un target di amanti dell’arredamento e di architetti. Contesto: cultura medio-elevata e di respiro internazionale, legata alle tradizioni come quella del legno e convinta che dalla loro attualizzazione passi la fortuna del nuovo design. Questa sotto-cultura ama l’italianità ma evita di urlarla. Il

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lettore conosce le colline e il paesaggio italiano e lo associa ad uno stile di vita. Codice: 1. codice visivo fotografico studiato tramite una serie di piani di distanza che permettono di inquadrare molti elementi conferendo loro diverse importanze. A livello grafico abbiamo solo l’inserimento del logo. Il codice dei colori gioca sul contrasto tra i toni scuri e soffusi dell’interno e quelli accessi del paesaggio; 2. codice del linguaggio scritto (logo), sito Internet (porada.it), nomi dei singoli prodotti presenti nella foto, slogan e nome della campagna (Learn, Live, Dream) che esalta una circolarità sonora quasi perfetta tra “earn” e “ream”. Per ultimo il copy «imparare dal passato, vivere per il presente, sognare per l’avvenire» che aiuta a comprendere a pieno il senso del testo di Porada: dagli arredi del brand lombardo si impara la solidità dei valori, delle cose che contano, come la famiglia. Questo ci aiuta a vivere a pieno il presente ma anche ad avere gli strumenti (i solidi valori = i solidi mobili) per continuare a sognare e a creare il futuro; 3. codice del linguaggio del corpo: particolarmente esaltata è la dimensione “viva” dell’immagine resa dinamica dalla posizione in cui sono disordinatamente sedute le bambine, dai movimenti realistici della nonna che impasta, dallo sguardo di quest’ultima attenta a trasmettere il suo sapere alle nipotine.

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Soggetti connettivi

3.1.1. Funzioni

Funzione emotiva: il prodotto è quasi completamente assente perché il suo valore non è legato all’utilizzo quanto ai valori che trasmette e alle emozioni che suscita in chi lo vive. La relazione tra la nonna e le piccole nipoti, significa affetto, cura, dedizione, attenzione scrupolosa, senso di responsabilità. Una coloritura emotiva che, tramite le regole retoriche dello spostamento metaforico (la relazione della nonna e delle nipoti come metafora dell’arredo Porada), finisce per connotare il tavolo del brand brianzolo. Per metonimia (la parte per il tutto) il tavolo sta per l’intero arredamento o per l’intero brand Porada. Funzione fatica: sfogliando una rivista d’arredo mi imbatto in una scena che non c’entra nulla e mi parla di cucina. Un campanello mi dice di stare attento e che c’è qualcosa sotto quel che appare. Questo meccanismo, che Floch definisce obliquo, accende la mia curiosità. Funzione referenziale: a livello denotativo, una nonna insegna a due bimbe come fare la pasta fatta in casa su un robusto tavolo di legno all’interno di una casa di campagna che lascia intravedere un paesaggio caratterizzato dai verdi e dai rossi della vegetazione. Funzione metalinguistica: si vedano i codici richiamati in precedenza. Funzione poetica: la metafora precedente della nonna e dei mobili Porada. Il nome della campagna Learn, Live, Dream

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(Impara/Apprendi, Vivi, Sogna) ci spiega la metafora della nonna: le bambine sono i soggetti incaricati di realizzare la mission del brand. Loro imparano dalla tradizione del passato per vivere a pieno il presente, sognando e costruendo l’innovazione futura. Questi valori emergono in modo similare attraverso un’altra notevole metafora non-verbale in un diverso advertising della medesima campagna: il padre che insegna al figlio a farsi il nodo alla cravatta tocca un tema simbolico, una sorta di passaggio epocale. La tradizione della cravatta diviene simbolo del gesto d’amore, dell’insegnamento rivolto alla costruzione di una vita ricca di presente e di futuro. Tutto parte sempre dall’amore che permette di insegnare/ imparare, vivere e sognare come riporta un altro testo del marchio italiano, che si trova direttamente nello slider del sito Internet: Everything starts from love. Funzione conativa: la call to action è implicita ma appare chiaro che il suo senso complessivo è «se vuoi continuare ad imparare dalla tradizione artigianale italiana, assorbendone i valori e l’autenticità, per vivere pienamente il tuo presente e per permettere a chi ami di sognare il futuro, la tua casa deve essere Porada style». Dopo un’attenta analisi di tutti gli advertising che compongono la campagna, una rassegna delle precedenti forme testuali della marca brianzola ed una lettura critica di diverse fonti di comunicazione istituzionale, dal sito ai vari cataloghi, ci pare possibile evidenziare una coppia di valori fondamentali: modernità vs tradizione. Sotto di essa ricono-

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Soggetti connettivi

Figura 3.2.  Advertising Porada.

sciamo una invariante più decisiva: tramandare vs dimenticanza, insegnamento vs oblio, o per recuperare un piano “plastico” continuità vs interruzione. Come vuole Roland Barthes, il copy Learn, Live, Dream conferma la direzione della nostra lettura: insegnare / tramandare / dare continuità significa vivere pienamente e poter progettare un futuro, mentre dimenticare le proprie origini / interrompere le tradizioni conduce ad una vita illusoria (essere vs apparire) che non permette di costruire una nuova continuità, quella del futuro (e della nostra famiglia?). Un padre che insegna al figlio ad annodare una cravatta, una mamma e una figlia, un gruppo di amici, una nonna e due nipotine. Tutti incarnano e mettono in gioco, dandogli concretezza, un unico quadrato di valori:

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La continuità è uno dei valori più importanti nell’ambito dell’arredamento, dove spesso viene tradotto dalla parola “durevole”. La continuità nasce dalla materia (o, meglio, dalla sostanza dell’espressione) di un arredamento Porada: il legno massello è un materiale vivo che richiede sapienza manuale (passato), gusto attuale e capacità di sognare al di là dei limiti presenti (futuro). Nella nostra analisi della narratività possiamo ora applicare lo schema attanziale di Greimas. Destinante: è il brand Porada che assegna al protagonista, il mandato, di non interrompere il flusso vitale dei valori dell’alto artigianato, del legno, in poche parole dell’italianità. L’assegnazione di un mandato in un testo pubblicitario è una questione troppo strategica e rischiosa per essere sbandierata con evidenza; viene solitamente data per implicita, non mostrata ai nostri occhi. Altrimenti potremmo finire per perdere la “magia” del racconto.

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Soggetti connettivi

Protagonista: noi consumatori che, pur non essendo nella scena, siamo gli unici che possono darle vitalità, decidendo di compiere il percorso che la nonna ci descrive. Qualcuno potrebbe anche dire, senza sbagliare, che le bambine in fondo siamo noi che riceviamo dalla nonna, la quale rappresenta Porada. La possibilità di imparare questo “saper-fare concreto” traccia le fondamenta di una vita ricca di futuro, solida come il legno massello. In questo caso il nostro programma narrativo è ben dipinto sulla scena: vivere una vita autentica, costruire un futuro solido, credendo nei valori Porada e facendoli nostri. Il programma d’uso, acquistare i mobili Porada, è qui strategicamente implicito. Non c’è bisogno di farlo vedere. Lo diamo quasi per scontato. Oggetto: tramandare la continuità di un universo di valori che permetta una vita piena e la costruzione di un futuro. Le bambine sono degli interpretanti di questo oggetto. Il fatto che loro apprendano significa che vivranno questi valori, riproducendone il futuro. Destinatario: le nuove generazioni, di cui le bambine sono anche qui interpretanti, dimostrando alla perfezione la regola greimassiana per cui un attore può rivestire più ruoli attanziali. Oppositori: verrebbe da dire banalmente i competitors, ma in questo caso il testo è più fine e si potrebbe, anzi, pensare che Porada possa collaborare con le altre aziende che si fanno ambasciatrici di valori similari, dissodando tutte assieme la nicchia etica dell’artigianato creativo made in Italy con-

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trapposto alle grandi produzioni industriali artificiali e dimentiche dei valori autentici, ripetitive e stereotipiche. C’è una filosofia e c’è un’etica, non una semplice opposizione tra negozi. Aiutanti: la nonna è l’interpretante di Porada stessa che ci si propone come un aiutante oltre che come un destinante. Potremmo dire che Porada è un destinante in absentia perché non lo vediamo mai destinarci esplicitamente, non lo sentiamo mai usare l’imperativo, mentre è un aiutante in presentia tramite gli interpretanti semiotici della nonna o del padre e della madre in altri advertising. La figura della pasta fresca, così come quello del nodo alla cravatta, sono eccellenti metafore di quel fare manuale che tramanda i valori della lavorazione creativa del legno.

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Capitolo 4

Il mito del fast-food Sottotitolo capitolo

4.1. I’m loving It. Una campagna di McDonald’s

Una riflessione sul mondo socio-culturale e comunicativo di McDonald’s richiederebbe un libro intero e già esistono importanti lavori sul tema, tra cui cito quello più fuori dagli schemi, The McDonaldization of the society di Ritzer (1993): questo concetto sociologico, la “McDonaldizzazione” indica la trasposizione del modello del fast-food agli altri ambiti della società, ovvero l’estensione della razionalizzazione e dell’eliminazione dello spreco ad ogni ambito del sociale. Efficienza, calcolabilità, prevedibilità, controllo, sono le parole mantra tramite cui la burocrazia di Weber si trasfigura e accresce la sua pervicacia nel contemporaneo, portando ad unificare e globalizzare i modelli di consumo1. Proposte preconfezionate studiate sulla base dei gusti dominanti tra i consumatori, rivestite da una ampia ma solo apparente libertà di scelta tra una serie vasta ma pre-definita di opzioni. Questo modello mostrerebbe i suoi riverberi e la 1. Sul modello McDonald’s a livello commerciale cfr. Sposaro (2014).

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Soggetti connettivi

sua capacità tentacolare all’interno di ambiti apparentemente non commerciali come quelli dell’istruzione e dell’università che stanno procedendo con forza verso la standardizzazione dei moduli formativi. Interessante l’analisi di Leidner (1993) sui fast-food e la routinizzazione della vita di tutti i giorni. Al di là della veridicità di questa critica, che pur non si riferisce tanto a McDonald’s quanto ad un modello commerciale globale, è evidente che a partire dagli anni 2000 qualcosa è cambiato nella cultura del colosso degli hamburger. Sembra, infatti, che la sola standardizzazione del servizio e razionalizzazione commerciale, abbiano cessato di esprimere la loro efficacia. A cavallo del nuovo millennio McDonald’s sembra perdere di posizionamento nelle scelte dei suoi consumatori, nella psicologia delle loro decisioni. La razionalità scientifica pare incapace di comprendere e di farsi comprendere dai nuovi gruppi sociali, micro-frammentati, complessi, difficilmente localizzabili, legati ai media e agli strumenti di comunicazione più che a ogni altra forma comunitaria, in perenne cambiamento. McDonald’s apporta una variazione sotterranea ma potente della propria strategia, aprendo le porte della sua cultura ad un pizzico di complessità e di a-razionalità2. Concentrerei questo cambiamento in due fenomeni distanti tra loro ma fortemente correlati: 1. la campagna I’m Lovin It del 2003 tramite la quale McDonald’s prova ad inserirsi all’interno dei nuovi stili di 2. Lo stesso Ritzer (1999) si rende perfettamente conto di come l’eccesso di razionalità produca un disincanto dei luoghi di consumo, a cui deve seguire un nuovo incantamento tramite un eccesso di spettacolarizzazione.

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4. Il mito del fast-food71

vita dei giovani americani e occidentali, la cultura pop e quella hi-pop; 2. la progressiva ibridazione della proposta di prodotto affidata alle singole reti nazionali: vicino ai pezzi centrali della cultura americana del fast-food, ogni nazione propone proprie “proposte regionali”, interpretando i gusti e le contro-spinte del pubblico dei consumatori. Tutto ovviamente rivisitato in chiave McDonald’s, come comodo hamburger. Negli ultimi anni sono addirittura gli ingredienti dei panini ad essere dichiarati rigorosamente “nazionali”: la carne di tutti i tipi di hamburger, in Italia, ci viene ricordato essere made in Italy, e le pubblicità tendono ad esaltare questa promozione dell’economia locale (15.000 allevatori italiani)3. Entrambe i fenomeni sono un’apertura, consapevole e calcolata, alla complessità, una dichiarazione dei limiti del razionalismo ma anche una grande concessione alla potenza della comunicazione e del racconto. Senza un grande storytelling che crea valori e forme di unione, di stile è impossibile mantenere forte il legame con i consumatori, ormai sparsi in tutto il mondo. 4.1.1. Primo scenario

Nel 2003 preoccupati per la flessione del mercato, i dirigenti di McDonald’s, capiscono di dover puntare maggiormente 3. Cfr. questo video: https://www.youtube.com/watch?v=h-hGtZ47rA4&ab_ channel=McDonald%27sItalia.

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Soggetti connettivi

al consenso tra i giovani: non puntano in modo uniforme ad un segmento anagrafico, ma ad una serie di subculture giovanili dominanti, ad una serie di stili di vita considerati trainanti in particolare nel contesto americano e, con qualche distinzione, europeo. La decisione è quella di lanciare una nuova campagna pubblicitaria destinata ad ampliare e riposizionare la cultura McDonald’s, aprendola ad una serie di valori e di istanze fino a quel momento escluse o eluse dalla predominante scientifico-razionalistica. Non si tratta, affatto, di pubblicità ma di filosofia aziendale, di identità socio-culturale: bisogna creare una tribù, una sub-cultura che trovi in McDonald’s il suo riferimento valoriale o, almeno, uno dei perni delle sue scelte di vita e di consumo. Per farlo viene aperto un bando di gara, vinto da un’agenzia tedesca con un progetto intitolato I’m Lovin It dove già emerge la proposta di una canzoncina orecchiabile. McDonald’s ne affida lo svolgimento all’esperto di jingle Butch Steward che mette in musica il pezzo. L’impressione è che manchi ancora qualcosa, ovvero un personaggio che funga da elemento di identificazione, da collante: non basta più una campagna di advertising, che punti su una certa forza fatica (quella del motivetto) e su una serie di elementi poetici. Perché si componga o si ri-componga il gruppo è necessario puntare su un “portatore di stile”: nasce una operazione di marketing molto avanzata, totalmente narrativa, che si basa sull’individuazione di un personaggio-eroe che canti e renda famosa la canzone senza alcun riferimento al brand, alla sfera commerciale. Solo dopo emergerà con forza la connessione tra la canzone e il brand che l’ha finanziata.

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4. Il mito del fast-food73

Questa figura è quella di Justin Timberlake, volto nuovo della musica pop, destinato ad ottenere di lì a poco la grande ribalta. L’agenzia di Pharrel Williams affida a Justin Timberlake questa operazione, inserendo il pezzo I’m Lovin It all’interno del primo album del cantante, che lo interpreta durante ogni concerto portandolo all’interno della top ten statunitense in tempi brevi. Entro breve McDonald’s, tramite una famosa conferenza stampa, annuncia il lancio della campagna e lega strutturalmente la canzone al brand. Non basta ancora, il tutto fa breccia nella cultura pop, ma viene visto con estrema diffidenza negli ambienti rap ed Hip-hop. La cultura McDonald’s sembra essersi posizionata troppo distante dalla strada, in un mondo troppo ideale, quello del video4 di Justin Timberlake che insegue, cantando come una sorta di menestrello contemporaneo, una giovane donna per le vie di una metropoli moderna: non sbaglieremmo a vedere nel video un tentativo di parallelismo tra la ragazza, e le sue labbra carnose inquadrate con insistenza, e il cibo McDonald’s, del resto la coppia “cibo”-“sesso” è un must della pubblicità. Ecco una nuova versione della stessa canzone, con l’aggiunta di circa un minuto completamente inedito, realizzato dal rapper Pusha T: basta dedicare qualche minuto al video del pezzo per capire come, rispetto a quello di Justin Timberlake, si abbiano due spostamenti evidenti. Il primo è la presenza di un mondo giovane e dinamico, dove la creatività, il rifiuto dei cliché è visto come modello5. Il secondo è 4. https://www.youtube.com/watch?v=-IHcp8Pl_X4&feature=youtu. be&ab_channel=justintimberlakeVEVO. 5. https://youtu.be/dI-xHMM8wXE.

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Soggetti connettivi

la connessione ormai non più omettibile tra l’autore ideale (McDonald’s) e l’autore reale (Pusha T). I’m Lovin It diventa lo slogan di McDonald’s e capeggia su tutti i packaging e su tutte le superfici comunicative dei vari locali della catena. Un enunciato particolare e quasi impossibile da tradurre, nonostante i tentativi piuttosto pasticciati. In inglese il present continuus formato dalla struttura sintattica “pronome” + “ausiliare (am, are)” + “verbo all’infinito” indica la continuità di un’azione o di uno stato che coinvolge anche nel momento stesso della sua enunciazione il soggetto indicato dal pronome. La traduzione letterale sarebbe “Io lo sto amando” che potremmo tradurre attraverso un ricorso poetico come “Io lo amo”, facendo di questo presente un presente eterno, destinato a non esaurirsi. Le soluzioni come “mi piace”, “lo adoro” non rendono affatto il senso perché non godono della dimensione temporale del verbo amare e della sua capacità di agitare l’immaginario e accendere la memoria. Amare è una scelta etica, non una scelta momentanea e destinata a cambiare, come il “mi piace” con cui applaudo ad un post su Facebook. Tramite il present continuus è come se l’azione/passione dell’amare rimanga costantemente cristallizzata nel suo presente, destinata a non svanire. Una bussola e un punto fermo nel caos del mondo contemporaneo. L’enunciato rimanda chiaramente ad un atto di enunciazione che si pone a metà tra la langue (le regole linguistiche) e la parole (la realizzazione delle regole in un enunciato concreto). Emile Benveniste (1966) ha proposto una teoria dell’enunciazione come momento decisivo all’interno della dina-

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4. Il mito del fast-food75

mica intersoggettiva del linguaggio: egli pensa che l’enunciazione sia l’attività concreta tramite cui qualcuno formula un enunciato, mentre l’enunciato sarebbe il risultato materiale e percepibile di quella stessa attività. All’interno dell’enunciato troviamo tracce dell’enunciazione attraverso degli indicatori come i pronomi, i dimostrativi, e le forme avverbiali (io, qui, ora…). A tal proposito, come dimostrano Greimas e Courtés (1979), c’è una netta distinzione tra il soggetto dell’enunciazione e quello dell’enunciato: l’io che compare all’interno della frase compiuta non è lo stesso io che pronuncia quella frase. Anche nei casi in cui l’enunciato riporti la prima persona quest’ultima è un’immagine o un simulacro dell’io dell’enunciazione. Sarà passato del tempo, saranno cambiate le condizioni spaziali. Ci troveremo, cioè, in una situazione diversa da quella, ormai perduta, in cui si è svolta l’enunciazione (l’io qui ed ora). Questo scollamento spazio-temporale è particolarmente evidente di fronte ad enunciati scritti, dove la dinamica autore e lettore richiede necessariamente uno scarto. Le tracce, di cui parlava Benveniste, mi permettono di richiamare e ricordare l’enunciazione all’interno dell’enunciato. L’eliminazione di ogni traccia (io, qui, ora) viene chiamata débrayages e consiste nel tentativo di occultare la dimensione dell’enunciazione. Al contrario l’embrayages è la procedura tramite cui trovo nell’enunciato qualcosa che attira la mia attenzione e mi offre l’illusione di trovarmi all’interno dell’enunciazione, che in realtà è effettivamente passata e persa. Il dispositivo semiotico dell’enunciazione e la distinzione tra il soggetto dell’enunciazione e quello dell’enunciato

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Soggetti connettivi

ci permettono una corretta interpretazione dello slogan di McDonald’s I’m Lovin It. Chi è l’io che dice che “lo sta amando”, che si trova “in uno stato di amore per questo”? L’io che dice, o meglio, che ha detto questa frase, è il medesimo che si trova ad essere il soggetto della frase enunciata? Chiaramente no, c’è un io che enuncia ed uno che viene enunciato. Il primo è il brand McDonald’s, mentre il secondo siamo noi come suoi consumatori che veniamo a svolgere un ruolo all’interno del suo programma narrativo, del suo racconto, quello degli amanti. Ma l’io che ha detto I’m Lovin It in realtà non lo ha detto una volta per tutte, bensì continua a dirlo tramite il ripetersi dei video pubblicitari, dei messaggi comunicativi tradizionali e digitali, dei packaging e delle insegne. A fare realmente la differenza, però, è la dimensione speculare che si crea tra enunciazione ed enunciato quando siamo noi a leggere o a dire lo slogan. Nei video di Pusha T o nelle pubblicità parlate I’m Lovin It è, comunque, enunciato da altri e noi possiamo solo prendere parte alla storia. È quando ci troviamo a leggerlo, a vederlo, a ripetercelo, a ritrovarlo impresso nella memoria che succede qualcosa di molto più potente e onnipervasivo. L’io presente nell’enunciato è una traccia che forma un embrayages strategico: richiamando con forza l’atto dell’enunciazione, rendendolo presente tramite il simulacro del pronome “io”, è come se l’enunciazione stessa fosse detta da me. Io che dovrei essere il soggetto dell’enunciato mi illudo di essere soggetto dell’enunciazione, di avere un ruolo attivo, di essere qualcuno che ama, che sta amando concretamente. In realtà sono l’immagine di qualcuno che sta amando.

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4. Il mito del fast-food77

Assumendo il ruolo già bell’e pronto dell’io, lo slogan parla al posto mio, assume una funzione di soggettivazione. Io sono qualcuno che ama questo (McDonald’s), cioè che aderisce a questo stile di vita e di consumo e che appartiene alla comunità di coloro che enunciano il medesimo enunciato. Questa forma di soggettivazione pre-confezionata, di identificazione è stata messa in luce dalle analisi dello psicoanalista Jacques Lacan (1970) nella sua teoria dei discorsi e dal filosofo Micheal Foucault (1970, 1976) nelle sue indagini sul potere. Il filosofo e teorico della contemporaneità Slavoj Žižek (2000) parla a tal riguardo del soggetto attuale come di un soggetto inter-passivo, le cui scelte avvengono all’interno di una serie di condizioni di possibilità già definite. Questo non vuol dire che il soggetto non abbia alcuna libertà, o alcuno spazio di contro-effettuazione, ma che le sue decisioni anche apparentemente più libere nascono da un insieme di scelte e di identità già costruite. I’m Lovin It è un dispositivo di costruzione dell’identità, è un’affermazione che ci rende soggetti che amano, che ci assegna uno status. Nella giungla del cambiamento, della complessità dove le identità sembrano fragili e destinate a rompersi, troviamo un menù di soluzioni pre-compilate, che ci offrono l’apparente solidità del brand che le firma. L’enunciazione che dice io al posto mio ne è la forma più estrema. 4.1.2. Secondo Scenario

L’apertura di McDonald’s rispetto alle tradizioni culinarie locali, ai prodotti e piatti tipici, ma soprattutto all’insistenza sulle materie prime nazionali, implica una profonda ri-

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Soggetti connettivi

meditazione dei temi della globalizzazione commerciale e del modello American Way of Life della catena6. Questa scelta ricorda quella di The Coca Cola Company, con i diversi sapori conferiti alla celebre cola nei vari mercati di riferimento (dalla cherry francofona al limone in Italia) e con le diverse tipologie di Fanta. Oppure quella del gruppo multinazionale proprietario dei marchi di gelati italiani ex-Motta o Algida che addirittura modificano il nome del brand a seconda del mercato, oltre a proporre versioni diverse di cornetto (dalla fragola al limone per esempio) in mercati diversi da quello della penisola. A cambiare non sono solo i prodotti ma anche le campagne di marketing e le scelte di comunicazione. Esiste un mondo di marca con i suoi continenti e i suoi stati interni dove tutto deve integrarsi senza negare le diversità. Dalla globalizzazione passiamo al multiculturalismo commerciale. Il meccanismo socio-comunicativo su cui si regge la strategia di McDonald’s è, anche qui, quella dell’embrayage enunciazionale: la semiotica ci ha insegnato che il linguaggio non è solo quello verbale, e che ogni cosa, ogni aspetto possono essere letti come sistema di segni e di senso. Per questo siamo legittimati a leggere il mondo materiale di McDonald’s, fatto di locali, insegne, schermi touch, packaging e prodotti come un enunciato o una serie di enunciati, la cui enunciazione spetta al brand inteso come autore ideale del discorso. Rispetto a tutto ciò noi consumatori dove ci posizioniamo? Lo abbiamo già visto, all’interno dell’enunciato. Ma, per poter fa sì che questa posizione venga vissuta come una 6. Un’analisi sull’hamburger come alimento a-nazionale che crea un consumatore standardizzato è quella di Ariès (2002).

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scelta (Greimas avrebbe parlato di modalità del volere), è fondamentale che questo enunciato renda attuale e presente la sua enunciazione, facendoci vivere l’illusione di essere i suoi stessi autori. Perché ciò potesse avvenire, McDonald’s ha capito che non poteva evitare di creare enunciati che accogliessero le esigenze dei consumatori, le loro spinte culturali e le loro iniziative locali. Così, ha iniziato a creare enunciati ricchi di elementi locali, di cibi nazionali, di attenzioni per il mercato del singolo stato, per l’economia materiale di un paese, grande must del discorso economico e politico almeno dell’ultimo quinquennio. Questi elementi “nostri” fungono da tracce dell’enunciazione e ci permettono di identificarci con il soggetto che può pronunciare I’m loving it: la domanda che rimane aperta riguarda la natura di queste tracce. Sono tracce dell’enunciazione o tracce che simulano un’enunciazione che non c’è mai stata né mai ci sarà: tradotto nel lessico dei consumi, è opportuno chiedersi se esista una enunciazione locale da parte di McDonald’s o se le tracce locali non siano che immagini di una finta enunciazione, che in realtà vuole solo assimilare la diversità all’interno delle proprie maglie razionalistiche e standardizzate. Esiste uno spazio per la diversità o quest’ultima verrà riassorbita nelle maglie dell’uniformità? Prendiamo in considerazione uno spot del 2020 di McDonald’s Italia con Joe Bastianich come testimonial, anch’egli prodotto dall’industria culturale come mix di origini italiane e lifestyle americano. L’accento di Bastianich sembra tradire, a livello para-verbale, una visione che ci porterebbe a propendere per la seconda ipotesi con la quale avevamo concluso il paragrafo precedente: il progetto strategico di assumere all’interno di un mondo americano fatto di standard e moduli di funzionamento, la ricchezza delle altre culture.

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Soggetti connettivi

Lungi da me esprimere qui un giudizio etico di valore, quello che intendo dimostrare è come anche la diversità sia un elemento che deve essere controllato, miscelato con cura, accolto ma disinnescato affinché l’identità si presenti sufficientemente uniforme da poter raggruppare e connettere persone di nazionalità così diverse. Quando ci troviamo all’estero, o in un aeroporto internazionale, c’è un senso di identità, di connessione quando si scorge l’insegna di un fast-food come McDonald’s: tra le tante proposte rimane sempre quel senso di “già visto”, “già provato” che offre una continuità, un filo continuo alle nostre esistenze sociali7. Il richiamo al DOP, nel nostro caso dell’asiago, sembra contrastare con le logiche globali dell’hamburger standard, ma in realtà si integrano con esso per offrirci una versione più realistica e contemporanea di discorso identitario. Il mito della diversità, del soggetto singolare che può dire “io lo sto amando” si proiettano sul nostro oggi e rispondono alla spasmodica ricerca di identità stabili che caratterizza le nostre società. La domanda che rimane aperta è, appunto, se questo mito riesca a rappresentare una presa di qualche tipo sulla realtà o se rimanga l’immagine di un’immagine efficace quanto la forza della sua promozione pubblicitaria.

7. Con Paul Ricoeur (1990) potremmo dire che le identità oggi più forti si intendono tramite la struttura filosofica della “medesimezza” e non della “ipseità”.

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Conclusioni

Un breve attraversamento di tre “mondi del consumo” attuale non può pretendere di fornire un sistema interpretativo conclusivo. Siamo, però, di fronte a tre ricognizioni sul campo, dalle quali emergono interessanti appunti di viaggio. Riordinarli non è un’operazione facile, né neutrale da un punto di vista metodologico ed epistemologico, in quanto è evidente che l’autore di questa “catalogazione” non si trova altrove rispetto al materiale di cui parla, in un luogo sopra-elevato, guardando il mondo in tempesta. L’autore è dentro il viaggio, i viaggi di cui ha parlato sono parte di un unico viaggio, dove i settori si ibridano tra loro, i confini “implodono”, lasciandoci sempre meno liberi di creare un sistema ordinato, chiaro e distinto di concetti euristici1. Proprio attraverso questa “implosione” di significati e di barriere concettuali, la teoria contemporanea ha dovuto e dovrà spostarsi dall’analisi dei consumi, che già aveva rimpiazzato quella della produzione, con lo studio minuzioso 1.  Sulla scorta di Baudrillard è questa la tesi sociologica che guida l’analisi di Ritzer (1999) che è risuonata come una delle voci più presenti in questo lavoro.

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Conclusioni

della narrazione dei consumi. Uno studio micro-semiotico e micro-sociologico dei nuovi soggetti narrativi, dei nuovi produttori di racconti e degli strumenti che ne permettono una mirabolante riproduzione: i sistemi tecnologici e mediatici, i mezzi e le “cattedrali” della comunicazione online. Ne esce un nodo tematico che richiede l’interazione di molte discipline, portando scienze umane e sociali ad un punto di torsione, ma richiedendo sempre di più anche un’attenzione antropologica e filosofica per la metamorfosi dell’idea stessa di identità, di relazione, di soggettività. Rimandando ad un prossimo lavoro quanto appena esposto, condenso in pochi aspetti gli appunti di viaggio di questo libro: – la dimensione narrativa, prodotta dai brand e dai media, genera ed assicura nuove forme di consumo, ma ancor di più spinge gli individui ad una potente forma di identificazione: pezzi di racconto diventano parti del tessuto tramite cui costruiamo la nostra identità. Il modo in cui consumiamo diviene, tramite il suo racconto, un aspetto dirimente per la soggettività iper-moderna. Come avrebbe detto lo psicoanalista francese Jacques Lacan (1966), siamo parlati da questo linguaggio anche quando siamo convinti di essere noi ad utilizzarlo liberamente: l’analisi semiotica di I’m Lovin It ce ne mostra gli aspetti più evidenti. Ciò significa che viviamo in un mondo distopico dove tutto è già deciso e dove ogni responsabilità ci è sottratta? No, come ha affermato anche uno dei filosofi più contrari al sistema come Slavoj Žižek (2014): la

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Conclusioni83

pratica tramite cui, i consumatori, modificano questo linguaggio, facendolo proprio, come già affermava Michel De Certeau (2001), può produrre lente, difficili ma decisive forme di confronto etico con il mondo dell’iperconsumismo e della sua narrazione. Rispetto a quanto sostenuto da questi autori, il campo si sposta dal mondo dei media tradizionali e della televisione a quello dei meccanismi comunicativi dell’online. Ecco la sfida per un’etica della comunicazione; – il mito non è per forza qualcosa di negativo. Esso è, secondo la tesi di questo libro, il perno centrale di ogni logica di branding e di ogni sistema del consumo. Lo è, anche, nell’ambito di scelte commerciali e di atteggiamenti di consumo interessanti come quelli emersi nell’ambito dell’arredamento made in Italy, dove sono centrali aspetti quali la valorizzazione di un territorio e di un saper-fare. La conservazione di una storia, di un insieme di pratiche artigianali vive tramite la costruzione del suo racconto; – l’identità promossa da questo discorso dominante, quello dei brand, non è mai qualcosa di semplice ed uniforme, ma tende sempre di più a voler gestire ciò che le altro e diverso, la sua alterità. Il confronto Mercedes-BMW, ma ancora di più il caso McDonald’s ce lo racconta. L’esito di questo confronto tra identità e alterità produce cambiamenti, anche inattesi, nel discorso promosso dal brand e lo costringe costantemente ad aprirsi al confronto con ciò che è “fuori”. La vita del brand dipende da questa capacità di affrontare la differenza, senza rigettarla immediatamente. Questa evoluzione distingue il discorso attuale del

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Conclusioni

consumo dalla visione “bianco vs nero” del sistema ancora negli anni ’90 del secolo scorso. Tale capacità “dialettica” spiega la forza pervasiva dei brand e ne fa degli attori tutt’altro che banali; – il modello comunicativo e socio-semiotico che abbiamo descritto nel primo capitolo è uno strumento, non l’unico, che può aiutare l’uomo contemporaneo ad orientarsi nell’attuale contesto sociale, nella semiosfera contemporanea. Si tratta di una sorta di cassetta degli attrezzi che può aiutarci ad approfondire la nostra comprensione di ciò che viviamo. Ciò che emerge è un mondo fatto di soggetti connettivi, capaci cioè di generare connessioni relazionali: non vere comunità, legami forti, ma forme “fluide”, spazi comuni assai fragili ma, sempre e comunque, spazi comuni. Mondi di marca, scelte e stili di vita, piattaforme di confronto, nuovi centri dove il consumo e la relazione divengono la stessa cosa, in particolare all’interno dell’orizzonte della rete, senza scomodare i tanto discussi social network. La connessione ha sostituito la relazione? L’identità per via connettiva è, oggi, la forma di identità dominante? Quale etica della comunicazione potrà nascere in un ambiente connettivo?

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Volli U. (2003), Semiotica della pubblicità, Laterza, Roma-Bari. Volli U. (2007), Il nuovo libro della comunicazione, Il Saggiatore, Milano. Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D. (1967), Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, trad. it. Astrolabio, Roma 1971. Weber (1922), Economia e società, tr. it. Edizioni di Comunità, Milano 1995. Žižek S. (1997), The Plague of fantasies, Routledge, London-New York. Žižek S. (2000), Il soggetto interpassivo, in «Aut Aut» 296/297, pp. 159-174. Žižek S. (2014), Evento, trad. it., Utet, Novara.

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Filosofia dello stesso argomento

Paolo Schianchi, Mariagrazia Villa, Immagini parassita e fashion communication tra etica e creatività, 978-88-9295-193-8 (ISBN versione digitale 978-88-9295-194-5) Francesco Aqueci, Capitalismo e cognizione sociale, 978-88-9295-171-6 (ISBN versione digitale 978-88-9295-172-3)

Soggetti connettivi. Esercizi di semiotica e teoria della comunicazione di Nicolò Fazioni direttore editoriale: Mario Scagnetti editor: Giulia Ferri redazione: Giuliano Ferrara progetto grafico: Sara Pilloni

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Soggetti connettivi In un’epoca segnata dalla crisi delle forme di relazione e di costruzione delle identità personali, intersoggettive, sociali, i media e i brand, con i loro universi simbolici, si affermano come nuove forme di soggettività: “soggetti connettivi”, dispositivi socio-economici, antropologici e linguistici, che connettono in modo fluido, fragile, mutevole. Nessuna nuova forma di comunità, ma processi che producono forme inedite di identificazione e comunicazione: sono i miti affrontati nel volume, che unisce strumenti di analisi filosofici, semiotici, sociologici. Tre le ricognizioni in altrettanti settori merceologici dominanti (automotive, arredamento, food), che analizzano logica e funzionamento dei miti di marca e dei moderni universi di senso. Nicolò Fazioni insegna semiotica e teoria della comunicazione presso lo IUSVE e tiene corsi presso altri atenei italiani, come l’Università di Modena e Reggio Emilia. Si occupa dell’evoluzione dei linguaggi, delle tecnologie digitali e dei consumi e delle loro conseguenze sul tema dell’identità. Ha scritto libri e articoli in italiano e inglese. Svolge attività di consulenza strategica per diverse aziende nell’ambito della comunicazione e delle tendenze di consumo. È fondatore dello studio Ithaca.

euro 12,00

ISBN 978-88-9295-235-5

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