Sistema matrimoniale canonico in synodo
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Quaderni di Ius Missionale 6

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Luigi Sabbarese (a cura di) SISTEMA MATRIMONIALE CANONICO IN SYNODO isbn 978-88-401-4060-5 © 2015 Urbaniana University Press 00120 Città del Vaticano Via Urbano VIII, 16 – 00165 Roma tel. + 39 06.6988.9651-9688 fax + 39 06.6988.2182 e-mail: [email protected] www.urbaniana.press prima edizione digitale 2018

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isbn online 978-88-401-6084-9

In copertina: Cecily Sash, Cape Vine I (carboncino e pastelli su carta). Tutti i diritti sono riservati.

Finito di stampare nel mese di maggio 2015 stampa Tipografia Abilgraph srl - Roma

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a cura di Luigi Sabbarese

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sistema matrimoniale canonico in synodo

Urbaniana University Press

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INTRODUZIONE Lorenzo Baldisseri

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STUDI Luigi Sabbarese CELERITÀ E SEMPLICITÀ NEI PROCESSI MATRIMONIALI. QUAESTIO SEMPER URGENS

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Maurizio Gronchi ALCUNE QUESTIONI DISPUTATE NELLA RELATIO FINALIS DEL III SINODO STRAORDINARIO 1. Continuità dottrinale e novità pastorale 2. Il sacramento nuziale nell’orizzonte della grazia e della fede 2.1 La relazione inseparabile tra contratto e sacramento in prospettiva cristologica 2.2 L’intenzione e il grado di fede necessario per la validità del consenso 3. L’integrazione dei fedeli divorziati risposati nella vita della Chiesa 3.1 Prendersi cura dei figli più fragili e feriti 3.2 La via del discernimento verso l’integrazione 3.3 Un possibile ampliamento interpretativo di Familiaris consortio n. 84? Osservazioni conclusive

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Juan I. Arrieta IL RINNOVAMENTO DEL SISTEMA MATRIMONIALE CANONICO ALLA LUCE DEI RECENTI LAVORI SINODALI 1. Considerazioni introduttive 2. Il vincolo matrimoniale nel contesto del diritto canonico di famiglia 2.1 Il diritto matrimoniale all’interno del diritto di famiglia 2.2 La necessità di declinare insieme sacramento e natura 2.3 Necessità di allargare la riflessione sul diritto di famiglia 2.4 Dipendenza della disciplina canonica dalla realtà teologica 3. La revisione della disciplina canonica matrimoniale 3.1 L’incidenza culturale sulla percezione del matrimonio 3.2 La forma canonica sostanziale 3.3 La convalidatio simplex

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Manuel J. Arroba Conde LE PROPOSTE DI SNELLIMENTO DEI PROCESSI MATRIMONIALI NEL RECENTE SINODO 1. Il contesto di celebrazione del recente Sinodo straordinario 1.1 L’esortazione apostolica Evangelii gaudium

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1.2 Il questionario e l’Instrumentum laboris 1.3 L’istituzione di una nuova commissione per la riforma del processo 2. Aspetti di diritto sostanziale e processuali richiamati nell’assemblea 2.1 La questione della dignità sacramentale 2.2 Il bonum coniugum e la qualità della relazione affettiva 2.3 Le convinzioni di coscienza dei fedeli 2.4 La valorizzazione del ruolo dei vescovi 3. Proposte concrete emerse nel dibattito e nei documenti 3.1 La potestas clavium: sviluppi dell’oggetto e possibile delega 3.2 La procedura amministrativa 3.3 La previsione di una procedura giudiziale straordinaria 3.4 L’abolizione dell’obbligo di ottenere due decisioni conformi affermative 3.5 Proposte su altri aspetti specifici 4. Valutazioni derivanti dalle esigenze pastorali e dal giusto processo 4.1 La provvisione degli uffici e la preparazione della causa 4.2 Lo sviluppo della causa e l’impostazione del processo 4.3 L’accompagnamento dei fedeli nella conclusione del processo

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Joseph R. Punderson ACCERTAMENTO DELLA VERITÀ «PIÙ ACCESSIBILE E AGILE»: PREPARAZIONE DEGLI OPERATORI E RESPONSABILITÀ DEL VESCOVO. L’ESPERIENZA DELLA SEGNATURA APOSTOLICA 1. La responsabilità del vescovo diocesano 2. Operatori di giustizia preparati e sufficienti 2.1 I tribunali interdiocesani 2.2 La dispensa dal titolo 2.3 La proroga di competenza 3. Altre soluzioni già disponibili 3.1 Consulenza 3.2 Avvocati 3.3 Giudice laico (can. 1421, § 2) 3.4 Giudice unico (can. 1425, § 4). 3.5 Uditori Conclusioni

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INDICE DEI NOMI

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AUTORI

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Il volume – che raccoglie gli atti della giornata di studio organizzata dalla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana1 – approfondisce uno degli aspetti rilevanti trattati dalle due Assemblee sinodali sul tema della famiglia, quello giuridico, che non può isolarsi dal più ampio contesto dottrinale e pastorale. Come tutti sanno, è desiderio del Santo Padre Francesco che l’intero Popolo di Dio, nelle sue varie componenti, venga coinvolto nella discussione dei temi correlati all’annuncio del Vangelo della famiglia, della sua vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. In special modo, la Pontificia Università Urbaniana, caratterizzata per l’indole missionaria, può offrire un prezioso contributo alla recezione e all’approfondimento di quanto già emerso dalla prima Assemblea straordinaria dello scorso ottobre, soprattutto grazie alla sua internazionalità, che permette uno sguardo universale sulle diverse realtà contestuali. Il mio intervento, dunque, ha come scopo di mettere in evidenza due aspetti relativi al cammino sinodale in corso. In primo luogo, si tratta del metodo rinnovato della celebrazione dei Sinodi. Come si è potuto osservare anche dall’ampia attenzione dedicata dai mezzi di comunicazione all’evento sinodale, i Vescovi si sono riuniti per affrontare con chiarezza e coraggio la questione familiare, in tutti i suoi aspetti. La famiglia è la vocazione originaria dell’uomo e della donna, in essa si genera la vita, grazie ad essa prende forma la società, a tutte le latitudini, fin dalla creazione. La storia dell’umanità è storia di famiglie. Questa indubbia centralità antropologica, tuttavia, oggi è messa in crisi dalle profonde trasformazioni in atto a livello globale, per ragioni economiche, sociali, culturali e religiose. Ad oltre trent’anni dall’ultimo Sinodo dedicato alla famiglia, il cui risultato fu raccolto dall’esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, la Chiesa di oggi sente l’urgenza di aggiornare la propria pastorale di fronte alle nuove sfide cui la famiglia è sottoposta. Per tale ragione, essendo in gioco la cellula vitale delle nostre società, il Santo Padre ha voluto dedicare un 11 Pontificia Università Urbaniana, Facoltà di Diritto Canonico, Incontro di studio – Sistema matrimoniale canonico in synodo, Roma 17 Febbraio 2015.

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tempo consistente alla riflessione, proprio per maturare una nuova consapevolezza missionaria riguardo alla priorità della famiglia, in modo da allargare la partecipazione ed il contributo di tutte le componenti ecclesiali. Di questo nuovo metodo sono anzitutto testimoni le consultazioni delle Conferenze Episcopali mondiali, attraverso i due questionari inviati alle Chiese. Il primo, i cui risultati sono confluiti nell’Instrumentum laboris della precedente Assemblea, e il secondo allegato ai Lineamenta in vista della prossima, rappresentano lo strumento che consente al sensus fidelium di esprimersi. Ciò significa partire dalle periferie, dalle Chiese particolari che vivono la quotidiana realtà familiare, con le sue crescenti difficoltà e le sue mirabili ricchezze. Dunque, si tratta di una Chiesa in ascolto, che è chiamata a divenire sempre più Chiesa in uscita, capace di farsi incontro ai suoi figli, in particolare ai più fragili e feriti, cui deve giungere l’annuncio di verità e di misericordia che Gesù ci ha affidato. Oltre al rinnovamento del metodo, in questa mia breve introduzione, desidero anche riferirmi all’oggetto centrale delle Assemblee sinodali del 2014 e del 2015. Sono i titoli dei contributi raccolti in quest’opera che mi muovono a fare questo cenno esplicito, per ricordare che il tema centrale è la famiglia e non il matrimonio. È chiaro che per noi credenti l’ideale del Vangelo della famiglia è quello di un nucleo fondato sull’unione matrimoniale valida tra un uomo e una donna, tramite un vincolo sacramentale e giuridico i cui contenuti, finalità e proprietà essenziali, pur noti a tutti, non mancano di suscitare l’esigenza di un continuo approfondimento. Ciò rende comprensibile che molte delle sfide che si pongono alla riflessione teologica, morale e canonica abbiano per oggetto la questione matrimoniale, come accade in modo diretto o indiretto con le tematiche proposte nel volume. Ora, la speciale problematicità che presenta la “questione matrimoniale” non è in contraddizione con l’esigenza di riferire i dovuti continui approfondimenti su di essa alla riscoperta centralità del tema familiare nella nuova evangelizzazione. In effetti, dal discernimento avviatosi nella recente Assemblea straordinaria sulle sfide pastorali che oggi presenta la realtà familiare, nonché dalle conclusioni raccolte nella Relatio Synodi, che servirà di base per preparare la prossima Assemblea ordinaria sulla vocazione e missione della famiglia, è emersa in maniera chiara la necessità di rinforzare la soggettività giuridica e canonica della famiglia. In ognuna delle parti del documento, confrontando il Magistero conciliare e pontificio 8

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con le nuove situazioni, sono stati sottolineati come piste per un successivo sviluppo alcuni valori che, nella Chiesa, ma anche fuori di essa, sono considerati comunemente beni che in grande misura dipendono da una buona esperienza di vita in famiglia. Si potrebbe pensare che tali valori e beni siano quelli più propriamente costitutivi del bonum familiae, quelli cioè che consentono alla famiglia di poter essere apprezzata davvero come un bene per la persona, per la Chiesa, per la società. Invito quindi gli studiosi dei temi matrimoniali a farsi carico di questa connessione imprescindibile tra matrimonio valido e famiglia. La Chiesa, in questo speciale kairós intersinodale, attende fiduciosa il vostro importante contributo. Documento acquistato da () il 2023/04/16.

LORENZO BALDISSERI

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Celerità e semplicità nei processi matrimoniali. Luigi Sabbarese Quaestio semper urgens

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Si presentano complesse e talvolta problematiche le questioni esaminate durante l’ultima Assemblea sinodale straordinaria circa Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione (5-19 ottobre 2014), la quale ha suscitato un notevole interesse per il metodo, lo stile e il tema scelto e posto a oggetto di riflessione. Si intendono qui evidenziare alcuni snodi di interesse più genuinamente canonistico-procedurale, tenendo in considerazione l’orizzonte dei cosiddetti territori di missione, la realtà dei tribunali ecclesiastici di quei territori e i risvolti che sull’amministrazione della giustizia potrebbero avere gli orientamenti indicati nella Relatio Synodi1. Sia la Relatio finalis dell’Assemblea sinodale straordinaria (nn. 48-49) sia i Lineamenta per la XIV Assemblea generale ordinaria (nn. 48-49)2 accennano a possibili proposte per garantire maggiore accessibilità, agilità e celerità nelle procedure per la verifica della validità del matrimonio canonico. Le proposte sinodali si situano nel contesto delle cosiddette situazioni matrimoniali irregolari; tuttavia, tali situazioni investono un ambito più direttamente pastorale, di vita cristiana e di partecipazione alla comunità ecclesiale e ai beni della salvezza e, pertanto, come già prudentemente osservato, non si può pensare di risolvere la problematica pastorale delle persone separate, divorziate o risposate semplicemente facendo ricorso alle cause di nullità […]. Ciò che è certo è che questo carico di attese ed esigenze non può essere scaricato semplicemente sulla questione della semplificazione delle cause di nullità; vi sono infatti dimensioni dottrinali e pastorali ben più ampie3.

11 http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/13/0751/03037.html. 12 http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/12/09/0935/02013.html. 13 E. ZanEttI, Snellimento della prassi canonica in ordine alla dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale?/1, “Quaderni di diritto ecclesiale” XXVII (2014), 238 e 241.

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Celerità e semplicità nei processi matrimoniali. Quaestio semper urgens

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Pertanto, non si possono caricare ulteriormente i tribunali ecclesiastici, specie quelli nei territori di missione, la cui condizione è talvolta già notevolmente precaria per svariati motivi: inesistenza di tribunali locali4, mancanza di personale preparato e di esperti, con conseguente ripercussione sull’applicazione delle procedure. Proprio in riferimento alle strutture giudiziarie e all’amministrazione della giustizia si notano le difficoltà maggiori. Se da una parte sia con la menzionata facoltà speciale per la dimissione di sacerdoti in circoscrizioni prive di tribunali, sia con la proroga di competenza per giudicare anche in seconda istanza, sia con la dispensa dai titoli accademici per fungere da giudice, sia con l’ammissione di un giudice unico anche quando sarebbe richiesto un collegio giudicante, si tenta di garantire una sufficiente amministrazione della giustizia, dall’altra permangono carenze imputabili alla mancanza di personale e di strutture adeguate, all’imperizia dei giudici e degli altri ministri del tribunale nelle varie fasi del processo. Talvolta si registrano anche conflitti e timori derivanti dalle particolari situazioni sociali e politiche in cui la Chiesa si trova ad applicare la giustizia5.

L’istruzione Dignitas connubii riprende il motivo per cui Paolo VI emanò, con il m.p. Causas matrimoniales, «alcune norme volte a far sì che lo stesso processo divenisse più celere: norme che per la maggior parte sono state recepite nel nuovo Codice»6. Secondo Dignitas connubii una delle ragioni cui ricondurre la mancanza di celerità e talvolta di semplicità nell’istruire e decidere le cause matrimoniali consiste nel fatto che negli ultimi decenni mentre è aumentato il numero delle cause di nullità di matrimonio […] troppo spesso sono diminuiti i giudici e gli altri addetti ai tribunali tanto da essere pochi e del tutto impari ad assolvere il loro ufficio7.

14 Difficoltà, peraltro, messe in luce anche dal SInoDo DEI VESCoVI, III aSSEmblEa GEnERalE StRaoRDInaRIa, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Instrumentum Laboris, lEV, Città del Vaticano 2014, n. 99: «in america latina, africa e asia, si avanza la richiesta di incrementare il numero dei tribunali – assenti in tante regioni –, e di concedere maggiore autorità alle istanze locali, formando meglio i sacerdoti». 15 I. DIaS, Accettazione e operatività del diritto canonico nei territori di missione, in PontIFICIo ConSIGlIo PER I tEStI lEGISlatIVI, La legge canonica nella vita della Chiesa. Indagine e prospettive nel segno del recente magistero pontificio, lEV, Città del Vaticano 2008, 72. 16 PontIFICIo ConSIGlIo 2005, 13.

PER I

tEStI lEGISlatIVI, Istruzione La dignità del matrimonio, lEV, Città del Vaticano

17 Ivi.

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Luigi Sabbarese

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Nell’allocuzione alla Rota del 1998, riferendosi alla istituzione di una Commissione Interdicasteriale, incaricata di preparare la futura Dignitas connubii, Giovanni Paolo II aveva dichiarato: con altrettanta preoccupazione pastorale, ho presente la necessità che le cause matrimoniali siano portate a termine con la serietà e la celerità richieste dalla loro propria natura8.

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Ma, unitamente a ciò, non va dimenticato che celerità e semplicità vanno indissolubilmente coniugate con serietà e certezza nella definizione di matrimoni falliti e sottoposti alla verifica della loro validità9. L’eccessiva durata delle cause matrimoniali e la necessità di uno snellimento procedurale sono argomenti non nuovi in una assise sinodale. Il primo Sinodo dei Vescovi del 1967, nelle discussioni intorno ai principi di riforma del Codice, rimarcò la preoccupazione conciliare che richiedeva una definizione più spedita delle cause matrimoniali e ciò per tutelare la salus animarum. Dunque, si può ragionevolmente arguire che i danni più gravi causati dalla eccessiva durata dei processi si ripercuotono sulla salute spirituale dei fedeli. Ciò era chiaro sia ai padri conciliari, sia ai padri sinodali sia ai canonisti più accorti10. Anche se oggi, in una società ampiamente secolarizzata, si può pensare che le persone non adiscano più il tribunale ecclesiastico per motivi di coscienza, in realtà non mancano casi in cui le parti vogliono vedere regolarizzata la propria situazione matrimoniale, appunto per motivi di coscienza o per motivi di fede, per poter accedere alla comunione, se hanno attentato matrimonio civile o convivono more uxorio e non posso accedervi. In tali casi un’esagerata durata dei processi vedrebbe ritardato anche il raggiungimento di quella serenità dell’animo che i fe18 GIoVannI Paolo PP. II, allocuzione Ho ascoltato con interesse (17 gennaio 1998), n. 5, AAS XC (1998), 784. 19 In tal senso già i primi commenti alla Dignitas connubii; ad esempio, G.P. montInI, L’istruzione “Dignitas connubii” nella gerarchia delle fonti, “Periodica” XCIV (2005), 3, 426-427; F. DanEElS, Una introducción general a la instrucción “Dignitas connubii”, “Ius Canonicum” XlVI (2006), 91, 55-56. 10 Si vedano i molteplici interventi al Sinodo dei Vescovi, accomunati dalla richiesta di celerità e snellimento nelle procedure, raccolti da I. GoRDon, De nimia processuum matrimonialium duratione, “Periodica” lVIII (1969), 4, 565-569.

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Celerità e semplicità nei processi matrimoniali. Quaestio semper urgens

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deli sperimentano, quando si vedono rappacificati con Dio perché la Chiesa ha pronunciato il proprio giudizio su un matrimonio fallito e dichiarato nullo. Ma può anche presentarsi il caso di chi ha deciso di attendere il giudizio ecclesiastico di nullità per poter celebrare le nuove nozze, in quanto non vuole attentare matrimonio civile o instaurare una convivenza more uxorio; tuttavia, se la dichiarazione di nullità tarda troppo, questo fatto potrebbe suggerire ai fedeli interessati di non attendere oltre e di attentare, intanto, matrimonio civile o di convivere. Accanto ai danni specificamente spirituali non vanno disattesi anche danni psicologici che si possono accompagnare a quelli spirituali provocati da lunghe attese. L’attesa della decisione liberatrice da un vincolo inesistente, potrebbe provocare ritardi che compromettono scelte matrimoniali e progetti familiari. Infine, non mancano danni che compromettono la fiducia nella giustizia da parte dei fedeli e di quanti si rivolgono legittimamente ai tribunali della Chiesa11. E si sa, quando il protrarsi delle cause è originato da colpevole ritardo da parte degli operatori dei tribunali, la giustizia conseguita con eccessivo ritardo non è lontana dal considerarsi una sorta di ingiustizia commessa12. Il problema dei ritardi richiama ad una sollecita premura dei giudizi, nel rispetto delle procedure, nell’applicazione corretta di esse da parte degli operatori e nel rispetto della giustizia, tenendo in mente soprattutto che ogni qualvolta che vi è un ingiustificato ritardo nel fare giustizia si incorre in una sorta di diniego della giustizia stessa. Ma non si possono individuare efficaci rimedi, senza aver prima indagato con accuratezza sui motivi; quelli dipendenti dagli operatori sembrano precipui13: la carenza di organici sufficienti a garantire in tempi ragionevoli la definizione di una causa, carenza dovuta principalmente alla mancanza di giudici dediti a tempo pieno ai tribunali; la marginalizzazione del ministero giudiziale, subordinato ad altri servizi, forse più remunerati e umanamente e pastoralmente più appaganti. 11 In tal senso già PIUS PP. XII, allocutio Il vedervi intorno a Noi (1 octobris 1942), in G. ERlEbaCh (ed.), Le allocuzioni dei Sommi Pontefici alla Rota Romana (1939-2003), lEV, Città del Vaticano 2004, 36. 12 PaUlUS PP. VI, allocutio Vi accogliamo (11 ianuarii 1965), in ibid., 91 13 Così probati Auctores, quali I. GoRDon, De nimia processuum matrimonialium duratione, 508; J. oChoa, Il “De processibus” secondo il nuovo Codice, in La nuova legislazione canonica, UUP, Città del Vaticano 1983, 373; F. D’oStIlIo, Necessità di favorire una giusta rapidità nelle cause matrimoniali, “monitor Ecclesiasticus” CXIV (1989), 206-207.

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Luigi Sabbarese

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La prima causa, dunque, in ordine di importanza, che sta ancora a fondamento della carenza di celerità nei processi matrimoniali, è da rinvenire nella carenza di organico nei tribunali ecclesiastici, specie nei territori di missione14.

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Già in occasione della revisione del Codice, i Padri partecipanti al primo Sinodo dei Vescovi avevano richiesto interventi a rimedio dell’eccessiva durata dei processi matrimoniali. È sufficiente qui riferirsi alla relazione del Sabattani, allora Presidente del Coetus studiorum “De processibus”: Recognitio iuris processualis, ut optatis omnium respondeat, hoc prestare debet, quod nempe iustitia tuto et celeriter administretur, quod unusquisque de populo Dei fidere possit tuitioni suorum iurium per procedurale systema citatum et perspicuum […]. Hoc opus, hic labor huius Coetus: iustam invenire aequilibritatem inter decentralizationem (quam vocant) et unitariam iustitiae organizationem; inter agilem, brevem processus typum et securam publici privatique boni tuitionem15.

E durante il Sinodo dei Vescovi del 1980, il card. Felici, allora Prefetto della Segnatura, in risposta a un Padre sinodale che lamentava la struttura eccessivamente macchinosa dei tribunali ecclesiastici, precisava che le dilazioni sono da attribuire non tanto alle procedure quanto all’ignoranza del diritto e della giurisprudenza da parte degli operatori dei tribunali16. La costante preoccupazione della Chiesa per favorire una giusta rapidità dei processi è giunta fino alla codificazione del 1983. La Dignitas connubii ha contribuito, accogliendo suggestive innovazioni dalla dottrina più autorevole e dalla giurisprudenza, 14 È noto che, ad esempio, in riferimento alla obbligatorietà della costituzione di tribunali collegiali, nei territori soggetti alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, questo Dicastero concesse agli ordinari del luogo la facoltà «reducendi, ob penuriam officialium, numerum ministrorum tribunalis primae instantiae, ita ut tribunal constituatur tribus administris, scilicet iudice unico, defensore vinculi et notario», S. ConGREGatIo PRo GEntIUm EVanGElIZatIonE SEU DE PRoPaGanDa FIDE, Formula facultatum decennalium Ordinariis locorum territoriis missionum tributarum, in I. GoRDon – Z. GRoCholEwSkI (edd.), Documenta recentiora circa rem matrimonialem et processualem, vol. I, Pontificia Universitas Gregoriana Romae 1977, 429. le medesime facoltà furono prorogate fino alla promulgazione del vigente CIC/83, in base al quale era prevista la loro revisione e aggiornamento, come risulta da S. ConGREGatIo PRo GEntIUm EVanGElIZatIonE SEU DE PRoPaGanDa FIDE, notificatio Eccellenza Reverendissima, Facultates decennales pro annis 1971-1980 concessae prorogantur usque ad promulgationem novi Codicis (1 dicembre 1980), “bibliographia missionaria” XlIV (1980), 343. 15 “Communicationes” II (1970), 183. 16 “Communicationes” XII (1980), 219.

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Celerità e semplicità nei processi matrimoniali. Quaestio semper urgens

non solo a una più organica presentazione della sistematica codiciale che concerne i processi matrimoniali, ma ha pure introdotto proposte innovative quanto allo snellimento della procedura. Gli Autori più attenti lo hanno già notato17. E, comunque anche in applicazione di procedure celeri e semplici, le cause matrimoniali reclamano il rispetto della verità18 delle situazioni giuridiche su cui si chiede il ministero del tribunale.

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La possibilità di ottenere in tempi ragionevoli una dichiarazione di nullità è una questione di giusta celerità. Valgano in proposito le osservazioni del Daneels: Non è un compito facile coniugare la dovuta serietà con la dovuta celerità nelle cause per le dichiarazioni di nullità del matrimonio. Non sono pochi i tribunali ecclesiastici nel mondo dove la durata delle cause è davvero eccessiva, ma non di rado c’è anche l’impressione che ci sia preoccupazione soltanto per la celerità e non per la serietà delle cause di nullità matrimoniale19.

Esaminando le sentenze emanate in primo grado, con relativo decreto di ratifica, di qualche tribunale si ha netta l’impressione che il processo giudiziale contenzioso sia già, di fatto, un processo “amministrativo”, tanto è sbrigativa l’istruttoria, la sentenza con le motivazioni e le osservazioni a difesa del vincolo. È stato osservato che la risposta al problema sulla via più idonea (giudiziaria o amministrativa) per accertare la validità del vincolo matrimoniale si deve ricondurre all’efficace raggiungimento della certezza morale e, subordinatamente, a criteri di economia procedurale20.

17 Per un approfondimento delle cause e dei ritardi procedurali, mi permetto di rinviare a l. SabbaRESE, Semplicità e celerità nel processo matrimoniale canonico, in P.a. bonnEt – C. GUllo (edd.), Il giudizio di nullità matrimoniale dopo l’istruzione “Dignitas connubii”. Parte prima: i principi, lEV, Città del Vaticano 2007, 270-283. 18 Si fa la verità non solo dichiarando nullo un matrimonio canonico, ma anche dichiarando che non consta della nullità accusata. 19 F. DanEElS, Osservazioni sul processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio, “Quaderni di diritto ecclesiale” XIV (2001), 1, 87. 20 l. llobEll, Il sistema giudiziario canonico di tutela dei diritti. Riflessioni sull’attuazione dei principi 6° e 7° approvati dal Sinodo del 1967, in J. CanoSa (ed.), I principi per la revisione del Codice di diritto Canonico. La ricezione giuridica del Concilio Vaticano II, Giuffrè, milano 2000, 534.

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Luigi Sabbarese

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In relazione alla equiparazione che vorrebbe vedere in un unico grado di giudizio il raggiungimento di una procedura più semplice, più celere21, è utile tener presente che «non è il doppio grado di giudizio che procura un dispendio di tempo, ma assai spesso il modo in cui il giudizio è condotto»22.

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Ma al di là e prima di ogni impianto giuridico la forza e l’efficacia di un sistema si misurano sulla capacità di chi conduce la macchina processuale: il giudice.

21 ad esempio P. monEta, Che futuro per la doppia sentenza conforme?, in aa.VV., La doppia conforme nel processo matrimoniale. Problemi e prospettive, lEV, Città del Vaticano 2003, 191-192. 22 P. bIanChI, Quale futuro per la doppia sentenza conforme?, in ibid., 174-175.

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Alcune questioni disputate nella Relatio finalis del III Sinodo Straordinario

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Continuità dottrinale e novità pastorale

I

Maurizio Gronchi

1

L’incontro di studio promosso dalla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana è una preziosa occasione per mettere a confronto sistema canonistico e comprensione teologica sul tema della famiglia, che costituisce l’oggetto delle due Assemblee sinodali – quella Straordinaria appena celebrata (2014) e quella prossima Ordinaria (2015). La sua collocazione nella fase di intersessione dovrebbe offrire un utile contributo alla riflessione che i padri svolgeranno in sede sinodale. Per tale ragione, anziché trattare in modo generale la tematica, conviene soffermarsi sulle cosiddette questioni disputate, ovvero su quei punti che richiedono un maggior approfondimento, secondo la richiesta che proviene esplicitamente dalla Relatio Synodi. Tra queste, emergono in modo particolare quella della semplificazione delle procedure per il riconoscimento dei casi di nullità (cf. RS 48), ampiamente condivisa, e quella della partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa, sulla quale non sembra vi sia al momento una convergenza unanime (cf. RS 5253). Dal punto di vista della trattazione di queste materie, entrano in gioco la sacramentaria, la morale e il diritto canonico che afferiscono alla questione familiare in modo differenziato e complementare. Inoltre, la visione del matrimonio e della famiglia richiede maggiori approfondimenti anche a motivo del mutamento antropologico in atto nelle culture odierne, alla base delle quali non vi è più un sistema di riferimento comune e condiviso. Ciò non significa cedere al relativismo culturale che avanza, mettendo in crisi il trinomio tradizionale “matrimonio-famiglia-vita”, quanto invece trasformare la sfida in opportunità per maturare una nuova consapevolezza evangelica della vocazione e missione della famiglia. In tale contesto, le questioni disputate vanno affrontate alla luce di un criterio fondamentale, che ha sempre guidato la tradizione della Chiesa: distinguere senza separare dottrina e pastorale, tra continuità e novità, attraverso il discernimento guidato I U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 6

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Alcune questioni disputate nella Relatio finalis del III Sinodo Straordinario

dallo Spirito santo. Il Concilio Vaticano II, aperto da san Giovanni XXIII, rappresenta un indicatore ancor oggi valido:

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Altro è infatti il deposito della fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale (Gaudet Mater Ecclesia, 6,5).

Alla conclusione del Concilio, con l’indizione del Sinodo dei Vescovi, il beato Paolo VI confermava il medesimo orientamento, affidando alla collegialità episcopale il compito di «rendere più facile la concordanza di opinioni almeno circa i punti essenziali di dottrina e circa il modo di agire nella vita della Chiesa» (Apostolica sollicitudo, 15 settembre 1965). Nella stessa direzione si colloca l’intervento del papa Francesco alla conclusione della III Assemblea straordinaria lo scorso 18 ottobre: Cari fratelli e sorelle, ora abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie. Un anno per lavorare sulla Relatio synodi che è il riassunto fedele e chiaro di tutto quello che è stato detto e discusso in questa aula e nei circoli minori. E viene presentato alle Conferenze episcopali come Lineamenta.

Per chiarire il genere di lavoro cui è chiamato il popolo di Dio in comunione con i pastori, conviene riferirsi alle precise indicazioni della costituzione dogmatica conciliare Dei Verbum (n. 8) a proposito di come la «tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo». Tre sono i fattori principali che determinano questo sviluppo, ovvero «la contemplazione e lo studio dei credenti», quindi «l’intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali», e infine «la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità». Si tratta in altre parole della riflessione teologica, del senso della fede che appartiene all’esperienza spirituale di tutti i fedeli, della predicazione della gerarchia, ovvero del magistero. Teologi, fedeli e pastori sono dunque coinvolti, ciascuno per la pro20

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Maurizio Gronchi

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pria parte, a contribuire alla recezione e all’approfondimento di quanto emerso dal Sinodo Straordinario. In tal senso, come si legge nella prefazione ai Lineamenta, saranno coinvolte «tutte le componenti delle Chiese particolari ed istituzioni accademiche, organizzazioni, aggregazioni laicali ed altre istanze ecclesiali».

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Nel nostro incontro di studio, è in particolare l’apporto canonistico e teologico ad essere coinvolto, alla ricerca di ulteriori prospettive che favoriscano l’approfondimento delle questioni sollevate nel contesto sinodale, tra le quali scegliamo di indagarne due. La prima, circa il sacramento nuziale nell’orizzonte della grazia e della fede, relativa alla verifica della validità del consenso; la seconda, sulla integrazione dei fedeli divorziati risposati nella vita della Chiesa. Il sacramento nuziale nell’orizzonte della grazia e della fede

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L’ambito fondamentale in cui studiare la prima questione è quello della teologia sacramentaria matrimoniale, o meglio familiare, per lungo tempo plasmata sul calco giuridico. Dal momento che, al Concilio di Trento, il matrimonio è entrato a far parte del settenario sacramentale principalmente per ragioni di ordine sociale, non pare che la sua singolarità, per quanto riguarda la materia e la forma, sia stata sufficientemente approfondita nell’orizzonte teologico della grazia e della fede. In esso, infatti, per la peculiare azione dello Spirito santo, è meglio comprensibile anche il cammino graduale inscritto nella vocazione familiare che, più che ad uno status giuridicosacramentale, corrisponde ad una esistenza plasmata giorno per giorno dalla grazia, che suppone la fragilità della natura e la minaccia del fallimento. Si tratta dunque di dare maggior rilievo a quel legame – la grazia accolta nella fede – che fonda, sostiene e ricostruisce i legami familiari, oggi particolarmente messi alla prova. L’affermazione della Relatio Synodi, secondo cui «andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento» (RS 48), offre l’occasione per svolgere un confronto con la disciplina canonistica sul rapporto tra fede e sacramento, dal momento che hanno diritto al sacramento due battezzati, che si suppone abbiano l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Gli aspetti dottrinali coinvolti nella problematica sono principalmente due: 1) l’affermazione – per i battezzati – della identità (e conseguente inseparabilità) fra I U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 6

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valido patto matrimoniale e sacramento (cf. CIC, can. 1055, § 2); 2) la questione della intenzione necessaria per la celebrazione del matrimonio e, di conseguenza, dell’eventuale grado di fede necessario per poterla formulare1.

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La relazione inseparabile tra contratto e sacramento in prospettiva cristologica

2.1

Anzitutto, occorre premettere che la messa in discussione della inseparabilità tra contratto e sacramento – nei secc. XVIII e XIX – sembra basata su una concezione insufficiente ed estrinseca del soprannaturale, circa il rapporto fra natura e grazia2. Per affrontare la problematica, si deve tenere ferma l’unitarietà dell’istituto matrimoniale, fondata sull’unico piano di Dio, dispiegatosi nella creazione e nella redenzione, per il quale l’unione coniugale è dono di grazia da accogliere liberamente nella fede e secondo l’umana ragione. Inoltre, si deve tenere presente il carattere specifico del sacramento nuziale, che, rispetto agli altri sacramenti, è un’azione sacra nella sua essenza, e non in quanto rito. Dunque, in linea di principio, si presume una sostanziale coincidenza fra retta intenzione matrimoniale e intenzione (implicita) verso il sacramento. Solo nel caso di una volontà contraria al sacramento, la struttura essenziale del matrimonio viene compromessa, per difetto di consenso. Ora, mentre dal punto di vista giuridico, il rapporto inseparabile tra contratto e sacramento sembra basarsi sostanzialmente sul duplex ordo di natura e grazia, la Relatio Synodi introduce un importante quadro di riferimento teologico: fissando lo sguardo su Cristo, riconosce nella sua presenza l’influsso salvifico divino che abbraccia l’umanità fin dalla creazione: Dato che l’ordine della creazione è determinato dall’orientamento a Cristo, occorre distinguere senza separare i diversi gradi mediante i quali Dio comunica all’umanità la grazia dell’alleanza (RS 13).

11 Cf. P. bIanChI, Esclusione della sacramentalità del matrimonio. Aspetti sostanziali e probatori, “Ephemerides Iuris Canonici” lIII (2013), 1, 55-78, qui 57-62. 12 Cf. D. baUDot, L’inséparabilité entre le contract et le sacrement de marriage. La discussion après le Concile Vatican II, PUG, Roma 1987, 396; E. CoRECCo, L’inseparabilità tra contratto matrimoniale e sacramento alla luce del principio scolastico “gratia perficit non destruit naturam”, in G. boRGonoVo – a. CattanEo (edd.), Ius et communio, II, Piemme, Casale monferrato, al 1997, 446-515; m. mInGaRDI, L’esclusione della sacramentalità del matrimonio, Piemme, “Quaderni di Diritto Ecclesiale” XIX (2006), 4, 416-436.

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Alla luce della graduale pedagogia con cui Dio conduce la storia attraverso tappe successive, è possibile «comprendere la novità del sacramento nuziale cristiano in continuità con il matrimonio naturale delle origini» (ivi). L’unità del progetto di Dio trova dunque in Cristo il suo principio e il suo compimento; ciò permette di cogliere la stretta connessione tra il matrimonio naturale delle origini e quello sacramentale tra battezzati, superando così il duplice ordine di natura-grazia e la sua riduttiva espressione della “elevazione alla dignità di sacramento” (cf. CIC, can. 1055, § 1). In tal senso, viene meglio illuminata la dimensione teologica su cui si fonda l’unità del progetto di Dio sulla famiglia: nel modo che Dio solo conosce, la grazia divina accompagna ogni famiglia, benché non ancora pienamente configurata a Cristo. Il legame tra contratto e sacramento risulta in tal senso meno estrinseco, poiché l’originaria vocazione all’amore coniugale, inscritta dal Creatore nella famiglia umana, evolve verso la sua piena realizzazione nell’evento pasquale di Cristo, che unisce a sé la Chiesa come sua sposa. Nella luce del mistero pasquale, infatti, va intesa l’analogia paolina della relazione coniugale (cf. Ef 5,21-23), tenendo conto della asimmetria che vi è contenuta. L’irreversibilità dell’Alleanza di Dio, in Cristo, con la Chiesa è dono che proviene dalla libertà divina e suscita la duplice libera risposta umana, in forza della quale la coppia nuziale assume impegni – bonum coniugum, e meglio ancora potremmo dire bonum familiae –, ma non garantisce alla stessa maniera di Dio, senza la sua grazia. Perciò è l’irrevocabile dono di Dio (cf. Rm 11,9) a fondare l’indissolubile legame tra l’uomo e la donna sposati «nel Signore» (1Cor 7,39). In tal senso, è possibile affermare che L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”, Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio (RS 14). L’intenzione e il grado di fede necessario per la validità del consenso

2.2

Vari autori si sono interessati alla questione dell’intenzione3, oscillando prevalentemente tra due posizioni limite: l’una, a favore della irrilevanza della volontà in 13 Per una esposizione delle tesi dei vari autori, cf. m. RIVElla, Gli sviluppi magisteriali e dottrinali sull’esclusione della dignità sacramentale del matrimonio, in h. FRanCESChI – J. llobEll – m.a. oRtIZ (edd.),

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ordine alla dimensione sacramentale del matrimonio; l’altra, a favore della necessità di un’intenzione espressamente sacramentale. Con l’esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio, di san Giovanni Paolo II, a seguito del Sinodo dei Vescovi del 1980, l’accento si sposta sulla coincidenza dell’intenzione minimale di fede richiesta con la retta intenzione matrimoniale4. Nonostante la giurisprudenza si sia orientata in tal senso, l’invito a studiare più a fondo la questione è provenuto da papa Benedetto XVI in più occasioni; tema sul quale lo stesso papa Francesco è recentemente intervenuto presso la Rota Romana, indicando una possibile connessione tra la carenza o assenza della fede e l’errore determinante la volontà dei nubendi (cf. CIC, can. 1099)5. A questo proposito, ci si chiede: se i sacramenti sono segni della fede (cf. SC 59), che senso avrebbe la validità di un sacramento celebrato senza alcun segno di fede neppure implicito6? Su questa linea, non si può trascurare il rischio che, separando gli effetti naturali del vincolo dalla sua sacralità, la realtà del sacramento si renderebbe dipendente dalla libera volontà umana, dissolvendo la virtus Christi operante nel battezzato. Sul piano della fede, potrebbe valere la distinzione tra fides quae creditur (contenuto oggettivo del credere) e fides qua creditur (atto personale del credere). Secondo

La nullità del matrimonio: temi processuali e sostantivi in occasione della “Dignitas Connubii”, Edusc, Roma 2005, 300; m. mInGaRDI, L’esclusione della sacramentalità del matrimonio, 420-430. 14 Cf. GIoVannI Paolo II, es. ap. post-sinodale Familiaris consortio, 68: «tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell’alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio. […] Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi». 15 Cf. FRanCESCo, Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana (23 gennaio 2015): «Per questo il giudice, nel ponderare la validità del consenso espresso, deve tener conto del contesto di valori e di fede – o della loro carenza o assenza – in cui l’intenzione matrimoniale si è formata. Infatti, la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore determinante la volontà (cf. can. 1099). Questa eventualità  non va più ritenuta eccezionale come in passato, data appunto la frequente prevalenza del pensiero mondano sul magistero della Chiesa. tale errore non minaccia solo la stabilità del matrimonio, la sua esclusività e fecondità, ma anche l’ordinazione del matrimonio al bene dell’altro, l’amore coniugale come “principio vitale” del consenso, la reciproca donazione per costituire il consorzio di tutta la vita». 16 Cf. J. manZanaRES, Habitudo matrimonium baptizatorum inter et sacramentum: omne matrimonium duorum baptizatorum estne necessario sacramentum?, “Periodica” lXVII (1978), 35-71, in part. 63.

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la giurisprudenza corrente, il difetto nell’atto di fede personale ostacolerebbe soltanto la fruttuosità del sacramento, non la sua validità, poiché si tratta comunque di un atto non solitario bensì ecclesiale. Si noti, al riguardo, il diverso minimum richiesto per la validità giuridica del contratto e quello essenziale per la dimensione teologico-sacramentale del matrimonio. Le due dimensioni, pur distinte, non possono essere separate.

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La questione si pone dunque nei seguenti termini: se il consenso nuziale sia sufficiente pur senza contenere una specifica e diretta intenzione sulla sacramentalità, oppure, al contrario, se l’intenzione di contrarre un vincolo che abbia carattere sacro sia imprescindibile per l’integrità del consenso matrimoniale7. A favore della prima ipotesi, si adduce che il sacramento segue le sorti del contratto, di modo che solo la nullità del vincolo naturale impedisce il sorgere degli effetti sacramentali (cf. FC 68). A favore della seconda ipotesi, ha un serio peso l’affermazione del card. J. Ratzinger, prima (1998) – «All’essenza del sacramento appartiene la fede»8 – ripresa poi dal medesimo Benedetto XVI (2005 e 2013) a proposito di «un sacramento celebrato senza fede»9, da cui segue che «per l’assenza di fede, il bene dei coniugi risulti compromesso e cioè escluso dal consenso stesso»10. Occorre, pertanto, considerare seriamente l’osservazione conclusiva di papa Benedetto XVI, che introduce la connessione tra l’elemento della fede e i beni del 17 Cf. P. amEnta, Matrimonio tra battezzati e disciplina ecclesiale: quale rilievo della fede personale dei nubendi?, “Ephemerides Iuris Canonici” lIII (2013), 1, 29-54, qui 45. 18 J. RatZInGER, Introduzione, in ConGREGaZIonE PER la DottRIna DElla FEDE, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, (Collana Documenti e Studi, 17), lEV, Città del Vaticano 1998, n. 4: «Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti – battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio – veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale “valido” fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cf. Codex iuris canonici, can. 1055, § 2). all’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di “non fede” abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi». 19 bEnEDEtto XVI, Incontro con il clero della Diocesi di Aosta (25 luglio 2005): «studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito». 10 ID., Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana (26 gennaio 2013), n. 4.

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matrimonio, al punto da giungere ad escludere la validità del consenso11 – fatta salva la dimensione naturale su cui si radica il sacramento. Pertanto, appare decisivo il tipo di fede cui ci si riferisce (atto cosciente e personale; fede implicita; fede della Chiesa che supplisce le deficienze personali), ovvero «quale evidenza di “non fede” abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi». Mentre, da una parte, si deve riconoscere che non è la fede dei nubendi a fare il sacramento, per cui la sacramentalità non dipende da una “intenzionalità sacramentale”, d’altra parte, un sacramento senza fede pone un serio ostacolo all’azione della grazia connessa al sacramento, per la quale sarebbero sostenibili i beni del matrimonio. Venendo meno il concorso tra virtus Christi ed humana voluntas, a motivo dell’assenza di fede, è possibile compromettere, e persino escludere, la validità del consenso, quindi del sacramento, segno efficace della grazia. «La sacramentalità del matrimonio non dipende dalla fede, ma dalla fede dipende l’accoglienza della grazia sacramentale»12. Viene, perciò, in evidenza la questione sostanziale del rapporto tra fede e grazia, che oltrepassa l’ambito canonistico, puntando direttamente a quello teologico dogmatico. A tale questione sembra rivolgersi papa Benedetto, nel suo ultimo intervento alla Rota Romana13. Di conseguenza, si tratta di considerare distinte ma non separate, da una parte, l’azione sacramentale di Cristo, che ha una efficacia indipendente dalle disposizioni del soggetto, e, dall’altra, la cosciente e volontaria risposta umana della fede, che rende possibile tale azione, ovvero valida ed efficace, in quanto liberamente la accoglie. Su tale questione si era già espressa la Commissione Teologica Internazionale (1977): «La fede personale dei contraenti non costituisce, come è 11 «Con le presenti considerazioni, non intendo certamente suggerire alcun facile automatismo tra carenza di fede e invalidità dell’unione matrimoniale, ma piuttosto evidenziare come tale carenza possa, benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all’ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale (cf. Gen 2,24)», ivi. 12 R. CoRonEllI, La natura peculiare del sacramento del matrimonio. Implicazioni di diritto canonico e problematiche pastorali, “la Scuola Cattolica” CXXXVI (2008), 4, 652. 13 bEnEDEtto XVI, Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana (26 gennaio 2013), n. 2: «la fede in Dio, sostenuta dalla grazia divina, è dunque un elemento molto importante per vivere la mutua dedizione e la fedeltà coniugale […] la chiusura a Dio o il rifiuto della dimensione sacra dell’unione coniugale e del suo valore nell’ordine della grazia rende ardua l’incarnazione concreta del modello altissimo di matrimonio concepito dalla Chiesa secondo il disegno di Dio, potendo giungere a minare la validità stessa del patto qualora, come assume la consolidata giurisprudenza di codesto tribunale, si traduca in un rifiuto di principio dello stesso obbligo coniugale di fedeltà ovvero degli altri elementi o proprietà essenziali del matrimonio».

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stato notato, la sacramentalità del matrimonio, ma l’assenza della fede personale compromette la validità del sacramento»14. Un elemento di non poca importanza (del tutto trascurato in letteratura, sia canonistica che teologico-sacramentaria) a noi pare quello della consapevole promessa fatta personalmente a Dio, da parte di ognuno dei nubendi – insieme e di fronte all’altro –, che sta a fondamento della fede nel sacramento15. In forza di questo “verticale” atto di fede è possibile assumere i beni del matrimonio (esclusività, perpetuità e procreatività) come impegni sostenibili mediante la grazia del sacramento. Ciò pone in questione l’automatismo che sembra presiedere alla convinzione secondo la quale il volere il matrimonio, a prescindere se esso abbia un carattere sacro o meno, è già un atto di fede16. Ora, a motivo dell’intrinseca natura del sacramento nuziale tra battezzati, non pare possibile prescindere da un’esplicita confessione di fede personale, di fronte alla Chiesa, mediante la quale si riceve la grazia divina, per corrispondere al dono del matrimonio, con i suoi beni essenziali. Ciò vale soprattutto oggi, tempo in cui non si può dare certamente per scontata l’autentica e chiara percezione della fede cristiana, come impegno personale di fronte a Dio, né tantomeno di avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. In tal senso, si esprime la Relatio Synodi: «La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa […] è anche consape-

14 CommISSIonE tEoloGICa IntERnaZIonalE, La dottrina cattolica sul sacramento del matrimonio (1977), 2.3. Battesimo, fede attuale, intenzione, matrimonio sacramentale: «Certamente non bisogna confondere il problema dell’intenzione con quello relativo alla fede personale dei contraenti, ma non è neppure possibile separarli totalmente. In ultima analisi, la vera intenzione nasce e si nutre di una fede viva. nel caso in cui non si avverta alcuna traccia della fede in quanto tale (nel senso del termine “credenza”, disposizione a credere) né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no. la fede personale dei contraenti non costituisce, come è stato notato, la sacramentalità del matrimonio, ma l’assenza della fede personale compromette la validità del sacramento». 15 Fatte le dovute distinzioni, qualcosa di simile avviene nella solenne professione religiosa dei voti, in cui si stringe un legame perpetuo con Dio e con la Chiesa mediante il medesimo atto di fede, seppur non sacramentale. la peculiarità del sacramento nuziale, evidentemente, come non è paragonabile agli altri sacramenti, tantomeno può esserlo alla professione religiosa, ma ciò vale a sottolineare l’esplicita e consapevole dimensione verticale della fede, quale promessa fatta a Dio, alla cui grazia si affida la possibilità di sostenere l’impegno liberamente assunto. 16 Cf. CommISSIonE tEoloGICa IntERnaZIonalE, La dottrina cattolica sul sacramento del matrimonio (1977), 2.4: «il matrimonio tra battezzati è un vero sacramento “in se stesso”, cioè non in forza di una specie di “automatismo”, ma per la sua intrinseca natura».

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vole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede» (RS 24). Questa consapevole espressione della fede di fronte a Dio manifesta il radicamento essenzialmente ecclesiologico della famiglia, nel momento in cui i nubendi si assumono liberamente il compito di accogliere la grazia di Cristo. 3

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L’integrazione dei fedeli divorziati risposati nella vita della Chiesa

Dopo aver considerato la bellezza dei matrimoni riusciti e delle famiglie solide, e aver apprezzato la testimonianza generosa di coloro che sono rimasti fedeli al vincolo pur essendo stati abbandonati dal coniuge, i padri sinodali si sono chiesti – in modo aperto e coraggioso, non senza preoccupazione e cautela – quale sguardo deve rivolgere la Chiesa ai cristiani le cui famiglie sono incompiute (coloro che ancora non sono stati uniti da Dio: i conviventi), imperfette (coloro che hanno stretto un vincolo solo di fronte agli uomini: i matrimoni civili) e ferite (coloro che hanno separato ciò che Dio ha unito: i divorziati risposati). 3.1

Prendersi cura dei figli più fragili e feriti

Vicino alle famiglie che hanno la grazia di rimanere fedeli al Vangelo, in mezzo alla comunità cristiana, prendono posto anche quelle più fragili e ferite. Pertanto, «Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza» (RS 28). A tale proposito, appare particolarmente delicata la sfida non solo dell’accompagnamento da parte dei pastori, ma anche quella della integrazione delle famiglie “ferite e smarrite” nella comunità ecclesiale, perché non avvenga alle famiglie fedeli di reagire come il figlio maggiore della parabola evangelica del Padre misericordioso, che, sentendosi offeso, fatica ad accogliere il fratello minore che era perduto (cf. Lc 15,28). In tal senso, si comprende l’invito dei padri sinodali a trattare le situazioni dei divorziati risposati evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità (RS 51). 28

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Un’attenzione specifica deve essere rivolta ai figli dei divorziati risposati, per l’insostituibile ruolo educativo dei genitori e in ragione del preminente interesse del minore; si tratta di un elemento non trascurabile, sia dal punto di vista giuridico17 che pastorale, come annotava il Documento preparatorio della Assemblea straordinaria:

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Se ad esempio si pensa al solo fatto che nell’attuale contesto molti ragazzi e giovani, nati da matrimoni irregolari, potranno non vedere mai i loro genitori accostarsi ai sacramenti, si comprende quanto urgenti siano le sfide poste all’evangelizzazione dalla situazione attuale18.

Inoltre, occorre ricordare che al Sinodo è emersa l’esigenza di prestare maggior cura nella “pastorale giudiziale” da parte delle Chiese particolari e dei loro vescovi, mediante un discernimento capace di guardare in faccia le persone, specie nel contesto dell’accertamento della validità del vincolo19. Dal punto di vista della dottrina processuale – come più volte sottolineato dal prof. Arroba Conde – oggi rivestono particolare importanza i convincimenti espressi dalle parti sul loro passato, interpretati alla luce del presente che vivono, tante volte più ricco, e quindi garantendo che si riesca a scoprire la persona che c’è dietro alla causa, pur nell’assoluto rispetto della legalità vigente20. 17 Sulla ricezione canonica del concetto di interesse del minore, cf. m. RIonDIno, Famiglia e minori. Temi giuridici e canonici, lUP, Città del Vaticano 2011, 93-120. 18 SInoDo DEI VESCoVI. III aSSEmblEa GEnERalE StRaoRDInaRIa, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della evangelizzazione, Documento Preparatorio (2013). 19 Cf. GIoVannI Paolo II, es. ap. post-sinodale Familiaris consortio, 84: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido». 20 Circa il rispetto del valore della dichiarazione delle parti, cf. FRanCESCo, Saluto ai partecipanti al corso “super rato” promosso dal Tribunale della Rota Romana (5 novembre 2014): «alcune procedure sono tanto lunghe o tanto pesanti che non favoriscono, e la gente lascia. […] Dicono: “Dio mi capisce, e vado avanti così, con questo peso nell’anima”. E la madre Chiesa deve fare giustizia e dire: “Sì, è vero, il tuo matrimonio è nullo – no, il tuo matrimonio è valido”. ma giustizia è dirlo. Così loro possono andare avanti senza questo dubbio, questo buio nell’anima». Per un significativo approfondimento del tema, nella dottrina processuale, cf. m.J. aRRoba ConDE, La dichiarazione delle parti come valorizzazione della dimensione personalista del processo matrimoniale canonico, “apollinaris” lXXX (2007), 3-4, 687-712; ID., Prova e difesa nel processo di nullità del matrimonio canonico.

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Alcune questioni disputate nella Relatio finalis del III Sinodo Straordinario

In ambito canonistico, sta crescendo la consapevolezza della necessità di trattare la materia matrimoniale accogliendo la sfida posta dalla relazione tra personalismo, verità e pronunciamento della giustizia, guardandosi da un duplice rischio: da una parte, di confondere la verità oggettiva con quella soggettiva, che vedrebbe le parti nel ruolo di giudici in causa propria; dall’altra, quello di identificare la verità, sic et simpliciter, con la pronuncia del giudice, intendendola in modo volontarista, specie nei casi di contrasto tra le versioni offerte dalle parti21.

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In sede sinodale, infine, si è avanzata la proposta di studiare l’ampliamento dell’esercizio della potestas clavium e le condizioni per trattare con procedura giudiziale extraordinaria le cause che non richiedano un giudizio ordinario; si chiede ai vescovi di avviare una pastorale giudiziale accurata, preparando sufficienti operatori, chierici e laici22. La via del discernimento verso l’integrazione

3.2

Oltre alle questioni di natura più strettamente giuridica – che si collocano prevalentemente sul versante dell’accertamento della validità del vincolo –, assume un particolare rilievo quella della partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa, dei quali mai si dice che sono colpiti da scomunica. A questo proposito, scegliamo la via degli interrogativi ragionevoli, in modo che i padri sinodali – ai quali compete di raggiungere il più ampio consenso mediante il confronto e l’approfondimento, nella luce dello Spirito – possano offrire al papa il frutto del loro lavoro di discernimento, secondo quanto prevede la natura stessa del Sinodo. Almeno in due occasioni, è stato lo stesso papa Francesco a mettere chiaramente in evidenza la necessità di non concentrare l’attenzione sull’accesso ai sacramenti Temi controversi, Eupress, lugano 2008, 60: «non basta indagare sul passato nemmeno con l’oculatezza che sollecita l’attenzione alla soggettività, ricostruendo cioè l’irrepetibile significato che la persona diede ai fatti di causa, evitando il peso astratto delle massime di esperienza e delle presunzioni; è necessario anche addentrarsi nell’interpretazione che, nell’oggi processuale, ogni persona dà dei fatti, senza alzare miopi steccati tra l’interpretazione e l’oggettività dell’accaduto». 21 Cf. ID., Verità e principio della doppia conforme, in aa.VV., Verità e giudicato nel processo canonico, lEV, Città del Vaticano 1997, 69; m.J. aRRoba ConDE, Introduzione al processo canonico, in Z. SUChEkSkI (ed.), Il processo penale canonico, lUP, Città del Vaticano 2003, 30-35. 22 Relatio – Circulus Italicus “C”, in La famiglia è il futuro. Tutti i documenti del Sinodo straordinario 2014, a cura di a. SPaDaRo, Àncora – la Civiltà Cattolica, milano 2014, 230.

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della penitenza e dell’eucaristia da parte dei divorziati risposati (cf. RS 52), quanto invece sulla loro integrazione nella vita ecclesiale (cf. RS 51). Per meglio comprendere il senso delle sette cose che i divorziati risposati non possono fare – tra le quali il papa ha ricordato in particolare l’esclusione dal ruolo di padrino23 – merita percorrere lo sviluppo cronologico della questione, attraverso i diversi documenti ecclesiali la cui natura ed impegnatività è naturalmente differenziata. Questo elenco compare per la prima volta, in forma ridotta a tre servizi liturgici (il lettore, il ministero di catechista, l’ufficio di padrino per i sacramenti), in un documento della Conferenza Episcopale Italiana, a cura della Commissione episcopale per la famiglia e la dottrina della fede (26 aprile 1979), con la motivazione che tali servizi «esigono una pienezza di testimonianza cristiana»24. In seguito al

23 Cf. FRanCESCo, Intervista rilasciata a Elisabetta Piqué per il quotidiano argentino “La Nación” (7 dicembre 2014): «Che facciamo con loro, che porta si può aprire? C’è un’inquietudine pastorale: allora gli andiamo a dare la comunione? non è una soluzione dargli la comunione. Questo soltanto non è la soluzione, la soluzione è l’integrazione. non sono scomunicati. ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! allora, aprire un po’ di più le porte. Perché non possono essere padrini? “no, guarda, che testimonianza vanno a dare al figlioccio?”. la testimonianza di un uomo e una donna che dicano: “Guarda, caro, io mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, vado avanti”. ma che testimonianza cristiana è questa? o se arriva uno di questi truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è regolarmente sposato per la Chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza va a dare al figlioccio? testimonianza di corruzione?»; ID., Intervista rilasciata a Valentina Alazraki per la televisione messicana Televisa (6 marzo 2015): «la famiglia è in crisi. Come integrare nella vita della Chiesa le famiglie replay? Cioè quelle di seconda unione che a volte risultano fenomenali... mentre le prime un insuccesso. Come reintegrarle? Che vadano in chiesa. allora semplificano e dicono: “ah, daranno la comunione ai divorziati”. Con questo non si risolve nulla. Quello che la Chiesa vuole è che tu ti integri nella vita della Chiesa. Però ci sono alcuni che dicono: “no, io voglio fare la comunione e basta”. Una coccarda, una onorificenza. no. ti devi reintegrare. Ci sono sette cose che, secondo il diritto attuale, le persone in seconde unioni non possono fare. non me le ricordo tutte, però una è essere padrino di battesimo. Perché? E che testimonianza potrà dare al figlioccio? Quella di dire: “Guarda caro, nella mia vita mi sono sbagliato. ora sono in questa situazione. Sono cattolico. I principi sono questi. Io faccio questo e ti accompagno”. Una vera testimonianza. ma se viene un mafioso, un delinquente, uno che ha ammazzato delle persone, ma è sposato per la Chiesa può fare il padrino. Sono contraddizioni. C’è bisogno di integrare. Se credono, anche se vivono in una situazione definita irregolare e la riconoscono e l’accettano e sanno quello che la Chiesa pensa di questa condizione, non è un impedimento. Quando parliamo di integrare intendiamo tutto questo. E dopo di accompagnare i processi interiori». 24 ConFEREnZa EPISCoPalE ItalIana – CommISSIonE EPISCoPalE PER la FamIGlIa E la DottRIna DElla FEDE, La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari o difficili (26 aprile 1979), 22: «È evidente che i divorziati risposati non possono svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come sono i servizi liturgici e in particolare quello di lettore, il ministero di catechista, l’ufficio di padrino per i sacramenti».

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Alcune questioni disputate nella Relatio finalis del III Sinodo Straordinario

Sinodo sulla famiglia del 1980, nella esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio di Giovanni Paolo II (22 novembre 1981), mentre si afferma chiaramente che i divorziati risposati «non si considerino separati dalla Chiesa», non si fa riferimento ad altre esclusioni oltre a quelle dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia (cf. n. 84). Pur non trattando direttamente l’argomento, il Codice di Diritto Canonico (25 gennaio 1983) precisa che può essere ammesso all’incarico di padrino uno che «conduca una vita conforme alla fede e all’incarico che assume […]; non sia irretito da alcuna pena canonica legittimamente inflitta o dichiarata» (can. 874 § 1, § 4); parimenti, al consiglio pastorale «non vengano designati se non fedeli che si distinguono per fede sicura, buoni costumi e prudenza» (can. 512 § 3). Il Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992), riguardo ai divorziati risposati, riprende l’insegnamento di Familiaris consortio, n. 84, e aggiunge genericamente che «non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali» (n. 1650). Una ulteriore specificazione di tali servizi preclusi ai divorziati risposati (dai precedenti tre diventano cinque) si trova nel Direttorio per la pastorale familiare dei Vescovi italiani (12 luglio 1993), ove al lettore, catechista e padrino si aggiunge la partecipazione ai consigli pastorali e si sconsiglia il testimone nella celebrazione del matrimonio, pur non proibendolo25. L’elenco completo di queste responsabilità ecclesiali (che passa da cinque a sette) viene esposto dal card. Ratzinger, in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella sua Introduzione al volume, Sulla pastorale dei divorziati risposati (1998), contenente alcuni documenti, commenti e studi, ove fa esplicito riferimento al Direttorio per la pastorale familiare dei Vescovi italiani26. Le responsabilità ecclesiali precluse ai divorziati risposati sono: 25 Cf. ConFEREnZa EPISCoPalE ItalIana, Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia (12 luglio 1993), 218: «la partecipazione dei divorziati risposati alla vita della Chiesa rimane comunque condizionata dalla loro non piena appartenenza ad essa. È evidente, quindi, che essi “non possono svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come sono i servizi liturgici e in particolare quello di lettori, il ministero di catechista, l’ufficio di padrino per i sacramenti”. nella stessa prospettiva, è da escludere una loro partecipazione ai consigli pastorali, i cui membri, condividendo in pienezza la vita della comunità cristiana, ne sono in qualche modo i rappresentanti e i delegati. non sussistono invece ragioni intrinseche per impedire che un divorziato risposato funga da testimone nella celebrazione del matrimonio: tuttavia saggezza pastorale chiederebbe di evitarlo, per il chiaro contrasto che esiste tra il matrimonio indissolubile di cui il soggetto si fa testimone e la situazione di violazione della stessa indissolubilità che egli vive personalmente». 26 Cf. J. RatZInGER, Introduzione, 7-29, qui 16-17, nota 5.

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incarico di padrino; lettore; ministro straordinario dell’eucaristia; insegnante di religione; catechista per la prima comunione e per la cresima; membro del consiglio pastorale diocesano e parrocchiale; testimone di nozze (sconsigliato, ma non impedito).

All’effettivo ampliamento dell’elenco, in realtà, non corrisponde una diversa né approfondita motivazione rispetto a quella costantemente ripetuta, ovvero della mancanza di pienezza della vita cristiana e della testimonianza; anzi, si evidenziano tre elementi che in qualche modo segnano una possibile apertura: l’oggettiva situazione di vita; evitare lo scandalo; affrontare la questione in modo più profondo e più ampio, non limitandosi ai divorziati risposati27. Ciò non esclude che possano essere variamente valutate le condizioni soggettive delle persone, pur tenendo conto della loro situazione oggettiva (cf. CCC 1735); significa inoltre che si debba fare il possibile per evitare la confusione e lo scandalo; infine, che tale discorso deve essere confrontato anche con altre situazioni in qualche misura analoghe. Successivamente, papa Benedetto XVI, nella sua esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), non è tornato a riferirsi a tali limitazioni, mettendo piuttosto in evidenza che «nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione» (n. 29). Come dunque valutare le sette restrizioni relative all’esercizio di certe responsabilità ecclesiali da parte dei divorziati risposati, insieme alla speciale attenzione che essi meritano? Avanziamo dapprima tre osservazioni di carattere formale, poi tre di carattere contenutistico. Anzitutto, occorre notare che tali limitazioni non compaiono in alcun documento pontificio, né sono state riprese dalle esortazioni apostoliche post-sinodali, perciò non possono essere ritenute impegnative per tutta la Chiesa. In secondo luogo, esse sono cresciute di numero a partire da un documento della Chiesa particolare 27 Cf. ibid., 17: «Si tratta piuttosto di conseguenze intrinseche alla loro oggettiva situazione di vita. al riguardo il bene comune della Chiesa esige che si eviti la confusione ed in ogni caso un possibile scandalo. D’altra parte anche in questa problematica la questione non può essere ristretta unilateralmente ai fedeli divorziati risposati, ma deve essere affrontata in modo più profondo ed ampio».

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italiana (1979) e dal Direttorio pastorale della medesima (1993), fino alla recezione e all’ampliamento, da parte del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in una introduzione ad un volume di raccolta di documenti e studi (1998), alla quale, per quanto autorevole, non è seguita una norma ecclesiale emanata da organismi competenti. In terzo luogo, appare evidente la natura pastorale delle suddette limitazioni, che non implica alcun contenuto dottrinale. Infatti, mentre si ribadisce l’incompatibilità tra la situazione oggettiva dei divorziati risposati e la pienezza della vita e della testimonianza cristiana, al tempo stesso, non si giunge a sanzionare tale condizione con formale censura (interdetto o scomunica). Ciò significa che la loro condizione è ritenuta presumibilmente temporanea, in quanto suscettibile di cambiamento, di conversione, di purificazione; ovvero si tratta principalmente di un processo interiore da accompagnare. Dal punto di vista contenutistico, occorre riflettere dapprima sui servizi liturgici di lettore e di ministro straordinario dell’eucaristia. Mediante l’esercizio di tali funzioni ecclesiali, ogni fedele può ricevere la grazia della illuminazione interiore, mediante il contatto nella fede con la parola di Dio e l’eucaristia, sia per la propria che per l’altrui edificazione, che si esprime in un umile servizio alla comunità radunata dal Signore, sempre costituita da peccatori chiamati alla conversione. In secondo luogo, per quanto riguarda i servizi catechistici (prima comunione e cresima), formativi (insegnante di religione) e partecipativi (membro del consiglio pastorale) è di primaria importanza la serietà e competenza delle persone ad essi deputate (fede sicura, buoni costumi e prudenza), qualità di fatto indipendenti dalla loro situazione familiare. La testimonianza cristiana di queste persone, in verità, può essere ravvivata dall’integrazione piuttosto che dall’esclusione. In terzo luogo, in base alla indicazione del card. Ratzinger circa l’affronto più profondo ed ampio della questione, occorre distinguere tra l’esclusione di persone consapevoli della loro situazione irregolare, che hanno un sincero desiderio di avvicinarsi al Signore mediante la Chiesa, e, ad esempio, noti politici corrotti, mafiosi, delinquenti, omicidi che sono formalmente a posto con il matrimonio. Da quanto osservato circa l’integrazione possibile, derivano tre considerazioni conclusive. Prima. Se, da una parte, è vero che si deve evitare la confusione e lo scandalo nei fedeli “normali”, dall’altra, occorre pure evitare la confusione e lo scandalo nei fedeli divorziati risposati, che, mentre non sono scomunicati, al tempo stesso, risultano di fatto ridotti a spettatori della vita ecclesiale anziché re34

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sponsabili di ministerialità differenti che sono richieste ad ogni battezzato per l’edificazione della Chiesa. Una seconda considerazione riguarda la testimonianza che eventuali figli nati dalla seconda unione hanno diritto di ricevere dai genitori, pena il rischio di pagare il prezzo della emarginazione di cui non sono responsabili ma solo vittime. Un’ultima considerazione è relativa al discernimento, ovvero a quella via discretionis che permette ai pastori di valutare caso per caso, specialmente riguardo alla progressiva inclusione delle persone che, trovandosi in una situazione ormai irreversibile, sono particolarmente bisognose di accoglienza, di accompagnamento e di misericordia. Un possibile ampliamento interpretativo di Familiaris consortio n. 84?

3.3

La formulazione descrittiva del n. 52 della Relatio Synodi, riferendo le posizioni emerse nella discussione avvenuta in aula e nei circuli minores, suggerisce di valutare a quali condizioni i divorziati risposati potrebbero eventualmente essere ammessi ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia28. La legittimità della questione – lungi dalla malintesa intenzione di modificare la dottrina – potrebbe trovare una eventuale conferma in quella particolare condizione autorizzata da Familiaris consortio n. 84: La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”.

28 Cf. Relatio Synodi, 52: «Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. l’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate” da diversi “fattori psichici oppure sociali” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)».

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Al riguardo, in primo luogo, è lecito domandarsi per quale ragione, tra coloro che sono divorziati risposati, l’astensione dagli atti propri dei coniugi non contraddica l’indissolubilità del precedente vincolo matrimoniale, pur vivendo insieme uniti da affetto e dalla cura dei figli. Se il serio motivo dell’educazione dei figli impedisce di interrompere la convivenza tra coloro che sono uniti da un sincero amore e si prendono cura dei figli, è sufficiente la continenza per attestare una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità dell’unico matrimonio valido? La suddetta concessione – nata dalla saggezza pastorale della Chiesa – sembra fondarsi sulla convinzione che non è in discussione il valore della cura che i divorziati risposati hanno tra loro e nei confronti dei figli – ai quali procurerebbero un danno maggiore mediante la separazione –, ma soltanto la forma dell’intimità coniugale relativa agli atti. Con la continenza, di fatto, si garantisce l’esclusione solo di una parte costitutiva della relazione autenticamente coniugale, ma che non la esaurisce, dal momento che il matrimonio valido è quello che procede in primo luogo dal consenso, ovvero dall’atto volontario di donarsi ed accogliersi, ed in secondo luogo dalla consumazione29. La priorità della volontà di unire gli animi rispetto agli atti coniugali è significativamente sostenuta da san Tommaso d’Aquino, quando si chiede se sia stato vero matrimonio quello tra Maria e Giuseppe. Poiché essi ebbero l’unione indivisibile degli animi, che è la perfectio prima, ma non l’unione carnale, che è la perfectio secunda – conclude Tommaso –, il loro fu vero matrimonio, pur mancando degli atti propri dei coniugi30. In base a questa affermazione di Tommaso, pare ragionevole domandarsi se la concessione di Familiaris consortio n. 84 non permetta di ipotizzare un ampliamento interpretativo, in virtù del quale i divorziati risposati 29 Cf. CoDEX IURIS CanonICI, cann. 1057 § 2; 1061 §1. 30 Cf. tommaSo D’aQUIno, Summa Theologiae, III Pars, q. 29, a. 2: «Respondeo dicendum quod matrimonium sive coniugium dicitur verum ex hoc quod suam perfectionem attingit. Duplex est autem rei perfectio, prima et secunda. Prima quidem perfectio in ipsa forma rei consistit, ex qua speciem sortitur, secunda vero perfectio consistit in operatione rei, per quam res aliqualiter suum finem attingit. Forma autem matrimonii consistit in quadam indivisibili coniunctione animorum, per quam unus coniugum indivisibiliter alteri fidem servare tenetur. Finis autem matrimonii est proles generanda et educanda, ad quorum primum pervenitur per concubitum coniugalem; ad secundum, per alia opera viri et uxoris, quibus sibi invicem obsequuntur ad prolem nutriendam. Sic igitur dicendum est quod, quantum ad primam perfectionem, omnino verum fuit matrimonium virginis matris Dei et Ioseph, quia uterque consensit in copulam coniugalem; non autem expresse in copulam carnalem, nisi sub conditione, si Deo placeret».

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potrebbero accedere al sacramento della penitenza, ed eventualmente all’eucaristia, alla condizione di astenersi dagli atti coniugali, senza con questo ledere l’indissolubilità dell’unico matrimonio valido, dal momento che la loro situazione non sembra più potersi definire come oggettivamente peccaminosa31. In secondo luogo, non è senza importanza la distinzione che Familiaris consortio n. 84 introduce opportunamente tra la possibilità di accedere al sacramento della penitenza, da parte dei divorziati risposati che si propongono di vivere in continenza, e la strada aperta al sacramento eucaristico. La distinzione – senza separazione – tra i due sacramenti, suggerisce due considerazioni. La prima, riguardo al sacramento della penitenza: riconoscendo al confessore la facoltà di operare un discernimento personale circa le sincere disposizioni e la situazione soggettiva del penitente, a questi viene concessa la possibilità di avanzare lungo il suo cammino di conversione, nel seno della Chiesa32. La seconda considerazione riguarda il sacramento dell’eucaristia. Alla luce dell’indicazione di papa Francesco in Evangelii gaudium 47 – ove si afferma: «L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia» –, è lecito riflettere sul rapporto tra eucaristia e remissione dei peccati. Oltre ai Padri della Chiesa come Ambrogio e Cirillo di Alessandria (citati in nota), la tradizione liturgica ha sempre riconosciuto alla globalità del rito eucaristico, in quanto memoriale della pasqua del Signore, il valore remissivo dei peccati, come si evince dalle orazioni super oblata e post communionem (secc. VI-IX)33. Nello stesso messale tridentino e in quello di Paolo VI ritroviamo, nel Confiteor e 31 Questa ipotesi è formulata da a. olIVa, Essence et finalité du mariage selon Thomas d’Aquin. Pour un soin pastoral renouvelé, “Revue des Sciences phiosophiques et théologiques” XCVIII (2014), 4, in corso di stampa, per gentile concessione dell’autore. 32 Su questo punto, si veda il suggerimento proposto dal card. J. RatZInGER, Introduzione, in ConGREGaZIonE PER la DottRIna DElla FEDE, Sulla pastorale dei divorziati risposati, 18: «è di importanza particolarmente grande l’accompagnamento prudente e paterno di un confessore, il quale guidi passo passo i fedeli interessati, che desiderano vivere come fratello e sorella. Su questo punto molte più iniziative pastorali dovrebbero ancora essere sviluppate». 33 Cf. a. tanGhE, L’Eucharistie pour la rémission des péchés, “Irénikon” XXIV (1961), 165-181; J.a. GaRCIa, La Eucaristía como purificación en los textos litúrgicos primitivos, “Phase” VIII (1967), 66-77; P. SoRCI, L’Eucaristia per la remissione dei peccati. Ricerca nel sacramentario veronese, Istituto Superiore di Scienze Religiose, Palermo 1979.

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nei riti di comunione (cf. le preghiere di “apologia sacerdotale”), la professione nella certezza che il Signore risana il peccatore con la sua parola di misericordia ed il cibo eucaristico. La stessa opinione fu sostenuta con un interessante argomento da San Tommaso d’Aquino: colui che è in peccato mortale, ma non ne è consapevole e non nutre affetto per esso, accostandosi però con devozione e riverenza a questo sacramento ne riceve la grazia della carità, che perfeziona la contrizione e produce la remissione dei peccati34. In modo esplicito, la questione fu discussa al concilio di Trento (11 ottobre 1551)35, il quale, pur condannando la tesi luterana che considerava la remissione dei peccati come frutto principale o esclusivo dell’eucaristia36, riconobbe ad essa una efficacia in rapporto ai peccati, in quanto «antidoto, con cui essere liberati dalle colpe d’ogni giorno e preservati dai peccati mortali»37. In realtà, tale affermazione trova il suo fondamento nel valore sacrificale e propiziatorio per i peccati anche più gravi38 della stessa Santa Messa, che Trento terrà a difendere e ribadire (17 settembre 1562)39.

34 Cf. tommaSo D’aQUIno, Summa Theologiae, III Pars, q. 79, a. 3 co.: «Potest tamen hoc sacramentum operari remissionem peccati dupliciter. Uno modo, non perceptum actu, sed voto, sicut cum quis primo iustificatur a peccato. alio modo, etiam perceptum ab eo qui est in peccato mortali, cuius conscientiam et affectum non habet. Forte enim primo non fuit sufficienter contritus, sed, devote et reverenter accedens, consequetur per hoc sacramentum gratiam caritatis, quae contritionem perficiet et remissionem peccati». 35 Cf. l. bRaECkmanS, Confession et communion au moyen âge et au concile de Trente, J. Duclot, Gembloux 1971; R. GERaRDI, Eucaristia e Penitenza Sacramenti di Riconciliazione nella Dottrina del Concilio di Trento, PUl, Roma 1975. 36 Cf. ConCIlIUm tRIDEntInUm, Decretum de ss. Eucharistia. Canones de ss. Eucharistiae sacramento, Dh 1655: «Si quis dixerit, vel praecipuum fructum sanctissimae Eucharistiae esse remissionem peccatorum, vel ex ea non alios effectus provenire: anathema sit». 37 ConCIlIUm tRIDEntInUm, Decretum de ss. Eucharistia. Cap. 2. De ratione institutionis sanctissimi huius sacramenti, Dh 1638: «Ergo Salvator noster […] Sumi autem voluit sacramentum hoc tamquam spiritualem animarum cibum (Mt 26, 26), quo alantur et confortentur (can. 5) viventes vita illius, qui dixit: “Qui manducat me, et ipse vivet propter me” (Io 6,58), et tamquam antidotum, quo liberemur a culpis quotidianis et a peccatis mortalibus praeservemur». 38 ConCIlIUm tRIDEntInUm, Doctrina et canones de ss. Missae sacrificio. Cap. 2. Sacrificium visibile esse propitiatorium pro vivis et defunctis, Dh 1743: «hujus quippe oblatione placatus Dominus, gratiam et donum paenitentiae concedens, crimina et peccata etiam ingentia dimittit». 39 ConCIlIUm tRIDEntInUm, Doctrina et canones de ss. Missae sacrificio, Can. 3, Dh 1753: «Si quis dixerit, missae sacrificium tantum esse laudis et gratiarum actionis, aut nudam commemorationem sacrificii in cruce peracti, non autem propitiatorium; vel soli prodesse sumenti; neque pro vivii et defunctis, pro peccatis, poenis, satisfactionibus et aliis necessitatibus offerri debere: anathema sit».

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Maurizio Gronchi

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Osservazioni conclusive

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Dalla ricognizione intorno ad alcune questioni sollevate dall’Assemblea sinodale straordinaria – che abbiamo cercato di approfondire tenendo conto dei dati della tradizione della Chiesa – possiamo trarre tre brevi osservazioni. In primo luogo, la dottrina del sacramento nuziale esige di essere approfondita nell’orizzonte della grazia e della fede, per meglio comprenderne i fondamenti teologici, aldilà della sua connotazione giuridica. Inoltre, appare quanto mai opportuno lo sviluppo di una teologia della famiglia anziché della coppia, proprio in fedeltà alla costitutiva apertura alla vita che caratterizza il sacramento. In secondo luogo, la questione della partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa pone primariamente a tema una loro maggiore integrazione, che potrebbe ampliarsi rispetto a quanto prevedeva Familiaris consortio, oltre trent’anni fa40, dal momento che essi non sono colpiti da una scomunica formale. La questione sollevata da Relatio Synodi 52, circa le condizioni di possibilità per un loro eventuale accesso ai sacramenti, potrebbe ricevere un positivo apporto dalla considerazione della gerarchia di significati inscritti nel sacramento nuziale, nella direzione di un eventuale ampliamento interpretativo di Familiaris consortio n. 84. In ultima analisi, la ricerca di percorsi differenziati, determinati dalla complessa varietà delle situazioni familiari, attraverso una via discretionis – come attesta anche la disciplina canonistica e la prassi processuale – non contraddice alla dottrina tradizionale della Chiesa, altresì conferma la costante e sempre nuova sapienza pastorale da parte dei vescovi, cui il Signore ha affidato la Chiesa, che ha davanti a sé ancora un anno per maturare, con vero discernimento spirituale, le

40 Cf. GIoVannI Paolo II, es. ap. post-sinodale Familiaris consortio, 84: «Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. la Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza».

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Alcune questioni disputate nella Relatio finalis del III Sinodo Straordinario

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idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie41.

41 FRanCESCo, Discorso per la conclusione della III Assemblea Generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi (18 ottobre 2014).

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Il rinnovamento del sistema matrimoniale canonico alla luce dei recenti lavori sinodali

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Considerazioni introduttive

I

Juan I. Arrieta

1

Intendo svolgere questo tema in dialogo con i documenti prodotti in occasione dell’Assemblea straordinaria del Sinodo celebrata lo scorso ottobre, in modo particolare l’Istrumentum laboris1 e la Relatio Synodi. Vorrei anche utilizzare alcune delle riflessioni emerse in merito nei lavori delle Commissioni istituite dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi per riflettere su possibili risposte canoniche alle richieste che potrà avanzare il Sinodo2, in modo da essere pronti a prospettare soluzioni. Si cerca, soprattutto, di rilevare in quale misura alcune determinazioni disciplinari o requisiti tradizionalmente richiesti da determinati istituti matrimoniali – la sanatio in radice, per esempio, la convalida del consenso, ecc. – possono rispondere a presupposti culturali che attualmente non sussistono. Siamo ancora, com’è logico, ai primi passi di un lavoro complesso che si dovrà poi allargare ad altre istanze. Nello studio occorrerà individuare il modo di formulare la disciplina sul matrimonio non “al negativo” – come se fosse fatta da impedimenti e divieti soltanto –, ma soprattutto “al positivo” poiché, come segnala la Relatio Synodi, occorre non solo «presentare una normativa ma [di] proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si costata anche nei Paesi più secolarizzati»3.

11 Cf. SInoDo DEI VESCoVI, III aSSEmblEa GEnERalE StRaoRDInaRIa, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Instrumentum laboris, Città del Vaticano 2014 (in seguito, Instrumentum laboris). 12 Per quanto riguarda gli argomenti dottrinali più dibattuti, si rinvia a w. kaSPER, Il vangelo della famiglia, Queriniana, brescia 2014, da una parte e, dall’altra a aa.VV., Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, Cantagalli, Siena 2014; J.J. PéREZ-Soba – S. kamPowSkI, Il vangelo della famiglia nel dibattito sinodale oltre la prospettiva del Cardinal Kasper, Cantagalli, Siena 2014. 13 Cf. SInoDo DEI VESCoVI, III aSSEmblEa GEnERalE StRaoRDInaRIa, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Relatio Synodi, n. 33, Città del Vaticano 2014 (in seguito, Relatio Synodi).

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Il rinnovamento del sistema matrimoniale canonico alla luce dei recenti lavori sinodali

2

Il vincolo matrimoniale nel contesto del diritto canonico di famiglia

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Nell’Istrumentum laboris iniziale del Sinodo, gli argomenti che più direttamente interessano la disciplina canonica matrimoniale – la preparazione al matrimonio, le situazioni irregolari, le procedure di nullità e un lungo eccetera sul quale poi torneremo – erano considerati nel contesto delle proposte di pastorale familiare della Chiesa e degli ostacoli che trovano al momento attuale. L’Istrumentum laboris arricchiva gli argomenti con abbondanza di rilievi multiculturali, permettendo di percepire questioni che fuori contesto potrebbero risultare addirittura esotiche, come l’incidenza familiare della poligamia o dei clan e i problemi creati nei figli dalle eccesive attese familiari. Un quadro in verità molto completo, quello che emerge dal testo. Il diritto matrimoniale all’interno del diritto di famiglia

2.1

Direi, anzitutto, che per quanto ci siamo battuti da tempo per un inquadramento della disciplina matrimoniale canonica nel più generale contesto di un diritto canonico di famiglia4, l’impostazione dei diversi testi sinodali è, senz’altro, una confortante gratificazione. Su questo tornerò in seguito, perché lo considero centrale: la disciplina matrimoniale canonica è una parte del diritto canonico di famiglia, della disciplina, cioè, che presenta il regime giuridico generato dal vincolo matrimoniale nel quadro più complessivo dell’insieme di situazioni di rilevanza giuridica che tale vincolo ha il potere di generare5. Infatti, il vincolo matrimoniale contiene un vero potere costituente, capace, cioè, di costituire ex novo e in modo permanente posizioni giuridiche di diritto naturale, di paternità, di filiazione, di parentela, ecc. Non intendo dire che nell’ordinamento canonico non esistesse da sempre ciò che possiamo identificare come un diritto di famiglia6. Tuttavia, è assai sintoma14 Cf. J.I. aRRIEta, Posizione giuridica della famiglia nell’ordinamento canonico, “Ius Ecclesiae” VII (1995), 2, 551-560, e bibliografia indicata. anni addietro avevo diretto in merito due interessanti lavori di ricerca: G. EInSEnRIn, Comunidad conyugal y filiación en el ordenamiento canónico. Contribución a la sistematización del Derecho Canónico de Familia, (tesi per il dottorato), Centro accademico Romano della Santa Croce, Roma 1988; m.b. tERZano, La patria potestad en el ordenamiento canónico. Contribución a la sistematización del Derecho Canónico de Familia, Centro accademico Romano della Santa Croce, Roma 1988. 15 Cf. P.J. VIlaDRICh, La famiglia sovrana, “Ius Ecclesiae” VII (1995), 2, 539-550. 16 Di fatto, c’è in merito una discreta bibliografia, tra cui, E. CaPPEllInI, Per un diritto della famiglia nell’ordinamento canonico, in Diritto, persona e vita sociale. Scritti in memoria di Orio Giacchi, I, Vita e

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Juan I. Arrieta

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tico il fatto che la disciplina codiciale in vigore tratti tematicamente dell’argomento nel Libro IV De Ecclesiae munere sanctificandi, quasi esclusivamente a proposito del Sacramento del Matrimonio.

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Effettivamente ci sono, in modo disordinato e talvolta frammentario, cenni agli altri elementi del diritto di famiglia, come la filiazione, la patria potestà, ecc., ma certamente, a prescindere dai generici canoni sugli “effetti del matrimonio”7, manca un’impostazione organica e completa dell’insieme del diritto di famiglia, che poggia soprattutto sul diritto divino naturale, all’interno della quale presentare la disciplina matrimoniale. In questo, il Codice del 1983 non ha sostanzialmente aggiunto nulla rispetto al Codex del 1917, concentrandosi quasi per intero sul diritto fondamentale dello ius connubii e il momento costitutivo del matrimonio. I restanti elementi, la disciplina canonica li dava per scontati e non se ne occupava perché non sembrava necessario, in quanto formavano parte di un patrimonio culturale comune di legge naturale, sostanzialmente condiviso nella società civile. Adesso, invece, costatiamo che non è scontato che ci sia tale condivisione – soprattutto per ciò che riguarda i sistemi giuridici – e, di conseguenza, certe mancanze della legislazione canonica si fanno sentire in modo più accentuato, anche perché dovrebbero servire da modello di un sistema basato sull’ordine naturale. In generale, si avverte il bisogno di elaborare una disciplina declinata non solo sulla dimensione sacramentale del consenso matrimoniale, del sacramento in quanto tale, ma anche su quella dei vincoli e dei valori familiari che il consenso produce: coniugalità, filiazione, paternità, fratellanza ecc. Non va dimenticato che, nel caso del matrimonio, il segno sacramentale è rappresentato dalla stessa realtà naturale8.

pensiero, milano 1984, 365-389; P. bIanChI, Il diritto di famiglia della Chiesa, “Quaderni di diritto ecclesiale” VII (1994), 3, 285-299; E. VItalI, Riflessioni sui rapporti familiari nell’esperienza giuridica ecclesiale, “Il Diritto Ecclesiastico” CXVI (2005), 4, 850-864; I. ZUanaZZI, Per un diritto di Famiglia della Chiesa: i rapporti tra genitori e figli, “Ius Ecclesiae” XXV (2013), 2, 409-430; m. tIntI (ed.), Famiglia e diritto nella Chiesa, lEV, Città del Vaticano 2014. 17 Cf. CIC cann. 1134-1140. 18 Cf. GIoVannI Paolo II, es. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1982), AAS lXXIII (1981), 81-191; di recente, su questo, vedi P.J. VIlaDRICh, “matrimonio”, in Diccionario General de Derecho Canónico, V, Editorial aranzadi, Pamplona 2012, 299-313. Vedi anche CatEChISmo DElla ChIESa CattolICa, nn.

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La necessità di declinare insieme sacramento e natura

2.2

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I documenti del Sinodo ripropongono la famiglia fondata sul matrimonio nella sua condizione di istituzione pubblica, come nucleo basilare della Chiesa e della società. A differenza della disciplina codiciale, però, al vincolo matrimoniale i testi sinodali aggiungono tante altre situazioni di rilievo giuridico che vanno oltre il rapporto tra sposi. Sono testi, dunque, che si collocano in una prospettiva di diritto canonico di famiglia. In tale contesto, la proposta dell’Istrumentum laboris, ripresa poi dal linguaggio della Relatio Synodi9, di far riferimento all’ordine della creazione piuttosto che al diritto naturale10, ribadisce quale sia il campo di riflessione per completare adeguatamente la tradizionale disciplina matrimoniale. L’invito rappresentava un tentativo di superare la problematicità che in determinati ambiti culturali possiede oggi il concetto di “diritto naturale”, letto in senso soggettivista e non di “ordine oggettivo”. Sostituire il linguaggio pastorale senza aggrapparsi alla difesa di categorie filosofiche11, nulla toglie al fondamento della disciplina canonica sulla realtà oggettiva; anzi, può rendersi utile per mostrare in positivo i valori che si propongono. L’espressione “ordine della creazione” include, peraltro, sia il concetto di una “legge” capace di determinare l’ordine e richiama anche l’origine divina di tale ordinazione che, non va dimenticato, integra concettualmente il diritto canonico12. Per rappresentare in maniera complessiva l’insieme di valori del diritto canonico di famiglia, il legislatore canonico dovrà saper declinare insieme l’ordine della 1601ss.; ConCIlIo VatICano II, cost. past. Gaudium et spes (7 dicembre 1965), nn. 47ss.; J. hERVaDa, El derecho el Pueblo de Dios. Hacia un sistema de derecho canónico. III, Derecho matrimonial, Universidad de navarra, Pamplona, 1973; ID., Escritos de derecho natural, Universidad de navarra Pamplona 19932, in particolare 3-208: Reflexiones en torno al matrimonio a la luz del derecho natural. 19 Cf. SInoDo DEI VESCoVI, Instrumentum laboris, nn. 20-30; Relatio Synodi, n. 13. 10 Cf. Gaudium et spes, nn. 47ss. 11 Cf. Instrumentum laboris, n. 20. Il testo segue poi con una citazione della Commissione teologica Internazionale: «la legge naturale risponde così all’esigenza di fondare sulla ragione i diritti dell’uomo e rende possibile un dialogo interculturale e interreligioso», CommISSIonE tEoloGICa IntERnaZIonalE, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (1-6 dicembre 2008), n. 35. 12 Per uguale ragione la “riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa” che il n. 8 dell’Istrumentum laboris segnala come elemento caratterizzante la nostra stagione ecclesiale concerne anche il canonista e il diritto canonico perché gli elementi che hanno la capacità e la forza di vincolare i soggetti nella Chiesa procedono in verità da tale Parola.

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creazione e l’ordine sacramentale della grazia, due ambiti che ritroviamo insieme in altri istituti della Chiesa13. Ambedue forniscono al sistema del diritto di famiglia elementi di rilevanza giuridica che, pur subordinati equilibratamente l’uno all’altro, possiedono una loro autonomia e non ammettono riduzioni. Nel Magistero pontificio, contemporaneo e posteriore alla promulgazione dei due Codici, troviamo gli elementi necessari per completare le carenze strettamente giuridiche di cui parlo14. In particolare, la Carta dei diritti della famiglia, preparata appena dopo l’entrata in vigore del Codice latino15, contiene spunti importanti che potrebbero completare nella sistematica codiciale il Capitolo VIII sugli Effetti del matrimonio, nei cann. 1134-1140 CIC. Anche con i necessari rinvii ad altre parti del Codice – per la filiazione e la condizione canonica delle persone, per il domicilio, per l’adozione, per le regole di consanguineità o per i contenuti della patria potestà –, si potrà ricuperare l’unità e coerenza del sistema e magari completarlo con indicazioni relative, per esempio, all’uguaglianza della coppia, alla particolare tutela delle fasce più deboli (anziani, portatori di handicap), alla retribuzione dei capi famiglia che lavorano per istituzioni ecclesiastiche, ecc. Occorrerà riconoscere, come segnalato dalla Relatio Synodi16, il ruolo apostolico del nucleo familiare della pastorale della Chiesa e riconoscerla, con tutte le conseguenze, come prima scuola che introduce nella comunità ecclesiale e nella società civile, che chiede di rispettare l’autorità e le regole di intimità della comunità familiare. Necessità di allargare la riflessione sul diritto di famiglia

2.3

Occorrerà anche allargare la riflessione su questioni di cui ancora non si è occupato il Sinodo né vengono menzionate nell’Istrumentum laboris. 13 Cf. J. ESCRIVá-IVaRS, Derecho natural, matrimonio y familia, in J.I. aRRIEta (ed.), Ius divinum. atti del XIII Congresso Internazionale di Diritto Canonico, Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendi, marcianum Press, Venezia 2008, 1279-1297. 14 Vedi in particolare a. SaRmIEnto – J. ESCRIVá-IVaRS, Enchiridion familiae, 10 voll., Universidad de navarra, Pamplona, 20032. 15 Santa SEDE, Carta dei diritti della famiglia (24 novembre 1983), “l’osservatore Romano” del 25 novembre 1983, inserto. 16 «le famiglie cattoliche in forza della grazia del sacramento nuziale sono chiamate ad essere esse stesse soggetti attivi della pastorale familiare», Relatio Synodi, n. 30.

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Ad esempio, riguarda le conseguenze pastorali della cosiddetta ingegneria genetica, la fecondazione artificiale, l’affitto uterino, ecc., che pone il problema di determinare in quale misura tali operazioni possano alterare i tradizionali schemi dei rapporti parentali. Oltre alla questione strettamente morale c’è una dimensione di rilevanza giuridica concernente non solo gli impedimenti matrimoniali ma anche i divieti canonici, in generale. L’argomento ha già interessato parzialmente la Congregazione per la Dottrina della Fede e il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha stabilito anche una Commissione interdisciplinare per analizzare la questione. Data la varietà di fattispecie, probabilmente una eventuale soluzione va trovata per via dell’equiparazione, lasciando forse all’ordinario la facoltà di apprezzare i singoli casi17. Altra questione di cui il Sinodo ancora non si è occupato riguarda l’applicazione della patria potestà allo stretto campo ecclesiale, in relazione con la formazione e il ruolo dei genitori nell’iniziazione cristiana dei propri figli. Nei testi si parla, sì, dei diritti dei genitori nei confronti della società civile e dello Stato, ma non c’è alcun cenno alla patria potestà nei confronti della società ecclesiale e dei propri ministri ecclesiastici, ed è qui che il contrasto, non di rado, diventa concreto a proposito, per esempio, degli orientamenti dati alla catechesi o nel discernimento circa la maturità per accedere ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. In pura logica, pare doveroso apprezzare in occasioni tali l’attuazione del munus regendi riconosciuto ai genitori e la loro partecipazione al confronto, assieme al giudizio dei loro Pastori. È probabile che dal prossimo Sinodo vengano anche elementi per affrontare questi argomenti. Dipendenza della disciplina canonica dalla realtà teologica

2.4

Come si può osservare, ogni eventuale rinnovo della disciplina passa attraverso la riflessione sulla realtà teologica, naturale e soprannaturale, dove si configurano i diritti e i doveri. L’autorità è ben consapevole di non poter legiferare oltre il li-

17 Su questo, vedi di recente S. SalaZaR, L’impedimento di consanguineità nel sistema matrimoniale canonico, PUSC, Roma 2013; F.a. naStaSI, La fecondazione artificiale nella prospettiva antropologica del diritto canonico del matrimonio e della famiglia, PUSC, Roma 2005.

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mite che la realtà teologica consente, poiché il rapporto di gerarchia determinato dal Battesimo traccia confini invalicabili oltre ai quali rimane integra la libertà del battezzato. Come affermava il “maestro” Pio Fedele, il diritto canonico è l’unico sistema giuridico dove l’onnipotenza del legislatore è un mito18. Perciò, ammesso che la norma debba cercare di proporre valori ed enunciati positivi, soprattutto oggi19, è superficiale presentare i divieti o esigenze del diritto matrimoniale come se fossero inconvenienti accessori, estranei alla realtà ecclesiale, che si potrebbero abbattere senza particolari difficoltà qualora vi fosse il coraggio di non lasciarsi portare dall’inerzia del passato. In questa visione banale del diritto canonico si ragiona come se la Chiesa fosse una multinazionale della carità e non una società istituzionale e i requisiti vengono addebitati spesso ad atteggiamenti “legalisti”20 contrapposti ai giusti atteggiamenti “pastorali”21. In realtà, tale linguaggio delegittima anzitutto la concezione cristiana sostanziale sul matrimonio e la famiglia perché è solo da lì che prende fondamento e legittimità la disciplina canonica. Non è la disciplina canonica, per esempio, a impedire di passare ad ulteriori nozze a chi è già regolarmente sposato o a vietare l’acceso alla comunione eucaristica a chi si trova in relazione matrimoniale irregolare. È il Magistero cattolico – definito dall’enciclica Fides et ratio come «diaconía della Verità»22 – nella sua dimensione dottrinale e morale a porre questi divieti: è l’interdipendenza esistente tra comunione ecclesiale, coniugale ed eucaristica. In altri termini: non si tratta di una sanzione disciplinare, bensì di una incompatibilità tra la situazione matrimoniale e l’Eucaristia. La Legge canonica deve, poi, tradurre tali criteri in formulazioni precise e fedeli, senza oltrepassare i limiti che assoggettano la libertà dei fedeli. 18 Cf. P. FEDElE, Lo spirito del diritto canonico, Cedam, Padova 1962, 214. 19 la causa di questi atteggiamenti superficiali si trova speso in una visione errata sulla natura stessa della Chiesa che si confonde talvolta con una multinazionale, una sorta di onG filantropica o spirituale come la Croce Rossa, dimenticando la sua condizione di società in cui deve imperare un ordine di giustizia che scaturisce dai fondamenti sacramentali forniti dallo stesso Cristo. l’ordine di giustizia del sistema canonico rispecchia la dottrina e la realtà teologica della Chiesa. 20 Per esempio, quando si parla di “sguardo legalista” come approccio negativo alla pastorale familiare nel n. 80 dell’Istrumentum laboris. 21 Per l’armonia necessaria fra teologia, pastorale e diritto canonico, vedi GIoVannI Paolo II, es. ap. Familiaris consortio (23 novembre 1981), nn. 68ss., AAS lXXIII (1981), 81-191. 22 Cf. GIoVannI Paolo II, lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 49-54, AAS XCI (1999), 5-88.

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In questo e in tanti altri casi, il nucleo essenziale della disciplina canonica è costituito dal diritto divino, naturale e positivo, che il sistema legale della Chiesa deve tradurre in norme adeguate. Il sistema è poi composto anche da altre norme di diritto umano, sì, che intendono dare complemento al nucleo essenziale e proteggere i beni giuridici degni di tutela anche con determinazioni fatte dal prudente giudizio del legislatore, ma dette norme umane non possono valicare certi limiti e fondate condizioni di ragionevolezza laddove enunciano requisiti e condizioni per la validità degli atti o per il riconoscimento delle posizioni giuridiche. A questo riguardo, vorrei ricordare che le tre modifiche finora apportate ai canoni del vigente Codice del 1983 sono state causate proprio da precisazioni dottrinali sopravvenute in anni successivi alla promulgazione del testo: a) la modifica nei due Codici della professio fidei del 1998, anche nella dimensione penale23, b) la riformulazione della natura e contenuto del diaconato per riferimento al presbiterato, e c) la questione dell’abbandono per atto formale della Chiesa24. Nei tre casi l’approfondimento dottrinale ha richiesto l’adeguamento delle corrispondenti espressioni giuridiche. La revisione della disciplina canonica matrimoniale

3

Veniamo, però, a esaminare più concretamente alcuni aspetti della disciplina matrimoniale vigente che potrebbero avere un rapporto più immediato con le inquietudini emerse nei lavori sinodali. Come ho detto, sull’argomento lavora adesso un gruppo di studio presso il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, oltre alle due Commissioni, una da noi e l’altra nella Rota Romana, che si occupa del processo speciale dichiarativo di nullità matrimoniale. Come accennò papa Francesco, alla fine del lavoro di questi gruppi si cercherà di approfittare dei loro rispettivi risultati.

23 Cf. GIoVannI Paolo II, m.p. Ad tuendam fidem (18 maggio 1998), AAS XC (1998), 457-461, che modificò il testo dei cann. 750 e 1371, 1° CIC e dei cann. 598 e 1436 CCEo. 24 Cf. bEnEDEtto XVI, m.p. Omnium in mentem (26 ottobre 2009), AAS CII (2010), 8-10, che ha modificato i cann. 1009 e 1009 e anche i cann. 1086 § 1, 1117 e 1124 CIC.

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Juan I. Arrieta

L’incidenza culturale sulla percezione del matrimonio

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Nei vari documenti del Sinodo è chiaramente messa in rilievo la contrapposizione esistente tra il modello di matrimonio che la Chiesa propone, seguendo l’ordine creaturale e un Magistero di secoli, e l’idea di matrimonio che emerge nella società attuale dai mezzi di comunicazione di massa e da tante istanze culturali. È indubbio che tali idee culturali e la connessa fragilità affettiva delle persone, accennata in vari punti dalla Relatio Synodi25, condizionano inevitabilmente la loro percezione dell’istituzione matrimoniale e delle sue proprietà essenziali, così come del rapporto tra matrimonio e famiglia. Proprio su questo, «sul contesto umano e culturale in cui si forma l’intenzione matrimoniale», si è concentrata l’allocuzione tenuta dal Santo Padre in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziale al Tribunale della Rota Romana, lo scorso 23 gennaio26. Essendo realistici, bisogna costatare che, soprattutto nei Paesi liberal-democratici, prevale attualmente una legislazione permissiva che, addirittura, disprezza le convinzioni maggioritarie dei connazionali e, in maniera analoga, occorre prendere atto che tra le stesse confessioni religiose, cristiane e non, la Chiesa cattolica è praticamente l’unica che proclama senza fessure l’unità e l’indissolubilità del matrimonio. Questa è una verità importante da cui la disciplina canonica deve trarre le conseguenze, soprattutto quando si trova a dover valutare la validità delle unioni dei non cattolici. Alcune confessioni rinviano completamente in argomento alla legislazione civile, che normalmente è divorzista; altre confessioni ammettono la poligamia e il divorzio e, infine, quelle più vicine alla dottrina cattolica tollerano un secondo matrimonio e perfino un’ulteriore dissoluzione del vincolo matrimoniale che, tuttavia, è considerato sacro. Tale insieme di fattori pare determinare il bisogno di un ripensamento di alcuni aspetti della legislazione matrimoniale canonica sostentati su presupposti che non sono più condivisi da molte legislazioni e percezioni sociologiche. Non si tratta di modificare gli elementi sostanziali delle istituzioni, ma sì certamente di 25 Cf. Relatio Synodi, nn. 10, 24. 26 FRanCESCo, Allocuzione al Tribunale della Rota Romana (23 gennaio 2015), “l’osservatore Romano” del 24 gennaio 2015, 7.

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riflettere sull’impatto sociale di alcune delle categorie o scelte che il legislatore canonico adoperò in altri momenti per interpretare gli atti delle persone che contraggono o aderiscono all’istituto matrimoniale. Nel suo intervento, il Papa ha sottolineato come, nel panorama presente, «l’abbandono di una prospettiva di fede sfocia inesorabilmente in una falsa conoscenza del matrimonio, che non rimane priva di conseguenze nella maturazione della volontà nuziale». Non faceva riferimento il Papa alla fede come requisito per la validità del matrimonio: di questo aveva già parlato Benedetto XVI nella sua ultima allocuzione alla Rota Romana27; né toccava l’inseparabilità tra sacramento e vincolo matrimoniale, né voleva stabilire un nesso necessario e automatico. Il Papa rilevava solo l’esperienza pastorale del «gran numero di fedeli in situazione irregolare, sulla cui storia ha avuto un forte influsso la diffusa mentalità mondana», e concludeva che «la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore determinante la volontà (cf. can. 1099)». Il canone 1099 CIC, e il suo correlativo canone 822 CCEO, dichiarano che «l’errore circa l’unità o l’indissolubilità o la dignità sacramentale del matrimonio non vizia il consenso matrimoniale, purché non determini la volontà». A tale proposito il Papa osservava soltanto che «questa eventualità non va più ritenuta eccezionale come in passato, data appunto la frequente prevalenza del pensiero mondano sul magistero della Chiesa». La Relatio Synodi si era pronunziata in termini molto simili nel ricordare che il matrimonio cristiano è una vocazione che si accoglie con un’adeguata preparazione in un itinerario di fede, con un discernimento maturo, e non va considerata come una tradizione culturale o un’esigenza sociale o giuridica28.

Se la cultura dominante, come certifica il Sinodo, ha diffuso un’idea frivola e banale dell’unione matrimoniale in cui, tra l’altro, l’indissolubilità è ritenuta marginale o tutt’al più un ideale verso cui tendere, ma non una proprietà di ogni matrimonio, risulta infatti probabile che detta erronea idea possa integrare la forma-

27 Cf. bEnEDEtto XVI, Allocuzione al Tribunale della Rota Romana (26 gennaio 2013), AAS CV (2013), 168-172. 28 Relatio Synodi, n. 36.

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zione del consenso, a meno che non si tratti di persone di accurata formazione umana o salda fede cristiana. Si tratta di un rischio concreto, malgrado le rassicurazioni che, in occasione della preparazione al matrimonio, i futuri sposi possano dare al parroco circa la loro consapevolezza degli elementi essenziali dell’unione. Il dettato del can. 1099 non è propriamente scorretto; caso mai, scorretto potrebbe risultare il sistema di deduzioni logiche che in questo caso potrebbero scaturire dal verbo utilizzato – determinans – che potrebbe suggerire un grado di intenzionalità o forza esplicita della volontà che forse non è necessario se il concetto è largamente implicito nel contesto sociale. Questo è il punto che forse occorre valutare, senza lasciarsi portare da automatismi e analizzando la verità di ogni singolo caso. In alcuni casi il problema potrebbe avere particolare incidenza. Per esempio, quando si tratta del consenso matrimoniale dei non battezzati o degli acattolici formulato davanti a officiali civili o in celebrazioni religiose non cattoliche. In tali occasioni e nel contesto attuale, ci si potrebbe domandare fino a che punto si possa presumere che si è celebrato veramente un matrimonio “naturale” (nel caso dei non battezzati), semplicemente perché l’idea di matrimonio che tali persone hanno acquisito, addirittura nella loro rispettiva confessione religiosa, non è detto che includesse gli elementi essenziali dell’unione naturale. Anche il caso dei battezzati cattolici non cresciuti poi in un ambiente cristiano, potrebbe non essere sostanzialmente differente a questo riguardo. Problema simile pone il can. 1096 § 1 CIC, e il suo omologo orientale 819 CCEO, quando stabiliscono il minimo di conoscenza richiesto per contrarre: perché possa esserci il consenso matrimoniale – dice la norma –, è necessario che i contraenti non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra uomo e donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale.

Immediatamente dopo, il Codice latino, non quello orientale, aggiunge un’asserzione lapidaria a modo di conclusione: «tale ignoranza non si presume dopo la pubertà». Neanche in questo caso possiamo essere certi che la presunzione corrisponda al vero, nella presente situazione culturale, poiché parte dal presupposto che tale I U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 6

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idea di matrimonio sia socialmente condivisa, limitandosi poi la norma a richiedere la non ignoranza (in negativo) degli elementi essenziali, quando, invece, è da domandarsi se non occorrerebbe piuttosto verificare adesso, in positivo, se i contraenti siano effettivamente consapevoli delle connotazioni dell’atto che realizzano. Si tratta di una presunzione che, in ogni caso, impone serie riflessioni.

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La problematica, poi, incide su altri istituti del sistema matrimoniale canonico, a cominciare dalla preparazione al matrimonio, le condizioni e modalità di realizzarla, il grado d’iniziazione sacramentale cristiana che può essere ragionevolmente richiesto per contrarre matrimonio29 ecc. Analogamente si pone, credo, la necessità di rivedere, nel presente contesto culturale, i termini di esercizio della c.d. “dissoluzione in favorem fidei”, e forse la convenienza di munire i Vescovi diocesani di facoltà sostanzialmente simili da esercitare non più a titolo della potestà primaziale, che ormai non sarebbe necessario impegnare. La forma canonica sostanziale

3.2

In termini generali, la revisione della disciplina matrimoniale canonica deve tendere a favorire l’esercizio del diritto a contrarre matrimonio, rimuovendo gli ostacoli che non siano strettamente necessari affinché chi vuole sposarsi possa effettivamente farlo. In tale senso, prima o poi, in un modo o nell’altro, si porrà anche la questione della forma canonica ad validitatem e, senza voler mettere in discussione il diritto della Chiesa di stabilire precetti del genere, sorgerà la domanda se, nelle descritte circostanze culturali del presente, una tale esigenza risulti conveniente o meno per la salus animarum. Si potrebbe ritenere tale forma, in alternativa, come requisito per la “liceità”, piuttosto che per la “validità”? Sarebbe conveniente, tenen-

29 la ricezione del sacramento della Cresima prima di sposarsi, per esempio, è certamente auspicabile da vari punti di vista; tuttavia non si potrebbe imporla come requisito argomentando che i cann. 645 § 1 e 1033 CIC lo richiedono per l’ammissione al noviziato o per l’ordinazione; di fatto il can. 1065 § 1 CIC ha una redazione ben diversa e il riferimento al “grave incomodo” tiene conto della priorità che ha in questo caso lo ius connubii.

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do conto di quanto stiamo vedendo, configurare forme più semplici di sanatio in radice? Potrebbe essere ritenuto il matrimonio civile come una “forma straordinaria” di celebrazione, soprattutto se in un periodo di tempo relativamente breve gli sposi chiedono la registrazione canonica? Le motivazioni per voler eludere le classiche “nozze”, appesantite soprattutto in determinati contesti culturali, possono essere molto varie e non tutte prive di ragionevolezza: di fatto, molte diocesi hanno messo in pratica le celebrazioni comunitarie di più matrimoni. Forse non è ancora arrivato il momento pastoralmente opportuno per questo tipo di cambiamenti30 che dovrà valutare il Supremo Legislatore, ma non va dimenticato che la forma canonica sostanziale impera nella Chiesa dal Concilio di Trento, nel secolo XVI e, in alcuni luoghi, dal 1907 con il decreto Ne temere. Anche se la natura sociale del consenso matrimoniale richiede una qualche manifestazione pubblica del vincolo contratto, l’insegnamento della Chiesa è sempre stato costante nell’affermare la centralità della volontà degli sposi nella costituzione del matrimonio: è il loro consenso a fare il matrimonio ed «esso non può essere supplito da nessuna potestà umana» (can. 1057 § 1 CIC)31. Qualche tempo fa ha provocato una certa polemica in Spagna, tra i blog di ambito cristiano, un “post” che raccontava la situazione di un’emigrante latinoamericana venuta con la famiglia in Spagna per lavorare come impiegata domestica. Una persona di poca cultura e di buoni principi cristiani. Passato il tempo, si presentò in parrocchia per chiedere di celebrare il 25º anniversario del suo matrimonio e, a quel punto, si poté costatare che la donna non era regolarmente sposata anche se aveva fedelmente convissuto col suo “marito” in questo tempo e avevano avuto diversi figli. Alla fine è stata convinta della necessità di celebrare il matrimonio, ma lei continuava a dire: “per me questa è la celebrazione del nostro 25º anniversario matrimoniale”. Indubbiamente, tale unione non concordava con la legalità vigente, era illecita. Ma la reazione della donna non è lontana con la verità che la Chiesa proclama

30 modifica che, dal punto di vista strettamente formale, parrebbe anche in controtendenza col m.p. Omnium in mentem (26 ottobre 2009), AAS CII (2010), 8-10, anche se il proposito centrale di detto documento pontificio era diverso. 31 Cf. m.a. oRtIZ, “Forma canonica del matrimonio”, in Diccionario General de Derecho Canónico, IV, 63-73.

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circa la centralità della volontà nella costituzione del vincolo. Al centro di tale esperienza c’è proprio la tensione tra volontà e forma, sollecitando forse la necessità di vincolare la validità degli atti agli elementi che strettamente costituiscono la loro essenza.

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Di nuovo si ripropone qui quanto si diceva prima sulla necessità di declinare insieme nella disciplina canonica le esigenze della dimensione sacramentale e quelle naturali dell’ordine della creazione. A questo riguardo, la disciplina attualmente in vigore non manca di qualche incoerenza. Appare sconcertante, infatti, la soluzione che dà il can. 1071 alla rilevanza canonica del matrimonio civile dei battezzati, quando semplicemente proibisce al teste qualificato l’assistenza al matrimonio “canonico” di chi sia vincolato “da obblighi naturali derivati da una precedente unione verso un’altra parte o figli”. In stretta logica, la persistenza di tali vincoli naturali, se procedono da una precedente unione civile32, pare che dovrebbe tradursi piuttosto nella configurazione di un impedimento dirimente che vizi di nullità un eventuale matrimonio canonico contratto senza i necessari accertamenti e la conseguente dispensa. Invece, il Legislatore del 1983, agì in modo diverso e la norma non pare mostrare sufficiente attenzione alle esigenze dell’ordine naturale nel punto critico in cui dovrebbe mettere in relazione tali esigenze con quelle del sacramento del matrimonio: due ordini facenti parte dell’unico sistema di legge divina e, come tali, vigenti nell’ordinamento canonico. Il cattolico che contrae solo matrimonio civile assume obblighi naturali ai quali l’ordinamento canonico deve riconoscere adeguata rilevanza. Ciò non è una concessione alla legislazione civile, ma una coerente applicazione della legge divina naturale. Ai corrispondenti ministri sacri, ai Parroci in modo particolare, toccherebbe poi, al momento della registrazione, legittimare le unioni civilmente celebrate, verificando le disposizioni degli sposi, spianando eventuali difficoltà oppure, talvolta, manifestando semplicemente l’impossibilità della registrazione perché l’oggetto del consenso non è coincidente con la realtà del matri-

32 Il divieto del can. 1071, 3°, tuttavia, non riguarda solo gli obblighi naturali derivati da unione civile, ma qualunque tipo di obbligo naturale derivato da precedente unioni, anche da un matrimonio canonico dichiarato nullo.

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monio o perché qualche impedimento rendeva canonicamente invalido il consenso loro prestato.

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Purtroppo, il vero problema attuale, almeno nei Paesi di maggiore sviluppo, non è più il matrimonio civile ma le convivenze di fatto slegate da qualunque tipo di vincolo e da ogni possibilità di identificare la formulazione di un consenso matrimoniale. Così lo pone anche in evidenza l’Istrumentum laboris, ripercorrendo le diverse situazioni di unioni irregolari e le rispettive cause nelle varie regioni del mondo33 e a questo pare che solo possa essere di aiuto l’accompagnamento pastorale. La convalidatio simplex

3.3

Altro tema che riguarda la legge naturale e il consenso matrimoniale è stato messo a fuoco dalla nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione34 sulla non automatica delibazione di sentenze canoniche di nullità riguardanti unioni che hanno durato più di tre anni. Non mi soffermo adesso sull’eventuale violazione da parte della Corte di un Trattato internazionale com’è il Concordato vigente tra l’Italia e la Santa Sede: interessa il fatto che il pronunciamento dell’Alta Corte individua come degna di tutela giuridica una di quelle situazioni che il can. 1071 chiama obblighi naturali, e cioè, la convivenza “come coniugi” […], connotata da una “complessità fattuale” strettamente connessa all’esercizio di diritti, all’adempimento di doveri ed all’assunzione di responsabilità personalissimi di ciascuno dei coniugi35.

33 Cf. Istrumentum laboris, nn. 80ss. 34 CoRtE SUPREma DI CaSSaZIonE, Sentenza 16379/14 del 17 luglio 2014. Vedi in materia J. PaSQUalI CERIolI, Ordine pubblico e sovranità della Repubblica nel proprio ordine (matrimoniale): le Sezioni unite e la convivenza coniugale triennale come limite alla “delibazione” delle sentenze ecclesiastiche di nullità, www.statochiese.it XXVII (2014), 1-23. Vedi anche su questo J.I. aRRIEta, Amministrazione della giustizia e comunione tra i tribunali della Chiesa, in G. Dalla toRRE – C. GUllo – G. bonI (edd.), Veritas non auctoritas facit legem. Studi di diritto matrimoniale in onore di Piero Antonio Bonnet, lEV, Città del Vaticano 2012, 59-69. 35 «la convivenza “come coniugi” – intesa nei sensi di cui al su enunciato principio di diritto (cf., supra, n. 3.9) –, come situazione giuridica d’ordine pubblico ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali

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Diverse sono le considerazioni che potrebbero farsi a partire da questo punto, farò cenno a due: la convalida del consenso e la rilevanza giuridica naturale della commoratio in determinati contesti. La suddetta sentenza dichiara, anzitutto, un principio rilevante sul piano naturale, che la convivenza “come coniugi”, manifestata come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo nonché esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, è anche fonte «di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari»36. In questo punto, la sentenza individua come degni di tutela dimensioni del matrimonio legate all’ordine creaturale – la commoratio diuturna o l’esistenza di figli – che, paradossalmente, sembrerebbero pressoché annullati nel momento di entrare in collisione con altre situazioni canonicamente rilevanti, in questo caso, l’insufficienza del consenso prestato al momento delle nozze. Questa asimmetria è la prima perplessità che pone la sentenza. È comprensibile, poi, che il giudice civile faccia fatica a capire – e questa sarebbe una seconda problematicità rilevata dal giudicato della Cassazione – come sia possibile invocare la mancanza di sufficiente consenso iniziale dopo una convivenza matrimoniale consolidata nel tempo. Per lui, che non è tenuto a indagare sull’esistenza del sacramento e rimane nel puro ordine della ragione e del proprio sistema legale, appare inspiegabile che il passaggio del tempo insieme non abbia sanaecclesiastici, ed in quanto connotata da una “complessità fattuale” strettamente connessa all’esercizio di diritti, all’adempimento di doveri ed all’assunzione di responsabilità personalissimi di ciascuno dei coniugi, deve qualificarsi siccome eccezione in senso stretto (exceptio juris) opponibile da un coniuge alla domanda di delibazione proposta dall’altro coniuge» (n. 4.4). 36 «la convivenza “come coniugi” deve intendersi – secondo la Costituzione (artt. 2, 3, 29, 30 e 31), le Carte Europee dei diritti (art. 8, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), come interpretate dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ed il Codice civile – quale elemento essenziale del “matrimonio-rapporto”, che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari» (n. 3.9).

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to eventuali mancanze iniziali, mentre trova necessario tutelare la sicurezza e le situazioni giuridiche obiettivamente configurate col rapporto duraturo.

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Infatti, se, da una parte, il sistema matrimoniale deve venir incontro a situazioni di eccessiva immaturità o mancata riflessione nella celebrazione del matrimonio, d’altra parte, per analoghe esigenze di verità, deve anche proteggere le situazioni matrimoniali consolidate evitando ogni strumentalizzazione delle disposizioni del diritto. La sentenza della Cassazione rappresenta, in tale senso, una lezione per il sistema canonico, che invita a tener anche conto dei diritti e doveri generati dalla convivenza stessa e a dover riflettere sulla rilevanza probatoria di tale fatto. Mentre la breve durata della vita coniugale può essere indizio di possibile nullità del vincolo, la lunga durata della vita coniugale dovrebbe far pensare, invece, alla validità del consenso iniziale o, almeno, a una sua efficace convalida successiva di maniera spontanea37. Anche su questo occorrerà riflettere. Oltre alle due modalità di convalida già previste dalla normativa canonica, la c.d. convalidazione semplice e la sanatio in radice, e alla possibilità anche di rendere più flessibile la disciplina di quest’ultima – valutando, per esempio, la possibilità di delegare in altri soggetti pastorali la sanatio in radice, per esempio –, c’è da valutare la proposta dottrinale sulla possibile configurazione di una convalidazione ipso iure o di una sanatio a iure. Di fatto, il gruppo di lavoro, che pochi anni fa si occupò del tema nel Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, riprese l’idea di stabilire un termine per la decadenza dell’azione di nullità per vizio del consenso, analogamente a ciò che si proponeva fare una Commissione, creata da Pio XI nel 1938. Come allora, si cercava di poter configurare una presunzione, in quella occasione iuris et de iure – oggi si dovrà pensare, invece, ad una possibile presunzione iuris tantum –, che consentisse di parlare di una sorte di rinnovazione “tacita” del consenso da parte di chi non lo aveva dato in modo sufficiente, attraverso il comportamento matrimonia-

37 Di fatto, la norma canonica chiede al giudice e al promotore di giustizia, in diverse ipotesi, di «fare ricorso ai mezzi pastorali per indurre i coniugi […] a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale», cann. 1676 CIC e 1362 CCEo; PontIFICIo ConSIGlIo PER I tEStI lEGISlatIVI, istr. Dignitas connubii, nn. 65 § 1 e 92, 2°.

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le prolungatamente manifestato38. Così come esistono motivi di nullità che sono “transitori”, alcuni vizi del consenso (errore, dolo, metus, simulazione) si potrebbero pure ritenere superati da un posteriore assenso se la loro forza invalidante non emergesse in un tempo ragionevole39.

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L’ipotesi non vorrebbe presumere la validità del consenso inizialmente dato, bensì la successiva prestazione del consenso inizialmente viziato. La tesi della convalidazione ipso iure era presente già nella prima codificazione40 e venne riproposta anche durante i lavori preparatori del Concilio Vaticano II per agevolare la convalida dei matrimoni41. Nel 1942, il P. Cappello ne fa menzione a proposito dell’impedimento di metus, sulla base di una Istruzione del Santo Officio del 1883: dal momento che il timore è cessato, che la parte costretta è contenta delle nozze celebrate, che i due contraenti convivono pacificamente come veri coniugi, non si vede la ragione per cui debba sussistere il diritto di accusare un simile matrimonio; tanto più che – conclude il noto canonista – nelle circostanze predette, il consenso matrimoniale necessario e sufficiente per diritto divino già esiste; se la Chiesa non esigesse l’osservanza della forma canonica, e certamente potrebbe farlo, come lo fa in altri casi, il matrimonio potrebbe anche ipso facto convalidarsi42.

Uguale ragionamento è poi utilizzato riguardo ai casi di consenso condizionato o d’insufficiente intenzione. 38 I dati sono stati parzialmente presi da m.a. oRtIZ, Viene sanato automaticamente il matrimonio? A proposito del riconoscimento civile delle sentenze canoniche, in h. FRanCESChI – m.a oRtIZ, “Ius et matrimonium”. Temi di diritto matrimoniale e processuale canonico, in corso di stampa. Cf. V. baRtoCCEttI, Codicis J.C. emendatio a S.P. Pio XI circa leges et causas matrimoniales disposita anno 1938, “Revue de Droit Canonique” XI (1961), 1, 17-18; vedi anche l. bEnDER, Matrimonii Convalidatio, “monitor Ecclesiasticus” lXXXI (1956), 1, 102-116. 39 Cf. J.t. maRtIn DE aGaR, Matrimonio putativo y convalidación automática del matrimonio nulo, “Ius Canonicum” XlI ( 2001), 81, 293-317. 40 anche qui, vedi lo studio di m.a. oRtIZ, Viene sanato automaticamente il matrimonio? A proposito del riconoscimento civile delle sentenze canoniche, che menziona la Consulta parziale dell’8 febbraio 1906, in aSV, Commissione Codificazione Diritto Canonico, scat. 55. Cf. anche F.X. wERnZ – P. VIDal, Ius Canonicum, V, Ius Matrimoniale, Pontificia Universitas Gregoriana Romae 1928, 790. 41 «Instituatur convalitatio matrimonii automatica, quo obtinetur ut post temporis spatium elapsum a die celebrationis, in lege determinatum, matrimonium fiat validum ipso iure seu absque renovatione consensus», Pont. athEnEUm anGElICUm, Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano II Apparando, Antepreparatoria, Series I, vol. IV, pars, I, 2, 27. 42 F.m. CaPPEllo, La legislazione ecclesiastica e suoi eventuali perfezionamenti, “Il Diritto Ecclesiastico” lIII (1942), 385-389.

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In modo simile si potrebbe parlare di una sanatio in radice a iure, da applicarsi, anche come presunzione iuris tantum, a situazioni di nullità per paura, ignoranza, errore ecc., e perfino ai casi di vizi di simulazione parziale del consenso, laddove la prolungata convivenza matrimoniale faccia presumere il sopravvenuto necessario consenso. Queste sono alcune delle ipotesi concrete su cui si lavora adesso nell’intento di poter presentare al Legislatore, in tempi opportuni, possibili scelte da seguire per meglio adeguare, se lo ritiene conveniente, la disciplina canonica al bene delle anime, alle esigenze storiche della società attuale e a quella corrispondenza che mai può mancare tra la norma positiva canonica e i postulati della struttura sacramentale della Chiesa.

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Le proposte di snellimento dei processi matrimoniali nel recente Sinodo

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Manuel J. Arroba Conde

Ringrazio per l’opportunità di intervenire in questa sede, nella quale si esperimenta in modo spontaneo il fatto che non avrebbe senso il servizio che siamo chiamati a svolgere nelle università se sganciato dalle sfide che pone alla riflessione l’azione missionaria della Chiesa. Per tale ragione, e comunque in sintonia con l’orientamento della facoltà di diritto canonico dell’università lateranense, ho impostato il tema secondo quanto esige il primato della norma missionis quale fondamento del diritto della Chiesa1. Il richiamo alla norma missionis manifesta quello che intendiamo sia l’elemento portante della nostra proposta formativa dopo il rinnovamento del piano degli studi, a seguito del decreto Novo Codice. L’inserimento dello studio del diritto canonico nel contesto più ampio dell’istituto Utriusque iuris aggiunge una peculiare sensibilità sul modo di affrontare nei nostri studi il primato della norma missionis; mi riferisco al fatto che, come accade rispetto ad altre dimensioni dell’evangelizzazione, anche rispetto alla sua dimensione giuridica la Chiesa, mentre evangelizza, è evangelizzata, interpellata cioè dal progresso e dall’evoluzione dei sistemi giuridici secolari, di fronte ai quali è chiamata a rendere testimonianza, certamente critica ma anche comprensibile, secondo quanto esige l’impegnativo principio della fedeltà creativa: Ius sequitur vitam2. Essendo il processo un’attività volta ad amministrare giustizia nelle situazioni di tensione o incertezza, nell’affrontare i temi del processo canonico, anche di quello matrimoniale, detto orientamento esige di prestare speciale attenzione all’inscindibile rapporto tra fondamento e metodo. Se il singolare fondamento 11 Sul concetto, cf. P. GhERRI, Lezioni di teologia del diritto canonico, lUP, Città del Vaticano 2004, 39-42. 12 Per una conoscenza più completa di questo preciso profilo nella comprensione del fondamento missionario del diritto canonico raccomando la recente opera congiunta dei docenti dell’Istituto Utriusque Iuris, cf. m.J. aRRoba ConDE (ed.), Manuale di diritto canonico, lUP, Città del Vaticano 2014.

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missionario del processo mette in luce la portata strutturante, e non solo etica, che possiedono nella Chiesa gli obiettivi di verità e giustizia3, sulle norme in cui si debba poi snodare la procedura, le esigenze della missione obbligano a disegnare metodi idonei a rendere testimonianza di una cultura processuale all’altezza di detti obiettivi, che possa cioè fecondare, ma anche arricchirsi dei valori che integrano il concetto di “giusto processo”, categoria comune ad altri sistemi processuali nei quali è d’obbligo presumere vi sia un identico anelito di giustizia, indipendentemente da esplicite opzioni di fede4. La celerità nel procedere è uno dei valori del giusto processo; ovviamente non è l’unico5. In questo orizzonte affronterò il tema delle richieste di maggior celerità dei processi matrimoniali riferendole, in primo luogo, al contesto di celebrazione del sinodo; in seguito indicherò gli aspetti di diritto sostanziale e processuale ai quali credo siano riconducibili le urgenze emerse nel corso dell’assemblea; nel terzo momento analizzerò le proposte concrete indicate nel dibattito e nei documenti; infine, presenterò una valutazione critica alla luce delle esigenze della pastorale e dei valori del giusto processo.

13 Cf. ID., Conoscenza e giudizio nella Chiesa, “apollinaris” lXXXIV (2012), 2, 510-512. 14 alle attuali esigenze di riforma del processo non sarebbe sensato rispondere senza tener conto del ruolo che ha svolto la Chiesa nella storia, specialmente quando il potere secolare si dimostrava latitante o carente nell’amministrare giustizia. È noto che il Concilio di mâcon (a. 585) sottrasse alla giurisdizione dei conti gli schiavi affrancati (can. 7), nonché le vedove e gli orfani maltrattati dai giudici (can. 12), prevedendo tribunali misti dove la carità episcopale intendeva moderare la severità degli ufficiali regi. la Chiesa estese poi la sua giurisdizione a tutti gli sventurati; cf. J. GaUDEmEt, Storia del diritto canonico. Ecclesia et Civitas, San Paolo, Cinisello balsamo, mI 1999. oggi, in materia di giurisdizione matrimoniale, rimane come sfida urgente testimoniare una giustizia animata, nel decidere e nel procedere, dagli ideali evangelici, che sia particolarmente vigile ad evitare di essere travolta dalle modalità (culturali e materiali) in cui cerca sempre di affermarsi (oggi specialmente in temi familiari e coniugali) la legge del più forte. 15 Il giusto processo include il valore della celerità ma riposa sul necessario contraddittorio tra le parti e sull’imparzialità del giudice. Il contraddittorio assicura che all’accertamento razionale dei fatti si pervenga con il contributo dei destinatari della controversia in condizioni di uguaglianza, con le rispettive garanzie sul diritto di difesa nella sua doppia dimensione: il diritto ad essere informato e ascoltato, da poter esercitare con assistenza tecnica. l’imparzialità del giudice si traduce nel rispetto obbligatorio della legalità nel decidere e nel procedere, senza compromettere il diritto al processo né i diritti processuali delle parti; detto rispetto si manifesta nell’obbligo di motivare ad normam iuris le valutazioni e decisioni, sia quelle endoprocessuali che quelle conclusive, alle quali si deve pervenire in tempi ragionevoli, ritenendole suscettibili di impugnazione presso un organismo superiore, almeno una volta. Sul punto, cf. F. ComoGlIo, Etica e tecnica del giusto processo, Giappichelli, torino 2004; a. ConFalonIERI, Europa e giusto processo. Istruzioni per l’uso, Giappichelli, torino 2010.

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Il contesto di celebrazione del recente Sinodo straordinario

1

Nel descrivere il contesto più generale nel quale si colloca la celebrazione del recente sinodo, ritengo che il tema dello snellimento dei processi obblighi a tener presente tre fattori precedenti all’apertura dell’assemblea.

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L’esortazione apostolica Evangelii gaudium

1.1

Il primo fattore è l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (in seguito EG)6. Può destare perplessità riferire le proposte emerse nel sinodo straordinario sulla famiglia a una fonte che, in realtà, è il documento post-sinodale di una precedente assemblea ordinaria, avente per oggetto una diversa e più ampia tematica: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. A mio avviso però si tratta di richiamo imprescindibile, non per dare prevalenza all’idea (forse non gratuita) secondo la quale la EG rappresenta il programma di pontificato di papa Francesco, ma soprattutto per l’oggettiva e necessaria connessione tra il tema dell’assemblea del 2012 e l’esatto inquadramento del tema della recente assemblea straordinaria, che non è stato semplicemente e genericamente il tema della famiglia ma più precisamente “le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione”. Ovviamente, nella EG non ci sono proposte dirette sullo snellimento del processo di nullità matrimoniale; ritengo però che alcuni tra i molti richiami che il Papa presenta sull’opera di evangelizzazione nell’ora attuale del mondo e della Chiesa, siano a fondamento delle proposte successivamente formulate in merito e che, a sua volta, detti richiami debbano essere criterio concreto di discernimento, sia per valutare la solidità reale che possiede ciascuna delle proposte di snellimento, sia per trovare le vie più idonee ad assicurare l’obiettivo stesso della celerità, secondo il peso importante, pur non esclusivo, che ad esso corrisponde nel servizio di amministrare la giustizia nelle cause matrimoniali7.

16 FRanCESCo, es. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), AAS CV (2013), 1019-1137. 17 la richiesta di celerità nel trattare le cause non è affatto nuova, essendo espressamente stabilita nelle norme (can. 1453) e molto spesso richiamata dal magistero, cf. bEnEDEtto XVI, Allocuzione alla Rota Romana (28 gennaio 2006), AAS IIC (2006), 135-138. Per riferimenti dottrinali utili sulla tematica cf. F. D’oStIlIo, I processi canonici. Loro giusta durata, Dehoniane, Roma 1989; C. PEña, Derecho a una justicia eclesial rápida: sugerencias de iure condendo para agilizar los procesos canónicos de nulidad matrimonial, “REDC” lXVII (2009), 169, 741-771.

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Leggere la EG in questa prospettiva, riferendola cioè ai valori che possono avere incidenza concreta sul processo riguardante questo genere di cause, sarebbe interessantissimo e appassionante, ma costituirebbe un tema autonomo che ora possiamo indicare solo in maniera estremamente sintetica. Mi limito a enunciare alcuni richiami dell’esortazione, che ritengo possano offrire le ragioni di fondo delle esigenze di snellimento dei processi. Al vertice si colloca il concetto di «Chiesa in uscita» (EG 20), che alla luce della Parola accetta di “rompere” i propri abituali schemi (EG 22), perché consapevole che alcune sue «strutture […] possono arrivare a condizionare» l’evangelizzazione (EG 26), sicché senza logiche di auto-preservazione si sente convocata a un «improrogabile rinnovamento» di tali strutture (EG 27). Ai riferiti richiami generali si aggiungono altri riconducibili in maniera più specifica allo “snellimento” delle strutture che sono al servizio della missione. Tra questi, l’esigenza di fare il possibile per raggiungere tutti «senza appesantire» (EG 43), evitando la «rigidità auto-difensiva» (EG 47) che induce a modularsi come una Chiesa «dogana» (EG 48), o come «giudici implacabili» che si «aggrappano alle proprie sicurezze» fatte consistere in un «groviglio di ossessioni e procedimenti» (EG 49). Queste indicazioni, presenti soprattutto nel primo capitolo, debbono necessariamente essere lette insieme ad altre presenti nei rimanenti quattro capitoli, dove si offrono orientamenti altrettanto utili rispetto ai valori che debbono ispirare l’agilità delle procedure, delle strutture e dei metodi di missione. Tra questi gli importanti richiami a non soccombere ai controvalori culturali del momento, tra i quali il Papa annovera proprio la «cultura del veloce» (EG 62), insieme a quella del primato della «verità soggettiva» che rende difficile il senso di appartenenza alla comunità (EG 61), con l’ulteriore rischio che la realtà «ceda il posto all’apparenza» (EG 62), come accade quando il «privato e l’intimo» (EG 64) sono considerati assoluti, ostacolando la testimonianza che la Chiesa deve offrire come «istituzione credibile» (EG 65). In tal senso si avverte che lo zelo per la missione non può ingenerare nell’operatore la “ossessione” di risolvere in fretta, cadendo in un relativismo forse non dottrinale ma pratico (EG 80), che si traduce in offerta di «controproducenti terapie» chiuse nell’immanenza (EG 170), anziché nel «risveglio di quella fiducia non intimista» (EG 173) che è capace di suscitare solo colui che affronta la missione con la pazienza di chi la in64

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tende come «arte dell’accompagnamento» (EG 169), assumendo per sé e per il destinatario il dovere di «togliersi i sandali davanti alla terra santa dell’altro» (EG 169).

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Il questionario e l’Instrumentum laboris

1.2

Un secondo elemento del contesto sinodale, meritevole di attenzione, è la preparazione immediata dell’assemblea. Come è noto, si è proceduto con una metodologia nuova, più efficace nell’assicurare la partecipazione, sostituendo gli abituali lineamenta preparati dalla segreteria generale con un questionario. Ciò ha moltiplicato il coinvolgimento delle conferenze episcopali e, per loro tramite, ha reso più facile quello dei fedeli. Delle risposte al questionario che si riferirono allo snellimento dei processi di nullità si offre informazione ufficiale nell’Instrumentum laboris (in seguito IL)8. Il primo riferimento al tema (IL 96) si fa quando si informa sulle proposte pervenute dall’Europa e dall’America del Nord. Tra queste si trova la richiesta di “snellire la procedura”, ma l’interesse immediato in questo primo cenno ha per oggetto le questioni di diritto matrimoniale sostanziale e non quello processuale. Un cenno più diretto e significativo lo rappresenta l’informazione circa una ampia richiesta di semplificazione della prassi canonica delle cause matrimoniali ma si aggiunge subito che le posizioni sono diversificate: «alcune affermano che lo snellimento non sarebbe un rimedio valido; altre, a favore dello snellimento, invitano a spiegare bene la natura del processo […] per una migliore comprensione di esso da parte dei fedeli» (IL 98). Al numero successivo (IL 99) si avverte delle proposte che sollecitano prudenza per evitare che lo snellimento si traduca in errore o ingiustizia, generando l’impressione che si abbandona l’affermazione efficace dell’indissolubilità, con la costruzione di una sorta di “divorzio cattolico” dalle devastanti conseguenze educative. In quello stesso numero si informa di proposte provenienti di America Latina, Africa e Asia, dove si indicano come vie per rendere più agili le procedure l’incremento di persone qualificate e di strut18 Cf. SInoDo DEI VESCoVI, III aSSEmblEa GEnERalE StRaoRDInaRIa, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Instrumentum laboris, lEV, Città del Vaticano 2014.

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ture organizzate nelle istanze locali. L’esigenza di formazione degli agenti pastorali sul tema si ripete più tardi (IL 101), avvertendo che si tratta di richiesta generalizzata per aiutare i fedeli; si deve quindi desumere che, in tali richieste, si ritiene che dall’aiuto prestato ai fedeli dipendano anche le possibilità di snellimento del processo. In altre risposte al questionario ci furono proposte (di cui si informa in IL 100) nelle quali “snellire” significa invece semplificazione e rapidità, aumento dell’autorità del vescovo e delle possibilità di intervento dei giudici laici9, soppressione dell’obbligo di due decisioni conformi quando non c’é appello (imponendo però l’obbligo di appellare in certi casi al difensore del vincolo10), decentralizzazione della terza istanza11 e, come proposta presente in ogni area geografica, l’impostazione più pastorale dei tribunali. In seguito (IL 102) vengono indicate due di tali esigenze pastorali: l’inserimento del servizio dei tribunali nella pastorale familiare e l’informazione ai fedeli sul significato del processo (in linea con quanto si era già detto prima, IL 98). Menzione a parte merita l’unico numero (IL 100) nel quale si prospetta la possibilità di disegnare una via non giudiziale, ma “amministrativa”; curiosamente, a detta proposta si unisce quella di procedere «in alcuni casi» (si dice) alla «verifica della coscienza delle persone interessate», nonché la domanda

19 In proposito, non è mancato qualche padre sinodale che, negli interventi liberi, si è espresso come se ancora oggi fosse precluso ai laici, uomini e donne, l’affidamento dell’ufficio di giudice. È noto che la preclusione dipenderebbe solo dall’eventuale inerzia o posizione negativa sul punto della singola conferenza episcopale e non dalla legge universale (can. 1421). 10 È utile segnalare l’inconsistenza e intrinseca incoerenza della proposta che intende “compensare” l’eventuale soppressione dell’esigenza legale di ottenere due decisioni affermative imponendo l’obbligo di appello al difensore del vincolo “in certi casi”. l’incoerenza più vistosa, riscontrabile anche dagli occhi di un profano, è che la soppressione della doppia conforme, nei riferiti “certi casi” in cui si obbligherebbe ex lege al difensore del vincolo ad appellare, rimarrebbe un flatus vocis. l’inconsistenza più sostanziale però è che il difensore del vincolo è già oggi obbligato ad appellare, non in “certi casi” stabiliti a priori, ma in tutti i casi in cui la decisione affermativa non risulti, a suo parere, sufficientemente fondata. Incoerenza e inconsistenza fanno poi a gara nell’ipotesi prospettata, se si pensa al progresso che ha rappresentato la soppressione, nei codici del concilio, dell’obbligo di appellare ex officio dopo la prima sentenza affermativa che gravava sul difensore del vincolo, in chiaro contrasto con l’obbligo di agire pro rei veritate, richiamato (come è noto) dal magistero, sin da Pio XII. 11 Di questa proposta non si è fatto più cenno durante l’assemblea sinodale, per cui non ci sono tracce di essa nei vari documenti. Per uno studio valido sul punto, cf. J.l. mEnDEZ Rayon, Normativa procesal y tercera instancia, “REDC” lII (1995), 139, 593-655.

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circa eventuali altri strumenti pastorali, da affidare solo a presbiteri, per accertare la nullità.

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L’istituzione di una nuova commissione per la riforma del processo

1.3

L’ultimo fatto degno di nota è l’istituzione di una nuova commissione per riformare il processo matrimoniale, qualche settimana prima dell’apertura dell’assemblea sinodale; per interpretare questo fatto non ci sono dati di significato univoco, sicché sarebbe azzardato proporre una chiave di lettura sicura. È quindi d’obbligo limitarsi a formulare ipotesi: evitare che del tema si dovesse occupare in eccesso l’assemblea, trattandosi di una questione tecnica e tutto sommato minuscola dentro i grandi temi che riguardano la famiglia; o al contrario, suscitare nei padri sinodali l’esigenza specifica di consigliare il Papa sulle linee di fondo alle quali si dovesse poi attenere la commissione, creata ma non operativa fino alla conclusione del sinodo; oppure, evitare che la diversità di posizioni riferite nell’IL portasse a ritenere prematura l’idea di studiare a fondo le possibilità di snellimento del processo; o ancora, che la riferita diversità di idee fosse premessa per favorire l’idea di consentire norme processuali diversificate, abbandonando quindi l’attuale impianto della centralizzazione normativa in materia; istituendo la commissione per riformare le norme processuali, si potrebbe pensare che il Papa volesse inviare un segnale di significato opposto all’idea di diversificare la procedura secondo le variegate esigenze dei luoghi. In ogni caso, come fatto più sicuro, si deve avvertire che nell’annunciare la creazione di questa nuova commissione per la riforma del processo, degli obiettivi di snellimento e celerità si fece espressa menzione ufficiale. Non è mio disguido aggiungere il qualificativo “nuova” quando mi riferisco alla commissione creata nel settembre scorso. Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, per mandato di papa Benedetto XVI, aveva istituito una commissione di studio sul processo matrimoniale con identici obiettivi di celerità e snellimento, anche se erano trascorsi appena tre anni dalla promulgazione della Dignitas connubii; i lavori della commissione erano molto avanzati ma furono interrotti in attesa delle conclusioni di altre commissioni create per studiare altre parti del codice. La commissione creata da Francesco è quindi nuova; che fosse in sostituzione della commissione precedente, o in aggiunta ad essa, dipendeva I U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 6

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dal Santo Padre, ma prima del sinodo non ci furono notizie ufficiali né ufficiose in proposito. 2

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Aspetti di diritto sostanziale e processuali richiamati nell’assemblea

Entro già nel secondo punto della riflessione, dove indicherò gli aspetti generali di diritto sostanziale e processuale ai quali ritengo siano riconducibili le urgenze espresse durante la celebrazione dell’assemblea. Poiché la maggior parte dei padri sinodali non possedeva preparazione canonica, né in diritto matrimoniale, e ancor di meno in diritto processuale, può sembrare una forzatura la lettura dei loro interventi che ora presento, ma ritengo di non tradire le esigenze emerse in essi per il fatto di esprimerle in termini giuridici e raggrupparle in quattro aspetti, due di diritto sostanziale e due di diritto processuale. 2.1

La questione della dignità sacramentale

Dei due elementi di diritto sostanziale uno era formulato nell’IL, e lo era in maniera giuridicamente corretta. Mi riferisco al tema della relazione tra fede e sacramento, sul quale il testo (IL 96) rimanda all’ultimo discorso di Benedetto XVI alla Rota Romana12. Il problema era emerso nel Sinodo del 1980, riferendolo al matrimonio dei battezzati senza fede. È noto che la riflessione si tradusse in proposizione formulata espressamente perché fosse presa in considerazione nell’imminente nuova legislazione canonica13. È anche noto che il nuovo codice non la accolse anche perché nel frattempo, la Familiaris consortio riprese la dottrina sull’inseparabilità tra fede e sacramento14. Non intendo entrare in questa tematica specifica, teoricamente complessa15, ma 12 Cf. bEnEDEtto XVI, Allocuzione alla Rota Romana (26 gennaio 2013), AAS CV (2013 ), 135-138. 13 Si trattava della propositio 12, specialmente al n. 5; cf. SynoDUS EPISCoPoRUm, Propositiones post disceptationem de muneribus familiae christianae in mundo hodierno (24 ottobre 1980), EV 7/714-718. 14 al n. 68 della citata esortazione Giovanni Paolo II afferma che «i fidanzati, in forza del loro battesimo […] almeno implicitamente acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio», aggiungendo in seguito una menzione ai «gravi rischi» che comporterebbe l’idea di stabilire ulteriori requisiti «che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi». 15 Per una recente riflessione sulle principali dimensioni del problema, cf. aSSoCIaZIonE tEoloGICa ItalIana, Sacramento del matrimonio e teologia. Un percorso interdisciplinare, Glossa, milano 2014.

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sulla quale l’attività processuale e altri servizi pastorali ci offrono motivi di lettura più realistici. Interessa solo segnalare che gli interventi nel recente sinodo su questo punto non hanno posto la questione in modo diretto nei termini in cui la si pone nel testo dell’IL (il rapporto tra fede e sacramento). I padri sinodali si sono chiesti piuttosto se si possa continuare a presumere che il solo fatto di chiedere il sacramento sia sempre segno di possedere una fede capace di garantire che l’intenzione coniugale, celebrando il matrimonio, sia quella di fare ciò che fa la Chiesa16. Nel porre il problema i padri hanno richiamato l’incidenza della cultura secolarizzata nell’intenzione dei coniugi. Sembra un anticipo di quanto, riferendosi al peso di altri elementi culturali, ha poi detto chiaramente papa Francesco nel recente discorso alla Rota, avvertendo che i condizionamenti culturali oggi rendono meno eccezionali i casi di intenzione coniugali oggettivamente insufficiente17. Il bonum coniugum e la qualità della relazione affettiva

2.2

Il secondo grande aspetto di diritto sostanziale al quale ricondurre molti degli interventi “non tecnici” dei padri sinodali è la questione del bonum coniugum, sulla quale sono stati segnalati interessanti elementi che permetterebbero di formulare in termini giuridici più coraggiosi il suo contenuto, insieme al concetto di bonum familiae18. Sul punto non ci sono indicazioni giuridiche dirette nell’instrumentum laboris. Nella Relatio ante disceptationem (in seguito RAD) c’erano certi

16 al n. 2 della citata propositio 12 del sinodo del 1980 si riconosceva che «la stessa richiesta di matrimonio è un segno sufficiente di questa fede» ma già allora si avvertiva la necessità che i nubendi manifestassero «segni più validi di una fede personale», in quanto in tante parti del mondo la celebrazione è più un fatto sociale che religioso. 17 Cf. FRanCESCo, Allocuzione alla Rota Romana (23 gennaio 2015), “l’osservatore Romano” del 24 gennaio 2015. 18 Sui contenuti giuridici del bonum coniugum, cf. m. RIonDIno, Bonum coniugum e giuridicità nel matrimonio canonico, “Il diritto di famiglia e delle persone” XXXVIII (2009), 4, 2048-2091; per una disamina critica di recenti sentenze rotali in materia, cf. C. IZZI, Il bonum coniugum nel matrimonio canonico tra incapacità consensuale e riserva invalidante, in http://www.diocesi.torino.it/diocesitorino/allegati/47122/08%20-%20Prolusione%20prof.ssa%20izzi.pdf. accessed: 2015-04-14. (archived by webCite® at http://www.webcitation.org/6XmnZqdzb); sul concetto di bonum familiae, S. REnna, La rilevanza giuridica da attribuire al “Bonum Familiae” nella disciplina del matrimonio canonico, lUP, Città del Vaticano 2008; sull’urgenza di prendere in maggiore considerazione il favor familiae nell’istruzione delle cause di nullità, per evitare l’eccessiva enfatizzazione del matrimonio in fieri, cf. m.J. aRRoba ConDE, Prova e difesa nel processo di nullità del matrimonio canonico. Temi controversi, Eupress Ftl, lugano 2008, 72-74.

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passaggi giuridicamente rispondenti ancora allo schema dei soli tria bona agostiniani19. Entrambi i documenti però trattavano indirettamente la questione del bonum coniugum e della relazione interpersonale, in concreto nei passaggi in cui venivano annoverate le «situazioni critiche interne alla famiglia» (IL 64-69; RAD 2, lettera “e”). Il punto più degno di nota, per le sue potenziali conseguenze giuridiche è che, negli interventi dei padri sinodali sulla crisi della famiglia, una conclusione chiara è l’acuita esigenza di qualità nella relazione affettiva e familiare come condizione per assumere o mantenere sul punto gli impegni giuridici. I motivi di crisi sono variegati, così come le espressioni culturali che impediscono o favoriscono la qualità relazionale; ma l’esigenza di qualità in sé è un dato acquisito, da ritenere effetto positivo della crisi. L’urgenza che discende dalle preoccupazioni espresse nel sinodo sul punto ritengo sia soprattutto quella di combattere l’idea di rassegnarsi ad interpretare molte situazioni di carenza di qualità relazionale come mero fallimento; se ciò accade, non è solo per scarsa formazione degli operatori pastorali; bisogna riconoscere anche la lentezza degli operatori del diritto nel compiere un approccio giuridico convincente sul punto; non a caso Benedetto XVI, sempre nel suo ultimo discorso alla Rota, lo avvertì e sollecitò maggiore impegno per superare questa carenza20. 2.3

Le convinzioni di coscienza dei fedeli

Il primo dei due aspetti di diritto processuale lo formulo come esigenza di dare rilievo alle convinzioni di coscienza dei fedeli. Mi sono già riferito alle proposte previe all’assemblea (di cui informa IL 101) dove la questione si formula come “verifica” da fare “in certi casi”, facendo intendere (per il fatto di collocare il tema nello stesso numero) che tale verifica sarebbe l’oggetto della “via amministrativa”. Alla verifica delle convinzioni presenti nelle persone coinvolte si unisce l’idea di evitare vie processuali che riaprano ferite dolorose sul passato, circostanza sulla quale molte persone manifestano difficoltà (in tal senso si esprime IL 99).

19 Cf. RaD 1 (il Vangelo della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione), lettera “b” (solidità e chiarezza nei percorsi formativi). 20 Cf. bEnEDEtto XVI, Allocuzione alla Rota Romana (26 gennaio 2013), AAS CV (2013), 138.

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Per gli esperti è chiaro che la verifica delle convinzioni attuali dei fedeli è tecnicamente riconducibile al valore che possiedono le dichiarazioni delle parti nell’accertare la nullità. Si tratta di uno tra i temi sui quali i codici del post-concilio hanno apportato le novità legislative più rilevanti21. Nella RAD il tema si formula con chiarezza, senza unirlo a vie processuali concrete, perché anche nella via giudiziale le dichiarazioni delle parti (e non unicamente le loro confessioni contra se) hanno valore di prova; e lo hanno non solo in alcuni casi ma sempre; anzi, sono il primo tra i mezzi di prova elencati nel codice e potrebbero avere il valore di prova piena se sostenute da altri elementi di verifica indiretti. Nella citata relazione si limitava il possibile valore di prova piena della dichiarazione delle parti ad alcuni motivi di nullità22; ciò costituisce un limite privo di reale fondamento nella legge, per cui questo errore fu poi abbandonato nei successivi testi; ma detto abbandono non evitò che alcuni padri, forse esperti in teologia sacramentale e morale, ma meno esperti in diritto, abbiano ancora riproposto la superata questione sulla nullità riconoscibile solo nel foro interno23. Anche sul punto mi sembra onesto indicare, come con-causa della disinformazione dei pastori, la lentezza degli operatori del diritto nell’applicare le nuove norme sul valore delle dichiarazioni delle parti24. La valorizzazione del ruolo dei vescovi

2.4

L’ultima questione di diritto processuale alla quale ricondurre gran parte delle urgenze emerse credo che si possa formulare come desiderio di valorizzare il ruolo dei vescovi nell’attività processuale, in forza della loro condizione quali

21 Cf. m.J. aRRoba ConDE, Le dichiarazioni delle parti nelle cause di nullità matrimoniale, in J.E. VIlla – C. GnaZI, Matrimonium et Ius. Studi in onore del Prof. S. Villeggiante, lEV, Città del Vaticano 2006, 219-255. 22 Il n. 3 (le situazioni pastorali difficili), lettera “e” (la prassi canonica delle cause matrimoniali e la via extra-giudiziale) della RaD faceva riferimento ai casi di esclusione dell’indissolubilità. 23 Sulle riferite proposte previe alla promulgazione del CIC e sul rispettivo superamento con le nuove norme sulla dichiarazione delle parti, cf. m.J. aRRoba ConDE, La dichiarazione delle parti come valorizzazione della dimensione personalista del processo matrimoniale canonico, “apollinaris” lXXX (2007), 3-4, 687-712. 24 Cf. a. RIPa, La novità mancata. Il valore probativo delle dichiarazioni delle parti dal Codice del 1983 alla “Dignitas connubii”. Il contributo della giurisprudenza rotale, lUP, Città del Vaticano 2010.

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giudici propri. Non si tratta ovviamente di rivendicare quanto l’ordinamento vigente già stabilisce: che possano cioè decidere di riservare a sé le cause che ritengano opportuno25; detta riserva non esonera però il vescovo dal seguire le norme processuali universali stabilite. A differenza dei tre aspetti precedenti, non è facile ricondurre ad un’unica questione tecnica le proposte emerse sulla valorizzazione del ruolo dei vescovi, formulata nelle risposte al questionario in termini di concessione di «maggior autorità al vescovo locale» (IL 100). Tra le questioni che costituirebbero concessioni al vescovo locale che esulano dalle leggi vigenti si annoverano, oltre alle riferite indicazioni sulla procedura amministrativa e le soluzioni di foro interno, la delega della potestas clavium del Pontefice in loro favore26, la possibilità di permettere al loro tribunale di seguire in certi casi una procedura giudiziale extraordinaria, e altre di minor entità negli interventi ma con possibile rilevanza per l’obiettivo di rendere più agile l’attività processuale: la questione dei giudici laici e del giudice unico. Altri elementi vincolati alla valorizzazione del ruolo del vescovo non esulano dalla legge vigente, come la creazione di uffici di informazione e le questioni di natura economica27. Proposte concrete emerse nel dibattito e nei documenti

3

Con ciò passo a segnalare le proposte concrete, direttamente o indirettamente vincolate alla questione dello snellimento dei processi. Proprio perché si tratta di proposte concrete avverto che, come tali, sono state oggetto solo di interventi puntuali nell’aula; non di tutte faceva menzione la Relatio post disceptationem (in seguito RDD) discussa nei circoli minori; sicuramente nei modi proposti dai circoli sono state riprese alcune di tali proposte, in quanto sono state successivamente inserite nel testo finale della Relatio Synodi.

25 Cf. CIC can. 1419; Dignitas connubii, art. 22. 26 nel testo della RaD (n. 3, lettera “e”) non si parlava della delega ma si diceva soltanto che «per risolvere certi casi esiste la possibilità di applicare il privilegio paolino o ricorrere al privilegio petrino» nonché di provvedere allo «scioglimento per grazia del matrimonio rato e non consumato». 27 agli uffici di informazione e consultazione nei singoli tribunali si riferisce l’art. 113 della Dignitas connubii. Sulle competenze del vescovo circa le questioni economiche provvede il CIC can. 1649.

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La potestas clavium: sviluppi dell’oggetto e possibile delega

S T U D I

3.1

Tra le proposte emerse in aula e nei circoli di cui non si fa menzione nel testo finale si trova la questione dell’eventuale estensione della potestas clavium del Romano Pontefice. Un primo profilo di estensione sarebbe, come detto, il suo possibile esercizio delegato da parte dei vescovi; al riguardo ci furono pochi interventi, sia a favore che contro la possibilità di delegare28.

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Il secondo profilo riguarda lo sviluppo del suo oggetto, sia approfondendo la questione del modo humano come qualità imprescindibile del concetto di consumazione29, sia allargando ancora l’interpretazione del favor fidei30. La procedura amministrativa

3.2

Circa la procedura amministrativa vi è stato un unico intervento in aula, contrastato direttamente da altri due nella stessa sessione; non c’erano cenni a tale procedura nelle relazioni dei circoli minori; la proposta è rimasta nella relazione finale, probabilmente perché era indicata nell’instrumentum laboris e ripetuta ancora nelle relazioni ante e post disceptationem31. Nel riferito intervento, penso che in linea con le disposizioni del can. 50 sul modo del tutto discrezionale di procedere nelle decisioni amministrative32, non fu28 Sul tipo di potestà pontificia coinvolto in questo genere di decisioni, cf. R.l. bURkE, Il processo di dispensa del matrimonio rato e non consumato: la grazia pontificia e la sua natura, in aRCISoDalIZIo DElla CURIa Romana (ed.), I procedimenti speciali nel diritto canonico, lEV, Città del Vaticano 1992, 107-156. 29 Sul punto raccomando lo studio di m. GallUCCIo, Humano modo: Le alterazioni del rapporto coniugale nel matrimonio canonico, lUP, Città del Vaticano 2012. sullo sviluppo che è lecito attendersi in materia dopo il trasferimento delle competenze sulle dispense per mancata consumazione ad una commissione presso la Rota Romana, cf. m. naCCI, Le novità del motu proprio “Quaerit Semper” e gli insegnamenti della storia sulla missione della Rota Romana, “apollinaris” lXXXIV (2011), 2, 563-580. 30 Cf. l. SabbaRESE, Lo scioglimento dei matrimoni non sacramentali in favorem fidei, Urbaniana University Press, Città del Vaticano, Roma 2005; C. PEña, La disolución pontificia del matrimonio in favorem fidei: cuestiones sustantivas y procesales, “Estudios eclesiásticos” lXXXI (2006), 319, 699-723. 31 nella RaD (n. 3 lettera “e”) si accennava a questa proposta qualificandola come via extragiudiziale; nella RDD si torna alla denominazione “via amministrativa” (n. 44). 32 Cf. m.J. aRRoba ConDE, Apertura verso il processo amministrativo di nullità matrimoniale e diritto di difesa delle parti, “apollinaris” lXXV (2002), 3-4, 745-777; ID., Verità e relazione processuale nell’ordinamento canonico: sfide circa il metodo extragiudiziale, in G. Dalla toRRE – C. mIRabEllI (edd.),

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rono riferiti dettagli sulla procedura concreta da seguire, limitandosi ad assicurare che la via amministrativa sarebbe dichiarativa e non costitutiva, che la decisione spetterebbe al Vescovo o a un suo delegato ascoltando il difensore del vincolo e che contro la decisione si dovrebbe poter appellare, avvertendo però la necessità di maturare ancora come e dove.

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La previsione di una procedura giudiziale straordinaria

3.3

La proposta di prevedere una procedura giudiziale straordinaria è del tutto nuova rispetto a quelle indicate nell’IL, ma l’idea è stata formulata come una traduzione concreta delle proposte di accrescere la dimensione pastorale delle cause, di snellirle in quanto possibile e di valorizzare il ruolo del vescovo, pur trattandosi di un’idea presentata in netta opposizione alla proposta di una via amministrativa da affidare al vescovo stesso. Il proponente si riferì alle differenze sostanziali tra via amministrativa e via giudiziale, ricordando l’esistenza di tre procedure giudiziali per dichiarare la nullità: quella ordinaria, quella breve in secondo grado dopo una sentenza affermativa e quella documentale nei casi di nullità per impedimento o difetto di forma. La Lex propria della Segnatura permette al dicastero, con decreto conclusivo del Prefetto, di dichiarare la nullità, indipendentemente dai motivi, se i dati esistenti mostrano che non è necessario aprire ulteriori indagini33. La proposta di una via giudiziale extraordinaria intende attribuire ai tribunali locali una possibilità analoga, con previo permesso del vescovo, debitamente consigliato dal promotore di giustizia. Poiché la decisione sarebbe del tribunale e non del vescovo, il proponente propose una procedura concreta, obbligatoria in tali casi, disegnata sul modello della procedura documentale, da concludersi sempre con decisioni pro nullitate o con remissione alla via giudiziale ordinaria. La proposta fu raccolta nella RDD, discussa quindi nei circoli, e mantenuta nella relazione finale. Verità e metodo in giurisprudenza. Scritti dedicati al cardinale Agostino Vallini in occasione del 25° anniversario della consacrazione episcopale, lEV, Città del Vaticano 2014, 23-50. 33 Si tratta dell’art. 118 della citata Lex propria della Segnatura; sul punto cf. m.J. aRRoba ConDE, La procedura extragiudiziale per la dichiarazione di nullità del matrimonio, in GRUPPo ItalIano DI DoCEntI DI DIRItto CanonICo (ed.), Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. IV, Prassi amministrativa e procedure speciali, lUP, Città del Vaticano 2014, 171-185.

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L’abolizione dell’obbligo di ottenere due decisioni conformi affermative

3.4

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Non ricordo molti interventi in aula sull’abolizione dell’obbligo della doppia decisione conforme affermativa. Il tema era stato comunque indicato tra le proposte emerse nelle risposte al questionario che servì da base per preparare l’IL. Ricordo invece un intervento contrario, non in linea di principio, ma piuttosto in forza della possibile poca preparazione degli operatori dei tribunali, nei cui confronti ancora è frequente dover chiedere alla Segnatura la dispensa dei titoli accademici. Detta situazione induce a ritenere più prudente la norma attuale, non già perché ci siano motivi oggettivi per considerare i tribunali di appello più preparati di quelli di prima istanza, ma perché è ovvio che quattro occhi vedono più di due; nel riferito intervento si diceva anche che il processo breve di secondo grado non comporta ragioni oggettive per provocare ritardi34. Proposte su altri aspetti specifici

3.5

Concludo enunciando tre questioni più specifiche, alcune delle quali raccolte nella relazione finale, e che possono avere come effetto (almeno indiretto) lo snellimento delle procedure, nel senso di moltiplicare le risorse disponibili. Tra quelle non indicate nella Relatio Synodi, la più significativa mi sembra la possibilità di affidare le cause al giudice unico anziché a un collegio di tre; la questione è unita alla valorizzazione del ruolo del vescovo, potendosi ritenere più adeguato far dipendere tale eventualità dal singolo vescovo e non dalla conferenza episcopale (come oggi prevede la legge). Non mancano ragioni per valutare se tale scelta possa essere adeguata almeno in primo grado, mantenendo la collegialità nell’eventuale giudizio di seconda istanza35.

34 Sul senso reale del giudizio in grado di appello delle cause matrimoniali decise affermativamente in prima istanza, cf. m.J. aRRoba ConDE, Verità e principio della doppia sentenza conforme in aa.VV., Verità e definitività della sentenza canonica, lEV, Città del Vaticano 1997, 59-77. 35 Su questa e altre proposte di snellimento dei processi, cf. m. J. aRRoba ConDE, Servizio alla persona e tecnica giudiziale nel diritto canonico, in G. bonI – E. CamaSSa – P. CaVana – P. lIllo – V. tURChI (edd.), Recte Sapere. Studi in onore di Giuseppe Dalla Torre, vol. I, Giappicchelli, torino 2014, 36.

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Si è ugualmente parlato in aula del maggior coinvolgimento e incremento dei giudici laici, sia aumentando la presenza in un collegio, sia anche esercitando la funzione di giudice unico, ritenendo che non ci sono vincoli sostanziali tra potestà giudiziale vicaria e potestà di ordine36. La valorizzazione del laicato era presente tra le proposte previe all’assemblea (IL 100), ma fu mortificata inutilmente nella relazione dopo il dibattito, con testi affetti da inutile clericalismo, dove si affidava persino la consulenza previa solo a sacerdoti37. Nella relazione finale, grazie al lavoro dei circoli minori, si è evitata tale deriva, stabilendo che tale servizio si affidi a «consulenti preparati», ribadendo (al n. 49) l’obbligo che incombe sui vescovi di «preparare sufficienti operatori, chierici e laici, con dedizione prioritaria». Concludo con un’ultima questione non presente nelle proposte previe all’assemblea e che non fu oggetto specifico di interventi in aula dei padri sinodali. Mi riferisco alla questione economica, formulata al n. 49 della relazione finale in termini di gratuità rispetto del servizio di consulenza, mentre rispetto ai costi del processo, il n. 48 di detta relazione si esprime in termini di «possibile gratuità». Nelle proposte previe all’assemblea si parlava soltanto di «riduzione del costo economico del processo» (IL 100). Nelle relazioni dei circoli minori non vi è traccia alcuna del tema, pur possibilmente trattato nelle discussioni. In ogni caso, di gratuità si è sentito parlare in aula solo nella lettura della relazione successiva al dibattito. La gratuità della consultazione previa e la possibile gratuità del processo (che sarebbe pensabile solo in rapporto ai costi del tribunale) non hanno relazione con lo snellimento della procedura, semmai con l’incremento delle richieste di accesso a questo servizio; a tali richieste bisogna rispondere con personale sufficiente, per evitare che l’ideale dell’assoluta gratuità finisca per rallentare e ingolfare l’attività. Snellimento e celerità, anziché con la gratuità, appaiono molto più legati all’esistenza di ministri con dedizione prioritaria, nonché di difensori preparati e deontologicamente corretti per assistere tutte le persone, assumendo

36 a mio avviso questa tesi risulta ulteriormente rafforzata dalle modifiche apportate al CIC can. 1009 circa la potestà del diacono, cf. bEnEDEtto XVI, m.p. Omnium in mentem (26 ottobre 2009), AAS CII (2010), 8-10. 37 RDD 44.

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(come prevedono la maggior parte dei regolamenti dei tribunali) il patrocinio anche di ufficio in favore di chi ne abbia oggettivo bisogno38.

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Valutazioni derivanti dalle esigenze pastorali e dal giusto processo

4

L’ultima segnalazione mi permette già di passare alla valutazione critica, non tanto delle singole proposte, quanto piuttosto della questione della celerità e dello snellimento in sé. Cerco di farlo mettendo al primo posto la finalità pastorale dei processi, tenendo presenti gli avvertimenti sull’attività pastorale in generale fatti da Papa Francesco nella Evangelii gaudium. Alcuni di essi accrescono la mia convinzione sul fatto che alla finalità pastorale dei processi non solo non siano di ostacolo i valori inclusi nel concetto comune di “giusto processo” ma che possano risultare, se rettamente intesi, il miglior alleato degli obiettivi pastorali autentici. Non a caso, dalla costante dottrina del magistero emerge l’impossibilità di contrapporre finalità pastorale e tecnica processuale39. L’insegnamento dei Pontefici è unanime, al punto di dover chiedersi se le carenze della prassi attuale sulla dimensione pastorale della giustizia ecclesiastica non siano dovute soprattutto a gravi carenze tecniche. Tuttavia, oltre all’imprescindibile preparazione tecnica, il tema della finalità pastorale dell’attività giudiziale sarebbe trattato in maniera insufficiente se non inserito nel contesto di una più ampia pastorale giudiziale, che parta dalla valorizzazione del ruolo del vescovo dal quale credo sia lecito attendersi, non un maggior utilizzo della facoltà di riservare a sé le cause, ma piuttosto una provvisione più accurata e articolata degli uffici, con iniziative adeguate per preparare meglio la causa. Ritengo inoltre auspicabile che le norme possano favorire maggiore coinvolgimento del vescovo, sia rispetto all’impostazione del processo, sia rispetto alla conclusione del medesimo. 38 Per uno studio approfondito del tema dei costi del processo e degli onorari dei patroni, cf. G. mIolI, La remunerazione degli avvocati nei giudizi di nullità matrimoniale, lUP, Città del Vaticano 2009. Si deve tener presente che la Segnatura apostolica, nella sua funzione di vigilanza circa la retta amministrazione della giustizia, non manca di richiamare spesso alcuni tribunali per la totale assenza di avvocati nelle cause da essi trattate. Come detto in precedenza (cf. nota 5), la possibilità di assistenza tecnica è elemento imprescindibile del concetto comune di “giusto processo”. 39 Sul punto, cf. m.J. aRRoba ConDE, La Competenza di grazia in materia giudiziaria, in aa.VV., La Lex Propria del S.T. della Segnatura Apostolica, lEV, Città del Vaticano 2010, 315-335.

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La provvisione degli uffici e la preparazione della causa

4.1

Provvedere agli uffici previsti per amministrare giustizia in maniera adeguata richiede che il vescovo promuova la preparazione qualificata di sufficienti operatori e che garantisca la dedizione. In una pastorale giudiziale efficace non basta però provvedere agli uffici per amministrare giustizia, rispetto ai quali si proibisce ai vescovi di creare uffici non previsti40. Non ci sono invece limiti normativi per costituire gli uffici e i servizi necessari per superare l’attuale grave disinformazione sul significato della revisione ecclesiale della validità del matrimonio e del relativo processo, aiutando a intenderlo come una prassi di sincero cammino di discernimento, preparando ad esso in modo idoneo, per evitare di affrontarlo allo stile dei «portatori di verità solo soggettive», stile espressamente criticato da papa Francesco (EG 61). La preparazione della causa è debolmente trattata nelle norme vigenti, che si limitano a prevedere, per altro in termini facoltativi, l’istituzione del patrono pubblico, al quale affidare la consulenza previa in vista di una successiva assistenza gratuita nel processo41. Le urgenze attuali esigono un’organizzazione più accurata, collegata con la pastorale familiare e con le parrocchie, non volta solo ad introdurre cause, ma comprendente una saggia attività di mediazione, nella quale coinvolgere, in vario modo (per es. con norme deontologiche adeguate), tutti gli esperti ammessi al patrocinio canonico42. All’ufficio di mediazione, oltre alla prevenzione e soluzione della crisi, se possibili, possono affidarsi le informazioni perché, in merito alla nullità, le persone superino le tentazioni di chiudersi nelle proprie idee e di rifuggire dal dovuto approfondimento dei problemi vissuti, incoraggiando ad assumere la sana sofferenza che ciò comporta. Ciò esige di informarle efficacemente sulla differenza tra nullità giuridica e inesistenza di fatto del matrimonio putativo, così come sulla natura dichiarativa delle cause, in modo da evitare impostazioni incentrate sulle colpe di ogni coniuge nel fallimento. Dal funzionamento adeguato di questo ser40 Cf. Dignitas connubii, art. 37. 41 Cf. J. oChoa, La figura canónica del procurador y abogado público, in Z. GRoCholEwSkI – V. CaRCEl oRtí (edd.), Dilexit iustitiam, lEV, Città del Vaticano 1984, 249-284. 42 Cf. m. RIonDIno, La mediazione come decisione condivisa, “apollinaris” lXXXIV (2011), 2, 607-631.

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vizio, che può includere i contatti necessari con entrambi i coniugi, può dipendere il superamento delle reticenze con cui tanti tribunali reagiscono di fronte all’ammissione di domande di nullità presentate congiuntamente, vanificando così quanto permesso dalle norme43. Questo ingiusto ostacolo rivela il rapporto tra la permanenza di pregiudizi inadeguati, dal punto di vista pastorale, e la mancanza di preparazione tecnica, soprattutto sugli aspetti su cui i codici, in quanto codici del concilio, si sono fatti eco della sua dottrina sulla centralità della persona. Mi riferisco al valore delle dichiarazioni delle parti e della prova peritale che, insieme ai temi della dignità sacramentale e della comprensione giuridica del bonum coniugum, esigono impegno del vescovo nel rinnovare il personale e vegliare per il suo costante aggiornamento, provvedendo così alle necessità reali della sua Chiesa locale. Perciò non sembra utile che dipendano dalle Conferenze episcopali, anziché dal vescovo, alcune scelte rilevanti e connesse con le garanzie di un autentico senso pastorale nell’amministrazione della giustizia, come l’affidamento dell’ufficio di giudici a laici specializzati, spesso più qualificati e pronti alla dedizione prioritaria di quanto sia ragionevole aspettarsi che possano esserlo i chierici in alcune diocesi. Un’altra scelta da affidare al vescovo, anziché alla Conferenza episcopale, dovrebbe essere il giudizio sulla necessità di trattare le cause con un giudice unico, di modo che il criterio di necessità risponda ai reali bisogni della diocesi, coniugando con equilibrio le risorse disponibili e il numero di cause da trattare. Lo sviluppo della causa e l’impostazione del processo

4.2

Un secondo aspetto della pastorale giudiziale riguarda lo sviluppo della causa alla cui impostazione adeguata, secondo le caratteristiche del singolo caso, può giovare un maggior coinvolgimento del vescovo. Rispetto all’impostazione del procedimento, oltre a gettare molte ombre sul rispetto dei valori del giusto processo e dell’autentica prassi cristiana del discerni43 Cf. P. bUSEllI, Il litisconsorzio nel Processo di nullità matrimoniale e la responsabilità del Patrono, in P. GhERRI (ed.), Responsabilità ecclesiale, corresponsabilità e rappresentanza. atti della Giornata Canonistica Interdisciplinare, lUP, Città del Vaticano 2010, 291-346.

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mento, non ritengo rispondenti alle finalità pastorali le ragioni solitamente addotte per escogitare un’ipotetica via amministrativa44. Sulla validità del matrimonio la Chiesa sa di possedere potestà dichiarativa e non costitutiva. Ciò implica che i suoi provvedimenti per dichiarare la nullità di un matrimonio non possano contraddire l’esigenza di assoluta fedeltà alla legge divina circa la verità del patto coniugale come alleanza irrevocabile. Come ogni altra decisione caratterizzata da stretta fedeltà e legalità rispetto alla quaestio iuris, quelle che dichiarano la nullità del matrimonio hanno come presupposto la certezza morale sulla quaestio facti. Tale tipo di decisione richiede che, nell’accertare i fatti, l’autorità si avvalga di procedure in grado di fornire i dati necessari e di acquisire questi con modalità che limitino il più possibile i rischi di pervenire a una ricostruzione che non corrisponda alla realtà45. Per trattare di fatti immersi in esperienze interpersonali fallimentari, procedure adeguate sono quelle che garantiscono l’intervento dei coniugi, permettendo di riferire la rispettiva versione sul fatto generativo della nullità. Ciò evita il rischio indicato da Papa Francesco, di soccombere nell’attività pastorale e nell’evangelizzazione a un intimismo che sostituisce la realtà con l’apparenza (EV 62). La partecipazione tempestiva dei coniugi e l’annessa facoltà di produrre le prove e le allegazioni che avvalorino la propria versione sui fatti addotti sono gli elementi costitutivi dei procedimenti di natura giudiziale, fondati nel diritto di difesa, nella sua doppia dimensione quale diritto ad essere informati e ad essere ascoltati, da esercitare entrambi ad normam iuris. La stretta legalità incide nell’esercizio dell’autorità, non solo rispetto alla decisione ma anche rispetto a tali presupposti, dovendo procedere all’accertamento dei fatti e alla raccolta delle informazioni modo iure praescripto46. In nessuna delle tre procedure giudiziali previste dai codici, così come in quella che segue la Segnatura nei riferiti casi eccezionali, può venire meno l’esigenza di stretta legalità sulla quaestio iuris e di certezza morale sulla quaestio facti, pur essen44 Spesso si ritiene che questa via, per l’assenza di solennità processuali che regolino l’attività delle parti, sia più spedita ed eviti alle persone di dover affrontare nei dettagli un confronto che sarebbe doloroso rispetto al loro passato in comune o a fatti radicati nella sfera più intima. 45 Sulla differenza tra processi giudiziali ed extragiudiziali, cf. m.J. aRRoba ConDE, I presupposti del processo, in ID. (ed.), Manuale di diritto canonico, 270-272. 46 Ivi, 272.

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do diverse le modalità di partecipazione dei coniugi all’accertamento dei fatti, senza che tale diversità possa compromettere i loro diritti di difesa. Da ciò la non pertinenza di denominare amministrative vie di accertamento possibili per il solo fatto di non seguire la procedura ordinaria, confondendo la natura amministrativa del processo con la sola celerità47. Si pensi che la procedura abbreviata in secondo grado e quella documentale in un unico grado prevedono solennità che non si corrispondono alle troppo generiche disposizioni del CIC can. 50 sul modo di preparare le decisioni dell’autorità amministrativa, sulle quali si affida all’autorità stessa il compito di ricavare i dati e le prove, prescindendo da statuizioni precise e da confronti dialettici, rimettendo ancora alla valutazione della medesima autorità la necessità di sentire coloro i cui diritti potrebbero risultare lesi dalla decisione, visto che si stabilisce tale esigenza solo quantum fieri potest. La procedura giudiziale ordinaria è la più adeguata alla delicatezza dei fatti da accertare, perché la partecipazione dei coniugi si prospetta in essa secondo il principio del contraddittorio. È da tempo che anche tra i processualisti non canonisti più accreditati, il contraddittorio non si interpreta in connessione esclusiva con il diritto di difesa ma con le esigenze di accertamento razionale48. Nel nostro caso, oltre ad essere lo strumento pastorale di discernimento più accreditato nella storia della Chiesa, è chiaro che il contraddittorio tra i coniugi, proprio del processo giudiziale, è il metodo più ragionevole e utile per conoscere e discernere su fatti di proiezione interpersonale. Da ciò che vi siano norme precise sulle solennità processuali, per garantire che possa emergere l’eventuale posizione dialettica dei coniugi nei momenti essenziali del processo: l’iniziativa, la prova e la discussione. Nonostante tale precisione, la legge rimette certi margini di flessibilità alla direzione del giudice, sia autorizzando a scegliere tra solennità alternative per realiz47 Su quanto sia errata la suddetta equiparazione non è di ostacolo che, rispetto alle disposizioni del CIC can. 50, via sia un maggior sviluppo nelle disposizioni inerenti alla procedura amministrativa in ambito penale (can. 1720). tale sviluppo assicura solo che l’accusato sia informato delle prove a suo carico e gli si conceda o gli sia dato un difensore; rimangono indefiniti però la maggior parte delle modalità inerenti all’esercizio della sua difesa che vengono così demandate alla discrezionalità del superiore (in linea con il can. 50). 48 Cf. J. FERRER bEltRán, La valutazione razionale della prova, Giuffrè, milano 2012, 82.

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zare certi atti processuali, sia permettendo di derogare alle solennità stesse in presenza di giuste, gravi o gravissime cause, a seconda dei casi. Affidare ai giudici la scelta su certi aspetti della procedura ordinaria garantisce l’esigenza di cogliere i contorni irrepetibili dei singoli casi da trattare per detta via49. Nulla osta però a che il vescovo, secondo le circostanze di persone e del luogo, per meglio garantire una giustizia rapida e di qualità, stabilisca nel regolamento quali solennità seguire, tra quelle previste nella legge, nei casi trattati nel suo tribunale con un processo giudiziale ordinario50. Come anticipato, rispetto all’impostazione del processo, ritengo auspicabile superare le previsioni vigenti e affidare al vescovo la decisione sulla possibilità che determinate cause siano trattate seguendo una procedura giudiziale extraordinaria. Sul punto credo si possa sviluppare l’unico criterio sostanziale da cui già oggi l’ordinamento fa dipendere le vie giudiziali non ordinarie: il livello di accertamento del fatto generativo della nullità che già esiste in limine litis. Così si prevede anche nei casi trattati dalla Segnatura, dove i dati provengono dalle autorità di Chiese Locali carenti di strutture che, nel rivolgersi alla Segnatura, svolgono funzioni analoghe a quelle che la legge affida al Promotore di Giustizia nei casi in cui la nullità è notoria. Così, il servizio svolto dall’ufficio del mediatore potrebbe, anche dietro sollecitazione dei patroni, concludersi con un rapporto al Promotore di Giustizia, perché possa trasmettere il proprio voto al vescovo motivando le ragioni che fondano la possibilità di seguire la via giudiziale extraordinaria. Tali ragioni possono derivare da elementi concordemente riferiti dai coniugi, da elementi di natura tecnica riferiti dai professionisti che li abbiano seguiti, o da dichiarazioni fatte da persone con rilevante e diretto protagonismo nell’esistenza stessa del motivo di nullità. Nel processo extraordinario affidato al giudice unico in un’unica istanza, potrebbe stabilirsi il solo dibattimento orale (CIC can. 1602 § 1); la decisione può es49 Cf. FRanCESCo, Discorso alla Rota Romana (24 gennaio 2014), AAS CVI (2014), 89-90. 50 Un buon esempio di creatività fedele alla norma universale è la prassi istaurata nel tribunale regionale lombardo rispetto ai decreti di ammissione del libello e citazione, includendo la proposta di dubbio, con la possibilità di interpretare anche il silenzio del convenuto come sufficiente acquiescenza per procedere oltre ad iniziare la fase istruttoria; per un riferimento a questo decreto, cf. J. llobEll, La pastoralità del complesso processo canonico matrimoniale, in C.J. ERRáZURIZ – m.a. oRtIZ (edd.), Misericordia e diritto nel matrimonio, Edusc, Roma 2014, 141-142.

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sere solo affermativa, dovendosi rimandare alla via ordinaria i casi in cui la provvisoria certezza sulla nullità esistente in limine litis non sia prontamente confermata nella fase probatoria. Questa, pur sommaria, non potrà limitarsi alla ratifica generica di quanto ricavato nella fase previa al processo, ma dovrà cercare ratifiche circoscritte, utilizzando all’uopo le dovute iniziative di ufficio, ivi inclusa la dichiarazione di un teste di credibilità rispetto ai motivi che muovono le parti all’iniziativa processuale.

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L’accompagnamento dei fedeli nella conclusione del processo

4.3

Un ultimo aspetto della pastorale giudiziale è l’aiuto da assicurare ai coniugi alla conclusione del processo. Per l’accuratezza che si richiede nel riferire le motivazioni della decisione è d’obbligo aspettarsi che la medesima possa essere compressa in coscienza dai destinatari51. Sul punto, nel valorizzare il ruolo del vescovo, è necessario riferirsi alla messa in pratica effettiva di alcune possibilità offerte dalla legge vigente e allo sviluppo, per le decisioni negative, di un’importante disposizione che, nelle cause di nullità del matrimonio, riguarda solo le decisioni affermative. Al servizio di mediazione, insieme al patrocinio esercitato secondo una deontologia canonica corretta, può affidarsi il compito di offrire l’aiuto necessario per comprendere la decisione giudiziale, specialmente al coniuge che abbia mantenuto nel processo una posizione di senso opposto al risultato stabilito nella sentenza, con le informazioni sul diritto a impugnarla e sugli aspetti della sua visione non ritenuti sufficienti nel primo grado di giudizio. Fermo restando il diritto di appello dei coniugi e del difensore del vincolo, se la legge universale continuerà a stabilire l’esigenza di due decisioni conformi anche quando non si presentino appelli, è opportuno che il vescovo, aiutato dal parere previo del promotore di giustizia, valuti se vi siano circostanze di rilievo pastorale idonee a sostenere, con un suo personale intervento, la richiesta alla Segnatura della dispensa del secondo grado52. 51 Cf. m.J. aRRoba ConDE, Risultato della prova e tecnica motivazionale nelle cause matrimoniali. Casi pratici di prima istanza, lUP, Città del Vaticano 2013, 5-9. 52 la riferita dispensa della Segnatura è prevista nella sua Lex propria, art. 115.

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Le proposte di snellimento dei processi matrimoniali nel recente Sinodo

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Il vescovo ha facoltà di non eseguire una sentenza se ritiene che si tratta di decisione manifestamente ingiusta per i motivi previsti per la restitutio in integrum. Nelle cause di nullità del matrimonio tale disposizione si applica solo rispetto alle sentenze affermative, uniche soggette a quella esecuzione consistente nell’annotazione della nullità nei libri parrocchiali. Il vescovo quindi può impedire l’annotazione se ritiene che la nullità non corrisponda alla giustizia in maniera manifesta. Sarebbe logico prospettare un intervento analogo rispetto delle sentenze negative; la non necessaria esecuzione di esse non implica che siano state soddisfatte tutte le esigenze di giustizia coinvolte in una pastorale giudiziale integrale e compiuta. Così, senza compromettere il fatto che le decisioni negative, pur inappellabili, possano suggerire ancora altre iniziative giudiziali, sia di natura impugnativa sia consistenti in una nuova impostazione della nullità, gli accertamenti comunque già fatti nel processo giudiziale possono risultare i più utili per illuminare sul cammino da proseguire nel sostegno alle persone coinvolte. Nel giudizio conclusosi senza la dovuta certezza sulla nullità del matrimonio possono essere emersi comunque fatti moralmente certi per giustificare, anche formalmente coram Ecclesia, la separazione dei coniugi. La legge canonica prevede la separazione in stretto legame con le garanzie sul mantenimento del bonum familiae (CIC can. 1152). Il coinvolgimento formale del vescovo nel dettare per decreto la separazione (CIC can. 1692), esortando su quanto sia necessario per assicurare il bene integrale della famiglia legittima, ha il vantaggio di sottrarre la questione dall’esclusivo giudizio soggettivo del fedele o dai soli provvedimenti dello Stato, comprensibilmente incompleti su importanti elementi di natura relazionale ed educativa; nella sua decisione il vescovo può stabilire quanto favorisca l’armonia tra i coniugi separati in forza del superiore interesse dei figli, ivi inclusa la loro educazione religiosa. Tutto ciò permette di integrare, senza vederle contrapposte né necessariamente alternative, la via giudiziale e la via penitenziale. In effetti, quanto emerso nel discernimento portato avanti in un giusto giudizio, pur nel caso sia risultato insufficiente per accertare la nullità del matrimonio, può offrire piste oggettive per l’ulteriore discernimento dei fedeli e dei pastori circa il fallimento del proprio matrimonio, permettendo di focalizzare i principali punti sui quali com84

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Manuel J. Arroba Conde

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piere il necessario pentimento e incentrare la debita riparazione, contando sempre sull’accompagnamento efficace della Chiesa, alla cui vita il fedele è chiamato a partecipare nel modo più intenso, senza escludere alcuni momenti significativi della vita familiare ed ecclesiale di possibile partecipazione piena, con i requisiti che risultino più adatti nei singoli casi53.

53 Il vescovo, con l’aiuto del penitenziere o di altri operatori pastorali specifici, sulla base dei risultati del processo giudiziale, potrà stabilire un cammino specifico di penitenza per i fedeli coinvolti in nuove unioni da cui siano sorti nuovi obblighi familiari naturali. lo sforzo assunto con il discernimento giudiziale conclusosi con sentenza negativa ritengo possa essere considerato un segno chiaro del desiderio di riconciliazione e di ravvedimento del fedele coinvolto in situazioni oggettivamente imperfette. tale sforzo merita di essere sostenuto dalla Chiesa stabilendo, in ogni singolo caso, in quali momenti dell’anno liturgico permettere a questi fedeli una partecipazione sacramentale piena, insieme ad altri momenti significativi della vita dei membri del nuovo nucleo familiare; tra questi momenti merita di essere posto al vertice il criterio dell’interesse dei figli ad una coerente testimonianza religiosa dei genitori, traducendo così (anche su questa materia) il primato da riconoscere al concetto giuridico degli interessi superiori dei minori, cf. m. RIonDIno, Famiglia e minori. Temi giuridici e canonici, lUP, Città del Vaticano 2011, 93-120.

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Accertamento della verità «più accessibile e agile»: preparazione degli operatori e responsabilità del vescovo. L’esperienza della segnatura apostolica

I

Joseph R. Punderson

La Relatio Synodi della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, nella III Parte, Il confronto: prospettive pastorali, sotto la rubrica Curare le famiglie ferite, ha trattato della situazione dei divorziati risposati nei nn. 48-49, cominciando dall’osservazione che «un grande numero dei Padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili […] le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità». Nel n. 48 sono raccolte alcune proposte per una riforma delle procedure, già discusse oggi sotto vari aspetti. Il n. 49 invece, anche trattando del richiesto “snellimento della procedura” per le cause matrimoniali, ha ribadito certi requisiti sempre validi, soprattutto la responsabilità attiva del vescovo diocesano e la preparazione e l’impegno di un numero adeguato di operatori della giustizia: Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas connubii, art. 113, § 1)1.

Adesso spetta a me offrire qualche riflessione su questi requisiti, basata sull’esperienza del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica di fronte alle situazioni concrete dei tribunali locali della Chiesa. Si tratta di un’esperienza di 45 anni, che comincia dal 1º marzo 1968, quando è entrata in vigore la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae, con la quale Paolo VI ha riformato la Curia Ro11 SInoDo DEI VESCoVI, III aSSEmblEa GEnERalE StRaoRDInaRIa, Relatio Synodi (18 ottobre 2014), n. 49, “l’osservatore Romano” del 20-21 ottobre 2015, 8, corsivo aggiunto.

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mana secondo i desideri del Concilio Vaticano II2. Da quel momento la Segnatura Apostolica ha esercitato anche per le cause di nullità matrimoniale il compito di promuovere la retta amministrazione della giustizia nei tribunali della Chiesa, una responsabilità che, sì, comporta la vigilanza sui tribunali ma ha anche un aspetto di promozione attiva e positiva – una competenza che hanno confermato prima Giovanni Paolo II, con la costituzione apostolica Pastor bonus3, e poi Benedetto XVI, che, con il motu proprio Antiqua ordinatione, ha promulgato la Lex propria4, e ancora più recentemente papa Francesco, nella sua allocuzione alla Segnatura Apostolica dell’8 novembre 2013: La vostra attività è volta a favorire l’opera dei Tribunali ecclesiastici, chiamati a rispondere adeguatamente ai fedeli che si rivolgono alla giustizia della Chiesa per ottenere una giusta decisione. Vi adoperate perché funzionino bene, e sostenete la responsabilità dei Vescovi nel formare idonei ministri della giustizia5. 1

La responsabilità del vescovo diocesano

Nel n. 49 della Relatio Synodi anche il Sinodo ha dato enfasi a questo ultimo elemento citato da papa Francesco, un aspetto che dall’inizio ha dato un certo indirizzo al lavoro della Segnatura Apostolica: «esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano» (corsivo aggiunto). Infatti su questo punto è stato corretto il testo della Relatio post disceptationem, dove si leggeva «esige di incrementare la

12 PaUlUS PP. VI, Constitutio apostolica de Romana Curia Regimini Ecclesiae universae (15 augusti 1967), art. 105, AAS lIX (1967), 921. 13 «hoc Dicasterium, praeter munus, quod exercet, Supremi tribunalis, consulit ut iustitia in Ecclesia recte administretur», IoannES PaUlUS PP. II, Constitutio apostolica de Romana Curia Pastor bonus (28 iunii 1988), art. 121, AAS lXXX (1988), 891. 14 bEnEDICtUS PP. XVI, litterae apostolicae motu proprio datae Antiqua ordinatione, quibus Supremi tribunalis Signaturae apostolicae lex propria promulgatur (21 iunii 1988), AAS, C (2008), 513-538. 15 FRanCISCUS PP., Allocutio ad Sessionem Plenariam Supremi Tribunalis Signaturae Apostolicae (8 novembris 2013), AAS CV (2013), 1152. Circa la competenza attuale della Segnatura apostolica in materia, cf. P.a. bonnEt – C. GUllo (edd.), La “Lex propria” della S.T. della Segnatura Apostolica, lEV, Città del Vaticano 2010. articoli di particolare rilevanza sono: F. DanEElS, La vigilanza sui Tribunali: introduzione al titolo V della “Lex propria”, ibid., 199-212, e ID., La prassi della vigilanza sui Tribunali in senso stretto, ibid., 239-250; V. DE PaolIS, La funzione di vigilanza della Segnatura sulla retta giurisprudenza, ibid., 213-238; m.J. aRRoba ConDE, La competenza di grazia in materia giudiziaria, ibid., 315-335; E. baURa, Le sanzioni disciplinari, i ricorsi gerarchici, le dichiarazioni di nullità del matrimonio, ibid., 337-331.

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responsabilità del vescovo diocesano» (corsivo aggiunto)6. Non si tratta di una nuova responsabilità imposta da qualche legge disciplinare, ma di una parte integrale dell’ufficio del vescovo quale pastore del gregge a lui affidato; fa parte del suo munus pastorale. Come ha insegnato la costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 27, in virtù della sacra potestas che il vescovo diocesano esercita nel nome di Cristo, egli ha la potestà e anche il sacro obbligo davanti al Signore di giudicare7. Anche se normalmente egli esercita questo potere giudiziale per alios, mediante il proprio tribunale8 oppure, insieme ad altri vescovi, in un tribunale interdiocesano9, egli ritiene la responsabilità di moderare e vigilare sull’esercizio del potere giudiziale. Se si tratta del tribunale metropolitano o diocesano, la vigilanza spetta direttamente al vescovo quale moderatore del proprio tribunale; se invece si tratta del tribunale interdiocesano, la vigilanza spetta al coetus dei vescovi o al vescovo moderatore da loro scelto10. L’importanza di questa responsabilità del vescovo è stata rilevata da S. Giovanni Paolo II nella sua ultima allocuzione al Tribunale della Rota Romana: Nei discorsi annuali alla Rota Romana ho più volte ricordato l’essenziale rapporto che il processo ha con la ricerca della verità oggettiva. Di ciò devono farsi carico innanzitutto i Vescovi, che sono i giudici per diritto divino delle loro comunità. È in loro nome che i tribunali amministrano la giustizia. Essi sono pertanto chiamati ad impegnarsi in prima persona per curare l’idoneità dei mem-

16 SInoDo DEI VESCoVI, III aSSEmblEa GEnERalE StRaoRDInaRIa, Relatio post disceptationem (13 ottobre 2015), n. 44, “l’osservatore Romano” del 13-14 ottobre 2015, 5. 17 «Episcopi Ecclesias particulares sibi commissas ut vicarii et legati Christi regunt, consiliis, suasionibus, exemplis, verum etiam auctoritate et sacra potestate, qua quidem nonnisi ad gregem suum in veritate et sanctitate aedificandum utuntur, memores quod qui maior est fiat sicut minor et qui praecessor est sicut ministrator (cf. Lc 22,26-27). haec potestas qua, nomine Christi personaliter funguntur, est propria, ordinaria et immediata, licet a suprema Ecclesiae auctoritate exercitium eiusdem ultimatim regatur et certis limitibus, intuitu utilitatis Ecclesiae vel fidelium, circumscribi possit. Vi huius potestatis Episcopi sacrum ius et coram Domino officium habent in suos subditos leges ferendi, iudicium faciendi, atque omnia, quae ad cultus apostolatusque ordinem pertinent, moderandi», ConCIlIUm oECUmEnICUm VatICanUm II, Constitutio dogmatica de Ecclesia Lumen gentium (21 novembris 1964), n. 27, AAS lVII (1965), 32-33. 18 Can. 1419; art. 22, § 3, Instr. Dignitas connubii (DC): PontIFICIUm ConSIlIUm DE lEGUm tEXtIbUS, Instructio servanda a tribunalibus dioecesanis et interdioecesanis in pertractandis causis nullitatis matrimonii Dignitas connubii (25 ianuarii 2005), lEV, Città del Vaticano 2005 (pubblicata anche in edizioni bilingue). 19 Can. 1423; art. 23, § 1 DC. 10 artt. 24, § 1 e 26 DC.

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bri dei tribunali, diocesani o interdiocesani, di cui essi sono i Moderatori, e per accertare la conformità delle sentenze con la retta dottrina. I sacri Pastori non possono pensare che l’operato dei loro tribunali sia una questione meramente “tecnica” della quale possono disinteressarsi, affidandola interamente ai loro giudici vicari (cf. CIC, cann. 391, 1419, 1423 § 1)11.

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Perciò nei primi anni della nuova competenza della Segnatura Apostolica, nella lettera circolare Inter cetera del 19 dicembre 1970 circa lo stato e attività dei tribunali ecclesiastici, essa ha spiegato ai vescovi come intendeva esercitare il munus vigilandi: volendo esercitare una vigilanza non per concentrare su di sé ogni incarico, ma per aiutare fraternamente i tribunali dei vescovi e per prestare un servizio ai medesimi, dispersi per tutta la terra, per il bene delle anime, nella retta amministrazione della giustizia12.

Così è la prassi della Segnatura Apostolica di trattare con i vescovi moderatori, per aiutarli ed incoraggiarli nell’esercizio di questo aspetto del loro ministero pastorale. Il punto di riferimento per questo dialogo è spesso la relazione sullo stato ed attività che il tribunale è tenuto a preparare e trasmettere alla Segnatura Apostolica ogni anno; dallo studio di questa, il Dicastero prepara osservazioni e suggerimenti per il vescovo moderatore. Altre volte il dialogo riguarda una richiesta per una grazia relativa all’amministrazione della giustizia, come una dispensa dal titolo accademico in diritto canonico, una proroga di competenza. In altri casi la discussione riguarda una denuncia circa il modus agendi del tribunale in una causa concreta, la lentezza del tribunale, un abuso da parte di un operatore di giustizia, ecc. In altri casi la Segnatura Apostolica riceve i vescovi, sia i singoli vescovi sia gruppi di vescovi in occasione della loro visita ad limina Apostolorum. Ci si può domandare quale sia la materia più frequentemente trattata in questi dialoghi.

11 IoannES PaUlUS PP. II, allocutio ad tribunal Rotae Romanae iudiciali ineunte anno, 29 ianuarii 2005, AAS IIIC (2005), 165; cf. art. 33 DC. 12 «[…] vigilantiam exercere volens, non ea mente ut omnia ad se unum deferat, sed ut fraternum auxilium tribunalibus Episcoporum offerat, et eisdem, per orbem terrarum dispersis, in bonum animarum servitium praestet per rectam iustitiae administrationem»: SUPREmUm SIGnatURaE aPoStolICaE tRIbUnal, litterae circulares ad Praesides Conferentiarum Episcopalium de tribunalium Ecclesiasticorum statu et activitate Inter cetera, 28 decembris 1970, AAS lXIII (1971), 482; traduzione in Enchiridion Vaticanum vol. III, 1732-1735.

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Operatori di giustizia preparati e sufficienti

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La risposta si trova proprio nel n. 49 della Relatio Synodi, dove si legge: «Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla invalidità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas Connubii, art. 113,1)». Qui si trova un’osservazione molto acuta da parte dei padri sinodali: dato che, come si legge nel n. 48, «va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo», si richiede l’intervento di persone in grado di fare un tale accertamento. Non si tratta di un automatismo, neanche – se posso esagerare – di un’“autodichiarazione di nullità matrimoniale”. Qualsiasi procedura è solo uno strumento da mettere nelle mani di persone concrete. Per i padri sinodali gli operatori di giustizia devono essere preparati e sufficienti, con dedizione prioritaria – evidentemente questi due ultimi elementi sono collegati, perché il numero sufficiente per la trattazione tempestiva e giusta delle cause sarà determinato non soltanto dal numero delle cause da trattare ma anche dal tempo disponibile da parte dei singoli operatori. Per quanto riguarda la preparazione, chi assiste nella procedura deve avere la necessaria conoscenza della natura del matrimonio e dei difetti che possono provocare la nullità o invalidità di un matrimonio concreto. Inoltre, si deve conoscere il processo o la procedura stabilita per accertare la verità. Questa doppia conoscenza richiede la formazione tecnica e l’esperienza pratica13. Per certi

13 «Senza dubbio vale anche oggi, anzi con urgenza ancora maggiore di quella del tempo in cui fu pubblicata l’Istruzione Provida Mater, l’avvertenza della stessa Istruzione: “tuttavia è bene tener presente che queste regole si riveleranno insufficienti a conseguire il fine loro proposto, se i giudici diocesani non acquisiranno una conoscenza approfondita dei sacri canoni e non saranno bene addestrati nell’esperienza forense” (AAS 28, 1936, 314). Pertanto, i Vescovi hanno il grave obbligo di provvedere che per i propri tribunali vengano formati con sollecitudine idonei amministratori di giustizia e che questi vengano preparati con un opportuno tirocinio in foro canonico a istruire secondo le norme e decidere secondo giustizia le cause matrimoniali in tribunale». testo originale: «Fatendum est etiam hodie valere et quidem maiore urgentia quam tempore quo edita est instructio Provida Mater, animadversionem quam subiungit ipsa instructio: “attamen animadvertatur oportet eiusmodi regulas insufficientes ad propositum finem evasuras esse, nisi dioecesani iudices sacros canones apprime calleant et forensi experientia bene sint instructi” (AAS 28, 1936, 314). Quapropter,

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uffici principali – vicario giudiziale, vicario giudiziale aggiunto, giudice, difensore del vincolo e promotore di giustizia14 – la legge richiede la laurea o almeno la licenza in diritto canonico. Questo non significa che non sia necessaria anche la preparazione degli altri operatori, come il cancelliere del tribunale e altri notari, assessori, uditori, avvocati ecc.15. Tutti devono capire, accettare e attuare, secondo le proprie mansioni, quello che Pio XII ha definito «l’unità dello scopo, che deve dare speciale forma all’opera e alla collaborazione di tutti coloro, che partecipano alla trattazione delle cause matrimoniali nei tribunali ecclesiastici di ogni grado e specie, e deve animarli e congiungerli in una medesima unità di intento e di azione», cioè «un giudizio conforme alla verità e al diritto, concernente nel processo di nullità la asserita non esistenza del vincolo coniugale»16. Nell’ultimo decennio questa formazione è stata resa più facile con la pubblicazione dell’istruzione Dignitas connubii17 che, come ha spiegato recentemente papa Francesco, non è destinata agli specialisti del diritto, ma agli operatori dei tribunali locali: è infatti un modesto ma utile vademecum che prende realmente per mano i ministri dei tribunali in ordine ad uno svolgimento del processo che sia sicuro e celere insieme. Uno svolgimento sicuro perché indica e spiega con chiarezza la meta del processo stesso, ossia la certezza morale: essa richiede che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, anche se non è esclusa la mera possibilità del contrario (cf. Dignitas connubii, art. 247, § 2). Uno svolgimento celere perché – come insegna l’esperienza comune – cammina più rapidamente chi conosce bene la strada da percorrere18. Episcoporum est, graviter onerata eorumdem conscientia, curare ut idonei ministri iustitiae pro suis tribunalibus apte et tempestive in iure canonico efformentur atque in foro iudiciali ad causas matrimoniales rite instruendas ac recte decidendas opportuna exercitatione praeparentur», Instr. Dignitas connubii, proemium. 14 Cf. cann. 1420 § 4; 1421 § 3 e 1435. 15 Cf. can. 149 § 1. 16 PIUS PP. XII, Allocutio ad praelatos auditores ceterosque officiales et administros tribunalis S. Romanae Rotae necnon eiusdem tribunalis advocatos et procuratores (2 octobris 1944), AAS XXXVI (1944), 282. 17 oltre alle edizioni pubblicate dalla lEV (cf. nota 8), l’Istruzione è disponibile anche sul sito Vaticano: www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/intrptxt/index_it.htm. 18 FRanCESCo, Discorso ai Partecipanti al Congresso Internazionale Promosso dalla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana (24 gennaio 2015), “l’osservatore Romano” del 25 gennaio 2015, 6.

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Infatti, nell’esperienza della Segnatura Apostolica, in certi casi i ritardi nello svolgimento del processo sono dovuti precisamente all’ignoranza della strada da percorrere da parte dei ministri del tribunale.

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Questa giusta preoccupazione dei padri sinodali per operatori ben preparati e sufficienti indica una materia che è sempre stata oggetto di discussione tra la Segnatura Apostolica e i vescovi moderatori dei tribunali, spesso in base alla relazione annuale, in cui si riportano dati sia circa il personale del tribunale, sia circa le cause accettate, decise, pendenti, ecc. Quali situazioni si trovano? Certamente ci sono molti tribunali che dispongono di un numero sufficiente di operatori con la debita preparazione teoretica e pratica, che si dedicano principalmente al lavoro del tribunale, così che la norma del can. 1453 non rimane un pio sogno: «Giudici e tribunali provvedano, salva la giustizia, affinché tutte le cause si concludano al più presto, di modo che non si protraggano più di un anno nel tribunale di prima istanza, e non più di sei mesi nel tribunale di seconda istanza». Ma spesso ci si trova davanti a situazioni meno felici. In certi casi il numero di ministri è insufficiente in riferimento al numero delle cause pendenti – così che o le cause durano a lungo o si decidono in modo superficiale, sia pro nullitate che pro vinculo – come risulta dall’esame di qualche causa concreta o anche dalle lamentele ricevute. In altri casi il numero di ministri elencati sembra adeguato in riferimento alle cause da trattare, ma poi tutti o quasi tutti hanno altri incarichi molto impegnativi, così che possono dedicare poco tempo alle cause matrimoniali e questo in modo frammentario che non promuove uno studio serio delle cause. In alcuni casi sembra che si elenchino tutti i sacerdoti della diocesi che hanno un titolo in diritto canonico, inclusi quelli che non hanno niente a che fare con il lavoro del tribunale; di nuovo la mancanza effettiva di ministri sufficienti risulta nella lentezza o nella superficialità del tribunale. Purtroppo, ci sono altri casi in cui la causa della superficialità del tribunale non è la mancanza di sufficienti ministri debitamente preparati ma piuttosto un falso concetto dell’aspetto pastorale del lavoro del tribunale, come se lo scopo finale del processo fosse la reintegrazione delle parti nella vita sacramentale della Chiesa. I U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 6

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Accertamento della verità «più accessibile e agile»: preparazione degli operatori

Qualche volta si trova che un vescovo diocesano, senza rendersi conto che non può dispensare dalle leggi processuali19, ha costituito il suo tribunale esclusivamente di persone senza il titolo richiesto oppure, a causa della mancanza di persone preparate, ha affidato le cause dei propri fedeli ad un altro tribunale operante.

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In altri casi risulta che non esiste un tribunale operante in quella diocesi; qualche volta la relazione descrive un tribunale esistente soltanto sulla carta, che non ha nessuna attività. In altri casi il vescovo ammette che non ha nessun tribunale; non mancano vescovi che non rispondono alle richieste della Segnatura Apostolica per informazione. Di fronte a situazioni simili, la Segnatura Apostolica cerca di aiutare il vescovo ad esercitare la propria responsabilità correttamente. Certamente, se sembra utile, la Segnatura Apostolica esorta il vescovo a preparare altri ministri, ad utilizzare meglio le persone qualificate già disponibili, o ad insistere sulla formazione permanente dei ministri. Si raccomanda uno studio più profondo della consolidata giurisprudenza della Rota Romana, del magistero dei Romani Pontefici – specialmente come si dice nelle allocuzioni alla Rota Romana – e l’applicazione più accurata dell’Istruzione Dignitas connubii. Quando si vede che ci sono molte cause pendenti, si suggerisce al vescovo di parlare con i suoi ministri per accertare e affrontare le cause del ritardo. Spesso, quando appare opportuno, la Segnatura Apostolica propone soluzioni alternative, secondo la situazione concreta, che corrispondono alle competenze specifiche della Segnatura Apostolica nella promozione della retta amministrazione della giustizia, come la promozione e approvazione dei tribunali interdiocesani, la proroga della competenza dei tribunali locali e altre grazie riguardanti l’amministrazione della giustizia, non esclusa la dispensa dal titolo accademico in diritto canonico20. Adesso vorrei esaminare alcune di queste possibilità. I tribunali interdiocesani

2.1

Nel contesto del desiderio espresso dai padri sinodali per le procedure matrimoniali “più accessibili ed agili”, la figura giuridica del tribunale interdiocesano rima19 Can. 87 § 1. 20 Pastor bonus, art. 124, nn. 2-4; Lex propria, art. 35, nn. 2-5.

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ne uno strumento ancora molto valido. Nelle regioni in cui non tutti i vescovi sono in grado di formare un proprio tribunale veramente operante, possono cooperare nell’esercizio del loro munus iudicandi, mettendo insieme le risorse, specialmente i ministri idonei, per creare un tribunale comune ben funzionante – una bella espressione della collegialità. È interessante rileggere quello che la Segnatura Apostolica ha scritto 44 anni fa nella sua lettera circolare Inter cetera, già citata: Pertanto, con tale spirito, questo Supremo Tribunale coglie l’occasione per esortare caldamente gli ordinari di luogo, affinché considerino se l’unificazione dei tribunali, che, secondo le parole del Sommo Pontefice [Paolo VI], è già stata “felicemente” attuata in molti luoghi, debba essere introdotta nella propria regione (chiamati sacerdoti a svolgere i diversi uffici dei tribunali anche da altri regioni, se ciò sia opportuno), affinché l’amministrazione della giustizia in tutta la Chiesa, e soprattutto per quanto concerne le cause matrimoniali, si compia più celermente e accuratamente, per la salvezza delle anime, che nell’attesa versano in gravissimo pericolo, se non viene definito al più presto e in modo retto lo stato personale21.

Per aiutare i vescovi la lettera circolare era accompagnata da nuove norme per l’erezione e l’attività dei tribunali interdiocesani22. Oggi esistono 67 tribunali interdiocesani di vari tipi in Africa, 17 in America Centrale, 84 in America Meridionale, 27 in America Settentrionale, 52 in Asia, 71 in Europa e 10 in Oceania23. Si nota che il tribunale interdiocesano non deve essere un modo con il quale i singoli vescovi diocesani possano lasciare tutto nelle mani degli altri, senza neanche 21 «huiusmodi igitur spiritu hoc Supremum tribunal occasionem hanc arripit enixe iterum hortandi locorum ordinarios, ut considerent an illa tribunalium unificatio, quae iuxta Summi Pontificis verba, multis iam in regionibus “providentissime” inducta est, in propria regione etiam introduci oporteat (sacerdotibus ad diversa tribunalium munera obeunda ex ceteris quoque regionibus, si necesse sit, accitis), ut iustitiae in universa Ecclesia administratio, praesertim quoad rem matrimonialem, celerior atque accuratior evadat, pro salute animarum, quae in gravissimo interdum versantur periculo, nisi status personalis quam citissime ac recte definiatur», Inter cetera, n. 5, (il corsivo è mio). 22 SUPREmUm SIGnatURaE aPoStolICaE tRIbUnal, Normae pro tribunalibus interdioecesanis vel regionalibus aut interregionalibus (28 decembris 1970), AAS lXIII (1971), 486-492. 23 Per alcuni esempi recenti, cf. SUPREmo tRIbUnalE DElla SEGnatURa aPoStolICa, Alcuni decreti riguardanti i tribunali interdiocesani, con nota di P. malECha, I tribunali interdiocesani alla luce dei recenti documenti della Segnatura Apostolica. Alcune considerazioni pratiche, “Ius Ecclesiae” XXIV (2012), 1, 183-208. I dati statistici dati da mons. malecha, validi al 31 dicembre 2011, sono stati riportati qui fino al 31 dicembre 2014. Per altri decreti pubblicati, cf. G.P. montInI, Conspectus decisionum quae a Supremo Signaturae Apostolicae Tribunali in ambitu rectae administrationi iustitiae invigilandi ab anno 1968 ad annum 2011 latae atque publici iuris factae sunt, “Periodica” CI (2012), 1-2, 199-254.

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offrire ministri e contributi economici al tribunale interdiocesano, lasciando anche tutta la vigilanza al moderatore da loro scelto. Inoltre, il fatto che il tribunale interdiocesano concentri le risorse in un solo tribunale operante, con la sua sede spesso più lontana da molti fedeli, non deve rendere la giustizia meno accessibile. Rimane la facoltà, di ogni vescovo, di istituire una sezione istruttoria nella propria diocesi, con almeno un uditore e un notaro, per la raccolta delle prove e la notifica degli atti24. Allora rimane la responsabilità dei singoli vescovi di assicurare ai propri fedeli la possibilità di partecipare al processo in un luogo non troppo lontano. Comunque, la responsabilità dei vescovi interessati non finisce con l’erezione del tribunale; devono seguire l’operato del tribunale e prendere le misure necessarie perché i processi siano veramente “agibili e accessibili”. La dispensa dal titolo

2.2

In certe situazioni, in cui il numero dei ministri con il titolo accademico richiesto non è sufficiente per il numero di cause da giudicare, il vescovo moderatore – o il coetus dei vescovi – che sente la necessità di nominare una persona senza titolo ad un officio per cui è richiesto, deve rivolgersi alla Segnatura Apostolica per chiedere la dispensa da questa legge processuale. Da parte sua la Segnatura Apostolica è tenuta ad osservare la norma del can. 90 § 1: «Non si dispensi dalla legge ecclesiastica senza giusta e ragionevole causa, tenuto conto delle circostanze del caso e della gravità della legge dalla quale si dispensa». La giusta e ragionevole causa normalmente è la mancanza di persone qualificate insieme alla necessità del tribunale di poter trattare le cause in modo giusto e tempestivo. Ma comunque la persona proposta deve avere una adeguata formazione teoretica, in diritto canonico matrimoniale e processuale, e pratica, ossia qualche esperienza del lavoro in tribunale, per es., come notaro. Non sarebbe né giusto né ragionevole dispensare una persona inidonea ad una mansione così importante. Non si concede la dispensa se non c’è neanche un ministro del tribunale con il titolo richiesto. Viste le circostanze concrete la dispensa è concessa ad tempus determinatum, e anche in modo limitato – per esempio un giudice dispensato può agire solo come membro di un collegio in cui non fa il preside o ponente, un difensore del

24 art. 23, § 2 DC.

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vincolo deve lavorare sotto la guida del difensore principale con titolo, ecc. Si raccomanda al vescovo moderatore sia la preparazione di altre persone, sia la formazione permanente della persona dispensata. Se poi il vescovo chiede la proroga di una dispensa concessa a tempo determinato, deve esibire qualche esemplare del lavoro fatto (specialmente per i difensori del vincolo) e indicare l’ulteriore formazione ricevuta. Tutto questo si applica anche, mutatis mutandis, per i tribunali interdiocesani25. Nell’anno 2014 sono state richieste 266 dispense, di cui 263 sono state concesse, alcune per la prima volta e alcune per il rinnovo di una dispensa già concessa. Le richieste sono pervenute da ogni parte della Chiesa: dall’ Africa 25, dall’Asia 23, dall’Europa 95, dall’America Centrale 2, dall’America Settentrionale 72, dall’America Meridionale 38, dall’Oceania 1126. Allora si vede che la dispensa dal titolo è un modo con cui la Segnatura Apostolica aiuta un vescovo a provvedere all’operato giusto e tempestivo del tribunale nelle circostanze difficili, ma non esonera il vescovo dal suo compito di cercare di provvedere in modo più stabile alla retta amministrazione della giustizia, specialmente con la preparazione di futuri ministri per il tribunale. La proroga di competenza

2.3

Qualora rimanga impossibile per un vescovo formare un proprio tribunale, specialmente quando si tratta di una diocesi appena eretta, e per vari motivi non è praticabile l’erezione di un tribunale interdiocesano o l’aggregazione ad un tribunale interdiocesano già esistente nella regione, un vescovo può chiedere alla Segnatura Apostolica di prorogare in modo stabile la competenza di un altro tribunale diocesano operante, così che possa accettare e giudicare le cause dei propri fedeli – naturalmente con il consenso del vescovo moderatore del tribunale scelto27. Come nel caso del tribunale interdiocesano, spetta al vescovo senza tribunale di prendere le misure necessarie per aiutare i propri fedeli a partecipare 25 Per alcuni esempi concreti, cf. SUPREmo tRIbUnalE DElla SEGnatURa aPoStolICa, Alcuni decreti riguardanti la concessione di dispense, con nota di P. malECha, Le dispense dalle leggi processuali alla luce dei recenti documenti della Segnatura Apostolica. Alcune considerazioni pratiche, “Ius Ecclesiae” XXV (2013), 1, 239-260. Per altri decreti pubblicati, cf. G.P. montInI, Conspectus decisionum, 199-254. 26 Dati statistici preparati per L’Attività della Santa Sede 2014, edizione non ancora pubblicata. 27 art. 24, § 1 DC.

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nel processo, sia per l’istruzione della causa che per la pubblicazione degli atti in un luogo conveniente. Nell’anno 2014 la Segnatura Apostolica ha concesso 8 proroghe stabili28.

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Poi, quando non è praticabile neanche questa possibilità, il vescovo senza tribunale può chiedere la proroga di competenza di un altro tribunale nei singoli casi per i propri fedeli, specialmente quando non c’è un altro tribunale de iure competente29. Ci sono anche altre circostanze in cui la Segnatura Apostolica concede la proroga di competenza in singoli casi, spesso perché il tribunale competente de iure non funziona. Nell’anno 2014 sono state richieste 52 proroghe di competenza ad causam, di cui sono state concesse 4430. 3

Altre soluzioni già disponibili

Le leggi processuali vigenti offrono vari mezzi per facilitare una trattazione più “agile e accessibile” delle cause matrimoniali, mezzi che spesso non richiedono un intervento speciale. L’esperienza della Segnatura Apostolica al riguardo è mista. Da una parte è molto edificante vedere vescovi e tribunali che utilizzano tutti i mezzi disponibili per rendere le cause matrimoniali più agibili e accessibili. Dall’altra parte sembra che in altri casi ci sono tanti mezzi non utilizzati, forse qualche volta a causa dell’ignoranza della legge. Consulenza

3.1

In questo contesto i padri sinodali hanno menzionato una specifica possibilità già raccomandata dall’Istruzione Dignitas connubii dieci anni fa: che il vescovo «nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale fun-

28 Dati statistici preparati per L’Attività della Santa Sede 2014. 29 art. 10, § 4 DC. Per alcuni esempi concreti, cf. SUPREmo tRIbUnalE DElla SEGnatURa aPoStolICa, Alcuni decreti riguardanti la commissione pontificia e la proroga di competenza, con nota di P. malECha, Commissioni pontificie e proroghe di competenza nelle cause di nullità del matrimonio alla luce dei recenti documenti della Segnatura Apostolica. Alcune considerazioni pratiche, “Ius Ecclesiae” XXIII (2011), 1, 205-251. Per altri decreti pubblicati, cf. G.P. montInI, Conspectus decisionum, 199-254. 30 Dati statistici preparati per L’Attività della Santa Sede 2014.

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zione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas connubii, art. 113, § 1)»31. Più recentemente Papa Francesco, nel suo discorso al Tribunale della Rota Romana, ha anche raccomandata l’attuazione di questa possibilità32. Infatti, ci sono tanti vescovi e tribunali che già da tempo hanno fatto passi concreti per offrire ai fedeli questo tipo di consulenza. In questo contesto sono oltremodo utili le informazioni e spiegazioni che molti tribunali offrono ai fedeli, sia in forma stampata sia tramite un sito internet.

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Avvocati

3.2

L’assistenza dell’avvocato è un aiuto prezioso per le parti; la loro partecipazione nel processo può rendere il processo più accessibile e agile per i fedeli se viene esercitato in modo corretto. È compito specifico del vescovo moderatore approvare gli avvocati per il suo tribunale33 e rendere pubblico l’elenco o albo di quelli ammessi34. Poi si raccomanda vivamente che ci siano avvocati stabili presso ogni tribunale35, una raccomandazione ripetuta da Papa Francesco nel suo discorso alla Rota Romana il 23 gennaio scorso36. Ci sono molte regioni nel mondo in cui non si trovano avvocati professionali con una formazione accademica in diritto canonico. D’altra parte non è richiesto il titolo accademico, ma che siano veramente esperti, e così non mancano persone, come in altri settori del ministero pastorale, che sono disposte ad offrire il loro aiuto alle parti in funzione di avvocato. Spesso hanno una formazione ed esperienza utili; per esempio sono avvocati civili, giudici in pensione, professori di

31 Si è migliorato il testo della Relatio post disceptationem, n. 44, dove si leggeva: «esige di incrementare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare un sacerdote debitamente preparato che possa gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio» (il corsivo è mio). 32 FRanCESCo, Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana (23 gennaio 2015), “l’osservatore Romano” del 24 gennaio 2015, 7, Il diritto è per la salvezza. 33 Can. 1483; art. 105, § 1 DC. 34 art. 112, § 1 DC. alcuni tribunali pubblicano l’albo anche sul loro sito internet, insieme ad altre informazioni utili. 35 Can. 1490; art. 113, § 3 DC. 36 FRanCESCo, Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana (23 gennaio 2015), 7.

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teologia, catechisti, assistenti pastorali, ecc. Ci sono diocesi o conferenze o istituti che offrono corsi di formazione in diritto canonico matrimoniale e processuale per tali persone37. Certamente questa formazione non può essere paragonata a quella degli avvocati canonici professionali, specialmente quelli più qualificati come gli avvocati rotali. Ma in tanti tribunali queste persone offrono un aiuto concreto alle parti nell’esercizio dei loro diritti nel processo. La relazione annuale del tribunale per la Segnatura Apostolica deve indicare i nomi degli avvocati ammessi e il loro titolo accademico. Molti tribunali dispongono di un bel numero di avvocati, anche se spesso non hanno un titolo in diritto canonico, ma purtroppo ci sono ancora troppi tribunali in cui non si indica neanche un avvocato, o forse un numero molto ridotto rispetto al numero delle cause. Giudice laico (can. 1421, § 2)

3.3

Nel n. 49 della Relatio Synodi si menziona «la preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici» (corsivo aggiunto). Infatti, almeno dal 1983, quasi tutte le funzioni e mansioni presso il tribunale sono aperte anche ai laici. Solo il Vicario giudiziale ed i Vicari giudiziali aggiunti devono essere sacerdoti. Mentre gli altri giudici normalmente devono essere chierici, il can. 1421 § 2 prevede costituzione di un giudice laico per completare il collegio. Si richiede la previa autorizzazione da parte della conferenza dei vescovi, nella forma di legislazione particolare, con la debita recognitio della Santa Sede. Sembra abbastanza strano che, dopo più di trent’anni dall’introduzione di questa possibilità, secondo informazioni pubblicate abbastanza recentemente, solo un terzo (37) delle conferenze (113) e meno di un quarto (12) delle (55) conferenze nei territori soggetti alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, hanno autorizzato i vescovi a nominare giudici laici38. 37 Come sussidio nei corsi di formazione, la Segnatura apostolica spesso raccomanda ai vescovi il libro di P. bIanChI, Quando il matrimonio è nullo? Guida ai motivi di nullità matrimoniale per pastori, consulenti e fedeli, Àncora, milano 1998. È stato pubblicato anche in versione spagnola (Eunsa, Pamplona 2002 e 20072), portoghese (Paulinas, Saõ Paulo 2003) e polacca (wydawnictwo m. kraków 2006), ed è di prossima pubblicazione in versione inglese (Ignatius Press, San Francisco, Ca 2015). 38 J.m. DE aGaR – l. naVaRRo, Legislazione delle Conferenze Episcopali complementare al C.I.C., Seconda edizione aggiornata, Coletti a San Pietro, Roma 2009.

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Giudice unico (can. 1425, § 4)

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3.4

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Una situazione simile si trova nel caso della previsione del can. 1425 § 4, che permette al vescovo moderatore di affidare l’esame delle cause matrimoniali in prima istanza ad un giudice unico. Sembra che questa facoltà sarebbe ancora più utile per quelle regioni nelle quali è difficile trovare i ministri per il tribunale. Ma solo 27 delle 113 conferenze hanno autorizzato i vescovi ad usare questa possibilità e solo 9 delle 55 conferenze in regione di missione39. Sarebbe interessante conoscere i motivi di questa situazione, specialmente perché è solo questione di dare la facoltà ai singoli vescovi di decidere di usare questi mezzi nei loro tribunali. Comunque i singoli vescovi al di fuori di queste conferenze che vogliono utilizzare questi mezzi, possono rivolgersi direttamente alla Segnatura Apostolica per chiedere la necessaria autorizzazione. Uditori

3.5

Per facilitare l’istruzione della causa, il giudice può designare un uditore, anche tra quelli approvati dal vescovo, chierici o laici che rifulgano per buoni costumi, prudenza e dottrina, anche senza un titolo accademico in diritto canonico40. Il giudice può anche provvedere all’interrogatorio delle parti e dei testimoni fuori della sede del tribunale, anche tramite un uditore nominato ad hoc41. La preparazione e l’uso efficace degli uditori risponde a due ostacoli frequenti alla desiderata agilità e accessibilità nella trattazione delle cause matrimoniali: la mancanza di un numero sufficienti di giudici per istruire le cause e la difficoltà per i fedeli – sia le parti e i testimoni – di accedere alla sede del tribunale. Da una parte il giudice può moltiplicarsi in un certo senso, affidando all’uditore l’interrogatorio delle parti e dei testimoni secondo le domande preparate, lasciando alla discrezione dell’uditore di proporre ulteriori questioni secondo le risposte date. Dall’altra parte il giudice tramite l’uditore può fare l’istruzione in un luogo più accessibile ai fedeli. Per analogia con le sezioni istruttorie diocesane dei tribunali interdiocesani, anche dentro la diocesi si possono preparare uditori e notari presenti nelle varie zone della diocesi. 39 Ivi. 40 Cf. can. 1428; art. 50 DC. 41 Can. 1558 § 3; artt. 51 e 162 § 3 DC.

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Conclusioni

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I padri sinodali hanno individuato elementi essenziali per rendere più agili e accessibili lo svolgimento delle cause matrimoniali: l’impegno dei vescovi diocesani nella preparazione di operatori sufficienti e l’utilizzo di tutti i mezzi disponibili per rendere più snello lo svolgimento del processo. Nello stesso tempo è chiaro che per i padri sinodali il desiderato snellimento del processo non deve cambiare la natura del processo quale «accertamento della verità sulla validità del vincolo»42. Per questo motivo è responsabilità del vescovo di vigilare sulla retta amministrazione della giustizia. L’esperienza della Segnatura Apostolica conferma quanto espresso dai padri sinodali. Come ho cercato di illustrare, la normativa vigente offre già molti strumenti: si tratta di utilizzarli, come spesso raccomanda la Segnatura Apostolica ai vescovi. I giovani studenti di Diritto canonico che frequentano le facoltà di Diritto Canonico delle Università Pontificie, al termine del loro percorso di studi, potranno tornare nelle rispettive diocesi, ben istruiti nella legge sostanziale e processuale della Chiesa, con l’istruzione Dignitas connubii in mano, ed aiutare i vescovi a conoscere e utilizzare tutti i mezzi già disponibili per facilitare la trattazione delle cause matrimoniali anche nelle circostanze difficili. Vorrei concludere con le parole di tre Papi. Circa la preparazione di persone idonee, Paolo VI, di beata memoria, nel suo discorso alla Rota Romana nel 1968, parlando del grande lavoro allora in corso per la revisione del diritto canonico, ha detto: Ma tutto questo ingente sforzo di revisione del Codice risulterebbe in buona parte sterile se contemporaneamente non si provvedesse anche a rinnovare lo studio dello stesso diritto e ad accrescere il numero di coloro che si dedicano agli studi giuridici specializzati, e che contribuiranno domani, in diversi modi e a vari livelli, ad attuare le rinnovate leggi della Chiesa43.

Giovanni Paolo II, di santa memoria, nel suo ultimo discorso alle Rota Romana ha di nuovo fatto presente che «è vero che anche il dovere di una giustizia tem42 Relatio Synodi, n. 48. 43 PaUlUS PP. VI, Allocutio ad Praelatos Auditores, Officiales et Advocatos Tribunalis S.R. Rotae, novo litibus iudicandis ineunte anno coram admissos (12 februarii 1968), AAS lX (1968), 206.

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pestiva fa parte del servizio concreto della verità, e costituisce un diritto delle persone. Tuttavia, una falsa celerità, che sia a scapito della verità, è ancor più gravemente ingiusta»44. E finalmente, papa Francesco circa l’istruzione Dignitas connubii, come strumento valido e in parte ancora da mettere in pratica, ha detto:

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La conoscenza e direi la consuetudine con questa Istruzione potrà anche in futuro aiutare i ministri dei tribunali ad abbreviare il percorso processuale, percepito dai coniugi spesso come lungo e faticoso. Non sono state finora esplorate tutte le risorse che questa Istruzione mette a disposizione per un processo celere, privo di ogni formalismo fine a sé stesso45.

44 IoannES PaUlUS PP. II, Allocutio ad Tribunal Rotae Romanae iudiciali ineunte anno (29 ianuarii 2005), AAS IIIC (2005), 166. 45 FRanCESCo, Discorso ai Partecipanti al Congresso Internazionale Promosso dalla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana (24 gennaio 2015), “l’osservatore Romano” del 25 gennaio 2015, 6.

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alazraki V. 31 ambrogio di milano 37 amenta P. 25 arrieta J.I. 41-59 arroba Conde m.J. 29, 30, 61-85, 88 baldisseri l. 7-9 bartoccetti V. 58 baudot D. 22 baura E. 88 bender l. 58 benedetto XVI / benedictus PP. XVI / J. Ratzinger 24, 25, 26, 32, 33, 34, 37, 48, 50, 63, 67, 68, 70, 76, 88 bianchi P. 17, 22, 43, 100 boni G. 55, 75 bonnet P.a. 16, 55, 88 borgonovo G. 22 braeckmans l. 38 burke R.l. 73 buselli P. 79 Camassa E. 75 Canosa J. 16 Cappellini E. 42 Cappello F.m. 58 Carcel ortí V. 78 Cattaneo a. 22 Cavana P. 75 Cirillo di alessandria 37 Comoglio F. 62 Confalonieri a. 62 Corecco E. 22 Coronelli R. 26 D’ostilio F. 14, 63 Dalla torre G. 55, 73, 75 Daneels F. 13, 16, 88 de agar J.m. 58, 100 De Paolis V. 88

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Einsenrin G. 42 Errázuriz C.J. 82 Escrivá-Ivars J. 45 Fedele P. 47 Felici P. 15 Ferrer beltrán J. 81 Franceschi h. 23, 58 Francesco / Franciscus 7, 20, 30, 31, 37, 49, 63, 67, 78, 80, 82, 99, 103

24, 40, 69, 88,

29, 48, 77, 92,

Galluccio m. 73 Garcia J.a. 37 Gaudemet J. 62 Gerardi R. 38 Gherri P. 61, 79 Giovanni Paolo II / Ioannes Paulus II 7, 13, 24, 29, 32, 39, 43, 47, 48, 68, 88, 89, 90, 102, 103 Giovanni XXIII 20 Gnazi C. 71 Grocholewski Z. 78 Gronchi m. 19-40 Gullo C. 16, 55, 88 hervada J. 44 Izzi C. 69 kampowski S. 41 kasper w. 41 lillo P. 75 llobell J. 16, 23, 82 malecha P. 95, 97, 98 manzanares J. 24 martin de agar J.t. 58 mendez Rayon J.l. 66 105

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mingardi m. 22, 24 mioli G. 77 mirabelli C. 73 moneta P. 17 montini G.P. 13, 95, 97, 98 nacci m. 73 nastasi F.a. 46 navarro l. 100

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ochoa J. 14, 78 oliva a. 37 ortiz m.a. 23, 53, 58, 82 Paolo VI / Paulus PP. VI 12, 20, 37, 87, 95, 102 Pasquali Cerioli J. 55 Peña C. 63, 73 Pérez-Soba J.J. 41 Pio XI 57, 58 Pio XII / Pius XII 14, 66, 92 Piqué E. 31 Punderson J.R. 87-103

Ripa a. 71 Rivella m. 23 Sabattani a. 15 Sabbarese l. 11-17, 73 Salazar S. 46 Sarmiento a. 45 Sorci P. 37 Spadaro a. 30 Suchekski Z. 30 tanghe a. 37 terzano m.b. 42 thomas aquinas / tommaso d’aquino 36, 37, 38 tinti m. 43 turchi V. 75 Vidal P. 58 Viladrich P.J. 42, 43 Villa J.E. 71 Vitali E. 43 wernz F.X. 58

Renna S. 69 Riondino m. 29, 69, 78, 85

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Zuanazzi I. 43

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Autori lUIGI SabbaRESE, Professore ordinario e decano della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana, Giudice esterno del tribunale di Prima Istanza del Vicariato di Roma, Consultore presso la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e Referendario del Supremo tribunale della Segnatura apostolica. autore di numerose pubblicazioni, è fondatore e direttore dell’annuario Ius Missionale. loREnZo balDISSERI, Cardinale, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi.

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maURIZIo GRonChI, Professore ordinario della Facoltà di teologia della Pontificia Università Urbaniana, Consultore della Congregazione per la dottrina della fede. JUan I. aRRIEta, Vescovo titolare di Civitate, Segretario del Pontificio Consiglio per i testi legislativi. manUEl J. aRRoba ConDE, Preside del Pontificium Institutum Utriusque Iuris della Pontificia Università lateranense, Consultore della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. JoSEPh R. PUnDERSon, Difensore del vincolo presso il Supremo tribunale della Segnatura apostolica.

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lUIGI SabbaRESE (a CURa DI)

UN MOMENTO DI INCULTURAZIONE DEL CATTOLICESIMO IN CINA LE FACOLTÀ SPECIALI DEL 1978 QUaDERnI DI IUS mISSIonalE, 4 152 PP. | € 15,00 | ISbn 978-88-401-4081-0

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ClaUDIo PaPalE (a CURa DI)

I DELITTI RISERVATI ALLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

NORME PRASSI OBIEZIONI QUaDERnI DI IUS mISSIonalE, 5 184 PP. | € 15,00 | ISbn 978-88-401-4059-9

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I M IUS MISSIONALE Annuario della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana Comitato Scientifico Internazionale / International Scientific Committee Jesus Manuel Arroba Conde (Roma) Giuseppe Dalla Torre (Roma) Victor George D’Souza (Mangalore) ´´ (Budapest) Petér Erdo

Carlos José Errázuriz M. (Roma) Brian Ferme (Città del Vaticano) Fabien Lonema Dz’djo (Nairobi) Petér Szabó (Budapest)

Fondatore / Founder Luigi Sabbarese Direttore / Director Elias Frank

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Vice Direttore / Deputy Director Alessandro Recchia Redazione scientifica / Scientific Editing Elena Casadei Consiglio di redazione / Editorial Board Jean Yawovi Attila, Andrea D’Auria, Giacomo Incitti, Maurizio Martinelli, Vincenzo Mosca, Claudio Papale, Luigi Sabbarese

ISSN 2520-0089 © Urbaniana University Press - 00120 Città del Vaticano, via Urbano VIII, 16 tel.+39 06 69889501/688 fax +39 06 69882182 - www.urbaniana.press Per abbonamenti e per contributi dei collaboratori [email protected] [email protected]

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