136 45 3MB
English Pages 391 [384] Year 2022
UNITEXT 143
Roberto Paroni
Scienza delle Costruzioni Elementi di teoria dell’elasticità lineare
UNITEXT La Matematica per il 3+2 Volume 143
Editor-in-Chief Alfio Quarteroni, Politecnico di Milano, Milan, Italy; École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), Lausanne, Switzerland Series Editors Luigi Ambrosio, Scuola Normale Superiore, Pisa, Italy Paolo Biscari, Politecnico di Milano, Milan, Italy Ciro Ciliberto, Università di Roma “Tor Vergata”, Rome, Italy Camillo De Lellis, Institute for Advanced Study, Princeton, NJ, USA Massimiliano Gubinelli, Hausdorff Center for Mathematics, Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität, Bonn, Germany Victor Panaretos, Institute of Mathematics, École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), Lausanne, Switzerland Lorenzo Rosasco, DIBRIS, Università degli Studi di Genova, Genova, Italy; Center for Brains Mind and Machines, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Massachusetts, US; Istituto Italiano di Tecnologia, Genova, Italy
The UNITEXT – La Matematica per il 3+2 series is designed for undergraduate and graduate academic courses, and also includes advanced textbooks at a research level. Originally released in Italian, the series now publishes textbooks in English addressed to students in mathematics worldwide. Some of the most successful books in the series have evolved through several editions, adapting to the evolution of teaching curricula. Submissions must include at least 3 sample chapters, a table of contents, and a preface outlining the aims and scope of the book, how the book fits in with the current literature, and which courses the book is suitable for. For any further information, please contact the Editor at Springer: [email protected] THE SERIES IS INDEXED IN SCOPUS *** UNITEXT is glad to announce a new series of free webinars and interviews handled by the Board members, who will rotate in order to interview top experts in their field. In the first session, going live on June 9, Alfio Quarteroni will interview Luigi Ambrosio. The speakers will dive into the subject of Optimal Transport, and will discuss the most challenging open problems and the future developments in the field. Click here to subscribe to the event! https://cassyni.com/events/TPQ2UgkCbJvvz5QbkcWXo3
Roberto Paroni
Scienza delle Costruzioni Elementi di teoria dell'elasticità lineare
123
Roberto Paroni DICI University of Pisa Pisa, Italy
ISSN 2038-5714 ISSN 2532-3318 (electronic) UNITEXT ISSN 2038-5722 ISSN 2038-5757 (electronic) La Matematica per il 3+2 ISBN 978-88-470-4019-9 ISBN 978-88-470-4020-5 (eBook) https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5 © The Editor(s) (if applicable) and The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore e la sua riproduzione è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla stessa. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68. Le riproduzioni per uso non personale e/o oltre il limite del 15% potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’utilizzo di illustrazioni e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla registrazione su microfilm o in database, o alla riproduzione in qualsiasi altra forma (stampata o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. La violazione delle norme comporta le sanzioni previste dalla legge. L’utilizzo in questa pubblicazione di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati ecc., anche se non specificatamente identificati, non implica che tali denominazioni o marchi non siano protetti dalle relative leggi e regolamenti. This Springer imprint is published by the registered company Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature. The registered company address is: Via Decembrio 28, 20137 Milano, Italy
Ai miei genitori, con gratitudine
Prefazione
Il presente testo trae origine dal modulo del corso di Scienza delle Costruzioni che da alcuni anni svolgo all’Universit`a di Pisa al terzo anno di Ingegneria Aerospaziale. Contiene gli elementi della teoria dell’elasticit` a lineare e il problema di de Saint-Venant in tutti i suoi casi particolari. Sono anche esposti alcuni argomenti che difficilmente trovano spazio in un corso di Scienza delle Costruzioni. L’intento non `e di essere esaurienti, ma piuttosto di far intravedere allo studente possibili approfondimenti e magari fargli aumentare l’interesse verso la materia. Il materiale `e presentato, per quanto possibile, in maniera rigorosa e deduttiva e cerca di colmare le lacune ed attenuare le “imperfezioni” che inevitabilmente vengono lasciate, per motivi di sintesi, chiarezza e semplicit` a, dalle lezioni orali. La giustificazione dei risultati viene sempre data in maniera dettagliata: alla brevit`a delle spiegazioni si preferisce lo studio dei particolari. Anche per tale motivo, si `e deciso di separare gli enunciati dalle giustificazioni adottando la struttura di teorema-dimostrazione; una modalit` a che non viene praticamente mai utilizzata nei testi di Scienza delle Costruzioni. Questa modalit`a ha per`o il vantaggio di rendere ben visibili i risultati pi` u importanti, di evidenziare le ipotesi sotto le quali gli enunciati sono validi e di confinare le dimostrazioni in uno spazio ben riconoscibile. Con questa impostazione si spera di sviluppare la capacit`a di analisi e di sintesi dello studente; al tempo stesso si spera di aumentare la sensibilit`a tecnica e pratica tramite la risoluzione di problemi progettuali posti sotto forma di esercizi numerici. Nel testo viene prevalentemente utilizzata la notazione assoluta che rende le equazioni pi` u compatte, trasparenti e significative. Quando ritenuto opportuno viene privilegiata la notazione indiciale, che ha spesso il vantaggio di rendere il calcolo pi` u elementare. La gran parte degli esercizi `e svolto utilizzando quest’ultima notazione. Nella speranza di velocizzare la comprensione, l’esposizione `e accompagnata da numerose figure e da un cospicuo numero di esercizi svolti. Questo testo `e ovviamente influenzato dalla mia formazione. I corsi che ho seguito, all’universit`a e al dottorato, di Scienza delle Costruzioni, CompleVII
VIII
Prefazione
menti di Scienza delle Costruzioni e Mathematical Theory of Elasticity tenuti, rispettivamente, da Gianpietro Del Piero, Cesare Davini e Chi-Sing Man mi hanno sicuramente aiutato a delineare i miei gusti. A questi docenti sono estremamente grato. Altrettanta gratitudine la devo a tutti i miei coautori: da tutti loro ho imparato tanto. Con grande piacere esprimo pure la mia riconoscenza a tutti gli studenti che hanno seguito i miei corsi: le loro domande e i loro commenti mi hanno permesso di migliorare l’esposizione. Sono inoltre particolarmente grato a Marco Picchi Scardaoni per aver letto e commentato la prima stesura del testo. Ringrazio infine, anticipatamente, tutti i lettori che vorranno segnalarmi gli errori tipografici e le sviste che, purtroppo, questo testo sicuramente ancora contiene. Il mio indirizzo di posta elettronica `e [email protected].
Pisa, Agosto 2022
Roberto Paroni
Indice
Parte I Elasticit` a tridimensionale 1
Nozioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.1 Vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.2 Tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1.3 Calcolo differenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1.4 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2
Analisi della deformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1 La non-definizione (definizione) di corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Spostamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Deformazioni omogenee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Variazioni geometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1 Variazione di lunghezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2 Variazioni di volume . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.3 Variazioni di area . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.4 Variazioni d’angolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.5 Deformazioni elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Considerazioni sulle misure di deformazione finite . . . . . . . . . . . . 2.6 Teoria infinitesima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.1 Tensore di deformazione infinitesimo . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7 Variazioni geometriche in teoria infinitesima . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.1 Variazioni di lunghezza in teoria infinitesima . . . . . . . . . . 2.7.2 Variazioni di volume in teoria infinitesima . . . . . . . . . . . . 2.7.3 Variazioni di area in teoria infinitesima . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.4 Variazioni di angolo in teoria infinitesima . . . . . . . . . . . . . 2.7.5 Componenti del tensore di deformazione infinitesima . . . 2.8 Equazioni di compatibilit`a di de Saint-Venant . . . . . . . . . . . . . . . 2.8.1 Compatibilit`a di de Saint-Venant in domini multi-connessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17 17 19 23 23 26 26 29 30 33 34 36 39 41 45 45 46 47 48 49 51 57 IX
X
Indice
2.9 Esempio: cinematica della trave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 2.10 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 3
Analisi della tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 3.1 Il tensore degli sforzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 3.2 Equazioni d’equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 3.3 Tensioni principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 3.4 Il cerchio di Mohr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 3.5 Esempio: sforzi in una trave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 3.6 Appendice. Il tensore di Piola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 3.7 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
4
Equazione dei lavori virtuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 4.1 ELV in teoria infinitesima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 4.2 Esempio: ELV per una trave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116 4.3 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
5
Equazioni costitutive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 5.1 Materiali elastici lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 5.2 Materiali iperelastici lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 5.3 Simmetrie materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 5.4 Materiali isotropi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 5.4.1 Significato delle costanti elastiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 5.5 Materiali anisotropi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 5.5.1 Rappresentazione matriciale di C . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 5.5.2 Studio delle simmetrie di materiali iperelastici . . . . . . . . 143 5.6 Variazioni termiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150 5.7 Esempio: equazione costitutiva per una trave . . . . . . . . . . . . . . . . 153 5.8 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156
6
Il problema elastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 6.1 Formulazione del problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 6.2 Approssimazione del problema elastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 6.3 Teoremi energetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171 6.3.1 Minimo dell’energia potenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 6.3.2 Minimo dell’energia complementare . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 6.4 Esempio: il problema elastico per una trave . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 6.5 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184
7
Criteri di resistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 7.1 Tensioni ideali e funzione di snervamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 7.1.1 Simmetrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 7.2 Criteri di resistenza per materiali fragili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 7.2.1 Criterio della massima tensione normale . . . . . . . . . . . . . . 191 7.2.2 Criterio di Coulomb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191
Indice
XI
7.3 Criteri di resistenza per materiali duttili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 7.3.1 Criterio di Tresca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 7.3.2 Criterio di von Mises . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 196 7.4 Esempio: criteri di resistenza per una trave . . . . . . . . . . . . . . . . . 198 7.5 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199 Parte II Il problema di de Saint-Venant 8
Il problema di de Saint-Venant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203 8.1 Descrizione e formulazione del problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 204 8.2 Ipotesi di de Saint-Venant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207 8.3 Il principio di de Saint-Venant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212 8.3.1 Formula di Navier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217 8.4 Il problema delle tensioni tangenziali e il centro di taglio . . . . . 221 8.5 I quattro casi del problema di de Saint-Venant . . . . . . . . . . . . . . 229 8.6 Appendice. Condizioni di compatibilit` a di bordo . . . . . . . . . . . . . 230 8.7 Appendice. Il principio di de Saint-Venant secondo Toupin . . . . 236 8.8 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241
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Sforzo normale e flessione semplice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245 9.1 Sforzo normale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245 9.2 Flessione semplice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247 9.2.1 Flessione retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 248 9.2.2 Flessione deviata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252 9.3 Pressoflessione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261 9.4 Appendice. Geometria delle aree . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 264 9.5 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274
10 La torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277 10.1 La soluzione di Prandtl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 278 10.2 Il campo di spostamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 282 10.3 La rigidezza torsionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289 10.4 Teoria approssimata per sezioni rettangolari sottili . . . . . . . . . . . 293 10.5 Teoria approssimata per sezioni sottili aperte . . . . . . . . . . . . . . . 296 10.5.1 Sezioni sottili composte aperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 298 10.6 Teoria approssimata per sezioni sottili chiuse . . . . . . . . . . . . . . . . 300 10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 305 10.7.1 Sezioni sottili pluri-connesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312 10.8 Appendice. Coordinate curvilinee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 318 10.9 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 322
XII
Indice
11 Flessione e taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 325 11.1 Teoria esatta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 326 11.1.1 Sezioni semplicemente connesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 329 11.2 Teoria approssimata di Jourawski . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333 11.3 Centro di taglio approssimato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 348 11.4 Sezioni multi-connesse sottili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360 11.5 Fattori di taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367 11.6 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 370 Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 375 Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 377
Parte I
Elasticit` a tridimensionale
1 Nozioni preliminari
Iniziamo richiamando il concetto di vettore, per poi definire e studiare i tensori e concludere ricordando alcune regole di calcolo. I concetti sono esposti in maniera molto sintetica, lo scopo principale del capitolo `e quello di stabilire un linguaggio e una notazione comune.
1.1 Vettori Indichiamo con V uno spazio vettoriale su R di dimensione finita su cui `e definito un prodotto scalare (un’applicazione da V ×V in R bilineare, simmetrica e definita positiva). Indicheremo gli elementi di V con lettere minuscole grassette a, b, . . . , x, z, gli scalari in R con a, b, . . . , x, z, A, B, . . . , X, Z e il prodotto scalare√tra due generici vettori u e v con u · v. La norma di un vettore u `e |u| := u · u. L’angolo v u·v ϑ := arccos ϑ |u| |v| u lo chiameremo l’angolo formato dai vettori (non nulli) u e v. Avremo quindi u · v = |u| |v| cos ϑ. Un vettore unitario, o versore, `e un vettore di norma 1, mentre due vettori, non nulli, si dicono ortogonali se il loro prodotto scalare `e nullo. Un insieme di vettori unitari e a due a due ortogonali si chiama sistema ortonormale di vettori. Inoltre, se V ha dimensione n, `e sempre possibile trovare un sistema ortonormale di n vettori: un tale sistema lo chiameremo base ortonormale e una di queste basi la indicheremo con e1 , . . . , en . In particolare, avremo ei · ej = δij , ∀i, j = 1, 2, . . . , n, dove δij `e la delta di Kronecker (δij = 1 se i = j e 0 altrimenti). Le componenti di un vettore u rispetto alla base ortonormale {ei } sono gli scalari definiti da ui := (u)i := ei · u © The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_1
3
4
1 Nozioni preliminari
e quindi potremo scrivere u = u 1 e 1 + u 2 e2 + . . . + u n en =
n X
u i ei .
i=1
Utilizzeremo la notazione di Einstein: ogni indice ripetuto due volte in un’espressione viene sommato al variare di tutti i possibili valori che l’indice pu` o assumere; per cui, possiamo semplicemente scrivere u = u i ei .
(1.1)
Utilizzando la linearit`a del prodotto scalare, otteniamo u · v = (ui ei ) · (vj ej ) = ui vj δij = ui vi , ovvero che il prodotto scalare `e dato dalla somma dei prodotti componente per componente dei due vettori. Il conto appena fatto dimostra l’efficacia della notazione di Einstein, ma al tempo stesso certifica che gli indici vanno trattati e rinominati con cura. Ad esempio, con la notazione adottata, si ha che ui ui 6= u2i in quanto il membro a sinistra `e uguale a |u|2 mentre il membro a destra `e uguale al quadrato della componente i-ma di u. Fissata una base, ad ogni vettore u corrisponde una n-pla di scalari ui e viceversa. In altre parole, lo spazio vettoriale V `e in corrispondenza biunivoca ` quindi possibile identificare V con Rn , identificazione che faremo con Rn . E in tutti i capitoli seguenti. Se lo spazio vettoriale ha dimensione uguale a 3, `e possibile definire il prodotto vettoriale, ovvero un’operazione che associa a due generici vettori u e v un terzo vettore u ∧ v che `e • •
•
ortogonale sia a u che a v, ha modulo uguale all’area del parallelogramma di lati u e v, cio`e |u ∧ v| = |u| |v| sin ϑ, con ϑ l’angolo formato dai vettori u e v, e verso determinato con la regola della mano destra.
u
u∧v
v
Utilizzando le componenti rispetto alla base {e1 , e2 , e3 }, il vettore u ∧ v pu`o essere formalmente determinato da e1 e 2 e3 u ∧ v = det u1 u2 u3 , v1 v2 v3 mentre utilizzando il simbolo di Levi-Civita se (i, j, k) `e una permutazione pari di (1, 2, 3); 1 εijk = −1 se (i, j, k) `e una permutazione dispari di (1, 2, 3); 0 se due indici sono uguali,
1.2 Tensori
5
possiamo scrivere u ∧ v = εijk ui vj ek . Esercizio 1.1. In R3 , determinare l’equazione del piano passante per il punto x0 e parallelo ai vettori a e b. 5 Soluzione. Il vettore a ∧ b `e ortogonale sia ad a che a b, per cui una normale al a∧b piano cercato sar` a n = |a∧b| . Se x `e un generico punto del piano, si ha che il vettore r = x − x0 `e parallelo al piano, quindi r · n = 0. Dunque tutti i punti x del piano soddisfano l’equazione (a ∧ b) · (x − x0 ) = 0. 4
1.2 Tensori Come nella sezione precedente, V indica uno spazio vettoriale su R di dimensione n su cui `e definito un prodotto scalare ed {e1 , . . . , en } `e una base ortonormale di V. Un tensore (del secondo ordine) `e semplicemente un’applicazione lineare da V in V. Indicheremo i tensori con delle lettere grassette maiuscole, A, . . . , Z, e l’insieme dei tensori (del secondo ordine) con Lin. Dunque A ∈ Lin ⇐⇒ A[c1 u + c2 v] = c1 Au + c2 Av
∀u, v ∈ V, ∀c1 , c2 ∈ R.
La composizione e la somma di due tensori, oltre alla moltiplicazione di uno scalare per un tensore, sono definiti come per le funzioni: (AB)v = A[Bv] =: ABv,
(A+B)v = Av+Bv,
(cA)v = c(Av) =: cAv,
per ogni A, B ∈ Lin, v ∈ V e c ∈ R. Dato il generico vettore v = vi ei , si ha Av = vi Aei : dunque, per definire un tensore `e sufficiente definire le immagini dei vettori della base. Le componenti di un tensore A, rispetto alla base fissata, sono definite da Aij := (A)ij := ei · Aej . Diremo che
A11 A12 A13 [A] := A21 A22 A23 A31 A32 A33
`e la matrice rappresentativa del tensore A rispetto alla base {ei }; qui per semplicit`a abbiamo assunto n = 3. La componente i-ma di Av `e (Av)i = ei · Av = vj ei · Aej = Aij vj e dunque pu`o essere determinata applicando la matrice rappresentativa di A alla n-pla di numeri che rappresentano v. Il tensore identit` a, indicato con I, `e l’applicazione lineare che mappa un ` facile verificare generico vettore in s´e stesso, cio`e Iv = v per ogni vettore v. E che (I)ij = δij .
6
1 Nozioni preliminari
Il prodotto diadico, o prodotto tensore, di due vettori a, b ∈ V, indicato con a ⊗ b, `e il tensore definito da a ⊗ b v := a(b · v)
∀v ∈ V.
Esercizio 1.2. Verificare che 1. 2. 3. 4.
(a ⊗ b)ij = ai bj ; (a ⊗ b)(c ⊗ d) = (b · c) (a ⊗ d); A(a ⊗ b) = (Aa) ⊗ b =: Aa ⊗ b; I = e i ⊗ ei . 5
Se Aij sono le componenti del tensore A, possiamo considerare il tensore Aij ei ⊗ ej che mappa un generico vettore v in (Aij ei ⊗ ej )v = Aij ei (ej · v) = Aij vj ei = (Av)i ei = Av. Visto che tale identit`a vale per ogni vettore v, concludiamo che A = Aij ei ⊗ ej .
(1.2)
Dunque, le diadi ei ⊗ ej , i, j = 1, . . . , n, formano una base di Lin e la (1.2) `e esattamente la scrittura di un tensore tramite le sue componenti, esattamente come la (1.1) lo `e per un vettore. Esercizio 1.3. Calcolare la matrice rappresentativa del tensore A = 5e1 ⊗ e1 + 2e1 ⊗ e2 + 6e2 ⊗ e3 + 3e3 ⊗ e2 rispetto alla base 1 n 1 = − e1 − 2 n 2 = e2 , √ 3 n3 = e1 − 2
√
3 e3 , 2
1 e3 . 2 5
Soluzione. Indichiamo con A˜ij le componenti del tensore A rispetto alla base ni . Dato che Aij ei ⊗ ej = A˜ij ni ⊗ nj , si ha A˜pq = (np · ei )Aij (nq · ej ). Quindi, indicando ˜ = [Q][A][Q]T . Nel nostro caso abbiamo con Qpi := (np · ei ) possiamo scrivere [A] √ −1 0 − 3 1 0 2 0 [Q] = 2 √ 3 0 −1
1.2 Tensori
7
per cui √ √ −1 0 − 3 520 −1 0 3 1 ˜ = 0 2 0 0 0 6 0 2 0 [A] √ 4 √ 030 3 0 −1 − 3 0 −1 √ √ 5√ −4 − 6 3 −5 3 1 = −12√ 3 √ 0 −12 . 4 −5 3 4 3 − 6 15 4
Dato A ∈ Lin, il tensore trasposto AT `e l’unico tensore che soddisfa la seguente identit`a Au · v = u · AT v, ∀u, v ∈ V. (1.3) Dalla definizione segue che (AT )ij = (A)ji , ossia che la matrice rappresentativa di AT `e uguale alla trasposta della matrice rappresentativa di A. Si poteva usare questo risultato come definizione, ossia definire AT come quel tensore la cui matrice rappresentativa `e uguale alla trasposta della matrice rappresentativa di A. Forse questa seconda definizione pu` o sembrare pi` u intuitiva ma, cos`ı come enunciata, dipende dalla base rispetto alla quale si scrive la matrice rappresentativa. In altre parole, dovremmo verificare che sia ben posta. Per ovviare questo problema cercheremo di evitare, quando possibile, di utilizzare le matrici rappresentative nelle definizioni che daremo. Inoltre, la definizione (1.3) la useremo ripetutamente nella forma data e quindi `e bene impararla fin da subito. Un tensore A si dice simmetrico se A = AT e si dice emisimmetrico, o antisimmetrico, se A = −AT . Indicheremo con Sym e Skw rispettivamente l’insieme dei tensori simmetrici ed antissimmetrici: Sym := {A ∈ Lin : A = AT }
e
Skw := {A ∈ Lin : A = −AT }.
Esercizio 1.4. Verificare che 1. 2. 3. 4.
(a ⊗ b)T = b ⊗ a; (a ⊗ b)A = a ⊗ (AT b) =: a ⊗ AT b; (AT )T = A; (AB)T = BT AT . 5
Per definire un operatore lineare su Lin `e sufficiente specificare come opera sulle diadi, dato che un tensore pu`o essere rappresentato come combinazione lineare di diadi: A = Aij ei ⊗ ej . La traccia `e l’operatore lineare tr : Lin → R definito da tr(u ⊗ v) := u · v, ∀u, v ∈ V. Usando la linearit`a dell’operatore traccia si ha
8
1 Nozioni preliminari
tr A = tr(Aij ei ⊗ ej ) = Aij tr(ei ⊗ ej ) = Aij ei · ej = Aij δij = Aii . Quindi, la traccia di A `e la somma degli elementi diagonali della matrice rappresentativa di A. Visto che la definizione di traccia non dipende dalla base scelta, deduciamo che anche la somma degli elementi che stanno sulla diagonale di una matrice rappresentativa di un tensore non dipende dalla base scelta, ovvero `e un invariante. Il prodotto scalare su V induce, tramite l’operatore traccia, un prodotto scalare su Lin. Il prodotto scalare tra due tensori A e B, indicato con A · B, `e lo scalare definito da A · B := tr(AT B). Nuovamente, usando la linearit`a dell’operatore traccia, si ha A · B = (AT B)jj = (AT )ji Bij = Aij Bij , da cui deduciamo che il prodotto scalare tra due tensori `e uguale alla somma dei prodotti delle componenti delle matrici rappresentative; in particolare, si ha A · B = AT · BT . Analogamente ai vettori, definiamo la norma di un tensore A come v uX √ p u n |A| := A · A = Aij Aij = t A2ij . i,j=1
Esercizio 1.5. Verificare che 1. 2. 3. 4.
A · B = 0, ∀ B ∈ Lin ⇒ A = 0; S ∈ Sym, W ∈ Skw ⇒ S · W = 0; A · S = 0, ∀ S ∈ Sym ⇒ A ∈ Skw; A · W = 0, ∀ W ∈ Skw ⇒ A ∈ Sym. 5
Soluzione. La 1. segue semplicemente prendendo B = A. Infatti con questa scelta si ha 0 = A · A = |A|2 ⇒ A = 0. Per ottenere la 2. basta passare ai trasposti: S · W = ST · WT = S · (−W) = −S · W, da cui S · W = 0. La 3. segue osservando che per un generico tensore B ∈ Lin si ha che (B + BT ) ∈ Sym e quindi per ogni B ∈ Lin 0 = A · (B + BT ) = A · B + AT · B = (A + AT ) · B.
1.2 Tensori
9
Applicando il risultato dimostrato in 1. segue che A + AT = 0, ovvero la tesi. La 4. si dimostra in maniera analoga dato che per ogni B ∈ Lin si ha che (B − BT ) ∈ Skw. 4
Un tensore A si dice non singolare se l’unico vettore che viene mappato nel vettore nullo `e il vettore nullo: Av = 0 ⇒ v = 0. Tensori non-singolari sono iniettivi, infatti Au = Av ⇐⇒ A[u − v] = 0 ⇐⇒ u = v, ed anche, dato che dominio e codominio di un tensore coincidono, suriettivi. Conseguentemente, ogni tensore non-singolare A ammette un tensore inverso, che denotiamo con A−1 , definito da A−1 u = v ⇐⇒ Av = u. Ne segue che A−1 A = AA−1 = I. Esercizio 1.6. Si dimostrino le seguenti identit` a 1. (AB)−1 = B−1 A−1 ; 2. (A−1 )T = (AT )−1 =: A-T . 5 Soluzione. Ci limitiamo a dimostrare la seconda. Visto che (AA−1 )T = (A−1 A)T = I, si ottiene (A−1 )T AT = AT (A−1 )T = I. Quest’ultima identit` a ci dice che (A−1 )T = (AT )−1 .
4
` possibile definire il determinante di un tensore senza utilizzare la E matrice rappresentativa, ma ci`o risulta laborioso. Ci accontentiamo di definire il determinante del tensore A come il determinante della matrice rappresentativa det A := det[A] e ci fidiamo pure che tale definizione non dipende dalla base scelta1 . Accettato ci`o, risulta facile credere, anche ricordando l’analogo risultato per le matrici, che un tensore A `e non-singolare se e solo se det A 6= 0. Inoltre, dato che det(AB) = det A det B, come per le matrici, si ha che det A−1 = (det A)−1 =
1 , det A
dal momento che det I = 1. 1
Si veda P. Halmos, Finite dimensional vector spaces, Benediction Classics, 2015, oppure S. Lang, Algebra lineare, Boringhieri, 1984
10
1 Nozioni preliminari
Esercizio 1.7. In R3 , verificare le seguenti identit` a a1 a2 a3 −a− 1. a · b ∧ c = det b1 b2 b3 =: det − b − ; c1 c2 c3 −c− 2. a · b ∧ c det F = Fa · Fb ∧ Fc, per tutti i vettori a, b e c. 5 Soluzione. Ci limitiamo a verificare la seconda identit` a: − Fa − −a− Fa · (Fb ∧ Fc) = det − Fb − = det − b − [F ] − Fc − −c − −a− = det − b − det[F ] = a · b ∧ c det F. −c − 4
Se A ∈ Lin, diremo che lo scalare λ `e un autovalore di A se esiste almeno un vettore non-nullo v, chiamato autovettore, tale che Av = λv. Dato che quest’ultima equazione si riscrive come (A − λI)v = 0 e v 6= 0, ne segue che il tensore A − λI non pu`o essere non-singolare, diremo quindi che `e singolare, e pertanto det(A − λI) = 0. Quest’ultima equazione, chiamata polinomio caratteristico di A, pu` o essere utilizzata per determinare gli autovalori. Come per le matrici simmetriche, il teorema spettrale afferma che se A ∈ Sym allora i suoi autovalori, λi , sono reali ed esiste una base ortonormale di autovettori, a1 , . . . , an , di A: Aai = λi ai
non sommato su i.
Da questa equazione deduciamo Aai ⊗ ai = λi ai ⊗ ai
non sommato su i;
sommando, si ha A
n X i=1
ai ⊗ ai =
n X i=1
Aai ⊗ ai =
n X
λi ai ⊗ ai ,
i=1
da cui, utilizzando la 4. dell’Esercizio 1.2, giungiamo alla rappresentazione spettrale di A:
1.3 Calcolo differenziale
A=
n X
11
λi ai ⊗ ai .
i=1
Il teorema spettrale e la rappresentazione spettrale saranno estremamente utili nei prossimi capitoli. Un tensore Q si dice ortogonale se conserva il prodotto scalare tra vettori: Qu · Qv = u · v
∀u, v ∈ V.
Con u = v si ha |Qu| = |u| per ogni tensore ortogonale Q e ogni vettore u. Pertanto, i tensori ortogonali preservano le lunghezze e sono chiaramente (perch´e?) non-singolari. Inoltre Q−1 = QT . Infatti, utilizzando la (1.3), si ha u · v = Qu · Qv = QT Qu · v; visto che tale identit`a vale per ogni v ∈ V, si deduce che u = QT Qu da cui, visto che a sua volta vale per ogni u ∈ V, si ha QT Q = I
(1.4)
per ogni tensore ortogonale Q. Dalla (1.4) non solo si deduce che Q−1 = QT , ma anche che (det Q)2 = 1. I tensori ortogonali Q per cui si ha det Q = 1 sono detti rotazioni. Se V ha dimensione 3 indicheremo con SO(3) l’insieme delle rotazioni: Q ∈ SO(3) ⇐⇒ Qu · Qv = u · v
∀u, v ∈ V
e
det Q = 1.
1.3 Calcolo differenziale Sia g : Rn → Rn , con n intero maggiore di 1, una generica funzione. Ricordiamo che g `e derivabile in x0 lungo la direzione v se esiste il limite g(x0 + sv) − g(x0 ) =: ∂v g(x0 ). s→0 s lim
Per brevit`a poniamo ∂i g := ∂ei g, che altro non `e che la derivata parziale rispetto alla variabile xi . Se esistono tutte le derivate direzionali in x0 lungo le direzioni dei vettori della base ei , definiamo il tensore ∇g(x0 ) := ∂i g(x0 )⊗ei che viene chiamato gradiente della funzione g in x0 : la i-ma colonna della matrice rappresentativa di tale tensore `e ∂i g(x0 ). La funzione g `e differenziabile in x0 , se esiste un tensore G tale che
12
1 Nozioni preliminari
|g(x0 + v) − g(x0 ) − Gv| = 0. |v| |v|→0 lim
Se g `e differenziabile in x0 allora esistono tutte le derivate parziali, G = ∇g(x0 ) e per ogni vettore v si ha ∂v g(x0 ) = Gv = ∇g(x0 ) v. La divergenza del campo (liscio) g `e definita da div g := tr ∇g e risulta essere semplicemente la somma delle derivate delle componenti gi rispetto alla variabile xi . Infatti, div g = ∇g · I = ∇g · ei ⊗ ei = ei · ∇gei = ei · ∂i g = ∂i gi , dove la seconda uguaglianza segue dal punto 4 dell’Esercizio 1.2 e la terza dal punto 4 dell’Esercizio 1.10. Per n = 3 possiamo definire pure il rotore di g come curl g := (∂2 g3 − ∂3 g2 )e1 + (∂3 g1 − ∂1 g3 )e2 + (∂1 g2 − ∂2 g1 )e3 = εijk ∂j gk ei . Una definizione di rotore che non utilizza le componenti `e data nell’Esercizio 1.14. La divergenza di un campo tensoriale (liscio) G `e l’unico campo vettoriale divG che soddisfa l’uguaglianza divG · v = div(GT v) per ogni vettore v. Si osservi che il membro a destra `e ben definito, dato che GT v `e un campo vettoriale. Prendendo v = ei si ha ( divG)i = divG · ei = div(GT ei ) = div(Gij ej ) = ∂j Gij e dunque la componente i-ma della divergenza di G `e la divergenza della i-ma riga della matrice rappresentativa di G. In spazi tridimensionali si pu`o definire il rotore di G in maniera analoga a quanto fatto per la divergenza. Posticipiamo questa definizione all’Esercizio 2.23. Se C `e una curva mono-dimensionale, S `e una superficie bi-dimensionale ed R `e una regione tri-dimensionale, indichiamo con ˆ ˆ ˆ f dL 1 , f dL 2 , f dL 3 C
S
R α
gli integrali di f su queste regioni: il simbolo dL indica che stiamo integrando su una regione la cui “dimensione” `e una lunghezza alla α. Se necessario precisare la variabile d’integrazione scriveremo, ad esempio,
1.4 Esercizi
13
ˆ f (x) dL 3 (x). R
Indicheremo inoltre con L1 (C), L2 (S) e L3 (R), rispettivamente, la lunghezza della curva C, l’area della superficie S e il volume della regione R. Infine, ricordiamo il teorema della divergenza. Se R `e una regione tridimensionale con bordo (che chiameremo pure frontiera) ∂R sufficientemente regolare (ad esempio, liscio a tratti) e f `e una funzione liscia e g `e un campo vettoriale liscio si ha ˆ ˆ ˆ ˆ ∇f dL 3 = f n dL 2 e div g dL 3 = g · n dL 2 , R
R
∂R
∂R
dove n `e la normale (unitaria) esterna a ∂R. Da questa seconda identit` a deduciamo il teorema della divergenza per un generico campo tensoriale G: ˆ ˆ div G dL 3 = Gn dL 2 . (1.5) R
∂R
Infatti, per un generico vettore v abbiamo ˆ ˆ ˆ v· div G dL 3 = v · div G dL 3 = div (GT v) dL 3 R ˆR ˆR T 2 = G v · n dL = Gn · v dL 2 ∂R ∂R ˆ = Gn dL 2 · v ∂R
dove la seconda identit`a della seconda riga si ottiene applicando la (1.3). Dall’arbitrariet`a di v segue la (1.5).
1.4 Esercizi Esercizio 1.8. Verificare le seguenti identit`a 1. 2. 3. 4. 5.
δij uj = ui ; εijk δjk = 0; εijk εipq = δjp δkq − δjq δkp ; εijh εijk = 2δhk ; εijk εhjk εhrs = 2εirs . 5
Esercizio 1.9. Lavorando in componenti, verificare che 1. a ∧ b = −b ∧ a e quindi a ∧ a = 0; 2. (a + b) ∧ c = (a ∧ c) + (b ∧ c);
14
3. 4. 5. 6. 7.
1 Nozioni preliminari
a · b ∧ c = b · c ∧ a = c · a ∧ b e quindi a · (a ∧ b) = 0; a ∧ (b ∧ c) = (a · c)b − (a · b)c; (a ∧ b) · (c ∧ d) = (a · c) (b · d) − (a · d) (b · c); (a · b)2 + |a ∧ b|2 = (|a| |b|)2 ; (a ∧ b) ∧ (c ∧ d) = [a · (c ∧ d)]b − [b · (c ∧ d)]a. 5
Esercizio 1.10. Verificare che 1. 2. 3. 4.
I · A = tr A; A · BC = BT A · C = ACT · B; u · Av = A · u ⊗ v; a ⊗ b · c ⊗ d = (a · c)(b · d). 5
Esercizio 1.11. Determinare gli autovalori e gli autovettori della matrice 210 [A] = 1 4 1 . 012 5 Esercizio 1.12. 1. Sia u = 7e1 +3e3 . Dire se esiste una rotazione Q ∈ SO(3) tale che Qu = 5e2 + 6e3 . 2. Calcolare una rotazione che manda u = 2e1 + 1e2 + 2e3 in v = 3e2 . 5 Soluzione. Vediamo la seconda parte dell’esercizio. La rotazione R cercata `e quella attorno all’asse ortogonale sia a u che a v, di un angolo uguale a quello tra i vettori u e v. Calcoliamo l’angolo φ tra i due vettori u · v = 3 = |u| |v| cos(φ) = 9 cos(φ), √
∼ 70.5◦ e sin(φ) = 2 2 . Un semplice calcolo quindi cos(φ) = 13 , che equivale a φ = 3 n2 ∧n3 u∧v v mostra che u ∧ v = −6e1 + 6e3 . Poniamo n3 := |u∧v| , n2 := |v| e n1 := |n , 2 ∧n3 | che risultano essere uguali a 1 1 n 1 = √ e1 + √ e3 , 2 2 n 2 = e2 , 1 1 n3 = − √ e1 + √ e3 . 2 2 ˜ ij le componenti della rotazione R rispetto alla base ni , possiamo Indicando con R scrivere
1.4 Esercizi cos(φ) − sin(φ) 0 1 −2 2 0 √ 1 ˜ = sin(φ) cos(φ) 0 = 2 2 1 0 . [R] 3 0 0 1 0 0 3
15
√
˜ ij ni ⊗ nj = Rij ei ⊗ ej abbiamo che [R] = [Q]T [R][Q], ˜ Visto che R = R dove le componenti della matrice [Q] sono Qij = ni · ej e quindi 1 √0 1 1 [Q] = √ 0 2 0. 2 −1 0 1 Pertanto, si ha √ 1 0 −1 1 √0 1 1 −2 2 0 √ 1 √ [R] = 0 2 0 2 2 1 0 0 2 0 6 1 0 1 −1 0 1 0 0 3 2 −2 −1 1 2 1 2 . = 3 −1 −2 2 4
Esercizio 1.13. Dimostrare che se Q ∈ SO(3) `e una rotazione diversa dall’identit`a, allora esiste un unico (a meno di un cambio di segno) u tale che |u| = 1 e Qu = u: il vettore u rappresenta l’asse di rotazione di Q. 5 ¯ u ¯ rappresenta il ¯ ) lo `e (λ Soluzione. Se (λ, u) `e un’autocoppia, allora anche (λ, complesso coniugato di λ). Dunque ¯ u · λu = |λ|2 |u|2 , ¯ · u = QT Q¯ |u|2 = u u · u = Q¯ u · Qu = λ¯ e quindi |λ|2 = 1. Dato che siamo in dimensione 3, almeno un autovalore `e reale. Sia λ3 ∈ R. Visto che λ1 λ2 λ3 = 1 possiamo supporre che λ3 = 1 (se tutti gli autovalori sono reali, allora almeno uno `e positivo; mentre se due sono complessi, uno il coniugato dell’altro, il loro prodotto `e positivo). Consideriamo un sistema (u1 , u2 , u3 ), con u3 l’autovettore associato a λ3 . La matrice rappresentativa del tensore Q rispetto a tale base ´e (verificatelo!) Q11 Q12 0 [Q] = Q21 Q22 0 . 0 0 1 Dall’identit` a QT Q = I deduciamo Q211 + Q221 = 1 Q222 + Q212 = 1 Q11 Q12 + Q22 Q21 = 0. Poniamo
16
1 Nozioni preliminari Q11 = cos(φ) Q21 = sin(φ) Q22 = cos(ψ) Q12 = sin(ψ)
e dalla terza equazione, Q11 Q12 + Q22 Q21 = 0, otteniamo cos(φ) sin(ψ) + sin(φ) cos(ψ) = 0 =⇒ sin(φ + ψ) = 0. Pertanto, o φ = ψ, o φ = π − ψ; ma quest’ultimo caso `e escluso dato che si avrebbe detQ = −1. Quindi cos(φ) − sin(φ) 0 [Q] = sin(φ) cos(φ) 0 . 0 0 1 Un semplice conto (fatelo), mostra che gli autovalori di Q sono: λ1,2 = cos(φ) ± i sin(φ). Escluso il caso φ = 0, visto che corrispondente a Q = I, si ha che λ3 = 1 ha molteplicit` a uguale a uno e dunque il suo autospazio ha dimensione uno (unicit` a di u). 4
Esercizio 1.14. Verificare che il rotore di un campo vettoriale liscio g pu` o essere definito come l’unico vettore curl g che soddisfa l’uguaglianza (∇g − ∇gT )v = curl g ∧ v 5
per ogni vettore v.
Esercizio 1.15. Sia f una funzione scalare liscia e g un campo vettoriale liscio. Verificare che curl ∇f = 0 e
div curl g = 0. 5
Esercizio 1.16. Sia g un campo vettoriale liscio ed R una regione dove `e possibile applicare il teorema della divergenza. Dimostrare che ˆ ˆ ∇g dL 3 = g ⊗ n dL 2 R
∂R
dove n `e la normale unitaria uscente a ∂R.
5
2 Analisi della deformazione
In questo capitolo descriviamo e studiamo le deformazioni dei corpi senza preoccuparci delle cause che inducono tali deformazioni. Lo studio sar` a puramente cinematico.
2.1 La non-definizione (definizione) di corpo A tutti noi `e familiare il concetto di corpo, ma malgrado ci` o non risulta banale darne una definizione. Anche limitandosi a una definizione puramente geometrica, si hanno delle difficolt`a. Sicuramente un corpo non `e semplicemente una regione dello spazio, se non altro perch´e il corpo potrebbe spostarsi e occupare una diversa regione. Per risolvere la questione in maniera agevole, considereremo il corpo come un ente primitivo e pertanto non ne daremo una definizione, ma enunceremo soltanto alcune delle sue propriet` a. Vedremo un corpo B come un insieme “astratto” e chiameremo punti materiali gli elementi X di B. Assumeremo che i corpi possano occupare diverse regioni dello spazio Euclideo tridimensionale1 ; in particolare, diremo che un insieme aperto Ω dello spazio Euclideo tridimensionale `e occupato dal corpo B se esiste una funzione iniettiva, che chiameremo piazzamento, o configurazione, da B in Ω. Quindi un piazzamento κ κ : B → Ω ⊂ R3 , X 7→ x = κ(X)
X
x = κ(X)
B
Ω
mappa i punti materiali X in punti dello spazio Euclideo x. Pertanto, x `e la posizione occupata dal punto materiale X nel piazzamento κ. L’iniettivit` a dei 1
“Bodies are available to us only in their configurations, the regions they happen to occupy in Euclidean space at some time.” C. Truesdell
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_2
17
18
2 Analisi della deformazione
piazzamenti ci garantisce che ad ogni punto dello spazio Euclideo corrisponde, al pi` u, un solo punto materiale. In maniera imprecisa potremmo affermare che tale ipotesi evita la “compenetrazione della materia”. Inoltre, assumeremo che i piazzamenti siano suriettivi, κ(B) = Ω, ossia che non ci siamo punti in Ω che non appartengono a κ(B). Sempre in maniera imprecisa, potremmo affermare che il piazzamento non “genera” nuovi punti. Osserviamo che, con le ipotesi fatte, il piazzamento κ determina la regione Ω, mentre non vale il viceversa: per una stessa regione Ω ci saranno, in generale, diversi piazzamenti la cui immagine `e Ω. Non si deve quindi confondere il piazzamento con la sua immagine. Dalle ipotesi fatte, segue che il piazzamento κ `e biettivo e pertanto κ ammette un’inversa κ−1 κ−1 : κ(B) = Ω → B.
X
x = κ(X)
B
Ω
Se χ `e un altro piazzamento, possiamo definire la funzione κ−1
fκ,χ : κ(B) → χ(B)
κ(X)
−1
come fκ,χ := χ ◦ κ . Chiaramente questa funzione `e biettiva e ha come dominio e codominio dei sottoinsiemi dello spazio Euclideo R3 : la possiamo quindi studiare, a differenza dei piazzamenti, tramite gli strumenti classici dell’Analisi. In particolare, ha senso parlare di continuit`a e di differenziabilit`a di fκ,χ .
κ(B) X
fκ,χ
B χ
χ(X) χ(B)
Faremo diverse ipotesi su queste funzioni fκ,χ . Innanzitutto, non volendo studiare problemi di frattura, assumeremo che fκ,χ sia continua, e si possa estendere, per continuit` a, fino sul bordo di κ(B). Questo implica, assumendo che κ(B) sia limitato, che anche la funzione inversa −1 fκ,χ fκ,χ : χ(B) → κ(B) fκ,χ
`e continua2 , che sicuramente `e una propriet`a desiderata, dato che proibisce “saldature” nel corpo. −1 Osserviamo inoltre che fκ,χ coincide con la funzione fχ,κ . Infine, assumeremo che le funzioni fκ,χ siano lisce; tale regolarit`a verr` a brevemente discussa nella prossima sezione. 2
Theorem 4.17, W. Rudin Principles of mathematical analysis, Mc-Graw-Hill, 1976
2.2 Deformazioni
19
Concludiamo facendo un’osservazione che va ben oltre gli scopi di questo testo: le propriet`a sopra richieste praticamente definiscono il corpo come una variet`a differenziabile di dimensione 3 che ammette delle carte globali.3 Il lettore, parecchio interessato, pu`o trovare ulteriori dettagli nel libro di C. Truesdell e C.-C. Wang4 .
2.2 Deformazioni Il concetto di deformazione `e relativo, lo si pu`o definire e valutare solamente a partire da una fissata configurazione. Chiameremo le funzioni fκ,χ : κ(B) → χ(B), definite nella sezione precedente, deformazioni dalla configurazione κ alla configurazione χ. Quindi, se x = κ(X) diremo che x e fκ,χ (x) sono rispettivamente le posizioni occupate dal punto materiale X prima e dopo la deformazione fκ,χ . x fκ,χ (x)
χ(B)
κ(B) Tra tutti i possibili piazzamenti conviene fissarne uno, che chiameremo configurazione di riferimento, e “misurare” le deformazioni sempre a partire da questa configurazione. La configurazione di riferimento potrebbe essere, ma non `e necessario che lo sia, la posizione occupata dal corpo in un determinato istante. Spesso, nelle applicazioni, ci sono dei piazzamenti che si prestano maggiormente ad essere scelti come configurazione di riferimento, come le configurazioni che i corpi assumono in assenza di carichi. Indichiamo con κ la configurazione di riferiΩ = κ(B) mento e con Ω := κ(B) la regione occupata κ in tale configurazione.5 Assumeremo che la regione Ω sia un sottoinsieme aperto, limitato e connesso di R3 con una frontiera ∂Ω suffif cientemente liscia.6 Inoltre, dato che κ `e fissaB ta, possiamo snellire la notazione ed indicare la deformazione fκ,χ semplicemente con f (Ω) f : Ω → f (Ω). 3
4 6
6
“... it is a very simple manifold because it can be mapped out with a single ”chart” (”configuration” in our terminology).” W. Noll Introduction to Rational Elasticity, Kluwer Academic, 1973 Volendo, dato che la regione Ω `e in corrispondenza biunivoca con B possiamo identificare, almeno dal punto di vista geometrico, il corpo B con la regione Ω. Essenzialmente, liscia significa che su tali regioni possiamo applicare il teorema della divergenza.
20
2 Analisi della deformazione
Come precedentemente affermato, assumeremo f e f −1 continue. Inoltre, richiederemo che la deformazione e la sua inversa siano sufficientemente “liscie” e che quindi siano differenziabili quanto necessario. Indicheremo con F := ∇f il gradiente di f e lo chiameremo gradiente di deformazione. Avremo quindi che per ogni x ∈ Ω lim
h→0
|f (x + h) − f (x) − F(x)h| = 0. |h|
(2.1)
Questa relazione pu`o essere anche scritta come x+h h f x f (x + h) f (x + h) − f (x) = F(x)h + o(|h|), (2.2) F(x)h + o(|h|) f (x) che ci mostra che a meno di infinitesimi di ordine superiore a |h| il vettore (x + h) − x = h viene mandato in F(x)h. Dalla (2.1) segue che F : Ω → Lin. Si osservi che, dato che f −1 ◦ f = id, dove id indica l’identit`a, si ha (∇f −1 ) ◦ f ∇f = I, da cui segue che (det ∇f −1 ) ◦ f det F = 1, e quindi det F 6= 0. Dunque, durante un processo deformativo, il gradiente di deformazione non potr`a mai avere determinante nullo. Dato che la deformazione identit`a ha determinate positivo, richiederemo che det F > 0 ovunque in Ω.
(2.3)
Questa ipotesi implica che tre vettori linearmente indipendenti vengono mappati da F in tre vettori linearmente indipendenti, ed inoltre impedisce che una terna destra possa essere deformata in una sinistra, come si pu` o dedurre dall’identit`a7 (a ∧ b · c) det F = Fa ∧ Fb · Fc,
∀a, b, c ∈ R3 ,
(2.4)
che `e stata dimostrata nell’Esercizio 1.7. Sempre da questa identit` a si deduce che regioni con un volume positivo non possono essere trasformate in regioni con volume nullo, ad esempio schiacciate in un unico punto. Queste ultime deformazioni non sarebbero nemmeno iniettive. Osserviamo che se f `e liscia e il det ∇f > 0, per il teorema della funzione inversa, la funzione f `e localmente invertibile e la sua inversa (locale) `e liscia. 7
Lo scalare a ∧ b · c rappresenta il volume (con segno) del parallelepipedo generato dai vettori a, b e c.
2.2 Deformazioni
21
Notiamo, per`o, che la locale invertibilit`a non implica l’invertibilit`a (globale) e quindi l’ipotesi (2.3) non sostituisce l’ipotesi sulla iniettivit`a. f La mappa rappresentata nella figura a fianco non `e globalmente invertibile ma potrebbe essere localmente invertibile. Fissiamo una volta per tutte un punto 0, che chiameremo origine di R3 , in modo da poter identificare il generico punto x con il vettore x − 0, come pure il punto f (x) con il vettore f (x) − 0. Fissiamo inoltre una terna ortonormale destra {e1 , e2 , e3 } in modo da poter scrivere il generico vettore come x = xi ei , dove xi sono le componenti del punto x. f f (x) x x e1
e3
f (x) e2
Analogamente, la deformazione y = f (x) la possiamo scrivere in componenti come: y1 = f1 (x1 , x2 , x3 ), y2 = f2 (x1 , x2 , x3 ), y3 = f3 (x1 , x2 , x3 ). Prendendo in (2.1) h = sej , con s ∈ R e j ∈ {1, 2, 3}, abbiamo: f (x + sej ) − f (x) = ∂j f (x), s→0 s
F(x)ej = lim
(2.5)
dove l’ultima identit`a segue direttamente dalla definizione di derivata di f in direzione xj . Quindi le componenti di F risultano Fij = ei · Fej = ei · ∂j f = ∂j fi , e la matrice che rappresenta F F11 F12 [F ] = F21 F22 F31 F32
nella base {ei } `e F13 ∂ 1 f1 ∂ 2 f1 ∂ 3 f1 F23 = ∂1 f2 ∂2 f2 ∂3 f2 . F33 ∂ 1 f3 ∂ 2 f3 ∂ 3 f3
Si osserva che nella colonna i-ma c’`e la derivata in direzione xi di f , mentre nella riga j-ma c’`e il gradiente di fj . Indichiamo questo con la seguente notazione: −∇f1 − [F ] = ∂1 f | ∂2 f | ∂3 f = −∇f2 − . (2.6) −∇f3 −
22
2 Analisi della deformazione
Al riguardo di questa notazione, nell’Esercizio (2.40) si chiede di verificare che ∇f = ∂j f ⊗ ej e ∇f = ek ⊗ ∇fk . Esercizio 2.1. Data la deformazione f (x) = x +
3 7 x 2 e2 + x 2 x 3 e3 , 200 100 5
calcolare il gradiente di deformazione.
Soluzione. Si pu` o procedere applicando la definizione (2.1) oppure semplicemente derivando le componenti. Utilizzando quest’ultima via, si ha f 1 = x1 ,
f 2 = x2 +
3 x2 , 200
f 3 = x3 +
e calcolando le derivate parziali deduciamo che 1 0 0 203 0 [F ] = 0 200 0
7 x 100 3
1+
7 x2 x3 , 100
.
7 x . 100 2
Quindi, F(x) = e1 ⊗ e1 +
203 7 7 e2 ⊗ e2 + x3 e3 ⊗ e2 + (1 + x2 )e3 ⊗ e3 . 200 100 100 4
Concludiamo la sezione studiando quando un generico campo tensoriale G pu`o essere visto come il gradiente di deformazione di una mappa g. Esempio 2.2. Il campo tensoriale G : Ω → Lin con matrice rappresentativa uguale a 2 3x3 0 6x1 x3 [G(x)] = 0 4x2 0 3x2 x1 1 `e il gradiente di qualche funzione g : Ω → R3 ? O in maniera pi` u esplicita: esiste una funzione g : Ω → R3 tale che ∇g = G? Per rispondere a questa domanda utilizziamo la seconda rappresentazione data in (2.6). Se G `e il gradiente di una data g si dovr`a avere che (3x23 , 0, 6x1 x3 ) = ∇g1 , (0, 4x2 , 0) = ∇g2 e (3x2 , x1 , 1) = ∇g3 . Si deduce subito che si pu`o prendere g1 = 3x1 x23 e g2 = 2x22 . Non risulta invece immediata l’esistenza di una g3 tale che (3x2 , x1 , 1) = ∇g3 . Se questa identit`a fosse valida si dovrebbe avere, dato che il rotore di un gradiente `e sempre uguale a zero (Esercizio 1.15), che anche il rotore di (3x2 , x1 , 1) dovrebbe essere nullo. Ma curl (3x2 , x1 , 1) = −2e3 e quindi G non `e un gradiente. ♥
2.3 Deformazioni omogenee
23
2.2.1 Spostamenti Lo spostamento di un punto materiale durante una deformazione pu`o essere pensato come il vettore che inizia nel punto occupato prima della deformazione e che termina nel punto occupato dopo. Pi` u precisamente, se x = κ(X) e f (x) sono rispettivamente le posizioni occupate dal punto materiale X prima e dopo la deformazione f , lo spostamento u(x) del punto x `e definito come
u(x)
x x e1
e3
f (x) e2
u(x) := f (x) − x. x
f (x)
(2.7)
u(x) f (x)
f (Ω)
Ω Dunque lo spostamento di un corpo `e una mappa u : Ω → R3 definita in ogni punto x ∈ Ω dalla (2.7). Il gradiente di u, che chiameremo gradiente di spostamento, `e dato da ∇u(x) = ∇f (x) − I (2.8) e che in generale indicheremo con H = ∇u = F − I. Le relazioni trovate tra f ed F valgono anche per u ed H; in particolare Hij = ei · Hej = ∂j ui .
2.3 Deformazioni omogenee Le deformazioni omogenee sono deformazioni aventi gradiente costante. Queste deformazioni risultano particolarmente importanti dato che localmente ogni deformazione pu`o essere “ritenuta”, con buona approssimazione, una deformazione omogenea. Il teorema che ci apprestiamo ad enunciare ci permette di determinare la deformazione nel caso in cui il gradiente di deformazione sia costante e di determinare il gradiente di deformazione di una funzione affine. Il teorema tutto sommato `e banale: in una dimensione `e l’equivalente di un enunciato del tipo f 0 (x) = 5 ⇐⇒ f (x) = f (x0 ) + 5(x − x0 ) per ogni punto x0 . La dimostrazione, come quella del teorema sottostante, la si ottiene da un lato per semplice differenziazione e dall’altro per integrazione. Teorema 2.3. Sia f : Ω → R3 una deformazione e F ∈ Lin. Allora ∇f (x) = F per ogni x ∈ Ω se e solo se f (x) = f (x0 ) + F[x − x0 ] per ogni x0 ∈ Ω.
24
2 Analisi della deformazione
Dimostrazione. Assumiamo che f ammetta la rappresentazione f (x) = f (x0 )+ F[x − x0 ] per ogni x0 ∈ Ω con F ∈ Lin. Allora da (2.1) deduciamo subito che ∇f = F. Viceversa, assumiamo che ∇f = F con F ∈ Lin. Fissiamo x, x0 ∈ Ω e poniamo h := x − x0 . Allora e3 ex2 = x0 + h
f (x) − f (x0 ) = f (x0 + h) − f (x0 )
e1 x0
= f (x0 + h) − f (x0 + h1 e1 + h2 e2 )
h
+ f (x0 + h1 e1 + h2 e2 ) − f (x0 + h1 e1 ) x 0 + h 1 e1 x 0 + h 1 e1 + h 2 e2 + f (x0 + h1 e1 ) − f (x0 ) per cui, per il teorema fondamentale del calcolo integrale (brutalmente: l’integrale della derivata di una funzione `e la funzione stessa), si ha ˆ
h3
f (x) − f (x0 ) =
∂3 f (x0 + h1 e1 + h2 e2 + x3 e3 ) dx3 0
ˆ
h2
+
∂2 f (x0 + h1 e1 + x2 e2 ) dx2 ˆ
0 h1
+
∂1 f (x0 + x1 e1 ) dx1 . 0
Inoltre, dato che ∂i f (z) = (∇f )ei = Fei per ogni z ∈ Ω, segue che ˆ
ˆ
h3
f (x) − f (x0 ) = 0
ˆ
h2
Fe3 dx3 +
h1
Fe2 dx2 + 0
Fe1 dx1 , 0
= h3 Fe3 + h2 Fe2 + h1 Fe1 = Fh = F[x − x0 ]. Il Teorema 2.3 caratterizza le deformazioni omogenee. Particolari deformazioni omogenee sono: Traslazioni: deformazioni della forma f (x) = x + c, con c ∈ R3 . In queste deformazioni il corpo viene semplicemente traslato di c, u(x) = c, e il gradiente di deformazione `e uguale all’identit`a, ∇f = I, come segue immediatamente dal Teorema 2.3.
c
2.3 Deformazioni omogenee
25
Rotazioni: deformazioni del tipo f (x) = x0 + R[x − x0 ], con R ∈ SO(3) e x0 ∈ R3 . Con questa deformazione il corpo viene “ruotato” di R attorno x0 al punto x0 e ∇f = R. In questi due tipi di deformazioni omogenee si ha che la distanza mutua tra i punti non cambia, come si pu`o facilmente verificare. Definizione 2.4. Una deformazione f su Ω si dice rigida se lascia inalterate le distanze mutue tra i punti, ossia |f (x) − f (z)| = |x − z|
∀x, z ∈ Ω.
In una dimensione, f : R → R `e una deformazione (f 0 > 0) rigida se |f (x) − f (z)| = |x − z| per ogni x e z. Allora, f (x) − f (z) = ±(x − z) e visto che f 0 > 0 si ha f (x) = f (x0 ) + (x − x0 ) per ogni x0 . Il prossimo teorema caratterizza, in maniera simile, le deformazioni rigide tridimensionali. Teorema 2.5. La deformazione f : Ω → R3 `e rigida se e solo se esiste Q ∈ SO(3) tale che f (x) = f (x0 ) + Q[x − x0 ] per ogni x0 ∈ Ω. Dimostrazione. Se f ha la struttura f (x) = f (x0 ) + Q[x − x0 ] con Q ∈ SO(3) si ha |f (x) − f (z)| = |Q[x − x0 ] − Q[z − x0 ]| = |Q[x − z]| = |x − z| e quindi f `e rigida. Viceversa, se f `e rigida, allora dalla Definizione 2.4 si ha f (x) − f (z) · f (x) − f (z) = (x − z) · (x − z) ∀x, z ∈ Ω che in componenti si riscrive come fi (x) − fi (z) fi (x) − fi (z) = (xi − zi )(xi − zi )
∀x, z ∈ Ω.
Differenziando rispetto a xj si ha 2∂xj fi (x) fi (x) − fi (z) = 2δij (xi − zi )
∀x, z ∈ Ω
e differenziando rispetto a zk si ottiene 2∂xj fi (x)∂zk fi (z) = 2δij δik = 2δik
∀x, z ∈ Ω.
Questa equazione, in notazione assoluta, si scrive come
26
2 Analisi della deformazione
∇f (x)T ∇f (z) = I
∀x, z ∈ Ω,
che implica che ∇f `e indipendente dal punto (perch´e?) e che `e una matrice ortogonale. Essendo per`o f una deformazione, avr` a det ∇f > 0 e quindi ∇f = Q per qualche Q ∈ SO(3). La conclusione della dimostrazione quindi segue applicando il Teorema 2.3. Dal teorema appena dimostrato deduciamo che le deformazioni rigide hanno la seguente struttura f (x) = f (x0 ) − x0
traslazione del generico punto x0 ,
+ x0 + Q[x − x0 ]
rotazione attorno al punto x0 ,
in altre parole una deformazione rigida `e una rototraslazione, ossia la composizione di una traslazione con una rotazione.
2.4 Variazioni geometriche In tutta la sezione, Ω rappresenta la regione occupata da un corpo nella configurazione di riferimento, f : Ω → f (Ω) una deformazione e F il suo gradiente. 2.4.1 Variazione di lunghezza Si consideri, nella configurazione di riferimento, il segmento “infinitesimo” compreso tra i punti x0 e x. La lunghezza di tale segmento la indichiamo con d`0 := |x − x0 | e il versore che determina la direzione con x − x0 t := . |x − x0 |
x d`0 t
Avremo dunque
x0 x − x0 = d`0 t. Le immagini di x0 e x sono f (x0 ) e f (x). Questi due punti determinano un segmento nella configurazione deformata di lunghezza d` := |f (x) − f (x0 )|.
f (x) − f (x0 )
f (x)
f (x0 )
Espandendo in serie di Taylor la deformazione attorno al punto x0 si ha f (x) = f (x0 ) + ∇f (x0 )[x − x0 ] + o(|x − x0 |); si osservi che questa equazione `e la (2.2). Quest’ultima relazione la possiamo riscrivere come
2.4 Variazioni geometriche
d`0 t
27
f f (x) − f (x0 ) = d`0 Ft + o(d`0 ),
(2.9)
d`0 Ft + o(d`0 ) da cui si ottiene d` = |f (x) − f (x0 )| = d`0 |Ft| + o(d`0 ). Quindi, d` o(d`0 ) = |Ft| + d`0 d`0 e trascurando il termine o(d`0 )/d`0 si giunge a d` = |Ft|. d`0
(2.10)
Pertanto, dato un segmento infinitesimo in direzione t nella configurazione di riferimento, si ha che il rapporto tra la lunghezza del segmento deformato e la lunghezza del segmento indeformato `e uguale al modulo del gradiente di deformazione applicato a t. Ne segue che il modulo della i-ma colonna di [F ], ovvero il modulo di Fei , rappresenta il rapporto tra la lunghezza deformata ed indeformata di un segmento “infinitesimo” parallelo all’asse xi . Esercizio 2.6. Dimostrare che la formula della variazione di lunghezza (2.10) si pu`o riscrivere come √ d` = t · FT Ft. d`0 Dimostrare inoltre che FT F `e un tensore simmetrico definito positivo.
5
Soluzione. Indichiamo solamente come si dimostra che FT F `e definito positivo. Sia a ∈ R3 un generico vettore. Allora si ha FT Fa · a = Fa · Fa = |Fa|2 ≥ 0. Inoltre FT Fa · a = 0 se e solo se |Fa| = 0 e questo `e vero se e solo se Fa = 0. Ma det F > 0, vedi (2.3), e quindi Fa = 0 se e solo se a = 0. Quindi FT Fa · a > 0
∀a 6= 0. 4
L’esercizio dimostra che per valutare la variazione di lunghezza non `e necessario conoscere il gradiente di deformazione F, che ha nove componenti, ma `e sufficiente conoscere FT F, che si caratterizza con sei componenti. Osservazione 2.7. In questa osservazione diamo una dimostrazione pi` u rigorosa della (2.10), in particolare dimostriamo che il membro a sinistra della (2.10) `e effettivamente la derivata di ` rispetto ad `0 . Sia γ : [a, b] → Ω una
28
2 Analisi della deformazione
curva liscia, con a, b ∈ R e con sostegno γ([a, b]) contenuto nella configurazione di riferimento Ω. La deformazione f mappa la curva γ nella f curva f ◦ γ il cui sostegno `e contenuto in f (Ω). Dal corso di Analisi sappiamo che la lunγ ghezza `0 (t) del sostegno γ([a, t]) della curva f ◦γ indeformata, con t ∈ [a, b], `e data da ˆ
ˆ t dγ ˙ dθ, `0 (t) = dθ, = |γ| a b θ dθ a a dove γ˙ indica la derivata di γ rispetto a θ. Similmente, la lunghezza `(t) della curva immagine f ◦ γ `e ˆ t d(f ◦ γ) dθ. `(t) = dθ a t
Quest’ultima, utilizzando la formula di derivazione delle funzioni composte: γ˙ γ
d(f ◦ γ) ˙ = F ◦ γ[γ], ˙ = (∇f ) ◦ γ [γ] dθ
˙ F ◦ γ[γ] f ◦γ
a
b
θ
la possiamo scrivere come ˆ t ˙ dθ. `(t) = |F ◦ γ[γ]|
(2.11)
(2.12)
a
Si osservi che γ˙ `e un vettore tangente alla curva “indeformata” γ, mentre d(f ◦ γ)/dθ `e un vettore tangente alla curva “deformata” f ◦ γ. La (2.11) ha dunque il seguente significato geometrico: il gradiente di deformazione F mappa tangenti della curva indeformata in vettori tangenti (non necessariamente unitari) della curva deformata. Differenziando `0 e ` rispetto a t, e applicando il teorema fondamentale del calcolo integrale, deduciamo che d`0 ˙ = |γ| dt
e
d` ˙ = |Fγ|, dt
(2.13)
dove nella seconda identit`a non abbiamo riportato la composizione con γ, dando quindi per scontato che F venga calcolato nel punto in esame. Dato che t 7→ `0 (t) `e una funzione crescente, l’inversa `0 7→ t(`0 ) esiste. Pensando a ` come ad una funzione di `0 , anzich´e di t, si ha ˙ d` d` dt d` d`0 −1 |Fγ| = = = , ˙ d`0 dt d`0 dt dt |γ| pertanto ˙ d` |Fγ| = = |Ft| ˙ d`0 |γ|
con
t :=
γ˙ . ˙ |γ|
(2.14)
2.4 Variazioni geometriche
29
Quindi, la derivata della lunghezza della curva deformata rispetto alla lunghezza della curva indeformata `e semplicemente data dal modulo di F applicato al versore tangente alla curva indeformata. ♦ 2.4.2 Variazioni di volume Si considerino quattro punti, x0 , x0 + a, x0 + b, x0 + c nella configurazione di riferimento, con i vettori a, b e c aventi modulo “infinitesimo”. I vettori a, b e c determinano un parallelepipedo di volume dv0 := |a · b ∧ c|. Le immagini f (x0 ), f (x0 + a), f (x0 + b), f (x0 + c) determinano, nella configurazione deformata, un parallelepipedo di volume dv := |(f (x0 + a) − f (x0 )) · (f (x0 + b) − f (x0 )) ∧ (f (x0 + c) − f (x0 ))| = |(Fa + o(|a|)) · (Fb + o(|b|)) ∧ (Fc + o(|c|))| = |Fa · Fb ∧ Fc|, dove la seconda identit`a segue dalla (2.2) e la terza la si ottiene trascurando i termini “infinitesimi”. Pertanto, utilizzando l’identit` a ottenuta nell’Esercizio 1.7, a · b ∧ c det F = Fa · Fb ∧ Fc, otteniamo dv |Fa · Fb ∧ Fc| = = det F, dv0 |a · b ∧ c|
(2.15)
da cui deduciamo che il rapporto tra il volume “infinitesimo” deformato e quello indeformato `e uguale al determinante del gradiente di deformazione. Osservazione 2.8. L’identit`a (2.15) la si pu`o ottenere in maniera diretta e senza trascurare “infinitesimi” utilizzando un semplice cambio di variabili. Consideriamo una regione R contenuta nella configurazione di riferimento Ω il cui volume v0 pu`o essere calcolato come ˆ f v0 = dL 3 (x), R
mentre il volume dell’immagine f (R) `e ˆ ˆ v= dL 3 (y) = det F dL 3 (x), f (R)
R
f (R)
R
dove la seconda identit`a `e ottenuta facendo un cambio di variabili: lo jacobiano della trasformazione f `e det F. Quindi, il rapporto tra il volume infinitesimo deformato e il volume infinitesimo indeformato `e dato da dv = det F. dv0 Si veda l’Esercizio 2.43 per una trattazione pi` u esauriente.
♦
30
2 Analisi della deformazione
2.4.3 Variazioni di area Si considerino tre punti non allineati, x0 , x0 + a, x0 + b nella configurazione di riferimento, con i vettori a e b aventi modulo “infinitesimo”. I vettori a e b determinano un parallelogramma di area da0 := |a ∧ b| e di normale
x0 + b b R
da0 x0 + a
n
f (x0 + b)
n a a∧b n = , x0 |a ∧ b| come si deduce immediatamente dalla definizione di prodotto vettore. Le immagini f (x0 ), f (x0 +a), f (x0 +b) determinano, nella configurazione deformata, un parallelogramma di area R
da := |(f (x0 + a) − f (x0 )) ∧ (f (x0 + b) − f (x0 ))| = |(Fa + o(|a|)) ∧ (Fb + o(|b|))|
f (x0 ) f (x0 + a) da
= |Fa ∧ Fb|,
dove la seconda identit`a segue dalla (2.2) e la terza la si ottiene trascurando i termini “infinitesimi”. In maniera analoga si deduce che la normale del parallelogramma “immagine” `e, a meno di “infinitesimi”, n :=
Fa ∧ Fb . |Fa ∧ Fb|
Per poter procedere dobbiamo mettere in relazione la normale nR con la normale n. Il seguente esercizio ci permette di farlo. Esercizio 2.9. Sia M ∈ Lin un tensore invertibile. Allora si ha -T Ma ∧ Mb = (det M)M [a ∧ b]
∀a, b ∈ R3 . 5
Soluzione. Se a e b sono linearmente dipendenti l’identit` a `e banale. Assumiamo quindi che a ∧ b 6= 0. Per un generico vettore c abbiamo Ma ∧ Mb · Mc = (det M) a ∧ b · c. Dato che M `e invertibile, prendiamo c = M−1 d, dove d `e un generico vettore: -T Ma ∧ Mb · d = (det M) a ∧ b · M−1 d = (det M)M [a ∧ b] · d. Otteniamo l’uguaglianza desiderata dato che d pu` o essere scelto arbitrariamente. 4
Utilizzando l’Esercizio 2.9 deduciamo che n=
(det F)F-T [a ∧ b] (det F)F-T [nR da0 ] = , da da
2.4 Variazioni geometriche
31
da cui si arriva alla formula di Nanson da -T n = (det F)F nR da0 che mette in relazione la normale della superficie nella configurazione di riferimento con la normale della superficie deformata. Valutando il modulo, otteniamo da -T = det F |F nR |, (2.16) da0 che ci permette di determinare il rapporto tra l’area deformata e quella indeformata. Osservazione 2.10. In maniera un po’ pi` u rigorosa, la (2.16) pu` o essere dedotta come segue. Consideriamo una superficie regolare nella configurazione di riferimento parametrizzata da γ : D → Ω, dove D `e un sottoinsieme di R2 . Nella configurazione deformata la superficie sar`a quindi parametrizzata da f ◦ γ. Dal corso di Analisi sappiamo che l’area a0 della superficie indeformata `e data da ˆ ∂θ1 γ ∧ ∂θ2 γ dθ1 dθ2 , a0 =
∂ θ2 γ
f ∂ θ1 γ
γ
θ2
∂θ2 (f ◦ γ) ∂θ1 (f ◦ γ)
f ◦γ θ D 1
D
mentre l’area a della superficie deformata `e ˆ ∂θ (f ◦ γ) ∧ ∂θ (f ◦ γ) dθ1 dθ2 , a= 1 2 D
che, utilizzando la (2.11), possiamo scrivere come ˆ (F ◦ γ)∂θ γ ∧ (F ◦ γ)∂θ γ dθ1 dθ2 . a= 1 2 D
Per cui il rapporto tra l’elemento infinitesimo d’area nella configurazione indeformata da0 e l’area dθ1 dθ2 nello spazio dei parametri, `e da0 = ∂ θ1 γ ∧ ∂ θ2 γ , dθ1 dθ2 e con significato simile abbiamo da = (F ◦ γ)∂θ1 γ ∧ (F ◦ γ)∂θ2 γ . dθ1 dθ2
32
2 Analisi della deformazione
` possibile vedere da0 e da come opportune derivate; in realt` E a, si dθ1 dθ2 dθ1 dθ2 potrebbe procedere come fatto per la variazione di volume nell’Esercizio 2.43. Osserviamo che i vettori ∂θ1 γ e ∂ θ2 γ n R f ∂θ2 γ sono tangenti alla superficie (F ◦ γ)∂θ2 γ nella configurazione di riferimento ∂ θ1 γ n e quindi il vettore (F ◦ γ)∂θ1 γ ∂ θ1 γ ∧ ∂ θ2 γ |∂θ1 γ ∧ ∂θ2 γ| `e unitario e normale alla superficie indeformata. Quindi, abbiamo nR :=
∂θ1 γ ∧ ∂θ2 γ = nR |∂θ1 γ ∧ ∂θ2 γ| = nR
da0 . dθ1 dθ2
Sappiamo che i due vettori (F ◦ γ)∂θα γ, con α = 1, 2, sono tangenti alla superficie deformata (si veda la (2.11) e il commento sottostante tale equazione) e quindi (F ◦ γ)∂θ1 γ ∧ (F ◦ γ)∂θ2 γ n := |(F ◦ γ)∂θ1 γ ∧ (F ◦ γ)∂θ2 γ| `e un vettore unitario ortogonale alla superficie deformata. Da questa definizione si deduce facilmente che (F ◦ γ)∂θ1 γ ∧ (F ◦ γ)∂θ2 γ = n
da . dθ1 dθ2
Infine, utilizzando l’Esercizio 2.9 otteniamo n
da -T = (F ◦ γ)∂θ1 γ ∧ (F ◦ γ)∂θ2 γ = (det(F ◦ γ))(F ◦ γ) ∂θ1 γ ∧ ∂θ2 γ dθ1 dθ2 da0 -T = (det(F ◦ γ))(F ◦ γ) nR dθ1 dθ2
da cui riotteniamo la formula di Nanson n
da -T = (det(F ◦ γ))(F ◦ γ) nR . da0
(2.17)
Valutando il modulo, e tralasciando la trascrizione della composizione con γ, riotteniamo la (2.16): da -T = det F |F nR |. da0 ♦ Esercizio 2.11. Dimostrare che la formula della variazione di area (2.16) e di volume (2.15) si possono riscrivere come q √ dv da = det(FT F) nR · (FT F)−1 nR , = det FT F. da0 dv0 5
2.4 Variazioni geometriche
33
Come per la variazione di lunghezza, per valutare la variazione d’area e di volume non `e necessario conoscere il gradiente di deformazione F, che ha nove componenti, ma `e sufficiente conoscere il tensore simmetrico FT F, che si caratterizza con solo sei componenti. 2.4.4 Variazioni d’angolo Si considerino due curve lisce γ, µ : [a, b] → Ω paramettrizzate dalla lunghezza d’arco e passanti entrambi per un punto x0 . Siano t e m, rispettivamente, i versori tangenti alle due curve in x0 . Allora, l’angolo α0 sotteso dalle due curve `e dato da α0 = arccos(t · m).
α0 m x t 0 γ
µ
a
A deformazione avvenuta, le curve γ, µ vengono mappate nelle curve f ◦ γ e f ◦ µ, entrambe passanti per f (x0 ). Dalla (2.11) si deduce che i vettori tangenti (non necessariamente unitari) alle due curve in f (x0 ) sono dati da f ◦γ = Ft dθ
b
θ
f α0 α m x t 0 Fm Ft f ◦γ
f ◦µ f ◦µ a θ = Fm, b dθ dove abbiamo semplicemente indicato con F il tensore ∇f (x0 ). A deformazione avvenuta, l’angolo α sotteso dalle due curve risulta e
α = arccos(
Ft Fm · ). |Ft| |Fm|
(2.18)
Esercizio 2.12. Dimostrare che α si pu`o riscrivere come α = arccos(
|FT Ft
FT Ft · m ), · t|1/2 |FT Fm · m|1/2
e che quindi dipende solamente da FT F.
5
Quindi tutte le variazioni geometriche possono essere determinate tramite il tensore simmetrico FT F che, essendo simmetrico, `e caratterizzato da 6 componenti, a differenza di F che ne ha 9. La differenza, 9 − 6 = 3, coincide con il numero di parametri che servono per descrivere una rotazione. Svilupperemo questo pensiero nella Sezione 2.5.
34
2 Analisi della deformazione
2.4.5 Deformazioni elementari In questa sezione vediamo altri esempi importanti di deformazioni omogenee. Dilatazioni uniformi. In queste deformazioni il corpo si dilata linearmente “attorno” ad un fissato punto x0 ∈ R3 . Pi` u precisamente, l’immagine f (x) del generico punto x si trova sulla retta passante per x ed x0 e il modux0 lo dello spostamento u(x) `e proporzionale alla distanza tra x ed x0 . Segue che u(x) `e parallelo a x − x0 e indicando con κ la costante di proporzionalit`a si ha che u(x) = κ(x − x0 ). Dunque, la deformazione `e f (x) = x + κ(x − x0 ),
(2.19)
dove κ `e detto coefficiente di dilatazione. Dal Teorema 2.3 segue che ∇f = (1 + κ)I, e dalla (2.3) deduciamo che κ dovr`a essere strettamente maggiore di −1. Se t `e un generico vettore unitario abbiamo (∇f )t = (1 + κ)t e quindi, dalla (2.10), si ha che il rapporto tra la lunghezza finale e quella iniziale di un segmento ”infinitesimo” avente direzione t `e d` = 1 + κ. d`0 Dalle (2.16) e (2.15), segue che da = (1 + κ)2 da0
e
dv = (1 + κ)3 , dv0
e, utilizzando la (2.18), si pu`o verificare che non avvengono variazioni di angolo. Estensioni in direzione n. Si fissi un punto x0 ∈ R3 ed un vettore unitario n ∈ R3 . Sia 3
P (x0 , n) := {x ∈ R : (x − x0 ) · n = 0}
u(x)
x
x − x0 n il piano passante per x0 con normale n. In una dilatazione in direzione n lo spostamento u(x), x0 P (x0 , n) del generico punto x, `e parallelo a n e il suo modulo `e ε volte la distanza tra x e il piano P (x0 , n). Visto che la distanza tra x e il piano P (x0 , n) `e data da (x − x0 ) · n, dovremo avere che |u(x)| = ε(x − x0 ) · n. Pertanto, essendo lo spostamento u parallelo a n, si ha
2.4 Variazioni geometriche
35
u(x) = ε[(x − x0 ) · n]n = εn ⊗ n[x − x0 ] e f (x) = x + εn ⊗ n[x − x0 ].
(2.20)
Segue che ∇f = I + εn ⊗ n, da cui deduciamo, anche utilizzando la (2.3), che si dovr`a avere ε > −1. Notiamo che (∇f )n = (1 + ε)n e dalla (2.10) si deduce che la “variazione” di lunghezza in direzione n `e d` = 1 + ε. d`0
n x0
Riscrivendo questa identit`a come d` d`0 − =ε d`0 d`0 ci permette di interpretare ε come l’allungamento relativo in direzione n. Si osservi inoltre che nelle direzioni ortogonali a n non c’`e variazione di lunghezza. Infatti, se t ∈ R3 `e un generico vettore unitario ortogonale a n si ha (∇f )t = (I + εn ⊗ n)t = t + ε(n · t)n = t e quindi, in direzione, t si ha d` = |Ft| = |t| = 1. d`0 Nell’Esercizio 2.41 si chiede di studiare la variazione d’area. Scorrimenti lungo n e t. Si fissi un punto x0 ∈ R3 ed un vettore unitario n ∈ R3 . Sia P (x0 , n) il piano passante per x0 con normale n e sia t ∈ R3 un vettore unitario ortogonale n a n. In uno scorrimento lungo n e t lo spostamento u(x), del generico punto x, `e parallelo a t e il suo modulo `e γ volte la distanza tra x x0 e il piano P (x0 , n). Ragionando come per le dilatazioni, deduciamo che
t
u(x) = γ[(x − x0 ) · n]t = γt ⊗ n(x − x0 ) e f (x) = x + γt ⊗ n(x − x0 ). Dunque, ∇f = I + γt ⊗ n. Si osserva che (∇f )t = t e che (∇f )n = n + γt: quindi
(2.21)
36
2 Analisi della deformazione
(∇f )t =t |(∇f )t|
(∇f )n n + γt =p . |(∇f )n| 1 + γ2
e
Utilizzando la (2.18), si deduce che l’angolo α sotteso tra l’immagine di t e l’immagine di n `e
(∇f )t (∇f )n α = arccos · |(∇f )t| |(∇f )n| γ = arccos p . 1 + γ2
f
t
α n
Per cui, cos α = p
γ 1 + γ2
,
sin α = p
1 1 + γ2
e quindi sin( π2 − α) π cos α tan( − α) = = =γ 2 cos( π2 − α) sin α
π 2
−α α
che evidenzia il significato geometrico di γ. Un secondo modo per capire il significato di γ `e tramite l’utilizzo diretto dello spostamento u. Infatti, dalla rappresentazione a fianco, si ha u(x) · t π (x − x0 ) · n tan( − α) = u(x) · t 2 π 2 −α (x − x0 ) · n e visto che u(x) · t = γ[(x − x0 ) · n]t · t si ricava, n nuovamente, t x0 π tan( − α) = γ. 2
2.5 Considerazioni sulle misure di deformazione finite Abbiamo gi`a osservato che per valutare le variazioni geometriche non `e necessario conoscere il gradiente di deformazione F = ∇f , che ha nove componenti, ma `e sufficiente conoscere FT F che si caratterizza con solo sei componenti, dato che `e simmetrico. Il tensore C := FT F `e detto tensore destro di Cauchy-Green. Se (λi , ci ), per i = 1, 2, 3, sono le autocoppie di autovalori e autovettori (ortonormali) di C si ha, grazie al teorema spettrale, che
2.5 Considerazioni sulle misure di deformazione finite
C=
3 X
37
λ i ci ⊗ ci .
i=1
Gli autovalori di λi sono positivi, dato che C `e definito positivo (si veda l’Esercizio 2.6) e quindi la seguente definizione `e ben posta U :=
3 p X
λ i ci ⊗ ci ;
i=1
√ in altre parole, abbiamo definito U come la radice di C: U = C. Infatti, un semplice conto mostra che C = UU = U2 . Il tensore U `e chiaramente simmetrico e definito positivo ed `e la somma di tre estensioni in tre direzioni ortogonali. Denotiamo con R = FU−1 . 5
Esercizio 2.13. Si dimostri che R `e una rotazione. Soluzione. Abbiamo che RT R = U−1 FT FU−1 = U−1 CU−1 = U−1 UUU−1 = I.
4
Quindi vale la seguente decomposizione, chiamata decomposizione polare, F = RU, dove R ∈ SO(3) e U ∈ Sym ed `e definito positivo. Quindi, la deformazione pu`o essere pensata come una deformazione pura (tre estensioni in direzioni ortogonali), caratterizzata da U, seguita da una rotazione R. Si osservi che F ha nove componenti, mentre U `e caratterizzata da sei componenti e la rotazione R da tre costanti (ad esempio i tre angoli di Eulero).
F √ c2
√ λ2
λ1
c1 1
√ U
R λ2 √ λ1
Esercizio 2.14. Dimostrare che la decomposizione polare `e unica.
5
˜ ∈ SO(3) e U, U ˜ ∈ Sym tali che Soluzione. Supponiamo che esistano R, R ˜ U. ˜ RU = R Allora ˜ U) ˜ TR ˜U ˜ =U ˜2 U2 = URT RU = (RU)T RU = (R ˜ Visto che U = U ˜ `e invertibile si da cui si ricava, “unicit` a della radice”, che U = U. ˜ deduce che R = R. 4
Il tensore U, come pure il tensore C, possono essere utilizzati per caratterizzare le deformazioni nei corpi. Entrambi questi tensori sono uguali
38
2 Analisi della deformazione
all’identit`a (e non al tensore nullo) quando lo spostamento `e nullo. La misura di deformazione 1 Enl := (C − I), 2 chiamata tensore di Green-Saint Venant, fa corrispondere ad una deformazione nulla il tensore nullo. Esercizio 2.15. Trovare la decomposizione polare di F definita da √ √ 3 3+1 3−3 Fe1 = e1 + e2 , 2 √ √ 2 3+3 3 3−1 Fe2 = e1 + e2 , 2 2 Fe3 = e3 .
5 Soluzione. La matrice rappresentativa di F `e √ √ 3 3 + 1 √3 + 3 0 1 √ [F ] = 3 − 3 3 3 − 1 0. 2 0 0 2 Un semplice calcolo mostra che la matrice rappresentativa di C = FT F `e √ √ √ √ 3 3 + 1 √3 − 3 0 3√ 3 + 1 √3 + 3 0 1 √ [C] = 3 + 3 3 3 − 1 0 3 − 3 3 3 − 1 0 4 0 0 2 0 0 2 10 6 0 = 6 10 0 . 0 0 1 Il suo polinomio caratteristico risulta det(C − λI) = ((10 − λ)2 − 62 )(λ − 1) = 0, le cui soluzioni sono λ1 = 16,
λ2 = 4,
λ3 = 1,
ed i corrispondenti autovettori sono √ √ √ √ 2 2 2 2 c1 = e1 − e2 , c2 = e1 + e2 , 2 2 2 2
c3 = e3 .
Quindi si ha C = 16c1 ⊗ c1 + 4c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3 , e
√ U=
C = 4c1 ⊗ c1 + 2c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3 .
L’inversa di U risulta quindi essere
2.6 Teoria infinitesima U−1 =
39
1 1 c1 ⊗ c1 + c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3 . 4 2
Utilizzando le espressioni degli autovettori si ottiene U = 3(e1 ⊗ e1 + e2 ⊗ e2 ) + e1 ⊗ e2 + e2 ⊗ e1 + e3 ⊗ e3 , e
3 1 (e1 ⊗ e1 + e2 ⊗ e2 ) − (e1 ⊗ e2 + e2 ⊗ e1 ) + e3 ⊗ e3 . 8 8 Il tensore R = FU−1 ha come matrice rappresentativa √ √ 3 3 + 1 √3 + 3 0 3 −1 0 1 √ 1 [R] = 3 − 3 3 3 − 1 0 −1 3 0 2 8 0 0 8 0 0 2 √ 3 √1 0 1 = −1 3 0 , 2 0 0 2 U−1 =
e quindi possiamo scrivere √ 3 1 R= (e1 ⊗ e1 + e2 ⊗ e2 ) + (e1 ⊗ e2 − e2 ⊗ e1 ) + e3 ⊗ e3 . 2 2 4
2.6 Teoria infinitesima Nella Sezione 2.4 abbiamo visto che i rapporti tra le lunghezze, le aree e i volumi, deformati e indeformati, dipendono dal gradiente di deformazione. Da tali formule si evince che se il gradiente di deformazione tende all’identit` a, i valori delle lunghezze, delle aree e dei volumi deformati tendono ai corrispettivi valori nella configurazione indeformata. Detto pi` u direttamente, se il gradiente di deformazione `e prossimo all’identit`a, allora le variazioni di lunghezza, area e volume sono piccole. La piccolezza di una deformazione f pu` o essere quindi rappresentata dal parametro ε := sup |∇f (x) − I|, x∈Ω
che misura il massimo valore che assume, nella configurazione di riferimento, il modulo della differenza tra il gradiente di deformazione e l’identit` a. Usando la definizione di spostamento si ha ε = sup |∇u(x)|.
(2.22)
x∈Ω
Per integrazione8 segue che 8
Per x, x0 ∈ Ω si definisca g(s) := (1 − s)x0 + sx. Si ha u(x) − u(x0 ) = u(g(1)) − ´1 ´1 ´1 u(g(0)) = 0 du(g(s)) ds = 0 ∇u(g(s)) dg(s) ds = 0 ∇u(g(s))ds(x − x0 ). Da cui ds ds ´ ´1 1 |u(x) − u(x0 )| ≤ 0 |∇u(g(s))|ds |x − x0 | ≤ 0 ε ds|x − x0 |.
40
2 Analisi della deformazione
|u(x) − u(x0 )| ≤ ε|x − x0 |
∀x, x0 ∈ Ω,
e se esiste almeno un punto in Ω con spostamento nullo si ha |u(x)| ≤ ε diametro(Ω)
∀x ∈ Ω,
dove diametro(Ω) := sup{|x − x0 | : x, x0 ∈ Ω}, ossia la massima distanza tra due punti in Ω. Per cui, se esiste almeno un punto con spostamento nullo9 e il diametro di Ω `e finito, allora gli spostamenti di tutti i punti sono pi` u piccoli di una costante moltiplicata per ε. In particolare, se ε `e “piccola” anche gli spostamenti sono “piccoli”. Definizione 2.16. La teoria dell’elasticit`a infinitesima `e la teoria che si ottiene trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo di ε. Vediamo con un esempio il significato di tale affermazione. Indichiamo con F(x) := ∇f (x) il gradiente della deformazione f e con H(x) := ∇u(x) il gradiente dello spostamento u, in modo da avere F = I + H. Allora, in teoria “finita” si ha FT (x)F(x) = (I + H(x))T (I + H(x)) = I + HT (x) + H(x) + HT (x)H(x), mentre in teoria infinitesima vale la seguente identit` a FT (x)F(x) = I + HT (x) + H(x).
(2.23)
Per ottenere quest’ultima identit`a si pu`o procedere nel seguente modo: se H(x) = 0 l’identit`a `e banale, altrimenti si ponga ε(x) := |H(x)|
e
H(x) e H(x) := , |H(x)|
in modo da avere la seguente decomposizione e H(x) = ε(x)H(x). e Dato che |H(x)| = 1, la “piccolezza” di H(x) `e incapsulata in ε(x). Da (2.22), risulta che ε(x) ≤ ε ∀x ∈ Ω, e quindi in teoria infinitesima ε2 (x) `e trascurabile, dato che ε2 (x) ≤ ε2 . Per cui 1 FT (x)F(x) = I + HT (x) + H(x) + HT (x)H(x) 2 1 T e (x) + ε(x)H(x) e e T (x)H(x) e = I + ε(x)H + ε2 (x)H 2 e T (x) + ε(x)H(x) e = I + ε(x)H = I + HT (x) + H(x). Nel seguito eviteremo d’introdurre la variabile ε e trascureremo i termini superlineari in H. 9
In realt` a basta che esista un punto con uno spostamento di ordine ε. Perch`e?
2.6 Teoria infinitesima
41
2.6.1 Tensore di deformazione infinitesimo Iniziamo la sezione dimostrando che un generico tensore pu` o essere univocamente scritto come somma di un tensore simmetrico ed uno emisimmetrico. Teorema 2.17. Per ogni A ∈ Lin esistono, e sono unici, symA ∈ Sym e skwA ∈ Skw tali che A = symA + skwA. Inoltre, symA =
1 (A + AT ) 2
e
skwA =
1 (A − AT ). 2
(2.24)
Dimostrazione. La (2.24) definisce, com’`e facile verificare, symA ∈ Sym e skwA ∈ Skw tali che A = symA+skwA. Rimane quindi soltanto da verificare ¯ ∈ Sym e W, W ¯ ∈ Skw tali che l’unicit`a della decomposizione. Siano S, S ¯ + W. ¯ A=S+W =S Allora ¯=W ¯ − W, B := S − S ¯ ∈ Sym e W ¯ − W ∈ Skw. Per cui appartiene a Sym ∩ Skw dato che S − S B = BT = −B, dove la prima uguaglianza vale in quanto B ∈ Sym e la seconda in quanto ¯ eW ¯ = W. L’unicit` B ∈ Skw. Segue quindi che 2B = 0, da cui S = S a della decomposizione `e quindi dimostrata. Utilizzeremo il Teorema 2.17 per decomporre il gradiente di spostamento. Indicheremo con10 E(u) := sym∇u =
1 (∇u + ∇uT ) e 2
W(u) := skw∇u =
1 (∇u − ∇uT ), 2
in modo da avere ∇u = E(u) + W(u). Si osservi che rispetto ad una base ortonormale si ha [E(u)]ij =
1 (∂j ui + ∂i uj ) e 2
[W(u)]ij =
1 (∂j ui − ∂i uj ), 2
ed anche che 10
Attenzione alla notazione, E(u) `e diverso da Eu = E[u]: nel primo caso E(u) `e un tensore che rappresenta la parte simmetrica del gradiente di spostamento, nel secondo caso Eu `e un vettore ottenuto applicando il tensore E al vettore u. L’uso della parentesi quadra sar` a necessario in situazioni del tipo: Eu − Ev = E[u − v]. Inoltre, l’orribile scrittura E(u)(x) indica che E(u) `e valutato in x. Le stesse considerazioni ovviamente valgono anche per W.
42
2 Analisi della deformazione
|∇u|2 = (E(u) + W(u)) · (E(u) + W(u)) = |E(u)|2 + 2E(u) · W(u) + |W(u)|2 = |E(u)|2 + |W(u)|2 , dato che il prodotto scalare tra un tensore simmetrico ed uno emisimmetrico `e nullo, si veda la parte 2 dell’Esercizio 1.5. In particolare, segue che |E(u)| ≤ |∇u|
e
|W(u)| ≤ |∇u|,
che implica che anche i termini superlineari in E(u) e in W(u) sono trascurabili in teoria infinitesima. Esercizio 2.18. Sia u(x) = 3x1 x2 e1 + x22 x3 e2 + 4x2 x3 e3 . 5
Determinare E(u) e W(u). Soluzione. Lavorando in componenti si ha: u1 = 3x1 x2 , da cui si deduce che
u2 = x22 x3 ,
u3 = 4x3 x2 ,
3x2 3x1 0 [∇u] = 0 2x2 x3 x22 . 0 4x3 4x2
Valutando la parte simmetrica ed antisimmetrica otteniamo 3x2 3/2x1 0 0 3/2x1 0 2 2 2x2 x3 (x2 + 4x3 )/2 e [W(u)] = 0 (x2 − 4x3 )/2 . [E(u)] = sym 4x2 skw 0 Pertanto E(u) = 3x2 e1 ⊗ e1 + + e W(u) =
3 x1 (e1 ⊗ e2 + e2 ⊗ e1 ) + 2x2 x3 e2 ⊗ e2 2
x22 + 4x3 (e2 ⊗ e3 + e3 ⊗ e2 ) + 4x2 e3 ⊗ e3 , 2
3 x2 − 4x3 x1 (e1 ⊗ e2 − e2 ⊗ e1 ) + 2 (e2 ⊗ e3 − e3 ⊗ e2 ). 2 2 4
Indicando con F = I + ∇u, dalla (2.23) segue che FT F = I + ∇uT + ∇u = I + 2E(u),
(2.25)
da cui si deduce che in teoria infinitesima le variazioni di lunghezza, area e volume dipendono soltanto da E(u); calcoleremo queste variazioni in seguito. Chiameremo E(u) tensore di deformazione infinitesima dello spostamento u, dato che le principali variazioni di grandezze geometriche dipendono da tale tensore. Mostriamo ora che W(u) misura la “rotazione”.
2.6 Teoria infinitesima
43
Teorema 2.19. In teoria infinitesima una deformazione f (x) = x + u(x) `e rigida se esiste W ∈ Skw tale che u(x) = u(x0 ) + W[x − x0 ]
(2.26)
per ogni x0 ∈ Ω. Dimostrazione. Dal Teorema 2.5 la deformazione rigida f ammette la rappresentazione f (x) = f (x0 ) + Q[x − x0 ] dove Q ∈ SO(3). In termini di spostamento si riscrive come u(x) = f (x) − x = f (x0 ) − x0 + Q[x − x0 ] − [x − x0 ] = u(x0 ) + (Q − I)[x − x0 ].
(2.27)
Segue, dal Teorema 2.3, che ∇u = Q − I e quindi I = QT Q = (I + ∇u)T (I + ∇u) = I + ∇uT + ∇u = I + 2E(u), dove abbiamo trascurato il termine superlineare dello gradiente di spostamento. Deduciamo che in una deformazione rigida si ha E(u) = 0 e pertanto W(u) = ∇u = Q − I =: W `e un tensore emisimmetrico costante (non dipende dal punto x), in quanto Q − I `e costante. Dalla (2.27) segue la tesi. Dal teorema appena dimostrato segue che se la deformazione `e rigida, il gradiente di spostamento `e costante ed emisimmetrico e rappresenta la rotazione infinitesima. Chiameremo pertanto W(u) tensore di rotazione infinitesima associato allo spostamento u. Inoltre, spostamenti che ammettono la rappresentazione (2.26) li chiameremo spostamenti rigidi infinitesimi. Osservazione 2.20. Osserviamo che se W ∈ Skw allora, rispetto ad una base ortonormale {e1 , e2 , e3 }, ha la rappresentazione 0 −γ β [W ] = γ 0 −α . −β α 0 Il vettore ω definito da ω = αe1 + βe2 + γe3 viene chiamato vettore assiale di W. Questo vettore ha la seguente propriet` a, che volendo pu`o anche essere presa come definizione, Wa = ω ∧ a
∀a ∈ R3 ,
come si pu`o facilmente verificare. Tramite il vettore assiale possiamo scrivere uno spostamento rigido infinitesimo come u(x) = u(x0 ) + ω ∧ (x − x0 ). ♦
44
2 Analisi della deformazione
Esercizio 2.21. Con W e ω definiti come nell’Osservazione 2.20, verificare che 1 Wij = εikj ωk e ωh = εjih Wij . 2 5 Vogliamo ora far vedere che se E(u) = 0 allora lo spostamento u `e rigido infinitesimo. Prima, per`o, mettiamo in evidenza il legame tra il tensore di deformazione infinitesima e il tensore di rotazione infinitesima. Lemma 2.22. Per un dato spostamento u poniamo E := E(u) e W := W(u). Allora rispetto ad una qualsiasi base ortonormale si ha ∂k Wij = ∂j Eik − ∂i Ejk ,
∀i, j, k ∈ {1, 2, 3}.
Dimostrazione. Grazie alla possibilit`a di scambiare l’ordine di derivazione, ricordiamo che stiamo assumendo lo spostamento u liscio, otteniamo 2∂k Wij = ∂k (∂j ui − ∂i uj ) = ∂j ∂k ui − ∂i ∂k uj = ∂ j ∂ k ui + ∂ j ∂ i uk − ∂ i ∂ j uk − ∂ i ∂ k uj = ∂j (∂k ui + ∂i uk ) − ∂i (∂j uk + ∂k uj ) = 2∂j Eik − 2∂i Ejk . Nel prossimo esercizio, utilizzando la definizione di rotore per un vettore, si definisce il rotore di un tensore e si riscrive l’enunciato del Lemma 2.22 in una forma diversa. Esercizio 2.23. Per un generico campo tensoriale A : Ω → Lin si definisca il rotore curl A : Ω → Lin come (curl A)b := curl(AT b)
∀b ∈ R3 .
(2.28)
Dimostrare che l’enunciato del Lemma 2.22 si pu` o scrivere come curl E = ∇ω,
(2.29)
dove ω `e il vettore assiale di W, si veda l’Ossevazione 2.20. Si dimostri inoltre che ω = curl u, con u come nel Lemma 2.22. Soluzione. Dato che Wij = εihj ωh si ha che ∂k Wij = εihj ∂k ωh = εihj (∇ω)hk . Dalla definizione (2.28) segue che (curl A)hk = εhrs ∂r Aks e usando l’identit` a εhji εhrs = δjr δis − δjs δir
5
2.7 Variazioni geometriche in teoria infinitesima
45
si deduce che εihj (curl E)hk = εhji εhrs ∂r Eks = ∂j Eik − ∂i Ejk . Quindi l’enunciato del Lemma 2.22 si riscrive come εihj (curl E − ∇ω)hk = 0, che `e equivalente a (curl E − ∇ω)hk = 0. Dalla seconda equazione dell’Esercizio 2.21 si deduce che ω = curl u.
4
Dimostriamo ora il risultato preannunciato. Teorema 2.24. Lo spostamento u `e rigido infinitesimo se e solo se E(u) = 0. Dimostrazione. Se u `e uno spostamento rigido infinitesimo allora ammette la rappresentazione data da (2.26), e quindi ∇u = W ∈ Skw, per il Teorema 2.3. Per cui la parte simmetrica del gradiente di spostamento `e nulla: E(u) = 0. Viceversa, assumiamo che E(u) = 0. Dal Lemma 2.22 si ha ∂k [W (u)]ij = 0, da cui ∂k [∇u]ij = ∂k [E(u)]ij + ∂k [W (u)]ij = 0. Quindi [∇u]ij ha gradiente nullo e pertanto `e costante. Dunque ∇u(x) = H ∈ Lin per ogni x. Per integrazione, o applicando il Teorema 2.3, segue che u(x) = u(x0 ) + H[x − x0 ]. Dato che E(u) = 0, si ha H = ∇u = W(u) ∈ Skw e quindi u `e uno spostamento rigido infinitesimo.
2.7 Variazioni geometriche in teoria infinitesima In questa sezione considereremo uno spostamento u e indicheremo brevemente con H = ∇u, E = E(u), W = W(u) e con F = I + H. Inoltre, utilizzeremo spesso l’equazione (2.25) che ricordiamo essere FT F = I + 2E. 2.7.1 Variazioni di lunghezza in teoria infinitesima Ricordiamo che in teoria finita il rapporto tra la lunghezza deformata e quella indeformata di un segmento “infinitesimo” in direzione t `e, si veda la (2.10), d` = |Ft|, d`0
46
2 Analisi della deformazione
con |t| = 1. L’analoga equazione in teoria infinitesima la si ottiene semplicemente linearizzando. Con semplici passaggi, otteniamo √ p √ √ |Ft| = Ft · Ft = t · FT Ft = t · (I + 2E)t = 1 + 2Et · t e dato che in teoria infinitesima (Et · t)2 = 0 possiamo scrivere11 p |Ft| = 1 + 2Et · t + (Et · t)2 = 1 + Et · t, da cui ricaviamo d` = 1 + Et · t, d`0
d`2 E22
che scriviamo in maniera pi` u suggestiva come
d`2
d` − d`0 = Et · t. (2.30) d`0 Quest’ultima relazione afferma che la variazione relativa di lunghezza nella direzione t `e data da Et · t. d`1
d`1 E11
Osservazione 2.25. Sia γ : [a, b] → Ω una curva liscia, con a, b ∈ R, e u : Ω → R3 uno spostamento infinitesimo. Come possiamo calcolare la variazione (totale) di lunghezza della curva a causa dello spostamento? Indichiamo con `0 la lunghezza della curva indeformata e con ` la lunghezza della curva deformata. Avremo, utilizzando la notazione introdotta nell’Osservazione 2.7, ˆ ˆ ˆ d` `= d`0 = 1 + Et · t d`0 = `0 + Et · t d`0 d`0 ˆ b d`0 = `0 + (E ◦ γ)t · t dt dt a e tenendo presente la (2.13) arriviamo all’equazione ˆ
b
` − `0 =
(E ◦ γ) a
γ˙ γ˙ ˙ dt. · |γ| ˙ |γ| ˙ |γ|
Alla stessa equazione si giunge linearizzando la (2.12).
♦
2.7.2 Variazioni di volume in teoria infinitesima Il rapporto tra il volume deformato e quello indeformato in teoria finita `e dato da, si veda la (2.15), dv = det F. dv0 11
Altrimenti si usi l’espansione in serie di Taylor x → 0.
√
1 + x = 1 + x/2 + o(|x|) per
2.7 Variazioni geometriche in teoria infinitesima
47
Utilizzando la (2.4), troviamo che il det F = det(I + H) = (I + H)e1 ∧ (I + H)e2 · (I + H)e3 che, in teoria infinitesima, `e uguale a det F = e1 ∧ e2 · e3 + He1 ∧ e2 · e3 + e1 ∧ He2 · e3 + e1 ∧ e2 · He3 = 1 + e2 ∧ e3 · He1 + e3 ∧ e1 · He2 + e1 ∧ e2 · He3 = 1 + He1 · e1 + He2 · e2 + He3 · e3 = 1 + tr H = 1 + tr E,
(2.31)
dato che tr W = 0. Deduciamo quindi che in teoria infinitesima la variazione di volume risulta dv = 1 + tr E, dv0 ossia dv − dv0 = tr E. dv0 In parole, la variazione relativa di volume `e uguale alla traccia del tensore di deformazione infinitesima. 2.7.3 Variazioni di area in teoria infinitesima Ricordiamo che il rapporto tra l’area deformata e indeformata in teoria finita `e data da, si veda la (2.16), da -T = det F |F nR |. da0 Iniziamo osservando che in teoria infinitesima l’inversa di F = I + H `e semplicemente data da F−1 = I − H. Infatti, F(I − H) = (I + H)(I − H) = I + H − H = I. Quindi F-T = I − HT e q p -T |F nR | = F-T nR · F-T nR = (I − HT )nR · (I − HT )nR q p = 1 − 2nR · HT nR = 1 − 2HnR · nR + (HnR · nR )2 = 1 − HnR · nR = 1 − EnR · nR dato che WnR · nR = 0 in quanto W ∈ Skw. Utilizzando la (2.31), otteniamo -T det F |F nR | = (1 + tr E)(1 − EnR · nR ) = 1 + tr E − EnR · nR = 1 + E · I − E · nR ⊗ nR = 1 + (I − nR ⊗ nR ) · E dove abbiamo pure utilizzato la 3. dell’Esercizio 1.10. Segue che
48
2 Analisi della deformazione
da − da0 da = − 1 = (I − nR ⊗ nR ) · E. da0 da0 La formula dedotta `e molto simile a quella ottenuta per la variazione di volume, infatti afferma che la variazione relativa di area di una superficie `e uguale alla “traccia nel piano della superficie” del tensore E. Il prossimo esempio dovrebbe chiarire l’affermazione. Esempio 2.26. Se la superficie nella configurazione di riferimento `e contenuta nel piano x2 -x3 si ha nR = e1 e da − da0 = (I − e1 ⊗ e1 ) · E = (e2 ⊗ e2 + e3 ⊗ e3 ) · E = E22 + E33 . (2.32) da0 Immaginiamo ora che la superficie nella configurazione di riferimento sia un rettangolo nel piano x2 -x3 di lati paralleli agli assi e di lunghezza d`2 e d`3 e quindi di area da0 = d`2 d`3 . Inoltre assumiamo che la deformazione (infinitesima) sia omogenea e trasformi il rettangolo in un altro rettangolo con lati ancora paralleli agli assi. Da (2.30) l’allungamento del lato parallelo a x2 risulta d`2 E22 mentre quello parallelo ad x3 risulta d`3 E33 . Quindi le lunghezze dei lati del rettangolo deformato sono d`2 + d`2 E22 e d`3 + d`3 E33 e l’area `e da = (d`2 + d`2 E22 )(d`3 + d`3 E33 ) = d`2 d`3 (1 + E22 + E33 + E22 E33 ) = da0 (1 + E22 + E33 ), avendo trascurato i termini superlineari. La formula ottenuta coincide con la (2.32). Trascurare i termini superlineari in |E| significa, in questo caso particolare, trascurare l’area del rettangolo arancio nella figura sottostante. d`3 E33 d`3 d`2
d`2 E22
♥ 2.7.4 Variazioni di angolo in teoria infinitesima Consideriamo due curve passanti per x0 ∈ Ω ed aventi tangenti in quel punto uguali a t e m ortogonali tra di loro. Allora l’angolo sotteso dalle due curve `e α0 = π/2, mentre a deformazione avvenuta, si veda l’Esercizio 2.12, `e α = arccos(
FT Ft · m ). |FT Ft · t|1/2 |FT Fm · m|1/2
2.7 Variazioni geometriche in teoria infinitesima
49
Dato che FT Ft · m = (I + 2E)t · m = 2Et · m e che |FT Ft · t|1/2 = |(I + 2E)t · t|1/2 = (1 + 2Et · t)1/2 = 1 + Et · t, si ha
2Et · m 2Et · m = (1 + Et · t)(1 + Em · m) 1 + Et · t + Em · m 2Et · m 1 − Et · t − Em · m = 1 + Et · t + Em · m 1 − Et · t − Em · m = 2Et · m(1 − Et · t − Em · m)
cos α =
= 2Et · m. Possiamo ora calcolare la variazione di angolo δα := α0 − α = m
Visto che sin(δα) = sin(
α0 = π/2 t δα
π − α. 2
π − α) = cos α 2
si ha δα = arcsin(cos α) = arcsin(2Et · m) = 2Et · m,
α
(2.33)
che si ottiene o confondendo il seno con l’angolo oppure utilizzando l’espansione in serie di Taylor del arcoseno: arcsin x = x + o(x) per x → 0.
2.7.5 Componenti del tensore di deformazione infinitesima Rispetto alla base canonica {e1 , e2 , e3 } il tensore di deformazione infinitesima E ha la seguente rappresentazione: E11 E12 E13 E11 E12 E13 E22 E23 . [E] = E21 E22 E23 = E31 E32 E33 sym E33 e1 Per capire il significato di E11 , si consideri un segmento infinitesimo parallelo all’asse x1 , cio`e avente tangente t = e1 , e di lunghezza d`0 . Allora, la lunghezza d` del segmento deformato soddisfa la relazione (2.30), ossia
d`0 E11
d`0
50
2 Analisi della deformazione
d` − d`0 = Et · t = Ee1 · e1 = E11 , d`0 e quindi E11 denota l’allungamento relativo lungo la direzione e1 . In maniera simile s’interpretano le componenti E22 e E33 . e2 Consideriamo ora la retta parallela all’asse x1 e la retta parallela all’asse x2 , denotate rispete1 tivamente con γ e µ. I vettori tangenti a γ e µ sono t = e1 e m = e2 . L’angolo sotteso dalle 2E12 due curve indeformate `e ovviamente π/2. Dalla (2.33), la met`a della variazione d’angolo `e δα = Et · m = Ee1 · e2 = E12 . 2 Quindi E12 rappresenta la met`a dell’angolo di scorrimento lungo le direzioni e1 ed e2 . Analogo `e il significato delle componenti E13 e E23 . Concludiamo la sezione studiando due deformazioni omogenee. Estensioni in direzione n. Le estensoni in direzione n sono state definite in (2.20). Lo spostamento `e dato da u(x) = εn ⊗ n(x − x0 ) e quindi ∇u = εn ⊗ n = E(u) = E. Visto che En = εn, dalla (2.30) si deduce che la variazione di lunghezza in direzione n `e d` − d`0 = En · n = ε. d`0
n x0
Pertanto, il coefficiente di estensione in direzione n `e l’allungamento relativo in direzione n. Scorrimenti lungo n e t. Gli scorrimenti sono stati definiti in (2.21); in particolare, lo spostamento `e uguale a u(x) = γt ⊗ n(x − x0 )
n
t e il gradiente di spostamento `e ∇u = γt ⊗ n. x0 Inoltre, γ γ E(u) = (t ⊗ n + n ⊗ t) e W(u) = (t ⊗ n − n ⊗ t). 2 2 Dalla (2.33) deduciamo che δα γ = Et · n = 2 2
2.8 Equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant
51
e dunque il coefficiente di scorrimento γ `e uguale alla variazione d’angolo tra t e n. Per darne una rappresentazione, fissiamo x0 = 0, t = e1 e n = e2 . Allora 010 0 10 γ γ 1 0 0 e [W(u)] = −1 0 0 [E(u)] = 2 2 000 0 00 e visto che u(x) = E(u)x + W(u)x si deduce che γx γx2 1 2 1 γx1 + −γx1 . [u] = 2 2 0 0 γ 2
γ
γ 2
+
= γ 2
u(x)
γ 2
E(u)x
W(u)x
Pertanto, uno scorrimento `e somma di uno scorrimento puro, E(u)x, e di una rotazione infinitesima, W(u)x.
2.8 Equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant In questa sezione studieremo alcune propriet` a del tensore di deformazione infinitesima, in particolare faremo dei ragionamenti simili a quelli fatti nell’Esempio 2.2 per il gradiente di deformazione. Immaginiamo di avere una mappa E : Ω → Lin e chiediamoci se tale mappa rappresenti un tensore di deformazione infinitesima; detto in altri termini, se esiste uno spostamento u per cui si ha E = E(u). Ci`o significa capire se per un dato campo tensoriale E il sistema di equazioni alle derivate parziali ∂i uj + ∂j ui = 2Eij
i, j = 1, 2, 3,
ha soluzione u. In generale, tale sistema non ha soluzione. Possiamo motivare, in maniera del tutto intuitiva, questa affermazione immaginando di suddividere il nostro corpo in tanti cubetti “infinitesimi” in maniera da poter considerare il campo tensoriale E costante su ciascun cubetto.
52
2 Analisi della deformazione
Ogni cubetto si deformer`a pertanto in maniera omogenea. Se le deformazioni tra cubetti adiacenti sono compatibili, ovvero se le deformazioni non generano n´e compenetrazioni n´e fratture, allora sar`a possibile trovare uno spostamento u tale che E = E(u), mentre nel caso in cui le deformazioni dei cubetti non siano compatibili sar`a impossibile trovare uno spostamento che genera il campo tensoriale dato. Ad esempio, per il campo tensoriale E : Ω → Sym rappresentato, rispetto ad una fissata base ortonormale, dal campo matriciale x2 3x21 x3 [E] = 3x21 x21 x2 (2.34) x3 x2 2 non esiste u tale che E = E(u). A questa conclusione si pu` o giungere grazie al teorema seguente. Teorema 2.27. Sia E = E(u) per un dato spostamento u. Allora, rispetto ad una qualsiasi base ortonormale, si ha ∂h ∂k Eij + ∂i ∂j Ehk = ∂j ∂k Eih + ∂i ∂h Ejk ,
∀i, j, h, k ∈ {1, 2, 3}.
(2.35)
Dimostrazione. Visto che consideriamo solamente funzioni lisce, `e possibile scambiare l’ordine di derivazione e quindi scrivere ∂k ∂i Wjh = ∂i ∂k Wjh dove abbiamo posto W = W(u). Dal Lemma 2.22 segue che ∂k (∂h Eij − ∂j Eih ) = ∂k ∂i Wjh = ∂i ∂k Wjh = ∂i (∂h Ejk − ∂j Ehk ), da cui si deduce l’enunciato.
Le equazioni (2.35) vengono chiamate equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant. La mappa E con matrice rappresentativa data da (2.34) non rappresenta un tensore di deformazione infinitesima. Infatti, se lo fosse le sue componenti dovrebbero soddisfare le (2.35); ma per i = j = 1 e h = k = 2 si ha ∂2 ∂2 E11 + ∂1 ∂1 E22 = 0 + 2 6= 0 + 0 = ∂1 ∂2 E12 + ∂1 ∂2 E12 . Nel caso in cui la matrice avesse soddisfatto tutte le equazioni (2.35) non saremmo comunque stati in grado di concludere che esiste u tale che E = E(u) dato che il Teorema 2.27 d`a solamente condizioni necessarie. Dimostreremo, nel seguito, che se il dominio `e semplicemente connesso allora le equazioni di compatibilit`a di de Saint-Venant sono anche sufficienti per l’esistenza di un campo di spostamenti compatibile con il campo tensoriale dato.
2.8 Equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant
53
A prima vista sembra che ci siano 34 = 81 equazioni di compatibilit` a12 , ma in realt`a molte di queste sono o banali o uguali tra di loro. Osserviamo innanzitutto che l’equazione (2.35) non cambia se si scambia l’indice i con j o con h e anche l’indice j con k. Quindi, per esempio, prendendo (i, j, h, k) = (1, 1, 2, 3) o (i, j, h, k) = (1, 1, 3, 2) o ancora (i, j, h, k) = (2, 1, 1, 3) si ottiene sempre la stessa equazione: indicheremo questo nel seguente modo (1, 1, 2, 3) ' (1, 1, 3, 2) ' (2, 1, 1, 3). Gli scambi i ↔ j, i ↔ h e j ↔ k, permettono di scambiare due qualsiasi indici tra di loro senza modificare gli altri due; ad esempio, si pu`o scambiare j con h, ovvero il secondo indice con il terzo nel seguente modo (a, b, c, d) ' (b, a, c, d) ' (c, a, b, d) ' (a, c, b, d). Quindi, deduciamo che l’ordine degli indici non conta e pertanto gli stessi indici ordinati in maniera diversa producono la stessa equazione: conta solamente l’insieme {i, j, k, l} e non l’ordine. Pertanto, per contare quante equazioni non banali e indipendenti ci sono, basta analizzare gli insiemi di quattro elementi. Distinguiamo vari casi: 1. 2. 3. 4.
tutti gli indici assumono lo stesso valore; tre indici assumono lo stesso valore e il quarto un valore diverso; gli indici assumono tre valori distinti; gli indici assumono due valori distinti e non ci sono tre indici con lo stesso valore.
Il caso 1. produce solo equazioni di compatibilit` a banali. Meno evidente, ma comunque immediato, `e osservare che anche nel secondo caso, 2., le (2.35) sono banali. Nel caso 3. ci sono due indici che avranno lo stesso valore (3 possibili scelte) e i restanti due indici assumeranno i due valori rimanenti. Quindi ci sono tre equazioni, che corrispondono alle scelte {1, 1, 2, 3},
{2, 2, 3, 1},
{3, 3, 1, 2}.
Infine, nel caso 4. si dovranno scegliere 2 valori su 3 possibili: ci sono scelte che corrispondono a {1, 1, 2, 2},
{2, 2, 3, 3},
3 2
=3
{3, 3, 1, 1}.
Le equazioni linearmente indipendenti sono quindi 6, che si dividono in due insiemi di tre equazioni. Le equazioni di compatibilit`a di de Saint-Venant indipendenti sono: ∂1 ∂1 E23 + ∂2 ∂3 E11 = ∂1 ∂2 E13 + ∂1 ∂3 E12 , ∂2 ∂2 E31 + ∂3 ∂1 E22 = ∂2 ∂3 E21 + ∂2 ∂1 E23 , (2.36) ∂3 ∂3 E12 + ∂1 ∂2 E33 = ∂3 ∂1 E32 + ∂3 ∂2 E31 , 12
Nella (2.35) l’indice i pu` o assumere tre valori, come pure j, h, k e quindi ci sono 34 quaterne del tipo (i, j, h, k)
54
e
2 Analisi della deformazione
∂1 ∂1 E22 + ∂2 ∂2 E11 = 2∂1 ∂2 E12 , ∂2 ∂2 E33 + ∂3 ∂3 E22 = 2∂2 ∂3 E23 , ∂3 ∂3 E11 + ∂1 ∂1 E33 = 2∂3 ∂1 E31 .
(2.37)
Si osservi che permutando gli indici nella prima delle (2.36) si ottengono le altre due; la stessa cosa accade nelle (2.37). Le equazioni di compatibilit` a (2.36) e (2.37) le indichiamo scrivendo curl curl E = 0; notazione che risulta essere molto pi` u compatta delle (2.36) e (2.37). I prossimi due esercizi spiegano la notazione utilizzata. Esercizio 2.28. Verificare che le equazioni di compatibilit` a di de SaintVenant (2.36) e (2.37) si possono scrivere come εihk εjlm ∂h ∂l Ekm = 0
∀i, j ∈ {1, 2, 3}.
(2.38) 5
Esercizio 2.29. Con la definizione di rotore di un campo tensoriale data in (2.28), verificare che le equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant (2.35) si possono scrivere come curl curl E = 0. (2.39) Dimostrare inoltre che per ogni campo vettoriale w si ha curl(∇w) = 0 e quindi dedurre le equazioni di compatibilit`a di de Saint-Venant (2.39) utilizzando la (2.29). 5 Soluzione. Basta far vedere che (2.39) `e equivalente a (2.38). Dato che (curl A)hk = εhrs ∂r Aks , si ha (curl curl E)ij = εihk ∂h (curl E)jk = εihk ∂h (εjlm ∂l Ekm ). Per quanto riguarda la seconda parte si ha, ricordando la (2.28) e l’Esercizio 2.40, per ogni a ∈ R3 curl(∇w)a = curl((∇w)T a) = curl((∇wk ⊗ ek )a) = curl((∇wk )ak ) = ak curl(∇wk ) = 0. 4
Enunciamo il teorema di compatibilit`a per domini semplicemente connessi. Teorema 2.30. Sia Ω semplicemente connesso. Se la mappa E : Ω → Sym soddisfa le equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant (2.35) allora esiste uno spostamento u tale che E = E(u). Daremo la dimostrazione di questo teorema, in un contesto pi` u generale, nella prossima sezione, dove ricorderemo anche la definizione di dominio semplicemente connesso.
2.8 Equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant
55
Esercizio 2.31. Sia Ω semplicemente connesso ed E un campo tensoriale definito in Ω rappresentato da −νε 0 0 [E] = 0 −νε 0 , 0 0 ε con ν, ε ∈ R. Trovare un campo di spostamento u : Ω → R3 tale che E = E(u). 5 Soluzione. Sicuramente E soddisfa le equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant visto che [E] `e costante. Quindi esiste uno spostamento u tale che E = E(u). Deduciamo u in due modi diversi. Prima soluzione. Dalle relazioni ∂1 u1 = −νε,
∂2 u2 = −νε,
∂3 u3 = ε,
per integrazione, ricaviamo u1 = −νεx1 + f1 (x2 , x3 ),
u2 = −νεx2 + f2 (x1 , x3 ),
u3 = εx3 + f3 (x1 , x2 ),
con f1 , f2 e f3 funzioni da determinare. Imponiamo ora le relazioni ∂1 u2 + ∂2 u1 = 0,
∂2 u3 + ∂3 u2 = 0,
∂3 u1 + ∂1 u3 = 0.
(2.40)
La prima si riscrive come ∂1 f2 (x1 , x3 ) = −∂2 f1 (x2 , x3 ) e visto che il membro a sinistra non dipende da x2 e il membro a destra non dipende da x1 , si avr` a che ∂1 f2 (x1 , x3 ) = −∂2 f1 (x2 , x3 ) =: g(x3 ) per una opportuna funzione g. Per integrazione segue che f2 (x1 , x3 ) = x1 g(x3 ) + h2 (x3 ),
f1 (x2 , x3 ) = −x2 g(x3 ) + h1 (x3 ).
La seconda delle (2.40) conduce a ∂2 f3 (x1 , x2 ) = −∂3 f2 (x1 , x3 ) = −x1 ∂3 g(x3 ) − ∂3 h2 (x3 ). Il membro a sinistra non dipende da x3 e quindi si dovr` a avere ∂3 g(x3 ) = a e ∂3 h2 (x3 ) = b con a, b ∈ R. Per integrazione si ha g(x3 ) = ax3 + c, h2 (x3 ) = bx3 + d e f3 (x1 , x2 ) = −ax1 x2 − bx2 + h3 (x1 ). Infine, l’ultima delle (2.40) implica che ∂3 f1 (x2 , x3 ) = −∂1 f3 (x1 , x2 ) che, tenendo presente le rappresentazioni trovate fino a questo punto, si riscrive come −ax2 + ∂3 h1 (x3 ) = ax2 − ∂1 h3 (x1 ), da cui si deduce che a = 0, h1 (x3 ) = ex3 + f ed h3 (x1 ) = −ex1 + h. Riassumendo,
56
2 Analisi della deformazione u1 = −νεx1 − cx2 + ex3 + f u2 = −νεx2 + cx1 + bx3 + d u3 = εx3 − bx2 − ex1 + h
che risultano pi` u trasparenti riscritte come u1 −νεx1 0 −c e x1 f u2 = −νεx2 + c 0 b x2 + d u3 εx3 −e −b 0 x3 h dato che evidenziano che le costanti b, c, d, e, f ed h definiscono un moto rigido infinitesimo. Seconda soluzione. Indichiamo con W := W(u). Utilizzando le relazioni ∂k Wij = ∂j Eik − ∂i Ejk ,
∀i, j, k ∈ {1, 2, 3},
dimostrate nel Lemma 2.22, deduciamo che ∂k Wij = 0 per ogni i, j e k. Quindi Wij `e costante per ogni i, j. Dunque, dato che anche E `e costante si ha che pure ∇u = E + W `e costante. Dal Teorema 2.3, prendendo x0 = 0, si deduce che u(x) = Ex + Wx + u(0). Chiaramente questa soluzione coincide con la prima soluzione data.
4
Il prossimo esercizio `e un po’ pi` u articolato del precedente. Esercizio 2.32. Sia Ω semplicemente connesso ed E un campo tensoriale, definito in Ω, rappresentato da −νκx1 0 0 −νκx1 0 , [E] = 0 0 0 κx1 con ν, κ ∈ R. Trovare un campo di spostamento u : Ω → R3 tale che E = E(u). 5 Soluzione. Sicuramente E soddisfa le equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant visto che [E] `e lineare in x. Quindi esiste uno spostamento u tale che E = E(u). Indichiamo con W := W(u). Utilizzando la relazione ∂k Wij = ∂j Eik − ∂i Ejk ,
∀i, j, k ∈ {1, 2, 3},
dimostrata nel Lemma 2.22, deduciamo che ∂k W12 = ∂2 E1k − ∂1 E2k = −∂1 E22 δ2k = νκδ2k , ∂k W23 = ∂3 E2k − ∂2 E3k = 0, ∂k W13 = ∂3 E1k − ∂1 E3k = −∂1 E33 δ3k = −κδ3k . Per integrazione si ha
2.8 Equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant 0 νκx2 −κx3 0 0 + [W0 ] [W ] = skw 0
57
con W0 ∈ Skw. Sia H = ∇u. Alllora
−νκx1 νκx2 −κx3 [H] = [E] + [W ] = −νκx2 −νκx1 0 + [W0 ] κx3 0 κx1
Attraverso la seconda rappresentazione data nella (2.6), per integrazione otteniamo 1 − 2 νκ(x21 − x22 ) − 12 κx23 + [W0 ][x] + [a] −νκx1 x2 [u] = κx1 x3 con a ∈ R3 .
4
2.8.1 Compatibilit` a di de Saint-Venant in domini multi-connessi Come vedremo in seguito, le equazioni di compatibilit` a in domini multiconnessi saranno fondamentali nello studio di travi tubolari. Il loro studio non `e completamente banale e pertanto iniziamo con alcuni richiami di Analisi. Una curva da un intervallo I = [a, b] in una regione R ⊂ Rn `e semplicemente una funzione continua γ : I → R. La curva `e dotata di orientazione, in particolare ha un punto d’inizio γ(a) e un punto di fine γ(b). Se γ `e iniettiva la curva si dir`a semplice, mentre se γ(a) = γ(b) si dir` a chiusa. Considereremo sempre curve regolari in cui in ogni punto del sostegno, γ(I), la tangente `e ben definita. Se g : γ(I) → Rn `e un campo vettoriale definito sul sostegno γ(I), allora l’integrale curvilineo di g su γ `e definito da ˆ
ˆ
b
g(γ(t)) · γ 0 (t) dt.
g := γ
a
Se la curva γ `e parametrizzata con l’ascissa curvilinea s, allora γ 0 (s) coincide con la tangente (unitaria) t(s) e l’integrale curvilineo si riscrive come ˆ
ˆ
b
g(γ(s)) · t(s) ds,
f := γ
a
mentre se γ `e una curva chiusa scriveremo ˛ ˆ g := g. γ
γ
In maniera analoga, se G : γ(I) → Lin `e un campo tensoriale, allora l’integrale curvilineo `e definito da
58
2 Analisi della deformazione
ˆ
ˆ
b
G(γ(t))γ 0 (t) dt.
G := γ
(2.41)
a
Si noti che, malgrado la notazione, l’integrale curvilineo di un campo vettoriale `e uno scalare mentre quello di un campo tensoriale `e un campo vettoriale. Inoltre si osservi che, per un dato campo g, si ha ˆ
ˆ
b
0
∇g = γ
ˆ
b
∇g(γ(t))γ (t) dt = a
0 g(γ(t) dt = g(γ(b)) − g(γ(a)), (2.42)
a
dove l’ultima identit`a segue dal teorema fondamentale del calcolo integrale e la penultima dalla regola di derivazione delle funzioni composte. Con queste premesse e con la notazione introdotta nell’Esercizio 2.23 possiamo gi`a dimostrare il primo risultato della sezione. Teorema 2.33. Sia E = E(u) per un dato spostamento u e ω il vettore assiale di W(u). Inoltre, sia I = [a, b] e γ : I → Ω una curva semplice. Denotando con x0 = γ(a) e x = γ(b) si ha ˆ ω(x) = ω(x0 ) + curl E γ
ed inoltre
ˆ
u(x) = u(x0 )+ω(x0 )∧(x−x0 )+
(curl E)ei ∧ (x − γ) ⊗ei . (2.43)
E+ γ
Dimostrazione. Iniziamo col dimostrare la prima identit` a. Con la notazione utilizzata nell’enunciato del teorema, e ricordando la (2.29), curl E = ∇ω, si ha ˆ ˆ b ˆ b 0 curl E = curl E(γ(t)) γ (t) dt = ∇ω(γ(t))γ 0 (t) dt = ω(x) − ω(x0 ) γ
a
a
dove abbiamo utilizzato la (2.42). Dimostriamo ora la seconda identit`a. Dato che ∇u = E(u) + W(u), si ha ˆ ˆ u(x) − u(x0 ) = ∇u = (E(u) + W(u)). γ
γ
Indicando per brevit`a con W = W(u), si ha
2.8 Equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant
ˆ
ˆ γ
ˆ
b
b
W(γ(t))γ 0 (t) dt =
W= ˆ
59
ω(γ) ∧ γ 0 dt
a
a b
(ω(γ) ∧ γ)0 − ω 0 (γ) ∧ γ dt
= a
ˆ
b
(∇ω(γ)γ 0 ) ∧ γ dt
= ω(x) ∧ x − ω(x0 ) ∧ x0 − a
ˆ
b
(curl E(γ)γ 0 ) ∧ γ dt
= (ω(x) − ω(x0 )) ∧ x + ω(x0 ) ∧ (x − x0 ) − = ω(x0 ) ∧ (x − x0 ) +
ˆ
b
(curl E(γ)γ 0 ) ∧ γ dt
curl E ∧ x −
γ b
ˆ
a
ˆ a
(curl E(γ)γ 0 ) ∧ (x − γ) dt.
= ω(x0 ) ∧ (x − x0 ) + a
Assemblando i risultati ottenuti si trova u(x) =u(x0 ) + ω(x0 ) ∧ (x − x0 ) ˆ b + E(γ)γ 0 + (curl E(γ)γ 0 ) ∧ (x − γ) dt a
e quindi per ottenere il risultato desiderato `e sufficiente osservare che Ab ∧ c = (Aei ) ∧ c ⊗ ei b, per ogni tensore A e ogni vettore b e c.
La (2.43) viene chiamata formula di Cesaro. I primi due termini che compaiono in tale formula, u(x0 )+ ω(x0 )∧(x−x0 ), rappresentano uno spostamento rigido infinitesimo, mentre il terzo termine dipende esclusivamente dal tensore di deformazione infinitesima. Quindi, dalla formula di Cesaro, si deduce che si pu`o determinare lo spostamento, a meno di uno spostamento rigido infinitesimo, a partire dal tensore di deformazioni infinitesimo. In base al Teorema 2.24, lo spostamento rigido infinitesimo non `e eliminabile da tale formula. Procediamo con alcuni richiami di Analisi. Restringiamo la nostra attenzione al piano o allo spazio tridimensionale: n = 2, 3. Due curve si dicono omotope nella regione R ⊂ x0 Rn se una delle due pu`o essere “deformata con • continuit`a” nell’altra senza “uscire” da R. Come `e noto, la regione R si dir`a semplicemente connessa se `e connessa e se ogni curva chiusa `e omotopa in R ad una curva costante (una curva che ha come immagine un singolo punto); detto diversamente, se ogni curva chiusa • pu`o essere contratta in maniera continua ad x 1 un punto sempre stando in R.
60
2 Analisi della deformazione
In due dimensioni ogni regione con dei buchi non `e semplicemente connessa, mentre in tre dimensioni certi buchi sono ammessi. Ad esempio, una sfera cava `e semplicemente connessa, mentre un toro (la classica “ciambella”) non lo `e, come pure non lo `e una trave a sezione tubolare. Regioni che non sono semplicemente connesse le chiamiamo multi-connesse. Sia g : R → Rn un campo vettoriale liscio (C 1 ). Allora, come `e ben noto, le seguenti affermazioni sono equivalenti: 1. esiste una funzione (il potenziale) ϕ : R → R tale che g = ∇ϕ; 2. l’integrale curvilineo di g dipende solo dagli estremi della curva; 3. l’integrale curvilineo di g su ogni curva chiusa `e nullo. Se il campo g soddisfa una di queste condizioni si dice conservativo. Inoltre, se g `e irrotazionale, ossia curl g `e nullo, l’integrale curvilineo di g `e invariante per omotopie di curve a estremi fissati, o per omotopie di circuiti. 13 Da questi enunciati segue che ( R semplicemente connesso ⇒ ∃ϕ : R → R tale che g = ∇ϕ. (2.44) curl g = 0 in R Infatti, se γ `e una generica curva chiusa in R si ha che γ `e omotopa ad una curva costante c. Inoltre, visto che curl g `e nullo, l’integrale curvilineo di g su γ `e uguale a quello su c. Ma l’integrale di g su una curva costante `e nullo e quindi l’integrale di g su γ `e uguale a zero. Se invece R `e multi-connesso esistono curve chiuse che non sono omotope a curve costanti e quindi non `e sufficiente avere curl g nullo per concludere che g ha potenziale. Per capire quali condizioni imporre a g affinch´e sia conservativo dobbiamo introdurre un po’ di notazione. Se R `e multi-connesso, indichiamo con Γ (R) una famiglia massimale di curve chiuse semplici in R non omotope ad una curva costante e non omotope tra loro. Precisamente, Γ (R) = {γ j : [0, Lj ] → R3 : j = 1, . . . J} dove le γ j sono curve chiuse semplici in R, ciascuna delle γ j non pu` o essere contratta ad un punto senza uscire da R (non omotope ad una curva costante), se j 6= k allora γ j non `e omotopa a γ k (non omotope tra loro), ed infine, tutte le curve chiuse in R non omotope ad una curva costante sono omotope ad una delle curve in Γ (R) (famiglia massimale). Nelle figure sottostanti, per motivi diversi, solo una delle curve γ 1 e γ 2 appartiene a Γ (R).
13
Teorema 7.7 e Osservazione 7.8, G. Gilardi, Analisi due, Mc-Graw Hill, 1996
2.8 Equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant
61
γ2 γ1
γ2 R
γ1 R
L’insieme Γ (R) lo chiamiamo, per brevit`a, famiglia di curve non omotope di R. Nel caso in cui una figura piana abbia due buchi l’insieme Γ (R) contiene le tre curve γ 1 , γ 2 e γ 3 rappresentate nella figura sottostante.
γ1
γ2 γ3
Infatti, nessuna di queste tre curve pu`o essere deformata in una delle altre in maniera continua e senza uscire dalla regione R. Come si vede dalla figura, per`o, la curva γ 3 `e omotopa “alla somma delle curve” γ 1 e γ 2 . Per i nostri fini sarebbe sufficiente includere in Γ (R) solamente le due curve γ 1 e γ 2 , ma per non complicare troppo la trattazione abbiamo preferito dare una definizione di Γ (R) che comprende “qualche” curva in pi` u del necessario. Per domini bidimensionali per`o possiamo ritenere che in Γ (R), come spiegato di seguito, ci siano tante curve quanti sono i “buchi”, e ciascuna curva di Γ (R) “circonda” un solo “buco”: dato che le curve “somma” non danno nessuna informazione aggiuntiva, almeno per i nostri fini. Parametrizziamo le curve γ j con l’ascissa curvilinea, quindi γ j : [0, Lj ] → R3 , dove Lj `e la lunghezza della curva γ j . La definizione di Γ (R) la si pu`o applicare anche se R `e semplicemente connesso, ma in questo caso Γ (R) = ∅. Dimostriamo ora che un campo `e conservativo se e solo se `e irrotazionale e ha integrale curvilineo nullo lungo ogni curva della famiglia Γ (R). Teorema 2.34. Sia R multi-connesso, Γ (R) = {γ j : j = 1, . . . J} la famiglia di curve non omotope di R e g : R → Rn un campo vettoriale. Allora g=0 in R, curl ˛ ∃ϕ : R → R tale che g = ∇ϕ ⇐⇒ g=0 ∀j = 1, . . . , J. γj
(2.45)
62
2 Analisi della deformazione
Dimostrazione. Iniziamo assumendo che g = ∇ϕ. Allora il rotore di un gradiente `e sempre nullo ed `e pure nullo l’integrale curvilineo di un campo conservativo su ogni curva chiusa. Viceversa, per dimostrare l’esistenza di un potenziale `e sufficiente dimostrare che l’integrale curvilineo di g `e nullo su ogni curva chiusa. Si consideri una curva chiusa γ. Allora o γ `e omotopa ad una curva costante in R oppure `e omotopa ad una delle curve γ j ∈ Γ (R) visto che Γ (R) `e una famiglia massimale. Dato che l’integrale curvilineo `e nullo sia su una curva costante e sia sulle curve γ j ∈ Γ (R) si deduce che `e nullo anche su γ, in quanto curl g = 0 implica che l’integrale curvilineo di g `e invariante per omotopie. Nella figura sottostante, la curva γ 3 `e omotopa alla curva γ 1 + γ 2 e quindi se g `e irrotazionale si ha ˛ ˛ g= g, γ3
γ 1 +γ 2
ma, osservando le curve γ 1 e γ 2 , ˛
˛
˛
g=
g+
γ 1 +γ 2
g.
γ1
γ2
γ1 γ1 + γ2
Pertanto, le relazioni
γ3
γ3
˛
˛ g=0 γ1
implicano che
γ2
e
g = 0, γ2
˛ g=0 γ3
e quindi in domini bidimensionali R il Teorema 2.34 continua a valere se Γ (R) comprende solamente una curva attorno ad ogni “buco”. Il teorema precedente ci permette di estendere il teorema di compatibilit` a a domini multi-connessi. Premettiamo per`o prima un semplice esercizio. Esercizio 2.35. Siano v e w due campi vettoriali. Si dimostri che curl(v ∧ w) = (∇v)w + v divw − w divv − (∇w)v. 5
2.8 Equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant
63
Soluzione. Indichiamo rapidamente come si pu` o procedere: (curl(v ∧ w))i = εijk ∂j (εkrs vr ws ) = (δir δjs − δis δjr )(ws ∂j vr + vr ∂j ws ) = w j ∂ j vi + v i ∂ j w i − w i ∂ j vj − vj ∂ j w i . 4
Teorema 2.36. Sia E : Ω → Sym un campo tensoriale simmetrico definito sulla regione Ω, possibilmente multi-connessa, e Γ (Ω) la famiglia di curve non omotope di Ω. Allora ∃u : Ω → R3 tale che E = E(u) se e solo se curl E = 0 curl ˛ curl E = 0 γ ˛ E−
in Ω, ∀γ ∈ Γ (Ω),
(curl E)ei ∧ γ ⊗ ei = 0
(2.46)
∀γ ∈ Γ (Ω).
γ
Dimostrazione. Dapprima, assumiamo che esiste u tale che E = E(u). Allora la prima delle (2.46) segue dal Teorema 2.27 e dall’Esercizio 2.29. La seconda e terza equazione delle (2.46) invece seguono immediatamente dal Teorema 2.33, dato che le curve in Γ (Ω) sono chiuse. Viceversa, poniamo A := curl E. Allora la prima e la seconda delle (2.46) implicano che ˛ curl A = 0, A = 0 ∀γ ∈ Γ (Ω). γ
Dalla definizione (2.28) segue che curl(AT ek ) = 0 per k = 1, 2, 3 e dalla definizione di integrale curvilineo otteniamo ˛
ˆ
0 = ek · γ
ˆ
L 0
˛
L
Aγ 0 dt =
A = ek ·
AT ek · γ 0 dt
AT ek = 0
⇒
0
γ
per k = 1, 2, 3 e per ogni γ ∈ Γ (Ω). Qui, e di seguito, L denota la lunghezza della curva γ. Da (2.45) deduciamo che per ogni k ∈ {1, 2, 3} esiste ωk : Ω → R3 tale che AT ek = ∇ωk . Scrivendo I = ek ⊗ ek si ha AT = AT ek ⊗ ek = ∇ωk ⊗ ek
⇒
A = ek ⊗ ∇ωk .
Indicando con ω := ωk ek segue che, si veda l’Esercizio 2.40, A = ∇ω
⇒
curl E = ∇ω.
64
2 Analisi della deformazione
La notazione scelta per ω dovrebbe far ricordare la (2.29), mentre l’Osservazione 2.20 dovrebbe motivare la definizione che segue. Si ponga Wa := ω ∧ a
∀a ∈ R3
e H := E + W. ˛
Se
H = 0 ∀γ ∈ Γ (Ω)
curl H = 0 e
(2.47)
γ
allora, ragionando come abbiamo fatto con A, possiamo concludere che esiste u : Ω → R3 tale che H = ∇u. Dato che W ∈ Skw questa identit` a implica che E = sym H = E(u), per cui se la (2.47) risulta essere vera il teorema `e dimostrato. Iniziamo quindi col dimostrare la prima delle (2.47). Si ha curl H = curl E + curl W = A + curl W e quindi il teorema segue se curl W = −A. Per a ∈ R3 abbiamo (curl W)a = curl(WT a) = − curl(Wa) = − curl(ω ∧ a) = a divω − (∇ω)a = a divω − Aa, dove abbiamo utilizzato l’Esercizio 2.35. Ma divω = ∇ω · I = curl E · I = (curl E)ek · ek = curl(Eek ) · ek = εkij ∂i (Eek )j = εkij ∂i Ejk = 0 dato che per i fissato la matrice εkij `e emisimmetrica mentre la matrice Ejk `e simmetrica. Quindi, (curl W)a = −Aa per ogni a ∈ R3 , che implica curl W = −A, che a sua volta implica la prima delle (2.47). Vediamo ora la seconda delle (2.47). Dalla terza delle (2.46) si ha ˆ L ˆ L 0= Eγ 0 − (curl E)ei ∧ γγi0 dt = Eγ 0 − (curl E)γ 0 ∧ γ dt 0
0
da cui deduciamo che ˆ L ˆ 0= Eγ 0 − (∇ω)γ 0 ∧ γ dt = ˆ
0
L
Eγ 0 − ω 0 ∧ γ dt 0
L
ˆ
L
Eγ 0 − (ω ∧ γ)0 + ω ∧ γ 0 dt =
= ˆ
0
˛
L
Eγ 0 + Wγ 0 dt =
= 0
Eγ 0 + ω ∧ γ 0 dt 0
H, γ
dove la seconda identit`a nella seconda riga vale in quanto la curva γ `e chiusa.
2.9 Esempio: cinematica della trave
65
2.9 Esempio: cinematica della trave Un corpo a “trave” `e un corpo che nella configurazione di riferimento occupa una regione cilindrica con diametro della sezione molto pi` u piccolo della lunghezza del cilindro. La regione occupata nella configurazione di riferimento la denotiamo con Ω = ω × (0, `), dove ω ⊂ R2 rappresenta la generica sezione trasversale, ` la lunghezza della trave e, per ipotesi, diametro ω `. (2.48) x3
x1 ω
Ω
x1 x2
x2
Fissiamo gli assi in maniera che (0, 0) sia o contenuto in ω o “poco” distante da esso e consideriamo l’espansione in serie di Taylor, nelle variabili x1 e x2 , dello spostamento u(x1 , x2 , x3 ) = u(0, 0, x3 ) + ∂β u(0, 0, x3 )xβ + o(|(x1 , x2 )|), dove, qui e di seguito, gli indici greci assumono solamente i valori 1 e 2. Dato che l’ipotesi (2.48) implica che se x ∈ Ω allora le coordinate x1 e x2 assumono valori piccoli rispetto alla lunghezza `, trascuriamo gli infinitesimi dell’espansione e scriviamo u(x1 , x2 , x3 ) = u(0, 0, x3 ) + ∂β u(0, 0, x3 )xβ ,
(2.49)
che significa assumere che le sezioni trasversali piane {(x1 , x2 , x3 ) ∈ Ω : x3 = costante} si deformano rimanendo piane (perch´e?). La parte dello spostamento lineare in xβ la possiamo decomporre come ∂ 1 u1 ∂ 2 u1 E11 E12 0 W12 x x x (∂β u)xβ = ∂1 u2 ∂2 u2 1 = E12 E22 1 + −W12 0 1 x2 x2 x2 ∂ 1 u3 ∂ 2 u3 0 0 ∂ 1 u3 ∂ 2 u3 dove abbiamo indicato con Eαβ le componenti di E(u) e con W12 la componente 12 di W(u). Le componenti E11 e E22 rappresentano gli allungamenti relativi nelle direzioni 1 e 2 di fibre appartenenti alle sezioni trasversali, mentre E12 rappresenta il doppio della variazione di angolo di due fibre orientate lungo le direzioni 1 e 2 nelle sezioni trasversali. Assumiamo queste deformazioni trascurabili: E11 = E22 = E12 = 0. Quindi, non solo le sezioni rimangono piane, ma neppure si deformano. Con questa ipotesi abbiamo
66
2 Analisi della deformazione
0 W12 0 W12 −∂1 u3 x1 x (∂β u)xβ = −W12 0 1 = −W12 0 −∂2 u3 x2 x2 ∂ 1 u3 ∂ 2 u3 ∂ 1 u3 ∂ 2 u3 0 0 Indichiamo con α(x3 ) il vettore assiale14 della matrice 3 × 3 emisimmetrica, valutata nel punto (0, 0, x3 ), che compare nella riga soprastante, in modo da scrivere ∂β u(0, 0, x3 )xβ = α(x3 ) ∧ (xβ eβ ). Con a(x3 ) := u(0, 0, x3 ) la (2.49) diventa u(x1 , x2 , x3 ) = a(x3 ) + xβ α(x3 ) ∧ eβ ,
(2.50)
e rappresenta il generico spostamento di una trave. Analizziamo ora il suo significato. Il termine a rappresenta lo spostamento dell’asse della trave, ovvero della linea x3 7→ (0, 0, x3 ), dato che a(x3 ) = u(0, 0, x3 ). Il termine che coinvolge α si scrive in maniera esplicita come xβ α ∧ eβ = α3 (−x2 e1 + x1 e2 ) + α1 x2 e3 − α2 x1 e3 . Il primo termine α3 (−x2 e1 + x1 e2 ) rappresenta una rotazione (infinitesima) attorno ad e3 di α3 , come si deduce dalla figura a fianco. Si osservi che il verso positivo di rotazione per α3 `e determinato dal versore e3 con la regola della mano destra.
x3
x1 α3
(x1 , x2 ) α3 x1
−α3 x2
x2
Le componenti dello spostamento α1 x2 e3 e −α2 x1 e3 rappresentano rotazioni (infinitesime) attorno agli assi e1 e e2 di α1 e α2 , rispettivamente. Dunque, le sezioni trasverali ruotano di α1 attorno all’asse e1 e di α2 attorno ad e2 . I versi positivi delle rotazioni α1 e α2 sono determinati, rispettivamente, dai versori e1 e e2 tramite la regola della mano destra.
x3
x1 (x1 , x2 ) x2
α1 α1 x2
x3
x2 α2 x1
−α2 x1
(x1 , x2 )
Da (2.50) si calcola agevolmente il gradiente di spostamento ∇u, che ha la seguente matrice rappresentativa: 0 −α3 a01 − x2 α30 a02 + x1 α30 [∇u] = α3 0 0 −α2 α1 a3 + x2 α10 − x1 α20 14
Si veda l’Osservazione 2.20.
2.9 Esempio: cinematica della trave
e quindi la matrice rappresentativa di E(u) `e a01 − α2 1 0 − x2 α3 0 0 2 2 0 a + α 1 [E(u)] = . 1 2 0 + x1 α30 2 2 sym a03 + x2 α10 − x1 α20 Sull’asse della trave, x1 = x2 = 0, si ha a01 − α2 0 0 0 0 2 0 a2 + α1 = [E(u)](0, 0, x3 ) = 0 0 2 sym sym a03
67
(2.51)
γ1 2 γ2 . 2 0 a3
dove abbiamo posto γ1 (x3 ) := a01 (x3 ) − α2 (x3 ) e
γ2 (x3 ) := a02 (x3 ) + α1 (x3 ).
(2.52)
Il parametro γ1 , (γ2 ), rappresenta l’angolo di scorrimento lungo le direzioni 1 e 3, (2 e 3), ovvero tra l’asse della trave e la “direzione 1” della sezione:
x2 x1
x3
a01
x3
x1
α2 γ1
a02 α1
x2
γ2
Indichiamo inoltre con κ := α0 , in componenti κ1 := α10 ,
κ2 := α20 ,
κ3 := α30
(2.53)
e con l’abusato ε l’allungamento relativo dell’asse della trave ε := a03 .
(2.54)
Visto che α1 `e l’angolo di rotazione della sezione trasversale attorno all’asse 1, κ1 = α10 `e l’angolo relativo di rotazione delle sezioni trasversali attorno all’asse 1 per unit`a di lunghezza. In maniera analoga si pu` o interpretare κ2 , mentre κ3 rappresenta la derivata dell’angolo di rotazione della sezione trasversale attorno all’asse della trave e viene chiamato angolo relativo di torsione per unit`a di lunghezza. Con la notazione introdotta la (2.51) si riscrive come 1 0 0 (γ1 − x2 κ3 ) 2 1 [E(u)] = (2.55) 0 (γ + x κ ) 2 1 3 2 sym ε + x 2 κ1 − x 1 κ2
68
2 Analisi della deformazione
da cui si deduce che la deformazione di una trave `e completamente caratterizzata dalle quantit`a ε, γ1 , γ2 , κ1 , κ2 e κ3 . Travi in cui l’asse ha spostamento libero e le sezioni trasversali ruotano rigidamente, ovvero spostamenti descritti dalla (2.50) e quindi aventi un tensore di deformazione infinitesimo dato dalla (2.55), vengono chiamate travi alla Timoshenko. Per travi veramente sottili, diametro di ω estremamente pi` u piccolo della lunghezza della trave, risulta ragionevole assumere che gli scorrimenti γ1 e γ2 siano nulli. Con l’ipotesi γ1 = γ2 = 0 si ha che le sezioni trasversali ruotano rigidamente rimanendo ortogonali all’asse della trave. Queste deformazioni sono chiamate deformazioni alla Bernoulli-Navier. Se γ1 = γ2 = 0 si ha α1 = −a02
e
α2 = a01 ,
inoltre α1 `e anche l’angolo di rotazione, attorno all’asse 1, della linea media e quindi la sua derivata `e uguale alla curvatura: x3 x1 0 00 κ1 = α1 = −a2 . x2 ρ1 dα1 Analogamente, si ha che dα1 κ2 = α20 = a001 `e la curvatura dell’asse medio attorno all’asse 2.
dx3 ρ1 dα1 = dx3 dα1 dx3
=
1 ρ1
= κ1
Dunque la formula [E(u)]33 (x1 , x2 , x3 ) = ε − x1 κ2 + x2 κ1 . evidenzia che l’allungamento relativo della generica fibra `e determinato dall’allungamento relativo dell’asse della trave ma anche dalle curvature e dalla distanza della fibra considerata dall’asse della trave. Riassumendo, con l’ipotesi di Bernoulli-Navier abbiamo che il tensore di deformazione infinitesima `e 1 − x 2 κ3 0 0 2 1 [E(u)] = (2.56) 0 x 1 κ3 2 sym ε + x 2 κ1 − x 1 κ2 dove ε := a03 ,
κ1 = −a002 ,
κ2 = a001 ,
κ3 := α30 .
(2.57)
2.10 Esercizi
69
2.10 Esercizi Esercizio 2.37. Calcolare ∇f con f (x) = (x1 +
3 1 x2 (x2 + cos x1 ))e1 + (x2 + x2 )e2 + (x3 + )e3 . 100 100 200
Con Ω = (0, π/2) × (0, π) × (0, π) la funzione f : Ω → f (Ω) pu` o rappresentare una deformazione? 5 Esercizio 2.38. Sia γ : [0, 2π] → Ω un’elica cilindrica parametrizzata da γ(θ) = 3 cos(θ)e1 + 3 sin(θ)e2 + θe3 , ed f la deformazione f (x) = (x1 +
3 3 (x2 + 2))e1 + (x2 + x1 )e2 + x3 e3 . 100 200
Calcolare le lunghezze `0 , dell’elica indeformata, ed `, dell’elica deformata. 5 Esercizio 2.39. Sia γ : [0, 2π] × [0, π/2] → Ω un semisfera parametrizzata da γ(θ1 , θ2 ) = 3 cos(θ1 ) sin(θ2 )e1 + 3 sin(θ1 ) sin(θ2 )e2 + 3 cos(θ2 )e3 , ed f la deformazione f (x) = (x1 + x2 + 3)e1 + (x2 + 3x1 )e2 + 2x3 e3 . 5
Calcolare le aree a0 ed a. Esercizio 2.40. Verificare le seguenti identit`a ∇f = ∂j f ⊗ ej ,
e
∇f = ek ⊗ ∇fk . 5
Soluzione. Le due identit` a si verificano agevolmente passando in componenti. Di seguito le ricaviamo. L’equazione (2.5), (∇f )ej = ∂j f , determina in maniera univoca il gradiente di deformazione. Infatti, scrivendo l’identit` a come I = ej ⊗ ej si ha ∇f = ∇f I = ∇f (ej ⊗ ej ) = ((∇f )ej ) ⊗ ej = ∂j f ⊗ ej . Da questa identit` a, scrivendo ∂j f = ∂j fk ek , si ottiene ∇f = ∂j fk ek ⊗ ej = ek ⊗ (∂j fk ej ) = ek ⊗ ∇fk . 4
Esercizio 2.41. Sia f una dilatazione in direzione n del tipo (2.20). Si verifichi che ε (∇f )−1 = I − n ⊗ n. 1+ε Inoltre, utilizzando la (2.16) si valuti la variazione d’area per una generica superficie. 5
70
2 Analisi della deformazione
Esercizio 2.42. Sia f uno scorrimento lungo t ed n del tipo (2.21), con t e n unitari e ortogonali. Si verifichi che (∇f )−1 = I − γt ⊗ n. Inoltre, utilizzando la (2.10) e la (2.16) si valuti la variazione di lunghezza e d’area per una generica curva ed una generica superficie. 5 Esercizio 2.43. Prendiamo la regione R considerata nella Sezione 2.4.2 uguale alla palla centrata in x0 di raggio ρ: B(x0 , ρ). Poniamo ˆ ˆ 3 v0 (B(x0 , ρ)) := dL (x) e v(B(x0 , ρ)) := dL 3 (y). B(x0 ,ρ)
Si definisca
f (B(x0 ,ρ))
dv v(B(x0 , ρ)) (x0 ) := lim . ρ→0 v0 (B(x0 , ρ)) dv0
Utilizzando l’Esercizio 3.1 si deduca la (2.15), ossia che dv = det F. dv0 5 Esercizio 2.44. Il campo tensoriale H 2 x2 [H(x)] = 0 x1 x22
ha matrice rappresentativa 2x1 x2 −2 ex2 /100 0 . x21 x2 x1
Dire se esiste uno spostamento u tale che ∇u = H, ovvero se H `e un gradiente di spostamento. 5 Esercizio 2.45. Per misurare il tensore di deformazione infinitesima E in un dato punto si piazzano (immaginiamo sia possibile) sei estensimetri nelle direzioni √ √ t1 = (1, 0, 0), t2 = (1/2, 3/2, 0), t3 = (− 3/2, 1/2, 0), √ √ √ √ t4 = (1/2, 0, 3/2), t5 = (− 3/2, 0, 1/2), t6 = (0, 2/2, 2/2), che misurano i seguenti allungamenti relativi ε(t1 ) = 2 × 10−3 , ε(t4 ) = 4 × 10−3 , Determinare E.
ε(t2 ) = 1 × 10−3 ,
ε(t5 ) = 1 × 10−3 ,
ε(t3 ) = 0,
ε(t1 ) = 1 × 10−3 . 5
2.10 Esercizi
71
Esercizio 2.46. Sia Ω semplicemente connesso ed E un campo tensoriale definito su Ω rappresentato da 2 ax2 0 bx1 x2 cx21 dx3 [E] = sym ex21 trovare a, b, c, d, e ∈ R in modo che E sia un tensore di deformazione infinitesima. 5 Esercizio 2.47. Sia Ω semplicemente connesso ed E un campo tensoriale definito su Ω rappresentato da 3 ax1 0 bx1 x2 cx21 dx3 [E] = sym ex21 trovare a, b, c, d, e ∈ R in modo che E sia un tensore di deformazione infinitesima. 5 Esercizio 2.48. Sia Ω semplicemente connesso ed E = E(x1 , x2 ) un campo tensoriale definito su Ω che dipende soltanto da due variabili. Dedurre che lo spostamento u dovr`a avere la seguente struttura: c1 ¯1 (x1 , x2 ) u1 (x) = − x23 + c4 x2 x3 + c5 x3 + u 2 c2 u2 (x) = − x23 − c4 x1 x3 + c6 x3 + u ¯2 (x1 , x2 ) 2 u (x) = (c x + c x + c )x + u ¯3 (x1 , x2 ) 3 1 1 2 2 3 3 per opportune costanti c1 , . . . , c6 e opportune funzioni u ¯i .
5
Esercizio 2.49. Un problema in cui esiste una direzione n tale che lo spostamento • •
ha componente nulla in direzione n, ossia u · n = 0; dipende soltanto dalle componenti ortogonali ad n: ossia u = u(x − (x · n)n);
viene chiamato problema piano di deformazione. Con n = e3 siamo in presenza di un problema piano di deformazione se e solo se u3 = 0
e
uα = uα (x1 , x2 )
per α = 1, 2. In quest’ultimo caso, dimostrare che le componenti Ei3 di E(u) sono nulle. Inoltre, sempre con n = e3 , far vedere che un campo tensoriale E = E(x1 , x2 ) con Ei3 = 0 `e un tensore di deformazione infinitesima su un dominio semplicemente connesso se e solo se ∂1 ∂1 E22 + ∂2 ∂2 E11 = 2∂1 ∂2 E12 . 5
72
2 Analisi della deformazione
Esercizio 2.50. Dato lo spostamento u: u1 (x) = 1/200x1 + 1/100x2 ,
u2 (x) = −1/300x1 + 1/100x2 ,
u3 (x) = 0
determinare il massimo allungamento relativo e la direzione in cui avviene. 5 Esercizio 2.51. Sia u : Ω → R3 uno spostamento nullo vicino ∂Ω. 1. Applicando il teorema della divergenza dimostrare che ˆ ˆ ∇u · ∇uT dL 3 = ( divu)2 dL 3 . Ω
Ω
2. Utilizzando l’identit`a 2E(u) = ∇u + ∇uT far vedere che ˆ ˆ ˆ 2 |E(u)|2 dL 3 = |∇u|2 dL 3 + ( divu)2 dL 3 . Ω
Ω
Ω
3. Dedurre la disuguaglianza di Korn per spostamenti che si annullano su tutto il bordo: ˆ ˆ 1 2 3 |E(u)| dL ≥ |∇u|2 dL 3 . 2 Ω Ω ` sorprendente? Perch´e? Sarebbe vera se il corpo non fosse vincolato? E 5 Suggerimento: per il punto 1. si pu` o procedere utilizzando le componenti ˆ ˆ ∂j ui ∂i uj dL 3 = ∂i (uj ∂j ui ) − uj ∂i ∂j ui dL 3 Ω Ω ˆ ˆ =− uj ∂j ∂i ui dL 3 = − ∂j (uj ∂i ui ) − ∂j uj ∂i ui dL 3 . Ω
Ω
Esercizio 2.52. Dato il campo di spostamenti u1 = 0.02 x1 x2 + 0.002 x2 , u2 = 0.015 x2 + 0.03 x1 , u3 = 0, determinare: 1. il contorno deformato di un quadrato di lato 2 con due lati sugli assi x1 , x2 ; 2. la configurazione finale e la variazione di lunghezza (utilizzando la teoria infinitesima) della diagonale inclinata di π/4 rispetto ad x1 ; 3. la variazione di area (utilizzando la teoria infinitesima) del quadrato introdotto nel punto 1.;
2.10 Esercizi
73
4. il tensore di deformazione infinitesima, il tensore di rotazione infinitesima e il gradiente di deformazione. 5 Esercizio 2.53. Sia g(x1 , x2 ) =
x2 x21 + x22
ed E = ge1 ⊗ e1 + ge2 ⊗ e2 . 1. Verificare che il campo tensoriale E soddisfa l’equazione ∂1 ∂1 E22 +∂2 ∂2 E11 = 2∂1 ∂2 E12 e dedurre che curl curl E = 0 (si veda l’Esercizio 2.49); 2. dal punto 1. segue che in domini semplicemente connessi (che non intersecano la retta {(0, 0, x3 ) : x3 ∈ R}, visto che in tali punti E non `e definito) esiste un campo u tale che E(u) = E. Verificare che sulla regione R3 \ {(x1 , 0, x3 ) : x1 ≤ 0, x3 ∈ R} il campo vettoriale u = h(x1 , x2 )e1 +
1 log(x21 + x22 )e2 , 2
dove h `e la funzione liscia definita da x1 se x2 > 0 arctan( x2 ) π h(x1 , x2 ) = 2 se x2 = 0 , x1 π + arctan( x2 ) se x2 < 0 `e tale che E(u) = E; 3. sia Ω = ω × (0, `), con ω = {(x1 , x2 ) : 1 ≤ x21 + x22 ≤ 1.5}, e sia γ(s) = cos(s)e1 + sin(s)e2 con s ∈ [0, 2π), la curva che descrive il buco di ω.
x1 ω x2 Accertarsi che Γ (Ω) = {γ}; 4. verificare che
0 0 0 0 0 . [curl E] = 0 −∂2 g ∂1 g 0
In caso di difficolt`a si veda la (8.38);
74
2 Analisi della deformazione
5. dopo aver rivisto la definizione (2.41), verificare che curl E(γ(s))γ 0 (s) = − sin(s)e3 e quindi dedurre che
˛ curl E = 0; γ
6. accertarsi che la matrice che rappresenta il campo tensoriale (curl E)ei ∧ γ ⊗ ei ha come colonna i-ma il vettore ((curl E)ei ) ∧ γ. Verificare inoltre che sin(s)(x21 − x22 ) 2x1 x2 sin(s) 0 1 − cos(s)(x21 − x22 ) −2x1 x2 cos(s) 0 ; [((curl E)ei )∧γ)⊗ei ] = 2 (x1 + x22 )2 0 0 0 7. verificare che E − (curl E)ei ∧ γ ⊗ ei (γ(s))γ 0 (s) = −2 sin2 (s)e1 + sin(2s)e2 , e quindi dedurre che ˛ E−
(curl E)ei ∧ γ ⊗ ei 6= 0;
γ
8. dal punto precedente dedurre che non `e possibile trovare un campo di spostamenti u definito su Ω tale che E(u) = E. Verificare inoltre che lo spostamento definito al punto 2. non `e estendibile in maniera continua su Ω. 5
3 Analisi della tensione
In questa sezione consideriamo un generico piazzamento χ del corpo ed ine la regione occupata in questa configurazione: Ω e = χ(B). In dichiamo con Ω e `e un aperto di R3 . accordo con le ipotesi fatte nella Sezione 2.1, l’insieme Ω e agiscono diverse azioni dall’ambiente Su ciascuna parte della chiusura di Ω esterno: queste azioni le quantifichiamo attraverso le forze e i momenti che e con volume positivo, indichiaproducono. Se Θ `e un sottoinsieme aperto di Ω ¯ e con My (Θ) ¯ la risultante e il momento risultante, rispetto al mo con R(Θ) 0 ¯ la chiusura di Θ. Queste azioni, che ritepolo y0 , delle azioni agenti su Θ, niamo assegnate, dipendono dal piazzamento χ: per semplicit` a di notazione evitiamo di esplicitare tale dipendenza. ¯ `e uguale all’unione di Θ e della sua frontiera: Ricordiamo che la chiusura Θ ¯ = Θ ∪ ∂Θ. Risulta ragionevole assumere che la risultante e il momento Θ risultante ammettano le seguenti decomposizioni: ¯ = Rd (Θ) + Rc (∂Θ) e R(Θ)
¯ = Mdy (Θ) + Mcy (∂Θ). My0 (Θ) 0 0
Le quantit`a Rd (Θ) e Mdy0 (Θ) rappresentano le azioni a distanza, dato che ¯ mentre Rc (∂Θ) e Mcy (∂Θ) rappresentano agiscono sui punti interni a Θ, 0 le azioni di contatto, dato che agiscono sui punti che sono in contatto con ¯ l’ambiente esterno a Θ. Un tipico esempio di azione a distanza `e quella dovuta alla forza di gravit` a, mentre un esempio di azione di contatto attraverso la superficie esterna ad un corpo `e la pressione che l’acqua esercita sulla superficie di una diga. Discutiamo innanzitutto le azioni a distanza. Assumiamo che queste ammettano una densit`a; pi` u precisamente, assumiamo l’esistenza b di un campo vettoriale e → R3 b:Ω e Ω
(3.1)
per cui si ha
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_3
75
76
3 Analisi della tensione
ˆ
ˆ
d
R (Θ) =
b dL
3
e
Θ
Mdy0 (Θ)
(y − y0 ) ∧ b(y) dL 3 (y),
=
(3.2)
Θ
e per ogni Θ ⊂ Ω. Le b (“body” in inglese) le chiamiamo forze di volume; osserviamo che b ha le dimensioni di una forza su una lunghezza al cubo e quindi, in realt` a, `e una densit`a di forze. Con l’introduzione del campo vettoriale b stiamo escludendo la possibilit` a di avere forze e coppie concentrate; inoltre, dalla espressione dei momenti, deduciamo che stiamo pure escludendo coppie distribuite. Riprenderemo questa riflessione nell’Osservazione 3.2. La notazione che introduciamo nel prossimo esercizio verr` a utilizzata in tutto il capitolo. L’esercizio consiste nel dimostrare un risultato di “localizzazione”, ossia un risultato che ci permette di passare da equazioni integrali ad equazioni puntuali. Esercizio 3.1. Indichiamo con 2ρ
B(y0 , ρ) := {y : |y − y0 | ≤ ρ} la palla centrata in y0 e raggio ρ, e con ˆ ˆ 1 · dL 3 := 3 · dL 3 L (V ) V V
B(y0 , ρ)
y0 ˆ · dL 2 :=
e S
1 L 2 (S)
ˆ · dL 2 , S
le medie integrali di volume e di area; L (V ) e L (S) indicano, rispettivamente, il volume dell’insieme V e l’area della superficie S. Sia y0 ∈ R3 e sia g una funzione continua in un intorno di y0 ; allora ˆ lim g(y) dL 3 = g(y0 ). 3
ρ→0
2
B(y0 ,ρ)
Inoltre, se Γ `e una superficie e y0 ∈ Γ , si ha che ˆ lim g(y) dL 2 = g(y0 ). ρ→0
B(y0 ,ρ)∩Γ
5 Soluzione. Si tratta di dimostrare che per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che per ogni 0 < ρ ≤ δ risulta che ˆ | g(y) dL 3 − g(y0 )| ≤ ε. B(y0 ,ρ)
Fissiamo quindi ε > 0. Visto che la funzione g `e continua in y0 esiste un δg > 0 tale che |g(y) − g(y0 )| ≤ ε per ogni y ∈ B(y0 , δg ). Dato che
3 Analisi della tensione ˆ
77
ˆ g(y) dL 3 (y) − g(y0 ) =
g(y) − g(y0 ) dL 3 (y),
B(y0 ,ρ)
B(y0 ,ρ)
ˆ
si ha
ˆ g(y) dL 3 − g(y0 )| = |
| B(y0 ,ρ)
ˆ
g(y) − g(y0 ) dL 3 | B(y0 ,ρ)
|g(y) − g(y0 )| dL 3
≤ B(y0 ,ρ)
e pertanto, per ogni 0 < ρ ≤ δg abbiamo B(y0 , ρ) ⊂ B(y0 , δg ) e quindi ˆ ˆ ˆ | g(y) dL 3 − g(y0 )| ≤ |g(y) − g(y0 )| dL 3 ≤ ε dL 3 = ε. B(y0 ,ρ)
B(y0 ,ρ)
B(y0 ,ρ)
Con la stessa dimostrazione si ottiene il secondo risultato dell’esercizio.
4
Osservazione 3.2. Dall’esercizio precedente deduciamo che la funzione b, che compare in (3.1), pu`o essere dedotta da Rd tramite il Rd (B(y0 , ρ)) = b(y0 ) ρ→0 L 3 (B(y0 , ρ)) lim
e come segue facilmente dalla (3.3). Pertanto, b `e la densit` per ogni y0 ∈ Ω, a per unit`a di volume della risultante delle azioni a distanza. Invece, utilizzando la seconda delle (3.3), la densit`a per unit`a di volume della risultante dei momenti delle azioni a distanza `e Mdy0 (B(y0 , ρ)) = (y0 − y0 ) ∧ b(y0 ) = 0, ρ→0 L 3 (B(y0 , ρ)) lim
che significa che tra le forze che stiamo considerando non ci sono coppie distribuite per unit`a di volume. ♦ Analizziamo ora le azioni di contatto, trattando prima il caso in cui ∂Θ = e ovvero quando la parte analizzata `e tutta la regione occupata dal corpo. ∂ Ω, s Come per le azioni a distanza, assumiamo che le azioni di contatto ammettano una densit` a: esiste un campo vettoriale e → R3 s : ∂Ω e Ω
(3.3)
per cui si ha ˆ
ˆ
c
R (Γ ) =
s dL Γ
2
e
Mcy0 (Γ )
(y − y0 ) ∧ s(y) dL 2 (y),
= Γ
e Il campo vettoriale s lo chiamiamo forze di superficie per ogni Γ ⊂ ∂ Ω. anche se ha le dimensioni di una forza per unit` a d’area. Quanto espresso nell’Osservazione 3.2 pu`o essere facilmente adattato alle forze di superficie.
78
3 Analisi della tensione
Infine analizziamo le azioni di contatto nel caso in cui la parte considerata e non coincida con Ω. Per fare ci`o troviamo conveniente definire la parte Θ a partire da una superficie (orientata) e in due Σ di normale n che taglia la regione Ω − + − e e e e e parti: Ω e Ω := Ω \ (Σ ∪ Ω ), con Ω − =: Θ e− ∩ Σ la regione che sulla parte di frontiera ∂ Ω ha normale esterna n. e − `e costituita da due parti La frontiera di Ω
n Σ e− = Θ Ω
e − = (∂ Ω e − ∩ ∂ Ω) e ∪ (Σ ∩ Ω), e ∂Ω e − ∩ ∂ Ω, e che `e un sottoinsieme della frontiera ∂ Ω, e e la parte “inla parte ∂ Ω − e e e + . Dato che terna” Σ ∩ Ω, che determina la zona di contatto tra Ω e Ω e restrinabbiamo gi`a caratterizzato le azioni di contatto sulla frontiera ∂ Ω, e giamo la nostra attenzione sulla superficie Σ ∩ Ω. Sulla parte di frontiera e agiscono delle azioni di contatto “interne” che rappresentano “interna” Σ ∩ Ω e + esercita sulla regione Ω e − attraverso la superficie l’azione che la regione Ω e e per di contatto Σ. Per definire queste azioni fissiamo un punto y ∈ Σ ∩ Ω ρ > 0 consideriamo e ∩ B(y, ρ)) e Rc (Σ ∩ Ω
e ∩ B(y, ρ)) Mcy (Σ ∩ Ω
che interpretiamo come la risultante delle forze e dei momenti che la regione e + esercita sulla regione Ω e − attraverso la parte di superficie Σ ∩ Ω e ∩ B(y, ρ). Ω Assumiamo (Postulato di Cauchy) che per ogni y ∈ Σ esiste t(y; Σ) tale che
Rc (Σ ∩ B(y, ρ)) = t(y; Σ), ρ→0 L 2 (Σ ∩ B(y, ρ))
t(y; Σ) Σ ∩ B(y, ρ) n
lim
e
Mcy (Σ ∩ B(y, ρ)) lim = 0. ρ→0 L 2 (Σ ∩ B(y, ρ))
Σ e− Ω
Quindi, t(·; Σ) `e semplicemente la densit`a per unit` a di superficie della risul+ e e − attraverso la tante delle azioni che la regione Ω esercita sulla regione Ω superficie Σ. La densit`a della risultante dei momenti invece `e ritenuta nulla: i materiali che non soddisfano tale ipotesi, che noi non trattiamo, vengono chiamati materiali polari. Il campo t(·; Σ) viene chiamato tensione. Si osservi che la tensione non dipende soltanto dal punto ma anche dalla superficie di taglio. Esempio 3.3. Per semplicit`a, consideriamo un rettangolo bidimensionale su cui agiscono delle forze superficiali σ su due lati opposti, come in figura.
3.1 Il tensore degli sforzi
y0
σ
σ
79
e
Attraverso il centro del rettangolo y0 , consideriamo due rette, Σ1 e Σ2 , parallele agli assi del rettangolo. Nella figura sottostante sono riportate delle plausibili tensioni, che equilibrano le forze superficiali applicate, agenti sulle superfici Σ1 e Σ2 . Σ1 y0
σ
σ
Σ2
σ
y0
σ
Per le tensioni rappresentate in figura, si ha t(y0 , Σ1 ) = σe
e
t(y0 , Σ2 ) = 0. ♥
Assumendo che le azioni di contatto “interne” siano completamente caratterizzate da t(y; Σ) avremo ˆ ˆ c 2 c R (Σ) = t(y; Σ) dL (y) e My0 (Σ) = (y − y0 ) ∧ t(y; Σ) dL 2 (y). Σ
Σ
3.1 Il tensore degli sforzi e La frontiera di Θ, ∂Θ, sar` Consideriamo una regione Θ ⊂ Ω. a in generale composta da una parte “esterna” e ∂Θe := ∂Θ ∩ ∂ Ω e da una parte “interna” ∂Θi := ∂Θ \ ∂Θe . Da quanto detto nella precedente sezione abbiamo che la risultante delle forze ¯ `e: agenti su Θ ˆ ˆ ˆ ¯ = R(Θ) b dL 3 + s dL 2 + t(·; ∂Θi ) dL 2 Θ
∂Θe
∂Θi
¯ `e: e la risultante dei momenti, rispetto al polo y0 , agenti su Θ ˆ
ˆ
¯ = My0 (Θ)
3
(y − y0 ) ∧ s dL 2 (y)
(y − y0 ) ∧ b dL (y) + Θ
ˆ
∂Θe
(y − y0 ) ∧ t(y; ∂Θi ) dL 2 (y).
+ ∂Θi
80
3 Analisi della tensione
Definizione 3.4 (Assioma di Eulero). La configurazione χ, sotto l’azione delle forze di volume b, di superficie s e delle tensioni t, `e una configurazione di equilibrio se ( ¯ = 0, R(Θ) (3.4) ¯ = 0, My (Θ) 0
e e per ogni y0 ∈ R3 . per ogni Θ ⊂ χ(B) = Ω In seguito abbrevieremo la frase “χ `e una configurazione di equilibrio sotto l’azione delle forze di volume b, di superficie s e delle tensioni t” con “χ `e una configurazione di equilibrio per {b, s, t}”. Chiaramente, la prima delle (3.4) impone l’equilibrio alla traslazione, mentre la seconda impone l’equilibrio alla rotazione. Esercizio 3.5. Dimostrare che ¯ = My (Θ) ¯ + (y0 − z0 ) ∧ R(Θ) ¯ Mz0 (Θ) 0 per ogni z0 , y0 ∈ R3 .
5
¯ = Dall’esercizio segue che per verificare l’equilibrio basta stabilire che My0 (Θ) ¯ 0 per un solo polo y0 visto che R(Θ) = 0. Le equazioni di equilibrio sono equazioni integrali. Da esse vogliamo dedurre varie conseguenze puntuali e quindi abbiamo bisogno di qualche risultato di localizzazione. Nell’Esercizio 3.1 si mostra che la media su palle di una funzione continua tende, al tendere a zero del raggio delle palle, al valore che la funzione assume nel centro delle stesse. In generale, avremo a che fare con insiemi che non sono necessariamente delle palle. Nel lemma che segue sostituiamo le palle con una successione di regioni che si “contraggono” in un punto. La dimostrazione del lemma `e esattamente uguale a quella data per l’Esercizio 3.1. Lemma 3.6 (Lemma di localizzazione). Sia y0 ∈ R3 e g una funzione continua in un intorno di y0 . 2ε Sia {ωi } una successione di regioni aventi volume positivo che si contraggono in y0 (ovvero, L 3 (ωi ) > 0 per ogni i e inoltre, per ogni y0 ε > 0 esiste un numero naturale I tale che B(y0 , ε) ωi ⊂ B(y0 , ε) per ogni i ≥ I), allora ωi ˆ lim g(y) dL 3 = g(y0 ). i→+∞
ωi
Inoltre, se {πi } `e una successioni di superfici aventi area positiva che si contraggono in y0 , si ha ˆ lim g(y) dL 2 = g(y0 ). i→+∞
πi
3.1 Il tensore degli sforzi
81
Usiamo subito il lemma di localizzazione per dimostrare che la tensione dipende dalla superficie soltanto attraverso la normale. Nella letteratura molto spesso questo risultato `e, seguendo Cauchy, assunto come ipotesi e viene indicato come postulato di Cauchy. Teorema 3.7 (Teorema di Hamel & Noll). Sia χ una configurazione di ˆ due superfici aventi almeno un punto in equilibrio per {b, s, t} e siano Σ e Σ ˆ ⊂Ω e e aventi la stessa normale ν in y0 . Allora comune y0 ∈ Σ ∩ Σ ˆ t(y0 ; Σ) = t(y0 ; Σ). Pertanto, possiamo definire ˆ t(y0 , ν) := t(y0 ; Σ) = t(y0 ; Σ). e− e Ω e + , la regione Dimostrazione. La superficie Σ divide in due parti, Ω e Analogamente, la superficie Σ ˆ divide in due parti, Ω ˆ− e Ω ˆ + , la regione Ω. e Per ogni ε > 0 sufficientemente piccolo, consideriamo il semi-cilindro Cε Ω. avente l’asse passante per y0 ed avente base circolare di raggio ε, ortogonale e− ∩ Ω ˆ −. a ν, distante ε2 da y0 e contenuta in Ω Sˆε
Sε
ν y0 Pˆε 2ε Pε
ˆ Σ Σ
Bε ε2
Bε
Pε` Pε
Pˆε Pˆε`
La frontiera del semicilindro Cε `e composta dalla base, che indicheremo con Bε e dalla superficie laterale ∂Cε` ; pertanto ∂Cε = Bε ∪ ∂Cε` . Indichiamo con e− Pε := Cε ∩ Ω
e
ˆ− Pˆε := Cε ∩ Ω
e− e Ω ˆ − , rispettivamente. La frontiera le parti del semicilindro contenute in Ω di Pε `e costituita dalla base Bε , dalla superficie “laterale” Pε` := ∂Pε ∩ ∂Cε` e dalla “base superiore” Sε := ∂Pε` ∩ Σ. Analogamente, definiamo Pˆε` e Sˆε , per ottenere ∂Pε = Bε ∪ Pε` ∪ Sε e ∂ Pˆε = Bε ∪ Pˆε` ∪ Sˆε . Imponendo l’equilibrio della parte Pε si ha ˆ ˆ ˆ ˆ 3 2 ` 2 b dL + t(·; Σ) dL + t(·; Pε ) dL + Pε
Sε
Pε`
t(·; Bε ) dL 2 = 0. Bε
82
3 Analisi della tensione
Dividiamo questa equazione per L 2 (Sε ) e riscriviamola in modo da poter applicare il lemma di localizzazione: ˆ ˆ 2 ` ˆ L 3 (Pε ) 3 2 L (Pε ) b dL + t(·; Σ) dL + 2 t(·; Pε` ) dL 2 L 2 (Sε ) Pε L (Sε ) Pε` Sε ˆ L 2 (Bε ) + 2 t(·; Bε ) dL 2 = 0. L (Sε ) Bε (3.5) Visto che L 3 (Pε ) ≈ (πε2 )ε2 , L 2 (Pε` ) ≈ (2πε)ε2 e L 2 (Sε ) ≈ πε2 , si ha L 3 (Pε ) L 2 (Pε` ) = lim =0 ε→0 L 2 (Sε ) ε→0 L 2 (Sε ) lim
e
L 2 (Bε ) = 1. ε→0 L 2 (Sε ) lim
Tenendo presente la limitatezza delle medie integrali e applicando il lemma di localizzazione, passando al limite in (3.5) otteniamo ˆ t(y0 ; Σ) + lim t(·; Bε ) dL 2 = 0. (3.6) ε→0
Bε
Scrivendo l’equilibrio della parte Pˆε deduciamo ˆ ˆ ˆ ˆ 3 2 ` 2 ˆ ˆ b dL + t(·; Σ) dL + t(·; Pε ) dL + ˆε P
Sˆε
ˆ` P ε
e procedendo come per Pε , si ottiene ˆ ˆ t(y0 ; Σ) + lim ε→0
t(·; Bε ) dL 2 = 0. Bε
t(·; Bε ) dL 2 = 0.
(3.7)
Bε
ˆ Dalle (3.6) e (3.7) deduciamo che t(y0 ; Σ) = t(y0 ; Σ).
Il prossimo passo consiste nel dimostrare che la tensione dipende dalla normale in modo lineare. La dimostrazione classica, dovuta a Cauchy, utilizza brillantemente un tetraedro. x3 A Esercizio 3.8. Si consideri un tetraedro avente una superficie, di area A, con normale esterv3n na n, con n · ei > 0 per i = 1, 2, 3, e le alA1 tre tre superfici, di area Ai , aventi normale v2 A2 x2 esterna −ei , per i = 1, 2, 3. Si dimostri che v3 Ai = A n · e i . 5 x1 A3 Soluzione. Si denoti con ai l’ascissa del punto d’intersezione del piano obliquo con l’asse parallelo a ei , e con vi := ai ei (non sommato su i). I vettori v3 − v1 e v2 − v1 appartengono alla superficie con normale n, quindi n = (v2 − v1 ) ∧ (v3 − v1 )/2A, dove si ´e utilizzato il fatto che 2A = |(v2 − v1 ) ∧ (v3 − v1 )|. Quindi
3.1 Il tensore degli sforzi
83
2An = (v2 − v1 ) ∧ (v3 − v1 ) = v2 ∧ v3 − v1 ∧ v3 − v2 ∧ v1 = 2A1 e1 + 2A2 e2 + 2A3 e3 , 4
da cui subito segue il risultato cercato.
Una soluzione diversa dell’Esercizio 3.8 `e proposta nell’Esercizio 3.26. Enunciamo e dimostriamo ora il teorema pi` u importante del capitolo. Nella dimostrazione, come nel resto del testo, assumiamo che tutte le funzioni siano regolari, in particolare continue. Teorema 3.9 (Teorema di Cauchy). Sia χ una configurazione di equilibrio per {b, s, t}. Allora, la tensione dipende dalla normale in maniera lineare. Pi` u e → Lin, precisamente, esiste un campo tensoriale del secondo ordine T : Ω detto tensore degli sforzi di Cauchy, tale che t(y0 , n) = T(y0 )n e e ogni vettore unitario n. per ogni y0 ∈ Ω e e, inizialmente, si consideri un vettore unitario Dimostrazione. Si fissi y0 ∈ Ω n avente componenti strettamente positive, ossia ni > 0 per ogni i = 1, 2, 3, in maniera che la semiretta di direzione n passante per y0 non risulti parallela ad alcun piano coordinato. Fissato ε > 0, il piano ortogonale alla semiretta e distante ε da y0 ha equazione (y − y0 ) · n = ε. Questo piano interseca la retta passante per y0 e parallela ad ei in un punto che indichiamo con vε,i , per i = 1, 2, 3. I punti y0 , vε,1 , vε,2 e vε,3 risultano essere i vertici di un tetraedro che indicheremo con Tε . Siccome y0 `e un punto e allora si ha che Tε `e completamente contenuto in Ω e per ogni ε interno di Ω, sufficientemente piccolo. Sia Sε la parte di bordo del tetraedro con normale esterna n ed Sεi la parte di bordo avente normale esterna −ei , per i = 1, 2, 3. L’equazione di equilibrio R(Tε ) = 0 si scrive come ˆ
ˆ b dL 3 +
t(·, n) dL 2 +
Tε
Sε
3 ˆ X i=1
t(·, −ei ) dL 2 = 0. Sεi
Dividendo per l’area di Sε otteniamo L 3 (Tε ) L 2 (Sε )
ˆ
ˆ b dL 3 + Tε
t(·, n) dL 2 + Sε
ˆ 3 X L 2 (S i ) ε
i=1
L 2 (Sε )
t(·, −ei ) dL 2 = 0. Sεi
Dato che il volume di Tε `e di ordine ε3 mentre quello di Sε `e di ordine ε2 , e visto l’Esercizio 3.8, si ha L 3 (Tε ) =0 ε→0 L 2 (Sε ) lim
e
L 2 (Sεi ) = n · ei . L 2 (Sε )
84
3 Analisi della tensione
Utilizzando il Lemma 3.6 e passando al limite per ε tendente a zero, otteniamo t(y0 , n) +
3 X
n · ei t(y0 , −ei ) = 0,
i=1
da cui t(y0 , n) = −
3 X
n · ei t(y0 , −ei )
(3.8)
i=1
per ogni n tale che n · ei > 0, per i = 1, 2, 3. Questa relazione continua a valere, per continuit` a di t(y0 , n) rispetto a n e per la continuit`a del secondo membro della (3.8), anche se una o due componenti di n si annullano. In particolare l’equazione vale per n = ej , nel qual caso si ha t(y0 , ej ) = −
3 X
ej · ei t(y0 , −ei ) = −t(y0 , −ej ).
(3.9)
i=1
Se invece si prende un n con componenti negative allora in luogo della ˜2 , e ˜3 } con e ˜1 = ±e1 , e ˜2 = ±e2 , base {e1 , e2 , e3 } sceglieremo una base {˜ e1 , e ˜3 = ±e3 , in maniera tale che n · e ˜i ≥ 0 per ogni i = 1, 2, 3. In tal modo si e avr`a 3 X ˜i t(y0 , −˜ t(y0 , n) = − n·e ei ) (3.10) i=1
e visto che ˜i t(y0 , −˜ n·e ei ) = n · (±ei ) t(y0 , ∓ei ) = n · (±ei ) (±t(y0 , −ei )) = n · ei t(y0 , −ei ), dove la seconda identit`a si ottiene applicando la (3.9), si ha che la (3.10) si riscrive come la (3.8). Quindi t(y0 , n) = −
3 X
n · ei t(y0 , −ei )
i=1
per ogni vettore unitario n. Ponendo T(y0 ) := −
3 X i=1
t(y0 , −ei ) ⊗ ei =
3 X
t(y0 , ei ) ⊗ ei
i=1
otteniamo t(y0 , n) = T(y0 )n.
3.2 Equazioni d’equilibrio
85
t(·, n) n
Dal teorema di Cauchy segue il “Principio di azione e reazione”: ad ogni azione corrisponde un’azione uguale e contraria. Infatti: t(·, n) = T(·)n = −T(·)[−n] = −t(·, −n).
−n t(·, −n)
La tensione sulla faccia di normale esterna ej `e t(·, ej ) che, dal teorema di Cauchy, sappiamo essere uguale a t(·, ej ) = T(·)ej . Dunque la componente i-ma della tensione `e ti (·, ej ) = ei · t(·, ej ) = ei · T(·)ej = Tij (·), da cui deduciamo che la componente ij-ma del tensore degli sforzi rappresenta la componente i-ma della tensione su una giacitura di normale ej . Possiamo quindi rappresentare tutte le componenti del tensore degli sforzi su un cubo “infinitesimo” con facce orientate come i vettori della base e1 , e2 , e3 : T33
T13 T31
T23 T32
e3 e2
T22 T21 T
12
e1
T11 T33 T23 Inoltre dal “Principio di azione e reazione” possiamo rappresentare le tensioni anche sulle giaciture con normale −ej .
T32
T22
T22
T32 T23
T33
3.2 Equazioni d’equilibrio In tutta la sezione, T indica il tensore degli sforzi di Cauchy associato alle tensioni t. Teorema 3.10 (I relazione di Cauchy per punti interni). Sia χ una configurazione di equilibrio per {b, s, t}. Allora, l’equilibrio alla traslazione, la prima delle (3.4), implica che
86
3 Analisi della tensione
divT(y0 ) + b(y0 ) = 0
(3.11)
e per ogni punto interno y0 ∈ Ω. e Per ε > 0 sufficientemente Dimostrazione. Sia y0 un punto interno di Ω. e piccolo si ha B(y0 , ε) ⊂ Ω. Visto che χ `e una configurazione equilibrata si ha che la risultante delle forze agenti su B(y0 , ε) `e nulla: ˆ ˆ 3 b dL + t(·, n) dL 2 = 0, B(y0 ,ε)
∂B(y0 ,ε)
o, utilizzando il teorema di Cauchy, ˆ ˆ b dL 3 + B(y0 ,ε)
Tn dL 2 = 0. ∂B(y0 ,ε)
Tramite il teorema della divergenza, (1.5), deduciamo che ˆ b + divT dL 3 = 0. B(y0 ,ε)
Otteniamo l’enunciato dividendo per il volume di B(y0 , ε) e passando al limite per ε che tende a zero, grazie al lemma di localizzazione 3.6 o all’Esercizio 3.1. Osservazione 3.11. Una dimostrazione formale, ma intuitiva, del Teorema 3.10 la si pu`o ottenere espandendo in serie di Taylor le componenti del tensore di Cauchy. Si consideri un cubetto centrato in y0 di lato δ ed avente facce ortogonali agli assi coordinati. Indichiamo con Tij+ le tensioni agenti sulla faccia con normale +ej e con Tij− le tensioni agenti sulla faccia avente normale −ej . Questo equivale a
+ T33 + T23 − T22
+ T32 − T32 − T23 − T33
δ δ Tij± = Tij (y0 ± ej ) = Tij (y0 ) ± ∂j Tij (y0 ) + o(δ) 2 2 non sommato su j. Scriviamo l’equilibrio alla traslazione in direzione 1 del cubetto. Le tensioni in direzione 1 ± ± ± sono T11 , T12 e T13 oltre alle forze di volume b1 .
+ T22
(3.12)
+ T− 11 T13 − T12 + T11
− T13
+ T12
3.2 Equazioni d’equilibrio
87
La risultante delle tensioni si ottiene moltiplicando le tensioni per l’area su cui agiscono, δ 2 , mentre la risultante delle forze di volume sar` a b1 (yo )δ 3 + o(δ 3 ). Quindi avremo: + 2 − 2 + 2 − 2 + 2 − 2 T11 δ − T11 δ + T12 δ − T12 δ + T13 δ − T13 δ + b1 (yo )δ 3 + o(δ 3 ) = 0,
che, tenendo conto della (3.12), diventa ∂1 T11 (y0 )δ 3 + ∂2 T12 (y0 )δ 3 + ∂3 T13 (y0 )δ 3 + b1 (y0 )δ 3 + o(δ 3 ) = 0. Questa equazione equivale a [ divT(y0 ) + b(y0 )]1 δ 3 + o(δ 3 ) = 0 che, passando al limite per δ tendente a zero, dopo aver diviso per δ 3 , conduce a [ divT(y0 ) + b(y0 )]1 = 0. ♦ Teorema 3.12 (II relazione di Cauchy per punti di frontiera). Sia χ e Allora, una configurazione di equilibrio per {b, s, t} ed y0 un punto di ∂ Ω. l’equilibrio alla traslazione, la prima delle (3.4), implica che T(y0 )n(y0 ) = s(y0 ),
(3.13)
e dove n `e la normale esterna a Ω. Dimostrazione. Sia Cε il cilindro di raggio ε > 0 con asse passante per y0 e parallelo a n(y0 ). Sia Pε n(y0 ) 2 e Pε := Ω ∩ Cε ∩ {y : (y − y0 ) · n(y0 ) > −ε } y0 −n(y ) 0 2ε e avente la regione del cilindro Cε contenuta in Ω ε2 b una “base” piana, ∂Pε , con normale esterna −n(y0 ) e distante ε2 da y0 . L’equazione di equilibrio alla traslazione di Pε `e ˆ ˆ 3 b dL + s dL 2 e Pε ∂Pε ∩∂ Ω ˆ ˆ (3.14) 2 + Tn dL + T(−n(y0 )) dL 2 = 0. ∂Pεb
∂Pε ∩∂Cε
Dato che il volume di Pε `e di ordine ε4 , l’area di Pε ∩∂Cε `e di ordine ε3 mentre l’area di ∂Pεb `e di ordine ε2 , si ha L 3 (Pε ) =0 ε→0 L 2 (∂Pεb ) lim
e
L 2 (∂Pε ∩ ∂Cε ) = 0; ε→0 L 2 (∂Pεb ) lim
88
3 Analisi della tensione
inoltre
e L 2 (∂Pε ∩ ∂ Ω) = 1. 2 b ε→0 L (∂Pε ) lim
Dividendo la (3.14) per l’area di ∂Pεb e passando al limite per ε tendente a zero, si ottiene l’enunciato attraverso un’applicazione del lemma di localizzazione 3.6. Osservazione 3.13. A rigore il Teorema 3.12 non `e ben posto dato che la e dunque essendo Ω e aperto tensione `e definita solamente per i punti y0 ∈ Ω, e Infatti, il Teorema di Hamel & Noll 3.7 e il non `e definita sul bordo ∂ Ω. e e dunque Teorema di Cauchy 3.9 sono validi solamente per punti interni ad Ω e che compare nell’enunciato del Teorema 3.12 la tensione T(y0 ) con y0 ∈ ∂ Ω non `e stata definita. Accettiamo questa ambiguit` a visto che la dimostrazione e del Teorema 3.12 chiarisce perfettamente il significato di T(y0 ) con y0 ∈ ∂ Ω. ♦ I Teoremi 3.10 e 3.12 dimostrano che l’equilibrio alla traslazione, la prima delle (3.4), implica le due relazioni di Cauchy. Vale anche il viceversa; infatti, e integrando per parti e utilizzando integrando la (3.11) su una regione Ω ∗ ⊂ Ω, la (3.13), si deduce la prima delle (3.4). Per procedere ci serve il seguente risultato. Esercizio 3.14. Sia A un campo tensoriale e g un campo vettoriale. Dimostrare che div(Ag) = divAT · g + AT · ∇g. 5 Soluzione. In componenti si ha div(Ag) = ∂i (Ag)i = ∂i (Aij gj ) = ∂i Aij gj + Aij ∂i gj 4
da cui segue l’identit` a desiderata.
Ora, tramite la seconda delle (3.4), ovvero all’equazione che esprime l’equilibrio alla rotazione, mostriamo che il tensore degli sforzi `e simmetrico. Teorema 3.15 (Simmetria del tensore di Cauchy). Sia χ una configue Allora razione di equilibrio per {b, s, t} ed y0 un punto interno a Ω. T(y0 ) = T(y0 )T . e Dimostrazione. Per ε > 0 sufficientemente piccolo si ha B(y0 , ε) ⊂ Ω. L’equilibrio alla rotazione impone che ˆ ˆ y ∧ b dL 3 + y ∧ Tn dL 2 = 0. B(y0 ,ε)
∂B(y0 ,ε)
3.2 Equazioni d’equilibrio
89
Siano a ∈ R3 e A ∈ Skw tali che Az = a ∧ z per ogni z ∈ R3 , si veda l’Osservazione 2.20. Banalmente, si ha ˆ ˆ a · y ∧ b dL 3 + a · y ∧ Tn dL 2 = 0, B(y0 ,ε)
∂B(y0 ,ε)
e visto che a · y ∧ b = −a ∧ y · b = −Ay · b, e che a · y ∧ Tn = −a ∧ y · Tn = −Ay · Tn = −TT Ay · n, deduciamo che ˆ
ˆ 3
TT Ay · n dL 2 = 0.
Ay · b dL + B(y0 ,ε)
∂B(y0 ,ε)
Grazie al teorema della divergenza, quest’ultima identit` a equivale a ˆ Ay · b + div(TT Ay) dL 3 = 0. B(y0 ,ε)
Dall’Esercizio 3.14, tenendo presente che (TT )T = T, si perviene a div(TT Ay) = divT · Ay + T · ∇(Ay) = divT · Ay + T · A e quindi si ha ˆ Ay · ( divT + b) + T · A dL 3 = 0. B(y0 ,ε)
Dato che in ogni punto interno divT + b = 0, Teorema 3.10, segue che ˆ T · A dL 3 = 0 B(y0 ,ε)
e, dal lemma di localizzazione 3.6 o dall’Esercizio 3.1, deduciamo che T(y0 ) · A = 0. Vista l’arbitrariet`a di A ∈ Skw segue che T(y0 ) ∈ Sym, si veda l’Esercizio 3.16. Esercizio 3.16. Dimostrare che S ∈ Sym ⇐⇒ S · Z = 0 ∀Z ∈ Skw. 5
90
3 Analisi della tensione
Soluzione. Se S ∈ Sym e Z ∈ Skw si ha S · Z = ST · ZT = S · (−Z) =⇒ 2S · Z = 0. Se S · Z = 0 ∀Z ∈ Skw si decomponga S in una parte simmetrica ed una emisimmetrica, Teorema 2.17, S = symS + skwS. Allora, tenendo presente quanto appena dimostrato, si ha 0 = S · Z = (symS + skwS) · Z = skwS · Z ∀Z ∈ Skw. Prendendo Z = skwS deduciamo che 0 = |skwS|2 che implica skwS = 0. Quindi S = symS. 4
Osservazione 3.17. Una dimostrazione formale, ma intuitiva, del Teorema 3.15 la si pu`o ottenere utilizzando le idee e la notazione esposte nell’Osservazione 3.11. + T23 Scriviamo l’equilibrio alla rotazione attorno all’asse 1 del cubetto considerato nell’Osservazione 3.11. Le uniche tensioni che producono ± ± un momento sono T23 e T32 . Quindi avremo:
+ T32 − T32 − T23
δ − 2δ + 2δ − 2δ + T32 δ − T23 δ − T23 δ + o(δ 3 ) = 0, 2 2 2 2 3 dove o(δ ) tiene conto del momento prodotto dalle altre componenti di tensione e dalle forze di volume. Tenendo conto della (3.12) si ottiene + 2 T32 δ
T32 (y0 )δ 3 − T23 (y0 )δ 3 + o(δ 3 ) = 0 che conduce immediatamente a T32 (y0 ) − T23 (y0 ) = 0. ♦ Osservazione 3.18. Se le forze di volume e di superficie sono nulle, le equazioni di equilibrio sono: e divT = 0 in Ω, e (3.15) T = TT in Ω, e Tn = 0 su ∂ Ω. Tale sistema ha, ovviamente, come soluzione T = 0, ma questa non `e l’unica e → R `e una funzione liscia che si annulla nelle soluzione. Ad esempio, se ψ : Ω e vicinanze di ∂ Ω, allora T rappresentato da
3.3 Tensioni principali
91
∂2 ∂2 ψ −∂1 ∂2 ψ 0 [T ] = −∂1 ∂2 ψ ∂1 ∂1 ψ 0 , 0 0 0 e soddisfa le (3.15). Infatti, T `e chiaramente simmetrico ed `e nullo vicino ∂ Ω, e visto che ψ `e nulla vicino ∂ Ω. Dunque la terza equazione delle (3.15) `e soddisfatta. La prima componente della prima equazione risulta ( divT)1 = ∂i T1i = ∂1 ∂2 ∂2 ψ − ∂2 ∂1 ∂2 ψ = 0, in maniera simile si verifica la seconda componente, mentre la terza `e banalmente soddisfatta. Le tensioni non nulle che soddisfano il sistema (3.15) vengono chiamate tensioni residue. Il risultato presentato `e generalizzato nell’Esercizio 3.25. ♦
3.3 Tensioni principali Data una giacitura di normale n, la tensione Tn pu` o essere decomposta in una quota normale e in una quota tangente alla giacitura. Indicando con σn n Tn σ := Tn · n la tensione normale, si ha che lo sforzo tangenziale τ `e dato da
τ
τ := Tn − σn. Risulta naturale chiedersi se per un dato tensore degli sforzi T sia possibile trovare delle giaciture in cui lo sforzo tangenziale `e nullo, ovvero giaciture in cui `e presente soltanto la tensione normale. Per determinare se esiste una tale giacitura imponiamo τ = 0:
Tn = σn n
Tn = σn, equazione che evidenzia che σ `e un autovalore di T ed n `e il corrispondente autovettore. n3 A questo punto siamo in grado di dare una risposta al quesito posto: non esiste solo una n1 n2 giacitura con la propriet`a desiderata bens`ı tre, ortogonali tra di loro. Infatti, visto che T ∈ σ3 Sym, dal teorema spettrale (si veda la Sezione 1.2) abbiamo che T=
3 X i=1
σi n i ⊗ n i
σ1 σ2
92
3 Analisi della tensione
dove σi sono gli autovalori di T ed ni sono i corrispondenti autovettori (ortonormali). Per la giacitura con normale nj abbiamo
Tnj = (
3 X
σi ni ⊗ ni )nj =
i=1
3 X
σi ni (ni · nj ) =
i=1
3 X
σi ni δij = σj nj
i=1
non sommato su j, e quindi lungo tale giacitura si ha solo tensione normale. Le σj vengono chiamate tensioni principali e le nj direzioni principali. Chiediamoci ora qual `e la giacitura in cui si ha la massima tensione normale. Per dare una risposta definiamo la funzione σ(n) := Tn · n, che assegna ad ogni versore n la corrispondente tensione normale. Vogliamo quindi determinare max σ(n). n: |n|=1
Senza perdita di generalit`a, possiamo assumere che le tensioni principali siano “ordinate” σ1 ≤ σ2 ≤ σ3 , e osservare che per il generico versore n si ha σ(n) = (
3 X
σi ni ⊗ ni )n · n =
i=1
≤ σ3
3 X
σi (ni · n)2
i=1
3 X
(ni · n)2 = σ3 |n|2 = σ3 ,
i=1
dato che {n1 , n2 , n3 } `e una base ortonormale. Ma σ(n3 ) = σ3 e quindi max σ(n) = σ3 .
n: |n|=1
In maniera analoga si deduce che min σ(n) = σ1 .
n: |n|=1
Pertanto, la massima (minima) tensione principale `e uguale alla massima (minima) tensione normale. Abbiamo quindi dimostrato che in ogni punto del corpo possiamo individuare tre direzioni principali. L’inviluppo di queste direzioni definisce tre famiglie di curve mutuamente ortogonali chiamate linee isostatiche. Lungo tali linee le tensioni sono puramente normali e quindi lungo tali direzioni il materiale `e semplicemente compresso o teso. Inoltre, lungo tali linee si avr` a la massima trazione e la massima compressione.
3.4 Il cerchio di Mohr
93
s
Vediamo alcuni stati particolarmente importanti di tensione. Pressione idrostatica Il tensore degli sforzi `e dato da T = −pI
−p
con p ≥ 0.
Su ogni giacitura la tensione normale `e pari a −p e la tensione tangenziale `e nulla. Questo `e l’unico stato di tensione ammissibile per un fluido ideale. Tensione semplice in direzione e. Sulla giacitura ortogonale ad e la tensione tangenziale σe `e nulla, ed indicando con σ la tensione normale si ha T = σe ⊗ e. Taglio semplice lungo le direzioni ortogonali τb a e b. Lungo le giaciture ortogonali ad a e a b la tensione normale `e nulla. Indicando con τ la tensione tangenziale, il tensore degli sforzi τa risulta T = τ (a ⊗ b + b ⊗ a).
σe
Assumendo |a| = |b| = 1, ed indicando con c :=
a+b |a + b|
e
d :=
a−b |a − b|
τd τc
si pu`o verificare che T = τ c ⊗ c − τ d ⊗ d. Quindi le tensioni principali sono uguali a τ in direzione c e a −τ in direzione d.
3.4 Il cerchio di Mohr Presentiamo ora un metodo grafico-analitico utile per descrivere graficamente come variano le componenti di un tensore simmetrico al variare del sistema
94
3 Analisi della tensione
di riferimento. Svilupperemo tale metodo per il tensore degli sforzi, ma lo si pu`o utilizzare anche per il tensore di deformazione infinitesima, ad esempio per risolvere graficamente l’Esercizio 2.50, e per il tensore d’inerzia. Iniziamo considerando un tensore simmetrico T con componenti, rispetto ad una base ortonormale destra {e1 , e2 , e3 }, e2 Tij := ei · Tej
e
T13 = T23 = 0
e1 e3
con matrice rappresentativa T11 T12 0 [T ] = T12 T22 0 . 0 0 T33
T22 T12 T12 T11
ˆ2 , e ˆ3 } la base ortonormale ottenuta ruotando rigidamente la base Sia {ˆ e1 , e {e1 , e2 , e3 }, attorno ad e3 di un angolo ϑ, ossia e2 ˆ2 e ˆ1 = + cos ϑ e1 + sin ϑ e2 , e (3.16) ˆ1 e ˆ2 = − sin ϑ e1 + cos ϑ e2 , e ϑ ˆ 3 = e3 . e e1 Tb22 Tb12 Tb12 Le componenti di T rispetto alla base {ˆ ei } Tb11 sono ˆi · Tˆ Tbij := e ej , da cui deduciamo, tenendo presente che T `e simmetrico, che ˆ1 · Tˆ Tb11 = e e1 = (cos ϑ e1 + sin ϑ e2 ) · T(cos ϑ e1 + sin ϑ e2 ) = T11 cos2 ϑ + 2T12 sin ϑ cos ϑ + T22 sin2 ϑ. In maniera analoga si giunge a Tb12 = Tb21 = −(T11 − T22 ) sin ϑ cos ϑ + T12 (cos2 ϑ − sin2 ϑ), Tb22 = T11 sin2 ϑ − 2T12 sin ϑ cos ϑ + T22 cos2 ϑ,
(3.17)
oltre a Tb13 = Tb31 = Tb23 = Tb32 = 0 e Tb33 = T33 . Utilizzando le formule trigonometriche cos2 ϑ + sin2 ϑ = 1 e cos 2ϑ = cos2 ϑ − sin2 ϑ si trova cos2 ϑ =
1 + cos 2ϑ 2
e
sin2 ϑ =
1 − cos 2ϑ . 2
Queste identit`a, assieme alla nota formula sin 2ϑ = 2 sin ϑ cos ϑ, ci permettono di riscrivere le componenti Tbij come
3.4 Il cerchio di Mohr
95
T11 + T22 T11 − T22 Tb11 = + cos 2ϑ + T12 sin 2ϑ, 2 2 T11 − T22 Tb12 = − sin 2ϑ + T12 cos 2ϑ, 2 T11 + T22 T11 − T22 Tb22 = − cos 2ϑ − T12 sin 2ϑ. 2 2 Ponendo T11 + T22 T11 − T22 + cos 2ϑ + T12 sin 2ϑ, σ(ϑ) := 2 2 τ (ϑ) := − T11 − T22 sin 2ϑ + T cos 2ϑ, 12 2 e osservando che cos(2ϑ + π) = − cos 2ϑ
e
sin(2ϑ + π) = − sin 2ϑ,
abbiamo Tb11 = σ(ϑ),
(3.18)
σ(ϑ + π/2) τ (ϑ) Tb12 = τ (ϑ),
Tb22 = σ(ϑ + π/2).
σ(ϑ)
In particolare, σ(ϑ) τ (ϑ) 0 ϑ [Tb] = τ (ϑ) σ(ϑ + π/2) 0 0 0 T33 e quindi le componenti di Tbij sono completamente descritte dalle due funzioni ϑ 7→ σ(ϑ) e ϑ 7→ τ (ϑ). Osserviamo inoltre che, ovviamente, per ϑ = 0 otteniamo la matrice [T ]: σ(0) τ (0) 0 [T ] = τ (0) σ(π/2) 0 . 0 0 T33 Con semplici conti, a partire dalle (3.18), si trova che T − T 2 T11 + T22 2 11 22 σ(ϑ) − + (τ (ϑ))2 = + (T12 )2 2 2 e quindi il luogo dei punti (σ(ϑ), τ (ϑ)) `e una circonferenza, chiamata cerchio di Mohr, di centro T + T 11 22 c := ,0 2 e raggio r T11 − T22 2 r := + (T12 )2 . 2 Consideriamo degli assi cartesiani con l’asse delle σ con direzione e verso di x1 e con asse delle τ con la stessa direzione di x2 ma con verso opposto. In tale sistema, il cerchio di Mohr ha la seguente rappresentazione.
96
3 Analisi della tensione
T22
c
T11
σ
r
T12
(T11 , T12 ) = (σ(0), τ (0))
T12
T11
τ Riscrivendo le (3.18) come T +T T −T 11 22 11 22 σ(ϑ) cos 2ϑ sin 2ϑ 2 2 = + τ (ϑ) − sin 2ϑ cos 2ϑ 0 T12 si osserva che la coppia (σ(ϑ), τ (ϑ)) la si ottiene ruotando nel piano di Mohr di un angolo pari a 2ϑ nello stesso verso della rotazione ϑ (l’asse τ `e stato preso verso il basso per questo motivo). τ (ϑ)
σ(ϑ)
(σ(ϑ), τ (ϑ)) ϑ T22 T12
c
r 2ϑ σ T11 r (T11 , T12 ) = (σ(0), τ (0))
T12
T11
τ Si pu`o anche determinare la tensione normale sull’altra faccia del cubetto. Dato che questa corrisponde al valore σ(ϑ + π/2), basta ruotare nel cerchio di Mohr di 2ϑ + π:
3.4 Il cerchio di Mohr
σ(ϑ + π/2) τ (ϑ)
97
σ(ϑ)
(σ(ϑ), τ (ϑ)) ϑ σ(ϑ + π/2) T22
2ϑ T11
c
σ T12
(T11 , T12 ) = (σ(0), τ (0))
T12
T11
τ Prima di vedere diversi esempi, riassumiamo la costruzione del cerchio di Mohr: 1. si traccia un sistema d’assi cartesiani, (σ, τ ), con l’asse delle ordinate τ rivolto verso il “basso”; 2. si riportano sull’asse σ i valori T11 e T22 e sull’asse τ il valore T12 ; 3. si individua sull’asse delle ascisse il punto intermedio tra T11 e T22 . Tale punto `e il centro del cerchio di Mohr, c; 4. si traccia la circonferenza avente centro c e passante per il punto (T11 , T12 ); 5. a partire dal punto (T11 , T12 ) si possono determinare le tensioni su una giacitura ruotata di ϑ ruotando nel piano di Mohr di un angolo pari a 2ϑ. Esercizio 3.19. Dato uno stato di tensione piano
−10 MPa 40 MPa 0 [T ] = 40 MPa 50 MPa 0 , 0 0 0
50 MPa
σ2 =?
40 MPa 10 MPa
τ =?
σ1 =? 30◦
costruire il cerchio di Mohr e determinare i valori delle tensioni corrispondenti ad una giacitura ruotata di 30◦ . 5 Soluzione. Tipica soluzione in cui non servono “parole”.
98
3 Analisi della tensione
0.4 MPa 46.0 MPa −10 0.4
c 60
(−10, 40)
50
30◦
◦
40
39.6 MPa
σ
(39.6, 46.0)
τ
4
Esercizio 3.20. Dato uno stato di tensione piano
10 MPa
60 MPa −36 MPa 0 [T ] = −36 MPa 10 MPa 0 , 0 0 0
σ2 =? σ1 =?
36 MPa ?
60 MPa
costruire il cerchio di Mohr, determinare i valori delle tensioni principali e l’angolo che individua le direzioni principali. 5 Soluzione. Una volta costruito il cerchio di Mohr, dobbiamo semplicemente decidere in quale direzione ruotare il “cubetto”. Ruotando in senso orario, si ha
(60, −36)
−36
55.2◦ 10
−8.8
c
60
σ 79.8
8.8 MPa
27.6◦
τ mentre ruotando in senso antiorario, si ottiene:
79.8 MPa
3.4 Il cerchio di Mohr
99
(60, −36)
−36
124.8◦ c
10
−8.8
79.8 MPa σ
60
79.8
8.8 MPa 62.4◦
τ 4
Chiaramente le due soluzioni coincidono.
Esercizio 3.21. Dato uno stato di tensione piano σ2 =? max τ =?
70 MPa
−10 MPa −30 MPa 0 [T ] = −30 MPa −70 MPa 0 , 0 0 0
30 MPa 10 MPa
σ1 =?
?
costruire il cerchio di Mohr, determinare la massima tensione tangenziale e la giacitura in cui si ha tale massimo. 5 Soluzione. Procedendo come negli esercizi precedenti, si ottiene:
(−10, −30)
−30
c −70
40 MPa
σ
−10
42.4 MPa
135◦
67.5◦ 40 MPa
(−40, 42.4) τ Si osserva che il valore massimo della tensione tangenziale `e uguale al raggio del cerchio di Mohr. 4
Il prossimo esercizio ci servir`a per accennare alla costruzione di Mohr nel caso di tensioni non necessariamente piane.
100
3 Analisi della tensione
Esercizio 3.22. Dato lo stato di tensione piano 10 MPa 80 MPa 0 0 −10 MPa 0 , [T ] = 0 0 0 0 80 MPa 5
costruire il cerchio di Mohr.
Soluzione. Si osserva che i vettori della base coincidono con le direzioni principali. Il cerchio di Mohr, risulta:
c
−10
80
σ
τ Il cerchio interseca, ovviamente, l’asse delle ascisse in corrispondenza delle tensioni principali. 4
Vediamo ora il caso generico in cui tutte le componenti del tensore degli sforzi possono essere diverse da zero. La costruzione grafica, in questo caso, non risulta estremamente utile e quindi la descriveremo molto velocemente. Consideriamo un generico tensore simmetrico T. Dal teorema spettrale sappiamo che T ammette la seguente rappresentazione: T=
3 X
σi n i ⊗ n i ,
i=1
dove σi sono gli autovalori di T ed ni sono i corrispondenti autovettori (ortonormali). Senza perdita di generalit`a, assumiamo che σ1 ≤ σ2 ≤ σ3 . Considerando gli autovalori a due a due, ricordando l’Esercizio 3.22, possiamo tracciare tre cerchi di Mohr:
3.5 Esempio: sforzi in una trave
σ1
σ2
101
σ
σ3
|τ | ` possibile dimostrare, si veda l’Esercizio 3.29, che i punti (σ, |τ |), rappreE sentanti le coppie delle tensioni normali e il modulo delle tensioni tangenziali nelle varie giaciture, sono tutti contenuti nella regione arancio, detta Arbelo di Mohr.
3.5 Esempio: sforzi in una trave Consideriamo un corpo a “trave” come nella Sezione 2.9. In particolare, la regione occupata nella configurazione di riferimento `e Ω = ω × (0, `), dove ω ⊂ R2 rappresenta la generica sezione trasversale ed ` la lunghezza della trave. Assumiamo che la configurazione di riferimento, sotto assegnati carichi, e sia equilibrata, quindi si abbia Ω = Ω. La normale alla generica sezione trasversale `e e3 e quindi le tensioni agenti sono t = Te3 = T13 e1 + T23 e2 + T33 e3 .
x3
e3 Te3
x1 x2
Integrando le tensioni sulla generica sezione di coordinata x3 otteniamo la risultante delle tensioni ˆ R(x3 ) := t(·, ·, x3 ) dL 2 . ω
Indichiamo le componenti della risultante delle tensioni con ˆ T1 := R · e1 = T13 dL 2 , ω ˆ N T2 := R · e2 = T23 dL 2 , T1 ω T2 ˆ N := R · e3 = T33 dL 2 , ω
dove T1 e T2 sono chiamati sforzi di taglio nelle direzioni 1 e 2, rispettivamente, e N sforzo normale. In maniera analoga definiamo il momento risultante delle tensioni agenti sulla sezione trasversale di coordinata x3 , rispetto al polo (0, 0, x3 ),
102
3 Analisi della tensione
ˆ xα eα ∧ t(x) dL 2 (x)
M := ω
e indichiamo le componenti con ˆ x2 T33 dL 2 , ˆ M2 := M · e2 = − x1 T33 dL 2 , ˆ ω Mt := M · e3 = x1 T23 − x2 T13 dL 2 . M1 := M · e1 =
ω
ω
Le componenti M1 ed M2 sono chiamate momenti flettenti attorno agli assi 1 e 2, rispettivamente, ed Mt momento torcente. I vari segni che compaiono nelle espressioni integrali possono essere compresi dai diagrammi sottostanti applicando la regola della mano destra.
M1
x1
x1 T33
M2 x2
x 1 M3
x1
x2
T13 T23
x2
x2
Osserviamo che le caratteristiche di sollecitazione, T1 , T2 , N, M1 , M2 e Mt , sono completamente determinate dalle componenti del tensore degli sforzi T13 , T23 e T33 . Indicando con b ed s le forze di volume e di superficie, rispettivamente, le equazioni di equilibrio sono: ( divT + b = 0 in Ω, Tn = s in ∂Ω, Vediamo ora che integrando queste equazioni sulla sezione trasversale otteniamo delle equazioni, chiamate equazioni indefinite di equilibrio per la trave, che devono essere soddisfatte dalle caratteristiche di sollecitazione. La prima equazione si pu`o riscrivere come (∂α Tiα + ∂3 Ti3 )ei + b = 0, dove gli indici greci assumono i valori 1 e 2. Integrando sulla sezione, ed applicando il teorema della divergenza, si ottiene ˆ ˆ ˆ ∂3 Ti3 ei dL 2 + Tiα nα dL 1 ei + b dL 2 = 0, ω
che `e uguale a
∂ω
ω
3.5 Esempio: sforzi in una trave
ˆ
ˆ t dL 2 +
∂3
s dL 1 +
ω
∂ω
Ponendo,
103
ˆ b dL 2 = 0. ω
ˆ
ˆ 1
q :=
b dL 2 ,
s dL + ∂ω
ω
il carico per unit`a di lunghezza della trave generato dalle forze b e s, e ricordando la definizione data di R, deduciamo l’equazione di equilibrio alla traslazione della trave R0 + q = 0, (3.19) dove abbiamo indicato con 0 la derivata rispetto alla variabile x3 . Moltiplicando divT + b = 0 vettorialmente per xβ eβ ed integrando, si ha ˆ ˆ 2 xβ eβ ∧ (∂α Tiα + ∂3 Ti3 )ei dL + xβ eβ ∧ b dL 2 = 0, ω
ω
e visto che ˆ ˆ xβ eβ ∧ ∂α Tiα ei dL 2 = ∂α (xβ Tiα ) − δαβ Tiα dL 2 eβ ∧ ei ω ω ˆ ˆ = xβ Tiα nα dL 1 − Tiβ dL 2 eβ ∧ ei ˆ ∂ω ˆ ω = xβ eβ ∧ s dL 1 − Tiβ dL 2 eβ ∧ ei ∂ω ω ˆ ˆ = xβ eβ ∧ s dL 1 − T3β dL 2 eβ ∧ e3 ∂ω ω ˆ 2 − Tαβ dL eβ ∧ eα ω ˆ ˆ 1 = xβ eβ ∧ s dL − T3β dL 2 eβ ∧ e3 , ∂ω
ω
dove l’ultima uguaglianza l’abbiamo ottenuta usando la simmetria di T, si ottiene ˆ
ˆ 2
∂3 ω
xβ eβ ∧ t dL − T3β dL 2 eβ ∧ e3 ω ˆ ˆ + xβ eβ ∧ s dL 1 + xβ eβ ∧ b dL 2 = 0. ∂ω
ω
Ricordando le definizioni di M e Tα , deduciamo l’equazione di equilibrio alla rotazione della trave M0 − Tβ eβ ∧ e3 + m = 0, (3.20) dove abbiamo indicato con
104
3 Analisi della tensione
ˆ
ˆ 1
xβ eβ ∧ b dL 2
xβ eβ ∧ s dL +
m := ∂ω
ω
il momento per unit`a di lunghezza generato dalle forze b e s. Le componenti delle equazioni di equilibrio (3.19) e (3.20) vengono chiamate equazioni indefinite di equilibrio per la trave, che in componenti sono qα 0 T1 + q1 = 0, T20 + q2 = 0, N N 0 + q = 0, q3 3 (3.21) Tα 0 M1 − T2 + m1 = 0, m1 M20 + T1 + m2 = 0, M1 Mt0 + m3 = 0. T2
3.6 Appendice. Il tensore di Piola Il tensore di Cauchy `e definito sulla configurazione di equilibrio del corpo che, in generale, non `e nota. In questa appendice definiamo un tensore degli sforzi sulla configurazione di riferimento. Sia quindi Ω la regione occupata dal corpo nella configurazione di riferimento e e f : Ω → f (Ω) = Ω, la deformazione dalla configurazione di riferimento alla configurazione di equie in librio. In generale, denoteremo con x i punti di Ω e con y i punti di Ω: particolare scriveremo y = f (x). Il tensore di Piola `e, in un certo senso, la controimmagine del tensore di Cauchy nella configurazione di riferimento. Come abbiamo fatto nella Sezione 2.4.3, dove abbiamo calcolato la variazione di area corrispondente ad un’assegnata deformazione, consideriamo una superficie regolare nella configurazione di riferimento parametrizzata da γ : D → Ω, dove D `e un sottoinsieme qualunque di R2 . Nella configurazione deformata la superficie sar`a quindi parametrizzata da f ◦ γ. La normale alla superficie parametrizzata da γ `e nR :=
∂ θ 1 γ ∧ ∂ θ2 γ |∂θ1 γ ∧ ∂θ2 γ|
mentre la normale alla superficie parametrizzata da f ◦ γ la possiamo ricavare dalla formula di Nanson (2.17): n
da -T = (det F)F nR . da0
3.6 Appendice. Il tensore di Piola
105
Avremo quindi -T Tnda = (det F)TF nR da0 = PnR da0 dove abbiamo posto P := (det F)TF
-T
(3.22)
R
Per cui, se Σ := γ(D) e Σ := f ◦ γ(D), si ha che la risultante delle tensioni agenti sulla superficie Σ `e ˆ ˆ Tn da = PnR da0 (3.23) ΣR
Σ
e quindi possiamo interpretare PnR come le tensioni per unit` a di superficie della configurazione di riferimento che corrispondono alle tensioni Tn nella configurazione di equilibrio. Il tensore P `e detto tensore di Piola. ∂ θ2 γ
nR
PnR
f
F∂θ2 γ n Tn
∂ θ1 γ
F∂θ1 γ
Vediamo come si riscrivono le equazioni indefinite di equilibrio. Sia B(x0 , ε) ⊂ Ω la palla centrata in x0 e raggio ε e U (y0 , ε) := e dove y0 := f (x0 ). Dalla (3.23): f (B(x0 , ε)) ⊂ Ω, ˆ ˆ Tn da = PnR da0 ∂U (y0 ,ε)
∂B(x0 ,ε)
e dal teorema della divergenza, abbiamo ˆ ˆ 3 divT dL (y) = U (y0 ,ε)
DivP dL 3 (x).
(3.24)
B(x0 ,ε)
La divergenza `e ovviamente calcolata rispetto alle variabili da cui dipendono e e quindi dipende dalla variabile i campi. Il tensore di Cauchy `e definito su Ω, y, per cui si ha ∂Tij ( divT)i = ∂j Tij = ; ∂yj il tensore di Piola, invece, dipende dalla variabile x, dato che `e definito su Ω, e quindi ∂Pij (DivP)i = ∂j Pij = . ∂xj Cambiando variabili nel membro a sinistra di (3.24) troviamo
106
3 Analisi della tensione
ˆ
ˆ 3
DivP dL 3 .
(det F) divT dL = B(x0 ,ε)
B(x0 ,ε)
Facendo tendere ε a zero e utilizzando l’Esercizio 3.1, si deduce che (det F) divT = DivP. Per cui e ⇐⇒ DivP + bR = 0 in Ω, divT + b = 0 in Ω
(3.25)
dove abbiamo indicato con
b det F le forze per unit`a di volume della configurazione di riferimento. Il tensore di Piola, a differenza di quello di Cauchy, non `e simmetrico. Infatti, dato che 1 T= PFT , det F ne consegue che T ∈ Sym ⇐⇒ PFT ∈ Sym. bR :=
Volendo, si potrebbe simmetrizzare il tensore di Piola, e ottenere cos`ı il secondo tensore di Piola, S := F−1 P, ma cos`ı facendo l’equazione di equilibrio (3.25) diventa un po’ pi` u involuta: Div(FS) + bR = 0.
3.7 Esercizi e = (−1, 1)×(−1, 1)×(−1, 1) Esercizio 3.23. Il tensore degli sforzi nel cubo Ω ha una matrice rappresentativa σx2 x3 σx22 σ(x1 − x3 ) . σx2 0 [T ] = sym σx3 Sapendo che il cubo `e in equilibrio, determinare le forze di volume e di superficie applicate. 5 e ha la seguente matrice rappresenEsercizio 3.24. Il tensore degli sforzi in Ω tativa 4σ 2σ 6σ σ −3σ . [T ] = sym −σ e e che il piano di equazione Sapendo che l’origine degli assi appartiene ad Ω − e e e + . Sapendo inoltre che 2x1 + 3x2 + 4x2 = 3 divide Ω in due parti: Ω e Ω − e l’origine appartiene a Ω , determinare il vettore tensione che rappresenta e − esercita su Ω e+. l’azione che la parte Ω 5
3.7 Esercizi
107
e → Sym un campo tensoriale nullo in prossimit` Esercizio 3.25. Sia S : Ω a di e ∂ Ω e sia T = curl curl S. Verificare che T soddisfa le equazioni e divT = 0 in Ω, e T = TT in Ω, e Tn = 0 su ∂ Ω. 5 Esercizio 3.26. Si risolva l’Esercizio 3.8 facendo uso del teorema della divergenza, dopo aver osservato che la divergenza del tensore identit` a `e nulla, divI = 0. Ricordiamo che l’esercizio consiste nel dimostrare che Ai = A n · ei , dove A `e l’area della superficie di un tetraedro avente normale esterna n, ed Ai , sono le aree delle tre superfici del tetraedro aventi normale esterna −ei , per i = 1, 2, 3. 5 Esercizio 3.27. Un problema in cui esiste una direzione n tale che il tensore degli sforzi • •
ha tensioni nulle in piani con normale n, ossia Tn = 0; dipende soltanto dalle componenti ortogonali ad n: ossia T = T(x − (x · n)n);
viene chiamato problema piano di tensione. Con n = e3 siamo in presenza di un problema piano di tensione se e solo se T13 = T23 = T33 = 0
e
Tαβ = Tαβ (x1 , x2 )
per α, β = 1, 2. Dire se 1. il campo tensionale con matrice rappresentativa 2 σx2 σx1 x2 0 σx21 0 . [T ] = sym σx3 `e piano; 2. in presenza di un tensore degli sforzi costante e con determinante nullo possiamo concludere che lo stato di tensione `e piano; 3. in presenza di uno stato piano di tensione si ha det T = 0 in ogni punto del corpo. 5
108
3 Analisi della tensione
Esercizio 3.28. Un rettangolo di base 2` e altezza 2h `e caricato sul lato di coordinata x2 = h da un carico uniforme −f e2 e sui lati di coordinate x1 = ±` da un carico distribuito τ /h2 (x22 −h2 )e2 . Inoltre, il lato di coordinata x2 = −h `e scarico e le forze di volume sono nulle. f τ 2 h2 (x2
− h2 )
τ 2 h2 (x2
x2
− h2 )
x1
Assumendo uno stato piano di tensione, T13 = T23 = T33 = 0
e
Tαβ = Tαβ (x1 , x2 ),
1. determinare il valore di τ che rende la configurazione equilibrata; 2. scrivere le equazioni di equilibrio (interne e al bordo); 3. verificare che per opportuni valori delle costanti a, b, c, d, e, g, m ed n il campo tensionale di componenti T11 = ax2 (x21 + b),
T12 = cx1 (x22 + d),
T22 = ex32 + gx22 + mx2 + n,
soddisfa le equazioni di equilibrio. 5 Esercizio 3.29. Sia T=
3 X
σi n i ⊗ n i ,
i=1
dove σ1 ≤ σ2 ≤ σ3 e gli ni sono vettori ortonormali. Per un fissato versore n, si ponga σ := Tn · n e τ := Tn − σn e αi := n · ni . 1. Si verifichi che 2 2 2 2 σ1 α 1 + σ2 α 2 + σ3 α 3 = σ σ12 α12 + σ22 α22 + σ32 α32 = |τ |2 + σ 2 2 α1 + α22 + α32 = 1. 2. Eliminando α12 e α32 dal sistema, dedurre l’equazione |τ |2 = (σ − σ3 )(σ1 − σ) − (σ2 − σ3 )(σ1 − σ2 )α22 e riscriverla come: |τ |2 + (σ −
σ1 + σ 3 2 σ1 − σ 3 2 ) −( ) = −(σ2 − σ3 )(σ1 − σ2 )α22 . 2 2
3.7 Esercizi
109
3. Permutando gli indici ottenere le equazioni σ 1 + σ3 2 σ1 − σ3 2 ) −( ) = −(σ2 − σ3 )(σ1 − σ2 )α22 , 2 2 σ 2 + σ1 2 σ2 − σ1 2 |τ |2 + (σ − ) −( ) = −(σ3 − σ1 )(σ2 − σ3 )α32 , 2 2 σ 3 + σ2 2 σ3 − σ2 2 |τ |2 + (σ − ) −( ) = −(σ1 − σ2 )(σ3 − σ1 )α12 . 2 2 |τ |2 + (σ −
4. Studiando il segno dei membri di destra delle tre equazioni ottenute, verificare che il punto (σ, |τ |) `e contenuto nella regione arancio:
σ1
σ2
σ3
σ
|τ |
5 Esercizio 3.30. Per lo stato di tensione piano 30 MPa −40 MPa [T ] = −40 MPa −20 MPa 0 0
0 0 , 0
costruire il cerchio di Mohr e determinare 1. i valori delle tensioni corrispondenti ad una giacitura ruotata di 150◦ ; 2. le tensioni principali e l’angolo che determina le direzioni principali; 3. il valore massimo della tensione tangenziale. 5
4 Equazione dei lavori virtuali
Nei capitoli precedenti abbiamo introdotto i concetti di deformazione e di tensione. In questo capitolo introduciamo il concetto di lavoro che unisce la cinematica e la meccanica. Come imparato nel corso di Fisica, e banalizzando un po’, il lavoro che una forza compie su un “punto materiale” `e il prodotto della forza per lo spostamento prodotto da tale forza. Nel seguito utilizzeremo il concetto di lavoro virtuale, che nel contesto della meccanica puntiforme pu`o essere cos`ı definito: se p `e una forza che agisce su un punto e u `e un qualunque spostamento del punto (non necessariamente quello prodotto dalla forza p) allora la quantit`a p · u `e il lavoro virtuale che la forza p compie sullo spostamento u. Essenzialmente, il termine virtuale sta a specificare che non c’`e necessariamente “corrispondenza” tra forza e spostamento. L’equazione dei lavori virtuali (ELV), che dimostreremo, non `e essenziale allo sviluppo della teoria, ma `e estremamente utile e versatile.
4.1 ELV in teoria infinitesima Per agevolare la trattazione conviene introdurre un po’ di terminologia. Definiamo gli enti cinematici con cui lavoreremo. Definizione 4.1. La coppia {E, u} con E : Ω → Sym e u : Ω → R3 si dice compatibile, o congruente, se E = E(u) in Ω. Pertanto, la coppia {E, u} `e compatibile se E `e il tensore di deformazione infinitesima associato ad u. Osservazione 4.2. Ovviamente, dato u : Ω → R3 `e sempre possibile trovare E : Ω → Sym tale che {E, u} `e compatibile: basta prendere E = E(u). Invece, dato E : Ω → Sym non sempre `e possibile trovare una u : Ω → R3 tale che {E, u} `e compatibile. Sappiamo che se, per esempio, Ω `e una regione © The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_4
111
112
4 Equazione dei lavori virtuali
semplicemente connessa ed E soddisfa le condizioni di compatibilit` a di de Saint-Venant, allora `e possibile trovare una u tale da rendere la coppia {E, u} congruente. ♦ Definiamo ora gli enti meccanici. Definizione 4.3. La terna {T, b, s} con T : Ω → Lin, b : Ω → R3 e s : ∂Ω → R3 si dice equilibrata se divT + b = 0 in Ω, T = TT in Ω, Tn = s su ∂Ω. Osservazione 4.4. Se {T, b, s} `e una terna equilibrata allora ˆ ˆ b dL 3 + s dL 2 = 0, Ω ∂Ω ˆ ˆ 3 x ∧ b(x) dL (x) + x ∧ s(x) dL 2 (x) = 0 Ω
(4.1)
∂Ω
e quindi il sistema di forze esterne (b e s) `e equilibrato. La prima equazione segue integrando l’equazione divT + b = 0, applicando il teorema della divergenza ed applicando l’identit`a Tn = s. La seconda la si ottiene in maniera analoga integrando l’identit`a x ∧ ( divT + b) = 0. Le forze di superficie s descrivono le forze (esterne) applicate e le eventuali “reazioni vincolari”. ♦ Osservazione 4.5. Dato T : Ω → Sym `e sempre possibile trovare b : Ω → R3 e s : ∂Ω → R3 tale che la terna {T, b, s} `e equilibrata: basta prendere b = − divT e s = Tn. In generale il viceversa non `e vero. Se per` o le forze esterne b ed s sono equilibrate, cio`e soddisfano le (4.1), allora esistono infiniti T che rendono la terna {T, b, s} equilibrata. Questa affermazione, per` o, non `e facilmente dimostrabile. Possiamo comunque osservare che se esiste un campo T, che rende la terna {T, b, s} equilibrata, allora ne esistono infiniti, come si deduce dall’Osservazione 3.18. ♦ Osservazione 4.6. Un lettore attento avr`a notato un’inconsistenza rispetto ai due capitoli precedenti. Nel Capitolo 2 la regione Ω denota la configurazione di riferimento e nel Capitolo 3 le equazioni di equilibrio sono scritte e dove, in particolare, `e definito il tensore degli sulla regione di equilibrio Ω, sforzi T. Nella Definizione 4.3 di terna equilibrata, invece, T `e definito su Ω: e con Ω. Volendo, per evitare questa si fa praticamente coincidere la regione Ω identificazione di domini, si potrebbe lavorare con il tensore di Piola (Sezione 3.6) che, come la coppia spostamento-deformazione congruente, `e definito sulla regione di riferimento Ω. Preferiamo continuare a lavorare con il tensore di Cauchy anche perch´e, nel prossimo capitolo, vedremo che in teoria infinitesima `e possibile “confondere”, sotto opportune ipotesi, la configurazione di equilibrio con quella di riferimento. ♦
4.1 ELV in teoria infinitesima
Nelle prossime dimostrazioni utilizzeremo la seguente identit` a ˆ ˆ ˆ T · E(u) dL 3 = − divT · u dL 3 + Tn · u dL 2 Ω
Ω
113
(4.2)
∂Ω
che vale per ogni campo tensoriale simmetrico T e per ogni campo di spostamento u. Infatti, dato che T = TT si ha T · E(u) = T · ∇u e ˆ ˆ ˆ ˆ T · E(u) dL 3 = Tij ∂j ui dL 3 = ∂j (Tij ui ) dL 3 − ∂j Tij ui dL 3 Ω Ω Ω Ω ˆ ˆ 2 = Tij ui nj dL − ∂j Tij ui dL 3 ∂Ω Ω ˆ ˆ = Tn · u dL 2 − divT · u dL 3 . ∂Ω
Ω
Enunciamo e dimostriamo il risultato principale del capitolo. Teorema 4.7 (Teorema dei Lavori Virtuali). Sia {E, u} una coppia congruente e sia {T, b, s} una terna equilibrata. Allora, il lavoro virtuale interno ˆ Liv := T · E dL 3 Ω
`e uguale al lavoro virtuale esterno ˆ ˆ Lev := b · u dL 3 + Ω
s · u dL 2 . ∂Ω
Dimostrazione. Siano {E, u} una coppia congruente e {T, b, s} una terna equilibrata. Dato che divT + b = 0 in Ω, si ha ˆ 0= ( divT + b) · u dL 3 Ω
ed utilizzando la (4.2) otteniamo ˆ ˆ ˆ 3 2 b · u dL + Tn · u dL − T · E(u) dL 3 = 0. Ω
∂Ω
Ω
L’enunciato segue dato che E = E(u), visto che {E, u} `e una coppia congruente, e che Tn = s su ∂Ω. Dalla definizione segue che il lavoro virtuale esterno `e uguale al “lavoro” che le forze (esterne) b ed s compiono sul generico spostamento u; mentre, il lavoro virtuale interno `e uguale al “lavoro” compiuto dagli sforzi (interni) sulle generiche deformazioni. L’enunciato del teorema precedente pu` o essere schematizzato come ) {E, u} congruente =⇒ Liv = Lev . {T, b, s} equilibrata ` fondamentale notare che non `e necessario alcun legame tra la coppia {E, u} E e la terna {T, b, s}.
114
4 Equazione dei lavori virtuali
` fondamentale capire che nel teorema dei lavori virtuali Osservazione 4.8. E non c’`e assolutamente nessun legame tra {E, u} e {T, b, s}. Ad esempio, si consideri un’estensione in direzione e1 ε τ (x) u(x) = εx1 e1 , con ε ∈ R, e un tensore degli sforzi del tipo
σ(x) 1
T(x) = σ(x)e1 ⊗e1 +τ (x)(e1 ⊗e2 +e2 ⊗e1 ), con σ, τ : Ω → R. Allora, indipendentemente dal valore di ε e dalla scelta delle funzioni σ e τ , prendendo {E(u), u} come coppia congruente e {T, − divT, Tn} come terna equilibrata si ha che Liv = Lev . ♦ Il prossimo lemma, spesso chiamato Lemma Fondamentale del Calcolo delle Variazioni, lo utilizzeremo per dedurre dei teoremi “inversi” a quello appena dimostrato. Anche questo `e un lemma di localizzazione. Lemma 4.9. Sia g : Ω → R una funzione continua tale che ˆ g ψ dL 3 = 0 ∀ψ : Ω → R continua con ψ = 0 vicino ∂Ω. Ω
Allora, g = 0 in Ω. Analogamente, se g : Ω → R3 `e continua e ˆ g · ψ dL 3 = 0 ∀ψ : Ω → R3 continua con ψ = 0 vicino ∂Ω, Ω
allora, g = 0 in Ω. Dimostrazione. Per assurdo assumiamo che esista un punto x0 ∈ Ω tale che g(x0 ) 6= 0 e, senza perdita di generalit`a, assumiamo che g(x0 ) > 0. Dalla continuit`a di g segue che esiste un intorno di x0 in cui la funzione g `e maggiore di g(x0 )/2. Infatti, la continuit`a di g implica che per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che −ε < g(x) − g(x0 ) < ε per ogni x ∈ B(x0 , δ). Quindi per ε = g(x0 )/2 si ha g(x) > g(x0 )/2 per ogni x ∈ B(x0 , δ) ⊂ Ω per un opportuno δ > 0. Si scelga quindi una funzione ψ continua, uguale a 0 su Ω \ B(x0 , δ), uguale a 1 su B(x0 , δ/2) e maggiore o uguale a zero ovunque. g(x0 )
ψ x0 x0 + δ x0 + δ/2
x
4.1 ELV in teoria infinitesima
115
Per tale ψ si avr`a ˆ ˆ ˆ 0= g ψ dL 3 = g ψ dL 3 ≥ g ψ dL 3 Ω B(x0 ,δ) B(x0 ,δ/2) ˆ 1 = g dL 3 ≥ g(x0 )L3 (B(x0 , δ/2)) > 0 2 B(x0 ,δ/2) dove, la seconda eguaglianza vale dato che ψ `e nulla fuori della palla B(x0 , δ), la prima disuguaglianza risulta vera visto che gψ ≥ 0, la prima uguaglianza nella seconda riga segue dal fatto che ψ = 1 in B(x0 , δ/2) e la disuguaglianza che segue dato che g ≥ g(x0 ) in B(x0 , δ/2). Abbiamo dunque trovato un assurdo e quindi dimostrato il primo enunciato del lemma. Ragionando per componenti segue subito l’enunciato riguardante g. In maniera imprecisa l’enunciato del prossimo teorema pu` o essere schematizzato come Liv = Lev
∀{E, u} congruente
{T, b, s} equilibrata.
=⇒
Teorema 4.10. Siano T : Ω → Lin, b : Ω → R3 e s : ∂Ω → R3 , con T = TT in Ω. Allora, se Liv = Lev per ogni coppia {E, u} congruente si ha che la terna {T, b, s} `e equilibrata. Dimostrazione. Se {E, u} `e congruente, si ha E = E(u), e l’equazione dei lavori virtuali ˆ ˆ ˆ 3 3 T · E(u) dL = b · u dL + s · u dL 2 , Ω
Ω
∂Ω
vale, per ipotesi, per ogni campo di spostamento u. Dato che T `e simmetrico, per ipotesi, dalla (4.2) otteniamo ˆ ˆ ˆ ˆ − divT · u dL 3 + Tn · u dL 2 = b · u dL 3 + s · u dL 2 ; Ω
∂Ω
Ω
∂Ω
riordinandola, si ha, per ogni campo di spostamento u, ˆ ˆ 3 ( divT + b) · u dL + (s − Tn) · u dL 2 = 0. Ω
(4.3)
∂Ω
Restringendo il campo di spostamenti a funzioni u che si annullano vicino al bordo, deduciamo che ˆ ( divT + b) · u dL 3 = 0 ∀u con u = 0 vicino ∂Ω, Ω
e quindi, dal Lemma 4.9, otteniamo divT + b = 0 su Ω. Utilizzando l’identit` a appena ottenuta, la (4.3) si riduce a
116
4 Equazione dei lavori virtuali
ˆ (s − Tn) · u dL 2 = 0, ∂Ω
che vale per ogni campo di spostamento u. Applicando ancora il Lemma 4.9, che vale anche su ∂Ω (come si pu`o facilmente verificare con la stessa dimostrazione), si ottiene s − Tn = 0 su ∂Ω. Infine, dimostriamo un enunciato del tipo: Liv = Lev
∀{T, b, s} equilibrata
=⇒
{E, u} congruente.
Teorema 4.11. Siano E : Ω → Sym e u : Ω → R3 . Se Liv = Lev per ogni terna {T, b, s} equilibrata, allora la coppia {E, u} `e congruente. Dimostrazione. L’equazione dei lavori virtuali ˆ ˆ ˆ T · E dL 3 = b · u dL 3 + Ω
Ω
s · u dL 2 , ∂Ω
vale per ogni terna {T, b, s} equilibrata. Visto che b = − divT su Ω e Tn = s su ∂Ω, si ha ˆ ˆ ˆ T · E dL 3 = − divT · u dL 3 + Tn · u dL 2 , Ω
Ω
∂Ω
che vale per ogni campo tensoriale simmetrico T. Applicando la (4.2) giungiamo a ˆ T · (E − E(u)) dL 3 = 0, Ω
equazione che vale per ogni campo tensoriale simmetrico T. Applicando il Lemma (4.9), si deduce E = E(u) su Ω.
4.2 Esempio: ELV per una trave Consideriamo un corpo a “trave” come nella Sezione 2.9. In particolare, la configurazione di riferimento `e Ω = ω × (0, `), dove ω ⊂ R2 rappresenta la generica sezione trasversale. Consideriamo gli spostamenti introdotti nella (2.50) che ricordiamo essere: u(x1 , x2 , x3 ) = a(x3 ) + xβ α(x3 ) ∧ eβ ,
(4.4)
dove a rappresenta lo spostamento dell’asse della trave, {(0, 0, x3 ) : x3 ∈ (0, `)}, ed α `e il vettore che caratterizza le rotazioni delle sezioni. Il tensore di deformazione infinitesima associato a questo spostamento ha matrice rappresentativa:
4.2 Esempio: ELV per una trave
0
0
[Eu] =
0 sym
1 (γ1 − x2 α30 ) 2 1 , 0 (γ2 + x1 α3 ) 2 ε + x2 α10 − x1 α20
117
(4.5)
dove, come posto in (2.52) e in (2.54), γ1 (x3 ) = a01 (x3 ) − α2 (x3 ),
γ2 (x3 ) = a02 (x3 ) + α1 (x3 ),
ε(x3 ) := a03 (x3 ), (4.6) sono gli scorrimenti e l’allungamento relativo dell’asse della trave. Si consideri la coppia {E(u), u}, con u come in (4.4), e una terna {T, b, s} equilibrata. Allora, dal Teorema 4.7 si deduce che Liv = Lev .
(4.7)
Calcoliamo il lavoro virtuale interno: ˆ ˆ `ˆ i 3 Lv = T · E dL = 2T13 E13 + 2T23 E23 + T33 E33 dL 2 dx3 Ω
0
ˆ `ˆ
ω
T13 (γ1 − x2 α30 ) + T23 (γ2 + x1 α30 )
= 0
ω
+ T33 (ε + x2 α10 − x1 α20 ) dL 2 dx3 , dove la seconda e terza identit`a sono state ottenute tramite l’utilizzo della (4.5). Ricordando le definizioni date nella Sezione 3.5 delle caratteristiche di sollecitazione: ˆ ˆ ˆ T1 = T13 dL 2 , T2 = T23 dL 2 , N= T33 dL 2 , ω ω ω ˆ ˆ ˆ 2 2 M1 = x2 T33 dL , M2 = − x1 T33 dL , Mt = x1 T23 − x2 T13 dL 2 ω
ω
ω
e tenendo presente che ε, γβ e α0 dipendono solo da x3 , si ottiene: ˆ ` Liv = N ε + T1 γ1 + T2 γ2 + M1 α10 + M2 α20 + Mt α30 dx3 , 0
che rappresenta il lavoro virtuale interno per una trave. Calcoliamo, ora, il lavoro virtuale esterno: ˆ ˆ Lev = b · u dL 3 + s · u dL 2 Ω
ˆ `ˆ = 0
∂Ω
ˆ `ˆ b · u dL 2 dx3 + s · u dL 1 dx3 ω 0 ∂ω ˆ ˆ + s · u dL 2 + s · u dL 2 , ω×{0}
ω×{`}
118
4 Equazione dei lavori virtuali
dove, nel scrivere la seconda uguaglianza, abbiamo decomposto la frontiera ∂Ω nel mantello laterale ∂ω × (0, `), nella base di sinistra ω × {0}, e nella base di destra ω × {`}. Dapprima, calcoliamo l’integrale sulla base di sinistra: ˆ ˆ s · u dL 2 = s(x1 , x2 , 0) · u(x1 , x2 , 0) dL 2 ω×{0} ω ˆ ˆ = a(0) · s(x1 , x2 , 0) dL 2 + α(0) · xβ eβ ∧ s(x1 , x2 , 0) dL 2 , ω
ω
ed indicando con ˆ R0 := s(x1 , x2 , 0) dL 2
ˆ e
M0 :=
ω
xβ eβ ∧ s(x1 , x2 , 0) dL 2 , ω
la risultante ed il momento risultante delle forze s sulla base sinistra, si ha ˆ s · u dL 2 = R0 · a(0) + M0 · α(0). ω×{0}
Con un ovvio significato dei simboli, possiamo pure dedurre ˆ s · u dL 2 = R` · a(`) + M` · α(`). ω×{`}
Per completare il calcolo del lavoro virtuale esterno, rimane da calcolare ˆ `ˆ ˆ `ˆ 2 b · u dL dx3 + s · u dL 1 dx3 0
ω
ˆ
`
a·
= 0
0
ˆ `
α·
+
ˆ
s dL 1 dx3
b dL 2 + ω
ˆ
∂ω
∂ω
ˆ
0
ˆ
xβ eβ ∧ s dL 1 dx3 ,
xβ eβ ∧ b dL 2 + ω
∂ω
e ricordando che, nella Sezione 3.5, abbiamo indicato con ˆ ˆ ˆ ˆ q= b dL 2 + s dL 1 e m = xβ eβ ∧ b dL 2 + ω
∂ω
ω
xβ eβ ∧ s dL 1 , ∂ω
il carico e il momento per unit`a di lunghezza generati dalle forze b e s, possiamo scrivere ˆ `ˆ ˆ `ˆ ˆ ` b · u dL 2 dx3 + s · u dL 1 dx3 = q · a + m · α dx3 . 0
ω
0
∂ω
0
In definitiva, il lavoro virtuale esterno per una trave `e ˆ ` e Lv = q · a + m · α dx3 + R0 · a(0) + M0 · α(0) + R` · a(`) + M` · α(`). 0
4.3 Esercizi
119
Per quanto visto, la (4.7), l’uguaglianza dei lavori virtuali, si scrive come ˆ ` N ε + T1 γ1 + T2 γ2 + M1 α10 + M2 α20 + Mt α30 dx3 0
ˆ
`
q · a + m · α dx3 + R0 · a(0) + M0 · α(0)
=
(4.8)
0
+ R` · a(`) + M` · α(`), che vale per ogni campo {a, α, ε, γβ } soddisfacente le (4.6). Da questa identit`a, nello stesso spirito del Teorema 4.11, `e possibile ricavare le equazioni indefinite di equilibrio (3.21) e le equazioni di equilibrio al bordo.
4.3 Esercizi Esercizio 4.12. Dati E =ae1 ⊗ e1 + bx2 x3 (e1 ⊗ e2 + e2 ⊗ e1 ) + c
x22 + 1 (e1 ⊗ e3 + e3 ⊗ e1 ) 2
+ de2 ⊗ e2 + e(e2 ⊗ e3 + e3 ⊗ e2 ) ed u = (gx1 + hx22 x3 )e1 + (ix22 + lx3 )e2 + (mx1 + n)e3 , dire per quali valori delle costanti a, b, c, d, e, f, g, h, i, l, m ed n la coppia {E, u} `e congruente. 5 Esercizio 4.13. Sia E : Ω → Sym, con Ω semplicemente connesso, con matrice rappresentativa βx3 βx2 + 2αx1 α 2 2 βx2 [E] = βx3 2 sym α con α e β due costanti. Dire se esiste u tale da rendere la coppia {E, u} congruente. In caso di risposta affermativa determinare u. 5 Esercizio 4.14. Sia Ω = B(0, R) la palla centrata nell’origine di raggio R e sia T : Ω → Sym il tensore degli sforzi con matrice rappresentativa σ σx23 σx1 σx2 2σ [T ] = sym σx2 con σ costante. Determinare le forze di volume b e le forze di superficie s tali da rendere la terna {T, b, s} equilibrata. 5
120
4 Equazione dei lavori virtuali
Esercizio 4.15. Sia Ω = {x : −R < xi < R, i = 1, 2, 3} il cubo centrato nell’origine di lato 2R. Con le forze di volume b = k e1 e con le forze di superficie s = c e3 , con k, c ∈ R, `e possibile trovare T : Ω → Sym tale da rendere la terna {T, b, s} equilibrata? 5 Esercizio 4.16. Sia {T, b, s} una terna equilibrata. Dimostrare le (4.1), ovvero che ˆ ˆ b dL 3 + s dL 2 = 0, Ω ∂Ω ˆ ˆ 3 x ∧ b(x) dL (x) + x ∧ s(x) dL 2 (x) = 0. Ω
∂Ω
5 Esercizio 4.17. Sia Ω = {x : −R < xi < nell’origine di lato 2R. Sia T : Ω → Sym il rappresentativa σ σx3 σ [T ] = sym
R, i = 1, 2, 3} il cubo centrato tensore degli sforzi con matrice 0
0
σx2
con σ costante, ed u : Ω → R3 definito da u = αx2 e1 + βx3 e3 , con α e β costanti. • • • • •
Determinare le forze di volume b e le forze di superficie s tali da rendere la terna {T, b, s} equilibrata; determinare il campo tensoriale E tale da rendere la coppia {E, u} congruente; determinare il lavoro virtuale interno; determinare il lavoro virtuale esterno; verificare che l’uguaglianza dei lavori virtuali `e soddisfatta per ogni scelta delle costanti α, β e σ. 5
5 Equazioni costitutive
I concetti presentati nei precedenti capitoli sono comuni a tutti i corpi. In generale, corpi costituiti da materiali diversi si deformano in maniera diversa anche se sottoposti allo stesso stato tensionale. Questa diversit` a `e specificata attraverso l’equazione costitutiva, ovvero tramite una relazione che lega la tensione alla deformazione.
5.1 Materiali elastici lineari In maniera informale, un materiale si dice elastico quando il valore attuale della tensione in un determinato punto dipende solamente dal valore attuale della deformazione dello stesso punto, in particolare, non dipende dalle deformazioni che tutto il corpo ha subito precedentemente. Definizione 5.1. Un materiale si dice elastico, rispetto ad una determinata configurazione κ, se il tensore degli sforzi di Cauchy T dipende solamente dal gradiente di deformazione F = ∇f . κ
x f
B
Pi` u precisamente, un materiale `e elastico se esiste una funzione Fκ : κ(B) × Lin → Sym, chiamata funzione di risposta, tale che
Ω n y
Tn
T(y) = Fκ (x, F(x))
(5.1)
con y = f (x).
e Ω Una relazione, tipo la (5.1), che lega la tensione alla deformazione viene chiamata equazione costitutiva.
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_5
121
122
5 Equazioni costitutive
Se la funzione di risposta non dipende dalla posizione, e quindi `e del tipo Fκ : Lin → Sym, ossia se T(y) = Fκ (F(x)), allora la configurazione κ si dice omogenea. Volendo, `e possibile scrivere l’equazione costituiva in termini dello spostamento u(x) = f (x) − x: T(y) = Fκ (x, I + H(x)), dove H := ∇u. Assumendo la funzione di risposta liscia, si ha T(y) = Fκ (x, I) + ∂F Fκ (x, I)H + o(|H|).
(5.2)
Il primo termine, Fκ (·, I), rappresenta la tensione nella configurazione di riferimento. Assumeremo la tensione “iniziale” nulla ovunque: Fκ (x, I) = 0 ∀x ∈ Ω = κ(B). L’operatore lineare ∂F Fκ (x, I), per x fissato, manda tensori del secondo ordine in tensori del secondo ordine, e quindi `e un tensore del quarto ordine. Tale operatore lo indichiamo con C(x) := ∂F F (x, I) e lo chiamiamo tensore di elasticit` a. Pertanto, abbiamo T(y) = C(x)H(x) + o(|H|) con y = f (x). Con questa equazione costitutiva, si pu`o dimostrare che se si confonde la configurazione determinata dalla deformazione f con la configurazione di riferimento si commette un’errore di ordine o(|H|). Pi` u precisamente, a meno di infinitesimi di ordine o(|H|), `e possibile definire un tensore degli sforzi, che continuiamo a chiamare tensore di Cauchy e ad indicare con T, sulla configurazione di riferimento tale che:
n Tn x
κ
f
Ω
B y e Ω
1. T(x) = TT (x) per ogni x ∈ Ω = κ(B); 2. l’equazione di equilibrio alla traslazione diventa divT(x) + b(x) = 0 per ogni x ∈ Ω, dove b sono le forze per unit`a di volume della configurazione di riferimento; 3. T(x)n(x) rappresenta la tensione nel punto f (x) lungo una giacitura la cui preimmagine ha normale n. Osservazione 5.2. Si pu`o giustificare quanto appena affermato facendo uso dei risultati presentati nell’Appendice 3.6. Infatti, il tensore di Piola, definito in (3.22), risulta essere
5.1 Materiali elastici lineari
123
-T -T P(x) = (det F(x))T(y)F (x) = (det F(x)) C(x)H(x) + o(|H|) F (x).
Argomentando come nella Sezione 2.7.3, si deduce che -T P = (1 + tr H) CH + o(|H|) (I − H ) = CH + o(|H|) e quindi P(x) = T(y) + o(|H|).
(5.3)
Pertanto, a meno di infinitesimi di ordine o(|H|), il tensore di Cauchy, calcolato in f (x), `e uguale al tensore di Piola, calcolato in x. Il tensore di Piola `e definito in Ω e soddisfa le propriet`a 1., 2. e 3. sopra elencate. Osserviamo che la 1. segue dall’uguaglianza (5.3). ♦ Nella definizione che segue riassumiamo i risultati che si ottengono trascurando gli infinitesimi di ordine o(|H|). Definizione 5.3. Un materiale si dice elastico lineare se il tensore degli sforzi di Cauchy T : Ω → Sym dipende in maniera lineare dal gradiente di spostamento H = ∇u, ossia T(x) = C(x)H(x). Scrivendo T ed H in componenti otteniamo Tmn em ⊗ en = CHkl ek ⊗ el e moltiplicando scalarmente per ei ⊗ ej , si ha Tmn ei ⊗ ej · em ⊗ en = Hkl ei ⊗ ej · Cek ⊗ el da cui ricaviamo, dato che ei ⊗ ej · em ⊗ en = δim δjn , Tij = Cijkl Hkl ,
(5.4)
Cijkl := ei ⊗ ej · Cek ⊗ el .
(5.5)
avendo posto Le quantit`a Cijkl sono le componenti del tensore di elasticit` a: dato che i 4 indici i, j, k, l possono assumere 3 valori, si ha che C ha 34 = 81 componenti. Abbiamo assunto che la tensione nella configurazione di riferimento `e nulla, come anche risulta dall’equazione costitutiva: in assenza di deformazione il gradiente di spostamento `e nullo e quindi C0 = 0. Immaginiamo ora di imprimere una rotazione (infinitesima) W ∈ Skw alla configurazione di riferimento. Allora, il tensore degli sforzi sar`a uguale a CW. Visto che le rotazioni non generano variazioni geometriche, `e naturale assumere che nella configurazione ruotata il tensore degli sforzi sia ancora nullo. Assumeremo, pertanto, che CW = 0
∀W ∈ Skw.
(5.6)
124
5 Equazioni costitutive
Teorema 5.4 (Simmetrie minori). implicano che Cijkl = Cjikl = Cijlk
La simmetria di T e l’ipotesi (5.6) ∀i, j, k, l ∈ {1, 2, 3}.
Dimostrazione. Dalla (5.4), visto che Tij = Tji , si deduce che Cijkl Hkl = Cjikl Hkl per ogni Hkl . Fissando due indici r ed s e prendendo Hkl = δkr δls si ottiene Cijrs = Cjirs . Dimostriamo la seconda simmetria minore. Si prenda l = 1 e k = 2 e si consideri H = e1 ⊗ e2 − e2 ⊗ e1 ∈ Skw, che in componenti risulta essere Hkl = δk1 δl2 − δk2 δl1 . Dalla (5.6), facendo uso della (5.4), si ricava che 0 = Cijkl Hkl = Cijkl (δk1 δl2 − δk2 δl1 ) = Cij12 − Cij21 . In maniera analoga si possono dimostrare gli altri casi.
Dal teorema precedente si deduce che le componenti di C linearmente indipendenti sono al pi` u 36. Infatti, se consideriamo Cijkl , si ha che la coppia di indici ij, vista la simmetria, produce solamente 6 componenti linearmente indipendenti, e lo stesso ragionamento vale per la coppia kl. Quindi le componenti linearmente indipendenti di C sono 62 = 36. Un’altra conseguenza del Teorema 5.4 `e che possiamo riscrivere la (5.5) come ei ⊗ ej + ej ⊗ ei ek ⊗ el + el ⊗ ek Cijkl = ·C . (5.7) 2 2 Dall’ipotesi (5.6), segue che CH = CE + CW = CE; in particolare, otteniamo T = CE,
(5.8)
che ci dice che la tensione dipende esclusivamente dal tensore di deformazione infinitesima. Pertanto, possiamo pensare a C come ad un tensore che manda tensori simmetrici in tensori simmetrici. Diremo che il tensore di elasticit` a `e definito positivo se C(x)E · E > 0
∀E ∈ Sym : E 6= 0, ∀x ∈ Ω.
(5.9)
Questa ipotesi ci permette di trovare, per ogni x ∈ Ω, una mappa C−1 (x) : Sym → Sym, chiamata tensore di cedevolezza, tale che E(x) = C−1 (x)T(x), ossia una mappa che manda il tensore degli sforzi nel tensore di deformazione infinitesima.
5.2 Materiali iperelastici lineari
125
5.2 Materiali iperelastici lineari In una molla elastica lineare vale l’equazione F = kx, dove x `e lo spostamento impresso da una forza d’intesit`a F e k `e la “costante” della molla. Il lavoro compiuto dalla forza F viene x immagazzinato nella molla sotto forma di energia potenziale elastica. Questa, associando alla configurazione scarica un’energia nulla, risulta F data da 1 Φ = kx2 . 2 Osserviamo che la derivata del potenziale Φ, rispetto alla variabile cinematica x `e pari alla forza F : dΦ = kx = F. dx Un materiale per cui `e possibile ottenere lo stato tensionale derivando un potenziale rispetto alla deformazione viene detto iperelastico. Definizione 5.5. Un materiale elastico lineare si dice iperelastico lineare se esiste una funzione Φ : Ω × Sym → R tale che Tij (x) = ∂Eij Φ(x, E)
per i, j = 1, 2, 3 e per ogni x ∈ Ω.
In forma pi` u compatta scriveremo T(x) = ∂E Φ(x, E). Nel seguito, per semplicit`a di notazione, non indicheremo esplicitamente la dipendenza dal punto x. Dunque, per un materiale iperelastico lineare, si ha T = CE e T = ∂E Φ(E), da cui ∂E Φ(E) = CE.
(5.10)
Cerchiamo di capire il significato della funzione Φ, significato che verr` a ripreso nella Sezione 6.3. Per farlo, consideriamo due tensori di deformazione infininitesima Ei ed Ef ed una qualsiasi storia di deformazione infinitesima avenT te inizio in Ei e fine in Ef , cio`e una qualsiasi funzione che associa ad ogni istante temporale (Ef , Tf ) t ∈ [ti , tf ] un tensore di deformazione infinitesima E(t) tale che E(ti ) = Ei ed E(tf ) = Ef . (Ei , Ti ) A tali deformazioni, per ogni istante, possiamo E associare il tensore degli sforzi T(t) = CE(t). Poniamo Ti := CEi e Tf := CEf . Abbiamo cos`ı una curva
126
5 Equazioni costitutive
t 7→ (E(t), T(t)) i
i
che congiunge i punti (E , T ) e (Ef , Tf ) nel “piano” deformazioni-tensioni. Il lavoro (interno) compiuto da T(t) su E(t) nell’intervallo tra t e t + dt, con dt “infinitesimo”, `e ˙ T(t) · E(t)dt ≈ T(t) · (E(t + dt) − E(t)), ˙ dove E(t) indica la derivata temporale di E(t). Dato che il materiale `e iperelastico lineare, si ha che T(t) = ∂E Φ(E(t)) e quindi d ˙ ˙ T(t) · E(t)dt = ∂E Φ(E(t)) · E(t)dt = Φ(E(t))dt, dt dove l’ultima identit`a segue dalla regola di derivazione della funzione composta. Il lavoro totale, calcolato integrando nel tempo, risulta: ˆ
ˆ
tf
tf
˙ T(t) · E(t) dt = ti
ti
d Φ(E(t)) dt = Φ(Ef ) − Φ(Ei ), dt
(5.11)
grazie ad un’applicazione del teorema fondamentale del calcolo integrale. Si osserva che il lavoro totale dipende escluT (Ef , Tf ) sivamente dalla deformazione iniziale Ei e da f quella finale E . In particolare, non dipende dal “processo di carico”, cio`e dalla storia di deformazioni. Pertanto, in un processo ciclico, Ei = Ef , il lavoro `e nullo (non c’`e (Ei , Ti ) E dissipazione). In generale, il lavoro compiuto sul corpo viene immagazzinato, dal corpo stesso, sotto forma di energia (interna) e l’aumento di energia `e uguale al lavoro compiuto sul corpo. Per tale ragione, in virt` u della (5.11), la funzione Φ `e chiamata densit` a dell’energia interna, o potenziale elastico. Teorema 5.6. Un materiale elastico lineare con tensore di elasticit` a C `e iperelastico lineare se e solo se CE1 · E2 = E1 · CE2
∀E1 , E2 ∈ Sym,
che indicheremo semplicemente con C = CT . Tale espressione implica che C ha la simmetria maggiore: Cijkl = Cklij
∀i, j, k, l ∈ {1, 2, 3}.
Dimostrazione. Si assuma che il materiale sia iperelastico. Per due generici tensori simmetrici E1 , E2 ∈ Sym si consideri la funzione φ : R × R → R definita da φ(s1 , s2 ) := Φ(s1 E1 + s2 E2 ).
5.2 Materiali iperelastici lineari
127
Per il teorema di Schwarz, si avr`a ∂s1 ∂s2 φ = ∂s2 ∂s1 φ.
(5.12)
Calcoliamo dunque queste derivate. Abbiamo ∂s1 φ = ∂E Φ(s1 E1 + s2 E2 ) · E1 = C[s1 E1 + s2 E2 ] · E1 e ∂s2 ∂s1 φ = CE2 · E1 . In maniera analoga, si ha ∂s1 ∂s2 φ = CE1 · E2 e quindi CE1 · E2 = E1 · CE2 . Quest’ultima identit`a equivale alla simmetria maggiore, si veda l’Esercizio 5.26. Si assuma ora valida la simmetria maggiore. Dato che Tij = Cijkl Ekl (e ovviamente Tkl = Cklij Eij ), si ha ∂Tij ∂Tkl = Cijkl = Cklij = ∂Ekl ∂Eij e quindi, essendo Sym semplicemente connesso (lo possiamo identificare con R6 ), si deduce l’esistenza di un potenziale Φ tale che Tij = ∂Φ/∂Eij . Qui abbiamo utilizzato il risultato di Analisi che afferma che una forma chiusa su un dominio semplicemente connesso `e esatta, ovvero il risultato: se il campo vettoriale a : D ⊂ Rn → Rn `e continuamente differenziabile, il dominio D `e un aperto semplicemente connesso e a soddisfa le equazioni ∂ai ∂aj = ∂xj ∂xi
∀i, j = 1, 2, . . . , n,
allora esiste una funzione ϕ : D → R tale che ai =
∂ϕ ∂xi
∀i = 1, 2, . . . , n.
Per un materiale iperelastico lineare le componenti linearmente indipendenti di C sono 21. Infatti, dato che Cijkl = Cklij e che le coppie ij e kl possono assumere sei valori, possiamo pensare a Cijkl come ad una matrice simmetrica 6 × 6 (costruiremo tale matrice nella Sezione 5.5.1) che `e caratterizzata esattamente da 21 coefficienti. Teorema 5.7. Sia C il tensore di elasticit` a di un materiale iperelastico lineare. La densit` a di energia elastica Φ associata, tramite la (5.10), a C, `e data, a meno di una costante additiva, da Φ(x, E) =
1 C(x)E · E. 2
128
5 Equazioni costitutive
Dimostrazione. Per semplicit`a di notazione omettiamo la trascrizione del punto x. Definiamo 1 Φ(E) := CE · E 2 e dimostriamo che ∂E Φ(E) = CE = T. Si tratta di dimostrare, si veda la Sezione 1.3, che e − Φ(E) − CE · E| e |Φ(E + E) = 0. e e |E|→0 |E| lim
e ∈ Sym, si ha Allora, per ogni E, E e = Φ(E) + 1 (CE · E e + CE e · E) + 1 CE e · E, e Φ(E + E) 2 2 e grazie alla simmetria maggiore e = Φ(E) + CE · E e + 1 CE e · E. e Φ(E + E) 2 Pertanto, e − Φ(E) − CE · E| e = |Φ(E + E)
1 e e 1 e 2, |CE · E| ≤ |C||E| 2 2
da cui deduciamo che e − Φ(E) − CE · E| e |Φ(E + E) 1 e = 0, ≤ lim |C||E| e e e 2 |E|→0 |E|→0 |E|
0 ≤ lim
che corrisponde alla tesi.
Grazie al teorema appena dimostrato, possiamo interpretare la (5.9), ovvero la positivit`a del tensore di elasticit`a C. Infatti, riscrivendo la (5.9) come Φ(x, E) > 0 ∀E ∈ Sym : E 6= 0, ∀x ∈ Ω, deduciamo che la definita positivit`a di C equivale a chiedere che per deformare un corpo (produrre una E 6= 0) bisogna necessariamente spendere energia.
5.3 Simmetrie materiali In questa sezione definiamo le simmetrie di un materiale elastico lineare. Pi` u precisamente, sia κ una configurazione rispetto alla quale il corpo ha una equazione costitutiva elastica lineare, T = CE, e sia x = κ(X) il punto occupato dal punto materiale X nella configurazione κ. Di seguito definiamo le simmetrie della funzione di risposta, T = CE, nel punto x. Le definizioni che diamo valgono per lo specifico punto x considerato; chiaramente se la
5.3 Simmetrie materiali
129
configurazione κ `e omogenea, allora le definizioni che seguono si applicano non solo al punto x ma a tutti i punti della regione occupata dal corpo. Dovendo analizzare il comportamento in un punto, l’analisi sar` a locale. Nella spiegazione che segue, chiamiamo in maniera generica, ma speriamo intuitiva, materiale una “piccolissima” regione attorno al punto x. Iniziamo con una “semi-definizione”: diremo che una rotazione Q rappresenta una simmetria del materiale se rotazioni del materiale di Q non possono essere rilevate con degli esperimenti deformazione-tensione. In altre parole, i risultati ottenuti tramite un qualsiasi esperimento deformazione-tensione condotto sul materiale coincidono con i risultati che si ottengono tramite lo stesso esperimento deformazione-tensione condotto sul materiale ruotato di Q. Proviamo a fare degli esempi per cercare di spiegare quanto appena affermato. Immaginiamo di avere un materiale composito costituito da una matrice in cui sono immerse delle fibre lungo la direzione e1 , e consideriamo Q = R(π/2; e3 ), ossia una rotazione di π/2 attorno all’asse e3 . Immaginiamo quindi di fare due esperimenti:
e2 e1 ⇑ EQ E ⇒
1. nel primo misuriamo la tensione necessaria a produrre un’estensione pari ad ε in direzione e1 , cio`e imponendo una deformazione infinitesima E = εe1 ⊗ e1 ; 2. nel secondo misuriamo la tensione necessaria a produrre un’estensione sempre pari ad ε ma ruotata di Q (anzich´e ruotare il materiale ruotiamo la deformazione). Quindi imponiamo un’estensione ε in direzione e2 , ovvero imponiamo una deformazione EQ = εe2 ⊗ e2 . Si noti che EQ = εQe1 ⊗ Qe1 . Data la peculiarit`a del materiale, ci aspettiamo che la tensione misurata nel primo esperimento sia diversa dalla tensione misurata nel secondo esperimento, e quindi la rotazione Q = R(π/2; e3 ) non rappresenta una simmetria del materiale. Se per caso le tensioni in questi due esperimenti sarebbero risultate uguali, non avremmo comunque potuto trarre conclusioni: possiamo concludere che Q rappresenta una simmetria del materiale solamente dopo aver considerato tutte le possibili deformazioni E, e non una soltanto. Invece, la rotazione R(π; e3 ) rappresenta una simmetria del materiale visto che non riusciamo a distinguere il materiale ruotato di R(π; e3 ) da quello non ruotato. Stesse considerazioni valgono per R(π; e1 ) ed R(π; e2 ). Nella discussione fatta fino a questo momento siamo stati molto vaghi nel trattare le tensioni. Prima di formalizzare le simmetrie, cerchiamo di capire
130
5 Equazioni costitutive
che cosa significa misurare la stessa tensione in due esperimenti diversi, tipo quelli descritti sopra. Immaginiamo di poter fare delle prove monoassiali su un materiale. Imponendo un’estensione ε in direzione 1 misuriamo uno sforzo normale uguale a σ in direzione 1: E = εe1 ⊗ e1 T = σe1 ⊗ e1 . Ora facciamo lo stesso esperimento ma in una direzione ruotata di Q = R(π/2; e3 ). Quindi applichiamo una estensione ε in direzione 2 e misuriamo la tensione σ Q in direzione 2 (e non 1): EQ = εe2 ⊗ e2
TQ = σ Q e2 ⊗ e2 .
Chiaramente diremo che la tensione, nei due esperimenti, `e la stessa quando σ = σQ , e non quando T = TQ . Cerchiamo di generalizzare i concetti esposti. Sia E una generica deformazione infinitesima. Dato che E ∈ Sym si avr` a, dal teorema spettrale, che 3 X E= εi v i ⊗ v i , i=1
dove εi sono gli autovalori di E e vi i suoi autovettori (ortonormali). Quindi, E consiste in tre estensioni pure di entit`a εi in direzione vi . Vogliamo ora definire EQ , ossia E ruotata di Q. La deformazione EQ consiste nell’applicare le stesse estensioni εi in direzioni ruotate di Q, ossia lungo le direzioni Qvi . Per cui EQ :=
3 X
εi Qvi ⊗ Qvi ,
i=1
che si pu`o riscrivere come EQ = Q
3 X
εi vi ⊗ vi QT = QEQT .
i=1
Indichiamo con T := CE
e
TQ := CEQ = C[QEQT ]
le risposte alle deformazioni E e EQ . Essendo i tensori degli sforzi simmetrici, si potranno scrivere come
5.3 Simmetrie materiali
T=
3 X
σ i ti ⊗ ti
TQ =
e
i=1
3 X
131
Q σiQ tQ i ⊗ ti .
i=1
Quindi, T consiste in tre tensioni normali pure di entit` a σi in direzione ti , mentre TQ consiste in tre tensioni normali pure di entit` a σiQ in direzione tQ i . Diremo che Q ∈ SO(3) rappresenta una simmetria del corpo se per ogni deformazione E si ha che σi = σiQ
e
tQ i = Qti ,
ossia se E e EQ producono le stesse tensioni principali in direzioni ruotate di Q. Pertanto, se Q rappresenta una simmetria: C[QEQT ] = CEQ = TQ =
3 X
σi Qti ⊗ Qti
i=1
= Q(
3 X
σi ti ⊗ ti )QT = QTQT = QC[E]QT .
i=1
Dunque, Q ∈ SO(3) rappresenta una simmetria se C[QEQT ] = QC[E]QT
∀E ∈ Sym.
Definizione 5.8. L’insieme G := {Q ∈ SO(3) : C[QEQT ] = QC[E]QT
∀E ∈ Sym}
(5.13)
viene chiamato gruppo di simmetria e i suoi elementi rappresentano le simmetrie del materiale. Esercizio 5.9. Ricordiamo che un gruppo G `e un insieme su cui `e definita un’operazione binaria ∗ : G × G → G associativa, avente un elemento neutro e (e ∗ g = g ∗ e = g per ogni g ∈ G) e ogni elemento g ha un inverso g −1 (g ∗ g −1 = g −1 ∗ g = e). Dimostrare che G con l’operazione di composizione `e un gruppo. 5 Soluzione. Iniziamo col dimostrare che la composizione `e un’operazione binaria, cio`e Q, R ∈ G implica QR ∈ G. Ci` o `e vero in quanto C[QRERT QT ] = QC[RERT ]QT = QRC[E]RT QT . Inoltre, la composizione `e un’operazione associativa e l’elemento neutro I ∈ G. Infine, facciamo vedere che se Q ∈ G allora pure Q−1 = QT ∈ G. Se Q ∈ G, allora ˜ T ] = QC[E]Q ˜ T per ogni E ˜ ∈ Sym in particolare per E ˜ = QT EQ. Quindi C[QEQ C[QQT EQQT ] = QC[QT EQ]QT , da cui otteniamo
132
5 Equazioni costitutive QT C[E]Q = C[QT EQ]. 4
Indichiamo, come fatto precedentemente, con R(α, e) la rotazione di α attorno all’asse con direzione e. Dall’esercizio precedente si ha che se R(α, e) ∈ G allora R(nα, e) ∈ G per ogni numero naturale n (perch´e?). Il pi` u piccolo gruppo di simmetria `e G = {I} mentre il pi` u grande gruppo di simmetria `e G = SO(3). Tra questi due estremi ci sono diversi gruppi di simmetria. Pi` u grande `e il gruppo di simmetria, maggiori sono le equazioni che il tensore di elasticit`a dovr`a soddisfare: per ogni Q ∈ G il tensore di elasticit` a dovr`a soddisfare l’equazione C[QEQT ] = QC[E]QT per ogni E ∈ Sym. Dunque, all’aumentare delle simmetrie, diminuiscono le componenti del tensore di elasticit`a linearmente indipendenti. Se G = {I} il tensore di elasticit` a ha 36 componenti linearmente indipendenti (21 se `e iperelastico lineare), mentre se G = SO(3) le componenti linearmente indipendenti sono soltanto 2, come vedremo nella prossima sezione.
5.4 Materiali isotropi Iniziamo con la definizione. Definizione 5.10. Un materiale `e detto isotropo se la risposta elastica `e la stessa in tutte le direzioni, ossia se il gruppo di simmetria G = SO(3). Il seguente teorema caratterizza completamente il tensore di elasticit` a di un materiale isotropo. Teorema 5.11. Un materiale elastico lineare `e isotropo se e solo se esistono due costanti λ e µ (chiamate costanti di Lam´e) tali che CE = 2µE + λ(tr E)I,
(5.14)
per ogni E ∈ Sym. Dimostrazione. Assumiamo che valga la (5.14) e dimostriamo che G = SO(3). Per Q ∈ SO(3), si ha C[QEQT ] = 2µQEQT + λ(tr QEQT )I, ma la traccia `e un invariante, infatti tr QEQT = QEQT · I = EQT · QT = E · QT Q = E · I = tr E, per cui C[QEQT ] = 2µQEQT + λ(tr E)I = 2µQEQT + λ(tr E)QQT = Q(2µE + λ(tr E)I)QT = QC[E]QT
5.4 Materiali isotropi
133
e quindi Q ∈ G. Pertanto, G = SO(3). Dimostriamo ora che se G = SO(3), allora segue la rappresentazione (5.14). In questa seconda parte della dimostrazione scriviamo esplicitamente le sommatorie e quindi indici ripetuti non implicano sommatoria. Si consideri E ∈ Sym. Dal teorema spettrale, si ha E=
3 X
εi v i ⊗ v i =
i=1
3 X
εi V i
i=1
dove i vi sono gli autovettori (ortonormali) di E e dove abbiamo posto Vi := vi ⊗ vi . •
Dimostriamo che v1 , v2 e v3 sono autovettori anche di CE. Sia Qi = R(π; vi ). Allora, Qi vi = vi e Qi vj = −vj per i 6= j e Qi = QTi (perch´e?). Semplici passaggi conducono a Qi EQTi = E da cui si deduce che C[E] = C[Qi EQTi ] = Qi C[E]QTi . Per i 6= j abbiamo C[E]vi · vj = Qi C[E]QTi vi · vj = C[E]QTi vi · QTi vj = −C[E]vi · vj e quindi C[E]vi · vj = 0. Ci`o equivale a dire che C[E]vi `e parallelo a vi ossia che C[E]vi = ci vi . Dunque vi `e un autovettore di C[E].
Dal teorema spettrale segue che C[E] =
3 X
ci vi ⊗ vi =
i=1
che si riscrive anche come, visto che E = 3 X i=1
εi C[Vi ] =
3 X
c i Vi ,
(5.15)
i=1
P3
i=1 εi Vi ,
3 X
c i Vi .
i=1
Moltiplicando scalarmente per Vk , si trova ck =
3 X i=1
εi C[Vi ] · Vk =
3 X i=1
Cki εi ,
(5.16)
134
5 Equazioni costitutive
dove abbiamo posto Cki := Vk · C[Vi ]. Riassemblando le (5.15) e (5.16) giungiamo a C[E] =
3 X 3 X
Cki εi Vk .
(5.17)
k=1 i=1
•
Dimostriamo che C11 = C22 = C33 e C12 = C23 = C31 = C21 = C32 = C13 . Dato che G = SO(3), si ha C[QVi QT ] = QC[Vi ]QT
∀Q ∈ SO(3)
e quindi segue che Cki = QT C[QVi QT ]Q · Vk = C[QVi QT ] · QVk QT per ogni Q ∈ SO(3). Si prenda Q ∈ SO(3) tale che Qv1 = v2 , Qv2 = v3 e Qv3 = v1 . Allora QV1 QT = V2 , QV2 QT = V3 e QV3 QT = V1 da cui segue che C11 = C[V1 ] · V1 = C[QV1 QT ] · QV1 QT = C[V2 ] · V2 = C22 = C[QV2 QT ] · QV2 QT = C[V3 ] · V3 = C33 e C21 = C[V1 ] · V2 = C[QV1 QT ] · QV2 QT = C[V2 ] · V3 = C32 = C[QV2 QT ] · QV3 QT = C[V3 ] · V1 = C13 . Inoltre, con Q ∈ SO(3) tale che Qv1 = v2 , Qv2 = −v1 e Qv3 = v3 , otteniamo C12 = C[V2 ] · V1 = C[QV2 QT ] · QV1 QT = C[V1 ] · V2 = C21 . In maniera analoga si dimostra che C32 = C23 e C31 = C13 . •
Le costanti C11 e C21 non dipendono da vi . Si prenda Q ∈ SO(3) tale che Qvi = ei . Allora, QVi QT = ei ⊗ ei e quindi C11 = C[V1 ] · V1 = C[QV1 QT ] · QV1 QT = C[e1 ⊗ e1 ] · e1 ⊗ e1 e C21 = C[V1 ] · V2 = C[QV1 QT ] · QV2 QT = C[e1 ⊗ e1 ] · e2 ⊗ e2 .
5.4 Materiali isotropi
135
Poniamo λ := C21 e 2µ := C11 − λ. Dalle identit` a precedentemente ottenute, ricaviamo che ( λ if i 6= k Cik = = λ + 2µδik 2µ + λ if i = k e dalla (5.17) segue che C[E] =
3 X 3 X
(λ + 2µδik )εi Vk = λ
k=1 i=1
=λ
3 X
3 X
Vk
k=1
3 X i=1
εi + 2µ
3 X
εk Vk
k=1
Vk tr E + 2µE = λI tr E + 2µE,
k=1
dato che, per la 4. dell’Esercizio 1.2,
P3
k=1
Vk = I.
Materiali isotropi sono iperelastici. Teorema 5.12. Un materiale elastico lineare isotropo `e iperelastico lineare. Dimostrazione. Sia CE = 2µE + λ(tr E)I, per ogni E ∈ Sym. Dal Teorema 5.6 il materiale `e iperelastico lineare se e solo se CE1 · E2 = E1 · CE2 , per ogni E1 , E2 ∈ Sym. Per materiali isotropi si ha CE1 · E2 = (2µE1 + λ(tr E1 )I) · E2 = 2µE1 · E2 + λ(tr E1 )(tr E2 ) = E1 · CE2 . Nella prossima definizione, introduciamo due particolari classi di tensori del secondo ordine. Definizione 5.13. Un tensore del secondo ordine `e detto idrostatico se `e multiplo del tensore identit` a. Un tensore del secondo ordine `e detto deviatorico se `e ortogonale all’identit` a. Un tensore idrostatico Aidr soddisfa l’equazione Aidr = aI per a ∈ R e uno deviatorico Adev soddisfa l’equazione Adev · I = 0. Dimostriamo che ogni tensore del secondo ordine pu` o essere decomposto in una parte idrostatica ed in una deviatorica. Teorema 5.14. Dato un tensore del secondo ordine A, esistono un unico tensore idrostatico Aidr ed un unico tensore deviatorico Adev tali che A = Aidr + Adev . Inoltre, Aidr =
tr A I. 3
136
5 Equazioni costitutive
Dimostrazione. Dato un tensore A, si ponga Aidr := tr A/3 I e Adev := A − Aidr . Segue facilmente che Adev `e un tensore deviatorico. Verifichiamo l’unicit`a della decomposizione. Assumiamo che A possa essere scritto come somma di un multiplo dell’identit`a e di un tensore deviatorico, ossia come ˜ dev per un opportuno numero reale a e un opportuno tensore A = aI + A ˜ dev . Moltiplicando questa identit`a scalarmente per I, si ha tr A = deviatorico A ˜ dev ) · I = 3a. Pertanto, ricaviamo A · I = (aI + A a=
tr A 3
e
˜ dev = A − tr A I. A 3
Il prossimo risultato ci permette di invertire, quando possibile, in maniera agevole il tensore di elasticit`a. Afferma che: in materiali elastici lineari ed isotropi, deformazioni idrostatiche (deviatoriche) producono solamente tensioni idrostatiche (deviatoriche). Lemma 5.15. Per un materiale elastico lineare isostropo valgono le seguenti relazioni: Tidr = (2µ + 3λ)Eidr (5.18) Tdev = 2µEdev dove Tidr , Eidr e Tdev , Edev sono le parti idrostatiche e deviatoriche di T = CE ed E. Dimostrazione. Segue da un semplice conto. Infatti, dalla (5.14) otteniamo tr T = (2µE + λ(tr E)I) · I = 2µ tr E + 3λ tr E da cui segue la prima delle (5.18). Per sottrazione otteniamo la seconda: tr T 2µ + 3λ I = 2µE + λ(tr E)I − (tr E)I 3 3 1 = 2µ(E − (tr E)I). 3
Tdev = T −
Studiando la positivit`a del tensore di elasticit` a, deduciamo quali valori possono assumere le costanti di Lam´e. Teorema 5.16. Il tensore di elasticit` a lineare rappresentato dalla (5.14) `e definito positivo se e solo se ( 2µ + 3λ > 0, (5.19) µ > 0. Dimostrazione. Sia E ∈ Sym un generico tensore e sia T = CE. Allora, utilizzando l’ortogonalit`a tra le parti idrostatiche e deviatoriche, si ha
5.4 Materiali isotropi
137
CE · E = T · E = (Tidr + Tdev ) · (Eidr + Edev ) = Tidr · Eidr + Tdev · Edev = (2µ + 3λ)|Eidr |2 + 2µ|Edev |2 , dove abbiamo utilizzato la (5.18). Da questa identit` a segue (perch´e?) l’enunciato del teorema. Nel prossimo teorema, determiniamo il tensore di cedevolezza di un materiale isotropo. Teorema 5.17. Il tensore di cedevolezza C−1 del tensore di elasticit` a lineare C definito positivo e rappresentato dalla (5.14) `e dato da C−1 T =
1 λ T− (tr T)I 2µ 2µ(2µ + 3λ)
(5.20)
per ogni T ∈ Sym. Dimostrazione. Dal Lemma 5.15, deduciamo 1 1 dev Tidr + T 2µ + 3λ 2µ 1 tr T 1 tr T = I+ (T − I) 2µ + 3λ 3 2µ 3 1 λ = T− (tr T)I 2µ 2µ(2µ + 3λ)
E = Eidr + Edev =
da cui il risultato. Ponendo
1+ν 1 := E 2µ
e
ν λ := , E 2µ(2µ + 3λ)
(5.21)
la (5.20) si riscrive in maniera pi` u compatta come C−1 T =
1+ν ν T − (tr T)I. E E
(5.22)
Dalle (5.21), si trova ν=
λ , 2(λ + µ)
E=
µ(2µ + 3λ) , λ+µ
(5.23)
e anche
E νE , λ= . (5.24) 2(1 + ν) (1 + ν)(1 − 2ν) Il parametro ν viene chiamato coefficiente di Poisson, mentre E modulo di Young. Invertendo la (5.22) troviamo, si veda l’Esercizio 5.28, E ν (tr E)I . T= E+ 1+ν 1 − 2ν µ=
I valori che possono assumere ν ed E sono specificati nel prossimo risultato.
138
5 Equazioni costitutive
Teorema 5.18. Il tensore di elasticit` a lineare isotropo `e definito positivo se e solo se E > 0, (5.25) − 1 < ν < 1. 2 Dimostrazione. Il tensore C `e definito positivo se e solo se C−1 `e definito positivo. Mettendo in evidenza la parte idrostatica e deviatorica E=
1 + ν idr 3ν idr 1 + ν dev 1 − 2ν idr (T + Tdev ) − T = T + T , E E E E
si deduce che C−1 `e definito positivo se e solo se 1+ν >0 E
e
1 − 2ν > 0. E
o
{ν < −1 e E < 0},
o
{ν >
Dalla prima deduciamo che {ν > −1 e E > 0} mentre dalla seconda si ha {ν
0} 2
1 e E < 0}. 2
Si deduce immediatamente che se E < 0 non si ha soluzione, e quindi l’unica soluzione `e data dalla (5.25). Nella tabella sottostante vengono riportati valori approssimativi, per diversi materiali, della densit`a di massa ρ, del modulo di Young E, del coefficiente di Poisson ν e del coefficiente di dilatazione termica α, che verr` a discusso nella Sezione 5.6. ρ [kg/m3 ] E [GP a] Acciaio 7860 200-210 Alluminio 2700 70-80 Rame 8900 120 Calcestruzzo 2400-2500 25-30 Gomma 900 0 implica che T12 ha lo stesso segno di γ o, in maniera pi` u intuitiva, se T12 “spinge verso destra” il corpo “scorre verso destra”, come `e lecito aspettarsi. Questa osservazione e il Teorema 5.16 rendono, almeno parzialmente, plausibile l’ipotesi di positivit`a del tensore di elasticit` a. Consideriamo una dilatazione uniforme infinitesima: E=
v I, 3
la cui traccia `e tr E = v e quindi, si riveda la Sezione 2.7.2, la costante v rappresenta la variazione relativa di volume. Dalla (5.26), ma anche dalla prima delle (5.18), si deduce che v T = (2µ + 3λ) I 3
140
5 Equazioni costitutive
e indicando con σ :=
2µ + 3λ v, 3
σ si ha
T = σI.
Quindi, il rapporto tra la tensione idrostatica, σ, e la variazione relativa di volume, v, `e σ 2µ + 3λ = =: κ. v 3 La costante κ viene chiamata modulo di elasticit` a volumetrica. Il parametro κ `e la tensione idrostatica, σ, necessaria ad imprimere una variazione relativa di volume, v, unitaria. Ci si aspetta che a trazioni idrostatiche σ > 0 corrisponda un incremento di volume v > 0 e quindi che κ sia positivo. L’ipotesi di positivit`a del tensore di elasticit`a, come stabilito dal Teorema 5.16, implica la positivit`a di κ. σ Consideriamo una tensione semplice di intensit`a σ in direzione e3 : T = σe3 ⊗ e3 . Dall’equazione costitutiva (5.27), ricaviamo σ E=
1+ν ν 1 ν σe3 ⊗ e3 − σI = σe3 ⊗ e3 − σ(e1 ⊗ e1 + e2 ⊗ e2 ), E E E E
ossia
− Eν σ 0 0 [E] = 0 − Eν σ 0 . 0 0 E1 σ
Pertanto, E33 = σ/E e quindi E=
σ . E33
σ α
tan α = E E33
Il modulo di Young rappresenta il rapporto tra lo sforzo e l’allungamento relativo lungo l’asse di sollecitazione. Con trazioni ci aspettiamo allungamenti e quindi E deve essere positivo, come previsto dalla positivit` a del tensore di elasticit`a e dal Teorema 5.18. Notiamo inoltre che E11 = E22 = −νσ/E; pertanto
5.5 Materiali anisotropi
141
σ ν=−
E11 E22 =− E33 E33
rappresenta il rapporto tra l’allungamento relativo in direzioni ortogonali al carico e l’allungamento relativo lungo la direzione di carico. σ Quando i materiali “tradizionali” vengono stirati in direzione e3 , ossia E33 > 0, tendono a contrarsi nelle direzioni e1 ed e2 , ovvero E11 , E22 < 0; tali materiali hanno un coefficiente di Poisson positivo. La positivit` a del tensore di elasticit`a permette, in base al Teorema 5.18, a ν di assumere valori negativi. I materiali con ν < 0 vengono chiamati materiali auxetici e si dilatano trasversalmente quando tesi longitudinalmente. Questi materiali sono molto rari in natura, ma possono essere fabbricati artificialmente. Nella figura sottostante `e rappresentata una “microstruttra” con comportamento auxetico. σ
σ
5.5 Materiali anisotropi Iniziamo lo studio dei materiali anisotropi dando una rappresentazione matriciale dell’equazione costitutiva. 5.5.1 Rappresentazione matriciale di C I tensori simmetrici del secondo ordine hanno 6 componenti linearmente indipendenti e quindi possiamo vedere Sym come uno spazio vettoriale di dimensione 6. Una base, di tale spazio, `e {BJ : J = 1, 2, . . . , 6} con
142
5 Equazioni costitutive
B1 := e1 ⊗ e1 ,
B2 := e2 ⊗ e2 ,
B3 := e3 ⊗ e3 ,
e2 ⊗ e3 + e3 ⊗ e2 e1 ⊗ e3 + e3 ⊗ e1 B4 := , B5 := , 2 2 e1 ⊗ e2 + e2 ⊗ e1 B6 := . 2 Infatti, se E ∈ Sym si ha
& ←− & ↑ &
E = E11 B1 + E22 B2 + E33 B3 + 2E23 B4 + 2E13 B5 + 2E12 B6 . Indicando con EJ le componenti di E rispetto alla base {BJ : J = 1, 2, . . . , 6} possiamo scrivere E = E J BJ , e dedurre, dalle due precedenti identit`a, che E1 = E11 , E2 = E22 , E2 = E33 , E4 = 2E23 , E5 = 2E13 , E6 = 2E12 . (5.28) Considerazioni analoghe valgono per un qualsiasi tensore simmetrico, in particolare per T: T1 = T11 , T2 = T22 , T2 = T33 , T4 = 2T23 , T5 = 2T13 , T6 = 2T12 .
(5.29)
Dalla scrittura in componenti T = TK BK e E = EJ BJ e dalla (5.8), T = CE, deduciamo che TK BK = EJ CBJ e moltiplicando scalarmente per BI si arriva a BI · BK TK = BI · CBJ EJ .
(5.30)
Poniamo CIJ := BI · CBJ e osserviamo che dalla (5.7): Cijkl =
ei ⊗ ej + e j ⊗ ei ek ⊗ el + el ⊗ ek ·C , 2 2
si ha I, J ij, kl CIJ = Cijkl
con la corrispondenza 1 2 3
ad esempio C25 = C2213 .
11 22 33
I, J ij, kl 4 5 6
23 , 13 12
5.5 Materiali anisotropi
143
Esercizio 5.19. Verificare che la base {BJ : J = 1, 2, . . . , 6} `e ortogonale ma non ortonormale. In particolare, verificare che BI · BJ = 0
∀I 6= J
e, senza la sommatoria su I, BI · BI = 1
I = 1, 2, 3
e
BI · BI =
1 2
I = 4, 5, 6. 5
Tenendo presente l’Esercizio 5.19, la (5.30) diventa TI = CIJ EJ for I = 1, 2, 3
e
1 TI = CIJ EJ for I = 4, 5, 6, 2
che in maniera pi` u esplicita, visto le (5.28) e (5.29), si riscrive come T11 C1111 C1122 C1133 C1123 C1113 C1112 E11 T22 C2211 C2222 C2233 C2223 C2213 C2212 E22 T33 C3311 C3322 C3333 C3323 C3313 C3312 E33 = T23 C2311 C2322 C2333 C2323 C2313 C2312 2E23 . T13 C1311 C1322 C1333 C1323 C1313 C1312 2E13 T12 C1211 C1222 C1233 C1223 C1213 C1212 2E12
(5.31)
La notazione introdotta viene spesso chiamata notazione di Voigt. 5.5.2 Studio delle simmetrie di materiali iperelastici In questa sezione studieremo diverse simmetrie di materiali iperelastici lineari. Per studiare le simmetrie conviene eliminare dalla definizione di gruppo la dipendenza da E. Utilizzando la notazione introdotta nella Sezione 5.5.1, possiamo scrivere G := {Q ∈ SO(3) : C[QBJ QT ] = QC[BJ ]QT ,
J = 1, 2, 3, 4, 5, 6}.
Per Q ∈ G si ha CIJ = BI · C[BJ ] = BI · QT C[QBJ QT ]Q = QBI QT · C[QBJ QT ] e ponendo e I := QBI QT B
e
e IJ := B e I · CB eJ C
(5.32)
abbiamo che Q ∈ G implica che e IJ . CIJ = C
(5.33)
144
5 Equazioni costitutive
Piano di simmetria materiale Un corpo ha un piano di simmetria materiale se la funzione di risposta non distingue una deformazione dalla deformazione riflessa da tale piano, che fisicamente significa che le propriet`a materiali rimangono inalterate da una riflessione attraverso tale piano. Detto in maniera pi` u diretta, un piano di normale n `e un piano di simmetria materiale se R(π; n) ∈ G.
n = e3
e1
e2
Nelle frasi soprastanti abbiamo parlato di riflessioni per poi utilizzare una rotazione. Il semplice esempio che segue dimostra la relazione tra riflessioni e rotazioni. Assumendo n = e3 e indicando con Q = R(π, n), abbiamo −1 0 [Q] = 0 −1 0 0
0 0 , 1
mentre
10 0 [−Q] = 0 1 0 0 0 −1 rappresenta una riflessione attraverso il piano x1 − x2 . In generale, se Q ∈ SO(3) allora −Q `e un tensore ortogonale che, per` o, non appartiene a SO(3). Visto che nella definizione di gruppo di simmetria (5.13) compaiono un numero pari di Q `e possibile ampliare, senza conseguenze, il dominio da SO(3) ai tensori ortogonali. Noi continueremo per`o a lavorare in SO(3). Simmetria monoclina nel piano 1-2 Un materiale ha simmetria monoclina se ammette un piano di simmetria materiale. Assumiamo, senza perdita di generalit` a, che il piano di simmetria sia il piano x1 − x2 e quindi che G = {I, R(π, e3 )}. Ponendo Q = R(π, e3 ), si ha Qe1 = −e1 ,
Qe2 = −e2 ,
Qe3 = e3
e quindi e 1 = B1 , B
e 2 = B2 , B
e 3 = B3 , B
e 4 = −B4 , B
e 5 = −B5 , B
e 6 = B6 . B
Pertanto, la (5.33) produce equazioni non banali quando J ∈ {4, 5}. Dalla seconda delle (5.32) si deduce che
5.5 Materiali anisotropi
e I4 = −CI4 C
I = 1, 2, 3, 6
e
e I5 = −CI5 C
I = 1, 2, 3, 6,
e
CI5 = −CI5
I = 1, 2, 3, 6.
145
e imponendo la (5.33) otteniamo CI4 = −CI4
I = 1, 2, 3, 6
Da queste identit`a segue che CI4 = CI5 = 0 per I = 1, 2, 3, 6. La simmetria monoclina trasforma la (5.31) in T11 C1111 C1122 C1133 0 0 C1112 E11 T22 C2222 C2233 0 0 C2212 E22 T33 C3333 0 0 C3312 E33 = . (5.34) T23 C2323 C2313 0 2E23 T13 C1313 0 2E13 T12 sym C1212 2E12 da cui si evince che C ha 13 componenti linearmente indipendenti. Notiamo inoltre che le componenti di C nulle sono quelle in cui l’indice 3 compare un numero dispari di volte. Simmetria ortotropa Un materiale si dice che ha simmetria ortotropa se ammette tre piani di simmetria ortogonali tra di loro. Senza perdita di generalit`a, assumiamo che G = {I, R(π, e1 ), R(π, e2 ), R(π, e3 )}. Si osservi che R(π, e1 )e1 = e1 ,
R(π, e3 )R(π, e2 )e1 = R(π, e3 )(−e1 ) = e1 ,
R(π, e1 )e2 = −e2 ,
R(π, e3 )R(π, e2 )e2 = R(π, e2 )e2 = −e2 ,
R(π, e1 )e3 = −e3 ,
R(π, e3 )R(π, e2 )e3 = R(π, e3 )(−e3 ) = −e3 ,
per cui R(π, e1 ) = R(π, e3 )R(π, e2 ) e quindi G `e il gruppo generato da R(π, e2 ) e R(π, e3 ). Deduciamo che se un materiale ammette due piani di simmetria materiale ortogonali allora `e un materiale ortotropo. Inoltre, per dedurre i vincoli imposti dalle simmetrie baster`a considerare solamente due rotazioni. La rotazione R(π, e3 ) annulla tutte le componenti di C in cui l’indice 3 compare un numero dispari di volte (simmetria monoclina). Analogamente, la rotazione R(π, e2 ) annulla tutte le componenti di C in cui l’indice 2 compare o una o tre volte. L’equazione costitutiva quindi `e
146
5 Equazioni costitutive
T11 C1111 C1122 C1133 0 0 0 E11 T22 C2222 C2233 0 0 0 E22 T33 C3333 0 0 0 E33 = , T23 C2323 0 0 2E23 T13 C1313 0 2E13 T12 sym C1212 2E12
(5.35)
dove il numero di componenti linearmente indipendenti `e pari a 9. Osservazione 5.20. In questa osservazione, utilizzando argomenti simili a quelli usati nella Sezione 5.4.1 per i materiali isotropi, riscriviamo la (5.35) tramite costanti elastiche interpretabili fisicamente. Riscriviamo esplicitamente la (5.35): T11 = C1111 E11 + C1122 E22 + C1133 E33 , T22 = C1122 E11 + C2222 E22 + C2233 E33 , T33 = C1133 E11 + C2233 E22 + C3333 E33 ,
(5.36)
T23 = 2C2323 E23 , T13 = 2C1313 E13 , T12 = 2C1212 E12 . Poniamo µ23 := C2323 ,
µ13 := C1313 ,
µ12 := C1212 ,
per poter scrivere T23 = 2µ23 E23 ,
T13 = 2µ13 E13 ,
T12 = 2µ12 E12 .
In particolare, abbiamo µ23 =
T23 2E23
T23 2E23
che possiamo interpretare come il modulo di elasticit` a tangenziale in direzione 23. In maniera analoga interpretiamo µ13 e µ12 . Invertendo le prime tre equazioni della (5.36), si ottiene E11 = A11 T11 + A12 T22 + A13 T33 , E22 = A12 T11 + A22 T22 + A23 T33 , E33 = A13 T11 + A23 T22 + A33 T33 , per opportuni valori Aij = Aji . Consideriamo una tensione semplice in direzione 3 di intensit`a σ; in particolare, si ha T11 = T22 = 0 e T33 = σ.
5.5 Materiali anisotropi
Con questa posizione, le equazioni costitutive si semplificano in
147
σ
E11 = A13 T33 , E22 = A23 T33 , E33 = A33 T33 . Definiamo il modulo di Young in direzione 3 E3 :=
T33 1 = , E33 A33 σ
il coefficiente di Poisson in direzione 2 per carichi in direzione 3 ν23 := −
E22 A23 =− = −E3 A23 , E33 A33
il coefficiente di Poisson in direzione 1 per carichi in direzione 3 ν13 := −
E11 A13 =− = −E3 A13 . E33 A33
In maniera analoga, possiamo definire i moduli di Young nelle direzioni 1 e 2 E1 :=
1 , A11
E2 :=
1 , A22
e i coefficienti di Poisson in direzione i per carichi in direzione j, per i 6= j, νij := −Ej Aij
non sommato su j.
Ricavando le costanti Aij da queste equazioni, si giunge a 1 ν12 ν13 T11 − T22 − T33 , E1 E2 E3 ν21 1 ν23 =− T11 + T22 − T33 , E1 E2 E3 ν31 ν32 1 =− T11 − T22 + T33 , E1 E2 E3 1 = T23 , 2µ23 1 = T13 , 2µ13 1 = T12 . 2µ12
E11 = + E22 E33 E23 E13 E12
Le costanti elastiche coinvolte sono 12 anzich´e 9, ma si deve imporre che Aij = Aji ; pertanto, le costanti soddisfano i tre vincoli
148
5 Equazioni costitutive
ν23 ν32 = , E3 E2
ν13 ν31 = , E3 E1
ν12 ν21 = . E2 E1 ♦
Simmetria cubica Un materiale ha simmetria cubica se ha le stesse simmetrie di un cubo, ossia se G `e il gruppo generato da R(π/2, e1 ), R(π/2, e2 ), R(π/2, e3 ). Sicuramente {I, R(π, e1 ), R(π, e2 ), R(π, e3 )} ⊂ G e quindi la rappresentazione (5.35) `e valida. Cerchiamo ulteriori vincoli. Si denoti con Q := R(π/2, e1 ). Allora, Qe1 = e1 ,
Qe2 = e3 ,
Qe3 = −e2
e quindi e 1 = B1 , B
e 2 = B3 , B
e 3 = B2 , B
e 4 = −B4 , B
e 5 = −B6 , B
e 6 = B5 . B
Dalla (5.33) ricaviamo ˜ 22 = C33 , C22 = C
˜ 12 = C13 C12 = C
e
˜ 55 = C66 . C55 = C
Analogamente con gli altri generatori del gruppo si ottiene C11 = C22 = C33 ,
C12 = C13 = C23
e
C44 = C55 = C66
e quindi T11 C1111 C1122 C1122 0 0 0 E11 T22 C1111 C1122 0 0 0 E22 T33 C1111 0 0 0 E33 = . T23 C1212 0 0 2E23 T13 2E13 C1212 0 T12 sym C1212 2E12
(5.37)
Il numero di componenti linearmente indipendenti si `e ridotto a 3. Osservazione 5.21. Possiamo riscrivere l’equazione costitutiva utilizzando le “costanti ingegneristiche” introdotte nell’Osservazione 5.20. L’inversa della matrice C1111 C1122 C1122 C1111 C1122 sym C1111
5.5 Materiali anisotropi
149
`e una matrice della forma
A11 A12 A12 A11 A12 . sym A11 Pertanto, come `e naturale aspettarsi, i tre moduli di Young introdotti nell’Osservazione 5.20 collassano in uno: E := E1 = E2 = E3 , come pure tutti i coefficienti di Poisson: ν := νij
∀i 6= j.
Inoltre, essendo C2323 = C1313 = C1212 , si ha µ := µ23 = µ13 = µ12 . L’equazione costitutiva si pu`o quindi scrivere come: 1 T11 − E ν = − T11 + E ν = − T11 − E 1 = T23 , 2µ 1 = T13 , 2µ 1 = T12 , 2µ
E11 = + E22 E33 E23 E13 E12
ν T22 − E 1 T22 − E ν T22 + E
ν T33 , E ν T33 , E 1 T33 , E
♦
dove E, ν e µ sono tre variabili indipendenti.
Simmetria cubica pi` u R(π/4, e1 ) Al gruppo di simmetria di un materiale a simmetria cubica aggiungiamo la rotazione R(π/4, e1 ). Avremo G `e il gruppo generato da R(π/4, e1 ), R(π/2, e2 ), R(π/2, e3 ). Se Q := R(π/4, e1 ), allora √
Qe1 = e1 ,
√ 2 2 Qe2 = e2 + e3 , 2 2
e quindi, in particolare,
√
√ 2 2 Qe3 = − e2 + e3 2 2
150
5 Equazioni costitutive
e 2 = 1 B2 + 1 B3 + B4 . B 2 2 Dalla (5.33) ricaviamo ˜ 22 = ( 1 B2 + 1 B3 + B4 ) · C( 1 B2 + 1 B3 + B4 ), C22 = C 2 2 2 2 1 1 1 = C22 + C33 + C44 + C23 + C24 + C34 4 4 2 e tenendo presente la (5.37), si ottiene C1111 =
1 1 1 C1111 + C1111 + C1212 + C1122 , 4 4 2
da cui C1111 = 2C1212 + C1122 . Si dimostra che questo `e l’unico vincolo aggiuntivo imposto alla simmetria cubica. Ponendo λ := C1122 e µ := C1212 otteniamo T11 λ + 2µ λ λ T22 λ + 2µ λ T33 λ + 2µ = T23 T13 T12 sym
0 0 0 µ
0 0 0 0 µ
0 E11 0 E22 E33 0 0 2E23 0 2E13 µ 2E12
(5.38)
e quindi il numero di componenti di C linearmente indipendenti `e pari a 2. Il materiale ottenuto `e il materiale isotropo.
5.6 Variazioni termiche Iniziamo considerando un materiale omogeneo ed isotropo in cui tutti i punti materiali si trovano ad una temperatura T0 . Sperimentalmente si osserva che variazioni uniformi di temperatura inducono, in un corpo T > T0 T0 completamente libero di deformarsi, deformazioni idrostatiche: la gran parte dei materiali si espande (contrae) in maniera omotetica se la temperatura viene alzata (abbassata). Indicando con T la temperatura finale, si osserva che, con buona approssimazione, vale la seguente relazione: E(u) = α(T − T0 )I
5.6 Variazioni termiche
151
dove α `e il coefficiente di dilatazione termica del materiale, che pu` o variare con la temperatura e che ha le dimensioni dell’inverso della temperatura (1/C ◦ ). Variazioni uniformi di temperatura in materiali liberi di deformarsi non inducono una variazione dello stato tensionale. Pertanto, se la configurazione a temperatura T0 non `e sollecitata, anche la configurazione a temperatura T avr`a tensione nulla, T = 0. Consideriamo ora lo stesso corpo ma immaginiamolo completamente vincolato. Passando dalla temperatura T0 alla temperatura T si ha che il corpo vorrebbe deformarsi di
T0
T > T0
Et := α(T − T0 )I, ma essendo completamente vincolato non lo pu` o fare e quindi E(u) = 0. Chiaramente questa deformazione impedita determina delle tensioni all’interno del corpo. Per determinarle possiamo pensare di ottenere lo stato finale in due fasi: nella prima lo lasciamo liberamente espandeT > T0 T0 re di Et (questo come detto non determina una variazione di tensione), mentre nella se⇒ conda applichiamo delle tensioni T in maniera da riportare tutti i punti del corpo nella loro configurazione iniziale, ovvero applichiamo del⇓ le tensioni tali da produrre una deformazione uguale a −Et . Quindi T = C[−Et ] = −CEt , dove C `e il tensore di elasticit`a isotropo. Ora complichiamo ulteriormente “l’esperimento”. Variamo la temperatura di T −T0 e contemporaneamente forziamo il corpo ad avere una deformazione pari ad E(u) per un fissato u. Anche in questo caso possiamo pensare di ottenere il risultato finale in due fasi: prima lo lasciamo liberamente espandere di Et e poi applichiamo delle tensioni T in maniera da imporre una deformazione E(u), ovvero applichiamo delle tensioni tali da produrre una deformazione uguale a E(u) − Et . La tensione sar`a quindi uguale a: T = C[E(u) − Et ]. Si osservi che quest’ultima equazione vale anche quando il corpo `e completamente libero di deformarsi (E(u) = Et ) e quando il corpo `e completamente vincolato (E(u) = 0). Indichiamo con
152
5 Equazioni costitutive
Ee := E(u) − Et la quota elastica del tensore di deformazione, dato che T = CEe , mentre Et la chiameremo quota termica del tensore di deformazione. Quindi la deformazione (totale) `e E(u) = Ee + Et = C−1 T + α(T − T0 )I.
(5.39)
Questa decomposizione ha una validit`a generale. Infatti, se oltre alla variazione di temperatura il corpo `e soggetto ad una tensione T, si avr` a una deformazione Et dovuta alla variazione di temperatura e una deformazione elastica Ee = C−1 T dovuta alla tensione T. Consideriamo ora delle variazioni termiche non uniformi, ovvero T − T0 `e una funzione di x, e assumiamo che il corpo sia completamente libero di deformarsi. La domanda che sorge in maniera naturale `e: s’instaurano delle tensioni all’interno del corpo? Proviamo ad argomentare in maniera intuitiva. Possiamo pensare di dividere la configurazione di riferimento in regioni “infinitesime”, in maniera che si possa ritenere la temperatura costante su ciascuna “regione infinitesima”. In seguito alla variazione di temperatura, ogni “regione infinitesima” subir` a una deformazione Et = α(T − T0 )I dove, in prima approssimazione, T − T0 rappresenta la media di (T − T0 )(x) sulla “regione infinitesima”. Una volta deformate le singole regioni, a causa di Et , si devono riassemblare: se `e possibile farlo senza doverle ulteriormente deformare non s’instaura della tensione, se invece “regioni infinitesime” confinanti non si riescono a riassemblare in maniera continua si dovr`a produrre una deformazione Ee per ripristinare la continuit`a, e quindi introdurre una tensione T = CEe . La deformazione totale sar`a Ee + Et e soltanto questa somma sar`a un tensore di deformazione infinitesima, ovvero esiste uno spostamento u tale che E(u) = Ee + Et . Pertanto, la (5.39) `e ancora valida. Partendo dalla (5.39) `e molto semplice capire se in un corpo, completamente libero di deformarsi, s’instaurano delle tensioni in seguito a variazioni termiche non uniformi. Infatti, se le tensioni sono nulle si ha C[E(u) − Et ] = 0, e assumendo il tensore di elasticit`a definito positivo si deduce che T = 0 se e solo se E(u) = Et e quindi in un dominio semplicemente connesso T = 0 se e solo se (perch´e ?) curl curl Et = 0.
(5.40)
5.7 Esempio: equazione costitutiva per una trave
153
Se la variazione di temperatura `e costante si ha che Et `e costante e quindi la (5.40) `e sicuramente verificata e per cui ritroviamo il risultato discusso all’inizio di questa sezione. Se la variazione di temperatura `e una funzione lineare di x allora, anche Et varia linearmente con x e quindi anche in questo caso si ha che la (5.40) `e soddisfatta, visto che nella (5.40) sono previste esclusivamente derivate seconde. Nell’Esercizio 5.33 viene chiesto di dimostrare che la variazione lineare di temperatura `e la condizione pi` u generale che non induce uno stato tensionale. Alla fine della Sezione 5.4 si trova una tabella in cui sono riportati i valori di α per diversi materiali. La deformazione prodotta da una variazione termica in un generico materiale, non necessariamente isotropo, non `e obbligatoriamente idrostatica; anzi, in direzioni diverse le deformazioni potranno essere differenti. Per tener conto di questa anisotropia, si considera una deformazione termica Et = (T − T0 )A, dove A ∈ Sym `e la matrice dei coefficienti di espansione termica. La deformazione elastica Ee = C−1 T e la deformazione totale E(u) = Ee + Et , sono definite come nel caso isotropo. Chiaramente, se il materiale `e isotropo, A = αI.
5.7 Esempio: equazione costitutiva per una trave Innanzitutto, il titolo di questa sezione dovrebbe suonare strampalato, se non sbagliato. Finora abbiamo parlato di equazioni costitutive di materiali e una trave non lo `e. La “trave” che abbiamo introdotto come esempio alla fine dei vari capitoli, `e un modello mono-dimensionale di un corpo che occupa, nella configurazione di riferimento, una regione cilindrica avente una lunghezza molto maggiore del diametro della base del cilindro. Grazie a questa peculiarit` a geometrica, abbiamo giustificato, almeno informalmente, alcune ipotesi fatte sul campo di spostamenti. La principale ipotesi `e che le sezioni trasversali del cilindro si deformano rigidamente: traslano e ruotano, rimanendo piane e non deformandosi nel loro piano. I risultati presentati in questo capitolo evidenziano che tale ipotesi pu`o essere al pi` u soddisfatta in maniera approssimata, soprattutto per materiali con coefficiente di Poisson diverso da zero. Per orientarci, consideriamo un esempio relativamente semplice da analizzare: un cilindro posto in trazione da dei carichi uniformi applicati alle basi.
154
5 Equazioni costitutive
x1
x3 x2
x2
Per effetto dei carichi, il cilindro si allunga e se il coefficiente di Poisson `e maggiore di zero, ad esempio, le sezioni trasversali si contraggono. Dunque, a differenza di quanto ipotizzato nella Sezione 2.9 le componenti del tensore di deformazione (E(u))11 ed (E(u))22 non sono nulle. Nel caso in esame, non essendoci carichi sul bordo laterale del cilindro avremo Tn = 0 su tutto il bordo laterale, dove n = n1 e1 + n2 e2 denota la normale esterna. Nei punti in cui la normale esterna `e ±e1 avremo che le componenti del tensore degli sforzi T11 e T12 sono nulle, mentre nei punti con normale esterna ±e2 si avr` a T22 = T12 = 0. Essendo il diametro della sezione trasversale “piccolo”, le componenti del tensore degli sforzi non hanno “troppo spazio per variare” e quindi assumiamo che T11 = T12 = T22 = 0 in tutti i punti del corpo. Assumeremo queste identit` a valide non solo per il caso in esame ma per il modello di trave in generale. Queste ipotesi verranno ulteriormente discusse nella Sezione 8.2. Dalle ipotesi sulle tensioni e assumendo che il materiale costituente la trave sia omogeneo ed isotropo, ricaviamo, dall’equazione costitutiva (5.27), (E(u))11 = (E(u))22 = − (E(u))α3 =
ν T33 , E
1+ν 1 Tα3 = Tα3 , E 2µ
(E(u))12 = 0, (E(u))33 =
1 T33 . E
In particolare, le componenti di tensione non nulle sono date da Tα3 = 2µ(E(u))α3
e
T33 = E(E(u))33 .
Nel modello di trave alla Timoshenko abbiamo, si veda la (2.55), (E(u))13 =
1 1 (γ1 − x2 κ3 ), (E(u))23 = (γ2 + x1 κ3 ), 2 2 (E(u))33 = ε + x2 κ1 − x1 κ2 ,
dove ε, γα e κi sono dati dalle (2.54), (2.52) e (2.53), ε = a03 , γ1 = a01 − α2 , γ2 = a02 + α1 , κ1 = α10 , κ2 = α20
e
κ3 = α30 ,
in termini dello spostamento a dell’asse della trave e della rotazione α delle sezioni trasversali. Nella Sezione 3.5 abbiamo definito lo sforzo normale, i tagli, i momenti flettenti e il momento torcente in una trave. Assumendo gli assi baricentrici e principali d’inerzia, ovvero
5.7 Esempio: equazione costitutiva per una trave
ˆ
ˆ x1 dL 2 = ω
155
ˆ x2 dL 2 = 0
x1 x2 dL 2 = 0,
e
ω
ω
dove ω rappresenta la sezione trasversale della trave, troviamo ˆ ˆ ˆ T1 = T13 dL 2 = 2µ(E(u))13 dL 2 = µ γ1 − x2 κ3 dL 2 = µAγ1 , ˆω ˆω ˆω 2 2 T2 = T23 dL = 2µ(E(u))23 dL = µ γ2 + x1 κ3 dL 2 = µAγ2 , ω ω ˆ ˆ ˆω N= T33 dL 2 = E(E(u))33 dL 2 = E ε + x2 κ1 − x1 κ2 dL 2 ω
ω
ω
= EAε e
ˆ
ˆ x2 T33 dL 2 = E x2 (ε + x2 κ1 − x1 κ2 ) dL 2 = EJ1 κ1 , ω ω ˆ ˆ 2 M2 = − x1 T33 dL = −E x1 (ε + x2 κ1 − x1 κ2 ) dL 2 = EJ2 κ2 , ω ω ˆ ˆ Mt = x1 T23 − x2 T13 dL 2 = µ x1 (γ2 + x1 κ3 ) − x2 (γ1 − x2 κ3 ) dL 2 M1 =
ω
ω
= µJ0 κ3 , dove abbiamo indicato con A l’area della sezione ω e con ˆ ˆ ˆ 2 2 2 2 J1 := x2 dL , J2 := x1 dL , J0 := x21 + x22 dL 2 = J1 + J2 , ω
ω
ω
i momenti d’inerzia rispetto agli assi x1 e x2 e il momento polare d’inerzia della sezione ω, rispettivamente. Riassumendo, le equazioni N = EAε,
Tα = µAγα ,
Mα = EJα κα
e
Mt = µJ0 κ3 ,
che legano l’allungamento relativo allo sforzo normale, gli scorrimenti ai tagli, le misure di deformazione κ ai momenti, sono le equazioni costitutive per il modello di trave alla Timoshenko. Studiando il problema di de Saint-Venant vedremo che le equazioni costitutive trovate per i tagli e per il momento torcente dovranno essere corrette: questo `e dovuto al fatto che in presenza di sforzi di taglio e di momento torcente le sezioni trasversali non rimangono piane. Ma, al momento, questo `e quanto di meglio riusciamo a fare con una teoria relativamente semplice. Con l’aggiunta dell’ipotesi di Bernoulli-Navier, ovvero di scorrimenti nulli, si veda la Sezione 2.9, le equazioni costitutive si riducono a N = EAε,
Mα = EJα κα
e
Mt = µJ0 κ3 .
A causa del vincolo sugli scorrimenti, non c’`e una equazione costitutiva per i tagli. Questi verranno valutati tramite le equazioni di equilibrio: assumeranno il valore che garantisce l’osservanza del vincolo di scorrimenti nulli.
156
5 Equazioni costitutive
5.8 Esercizi Esercizio 5.22. Il tensore di elasticit`a C si dice fortemente ellittico se C[a ⊗ b] · a ⊗ b > 0 per ogni a, b ∈ R3 non nulli. Dimostrare che il tensore C definito da CE = 2µE + λ(tr E)I per ogni E ∈ Sym `e fortemente ellittico se e solo se ( 2µ + λ > 0, µ > 0. 5 Esercizio 5.23. Lo stato tensionale, in un materiale elastico lineare isotropo e definito positivo, `e T = σe3 ⊗ e3 , con σ ∈ R. Dedurre il tensore di deformazione infinitesima E e lo spostamento u. In caso di difficolt`a si riveda l’Esercizio 2.31. 5 Esercizio 5.24. Sul cubo Ω = (0, 1) × (0, 1) × (0, 1) sono applicate delle forze di volume b e delle forze di superficie s, che inducono uno spostamento u = δx2 e1 + 2δx2 e2 . Sapendo che il materiale `e omogeneo ed isotropo, determinare le forze di volume e di superficie. 5 Esercizio 5.25. Si consideri un corpo “a trave” occupante la configurazione Ω = ω × (0, `) soggetto ad uno spostamento u1 = −x2 α3 (x3 ),
u2 = x1 α3 (x3 ),
u3 = ψ(x1 , x2 )α30 (x3 ),
dove α3 `e una funzione solo di x3 e ψ `e una funzione di x1 e x2 . Interpretare geometricamente lo spostamento e capire perch´e α3 viene chiamato angolo di torsione e ψ funzione di ingobbamento. Inoltre, assumendo il materiale omogeneo ed isotropo, determinare il tensore degli sforzi all’interno della trave. 5 Esercizio 5.26. Dimostrare che CE1 · E2 = E1 · CE2
∀E1 , E2 ∈ Sym,
se e solo se vale la simmetria maggiore: Cijkl = Cklij
∀i, j, k, l ∈ {1, 2, 3}. 5
5.8 Esercizi
157
Esercizio 5.27. Un materiale si dice che ha simmetria trasversalmente isotropa rispetto all’asse x3 se ha tre piani di simmetria ortogonali tra di loro ed `e “simmetrico” rispetto all’asse x3 , precisamente se G = {I, R(π, e1 ), R(π, e2 ), R(ϑ, e3 ) con 0 ≤ ϑ ≤ 2π}. Dimostrare che il tensore di elasticit`a `e caratterizzato da 5 parametri e l’equazione costitutiva ha la forma: C1111 C1122 C1133 0 0 0 T11 E11 T22 E22 C1111 C1133 0 0 0 T33 E33 C3333 0 0 0 = T23 2E23 . C2323 0 0 T13 2E13 C2323 0 1 T12 2E12 sym 2 (C1111 − C1122 ) 5 Esercizio 5.28. Utilizzando la decomposizione in parte idrostatica e deviatorica di un tensore, invertire l’equazione costitutiva E= ed ottenere T=
1+ν ν T − (tr T)I. E E
E ν E+ (tr E)I . 1+ν 1 − 2ν 5
Esercizio 5.29. Dimostrare che in un generico materiale isotropo, definito positivo, si ha 1 µ ≤ . 3 E Inoltre, se ν ≥ 0 si ha anche µ 1 ≤ . E 2 5 Suggerimento: si usi la prima delle (5.24).
Esercizio 5.30. Scrivere il tensore F, definito da Fe1 = 4e1 + 2e3 , Fe2 = 4e2 + 7e3 , Fe3 = 3e1 + e3 , come somma della sua parte idrostatica e deviatorica.
5
158
5 Equazioni costitutive
Soluzione. Si vuole scrivere F = Fidr + Fdev con Fidr = αI per qualche valore α e Fdev · I = 0. Visto che F · I = (αI + Fdev ) · I = αI · I si ha che α = trF = 93 = 3, 3 idr dev e quindi F = 3I. Tramite una semplice sottrazione si ottiene F = F − Fidr = e1 ⊗ e1 + 3e1 ⊗ e3 + e2 ⊗ e2 + 2e3 ⊗ e1 + 7e3 ⊗ e2 − 2e3 ⊗ e3 . 4
Esercizio 5.31. Si consideri un cubo di acciaio avente E = 210 GPa, ν = 0.3 e caricato come in figura. Trovare per quale valore di σ si ha una variazione di volume pari allo 0.1% del volume iniziale. 5
σ 3σ 2σ
Esercizio 5.32. Si consideri un lastra (nel piano x1 e x2 ) di acciaio di spessore 1 cm soggetta ad un tensore degli sforzi T = σ 1 e1 ⊗ e1 + σ 2 e 2 ⊗ e 2 , con σ1 = 100 MPa e σ2 = 120 MPa. Assumendo un modulo di Young E = 210 GPa e un coefficiente di Poisson ν = 0.3, calcolare la variazione di spessore della lastra. 5 Esercizio 5.33. Sia Et (x) = α(T − T0 )(x), dove α ∈ R e (T − T0 )(x) `e la variazione di temperatura subita dal punto x di un corpo completamente libero di deformarsi. Si dimostri che lo stato tensionale `e nullo se e solo se la funzione x 7→ (T − T0 )(x) `e al pi` u lineare. 5 Suggerimento: si veda la (5.40).
6 Il problema elastico
6.1 Formulazione del problema Consideriamo un corpo elastico lineare, non necessariamente omogeneo, occupante nella configurazione di riferimento una regione Ω ⊂ R3 , con bordo ∂Ω. Su una parte del bordo, ∂N Ω, sono applicate delle forze di superficie s, e sulla b . Indichiamo con parte restante di bordo, ∂D Ω, `e prescritto uno spostamento u b le forze di volume applicate e con C il tensore di elasticit` a, che assumiamo definito positivo. Il problema elastico allora `e: s divT + b = 0 in Ω, T T=T in Ω, b su ∂N Ω, Tn = s (6.1) T = CE in Ω, 1 E = E(u) = (∇u + ∇uT ) in Ω, Ω 2 b u=u su ∂D Ω, ∂D Ω dove le prime tre equazioni sono le equazioni di equilibrio, la quarta `e l’equazione costitutiva, la quinta `e un’equazione di compatibilit` a che ci assicura che il tensore E sia congruente con uno spostamento, e l’ultima impone che tale spostamento sia uguale a quello prescritto su ∂D Ω. Se, come faremo, pensiamo che C mappi tensori simmetrici in simmetrici, la seconda equazione (la simmetria di T) diventa superflua. I dati del problema sono: • • •
la regione occupata dal corpo Ω; il tensore di elasticit`a C; le forze di volume b;
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_6
159
160
• •
6 Il problema elastico
le forze di superficie s e la parte di bordo dove sono applicate ∂N Ω; b e la parte di bordo dove `e imposto ∂D Ω; lo spostamento prescritto u
mentre le incognite sono: • • •
lo spostamento u; il tensore di deformazione infinitesima E; il tensore degli sforzi T.
Osservazione 6.1. Nota una delle tre incognite, `e possibile ricavare le restanti due. Infatti, noto lo spostamento u si ricava subito E e T dalla quinta e dalla quarta delle (6.1). Invece, noto T, si pu`o ricavare E invertendo l’equazione costitutiva e poi, per integrazione, ricavare u. L’esistenza di uno spostamento u, compatibile con con E e con lo spostamento prescritto, `e assicurata dalle ultime due equazioni di (6.1). Analoghi ragionamenti mostrano come dedurre T e u a partire da E. ♦ La terna (u, E, T) che soddisfa il problema elastico (6.1) viene chiamata stato elastico. Nel seguente teorema considereremo diversi “carichi” agenti su un corpo caratterizzato dalle regioni Ω, ∂N Ω e ∂D Ω, e da un tensore di elasticit` a C. Indicheremo lo stato elastico (u, E, T) corrispondente alla terna di “carichi” b ) con la seguente notazione e spostamento prescritti (b, s, u b) (b, s, u
(u, E, T).
Teorema 6.2 (Sovrapposizione degli effetti). Siano b1) (b1 , s1 , u
e
b2) (b2 , s2 , u
e
(u2 , E2 , T2 )
due terne di “carichi” e siano (u1 , E1 , T1 ) due stati elastici tali che b1) (b1 , s1 , u
(u1 , E1 , T1 )
e
b2) (b2 , s2 , u
(u2 , E2 , T2 ).
Allora, se α1 , α2 ∈ R, si ha che b 1 + α2 u b2) (α1 b1 + α2 b2 , α1 s1 + α2 s2 , α1 u (α1 u1 + α2 u2 , α1 E1 + α2 E2 , α1 T1 + α2 T2 ). Dimostrazione. Dobbiamo verificare tutte le equazioni del problema (6.1). Dato che divT1 + b1 = 0 e che divT2 + b2 = 0, deduciamo che div(α1 T1 + α2 T2 ) + (α1 b1 + α1 b1 ) = α1 ( divT1 + b1 ) + α2 ( divT2 + b2 ) = 0. In maniera analoga si verificano le restanti equazioni.
Detto in maniera rapida, il teorema di sovrapposizione degli effetti afferma che la soluzione del problema elastico corrispondente alla combinazione lineare di due carichi `e uguale alla combinazione lineare delle soluzioni corrispondenti ai due carichi.
6.1 Formulazione del problema
161
Osservazione 6.3. Come conseguenza del principio di sovrapposizione degli effetti, se un determinato “carico” viene amplificato di α, allora lo stato elastico corrispondente `e amplificato di α. Inoltre, lo stato elastico corrispondente b ) `e uguale alla somma degli stati elastici corrispondenti a ai “carichi” (b, s, u b ). (b, 0, 0), (0, s, 0) e (0, 0, u Il teorema di sovrapposizione degli effetti `e una diretta conseguenza della linearit`a del problema elastico (6.1). Tale propriet` a non `e pi` u verificata in assenza della linearit`a. Ad esempio, per l’energia che `e una forma quadratica si ha che l’energia associata ad una combinazione lineare di deformazioni `e diversa dalla combinazione lineare dell’energia associata alle singole deformazioni. ♦ Il problema elastico (6.1) pu`o essere scritto, tramite alcune sostituzioni, solo in termini dello spostamento: b su ∂D Ω e u:u=u Trovare ( (6.2) div(CE(u)) + b = 0 in Ω, [CE(u)]n = s su ∂N Ω. Chiaramente u `e soluzione del problema (6.1) se e solo se `e soluzione del problema (6.2). Il problema (6.2) viene chiamato formulazione forte del problema elastico. Se T `e soluzione del problema elastico (6.1) allora 1 {T, b, Tn} `e una terna equilibrata. Analogamente, se E e u sono soluzioni del problema elastico (6.1), allora {E, u} `e una coppia congruente. Siamo quindi nelle condizioni di poter applicare il teorema dei lavori virtuali. Dato che T `e legato ad E ed a u conviene, per ottenere un risultato pi` u generale, applicare il teorema dei lavori virtuali con la terna equilibrata {T, b, s} e con una coppia congruente {E(ϕ), ϕ}, dove ϕ `e un generico spostamento, non necessariamente uguale a u. Dal teorema dei lavori virtuali, Teorema 4.7, abbiamo ˆ ˆ ˆ T · E(ϕ) dL 3 = b · ϕ dL 3 + Tn · ϕ dL 2 Ω Ω ∂Ω ˆ ˆ ˆ 3 2 = b · ϕ dL + Tn · ϕ dL + Tn · ϕ dL 2 . Ω
∂N Ω
∂D Ω
Visto che T = CE = CE(u) e che Tn = s su ∂N Ω, la relazione precedente diventa 1
Consideriamo Tn e non s in quanto s non `e definita su tutto ∂Ω.
162
6 Il problema elastico
ˆ
ˆ
ˆ
3
CE(u) · E(ϕ) dL = Ω
ˆ
3
2
b · ϕ dL + Ω
Tn · ϕ dL 2
s · ϕ dL + ∂N Ω
∂D Ω
che vale per ogni ϕ : Ω → R3 . Nell’ultimo integrale a destra possiamo eliminare la presenza di T utilizzando l’equazione costitutiva T = CE(u), oppure considerando degli spostamenti ϕ che si annullano sulla parte del bordo in cui `e prescritto lo spostamento. Scegliendo questa seconda opzione, si ha ˆ ˆ ˆ 3 3 CE(u) · E(ϕ) dL = b · ϕ dL + s · ϕ dL 2 ∀ϕ : ϕ|∂D Ω = 0, Ω
Ω
∂N Ω
dove ϕ|∂D Ω = 0
indica che
ϕ = 0 vicino a ∂D Ω.
Si osservi che nel ricavare l’uguaglianza soprastante abbiamo utilizzato tutte le equazioni del problema elastico (6.1) tranne l’ultima, ovvero quella che prescrive lo spostamento sulla parte di bordo ∂D Ω. Imporremo questa esplicitamente. Il problema b su ∂D Ω e Trovare u : u = u ˆ ˆ ˆ 3 3 (6.3) CE(u) · E(ϕ) dL = b · ϕ dL + s · ϕ dL 2 Ω Ω ∂N Ω ∀ϕ : ϕ|∂D Ω = 0, viene chiamato formulazione debole del problema elastico. Notiamo che le soluzioni del problema forte (6.2) devono essere due volte differenziabili, dato che nel problema (6.2) la soluzione u `e derivata due volte. Invece, la u in (6.3) `e derivata solo una volta e quindi le soluzioni del problema debole devono essere differenziabili una volta. Il problema (6.2) richiede una regolarit`a della soluzione pi` u forte di quella richiesta dal problema (6.3), da cui il nome “formulazione forte” e “formulazione debole”. La deduzione del problema debole dimostra che se u `e soluzione del problema forte ⇒ u `e soluzione del problema debole. Viceversa, si dimostra (Esercizio 6.18) che se ) u `e soluzione del problema debole ⇒ u `e soluzione del problema forte. u `e almeno due volte differenziabile Osservazione 6.4. Le soluzioni del problema debole che non sono soluzioni del problema forte devono essere rifiutate? In altre parole, il problema forte `e pi` u significativo di quello debole? Per provare a dare una risposta a questa domanda consideriamo un problema unidimensionale, dove `e possibile costruire facilmente delle soluzioni. Consideriamo un corpo occupante un
6.1 Formulazione del problema
163
dominio unidimensionale Ω = (−`, `) vincolato ad entrambe le estremit` a, per cui ∂D Ω = {−`, `} e ∂N Ω = ∅. Se anche lo spostamento `e unidimensionale ed indichiamo C con EA, il problema forte diventa ( Trovare u : u = 0 su {−`, `} e (EAu0 )0 + b = 0 in (−`, `), dove, per semplicit`a, abbiamo prescritto uno spostamento nullo su ∂D Ω. Il problema forte `e, con opportune analogie, il problema assiale di una trave, si veda la Sezione 6.4. Il corrispondente problema debole `e Trovare u : u = 0 su {−`, `} e ˆ ` ˆ ` 0 0 EAu ϕ dx = bϕ dx ∀ϕ : ϕ = 0 su x = −`, `. −`
−`
Si osservi che se una parte di trave `e composta da un materiale e l’altra da un materiale diverso, la formulazione forte non `e definita, visto che EA avrebbe punti di discontinuit`a e, quindi, non sarebbe differenziabile. Il problema debole, invece, sarebbe comunque ben definito. Inoltre, il problema debole pu` o facilmente tener conto, a differenza del problema forte, anche di carichi concentrati. Infatti, consideriamo il caso in cui il carico distribuito b sia nullo e ci sia un carico concentrato B applicato in x = 0. Allora, il problema debole diventa Trovare u : u = 0 su {−`, `} e ˆ ` EAu0 ϕ0 dx = Bϕ(0) ∀ϕ : ϕ = 0 su x = −`, `. −`
La soluzione di questo problema (debole) `e u(x) B` B 2EA (x + `) se x ∈ (−`, 0), u(x) = 2EA −B (x − `) se x ∈ (0, `). 2EA −` Infatti, per ogni ϕ : (−`, `) → R con ϕ = 0 su x = −`, `, si ha ˆ
`
ˆ
B 0 ϕ dx + 2
ˆ
x
`
B 0 ϕ dx 2 −` 0 B B = (ϕ(0) − ϕ(−`)) − (ϕ(`) − ϕ(0)) = Bϕ(0) 2 2
EAu0 ϕ0 dx = −`
0
`
−
dato che ϕ(−`) = ϕ(`) = 0. La soluzione trovata del problema debole u non `e due volte differenziabile, come sarebbe richiesto dal problema forte, ma tale soluzione `e chiaramente plausibile e pertanto va accettata.
164
6 Il problema elastico
In questo esempio, la poca regolarit`a della soluzione (debole) `e dovuta al carico concentrato. In pi` u dimensioni, la scarsa regolarit` a pu` o essere causata o dalla irregolarit`a dei carichi o dalla scarsa regolarit` a della frontiera della configurazione di riferimento. ♦ Osservazione 6.5. Il problema debole, in generale, non `e “speculare” dato b mentre lo spostamento che sulla parte di bordo vincolata ∂D Ω si ha u = u b , ma ϕ = 0. Per renderlo “speculare”, si pu` “test” ϕ non `e uguale a u o procedere come segue. Si scelglie uno spostamento definito su tutto Ω che coincide sulla parte di bordo vincolata ∂D Ω con lo spostamento prescritto b : ∂D Ω → R3 (se un tale spostamento non esiste il problema elastico non ha, u ovviamente, soluzione). Abusando della notazione, indichiamo tale funzione ¯ → R3 . b , o detto diversamente, assumiamo che u b:Ω con u Se u `e la soluzione della formulazione debole del problema elastico, definiamo e := u − u b. u e = 0 su ∂D Ω. Ponendo, Per costruzione, u b := CE(b T u) e integrando per parti, si ha ˆ ˆ ˆ CE(u) · E(ϕ) dL 3 = CE(e u) · E(ϕ) dL 3 + CE(b u) · E(ϕ) dL 3 Ω Ω Ω ˆ ˆ 3 b · E(ϕ) dL 3 = CE(e u) · E(ϕ) dL + T Ω Ω ˆ ˆ b · ϕ dL 3 = CE(e u) · E(ϕ) dL 3 + − divT Ω Ω ˆ b + Tn · ϕ dL 2 ∂Ω ˆ ˆ 3 b · ϕ dL 3 = CE(e u) · E(ϕ) dL + − divT Ω Ω ˆ b · ϕ dL 2 + Tn ∂N Ω
per ogni ϕ tale che ϕ = 0 su ∂D Ω. Utilizzando questa identit`a, possiamo riscrivere il problema debole (6.3) come e:u e = 0 su ∂D Ω e Trovare u ˆ ˆ ˆ 3 3 b b · ϕ dL 2 CE(e u) · E(ϕ) dL = (b + divT) · ϕ dL + (s − Tn) Ω Ω ∂N Ω per ogni ϕ : ϕ = 0 su ∂D Ω. (6.4)
6.1 Formulazione del problema
165
Quindi, per rendere il problema “speculare”, si devono considerare, oltre ai b e le forze di superficie −Tn b indotte carichi applicati, le forze di volume div T b. dallo spostamento “prescritto” u ♦ Concludiamo la sezione dimostrando l’unicit` a della soluzione. Teorema 6.6 (Teorema di unicit` a di Kirchhoff ). Sia C definito positivo. Se (u1 , E1 , T1 ) e (u2 , E2 , T2 ) sono due stati elastici del problema elastico (6.1), allora E1 = E2 , T1 = T2 , u1 = u2 + r, dove r `e uno spostamento rigido infinitesimo. Inoltre, se L 2 (∂D Ω) > 0 allora u1 = u2 . Dimostrazione. Per il Teorema 6.2 di sovrapposizione degli effetti, la terna definita da e T) e := (u1 − u2 , E1 − E2 , T1 − T2 ) (e u, E, b ) = (0, 0, 0). Dunque, la `e uno stato elastico del problema (6.1) con (b, s, u e soddisfa l’equazione del problema debole (6.3): funzione u ˆ CE(e u) · E(ϕ) dL 3 = 0 ∀ϕ : ϕ|∂D Ω = 0, Ω
b ) = (0, 0, 0). Visto che u e = 0 su ∂D Ω, `e possibile prendere dato che (b, s, u e e ottenere ϕ=u ˆ CE(e u) · E(e u) dL 3 = 0. Ω
Essendo C definito positivo, CE(e u) · E(e u) ≥ 0 ovunque, e visto che l’integrale di una funzione non negativa `e nullo se e solo se la funzione `e nulla, si ha CE(e u) · E(e u) = 0 ovunque in Ω. Ma, riutilizzando la positivit`a di C, questo `e possibile se e solo se e = E(e E u) = 0 ovunque. Pertanto, E1 = E2 , T1 = CE1 = CE2 = T2 e, applicando il e = r, con r uno spostamento rigido infinitesimo. Teorema 2.24, u Se L 2 (∂D Ω) > 0, riusciamo a trovare tre punti a1 , a2 , a3 ∈ ∂D Ω non allineati. Scrivendo r(x) = r◦ + ω ∧ x e imponendo che r(ai ) = 0 per i = 1, 2, 3, visto e = r = 0 su ∂D Ω, otteniamo che u ω ∧ (a2 − a1 ) = 0 e
ω ∧ (a3 − a1 ) = 0.
a3 a3 − a1 a1
a2 a2 − a1
166
6 Il problema elastico
Dunque, o ω = 0 o ω deve essere contemporaneamente un multiplo di a2 − a1 e di a3 − a1 . Ma dato che i punti a1 , a2 , a3 ∈ ∂D Ω non sono allineati, si dovr` a necessariamente avere ω = 0. A questo punto si ha 0 = r(a1 ) = r◦ , e quindi r(x) = 0. Il teorema appena dimostrato afferma che se esiste una soluzione del problema elastico, allora `e unica. Dimostrare che il problema elastico ha soluzione non `e banale, ma, nella prossima sezione, faremo vedere che una “approssimazione del problema elastico” ammette soluzione.
6.2 Approssimazione del problema elastico Il problema debole (6.3) `e veramente un problema? In altre parole, dal problema debole `e veramente possibile ottenere la soluzione del problema elastico? In questa sezione faremo vedere come ottenere un’approssimazione della soluzione del problema elastico dalla formulazione debole. La difficolt`a principale nel risolvere il problema debole (6.3) `e che la soluzione u e lo spostamento “test” ϕ appartengono ad uno spazio infinito dimensionale. L’idea, alla base del metodo di Galerkin, `e di approssimare gli spazi infinito-dimensionali con spazi di dimensione finita. b = 0 su ∂D Ω; Per semplicit`a, consideriamo lo spostamento prescritto u tutto sommato, grazie all’Osservazione 6.5 possiamo sempre ricondurci a questo caso. Allora, la soluzione u e lo spostamento “test” ϕ appartengono allo stesso spazio: A0 := {ψ : Ω → R3 : ψ = 0 vicino ∂D Ω}, che chiameremo l’insieme degli spostamenti ammissibili. Il problema debole pu`o essere quindi scritto come: Trovare u ∈ A0 : ˆ ˆ ˆ 3 3 (6.5) CE(u) · E(ϕ) dL = b · ϕ dL + s · ϕ dL 2 Ω Ω ∂ Ω N ∀ϕ ∈ A0 . Si fissi un numero naturale N , si scelgano N funzioni w(1) , w(2) , . . . , w(N ) appartenenti ad A0 e si indichi con (1) AN , w(2) , . . . , w(N ) } = { 0 := span {w
N X
αi w(i) : αi ∈ R},
i=1
ossia l’insieme delle funzioni che possono essere ottenute come combinazione N lineare delle funzioni w(1) , w(2) , . . . , w(N ) . Chiaramente AN 0 ⊂ A0 ed A0 (1) (2) (N ) ha dimensione al pi` u N . Se le funzioni w , w , . . . , w sono linearmente indipendenti, ossia se
6.2 Approssimazione del problema elastico N X
αi w(i) (x) = 0 ∀x ∈ Ω ⇐⇒ αi = 0
167
∀i = 1, 2, . . . , N,
i=1
allora AN 0 ha dimensione N . Esempio 6.7. Consideriamo, per semplicit`a, un problema unidimensionale simile a quello introdotto nell’Osservazione 6.4. In particolare, consideriamo Ω = (0, `), ∂D Ω = {0}, ∂N Ω = {`}, A0 = {ψ : (0, `) → R : ψ(0) = 0} e il problema: Trovare u ∈ A0 : ˆ ` ˆ ` EAu0 ϕ0 dx = bϕ dx 0
∀ϕ ∈ A0 ,
0
dove EA > 0 e b `e una funzione che rappresenta i carichi applicati. Fissato N , si ponga w(1) (x) := x,
w(2) (x) := x2 , . . . , w (N ) (x) := xN ;
chiaramente, questa `e una delle infinite possibili scelte. Ovviamente, w(i) ∈ A0 per ogni i = 1, . . . , N , ed 2 N AN 0 := {ψ : (0, `) → R : ∃αi ∈ R t.c. ψ(x) = α1 x + α2 x + . . . + αN x }
non `e niente altro che l’insieme dei polinomi di ordine N aventi termine noto nullo. Lo spazio AN 0 ha dimensione N . Infatti, α1 x + α2 x2 + . . . + αN xN = 0
∀x ∈ (0, `) ♥
se e solo se tutti gli αi sono nulli. Approssimiamo il problema elastico con il seguente problema: N N Trovare u ∈ A0 : ˆ ˆ ˆ N N 3 N 3 CE(u ) · E(ϕ ) dL = b · ϕ dL + s · ϕN dL 2 Ω ∂N Ω ΩN ∀ϕ ∈ AN 0 .
(6.6)
Questo problema `e finito dimensionale, e quindi si pu` o risolvere in maniera algebrica. Infatti, dato che uN ∈ AN , esistono dei coefficienti uN 0 j , j = 1, 2, . . . , N , tali che uN (x) =
N X j=1
(j) uN (x). j w
(6.7)
168
6 Il problema elastico
Il problema (6.6) si pu`o riscrivere come Trovare uN j ∈ R per j = 1, . . . , N : ˆ ˆ ˆ N X N (j) N 3 N 3 C u E(w ) · E(ϕ ) dL = b · ϕ dL + s · ϕN dL 2 j Ω Ω ∂ Ω N j=1 ∀ϕN ∈ AN . 0 Affinch´e quest’ultima equazione valga per ogni ϕN ∈ AN e sufficiente richie0 , ` dere che valga per ogni elemento che genera AN o 0 ; pertanto, il problema si pu` formulare come Trovare uN j ∈ R per j = 1, . . . , N : ˆ ˆ ˆ N X N (j) (i) 3 (i) 3 C u E(w ) · E(w ) dL = b · w dL + s · w(i) dL 2 j Ω ∂N Ω Ω j=1 ∀i = 1, . . . , N. Ponendo ˆ ˆ ˆ Kij := CE(w(j) ) · E(w(i) ) dL 3 e fi := b · w(i) dL 3 + Ω
Ω
s · w(i) dL 2 , ∂N Ω
quantit`a che possono essere calcolate una volta scelte le w(i) , il problema approssimato `e: Trovare uN j ∈ R per j = 1, . . . , N :
N X
Kij uN j = fi
∀i = 1, . . . , N,
j=1
ovvero, si tratta di risolvere un sistema di N equazioni in N incognite, che scriviamo come KuN = f. Esempio 6.8. Riprendiamo l’Esempio 6.7. Il problema approssimato `e Trovare uN ∈ AN 0 : ˆ ` ˆ ` EA(uN )0 ϕ0 dx = bϕ dx ∀ϕ ∈ AN 0 . 0
0
Ponendo uN (x) =
N X
(j) uN (x) = j w
j=1
N X
j uN j x ,
j=1
il problema approssimato diventa Trovare uN j ∈ R per j = 1, . . . , N :
N X j=1
Kij uN j = fi
∀i = 1, . . . , N,
6.2 Approssimazione del problema elastico
169
dove ˆ
ˆ
`
EA(w(j) )0 (w(i) )0 dx = EA
Kij : = 0
ˆ
xj+i−2 dx = 0
ed
(xj )0 (xi )0 dx
0 j+i−1
`
= EAij
`
ˆ
EAij` , j+i−1 ˆ
`
fi :=
bw
(i)
`
b xi dx
dx =
0
0
pu`o essere calcolato esplicitamente per ogni fissata funzione b. Con la scelta di AN 0 fatta, la matrice K risulta essere piena e quindi difficile da invertire. Il metodo degli Elementi Finiti permette di scegliere delle funzioni w(j) che soddisfano le condizioni di bordo su ∂D Ω (in una dimensione `e banale, ma non lo `e in pi` u dimensioni) e che rendono la matrice K sparsa. ♥ Se C ha la simmetria maggiore, allora K `e simmetrica. Inoltre, se C `e definito positivo, si ha N X
Kij αi αj =
i,j=1
N ˆ X i,j=1
ˆ
CE(w(j) ) · E(w(i) ) dL 3 αi αj Ω
CE(αN ) · E(αN ) dL 3 ≥ 0,
= Ω
PN dove abbiamo posto αN := i=1 αi w(i) , e dove vale l’uguaglianza se e solo se E(αN ) = 0, e quindi se e solo se αN `e uno spostamento rigido infinitesimo. Assumendo che ∂D Ω abbia area positiva, si ha che l’unico spostamento rigido infinitesimo nullo su una regione avente area positiva `e lo spostamento nullo. Quindi, l’uguaglianza vale se e solo se αN = 0, ossia N X
αi w(i) = 0.
i=1
Se le funzioni w(1) , w(2) , . . . , w(N ) sono linearmente indipendenti, l’uguaglianza soprastante `e possibile se e solo se αi = 0 per ogni i = 1, . . . , N , e quindi sotto le ipotesi appena elencante si ha che N X
Kij αi αj ≥ 0,
i,j=1
con uguaglianza se e solo se αi = 0 per ogni i = 1, . . . , N . In altre parole, la matrice K `e definita positiva e quindi `e invertibile: uN = K−1 f. Trovato uN , la soluzione approssimata del problema elastico `e data da (6.7).
170
6 Il problema elastico
` naturale chiedersi se la soluzione uN veramente apOsservazione 6.9. E prossima la soluzione esatta. Questo, come vedremo, dipender` a da N e dalla scelta di AN 0 . In particolare, se al crescere di N aumenta l’approssimazione N di A0 tramite AN e la soluzione esatta 0 , allora si ha che la “distanza” tra u decresce. Sia u la soluzione del problema debole (6.5) e sia uN la soluzione del proN blema approssimato (6.6). Dato che AN ∈ AN 0 ⊂ A0 , si ha che se ϕ 0 allora N N N ϕ ∈ A0 . Prendendo come spostamento “test” ϕ ∈ A0 sia nel problema debole (6.5) che in quello approssimato (6.6) e sottraendo le equazioni ottenute, si deduce che ˆ CE(u − uN ) · E(ϕN ) dL 3 = 0 ∀ϕN ∈ AN (6.8) 0 . Ω
Valutiamo quindi il doppio dell’energia che corrisponde a u − uN : ˆ ˆ CE(u − uN )· E(u − uN ) dL 3 = CE(u − uN ) · Eu dL 3 Ω Ω ˆ = CE(u − uN ) · E(u − ϕN ) dL 3 ∀ϕN ∈ AN 0 Ω
dove abbiamo applicato due volte, con uN , ϕN ∈ AN 0 , la (6.8). Dalla limitatezza del tensore di elasticit`a si ha CA · B ≤ CC |A| |B| per una opportuna costante CC e per ogni tensore simmetrico A e B. Inoltre, se C `e definito positivo e omogeneo, si ha che esiste una costante cC per cui CA · A ≥ cC |A|2 per ogni tensore simmetrico A. In ogni caso, noi assumiamo quest’ultima disuguaglianza. Con semplici maggiorazioni si ottiene ˆ ˆ N 2 3 cC |E(u − u )| dL ≤ CC |E(u − uN )| |E(u − ϕN )| dL 3 Ω
Ω
ˆ
|E(u − uN )|2 dL 3
≤ CC Ω
1/2 ˆ
|E(u − ϕN )|2 dL 3
1/2
Ω
dove abbiamo applicato la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz. Semplificando, si trova ˆ 1/2 ˆ 1/2 CC |E(u − uN )|2 dL 3 ≤ |E(u − ϕN )|2 dL 3 , cC Ω Ω e visto che vale per ogni ϕN ∈ AN 0 , si ha ˆ 1/2 ˆ 1/2 CC N 2 3 N 2 3 |E(u − u )| dL ≤ inf |E(u − ϕ )| dL . cC ϕN ∈AN Ω Ω 0 Questa disuguaglianza viene chiamata disuguaglianza di C´ea, e mostra che se al crescere di N si sceglie AN u denso in A0 0 in maniera che diventi sempre pi` N (pi` u precisamente, per ogni u ∈ A esiste una successione ϕ , con ϕN ∈ A N 0 , ´ N 2 tale che Ω |E(u − ϕ )| → 0 per N → +∞), allora la soluzione approssimata converge alla soluzione esatta. ♦
6.3 Teoremi energetici
171
6.3 Teoremi energetici In questa sezione vediamo diversi risultati validi per i materiali iperelastici lineari. b = 0 e consideriamo una Per semplicit`a, assumiamo che o ∂D Ω = ∅ o u storia di forze di volume e di superficie t˜ 7→ {b(·, t˜), s(·, t˜)}, per t˜ ∈ (t0 , t), che inducono nel corpo una storia di spostamento t˜ 7→ u(·, t˜) ed una storia del tensore degli sforzi t˜ 7→ T(·, t˜) = CE(u(·, t˜)). Il lavoro compiuto dalla forza b(x, t˜) sul punto x tra t˜ e t˜ + dt˜, con dt˜ “infinitesimo”, `e ˙ b(x, t˜) · u(x, t˜)dt˜ ≈ b(x, t˜) · u(x, t˜ + dt˜) − u(x, t˜) dove la derivata rispetto al tempo `e indicata con un punto. Pertanto, il lavoro compiuto da b(x, ·) nell’intervallo temporale (t0 , t) `e ˆ t ˙ b(x, t˜) · u(x, t˜)dt˜, t0
mentre il lavoro compiuto dalle forze esterne sulla regione R ⊂ Ω nello stesso intervallo di tempo `e ˆ ˆ t ˆ ˆ t ˙ t˜)dt˜dL 3 + ˙ t˜)dt˜dL 2 . L (R, t0 , t) := b(·, t˜) · u(·, T(·, t˜)n(·) · u(·, R
t0
∂R
t0
Assumendo che non ci siano scambi di calore e che il processo sia quasi-statico (visto che non stiamo considerando forze inerziali), il lavoro fatto dalle forze esterne viene completamente immagazzinato dalla regione R sotto forma di energia. Pertanto, indicando con E l’energia interna, si ha: E(R, t) − E(R, t0 ) = L (R, t0 , t) ovvero
(6.9)
dE(R, t) dL (R, t0 , t) = =: P(R, t), dt dt dove P rappresenta la potenza delle forze esterne. Invertendo gli integrali (Teorema di Fubini), e applicando il Teorema fondamentale del calcolo integrale, otteniamo ˆ ˆ dL (R, t0 , t) ˙ t) dL 3 + ˙ t) dL 2 = b(·, t) · u(·, T(·, t)n(·) · u(·, dt R ∂R e quindi, applicando l’equazione dei lavori virtuali, troviamo ˆ ˆ dE(R, t) 3 ˙ ˙ t) dL 2 = b(·, t) · u(·, t) dL + T(·, t)n(·) · u(·, dt ∂R ˆR 3 ˙ t)) dL = T(·, t) · E(u(·, ˆR ˙ t)) dL 3 = ∂E Φ(E(u(·, t)) · E(u(·, R ˆ d = Φ(E(u(·, t)) dL 3 , dt R
172
6 Il problema elastico
dove per ottenere la terza uguaglianza abbiamo utilizzato la Definizione 5.5. Pertanto, a meno di una costante, abbiamo ˆ E(R, t) = Φ(E(u(·, t)) dL 3 . (6.10) R
Dal Teorema (5.7) si ha Φ(0) = 0 e quindi dalla (6.9) e dalla (6.10) deduciamo che ˆ Φ(E(u)) dL 3 Ω
rappresenta il lavoro compiuto da una generica storia di carico per portare il corpo, in maniera quasi-statica, dalla configurazione di riferimento a quella caratterizzata dallo spostamento u. b =0 Teorema 6.10 (Teorema di Lam´ e-Clapeyron). Sia ∂D Ω = ∅ o u su ∂D Ω, e u la soluzione del problema debole (6.3), dove C = CT . Allora, ˆ ˆ ˆ o 1n 3 3 Φ(E(u)) dL = b · u dL + s · u dL 2 . 2 Ω Ω ∂N Ω Dimostrazione. Lo spostamento u, visto che `e la soluzione della formulazione debole, soddisfa l’equazione ˆ ˆ ˆ CE(u) · E(ϕ) dL 3 = b · ϕ dL 3 + s · ϕ dL 2 ∀ϕ : ϕ|∂D Ω = 0. Ω
Ω
∂N Ω
Se ∂D Ω = ∅ allora ϕ, nell’equazione soprastante, non deve soddisfare nessun vincolo e quindi possiamo prendere ϕ = u. Alla stessa conclusione si giunge b = 0 su ∂D Ω. Pertanto, scegliendo ϕ = u, otteniamo se u ˆ ˆ ˆ 3 3 CE(u) · E(u) dL = b · u dL + s · u dL 2 . Ω
Ω
∂N Ω
Utilizzando il Teorema 5.7, Φ(E(u)) = si giunge al risultato desiderato.
1 CE(u) · E(u), 2
Nell’enunciato del Teorema di Lam´e-Clapeyron, lo spostamento u caratterizza la configurazione di equilibrio sotto l’azione delle forze di volume b e di superficie s. Il termine ˆ Φ(E(u)) dL 3 Ω
rappresenta l’energia di deformazione associata allo spostamento u, ovvero il lavoro compiuto da una generica storia di carico (quasi statica) in cui all’inizio le forze sono nulle e alla fine uguali a b ed s. Il termine
6.3 Teoremi energetici
ˆ
173
ˆ b · u dL 3 + Ω
s · u dL 2 ∂N Ω
rappresenta il lavoro compiuto dalle forze (finali) b ed s sullo spostamento (finale) u. Fatte queste osservazioni, possiamo concludere che il teorema di Lam´eClapeyron afferma che il lavoro compiuto, lungo un cammino arbitrario, per portare il corpo in maniera quasi-statica dalla configurazione di riferimento a quella attuale `e uguale alla met`a del lavoro che le forze esterne agenti sulla configurazione attuale compiono sugli spostamenti che caratterizzano la configurazione attuale. Teorema 6.11 (Teorema di reciprocit` a di Betti). Si assuma il materiale b = 0 su ∂D Ω. Se (u1 , E1 , T1 ) e (u2 , E2 , T2 ) iperelastico e ∂D Ω = ∅ o u sono due stati elastici del problema (6.1), corrispondenti ai carichi (b1 , s1 ) e (b2 , s2 ), si ha ˆ ˆ ˆ ˆ 1 2 3 1 2 2 2 1 3 b · u dL + s · u dL = b · u dL + s2 · u1 dL 2 . Ω
∂N Ω
Ω 1
∂N Ω
2
Dimostrazione. Gli spostamenti u e u soddisfano sia la formulazione forte che quella debole del problema elastico, in particolare soddisfano i problemi ˆ ˆ ˆ α 3 α 3 CE(u ) · E(ϕ) dL = b · ϕ dL + sα · ϕ dL 2 Ω
Ω
∂N Ω
b = 0 su per ogni ϕ tale che ϕ|∂D Ω = 0 e per α = 1, 2. Visto che o ∂D Ω = ∅ o u ∂D Ω, la funzione “test” ϕ pu`o essere presa sia uguale a u1 che a u2 . Tenendo presente tale osservazione ed utilizzando la simmetria del tensore di elasticit` a, C = CT , otteniamo ˆ ˆ ˆ b1 · u2 dL 3 + s1 · u2 dL 2 = CE(u1 ) · E(u2 ) dL 3 Ω ∂N Ω Ω ˆ = CE(u2 ) · E(u1 ) dL 3 ˆΩ ˆ = b2 · u1 dL 3 + s2 · u1 dL 2 . Ω
∂N Ω
Il teorema di reciprocit`a afferma che il lavoro compiuto da un primo sistema di forze sugli spostamenti prodotti da un secondo sistema di forze, `e uguale al lavoro compiuto dal secondo sistema di forze sugli spostamenti prodotti dal primo sistema di forze. 6.3.1 Minimo dell’energia potenziale Anche in questa sezione consideriamo un corpo iperelastico con tensore di elaticit`a C definito positivo. Definiamo l’energia potenziale, I, come l’energia elastica totale meno il lavoro dei carichi:
174
6 Il problema elastico
1 I(v) := 2
ˆ
ˆ 3
CE(v) · E(v) dL −
ˆ 3
Ω
s · v dL 2 ,
b · v dL + Ω
∂N Ω
ed indichiamo con b su ∂D Ω}, A := {v : Ω → R3 : v = u l’insieme degli spostamenti v cinematicamente compatibili con lo spostamento b prescritto sulla parte di bordo ∂D Ω. u Teorema 6.12 (“Principio” di minimo dell’energia potenziale). Con la notazione e le ipotesi introdotte, abbiamo u ∈ A : I(u) ≤ I(v) ∀v ∈ A,
ossia u `e un minimo di I
se e solo se u `e soluzione del problema debole (6.3). Dimostrazione. Di seguito, u indicher`a o il punto di minimo dell’energia o la soluzione del problema debole (6.3) e ϕ sar`a un qualsiasi spostamento tale che ϕ = 0 su ∂D Ω. Tramite tali spostamenti, definiamo la funzione f : R → R come f (s) := I(u + sϕ). Tale funzione `e quadratica, infatti ˆ 1 f (s) = CE(u + sϕ) · E(u + sϕ) − b · (u + sϕ) dL 3 Ω 2 ˆ − s · (u + sϕ) dL 2 ∂N Ω ˆ ˆ ˆ 1 3 3 = CE(u) · E(u) dL − b · u dL − s · u dL 2 2 Ω Ω ∂N Ω n1 ˆ +s CE(u) · E(ϕ) + CE(ϕ) · E(u) − b · ϕ dL 3 2 Ω ˆ ˆ o 1 − s · ϕ dL 2 + s2 CE(ϕ) · E(ϕ) dL 3 . 2 Ω ∂N Ω Inoltre, utilizzando la simmetria di C, si ha ˆ 1 f (s) = I(u) + s2 CE(ϕ) · E(ϕ) dL 3 2 Ω ˆ ˆ nˆ +s CE(u) · E(ϕ) dL 3 − b · ϕ dL 3 − Ω
Ω
∂N Ω
in particolare, ˆ ˆ ˆ f 0 (0) = CE(u) · E(ϕ) dL 3 − b · ϕ dL 3 − Ω
Ω
o s · ϕ dL 2 ;
s · ϕ dL 2 ∂N Ω
(6.11)
6.3 Teoremi energetici
175
ed f 00 ≥ 0, dato che C `e definito positivo. Pertanto, la funzione f `e convessa. Iniziamo assumendo che I ha un minimo in u. Allora, dato che ϕ = 0 su ∂D Ω, si ha b su ∂D Ω u + sϕ = u ∀s ∈ R, e quindi u + sϕ ∈ A e f (0) = I(u) ≤ I(u + sϕ) = f (s)
∀s,
visto che u `e un minimo di I. Pertanto, f ha un minimo in 0 e dunque f 0 (0) = 0. Dalla (6.11), deduciamo che ˆ ˆ ˆ CE(u) · E(ϕ) dL 3 = b · ϕ dL 3 + s · ϕ dL 2 . Ω
Ω
∂N Ω
Vista l’arbitrariet`a di ϕ, concludiamo che u `e una soluzione del problema debole (6.3). Viceversa, sia u la soluzione del problema debole. Allora, ˆ ˆ ˆ CE(u) · E(ϕ) dL 3 = b · ϕ dL 3 + s · ϕ dL 2 Ω
Ω
∂N Ω
per ogni ϕ = 0 su ∂D Ω. Dalla (6.11) si evince che f 0 (0) = 0 e quindi, essendo f convessa, 0 `e un minimo per f . Pertanto, I(u) ≤ I(u + sϕ)
∀s ∈ R, ∀ϕ : ϕ|∂D Ω = 0.
Dato che tutte le funzioni v ∈ A, funzioni che soddisfano la condizione al b su ∂D Ω, possono essere scritte come contorno v = u v =u+ϕ
con ϕ|∂D Ω = 0
(fissato v ∈ A, basta prendere ϕ := v − u), concludiamo che I ha un minimo in u. Grazie al Teorema 6.12 possiamo dedurre lo spostamento che caratterizza la configurazione di equilibrio attraverso la minimizzazione dell’energia potenziale, anzich´e risolvere la formulazione debole del problema elastico. La formulazione energetica pu`o risultare vantaggiosa nelle applicazioni numeriche.
6.3.2 Minimo dell’energia complementare Con la notazione e le ipotesi introdotte nella sezione precedente, indichiamo con A∗ := {S : Ω → Sym : divS + b = 0 in Ω,
Sn = s su ∂N Ω},
176
6 Il problema elastico
l’insieme dei tensori degli sforzi S staticamente ammissibili con le forze di volume b e le forze di superficie s. Per ogni S ∈ A∗ , l’energia complementare, I ∗ , `e definita da ˆ ˆ 1 b dL 2 . I ∗ (S) := C−1 S · S dL 3 − Sn · u 2 Ω ∂D Ω Dunque, l’energia elastica complementare `e uguale all’energia elastica totale scritta in termini del tensore degli sforzi meno il lavoro che tale tensore compie sugli spostamenti prescritti sulla parte di bordo ∂D Ω. Anche per l’energia complementare vale un principio di minimo. Per dimostrarlo, avremo bisogno di condizioni di compatibilit` a in forma “debole”. La condizione contenuta nel prossimo Lemma viene chiamata equazione di compatibilit` a di Donati; si osservi che vale anche se il dominio non `e semplicemente connesso. Lemma 6.13 (Equazione di compatibilit` a di Donati). Sia Ω ⊂ R3 , ∂D Ω e ∂N Ω due sottoinsiemi complementari di ∂Ω: ∂D Ω ∪ ∂N Ω = ∂Ω e b : ∂D Ω → R3 e A : Ω → Sym tali che ∂D Ω ∩ ∂N Ω = ∅. Siano u ˆ ˆ b dL 2 A · S◦ dL 3 = S◦ n · u (6.12) Ω
∂D Ω
per ogni S◦ ∈ A∗0 := {S : Ω → Sym : divS = 0 in Ω,
Sn = 0 su ∂N Ω}.
b su ∂D Ω} tale che Allora, esiste u ∈ A = {v : Ω → R3 : v = u A = E(u). Dimostrazione. Per dimostrare il lemma in questa generalit` a abbiamo bisogno d’introdurre un po’ di notazione e di accettare alcuni risultati la cui dimostrazione richiede l’uso di strumenti non trattati nei corsi base di Analisi (una dimostrazione completa in domini semplicemente connessi viene suggerita nell’Esercizio 6.19). Innanzitutto, come si percepisce dall’enunciato del Lemma, avremo a che fare con l’integrale di prodotti scalari di campi simmetrici. Dati B, C : Ω → Sym, definiamo ˆ (B, C) := B · C dL 3 . Ω
Si dimostra che (·, ·) `e un prodotto scalare sullo spazio vettoriale Sym2 := {B : Ω → Sym : kBk2 := (B, B) < +∞}. Indichiamo con A0 := {v : Ω → R3 : v = 0 su ∂D Ω}
6.3 Teoremi energetici
177
e con K0 := {E ∈ Sym2 : ∃v◦ ∈ A0 tale che E = E(v◦ )}. Si dimostra che K0 `e chiuso in Sym2 , e pertanto ammette un complemento ortogonale K0⊥ := {S ∈ Sym2 : (S, E) = 0 ∀E ∈ K0 } : cio`e Sym2 = K0 ⊕ K0⊥ , che significa che ogni elemento di Sym2 pu`o essere scritto, in maniera univoca, come somma di elementi di K0 e K0⊥ . Studiamo K0⊥ : ˆ K0⊥ = {S ∈ Sym2 : S · E dL 3 = 0 ∀E ∈ K0 } Ω ˆ 2 = {S ∈ Sym : S · E(v◦ ) dL 3 = 0 ∀v◦ ∈ A0 } Ω ˆ ˆ = {S ∈ Sym2 : divS · v◦ dL 3 + Sn · v◦ dL 2 = 0 ∀v◦ ∈ A0 }, Ω
∂N Ω
ed utilizzando due volte il lemma fondamentale del calcolo delle variazioni, Lemma 4.9, otteniamo K0⊥ = {S ∈ Sym2 : divS = 0 in Ω,
Sn = 0 su ∂N Ω};
in altre parole K0⊥ = A∗0 .
(6.13)
Si fissi v ∈ A. Allora, integrando per parti, si ha ˆ ˆ b dL 2 E(v) · S◦ dL 3 = S◦ n · u Ω
∂D Ω
per ogni S◦ ∈ A∗0 . Pertanto, la (6.12) pu`o essere cos`ı riformulata: ˆ (A − E(v)) · S◦ dL 3 = 0 Ω
per ogni S◦ ∈ A∗0 . Questo implica, anche grazie alla (6.13), che (A − E(v)) ∈ (A∗0 )⊥ = (K0⊥ )⊥ = K0 , e quindi, per definizione di K0 , esiste v◦ ∈ A0 tale che A − E(v) = E(v◦ ). Ponendo u := v + v◦ si ottiene l’enunciato del lemma.
178
6 Il problema elastico
Teorema 6.14 (Minimo dell’energia complementare). Con la notazione e le ipotesi introdotte, abbiamo T ∈ A∗ : I ∗ (T) ≤ I ∗ (S) ∀S,
ossia T `e `e un minimo di I ∗
se e solo se T `e soluzione del problema forte (6.1). Dimostrazione. Procediamo come nel caso dell’energia potenziale. Il campo T ∈ A∗ indicher`a o il punto di minimo dell’energia complementare o la soluzione del problema forte (6.1), ed S◦ un tensore appartenente all’insieme A∗0 := {S : Ω → Sym : divS = 0 in Ω, Per ogni s ∈ R, sia
Sn = 0 su ∂N Ω}.
f (s) = I ∗ (T + sS◦ ).
Con semplici conti, si ricava ˆ nˆ o b dL 2 f (s) = I ∗ (T) + s C−1 T · S◦ dL 3 − S◦ n · u Ω ∂D Ω ˆ 1 + s2 C−1 S◦ · S◦ dL 3 2 Ω in particolare ˆ
ˆ
f 0 (0) =
C−1 T · S◦ dL 3 − Ω
∂D Ω
b dL 2 S◦ n · u
e f 00 > 0, assumendo che S◦ 6= 0. Se T ∈ A∗ `e il minimo di I ∗ , allora f (0) = I ∗ (T) ≤ I ∗ (T + sS◦ ) = f (s) per ogni s e quindi f 0 (0) = 0, ovvero ˆ ˆ C−1 T · S◦ dL 3 = Ω
∂D Ω
b dL 2 . S◦ n · u
Dall’arbitrariet`a di S◦ ∈ A∗0 e dal Lemma 6.13, deduciamo che esiste u ∈ A = b su ∂D Ω} tale che {v : Ω → R3 : v = u C−1 T = E(u). Questa osservazione, dato che T ∈ A∗ , implica che T `e una soluzione del problema forte (6.1). Viceversa, assumiamo che T ∈ A∗ sia una soluzione del problema forte (6.1). Allora, C−1 T = E(u), con u ∈ A. Integrando per parti, si ha
6.3 Teoremi energetici
ˆ
ˆ C−1 T · S◦ dL 3 = Ω
179
ˆ E(u) · S◦ dL 3 = Ω
∂D Ω
b dL 2 . S◦ n · u
per ogni S◦ ∈ A∗0 . Dunque f 0 (0) = 0 e quindi 0 `e un punto di minimo di f : I ∗ (T) ≤ I ∗ (T + sS◦ ) o essere scritto come per ogni s e per ogni S◦ ∈ A∗0 . Dato che ogni S ∈ A∗ pu` S = T + S◦ per qualche S◦ ∈ A∗0 , concludiamo che T `e un minimo di I ∗ . Nel prossimo Teorema mettiamo in relazione l’energia potenziale con l’energia complementare. Teorema 6.15. Con la notazione e le ipotesi introdotte, abbiamo −I ∗ (S) ≤ I(v)
∀S ∈ A∗ , ∀v ∈ A.
(6.14)
Inoltre, se I ha minimo in u ∈ A ed u `e sufficientemente regolare, si ha −I ∗ (CE(u)) = I(u). Dimostrazione. Per v ∈ A e S : Ω → Sym, si ha 0≤
1 C[E(v) − C−1 S] · (E(v) − C−1 S) 2
con uguaglianza se e solo se E(v) = C−1 S. Riorganizzando la disuguaglianza e integrando, otteniamo ˆ ˆ 1 −1 1 3 S · E(v) − C S · S dL ≤ CE(v) · E(v) dL 3 2 2 Ω Ω e sottraendo il lavoro dei carichi giungiamo a ˆ ˆ ˆ 1 −1 3 3 S · E(v) − C S · S dL − b · v dL − s · v dL 2 ≤ I(v). 2 Ω Ω ∂N Ω La disuguaglianza vale per ogni v e per ogni S, e si ha l’uguaglianza se e solo se E(v) = C−1 S. Integrando per parti, o applicando il Teorema dei Lavori Virtuali 4.7 con la terna {S, − divS, Sn} equilibrata e la coppia {E(v), v} congruente, si deduce che ˆ ˆ ˆ 3 3 S · E(v) dL = − divS · v dL + Sn · v dL 2 Ω
Ω
∂Ω
e quindi ˆ ˆ ˆ 1 −1 3 2 b dL − ( divS + b) · v dL 3 − C S · S dL + Sn · u 2 Ω ∂D Ω Ω ˆ + (Sn − s) · v dL 2 ≤ I(v). ∂N Ω
180
6 Il problema elastico
La disuguaglianza pu`o essere riscritta in maniera pi` u compatta come ˆ ˆ −I ∗ (S) − ( divS + b) · v dL 3 + (Sn − s) · v dL 2 ≤ I(v), Ω
∂N Ω
∗
e con S ∈ A ricaviamo −I ∗ (S) ≤ I(v),
(6.15)
con uguaglianza se S ∈ A∗ e E(v) = C−1 S. Dimostriamo la seconda parte del enunciato. Assumiamo che I abbia minimo in u. Dal Teorema 6.12, u `e una soluzione del problema debole e quindi, assumendo che sia sufficientemente regolare, `e una soluzione del problema forte, in particolare CE(u) ∈ A∗ . Dato che (6.15) vale per ogni v ∈ A, abbiamo −I ∗ (S) ≤ I(u),
(6.16)
e scegliendo S = CE(u) si ha l’uguaglianza: −I ∗ (CE(u)) = I(u).
Osservazione 6.16. Indichiamo con u il punto di minimo di I: I(u) = inf I(v). v∈A
Dal Teorema 6.14, si ha I ∗ (CE(u)) = inf ∗ I ∗ (S), S∈A
e dal Teorema 6.15 deduciamo che sup − I ∗ (S) = − inf ∗ I ∗ (S) = −I ∗ (CE(u)) = I(u) = inf I(v). v∈A
S∈A
S∈A∗
Prendendo un qualsiasi spostamento v cinematicamente compatibile con lo spostamento prescritto su ∂D Ω, otteniamo una “stima dall’alto” del minimo dell’energia potenziale I(u) = inf I(v) ≤ I(v) v∈A
∀v ∈ A.
Inoltre, prendendo un campo tensoriale simmetrico S staticamente ammissibile con le forze applicate, otteniamo una “stima dal basso”: −I ∗ (S) ≤ sup − I ∗ (S) = −I ∗ (CE(u)) ∀S ∈ A∗ . S∈A∗
Assemblando le tre ultime equazioni troviamo una stima “dal basso” e una “dall’alto” dell’energia potenziale associata alla soluzione del problema elastico u: −I ∗ (S) ≤ I(u) ≤ I(v) per ogni v ∈ A e S ∈ A∗ .
♦
6.3 Teoremi energetici
181
Esempio 6.17. In questo esempio vediamo come l’Osservazione 6.16 permetta, in alcuni casi, di determinare la soluzione del problema elastico. Consideriamo un corpo elastico lip neare ed isotropo, con tensore di elasticit`a definito positivo, occupante una regione cilindrica Ω = ω × (0, h) con una base appoggiax3 ta su un piano liscio di equazione {x3 = 0}. Il corpo `e soggetto solamente a delle forze di superficie x2 uniformi −p e3 applicate sulla base x1 ω × {h}, in particolare le forze di volume sono nulle: b = 0. Indichiamo con u la soluzione del problema elastico. L’energia associata alla soluzione pu`o essere stimata “dall’alto” tramite l’energia elastica di un generico spostamento compatibile con i vincoli. Per il problema in considerazione, l’energia potenziale elastica ˆ 1 E ν I(v) = |E(v)|2 + (tr E(v))2 dL 3 2 Ω 1+ν 1 − 2ν ˆ − −p e3 · v dL 2 ω×{h}
`e definita sull’insieme degli spostamenti cinematicamente compatibili A := {v : Ω → R3 : v3 = 0 su ω × {0}}. Per fare una stima fissiamo tre costanti c1 , c2 e c3 e consideriamo lo spostamento vc = c1 x1 e1 + c2 x2 e2 + c3 x3 e3 , che appartiene ad A, la cui energia associata `e ˆ 1 E 2 ν(c1 + c2 + c3 )2 I(vc ) = (c1 + c22 + c23 ) + dL 3 2 Ω 1+ν 1 − 2ν ˆ + pc3 h dL 2 ω×{h}
=
EAh 2 ν(c1 + c2 + c3 )2 (c1 + c22 + c23 ) + + Ahpc3 , 2(1 + ν) 1 − 2ν
dove A indica l’area della sezione ω. Per qualsiasi valore delle costanti c1 , c2 e c3 avremo I(u) ≤ I(vc ). Per migliorare la stima, possiamo cercare le costanti c1 , c2 e c3 che minimizzano l’energia I(vc ). Con un semplice conto, risultano: c1 = c2 =
νp , E
c3 = −
p . E
182
6 Il problema elastico
Per tali valori definiamo quindi vp :=
νp νp p x 1 e1 + x 2 e2 − x 3 e3 E E E
la cui energia associata risulta I(vp ) =
p2 Ah p2 Ah 2 p2 Ah (2ν + 1) + ν(1 − 2ν) − =− . 2E(1 + ν) E 2E
Pertanto, p2 Ah . 2E Per trovare una stima “dal basso” consideriamo l’energia complementare che `e uguale a ˆ 1 1+ν 2 ν ∗ I (S) = |S| − (tr S)2 dL 3 , 2 Ω E E I(u) ≤ I(vp ) = −
ed `e definita su A∗ := {S : Ω → Sym : divS = 0 in Ω, Sn = 0 su ∂ω × (0, h),
Se3 = −p e3 su ω × {h}, Se3 · eα = 0 su ω × {0}, α = 1, 2}.
Il tensore Tp := −p e3 ⊗ e3 appartiene ad A∗ e pertanto −I ∗ (Tp ) ≤ I(u). Tramite un semplice conto troviamo ˆ 1 1+ν 2 ν p2 Ah I ∗ (Tp ) = |p| − (p)2 dL 3 = . 2 Ω E E 2E Riassumendo, valgono le seguenti disuguaglianze −
p2 Ah p2 Ah = −I ∗ (Tp ) ≤ I(u) ≤ I(vp ) = − , 2E 2E
da cui deduciamo che le disuguaglianze sono in realt` a tutte uguaglianze e quindi vp `e il punto di minimo dell’energia e, per l’unicit` a della soluzione (a meno di traslazioni rigide), u = vp . Inoltre il minimo dell’energia complementare `e Tp ed `e legato a vp dalla relazione Tp = CE(vp ). ♥
6.4 Esempio: il problema elastico per una trave
183
6.4 Esempio: il problema elastico per una trave Consideriamo il modello mono-dimensionale di trave costruito alla fine dei precedenti capitoli. Indichiamo con Λ := {0} × {0} × (0, `) l’asse della trave, con q1 , q2 e q3 i carichi per unit`a di lunghezza e con m1 , m2 e m3 le coppie per unit`a di lunghezza, come definiti nella Sezione 3.5. Le equazioni di equilibrio sono T10 + q1 = 0, T20 + q2 = 0, N 0 + q = 0, 3 0 M − T 2 + m1 = 0, 1 0 M2 + T1 + m2 = 0, 0 Mt + m3 = 0, dove Tα e Mα sono i tagli e i momenti flettenti, mentre N e Mt sono lo sforzo normale e il momento torcente. Indichiamo con ∂D Λ la parte di bordo vincolata e con ∂N Λ la parte in cui sono applicati dei carichi. Assumendo che ∂N Λ non sia vuoto, indichiamo con Fi e Ci le forze e coppie esterne agenti su ∂N Λ. Le equazioni di equilibrio al contorno diventano Tα = ±Fα ,
N = ±F3 ,
Mα = ±Cα ,
Mt = ±C3
su ∂N Λ,
dove le equazioni scritte sono verificate con il + nell’estremo di destra x3 = ` e con il − in x3 = 0. Le equazioni costitutive trovate nella Sezione 5.7 sono N = EAε,
Tα = µAγα ,
Mα = EJα κα
e
Mt = µJ0 κ3 ,
dove le misure di deformazione ε, γα e κi sono legate agli “spostamenti” dalle relazioni trovate nella Sezione 2.9: ε = a03 ,
γ1 = a01 − α2 ,
γ2 = a02 + α1 ,
κ1 = α10 ,
κ2 = α20 ,
κ3 = α30 .
Le ai sono le componenti dello spostamento dell’asse della trave e αi sono gli angoli di rotazione della sezione trasversale attorno agli assi xi . Il problema elastico `e completato specificando gli “spostamenti” prescritti sulla parte di bordo vincolata ∂D Λ. Questi possono essere del tipo ai = a ˆi ,
αi = α ˆi
su ∂D Λ,
dove a ˆi e α ˆ i sono gli spostamenti e le rotazioni prescritte sul bordo vincolato. Il problema elastico pu`o essere decomposto in quattro problemi indipendenti:
184
6 Il problema elastico
0 N + q3 = 0 N = ±F3 N = EAε ε = a03 a3 = a ˆ3
0 Mt + m3 = 0 Mt = ±C3
in Λ, su ∂N Λ, in Λ,
Mt = µJ0 κ3 κ3 = α30 α3 = α ˆ3
in Λ, su ∂D Λ,
in Λ, su ∂N Λ, in Λ, in Λ, su ∂D Λ,
il primo `e il problema elastico per lo sforzo normale, il secondo per il momento torcente, mentre 0 M 1 − T 2 + m1 = 0 in Λ, 0 T2 + q2 = 0 in Λ, M = ±C , T = ±F su ∂ Λ, 1
1
2
2
M1 = EJ1 κ1 T2 = µAγ2 κ1 = α10 γ2 = a02 + α1 α1 = α ˆ 1 a2 = a ˆ2 e
0 M2 + T1 + m2 = 0 T10 + q1 = 0 M = ±C , T = ±F 2 2 1 1 M2 = EJ1 κ2 T1 = µAγ1 κ2 = α20 γ2 = a01 − α2 α2 = α ˆ 2 a1 = a ˆ1
N
in Λ, in Λ, su ∂D Λ, in Λ, in Λ, su ∂N Λ, in Λ, in Λ, su ∂D Λ,
sono i problemi per i due momenti flettenti.
6.5 Esercizi Esercizio 6.18. Moltiplicando scalarmente la prima equazione del problema forte (6.2) per una funzione ϕ tale che ϕ|∂D Ω = 0, integrando e applicando il teorema della divergenza, ottenere il problema debole (6.3) senza utilizzare il teorema dei lavori virtuali. Questo ridimostra che la soluzione del problema forte `e anche soluzione del problema debole. Viceversa, assumendo che la soluzione u del problema debole `e almeno due volte differenziabile dimostrare, argomentando come nella dimostrazione del Teorema 4.10, che u `e anche la soluzione del problema forte. 5 Esercizio 6.19. In questo esercizio si propone una dimostrazione pi` u semplice dell’equazione di compatibilit`a di Donati, Lemma 6.13. La dimostrazione proposta, per`o, `e percorribile soltanto se si aggiunge la seguente ipotesi: il dominio Ω ⊂ R3 `e semplicemente connesso. •
Per ϕ : Ω → Sym un campo tensoriale nullo in prossimit` a di ∂Ω, si ponga
6.5 Esercizi
185
S◦ := curl curl ϕ. Si osservi che, magari ricordando l’Esercizio 3.25, S◦ ∈ A∗0 := {S : Ω → Sym : divS = 0 in Ω, •
Sn = 0 su ∂N Ω}.
Si assuma che A : Ω → Sym sia tale che ˆ ˆ b dL 2 A · S◦ dL 3 = S◦ n · u Ω
(6.17)
∂D Ω
per ogni S◦ ∈ A∗0 . Prendendo S◦ come nel punto precedente, dedurre che ˆ curl curl A · ϕ dL 3 = 0 Ω
•
e quindi che esiste u tale che A = E(u). Si sostituisca A = E(u) nella (6.17) e si deduca che ˆ b ) dL 2 = 0 S◦ n · (u − u ∂D Ω
b su ∂D Ω. e quindi che u = u 5 Esercizio 6.20. Un corpo elastico lineare ed isotropo occupante una regione Ω = (−a, a) × (−b, b) × (0, −h) `e completamente immerso in un fluido di peso specifico ρf (la superficie libera del fluido `e {x3 = 0}). Il peso specifico del solido `e ρs e sulla superficie libera del corpo, (−a, a) × (−b, b) × {0}, `e applicato un carico uniforme −p e3 . Si scriva il problema elastico e si determini la relazione tra il carico p e i pesi specifici ρf e ρs che garantiscono l’equilibrio. 5 Esercizio 6.21. Un corpo ha la base (−a, a) × (−b, b) appoggiata su un piano orizzontale rigido, ha altezza a e sezione nel piano x1 -x3 come una di quelle rappresentate nella figura sottostante. Il corpo `e esclusivamente soggetto ad un carico uniformemente distribuito agente su tutta la regione (−a, a) × (−b, b), come rappresentato in figura. Si scriva il problema elastico (per le tre sezioni) nei seguenti due casi: 1. la base `e completamente solidale con il piano rigido; 2. il piano rigido `e perfettamente liscio e pertanto il corpo non pu` o staccarsi ma pu`o muoversi liberamente nel piano. p
p
p
5
186
6 Il problema elastico
Esercizio 6.22. Lo stato di sforzo in un corpo elastico lineare, omogeneo ed isotropo occupante la regione Ω = (0, `) × (0, `) × (0, `) `e rappresentato dalla matrice kx1 0 k(x3 − `) . 0 0 0 [T ] = k(x3 − `) 0 k(` − x3 ) 1. Determinare quali facce del cubo Ω sono scariche, ovvero su quali facce non sono applicate forze di superficie; 2. scrivere il problema elastico assumendo che nelle facce non scariche sia prescritto uno spostamento; 3. determinare le forze di volume applicate; 4. determinare E = C−1 T e verificare che rappresenta un tensore di deformazione infinitesima; 5. determinare gli spostamenti prescritti sulle facce vincolate. 5
7 Criteri di resistenza
La risoluzione del problema elastico ci permette di determinare lo stato tensionale e deformativo in ogni punto del corpo. Chiaramente, tali soluzioni risultano valide soltanto nella misura in cui sono soddisfatte le ipotesi su cui il problema elastico `e fondato. La linearit`a tra sforzo e deformazione, ipotesi alla base del modello sviluppato, risulta con buona approssimazione verificata ` quindi fonin tutti i materiali solo per deformazioni relativamente piccole. E damentale verificare che lo stato tensionale, o deformativo, non superi gli stati limite oltre i quali l’equazione costitutiva cessa di essere lineare. In prima approssimazione, molti materiali fragili raggiungono la rottura in campo lineare, mentre diversi materiali duttili si snervano quando abbandonano il campo lineare. Dunque, con tale verifica si pu`o evitare lo snervamento e la rottura del materiale e quindi pu`o essere ritenuta come una verifica sulla sicurezza e sul corretto funzionamento della struttura in esame.
7.1 Tensioni ideali e funzione di snervamento Attraverso una prova di trazione monoassiale `e possibile determinare il valore σ t per cui nella regione (0, σ t ) il legame sforzo-deformazioni `e essenzialmente lineare. Analogamente, tramite una prova di compressione monoassiale possiamo determinare l’analogo valore −σ c . Nel caso monoassiale, il comportamento elastico lineare sar`a assicurato attraverso la seguente semplice verifica
σ σt
ε −σ c
−σ c ≤ σ ≤ σ t . Nella pratica, per cautelarsi, si considerano dei valori limite pi` u piccoli di quelli determinati sperimentalmente. S’introduce un coefficiente di sicurezza γ > 1 e si sostituiscono i valori σ c e σ t con i valori pi` u cautelativi © The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_7
187
188
7 Criteri di resistenza c σamm :=
σc γ
e
t σamm :=
σt . γ
La verifica dunque consiste nell’accertarsi che c t −σamm ≤ σ ≤ σamm .
L’intervallo definito da c t E := {σ : −σamm < σ < σamm }
viene chiamato regione elastica: in tale insieme la relazione costitutiva `e elastica lineare. La frontiera della regione elastica c t Y := ∂E = {−σamm , σamm },
chiamata superficie di snervamento, `e l’insieme delle tensioni che rappresentano il raggiungimento dello stato limite. Per stati di tensione monoassiali `e relativamente semplice ed economico determinare la regione elastica e la superficie di snervamento. Ben diverso `e il caso di tensioni pluriassiali in cui le prove sono particolarmente laboriose, difficilmente realizzabili e possono produrre solamente risultati parziali. Queste difficolt`a possono essere superate introducendo dei criteri che a partire da uno stato tensionale generico facciano corrispondere una tensione monoassiale a compressione ed una a trazione che permettono di condurre la verifica come nel caso monoassiale. Precisamente, attraverso opportuni criteri, che discuteremo, si definiscono due funzioni Σ c : Sym → R−
e
Σ t : Sym → R+
che associano ad un generico tensore degli sforzi T le tensioni c σid = Σ c (T) ≤ 0
e
t σid = Σ t (T) ≥ 0,
chiamate tensioni ideali a compressione e a trazione, attraverso le quali la verifica del materiale `e assicurata dalle disuguaglianze c c −σamm ≤ σid
e
t t σid ≤ σamm .
(7.1)
Le funzioni Σ c e Σ t associano ad una generico stato di sforzo pluriassiale due tensioni monoassiali “equivalenti”. Quindi, attraverso semplici prove moc noassiali si determina la regione elastica (monodimensionale), ovvero σamm e t c t σamm , e tramite le funzioni Σ e Σ si riduce la verifica nel caso di tensioni pluriassiali al caso monoassiale. La regione elastica e la superficie di snervamento nel caso pluriassiale possono essere agevolmente descritte attraverso una funzione φ : Sym → R, chiamata funzione di snervamento, definita da t c φ(T) := max{Σ t (T) − σamm , −Σ c (T) − σamm }.
Per come definita, la funzione di snervamento `e tale che
(7.2)
7.1 Tensioni ideali e funzione di snervamento
• • •
189
φ(T) < 0 se lo stato limite elastico non `e raggiunto, ovvero se la verifica (7.1) `e verificata strettamente; φ(T) = 0 se lo stato limite elastico `e raggiunto, ovvero se una delle disuguaglianze (7.1) `e verificata con il segno di uguaglianza; φ(T) > 0 se la (7.1) non `e verificata.
La funzione di snervamento essenzialmente misura la “distanza con segno” c t e σamm . Dunque, delle tensioni monoassiali equivalenti dai punti limite −σamm la regione elastica `e E := {T ∈ Sym : φ(T) < 0}, mentre gli stati limite sono descritti dalla superficie di snervamento: Y := ∂E = {T ∈ Sym : φ(T) = 0}. A partire dalle funzioni Σ c e Σ t abbiamo definito la funzione φ, osserviamo per`o che ai fini della verifica `e sufficiente conoscere la funzione di snervamento φ. Nei materiali aventi lo stesso comportamento a trazione e a compressione si ha c t σamm := σamm = σamm , e Σ(T) := Σ t (T) = −Σ c (T) = σamm + φ(T); la verifica si riduce a σid := Σ(T) ≤ σamm . 7.1.1 Simmetrie Per fissare le idee, immaginiamo di avere un corpo in cui il piano x1 -x2 `e piano di simmetria materiale, e quindi Q := R(π, e3 ) `e una rotazione che appartiene al gruppo di simmetria del materiale G. e3 ` ragionevole pensare che la generica tensione E T e la tensione ruotata TQ = QTQT , tramie1 e2 te Q = R(π, e3 ), producano la stessa tensione monoassiale equivalente e dunque Σ(T) = Σ(TQ ). Qui e di seguito, per semplicit`a, lavoriamo con la funzione Σ, ma le stesse osservazioni valgono in generale per le funzioni Σ c e Σt. In generale, assumiamo che la funzione Σ soddisfi la seguente condizione di simmetria Σ(T) = Σ(QTQT )
∀Q ∈ G
e
∀T ∈ Sym.
(7.3)
In particolare, visto che il gruppo di simmetria di un materiale isotropo `e tutto il gruppo delle rotazioni, la funzione Σ `e invariante per ogni rotazione
190
7 Criteri di resistenza
e quindi `e naturale aspettarsi che dipenda esclusivamente dalle tensioni principali, ossia non dipenda dalle direzioni principali. Questo `e l’enunciato del prossimo teorema. Teorema 7.1. Se il materiale `e isotropo, G = SO(3), e la funzione Σ soddisfa ˜ : R3 → R tale che la (7.3), allora esiste una funzione Σ ˜ b, c) = Σ(a, ˜ c, b) = Σ(b, ˜ a, c) Σ(a,
∀a, b, c ∈ R
e ˜ 1 , σ2 , σ3 ), Σ(T) = Σ(σ dove σ1 , σ2 e σ3 sono le tensioni principali di T. Dimostrazione. Definiamo ˜ b, c) := Σ(a e1 ⊗ e1 + b e2 ⊗ e2 + c e3 ⊗ e3 ), Σ(a, e verifichiamo che ha le propriet`a enunciate. Dal teorema spettrale si ha che ogni T ∈ Sym pu`o essere scritto come T=
3 X
σ i ti ⊗ ti
i=1
dove i vettori ti formano un sistema ortonormale destro. Esiste pertanto Q ∈ SO(3) tale che Qti = ei per ogni i. Per cui si ha QTQT =
3 X
σi Qti ⊗ ti QT =
i=1
3 X
σi Qti ⊗ Qti =
3 X
i=1
σ i e i ⊗ ei
i=1
e quindi Σ(T) = Σ(QTQT ) = Σ(
3 X
˜ 1 , σ2 , σ3 ). σi ei ⊗ ei ) = Σ(σ
i=1
Prendendo Q = R(π/2, e1 ) si ha Q(a e1 ⊗ e1 + b e2 ⊗ e2 + c e3 ⊗ e3 )QT = a e1 ⊗ e1 + b e3 ⊗ e3 + c e2 ⊗ e2 e quindi ˜ b, c) = Σ(a, ˜ c, b) Σ(a,
∀a, b, c ∈ R.
˜ In maniera analoga si dimostra l’altra simmetria di Σ.
Per i materiali isotropi quindi la funzione di snervamento φ si riconduce ad una funzione di sole tre variabili e pertanto la regione elastica e la superficie di snervamento possono venire rappresentate in R3 .
7.2 Criteri di resistenza per materiali fragili
191
7.2 Criteri di resistenza per materiali fragili Per la gran parte dei materiali fragili la rottura del materiale `e raggiunta appena l’equazione costitutiva cessa di essere elastica lineare. Dunque lo stato limite elastico coincide, di fatto, con la rottura del materiale. Inoltre, la resistenza a compressione dei materiali fragili `e, in valore assoluto, molto maggiore c t della resistenza a trazione, ovvero σamm σamm . Di seguito ci limitiamo ad esporre solamente i criteri pi` u noti e pi` u utilizzati, inoltre la trattazione sar`a limitata ai materiali isotropi. 7.2.1 Criterio della massima tensione normale Il criterio della massima tensione normale, dovuto a Galilei-Rankine-Lam´eNavier, stabilisce che il raggiungimento dello stato limite in un materiale `e determinato dal valore delle tensioni principali. Le tensioni ideali, secondo questo criterio, sono σ2 t σamm
c σid = Σ c (T) := min{0, σ1 , σ2 , σ3 }
σ1
e t σid
t
= Σ (T) := max{0, σ1 , σ2 , σ3 }
c −σamm
dove σ1 , σ2 e σ3 sono le tensioni principali di T. La regione elastica `e c E := {T ∈ Sym : −σamm ≤ Σ c (T),
t σamm
c −σamm t Σ t (T) ≤ σamm },
che nello spazio delle tensioni principali corrisponde alla regione in cui le tre c t σi sono comprese tra −σamm e σamm . La regione elastica `e dunque un cubo la cui proiezione nel piano σ1 e σ2 `e rappresentata nella figura soprastante. 7.2.2 Criterio di Coulomb La legge dell’attrito di Coulomb stabilisce che un corpo su un piano orizzontale non si muove fintanto che la forza orizzontale applicata T `e minore o uguale alla forza perpendicolare N moltiplicata per il coefficiente di attrito statico tan η: |T | ≤ N tan η.
N T
Nel caso in cui sia comunque necessaria una forza orizzontale per muovere il corpo anche quando la forza perpendicolare `e nulla, N = 0, la legge viene modificata introducendo un coefficiente di coesione C: |T | ≤ N tan η + C.
192
7 Criteri di resistenza
La costante C corrisponde alla forza orizzontale necessaria per spostare il corpo in assenza di forze perpendicolari. Il criterio di resistenza di Coulomb, chiamato anche criterio dell’attrito interno, afferma che lo stato limite non `e superato fintanto che il modulo della tensione tangenziale in una generica giacitura `e inferiore alla somma tra un coefficiente di “attrito interno”, tan η, moltiplicato per la tensione normale σ e la coesione c: τ σ |τ | ≤ −σ tan η + c.
(7.4)
Le costanti η e c dipendono dal materiale e sono determinate attraverso prove mono-dimensionali. Nel piano σ e |τ | la regione elastica `e quella a forma di “cuneo” in cui la superficie di snervamento `e determinata dalle due semirette aventi inizio in (c/ tan η, 0) e passanti per i punti (0, ±c). |τ | L c η σ1
σ3
M
N σ c/ tan η
La (7.4) `e verificata se e solo se l’arbelo di Mohr `e completamente contenuto nel “cuneo” dato che le tensioni possibili in ogni giacitura `e contenuta nell’arbelo. Riordinando le tensioni principali, possiamo assumere σ1 ≤ σ2 ≤ σ3 , e quindi la (7.4) `e verificata se il cerchio di Mohr determinato da σ1 e σ3 `e contenuto nel “cuneo”. Il raggio del cerchio di Mohr (pi` u grande) e la distanza tra il cerchio e la superficie di snervamento sono r=
σ3 − σ1 2
e
M L = M N sin η,
dove, come si deduce dalla figura, si ha MN =
c σ1 + σ 3 − tan η 2
e quindi
M L = c cos η −
σ1 + σ3 sin η. 2
Il cerchio `e contenuto nel “cuneo” se r ≤ M L, che tramite le identit` a ricavate si riscrive come
7.3 Criteri di resistenza per materiali duttili
193
σ3 − σ1 ≤ 2c cos η − (σ1 + σ3 ) sin η che equivale a 2c cos η ≥ σ3 (1 + sin η) − σ1 (1 − sin η).
(7.5)
Durante una prova mono-assiale a trazione per cui si ha σ1 = σ2 = 0 e t σ3 = σamm la disuguaglianza (7.5) vale con il segno di uguaglianza: t 2c cos η = σamm (1 + sin η), c analogamente, per una prova mono-assiale a compressione in cui σ1 = −σamm e σ2 = σ3 = 0 si ha c 2c cos η = σamm (1 − sin η).
Con queste due identit`a possiamo riscrivere la (7.5), ovvero la condizione di verifica (7.4), come σ3 σ1 1≥ t − c , σamm σamm dove, ricordiamo, σ1 e σ3 sono la minima e la massima tensione principale, rispettivamente.
7.3 Criteri di resistenza per materiali duttili I materiali duttili, con buona approssimazione, presentano un ugual comportamento a trazione e a compressione e quindi c t σamm := σamm = σamm .
Inoltre, un’ampia indagine sperimentale ha messo in evidenza che nei materiali duttili il raggiungimento dello stato limite non `e praticamente influenzato da un regime, anche abbastanza “grande”, di tensioni idrostatiche. Pi` u precisamente, la funzione di snervamento soddisfa l’identit` a φ(T) = φ(T + pI), per valori di |p| < pc , dove pc dipende dal materiale ed `e generalmente “molto grande”. Assumendo il valore pc infinitamente grande si ha φ(T) = φ(T + pI)
∀p ∈ R,
(7.6)
e quindi la regione elastica `e insensibile a variazioni idrostatiche della tensione. Decomponendo il tensore degli sforzi in una parte idrostatica ed una deviatorica, si ricordi il Teorema 5.14, abbiamo φ(T) = φ(Tidr + Tdev ) = φ(pI + Tdev ), dove p = tr T/3. Dalla propriet`a (7.6) deduciamo che
194
7 Criteri di resistenza
φ(T) = φ(Tdev ),
(7.7)
ovvero il raggiungimento dello stato limite `e determinato esclusivamente dalla parte deviatorica del tensore degli sforzi. Dal Teorema 7.1 sappiamo che la funzione di snervamento per un materiale isotropo dipende esclusivamente dalle tensioni principali. Se T ha tensioni principali σ1 , σ2 e σ3 , associamo a T il punto σ := (σ1 , σ2 , σ3 ) ∈ R3 . Con questa notazione abbiamo che a Tidr associamo σ idr = (σ1 +σ2 +σ3 )/3(1, 1, 1) e a Tdev corrisponde σ dev = σ −σ idr , in particolare σ dev ·(1, 1, 1) = 0. Questa osservazione suggerisce le seguenti due definizioni R3idr := {σ ∈ R3 : ∃α ∈ R tale che σ = α1}, R3dev := {σ ∈ R3 : σ · 1 = 0}, dove abbiamo posto 1 := (1, 1, 1). Segue che ogni punto di R3 pu` o essere scritto in maniera univoca come somma di un punto in R3idr e di uno in R3dev , si veda l’Esercizio 7.2. In altre parole, R3 viene decomposto in due spazi ortogonali. R3idr σ3
1 R3dev
1
σ2
σ3 1
σ1 σ1
R3dev σ2
Per un materiale isotropo esiste una funzione di snervamento in termini di tensioni principali φ˜ tale che R3idr ˜ 1 , σ3 , σ3 ) = φ(σ) ˜ φ(T) = φ(σ
1 R3dev σ3 1 σ1
R3dev σ2
e dalle (7.6) e (7.7) si ha ˜ ˜ dev ) φ(T) = φ(p1 + σ) = φ(σ
∀p ∈ R. (7.8)
Pertanto, la regione elastica nello spazio delle tensioni principali `e un cilindro (di “altezza” infinita) con asse parallelo al vettore 1 e con sezione trasversale nel piano R3dev .
7.3 Criteri di resistenza per materiali duttili
195
Come per i materiali fragili ci limitiamo a trattare i criteri che hanno avuto maggiori conferme sperimentali. La trattazione che segue `e limitata ai materiali isotropi. 7.3.1 Criterio di Tresca Il criterio di Tresca prende spunto dall’osservazione che in diversi materiali duttili il raggiungimento dello snervamento corrisponde allo scorrimento del materiale lungo determinati piani orientati. Gli scorrimenti sono in “dualit` a” con le tensioni tangenziali e questo induce a congetturare che il materiale inizi a “scorrere” quando la tensione tangenziale raggiunge un determinato valore critico. Il criterio di Tresca, chiamato anche criterio della massima tensione tangenziale, assume che il raggiungimento dello stato limite `e determinato dal massimo valore della tensione tangenziale. In particolare, il materiale non “scorrer`a” finch´e la tensione tangenziale massima `e minore o uguale ad un certo valore critico τ c : max |τ | ≤ τ c . (7.9) Il valore τ c dipende chiaramente dal materiale. Per rendere pi` u esplicita la condizione di verifica (7.9) di Tresca, consideriamo le tensioni principali σ1 , σ2 e σ3 . Dall’analisi sul cerchio di Mohr, sappiamo che il valore massimo di |τ | `e uguale al massimo tra i raggi dei tre cerchi di Mohr associati, ovvero max |τ | =
1 max{|σ1 − σ2 |, |σ2 − σ3 |, |σ3 − σ1 |}. 2
Dunque la (7.9) pu`o essere riscritta come ˜ 1 , σ2 , σ3 ) := 1 max{|σ1 − σ2 |, |σ2 − σ3 |, |σ3 − σ1 |} − τ c ≤ 0. φ(σ 2
(7.10)
Nell’Esercizio 7.3 viene chiesto di dimostrare che φ˜ soddisfa la (7.8). L’identit` a (7.8) implica che la regione elastica nello spazio delle tensioni principali `e un cilindro con asse parallelo a 1. Per determinare il valore di τ c consideriamo una prova monoassiale in cui si raggiunge lo stato limite: σ1 = σ2 = 0 e σ3 = σamm . Avremo ˜ 0, σamm ) = 0, φ(0, che implica
σamm = τ c, 2 e quindi la funzione di snervamento la possiamo riscrivere in forma esplicita come ˜ 1 , σ2 , σ3 ) := 1 max{|σ1 − σ2 |, |σ2 − σ3 |, |σ3 − σ1 |} − σamm . φ(σ 2
(7.11)
196
7 Criteri di resistenza
La regione elastica `e l’insieme dei tensori T con tensioni principali σ1 , σ2 e σ3 che soddisfano la disuguaglianza max{|σ1 − σ2 |, |σ2 − σ3 |, |σ3 − σ1 |} ≤ σamm . La regione elastica nello spazio delle tensioni principali, come detto, `e un cilindro con asse parallelo a 1 e a sezione trasversale esagonale. σ3 σamm
1 σamm σ1
R3dev σamm σ2
7.3.2 Criterio di von Mises Ricordiamo che l’energia di un solido elastico lineare `e 1 1 1 CE · E = T · E = (Tidr + Tdev ) · (Eidr + Edev ) 2 2 2 1 idr 1 dev idr = T ·E + T · Edev , 2 2
Φ=
dove l’ultima uguaglianza segue dall’ortogonalit` a tra la parte idrostatica e quella deviatorica. L’identit`a trovata afferma che l’energia `e uguale alla somma tra l’energia idrostatica e quella deviatorica o distorcente. In maniera informale possiamo pensare all’energia idrostatica come all’energia associata a variazioni di volume ma non di forma, mentre la quota distorcente `e l’energia associata a variazioni di forma del corpo. Il criterio di von Mises, anche chiamato criterio della massima energia distorcente, afferma che lo stato limite `e determinato dall’energia distorcente. In particolare, `e il valore dell’energia distorcente che determina la “distanza” dalla superficie di snervamento. Dunque, la funzione di snervamento `e φ(T) =
1 dev T · Edev − k 2
dove k `e un valore soglia dipendente dal materiale considerato. Per materiali isotropi, si veda il Teorema 5.15, si ha φ(T) =
1 1 + ν dev 2 |T | − k. 2 E
7.3 Criteri di resistenza per materiali duttili
197
Il valore di k pu`o essere determinato da una prova di trazione monoassiale, ovvero imponendo che la funzione di snervamento sia nulla quando la tensione in una prova monoassiale (ad esempio in direzione e1 ) `e uguale a σamm : φ(σamm e1 ⊗ e1 ) = 0. Questa identit`a, nel caso in esame, conduce all’equazione 11+ν |(σamm e1 ⊗ e1 )dev |2 − k = 0 2 E
(7.12)
che ci permette di esprimere la costante k in termini di σamm . Per ottenere una formula esplicita calcoliamo la norma della parte deviatorica di σamm e1 ⊗ e1 . A tal fine, abbiamo σamm I, (σamm e1 ⊗ e1 )idr = 3 e dunque (σamm e1 ⊗ e1 )dev =
2σamm σamm e1 ⊗ e1 − (e2 ⊗ e2 + e3 ⊗ e3 ) 3 3
la cui norma `e 2 |(σamm e1 ⊗ e1 )dev |2 = σamm
4+1+1 2 2 = σamm . 9 3
Sostituendo nella (7.12), troviamo un espressione di k in termini di σamm : k=
11+ν 2 σ 3 E amm
e quindi la funzione di snervamento risulta φ(T) =
1 1 + ν dev 2 2 2 |T | − σamm , 2 E 3
(7.13)
che soddisfa la (7.6). Pertanto, la regione elastica `e l’insieme dei T per cui φ(T) < 0 ⇐⇒ |Tdev |2
0 si ha ˆ 1 L 3 ({x ∈ R : |E(x)| > η}) < 2 |E(x)|2 dL 3 η R pertanto, il volume della regione in cui |E(x)| `e maggiore di η (che assumiamo essere “grande”) `e pi` u piccolo dell’integrale di |E(x)|2 su R diviso η 2 . R. Toupin, nel 1965, ha considerato un corpo nella configurazione ω×(0, `), con forze di superficie nulle sulla base ω × {0}, e forze superficiali sulla base ω×{`} aventi risultante e momento risultante nulli, e ha dimostrato il seguente risultato: l’energia immagazzinata nella zona di trave tra la base scarica x3 = 0 e la sezione di coordinata x3 ˆ x3 ˆ 1 U (x3 ) := CE · E dL 2 dL 1 2 0 ω soddisfa la seguente disuguaglianza U (x3 ) ≤ γ0 U (`)e−γ(`−x3 ) ,
(8.13)
dove le costanti γ0 e γ sono positive e dipendono dalla regione ω e dal tensore di elasticit`a C. x3
x2 U x3 Pertanto, l’energia U (x3 ) immagazzinata nella zona di trave tra 0 e x3 decade esponenzialmente all’aumentare di ` − x3 , ossia man mano che ci si allontana dalla base caricata. Maggiore `e γ e pi` u rapidamente l’energia decade. Nell’Appendice 8.7 si trova la dimostrazione della (8.13). ♦ Accettando il principio di de Saint-Venant, non contano le distribuzioni di forze superficiali alle basi ma conta soltanto la risultante e il momento risultante di tali forze. In altre parole, le condizioni alle basi
8.3 Il principio di de Saint-Venant
τ + σe3 = −s0
su ω × {0}
τ + σe3 = +s`
e
su ω × {`},
217
(8.14)
non vengono soddisfatte puntualmente, ma solo in “media”. Il prezzo che si pagher`a nell’assumere il principio di de Saint-Venant `e che la soluzione trovata sar`a valida solamente ad una sufficiente distanza dalle basi. Prima di utilizzare questo schema di lavoro, ribadiamo che per particolari distribuzioni di forze `e possibile trovare una soluzione (esatta) senza invocare il principio di de Saint-Venant: una di queste distribuzioni `e quella dell’Esempio 8.4. Con il principio di de Saint-Venant sostituiremo le (8.14) nel problema (8.10) con: ˆ ˆ ˆ ˆ 2 0 2 2 τ + σe3 dL = − s dL , x ∧ (τ + σe3 ) dL = − x ∧ s0 dL 2 ω
ω
ω
in x3 = 0, ed ˆ ˆ 2 τ + σe3 dL = s` dL 2 , ω
ω
ω
ˆ
ˆ 2
x ∧ s` dL 2
x ∧ (τ + σe3 ) dL = ω
ω
in x3 = `. Poniamo ˆ ˆ s` dL 2 =: T1` e1 + T2` e2 + N ` e3 e x ∧ s` dL 2 =: M1` e1 + M2` e2 + Mt` e3 . ω
ω
Le quantit`a Tα` , N ` , Mα` e Mt` rappresentano i tagli, lo sforzo normale, i momenti flettenti e il momento torcente, rispettivamente, nella base destra del cilindro, si veda la Sezione 3.5. Esercizio 8.7. Siano Tα (x3 ), N (x3 ), Mα (x3 ) e Mt (x3 ) i tagli, lo sforzo normale e i momenti nella generica sezione di coordinata x3 . Giustificare le seguenti relazioni: Tα (x3 ) = Tα` ,
N (x3 ) = N ` ,
M1 (x3 ) = M1` − (` − x3 )T2` ,
Mt (x3 ) = Mt`
M2 (x3 ) = M2` + (` − x3 )T1` .
(8.15) 5
8.3.1 Formula di Navier Dalle caratteristiche di sollecitazione nella generica sezione, possibilmente ottenute tramite le (8.15), ci possiamo calcolare la σ. Utilizzando il Lemma 8.3 e le definizioni introdotte nella Sezione 3.5, deduciamo lo sforzo normale ˆ ˆ N (x3 ) = σ dL 2 = σ0n + σ1n x1 + σ2n x2 + x3 (σ0s + σ1s x1 + σ2s x2 ) dL 2 =
ω σ0n A
ω
+
σ1n S2
e i momenti flettenti
+ σ2n S1 + x3 (σ0s A + σ1s S2 + σ2s S1 )
218
8 Il problema di de Saint-Venant
ˆ x2 σ dL 2
M1 (x3 ) = ˆ
ω
σ0n x2 + σ1n x1 x2 + σ2n x22 + x3 (σ0s x2 + σ1s x1 x2 + σ2s x22 ) dL 2
= ω
= σ0n S1 + σ1n J12 + σ2n J1 + x3 (σ0s S1 + σ1s J12 + σ2s J1 ), ˆ M2 (x3 ) = −x1 σ dL 2 ω ˆ = − σ0n x1 + σ1n x21 + σ2n x1 x2 + x3 (σ0s x1 + σ1s x21 + σ2s x1 x2 ) dL 2 ω
= −σ0n S2 − σ1n J2 − σ2n J12 − x3 (σ0s S2 + σ1s J2 + σ2s J12 ), nella generica sezione di coordinata x3 . In queste equazioni abbiamo indicato con ˆ ˆ ˆ A := L 2 (ω) = dL 2 , S1 := x2 dL 2 e S2 := x1 dL 2 , ω
ω
l’area e i momenti statici, e con ˆ ˆ 2 2 J1 := x2 dL , J2 := x21 dL 2 ω
ω
ˆ e
x1 x2 dL 2 ,
J12 :=
ω
ω
i momenti d’inerzia e il momento centrifugo. Queste equazioni si semplificano notevolmente se gli assi sono baricentrici (S1 = S2 = 0) e principali d’inerzia (J12 = 0), ipotesi che da questo punto in poi faremo sempre in questo capitolo, a meno che non venga specificato il contrario. Richiami sulla geometria delle aree si possono trovare nella Sezione 9.4. Lemma 8.8. Siano τ e σ come nel problema (8.10), in particolare σ = σ0n + σ n · x + x3 (σ0s + σ s · x). Allora, σ0s = 0,
σ1s =
T1 , J2
σ2s =
T2 . J1
Dimostrazione. Dato che div τ + ∂3 σ = 0 in ω e τ · n = 0 su ∂ω abbiamo ˆ ˆ ˆ 0= τ · n ds = div τ dL 2 = − ∂3 σ dL 2 ∂ω ω ω ˆ s s s 2 = − σ0 + σ1 x1 + σ2 x2 dL ω
da cui si deduce, visto che gli assi sono baricentrici, che 0 = −σ0s A. Inoltre, abbiamo
8.3 Il principio di de Saint-Venant
ˆ
ˆ x1 div τ dL 2 = − ω
=
219
ˆ
x1 ∂3 σ dL ω −σ1s J2 ,
2
σ0s x1 + σ1s x21 + σ2s x1 x2 dL 2
=− ω
ma anche ˆ ˆ ˆ x1 div τ dL 2 = x1 ∂α τα dL 2 = ∂α (x1 τα ) − τα ∂α x1 dL 2 ω ˆω ˆ ω ˆ = x1 τ · n ds − δ1α τα dL 2 = − τ1 dL 2 = −T1 , ∂ω
ω
ω
da cui deduciamo che σ1s = T1 /J2 . Analogamente si dimostra che σ2s = T2 /J1 .
Il prossimo Teorema caratterizza completamente le tensioni normali. L’espressione che si ottiene, la “formula di Navier”, `e uno dei pi` u importanti risultati della teoria di de Saint-Venant. Teorema 8.9. Sia σ come nel problema (8.10). Allora, σ0n =
N , A
σ1n = −
M2 + x 3 T 1 , J2
σ2n =
M1 − x 3 T 2 , J1
in particolare, vale la formula di Navier: σ=
N M2 M1 − x1 + x2 . A J2 J1
(8.16)
Dimostrazione. Con assi baricentrici e principali d’inerzia, le espressioni delle caratteristiche di sollecitazione, dedotte all’inizio della sezione, divengono N (x3 ) = σ0n A,
M1 (x3 ) = σ2n J1 + x3 σ2s J1 ,
M2 (x3 ) = σ1n J2 + x3 σ1s J2 ,
ed utilizzando i risultati del Lemma 8.8, troviamo σ0n =
N , A
σ1n = −
M2 + x 3 T 1 , J2
σ2n =
M1 − x 3 T 2 . J1
Cos`ı abbiamo determinato tutte le costanti che caratterizzano σ, che risulta T N M2 + x 3 T 1 M1 − x 3 T 2 T2 1 σ= − x1 + x2 + x3 x1 + x2 . A J2 J1 J2 J1 Semplificando quest’ultima espressione otteniamo la (8.16). Noto lo sforzo normale e i momenti flettenti possiamo calcolare la tensione normale σ tramite la formula di Navier. Esercizio 8.10. L’esercizio consiste nel dimostrare che se gli assi sono baricentrici ma non necessariamente principali d’inerzia la formula di Navier risulta
220
8 Il problema di de Saint-Venant
σ=
N M1 J12 + M2 J1 M1 J2 + M2 J12 − x1 + x2 . 2 2 A J1 J2 − J12 J1 J2 − J12
Inoltre σ0s = 0,
σ1s =
T1 J1 − T2 J12 2 , J1 J2 − J12
σ2s =
T2 J2 − T1 J12 2 J1 J2 − J12
(8.17)
(8.18)
e dal Lemma 8.8 si ha ∂3 σ = σ s · x.
(8.19)
1. Innanzitutto procedere come nella dimostrazione del Lemma 8.8 per dedurre le (8.18); 2. dalle equazioni ricavate all’inizio della sezione dedurre, con le attuali ipotesi, che N = σ0n A, M1 = (σ1n + x3 σ1s )J12 + (σ2n + x3 σ2s )J1 , M2 = −(σ1n + x3 σ1s )J2 − (σ2n + x3 σ2s )J12 ; 3. dedurre quindi che σ1n + x3 σ1s = −
M1 J12 + M2 J1 , 2 J1 J2 − J12
σ2n + x3 σ2s =
M1 J2 + M2 J12 ; 2 J1 J2 − J12
4. riscrivere la tensione normale, che ad esempio compare nell’enunciato del Teorema 8.9, come σ = σ0n + (σ n + x3 σ s ) · x e quindi dedurre la (8.17) utilizzando le relazioni trovate nel punto precedente. 5 Infine, caratterizziamo la costante c introdotta nel Lemma 8.3. Lemma 8.11. Siano τ , c ed E come nel Lemma (8.3). Sia ˆ 1 α3 (x3 ) := 2 (W(u))21 dL 2 L (ω) ω la rotazione media dei punti sulla sezione di coordinata x3 attorno all’asse e3 , si veda l’Osservazione 2.20. Allora, la costante c introdotta nel Lemma (8.3) `e data da c = µα30 . Dimostrazione. Utilizzando l’equazione costitutiva, il risultato ottenuto nel Lemma 2.22 ed indicando con W21 = (W(u))21 , troviamo che curl τ = ∂1 τ2 − ∂2 τ1 = ∂1 T23 − ∂2 T13 = 2µ(∂1 E23 − ∂2 E13 ) = 2µ∂3 W21 .
8.4 Il problema delle tensioni tangenziali e il centro di taglio
221
Pertanto, l’identit`a curl τ = ν¯σ s · x⊥ + 2c, dimostrata nel Lemma 8.3 pu` o essere scritta come 2µ∂3 W21 = ν¯σ s · x⊥ + 2c che, integrata sulla sezione, produce ˆ ˆ 2 2µ∂3 W21 dL = ν¯σ s · x⊥ + 2c dL 2 = 2cL 2 (ω), ω
ω
visto che gli assi sono baricentrici.
8.4 Il problema delle tensioni tangenziali e il centro di taglio Noti i tagli T1 e T2 , anche grazie alle (8.15), `e nota σs =
T1 T2 e 1 + e2 . J2 J1
Pertanto, il problema di de Saint-Venant si `e ridotto ad un problema che coinvolge solamente le tensioni tangenziali: s 2 Data σ ∈ R trovare τ = τ (x) e α3 = α3 (x3 ) tale che div τ = −σ s · x in ω, s ⊥ 0 in ω, curl τ = ν¯σ · x + 2µα3 (8.20) τ · n = 0 su ∂ω, ˛ τ − µα30 γ ⊥ + ν¯σ s · γ γ = 0 ∀γ ∈ Γ (ω). γ
` possibile caratterizzare la soluzione τ del problema (8.20), si veda l’Esercizio E 8.21, ma questa caratterizzazione non risulta essere particolarmente utile dato che dipende non solo dalla sezione, dal coefficiente di Poisson, da µα30 ma anche dai carichi, tramite σ s . Qui di seguito sfrutteremo la linearit` a del problema e lo divideremo in due problemi indipendenti: uno “dipendente” da µα30 e l’altro da σ s . Teorema 8.12. Sia η t la soluzione del problema t in ω, div η = 0 t in ω, curl η = 2 t η · n = 0 su ∂ω, ˛ η t − γ ⊥ = 0 ∀γ ∈ Γ (ω). γ
Se τ `e la soluzione del problema (8.20), per una data
(8.21)
222
8 Il problema di de Saint-Venant
σs =
T1 T2 e 1 + e2 , J2 J1
allora τ s := τ − τ t ,
dove
τ t := µα30 η t ,
soddisfa il problema div τ s = −σ s · x curl τ s = ν¯σ s · x⊥ s τ ˛ ·n=0 τ s + ν¯σ s · γ γ = 0
in ω, in ω, su ∂ω,
(8.22)
(8.23)
∀γ ∈ Γ (Ω).
γ
Dimostrazione. Tramite sostituzione nella (8.20) si verifica immediatamente che τ s , definita da (8.22), soddisfa il problema (8.23). La soluzione del primo problema (8.21), quello che coinvolge η t , dipende esclusivamente dalla forma e dimensioni della sezione. Vedremo che τ t = µα30 η t `e la quota della tensione tangenziale, con debite precisazioni, dovuta al momento torcente. La tensione τ s dipende da Tα , tramite σ s , dal coefficiente di Poisson e dalla forma e dimensioni della sezione. In particolare, dato che il problema (8.23) `e lineare, τ s dipende linearmente dai tagli, quindi, se i tagli Tα sono nulli, allora la tensione τ s `e nulla. La τ s `e dunque la quota della tensione tangenziale dovuta al taglio (l’esponente ‘s’ sta per shear). L’interpretazione data della decomposizione τ = τ s + τ t `e ulteriormente avvalorata osservando che ˆ ˆ ˆ 0= xβ div η t dL 2 = xβ ∂α ηαt dL 2 = ∂α (xβ ηαt ) − ηαt ∂α xβ dL 2 ω ω ω ˆ ˆ ˆ t t 2 = xβ η · n ds − δαβ ηα dL = − ηβt dL 2 , (8.24) ∂ω
ω
e quindi, il taglio
ω
ˆ
ˆ 2
Tβ (x3 ) =
τβs dL 2
τβ dL = ω
ω s
(8.25)
`e completamente determinato dalla tensione τ . Se la sezione ω ha un asse di simmetria ortogonale e il taglio agisce solamente lungo tale asse, allora la τ s eredita delle simmetrie. In particolare, la componente di τ s parallela all’asse di simmetria `e una funzione pari rispetto alla coordinata ortogonale all’asse, mentre la componente ortogonale `e una funzione dispari. Enunciamo questo risultato, per semplicit` a, fissando l’asse.
8.4 Il problema delle tensioni tangenziali e il centro di taglio
223
T2 Teorema 8.13. Sia x2 un’asse di simmetria ortogonale della sezione ω. Se T1 = 0, allora si ha τ1s (x1 , x2 ) = −τ1s (−x1 , x2 )
τ1s
τ1s
τ2s
τ2s
x1
e τ2s (x1 , x2 ) = τ2s (−x1 , x2 ). x2 Dimostrazione. Definiamo ρ1 (x1 , x2 ) := −τ1s (−x1 , x2 )
ρ2 (x1 , x2 ) = τ2s (−x1 , x2 ), n e dimostriamo che ρ soddisfa il problema ρ1ρ 2 (8.23): t x1 div ρ = −σ2s x2 in ω, s ν σ2 x 1 in ω, curl ρ = −¯ ρ · n = 0 su ∂ω, ˛ ρ + ν¯σ2s γ2 γ = 0 ∀γ ∈ Γ (Ω). e
t n s τ2sτ1
x2
γ
Dalla definizione di ρ segue che div ρ(x1 , x2 ) = (∂1 ρ1 + ∂2 ρ2 )(x1 , x2 ) = (∂1 τ1s + ∂2 τ2s )(−x1 , x2 ) = div τ s (−x1 , x2 ) e dato che div τ s (−x1 , x2 ) = −σ2s x2 segue la prima equazione del problema. In maniera analoga si giunge a curl ρ(x1 , x2 ) = − curl τ s (−x1 , x2 ) e siccome curl τ s (−x1 , x2 ) = −¯ ν σ2s (−x1 ) segue anche la seconda equazione. La terza e la quarta seguono immediatamente dalle seguenti identit` a (ρ · n)(x1 , x2 ) = (τ · n)(−x1 , x2 ),
(ρ · t)(x1 , x2 ) = −(τ · t)(−x1 , x2 )
e (γ · t)(x1 , x2 ) = −(γ · n)(−x1 , x2 ). Visto che il problema (8.23) ha un’unica soluzione si dovr` a necessariamente avere che τ s = ρ, da cui segue l’enunciato del teorema. Tenendo presente la (8.22), il momento torcente, definito nella Sezione 3.5, risulta
224
8 Il problema di de Saint-Venant
ˆ
ˆ ⊥
2
τ · x dL =
Mt =
ˆ
µα30
ω
t
⊥
τ s · x⊥ dL 2 .
2
η · x dL + ω
(8.26)
ω
Dato che τ s dipende linearmente dai tagli `e possibile scrivere l’ultimo integrale sc come combinazione lineare di T1 e T2 . Chiamiamo −xsc 2 e x1 i coefficienti moltiplicativi di T1 e T2 , rispettivamente, ovvero, poniamo ˆ sc −T1 xsc + T x := τ s · x⊥ dL 2 . (8.27) 2 2 1 ω sc I coefficienti xsc 1 e x2 sono due grandezze che hanno le dimensioni di una lunsc sc ghezza. Il punto x := (xsc 1 , x2 ) viene chiamato centro di taglio. Nel Capitolo 11 vedremo com’`e possibile determinarlo. Per il momento osserviamo che la (8.27) deve valere per ogni valore di T1 e T2 , con τ s la tensione dovuta a tali tagli. In particolare,´ se τ s `e la tensione che corrisponde a T1 = 0 e T2 = 1, s ⊥ 2 sc abbiamo che xsc 1 = ω τ · x dL e analogamente possiamo dedurre x2 . Da questa osservazione e dal problema (8.23) deduciamo che il centro di taglio dipende solamente dalla sezione ω e dal coefficiente di Poisson ν, in particolare non dipende dal taglio applicato. Dalla definizione (8.27) segue che se immaginiamo applicati i tagli T1 e T2 in xsc , il moT2 mento torcente (calcolato rispetto all’origine) sc x1 x1 T1 dovuto a tali forze di taglio
e3
sc −T1 xsc 2 + T2 x 1
`e uguale al momento torcente prodotto dalle tensioni tangenziali τ s dovute al taglio ˆ τ s · x⊥ dL 2 .
T1
xsc T2
xsc 2 x2
ω
Il prossimo teorema evidenzia alcune propriet`a del centro di taglio. Teorema 8.14. Sia Mtsc il momento torcente calcolato rispetto al centro di taglio ˆ Mtsc := τ · (x − xsc )⊥ dL 2 (8.28) ω ˆ ˆ = τ t · (x − xsc )⊥ dL 2 + τ s · (x − xsc )⊥ dL 2 . ω
ω
Allora, 1. il centro di taglio `e il polo rispetto al quale il momento torcente prodotto dalle τ s `e nullo: ˆ τ s · (x − xsc )⊥ dL 2 = 0; ω
8.4 Il problema delle tensioni tangenziali e il centro di taglio
2. vale la seguente identit` a ˆ ˆ Mtsc = τ t · x⊥ dL 2 = µα30 η t · x⊥ dL 2 ; ω
225
(8.29)
ω
3. la rotazione media della sezione attorno all’asse x3 non varia, ovvero α30 = 0, se e solo se Mtsc = 0; 4. se la sezione ha un’asse di simmetria ortogonale allora il centro di taglio sta su tale asse. Dimostrazione. Il momento torcente prodotto dalle τ s rispetto al centro di taglio `e ˆ ˆ ˆ τ s · (x − xsc )⊥ dL 2 = τ s · x⊥ dL 2 − τ s · (xsc )⊥ dL 2 ω ω ω ˆ ˆ sc sc s 2 sc = −T1 x2 + T2 x1 − τ1 dL (−x2 ) − τ2s dL 2 xsc 1 ω
ω
sc sc sc = −T1 xsc 2 + T2 x1 + T1 x2 − T2 x1 = 0,
dove la seconda identit`a segue dalla (8.27) e la terza dalla (8.25). Dunque, possiamo interpretare il centro di taglio come il polo rispetto al quale il momento torcente prodotto dalle τ s `e nullo. Da quanto appena dimostrato e dalla (8.28) segue che ˆ ˆ ˆ Mtsc (x3 ) = τ t · (x − xsc )⊥ dL 2 = τ t · x⊥ dL 2 − τ t dL 2 · (xsc )⊥ ω ω ˆω t ⊥ 2 = τ · x dL , ω
dove l’ultima uguaglianza segue dalla (8.24). Ricordando che τ t = µα30 η t , dove α3 (x3 ) rappresenta la rotazione media dei punti della sezione di coordinata x3 attorno all’asse e3 , dalla (8.29) deduciamo che α30 = 0 se e solo se il momento torcente valutato rispetto al centro di taglio `e nullo (dimostreremo nel Teorema (10.11) che l’integrale di η t · x⊥ `e sempre positivo). Per dimostrare la 4., senza perdita di generalit` a assumiamo che x2 sia un asse di simmetria ortogonale e dimostriamo che xsc 1 = 0. Per farlo consideriamo T1 = 0. Dal Teorema 8.13, abbiamo τ1s (x1 , x2 ) = −τ1s (−x1 , x2 ) e da cui segue che
τ2s (x1 , x2 ) = τ2s (−x1 , x2 ),
226
8 Il problema di de Saint-Venant
ˆ
ˆ s
⊥
2
−τ1s (x1 , x2 )x2 + τ2s (x1 , x2 )x1 dL 2
τ · x dL = ω∩{x1 >0}
ˆ
ω∩{x1 >0}
ˆ
ω∩{x1 >0}
τ1s (−x1 , x2 )x2 − τ2s (−x1 , x2 )(−x1 ) dL 2
=
τ1s (x1 , x2 )x2 − τ2s (x1 , x2 )x1 dL 2
= ω∩{x1 0 il cilindro si allunga e se il coefficiente di Poisson ν `e maggiore di zero la sezione trasversale si contrae omoteticamente.1 N
N
Lo spostamento dell’asse del cilindro a(x3 ) := u(0, 0, x3 ) risulta a(x3 ) = εx3 e3 . In particolare, si ha ε = a03 e quindi ε rappresenta l’allungamento relativo dell’asse del cilindro. Infine, osserviamo che da N σ σ= e ε= A E ricaviamo l’equazione costitutiva N = EAε
(9.1)
che lega l’allungamento relativo dell’asse con lo sforzo normale applicato. Esercizio 9.1. Vogliamo progettare il cavo che aziona un ascensore di una palazzina di venti piani alta 65 m. La cabina dell’ascensore pesa 600 kg e ha una capienza di 8 persone: 630 kg. Il cavo ha un modulo di Young E = 120000 N/mm2 e tensione ammissibile σamm = 130 N/mm2 . Inoltre, per evitare problemi durante l’uscita dell’ascensore, si vuole che la cabina si discosti dai piani di calpestio di non pi` u di 1 cm. Si determini il diametro minimo che pu` o avere il cavo. 5 Soluzione. Il peso dell’ascensore `e Pa = 600 ∗ 9.81 ≈ 5890 N e il peso del carico `e Pc = 630 ∗ 9.81 ≈ 6180 N. Visto che σ=
Pa + Pc ≤ σamm πd2 /4
con d il diametro del cavo, troviamo r 4(Pa + Pc ) d≥ = 10.9 mm. π σamm Immaginando che la cabina dell’ascensore sia livellata col piano di calpestio quando `e scarica, dobbiamo richiedere che l’allungamento prodotto dal solo sovraccarico Pc sia inferiore a (` − `0 )amm := 1 cm, dove `0 = 65 m (l’allungamento maggiore lo si avr` a quando il cavo avr` a lunghezza massima): 1
Gli spostamenti sono rappresentati a meno di uno spostamento rigido.
9.2 Flessione semplice
247
(` − `0 )amm Pc ` − `0 =ε= ≤ Eπd2 /4 `0 `0 da cui ricaviamo
s d≥
4Pc `0 = 20.6 mm. Eπ (` − `0 )amm 4
Dunque, il diametro del cavo dovr` a essere di almeno 21 mm.
9.2 Flessione semplice La flessione semplice `e caratterizzata da momenti flettenti M1 ed M2 non entrambi nulli e tutte le altre caratteristiche di sollecitazione uguali a zero. Mα e α
Mα e α x1
x3
x2
M α eα
x2
La tensione normale `e data dalla formula di Navier σ=−
M2 M1 x1 + x2 , J2 J1
(9.2)
e come nel caso di solo sforzo normale, il problema di de Saint-Venant produce una tensione tangenziale τ = 0. Tramite l’equazione costitutiva ricaviamo il tensore di deformazione infinitesima −νε 0 0 [E] = 0 −νε 0 , 0 0 ε dove ε := −κ2 x1 + κ1 x2
(9.3)
`e l’allungamento relativo lungo l’asse, con κ1 :=
M1 EJ1
e
κ2 :=
M2 . EJ2
(9.4)
Per integrazione, o utilizzando due volte il risultato dell’Esercizio 2.32, si ricava lo spostamento 1 1 2 2 2 u1 = + 2 ν(κ2 x1 − 2κ1 x1 x2 − κ2 x2 ) + 2 κ2 x3 , 1 1 2 2 (9.5) u2 = − 2 ν(κ1 x2 − 2κ2 x1 x2 − κ1 x1 ) − 2 κ1 x23 , u3 = x3 (−κ2 x1 + κ1 x2 ), a meno di uno spostamento rigido infinitesimo.
248
9 Sforzo normale e flessione semplice
9.2.1 Flessione retta Consideriamo il caso pi` u semplice: M1 6= 0 e M2 = 0. La tensione normale risulta M1 σ= x2 , (9.6) J1 ovvero s’instaura una distribuzione lineare di tensioni perpendicolari al piano della sezione con un andamento a “forma di farfalla”. Le tensioni si annullano nei punti della sezione che stanno sulla retta x2 = 0; retta che divide la sezione in due parti, una tesa e l’altra compressa. M1 x1
x3
x3
σ
σ x2
x2
Lo spostamento (9.5), tenendo presente che κ2 = 0, si semplifica in u1 = −νκ1 x1 x2 , u2 = − 12 ν(κ1 x22 − κ1 x21 ) − 12 κ1 x23 , u 3 = κ1 x 2 x 3 ,
(9.7)
dove κ1 = M1 /(EJ1 ). Lo spostamento dell’asse risulta, dalle (9.7), 1 a(x3 ) := u(0, 0, x3 ) = − κ1 x23 e2 2 e quindi `e contenuto nel piano x2 -x3 ortogonale al momento M1 e1 ; inoltre, derivando due volte si deduce che κ1 = −a002 , e pertanto κ1 rappresenta la curvatura linearizzata attorno all’asse x1 . Dunque l’equazione x1 x3 M1 = EJ1 κ1 pu`o essere interpretata come un’equazione costitutiva: lega il momento flettente alla curvatura.
a2
M1 > 0 κ1 > 0
Esercizio 9.2. Spiegare come mai `e possibile flettere facilmente un righello in una direzione mentre nella direzione opposta la flessione non `e praticamente percettibile.
9.2 Flessione semplice
(A)
249
(B)
M1
M1 M1
M1
5 Soluzione. Indichiamo con b la base della sezione e con s lo spessore. Nel caso (A) il (A) (B) 1 1 momento d’inerzia J1 = 12 bs3 , mentre nel caso (B) si ha J1 = 12 sb3 . A parit` a di momento flettente M1 , le curvature impresse nei due casi sono (A)
κ1
M1
=
(A) EJ1
=
12M1 Ebs3
(B)
e
κ1
=
b2 , s2
=
M1 (B) EJ1
=
12M1 . Esb3
Il rapporto tra le curvature risulta (A)
κ1
(B)
κ1
(A)
(B)
ed essendo b molto maggiore di s si ha che κ1 `e molto pi` u grande di κ1 . Ad (A) (B) esempio, se b = 20 mm ed s = 2 mm si ha che κ1 = 100κ1 . Questo `e un primo esempio dove si vede che a flessione `e opportuno avere “sezioni alte”. 4
Al primo ordine le sezioni trasversali rimangono piane ed ortogonali all’asse della trave, come si pu`o dedurre dalle (9.7). Esercizio 9.3. Verificare che al primo ordine in κ1 le sezioni trasversali rimangono piane ed ortogonali all’asse della trave. 5 Soluzione. A deformazione avvenuta, i punti sull’asse si trovano in f (0, 0, x3 ) = x3 e3 + u(0, 0, x3 ) = x3 e3 −
1 κ1 x23 e2 2
e la tangente all’asse `e d3 (x3 ) :=
df (0, 0, x3 ) = e3 − κ1 x3 e2 , dx3
mentre, i punti occupati dalla generica sezione x3 = z0 a deformazione avvenuta sono: f (x1 , x2 , z0 ) = xα eα + z0 e3 + u(x1 , x2 , z0 ), con lo spostamento u dato dalla (9.7). La generica sezione trasversale x3 = z0 rimane piana ed ortogonale all’asse se e solo se (perch´e?) (f (x1 , x2 , z0 ) − f (0, 0, z0 )) · d3 (z0 ) = 0. Tenendo presente la (9.7) deduciamo che
(9.8)
250
9 Sforzo normale e flessione semplice x1 − νx1 x2 0 (f (x1 , x2 , z0 ) − f (0, 0, z0 )) · d3 (z0 ) = x2 + κ1 ν(x21 − x22 )/2 · −κ1 z0 κ 1 x 2 z0 1 = −κ1 x2 z0 − κ21 ν
x21 − x22 z0 + κ1 x2 z0 = o(κ1 ) 2 4
e dunque al prim’ordine in κ1 la (9.8) `e soddisfatta.
Possiamo dedurre che le sezioni rimangono ortogonali all’asse anche osservando che E13 = E23 = 0. La sezione trasversale, per` o, si deforma. Considerando, per semplicit`a, la sezione x3 = 0, gli spostamenti nel piano x1 –x2 sono: u1 = −νκ1 x1 x2 ,
1 u2 = − ν(κ1 x22 − κ1 x21 ), 2
x1
in particolare, si ha che i segmenti x2 = costante s’incurvano 1 x2 x1 7→ − ν(κ1 x22 − κ1 x21 ). 2 La deformazione `e di tipo anticlastica (a curvature opposte, a “sella”) se il coefficiente di Poisson ν > 0. L’asse del cilindro (curva tratteggiata) ha una curvatura “opposta” alla deformata della sezione. Le immagini dei segmenti con x2 costante e l’asse della trave hanno curvature opposte. Ci`o `e dovuto al fatto che la curvatura dell’asse comprime le fibre con x2 negativo e tende quelle con x2 positivo. Quelle compresse, per effetto Poisson, si espandono trasversalmente e quelle tese si contraggono. Esercizio 9.4. La sezione IPE 200, rappresentata in figura, `e soggetta ad un momento flettente M1 = 36 kNm. IPE 200 Altezza h :=200 mm Larghezza ali 100 mm x1 Spessore anima 5.60 mm Spessore ali 8.5 mm x2 Area 28.5 cm2 4 Momento d’inerzia J1 = 1943 cm Calcolare la massima tensione a cui `e sottoposta la sezione. Inoltre, determinare la massima tensione se la trave `e soggetta anche ad uno sforzo normale N = 100 kN. 5 Soluzione. Verifichiamo il momento d’inerzia,
9.2 Flessione semplice
J1 = (
1 1 10 0.853 +10 0.85 9.5752 )2+ 0.56 18.33 = 1845.60cm4 12 12
che risulta un po’ inferiore a quello tabellare. Con le dimensioni date anche l’area risulta leggermente inferiore. Con il momento d’inerzia tabellare, la tensione massima la si avr` a alla distanza h/2 =10 cm dall’asse
251
σ
x1 x2
M1 h 36 106 36 104 = 100 = = 185.28N/mm2 4 J1 2 1943 10 1943 mentre con il valore del momento d’inerzia calcolato si ha σ = 195.12 N/mm2 . Il carico dovuto al solo sforzo normale `e σ=
σ=
N 100 103 = = 35.08N/mm2 . A 28.5 102
Per il principio di sovrapposizione degli effetti, o anche dalla formula di Navier (8.33), la tensione totale si ottiene sommando i due contributi. σ −150.20N/mm2 x1
+
=
x2 220.36N/mm2
4
` naturale chiedersi quale sia, per una fissata area A, la Osservazione 9.5. E forma ottimale della sezione ω per sopportare un fissato momento flettente M1 . O in maniera pi` u esplicita, `e normale porsi il seguente problema: trovare la sezione ω di area A in cui il valore massimo delle tensioni causate da un momento flettente d’intensit`a M1 `e minimo. Dalla formula di Navier, (9.6), deduciamo che in una sezione le tensioni massime s’instaurano nei punti in cui x2 `e massimo: M1 max σ = max x2 , J1 Dunque se vogliamo minimizzare max σ dobbiamo trovare una sezione ω, di fissata area A, in cui il modulo di resistenza J1 / max x2 `e massimo.
252
9 Sforzo normale e flessione semplice
Dall’uguaglianza J1 1 = max x2 max x2
ˆ x22 dL 2 ω
si evince che conviene distribuire l’area a disposizione il pi` u lontano possibile dall’asse x1 , ovvero cercare di concentrare l’area in valori grandi di x2 . Ad esempio, se si concentra l’area in due rettangoli (ali) di spessore “piccolo” s, di larghezza A/(2s) e distanti h si ha J1 1 h 2A Ah ≈ ( ) 2= max x2 h/2 2 2 2 da cui si deduce che conviene avere h il pi` u grande possibile. Dunque, nella flessione `e opportuno avere “sezioni alte”.
x1
h x2
s A/(2s)
La soluzione proposta per`o ha dei problemi dato che le due ali non sono solidali tra di loro. Per non farle lavorare in maniera indipendente `e necessario disporre del materiale tra le ali, ovvero creare un’anima. Questa dovr` a avere uno spessore che garantisca l’assorbimento degli sforzi di taglio, come vedremo, e che permetta di evitare problemi d’imbozzamento. Lo spessore dell’anima limita il valore massimo che pu`o assumere l’altezza h. Un ottimo compromesso, tra spessore dell’anima e altezza della sezione, `e raggiunto con le travi IPE. ♦ 9.2.2 Flessione deviata Consideriamo M1 6= 0 e M2 6= 0, e ricordiamo la formula di Navier, con N = 0, σ=−
M2 M1 x1 + x2 . J2 J1
(9.9)
L’insieme dei punti del piano in cui la tensione normale σ si annulla, ovvero l’insieme n o M2 M1 (x1 , x2 ) ∈ R2 : − x1 + x2 = 0 , J2 J1 `e una retta passante per l’origine e viene chiamata asse neutro. Le tensioni sono nulle sull’asse neutro e aumentano linearmente, data la linearit` a della formula di Navier, man mano che ci si allontana. Inoltre, sull’asse neutro le tensioni normali cambiano di segno e quindi l’asse neutro divide la sezione in due zone, una compressa e una tesa. I punti della sezione maggiormente sollecitati, a trazione e a compressione, sono quelli pi` u distanti dall’asse neutro.
9.2 Flessione semplice
253
asse neutro σmin
x1
x2 σmax Dall’equazione costitutiva (8.4), E33 =
σ , E
deduciamo che le fibre longitudinali intersecanti l’asse neutro n´e si allungano n´e si accorciano. Inoltre, il valore di E33 varia linearmente e quindi le sezioni ruotano intorno all’asse neutro e dunque s’inflettono nel piano ortogonale ad esso. Questo `e il contenuto del prossimo risultato. Teorema 9.6. L’asse della trave subisce uno spostamento ortogonale all’asse neutro. Dimostrazione. Dalla definizione segue che l’asse neutro `e l’immagine della funzione M2 J 1 x1 7→ x1 e1 + x 1 e2 , M1 J 2 e quindi, come si pu`o ottenere derivando tale funzione, un vettore parallelo all’asse neutro `e M2 J 1 t := 1, . M1 J 2 Dalla (9.5) lo spostamento dell’asse della trave a(x3 ) := u(0, 0, x3 ) `e a(x3 ) =
1 1 1 M2 2 1 M1 2 κ2 x23 e1 − κ1 x23 e2 = x 3 e1 − x e2 . 2 2 2 EJ2 2 EJ1 3
L’enunciato segue osservando che 1 M M2 J 1 1 M1 2 2 2 t · a = x 1 e1 + x 1 e2 · x 3 e1 − x e2 = 0. M1 J 2 2 EJ2 2 EJ1 3 Il teorema precedente motiva la seguente terminologia: l’asse ortogonale all’asse neutro viene chiamato asse di flessione. Mentre, l’asse ortogonale al momento M = M1 e1 + M2 e2 viene chiamato asse di sollecitazione, dato che il momento agisce nel piano ortogonale a M. Questi assi non necessariamente coincidono.
254
9 Sforzo normale e flessione semplice
x1 α asse neutro
β M x2
asse di sollecitazione asse di flessione
Indichiamo con α e β gli angoli che l’asse neutro ed M formano con l’asse x1 , rispettivamente. Allora, si deduce facilmente che, per M1 6= 0, tan α =
M2 J 1 M1 J 2
e
tan β =
M2 . M1
Pertanto, tan α = tan β
J1 , J2
e quindi α = β se almeno una delle due condizioni sottostanti `e verificata: • •
J1 = J2 , ovvero il tensore d’inerzia `e sferico; M1 = 0 o M2 = 0, ovvero il momento ha la direzione di un’asse principale, come dedotto nella Sezione 9.2.1;
in tutti gli altri casi si ha α 6= β e la flessione `e detta deviata, visto che l’asse di flessione non coincide con quello di sollecitazione. Dalle equazioni che descrivono lo spostamento di tutti i punti del cilindro, (9.5), ricaviamo lo spostamento a(x3 ) := u(0, 0, x3 ) dei punti sull’asse del cilindro: 1 1 a1 = κ2 x23 , a2 = − κ1 x23 e a3 = 0, 2 2 da cui deduciamo che i punti dell’asse si muovono nel piano x1 -x2 , dato che a3 = 0. Inoltre, derivando due volte otteniamo κ1 = −a002 x1
x3
a2
e
κ2 = a001 . x2
x3
a1 κ1 > 0
κ2 > 0
9.2 Flessione semplice
255
Quindi, segni a parte, κ1 e κ2 sono le curvature linearizzate dell’asse del cilindro attorno agli assi 1 e 2, rispettivamente. A questo punto possiamo riscrivere le (9.4) come M1 = EJ1 κ1 ,
M2 = EJ2 κ2
(9.10)
e interpretarle come equazioni costitutive, dato che legano i momenti flettenti alle curvature linearizzate. Queste equazioni ci spiegano pure il segno delle curvature. Infatti, utilizzando la regola della mano destra si ottiene facilmente il verso positivo dei momenti x1
x2
x3
a2
M1 > 0
x3
a1 κ2 > 0
κ1 > 0
M2 > 0
che corrisponde esattamente con le curvature positive. Esercizio 9.7. La sezione a omega 150 × 80 × 40 di spessore 3 mm, rappresentata in figura, `e soggetta ad un momento flettente M = 4e1 − 3e2 kNm. Omega 150 × 80 × 40 M Altezza h :=150 mm Lunghezza lato orizzontale inferiore b :=80 mm Lunghezza di un’ala orizzontale superiore a :=40 x1 xG mm Spessore s :=3 mm x2 Calcolare la massima tensione a cui `e sottoposta la sezione.
5
Soluzione. Notiamo che il baricentro si trova sull’asse di simmetria della sezione ed a met` a altezza. Indicando con x ˜1 l’asse passante per la base della sezione, si ha A = 13.44 cm2 Jx˜1 = 2(a − s)s3 /3 + 2sh3 /3 + (b − 2s)s3 /12 + (b − 2s)s(h − s/2)2 = 1164.64 cm4 J1 = Jx1 = Jx˜1 − A(7.5)2 = 408.64 cm4 J2 = Jx2 = (b − 2s)3 s/12 + 2hs3 /12 + 2hs(b/2 − s/2)2 + 2s(a − s)3 /12 + 2s(a − s)(b/2 + a/2 − s/2) = 222.11 cm4 L’inclinazione dell’asse neuro `e α = arctan
M 2 J1 −3 408.64 = arctan = −54.07◦ M 1 J2 4 222.11
e dalla figura si intuisce che i punti maggiormente sollecitati sono xP e xQ . Dalla formula di Navier si trova
256
9 Sforzo normale e flessione semplice −3 106 4 106 (−40) + (−75) = −127.4 N/mm2 222.11 104 408.64 104 −3 106 4 106 σ(xQ ) = − 77 + (75) = 177.42 N/mm2 . 4 222.11 10 408.64 104 σ(xP ) = −
xP
asse neutro M x1
xG σmin
asse di flessione xQ
x2
σmax Considerando la flessione come somma di due flessioni rette, si pu` o evitare di tracciare l’asse neutro. Ponendo σM1 :=
M1 x2 J1
e
σM2 := −
M2 x1 , J2
si ha σ = σ M1 + σ M 2 . I valori massimi di σM1 e σM2 risultano max σM1 =
4 106 75 = 73.42 N/mm2 408.64 104
e
−3 106 77 = 104.00 N/mm2 . 222.11 104 Il valore massimo (dove entrambe le tensioni σM1 e σM2 sono positive) lo si ha in xQ , e σ(xQ ) = 73.41 + 104.00 = 177.42 N/mm2 . max σM2 = −
σ M1
xP M x1
xQ
xG x2
xR σ M2
9.2 Flessione semplice
257
Per determinare la minima tensione conviene valutare i punti xR , dove σM2 `e minima, ed xP , dove la σM1 `e minima: σ(xR ) = 73.41 − 104.00 = −30.59 N/mm2 e
−3 106 40 = −127.42 N/mm2 . 222.11 104 Pertanto, il valore minimo della tensione lo si ha in xP . σ(xP ) = −73.41 −
4
Esercizio 9.8. La sezione angolare a L 80 × 120 × 14, rappresentata in figura, `e soggetta ad un momento flettente M = 5 kNm parallelo al lato corto della sezione. L 80 × 120 × 14 Lunghezza lato lungo h :=120 mm Lunghezza lato corto b :=80 mm Spessore s :=14 mm
M
5
Calcolare la massima tensione a cui `e sottoposta la sezione. Soluzione. Innanzitutto fissiamo un sistema di riferimento. Con evidente significato dei simboli si ha A = 26.04 cm2 Sx˜1 = (b − s)s2 /2 + h2 s/2 = 107.27 cm3
x ˜1
Sx˜2 = (h − s)s2 /2 + b2 s/2 = 55.19 cm3 x ˜1G = Sx˜2 /A = 2.12 cm x ˜2G = Sx˜1 /A = 4.12 cm x ˜2
Jx˜1 = (b − s)s3 /3 + sh3 /3 = 812.44 cm4 Jx˜2 = (h − s)s3 /3 + sb3 /3 = 248.63 cm4 Jx˜1 x˜2 = (b − s)s(s/2)(b + s)/2 + hs(h/2)s/2 = 100.96 cm4 .
I momenti d’inerzia rispetto ad assi baricentrici risultano: Jx¯1 = Jx˜1 −
A˜ x22G
= 370.56 cm
x ˜1 x ¯1
˜G x
4
Jx¯2 = Jx˜2 − A˜ x21G = 131.67 cm4
x ˜2
Jx¯1 x¯2 = Jx˜1 x˜2 − A˜ x1G x ˜2G = −126.38 cm4 . x ¯2
Per valutare gli assi principali d’inerzia utilizziamo il cerchio di Mohr, si veda l’Osservazione 9.22 e il commento che segue.
258
9 Sforzo normale e flessione semplice
425.01 c
77.22 131.67
2ϑ 370.56
Jx 1 , J x 2
(370.56, 131.67)
126.38 −Jx1 x2 La coordinata c1 del centro del cerchio `e c1 =
Jx¯1 + Jx¯2 = 251.11 cm4 , 2
dalla figura, si deduce che il raggio r e l’angolo 2ϑ sono q 1 −Jx¯1 x¯2 r = (Jx¯1 − c1 )2 + Jx¯21 x¯2 = 173.90 cm4 e ϑ = arctan = 23.32◦ . 2 Jx¯1 − c1 Inoltre, si ha J1 = Jx1 = c1 + r = 425.01 cm4
x ¯1
J2 = Jx2 = c1 − r = 77.22 cm4 . I valori calcolati essenzialmente coincidono con i valori che si possono ritrovare nei prontuari. Noti i momenti baricentrici e principali d’inerzia, non ci rimane che calcolare le componenti del momento applicato rispetto alla base principale d’inerzia:
x1 x ¯2
x2
M 23.32◦ x1
M1 = M cos 23.32◦ = 4.59 kNm, M2 = −M sin 23.32◦ = −1.98 kNm. L’inclinazione dell’asse neutro risulta α = arctan
˜G x 23.3◦
M 2 J1 = −67.16◦ M 1 J2
che ci permette di disegnare il diagramma delle tensioni.
x2
9.2 Flessione semplice
259
xP −67.16◦ x1
˜G x
σmin
x2
xQ
σmax Nei punti xQ e xP si hanno i valori massimi e minimi delle tensioni. Per calcolarle tale tensioni dobbiamo conoscere le coordinate di tali punti rispetto agli assi baricentrici e principali d’inerzia. Queste coordinate possono essere ottenute semplicemente ruotando le coordinate nel sistema x ¯1 e x ¯2 , dato che x1 cos ϑ sin ϑ x ¯1 = . x2 − sin ϑ cos ϑ x ¯2
x ¯1
ϑ
x1 x ¯2
x2
Da x ¯1P = −2.12 cm,
x ¯2P = −4.12 cm
e
x ¯1Q = −0.72 cm,
x2P = −2.94 cm
e
x1Q = 2.46 cm,
x ¯2Q = 7.88 cm
ricaviamo x1P = −3.58 cm,
x2Q = 7.52 cm.
Infine dalla formula di Navier, ricaviamo M2 M1 1.98 106 4.59 106 x1P + x2P = − 35.8 − 29.4 J2 J1 77.22 104 425.01 104 2 = −123.46 N/mm ,
σmin = −
e
M2 M1 1.98 106 4.59 106 x1Q + x2Q = 24.6 + 75.2 4 J2 J1 77.22 10 425.01 104 = 144.20 N/mm2 .
σmax = −
4
L’Esercizio appena risolto dimostra che ruotare gli assi `e abbastanza laborioso. Risulta pi` u efficace lavorare con assi baricentrici ma non necessariamente principali d’inerzia e applicare la (8.17), ovvero la formula di Navier per assi baricentrici ma non principali d’inerzia. Esercizio 9.9. Risolvere l’Esercizio 9.8 utilizzando la (8.17), ovvero la generalizzazione della formula di Navier per assi baricentrici ma non necessariamente principali d’inerzia.
260
9 Sforzo normale e flessione semplice
La sezione angolare a L 80 × 120 × 14, rappresentata in figura, `e soggetta ad un momento flettente M = 5 kNm parallelo al lato corto della sezione. L 80 × 120 × 14 Lunghezza lato lungo h :=120 mm Lunghezza lato corto b :=80 mm Spessore s :=14 mm
M
5
Calcolare la massima tensione a cui `e sottoposta la sezione. Soluzione. Procedendo come nell’Esercizio 9.8 si ricavano le coordinate del baricentro x ˜1G = 2.12 cm
x ˜1 x1
x ˜2G = 4.12 cm
˜G x
e i momenti d’inerzia rispetto agli assi baricentrici J1 = 370.56 cm4
x ˜2
J2 = 131.67 cm4
x2
J12 = −126.38 cm4 . Gli assi x1 e x2 corrispondono agli assi x ¯1 e x ¯2 dell’Esercizio 9.8. Ricordando la (8.17): σ=
N M1 J12 + M2 J1 M1 J2 + M2 J12 − x1 + x2 . 2 2 A J1 J2 − J12 J1 J2 − J12
ricaviamo, dopo aver posto M1 = M e M2 = 0 ed N = 0, σ=−
M J12 M J2 x1 + x2 . 2 2 J1 J2 − J12 J1 J2 − J12
(9.11)
Da questa equazione si pu` o dedurre immediatamente l’equazione dell’asse neutro. Indicando con αb l’angolo che l’asse neutro forma con l’asse baricentrico x1 , abbiamo tan αb =
2 M J12 J1 J2 − J12 J12 = 2 J1 J2 − J12 M J2 J2
da cui αb = −43.84◦ ,
che corrisponde al valore trovato (−67.16◦ + 23.32◦ ) nell’Esercizio 9.8. xP −43.84 x1
◦
˜G x
σmin
x2
σmax
9.3 Pressoflessione
261
Anche il calcolo delle tensioni in vari punti `e immediato. Ad esempio, il punto xP ha coordinate x1P = −2.12 cm, x2P = −4.12 cm 2 e dalla (9.11) ricaviamo, visto che J1 J2 − J12 = 32819.7 cm8 ,
σ(xP ) = −
5 106 (−1, 26 106 ) 5 106 1.31 106 (−21.2) + (−41, 2) = −123.46 N/mm2 , 12 3, 28 10 3, 28 1012 4
che coincide con il valore trovato nell’Esercizio 9.8.
9.3 Pressoflessione Il caso di pressoflessione non `e nient’altro che la somma dei casi visti precedentemente: M1 , M2 6= 0 e N 6= 0. Come nel caso di pressione deviata, possiamo definire l’asse neutro come l’insieme dei punti in cui la tensione normale `e nulla. In presenza di sforzo normale l’asse neutro non passa per il baricentro, come si evince dalla formula di Navier: σ=
N M2 M1 − x1 + x2 = 0. A J2 J1
Se l’asse neutro interseca la sezione, allora una parte della sezione sar` a soggetta a sollecitazioni di trazione e una parte di compressione. Se invece l’asse neutro `e completamente esterno, allora tutta la sezione o `e in trazione o `e in compressione. asse neutro σmin
x1
x2 σmax M Il vettore eM := eM 1 e1 + e2 e2 con componenti definite da
eM 1 := −
M2 N
e
eM 2 :=
M1 , N
M
x1 e1 N
x3 eM 2 x2
lo chiameremo centro di pressione. Lo sforzo normale N (applicato nel baricentro) e i momenti flettenti M1 ed M2 sono staticamente equivalenti al solo sforzo normale N applicato in eM .
262
9 Sforzo normale e flessione semplice
Utilizzando tale vettore, la formula di Navier prende la forma σ=
N eM eM 1 + 1 x1 + 2 x2 , A J2 /A J1 /A
e introducendo i raggi giratori r ρ1 := si ottiene σ=
J1 A
r ρ2 :=
J2 A
N eM x1 eM x2 1+ 1 2 + 2 2 . A ρ2 ρ1
(9.12)
L’asse neutro `e pertanto definito dall’equazione 1+
eM eM x2 1 x1 + 2 2 = 0. 2 ρ2 ρ1 asse neutro
Dalle intersezioni con gli assi i1 = −
ρ22 eM 1
e
i2 = −
(9.13)
ρ21 , eM 2
si deduce che la distanza dell’asse neutro dal baricentro aumenta al diminuire della distanza del centro di pressione dal baricentro stesso.
i2 M x1 e 1
N
x3
i1
eM 2 x2
Si definisce nocciolo centrale d’inerzia l’insieme dei centri di pressione il cui asse neutro `e esterno alla sezione. Dunque, se il centro di pressione appartiene al nocciolo centrale d’inerzia la sezione sar`a completamente o tesa o compressa. Inversamente, quando il centro di pressione `e esterno al nocciolo, la sezione sar`a parzialmente tesa e parzialmente compressa. Il nocciolo centrale d’inerzia risulta importante nei materiali con un differente comportamento in trazione e compressione, come il calcestruzzo. Pu` o essere determinato attraverso un’elegante costruzione grafica. Analiticamente invece, `e possibile determinarlo osservando che i centri di pressione eM determinano l’equazione dell’asse neutro, tramite la (9.13), che `e una retta del piano non passante per l’origine, ovvero una retta di equazione m1 x1 + m2 x2 + m3 = 0
(9.14)
con m3 6= 0. Viceversa, ogni retta del tipo (9.14) pu`o essere interpretata come l’asse neutro per un opportuno centro di pressione eM . Riscrivendo la (9.14) nella forma m1 m2 x1 + x2 + 1 = 0 m3 m3
9.3 Pressoflessione
263
e confrontandola con la (9.12) si deduce che il centro di pressione associato alla retta (9.14) `e 2 m1 2 m2 eM e eM . (9.15) 1 = ρ2 2 = ρ1 m3 m3 Dunque c’`e una corrispondenza tra rette non passanti per l’origine, (9.14), e centri di pressione. Si pu`o quindi considerare tutte le rette che non intersecano la sezione e per ciascuna di tali rette determinare il centro di pressione corrispondente. L’insieme dei punti cos`ı determinati `e il nocciolo centrale d’inerzia. Visto che i punti sul bordo del nocciolo centrale d’inerzia determinano rette tangenti alla sezione, dalla corrispondenza appena stabilita, deduciamo che le rette tangenti alla sezione determinano il bordo del nocciolo centrale d’inerzia. Per riassumere, il bordo del nocciolo centrale d’inerzia lo si determina valutando i centri di pressione corrispondenti alle rette tangenti alla sezione. Si pu`o inoltre dimostrare che: • •
•
il nocciolo centrale d’inerzia `e convesso; ad un tratto rettilineo del convessificato della sezione (il pi` u piccolo insieme convesso che contiene la sezione) corrisponde un vertice del bordo del nocciolo centrale d’inerzia; ad uno spigolo del convessificato della sezione corrisponde un tratto rettilineo del bordo del nocciolo centrale d’inerzia.
Esercizio 9.10. Determinare analiticamente il nocciolo centrale d’inerzia per una sezione rettangolare di base b e altezza h. 5
x1
x2 Soluzione. Iniziamo calcolando i raggi giratori ρ21 =
J1 = A
1 bh3 12
bh
=
h2 12
e
ρ22 =
J2 = A
1 hb3 12
bh
Per determinare una parte del bordo del nocciolo centrale d’inerzia consideriamo tutte le rette passanti per xP e tangenti alla sezione. Queste avranno necessariamente equazione
=
b2 . 12
xP x1
m1 x1 + m2 x2 +
1 (m1 b + m2 h) = 0, 2
con m1 m2 ≥ 0, come si pu` o verificare. x2 Se m1 = 0 si ha
264
9 Sforzo normale e flessione semplice
1 m2 h = 0 2 e il centro di pressione associato associato dalla (9.15) `e m2 x 2 +
eM 1 = 0
e
eM 2 =
h2 m 2 h = ; 12 12 m2 h 6
b 6
eM 2 = 0;
se m2 = 0, analogamente, si ottiene eM 1 = mentre se m1 m2 6= 0, con α := eM 1 =
m2 m1
e
≥ 0, si ha
b2 2m1 b2 1 = 12 m1 b + m2 h 6 b + αh
e
eM 2 =
h2 2m2 h2 α = , 12 m1 b + m2 h 6 b + αh
da cui deduciamo che 6beM 6heM b αh 1 2 + = + = 1, 2 b h2 b + αh b + αh e quindi i centri di pressione stanno sulla retta eM eM 1 1 + 2 = . b h 6
x1
b/6 h/6
x2
Per simmetria si ottengono i rimanenti lati del bordo e quindi il nocciolo centrale d’inerzia risulta essere la regione rappresenta in figura.
x1
b/6 h/6
x2
4
9.4 Appendice. Geometria delle aree Sia ω una regione piana ed r e s un qualsiasi sistema d’assi ortonormali. Il momento statico o momento del primo ordine della regione ω rispetto alla retta r `e la s “sommatoria” dei prodotti delle “aree infinir tesime” per le rispettive distanze (con segno) ω da s dalla retta r, ossia
9.4 Appendice. Geometria delle aree
265
ˆ Sr :=
s da. ω
In questa sezione, non essendoci ambiguit`a, utilizziamo da al posto di dL 2 . Analogamente, si definisce il momento statico rispetto alla retta s: ˆ Ss := r da. ω
Osserviamo che per il momento statico vale la propriet` a additiva, dato che vale per l’integrale. Il prossimo esercizio chiarisce il significato della frase. Esercizio 9.11. Per le regioni in figura, valutare il momento statico rispetto all’asse x1 . x2
x2
x2
b
B
H h b
x1
B
x1
b
x1
5 Soluzione. Per il rettangolo si ha
ˆ
b
ˆ
H
S1 := Sx1 =
x2 dx2 dx1 = 0
0
bH 2 . 2
Utilizzando la propriet` a additiva dell’integrale possiamo calcolare i momenti statici delle altre due regioni semplicemente utilizzando la formula appena ricavata. Infatti ˆ ˆ S1 = x2 da = ω
ˆ x2 da+ ω1
x2 da = ω2
bH 2 (B − b)h2 + , 2 2
ω1 ω2
e il momento statico della regione di destra lo si ottiene per sottrazione (perch´e non per addizione?) (B − b)h2 BH 2 S1 = − . 2 2 4
Valutiamo come variano i momenti statici al traslare degli assi cartesiani. x2 x ˜2 da Consideriamo due sistemi d’assi paralleli {x1 , x2 } e {˜ x1 , x ˜2 } ed indichiamo con ω (x1O , x2O ) le coordinate nel sistema {x1 , x2 } x2O x ˜1 dell’origine degli assi {˜ x1 , x ˜2 }. x1 x1O
266
9 Sforzo normale e flessione semplice
Se le coordinate del generico punto x nel sistema {˜ x1 , x ˜2 } sono (˜ x1 , x ˜2 ), nel sistema {x1 , x2 } sono: x1 = x1O + x ˜1 ,
e
x2 = x2O + x ˜2 .
Il momento statico rispetto all’asse x1 risulta, ˆ ˆ ˆ Sx 1 = x2 da = x2O + x ˜2 da = x2O A + x ˜2 da = x2O A + Sx˜1 ω
ω
ω
dove A indica l’area di ω. Dunque, al traslare degli assi i momenti statici soddisfano le seguenti relazioni Sx1 = x2O A + Sx˜1 ,
Sx2 = x1O A + Sx˜2 .
(9.16)
Vediamo ora come variano i momenti statici al ruotare degli assi cartesiani. Consideriamo due sistemi d’assi {x1 , x2 } e x2 x ˜2 {˜ x1 , x ˜2 } aventi la stessa origine ma ruotati, uno rispetto all’altro, di un angolo ϑ. Indichiamo x ˜1 con (˜ x1 , x ˜2 ) e con (x1 , x2 ) le coordinate del geϑ x1 nerico punto x nei sistemi {˜ x1 , x ˜2 } e {x1 , x2 }, ω rispettivamente. La relazione tra le coordinate `e: x ˜1 = x1 cos ϑ + x2 sin ϑ e x ˜2 = −x1 sin ϑ + x2 cos ϑ. (9.17) Da quest’ultima relazione segue facilmente che Sx˜1 = −Sx2 sin ϑ + Sx1 cos ϑ,
Sx˜2 = Sx2 cos ϑ + Sx1 sin ϑ,
(9.18)
Sx2 = −Sx˜1 sin ϑ + Sx˜2 cos ϑ.
(9.19)
ed anche Sx1 = Sx˜1 cos ϑ + Sx˜2 sin ϑ,
Definizione 9.12. Il baricentro di una regione ω `e il punto xG tale che il momento statico rispetto ad una qualsiasi retta passante per xG `e nullo. Per come definito non `e nemmeno chiaro che il baricentro esista. Sia {x1 , x2 } un sistema di assi cartesiani e siano S1 ed S2 i momenti statici della regione ω rispetto a tali assi. Assumiamo che il baricentro xG esista e indichiamo con {˜ x1 , x ˜2 } un sistema di assi cartesiani, paralleli agli assi {x1 , x2 } e con origine il punto xG . Allora, per definizione di baricentro si ha che Sx˜1 = Sx˜2 = 0 e dalla (9.16), con O uguale a G, troviamo che le coordinate del baricentro devono essere x1G =
S2 A
e
x2G =
S1 . A
(9.20)
Viceversa, indichiamo con xG il punto le cui coordinate sono definite dalla (9.20). Dalla (9.16) si deduce che Sx˜1 = Sx˜2 = 0 e dalle (9.19) che il momento
9.4 Appendice. Geometria delle aree
267
statico rispetto ad una qualsiasi retta passante per xG `e nullo. Quindi, il baricentro esiste ed `e unicamente determinato dalle (9.20). Osservazione 9.13. Se la regione ω ha un asse di simmetria allora il baricentro giace su tale x2 asse. Ad esempio, nella figura a fianco x2 `e un asse di simmetria e quindi ω ˆ
ˆ ˆ
S2 =
f (x2 )
x1 da =
x1 dx1 dx2
−f (x2 )
−f (x2 )
ω
ˆ h 2 if (x ) 2 x1 = dx2 = 0 2 −f (x2 )
f (x2 ) x1
♦
e pertanto x1G = 0.
Esercizio 9.14. Con le dimensioni riportate in figura, verificare che le coordinate del baricentro •
del triangolo sono x1G =
•
a+b 3
e
e
x2G =
x2G =
h , 3
del segmento circolare sono x1G = 0 x2
4r sin3 (α/2) . 3 α − sin α x2
(a, h)
α/2 b
r
x1
x1 5
Soluzione. Iniziamo con la regione triangolare. Le equazioni dei lati obliqui sono: a a−b x2 e fd (x2 ) = b + x2 . h h Tramite queste equazioni otteniamo i momenti statici ˆ h ˆ fd (x2 ) ˆ h ˆ S1 = x2 dx1 dx2 = (fd (x2 ) − fl (x2 ))x2 dx2 = fl (x2 ) =
0
bh2 = , 6 ˆ hˆ S2 = 0
fl (x2 )
0
fd (x2 )
x1 dx1 dx2 = fl (x2 )
1 2
0
ˆ
h
(fd2 (x2 ) − fl2 (x2 )) dx2 = 0
h
b
h − x2 x2 dx2 h
bh (a + b), 6
268
9 Sforzo normale e flessione semplice
e dunque le coordinate del baricentro risultano S2 a+b S1 h = e x2G = = . A 3 A 3 Nello studio del segmento circolare utilizziamo le coordinate polari: x1 = ρ cos ϑ e x2 = ρ sin ϑ. Il segmento circolare in coordinate polari `e descritto dall’insieme x1G =
cos(α/2) π α π α − ≤ϑ≤ + , r ≤ ρ ≤ r}, 2 2 2 2 sin ϑ e quindi l’area e il momento statico rispetto all’asse x1 risultano, ricordando che lo jacobiano della trasformazione `e ρ, ˆ π+α ˆ r ˆ π+α 2 2 2 2 cos2 (α/2) r2 A= ρ dρ dϑ = 1− dρ dϑ cos(α/2) π−α π α 2 sin2 ϑ r sin ϑ −2 2 2 2 cos2 (α/2) cos ϑ i π2 + α2 cos2 (α/2) sin(α/2) r2 h r2 = ϑ− = (α − 2 ) π α 2 sin ϑ 2 cos(α/2) −2 2 {(ρ, ϑ) :
= S1 =
r2 (α − sin α), 2 ˆ π+α ˆ r 2
2
π−α 2 2
r
cos(α/2) sin ϑ
r3 3
ˆ
π+α 2 2
sin ϑ −
π−α 2 2
cos3 (α/2) dρ dϑ sin2 ϑ
3
3
=
ρ2 sin ϑ dρ dϑ =
cos (α/2) sin(α/2) 2r 2r3 (sin(α/2) − )= sin3 (α/2). 3 cos(α/2) 3
Per simmetria avremo x1G = 0, mentre la seconda coordinata del baricentro risulta S1 4r sin3 (α/2) x2G = = . A 3 α − sin α Agli stessi risultati si pu` o giungere considerando un segmento circolare come differenza tra un settore circolare ed un triangolo. 4
Osservazione 9.15. Per molte regioni `e possibile determinare i momenti statici semplicemente utilizzando l’additivit`a e le (9.20). Ad esempio, il momento S1 della regione (2b, 2r)
x2
(b, r) x1 `e possibile determinarlo decomponendo la regione in tre regioni “elementari”. Infatti, utilizzando l’additivit`a possiamo scrivere S1 = S1ω1 + S1ω2 + S1ω3 , con evidente significato dei simboli.
x2 ω2
ω3
ω1 x1
9.4 Appendice. Geometria delle aree
269
Infine, utilizzando le (9.20) otteniamo r 1 S1ω1 = Aω1 xω 2G = (2br) , 2
2 S1ω2 = Aω2 xω 2G =
e 3 S1ω3 = Aω3 xω 2G =
br r (r + ), 2 3
πr2 r. 2 ♦
Per esercizio si calcoli il momento S2 . Il momento d’inerzia o momento del secondo ordine della regione ω rispetto alla retta r `e la “sommatoria” dei prodotti delle “aree infinitesime” per i quadrati delle rispettive distanze dalla retta r, ossia ˆ Jr := s2 da.
s
r
ω da s
ω
Analogamente, si definisce il momento d’inerzia rispetto alla retta s: ˆ Js := r2 da, ω
ˆ
mentre il valore Jrs := Jsr :=
rs da ω
viene chiamato momento centrifugo. Chiaramente i momenti d’inerzia sono quantit`a sempre non negative, mentre il momento centrifugo pu` o assumere anche valori negativi. Inoltre, come i momenti statici, anche i momenti d’inerzia e il momento centrifugo sono additivi. Osservazione 9.16. Se uno dei due assi cartesiani `e un asse di simmetria della regione ω allora il momento centrifugo `e nullo, come si pu` o facilmente stabilire procedendo come nell’Osservazione 9.13. ♦ Esercizio 9.17. Per le regioni in figura, valutare i momenti d’inerzia e il momento centrifugo rispetto agli assi cartesiani. x2
x2 ω2
ω1
x1
b
x2
B ω3
H h b
x1
b
x1
270
9 Sforzo normale e flessione semplice
5 Soluzione. Per il rettangolo ω1 , con gli assi baricentrici e paralleli ai lati, si ha ˆ J1 := Jx1 =
ˆ
b 2 b −2
H 2
−H 2
x22 dx2 dx1 =
bH 3 12
3
e invertendo b con H troviamo J2 = Hb . Il momento centrifugo invece `e nullo dato 12 che entrambi gli assi sono assi di simmetria. Per il rettangolo ω2 , con gli assi passanti per i lati, si ha ˆ bˆ H bH 3 J1 = x22 dx2 dx1 = 3 0 0 e invertendo b con H troviamo J2 = ˆ
bˆ
Hb3 . 3
Il momento centrifugo risulta
H
J12 =
x1 x2 dx2 dx1 = 0
0
b2 H 2 . 4
Utilizzando la propriet` a additiva e i risultati ottenuti per ω2 , per la regione ω3 abbiamo J1 =
(B − b)h3 BH 3 − , 3 3
J2 =
h(B − b)3 HB 3 − , 3 3
J12 =
(B − b)2 h2 B2H 2 − . 4 4 4
Esercizio 9.18. Con le dimensioni riportate in figura, verificare che •
per il triangolo J1 =
•
bh3 , 12
J2 =
bh 2 (a + ab + b2 ), 12
J12 =
bh2 (2a + b); 24
per il segmento circolare, J12 = 0 e J1 =
r4 α (α − sin α + 2 sin α sin2 ), 8 2
x2
J2 =
r4 α (3α − 3 sin α − 2 sin α sin2 ). 24 2 x2
(a, h)
α/2 b
x1
r x1
5
9.4 Appendice. Geometria delle aree
271
Osservazione 9.19. In questa osservazione dimostriamo il cosiddetto principio di Cavalieri. Si consideri un rettangolo, ω1 , di base b ed altezza h e una seconda regione ω2 di base b, altezza h e lati “curvilinei” descritti dalle equazioni x1 = f (x2 ) e x1 = b + f (x2 ). ω1
ω2
x2 f (x2 )
b + f (x2 )
b
h
x1
b
Per un qualsiasi numero reale p si ha ˆ
ˆ
h
xp2 da = ω2
ˆ
0
ˆ
b+f (x2 )
ˆ
f (x2 ) h
ˆ
h
(b + f (x2 ) − f (x2 ))xp2 dx2 0
ˆ
ˆ
b
b xp2 dx2 =
=
h
xp2 dx1 dx2 =
xp2 dx1 dx2 =
0
0
0
xp2 da. ω1
In particolare, per p = 0, 1, 2, segue che Aω 1 = Aω 2 ,
S1ω1 = S1ω2
e
J1ω1 = J1ω2 , ♦
con ovvio significato dei simboli. Teorema 9.20 (Teorema di Huyghens-Steiner). x2
Siano dati una regione ω di area A e un qualunque sistema d’assi cartesiani {x1 , x2 }. Sia xG = (x1G , x2G ) il baricentro di ω. I momenti d’inerzia, J1 e J2 , e il momento centrifugo, J12 , della regione ω rispetto agli assi {x1 , x2 } sono uguali a J1 = J1G +
x22G A,
J2 = J2G +
x21G A
x2G
x ˜2
ω
x ˜1 x1
x1G e
J12 = J12G + x1G x2G A,
dove J1G , J2G e J12G sono i momenti d’inerzia e il momento centrifugo della regione ω rispetto ad assi paralleli a {x1 , x2 } e centrati in xG . Dimostrazione. Indichiamo con {˜ x1 , x ˜2 } un sistema di assi cartesiani, paralleli agli assi {x1 , x2 }, e con origine il punto xG . Visto che x1 = x1G + x ˜1 , si ha
e
x2 = x2G + x ˜2 ,
272
9 Sforzo normale e flessione semplice
ˆ
ˆ x22
J1 = ω
ˆ 2
da =
(x2G + x ˜2 ) da =
x22G A
ˆ
+ 2x2G
ω
x ˜22 da.
x ˜2 da + ω
ω
L’integrale di x ˜2 su ω `e nullo, dato che x ˜2 `e un asse baricentrico, e indicando con ˆ J1G := x ˜22 da, ω
coerentemente con l’enunciato del teorema, otteniamo J1 = J1G + x22G A. Le altre eguaglianze seguono in maniera simile. Vediamo ora come variano i momenti d’inerzia al ruotare degli assi cartesiani. x2 x ˜2 Consideriamo due sistemi d’assi {x1 , x2 } e x ˜1 {˜ x1 , x ˜2 } aventi la stessa origine ma ruotati, uno ϑ rispetto all’altro, di un angolo ϑ. Tramite le x1 (9.17) otteniamo ω Jx˜1 = J1 cos2 ϑ + J2 sin2 ϑ − 2J12 sin ϑ cos ϑ, Jx˜2 = J1 sin2 ϑ + J2 cos2 ϑ + 2J12 sin ϑ cos ϑ,
(9.21) 2
2
Jx˜1 x˜2 = J1 sin ϑ cos ϑ − J2 sin ϑ cos ϑ + J12 (cos ϑ − sin ϑ). Queste equazioni sono simili a quelle ottenute nella Sezione 3.4, dove `e stato introdotto il cerchio di Mohr. In realt`a, con l’identificazione T11 ≡ J1 , T22 ≡ J2 e T12 ≡ −J12 queste equazioni sono esattamente uguali a quelle ottenute ` quindi possibile studiare come nella Sezione 3.4, si veda ad esempio le (3.17). E variano i momenti d’inerzia al variare degli assi con il cerchio di Mohr. La discrepanza di segno nell’identificazione T12 ≡ −J12 `e spiegata nell’Osservazione 9.22. Definizione 9.21. Si dicono assi principali d’inerzia gli assi cartesiani rispetto ai quali il momento centrifugo `e nullo. Si dicono assi baricentrici e principali d’inerzia gli assi principali d’inerzia con origine nel baricentro. Se uno dei due assi cartesiani `e un asse di simmetria della regione, allora gli assi sono principali d’inerzia, grazie all’Osservazione 9.16. In assenza di simmetrie possiamo trovare gli assi principali d’inerzia tramite un’opportuna rotazione. Infatti, riscrivendo le (9.21) come Jx˜1 = J1 cos2 ϑ + J2 sin2 ϑ − J12 sin(2ϑ), Jx˜2 = J1 sin2 ϑ + J2 cos2 ϑ + J12 sin(2ϑ), J1 − J2 sin(2ϑ) + J12 cos(2ϑ), Jx˜1 x˜2 = 2 vediamo che Jx˜1 x˜2 = 0 se e solo se
(9.22)
9.4 Appendice. Geometria delle aree
273
J1 − J2 sin(2ϑ) + J12 cos(2ϑ) = 0. 2 Se J1 = J2 allora necessariamente cos(2ϑ) = 0 e quindi ϑ = ±π/4, mentre se J1 6= J2 si ha tan(2ϑ) =
2J12 J2 − J1
e
ϑ=
1 2J12 arctan . 2 J2 − J1
(9.23)
Questo `e l’angolo di cui si deve ruotare gli assi {x1 , x2 } per ottenere gli assi principali d’inerzia. I momenti d’inerzia rispetto agli assi principali d’inerzia vengono detti momenti principali d’inerzia. Tali momenti possono essere ottenuti sostituendo la (9.23) nelle prime due equazioni della (9.22). I valori che si ottengono, come si pu`o verificare con noiosi calcoli, sono s 2 J1 + J2 J2 − J1 2 . ± + J12 2 2 Osservazione 9.22. Siano t ed n due vettori ortonormali e t la retta passante per l’origine degli assi e parallela a t. Allora, dato che la distanza dalla retta t del generico punto x `e |x · n|, si ha ˆ ˆ ˆ 2 Jt = (x · n) da = x ⊗ x · n ⊗ n da = x ⊗ x · (I − t ⊗ t) da ω
ω
ω
visto che I = t ⊗ t + n ⊗ n, si veda la parte 4. dell’Esercizio 1.2. Da questa identit`a ricaviamo ˆ ˆ 2 Jt = |x| − x ⊗ x · t ⊗ t da = |x|2 I − x ⊗ x da · t ⊗ t ω
ω
e ponendo
ˆ ˜ := J
|x|2 I − x ⊗ x da,
(9.24)
ω
otteniamo ˜ ·t⊗t=t·J ˜ t. Jt = J ˜ , che `e chiaramente simmetrico, viene chiamato tensore d’inerzia. Il tensore J Valutiamo le sue componenti ˆ ˆ ˆ ˜ e1 = J˜11 = e1 · J |x|2 − (x · e1 )2 da = x21 + x22 − x21 da = x22 da = J1 , ω
ω
ω
˜ e2 = J2 , mentre analogamente si trova J˜22 = e2 · J ˆ ˆ ˜ e2 = J˜12 = e1 · J −x · e1 x · e2 da = − x1 x2 da = −J12 ω
e quindi la matrice rappresentativa `e J1 −J12 ˜ [J] = . −J12 J2
ω
(9.25) ♦
274
9 Sforzo normale e flessione semplice
Per determinare gli assi principali d’inerzia risulta conveniente utilizzare il cerchio di Mohr utilizzando il tensore d’inerzia, ovvero la sua rappresentazione matriciale (9.25). La prima parte dell’Esercizio 9.8 mostra come applicare le formule trovate e anche come utilizzare il cerchio di Mohr per determinare gli assi baricentrici e principali d’inerzia.
9.5 Esercizi Esercizio 9.23. Una barra di acciaio, di area Aa = 4 cm2 e con un’estremit` a filettata con passo di 2.5 mm, `e posta all’interno di un tubo di alluminio, di area Al = 6 cm2 e lungo 80 cm. Calcolare le tensioni che nascono nei due metalli stringendo un dado di mezzo giro. 5 Esercizio 9.24. La sezione rappresentata in figura `e soggetta ad uno sforzo normale N = −120 kN e a momenti flettenti M1 = −2 kNm ed M2 = −3 kNm. Verificare la sezione sapendo che la tensione ammissibile del materiale `e σamm = 2 190 N/mm . H =100 mm B =50 mm b =30 mm A =60 mm h =40 mm S =10 mm Spessore non indicato s =5 mm 5
b
H
S
x1 x2 B
h
A
Suggerimento: i momenti baricentrici e principali d’inerzia risultano J1 = 236.6 cm4 e J2 = 337.9 cm4 .
Esercizio 9.25. La sezione rappresentata in figura `e soggetta a M1 = 3 kNm ed M2 = −1 kNm. Tracciare l’asse neutro, l’asse di flessione e l’asse di sollecitazione. Determinare inoltre la tensione massima e minima. Le quote riportate in figura sono in mm. x1
20 30
x2
20 10
50
20
50 5
9.5 Esercizi
275
Suggerimento: gli assi tracciati sono baricentrici, quelli principali d’inerzia sono ruotati di 9.34◦ , i momenti baricentrici e principali d’inerzia risultano J1 = 81.65 cm4 e J2 = 542.51 cm4 .
Esercizio 9.26. Ad una sezione rettangolare di base b = 40 mm e altezza h = 50 mm `e stato fatto un foro di raggio r = 10 mm con centro a 15 mm dal lato sinistro del rettangolo e a 20 mm dal lato superiore del rettangolo. Sapendo che la tensione ammissibile del ma2 teriale `e σamm = 210 N/mm , determinare il massimo valore del momento flettente M a cui pu`o essere sottoposta la sezione. 5
M
Esercizio 9.27. La sezione rappresentata in figura `e soggetta ad uno sforzo normale N = −15 kN e a momenti flettenti M1 = 3 kNm ed M2 = 2 kNm. Verificare la sezione sapendo che la tensione ammissibile del materiale `e 2 σamm = 160 N/mm .
A B =80 mm A =50 mm Spessore s =8 mm
x1 x2
A B
5 Suggerimento: i momenti baricentrici e principali d’inerzia risultano J1 = 522.1 cm4 e J2 = 158.0 cm4 con gli assi ruotati di 11.65◦ .
Esercizio 9.28. Determinare il nocciolo centrale d’inerzia della sezione rappresentata in figura. b
t
b
s h
5
10 La torsione
In questo capitolo si determina la tensione tangenziale τ t dovuta ad un momento torcente Mtsc , ovvero si studia il problema (8.35). Il momento sc Mtsc = Mt + T1 xsc 2 − T2 x 1 ,
come prescritto dalla (8.36), `e dovuto al momento torcente applicato Mt e al momento torcente prodotto dai tagli. L’analisi di questo capitolo si concentrer`a esclusivamente sulla determinazione delle tensioni dovute a un generico momento torcente Mtsc ; le tensioni dovute ai tagli le considereremo nel prossimo capitolo. Rispetto alla decomposizione effettuata nella Sezione 8.4: sc x1x1
xsc (A)
T2
−T2 xsc 1 T1
≡
Mt
xsc
xsc 2 x2
T1 xsc 2
sc x1x1
(B)
sc x1x1
+ Mt
xsc
T1
xsc 2 x2
xsc 2 x2
(C) T 2
ci concentreremo esclusivamente sul caso (B). Dunque, ai fini del presente capitolo possiamo ritenere che il cilindro `e soggetto solamente a momento torcente, Mtsc 6= 0, con N = 0,
T1 = 0,
T2 = 0,
M1 = 0
e
M2 = 0.
Per semplicit`a di notazione indicheremo con Mt il momento Mtsc . Mt
Mt x3
x1
x2 © The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_10
Mt
x2 277
278
10 La torsione
Visto che i tagli T1 e T2 sono uguali a zero, dal problema (8.37), segue che τ s = 0. Inoltre, visto che lo sforzo normale e i momenti flettenti sono nulli, deduciamo che anche la tensione normale σ `e nulla, tramite la formula di Navier. Ne segue che le uniche incognite non determinate del problema di de Saint-Venant sono la funzione η t e la costante µα30 . Da queste variabili si ricava la tensione τ = τ t = µα30 η t . Inoltre, dalla (8.36) abbiamo che ˆ ˆ Mt (x3 ) = τ t · x⊥ dL 2 = µα30 η t · x⊥ dL 2 . (10.1) ω
ω
Da questa equazione, noto η t , si ricava α30 , mentre il campo vettoriale η t lo si ricava risolvendo il problema (8.35): t in ω, div η = 0 t curl η = 2 in ω, t (10.2) η su ∂ω, ˛ ·n=0 η t − γ ⊥ = 0 ∀γ ∈ Γ (ω). γ
10.1 La soluzione di Prandtl ` possibile riformulare il problema (10.2) in maniera pi` E u esplicita. Teorema 10.1. Siano φ problema γ0 t n γ1 n x1 x3 t ω x2
: ω → R e le costanti Kj ∈ R le soluzioni del
−∆φ = 2 φ = 0 φ ˛ = Kj ∂n φ ds = 2Aj
in ω, su γ 0 , su γ j ,
(10.3)
per j = 1, . . . , Nb ,
γj
dove Aj rappresenta l’area del buco j-mo, ovvero l’area racchiusa dalla curva γ j . Allora, la soluzione η t del problema (10.2) `e η t = −( φ)⊥ ,
(10.4)
∆
ovvero η1t = ∂2 φ
e
η2t = −∂1 φ.
La funzione φ viene chiamata funzione degli sforzi o funzione di Prandtl. Dimostrazione. La prima e la terza equazione del problema (10.2) ci permettono di dimostrare l’esistenza della funzione φ. Infatti, utilizzando le identit` a ricavate nell’Esercizio (8.1), abbiamo
10.1 La soluzione di Prandtl
279
curl (η t )⊥ = div η t = 0, e dalla terza equazione di (10.2) ricaviamo ˛ ˆ ˆ (η t )⊥ = (η t )⊥ · t ds = η t · n ds = 0, γ
γ
γ
per ogni γ ∈ Γ (ω). Dal Teorema 2.34, deduciamo che esiste una funzione φ tale che (η t )⊥ = φ. ∆
Per completare la dimostrazione non rimane che sostituire quest’ultima relazione nel problema (10.2). L’equazione div η t = 0 in ω `e automaticamente soddisfatta. Infatti, ∆
div η t = curl (η t )⊥ = curl
φ = 0,
dato che il rotore di un gradiente `e nullo. La seconda equazione di (10.2) si riscrive come ∆
2 = curl η t = − div (η t )⊥ = − div
φ = −∆φ,
e dalla terza deduciamo che ∆
0 = η t · n = (η t )⊥ · t =
φ · t = ∂s φ.
Da quest’ultima relazione deduciamo che la funzione φ `e costante su ogni curva γi per i = 0, 1, . . . , Nb . Dato che la funzione φ `e definita a meno di una costante (solamente il gradiente di φ `e definito in maniera univoca) poniamo φ = 0 su γ 0 e chiamiamo Kj la costante che la funzione φ assume sulla curva γ j . Pertanto, richiederemo φ = 0 su γ 0
e
φ = Kj su γ j ,
per j = 1, . . . , Nb . Sia γ j ∈ Γ (ω) allora ˛
ˆ
ˆ
ηt − γ ⊥ =
0= γj
(η t − γ ⊥ ) · t ds = − γj
ˆ
(η t )⊥ + γ · n ds γj
γ0
(η t )⊥ · n − γ · ne ds
=− ˆ
γj
ˆ ∆
=− ˆ
γj
div x dL 2
φ · n ds + ωj
∂n φ ds + 2L 2 (ωj )
=− γj
x1
n
γ1 ne
x3 ω x2
280
10 La torsione
dove ωj rappresenta la regione racchiusa dalla curva γ j , ne = −n `e la normale esterna a ωj e dove oltre ad applicare il teorema della divergenza abbiamo utilizzato l’identit`a, facilmente verificabile, div x = 2. Dunque ˛ ∂n φ ds = 2Aj γj
dove abbiamo posto l’area della regione ωj uguale a Aj = L 2 (ωj ).
Osservazione 10.2. Le costanti Kj fanno parte della soluzione del problema (10.3). In un certo senso, sono determinate dalle equazioni ˛ ∂n φ ds = 2Aj per j = 1, . . . , Nb (10.5) γj
del problema (10.3). Infatti, sfruttando la linearit` a del problema, si possono risolvere Nb +1 problemi che non coinvolgono le Kj e poi utilizzare le equazioni (10.5) per determinarle. Infatti, si considerino gli Nb + 1 problemi: Problema(0) (0) −∆φ = 2 in ω, φ(0) = 0 su γ 0 , (0) φ =0 su ogni γ j ,
Problema(j) −∆φ(j) = 2 in ω, φ(j) = 0 su γ 0 , (j) φ = 1 su γ j , (j) φ =0 su ogni γ i con i 6= j, (10.6)
con j = 1, . . . , Nb . La funzione φ = φ(0) +
Nb X
Ki φ(i)
i=1
soddisfa il problema (10.3) se e solo se le Ki sono scelte in modo da soddisfare la (10.5). Dunque, le Ki si possono trovare risolvendo il sistema Nb ˛ X i=1
˛ ∂n φ γj
(i)
∂n φ(0) ds
ds Ki = 2Aj −
per j = 1, . . . , Nb .
γj
♦ Osservazione 10.3 (Analogia della membrana e analogia idrocinetica). Per la gran parte delle sezioni trasversali `e praticamente impossibile trovare soluzioni analitiche al problema (10.3). Prandtl ha introdotto un’analogia molto efficace per descrivere qualitativamente l’andamento della funzione degli sforzi. Si consideri una membrana sottile occupante una regione ω priva di buchi e soggetta a un carico trasversale uniforme p.
10.1 La soluzione di Prandtl
Se P rappresenta la pretensione uniforme (forza per unit`a di lunghezza) si pu`o dimostrare che lo spostamento trasversale della membrana w(x1 , x2 ) soddisfa l’equazione −∆w =
p P
281
p
x2
in ω
w x1 e w = 0 su ∂ω. P Se il rapporto p/P = 2, allora lo spostamento w soddisfa lo stesso problema di φ, pertanto visualizzando lo spostamento trasversale in una membrana possiamo intuire come varia φ. Dall’analogia risulta che le componenti η1t = ∂2 φ e η2t = −∂1 φ sono proporzionali a ∂2 w e −∂1 w e quindi sono “proporzionali” alla pendenza della membrana. Pi` u ravvicinate sono le curve di livello di w e maggiore `e la pendenza e, quindi, maggiore `e |η t |. Inoltre, η t `e tangente alle curve di livello. Nelle regioni ω con spigoli rientrati le curve xQ di livello di w si addensano e quindi in prossimit`a degli spigoli le tensioni sono elevate. Per xP questo motivo i profilati in commercio hanno gli spigoli arrotondati (come in xP ). In spigoli uscenti (come xQ ) le curve di livello sono molto rarefatte e quindi in tali punti la tensione non `e elevata. Una seconda analogia `e quella idrocinetica. Questa considera il moto di un fluido ideale in rotazione con vorticit`a uniforme in un recipiente cilindrico con base la regione ω. Il problema che descrive la velocit` a del fluido `e analogo a quello di η t , e quindi possiamo dedurre informazioni su η t immaginando la velocit`a del fluido. Considerazioni simili a quelle fatte sulle curve di livello si possono ripetere per le linee di flusso della corrente. L’analogia idrocinetica evidenzia il diverso comportamento tra le sezioni semplicemente connesse e quelle con buchi.
In quelle con un buco le linee di flusso sono tutte concordi, mentre in quelle semplicemente connesse le linee di flusso devono necessariamente “invertirsi”. Per tale motivo, l’andamento delle tensioni tangenziali dovute a momento torcente `e particolarmente influenzato dalla topologia della sezione. ♦ Ricavata la funzione degli sforzi possiamo determinare la tensione tangenziale
282
10 La torsione
τ t = −µα30 ( φ)⊥ , ∆
dove α30 `e determinata mediante la (10.1).
10.2 Il campo di spostamenti Nel prossimo teorema, oltre a dimostrare che α3 coincide con (W(u))21 , caratterizziamo gli spostamenti. Teorema 10.4. Siano σ = 0, τ s = 0 e u lo spostamento che soddisfa il problema di de Saint-Venant. Allora, W21 = (W(u))21 `e una funzione che dipende solamente da x3 : W21 (x1 , x2 , x3 ) = α3 (x3 ) e α30 `e costante. A meno di uno spostamento rigido infinitesimo, lo spostamento `e specificato da u1 = −x2 α3 ,
u 2 = x1 α3 ,
u3 = ψα30 ,
(10.7)
dove la funzione ψ : ω → R, chiamata funzione di ingobbamento, `e legata a η t dalla relazione η t − x⊥ = ψ. (10.8) ∆
Dimostrazione. Ricordiamo che nel caso della torsione semplice l’equazione costitutiva `e 1 1+ν 0 0 τ 0 0 τ 1 1 2µ E 1 1+ν 0 τ2 , [E] = 0 0 τ2 = 0 2µ E 1 + ν 1 + ν 1 1 τ1 τ2 0 τ1 τ2 0 2µ 2µ E E dove τ = µα30 η t .
(10.9)
Utilizziamo l’identit`a ∂k Wij = ∂j Eik − ∂i Ejk ,
∀i, j, k ∈ {1, 2, 3},
dimostrata nel Lemma 2.22, per ricavare W := W(u). In componenti questa equazione diventa: ∂k W21 = ∂1 E2k − ∂2 E1k , ∂k W32 = ∂2 E3k − ∂3 E2k ∂k W31 = ∂1 E3k − ∂3 E1k . Dalla prima di queste equazioni e dall’equazione costitutiva si ricava
(10.10)
10.2 Il campo di spostamenti
∂α W21 = 0
α = 1, 2
e
∂3 W21 =
1 (∂1 τ2 − ∂2 τ1 ). 2µ
283
(10.11)
Dunque W21 = W21 (x3 ) e quindi W21 coincide con la sua media sulla sezione. Pertanto, dal Lemma 8.11, si deduce che W21 = α3 dove α3 (x3 ) `e stato definito come la media di W21 sulla sezione di coordinata x3 . Ricordiamo inoltre che α30 `e costante, si veda il Lemma 8.11. Utilizzando la seconda delle (10.2), curl η t = 2, e la (10.9), dalla (10.11) otteniamo un’identit`a banale: ∂3 W21 =
1 µα30 2µα30 (∂1 τ2 − ∂2 τ1 ) = curl η t = = α30 . 2µ 2µ 2µ
Dalla seconda delle (10.10) troviamo ∂1 W32 =
1 ∂ 2 τ1 , 2µ
∂2 W32 =
1 ∂ 2 τ2 2µ
e
∂3 W32 = 0.
(10.12)
Segue che W32 = W32 (x1 , x2 ) e integrando la seconda equazione trovata si ha W32 =
1 τ2 + g2 (x1 ), 2µ
dove g2 (x1 ) `e essenzialmente una “costante” d’integrazione. Utilizzando questa identit`a e la prima delle (10.12), si ricava 1 1 ∂1 τ2 + g20 (x1 ) = ∂ 2 τ1 2µ 2µ che riordinata diventa g20 (x1 ) =
1 µα0 (∂2 τ1 − ∂1 τ2 ) = − 3 curl η t = −α30 . 2µ 2µ
Per integrazione si ottiene g2 (x1 ) = −x1 α30 + k2 , dove k2 `e una costante. Dunque W32 =
1 τ2 − x1 α30 , 2µ
dove non abbiamo riportato la costante dato che lo spostamento sar` a determinato a meno di una rotazione rigida infinitesima. Analogamente, dalla seconda delle (10.12), si arriva a
284
10 La torsione
W31 =
1 τ1 + x2 α30 . 2µ
Ponendo H = ∇u e sommando E a W, abbiamo 0
−α3
α3
0
[H] = 1 µ
τ1 + x2 α30
−x2 α30
1 τ2 − x1 α30 µ
x1 α30 . 0
Dalla prima riga si deduce u1 = −α3 e2 − x2 α30 e3 ,
∆
e quindi per integrazione, a meno di una costante, u1 = −x2 α3 . Analogamente, dalla seconda riga si deduce che u2 = x1 α3 . Dalla terza riga di [H] deduciamo che u3 = u3 (x1 , x2 ) e 1 τ − x⊥ α30 = µ
∆
(η t − x⊥ )α30 =
∆
u3
che equivale a u3 .
(10.13)
Dato che curl x⊥ = divx = 2 abbiamo curl η t = 2
in ω
⇔
curl (η t − x⊥ ) = 0
e visto che, dal problema (10.2) si ha ˛ ηt − γ ⊥ = 0
in ω
∀γ ∈ Γ (ω),
γ
dal Teorema 2.34, deduciamo che esiste ψ : ω → R tale che ∆
η t − x⊥ =
ψ.
Infine, dalla (10.13) segue che u3 (x1 , x2 , x3 ) = α30 ψ, a meno di una costante additiva. Dal Teorema 10.4 abbiamo trovato che lo spostamento `e dato da
10.2 Il campo di spostamenti
u1 (x1 , x2 , x3 ) = −x2 α3 (x3 ),
285
u2 (x1 , x2 , x3 ) = x1 α3 (x3 ),
u3 (x1 , x2 , x3 ) = ψ(x1 , x2 )α30 , e quindi la sezione di coordinata x3 , nel piano x1 -x2 , semplicemente ruota di α3 (x3 ) attorno all’asse x3 . Inoltre, dato che α30 `e costante, l’angolo di rotazione varia linearmente al variare di x3 . ω × {x3 }
ψ(x)α30
x3
x1
x3
α3 (x3 ) x2
x2
Le sezioni per`o non rimangono piane, visto che nella direzione x3 si “ingobbano” di ψα30 . In aggiunta, essendo α30 costante, tutte le sezioni subiscono lo stesso ingobbamento: per questo motivo la torsione alla de Saint-Venant viene anche chiamata torsione uniforme. Un ingobbamento uniforme non causa incongruenze nel problema di de Saint-Venant, dato che entrambe le basi del cilindro sono libere di deformarsi. Diversamente, nel caso in cui almeno una delle due basi `e incastrata, ovvero su almeno una base `e imposto uno spostamento nullo, la soluzione trovata risulta incompatibile. Questo caso, non coperto dalla teoria di de Saint-Venant, pu` o essere studiato attraverso la teoria della torsione non-uniforme dovuta a Vlasov. Noi per` o, in tutti i casi accetteremo il principio di de Saint-Venant e quindi assumeremo che la sostituzione “dell’incastro” con le opportune “reazioni vincolari” produca solamente variazioni locali. Osservazione 10.5. Dalla dimostrazione del Teorema 10.4 capiamo il significato delle condizioni di compatibilit`a ˛ ηt − γ ⊥ = 0 ∀γ ∈ Γ (ω) (10.14) γ
del problema (10.2). Infatti, in tale dimostrazione abbiamo assunto l’esistenza di uno spostamento u che soddisfa il problema di de Saint-Venant e abbiamo dedotto la (10.13): (η t − x⊥ )α30 = u3 . ∆
Questa equazione, ricordando che α30 `e costante, non potrebbe essere verificata senza la (10.14) visto che l’integrale di un gradiente lungo una curva chiusa `e nullo, si veda la (2.42). Possiamo quindi interpretare la (10.14) come condizioni di compatibilit`a per la componente di spostamento u3 : in assenza della (10.14), la componente u3 non sarebbe definita. ♦
286
10 La torsione
Teorema 10.6. La funzione di ingobbamento, introdotta nel Teorema 10.4, soddisfa il seguente problema di Neumann: ( ∆ψ = 0 in ω, (10.15) ∂n ψ = x · t su ∂ω. Dimostrazione. Per ottenere l’enunciato basta sostituire l’espressione che lega η t a ψ, ovvero la (10.8) η t = x⊥ + ψ, ∆
nel problema che soddisfa η t : t in ω, div η = 0 t in ω, curl η = 2 t η · n = 0 su ∂ω, ˛ η t − γ ⊥ = 0 ∀γ ∈ Γ (ω). γ
Dato che div x⊥ = 0, la prima equazione equivale a ∆ψ = 0 in ω. La seconda `e automaticamente soddisfatta, visto che curl x⊥ = 2 e il rotore di un gradiente `e uguale a zero. Dalla terza otteniamo ∆
∂n ψ =
ψ · n = −x⊥ · n = x · n⊥ = x · t
su ∂ω. Infine, l’ultima `e automaticamente soddisfatta in quanto l’integrale del gradiente di una funzione su un circuito chiuso `e uguale a zero. La funzione di ingobbamento `e definita a meno di una costante additiva (se ψ `e una soluzione del problema (10.15), allora anche ψ + k lo `e, per ogni costante k). Ci`o implica che anche la componente dello spostamento u3 `e determinata a meno di una costante additiva. Questo `e dovuto all’assenza di vincoli cinematici. Per rimuovere questa indeterminazione, senza perdita di generalit`a, si pu`o imporre che la funzione di ingobbamento abbia media nulla sulla sezione. La (10.4) esprime η t in termini della funzione degli sforzi, η t = −( φ)⊥ , e la (10.8) in termini della funzione di ingobbamento, η t − x⊥ = ψ, dunque ∆
∆
∆
−( φ)⊥ = x⊥ +
ψ,
∆
ovvero ∂2 φ = −x2 + ∂1 ψ
e
− ∂1 φ = x1 + ∂2 ψ.
Queste relazioni evidenziano il legame tra φ e ψ. Osservazione 10.7. Una condizione necessaria per la risolubilit` a del problema di Neumann (problema in cui sul bordo `e assegnata la derivata normale della funzione incognita)
10.2 Il campo di spostamenti
(
−∆ψ = f ∂n ψ = g
ˆ
(10.16)
ˆ 2
g dL 1 = 0.
f dL + ω
(10.17)
∂ω
Infatti, se ψ `e una soluzione del problema si ha: ˆ ˆ ˆ ˆ 2 2 2 f dL = − ∆ψ dL = − div ψ dL = − ω ω ∂ω ˆω ˆ 1 1 =− ∂n ψ dL = − g dL . ∆
∂ω
∆
`e
in ω, su ∂ω,
287
ψ · n dL 1
∂ω
Diremo che il problema (10.16) `e risolubile se i dati f e g soddisfano la (10.17). Il problema (10.15) `e risolubile. Infatti, ˆ ˆ ˆ 1 ⊥ 1 x · t dL = − x · n dL = − div (x⊥ ) dL 2 = 0, ∂ω
∂ω
ω
dato che div (x⊥ ) = 0.
♦
Esempio 10.8. Consideriamo una sezione circolare di raggio r. Allora, la funzione di ingobbamento si ricava risolvendo il problema x3 ( x1 ∆ψ = 0 in ω, x ∂n ψ = 0 su ∂ω. ω dato che in ogni punto di ∂ω si ha x · t = 0, x2 t come si vede anche dalla figura. Per evitare l’indeterminazione della funzione ψ richiediamo, senza perdita di generalit`a, che ˆ ψ dL 2 = 0. ω
Co questa richiesta l’unica soluzione del problema `e quella banale, ψ = 0. Pertanto, le sezioni circolari non si ingobbano. La tensione τ t `e ψ) = µα30 x⊥ ,
∆
τ t = µα30 η t = µα30 (x⊥ +
e varia in maniera lineare lungo un generico raggio ed ha modulo costante su ogni circonferenza centrata nel centro del cerchio.
x1 µα30 r x2
Il valore massimo del modulo della tensione `e raggiunto sulla frontiera del cerchio e vale µα30 r. ♥
288
10 La torsione
Osservazione 10.9. Nell’Esempio 10.8 abbiamo trovato che la funzione di ingobbamento `e nulla se la sezione `e un cerchio. Risulta naturale chiedersi per quali altre sezioni si ha ψ = 0. Dal problema (10.15) deduciamo che ψ = 0 se e solo se x · t = 0 su ∂ω. Indicando con γ una curva che descrive il bordo, o una sua parte, si dovr` a avere γ0 γ · 0 = 0, |γ | che equivale a γ · γ 0 = 0, che a sua volta equivale a (|γ|2 )0 = 0. Dunque |γ|2 `e costante e, pertanto, ogni parte del bordo dovr` a essere una circonferenza con centro nell’origine degli assi. Quindi, ψ `e nulla se e solo se la sezione `e un cerchio o una corona circolare. ♦ Esempio 10.10. Consideriamo una sezione circolare con raggi della circonferenza interna ed esterna uguali a ri ed re , rispettivamente. Argomentando come nell’Esempio 10.8, o utilizzando l’Osservazione 10.9, si deduce che anche in questo caso la funzione di ingobbamento `e nulla e che la tensione `e x1 τ t = µα30 x⊥ .
µα30 re
Calcoliamo la funzione degli sforzi. Dato che η t = x⊥ , ricordando il Teorema 10.1, si ha η t = −( φ)⊥ = x⊥ ,
x2
∆
∆
ovvero
φ = −x. Integrando, si ottiene 1 φ = − (|x|2 − k), 2
con k una costante di integrazione. Dal problema (10.3) sappiamo che φ `e nulla sul bordo esterno, ovvero quando |x| = re . Pertanto, k = re2 e 1 φ = − (|x|2 − re2 ). 2 Sulla circonferenza interna si ha φ = K1 , come prescritto dal problema (10.3), e quindi 1 K1 = (re2 − ri2 ). 2 ♥
10.3 La rigidezza torsionale
289
10.3 La rigidezza torsionale Dalla (10.1) ˆ
ˆ τ t · x⊥ dL 2 = µα30
Mt (x3 ) = ω
η t · x⊥ dL 2 ω
ˆ
e indicando con
η t · x⊥ dL 2
Jt :=
(10.18)
ω
il momento d’inerzia torsionale otteniamo l’equazione costitutiva Mt = µJt α30
(10.19)
che lega il momento torcente alla variazione dell’angolo di rotazione della sezione attorno all’asse della trave. Da questa equazione deduciamo che µJt rappresenta la rigidezza torsionale della sezione. Teorema 10.11. Il momento d’inerzia torsionale pu` o essere espresso in termini della funzione degli sforzi: ˆ φ dL 2 +
Jt = 2 ω
Nb X
2Kj Aj ,
(10.20)
j=1
dove, in accordo con il problema (10.3), la costante Kj rappresenta il valore di φ sul bordo del buco j-mo, che ha area Aj . In termini della funzione di ingobbamento, invece ˆ | ψ|2 dL 2 , ∆
Jt = J0 −
(10.21)
ω
dove J0 := J1 + J2 rappresenta il momento polare d’inerzia della sezione. Inoltre, vale pure la seguente identit` a ˆ Jt = |η t |2 dL 2 , (10.22) ω
che ci assicura che Jt > 0. Dimostrazione. Utilizzando la (10.4), η t = −( φ)⊥ , si ha ˆ ˆ ˆ Jt = η t · x⊥ dL 2 = − ( φ)⊥ · x⊥ dL 2 = − φ · x dL 2 ∆
∆
ω
∆
ω
ω
e dato che ∆
φ · x = ∂α φ xα = ∂α (φxα ) − φ∂α xα = div(φ x) − 2φ,
tramite il teorema della divergenza, otteniamo
290
10 La torsione
ˆ
ˆ
ˆ
2
φ dL −
Jt = 2 ˆ
ω
φ dL 2 −
=2 ω
ˆ
2
2
φ x · n dL 1
φ dL −
div (φ x) dL = 2 ω Nb ˆ X
ω
∂ω
φ x · n dL 1 . γj
j=0
Il problema (10.3) prescrive φ = 0 su γ 0 e φ = Kj su γ j , dunque ˆ 2
φ dL −
Jt = 2
Nb X
ω
j=1
ˆ x · n dL 1 .
Kj γj
Indicando con ne = −n la normale esterna al buco racchiuso dalla curva γ j , si ha ˆ ˆ ˆ 1 e 1 x · n dL = − x · n dL = − div x dL 2 x1 γj γj ωj = −2Aj ,
γ0 n
γ1
x3 ω
ne
dove ωj rappresenta la regione racchiusa dalla x2 curva γ j , ed Aj la sua area. Dalle ultime due equazioni segue la (10.20). Tramite la (10.8), η t = x⊥ + ψ, possiamo esprimere Jt in termini della funzione di ingobbamento: ˆ ˆ Jt = x⊥ · x⊥ + ψ · x⊥ dL 2 = J0 + ψ · x⊥ dL 2 . (10.23) ∆
∆
∆
ω
ω
Per valutare l’ultimo integrale, si osservi che ψ · x⊥ = −∂1 ψ x2 + ∂2 ψ x1 = div (−ψ x2 , ψ x1 ) = div (ψx⊥ )
∆ e quindi
ˆ
ˆ ψ · x⊥ dL 2 =
div (ψx⊥ ) dL 2 ˆω
∆ ω
ˆ ψ x⊥ · n dL 2 = −
= ∂ω
ψ x · t dL 2 . ∂ω
Visto che il problema (10.15) prescrive ∂n ψ = x · t su ∂ω, abbiamo ˆ ˆ ˆ ψ · x⊥ dL 2 = − ψ x · t dL 2 = − ψ ∂n ψ dL 2 ω ∂ω ˆ∂ω ˆ 2 =− ψ ψ · n dL = − div (ψ ψ) dL 2 . ∆
∆
Ma
∆
∂ω
ω
10.3 La rigidezza torsionale
ˆ
ˆ
ψ · x dL = −
div (ψ
∆
2
∆
∆ ω
ψ − ψ∆ψ = | ψ|2 ,
2
| ψ|2 dL 2 . ∆
⊥
∆
pertanto, ˆ
ψ·
∆
ψ) = ∂α (ψ ∂α ψ) = ∂α ψ ∂α ψ + ψ∂α ∂α ψ =
∆
div (ψ
291
ψ) dL = −
ω
(10.24)
ω
Sostituendo quest’ultima identit`a nella (10.23) otteniamo la (10.21). Infine, dimostriamo la (10.22). Si ha ˆ ˆ ˆ η t · η t dL 2 = η t · (x⊥ + ψ) dL 2 = Jt + η t · ψ dL 2 ω ω ω ˆ ⊥ 2 = Jt + (x + ψ) · ψ dL ˆω = Jt + x⊥ · ψ + | ψ|2 dL 2 = Jt , ∆
∆
∆
∆
∆
∆
ω
dove l’ultima eguaglianza segue dalla (10.24). Dalla relazione appena dimostrata ˆ Jt = |η t |2 dL 2 ω
segue che Jt ≥ 0, con uguaglianza se e solo se η t = 0 in ω. Ma η t non pu` o essere nulla visto che il suo rotore `e uguale a 2, come prescritto dal problema (10.2). Pertanto, Jt > 0. Osserviamo che la sezione circolare e la corona circolare sono le sezioni che a parit`a di momento polare d’inerzia hanno il massimo momento d’inerzia torsionale. Infatti, in tali sezioni la funzione di ingobbamento `e nulla e quindi Jt assume, come si deduce dalla (10.21), il massimo valore, che corrisponde a J0 . In letteratura, viene definito il fattore di torsione q, che noi non utilizzeremo, come J0 Jt =: . q Dal Teorema (10.11) si trova, ad esempio, J0 J ´ 0 = ≥1 Jt J0 − ω | ψ|2 dL 2 ∆
q=
con uguaglianza se e solo se ψ `e costante. Esempio 10.12. Riprendiamo gli Esempi 10.8 e 10.10. Per una sezione circolare e per una corona circolare la funzione di ingobbamento `e nulla e quindi, dalla (10.21), si ha Jt = J0 . Indicando con J0cer il momento polare d’inerzia per una sezione circolare e con J0cor quello per una corona circolare, si ha
292
10 La torsione
J0cer =
π(2r)4 πr4 = 32 2
J0cor =
π((2re )4 − (2ri )4 ) π(re4 − ri4 ) = . 32 2
Utilizzando la (10.19), α30 = Mt /(µJt ), ricaviamo le rotazioni in termini del momento torcente applicato (α30 )cer =
Mt 2Mt = µJt µπr4
(α30 )cor =
Mt 2Mt = , µJt µπ(re4 − ri4 )
come pure le tensioni massime cer τmax =
Mt 2Mt r= Jt πr3
cor τmax =
x1
Mt 2Mt re . re = Jt π(re4 − ri4 )
(10.25)
x1 cer τmax
x2
cor τmax
x2 ♥
Esercizio 10.13. Un albero cavo in acciaio lungo 3 m deve trasmettere una coppia di 25 kNm e l’angolo di rotazione tra un’estremit` a e l’altra deve essere 2 inferiore a 3◦ . Se la tensione ammissibile `e σamm = 190 N/mm , utilizzando il criterio di von Mises, determinare i valori dei raggi interni ed esterni che deve 2 avere l’albero. Si assuma µ = 81000 N/mm . 5 Soluzione. Visto che α30 `e costante, con ` = 3 m, dovremo avere che α30 ` =
2Mt π ` ≤ 3◦ , µπ(re4 − ri4 ) 180◦
e visto che la tensione normale `e nulla √ √ σid = 3τmax = 3
2Mt re ≤ σamm . π(re4 − ri4 )
Dunque π(re4 − ri4 )σamm 2Mt 60 √ ` e re ≤ . (10.26) µπ 2 2 3Mt Assumendo la prima disuguaglianza verificata con il segno di uguaglianza, dalla seconda ricaviamo re4 − ri4 ≥
πσamm 2Mt 60 σamm 60` √ re ≤ √ `= = 77.63 mm 2 µπ 2 3Mt µπ 3 Adottando un raggio esterno di 7.5 cm, dall’equazione
10.4 Teoria approssimata per sezioni rettangolari sottili ri4 ≤ re4 −
293
2Mt 60 ` µπ 2
si ricava ri ≤ 67.18 mm. Adottiamo un raggio interno pari a 6.5 cm. Con re = 75.00 mm e ri = 65.00 mm la prima delle (10.26) `e sicuramente verificata e un semplice conto mostra che pure la seconda lo `e. 4
Osservazione 10.14. Nel caso di sezioni aventi la forma di un poligono regolare
si pu`o stimare, a favore di sicurezza, la tensione massima sostituendo la sezione con la sezione circolare inscritta. Se a denota il lato del poligono ed n il numero di lati, il raggio r della circonferenza inscritta `e r=
a 2 tan(π/n)
e quindi, dalla (10.25), otteniamo τmax ≈
2Mt 16Mt (tan(π/n))3 = . πr3 πa3
Chiaramente, maggiore `e il numero di lati e migliore `e l’approssimazione. Per una sezione quadrata si ottiene quadrata τmax ≈
16Mt Mt = 5.093 3 , πa3 a
quadrata t mentre il valore esatto `e τmax = 4.804 M a discusso nell’Osa3 , come sar` servazione 10.15. Dunque, per la sezione quadrata la tensione massima `e sovrastimata del 6%. ♦
10.4 Teoria approssimata per sezioni rettangolari sottili Consideriamo il problema della torsione in una sezione rettangolare di lati a e b, con a molto maggiore di b. b
x1
Mt x3 a x2
294
10 La torsione
La funzione degli sforzi, non essendoci buchi, soddisfa il problema ( −∆φ = 2 in ω, φ=0 su ∂ω,
(10.27)
dove ω = (−a/2, a/2) × (−b/2, b/2). Se la lunghezza a `e molto maggiore della lunghezza delle basi corte b, utilizzando l’analogia della membrana, Osservazione 10.3, possiamo ritenere che lontano dalle basi corte la funzione φ non dipende da x1 . Se φ = φ(x2 ), allora −∆φ = 2 implica φ00 = −2 e quindi φ(x2 ) = −x22 +a1 x2 +a2 , dove a1 ed a2 sono due costanti d’integrazione. Imponendo φ = 0 su ∂ω, in particolare, φ(±b/2) = 0, otteniamo a1 = 0 e a2 = b2 /4. φ Pertanto, la funzione φ(x1 , x2 ) = −x22 +
x1
b2 4
x2
soddisfa la prima equazione del problema (10.27) ∆φ = ∂1 ∂1 φ + ∂2 ∂2 φ = ∂2 ∂2 φ = −2, e anche la seconda sui lati x2 = ±b/2 b φ(x1 , ± ) = 0, 2 ma non soddisfa la condizione al bordo sui lati “corti” a b2 φ(± , x2 ) = −x22 + 6= 0. 2 4 Tali lati sono, per ipotesi, relativamente “corti”, b a, e quindi possiamo accettare di non soddisfare la condizione al contorno su una piccola parte del bordo. Tramite la (10.4) ricaviamo η t = −( φ)⊥ = −2x2 e1 ∆
da cui τ t = −2µα30 x2 e1 .
(10.28)
Le tensioni hanno la stessa direzione del lato lungo del rettangolo e variano linearmente; il verso risulta “concorde” con quello del momento torcente applicato. µα30 b x1
Mt x3 x2
µα30 b
10.4 Teoria approssimata per sezioni rettangolari sottili
295
Il massimo valore della tensione `e raggiunto sul bordo, ed `e t τmax := max |τ t | = µα30 b
ed utilizzando l’equazione costitutiva (10.19) si ottiene t τmax =
Mt b. Jt
(10.29)
Il momento d’inerzia torsionale pu`o essere valutato tramite la (10.20): ˆ ˆ b/2 ˆ a/2 b2 b3 b3 Jt = 2 φ dL 2 = 2 −x22 + dx1 dx2 = 2a(− + ) 4 12 4 ω −b/2 −a/2 che semplificata si riduce alla semplice formula: Jt =
ab3 . 3
(10.30)
Indipendentemente dall’orientazione del rettangolo, il momento d’inerzia torsionale `e uguale ad un terzo del prodotto tra la lunghezza del lato lungo e il cubo della lunghezza del lato corto. ` possibile risolvere il problema (10.27) attraverso l’uOsservazione 10.15. E so delle serie di Fourier ed ottenere la funzione degli sforzi per una sezione rettangolare come una serie infinita di seni e coseni. Le tensioni che si ottengono hanno l’andamento riportato in figura.
x1
x3 τmax
x2
Il valore della tensione tangenziale massima e del momento d’inerzia torsionale sono dati da t τmax =
Mt b ab3 /β1
e
Jt =
ab3 , β2
dove i coefficienti β1 e β2 dipendono dal rapporto tra i lati del rettangolo e sono riportati nella tabella sottostante. a/b 1.0 1.2 1.4 1.6 2.0 2.5 4.0 6.0 10 20 ∞ β1 4.804 4.57 4.40 4.27 4.16 3.88 3.55 3.35 3.20 3.10 3.00 β2 7, 114 6.02 5.35 4.91 4.60 4.01 3.56 3.35 3.20 3.10 3.00 Si osserva che all’aumentare del rapporto a/b le tensioni massime e il momento d’inerzia torsionale tendono ai valori ottenuti tramite la teoria approssimata. ♦
296
10 La torsione
Osservazione 10.16. La teoria approssimata presenta almeno un paio di problemi. Innanzitutto, sui lati corti del rettangolo non `e rispettata la condizione τ · n = 0, come emerge dalla (10.28). Inoltre, il momento torcente generato dalle tensioni (10.28) ˆ
ˆ
b/2
ˆ
a/2
τ t · x⊥ dL 2 = ω
−2µα30 x2 e1 · x⊥ dx1 dx2 ˆ
−b/2 b/2
ˆ
−a/2 a/2
2µα30 x22 dx1 dx2 = 2µα30 a
= −b/2
−a/2
b3 µJt α30 Mt = = 12 2 2
`e soltanto la met`a del momento torcente. La met` a mancante `e dovuta alle tensioni tangenziali parallele ai lati corti (si veda la figura nell’Osservazione 10.15), che la teoria approssimata trascura. Queste tensioni sono relativamente piccole ma hanno un “braccio” grande. Malgrado queste inconsistenze, la teoria approssimata produce dei valori delle tensioni tangenziali massime e del momento d’inerzia torsionale abbastanza accurati per sezioni rettangolari sufficientemente sottili. ♦
10.5 Teoria approssimata per sezioni sottili aperte Consideriamo una sezione sottile ω la cui curva media `e descritta da γ ◦ : (−a/2, a/2) → R2 parametrizzata dalla lunghezza d’arco. Pertanto, il vettore t◦ := (γ ◦ )0 `e tangente alla curva media ed `e unitario. Indicando con n◦ := e3 ∧ t◦ , la sezione a a b(s) b(s) ω := γ ◦ (s) + ζn◦ (s) : s ∈ (− , ), ζ ∈ (− , ) , 2 2 2 2 dove b(s) `e lo spessore della sezione in prossimit` a dell’ascissa curvilinea s.
x1
x3
x2
Non essendoci buchi, la funzione degli sforzi `e determinata dal problema ( −∆φ = 2 in ω, (10.31) φ=0 su ∂ω.
10.5 Teoria approssimata per sezioni sottili aperte
297
Seguendo quanto fatto per la sezione rettangolare, valutiamo la funzione φ(s, ζ) = −ζ 2 +
b(s)2 . 4
(10.32)
Assumendo che il prodotto tra la curvatura di γ ◦ e lo spessore della sezione sia trascurabile, si veda l’Esempio 10.31 dell’Appendice 10.8 per ulteriori dettagli, si ha ∆φ ≈ ∂s ∂s φ + ∂ζ ∂ζ φ =
(b0 )2 + b b00 − 2 ≈ −2. 2
Con lo stesso grado di approssimazione, abbiamo φ ≈ ∂s φt◦ + ∂ζ φn◦ =
b b00 ◦ t − 2ζn◦ ≈ −2ζn◦ 2
∆
e quindi, dalla (10.4), deduciamo η t = −( φ)⊥ = 2ζ(n◦ )⊥ = −2ζt◦ ,
x3
x1
µα30 b
∆
x2
t◦
e
µα30 b
τ t = −2µα30 ζt◦ .
n◦ Assumendo che la lunghezza d’arco s ∈ (a/2, a/2), e che il prodotto tra la curvatura di γ ◦ e lo spessore della sezione sia trascurabile, si veda la (10.66) dell’Appendice 10.8 per dettagli, il momento d’inerzia torsionale `e ˆ
ˆ
a/2
ˆ
b(s)/2
φ dL 2 ≈ 2
Jt = 2 ω
−ζ 2 + −a/2
−b(s)/2
b(s)2 dζ ds = 4
ˆ
a/2 −a/2
b(s)3 ds. 3
Riassumendo, l’equazione costitutiva `e Mt = µJt α30 dove il momento d’inerzia torsionale `e ˆ a/2 b(s)3 Jt = ds (10.33) 3 −a/2 e la tensione tangenziale `e data da τt =
−2Mt ζ ◦ t . Jt
(10.34)
In particolare, il valore massimo della tensione tangenziale `e raggiunto al bordo ed `e Mt b(s) t τmax (s) = . (10.35) Jt Esercizio 10.17. Una sezione avente la forma di met` a corona circolare, rappresentata in figura, `e soggetta ad un momento torcente Mt = 10 kNm. Determinare la tensione tangenziale massima.
298
10 La torsione
Raggio interno ri :=200 mm Raggio esterno re :=230 mm
5 Soluzione. Il raggio della linea media `e 215 mm e dunque la lunghezza della linea media `e a = π 215 = 675.4 mm. Lo spessore b `e 30 mm e pertanto ab3 67.54 33 = = 607.86 cm4 3 3 e dunque la tensione tangenziale massima `e Jt =
t τmax =
Mt b 10 106 30 = = 49.3 N/mm2 . Jt 6.08 106 4
10.5.1 Sezioni sottili composte aperte In questa sezione trattiamo sezioni composte da rettangoli e da eventuali superfici sottili aperte aventi una curva media liscia, ovvero sezioni che sono l’unione di sezioni come quelle trattate nelle Sezioni 10.4 e 10.5.
Per semplicit`a, consideriamo una sezione a forma di L che decomponiamo in due rettangoli occupanti le regioni ω (1) e ω (2) : ω = ω (1) ∪ ω (2) . ω Mt
ω (1)
ω (2)
(1)
(2)
Mt
≡
+
Mt
Il momento torcente totale Mt applicato alla sezione sar` a in parte assorbito (1) dal rettangolo (1) e in parte assorbito dal rettangolo (2). Indicando con Mt (2) ed Mt le quote assorbite dai due rettangoli, si ha: (1)
Mt = Mt
(2)
+ Mt ,
(1)
= µJt (α3 )0 ,
(2)
= µJt (α3 )0 ,
Mt Mt
(1)
(1)
(2)
(2)
(10.36)
10.5 Teoria approssimata per sezioni sottili aperte (β)
299
(β)
dove Jt e α3 rappresentano il momento d’inerzia torsionale e l’angolo di rotazione del rettangolo (β). Imponendo la congruenza tra le rotazioni dei rettangoli, ovvero l’uguaglianza delle rotazioni dei due rettangoli e della rotazione dell’intera sezione: (1) (2) α3 := α3 = α3 , (10.37) ricaviamo che (1)
M t = Mt
(2)
+ Mt
(1)
(2)
(1)
= µJt α30 + µJt α30 = µ(Jt
(2)
+ Jt )α30
e dunque la rigidezza torsionale dell’intera sezione `e la somma delle rigidezze torsionali dei due rettangoli (1)
Jt := Jt
(2)
+ Jt .
(10.38)
Dunque abbiamo Mt = µJt α30 e dalle (10.36) e (10.37) otteniamo (1)
µα30 =
(2)
Mt Mt Mt = (1) = (2) , Jt Jt Jt
(10.39)
da cui, grazie alla (10.29) o alla (10.35), deduciamo che la massima tensione nel rettangolo (β) `e (β)
Mt (1) Jt b Mt (2) Jt b
t(β) τmax =
Mt
(β) Jt
b(β) =
Mt (β) b , Jt
(10.40)
dove b(β) `e lo spessore del rettangolo (β). Da questa espressione risulta che la tensione tangenziale massima nella sezione la si ha nel rettangolo avente spessore massimo.
Esercizio 10.18. Utilizzando il criterio di von Mises, determinare il massimo momento torcente sopportabile da una sezione IPE 200. Si assuma σamm = 2 190 N/mm . IPE 200 Altezza h :=200 mm Larghezza ali 100 mm Spessore anima 5.60 mm Spessore ali 8.5 mm Area 28.5 cm2
x1 x2 5
Soluzione. Decomponiamo la sezione in tre rettangoli: le due ali, di lunghezza 100 mm e spessore 8.5 mm, e l’anima, di lunghezza 183 mm e spessore 5.6 mm. Anche utilizzando la (10.30), deduciamo che
300
10 La torsione
100 8.53 183 5.63 + = 51654.3 mm4 . 3 3 p √ La tensione ideale σid = σ 2 + 3|τ |2 = 3|τ | massima `e raggiunta sulle basi, visto che lo spessore delle ali `e maggiore di quello dell’anima, e quindi Jt = 2
√ Mt ali 3 b ≤ σamm . Jt Da cui
σamm Jt 190 51654.3 √ Mt ≤ √ = = 666623.4 N mm = 0.67 kNm. 3 bali 3 8.5 4
Osservazione 10.19. I risultati che si ottengono con la procedura descritta in questa sezione dipendono dalla decomposizione scelta. Se la sezione `e effettivamente sottile, allora decomposizioni diverse producono risultati “poco” diversi. Ad esempio, consideriamo due decomposizioni, A e B come in figura, di una sezione a L avente larghezza L, altezza H, spessore del rettangolo orizzontale bo e spessore del rettangolo verticale bv . A
B
Il momento d’inerzia torsionale calcolato con le decomposizioni A e B `e JtA =
Lb3o (H − bo )b3v + 3 3
e
JtB =
(L − bv )b3o Hb3v + , 3 3
e il valore assoluto della differenza |JtA − JtB | =
|bv b3o − bo b3v | bv bo |b2o − b2v | = 3 3
`e dell’ordine dello spessore maggiore alla quarta.
♦
10.6 Teoria approssimata per sezioni sottili chiuse Consideriamo una sezione sottile ω descritta tramite una curva media chiusa γ ◦ parametrizzata dalla lunghezza d’arco. Indichiamo con t◦ := (γ ◦ )0 e n◦ := −(t◦ )⊥ la tangente e la normale della curva γ ◦ . La sezione pu` o essere descritta come a a b(s) b(s) ω := γ ◦ (s) + ζn◦ (s) : s ∈ [− , ), ζ ∈ (− , ) , 2 2 2 2
10.6 Teoria approssimata per sezioni sottili chiuse
301
dove b(s) `e lo spessore della sezione in prossimit` a dell’ascissa curvilinea s. La funzione degli sforzi φ : ω → R e la costante K1 sono determinate dal problema (10.3): γ0 t◦
γ1 x3
x1
s
n
n◦
ζ t
t
n
−∆φ = 2 in ω, su γ 0 , φ = 0 φ su γ 1 , ˛ = K1 ∂n φ ds = 2A1 ,
(10.41)
γ1
x2 dove A1 rappresenta l’area del buco racchiuso dalla curva interna γ 1 . La funzione degli sforzi considerata per le sezioni aperte φaperta (s, ζ) = −ζ 2 +
b(s)2 , 4
si veda la (10.32), ha laplaciano praticamente uguale a −2 ed `e nulla su γ 0 e γ 1 . Dunque non soddisfa la condizione φ = K1 su γ 1 . Osservando che il laplaciano di una funzione affine `e nullo, possiamo aggiungere a φaperta una funzione affine che assume il valore K1 su γ 1 e 0 su γ 0 , in modo da ottenere una funzione che soddisfa le condizioni su γ 0 e γ 1 e con laplaciano praticamente uguale a −2. φaperta
φaffine +
φ
K1
=
ζ −b/2
b/2
K1
ζ −b/2
ζ −b/2
b/2
b/2
La funzione φ(s, ζ) = −ζ 2 +
b(s)2 1 ζ + K1 − , 4 2 b(s)
con buona approssimazione soddisfa le prime tre equazioni della (10.41). Dalla quarta equazione del problema (10.41) possiamo ricavare il valore di K1 . Dato che ζ `e orientato come n◦ e che questo ha orientazione opposta alla normale n di γ 1 , abbiamo ∂n φ = −∂ζ φ = 2ζ + K1 che valutata su γ 1 , ovvero in ζ = −b(s)/2, `e
1 b(s)
302
10 La torsione
∂n φ(s, −b(s)/2) = −b(s) + K1
1 . b(s)
Dalla quarta equazione del problema (10.41) deduciamo ˛ 1 −b(s) + K1 ds = 2A1 , b(s) γ1 e quindi
˛ K1 =
L’integrale
b(s) ds + 2A1 ˛ . 1 ds γ 1 b(s)
γ1
˛ b(s) ds γ1
γ1
`e praticamente uguale all’area A della sezione ω e quindi
b(s) ds
2(A1 + A/2) K1 = ˛ . 1 ds γ 1 b(s) Inoltre, ricordando che A1 rappresenta l’area del buco, la quantit`a A◦ := A1 +
A 2
`e praticamente l’area racchiusa dalla linea media. Dunque, 2A◦ K1 = ˛ . 1 ds γ 1 b(s)
(10.42)
Assumendo che le variazioni dello spessore siano “trascurabili” e che la curvatura della linea media sia “piccola”, si veda l’Esempio 10.31 dell’Appendice 10.8 per ulteriori dettagli, abbiamo φ ≈ ∂ζ φn◦ = −(2ζ + K1
1 )n◦ b(s)
∆
e η t , dato dalla (10.4), η t = −( φ)⊥ , risulta ∆
η t = (2ζ + K1
1 )t◦ , b(s)
10.6 Teoria approssimata per sezioni sottili chiuse
303
visto che (n◦ )⊥ = t◦ . Utilizzando l’equazione τ t = µα30 η t otteniamo τ t = µα30 (2ζ + K1 τ
1 )t◦ b(s)
(10.43)
dove K1 `e dato dalla (10.42).
Esempio 10.20. Consideriamo una sezione circolare con raggio della circonferenza interna ri = r − b/2 e con raggio esterno re = r + b/2. Dunque, r rappresenta il raggio della curva media e b lo spessore. Dalla (10.42), ricaviamo K1 =
2πr2 = rb. 2πr/b
Si osservi che rb = (re2 − ri2 )/2 e quindi il valore di K1 trovato con la teoria approssimata coincide con il valore dedotto con la teoria esatta, si veda l’Esempio 10.10. La tensione tangenziale `e data dalla (10.43) τ t = µα30 (2ζ + r)t◦ , in particolare, la tensione risulta uguale a µα30 (b + r) = µα30 re sulla circonferenza esterna e a µα30 (−b + r) = µα30 ri su quella interna.
x1 µα30 re x2
Pertanto, per una sezione avente la forma di una corona circolare, la teoria approssimata produce i valori esatti delle tensioni, si veda l’Esempio 10.10. ♥ Possiamo calcolare il momento d’inerzia torsionale tramite la (10.20) ˆ Jt = 2 φ dL 2 + 2K1 A1 ˛
ω
ˆ
b(s)/2
−ζ 2 +
≈2 ˛
γ◦
−b(s)/2 3
b(s)2 1 ζ + K1 − dζ ds + 2K1 A1 4 2 b(s)
b(s) b(s)3 b(s) + + K1 ds + 2K1 A1 12 4 2 ◦ γ ˛ ˛ b(s)3 b(s)3 = ds + K1 A + 2K1 A1 = ds + K1 2A◦ . 3 3 γ◦ γ◦ =2
−
Infine, dalla (10.42), otteniamo ˛ b(s)3 (2A◦ )2 Jt = ds + ˛ . 1 3 γ◦ ds γ 1 b(s)
(10.44)
304
10 La torsione
Nota Jt , tramite l’equazione costitutiva Mt = µJt α30 possiamo esprimere la tensione tangenziale come τt =
Mt 1 (2ζ + K1 )t◦ . Jt b(s)
(10.45)
Esercizio 10.21. Una sezione tubolare rettangolare `e soggetta ad un momento torcente Mt = 2 kNm. Sapendo che il rettangolo ha larghezza l = 4 cm, altezza h = 8 cm, si calcoli le tensioni tangenziali nella sezione assumendo prima lo spessore b = 0.4 cm e poi b = 0.2 cm. 5
x1 x2
Soluzione. Per b = 0.4 cm, l’area racchiusa dalla linea media `e A◦ = 3.6 7.6 = 27.36 cm2 e la lunghezza della linea media `e `◦ = 2(3.6 + 7.6) = 22.4 cm. Il momento d’inerzia torsionale `e dato dalla (10.44) Jt = ` ◦
(2A◦ )2 b3 + ◦ = 0.48 + 53.47 = 53.94 cm4 3 ` /b
e K1 dalla (10.42) K1 =
2A◦ = 0.98 cm2 . `◦ /b 105.7 N/mm2
La tensione tangenziale, (10.45), risulta τt =
2 106 98 (2ζ+ )t◦ = 3.71(2ζ+24.5)t◦ 53.94 104 4
76.1
e quindi sul bordo esterno la tensione `e e
τ = 3.71(2 2 + 24.5) = 105.7 N/mm
x1
2
76.1
105.7 N/mm2
e sul bordo interno x2
τ i = 3.71(−2 2 + 24.5) = 76.1 N/mm2 .
Per b = 0.2 cm, si ha A◦ = 3.8 7.8 = 29.64 cm2 , `◦ = 2(3.8 + 7.8) = 23.2 cm, Jt = ` ◦
(2A◦ )2 b3 + ◦ = 0.06 + 30.29 = 30.35 cm4 3 ` /b
e K1 = 0.51 cm2 . Le tensioni esterne ed interne risultano τ e = 6.59(2 1 + 23.5) = 168.0 N/mm2
e
τ i = 6.59(−2 1 + 23.5) = 141.7 N/mm2 . 4
10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse
305
10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse La teoria di Bredt affronta il problema della torsione nelle sezioni chiuse estremamente sottili. Tale teoria pu`o essere dedotta facilmente dalla teoria esposta nella precedente sezione, si veda l’Osservazione 10.23. Di seguito deduciamo la teoria a partire dalle equazioni di equilibrio e di congruenza sui buchi, e quindi in maniera indipendente dai risultati ottenuti nella precedente sezione. Consideriamo una sezione sottile ω descritta tramite una curva media chiusa γ ◦ parametrizzata dalla lunghezza d’arco. Indichiamo con t◦ := (γ ◦ )0 e n◦ := −(t◦ )⊥ la tangente e la normale della curva γ ◦ . La sezione pu` o essere descritta come a a b(s) b(s) ω := γ ◦ (s) + ζn◦ (s) : s ∈ [− , ), ζ ∈ (− , ) , 2 2 2 2 dove b(s) `e lo spessore della sezione in prossimit` a dell’ascissa curvilinea s. ` possibile dedurre la teoria di Bredt senza far uso della funzione degli sforE zi e far riferimento al problema (10.2), pi` u basilare, che scriviamo in termini di τ t = µα30 η t : γ0 t◦
γ1 x3
x1
n◦
n t
t n
div τ t = 0 in ω, t 0 in ω, curl τ = 2µα3 t su ∂ω, τ ˛ ·n=0 t 0 ⊥ τ − µα3 γ = 0.
(10.46)
γ1
x2 Ricordiamo che la prima e la terza sono equazioni di equilibrio, mentre la seconda e la quarta sono equazioni di compatibilit` a. Essendo lo spessore molto piccolo possiamo ritenere che la τ t dipenda esclusivamente dalla coordinata s, ovvero τ t = τ t (s). Inoltre, la terza delle (10.46) impone che la τ t sia parallela alla tangente t su ∂ω. Deduciamo quindi che, con buona approssimazione, la tangente `e sempre parallela a t◦ . Quindi, τ t = τ t (s)t◦ (s). Si denoti con R la regione della sezione compresa tra due generiche coordinate s1 ed s2 . Integrando su tale regione la prima delle (10.46), si ha ˆ ˆ 0= div τ t dL 2 = τ t · n dL 1 , R
∂R
t◦ (s2 )
n◦ (s2 )
−n◦ (s1 ) R −t◦ (s1 )
306
10 La torsione
e visto che τ t · n = 0 su ∂ω, sui lati ∂R \ ∂ω la normale `e ±t◦ , e τ t `e costante sullo spessore, deduciamo che 0 = τ t (s2 )t◦ (s2 ) · t◦ (s2 )b(s2 ) − τ t (s1 )t◦ (s1 ) · t◦ (s1 )b(s1 ) = τ t (s2 )b(s2 ) − τ t (s1 )b(s1 ). Dunque, il flusso q t := τ t (s)b(s)
(10.47)
non dipende dalla coordinata curvilinea s. Assumendo che il prodotto tra lo spessore e la curvatura della curva media sia trascurabile, si veda l’Esempio 10.31 dell’Appendice 10.8 per dettagli, il momento torcente `e dato da ˆ ˛ ˆ b(s)/2 t ⊥ 2 Mt = τ · x dL ≈ τ t (s)t◦ (s) · (γ(s) + ζn◦ (s))⊥ dζ ds ˛
ω
= ˛
γ◦
=
ˆ
γ◦
−b(s)/2
b(s)/2
τ t (s)t◦ (s) · (γ ⊥ (s) + ζt◦ (s)) dζ ds −b(s)/2 ˛ t ◦ ⊥ t b(s)τ (s)t (s) · γ (s) ds = q t◦ (s) · γ ⊥ (s) ds.
γ◦
(10.48)
γ◦
Indicando con ω ◦ la regione racchiusa dalla linea media e applicando il teorema della divergenza, deduciamo che ˛ ˛ ˛ t◦ (s) · γ ⊥ (s) ds = (t◦ (s))⊥ · (γ ⊥ (s)))⊥ ds = n◦ (s) · γ(s) ds ◦ ◦ ◦ γ γ γ ˆ ˆ 2 2 = div x dL (x) = 2 dL = 2A◦ , (10.49) ω◦
ω◦
dove abbiamo indicato con A◦ := L 2 (ω ◦ ) l’area della regione racchiusa dalla linea media. qt x3
x1
Mt
Dunque, dalla (10.48) e dalla (10.49) otteniamo ˛ Mt = q t t◦ (s) · γ ⊥ (s) ds = 2q t A◦ , (10.50) γ◦
qt
x2
da cui segue la prima formula di Bredt τ t (s) =
qt Mt = b(s) 2A◦ b(s)
10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse
τt
307
ovvero τ t (s) =
Mt t◦ (s). 2A◦ b(s)
(10.51)
Dato che le curve γ 1 e γ ◦ sono omotope, `e possibile calcolare l’ultima equazione delle (10.46) su γ ◦ . O, detto diversamente, dato che lo spessore `e particolarmente piccolo possiamo confondere le curve γ 1 e γ ◦ e scrivere ˛ ˛ ˛ 0= τ t − µα30 γ ⊥ = τ t · t◦ ds − µα30 γ ⊥ · t◦ ds ◦ ◦ ◦ γ γ γ ˛ ˛ (10.52) 1 t ◦ ◦ 0 ◦ t = τ (s)t · t ds − 2µα3 A = q ds − 2µα30 A◦ , γ◦ γ ◦ b(s) dove abbiamo utilizzato la (10.47) e la (10.49). Da questa identit` a, deduciamo il flusso 2µα30 A◦ qt = ˛ 1 ds b(s) ◦ γ e quindi dalla (10.50) ricaviamo l’equazione costitutiva Mt = µJt α30 ,
(10.53)
dove il momento d’inerzia torsionale risulta Jt = ˛
(2A◦ )2 . 1 ds γ ◦ b(s)
(10.54)
La (10.54) viene chiamata seconda formula di Bredt. Osservazione 10.22. Tramite il teorema dei lavori virtuali `e possibile ricavare la seconda formula di Bredt senza far uso della condizione di compatibilit` a sui buchi. Nel caso di sola torsione il cilindro `e soggetto a soli momenti torcenti applicati all’estremit`a e dunque il lavoro esterno `e uguale a ˆ Lev
`
α30 ds = Mt α30 `,
= Mt α3 (`) − Mt α3 (0) = Mt 0
dato che α30 `e costante. Il lavoro interno risulta
308
10 La torsione
ˆ
Liv
ˆ
ˆ ˆ 1 1 t t 3 = T · E dL = dL = τ τ dL = |τ t |2 dL 3 µ Ω α α µ Ω Ω Ω 2 ˆ ˆ 1 Mt ` Mt2 3 = dL = dL 2 µ Ω 2A◦ b(s) µ ω (2A◦ )2 b2 (s) ˛ ˛ ` Mt2 `Mt2 1 ≈ b(s) ds = ds ◦ 2 2 ◦ 2 µ γ ◦ (2A ) b (s) µ(2A ) γ ◦ b(s) 3
2ταt Eα3
3
dove abbiamo usato la (10.51) per ottenere la prima identit` a della seconda riga. Uguagliando i lavori ricaviamo ˛ `Mt2 1 Mt α30 ` = ds µ(2A◦ )2 γ ◦ b(s) da cui si deduce che Mt = µ ˛
(2A◦ )2 α30 . 1 ds γ ◦ b(s) ♦
Osservazione 10.23. Si pu`o ottenere la prima e la seconda formula di Bredt dalla teoria approssimata esposta nella Sezione 10.6 trattando lo spessore come un infinitesimo. Infatti, trascurando il termine b3 nella (10.44) otteniamo il momento d’inerzia torsionale dato dalla (10.54). Inoltre, trascurando ζ, che `e minore dello spessore b, nella (10.45), otteniamo τt =
Mt 1 ◦ Mt η1 t = t◦ Jt b(s) 2A◦ b(s)
dove abbiamo utilizzato l’espressione di K1 data dalla (10.42). Si osservi che nel dedurre la teoria di Bredt non abbiamo utilizzato la seconda equazione del problema (10.46), che `e un’equazione di compatibilit` a. Malgrado ci`o, la teoria di Bredt produce risultati conformi a quelli ottenuti tramite la teoria approssimata sviluppata nella Sezione 10.6. Quest’ultima si basa anche sull’equazione di compatibilit`a non utilizzata in questa sezione. ♦ Esempio 10.24. Consideriamo la sezione chiusa C e la sezione aperta A ottenuta dalla sezione C tramite un taglio, come in figura. C
A
x1
x1
x2
x2
10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse
309
Per entrambe le sezioni la linea media forma un quadrato il cui lato lo indichiamo con a. Inoltre, indichiamo con b lo spessore, che assumiamo essere molto pi` u “piccolo” di a. Il momento d’inerzia torsionale della sezione C `e dato dalla (10.54) (2a2 )2 JtC = = a3 b, 4a/b mentre quello della sezione A `e dato dalla (10.38) JtA = 4
ab3 4 = ab3 . 3 3
Pertanto, il modulo di rigidezza della sezione chiusa risulta molto pi` u grande di quella aperta e quindi la sezione chiusa `e molto meno deformabile; si ricordi che Mt α30 = . µJt Le tensioni massime nelle due sezioni sono date dalle (10.51) e (10.40) τC =
Mt Mt = 2 2A◦ b 2a b
τA =
e
Mt 3Mt 3Mt b= b= . Jt 4ab3 4ab2
Quindi a parit`a di momento torcente la tensione `e molto maggiore nella sezione aperta. Vediamo un esempio numerico. Sia a = 5 cm e b = 0.2 cm. Allora, JtC = a3 b = 25 cm4
JtA =
e
4 3 ab = 0.053 cm4 . 3 2
Se imponiamo che la tensione tangenziale massima sia uguale a 100 N/mm , allora il massimo momento torcente sopportabile dalle due sezioni `e MtC = 2a2 bτ = 106 N mm
MtA =
e
4 2 ab τ = 2.67 104 N mm. 3
Il momento torcente che pu`o sopportare la sezione chiusa `e circa 37 volte quello che pu`o sopportare la sezione aperta. Inoltre, per questi valori dei momenti si ha (µα30 )C =
MtC = 4 N/ mm3 JtC
e
(µα30 )A =
MtA = 50.4 N/ mm3 JtA
e quindi oltre a sopportare un momento torcente minore la sezione aperta si deforma circa 12 volte di pi` u di quella chiusa. ♥
310
10 La torsione
Esercizio 10.25. Un cilindro lungo 3 m e avente una sezione tubolare rettangolare `e soggetta ad un momento torcente Mt = 25 kNm. Sapendo che lo spessore delle pareti verticali `e di 10 mm, si determini il minimo spessore che devono avere le pareti orizzontali se la 2 σamm = 160 N/mm e se l’angolo di rotazione relativo tra le due basi deve essere inferiore a 0.04 rad. Si usi il criterio di von Mises e 2 µ = 80000 N/mm . 5
140 mm
200 mm
Soluzione. Dal criterio di von Mises deduciamo che la tensione tangenziale massima √ dovr` a essere inferiore a σamm / 3. Indicando lo spessore delle pareti orizzontali con b e assumendo che b sia inferiore a 10 mm, dalla (10.51) deduciamo che τt =
Mt 25 106 σamm 160 = ≤ √ = √ , 2A◦ b 2 200 140 b 3 3
e quindi b ≥ 4.8 mm. Proviamo ad adottare b = 5 mm. Per tale valore il momento d’inerzia torsionale, (10.54), `e dato da Jt = ˛
(2A◦ )2 4(200 140)2 = = 29.04 106 mm4 2 200 2 140 1 + ds 5 10 γ ◦ b(s)
e l’angolo di rotazione per unit` a di lunghezza `e α30 =
Mt 25 106 = = 10.77 10−6 rad/ mm. 4 µJt 8 10 32.67 106
L’angolo di rotazione relativo tra le due basi risulta α3 = 10.77 10−6 3 103 = 32.30 10−3 = 0.032rad che `e inferiore a 0.04 rad. Per cui lo spessore delle pareti orizzontali adottato, 5 mm, soddisfa entrambi i criteri richiesti. 4
Esercizio 10.26. Risolvere l’Esercizio 10.21 utilizzando la teoria di Bredt. Per comodit`a, ripetiamo il testo dell’esercizio. Una sezione tubolare rettangolare `e soggetta ad un momento torcente Mt = 2 kNm. Sapendo che il rettangolo ha larghezza l = 4 cm, altezza h = 8 cm, si calcoli le tensioni tangenziali nella sezione assumendo prima lo spessore b = 0.4 cm e poi b = 0.2 cm. 5
x1 x2
Soluzione. L’area racchiusa dalla linea media `e A◦ = 3.6 7.6 = 27.36 cm2 e la lunghezza della linea media `e `◦ = 2(3.6+7.6) = 22.4 cm. Per b = 0.4 cm, il momento d’inerzia torsionale `e dato dalla (10.54) Jt =
(2A◦ )2 = 54.53 cm4 `◦ /b
10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse
311
e la tensione tangenziale dalla (10.51) Mt 2 106 τ (s) = = = 91.4 N/mm2 . ◦ 2A b(s) 2 27.36 102 4
94.8 N/mm2
t
Per b = 0.2 cm, si ha A◦ = 3.8 7.8 = 29.64 cm2 , `◦ = 2(3.8 + 7.8) = 23.2 cm,
94.8 N/mm2
x1
(2A◦ )2 Jt = ◦ = 30.29 cm4 ` /b e
x2 Mt 2 106 2 τ (s) = = = 168.7 N/mm . 2A◦ b(s) 2 29.64 102 2 Si osserva che per b = 0.2 cm il momento d’inerzia torsionale praticamente coincide con il valore dedotto nell’Esercizio 10.21. Per b = 0.4 cm il valore della tensione calcolato con la teoria di Bredt `e praticamente la media tra il valore τ e e τ i calcolato nell’Esercizio 10.21. Invece, per b = 0.2 cm il valore della tensione calcolato con la teoria di Bredt `e essenzialmente uguale al valore massimo τ e calcolato nell’Esercizio 10.21. 4 t
Esercizio 10.27. La sezione rappresentata in figura ha spessore b = 0.3 cm ed `e soggetta ad un momento torcente Mt = 1 kNm. Determinare le tensioni tangenziali. 5
4 cm
4 cm
5 cm
Soluzione. La sezione, che `e composta da una parte chiusa e da una parte aperta, la si pu` o studiare con il metodo introdotto nella Sezione 10.5.1. Decomponiamo la sezione in due parti
(1)
≡
Mt
Mt
+
(2)
Mt
e imponiamo che (1)
Mt = Mt (1)
= µJt α30 ,
(2) Mt
(2) µJt α30 ,
Mt (1) Jt
(2)
+ Mt ,
(1)
=
(10.55)
(2) Jt
dove e sono i moduli di rigidezza torsionali della sezione chiusa ed aperta, rispettivamente. Nelle (10.55) abbiamo richiesto che l’angolo di torsione delle due parti sia lo stesso e dunque ponendo (1)
Jt := Jt
(2)
+ Jt
si ha
Mt = µJt α30 .
Dalle (10.54) e (10.30), ricaviamo (1)
Jt
=
(2 3.72 )2 = 15.19 cm4 4 3.7/0.3
e
Jt (2) =
5 0.33 = 0.045 cm4 . 3
312
10 La torsione
Dato che
(1)
µα30 = si ha
(2)
Mt Mt Mt = (1) = (2) Jt Jt Jt
(1)
(1)
Mt
=
e
Jt 15.19 Mt = Mt = 0.997 kNm Jt 15.19 + 0.045 (2)
Jt 0.045 Mt = Mt = 0.003 kNm. Jt 15.19 + 0.045 Praticamente tutto il momento torcente viene assorbito dalla parte chiusa. La tensione nella parte chiusa risulta (2)
Mt
=
τ (1) =
0.997 106 = 121.4 N/mm2 2 372 3
e la tensione massima nella parte aperta `e τ (2) =
0.003 106 3 = 20 N/mm2 . 0.045 104 4
10.7.1 Sezioni sottili pluri-connesse Consideriamo, per semplicit`a, una sezione con due buchi descritta da tre curve (medie), ρ(1) , ρ(2) e ρ(3) , orientate come in figura e parametrizzate dalla lunghezza d’arco. Inoltre, indichiamo con b(j) (s) lo spessore in corrispondenza del punto ρ(j) (s) e con t(j) := ρ0(j)
e
n(j) := −t⊥ (j) ,
la tangente e la normale alla curva ρ(j) , per j = 1, 2, 3. n(1) t(1) ρ(1)
t(2) ρ(3)
γ1 x1
γ2 x3
ρ(2)
t(3) n(3) x2
La tensione τ t soddisfa il problema: div τ t = 0 curl τ t = 2µα30 t τ ˛ ·n=0 τ t − µα30 γ ⊥ = 0 γα
n(2)
γ0
in ω, in ω, su ∂ω, α = 1, 2.
(10.56)
10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse
313
Argomentando come nella Sezione 10.7, deduciamo che t τ t(j) (s, ζ) = τ(j) (s)t(j) (s), t q(2)
e che i flussi
t q(3)
t q(1)
t t q(j) := τ(j) (s)b(j) (s)
(10.57)
non dipendono da s. I tre flussi non sono tra loro indipendenti. Considerando una regione R prossima all’intersezione delle tre curve, come in figura, ed integrando su tale regione la prima delle (10.56), si ottiene ˆ ˆ 0= div τ t dL 2 = τ t · n dL 1 . R
n(1) −t(2)
R t(1)
−n(2)
−n(3)
−t(3)
∂R
Visto che τ t · n = 0 su ∂ω, e sui lati ∂R \ ∂ω la normale `e ±t(j) , deduciamo che t t t t t t 0 = τ(1) b(1) − τ2) b(2) − τ(3) b(3) = q(1) − q(2) − q(3) . t q(2)
Quindi, t q(1)
t t t q(3) = q(1) − q(2) .
t t q(1) q(2)
Procedendo come fatto nella (10.48) troviamo ˆ Mt = τ t · x⊥ dL 2 ω ˆ ˆ t t ≈ q(1) t◦ (s) · x⊥ ds + q(2) t◦ (s) · x⊥ ds ρ(1)
ρ(2)
ˆ
t◦ (s) · x⊥ ds
t + q(3)
˛ t = q(1)
ρ(3)
ρ(1) ∪ρ(3)
˛ t t◦ (s) · x⊥ ds + q(2)
t◦ (s) · x⊥ ds
ρ(2) ∪(−ρ(3) )
e utilizzando la (10.49) deduciamo che t t Mt = 2q(1) A◦1 + 2q(2) A◦2 ,
(10.58)
dove A◦1 e A◦2 sono le aree delle regioni racchiuse dalle curve ρ(1) ∪ ρ(3) e ρ(2) ∪ (−ρ(3) ), rispettivamente. Dunque,
314
10 La torsione
Jt =
t t 2q(1) A◦1 + 2q(2) A◦2
µα30
.
(10.59)
Inoltre, con conti simili a quelli che hanno condotto alla (10.52), le due equazioni presenti nella quarta riga della (10.56) conducono a ˆ ˆ 1 1 t t t q ds + (q − q ) ds = 2µα30 A◦1 (1) (2) (1) b (s) b (s) (1) (3) ρ ρ ˆ (1) ˆ (3) (10.60) 1 1 t t t ds + (q(2) − q(1) ) ds = 2µα30 A◦2 . q(2) ρ(2) b(2) (s) ρ(3) b(3) (s) t t Da queste equazioni si deducono q(1) /(µα30 ) e q(2) /(µα30 ), quindi dalla (10.58) t per j = 1, 2, 3. si ricava α30 e dalle (10.57) si deducono i valori di τ(j)
Esercizio 10.28. Un ipersostentatore d’aereo in lega di alluminio ha la forma rappresentata in figura, dove lo spessore della lamiera a forma di corona circolare `e di 2 mm, lo spessore della lamiera verticale `e di 1.5 mm e lo spessore delle pareti oblique `e di 1 mm. Determinare l’angolo di rotazione per unit` a di lunghezza e le tensioni prodotte da un momento torcente pari a 0.4 kNm. Si 2 assuma µ = 30000 N/mm .
150 mm
600 mm
5 Soluzione. Dapprima ci calcoliamo la lunghezza del tratto obliquo p 6002 + 752 = 604.7 mm. t t Introducendo i flussi q(1) e q(2) , con i versi rappresentati in figura,
t q(1)
t q(1)
t q(1)
t q(2)
t q(2)
dalla (10.60) si deduce che 150 150 600 t 2 604.7 t t + (q(1) − q(2) ) = 2µα30 q(1) 1 1.5 2 2 q t π75 + (q t − q t ) 150 = 2µα0 π75 , 3 (2) (2) (1) 2 1.5 2
10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse
315
le cui soluzioni sono t q(1) = 77.66 mm2 µα30
e
t q(2) = 116.85 mm2 . µα30
Il momento d’inerzia torsionale `e deducibile dalla (10.59) 150 600 π752 + 2 116.85 = 9.05 106 mm4 2 2 e quindi l’angolo di rotazione per unit` a di lunghezza `e Jt = 2 77.66
α30 =
Mt 4 105 1 1 = = 1.47 10−6 = 1.47 10−3 . µJt 3 104 9.05 106 mm m
Dalle (10.57) ricaviamo le tensioni nei tratti obliqui τt =
t t q(1) Mt q(1) 4 105 77.66 = = = 3.45 N/mm2 , 0 b Jt µα3 b 9.05 106 1
nel tratto verticale τt =
t t Mt q(1) − q(2) 4 105 77.66 − 116.85 = = −1.16 N/mm2 0 Jt µα3 b 9.05 106 1.5
e nel tratto circolare τt =
t Mt q(2) 4 105 116.85 = = 2.60 N/mm2 . 0 Jt µα3 b 9.05 106 2
2.60 3.45
3.45
1.16
Se, nel fare i conti, avessimo trascurato il tratto verticale
avremmo trovato un momento d’inerzia torsionale uguale a 4(150 600/2 + π 752 /2)2 = 8.73 106 mm4 2 604.7/1 + π 75/2 che `e leggermente inferiore a quello trovato precedentemente. Le tensioni nel tratto obliquo risultano Jt =
τt =
Mt 4 105 = = 3.72 N/mm2 , 2A◦ b 2(150 600/2 + π 752 /2)1
mentre nel tratto circolare τt =
Mt 4 105 = = 1.86 N/mm2 . ◦ 2A b 2(150 600/2 + π 752 /2)2 4
316
10 La torsione
Esercizio 10.29. La sezione A, riportata in figura, ha base lunga a, altezza a/3 e spessore b molto pi` u “piccolo” di a. Le sezioni B, C e D sono ottenute dalla A inserendo due diaframmi di spessore b distanziati di a/3, a/6 e 0, rispettivamente, dai lati corti del rettangolo. A
B
C
D
Si confrontino i moduli di rigidezza torsionale delle quattro sezioni e le tensioni massime prodotte da un momento torcente Mt . 5 Soluzione. Il momento d’inerzia torsionale delle sezioni A e D sono dati dalla (10.54): JtA =
(2aa/3)2 a3 b = (2a + 2a/3)/b 6
(2(a − b)a/3)2 4a3 b ≈ , 2a/b + (2a/3)/(2b) 21
e
JtD =
e
max τ D =
e le tensioni dalla (10.51): max τ A =
Mt 3Mt = 2 2aa/3b 2a b
Mt 3Mt ≈ 2 . 2(a − b)a/3b 2a b
Per studiare le sezioni B e C, consideriamo la generica sezione
a/3
δa/3
(1 − 2δ/3)a
δa/3
dove δ = 1 per la sezione B e δ = 1/2 per la sezione C. t t t Introducendo i flussi q(1) , q(2) e q(3) , t q(2) t q(1)
t q(2)
t q(2)
t q(3)
t q(2)
dalla (10.59) ricaviamo Jt = 2
t t t q(1) q(2) q(3) (3 − 2δ)a2 δa2 δa2 +2 0 +2 0 0 µα3 9 µα3 9 µα3 9
e dalle (10.60) si deduce che
(10.61)
10.7 Teoria di Bredt per sezioni sottili chiuse
317
δa a a δa2 t t t q(1) (2 + ) + (q(1) − q(2) ) = 2µα30 b 3 3 3 9 (3 − 2δ)a2 2δ a a t t t t t q(2) 2(1 − )a + (q(2) − q(1) ) + (q(2) − q(3) ) = 2µα30 b 3 3 3 9 2 δa a a δa t t t q(3) (2 + ) + (q(3) − q(2) ) = 2µα30 b. 3 3 3 9 t t Sottraendo la prima dalla terza, ricaviamo q(1) = q(3) , come si poteva subito dedurre utilizzando la simmetria. Con opportune semplificazioni, il sistema diventa 2δab t t 2q(1) (1 + δ) − q(2) = µα30 3 −q t + 2q t (2 − δ) = 2µα0 (3 − 2δ)ab . 3 (1) (2) 3 Per δ = 1, ovvero per la sezione B, le soluzioni sono t t q(1) q(3) 5ab = = µα30 µα30 21
e
t q(2) 2ab = µα30 7
e dalla (10.61) ricaviamo JtB =
32a3 b 189
e
max τ B =
t Mt q(2) 27Mt = . Jt µα30 b 16a2 b
Per δ = 1/2, ovvero per la sezione C, le soluzioni sono t t q(1) q(3) 5ab = = 0 µα3 µα30 24
e
t q(2) 7ab = µα30 24
e quindi JtC =
19a3 b 108
e
max τ C =
t Mt q(2) 63Mt = . Jt µα30 b 38a2 b
Per δ = 0, otteniamo t t q(1) q(3) ab = = µα30 µα30 7
e
t q(2) 2ab = µα30 7
e quindi t 4a3 b Mt q(2) 3Mt e max τ = = 2 , 21 Jt µα30 b 2a b che sono esattamente i valori di JtD e di max τ D . Osserviamo che 32 6 A 19 6 A 46 A JtB = Jt = 1.016JtA , JtC = Jt = 1.056JtA , JtD = Jt = 1.143JtA , 189 108 21 e 27 2 63 2 max τ A = 1.125 max τ A , max τ C = max τ A = 1.105 max τ A , max τ B = 16 3 38 3 e 32 max τ D = max τ A = 1 max τ A . 23 Pertanto, tra le sezioni “rinforzate”, la sezione D `e quella che ha il massimo modulo di rigidezza e al tempo stesso la minima tensione tangenziale massima. Si osserva inoltre che, in generale, i “rinforzi” fanno aumentare la tensione tangenziale massima e incrementano solo leggermente il momento d’inerzia torsionale. 4
Jt =
318
10 La torsione
10.8 Appendice. Coordinate curvilinee Consideriamo una regione ω ˜ ⊂ R2 e una funzione λ : R2 → R2 e poniamo ω := λ(˜ ω ). La regione ω ˜ la descriviamo utilizzando delle coordinate {˜ x1 , x ˜2 }, che chiameremo curvilinee, mentre la regione ω attraverso delle coordinate cartesiane {x1 , x2 }. Inoltre indicheremo con ∂˜α e ∂α le derivate parziali rispetto a x ˜α ed xα , rispettivamente. φ, v x1
ω x2
x ˜1
λ ω ˜
˜ v ˜ φ,
x ˜2 Risulta utile definire i vettori gα := ∂˜α λ, e i vettori gβ tramite l’equazione gα · gβ = δαβ . Assumeremo la funzione λ regolare, che significa che g1 e g2 sono linearmente indipendenti. Ci`o implica che anche i vettori g1 e g2 sono linearmente indipendenti. Dunque un generico vettore v pu`o essere espresso come combinazione lineare dei vettori g1 e g2 : v = vβ g β . Moltiplicando scalarmete questa identit`a per gα otteniamo gα · v = vβ gα · gβ = vβ δαβ = vα , dunque v = (v · gα )gα .
(10.62)
La coppia {g1 , g2 } prende il nome di base covariante, mentre la coppia {g1 , g2 } viene chiamata base controvariante. Per una data funzione φ:ω→R definiamo φ˜ : ω ˜→R
come φ˜ := φ ◦ λ.
10.8 Appendice. Coordinate curvilinee
319
Per la regola di derivazione delle funzioni composte, troviamo ∂˜α φ˜ = (∂β φ) ◦ λ ∂˜α (λ · eβ ) = ∂˜α λ · eβ ∂β φ) ◦ λ = gα · ( φ) ◦ λ. ∆
Segue, dalla (10.62), che ( φ) ◦ λ = ∂˜α φ˜ gα . ∆
(10.63)
L’identit`a appena ottenuta ci permette di calcolare il gradiente di una funzione scalare in coordinate curvilinee. Analogamente, per un dato campo vettoriale v:ω→R definiamo ˜:ω v ˜ → R2
˜ := v ◦ λ. come v
La divergenza di v `e data da ∆
div v = ∂α (v · eα ) =
(v · eα ) · eα ,
ed utilizzando la (10.63) deduciamo che ∆
(div v) ◦ λ = eα ·
(v · eα ) ◦ λ = eα · ∂˜β (˜ v · eα ) gβ = ∂˜β (˜ v · eα )eα · gβ
e quindi la divergenza in coordinate curvilinee `e ˜ · gβ . (div v) ◦ λ = ∂˜β v
(10.64)
Utilizzando la (10.63) e la (10.64) possiamo trovare il lapaciano di φ. Con ˜ = ( φ) ◦ λ e quindi v = φ, si ha v (∆φ) ◦ λ = (div φ) ◦ λ = ∂˜β ( φ) ◦ λ · gβ = ∂˜β ∂˜α φ˜ gα · gβ . ∆
∆
∆
∆
Pertanto, il laplaciano in coordinate curvilinee `e (∆φ) ◦ λ = ∂˜β ∂˜α φ˜ gα · gβ .
(10.65)
Esempio 10.30 (Coordinate polari). Sia ω ˜ := (0, R) × [0, 2π) ed λ(˜ x1 , x ˜2 ) := x ˜1 cos x ˜ 2 e1 + x ˜1 sin x ˜ 2 e2 .
x1
Si ha g1 = cos x ˜2 e1 + sin x ˜ 2 e2 g2 = −˜ x1 sin x ˜ 2 e1 + x ˜1 cos x ˜ 2 e2 . e dunque
g1
ω g2
x2 x ˜1 , r
λ
ω ˜ x ˜2 , ϑ
320
10 La torsione
g1 = g1
g2 =
e
1 1 (− sin x ˜2 e1 + cos x ˜ 2 e 2 ) = 2 g2 . x ˜1 x ˜1
Dalla (10.65) 1 (∆φ) ◦ λ = ∂˜β ∂˜1 φ˜ g1 + 2 ∂˜2 φ˜ g2 · gβ x ˜1 1 ˜ = ∂˜β ∂˜1 φ˜ g1 · gβ + ∂˜β ( 2 ∂˜2 φ) g2 · gβ + ∂˜1 φ˜ ∂˜β g1 · gβ x ˜1 1 + 2 ∂˜2 φ˜ ∂˜β g2 · gβ x ˜1 1 1 = ∂˜1 ∂˜1 φ˜ + 2 ∂˜2 ∂˜2 φ˜ + ∂˜1 φ˜ ∂˜β g1 · gβ + 2 ∂˜2 φ˜ ∂˜β g2 · gβ x ˜1 x ˜1 Da semplici conti si trova che 1 ∂˜β g1 · gβ = ∂˜2 g1 · g2 = x ˜1
e
∂˜β g2 · gβ = 0
da cui deduciamo (∆φ) ◦ λ = ∂˜1 ∂˜1 φ˜ +
1 ˜ ˜ ˜ 1 1 ˜ 1 ˜ ∂2 ∂2 φ + ∂˜1 φ˜ = ∂1 x ˜1 ∂˜1 φ˜ + 2 ∂˜2 ∂˜2 φ. 2 x ˜1 x ˜1 x ˜1 x ˜1
Ponendo, come viene comunemente fatto, r = x ˜1 e ϑ = x ˜2 si ha (∆φ) ◦ λ =
1 1 ˜ ∂r r∂r φ˜ + 2 ∂ϑ ∂ϑ φ. r r ♥
Esempio 10.31. Analizziamo il caso studiato nella Sezione 10.5. La regione a a b(˜ x1 ) b(˜ x1 ) ω ˜ := (˜ x1 , x ˜2 ) : x ˜1 ∈ (− , ), x ˜2 ∈ (− , ) , 2 2 2 2 dove a `e una costante e b `e una funzione che determina lo “spessore” della sezione. Definiamo ω := λ(˜ ω ), dove λ(˜ x1 , x ˜2 ) := γ(˜ x1 ) + x ˜2 n◦ (˜ x1 ), in cui γ `e una curva parametrizzata dalla lunghezza d’arco, quindi t◦ := γ 0 `e un vettore tangente alla curva ed unitario, ed n◦ := e3 ∧ t◦ `e un vettore unitario e normale alla curva γ. Indichiamo con κ la curvatura della curva γ: κ := (t◦ )0 · n◦
e quindi (t◦ )0 = κn◦
e
(n◦ )0 = −κt◦ .
e
g2 = n◦ ;
Tramite un semplice conto si trova g1 = t◦ + x ˜2 (n◦ )0 = (1 − κ˜ x2 )t◦
10.8 Appendice. Coordinate curvilinee
321
inoltre, 1 t◦ 1 − κ˜ x2
g1 =
e
g2 = n◦ .
Sia
b(˜ x1 ) 2 ˜ x1 , x φ(˜ ˜2 ) = −˜ x22 + 4 −1 ˜ e calcoliamo il laplaciano di φ := φ ◦ λ . Dalla (10.65), deduciamo (∆φ) ◦ λ =
∂˜1 ∂˜1 φ˜ b b0 κ0 x2 b b0 κ 2κ˜ x2 + ∂˜2 ∂˜2 φ˜ − + + 2 2 (1 − κ˜ x2 ) 2(1 − κ˜ x2 ) 2(1 − κ˜ x2 ) 2 1 − κ˜ x2
da cui si ha che (∆φ) ◦ λ ≈ ∂˜1 ∂˜1 φ˜ + ∂˜2 ∂˜2 φ˜ Si osservi inoltre che ˆ ˆ φ dL 2 =
per |bκ| 1 e |b2 b0 κ0 | 1. ˆ
λ−1 (ω)
ω
˜ det ∇λ| ˜ dL 2 . φ|
˜ dL 2 = φ ◦ λ| det ∇λ| ω ˜
Il gradiente di λ `e ˜ = ∂˜1 λ ⊗ e1 + ∂˜2 λ ⊗ e2 = g1 ⊗ e1 + g2 ⊗ e2 ∇λ = (1 − κ˜ x2 )t◦ ⊗ e1 + n◦ ⊗ e2 e dunque ˜ = (1 − κ˜ det ∇λ x2 ). Pertanto,
ˆ
ˆ ˜ x) |1 − κ˜ φ(˜ x2 | dL 2 (˜ x)
2
φ(x) dL (x) = ω
e
ˆ
(10.66)
ω ˜
ˆ ˜ x) dL 2 (˜ φ(˜ x)
φ(x) dL 2 (x) ≈ ω
per |bκ| 1.
ω ˜
♥
322
10 La torsione
10.9 Esercizi Esercizio 10.32. La sezione rappresentata in figura `e soggetta a N = −20 kN, Mt = 50 Nm e un momento flettente pari a M = 0.8 kNm inclinato di 45◦ come in figura. Utilizzando il criterio di von Mises, determinare la tensione ideale massima. Le quote riportate in figura sono in mm. 20 4
50
4
30
4 M
30 20
5 Soluzione. Fissiamo un sistema di riferimento. Con evidente significato dei simboli si ha A = 7.52 cm2 Sx˜1 = 5.94 cm3 Sx˜2 = 17.49 cm3
x ˜1
x ˜1G = Sx˜2 /A = 2.33 cm x ˜2G = Sx˜1 /A = 0.79 cm Jx˜1 = 20.50 cm4
x ˜2
Jx˜2 = 104.63 cm4 Jx˜1 x˜2 = 9.01 cm4 . I momenti d’inerzia rispetto ad assi baricentrici risultano: Jx¯1 = Jx˜1 −
A˜ x22G
= 15.81 cm
4
Jx¯2 = Jx˜2 − A˜ x21G = 63.96 cm4
x ¯1
˜G x x ¯2
4
Jx¯1 x¯2 = Jx˜1 x˜2 − A˜ x1G x ˜2G = −4.80 cm . Il modo pi` u rapido di procedere `e tramite l’uso della (8.17), ovvero la generalizzazione della formula di Navier per assi baricentrici ma non necessariamente principali d’inerzia. Noi utilizziamo il metodo classico e procediamo calcolando gli assi principali d’inerzia. Tramite l’uso del cerchio di Mohr, si ottiene
10.9 Esercizi
ϑ=
x1 x ¯1
1 −Jx¯1 x¯2 arctan = −5.64◦ , 2 Jx¯1 − c1
J1 = Jx1 = 14.34 cm4 ,
323
˜G x x2
J2 = Jx2 = 64.43 cm4 . Noti i momenti baricentrici e principali d’inerzia, non ci rimane che calcolare le componenti del momento applicato rispetto alla base principale d’inerzia:
x ¯2
M x1
M1 = M cos(45 − 5.65)◦ = 0.62 kNm,
x2
M2 = −M sin(45 − 5.65)◦ = −0.49 kNm. Dalla formula di Navier
N M2 M1 − x1 + x2 A J2 J1 ricaviamo l’equazione dell’asse neutro σ=
x2 = −
N J1 M 2 J1 + x1 M1 A M 1 J2
e la sua inclinazione α = arctan
M 2 J1 = −8.68◦ . M 1 J2 xP
x1
x2 xQ Nei punti xQ e xP si hanno i valori massimi e minimi delle tensioni. Per calcolarle tale tensioni dobbiamo conoscere le coordinate di tali punti rispetto agli assi baricentrici e principali d’inerzia. Procedendo come nell’Esercizio 9.8 si ottiene x ¯1P = −5.33 cm,
x ¯2P = −1.19 cm
e
x ¯1Q = −1.93 cm,
x ¯2Q = 4.21 cm
x1P = −5.18 cm,
x2P = −1.71 cm
e
x1Q = −2.33 cm,
x2Q = 4.00 cm.
e
da cui ricaviamo σmin = e
M2 M1 N − x1P + x2P = −134.93 N/mm2 , A J2 J1
N M2 M1 − x1Q + x2Q = 131.41 N/mm2 . A J2 J1 Calcoliamo ora le tensioni dovute al momento torcente applicato. Abbiamo σmax =
324
10 La torsione Jt = 0, 40 cm4
e
Mt b = 49.87 N/mm2 . Jt La tensione ideale `e massima nel punto xP e vale p max σid = 126.702 + 3 49.872 = 160.21 N/mm2 . max τ t =
4
Esercizio 10.33. Ad una sezione tubolare rettangolare di altezza 12 cm, base 5 cm e spessore 0, 3 cm vengono saldate, a 3 cm dalla base inferiore, due lamine rettangolari di larghezza 2 cm e spessore 0, 4 cm. La sezione `e soggetta ad uno sforzo normale pari a 20 kN, ad un momento flettente M = 3 kNm ed ad un momento torcente pari a 2 kNm. Utilizzando il criterio di von Mises, si determini il punto maggiormente sollecitato. 5
M
3 cm 5
Esercizio 10.34. La sezione rappresentata in figura `e soggetta a: sforzo normale N = 100 kN, momento flettente M1 = 3 kNm ed M2 = −1 kNm e momento torcente Mt = 0, 1 kNm. La tensione ammissibile del ma2 teriale `e σamm = 180 N/mm . Verificare la sezione con il criterio di von Mises. 5
77
xG
x1
x2 8 20 50
Esercizio 10.35. La sezione rappresentata in figura `e costituita da una sezione tubolare circolare, di diametro esterno uguale a 70 mm e di spessore 5 mm, e da una lamina rettangolare di spessore 6 mm. Sapendo che la tensione am2 missibile del materiale `e σamm = 210 N/mm e adottando il criterio di von Mises, determinare il massimo momento torcente sopportabile dalla sezione. 5
5 20
11 Flessione e taglio
L’ultimo caso di de Saint-Venant considera i tagli T1 e T2 . La presenza di tali sforzi induce, necessariamente, dei momenti flettenti M1 ed M2 . I tagli, essendo esclusivamente prodotti da sforzi applicati alle base del cilindro, sono costanti, mentre i momenti flettenti variano in maniera lineare, come previsto dalle (8.15). Nel caso di de Saint-Venant in considerazione lo sforzo normale N `e nullo e non `e prevista torsione, o pi` u specificatamente non sono previste rotazioni delle sezioni attorno all’asse del cilindro: α30 = 0. Come spiegato nella Sezione 8.4, questo corrisponde ad un momento torcente valutato rispetto al centro di taglio nullo: Mtsc = 0. Dunque, nel caso in esame il momento torcente Mt potrebbe essere diverso da zero, ma il momento torcente calcolato rispetto al centro di taglio `e nullo. La teoria che andiamo a sviluppare, oltre a permetterci di determinare le tensioni dovute al taglio, ci consentir` a di calcolare la posizione del centro di taglio. Per iniziare, ricordiamo alcuni dei risultati ottenuti. Innanzitutto, visto che α30 = 0, dalla (8.34) ovvero da τ t = µα30 η t , deduciamo che τ t = 0 e quindi τ = τ s . Le tensioni τ s soddisfano il problema (8.37): s s in ω, div τ = −σ · x s s ⊥ in ω, curl τ = ν¯σ · x s (11.1) τ · n = 0 su ∂ω, ˛ τ s + ν¯σ s · γ γ = 0 ∀γ ∈ Γ (Ω), γ
dove σs =
T1 T2 e1 + e 2 J2 J1
(11.2)
come dedotto nel Lemma 8.8. Dato che τ s dipende linearmente dai tagli `e possibile scrivere il momento torcente prodotto dalle τ s come, si veda la (8.27), ˆ sc τ s · x⊥ dL 2 = −T1 xsc (11.3) 2 + T2 x 1 ω
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5_11
325
326
11 Flessione e taglio
sc sc sc sc dove i coefficienti xsc 1 e x2 definiscono il punto x = (x1 , x2 ) chiamato centro di taglio. Infine, ricordiamo che le tensioni normali sono date dalla formula di Navier (8.33), che nel caso in esame (N = 0) si riduce a
σ=−
M2 M1 x1 + x2 . J2 J1
(11.4)
11.1 Teoria esatta Il caso di de Saint-Venant che stiamo esaminando `e sicuramente il pi` u complicato dei quattro casi, dato che praticamente quasi tutte le componenti di sollecitazione possono essere diverse da zero. La soluzione del problema non risulta quindi banale. Il risultato del seguente esercizio sar`a utilizzato nella dimostrazione del prossimo teorema. Esercizio 11.1. Data σ s ∈ R2 , verificare che ν¯x22 − x21 ν¯x2 − x22 e1 + σ2s 1 e2 2 2 `e una soluzione particolare di ( div τ s = −σ s · x, curl τ s = ν¯σ s · x⊥ . τ s = σ1s
5 s
Soluzione. Per risolvere l’esercizio basta sostituire l’espressione di τ nel sistema. Cerchiamo invece di capire come sia possibile trovare una tale soluzione particolare. Per farlo, sfruttando la linearit` a, dividiamo il problema in due problemi pi` u semplici: ( ( div τ s = 0 div τ s = −σ s · x 1) 2) s s ⊥ curl τ = ν¯σ · x curl τ s = 0 Il primo problema scritto in componenti risulta ( ∂1 τ1s + ∂2 τ2s = 0 ∂1 τ2s − ∂2 τ1s = ν¯(−σ1s x2 + σ2s x1 ) e quindi una soluzione `e data da 1 s 2 1 ν¯σ1 x2 e τ2s = ν¯σ2s x21 . 2 2 In maniera analoga si vede che una soluzione del secondo problema `e τ1s =
1 1 τ1s = − σ1s x21 e τ2s = − σ2s x22 . 2 2 Sommando le due soluzioni giungiamo alla τ s data nel testo dell’esercizio.
4
Il prossimo risultato ci permette di scrivere τ s in termini di due funzioni armoniche.
11.1 Teoria esatta
Teorema 11.2. Siano χs1 e χs2 le soluzioni dei problemi: ∆χs1 = 0 ∆χs2 = 0 in ω, 2 2 2 2 ∂n χs1 = − ν¯x2 − x1 n1 su ∂ω, ∂n χs2 = − ν¯x1 − x2 n2 2 2
327
in ω, su ∂ω. (11.5)
Allora, ν¯x22 − x21 ν¯x2 − x22 e1 + σ2s 1 e2 . (11.6) 2 2 Dimostrazione. Tenendo presente l’esercizio appena svolto, definiamo τ s = σ1s χs1 + σ2s χs2 + σ1s ∆
∆
ν¯x22 − x21 ν¯x2 − x22 e1 − σ2s 1 e2 2 2 e verifichiamo che soddisfa il problema div τ˜ s = 0 in ω, s in ω, curl τ˜ = 0 2 2 2 2 ν ¯ x − x ν ¯ x − x 1 2 τ˜ s · n = −σ1s 2 n1 − σ2s 1 n2 su ∂ω, ˛ 2 2 ∀γ ∈ Γ (ω). τ˜ s = 0 τ˜ s := τ s − σ1s
(11.7)
(11.8)
γ
Si ha div τ˜ s = div τ s + σ1s x1 + σ2s x2 = div τ + σ s · x ed utilizzando la prima delle (11.1) si trova che div τ˜ s = 0. Analogamente si ha curl τ˜ s = curl τ s − ν¯σ2s x1 + ν¯σ1s x2 = curl τ − ν¯σ s · x⊥ , e dalla seconda delle (11.1) si deduce che curl τ˜ s = 0. La terza equazione di (11.8) si verifica facilmente. Vediamo la quarta delle (11.8). Tramite la quarta delle (11.1) deduciamo che ˛ ˛ ν¯γ 2 − γ12 ν¯γ 2 − γ22 s τ˜ = τ s − σ1s 2 e1 − σ2s 1 e2 2 2 γ γ ˛ ν¯γ 2 − γ12 ν¯γ 2 − γ22 = − ν¯σ s · γ γ − σ1s 2 e1 − σ2s 1 e2 2 2 γ ˛ = τˆ (γ) γ
dove abbiamo posto ν¯x2 − x21 ν¯x2 − x22 τˆ (x) := −¯ ν σ s · x x − σ1s 2 e1 − σ2s 1 e2 2 2 1 = (1 − 2¯ ν )σ1s x21 − ν¯(2σ2s x1 x2 + σ1s x22 ) e1 2 1 + (1 − 2¯ ν )σ2s x22 − ν¯(2σ1s x1 x2 + σ2s x21 ) e2 . 2
328
11 Flessione e taglio
Ponendo τˆ(x) := ∆
si ha τˆ (x) =
1 σ s x3 + σ2s x32 (1 − 2¯ ν) 1 1 − ν¯(σ2s x21 x2 + σ1s x1 x22 ) 2 3
τˆ(x) e quindi ˛
˛ s
∆
τ˜ = γ
τˆ(γ) = 0,
γ
per cui anche la quarta delle (11.8) `e verificata. Dalla seconda e dalla quarta delle (11.8) e dal Teorema 2.34 deduciamo che τ˜ s ammette potenziale, ossia esiste una funzione χ tale che τ˜ s = ∇χ. In termini del potenziale χ, la prima delle (11.8), si scrive come 0 = div τ˜ s = ∆χ mentre la terza delle (11.8) diventa ∆
∂n χ =
χ · n = τ˜ s · n = −σ1s
ν¯x22 − x21 ν¯x2 − x22 n1 − σ2s 1 n2 2 2
su ∂ω. Decomponendo quindi il problema come in (11.5) si ottiene τ˜ s = σ1s χs1 + σ2s χs2 . ∆
∆
Da questa rappresentazione e dalla (11.7) segue la (11.6).
Le tensioni τ s , come emerge dalla rappresentazione (11.6), dipendono dalle Tα , tramite σ s , dal coefficiente di Poisson e dalla forma e dimensioni della sezione. Osservazione 11.3. Nell’Osservazione 10.7 abbiamo precisato quando un problema di Neumann `e risolubile. I problemi (11.5) sono risolubili. Infatti, ˆ ˆ ν¯x22 − x21 ν¯x22 − x21 − n1 dL 1 = − e1 · n dL 1 2 2 ∂ω ∂ω ˆ ˆ ν¯x2 − x21 = − div ( 2 e1 ) dL 2 = x1 dL 2 = 0, 2 ω ω ♦
dato che gli assi sono baricentrici.
Ricordando la (11.2), in particolare che σ1s = T1 /J2 e σ2s = T2 /J1 , e la (11.6), otteniamo ˆ ˆ T1 ν¯x2 − x21 ⊥ τ s · x⊥ dL 2 = χs1 + 2 e1 · x dL 2 J2 ω 2 ω ˆ T2 ν¯x2 − x22 ⊥ + χs2 + 1 e2 · x dL 2 , J1 ω 2 ∆
∆
e dunque dalla (11.3) deduciamo che
11.1 Teoria esatta
e xsc 2 =−
1 J2
ˆ
χs2 +
ν¯x21 − x22 ⊥ e2 · x dL 2 2
χs1 +
ν¯x22 − x21 ⊥ e1 · x dL 2 . 2
ω
ˆ
∆
1 J1
∆
xsc 1 =
ω
329
(11.9)
(11.10)
Le (11.9) e (11.10) ci permettono di calcolare la posizione del centro di taglio una volta risolti i problemi (11.5). Osserviamo che il centro di taglio non `e solo una propriet`a della sezione, ma dipende anche dalle propriet` a elastiche del materiale attraverso il coefficiente di Poisson. 11.1.1 Sezioni semplicemente connesse In questa sezione restringiamo la nostra attenzione a sezioni ω che non presentano buchi, Γ (ω) = ∅. Per tali sezioni `e possibile definire abbastanza agevolmente la funzione degli sforzi per τ s . Teorema 11.4. Sia Γ (ω) = ∅ e sia ϕ : ω → R una soluzione del problema −∆ϕ = ν¯σ s · x⊥ in ω, (11.11) 1 s 2 s 2 ∂s ϕ = (−σ2 x2 e1 + σ1 x1 e2 ) · t su ∂ω. 2 Allora, la soluzione τ s del problema (11.1) `e 1 τ s = −( ϕ)⊥ − (σ1s x21 e1 + σ2s x22 e2 ), 2 ∆
ovvero τ1s = ∂2 ϕ −
σ1s x21 2
e
τ2s = −∂1 ϕ −
(11.12)
σ2s x22 . 2
Dimostrazione. Utilizzando le identit`a ricavate nell’Esercizio (8.1), dalla (11.1) ricaviamo curl (τ s )⊥ = div τ s = −σ s · x = −σ1s x1 − σ2s x2 =
1 curl (σ2s x22 e1 − σ1s x21 e2 ). 2
Essendo ω semplicemente connesso, e 1 curl (τ s )⊥ − (σ2s x22 e1 − σ1s x21 e2 ) = 0, 2 esiste ϕ : ω → R tale che ∆
1 (τ s )⊥ − (σ2s x22 e1 − σ1s x21 e2 ) = 2
ϕ.
Quest’ultima equazione equivale alla (11.12). Sostituendo τ s alla seconda ed alla terza equazione del problema (11.1) otteniamo
11 Flessione e taglio
ν¯σ s · x⊥ = curl τ s = − div (τ s )⊥ = − div
∆
330
1 ϕ + (σ2s x22 e1 − σ1s x21 e2 ) 2
= −∆ϕ, e ∆
0 = τ s · n = (τ s )⊥ · t =
1 ϕ + (σ2s x22 e1 − σ1s x21 e2 ) · t 2
1 = ∂s φ + (σ2s x22 e1 − σ1s x21 e2 ) · t. 2 Osserviamo che il problema (11.11) definisce la funzione degli sforzi ϕ a meno di una costante. Il problema in termini della funzione degli sforzi pu` o essere agevolmente risolto per sezioni ω particolarmente semplici. Esempio 11.5 (Sezione circolare). T2
Consideriamo una sezione a forma circolare di raggio r soggetta ad un taglio T2 6= 0. La funzione degli sforzi soddisfa il problema:
x1
x2 s ∆ϕ = −¯ ν σ2 x 1 in ω, s 2 σ x ∂s ϕ = − 2 2 e1 · t su ∂ω. 2 Iniziamo cercando una ϕ ˆ che annulla la condizione al bordo, ovvero una ϕ ˆ tale che σ2s x22 e1 · t ⇐⇒ 2
∆
∂s ϕˆ = −
ϕˆ · t = −
σ2s x22 e1 · t 2
su x21 + x22 = r2
che possiamo soddisfare richiedendo che σ2s x22 e1 su x21 + x22 = r2 2 σ s (r2 − x21 ) =− 2 e1 su x21 + x22 = r2 . 2
ϕˆ = −
∆
Una delle possibili funzioni ϕ ˆ che cerchiamo `e ϕˆ = −
σ2s 2 x3 (r x1 − 1 ). 2 3
La funzione ϕ˜ := ϕ − ϕ, ˆ ovvero ϕ = ϕ˜ − soddisfa il problema
σ2s 2 x3 (r x1 − 1 ), 2 3
(11.13)
11.1 Teoria esatta
(
∆ϕ˜ = −σ2s 1+2ν 1+ν x1 ϕ˜ = 0
331
in ω, su ∂ω,
dato che ϕ˜ `e determinata a meno di una costante e che ∂s ϕ˜ = 0 su ∂ω implica che ϕ˜ `e costante su ∂ω. Le funzioni della forma ϕ˜ = k(x21 + x22 − r2 )x1 soddisfano la condizione al contorno e hanno laplaciano uguale a ∆ϕ˜ = ∂1 ∂1 ϕ˜ + ∂2 ∂2 ϕ˜ = 6kx1 + 2kx1 = 8kx1 e dunque per k = −σ2s
1 + 2ν 8(1 + ν)
la funzione ϕ˜ soddisfa il problema. Dalla (11.13) deduciamo che la funzione degli sforzi `e ϕ = −σ2s
1 + 2ν σs x3 (x21 + x22 − r2 )x1 − 2 (r2 x1 − 1 ), 8(1 + ν) 2 3
e dalla (11.12) ricaviamo le tensioni tangenziali τ1s = − e τ2s =
T2 1 + 2ν x2 x1 J1 4(1 + ν)
T2 3 + 2ν 2 1 − 2ν 2 r − x22 − x , J1 8(1 + ν) 3 + 2ν 1
visto che σ2s = T2 /J1 . τ2s (0, x2 )
x1
T2 r2 J1 4(1+ν)
2 T2 r (3+2ν) J1 8(1+ν)
x2
♥ La sezione rettangolare `e risolubile analiticamente, senza far ricorso a sviluppi in serie di funzioni, solo nel caso in cui il coefficiente di Poisson `e nullo. Nel prossimo esempio, oltre a trovare la soluzione corrispondente a ν = 0, troviamo una soluzione approssimata per sezioni rettangolari “sottili”.
332
11 Flessione e taglio
Esempio 11.6 (Sezione rettangolare). Consideriamo una sezione rettangolare di base b e altezza h soggetta ad un taglio T2 6= 0. La funzione degli sforzi soddisfa il problema: ν σ2s x1 in ω, ∆ϕ = −¯ ∂s ϕ = 0 su x1 = ±b/2, σ s h2 ∂s ϕ = − 2 e1 · t su x2 = ±h/2. 8
T2 x1
x2
Procediamo come nel caso della sezione circolare. La funzione ϕˆ := −
σ2s h2 x1 8
annulla la condizione al bordo, e quindi ϕ ˜ := ϕ − ϕ, ˆ ovvero ϕ = ϕ˜ −
σ2s h2 x1 , 8
soddisfa il problema (
∆ϕ˜ = −¯ ν σ2s x1 ϕ˜ = 0
in ω, su ∂ω.
(11.14)
Le tensioni tangenziali risultano, si veda (11.12), τ1s = ∂2 ϕ˜ e
τ2s = −∂1 ϕ˜ +
Se ν = 0, la soluzione del problema (11.14) `e ϕ˜ = 0 e quindi le tensioni tangenziali sono: τ1s = 0
σ2s h2 ( − x22 ). 2 4 τ2s (x1 , x2 )
T2 h2 8J1
x1
=
3 T2 2 bh
e τ2s =
T 2 h2 ( − x22 ). 2J1 4
x2 Se ν 6= 0 possiamo trovare una soluzione approssimata del problema (11.14) procedendo come nella Sezione 10.4. Consideriamo una ϕ ˜ = ϕ(x ˜ 1 ) dipendente solamente da x1 . Allora ϕ˜00 = −¯ ν σ2s x1 e integrando otteniamo ϕ˜ = −¯ ν σ2s
x31 + c 1 x1 + c 2 , 6
dove le costanti c1 e c2 le troviamo imponendo ϕ ˜ = 0 per x1 = ±b/2. Risulta
11.2 Teoria approssimata di Jourawski
333
ν¯σ2s b2 ( − x21 )x1 . 6 4 Questa funzione soddisfa la prima equazione del problema (11.14) e la seconda sui lati x1 = ±b/2. Se b `e molto minore di h possiamo ritenere, anche se la funzione ϕ˜ trovata non soddisfa la seconda equazione delle (11.14) sui lati di coordinata x2 = ±h/2, che ϕ˜ =
ν¯σ2s b2 ( − x21 )x1 ; 6 4 in ogni caso la funzione trovata approssima ϕ ˜ “lontano” da x2 = ±h/2. ϕ˜ ≈
Con tale ϕ˜ le tensioni tangenziali risultano τ1s ≈ 0
x1 ed τ2s ≈ x2
T 2 h2 ν¯ − x22 − (b2 − 8x21 ) . (11.15) 2J1 4 12
Si osserva che se ν 6= 0 la τ2s non `e costante sulle corde x2 = costante. ♥
11.2 Teoria approssimata di Jourawski Come visto nella sezione precedente, la teoria esatta del taglio conduce a problemi alle equazioni alle derivate parziali la cui risoluzione risulta, per una generica sezione, affrontabile solamente per via numerica. In questa sezione presenteremo una teoria approssimata dovuta a Jourawski che ci permetter`a di calcolare in maniera approssimata le τ s . La teoria sar`a sviluppata senza far uso dei risultati ottenuti nella Sezione 11.1. Si consideri una corda C che taglia in due parti la sezione ω. Si indichi con ω ∗ una delle due parti e con ν la normale, esterna ad ω ∗ , alla corda C. Indicheremo con b∗ la lunghezza della corda, o pi` u precisamente, la lunghezza del tratto di corda che interseca ω, ovvero b∗ := L 1 (C ∩ ω). ω∗
n
x1 C
ω x2
ν
334
11 Flessione e taglio
Integrando la prima delle (11.1) sulla regione ω ∗ , si ha ˆ
ˆ
ˆ
div τ s dL 2 = − ω∗
σ s · x dL 2 = − ω∗
=−
ω∗
T1 T2 x1 + x2 dL 2 J2 J1
T1 ∗ T2 ∗ S − S J2 2 J1 1
dove abbiamo indicato con S1∗ ed S2∗ i momenti statici della regione ω ∗ . Utilizzando il teorema della divergenza e la terza delle (11.1), ricaviamo ˆ ˆ ˆ ˆ div τ s dL 2 = τ s · n dL 1 = τ s · n dL 1 + τ s · ν dL 1 ∗ ω∗ ∂ω ∗ ∩∂ω C ˆ∂ω s 1 = τν dL C
dove abbiamo indicato con τνs := τ s · ν la componente di τ s in direzione ν. Dunque, ˆ T1 T2 τνs dL 1 = − S2∗ − S1∗ (11.16) J J1 2 C e dividendo ambo i membri per b∗ si ottiene ˆ 1 T1 S2∗ T2 S1∗ hτνs i := ∗ τνs dL 1 = − − . ∗ b C J2 b J 1 b∗
(11.17)
La formula ottenuta ci permette di determinare in maniera esatta il valore medio hτνs i di τνs su una generica corda C che divide in due parti la sezione ω ∗ . Osservazione 11.7. Se invece di prendere la parte di sezione ω ∗ avessimo presa la rimanente, ω e, avremmo ottenuto
ω∗ x1
−ν C
ν ω e C ω e e T 1 S2 T 2 S1 s hτ−ν i = − − , x2 J 2 b∗ J 1 b∗ e e dove S1 e S2 denotano i momenti statici della regione ω e . Visto che i momenti statici sono additivi, abbiamo Sα = Sα∗ + Seα dove il momento statico Sα della sezione ω `e uguale a zero, in quanto gli assi sono baricentrici. Dunque, s Sα∗ = −Seα . Inoltre, τ−ν = τ s · (−ν) = −τνs . Pertanto l’equazione dedotta utilizzando ω e coincide con la (11.17). ♦ Osservazione 11.8. La (11.17) pu`o essere formalmente dedotta utilizzando la sola formula di Navier e le equazioni indefinite di equilibrio (3.21). Si consideri una “fetta” di cilindro di spessore dx3 e, come fatto precedentemente, si consideri una corda C che taglia in due parti la sezione ω. Si indichi con ω ∗ una delle due parti e con ν la normale (esterna ad ω ∗ ) alla corda C. Come prima indichiamo con b∗ = L 1 (C ∩ ω).
11.2 Teoria approssimata di Jourawski
e3
dΩ ∗
dΩ ∗
ω∗
τνs = Tν3 = T3ν
Tν3 T3ν
ν
335
dx3
b∗
Analizziamo la parte di “fetta” avente proiezione ω ∗ , che indicheremo con dΩ ∗ . Le sezioni di “taglio” hanno normale ±e3 e ν. Le tensioni tangenziali in direzione ν nei punti della corda C giacenti sulla sezione avente normale +e3 sono Tν3 , mentre le tensioni tangenziali in direzione e3 nei punti della corda C giacenti sulla sezione avente normale ν sono T3ν . Dalla simmetria del tensore degli sforzi si ha Tν3 = T3ν e queste tensioni le abbiamo semplicemente indicate con τνs . Grazie a questa simmetria possiamo determinare informazioni su τνs imponendo l’equilibrio alla traslazione in direzione e3 . Per dx3 “piccolo”, la risultante in direzione e3 dovuta alle tensioni tangenziali `e hτνs ib∗ dx3 , dove, come prima, hτνs i rappresenta la media di τνs lungo la curva C. In direzione e3 sono presenti pure le tensioni normali dovute al momento flettente,
σ(x3 ) σ(x3 + dx3 )
σ(x3 + dx3 )
τνs
σ(x3 )
ν
pertanto l’equazione di equilibrio alla traslazione in direzione e3 della regione dΩ ∗ risulta ˆ ˆ σ(x3 + dx3 ) dL 2 + hτνs ib∗ dx3 − σ(x3 ) dL 2 = 0 ω∗
ω∗
visto che non sono presenti n´e forze di volume n´e di superficie. Riscrivendo questa equazione come ˆ σ(x3 + dx3 ) − σ(x3 ) s ∗ hτν ib = − dL 2 dx3 ∗ ω e passando al limite per dx3 tendente a 0, si ottiene ˆ hτνs ib∗ = − ∂3 σ dL 2 . ω∗
Utilizzando la formula di Navier (11.4) ricaviamo
(11.18)
336
11 Flessione e taglio
∂3 σ = −
∂ 3 M2 ∂ 3 M1 M0 M0 x1 + x2 = 2 x1 + 1 x2 J2 J1 J2 J1
e tramite le equazioni indefinite di equilibrio (la quarta e la quinta della (3.21): M10 − T2 + m1 = 0 e M20 + T1 + m2 = 0, con m1 = m2 = 0) deduciamo ∂3 σ =
T1 T2 x1 + x2 . J2 J1
(11.19)
Si osservi che a tale risultato si giungeva direttamente utilizzando il Lemma 8.8. Sostituendo la (11.19) nella (11.18) otteniamo ˆ ˆ T1 T2 T1 S2∗ T2 S1∗ s ∗ 2 hτν ib = − x1 dL − x2 dL 2 = − − J2 ω ∗ J1 ω ∗ J2 J1 ♦
che equivale alla (11.17). L’approssimazione suggerita da Jourawski consiste nell’assumere τνs costante sulla corda, o detto diversamente, nel confondere la media ` chiaro che questa approssimahτνs i con τνs . E zione deve essere applicata con riguardo. Accettandola ciecamente, per il momento, dalla (11.17) ricaviamo la formula di Jourawski:
ω∗
ν⊥ ν
τνs ∗ ∗ T S T S 1 2 2 1 τνs = − − . (11.20) J 2 b∗ J 1 b∗ Osserviamo che nel dedurre la formula di Jourawski abbiamo esclusivamente utilizzato le equazioni di equilibrio, in particolare, le equazioni di compatibilit` a presenti nella (11.1) non sono state considerate. Esercizio 11.9. L’esercizio consiste nel dimostrare che se gli assi sono baricentrici ma non necessariamente principali d’inerzia la formula di Jourawski risulta T1 J1 − T2 J12 S2∗ T2 J2 − T1 J12 S1∗ τνs = − − , (11.21) 2 2 ∗ J1 J2 − J12 b J1 J2 − J12 b∗ ovvero S ∗ J1 − S1∗ J12 S ∗ J2 − S2∗ J12 τνs = − 2 T1 − 1 (11.22) 2 2 )b∗ T2 . ∗ (J1 J2 − J12 )b (J1 J2 − J12 5 Suggerimento: si proceda come nella deduzione della formula (11.20), ma anzich´e utilizzare la formula di Navier si usi l’Esercizio 8.10.
` chiaro che per determinare τ s `e necessario determinare anche la componente E τνs⊥ . Vediamo ora quando l’approssimazione di Jourawski `e “ragionevole”.
11.2 Teoria approssimata di Jourawski
Se la sezione `e sottile e “localmente” simile ad un rettangolo, la terza delle (11.1), τ s ·n = 0 su ∂ω, forza τ s ad essere praticamente tangente alla linea media e quindi prendendo una corda ortogonale alla linea media si ha τνs⊥ = 0. Inoltre, se la lungezza della corda b∗ `e molto “piccola”, allora τνs non potr`a variare “molto” e quindi hτνs i ≈ τνs , che equivale all’ipotesi di Jourawski. Dunque, τ s = τνs ν.
τ s = τνs
Esercizio 11.10. La sezione in figura `e soggetta ad un taglio T2 = 40 kN. Determinare le tensioni tangenziali, assumendo il raggio della linea media r = 5 cm e lo spessore t = 4 mm. Si assuma t r. 5
T2 xG
x1
x2
Soluzione. Con le coordinate polari indicate in figura, abbiamo x ˜1 = −(r + ζ) cos α,
e
x ˜2 = −(r + ζ) sin α,
con 0 ≤ α ≤ π e −t/2 ≤ ζ ≤ t/2. Lo jacobiano della trasformazione `e r + ζ. Indicando con ω la regione che descrive la sezione, abbiamo che l’area `e ˆ ˆ π ˆ t/2 ˆ π ˆ t/2 A= dL 2 = (r+ζ) dζ dα ≈ r dζ dα ω
0
−t/2
0
r+ζ α
x ˜1 x ˜2
−t/2
dato che t r. Dunque, A = πrt. Il momento statico rispetto all’asse x ˜1 risulta ˆ ˆ π ˆ t/2 Sx˜1 = x ˜2 dL 2 ≈ −r sin α r dζ dα = −2r2 t ω
−t/2
0
e quindi −2r2 t 2 = − r. πrt π I momenti d’inerzia rispetto agli assi x ˜1 e x ˜2 sono ˆ ˆ π ˆ t/2 πr3 t Jx˜1 = x ˜22 dL 2 ≈ r2 sin2 α r dζ dα = 2 ω 0 −t/2 x ˜2G =
e
ˆ
ˆ
π
ˆ
t/2
x ˜21 dL 2 ≈
Jx˜2 = ω
r2 cos2 α r dζ dα = 0
−t/2
πr3 t . 2
Pertanto, J1 = Jx˜1 − A˜ x22G =
πr3 t 4 π2 − 8 − πrt 2 r2 = πr3 t 2 π 2π 2
e
J2 = Jx˜2 =
πr3 t . 2
337
338
11 Flessione e taglio
Per applicare Jourawski consideriamo la sezione ω ∗ rappresentata in figura. Dato che T1 = 0 la formula di Jourawski, (11.20), si riduce a τνs =
ν
T2 S1∗ − . J1 b∗
dove b = t ed ˆ ˆ S1∗ = x2 dL 2 = ω∗
ϑ
x ˜1
∗
ˆ
ˆ
2
x ˜2 +|˜ x2G | dL = ω∗
x ˜2
2
dL 2 .
x ˜2 dL +|˜ x2G | ω∗
ω∗
Gli integrali coinvolti risultano uguali a ˆ dL 2 ≈ ϑrt ω∗
e
ˆ
ˆ
ϑ
ˆ
t/2
x ˜2 dL 2 ≈ ω∗
−r sin α r dζ dα = r2 t(cos ϑ − 1), 0
−t/2
pertanto S1∗ = r2 t(cos ϑ − 1) +
2 ϑ rϑrt = −r2 t(1 − 2 − cos ϑ) π π
e quindi T2 2 ϑ r (1 − 2 − cos ϑ). J1 π Per ϑ = π/2 la tensione τνs risulta essere uguale a zero, per ϑ > π/2 la τνs `e positiva e quindi τ s ha la stessa direzione di ν, mentre τ s e ν hanno direzioni opposte per ϑ < π/2. x1 τνs =
τνs
ϑ π
T2 xG x2
π/2
ϑ
Il valore massimo di |τνs | lo si ha per ϑ = arcsin
2 π
e vale max τνs = 141.5 N/mm2 . 4
Vediamo casi in cui la lunghezza della corda b∗ non `e necessariamente “piccola”.
11.2 Teoria approssimata di Jourawski
339
Esempio 11.11 (Sezione rettangolare). Consideriamo una sezione rettangolare di base b e altezza h soggetta ad un taglio T2 6= 0. Prendiamo una corda parallela all’asse x1 e distante ζ dalla base superiore e indichiamo con ω ∗ la parte della sezione avente normale esterna, lungo la corda, orientata come x2 . Il momento statico di ω ∗ rispetto all’asse 1 `e S1∗ = −(
ω∗
T2
ζ
x1 ν
x2
h ζ − )bζ 2 2
e la lunghezza della corda, b∗ , `e uguale a b. τνs
Dalla formula di Jourawski, (11.20), ricaviamo T2 S1∗ T2 h ζ = ( − )ζ ∗ J1 b J1 2 2 6T2 = 3 (h − ζ)ζ, bh
τνs = −
3 T2 2 bh
x1
che ha l’andamento parabolico riportato in figura. Risultando positiva, τνs x2 `e orientata come ν. Si osserva che il valore massimo, ottenuto in ζ = h/2, ovvero in x2 = 0, `e 3/2 il valore medio della tensione: max τνs =
3 T2 . 2 bh
La soluzione (esatta) del problema (11.1) evidenzia che τνs⊥ = 0 e quindi τ `e completamente determinato da τνs . Inoltre, se il coefficiente di Poisson `e uguale a zero, la soluzione approssimata trovata con la formula di Jourawski coincide con la soluzione esatta (si veda l’Esempio 11.6). Se il coefficiente di Poisson `e diverso da zero la τνs (esatta) non `e costante sulle corde parallele all’asse x1 . s
x1 x1
1.988 32 Tbh2
1.033 32 Tbh2 x2 x2
340
11 Flessione e taglio
Infatti, sulla corda x2 = 0, per un coefficiente di Poisson uguale a 0.25, si veda S. Timoshenko e J.N. Goodier1 , si ha •
h = 2b max τνs = 1.033
•
3 T2 2 bh
e
min τνs = 0.983
3 T2 ; 2 bh
h = b/4
3 T2 3 T2 e min τνs = 0.805 . 2 bh 2 bh Per h > 2b la τνs non `e costante ma si discosta di “poco” dal valore di 3T2 /(2bh) determinato tramite la formula di Jourawski. Al contrario, se h = b/4 la tensione massima (esatta) `e praticamente il doppio del valore calcolato con la formula approssimata. Dunque, se h ≥ 2b la formula di Jourawski produce risultati praticamente coincidenti con quelli della teoria esatta, mentre per h < 2b i risultati sono meno affidabili. Concludiamo osservando che dall’equazione approssimata (11.15), con un coefficiente di Poisson uguale a 0.25, si ottiene max τνs = 1.988
•
h = 2b max τνs ≈ 1.017
•
3 T2 2 bh
e
min τνs ≈ 0.983
3 T2 ; 2 bh
h = b/4
3 T2 3 T2 e min τνs ≈ −0.067 . 2 bh 2 bh Si osserva che la formula approssimata (11.15) cattura i valori massimi di τνs con buona approssimazione. ♥ max τνs ≈ 2.067
ν⊥
ω∗
ν
Dalla formula di Jouraswki si ottiene una componente τνs della tensione τ s . Vediamo com’`e possibile determinare la componente τνs⊥ .
τνs Iniziamo considerando una sezione avente simmetria ortogonale rispetto all’asse x2 e soggetta ad uno sforzo di taglio T2 6= 0. Applicando la formula di Jourawski ad una generica corda parallela all’asse x1 si determina τνs = τ2s . Dalla figura risulta chiaro che τ s 6= τ2s e2 , dato che se valesse l’uguaglianza non sarebbe soddisfatta la condizione τ s · n = 0 su ∂ω. Per ricavarci τ1s possiamo utilizzare l’equazione di equilibrio, la prima equazione del problema (11.1): div τ s = −σ s · x. 1
Theory of elasticity, McGraw-Hill 1951, pag. 326
ζ
n x1 τ2s
x2
11.2 Teoria approssimata di Jourawski
341
In componenti, ricordando che T1 = 0, `e ∂1 τ1s + ∂2 τ2s = −σ2s x2 e visto che τ2s = τ2s (ζ, x3 ) la possiamo integrare ed ottenere s τ1s = −(∂2 τ2s + σ2s x2 )x1 + τ10 (x2 ), s dove τ10 (x2 ) `e una costante d’integrazione da determinare. L’equazione ottenuta mostra che τ1s `e affine in x1 , ma utilizzando la simmetria possiamo anche s dire che `e lineare in x1 , e quindi τ10 (x2 ) = 0. Dunque
τ1s = −(∂2 τ2s + σ2s x2 )x1 . Indicando il valore approssimato −(∂2 τ2s + σ2s x2 ), avendo utilizzato una teoria approssimata, con m(x2 ) abbiamo τ1s = m(x2 )x1 . Imponendo τ s ·n = 0 su ∂ω, ovvero richiedendo che τ s sia tangente a ∂ω, possiamo determinare τ1s (o correggere) la pendenza m(x2 ). Attraverso la costruzione grafica, riportata nella figura a s τ2 fianco, `e possibile stabilire il valore che deve τs avere τ1s ad una estremit` a della corda. s Noto questo valore `e nota τ1 , dato che dovr`a variare in maniera lineare. La costruzione grafica, sotto riportata, mostra le tensioni τ s che si ottengono.
ζ
τνs⊥ τνs τs
τs
Indicando con ζ l’angolo che il generico vettore τ s forma con l’asse x2 si ha τνs⊥ = τνs tan ζ.
(11.23)
s In assenza di una simmetria ortogonale, scriviamo τ1s = m(x2 )x1 + τ10 (x2 ) e s s determiniamo m(x2 ) e τ10 (x2 ) imponendo che la τ sia tangente al bordo in entrambe le estremit`a della corda.
342
11 Flessione e taglio
Volendo, con i limiti messi in evidenza nell’Esempio 11.11, si pu` o pure determinare τ1s tramite la formula di Jourawski considerando corde parallele all’asse x2 . Quest’ultimo metodo, in generale, non produce gli stessi risultati del metodo appena presentato. In fase di progetto o di verifica, per sicurezza, `e consigliabile utilizzare le tensioni, ottenute dai due metodi, che risultano pi` u penalizzanti. Esempio 11.12 (Sezione circolare). Consideriamo una sezione a forma circolare di raggio r soggetta ad un taglio T2 6= 0. Consideriamo inoltre una corda pa- x1 rallela all’asse x1 di equazione x2 = ζ. La regione ω ∗ , indicata in figura, ha momento statico rispetto all’asse x1 : ˆ ˆ ˆ √2 2 x2 dL 2 = ω∗
−
ζ
i 3 r
ζ
√
ν ω∗
x2
x2 ˆ
r
x2 dx1 dx2 = r 2 −x22
q 2 r2 − x22 x2 dx2
ζ
3 2 2 (r − ζ 2 ) 2 3 p e la lunghezza della corda `e b∗ = 2 r2 − ζ 2 . Dalla formula di Jourawski, (11.20), ricaviamo
=−
2h
x1
r −x2
r
S1∗ =
T2
3
(r2 − x22 ) 2
=
ζ
3
τνs = −
T2 S1∗ T2 2 (r2 − ζ 2 ) 2 T2 2 p =− =− (r − ζ 2 ). ∗ J1 b J1 3 2 r 2 − ζ 2 3J1
Dunque, visto che e2 = −ν, si ha τ2s = Per determinare τ1s imponiamo che τ s sia tangente al bordo. p Indichiamo con xP := ( r2 − ζ 2 , ζ) uno dei punti che si trovano sulla corda e su ∂ω. In xP la tensione τ s `e parallela a x⊥ p:
T2 2 (r − ζ 2 ). 3J1 x1 xP τ2s
τ1s
τs p τ s (xP ) = kx⊥ r2 − ζ 2 ) p = k(−ζ,
x2
dove k `e una costante che possiamo determinare imponendo τ2s = τ s · e2 = k
p r2 − ζ 2
⇒
k=
T2 p 2 r − ζ 2. 3J1
11.2 Teoria approssimata di Jourawski
343
Quindi, τ1s (xP ) = τ s (xP ) · e1 T2 p 2 = −kζ = − r − ζ 2ζ 3J1 ˜ 1 e pertanto ed essendo τ1s lineare in x1 si dovr`a avere τ1s = kx τ1s (x1 , ζ) = −
T2 x1 ζ. 3J1
τ2s (ζ)
T2 r 2 3J1
x1
=
4T2 3πr 2
x2 Ricordiamo che la soluzione esatta della sezione circolare `e stata ottenuta nell’Esempio 11.5. Volendo determinare la componente τ1s con la formula di Jourawski si prende una corda paν rallela all’asse x2 . La regione ω ∗ che si ottiene ω∗ x1 ha simmetria ortogonale rispetto all’asse x1 e quindi S1∗ = 0. Dunque, dalla formula di Jourawski risulta τ1s = 0; risultato ovviamente diverso dal precedente. Il risultato pi` u attendibile e x2 pi` u penalizzante, ai fini di una verifica, `e quello ottenuto imponendo τ s tangente al bordo ∂ω. ♥ 2h tan β Esercizio 11.13. La sezione a forma triangolare, rappresentata in figura, `e soggetta ad un taglio T2 . Si determino le tensioni tangenziali. Si assuma: T2 = 50 kN, h = 80 mm, β = 10◦ . 5
ν
x1 xP
h ζ x2
Soluzione. Con riferimento alla figura abbiamo, b∗ = 2ζ tan β e, visto che il baricentro di un triangolo dista dalla base un terzo dell’altezza, S1∗ =
2ζ tan β ζ 2h 2ζ 2 ( − ) = tan β ζ 2 (h − ζ). 2 3 3 3
344
11 Flessione e taglio
Dalla formula di Jourawski, (11.20), ricaviamo τνs = −
T2 S1∗ 1 T2 =− ζ(h − ζ), J1 b ∗ 3 J1
e dato che J1 = 2h tan βh3 /36 e ν = −e2 , τ2s =
6T2 ζ(h − ζ). h4 tan β
Il valore massimo viene raggiunto in ζ = h/2 e vale max τ2s =
6T2 h2 3 T2 = , h4 tan β 4 2 A
τ2s (ζ)
dove A := h2 tan β `e l’area del triangolo. Imponendo che τ s sia tangente al bordo in xP , otteniamo τ1s (xP ) = −τ2s tan β = −
3 T2 2 A
6T2 ζ(h − ζ) h4
e quindi, imponendo la linearit` a di τ1s rispetto alla variabile x1 , si deduce che 6T2 ζx1 . h4 s Il massimo valore di τ1 lo si ha sul bordo ed in particolare dove τ2s `e massimo, quindi τ1s (x1 , ζ) = −
max τ1s = tan β max τ2s =
3 T2 tan β 2 A
e
max |τ s | =
3 T2 p 1 + tan2 β. 2 A
Dunque max |τ s | =
3 50000 p 1 + tan2 10◦ = 67.5 N/mm2 . 2 802 tan 10◦ 4
Esercizio 11.14. La sezione HEA 200, rappresentata in figura, `e soggetta ad un taglio T2 = 90 kN. HEA 200 Altezza 190 mm Larghezza ali b :=200 mm Spessore anima a :=6.5 mm Spessore ali e :=10 mm Area 53.83 cm2 Momento d’inerzia J1 = 3692 cm4 5
x1 x2
Soluzione. Poniamo, per comodit` a, h :=180 mm la distanza tra le linee medie delle ali. Faremo dapprima i conti in forma letterale. I risultati che otterremo assumendo che max{e, a} min{b, h} saranno indicati con il simbolo ≈.
11.2 Teoria approssimata di Jourawski Iniziamo considerando la porzione di sezione parametrizzata da ζ1 . La lunghezza della corda e il momento statico risultano b∗ = e
e
S1∗ = −eζ1
345
ζ1
h 2
x1 x2
e quindi, dalla formula di Jourawski, otteniamo T2 S1∗ T2 = hζ1 . J1 b ∗ 2J1 Il valore minimo `e T2 T2 min τ1s = − h(b − a) ≈ − hb, 4J1 4J1
ζ2
−τ1s = −
che corrisponde a min τ1s = −21.2 N/mm2 ≈ −22.0 N/mm2 . Analogamente, per la porzione di sezione parametrizzata da ζ2 si ha b∗ = a e S1∗ = be
h h e ζ2 bhe a + aζ2 ( − − ) ≈ + ζ2 (h − ζ2 ). 2 2 2 2 2 2
Pertanto, −τ2s = −
i T2 S1∗ T2 h bhe T2 bhe =− + ζ2 (h − e − ζ2 ) ≈ − [ + ζ2 (h − ζ2 )]. ∗ J1 b 2J1 a 2J1 a
In particolare, τ2s (ζ2 = 0) =
T2 bhe T2 bhe ≈ , 2J1 a 2J1 a
i cui valori numerici risultano τ2s (ζ2 = 0) = 67.5 N/mm2 ≈ 67.5 N/mm2 , ed τ2s (ζ2 =
h e T2 h bhe h e i T2 h bhe h2 i − )= + ( − )2 ≈ + , 2 2 2J1 a 2 2 2J1 a 4
che corrisponde a τ2s (ζ2 =
h e − ) = 76.3 N/mm2 ≈ 77.4 N/mm2 . 2 2
Le tensioni risultano (perch´e?) 21.2 N/mm2
22.0 N/mm2 67.5 N/mm2
76.3 N/mm2
67.5 N/mm2
≈
77.4 N/mm2
346
11 Flessione e taglio
Osserviamo che i valori ottenuti con l’ipotesi max{e, a} min{b, h} praticamente coincidono con quelli “esatti” e, almeno in questo caso, l’approssimazione risulta a favore di sicurezza. Nella nostra analisi, non abbiamo calcolato le tensioni τ2s in prossimit` a della corda parametrizzata da ζ1 . Imponendo che τ s sia tangente al bordo si ottiene, banalmente, τ2s = 0. Invece, utilizzando la ζ3 formula di Jourawski si ha b∗ = b
e
S1∗ = −bζ3 (
h ζ3 − ) 2 2
x1
e
T2 S1∗ T2 = (h − ζ3 )ζ3 . J1 b ∗ 2J1 Il valore massimo lo si ha in ζ3 = e e risulta
x2
τ2s = −
T2 (h − e)e = 2.2 N/mm2 . 2J1 Pertanto, con buona approssimazione, possiamo ritenere trascurabili le tensioni nel tratto parametrizzato da ζ3 . Mentre, le tensioni τ1s in prossimit` a della corda ζ2 risultano nulle, indipendentemente da come si calcolino (perch´e?). 4 τ2s (ζ3 = e) =
Dall’esercizio precedente, ma anche dalla formula di Jourawski, osserviamo che se la sezione `e caricata lungo un’asse principale d’inerzia allora le tensioni tangenziali variano •
T2
•
linearmente in tratti rettangolari sottili che si “sviluppano” in direzione ortogonale al carico; in maniera parabolica su rettangoli che si “sviluppano” in direzione parallela al carico.
Applicando la (11.16), ˆ T1 T2 τνs dL 1 = − S2∗ − S1∗ , J J1 2 C in prossimit`a dell’intersezione di rettangoli, con la notazione riportata nella figura a fianco, otteniamo s s s τ(1) b(1) + τ(2) b(2) + τ(3) b(3) = −
b(2) s τ(2) s τ(3) b(3)
s b(1) τ(1)
ω∗ T1 ∗ T2 ∗ S − S , J2 2 J1 1
dove Sα∗ `e dell’ordine del quadrato dello spessore massimo dei rettangoli, pertanto, per spessori “piccoli” s s s τ(1) b(1) + τ(2) b(2) + τ(3) b(3) ≈ 0.
Se gli spessori sono “infinitesimi” si ha
11.2 Teoria approssimata di Jourawski s s s τ(1) b(1) + τ(2) b(2) + τ(3) b(3) = 0,
ovvero c’`e la conservazione dei flussi. Esercizio 11.15. Rifare l’Esercizio 11.14 considerando la sezione HEA200 come descritta dalla linea media, in cui i segmenti che rappresentano le ali hanno densit`a (“spessore”) e e il segmento che rappresenta l’anima ha densit`a a. Ricordiamo che T2 = 90 kN, h :=180 mm, b :=200 mm, a :=6.5 mm, e :=10 mm e J1 = 3692 cm4 . 5 Soluzione. La tensione nel punto A `e nulla e nel tratto AB − varia in maniera lineare. Basta quindi valutarla in B − . Abbiamo S1∗ (B − ) = −e
347
(11.24)
e a x1
h x2
e b B+ B− C a
e
bh 22
x1
e quindi, dalla formula di Jourawski, otteniamo
A
D x2
T2 S1∗ T2 e = hb = 22.0 N/mm2 . J1 b ∗ 4J1 Per questioni di simmetria avremo τ1s (B + ) = −22.0 N/mm2 . Dalla (11.24) abbiamo τ1s (B − ) = −
τ1s (B + )e − τ1s (B − )e + τ2s (C)a = 0, dove il flusso τ1s (B − )e `e negativo visto che `e entrante nel nodo. Da questa relazione troviamo −τ1s (B + )e + τ1s (B − )e τ2s (C) = = 67.5 N/mm2 . a Nell’anima la tensione varier` a in maniera parabolica e, per questioni di simmetria, il massimo lo si avr` a nel baricentro. Abbiamo h h h S1∗ (D) = −eb − a 2 2 4 e dalla formula di Jourawski otteniamo τ1s (D) = −
L’esercizio dimostra che “restringendo” la sezione alla sua linea media `e relativamente semplice ottenere la soluzione approssimata, ma non troppo, dell’Esercizio 11.14. Il diagramma ottenuto va interpretato esattamente come i diagrammi trovati nell’Esercizio 11.14.
T2 S1∗ = 77.4 N/mm2 . J1 a 22.0 N/mm2 67.5 N/mm2
77.4
4
348
11 Flessione e taglio
11.3 Centro di taglio approssimato Nella sezione precedente abbiamo visto come calcolare, in maniera approssimata, le tensioni tangenziali. Tramite le τ s possiamo determinare la posizione del centro di taglio, in una generica sezione, attraverso la (11.3): ˆ sc τ s · x⊥ dL 2 = −T1 xsc 2 + T2 x 1 ω
visto che vale per ogni T1 e T2 . Prima di vedere come si procede ricordiamo alcuni risultati enunciati nel Teorema 8.14. La gran parte delle sezioni incontrate nella Sezione 11.2 hanno due assi di simmetria ortogonale. Per tali sezioni il centro di taglio coincide con il baricentro. Infatti, se una sezione ha un’asse di simmetria ortogonale, allora il centro di taglio giace su tale asse, come enunciato nella propriet` a 4. del Teorema 8.14. Quindi, se una sezione presenta due assi di simmetria ortogonale, allora il centro di taglio `e univocamente determinato dall’intersezione di tali assi. ` possibile individuare immediatamente il centro di taglio anche in alcune E sezioni sottili. Ad esempio, nella sezione a fianco, indipendentemente dai tagli applicati, le direzioni delle tensioni τ s nei tre rettangoli coincidono con le linee medie (linee tratteggiate in figura) dei rettangoli. Pertanto, il momento torcente, rispetto all’intersezione delle tre linee medie, dovuto alle tensioni τ s `e nullo. Segue, dalla propriet`a 1. del Teorema 8.14 che il centro di taglio coincide con l’intersezione delle tre linee medie. Esercizio 11.16. Una sezione a T con un ala di larghezza b = 80 mm, un anima di altezza h = 120 mm e di spessore costante s = 10 mm `e soggetta ad una forza parallela all’ala di intensit`a P = 15 kN ed applicata al baricentro della sezione. Verificare la sezione con il criterio di von Mises sapendo che la tensione ammissibile 2 del materiale `e σamm = 210 N/mm . 5
b x ˜1 P
˜G x
x ˜2
h
Soluzione. Con gli assi x ˜1 e x ˜2 come in figura si ha A = bs+hs = 2000 mm2 ,
Sx˜1 = −
bs2 sh2 + = 68000 mm3 , 2 2
x ˜2G =
Sx˜1 = 34 mm. A
11.3 Centro di taglio approssimato Il centro di taglio si trova all’intersezione delle linee medie dell’anima e dell’ala. Dunque, rispetto agli assi baricentrici, xsc = (0, −39 mm). La sezione `e quindi soggetta ad un taglio T1 = P ed ad un momento torcente rispetto al centro di taglio negativo (ruota in senso discorde rispetto a e3 ) di intensit` a sc sc P |xsc 2 |, ovvero Mt = T1 x2 , come si poteva subito sc dedurre dalla (8.31): Mtsc = Mt + T1 xsc 2 − T2 x1 .
349
xsc x1
P
x2
Il taglio T1 indurr` a delle tensioni τ s , mentre il momento torcente produrr` a delle t tensioni τ che verranno determinate tramite la teoria sviluppata nel precedente capitolo. Infatti, come spiegato nella Sezione 8.4, il carico P pu` o essere decomposto in due contributi: xsc
xsc
P xsc P P
|Mtsc |
P ≡
≡
xsc T1 = P
+
Iniziamo calcolando τ t . Utilizzando la (10.30) e la (10.38), il momento d’inerzia torsionale risulta 1 Jt = (b + h)s3 = 66666.7 mm4 3 e tramite la (10.40) deduciamo t τmax =
Mtsc s = 87.75 N/mm2 . Jt
Valutiamo ora τ s tramite la formula di Jourawski (11.20): T1 S2∗ τνs = − . J2 b ∗ Il momento d’inerzia J2 risulta J2 =
1 3 1 3 sb + hs = 436666.7 mm4 12 12
ζ x1
e, con riferimento alla figura a fianco, il momento statico S2∗ `e b−ζ S2∗ (ζ) = −ζs . 2
x2
Il minimo valore che assume S2∗ `e per ζ = (b − s)/2 e risulta b−s b2 − s 2 ) = −s = −7875 mm3 2 8 e quindi il massimo valore di τ1s `e min S2∗ = S2∗ (
max τ1s = −
T1 min S2∗ = 27.05 N/mm2 . J2 s
` semplice verificare che le uniche τ s diverse da zero sono quelle riportate nel grafico E sottostante.
350
11 Flessione e taglio
xA
xB τs
τt
Dai grafici risulta che i punti maggiormente sollecitati sono xA e xB . La tensione in questi punti vale t τ1 (xA ) = τmax + max τ1s = 87.75 + 27.05 = 114.80 N/mm2
e la tensione ideale risulta σid (xA ) =
√
3τ1 (xA ) = 198.83 N/mm2 . 4
La sezione `e dunque verificata.
La sezione a C `e il tipico esempio in cui non `e immediato determinare il centro di taglio. La sezione, rappresentata a fianco, presenta un’asse di simmetria ortogonale, l’asse x1 , e pertanto xsc 2 = 0. In base alla (11.3), per determinare xsc e sufficiente considerare un taglio T2 . 1 ` Per calcolare le τ s con la formula di Jourawski, dapprima consideriamo una porzione di sezione parametrizzata da ζ1 . Per tale porzione si ha h t b∗ = t, S1∗ = −tζ1 ( − ) 2 2 e
ζ1
a
x1
ζ2
h x2 t
e ∗ b T S T 2 2 1 τ1s = − = (h − t)ζ1 . (11.25) J 1 b∗ 2J1 Mentre, considerando la porzione di regione parametrizzata tramite ζ2 si ha b∗ = a, e τ2s = −
S1∗ = tb(
h t h ζ2 − ) + aζ2 ( − t − ) 2 2 2 2
i T2 S1∗ T2 h tb = (h − t) + (h − 2t − ζ )ζ 2 2 . J 1 b∗ 2J1 a
Le tensioni hanno l’andamento riportato nella figura seguente.
(11.26)
11.3 Centro di taglio approssimato
351
H
V
H Indichiamo con H la risultante delle tensioni τ s sul rettangolo orizzontale superiore e con V la risultante delle τ s sul rettangolo verticale. Dunque, ˆ
b−a
τ1s dζ1 =
H := t 0
T2 t(h − t)(b − a)2 J1 4
e ˆ
h−2t
τ2s dζ2 =
V := a 0
T2 h (h − 2t)3 (h − 2t)3 i tb(h − t)(h − 2t) + a −a . 2J1 2 3
Osserviamo che H e V sono esatte, ovvero rappresentano le relative risultanti senza introdurre nessuna approssimazione (perch´e?). Visto che il momento d’inerzia della sezione risulta 1 1 h t J1 = a(h − 2t)3 + 2 t3 b + bt( − )2 , 12 12 2 2 possiamo riscrivere V come i T2 h (h − 2t)3 tb a + (h − t)(h − 2t) J1 12 2 h i 3 T2 (h − 2t) tb tb = a + (h − t)2 − (h − t)t J1 12 2 2 i T2 h 1 3 tb = J1 − t b − (h − t)t J1 6 2
V =
e ottenere
bt2 V = T2 1 − 3h − 2t) . 6J1
La (11.3) conduce a ˆ T2 xsc 1 da cui ricaviamo
=
a τ s · x⊥ dL 2 = H(h − t) + V (e − ) 2 ω
(11.27)
352
11 Flessione e taglio
xsc 1 =
t(h − t)2 (b − a)2 bt2 a + (1 − 3h − 2t))(e − ). 4J1 6J1 2
(11.28)
Ricordando che τ s sono le tensioni che s’instaurano quando Mtsc = 0, si ricordi i presupposti enunciati all’inizio del capitolo e se non `e sufficiente si rilegga la Sezione 8.4, si ha che le tensioni calcolate, (11.25) e (11.26), corrispondono ad un taglio T2 applicato nel centro di taglio.
x1
T2 ≡
xsc 1 x2 xP
Per calcolare la posizione del centro di taglio era sufficiente calcolare la risultante orizzontale H. Infatti, il momento torcente dovuto alle τ s calcolato rispetto al generico punto xP `e ˆ P sc P τ s · (x − xP )⊥ dL 2 = −T1 (xsc (11.29) 2 − x2 ) + T2 (x1 − x1 ), ω
come risulta dalla (11.3) ed (8.25). Quindi, indicando con xP l’intersezione tra le linee medie di un rettangolo orizzontale e di quello verticale si ha P T2 (xsc 1 − x1 ) = H(h − t).
I valori di xsc 1 che si ottengono con quest’ultima formula e la (11.28) coincidono solo quando V = T2 , ovvero quando vengono trascurati i termini in t2 . Questo comportamento, apparentemente anormale, `e una conseguenza dell’aver usato un metodo di calcolo approssimato. Per sezioni effettivamente sottili entrambi le equazioni sono accettabili.
11.3 Centro di taglio approssimato
Esercizio 11.17. Per la sezione a C rappresentata in figura determinare il centro di taglio, le tensioni tangenziali dovute ad un taglio T2 = 30 kN applicato al centro di taglio. Inoltre, si valuti l’aliquota del taglio assorbita dall’anima. U 100 Altezza h :=100 mm Larghezza base b :=50 mm Spessore anima a :=6 mm Spessore ali t :=8.5 mm 5
353
a
x1
h x2 t e b
Soluzione. Con semplici conti si ottiene che e, la quota che determina il baricentro (si veda la figura), risulta e = 16.9 mm e J1 = 207 cm4 . Dalla (11.28) ricaviamo xsc 1 = 28.1 mm mentre dalle (11.25) ed (11.26) otteniamo i valori di τ s riportati nel diagramma sottostante. 29.2 N/mm2 47.0 N/mm2 30 kN x1
≡
28.1 mm
59.4 N/mm2
x2
Infine, dalla (11.27) si ottiene V = 27.53 kN e quindi l’aliquota del taglio assorbita dall’anima `e V = 91.8%. T2 Meno del 9% del taglio viene assorbito dai due rettangoli orizzontali. 4
354
11 Flessione e taglio
Esercizio 11.18. Siano x1 e x2 gli assi baricentrici e principali d’inerzia. Determinare le tensioni tangenziali dovute ad un carico applicato nel centro di taglio di componenti T1 = 50 kN e T2 = 80 kN rispetto agli assi principali d’inerzia. Determinare inoltre il centro di taglio. h :=95 mm m :=55 mm b :=50 mm r :=5 mm s :=7 mm t :=5 mm 5
r
s h m t
x ˜1 b
x ˜2
Soluzione. Con gli assi x ˜1 e x ˜2 fissati come in figura e con ovvio significato dei simboli si ha A = hr + bt + ms = 11.10 cm2 Sx˜1 = −h2 r/2 − bt2 /2 − m2 s/2 = −33.78 cm3 Sx˜2 = hr(b + s + r/2) + bt(b/2 + s) + ms2 /2 = 37.61 cm3 x ˜1G = Sx˜2 /A = 3.39 cm x ˜2G = Sx˜1 /A = −3.04 cm Jx˜1 = h3 r/3 + bt3 /3 + m3 s/3 = 181.92 cm4 Jx˜2 = (m − t)s3 /3 + (b + s)3 t/3 + hr3 /12 + hr(b + s + r/2)2 = 199.70 cm4 Jx˜1 x˜2 = hr(b + s + r/2)(−h/2) + bt(b/2 + s)(−t/2) + ms(s/2)(−m/2) = −139.95 cm4 . I momenti d’inerzia rispetto ad assi baricentrici risultano: Jx¯1 = Jx˜1 − A˜ x22G = 79.15 cm4
˜G x
x ¯1 x ˜1
Jx¯2 = Jx˜2 − A˜ x21G = 72.26 cm4 Jx¯1 x¯2 = Jx˜1 x˜2 − A˜ x1G x ˜2G = −25.51 cm4 .
x ¯2
x ˜2
Per valutare gli assi principali d’inerzia utilizziamo il cerchio di Mohr.
79.15 49.96 25.51 −Jx1 x2
72.26 2ϑ
(79.15, 25.51)
101.45 Jx 1 , J x 2
11.3 Centro di taglio approssimato
355
La coordinata c1 del centro del cerchio `e c1 =
Jx¯1 + Jx¯2 = 75.71 cm4 . 2
Dalla figura si deduce che il raggio r e l’angolo 2ϑ sono q 1 −Jx¯1 x¯2 r = (Jx¯1 − c1 )2 + Jx¯21 x¯2 = 25.74 cm4 e ϑ = arctan = 41.15◦ . 2 Jx¯1 − c1
Inoltre, si ha J1 = Jx1 = c1 + r = 101.45 cm4 ,
x ¯1
J2 = Jx2 = c1 − r = 49.96 cm4 .
˜G x
x1
x2 x ¯2 Note le grandezze geometriche possiamo iniziare il calcolo delle tensioni tangenziali. Per applicare la formula di Jourawski consideriamo la regione parametrizzata da ζ1 . Il baricentro di tale regione ha coordinate ζ1 r (1) x ¯1 = b + s + − x ˜1G = 25.6 mm 2 ζ1 ζ1 (1) x ¯2 = −(h − − |˜ x2G |) = −64.6 + mm 2 2 ˜G x x ¯1 e dunque rispetto agli assi principali d’inerzia ha coordinate ! x1 (1) x1 cos 41.15◦ sin 41.15◦ 25.6 x2 = , (1) x ¯2 − sin 41.15◦ cos 41.15◦ −64.6 + ζ1 /2 x2 come visto nell’Esercizio 9.8. Troviamo (1) x1 = −23.2 + 0.33ζ1 mm e
(1)
x2 = −65.5 + 0.38ζ1 mm.
Quindi i momenti statici della regione considerata sono S1∗ = rζ1 x2 = −327.5ζ1 + 1.9ζ12 (1)
e
S2∗ = rζ1 x1 = −116ζ1 + 1.65ζ12 (1)
e dalla formula di Jourawski, (11.20), con b∗ = r, otteniamo τνs = −
T1 S2∗ T2 S1∗ T1 T2 − = (116ζ1 − 1.65ζ12 ) + (327.5ζ1 − 1.9ζ12 ). ∗ J2 b J1 b∗ J2 r J1 r
Da questa identit` a, utilizzando la (11.29) possiamo determinare la posizione del centro di taglio.
356
11 Flessione e taglio
Infatti, scegliendo xP come in figura ed indicando con V la risultante delle tensioni appena calcolate: ˆ h V :=r τνs dL 1
V
0
T1 h2 h3 T2 h2 h3 = (116 − 1.65 ) + (327.5 − 1.9 ), J2 2 3 J1 2 3
˜G x
x ¯1
xP
la (11.29) si scrive come
x1
hT
1
J2
(116
x2
x ¯2
s r P sc P V (b + + ) = −T1 (xsc 2 − x2 ) + T2 (x1 − x1 ), 2 2 da cui ricaviamo
h2 h3 T2 h2 h3 i s r − 1.65 ) + (327.5 − 1.9 ) (b + + ) 2 3 J1 2 3 2 2 P sc P = −T1 (xsc 2 − x2 ) + T2 (x1 − x1 ).
Dovendo valere per ogni T1 e T2 si deduce che P xsc 1 = x1 +
1 h2 h3 s r (327.5 − 1.9 )(b + + ) J1 2 3 2 2
e xsc 2
=
xP 2
˜G x
1 h2 h3 s r − (116 − 1.65 )(b + + ). J2 2 3 2 2 x1
Visto che x ¯P ¯P 1 = −30.4 mm e x 2 = 27.9 mm, tramite la matrice di rotazione, ricaviamo xP 1 = −4.5 mm ex ¯P 2 = 41.0 mm e quindi xsc 1
= 43.2 mm
e
xsc 2
x2 x
sc
= 33.3 mm.
Calcoliamo ora le tensioni nei rimanenti tratti della sezione. Procedendo come fatto per la regione parametrizzata da ζ1 ed utilizzando una simile notazione, per la regione parametrizzata da ζ2 troviamo S1∗ = −327.5 95 + 1.9 952 + tζ2 x2
(2)
= −13965 + 29.1ζ2 + 1.6ζ22 S2∗ = −116 95 + 1.65 952 + tζ2 x1
(2)
= 3871.2 + 178.9ζ2 −
˜G x
x ¯1
1.9ζ22 x1
e
ζ2
T1 T2 (3871.2+178.9ζ2 −1.9ζ22 )− (−13965+29.1ζ2 +1.6ζ22 ). J2 t J1 t Analogamente, per la regione parametrizzata da ζ3 si ha τνs = −
S1∗ = sζ3 x2 = 10.4ζ2 + 2.6ζ22 (3)
S2∗ = sζ3 x1 = −273.3ζ2 + 2.3ζ22 (3)
e
ζ3
x ¯2
x2
11.3 Centro di taglio approssimato
357
T1 T2 (−273.3ζ2 + 2.3ζ22 ) − (10.4ζ2 + 2.6ζ22 ). J2 s J1 s Inserendo i valori numerici nelle espressioni delle τ s trovate, otteniamo i seguenti diagrammi τνs = −
τ s dovute a T1 [ N/mm2 ]
58.5
τ s dovute a T2 [ N/mm2 ]
101.2
77.5
222.1
162.3
80.1
220.2
132.3
Sommandoli otteniamo le tensioni dovute al taglio prescritto. τs [ N/mm2 ] ≡ ˜G x
163.6
x1 50 kN
80 kN
x2
21.1
142.5
30
xsc
4
Osservazione 11.19. L’esercizio precedente si risolve pi` u agevolmente utilizzando l’Esercizio 11.9, ovvero tramite la formula di Jourawski valida per assi baricentrici ma non necessariamente principali d’inerzia. Ad esempio, calcoliamo la tensione tangenziale nel punto xA rappresentato in figura. Indichiamo con x ¯1 e x ¯2 gli assi baricentrici ma non principali d’inerzia (come nell’esercizio precedente) e proiettiamo i carichi applicati ˜G x lungo tali assi x ¯1 T¯1 = −14.99 kN
e
T¯2 = 93.14 kN.
Con la notazione introdotta la (11.22) si riscrive come
xA
x ¯2
93.14 kN 14.99 kN
358
11 Flessione e taglio
τνs = −
S2∗ Jx¯1 − S1∗ Jx¯1 x¯2 ¯ S ∗ Jx¯ − S2∗ Jx¯1 x¯2 ¯ T1 − 1 2 T2 . 2 ∗ (Jx¯1 Jx¯2 − Jx¯1 x¯2 )b (Jx¯1 Jx¯2 − Jx¯21 x¯2 )b∗
(11.30)
Ricordando che Jx¯1 = 79.15 cm4 ,
Jx¯2 = 72.26 cm4 ,
Jx¯1 x¯2 = −25.51 cm4 ,
e visto che b∗ = r = 0.5 cm e che h −x ˜2G ) = −8.82 cm3 , 2 r S2∗ = (h − t)r(b + s + − x ˜1G ) = 11.56 cm3 , 2 S1∗ = −(h − t)r(
2
dalla (11.30) otteniamo τνs = 166.6 N/mm . Valore che, a meno di errori di arrotondamento, coincide con il valore trovato nell’esercizio precedente. ♦ Esercizio 11.20. La sezione in figura `e soggetta ad un taglio T1 = 3 kN. Determinare le tensioni tangenziali, assumendo il raggio della linea media r = 5 cm e lo spessore t = 4 mm. Si assuma t r. 5
xG x1
T1 x2
Soluzione. Procediamo come nell’Esercizio 11.10. Per applicare Jourawski consideriamo la sezione ω ∗ rappresentata in figura. Dato che T2 = 0 la formula di Jourawski, (11.20), si riduce a τνs = −
ν
T1 S2∗ . J2 b∗
dove b∗ = t, si veda la notazione introdotta x ˜1 nell’Esercizio 11.10, ed ˆ ˆ ϑ ˆ t/2 S2∗ = x1 dL 2 ≈ −r cos α r dζ dα = −r2 t sin ϑ. ω∗
0
ϑ x ˜2
−t/2
Il momento d’inerzia J2 `e stato calcolato nell’Esercizio 11.10, J2 = πr3 t/2 e quindi 2T1 τνs = sin ϑ. (11.31) πrt Per calcolare il centro di taglio applichiamo la (11.29), con xP l’origine degli assi x ˜1 ex ˜2 : ˆ ˆ ˆ π
τ s · (x − xP )⊥ dL 2 ≈
P −T1 (xsc 2 − x2 ) =
ˆ
ω π
ˆ
t/2
r2 0
rτνs r dζ dϑ 0
= −t/2
t/2
−t/2
2T1 4T1 r sin ϑ dζ dϑ = πrt π
11.3 Centro di taglio approssimato
359
da cui ricaviamo
4r . π Le tensioni tangenziali date dalla (11.31) sono le tensioni che corrispondono ad un taglio T1 applicato al centro di taglio. P xsc 2 − x2 = −
xsc T1 4r π
≡ ϑ τνs
ϑ π
π/2
Il valore massimo delle tensioni calcolate `e 2T1 2 3 103 = = 9.5 N/mm2 . πrt π 50 4 Per calcolare le tensioni dovute ad un taglio applicato al baricentro dobbiamo sommare alle tensioni trovate le tensioni prodotte da un momento torcente Mtsc = −T1 e, come dimostra lo schema sottostante. max τνs =
xsc
xsc T1
xG T1
T1
≡
e
xG
+
T1
Dall’Esercizio 11.10 sappiamo che |x2G | = 2r/π e quindi P e = |xsc 2 − x2 | − |x2G | =
4r 2r 2r − = π π π
e
Mtsc = −T1
2r = −0.095 kNm. π
La rigidezza torsionale `e Jt =
πrt3 = 3351.0 mm4 3
xA
e quindi le tensioni dovute al momento torcente sono, (10.35), Mtsc 0.095 106 4 = 113.4 N/mm2 . t= Jt 3351.0 Queste tensioni vanno sommate a quelle che corrispondono ad un taglio applicato nel centro di taglio. La tensione massima la si avr` a quindi nel punto xA : τt =
max τ = τ (xA ) = τ t (xA ) + τ s (xA ) = 9.5 + 113.4 = 122.9 N/mm2 . 4
360
11 Flessione e taglio
11.4 Sezioni multi-connesse sottili Iniziamo considerando una sezione ω con un solo buco. La sezione `e descritta tramite una curva media chiusa γ ◦ parametrizzata dalla lunghezza d’arco. Indichiamo con t◦ := (γ ◦ )0 e n◦ := −(t◦ )⊥ la tangente e la normale alla curva γ ◦ . La sezione pu`o essere descritta come a a b(s) b(s) ω := γ ◦ (s) + ζn◦ (s) : s ∈ [− , ), ζ ∈ (− , ) , 2 2 2 2 dove b(s) `e lo spessore della sezione in prossimit` a dell’ascissa curvilinea s. Il problema che determina τ s `e (11.1): γ0 t◦
γ1 x1
x3
s
n
ζ
n◦
div τ s = −σ s · x in ω, s s ⊥ in ω, curl τ = ν¯σ · x s su ∂ω, (11.32) τ ˛ ·n=0 τ s + ν¯σ s · γ γ = 0. γ1
t
Dato che la sezione `e sottile possiamo assumere, si veda la Sezione 11.2, che x2
τ s = τ s (s)t◦ (s).
(11.33)
In generale, la formula di Jourawski non `e utilizzabile per determinare τ s . Un segmento che taglia in due parti la sezione produce due corde C1 e C2 , relativamente “corte” ma possibilmente distanti tra di loro. Tramite la formula di Jourawski `e possibile determinare la media di τ s su C1 ∪ C2 , ma tale media, in generale, `e diversa dalla media di τ s su una singola corda Cα . t◦ (s)
ω∗ −t◦ (s0 )
ν C1
ν C2
Conviene procedere considerando due segmenti. Tagliamo la sezione in prossimit` a delle coordinate s0 ed s con dei segmenti ortogonali alla linea media e denotiamo con ω ∗ una delle due parti di sezione ottenute con questi due tagli. Dalla prima delle (11.32), otteniamo ˆ ˆ s 2 div τ dL = − σ s · x dL 2 ω∗
ω∗
e procedendo come nella Sezione 11.2 deduciamo che il membro a destra `e ˆ T1 T2 − σ s · x dL 2 = − S2∗ − S1∗ J J1 2 ω∗
11.4 Sezioni multi-connesse sottili
361
mentre quello a sinistra, risulta ˆ ˆ div τ s dL 2 = τ s · n dL 1 = τ s (s)b(s) − τ s (s0 )b(s0 ) ω∗
∂ω ∗
grazie alla (11.33) e alla terza delle (11.32). Dunque, τ s (s)b(s) − τ s (s0 )b(s0 ) = −
T1 ∗ T2 ∗ S − S , J2 2 J1 1
(11.34)
dove S1∗ ed S2∗ sono i momenti statici di ω ∗ che quindi dipendono da s ed s0 . Questa equazione ci permette di determinare τ s (s), con s generico, se `e noto il valore di τ s in un punto. In generale, per determinare tale valore, `e necessaria un’altra equazione. Se la sezione ha una simmetria ortogonale e il taglio agisce su tale asse, le tensioni tangenziali τ s ereditano delle simmetrie. Ad esempio, se l’asse x2 `e di simmetria e T1 = 0, allora, come visto nel Teorema 8.13, si ha τ1s (x1 , x2 ) = −τ1s (−x1 , x2 )
e
τ2s τ1s
τ2s (x1 , x2 ) = τ2s (−x1 , x2 ). τ1s (0, x2 )
τ2s τ1s x2
−τ1s (0, x2 )
Dunque, sull’asse x2 risulta = da cui deduciamo che τ1s (0, x2 ) = 0 e quindi τ s `e nullo su tutti i punti che intersecano l’asse x2 . Pertanto, se la sezione ha un asse di simmetria ed `e caricata parallelamente a tale asse, la (11.34) ci permette, prendendo il punto determinato da s0 sull’asse di simmetria, di valutare le tensioni τ s in tutti i punti della sezione. Esercizio 11.21. Una sezione tubolare rettangolare `e soggetta ad un taglio T1 = 30 kN. Sapendo che il rettangolo ha larghezza b = 4 cm, altezza h = 8 cm e spessore costante s = 0.3 cm, si calcolino le tensioni tangenziali nella sezione. 5
x1
T1 x2
Soluzione. Per motivi di simmetria i punti di coordinata x2 = 0 avranno tensione nulla. Prendiamo quindi come “s0 ” i punti di coordinata x2 = 0 ed x1 negativa. Inoltre parametrizziamo la sezione come in figura. z2
z1 z3
362
11 Flessione e taglio
Con questa scelta la (11.34) si riduce a T1 ∗ S2 . J2 Non rimane che calcolare le quantit` a coinvolte. Il momento d’inerzia risulta τ s (s)b(s) = −
1 1 b s s(b − 2s)3 + 2( hs3 + hs( − )2 ) 12 12 2 2 = 18.43 cm4
120.46 111.43
120.46 111.43
J2 = 2
e i momenti statici sono: b−s , 2 b−s b z2 S2∗ (z2 ) = −sh − sz2 ( − s − ), 4 2 2 b−s b−s ∗ S2 (z3 ) = −sh + sz3 . 4 2
τs [ N/mm2 ]
S2∗ (z1 ) = −sz1
111.43 120.46
111.43 120.46
Le tensioni risultanti sono rappresentate nella figura a fianco. 4
Nel caso in cui la sezione non ha assi di simmetria o non `e caricata parallelamente ad un eventuale asse di simmetria, possiamo utilizzare la quarta equazione del problema (11.32). Nell’applicarla, visto che la sezione `e sottile, possiamo confondere la curva γ 1 , che definisce il buco, con la linea media della sezione γ ◦ : ˛ τ s + ν¯σ s · γ γ = 0. γ◦
Spezziamo l’integrale in due parti ˛ ˆ ˆ s s ◦ ◦ τ = τ (s)t (s) · t (s) ds = γ◦
e
γ◦
τ s (s) ds, γ◦
˛
ˆ ν¯σ s · γ(s) γ(s) · t◦ (s) ds
s
ν¯σ · γ γ = γ◦
ˆ
γ◦
ν¯σ s · γ(s) γ ⊥ (s) · (t◦ )⊥ (s) ds
= γ◦
ˆ ν¯σ s · γ(s) γ ⊥ (s) · n◦ (s) ds.
=− γ◦
Applicando il teorema della divergenza ed indicando con Int γ ◦ la regione contenuta nella linea media γ ◦ , si ottiene ˛ ˆ ν¯σ s · γ γ ⊥ = −¯ ν div (σ s · x x⊥ ) dL 2 . ◦ ◦ γ Int γ
11.4 Sezioni multi-connesse sottili
363
Il termine T1 T2 x 1 + x 2 ) x⊥ J2 J1 T1 T2 T1 T2 = −( x1 + x2 )x2 e1 + ( x1 + x2 )x1 e2 J2 J1 J2 J1
σ s · x x⊥ = (
e quindi la sua divergenza risulta div (σ s · x x⊥ ) = − Pertanto, ˛ ˆ ν¯σ s · γ γ ⊥ = −¯ ν γ◦
T1 T2 x2 + x1 . J2 J1
div (σ s · x x⊥ ) dL 2 = −¯ ν (− Int
γ◦
T1 ◦ T2 ◦ S + S ), J2 1 J1 2
dove S1◦ e S2◦ sono i momenti statici della regione racchiusa dalla linea media attorno al buco γ ◦ . In conclusione, la quarta equazione del problema (11.32) `e equivalente a ˆ T1 T2 τ s (s) ds = ν¯(− S1◦ + S2◦ ). (11.35) J2 J1 γ◦ Osservazione 11.22. Nella letteratura tecnica molto spesso si trova postulato che ˆ τ s (s) ds = 0. γ◦
Nel caso in cui il coefficiente di Poisson `e uguale a zero questa equazione corrisponde alla (11.35). ♦ Le equazioni (11.34) e (11.35) ci permettono di determinare le tensioni tangenziali in una generica sezione con un solo buco. Introducendo i flussi q s (s) := τ s (s)b(s) e ponendo q0s = q s (s0 ), possiamo riscrivere la (11.34) come q s (s) = q0s −
T1 ∗ T2 S (s) − S1∗ (s), J2 2 J1
(11.36)
dove abbiamo reso esplicita la dipendenza di Sα∗ da s, e la (11.35) come ˆ q s (s) T1 T2 ds = ν¯(− S1◦ + S2◦ ). (11.37) b(s) J J1 ◦ 2 γ Sostituendo la (11.36) nella (11.37) otteniamo ˆ ˆ ˆ 1 T1 ◦ S2∗ (s) T2 ◦ S1∗ (s) q0s ds = − ν¯S1 − ds + ν¯S2 + ds J2 J1 γ ◦ b(s) γ ◦ b(s) γ ◦ b(s) (11.38)
364
11 Flessione e taglio
che ha come unica incognita q0s . Nota questa costante `e possibile determinare q s tramite la (11.36) e quindi τ s (s) = q s (s)/b(s). Esercizio 11.23. Ad una sezione tubolare rettangolare `e applicato, nel baricentro un carico verticale P . Il rettangolo ha altezza h, spessore P di tre lati uguale a s e il quarto uguale a t e bax1 se di larghezza b + s + t. Si calcolino le tensioni tangenziali per ν = 0 e ν = 0.33, assumendo x2 P = 40 kN, h = 80 mm, b = 40 mm, s = 2 mm e t = 4 mm. 5 Soluzione. Iniziamo calcolando il baricentro della sezione. Con gli assi come in figura, si ha A = 2bs + hs + ht = 6.40 cm2 , ht2 b s + 2bs( + t) + hs(t + b + ) = 11.68 cm3 , 2 2 2 Sx˜2 x1G = = 1.83 cm, A 1 3 1 3 1 h s J1 = th + sh + 2( bs3 + bs( − )2 ) = 49.94 cm4 . 12 12 12 2 2 Sx˜2 =
x ˜1
x ˜2
Scegliamo come coordinata “s0 ” il punto di coordinata x2 = 0 nel tratto di lato di spessore t. La parametrizzazione che useremo `e rappresentata nella figura che segue. z2 z1
z3 z5 z4
La (11.38) nel nostro caso si riduce a ˆ ˆ S1∗ (s) 1 T2 ◦ q0s ds = ν¯S2 + ds . J1 γ ◦ b(s) γ ◦ b(s) Procediamo calcolando S1∗ . Si ha
(11.39)
11.4 Sezioni multi-connesse sottili tz12 , 2 2 h t h−s S1∗ (z2 ) = − − sz2 , 8 2 2 h t h−s h − z3 S1∗ (z3 ) = − − sb − sz3 , 8 2 2 h2 t h−s h−s S1∗ (z4 ) = − − sb + sz4 , 8 2 2 h2 t h − z5 S1∗ (z5 ) = − + tz5 , 8 2 S1∗ (z1 ) = −
e quindi ˆ ˆ h/2 ∗ ˆ b ∗ ˆ h ∗ S1∗ (s) S1 (z1 ) S1 (z2 ) S1 (z3 ) ds = dz1 + dz2 + dz3 t s s γ ◦ b(s) 0 0 0 ˆ b ∗ ˆ h/2 ∗ S1 (z4 ) S1 (z5 ) + dz4 + dz5 s t 0 0 =
b2 s b2 h bh2 h3 h3 t bhs bh2 t − − − − + − = −507.20 cm3 . 2 2 2 8 8s 2 4∗s
Inoltre S2◦ = (b + ˆ
e
γ◦
s t 1 s t t + )(h − s)( (b + + ) + − x1G ) = 17.61 cm3 2 2 2 2 2 2
1 s t 1 h−s h−s ds = 2(b + + ) + + = 101.50. b(s) 2 2 s s t
Sostituendo nella (11.39), con T2 = P , si ottiene ( −4 kN/ cm per ν = 0, s qo = −3, 97 kN/ cm per ν = 0.33. Tramite la (11.36): T2 ∗ S1 (s), J1 determiniamo i flussi, che per ν = 0, risultano q s (s) = q0s −
1.06
2.34
1.06
1.44
qs [ kN/ cm]
4.00
1.44
71.97 35.98
52.98
117.06
52.98
τs [ N/mm2 ]
100.06
35.98 71.97
365
366
11 Flessione e taglio
dove il diagramma delle τ s `e stato ottenuto tramite l’equazione τ s (s) = q s (s)/b(s). Determiniamo ora il centro di taglio. Indichiamo le risultanti delle τ s sui quattro lati con Vd , Ha , Vs e Hb con l’orientazione rappresentata in figura. Indichiamo le risultanti delle τ s sui quattro lati con Vd , Ha , Vs e Hb con l’orientazione rappresentata in figura. Queste si determinano per semplice integrazione dei flussi. Ad esempio ˆ b T2 ∗ Ha = q0s − S1 (z2 ) dz2 . J1 0
Ha
Vd
Vs Hb
Risultano Vd = −25.18 kN,
Ha = −0.76 kN,
Vs = 15.31 kN,
Hb = −0.76 kN.
Da queste risultanti otteniamo agevolmente il momento torcente prodotto dalle τ s : ˆ h s h s t s τ s · x⊥ dL 2 = Ha ( − ) + Hb ( − ) + Vd (x1G − ) + Vs (t + b + − x1G ) 2 2 2 2 2 2 ω = −5.89 kN cm e tramite la (11.3) ricaviamo ˆ 1 xsc = τ s · x⊥ dL 2 = −0.15 cm = −1.5 mm. 1 T2 ω Il momento torcente rispetto al centro di taglio, risulta, volendo dalla (8.31), uguale a
P xG
xsc
Mtsc = −T2 xsc 1 = 5.89 kN cm. Con
s t + ) = 33.54 cm2 2 2 e tramite la prima formula di Bredt, (10.51), troviamo ( 4.39 N/mm2 per b(s) = s, Mt τ t (s) = = ◦ 2A b(s) 2.19 N/mm2 per b(s) = t. A◦ = (h − s)(b +
La tensione tangenziale massima `e τ = 117.06 + 4.39 = 121.45 N/mm2 . Per ν = 0.33, con conti simili, si trova che la tensione τ s massima `e pari a t 118.78 N/mm2 , il centro di taglio `e xsc e uguale 1 = 0.9 mm e il massimo valore della τ ` 2 a 2.70 N/mm . Infine, la tensione tangenziale massima risulta τ = 118.78 + 2.70 = 121.48 N/mm2 . 4
Nel caso di pi` u buchi si procede in modo analogo. Ad esempio, consideriamo la sezione rappresentata in figura con due buchi.
11.5 Fattori di taglio
367
xA z3 z1
x3
x1
z2
x2 xB Parametrizziamio i tre rami, a partire dal punto xA fino al punto xB , attraverso tre coordinate curvilinee z1 , z2 e z3 . Utilizzando la (11.34), abbiamo T1 ∗ S (z1 ) − J2 2 T1 s τ s (z2 )b(z2 ) = q20 − S2∗ (z2 ) − J2 s τ s (z1 )b(z1 ) = q10 −
T2 ∗ S (z1 ), J1 1 T2 ∗ S (z2 ), J1 1
dove abbiamo posto s q10 := τ s (z1 = 0+ )b(z1 = 0+ )
e
s q20 := τ s (z2 = 0+ )b(z2 = 0+ ).
Inoltre, facendo tre “tagli” e procedendo come fatto nel dedurre la (11.34) si giunge facilmente a s s τ s (z3 )b(z3 ) = −q10 − −q20 −
T1 ∗ T2 S (z3 ) − S1∗ (z3 ). J2 2 J1
s s Le tensioni sono dunque determinate a meno delle due costanti q10 e q20 . Queste vengono esplicitate, come nel caso di un solo buco, scrivendo le due equazioni di compatibilit`a attorno ai due buchi, ovvero imponendo la quarta equazione del problema (11.1) che `e stata riscritta, in forma esplicita, nella (11.35).
11.5 Fattori di taglio Nei capitoli precedenti abbiamo trovato una relazione tra sforzo normale e allungamento relativo dell’asse del cilindro come pure delle relazioni tra momento e curvatura, (9.1) e (9.10): N = EAε,
M1 = EJ1 κ1 ,
M2 = EJ2 κ2 .
Queste equazioni costitutive coincidono con quelle trovate, attraverso una cinematica vincolata, nella Sezione 5.7. L’equazione che lega il momento torcente alla rotazione relativa della sezione, (10.19),
368
11 Flessione e taglio
Mt = µJt α30 invece non coincide con il risultato trovato nella Sezione 5.7. Questo `e dovuto al fatto che il cilindro sottoposto a torsione s’ingobba e quindi le sezioni non rimangono piane come ipotizzato nel modello cinematicamente vincolato che viene utilizzato nella Sezione 5.7. Malgrado ci` o la rotazione W21 di ciascun punto di una sezione `e costante W21 (x1 , x2 , x3 ) = α3 (x3 ), come prescritto dal Teorema 10.4, e quindi risulta agevole individuare l’equazione costitutiva per il momento torcente. Nel caso di flessione e taglio le rotazioni W13 e W23 non sono costanti sulle sezioni, come accade nel modello cinematicamente vincolato (con α30 = 0) considerato nella Sezione 2.9, e quindi possiamo definire gli scorrimenti γ1 e γ2 , lungo le direzioni 1 e 2, tra la sezione e l’asse del cilindro solo attraverso qualche “media”. Faremo ci`o imponendo l’uguaglianza tra il lavoro virtuale interno del modello uno dimensionale ˆ ` i ˜ 1 κ1 + M ˜ 2 κ2 dL 1 L(1D)v = T˜1 γ1 + T˜2 γ2 + M 0
e il lavoro virtuale interno del modello tridimensionale ˆ `ˆ i L(3D)v = 2T˜α3 Eα3 + T˜33 E33 dL 2 dL 1 , 0
ω
per dettagli si riveda la Sezione 4.2. Pi` u precisamente richiederemo che i i L(1D)v = L(3D)v
˜ α , dove le tensioni T˜α3 e T˜33 sono prodotte dalle caratteristiper ogni T˜α e M ˜ α e dove E33 = −κ2 x1 + κ1 x2 , si veda la (9.3). che di sollecitazione T˜α e M ˜ α, Utilizzando la formula di Navier, per mettere in corrispondenza T˜33 con M i i si deduce che L(1D)v = L(3D)v se e solo se ˆ
ˆ `ˆ
`
T˜1 γ1 + T˜2 γ2 dL 1 = 0
2T˜α3 Eα3 dL 2 dL 1 0
1 = µ
ω
ˆ `ˆ T˜α3 Tα3 dL 2 dL 1 . 0
ω
L’integrando che compare nella seconda riga si pu` o scrivere come T˜α3 Tα3 = τ˜νs τνs + τ˜νs⊥ τνs⊥ = τ˜νs τνs + τ˜νs τνs tan2 ζ = τ˜νs τνs (1 + tan2 ζ) T˜ S ∗ T˜2 S1∗ s 1 2 = − − τ (1 + tan2 ζ), ∗ J2 b J 1 b∗ ν dove abbiamo utilizzato la (11.23), τνs⊥ = τνs tan ζ, e la formula di Jourawski (11.20). i i Dunque L(1D)v = L(3D)v se e solo se
11.5 Fattori di taglio
ˆ
ˆ
`
`
T˜1 γ1 + T˜2 γ2 dL 1 = 0
0
1 µ
ˆ
−
ω
369
T˜1 S2∗ T˜2 S1∗ s − τ (1 + tan2 ζ) dL 2 dL 1 , J 2 b∗ J 1 b∗ ν
che dovendo valere per ogni T˜α implica, grazie al lemma fondamentale del calcolo delle variazioni, Lemma 4.9, che ˆ 1 S∗ γ1 = − 2 ∗ τνs (1 + tan2 ζ) dL 2 , µ ω J2 b ˆ 1 S∗ γ2 = − 1 ∗ τνs (1 + tan2 ζ) dL 2 . µ ω J1 b Riutilizzando la formula di Jourawski giungiamo a ˆ ˆ 1 S2∗ 2 1 S1∗ S2∗ 2 2 γ 1 = T1 (1 + tan ζ) dL + T (1 + tan2 ζ) dL 2 , 2 ∗ ∗ 2 µ µ ω J2 b ω J1 J2 (b ) ˆ ˆ S1∗ S2∗ 1 S1∗ 2 1 2 2 γ 2 = T1 (1 + tan ζ) dL + T (1 + tan2 ζ) dL 2 , 2 ∗ 2 ∗ µ µ ω J1 J2 (b ) ω J1 b e ponendo
ˆ χ1 S2∗ 2 := (1 + tan2 ζ) dL 2 , ∗ A ω J2 b ˆ χ2 S1∗ 2 := (1 + tan2 ζ) dL 2 , ∗ A J b ˆω 1 ∗ ∗ χ12 χ21 S1 S2 := := (1 + tan2 ζ) dL 2 , ∗ 2 A A ω J1 J2 (b )
(11.40)
con A l’area della sezione, possiamo scrivere γ1 =
χ1 χ12 T1 + T2 , µA µA
γ2 =
χ21 χ2 T1 + T2 . µA µA
(11.41)
Invertendo queste equazioni, si ottengono le equazioni costitutive che legano i tagli agli scorrimenti: χ2 χ12 µAγ1 − µAγ2 , χ1 χ2 − χ212 χ1 χ2 − χ212 χ1 χ12 T2 = µAγ2 − µAγ1 . χ1 χ2 − χ212 χ1 χ2 − χ212 T1 =
(11.42)
I coefficienti introdotti nella (11.40) vengono chiamati fattori di taglio, in particolare χα `e il fattore di taglio in direzione xα , mentre χ12 = χ21 `e il fattore di taglio mutuo.
370
11 Flessione e taglio
Esempio 11.24 (Sezione rettangolare). Consideriamo la sezione rettangolare di base b e altezza h soggetta ad un taglio T2 6= 0. Prendiamo una corda parallela all’asse x1 e distante s dalla base superiore e indichiamo con ω ∗ la parte della sezione avente normale esterna, lungo la corda, orientata come x2 . I momenti statici di ω ∗ sono S1∗ = −(
h s − )bs 2 2
ω∗
T2 x1
s
ν x2
S2∗ = 0.
e
Inoltre dall’Esempio 11.11 sappiamo che le tensioni sono parallele all’asse x2 e quindi ζ = 0, dove ζ `e l’angolo che compare nella (11.23), τνs⊥ = τνs tan ζ. Segue subito che χ1 = χ12 = 0 e che χ2 =
A b J22 b2
ˆ
h
( 0
h s 2 2 2 144bh b2 h5 6 − ) b s ds = 2 6 2 b = . 2 2 b h b 120 5
Dunque T2 =
µA 5 γ2 = µAγ2 . χ2 6 ♥
11.6 Esercizi Esercizio 11.25. La sezione rappresentata in figura, con quote in mm, `e soggetta a
20 10
T2 = 20 kN,
x1
M2 = 2 kNm, Mt = −0.3 kNm. Determinare il punto maggiormente sollecitato e la tensione ideale massima con il criterio di von Mises. 5
50 x2 10 20 10 20 10
Soluzione. Innanzitutto notiamo che la coordinata 1 del centro di taglio `e nulla, visto che x2 `e un asse di simmetria, e che Mtsc = Mt , come si pu` o dedurre dalla sc (8.31): Mtsc = Mt + T1 xsc 2 − T2 x1 .
11.6 Esercizi
371
Fissando gli assi come in figura, con semplici conti otteniamo A = 16 cm2 , Sx˜1 = 17 cm3 ,
x ˜1
x2G = 1.06 cm,
x ˜2 4
J2 = Jx˜2 = 65.33 cm , Jx˜1 = 79.33 cm4 , J1 = 61.35 cm4 . Il momento d’inerzia torsionale, con la partizione in rettangoli della regione come in figura, risulta Jt = 5.33 cm4 e la tensione massima dovuta al momento torcente, (10.35), `e Mt b = 52.29 N/mm2 . Jt Inoltre, dalla formula di Navier troviamo max τ t =
max σ = |
−M2 max x1 | = 107.15 N/mm2 . J1
Nei grafici sottostanti riportiamo le tensioni dovute al momento torcente e al momento flettente.
52.29 N/mm2
σ
τt
−107.15 N/mm2 +107.15 N/mm2
Valutiamo le tensioni dovute al taglio. I momenti statici S1∗ , utilizzando le dimensioni in cm, risultano S1∗ (ζ1 ) = −1 ζ1 (3.06 −
ζ1 ), 2
ζ3 x1
ζ2 ), 2 S1∗ (ζ3 ) = −1 3 1.5 − 1 ζ3 0.56. S1∗ (ζ2 ) = 1 ζ2 (4.96 −
x2 ζ2
Tramite la formula di Jourawski: τνs = − otteniamo le tensioni
ζ1
T2 S1∗ . J1 b∗
372
11 Flessione e taglio 18.32 N/mm2 14.67 N/mm2
xA
13.43 N/mm2 39.83 N/mm2
xB
τs
Analizzando i grafici, i punti critici sono xA e xB . Si osservi che in tali punti le τ t e le τ s sono concordi. Nel punto xA abbiamo σ = 107.15 N/mm2 , τ = 52.29 + 13.43 = 65.72 N/mm2 , p σid = 107.152 + 3 65.722 = 156.33 N/mm2 , mentre nel punto xB si ha σ = 15.31 N/mm2 , τ = 52.29 + 39.83 = 92.12 N/mm2 , p σid = 15.312 + 3 92.122 = 160.29 N/mm2 , 4
Dunque il punto maggiormente sollecitato `e xB .
Esercizio 11.26. Ad una sezione tubolare rettangolare di spessore 10 mm, di base 160 mm e altezza 120 mm vengono saldati, come in figura, due profili a L di lati 30 mm e 60 mm e di spessore 10 mm. La sezione `e soggetta a N = −600 kN, T2 = 90 kN, M1 = 3 kNm, Mt = −7 kNm.
x1 x2
Utilizzando il criterio di von Mises, verificare la sezione (σamm = 2 210 N/mm ). 5
11.6 Esercizi
P Esercizio 11.27. Una sezione tubolare rettangolare di spessore 5 cm, di base 110 cm e altezza 35 cm viene unita, come in figura, con una sezione ad U di altezza 50 cm, base 40 cm e spessore 2 cm. La tensione ammissibile del 2 materiale `e σamm = 160 N/mm . Verificare la sezione utilizzando il criterio di von Mises. 5 Esercizio 11.28. Una sezione a T ha spessore 10 mm, base 80 mm e altezza (totale) 160 mm. La tensione ammissibile del materiale 2 `e σamm = 160 N/mm . Nel baricentro della sezione sono applicate due forze, entrambi di intensit`a P , una orizzontale e una verticale. Utilizzando il criterio di von Mises, determinare il massimo valore che pu`o assumere P . 5
x1
P P x2
373
Riferimenti bibliografici
` inutile dire che esistono ottimi testi di Scienza delle Costruzioni. Mi limito E a citarne due, un po’ datati, che si distinguono per chiarezza e trattano il problema di de Saint-Venant in maniera non troppo diversa da quanto fatto in questo testo. • •
R. Baldacci. Scienza delle Costruzioni, UTET, 1984. A. Sollazzo, S. Marzano. Scienza delle Costruzioni vol. 2, UTET, 1988.
Validi testi in lingua inglese in cui, oltre alla teoria dell’elasticit` a, si trova anche il problema di de Saint-Venant sono: • •
A.E.H. Love. Treatise on the Mathematical Theory of Elasticity, Dover, 2003. I.S. Sokolnikoff. Mathematical Theory of Elasticity, McGraw-Hill, 1956.
Il testo di Love, purtroppo, utilizza una notazione anacronistica ma `e comunque un ottimo riferimento. La teoria dell’elasticit`a lineare pu`o essere approfondita in • •
M.E. Gurtin. The Linear Theory of Elasticity. Handbook of Physics, Vol. VIa/2, Springer, 1972. P. Podio Guidugli. A Primer in Elasticity, Kluwer Academic, 2000.
Infine, per coloro che sono interessati alla meccanica dei continui segnalo i seguenti due testi: • •
M.E. Gurtin. An Introduction to Continuum Mechanics, Academic Press, 1982. C. Truesdell. A First Course in Rational Continuum Mechanics, Academic Press, 2016.
© The Editor(s) (if applicable) and The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5
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Indice analitico
analogia della membrana, 280 analogia idrocinetica, 280 arbelo di Mohr, 101 asse di flessione, 253 asse di sollecitazione, 253 asse neutro, 252 assi baricentrici e principali d’inerzia, 272 assi principali d’inerzia, 272 assioma di Eulero, 80 baricentro, 266 campo irrotazionale, 60 caratteristiche di sollecitazione, 102 centro di pressione, 261 centro di taglio, 224 cerchio di Mohr, 95 coefficiente di dilatazione termica, 151 coefficiente di Poisson, 137 componenti di un tensore, 5 configurazione, 17 configurazione di equilibrio, 80 configurazione di riferimento, 19 configurazione omogenea, 122 coppia compatibile, 111 coppia congruente, 111 costanti di Lam´e, 132 criterio della massima tensione normale, 191 criterio di Couloumb, 191 criterio di Tresca, 195 criterio di von Mises, 196
decomposizione polare, 37 definizione di tensore, 5 deformazione, 19 deformazioni omogenee, 23 deformazioni rigide, 25 dilatazioni uniformi, 34 direzioni principali, 91 disuguaglianza di C´ea, 170 disuguaglianza di Korn, 72, 237 energia complementare, 176 energia potenziale, 173 equazione costitutiva, 121 equazione dei lavori virtuali per una trave, 119 equazione di compatibilit` a di Donati, 176 equazioni di compatibilit` a di de Saint-Venant, 52, 53 equazioni indefinite di equilibrio, 104 estensione infinitesima in una direzione, 50 estensioni in una direzione, 34 famiglia di curve non omotope di una regione, 61 fattori di taglio, 369 flessione deviata, 252 flessione retta, 248 flessione semplice, 247 formula di Cesaro, 59 formula di Jourawski, 336 formula di Nanson, 31, 32 formula di Navier, 219
© The Editor(s) (if applicable) and The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2022 R. Paroni, Scienza delle Costruzioni, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 143, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4020-5
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Indice analitico
formulazione debole del problema elastico, 162 formulazione forte del problema elastico, 161 forze di superficie, 77 forze di volume, 76 funzione degli sforzi, 278 funzione di ingobbamento, 282 funzione di Prandtl, 278 funzione di risposta, 121 funzione di snervamento, 188 gradiente di deformazione, 20 gradiente di spostamento, 23 gruppo di simmetria, 131 ipotesi di Bernoulli-Navier, 68 ipotesi di de Saint-Venant, 207 lavoro virtuale esterno, 113 lavoro virtuale interno, 113 lemma di localizzazione, 80 lemma fondamentale del calcolo delle variazioni, 114 linee isostatiche, 92 materiale elastico, 121 materiale elastico lineare, 123 materiale iperelastico lineare, 125 materiale isotropo, 132 materiali auxetici, 141 metodo di Galerkin, 166 metodo semi-inverso, 206 minimo dell’energia complementare, 177 minimo dell’energia potenziale, 173 modulo di elasticit` a tangenziale, 139 modulo di elasticit` a volumetrica, 140 modulo di Young, 137 momenti flettenti, 102 momenti principali d’inerzia, 273 momento centrifugo, 269 momento d’inerzia, 269 momento d’inerzia torsionale, 289 momento statico, 264 momento torcente, 102 nocciolo centrale d’inerzia, 262 notazione di Einstein, 4 piano di simmetria materiale, 144
piazzamento, 17 postulato di Cauchy, 78 potenziale elastico, 126 pressione idrostatica, 93 pressoflessione, 261 prima relazione di Cauchy, 85 principio di Cavalieri, 271 principio di de Saint-Venant, 215 problema elastico, 159 problema piano di deformazione, 71 problema piano di tensione, 107 prodotto diadico, 6 regione elastica, 188 rigidezza torsionale, 288 rotazioni, 25 rotore di un tensore, 44 scorrimenti lungo direzioni ortogonali, 35 scorrimento infinitesimo lungo direzioni ortogonali, 50 seconda relazione di Cauchy, 87 secondo tensore di Piola, 106 sforzi di taglio, 101 sforzo normale, 101 simmetria cubica, 148 simmetria del tensore di Cauchy, 88 simmetria monoclina, 144 simmetria ortotropa, 145 simmetria trasversalmente isotropa, 157 simmetrie minori, 124 spostamenti rigidi infinitesimi, 43 spostamento, 23 stato elastico, 160 superficie di snervamento, 188 taglio semplice in direzioni ortogonali, 93 tensione, 78 tensione normale, 91 tensione semplice in una direzione, 93 tensioni ideali, 188 tensioni principali, 91 tensioni residue, 90 tensioni tangenziali, 91 tensore d’inerzia, 273 tensore degli sforzi di Cauchy, 83 tensore destro di Cauchy-Green, 36
Indice analitico tensore deviatorico, 135 tensore di cedevolezza, 124 tensore di deformazione infinitesima, 42 tensore di elasticit` a, 122 tensore di Green-Saint Venant, 38 tensore di Piola, 105 tensore di rotazione infinitesima, 43 tensore idrostatico, 135 tensore trasposto, 7 teorema di Cauchy, 83 teorema di Hamel e Noll, 81 teorema di Huyghens-Steiner, 271 teorema di Lam´e-Clapeyron, 172 teorema di reciprocit` a di Betti, 173 teorema di sovrapposizione degli effetti, 160
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teorema di unicit` a del problema elastico, 165 teorema spettrale, 10 teoria di Bredt, 305 terna equilibrata, 112 traslazioni, 24 travi alla Timoshenko, 68 variazione di area finita, 30 variazione di lunghezza finita, 26 variazione di volume finita, 29 variazioni d’angolo finita, 33 variazioni di angolo infinitesima, 48 variazioni di area infinitesima, 47 variazioni di lunghezza infinitesima, 45 variazioni di volume infinitesima, 46 vettore assiale, 43