Rubens e la devotio di Decio Mure

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IMAGO IURIS I

Collana diretta da Luigi Garofalo

IMAGO IURIS l.

II.

Luigi Garofalo, Rubens e la 2011; nuova edizione 2017. Laura Gutiérrez Masson,

'devotio' di Decio Mure,

La percepci6n sensorial y la

intangibilidad en el derecbo y en el arte pict6rico y poético, 2014.

III.

]akob Fortunat Stagl,

Mercurio al bivio. Le ricchezze

di Asia offerte a Britannia, 2017.

IV.

Alberto Tedoldi, Il processo in musica nel di Ricbard Wagner, 2017.

'Lobengrin'

Luigi Garofalo

Rubens e la devotio di Decio Mure nuova edizione

�i Giundica

Copyright

ISBN

2017

by Pacini Editore Srl

978-88-6995-302-6

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�! Via A. Gherardesca

56121

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108,

Milano

20122,

e-mail [email protected]

Indice

Capitolo primo

p.

7

Capitolo secondo

15

Capitolo terzo

39

Capitolo quarto

42

Capitolo quinto

46

Capitolo sesto

68

Capitolo settimo



103

Capitolo ottavo



122

Capitolo nono



130

Capitolo decimo



1 39

I

·Fu forse il più erudito, il più colto dei gran­ di pittori•. Così, a proposito di Peter Paul Ru­ bens, si esprimeva Ettore Paratore in un con­ tributo del 1 9 67, nel quale non mancava di evidenziare la tempra eccezionale dell'artista, capace di •fare con uguale intelligenza il pitto­ re, il diplomatico, lo studioso di cammei, inci­ sioni, statue tramandate dal mondo classico•, in grado per giunta di parlare •indifferentemente il natio fiammingo, l'italiano (sua lingua prefe­ rita), il francese, lo spagnolo, l'inglese e anche il latino•1 • Proprio di questo idioma e dei testi più noti degli autori romani Rubens si era impadronito precocemente: in ossequio ai dettami pedagogici dell'amatissima madre Maria Pypelinckx, figlia di un commerciante di arazzF, e del padre ]an, un uomo di legge che, dopo aver studiato a Lovanio,

Cfr. E. Paratore, Ovidio e Seneca nella cultura e nell"ar­ te di Rubens, in Bulletin de l'lnstitut Historique Beige de Rome, XXXVIII, 1967, 536. Cfr. C. Paolini, Il gentiluomo d'Anversa: una vita fra arte e diplomazia, in Rubens e la nascita del barocco, a cura di A. Lo Bianco, Venezia , 2016, 88.

8

Luigi Garofolo

Padova e Roma3, conseguendo il titolo di doctor

utriusque iuris nel 1 5 544, aveva esercitato come magistrato ad Anversa e poi, a causa di vicissitu­ dini varie\ come avvocato a Colonia e a Siegen, luogo di nascita dell'ultimogenito Peter Paul6• Già nel 1 589, quando aveva solo dodici anni, in ef­ fetti, il futuro astro del barocco, oltre a seguire in qualità di paggio Margaretha de Ligne-Arenberg contessa di Lalaing7 allo scopo di ingentilirsi viep­ più, frequentava, assieme al fratello più grande Philip, la scuola dell'emerito latinista Rombaut Verdonck attiva ad Anversa, città nella quale si era trasferita la loro famiglia dopo la morte del padre8: e lì aveva modo di leggere e approfon­ dire, tra gli altri, Cicerone, Virgilio e Livio, senza trascurare l'apprendimento del greco di Plutarco9•

Cfr. ]. Burckhardt, Rubens, a cura di A. Bavero, trad. it. , Milano, 2006, 1 1 . Cfr. M . ]affé, Rubens, trad. it. , Milano, 1989, 106; N. Bi.ittner, Rubens, Mi.inchen, 2007, 1 1 . Per la loro analitica ricostruzione cfr. S . Schama , Gli

occhi di Rembrandt, trad. it. , Milano, 2017, 61 ss. Cfr. C. Paolini, Rubens: la vita. Educazione da gentiluomo per un talento d 'artista (1577-1640), in Rubens . Adorazio­

ne dei pastori, a cura di A. Lo Bianco, Venezia, 2015, 105. Cfr. C. Paolini, Il gentiluomo d 'A nversa, cit., 88. Cfr. C. Paolini, Rubens: la vita, cit. , 105. Cfr. M. ]affé, Rubens, cit. , 106.

Rubens e la devolio di Decio Mure

Grazie appunto alla sua solida formazione culturale, nel 1 595, esaurito un iniziale apprendi­ stato al servizio del paesaggista Tobias Verhaecht e del figurativo Adam van Noort 10, Rubens avreb­ be fatto ingresso

nella

bottega di Otto van

Veen 1 1 , un pittore di Anversa di origini patrizie 12 - per un tratto di tempo alla corte di Alessandro Farnese a Bruxelles 13 - particolarmente dotto, che coltivava la poesia in latino ed era amico di Justus Lipsius, l'eminente umanista che dalla cattedra di Lovanio mirava a dare nuova vita allo stoicismo romano, in specie di Seneca , adattan­ dolo alla verità cristiana. Entrato pure nell'orbita di questi per il tramite del maestro e del fratello Philip, prossimo doctor utriusque iuris in Bolo­ gna 14 frattanto diventato un raffinato creatore di carmi latini vicinissimo e carissimo a Lipsius 1S,

10 11 12 1� 14 's

Cfr. C. Paolini, Rubens: la vita, cit . , 105 s. Cfr. M. jaffé, Rubens, cit., 106. Cfr. S. Schama , Gli occhi di Rembrandt, ci t., 1 1 3. Cfr. S. Schama, Gli occhi di Rembrandt, cit. , 1 17 . Cfr. S. Schama, Gli occhi di Rembrandt, cit., 1 3 1 . Poco dopo la morte di Philip, che data al 28 agosto 1 6 1 1 , Rubens dipingerà un'opera importante, intitola­ ta in seguito ]ustus Lipsius e i suoi amici e custodita ora nella Galleria Pitti di Firenze, che ritrae, oltre a Lipsius, )an Woverius, allievo di questi, Rubens stesso

9

Luigi Garofa lo

10

Peter Paul, fin dal 1 598 pittore indipendente del­ la Gilda di san Luca di Anversa 16, avanzava dun­ que negli anni senza mai abbandonare il contat­ to con i classici, dai quali anzi traeva ispirazione per molte delle sue tele 17• Favorito in questa fervida passione per le fonti di un'epoca che avvertiva per nulla remota dal matrimonio con Isabella Brant, figlia di un giurista 18 ed erudito assurto a una qualche no­ torietà come autore degli Elogia Ciceroniana 19, Rubens, che a partire dal 1 600 e fino alla morte nel 1 640 sovente avrebbe lasciato Anversa, tra­ scorrendo lunghi periodi in Italia 20 e in altri pae­ si europei, tra i quali Spagna e Inghilterra 2\ darà

e il fratello, tutti variamente disposti attorno a un ta­ volo e sotto un busto di Seneca . Cfr. M. Warnke, Kom­ mentare zu Ru bens, Berlin, 1965, 33 ss. ; R. Brandt, Filosofia nella pittura. Da Giorgione a Magritte, trad. it. , Milano, 2003, 228 ss. 1" 17 18 19

2" 21

Cfr. S. Schama, Gli occhi di Rem brandt, cit. , 1 20. Cfr. E. Paratore, Ovidio e Seneca, cit . , 537 s. Cfr. M. Wamke, Ru bens. Leben und We r*, Koln, 2006, 12. Cfr. E. Paratore, Ovid io e Seneca, cit . , 538. Come ricorda ] . Burckhardt, R ubens, cit . , 30, Isabella morì nel 1626 e Rubens si risposò con la giovanissima Helena Fourment quattro anni dopo. Cfr. M. Jaffé, Ru bens and Italy, Oxford, 1977. Cfr. D. Bodart, Ru bens, trad. it. , Milano, 1985, 13

ss.

Rubens e la devotio di Decio Mure

continuamente prova del tenace attaccamento al mondo degli antichi, sia nel suo ricco epi­ stolario 22 sia nella sua multiforme produzione . Alla scultura sbocciatavi, per esempio, dedica un trattato a noi noto nella parafrasi compilata dal critico d'arte francese Roger de Piles, operoso soprattutto nella seconda metà del Seicento23 . E in un libro sui palazzi di Genova che pubblica ad Anversa nel 1 6 22 fa un'esplicita professio­ ne di ·fede classicista•, celebrando la decaden­ za •della 'maniera d'architettura che si chiama barbara o gotica' e il fatto 'che alcuni bellissimi ingegni introducono la vera simmetria di quel­ la conforme con le regole degli antichi, Graeci e Romani'•24 . Tra i suoi dipinti, inoltre, davvero tanti raffigurano filosofi dalla fama imperitura vissuti nell'età da lui prediletta, come Eraclito, Democrito e Seneca 25 - nel nome del quale era andato rafforzandosi il sodalizio spirituale che

22

2·� 2' 2'

Cfr. almeno P.P. Rubens, Lettere italiane, a cura di I . Cotta, Roma, 1987. Cfr. S. Schama, Gli occhi di Rembrandt, cit . , 1 29. Cfr. E. Paratore, Ovidio e Seneca, cit . , 542. Cfr. R. Brandt, Filosofia nella pittura, cit . , 99 ss. e 214 ss. ; D . Frascarelli, L'arte del dissenso. Pittura e liberti­ nismi nell'Italia del Seicento, Torino, 2016, 76 s.

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Luigi Garofalo

12

lo univa a Justus Lipsius, curatore di un'edizio­ ne critica delle composizioni dello spagnolo che Peter Paul e Philip avrebbero portato in dono al papa 26 -, ovvero momenti di storia e di mitologia documentati dalle scritture e dalle opere d'arte lasciate in eredità dalla civiltà greca e romana 27, a cominciare da quelli giovanili e magniloquenti legati all'Eneide28• Proprio con l'intento di studiare di persona i capolavori del passato dal quale era attirato sparsi in Italia - essendogli inaccessibile l'Ella­ de in mano agli ottomani29 -, unitamente alle pitture e alle statue del nostro rinascimento già rinomate nel mondo per la loro bellezza, Ru­ bens aveva intrapreso nel 1 600 il primo viaggio verso la penisola. L'immenso repertorio artistico che andava svelandosi ai suoi occhi nelle lunghe soste a Venezia, Mantova, Milano, Firenze, Roma e in altri luoghi ancora 30 non poteva che accen­ tuarne l'amore per la classicità, ormai così inten-

2" 27 ZH

2" ;o

Cfr. S. Schama, Gli occhi di Rem brandt, cit . , 1 5 9 Cfr. E. Paratore, Ovidio e Seneca, cit . , 543

s.

ss.

Cfr. S. Schama, Gl i occhi di Rem brandt, cit., 1 38 1 56 s. Cfr. K.L. Belkin, Ru bens, London, 1998, 44. Cfr. C. Paolini, Il gent iluomo d 'A nversa, cit . , 88.

s.

e

Rubens e la devotio di Decio Mure

so da instillare in lui la passione per la raccolta di antichità, scelte nel corso degli anni con tale perizia che George Villiers, primo duca di Bu­ ckingham, a un certo punto non avrebbe resisti­ to al desiderio di comprarle, peraltro soddisfatto solo parzialmente3 1 • A illuminare il risalente e mai sopito trasporto per cose che ad altri pote­ vano apparire come freddi manufatti d'interes­ se archeologico, vale quanto Rubens riferirà a un amico in una lettera indirizzatagli sul finire del 1 6 34: •non ho mai trascurato, durante i miei viaggi, di osservare e di studiare le antichità del­ le collezioni pubbliche e private, e di acquista­ re in contanti gli oggetti curiosi; d'altronde ho conservato i più bei cammei e le medaglie più rare della collezione che ho venduto al duca di Buckingham e ancora possiedo una bella serie di oggetti e reperti antichi·32• Grazie alla prima discesa in Italia , inoltre, in Rubens - ed è questo che più conta per noi - si rinvigoriva la convin­ zione che il passato, lungi dall'essere uno spa­ zio superato che si offre alla mera citazione, è

" .il

Cfr. C. Paolini, Il gentiluomo d 'Anver sa, cit . , 90 s . Cfr. A. Arikha, Peter Pau/ Ru ben s, in Id. , La pittura e lo sguardo. Scritti sull 'arte, a cura di M. Ferrando, trad. it. , Vicenza, 2016, 223.

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un'entità viva, qualcosa che si allunga e dilata nel presente, nella coscienza di chi recepisce e concepisce una dimensione superiore all'asfittica attualità, in grado inoltre di proporre un'infinità di spunti traducibili in immagini pittoriche, di cui il passato stesso garantisce la piena e immediata percezione sensitiva. Quando di nuovo a Roma nel 1 60 6 , insieme a Philip, allora bibliotecario del cardinale Asca­ nio Colonna, Peter Paul avrebbe palesato con particolare evidenza questo suo intimo sentire. Mentre il fratello era intento a un'opera lettera­ ria singolare, densa di notizie •su ogni genere di minuzie della vita sociale della Roma classica•, dalla foggia delle toghe indossate dai notabili e dei mantelli usati dai militari alle calzature e alle pettinature ostentate dalle nobildonne, Peter Paul dedicava lunghe ore alla ricerca altrettan­ to pignola del materiale visivo di supporto . E quindi si aggirava per la città e visitava palazzi e gallerie dell'aristocrazia , disegnando tutto quel­ lo che potesse risultare utile a Philip: sarcofagi, bassorilievi, busti, statue, monete, gemme e altro ancora 33• La miriade di rappresentazioni grafiche

·'·'

Cfr. S. Schama, Gli occhi di Rem bra rzdt , cit . , 162.

Rubens e lo devotio di Decio Mure

nate per questa via andavano ad arricchire il suo già vasto archivio di dati e immagini concernenti la storia antica e la coeva mitologia, al quale co­ stantemente attingeva nella propria attività pitto­ rica - sempre o quasi allietata dall'ascolto di un lettore di testi classicP4 -, protesa a raccontare il passato che continua nel presente con strabilian­ te precisione, ridonando a chi ne fu il protago­ nista la piena identità, a partire dalla forza fisica e psicologica.

II

Particolarmente significativi tra i quadri di Rubens che rievocano vicende, autentiche o leg­ gendarie, di epoca romana sono gli otto incen­ trati sulla devotio di Decio Mure , il console del

340 a.C. che , consacrando agli dei se stesso e le forze nemiche, aveva propiziato la vittoria del

34

Cfr. S. Schama, Gli occhi di Rembrandt, cit. , 184. Al proposito G. Néret, Peter Pau/ Rube ns (1577-1640). L'Omero della pittura, trad. it. , Koln, 2004, 19, ricorda che Otto Sperling, medico del re di Danimarca, aveva fatto visita a un Ruhens già da tempo adulto, occupato a dipingere nel mentre qualcuno gli recitava Tacito.

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suo esercito su quello dei latini nell'ambito di una battaglia svoltasi nei pressi di Veseri, una località della Campania ubicata nelle adiacenze dell'omonimo corso d'acqua e alle falde del Ve­ suvio35. Erroneamente attribuiti per lungo tempo ad Anthonis van Dyck36, che aveva invece solo col­ laborato alla loro realizzazione in qualità di allie­ vo di Rubens37 - anzi, di miglior allievo, a detta del maestro, il cui atelier era frequentato da pit­ tori del calibro di Jacob Jordaens, ]an Brueghel il Vecchio e Frans Snyders38 -, essi impreziosi­ scono le pareti di una delle sale dello splendido

35

Cfr. G.M. Masselli, La leggenda dei Decii: un percorso fra storia, religione e magia, in Ead., R iflessi di ma­ gia. Virtù e virtuosismi della parola in Roma antica, Napoli, 201 2 , 10 .

.l

37

Cfr. ). Kraftner, La storia delle collezioni principescbe, in I principi e le arti. Dipinti e sculture dalle co llezio­ n i Liecbtenstein, Milano, 2006, 2 1 ; Id. , La collezione dei Ru bens della casa regnante del Liecbtenstein, in Rubens e i fiamminghi, a cura di S. Gaddi, Cinisello Balsamo, 2010, 64. Cfr. R. Baldasso, Killing and Dying at '7be Deatb of Decius Mus ', in Deatb, Torture and tbe Broken Body in European Art , 1 300-1 65 0, a cura di ).R. Decker e M. Kirkland-Ives, Farnham - Burlington, 2014, 140.

38

Cfr. Ru bens, con un testo di P. Daverio, Milano, 201 S, 68; C. Paolini, Ru bens: la vita, cit. , 1 09.

Rubens e lo devotio di Decio Mure

palazzo viennese che ospita le collezioni private dei Principi del Liechtenstein39 • A Rubens, per quanto emerge da una sua lettera del 12 maggio

1 6 18 indirizzata a Dudley Carleton, ambasciatore di Giacomo I all'Aja, li avevano richiesti •alcuni gentilhuommi gennoesi·40, quali modelli donde trarre due serie di arazzi di pregio ovvero, più probabilmente, i cartoni - comunque distruttisi negli anni41 - atti a fungere da guida nella tessi­ tura di queste42. Il che spiega perché il pittore, obbedendo alle indicazioni dei committenti, nel maggio del 1 6 18 avesse ordinato la spedizione delle tele, tutte a olio, a un laboratorio di Bru­ xelles - quello di ]an Raes il Vecchio, per essere precisi43 - specializzato nella confezione di pre­ stigiose opere di tappezzeria44•

Al proposito npn dobbiamo dimenticare quan-

Y.>

'° 41

12

H "

Cfr. L iech tenstein Museum. Vienna. Le co llezioni, a cura di ). Kriift:n er, trad. it., Monaco - Berlino - Londra - New York, 2004.

Cfr. P.P. Rubens, Lettere italiane, cit. , 85. Cfr. R. Baldasso, Killing and D ying at 'Tbe Death of Deciu s Mu s', cit . , 140. Cfr. A. Stockhammer, Sale di e spo sizione, in Liecbten­ stetn Mu seum, cit., 223 s. Cfr. A. Stockhammer, Sale di e spo sizione, cit. , 224. Cfr. ]. Burckhardt, Ru ben s, cit . , 147.

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to ricorda Michael Jaffé, e cioè che •fin dal tem­ po dell'imperatore Carlo V i patrizi di Genova avevano cominciato a ordinare arazzi a Bruxelles e ad Anversa, in quanto ritenuti un indispensabi­ le sfoggio di lusso sulle pareti delle loro case•45• Proprio Genova, d'altro canto, era la città dove Rubens aveva soggiornato più a lungo durante il suo intermezzo prevalentemente italiano, inizia­ to - come visto - nel 1 600 e protrattosi per ben otto anni; ed era anche la città cui si attagliava perfettamente la scelta del soggetto compiuta da Rubens, posto che la sua aristocrazia, pron­ ta ad apprezzarne la profonda conoscenza della cultura classica , andava inglobando uomini che, pur privi di ascendenze nobiliari, si erano distin­ ti, com'era successo al plebeo Decio Mure, per •personal merits and actions done for the sake of the Republic-46. Ultimate le due serie di arazzi sotto la su­ pervisione di Rubens47, una di queste o una del-

" 46

1"

Cfr. M. Jaffé, Rubens, cit . , 214. Cfr. R. Baldasso, Killing and Dying at 'Tbe Deatb of Decius Mus ', cit. , 142 e 144. Cfr. P. Boccardo, A razzi rubenstani a Genova. Le 'Sto­

rie del console Decio Mure ·ad 'istanza del/i Genovesi ' e le altre serie documentate , in L'età di Rubens. Di­ more , com mittenti e collezionisti genovesi , a cura del

Rubens e lo devotio di Decio Mure

le loro molteplici e non sempre fedeli repliche aveva preso la via della Spagna, destinata alla Colecci6n Real di Filippo IV48 , mentre i dipin­ ti da cui provenivano erano entrati nel merca­ to, finendo nel patrimonio artistico del Principe Johann Adam Andreas I von Liechtenstein nel

1 69349• Chi oggi li contempli rimane colpito dalla loro maestosità e dal loro vigore espressivo, pri­ ma ancora che dalla fedeltà a Livio, la fonte an­ tica presa a riferimento. Di notevoli dimensioni, essi si susseguono come parti di un'unitaria nar­ razione per immagini che avvince e commuove l'osservatore, restituendogli - come già rileva­ va Jakob Burckhardt nel 1 89 6 - il •senso for­ te e schietto della grandezza romana• 50, che sin dall'infanzia affascinava l'autore . Opere di que­ sto tipo, del resto, erano del tutto congeniali a Rubens, come attesta un appunto autobiografico

medesimo autore, Milano, 2004, 105. '"

19 'iO

Cfr. ].M. Aldea Celada, La 'devotio ' de Decio Mus, in El Futuro del Pasado , Il, 201 1 , 208 s. V. inoltre C. Herrero Carretero, Rubens (1577-164 0). Colecci6n de tapices, Madrid, 2008, 27 ss. Cfr. A. Stockhammer, Sale di esposizione, cit . , 223. Cfr. J. Burckhardt, Rubens, cit., 147.

19

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contenuto in una lettera da lui scritta a William Trumbull nel 1 6 21: •confesso•, vi si legge, •che una dote innata mi ha chiamato a eseguire gran­ di opere piuttosto che piccole curiosità. Ciascu­ no ha la sua maniera. I l mio talento è di siffatta guisa che nessuna impresa, per quanto grande e multiforme nell'oggetto, potrà sormontare la fiducia che ripongo in me stesso•51• Né sono, queste, righe dal tenore esagerato,

dettate da vanità mista a superbia, se si tiene conto del lusinghiero giudizio che circolava su Rubens - d'altro canto, per Avigdor Arikha e tan­ ti altri il più grande pittore di ogni tempo52 -, raccolto da Roger de Piles nel 1 677. •Le virtù che egli aveva acquisito e le belle qualità di cui la natura l'aveva provvisto•, scrive l'autore, •lo rendevano amabile a tutti. Era di corporatura im­ ponente, di portamento regale, i lineamenti del viso regolari, le gote vermiglie, i capelli casta­ ni, gli occhi brillanti ma di un fuoco temperato, l'aria ridente, dolce e franca. I l suo tratto era affabile, il suo umore costante, la sua conversa­ zione pacata, il suo spirito vivo e penetrante, il

'' '2

Cfr. A. Stockhammer, Sale di esposizione , cit. , 223. Cfr. A. Arikha, Peter Pau/ Rubens, cit . , 227.

Rubens e la devotio di Decio Mure

21

modo in cui parlava posato e il tono della voce piacevole: tutto questo lo rendeva naturalmente eloquente e persuasivo•53. •Grandi opere•, è appena il caso di aggiun­ gere, Decio Mure le meritava senz'altro per Ru­ bens e per tutti quelli che, al pari suo, si erano raccolti intorno a Justus Lipsius. Nel loro am­ biente, pervaso dal neostoicismo propugnato dal maestro di Lovanio, la condotta eroica del console, esempio fulgido della virtus tanto cara alla tradizione romana, era invero molto ammi­ rata. Nota nei dettagli grazie alle belle pagine che vi dedica Livio nell'ottavo dei suoi Ab urbe

condita libri, i quali - direbbe Paratore54 - era­ no parte del pane quotidiano di cui si cibavano gli aderenti a un circolo così raffinato, essa, non priva di una propria iconografia sviluppatasi nel tardo medioevo e nel rinascimento soprattutto in I talia 55, rifletteva infatti una concezione etica

5·' 54 ss

Cfr. A. Arikha, Peter Pau/ Rubens, cit. , 222

s.

Cfr. E. Paratore, Ovidio e Seneca, cit. , 540. Da E.M. Moormann - W. Uitterhoeve, Miti e persona ggi del mondo classico. Dizionario di storta , letteratura , arte, musica, a cura di E. Tetamo, trad. it. , Milano, 2004, 273, ricaviamo che Decio Mure era stato rappresentato, come esempio di coraggio, per lo più unitamente ad altri eroi della tradizione romana, in vari edifici pub-

Luigi Garolalo

22

avvertita come nuovamente attuale, imperniata com'era sul rigoroso rispetto di alti principi, an­ che a prezzo della morte, reinterpretata peraltro cristianamente quale inizio della vera vita56• Guidato da una simile Weltanscbauung, del re­ sto, Rubens avrebbe saputo fronteggiare l'immen­ so dolore causato dalla scomparsa della moglie Isabella, anche se nell'immediatezza dell'evento

blici: per esempio, negli affreschi dell'Anticappella del Palazzo Pubblico di Siena (risalenti al 1414 circa), della Sala dei Giganti di Palazzo Trinci a Foligno (databili al 1424 circa) e della Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio a Firenze (eseguiti dal Ghirlandaio verso il 1482); in una pittura murale della Sala Consiliare del Municipio di Norimberga (realizzata da Georg Pencz verso il 1521). Dopo Rubens, precisano gli autori, la devotio di De­ cio Mure sarà ripresa da Francesco De Mura, che nel 1742 le dedicherà un grande dipinto (dall'Ottocento nel Palazzo Reale di Genova e non di Torino, come erroneamente indicato: cfr. F. Speranza, Francesco De

Mura per l'Appartamento d 'Estate e la manica dei Regi Archivi, in Palazzo Reale a Torino. Allestire gli appa rta­ menti dei sovrani. 1660-1790, a cura di G. Dardanello, Torino, 20 16, 149, nt. 17). Grazie a R. Baldasso, Ktlling and Dying at '7be Deatb of Dectus Mus', cit., 1 59, nt. 1 1 , inoltre, scopriamo un'immagine di Decio Mure nel soffitto della Sala del Collegio del Palazzo Ducale di Venezia, parte di una complessa decorazione dovuta alla mano di Paolo Caliari detto il Veronese, completata nel 1577, nonché l'illustrazione della sua morte da de­ votus in due edizioni tedesche di Livio, l'una del 1 54 1 , l'altra, opera d i Tobias Stimmer, del 1 574. o; 115• Ma ecco i testi delle preghiere che venivano recitate in occasione dell'evocatio e della devotio

hostium, a noi noti, nelle versioni messe a punto in vista dell'ultimo assalto a Cartagine nel 146 a . C . , grazie al poc'anzi citato brano dei Satur­

nalia di Macrobio, in 3.9 116 : peraltro del tutto

più grande e suntuoso, nella città dei vincitori. La nostra fonte principale su questo tema è un passo di Macrobio.. Di questo - al quale già si è fatto cenno nel testo, preci­ sando che si trova in Sat. 3.9 - ancora ci occuperemo a breve. A commento delle informazioni pervenuteci circa la pratica dell'evocaNo, che ne mettono in luce il nobile fine di evitare la commissione di atti riprovevoli, dal mo­ mento che si considerava grave e intollerabile catturare degli dei, osserva M. Bettini, Elogio delpoliteismo. Quello

che possiamo imparare oggi dalle reltgiont antiche, Bo­ logna, 2014, 89 s.: •in caso di conflitto, permettere che anche gli dei venissero coinvolti nella caduta della città nemica, o presi prigionieri come se si trattasse di uma­ ni vinti, veniva ritenuto sac rilegium e addirittura nefas: un'empietà che nessun mos o 'costume' poteva giustifi­ care, perché violava norme superiori a quelle umanec. 1 1�

1 16

Cfr. L. Sacco, 'De votio', cit. , 335; Id. , 'De votio'. Aspetti sto rico-religiosi, cit., 106. Penetranti osservazioni in materia si rinvengono in L.

Rubens e la devotio di Decio Mure

attendibile, in quanto - come l'autore ha cura di precisare in 3 . 9 . 6 - composto sulla base dei Li­

bri rerum reconditarum di Sereno Sammonico, un erudito vissuto tra il II e III secolo d.C. che dichiarava di aver attinto le due formule da un

liber vetustisstmus di un tal Furio, da identificare con Lucio Furio Filo, console nel 1 3 6 a.C. 1 1 7 Leggibile in 3.9.7-8, il primo carmen - affidato alla voce di un sacerdote 118, quasi sicuramente un pontefice 119, o forse di colui che stava a capo dell'e­ sercito 120 - era congegnato cosl: •Se c'è un dio o una dea sotto la cui protezione si trova il popolo e lo stato cartaginese, e soprattutto te, che prendesti sotto tutela questa città e questo popolo, io prego

Peppe, La nozione di 'populus ' e le sue valenze, cit . , 3 2 9 ss. 1 17

1 18

1 19

12°

Cfr. F.M. d'Ippolito, Diritto memo ria o blio nel mondo romano, cit . , 79 s. e 82 s. Cfr. G . De Sanctis, La religione a Roma, cit., 90, che si fonda su Verrio Fiacco, menzionato da Plinio in 28. 4 . 1 8 della Naturalis historia. Cfr. G. Ferri, Tutela segreta ed 'e vocati o' nel politeismo romano, Roma, 2010, 62. Cfr. M. Bettini, Elogio del politeismo, cit . , 89. Per G. Ferri, Tutela segreta ed 'e vocatio', cit. , 30, il sacerdo. te magari scandiva al generale la formula che questi ripeteva (ma alle pp. 62 s. l'autore propende per la competenza esclusiva del sacerdote nella declama­ zione del carmen).

59

Luigi Gorofolo

60

e venero, e vi chiedo questa grazia, che lasciate per sempre il popolo e lo stato cartaginese, che abban­ doniate i loro luoghi, templi, riti e territorio, che vi allontaniate da essi e incutiate al popolo e alla città timore, terrore, oblio, e veniate propizi a Roma da me e dai miei, e i nostri luoghi, templi, riti e città siano a voi più graditi e cari, e siate propizi a me, al popolo romano e ai miei soldati. Se farete ciò in modo tale da rendercene consapevoli ed edotti, vi prometto in voto templi e giochi• 121 • Era invece concepito i n questa maniera il se­ condo carmen, riferito in 3.9. 10-1 1 e pronuncia­ to dal comandante militare una volta compiuti i sacrifici di cui si parla in 3.9.9, i quali seguivano

l'evocatto, dando modo agli esperti di procede­ re all'esame delle viscere degli animali immolati, idoneo a rivelare se le divinità della città nemica avessero accettato o rifiutato la proposta di parte romana 122: •Padre Dite, Veiove, Mani, o con qual-

w

122

Questa traduzione e la prossima sono tratte da F.M. d'Ippolito, D ir itto memor ia o bl io nel mondo roma­ no, cit., 78 s . : entrambe ricalcano, pur con qualche lievissima variante, l'italiano di Nino Marinone di cui alle pp. 403 e 405 del volume, a sua cura, intitolato I 'Saturnal i' d i Macro bio Teodosio, ristampato a Torino nel 1987. Cfr. L. Sacco, 'De vot io ", cit. , 330. Naturalmente po-

Rubens e la devotio di Decio Mure

siasi altro nome sia lecito nominatvi, riempite di fuga, di paura e di terrore tutti, la città di Cartagine e l'esercito, che io intendo nominare, e quelli che porteranno armi e dardi contro le nostre legioni e il nostro esercito, portate via con voi quell'eser­ cito, quei nemici e quegli uomini, le loro città e i loro campi e quelli che abitano in questi luoghi e regioni, nei campi e nelle città, privateli della luce del sole, e così l'esercito nemico, le città e i campi che io intendo nominare, e voi considerate ma­ ledette e a voi consacrate (devotas consecratasque sembra però un'endiadi che fa riferimento a ciò che è consacrato per mezzo della devotio) quelle città e quei campi, le persone e le generazioni, secondo le leggi e i casi per cui soprattutto sono maledetti (ma qui devoti pare equivalente a con­ sacrati) i nemici. Io li dò e li consacro in voto

(do devoveo potrebbero tuttavia formare un'altra endiadi, volta a indicare il trasferire in proprietà tale essendo il significato del verbo dare nell'area del giuridico - mediante la devotio) come sostituti

teva anche accadere che l'offerta, sulla scorta della consultazione degli exta, risultasse respinta e la città nondimeno conquistata: le conseguenze sarebbero allora state quelle indicate da G. De Sanctis, La reli­ gione a Roma, cit. , 91 s.

61

Luig i Garofalo

62

per me, per la mia persona e la mia carica, per il popolo romano, per il nostro esercito e le nostre legioni, affinché lasciate sani e salvi me, la mia persona e il mio comando, le nostre legioni e il nostro esercito impegnati in questa impresa. Se fa­ rete ciò in modo che io sappia, intenda e capisca, allora chiunque farà questo voto, dovunque lo fac­ cia, sarà valido se compiuto con tre pecore nere. Te, madre Terra, e te, Giove, prendo a testimoni•. Nel dire queste parole, peraltro, l'arante compiva alcuni gesti rituali: e cioè, seguendo l'elencazione conservata in 3.9. 12, toccava la terra con le mani quando nominava Tellus, alzava le mani al cielo allorché pronunciava il nome di Giove, si toccava il petto con le mani nel momento in cui richiama­ va il voto e il suo impegno a ottemperarlo123• Torniamo adesso alla devotio ducis, al centro del nostro discorso. Volendo mettere a fuoco le ragioni del peculiare abbigliamento e della par­ ticolare pastura del devovens, si può osservare che costui portava la toga praetexta poiché essa era prescritta a chi sovrintendeva a ogni consa-

1 2$

Cfr. L. Cesano, voce 'Devotto', in Dizionario epigrafi­ co di antichità romane, a cura di E. De Ruggiero, II.2 , Spoleto, 1 9 1 0 (rist. Roma, 196 1 ) , 1714.

Rubens e la devotio di Decio Mure

crazione e a ogni cerimonia sacrificale 124 • Aveva il capo velato non perché in pari tempo •vittima del sacrificio•, come pensa de Francisci '25, né al fine di proteggersi da qualsi­ asi elemento di disturbo suscettibile di compro­ mettere la perfetta riuscita della liturgia, come ipotizzano Deubner e Latte, ma in quanto il ritus

Romanus, di contro a quello Graecus, esigeva che nelle occasioni in cui interagiva direttamen­ te con gli dei l'uomo si coprisse la testa con un lembo della toga 126 • Se su questo, nel caso della

devotio, si ergesse l'elmo, rimane incerto. Livio, proprio in quanto tace al riguardo in un con­ testo in cui mostra notevole precisione, invita a propendere per la soluzione negativa - alla quale si attiene anche Rubens, che lascia infat­ ti il devovens privo del copricapo militare (fig.

5) - ; né obbliga a mutare opinione Floro, quan­ do afferma, in 1 .9( 14) . 3 , che il primo Decio si era autoconsacrato quasi monitu deorum capite

velato primam ante aciem dis manibus . . . , ut in confertissima se bostium tela iaculatus novum

1 21 m 1 26

Cfr. P. de Francisci, 'Primordia civitatis ', cit . , 3 1 2 . Cfr. P. d e Francisci, "Prlmordia civitatis ", cit. , 3 1 2 . Cfr. L. Sacco, 'Devotio', cit. , 336 ss.

63

Luigi Gorofolo

64

ad victoriam iter sanguinis sui limite aperiret: se il duplice riferimento al capo velato del console e al compimento del rito davanti alla prima fila (nemica) suggerisce di immaginare il devovens rivestito dell'armatura 127, questa poteva tuttavia mancare dell'elmo. Durante la preghiera, inoltre, l'affidante si toccava il mento, ovvero la parte più facilmen­ te raggiungibile di ciò che della testa rimaneva scoperto 128, a significare che proprio su di lui ricadeva la consacrazione 129 o che egli si affi­ dava completamente agli dei, di fronte ai qua­ li, come al cospetto della res publica, appariva, in quanto magistrato cum imperio, responsabile delle sorti di Roma 130; mentre meno plausibile è immaginare, con Hendrik Wagenvoort, che il gesto sia da ricondurre alla sfera della magia da contatto 13\ potendo semmai manifestare, poiché

1 27

1 2"

Cfr. L. Sacco, 'Devotio'. Aspetti storico-religiosi, cit., 1 28. Cfr. V. Rotondi, Il sacrificio a Roma. Riti, gesti, inter­ pretazioni, Roma, 201 3 , 1 6 1 .

1 29

Cfr. P. d e Francisci, 'Primordia civitatis ', cit., 338.

1 30

Cfr. L. Sacco, 'Devotio '. Aspetti storico-religiosi, cit. , 1 3 1 s.

1�1

Cfr. H . Wagenvoort, Roman Dynamism, Oxford, 1947, 34.

Rubens e la devotio di Decio Mure

65

presupponeva il sollevamento di un braccio, •l'o­ maggio del 'fedele' . . . nei confronti delle divini­ tà•, così come testimonia una ricca iconografia presente nell'arte greca e romana 132• Il devovens, per toccarsi il mento, non poteva tuttavia ado­ perare indifferentemente l'una o l'altra mano, dovendo invece scegliere obbligatoriamente la sinistra - che non è però quella per cui opta il Decio Mure di Rubens (fig. 5) - secondo quanto ,

sostiene Grazia Maria Masselli: da un lato, sul presupposto che la dicotomia tra il celeste e il ctonio, al quale appartenevano le divinità cui il

devotus diveniva sacer, trovasse una corrispon­ denza nell'opposizione tra mano destra e sini­ stra; dall'altro, valorizzando condivisibilmente il precetto ricordato da Livio con le parole manu

subter togam ad mentum exserta

-

conservate,

come a noi già noto, in 8 . 9 . 5 -, idonee a espri­ mere, attraverso il sintagma subter togam, il di­ vieto fatto al devovens di utilizzare quel braccio, il destro appunto, che rimaneva libero dalla toga per ragioni di opportunità pratica. E primaria­ mente per consentirgli, una volta esaurito il rito

1·12

Cfr. L. Sacco, 'Devotio'. Aspetti storico-religiosi, cit . , 133.

Luigi Garofalo

66

di autoconsacrazione, di passare subito •alla moda gabina•, avvolgendo un lembo del manto intorno alla vita - nella maniera ben colta da Rubens (fig. 6) , nemmeno impreciso nel togliere l'altro lembo dal capo del devotus, se si ha ri­ guardo all'annotazione di Servio contenuta nel suo commento all'Eneide di Virgilio, in 7. 6 1 2

-

,

per poi montare a cavallo armato - quindi con l'elmo, anche secondo l'interpretazione di Ru­ bens (ancora fig. 6) - e avventarsi contro i ne­ mici 133, conformemente al protocollo seguito dal solito Decio Mure e registrato da Livio in 8.9.9

(baec ita precatus . . . ipse inctnctus cinctu Gabi­ no, armatus in equum insiluit ac se in medios bostes immisit) . L'orante, infine, teneva i piedi sopra u n giavel­ lotto cper concentrare in sé la potenza di questo•, a detta di de Francisci 134; per appropriarsi •delle

1 33

Cfr. G.M. Masselli, La leggenda dei Dectt, cit. , 26 ss. e, quanto al cinto gabino, 23 ss. Su questo v. anche L. Sacco, 'Devotto'. Aspetti storico-religiosi, cit., 1 23 ss. Pensa invece alla mano destra, sulla base di un'artico­ lata argomentazione che dà particolare rilievo ai •mo­ vimenti compiuti dall'officiante, in relazione all'abbi­ gliamento portato•, M. Milani, La mano destra in Roma antica, in Il corpo in Roma antica. Ricerche giuridiche, a cura di L. Garofalo, Il, Pisa, 2017, 91 ss.

L�"•

Cfr. P. de Francisd, 'Primordia civitatis ', dt. , 3 1 3 .

Rubens e lo devotio di Decio Mure

forze infere e ctonie• canalizzate dal metallo, a seguire Masselli, la quale, in un'ottica che trop­ po concede alla magia, propende per la doverosa nudità di uno dei piedi, ovviamente il sinistro, o di entrambi 135 - mentre Rubens dota di calzatu­ re quelli del proprio Decio Mure (fig. 5) -; allo scopo di evidenziare •le contexte guerriero, per Annie Dubourdieu, incline inoltre a ritenere che la collocazione insolita dell'oggetto, posato a ter­ ra, vada correlata •aux destinataires du rituel, des divinités chtoniennes• 1 36; quale atto di omaggio a Marte, dio della guerra, stando a William Warde Fowler137; in quanto il telum, che non è qui da vedere come un'arma, se è vero che il devovens doveva recitare il carmen indifeso, rappresenta­ va emblematicamente il templum, indispensabile quando si trattava di compiere un rito a valen­ za sacrale, alla stregua di quel che in modo più

1 35

Cfr. G.M. Masselli, La leggenda dei Decii, cit. , 30 ss.

t.l

Cfr. A. Dubourdieu, Nom mer /es dieux. Pouvoir des

noms, pouvotr des mots dans /es rituels du 'votum ; de l''evocatio ' et de la 'devotio ' dans la Rome antique, in Arcbtvfur Religionsgescbicbte, VII, Leipzig, 2005, 195. 1 ·17

Cfr. W. Warde Fowler, Tbe Religtous Experience of Roman People. From tbe Earliest Times to tbe Age of Augustus, London, 1922, 208 e 220.

67

Luigi Gorofolo

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persuasivo suppone Vladimir Groh 138• Tale ultima congettura è ripresa da Sacco, per il quale ·davan­ ti al nemico e specialmente nel caso della

devotio

non v'era né il tempo né la possibilità di procede­ re alle inaugurazioni del luogo occorrente e il te­

lum, simbolo sacro di Marte, poteva considerarsi in tal caso come templum simbolico• 139•

VI

Da lumeggiare sono ora gli effetti della devo­

tio, in parte già noti. Di essa si è invero più volte detto che costituiva un rito di consacrazione, mer­ cé il quale diventava sacro ai Mani e alla Terra chi era indicato dal magistrato cum imperio af­ fidante nelle parole finali del carmen che egli pronunciava: ossia il magistrato stesso, ovvero il

civis da lui prescelto in sua sostituzione, e l'eser­ cito nemico. Ancora non si è tuttavia chiarito che il colpito dalla devotio, appunto in quanto sacro

1 ""

Cfr. V. Groh, Sacri.fizi umani nell'antica religione mana, in Athenaeum, XI , 1933, 246 s.

J :w

Cfr. L. S'acca, TJevotio ', cit . , 326; Id. , 'Devotio '. Aspetti storico-religiosi, cit. , 1 3 5 .

ro­

Rubens e la devofio di Decio Mure

alle divinità ctonie 140 poc'anzi ricordate, si trova­ va per intero nella loro sfera di dominio - tanto che Livio, in 10.29.4, registra, tra le conseguenze della devotio appena eseguita dal secondo Decio Mure: . . . Gallos Samnitesque Telluris matris ac

deorum Manium esse -, non potendo più con­ tare sull'appartenenza al corpo sociale del quale era espressione e non trovandosi nemmeno nel­ la condizione di sospensione tra la sfera degli uomini e quella degli dei alla quale pensa una parte della dottrina 141 • Completamente assogget­ tato al volere dei Mani e della Terra, il suo de­ stino era dunque deciso unicamente da queste divinità, libere di assicurarne la permanenza in vita o di procurarne la fine nella battaglia. Analogamente, del resto, colui che, già agli albori della civitas, diveniva sacro a una deter­ minata divinità in esito al compimento di un'a-

1 1° 141

Cfr. P. de Francisci, 'Primordia civitatis', cit . , 313. Cfr. , tra gli altri, R. La Farina, L'estlto eroico, ovvero la 'devotio' di Cicerone, in ·ctementia Caesaris'. Modelli etici, parenest e retorica dell'estlto, a cura di G. Pico­ ne, Palermo, 2008, 333 s . , per il quale il devotus, dato giustamente per sacer in dipendenza dell'esecuzione del rito di autoconsacrazione nel quale si risolve la devotio, solo con la morte sarebbe passato definitiva­ mente alla sfera degli dei.

69

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70

zione ritenuta dall'ordinamento ingiuriosa nei confronti della medesima - e così, per esempio, diveniva sacro a Terminus per aver rimosso le pietre di confine tra i fondi 142

-

versava in una si­

tuazione di assoluta esclusione dal consorzio di cui era membro e di totale abbandono a quella divinità 143• La quale, in quanto del tutto padrona

142

Cfr. G. De Sanctis, La logica del confine. Per un'antro­ pologia dello spazio nel mondo romano, Roma, 201 5 , 7 6 ss.

1 4�

Cfr. L. Garofalo, Btopolttica e diritto romano, cit . , 4 6 s s . Q u i e nelle prossime note poste a corredo di quanto sarà esposto nel testo in relazione all hom o sacer i richiami bibliografici sono limitatissimi, tenu­ to conto della copiosa letteratura fiorita intorno alla figura in considerazione. Nei saggi miei cui rimando, comunque, la dottrina è ampiamente indicata e di­ scussa. Di quella sopravvenuta alla loro stesura, inol­ tre, mi sono occupato in Opinioni recenti, cit. , 2 ss. , u n contributo - parte d i u n volume collettaneo, già menzionato, tutto incentrato sulla sacertà - in cui ho anche riproposto le mie idee in tema di homo sacer, di nuovo riprese in // diritto e il sacro in Elémire Zol­ la, in 'Noctes iurtsprudentiae '. Scritti in onore di]an Za blocki, Bialystok, 201 5 , 95 ss. Sempre sull homo sacer, peraltro, vertono ulteriori pubblicazioni uscite negli ultimissimi anni, meritevoli di un'attenta lettura, e cioè: R. Astolfi, Annotazioni storiche sulla figura di 'homo sacer', in Scritti per Alessandro Corbtno, a cura di l. Piro, l, Tricase (Lecce), 201 6 , 87 ss. ; G. Sasso, '

'

.Auri sacrafames• e �acra fame de l'oro• ('aen. ' 3.57 e 'Purgatorio' XXII 41), in La cultura, LIV. 1 , 9 ss. ; F. Zuccotti, A ncora sulla corifigurazione originaria del-

Rubens e la devotio di Decio Mure

della sorte di lui, poteva anche risolversi per la sua morte, provocandone una malattia letale, il suicidio o l'uccisione per opera di un terzo144• E questi, appunto perché visto quale esecutore di un. disegno concepito dalla divinità, coeren­ temente non avrebbe risposto di alcun illecito, conservando il proprio stato di purezza, come le fonti compattamente attestano. In particola­ re, sarebbe andato esente dall'applicazione della legge di Numa sull'omicidio volontario, dal mo­ mento che essa incriminava soltanto la delibera­ ta messa a morte di un homo liher, vale a dire di un homo non sacer, prescrivendo l'eliminazione fisica del colpevole (questo il suo testo, traman­ dato da Paul. Fest. voce Parrici quaestores, a p . 247 dell'edizione Lindsay: 'si qui hominem

la sacertà, in Iura, LXIV, 2016, 301 ss. ; Autour de la notion de 'sacer', titolo di un livre en ligne edito nel 2017 sotto la direzione di T. Lanfranchi, che contiene i lavori nati in esito a una giornata di studio organiz­ zata all' École française de Rome nell'aprile del 2014. 144

Cfr. L. Garofalo, 'Homo liber' e 'homo sacer': due ar­ chetipi dell'appartenenza; in Studi in onore di Anto­ nino Metro, a cura di C. Russo Ruggeri, III, Milano, 2010, 26 s. Continuo a leggere le parole di Livio in 5 . 1 1 . 1 6 - numquam deos ipsos admovere nocentibus manus nel senso che nessun dio si sporcava del sangue di un individuo pur colpevole di un misfatto, recandogli direttamente violenza. -

71

luig i Garofalo

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liberum dolo sciens morti duit, paricidas esto') 14s. Ciò appare confermato da quanto leggiamo in

3 . 7 . 5 dei Saturnalia di Macrobio e nella voce Sacer mons contenuta nel De verborum signifi­ catu di Festo. Nel primo luogo si afferma infatti che vi erano alcuni ai quali risultava sorpren­ dente che nel passato fosse esistito il ius di uc­ cidere l'homo sacer, considerato che da sempre era contrario al jas146

-

cioè al diritto concer­

nente i rapporti tra individui e dei, al quale si affiancava il ius, inteso come diritto relativo ai rapporti tra individui 147

1'5

1 46

-

violare cetera sacra,

Cfr. L. Garofalo, 'Homo liber ' e 'homo sacer', cit. , 22 ss. ; v. anche L"homo liber' della '/ex Numae ' sull'omi­ cidio volontario, in Id. , Piccoli scritti di diritto penale romano, Padova, 2008, 5 ss. Muovendo dal carattere indeclinabile del sostantivo, che esso condivide solo con il suo derivato nefas, dà del fas un'eccellente rappresentazione M. Bettini, 'Fas', in Giuristi nati. Antropologia e diritto romano, a cura di A. McClintock, Bologna, 2016, 17 ss. (tocca­ no temi per noi interessanti altri due scritti contenuti in questo libro, e cioè, rispettivamente alle pp. 55 ss. e 73 ss. : B. Lincoln, 'ltis ' e i suoi paralleli iranici. Dalla purezza alla giustizia; A. McClintock, Giustizia

senza dèi). 147

La coppia evoca quella in cui sono abbinati ius dtvt­ num e ius humanum. Anche alla prima si attagliano comunque le giuste osservazioni formulate da R. Fio­ ri, La condizione di 'homo sacer' e la struttura sociale di Roma arcaica, in Autour de la notion de 'sacer',

Rubens e la devotio di Decio Mure

ovvero le altre cose sacre (hoc loco non alienum

videtur de condicione eorum hominum referre quos leges sacros esse certis dis iubent, quia non ignoro quibusdam mirum videri quod, cum ce­ tera sacra violari nefas sit, hominem sacrum ius fuerit occidi). Nel lemma richiamato, a p. 424 dell'edizione Lindsay, è inoltre ricordato che non era punito di omicidio chi troncasse la vita dell' homo sacer, pur non essendo consentito dal

jas procedere all'immolazione di costui (neque fas est eum immolari, sed, qui occidit, parricidi non damnatur) , in quanto l'homo sacer - può aggiungersi sul punto, a scioglimento dell'appa­ rente contraddittorietà - già era nella disponi­ bilità di una divinità, per cui non poteva esse-

cit . , 20 ss. (qui e oltre il numero indica la pagina del contributo), con riguardo alla seconda, tra le quali questa: ·il ius humanum e il ius divinu m non sono due dimensioni giuridiche aventi una diversa origi­ ne, umana e divina, ma due parti del ius della città, delle quali la prima regola i rapporti tra uomini e la seconda i rapporti tra uomini e dei•. E così anche ius e fas sono due insiemi normativi di un unitario ordinamento giuridico-religioso che divergono solo per l'oggetto, derivando entrambi direttamente dagli uomini, che pur li individuano per lo più attraverso un'attività sapienziale nel monopolio di specialisti, quali erano a suo tempo i pontefici, poi soppiantati da giuristi laici.

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re nuovamente devoluto a questa per mezzo di un sacrificio rituale 1 48• Il suo compimento, anzi, avrebbe concretato un'intollerabile intromissio­ ne in un rapporto di appartenenza facente capo a una divinità, idonea a infrangere, al pari degli atti sanzionati con la caduta in sacertà di chi li commetteva, la pax deorum, ossia la relazione di amicizia tra la comunità e gli dei che assicurava alla prima serenità e prosperità 1 49• Relazione che proprio la caduta in sacertà era di per sé in gra­ do di risanare, dal momento che essa provocava a un tempo la separazione dell'agente dal grup­ po sociale, il quale rimaneva perciò immune dal­ le manifestazioni d'ira della divinità oltraggiata, e l'affidamento del medesimo a questa, per cui le sue pulsioni di vendetta erano convogliate in testa a luP50•

1 4" Cfr. L. Garofalo, 'Homo liber' e 'homo sacer', cit. , 27 s. 149

Unico ammesso a ingerirsi in quel rapporto era colui che, agendo quale attuatore della volontà della divi­ nità offesa, poneva a morte l'homo sacer, come si de­ sume da un passo di Dionigi di Alicarnasso in 2.74.3: qui, con riguardo alla statuizione che comminava la sacertà al violatore delle pietre di confine tra fondi, si dice infatti che in base alla stessa chiunque aveva facoltà di ucciderlo impunemente e senza contami­ narsi.

1 �"

Cfr. L. Garofalo, 'Homo liber' e 'homo sacer', cit., 26.

Rubens e lo devotio di Decio Mure

Se la devotio comportava l'acquisizione dello

status di sacer in capo al celebrante, o al solda­ to suo vicario, e alle truppe avversarie, con le conseguenze che si sono delineate, da scartare

è l'ipotesi che essa integrasse un votum151 • Trat­ tandosi di una conclusione tutt'altro che pacifica in dottrina, è opportuno argomentarla meglio e precisare sin d'ora che non può estendersi alla

devotio bostium. Per questa, così come per l'evo­ catio che la precedeva - ancorché non imman­ cabilmente, secondo Giorgio FerrP52 -, il richia­ mo della figura del votum è infatti pertinente,

Tipica del mondo romano era infatti la convinzione che delle ingiurie contro gli dei spettasse agli dei stes­ si occuparsi, come si trae da Tac. ann. 1 .73.4: . . . deo­ rum iniurias dis curae. Sul punto cfr. altresì A. Valvo, L'incontro uomo-dio .fra libertà e diritto a Roma, in Humanitas, LVIII.3, 2003, 380, nonché F. Zuccotti, Il

giuramento collettivo dei 'cives ' nella storia del diritto romano, in 'Fides bumanitas ius '. Studii in onore di Luigi Labruna, VIII, Napoli, 2007, 6 1 30 s. m

1�2

Altro problema è ovviamente quello del rapporto tra i due vocaboli latini, sul quale si soffermano vari autori, tra i quali L. F. Janssen, Some Vnexplored Aspects of 'De­ votio Deciana ', in Mnemosyne, XXXIV, 198 1 , 358 ss. Cfr. G. Ferri, Tutela segreta ed 'evocatio', cit . , 63. A suo dire, l'evocatio e la devotio bostium erano reci­ procamente indipendenti, pur potendo ricorrere am­ bedue, ovviamente in questa sequenza, nel contesto di una stessa vicenda bellica.

75

Luigi Garofalo

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per le ragioni che esporremo oltre. Nella sua forma più recente, come ha posto in risalto de Francisci 153, il votum si atteggiava a promessa con effetti obbligatori condizionati sospensivamente,

consistendo

nell'assunzione

dell'impegno di dare o fare qualcosa a favore di una divinità per il caso in cui la stessa esaudisse la richiesta del vovens, comportante per costui, se inadempiente nonostante il compiersi del fatto sperato, una sanzione sul piano giuridico­ religioso, forse ravvisabile, almeno in un primo tempo, nel suo tramutarsi in essere sacro 154• La

devotio, invece, non contemplava affatto una promessa così concepita, fosse essa unilaterale o avesse natura pattizia, esigendo l'accettazione della divinità (da vedersi allora nell'accadimento di quanto desiderato) 1 55: era infatti un rito che, rendendo d'immediato e senza riserve sacre ai Mani e alla Terra le entità umane cui aveva riferi­ mento, d'immediato e senza riserve le trasferiva

''�

Cfr. P. de Francisci, 'Primordia civitatis ', cit., 3 1 1 .

'" Cfr. ). 1\Jrlan, L'obligation 'ex voto', i n Revue bistori­ que de droitfrançais et étranger, XXXI II, 1955, 5 1 6 s. 1 55

Cfr. K. Visky, Il 'votum ' in diritto privato romano, in Index, II, 197 1 , 313 ss. ; O. Diliberto, La struttura del 'votum · alla luce di alcunefonti letterarie, in Studi in onore di Arnaldo Biscardi, IV, Milano, 1983, 297 ss.

Rubens e la devofio di Decio Mure

nella zona di esclusiva incidenza di tali divinità . Né varrebbe ribattere, con una dottrina pur autorevole 156, che la devotio si presentava come un votum con adempimento anticipato, in quan­ to l'oggetto della promessa in cui si risolveva, e cioè le vite dei devoti, veniva offerto ai Mani e . alla Terra prima che la schiera delle divinità supplicate avesse soddisfatto la petizione dell'of­ ficiante, intervenendo a vantaggio dell'esercito romano 157• Rilevato che l'intercessione implorata dal devovens poteva essere però rifiutata - anche nel caso di morte del devotus, come appurere­ mo più avanti 158 -, non rimane che constatare

t%

Richiamata da L. Sacco, 'Devotio", cit., 334. Esposta alle pp. 3 1 5 ss. è l'opinione di questo autore, il quale avvicina comunque la devotio al votum, rimarcando­ ne però - come fa anche in 'Devotio'. Aspetti storico­ religiosi, cit. , passim i caratteri peculiari, idonei a distinguerla dal votum in senso proprio. -

"7

Anche per L. Sacco, 'Devotio". Aspetti storico-religiosi, cit., 79, è pacifico che la devotio poneva le divinità alle quali era diretta la consacrazione •nel pieno pos­ sesso• di chi ne era investito ancor prima che quelle competenti avessero manifestato una qualsiasi volontà rispetto alla supplica e quindi all'esito della battaglia.

' "' A parere di L. Sacco, "Devotio'. Aspetti storico-religiosi, cit . , 79, nt. 58, il devotus, almeno se si ha riferimento alla devotio dei Decii, è •in linea di massima certo della propria morte, proprio perché tale morte rap­ presenta il sacrificio richiesto per l'esaudimento della

n

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l'incolmabile distanza che separava la devotio dal votum, accorciabile solo a pena di snaturare troppo la fisionomia della seconda figura, can­ cellandone il tratto saliente ravvisabile nell'e­ secuzione della prestazione dovuta dal vovens posteriormente all'eventuale concessione della grazia da lui impetrata alla divinità 159• Quanto

preghiera•, ragion per cui, •in questa misura, il devotus . è anche certo dell'esaudimento medesimo•. Vero è, però, che il devotus, trovandosi nella condizione di sacer, ha un futuro agganciato alla libera volizione delle divinità che ne sono diventate proprietarie: e ciò basta a precludergli qualsiasi fondata previsione o giustificata premonizione circa il suo avvenire. Se così è, d'altro canto, nemmeno è approvabile la tesi di G. Dumézil, La religione romana arcaica, cit . , 97, secondo cui il devovens darebbe per sicura la propria morte, ravvisando in questa un pagamento anticipa­ to •nell'ambito di una transazione che non può né deve essere ingannevole• e postula pertanto il sicuro adempimento della parte divina ovvero l'attuazione di quanto richiestole con il carmen devotionis. .

1 �9

.

Naturalmente prendo a riferimento il votum secondo la sua struttura paradigmatica, per usare un'espres­ sione di O. Diliberto, voce ' Voveo ', in Enciclopedia Virgiltana, V, Roma, 1 990, 630: consapevole quindi dell'esistenza di una ·forma votiva• divergente da quella tecnica a valenza generale, in cui, come preci­ sa ancora Diliberto, il compimento della prestazione promessa alla divinità •è contestuale all'invocazione e quindi precede l'eventuale esaudimento delle preces-. Nemmeno a questa, peraltro, appare riconducibile la devotio, poiché in essa non è isolabile, in quanto

Rubens e lo devolio di Decio Mure

mai istruttivo, al proposito, è questo brano di Jacqueline Champeaux. •Pronunciando il voto, il fedele si impegna a consacrare un proprio bene alla divinità, se la domanda sarà esaudita: offerta modesta da parte di un privato di scarsi mez­ zi; costruzione di un tempio da parte di gene­ rali in gravi difficoltà sul campo di battaglia. Un esempio: nel 295 il console Quinto Fabio Mas­ simo, alla battaglia di Sentino, vota un tempio a Giove Vittorioso (lupiter Vietar, il cui natalis

è il 13 aprile); il suo collega, uno dei tre Decio Mure, ricorre invece alla devotio. Il fedele esau­ dito adempie al voto e lo fa incidere sull'iscrizio­ ne dedicatoria con la formula di rito ricorrente nell'epigrafia religiosa: V(otum) S(olvit) L(ibens)

M(erito), ovvero: 'ha adempiuto al voto con ani­ mo grato e giustamente'• 160• È Livio, in effetti, a raccontare, in 1 0 . 29. 1 2-19, che Fabio, appresa la notizia della morte del secondo Decio, che con lui comandava l'esercito romano, prima di sfer-

manca del tutto, il momento della promessa, che lo­ gicamente e cronologicamente dovrebbe precorrere quello dell'offerta ai Mani e alla Terra delle vite dei devoti, la quale si realizza infatti subitaneamente. 160

Cfr. ). Champeaux, La religione dei romani, trad. it. , Bologna, 2002, 92.

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rare l'attacco decisivo contrò i galli e i sanniti, con un voto aveva promesso a Giove Vincitore un tempio e anche le spoglie dei nemici (ipse aedem

Iovi Victori spoliaque bostium cum vovisset . . . ) , sicché, conseguita la vittoria cui era subordinata l'esecuzione dell'impegno, subito aveva bruciato in onore di quel dio le spoglie oggetto del voto

(spolia hostium coniecta in acervum Iovi Victori cremavit), dando altresì ordine ad alcuni suoi uomini di cercare la salma del collega , al quale il giorno seguente avrebbe reso il saluto fune­ bre con ogni forma di onore e con giuste lodi

(Fabius collegaefu nus omni honore laudibusque meritis celebrat) . Nella sua forma primitiva, invece, il votum, ancora secondo de Francisci, che sul punto si ispira alle ricerche condotte da Marcel Mauss, era qualificabile come un dono elargito a una divinità in conformità a un rigoroso rituale, così da vincolarla a un dono di risposta, individuabi­ le nell'accoglimento della richiesta del vovens. Anche ricostruito così, il votum manteneva una netta autonomia rispetto alla devotio, posto che a questa, pur compiuta in modo corretto, non faceva immancabilmente seguito il dono atteso in contraccambio dall'officiante, ben potendo

Rubens e la devotio di Decio Mure

le divinità da lui invocate, tra l'altro coincidenti solo in minima parte con quelle destinatarie del suo supposto dono, ovvero delle vite dei devo­

ti

-

unicamente i Mani, infatti, figurano in en­

trambe le categorie -, non prodigarsi affatto per il trionfo delle forze militari romane e assistere passivamente alla loro sconfitta .

È questa, peraltro, un'alternativa che a Gian­ luca De Sanctis non sembra contemplata dall'or­ dinamento, almeno qualora il comandante de­

votus perisse. Costituito da norme rivolte agli uomini e agli dei, esso, secondo lo studioso, riconosceva al carmen al centro del rito della

devotio una potenza d'intensità tale da indurre gli

dei

nominativi a soccorrere l'esercito roma­

no, portandolo alla vittoria . Ogni carmen, scrive De Sanctis, consta di una formula estremamente efficace, •in cui il gioco dei parallelismi sintatti­ ci e delle ripetizioni foniche e semantiche pro­ duce una particolare sonorità, che conferisce al

carmen stesso una forza operativa sconosciuta ad altre tipologie di enunciato• 161 • Non a caso,

161

Cfr. G . De Sanctis, La religione a Roma, cit., 94. Gli è vicino, nella sostanza, G. Ward, 1be Roman Bat­

tle.field. Individuai Exploits in Waifare of tbe Roman Republtc, in 1be Topograpby of Violence in tbe Greco-

81

Lu igi Gorofalo

82

continua l'autore, •Publio Decio Mure appare 'trasformato' in seguito alla recitazione del car­

men: Livio dice infatti che egli appare ai suoi nemici 'più grande' (augustior) di un comune essere umano e che questa 'grandezza', imme­ diatamente percepibile a livello visivo, sparge il terrore tra le fila degli bostes. Ma non dobbiamo !asciarci ingannare . La forza del carmen, almeno nella prospettiva di chi lo utilizza, non agisce di­ rettamente sul locutore, ma sui destinatari, cioè gli dèi, che 'colpiti' da questa forza decidono di invertire il corso degli eventi. La trasfigurazione del devotus è la conseguenza , e al tempo stesso la prova, del fatto che la preghiera ha assolto alla sua funzione conativa, e la transazione è in atto. Ma come in tutti gli atti sacri, anche in questo caso alle parole devono seguire i fatti. La morte dell'eroe è quanto mai necessaria per garantire all'esercito romano la vittoria finale e suggellare il patto con gli dèi. La devotio è infatti una sorta di contratto forzato. A differenza dei voti tradi­ zionali, infatti, le divinità assoggettate dal potere incantatorio del carmen e poi definitivamente

Roman World, Arbor,

a cura di W. Riess e G.G. Fagan, Ann

2016, 319.

Rubens e la devotio di Decio Mure

83

legate - verrebbe da dire 'comprate' - dall'offer­ ta anticipata (la vita del comandante) non posso­ no sottrarsi dal fare la loro parte• '62. La tesi, oltre a risultare insoddisfacente nella parte in cui sussume la devotio tra le forme di

votum non tradizionali o comunque •particola­ ri- 16\ si fonda su un'idea - per vero propugnata da un'ampia schiera di studiosi - non sorretta e anzi contraddetta dalle fonti, ossia che la morte del comandante devotus fosse •quanto mai ne­ cessaria• ai fini del successo delle legioni roma­ ne e dunque, prima ancora, dell'intervento fa­ vorevole degli dei '64 • Al proposito, si potrebbe

162

t r>.� IM

Cfr. ancora G. De Sanctis, La reltgione a Roma, cit . , 94. Cfr. G. De Sanctis, La religione a Roma, cit . , 88. L'idea, come detto, riscuote il consenso di molti au­ tori. Tra questi, per esempio, ). Champeaux, La reli­ gione dei romani, cit. , 9 1 , secondo cui •la morte del generale è necessaria per garantire l'efficacia di un rito che, venato di magia, mira a far perire di una stessa morte, insieme col devotus, l'intero esercito nemico•; R. La Farina, L'esilio eroico, cit . , 334, per il quale il console che, come il primo Decio, ricorre alla devotto, per mezzo di questa consacra sé e il nemico agli dei inferi, ma deve comunque morire per il buon esito del rito, perché solo con il decesso transita in via definitiva nella sfera degli dei; L. Sacco, 'Devotio Aspetti storico-religiosi, cit. , 1 54, perentorio nell'affer­ mare. nell'ambito delle conclusioni tratte al termine ·.

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Luigi Garofalo

subito invocare un'osservazione contenuta nel

De natura deorum di Cicerone, in 3 . 6 . 1 5 (tu au­ tem etiam Deciorum devotionibus placatos deos esse censes. Quae fuit eorum tanta iniquitas, ut p/acari populo Romano non possent nisi viri ta­ les occidissent?), sostenendo che già in antico pareva impossibile che gli dei fossero così ini­ qui da non essere disposti a riconciliarsi con il popolo romano se non in cambio della morte di uomini della levatura dei Decii. Senonché toglie valore a questo rilievo la riflessione versata nel seguito di 3 . 6 . 1 5 , dove la devotio dei Decii vie­ ne spogliata della sua veste giuridico-religiosa e ridotta, in un'ottica razionalizzatrice, a mossa strategica dovuta all'iniziativa di generali pronti a perdere la vita per il bene della patria, convinti com'erano che l'esercito avrebbe seguito il co-

del suo lavoro monografico, che, rispetto alla devo­ tto, •la morte del comandante romano era la condi­ fio necessaria per garantire l'efficacia di un rito che, apparentemente venato di 'magia', mirava a far perire di una stessa morte, insieme con il devotus, l'intero esercito nemico•; F. Hickson Hahn, voce 'Devotio in Encyclopedia of Ancient History, a cura di R.S. Ba­ gnali, K. Brodersen e altri, IV, Malden, 2013, 2060, a parere del quale •the devotio was an ancient Roman ritual for consecrating oneself or another to death to ensure the safety of the community•. ·,

Rubens e la devofio di Decio Mure

mandante che si fosse lanciato a briglie sciolte contro il nemico, come in effetti era accaduto

(consilium illud imperatorium fuit, quod Graeci 'strategema ' appellant, sed eorum imperatorum qui patriae consulerent vitae non parcerent; re­ bantur entm jore ut exercitus imperatorem equo incitato se in bostem inmittentem persequeretur, id quod evenit) . Bandita questa fonte, appunto perché sco­ lora e anzi svilisce il rito dei Decii, presentan­ do costoro come artefici di un efficace espe­ diente militare a impatto psicologico - al pari di quanto farà nel V secolo d.C. Orosio nelle sue storie contro i pagani165 -, bisogna dare atto

.

che la morte del devotus rappresentava senz'al­ tro un'avvisaglia dell'indulgenza divina foriera dell'affermazione bellica , come attesta Livio in

•M

Qui, in 3.9. 1 -3 e 3 . 2 1 . 4-5, l'autore parla dei primi due Decii, raccontando della loro fulgida e trainante mor­ te in battaglia, senza nemmeno menzionarne la devo­ fio. Di questa serba invece il ricordo Frontino nei suoi Strategemata, quattro libri dal titolo eloquente com­ posti sul finire del I secolo d.C. Nell'ultimo, in 5 . 1 5, con riguardo ai primi due Decii, leggiamo: P. Decius,

primo pater, postea .filtus, in magistratu se pro re pu­ bltca devoverunt, admissisque in bostem equis adepti victoriam patriae contulerunt (un accenno al Decio console nel 295 a.C. compare anche in 1 .8.3).

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8. 10. 1 2 , pur con riferimento alla morte del sol­ dato e non del comandante devotus: si is homo

qui devotus est moritur, probe factum videri. Ma per come è formulata la seconda frase, sembra che si desse comunque l'ipotesi, per quanto re­ mota, che , nonostante il decesso del devotus, venissero a mancare l'assistenza degli dei e la connessa vittoria sul nemico. Entrambe, peraltro, potevano aversi anche nel caso in cui il devo­

tus non perisse : ciò non è detto esplicitamente da Livio, che pur tratta - come vedremo - del

devotus sopravvissuto in 8 . 1 0 . 1 2-14, ma nem­ meno è escluso da lui e dalle altre fonti, com­ prese quelle in cui il successo dell'esercito ro­ mano viene collegato alla morte del devotus (ex

cuius vulneribus et sanguine insperata victoria emersit, scrive per esempio Valerio Massimo in 5 . 6 . 5 dei summenzionati Detti con riguardo al primo Decio autoconsacratosi pro salute rei pu­

blicae, estendendo il concetto al figlio nel passo seguente). Il tutto, oltre a rimarcare il carattere eventuale della morte del devotus, vale a dimo­ strare, di contro alla supposizione di De Sanctis, che la possibilità dell'inerzia divina e quindi del rovescio militare malgrado l'interposta devotio era prevista dall'ordinamento e per giunta rima-

Rubens e la devotio di Decio Mure

neva aperta perfino laddove il devotus perdesse la vita nel combattimento, essendo questo fatto considerato sì fortemente sintomatico, ma non del tutto inequivocabilmente, degli accadimenti auspicati dal devovens. Tant'è che il terzo Decio Mure, il console che nel 279 a . C . affrontava Pirro ad Ascoli Satriano, pur morendo dopo essersi autoconsacrato per mezzo della devotio 166, non riesce con ciò a incidere sull'esito dello scon­ tro, che vedrà soccombente lo schieramento ro­ mano, anche se quella di Pirro sarà una vittoria

166

G. Stievano, La supposta 'devotto' di P. Dee io Mure nel 2 79 a . C. , in Epigrapbica, XIII, 195 1 , 12 s . , cerca di contrastare il dato attraverso il De viris illustribus del­ ·

lo Pseudo Aurelio Vittore. In 36. 1-2, in effetti, si parla di un Decio Mure che, mandato da Roma, si sarebbe prodigato per la repressione delle turbolenze scop­ piate a Volsinii nel 265 a . C . : dunque, ammettendo che costui fosse il console che quattordici anni prima aveva lottato contro Pirro ad Ascoli Satriano, se ne dovrebbe dedurre che non era morto nella battaglia e, a ritroso, che non si era autoconsacrato nel corso della stessa. A prescindere dal rilevare che l'even­ tuale sua sopravvivenza non sarebbe certo indicativa dell'assenza della devotio, vi è che nulla induce a pensare che il Decio Mure in questione, secondo la supposizione dell'autrice •inviato dal senato contro i ribelli di Volsinii in qualità di legatus, munito pro­ babilmente di auctoritas•, sia proprio il console del 279 a . C . , essendo ben più probabile che ne fosse un fratello minore o un figlio, come reputano taluni stu­ diosi.

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conseguita a un prezzo così sproporzionato da diventare proverbiale 167• Certo questa devotio, trascurata da Livio e data per temuta all'interno delle truppe nemiche e tut­ tavia non celebrata da Giovanni Zonara, debitore di Cassio Diane, in 8.5 (al contrario di quella del

340 e del 295 a.C. , di cui lo scrittore tratta in 7.26 e 8 . 1 ) 1 68 , potrebbe essere stata inventata da qual­ cuno capace di suggestionare Cicerone, al quale

167

1 68

Non mancano, per vero, fonti che attribuiscono ai romani e non a Pirro il successo o che danno per in­ certo il risultato del loro confronto: ma esse non sono assolutamente credibili, come già notava, riferendole insieme ai testi ai quali si è prestato affidamento, G . Stievano, La supposta 'devotio' di P. Decio Mure, cit., 11 s. Piero, narra Zonara, aveva raccomandato alle proprie milizie di non lasciarsi intimorire dall'eventuale de­ volto di Decio, essendo frutto di pure fantasticherie quel che si diceva intorno alla stessa; le aveva poi ragguagliate in merito agli indumenti che avevano in­ dossato il padre e il nonno al momento del rito e nel corso della battaglia seguente, impartendo loro l'or­ dine di non uccidere, ma di prendere vivo, colui che avessero visto vestito allo stesso modo. Cassio Diane, nel frammento 43, racconta inoltre che Decio, rag­ giunto da un'ambasceria inviata da Pirro allo scopo di informarlo che vanamente si sarebbe reso devotus, aveva risposto, insieme all'altro console, che nessuno dei due sentiva il bisogno di ricorrere alla devotio, certi com'erano entrambi di piegare l'esercito nemico senza l'ausilio di questo rito.

Rubens e la devotio di Decio Mure

si deve - secondo Sacco 169, la cui opinione ricalca quella di Gemma Stievano 170 - la sua trasmissione sul piano storiografico: veicolata, in particolare, da quanto egli scriveva nelle Tusculanae dispu­

tationes, in 1 . 37.89 (se avessero temuto la morte, •non si sarebbero esposti ai dardi nemici né Decio padre combattendo con i Latini né suo figlio con gli Etruschi né suo nipote con Pirro• 171 , ossia i Decii poi collettivamente richiamati in 2 . 24. 59) , nel De .finibus bonorum et malorum, in 2 . 19. 6 1 (se la condotta del primo Decio non fosse stata lodata a ragione, •non l'avrebbe imitata suo figlio al quarto consolato, e in seguito il figlio di questo quand'era console non sarebbe caduto in batta­ glia combattendo contro Pirro e non si sarebbe offerto allo Stato come terza vittima consecutiva della medesima stirpe• 172), e probabilmente anche in altre opere 173• Ma se anche così fosse, rimar-

ICfJ

1 70

171

172

m

Cfr. L. Sacco, 'Devotio', cit . , 320; Id., 'Devotio'. Aspetti storico-religiosi, cit. , 84. Esposta e argomentata in G. Stievano, La supposta 'devotio ' di P. Decio Mure, cit . , 3 ss. Cfr. Opere politiche e filosofiche di M. Tullio Cicerone, Il, a cura di N. Marinone, Torino, 1976, 533. Cfr. Opere politiche e filosofiche di M. Tullio Cicerone, cit . , 181 e 183. L'accenno è a De domo 24.64, brano sul quale torne-

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rebbe nondimeno confermato che all'Arpinate, il quale di diritto e religione s'intendeva e difficil­ mente avrebbe sottoposto ai suoi lettori notizie così inverosimili da apparire tali al loro primo sguardo, risultava ammissibile che una devotio potesse essere inutilmente seguita dalla morte del

remo presto; Pro Sestto 68. 143; Philippicae 5 . 17.48, 1 1 .6. 1 3 e 1 3 . 1 3.27; De natura deorum 3.6. 1 5 ; De offi­ cits 1 . 18.6 1 : in ciascuno di questi luoghi troviamo una generica menzione dei Decii, per cui, a rigore, non siamo sicuri che Cicerone vi ricomprendesse anche il terzo. Di nuovo nella Pro Sestio, ma in 2 1 . 48, e inoltre nella Pro Rabirio Postumo, in 1 .2, e nei Paradoxa, in 1 . 1 2 , l'Arpinate fa invece riferimento a due Decii, che potrebbero essere il primo e il secondo oppure il secondo e il terzo, posto che li ricorda come pa­ dre e figlio, dicendoli devoti entrambi pro salute po­ pult Romani victoriaque nell'uno dei tre testi, devoti e periti allo stesso modo nel seguente e, pur meno apertamente, nell'ultimo. Del primo e del secondo Decio egli si occupa nel De divinatione, in 1 . 24. 5 1 , dove rammenta che ambedue avevano perso l a vita combattendo da devoti. Ancora di due Decii non al­ trimenti individuati parla Cicerone nel De of.ftcits, in 3.4. 16, accostandoli ai due Scipioni, in quanto tutti e quattro abitualmente considerati fortes viri, e nel Gato maior de senectute, in 20.75, in cui scrive che essi ad voluntariam mortem cursum equorum inci­ taverunt (dopo aver detto, in 1 3.43, che il secondo Decio se pro re publtca quarto consu/ato devoverat). Di un Decio soltanto, verosimilmente da identificare con il primo o il secondo, si parla poi nella Rhetorica ad Herennium, opera dalla paternità incerta spesso attribuita a Cicerone, in 4.44.57.

Rubens e lo devofio di Decio Mure

magistrato devotus, optando le divinità invocate per una condotta omissiva . Né un esito del gene­ re appariva improponibile a Virgilio, se nell'Enei­

de, ai versi 440-442 dell'undicesimo libro, egli fa di Turno, il capo dei rutuli in lotta con i troiani di Enea - non inferiore a costui sotto il profilo della pietas174 -, un devotus (vobis animam hanc

soceroque Latino l Turnus ego, haut ulli veterum virtute secundus, l devovi) 175 che poi, nel libro successivo, ai versi 950-953 conclusivi dell'ope­ ra, muore trafitto dalla spada dello stesso Enea, senza sollevare dalla sconfitta i suoi (hoc dicens

ferrum adverso sub pectore condit l fervidus; ast il/i solvontur /rigore membra l vitaque cum ge-

1 7'1

1''

Cfr. L. Sacco, La morte di Turno: 'devotio ' o ·tustra­ tio '?, in Studi romani, LX, 20 1 2 , 24 s. Anche Giuturna , sorella di Tu rno, ne ricorda la de­ vofio in 1 2 . 234-235: il/e quidem ad superos, quorum

se devovet aris, l succedet fama vivosque per ora fe­ retur. Sempre nell'Eneide, in 1 .7 1 2 , Didone è raffi­ gurata come devota, ma - sottolinea giustamente O. Diliberto, voce 'Voveo ', cit . , 632 - • i n senso traslato, in quanto ella appare già consacrata al proprio desti­ no•: praecipue infelix, pesti devota futurae. L'infelice Didone , scrive al proposito E. Montanari, voce 'De­ votio', in Enciclopedia Virgiliana, Il, Roma , 1985 , 38, •riceverà dalla sorte quella pestis che i Decii seppero volontariamente attivare pro re pub/ica Quiritium•.

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mitu fugit indignata sub umbras) 176• Tutto ciò è dunque eccepibile a Sacco, quando, ancora nel solco di Stievano, sostiene, a confutazione della storicità della devotio del 279 a.C. , che ad Ascoli Satriano •i Romani non furono vincitori, ma vinti, e noi sappiamo che se non ci fu vittoria non poté esserci neppure devotiO> m.

1 76

177

Nell'autoconsacrazione di Turno sono comunque pre­ senti elementi che valgono a differenziarla da quella dei Decii, ben individuati da E. Montanari, voce 'De­ volto', cit. , 37: per esempio, essa ha per destinatari gli dei superi anziché quelli inferi e annovera inoltre tra i suoi beneficiari, in aggiunta al popolo e agli alleati del devotus, il socer del medesimo. Proprio in ragio­ ne di queste e altre peculiarità, L. Sacco, La morte di Turno, cit. , 27 ss. , riconduce il rito che porta all'uc­ cisione del principe dei rutuli a •una sorta di lustra­ tto•. Ai nostri fini, è tuttavia notevole che a Virgilio, e dunque - riesce facile presumere - al suo pubblico, non suonasse affatto stonato che una devotio potesse sfociare nella morte del devotus in un combattimento dall'esito infausto per lui e per i suoi. Cfr. L. Sacco, 'Devotio'. Aspetti storico-religtost, cit., 93; G. Stievano, La supposta 'devotio' di P. Decto Mure, cit., 12. •D'altra parte•, continua Sacco sempre sulla scia di Stievano, •qualora si fosse compiuto ugualmente il rito difficilmente esso sarebbe stato tramandato poiché avrebbe avuto una valenza del tutto negativa. Come avrebbe potuto spiegarsi che gli dei, che aveva­ no sempre protetto Roma, proprio in quell'occasione avessero negato il proprio aiuto non osservando gli estremi del pactum sancito con il devovens/devotus?•. Ciò a cui si può replicare notando che l'esecuzione

Rubens e la devotio di Decio Mure

Non va poi dimenticato, a riprova dell'ottima conoscenza che Cicerone doveva avere del nostro rito considerato in tutti i suoi profili, che egli, per quanto proclama nella De domo, in 24. 62-64, era dettagliatamente informato sull'operato dei Decii, tanto da dichiarare di essersi ispirato a questo al­ lorché aveva scelto di abbandonare Roma prima ancora dell'adozione della lex Clodia de capite ci­

vis, in base alla quale sarebbe stato colpito dalla sanzione dell'esilio. Queste le sue parole, conser­ vate in 24. 64 : •avevo sentito dire e letto che i più famosi eroi della nostra patria s'erano gettati in mezzo ai nemici incontro a una morte gloriosa per la salvezza dell'esercito; e, per la salvezza di

del rito, occorsa o meno, è stata sicuramente registra­ ta da qualche fonte, della quale si è servito Cicerone. Lo stesso Sacco, del resto, a p. 87, nt. 84, scrive, mo­ tivando poi l'assunto: •sembra molto probabile che la fonte di Cicerone fosse Ennio• e in particolare i versi 191-193 del libro sesto (secondo l'edizione curata da O. Skutsch) dei suoi Anna/es. Vero è, peraltro, che essi - divi boe audite parumper: l ut pro Romano po­

pulo prognariter armis l certando prude1ts anima m de corpore mitto - potrebbero appartenere, anziché

al libro sesto, in cui si parla della guerra contro Pirro, al quinto: e se così fosse, le loro parole dovrebbero essere riferite non al terzo Decio devotus, ma al se­ condo, quello perito nella battaglia di Sentino. Sul punto è limpida G. Stievano, La supposta 'devotio ' di P. Decio Mure, cit . , 4 ss.

93

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tutto lo Stato, avrei forse esitato io a essere in una situazione ben migliore dei Decii, poiché quel­ li non avevano nemmeno potuto sentir parlare della loro gloria, mentre io sarei potuto essere perfino il testimone oculare della mia fama?• 1 78• Non bastasse, nella Post reditum ad Quirites, in

1.1 , e ancora nella De domo, in 57.144-145, Cice­ rone cala nello stampo della devotio, consapevole di distorcerlo, la sua decisione di allontanarsi da Roma, assunta - egli dice, rispettando l'essenza dell'antico rito - nell'incertezza del futuro - volto­ si poi a proprio favore, visto che una nuova legge ne aveva autorizzato il rientro - e per il bene della

res publica, animata com'era dal desiderio di evi­ tare una guerra fratricida 1 79. Merita piena adesione, per converso, quanto lo stesso De Sanctis scrive a proposito di un se­ condo modello rituale, diverso da quello tipico

1 7"

Cfr. Le orazioni di M. Tttllio Cicerone, III, a cura di G . Bellardi, Torino, 1 975, 209.

1 79

Non sembra sempre impeccabile la pur approfondita trattazione della materia da parte di A. Dyck, Cicero 's

'Devotio': The Roles of 'Dux ' and Scape-Goat in His 'Post Reditum ' Rhetoric, in Harward Studies in Classi­ ca/ Pbilology, CII, 2004, 299 ss. Particolarmente utile si rivela la lettura di E. Narducci, Cicerone. La parola e la politica, Roma - Bari, 2009, 209 ss. e 233 ss .

Rubens e la devofio di Decio Mure

della devotio, che si intreccia con questo nel rac­ conto di Livio relativo al primo eroico Decio Mure. Contaminando lo schema genuino della devotio, verrebbe da dire a parafrasi del discorso dello stu­ dioso, il narratore, in 8.9. 10, assimila il devotus a una vittima espiatoria dell'ira divina (piaculum

omnis deorum irae), in grado di stornare la pe­ ste dai suoi soldati ai nemici (qui pestem ab suis

aversam in hostes ferret). Orbene, vedendo nel­ la peste cla paura del divino che atterrisce, che ottunde le capacità psico-fisiche• (espressa dalla parola religio), suscitata nelle file romane dall'ira divina - secondo la ricorrente interpretazione che la voleva alla base di svariati fenomeni indeside­ rati -, ecco che è proprio questo •il morbo che la galoppata del devotus trasferisce da un campo all'altro•, dalle schiere dei commilitoni di Publio Decio Mure a quelle dei latini (evidentissimum id

fuit quod, quacumque equo invectus est, ibi baud secus quam pestifero sidere icti pavebant, leggia­ mo in 8.9. 1 2). E ciò equivale ad affermare che Decio, una volta devotus e in quanto tale, assume in capo a sé il morbo dei suoi soldati, scarican­ dolo con la propria morte sugli avversari180• Non

"'" Cfr. anche M. Meslin, L'uomo romano. Uno studio di

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a caso, avverte De Sanctis, è dal cadavere di co­ stui che •il morbo sembra liberarsi nuovamente, per provocare sui Latini gli stessi effetti che aveva poco prima prodotto tra i Romani> (come emer­ ge da 8.9. 1 2- 1 3 : ubi vero corruit obrutus telis,

inde iam baud dubie consternatae cohortes La­ tinorum fugam ac vastitatem latefecerunt. Simul et Romani, exsolutis religione animis, velut tum primum signa dato coorti pugnam integram edi­ derunt)181 . Compare così sulla scena, facendovi ritorno in 8. 1 0.7 (dove del console devotus e pe­ rito è detto che omnes minas periculaque ab deis

superis inferisque in se unum vertit)182, la figura, originariamente distante dal devotus e ben nota agli antropologi, del capro espiatorio, alla quale

è riconducibile il pharmak6s: ossia dell'animale o dell'uomo che, nella cultura giudaica e greca, in virtù di cerimonie particolari, concentra su di sé il male del gruppo di cui è parte, venendo poi al-

antropologia, trad. it. , Milano, 198 1 , 219 s. ' " ' Cfr. G . De Sanctis, La religione a Roma, cit. , 95 s. '"2

Cfr. W. Hiibner, 'Apopompé ' und 'Epipompé ' in der r6miscben Kriegsfubrung, in Kult, Konjlikt und Ver­

sobnung. Beitriige zur kultiscben Siibne in religiosen, sozialen und politiscben Auseinandersetzungen des antiken Mittelmeerraumes, a cura di R. Albertz, II, Miin­ ster, 200 1 , 196.

Rubens e la devofio di Decio Mure

lontanato o ucciso, sul presupposto che in questo modo il male stesso sparisca, perché scacciato o annientato 183• Solo che in quella cultura il capro espiatorio, quando si tratti di una persona, è reclutato •tra i membri socialmente e biologicamente più deboli, in quanto portatori dei cosiddetti 'segni vittimari', di qualcosa cioè che suggerisce la loro colpevole affinità con la crisi•, mentre nella devotio romana il protagonista, se si prende a esempio il Decio cui Livio arbitrariamente attribuisce anche i linea­ menti di un capro espiatorio, non è affatto scelto da altri, ma spontaneamente si consacra a certe divinità 184, gode di un lignaggio elevato - perce­ pito così, ancorché interno alla plebe, da subito o comunque in via retrospettiva dai posteri -, è for­ te e inoltre ricopre un ruolo politicamente e mi­ litarmente assai importante 185• Tanto che, a voler

'"3

Cfr. G. De Sanctis, La religione a Roma, cit. , 96 s. V. pure M. Padovan, Il 'pbarmak6s': considerazioni su un istituto panellenico, in Atene e oltre. Saggi sul di­ ritto dei greci, a cura di C. Pelloso, Napoli, 2016, 643 ss.

'"' Lo ammette anche P. Charlier, Male mort. Morts vio­ lentes dans l 'A ntiquité, Paris, 2009, 183, che pur pre­ senta la devotio come un rito per il pieno sacrificio di un uomo in vista dell'estinzione della collera divina. tss

Cfr. G. De Sanctis, La religione a Roma, cit . , 97. Mette

97

Luigi Garofalo

98

a tutti i costi seguire Livio, dovremmo parlarne, come fa De Sanctis, in termini di capro espiatorio o di vittima sacrificale che si avvicina a Cristo, an­ ticipando per certi versi la sua morte salvifìca 186• Anche quella di Gesù , infatti, è la morte vicaria dell'uno pro multis (riecheggiando il dio Nettuno dell'Eneide, il quale in 5.814-8 1 5 preannuncia la perdita di una sola vita in cambio del suo ausilio:

unus erit tantum amissum quem gurgite quaeres;

l unum pro multis dabitur caput187), ancorché vi sia sottesa l'idea dell'espiazione dei peccati degli uomini in rapporto a Dio, totalmente estranea alla morte del devotus, che ha una finalità squisita­ mente patriottica 188 •

in luce che il pharmak6s era scelto tra persone dall'a­ spetto ripugnante e veniva inoltre vestito in modo ri­ dicolo L. Sacco, 'Devotto'. Aspetti storico-religiosi, cit . , 1 1 0, i l quale opportunamente nelle pagine seguenti confuta gli autori che avvicinano le eterogenee prassi del capro espiatorio e dell'ostracismo. 1 116

Cfr. G. De Sanctis, La religione a Roma, cit . , 97.

1117

Nemmeno in Virgilio manca un accenno ai Decii: lo si rinviene nella stessa Eneide, in 6.824-825, e nelle Georgiche, in 2 . 1 67-170.

1 ""

Cfr. G. Pulcinelli, La morte di Gesù come espiazione. La concezione paolina, Cinisello Balsamo, 2007, 60 ss. Anche ]. Guimaràes, Suicidio Mitico. Urna luz sobre a Antiguidade Classica, Coimbra, 201 1 , 23, riconosce alla devotio la finalità di cui si è detto, pur ravvisando

Rubens e la devotio di Decio Mure

Già evidente nelle fonti finora messe a pro­ fitto, questa compare anche nelle Lettere a Luci­

/io di Seneca - Decius se pro republica devovit, leggiamo in 7. 67.9 con riguardo al primo o al secondo console che portava questo nome , il cui figlio è presentato come paternae virtutis

aemulus189 - ed emerge inoltre con particolare nitore dai versi, da 2 . 304 a 3 1 9 , del Bellum civi­

le o Pbarsalia di Lucano . Qui Catone Uticense, a colloquio con Bruto, si dichiara pronto a pe­ rire per la salvezza di una Roma segnata dal­ la guerra tra Cesare e Pompeo alla stregua di uno dei Decii devoti - non meglio precisato -, secondo lo schema dell'uno pro multis, veden­ do egli nel suo sangue un mezzo per riscatta­ re dalle proprie colpe tutti i concittadini. Nella

in essa, immotivatamente, un •suicidio altruista•. LH9

Anche nel De bene.ficiis, in 4.27.2, Seneca nomina un Decio, rievocandone implicitamente la morte da de­ votus. Di questa, per le ragioni enunciate da E . Ma­ laspina , L"'ambitio', Mucio Scevola ed una presunta 'devotio': una 'crux ' nel 'De clementia ' (l .3.5), in

Quaderni del Dipartimento di filologia, linguistica e tradizione classica -Augusto Rostagni•, 2000, 181 ss. , non doveva invece esservi alcuna traccia nel De clementia, nonostante la proposta di alcuni studiosi di colmarne una lacuna proprio chiamando in causa l'autoconsacrazione di un Decio.

99

Luigi Garofolo

1 00

traduzione di Luca Canali quei versi, in cui a parlare è appunto Catone, suonano così 1 90: •gli dei impietosi sacrifichino l con dovizia i Roma­ ni; non defraudiamo di alcun sangue la guerra.

l Potesse questo mio capo, consacrato agli dei celesti e infernali, prendere su di sé tutti i casti­ ghi! 1 9 1 l Le schiere nemiche abbatterono il Decio devotus 1 92: l me trafiggano entrambi gli eserciti, l'orda selvaggia l del Reno mi assalga coi dardi; bersaglio, nel mezzo, l riceverò tutte le aste, le ferite di tutta la guerra . l Il mio sangue redima i popoli, la mia morte espii l quanto i costumi romani avranno meritato di pagare . l Perché la­ sciar perire popoli docili al giogo, l disposti a

'"" Cfr. M.A. Lucano, Farsaglta o La guerra civile, con note di F. Brena , Milano, 201 1 , 145 s. 191

Il periodo riflette in verità due versi, in 2.306 e 307:

o tttinam caelique deis Erebique liceret l boe caput in cunctas damnatum exponere poenas. Ma non con­ vince la versione di Canali: •gli dei del cielo e dell'E­ rebo potessero esporre l il mio capo condannato per espiare le pene di tutti!•. Deis sembra infatti da col­ legare a damnatum, secondo un'opzione di cui dà conto Fabrizio Brena in nota. Seguendola, ne viene la traduzione riportata nel testo e proposta dallo stesso Brena in forma continuativa. w2

Pare meglio non volgere in italiano il termine - pre­ sente in 2.308: devotum hostiles Decium pressere ca­ tervae - piuttosto che renderlo, come fa Canali, con il sintagma •votato ai Mani>.

Rubens e lo devotio di Decio Mure

subire crudeli dominazioni? Aggredite col ferro

l me solo, che inutilmente proteggo le leggi e il diritto. l La mia gola concederà la pace e la fine delle sventure l ai popoli esperii; dopo di me chi desideri regnare, non avrà bisogno di guerra•. Meno esplicito, ancorché percettibile, è l'obiettivo laico della devotio dei Decii in Giove­ nale, che nelle Satire, in 8 . 2 54-258, accenna con ammirazione a questi plebei consegnatisi dis

infernis Terraeque parenti e periti, in aderenza al canone della morte sostitutiva che preserva tante vite , •in luogo delle legioni intere di tutti gli alleati e di tutta la gioventù latina• 1 93, aggiun­ gendo velenosamente che essi valgono più di tutto ciò che hanno salvato (pluris enim Decii

quam quae servantur ab illis) . Nella categoria del votum, come preannuncia­ to, è invece da collocare la devotio hostium, insie­ me all'evocatio cui succedeva. L'una e l'altra, più precisamente, costituiscono, secondo la proposta classificatoria avanzata da De Sanctis con riguar­ do alla stessa evocatio e, impropriamente - come appurato -, alla devotio ducis, •forme particolari

'"�

Cfr. Satire di Aula Persia Fiacco e Decimo Giunio Gio­ venale, a cura di P. Frassinetti e L. Di Salvo, Torino, 1979, 335 .

101

Luigi Garofalo

1 02

di votum realizzate attraverso vere e proprie for­ mule incantatone (carmina), con le quali si invi­ tano - o forse sarebbe meglio dire 'inducono' - le divinità ad agire in un certo modo· 194• Circa l'evocatio, è sufficiente notare, a ripro­ va della sua corretta inclusione nel novero dei

vota, che all'accertato tradimento delle divinità della città avversaria sollecitato con l'apposito

carmen dal sacerdote o, ammessane la compe­ tenza, dal comandante romano seguivano, •in cambio• - come scrive De Sanctis 195 -, l'erezione di templi e l'allestimento di giochi nell'urbe . In ordine alla devotio bostium, che essa rien­ tri fra i vota è confermato dall'obbligo di compie­ re il sacrificio di tre pecore nere che il magistrato

cum imperio affidante il rito assume per il caso in cui le divinità infere , alle quali egli consacra da subito i nemici e il loro territorio con quello che vi è edificato, provvedano a quanto richiesto alle stesse 196: e cioè, da un lato, a mettere in fuga i nemici e a seminare paura e terrore tra que­ sti, annientandoli unitamente alle loro proprietà;

1 94

Cfr. G. De Sanctis, La religione a Roma, cit . , 88.

1 ''s Cfr. G. De Sanctis, La religione a Roma, cit . , 90. l%

Cfr. L. Sacco, 'Devotio', cit., 335; J.M. Aldea Celada, La 'devotio ' de Decio Mus, cit., 204 s.

Rubens e la devotio di Decio Mure

dall'altro, a salvare, oltre al devovens, l'esercito romano ai suoi ordini 197•

VII

Evenienza forse rara storicamente, ma co­ munque contemplata a livello normativa, era quella della sopravvivenza alla battaglia del de­

votus di parte romana, di cui si occupa Livio in 8 . 1 0 . 1 2- 1 4 - luogo in parte esplorato in prece­ denza -, lasciando intendere, come si è anticipa­ to, che non vi era necessariamente accoppiato lo scacco militare comprovante l'inazione divina. Aiutati dalla solita traduzione di Perelli 198, pos­ siamo volgere così il brano: se il civis che è stato consacrato in luogo del magistrato cum imperio artefice della devotio muore, questo è segno di buona riuscita; se non muore, allora si seppelli­ sce un fantoccio alto sette piedi o più e si immola una vittima espiatoria; a ogni magistrato romano

è vietato - dal fas - calpestare il terreno sotto il quale si trova il fantoccio. Se un magistrato cum

197

Cfr. G. Ferri, Tutela segreta ed 'evocatio', cit., 6 1 .

1'"' Cfr. Storie di Tito Livio, cit., 32 1 .

1 03

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Luigi Garofalo

imperio consacra se stesso, come fece Decio, nel caso in cui non muoia non può compiere senza macchiarsi d'impurità alcun atto sacro privato o pubblico, sia con il sacrificio di una vittima sia in qualunque altro modo voglia. Al magistrato cum

imperio che si consacra e non perisce è però concesso - dal ius - offrire le armi a Vulcano o a qualunque altro dio da lui scelto; costituisce violazione del diritto divino - del jas, cioè - il fatto che il nemico si impadronisca del giavellotto sopra il quale il devovens in piedi ha pronunciato la preghiera di rito; qualora se ne impadronisca, è necessario eseguire un sacrificio espiatorio a Mar­ te, offrendogli un maiale, un montone e un toro. Per meglio comprendere questo testo, giova osservare che il devotus, magistrato cum imperio o civis designatus, uscito indenne dallo scontro con l'esercito nemico, vincitore o vinto che fos­ se, continuava a essere legato in via esclusiva ai Mani e alla Terra, in quanto sacro a loro in esito al compimento della devotio: tanto che, ri­ ferisce Livio con specifico riguardo al magistrato autoconsacratosi, egli non poteva procedere ad alcuna cerimonia religiosa di natura privata o pubblica accessibile ai membri della collettività

Rubens e la devotio di Decio Mure

romana 199 - indice evidente della sua persistente emarginazione da questa200 -, se non a pena di contaminazione 201 (sin autem sese devovere volet,

sicut Decius devovit, ni moritur, neque suum ne­ que publicum divinum purefaciet, sive hostia sive quo alio volet) . Valevano quindi per lui le regole applicabili all'homo sacer di cui parla Festo nella voce Sacer mons dianzi richiamata 202: chiunque avrebbe potuto impunemente ucciderlo, restan-

1 99

Sulla complessa materia cfr. almeno A. Maiuri, 'Sacra privata '. Rituali domestici e istituti giuridici in Roma antica, Roma, 2013; ]. Scheid, Quando fare è crede­ re. I riti sacrifica/t dei Romani, trad. it. , Roma - Bari, . 201 1 . In linea di massima si può dire, con G. De Sanctis, La religione a Roma, cit . , 7 1 , che i sacra si di­ stinguevano a seconda che fossero publica o privata: i primi •affidati a nome dell'intera collettività, rappre­ sentata dai suoi funzionari (magistrati e sacerdoti), e come tali finanziati dalla cassa cittadina•; i secondi •celebrati dai singoli gruppi familiari, nella fattispecie dalla persona del paterfamiltas, a spese private•.

200

201

202

Cfr. J. Ri.ipke, La religione dei Romani, trad. it. , Tori­ no, 2004, 1 28. Cfr. R. Edwards, 'Devotio', Dtsease, and 'Remedia ' in the Htstories, in A Companion to Tacitus, a cura di V.E. Pagan, Malden - Oxford - Chichester, 201 2 , 239. L'accostamento delle due figure, homo sacer e devo­ tus superstite, non è sconosciuto alla dottrina, come ricorda Y. Berthelet, 'Homo sacer', 'consecratio ' et 'de­ stinatio dts ', in Autour de la notion de 'sacer', cit . , 4 (il riferimento è alla pagina del saggio).

1 05

Luigi Gorofolo

1 06

do per giunta puro, per quanto arguibile dal già citato brano di Dionigi di Alicarnasso in 2 .74.3, e nel contempo nessuno, e dunque né la comunità cittadina né i suoi singoli componenti, avrebbe potuto sacrificarlo ritualmente a una qualche di­ vinità, dal momento che apparteneva già ai Mani e alla Terra . A queste entità il sistema giuridico­ religioso romano doveva però riconoscere la fa­ coltà di sciogliere il vincolo che a loro astringeva il devotus. E anche se non abbiamo notizie sicu­ re al proposito, è plausibile supporre che nella sopravvivenza del devotus quel sistema ravvisas­ se proprio il segnale dell'intervenuto esercizio della facoltà in parola . Esplicatasi nel concreto, entravano allora in gioco le previsioni ricordate da Livio, volte a garantire il reinserimento del superstite nella civitas, nello scrupoloso rispet­ to della pax deorum: e così, come indicato dal

ius, il magistrato cum imperio che si era perso­ nalmente consacrato doveva offrire le sue armi, che costituivano una parte di sé 2°3, a uno degli dei, con preferenza per Vulcano (qui sese devo­

verit, Volcano arma sive cui alii divo vovere volet

m

Cfr. L. Sacco, "Devotio', cit. , 329.

Rubens e la devofio di Decio Mure

1 07

ius est) 204, potendo allora nuovamente compiere in modo puro atti di culto 205; mentre

ancora

in conformità al ius, è da presumere

il civis

consacrato in sua vece dal magistrato cum im­

perio affidante doveva adoperarsi affinché fosse sotterrata una figura sostitutiva alta almeno sette piedi (signum septem pedes altum aut maius in

terram dejodi) 206 e venisse celebrato un sacrifi­ cio espiatorio (et piaculum bastia caedi) 207• Una

20ol

20s 206

Cfr. G. Dumézil, La religione romana arcaica, cit . , 285: •le armi divenute vane e perfino pericolose del devotus che abbia la cattiva idea di sopravvivere do­ vrebbero essere date Volcano sive cui alti divo vovere volet, espressione dalla quale si deduce che Vulcano, a meno che non vi siano ragioni particolari, è il dio designato per tale ufficio•. Cfr. P. de Francisci, 'Primordia ctzlitatis ', cit . , 3 1 3 . Cfr. G . D e Sanctis, 'In e.ffossa terra '. Sacrifici difonda­ zione, sepolture rituali e vie di accesso per l 'aldilà, in Studi e materiali di storia delle religioni, LXXX , 2014, 208 s. Secondo H.J. Rose, voce 'Devotio', in Diziona­ rio di antichità classiche di Oxford, cit., 645, solo se il sostituto del comandante •non veniva ucciso e si vin­ ceva egualmente bisognava seppellire in suo luogo un'immagine alta almeno due metri•: ma nelle fonti non trova riscontro il secondo presupposto.

207

Cfr. G. Firpo, voce 'Votum ', in Novt'ss. Dig. it. , XX, To­ rino, 1975, 106 1 . Che in un primo tempo fosse •il sol­ dato stesso ad essere immolato agli dei ctonio, come si legge alla nt. 10, non è però ipotizzabile sulla base delle fonti di cui disponiamo.

1 08

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disposizione che potremmo definire di secon­ do grado, significativamente qualificata da Livio come emanazione del fas, statuiva inoltre che la sepoltura del fantoccio avrebbe reso impratica­ bile a un magistrato romano il suolo sovrastante

(ubi illud signum defossum erit, eo magistratum Romanum escendere fas non esse) . Non sembra invece concepita per il devotus scampato alla morte in battaglia che ambisse a riacquisire il suo pregresso stato giuridico la pre­ scrizione che imponeva l'esecuzione del sacrifi­ cio dei suovetaurilia in onore di Marte allorché il giavellotto implicato nel rito di consacrazione fosse caduto nelle mani del nemico (telo, super

quod stans consul precatus est, bostem potiri fas non est; si potiatur, Marti suovetaurilibus piacu­ lum fieri) : questa eventualità , che integrava una violazione del fas cui si rimediava con la consu­ mazione di quel particolare sacrificio208, compor­ tante l'uccisione di tre animali di altrettanti tipi diversi e predeterminati, era infatti indipendente dalla sorte del devotus, chiunque egli fosse . Può peraltro darsi che Livio scegliesse di parlarne in chiusura della parte riservata al comandante mi-

= Cfr. G. Dumézil, La religione romana arcaica, cit., 2 1 7 .

Rubens e la devolio di Decio Mure

litare autoconsacratosi e sopravvissuto all'urto bellico ritenendola, del tutto plausibilmente, più probabile nel caso, certo marginale e forse a lui nemmeno noto storicamente, di sconfitta dell'e­ sercito romano accompagnata dalla permanenza in vita del magistrato cum imperio a un tempo

devovens e devotus. Sebbene la lettera del resoconto di Livio sembri dar ragione a Sacco, convinto - unita­ mente alla dottrina dominante 209 - che un tal ma­ gistrato, quando salvo a combattimento ultimato, non fosse mai più in grado di compiere pure cerimonie religiose •perché sacer o exsecrat�. essendogli consentito soltanto •consacrare le sue armi . . . agli dei•210, nondimeno l'interpretazione che si è proposta persuade maggiormente: per-

209 Cfr. , tra i molti, H. Fugier, Recherches sur l 'expression du sacré dans la langue latine, Paris, 1963, 51 ss . ; C. B. Pasca!, 7be Dubious Devotion of nernus, in Transac­ tions of tbe American Pbilological Association, CXX, 1990, 265; H.S. Versnel, voce 'De110tio', in Der neue Pauly. Enzyklopddie der Antike, III, Stuttgart - Wei­ mar, 1997, 493; S.P. Oakley, A Commentary on Livy Books VI-X, II, Oxford, 1998, 501 ; l. Mastino, •M. Folio

pontifìce ma.ximo praefante carmen devovisse eos se pro patria•. A proposito di Tito Livio 5.41 .3, in Diritto @ Storia, IX, 2010, 4. 2 10 Cfr. L. Sacco, 'Devotio', cit. , 329; Id. , 'Devotio'. Aspetti storico-reltgiosi, cit., 109.

1 09

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1 10

ché dà per incapace di atti di culto correttamente eseguiti, da celebrante o da partecipe, anche il

civis consacrato dal devovens, ma a causa del suo essere sacer

che ovviamente gli preclude­

-

va di rapportarsi da esterno con quel divino nel quale era confluito21 1 - e non certo exsecratus - termine che allude al giurante sul quale in­ combeva la sacertà posta a sanzione dello sper­ giuro 212 - o impius

-

nulla avendo commesso di

sgradito a un qualche dio - e comunque sino al suo riassorbimento nella civitas in virtù delle pratiche attestate da Livio; e poi, e soprattutto, in quanto ammette che non solo il civis consa­ crato, ma altresì il comandante militare autocon­ sacratosi potesse, se sopravvissuto, sfuggire alla •morte 'civile'• cui si era consegnato con la de­

votto. Anche per Sacco, infatti, le •vittime• della devotio, nel momento in cui venivano offerte ai Mani e alla Terra, divinità infere, •erano sottrat­ te alla normale condizione umana•, versando in una condizione di •morte 'civile'• alla quale non

211

Condivide l'opinione R. Fiori, La condizione di 'homo sacer', cit . , 72, nt. 167, per il quale l'homo sacer era •escluso - anche dai sacra•.

a

livello di mera partecipazione -

m Cfr. R. Fiori, La condizione di 'homo sacer·, cit., 14 ss.

Rubens e la devotio di Decio Mure

era coessenziale il successivo •decesso 'naturale', come accadeva, peraltro, all'homo sacer>213• Supinamente aggrappati al dato testuale for­ nito da Livio, si potrebbe obiettare che la previ­ sione di un regime più sfavorevole per il devotus superstite titolare di una magistratura cum im­ perio risponda a una ragione profonda, tale da giustificare la perenne sua esclusione dal con­ sorzio dei cives e in particolare da ogni atto di culto pubblico o privato, salvo quello relativo all'offerta delle proprie armi a Vulcano e in su­ bordine a un altro dio. Vi è però che i tentativi di rintracciare quella ragione reperibili nella let­ teratura non paiono dirimenti. Affermare con Sacco, per esempio, che il cit­ tadino devotus •è già un sostituto e agisce da singolo (quindi è l' i mago di un individuo che si 'dona' alla Terra)•, mentre il magistrato devotus •rappresenta l'intera comunità• e perciò, ove non soccomba per mano nemica, viene estromesso dalle funzioni religiose, potendo solo •consacra­ re le sue armi> a chi sappiamo 2 1 4, non vale anco-

21 3 214

Cfr. L. Sacco, 'Devotio', cit., 347. Cfr. L. Sacco, 'Devotio', cit. , 329; Id. , 'Devo/io'. Aspetti storico-religiosi, cit . , 109.

111

1 12

Luigi Garolalo

ra a spiegare il motivo per cui il primo goda di un trattamento privilegiato, in quanto legittimato a rientrare tra i suoi simili, nel modo che cono­ sciamo, ove non caduto in battaglia . Né la più largheggiante disciplina che gli si vorrebbe applicabile da parte di Huguette Fu­ gier, per proporre un secondo esempio, può collegarsi alla constatazione dell'autrice che il cittadino devotus è scelto dal devovens, laddove costui opta in piena libertà per la condizione di

devotus, dando volontariamente corso a un'ini­ ziativa rituale pericolosa, che lo porta a offrirsi agli dei in qualità di vittima sacrificale e lo espo­ ne pertanto al rischio di non essere gradito a loro, così da superare incolume l'evento bellico e conservare per sempre, a causa della temera­ rietà dimostrata nei confronti del divino, il mar­ chio di impius, ossia di •exclu de tout rapport normal avec les dieux•215• Ciò che non convince di questo discorso, che non dà comunque un adeguato significato alla facoltà del magistrato

devotus superstite di offrire le sue armi agli dei, a cominciare da Vulcano, è la stessa qualificazio-

'" Cfr. H. Fugier, Recherches sur l "expression dtt sacré, cit . , 51 ss. Analogamente impostato era già il pensiero di L. Cesano, voce "Devotio', cit . , 1 7 1 2 ss.

Rubens e la devotio di Decio Mure

ne della devotio in termini di sacrificio in fieri dall'esito incerto, che si ritrova anche in Michel Meslin. Per costui, infatti, la morte del devotus, che cade •crivellato di colpi•, segna l'accettazio­ ne divina del sacrificio della sua persona e •agi­ sce inoltre come un'ordalia, confermando la pax

deorum, fissando in una direzione favorevole la Fortuna del popolo romano, per un momento incerta•216• Con la devotio, come ripetutamente detto, il devovens, nell'intento di assicurarsi il so­ stegno degli esseri sovrumani rispetto a un'im­ presa militare compromessa, rendeva se stesso o un suo subalterno sacro, e non vittima sacrificate potenziale, rispetto a certi dei: e così spostava l'uno o l'altro nel loro ambito di dominio, reci­ dendone il legame di appartenenza alla cerchia dei cives, imprescindibile ai fini della titolarità del potere di compiere gli atti a sfondo religioso, come officiante o anche solo partecipante. Non all'area del sacrificio, ma a quella della conse­

cratio di uomini era quindi riconducibile la de­ votio217: come conferma anche Floro, là dove, in

216

Cfr. M. Meslin, L'uomo romano, cit., 220.

m •Although there are numerous similarities between consecratio and sacrificium•, scrive C.E. Schultz, Tbe Romans and Ritual Murder, in journal of the A meri-

1 13

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1 14

1 . 1 2(17) .7, accenna al secondo Decio devotus, il quale aveva reso la consecratio di sé un'usanza di famiglia - visto che pure il padre, preso in considerazione nel già citato 1 .9( 14) . 3 , vi aveva fatto ricorso

-

:

nam oppressus in sinu vallis alter

consulum Decius more patrio devotum dis ma­ nibus optulit caput, sollemneque familiae suae consecrationem in victoriae pretium redegit. Vero è, peraltro, che lo stesso quadro rico­ struttivo qui proposto, contemplando la sepoltu­ ra del signum, ai ben noti effetti, per il solo caso del civis consacrato e sopravvissuto alla contesa, esige una riflessione che renda comprensibile il motivo per cui essa non era richiesta quando a salvarsi dai nemici fosse stato il magistrato de­

votus. A meno di credere, con Auguste Bouché­ Leclercq, che Livio abbia o mal inteso o ripro­ dotto in parte la sua fonte di supporto, di per sé idonea a rivelare che l'interramento della figura sostitutiva era preteso anche nella seconda ipo­ tesF18. Il che conferirebbe robustezza a un'inte-

can Academy of ReliRion, LXXVI II.2, 2010, 5 1 7, nt. l , •the existence of the two words suggests a technical distinction between them in the Roman mind•. 21 "

Cfr. A. Bouché-Leclercq, voce 'Devotio', in Dtction­ naire des Antiquités Grecques et Romaines, sotto la

Rubens e la devolio di Decio Mure

cessante supposizione di cui dà conto Sacco219, avanzata anni or sono da Silvio Ferri, ripresa da Louise Adams Holland e nuovamente riconside­ rata da Maria Adele Cavallaro: che nella statua alta poco più di due metri rinvenuta in Abruzzo nel 1934 e oggi nel museo di Chieti, nota sotto il nome di Guerriero di Capestrano, sia riconosci­ bile, in quanto raffigurante un condottiero roma­ no, il signum collocato nel sottosuolo al posto di un magistrato devotus sopravvissuto alle ostilità. Cadrebbe infatti, se si presta ascolto allo studio­ so francese, l'argomento critico opposto a que­ sta congettura da Sacco, posto che per lui essa •pare inficiata dal fatto che, almeno per il diritto sacro romano, il signum non può mai surroga­ re la figura del comandante•220 • In effetti, ciò è quanto lascia trapelare Livio , al quale è più pru­ dente attenersi, così da scartare anche l'ulteriore illazione di Bouché-Leclercq, secondo la quale il Patavino nemmeno avrebbe saputo cogliere

direzione di C. Daremberg ed E. Saglio, II. l , Paris, 1892, 1 1 9. 21 9

uo

Cfr. L. Sacco, 'Devotio', cit., 327 ti storico-religiosi, ci t., l 06 ss.

ss . ;

Id. , 'Devotio '. Aspet­

Cfr. L. Sacco, 'Devofio', cit., 329; Id., 'Devotio'. Aspetti storico-religiosi, cit . , 109.

1 15

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1 16

dal proprio testo di riferimento che a qualunque

devotus superstite sarebbe stata sbarrata la via del rientro nella società , persistendo per sem­ pre a suo carico •l'excommunication religieuse•, che per i magistrati avrebbe comportato anche cl'interdiction de garder leur ròle actif dans les cérémonies du culte public·221 • Orbene, può darsi che nella permanenza in vita, a combattimento finito, del legionario devo­

tus si scorgesse sì l'annuncio della volontà delle divinità infere cui apparteneva di affrancarlo dal loro dominio, ma non tanto indubitabile quanto lo sarebbe stato se a non spirare guerreggian­ ·

do fosse stato il magistrato. La cautela imponeva allora il ricorso alla sepoltura del fantoccio, nel quale le divinità infere, le cui reali intenzioni po­ tevano essere state mal interpretate, se del caso avrebbero continuato a vedere - essendone il •doppio•, diremmo dopo aver letto Jean-Pierre Vernant 222 - il soggetto consegnato loro con la

221 222

Cfr. A. Bouché-Leclercq, voce "Devotio', cit . , 1 1 8 s. Cfr. J.-P. Vernant, Figurazione dell 'invisibile e catego­ ria psicologica del 'doppio ': il 'koloss6s', in Id. , Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica, trad. it. , Torino, 200 1 , 343 ss. , dove di ·doppio• si parla a proposito del colosso di area greca, cioè della statua che sostituiva un cadavere assente, tenendo quindi il

Rubens e la devotio di Decio Mure

devotio223• E a nessun magistrato romano, inte­ so all'evidenza come organo rappresentativo di tutti i cives, era concesso transitare sul terreno sotto il quale si trovava il fantoccio, a causa del rischio che tale azione andasse a incrinare la pax

deorum: non era infatti sicuro che fosse venuto meno il rapporto che legava in via esclusiva il

devotus alle divinità infere alle quali era stato consacrato, per cui un'azione siffatta, nell'even­ tuale perdurare di questo rapporto, avrebbe sim­ bolicamente assunto la consistenza di un'indebi­ ta interferenza nel medesimo. Se lo scopo delle operazioni rituali di cui era onerato il devotus sopravvissuto è quello in­ dividuato, ben difficilmente si riesce a vedervi qualcosa che conduca nel mondo della magia . Esse sembrano piuttosto dare conferma del ca­ rattere giuridico-religioso di tutte le regole emer­ se in relazione alla devotio, ancorché non possa

posto del defunto. 213

Per L. Sacco, Osservazioni comparative sulla sepoltu­ ra della vesta/e a Roma, in Mediterraneo antico, XIII, 2010, 423, •le divinità destinatarie del stgnum non pos­ sono essere se non quelle cui, fin da principio, il devo­ vens stesso doveva intendersi destinato: vale a dire, i Mani e Mater Tellus.. L'assunto, se al devovens si sosti­ tuisce il cittadino devotus, è del tutto condivisibile.

1 17

luigi Garofalo

1 18

escludersi che sulla formazione di taluna di esse abbiano influito concezioni che, almeno a noi, appaiono attingere a quel mondo. Eccessivo e anzi fuorviante , allora , è qua­ lificare la devotio come una liturgia •'magica' nel suo profondo, pur compiuta all'interno del­ la religio di Stato•, postulante il contatto con il nemico da parte del devotus e la sua morte per mano di questo in funzione della salvezza di Roma, come fa Masselli 22\ peraltro sull'on­ da di una non esigua letteratura 225; e anche, ri­ prendendo di nuovo il pensiero della studiosa, affermare che •il devotus - lo si comprendesse o meno - diventava necessariamente un 'con­ duttore' magico, capace di 'trasferire' un pote­ re distruttivo sull'esercito nemico, cui legava la sua sorte e che, dunque, portava alla morte• 226• Così opinando, invero , si trascura che la morte del devotus non garantiva indefettibilmente la vittoria militare , a sua volta possibile nel caso

221 m

226

Cfr. G.M. Masselli, La leggenda dei Decii, cit. , 32 s. Ne è un esponente importante Maurilio Adriani, il cui impianto concettuale è riproposto e adeguatamente criticato da L. Sacco, 'Devotio'. Aspetti storico-religiosi, cit . , 1 1 3 ss. , che allo scopo si serve di vari lavori di Dario Sabbatucci e altri. Cfr. G.M. Masselli, La leggenda dei Decii, cit., 16.

Rubens e la devofio di Decio Mure

di sopravvivenza del consacrato : e questa com­ plessità di regime, che ritroviamo a proposito degli atti richiesti al devotus superstite , rimanda a un raffinato sistema giuridico-religioso e non alla sfera della magia, per quanto non se ne sia negata in radice l'influenza sul farsi di qualche norma . È l'autrice stessa, d'altro canto, a ricor­ dare che •l'uomo romano sapeva di doversi por­ re a colloquio con dei-giuristi complici e garan­ ti della validità delle forme e del potere creativo della parola; sapeva di dover preventivamente essere nelle condizioni migliori per avvicinarsi al soprannaturale , nel massimo rispetto della .fi­

des e della pietas; sapeva di dover attendere a modalità tecnico-giuridiche subordinate ad esi­ genze cautelative, da osservare scrupolosamen­ te , al fine di non urtare la suscettibilità divina (pena l'invalidità dell'esecuzione)• 227• Anche alla luce di ciò, meglio è dunque ri­ badire, d'intesa con Cecil Bennet Pascal, che la

devotio non fiorisce sul terreno della magia, do­ minato dall'•use of a presumably infallible device or 'recipe' to compel supernatural powers to do

m

Cfr. G.M. Masselli, La leggenda dei Decii, cit. , 17.

1 19

Luigi Garofalo

1 20

one's bidding»228; germoglia invece su quello, for­ se non esente da qualche influsso del primo, in cui prosperano, uniti fino a comporre un tutt'uno improntato al criterio della razionalità 229, diritto e religione 230 • E si atteggia a procedura regolata nei suoi vari aspetti da una disciplina sempre più dettagliata - mai informata all'idea che i -super­ natural powerS» fossero suscettibili di •some spe­ cialist's manipulation•231 -, al cui sviluppo sovrin­ tendeva il collegio dei pontefici (•la complexité, la richesse et la longueur de l'invocation multiple•, osserva Charles Guittard a proposito del carmen

devotionts, •confirment une lente élaboration de

228

Cfr. C.B. Pasca), Tbe Dubious Devotion of Turnus, cit. , 260. V. anche P. Poccetti, Forma e tradizioni dell 'in­ no magico nel mondo classico, in L'inno tra rituale

e letteratura nel mondo antico. Atti di un Colloquio (Napoli, 21-24 ottobre 1991), Roma, 199 1 , 1 89 ss. 229

La religione romana, avverte R. Fiori, La condizione di 'homo sacer', ci t . , 24, •in quanto elaborata da sacer­ doti giuristi, ha essa stessa natura giuridica e dunque è costruita in modo razionale•.

2•10

23 1

Cfr. R. Fiori, La condizione di 'homo sacer', cit., 2 1 : •nell'esperienza romana arcaica i l piano della religio­ ne e del diritto tendono a coincidere all'interno di una visione 'cosmica' del dover essere•. Cfr. ancora C. B. Pasca) , Tbe Dubious Devotion of Tur­ nus, cit . , 260.

Rubens e la devofio di Decio Mure

la part du collège pontifical·232), altresì depositario unico della sua conoscenza. Il pensiero rituale, e non mitico, che ne guidava l'opera, del resto, trovava origine e alimento primo nelle istanze co­ smologiche che pressavano la comunità233, chia­ mata anzitutto a tenere, a livello collettivo e indi­ viduale, i comportamenti volti a procurare, non sempre infallibilmente, l'appoggio degli dei, sen­ titi in verità come parte della stessa comunità 234 :

232 Cfr. C. Guittard, La notion d 'archa'isme à Rome:

l 'exemple des formules de prières lattnes, in Ktèma. Civtlisattons de I'Orient, de la Grèce et de Rome anti­ ques, XXXI , 2006, 165. 2 33 Cfr. L. Sacco, 'Devotio '. Aspetti storico-religiosi, cit. ,

1 18 s. e 153. A p. 1 19, più precisamente, l'autore, sulle orme di Sabbatucci, osserva: cii rito sta al mito come ciò che viene ritenuto passibile d'intervento at­ tuale sta a ciò che viene ritenuto non passibile. Nella religione demitizzata della Roma antica . . . si è fatto strada il termine-concetto (categoriale) di ritus, poi­ ché la cultura romana ha attribuito a soggetti umani - gli operatori rituali - quanto ha voluto che fosse mutabile e/o aperto all'intervento umano allorché le circostanze lo rendessero desiderabile•. 234 Cfr. R. Fiori, La condizione di 'homo sacer', cit. , 21

s . : •la religione romana è una religione sociale ed è una religione fatta di atti di culto, nella quale gli dei sono parte della comunità•. E ancora: •tra dei e uo­ mini esiste una communitas, le cui norme non sono dettate dagli dei•, non essendo essi •legislatori•, ma •coincidono con le regole che la civitas, attraverso i giuristi•, e dunque in un primo e lungo tempo at-

121

1 22

Luigi Gorofalo

oggetto quindi, questi comportamenti, di precetti individuati sul piano del ius e del fas da quel col­ legio, perciò anche in grado di perfezionare ceri­ moniali produttivi di effetti su tale piano, tutt'altro che magico, tra i quali la devotio e gli altri idonei a riaggregare ai cives il magistrato e il legionario

devotus ancora in vita dopo la battaglia.

VIII

Già si è notato, pur fuggevolmente, che negli ultimi tempi la devotio ha sollecitato l'attenzio­ ne di molteplici studiosi di varia estrazione, che se ne sono occupati nel contesto di più ampie riflessioni sul sacro nell'antichità, non solo roma­ na, e oltre. A quella del primo Decio Mure, che secoli or sono aveva incantato Rubens, e al regi­ me cui il rito astrattamente considerato saggia­ ceva, quale risulta da 8. 10. 1 1 - 1 4 di Livio, hanno in particolare guardato a fondo, sino a scoprire punti di contatto inaspettati, e certo discutibili, fra la devotio stessa e taluni eventi tragici del-

traverso i pontefici, •scopre nella natura, o che si dà positivamente attraverso leges e senatusconsulta•.

Rubens e la devotio di Decio Mure

la modernità anche più recente, due intellettuali italiani di spicco, filosofo l'uno e letterato l'altro: Giorgio Agamben e Roberto Calasso. Opinione del primo, espressa nell'ambito di un'ampia ricerca tesa a illuminare, sulla scorta degli schemi concettuali offerti dalla biopoliti­ ca 235, il nesso intimo e indissolubile che anno­ da il potere sovrano alla nuda vita, individua­ ta in via paradigmatica nella vita impunemente sopprimibile e non assoggettabile al sacrificio dell'homo sacer al quale si è più volte accenna­ to 236, è che il rito della devotio, del tutto estraneo alla ·forma tecnica del sacrificio•237, in quanto rendeva sacer ai Mani e alla Terra il devotus, ne degradava la vita al rango miserabile di quella dell'homo sacer, ossia di colui che era caduto in balia di qualche divinità infera in dipendenza di una sua condotta confliggente con talune delle regole atte a preservare la pax deorum. Come ef­ ficacemente comproverebbe il caso del devotus

2�'

2·11'

!:P

Per un proficuo approccio alla stessa cfr. L. Bazzicalu­ po, Biopolittca. Una mappa concettuale, Roma, 2010; R. Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Torino, 2010, 251 ss. Cfr. G. Agamben, 'Homo sacer'. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, 1995. Cfr. G . Agamben, 'Homo sacer', cit. , 108.

1 23

1 24

luigi Garofolo

scampato alla morte in battaglia : fino a quando non si procedesse a quanto prescritto dall'ordi­ namento, e cioè, qualora si fosse trattato di un

civis designatus, al sotterramento del suo ·dop­ pio•, che prendeva il posto del cadavere man­ cante •in una specie di funerale per imaginem o, più precisamente, in esecuzione vicaria del voto rimasto inadempiuto•, e al compimento di un sa­ crificio espiatorio, osserva al riguardo Agamben, il sopravvissuto si presentava come •un essere paradossale che, mentre sembra proseguire una vita in apparenza normale, si muove, in realtà, in una soglia che non appartiene né al mondo dei vivi né a quello dei morti•, essendo a ben vedere •un morto vivente•238• Con riferimento al devotus superstite non restituito alla vita vera mediante l'apposito rituale previsto dalle norme del tem­ po e all' homo sacer, continua il filosofo, si può quindi affermare che •il mondo antico si trova per la prima volta di fronte a una vita che, ecce­ pendosi in una doppia esclusione dal contesto reale delle forme di vita sia profane che religio­ se, è definita soltanto dal suo essere entrata in intima simbiosi con la morte, senza però ancora

'"" Cfr. G. Agamben, 'Homo sacer', cit . , 109

ss.

Rubens e la devotio di Decio Mure

1 25

appartenere al mondo dei defunti. Ed è nella figura di questa 'vita sacra' che qualcosa come una nuda vita fa la sua comparsa nel mondo oc­ cidentale. Decisivo è, però, che questa vita sacra abbia fin dall'inizio un carattere eminentemente politico ed esibisca un legame essenziale col ter­ reno su cui si fonda il potere sovrano•239• Per Agamben, infatti, il portatore di una vita sacra, e dunque tanto il devotus sopravvissuto non reintegrato nella comunità in cui era inserito prima della devotio nei modi prestabiliti quan­ to l'homo sacer, si trovava in una situazione di esclusione dal diritto umano e dal diritto divi­ no, pur rimanendo in una relazione di eccezione con l'uno e con l'altro, posto che ambedue gli si applicavano tramite la propria sospensione. Rispetto al diritto umano egli era fuori, eppure dentro, poiché nei suoi confronti risultava ino­ perante - per sospensione della sua applicazio­ ne - la legge di Numa sull'omicidio volontario, essendo a ciascuno concesso di ucciderlo impu­ nemente; e parimenti rispetto al diritto divino era fuori, e tuttavia dentro, dato che nei suoi riguardi non veniva ammessa - ancora per so-

m

Cfr. G. Agamben, 'Homo sacer', cit . , 1 1 1

s.

Lu igi Gorofolo

1 26

spensione dell'applicazione di una regola gene­ rale - un'esecuzione rituale a scopo di purifi­ cazione 240 . Quindi, rileva Agamben, •la sacertà della vita, che si vorrebbe oggi far valere contro il potere sovrano come un diritto umano in ogni senso fondamentale, esprime, invece, in origine proprio la soggezione della vita a un potere di morte•24 1 : a quel potere di morte nel quale risiede l'essenza stessa del potere sovrano, dal momen­ to che, come aveva visto Cari Schmitt, è al suo titolare che il singolo ordinamento conferisce, in presenza di circostanze più o meno dettagliata­ mente indicate che evidenzino la condizione di pericolo in cui esso versa, e cioè in presenza di uno stato di eccezione più o meno effettivo, la facoltà di sospenderne l'applicazione e di agire così in spregio alle norme che lo compongono, mantenendosi paradossalmente nella piena le­ galità 242• Ragion per cui, aggiunge l'autore, quel­ lo della sacertà della vita è un •dogma ipocrita• consolidatosi all'interno della nostra cultura, che continuamente registra la riemersione di deten-

21°

Cfr. G. Agan1ben, 'Homo sacer ', cit . , 90

2·11

Cfr. G. Agamben, 'Homo sacer ', cit . , 93 .

.Hl

Cfr. G. Agamben, 'Homo sacer ', cit . , 19

ss.

ss.

Rubens e la devotio di Decio Mure

1 27

tori di una vita sacra 243• E fra questi uno dei più evidenti è per Agamben quello dell'ebreo du­ rante il Terzo Reich244 : la sua eliminazione fisica , !ungi dal ricollegarsi a una condanna capitale o dall'assurgere a sacrificio, !ungi cioè dall'essere prevista dal diritto o dalla religione quale conse­ guenza di una condotta considerata riprovevole dall'uno o dall'altra, rappresentava infatti nulla più che •l'attuazione di una mera uccidibilità•, che ineriva alla condizione di ebreo come tale, dipendente dal diritto che sospende se stesso 245• Porterebbe troppo lontano discutere qui il segmentato pensiero di Agamben, al quale già ho dedicato un lungo saggio critico246, a sua vol­ ta oggetto di un'interessante rilettura da parte di Emanuele Stolfi 247 • Nel rinviare a quel mio lavoro, dove comunque concludo nel senso che l'homo

sacer - ma il discorso vale ovviamente anche per

24 �

l·i •

2'�., 246

Il concetto è ribadito in G. Agamben, La comunità che viene, Torino, 200 1 , 68. Cfr. anche G. Agamben, Quel che resta di Auschwitz. L 'archivio e il testimone, Torino, 1998. Cfr. G. Agamben, 'Homo sacer', cit. , 1 26

s.

Cfr. L. Garofalo, Biopolitica e diritto romano, cit. , 13 ss.

247

Cfr. E. Stolfi, Il diritto, la genealogia, la storia. Itinera­ ri, Bologna, 2010, 104 ss.

luigi Garofalo

1 28

il devotus - era completamente avvolto dal diritto, che perennemente e implacabilmente lo segui­ va, preservandolo da qualunque tipo di potere sovrano, concentrato in capo a un organo della

civitas o disseminato in testa a ogni componente della stessa248, qui osservo soltanto che la vita del

devotus doveva essere considerata come un bene di valore elevatissimo se la sua dazione ai Mani e alla Terra era sufficiente a propiziare l'intervento risolutivo del mondo divino a favore dell'esercito romano altrimenti destinato a una sicura sconfitta. Del pari, se, ai fini del ripristinarsi dell'essenzia­ le pax deorum, bastava il passaggio di chi aveva perpetrato un torto a una divinità nella sfera di appartenenza di questa, ovvero bastava il suo di­ venire sacro a tale divinità in conseguenza del comportamento tenuto, bisogna ammettere che la vita di costui fosse vista quale entità dotata di altissimo pregio e non certo come un qualcosa di assolutamente insignificante, conformemente a quanto costringe a ipotizzare la ricostruzione del filosofo. Il che vale a escludere che nell'ebreo al tempo del nazismo, questo sì equiparato dalle ge­ rarchie tedesche a un pidocchio, possa ravvisarsi

l;a

Cfr. L. Garofalo, Biopolitica e diritto romano, ci t. , 1 14.

Rubens e la devofio di Decio Mure

un moderno portatore della vita sacra propria del

devotus e dell'homo sacer, secondo una delle tesi di Agamben che più impressionano, poi ripresa da taluni studiosi, tra i quali Zygmunt Bauman249, ma contestata da altri, come Rainer Maria Kie­ sow250, Leo Peppe25 1 e Franco Rella252• Ripeto in­ fatti che nei riguardi del devotus e dell'homo sacer il diritto - considerato unitariamente, non essen­ do distinguibile al suo interno un diritto umano e un diritto divino, se non in relazione al diverso oggetto delle norme di cui constava, siccome per­ cepito con l'andar del tempo - era sempre atti­ vo nella forma della piena operatività, tanto da

249

Cfr. Z. Bauman, Vite di scarto, trad. it. , Roma - Bari, 2005, 41 s.

25°

Cfr. R.M. Kiesow, 'Ius sacrum '. Giorgio Aga m ben und das nakte Recbt, in Recbtsgescbicbte, I, 2002, 65.

2"

Cfr. L. Peppe, Note minime di metodo intorno alla nozione di 'homo sacer', in Studia et documenta bi­ storiae et iuris, LXXIII, 2007, 437 ss.

m

Cfr. F. Rella, Micrologie. Territori di confine, Roma, 2007, 1 68. Ciò che qui si legge, e cioè che •lo scara­ faggio, come veniva chiamato l'ebreo nelle fabbriche della morte, non può essere sacro proprio in quan­ to essere superfluo•, compendia ottimamente il mio pensiero (enunciato anche nel mio Sul dogma della sacertà della vita, in Tradizione romanistica e Costi­ tuzione, diretto da L. Labruna e a cura di M.P. Baccari e C. Cascione, I, Napoli, 2006, 555 ss. , in particolare 576 ss.).

1 29

1 30

Luigi Garofalo

non abbandonare mai né l'uno né l'altro, neppure quando permetteva la loro uccisione, qualifìcan­ dola come lecita; e che sacra era una vita non già predestinata alla morte - nonostante l'ammissibi­ lità della sua soppressione -, ma affidata ad alme­ no una divinità, padrona pertanto della sua sorte, in funzione dell'aiuto soprannaturale richiesto e quindi del successo in battaglia o del ricostituirsi della pax deorum. Una vita che esprimeva pro­ prio la soggezione al potere di una o più divinità: dunque una vita che manteneva un valore e un significato, non essendo concepibile che a essere in rapporto di appartenenza o comunque di sot­ tomissione con qualsivoglia divinità fosse il nulla .

IX

Quanto a Calasso, sua è la convinzione che di fronte all'attacco alle Torri Gemelle di New York dell' 1 1 settembre 200 1 , anziché affaticarsi nella ricerca di qualche parola con cui qualifica­ re i colpevoli, •meglio sarebbe stato aprire Livio e constatare che gli assassini-suicidi islamici molto avevano a che fare con una oscura istituzione sa­ crificale dell'antica Roma : la devotiO>. Essi infatti,

Rubens e la devotio di Decio Mure

prosegue l'autore, •riprendono, con variazioni, il rito romano della devotio testimoniato da Livio attraverso la vicenda di Decio Mure, il console che nel 340, combattendo contro i Latini sotto il Vesuvio, dopo essersi votato agli dei inferi si get­ tò a cavallo fra le schiere nemiche e, trafitto più volte, cadde inter maximam bostium stragemo, come si legge in 8. 1 0 . 1 0 degli Ab urbe condita

libri. Per quale via Calasse arrivi a formulare tale assunto nell'ambito di un'opera incentrata sul sapere degli uomini vedici calati nell'India del nord più di tremila anni fa 253, vedremo ora . Poi, dato appunto conto degli snodi essenziali del discorso articolato dall'autore a preludio della sua audace tesi, ne sarà evidenziato il punto più debole , a mio avviso insuperabile nonostante gli sforzi argomentativi volti a nasconderlo. Secondo Calasse la pratica del sacrificio, in­ teso quale sequenza formalizzata di atti rivolta a una controparte invisibile e implicante la distru­ zione di qualcosa, anche ·della vita stessa del sa-

2'� Alludo a L 'ardore, pubblicato a Milano nel 20 10. La duplice citazione proviene da p. 438.

131

luigi Garofalo

1 32

crificante, come nella devotio romana•25\ nel suo lento spegnersi aveva lasciato in eredità alla prati­ ca della guerra la terminologia che le era propria. E la pratica della guerra - specie con l'irrompere, agli inizi del Novecento, della guerra totale, •im­ mensamente più sanguinosa di qualsiasi guerra precedente per numero di morti e per potenza di armi• - l'aveva assorbita per l'intero. Sacrificio e inoltre •vittima, abnegazione, consacrazione, ri­ scatto, prova del fuoco•, precisa al riguardo Calas­ se, •sono tutte parole ed espressioni ricorrenti nei bollettini di guerra•, in particolare di quelli emessi durante i due conflitti planetari dello scorso se­ colo. Il dispendio di linguaggio tratto dai riti sa­ criticali, pur in mancanza dei medesimi, continua l'autore, si sarebbe inopinatamente incrementato alcuni anni dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, quando, per nominare •lo ster­ minio degli Ebrei . . . da parte della Germania di Hitler>, si iniziò a utilizzare una parola •che poi sa­ rebbe dilagata sino a oggi: 'olocausto'. Parola che non appartiene al linguaggio corrente e designa uno dei due fondamentali tipi del sacrificio ebrai­ co: 'o/ab, l'offerta 'che sale' verso l'altare e dove

l;,,

Cfr. R. Calasse, L'ardore, cit., 428.

Rubens e la devotio di Decio Mure

la vittima viene completamente bruciata. Sacrificio che si oppone ai ' pacifici', sbelamin, cerimonie dove agli officianti era concesso di cibarsi di una parte della carne sacrificale. Così lo sterminio di sei mil ioni di Ebrei per opera dei nazisti veniva designato con il termine che indicava certe ceri­ monie sacre, celebrate sin dai tempi di Noè dagli antenati degli uccisi. A nche se qualcuno osservò èhe si stava compiendo una enormità, non venne ascoltato e la forza dell'uso impose la parola nelle varie lingue europee. Q ualcosa di irreversibil e era avvenuto: nei fatti, che si andavano scoprendo in tutti i loro orrendi particolari, lo sterminio degli Ebrei si era compiuto non come una operazione di guerra, ma come una impresa di disinfestazio­ ne. E ora quell'impresa, nella quale gli Ebrei era­ no stati le vittime, veniva designata con il termine che gli Ebrei stessi, in quanto officianti, avevano usato per certe cerimonie gradite a Jahvè . L'im­ mensità di quel malinteso fu il segno che la storia era entrata in una fase dove la commistione e l'e­ quivocazione fra l'arcaico e l'attuale si sarebbero spinte molto lontano, più che mai prima. Eppure, nella scelta inappropriata e stridente della parola ' olocausto' per designare lo sterminio degli Ebrei operava una mano invisibile, che non era solo la

1 33

Luigi Garofalo

1 34

mano dell'ignoranza. In quella parola si accenna­ va a qualcosa che oscuramente si stava profilando. La guerra aveva soppiantato il sacrificio, ma ora il

sacrificio era sul punto di soppiantare la guerra. Lo sterminio degli Ebrei, nelle sue procedure, era stato qualcosa di intermedio fra il mattatoio e la bonifica. E avrebbe potuto avere luogo in tempo di pace, come una gigantesca operazione di smal­ timento di rifiuti. Perciò i termini militari non si attagliavano più. Perciò veniva spontaneo, orribil­ mente spontaneo, ricadere nella terminologia del sacrificio•255• Ebbene, e come facilmente intuibile, è a que­ sto punto che Calasso chiama in causa l'aggressio­ ne alle Twin Towers, con il conseguente annien­ tamento delle tante vite umane che pulsavano al loro interno, e la devotio, vedendo nella prima una sorta di replica, •con variazioni•, della seconda: a dimostrazione, seguendo la sua impostazione, che il sacrificio ha ormai davvero soppiantato la guerra,

da cui in precedenza era stato soppiantato. Infeli­ cemente, egli spiega, •gli attentatori furono subito definiti 'codardi'. Ma la codardia è la più incongrua delle accuse che si possono rivolgere a chi si uccide

2" Cfr. R. Calasse, L"ardore, cit . , 436 s .

Rubens e la devotio di Decio Mure

con piena detenninazione e con la massima violen­ za. Poi gli attentatori suicidi vennero definiti kami­

kaze. Ma i kamikaze giapponesi erano militari che compivano azioni di guerra. Mentre gli attentatori di New York erano civili che agivano in tempo di pace. Anche questa volta era all'opera una subdola volontà di sviare l' attenzione, fissandola su una pa­ rola esotica e inadatta·256. Ed ecco allora la conclu­ sione, già testualmente riferita: cmeglio sarebbe sta­ to aprire Livio e constatare che gli assassini- suicidi islamici molto avevano a che fare con una oscura istituzione sacrificat e dell'antica Roma: la devotiO>. Pur raggiunto attraverso un percorso suggestivo e in larga misura condivisibile, l' accostamento - sul quale pesa comunque il dubbio della sua ammis­ sibilità dal punto di vista del metodo25 7 - non co­ glie però nel segno, ri velandosi ancor più fallace di quello - altrettanto sospetto sotto il profilo del me­ todo - sotteso alle parole di un accreditato studioso

2 56 Cfr. R. Calasso, L'ardore, cit. , 437 s.

2'" Secondo L. Sacco, 'Kamikaze ' e 'Sbabid '. Linee gui­ da per una comparazione storico-religiosa, Roma, 2005, 28 s . , non è corretto individuare nella devotio •una prefigurazione delle due forme contemporanee di ·martirio-suicidio'., considerato che, •per ragioni metodologiche, può esservi comparazione sul piano storico esclusivamente tra kamikaze e sbabid•.

1 35

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1 36

della devotio, Hendrik Simon Versnel, il quale vede nel primo Ducio Mure un console che •commits an act of kamikaze by hurling himself upon the enemy•258. Le divergenze che il gesto degli assassi­ ni-suicidi islamici mostra rispetto alla devotio sono invero così numerose e consistenti da precluderne l'assimilazione a questa. Artificioso, d'altro canto,

è rubricarle quali variazioni al rito romano preso a paradigma di riferimento, come fa Calasso nel tentativo di salvaguardare la sua tesi: sommate tra loro, le supposte variazioni danno vita a un qualco­ sa che, pur richiamando il sacrificio, nulla ha a che vedere con la devotio. Irriducibile a essa è infatti un'impresa criminosa compiuta da uomini nascosti nell'anonimato e morti a causa propria, comunque privi del comando militare e nemmeno designati da un qualche detentore del medesimo, ai danni di una moltitudine indefinita di individui impegnati nella quotidianità civile, al di fuori di ogni rapporto di belligeranza. Vero è, invece, che nella fine certa cui quegli uomini si erano consegnati nel nome di Allah può scorgersi un sacrificio, come afferma Calasso259• E

2� Cfr. H.S. Versnel , Self-sacrifzce, cit. , 140 s. 2�9 Cfr. R. Calasso, L'ardore, cit., 438.

Rubens e la devotio di Decio Mure

addirittura un sacrificio capace di ergersi a model­ lo, visto che più volte e in vari luoghi del mondo esso è stato imitato da assassini-suicidi islamici che, estranei ad apparati militari in guerra e invo­ cando dio, si sono fatti esplodere in spazi affollati da persone inermi e dedite alle normali occupa­ zioni, come ancora rileva lo stesso Calasso26o. Per questi, per quelli dell' l l settembre e per gli ulteriori che negli ultimi anni, collegati

260

Cfr. R. Calasso, L'ardore, cit. , 439. In un libro recen­ tissimo, edito a Milano nel 20 17 e intitolato L'innomi­ nabile attuale, l'autore, alle pp. 14 s., ribadisce che ·il terrorismo islamico è sacrificale• e aggiunge: •nella sua forma perfetta, la vittima è l'attentatore. Colo­ ro che vengono uccisi nell'attentato sono il 'frutto' benefico del sacrificio dell'attentatore. Il frutto del sacrificio un tempo era invisibile. L'intera macchina rituale era concepita per stabilire un contatto e una circolazione tra il visibile e l'invisibile. Ora, invece, il frutto del sacrificio è diventato visibile, misurabi­ le, fotografabile. Come i missili, l'attentato sacrificale punta verso il cielo, ma ricade sulla terra. Perciò pre­ dominano gli attentati degli assassini-suicidi che si fanno esplodere. . . . Il nemico primo del terrorismo islamico è il 'mondo secolare', preferibilmente nel­ le sue forme comunitarie: turismo, spettacoli, uffici, musei, locali, grandi magazzini, mezzi di trasporto. Allora il frutto del sacrificio non solo consisterà in uccisioni numerose, ma avrà una risonanza più vasta. Come ogni pratica sacrificale, il terrorismo islamico si fonda sul 'significato'. E quel significato si concatena ad altri significati, tutti convergenti verso lo stesso motivo: l'odio per la società secolare•.

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all'autoproclamatosi Stato Islamico, hanno agi­ to a Parigi, perdendo la vita negli attacchi del

13 novembre 20 1 5 , e altrove, Laurent de Sutter ha comunque rispolverato - non unico in que­ sto26 1 - la figura del kamikaze, giustificandone la riproposizione con argomenti sui quali merita riflettere. Punto di forza del suo ragionamento è che il kamikaze sia •un essere estetico•, il qua­ le •appartiene al regime delle apparenze, di cui satura per un po' l'intera ecologia, rendendo in­ visibile tutto, eccetto il flash dell'esplosione che si presume lo porti via in un'apoteosi di luce . Il numero delle vittime causate dall'attentato, o la vastità della conseguente distruzione degli edifi­ ci, è semplicemente il metro per rilevare l'inten­ sità di questa situazione•. Detto altrimenti, per il

kamikaze •si tratta di ottenere che l'immagine dell'attentato diventi l'immagine definitoria del momento in cui si verifica: che ne diventi !"ico­ na', portando con sé la contrazione di tutte le percezioni a questa non orientate• 262.

261

262

Cfr. , per esempio, L. Zoja, Nella mente di un terrorista. Conversazione con Ornar Bellicini, Torino, 2017, 38. Cfr. L. de Sutter, Teoria del 'kamikaze', trad. it. , Geno­ va, 2017, 16.

Rubens e la devotio di Decio Mure

x

Capace di fecondare il genio artistico di Ru­ bens, la devotio del Decio Mure console nel 340 a . C . , magistralmente raccontata da Livio sulla base di una tradizione che la voleva ripetuta dal figlio e dal nipote, continua dunque a sprigiona­ re una potente forza attrattiva . Per la sua •esemplarità registrabile a livello di

virtus eroica• e inoltre ·di magnitudo, di ius, di pietas, di religio, di caritas-, sulla quale opportuna­ mente indugia Masselli263, l'autoconsacrazione del nostro Decio e dei suoi due discendenti avrebbe destato un'ammirazione somma all'interno dell'or­ dinamento romano e del mondo frammentato in cui esso si sarebbe disarticolato nel corso del tem­ po, suffragata dalla miriade di versi e di pezzi in prosa dedicati all'evento da poeti e scrittori di ogni epoca: da Aedo, il quale nel Il secolo a.C. ave­ va messo in scena la devotio di Sentina all'interno

2r.·1

C fr. G.M. Masselli, La leggenda dei Decii, cit . , 1 2 . V. pure G . Stievano, La supposta 'devotio ' di P Decio Mure, cit . , 3, nonché O. Schonberger, Motil•ierung

und Quellenbenutzung in der Deciusepisode des Li­ vius (1 0.24-30}, in Hermes, LXXXVl l l, 1960, 2 1 7 .

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della praetexta intitolata Decius sive Aeneadael-64 tacendo dei tanti autori ricordati nelle pagine pre­ cedenti -, a Seneca il Vecchio26S, ad Ampelio266,

261

Cfr. C. Guittard, Tite-Live, Accius et le rituel de la devo­ tio', cit., 590. In un settenario trocaico della pièce, tra­ mandato da Nonio e analizzato da L. Ceccarelli, La 'de­ votio' a Roma e un verso di Accio, cit., 219 ss., il secondo Decio annuncia la sua decisione di seguire l'esempio paterno e di procedere perciò alla devotio: patrio exem­ plo et me dtcabo atque animam devoro [forma contratta del futuro anteriore devovero, che precede un dattvus sympatbeticus, equivalente a un genitivo) bostibus.

lt>
, presentan­ dosi quali •modelli virtuosi di comportamento capaci di parlare alle generazioni future>. 266

Nel Liber memorialis, in 20.6, sono ricordati così il pri­ mo e il secondo Decio: duo Decti, quorum alter Latino

Rubens e la devotio di Decio Mure

allo Pseudo Aurelio Vittore267 e fino a Dante268, Petrarca269 e MachiavellF70, per non andare oltre271 •

bello, alter Samnittco diis Manibus se devoverunt. 267

Due sono i brani del De viris illustribus particolarmente significativi. Il primo, in 26.4-5, si chiude con il ricordo del Decio console ne1 340 a.C., il quale, combattendo a Vese­ ri, se et bostesper Valerium pontificem diis manibus devo­ vii e così impetu in bostesfacto victoriam suis reltquit. Il secondo, in 27.3-5, è incentrato sul Decio console nel 295 a.C., che, nella battaglia di Sentina, exemplum patris

imitatus advocato Marco Liviopontifice bastae insistens et solemnia verba respondens se et bostes diis manibus devo­ vii e quindi impetu in bostesfacto victoriam suis reltquit. 268

Cfr. M. Pastore Stacchi, voce Deci, in Enciclopedia Dante­ sca, II, Roma, 1970, 329. È ai versi 47 e 48 del sesto canto del Paradiso che compaiono i campioni della devotio: •i

Deci e ' Fabi l ebber la fama che volentier mirro> . Li ritro­ viamo inoltre nel De monarchia, in 2.5. 15-16: caccedtmt nunc ille sacratissime victime Deciorum, qui pro salute publica devotas animas posuerunt, ut Livius, non quan­ tum est dignum, sed quantum potest glorificando renarrat; accedit et illud inenarrabile sacrifìtium severissimi liberta­ tis tutoris Marci Catonis. Quorum alteri pro salute patrie martis tenebras non horruerunt; alter . . . . Horurn omnium nomen egregium voce Tullii recalescit>. E anche nel Con­ vivio, in 4.5. 14, c'è traccia dei nostri eroi: celti dirà delli Decii e delli Drusi, che puosero la loro vita per la patria?•. W) Al primo Decio e alla sua devotio il poeta dedica il capi­

tolo undicesimo del primo libro del De virts illustribus. 270

271

Lo scrittore tratta dei Decii - mai però del terzo di loro, in sintonia con il Patavino - in più luoghi dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, elaborati fra il 1 5 1 3 e il 1 519 e pubblicati postumi nel 1 5 3 1 : i più importanti sono in 2 . 1 6. 1 , 3 . 1 .4 e 3.45 . 1 . Almeno u n cenno i n nota merita però Marcello Albe-

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In quell'ordinamento, d'altro canto, la vicen­ da del coraggioso comandante plebeo morto nella battaglia intorno a Veseri, al pari dei con­ simili accadimenti del 295 e 279 a . C . , additava •a cittadino modello, fondamentalmente iustus., come osserva la stessa Masselli, •colui che aveva posto a sua lex suprema il bene dello Stato•, non ignaro che a fronte dei tanti commoda ricevuti dalla patria egli non poteva non affrontare per questa

qualunque

incommodum,

rendendole

l'onore dovuto. Grazie all'•eccezionalità, nobiltà e tragicità• del rito attivato dai Decii, essi entrava­ no quindi a pieno titolo nell'epopea nazionale, come eroi che sconfinavano nel mitico. Il quale, inconsistente sul . piano teologico, in Roma pro­ sperava sotto forma di storia: perché lì i •tratti 'meravigliosi'• che altrove connotavano le avven­ ture degli dei erano correlati a fatti di uomini .

rini, il quale, nei suoi Ricordi, racconta del Sacco di Roma del 1 527, di cui era stato testimone oculare, e in particolare del valoroso Giulio Vallati, il difensore di Ponte Sisto caduto, nel mentre combatteva contro le truppe imperiali di Carlo V portando un vessillo con scritto a lettere d'oro Pro fide et patria, •a guisa dei Decii•, poiché come questi aveva deciso di •con­ secrarse per la salute della patria• (cfr. U. Roberto,

'Roma capta '. Il Sacco della città dai Galli ai Lanzi­ cbeneccbi, Roma - Bari, 2012, 236 e 3 1 3, nt. 10).

Rubens e la devofio di Decio Mure

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E a favore della sublimazione della devotio

dei Decii molto si prodiga Livio. Ciò che il me­ desimo aveva di mira era invero l'esaltazione dei •valori irrinunciabili di quella società romana sal­ da, rigorosa e genuina che nei Decii aveva ritro­ vato testimonianza gloriosa•: e poco importava a lui se le imprese attribuite ai tre consoli di un periodo già lontano fossero per intero autentiche o •arbitrariamente violate e distorte o abbellite e caricate di significati altri•, tanto da smarrire •il carattere di meri eventi storici•, dal momento che esse contribuivano comunque efficacemente •alla delineazione del profilo di un popolo trionfatore e memorabile per il suo passato, a livello civile, morale, religioso, politico e militare•272• Recupe­ randole, Livio suscitava quindi nei lettori un sen­ timento di orgoglio per i propri antenati, capaci di rendere mirabile Roma perché dotati di altissime qualità e sempre protesi alla ricerca dell'appoggio degli dei anche a costo della morte, fiducioso che esso potesse spronare all'imitazione273; rafforzava inoltre in loro la consapevolezza che la religione

272 m

Cfr. G.M. Ma sse lli , La leggenda dei Decii, cit . , 12

ss.

Cfr. F. Greenland, 'Devotio iberica ' and tbe Manipu­

/ation ofA ncient History to Suit Spain 's Mythic Natio­ nalist Past, in Greece & Rome, LIII, 2006, 245 s .

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romana •non era una religione dell'uomo come individuo e della sua salvezza in un altro mondo•, bensì una religione •dell'uomo associato nella co­ munità familiare, gentilizia e civica•, il cui preci­ puo compito era quello di garantire l'integrità e lo sviluppo felice della res publica, talché essa con­ tribuiva davvero molto alla grandezza di Roma 274• Per quanto l'onda lunga della cultura romana ancora ci lambisca, tanto che siamo in grado di co­ gliere appieno la cornice di valori entro la quale era maturata la pratica della devotio, è difficile che oggi voci importanti si levino per osannare la memoria dei Decii, pur non mancando qualche irriducibile nostalgico delle loro prodezze che ancora le rievo­ ca. Nondimeno il rito che aveva condotto alla mor­ te i tre consoli spinge a continue rimeditazioni, nel tentativo di gettare luce sulle sue pieghe più riposte e ormai non di rado, sull'esempio di Agamben e Calasso, di sondare e svelare profondità altrimenti inattingibili del nostro tempo. A suggello, si può af­ fermare in conclusione, della straordinaria attualità di ciò che da millenni dimora nell'inattualità.

271

Cfr. L. Sacco, 'Devotio '. Aspetti storico-religiosi, cit. , 146 s. Sulla religio civilis praticata in Roma è felice la sintesi estrema di l. Dionigi, Ilpresente non basta. La lezione de/ latino, Milano, 2016, 60 ss.