Roma e il suo Impero. Istituzioni, economia, religione 8842077437, 9788842077435

Qual era il segreto di Roma? Come riuscì a mantenere il controllo di un territorio così vasto ed eterogeneo che andava d

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Italian Pages 582 [594] Year 2008

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Roma e il suo Impero. Istituzioni, economia, religione
 8842077437, 9788842077435

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Bi b l i o t e c aS t o r i c a

J a c q ue s S c he i d F r a nç o i s J o hn

Ro ma ei l s uoI mp e r o

I s t i t uz i o ni , e c o no mi a , r e l i g i o ne

Ed i t o r iLa t e r z a

PROGETTO GRAFI CO:FAUSTAORECCHI O

Bi b l i o t e c aS t o r i c a

Qual era il segreto di Roma? Come riuscì, la città, a mantenere saldamente il controllo di un impero tanto vasto ed eterogeneo, che andava dalla Spagna alla Persia, dalla Britannia all'Africa del Nord? Nella affascinante ricostruzione di tutti gli aspetti della vita sociale e istituzionale della Roma imperiale, alternando capitoli riguardanti la religione, la società e l'economia a capitoli sull'organizzazione militare, l'amministrazione delle province e il potere centrale, Jacques e Scheid ci consegnano una storta esaustiva dell'impero romano, che ne sottolinea la complessità dell'apparato istituzionale e la formidabile capacità di creare consenso. Una lettura classica di storia romana.

In sovraccoperta: Giulio Romano, Trionfo di Tito e Vespasiano, 1537. Parigi, Museo del Louvre.

François Jacques ha insegnato all'Università di Lille III. Tra le sue opere: Le privilège de liberté: politique impériale et autonomie municipale dans les cités de l'Occident romain (École Française de Rome, 1984). John Scheid, direttore della V sezione (religione romana) dell'École Pratique des Hautes Études di Parigi fino al 2001, occupa oggi al Collège de France la cattedra di Religioni, istituzioni e società della Roma antica. Per i nostri tipi ha pubblicato La religione a Roma (20045).

Biblioteca Storica Laterza

Titolo dell'edizione originale

Rome et l'intégration de l'Empire © Presses Universitaires de France,

1990

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rabo in poi . Alcuni servivano anche come curatori (amministra­ tori) di città [cfr . infra] . Più importante era la funzione di assistente (iuridicus) di un legato di Augusto propretore , ch e dirigeva una delle province imperiali , in particolare le grandi province di Siria, di Spagna Citeriore o di Britannia; come indica il loro nome, gli iuridici assistevano alcuni di questi legati nella giurisdizione . La funzione più importante che un giovane senatore potesse eserci­ tare , e che determinava la rapidità e il proseguimento della sua carriera, era il comando di una legione (legato di legione) . Egli poteva ricevere il comando di una legione in qualunque momento della sua carriera pretori a , subito dopo la pretura (se era ben vi­ sto) , o soltanto in secondo , terzo o quarto turno ; e più tardi era assunto questo comando , più era lunga la carriera pretoria . In ogni caso questo comando era generalmente seguito da respon­ sabilità più elevate , che costituivano la fine della carriera preto­ ria , nel corso della quale si preparava la nuova selezione. Se l ' ex pretore riceveva uno degli otto proconsolati di provincia senato­ ria , non si trovava generalmente tra i giovani senatori più dotati o più appoggiati , perché in questo caso doveva abitualmente svol­ gere almeno u n ' altra funzione prima di potersi presentare al con­ solato : una legazione di legione (se non l ' aveva ancora esercita­ ta) , un governo di provincia imperiale , la curatela di alcune antiche strade (via Appia, via Flaminia, via Aurelia) o l ' amministrazione di una delle prefetture del tesoro . Nemmeno i tre prefetti del te­ soro militare (praefecti aerarii militaris, nominati nel 6 d . C . , nel­ lo stesso anno in cui era stato creato il tesoro militare) accedeva­ no direttamente al consolato , contrariamente ai due prefetti del tesoro di Saturno (praejecti aerarii Saturni, creati nel 56, e prov­ visoriamente so stituiti da pretori nel 69) , perché questo ruolo era l ' equivalente gerarchico della funzione· pretoria più eminente , il governo di una delle province imperiali di rango pretorio . In quan­ to legato di Augusto propretore (legatus A ugusti propraetore) , il giovane senatore esercitava per la prima volta la pienezza del­ l' imperium , anche se era subordinato ai princeps, il quale, secon­ do l ' accordo del 27 a . C . , era il governatore in carica di queste province . Così in province come la Giudea, l ' Arabia, la Panno­ nia Inferiore e , più tardi , la Numidia o la Dacia, egli non gover­ nava soltanto una provincia, ma aveva ai suoi ordini una legione e il suo lega to . Poiché queste funzioni erano o direttamente accordate dal prin­ cipe o , quando si trattava di cariche che dipendevano dal popolo , dal senat o , e poiché d ' altra parte esse duravano spesso più di un anno , è evidente che non tutti gli ex pretori potevano esercitarle . Dunque una p rima selezione si stabiliva tra coloro che , per una

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ragione o per l ' altra, erano privilegiati dal principe o beneficia­ vano dell ' appoggio all ' interno dell ' élite . Anche se è difficile par­ lare di specializzazione [Campbell , 860] , è innegabile che le for­ tune politiche si creavano o si distruggevano nel corso del grado pretorio; i giovani senatori potevano dimostrarvi per la prima volta le loro attitudini a esercitare responsabilità reali , in una re­ lativa autonomia, soprattutto a capo di una legione . Nel corso dei primi secoli della nostra era, il grado pretorio ebbe la tenden­ za ad appesantirsi ulteriormente , per i senatori non patrizi , con l ' accumulo delle funzioni . Così sotto M arco Aurelio furono crea­ ti i giuridicati delle regioni d ' Italia , funzioni giurisdizionali ab­ bastanza brevi esercitate prima della legazione di legione, al prin­ cipio del cursus pretorio . A partire da M arco Aurelio , inoltre, le cariche finanziarie esercitate nel quadro delle curatele di città (so­ prattutto in Italia) diventarono una costante del grado pretorio; d ' altronde , quando all ' inizio del I I secolo questa funzione trovò il suo posto abituale nei cursus , essa era svolta subito dopo la prefettura . Questa evoluzione si confermò nel III secolo , quando le carriere «brevi» dei non patrizi scomparvero . Anche se i go­ vernatori delle grandi province imperiali consolari generalmente comandavano , nel corso del grado pretorio , una legione e/o una provincia imperiale, la carriera pretoria si trasformò progressi­ vamente in una lunga successione di funzioni giudiziarie o finan­ ziarie (curatele) , che prefiguravano così l ' evoluzione che avrebbe avuto luogo a partire da Gallieno . Gli ex pretori più brillanti , dal punto di vista so­ ciale o amministrativo (cioè un esordiente su due, tenuto conto della mortalità) , raggiungevano successivamente il consolat o , che fu , da Augusto in poi , soprattutto « suffetto » , essendo il conso­ lato ordinario riservato ai principi, ai consoli per la seconda o la terza volta, ai patrizi o ai figli di consolari . I l consolato aveva perduto il suo antico primato , non soltanto a causa dei privile­ gi accordati ad Augusto , ma anche per la moltiplicazione pro­ gressiva dei consoli suffetti . Entrati in funzione il l o gennaio , i consoli ordinari erano sostituiti alcuni mesi più tardi dai su ffetti : se l' avvicendamento mensile dei fasci , ripristinato d a Augusto [Geli . , N. A . , 2, 1 5 , 4] , ebbe un senso reale , la durata della carica consolare fu ridotta in proporzione. Fin dalla seconda metà del principato di Augusto i consolati diventarono semestrali e il nu­ mero dei su ffetti crebbe tanto , che sotto i Flavi il numero dei consoli variò da sei a dieci , sotto Traiano da sei a otto ; sotto Adriano erano generalmente otto; diventarono otto o dieci sotto Il consolato

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Antonin o , dieci sotto Marco Aureli o , mentre il massimo fu rap­ presentato dai 25 consoli dell ' anno 1 90 (24 privati più il princi­ pe) . Sotto i Severi il numero dei consoli si stabilizzò intorno a dodici . A questo si aggiunge che, fin dai Flavi , i consoli entra­ vano frequentem ente in funzione quando governavano una pro­ vincia. La conseguenza della moltiplicazione dei consoli e dell ' a­ bitudine di gestire il consolato in absentia fu la scomparsa del consolato come magistratura forte e in grado di esercitare i pro­ pri poteri : anche se risiedevano a Roma - unico luogo in cui potessero svolgere la propria funzione - , i consoli avevano ap­ pena il tempo di organizzare un officium , un « segretariato» , in grado di amministrare e di predisporre gli affari di cui dovevano essere informati . Da un punto di vista teorico , dei loro poteri supremi i consoli mantennero solo il diritto d ' intercessione contro i pretori nei pro­ cessi civili o contro le pene deci se dai tribuni della plebe, e il di­ ritto di accogliere l ' appello . La giurisdizione penale consolare fu estesa da Augusto ; ormai ogni azione poteva essere intentata da­ vanti ai consoli e al senato , mentre quest ' ultimo serviva in qual­ che modo da giuria ai consoli . Ma di fatto , lo si vedrà [cfr . injra] , questa giurisdizione era riservata ai casi che riguardassero i se­ natori e i cavalieri , e quindi alle violazioni politiche o alle colpe di magistrati . D ' altra parte , fin dall ' inizio del principat o , i consoli ritrovarono la capacità di pronunziare sentenze capitali a Roma, e di farle eseguire dai loro littori , sotto la loro direzione e quella dei loro questori . Essi conservarono il diritto di agire per conto del senato e del popolo , nei limiti imposti alla vita comiziale sotto il principato , e mantennero anche il potere di disporre del tesoro e dei beni pubblici . A questo si aggiungevano le cariche religiose, come la celebrazione dei voti pubblici , di numerosi sacri fici e di feste, in poche parole di tutti gli atti religiosi compiuti in nome del popolo , che non fossero affidati a sacerdoti o ad altri magi­ strati . I n fine i consoli avevano l 'incarico di controllare l ' ordine pubblico , soprattutto a Roma, ed erano aiutati in questa funzio­ ne da magistrati inferiori ; progressivamente però , con l' instau­ razione della prefettura urbana, perdettero questo compito . Anche se conservava il suo prestigio , soprattutto quando era ordinario , il consolato era dunque diventato in parte , come la pretura urbana o il tribunat o , una magistratura più o meno specializzata, che abilitava i senatori a esercitare successi­ vamente l' imperium più completo . Così le carriere di un certo numero di consolari i più dotati , i favoriti e gli amici del prinI consolari

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cipe - continuarono oltre questo grad i no . E come le cariche del grado pretori o , le funzioni consolari si organizzarono rapida­ mente secondo un ordine costante e regolare ; solo che non tutti i consolari accedevano a queste cariche, generalmente importanti . Un certo numero di funzioni civili e romane erano amministrate poco dopo il consolato , come la curatela degli edifici sacri e dei luoghi pubblici , la curatela del letto e delle rive del Tevere (isti­ tuita nel 1 5 d . C . e comprendente , a partire da Traiario , anche le cloache di Roma) , la curatela degli acquedotti, le cui funzioni furono anche estese, nel periodo tra Commodo e Eliogabal o , poi da Filippo l ' Arabo in poi , al controllo supremo delle distribuzio­ ni del grano . I curatori , i cui poteri derivavano insieme dalle an­ tiche competenze censorie e da quelle dei magistrati regolari , fu­ rono creati progressivamente all 'inizio del principato . Le loro funzioni , che sono note , erano di durata variabile e abilitavano alla pretesta , al seggio curule e, fuori Rom a , ·a due littori. Era l 'imperatore a scegliere questi curatori , i cui nomi erano da lui sottoposti all ' approvazione del senato . Dopo aver rivestito una delle cariche, raramente più di una, ed eventualmente una curatela di città , il consolare poteva essere collocato per parecchi anni a capo di una provincia imperiale , con il titolo di legato di Augusto propretore . Esisteva una gerar­ chia tra le province , legata alla tradizione e all ' entità delle truppe che vi si trovavano come guarnigione . Così un' antica provincia come la Spagna Citeriore o le province fortemente armate di Si­ ria e di Britannia erano generalmente affidate a consolari esperti , in tutti i significati del termine , mentre le Germanie o la Panno­ nia , per esempio , erano governate da consolari più giovani . Nella proroga delle cariche di legato, che comportavano l ' insieme dei compiti di amministrazione, di giurisdizione e di comando mili­ tare , eventualmente anche di comando di operazioni di guerra, questi consolari potevano essere sottoposti a verifich e . Dopo un periodo di quattordici o quindici anni i consolari che erano ab­ bastanza brillanti , ed erano sopravvissuti , erano ammessi all ' e­ strazione a sorte delle due province senatorie di A frica e di Asia. Questi proconsolati , in cui il prestigio era superiore alle respon­ sabilità esclusivamente amministrative e giudiziarie che compor­ tavan o , concludevano generalmente la carriera senatoria. Alcuni di questi proconsoli ottenevano tuttavia, dopo un pe­ riodo supplementare da cinque a dieci anni , la prefettura urbana, carica che nel 26 a . C . , data della sua creazion e , il grande Mes­ salla Corvino aveva definito molto poco civica [incivilis, Syme, 840 , pp . 2 1 1 sgg . ] . Presente sporadicamente sotto Augusto e al principio del regno di Tiberi o , la prefettura urbana divenne per-

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manente a partire dal 27 d . C . e fu annoverata fra le magistrature , almeno fino al I I I secolo . Era l ' imperatore a scegliere il prefetto, e si pensa, per la verità in una fonte dubbia, che un buon principe come Severo Alessandro avesse concesso al senato il diritto di p r oporre un candidato [SHA , Sev. A lex. , 1 9 , 1 ] . La prefet t u r a urbana, spesso conferita a vita , attrasse a sé, progressivamente , i poteri d i controllo dell' ordine tradizionalmente affidati ai con­ soli , pretori e edili . Così il prefetto sorvegliava i luoghi di spet­ tacolo pubblici , i mercati e il commercio che si svolgeva nei luo­ ghi pubblici ; più generalmente, egli esercitava la giustizia penale nei confronti di tutto ciò che poteva minacciare l' interesse comu­ ne , in un tribunale straordinario , in cui prendeva da solo le sue decisioni , senza la giuria . Nonostante la relativa discrezionalità nel corso del I secolo , questo tribunale finì con il diventare, dai Severi i n poi , la p rincipale corte di giustizia penale di Roma e dell ' Itali a . Se interveniva poco nella giustizia civile, il prefetto dell ' Urbe decideva attraverso delega, nel I I I secolo , degli appelli formulati su questo argomento davanti all ' imperatore . Infine , per m antenere l ' ordine , da Tiberio in poi , egli disponeva di tre coorti urbane che stazionavano a Roma .

amm inistrativo dei magistrati Assumendo la pro ­ pria carica , un m agistrato o un promagistrato non si trovava a capo di un ufficio o di un segretar iato (officium) permanente di funzionari (officiales) d estinati a rendergli possibile l ' esercizio del­ le sue funzioni . Come sotto la Repubblica , egli poteva soltanto contare su legati, quando era proconsole , o su alcuni scribi e ap­ paritori pagati dal tesoro . Generalmente egli si faceva aiutare da liberti personali e da amici ( possibilmente giureconsulti ) , che lo consigliavano nel corso delle sue udien z e all ' interno di un consi­ lium , in cui si potevano trovare anche i suoi colleghi , a Roma , e i suoi legati e questori , fuori di Rom a . È ovvio che i consoli po­ tevano (e spesso dovevano) inter r ogare il senato o eventualmente uno dei quattro collegi sacerdotali più importanti , per esaminare i g r andi problemi che potevano porsi . Per i compiti subalterni , i magistrati erano aiutati da apparitori . Liberi , stipendiati dal te­ soro pubblico e raggruppati in collegi (decuriae apparitorum) , questi apparitori erano spesso coadiuvati da liberti personali del magi strato . I magistrati urbani , il princeps e i nuovi magis t rat i (i curatori o il prefetto dell ' U rbe ) comp re si , disponevano di appa­ ritori stabili . I principali apparitori stabili erano gli scribi , i littori e i viatores. Di estrazione sociale elevata, vicini al rango equestre , gli scribi assistevano la maggior parte dei magistrati o promagiIl personale

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strati . Assegnati al tesoro pubblico , essi erano incaricati , sotto l ' autorità di due questori urbani , della tenuta dei registri di con­ tabilità pubblica e degli archivi pubblici . Inoltre ogni proconsole aveva accanto , oltre al suo questore, due scribi per tenere la con­ tabilità delle somme che gli erano state assegnate d al tesoro . D ' al­ tra parte , ad eccezione dei consoli , tutti i magistrati avevano al loro servizio uno scriba . Noi conosciamo male i loro compit i , ma verosimilmente somigliavano a quelli degli scribi dei pretori , che redigevano i verbali di udienza , preparavano i decreti e davano lettura degli atti davanti alle corti di giustizia . La parte materiale della scrittura era affidata a copisti subalterni , sicuramente schia­ vi pubblici . Generalmente liberti come statuto , i littori (lictor) portavano i fasci che simboleggiavano il potere dei magistrati con imperium ; camminando davanti al magistrato, essi avevano il com­ pito di allontanare la folla , di fare rispettare la precedenza o di fare rendere gli onori al magistrato ; dovevano anche procedere agli arresti , o addirittura alle esecuzioni decise dal magistrato . I l numero dei littori per i magistrati e per i proconsoli non cambiò dalla Repubblica in poi [Nicolet , 54, tavola III] , ma il sistema fu perfezionato . Innanzi tutto Augusto , che il l o gennaio 28 aveva cessato di beneficiare dei ventiquattro fasci che deteneva come triumviro , ricevette nel 1 9 , dopo che aveva deciso nel 23 di non rivestire più il consolato , il diritto permanente a dodici littori , a Roma e fuori città [Dione, 54, 1 0 , 5 , cfr . supra] . Sotto Domizia­ no il principe riebbe i ventiquattro fasci che esprimevano la to­ talità del potere [Dione , 67 , 4] . Le nuove magistrature di rango pretorio o consolare furono dotate di due fasci nel caso in cui i loro titolari svolgessero funzioni fuori di Roma (curatori di vie, di acquedotti ; prefetti dell ' Urbe , del tesoro di Saturno e del te­ soro militare) . Quanto ai legati di Augusto propretore, quale che fosse il loro rango , essi avevano cinque fasci , perché detenevano solo un potere delegato , contrariamente ai proconsoli , che ave­ vano per questo motivo diritto a sei fasci ; si può anche supporre che i legati dei proconsoli o i questori provinciali avessero meno di sei fasci . Ai littori si aggiungevano gli accensi («usceri ») di tutti i magistrati di rango consolare o pretorio , dunque anche del principe e dei nuovi magistrati : uomini di fiducia piuttosto che apparitori , essi erano frequentemente scelti fra i liberti personali del magistrato . Tutti i magistrati disponevano anche , a Roma, di viatores, la cui funzione era vicina a quella dei littori, soprattutto per i magistrati sprovvisti dell' imperiu m e dunque dei littori : ser­ vivano da messi , per esempio per convocare il senato , per comu­ nicare le citazioni giudizi arie e condurre con la forza i recalci­ tranti , o per procedere a pignoramenti . I viatores erano in pre-

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valenza liberti . Infine , presso la maggior parte dei magistrati , si trovavano un banditore (praeco) e , per compiere i loro compiti cultual i , un vittimario , un aruspice , un pullario e un suonatore di flauto (tibicen) . A tutto questo personale , che dirigeva l' ojjicium di un magistrato , si aggiungeva un certo numero di ausiliari di rango inferiore , che erano incaricati dei compiti materiali della loro cancelleria . Ma poiché spesso dipendevano più dai servizi gestiti dai magistrati (come il tesoro o il servizio delle acque) che dal loro segretariato , ci ri t orneremo su descrivendo l ' amministra­ zione imperiale.

L ' elenco delle cariche pubb liche suscita una duplice im­ pressione . È innegabile che tutti i magistrati e promagistra­ ti avessero perduto la propria autonomia tradizionale , dal momento che erano tutti sostenuti e controllati dal potere del principe . In un prim o tempo le magistrature conserva­ rono la propria libertà d ' azione solo nell' esercizio quoti­ diano delle loro competenze ; ma anche su questo piano fu­ rono progressivamente collocate sotto l ' alta sorveglianza di curatori o di prefetti - senza che, per quest o , fossero avocate le funzioni che dipendevano dal principe - che le privò poco per volta dei loro poteri . I magi strati che per­ sero maggior p otere furono i tribuni e i consoli , i quali di­ ventarono , gli uni , specie di magistrati locali dell ' Urbe , gli altri , alti d ignitari destinati eventualmente all ' esercizio di responsabilità elevate . Nello stesso tempo si ha l ' impres­ sione che i poteri amministrativi e governativi avessero su­ bito una « specializzazione» e un accorpamento , anche se il conferimento d ell ' esercizio delle responsabilità del conso­ lato a corpi di sei o dodici persone , o la necessaria attribu­ zio ne dei compiti consolari ad altri magistrati (nel caso di consolato in absen tia) , danno piuttosto l ' impressione di una relativa imprecisione delle competenze e di una ridotta ef­ ficacia, a paragone delle cariche non collegiali pluriennali e specializzate , come le curatele o la prefettura dell ' Urbe . È tuttavia innegabile ch e , nella misura in cui cessavano di es­ sere strumenti politici per la conquista del potere , le magi­ strature inferiori fo ssero utilizzate più efficacemente di pri­ ma per amministrare gli affari del senato e del popolo , anzi per amministrare Roma. Nel caso in cui dipendevano dal popolo (cioè quando governavano province dette senato-

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rie) , i promagistrati avevano anch ' essi perduto la propria autonomia, per quanto esercitassero un effettivo potere di governo e di amministrazione . In fin dei conti , soltanto le funzioni senatorie che dipendevano dal principe , quali le legazioni , così come le nuove m agistrature create per aiu­ tarlo , ossia le curatele o la prefettu r a urbana, conferivano un potere reale . Tuttavia , anche se gli onori tradizionali era­ no stati progressivamente «degradati» al rango di cariche amministrative di qualificazione , rimane il fatto che i prin­ cipi non li soppressero : è in gran parte grazie a questi onori che fu esercitato il governo dell ' Urbe, della res publica e delle province , anche se accanto , nella stessa Roma e nelle province, si svilupparono le nuove cariche. Questa soprav­ vivenza delle antiche magistrature, al di là di ogni trasfor­ mazione, mette bene in evidenza fino a qual punto , a Roma e agli occhi di tutti i cittadini romani , l ' immagine della cit­ tadinanza conservasse la sua forza : finché questa rappre­ sentazione fondata sul passato piuttosto che sulla realtà aves­ se mantenuto la propria forza, le magistrature , come elemento di questa rappresentazione, avrebbero dovuto per­ sistere , pena la distruzione del modello . Prima dell ' epoca di Gallieno non c ' era davvero nemmeno da pensarci . La seconda impressione riguarda il numero limitato de­ gli alti responsabili nell ' Impero . In Italia e a Roma, nel cor­ so del n secolo , si potevano contare in media un p o ' p iù d i 7 0 responsabili di rango senatorio , ai quali si potevano ag­ giungere i vigintiviri e i tribuni milit ari senatorii ; a questo numero si aggiungevano , per le province , circa 84 i ncarichi [cfr . per i particolari Eck , 868 , pp . 22 7 sgg . ] . In breve , poi­ ché le variazioni in un senso o nell ' altro erano scarse, si può considerare che ogni anno i senatori o i futuri senatori che detenevano alte responsabilità su quasi tutto l ' I mpero sa­ livano a 1 80 persone sotto Augusto , a 206 sotto Traiano e a 2 1 5 sotto Settimio Severo . Anche se si devono aggiungere a questo numero , lo si vedrà, gli alti responsabili dell ' or­ dine equestre , così come gli incarichi precisi di cui furono investiti i senatori , esso è davvero piccolo per un Impero che occupava il bacino mediterraneo e una gran parte del­ l' Europa occidentale e dimostra a priori che occorre sem­ pre s fumare le nozioni di potere , d ' importanza , di domi-

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nazione e di amministrazione romana . È innegabile che l ' Impero fosse romano , ma è anche sicuro che non bisogna immaginare questo I mpero come le colonie moderne . Gli strumenti di azione del potere centrale , imperiale o senato­ rio , erano diversi e nettamente più limitati di quelli delle amministrazioni coloniali moderne . Il senato

Come le altre grandi istituzioni repubblicane, il senato di Roma continuò a esercitare sotto il principato il proprio ruolo tradizionale . Me g lio ancora, la sua funzione fu raf­ forzata in certi campi . E tuttavia evidente che il periodo di preminenza assoluta del senato era terminato , e da parec­ chio tempo , da quando il futuro Augusto aveva rinunciato ai suoi poteri eccezionali e aveva negoziato con il senato e il popolo un nuovo ordine di govern o . A partire da questa data , la storia dell ' alto consiglio cambiò , dal momento che non c ' è praticamente nessuna testimonianza di un rifiuto dei senatori ad ottemperare alle proposte del princeps. Il che non significa tuttavia che il principe governasse da so­ lo , come talvolta scrivono gli storici moderni [Brunt , 345] . Come le magistrature e indubbiamente anche i comizi , il senato faceva parte del dispositivo del governo imperiale e i principi utilizzavano le competenze di questo consiglio ra­ dicato nel cuore della res publica, tanto per calcolo politico quanto per pragmatismo [per tutto ciò , cfr . Talbert , 3 52] . Composto da tutti gli ex magistrati e dagli adlecti [cfr . infra] , i l senato contava intorno a i 600 membri, dopo che il futuro Augusto ebbe proceduto , nel 29 a . C . , a una revisio­ ne della lista dei 900 senatori ereditati dall ' era cesariana e dalle guerre civili [Dio ne, 5 2 , 42 , 2] . Altre revisioni ebbero luogo nel 1 3 - 1 1 a . C . e nel 4 d . C . ; al di fuori delle ultime revisioni conosciute , che furono organizzate in occasione dei censimenti di Claudio (48) e di Tito e Vespasiano (7374) , il reclutamento si faceva ogni anno con l ' integrazione degli ex questori e con la cooptazione [Talbert , 3 5 2 , pp . 1 3 1 sgg . ] . L ' assenteismo dei senatori era un vecchio problema, al

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quale Augusto tentò di portare rimedio . Nell ' I l a . C . egli abrogò una norma la quale richiedeva che nessun decreto del senato potesse essere votato se erano presenti meno di 400 senatori ; nel 9 a . C . fece votare una legge (!ex /ulia de senatu habendo) che regolava le sessioni del senato , o me­ glio codificava le consuetudini in vigore . Di questa legge conosciamo soltanto le disposizioni che stabilivano sessioni a date prefissate , definivano i quorum e aggravavano le mul­ te per assenteismo [Dione, 5 5 , 3 , l sgg . ; Svet . , A ug. , 3 5 ; Chastagno l , 346 ; Talbert , 3 5 2 , pp . 222 sgg . ] . Il senato si sarebbe riunito due volte al mese , il giorno delle Calende (il l 0 ) e quello delle Idi (il 1 3 o il 1 5 secondo i l mese) , e in questi giorni non avrebbe potuto tenersi nessuna corte o assemblea che richiedesse la presenza dei senatori . Così il senato si riuniva almeno 24 volte all ' anno e le sedute dura­ vano talvolta parecchi giorni ; a questa cifra si devono ag­ giungere alcune sessioni straordinarie . Nel corso delle «va­ canze» di settembre-ottobre solo un gruppo di senatori estratto a sorte sarebbe dovuto essere presente a Roma; que­ sta regola valeva forse anche per le « vacanze» tradizionali di aprile-maggio . Con lo stesso spirito Augusto e i suoi suc­ cessori prescrissero ai senatori di non lasciare l ' Italia senza autorizzazione ; Claudio allargò la zona all ' interno della qua­ le i senatori potevano circolare senza autorizzazione, spe­ cialmente per visitare le loro proprietà in Gallia Narbonese e in Sicili a . Nonostante questi regolamenti , e certamente a causa della lenta trasformazione delle procedure e della com­ po sizione sociologica del senato , l ' assenteismo si sviluppò nuovamente , il che riportò per esempio Settimio Severo e Caracalla a restringere a 200 miglia da Roma il limite al­ l ' interno del quale un senatore avrebbe potuto esercitare una tutela [Talbert , 3 5 2 , p. 1 43 ; cfr . anche Dione, 7 7 , 20 , 1 ] . I l tasso di assenteismo variava anche i n funzione delle stagioni . Così , all ' inizio del l ' anno , data dell ' entrata in ca­ rica dei magistrati, dei voti solenni per la salvezza della Re­ pubblica e del principe , come della prestazione dei giura­ menti agli atti dei prìncipi (in acta Caesarum ) , gran parte dei senatori che non erano assegnati a cariche o a compiti all ' esterno dell ' Urbe soggiornavano a Rom a . I nvece , dal mese di aprile in poi , per le vacanze tradizionali e per la

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partenza dei futuri governatori di provincia, a Roma e nel­ la curia c ' era un numero nettamente inferiore di senatori . I l senato si riuniva per lo più nel foro , nella curia Iulia, ma poteva tener sedute in qualunque spazio «inaugurato» (quel che si chiamav(,l un templum , ossia uno spazio defi­ nito ritualmente da un augure) situato all ' interno del limite di un miglio . Così certe sedute si tenevano nel santuario di Giove in Campidoglio , nel tempio di Marte Ultore nel foro di Augusto , nella biblioteca situata nell ' area consacrata (templum) del tempio di Apollo sul Palatino , o , nel campo di Mart e , in un locale dei Saepta /ulia (area « inaugurata» per le assemblee del popolo) . I senatori erano assisi sui ban­ chi , i consoli (e l ' imperatore) , che presiedevano , erano se­ duti su una tribuna , mentre i banchi dei pretori e dei tribuni della plebe erano collocati vicino alla tribuna . La curia Iu­ lia ospitava m onumenti famosi , a cominciare dalla statua della Vittoria con il suo altare , dedicati da Augusto il 28 agosto del 29 a . C . per commemorare i suoi trion fi [Diane , 5 1 , 22 , l sgg . ] . C ' era anche il fam oso scudo delle virtù di Augusto [clipeus uirtutis, c fr . supra] e diverse statue o im­ m agini di prìncipi . La procedura Anche se, all ' occorrenza , poteva riunirsi infor­ malmente e spontaneamente, il senato poteva tener seduta e pren­ dere decisioni solo se era convocato da un magistrato superiore (console , pretore , tribuno) e, ovviamente , dal princeps . Questa convocazione si faceva per iscritto (lettere distribuite dai viatores del magistrato) o da un banditore pubblico (praeco) . La seduta cominciava all ' alba e dal momento in cui era arrivato il magi­ strato convocante . Normalmente essa terminava al più tardi al calar della notte [per la durata delle sedute , Talbert, 3 52 , pp. 502 sgg . ] , ma in certi casi, specialmente quando si trattava di audi­ zioni legate a un processo , le sedute potevano durare parecchi giorni ; poteva anche capitare che il senato fosse convocato due volte nello stesso giorno . Le sedute del senato erano pubbliche : le porte del locale dove esso si riuniva dovevano restare aperte, e vi si pigiava una folla di spettatori . Le riunioni del senato obbedi­ vano a una specie di calendario . Al principio dell ' anno , in occa­ sione dell 'entrata in carica dei consoli ordinari , dei p retori e degli edili , il senato era il teatro di un certo numero di discorsi , nonché di prestazioni di giuramenti da parte dei magistrati e dei senatori

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«alle decisioni dei Cesari » ; in quei giorni i senatori dibattevano anche l ' opportunità di pronunziare i voti per la salvezza della Re­ pubblica e dell 'imperatore . Il compito successivo consisteva nel­ l ' organizzare le elezioni conformemente alle nuove consuetudini che si erano affermate nel I secolo . Secondo Talbert [3 5 2 , pp . 202 sgg . ] , a partire dai Flavi, è nel mese di gennaio , sicuramente il l 2 , che i senatori «destinavano » i consoli suffetti per l ' anno in cors o , i tribuni e i questori che sarebbero entrati i n funzione rispettiva­ mente il 10 e il 5 dicembre , come i pretori e gli edili dell ' anno successivo . Poco dopo questa data si doveva procedere anche alle estrazioni a sorte dei proconsolati . A queste sessioni « elettorali » regolari si aggiungevan o , a seconda degli avvenimenti , designa­ zioni sacerdotali o consultazioni sulla nomina dell 'uno o dell ' al­ tro curatore da parte del principe . Le sessioni del senato obbedivano a regole di procedura com­ plicate , che erano state codificate in parte dalla !ex Iulia del 9 a . C . [cfr . supra] . La seduta cominciava con un sacrificio d ' in­ censo e di vino o fferto dai senatori alle divinità tutelari del san­ tuario in cui si riunivano [Svet . , A ug. , 3 5 ; Dione , 54, 3 0 , l ] e , più generalmente , quando tenevano seduta nella curia, alla Vittoria [Erodian . , 5, 5, 7 ] . Sembra che il m agistrato , che aveva convo­ cato il senato , prima avesse fatto i sacrifici e preso gli auspici [Dione, 74, 1 3 , 1 3 ; 1 4 , 4] . Se nessuno indirizzava ringraziamenti al senato o al principe , e se nessun senatore chiedeva la parola per invitare il magistrato che presiedeva a investire i senatori d i u n affare non previsto , la tradizione prevedeva che il magistrato pre­ sidente illustrasse al senato le proposte che giudicava necessarie, cominciando dagli affari religiosi . Il principe aveva il privilegio della prima proposta (relatio) , un privilegio che sembra essere stato esteso ai co reggenti [Nicolet , 349] . Dopo che il problema era stato esposto dal presidente , quest'ultimo consultava i sena­ tori (in terrogatio) , generalmente in ordine di anzianità , mentre l ' imperatore era consultato per primo se era presente ; i m agistra­ ti in funzione potevano prender la parola quando volevan o . Le procedure d i consultazione e di voto erano le stesse che erano state utilizzate sotto la Repubblica [Nicolet , 54, pp . 3 86 sgg ] Una volta adottato , il senatoconsulto doveva essere redatto d a u n a commissione di s e i senatori circa e depositato n e l tesoro d i Saturno : tuttavia, perfino a questo punto , la decisione d e l senato poteva ancora cadere sotto l ' opposizione dell 'imperatore (in virtù della sua potestà tribunizia) o di quella, teorica , d i un tribune della plebe. Alcuni senatoconsulti erano portati a conoscenza de­ gli interessati da apparitori, o comunicati per lettera imperiale alle comunità coinvolte (p . es . gli editti di Cirene) . Verisimil.

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mente , non sempre erano pubblicati , affissi , e soprattutto incisi sul bronzo . La Tabula Siarensis lascia intendere , invece , che la decisione di fare diffondere e affiggere (proponere) un senato­ consulto doveva essere espressa volta per volta dal senato . Tal­ volta si affiggevano i discorsi del principe (p . es . la Tavola di Lione) , ma d ' altra parte estratti diversi potevano circolare negli «Atti quotidiani del popolo romano » , una specie di giornale . Que­ ste pubblicazioni non erano tuttavia sistematiche , tanto più che i dibattiti propriamente detti , che erano registrati in note tironiane (in stenografia) , non erano pubblicati . Conformemente a u n comportamento tipicamente romano , il senato , come del resto il principe e i governatori , per esempio , non delegava praticamente mai i propri poteri , e non conosceva quindi la pratica delle commissioni [alcuni esempi in Talbert, 3 5 2 , pp . 2 8 6 sgg . ] . I n u na data sconosciuta Augusto cercò d i mettere in piedi un consiglio che lo aiutasse , per un periodo di sei mesi , nell ' esame preliminare degli affari da sottoporre al senato [Svet . , A ug. , 3 5 , 3 ; Diane, 5 3 , 2 1 , 4 sgg . ] . Questo consiglio - che non bisogna confondere con il « consiglio del principe» (consilium principis) , formato a seconda delle decisioni che l ' imperatore do­ veva assumere e che comprendeva anche dei cavalieri è espli­ citamente testimoniato nel preambolo del senatoconsulto di Cal­ visio [senatus consultum Calvisian um , Girard , in 3 6 , p . 4 1 6] . Esso era composto dai consoli , da un membro di tutti gli altri collegi di magistrati e da quindici senatori estratti a sorte . Nel 1 3 d . C . questo consiglio semestrale ricevette anche i l diritto d i sostituirsi al senato e di esprimere decisioni che avessero forza di senato­ consulto; alla stessa occasione l ' e strazione a sorte fu soppressa, e il principe ottenne il diritto di aggiungere altri componenti al con­ sigli o , in cui sedevano anche membri della famiglia imperiale . Tuttavia, fin dall ' inizio del principato di Tiberio , esso cadde in disuso , e funzionò ormai soltanto il consiglio del principe , un gruppo informale di «amici» (am ici e comites) e di consiglieri (grandi prefetti , capi dei grandi uffici del Palatino ; a partire da M arco Aurelio contò anche giuristi , i consiliaril) , che somigliava a quello di cui si circondavano tutti i magistrati o promagistrati . Il consiglio del principe non aveva più parte nella preparazione delle deliberazioni e decisioni del senato [379, 3 8 6 , 3 8 7] . La procedura senatoria si è leggermente evoluta nel corso del II secolo , anche se la documentazione è troppo scarsa per mettere in evidenza tutti i particolari di questa trasformazione. Si nota innanzi tutto una chiara evoluzione nella redazione dei senato­ consulti , perché i documenti conservati [p . es . «AE » , 1 97 7 , 80 1 ] si limitano apparentemente a citare sia la relatio del principe (chia-

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mata « discorso» , oratio) sia il primo parere espresso . Ma se è evidente che il senato non ebbe mai i mezzi per opporsi seriamen­ te ai prìncipi , a pena di gravi conflitti , è tuttavia innegabile che la storia di questo corpo non può essere semplicemente ridotta a quella di una camera di registrazione . Gli affari di poca i m por­ tanza erano generalmente approvati senza discussione . M a dalla ricerca appro fondita di Talbert [ 3 5 2 , pp . 292 sgg . ] , sembra che su argomenti più co ntroversi ci fossero reali discussion i , si trat­ tasse di proposte imperiali o di proposte provenienti dai magi­ strati [cfr . p. es . ILS, 5 1 63 , Il . 27 sgg . ; trad . ingl . in Talbert , 3 5 2 , pp . 29 1 sgg . ] . D ' altronde i giuristi dell ' Alto I mpero , che consi­ deravano leggi gli editti del principe, nonostante tutt o , citavano senatoconsulti accanto a orationes dei prìncipi , e talvolta per fino al loro posto . Noi ignoriamo l ' ampiezza dei dibattiti senatori e la loro importanza ; la loro esistenza ci esorta in ogni caso a non ritenere troppo precipitosamente che il senato avesse perduto le proprie tradizioni e il proprio ruolo fin dai Flavi o da Adrian o . L a passività del senato era una vecchia malattia dell' ardo , che già Augusto e Claudio avevano stigmatizzato [Svet . , A ug. , 3 5 ; Girard , in 3 6 , pp . 3 1 3 sgg . ] : essa non b asta però a provare che gli imperatori non tenessero in nessun conto i pareri dei senatori . D ' altra parte Talbert [3 5 2 , pp . 297 sgg . ] ha dimostrato che nes­ suna testimonianza stabilisce l ' abbandono progressivo delle pro­ cedure di voto a vantaggio di acclamazioni servili : orchestrate o puntuali , le acclamazioni sono testimoniate fin dal principio del­ Ia nostra era , ma sono apparentemente sempre rimaste una pra­ tica informale .

Le competenze del senato E ssendo la procedura senatoria cambiata relativamente poco , i domini tradizionalmente ri­ servati all ' alta autorità del senato continuavano a dipende­ re dalle sue competenze [per tutto questo , cfr . Talbert , 3 5 2 , pp . 3 7 2 sgg . ] . Il senato beneficiò anche, in un primo tem­ po , del trasferimento d i un certo numero di compiti ammi­ nistrativi , tradizionalmente affidati ai magistrati, a prefetti o curatori : in effetti , i prìncipi che avevano dato l ' avvio a certe riforme avevano l ' abitudine di consultare il senato a propo sito dei relativi settori amministrativi (le distribuzio­ ni alimentari, le strade italiche , gli acquedotti , gli argini del Tevere , le cloache o gli edifici pubblici) . Ma se il ruolo del senato sembra essersi rapidam ente limitato all ' approvazio­ ne dei candidati proposti dal principe per queste magistra-

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ture , la scelta dei responsabili e l ' amministrazione d i questi domini gli s fuggivano . In compenso , il senato mantenne la responsabilità delle finanze della res publica . Naturalmen­ te , la vera cassa pubblica era, sempre più , la cassa impe­ riale , e dunque l ' autorità reale in materia finanziaria spet­ tava al principe, ma il vecchio tesoro di Saturno e il denaro pubblico vero e proprio continuavano a essere amministra­ ti dal senato . Il senato interveniva nella designazione dei responsabili del tesoro [cfr . supra] , decideva degli affari che spettavano alla sua amministrazione [Talbert , 3 5 2 , pp . 375 sgg . ] e, più generalmente , era consultato dai principi a pro­ posito delle grandi questioni finanziarie : creazione dell ' ae­ rarium militare , riscossione di tasse e d ' imposte, assegna­ zione di crediti . Il senato continuava anche a fissare le somme messe a disposizione dei magistrati , dei proconsoli e anche (talvolta) dell' imperatore , ma non stabiliva , a rigor di ter­ mini , quello che si potrebbe chiamare il budget generale del­ la Repubblica , perché questo era una creazione dei prìncipi ed era stabilito e amministrato da loro . Come sotto la Re­ pubblica (ma senza il controllo quinquennale dei censori , rapidamente sostituito dall ' amministrazione imperiale) , il senato e i responsabili del tesoro di Saturno amministrava­ no di giorno in giorno le entrate e le uscite del tesoro pub­ blico , gli archivi pubblici e tutti gli affari che vi si riferiva­ no . « l o siedo in tribunale , annoto istanze , faccio conti e scrivo un mucchio di lettere con le quali la letteratura non ha nulla che vedere» ; ecco come Plinio il Giovane riassume la propria carica di prefetto del tesoro [Ep. , l , l O, 9] . In ogni modo , il tesoro di Saturno era spesso privo dei mezzi necessari per funzionare . Durante l ' epoca giulio-clau dia, i principi talvolta gli accordavano prestiti o colmavano i suoi deficit [p . es . Tac . , A nn . , 1 3 , 5 1 ; 1 5 , 1 8 ] , ma progressiva­ mente questi tentativi per sostenere il tesoro pubblico ven­ nero meno , perché si stabilì una confusione tra le finanze private del principe e il denaro ch ' egli amministrava in no­ me della Repubblica [cfr . injra] . Le relazio ni del senato con il conio monetario sono oscu­ re . I numismatici discutono ancora il significato delle let­ tere ex s. c. o s. c. (ex senatus consulto , «in virtù di un senatoconsulto») che compaiono sulle monete in bronzo (as-

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se , dupondio e sesterzio ) ; infatti è difficile determinare la funzione del senato nel conio del bronzo , perché è sicuro che anche l ' iniziativa in questo campo spettava al principe [cfr . i lavori di Bay, 397 : Sutherland , 43 , p. 1 1 ; Burnett , 398 ; Kunisz , 407 , p . 1 6 ; Giar d , 40, pp . 7 sgg . ] . M a si può supporre che questo segno si riferisca a un atto di autorità, a una decisione del senato , che autentica queste m onete in rapporto al conio locale di bronzo . Le autorità locali po­ tevano emettere solo bronzo . È per questo che le monete romane in metallo prezioso non portavano il segno s. c. [Wal­ lace-H adrill , 4 1 2] . I l senato conservò in gran parte anche la propria com­ petenza diretta per il mantenimento d eli ' ordine a Roma e in Italia, almeno fino alla fine del I secolo . E s s o subiva sem­ pre più la concorrenza dell ' imperatore che sovrintendeva ai diversi magistrati e responsabili incaricati di mantenere l ' or­ dine . Tuttavia i numerosi senatoconsulti sull ' i nterdizione di gruppi religiosi che turbavano l ' ordine , sul regolamento di conflitti locali , sul controllo dei giochi pubblici , degli at­ tori e dei collegi [p . es . Tac . , A nn . , 2, 8 5 ; 1 4 , 1 7 ; Flav . Gius . , A n t. Jud. , 1 8 , 8 3 ] , mostrano che il senato continua­ va ad essere associato a questo compito . Il senato veniva anche consultato per ogni affare che riguardasse la religio­ ne pubblica . Il senato decideva gli onori postumi o divini dei principi deceduti ; la Tabula Hebana e la Tabula Sia­ rensis [ «AE » , 1 984, 508] o ffrono un esempio dettagliato d eli ' attività del senato in favore del defunto Germanico ( 1 920) . Il senato veniva anche consultato sull ' istituzione di nuo­ ve feste , sull' organizzazione di sacrifici , voti o cerimonie straordinarie e, da parte sua, assicurava il controllo sui col­ legi sacerdotali . Beninte s o , anche su questo piano , era fon­ damentale la volontà del principe , m a come dice nel 203 il presidente del collegio dei quindecemviri a proposito dei Giochi secolari , « l ' iniziativa spetta ai princip i , l ' esecuzione ai senatori» [pro[vi]dentia principalis est, p[atrum] cu[ra], P ighi , De ludis saecularibus, Amsterdam 1 965 2 , 1 40 , l. 7] . L ' amministrazione delle province senatorie da parte dei proconsoli estratti a sorte in senato sarebbe dovuta cadere innanzi tutto sotto il controllo del senato . Ma la realtà era più complessa, perché il principe poteva inviare istruzioni

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ai proconsoli , e questi ultimi si rivolgevano eventualmente a lui [Plassart , Fouilles de Delphes , I I I , 4, 3 , Paris 1 970, n . 286 ; O liver , 3 5 1 ] . I l fatto è che, fino alla fine del I I secolo , il numero delle province senatorie restò uguale , nonostante eventuali modi ficazioni della divisione, e d ' altra parte la legislazione senatoria era applicata a tutte le province . Il senato giudicava i casi di concussione ; il principe rinviava spesso al senato gli affari provinciali di cui era investito e frequentemente lo associava, provocando senatoconsulti , alle decisioni che voleva prendere, per esempio per cambia­ re lo statuto di una provinci a . La volontà del principe di fare partecipare i l senato all ' azione governativa risultava anche dalle numerose ambascerie che il senato riceveva. È vero che il loro numero si era ridotto dal l ' epoca della fon­ d azione dell ' Impero , tuttavia esse continuarono per tutto il I secolo [p . es . Tac . , A nn. , 2, 3 5 ; 1 2 , 58 e 62 sgg . ; «AE » , 1 95 9 , 1 3 ] ; alcuni documenti stabiliscono implicitamente la loro esistenza ancora nel I I I secolo [«AE » , 1 966, 436; Rey­ nold s , 700 , n . 48 , Il . 1 9 sgg . ] . Nerone tentò di limitare l ' at­ tività diplomatica del senato alle sole province senatorie [Tac . , A nn . , 1 5 , 22] , ma questa misura sembra essere stata di breve durata . È tuttavia innegabile che la maggior parte delle ambascerie fosse indirizzata all ' imperatore , e questa tendenza si accentuò ulteriormente alla fine del II secolo . Da ultimo osserviamo che il senato perse quasi completa­ mente , a vantaggio del principe , il potere di dichiarare la guerra o di concludere la pace , e più generalmente la cura e la direzione generale in materia di strategia militare . M a se è vero che si perdettero prerogative tanto impor­ tanti, è anche vero che le competenze del senato si estesero in direzione di settori nuovi , verso il dominio elettorale, giu­ diziario e legislativo . Abbiamo già descritto precedente­ mente la funzione del senato nella procedura dell ' investi­ tura imperiale ed è superfluo ritornarci sopra. Meno essenziale ma sempre reale era la funzione predominante assunta dal senato, a cominciare dal l ' epoca di Tiberio , nel­ le elezioni dei magistrati e dei sacerdoti pubblici . La fun­ zione del senato nella scelta dei candidati, che erano poi formalmente eletti dai comizi , è stata già descritta. Igno­ riamo invece la procedura esatta della scelta dei candidati

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all ' inter no del senato . Sappiamo soltanto che il principe sta­ biliva la lista dei posti vacanti e dei candidati possibili ; quel­ li che, per di più , erano raccomandati (commendatz) dal principe erano certi di essere elett i ; i senatori provvedevano a coprire i posti restanti . Il giorno dei comizi , secondo Pli­ nio il Giovane [Ep. , 3 , 20] , i candidati si presentavano al senato , vantavano le proprie benemerenze e invitavano qual­ che senato re fra i più anziani a parlare in loro favore . Dopo che questa presentazione era avvenuta , i senatori votava­ no , certamente in b locco . Ma a dar retta a Plinio , al prin­ cipio del II secolo la competizione e il disordine di queste sedute erano tali , che si dovette ricorrere al voto segreto per ridurre l ' effetto dei patronati ; ignoriamo se questa riforma sia sopravvis suta a lungo . Comunque , nel I I I secolo si par­ la ancora del giorno dei comizi [Dio ne , 7 8 , 1 4 , 2] , anche se si può presumere che ormai l ' in fluenza del principe fo sse predominante [cfr . da ultimo Holladay , 3 3 0] . Oltre alle numerose estrazioni a sorte dei senatori o dei magistrati per compiti diversi [Talbert , 3 5 2 , pp . 347 sgg . ] , i l senato , solo e senza l ' approvazione dei comizi , doveva assicurare l ' elezione dei nuovi magistrati creati dopo l ' ini­ zio del principato . Le procedure di queste «elezioni» varia­ vano : i p raefecti frumen ti dandi erano estratti a sorte fra i candidati proposti da ciascun magistrato [Dio ne , 5 4 , 1 7 , l ] ; i l curator aquarum e i curatores operum publicorum era­ no scelti dal principe , verosimilmente dopo che era stato espresso il parere del senato [Frontin . , 1 00 ; 1 04] ; i curatori del letto del Tevere erano estratti a sorte . Il senato potrebbe avere anche avuto una parte nella scelta del prefetto del­ l ' Urbe , se si dà retta all ' Historia A ugusta [Sev. A lex. , 1 9] . Da Tiberio in poi , la fase preliminare delle elezioni sacer­ dotali si svolgeva anch ' essa in senato . I membri dei quattro collegi sacerdotali più importanti presentavano ogni anno i candidati agli eventuali seggi vacanti ; quando veniva di­ chiarata una vacanza, i senatori sceglievano fra i candidati dell ' anno colui che avrebbero certamente proposto in se­ guito ai comizi sacerdotali ; in ogni caso questi si riunivano ancora nel I secolo per conferire i sacerdozi più importanti ai prìncipi [cfr . infra] . Sotto la Repubblica i senatoconsulti erano pareri dati ai .

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magistrati che li richiedevano . Sotto il principato i senato­ consulti ottennero progressivamente forza di legge [Gai o , Inst. , l , 4 ; Ulp . , Dig. , l , 3 , 4] . A rigor d i termini questa evoluzione non era rivoluzionaria : si b asava sulla tradizio­ ne per la quale in certi domini (il bilancio , gli affari esteri , la ripartizione delle province, l ' ordine pubblico ecc . , cfr . Nicolet , 5 4 , pp . 3 82 sgg . ) la richiesta e i l rispetto del parere del senato erano considerati come obbligatori , anche se i senatoconsulti necessitavano dell' autorità di un magistrato per assumere forza di legge . Sotto il principato l ' applica­ zione dei senatoconsulti era in qualche modo garantita dal princip e , e ciò si comprende d ' altra parte solo in relazione alla diminuzione, se non alla sparizione , della legislazione popolar e . Per quanto possiamo giudicare dalla lista dei se­ natocon sulti di epoca imperiale [Talbert , 3 5 2 , pp . 438 sgg . ] , l ' attività legislativa del senato era ampia e durò fino a tutto il I I I secolo , soprattutto se consideriamo il fatto che cono­ sciamo soltanto una parte, forse scarsa, di tutti i senato­ consulti , e che la nostra conoscenza si limita generalmente a uno o due « articoli» per senatoconsulto . Alcuni domini sembrano privilegiati : le questioni di statuto personale (so­ prattutto quelle degli schiavi e dei li berti) , di eredità, di man­ tenimento dell ' ordine ; ma non siamo in grado di compren­ dere perché gli imperatori abbiano deciso di portare davanti al senato un argomento piuttosto che un altro . I n fine il senato acquistò una nuova competenza (per gli elementi preparatori , c fr . Nicolet , 54, pp . 377 sgg . ) . Fin dalle guerre civili il senato aveva partecipato al processo di coloro che avevano cospirato contro il futuro Augusto [App . , Beli. Civ. , 3 , 95] e, per tutto il regno di Augusto, il senato intervenne nel quadro dei casi di lesa maestà o di complotto [p . es . nel 26 a . C . , Dione , 5 3 , 23 , 7] . Ma queste allusioni non sono precise , e generalmente lo stesso caso era giudicato da una corte tradizionale [Dione , 5 3 , 23 , 7] . Così come è difficile determinare se il senato acquisì la pro­ pria competenza in materia giudiziaria [Talbert , 3 5 2 , pp . 463 sgg . ] attraverso una legge o semplicemente attraverso uno sviluppo particolare dei suoi compiti . Le prime testi­ monianze di casi giudicati dal senato risalgono agli anni 8 o 1 2 , e 1 3 d . C . [Tac . , A nn. , l , 7 2 , 4 ; Dione, 56, 27 , l ; Tac . ,

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A nn . , 3 , 6 8 , 1 ] . Nel 1 9 , quando il presunto assassino di Germanico , Pisone, attendeva di essere processato davanti al tribunale per gli avvelenamenti (quaestio de veneficiis) , Tiberio decise di portare il suo caso davanti al senato [Tac . , A n n . , 2 , 79] . Da questa data in poi , il tribunale senatori o fu in carica . La funzione giudiziaria era certamente la più importante d elle competenze del senato imperial e ; essa do­ veva occupare una gran parte delle sessioni, e questo fino a tutto il I I I secolo , nonostante l ' influenza crescente della giu­ risdizione imperiale . La giustizia senatoria non faceva con­ correnza ai tribunali tradizionali . Essa era destinata ai casi speciali , quelli che riguardavano l ' appropriazione indebita di fondi da parte dei governatori (casi de repetundis o re­ petundarum) , la lesa maestà (maiestas) , il ricorso non au­ torizzato alla violenza pubblica (vis publica) , i casi di adul­ terio o di calunnia nei quali fossero implicati dei senatori , o più generalmente tutti i casi che suscitassero una gran­ de emozione pubblica [p . es . Tac . , A nn. , 4, 1 5 ; Svet . , Tib. , 3 0 ; Tac . , A nn . , 4 , 62 sgg . ] . I tribunali tradizionali cessa­ rono rapidamente di giudicare i grandi casi di Stat o , come la concu ssione o la maiestas, ma nell ' insieme la giurisdi­ zione senatoria non comportò immediatamente una modi­ fica sostanziale della vita giudiziaria . All ' epoca giulio-clau­ dia i senatori potevano certamente essere giudicati dai tribunali popolari e , parallelamente , persone di rango in­ feriore potevano essere giudicate dal senato . D i fatto il se­ nato interveniva generalmente quando un senatore era im­ plicato nel caso , o quando questo suscitava u n grande scandalo . Per l ' epoca successiva le fonti sono scarne, ed è difficile seguire lo sviluppo della giurisdizione senatori a . Evi­ dentemente il senato mantenne questa competenza , anche se, sempre più , la giurisdizione penale veniva esercitata re­ golarmente dal principe . L ' estensione della giurisdizione del senato restò forse la stessa , ma le rare fonti di cui si dispone concernono soltanto casi d i concussione , di lesa maestà o di delazione. Compare un solo elemento nuovo , che per­ durò almeno fino al I I I secolo [Dione , 7 8 , 1 2 , 2 e 52, 3 1 , 3 sgg . ] : da Nerva in poi i principi affermarono sempre aper­ tamente la regola che nessun senatore avrebbe potuto es­ sere condannato alla pena capitale (per esempio dal tribu-

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naie imperiale) senza processo al senato . D ' altra parte Adriano rafforzò i poteri giudiziari del senato , dal momen­ to che vietò che ci si potesse appellare contro le sentenze senatorie [Dione, 5 9 , 1 8 , 2; U lp . , Dig. , 49 , 2, l , 2] . I l tribunale del senato aveva una cattiva reputazione, soprattutto nelle città dell ' I mpero , perché anche se il sena­ to non era necessariamente sensibile all ' indulgenza nei con­ fronti dei senatori accusati - le numerose sentenze severe dimo strano il contrario - , i querelanti di statuto inferiore non trovavano sempre i mezzi e gli appoggi necessari per preparare e condurre efficacemente la propria causa [Brunt , 607 ; Garnsey , 8 1 3 , p . 1 03 ] . L ' imperatore non s ' intromet­ teva nei casi di concussione esaminati dal senato , ma inter­ veniva nei processi di lesa maestà. D ' altronde queste cause erano generalmente istruite dal principe e rinviate in segui­ to al senato . In questo caso il principe faceva cono scere il proprio parere ai senatori , con la chiara intenzione di farlo prevalere . A sua volta il senato o ffre una testimonianza indiretta sulla natura e sull ' evoluzione del regime imperiale . Come quella delle magistrature tradizionali o dei sacerdozi , la sua storia è segnata , nello stesso temp o , dalla continuità e da un profondo m utamento . Continuità perché la posizione del senato e dei senatori in cima alla struttura dello Stato romano non fu mai messa in discussione : non lo sarebbe stata veramente prima di Gallieno , e la lunga storia delle repressioni e delle fronde del senato non dice niente di di­ verso . I l senato era sempre stato associato all ' azione del governo . In particolare esso aveva direttamente contribui­ to alle ri forme del principat o , anche a quelle che lo priva­ vano di alcune delle sue competenze , senza dimenticare il suo ruolo centrale, dal pun to di vista formale, in occasione delle investiture imperiali . Tuttavia , anche se il senato fu sempre uno degli organi pubblici attraverso il quale e con il quale il principe esercitava il potere , è evidente che nei fatti una pagina era stata voltata: il senato perdette nel 27 a . C . , e verosimilmente dalle guerre civili in poi , il primato che gli era appartenuto nel corso dei tre ultimi secoli della Repub­ blica . L ' accrescimento delle sue competenze, il rispetto del-

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le forme e l ' associazione di un gran numero di senatori al governo dell ' Impero , non possono nascondere che il sena­ to era , ormai , solo in casi eccezionali il luogo in cui si fa­ ceva alta politica e dove si prendevano le grandi decisioni . Il senato era ridiventato quello che si riteneva che fosse , un' assemblea . Le vere decisioni si prendevano nella cerchia del principe , e il senato vi veniva associato solo quando ciò appariva utile al principe ; sempre più , via via che i principi si spostavano da un luogo all ' altro dell ' Impero , il senato in quanto tale era emarginato dal centro del potere perché po­ teva risiedere soltanto a Rom a . C i s i può domandare s e i Romani e perfino i senatori s i fos sero rammaricati d i questo stato d i cose . In fondo, dopo l ' estinzione delle vecchie famig l ie egemonich e , le loro cri­ tiche prendevano di mira non tanto la nuova distribuzione dei poteri quanto le vessazioni alle quali erano soggetti al­ l ' interno del nuovo regime . Doveva essere chiaro a tutti e Tiberio , per esempio, lo diceva chiaro e tondo per farl o comprendere bene , c h e la gestione dell ' Impero non poteva più essere condotta come sotto la Repubblica . L ' antico si­ stema, con un senato onnipotente che definiva e ri definiva i compiti , i limiti delle province o dei poteri secondo gli avvenimenti e gli interessi politici immediati , poteva con­ venire alla Roma conq u istatrice , che era poco sensibile al­ l ' interesse dell' Italia e delle province . Ma dal momento che l ' integrazione delle città d ' Ita l ia, poi dell ' Impero era il pro­ blema del momento , la funzione del senato doveva evol­ versi contemporaneamente alle strutture e alle necessità del governo . Sembra che la stabilità e l ' unità del comando fos­ sero accettate tanto più facilmente in quanto proprio il se­ nato era stato uno degli artefici di queste riforme , e in quan­ to , alla fine, il senato e soprattutto i senatori erano rimasti , in un modo o nell ' altro , uno degli ingranaggi essenziali del governo dell ' I mpero . Per la maggior parte dei senatori , os­ serviamo per concludere , questa nuova situa z ione non rap­ presentava un gran cambiamento , perché in fondo , sotto la Repubblica , solo i membri delle grandi famiglie egemoni­ che avevano realmente esercitato il potere supremo a par­ tire dal loro seggio in senato . Ora, un secolo dopo Azio , queste famiglie erano praticamente scomparse.

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La giustizia L ' evoluzione delle istituzioni e le sue tappe possono essere seguite esattamente sul piano della giustizia. Mentre sullo s fondo tutto sembra rimanere immutato , si vedono svilup­ parsi progressivamente istanze e procedure nuove che fini­ scono con il trasformare , a partire dal I I I secolo , le tradi­ zioni giudiziari e . È stata appena ricordata la nuova giuri­ sdizione senatoria; quella del principe lo sarà più in là. Ma non sono queste le uniche novit à : il numero crescente di processi celebrati nell ' Impero secondo il diritto romano , e quindi il ruolo sempre più attivo dei governatori delle pro­ vince e dell ' imperatore, fece n ascere , accanto a una giusti­ zia « privata» , controllata da un magistrato , una giustizia di Stato , completamente nelle mani di giudici « funziona­ ri » . I ndubbiamente questa è una delle trasformazioni più importanti della giustizia imperiale , che giunse a compi­ mento sotto i Severi . L 'organizzazione della giustizia Per comprendere a fondo lo svi­ luppo delle istituzioni giudiziarie , è bene non dimenticare gli aspet­ ti fondamentali della giu stizia romana tradizionale . I magistrati romani , soprattutto i pretori , avena rapporti stretti con la giu ­ stizia; essi autorizzavano e supervisionavano i processi , fissava­ no e applicavano le pene , ma raramente giudicavano . Sul piano civile come su quello penale , l ' iniziativa della querela e il proces­ so erano lasciati alle parti private , mentre il magistrato si limita­ va ad autorizzare il processo (fase detta «in diritto» , in iure) . Que­ sto consisteva nel definire per ogni querela la formula giuridica in questione . Nel caso in cui l ' accusato avesse subito confessat o , il magistrato avrebbe applicato l a pena, in caso contrario , ma soltanto qualora l ' accusato avesse potuto essere ascoltato e aves­ se negato i fatti , il magistrato avrebbe organizzato il proces so . I l giudice delle cause civili era u n privato , generalmente u n a perso­ nalità di rango senatorio o equestre, scelta dai querelanti , a meno che il caso fosse di compet enza del tribunale dei centumviri («i cento ») . Nelle cause penali gravi il processo era rinviato dal ma­ gistrato a una delle corti competenti , generalmente presiedute da un pretore , m a nelle quali l ' accusa, la difesa e la sentenza erano nelle mani di cittadini privati . Per cause di minore gravità, e con­ cernenti persone di modesta condizione sociale , il processo si te­ neva d avanti a tribunali e magistrati di rango inferiore . Non c ' e-

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ra procuratore, e la sentenza era pronunci ata da giurati scelti fra i membri delle tre decurie di giudici (una decuria di senatori e due di cavalieri , che contavano 1 . 000 membri ciascuna) . La fase del processo era detta «in giudizio» (in iudicio ) In questo tipo di processo originariamente non c ' era cassazione . Infine il sistema giuridico romano era diverso dal nostro in quanto l ' azione in es­ so precedeva il diritto : se non c ' era azione intentata a partire da una situazione determinata, il diritto non esisteva . Allo stesso mo­ do non c ' era Codice civile, ma soltanto una lista di tutte le azioni , di tutte le vie del diritt o , di tutti i casi in cui i magistrati si di­ chiaravano disposti a organizzare il processo . Questa lista dei ca­ si possibili , che si chiamava editto del pretore , era pubblicata ogni anno dal pretore urbano (e nei campi specializzati dai magistrati competenti , p. es . , per le cause commerciali , cfr . FIRA , l , p . 60) . Questo editto , affisso nel foro , era, per servirsi dell' espressione di M. Humbert [67 , p. 425 ] , uno stock di tutte le azioni giudizia­ rie offerte ai litiganti . o

Questo era il sistema alla fine delle guerre civili e così resterà almeno fino alla fine del I I secolo . Accanto a queste prati�he giudiziarie romane c ' era, in ogni città d ' Italia o dell ' Imper o , un sistema giudiziario particolare, che ora ri­ produceva in modo puro e semplice il sistema roman o , ora obbediva a regole proprie . Si troveranno tutte le indicazio­ ni relative al funzionamento di questa giustizia extraroma­ na nel capitolo dedicato alle città [cfr . injra] . N o i conside­ riamo qui soltanto il sistema giudiziario a Roma, al centro del potere , in quanto concerneva i cittadini romani e la res publica del popolo romano . Occorre ricordare, tuttavia , che la maggior parte delle cause erano giudicate fuori di Roma , nelle città d ' Italia e delle province, eventualmente davanti ai governatori . A Roma si giudicavano soltanto le cause riguardanti personaggi di rango senatori o o equestre , le cau­ se che concernevano la Repubblica , il principe e l ' ammini­ strazione , gli appell i , le cause particolarmente gravi , così come la giustizia « locale» di Roma. La giustizia civile in sé non conobbe un' evoluzione par­ ticolare sotto l ' Impero , se si eccettua il fatto che le antiche procedure dette le « azioni della legge» (legis actiones) fu­ rono definitivamente soppresse da una legge augustea a van­ taggio dei processi formulari (come li abbiamo descritti , Gaio , lnst. , 4 , 3 0 sgg . ) . I noltre, a causa del l ' unificazione

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del Mediterrano e dell ' onnipresenza romana, i l diritto civile romano si diffuse ampiamente nel mondo e finì con il costi­ tuire , nel I I I secolo , il diritto di tutte le comunità dell ' Im­ pero , o almeno u n diritto utilizzato da tutti . Nel II secolo sopraggiunse una variazione importante , che non cambiò molto per gli stessi Romani , ma fu essenziale per la fissazio­ ne e la trasmissione del diritto romano . Abbiamo visto che l ' editto del pretore valeva soltanto per un anno e che ogni nuovo pretore doveva pubblicare il proprio . Di fatto i nuovi m agistrati si limitavano ad aggiornare e a migliorare l ' editto o , perfino , sempre di più , a riprodurlo così com ' era. Così, verso i primi decenni del II secolo , l ' editto del pretore era stato fis sato , certamente in parte sotto l ' influenza della con­ correnza della legislazione senatoria e imperiale . Traendo le conclusioni da questo stato di fatto , Adriano incaricò il giu­ rista Salvio Giuliano di dare una forma definitiva all ' editto , che prese allora il nome di editto perpetuo [FIRA , I , p . 5 9 ; cfr . Guarino , A NR W, I l , 1 3 , pp . 6 3 sgg . ] . I processi che concernevano le liti per motivi di proprie­ tà , di eredità importanti e d ' interesse comune erano rinvia­ ti dai magistrati competenti al tribunale dei centumviri . Au­ gusto attribuì la presidenza di questa corte ai decemviri incaricati di giudicare i processi , che Tiberio verosimilmen­ te pose sotto la responsabilità del pretore detto hastarius a causa della lancia piantata (hasta , segno di potere pub bli­ co) davanti alla quale si svolgevano i processi . Sotto la Re­ pubblica i centumviri erano scelti nelle 35 tribù (3 per tribù) da un magistrato , certamente il pretore urban o , mentre sot­ to il principato erano estratti a sorte . Traiano portò il loro numero a 1 80. O rganizzato al principio del II secolo in quat­ tro camere , il tribunale dei centumviri teneva sedute pub­ bliche . Q uesto tribunale è testimoniato fin sotto i Severi , dal momento che l ' ultimo praetor hastarius conosciuto eser­ citò le sue funzioni verso il 220 [ILS, 1 1 90; cfr . Kunkel , 70, p. 8 9 , n. 3 9] . Nel 1 8- 1 7 a . C . Augusto fece votare , nel quadro della sua carica per la tutela dei costumi e delle leggi (cura mo­ rum et legum ) , un certo numero di leggi che riformavano la giustizia, soprattutto le due leggi Iuliae sui processi pubbli­ ci e sui processi privati [Bringmann , 3 5 3 ] .

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La legge lulia sui tribunali pubblici prevedeva l ' aumen­ to di una unità delle decurie di giudici [cfr . per tutto ciò Demougin , 883 , pp . 443 sgg . ] . L ' esercizio della carica (mu­ nus) di giurato era sub ordinata a criteri censuari . La prima decuria comprendeva i senatori , le due successive i cavalie­ ri ; la quarta decuria, la nuova , era reclutata fra i proprie­ tari che pos sedevano un censo di 200 . 000 sesterzi . Poiché ogni decuria contava 1 . 000 membri , è verisimile che, dopo le purghe del senato all ' inizio del principato , anche la pri­ ma decuria accogliesse cavalieri. Nel 40 Caligola aggiunse una quinta decuria, ed è sotto questa forma che l ' « ordine dei giudici » arrivò al I I I secolo . D i fatto i senatori si riu­ nivano raramente ed erano soprattutto i cavalieri e i mem­ bri di queste due ultime decurie a compiere il servizio di giurati . Dopo una rapida procedura di reclutamento da par­ te di una commissione [Tac . , A nn. , 3 , 30, l ; Svet . , A ug. , 37] , l ' albo dei giudici fu redatto dal principe, forse quando rivestiva la carica di censore , comunque soprattutto in virtù dei suoi poteri censori . Per essere iscritti a questo albo , bi­ sognava possedere (almeno) il censo richiesto , avere com­ piuto venticinque anni e appartenere a una famiglia ono­ rata ; da Claudio in poi , è testimoniata l ' iscrizione di cittadini originari · delle province e, a partire da Domiziano , perfino i nuovi cittadini ebbero accesso a questa carica . Le decurie non erano in servizio contemporaneamente . Le decurie equestri venivano chiamate ad anni alterni ; lo stesso avvicendamento esisteva forse tra la quarta e la quin­ ta. All ' inizio dell ' anno le decurie in servizio erano convo­ cate a Roma per un esame censuario , dove ogni assenza ingiusti ficata era punita con u n ' ammenda . Dopo che la li­ sta definitiva era stata fissata, i funzionari del principe estrae­ vano a sorte un certo numero degli iscritti all ' albo . Questi giudici « selezionati» (iudex selectus) erano destinati a co­ stituire le giurie delle corti di giustizia che tenevano seduta al foro . Ignoriamo il numero di giudici messi a disposizione di un tribunale ma, secondo il I editto di Cirene [Girard , in 3 6 , pp . 4 1 0 sgg . ] e Plinio [N. H. , 29 , 1 8] , si può ritenere che una giuria comprendesse almeno 45 giurati . Si deve sup­ porre che i giudici delle prime decurie fos sero assegnati a corti più importanti di quelle delle u ltime due .

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Le leggi giuliane sui tribunali erano completate da di­ spo sizioni concernenti diversi campi penali, le quali stabi­ livano per ognuno una corte permanente (quaestio perpe­ tua) e precisavano le sue competenze , così come il repertorio delle pene previst e . In questo modo furono votate la legge Giulia sui brogli elettorali (de ambitu) , la legge Giulia sulla repressione degli adultèri (de adulteriis coercendis) , che con­ cerneva in egual modo lo sfruttamento della prostituzione e il commercio sessuale con donne onorate non sposate , la legge Giulia sull ' approvvigionamento (de annona) , che re­ primeva gli attentati all' approvvigionamento di Roma e la speculazione sulle derrate alimentari , la legge Giulia sulla violenza pubb lica e privata (de vi publica et privata) , che riguardava gli abusi della forza pubblica , il rifiuto di ob­ bedienza, gli eccessi degli attori e dei soldati , le associazioni di m al fattori ecc . , la legge Giulia sulla lesa maestà (de maiestate) , che colpiva l ' alto tradimento , i complotti , la di­ sobbedienza , gli abusi di potere , e la legge Giulia sulla sot­ trazione di fondi e sulla falsificazione del denaro (de pecu­ latu) . Alle antiche corti rimanevano soltanto le «inchieste» per assassinio e per avvelenamento (de sicariis et de vene­ ficUs) e quella per falso (de falsis) , che risalivano a Silla, così come continuavano a funzionare due corti create in occasione della riforma giudiziaria di Cesare : l ' importante corte che giudicava i casi di concussione, applicabile ormai a tutti coloro che esercitavano una funzione pubblica (de repetundis) e quella sui casi di usura (de m odo cedendi pos­ sidendique in Italia) . La procedura Le corti erano presiedute da uno dei pretori , il cui numero di conseguenza fu progressivamente aumentato . Le denunce d ovevano essere sporte verbalmente davanti al pretore (deferre nomen , di qui la delatio e i « delatori »); dopo il II secolo erano regolarmente accompagnate da un'istanza firmata (libellus inscrip tion is) . Se accettava la denuncia, cioè se aveva ascoltato l ' accusato e quest ' ultimo aveva respinto l ' accusa, il pretore rin­ viava la causa al trib unale competente. Quando era posto di fron­ te a denunce complesse , il magistrato consultava il suo consiglio «privato» ; se l ' accusato confessava il proprio reato nel corso del­ l ' audizione preliminare da parte del magistrato , questi giudicava

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e faceva applicare senza indugio le pene previste . Finché un ac­ cusato non si presentava davanti a lui , il pretore non poteva or­ ganizzare il processo . Dopo che la corte era stata investita della causa, il querelante doveva istruire il processo e raccogliere le te­ stimonianze . Secondo un discorso di Claudio [Girard , in 3 6 , pp . 56 sgg . ] , che fa forse parte di un grande discorso legato a una riforma della procedura giudiziaria [Stroux , 3 7 3 ) , quando l ' i­ struttoria superava i limiti di tempo concessi e il querelante non si presentava per il processo , il pretore poteva i n fliggergli le pene previste per la falsa denuncia (calumnia) . Nel corso del processo l' accusato e (si tratta di una novità) il querelante potevano essere assistiti da avvocati ; le due parti do­ vevano essere presenti fisicamente . La tradizione voleva che il processo cominciasse con le due arringhe che riassumevano l ' in­ tero cas o ; poi l ' accusa e la difesa facevano ascoltare i propri te­ stimoni (vincolati da giuramento) nel corso di audizioni spesso interminabili . Nel caso in cui le prove portate fossero rimaste in­ certe, il processo poteva es sere aggiornato per acquisire nuove testimonianze , prima di tornare di nuovo davanti alla quaestio . Questa procedura , detta ampliatio , contribuiva notevolmente al­ l ' affollamento e all ' impotenza dei tribunali del foro . Il m agistra­ to che presiedeva la quaestio veniva a conoscenza del dossier con­ temporaneamente ai giurati, e il suo ruolo si limitava alla direzione del dibattimento , anche se è evidente che egli poteva influire sul suo svolgimento e influenzare la giuria . I n ogni caso , in questo tipo di processo senza procuratore e senza giudice professionale , il ruolo degli avvocati era essenziale e tutto si giocava nel corso della causa . Terminate le audizioni dei testimoni , se non c ' era nessun motivo per rinviare la sentenza , il magistrato chiedeva al suo consiglio (pubblico) di giurati di pronunciarsi (mittere in consilium). I giurati esprimevano un voto scritto (a[bsolvo], « as­ solvo » , c[ondemno], «condanno » , mentre il voto nullo si som­ mava ai voti di assoluzione) . Successivamente il m agistrato emet­ teva la sentenza , considerava ia pena prevista e la faceva applicare dai suoi littori . Come abbiamo già detto , i magistrati ricupera­ rono sotto il principato la possibilità di pronunciare , in certe cir­ costanze , la pena capitale a Roma . Tuttavia , nella misura in cui il repertorio delle pene si appesantiva, e la pena capitale colpiva t utti i reati gravi (a partire dalla metà del Il seco lo) , i l diritto di pronunciarla fu riservato ai tribunali del senato , del prefetto del­ l' Urbe e del principe. I n caso di prosciogliment o , l ' accusato ave­ va il diritto d ' intentare un' azione per falsa accusa (calumnia) . Tutte le decisioni del magistrato potevano essere soggette ad ap­ pello , presso uno dei suoi colleghi di rango eguale o superiore,

II. Il principe e la « res publica»

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presso un tribuna della plebe e , ovviamente , presso il principe; così l ' apertura di un processo o la pena pronunciata erano suscet­ tibili di revisione , ma non il processo stesso . D ' altronde in caso di dubbio il magistrato trasmetteva la propria decisione al principe, a meno che questi non avocasse direttamente il caso a sé.

Lo sviluppo del sistema giudiziario tradizionale A giudi­ care dalla testimonianza di iudices selecti fino ai Severi , le corti dei « processi» continuarono a funzionare fino a tutto il I I I secolo , anche se i casi politici (processi de maiestate, de repetundis, de peculatu) e , più generalmente , quelli che riguardavano i senatori e i cavalieri erano sempre più spes­ so giudicati dal senato . In ogni caso il numero delle cause da trattare era tale , che né le antiche né le nuove giurisdi­ zioni bastavano a giudicarle tutte . Dione Cassio racconta che quando controllò , come console (nel 200) , la lista dei processi , trovò non meno di 3 . 000 azioni per adulterio in istanza di giudizio [Dione , 7 6 , 1 6] . Questa informazione , evidentemente , può riguardare solo i tribunali tradizionali e o ffre una testimonianza eloquente sui problemi della giusti­ zia a Roma : occorre tenerne conto per valutare nella giusta misura le nuove giurisdizioni che si svilupparono sotto il prin­ cipato , quella del prefetto dell ' Urbe o quella del principe e dei suoi delegati . Si noterà infine che , secondo lo stesso Dio­ ne Cassi o , Mecenate consigliò ad Augusto di riservare ai vec­ chi tribunali le inchieste penali , ad eccezione dell ' omicidio , e di rinviare le cause capitali al prefetto dell' Urbe [Dione , 5 2 , 20, 2 1 ] : questa sembra essere stata la situ azione sotto i Severi , al termine di u n ' evoluzione plurisecolare . Prima che s ' istituisse una parvenza di ripartizione siste­ matica delle cause, sembra essere stato rispettato l ' equili­ brio tra i diversi tribunali, nel rispetto della regola che un processo dovesse essere giudicato dalla corte davanti alla quale era stato intentato in prima istanza . Queste osserva­ zioni dovrebbero fare apparire sotto un' altra luce le nuove giurisdizioni create da Augusto in poi, che sembrano in con­ correnza con i tribunali dei pretori e che in parte si sosti­ tuirono ad essi (ma uno , se non due secoli dopo) : le giuri­ sdizioni del senato , del p refetto dell 'Urbe , del principe e quelle di alcuni nuovi magistrati . Abbiamo già descritto il

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funzionamento della giurisdizione senatoria, e tratteremo più in là quella del principe. Prima di esaminare i tribunali del prefetto dell ' Urbe e dei nuovi magistrati , è opportuno sottolineare la grande innovazione apportata da queste giu­ risdizioni : la procedura detta dell ' inquisizione eccezionale (cognitio extra ordinem) . Applicata correntemente fuori di Roma dai governatori delle province , questa procedura era completamente condotta da un magistrato, senza accusa­ tore e senza giudice privato . I l magistrato prendeva l ' ini­ ziativa dell ' interrogatorio, anche se poteva accettare le de­ nunce a titolo di testimonianze anticipate . L ' accusato poteva difendersi solo nella misura in cui era autorizzato dal ma­ gistrato . I l processo poteva essere rimandato o ricomincia­ to secondo la volontà del magistrato , e il giudizio era pro­ nunciato da quest ' ultimo , eventualmente dopo che aveva consultato i suoi consiglieri personali , fra i quali dei giure­ consult i : questa procedura eccezionale contribuì notevol­ mente allo sviluppo del diritto romano . Occorre notare che è soprattutto secondo questa procedura, nata dai poteri di polizia e di repressione dei magistrati, che furono condotte le cause contro i cristian i , nelle province o a Roma .

I tribunali del prefetto dell 'Urbe e gli « iuridici» Giudicando secondo questa procedura , accelerata, tremendamente ef­ ficace , talvolta per fino a porte chiuse , il prefetto dell ' Urbe poteva appropriarsi delle cause civili e penali , ma la giusti­ zia civile lo interessava solo se era in gioco la sicurezza pub­ blica . La sua competenza principale riguardava l a giustizia penale, nella quale egli giudicava , sempre più, tutti i casi gravi portati davanti ai responsabili dei grandi settori am­ ministrativi (prefetto dell ' annona, prefetto dei vigili) , da­ vanti ai magistrati inferiori o davanti ai tribunali munici­ pali d ' Italia. Eventualmente poteva alleggerire il carico delle corti dei pretori [ma cfr . , per i traffici , Tac . , A nn . , 1 4 , 4 1 ] e infine poteva ricevere delle denunce . Questa corte, che , come abbiamo visto , diventò sotto i Severi il tribunale pe­ nale pubblico più importante di Roma e d ' Italia, aveva an­ che la possibilità d ' interrogare e di giudicare rapidamen-

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te ogni individuo abitante a Roma, tanto il senatore quanto il plebeo di umile condizione , tanto l ' uomo libero quanto lo schiavo . A nche gli schiavi potevano rivolgersi al prefet­ to , denunciando per esempio i maltrattamenti che il padro­ ne i n fliggeva loro [Ulp . , Dig . , l, 1 2 , l , l ; 8] . Lo stesso tipo di giustizia fu esteso ai nuovi pretori dei fidecommessi o delle tutele , e soprattutto agli iuridici delle regioni d ' Italia . Come regola generale la giustizia civile e, all ' inizio del principato , anche la giustizia penale erano re­ se nei municipi e nelle colonie d ' Italia [cfr . per questo in­ fra ] . Tuttavia s ' introdusse una modifica della quale è dif­ ficile descrivere l ' evoluzione : sappiamo soltanto che dopo i Severi le isti tuzioni municipali d ' Italia non avevano più il diritto di pronunciare la pena capitale nemmeno nei con­ fronti degli schiavi [Ulp . , Dig . , 2, l , 1 2] Sempre più fre­ quentemente le cause penali erano inviate a Roma , davanti a un pretore , davanti al prefetto dell 'Urbe, se non davanti al senato o al principe. Anche sul piano della giustizia civile era necessario che si rinviasse a Roma ogni causa relativa a una somma di denaro superiore a u n limite fissato ; è tut­ tavia possibile che i limiti variassero in funzione delle città, e che certe cause potessero essere giudicate davanti ai tri­ bunali di una città vicina più importante. Preparata sotto Adriano con l ' istituzione di quattro consolari , una riforma fu predisposta verso il 1 65 -66 con la creazione di quattro iuridici, che corrispondevano a quattro circoscrizioni itali­ che , ai quali se ne aggiunse un quinto sotto Caracalla. La stessa Roma, e il territorio situato all ' interno di un limite di l 00 miglia (la diocesi urbana) , rimanevano soggetti alla giu­ stizia dei pretori [per questo c fr . Corbier, 626 ; Eck , 628 , pp . 247 sgg . ] . Nonostante numerose incertezze , è certo che i compiti degli iuridici erano essenzialmente giurisdizionali [Eck , 628 , pp . 256 sgg . ] , ma è impossibile precisare queste competenze . Sappiamo che gli iuridici intervenivano nei ca­ si che concernevano le nomine dei tutori o dei curatori [per queste nozioni cfr . J acques , 7 5 7 , p . 270] che superassero il territorio di una città, e che ricevevano l ' appello contro le decisioni dei magistrati municipali in questo campo . D ' al­ tronde era possibile affrancare o adottare davanti allo iu ­ ridicus, che aiutava anche il pretore fidecommissario nella .

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sua giurisdizione . In compenso ignoriamo praticamente ogni cosa delle competenze degli iuridici in materia penale [Eck , 628 , pp . 260 sgg . ] . Gli iuridici non disponevano di assisten­ ti , né di una « capitale» o di sedi determinate per organiz­ zare le loro assise . Essi si sistemavano verisimilmente nella propria regione e pubblicavano , all ' ingresso in carica, un editto che precisava il calendario delle sessioni del loro tri­ bunale .

«Honestiores» e «hum iliores» Ci rimane infine da esami­ nare un ultimo punto , l ' ineguaglianza crescente dei citta­ dini di fronte alla giustizia. Di fatto , gli honestiores ( e nell ' unificazione della penisola, di­ ventata « nazione» nel II secolo, tesi per la quale la provin­ cia e l ' esercito si sarebbero reciprocamente completati fino a confondersi [Le Roux , 5 7 8 ] . Tanto per il suo reclutamen­ to e il suo acquartieramento , quanto per la sua funzion e , il piccolo esercito di Spagna poteva soltanto avere , al di fuori del Nord-Oves t , una parte limitata di fronte agli altri quat­ tro fattori d ' integrazione (promozione giuridica e accul tu­ razione delle élite , assemblee regionali e provinciali , pr o­ gresso economico) [G . Alfoldy , « Gerio n» , 3 , 1 9 8 5 , pp . 3 794 1 0 ; art . ripreso in 5 3 0] .

Capitolo quinto

L ' influenza romana sull ' I m pero

l. L 'occupazione dell 'Impero

Portando le frontiere dell ' I mpero a confini considerati estre­ m i , Augusto condusse una politica di stabilizzazione della dominazione romana, che permetteva lo s fruttamento più razionale dei territori soggett i , creando tuttavia le condi­ zioni della pace interna che doveva rendere accettabile la supremazia di Rom a . C . Nicolet [5 94] ha analizzato « l ' in­ ventario del mondo» voluto da Augusto : esplorazioni e viag­ gi, elaborazione di carte geografiche, ricerche geografiche , censimenti e operazioni di accatastamento miravano , attra­ verso una migliore conoscenza dell ' Impero e dei suoi limi­ ti , a controllare la terra e gli uomini . Occorre considerare distintamente l ' influenza sugli uomini e sulle loro proprietà grazie ai censimenti prima e all 'espropriazione della terra poi , che assunse forme diverse : rimodellatura dello spazio attraverso delimitazioni e iscrizioni al catasto , modificazio­ ne del popolament o , sviluppo della proprietà imperiale .

I censimen ti [cfr. anche supra,

pp .

121 -23]

Nella registrazione degli uomini e del loro patrimonio , i censi­ menti erano compiuti con intendimenti diversi . Chiave di volta del sistema civico romano, il census dei cittadini permetteva di organizzare la città : non soltanto erano inventariate le ricchezze umane e materiali , ma erano classificati i cittadini , ripartiti i loro diritti e i loro doveri ( fiscali , militari e politici) . Perciò la censura era la magistratura più prestigiosa a Roma e nei municipi di tipo romano . D ' altronde i censimenti concretizzavano anche gli ob­ blighi dei sudditi . Un bilancio preciso fissava in sé l 'ampiezza della vittoria: Pompeo p oteva gloriarsi di avere « vinto , messo in

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fuga; ucciso o assoggettato 1 2 . 1 83 . 000 uomini» [Plin . , N. H. , 7 , 97] . Ma soprattutto l a registrazione dei vinti e dei loro beni era preliminare al versamento dei tributi , conseguenza e manifesta­ zione della dipendenza , il che dava a quest ' operazione un carat­ tere afflittivo e giustificava la resistenza ai censimenti . Le operazioni erano particolarmente complesse . Così il regi­ stro del censo inventariava la localizzazione precisa delle terre , la loro produzione, il numero di alberi da frutta; si dichiarava l' età degli schiavi , la loro etnia e le loro funzioni [Ulp . , Dig. , 50, 1 5 , 4] . Un papiro della Cirenaica orientale del tempo di Commodo rivela una minuzia meticolosa in occasione delle revisioni : oltre al prezzo di locazione delle abitazioni e delle cisterne nel 1 80 e nel 1 90 , dava la superficie degli appezzamenti , la loro produzione media (in quantità) dal 1 7 5 al 1 80 e il loro reddito annuale (in denari) nel 1 90 [E. Catarri , in 95 7 , pp . 1 45 sgg . ] . Una tale cura del particolare presuppone operazioni lunghe , la tenuta di archivi , tanto sul piano locale quanto su quello dei capoluoghi di provin­ cia e di Roma. Questi aspetti sono stati chiariti da C. Nicolet per quanto riguarda il periodo iniziale dell ' Impero ; però non si è pre­ stata molta attenzione a quel che accadeva fuori dall ' Egitto . E tuttavia questi fenomeni meriterebbero uno studio d ' insiem e , che potrebbe certamente modificare l ' immagine ricevuta dall' Im­ pero .

I censimen ti dei cittadini Realizzati normalmente ogni cin­ que anni , i censimenti generali erano stati interrotti dai di­ sordini della Repubblica agonizzante . Solo o con un colle­ ga, Augusto ne diresse tre (nel 28 , nell ' 8 a . C . e nel 1 4) , dei quali tracciò il bilancio umano nelle sue Res gestae. Si ag­ giunsero operazioni parziali legate alle sue riform e , come il censimento degli I talici che possedessero più di 200 . 000 se­ sterzi nel 4 d . C . , che precedette l ' istituzione di una decuria supplementare di giudici (i quali dovevano possedere alme­ no un patrimonio di simile entità) . La macchinosità delle operazioni generali spiega il perché queste non siano state rinnovate fino a Clau dio , cen sore nel 47-48 e poi fino a Vespasiano e Tito , censori nel 7 3 -74; a partire da Domizia­ no gli imperatori furono « censori a vita» e non fecero p iù censimenti generali dei cittadin i . M a certe riorganizzazioni giustificavano calcoli specifici : come Augusto , Settimio Se­ vero fece censire i cavalieri romani [Pflaum , 8 5 4 , n . 225 ] .

V. L 'influenza romana sull 'Impero

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A partire dalla fine della Repubblica i l censimento dei cittadini d ' I talia fu decentrat o ; alla metà del I secolo a . C . , al più tardi , spettò a magistrati locali , i quali trasmettevano i risultati a Rom a . Q uesta procedura fu mantenuta sotto l ' I mpero ; ogni cinque anni i magistrati giudiziari locali ese­ guivano il censimento nelle colonie e nei municipi d ' Italia e delle province .

I censimen ti dei pro vinciali L ' imposta personale (t ribu ­ tum capitis, che assumeva l a forma di un testatico o di una tassazione del patrimonio personale) e l ' imposta fondiaria (tributum soli) presupponevano una conoscenza statistica delle regioni soggette. L ' annessione era dunque seguita da un censimento , il più famoso dei quali rimane quello della Palestina dopo la deposizione di Archelao nel 6-7 ; secondo san Luca [2 , l ] avrebbe riguardato «tutta la terra» e sareb­ be coinciso con la nascita di Gesù . Se non ci fu certamente un censimento generale e simultaneo in tutto l ' Impero , sen­ za alcun dubbio tuttavia le province furono censite siste­ maticamente sotto August o . La Siria fu censita contempo­ raneam ente alla Palestina, sua dipendenza ; un cavaliere si vantò in quella circostanza di avere censito i 1 1 7 . 000 citta­ dini di Apamea [/LS, 268 3 ] . Diretti da Augusto o da mem­ bri della sua famiglia, in Gallia sono testimoniati censimen­ ti nel 27 , nel 1 2 a . C . e successivamente nel 1 4- 1 6 . I n Egitto furono effettuati censimenti ogni quattordici anni da Augusto fino al 257-58 [5 99] . U na simile regolarità non si manifesta nelle altre province , sulle quali le nostre informazioni sono molto lacunose; d ' altronde non era ne­ cessaria se le città eseguivano regolarmente i censimenti quin­ quennali , che sono testimoniati anche nelle città peregri­ nae. I censimenti provinciali erano giusti ficati dal lassismo dell ' epoca precedente , o da una riorganizzazione seguita al­ le guerre civili : ne sono conosciuti parecchi sotto Vespasia­ no , poi sotto Settimio Severo . Altri erano resi necessari da riforme provincial i , come in Tracia quando vi furono crea­ te città sotto Traian o , o in Asturia-Galizia, separata dal ter­ ritorio tarragonese da Caracalla [M . Le Glay , 593 ; Alfol­ dy, 633 , pp . 98 sgg . ] . Considerando i casi della Tracia o

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delle Galli e , i censimenti sembrano essere stati più frequen­ ti a partire da Settimio Severo , separati da intervalli del­ l ' ordine di quindici o di trent ' anni . Le operazioni erano abitualmente dirette da u n gover­ natore della provincia , munito di poteri speci fici e aiutato da cavalieri . Facevano eccezione le Gallie (per le quali la nostra documentazione è particolarmente ricca) . Fin dal­ l ' inizio dell ' Impero , le tre province erano censite contem­ poraneamente . Dal censimento del 6 1 ogni provincia veni­ va affidata a un censore consolare , superiore al governatore pretorio (che restava in carica) ; alcu n i cavalieri dirigevano le operazioni in grandi comunità cittadine (come tra i Re­ mi) o in distretti che raggruppavano parecchie popolazioni (come quello che accorpava i M orini , gli Ambiani e gli Atre­ bati nel Belgio occidentale) [J acques , 59 1 ] . Ad eccezione dell ' Egitto , ignoriamo il destino di tutte le informazioni raccolte . Almeno una parte era concentrata a Roma : Plinio il Vecchio trovò (probabilmente in un bilan­ cio dell ' epoca di Vespasiano) il numero di « persone libere » appartenenti a tre distretti (con ventus) del Nord-Ovest del­ la Spagna [N. H. , 3 , 28] .

La delimitazione e la suddivisione a scacch iera del m ondo Il censimento delle ricchezze esigeva che i d iritti delle per­ sone o delle comunità sui terren i fossero indiscutibili ; m a non richiedeva un ' organizzazione catastale particolare . Tut­ tavia l ' Impero vide lo sviluppo dei modelli geometrici , mes­ si a punto nelle colonie italiche sotto la Repubblica . Al di là di tutte le giustificazioni pratiche , la rimodellazione dello spazio manifestava insieme la dominazio ne di Roma sul mondo e la padronanza della natura , la cui valorizzazione implicava un ordine secondo regole stabilite .

Delim itazioni e attribuzion i di proprietà Anche se i terreni provinciali erano la proprietà principale del popolo roma­ no o dell ' imperatore [Gaio , Inst. , 2, 7; Bleicken , 5 84] , Ro­ ma non spossessava giuridicamente i proprietar i , a meno che non fossero minacciati i propri interessi . Perciò era op-

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portuno delimitare con precisione i territori della colletti­ vità o i beni delle persone , in primo luogo nelle regioni le cui popolazioni erano ancora mal sistemate o i cui diritti non erano precisati (almeno secondo i criteri romani ) , ma anche per regolare conflitti che , precedentemente, erano ri­ solti con le armi . Anche nelle province che dipendevano dal senato , le delimitazioni tra comunità venivano sempre fatte in nome dell ' imperatore, il quale affidava l ' incarico al go­ vernatore o designava un giudice responsabile [ 5 8 3 ] . Soprattutto al principio dell ' Impe r o , furono assegnate fron­ tiere precise a comunità poco evol u te [«AE>> , 1 97 6 , 272-7 3 ] . La delimitazione poteva ratificare una riduzione di territorio a van­ t aggio delle comunità o dei proprietari romani . Una serie di limiti collocati sotto Traiano fissava i co n fini della popolazione numi­ da dei Musulami con due colonie (Madauros e Ammaedara) o dei territori dell ' imperatore con una grande proprietà . Vivendo nel territorio della colonia mauritana d ' lgilgili , gli Zi m izi avevano l ' uso della terra solo per un raggio di 740 metri al di là delle mura del loro paese [/LS, 596 1 , del 1 28] . La fondazione di una colonia di popolamento implicava la spoliazione almeno parziale degli abitanti ; essa poteva essere accompagnata da ingiustizie legali e da violenze tollerate. A Orange , come mostra il catasto , i Trica­ stini recuperarono soltanto i terreni mediocri [Piganiol, 595] . A Camulodunum (Britannia) , sotto Nerone, i veterani insediati da Claudio « s frattavano [gli abitanti] dalle loro case , li spogliavano dei campi , li trattavano come prigionieri e schiavi» con la com­ plicità delle autorità militari [Tac . , A nn . , 1 4 , 3 1 ] . Le delimitazioni potevano anche andare di pari passo con as­ segnazioni di nuovi territori a comunità assoggettate . Al di fuori d elle province Augusto e Tiberio cercarono di canalizzare le mi­ grazioni di popoli barbarici e di stabilizzarle: i Marcomanni fu­ rono inviati presso i Boi di Boemia; popolo iraniano nomade, i Sarmati Iazigi furono trasferiti nella pianura ungherese di fronte alla Pannonia. Furono installate diverse popolazioni nell ' Impe­ ro , alcune a richiest a , altre deportate ; così vennero popolate zone demograficamente desertiche e furono rafforzate zone di fron­ tiera , mentre i nuovi sudditi avevano l ' obbligo di dare tributi e soprattutto soldati ausiliari [Demougeot , 5 73 ] . Da Augusto a Clau­ dio , alcune tribù germaniche ricevettero territori sulla riva sini­ stra d el Ren o . Sotto Augusto 5 0 . 000 Geti furono deportati a sud del basso Danubio ; un' operazione simile si verificò sotto Nero­ ne : dopo guerre vittoriose Plauzio Silvano , legato della Mesia ,

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«Vi t�s ferì , perché forni ssero tributi , più di 1 00 . 000 Transdanu­ biani con le mogli e i fi g li , i loro principi e i loro re» [ILS, 986]. .

Gli sconvolgimenti più importanti , con conseguenze eco­ nomico-sociali spesso traumatizzanti , avvennero essenzial­ mente agli esordi dell ' Impero . Esattamente come la repres­ sione delle rivolte, essi permisero di porre le basi dell' ordine romano e furono spesso la condizione preliminare dell ' as­ similazione e della romanizzazione .

Gli accatastamenti La fondazione di una colonia non si limitava all ' impianto di una nuova comunità , dotata di uno statuto giuridico privilegiato . Essa implicava la ristruttura­ zione completa del territorio colonizzato . A p artire da due assi perpendicolari , il cardo principale (nord-sud) e il de­ cumanus principale (est-ovest) , il territorio era tagliato se­ guendo una parcellatura ortogonale che , sotto l ' Impero , era normalmente fondata sulla centuria , la quale aveva da 706 a 7 1 0 metri di lato . Queste operazioni erano a ffidate a tec­ nici geometri (agrimensores) , che nelle province erano ge­ neralmente militari [Dilke , 5 8 8 ; 5 8 9 ; anche Sherk , 5 96] . Le ricerche recenti hanno attirato l ' attenzione sulla comples­ sità dei paesaggi costruiti in tappe diverse e molti problemi rim agono irriso l ti [ 5 8 6 ; 5 87] . I n effetti la rifo ndazione del­ la colonia o le nuove assegnazioni di terre comportavano una nuova ripartizione catastale secondo un orientamento divers o , che non cancellava completamente il precedente : non è raro ritrovare nel paesaggio attuale l e tracce d i tre o quattro matrici catastali che si sovrappongono ; sono stati ritrovati sei diversi reticoli sui confini tra N arbona e Bé­ ziers . I ncise su bronzo o su pietra e affisse come quelle di Orange [Piganiol , 595 e, successivamente , 5 87] , le piante catastali non erano tenute aggiornate, e dovevano essere rifatte regolarmente . Ma contrariamente a ciò che si afferma ancora troppo spesso , le operazioni di accatastamento riguardavano sol­ tanto le zone destinate alla colonizzazione di popolamento . Le fotografie aeree hanno mostrato che l ' attuale Tunisia era stata sistematicamente aGcatastata alla fine della Re­ pubblica e all ' inizio dell ' Impero . Sotto Tiberio erano stati

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posti limiti nelle steppe del Sud tunisino , che facevano ri­ ferimento a un cardo maxim us situato 200 Km . più a nord [P . Trousset , 5 97 ; 598] . Furono accatastati i territori di tri­ b ù , di città tributarie e libere , mentre erano delimitati ter­ ritori privi di vocazione agricola. L ' ampiezza delle opera­ zioni esclude che siano state legate a un programma di colonizzazione . Questa ricomposizione sistematica aveva senza dubbio uno scopo fiscale , perché avrebbe facilitato in seguito il censimento dei beni e la ripartizione delle imposte ; inoltre dava modo di definire con precisione i diritti delle persone e delle comunità sulle terre . Ma queste ragioni non bastano a giustificare la messa in opera di mezzi considere­ voli per delimitare zone praticamente sterili , come a sud del­ la linea Gafsa-Gabes : in queste regioni prevaleva la volontà di manifestare sul terreno la dominazione di Roma, di or­ ganizzare lo spazio secondo un modello universale . C o n le sue parcellature fos sili e i suoi documenti epigra­ fici , l ' A frica Proconsolare rappresenta un caso ecceziona­ le, ma che invita a ricercare tracce catastali nelle altre pro­ vince , anche al di fuori delle colonie. Se il mondo romano non fu certamente suddiviso a scacchiera nel suo insieme, zone molto vaste hanno potuto essere ristrutturate, soprat­ tutto nelle regioni ancora poco civilizzate agli esordi del­ l ' Impero . Così sono state rilevate nelle pianure della Saona o del Nord della Galli a , in Champagne o in Alsazia, tracce di organizzazioni che devono risalire all ' epoca romana : lo stesso orientamento , talvolta per parecchie decine di chilo­ metri , i resti di centurie di circa 7 1 O metri di lato , escludono che queste parcellature siano state costruite dopo l ' epoca romana, soprattutto se si considera che si adattano alle vie romane , all ' o rientamento delle fattorie o agli assi di città sistemate sotto l ' Impero , come Reims [oltre a 5 8 7 , cfr . F . Jacques e J . -L . P ierre, « Revue d u Nord » , 43 , 1 98 1 , pp . 90 1 28] . Attualmente si stanno studiando alcuni catasti ro­ mani in Siria e in Arabia [ancora Villeneuve, 993 ] . -

L 'imperatore proprietario L ' abitudine romana di espropriare i vinti aveva dato a Roma la proprietà di territori immensi (« terreno pubblico del popolo ro-

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mano » ) . A l cun i furono organizzati i n colonie o in grandi domi­ n i ; ma, per lo più , si trattava soltanto di una considerevo lissima propr i e t à , che giusti ficava il pagamento del tributo da parte delle comunità provinciali . In com p enso , da Augusto in poi , l ' impe­ ratore era personalmente a capo di proprietà enorm i , che non cessarono di aumen t a r e . Oltre al palazzo e a l la casa di campa­ gna , gli im p erato r i possedevano proprietà agricole, miniere e ca­ ve , saline e fornac i per mattoni . Ma ad eccezione dell 'Egitto è d iffi c ile tracciarne u n bilancio [604] ; alle lacune della documen­ tazione si aggiungono le insu fficienze della bibliografi a , che non forni s c e nessun quadro esaustivo [elenchi incompleti dei domini ag r i c o li , da Crawford , 60 1 ; pe r l ' evoluzione dello statuto e l ' am­ ministrazione dei beni , cfr . Boul ve rt , 606] . Questi possedimenti privati facevano capo al patrimonio im­ periale . Dopo la mort e d i Nerone essi assunsero un carattere i n p art e pubblico , dal momento che potevano essere consid erati co­ me «beni della corona» . Antonino Pio int r o d uss e una d i ffere n za tra il p atr i m onio impe r iale e i beni che conservavano il loro ca­ ratt ere privato (res privata) . Le proprietà erano acquisit e per con­ qu i sta , con fisca o eredità . Augusto mantenne i domini asiatici costituiti da M arco Antonio (compresi q uelli a scapito dei terreni pubblici del popolo romano). I ben i degli antichi monarchi come Aminta di Galazia o Archelao di Cappadocia - diventa­ rono domini i m periali con l ' ann e s sion e dei loro regni . Augusto ereditò anche immensi domini da Agr i p p a . L ' abitudine d ' i stitui­ re erede l ' imperatore fece p assare ai domini imperiali beni di ogni d imen s ion e e d i ogni natura. Si aggiunsero le confische da parte di im p e r atori «tiranni » , come Tiberio o Nerone , o in seguito a guerre ci vili . I d om i ni imperiali s ' integravano nei modi più diversi nel ter­ ritori o . Talvolta si di fferenziavano soltanto per il rango del pro­ p r i e t a r io e lo statuto delle t e rr e ; così in Egitto le terre usiache erano disseminate nel territorio e i cont a din i coltivavano indif­ ferentemente appezzamenti di diversa posizione giuridic a . Altre erano situate nei te rr itori d elle città , il che poteva essere all ' ori­ gine di conflitti con le autorità locali , perché i con t a d in i prende­ vano a p r etesto la propria condizione di coloni i mperiali per ri­ fiutar e gli one r i delle città [745 , n. 1 42] . Ma certi domini erano esterni alle città e c osti t u iv ano entità s peci fich e , talvolt a enormi come i l Chersoneso di Tracia , posseduto in un p r imo tem po da Agri p pa . Manca sp e s s o la documentazione per cono scere la po­ sizione delle proprietà impe r iali rispetto alle comunità autonome vicine ; ma, alm e no i n o r i gin e , i domini extraterritoriali avrebbe­ ro dovuto essere importanti nelle regioni o nelle città poco o af-

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fatto evolute agli inizi dell ' Impero (antichi domini dei re orien­ tal i ; territori m inerari della Mesia o del Norico , c fr . 5 6 9 ; 5 80 ; 603 ) . La ripartizione dei pos sedimenti imperiali era molto ineguale . I n Egitto , d ove la documentazione è abbondante , le terre usiache non sono testimoniate in Alto Egitt o , mentre potevano rapp re­ sentare fino al 400Jo dei terreni coltivati in certe regioni del Fayum [Crawford , 60 1 ] . In Asia li si incontra soprattutto nell ' interno , in Lidia e in Frigia : le cave di Synnada il cui marmo era esportato in tutto l ' I mpero , e vaste zone rurali che costituivano blocchi omo­ genei . In A frica del Nord sono soprattutto ben conosciuti gli im­ mensi domini della media vallata della Medj erda, acquisiti cer­ tamente sotto Nerone, vicini alle cave di marmo « numidico» di Simitthu-Chemtou [925 ] . Ma vaste zone della Numi dia meridio­ nale erano di proprietà imperiale nel II secolo e i domini imperiali circondavano Timgad , i n Numidia, come anche Setif, in M auri­ tani a . Le proprietà imperiali erano di stribuite in tutta l ' Itali a, ma in modo molto ineguale : T raiano poteva possedere circa l l l O dei domini rurali presso i L igures Baebiani, vicino a Benevento , e soltanto l ' l OJo a Veleia [Duncan-Jones in 96 1 ; 9 59 b ] Gli interessi imperiali erano particolarmente i mportanti nelle zone meridio­ nali , boschive (Bruzzio) o pastorali (Sannio , Apulia) [Corbier , 600] . .

2. L

'amministrazione delle pro vince

Nel 1 7 6 M arco Aurelio e Commodo ridussero le tasse sui gladiatori per diminuire il costo delle rappresentazioni [A RS, 262] . Un senatore propose. di regolamentare gli spet­ tacoli , soprattutto di stabilire un massimo di spese nelle cit­ tà . Nelle province l ' applicazione di queste misure sarebbe spettata ai governatori , ai senatori loro subordinati o ai pro­ curatori imperiali . I n Italia l ' indagine sarebbe stata con­ dotta dai prefetti respo nsabili delle fondazioni alimentari o, in mancanza di questi , dai curatori di strade , dagli iuri­ dici o , infine , dai pre fetti della flotta o dai procuratori im­ periali . Questo elenco esprime efficacemente la situazione particolare che mantenne l ' Italia fino alla crisi del I I I se­ colo . Senatori e cavalieri vi esercitavano incarichi in nome dell ' imperatore, e il loro numero si accrebbe a partire dal I I secolo [cfr . soprattutto 62 1 e 627] . Ai curatori delle grand i

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vie che s ' irradiavano da Roma, a partire da Traiano , si ag­ giunsero i prefetti degli alimen ta , che la loro stessa funzio­ ne faceva intervenire nella vita amministrativa delle città [629] . Dopo il fallimento dei consolari istituiti da Adriano l ' Italia, a 1 00 miglia da Roma, fu divisa da M arco Aurelio in quattro (poi cinque) circoscrizioni giudiziarie ; se gli iu ­ ridici erano innanzi tutto dei giudici , le iscrizioni ce li mo­ strano mentre prendono iniziative amministrative [625-27 ; 630] . Infine i diversi procuratori imperiali (sempre più nu­ merosi) potevano , di fatto , essere spinti a intervenire nella vita delle città . Perciò non fu mai creato nessun meccani­ smo che potesse fungere da intermediario abituale e obbli­ gato tra le comunità autonome e il potere central e : i mu­ nicipi e le colonie d ' Italia non erano certo pienamente autonomi ma, come al principio dell ' Impero , le difficoltà , che non potevano risolvere da soli , erano regolamentate dal senato o dall ' imperatore .

L 'organizzazione delle pro vince «Le divisioni [delle province] variano con il tempo , per il fatto che i Romani adattano la propria amministrazione alle circostan­ ze del momento >> . Questa osservazione di Strabone [3 , 4, 1 9] ri­ fletteva le m olteplici riorganizzazioni dell ' epoca augustea ; ma va­ le, di fatto , per tutto il periodo che ci interessa . Quando fondava una provincia, l ' o rganizzatore le dava u n documento (!ex provinciae) c h e regolamentava la s u a vita giudi ­ ziaria e amministrativa; ancora al principio del I I secolo , il Pon­ to-Bitinia era governato dalla « legge di Pompeo» che, per esem­ pio , precisava le condizioni d ' ingresso nei consigli delle città o la concessione della cittadinanza locale dopo l ' annessione . Succes­ sivamente lo statuto della provincia si arricchiva delle decisioni degli imperatori o dei governatori . Redatta in occasione dell ' an­ nessione e tenuta aggiornata, la form ula (o forma) provinciae (re­ golamento o formulario provinciale) era il dossier che conteneva le diverse informazioni sulle comunità (statuto, diritti e doveri, dati statistici) e, certament e , i testi legislati v i concernenti la pro­ vincia. Conosciamo solo indirettamente qu esto tipo di documen­ to; tuttavia lo si può immaginare grazie agli A cquedo tti della cit­ tà di Roma, trattato che il curatore delle acque, Fronti n o , redasse nel 97 per dare la jo rm ula al suo servizio amministrativo .

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I n origine l a pro vincia era i l cerchio delle attribuzioni , l a sfera di responsabilità di un magistrato o di un promagistrato , soprat­ tutto la direzione di u na guerra; il termine fu conservato per il governo di una regione annessa (che comportava spesso opera­ zioni militari da questa base di partenza) e giunse a indicare la circoscrizione stes s a . La condivisione di responsabilità tra Otta­ viano Augusto e il senato nel 27 a . C . determinò all 'interno del sistema provinciale romano una frattura che si rivelò definitiva : Augusto ebbe una vastissima pro vincia , che lo rendeva respon­ sabile della maggior parte delle zone in cui erano di stanza le le­ gioni , e che egli divise tra luogotenenti (legati) , mentre le altre province continuarono ad essere governate da promagistrati che dipendevano dal senato . Dopo tentennamenti che durarono fino al principio del i secolo , il sistema provinciale diventò global­ mente stabile, per quanto certe regioni (come l ' Anatolia) abbia­ no una storia amministrativa complessa e spesso ancora oscura.

Le pro vince senatorie Nel 27 a . C . le province lasciate al senato raccoglievano la parte essenziale delle zone ricche e civilizzate dell ' Imper o . La ripartizione delle province tra l ' imperatore e il senato conobbe fluttuazioni fino alla metà del I secolo , innanzi tutto per ragioni militari : il senato per­ dette sotto Augusto l ' Illirico e la Sardegna (recuperata per un certo periodo sotto Nerone) e fu privato della Macedo­ nia e dell ' Acaia dal 1 5 al 44 . A partire dai Flavi , questa ripartizione rimase grosso modo stabile . In Occidente era­ no senatorie l ' A frica Proconsolare , la Betica , la Gallia Nar­ bonese , la Sicilia e, per brevi intervalli , la Sardegna; in Orien­ te la M acedonia, l' Acaia, Creta-Cirenaica, Cipro , il Ponto­ B itinia e l ' Asia . Gli imperatori facevano in modo che il senato conservasse sempre lo stesso numero di province : quando il Ponto-Bitinia diventò definitivamente imperiale intorno al 1 62 , il senato ricevette in cambio la Licia- Pan­ filia . Le province erano governate da senatori , promagistrati che avevano il titolo di proconsoli , i quali restavano in ca­ rica per un anno (ma il cui incarico poteva essere proroga­ to) . I proconsoli d ' Asia e d 'A frica avevano precedentemen­ te rivestito il consolato da un minimo di dodici a quindici anni ; gli altri proconsoli erano soltanto di rango pretorio e avevano normalmente gestito la pretura per almeno cinque

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anni. I proconsoli pretorii erano assi stiti da un legato pro­ pretore senatore ; il proconsole d ' Asia disponeva di tre le­ gati come, almeno in origine , quello d ' A frica (che , certa­ mente da Caligola in poi , non ebbe più di due legati) . E ssi sceglievano questi luogotenenti tra i loro parenti o amici . Il rango di legato era altamente variabile, da ex questore a ex console (in Asia o in Africa , ma eccezionalmente) ; inoltre , come regola generale , le legazioni erano esercitate un p o ' prima o un po ' dopo la pretura. Si aggiungeva u n questore per provincia (forse due in Sicilia) , magistrato che portava il titolo di questore pro pretore quando disponeva dell ' im­ perium . Seguendo la tradizione repubb licana, i proconsolati e le questure erano estratti a sorte; ma non conosciamo il siste­ ma nei particolari [Talbert , 3 52 , pp . 348 sgg . ] . La sorte si limitava a decidere tra candidati al proconsolato che erano già in numero ridotto e dopo che erano stati apportati degli aggiustamenti . Di fatto , certe province , come l' Acaia o la Macedonia, erano valutate più di altre , come Cipro . Pro­ babilmente l ' imperatore doveva esercitare un controllo di­ screto sulle decisioni della sorte (oltre ai casi in cui la ne­ cessità imponeva una designazione) ; al principio del I I I secolo l ' imperatore stabiliva una lista di senatori , tanti quan­ ti erano i posti di proconsoli disponibili , distribuiti poi con sorteggio . In queste province l ' imperatore aveva dei procuratori - cavalieri o liberti - ; ma questi erano incaricati solo dei suoi particolari interessi , soprattutto del suo patrimonio . Se lo giudicava necessari o , egli poteva designare un legato imperiale al posto del proconsole ; senza decidere di scar­ tare il proconsole, poteva anche inviare legati d alle compe­ tenze più limitate , o incaricati di mansioni precise (come la delimitazione di frontiere, del censimento ) , o responsabili di regioni o di certe città .

Le province imperiali In origine le province imperiali era­ no regioni non del tutto paci ficate, povere o rovinate dalle guerre , a p arte frange come . la Spagna Tarragonese medi­ terranea o la Siria . In seguito alla pacificazione , allo svi-

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luppo economico e a i progressi culturali , l a maggior parte di quelle province colmò progressivamente il proprio ritar­ d o , senza per questo cambiare statuto . I governatori delle province imperiali erano abitualmente senatori di rango p re­ torio o consolare che portavano il titolo di «legato di Au­ gusto propretore» (qui «Augusto» sta a indicare qualun­ que imperatore) . M a , oltre all ' Egitto , Augusto affidò zone di minore importanza ad alcuni cavalieri e, a partire da Ti­ berio , certe province di nuova creazione furono governate da procurato ri .

Le pro vince affidate a senatori L ' incarico dei legati di Au­ gusto propretori era, in origine , di durata indeterminata: sotto Tiberio , un governatore rimase per ventiquattro anni in Macedonia-Mesia [Tac . , A nn. , 6, 3 9 , 3] . Alcuni impe­ ratori , come Tiberio o Antonino , mantenevano nello stesso posto i governatori il cui operato li soddisfaceva pienamen­ te . M a , come regola generale , una legazione non superava tre anni e poteva anche essere più breve . Al contrario del proconsole , il legato non poteva nominare propri legati; ma ai legati di legione, nelle grandi province , l ' imperatore po­ teva aggiungere legati del governatore . Così , quando la Cap­ padocia e la Galazia erano state associate alla fine del I se­ colo e sotto Traiano , vi si trovavano due legati , uno consolare e uno pretori o [Rém y , 643 ] . Il governatore della vasta re­ gione tarragonese disponeva di un legato che , da Adriano a Settimio Severo , aveva l ' incarico di amministrare la giusti­ zia in Asturia-Galizia [Alfoldy , 6 3 3 ] . Le finanze provincia­ li erano amministrate da un procuratore equestre , indipen­ dente dal governatore . I l rango del governatore era determinato dall ' importan­ za del l ' incarico che gli era affidato ; ma la routine prese il sopravvento e si poterono distinguere parecchi tipi di pro­ vince imperiali secondo il livello abituale del legato . Le pro­ vince senza legioni furono sempre più numerose dopo la morte di Augusto ; i loro legati erano di rango pretorio , ge­ neralmente abbastanza esperti (infatti erano spesso stati le­ gati di legione) . Sotto Traiano comparvero le province pre­ torie con una sola legion e , come la Pannonia I n feriore e

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l ' Anlbia . I l legato vi cumulava il go-verno e il comando del­

la legione ; normalmente egli otteneva in seguito il conso­ lato . Le province strategiche , con una guarnigione d i due o tre legioni , erano assegnate a consolari . Nelle province con tre legioni , la scelta dei governatori era particolarmente de­ licata, per l ' importanza della guarnigione e per l ' esperienza dei legati : nel 1 93 i tre pretendenti provinciali , Pescennio Nigro , Settimio S evero e Clodio Albino , governavano ri­ spettivamente la S iria , la Pannonia Superiore e la Britan­ nia. Settimio Severo e Caracalla ne trassero le debite con­ clusioni riportando queste guarnigioni a due legioni ; divisero la Siria e la Britannia in due province , e attribuirono loro , rispettivamente , una e due legion i ; inoltre modificarono la frontiera tra le due Pannonie, che avevano ormai due le­ gioni per ciascuna. Ma il rango del governatore non era sempre in funzione dell ' importanza della guarnigion e . A partire dai Flavi , la Dalmazia non ebbe più legioni e la Spa­ gna Citeriore (o Tarragonese) non ne mantenne nessuna; ma queste grandi province rimasero consolari . Quando il Ponto-Bitinia diventò provincia imperiale sotto M arco Au­ relio , i suoi legati furono consolari , benché essa fo sse iner­ mis.

Le pro vince equestri Giuridicamente Augusto lasciò al di fuori dell ' Impero , come proprietà personale amministrata da cavalieri , il regno dell ' Egitto che si era annesso ; lo sta­ tuto dell ' antico regno del Norico , anche se è conosciuto mol­ to male , poteva essere para.gonabile a questo . P refetti eque­ stri erano incaricati delle zone militari , come i distretti alpestri . Inizialmente l ' antico regno di P alestina era gover­ nato da un cavaliere , ma dipendeva dal legato di Siri a . Si ritrova più tardi questo sistema in Daci a , quando essa fu ripartita in tre province , da Adriano al principio del regno di Marco Aurelio : il legato senatore di una di esse aveva autorità sui procuratori-governatori delle altre due, alme­ no per le questioni militari . Da Tiberio in poi , certi regni vassalli diventarono vere e proprie province in occasione della loro annessione , pur es­ sendo amministrati da cavalieri : la Cappadocia dal 1 7- 1 8 ,

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la Tracia sotto Claudi o , che organizzò anche la Mauritania e il Norico . D i questa scelta imperiale sono state proposte parecchie spiegazioni che non si escludono affatto : volontà di risparmiare , nominando funzionari pagati meno dei se­ natori e limitando la guarnigione alle truppe ausiliarie ; de­ siderio di controllare più direttamente le province . Ma in occasione dell ' annessione , fu senza dubbio determinante la situazione amministrativa di queste regioni , che all ' inizio fu mantenuta : esse contavano poche città autonome e l ' es­ senziale del paese era amministrato da funzionari regi . Al contrario la Licia, totalmente urbanizzata ed ellenizzata, fu governata da un senatore fin dal suo ricongiungimento con l ' I m pero sotto Claudio , come del resto la Tracia , quan­ do vi furono fondate molte città da Traiano . I governatori equestri portavano il titolo di prefetto o di procuratore . Il primo aveva una connotazione militare mar­ cata e si basava sulla delega dei poteri u fficiali da parte del­ l ' imperatore ; il secondo manifestava il legame personale del funzionario nei confronti dell ' imperatore . I due titoli po­ tevano essere associati , come capitava di frequente in Sar­ degn a . Fin dal II secolo si designavano come praesides (al singolare praeses) certi governatori , cavalieri o senatori (in particolare quando il tempo della loro carica era spirato) . Nel I I I secolo praeses fu , sempre più , sinonimo di gover­ natore , ma senza mai significare esclusivamente governa­ tore di rango equestre , come si scrive troppo spesso . Con la necessità di tenervi un presidio legionario per­ m anente, parecchie province tenute da procuratori passa­ rono a senatori : la Cappadocia e la P alestina di Vespasia­ no , il Norico e la Rezia sotto M arco Aurelio , che riunificò la D aci a . Nelle M auritanie , quando la situazione militare imponeva la presenza di truppe legionarie , l ' imperatore de­ signava un legato senatore, o dava al procuratore il titolo di « pro-legato » , che ne faceva il sostituto di diritto di un legato assente . Nello stesso tempo in cui creava le prime legioni coman­ date da cavalieri fuori dall ' Egitto , Settimio Severo a ffidò a u n prefetto equestre la nuova provincia di Mesopotamia , in cui erano di stanza due legioni . Da questo momento in poi s ' incontreranno più frequentemente cavalieri come pro-

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legat i , sostituti dei governatori senatori , compresi i procon­ soli . Poteva trattarsi di intermezzi brevi e fortuiti , quando il governatore titolare non era ancora arrivato o era morto . Ma, in certi casi , sembra che queste vacanze siano state vo­ lute dall 'imperatore , che non designava governatori sena­ t o r i . Quando Gallieno a ll on t anò i comandanti militari cla­ rissim i, cavalieri praesides rimpiazzarono sistematicamente i legati d elle province imperiali pretorie e, episodicamente , qu elli delle p r ovince consolari ; dopo Gallieno province se­ n ato rie ebbero anche governatori equestri , a titolo tempo­ raneo o definitivo [Christol , 6 1 0] . L a stru ttura delle pro v ince S e il buon funzionamento del­ l ' am m i n i s t razione i m p l icava una certa stabilità delle fron­ tiere e d e l l e s tr u tt u re provinciali, il sistema amministrativo del l ' I mpe r o n o n fu mai immobile; modificazioni e adatta­ m e n ti si s u c c e d e t t e r o in funzione delle necessità , anche se , i n mancanza di documenti sufficienti , non ne conosciamo se m p r e i p artico l ari né la cronologia precisa . L im iti p ro vinciali e creazione di p ro vince I l pragmatismo det­ tava legge e non si può ricavare nessuna delle regole che avreb­ bero suggerito l' organizzazione delle nuove province . Se frontie­ re politiche tradizionali erano talvolta rispettate , come quella tra l a Numidia e la M au ritania, le province corrispondevano rara­ mente a entità etnico-culturali o storiche precedenti all' an nessio­ ne (come erario l' Acaia, la Sicilia o il Norico) . Tuttavi a , in Orien­ te , regioni storiche più piccole potevano conservare la propria coesione all ' interno di una provincia , che era eventualm ente for­ mata da due distretti di base: Bitinia e P onto , Creta e Cirenaica, Licia e Panfilia . I n Occidente le frontiere apparivano molto ar­ tificiali , in primo luogo perché mancavano Stati o mogenei che avrebbero potuto servire da base alle province ; poi perché il po­ tere romano cercò di spezzare antiche solidarietà : gli Scordischi furono divisi tra la Dalmazi a , la M esia e la Pannonia ; in Gallia, la Narbonese conser v ava i confini raggiunti dall' espansione pre­ cesarian a , mentre 1' Aq u ita n ia e il Belgio comprendevano popo­ lazioni celtiche e non celtiche . Le frontiere interne disegnate sotto Augusto si rivelarono spes­ so sostanzialmente stabili, in particolare quelle delle province se­ natorie (certamente perché non venissero lesi i diritti del senato) .

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In molte province i confini rimasero stabili fino alla fine del I I I secolo , o conobbero solt anto modificazioni parziali, come il pas­ saggio di una città da una provincia all ' altra . A parte l ' Anat olia, le modifiche più importanti si riscontrarono nelle zone meno ci­ vilizzate [cfr . le fluttuazioni della frontiera fra la Tracia e la Me­ sia I n feriore : B . Gerov , ANR W, I I , 7, l , 1 979 , pp . 2 1 2 sgg . ] , dove furono spesso legate all ' evoluzione dell ' occupazione mili­ tare e della strategia nelle zone di frontiera . Furono istituiti di­ stretti militari in provincia , nel 44 nella Mesia (sdoppiata in due province consolari sotto Domiziano) e nelle due Germani e sotto Domizian o . La Pannonia fu divi sa in due province sotto Traia­ no , come poi sarebbe successo alla Siria e alla Britannia sotto Settimio Severo, perché le loro guarnigioni venissero frazionate . Parte integrante dell 'Africa Proconsolare, la Numidia occiden­ tale diventò una quasi-provincia amministrata civilmente dal le­ gato della I I I legione Augusta , designato dall ' imperatore ; rati fi­ cando l a tras formazione , Settimio Severo creò la provincia imperiale pretoria di Numidia . Al di fuori delle zone militari , non si coglie nessuna tendenza sistematica a dividere le grandi province in unità di più facile am­ m inistrazione . L 'E piro fu istituito nel 67 , dopo che Nerone ebbe liberato l ' Acai a , o, piuttosto , sotto Traiano . Gli altri smembra­ menti non durarono molto . La Liburnia, a nord-ovest della Dal­ mazia, ebbe un procuratore-governatore privato sotto Comm o­ do . Governatori equestri di Cirenaica sono testimoniati al princi pio del I I I secolo [«AE » , 1 969-70, 6 3 6 -3 7 ] , mentre il proconsole go­ vernava soltanto C reta [/LS, 1 1 79] ; deciso da Settimio Severo , il provvedimento fu abrogato da Alessan dro , almeno per un certo periodo . I stituita da Caracalla e affidata al legato della VII le­ gione Gem ina, l ' Asturia-Galizia ebbe un' esistenza effimera . Una provincia procuratoria del Ponto (distinta dal Ponto-Bitinia) fu staccata dalla Cappadocia, indubbiamente da Severo Ales­ sandro , e la Frigia-Caria fu attribuita all ' Asia sotto Valeriano [Rémy, 643 ; C. Rouéché, « J RS)) , 7 1 , 1 98 1 , pp . 1 06 sgg . ; D . H . French e C . Rouéché , « Z PE )) , 49 , 1 982, pp . 1 5 9 sgg . ] ; queste fondazioni s ' inseriscono nella storia amminist rativa molto com­ plessa dell ' Anatolia . L e province imperiali dell ' Asia Minore sembravano piuttosto conglomerati di distretti (in greco eparchie) , ripartiti intorno a nuclei fis s i , Cappadocia, Galazia, Licia, Cilicia : l ' I sauria rien­ trava volta a volta nelle competenze di queste tre ultime; la Li­ caonia era associata alla Galazia o , in parte , alla Cilicia . La Ga­ lazia fu l ' insieme più m obile , poiché comprese durevolmente la Pisidia, la Paflago nia , la Licaonia e , più episodicamente, la Pan-

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filia, il Ponto Galatico , il Ponto Polemoniac o . In mancanza di documenti abbastanza numerosi , non si conoscono sempre nei particolari i cambiamenti , che avrebbero potuto essere giustifi­ cati da situazioni locali (come l ' agitazione endemica in I sauria) o le necessità della politica militare di fronte ai Parti [Rémy , 643 ] .

Le suddivision i delle province Come regola genera ie , non c ' era struttura romana intermedia tra le città e il governo provinciale in grado di amministrarsi autonomamente . A giudicare dalle no­ stre fonti , l ' e si stenza di distretti che avrebbero avut o , nella pro­ vincia , un' amministrazione privata è eccezionale e spesso tem­ poranea . Sono testimoniati prefetti in Spagna Tarragonese per l ' Asturia e la Galizia , nominati certamente quando il paese non era ancora completamente pacificato [ILS, 6948 ; CIL , I I , 327 1 ] , e per le isole Baleari , come nella Commagene dipendente dalla Siria [Demougin , 646] . Pressappoco dal tempo di Adriano , in alcune grandi province sono testimoniati legati responsabili della giustizia in un settore geograficamente determinato : legato-iuri­ dicus d ' Asturia-Galizia nella Tarragonese ; legato della Numidia d ' lppona nell 'Africa Proconsolare ; legati di diverse diocesi in Asia. Ma questo decentramento non fu sviluppato sistematicamente. I governatori facevano dei viaggi nella loro provincia; ma te­ nevano assise annuali soltanto in alcune citt à , nelle quali si riu­ nivano i querelanti e gli ambasciatori delle comunità dei dintorni . Questo sistema è ben accertato fin dall ' epoca repubblicana; esso arrivò , almeno in certe province , alla definizione di circoscrizioni ufficiali (con ventus; diocesis) , che Plinio il Vecchio riscontra (se­ condo fonti di epoche diverse) in Asia, in Dalmazia e in Spagna. In Asia i distretti esistevano prima di Augusto ; se è autentica [cfr . «AE » , 1 984, 5 5 3 ; 1 987 , 5 6 1 ] , u n a nuova iscrizione prova l a loro presenza nella Spagna Tarragonese fin da Augusto , mentre se ne attribuiva generalmente la creazione a Claudio o, preferibilmen­ te, a Vespasiano [Dopico Cainzo s , 637] . È l ' Asia che fornisce l a maggior quantità di fonti sullo svi­ luppo e sul funzionamento di questi con ven tus, che sotto Cali­ gola furono certamente in numero di tredici . I loro limiti erano stati fissati abbastanza arbitrariamente , in funzione delle como­ dità di trasporto , senza tener sempre conto delle solidarietà tra­ dizionali : per esempio il distretto di Pergam o riuniva comunità di Eolide, lonia, Lidia e Misia . La loro superficie non era affatto omogenea . A est della provincia , le diocesi più vaste raggruppa­ vano parecchie decine di comunità, mentre quella di M ileto con­ tava sei città e quella di Alicarnasso soltanto quattro [Jones , 695 ;

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poi , H abicht , 63 9] . I noltre l ' o rganizzazione poteva essere modi­ ficata in funzione dei bisogni e, soprattutto , delle lagnanze delle grandi città : alcune comunità cittadine erano promosse capoluo­ ghi (come Mileto sotto Caligola, Tiatira sotto Caracalla) , altre degradate (Milasa e Tralles sotto Augusto) . Oltre alla comodità che o ffriva, la presenza costante del governatore era per i capo­ luoghi un segno di superiorità sui vicini e, insieme, una fonte di attività economica ; così essa diventava un oggetto di competizio­ ne tra città : Antonino Pio respinse l ' istanza di Berenice , la quale richiedeva che le assise si tenessero per avvicendamento in tutte le città della Cirenaica, e non più annualmente in alcune di esse [J . Reynold s , « J RS» , 68 , 1 97 8 , pp . 1 1 1 sgg . ] . I pareri sono discordi sul ruolo esatto esercitato da questi distretti ; potrebbero essere serviti da quadro intermedio per i censimenti , per la ripartizione delle imposte , per gli arruolamenti dei soldati - come in Spagna e in D almazia, dove le comunità erano piccole e numerose; ma mancano prove determinanti .

A ltre stru tture amm in istrative Le competenze dei funzio­ nari imperiali non corrispondevano sempre alle province . Quando le proprietà dell ' i mperatore erano particolarmen­ te importanti , le circoscrizioni demaniali erano più piccole delle province , come in A frica Proconsolare o in Asia . Zo­ na militare e mineraria, l ' A sturia-Galizia, fin da Vespasia­ no , aveva il suo procuratore equestre distinto da quello del­ la Tarragonese . Se in ciascuna provincia una coppia di procuratori (ca­ valiere e liberto imperiale) era normalmente responsabile delle finanze o dei soli interessi imperiali nelle province se­ natorie, si possono trovare eccezioni . Così il procuratore del Belgio continuò ad amministrare le finanze delle due Germanie dopo che queste furono istituite province . In Asia Minore la situazione era complicata e in movimento , e pro­ prio per questo non si p o teva tener dietro alle trasform a­ zioni delle province stes se. Sotto Nerone si conosce un pro­ curatore di Cappadocia e di Cilicia e un altro di Galazia e Licia-Panfilia , in un momento in cui la Cappadocia era uni­ ta alla Galazia e la Cilicia romana dipendeva dalla Siria . Uno stesso procuratore era responsabile , al principio del I I secolo , della Cilicia e d i Cipro , poi , sotto Antonino , della Licia-Panfilia e di Cipro : qui un ·amministratore finanzia-

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rio unico controllava, con combinazioni vari e , le province , rispettivamente imperiale e senatoria [ P flaum , 8 5 4 , n n . 25 ; 1 1 6 e vol . I I I] . L ' esazione delle imposte specifiche era spesso organiz­ zata in vaste giurisdizioni , che non seguivano sempre i con­ fini provinciali . Per prendere il solo esempio del ventesimo sulle eredità dei cittadini romani , la Betica e la Lusitania facevano capo a uno stesso procuratore equestre , come del resto , in Gallia , la Narbonese e l ' Aquitania da un lato , la Lionese , la Belgica e le due Germanie dal l ' altr o ; sotto Set­ timio Severo una parte della Galazia e della Cappadocia dipendeva dal P onto-Bitinia [Pflau m , 8 5 4 , nn. 23 6 , 1 3 6 , 203 , 264] Accorpamenti dello stesso genere s i ritrovan o per i dazi interni , i servizi postali , le caserme dei gladiatori o certe miniere imperiali . .

La gestione delle pro vince Detentore dell ' imperium , avendo ricevuto il proprio inca­ rico dal senato o dal l ' imperatore , il governatore senatore aveva in origine poteri molto vasti , m a di fatto limitati dal­ le abitudini , dai privilegi di persone e di comunità; soprat­ tutto la leggerezza dell ' in frastruttura amministrativa e la molteplicità dei suoi compiti gli impedivano spesso di met­ tere in opera i suoi poteri . Nel momento in cui entrava i n funzione , il governatore promulgava un editto , nel quale proclamava le norme ge­ nerali di amministrazione e di diritto che avrebbe seguit o . Ma fin dall' epoca repubblican a , egli coi?iava con qualche modifica l ' editto del suo predecessore . E possibile che , al più tardi dal II secolo , questo testo sia stato solo un adat­ tamento di u n «editto provinciale » valido per tutte le pro­ vince , che sarebbe stato codificato sotto Adriano paralle­ lamente all ' « editto del pretore » , sul quale si m odellava . L ' imperatore dava istruzioni precise (mandata) ai suoi delegati , senatori e cavalieri . Ne rilasciava anche ai procon­ soli , per quanto non dipendessero direttamente da lui; ma si discute per sapere se questi « ordini» ai proconsoli fo sse­ ro rimasti eccezionali fino al principio del I I secolo o se

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fossero diventati pratica corrente fin dal I secolo [G . P . Burto n , 609] . I legati gli sottoponevano problemi delicati, dei quali la corrispondenza tra Plinio e Traiano fornisce numerosi esempi : il governatore giusti ficava con le istru­ zioni imperiali decisioni insolite , che avrebbero potuto su­ scitare opposizioni o, successivamente , lagnanze da parte dei provinciali . In particolare nelle province senatorie , l ' im­ peratore poteva rispondere alle sollecitazioni dirette delle comunità, e fare applicare la propria decisione dal gover­ natore o !asciargli l ' incarico d ' intervenire . am m in istrativo I quadri superiori in grado di pren­ dere decisioni e iniziative erano molto poco numerosi in ogni pro­ vincia : il proconsole , con il suo o con i suoi legati , o il legato di Augusto propretore; il p rocuratore equestre e, eventualmente , pro­ curatori specializzati . E di fficile valutare l ' o rganico del loro stato maggiore (officium) e dei servizi che assicu ravano l ' amministra­ zione corrente; in particolare è di fficile valutare l ' importanza ri­ spettiva dei tre tipi d ' impiegati : militari distaccati , schiavi e li­ berti imperiali , civili liberi . Le fonti sono rare e dispers e , e ci informano soprattutto sui militari distaccati presso i legati di Au­ gusto propretori, in particolare sull ' officium del legato di Numi­ dia [A . H . M. Jones , « J RS » , 39, 1 949 , p p . 3 8 sgg . ; Le Bohec , 5 1 0 ; 576] . Un bilancio sistematico sarebbe benvenuto . I governatori repubblicani portavano con sé il loro stato mag­ giore e i loro apparitori . Sotto l ' I mpero si mantennero certamen­ te elementi di questo antico sistema, soprattutto nelle province senatorie. Il governatore (così come gli altri quadri superiori) era accompagnato da «amici » che, senza avere un incarico preciso, lo consigliavano . I proconsoli avevano subordinati che erano lo­ ro p ersonalmente legati , come l' accensus, segretari o-uomo di fi­ ducia, spesso liberto del governatore , e certo gli scribi, segretari redattori , o il praefectus fabrum (capo degli operai) , un cavalie­ re . Ma c ' era anche tutto un personale permanente , che assicura­ va la continuità dei servizi di fronte alla rotazione dei governa­ tori . Almeno nelle province imperiali , l' esercito forniva la maggior parte dei quadri medi e degli impiegati per l ' amministrazi one , la polizia e la giustizia. Dalle legioni erano distaccati soldati e gra­ duati (principales) : oltre alle guardie e alle scorte , ogni legione forniva , tra l ' altr o , dieci speculatores, esploratori divenuti ausi­ liari di polizia e di giustizia, (certamente) 60 beneficiarii, scelti tra i principales, e un maggior numero di imm unes, adibiti ai diversi Il personale

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compiti tecnici . Alcuni avevano una funzione capitale nell ' offi­ cium del governatore : il centurione « principe del pretorio » ; i se­ gretari in capo (cornicularù) e i cancellieri-archivisti (commen ta­ rienses) , quattro o sei per legato . S 'incontravano militari solo nello stato maggiore dei governatori delle p rovince militari ; li si tro­ vava anche presso i proconsoli , i legati imperiali delle province senza legioni , i governatori equestri e i procuratori finanziari . Il personale civile è più di fficile da circoscrivere . Specialisti di finanze , schiavi e liberti imperiali popolavano gli uffici dei pro­ curatori ; ma era possibile trovarli anche presso governatori , pro­ consoli compresi , accanto a schiavi assegnati all ' amministrazio­ ne provinciale [ «AE » , 1 967 , 444] . Altri impiegati alle registrazioni erano uomini liberi , reclutati localmente. Inoltre , come i magi­ strati , i governatori erano assistiti da apparitori , agenti e simboli delle loro attività: littori (i quali portavano i fasci simboli del po­ tere , allontanavano la folla e procedevano agli arresti) , viatores (messaggeri che facevano le convocazioni , così come le citazioni e le ingiunzioni giudiziarie) , praecones (banditori per le procla­ mazioni u fficiali) ; ausiliari religiosi (musicisti , aruspici , vitti­ mari) . L ' importanza dell' officium non era direttamente in funzione delle necessità amministrative e, ancor men o , una garanzia d ' e f­ ficienza ; in effetti , il seguito era un elemento di prestigio : sotto Traiano il procuratore liberto del Ponto-Bitinia reclamava sei b e­ neficiari, visto che il procuratore equestre ne aveva dieci a dispo­ sizione , e aveva una scorta di quattro soldati [Plin . , Ep. , 1 0 , 27] . I servizi dei proconsoli sembrano essere stati meno sviluppati ; in ogni caso , erano spesso inefficaci . Così gli archivi , base di tutta la continuità amministrativa, erano molto incompleti nelle pro­ vince senatorie: certi proconsoli lasciavano la provincia con i lo­ ro dossier e le città dovevano fornire i documenti ufficiali al go­ vernatore [Plin . , Ep. , 6, 22 ; 1 0 , 3 1 ] . La ridondanza dell ' offic ium andava paradossalmente di pari passo con la leggerezza delle strut­ ture amministrative, a causa della concentrazione degli uffici nel­ la capitale provinciale e dell'assenza di ricambio sul piano locale . Soltanto i viaggi dei governatori nella provincia assicuravano il contatto diretto con la popolazione , contatto che poteva essere non più che episodico e, i l più delle volte , formale .

L 'attività amministrativa dei governatori A parte l ' Egit­ to , le nostre informazioni sulla vita amministrativa delle province sono limitate . L ' epigrafia occidentale dà una vi­ sione falsata , privilegiando le dediche onorifiche e le m a-

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nifestazioni u fficiali : sembra che il governatore si dedicasse soprattutto all ' inaugurazione dei monumenti [Jacques , 7 5 7 ; Kolendo in 849 , l , pp . 3 5 1 sgg . ] . Avendo conservato un numero abbastanza consistente di lettere e di decreti di go­ vernatori (soprattutto di proconsoli) , le iscrizioni orientali sono più varie , anche se non o ffrono per questo una visio­ ne d ' insieme né , soprattutto , permettono di delineare un' e­ voluzione . Veramente preziose sono le opere di Plutarco , di D ione di Prusa e di Elio Aristide, che esprimono nor­ malmente il punto di vista del proconsole , ma che sono cro­ nologicamente e geograficamente molto vicine . I l Digesto fornisce in particolare estratti dei libri di Ulpiano sulla fun­ zione del proconsole e su quella del curatore di città (tra i quali i frammenti conservati che concernono di fatto i go­ vernatori) redatti sotto Caracalla; in questo tipo di docu­ mento la di fficoltà è di distinguere le realtà tradizionali dal­ le eventuali novità severiane (e dalle semplificazioni dei compilatori) . La corrispondenza fra Traiano e Plinio rima­ ne la fonte essenziale sulle attività e i metodi di un gover­ natore . Ma piuttosto che riflettere la realtà dell ' ammini­ strazione corrente , essa ci mostra tutto ciò che un gover­ natore, tra i più zelanti , poteva fare . Legato imperiale straor­ dinario nel P onto-Bitinia, P linio doveva porre rimedio a una situazione anarchica dovuta in particolare all ' i ncuria dei proconsoli : egli disponeva di poteri eccezionali e si ri­ volgeva regolarmente all ' imperatore per fare risolvere i ca­ si difficili . Dovendo assicurare il benessere nella provincia pur tu­ telandovi gli interessi di Roma (soprattutto fiscali) , il go­ vernatore aveva una s fera d ' azione quasi illimitata. Ma, an­ che se poteva prendere iniziative , egli esercitava soprattutto un ' attività di controllo [Norr , 699 , per i diversi tipi d ' in­ tervento ; anche M agie , 640 ; S herwin-W hite , 8 3 7 ] . Il governatore doveva mantenere l ' ordine , non soltanto nelle campagne , spesso agitate da un brigantaggio endemico , ma an­ che nelle città : scatenata contro san P aolo , la plebaglia di Efeso si vide minacciata dall 'intervento del proconsole d 'Asia; un se­ colo dopo , il proconsole vi avrebbe preso provvedimenti contro i fornai fomentatori di disordini [A tti, 1 9 , 40 ; 942 e ARS, n. 257] . Nelle città non protette dai privilegi il governatore poteva inter-

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venire a tutti i livelli della vita civica e, in primo luogo , sulla vita strettamente politica . Gli capitava tanto di assistere alle assem­ blee popolari , quanto di partecipare alle riunioni del consiglio in cui venivano eletti i magistrati e i titolari di incarichi [Dig. , 49, 4, l ; Jacques , 7 5 7 , pp . 3 3 7 sgg . ] . Giuridicamente egli non designava i candidati , ma anche se dava soltanto pareri (consilia) era di ffi­ cile non seguirli . Poiché le nomine contestate arrivavano in ap­ pello davanti a lui , la sua sola presenza in occasione d ell ' elezione era una garanzia contro azioni giudiziarie successive . Egli poteva cassare decisioni delle città giudicate illegali e , perfino , sostituen­ dosi alle istituzioni civiche , promulgare decreti validi per una so­ la città . Il governatore aveva diritto di controllo sull ' attività finanzia­ ria : autorizzava l ' istituzione di nuove imposte local i , il versamen­ to di salari , di indennità (p . e s . agli ambasciatori) o di pensioni ; controllava la locazione dei beni della città e l ' investimento delle sue liqu idità ; verificava i conti dei magistrati . Ma il suo interesse verteva soprattutto sui lavori pubblici : i n P onto-Bitinia, Plinio si preoccupava tanto del finanziamento , quanto della direzione dei lavori e della loro qualità ; uno dei suoi predecessori si era visto presentare , in occasione di un' assemblea del popolo , il program­ ma architettonico raccomandato a P rusa da Dione [Or. , 40 , 5 sgg . ] . Poiché impegnavano parecchi milioni d i sesterzi e suscita­ vano l ' invidia delle città vicine , le costruzioni più importanti do­ vevano essere autorizzate dall' imperatore o dal governatore . Que­ sto obbligo è attestato come legge all ' epoca antoniniana , ma era senz ' altro più antico , che sia stato imposto dal costume o dal diritto [Jacques , 7 5 7 , pp . 664 sgg . ] : a partire dalla fine del I se­ colo la legge municipale d ' Imi (Betica) [7 1 5 ] prevedeva l ' auto­ rizzazione del governatore per ogni spesa superiore a 5 0 . 000 se­ sterzi . Agenti della beneficenza del sovrano , i legati imperiali potevano finanziare lavori nelle città (generalmente destinando alla comunità certe imposte dovute) e perfino farli eseguire da soldati .

U n simile b ilancio sembra suggerire una fortissima cen­ tralizzazione , un controllo sviluppato delle città , tanto sul piano delle iniziative , quanto su quello della gestione . Tut­ tavia l ' essenziale delle nostre fonti ci o ffre u n ' immagine op­ posta : l' Euboico di D ione di Prusa [Or. , 7] o le Metam or­ fosi di Apuleio ci descrivono regioni della Grecia che ignorano l ' attività di qualunque autorità romana ; così co­ me le iscrizio ni , Plutarco e Dione ci m o strano il libero fun-

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zionamento delle istituzioni locali, facendo sentire la pre­ senza lontana o, al massimo , molto formale del governatore . Non c ' è scelta tra due immagini antitetiche e inconciliabili . La città era la cellula di base dell ' Impero , che gli impera­ tori non soltanto conservarono , ma difesero e svilupparo­ no [cfr . infra] ; l ' autonomia , principio stesso della vita ci­ vica, implicava che essa si amministrasse a piacimento . M a , parallelamente , l ' autorità romana e soprattutto l ' impera­ tore avevano anche un ' assoluta competenza a intervenire negli affari delle città, nelle comunità di suddit i , di cittadini romani o latini , e anche nelle città lib ere , considerate ester­ ne all ' I mpero . Questa possibilità non veniva mai utilizzata sistematicamente; gli interventi, con i quali l ' im peratore o il governatore prendevano l ' iniziativa, rispondevano a si­ tuazioni di crisi ; gli altri, più numerosi e più banali, erano sollecitati dagli abitanti . L a leggerezza delle strutture provinciali impediva che si concretizzassero i poteri potenziali del governatore, soprat­ tutto nelle province che contavano parecchie centinaia di comunità , come l ' A frica o l ' Asia . Il governatore non aveva molte possibilità di agire normalmente al di fuori delle ca­ pitali provinciali e delle città d ' assise . I suoi viaggi lo con­ ducevano nelle città che non comprendevano l ' itinerario tra­ dizionale solo in caso di necessità , su richiesta degli abitanti o dietro ordine dell ' imperatore . Per esempio si è spesso affermato che gli imperatori di epoca severiana, presenti nel consiglio , di fatto designassero i respon­ sabili delle città. Oltre al fatto che questa opinione tiene poco conto della realtà egiziana (dove , tuttavia, la centralizzazione era di regola) [772] , il governatore non poteva materialmente assi­ stere a tutte le elezioni , che avevano luogo in periodi determinati : non vi partecipava assolutamente , se non nelle città più impor­ tanti , e se non gli erano annunciate delle difficoltà [Jacques , 7 5 7 , p p . 3 3 7 sgg . ] . Capitava la stessa cosa per i suoi interventi ammi­ nistrativi : uno studio serio dei dossier richiedeva tempo e com­ petenze tecniche ; il più delle volte, il governatore doveva accon­ tentarsi di dare il proprio avallo alle proposte delle autorità locali . Molti affari erano trattati per lettera, dunque si basavano sul­ l ' affidabilità degli argomenti addotti e dei documenti acclusi (« AE » , 1 978 , 800 : un proconsole d ' Asia rinvia una petizione a

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uno dei suoi legati , il quale risponde per lettera alla città e fa riferimento a numerose lettere precedenti) . Per di più le possibilità d ' azione erano limitate dai numerosi privilegi delle comunità , soprattutto delle città libere e delle co­ lonie , che solo l ' imperatore poteva abolire o sospendere . Più ge­ neralmente la preoccupazione di vedere i provinciali deposit are una lagnanza doveva spingere molti governatori a una politica molto attiva . A partire dal II secolo , certi curatori designati dal­ l'imperatore ebbero incarichi di sorveglianza e di controllo delle città, con competenze edilizie e finanziarie confrontabili con quel­ le dei governatori [cfr . injra, pp . 34 1 sgg . ] ; il loro stesso nome rivela i limiti dell ' azione dei governatori , tutori , talvolta gendar­ mi , ma non amministratori regolari . La situazione doveva varia­ re considerevolmente da una provincia all ' altra . I proconsoli ave­ vano minore autonomia dei legati imperiali , mandatari diretti del sovrano, mentre i governatori non si comportavano nello stesso modo con città d ' antica tradizione poliade e con comunità con­ siderate barbariche o abituate alla servitù [Plin . , Ep. , 8, 24] . I governatori che potevano maggiormente intervenire erano certa­ mente i legati di Augusto propretori o i procuratori-governatori delle province di frontiera poco estese; ma le loro responsabilità militari dovevano impegnarli considerevolment e . Molti interventi dei governatori manifestavano l ' incapacità strutturale delle città a risolvere i loro problem i . Sono innanzi tutto una testimonianza sullo sperpero finanziario , sulla corru­ zione dei responsabili locali e sull ' impotenza delle autorità civi­ che : se un editto di un proconsole d ' Asia dovette vietare il depo­ sito di legna e il taglio della pietra sul porto di E feso , è in primo luogo , come ricorda, perché il responsabile del porto (quindi un notabile importante) non era obbedito dai trasgressori [«AE » , 1 967 , 480, intorno al 1 48] ; Dione d i Prusa minacciava i compa­ trioti di rivolgersi al proconsole se non avessero dato corso alle donazioni promesse [Or. , 47 , 1 9] . Molti editti di governatori ri­ prendevano soltanto la decisione della città o semplicemente la confermavano [J . Oliver , « Hesperia», 23 , 1 954, pp . 1 63 sgg . ; Norr , 699 , pp . 24 sgg . ] . P lutarco era indignato del fatto che , senza ob­ blighi legali, i Greci avessero l ' abitudine di fare ratificare ogni decisione , imponendo ai proconsoli di comportarsi da « despoti» più di quanto non desiderassero essi stessi [Prec. Poi. , 1 9] Di fatto le città erano più desiderose di sicurezza che d 'indipenden­ za : sottomettendo le proprie decisioni al governatore , evitavano il rischio che venissero cassate come illegali ; soprattutto questa ratifica dava maggior peso al provvedimento e permetteva di far­ lo applicare con maggiore sicurezza nella città stessa. .

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S i può m ettere i n risalto un ' evoluzione nella frequenza e nella natura di questi interventi? Si ammette abitualmen­ te che essi si banalizzarono progressivamente fino a diven­ tare legalmente obbligatori , che le tendenze interventiste de­ gli agenti dello Stato o la sola preoccupazione imperiale di fornire una migliore amministrazione si associarono alla ri­ nuncia da parte delle città: ancora eccezionali al principio del II secolo (come suggeriscono Plutarco e Dione) , gli in­ terventi dei governatori sarebbero diventati la regola all ' e­ poca severiana (così come indicherebbero i testi giuridici o il discorso attribuito a Mecenate da Dio ne Cassio) [Norr, 699] . È opportuno senza dubbio essere meno perentori : le contrapposizioni che compaiono sulle diverse fonti dipen­ dono innanzi tutto d alla differenza della loro natura ; la do­ cumentazione è crudelmente lacunosa per il I secolo . Sol­ tanto uno studio che partisse dall' epoca repubblicana per­ metterebbe di m ettere in risalto tanto le co stanti quanto le evoluzioni nell ' atteggiamento dei poteri romani e delle cit­ tà . Allo stadio attuale della ricerca si può soltanto ritenere che l ' integrazione progressiva delle élite e la loro accetta­ zione del sistema romano sdrammatizzarono i rapporti tra governatori e comunit à , creando una solidarietà oggettiva poi accettata . La superiorità relativa della giustizia romana sulle giurisdizioni locali contribuì certamente a questa evo­ luzione .

La giustizia Gli ambiti di competenza di un ' azione giudi­ ziaria erano molto ampi e gli stessi giudici dovevano deci­ dere casi penali e amministrativi . Molte questioni , che per noi dipendono dall ' amministrazione, erano allora di com­ petenza del dominio giudiziario ; anche le dispute sui con­ fin i dei terreni (tra privati o tra comunità) erano sottoposte ai giudici . Il d iritto di rendere giustizia era una componente essenziale del l ' autonomia delle città e le giurisdizioni locali decidevano con sicurezza nella massa delle controversie quo­ tidiane . Per i municipi e, ovviamente , le colonie, le leggi municipali fissavano il limite delle somme in questione (li­ mite variabile secondo le città) , al di là del quale il caso era portato davanti al governatore , che , essendo l ' unico in gra.-

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do di emettere sentenze di condanna a morte , trattava tutte le cause capitali . S ' ignora il livello di competenza per le cit­ tà peregrinae, che indubbiamente variava secondo lo sta­ tuto delle comunità e le usanze ; m a erano rare quelle che avevano conservato , almeno all ' i nizio dell ' Impero , il dirit­ to di giudicare reati capitali . I governat ori rappresentav ano così u n ' autorità d ' appel­ lo in rapporto ai magistra t i delle città ; in particolare , essi giu dicavano le controversie tra città o tra le autorità locali e i notabili , i quali ri fiutavano le funzioni che erano loro attribuite o contestavano la legalità di certe decisioni del­ l' assemblea o del co n siglio . Inoltre le giustizie l ocali ave­ vano una cattiva reputazione; i cittadini romani e i notabili preferivano ricorrere direttamente alle corti provinciali . D ' altronde davanti al governatore venivano cond otte ope­ razioni che , per aver valore nel diritto romano , richiedeva­ no giuridicamente la partecipazione di un m agistrato ro­ mano : affrancamento di schiavi , alcune vendite , designa­ zioni di tutori e di curatori di persone . Le assise del governatore erano sovraccariche e la giu­ stizia rappresentava certamente la parte essenziale della sua attività civile . Ma il governatore non era il solo giudice ; secondo le procedure , egli rinviava la causa a una giuria , a un giudice da lui designato, o infine la trattava lui stes s o . I n particolare , l e giurie provinciali e le loro attività sono m al conosciute ; esse dovevano essere identiche o paragonabili a quelle organizzate da Augusto per la Cirenaica [ I editto di Cirene] : i giurati erano scelti dal governatore fra i notabili greci e i cittadini romani che possedevano il p atrimonio (as­ sai modesto) di 3 0 . 000 sesterzi . I questori di province se­ natorie avevano anche certe competenze giudiziarie e po­ tevano vedersi delegare alcuni poteri da parte dei proconsoli . I cavalieri go v ernatori , procuratori o prefetti , amministra­ vano la giustizia allo stesso titolo dei senatori , con restri­ zio ni concernenti i cittadini romani , almeno fino al princi ­ pio del I I I secolo [Mi l lar , 6 1 7 ; 6 1 8 ; P flaum , 62 1 ] . Grazie alle assise regolari e ai viaggi del governatore , la giu­ stizia romana precedeva le lagnanze ; ma il sistema era pesante, lento e costoso [Burton , 608] . Occorreva innanzi tutto , con un a

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petizione , fare accogliere la causa; la convocazione, in una città talvolta lontan a , non garantiva di essere ascoltati . Il giurista DI­ piano chiedeva che le cause fossero trattate secondo un ordine fissato , per « far fronte all 'onorabilità e alla disonestà dei quere­ lanti» [Dig. , l , 1 6 , 9, 4] : uno statuto sociale elevato o la corru­ zione assicuravano la precedenza e le persone più modeste non sempre erano ascoltate . Certi querelanti erano rimandati da un luogo di assise a un altro ; a causa della lentezza della procedura e delle possibilità d ' appello (eventualmente fino a Roma) , sol­ tanto i più ricchi potevano condurre a termine un processo . I l IV discorso sacro di Elio Aristide presenta in modo vivace il funzionamento della giustizia nella provincia d 'Asia . Per fare riconoscere la propria immunità quando era stato designato a ca­ riche locali , il retore andò un anno da Efeso a Pergamo , poi a Smirne , e di nuovo a Pergamo ; u n ' altra volta delegò il proprio intendente a Filadelfia, nel profondo della Lidia; ingaggiò avvo­ cati , mandò servitori , assediò i proconsoli e i loro legati con let­ tere e visite ; uno solo di questi casi gli venne a costare 2 . 000 se­ sterzi (due volte il mantenimento annuale di una famiglia) in spese di viaggio , onorari legali , tributi e mance sottobanco ai segretari . Inoltre egli ci mostra come , di fatto , riuscì a prevalere grazie alla sua notorietà e alle sue amicizie negli ambienti dirigenti .

Da Claudio in poi i procuratori finanziari potevano de­ cidere i processi fiscali , il che comportava regolarmente con­ flitti di competenza con i governatori . Nelle province im­ periali (e, nel I I I secolo , certamente in tutto l ' Impero) essi rivendicavano per il fisco imperiale i beni vacanti (senza proprietari o eredi noti) o caduchi (che gli eredi non pote­ vano ottenere legalmente) . I l gran numero di casi in cui era in gioco l ' interesse dell ' imperatore , la loro proverbiale avi­ dità , così come l ' attegg i amento dei provinciali che deposi­ tavano lagnanze presso di loro , comportarono l ' estensione progressiva della giurisdizione dei procuratori [Millar , 6 1 7 ; 6 1 8] . Inoltre Adriano creò gli avvocati del fisco per dife n­ dere gli interessi del fisco imperiale nei processi ; questi giu­ risti professionisti , reclutati tra i cavalieri , erano al servizio dei procuratori delle province o di giurisdizioni particolari . Ma fu mantenuto un principio : i procuratori che non go­ vernavano una provincia non avevano giurisdizione pena­ le ; il loro p otere coercitivo era limitat o : se potevano im-

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porre le cauzioni , non avevano il diritto di mettere in carcere i contravventori . Non sappiamo con precisione come fosse normalmente resa giustizia ai provinciali che non appartenevano a co­ munità con propri magistrati per dettare il diritto (villagg i , insediamenti vicini agli accampament i , domini imperiali) . In Egitto i centurioni che comandavano i di staccamenti , du­ rante le campagne , si presentavano spesso come giudici di prima istanza, sia che avessero ricevuto una delega sia, piut­ tosto , che gli abitanti si fossero rivolti loro come agli unici rappresentanti locali del potere romano [Campbel l , 5 5 6] . I centurioni che si trovavano in Siria nei villaggi non colle­ gati alle città potevano esercitare una funzione simile . Nei grandi domini imperiali i procuratori avevano vastissime competenze , che spesso dovevano anche superare ; in par­ ticolare il loro potere di coercizione era più ampio di quello degli altri procuratori finanziari .

Le finanze Le finanze erano nettamente separate dalla giu­ stizia e dall' amministrazione propriamente detta ; m a le re­ sponsabilità appartenevano ai controllori piuttosto che agli amministratori . Nelle province senatorie il questore , che ri­ ceveva i tributi , era designato direttamente dal senato ; m a , più giovane e gerarchicamente inferiore , di fatto era s otto­ posto al proconsole . Nelle province i mperiali i procuratori imperiali erano indipendenti dai legati, anche se erano por­ tati a collaborare con loro e se erano gerarchicamente in­ feriori ; in quanto tesorieri-pagatori e autorità competenti per i mandati di pagamento delle spese pubbliche , essi ave­ vano una considerevole responsabilità. La coppia di pro­ curatori provinciali si occupava della base imponibile , di certe concessioni (in assenza di procuratori specializzati) e della raccolta, ma soltanto a un livello su periore , visto che il tributo era risco sso dalle comunità . La gestione delle cas­ se spettava a schiavi imperiali . D ' altronde i servizi specia­ lizzati (imposte specifiche , domini e miniere) dipendevano direttamente dagli uffici romani competenti . L a storia delle imposte dirette è molto complessa e co­ nosciamo soprattutto l ' evoluzione dei servizi doganali [De

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Laet , 6 1 1 ] . Se le grandi società appaltatrici che dissangua­ vano le province sotto la Repubblica scomparvero all' ini­ zio dell ' Impero [«AE » , 1 968 , 483 : pubblicani d ' Asia e di Bitinia testimoniati ancora nel 2- 1 a . C . ] , la concessione di numerose imposte indirette a certe società fu soppressa so­ lo progressivamente nel I e nel II secolo [per testimonianze tarde, «AE » , 1 966, 1 23 , metà del II secolo (5 0Jo sulla libertà in I talia) , cfr . E c k , 627 , p. 1 1 6 ; P flaum , 854, n. 1 93 (dazi dell' Asia , fin verso il 1 90)] . Si scelse spesso un sistema di gestione semidiretta: i pubblicani (conductores) dei dazi ave­ vano i propri impiegati , ma erano sottoposti al controllo dei procuratori provinciali o specializzati . Le miniere e i domini imperiali potevano essere appaltati ; ma in Asia non si trova traccia di conductores nelle cave di marmo (a con­ duzione diretta) né sui terreni imperiali (i cui contadini do­ vevano versare gli affitti ai procuratori) .

Le forme di am ministrazione diretta Se la città autonoma era la forma abituale di organizzazio­ ne collettiva, certe zone dell ' Impero ignoravano le struttu­ re civiche , almeno al principio della nostra era. Ma il ri­ corso all ' amministrazione diretta, attraverso funzionari dipendenti dall ' autorità provinciale , era raro . Esso si pre­ sentava in primo luogo come u n ' eredità dei regni ellenistici che non fu sistematicamente mantenuta .

L ,eredità ellen istica I regni ellenistici integrati al principio dell ' Impero avevano u n ' organizzazione burocratica, della quale l ' Egitto rappresentava la forma più compiuta . Au­ gu sto e gli imperatori del I secolo non seguirono l ' esempio audace d i P ompeo che, dopo aver trasformato in provincia il regno del P onto , lo aveva diviso in comunità cittadine . Forse l ' esperienza (largamente ridiscussa in occasione delle lotte della fine della Repubb lica) non era stata convincente; le nuove acquisizioni furono forse giudicate troppo arre­ trate , soprattutto laddove mancava un' aristocrazia elleniz­ zata abbastanza importante per fornire i quadri delle città autonome . In Egitto o in Cappadocia, lo statu quo fu in-

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dubbiamente considerato preferibile per continuare a trar­ re dalle province il massimo delle entrate . I n Egitto lo schema amministrativo dei Tolomei inizial­ mente non fu modi ficato [Jones , 695] . La circoscrizione di base , il nom o , era suddiviso in toparchie che raggruppava­ no i villaggi , mentre ogni grado era amministrato da fun ­ zionari . Ormai diretti da cavalieri , i servizi amministrativi rimasero concentrati ad Alessandria . Nell ' Egitto propria­ mente detto, solo i cavalieri erano epistrateghi , a capo di tre grandi distretti che raggruppavano i nomi . Gli altri in­ carichi erano svolti da « Greci » e , per il livello più bass o , da Egiziani . M a mentre sotto i Tolomei i responsabili erano funzionari di carriera, ora il personale amministrativo fu spesso reclutato per periodi brev i , almeno a partire dal I I secolo : gli strateghi d i nomi erano designati per tre anni e raramente rinnovati . I piccoli funzionari erano scelti all ' in­ terno di liste preparate dagli scribi , trasmesse dagli strate­ ghi agli epistrateghi . Parallelamente si sviluppò nelle metropoli (i capoluoghi dei nomi) una tendenza alla municipalizzazione : progressi­ vamente una parte delle funzioni relative all ' attività urba­ na fu affidata a magistrati eletti ; le loro competenze furono limitate prima che Settimio Severo trasformasse le metro­ poli in quasi-comunità cittadine, le quali disp onevano di consigli . Per tutto il I I I secolo , fino a quando Diocleziano creò delle vere città, si perpetuò una situazione ambigua : le metropoli dirigevano i propri affari urbani senza grandi in­ terventi da parte del potere centrale (ma senza diritti di giu­ stizia) e condividevano con gli strateghi l ' amministrazione dei nomi [in attesa della pubblicazione della tesi d i Marie Drew-Bear , cfr . Wegener , 772 e Drew-Bear , 8 84] . L ' evoluzione della Palestina fu lenta quasi quanto quel­ la dell' Egitto . Erode e i suoi successori fondarono centri urbani piuttosto che comunità cittadine autonome e soprat­ tutto nella peri feria , al di fuori delle zone propriamente ebraiche; le vere città , come Tiberiade , erano anche centri di amministrazi one regia . Retaggio dell ' antica occupazio­ ne lagide , il regno erodiano originale era diviso in toparchie (dirette da strateghi) , che raggruppavano villaggi ammini­ strati da un funzionario nominato dal re . L ' annessione non

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modificò l ' organizzazione . L ' agitazione endemica dov eva fare preferire il controllo diretto ; inoltre , inizialmente, mol­ ti Giudei erano sicuramente o stili alla comunità cittadina, indissociabile dall ' ellenizzazione , e dunque dal paganesi­ mo . Dopo la grande rivolta schiacciata da Vespasiano e da Tito , alcune toparchie furono assorbite in comunità citta­ dine (nuove o vecchie ingrandite) , che erano nello stesso tempo strumenti di ellenizzazione . Ma il movimento di crea­ zione di città fu soprattutto attivo a partire da Settimio Se­ vero e zone di amministrazione centralizzata persistettero fin o al Basso l m pero . I l sistema b urocratico del regno di Cappadocia è cono­ sciuto soprattutto in base alla descrizione di Strabone [li­ bro 1 2] , anteri ore ali ' annessione da parte di Tiberio . Il pae­ se era diviso in undici strategie ; le città erano rare e soltanto alcune (forse cinque o sei) erano organizzate in comunità cittadine alla greca, spesso da poco tempo . Dopo l ' annes­ sione furono fondate città di tipo greco e alcune colonie; m a permasero vaste zone di domini regi divenuti imperiali, senza che si sappia precisamente come fossero amministra­ te [R . Tej a , A NR W, I l , 7 , 2, pp . 1 083 sgg . ] . L ' organizzazione in strategie si ritrova in Tracia. Nel regno esse raggruppavano le tribù dell ' interno , poco docili e b arbariche, ma anche una parte delle vecchie città greche della costa , la cui autonomia era ridotta; gli strateghi erano funzionari , che passavano da un distretto all ' altro . In oc­ casione dell ' annessione sotto Claudio , le città esistenti di­ ventarono autonome , mentre le strategie che comprende­ vano le tribù venivano moltiplicate (50, secondo Plinio il Vecchio , o soltanto 3 3 ) [Gerov , 647 ] . Ormai cittadini ro­ m ani per la maggioranza , gli strateghi continuarono ad es­ sere reclutati nell ' aristocrazia trace , spesso tra le famiglie che avessero fornito funzionari ai re [Gerov , 648] . I l siste­ ma di amministrazione diretta funzionò fi no al principio del II secolo ; Traiano e Adriano crearono comunità citta­ dine alle quali fu attribuito il territorio di tutte le strategie prima della fine del regno di Adriano . Al di là d elle differenze da una regione all ' altra , si no­ tano parecchi tratti in comune . L ' annessione non compor­ tò m od i ficazioni di strutture centralizzate, tutt ' al più adat-

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tamenti . L ' amministrazione regionale e locale era affidata ad autoctoni, diretti da funzionari superiori romani . Evi­ dentemente gli imperatori non cercarono di perpetuare per principio questo genere di amministrazione: un certo livel­ lo di sviluppo e l ' esistenza di una classe dirigente allineata permettevano di creare comunità cittadine autonom e . Il con­ trollo diretto persistette in certe zone di domini imperiali omogenei . Da un lato , poteva essere meno redditizio - in ogni caso più aleatorio - rinunciare, con la creazione di comunità cittadine , a rendite fondiarie in cambio di impo­ ste riscosse dagli stessi abitanti ; ma, oltre a ciò , l' organiz­ zazione in villaggi e in tribù non era molto propizia allo sviluppo di u n ' aristocrazia locale in grado di assumersi la responsabilità di una città autono m a . domini imperiali I domini imperiali erano proprietà private (personali o « della corona») , e come tali erano sfruttati . Come si è visto , alcuni costituivano veri e propri p rincipati (come il Cher­ sonneso di Tracia) e i più importanti erano esterni ai territori ci­ vici . La gestione delle proprietà e l ' amministrazione delle comu­ nità non furono mai affidate a responsabili diversi , il che implicava una confusione di poteri . In mancanza di uno studio globale su questi problemi , si vedranno Boulvert , 606; Crawford , 60 1 e Do­ mergue , 602 . Le regioni minerarie , comunque quella di Alj ustrel (P orto­ gallo) della quale si posseggono i regolamenti , sembrano sotto il completo controllo del procuratore responsabile della gestione delle miniere . Da lui dipendeva tutto ciò che , normalmente , era di competenza di magistrati e di un consiglio locale : egli autoriz­ zava e regolamentava le diverse attività artigianali nel paese; fis­ sava tanto l ' o rario di apertura dei bagni quanto il prezzo d ' in­ gresso ; poteva infliggere multe, confi scare i beni , espellere dal territorio gli uomini liberi, far vendere gli schiavi . In Italia e in province come l' Asia o l ' A frica , nelle quali i beni imperiali erano particolarmente estesi , furono create circoscri­ zioni regionali che raggruppavano i d iversi domini . I termini che li indicano sono differenti , e la loro utilizzazione non è sempre rigorosa: uno stesso complesso poteva essere chiamato « regio­ ne» , « tractus» (spazi o , zona) , « provincia» , o semplicemente « i domini» (saltus) . I n A frica Proconsolare il tractus di Cartagine era diretto da due procuratori , un cavaliere e un liberto imperia­ le; esso era suddiviso in regiones, amministrate da li berti impe-

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riali . In Oriente regioni demaniali affidate a liberti imperiali sono testimoniate sporadicamente in Beozia, in Pisidia , in Siria [Boul­ vert , 606 , p p . 2 1 3 - 1 4; « AE » , 1 982, 877] . I domini asiatici erano ripartiti tra parecchie « regioni» ; Adriano raggruppò quelli del­ l ' Est in una «provincia» di Frigia, diretta da un liberto . Almeno nelle p rovince senatorie , l ' amministrazione dei domini imperiali sembra particolarmente indipendente da quella della provincia: seguendo gli esempi africani e asiatici , i procuratori decidevano le controversie tra comunità, mantenevano l ' ordine senza riferir­ ne al proconsole e l ' imperatore era l ' istanza alla quale si appel­ lavano gli abitanti . Tuttavia queste « regioni» non erano sottratte alla provincia : prefetto del pretorio , poi imperatore, Filippo l ' A­ rabo rinviò le l agnanze degli A raguen ii di Frigia al proconsole d ' Asia [ARS, n. 289] . Nei domini esterni alle città , il mantenimento o la creazione di strutture locali autonome erano favoriti tanto dalla tradizione am­ ministrativa romana, quanto dall ' impossibilità di generalizzare una gestione prettamente burocratica (troppo costosa al di fuori di settori molto limitati come le miniere o le cave) . Le tribù e i villaggi dell ' Asia Minore , le cui terre erano diventate imperiali , erano riconosciuti come comunità (koinòn, dèmos) e conserva­ rono le proprie istituzioni [Frend , 923 ; «AE » , 1 973 , 498 ; 1 979, 6 1 6] ; la popolazione del Chersonneso fu considerata come èthnos, termine utilizzato abitualmente per le tribù [ «AE » , 1 924, 82, A driano] . Anche quando non risultava che la popolazione del dominio costituisse una comunità specifica, veniva ricono­ sciuta agli abitanti una certa personalità giuridica; erano anche tollerate istituzioni proprie che , spesso , si svilupparono . Nel l 1 61 7 i beneficiari del regolamento di Henchir Mettich , in Africa Proconsolare , erano presentati soltanto come « quelli che [abita­ no ? ] il dominio della tenuta M agna Variana» , ma avevano un « presidente» (magister) e un avvocato , sull ' esempio dei distretti o dei borghi che dipendevano dalle città. I coloni delle miniere di Dardania (Mesia Superiore) prendevano delle decisioni e , nel I I I secolo , avevano il proprio consiglio (ordo) : il distretto minerario aveva ottenuto un' organizzazione quasi civica [«AE » , 1 972 , 5 00] . Per gli stessi domini talvolta si ebbe un'evoluzione che li por­ tò a diventare comunità cittadine autonome . La situazione esatta delle zone minerarie della Dalmazia e della Mesia Superiore è di­ scussa [Dusanic, 603 ; Wilk es, 729b] . I centri amministrativi di­ ventarono municip i , nei quali il procuratore sosteneva ancora una parte importante [CIL , I I I , 1 2 7 3 3 , Domavia (Dalmazia) , del 2 1 8] ; m a certe miniere poterono rimanere fuori dal territorio munici­ pale . In Germania Superiore, il saltus di Sumelocenna , diretto da

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due magistri e da un ardo nel I I secolo , era diventato città di pieno diritto nel I I I [/LS, 7 1 00 ; C/L , X I I I , 6834; cfr . Wilmanns , 702] , come certi paesi nei domini della regi one del Setif (Maur i ­ tania Cesariana) [Gascou , 7 1 2 , p . 254] . In Frigia, dal I I I al I V secolo , alcuni domini fu rono promossi città o associati a una co­ munità vicina . L ' autonomia più o meno ampia , che poteva arrivare fino alla trasformazione di una proprietà imperiale in una comunità cit­ tadina autonoma, permetteva agli imperatori di sgravare i loro funzionari di una parte dei carichi amministrativi , senza rinun­ ciare affatto ai proventi che questi carichi assicuravano . M a pro­ prio come l ' abbandono dei sistemi centralizzati ellenistici , queste concessioni , che sem b rano essere state moltiplicate nel II e I I I secolo , dimostrano chi aramente che l ' amministrazione diretta n on era vista dal potere imperiale come un sistema perfetto da salva­ guardare , e perfino d a estendere ; se era resa necessaria dalle esi­ genze di gestione , essa era anche imposta inizialmente d alle con­ dizioni di acquisizione delle terre e d ali ' immaturità socio-cul­ turale degli abitanti .

Prefetti di tribù e di com un ità cittadine La R epubblica ro­ mana puniva le città italiche ribelli privandole di ogni strut­ tura civica, cosa che equivaleva alla pena di morte per le persone ; da Roma venivano inviati prefetti per am ministra ­ re le comunità decadute . Sotto l ' I mpero , i prefetti di tribù o di città erano gli ered i di q uei prefetti , perché dovevano ormai la propria autorità a una delega imperial e . M a il ti­ tolo implicava che le collettività loro affidate , comunità cit­ tadine o tribù , non perdessero più completamente la pro­ pria personalità giuridica . Questi agenti imperiali si trova­ vano in molte regioni d ' O ccidente , sia annesse recentemen­ te, sia endemicamente agitate (come la Sardegna) . L ' istitu­ zione è difficile da circoscrivere , in primo luogo perché concerneva regioni poco evolute, nelle quali la documen­ tazione è rara; inoltre , il titolo di prefetto comportava cer­ tamente respons a bil i tà che variavano secondo le regioni e le zone [Letta, 660; Leveau , 649 ; M 6csy, 5 80 ; 650] . Co­ munque sia, la prefettura presupponeva che l ' autorità fos­ se esercitata in nome del potere romano e in modo autori­ tario : a proposito dell ' Armenia Maggiore , Plinio il Vecchio

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stabilisce l ' equivalenza tra le strategie , circoscrizioni dei re­ gni centralizzati , e le prefetture . In epoca giulio-claudia le prefetture erano una delle for­ me dell ' amministrazione militare impo sta a popoli tradi­ zionalmente ribelli o dopo una rivolta. I prefetti erano mi­ litari , centurioni , primipili o ufficiali equestri ; sotto Augusto , C . Bebio Attico , ex primipilo uscito dal pretorio , fu pre­ fetto delle città della M esia e di Treballia , poi delle città montane delle Alpi marittime [Pflaum , 8 5 4 , n. 1 1 ] . Spesso i prefetti accumulavano il comando di un' unità e la sorve­ glianza di popoli più o meno numerosi . Sotto Augusto o Tiberio , Sesto Giulio Rufo era responsabile dell' interno del­ la Sardegna in qualità di «prefetto della coorte dei Corsi e delle città della Barbaria» [/LS, 2684] ; sotto Claudio o Ne­ rone , L . V olcacio Primo fu « prefetto della riva del Danu­ bio e delle due città dei Boi e degli Azali » in P annonia [/LS, 2737] . Tanto il cumulo delle cariche civili e militar i , quanto l ' importanza di certe competenze - «le sei nazioni getule che sono in Numidia» [/LS, 272 1 , Nerone] , 63 o 62 città della regione di Mactar (A frica Proconsolare) [«AE » , 1 963 , 96 , Traiano ; CIL , V I I I , 23599, del 1 5 7] - implicavano che questi « u fficiali degli affari indigeni» fo ssero a capo delle istituzioni tradizionali piuttosto che rappresentar le nella ge­ stione quotidian a . Essi dovevan o , in particolare, riscuotere i tributi , come quel primipilo la cui avidità spinse alla ri­ volta i Frisoni degli attuali Paesi Bassi [Tac . , A n n . , 4, 7 2 : 28 d . C . ] . La nomina di questi prefetti corrispondeva a una tappa obbligata per popoli poco evoluti e che mal sopportavano il giogo romano? Certe comunità erano collocate sistema­ ticamente e permanentemente alle dipendenze di ufficiali nel periodo successivo all ' annessione [Mocsy] o si trattava sempre di una situazione eccezionale e temporanea? La ra­ rità della documentazione non è un indizio per preferire la seconda ipotesi . Bisogna prob abilmente considerare due ti­ pi di situazioni . In province molto vaste (come l ' insieme Acaia-Macedonia-Mesia al principio dell ' Impero) , su con­ fini mal controllati come nelle circoscrizioni tradizionali , precedenti all ' annessione (come il «paese» della regione di M actar , in A frica) , alcuni ufficiali di stanza nella regione

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poterono avere regolarmente attribuzioni civili , il che li avrebbe avvicinati ai prefetti responsabili di zone dipen­ denti da legati imperiali (come la Commagene , le B aleari o la Palestina) . Altre nomine poterono es sere casuali e ri­ spondere alle necessità di un periodo agitato . Una tappa sembrava superata quando un titolo romano si aggiungeva a una funzione tribale tradizionale . Sotto i Flavi , nelle pro­ vince danubiane, i capi abituali dovevano la propria auto­ rità , nello stesso tempo , alla loro posizione presso il loro popolo e a una nomina da parte del potere romano , che valeva l 'investitura e conferiva forse poteri particolari ; si trovano anche «addetti e principi degli !apodi» in Dalma­ zia [C/L , I I I , 1 4324; 1 43 26] o un « principe prefetto degli Scordisci » in Pannonia [«AE » , 1 95 8 , 7 3 ] . Dopo i Flavi non sono più citati i prefetti militari nelle province europee; in compenso la prefettura delle tribù si perpetuò in A frica del Nord [oltre Leveau , 649 , cfr . C. Le­ pelley , Mélanges W. Seston , Paris 1 974, pp . 285 sgg . ] . Nel­ le zone più tranquille , essa sembra affidata a notabili re­ gionali privi di esperienza militare specifica; in M auritania venivano anche designati u fficiali di unità ausiliarie . Nei periodi di tumulti e fin o al Basso Impero , capi locali furo­ no investiti dell ' autorità di prefetto nelle zone non muni­ cipalizzate della Mauritania : gli uomini di fiducia erano scel­ ti nelle tribù stesse e la designazione doveva o ffrire un prestigio o un potere abbastanza importante perché il titolo di prefetto fosse conservato fino al VI secolo nei principati berberi ormai indipendenti . L ' assenza di struttura civica ha potuto giustificare la lunga durata della designazione cor­ rente di prefetti . Che tribù dell ' A frica del Nord non fosse­ ro mai state riconosciute come civitates implicava un lega­ me con le loro strutture tradizionali o, dal punto di vista romano , uno stato di barbarie che legittimava il ricorso a un sistema autoritario , umiliante per vere comunità civi­ che . Ma, parallelamente , la persistenza delle strutture tri­ bali per noi è solo l ' aspetto più evidente di una resistenza alla romanizzazione e, dunque , di un pericolo almeno po­ tenziale per le zone romanizzate vicine . I n villaggi non dipendenti da città e situati nell ' H auran , sui confini tra l ' Arabia e la Siria, si trovavano , in partico-

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lare alla fine del I I secolo , centurioni delle legioni di stanza in queste province; essi sembravano beneficiari o respon­ sabili di dediche [p . es . , !GR , I I I , 1 1 1 4 e 1 1 79, del 1 69; 1 262 , del 1 8 5 -86] . I l loro rapporto con la comunità non ve­ niva mai precisato ed essi non si sostituivano alle autorità dei villaggi . Potevano comandare piccoli distaccamenti che proteggevano i villaggi contro i montanari o i nomadi ; ma nel contesto dei documenti , essi sembrano piuttosto rap­ presentanti dei governatori nelle regioni più remote , in cui le comunità erano numerose e abbastanza modeste , prive di dignità civica . Nelle zone arretrate della Dalmazia certi sottufficiali poterono compiere funzioni simili [Wilkes , 729b , pp . 1 26-27] . Nel l ' insieme dell ' Impero il controllo diretto delle comu­ nità normalmente autonome non si esercitò mai se non in situazioni eccezionali , soprattutto in zone marginali , che male accettavano la loro integrazione nel sistema romano , spesso nel periodo che seguiva un ' annessione difficile . Si perpetuò soltanto nelle regioni che ignoravano le vere strut­ ture civiche .

Le pratiche am m in istrative e i ricorsi degli amm inistrati « Neppure repugnavano a codesto stato di cose le province, s fiduciate del governo di senato e popolo , per le rivalità dei p otenti e l ' ingordigia dei funzionari , e resosi ormai sterile ogni ricorso alle leggi , sovvertite dalla violenza , dall ' intrigo e d alla corruzione» . Il m iglioramento dell ' amministrazione provincial e , sotto Augusto , in ogni caso una riduzione dello sfruttament o , come ricorda Tacito [A nn. , l , 2] , è general­ mente ammesso dagli storici ; tuttavia si è recentemente in­ sistito sulle insufficienze dell' amministrazione imperiale e messo in guardia contro ogni idealizzazione : è sicuramente necessario prendere le distanze di fronte a panegirici come l ' Enco m io di R oma di Aristide o a lodi stereotipate nelle de­ diche agli imperatori e agli amministratori .

I ricorsi dei provinciali Dal 59 a . C . la legge Giulia sulla concussione (!ex Iulia repetundarum) permetteva ai sudditi

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di depositare lagnanze contro le estorsioni dei senatori , ai quali era vietato arricchirsi nel corso dei loro incarichi o attentare ai diritti di comunità o di persone . Sotto l ' Impero si potè intentare causa ai membri della cerchia del gover­ natore e ai cavalieri . Accolta l ' accusa dopo l ' indagine , la causa era giudicata dal senato o dall' imperator e . I quere­ lanti erano cittadini privati , comunità o consigli p rovincia­ li . S ' ignora se fosse facile per i provinciali sporgere denun­ cia : sotto Claudio un magistrato di Cibira (Asia) ottenne il trasferimento di un funzionario ; ma i Giudei di Alessan­ dria non potevano presentare ricorsi contro il governatore senza il suo consenso e, sotto Adriano , i Greci di questa città si lamentavano che il prefetto bloccava le loro lettere [Brunt , 607] . P er ottenere che le loro condizioni miglioras­ sero , le comunità si rivolgevano direttamente agli impera­ tori , per lettera e , soprattutto , per mezzo di amb asciate , che F . Millar ha studiato a lungo [3 5 5 , pp . 3 6 3 sgg . ] . L ' im­ peratore era il rifugio contro le decisioni degli amministra­ tori o le loro usurpazioni : un municipio della Betica si ap­ pellò ad Antonino contro una decisione del proconsole concernente delle eredità («AE » , 1 984, 5 1 1 , del 1 5 9] . Ma l ' imperatore concedeva anche dei favori : Tito condonò a Munigua (Betica) le imposte che non poteva p agare («AE » , 1 962 , 2 8 8 ] . Subissati d i ambascerie , gli imperatori cercaro­ no , con un successo mediocre , a quanto pare, di limitare il loro numero e la loro importanza . L ' imperatore aveva il dovere di correggere le ingiustizie, ma si ignora in quali pro­ porzioni le richieste fossero soddisfatte . Si commemorava­ no epigraficamente solo i successi , e i rifiuti imperiali sono conosciuti solo eccezionalmente : così Cirene fece incidere delle lettere d i Antonino , nelle quali respingeva le pretese d i due città della Cirenaica che contestavano il s u o primato [J . Reynold s , « J R S » , 68 , 1 97 8 , pp . 1 1 1 sgg . ] . Vissute dai provinciali come vittorie, certe risposte imperiali non risol­ vevano i problemi di fondo : poiché gli abitanti del villag­ gio di Scaptopara si lamentavano delle estorsioni di fun ­ zionari e di soldati , Gordiano I U li indirizzò al governatore della Tracia, il quale tollerava questi misfatt i , come del re­ sto Filippo l ' Arabo rinviò al proconsole d ' A si a dei coloni

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imperiali impoveriti dalle requisizioni di trasporti [A RS, nn . 287 , 289] .

Le assem blee regionali e provinciali Intimamente associa­ te al culto imperiale , le assemblee provinciali erano istitu­ zioni a m argine dell ' organizzazione provinciale romana; piutto sto un p otere parallelo che un contropotere, esse rap­ presentavano una forza in grado di limitare gli abusi e di ottenere soddisfazione p iù efficacemente delle comunità o dei privat i . J . D eininger ce ne ha dato lo studio fondamen­ tale [636] . Ma legittimamente desideroso d ' insistere sulle differenze regionali e di opporsi a Mommsen , il quale as­ seriva che le assemblee erano state create sistematicamente da Augusto , egli ha adottato un atteggiamento minimali­ sta, non dando indubbiamente importanza sufficiente a cer­ te lacune delle font i . D ocumenti pubblicati dopo il suo li­ bro fanno nascere dubbi su alcune delle sue affermazioni : testimoniano tanto una struttura comunitaria in Cirenaica quanto l ' esistenza del culto imperiale provinciale in Siria fin da Augusto . Se i generi di organizzazione sono mutati secondo le regioni e le epoche , tuttavia le province o i com­ plessi regionali si videro riconoscere molto presto la possi­ bilità di azioni collettive , che implicavano un minimo di so­ lidarietà e di organizzazione comunitaria. La provincia o la regione erano normalmente considerate come una « comu­ nità» (in greco koinòn , in latino com m une) e gli abitanti visti come un popolo unico . Assemblee regionali esistevano in epoca ellenistica in Ga­ lazia , a Creta e a Cipro ; in Licia la struttura federale non fu modificata dall ' annessione . La Sicilia e l ' Asia avevano le loro assemblee sotto la Repubblica . Fin dal 29 , Ottaviano riorganizzò i koinà d ' Asia e di Bitinia , legati ai templi del culto imperiale costruiti a Pergamo e a Nicomedia; durante la vita di Augusto alcuni koinà furono istituiti nelle altre province orientali , così come in Galazia, più o meno in oc­ casione del l ' annessione . Nel 1 2 a . C . Druso dedicava di fron­ te alla colonia di Lione , alla confluenza della Saona e del Rodano , l ' altare di Roma e di Augusto , il cui culto concer­ neva le 60 (poi 64) città delle tre province della Gallia Tran-

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salpina. Il culto provinciale fu introdotto progressivamente nelle antiche province d ' Occidente : fin da Tiberio in Spa­ gna Tarragonese, ma solo sotto Vespasiano in Africa Pro­ consolare e nella Gallia Narbonese . I n compenso, esso ve­ niva organizzato poco dopo l ' annessione delle province nuove : sotto Claudio in Britannia e, senza dubbio , in Mau­ ritania; fin dal 72 in Armenia Minore . Lo si può conside­ rare generalizzato nel II secolo , con l ' importante eccezione dell' Egitto . Per lo più , la comunità riunita intorno al culto imperiale cor­ rispondeva a una provincia. Ma in Oriente formavano u n koinòn popoli fortemente individualizzati : in Licia-Panfilia, le città di Panfilia avevano la propria struttura, abbastanza debole , distin­ ta però dall ' antico ko inòn licio ; nel Ponto-Bitinia , il koinòn di Bitinia stava accanto a quello del Pont o , che sembrava aver rag­ gruppato le città pontiche della provincia e quelle associate (se­ condo i periodi) alla Galazia o alla Cappadocia. L e antiche co­ lonie greche del mar Nero occidentale avevano la propria organizzazione, separata da quella della Mesia I nferiore . Nella Grecia vera e propria furono duraturi soltanto i koinà regionali , il più importante dei quali era quello degli Achei , che raccoglieva la maggior parte delle città peloponnesiache . Inoltre , all 'interno di una provincia unita i n koinòn , certe re­ gioni avevano la propria organizzazione comunitaria e un culto imperiale specifici . Così erano riconosciuti antichi particolari­ smi , come quello della Liburnia in D almazia, mentre il vecchio koin òn degli Ioni persisteva in Asia. I n Anatolia centrale, la par­ te della Licaonia unita alla Cilicia, a metà del II secolo , costituì un proprio koinòn , come le regioni vicine d ' l sauria e di Pisidi a . Nella Spagna Tarragonese le istituzioni dei con ventus regionali ebbero una grande vitalità. A metà tra la collettività locale e la provincia, fattori di unità regionale , queste entità conosciute ma­ le meriterebbero uno studio specifico [cfr . E . Kornemann , s . v . «koinon » , i n RE, Suppl . 4 , 1 924 , coli . 929 sgg . ] .

I l culto imperiale condizionava l ' organizzazione comu­ nitaria e rappresentava l ' aspetto essenziale dell' attività del­ le autorità provinciali . Le collettività locali designavano rap­ presentanti che formavano il consiglio provinciale . In Gallia, in Licia e in Asia è certo che il numero dei delegati era in relazione all ' importanza delle città . I n Licia le città più mo­ deste si associavano per designare un ambasciatore . I l con-

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siglio eleggeva per un anno un sacerdote provinciale u nico , chiamato flamine della provincia o sacerdos (sacerdote) in O ccidente; in Oriente , oltre al gran sacerdote (arch ierèus) , si trova spesso un titolo co struito sul nome della provincia: pontarca , galatarca . . . L ' Asia faceva eccezione : per soddi­ s fare l ' orgoglio delle grandi città, i luoghi di culto e, paral­ lelamente, i gran sacerdoti furono moltiplicati ; nel II seco­ lo si eleggevano cinque asiarchi , e cinque città (Pergam o , Smirne , E fes o , Cizico e Sardi) erano « neocore» , custodi di un tempio , almeno , del culto imperiale . Poiché dovevano assumersi una parte di spese , in particolare offrire spetta­ coli , i sacerdoti appartenevano all ' élite sociale della pro­ vincia [Alfoldy , 87 3 ] . Normalmente il con s iglio si riuniva nella capitale pro­ vincial e ; ma le eccezioni sono numerose e testimoniano un ' organizzazione indipendente della struttura provinciale roman a : così le sedute si tenevano a Berea in Macedonia e non a Tessalonica; a Filippopoli in Tracia e non a Perinto o, anche , a Sabaria e non a Carnuntum , in P annonia Su­ periore . In parecchie province anatoliche si tenevano a tur­ no in diverse citt à . Possedendo proprietà (quello delle Gal­ lie p o ssedeva m iniere di ferro) e ricevendo contributi dalle città , il consiglio era finanziariamente indipendente e aveva la propria amministrazione . Simbolo di autonomia, la Da­ cia e le province orientali batterono più o meno regolar­ m ente moneta (fino alla metà del I I I secolo nel Ponto , in M acedonia, in D acia e a Cipro) . Le assemblee erano l ' occasione dei grandi raduni popo­ lari , mentre gli spettacoli erano accompagnati da distribu­ zioni e da banchetti . L ' unità della provincia si manifestava in primo luogo con gli omaggi resi all ' imperatore vivente e ai suoi predecessori . M a , parallelamente , il consiglio era il difensore degli interessi provinciali contro gli abusi dell ' am­ ministrazione . Esso votava statue o decreti in lode degli am­ ministratori , e queste decisioni non devono essere conside­ rate come automatiche e prive di contenuto : Tacito descrive governatori che arrivano a sollecitare questi atti di ricono­ scenza [A n n . , 1 5 , 2 1 ] . P arallelamente, esso decideva le im­ putazioni contro i governatori e i procuratori usciti di ca­ rica ; il celebre «marmo di Thorigny» dimostra che in Gallia

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i delegati dovevano essere debitamente investiti di u n inca­ rico dalla loro patria per intentare un ' azione giudiziaria [P flaum , 64 1 ] . I processi che ne conseguivano sono noti soprattutto grazie a Tacito e a Plinio il Giovane : nel 22 e nel 23 l ' Asia fece condannare un proconsole , poi un pro­ curatore equestre [A nn. , 3 , 66 ; 4, 1 5 ] ; Plinio descrive il pro­ cesso intentato dalla Betica a un proconsole e ai suoi acco­ liti , nel quale egli fu l ' avvocato della provincia {Ep . , 3 , 9] . Le nostre fonti sono assolutamente incomplete e privilegia­ no gli inizi dell ' Impero . Sono noti 3 6 processi per concus­ sione giudicati dal senato [Talbert , 3 5 2 , pp . 506 sgg . ] ; essi risalgono tutti al I secolo e al regno d i Traiano , m a non se ne può inferire che siano stati meno numerosi i n seguito . Sono soprattutto testimoniati per le province senatorie (la Betica e la Bitinia sembrano essere state particolarmente litigiose alla fine del I secolo e al principio del Il) . I n fatti era forse più facile ottenere risarcimento da un proconsole che da un agente dell ' imperatore ; inoltre questa procedura poteva concernere soltanto le regioni più civilizzate , in gra­ do d ' inviare avvocati persuasivi e con appoggi a R om a : al principio dell ' Impero le regioni meno evolute manifestava­ no con rivolte la propria insoddis fazione . Le assemblee provinciali non devono essere viste come i centri di u n ' opposizione « nazionalistica» : la devozione al­ l ' imperatore e l ' adesione al sistema romano erano indisso­ ciabili dal loro ruolo difensivo , innanzi tutto perché erano l ' em anazione degli strati dirigenti delle province , prestissi­ mo solidali con l ' Impero . Piuttosto , anzi , esse contribui­ rono all ' integrazione delle province limitando le possibilità di arbitrio e creando nuovi rapporti tra i Romani e i pro­ vinciali, con scandalo dei « vecchi Romani » : «Un tempo , non il pretore o il console soltanto , m a anche privati si man­ davano a visitar le province , perché riferissero sulla fedeltà di ciascuno : popolazioni intere pendevano così trepidanti dal giudizio di un uomo solo . Oggi , all ' incontro , siamo noi che ci inchiniamo e corteggiamo gli stranieri» [Tac . , A n n . , 1 5 , 2 1 : discorsi di senatori nel 63] .

Le realtà dell 'amministrazione romana G iu dicato sotto Traiano , M ario Prisco , pro c onsole d ' Africa, aveva vendu-

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to per 300 . 000 sesterzi l ' esilio di un cavaliere e sette con­ danne a morte, per 700 . 000 sesterzi l ' eliminazione di un al­ tro cavaliere [Plin . , Ep. , 2, 9] . Dione fu accusato di avere spinto un proconsole di Bitinia a torturare , mandare in esi­ lio , fare mettere a morte cittadini di Prusa [Or. , 43 , 1 1 ] . Secondo Epitteto, un correttore delle città libere di Acaia poteva saccheggiare impunemente [3 , 7 , l O] . Questi misfat­ ti ricordano quelli denunciati da Cicerone alla fine della Re­ pubblica o dalle leggi del Basso I mpero . Così , per certi stu­ dios i , gli abusi sotto l ' Alto I mpero erano abituali e la loro riparazione limitata : se la pace in sé era un bene, non è cer­ to che il livello dell ' amministrazione fosse migliorato, e che gli imperatori avessero potuto mettere in pratica le loro buo­ ne intenzioni . R . M acMullen ha studiato la « brutalità» della giustizia ro­ mana e la corruzione d eli ' amministrazione [ 6 1 5 ; 6 1 6] . P. Brunt [607] ha raccolto tutti gli elementi che si opponevano a una difesa efficace degli amministrati : le possibilità di controllare gli agenti dell ' imperatore e del senato erano molto limitate ; le azioni dei provinciali al massimo si concludevano con compensazioni fi­ nanziarie ; gli accusati beneficiavano della solidarietà del senato , e talvolta della protezione dell ' imperatore . In definitiva l ' esalta­ zione ricorrente , da parte degli amministrati, dell 'integrità , del disinteresse, dell ' equilibrio degli amministratori , sarebbe la pro­ va migliore che prevalevano la corruzione , la violenza e l ' ingiu­ stizia. Queste revisioni si rivelano necessarie, di fronte a una vi­ sione tradizionale che idealizza all ' eccesso la pace romana e le sue virt ù ; ma se si insiste sulle tare evidenti , queste danno senza dubbio un quadro esageratamente fosco , trascurando le fonti con­ trastanti .

Anche se le azioni dei provinciali avevano risultati in­ certi e, al massimo , limitati , non si deve credere che siano state prive d ' importanza per gli accusati : alle indignazioni dei senatori riferite da Tacito [cfr . supra] fa eco il « m armo di Thorigny» , al principio del I I I secolo [ P flaum , 64 1 ] . Nel 220 Sennio Solenne, ricchissimo gran sacerdote delle Gal­ lie, fece mandare a monte un ' accusa contro l ' ex governa­ tore della regione liones e . I grandi favori che ottenne da quest' ultimo e dal suo successore danno la misura dei rischi corsi dal governatore : un processo poteva avere conseguen-

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ze molto incresciose per la carriera . Soprattutto occorre ri­ collocare questa amministrazione in un contesto più gene­ rale : se non era certamente irreprensibile, essa aveva minori difetti di quella delle comunità cittadine, in cui i grandi no­ tabili si tras formavano facilmente in tirannelli . Non si può dissociare la pratica amministrativa e giudiziaria dall ' ine­ guaglianza fondamentale sulla quale si basava la società, né dalla durezza e dalle tensioni che contrassegnavano tutti i rapporti umani [cfr . infra, pp . 407 sgg . ] . I diritti delle co­ munità e delle persone erano assolutamente precari : garan­ titi dalla legge o dai privilegi speci fici accordati dagli im­ peratori o dal senat o , essi potevano essere sospesi o aboliti quando l ' interesse pubblico (della città e , soprattutto , del­ l ' Impero) l ' imponevan o . Così il limite tra l ' esercizio legit­ timo del potere e l ' utilizzazione tirannica del potere legale era vago ; l ' interesse personale alterava i diritti legati a una carica quando misure giusti ficate dall ' utilitas publica era­ no viste dagli amministrati come minacce ai loro diritti . La realtà era indubbiamente s fumata, secondo le regio­ ni e le epoche, e il funzionamento dell ' amministrazione e della giustizia apprezzato in primo luogo dalle élite delle regioni integrate meglio . S fuggivano generalmente agli abu­ si , o potevano sperare di ottenere risarcimenti , i notabili protetti dal proprio rango sociale e dalle loro relazioni, così come le collettività che godevano di antichi privilegi , di una eccellente reputazione o della protezione di patroni poten­ ti . Al contrari o , i più deboli erano le vittime designate della corruzione , della violenza e dell ' arbitrio : gli u fficiali del­ l' epoca flavia non si comportavano in Britannia diversa­ mente da Verre in Sicilia nel I secolo a . C . [Tac . , A gr. , 1 9] ; in tutte le epoche i contadini dovettero sopportare estor­ sioni e brutalità . La cura della giustizia e della buona amministrazione, la benevolenza verso i deboli, fanno parte dei temi della propaganda imperiale . Le nostre fonti non permettono sem­ pre di distinguere esattamente tra intenzioni e realtà ; ma gli imperatori non erano privi di strumenti e alcuni riuscirono a limitare gli abus i : Svetonio deve constatare che D o mizia­ no , il prototipo del tiranno , «mise tanto zelo a reprimere

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gli intrighi dei magistrati urbani e dei governatori di pro ­ vincia , che questi non si mostrarono mai più disinteres sati né più giusti , mentre ne abbiamo visto un gran numero , dopo di lui , accusati di ogni misfatto» [Do m . , 8] . Certo era difficile anche per l ' imperatore più co scienzioso mantenere un livello elevato di amministrazione in tutte le cariche, dal momento che non poteva modificare profondamente la so­ cietà . Inoltre , il funzionamento stesso della macchina im­ periale era generatore di abu s i , che i provvedimenti dei go­ vernatori o degli imperatori non potevano abolire . Così , durante tutto l ' Imper o , furono denunciate le requisizioni illegali di abitazioni o di equipaggi di cavalli , di animali e di uomini da parte degli utenti della posta pubblica , che esau­ rivano le campagne attraversate dalle strade di grande co­ municazione [Mitchell , 6 1 9] . La molteplicità delle petizioni o delle decisioni a questo proposito dimostra in primo luo­ go l ' incapacità di fare cessare le estorsioni : senatori , cava­ lieri , m ilitar i , liberti e schiavi imperiali si comportavano co­ me una n omenklatura arrogante , in disprezzo dei regola­ menti - e certamente la tolleranza verso i loro abusi era il prezzo da pagare per amministrare l ' Impero . I Romani seppero sempre che la loro dominazione ave­ va possibilità di durare solo se fosse stata accettata, solo se un governo vantaggioso per tutti avesse disarmato l ' odio dei sudditi . La pace interna non fu certamente universale, né l ' amministrazione priva di difetti ; inoltre della prospe­ rità beneficiò soprattutto u n ' élite ristretta . Ma se il sistema funzionò soprattutto a vantaggio dei « buoni cittadini » , la stabilità interna e lo sviluppo dell ' Impero suggeriscono che la condizione dei più deboli non dovesse essere insoppor­ tabile: se gli Egiziani praticarono sempre la « fuga nel de­ serto » , solo nel Basso Impero appaiono i temi letterari del­ la fuga presso i Barbari da parte di Romani ridotti alla disperazione, o di un potere barbarico preferibile a un im ­ pero tirannic o .

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3. Gli Stati vassalli

« L ' Impero del popolo romano» non si limitava alle pro­ vince propriamente dette; si è visto che delle guarnigioni potevano essere di stanza all ' esterno delle province e che venivano mobilitate le forze militari di certe popolazioni . Nell ' epoca repubblicana propriamente detta , la provincia­ lizzazione vera e propria era soltanto una delle forme del­ l ' egemonia; infatti si ritrovano sotto l ' Impero g l i Stati clien­ ti che, almeno nell ' ottica romana, erano satelliti dotati soltanto di aut onomia i nterna. Ma l ' influenza romana si esercitava in modi diversi secondo le regioni e le epoche , in funzione dei rapporti di forza suscettibili di essere rimessi in discussione, .delle intenzioni degli imperatori, ma anche della natura degli Stati ; non si può dunque proporre uno Stato cliente t ipo . Ai due estremi dello spettro si trova , da un lato , un regno come l ' Armenia (Maggiore) , nella quale l ' autorità romana talvolta era puramente nominale e , al­ l ' opposto , principati parti inte g ranti delle province (come in Siria) , la cui autonomia era confrontabile con q u ella di comunità cittadine favorite . Il solo punto comune a tutti questi « amici e alleati del popolo romano» era indubbia­ mente la superiorità fondamentale di Roma, il che com­ portava rapporti che escludevano la parità e la reciprocità . Mentre il controllo indiretto era stato utilizzato in origine per Stati greci o ellenizzati , sotto l ' I mpero i clienti poteva­ no es sere considerati come arretrati politicamente e cultu­ ralmente , perché nei loro Stati le strutture tribali o centra­ lizzate avevano spesso la meglio sulle organizzazioni di tipo civico . Le nostre fonti sugli Stati satelliti sono molto ineguali . Fino all ' inizio del regno di Vespasiano , Flavio Giuseppe è t r a le fonti più preziose, in primo luogo per la storia della famiglia di Erode, re di Palestina , i cui discendenti fornirono sovrani in Siria fino alla fine del I secolo , e il cui destino e il cui ruolo furono certa­ mente confrontabili con quelli di altre dinastie orientali cono­ sciute meno bene . M entre Strabone ci dà un ricco quadro dell 'A­ natolia in epoca augustea , Tacito fo rnisce i n formazioni sparse, e spes so allusive , per l ' epoca giulio-claudia . Per il periodo succes-

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siv o , bisogna ricorrere soprattutto all ' epigrafia, alla numismati­ ca e all ' archeologia , che danno informazioni occasionali . È difficile stabilire una classificazione degli Stati clienti che tenga conto della loro importanza e del loro grado di autonomia, mentre la loro situazione fu , di fatto , fluttuante . La mancanza di una definizione giuridica, che precisasse le forme e i limiti del­ l ' obbed ienza , caratterizzava la maggior parte dei clienti : la di­ pendenza e i doveri derivavano dalla superiorità riconosciuta del popolo romano , accresciuta ormai dall ' onnipotenza dell ' impe­ ratore , e soltanto la situazi one locale ne fissava i limiti effettivi . Per principio il vassallo doveva il proprio potere all ' imperatore e i suoi obblighi non dovevano essere limitati . Una serie d ' i scrizio­ ni ritrovate a Volubilis mostra sfumature molteplici nei rapporti tra l ' autorità romana e una tribù maura ai confini dell ' I mpero , nel periodo che va da M arco Aurelio alla fine del I I I secolo [Fré­ zouls , 657] . I Baquati erano esterni alla provincia , dal momento che erano regolarmente innalzati altari nel I I I secolo «per con­ fermare la pace » ; ma la loro posizione variava. Il capo dei Ba­ quati era normalmente insignito del titolo di princeps; ma uno fu riconosciuto come re , mentre un altro fu chiamato «principe co­ stituito » , dunque designato grazie all 'autorità romana, e suo fi­ glio morì ostaggio a Roma . Certe iscrizioni mostrano l ' unione temporanea dei Baquat i a una tribù più forte, associazione che non era assolutamente patrocinata dall ' autorità romana , perché creava un potere più solid o . Questo eccezionale dossier d ' i scri­ zioni invita dunque a non confondere inferiorità con vassallaggio e dipendenza completa ; ma s ' ignora generalmente il margine di manovra di cui disponevano , nella realtà , i diversi Stati satelliti .

I diversi Stati In Oriente, Azio fu l ' occasione di una rior­ ganizzazione ; ma Ottaviano non sconvolse la carta ammi­ nistrativa e non ritornò sulla politica degli imperatores del I secolo , che stabilizzavano antiche dinastie o imponevano i propri protetti . L ' eliminazione di Cleopatra permise di re­ cuperare dei territori (come Cipro e la Cirenaica alienati da Antonio) e di allontanare alcuni fedeli di Antoni o , soprat­ tutto quelli che il triumviro aveva collocato a capo di co­ munità cittadine e che erano considerati « tiranni » ; ma la maggior parte dei dinasti fu confermata nei propri pos se­ dimenti , compresi coloro che dovevano tutto ad Antonio , come Am inta di Galazia o Archelao di Cappadocia . Al principio del regno di Augusto le province occupa-

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vano soltanto una parte dell ' Oriente romano . Nei Balcani la Tracia formava un blocco dall 'Egeo al Danubio . In Ana­ tolia, solo l ' Asia, il Ponto-Bitinia e una parte della Cilicia (unita alla Siria) erano province romane . Accanto ai due grandi regni di Aminta (Galazia) e di Archelao (Cappado­ cia) , si trovavano la Confederazione licia, regni meno im­ portanti come quelli del P onto , d 'Armenia Minore o di Com­ magene, e numerosi piccoli principat i . La provincia di Siria raggruppava città e tetrarchie governate da dinasti , e aveva ai confini piccoli regni (Calcide, Emesa) e quello , più va­ sto , di Erode imperniato sulla P alestina . La Galazia e la Cappadocia furono trasformate rapidamente in province (come del resto il regno africano della Mauritania) . Persi­ stettero soltanto Stati più modesti , che prima della fine del I secolo erano stati u niti a province . Traiano trasformò il pacifico regno nabateo nella provincia d ' Arabia. Quando si annesse la Mesopotamia, Settimio Severo lasciò soprav­ vivere la dinasti a osroena di Edessa. Da Augusto in poi il regno ellenizzato di Bosforo , a cavallo della Crimea e vici­ no all ' isola di Kertsch , fu soggetto a Roma. A prima vista la situazione era più netta i n Occident e , c o n la frontiera settentrionale stabilizzata, da Augusto i n poi , fin o a l Reno e a l D anubio, modificata soltanto dalle conquiste della Britannia, a partire da Claudi o , e della Da­ cia da parte di T raiano . Ma le annessioni lasciarono al loro post o , soprattutto sotto la famiglia giulio-çlaudia, i dinasti locali con il titolo di re (come in Britannia) o , più spesso , con il titolo di principe . P arallelamente, se il controllo di­ retto si rivelò impossibile al di là del Reno e del D anubio (ad eccezione dei Campi D ecumani e della Dacia) , la m ag­ gior parte dei popoli vicini all ' Impero furono resi vassalli o ridotti all ' impotenza ; ma l ' egemonia romana vi era più in­ certa e non fu mai definitiva .

Dipendenza e in tegrazione dei clien ti Nonostante il carat­ tere artificiale di ogni divisione , si prenderanno in conside­ razione gli Stati più integrati nel sistema romano , in so­ stanza quelli che dipendevanO dalle province o che furono in seguito assimilati .

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I sovrani apparivano come pedine su una scacchiera , in un gioco del quale Roma fissava le regole e pretendeva di essere l ' unico giocatore . I loro domini erano delimitati dal­ l ' imperatore, che li i n grandiva, li limava o li sopprimeva, secondo i propri interessi . I dinasti erano considerati soltan­ to come mandatari del popolo romano , visto che non pote­ vano controllare il proprio destino . La forma estrema è rap­ presentata dalle dinastie di C ozio nelle Alpi occidentali [660] o di Euricle di Sparta [652] , nel periodo in cui il sovrano aveva u fficialmente lo statuto di rappresentante dell ' impe­ ratore . Augusto lasciò un piccolo regno intorno a Susa a Cozio , figlio del re locale, ma come «prefetto delle città» [ILS, 94] ; anche il figlio di quest i , Donno , è ricordato come «prefetto delle città cozie» [ «AE » , 1 98 1 , 462] e di fatto Clau­ dio non modificò molto la situazione restituendo il titolo di re a un secondo figlio . I! favore di Augusto aveva fatto di C . Giulio Euricle i l padrone di Sparta; i l figlio e i l nipote con­ servarono i propri poteri sotto Claudio e Nerone, ma come procuratori dell ' imperatore [P flau m , 854, n . 24 bis] . La si­ tuazione dei tetrarchi della provincia di Siria o dei principi sacerdoti di Comana (autonomi all ' interno della Galazia fin verso il 34) non era certo molto diversa . Al di fuori del regno di Palestina, Erode agiva come «procuratore di tutta la Si­ ria» [Flav . Gius . , Beli. Jud. , l , 1 8 , 3 99] . Se gli Stati clienti avevano spesso un ' assise regionale an­ tica , si creavano anche insiemi eterogenei (come la grande Galazia d ' Aminta) talvolta ritagliati in parte su province (come il grande regno di Agrippa I ) ; alcuni dinasti riceve­ vano invece regioni non confinanti con i loro paesi d ' ori­ gine . Nel 54 Nerone inviò due dinasti siriani a regnare su alcune zone dell ' Armenia: Aristobulo , figlio del re di Cal­ cide, in Armenia Minore e Sohaem o , re di Emesa , nella vicina Sofen e . P arti montuose della Cilicia ritornarono ad Aminta di Galazia , poi ad Archelao di Cappadocia ; più tar­ di , sotto Claudio e Nerone, a Polemone , re del Ponto , e ad Antioco IV di Commagene [66 1 -64] . I l potere dei dinasti era molto precario [654] : essi erano frequentemente deposti (o restaurati) ; la trasmissione del dominio agli eredi non era mai garantita, come non lo era la durata dello Stato . Così , alla morte di Antioco I I I nel 1 7 .

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Roma e il suo Impero

Le diverse dinastie N . B . Q uesto quadro semplificato ha innanzi tutto lo scopo di mostrare il ca­ rattere instabile della situazione politica . Per la Siria meridionale cfr . la didasca­ lia sot to la carta a p. 260 .

A r c a : principato libanese , di Agrippa I I (di P alesti na) , ca . 5 0 / 92-93 .

Armenia M i n o r e : A rchelao di Cappadocia (20 a . C . - 1 4 d . C . ) ; ammini­ strazione roman a ; 3 8 - 5 4 d . C . : Kotys (del Ponto); 5 4- 7 1 d . C . : Ariste­ buio (di Calcide , Siria) ; ricongiunta alla Cappadocia nel 7 1 -7 2 d . C . Cappadoc i a : Archelao ( 3 6 a . C . - 1 4 d . C . ) ; regno accresciuto d all ' Arme­ nia Minore e comprendente la Cilicia Trachèia occidental e e il regno d i Tarcondimoto nel 20 a . C . Dall ' 8 a . C . al 1 4 d . C . , unione personale con il Pento Polemoniaco . Cilicia: situazione particolarmente complessa e discu s s a . P i ana di Cilicia (Pèdias) : città libere o dipendenti dalla Siria.

Cilicia Trachèia («aspra>>) : zona molto montuosa divisa tra dinastie lo­ cali e re esterni .

* L ' Ovest fu dat o , in partico lare , ad A m i nta di Galazia, poi ad Archelao di Cappadocia l (25 a . C - 1 4 d . C . ) e II ( 1 5 - 3 6 d . C . ) , i n fine ad Antioco I V di Commagene (3 8-72 d . C . ) . Dopo l ' annessione (72 d . C . ) , I otape , una figlia di Antioco , e il marit o , il re Alessandro (di Palestina) , vi mantennero un principato . .

* Più a est , lo Stato-tempio di Olba : dinastia dei Teucri d i , poi Polemone I I (del Bosforo) (4 1 ca 7 2 d . C . ) . . -

* A nord-est , regno d i Tarcondimoto ( 3 1 a . C . ) ( o dell ' Amano); ridotto per Tarcondimoto II (20 a . C . - 1 7 d . C . ) . I n seguito il sud-ovest (ricco) venne annesso alla Pedias (con Anazarbo), e i l Nord-Est fu dato ad Antioco I V di Commagene ( 1 7 ? 3 8 ? -72 d . C . ) .

C o m m agene : dinastia local e . Nel 1 7 Antioco I I I venne deposto ; l o Stato diventò una prefettura congiunta alla Siria fino al 3 8 d . C . Antioco I V : nominato r e nel 3 8 d . C . e presto deposto ; restaurato dal 4 1 a l 72 con un regno accresciuto . Da lui discesero senatori romani . Emesa : dinastia s acerdotale , deposta dal 3 0 al 20 a . C . ; la sua annessione avvenne dopo il 7 2 (forse con Domiziano) . La famiglia durò fin o a Eliogabalo (2 1 8 -22) . Galazi a : Aminta (3 6-25 a . C . ) . Territorio che superava l argamente i con­ fini della Galazia storica (grazie al favore di Antonio) . Diventò pro­ vincia nel 25 a . C . Lici a : federazione d i città annesse nel 4 3 d . C . D iventò provincia con la Panfi l i a . Statuto incerto sotto Nerone . P aflagon i a : dinastia filoromana; n e l 6-5 a . C . morte di Deiotaro Fila­ delfo e annessione alla Galazia . Pento Galatico : insieme di piccoli principati e di Stati-templi . Per lo più annessi alla G alazia nel 3-2 a . C . Zela e Comana fu rono templi auto­ nomi fi no al 34 d . C .

V. L 'influenza romana sull 'Impero

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Limite di regione storica Provincia romana

D 1:! •

·

Estensione massima dei domini di Aminta di Galazia, Archelao di Cappadocia e Erode di Giudea Piccolo principato o stato-tempio Colonia romana fondata da Cesare o da Ottaviano Augusto Colonia incerta

L ' Oriente siro-anatolico al principio dell ' I mpero .

Ponto Polemon iaco : Polemone I ( 3 7 - 8 a . C . ) governava u n regno d a i co n fini i ncerti [controllò i n certi periodi i l Bosforo (Crimea) e l ' Ar­ menia Minore] , che si estendeva lungo i l mar Nero (Ponto Cappado­ cico) fin o alla Colchide (Georgia) . Dall ' 8 a . C . al 14 d . C . i l Ponto fu associato alla Cappadocia . Fu forse annesso sotto Tiberio . P o lemone Il tenne il potere dal 3 8 al 63 , anno in cui fu deposto . Nel 6 3 il Ponto fu congiunto alla Galazi a .

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Roma e il suo Impero

� Provincia di Siria

� e sue dipendenze •

Colonia romana



Comunità cittadina membro deOe de per­ sonale , ma non si sa se si tratti d i una nozione legale o di un termine empirico , destinato ad evocare una situazione pri-' vilegiata [«AE » , 1 976, 649 , posteriore al 70] . Queste differenze spiegano il dibattito sull ' esistenza di un eventuale «diritto alle magistrature» (ius h onorum ) , al­ meno fino a Claudio : i nuovi cittadini si videro vietare le­ galmente da Augusto l ' ingresso al senato [Chastagno l , 667] o, come sostiene Sherwin-White [68 7 , pp . 234 sgg . ] , le loro difficoltà ad ottenere le cariche romane dipendevano dal­ l ' atteggiamento degli i mperatori e dei senatori? Giuridico o sociale, questo blocco non sembra aver interessato l ' ingres­ so nell' ordine equestre , che dipendeva d al solo imperatore . A partire da Vespasiano , i provinciali furono ammessi in senato senza d ifficoltà ma, in un primo tempo , in numero molto ridotto . I n epoca repubblicana i cittadini beneficiavano , in cam­ po penale , di garanzie legali che, nelle province , corrispon­ devano a una posizione privilegiata di fronte ai peregrin i soggetti ali ' arbitrio dei m agistrati e dei pro magistrati . Due episodi della vita di san Paolo mostrano che nell' Oriente della metà del I secolo la qualità di cittadino aveva m ante­ nuto tutto il suo valore [A tti , 1 6 , 1 9 sgg . ; 22 , 24 sgg . ; 25 , 6 sgg . ] . I magistrati della colonia romana d i Filippi (Mace­ donia) manifestarono un grande imbarazzo quando seppe­ ro quale fosse lo statuto del sobillatore che avevano fatto picchiare e gettare in prigione - decisioni legali verso un peregrin us. A dducendo la propria condizione di cittadino davanti al governatore della Palestina, Paolo evitò la tor­ tura, rifiutò di essere giudicato dalle autorità giudaiche e in fine ottenne di es sere rinviato d avanti al tribunale impe­ riale . La di ffusione progressiva della cittadinanza rese sempre

VI. Gli statuti delle persone e delle com un ità

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più difficile la rivendicazione di questi diritti ; in particolare l ' appello sistematico ai tribunali dell ' Urbe finì con il bloc­ care il sistema giudiziario . Inoltre la pratica ebbe la tenden­ za a porre sullo stesso piano i cittadini di bassa estrazione sociale e i peregrini: punizioni corporali e pene infamanti diventarono comuni per il popolino . Ma questa degrada­ zione della posizione penale del cittadino deve essere valu­ tata in funzione dei punti messi in rilievo da P . Garnsey [8 1 3 ] : i n ogni epoca , scandali e abusi mostrano una diva­ ricazione tra il diritto e la pratica; una posizione sociale elevata assicurò sempre a una minoranza un trattamento preferenziale e, per lo più , le riservò il pieno esercizio dei diritti riconosciuti legalmente a tutti i cittadini . Occorre s fumare l ' idea (abitualmente accettata) di un livellamento completo della condizione penale dei cittadi­ ni . Sotto C aracalla , Ulpiano ricordava che era passibile di procedimento penale un governatore che avesse fatto giu­ stiziare un cittadino senza !asciargli possibilità di appello o , semplicemente, lo avesse fatto torturare o frustare [Dig. , 48 , 6 , 7] . Non si tratta di una teoria arcaica , desueta nella pratica. In occasione delle persecuzioni contro i cristiani , Plinio il Giovane , governatore di Bitinia, rinviò i cittadini davanti a Traiano e, sessant ' anni dopo , il governatore del­ la regione lionese consultò l ' imperatore . In una lagnanza indirizzata a Commodo , i coloni di una proprietà imperiale africana accusarono un procuratore di aver fatto percuo­ tere e incatenare dei cittadini : questi contadini cono sceva­ no le implicazioni del loro statuto , di cui non aveva tenuto conto l ' agente dell ' imperatore . Più che il beneficio di privilegi penali aleatori (e , di fat­ to , condivisi con i « buoni cittadini» peregrini a partire dal II secolo) , il godimento del diritto privato romano giusti­ ficava il desiderio di ottenere la cittadinanza . Il conubium (diritto di intermatrimonio) imponeva che gli sposi fo ssero Romani per fare acquisire la cittadinanza ai figli , a parte i privilegiati che avevano il diritto di contrarre un matrimo­ nio romano con peregrinae (in generale ex soldati ausilia­ ri) . Se, come si è visto, il cittadino poteva continuare a vi­ vere secondo il diritto della propria patria, egli utilizzava a piacimento il diritto romano per regolare le proprie faccen-

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Roma e il suo Impero

de familiari , acquistare o trasmettere beni (commercium) . La legislazione romana era certamente più precisa e più evo­ luta rispetto ai molti diritti consuetudinari . Non lo era ri­ spetto al diritto vigente nelle città elleniche; ma nella mi­ sura in cui il diritto romano prevaleva in caso di contesta­ zione, esso era preferito per testamenti o transazioni . Nu­ merosi atti erano compiuti dal governatore o davanti a lui ; in questi casi si aggiungeva la garanzia dell ' autorità ro­ mana .

Cittadinanza romana e adesione all 'Impero Se si fa un bi­ lancio del suo contenuto , si coglie solo in modo incompleto la vera natura della cittadinanza roman a . In primo luogo la cittadinanza era una dignità derivante dall ' appartenenza al popolo che dominava il mondo civilizzato ; esservi innalzati aboliva l ' in feriorità e la subordinazione originate dalla con­ quista , dava ampia rassicurazione sulla propria superiorità sociale e, per alcuni , conferiva un brevetto di civiltà. Nel suo Encomio di Roma, Elio Aristide (un asiatico che il nome rivela come neocittadino) fornisce la visione di un intellettuale greco alla m età del II secolo , che certamen­ te riflette l ' ideologia u fficiale come i l pensiero di numerosi provinciali . «Nessuno degno del potere o della fiducia resta uno straniero ; esiste una democrazia universale sotto la di­ rezione di uno solo , il migliore dei capi» [En comio di R o­ ma, 60] . Roma e i Romani non sono più una città e un po­ polo comparabili ad altri ; le contrapposizioni tradizionali tra popoli , o tra Greci e barbari , sono superate : nell ' Impe­ ro la linea di demarcazione tra Romani e non Romani è ormai segnata [ § 63] . Ma Aristide non può dare una defi­ nizione precisa della cittadinanza e dei suoi rapporti con la cittadinanza locale. Tuttavia il diritto rimane netto : Roma era la patria comune di tutti i cittadini [Dig. , 50, l , 3 3 ] , la sua cittadinanza superiore alle altre ; una doppia cittadinan­ za era inconcepibile , perché avrebbe messo sullo stesso pia­ no J e due città o avreb be fatto della cittadinanza romana un semplice statuto onorario . Non è facile immaginarsi come questo doppio legame fosse vissuto , dal momento che la percezione della cittadi-

VI. Gli statuti delle persone e delle com un ità

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nanza romana variava indubbiamente secondo le regioni e il rango degli interessati . In Occidente l ' ampia diffusione della cittadinanza e delle istituzioni implicava l ' interioriz­ zazione della pratica del diritt o , la consapevolezza di ap­ partenere alla romanità . Sotto Settimio Severo , il cristiano africano Tertulliano utilizzava abitualmente i termini « Ro­ mani» , « cittadin i » , per indicare gli abitanti dell ' I mpero [p . es . , Apologet. , 3 5 -3 7 ] , mentre nell ' A frica Proconsolare era­ no numerosi peregrini e Latini . In compenso , benché cit­ tadini romani , i retori greci del I I secolo , rivolgendosi ai Romani , dicevano sempre «voi » . « Sono numerosi coloro che , in ogni città , sono concittadini vostri quanto di coloro che appartengono alla loro stessa razza» [Encomio di Ro­ ma, 64] : pur riconoscendo la differenza, Aristide riscon­ trava solo una parità tra le due cittadinanze . Inoltre la sua analisi sembra forzata, se confrontata alla testimonianza degli altri retori o delle numerose iscrizioni che mo strano le élite locali preoccupate innanzi tutto della loro polis. Bisogna dunque concludere che la diffusione della cit­ tadinanza , « salvaguardato il diritto della città d ' origine» , avesse rovesciato l a scala dei valori tra l e due patrie , quella di cui aveva parlato Cicerone? Per numerosi provincial i , la «patria di cittadinanza» non era forse u n ' entità abbastanza astratta, in grado di suscitare solo echi particolarmente de­ boli , mentre la «patria di natura» meritava devozione, li­ beralità e ambizione? In Occi dente la romanità era soltanto un quadro giuridico e amministrativo , ma corrispondeva a una civiltà considerata superiore : accedervi implicava, nel­ lo stesso tempo , acculturazione e promozione giuridica . In Oriente, l ' attaccamento alla cultura greca , come alle isti­ tuzioni poliadi e ai valori che erano a queste legati, spiega che ci si definisse « cittadino di Roma e di Lidia» in Licia [/GR , I I I , 5 26] e che la cittadinanza romana non aves se assunto il suo pieno significato se non per coloro che , mem­ bri degli ordini equestri e senatori , avevano la loro parte di responsab ilità nell ' Impero . Ma prim a di arrivare a conclu­ dere che la nozione di cittadinanza , a causa della sua dif­ fusione, avesse perduto signi ficato, bisognerà ricordare che Cicerone , originario di Arpino e desideroso di sostenere ruo­ li di prim o piano in Roma, cercava una legittimazione per

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Roma e il suo Impero

la pr�pria carrier a . I m agistrati di Arpino , suoi contempo­ ranei , condividevano forse la sua teoria delle due patrie? la loro concezione non era invece piuttosto confrontabile con quella dei notabili provinciali del II secolo?

L 'acquisizione della cittadinanza romana Sotto l ' Impero continuò l ' integrazione degli stranieri nella città, per mezzo della concessione della cittadinanza, tipica della storia di Roma . M a apertura e liberalismo (nel con­ fronto con la politica abituale delle città greche) non signi­ ficano lassism o ; fino alla concessione generalizzata della cittadinanza nel 2 1 2 , il suo conseguimento fu strettamente regolamentato , mentre un insieme di operazioni ammini­ strative assicurava la registrazione dei nuovi cittadini , pre­ venendo così le usurpazioni di statuto .

L 'acquisizione automatica I figli d i un matrimonio legit­ timo romano , i cui genitori fossero cittadini o il cui p adre godesse del con ubium , nascevano cittadini . Una cittadina trasmetteva il proprio statuto ai propri figli di padre ignoto [FIRA , I I I , n . 4] , mentre il figlio nato da un matrimonio legittimo con un peregrinus o con un lat ì n o , seguiva lo sta­ tuto del padre - il che poteva spingere a dichiararlo figlio naturale per assicurargli la cittadinanza . U nica evoluzione, a partire da Adriano , i figli di una cittadina e di un latino nacquero cittadini [Gaio , lnst. , l , 30] . Tradizionalmente un romano che affrancava uno schia­ vo , ne faceva nello stesso tempo un membro della propria famiglia e un cittadino . M a moltiplicando gli ostacoli giu­ ridici , la legislazione augustea rese difficile l ' accesso dei li­ berti alla piena cittadinanza fuori di Rom a . Dovevano es­ sere numerosi coloro che avevano soltanto lo statuto inferiore di latino giuniano o quello , miserabile , di peregri­ n us deditizio , non essendo m ai stati liberati o , in seguito , naturalizzati da un magistrato o da un governatore . Il servizio militare e l ' amministrazione di una città di diritto latino assicuravano quasi automaticamente la citta-

VI. Gli statuti delle persone e delle comunità

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dinanza . A partire da Claudi o , gli ausiliari peregrin i e latini si vedevano concedere la cittadinanza dopo lunghi anni di servizio o in occasione del congedo, a meno che non fos­ sero espulsi ignominiosamente dal l ' esercito . M entre la cit­ tadinanza era accordata soltanto ai militari e, fino al 1 40 , a i loro figli , il diritto latino permetteva l a promozione del­ l ' intero gruppo familiare . Effettivamente l ' esercizio di una magistratura (o il solo ingresso nel consiglio municipale del­ le città dotate del Latium maius) assicurava anche la natu­ ralizzazione dei genitori del notabile, della moglie , dei suoi figli e dei nipoti da parte dei figli . Se ritornava in ambiente peregrino in occasione del congedo , l ' ausiliare veterano si trovava isolato d al suo statuto , che i figli non potevano tra­ smettere ai propri discendenti , a meno che non sposassero cittadine . Al contrario il diritto latino comportava, fin dal­ la prima generazione, la creazione di un nucleo di cittadini nella comunità . In seguito i suoi effetti furono più limitati : ristretto ai notabili , il gruppo non si allargava più , se non per l ' ingresso di uomini nuovi nella classe dirigente .

La concessione viritana I civili , membri di una comunità peregrina , potevano ottenere la cittadinanza esclusivamen­ te a titolo personale , perché ormai solo l ' imperatore poteva accordare questa concessione individuale . Già conosciuta attraverso uno scambio di lettere fra Traiano e Plinio il Gio­ vane, che ottenne la naturalizzazione del medico egiziano Arpocrate [Ep. , l O, 5 -7] , la procedura è stata notevolmente chiarita dalla tavola di Banasa. Per acquistare la cittadi­ nanza per sé , per sua moglie e i suoi figli , il mauro Giuliano mandò alla cancelleria imperiale una richiesta (libe/lus) , ac­ compagnata da una raccomandazione del governatore (epi­ stula) . Per quanto cittadino e capo di tribù , suo figlio omo­ nimo dovette seguire la stessa procedura per fare n atura­ lizzare la moglie e i figli . Le decisioni furono prese nel con­ siglio imperiale; ma Traiano aveva seguito anche personal­ mente la pratica di Arpocrate. I due casi citati non sono certamente rappresentativi del­ le concessioni viritane abituali. Di diritto egiziano , Arpo­ crate doveva in primo luogo diventare cittadino di una co-

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Roma e il suo Impero

munità cittadina , per essere promosso romano . Marco Aurelio e Lucio Vero insistettero sul carattere di eccezio­ nalità della concessione ai Mauri : «non è usanza dare la cittadinanza romana a gen ti/es (membri delle tribù)» . Le resistenze erano certamente minori per notabili di città , so­ prattutto se essi stessi e la loro comunità possedevano un alto livello culturale . Ma il processo non doveva essere di­ verso : lungo e certamente costoso in spese legal i e brocche di vino . La cittadinanza era acquisita grazie alla raccoman­ dazione (suffragium) di un parente dell' imperatore o di un alto funzionario provinciale; e questo , secondo la tavola di Banasa , era un elemento della procedura . Normalmente , solo presentando tutte le garanzie di onorabilità e di ade­ sione al sistema imperiale si sarebbe dovuta ottenere la cit­ tadinanza . La procedura centralizzata spiega la promozio­ ne prioritaria dei grandi notabili che non soltanto control­ lavano la loro patria, ma partecipavano alle assemblee e al culto imperiale delle province : essi avevano l ' occasione di o ffrire garanzie al potere e di stabilire buoni rapporti con i governatori . M a , nei fatti , la selezione era resa meno rigo­ rosa dalla corruzione ; i suffragia erano monetizzati da fun­ zionari e alti personaggi : cavaliere tribuno di coorte , Clau­ dio Lisia confessò a san P aolo di aver pagato caro il diritto di cittadinanza [A tti, 22 , 28] . Il mantenimento di una procedura macchinosa esclude l ' idea correntemente espressa di una larga diffusione della cittadinanza romana in qualunque tipo di comunità . Nel­ l ' ambiente peregrino la naturalizzazione rimase fino al 2 1 2 un privilegio , che dipendeva da una decisione imperiale sop­ pesata accuratamente .

Salvaguardie e usurpazioni Sotto la Repubblica gli uomini erano registrati nelle liste delle tribù , che venivano riesami­ nate in occasione dei censimenti (normalmente) quinquen­ nali; a partire dal I secolo a . C . , le città italiche dovevano tenere i propri registri . L ' importanza della cittadinanza e la rarità della sua diffusione fuori delle città romane o latine spiegano lo sviluppo di archivi , che permettevano la regi­ strazione dei Romani , li garantivano da contestazioni del

VI. Gli sta t u ti

delle persone e delle comunità

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loro statuto , e nel contempo cercavano di evitare usurpa­ zioni . La documentazione concreta proviene soprattutto dal­ l ' Egitto , dove la cittadinanza era poco diffusa, la burocra­ zia molto sviluppata e più stretto il controllo degli statuti ; ma, previste dalla legislazione romana , procedure analo­ ghe esistevano certamente anche nelle altre province . Le leggi Pappia Poppea e A elia Sentia, di epoca augu­ stea , permisero il controllo della trasmissione ereditaria del­ la cittadinanza . I figli legittimi erano registrati alla nascita; garantito da sette testimoni , era rilasciato un dittico , che aveva il valore di un certificato di cittadinanza . Per il figlio naturale, ci si doveva accontentare di una dichiarazione, davanti a testimoni , che gli sarebbe servita per essere rico­ nosciuto cittadino a vent ' anni [FIRA , I I I , nn . 2-7] . Ad Ales­ sandria erano stabiliti per tutto l ' Egitto un «ruolo (fabula) delle dichiarazioni di nascita» e un «libro delle probazio­ ni » , in cui erano registrati dopo esame (probatio) i ricono­ scimenti della cittadinanza romana dei figli naturali adulti o dei neocittadini (per la maggior parte veterani) . A Roma si teneva un « repertorio di coloro che avevano ricevuto la cittadinanza romana» da Augusto in poi ; esso conteneva i nomi dei beneficiari delle promozioni individuali , con la loro origine , la loro età e il loro censo . L ' estratto conforme di questo com men tarius aveva il valore di un certi ficato di cittadinanza [Schulz , 68 1 ] . L o sviluppo di una prodigiosa quantità di scarto ffie sul piano locale (nelle città di costituzione romana) , provincia­ le e romano era legato alla preoccupazione di evitare le fro­ di . Una prima tappa nell ' usurpazione era l ' adozione di un nome gentilizio , che poteva seguire all ' assunzione di un pre­ nome. Ma una cittadinanza usurpata poteva essere ricono­ sciuta soltanto negli ambienti in cui la cittadinanza romana era largamente diffusa. Il caso più conosciuto è quello delle popolazioni alpine peregrinae assegnate da Augusto a Tren­ to . A partire dall ' epoca di Tiberio e di Claudio , costoro erano abbastanza integrati nel municipio , sicché , localmen­ te , non si tenne più conto del loro statuto inferiore . Aven­ do preso i tria nomina, essi si sposavano e commerciavano con i Tridentini, come se avessero goduto del con ubium e del com mercium . Inoltre alcun i erano stati accettati nelle

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R o m a e i l s u o Impero

coorti pretorie, altri erano persino iscritti nelle decurie dei giudici romani [FIRA , l, n. 7 1 ; cfr . Frézoul s , 672] . Bisogna quindi dedurne , fin dal I secolo , un ' indifferen­ za nei confronti del diritto , un disprezzo dei regolamenti e un ' inefficacia del controllo burocratico , che avrebbe fatto dell ' usurpazione un modo corrente per acquistare la citta­ dinanza? Il caso di queste popolazioni assegnate è partico­ lare : la loro attribuzione alla città di Trento aveva presto creato una situazione locale inestricabile , provocato con­ fusioni a Roma, dove la loro origine poteva passare per una prova di cittadinanza. Se in questo caso Claudio non poté che legalizzare lo stato di fatto , egli si mostrò d ' al­ tronde molto ansioso di evitare gli abus i , vietando ai pere­ grin i di prendere un nome gentilizio , facendo perfino giu­ stiziare gli usurpatori [Svet . , Claud. , 25 , 3 ] . L ' atteggiamento delle autorità doveva variare secondo le situazioni : poco attenti quando si doveva arruolare un legionario , cavillosi quando erano in gioco privilegi o questioni fiscali . Alla me­ tà del II secolo , l ' amministrazione egiziana era molto pi­ gnol a . Un peregrin us , diventato legionario con la frode, ri­ trovava il proprio statuto dopo il servizio ; u n ex ausiliario , che non avesse ottenuto il congedo onorevole , si vedeva con­ fiscare il quarto delle proprietà se pretendeva d i essere cit­ tadino [«Gnomon de l' idiologue» , 5 5- 5 6] . L ' insistenza de­ gli Egiziani legionari a richiedere , contro i regolamenti , un certificato di congedo come gli ausiliari rivela quanto , in Egitto , fossero meticolose le probazioni di cittadinanza . Non bisogna assolutamente sopravvalutare l ' efficienza delle amministrazioni locali e centrali , in particolare la fun­ zione degli archivi . L ' immensità dell ' I mpero , come la pra­ tica giuridica , che facevano prevalere le testimonianze e le dichiarazioni sotto giuramento , facilitavano le frodi . Tut­ tavia le usurpazioni di statuto e i casi di contestazione do­ vettero rimanere un fenomeno m arginale , che riguardava soprattutto i soldati e , più generalmente , coloro che ave­ vano lasciato l ' ambiente di origine in cui la loro condizione era relativamente facile da controllare .

VI. Gli statuti delle persone e delle comunità

2.

28 1

Statuti e strutture delle città

Le distinzioni giuridico-sociali tra gli uomini erano accom­ pagnate da differenze tra comunità , le quali costituivano le cellule di base dell' Im pero . La situazione delle città pone problemi complessi , innanzi tutto perché la natura precisa dei diversi statuti rimane spesso oscura; inoltre , nei rap­ porti tra le comunità e Pimperatore o gli agenti delP auto­ rità romana, compaiono divaricazioni tra il diritto e la pra­ tica . Per lungo tempo gli studi sulla vita locale si sono basati su nozioni date per acquisite, che si sono rivelate piuttosto degli sterili a priori . Si era abituati a supporre che il periodo imperiale avesse visto la costante decadenza della città , ri­ sultato di un centralismo sempre più invadente, di un livel­ lamento (di fatto , più che di diritto) degli statuti civici , co­ me di un atteggiamento rinunciatario da parte dei dirigenti locali , , conseguenza di un cambiamento di mentalità e di un incapacità finanziaria ad assumere gli oneri della vita locale . Da una quindicina d ' anni, un insieme di studi con­ vergenti , svincolandosi dallo sterile postulato della «deca­ denza» o della « crisi» delle città, ha insistito sulla vitalità , della cultura municipale; la recente pubblicazione d impor­ , tanti documenti , come la legge municipale d lrni (Betica) [7 1 5 ] o il muro degli archivi di Afrodisia (Asia) [700] pos­ sono soltanto confermare quesf orientamento , rilanciando nel contempo P interesse degli studiosi per la vita locale .

La com unità cittadina, quadro necessario della vita civilizzata L 'idea di città Erede senza fratture della polis greca o del­ la civitas italica precedente , la città dell ' epoca imperiale ri­ maneva molto più che un 'entità geografica dotata di una certa autonomia amministrativa . «Si parla di civitas per il territorio , per la città (oppidum) e anche per il diritto co­ mune a tutti e per la massa degli uomini » [Geli . , N. A . , 1 8 , 7 , 5 ] . Materialmente la città indicava, nello stesso tempo , il complesso del territorio e il centro urbano principale, il qua­ dro della vita pubblica, e insieme, il corpo dei cittadini . Per

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definizione ogni città aveva la propria religione e il proprio diritto «civile» (cioè specifico della città , Gaio , Inst. , l , 1 ) , che regolamentavano la vita pubblica e privata degli abi­ tanti . Se l ' indipendenza era un ideale , non era certo un impe­ rativo (molte città furono fondate in regni ellenistici o nel­ l' Impero) , al contrario del l ' autonomia, che era la possibi­ lità di fare uso delle proprie leggi . Verso la fine del I I I secolo , un imperatore accordò al villaggio pisidiano di Tymandu s « i l diritto e l a dignità di città» , cioè « il diritto di riunirsi in consiglio , di prendere decisioni , di compiere tutto ciò che è permesso dallo statuto così come ciò che può essere fatto con il nostro permesso» [ILS, 6090; ARS, 290] . Agli occhi dell ' imperatore stesso , la città non era dunque una sempli­ ce unità amministrativa, ingranaggio del sistema provincia­ le , ma un ' entità specifica, con la sua costituzione e con il diritto di legiferare . Tanto nella pratica quanto nel d iritto , l ' integrazione delle città nell ' Impero poneva il problema del rapporto con Roma - sempre superiore per la m aestà del popolo romano - , ormai arricchito dal rapporto con l ' im­ peratore - collocato , soprattutto per le comunità delle pro­ vince senatorie , insiem e , al di sopra e accanto alle istitu­ zioni romane . Le città si differenziavano in funzione del proprio sta­ tuto secondo due categorie principali : le città peregrinae, considerate straniere , che vivevano secondo il loro diritto civico ; le comunità di tipo romano , colonie e municipi , le cui istituzioni riflettevano più o meno completamente quel­ le di Roma e che condividevano con essa tutto o parte del suo diritto . In ciascuna categoria le sfumature erano im­ portanti , perché stabilivano sottili gerarchie tra le città. Le differenze erano manifestate con un vocabolario comune alle persone e alle città (« onore» , « splendore » , «dignità» , «pieno diritto») ; esse erano determinate dallo statuto , m a anche dalla storia (soprattutto dai rapporti con Roma) , dal­ la ricchezza e dall ' importanza della popolazione . Poiché in­ nalzava gli uomini accordando loro la cittadinanza o inte­ grandoli negli ordini equestre o senatorio , l ' imperatore rimaneva arbitro del destino delle comunità , potendo pro-

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muoverle o degradarle , riconoscere il loro splendore o il loro primato con titoli o privilegi .

Le fondazioni di città Se si continua il confronto tra le persone e le comunità , una differenza fondamentale (che equivale a quella tra liberi e schiavi) separava le città dalle comunità prive di statuto civico completo (popoli, tribù , borghi e villaggi) . Per Dione di Prusa la dominazione di Roma comportava ovviamente la servitù di tutti i provin­ cial i , ma egli contrapponeva quella delle città a quella che subivano i popoli di Frigia o di Egitto , privi di organizza­ zione civica [Or. , 3 1 , 1 1 4] . Barbarica, la comunità non po­ liade sentiva la vocazione alla sottomissione, soprattutto a subire un ' amministrazione diretta; la sua inferiorità giuri­ dica era mani festata efficacemente dall ' impossibilità lega­ le , da parte dei suoi membri, di accedere alla cittadinanza romana [cfr . supra , p . 277 , la tavola di Banasa] . L ' integrazione di una comunità specifica in una città era sinonimo di servitù e la perdita di autonomia era la pena capitale per una città . Così Settimio Severo degradò Bisan­ zio , che gli aveva resistito militarmente , a semplice borgo del territorio della vicina Perinto . Quando , dopo averla se­ parata da Nacolia (Asia) , Costantino fece di Orcisto una città di pieno diritt o , le accordò il «privilegio della libertà» [ILS, 609 1 ; ARS, 3 04] . Si notano così due tendenze con­ traddittorie : borghi e cantoni si sforzavano di ottenere un 'au­ tonomia più ampia all ' interno della città , perfino di esser­ ne separati ; in compenso , comunità di media importanza si associavano per essere riconosciute città. Fino al tardo Impero , gli imperatori continuarono ad affermare la loro preoccupazione di fondare nuove comu­ nità cittadine , di difendere o di favorire le vecchie . La loro politica mo stra che non si trattava soltanto di un tema pro­ pagandistico , ereditato dall ' ideologia ellenistica , che sareb­ be stato ormai privo di ogni implicazione pratica. Al prin­ cipio dell ' I mpero , vaste zone, soprattutto in Oriente , co­ noscevano soltanto le strutture tribali o rurali . L ' urbaniz­ zazione favorita dai monarchi ellenistici fu geograficamen­ te limitata e non comportò sempre la fondazione di vere

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città [ Jones , 695 ] . La Repubblica aveva corrisposto nelle province a un periodo d ' immobilismo , come in Asia, in cui la provincializzazione aveva irrigidito le comunità nell ' or­ ganizzazione che possedevano al momento dell ' annes­ siOne. Riprendendo la politica di Pompeo nel P onto , Augusto mise mano a un processo di fondazioni che, di fatto , durò fino all ' inizio dell' epoca b izantina. I principi vas salli vi con­ tribuirono attivamente nei propri domini , come Erode e la sua famiglia in P alestina, o i re di Commagene; m a essi erano senza dubbio più ansiosi di fondare città che vere e proprie comunità cittadine . Alla metà del I I I secolo , i si­ stemi civici erano diffusi i n tutto l ' Impero , con delle sacche in cui persistevano comunità tribali o contadine, domini im­ periali sotto amministrazione diretta . Considerata la docu­ mentazione, il fenomeno della fondazione delle città fu es­ senzialmente orientale ; le nostre fonti sono incomplete sui gruppi non civici in Occidente , m a questa differenza po­ trebbe anche riflettere la dualità culturale dell ' Impero , vi­ sto che la civitas latina non è l ' equivalente della po/is greca . La storia municipale dell ' Occidente romano è segnata fino a Traiano da numerose fondazioni di colonie di popo­ lamento e dalle promozioni di cittadinanze , ancora più nu­ merose, a uno statuto superiore . M a si conoscono poche concessioni della dignità civica. Traiano e Adriano orga­ nizzarono comunità germaniche in civitates [Riiger , 70 1 ; Wilmanns , 702] ; a partire dal II secolo , le comunità for­ matesi spontaneamente vicino agli accampamenti ricevet­ tero statuti di tipo romano , così come alcuni domini impe­ riali, agricoli o minerari . Se il fenomeno appare molto limitato è perch é , in Oc­ cidente, le comunità indigene erano spesso riconosciute co­ me città pienamente funzionanti fin dalla loro annessione o quasi, dal momento in cui presentavano u n ' organizzazione stabile e si mostravano in grado di assicur are il funziona­ mento d ' istituzioni amministrative e giudiziarie . Né l ' as­ senza di un vero centro urbano che s ' identificasse con la città, né l ' esistenza di « b orghi» che m antenessero il loro particolarismo erano un ostaco lo , come dimostrano la mu­ nicipalizzazione delle comunità tribali d ' Italia dopo l a guer-

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ra sociale o la descrizione cesariana delle tribù della Gallia indipendente come civitates. L ' atteggiamento della popo­ lazione era certam ente determinante perché Roma la con­ siderasse o non la considerasse una città . Così sul trofeo della Turbia , i popoli aìpini sottomessi da Augusto furono chiamati gen tes (tribù) , termine che esprime la loro natura barbarica e bellicosa. Ma da Tiberio in poi i popoli delle Alpi marittime e del Valais sono citati come cittadinanze , capaci dunque di ragione e di ordine . I n alcuni casi l ' orga­ nizzazione civica s ' inseriva nella politica della pacificazio­ ne e del controllo . Così , nel 47 , Corbulone assegnò un ter­ ritorio , oltre il Reno , ai Frisoni , vi innalzò una fortezza e « fissò presso di essi un senato , magistrati e leggi» [Tac . , A nn. , 1 1 , 1 9] : si riteneva dunque che una popolazione or­ ganizzata in città fosse meno ribelle . I provinciali che, ancora nel I I e I I I secolo , vivevano in tribù o in villaggi in M acedonia, in Anatolia o i n Siria, non erano certamente più bellicosi né più barbari degli Spagnoli o dei Galli del I secolo a . C . Occorre indubbiamente consi­ derare le lentezze dell' ordine stabilito ; una volta fissato dal regolamento provinciale, lo statuto poteva essere modifica­ to solo dopo lunghi procedimenti . Dovette avere importan­ za il peso del passato : essere stati soggetti a re , essere alle dipendenze , considerate servitù , di dèi o di grandi proprie­ tari , per i Greci era incompatibile con la dignità civica . Ma soprattu tto le città create in Oriente erano organizzate in po­ leis, secondo il modello delle antiche città greche . Mentre in Occidente l ' organizzazio ne in città precedette la latinizza­ zione e, talvolta, l 'urbanizzazione, in Oriente era stata un' in­ venzione dell ' ellenismo e implicava che si assumesse il m o ­ dello della polis, tanto ideale quanto politico , e che esistesse al minimo un ' élite ellenizzata . Gli imperatori condussero due tipi di politica, in funzione delle condizioni locali , ma an­ che , certamente, della loro personalità: creazione pezzo su pezzo , che si può immaginare rispondesse spesso alle richie­ ste della popolazione ; rimodellatura completa delle istitu­ zioni i n una i ntera zona, pianificata dalle autorità romane . La storia delle fondazioni isolate è difficile a farsi, in p arti­ colare per la mancanza di fonti sufficientemente numerose [cfr .

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il bilancio minuzioso di J ones , 695 , per l ' Oriente; anche Galste­ rer-Kroll , 709] . È raro che si conosca lo statuto esatto della co­ munità prima della fondazione della città ; le fonti permettono spesso interpretazioni contraddittorie . Gli Orientali erano molto generosi del titolo di « fondatore» (ktistès) per i loro benefattori , privati compresi . L ' adozione di un nuovo nome , modellato su quello dell ' imperatore (come in Asia: Julia , Seb aste , Tiberiopo­ lis o Adrianutere) , o di una nuova era per la città può riflettere benefici imperiali molto diversi . Talvolta si trattava soltanto di una mani festazione di lealismo o di devozione. M a la modifica­ zione spesso esprimeva la concessione di privilegi , un cambia­ mento di statuto o un ampliamento di territorio . Sicché , essendo i vantaggi che le aveva accordati abbastanza sostanziali , Adriano considerava come una «città recentemente creata» Stratonicea , fondata nel I I I secolo a . C . e diventata Adrianopoli [FIRA , l , 80 A R S , 242] . Rimanevano le fondazioni propriamente dette , che permettevano a una comunità tribale o contadina di accedere allo statuto civico . Esse assumevano forme diverse . Si poteva ricono­ scere una comunità preesistente o un' associazione di villaggi ( ko i­ nòn) . Ma la creazione era spesso accompagnata da una nuova impostazione geografica : le tribù più grandi erano smembrate (co­ me gli Abbeiti di Misia, che avevano battuto moneta in epoca repubblicana e che formarono tre città) , mentre le comunità pic­ cole , villaggi o centri di media importanza, venivano riunite in unità più importanti . Le riforme di grande ampiezza furono più rare , intanto per­ ché non erano giustificate in regioni che possedessero già una rete di città . Pompeo diede l' esempio quando divise una parte del­ l ' antico regno del Ponto (amministrato prima da funzionari) tra sei cittadinanze , le tre ver.chie colonie greche della costa (il cui territorio fu ingrandito) e tre cittadinanze create a partire da città barbariche dell' interno . In Tracia, Traiano e Adriano soppres­ sero i distretti ereditati dall ' antico regno e li sostituirono con co­ munità cittadine, organizzate sul modello di quelle dell 'Asia. Si trattava di una riforma generale perché , contemporaneamente, i governatori cavalieri furono sostituiti da legati governatori . I n Asia Adriano organizzò l a regione orientale della Misia in tre gran­ di cittadinanze . L ' ultimo provvedimento d ' insieme fu la trasfor­ mazione delle metropoli dei nomi egiziani in quasi-città avviata da Settimio Severo , terminata da Diocleziano con l ' organizza­ zione dei nomi in comunità cittadine . =

I l movimento di fondazione delle città, che non s ' inter­ ruppe mai completamente, dimostra che gli imperatori non

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si preoccupavano affatto di perpetuare le forme di ammi­ nistrazione diretta ereditate dai regni ellenistici , e ancor me­ no d ' imporne di nuove . Essi evitavano anche di ricorrere a una b urocrazia costo sa, dall ' efficenza e dall' onestà incer­ te ; m a la tesi di A . H . M . Jones [695 ; 760] sembra eccessiva e troppo pessimista : gli imperatori , secondo lo studioso in­ glese , sarebb ero stati soltanto desiderosi di scaricare l ' am­ ministrazione locale sulle élite provinciali ; la creazione de1 le città avrebbe imposto un pesante fardello ai notabili ; la poliadizzazione non avrebbe generalmente favorito il gene­ re di vita della m aggior parte degli abitanti , soprattutto dei contadini , che avrebbero solo cambiato oppressori . Questa visione non tiene abbastanza conto dell ' etica dominante né delle aspirazioni degli abitanti . I monarchi dovevano pro­ teggersi e diffondere l ' incivilimento , indissociab ile dalla cit­ tà, mentre la possibilità di organizzare delle comunità cit­ tadine metteva alla prova il peso demografico , la ricchezza e, soprattutto , i progressi culturali dei popoli dell ' Impero , sempre più identificabile con il mondo civilizzato . Anche i provinciali desideravano ottenere lo statuto civico , equipa­ rato a una promozione e a una liberazione , perfino negli amb ienti poco ellenizzati e nelle epoche in cui le cariche locali erano pesant i . Così , ne1 220 , un intellettuale cristiano condusse u n ' amb asceria presso Eliogabalo perché il villag­ gio palestinese di Emmaus diventasse una città [Giro l . , Chron . , anno 223 7] :

Le città «peregrinae» All ' i nizio dell ' I mpero la maggior parte delle comunità cit­ tadine provinciali erano reputate straniere (peregrinae) a Ro­ ma e al suo diritto . I ntegrate nell e province o, ma era la p arte m inore , giuridicamente esterne all ' I mpero , esse era­ no associate a Roma come corpi estranei e non come ele­ menti di un insieme omogeneo ; usato abitualmente per i provinciali (anche quando non beneficiavano di un ' allean­ za in forma giusta e dovuta) , il termine di alleati (soci!) espri­ me questa situazione .

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Con P linio il Vecchio , possiamo rappresentarci tre tipi di città peregrinae: federate (o , piuttosto , « libere e federa­ te») ; libere; soggette a tributi . Le prime avevano sottoscrit­ to con Roma un trattato (joedus) che, per quanto stabilisse in generale un rapporto ineguale tra i contraenti , definiva con molta precisione la situazione della città , tanto i suoi obblighi quanto i suoi diritti , e postulava la sua indipen­ denza . La posizione delle seconde dipendeva da un atto uni­ laterale di Roma, che accordava dei privilegi , ma non li ga­ rantiva con un trattato . Dal punto di vista del diritto le città di questi due tipi erano esterne alle province ; così Cesare , «ad eccezione delle città federate e di quelle che avevano dei meriti nei confronti di Roma ( = dichiarate libere) , ri­ dusse la Galli (l in provincia e la sottopose a tribut o » [Svet . , Ces. , 25] . L ' obbligo di versare uno stipendium (imposta, ma anche prezzo del riscatto) era solo uno degli aspetti del­ la dipendenza delle comunità soggette a tribut o , ma sim­ boleggiava la loro sottomissione a Roma. Tuttavia la netta di fferenziazione in tre categorie è solo apparente . Non si possono isolare diritti o doveri che s arebbero specifici a u n solo tipo di città . Inoltre , ognuna aveva la propria p osizio­ ne, suscettibile di evolversi, e che risultava dai suoi rapporti con Roma e dalle condizioni della sua annessione. La «li­ bertà» nascondeva un insieme di diritti significativi , m a va­ riabili , mentre le città soggette a tributo , nei fatti , condi­ videvano parecchi diritti con le città di statuto privilegiato . Gli storici si sono a ìungo dedicati a dimostrare soprat­ tutto come l ' integrazione delle città nell ' Impero limitasse la portata della loro libertà [recentemente Norr , 699] . M a sottolineando giustamente quanto l ' imperatore fosse il ve­ ro arbitro del destino delle comunità, e insistendo sull ' ero­ sione dei privilegi , essi hanno probabilmente esagerato la degradazione delle città libere o federate, che sembrano aver effettivamente conservato diritti reali durante tutto l ' Alto Impero [Bernhardt , 692 ; s fumato dal 693 ] .

Le città soggette a tributo Le città soggette a tributo non potevano che accettare le condizioni imposte loro da Ro­ ma; esse disponevano soltanto di un ' autonomia di fatto .

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Alcune dovevano la propria esistenza soltanto alla buona volontà del vincitore , che avrebbe potuto , per diritto di guer­ ra, sopprimerle come comunità (esattamente come riduce­ va gli uomini in schiavitù) . I più recalcitranti avevano visto il loro territorio trasformato in «terra del popolo romano » (ager publicus) . I n altri casi , Roma esercitava sulle città i diritti degli antichi sovrani (come nella provincia d'Asia) . Come regola generale , queste comunità conservavano le proprie istituzioni , il proprio diritto , le proprie corti di giu­ stizia (almeno per certe cause) ; riscuotevano le imposte e alcune battevano moneta . La leggerezza delle strutture pro­ vinciali romane comportava un ' ampia autonomia di fatto , che però poteva essere esercitata solo nei limiti fissati dal regolamento della provincia e sotto l ' autorità del governa­ tore. In una lettera a Plinio , governatore del Ponto-Bitinia [Ep., 1 0 , 93] , Traiano opponeva Amiso , città libera e fe­ derata, a « quelle che sono costrette ad accettare il nostro diritto » . Nelle città soggette a tributo , il governatore face­ va applicare leggi , senatoconsulti e decisioni imperiali ; se contravvenivano alla legislazione romana, le usanze locali venivano abolite per decisione del governatore . In occasio­ ne dell ' organizzazione della provincia, la legge provinciale fissava lo statuto delle città e dettava i principi del suo fun­ zionamento , limitando con questo stesso fatto la loro au­ tonomia . I governatori potevano introdurre nuove regole, mentre la loro stessa funzione comportava un controllo del­ la vita pubblica. Tuttavia non ci fu livellamento generale degli statuti , né una restrizione graduale dell' autonomia di fatto . Secondo l ' esempio del P onto-Bitinia, bisognerebbe piuttosto consi­ derare una tendenza alla differenziazione: alcune città ave­ vano ricevuto diritti specifici dagli imperatori, beneficiato di misure particolari da proconsoli ; pratiche locali contra­ rie al diritto provinciale erano tollerate [Plin . , Ep. , 10, 79; 8 3; 108 ; 1 1 2]. Così, a proposito di una questione finanzia­ ria, a P linio che gli chiedeva di fissare una regola valida per tutte le città, Traiano rispose che bisognava tener conto del­ le leggi di ciascuna di esse e degli eventuali privilegi locali [Ep., l O, l 09] . Lo statuto di città soggetta a tributo non era sempre sinonimo di oppressione politica e fiscale o di me-

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diocrità. E feso era considerata una delle più ricche città del­ l ' Impero ; la sua vita politica era molto tumultuosa e il suo stato di città soggetta a tributo non le impediva di rivendi­ care il primato sulle città dell 'Asia. Città libere; città libere e federate Rispetto alle -città sog­ gette a tributo , le città che godevano della libertà - garan­ tita o non garantita da un joedus erano poco numerose e distribuite in modo molto ineguale . Per le Spagne, P linio ci ha trasmesso cifre precise, provenienti dalle statistiche ufficiali degli inizi dell ' Impero . In Betica su 1 29 comunità peregrinae, tre erano federate, sei libere; la Tarragonese con­ tava una sola città federata e nessuna libera; le 36 popola­ zioni peregrinae della Lusitania erano tutte soggette a tri­ buto . Al confronto le 14 città libere o federate delle tre Gallie su una sessantina di comunità rappresentavano un rappor­ to inusitato , che rifletteva la generosità cesariana. A tutta prima, gli statuti privilegiati erano stati concessi abbastanza generosamente quando , nel I I I e nel II secolo a.C., il senato non cercava più di annettere sistematicamen­ te le zone che Roma controllava. Gli imperatores del I se­ colo furono generosi verso le città fedeli a Roma (come Sii­ la in Asia dopo le guerre di Mitridate) o alla propria causa nelle guerre civili . Ma lo statuto era precario . Le città che avevano fatto una scelta pòlitica sbagliata diventavano sog­ gette a tributo , a meno che non fossero perdonate dal vin­ citore , come Mitilene, che mantenne il suo statuto di allea­ ta nonostante la sua fedeltà a Pompeo [/GR, 4, 3 3 ] . Molte città libere ebbero vicende contrastanti alla fine della Re­ pubblica: antica città greca del Ponto , Amiso fu dichiarata libera da Cesare, donata da Antonio a certi re , poi sotto­ messa a un tiranno, prima che Ottaviano le accordasse, do­ po Azio , lo statuto di città federata [Strab . , 1 2 , 3 , 1 4] , del quale godeva ancora al principio del II secolo . D opo la rior­ ganizzazione augustea, non sembra che sia stata concessa la libertà a nuove città ; ma la situazione delle comunità pri­ vilegiate non fu tuttavia stabilizzata . Tumulti interni , o f­ fese alla maestà di Roma o dell ' imperatore erano punite con la degradazione: Tiberio punì Cizico (Asia) che aveva -

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trascurato il culto imperiale e «usato violenza verso citta­ dini romani» [Tac . , A nn. , 4, 3 6] ; nel I secolo Rodi fu de­ gradata per un certo periodo sotto Claudio , poi di nuovo da Vespasiano e reintegrata nei suoi diritti da Tito . In que­ sta epoca, alcune città interpretavano certo troppo alla let­ tera la propria « libertà» ; d ' altronde , dopo Augusto , che si era fatto una regola di non moltiplicare gli statuti privile­ giati , alcuni imperatori , come Tiberio o Vespasiano , sem­ brano essere stati poco favorevoli alle città libere , indub­ biamente a causa dei loro privilegi fiscali . Al contrario , gli Antonini e poi i loro successori della prima metà del III secolo s i preoccuparono di preservare gli antichi statuti , ri­ pristinando perfino i privilegi aboliti nel I secolo : l' isola egea di A stipalea riacquistò la libertà da Traiano e certo la possedeva ancora sotto Gordiano I I I [/GR, 4, 1 232; CIL , I I I , 7059] . Nella storia delle città libere, il sistema imperiale non introdusse vere fratture , se non perché, ormai , il loro par­ tner privilegiato era l ' imperatore . Il contenuto stes so della libertà non fu modificato ; ma si è da molto tempo ammes­ so che, nella pratica, i privilegi venissero progressivamente ridotti , fino a quando , a partire dal II secolo , i vecchi sta­ tuti diventarono vani titoli di gloria. La pubblicazione di nuove iscrizioni , in particolare il muro degli archivi di Afro­ disia di Caria [Reynolds , 700] , permette di riconsiderare il problema ; se le differenze di condizione tra le città vietano ogni estrapolazione sistematica, il caso di Afrodisia non è meno esemplare , tanto dell' atteggiamento delle diverse au­ torità romane quanto delle autorità provinciali . A vendo goduto del favore di Cesare, e grazie alla protezione di Ottaviano , A frodisia ottenne uno statuto particolarmente pri ­ vilegiat o , che era precisato da un trattato e da un senatoconsulto . La sua posizione è ben espressa in un' iscrizione del principio del III secolo [700, n . 43 ] , dedicazione di una statua da parte «del­ l ' eminentissimo popolo (dèmos), alleato dei Romani , della splen­ dida città di Afrodisia, [città] devota all' imperatore, libera e au­ tonoma secondo i decreti del molto venerabile senato [romano], secondo il trattato [con Roma] e i divini responsi [imperiali] , e inviolabile» . L ' uso di questi titoli dimostra che la libertà di Afro­ disia era definita in rapporto a Roma e all 'imperatore, e grazie a

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questi . Il trattato di alleanza iniziale era solo un elemento che costituiva il suo statuto . Questo non era stato fissato una volta per tutte: le decisioni ulteriori contribuirono a dare alla città la sua propria posizione , in rapporto alle città soggette a tributo e alle altre città libere . Esso si arricchì di decreti del senato romano (come la convalida del diritto d ' asilo sotto Tiberio , conosciuta da Tacito , Ann. , 3, 62) e, soprattutto, di decisioni imperiali . Una serie di lettere imperiali dimostra, fino a Valeriano, che i sovrani garantivano lo statuto (testi confrontabili sono cono­ sciuti per altre città) . La sua convalida era demandata ad ogni nuovo imperatore . S ' ignora se questo procedimento fosse obbli­ gatorio come nell ' epoca ellenistica, o se fosse soltanto una pre­ cauzione e, insieme, un atto di lealismo atteso dall 'ambasceria venuta a salutare il nuovo principe . In ogni caso esso dimostra che , nonostante la clausola di perpetuità prevista nel trattato o nel senatoconsulto iniziale, lo statuto era considerato precario , sempre revocabile dall 'imperatore . Parallelamente le considera­ zioni che accompagnano le lettere imperiali del II e III secolo dimostrano come il monarca si considerasse impegnato a firmar­ le , per non correre il rischio di rompere con la tradizione e di agire da tiranno . Lo s iatuto iniziale era confrontabile con quelli che erano ac­ cordati alla fine della Repubblica [cfr . la legge del 7 1 a . C . in favore di Termessus di Pisidia, FIRA , I , 1 1 = A R S, 79]; ma l ' in­ teresse essenziale dei nuovi documenti di Afrodisia è di mostrare il rispetto , fino alla metà del I I I secolo , per la situazione origi­ nata dal trattato . Nessun rappresentante dell' autorità romana po­ teva intervenire sul territorio della città, per ragioni militari , fi­ scali o giudiziarie ; dal punto di vista del diritto Afrodisia era esterna alla provincia d ' Asia. Traiano e Adriano decisero alcune contro­ versie giudiziarie a suo favore, facendo valere la sua «esclusione dal regolamento provinciale» : gli obblighi previsti in occasione dell ' organizzazione dell' Asia non valevano per Afrodisia . Legal­ mente il proconsole d ' Asia non poteva penetrarvi ; ogni interven­ to di un' autorità romana passava attraverso l' iniziativa o l ' auto­ rizzazione imperiale . Verso il186-90 la città ottenne da Commodo che autorizzasse il governatore «a visitare la città e a passarvi alcuni giorni per esaminare [i suoi] affari pubblici» . Sotto Severo Alessandro , un proconsole rifiutò elegantemente un invito degli abitanti , rispondendo che accettava con la riserva «che nessuna legge della vostra città, nessun decreto del senato , istruzione o lettera imperiale impediscano di soggiornare nella v ostra città» [700 , n. 1 6 ; 1 9] . Afrodisia «si serviva del proprio diritto e dei propri tribunali» ; ancora nel III secolo , la città ottenne che una

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causa non venisse giudicata a Roma , ma sul posto . Gli abitanti erano perennemente esentati dagli arruolamenti e dalle riscossio­ ni di tributi, oltre che dagli acquartieramenti militari . Queste pre­ cisazioni erano importanti perché , sotto la dominazione dei re ellenistici , la libertà non garantiva automaticamente dall 'instal­ lazione di guarnigioni o dalla riscossione delle imposte. Le iscrizioni dimostran o , parallelamente , che i privilegi erano regolarmente contestati dagli agenti dell ' autorità romana e dalle altre città. Adriano ricordò che Afrodisia era esente da tasse, quan­ do degli esattori pretendevano di riscuotere un' imposta sui chio­ di [700 , n. 15] . Le altre cittadinanze designavano cittadini di Afro­ disia per certe incombenze ; l ' assemblea provinciale cercava di esigere contributi mentre, in base allo statuto , ogni partecipazio­ ne della città o dei suoi abitanti alle attività della provincia d ' Asia doveva restare volontaria [700 , n . 14] . Nella pratica, il solo sta­ tuto non garantiva automaticamente diritti incontestabili : per ogni contrasto , la città doveva non soltanto esibire la prova del pro­ prio buon diritto , ma ottenere dall ' imperatore la sua applicazio­ ne . Per p reservare i propri privilegi , essa doveva condurre una lotta incessante , costosa (perché ogni questione imponeva d ' in­ viare un' ambasciata all'imperatore) , dall' esito incerto (perché l' im­ peratore doveva spesso decidere tenendo conto dei propri inte­ ressi finanziari) .

La libertà non aveva sicuramente lo stesso contenuto in tutte le città privilegiate e l'integrazione nell ' Impero dovet­ te spesso ridurla più che ad Afrodisia, la quale rappresenta probabilmente un caso limite . Una città libera poteva es­ sere la residenza del governatore, come Utica prima della rifondazione di Cartagine , o sede delle assise giudiziarie re­ golari , come Apamea di Bitinia (su istanza degli abitanti ! ) . A partire d a Traiano , la nomina dei correttori delle città libere o dei curatori , designati direttamente dall' imperato­ re, esprime, nello stesso tempo , la preoccupazione di assi­ curare il loro equilibrio finanziario e di !asciarle fuori dalla giurisdizione dei governatori . La costituzione locale non era intangibile; erede dei nomoteti greci scelti fuori delle città, l ' imperatore legiferava per le città libere : Augusto a Tarso [Dione di Prusa , Or. , 3 3 , 1 7 ; 34, 8] ; Adriano ad Atene [32, n. 2 3 2 ; Giro l . , Chron . , anno 2 1 3 7] . Poté essere mantenuta la finzione di un ' alleanza militare. Sotto Marco Aurelio , Tespia (Acaia) mandò u n proprio contingente d i volontari

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Roma e il suo Impero

sul Danubio ; certamente non potevano esservi fatti arruo­ lamenti di soldati secondo le procedure correnti [ «AE » , 1 97 1 , 447] . È difficile sapere in quale misura le città , s ull ' esempio di A frodisia, riuscissero a preservare, al completo o par­ zialmente , le immunità fiscali che , al principio dell ' I mpe­ ro , erano sempre associate alla libertà. Le città galliche sem­ brano esserne state private fin da Tiberio : provocata dal peso dei debiti e delle imposte, la rivolta del 2 1 fu guidata da un eduo e un treviro , le cui patrie erano libere . I testi di Afrodisia mostrano gli imperatori preoccupati di conservare , in tutte le sue implicazioni , lo statuto privi­ legiato di un centro religioso e artistico prestigioso . Se ne fecero zelanti difensori , perfino contro gli stessi cittadini , i quali erano certamente più ansiosi di conservare i propri vantaggi finanziari che di salvaguardare la finzione dell ' e­ xtraterritorialità in rapporto all 'Asia. Quali che fossero sta­ te le usurpazioni (le iscrizioni hanno conservato il ricordo delle sole vittorie in occasione di conflitti) e l ' integrazione di fatto nella provincia e nell' Impero , non si può tuttavia sostenere che le differenze di condizione tra città soggette a tributo e città libere fossero di ordine quantitativo , e non qualitativo , e che > [cfr . p . 5 1 4 , n . 26] . A ufstieg und Niedergang der romischen Welt [cfr . p . 5 1 7 , n . 75] . Johnson A . C. , A ncient Roman Statutes [cfr . p . 5 1 4 ] . Corpus inscriptionum Latinarum [cfr . p . 5 1 4, n . 24] . Fontes Iuris Romani A ntejustiniani [cfr . p . 5 1 4 ] Cagna! R . , Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinen ­ tes [cfr . p . 5 1 4 , n . 30] . Dessau H. , Inscriptiones Latinae selectae [cfr . p . 5 1 4 , n . 25] . Real-Encyclopiidie der Klassischen A ltertumswissenschaft [cfr . p . 5 1 0] . Supp/ementum epigraphicum Graecum [cfr . p . 5 1 5 , n . 3 1 ] . .

In troduzione m etodologica e bibliografica

Strumenti bibliografici generali Ci si riferirà, per gli strumenti generali e la storiografia, alle p p . 7-9 di C. Nicolet , Rome et la conquete du monde méditerranéen , vol . I . Vi si aggiunger à , per la b i b l iogr a fi a specializzata della storia romana :

3

[ l ] Petit P . , Guide de l 'étudian t en histoire ancienne, Paris 1 969 • [2] Christ K . , Romische Geschich te. Einfuhrung, Quellenkunde, Biblio­

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Per la storiograjia: [4] Bravo B . , Philologie, histoire, philosophie de / 'histoire ( 1 968) , rist . Hildesheim 1 98 8 .

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Bibliografia

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Dizionari ed enciclopedie Generalità

Daremberg Chr . , Saglio E . , Po tt ier E . , Dictionnaire des A n tiquités grecques et romaines (soprattutto riguardanti i realia e le istituzioni) ,

Paris 1 877- 1 9 1 6 (antiquato) . Pauly A. e Wissowa G . (a cura di) , Reai-Encyclopiidie der Klassischen A ltertumswisse'nschaft ( 1 893 � ) (alcuni articoli essenziali saranno citati qui sotto al loro posto . E il solo dizionario completo per la storia antica. Dedica uno spazio molto ampio agli autori , alle istituzioni, alla proso­ pografia, alla geografia) . Indice dei supplementi di H. Gartner e A. Wun­ sch ( 1 980) . Nuova edizione in 5 volumi : Der kleine Pauly , Deutscher Taschenbuch Verlag , Munchen 1 979 . Das Lexicon der alten Welt, Zurich-Stuttgart 1 965 . Oxford Classica! Dictio nary , Oxford 1 970. L ing u e

[8] Thesaurus Linguae Latinae , in corso di pubblicazione dal 1 900 (at ­ tualmente alla lettera M-0) Teubner , Leipzig (si possono consultare le schede non ancora pubblicate a Monaco) . [9] Porcellini, Totius Latinitatis lexicon , ultima ed . 1 9 1 3 . [ l O] Ernout A . e Meillet A . , Dictionnaire étymologique de la langue la­ tine, Paris 1 979 5 • [ 1 1 ] Oxfo rd Latin Dictionary, a cura di P . G . Giare, Oxford 1982 (at­ tualmente il miglior dizionario di latino) . [ 1 2] Liddell H . G . e Scott R . , A Greek-English Lexicon ( 1 843 ) , Oxford 1 968 (con supplementi) . Top og rafia

Roma

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Hlbllograjia

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Fon ti A utori greci e latini A parte alcuni testi , la cui tradizione manoscritta è difficile da stabi­ lire (come il corpus dei Gromatici veteres) , le fonti che ci sono perven ute attraverso manoscritti sono state oggetto di edizioni scientifiche degne di fiducia, come nella collezione tedesca «Teubner» (senza traduzione) , nella «Collection des Universités de France>> («CUF » , detta frequente­ mente «Collection Budé»), meno completa, ma con traduzione in fran­ cese, la collezione « Loeb » (con traduzione ingl ese) o la collezione « Lo­ renzo V al la» (con traduzione i t a l iana e commento) . Qui sono stati segnalati soltanto i testi per i q u ali è disponibile una traduzione soddi­ s facente . I n mancanza di questa, si può sempre ricorrere alle edizioni­ traduzioni del XIX secolo , ma con cautela : il testo non è sempre corret­ tamente stabilito e la traduzione è spesso discutibile .

A utori latini Apuleio, Apologia; Florida; Metamorfosi [trad . it . con testo latino a

fronte] , Torino 1 984.

512

Bibliografia

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,

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.

A utori greci Elio Aristide, The Complete Works, vol . I I , u n i c o volume pubblicato (discorsi 1 7-5 3 , con l 'Encomio di Roma, disc . 26) , Leyden 1 98 1 (sola trad . ingl . dell' edizione di C. Behr , Leyden 1 976) da « Loeb >> , London 1 973 . Elio Aristide, Discorsi sacri [trad . it . parziale] , Milano 1 984. Arrian o , India , «CUF>> , Paris 1 927 . Diane Cassio , Historiarum R omanarum quae supersun t, Berlin 1 96 5 69 . Diane Crisostomo (Diane di Prus a) , Orationes, 5 voll . , « Loeb >> , Lon­ don 1 949-5 6 . -

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Sulla trasmissione dei testi Reynolds L . D . , Wilson N . G . , Scribes and Scholars: a Guide to the Transmission of Greek and Latin Literature, Oxford 1 9842 [trad . i t . , Copisti e filologi. L a tradizione dei classici dall 'antichità ai tempi mo­ derni, P adova 1 974] . Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura, in A . Giardina (a cura di), Società romana e Impero tardoantico , vol. I V , Roma-Bari 1 986.

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Fonti epigrafiche La pubblicazione sistematica delle iscrizioni latine scoperte a Roma e n elle province dell ' I mpero in una raccolta generale (il C/L) si è fer mata al principio del XX secolo . In epigrafia greca non c ' è mai stata una rac­ colta generale di questo genere . Per r imed i are a queste carenze, da una ventina d ' anni si moltiplicano i corpus regionali . Se ne troverà l ' elenco , come del resto le indicazioni generali e metodologiche, in Guide, 23 , a cura di Fr . Bérard e collaboratori . [23] Bérard Fr . , Feissel D . , Pet itm e n g i n P . , Sève M . ed altri , Guide de l 'épigraphiste. Bibliographie choisie des épigraphies antiques et mé­ diévales, Paris 1 988 2 •

Iscrizioni latine [24] Corpus inscriptionum Latinarum ( C/L) , Berlin , dal 1 863 in poi (senza traduzioni), 17 v olumi , ognuno dei quali comprende più t o m i . [25 ] Dessau H . , lnscriptiones Latinae selectae ( ILS), Berlin 1 8921916. [26] « L ' Année épigraphique» ( «AE» ) , pubblicata a Parigi dal 1 88 8 , conti ene l e nuov e iscrizioni concernenti l' epoca romana . [27] «Roman inscriptions » , rapporti sulle scoperte epigrafiche più im­ po r tanti , pubblicate nel «JRS» (l' ultimo pu b bl i cato nel 1 986) . [28] Cagnat R . , Cours d 'épigraphie latine, Paris 1 91 44 (rist. Roma 1 964) . =

=

=

Iscrizioni greche [29] D i ttenb e r ge r W . , Orien tis Graeci inscriptiones selectae ( = OGJS o OGI), Leip zi g 1 903- 1 905 . [30] Cagnat R . ed altr i , Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinen­ tes ( /GR o IGRR) , Paris 1 906-27 (rist . Chicago 1 97 5 ) . =

Bibliografia

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Numismatica [34] C hr i st K . , A ntike Numismatik. Einfuhrung und Bibliographie, Dar­ m s t ad t 1 9722 • [3 5 ] Grierson P . , Bib/iograph ie numismatique, Bruxelles 1 97 9 . [36] Dentzer J . M . , Hackens T . , Gautier Ph . (a cura di) , Numismatique antique: problèmes et méthodes, Nancy-Louvain 1 974 . [37] M att ing ly H . e Sy d e nh am E . A . , Roman Imperia ! Coìnage, L on d on dal 1 92 3 . [38] M attingly H . , Coins oj th e Roman Empire in the British Museum , L o n do n dal 1 923 . [39] R ob er t s on A . S . , R om an Imperia! Coins in the Hunter Cabine!, O xfo rd dal 1 962 . [40] Giard J . -P . , Catalogue des Monnaìes de l 'Empire R omaìn . I , A u­ guste, Paris 1 988 2 • [4 1 ] Sutherland C . H . V . ed altri, The Cistophori oj A ugustus, L on d o n 1 97 0 . [42] Sutherland C . H . V . , Coinage in Roman Imperia/ Po/ìcy, 31 BC A D 68, London 1 954. [43 ] Sutherland C. H . V . , The Emperor and the Coinage. Julio-Clau­ dian Studies, London 1 976. ·­

Storie generali, m an uali, opere di consultazione, raccolte di testi · Fra le Storie romane an ti c he sono sempre interessanti , dal p u n t o di vista gene r al e e storiografico : [44] Gibbon E . , Decline and Fall of the Roman Empire ( 1 7 76 - 8 8 ) [trad . it . , Storia della decadenza e caduta dell'impero romano , Torino 1 973 2] . [45] Mommsen Th . , Romische Geschichte, Berlin 1 854-56 [trad . it . , Sto­ ria di Roma antica, F i re n ze 1 984] .

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A ugusto Si troverà in A NR W, I I , l , 1 974, pp . 3 sgg . e I l , 2, 1 975 , pp . 55 sgg . una scelta dei lavori più significativi su Augusto . Vi si aggiungeranno i

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Bibliografia

riferimenti del libro di K . Kienast [ 1 69] . Un certo numero di articoli importantissimi e una bibliografia su Augusto sono raccolti nel volume edito d a W. Schmitthenner [ 1 73 ] . Nella scelta bibliografica che segue abbiamo preso in considerazione s o p r at tu t to i titoli successivi all ' anno 1 970 .

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265 , 284, 3 5 5 , 357, 434.

tabula Banasitana, cfr. Banasa. tabula Hebana, 65-66, 92. tabula Siarensis, 65-66, 89, 92. tasse, 1 28-29, 1 3 5 , 226 , 236-3 7 , 288294, 3 1 1 - 1 3 . templum, tempia, 1 54 . Tesoro militare (aerarium militare), 7 7 , 1 29 . Tesoro di Saturno (aerarium Saturm) , 72, 9 1 . theòs, 1 60 . Tiberio, 30-3 1 , 3 7 , 5 9 , 290, 3 5 2-5 3 . Ti(berio) Gemello, 3 9 . tiranni , 7 , 56, 6 0 sgg . , 26 1 sgg . , 290. titoli imperiali, 3 3 . Traiano, 284, 286, 29 1 , 3 1 0, 3 5 6 . trattati , 5 0 , 290-94, 304 . tribù (gens, gen tes) , 242-45 , 277, 28 3 , 285 , 346, 364 , 367 . tribunali , 1 0 1 sgg . ; - tribunale del governatore, 233236; - tribunale imperiale , 1 1 6 sgg . tribunato della plebe , tribuni, 55 sgg . , 8 3 , 1 1 3 , 464; - di legione , 1 7 5 , 463 . tribunicia potestas, cfr. potestà tribu­ nizia. tributi , 1 28-29 , 293 , 3 1 2- 1 3 , 334 sgg . triumvirato , 1 2 sgg . , 63 sgg . ; - conferenza di Bologna, 1 3 ; - pace d i Brindisi , 1 5 ; - pace d i Miseno , 1 5 ; - politica municipale , 29 1 -92, 308 ; - poteri triumvirali , 1 6 sgg . triumviri capitali; monetari (a Roma) , 7 1 , 463 . ufficiali equestri, 1 75-7 6 , 1 8 5 , 442-43 , 45 1 sgg . uffici dell' amministrazione imperiale , 1 32 , 1 3 7-40.

578 Urso (le gg e municipale di) , 322, 3 28 , 3 3 3 , 3 3 7 , 405 . ventesimo delle eredità, 1 29 . Vespasian o , 224 , 29 1 , 303 , 3 5 6- 5 7 , 405 , 460 ; cfr. !ex « de imperio Vespasia­

ni» .

Vestali , 1 54- 5 5 , 4 1 2 . veterani , 1 7- 1 8 , 200 sgg . , 305- 1 3 , 396, 43 8 , 44 1 . vexillatio (distaccamento mili tare) , 1 7 5 .

Indice analitico

viatores (mess aggeri) , 82 , 8 7 , 228 , 3 3 3 . vicus: - agglomerati rural i , 28 3 , 3 1 8 sgg . , 346-49 , 427 ; - quartiere urbano, 3 1 8 , 428 . vigili , 304; cfr. coorti dei vigili. vigintivirato, 7 1 -72, 463 . Virgilio, 5 3 . virtus, 24. Vittoria (statua della) , 87-8 8 . v o ti pubblici , 3 5 , 8 8 , 1 5 9 .

Indice del volume Prefazione

v

I. Dal «princeps» all 'imperatore l . L a creazione del principato d a parte d i Augusto

8

L ' età triumvirale (44-28) , p . 1 2 - I l principato di Augusto (27 a . C . 1 4 d . C . ) , p . 20

2 . L ' investitura del principe dopo Augusto

31

Aspetti formali dell ' investitura, p. 3 1 - Aspetti «privati» dell'investitura, p. 3 7

3 . I poteri del principe Il potere del principe , p. 4 1

41 -

I poteri del l ' imperatore , p. 45

4 . La rappresentazione del potere imperiale

52

Il principato tra la monarchia e la repubblica libera, p. 53 - Tra uomo e dio , p. 58

II. fl principe e la «res publica» l . Le istituzioni trad izionali del popolo romano I comizi , p. 65 - I magistrati , p . 69 - I l senato, p . 8 5 p . 99

-

63

La giustizi a ,

2 . I l p r i n cip e e il governo della res pubfica

111

Il principe , la vita pubblica e il governo del mondo, p . 1 1 1 - L ' am­ ministrazione imperiale , p . 1 3 1

III. Le religioni l. Princìpi generali Religioni comunitarie , p. 1 46 - Religioni ritualistiche , p. 1 4 8 - Ese­ gesi e interpretazioni , p. 1 49 - Religioni politeistiche , p. 1 50

1 45

Indice del volume

580

151

2. I culti pubblici Il culto pubblico di Roma, p. 151- I culti pubblici delle colonie e dei municipi, p. 162- Le città peregrinae, p. 163

3. Religioni, devozioni e pensieri religiosi privati

164

IV. L 'esercito 168

l. La struttura dell'esercito Le legioni, p. 168- I corpi ausiliari, p. 169- La marina, p. 172- La guarnigione di Roma, p. 172 - I distaccamenti, p. 173

174

2. L'organizzazione dell'esercito L'organico, p. 174- La truppa e i sottufficiali, p. 177

180

3. Il reclutamento I legionari e le truppe dell'Urbe, p. 181 reclutamento dei quadri, p. 185

-

Gli ausiliari, p. 184- Il

186

4. L'attività militare e le strategie dell'Impero L'ordine interno, p. 187- I l lim es, p. 189- I grandi settori strate­ gici, p. 194

5. Il posto dell'esercito e dei militari nell'Impero

196

Il costo deli'esercito, p. 196 Le condizioni dei soldati e dei vete­ rani, p. 198- L'esercito e le trasformazioni dell'Impero, p. 202 -

V. L 'influenza romana sull'Impero l. L'occupazione dell'Impero

207

I censimenti, p. 207- La delimitazione e la suddivisione a scacchie­ ra del mondo, p. 210- L'imperatore proprietario, p. 213

2. L'amministrazione delle province

215

L'organizzazione delle province, p. 216- La gestione delle provin­ ce, p. 226 Le forme di amministrazione diretta, p. 237 Le pra­ tiche amministrative e i ricorsi degli amministrati, p. 245 -

3. Gli Stati vassalli

-

254

58 1

Indice del volume

VI. Gli statuti delle persone e della comunità l . L e cittadinanze

267

La cittadinanza locale, p. 267 - Il contenuto della cittadinanza romana, p. 268 - L ' acquisizione della cittadinanza romana, p. 276

2 . Statuti e strutture delle città

28 1

La comunità cittadina, quadro necessario della vita civilizzata, p . 28 1 - L e città peregrinae, p . 287 - L e comunità d i tipo romano : municipi e colonie , p . 295 - Suddivisioni e dipendenze delle città, p . 313

3 . I l governo della comunità cittadi n a

321

I l ruolo del popolo , p . 322 - Caratteristiche e funzioni della classe dirigente , p . 3 24 - Il consiglio della comunità cittadina, p. 3 3 0 - I magistrati, p . 3 3 2 - La gestione degli affari pubblici , p. 334 - Gli incaricati imperiali di missioni nelle cittadinanze , p. 3 3 9

4 . Le comunità prive d i statuto civico

346

Villaggi autonomi e tribù, p. 346 - Gli insediamenti delle zone militari , p. 3 47

5 . L a politica imperiale

349

La fi ne della Repubblica e Augusto, p . 349 - Da Tiberio a Nerone ( 1 4-68) , p. 3 5 2 - Da Vespasiano a Traiano (69- 1 1 7) , p. 3 5 6 - Da Adriano a Commodo ( 1 1 7- 1 92), p . 3 5 8 - La rivoluzione severiana, p. 3 5 9 - Tre secoli d ' integrazione , p . 369

VII. La società l . L a popolazione dell' Impero

378

Struttura della popolazione, p . 3 7 8 - Importanza della popolazione, p . 3 8 3

2. Le caratteristiche della società romana

386

I modi d i differenziazione , p . 3 8 7 - Ricchi e poveri, p . 396

3 . Le relazioni sociali

407

Preminenza dei rapporti verticali , p. 408 - L ' evergetism o , p. 4 1 6 Violenza , insicurezza e oppressione, p . 424 - Le associazioni di ten uiores, p . 428

4 . I ceti dirige n ti Le élite locali , p . 434 - I quadri del l ' Impero , p . 443 - L ' ordine natorio e i senatori , p. 456

432 se-

5 82

Indice del volume

5. Le categorie intermedie

469

6, I l « sistema schiavistico» : la schiavitù e le altre forze di lavoro

472

L 'importanza del gruppo servile, p. 473 - L e fonti della schiavitù , p . 475 - Le diverse « forze di lavoro» e la vita economica , p . 476

VIII. L 'attività economica l . I poteri pubblici e l ' economia

484

2. Le attività economiche I ca mb iame n ti dell' agricoltura, p. 488 489 - La diffusione delle merci , p. 496

488 -

I prodotti manufatti, p.

3 . Le grandi zone di produzione

499

L ' Italia, p. 499 - L a Gallia e la Spagna , p. 5 0 1 - L ' Afr i ca del Nord , p . 503 - L' Oriente , p . 506-

Bibliografia I ntroduzione metodologica e bibliografica

5 09

Strumenti bibliografici general i , p. 509 - D i zi onar i ed enciclopedie, p. 5 1 0 - Fo nt i , p . 5 1 1 - Storie general i , manual i , opere di consul­ tazione, raccolte di testi , p. 5 1 5

I l periodo del triumvirato

518

A ugusto , p. 521 - Il potere imperiale , p. 5 26 - I stituzioni del po­ polo, p. 5 3 0 - Governo i mperiale, p. 532 - Religioni, p. 5 3 7 - L'e­ sercit o , p . 5 4 1 - I l c ontrol lo dell ' I mpero , p . 544 - Amministrazione regi o n al e e provi nci ale , p. 545 - Le cittadinanze , p. 548 - Le co­ munità cittadine, p. 550 - La popolazione dell ' I m pero , p. 5 5 4 Società , p . 5 5 5

Vita economica

563

Opere generali e lavori riguardanti diversi ca m pi , p . 563

Indice analitico

57 1