Repertorio d'arte dell'Egitto greco-romano. Elementi architettonici di Alessandria e di altri siti egiziani
 9788870628104, 9788891306043

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SOMMARIO

Presentazione

pas.

Elenco delle abbreviazioni

»

Introduzione

»



INQUADRAMENTO

II IH IV.

XIII XV XVII

STORICO-ARCHITETTONICO

Testimonianze di architettura greco-romana in Egitto Architettura cristiana in Egitto Tipologia e modalità d'impiego degli ordini architettonici Testimonianze edilizie e decorazioni architettoniche in Egitto: svolgimento cronologico

» »

57 62

»

ELEMENTI ARCHITETTONICI DI ETÀ ELLENISTICA

I

Caratteri dell architettura ellenistica nel bacino del Mediterraneo

»

II

Elementi dell'ordine dorico

»

III IV V VI VII

Elementi dell'ordine ionico Cornici Soffitti Capitelli corinzi Basi

»

VIII

Colonne, semicolonne, quarti di colonne

»

» » » »

75 79 84 92 108 109 121 123

MOTIVI DELL’ ARCHITETTURA ALESSANDRINA 131 133 135 138 140 144 145

Susa

Introduzione Frontoni semicircolari arcuati Facciate architettoniche con rappresentazioni illusionistiche Frontone interrotto e angoli di frontone Interruzione illusionistica tramite pittura di pareti e di soffitti con finte aperture che mostrano lo spazio libero . Capitelli compositi egizi APPENDICE: Motivo del timpano ad arco ed elementi che lo accompagnano nella pittura e nei mosaici

FLEMENTI ARCHITETTONICI DI ETÀ IMPERIALE E BIZANTINA

Criteri di suddivisione dei capitelli I Capitelli corinzi nella tradizione tardo-ellenistica (tipo «greco»)

» »

151 152

VII

II IN

Gruppo dei capitelli corinzi asiatici in marmo dal II al tardo IV secolo Gruppo dei capitelli bizantini-corinzi, corinzieggianti, compositi e a calice in marmo, d’importazione e di officine locali dal tardo IV al VI secolo IV | Gruppo dei capitelli corinzi e corinzieggianti in pietra locale («copti») dal IV al VII secolo D.C. V Gruppo dei capitelli bizantini, in marmo e pietra locale, con altre forme (ad acanto mosso dal vento, ad imposta, a due zone, figurati), dal V al VI secolo VI X Storia delle forme VH Capitelli Ionici di età Imperiale e Bizantina VII Colonne e marmi colorati IX Basi

pag. » »

» » » » »

153 157 161 164 166 178 181 185

PROVENIENZE

193 195 217 2]9 221 223, 238 244 273 289 299 301

Premessa I Alessandria

II II

Canopo E] Dekhelah

IV

Teadelfia

V VI VII

Dionysias Tebtynis Hermoupolis magna

ΝΠ

Antinoe

IX X XI

S. Mena Il Monastero di Apa Apollo a Bawit Il Monastero di Apa Geremias a Saqqara

CATALOGO DEGLI ELEMENTI ORDINATI SECONDO

IL CONTESTO

Elementi dell’edificio progettato presso la banchina del porto orientale di Alessandria (v. p. 213)

»

Elementi rinvenuti nell’area del Serapeo di Alessandria (v. p. 159)

»

Elementi del Santuario Tolemaico di Hermoupolis Magna (v. p. 248) Elementi architettonici del Serapeo del mons. Porphyrites (v. p. 14)

» »

311 320 324 328

CATALOGO DEGLI ELEMENTI ORDINATI SECONDO LA TIPOLOGIA

CAPITELLI

Capitelli dorici Capitelli ionici Capitelli compositi egizi Capitelli corinzi e corinzieggianti di età tolemaica Frammenti di capitelli corinzi Capitelli di tipo siriano Capitelli corinzi e corinzieggianti di età imperiale Capitelli corinzi e corinzieggianti di età bizantina Capitelli compositi di età bizantina

Capitelli di officine e pietre locali di età bizantina Capitelli a foglie lisce Capitelli bizantini d’importazione e di officine locali di varie forme Capitelli sbozzati

g

“ΕΠ SE

Capitelli corinzi di dubbia antichità

335 336 348 352 385 391 392 411 434 436 452 462 470 471 473

Basi del tipo peloponnesiaco di età ellenistica

Basi attiche di età ellenistica Basi attiche di età imperiale e bizantina Basi con piedistallo Basi con piedistallo e pilastro ottagonale

473 473 475 479 486

VI VII

Basi di colonna su piedistallo ottagonale Basi con acanto

pag. »

486 488

ELEMENTI DI TRABEAZIONE

I Cornici Ioniche II Cornici Doriche II Fregi Dorici IV Trabeazioni miste con cornici Ioniche e fregi Dorici V Fregi Ionici decorati VI Soffitti decorati di edicole VII Antefisse VIII Coronamento di pareti IX Elementi di portali X Architravi XI . Elementi di trabeazione di età imperiale (nello stile microsiatico) e bizantina XII — Elementi architettonici tardi nella tradizione alessandrina XIII Appendice XIV Appendice: frammenti con decorazioni in stucco XV Sidi Kreir

»

493 513 514 518 519 521 523 523 524 526 527 530 538 541 542

CONCLUSIONI

»

543

INDICI ANALITICI

»

563

Suddivisioni del catalogo ed elenco dei tipi

»

Corrispondenza tra i numeri di inventario del Museo di Alessandria e i numeri del catalogo

»

Tabella di concordanza dei numeri di inventario del Museo di Alessandria inizianti con G Indice delle provenienze Indice dei soggetti Indice delle sigle Indice delle iscrizioni

» » » » » » » » » » » » » »

» » » » »

565 577 593 595 601 609 609

PRESENTAZIONE

Questo la ripresa,

volume, dopo

III della serie C (architettura) del «Repertorio

una lunga

interruzione,

di codesta grandiosa opera di respiro

ta e diretta da Achille Adriani. Dei motivi molteplici di forza maggiore, pià grave

e il pià doloroso per

d'arte dell’Egitto greco-romano»,

che hanno fatto segnare

tutti noi e stata

la scomparsa

internazionale,

ideata,

segna

realizza-

il passo all'edizione del Repertorio

di A. Adriani,

a Roma,

il 14 Dicembre

il

1982.

L'attività di ricerca svolta da Achille Adriani — come ho scritto con l'amico A. Di Vita, nell'Introduzione al primo volume degli studi in suo onore (1983) — in quasi un cinquantennio di impegno scientifico, ha coperto i campi più disparati d'indagine, con un imponente complesso di studi e di iniziative che hanno portato un contributo di primo piano alla conoscenza del mondo antico. Egli ha ripreso e rinnovato la prestigiosa tradizione che la scienza archeologica italiana aveva iniziato sin dalla fine del secolo scorso in terra d'Egitto, ponendo le basi per un'approfondita conoscenza scientifica dell'Egitto greco-romano. Poche volte à accaduto, nella storia delle discipline archeologiche, che tanti studiosi siano debitori verso uno solo: un uomo di cultura esemplare per dignità e coerenza, autore di un discorso continuo e ragionevole che può essere additato come modello di limpida e sistematica programmazione. Il «Repertorio d'arte dell'Egitto greco-romano» ne è la prova più alta. Qualche mese prima della morte, quando, dopo un lungo periodo di stanchezza più morale che fisica, aveva ripreso con buona lena e si era rimesso al lavoro, aveva allestito un piano di sviluppo del Repertorio, su specifici temi di ricerca, che voleva affrontassimo noi allievi anziani degli Istituti di Archeologia di Palermo, di Napoli e di Roma. Era la continuazione di un progetto antico, e mai dimenticato, che Egli intendeva perseguire ancora con tenacia. E fu proprio durante il suo magistero universitario romano che l’Adriani assegnò a Patrizio Pensabene lo studio

e l’edizione,

per

il Repertorio,

dei

numerosi

e ricchi

elementi

architettonici

di Alessandria.

Ed

a

questo tema complesso il Pensabene ha dedicato la sua lunga, paziente e dotta ricerca, scavando con attenta erudizione soprattutto tra le cose inedite e allargando utilmente i confini che all’inizio si intravvedevano per l’opera. Il risultato è una delle più ampie e complete rassegne sulla decorazione architettonica ellenisticoromana che siano in circolazione, e per un’area provinciale fondamentalmente autonoma e, inoltre, quasi del tutto ignota com’é l'Egitto. Queste mie sono fin troppo brevi parole di ringraziamento a Patrizio Pensabene, per la qualità scientifica della sua opera, ma vogliono pure riconoscergli il merito di avere compreso e serbato, intatti, certi valori umani che vivono nel futuro. A questo che vede ora la luce seguirà presto il quarto volume della serie B ( pittura), in avanzata fase di preparazione, che concluderà la sequenza dei tomi del Repertorio dedicati ai ritratti dipinti di mummie; e anche quest'ultimo volume lo dovremo alla dottrina e alla perizia di Klaus Parlasca. Insieme con la benemerita e coraggiosa casa editrice L'Erma di Bretschneider, desidero ringraziare, con l'Autore, quanti hanno facilitato il nostro compito per la realizzazione del presente volume, e, in particolare, le Autorità Egiziane e gli Amici del Museo Greco-Romano di Alessandria, nonché i molti Colleghi italiani e stranieri, per la liberalità cortese e l'appoggio incondizionato che hanno voluto riservarci. NicoLa

BONACASA

XI

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

in Annuario,

1932-33

A. ADRIANI, in Annuario del Museo greco-romano,

ADRIANI, in Annuaire,

1933-35

A. ADRIANI,

ADRIANI,

in Annuaire du Musée gréco-romain,

1932-1933. 1933-1935.

ADRIANI,

in Annuaire,

1935-39

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in Annuaire,

1940-50

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DE VILLARD,

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Nimes

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Piazza Armerina

PENSABENE,

Scavi di Ostia,

PENSABENE,

Cherchel

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vom heiligen Menas

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S. STUCCHI, Architettura cirenaica, Roma

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A.J.B.

Wace,

A.H.S.

MEGAW,

T.C.

SKEAT,

Hermopolis

Magna

- Ashmu-

nein. The Ptolemaic sanctuary and the Basilica, Alexandria 1959.

Solo dopo la consegna nel 1989 all’editore ho preso visione dei seguenti lavori di cui non ho potuto usufruire: C.

BARSANTI,

«L'esportazione

di marmi

dal Proconneso

nelle regioni

pontiche

durante

il IV-VI

secolo»,

in R/ASA,

12,

1989, pp. 91-220. M.L.

FrscugR,

Das

Korinthische

Kapitell

im alten Israel in der hellenistischen

und rómischen

Periode,

Mainz

am

Rhein

1990. K.S.

FREYBERGER,

Stadrdmische Kapitelle aus der Zeit von Domitian bis Alexander Severus, Mainz

am Rheim

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XV

INTRODUZIONE

Scopo di questo lavoro à di fornire un contributo alla storia dell'architettura di tradizione greco-romana in Egitto del periodo tolemaico, imperiale e bizantino tramite lo studio di alcuni resti monumentali e il catalogo di elementi architettonici in questa tradizione che si conservano ad Alessandria e in vari siti archeologici egiziani. Non si tratterà tuttavia di un catalogo esaustivo di tutti gli elementi architettonici del periodo ellenistico e romano, bensi di una scelta di pezzi utile ad una ricerca sugli elevati architettonici, sulle modalità d'uso degli ordini tradizionali (uniformità, mescolanze, ecc.) e sulla storia delle forme basata sui tipi di capitelli, basi, cornici ed altri elementi della trabeazione. Il catalogo è più ampio per quello che riguarda il materiale del museo di Alessandria, in quanto questo costituisce il costante punto di riferimento per lo studio dei rapporti di Alessandria con la cultura architettonica del mondo ellenistico e romano, tenendo conto del ruolo che l’antica tradizione architettonica egiziana ebbe nel determinare l'introduzione di nuove forme o l’arricchimento delle forme di tradizione greca. Limitata è invece la parte di catalogo relativa alla produzione architettonica cristiana in pietra locale dei centri dell’interno (arte «copta»), conservata nel Museo di Alessandria (nuclei di Banasa, di Tebtynis), nel Museo Copto del Cairo (nuclei di Saqgara, Bawit e Ahnas) e ancora sul posto soltanto in pochi edifici (ad esempio nella Basilica di Hermoupolis Magna, nel Convento Rosso presso il Sohag): in questa sede infatti non si vuole redigere una storia degli elementi architettonici cristiani, ma soltanto studiare i rapporti dei centri conventuali con l'architettura ufficiale bizantina,

quale è testimoniata in Egitto nel santuario di San Mena e che certamente doveva esistere ad Alessandria, dove risiedevano officine che avevano assimilato lo stile bizantino, e ancora i rapporti con la cultura architettonica contemporanea di altre regioni del Mediterraneo. Sarà possibile in tal modo anche impostare il problema della sopravvivenza, o meglio della ripresa, di tradizioni decorative alessandrine nell'architettura cristiana, e di valutare anche l'apporto di altre influenze, come quelle dell'architettura siriana. Ma la scelta di includere nello studio e nel catalogo che qui si presenta elementi architettonici nella tradizione grecoromana non solo di Alessandria, ma anche di altre località egiziane, è dovuta alla necessità di ricercare i collegamenti storici che tali presenze permettono. Infatti nelle metropoli dei nomoi egiziani il settore della popolazione di origine greca si mantenne sempre distinto dall'elemento egizio — anche per gli sgravi fiscali che derivavano da questa condizione —, e caratteristiche sono le associazioni intorno ai ginnasi e la presenza di teatri e di forme architettoniche, quindi, estranee alla tradizione egizia, che evidentemente riflettono i modi con cui veniva mantenuta tale distinzione: di

conseguenza, data la continuità, anche in età tolemaica e romana, della tradizione faraonica nella grande architettura religiosa e anche funeraria, e l'abbondanza di testimonianze archeologiche in tal senso, contrapposta alla rarità del conservarsi in Egitto di edifici monumentali nella tradizione architettonica greco-ellenistica, assumono importanza anche i frammenti architettonici dell’elevato, come resti di cornici, basi, capitelli, rocchi di colonne. Anche quando di questi si ignori il contesto, già la loro presenza rimanda a tipologie edilizie greco-alessandrine e romano-imperiali: le osservazioni che se ne possono trarre, anche cronologiche e quantitative, unite alle informazioni derivanti dai papiri, possono fornire un contributo alla storia dei vari siti egiziani. Questa mancanza di contesto, non solo dunque per i pezzi del Museo di Alessandria, ha impedito lo studio dei singoli elementi nell’insieme dell’elevato architettonico in cui originariamente erano inseriti: ciò ha determinato in questo lavoro una maggiore enfasi sullo studio degli aspetti formali e una ricerca minore sui rapporti proporzionali, non essendo possibile mettere in relazione le dimensioni degli elementi di una stessa trabeazione, se non in un numero ristretto di casi. In tal senso ci si è affidati ai complessi già editi (edificio del Quartiere Reale e necropoli di Alessandria, tempio di Augusto a Philae, alcune tombe di Tuna el-Gebel, tempietto di Dionysias, Serapei del Mons Porphyrites e del Mons Claudianus, fontane di Dendera, fortezze di Babylon, di Luxor e di Dionysias, Basilica cristiana di Hermoupolis Magna, Grande

Basilica

di San Mena,

Convento

Rosso

e, fuori dall’Egitto,

ma

sicuramente

ad opera di maestranze

alessandrine,

XVII

il Palazzo delle Colonne a Tolemaide), ed è su di essi che si basano i nostri tentativi di ricostruzione delle forme degli edifici e dei vari tipi di elevati architettonici associabili, con i relativi rapporti proporzionali, che utilizzano gli ordini tradizionali greci: in definitiva la ricerca è nuovamente sul ruolo di Alessandria nel tradurre in Egitto e nel modificare, a seconda delle tradizioni locali e delle nuove funzioni, forme architettoniche greco-ellenistiche e romane. Nel tentativo di ricucire il distacco tra uno studio tipologico e stilistico di elementi architettonici, quale qui si presenta, e una storia dell'architettura di tradizione greco-romana in Egitto, a cui tale studio deve servire, si é ritenuto utile iniziare questo volume con un esame riassuntivo delle testimonianze di edifici religiosi e civili nelle tradizione architettonica greca e romana rinvenuti in Egitto, limitatamente a quelli noti dalla bibliografia (templi, ginnasi, terme, sale di riunione, archi, porte, fortezze). Questa raccolta ha lo scopo di aiutare la comprensione del ruolo dell'Egitto nella storia dell’architettura ellenistica, imperiale e bizantina, ma soprattutto di suggerire il tipo di contesti nei quali gli elementi architettonici qui catalogati dovevano essere impiegati. : Ma perché un catalogo tipologico e non ordinato secondo località geografiche? Un fattore determinante di questa scelta è dovuto all’impossibilità di risalire all’esatto luogo di provenienza per una parte del materiale del Museo di Alessandria, non necessariamente proveniente dalla città, ma spesso anche da altri siti egiziani, come risulta dai libri di inventario: nei decenni passati vi era la pratica di inviare ad Alessandria i pezzi di tradizione greco-romana, in contrapposizione al Museo egizio del Cairo. È anche vero che è risultato più utile un ordinamento sistematico secondo le tipologie, data proprio l'impostazione del lavoro «filologica», cioè basata su un'analisi formale, e non architettonica, in quanto l’analisi delle proporzioni è stata possibile solo su una minima parte dei pezzi: inoltre, come si è detto, non è stato possibile ricostruire gli alzati dei contesti originari, se non in alcuni casi già noti dalla bibliografia. È per questo che soltanto per pochi edifici, di cui era noto un numero complessivo di elementi sufficiente ad una ricostruzione attendibile, si è preferito catalogare i pezzi non in base alla tipologia, bensì della provenienza: e sono le schede degli elementi di questi che appunto aprono il catalogo (Serapeo ed edificio del « Quartiere reale» ad Alessandria, santuario tolemaico di Hermoupolis Magna, Serapeo del Mons Porphyrites). Per altri edifici, pur essendo le schede degli elementi architettonici relativi inserite nel catalogo tipologico, in quanto, a causa della pratica del reimpiego o della mancanza di dati di scavo,

non

era sempre possibile

una precisa

ricostruzione

architettonica,

sono state tuttavia redatte descrizioni sintetiche,

che precedono il catalogo, con allegato l’elenco dei pezzi da essi provenienti. Ove è stato possibile, tali decrizioni sono state unificate all’interno di capitoli che trattano delle città a cui gli edifici appartengono. In particolare si è ritenuto opportuno, data l’importanza storica dei siti, redigere capitoli riguardanti rispettivamente il Serapeo e l’area di Kom el Dick di Alessandria, Canopo, Teadelfia, Hermoupolis Magna, Antinoe, Tebtynis, Dionysias, S. Mena, Saqqara e Bawit. Per l'inquadramento storico-architettonico di Alessandria, rinvio invece al volume I di questo repertorio redatto da Achille Adriani.

II È dunque l’impossibilità, per buona parte del materiale di Alessandria e del Cairo, di essere organizzato secondo dei contesti che ha determinato l’ordinamento strettamente per classi e per tipi degli elementi raccolti nel catalogo. Ma perché descrizioni così particolareggiate nelle singole schede del catalogo, anche quando apparentemente le differenze fra elementi di tipi diversi, ma molto affini, sono relativamente poche? Perché infine viene qui presentato un catalogo, quando in effetti questo dovrebbe essere il lavoro preparatorio («la schedatura») allo studio tipologico, stilistico e storico-architettonico? Da una parte l’impostazione editoriale data a questi volumi del repertorio dell’Egitto greco-romano richiedeva una scheda per ogni singolo «monumento» trattato. Dall'altra, attraverso descrizioni anche ripetute con piccole varianti, si voleva offrire un modello interpretativo alla base del quale vi è una visione d’insieme dello «svolgimento» della forma assunta dagli elementi architettonici e dell’elevato in cui erano inseriti durante un periodo amplissimo, dall’età ellenistica a quella bizantina. È stato in tal modo possibile verificare la natura delle tradizioni decorative e dei ricorrenti classicismi alla base delle scelte formali nelle varie epoche: anche per la forma assunta dagli elementi decorativi dell’elevato architettonico ha avuto infatti un grosso ruolo il patrimonio delle tradizioni iconografiche che venivano tramandate all’interno delle officine. Di conseguenza, ogni continuità o rottura rispetto a queste tradizioni andava rilevata, dato il portato storico che esse avevano, ed è proprio la terminologia impiegata nelle descrizioni che permette di rilevare in modo immediato i cambiamenti o le continuità. Spesso le ricerche fatte in passato, ad opera di studiosi esperti soprattutto in un periodo, hanno causato la creazione e il tramandarsi di modelli descrittivo-interpretativi, che non tenevano conto delle precedenti tradizioni iconografiche rispetto a cui, in realtà, le varianti successivamente introdotte mostravano un continuo rapporto dialettico: l'insistenza dunque in questa sede sull’importanza delle descrizioni nasce dall’esigenza di ristabilire il rapporto esistente tra le innovazioni ed i modelli tradizionali, proprio per restituire un'immagine più organica dei processi storici che sono alla base anche di «inezie» quali le piccole, ma costanti, differenze nella decorazione architettonica. Ma il ritorno al catalogo ha un altro significato: troppo a lungo nel campo degli studi di classi di materiali come i capitelli ha dominato il presupposto di una «logica interna dello sviluppo » (Kautzsch) e tale interpretazione ha finito per penetrare insidiosamente nei metodi di ricerca ed in particolare nelle modalità con cui venivano create e collegate serie tipologiche (derivazione automatica di forme più semplificate da forme più complesse). XVIII

x

Ora, si è consapevoli dell’impossibilità di formulare uno svolgimento (per usare il termine che Bianchi Bandinelli preferiva a quello di sviluppo nel tentativo di evitarne le implicazioni) che tenga conto della complessità dei processi storici, data la mancanza in Egitto, fino ad ora, di una documentazione almeno sufficiente a tale scopo. La distruzione o la mancanza di informazioni sui monumenti scavati, per quello che riguarda i resti architettonici nella tradizione greca e romana, sono enormi: solo negli ultimi anni vi è una netta tendenza allo scavo o allo studio di siti già scavati, con un'ottica non solo «faraonica» o «copta», come mostrano le ricerche inglesi ad Hermoupolis Magna, francesi a Luxor e Dendera, polacche a Kom el Dick e Athribis, egiziane a Marea o tedesche a Saqqara e S. Mena e nelle cave di granito o di porfido. . Nonostante queste difficoltà e lacune nella documentazione, é sembrato utile tentare un quadro d'insieme e tracciare la storia delle forme degli elevati architettonici e anche dei singoli elementi (mancando quasi sempre il contesto): ció allo scopo di fornire un contributo alla conoscenza dell'Egitto greco e romano. In tal senso non si é rinunciato a proporre uno studio generale dei vari « svolgimenti» architettonici, ma parallelamente si è deciso di accompagnarlo con il catalogo dei singoli pezzi per consentire una verifica direttamente sul materiale, presentato nei suoi elementi più essenziali (immagine, misure, descrizione e confronti). * Ok

ck

Ricordo con affetto Achille Adriani di cui sono stato assistente all’Universita di Roma, durante il suo periodo di insegnamento alla Cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana (1971-1978), e che mi propose la redazione di questo volume del Repertorio (iniziato nel 1978), aiutandomi in ogni modo. All’incoraggiamento e alla fiducia di Nicola Bonacasa devo l'aver potuto portare a termine il lavoro. Discussioni proficue sull'argomento di questo lavoro ho avuto con Luisa Bongrani Fanfoni e Claudia Barsanti dell' Università di Roma. La trascrizione e la correzione del testo sono opera di Marina Milella, Antonella Bracalenti e Silvia La Regina, che ringrazio vivamente. PATRIZIO Roma,

novembre

PENSABENE

1989

NB. La collocazione citata nelle schede dei pezzi del Museo di Alessandria non corrisponde più, in molti casi, all’attuale sistemazione, poiché negli ultimi due anni vi & stato il trasferimento di molti elementi in altri siti archeologici di Alessandria (area del Serapeo, di Kom el Dik e di Kom esh-Shogafa): ove è stato possibile, si è riportata la nuova collocazione fra parentesi.

XIX

TESTIMONIANZE

1.

DI ARCHITETTURA

GRECO-ROMANA

IN EGITTO

INTRODUZIONE

La storia dell'architettura di età tolemaica e imperiale in Egitto non é facilmente percorribile, soprattutto per i monumenti costruiti nella tradizione greco-romana o influenzati da questa: infatti ad una certa abbondanza di citazioni negli autori antichi, nei papiri e nelle iscrizioni, che riguardano edifici pubblici, come ginnasi o templi dedicati a divinità greche e a imperatori, per i quali è ipotizzabile tale tradizione, si contrappone un'assoluta scarsità nell'informazione di resti architettonici del periodo imperiale. Ciò è dovuto a molteplici ragioni, come il maggiore interesse rivolto dagli scavatori

ai monumenti

di età

o di tradizione

faraonica,

come

ancora

l'impossibilità

di rilevamenti

sistematici

al momento

dello scavo nei vari siti archeologici, e soprattutto ad Alessandria durante la sua moderna espansione edilizia nella prima metà del secolo: a ciò si aggiungono cause storiche ben precise, quali la distruzione dei monumenti antichi, avvenuta nel periodo cristiano e arabo, sia per motivi religiosi, come ad esempio per il Serapeo di Alessandria, sia per la necessità di reperire e reimpiegare, dall’età altomedievale in poi, elementi architettonici soprattutto di marmo e di pietre dure — basti pensare che al Cairo sono reimpiegati più di seicento capitelli del IV-VI secolo nelle moschee e nelle chiese!. Di conseguenza va rilevato, seguendo le linee già tracciate dal Castiglione?, come paradossalmente sugli edifici pubblici dell'Egitto romano, che pure ebbero un grosso ruolo nella vita sociale di allora, si sappia meno rispetto alla storia

delle sue produzioni artistiche. In effetti mancano tuttora lavori d’insieme sull’architettura romana, nonostante siano passati più di vent'anni dal lavoro del Castiglione che già lamentava questa assenza, mentre sono pochi gli studi esaurienti su singoli complessi monumentali. Fanno eccezione solo alcuni edifici di Alessandria e di altre località (ad esempio la necropoli di Mustafà Pascia, le terme e l’auditorium di Kom el Dik, le fontane di Dendera, il campo di Luxor, il komasterion di Hermoupolis Magna) e alcuni dei principali monumenti dell'architettura cristiana (Saqqara, Bawit, S. Mena): su questi da qualche anno si sta procedendo ad un'intensa opera di revisione degli scavi e delle ricostruzioni allora proposte, ora non piü attendibili (v. oltre). È stato spesso rilevato come Alessandria in una qualche misura sia rimasta sempre il modello per tutte le altre città egiziane; la relativa scarsità di resti architettonici rispetto alla sua grandezza e l'impossibilità di ricostruire in modo almeno sufficente l'aspetto e le scelte architettoniche dei suoi edifici in età romana, rende quindi necessario rivolgersi ai pochi resti monumentali ancora superstiti di alcune delle metropoli egiziane. Ció nel tentativo di individuare gli apporti di Alessandria, derivanti sia dalla tradizione greco-alessandrina, sia dal suo ruolo di capitale nell'introduzione dell'architettura ufficiale romana in Egitto. Viene ribadita dal Castiglione? come caratteristica delle capitali dei nomoi il fatto di essere città erette intorno a grandi santuari egiziani, anche se questi spesso assunsero la loro forma definitiva, o addirittura furono fondati, proprio in età tolemaica o romana. Le città svilupparono una tendenza non solo ad accerchiare, ma anche ad invadere il territorio del santuario: anzi in età tardo-antica questo venne spesso completamente occupato, fino ad arrivare sia all'insediamento di chiese al suo interno,

come

mostrano

i casi di Dendera

e di Kom

Ombo,

sia al suo inserimento

in un castrum

romano,

come avvenne a Luxor, dove inoltre una sala interna del tempio fu trasformata in praetorium^; vi sono peró altri casi che indicano un abbandono di questa zona, come avvenne per il santuario di Sekhnebtynis di Tebtynis, nel Fayum, utilizzato come cava di pietre per chiese costruite in altri quartieri della città (v. p. 239). Un altro esito è testimoniato a Hermoupolis

! H.G. Severin, in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna 1981, p. 315, nota 4. ^L. CASTIGLIONE, «Kunst und Gesellschaft in rómischen

p. 119. 3 Tp., p. 120. ^ M. EL-SAGHIR,

Agypten»,

romain de Lougsor, IFAO,

in Acta

Academiae

Scientiarum

Hungaricae,

15,

1967,

J.C. GoLvin,

M.

REDDE,

1986, pp. 1-19.

G. WAGNER,

Le camp

Magna, dove nel periodo cristiano il «dominio sacro», che aveva assunto il nome di phrourion (per la presenza di una guarnigione militare), divenne in parte un quartiere residenziale della città?. Già in età tolemaica spesso si costruirono presso i templi egiziani edifici riccamente decorati, che esprimevano l’omaggio della popolazione d'origine greca o comunque ellenizzata alle divinita autoctone: in questo senso si può interpretare la cosiddetta sala tolemaica che a Tebtynis si apriva lungo il dromos che conduceva al tempio di Sekhnebtynis$. Lo stesso si verificò in età imperiale,

come

mostra la costruzione

delle note fontane

di Dendera

ai lati del dromos

all'entrata

del santuario di Hathor?. Quanto si è detto viene inoltre a spiegare perché siano scarsi i resti di grandiosi edifici templari nella tradizione architettonica greco-romana dove già esistevano potenti santuari egiziani. Uno dei pochi casi noti in tale tradizione è il piccolo Serapeion di età adrianea a Luxor, costruito poco prima dell’entrata al grande tempio: esso, di limitate dimensioni ed eretto con modesti materiali — il mattone crudo è usato anche nelle colonne del periptero? —, conferma l'esigenza di non turbare le preesistenti forme architettoniche nella tradizione religiosa egiziana. La stessa spiegazione probabilmente può essere invocata per il piccolo tempio del culto imperiale di Augusto a Philae, inserito in un grande e antico complesso religioso egiziano?. Da tutto ció ne consegue che nelle metropoli un'attività edilizia meno condizionata dalla tradizione faraonica si espresse soprattutto in edifici civili e di rappresentanza, o, solo quando fu abbandonata la religione egiziana, nei santuari cristiani.

Il Castiglione

osserva?

come

le riforme

severiane,

con

la conseguente

formazione

di consigli

cittadini

e con

l’allargamento dei diritti di cittadinanza romana, determinarono un aumento di costruzioni nelle metropoli durante il IIT secolo, su iniziativa delle autorità locali che ne sopportavano l'onere finanziario". Oltre alle vecchie città greche di Naukratis, Alessandria e Ptolemais, soltanto poche metropoli egiziane come Antinoe, poterono vantarsi dell'aiuto imperiale 1 per l'erezione delle loro piazze colonnate e dei loro edifici pubblici, mentre nella maggior parte dei casi furono i maggiorenti locali a sopportarne i costi. Un elemento importante per poter ipotizzare l'intervento imperiale è la presenza del marmo, sempre d'importazione, e di colonne di granito d'Assuan, soprattutto quando siano di grandi dimensioni, oppure l'adozione di tipologie edilizie e decorative dell'architettura ufficiale romana (ad esempio terme di tipo imperiale, capitelli corinzi asiatici, ecc.). Appena era possibile, le metropoli, che avevano davanti a sé come modello Alessandria, si dotavano di agorà con portici colonnati; si hanno testimonianza, soprattutto dalle fonti, dell'esistenza di teatri ad esempio ad Oxyrhynchos ? e ad Antinoe, ed è noto come in tutte le città, anche piccole, in cui vivevano greci, vi fossero terme!*, sale di banchetti e ginnast. Caratteristiche del periodo tardo-imperiale in Egitto sono inoltre diverse fortezze (Babylon, Dionysias, Luxor, ecc.) erette in punti chiave della provincia. Sono tutti questi edifici, a scopo civile e militare, che ci permettono di capire il grado di partecipazione della provincia egiziana all'arte e all'architettura ufficiale dell'impero. Ma per giudicare a quale livello della società e delle sue manifestazioni architettoniche giunse questa partecipazione, un importante contributo é dato dalle forme architettoniche e dalle decorazioni degli alzati. Essendo infatti la maggior parte degli edifici pubblici di età romana rinvenuti in Egitto pochissimo conservati, se non a livello di pianta (anche per il frequente uso del mattone crudo, per le distruzioni effettuate dai raccoglitori di sebakh e, come si è detto, per la pratica del reimpiego), sono gli elementi superstiti dell'alzato architettonico che ci permettono di quantificare, a seconda delle diverse zone dell'Egitto, il grado di partecipazione alla cultura ufficiale in rapporto anche alle tradizioni egiziane e grecoalessandrine.

2.

EDIFICI PUBBLICI

A. Edifici religiosi Per ció che riguarda l'architettura religiosa di età tolemaica e imperiale!, ripetiamo che la scarsa documentazione archeologica di templi nella tradizione greco-romana è da collegare con la decisa preferenza che sempre l’Egitto ha mostrato per le forme tradizionali e con la conseguente politica in tal senso istaurata prima dai Tolomei, poi dall’amministrazione romana: questa apportó poche innovazioni, riguardanti soprattutto l'istituzione di edifici per il culto imperiale, mentre parallelamente continuava una politica di tolleranza religiosa, mantenendo un forte controllo del clero egiziano, limitando il diritto d'asilo e sorvegliando le ricchezze annesse ai templi delle divinità autoctone?. Le pratiche religiose si svolgono dunque nei grandi templi degli dei tradizionali e di conseguenza molti di essi furono abbelliti o persino costruiti ex novo sin dal periodo tolemaico: ad esempio aggiunte importanti furono fatte nel grande

5 J. SCHWARZ, in Ktema, 2, 1977, p,60. $ C. ANTI, in Aegyptus, 1931, pp. 389-391.

7G. Casr&L, F. Daumas, J.C. GOLVIN, Les fontaines de la Porte Nord, Dendera, IFAO 1984. 8 J. LÉCLANT, in Orientalia, 20, 1951, p. 454; 30, 1961, p. 183.

? L. BORCHARDT, in JdI, 8, 1903, pp. 73-90. 10 CASTIGLIONE, art.cit., p. 120. ! Cfr. H.A.M. Jones, in JEA, 24, 1938, p. 65 ss.; E. WEGENER, in Mnemosyne, 1948, pp. 15 ss., 115 ss.; CASTIGLIONE, art. cit., p. 120. ? H I. BELL, in JRS, 30, 1940, p. 133; CASTIGLIONE, art. cit., p. 120.

P W.M. FLINDERS PETRI, chos, London 1925, tav. 38.

Tombs

of the

Courtiers ,

and

Oxyrhyn-

^ A. CALDERINI, in RendIstLomb, 1919, p. 97 ss. B Cfr. A.J. minster 1980.

! Cfr.

G.

SPENCER,

Jéquier,

Brick Architecture

Les

in Ancient

Temples ptolémaiques

Egypt,

War-

et romains,

Paris

1924; N. SAUNERON, Temples ptolémaiques et romains Caire 1956. ? E. BnECCIA, Egitto greco-romano, Pisa, 1957.

d'Egypte,

Le

complesso di Ammone a Karnak sotto i Tolomei, ai quali inoltre si deve la ricostruzione del tempio di Horus ad Edfu; il tempio di Iside a Philae, gli edifici superstiti a Dendera, Kom Ombo e Esna sono tutti sostanzialmente del periodo tolemaico e di quello romano?. Anche le scarse testimonianze archeologiche di luoghi dedicati al culto di Alessandro Magno, mostrano nel complesso strutture architettoniche di tradizione egizia, come è visibile nella pianta del cenotafio di Kom Madi, tre celle precedute da una corte, o nel tempietto, inserito in un santuario piuttosto complesso, presso Ain El Tebanieh dell’oasi di Bahria, con cella e corte più piccola antistante, dove Alessandro è rappresentato due volte su una delle pareti”. Comunque non dovevano mancare templi costruiti nella tradizione architettonica greco-romana anche al di fuori di Alessandria, come può ipotizzarsi per alcuni di quelli dedicati a divinità greche (vedi ad esempio ad Hermoupolis Magna i templi di Afrodite, di Atena, di Tyche, dei Dioscuri, di Asclepio e di Apollo, tutti noti per l’età tolemaica e romana solo dai papiri’); tuttavia l'evidenza archeologica è scarsissima e, ad eccezione del tempio del santuario tolemaico dedi-

cato a Tolomeo III, rinvenuto sotto dimensioni. Si possono citare come pietto ionico, prostilo tetrastilo e su riodo adrianeo, dedicato a Serapide: colonne, all’interno di un complesso Ma

le divinità predominanti

la basilica cristiana di Hermoupolis Magna, quasi sempre riguarda edifici di modeste rari esempi il piccolo tempio prostilo tetrastilo di Augusto a Philae (v.oltre), il temalto podio di Ras el Soda ad Alessandria ed il tempietto su podio di Luxor del pequesto è tetrastilo e periptero su tre lati ed è stato costruito in mattoni, comprese le di abitazioni che fronteggia la strada delle sfingi conducente al tempio di Ammone®.

in tutto

l’Egitto

erano

templi in stile faraonico o anche i piccoli santuari tate dimensioni: è stato rilevato come la tolemaica santuari dedicati a divinità egiziane e due dedicati età romana di circa 4000 abitanti, sono stati messi

Ammone,

Hator,

Anubis,

Thot,

Iside,

Osiride

e Horus,

e i loro

dedicati ad essi erano in gran numero in qualsiasi centro anche di limiKerkeosiris, con circa 1500 abitanti nel II secolo a.C., avesse tredici a Zeus e ai Dioscuri”. A Karanis nel Fayum, con una popolazione in alla luce due grandi templi in stile egiziano, dei quali quello meridio-

nale dedicato Pnepheros e Petesouchos, di m. 15x22 all’interno di un recinto di m. 75x60: esso inoltre è preceduto da una piattaforma a cui si accede tramite una scalinata, in questo rivelando l’influsso dell’architettura greco-romana”. A Oxyrhynchos? nel periodo romano sempre dai papiri sono stati identificati sia templi egiziani (a Zeus-Ammone, Era-Isis, Atargatis-Bethynnis,

di origine

siriana,

Serapide,

Iside,

Osiride),

sia greci

(a Demetra,

Kore,

i Dioscuri,

Hermes,

Apollo

e Thyche), sia romani (a Iuppiter Capitolino e a Marte). Si deve però ricordare la tematica dell’identificazione delle divinità egizie con quelle greche, che non permette di affermare sempre con sicurezza che ad una menzione sui papiri di un tempio dedicato ad una divinità greca corrisponda un edificio non egizio. A proposito della politica di fusione anche religiosa perseguita dai Tolomei, citiamo in particolare la propaganda del culto dionisiaco operata da Tolomeo II Filadelfo e proseguita da Tolomeo IV Filopatore, che ebbe il soprannome di Neos Dionysos. Conseguenza di ciò fu l’equivalenza stabilita di Dioniso con Osiride e, tramite questi, con Serapide: fatto tanto più significativo in quanto il culto di Dioniso

costituiva per i sovrani un culto dinastico!°. All’interno di questa tematica è dunque da considerare la grande diffusione che ebbe in tutto l’Egitto il culto di Serapide, anche se il ruolo preminente lo ebbero i santuari di Alessandria e di Memphis!!: pure in questo caso vi è l’interrogativo se i templi di questa divinità riproducessero, almeno in parte, le forme del Serapeo di Alessandria, e si è detto come dalle rappresentazioni sulle monete di Alessandria di età imperiale risulti un tempio con frontone triangolare. Ciò

tra l’altro spiegherebbe la forma periptera del piccolo tempio di Serapide a Luxor, citato prima. Vedremo in seguito come in età imperiale si siano diffuse al di fuori dell’Egitto forme architettoniche di isei con frontone dal timpano arcuato, secondo un tipo che sembra essersi codificato nell’ambito dell’architettura greco-egizia in

età tardo tolemaica (vedi p. 134). B.

Templi per il culto imperiale

In Egitto templi dedicati al culto imperiale sono noti dalle fonti ad Arsinoe, Oxyrhynchos, Hermoupolis Magna, Elefantina?, oltre che ad Alessandria, dove si trovava il famoso Cesareo o Sebasteion di cui si ha la descrizione di Filo-

^L.

BORCHARDT,

pp. 13-29,

Agyptische

tavv. 5-10;

A.K.

Tempel

Bowman,

London 1986, p. 168. ^ Cfr. rispettivamente E. BREsciANL, pitture

1979,

murali

Pisa

del

cenotafio

1980; A.

in ASAE,

Umgang, after

Kairo the

1938,

Pharaohs,

Kom Madi 1977 e 1976, Le

di Alessandro

Faxury,

mit Egypt

Magno,

39,

1939,

Suppl.

EVO,

II,

pp. 638-639; 40,

lage

in

Ptolemaic

Period,

p. 171. * E. HUSSELMAN,

Cambridge

1971;

Bowman,

Egypt,

cit.,

«Karanis: Excavations of the University of Mi-

chigan in Egypt, 1928-35, Topography and Architecture», University of Michigan, Kelsey Museum of Archaeology, Studies, 5, 1979.

? P.Oxy., 1029, 1272 (144), 3367 (272); BowMAn, Egypt, cit., pp. 174-175, vedi anche p. 179 per culti greci a Theadelphia, dove ugualmen-

1940, pp. 823-28. 5 RODER, Hermopolis, p. 112 ss. 61. LECLANT, in Orientalia, 20, 1951, p. 454; ID., in Orientalia, 30, 1961, p. 183; J.B. Warp PenKINS, in Etruscan and Roman Archi-

te vi erano templi dei Dioscuri, di Demetra e dello Zeus di Labraunda. 10 E. Bresciani, Kom Madi, cit., p. 51; cfr. L. CERFAUX, J. To-

tecture,

1957, pp. 212-215.

DuwaAND,

1970, in

p. 458, BIFAO,

tav. 236; 81,

1981,

J.C.

GoLvin,

pp. 115 ss.;

p. 168, fig. 100. Cfr. inoltre BoRCHARDT,

G.

Bowman,

WAGNER, Egypt,

F. cit.,

Tempel, cit., p. 13 ss.; Hlu-

strated London News, 11 luglio 1964; WARD PERKINS, cit., p. 577, nota 1, per il podio di un tempio di tipo romano, cominciato, ma pare non terminato, nella fortezza di Qasr Ibrim sulla frontiera verso la

Nubia. 7 P.Teb.,

39,88;

D.J.

CRAwronD,

Kerkeosiris:

an

Egyptian

Vil-

DRIAU,

Le

culte des

J Ph. LAUER,

souverains

dans

la civilization

gréco-romaine,

Paris

Ch. PicARD, Les statues ptolémaiques du Serapeum

de Memphis, Paris 1955; N. Lewis, Greeks in ptolemaic Egypt, Oxford 1986. ? S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, pp. 65-68. ? F. BLUMENTAL, in Archiv fur Papyrusforschung, 5, 1915, p. 317 ss.; F. DUNAND, in Das Rhein 1983, p. 49 ss.

Rémisch-Byzantinische

Agypten,

Mainz-am-

-

-- .-------

“247

426477;

Ϊ

Fig. 2 - Philae, tempio di Augusto, fronte (dal Borchardt).

ne! collocato all'interno dei quartieri reali, esattamente nel centro residenziale dei funzionari di corte, occupava un'area molto ampia ed era costituito da un grande tempio, probabilmente nella tradizione architettonica greco-tolemaica!, racchiuso in un recinto con portici, biblioteche e sale di riunione; in esso erano collocati due obelischi, che non implicano però necessariamente che nel santuario dominasse un aspetto egizio6. Un altro indizio sulla tradizione architettonica del Cesareo ci deriva dall'unico tempio conservatosi dedicato ad Augusto, quello di Philae (Figg. 1-4), datato dall'iscrizione sull’architrave al 13-12 a.C. ^: si tratta di un edificio di dimen-

‘4 Pini., Legatio ad Gaium, 22; cfr. PLIN., Nat.Hist., XXXVI, 39; STRAB., XVII, 1,9; (fonti in A.C. MERRIAM, The Caesareum and the

graphy», in Opuscula Romana 1, 1954, p. 86 ss.

Worship

pp. 1-35; A.

Saint Génis nella Description de l'Egypte della presenza di colonne addos-

CALDERINI, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell'Egitto greco-romano (art. «Kaisareion», «Sebastion»), I, 1935, pp. 118,119; ADRIANI, Topografia, pp. 214-216).

sate doriche in corrispondenza del punto in cui doveva sorgere il Cesareo. 1 BoRCHARDT, in Jd], 18, 1903, p. 73 ss.; E. BERNARD, Les inscriptions grecques et latines de Philae, II, Haut et Bas Empire, 1969, n. 140.

15 E.

of Augustus

SioKvIsT,

at Alexandria,

«Kaisareion,

TAPA,

a

Study

14,

in

1883,

Architectural

Icono-

© Cfr.

ADRIANI,

Topografia,

p. 65,

dove

ricorda

la

notizia

del

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WG.

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Fig. 3 - Philae, tempio di Augusto, fianco sud (dal Borchardt).

Fig. 4 - Philae, tempio di Augusto, fianco nord (dal Borchardt).

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sioni abbastanza ridotte, prostilo tetrastilo, con intercolumnio centrale decisamente più largo degli altri due; la facciata della cella presenta un portale sormontato da un frontoncino triangolare e due finte finestre, secondo la disposizione Da riscontrata nei tempietti funerari di Tuna el-Gebel, ma anche di Terenouthis (Kom Abu Bilb), nel Delta occidentaleὃ dunque secondo una moda diffusa ad Alessandria nel tardo periodo tolemaico e in quello primo-imperiale. Le pareti e de colonne frontali sono coronate da un architrave a due fasce e da un fregio dorico in arenaria, sopra cui poggia una cornice con mensole a riquadri concentrici (derivate dalle mensole a travicello), alternate a campi liberi e con file di dentelli molto piccoli solo nel geison obliquo del frontone, dove invece non compaiono mensole?. Sulle colonne di granito vi sono capitelli corinzi di diorite, di tipo alessandrino (cat. nn. 354-355), ma in un'edizione molto semplificata (gli elementi vegetali sono lisci ed il kalathos è intagliato in due metà separate), poiché il materiale molto duro non avrebbe permesso

l'intaglio di sovrabbondanti particolari vegetali? (Figg. 5-7). Anche a Karnak è stato riconosciuto un tempietto (Fig. 8), probabilmente dedicato al culto imperiale, in quanto lungo le pareti interne della cella sono state rinvenute almeno quattordici basi iscritte di statue con dediche ad Augusto, a Tiberio, a Claudio ed a Tito?!: era collocato sulla strada delle sfingi accanto alle porte del primo pilone del grande tempio di Ammone e

la sua pianta,

di m.

8,60x14,

Costruito modestamente

era prostila e tetrastila.

con mattoni cotti nel podio

e

crudi nell'elevato, era di ordine corinzio, in quanto restano tamburi di colonne scanalate, in origine alte circa m. 4,40, e probabilmente sostenenti un frontone triangolare. E da chiedersi inoltre quale fosse la forma di templi come quelli di Giove Capitolino ad Oxyrhynchos e ad Arsinoe, qui noto da un registro di conti degli inizi del III secolo?: comunqueè probabile che si ispirasse all'architettura ufficiale romana. La stessa domanda puó farsi per i templi di Adriano, di Antinoo, di Faustina, noti da papiri ad Hermoupolis Magna, o per lo stesso Adrianeo di Alessandria, forse sorto in un nuovo quartiere creato dallo stesso imperatore. E stato rilevato come le cerimonie del culto imperiale piü frequentemente celebrate in Augustei nelle altre province romane, si potessero svolgere in Egitto anche in templi consacrati a divinità greche, o piü spesso egiziane, conservando proprio in tal modo la loro funzione di strumento di propaganda per rafforzare il dominio politico? in questa regione:

anzi la scarsità e le piccole dimensioni degli edifici dedicati esclusivamente al culto imperiale finora rinvenuti, attribuibili come si é visto solo agli inizi dell'età imperiale, puó far pensare che presto la costruzione di questi nelle forme architettoniche greco-romane fu abbandonata, in favore di modalità di culto nella tradizione faraonica. C. Serapei Si è detto come le evidenze archeologiche mostrino nei Serapei finora rinvenuti in Egitto, la presenza di una tradizione architettonica che possiamo definire greco-tolemaica, in quanto caratterizzata da elementi originatisi nell'ambiente alessandrino. Elementi abbastanza costanti, negli esempi noti anche al di fuori dell’Egitto, sono l’inserimento dell’edificio

all’interno di una corte o davanti ad essa, la cella poco profonda, spesso quadrata, talvolta più larga che lunga, e una nicchia sulla parete di fondo, che appare anche absidata. Si è rilevato come spesso nei Serapei sia stata rinvenuta, insieme alla statua di Serapide, anche quella di Iside!: in effetti è difficile talvolta distinguere, da un punto di vista architettonico, un Iseo da un Serapeo, anche se in molti casi si deve ritenere che i templi di Iside, di piccole dimensioni, fossero inclusi nel recinto di un grande Serapeo o in prossimità di esso, come avveniva ad Alessandria, a Delo e a Roma?. Se in queste città il Serapeo doveva costituire un complesso monumentale piuttosto vasto, tuttavia esempi di centri minori egiziani (Mons Porphyrites, Mons Claudianus) sembrano riprodurre su piccola scala Varticolazione tipica di questi santuari, costituita dal recinto al cui interno si collocano i luoghi di culto; solo nei casi in cui i Serapei sono inseriti nei pressi di grandi santuari di tradizione faraonica (Luxor, forse Dionysias) l’aula di culto è limitata ad un semplice tempietto.

Gli esempi noti mostrano in facciata una larga apertura centrale, in funzione della visibilità delle statue di culto, e un’apertura laterale per permettere l’accesso alla parte anteriore della cella, probabilmente riservata all’ingresso del clero (Mons Porphyrites).

18 A. BApAwY, ss., figg. 1-5.

in Journal of near Eastern Studies,

16, 1957, p. 52

? Von HESBERG, Konsolengeisa, p. 72,1. ? Cfr. BoRCHARDT, in Jd], 18, 1903, p. 77: il tempio era preceduto

da

un

ampio

atrio,

lastricato

con

pietre,

il cui

muro

di

cinta,

blocchi di granito dioritico con venature rosse, mediante la quale si ac-

cedeva ?! ® 2

al pronao del tempio. J. LAUFFRAY, in Kémi, 21, 1971, p. 118 ss. BGU, 362; 215 P.c.; Sel. Pap., 11,404; DUNAND, art. cit., p. 52. DUNAND, art.cit., p. 55.

sempre in pietra, si può intravedere sotto le costruzioni di e poca bizantina. Al centro dell'atrio, in asse con il tempio, era visibile un basamento, che poteva essere quello che restava di un altare o di una base

! J.C. GoLvin, S. ABD EL-HAMID, in BIFAO, 81, 1981, p. 125. ? Ip., pp. 125-126; cfr. T. SzENTLELEKY, Das Isis-Heiligtum von

di statua, il cui perimetro esterno era formato da pezzi di granito, poi utilizzati per altri scopi, di cui uno portava incisa l'iscrizione trilingue di

Szombathely.Savaria Muzeum, Szombathely 1965; F. DUNAND, Le culte d'Isis dans le basin oriental de la Méditerranée, II, EPRO, 26, 1973, pp. 83 ss.; A. ROULLET, The Egyptian and Egyptianizing Monuments of

G.Cornelio Gallo, questo basamento,

il primo prefetto romano d'Egitto. Alle spalle ad una distanza di m. 5, vi era una scalinata

di in

Imperial Rome, EPRO, 20, 1972, pp. 23 ss.

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Fig. 5 - Philae, tempio di Augusto, elementi architettonici (dal Borchardt).

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tempio, pianta (dal Lauffray).

Se dunque l'influenza della tradizione architettonica greca è visibile nella facciata prostila, ionica o corinzia, di quasi tutti gli esempi noti (a Luxor il tempio & anche periptero, Figg. 9-10; Tav. 127, 1, 2), tuttavia una modifica rispetto ai modelli greci è proprio data dalla forma e dall’arredo del recinto e degli edifici interni (a Luxor dischi solari alati e gole egiziane nelle porte e nelle cornici?) e anche dal collegamento con il viale processionale ripreso dalla tradizione egiziana, richiamante i presupposti sincretistici che sono alla base del culto di Serapide. Il punto di riferimento alla base dei successivi Serapei, in Egitto e altrove, è naturalmente il Serapeo di Alessandria (Fig. 126): si tratta di un complesso monumentale già ampliamente descritto nei suoi resti incompleti* e di cui gli ele-

menti principali erano costituiti da un grande recinto porticato a cui in età imperiale si accedeva,

come ci informano

Aftonio e Rufino?, attraverso una grande scalinata conducente ad un propylon monumentale tetrastilo. All'interno vi era il tempio di Serapide, probabilmente posto non tanto al centro del recinto, come affermano le fonti, quanto spostato verso uno dei lati corti del recinto. Costruito probabilmente da Tolomeo III, fu poi interamente rifatto e ampliato, come anche il recinto, in età imperiale, e di esso ci resta una serie d'immagini forniteci dalla monetazione alessandrina: qui compare tetrastilo e corinzio, con fregio, architrave ed un frontone decorato con due nikai sostenenti una corona (l'uso dell'ordine corinzio è anche indirettamente confermato dalla testimonianza di Apollonio Rodio” sul Serapeo di Canopo come dotato di colonne corinzie). Le fonti c'informano dell'esistenza di vari monumenti nel santuario tra cui un kataskeuasma, nel quale dovevano essere collocati numerosi sacelli di divinità di origine egizia o greca, una fontana con dodici statue, un nilometro e una biblioteca «figlia». I ritovamenti archeologici ed epigrafici hanno permesso il riconoscimento di due edifici templari sul lato nord del recinto, uno più lungo a est e l’altro più corto ad ovest, il primo identificato con il tempio

tolemaico di Serapide, a cui si addossava il secondo, forse il tempio di Iside; vi era anche un sacello dedicato da Tolomeo

IV

ad Arpocrate, addossato

3 GOLVIN,

^ ADRIANI, Das Serapeum

ABD EL-Hamm,

Topografia, in Alexandria,

in BIFAO,

pp. 90 ss.

al tempio

81,

Da

di Serapide.

1981, p. 127.

ultimo

v. M.

come

SABOTTKA,

Berlin 1985.

HANDLER,

in AJA,

75,

1971,

i templi furono poi sostituiti dal nuovo

le monete

non

descrivano

alcun

cambiamento

edificio di

nella ricostruzione

stessa durante e dopo il regno di Adriano, quando il tempio è ancora rappresentato corinzio, tetrastilo, col frontone decorato.

5 AFTONIO, Progymnasm., pp. 38 ss.; RuFINO, Hist.Eccles., II, 22. $S.

Entrambi

pp. 74 ss.:

l'autrice

sottolinea

7 APOLL. Oxford

RH.,

frg. 1; cfr. P.M.

Frazer,

Ptolemaic

Alexandria,

1972, p. 266.

11

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Fig. 9 - Luxor, Serapeo e basilica cristiana davanti al pilone del tempio, pianta (dal Golvin - Abd El-Hamid).

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Fig. 10 - Luxor, Serapeo, pianta (dal Golvin - Abd El-Hamid).

culto del II secolo d.C., di cui sono stati rinvenuti resti delle fondazioni in opera cementizia sui fianchi e due templi tolemaici?. Un altro grande edificio all'interno del recinto e collegato con gallerie sotterranee roccia è il c.d.Mausoleo tolemaico, testimoniato quasi esclusivamente da un'enorme fossa di fondazione: spessore dei muri richiamano una costruzione nella tradizione architettonica egizia, forse proprio un grande

sul fronte dei scavate nella la pianta e lo tempio fune-

rario (del tipo restituitoci da alcuni tempietti funerari di Tuna el Gebel, v. p. 263) o un edificio a torre del tipo presente ad esempio nel Santuario di Sekhnebtynis a Tebtynis (v. p. 238). Infine del recinto ricostruito in età romana, probabilmente adrianea, restano alcuni elementi in granito d'Assuan della trabeazione di un portale, ancora nella tradizione architettonica alessandrina (cat. nn. 33-37) e un frammento del fregio-architrave iscitto del portico interno (cat. n. 38).

* Rowe, in BSAA, 35. 1942, pp. 124 ss. e in ASAE, Suppl. 2, 1946, pp. 53 ss.: del complesso facevano anche parte vasti sotterranei, in parte destinati a necropoli per gli animali sacri.

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Fig. 11 - Mons Porphyrites, - Müller Wiener).

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13 - Mons Porphyrites, Serapeo, elementi architettonici (dal Kraus - Róder - Müller Wiener).

Ma i Serapei meglio conservati nel suolo egiziano sono quelli elevati presso le cave di porfido (Mons Porphyrites) e

quelle di granito (Mons Claudianus) nel deserto orientale: entrambi furono eretti nelle immediate vicinanze di fortezze e nel punto di arrivo e di partenza delle carovane che dovevano procedere al trasporto dei prodotti delle cave. Il Serapeo del Mons Porphyrites, innalzato tra il 117 e il 119 su uno spuntone roccioso che si affaccia su una valle, era accessibile attraverso una scalinata conducente sul lato nord di una corte quadrangolare?: questa era pavimentata con lastre

di granito

non

levigate

e circondata

da

muri

di

sostegno;

nel

suo

centro

era

sistemato

un

altare,

tuttora

visibile

anche se capovolto. Ad est della corte vi era un tempietto ionico prostilo e tetrastilo, con gli elementi dell'elevato architettonico (cat. nn. 75-94) lasciati in uno stadio di semilavorazione, senza la presenza dei dettagli ornamentali'?. La cella era accessibile attraverso un'ampia porta frontale, mentre sulla parete di fondo vi sono i resti di due blocchi in muratura su cui doveva poggiare una piccola volta a botte per la statua di culto!!; al centro di questa parete vi era inoltre una nicchia più ristretta, in seguito murata. Un'altra porta, molto più stretta e con un basso architrave profilato, si apriva sul fianco

nord

della

cella

mettendola

in comunicazione

con

un

ampio

vano

contiguo;

a sud

della

cella vi erano

altri due

vani, uno stretto e lungo quanto la cella stessa, l’altro più corto e con un piedistallo in origine collocato al centro della parete di fondo e che doveva sostenere un’immagine di culto, qualificando il vano come sacello minore (Figg. 11-12; Tavv. 12-15). Va rilevato come nel tempietto le cornici del frontone siano nella tradizione alessandrina (cat. nn. 86-91) (Fig. 13), a cui rimandano caratteri più generali del santuario, quale la posizione elevata e l'ampia scalinata che richiamano la sistemazione del Serapeo di Alessandria: il recinto e gli ambienti laterali alla cella collegano invece il santuario con la pianta di altri luoghi di culto di piccole dimensioni, nei quali è però prevalente la tradizione egizia, come è visibile nel cenotafio

di Alessandro Magno a Kom Madi, datato per le pitture al II secolo a.C. circa’. Si tratta inoltre di una sistemazione che permette di comprendere meglio gli elementi di tradizione egiziana adottati nella pianta del Serapeo di Alessandria, come

? Th. Kraus, J. RObER, W. MULLER-WIENER, in MittKairo, 22, 1967, pp. 172-181. 10 Mentre sono stati rinvenuti i blocchi del fregio iscritto, mancano

quelli relativi all'architrave: è stata avanzata l'ipotesi che ciò sia dovuto non tanto ad una spoliazione successiva quanto a una mancata realizzazione del progetto

14

originario o ad una interpretazione

errata di questo.

Cfr. MULLER-WIENER,

in MittKairo, 22, 1967, pp. 175-176.

ll [p., p. 174. 12 BrescIANI, Kom Madi, cit, p. 51: presenta una cella con due vani laterali e corte antistante, e larga quanto questi; la cella i noltre ha

una porta sul fianco che la collega con l'ambiente chiuso laterale, in modo

analogo alle celle dei serapei.

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Fig. 14 - Mons Claudianus,

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Serapeo, pianta (dal Kraus - Róder - Müller Wiener).

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| si ricava dalla ricostruzione sopra citata: della fase tolemaica, con due edifici di culto contigui e un sacello sul lato corto settentrionale, dei quali quello più lungo è stato identificato, come si è detto, con il tempio di Serapide, gli altri due con

l’Iseo e con il sacello di Arpocrate.

|

Più complessa è la pianta del Serapeo del Mons Claudianus, degli inizi dell'età adrianea’’ (Fig. 14), anche se, come nel precedente, una lunga scalinata (ne restano in sifu i gradini superiori) permetteva l'accesso all’atrio antistante il tempio, questa volta però in posizione assiale rispetto a questo. Sui fianchi dell’atrio si apriva una serie di stanze in successione, connesse con i servizi del santuario, mentre sul lato nord, contrapposto alla scala, vi era un propylon con quattro colonne corinzie (due basi sono ancora in situ): questo dava accesso a tre porte, le due laterali più basse, ma con una nicchia soprastante. Da queste si passava in una corte al cui centro vi era un altare": essa precedeva il vero e pro-

prio santuario costituito da una cella rettangolare circondata da un ambulacro. Sui fianchi dell’atrio invece vi era l’accesso a due stanze, simmetricamente mettono

contrapposte,

con la parete di fondo articolata in nicchie con absidi al centro: queste per-

di riconoscere in esse cappelle laterali, forse riservate al culto dei sinnaoi theoi, ai quali,

insieme

a Serapide,

era

dedicato tutto il santuario. Queste cappelle, insieme alla sistemazione del santuario con molte stanze laterali e all'ambulacro intorno al vero e proprio luogo di culto, costituiscono le caratteristiche principali del Serapeo del Mons Claudianus!°: sono stati già richiamati modelli microasiatici e soprattutto siriani per ció che riguarda la disposizione dell'ambu|

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) )

13 Th. Kraus, J. RópEn, in MittKairo, 18, 1962, pp. 91-98: il Serapeo del Mons Claudianus fu costruito dallo schiavo imperiale Epaphro-

il parallelo più vicino è individuabile in Asia Minore, soprattuto in Siria, nel tempio A di Hassan Madhur (D. ScHLUMBERGER, La Palmyrène du

ditos, responsabile delle cave, su incarico del prefetto Ramnius Martialis, nel secondo anno dell’impero di Adriano, consacrandolo a Serapis ed ai sünnaoi theol; dopo il campo, era l’edificio, più importante e più

Nord-Ouest,

riccamente articolato.

32 a.C. Tale modello architettonico è stato messo in relazione con archetipi persiani, e questo spiegherebbe la sua diffusione in Asia Minore. Kraus e Róder osservano ancora come non sia un caso, che diversi reparti nominati nelle iscrizioni di Mons Claudianus vengano dall'est, come il centurio-

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M [p., p. 94: si tratta dell’altare consacrato dal centurione Annius Rufus, mentre nell'atrio era stata rinvenuta ancora nella posizione originaria, poco dopo l'ingresso, la base dell’altare del prefetto Sulpicius Similis del dodicesimo anno dell'impero di Traiano. '

15 V. nota 12. 16 Cfr. KRAUS,

RODER,

in MittKairo,

18,

1962,

p. 96, dove si os-

p. 27, fig. 46,1; tav. 10. 1-3), nel tempio di Seeia (H.C.

BurLER, Ancient Architecture in Syria, 1904-1905, II, A, pp. 374 ss., fig. 324; BvvANck, in BABesch, 33, 1958, p. 10, fig. 11), eretto nel 33-

ne Annius Rufus, che apparteneva alla legione XV Apollinaris, stanziata tra il 72 ed il 161 in Giudea, Armenia ed Egitto; come la coorte I Flavia Cilicum, che appare più volte, si è anche pensato che «mallites», scritto

serva come questa forma di cella con ambulacro attorno non si possa spie-

sulla base dell’altare di Sulpicius Similis, indicasse la stirpe di Mallos in

gare sulla base né delle concezioni architettoniche, romane,

Cilicia, dove pure è presente l'ambulacro intorno al tempio.

né egiziane;

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Fig. 15 - Akoris, Serapeo, pianta (dal Grossmann).

lacro intorno al luogo di culto, e alla Siria possono riportare anche le nicchie sopra le porte laterali tra l'atrio e la corte

(a questo proposito si è citato il propylon del tempio di Artemide a Gerasa 17). Infine sono stati rinvenuti i resti di un altro Serapeo (Fig. 15) a Tihna al-Gabal, l'antica Akoris: oltre a rovine di case e ad un tempio sulla roccia dedicato ad Ammone?, è stato messo in luce anche un piccolo santuario identificabile con un Serapeo in base all'iscrizione rinvenuta?, Sorgeva su un alto podio quasi quadrato a cui si accedeva tramite un propylon a pianta quadrangolare, con quattro colonne su o gni lato in calcare nummulitico: sul retro di questo vi era la porta d'ingresso, mentre sul fronte tetrastilo vi era forse un timpano arcuato poggiante sulle due colonne centrali con l’intercolumnio più ampio e unito alle colonne angolari attraverso architravi orizzontali. Restano in situ tre basi attiche su alto

plinto, un paio di colonne e parti della parete della porta d’ingresso”. Poco più a sud del santuario vi era un podio quadrato di m. 4 di lato che è stato identificato come un altare o come la base di un altare accessibile attraverso una scalinata sul suo lato nord: sui lati sono conservati resti di un fregio figurato con scene di caccia, mentre di un colonnato che lo circondava restano nelle immediate vicinaze, basi, semicolonne, capitelli corinzi in stile asiatico menti della cornice. Il complesso, che pare rientrare nei canoni dell'architettura ufficiale, data la forma del propylon, & databile in due iscrizioni sacre di centurioni della legione XXII Deiotariana, che paiono databili al terzo decennio del II

piccola piccolo ed elebase a secolo

d.C.?!, D. Altri edifici templari Ma un'immagine del Serapeo di Alessandria puó forse cogliersi nel santuario tolemaico (sulla proposta di riconoscere

negli edifici al suo interno il Serapeo e il Neilaion, noti dal Papyrus Vindobonensis, gr. 12565, v. p. 252) rinvenuto sotto la basilica cristiana di Hermoupolis Magna (Figg. 139, 149; Tavv. 8-11): infatti si & potuto riconoscere un recinto rettangolare con l'entrata all'estremità di un lato breve ed il tempio sull'altro e davanti a questo un largo spazio aperto (non

sono riconoscibili eventuali altre strutture che lo occupavano)!.

L'iscrizione, rinvenuta su cinque blocchi di architrave

(cat. n. 62) appartenenti probabilmente a uno dei lati del portico interno del recinto, forse in corrispondenza del propylon*, ci informa non soltanto sulla data del santuario, circa il 240 a.C., ma anche sulla sua dedica al culto dei To-

U [p., p. 96; cfr. anche C.H. polis,

tav. 24,b;

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L'Architettura

Gerasa,

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(Enciclop.

Class.,

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Mecaw,

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Magna,

la doppia possibilità che la struttura in blocchi

p. 9:

l'autore

rinvenuta

sotto

sez.IlI, vol. XII, t.D, p. 397, fig. 475; B.M. FeLLETTI Maj, Siria, Pale-

l'abside della basilica sia un tempio o un altare, in questo caso il tempio

stina, Arabia Settentrionale nel Periodo Romano, fig.S. 74. 18 G. Lereprve, L. Barry, in ASAE, 6, 1905, p. 141 ss., fig. 1.

sarebbe stato più a est rispetto a questa struttura; sembra inoltre propendere per un'identificazione con un altare e viene richiamata come analogia il c.d.mausoleo tolemaico del Serapeo di Alessandria. Questo , tut-

1° G. WAGNER, in Hommages à S. Sauneron, 2, 1979, p. 51 ss. ? P. GROSSMANN, in MirtKairo, 37, 1981, pp. 199-202. 2! [p., p. 202, dove viene ricordato come questa legione fosse stanziata dai tempi di Augusto

ad Alessandria e come

sotto Domiziano una

divisione di questa fosse inviata ad Akoris: le iscrizioni costituiscono offerte votive ad Helios Sarapis particolarmente venerato presso le truppe (Cfr. E. RITTERLING, in RE, mages

16

S. Sauneron,

12, 2, 1925, col. 1795; WAGNER,

cit., p. 55).

in Hom-

tavia, non può essere interpretato come altare, date le sue grandiose dimensioni e la sua relazione con le gallerie sotterranee (v. p. 00), nè può essere interpretato come altare la fondazione in blocchi del santuario di Hermoupolis, non solo per la sua composizione strutturale, ma anche perché risulterebbe un recinto troppo allungato, dovendosi spostare il tempio più a est. 2 HOPFNER, Zwei Ptolemaierbauten, p. 82.

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16 - Alessandria, Ras es Soda, tempietto, pianta e prospetto fianco est (da Adriani).

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lomei: si ὃ detto del rapporto tra il culto dei sovrani e quello di Dioniso/Serapide (v. p. 5), che ci permette di compren-

dere meglio il perché delle analogie architettoniche con il Serapeo di Alessandria. Del complesso doveva far parte un importante edificio di ordine corinzio, in quanto sono stati rinvenuti almeno sedici capitelli corinzi uguali (cat. nn. 43-59) e circa

sessantasette

probabile

rocchi

di colonne

esistenza a Canopo

Alessandria,

può

avanzarsi

scanalate

di un Serapeo

l'ipotesi

che

del tipo ionico-corinzio?.

di ordine corinzio

anche

a Hermoupolis

In accordo

già nel III secolo Magna

potesse

alla notizia,

a.C.,

esservi,

menzionata

che dovrebbe all'interno

sopra,

della

imitare quello

del recinto,

un

di

grande

tempio corinzio, forse periptero. Gli elementi dorici rinvenuti sono invece da attribuire al portico interno del recinto, mentre è possibile che i due gruppi di capitelli ionici frammentari, diversi per grandezza^, appartenessero rispettivamente ai propilei d'ingresso al recinto e ad un altro edificio interno. Se, come pare, è vera la somiglianza col Serapeo di Alessandria (Fig. 126), avremmo un'importante testimonianza di forme architettoniche parallele tra gli edifici di culto dedicati a Serapide (ma sempre anche contemporaneamente ai sunnaoi theoi) e quelli dedicati al culto del sovrano, che confermano la possibilità di riconoscere anche a Hermoupolis Magna un Serapeo. Di dimensioni piuttosto piccole è invece il tempio di Dionysias (Tav. 131, 3-6), costruito accanto al padiglione con-

trapposto al tempio in stile egiziano (Tav.

131, 1, 2). Definito mausoleo?, in realtà è da considerare un luogo di culto:

prostilo e di forma pseudo-periptera, secondo la tradizione greco-alessandrina, come mostra l'ampio uso di colonne agli angoli, esso era dotato di volte a botte e di una nicchia absidata sul fondo della cella, che possono suggerire di trovarsi in presenza di un piccolo Serapeo. | Come piccolo santuario dedicato a Iside può forse considerarsi il tempietto ionico prostilo tetrastilo su alto podio rinvenuto

a Ras

es-Soda

(Fig.

16),

ad est di Alessandria:

ció puó

dedursi

dal ritrovamento

in esso di una

statua di Iside in-

sieme a quelle di Hermanubis, Arpocrate e Osiride-Canopo, la cui datazione ha permesso l'attribuizione del tempietto al II-HI secolo d.C. Le statue dovevano poggiare sui podii costruiti lungo le pareti interne della cella, questa provvista anche di una porta laterale, che richiama l'análogo uso nei serapei citati sopra*. | E. Edifici pubblici (Bouleteria,

Ginnasi,

Teatri, Sale per le processioni, per i banchetti,

ecc.)

Per un inquadramento del significato di edifici pubblici come i ginnasi e i teatri si deve ricordare la politica dell’amministrazione tolemaica di rafforzamento dell’elemento greco della popolazione, dal quale provenivano molte categorie di

3 Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis Magna, ^ HOPFNER, Zwei Ptolemaierbauten, p. 82. |

51.

ScHwARTZ,

Qasr-Qarun/Dionysias,

1950,

p. 8.

Fouilles

Suisses, II, Le Caire 1969, tav. 1 (edificio indicato con la lettera A); J.C. GoLvin, S. Asp Er-HaMip, in BIFAO, 81, 1981, p. 118, nota 3.

Franco-

$ ADRIANI, Topografia, p. 100, n. 56.

17

funzionari!. Anche il potere romano rafforza quest'elemento della popolazione, diminuito nel II e I secolo a.C. a causa delle varie lotte interne del tardo periodo tolemaico e delle connesse crisi economiche: vengono quindi attuate misure che

contribuirono al mantenimento della loro identità culturale. Ma anche in questo caso la maggior parte delle informazioni

si ha dai papiri, perché proprio le città più intensamente popolate di elementi greci, Naukratis, Alessandria, Ptolemais, che sempre usufruirono di una certa autonomia e conservarono culti e istituzioni greci, sono quelle meno note per ciò che riguarda l'architettura e l'urbanistica (meno in questo caso Alessandria) in età romana. Ptolemais aveva un senato, un'assemblea popolare ed un consiglio esecutivo di sei pritani, tribunali propri ed una boulé*, ma degli edifici corrispondenti che ospitavano queste istituzioni non si conosce nulla. Recentemente si è riproposta anche per Alessandria la possibilità dell'esistenza della boulé, abolita da Ottaviano?, ma forse ripristinata da Settimio Severo, che pare concedesse ad Alessandria lo ius buleutarium^: questa notizia è stata messa in relazione con il «piccolo teatro» di Kom-el-Dik (Fig. 131; Tav. 119), nella cui prima fase del III secolo si & voluto riconoscere il bou-

leuterion della città? (ad Alessandria operavano anche l'ecclesia, ricordata da Diodoro e gli arkontes®). Nelle altre città egiziane gli elementi greci della popolazione vivevano

soprattutto nelle capitali dei nomoi:

anche se

tutti gli abitanti dell'Egitto ricevettero la cittadinanza di Egizi nel periodo imperiale, tuttavia quelli di discendenza e di cultura greca pagavano una quota ridotta di tassa pro-capite favoriti probabilmente perché da essi provenivano, come si è detto, i funzionari dell'amministrazione imperiale. Da qui la necessità di redigere liste per queste categorie di abitanti privilegiati; che coincidono con «quelli del Ginnasio», attestati ad Oxyrhynchos, Memphis ed Hermoupolis Magna". Tuttavia degli edifici adibiti a ginnasio si conosce poco, se non limitatamente alle scarse informazioni che si ricavano dalle iscrizioni e dai papiri, mentre del più famoso tra essi, quello di Alessandria, della prima metà del III secolo a.C., si ha menzione dalle fonti, in particolare da Strabone®, che lo cita tra i monumenti più belli della città, con i portici lunghi più di uno stadio: in esso Cleopatra sarebbe stata acclamata da Antonio regina d’Egitto, di Libia e di Cipro. È comunque probabile che anche i ginnasi delle altre città, quasi sempre le capitali dei nomoi, dovessero presentare l’aspetto architettonico nella tradizione ellenistica: anzi a questo periodo risale la maggior parte di quelli la cui esistenza si ricava in partico-

lare da iscrizioni che ne menzionano il ginnasiarca?. Ginnasi dovevano dunque esistere: a Luxor, dove un'iscrizione19 menziona un'associazione di membri del ginnasio dell'epoca di Tolomeo

b-el-Gerza), citato in un papiro anteriore al 242;

V Epifane (204-180 a.C.); a Philadelphia (Dar-

a Ombos'!, dove un'iscrizione del II secolo a.C. fornisce i dettagli sul

ginnasio e sull’associazione dei membri; a Ptolemaios, dove vengono citate le statue onorifiche degli antichi ginnasiarchi da elevare nel ginnasio della città, esistente già prima del II secolo a.C.; a Theadelphia, dove il ginnasiarca ha dedicato ad Hermes

e a Heracles

i piloni

del ginnasio!; ancora

in altre località minori,

come

a Samoreia

nel Fayum,

Pharbaitos,

Psenamosis, ad Ulis sul Mar Rosso, Sebnnytos nel Delta". Vi è un altro gruppo di edifici pubblici, originariamente legato all'elemento greco, che non si è quasi per nulla conservato: si tratta di quelli destinati ad accogliere le pubbliche feste ed allo svolgimento dei giochi tradizionali, le gare letterarie e musicali e gli spettacoli teatrali. Anche in questo caso le testimonianze delle fonti risalgono all'epoca tolemaica e si deve citare il grande teatro della reggia di Alessandria, che ricevette l'attributo di Dionisiakon, e pare sia durato fino almeno al 428 d.C., quando esso sarebbe crollato durante una festa dei Neiloa'^. Dalle fonti papirologiche si hanno evidenze di altri teatri per Ptolemais, Antinoe, Oxyrhynchos, Hermoupolis Magna ed Arsinoe?. Come annessi dei grandi templi vanno considerati gli edifici da cui partivano le processioni, i komasteria, e quindi collegati sempre con il dromos: ad Hermoupolis Magna i papiri menzionano un komasterion lungo la via antinoitica, e questo edificio è stato recentemente riconosciuto in alcuni resti rimessi in luce a sud dell'area sacra ed in collegamento, attraverso il dromos di Hermes, con il tempio di Thoth-Hermes fondato da Nectanebo I (378-361), ma con il pronao dedicato a Filippo III Arrhidaeos. Si tratta di un edificio di forma basilicale (m. 40,66x31,5) con una grande navata centrale lungo l’asse corto, su ognuno dei cui lati vi sono altre quattro navate più strette (Figg. 155-157). Il fronte settentrionale, rivolto verso il tempio di Thoth-Hermes, presentava un podio cui si accedeva attraverso una larga scalinata: questa conduceva ad un propileo tetrastilo, con frontone triangolare, due colonne al centro e due pilastri laterali; sul fianco esterno di

! Cfr. O. Monteveccui, La papirologia, Torino 1973. ? SB, IV, 9016. 3 N. Lewis, Life in Egypt under Roman Rule, Oxford 1983. 4 SPARTIAN.,

Vita Sev.,

17.

° J.C. Barry, in Etudes et Travaux, 13, 1983, p. 8. $ Cfr. MONTEVECCHI, «Egiziani e Greci: la coesistenza delle due culture nell'Egitto romano», in Egitto e società antica, Milano 1985,

p. 237, nota 10, per l'esistenza di una boulé a Naukratis, anche se si ricava indirettamente.

7 Ip., p. 237. Cfr. anche Monteveccut, La papirologia, cit., per il valore da attribuire all’onomastica in tal senso: la presenza in una famiglia di nomi greci in maggioranza, se non significa sempre un’origine greca, indica almeno una cultura ellenizzata.

* StRAB., XVII, 1, 10; ADRIANI, Topografia, p. 122. ? Spesso in Egitto i ginnasiarchi erano anche militari e va rilevato come il ginnasio fosse uno dei luoghi di culto del sovrano ma anche di addestramento alla vita militare. I ginnasi divennero dunque un bastione

18

tradizionale dell'ellenismo contrapposto al mondo indigeno. Cfr. E. BeRrNARD,

Inscriptions

métriques

de

l'Egypte

greco-romaine,

Paris

1960,

pp. 49 ss. 10 SEG, VII, 694: a Perse, ginnasiarca e cosmeta, viene dedicato un ritratto dipinto ed una stele su cui si incide il decreto «nel luogo più in vista del ginnasio».

" Dall’iscrizione di Ombos, molto mutila, si ricava l’esistenza di un decreto e di una lettera reale affissi nel ginnasio vicino alla statua del fondatore. Cfr. BERNARD, /nscriptions, cit., p. 123 ss. 12 Si tratta dell'iscrizione incisa su un architrave di portale (nostro cat. n. 982) e la dedica è fatta da un Leonida Tolemaio del corpo dei traci di Exacone,

in veste di ginnasiarca.

Cfr. G. LEFEBVRE,

in ASAE,

19, 1919, pp. 62 ss., n. 36. 13 Cfr. J. DELORME, Gymnasion, Etude sur. les monuments crés à l’éducation en Grèce, Paris 1960, pp. 137, 139, 199-200.

^ ADRIANI, Topografia, pp. 247-248. 5 M. Monica, La civiltà dell'Egitto greco-romano, p. 114.

Roma

consa-

1924,

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17) - Alessandria, Kóm



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1

el Dik, terme, pianta (dal Kolatay).

|

questi si addossavano semicolonne più corte, della stessa altezza delle altre colonne della facciata ai lati del propylon. Il fronte meridionale, rivolto verso la via antinoitica, non presentava una scalinata, essendo la strada ad un livello piü alto rispetto all'area sacra: anche su questo lato vi era al centro un propileo tetrastilo, a differenza dell'altro, ricostruito con quattro

colonne;

la trabeazione

che

sormontava

il colonnato

piü

corto,

ai lati del propileo,

sembra

rientrasse

nel

tratto

contiguo a questo. L'impiego di capitelli corinzi in calcare locale e in stile asiatico (cat. nn. 381-385) indica una cronologia verso l'età antonina’®. | Infine menzioniamo i deipneterìa, cioè le sale per i banchetti pubblici: ad esempio a Tebtynis durante gli scavi di Anti, Bagnani e Vogliano ne sono state individuate nell'area del santuario di Sekhnebtynis almeno 18, ed altri sono noti nel Fayum in base a iscrizioni a Teadelfia e a Karanis: hanno forma di sale rettangolari con il pavimento sopraelevato rispetto al dromos, con cui comunicavano attaverso una scalinata, e lungo le pareti interne vi erano banconi per sedersi. Sempre a Tebtynis, accanto al recinto del santuario vi è un grande ambiente quadrangolare con peristilio ionico (la c.d. Sala Tolemaica), caratterizzato da pilastri a cuore agli angoli (cat. nn. 119, 706, 707), e con una nicchia absidata che si apriva su un lato: anche in questo caso l'ingresso, con atrio colonnato, era verso il dromos e solo un'ipotesi è quella di considerare l’edificio come sede di corporazioni (v. p. 240). |

F.

Terme

Una certa documentazione archeologica esiste invece per alcuni edifici termali di eta imperiale, anche se erano state introdotte in Egitto gia dal’ epoca tolemaica (negli archivi di Zenone sono menzionate a Philadelphia, Koitai!"). Si conservano soprattutto resti relativi ad impianti di modeste dimensioni, ad eccezione delle terme di Dik, di Athribis e del santuario di San Mena. Già da tempo è stato rilevato come ad Alessandria vi fosse un gran di bagni pubblici, ma le testimonianze delle fonti riguardano soprattutto l'epoca tardo-antica, ad eccezione di

le terme Arsinoe, Kom-elnumero un solo

bagno, la cui notizia risale al 13 a.C.!8.' Le terme romane di Kom-el-Dik ?, al centro di Alessandria, nel quartiere di Bruchium, di forma rettangolare (m. 80x100), sono organizzate lungo un'asse centrale su cui si allineano due tepidaria ed un calidarium: sui fianchi di queste tre sale se ne aprono altre due, interpretate come spogliatoi e sudatori (laconica). All'entrata vi era un grande frigidarium costruito sul lato di una corte porticata. Sono ancora da mettere in luce la natatio e la palestra (Fig. 17; Tav. 119, 8). Attribuibili ad epoca tarda, probabilmente alla fine del III o al primo quarto del IV secolo d.C., esse subirono im-

16 D.M. Baney,

«The Procession-House of the Great Hermaion at

Hermopolis Magna», in Pagan Gods and Shrines of the Roman Empire, Oxford 1986, p. 231 ss.: le otto colonne dei tetrastili si conservano ancora, mentre delle altre quarantasei più piccole ne restano almeno sette, più diversi frammenti.

U C. PRÉAUX, Les Grecs en Egypte d'aprés lés archives de Zénon,

1947,

p. 44;

cfr.

anche

A.

CALDERINI,

pp. 297 ss.; ADRIANI, Topografia,

in RendlstLomb,

52,

1919,

p. 208.

18 A, CALDERINI, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell'Egitto greco-romano,

? W. am-Rhein

KoLATrA

p. 96 ss.; H. RiAD,

in Das

in BSAA,

Rómisch-Byzantinische

43,

1975, p. 113.

Agypten,

Mainz-

1983, pp. 187-189.

19

Fig.

18 - Karanis, terme, pianta (dal Nasser - Wagner).

portanti rifacimenti nel primo quarto del V secolo, periodo d'intensa attività costruttiva ad Alessandria?, e nel VII secolo: esse sono state avvicinate alle terme imperiali di Treviri e ancora di Gemila e di Utica. , Anche Athribis, che proprio in età imperiale ebbe un grande sviluppo urbanistico, con monumenti pubblici come il circo ed il teatro, disponeva di ampie terme, costruite sul sito dell'antica necropoli reale: il primo impianto risale al periodo di Tiberio,

ma fu rinnovato,

sembra,

sotto Traiano

o Adriano,

a cui segue un'ultima fase di ricostruzione,

collocata

nelle seconda metà del II secolo d.C., dopo la quale le terme restarono in uso per più di un secolo”.

AI V secolo risale il grande stabilimento termale, con abside a trifoglio ed annessa basilica con due absidi contrapposte, del santuario di San Mena (v. oltre). Oltre

alle terme

ora

citate,

caratterizzate

da un’organizzazione

interna

e da un

elevato

architettonico

monumentale,

sono stati scoperti altri bagni di piccola e media grandezza in diverse località dell’Egitto. Ad Alessandria resti di modeste terme

sono

stati messi in luce ad est della città, tra Sidi-Bishr e Asafrah,

caratterizzati da una pianta rettangolare,

tonda al centro; più grandi sono invece due edifici termali contigui di Kom

esh Shogafa,

con ro-

forse riservati rispettivamente

agli uomini e alle donne, il primo in mattoni cotti e costituito da tre stanze rettangolari con tre vasche semicircolari sul fondo, il secondo, più grande (m. 20x19), a due piani e con vasche in quello superiore?. A Karanis, nell'area nordovest della città, a circa m. 40 dal Tempio di Soxeis, è stato scoperto nel 1972 un piccolo impianto termale molto complesso (Fig. 18), risalente forse all’età augustea ed in uso fino a quella bizantina: faceva parte di un isolato di abitazione

2 CALDERINI, Dizionario, cit., pp. 96-97. 21 KOLATAJ, art.cit., p. 189. 2 €. MicHALOWSKI,

20

in ASAE,

57,

1962, pp. 71 e ss.; Ib., in Atti

VII Congresso Intern. Archeologia Classica, Roma 229. ? H. RiAp, in BSAA,

43, 1975, p. 113 ss.

1961, III, pp. 219-

Fig.

19 - Kom e ]-Ahmar , terme, pianta (da El-Khashab).

MAIN ENTRANCE

WATER BASIN (f)

g

SOUTHERN ENTRANCE

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4)

Sakha

3

terme, pianta (da El-Khashab).

21

e comprendeva

i consueti

scorte

di combustibile,

rium;

a questi

ambienti

cisterne

si aggiungevano

termali

ecc.),

due

(apodyterium, frigidarium,

costruiti

in mattoni

crudi

corti per immagazzinare

e cotti

tepidarium,

laconicum,

e disposti

assialmente,

il combustibile

calidarium, ad

ed altri materiali?.

corte per le

eccezione

del

tepida-

A Kom-el-Ahmar

nel

Delta sono stati rinvenuti i resti di due impianti termali” (Figg. 19-20), uno del periodo di Tolomeo II o III, molto semplice nella struttura, forse un bagno caldo come le antiche terme greche, l’altro di età imperiale e molto più complesso, ma sempre senza una disposizione assiale (al contrario di Kom-el-Dik). Sempre nel Delta, impianti termali sono stati riconosciuti a Kom Khobeiz e a Kom Sakha?*: qui le terme erano formate da tre sole stanze ed erano probabilmente private; l'ingresso principale, sul lato ovest, immetteva sull'apodyterium quadrato, da cui si accedeva ad una grande piscina rotonda con tracce di sei colonne, che forse formavano un portico nel frigidarium; da questa piscina si poteva entrare in un'altra stanza quadrata con vasca in mattoni,

dove fu trovata una grande

statua in bronzo

di Dioniso

di età tolemaica.

Caratteristiche dell'ambiente egiziano sono anche le terme di Kom Ganady, con stanza rettangolare il cui pavimento conteneva numerosi pediluvi a forma di poltrone””. Si ha invece un impianto di tipo greco-romano a Tell Sersena (Fig. 21), tra i due rami del Nilo, in cui ritorna la disposizione assiale degli ambienti (in successione l'apodyterium, il tepidarium, il calidarium e il laconicum), anche se in modo irregolare”: il tepidarium, di forma oblunga, aveva il soffitto sorretto da otto colonne che inquadravano anche i passaggi con i vani che si aprivano su ciascun lato; inoltre vi doveva essere

una

corte colonnata

ad est dell'edificio,

a cui erano

annesse

stanze

di servizio.

Il sistema

di riscaldamento

era ad

ipocausto e si conservano i resti di cinque fornaci, comunicanti per mezzo di un condotto. Un insieme completo, distinto in cinque parti, ci è offerto dalle terme romane di Tell Edfu?" (Fig. 22), risalenti al I-II secolo d.C., che appartenevano ad una dimora privata e dove vi sono ancora sale con vasche rettangolari e pediluvi ovali a forma di poltrona: nella stessa località sono emersi altri due complessi termali, questa volta pubblici, dato il considerevole numero di ostraca ritrovati, concernenti la tassa del balaneion®°. Un altro complesso termale romano, con quattro ambienti per i bagni e con parte del suo pavimento policromo a mosaico,

è stato

rinvenuto

recentemente

a Tell

el-Farama?!,

l’antica

Pelusium,

davanti

alla

fortezza

romana.

Un

altro

ancora all'estremità nord-est di Cheikh Zonede, in prossimità del mare”: dotato sia di un frigidarium con mosaici e due piscine, nel quale è stato trovato il tamburo inferiore di una colonna, con base direttamente sul lastricato, sia di tepidaria,

sia di calidaria,

sia di un sudatorium,

doveva

probabilmente

essere pubblico,

come

mostrano

i resti di un colon-

nato ed anche la disposizione pressocché assiale degli ambienti principali. Ricordiamo le terme di Dionysias?, dove s’incontra nuovamente quella caratteristica stanza coperta da una cupola, con vaschette individuali disposte a cerchio, di derivazione greca?* il complesso termale era diviso in due parti da un corridoio lungo, che costringeva ad un percorso piuttosto irregolare, in quanto ai suoi lati si disponevano, oltre alla stanza citata, da considerare un calidarium-tepidarium, anche l’apodyterium, il frigidarium e il sudatorium; manca un impianto di sospensurae ed è evidente il persistere del modello ellenistico nella tholos con vaschette a cerchio. Anche le terme pubbliche di Tell el Farà presentavano una stanza circolare con vaschette, che viene conservata in tutte le tre fasi del complesso, dal II secolo a.C. al II secolo d.C.*. (Figg. 23-25) Dei cinque bagni privati rinvenuti a Kom Trugah, sul lago Mareotis, uno è ben conservato (Fig. 26) e presenta una grande sala rettangolare con piscina, da identificare con il frigidarium, due tepidaria, due laconica ed un calidarium con piscina a tre gradini?é. Gli altri bagni sono più piccoli, al massimo per tre persone, ma contenenti ugualmente statue e mosaici. Menzioniamo ancora le terme di Antinoe, che se è vera l’identificazione proposta dallo Jomard con un edificio mal conservato di grandi dimensioni con resti di forni e di vasche, avrebbero avuto un perimetro rettangolare e disposizione assiale degli ambienti. Più dettagliato è il rilievo dei resti della facciata, con otto contrafforti rettangolari facenti parte dei propilei con due ingressi, si è pensato, in modo analogo al propylon del Tempio di Helios a Baalbek o del tempio del

Sole a Palmira?” Per ultime si citano le terme del (da qui la denominazione di «doppie zione simmetrica, come negli impianti sformazioni durante il V e VI secolo.

complesso di San Mena: esse sono divisibili in due stabilimenti termali indipendenti terme»), ma non organizzati secondo il principio dell’assialità e della contrapposiimperiali, poiche probabilmente sono il risultato di adattamenti e di successive traNel primo stabilimento vi è una sala principale a tre navate, con absidi alle estre-

mità della navata centrale e con orientamento est-ovest. Nel secondo stabilimento la sala principale è sempre a tre navate,

7 S.A.

EL Nassery,

G.

Wagner,

G.

CasrEL,

in BIFAO,

76,

1976, pp. 235 ss.

? A. EL KHASHAB, in ASAE, suppl. 10, 1949, pp. 30 ss. 26 [p., pp. 54-55. 2? K.

SEDKy,

in ASAE,

60, 1968, pp. 22 ss.: oltre al laconicum,

* Ip., p. 61, dove si nota la forma particolare delle vaschette indial

impianto di riscaldamento formato da una fornace che comunicava con il calidarium attraverso un condotto a mattoni dove passava l’aria calda.

? E.M. WASIF, in ASAE, 63, 1979, pp. 177 ss. ? K. MicHaLowskl, Fouillles franco-polonaises, Tell Edfou, 1937, I, IFAO, Le Caire 1937, pp. 65, 74. 31 M. App EL-Magsvuop, in ASAE, 70, 1984-85, p. 31.

22

Fouilles franco-

suisses, I, Le Caire 1969, pp. 51 ss.

calidarium e alla stanza suddetta con pediluvi, le terme presentavano un

30 In, p. 81.

? M.J. CLEDAT, in ASAE, 15, 1915, p. 31. 8 J. ScHwARTZ, Qasr-Qarun/Dionysias, 1950,

viduali,

profonde

e mancanti

della cavità per la fuoriuscita dell'acqua,

ma dotate di mensole per appoggiarvi i gomiti nella posizione del bagno seduto, o per poggiarvi oggetti da toilette. 55 D. CHARLESWORTH, in JEA, 56, 1970, p. 19. 36 A. EL KHasHAB, in ASAE, 54, 1956-57, p. 117 ss.: manca

l'a-

podyterium perché un ingresso coincideva con quello della casa, l'altro comunicava direttamente con l’esterno. ? E. KuHw, Antinoupolis, Ein Beitrag zur Geschichte des Hellenismus in rómischen Agypten (Diss. Lipsienses), Gottingen 1913, p. 51 ss.

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Fig. 21 - Tell Sersena, terme, pianta (dal Wasid).

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Tossa

Fig.

23

- Tell el-Fára'in,

terme,

pianta della prima fase (dal Char-

Fig. 24 - Tell el-Fára'in, terme, pianta della seconda fase (dal Charle-

sworth).

lesworth).

Fig. 25 - Tell el-Fára'in, terme, pianta della generale con tutte le fasi (dal Charlesworth).

24

ma mancano le absidi e l’orientamento è nord- sud. Entrambe le sale erano provviste di banchi e vasche individuali per l’acqua fredda e le navate erano divise ida colonne con basi su alti piedistalli??. (Fig. 27) In conclusione si può rilevare che, rispetto alle note categorie degli impianti termali (assiali, c.d.imperiali, semiassia1) ?, i balnea privati, come è ovvio, hanno spesso una pianta irregolare, condizionata dal contesto architettonico in cui sono inseriti, mentre gli edifici pubblici hanno una certa ricchezza decorativa e monumentalità, soprattutto nel caso di

centri più importanti come Athribis e

Antinoe, o comunque posti lungo importanti vie di comunicazioni.

Gli esempi di

Kom-el-Dik e probabilmente di Antinoe, su modelli imperiali, hanno chiaramente la disposizione assiale degli ambienti, che ritorna in modo più irregolare anche a Tell Sersena e a Cheick Zoneide: nei centri minori, però, è quasi sempre as-

sente la palestra (ad eccezione forse di Tell el Farà) e l'impianto è limitato al nucleo centrale dei bagni.

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| Fig. 27 - S. Mena, «doppie terme», pianta della terza fase (dal

Fig. 26 - Kóm Trugah, terme (da El-Khashab). |

Müller Wiener).

| G.

Fortezze

Una delle fortezze egiziane più antiche è quella fatta vicino alle rive del Nilo, prima dell’inizio della regione del fortezza edificata nel IV secolo a.C. da Nabucodonosor che (Fig. 28). La zona era stata già adibita a scopi militari sotto

costruire dopo la rivolta giudaica del 115 d.C. da Traiano Delta, in prossimità o sullo stesso luogo di una precedente l'aveva chiamata Babylon in ricordo della propria capitale! Augusto in quanto vi era stata stanziata una delle tre legioni

allora in Egitto?, si è supposto la legione III Cyrenaica, almeno fino al 23 d.C.?. La fortezza aveva una forma di quadrilatero irregolare e la sua muratura era costituita da corsi alternati di pietre e mattoni tenuti insieme da gettate di calcestruzzo (Fig. 28): i lati sud ed est presentavano quattro torri ad intervalli regolari (completamente distrutto è il lato nord), mentre quello ovest costeggiava il Nilo e su di esso si apriva forse una grande porta inquadrata da due torrioni circolari. All'interno di questi vi era un cerchio in muratura piü piccolo, collegato attra-

38 KAUFMANN, p.71, fig. 2.40;

Die Menasstadt, p. 133; | Bapawy, Coptic Art, W. MoüLLER-WiENER, in! MittKairo, 21, 1966,

? STRAB., XVII, 807; cfr. Pror., IV, 5,54, dove Babylon è indicata come punto di partenza del canale che poneva in comunicazione il

p. 175 ss.; P. GROSSMANN et AL., in MittKairo, 40, 1984, p. 135, fig. 3. 39 S. Sruccur, in Atti V Convegno Naz.Storia Architettura, Perugia

Nilo con il mar Rosso. Sulle fonti di Babilonia d'Egitto vedi M.P. CeSARETTI, in Rivista Storica Antichità, 16, Bologna 1986, p. 11. 3}. Lesquier, L'armée romaine d'Egypte d'Auguste à Dioclétien,

1948 (Firenze

1957), p. 178 ss.

MIFAO,

|

| | Ἰ

! AJ. 244-245.

BurLER,

The

Arab

Conquest

of Egypt,

41, Caire,

pp. 56-63,

da confrontare anche per la citazione di

Not.Dign., 28,15, sulla presenza della legio XIII Gemina a Babylon agli Oxford

1978,

pp.

inizi del V sec d.C.: il MONNERET DE 1924, p. 176, ritiene inoltre possibile una di quale entità, in tarda epoca bizantina.

VILLARD, in Aegyptus, 5, ricostruzione, non sappiamo

25

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Fig. 28 - Cairo, fotezza di Babylon (dalla Description de l'Egypte).

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Fig. 29 - Cairo, fortezza di Babylon, pianta (dal Cesaretti).

26

verso pareti con quello esterno in modo | da ottenere otto compartimenti. La porta piü nota é comunque quella che si apriva sul lato sud, denominata al-Mu’allaqa (sospesa) in quanto su di essa fu costruita una piccola chiesa in seguito allargata: davanti ad essa vi erano le banchine dove approdavano la navi romane. È stata rilevata dal Monneret de Villard la forma caratteristica ad U delle torri, cioè a pianta rettangolare con semicerchio addossato, che si ritrova in altre fortezze traianee ad esempio del limes arabico, nel campo di Lambesis e nelle porte delle mura di città (Autun, Porta Nigra di Treviri, mura teodosiane di Costantinopoli): pur incontrandosi nelle torri forme quadrate od ottagone in età dioclezianea, tuttavia diverse fortezze egiziane di questo periodo presentano proprio la forma delle torri semicircolare, insieme a quelle quadrate, ma queste agli angoli del quadrilatero. Va infine rilevata la forma architettonica della porta di al-Mu'llaqa, con fornice arcuato accompagnato da un architrave a tre fasce sopra il quale, ma ad una certa distanza, vi è un grande frontone triangolare che abbraccia tutta la larghezza delle pareti tra le due torri: il soffitto del geison presenta mensole a travicello alternate ad incorniciature quadrangolari secondo la tradizione alessandrina (Tav. 128). Un altro campo fortificato, noto col nome di Qasr al-Qayásira, ed ora distrutto, si trovava a poca distanza da Alessandria, verso Nikopolis, dove adesso è il quartiere di Mustafà Pascià: sembra presentasse una pianta quasi quadrata, con torri quadrangolari agli angoli e sei torri semicircolari o a ferro di cavallo su ciascuno dei lati. Da esso provengono testi epigrafici del II secolo d.C., ma si ritiene che il castrum sia stato ricostruito in epoca tarda. Al suo interno sono stati segnalati resti di vasti mosaici dionisiaci, di un pretorio e di un impianto termale?. Gli altri esempi noti di fortezze egiziane, di cui & possibile precisare degli elementi cronologici sono di epoca piü tarda ed appartengono al III secolo o a pochi decenni dopo e soprattutto all'età dioclezianea. À questo periodo appartiene il grande campo fortificato di Luxor®, che rappresenta un singolare esempio di trasformazione di un santuario egiziano per le esigenze dell'armata romana (Figg. 30, 31): infatti il grandioso tempio di Ammone, costruito da Amenophis III ed ampliato da Ramses II, fu inglobato in un vasto quadrilatero, con mura in mattoni crudi, divenendo l'asse della fortezza, la quale riecheggia anche il leggero spostamento di asse della corte di Ramses, che & la causa della forma irregolarmente rettangolare del campo (lati m. 249/268 x 202/207). I suoi elementi principali sono le torri quadrate agli angoli, le torri semicircolari ad U lungo i lati e grandi porte fiancheggiate da due torri ad U, con corte interna provvista di «controporta»: ne sono state identificate almeno sei, provviste di fornici ad arco semplice di cui all'esterno si conserva una decorazione a dentelli; ai lati di una di esse, la porta 5, vi sono due nicchie, con copertura semicircolare, ricavate nei pilastri dell'arco. Le porte mettevano in comunicazione con le strade interne del campo, che dovevano avere una qualche sistemazione monumentale, in quanto in due incroci si conservano due tetrastili”: essi furono dedicati rispettivamente alla fine del 301 e alla fine del 308 o agli inizi del 309, come si ricava dalle iscrizioni incise sugli alti piedistalli con base d'acanto (cat. nn. 793, 794) che ne sostenevano le colonne: queste sono state ricostruite con capitelli corinzi sormontati da un dado su cui dovevano poggiare le statue degli imperatori in bronzo*. Dei numerosi rimaneggiamenti del santuario faraonico, in occasione del suo inserimento nel campo, il più notevole è quello della trasformazione della sala ipostila in cappella delle insegne, decorata con affreschi raffiguranti i tetrarchi*: questi erano dipinti all’interno di un’abside che si apriva al centro della parete orientale ed era preceduta da un baldacchino sostenuto da quattro colonne in granito di Assuan con capitelli corinzi in diorite!° (cat. nn. 252-254). Tale cappella delle insegne costituì, insieme con la grande corte e la sala basilicale a dattati allo scopo, i principia del campo, che una porta, costruita all’ingresso della corte di Amenophis III, isolò totalmente dal resto del santuario. È stato osservato come a Luxor sia chiaramente visibile quella tendenza dei campi fortificati della fine del III secolo (ad esempio a Palmira e a Drobeta) a disporre la cappella dei principia all’estremità di un grande asse colonnato e non all’intersezione delle vie principali del campo, come avveniva in ‘precedenza: la possibilità di reimpiegare a questo scopo i colonnati del santuario

faraonico, possono averne favorito la scelta!!. La stessa tendenza si ritrova anche nel più piccolo forte di Dionysias (Fig. 139), probabilmente di età dioclezianea", dove i principia erano addossati sul lato opposto rispetto alla porta d’ingresso al campo e dove la cappella delle insegne risultava al termine di una via colonnata al centro del campo. Questo era costruito per intero in mattoni crudi, eccetto il primo vestibolo della porta d’ingresso realizzato in blocchi calcarei: di pianta quadrangolare, disponeva di un’unica porta monumentale a doppio vestibolo, fiancheggiata da torri ad U, e ancora di torri angolari quadrate e ad U sui lati. Al suo

|

| ^ MONNERET

DE VILLARD,

in Aegyptus,

5,

1924, p. 175; v. anche

p. 480 ss., per la presenza di porticine ai lati della porta al-Mullaqa mettevano direttamente in comunicazione l'interno delle torri con sterno del castrum permettendo di uscire dalla fortezza senza passare la grande porta. Si tratta di modalità note nell'Africa settentrionale e prattutto nel recinto murario di Costantinopoli dell’epoca di Teodosio cfr.

inoltre

C.

Coquin,

Les

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du

vieux-Caire,

δ [p., p. 12: ciascuna colonna doveva avere un’altezza di m. 17/18 compresi le basi, i capitelli e l’eventuale statua. Sulle prime edizioni delle dediche iscritte vedi P. Lacau, in ASAE, 34, 1934, pp. 17-46; cfr. anche Ch. KuEntz, in ASAE, 22, 1922, pp. 232-234.

IFAO,

«The Temple of the Imperial Cult at Luxor», in Archaeologia, The So-

Topografia,

? Questa

identificazione

ciety of Antiquaries of London,

Caire 1974, p. 65 ss. ? ADRIANI,

7 Ip., tavv. 19-20, per la loro ricostruzione.

che l'eper soII;

p. 101, n. 57: si è avanzata l’ipotesi che il

si

deve

95,

ad

U.

MONNERET

DE

VILLARD,

1953, pp. 85-105.

10 È possibile che il baldacchino ospitasse un altare o un trono: M.

campo sia stato costruito sui resti dello statépedon; all'epoca della spedizione di Bonaparte si conservavano parti del recinto murario alte ancora

REDDÉ,

7-8 metri e costruite «con pietre di calcare biancastro e file ricorrenti di

JM. CARRIÉ, in MEFRA, 86, 1974, pp. 819-850; cfr. J. Scuwartz, H. WiLp, Qasr-Qarun/Dionysias, 1950, Fouilles francosuisses, I, Le Caire 1969, p. 1 ss.

mattoni cotti con spesso strato di calce». | $ AA.VV., Le camp romain de Lougsor, MIFAO,

83, Caire 1986.

in Le camp romain de Louqsor,

cit., p. 29.

!l Cfr. REDDÉ, in Le camp romain de Lougsor, cit., p. 31.

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27

Fig. 30 - Luxor, fortezza con il tempio incluso, pianta (dal Golvin

- Reddó).

Fig. 31 - Luxor, fortezza con il tempio incluso, ricostruzione assonometrica (dal Golvin - Reddé).

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Fig. 32 - Nag'el-Hagar, fortezza, pianta (dal Mustafà - Jaritz).

interno una serie di stanze, precedute da un portico a pilastri, si addossava alle quattro mura del recinto e anche ai laü della via colonnata. |

Il grande campo militare (m. 152x152) scoperto nel 1984, nel villaggio di Nag' el-Hagar! (Fig. 32), a circa km. 20 a sud di Kom Ombo, presenta molte affinità con quelli di Luxor e di Dionysias, sia per quanto riguarda il sistema difensivo esterno con torri angolari quadrate, torri intermedie ad U e ancora torri ad U ai lati degli ingressi, sia per la monumentalizzazione di uno degli ingressi, nel quale puó forse riconoscersi la porfa praetoria: si tratta della porta occidentale, situata sulla riva del Nilo e innalzata come un arco trionfale con all'esterno due coppie di semicolonne ai lati dell'ingresso, all'interno sostituite da due coppie di pilastri. In base al ritrovamento di diversi frammenti di colonne in granito rosso, è stato ritenuto che una via colonnata unisse la porta d'ingresso ai centri amministrativi e religiosi del campo ^;

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Fig. 33 - Tell el-Farama, fortezza, pianta (da Abd el-Maqsoud).

5 M, Ep-Din Mustara, H. JARITZ, in ASAE, 70, 1985, p. 21 ss.

^ Ip., p. 26.

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Fig. 34 - Tell el-Herr, fortezza, pianta (dal Louis - Valbelle).

questo era anche dotato di un pozzo del diametro di m. 5 con scala dal soffitto a volta, che doveva essere collegata con un bagno o con una cisterna di cui emergono le rovine in mattoni cotti”. Tell

Torri angolari ed intermedie, di forma semicircolare e rettangolare, erano presenti anche nella fortezza romana di el Farama, di pianta rettangolare, il cui scavo effettuato nel 1984-85, ha permesso di riconoscere solo le mura

esterne. Sul tratto settentrionale, verso il mare, si apriva la porta principale, costruita in calcare, ma con il contrafforte in granito rosso ed in una pietra basaltica su cui vi era un’iscrizione! (Fig. 33). Aveva forma rettangolare anche la fortezza di Cheikh Zonede, le cui mura sono molto distrutte, ma che, probabilmente, non aveva torri, oppure un solo torrione'’: tuttavia in una stanza rettangolare che faceva parte del complesso è stato rinvenuto un grande mosaico diviso in due zone, una delle quali con tre quadri: il mito di Fedra ed Ippolito, i misteri di Dioniso, figure di animali con un'iscrizione in greco contenente l'elogio del mosaicista'®. Particolare è la fortezza di Douch, l’antica Kysis, posta all’estremità sud dell’oasi di Kharegh, in quanto si discosta dalle tipologie fin qui note di tale classe di monumenti! Costruita in mattoni crudi ed unita ad est ad un tempio, aveva una pianta quadrata (m. 50 x 50) e senza torri angolari, con una sola porta nell’angolo nord-est, e, all’interno, una serie disordinata di vani disposti su tre piani. Sede di una guarnigione romana nel IV secolo d.C., testimoniata da un grande numero di ostraca ritrovati in essa”, si discute sull'epoca della sua costruzione e sulla sua originaria funzione, di natura forse più amministrativa che militare. Va ora menzionata la fortezza di Tell el-Herr (Fig. 34), vicina per le dimensioni, il sistema di acquartieramento e la via porticata a quella di Dionysias: di forma vagamente quadrata, presentava la porta est fiancheggiata da due torri e con un atrio, in modo da assumere un carattere monumentale, che forse permette di identificare in essa la porta pretoria del campo. Da qui aveva inizio una strada, larga m. 4,10, fiancheggiata da portici sostenuti da pilastri in mattoni: doveva condurre ai principia, non rinvenuti in quanto situati nella zona maggiormente distrutta del campo. Nella metà nord, che rappresenta la parte scavata della fortezza, sono stati riportati alla luce sei lunghi vani rettangolari con i lati corti rispettivamente verso la strada porticata ed 1 muri della fortezza, separati al centro in due gruppi di tre da una via assiale nordsud, che doveva incrociarsi con quella principale: di questi vani si è individuata in parte la funzione, in base anche alle suddivisioni interne (contubernia, latrine)*'. Sono state individuate due fasi, la prima della metà del III secolo d.C., la seconda dell’età di Giustiniano, ed ancora sono state notate le analogie con fortezze dell’ Africa settentrionale ed in particolare della Siria (fortezze quadrate di Amsareddi e di Qdeyen)”.

5 Ip., p. 28; v. anche p. 31 sulla trasformazione durante il IV-V secolo della fortezza in sito urbano con una necropoli «intra muros». 16M. App EL Magosoup, in ASAE, 70, 1985, p. 6 ss.; v.p. 103

sull’iscrizione di quattro righe, dove è citato un certo Marco Kasios, figlio di Isidorion, che aveva esercitato tutte (pantarchos). 7 MJ. CLéDAT, in ASAE, 15, 1915, p. 21 ss.

18 Ip. pp. 24-28.

30

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le magistrature

? J.C. GoLvin, M. NERON, in BIFAO, 78,

Reppé, in CRAI, 1986, p. 191; cfr. S. Sau1978, pp. 1-33; J. Gascon, in BIFAO, 80,

1980, pp. 287-315. ? H. Cuvicny, G. WAGNER, in IFAO, fasc.I, 1986, pp. 1-57. 2! E. Louis, D. VALBELLE, in CahPEg, 10, 1988, pp. 61-71. ? Ip., p. 70 ss., cfr. M. MONTERDE, A. POIDEBARD, «Le limes de Chalcis, Organisation de la steppe en haute Syrie Romaine», in BiblArchIst, 38, Paris 1945.

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Fig. 35 - Abu Sha'ar, fortezza, pianta (dal Golvin - Reddé).

È stata recentemente ristudiata una serie di fortini disposta lungo le rotte che univano il Nilo con i porti del mar Rosso”. Si tratta di costruzioni che variano dalle forme abituali solo per la necessità di adattarsi alla regione desertica in cui erano innalzati: di pianta quadrata 9 rettangolare, con una lunghezza media di circa m. 50 (in pochi casi piü grandi come nei fortini di Abu Sha'ar (Fig. 35) e del Mons Claudianus (Fig. 36), lunghi tra m. 75 e 81 o piü piccoli), sono provvisti quasi sempre di torri circolari agli angoli e di una sola porta fiancheggiata da torri ad U; in comune con i fortini sul limes siriano vi è la costante presenza di un grande pozzo nella corte centrale o di una cisterna alimentata da pozzi esterni (Fig. 38). Il loro scopo era quello di controllare sia le cave e le miniere del deserto orientale egiziano, sia le rotte che comunicavano con il mar Rosso: corrispondevano infatti nella loro distribuzione alla distanza tra le varie tappe percorribili giornalmente, ed è probabile dunque anche la funzione di accogliere i viaggiatori e in generale di favorire il traffico commerciale delle merci ?*. |

In conclusione si può rilevare come le fortezze citate siano quasi tutte tarde, più o meno riferibili, ad eccezione di quella di Babylon, al III secolo d.C. o joco oltre, in un periodo in cui l'architettura militare, soprattutto sotto Gallieno e Diocleziano, ebbe un nuovo impulso Hid alle rivolte ed alle invasioni dei popoli confinanti?. Le fortezze di Luxor, di { | !

|

? J.C. GoLvin, M. REDDÉ, in Karthago, 21, 1987, p. 5 ss.: i fortini nella rotta da Qeft a Quseir erano Kasr al Janat, El-Mweih, Bir Hammamat (presso le cave di breccia verde e di basanite, ed anche di granito «bianco e nero gabino» vicino Felt). Tell al Zarqa, El

Dweig (Falacro), Wadi Abu Qreiya, Wadi Kalatat; nella rotta da Edfu a Berenice i fortini di Wadi Abbad, Wadi Abu Middrik e Wadi Samut. Cfr. R. GnoLI, Marmora romana, Roma 1971, per le cave citate. ? GoLvIN, REppÉ, in Karthago, 21, 1987, p. 58; cfr. inoltre U.

Homra, Bir Seyala, Ed Duwwi; nella rotta Qena-Abu Sha'ar, attraverso

MONNERET DE VILLARD, La Nubia Romana, Roma

il Mons Porphyrites, vi erano i fortini di Bir Aras, El Heita, El Saquia, Bab el Mukheinig, Deir el Atrash, Qattar, Badia, Mons Porphyrites

le fortificazioni romane in Nubia, occupata per ragioni strategiche ed anche economiche in relazione alle miniere d'oro del Wadi Allaqui.

(Fig. 38) (presso le cave di porfido rosso, verde 6 nero, ed anche di porfido serpentino nero dal vicino Umm Towat, diigranito della colonna

Nelle rovine Pselcis (Dakka) é stato rinvenuto un campo con due lati ben conservati: in mezzo ad essi si apriva una porta fiancheggiata da

del vicino Umm Shegilat e del granito verde fiorito di bigio dal vicino Wadi Umm Balad), Wadi Belih (Fig. 37), abu Sha'ar; nella rotta da Qena al Mons Claudianus: i fortini di Qreya, Abu Zawal, Mons Claudianus, Wadi Umm el Barud (Fig. 39) (presso le cave di diorite); nella rotta da Qena a Mersa Guweises i fortini di Wadi Gidami e Wadi Semna (presso le cave del granito verde della «sedia di S. Pietro», del granito verde minuto della «sedia di S. Lorenzo» é di ofite); nella rotta da Qeft a Berenice i fortini di Wadi Meni el Hir (Aphrodito), Wadi

torri ad U, all’interno sono stati rinvenuti soltanto resti di un grande tempio e di un pozzo. Sembra che il campo sia databile alla seconda metà del II secolo d.C., ed era certamente anteriore al 296 d.C., quando la Nubia fu abbandonata da Roma. Altre due fortezze erano a Primis (Qars Ibrim) erette in epoca tolemaica su un alto sperone roccioso verso il Nilo e poi restaurate e riutilizzate dai Romani. % R. FELLMANN, in Melanges P.Collart, Lausanne 1976, p. 173 ss.

1941, p. 25 ss. per

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Fig. 37 - Wadi Belih, fortino, pianta (dal Golvin - Reddé).

Reddé).

Dionysias, di Tell el-Her e di Nag' el-Hagar, se si inseriscono chiaramente nell’ambito dell'architettura militare romana risalente al primo periodo imperiale, non mostrano tuttavia i principia posti agli incroci tra la via principalis e la via praetoria, bensì alle estremità di uno degli assi porticati?’ conseguente a questa scelta è anche l'aggiunta di un'abside, che accentua il carattere di luogo di culto anche imperiale dei principia?'. La posizione periferica e non centrale di questi si colloca, dunque, all’interno della profonda trasformazione dell’architettura militare nel ΠῚ secolo d.C., quando tra l’altro l’influenza dell’architetura urbana è più forte, come risulta dalla monumentalizzazione dell’incrocio tra le due strade principali attraverso tetrapili?. Se stretti parelleli per i campi egiziani sono costituiti da quelli di Jatrus in Bulgaria, di Drobeta in Romania (trasformazione del IV secolo) ed anche dalla villa di Diocleziano a Spalato e dal palazzo imperiale

di Antiochia? (in questi casi una delle due vie colonnate dopo l’incrocio non conduceva ai principia veri e propri, bensì

alla casa dell’imperatore), tuttavia analogie sono offerte anche da città fortificate come quella di Anazarbo in Cilicia, come mostra la grande via mediana colonnata, che si originava dalla porta sud, a forma di arco onorario a tre fornici??, H.

Porte archi e propilei

La struttura urbanistica ed in parte anche il sistema difensivo di alcune città egiziane vengono rivelati dalle testimonianze date dalle porte monumentali, in genere sotto la forma di archi trionfali. Ci si riferisce in particolare alla porta ovest, collocata all'estremità di una delle due strade trasversali colonnate di Antinoe (Figg. 181-187). Ancora in piedi ai tempi della spedizione di Bonaparte, fu oggetto di numerosi rilievi da parte dello Jomard, che ci restituiscono l'immagine di una porta monumentale a

tre fornici:

quelli laterali molto

più piccoli e comunicanti,

sia tra essi,

sia sui fianchi esterni,

26 Ip., p. 178. 2 Cfr. M. Repp#,

in Le camp romain de Louqsor, cit., p. 21.

2 FELLMANN, in Melanges P.Collart, cit., p. 180.

32

? Tp., p. 181 ss.

30 P. VERZONE, in Palladio, 7, 1957, pp. 9-25.

| | |

attraverso porte poste sullo stesso asse. Ció indica la posizione isolata del monumento, non inserito nel circuito murario, ma costituente una sorta di propileo monumentale di un piazzale aperto posto all'inizio della strada. I fornici erano inquadrati da lesene, su cui poggiava una trabeazione dorica con frontone triangolare, larga quanto l'intera porta; colonne sporgenti su alti piedistalli erano inoltre ai pati dei fornici minori e sorreggevano trabeazioni sporgenti, sopra le quali si aprivano nicchie rettangolari. Si è ritenuto di poter collegare questa porta con i resti di un'iscrizione trovata nelle vicinanze, dove si allude alla vittoria dell’imperatore Caro sui Persiani, e si considerano come appartenenti ad essa due colonne di

granito e numerosi altri tronchi ancora affioranti presso la «chiesa paleocristiana»!. Si tratta di un monumento nella tradizione delle grandi porte asiatiche e siriane, come l’arco trionfale e la porta monumentale di Gerasa e l’arco sulla via Colonnata di Palmira?. Che esso dovesse esistere anche ad Alessandria ci è testimoniato da numerose emissioni monetali della città, dal periodo domizianeo a quello adrianeo: esse ci mostrano un arco molto simile a quello di Antinoe, con tre fornici, i due laterali sormontati da nicchie rettangolari, e con frontone esteso

per tutta la larghezza dell'arco? | Ugualmente un arco, visibile su tutti e quattro i lati, più che una porta, è da considerare l'arco a tre fornici di Philae (Figg. 40, 41), eretto nel 296 in onore di Diocleziano e Costanzo Cloro nella parte nord-est dell'isola, davanti al tempio di Augusto: infatti, sui fianchi la muratura & liscia come sul fronte, con pilastri terminanti in schematici capitelli dorici e sommarie cornici agli angoli; inoltre si e recentemente dubitato che le mura di fortificazione, in cui la porta si aprirebbe, risalgano all'epoca di Diocleziano e si è proposta per esse una datazione più generica al V-VI secolo in base ad alcune iscrizioni^. Articolato in tre fornici con archivolti semiovali, quello centrale pià ampio, presentava nicchie rettangolari al di sopra dei fornici laterali: questi erano| coperti da «cupolette su vela», mentre quello centrale da una volte a botte?. Un altro arco, noto però solo da disegni, si trovava nell'oasi di Bahriyyah: di piccole dimensioni e ad un solo fornice, presentava una scaletta a chiocciola all'interno di uno dei piloni, questi sormontati da cupolette e con nicchie sui due fronti, rispettivamente rettangolari e ad arco? (Fig. 42).

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fig.S. 74; I. BRowniNG, figg. 69-74.

Palmyra,

London

1979, ipp. 105 ss., 131 ss., |

3 S. HANDLER, in AJA,75, 1971, pp. 70-71.

Fig.

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|

^ G. HAENY, in BIFAO, 85, 1985, p. 232. 5U. MonNERET DE VILLARD, La Nubia

romana,

Roma

1941,

p. 6 ss.; cfr. p. 8 dove è descritto il procedimento costruttivo con cui Sono accostati i conci, con superfici di contatto dentate e non piane, e dove viene rilevato come un procedimento analogo si osserva in Egitto, nell'arco tolemaico di Kom Abu Billo e in un ipogeo di Gabbari (S. CLARKE, R. ENGELBACH, Ancient Egyptian Masonry, London 1930,

fig. 226).

Gli esempi di questo tipo di accostamento con altre regioni

sono tutte posteriori al periodo tolemaico.

$ I., pp. 6-7, figg. 9-11.

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Il Monneret de Villard ha già sottolineato come l'uso delle «cupolette su vele», costruite in blocchi squadrati, non abbia riscontro in occidente, ma solo nella Siria meridionale, in Palestina, in Transgiordania (Gerasa, Samaria, Qasz an-

Nuwaggis), ambienti a cui rimanda anche il contorno semiovale degli archivolti di Philae”. Ad Antinoe e ad Hermoupolis Magna si hanno inoltre testimonianze di un altro tipo di porta monumentale: ci si riferisce agli atri colonnati che ad Hermoupolis consentivano l'accesso su entrambi i lati del komasterion (Fig. 142) recentemente individuato (v. p. 255), e che ad Antinoe, sotto forma di un grandioso propileo (Figg. 188-190), immettevano nella vasta corte quadrangolare che precedeva il teatro. In questo caso, come si ricava dai disegni dello Jomard*, l'ingresso era costituito da una grande porta rettangolare e da due porte laterali più piccole, sormontate da un frontoncino triangolare: su entrambe le facce dell’ingresso vi è una sorta di pronao tetrastilo, corinzio, che forse era sormontato in origine da un frontone triangolare.

Anche

qui si hanno

confronti con l’architettura contemporanea

microasiatica e siriana,

come

mostra

a

Gerasa? la facciata del propylon di accesso alla corte che precedeva il santuario di Artemide, del 150-180 d.C.

Sempre ad Antinoe, lo Jomard rivela un altro ingresso monumentale, costituito da un atrio tetrastilo con colonne ioniche (Fig.

192) e, probabilmente,

Abbiamo foglie

lisce

frontone triangolare,

davanti ad un monumento

già citato (v. p. 15) per il Serapeo del Mons (cat.

n. 251),

che

consentiva

l'accesso

alla corte

sulla via trasversale est-ovest He

Claudianus l'atrio tetrastilo (Fig. antistante

il tempio:

anche

14), con capitelli corinzi a

in questo

caso,

relativo

ad

un

complesso religioso abbastanza modesto, si ha la testimoninanza di un esigenza di monumentalizzazione degli ingressi che è da collegare con una moda ampiamente diffusa in Egitto in età imperiale.

34

7T Tp., p. 9.

anche i propilei del tempio di Giove ad Hóssn Soleiman,

8 JoMARD, in Description de l'Egypte, 4, tav. 56. ? CREMA, Architettura romana, cit., p. 396, figg. 475-476;

con pronai colonnati su entrambi i lati dell'ingresso a tre porte. 10 JOMARD, op. cit., p. 267, tav. 61.

cfr.

ugualmente

3. A.

EDILIZIA PRIVATA

|

Case |

Sempre con l'intento di recepire quanto della tradizione architettonica greco-romana sia stato accolto in Egitto, citiamo brevemente alcune case, note dalle fonti e soprattutto dai resti archeologici, che ci offrono una chiara testimonianza di tale tradizione. E stata piü volte citata da vari autori la casa descritta nel cosiddetto «Archivio di Zenone»!, che doveva essere stata costruita a Philadelphia nel Fayum: essa era dotata di due ingressi e di numerose stanze disposte intorno a cortili interni, uno collocato presso gli ambienti di servizio, l'altro presso la sala da pranzo e le stanze abitate dai proprietari; accanto a queste vi era un vasto impianto per i bagni articolato in tre ambienti. Il materiale da costruzione era il mattone crudo, ma molto curati erano 1 dettagli decorativi interni, ad esempio delle finestre e delle porte?. Il mattone crudo è il materiale più frequentemente attestato nelle residenze private, che le testimonianze archeologiche ci restituiscono piuttosto modeste: spesso di forma quadrata (Fig. 43) con un pianterreno diviso in due o tre ama . . 5 > . ! ^ è "TP “qe aoe bienti, e uno o due piani superiori. Dotate di cantine con soffitti a volta, utilizzate non solo come magazzini, ma anche

Fig. 43 - Philadelphia, casa D6, pianta (dalla Nowicka).

Fig. 44 - Medinet Ghoran, casa, pianta (dal Jouguet).

|

per la sistemazione di condotti d'aria, potevano essere munite inoltre di corti interne ed esterne o, nei casi meno modesti, anche contemporaneamente di due corti, una laterale ed una interna?. Si è però discusso se si tratti di un influsso delle corti a peristilio delle case greche, o meglio di una tradizione tipicamente egiziana, derivante dalla divisione di una casa a pianta quadrata^ che, comunque, nei casi di maggior lusso ed ampiezza, deve avere favorito l'adozione della corte colonnata di tipo greco. | Sfortunatamente la maggior parte di queste abitazioni è stata rinvenuta durante scavi alla ricerca di papiri, quando furono ritrovati resti di case ad esempio a Teadelfia, a Karanis, a Bacchias, e ad Euhemeria?: l'influsso dell'architettura faraonica compare anche per la frequente presenza di una grande porta al centro della facciata preceduta da una piccola scalinata (Fig. 44). Va ancora rilevato come esistano esempi di un'unica corte comune a piü case contigue, cosi a Socno-

paiounesos ed a Philadelphia®.

|

Tra i pochi esempi di abitazioni piu ricche si cita la casa di epoca tolemaica a Medinet Ghoran

con due corti, una

|

! Cfr. M. NowickA, La maison priveé dans| l'Egypte tolemaique, Warsawa 1969, pp. 10-24: si tratta di un archivio che tra l'altro racco-

5 B.P.

GRENFELL,

A.S. Hunt,

D.G.

Hocart,

Fayyum,

Towns and

glie un gruppo di testi redatto da uno Zenone il quale amministrava i

their Papyri, London 1900, passim; A.E.R. Boak, E.E. PETERSON, Ka-

beni del diocete Apollonio, attivo intorno alla metà del III secolo a.C.; essi si occupano della residenza fatta costruire a Philadelphia da un fun-

ranis, Ann Harbor 1931, passim. * NOWICKA, op. cit., p. 116 ss. Cfr.

zionario greco di nome Diotimo.

E.E. PETERSEN, Socnopaiou Nesos. The University of Michigan Excava-

? Ip., p. 144 ss.

tions at Dyme,

modeste del II sec. a.C. a forma di rettangolo suddiviso in tre vani sullo The Arts in Tolemaic Egypt, Oxford

1937, p. 34.

Ann

Harbor

1935,

p. 17, per esempi

Boax,

3 [p., p. 122. 41. NosHy,

1931-32,

in particolare A.E.R.

di case

Stesso asse.

35

H

h Fig. 45 - Medinet Jouguet).

Ghoran,

casa a due corti, pianta (dal

Fig.:46 - Medinet Madi, edificio a sedici stanze, pianta (dalla Bresciani).

|

Fig. 47 - Teadelfia, casa n. 1, pianta (dal Rubensohn).

Fig. 48 - Teadelfia, casa n. 2, pianta (dal Rubensohn).

} Ι

[ ! | |

laterale e l’altra centrale’ (Fig. 45). A) Medinet Madi è stato invece portato alla luce un edificio di sedici stanze? (Fig. 46), di m. 13x22,5, collocato ad est della via processionale: strutturalmente piuttosto complesso e costruito anche con | blocchi di pietra e con travi di legno, queste anche nei muri esterni, presentava una certa pretesa decorativa, testimoniata M da numerosi capitelli corinzieggianti relativi ad inquadrature di porte. Si è ipotizzato che fosse un edifico destinato ad una funzione

ufficiale

x

e si è attribuito

ad esso

una

datazione

intorno

al I secolo

d.C.?.

Va

rilevato

come

in esso

una

stanza

(A) abbia quasi la funzione di atrio, in quanto dotata di tre porte delimitate da colonne e da pilastri: queste consentivano l’accesso all’ambiente principale dell’edificio, tre pareti del quale erano decorate con tre nicchie; quella centrale era inquadrata da colonnine in mattoni crudi, con capitelli simili a quelli dei pilastri dell’atrio!°. Strutture analoghe si riscontrano

in altre città del Fayum,

dove

vi sono

edifici con

la stessa sitemazione

pilastri: così a Teadelfia (cat. nn. 368-369) e a Karanis (cat. nn. Come magazzino è stato invece interpretato un edificio di messo in relazione con il traffico del canale Wadi Tumilat: esso | in mattoni crudi e con doppio pavimento, in mattoni e in legno B.

interna di atri a tre porte

divise

da grandi

357, 366)! (Figg. 47, 48). età tolemaica rinvenuto a Tell el Maskhuta (Fig. 49), è costituito da una serie di ambienti con pareti massiccie sorretto da travi, per proteggere le merci dall’umidita”.

Le tombe

Tra i vari tipi di tombe presenti in Egitto nel periodo greco-romano, un posto particolare nella storia dell'architettura ellenistica hanno avuto quelle sotterranee scavate nella rocca, sia del tipo a loculi, trovate ad Alessandria e nel Fayyum, sia a kline, note soprattutto ad Alessandria!. alla

Oltre che ad Alessandria, esempi molto semplici del tipo a loculi, senza alcuna pretesa architettonica, furono riportate luce nel Fayyum, a Karanis, Bacchias, Euhemeria e a Teadelfia, sia di età tolemaica che romana; si tratta di

|

? Ip., pp. 120-123; P. Joucuzr, in BCH, 25, 1901, p. 391 ss. * E. BRESCIANI, Missione di scavo a Medinet Madi, Rapporto preliminare delle campagne di scavo 1966-1967, Mass 1968, p. 37 ss. ? Ip., p. 48.

10 [p., pp. 28-40.

|

! O. RUBENSOHN, in AA, 1905, pp. 3,5, figg. 2,6 (sono state rinvenute due case con corte centrale, la prima corì sei stanze sul lato nord e sud della corte e con i pilastri pwer delimitare le porte, la seconda

con sole tre stanze intorno alla corte); BoAK, p. 21

7 J.S. Wadi p. 30

HoLLapay,

Tumilat

ΕἼ. 19, 21.

Tell el-Maskhuta.

Project, 1978-79,

NosHy,

The

Art

in

Cities

PETERSON,

Preliminary

of the

Ptolemaic

Delta,

Egypt,

Karanis,

Report £,

on the

Malibu

Oxford

cit.,

1937,

1982,

pp.

37

DI

2

Fig. 49 - Tell el-Maskhuta, magazzino, pianta (dallo Holladay).

tombe, a volta, scavate nella roccia, a poca profondita, con loculi alle pareti e, successivamente, varie forme

e dimensioni?.

Solo

ad Alessandria,

invece,

sono

attestate le tombe

di tombe in mattoni, di

a kline: si ritiene che in relazione a feno-

meni sociali, esse furono poi abbandonate a vantaggio di quelle a loculo. Gli esempi piü significativi delle necropoli alessandrine di età tolemaica (el Wardian, Anfushy, Mustafa Pascia, Shatby , Antoniades), come è noto sono stati studiati

dall Adriani?. A Naukratis fu scoperta, nella collina a Nord del villaggio arabo, parte di una necropoli ellenistica, dove spiccavano i resti di un monumento in blocchi, a cui appartenevano colonne ioniche o corinzie scanalate solo su un lato e in origine collocate su una parete esterna dell'edificio. Dalle misure dei rocchi delle colonne (uno era alto circa cm. 24., con un diametro di circa cm. 21) e di una base (alta circa cm. 13) si sono ipotizzate le dimensioni del monumento , forse l'unica tomba con qualche pretesa architettonica di cui è stata rinvenuta traccia a Naukratis*. Durante i lavori per il canale El-Nassery, presso Kóm Abu Billo, si rinvenne la necropoli di Thermouthis (Fig. 50), città sul margine del deserto occidentale, a circa 60 km. a nord-ovest del Cairo. Tra le tombe , che abbracciavano un periodo dalla VI Dinastia (2423-2280 a.C.) al periodo tardo-imperiale (IV secolo d.C.)?, quelle del II-IV secolo d.C., disposte nell'area,

secondo

il Farid,

in modo

disordinato,

erano costruite in mattoni

crudi,

solo in rari casi con

quelli cotti,

e variavano di dimensioni e di forma: soprattutto quadrate o rettangolari, talvolta ottagonali o circolari, con il tetto a volta o a tronco di piramide. Lo scavatore rilevó che le tombe presentavano su un lato, generalmente quello E, una nicchia, con la parete di fondo affrescata, o piü spesso dotata di una stele; in alcuni casi la nicchia era preceduta da un altare in

mattoni crudi’.

? B.P.

GRENFELL,

A.S.

Hunt,

D.G.

their Papyri,London 1900, pp. 40ss., 54ss. 3 ADRIANI, Topografia, passim.

38

HoGART,

Fayyum

Towns and

^ E.A. GARDNER,

Naukratis, II, London

1888, p. 2155.

5 S. FARID, in ASAE, 61, 1973, p. 21. $ Ip., p. 24; cfr. A. HAFEEZ, A. AAL, in ASAE, 65, 1983, p. 73ss.

Fig. 50 - Kóm Abu Billo, necropoli, pianta (dal Farid).

Una delle tombe romane tradizione tolemaica

(Figg.

51,

di Kóm

Abu Billo, architettonicamente piü significative per la sua forma a tempietto nella

52) à stata ristudiata dal Badawy’,

che a differenza del Clarke e dell’Engelbach,

che se ne

erano occupati precedentemente, potè vederla interamente messa alla luce®. Costruita in larghi blocchi calcarei, posti in filari regolari, ha la pianta rettangolare (m. 6,75 x 4,59), con pareti massicce, e comprende un podio sopra cui si elevano due stanze in comunicazione con una porta, in asse con il portale al centro della facciata nord. Questa presentava pilastri agli angoli esterni, mentre ai lati del portale gli stipiti sporgono da pilastri, che sul fronte sono a loro volta articolati in una lesena ed in un quarto di colonna: è evidente il richiamo alla tradizione tolemaica visibile nelle tombe a tempietto di

Tuna el-Gebel degli stipiti dei portali inseriti nelle colonne laterali, alle quali rimandano anche i pannelli inferiori ai lati del portale (vedi oltre). Oltre alle due stanze superiori vi era anche una cripta sulla cui volta vi era un’apertura chiusa, sembra, in origine da una porta scorrevole: anche la cripta era suddivisa in due stanze con copertura a volta ed era accessibile attraverso un altro passaggio perpendicolare al lato est. A Tell el-Maskhuta, nel Delta, sulla rotta commerciale del canale Wadi Tumilat è stata rinvenuta un’altra necropoli romana che occupò l’area di un quartiere periferico di età tolemaica in seguito abbandonato: oltre a modeste tombe ad inumazione, sono state scoperte anche cinque o sei tombe sotterranee in mattoni crudi, di forma quadrata, con un lato di m. 5, alle quali si accedeva tramite un dromos senza gradini conducente ad un ingresso ad arco al centro della parete frontale; la copertura era forse a volta?.

|

Più nota nelle sue componenti è la necropoli di Tuna el-Gebel (Fig. 162), relativa cioè ad Hermoupolis Magna, di cui è stato possibile studiare vari settori compreso la rete abbastanza irregolare di strette strade e di piazze intorno alle quali sorgevano le tombe sia a forma di casa sia di tempietto: inoltre a nord di essa é stata individuata una grandiosa necropoli di animali articolata in tre grandi gallerie, sotterranee, scavate nella roccia e vicine ad un santuario di Thoth”. L'importanza di questa necropoli à data dalla presenza di tre gruppi di tempietti funerari, il primo nella tradizione architettonica faraonica, il secondo in quella greco-romana, ed il terzo in forme miste che possiamo definire «alessandrine». Al primo gruppo, caratterizzato da|facciate a spigoli inclinati che richiamano il «pilone» egizio, appartiene la più famosa tomba della necropoli, quella di Petosiris (Figg. 164-166; Tav. 122, 3) degli inizi del periodo ellenistico (v. p. 258): la sua facciata è articolata in quattro colonne palmiformi, unite da muri bassi sui quali sono intagliati pannelli che richiamano finte porte; il portale al centro, presenta stipiti inseriti nelle colonne e l'architrave interrotto secondo la tradizione dei templi faraonici. A questo stesso gruppo appartengono le tombe di Padikem (Fig. 173) e di Ditosiris, questa a . P . . | . . - ὁ . pianta rettangolare e divisa in due vani, con le pareti esterne coronate da un cornice a gola egizia che sormonta anche il

7 A. Bapawy, in JNES, 16, 1957, p. 52ss. $ S. CLARKE, R. ENGELBACH, Acient Egyptian, Masonry, London

p. 38ss. ‘© Sulla necropoli e la sua pianta v. S. GABRA, Rapport sur les fo-

1930, pp. 76, 187, figg. 72, 224. | ?J.S. HotLanay, Tell el-Maskhuta. Preliminary Report on the Wadi Tumilat Project 1978-79, Cities of Delta, I, Malibu 1982,

uilles d'Hermoupolis Ouest (Touna el-Gebel), Le Caire 1941; sulla Necropoli degli Animali v. anche G. Grimm, in MittKairo, 31, 1975, p. 235ss; D. KESSLER, in MittKairo, 39, 1983, p. 161ss.

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podio e schema ricostruttivo della botola (dal Badawy).

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. Fig. 52 - Kóm Abu Billo, cappella «greco-romana», pianta del ]

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Fig. 51 - Kóm Abu Billo, cappella schema ricostruttivo (dal Badawy).

«greco-romana»,

pianta e

portale (tempietto n. 2; Fig. 169). Al secondo gruppo appartiene un tempietto (n. 12), su podio, prostilo tetrastilo e attribuito all’epoca imperiale (Fig. 174); può aggiungersi anche un altro tempietto (n. 11), prostilo esastilo, ma con la pianta

condizionata dagli edifici contigui! (Fig. 175). Nel terzo gruppo rientrano alcuni tempietti (nn. 1, 3, 4, 10) che univano alla caratteristica facciata egizia a pilone



spesso. con portale inserito,

quando

ci sono,

nelle colonne

laterali



ele-

menti architettonici di tradizione greca, come il podio con scalinata d’accesso, le nicchie, le finestrelle: ciò è ben visibile nella tomba di Ptolemaios (Fig. 167) (datata circa al I sec a.C.)!, dove la facciata (Tav. 124) pur riprendendo, in modo ridotto e semplificato, il tipo di quella di Petosiris, aggiunge nicchie laterali al di sopra dei pannelli a finta porta che fiancheggiano il portale, e ancora tre finte finestrelle nella parte superiore, tra i capitelli ed i pilastri angolari (v. p. 263). Citiamo ancora la «casa funeraria» n. 21 (Fig. 176), costruita in mattoni crudi ma con un intonaco che imitava l’opera isodomica: la facciata, pur avendo una forma strombata di tradizione egizia, presentava un portale sormontato da un frontone triangolare di tipo greco, e tre finestrelle!5. Frontoncini triangolari con pilastrini corinzi si incontrano in due piccole edicole

di un’altra tomba

della stessa forma

(tempietto

n. 5), ma

con portale centrale

sormontato

da una cornice con

mo-

danature greche sostenuta da mensole ad S, e con il coronamento superiore della facciata non a gola egizia, bensì a dentelli (Figg.

170,

171; Tav.

125).

Va ancora rilevato come molti dei tempietti funerari di Tuna el-Gebel (tempietti nn. 1, 2, 3, 4, 5; Figg. 170) ed anche

quello,

citato sopra,

di Kòm

Abu

Billo

sono

! S, GABRA, in ASAE, 39, 1939, p. 484, tav. 77: Ib., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Quest (Touna el-Gebel), Le Caire 1941, pp. 65-67, tavv. 28, 29.

40

caratterizzati

dalla presenza

? Ip., in ASAE, 13 Ip., in ASAE,

di due soli vani,

32, 1932, p. 61ss. 39, 1939, p. 487.

167,

169,

della stessa lar-

ghezza e disposti assialmente, che richiamano la sitemazione a pronao e a cella. In effetti si puó notare che nel periodo tolemaico e anche romano esistono una serie di monumenti funerari e non, contraddistinti proprio da un'organizzazione in

due ambienti principali, la corte e la cella. Citiamo il c.d. cenotafio di Alessandro Magno a Kóm Madi" una tomba,

costruito in mattoni

crudi,

ma

(Fig. 53), forse

con le pareti affrescate con i noti dipinti attribuibili al II sec.a.C.

circa: era ar-

ticolato in un'ampia corte a cui si accedeva tramite un portale, con gli stipiti articolati in lesene sporgenti sia all'esterno

sia all'interno, e in una cella suddivisa

in tre vani. Nell'oasi di Bahria è stato rinvenuto un piccolo tempio dedicato ad

Alessandro Magno (Figg. 54, 55) ed inserito in un fitto complesso monumentale, noto come Qasr-el Megysbeh, a 5 km. a sud di El-Bawiti: anche in questo caso vi un'articolazione in soli due ambienti, la corte e la cella!, con i portali della facciata

e della cella sempre

in asse.

Nella necropoli

di Athribis,

invece

, è stata rinvenuto

scavato

nella roccia un tem-

pietto dedicato ad Asclepio, come si ricava dall’iscrizione sull'architrave che sormonta il portale: questo era fiancheggiato da colonne palmiformi a rilievo sulla parete rocciosa , e internamente era diviso in due vani disposti in asse, nei quali si riconosce la cella e la corte dei monumenti prima citati. Se quasi certamente i tempietti funerari «misti» di Tuna el Gebel presentavano il tetto piatto, a «terrazza», e non a spioventi, e lo stesso si puó ritenere per i monumenti di Kóm Madi

e dell'oasi di Bahria,

nella tradizione egizia esistono

e se anche

tuttavia non può

sacelli a due vani,

escludersi nella

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loro assialità e nel rapporto dimensionale tra i due vani un adattamento dall'architettura greca.

(7,

g g sg, 41/44;

Fig. 53 - Kóm Madi, (dalla Bresciani).

«cenotafio di Alessandro Magno»,

pianta

Un'ultima menzione alla necropoli) di El-Bagawat, nell'oasi di Kharga e con l'ingresso principale a sud verso la città, in quanto

al III-IV

la sua attribuzione

secolo d.C.

ci offre una testimonianza

di architettura funeraria tarda in Egitto,

tana dalle forme egizie e invece collegata a quelle cristiane (nella necropoli tra l’altro vi è una chiesa). Tra le 263 pelle individuate, tutte costruite in mattoni crudi e con le facciate spesso decorate con nicchie e archi,il Fakhry! ha nosciuto vari tipi: cappelle semplici, a pianta quadrata o rettangolare, in alcuni casi con abside interna e solo in pochi abside esterna, ancora a pianta quadrata con copertura a volta o a pianta circolare, Le stesse fome ritornano anche cappelle divise in due ambienti, e in sette esempi all'ambiente voltato si accedeva sul fronte assume la funzione di corte, come nelle tombe citate prima di Kóm Madi e dell'oasi di Bahria.

tramite

un

lon-

capricocon nelle

vanoδ, che

Le testimonianze di architettura funeraria di età greco-romana in Egitto non si esauriscono certo con gli esempi qui citati, basti pensare alla necropoli di Akoris(Tehneh el-Gebel), dove sono stati rinvenuti anche tempietti del tipo di quelli di Tuna el-Gebel!?, e dove numerosi ipogei sono scavati nella roccia, o ancora la necropoli di Tebtynis, dove era stato iniziato nel 1934 la scavo di un grande ipogeo funerario affrescato con caratteri monumentali, poi ricoperto”.

14 E. BRESCIANI, «Kóm Madi 1977 e 1978. [Le pitture murali del cenotafio di Alessandro Magno», in EgVicOr, Serie|arc. 2, 1980, pp. 21-61. 5 A. FAKHRY,

in ASAE,

40,

? R.

1940, p. 823ss., tav. 110.

'6 A. EL FARAG, U. KapLonv-HecKeL, Kairo, 41, 1985, pp. 1-8; cfr. N. 1838 et 1839, Paris 1840, p. 126ss.

L’HoTE,

K!P. KUHLMANN, in MittLettres |

écrits

A. FAKHRY, The necropolis of el-Bagawat, Kairo 1951, passim. 33 Ip., p. 21, fig. 6.

d'Egypt

en

HoLTHOER,

R.

Aurovisr

in

Studia

Orientalia,

43,

1974,

᾿

pp. 3-22 2 G. BAGNANI, BIFAO, 89, 1989.

in Cd'E,

10,

1935, pp. 281-282;

C. GALLAZZI,

in

41

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Fig. 55 - El-Bahriyyah, oasi, Ain el-Tebanieh («Kasr el-Megysbeh»), tempio «di Alessandro Magno», pianta (dal Fakhry).

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strutture in cui è inserito,

4.

TESTIMONIANZE DI URBANISTICA

|

E noto come Alessandria, con i Tolomei sostitui ben presto Menfi nel ruolo di capitale dell'Egitto, proprio per la sua posizione nel Mediterraneo e contemporaneamente nelle immediate vicinanze con il braccio canopico del delta del Nilo: a ciò si aggiungano le condizioni geografiche che permisero una sistemazione portuale particolarmente favorevole ad accogliere un’ingente massa di attività mercantili legate ai trasporti marittimi. Da qui il suo ruolo di centro di raccolta e di smistamento non solo e non tanto dei prodotti egiziani, bensì anche delle merci provenienti sia dal Mediterraneo, sia dal Mar

Rosso,

sia dall’Oceano

Indiano,

come

già affermava

Dione

di Prusa

(Or.

32.36),

il noto retore del II sec.

d.C.,

nel

suo encomio indirizzato agli Alessandrini. È probabile che nell’originale impianto della città, progettato da Dinocrate di Rodi, fosse prevista l'articolazione della costa in due principali porti, quello orientale (Portus Magnus) e quello occidentale (Portus Eunusti, cioè porto del buon ritorno), separati dall'Heptastadium, la diga artificiale che collegava la costa con l'isoletta di Pharos, su cui venne costruito ad opera di Sostrato di Cnido,il grandioso faro di Alessandria, considerato una delle meraviglie di allora. Il «Grande Porto» a sua volta era divisoin un settore orientale antistante ai palazzi reali e destinato agli usi dei monarchi tolemaici — da qui il suo carattere monumentale ed esclusivo — e in un settore occidentale sede invece dei traffici marittimi e commerciali della città. Il porto di Eunosto doveva essere invece il punto di approdo delle navi provenienti dal Nilo, in quanto in esso sfociava il canale collegante il lago di Mareotis, immediatamente a sud della città, ed il mare. Questo lago era a sua volta collegato con canali al ramo canopico del delta del Nilo, dai quali era alimentato, ed era anch'esso dotato sulla sua sponda settentrionale di un porto interno presso il canale che metteva in comunicazione il lago con il porto di Eunosto. A questo proposito,

a confermare

l’enorme

ruolo dei traffici provenienti

non

solo dall’Egitto,

ma

anche

dal Mar

Rosso,

vi è

l’affermazione di Strabone (17, 1, 7) sulla preponderanza del traffico delle mercanzie provenienti dall’interno, cioè via fluviale, piuttosto che da quelle dal Mediterraneo. Ulteriori conferme dell’importanza di questa via di traffico interna sono

date da una serie di porti fluviali sul ramo canopico del delta e sui canali nel tratto alessandrino ricordati da diverse

fonti.

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CANAL DALEXANORIC

Sano = enceinte plolématque selon E.Breccia — = — trace süre Vence selon Mahmoud Bey -T—--- — trace hypothétique ==== — tigre diecanat antique tracée par Mahmoud Bey

LAC MAREOTIS Fig. 56 - Alessandria, pianta (dal Tkaczow).

43

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Fig. 57 - Athribis, pianta (dalla Description de l'Egypte).

Da quanto detto emerge la posizione di Alessandria stretta tra il mare e il Lago Mareotis, in modo tale da favorire il suo sviluppo soprattutto in un senso: di conseguenza la sua strada principale fu una grande longitudinale nord-est, sud-ovest, che veniva ad incrociarsi perpendicolarmente con una grande strada trasversale molto piü corta, costituendo cosi l’asse portante di un impianto urbanistico di tipo ortogonale; tuttavia la rete stradale ad essa pertinente è nel complesso scarsamente nota, soprattutto dal punto di vista della sua storia. Il reticolo viario individuato da Mahmoud Bey ci dà informazioni soprattutto per l’ Alessandria del periodo imperiale, e non per quella tolemaica, anche se è probabile che la grande arteria longitudinale che attraversa la città possa corrispondere alla strada del periodo tolemaico: è su questa arteria, comunque, che si hanno precise informazioni dalle fonti a proposito del suo colonnato e delle sue due porte, del Sole della Luna, che ne delimitavano un lungo tratto!. La città era divisa in cinque quartieri, indicati con le lettere alfabetiche,

ed in altri siti urbani,

sulla cui collocazione

vi è ancora una certa discussione”.

Da numerose

fonti tarde è ricor-

dato un tetrapilon, collocato al centro della città, probabilmente all’incrocio tra le due strade principali? (Fig. 56).

Rimandando ai lavori dell’Adriani e, da ultimo, di Barbara Tkaczow e di Wolfram Hoepfner sui dati disponibili per lo studio della topografia e per l’identificazione degli antichi monumenti architettonici di Alessandria, prendiamo ora brevemente in considerazione quelle città egiziane i cui resti archeologici ci forniscano elementi utili per ricostruire l'organizzazione urbanistica: si tratta delle città di Hermoupolis Magna, Antinoe, Athribis (Fig. 57), Tebtynis, Dionysias, Phila-

! ApRIANI, Topografia, p. 236, sulla collocazione delle due porte, ad est quella del Sole, ad ovest quella della Luna. ? Cfr. da ultimi B. Tkaczow, in Archeologia (Warszawa), 35,

44

1984, p. 10; W. HoEPFNER, im Akten XII Int. Kongresses für klass. archáüologie, Berlin 1988, p. 275 ss. ? ApRIANI, Topografia, p. 254.

delphia (Fig. 58) e del grande complesso cristiano di S. Mena, che ci danno chiare indicazioni non solo sull'esistenza di schemi regolari, ma sull'inserimento di questi in nuclei urbani più antichi o su più antichi assi viari, senza stravolgerne la realtà, ma in qualche modo rispettandola, pur arrivando ad una nuova ristrutturazione. In alcuni casi i resti archeologici hanno

mostrato

lato (Antinoe, Apamea,

chiaramente

Dionysias,

Gerasa,

Damasco

l'esistenza

non

Philadelphia) e Palmira*;

soltanto

in analogia,

di un

sistema

dunque,

assiale,

ma

ad Alessandria

anche

di una

struttura urbanistica

e ad altre città orientali,

tuttavia rispetto a queste la rete stradale delle città egiziane

come

a retico-

Antiochia,

si mostra condizionata

anche dal dromos e dalla sua funzione, conferendo in tal modo tratti specifici all'organizzazione dell'urbanistica in Egitto. A proposito di Hermoupolis Magna, è stato già osservato come le proporzioni regolari dell'originario impianto faraonico (Figg. 146, 147) abbiano favorito la trasformazione della città secondo i canoni urbanistici greco-romani, consentendo un facile inserimento del «dominio, sacro» nel reticolo stradale. Infatti il lato sud del grande recinto quadrangolare di questo, risalente alla XXX dinastia, coincideva con un lungo tratto della grande strada che attraversava da est ad ovest la città, Ja via antinoitica: questa era tagliata da una strada nord-sud, il «dromos di Hermes», posta sull'asse del tempio di Thot-Hermes, il santuario principale del «dominio sacro», del quale appunto il dromos doveva costituire la via processionale?. L'incrocio tra le due strade doveva essere sottolineato da uno dei tanti tetrastili che si trovavano sulla via antinoitica, noti dai papiri: recentemente si è ipotizzato che il grande tetrastilo conosciuto dal Papyrus Vindobonensis gr. 12565 (lin. 197) sia da collocare proprio in questo incrocio, e ad esso è stata attribuita la parte inferiore di un grande capitello corinzio (cat. n. 393). Le dimensioni di questo hanno permesso la ricostruzione del monumento per un'altezza complessiva di m. 22, comprese le altezze dei capitelli, delle colonne e delle basi su piedistalli, uno dei quali era ancora visibile nel secolo passato, quando & statà letta su di esso una dedica a Marco Aurelio e Commodo®. Se la via antinoitica, come dice il nome stesso, dovette certamente avere una importante fase di ristrutturazione in età adrianea, essa, tuttavia, doveva aver; sostituito un’arteria di età ellenistica, a sua volta sorta sul tracciato di una via

molto più antica”, quasi certamente colonnata: alle sue estremità erano collocate la porta del Sole e quella della Luna, in analogia dunque ad Alessandria, e su di lessa si affacciavano importanti edifici civili e di culto, come i templi di Adriano e di Antinoo,

il makellon,

l'agorà,

il Serapeion,

il Neilaion,

il komasterion,

un ninfeo

orientale ed uno

occidentale

(Fig.

150). Sono edifici collocabili, sempre ini base alle notizie dei papiri, sul tratto occidentale della strada, ma dei quali non si hanno sicure individuazioni: recentemente si è proposto di identificare il komasterion in una costruzione che si affaccia sulla via antinoitica e che era anche collegata con il «dromos di Hermes». Si è inoltre avanzata l’ipotesi di riconoscere

nei resti architettonici del santuario tolemaico (Fig.

149), rinvenuto sotto la basilica cristiana, il tempio di Adriano e

quello di Antinoo, il cui culto avrebbe | sostituito quello dei Tolomei: a questi infatti era dedicato il santuario, come si ricava dall'architrave iscritto rinvenuto nel santuario e probabilmente appartenente al recinto?. Va comunque rilevato che la forma del santuario richiama piü da vicino quella dei Serapei, nel cui ambito poteva coesistere il culto ai sovrani (vedi pp. 16, 252), e che comunque ci si aspetterebbe per templi dedicati ad Adriano ed Antinoo, non tanto la riconsacrazione di edifici preesistenti, quanto la costruzione di nuovi templi di grandi dimensioni: è nota infatti l’importanza rivestita dall'intervento di Adriano in Egitto (a lui Cassio Dione attribuisce il rinnovamento di Alessandria dopo la rivolta giudaica?) e più direttamente dal suo viaggio nel 130/1 ad Hermoupolis e ad Antinoe!°. Se certamente gli attuali resti archeologici mostrano come una delle più importanti fasi costruttive della citta in età imperiale sia da collocare in età adrianea e antonina, tuttavia la presenza di un'altra grande arteria est-ovest, la strada di Domiziano, parallela alla via antinoitica, è un indizio di altre fasi precedenti: non si è comunque in grado di tracciare una storia

dell'urbanistica

della

città.

Oltre agli

edifici

che

bordavano

la strada

antinoitica,

nella

città

altri, di cui si conosce approssimativamente l'ubicazione, come il tempio di Augusto nel «dominio

ne

esistevano

anche

sacro», o di cui essa

si ignora, come le terme di Adriano, il ginnasio con il suo porticato, l'agorà ed il mercato". In modo piü evidente, una struttura urbanistica articolata in insulae pressoché regolari, & ricostruibile ad Antinoe (Fig. 178), dove ormai sono noti gli assi viari e l'imponente circuito murario!. La strada principale nord-sud, affiancata da colonnati dorici, presentava alle estremità due porte monumentali, di cui sono stati visti e rilevati i resti (v. sopra) ed era intersecata da due strade est-ovest é da altre minori sempre parallele. I punti d’intersezione con le due strade trasversali più grandi

erano

sottolineati,

secondo

una moda

ben

documentata

anche

in Asia Minore

e in Siria!,

da due tetrastili,

di uno dei quali, dedicato ad Alessandro Severo, si conserva il rilievo nella Description d'Egypte: si tratta di quello piü settentrionale formato da quattro colonne con basi d'acanto e capitelli corinzi, collocate su alti piedistalli iscritti e sormontate dalle statue degli imperatori. |

4 Cfr. Ἐς CASTAGNOLI, /ppodamo da Mileto e l'urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956, p. 67 ss.; A. GruLIANO, L’urbanistica delle città greche, Milano 1978, pp. 128-178; A. PELLETTIER, L’urbanisme romain sous l'empire romain, Paris 1982. | 5 J. ScHWARTZ, in Ktema, 2, 1977, p. 59 ss. $ A.J. Spencer, D.M. Baney, W.V. Davies, Ashmunein 1983, British Museum Expedition to Middle Egypt, London 1984, p. 45; D.M. BAILEY, in Pagan Gods and Shrines of Roman Empire, Oxford 1986, p. 231 ss. ΤῈ, DUNAN, in Villes et campagnes dans l'empire romaine, Actes du colloque organisé à Aix en Provence, (1980), Marseille, 1982, p. 182.

* Baney,

Ashmunein

1983, cit., p. 43.

? Cass. Dio., 69, 11,2. ? B. BLUMENTHAL, in Archiv für Papyrusforschung, 5, 1915, pp. 333-334; cfr. E. BRECCIA, Egitto greco-romano, Pisa 1957, p. 81. ll S. Danis, in A. CALDERINI, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell’Egitto greco-romano, II, 3, Milano 1975, p. 171.

E. MITCHELL, DASSARRE,

in AJON,

in Vicino

Oriente, 5,

1983, p. 172 ss.; I. BAL-

10, 1988, p. 1 ss.

3 Cfr. Baney, in Ashmunein 1984, cit., p. 23 per gli esempi di Palmira, Filippopoli, Tolemaide (C.H. KrAELING, Ptolemais, Chicago 1962, pp. 82-83; Stucchi, Architettura cirenaica, pp. 445-446), Efeso (0. BENDorF, Forschungen in Ephesos, Wien 1906, pp. 132-140).

45

Fig. 58 - Philadelphia, pianta (dal Viereck).

Iside,

Per completare il quadro urbanistico di Antinoe va ricordato l'inserimento in essa di complessi quali il santuario di la tomba di Antinoo, il tempio delle divinità degli Antinoiti, l'agorà, il porto, il praetorium, lippodromo, lo

stadio, l'anfiteatro, questi noti quasi esclusivamente

dalle fonti "^, il teatro e le terme

(v. p. 275).

Un'altra città, apparentemente strutturata secondo uno schema ortogonale facente capo a due assi principali (Fig. 57), era Athribis (odierna Benha), infatti due ampie vie, la «longitudinale» e la «trasversale», si intersecavano ad angolo retto

al centro della città, e forse, anche in questo caso, all'incrocio vi era un grande fetrapylon, come proverebbe l'iscrizione del 374 d.C., attribuita ad uno dei piedistalli delle colonne ?. Pur non essendo possibile trarre considerazioni più precise sulla pianta e su queste strade, in quanto nuovamente ci sono note solo dai rilievi della Description d'Egypte!é — i resti allora visti sono ora danneggiati e perduti!” —, tuttavia scavi recenti hanno permesso di individuare un grande complesso termale,

tracce delle due strade principali,

e forse resti di fortificazioni romane ^.

Da tutto ció & stato possibile dedurre che Athribis, noto centro religioso dell'epoca faraonica, fu ampiamente trasformato, probabilmente già in età tolemaica e sicuramente in età romana, quando divenne prevalente non piü la funzione re-

ligiosa, bensì quella di centro di comunicazioneP. caso guito datta negli

Una struttura urbanistica abbastanza regolare si riscontra a Tebtynis (Umn el-Breigat) nel Fayum: anche in questo si tratta dell'ampliamento di un nucleo più antico, (il «villaggio») risalente alla XII dinastia, che si verificò in sealla politica di intervento nel Fayum dei Tolomei?. Agli inizi degli scavi della cittadina, nel 1930, ne è stata reuna pianta provvisoria, nella quale ancora non compare il santuario di Sekhnebtynis e altre strutture messe in luce anni immediatamente successivi: gli autori banno tuttavia ritenuto possibile ricostruire l'andamento del nucleo farao-

^ Danis, in Dizionario, cit., p. 171. 5 A. Rowe, in ASAE, 38, 1938, p. 530: l'iscrizione contiene una dedica a Valentiniano, Valente e Graziano e riporta anche il nome del-

l'architetto, Flavio Cyrus, e del prefetto dell’Egitto, Elio Palladio. 16 Cfr. L. DABROWSKI,

in ASAE,

57, 1962, p. 20 ss.

7 K. MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, p. 65.

46

18 DABROWSKI, in ASAE, 57, 1962, p.23 ss.; cfr. 1.6. Wir. KINSON, Modern Egypt and Thebes, London 1843, p. 424, sulla possibilità di un grande circo romano a nord della città.

P? DABROWSKI, in ASAE, 57, 1962, pp. 29-30. 2 C.

104 ss.

ANTI,

in Architettura

ed

arti

decorative,

10,

1930-31,

p.



nico

della

città,

che

risulterebbe

caratterizzato

da

un

fascio

di

strade

nord-sud,

che

seguivano

la direzione

del

traffico

principale e delle quali la «via del Bivio» costituiva l'asse centrale, parallelamente a cui si sviluppavano le altre arterie; sembra fossero rare le comunicazioni trasversali e che tale disposizione dipendesse in parte dal regime dei venti?!. Con l'ampliamento, iniziatosi a partire dal III secolo a.C., vennero creati ad ovest del nucleo urbano piü antico un mercato, identificato con una grande spianata di m. 120x40 che comunicava con l'oasi settentrionale, da cui proveniva il traffico principale. Venne poi costruito ad ovest del mercato un nuovo quartiere secondo un piano organico, con strade perpendicolari distanti l'una dall'altra m. 25, in modo da formare insulae rettangolari, e secondo precise norme di orientamento; con gli stessi criteri fu impiantato un grande quartiere ad est del villaggio e, per collegare questi due nuovi nuclei tra loro e con il mercato, fu costruita un'ampia arteria trasversale est-ovest, adatta per il grande traffico, che sboccava sul

margine nord del mercato.

|

In armonia con questo sviluppo razionale della città, i Tolomei posero mano anche alla costruzione di un nuovo grandioso santuario di Sekhnebtunis, in sostituzione di quello più antico, con un’imponente via processionale del tutto indipendente dal resto della città; tuttavia bisogna supporre che sia stata la città a svilupparsi intorno al nuovo tempio, non

il contrario, così come pare evidente che rimase sempre forte la sua importanza religiosa??. Tebtynis dunque rappresenta la testimonianza di come si sia inserito il preesistente nucleo, tra l’altro probabilmente ancora abitato dalla popolazione egiziana, in un nuovo assetto urbanistico: i due nuovi quartieri ed il mercato resero possibile sopperire alle esigenze determinate dall’aumentato traffico commerciale, che non poteva più essere sostenuto dalla vecchia rete viaria, modificata solo dal passaggio della grande via trasversale est-ovest. AI periodo dei Tolomei deve risalire la fondazione di Dionysias (Qasr Qarun) nel nomos arsinoita, spesso associata a Bacchias che già risulta esistente nel 249 a.C.^. Un grosso ruolo nella fondazione della città, l’ultima del Fayum prima del deserto e in origine presso le rive del lago Moeris (ora ne dista circa 4 km), dovette avere certamente l’esistenza di miniere di rame nelle sue vicinanze: ad esse conduceva una strada che proseguiva anche a Kuta e all'oasi di Bahria e che

costituì l’asse trasversale principale della città”. La città possedeva un impianto urbanistico ortogonale (Fig. 135): infatti sono state rinvenute tre grandi strade parallele e due minori perpendicolari: la mediana trasversale, sopra menzionata, attraversava tutta la città da nord-est a sud-ovest, mentre la strada più a nord conduceva al tempio del dio coccodrillo, di cui costituiva il grande dromos, e quella più a sud ad un complesso di edifici pubblici non ben identificati?’. Altre vie che conducevano nella stessa direzione — non riportate in pianta — e che non oltrepassavano apparentemente il tempio verso ovest, sono segnalate dagli scavatori a nord; essi menzionano anche altre strade minori, perpendicolari a quelle principali, ugualmente non rilevate: queste testimoniano

che

il sito era diviso

in isolati

quasi

quadrati,

in modo

analogo,

osserva

lo Schwarz,

a Philadelphia,

e con

di-

stanza uniforme di m. 50 tra una via e l’altra. Dopo l'incrocio, la strada nord-sud! presentava una leggerissima deviazione e conduceva direttamente all’entrata, con protiro colonnato, della grande corte rettangolare, pure colonnata, che fiancheggia a nord il complesso della Grande Basilica,

del

tetraconco

e del

battistero.

All’interno

della

corte,

non

al centro,

ma

in corrispondenza

dell’entrata

e dell’asse

della strada nord-sud, fu eretto un tetrapilo di cui restano le quattro basi con piedistalli. La strada a nord prosegue oltre l’arco d’ingresso nel suo tratto terminale, mettendo in comunicazione questo settore del santuario con la Basilica settentrionale. | Si tratta dunque di una strada che probabilmente deriva dall’ampliamento e dalla monumentalizzazione di un precedente percorso

conducente

al primitivo

luogo

di culto

del martire,

individuato,

come

è noto,

nella cripta sotto la Piccola

Basilica, poi trasformata in tetraconco. E comunque rilevante notare la ripresa parziale di schemi urbanistici tipicamente orientali nella sistemazione

a via colonnata della strada e nella monumentalizzazione,

tramite una grande

corte a peristilio,

dell’area che precede immediatamente

a nord la parte principale del santuario, dove cioè vi era la tomba del martire. Tale

corte

elemento

colonnata,

inoltre,

costituiva

un

di transizione

tra l’asse

nord-sud

della

strada

e l’orientamento

est-ovest

della Grande Basilica e dell’annesso tetraconco, creando un raccordo architettonico organico. Ma l’impianto urbanistico della città subì nel corso dell’età imperiale diverse modificazioni, come si ricava dal quartiere meridionale, ad una certa distanza dalla tre strade trasversali principali e che fu costruito secondo un asse rigorosamente est-ovest, lungo il quale passa la strada che lo attraversa. Anche la fortezza è leggermente divergente rispetto alla grande trasversale mediana, in dipendenza forse di un più facile accostamento alle sponde del lago”. Il territorio limitrofo alla città era percorso da una fitta rete di canali per l’irrigazione, di cui si è ricostruita l’organizzazione attorno ad un canale principale a sud-est della città, che si ramificava in varie direzioni e di cui molti bracci s’insabbiarono e furono abbandonati in momenti successivi. Anche a Philadelphia (Fig. 58) sono! state individuate chiare attestazioni di una struttura urbanistica a reticolo: infatti si è rinvenuto parte di un quartiere suddiviso in insulae regolarmente rettangolari di circa m. 100x50, separate da vie ! 1

?! Ip., p. 103. ? Ip.,

p.

104

tanza data al culto di Dioniso dai Tolomei ed in particolare da Tolomeo ss.

|

3 G. BAGNANI, in Aegyptus, 14, 1934, pp. 5,8: 2 Y ScHwartz, H. WiLp, Qasr-Qarun/Dionysias, 1948, Fouilles franco-suisses, 1, Le Caire 1950, p. 6, nota 3: il nome riflette l'impor-

IV

Filopatore,

che ebbe

un

grosso

ruolo

nella diffusione

del

culto.

5 Ip., p. 8, nota 6. 26 Ip., p. 6. ?' Ip., tav.Il.

47

larghe da m. 5 a m. 10 che si incrociavano lomeo

Filadelfo,

& stato riconosciuto,

ad angolo retto?.

nel settore ovest,

Anche

a Socnopaiounesos,

un quartiere regolare

fondata sotto il regno di To-

attraversato da un reticolo di vie??; lo stesso

a Tine, dove i resti più antichi sono datati al I secolo ἃ.(. Per il periodo tardo imperiale e bizantino un’importante testimonianza ci è restituita dal complesso di S. Mena, che risulta organizzato secondo un preciso impianto urbanistico, come è sempre più evidente dai recenti lavori sul santuario 3 (Fig. 194). E stato rilevato un asse principale nord-sud corrispondente ad una grande strada colonnata, nel suo tratto terminale costruita in un certo senso nella tradizione del dromos dei santuari faraonici: a questo tratto si accede tramite un arco a tre fornici in corrispondenza dell'angolo nord-ovest delle terme («doppie terme»), lungo il cui lato est corre la strada; inoltre questo asse è accompagnato da una serie di vani rettangolari, probabilmente taberne, tra le terme ed il colonnato,

ed è attraversato

da un'altra grande

subordinata alla strada nord-sud, columi risultano più larghi.

? P.

VIERECK,

«Philadelphia»,

strada est-ovest,

in Morgenland,

Heft

1928, p. 8. ? A. Boak, Socnopaiounesos, Ann Arbor 1935, p. 20.

48

che

corre

sul lato sud,

sempre

delle terme.

Questa

è però

che non interrompe il suo colonnato in corrispondenza dell’incrocio, dove però gli inter-

16,

Leipzig

9 F.W. Bissinc, H. Kees, Tine, eine stung in Mitteldgypten, München 1928, p. 5.

31 P, GROSSMANN, 1991, p. 457 ss.

in MittKairo,

40,

hellenistisch-rómische

1984,

Fe-

p. 147 ss. e in AA,

II ARCHITETTURA

CRISTIANA

IN EGITTO

L'architettura e l'arte cristiana in Egitto, compreso il periodo successivo alla conquista araba, sono state spesso considerate nella definizione di «arte copta >: in realtà questo termine è divenuto piuttosto limitativo, perché nella storia degli studi ha finito per coincidere con alcune espressioni particolari della cultura bizantina in Egitto, quali si manifestarono soprattutto in città dell'interno

e nei centri monastici

(Ahnas,

Saqqara,

Bawit).

L'architettura cristiana veniva cosi

ad essere

appiattita sotto un unico aspetto, caratterizzato dall'originalità «copta» con cui erano rielaborate tradizioni culturali diverse (bizantine, egizie, tolemaiche, siriane). In studi dedicati all’arte copta erano fatte rientrare anche le dirette manifestazioni di architettura e arte bizantina, quali ad! ‘esempio quelle visibili a S. Mena o nei resti della decorazione architettonica in marmo conservati nel Convento di Macario nello Wadi Natrun: veniva così ad essere messa in secondo piano, o addirittura a perdersi,

la distinzione

tra le manifestazioni

dell’architettura ufficiale,

anzi internazionale,

spesso

accompagnate

da

determinate piante (basiliche con transetto e con abside sporgente) e da manufatti architettonici d'importazione, e le manifestazioni

invece

Conseguenza

locali

(basiliche

con

di tale appiattimento

tura artistica locale,

del ruolo

presbiterio

triconco,

elementi

architettonici

in calcare

è stata l’impossibilità di una comprensione puntuale,

dell’arte e; dell'architettura ufficiali:

a questa,

locale

lavorati

«a

giorno»).

nel corso della ricerca sulla cul-

va sottolineato,.

continuava

certamente

a par-

tecipare Alessandria, con le sue grandi lie colonnate ed i suoi intensi rapporti con Costantinopoli proprio nella seconda metà del IV e nel V secolo, come provano le centinaia di capitelli marmorei di questo periodo nello stile costantinopoli, in seguito reimpiegati nelle moschee del Cairo. Nella definizione di arte cristiana comprendiamo dunque il periodo immediatamente successivo all’editto di Milano del 312, che coincide, anche in Egitto, con la formazione di una società che possiamo definire «nuova», perché legata al fenomeno del cristianesimo e al diffondersi dei centri monastici, che appunto caratterizzano l'Egitto in questi secoli (è noto come già dalla fine del II secolo d. C. siano conosciute importanti personalità del patriarcato di Alessandria, come il vescovo Demetrio, 189-231 d.C.). Si verifica dunque l'abbandono piü o meno graduale della religione tradizionale, di cui si conservano

la profonda

solo

alcuni

differenza

contemporanee

aspetti marginali,

strutturale rispetto

(bizantine

o siriane),

visibili anche

al passato.

che nei centri

nel campo

Forti,

monastici

come sono

dell'architettura cristiana,

si è detto,

sono

rielaborate

in vario

ma

le influenze grado,

che non ne modificano

delle tradizioni

e molto

culturali

importante

sarà il

ruolo della committenza imperiale, o della munificenza pubblica o privata, nel determinare scelte architettoniche diversificate. Anche le rispettive tradizioni locali, attraverso cui erano state rielaborate le manifestazioni dell'arte ufficiale nei secoli precedenti (v. i capitelli reimpiegati nella fortezza di Dionysias), hanno un ruolo importante nel determinare l'utilizzazione di mezzi espressivi piü aderenti alla nuova realtà!. Gli edifici cristiani fin dagli inizi adottano forme

architettoniche determinate

dalla tradizione ellenistica e imperiale ed

estranee all'Egitto, qualunque siano gli apporti locali, quale appunto la pianta basilicale: sono queste forme a soppiantare definitivamente, non solo nei grandi centri, ma anche nei più piccoli villaggi, l'architettura templare di tradizione faraonica. Questa aveva predominato almeno fino al III secolo, anche se con le importanti eccezioni di Alessandia e di poche altre città nelle quali vi era stato un forte intervento statale: cosi ad Antinoe e, probabilmente, a Hermoupolis Magna e a Tolemais, caratterizzate da grandi piazze e vie colonnate con propilei e porte monumentali, nella tradizione dell'architettura imperiale, quale visibile in Asia Minore e in Siria. Tale processo di trasformazione in Egitto era in atto certamente nel IV secolo, quando la provincia, a partire da Dio-

cleziano, fu aggiunta alla Diocesi d'Oriente, con capitale Antiochia. Nonostante le varie differenze locali, dovute in parte alla posizione geografica, l'esistenza di circuiti culturali e religiosi comuni determinarono uguaglianze formali in centri di-

! EAA,

Il, Roma

1957,

v.«Copta

arte»

(dal greco Aigyptoi,

arabo

Qibt); cfr. PARLASCA, in Enchoria, 8, 1978, p. 1153 P. GROSSMANN, in

B.

BRENK,

Spdtantike

und frühes

Christentum,

Propylien

Kunstgeschi-

chte, suppl. 1, 1977, p. 234-238.

49





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Fig. 60 - Sohag, convento bianco, pianta (dal Grossmann). Ù

stanti come

Saqqara,

Theadelphia (Batn

Herit), Bawit e Ahnas,

mentre, come

si è detto, Alessandria e le città presso la

costa sentirono in modo maggiore l’influenza delle correnti artistiche contemporanee legate non solo alla tradizione ellenistico-romana,

ma

soprattutto

all’arte

ufficiale

bizantina?.

Comunque

i centri

monastici

dell’interno

mantennero

costante-

mente il contatto con le mode architettoniche e decorative introdotte in Egitto tramite Alessandria — basti pensare all’enorme fortuna che ebbero le forme dei capitelli ad imposta o bizonali, adottate quasi subito dalle officine locali, poco dopo la loro invenzione a Costantinopoli, e l'esportazione ad Alessandria di alcuni pezzi, sempre noti tramite capitelli di reimpiego al Cairo —, anzi senza tale contatto, continuato nel tempo, la genesi di molte forme «copte» non sarebbe comprensibile. I comuni circuiti religiosi spiegano come si manifestasse abbastanza presto, anche nella decorazione architettonica dei nuovi edifici cristiani, una tendenza unitaria con le seguenti caratteristiche: preferenza per gli schemi geometrici sviluppati in modo paratattico, carattere coscientemente antinaturalistico e puramente decorativo, forte stilizzazione e

resa coloristica dell'insieme?.

|

I principali centri su cui si è basato) lo studio dell'architettura cristiana in Egitto (Fig. 59) sono, partendo dal Delta del Nilo: Alessandria, dove sorsero probabilmente le prime chiese egiziane (di Teona e di Atanasio), di cui tuttavia non rimane pressoché traccia; le basiliche di S. Mena nel deserto presso Mariout (Abu Mina), scavate dal Kaufmann nel 1906-1907°;

le

aule

di

Kellia;

i conventi

dello

Wadi

Natrun;

il convento

di

Apa

Geremias

a Saqqara

(Quibell

1905-

1910)5; Ahnas (Heracleopolis Magna) scavata dal Neville nel 18907; Bahnasa (Oxyrhynchos) scavata dal Flindiers-Petrie e dal Breccia8; Deir el Abiad (Convento Bianco) (Fig. 60) e Deir el Ahmar (Convento Rosso) presso Sohag?; la basilica di

E] Ashmunein (Hermoupolis Magna) !°; il, Monastero di Apa Apollo a Bawit!!; le chiese di Dendera, Luxor e di Antinoe e il monastero di S.Simeone ad Assuan". Nel periodo in cui vengono fondati i primi monasteri (metà circa del IV secolo), l’oriente è lacerato da lotte dogmatiche

circa la definizione

della natura

di Cristo.

L’Egitto

e la Siria,

di tendenza

monofisita,

si schierano

contro

Costanti-

nopoli, che, pur mantenendo una posizione intermedia, era portata al diofisismo!5. Dopo il Concilio di Calcedonia del 450, la divisione si fa sempre più aspra: anche le forze popolari si oppongono alla tendenza imperiale ad imporre la propria dottrina e gli ordini monastici reagiscono alla politica del governo centrale. Quanto tutto ciò possa avere influito in un

volontario

riallacciarsi

a forme

autoctone,

sia nella religione,

sia nell’arte,

è difficile

a dirsi; è vero

che

l’architettura

? Bapawy, in Kyrilliana, p. 2 ss. 5 H. Torp, Synthronon, Paris 1968, p. 11 ss. ^ Bapawy, in Kyrilliana, p. 4.

8. W.M. FLINDIERS-PETRIE, chos, London 1925.

|

5 C.M. KAUFMANN, La découverte des sanctuaires de Ménas dans le désert de Maréotis, Alexandrie 1908. | $ QuIBELL, Excavations at Saqqara, 2, 1906-1907; 3, 1907-1908; 4, 1908-1910. ΤῈ. NAVILLE, Ahnas el Medineh (Heracleopolis Magna). Appendix

? Ὁ i! 2 1968),

on Byzantine sculptures by T.Hayter exploration found), London 1894.

PR, KRAUTHEIMER, it.), Torino 1986.

Lewis

(11° Memoir '

of the Egypt

Tombs

of the

Courtiers

and

Oxyryn-

MONNERET DE VILLARD, Sohag, p. 26. Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis, p. 17 ss. CHASSINAT, Fouilles à Baouit. MONNERET DE VILLARD, Sohag; G. UGGERI, in Antinoe (1965Roma 1974, p. 45 ss. Architettura paleocristiana

e bizantina,

(ed.

51

di chiese e monasteri riprende o conserva alcune modalità tecniche e formali dell'architettura tradizionale e anche popolare, quali i sistemi costruttivi con mattoni crudi e la linearità e semplicità delle facciate esterne, tuttavia questi aspetti sono nel complesso marginali e non intaccano la diversità strutturale della nuova edilizia cristiana. Resta comunque il fatto che, dove l’azione del governo si faceva sentire meno, cioè nelle regioni più isolate dal punto di vista geografico e nei centri monastici più resistenti al potere centrale, maggiore sarà la rielaborazione di forme architettoniche peculiari, con

evidenti riprese classicistiche nella decorazione architettonica (nicchie con timpani di derivazione alessandrina,ecc.).

Nell’affrontare la storia degli studi sull’arte e l’architettura «copta», seguendo l’impostazione del Severin, che ultimamente se ne è occupato, dobbiamo prendere in considerazione il primo dei grandi centri della scultura tardo-antica in Egitto: Ahnas (IV-VI), scavata da E. Naville nel 1890”. L’esame delle strutture ha subito presentato agli studiosi un grave problema di interpretazione: il Naville pensava che si trattasse di una chiesa copta ed attribuiva ad essa tutti gli elementi architettonici trovati, compresi frammenti di due frontoni rappresentanti scene mitologiche pagane. Anche lo Strzygowski, nel suo catalogo del Museo del Cairo, li attri-

buiva alla «Chiesa di Ahnas»!9. Il problema fu oggetto di discussioni contrastanti e, nel 1938, il Kitzinger affermò che queste rappresentazioni mitologiche non si potevano interpretare come cristiane !”; il Torp, qualche decennio dopo, fece notare che esse erano tutte at-

testate nell’arte funeraria romana di epoca imperiale5. Probabilmente le strutture non appartenevano ad una chiesa, ma ad un edificio funerario, che in quel periodo poteva essere usato comunemente da cristiani e da paganiP?. Anche se l'opinione del Torp è abbastanza convincente, tuttavia va segnalato che non si può determinare con assoluta sicurezza la funzione e la cronologia dell’edificio principale di

Ahnas?0. Anche per Banasa sussiste la medesima questione. Il Breccia?! attribuì i pezzi trovati durante i suoi scavi ad edifici

cristiani, interpretazione nuovamente messa in dubbio dal Kitzinger” e dal Torp”. Per ciò che riguarda più specificatamente la cronologia e la tipologia delle chiese in Egitto i dati sono abbastanza scarsi per il IV secolo, in quanto non esiste nessun edificio sicuramente attribuibile a questo periodo", anche se un'eco se ne può avere dalle successive costruzioni della prima metà del V secolo. In questo periodo infatti si ha nel Medio Egitto un esempio di architettura metropolitana nella Grande Basilica di Hermoupolis Magna (Fig. 149), probabilmente la chiesa episcopale della città: inserita in un complesso rettangolare, con portici esterni su due lati, ha la forma di basilica absidata, con transetto arrotondato a conca sui fianchi; presenta gallerie superiori su tre lati ed è divisa in tre navate da due colonnati che girano anche sul lato corto anteriore e proseguono nel transetto, accompagnando le conche? (Tav. 47).

È importante sottolineare come l’entrata principale alla chiesa abbia riutilizzato un monumentale propylaion tetrastilo preesistente, che conduceva al centro del fianco settentrionale della basilica; anche l’accesso alla grande corte che precede il lato corto occidentale è costituito da un propylaion con due coppie di colonne allineate: sembra evidente in questi grandiosi accessi l’influsso di analoghi propilei dell’architettura di rappresentanza imperiale, che, ad esempio ad Antinoe, sono testimoniati come ingressi monumentali a piazze porticate o ad altri complessi (v. p. 285). Risalente a poco prima della metà del V secolo (circa 440 d.C.) è la chiesa del «Convento Bianco» (Deir el Abiad), costruita dall’abate Schenute quasi interamente con materiale di spoglio del periodo faraonico (Fig. 60): esternamente di forma parallelepipeda (è stato spesso sottolineato il suo richiamo ad un tempio egizio, o meglio ad una fortezza romana, appunto per questa forma compatta), presenta tre navate che girano sul lato corto e un presbiterio con pavimento leggermente rialzato e a forma di triconco, accompagnato lungo le pareti curve da colonne, secondo una concezione che sembra ispirata alla tradizione architettonica romana”; è inoltre preceduta da un nartece e accompagnata da una lunga aula sul lato lungo,

entrambi terminanti

sul lato corto con un’absidiola colonnata.

Ancora al V secolo è stata attribuita la chiesa conventuale di Fa’w Qibli, l'antica Pbow”’, a cinque navate, delle quali le due ai lati di quella centrale sono piuttosto ampie e forse da intendere come ambulacro, con una modalità che in qualche modo richiama le basiliche circiformi di Roma. In tutti questi edifici l’abside non è mai aggettante e questa tendenza parrebbe anche confermata nel Basso Egitto dai

piccoli oratori di Kellia (Fig. 61) e dalla Basilica sopra il Martyrion di Abu Mina”. Come basilica a transetto sembra sia invece da considerare la Grande Basilica di Abu Mina, già nella sua prima fase (Fig.

14 KRAUTHEIMER, Cit.; cir. BapAwy, dell'architettura egiziana. 15 NAVILLE, cit., p. 32.

16 J. SrRzvGowski,

in Kyrilliana,

per le riprese

Koptiche Kunst (Catalogue générale des anti-

quitées égyptiennes du Musée du Caire), Wien 1904, p. 44. U E. KrrzmNGER, «Notes of Early Coptic Sculpture», in Archaeo-

logia, 87, 1938, p. 192 ss. 75 H. Torp, «Leda Cristiana: the Problem Coptic Sculpture with Mithological Motifs», in et Artium Historiam pertinentia, 4, 1969, p. 101 19 [p., p. 105; cfr. H.G. Severin, «Gli

of the Interpretation of Acta ad Archaeologiam ss. scavi eseguiti a Ahnas,

Bahnasa, Bawit e Saqqara: storia delle interpretazioni e nuovi risultati», in 28° Corso

52

di cultura arte ravennate

e bizantina,

1981, pp. 299-314.

196), non più attribuita all’impera-

20 SEVERIN, cit., p. 32. 21 BrECCIA, Musée gréco-romaine, 1925-31. 22 KITZINGER, cit. 2 H. Ton», in Synthronon, 1968, p. 11 ss. % Cfr. P. GROSSMANN, in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina, 1981, p. 150, dove vengono citati semplici oratori «generalmente ad una navata» trovati ad Abu Mina e a Kellia, la chiesa di Sams ad-Din, presso l’oasi di al-Harga, e la prima fase della chiesa del chiostro pacomiano di Pbow (Fa'w al-Qibli).

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Fig. 61 - Kellia, complesso di Qasr al-Wahaida, pianta (dal Grossmann).

tore Arcadio e all'iniziativa di Teofilo, bensì al terzo quarto del V secolo d.C., cioè al periodo di Leone I (457-474)?*; alla fine del V secolo e quindi sotto l’imperatore Zenone (474-491) risalirebbe invece l'attuale forma (Fig. 194), ottenuta dall'ampliamento del transetto da una à tre navate e con abside aggettante (le navate e le navatelle del corpo principale dovevano essere invece quelle della prima fase), secondo modelli metropolitani di origine orientale, in particolare dalle coste egee. È stato più volte sottolineato come, anche per questa basilica, buona parte dei materiali marmorei giunse da

Costantinopoli,

o comunque dalle cave del Proconneso, in uno stadio di semilavorazione o di quasi-rifinitura; inoltre l'im-

piego di colonne elevate su piedistalli, anche questi importati, hanno richiami diretti con quelli della prima S. Sofia a Costantinopoli, dove ugualmente vi sono piedistalli sia quadrati, sia ottagonali, usati in alternanza. Come influenzate dall’architettura| siriana sono invece considerate le due chiese quadriconche, sempre ad Abu Mina?: la prima, di età giustinianea, martiriale ed aderente alla Grande Basilica, la seconda con le pareti esterne delle conche sporgenti, confermando che pet gli edifici ecclesiastici di S. Mena non vi è la regola di una forma esterna a

blocco come nell' Alto Egitto.

|

Con la fine del V ed il VI secolo si pud rilevare nell’Alto Egitto l'importanza che ebbe come prototipo il «Convento Bianco», in quanto il presbiterio triconco torna nel «Convento Rosso» (Deir el Ahmar) del penultimo decennio del V (Fig. 62). Qui anzi va rilevata l'introduzione, per motivi ottici, di due colonne addossate all'arco trionfale, che risolvevano il contrasto dato dalla maggiore ampiezza della navata centrale rispetto all’arco?!. La stessa soluzione si trova sia in chiese nuovamente con triconco, come quella piü tarda inserita nel tempio di Hathor a Dendera (Fig. 9), o in quella di Dair Abu Fana, sia in chiese con semplice abside, come nella chiesa adiacente al pilone nel tempio di Luxor: in entrambi i casi si tratta di chiese a tre navate, con il colonnato che gira anche sul lato corto. Con una pianta più semplice si presenta la Chiesa Sud di Bawit (Fig. 198), nella quale recentemente sono state individuate

due

fasi,

la prima tardo-antica

è con destinazione

non

cristiana,

la seconda

del VI secolo,

corrispondente

alla tra-

sformazione in chiesa, nella quale furono utilizzati per le colonne delle tre navate e per la decorazione architettonica delle nicchie lungo le pareti numerosi elementi di reimpiego, insieme a pezzi lavorati ex novo, tra i quali alcuni capitelli-imposta.

Anche

la Chiesa

Nord

di Bawit è risultata

precedente edificio più antico*.

essere

una

trasformazione,

avvenuta

Una revisione è stata operata anche sulle fasi edilizie del convento di Saggara, chiesa principale,

a tre navate

agli inizi

dell’ VIII

secolo,

di un

| e con

abside

(Fig.

200),

risale ad una trasformazione,

del V secolo d.C. (Fig. avvenuta

nel VII

secolo,

199), la cui di un pre-

cedente e più piccolo edificio in mattoni della metà del VI secolo: nella nuova chiesa furono usati sistematicamente materiali di reimpiego ed è stata rilevata la grande varietà di tipi nei capitelli e la mancanza di omogeneità, dovuta anche ad interventi di restauro medioevali*.

? H,

ScHLAGER,

in MittKairo,

Marmor vom heiligen Menas, cit., pp. 135-137.

19,

1963, p. 117 ss; SEVERIN,

p. 15 e ss.; KRAUTHEIMER,

30 GROSSMANN, cit., p. 150.

Architettura,

?! Ip., p. 167. 32 H.G. SEVERIN,

1981, pp. 309-311.

in 28° Corso di cultura arte ravennate bizantina,

2 Ip., pp. 312-314.

53

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Fig. 62 - Sohag, convento rosso, pianta (dal Grossmann).

In conclusione possiamo osservare che queste chiese, alcune delle quali con una massa esterna molto compatta ed i muri

inclinati

che

ricordano

monumenti

di stile faraonico

(«Convento

Bianco»),

hanno,

in accordo

con

il resto

dell'im-

pero, una pianta basilicale, divisa in una navata centrale e in navate laterali correnti su tre lati, ma piü strette e basse e sormontate da una tribuna con funzione di matroneo. La navata mediana è divisa in due parti da cancelli che delimitano la zona riservata al coro e talvolta anche all'altare principale eventualmente con il ciborio, come nella Grande Basilica di S. Mena? L’ambone era quasi sempre addossato al colonnato a metà circa della navata mediana (a Saqqara si trova

invece in un cortile apposito il «pulpit court»). Ad eccezione della Grande Basilica di S. Mena, l'abside è generalmente di tipo rientrante, cioè non sporge dalla forma esterna rettangolare della chiesa, perché quasi sempre ai suoi fianchi sono aggiunti due ambienti di uguale profondità con funzione liturgica, in modo da consentire un unico muro di fondo come limite: questa articolazione in tre parti si ritrova anche nelle chiese siriane, e comunque, in Egitto, è nota già dai primi esempi di edifici ecclesiastici (Kellia, Antinoe, Sams ad-Din). Il presbiterio, più alto della navata da cui è separato da gradini, può essere ad una sola abside, della stessa larghezza della navata mediana (Deir el Bakara, Abu Hennis, chiesa principale di Saqqara, Grande Basilica e Basilica Cimiteriale di S. Mena) oppure, come si è visto, di larghezza inferiore (Basilica della Cripta di S. Mena) o anche può

avere

una

pianta

triconca,

con

tre absidi

circolari

di uguali

dimensioni

(«Convento

Bianco»,

«Convento

Rosso»,

Dendera (Fig. 63), Chiesa Sud di Antinoe), o con l’abside centrale più grande (Deir Abu Fana). In generale si può osservare l’influenza che sulla formazione del presbitero triconco può aver avuto il transetto a pianta triconca, che in Egitto era utilizzato nella Basilica di Hermoupolis Magna e in quella di Marea (Hauwariya), ma che certamente doveva avere una diffusione più ampia, data la caratteristica di probabile chiesa episcopale e influenzata dall’architettura metropolitana di questa basilica: & stata comunque notata anche l'esistenza di memoriae e cappelle a pianta triconca nelle necropoli pagane e cristiane del III e IV secolo e l'uso del triconco come abside di una basilica nella chiesa presso la tomba di S. Felice a Nola,

nei

dintorni

di Napoli,

del 401-2,

e anche

la diffusione

di piante

triconche

nell'Africa

settentrionale

e in Proven-

za?5. Inoltre non possono non essere menzionate le note sale a più absidi adibite sia a sale d'udienza, sia a sale di banchetto la cui forma fu condizionata dall'evento rituale dell'apparizione dell'imperatore in esse e dalle relative cerimonie (Triclinium di Costantinopoli). Il fatto che numerose chiese dell'Egitto nel V secolo siano dotate di presbiterio triconco, potrebbe essere dunque un’altra conferma dell’influenza sull’architettura cristiana delle sale sacralizzate dalla presenza dell’imperatore”. Infine un’ultima suggestione riguarda la possibilità che questa particolare forma di presbiterio possa essere legata a forme di culto con aspetti ripresi da antiche tradizioni locali (sale dei banchetti connesse ai templi): si potrebbe

quindi ritenere che l’imitazione della sala conviviale nel presbiterio triconco derivi da elementi funzionali (forse per ospitare in ciascun spazio absidato mense eucaristiche).

3 Bapawy, in Kyrilliana, pp. 20-22. 35 QUIBELL, Excavations at Sagqara, IV, pp. 7,8; BADAWy,

in Ki-

rilliana, p. 46. 36 KRAUTHEIMER, Cfr. I. Lavin,

54

Palace Triclinia in the Architecture of the Late Antiquity and the Middle Age», in Art Bulletin, 44, 1962, pp. 1-27; L. BEK, «Questiones Convi-

vales, the Idea of the Triclinum and the Staging of Convivial Cerimony Cit., p. 140. «The House of the Lord,

Aspects

of the Role of

from Rome to Byzantium», 1983, p. 83 ss.

in Analecta

Romana

Instituti Danici,

12,

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EE YK = = Fig. 63 - Dendera, Grossmann). |

tempio di Hathor,

basilica cristiana, pianta (dal

Ì

55

In Egitto, comunque, si trovano anche presbiteri rettangolari in luogo delle absidi (Bawit, Kellia). Va rilevato che molte delle decorazioni architettoniche superstiti provengono dalle nicchie semplici (Dendera), quadrate

da

colonnine

(«Convento

Bianco»,

«Convento

Rosso»,

Luxor,

(fig.

64)

Elephantina,

Dair

Abu

Fana),

o inche

si

aprivano nelle spesse pareti curve del presbiterio, o anche nelle pareti rettilinee e ugualmente spesse delle navate (Chiesa Sud di Bawit). Il presbiterio inoltre comunica generalmente a nord con la prothesis e a sud con il diakonicon (Deir el

Amar, Abu Hennis, Dendera)?? (Fig. 63). Si è visto come normalmente non vi sia il transetto, eccetto nella Basilica di Hermoupolis Magna, nella Grande Basilica di Abu

Mina

e nella chiesa di Dahaila.

Altri elementi importanti

sono: il battistero, che è collocato in posizioni

spesso diverse, in comunicazione con il nartece a Dendera, nel nartece stesso a Saggara, nel vano a nord dell'abside nella Basilica di Hermoupolis Magna; l’atrio, chiaramente riconoscibile solo ad nartece che affianca trasversalmente il lato corto dell’edificio. Un nartece «Convento Bianco», nel «Convento Rosso» ed in una delle chiese di Qasr Hermoupolis Magna, contenuta in un complesso di forma rettangolare, il

Abu Mina e a Saggara, è spesso sostituito dal costeggiante invece il lato lungo è visibile nel el-Wahaida di Kellia, mentre nella Basilica di nartece è spostato a nord rispetto all’ingresso

della chiesa e sono presenti portici e sterni su due lati”.

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SAAS Fig. 64 - Luxor, basilica cristiana davanti al pilone del tempio, pianta (dal Grossmann).

38 Cfr. in generale: BADAwy,

? GROSSMANN, 1981,

56

p. 154; Ib.,

28° Corso in B.

BRENK,

in Kyrilliana, p. 7 ss.

di cultura arte ravennate e bizantina, Propylden

Kunstgeschichte,

suppl. 1,

1987, p. 236: da vedere per una disamina più ampia sulle modalità e le funzioni di questi portici esterni.

|

| TIPOLOGIA

IH

E MODALITÀ

D'IMPIEGO

DEGLI

ORDINI

ARCHITETTONICI

1. ORGANIZZAZIONE DEGLI ELEVATI ARCHITETTONICI NEL PERIODO TOLEMAICO E IMPERIALE FINO ALLA METÀ DEL II SEC. D.C. | Per poter ricostruire in modo esauriente le caratteristiche dell'architettura «alessandrina», si deve precisare l'aspetto che assunsero le forme architettoniche greco-ellenistiche in Egitto, sotto la spinta trasformatrice del nuovo ambiente in cui furono usate e delle nuove funzioni che spesso vennero chiamate ad assolvere: queste, come si è detto (v. p. 8), sono legate in particolare agli edifici religiosi, in cui si realizzarono forme di sincretismo, ad esempio intorno alla nuova figura di Serapide, o in cui si istaurarono i culti «politici», prima ai Tolomei, poi agli imperatori. Lo stesso vale per i luoghi di riunione dell'elemento greco della popolazione, come i teatri e i ginnasi (tra l'altro spesso dotati di cappelle per le statue dei monarchi), quasi sempre peró noti soltanto dai papiri e dalle iscrizioni, e per le loro abitazioni: certamente questi tipi edilizi, proprio per la loro funzione, giocarono un grosso ruolo nel conservarsi di tradizioni architettoniche greco-ellenistiche, di cui appunto vanno indiiduare le modalità. È necessario

prendere

in esame

non solo

la pianta,

ma

anche

l'elevato

architettonico

dei vari monumenti

in cui

sia

riconoscibile, pur attraverso le modificazioni, la presenza di tali tradizioni, per poter operare due tipi di analisi: Ja prima sull'organizzazione dell'elevato, la seconda sulle forme dei singoli elementi architettonici. Ciò tuttavia non è possibile in Egitto se non per un numero limitato di casi (ad esempio le necropoli di Alessandria e di Hermoupolis Magna, tempio di Augusto a Philae e, fuori dell'Egitto, ma Sicuramente ad opera di maestranze alessandrine, il «Palazzo delle Colonne» di Tolemaide). Infatti la mancanza di contesto per la maggior parte dei frammenti architettonici di tradizione greco-ellenistica del Museo di Alessandria (ma anche di altri lapidari, come quelli di Edfu — cat. nn. 196, 271, 277, 296-298 —, Dendera — cat. nn. 269, 274, 275 — e di Ombo - cat. n. 272) non permette lo studio dei singoli elementi nell’insieme del-

l’elevato architettonico: non è quindi quasi mai rilevabile se ad esempio essi fossero impiegati rispettando lo schema di ciascun ordine architettonico, o all'interno di un'articolazione in ordini diversi, o ancora combinando elementi di ordini diversi. In conseguenza di ciò è risultata nel catalogo una divisione in base agli ordini tradizionali (dorico, ionico, corinzio),

il che non esclude la possibilità di impieghi in elevati con la sovrapposizione, o anche la mescolanza, di ordini diversi: a questo proposito, ovviamente il caso più comune riguarda l’uso del dorico a pianterreno e dello ionico o del corinzio al piano superiore, ovvero dello ionico a pianterreno e del corinzio al piano superiore, come è stato ricostruito nella facciata interna meridionale del Grande Peristilio del «Palazzo delle Colonne» di Tolemaide e come certamente era usuale in età ellenistica nel bacino del Mediterraneo, a giudicare dai ginnasi, dai teatri, dalle case, dalle facciate di tombe, ecc. (l'esempio reso noto più recentemente è quello della casa ellenistica di Iatos in Sicilia, con peristilio rettangolare a due piani, rispettivamente con trabeazioni e colonne doriche e ioniche, ma si possono ancora citare la casa di Leda e il c.d. Gin-

nasio a Solunto)!. Non manca anche il caso dell’accostamento sullo stesso piano di ordini diversi, ad esempio semicolonne con capitelli corinzi addossate a pil; astri con capitelli dorici, come & testimoniato in Egitto dai frammenti nici (cat. nn. 205-207) provenienti dalla casa ellenistica di un centro abitato presso Taposiris Magna (Abusir) reotis, identificato con Plinthine, e in origine collocati presumibilmente nel piano superiore dell'edificio. Non doveva essere l'unione di colonne ioniche o corinzie con una trabeazione dorica, o anche soltanto con un fregio questo

caso

sormontato

da

cornici

ioniclle



basta

citare

il noto

frontoncino

di

Sciatbi?,

coronante

architettonella Mainconsueta dorico, in

la chiusura

di un

loculo, il tempio di Augusto a Philae? (figg. 2, 5, 6), le numerose cornici con mensole intagliate insieme al fregio dorico

|

!H.

BróscH,

H.P. Ister, in Sicilia Archeologica, 56, 1984, fig. 22; 59, 1987, p. 11 ss., fig. 17; M.V. Sypow, in RM, 91, 1984, p. 292 ss.; A. VILLA, «Elementi architettonici, cornici in stucco», in

Lilibeo (catalogo mostra), Marsala

1984, p. 111 ss.; H. LAUTER,

Die

Architektur des Hellenismus, Darmstadt 1986, pp. 142-149. ? ADRIANI, Topografia, p. 114, fig. 1; P. PENSABENE, onore A.Adriani, I, Roma 1983, p. 91 ss.

in Studi

in

3 L. BORCHARDT, in Jd], 18, 1903, p. 73 ss.

57

considerare l'introduzione

a Tolemaide.

o ancora il «Palazzo delle Colonne»

di Alessandria (cat. nn. 960-965),

del Museo

di elementi ionici in cornici doriche,

come

o viceversa,

Nello stesso gusto & da

è visibile nelle cornici della citata casa

di Plinthine, con il soffitto della corona sorretto da mutuli e mensole (cat. n. 944). Tuttavia,

la mancanza

di contesti,

come

si é detto,

alla consueta analisi tipologica e stilistica e all'or-

ci ha obbligato

ganizzazione in catalogo dei singoli elementi conservati nei musei e nei lapidari egiziani, per tentare una storia delle forme e un collegamento alle possibili classi di monumenti a cui appartenevano: tutto ció facendo parallelamente riferi-

mento ai pochi monumenti pubblicati in modo esauriente e in particolare, per Alessandria, alle necropoli. Vale

la pena,

comunque,

di riassumere

brevemente

i dati a nostra conoscenza

sull'aspetto

degli elevati architettonici

dei monumenti greco-romani conservati in Egitto, in modo da offrire un inquadramento al catalogo, ma anche alle osservazioni che seguono sull'uso degli ordini architettonici e sulla loro distribuzione anche cronologica. A.

Uniformità degli ordini greci

Necropoli di Shiatbi, circa metà III secolo a.C.*: ‘ Ipogeo A, prospetto vano d: ordine dorico; Ipogeo A, prospetto vano g: ordine ionico (Fig. 71); Ipogeo A, prospetto accesso vano g!, ordine ionico; «Tempio di Arsinoe Zephyritis», III secolo a.C.?: ordine dorico; Necropoli

di Mustafa Pascià,

Ipogeo Ipogeo Ipogeo Ipogeo

1: 2: 3: 1,

ordine ordine ordine porta

seconda metà II secolo a.C.°:

dorico (Fig. 108); dorico; dorico; sulla parete sud del vano 8: ordine corinzio;

Tomba del giardino di Antoniadis’: ordine dorico; Necropoli occidentale, Gabbari, ipogeo n. 35, prima metà I secolo a.C.: edicola di nicchia: pilastri con capitelli corinzieggianti che sostengono timpano triangolare con mensole e dentelli;

Tempietto di Ras es Soda? del I-III secolo d.C.: ordine ionico (Fig. 16); Tebtynis,

«sala tolemaica»,

II sec.

a.C.:

Hermoupolis Magna, Komasterion (Figg.

ordine ionico (cat. nn.

Claudianus,

Serapeo,

706,

707).

155, 156), età antonina: ordine corinzio (cat. nn. 383-385);

Mons Porphyrites, Serapeo, di età adrianea (Figg. Mons

119,

11-13): capitelli ionici e cornici con mensole (cat. nn. 77-91);

Tetrastilo che precede la corte, età adrianea:

ordine corinzio (cat.

n. 251).

B. Accostamento e sovrapposizione di ordini greci diversi Necropoli occidentale (Miniet el-Basal), seconda metà III secolo a.C. '?: Ipogeo n. 3, prospetto architettonico dell’alcova con letto funebre: semicolonna ionica addossata a pilastro dorico, con trabeazione ionica; Plinthine, presso Taposiris Magna, casa ellenistica: tardo II primi decenni I secolo a.C.

semicolonne

corinzie addossate

a pilastri dorici (cat. nn.

205-207),

C. Mescolanza degli ordini greci!! Necropoli di Shiatbi, frontoncino coronante chiusura di loculo!: stro, III secolo a.C. (Tav. 118, 1);

^ ADRIANI,

Topografia, p. 124, n. 79, figg. 167-172, tavv. 44-46.

5 Ip., p. 127, n. 81, tav. 47.

$ [p., p. 130 ss., nn. 84-86, figg. 181-185,

187-194.

7 Ip., n. 90., fig. 219, tav. 64. * M. SaBOTTKA, in Das ròmisch-byzantinische am-Rhein 1983, p. 200, tav. 40.

Agypten,

Mainz-

? ADRIANI, Topografia, n. 56, fig. 114, tav. 32. 10 Tp, , p. 157, n. 110, figg. 271-276, tavv. 82-83. "| All’interno della mescolanza degli ordini vi sono diverse possibi-

58

trabeazione dorica su capitellini corinzieggianti di pila-

lità, tra cui segnaliamo le seguenti: colonne doriche e trabeazione ionica, colonne ioniche e trabeazione dorica, cornice dorica con l'inserimento di ornamenti ionici, cornice dorica con mutuli e mensole, fregio dorico con cornice ionica, cornice ionica con mutuli e guttae nel soffitto, cornice ionica con reguale e guttae, ordine dorico con successione di kymatia lesbici. Va comunque rilevato che ogni ambiente ha le sue preferenze:

cfr. V.

SaLaDINO,

batus, Wurzburg

? V, nota 2.

Der Sarkophag

1970, pp. 10-11.

des Lucius

Cornelius Scipio Bar-

TL

eer

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4

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Lag

60-75

23



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5o

400

cm

Fig. 65 - Alessandria, dall’Edificio presso la banchina nuova del Porto Orientale, ricostruzione dell'ordine dorico (dallo Hópfner).

Necropoli

di Mustafa

Pascià?,

seconda metà del III secolo a.C.:

Ipogeo n. 1, trabeazione delle tre porte della facciata meridionale della corte scoperta (ambiente 1): trabeazione dorica con cornice modanata e dipinta con tre kymatia policromi, lesbico, ionico e dorico, e con architrave liscio sormontato da taeniae e guttae, mentre manca il fregio a metope e triglifi;

Necropoli occidentale, grande ipogeo del Wardiyán", I secolo a.C.: è

!

eon

grande vestibolo e sala circolare, porte, frontoncini ionici con mensole e dentelli su pilastri dorici; Philae, tempio di Augusto (14-12 acr] colonne corinzie, trabeazione dorica con cornice a mensole (Figg. 2, 5, 6), eccetto nelle cornici oblique, peró con dentelli (cat. nn. 355, 949); | Hermoupolis Magna, necropoli di Tuna el-Gebel, tempietto funerario n. 5! (Fig. 171; Tav. 125), II - inizi I secolo a.C.: edicole ai lati del portale con frontoncino triangolare su fregio dorico, sorretto da lesene con capitelli corinzi e basi

attiche;

|

D. Mescolanza di ordini greci ed egizi Necropoli di Anfushi, II-I secolo a.C. "7:

| |

i

Ipogeo n. 2, ambienti nn. 1 e 2, trabeazione delle porte di accesso: timpano arcuato ionico con mensole e dentelli, su

architrave a gola egizia (Tav. 117, 1, 2); Ipogeo n. 5, edicola dell'ambiente 4: colonne papiriformi sostenenti architrave, gola egizia con dipinto kyma dorico e timpano arcuato che sulla cornice orizzontale presenta dipinti dentelli e due kymatia definiti dorici (forse dal disegno può invece riconoscersi un kyma ionico e un astragalo); Necropoli di Kóm esch-Shogáfa, «la Grande Catacomba » 15, seconda metà I — primi decenni II secolo d.C.: ambienti 12-14 del corpo centrale: trabeazione e capitelli egizi, o misti, e trabeazione egizia con timpano inserimento di dentelli o di kymatia ionici; Necropoli

occidentale,

Gabbari,

ipogeo

n. 1, edicola della Kline del vano

arcuato e

3, I secolo a.C. ds

colonne con capitelli compositi papiriformi, sostenenti timpano arcuato ionico con fregio e architrave lisci. |

]

13 ADRIANI, Topografia, p. 130, n. 84, fig. 186, tav. 51. ^ Tp., p. 162, n. 118, figg. 293,299, tav. 86,88,

15. BORCHARTD, in Jd], 18, 1903, p. 73 ss.

V ADRIANI,

|

155 S. GABRA, in ASAE, 39, 1939, p. 483 ss.; Ip., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Ouest (Touna el-Gebel), Le Caire 1941,

p. 60, tavv. 23,24.

Topografia,

p. 192, nn. 142,

145, figg. 376, 392, 395,

tavv. 109,113.

|

18 Ip., p. 173, n. 122, figg. 332-334, tav. 99. 19M. SABOTTKA, in Das rómisch-byzantinische

am-Rhein 1983, p. 197, tav. 42.

Agypten,

Mainz-

59

Ipogeo Thiersch, n. 2?, sala quadrata,II-I secolo a.C.: capitelli di lesena di forma doricizzante, con l'introduzione di elementi di derivazione egizia (come un listello tra l'abaco e la trabeazione o la gola sotto l’abaco) e fregio dorico con urei al posto dei glifi, sormontato da ricca cornice con dentelli ionici. Va

ancora osservato

Reale

del Quartiere

che nell'edificio incompiuto

dai resti rinvenuti si deduce

di Alessandria,

che

erano impiegati sia l'ordine ionico (Fig. 74), sia quello dorico (Fig. 65), ma probabilmente in due ambienti colonnati diversi (cat. nn. 1-20); anche per il santuario tolemaico di Hermoupolis Magna non è certa la distribuzione degli ordini architettonici, quello corinzio forse impiegato nel tempio (abbiamo proposto di riconoscervi il tempio di Serapide), quello

ionico nei propilei del recinto, le cui pareti erano invece sormontate da una trabeazione dorica”! (cat. nn. 41-70). Da Apollonio Rodio si deduce che il Serapeo di Canopo fosse corinzio, ed & possibile che anche il Serapeo di Alessandria, costruito

da Tolomeo

ΠῚ Evergete,

fosse

corinzio”,

anche

se i capitelli corinzi

in calcare

di età tolemaica,

rinvenuti

nel

sito, non sono facilmente attribuibili ad una determinata parte del complesso?.

2.

PROBLEMI DI METODO

Questa preliminare distinzione delle possibilità d’uso delle varie componenti degli ordini architettonici ci è sembrata utile perché permette di inserire in un orizzonte più ampio i risultati derivati dall’analisi tipologica dei singoli elementi, così come si presentano nelle forme edilizie ancora conservate. Infatti per una storia dell’architettura che tenga conto non solo

delle piante,

ma

anche

di altri fattori,

è necessario

considerare,

come

si è detto,

insieme

all’affermazione

di nuove

forme edilizie e ai cambiamenti che si verificano all’interno di ogni centro, anche l’organizzazione, nell’elevato, degli elementi derivati dai tradizionali ordini architettonici. La successione delle modanature, il loro intaglio ornamentale o l’introduzione di nuove forme (per l’architettura ellenistica paradigmatica, in questo senso, è l’«invenzione» delle mensole a sostegno dei soffitti del gheison™) sono state determinate di volta in volta non solo dalle varie tradizioni, ma anche dalla posizione

dell’elemento

architettonico

nell’elevato,

dalla

sua

visibilità

e dalla

funzione

che

era

chiamato

ad

assolvere:

quindi un’analisi tipologica che prescinda da ciò limita fortemente la comprensione del processo formativo. Il paradosso di un catalogo di elementi architettonici, quale è questo che si presenta, e delle conclusioni cronologiche e sul piano della forma che se ne possono trarre, sta proprio nel fatto della sua imprescindibilità, mancando i contesti

della maggior parte del materiale catalogato, e quindi nel suo costituirsi quasi come fine a se stesso, data l’impossibilità di confrontare in modo sistematico 1 risultati delle analisi formali delle singole classi di elementi con i risultati dello studio degli elevati da cui provenivano. Soltanto lo studio dei capitelli corinzi, dato il prevalere nell'apparato decorativo di.componenti legate anche alla storia della scultura e delle produzioni artigianali, e non solo dell'architettura con le relative problematiche sui rapporti proporzionali, consente apporti specifici e puntuali sia sul piano della cronologia, sia su quello della committenza e delle maestranze, anche quando i pezzi siano disinseriti dal contesto. È per questo che non si è rinunziato, dato il prevalere dei capitelli corinzi tra i materiali considerati in questo catalogo, alla tradizionale classificazione tipologica come criterio di ordinamento dei pezzi, in ciò anche ricollegandosi all’impostazione voluta da Adriani per questi volumi del Repertorio. Proseguendo nella direzione degli apporti specialistici del Delbrück, del Ronczewski, dello Hópfner e del von Hesberg per il periodo ellenistico, del Monneret de Villard, del Badawy, del Kautzsch, degli studiosi delle missioni del British Museum e della scuola polacca per l'età imperiale e bizantina, e ancora del Grossmann e del Severin per l'architettura cristiana, il contributo che un lavoro sistematico di classificazione come questo può dare è, quindi, in due direzioni: la prima nel senso di precisare sempre di più in quale misura l’architettura alessandrina si inserisca, e nello stesso tempo si distingua, nel quadro complessivo delle correnti architettoniche dell’ellenismo, prima, e della parte orientale dell’impero romano, poi; la seconda in quale misura l’architettura cristiana («copta»), pur nell’originalità di molte delle sue modalità, partecipa alla cultura architettonica contemporanea (rapporti con Costantinopoli, con la Siria, e con le tradizioni di origini alessandrine e locali). Di conseguenza sono stati ricercati i modelli che costituirono i punti di riferimento, non solo e non tanto per essere ripetuti, ma per servire di base ad uno sviluppo autonomo, o comunque parallelo, che permetta di parlare di produzione alessandrina per il periodo tolemaico, ma anche romano, e di produzione dell’Egitto cristiano per il periodo tardo-antico e alto-medioevale. È di ostacolo alla ricerca, si ripete ancora una volta, la scarsezza di resti dei grandi edifici religiosi e civili per il periodo che ci interessa ad Alessandria — qui attualmente sono visibili solo il complesso tardo-imperiale e bizantino delle terme,

affidarsi,

per

il periodo

? H. THIERSCH, pografia, p. 150.

in BSAA,

della scuola e dell’auditorium

ellenistico

3,

1900,

e primo

imperiale

p. 26, tav. 7,5; ADRIANI,

To-

21 HOPENER, Zwei Ptolemaierbauten, p. 55 ss. ? P.M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972, p. 266, nota 634; S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 64 ss., nota 91. 3 Cfr. A. Rowe, in BSAA, 35, 1942, p. 143 ss., fig. 5 (metà inferiore di capitello corinzio in calcare: alt. cm. 50, diam. inf. cm. 85);

60

di Kom

soprattutto,

v.

el-Dik

ad una

anche

fig. 8

(Figg.

131-132;

tipologia

per

le

Tav.

edilizia,

cornici

in

119)

quella

granito

rosso

— e

l’obbligo di

funeraria:

attribuite

tuttavia

al

portico

romano, ma nella tradizione alessandrina per la forma delle mensole e dei riquadri intermedi con decorazione floreale; E. Borm,

colonnne theodosienne,

Fouilles à la

1897, p. 174, sul ritrovamento di due capitellli

corinzi di tipo alessandrino in calcare = RONCZEWSKI, drie, tav. 1. 2 V, HesBERG, Konsolengeisa.

Musée d’Alexan-

questa, pur seguendo una sua propria tradizione architettonica, mostra indubbi collegamenti e riprese sia dall'architettura religiosa, sia da quella privata, in particolare, per molti ipogei alessandrini, dalle case a oikos e a peristilio?, e può quindi essere lecito estrapolarne delle informazioni che non riguardino soltanto l'architettura funeraria.

| i | ?5Le descrizioni di quartieri abitativi, quali quelle contenute nelle publicazioni degli scavi di Apollinopolis Magna (Edfu), di Teadelfia (Batn Herit), di Dionysias (Qas Qarun) e di altre città del Fayum, non forniscono quasi mai un’immagine esauriente delle case, anche perché

molto spesso i materiali architettonici rinvenuti al momento dello scavo sono pubblicati in elenchi a parte. Gli studi delle case egiziane di età ellenistica e romana, quali quelli di F. LuckHARD (Das Privathaus im ptolemaischen und rómischen Agypten, Giessen 11914), di A.R. ScHueTz («Der Typus des Hellenistisch-agyptischen Hauses», in Anschluss an Baubeschreibungen griechischer Papyrusurkunden, Giessen 1936), di P. GRIMAL («Les maisons à tour hellénistiques et romaines »,

in MEFRA, 61, 1939), di M. NowickA (La maison privée dans l'Egypte Ptolémaique, Warsawa 1969), di M. Ropziewicz (Les habitations romaines tardives d'Alexandrie à la lumiere des fouilles polonaises à Kóm el-Dikka, Varsavie 1984), ugualmente forniscono pochi dati sugli elevati architettonici, anche per gli stravolgimenti dei resti edilizi dovuti ai pe-

riodi successivi: gli studi citati ci assicurano comunque dell'esistenza non solo di case del tipo «a blocco», senza corte, ma anche con una o piü corti, davanti o di fianco alla facciata della casa, e soprattutto dell'esi-

stenza di case ad una o più corti interne, che si rifanno al tipo greco e per la cui ricostruzione dell'arredo architettonico interno ci sono appunto di aiuto gli ipogei alessandrini.

61

IV TESTIMONIANZE

1. III-I secoLo

EDILIZIE E DECORAZIONE ARCHITETTONICA SVOLGIMENTO CRONOLOGICO

IN EGITTO:

a.C.



Serapeo di Alessandria, con edifici sia nella tradizione greca (Tempio di Serapide con frontone triangolare e forse corinzio, biblioteca «piccola»), sia in quella egizia (necropoli sotterranea degli animali sacri, forse templi di Iside e di Arpocrate ed i sacelli dedicati alle divinità egizie) collocati all'interno di un grande recinto porticato: età di Tolomeo III (v. p. 195; Fig. 126).



Serapeo di Canopo: tempio Rodio (v. pp. 60, 218).



Santuario

di Hermoupolis

con colonne

di Serapide

Magna

(Fig.

149),

dedicato

al culto

tolemaico,

con

come

a.C.

già nel III secolo

corinzie,

recinto

dorico,

si ricava da Apollonio propilei

forse

ionici,

e

tempio (di Serapide?) forse corinzio: età di Tolomeo III (circa 240 a.C.) (v. p. 252). —

Edificio del Quartiere Reale di Alessandria (ricostruito parzialmente dallo Hépfner), presso il porto orientale, con due sale colonnate rispettivamente dorica e ionica (Figg. 65, 74): primo quarto del II secolo a.C.! (v. p. 213).



Ipogei nn. 1-3 della necropoli di Mustafa Pascià: seconda metà III secolo a.C.? (Fig.



Ipogeo A



Tombe a tempietto della necropoli di Tuna el-Gebel, sia con facciate nella tradizione egizia, ma con inserimento di elementi architettonici greci e su alto podio con scalinata (Fig. 167; Tav. 124), sia con facciate prostile, sempre su alto podio su scalinata: databili dal ΠῚ a.C. al I secolo d.C. (v. p. 258 ss.; Figg. 168, 171; Tavv. 122-127).



Tebtynis,

108)

della necropoli di Shiatbi, circa metà III secolo a.C.? (Fig. 71)

«sala tolemaica»:

II secolo a.C.

(v. p. 240).

— Ipogei nn. 1, 3 di Gabbari, Necropoli occidentale: I secolo a.C.‘ —

Grande ipogeo del Wardyán,



Ipogei nn. 2, 5 di Anfushi:

della Necropoli occidentale: I secolo a.C.? II-I secolo a.C.

(Fig.

107; Tav.

117,

1, 2)

Lo studio dell'architettura di tradizione greca nell'Egitto tolemaico puó dunque basarsi solo su pochi monumenti, per di più conservati frammentariamente o mal noti, ad eccezione degli ipogei delle necropoli alessandrine. Da essi, comunque, si ricava la possibilità di riconoscere nel primo periodo tolemaico (III — primo quarto del II secolo a.C.) una distinzione abbastanza netta tra gli edifici pubblici nella tradizione architettonica greca, rispetto a cui sono fedeli, e quelli che continuano ad essere costruiti nella tradizione faraonica, in particolare i grandi templi delle divinità egiziane. I monumenti della prima categoria sono contraddistinti spesso da forme architettoniche conservatrici — visibili in particolare negli ordini dorico e ionico dell'Edificio del Quartiere Reale (cat. nn. 1-20) e in frammenti marmorei dal Serapeo (cat. nn. 28-29) —, derivanti dall'ellenismo microasiatico; tuttavia, va rilevato che il nuovo culto di Serapide ed il connesso impianto architettonico, pur introducendo nell'architettura religiosa egiziana forme decisamente greche,

1 H6PFNER,

62

Zwei Ptolemaierbauten, p. 55 ss.

^M. am-Rhein

SABOTTKA, in Das rümisch-byzantinische 1983, p. 200, tav. 40.

? ADRIANI, Topografia, p. 130 ss., nn. 84-86.

5 ADRIANI, Topografia, p. 162, n. 118.

3 Ip., p. 124, n. 79.

$ Ip., p. 192, nn. 142,

145.

Aegypten,

Mainz-

quale il tempio prostilo e periptero, détermina il formarsi di un'architettura definibile greco-alessandrina, influenzata nella sua organizzazione dall'ambiente particolare in cui è inserita. Parallelamente

nella decorazione

architettonica

comincia

ad affermarsi

lo stile «alessandrino»,

non

isolabile

dal Me-

diterraneo ellenistico, ma con caratteri propri, come già visibile nei capitelli corinzi del santuario tolemaico di Hermoupolis Magna, derivati da prototipi asiatici, ma già «alessandrini» nella forma esuberante e nei particolari decorativi (cat. nn. 43-59). | Se l'illusionismo prospettico in architettura, determinato dall'uso dello «sguincio» (che deriva dall'imitazione delle rappresentazioni architettoniche in pittura), già visibile nel III secolo a.C. nell'ipogeo n. 1 di Mustafa Pascià (v. p. 137), non è un fenomeno soltanto alessandrino, ma di altri centri ellenistici, tuttavia l'interpretazione assume ben presto caratteri alessandrini, piü tardi ben documentati nel Palazzo delle Colonne di Tolemaide. Il primo periodo tolemaico é dunque un periodo in cui coesistono diverse correnti architettoniche (classicistiche e di derivazione microsasiatica, egizie, sincretistiche ed «alessandrine»), che troveranno un momento di maggiore sintesi durante il II secolo, quando lo stile architettonico greco-alessandrino acquista decisamente caratteristiche proprie: anche in questo caso tale affermazione è affidabile soprattutto agli elementi dell’alzato architettonico, quali le basi d’acanto, i capitelli corinzi e corinzieggianti e le cornici con mensole «a travicello», ecc., per cui si rimanda agli specifici capitoli. Per quello che invece riguarda gli edifici, ci si può basare sugli ipogei alessandrini e le tombe a tempietto della necropoli di Tuna el Gebel, a cui vanno aggiunti alcuni complessi al di fuori dell’Egitto, ma sicuramete influenzati dall’architettura alessandrina, quali il Palazzo delle Colonne di Tolemaide, le tombe rupestri di Petra e alcuni templi meroitici. Particolarmente importanti sono i monumenti funerari della necropoli di Tuna el Gebel, perché ci permettono di seguire il delicato momento di passaggio da un periodo in cui l’architettura è di tradizione prevalentemente egiziana, anche se con l'introduzione di motivi decorativi greci (ad esempio la tombe di Petosiris, della fine del IV secolo a.C.’; Figg. 164-166; Tav. 122, 3), ad un periodo in cui coesistono parallelamente le due tradizioni, in tombe che usano però elementi decorativi sia dell’una che dell’altra: si hanno così tombe a tempietto con facciata egizia, contraddistinta da un portale («pilone») addossato a grandi colonne con capitelli egizi? e finte porte laterali più basse, che in alcuni casi si elevano su un alto podio con scalinata antistante e introducono finte finestre ed incorniciature di portali con trabeazioni greche

(«Casa»

pianta prostila

21,

tempietto

di Ptolemaios;

Figg.

167,

176; Tav.

, tetrastila o esastila (tempietti nn. 11,12,

124).

In altri tempietti

«Casa del Guardiano»),

secondo

si ha,

invece,

decisamente

modalità greche? (Figg.

una

174,

175). Per l'ambiente meroitico possiamo ETE il tempio di Basa, periptero, ma con le colonne angolari sostituite da pilastri a cuore: si puó essere d'accordo con l'opinione che l'estrapolazione di questo tipo di pilastri dai peristili e la sua introduzione nel colonnato frontale di un tempio abbia avuto luogo ad Alessandria'?. Ricordiamo che, pur non essendo soltanto un fenomeno dell' Egitto tolemaico, diviene abbastanza caratteristico dell'architettura alessandrina l'uso disinvolto di pilastri con semicolonne,

2. ETÀ AUGUSTEA

o quarti,

o due terzi di colonne

addossati,

in una incredibile varietà di soluzioni.

- II SEcoro d.C.



Tempio di Augusto a Philae, prostilo e tetrastilo!! (Figg.



Fortezza di Babylon (Figg. 28, 29), con portale di accesso ad arco sottolineato da un archivolto a fasce e sormontato da un grande frontone triangolare (età traiano-adrianea)?? (Tav. 128);



Due



Serapeo del Mons Porphyrites (età adrianea) 14 (Figg. 11-13; Tavv.



| Serapeo del Mons Claudianus (età traiano-adrianea)



|

fontane della via d'accesso

al tempio

Il Tempio periptero di Serapide, (Figg. 9, 10; Tav. 127, 1,2);

? G.

LeFEBvrRE,

Le

tombeau

de Petosiris,

di Hathor

a Dendera

(Fig.

1923-1924.

figg. 1-2. ? Ip., fig. 7. 1061, TOROK,

in ASAE, 32,

1932, p. 56 ss,

| in Studi AStAeg, 2, 1976, p. 126 ss.; cfr. G. HAENY,

in BIFAO, 85, 1985, pp. 210-211, fig. 2 (e bibliografia citata) per pilastri angolari nel lato posteriore del periptero intorno al Mammisi di Philae del periodo di Tolomeo

sotto Tolomeo VIII Evergete II.

II Filadelfo,

31);

Tempio

di Ammone

(età adrianea)15

!! L. BORCHARDT, in Jd], 18, 1903, p. 73 ss. Per un altro piccolo tempio a Karnak nella tradizione architettonica greco-romana e dedicato al culto imperiale, v. J. LAUFFRAY, in Kémi, 21, 1971, p. 78, fig. 2. ? U: MonnERET DE ViLLARD, in Aegyptus, 5, 1924, p. 175 ss.; A.J. BuTLeR, Babylon of Egypt, Oxford 1914, p. 62 ss.; Ip., The Arab conquest of Egypt, Oxford 1978, p. 244 ss. 13 G. CasrEL, F. Daumas, J.C. GoLvin, Les fontaines de la porte nord, IFAO, Le Caire 1984. 4 Th. Kraus, J. RODER, W. MULLER-WIENER, in MittKairo, 22,

1967, p. 109 ss.

5 Ip., p. 114ss.

15$ AA. VV., «Le petit Sarapeion romain de Luogsor»,

ma con importanti aggiunte

|

30,

14);

EHI

Cairo

(Tavv.

12-15);

situato prima dell'entrata al Grande

spettico, in quanto sembrano ispirate dalla rappresentazione della facciata di un tempio faraonico, proiettata sul retrostantè colonnato dei cortili, per cui nelle tombe di Tuna el-Gebel gli stipiti dei portali risultacfr. S. GABRA,

(II secolo d.C.)

a Luxor,

* In queste facciate & già implicito un tentativo di illusionismo pro-

no addossati alle colonne:

1-7);

81,

in BIFAO,

1981, p. 115 ss.

63

— Recinto del Serapeo di Alessandria, da una delle cui porte della fase imperiale (prima metà H secolo) provengono grandi elementi di un portale in granito di Assuan!’ (Fig. 126; Tav. 6); cui segue

un importante

rinnovamento

sotto



Grandi Terme di Athribis, con un primo impianto risalente a Tiberio, Traiano e una ricostruzione nella seconda metà del II secolo d.C.*.



Komasterion di Hermoupolis Magna, ricostruito con propilei tetrastili, grande navata centrale e otto navate laterali piü strette, con colonne corinzie, età antonina (v. p. 255) (Figg. 155-157). di questi edifici sono

Alcuni

dall'uso nell'elevato

accomunati

almeno

era ancora viva ad Alessandria,

drina, che certamente

di elementi architettonici di tradizione greco-alessan-

fino alla prima metà del II secolo d.C.

Il Tempietto di Philae presenta trabeazioni e capitelli (cat. nn. 354-355,

in diorite, mentre le colonne sono in granito

d'Assuan) riconducibili alla tradizione alessandrina, a cui rimanda anche la mescolanza degli ordini, che, dopo il classicismo augusteo, diverrà sempre più estranea all’architettura ufficiale (Fig. 2); anche l'articolazione della parete frontale della cella, con portale e nicchie laterali, rimanda direttamente ad Alessandria, collocandosi in una tradizione greco-tolemaica documentata ad esempio in alcune facciate di tombe di Tuna el-Gebel e nelle pareti di alcuni ipogei alessandrini”. Le porte della fortezza di Babylon, pur ricollegandosi ad una tipologia monumentale che ha confronti con la Siria e l'Asia Minore (v. in particolare il frontone triangolare sopra il fornice centrale, ad una certa distanza da questo invece che direttamente sopra) presenta nel timpano un geison con le tipiche mensole a travicello di tradizione alessandrina?° (Tav. 128). Lo stesso si verifica nella cornice (Fig. 13; Tav. 14) del Serapeo del Mons Porphyrites?', la cui pianta inoltre può restituirci un'eco, anche se molto semplificata, della forma dei santuari di Serapide in Egitto e delle modalità del sincretismo

greco-egizio

architettonico

(cella con ambienti

laterali e vasta corte antistante,

che richiama

il «cenotafio»

di Ales-

sandro a Kom Madi, v. p. 41; Fig. 53). Anche le fontane contrapposte di Dendera, attribuite al If secolo, pur ricollegandosi a tipi generici di fontane di età imperiale, presentano capitelli tipicamente alessandrini, intagliati, come le colonne e le basi su plinto, in calcare locale? (Tav. 31). Allarchitettura alessandrina rimandano ugualmente gli elementi di portali del recinto del Serapeo di Alessandria: le mensole derivano dal tipo «a travicello» e il geison è rappresentato «di sguincio» (Tav. 6), secondo l'illusionismo prospettico

così

caratteristico,

come

si è detto,

dell'ambiente

alessandrino,

e spesso

dall'Adriani

osservato

nelle necropoli

e

ancora nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide, d'ispirazione alessandrina?. Fino

ad

adesso

abbiamo

messo

in rilievo

elementi

di continuità rispetto

alla tradizione

alessandrina,

ma

accanto

ad

essi abbiamo sottolineato l'appartenenza della porta della fortezza di Babylon, per la sua struttura d'insieme, ad una tipologia che ha ampi riscontri in Oriente. Lo stesso vale per la porta ovest (Figg. 181-187) e la via colonnata di Antinoe, note dai disegni dello Jomard?^. La prima è a tre fornici (molto piccoli e sormontati da nicchie quelli laterali) con colonne sporgenti e grande frontone triangolare largo quanto l’intera porta. Anche qui si è nella tradizione delle grandi porte e archi monumentali

siriani e microasiatici,

testimoniati nell'arco trionfale e nella porta monumentale

di Gerasa e nell'arco

della via colonnata di Palmira?. Anche la stessa via colonnata di Antinoe e quelle di Hermoupolis Magna (la strada di Domiziano e la parallela via Antinoitica, della quale recentemente sono stati riconosciuti gli elementi (cat. nn. 393, 735)

di un gigantesco tetrapilo, alto circa m. 22, identificato con il Grande Tetrastilo noto dai papiri?°) e, naturalmente, di Alessandria (come si ricava dalla testimonianza di Achille Tazio per la strada che si estendeva tra le porte del Sole e della Luna, rinnovate sotto Antonino Pio?) testimoniano di una koiné architettonica orientale, a cui partecipavano Alessandria e i principali centri egiziani. Ma questa partecipazione all’architettura ufficiale della parte orientale dell’Impero, cominciò ad assumere una rilevanza maggiore proprio nel II secolo, probabilmente a partire dall’imperatore Adriano, come si ricava anche dall’introduzione di forme decorative architettoniche decisamente microasiatiche in questo periodo: il dato é tanto più significativo se confrontato con le scarse apparizioni di elementi decorativi architettonici estranei alla tradizione alessandrina nel periodo augusteo e durante tutto il I secolo d.C. Nel lapidario della cittadella del Cairo, dietro il Museo Militare e ad Hermoupolis Magna sono conservati diversi capitelli corinzi, in calcare locale e di grandi dimensioni, eseguiti nello stile microasiatico. Quelli di Hermoupolis Magna furono reimpiegati nella Basilica cristiana?, ma, come quelli del Cairo, paiono databili al secondo quarto del II secolo d.C. (cat. nn. 380, 387-392): dovevano essere stati eseguiti da maestranze di tradizione non alessandrina, perché troppo

U G. BoTTI, Fouilles à la colonne théodosienne, Alexandrie p. 140; ADRIANI, Topografia, p. 98. 18 Καὶ MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, p. 49 ss.

9S. 1939,

GaBRA,

in ASAE,

p. 438 ss.; In.,

Chez

32,

1897,

1932, p. 56 ss.; In., in ASAE,

les derniers adorateurs

du Trismegiste,

64

Kunsten, für H.Drerup

zu seinem

80? Geburstag,

Saarbrücken

1988, p. 59 ss. 2 JoMARD,

39, La

Déscription de l'Egypte, IV, p. 197 ss., tav. 53.

2 A. Frova, L'arte di Roma e del mondo romano, Torino 1961,

p. 775, fig. 658.

2% RopER, Hermopolis, p. 108 ss.; A.J. SPENCER, D.M. BAILEY, W.V. Davies, «Ashmunein 1983, British Museum Expedition to Middle Egypt», London 1984, p. 45.

necropole de Hermoupolis, Tuna el Gebel, Le Caire 1971, pp. 63-65. ? Von HesBERG, Konsolengeisa, p. 68 ss. 7 W. MULLER-WIENER, in MittKairo, 22, 1967, p. 178, fig. 19. 2 V. nota 13; cfr. RONCZEWSKI, Musée d'Alexandrie, p. 9. 8 M. BERGMANN, in Bathron, Beitrage zur Architectur und

wandten

ver-

? ACHILLE Tazio, V, 1,1. 2 WACE, MEGAW, SKEAT, Hermopolis, p. 64, tav. 24, fig. 3.

| vicini ai prototipi asiatici, e non Si può! non richiamare

a tale proposito il passaggio di Adriano

ad Hermoupolis

Magna

nel 130 e l’esistenza in essa di un tempio di Adriano ed uno di Antinoo”’. Inoltre, la vicina fondazione adrianea di Antinoe deve aver certamente richiamato maestranze di varia origine, e lo stesso il rinnovamento edilizio di Alessandria, in-

trapreso da Adriano dopo le distruzioni conseguenti alla rivolta giudaica; si è già detto, ancora, degli stretti rapporti con la Siria e l’Asia Minore

ricavabili

dai ot

di Antinoe

disegnati

dallo Jomard:

non

solo la porta ovest,

ma

anche il

propileo tetrastilo corinzio con tre porte, che permetteva l'accesso alla grande corte porticata davanti al teatro (Figg. 188190). Il propileo era probabilmente sormontato da un frontone triangolare, ipotizzato dallo Jomard e confermato dal confronto con un propileo simile a Gerasa, che consentiva l’accesso alle scalinate ed alle terrazze conducenti al tempio, pe-

riptero corinzio del 150-180 d.C.°°.

|

Due grandi propilei sono stati recentemente ricostruiti a Hermoupolis Magna, sulle due facciate opposte del Komasterion, da cui partiva la processione lungo il dromos che conduceva al tempio di Thoth-Hermes: l’edificio presentava più di cinquanta colonne in granito di Assuan con capitelli corinzi di grandi dimensioni (cat. nn. 382-385), in calcare locale, ma sempre in stile asiatico. Si è ipotizzato che i propilei presentassero un frontone triangolare?! (Figg. 156-157). Ma ancora piü significativo & il fatto che i capitelli marmorei piü antichi delle terme di Athribis?, a giudicare da

quelli pubblicati, sono non solo di stile microasiatico, ma anche d'importazione dalle cave del Proconneso. Essi appartengono all'età severiana e certamente in questo periodo possiamo collocare una decisa partecipazione di Alessandria all'architettura imperiale per ció che riguarda gli edifici e i monumenti pubblici, quali terme, vie colonnate, archi e porte, partecipazione che si esprime anche attraverso l'uso di elementi architettonici d'importazione e non piü nella tradizione alessandrina. | Si tratta di un fenomeno ovviamente non limitato solo all'Egitto, ma a tutti i paesi che si affacciavano sul Mediter-

raneo, soprattutto orientale.

|

E noto come, già con l'età tardo antonina, in Tripolitania vi sia stato un cambiamento, impressionante per la sua rapidità, dalla tradizione architettonica occidentale e dall'influenza di Roma e di Cartagine, alla tradizione microasiatica, con grande quantità di elementi importati in marmo proconnesio e di cui gli esempi piü significativi non sono solo a Leptis

Magna, ma anche a Sabrata e a Oea?.

|,

Testimonianze simili si hanno in Cirenaica, dove si era mantenuta a lungo una tradizione locale con forti influenze alessandrine (tempio di Hermes nell'Insula di Giasone Magno”): con la fine dell’età antonina e con quella severiana si hanno anche qui esempi di elementi architettonici nello stile internazionale, come un capitello corinzio asiatico con aquile al posto del fiore dell'abaco, delle Grandi Terme di Cirene, simili se non uguali a capitelli delle Terme di Adriano a Leptis Magna, appartenenti alla fase del tardo II secolo, e ancora delle terme di Athribis e delle terme di Caesarea Marit-

tima,

|

Certamente,

per vari motivi

storici, l'età severiana,

caratterizzata da grandi mutamenti

nell'apparato

amministrativo

dell'Impero, segnó una maggiore espansione dell'architettura ufficiale quale, era espressa dalla parte orientale dell'impero: ciò si riflette anche

su Roma,

anche

se in modo

molto più circoscritto,

come

si può forse ricavare dalla traduzione in

forme grandiose di un tipo monumentale di esedra o ninfeo dell'oriente romano, quale è visibile nel Septizonium, e dall'importazione

di grandi capitelli corinzi asiatici, impiegati

nella ristrutturazione severiana dello Stadio di Domiziano

e,

piü tardi, sotto Alessandro Severo, nel Témpio Rotondo di Ostia, e, ancora poco piü tardi, nel rifacimento del portico in summa cavea del Colosseo®°. | Settimio Severo sembra amasse soggiornare in Egitto e si è proposto che da lui sia stato ripristinato ad Alessandria lo ius bouleutarium,

abolito

da Ottaviano”.

Comunque,

Caracalla,

con la sua riforma sui diritti di cittadinanza,

è certamente

anche una delle cause di una ripresa edilizia monumentale in molte località dell'Impero, e probabilmente anche in Egitto: la costruzione del grandioso Serapeo del Quirinale a Roma, proprio durante il suo regno*, deve riflettere in qualche modo l'interesse dell'imperatore anche verso l’Egitto ed i suoi culti, nonostante la punizione da lui inflitta ad Alessandria, che non coinvolse però le altre città egiziane.

| 3. II E IV SEecoro —

Tetrapilo di Alessandro

| Severo ad Antinoe,

noto dal disegno dello Jomard e da un frammento

di base d'acanto perti-

nente ad uno di essi? (Figg. 124-125). | \ ]

? RODER, Hermopolis, p. 112 ss. 30 FROVA, op. cit., p. 737, fig. 628. 31 D.M. Bamey, «The Procession-House of the Hermopolis Magna», in Pagan Gods and Shrines of Oxford 1986, p. 231 ss. 32 K. MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, p. 49 3 J.B. Warp Perkins, «Nicomedia and the

BSR, 48, 1980, pp. 52-53, tav. 14. 4 Von HesBerG, Konsolengeisa, p. 73.

i

55 M. FiscHer, «Marble Imports and Local Stone in the Architectura] Decoration of Roman Palestine», in Classical Marble: Geochemi-

Great Hermaion at the Roman Empire, | ss., tav 6,4. Marble Trade», in

stry, Technology, Trade, Dordrecht-London-Boston 1988, p. 161 ss. 36 PENSABENE, Scavi di Ostia, VII, nn. 336-338; Ip., «Elementi architettonici in marmo», in Anfiteatro Flavio, Immagine, testimonianze, spettacoli, Roma 1988, p. 61, fig. 9. 37 J.C. BALTY, in Etudes et Travaux, 13, 1983, p. 7 ss. 3 E. NasH, Pictorial Dictionary of Ancient Rome, New York

I [

|

1962, p. 376. °° MAKOWIECKA,

«Acanthus-base», p. 125, fig. 8.

65



Arco di Diocleziano a Philae^: con tre fornici, quello centrale con volta a botte, gli altri due con piccola volta a vela; il profilo delle cornici è costituito da semplici piani inclinati, senza quindi le tradizionali modanature (Figg. 40,

41; Tav. 127, 3). —

Terme di Kom Tav. 119, 8).

el Dik, la cui prima fase è stata attribuita alla fine III - primo quarto del IV secolo d.C.^

(Fig.

17;

— Auditorium di Kom el Dik, del quale si è proposta l'attribuzione di una prima fase al periodo severiano, ipotizzando

conseguente alla restituzione dello ius bouleutarium da parte di Settimio Seve-

di riconoscere in esso il bouleuterion,

ro? (Fig. 131; Tav. 119, 1-7). —

Campo di Diocleziano a Luxor, con la relativa aula di culto imperiale, o «cappella delle insegne», e con la sistemazione monumentale del sistema viario con tetrapili agli incroci, uno con dedica del 301 e l’altro del 308-309? (Figg.

30-31). —

Campo militare di Nag el-Hagar (Fig. 32), a sud di Kom Ombo, la cui porta ovest costituisce come un arco trionfale, con coppie di semicolonne, ai lati dell'ingresso esterno, e di pilastri, ai lati di quello interno: si & proposto di riconoscervi la porta praetoria, da cui partirebbe una via colonnata di collegamento con i centri amministrativi e religiosi del campo (in base a resti frammentari di colonne in granito di Assuan)^.

— Fortezza di Dionysias (Qasr Qarun), in mattoni crudi, con doppio colonnato al centro? (Fig. 139). —

Edifici di culto più antichi di S. Mena,

costruiti sulla tomba del martire e precedenti alla «Piccola Basilica» (o Basi-

lica della Cripta); oratori ad una navata di Kellia‘. —

Chiesa del chiostro pacomiano di Pbow (Fa’w al-Qibli)*’.



Chiesa del «IV secolo» di Antinoe, dedicata forse a S. Colluthus, scavata dall'Istituto Papirologico di Firenze^.

In questi due secoli continuano le testimonianze di tipi edilizi dell'architettura imperiale, come le terme di Kom el Dik e l'arco di Diocleziano a Philae, tuttavia la classe di monumenti più rappresentativa del periodo è forse costituita dai campi militari fortificati: questi per varie ragioni furono disseminati per tutto il territorio egiziano, secondo specifici criteri difensivi, di controllo delle vie carovaniere e dei confini, o di approvvigionamento, soprattutto durante il periodo tetrarchico. La

monumentalizzazione

di queste

fortezze,

con

tetrapili

e colonnati

interni,

attestati

a Luxor,

a Nag

el-Hagar

e a

Dionysias, si inserisce nella tradizione dell'architettura militare, per la quale i castra sono non infrequentemente dotati di basiliche absidate con colonne e di porte monumentali d'accesso?. I campi citati dell’Egitto richiamano tuttavia più da

vicino esempi orientali, come l'impianto fortificato di Anazarbo in Cilicia, del II secolo d.C., e possono far pensare a modelli, tipici del III secolo, di fortezze con architetture di apparato, di cui un forte riflesso ci è restituito dal palazzo fortificato di Diocleziano a Spalato e più tardi è ancora avvertibile in esempi di età giustinianea, come documenta la città

fortificata di Resafa sul limes dell'Eufrate??. Questa tradizione, in base agli esempi di Luxor, di Dionysias e di Nag elHagar, mostra anche, come elemento caratteristico, un lungo colonnato, che conduce ad una corte con la cappella absidata delle insegne sul fondo (Fig. 139), secondo un modello che si ritrova anche nel campo dioclezianeo di Palmira?!. Uno degli aspetti di monumentalizzazione del campo di Luxor (Fig. 30) è costituito dai due tetrapili, con piedistalli iscritti e con la parte inferiore del fusto delle colonne avvolto da una corona di foglie d’acanto (cat. nn. 793-794). Lo stesso tipo di monumento in Egitto è noto anche nel III secolo ad Antinoe, dove, all’incrocio delle due vie trasversali con la grande via colonnata che attraversa da nord a sud tutta la città, vi sono due tetrapili, uno dei quali è noto dai disegni dello Jomard (Figg. 124, 125), che riportano anche le dediche ad Alessandro Severo sui piedistalli: questi sorreggono co-

lonne con basi d'acanto del tipo spinoso e capitelli corinzi’. Altri tetrapili, noti solo dalle citazioni dei papiri, erano a Arsinoe, Tebtynis e, come si è detto, a Hermoupolis Magna, sulla via Antinoitica*’. Anche in questo caso il rinvio è alla Siria, dove si può citare il tetrapilo di Gerasa, in cui però i quattro sostegni delle statue non sono costituiti da singole colonne, bensì da edicole tetrastile: esso era collocato sull’arteria principale della città, il «cardo», come è noto, in origine fiancheggiato da ben cinquecento colonne e con tetrapili all’incrocio con

le due strade che lo traversavano?*.

^U. MowNERET p. 5, figg. 4, 7-8.

DE

ViLarp,

La

Nubia

romana,

Roma

1941,

^ W. KoLATAJ, in Das rómisch-byzantinische Agypten, Mainz-amRhein 1983, p. 187 ss. ? Tp., p. 189 ss.; BALTY,

art. cit., p. 7 ss.

^ V. nota 3. ^ M. Ep-Din Mustara, H. JARITZ, in ASAE, 70, 1985, p. 21 ss. 4 J.M. CARRIÉ, in MEFRA, 86, 1984, p. 825. ^5 P. GROSSMANN, in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna 1981, p. 150.

?' [p., p. 151.

66

* Ip., p. 150; cfr. M. MANFREDI, in Atene e Roma, p. 191; J. LECLANT, in Orientalia, 36, 1967, p. 194.

n.s., 2, 1966,

? S. Jounson, Late Roman Fortifications, London 1983, passim. Ὁ In., p. 49 ss. ἜΜ.

REppE,

in

«Le

camp

romain

de

Lougsor»,

MIFAO.

83,

1986, p. 30. ? JoMARD, Description de l'Egypte, IV, tav. 60. 5 V. rispettivamente A. CALDERINI, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell'Egitto greco-romano, IV, Milano 1986, p. 404; RépeR, Hermopolis, p. 114.

% FROVA, op. cit., p. 736, fig. 626.

Per l'Asia Minore

uno degli esempi

più famosi

è dato dal tetrapilo con colonne

su plinto circolare,

dell'epoca

di

Giustiniano, innalzato sull’ Arcadiané di Efeso, la lunga via colonnata che conduceva al porto”. Ma la koinè architettonica con la Si ia si spinge oltre anche per l'uso di colonne con basi d'acanto, ad esempio a Apamea o Gerasa®, che certamente sono da considerare di origine alessandrina: nel Museo di Alessandria e nel lapidario di Kom esh Shogafa? sono conservati esemplari dal II secolo a.C., in calcare (cat. nn. 779-786), ai primi decenni del ΠῚ secolo d.C., in marmo e con l'acanto non più di tradizione alessandrina, bensì spinoso, di tipo asiatico (cat. nn. 790794). i Una conferma che i centri piü importanti dell'Egitto erano nell'orbita dell'architettura ufficiale della parte orientale dell'Impero anche nel III e IV secolo d.C., ci viene dai capitelli marmorei asiatici degli edifici di Kom el Dik (cat. nn. 402-405,

414,

428),

delle terme

di Athribis

e reimpiegati

a S. Mena

e VI secolo d.C.; un esemplare viene anche da Hermoupolis

n. 452).

|

(cat.

Magna,

nn.

408,

441-443)

nei successivi

edifici del V

databile al secondo terzo del IV secolo d.C.

(cat.

Abbastanza numeroso è il gruppo di capitelli della prima metà del III secolo d.C. e di età tetrarchico-primo-costantiniana, piü spesso importati (cat. nn. 395, 430), ma anche imitati localmente (cat. nn. 421-422, 433). Oltre al tipo più comune, ad acanto spinoso, è spesso rappresentato anche quello ad acanto a fogliette più larghe (« Weichacanthus») ed elici trasformate in girali terminanti nel fore dell’abaco (cat. nn. 435-445): si tratta di un tipo in voga anche nell’ Asia

sud-orientale, ad esempio nell'agora di Side e di Perge". Ma ancora più numerosi, a giudicare dai reimpieghi nelle moschee del Cairo, sono i capitelli corinzi d'importazione del secondo trentennio del IV secolo, secondo i tipi elaborati a Costantinopoli, noti nella prima S. Sofia dell'epoca di Costanzo II (360). Essi riprendono soprattutto il tipo con «Weichacanthus» testimoniato a Side e Perge®, ma apportando

semplificazioni nella zona tra le volute, mancando spesso le elici e talvolta anche i calici,

e contemporaneamente dando

maggiore sviluppo alle foglie della seconda corona (cat. nn. 446). Ma un altro fatto importante si verifica nel III e IV secolo: si tratta del distacco più accentuato, nell'uso delle tradizioni

decorative,

di Alessandria

e dei centri

vicino

alla costa

e anche

nella

zona

del Delta

da quelli

invece

dell’Alto

e

Medio Egitto, più conservatori. Ciò è bene esemplificato dai capitelli corinzi della «cappella delle insegne» del campo di Luxor, come è noto insediata all’interno del tempio di Ammone (cat. nn. 252-254): in essa vi sono colonne con capitelli in «granito nero» (diorite)?!

che

ancora

risentono

della tradizione architettonica

alessandrina.

Lo

stesso

si vede in un capitello,

sempre

in diorite,

su una colonna conservata nel tempio di Kom Ombo (cat. n. 293). Ancora alla tradizione alessandrina rimandano i capitelli, corinzi con grappoli d'uva, molto schematici ed irregolari, reimpiegati nei due colonnati al centro della fortezza di Dionysias,

insieme

a capitelli

ionici

e a cornici

li’. Tra l'altro possiamo rilevare come

con

mensole

«a

travicello»,

ma

di età imperiale,

come

anche

i capitel-

| sempre continui ad essere operante la tradizione alessandrina nelle officine attive

presso le cave di granito rosso di Assuan e di diorite, dove tra l'altro si producono capitelli (anche basi, bacini e piedistalli) esportati pure fuori dall'Egitto per tutta l'età imperiale (ad esempio ad Ostia e a Roma): anche se in numero esiguo, mai comparabile a quello dei capitelli del Proconneso o di un altro prodotto delle cave di Assuan, diffuso invece enormemente,

cioé le colonne.

Possono citarsi due grandi esemplari corinzi in granito di Assuan conservati nella cittadella del Cairo (cat. nn. 218-

219), altri più piccoli ad Hermoupolis Magna,

a Edfu® (cat. nn. 229, 231), ed altri ancora del Museo di Alessandria?

(cat. nn. 227-228), che provano una continuità in modo organico della tradizione alessandrina quasi e sclusivamente presso le cave di pietre dure dell'Alto Egitto. Gli esempi della «cappella delle insegne» di Luxor, pur in questa tradizione, rientrano molto di piü nelle trasformazioni operate secondo il gusto delle officine locali, che hanno creato una loro tradizione, alterando notevolmente la struttura organica originaria e la resa stilistica. Tuttavia la documentazione comples-

siva della produzione in calcare dell'inte no dell'Egitto durante il III e IV secolo d.C. è piuttosto scarsa o mal nota. Gli esempi di Hermoupolis Magna e del Cairo, citati per il II secolo, di capitelli corinzi asiatici riprodotti localmente nel calcare del posto (cat. nn. 379-393), possono essere un indizio del costituirsi di officine egiziane che lavoravano anche nella tradizione asiatica dell'acanto spinoso e del capitello corinzio normale e non libero, come quello di origine alessandrina. Comunque si puó ritenere che un grosso; incentivo verso l'imitazione e l'elaborazione in tipi locali dei capitelli asiatici debba essere stata la grande importazionedi questi nel IV secolo, durante l'epoca di Costantino e dei suoi discendenti, e l'assimilazione avvenuta nelle officine di Alessandria. In effetti gli esempi piü antichi di capitelli «copti» cominciano ora,

5 A. fig. 9. i

GiuLiaNO,

5 MAKOWIECKA,

Le

città

dell'Apocalisse,

« Acanthus-base»,

Pemugis

1978,

p. 22,

pp. 122,126, figg. 6,11.

$ M.

7 Ip., p. 125, nota 38, fig. 9.

Kapitellstudien,

J. KRAMER, in BJb 183, © Cfr. J. KRAMER,

REDDÉ,

Bonn

in Le camp

1986,

pp. 119-120,

romain de Lougsor,

tavv. 22,3-6, MIFAO,

23,2,

83, Caire

1986, pp. 17-18, figg. 30-32.

5 J. SrRzvGOwski, Koptische Kunst (Catalogue géneral des antiquitées égyptiennes du Musée du Caire), Wien 1904, p. 76, fig. 104.

9 KaurzscH,

schrift F.W.Deichmann, 4-6.

pp. 25-28,

tav. 5, nn. 69, 71. Cfr.

1983, p. 145 ss. | «Stilmerkmale korinthischér

sgehenden 3. und der 4. Jahrhunderts n.Chr.

Kapitelle

in Kleinasien»,

des

au-

in Fest-

$ Bapawy, Coptic Art, p. 196, fig. 3,157. 8 A. Bapawy, in Qasr-Qarun/Dionysias, 1950, II, Le Caire

1969,

p. 47 ss. $ STRZYGOWSKI, Op. cit., p. 80, fig. 108; K. RONCZEWSKI, MittKairo, 6, 1935, p. 90, fig. 4; Ib., in AA, 1932, col. 66, fig. 21.

in

$ RONCZEWSKI, Musée d'Alexandrie, p. 8, fig. 3.

67

in quanto possono Ahnas)®,

essere datati già nella seconda metà del IV secolo (epoca a cui sono attribuiti alcuni capitelli di

se, come

anche

il grosso della produzione

vedremo,

è dei due secoli successivi.

4.

V-VI

SECOLO



Terme di Kom el Dik: importante rifacimento nel primo quarto del V secolo d.C.



Auditorium

di Kom

reimpiego,

attribuibile alla seconda metà del V

dell'edificio,

ristrutturazione

el Dik:



con

ampiamento

della

cavea

tramite

elementi

di

marmorei

inizi VI secolo d.C., cui segue un'altra importante ristrutturazio-

ne98 (Figg. 131, 132; Tav. 119). —

Gruppo di elementi architettonici in marmo rinvenuti a El Dekhela, in cui si è proposto di riconoscere il Monastero di Ennaton, a nove miglia da Alessandria (cat. nn. 449, 502, 522A, 689, 1029).



S. Mena? (Figg. 194-196): 1. Costruzione della Grande Basilica a transetto nell'ultimo quarto del V secolo, sotto l'imperatore Zenone, fase di pochi decenni precedente, sempre a tre navate, ma con il transetto ad una sola (v. p. 293). 2. Trasformazione

della Piccola Basilica in Chiesa a Tetraconco

e costruzione

della Chiesa Orientale,

con una

ancora con tetra-

conco, nel VI secolo. 3. Grande

complesso

termale,

con sala a tre navate e due absidi alle estremità,

del V-VI

secolo.

— Basilica a transetto di Hermoupolis Magna, della prima metà del V secolo d.C. ? —

Convento bianco presso il Sohag, con chiesa a tre navate dal presbiterio a triconco, databile a poco prima della metà del V secolo d.C., costruito prevalentemente con elementi di reimpiego (Fig. 60).



Convento Rosso, con chiesa a presbiterio triconco, della decorazione scolpiti ex-novo (Fig. 62).



Chiesa «paleocristiana» di Antinoe, a tre navate e presbiterio rettangolare, con una prima fase della fine del V secolo ed una seconda fase edilizia della prima metà del VI secolo; ad essa era collegata una cripta con piccola abside e atrio.



Chiesa di Dendera, inserita nel tempio di Hathor, secolo d.C. (Fig. 63)



Chiesa di Dair Abu Fana a tre navate, con presbiterio triconco.



Chiesa del Pilone di Luxor,



Bawit: Chiesa Sud (v. p. 298), rispondente alla trasformazione tettonici di reimpiego, insieme sformazione di un edificio più

attribuita al penultimo

decennio del V secolo, con molti elementi

a tre navate e presbiterio triconco, databile alla fine V - inizio VI

a tre navate con presbiterio a semplice

abside,

attribuibile al VI secolo

(Fig.

64).

con una prima fase tardo-antica, a destinazione non cristiana, ed una seconda fase, corin chiesa a tre navate, attribuita al VI secolo: numerosi gli elementi decorativi archia pezzi lavorati ex-novo, tra i quali capitelli-imposta. Chiesa Nord, risultante dalla traantico, avvenuta agli inizi dell VIII secolo (Figg. 197, 198).

— Convento di Saqqara, del V secolo, con chiesa principale a tre navate e con abside, dovuta alla trasformazione nel VII secolo di un edificio piü piccolo della metà del VI secolo: nella nuova chiesa (v. p. 303) furono usati sistematicamente elementi di reimpiego, con grande varietà di tipi nei capitelli e mancanza di omogeneità, dovuta anche a restauri successivi (Figg. 199-200).

Il V eil VI secolo rappresentano il periodo in cui, anche per l'abbondanza della documentazione fornita dalle chiese cristiane, diventa più chiaramente avvertibile la separazione dei centri costieri, o non lontani dal mare, come San Mena, dai complessi religiosi dell'interno e da quelli del Sinai. Le ragioni storiche di questo distacco sono note e ricollegabili alle lotte religiose dell'epoca e all'adesione, definitiva dopo il concilio di Calcedonia del 451, dell'Egitto al monofisismo”. Ciò spiega la circolazione di una stessa cultura architettonica e figurativa tra centri lontani tra loro, come il Convento di Apa Geremia a Saqqara e quello di Apa Apollo a Bawit, e le diversità dei loro elementi decorativi rispetto al grande santuario di S. Mena, evidentemente piü vicino ai centri del potere politico, data la continuità degli interventi imperiali e la diretta relazione,

6 H.G.

SEVERIN,

come

vedremo,

con l'architettura internazionale dell'epoca.

«Problemi di scultura tardoantica in Egitto», in

28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna

1981, p. 320,

fig. 2. 9 W.

vom heiligen Menas, p. 15 ss. e bibl.citata.

7 Sulle chiese citate v. da ultimo P. GROSSMANN, KoLATAJ,

in Das

rémisch-byzantinische Agypten,

Mainz-am-

Rhein 1983. $ E. BRECCIA,

cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna

in 26? Corso di

1981, ; Ip., in Enchoria,

8,

1978, p. 89 ss. in BSAA,

1907, p. 3 ss.

9 Sugli edifici pertinenti al complesso di S. Mena v. da ultimo SE-

68

VERIN, Marmor

7" W.H.C.

bridge 1972.

Frenp,

The Rise

of the Monophysite

Movement,

Cam-

|

Infatti la pianta della Grande Basilica di S. Mena (Fig. 194), con abside sporgente ed altre due absidi alle estremità laterali del transetto, diviso in navate a giro come il corpo centrale, si ricollega direttamente a esempi delle coste dell'Egeo;

anche

la Chiesa

a Tetraconco che nel VI secolo

sostituisce la Piccola Basilica,

traconco, mostrano ugualmente diretti rapporti con l’architettura bizantina e della Siria,

e la Chiesa Orientale,

ancora a

te-

All'architettura pubblica imperiale rimandano le terme di Kom el Dik (Figg. 17, 130), per il loro impianto assiale ed il collegamento con le strade vicine tramite portici colonnati. Lo stesso può dirsi per il complesso termale di S. Mena”, dove la grande sala a doppia abside ha una lunga tradizione nell’architettura romana: basti pensare alla Basilica Ulpia nel Foro di Traiano a Roma e, in età paleocristiana, alle basiliche cruciformi. | Infine,

l'Auditorium

di Kom

el Dik mostra,

nella sua ultima ristrutturazione

con una grande cupola

(Fig.

132),

la sua

trasformazione, forse in una sala conciliare piü che in una chiesa, o in un'esedra, o in semplice luogo di ritrovo, se si pensa al gran numero di concili, circa ventisette, che si tennero ad Alessandria dal IV al VI secolo; potrebbe anche suggerirsi che il gruppo di edifici di Kom el Dik fosse adibito, in età bizantina, a complesso episcopale: ciò spiegherebbe anche la presenza di un’altra costruzione, a tre sale rettangolari con sedili disposti a gradoni, secondo lo schema della

cavea, e che si è proposto di interpretare come scuola”. Ebbene, tutti gli edifici finora menzionati sono caratterizzati dall'impiego di grandi colonne, prevalentemente di granito di Assuan e di marmo proconnesio (ma non mancano esempi di verde antico e di altri materiali, come bigio antico lumachellato), e ancora di capitelli corinzi, sempre nel marmo proconnesio, sia importati già rifiniti, sia, ed è questa in un certo senso la novità, lavorati, in un numero molto maggiore rispetto al III e ai primi due terzi del IV secolo, direttamente dalle officine alessandrine che avevano assimilato lo stile bizantino. Come una delle cause dell’enorme aumento di questa produzione «internazionale» direttamente sul posto, potrebbe citarsi il terremoto del 365, che certamente causò molti

danni

ad Alessandria;

è stata inoltre rilevata,

in base

alle notizie

delle fonti,

un’intensa

attività edilizia ad Alessan-

dria proprio nel primo quarto del V secolo d.C. 75. All'interno di questa produzione vanno distinti per cronologia e per modelli di riferimento alcuni gruppi.

Il più antico, ancora databile alla ‘fine del IV — primo trentennio del V secolo, rappresenta una standardizzazione del tipo di capitello corinzio elaborato |a Costantinopoli, nel Forum Tauri e nell'ordine inferiore dell'arco di Teodosio I, x del 3917: esso è caratterizzato da foglie d'acanto spinoso, con lobi distinti da zone d’ombra strette ed allungate («crowded acanthus»), e ancora da volute collegate disorganicamente con i calici e da elici molto ridotte o mancanti. Le foglie della seconda corona sono più sviluppate e si uniscono in modo da formare caratteristiche figure geometriche. Rispetto ai capitelli corinzi del periodo di Costanzo II, vi è una maggiore propensione classicistica, visibile appunto nel ritorno dei calici e talvolta anche delle elici, quasi sempre mancanti negli esempi del 340-370 circa; tuttavia, nei capitelli del periodo di Teodosio I l’estrema riduzione nelle dimensioni proprio dell’apparato vegetale superiore, a favore di una maggiore altezza delle due corone di foglie rispetto all’altezza totale, ed il conseguente accorciamento delle volute molto schematiche, appena incurvate o quasi parallele all’abaco, stanno ad indicare un processo sempre maggiore verso la resa astratta e geometrica degli elementi vegetali privi di connessione organica. Gli esemplari di questo tipo sono a S. Mena, ad Ahnas”, nel Museo di Alessandria ed in gran numero, di reimpiego, nelle moschee del Cairo” (cat. nn. 454-467). Ma, ancora in quantità maggiore nelle moschee del Cairo, è rappresentato un altro tipo, che deriva dalla semplificazione del precedente: vengono a cadere del tutto i calici e le elici, si schematizza sempre di più l’articolazione delle foglie della seconda corona e si perde il rapporto tra l'orlo del kalathos e il kalathos stesso, in favore di una funzione solo decorativa dell'orlo?. Certamente là produzione di capitelli di questo tipo & avvenuta per la maggior parte ad opera delle officine alessandrine, anche se è ancora da indagare in quale misura queste rifinissero semilavorati d'importazione o scolpissero del tutto i capitelli, a cominciare dalla prima sbozzatura del blocco. Un buon numero di questi doveva essere impiegato nelle vie colonnate di Alessandria. Oltre che nel Museo (cat. nn. 472-473, (cat. nn. 477-478, 481), molti esempi in tutte le gamme di semplificazioni, e anche

476, 483-485, 487) e a Kom el Dik di imitazioni da parte di maestranze

non esperte, è attestato a S. Mena, in particolare nella Grande Basilica (cat. nn. 479-480, 486). Va ricordato che capitelli con questa forma d’acanto continuano ad essere prodotti a Costantinopoli per buona parte del V secolo e parallelamente a capitelli con l’altra forma d’acanto, con fogliette ricurve a forma di grossi dentelli e con zone d’ombra ad occhiello, oppure ogivali, tra 1 lobi («Mask-akanthus»): si tratta di una forma d’acanto che ha una grossa diffusione nel periodo di Teodosio II, quando la Porta d'Oro, del 410, o la colonna di Marciano, della metà del V secolo

circa,

ne

offrono

gli esempi

più

elaborati,

caratterizzati

anche

dalla

scarsa

distinzione,

o addirittura

fusione,

dei

calici rispetto alle volute piuttosto ridotte??. | ! ) | |

|

7? R. KRAUTHEIMER, Architettura paleocristiana it.), Torino 1986, pp. 136-139. | 7 W.

MULLER-WIENER,

^ M.

RopziEwicz,

Bowman,

in MittKairo, 21,

in ASAE,

Egypt after the Pharaohs,

70,

(ed.

1966, p. 175 ss.

1984-85,

London

e bizantina,

p. 239,

fig. 4; AK.

1986, p. 223, fig. 141.

5 A. CALDERINI, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell'Egitto greco-romano, I, Cairo 1935, pp. 96-97. |

|

76 BerscH, Constantinople, p. 188 ss. 7 H.G. SEVERIN, «Problemi di scultura tardoantica in Egitto», in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna

1981, p. 316,

fig. 1. 18 KAUTZSCH, Kapitellstudien, tav. 6, nn. 82-96, tav. 7, nn. 100, 103.

? Ip., p. 35, tav. 8, n. 122, tav. 9, nn. 112-131. *? BerscH, Constantinople, p. 193 ss.

69

Questa forma d'acanto é rappresentata anche in Egitto, ma nel complesso in pochi capitelli corinzi (due esemplari nel Museo di Alessandria, cat. nn. 489-490, lo stesso a S. Mena, cat. nn. 493-494, e poco più di un dozzina nelle moa schee del Cairo?!, cat. nn. 491-492): più comune appare invece nei piccoli capitelli corinzieggianti (cat. nn. 528-541), molto gruppo, questo in anche che, fatto il nonostante mancanti, oppure V, a schematiche volute e quattro o otto foglie più numerosi siano i capitelli che adottano l'acanto a strette zone d'ombra, ma per il resto quasi uguali ai precedenti*? (cat. nn.498-508, 514-527).

Per varie ragioni storiche, che non è possibile chiarire, ma legate ad una ristrutturazione urbanistica della città, ri-

sulta che è da attribuire al V secolo il maggiore utilizzo ad Alessandria di capitelli nello stile internazionale bizantino e, possiamo aggiungere, anche di colonne e di basi su piedistallo, anch'esse rifinite localmente, ma importate spesso già semilavorate, e in tutti i tre casi in marmo proconnesio (cat. nn. 738-754). Sono anche noti capitelli corinzi del tipo «a lira» o «a medaglione» (di questo tipo a S. Mena vi è un pezzo d'importazione del periodo di Zenone), o ancora capitelli compositi sia ad acanto «dentellato», sia « finemente dentellaτο» δ΄, in alcuni casi sicuramente

d’importazione:

tuttavia, la produzione

nel complesso,

costantinopolitana,

tipica della se-

conda metà del V e dei primi decenni del VI secolo, è meno testimoniata rispetto, si ripete, alla massa di capitelli appar-

tenenti al gruppo precedente e perduranti per quasi tutto il secolo. Tuttavia nel secondo

quarto del VI

secolo vi sono forme bizantine,

alcune inventate proprio in questi decenni,



quelle dei capitelli-imposta semplici, o polilobati, o a canestro” (cat. nn. 656-660), o dei capitelli bizonali con parte inferiore a canestro — che pur non essendo rappresentati in Egitto da molti esemplari d’importazione (cat. nn. 669-670), ebbero un larghissimo seguito presso le officine alessandrine e presso quelle attive nelle chiese e nei conventi dell’Alto e Medio Egitto (cat. nn. 663-667, 671-672). Vi è ancora un particolare tipo di capitelli compositi con un’unica corona di foglie palmiformi, con volute nascenti però dal kalathos, che può considerarsi proprio del VI secolo, come mostra il confronto con le foglie sul retro di un capitello di Eraclio a Costantinopoli?*: il tipo appartiene ad una diffusa produzione in marmo, fatta propria dalle officine alessandrine, ma prodotta anche altrove, essendo pure in uso a Gerusalemme”; è testimoniato in molti esemplari delle moschee del Cairo (moschea di Amr) e ancora nel Museo di Alessandria (in un esemplare con il kalathos molto espanso, cat. n. 552). Sono ancora rappresentate in Egitto le tipiche produzioni del V secolo, di capitelli in marmo a calice con foglie baccellate (Alessandria, S. Mena, Cairo, moschee di El Márdáni, di Salih Talá'i, mausoleo Kaláün??, cat. nn. 677-679), e del VI secolo, di capitelli, sempre in marmo, con maschere d’acanto (moschee di Amr e di El Márdáni, Museo di Alessandria”, cat. n. 674). Infine va rilevato come nell’architettura cristiana dell’interno dell’Egitto venissero recepiti i modelli metropolitani, ma come presto si verificassero trasformazioni locali: appaiono elementi caratteristici che permettono non solo di definire, ma

anche di comprendere i processi di trasformazione alla base delle forme architettoniche e della produzione decorativa «copta». L’arte ornamentale dei vari centri religiosi egiziani, infatti, non prescinde mai da un continuo rapporto con l’arte bizantina, di cui riprende continuamente elementi tipologici e ornati, mantenendo anzi costante l’attenzione sulle nuove forme:

tuttavia,

rispetto

ad essa vi è anche

un chiaro

intento di autonomia

e di differenziazione,

che

si realizza non

imi-

tando pedissequamente i modelli ufficiali, ma variandone le forme e utilizzando qualsiasi spunto fornito da essi per approfondire e innovare tematiche decorative, tutto ciò in stretta dipendenza della committenza costituita dai conventi egiziani. Le chiese, di forma massiccia e quasi sempre inserite in grandi complessi conventuali, sono a tre navate spesso «a giro», con portico su uno dei lati lunghi, e presentano un presbiterio, in diversi casi triconco, con ai lati dell’abside due vani di varia destinazione (Convento Bianco, Convento Rosso, Dendera; Figg. 60, 62)”. Sono state osservate somiglianze con le chiese siriane, dove è frequente anche la forma massiccia dell'insieme, compresa la mancata sporgenza dell'abside dal muro di fondo, anche se, in molti altri casi, questa invece sporge esternamente?'. La forma a triconco dei presbiteri è abbastanza peculiare dell'ambiente egiziano, anche se, genericamente, vari triconchi sono noti in altri contesti geografici?. E possibile vi siano stati gradini intermedi negli edifici cristiani dell'Egitto, a noi non pervenuti. Si puó solo osservare come ricorrente nelle basiliche egiziane sia la forma absidata sia sui lati corti di narteci e portici, sia alle estremità del transetto absidato delle Basiliche di Hermoupolis Magna (Fig. 148) e di Marea.

Ritornando alle forme decorative dell'architettura «copta», va ribadito che non nascono improvvisamente, ma rappresentano lo sviluppo di tradizioni che già nel HI e nel IV secolo si erano formate nei centri dell' Alto e Medio Egitto, dove lavoravano officine locali che avevano sviluppato una spiccata tendenza allo schematismo e all'astrazione, data la mancanza di collegamenti organici tra gli elementi vegetali (v. esempi di Luxor, Kom Ombo, Dionysias, cat. nn. 252-254, 293).

L'adozione,

in un certo

senso

definitiva,

di forme

derivate

da quelle

si sia verificata dalla seconda metà del IV secolo, in corrispondenza

8! KAUTZsCH, Kapitellstudien, p. 36, tav. 9, nn. 132-137. 82 W. DASZEWSKI, «Les citernes et les chapiteaux», in Mélanges G.E. Moktar, Le Caire 1985, p. 184, tav. 1,e-f. 85 KAUTZSCH, Kapitellstudien, p. 136, tav. 9, nn. 133,135. 84 Tp., p. 120, n. 380, p. 131, nn. 420-421. 8 Ip., p. 192, tav. 38, nn. 630-631. 36 Tp., p. 210. 8 Ip., p. 210, tav. 44, n. 745.

70

orientali,

dunque

note

attraverso

della maggiore

Alessandria,

sembra

presenza ad Alessandria di

88 Ip., p. 213, nn. 754-758. 89 Tp., p. 213, nn. 760-762. 9? V. nota 70. * H.C. BuTLER, Architecture and Other Arts, London 1904, pp. 195, 305, 306, ecc.; p. 172. ? P. GROSSMANN, in Propylüen Kunstgeschichte, suppl. 1, 1977, p.237; R. KRauTrHEIMER, Architettura paleocristiana e bizantina, (ed. it.), Torino 1986, p. 140.

| |

pezzi d'importazione (v. 1 capitelli citati her epoca di Costanzo II) e del successivo esplodere quantitativo di capitelli corinzi bizantini del V secolo prodotti anche dalle maestranze della città. Molto elementi architettonici che risentono d'influssi costantinopolitani, pur nell'autonomia della forma locale, e che il Kitzinger e il Torp rivendicavano a monumenti non necessariamente cristiani? — vedi molti dei pezzi di Ahnas e di Bawit — devono essere stati intagliati proprio dalla seconda metà del IV alla prima metà del V, rivelando come questo tipo di arte decorativa, spesso definita astratta e geometrica, non nasca necessariamente legata all'architettura cristiana, anche se in molti casi lo è. Va subito rilevato un fenomeno particolare, per cui i capitelli vanno distinti dagli altri elementi architettonici: questi infatti mostrano una maggiore varietà nella scelta delle tradizioni figurative da rielaborare, per cui vengono spesso ripresi motivi dell'ellenismo alessandrino™. Si può citare, nelle nicchie che si aprivano lungo le pareti delle navate laterali o nelle absidi delle chiese (Convento Rosso, Dendera, Chiesa Sud di Bawit), l'uso di timpani triangolari o arcuati, caratterizzati dal fatto di essere fusi alle estremità laterali con quarti di frontoncino, che cosi assumono un aspetto acroteriale, e dalle rappresentazione di sguincio del soffitto delle cornici, entrambi motivi tipicamente alessandrini; quasi sempre inoltre i soffitti delle cornici di questi timpani presentano le caratteristiche mensoline «a travicello», che sono appunto una pecu.

DI

*

.

.

.

.

*

.

liarità esclusiva dell’Egitto ellenistico”

|

*

(cat.

nn.

1002-1014).

*

.

Anche

.

i pilastri con

alcuni tipici motivi

a zig-zag,

a

meandro, o con basi d’acanto rimandano spesso allo stesso ambiente (cat. n. 797). I capitelli, invece, non sono più nella tradizione alessandrina, come ancora si verificava (v.sopra) nel II (fontana di Dendera, cat. nn. 221-226) e nel III secolo (capitelli reimpiegati nella fortezza di Dionysias, p. 233), compresa l’età tetrarchica (Luxor,

cat. nn.

252-254),

ma rielaborano tipi costantinopolitani.

Per il IV e per buona parte del V secolo, i tipi di acanto adottati sono sempre basati sulla rielaborazione del modello

dell’acanto spinoso, a lunghe fogliette strette, con i lobi separati da zone d’ombra strette ed allungate (Fig. 115), e dell'acanto con simili zone d’ombra, ma con fogliette meno lunghe e strette e più larghe. Preferiamo utilizzare questo come criterio di distinzione, perché ci consente di tracciare una linea di svolgimento che coincide anche con i dati offerti dai pochi contesti noti, come le basiliche di Hermoupolis Magna e del Convento Rosso” (cat. nn. 559-567, 572-573). | | | | | | |

93, Torp, in Synthronon, Paris 1968, p. 11 " Ip., «Leda Cristiana: the Problem of the Interpretation of Coptic Sculpture with Mythological Motifs», in Acta ad Archaeologiam et Artium Historiam perti-

nentia,

4,

Sculpture»,

1969,

p. 101 ss.; E.

in Archeologia,

87,

Kirzincer,

«Notes

of Early

1938, p. 192 ss.

Coptic

% A. Bapawy, p. 151 ss.

in BIE,

34,

1951-52,

pp. 57 ss.;

35,

1952-53,

55 Cfr. note 20, 23.

% H.G. SEVERIN, «Problemi di scultura tardoantica in Egitto», in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna 1981, p. 321, fig. 3.

|

71

CARATTERI

DELL’ ARCHITETTURA

ELLENISTICA

NEL BACINO

DEL MEDITERRANEO

| L'architettura alessandrina, quale documentata negli ipogei funerari e nei monumenti finora citati del sud dell’Egitto, va inquadrata nella più ampia problematica relativa alle trasformazioni che si operarono sugli ordini e gli elevati architettonici in età ellenistica.

1.

ARCHITETTURA

|

TEMPLARE È

Per ciò che riguarda l’architettura templare, è nota l’opinione di numerosi studiosi! sul declino, già a cominciare dal IV secolo a.C., dell’impiego dell’ordiné dorico, fino alla sua scomparsa dai colonnati dei templi; opinione contraddetta dal Tomlinson?, che lega questa problematica agli avvenimenti dell’epoca, chiarendone diversi aspetti: l'evidenza archeologica mostrerebbe infatti che in tutta eta ellenistica si continuó ad impiegare l'ordine dorico anche nei templi, ma soprattutto nella Grecia continentale, mentre l'ordine ionico veniva preferito in Asia Minore. Il numero minore di templi dorici di IV secolo in Grecia, rispetto ai due secoli precedenti, è soprattutto dovuto alla situazione politica dell'epoca e alla generale instabilità, che determinarono una minore attività edilizia?. A ciò si aggiungano altri fattori, quali la diffusione di nuove forme templari caratterizzate dalla mancanza della peristasi colonnata (Tempio di Artemide ad Epidauro)*, o da una pseudoperistasi (Tempio L di Epidauro)*: anzi è stato rilevato? come l’architettura templare ellenistica sia proprio contraddistinta dalla perdita di significato del tempio periptero, sia in Sicilia, sia in Magna Grecia (Tempio ellenistico

di Minerva a Canosa)! e nel mondo etrusco-romano, dove si afferma la forma tradizionale del tempio tuscanico in forme sempre piü monumentali, sia ancora in Egitto stesso, dove mancano, per il periodo tolemaico, testimonianze sicure di templi peripteri* (ad eccezione del piccolo Serapeo di Luxor, peró di età adrianea, v. p. 11) e dove i piccoli templi noti (di Augusto a Philae (Figg. 1-7), di Ras es Soda ad Alessandria, del II-III secolo d.C. (Fig. 10), e i tempietti funerari di età ellenistica e romana di Tuna el Gebel (Fig. 167), v. pp. 263 ss.) sono solo prostili. Ció si verifica anche nell'oriente greco, soprattutto nei centri fondati dai successori di Alessandro nell'ex dominio persiano (un tempio periptero è conosciuto soltanto a Seleucia di Pieria). A questa situazione, tuttavia, si può contrapporre ciò che avviene nelle citta occidentali dell'Asia Minore, dove, per varie ragioni storiche, si assiste già dal tardo IV secolo a.C. (Tempio di Atena a Priene, progettato da Piteo, ripresa dell’ Artemision di Efeso) ad una rinascenza? della grande architettura templare ionica dotata di peristasi, tra l’altro legata indissolubilmente all’uso del marmo, che ne accentua le forme classicistiche favorendone la canonizzazione. Va dunque messo in questo quadro i c.d. declino del dorico nelle peristasi dell'architettura templare (non fu il problema del contrasto angolare che «killed the doric tradition», come affermava il Robertson) ?, a cui si deve aggiungere il fatto che l'unica trattatistica sull'architettura del periodo ellenistico, la cui eco si sia conservata (tramandataci da Vitruvio!!), si mostra favorevole quasi esclusivamente allo ionico: l'ordine dorico, per quanto usato nei templi ellenistici di

1 D.S.

RoBERTSON,

Greek

and

Roman

Architecture,

1976 (n.e.), p. 110; T. Fyre, Hellenistic ARIA, p. 27 ss. ? R.A. ToMLINSON, 3 Ip., pp. 135-136.

in JHS,

83,

Cambridge

Cambridge 1936,

1963, pp. 133. 145. |

“Roux, Architecture de l'Argolide, tav. 54. 5 Ip., tav. 65. PENSABENE,

JI tempio

ellenistico

Grecia (Leukania,

3), Venosa

1990, pp. 269-337.

8 È possibile che ad Alessandria fosse periptero il Serapeo (v. p. 00, nota 0) e una peristasi è stata ipotizzata per il tempio all’interno del santuario tolemaico di Hermoupolis Magna (Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis, p. 7; HóPENER, Zwei Ptolemaierbauten, p. 82), comunque

|

questa forma doveva essere poco diffusa. ? LAUTER, Architektur, p. 181.

$ LAUTER, Architektur, pp. 180-189. 7 P.

Italici in Magna

10 ROBERTSON, op. cit., p. 110. di S. Leucio

a Canosa,

in

!U VITR. IV, 3, 1,2.

i ! i

|

75

Apollo a Ilio, di Assos e di Atena Polias a Pergamo, era ritenuto inadeguato per gli edifici templari dai maggiori architetti dell'epoca, Piteo, Ermogene e Arcesio, tutti e tre attivi nella Ionia e che evidentemente consideravono soltanto l'ordine ionico, tradizionale nella loro regione, adatto alle costruzioni di prestigio. Sono proprio i templi di questo periodo nella Ionia

a determinare

il grande

capitelli tipici dell’ordine,

successo

con kyma

ionico

dell'ordine

ionico,

e pulvini,

saranno

dove

però,

a cominciare

sempre più spesso

soprattutto

dal II secolo

a.C.,

i

sostituiti anche nella peristasi esterna

dai capitelli corinzi ", secondo modalità poi riprese nell’architettura di età imperiale. In conclusione si puó affermare che la diminuità attività edilizia nel campo fermarsi

di nuove

forme

templari

senza peristasi in Occidente,

in Siria,

dell'architettura templare in Grecia, l'af-

in Egitto

e nella stessa Grecia,

con cui contrasta

la grandiosa rinascita architettonica nelle città della Ionia proprio dal tardo IV secolo a.C., caratterizzata dall'impiego predominante del tradizionale ordine ionico nelle peristasi, possono essere chiamate in causa per spiegare la costruzione ab-

bastanza rara di templi peripteri dorici. Diversa è la situazione nei templi prostili, o anche anfiprostili, soprattutto di piccole dimensioni, e nei naiskoi funerari, dove più a lungo può incontrarsi anche l'ordine dorico nella facciata prostila, ad esempio nel Tempio di Iside a Delos?, e riflesso di ciò è il frequente uso di pilastrini e ante con coronamento dorico nelle edicole e nelle stele funerarie con inquadramento architettonico.

2.

ARCHITETTURA CIVILE

Ma ancora più significativo per la compresione dell’ordine dorico in età ellenistica, è seguirne le modalità d’uso negli edifici civili e privati, dove già precocemente si manifestano libertà interpretative rispetto alle forme canoniche. È stato affermato che, fin dalla metà del V secolo a.C., ad Atene, gli architetti presero a considerare la stod non come una variazione della peristasi colonnata del tempio, bensì come un edificio a sè stante, con regole e proporzioni nuove. Dal confronto

della stoà Basileios

di Atene

con

la più

tarda stod

di Brauron

(ca. 420

a.C.)

emerge

secolo, venga comunemente adottata la soluzione di far corrispondere ad un intercolumnio tre di una regola che verrà largamente adottata in qualsiasi edificio civile con porticati, ad esempio di Atena, dell’Asklepieion e del mercato a Pergamo, nella Sala Ipostila a Delo!, e inoltre nei in quella ellenistica di M. Iato!9, e financo negli edifici templari, così in un tempio periptero

Aege!,

nel tempio italico di Paestum e in quello di Minerva a Canosa".

come,

dalla fine

del V

spazi metopali’*: si tratta nei portici del santuario peristili delle case, come e in un altro in antis di

Ad Alessandria se ne ha una testimonianza

nelle corti pseudoperiptere degli ipogei di Mustafa Pascià: qui compaiono sia tre, sia quattro spazi metopali negli intercolumni (rispettivamente ipogei n. 3 e nn. 1, 2!; Fig. 108) e va ricordato che spesso in età ellenistica si trova un ritmo anche di quattro o di cinque metope per ogni intercolumnio. È stato osservato che, in conseguenza di questi cambiamenti, i triglifi e le metope perdono il loro peso nel sottolineare

con

enfasi

la posizione

delle

colonne,

e che

le

singole

componenti

orizzontali

della

trabeazione

dorica

formano

come una serie di strisce con accentuato valore decorativo, tra le quali acquistano particolare importanza le sagomature di separazione: vengono unificati in un’unica modanatura i listelli di coronamento sopra le metope ed i triglifi, e, se le regulae divengono più sottili, guadagna più peso la taenia che separa il fregio dall’architrave, come è già visibile nel portico del Santuario di Atena a Pergamo e nel recinto del santuario tolemaico ad Hermoupolis Magna”, che ne rappresenta uno dei più antichi esempi?!. Anche la cornice, con i mutuli più sottili sotto un soffitto non più obliquo ma orizzontale, si scioglie dalla sua dipendenza con il fregio: ciò favorirà la sua frequente sostituzione con una cornice ionica con dentelli e, più tardi, con la cornice con mensole”, con lo scopo dunque non più di risolvere conflitti architettonici, bensì di far risaltare determinate forme architettoniche; per le stesse ragioni vengono facilitate la sostituzione del fregio ionico con uno dorico in una trabeazione ionica ed altre variazioni o mescolanze caratteristiche del periodo tardo-ellenistico?, pur non

mancando precedenti soprattutto in aree periferiche ?4. Anche la divisione dello spazio interno del tempio dorico, ad un certo momento risulta inadeguata per la struttura della stoà e di edifici simili: se in origine non si ha la certezza che in essi venisse usato un colonnato interno disposto su due piani (anche se questa soluzione appare accertata nella stoà Basileios già dal VI secolo), tuttavia, come è stato rilevato dal Coulton?, ben presto è proprio questa soluzione ad emergere chiaramente. Il sistema più adottato fu dunque quello di utilizzare l’ordine dorico e quello ionico, laddove le colonne ioniche, convenzionalmente più slanciate, poste

? B. WESENBERG, tektur

ndch

Beitrage zur Rekonstruction griechischer Archi-

literarischen

Quellen

(Beih.

9 AM),

Berlin

1983,

p.

174,

nota 759. 4 CouLTON,

Greek Architects, p. 90 ss.

? HOPENER,

BroscH,

H.P.

IsrER,

in

Sicilia

76

n. 86.

tav. 55,

fig. 196;

Archeologica,

Zwei Ptolemaierbauten,

p. 83, fig. 9.

56,

1984,

? Ip., pp. 58, 92.

3 Ip., p. 92.

17 Von HesBERG,

Krauss,

Topografia,

2" Von HESBERG, Konsolongeisa, p. 91.

p. 5 ss., fig. 22. R.

Konsolengeisa, p. 31, nota 93.

HeLBIG,

Der

korinthisch-dorische

2 K. JEPPESEN, Paradeigmata,

Tempel

am

// tempio elle-

cit.

fig. I.

5 Von HesBERG, Konsolengeisa, p. 31, nota 93.

155 F.

von Paestum, Berlin 1939, tav. 3; P. PENSABENE, di S. Leucio,

P? ADRIANI,

13 LAUTER, Architektur, p. 189, tav. 15.

16H.

Forum nistico

Aarhus

* CouLTON, Greek Architects, p. 125.

1958, p. 91.

n. 84,

tav. 48,

come ordine interno, potevano innalzarsi fino alle travi del tetto, senza però apparire troppo pesanti e d'altro canto senza

forzare le convenzioni dell'ordine: tale soluzione pare fosse già adottata nella stoà Poikile del 465-460 a.C.?*. L'uso di accoppiare due ordini (colonnato interno ionico ed esterno dorico) ebbe larga diffusione non solo nelle stoai, tanto da divenire quasi convenzionale per ogni edificio che adottasse un portico. Inoltre la distinzione dello spazio interno tramite il cambiamento

dell’ordine

architettonico

avrà importanti

conseguenze

nell’architettura ellenistica,

fino ad arrivare a

pilastri,

separanti ambienti contigui, a cui si addossano sui lati opposti o su due lati angolari capitelli di ordini diversi, come appunto si riscontra frequentemente ad Alessandria (cat. nn. 111-112, 243) negli ipogei delle necropoli (ipogeo n. 3 di Miniet el-Basal, con semicolonna ionica addossata a pilastro dorico)?” a Plinthine, presso Taposiris Magna, in una casa ellenistica (cat. nn. 205-207, con semicolonne corinzie addossate a pilastri dorici). Verrà così facilitata la ricerca di soluzioni architettoniche di raccordo, quali quelle visibili nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide: qui infatti nell’ordine inferiore del Grande Peristilio le colonne ed i pilastri dei fianchi e del lato meridionale erano sormontate da capitelli ionici, mentre quelli del lato settentrionale da capitelli corinzi’, probabilmente in quanto il cambiamento di ordine su questo lato voleva anche sottolinearne la diversa funzione di facciata e di elemento di passaggio verso la grande sala a colonne

(int. 19), questa con capitelli corinzi, basi d'acanto e cornice ionica a dentelli”’. Ma

gli elevati architettonici documentati

nel Palazzo

delle Colonne,

che abbiamo

già detto sicuramente

di derivazione

alessandrina, come mostra anche il ritrovamento di elementi esattamente uguali a pezzi conservati nel Museo di Alessandria (cat. nn. 888, 935, 967), ripropongono anche la tematica della sovrapposizione degli ordini in portici a due piani: a Tolemaide

infatti nella facciata interna meridionale

del Grande

Peristilio

alla trabeazione

dorica,

ima sostenuta,

come

si è

detto, da colonne ioniche, si sovrappongono colonne corinzie con trabeazione ionico-corinzia?, mentre nell’ambiente 82 (il «piccolo peristilio») ad un colonnato dorico, con trabeazione ionica, si sarebbe sovrapposto un altro colonnato dorico, con fusti poco meno lunghi di quelli inferiori, ma la cui eccessiva lunghezza era corretta dalla presenza di una transenna,

forse lignea”. Ricordiamo brevemente che in un momento iniziale dell’architettura greca, quando si profilò la necessità di articolare una facciata su più piani, si utilizzò l'espediente di considerare il piano inferiore come una sorta di basamento chiuso, tale da costituire una solida piattaforma su cui innalzare il colonnato? (ad esempio nel Mausoleo di Alicarnasso e in quello di Belevi?). Questa soluzione, seppure adatta per tombe o edifici dove gli ordini venivano impiegati a scopo puramente decorativo di facciata, non era funzionale in quegli edifici che richiedevano un piano inferiore aperto e praticabile, come le stoai ed i peristili interni delle case: per essi venne ripresa la disposizione a due piani della cella del tempio dorico, con una graduale rastremazione del fusto delle colonne, senza soluzione di continuità dalla base di quella inferiore al capitello di quella superiore**. La prima stoà a due piani conosciuta, quella est dell’ Asklepieion di Atene (ca. 340 a.C.), presentava dunque una facciata con due colonnati dorici sovrapposti, ma poiché erano necessari anche due colonnati sovrapposti al centro dello spazio interno, per sostenere la trave orizzontale su cui insisteva il tetto, si applicò a questi l’ordine ionico”. L’uso dello ionico come ordine interno venne ad accentuare un’impressione di alleggerimento e di slancio verso l’alto; parallelamente l’impiego di due ordini diversi nello stesso piano rese meno evidenti le differenze di scale e proporzioni. Introdotto il principio dell’alternanza di due ordini nel colonnato interno ed esterno, ben presto questo fu applicato anche alle facciate, in tal modo risolvendo numerose incongruenze derivate dalla sovrapposizione di due colonnati dorici con gli stessi intercolumni, ma con colonne di diverse proporzioni*9; in tal caso si osserva come usualmente, quando le colonne del piano superiore sono doriche, esse sopportano una trabeazione ionica, ad esempio nella stoà di Assos. Ovviamente questo principio fu applicato anche nella decorazione di facciate di edifici di diverso tipo, ed inoltre si afferma l’impiego di semicolonne, secondo una modalità che si era già riscontrata nel tempio di Zeus a Nemea (ca. 340-320 a.C.), dove all’interno della cella, sopra il colonnato corinzio che non raggiungeva il soffitto, furono poste piccole semicolonne

ioniche?; nella stoà

di Perachora

(ca.

300

a.C.)

troviamo

invece,

sovrapposte

a colonne

doriche,

delle

semico-

lonne ioniche molto più piccole di quanto la diminuzione di proporzioni al secondo piano avrebbe richiesto. Se in età ellenistica si riscontra ancora la sovrapposizione di due ordini dorici, così nell’esempio citato del «piccolo peristilio» del Palazzo delle Colonne, tuttavia, nella casa C?? e nel teatro”, a Tindari, o in altri esempi di Delo, più comune diviene ormai la sovrapposizione dei due ordini dorico-ionico, o anche la sostituzione di colonne superiori con pi-

lastri rettangolari, abbastanza diffusa a Delo”!.

2% Ip., p. 132. 7 ADRIANI, Topografia, p. 157, n. 110, tavv. 82-83.

5 Ip., p. 135, dove si rileva anche come fu necessario risolvere il problema di due fregi dorici con gli stessi intercolumni, ma con colonne di

8 Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 24. ? [p., p. 43.

misure diverse: di conseguenza nel piano inferiore tra gli intercolumni vi sono tre spazi metopali, in quello superiore invece cinque spazi metopali.

30 Tp, , tav. 5. ?! Ip., pp. 60-61. 2 CouLTON, Greek Architects, p. 133. 9 C.

PRAscHNIKER,

Das Mausoleum

6, Wien 1980, p. 190, figg. 51-52, 157. 34 CouLTON,

Greek Architects, p. 135.

36 Ip. p. 135, nota 31. 7 Ip., p. 135. 38 Tp., p. 135. von Belevi,

Forsch.

Ephesos

? L. BERNABÒ BREA,

M.

CAVALIER,

in BArte,

1965, pp. 205-209.

4° L. BERNABÒ BREA, in RIASA, 14-15, pp. 99-144. 4 CouLTON,

Greek Architects, p. 136.

77

È noto come Pergamo, in età ellenistica, per varie ragioni legate anche alla morfologia del terreno, sia uno dei centri di maggiore sperimentazione e diffusione delle stoai a due piani e come anzi proprio da questa città venga la solu‘zione ad un altro problema: la scelta cioè di un terzo ordine per il colonnato interno superiore. Se infatti l’ordine adottato per il secondo

jonico,

era quello

all’esterno,

piano,

come

nel caso

del santuario

di Atena,

si rendeva

necessario

l’uso

di

un terzo ordine per il colonnato interno dello stesso piano. Il dorico era naturalmente troppo massiccio per un colonnato interno e così si ricorse ad un tipo di soluzione modulare relativamente nuova, che utilizzava un capitello, quello cosiddetto pergameno, le cui remote ascendenze erano nel naturalistico capitello egiziano a palma: esso aveva avuto una certa

diffusione nell'area a sud di Pergamo e fu anche adottato nelle due stoai pergamene di Atene per il colonnato superiore

interno”. la cornice

del proprio

In queste è anche affrontato un altro problema che deriva dall’uso di facciate a più piani, cioè quello di come dell’ordine

ordine,

superiore,

che

viene

ad essere

anche

il coronamento

dell’intero

a questa problematica

che è soltanto una parte della facciata:

edificio,

sarebbe

possa

adattarsi

all’altezza

da attribuire la soluzione



adottata dall’architetto delle stoai di Eumene e di Attalo ad Atene — di introdurre una cornice speciale nell'ordine superiore, caratterizzata da mensole piatte per sostenere il soffitto, con una spaziatura del tutto diversa da quella dei mutuli dorici. La cornice inoltre, pur essendo sottile rispetto alle proporzioni e all'ordine cui appartiene, sporge in avanti molto di più di quanto sia usuale, in rapporto dunque all’intera facciata e non all’ordine superiore: è certo comunque che nel corso

del II secolo

a.C.,

in molti

centri

del Mediterraneo

viene

utilizzato

e si diffonde

questo

tipo di cornice

sole, dal quale, come è noto, deriveranno le cornici tipiche dei colonnati corinzi romani di età imperiale‘.

lenistica le cornici con mensole, sia pergamene,

con

men-

Ma in età el-

sia rodie, sia alessandrine, troveranno applicazione spessissimo proprio

come coronamento di trabezioni doriche, con le mensole che riprendono il ritmo del fregio rafforzandolo; inoltre il loro uso si estende anche alle cornici delle pareti. In conclusione, è all’interno di queste problematiche che vanno considerati i cambiamenti stilistici e tipologici dei singoli elementi degli elevati e le nuove funzioni che vengono ad assolvere nei tipi edilizi più diffusi dell’età ellenistica. Come si è visto, una delle tematiche principali riguarda le facciate e gli interni a più ordini sovrapposti di colonne o semicolonne degli edifici pubblici (stoai, ginnasi, teatri, ecc.) e privati (case e tombe con peristilio o pseudoperistilio). È la tendenza degli ordini architettonici ad assumere una funzione soprattutto decorativa e di rappresentanza, oltre a motivi più specifici, come nell’ordine dorico l’aumento degli spazi metopali tra gli intercolumni e la conseguente perdita di collegamento

tra le colonne

e la sintassi del fregio,

che

favoriscono

l’accentuazione

delle modanature

orizzontali

di separazione

tra le singole componenti della trabeazione: queste vengono così ad essere isolate in «strisce» e quindi facilmente sostituibili con componenti di altri ordini, permettendo quella multiforme mescolanza degli ordini, caratteristica dell’ellenismo. Inoltre la nuova funzione che le cornici terminali degli ordini superiori sono chiamate ad assolvere, di coronamento di tutta la facciata e non solo dell’ordine relativo, altera le proporzioni tradizionali, data la necessaria maggiore sporgenza, e

favorisce l’introduzione di nuovi elementi come le mensole sotto il soffitto della corona, che ne rendono più marcata la linea orizzontale.

4 Ip., pp. 136-139. 4 Ip., p. 139.

78

^ Von HEsBERG, Konsolengeisa, p. 89 ss.

Il ELEMENTI

1.

TESTIMONIANZE

AD

ALESSANDRIA

ED IN ALTRI

DELL’ORDINE

CENTRI

DORICO

EGIZIANI

L’ordine dorico ad Alessandria è noto in particolare attraverso gli elementi architettonici ritrovati presso la banchina nuova del porto orientale (cat. nn. 1-9), attribuiti ad un Edificio del Quartiere Reale (forse agli atri settentrionale e meridionale del recinto di un tempio, v. p. 213), datato al tardo III secolo a.C. e per qualche ragione lasciato incompiuto, si è supposto alla morte di Tolomeo III’ (Fig. 65). Possibilmente ad un tempio appartengono invece i numerosi rocchi di colonne doriche che si trovavano a Sidi Kreir (a circa km. 21 ad ovest di Alessandria sul mare), ora trasportati nei giardini di Kom el Dik: le dimensioni abbastanza notevoli dell’edificio sono assicurate dal diametro dei rocchi, di cm. 84/90, mentre la cronologia è forse suggerita da una grande iscrizione dedicata ad una Cleopatra — ne resta una delle lastre che la componevano — recuperata insieme ai rocchi (cat. nn. 1044-1052). L’ordine dorico si trova in situ in uno dei più antichi ipogei a carattere monumentale della necropoli di Shiatbi, della metà

circa del III secolo,

dove uno dei corridoi (d) presenta semicolonne

doriche

addossate

alle pareti e finte finestre soc-

chiuse negli intercolumni?; lo stesso nell'ipogeo di Sidi Gaber (Cleopatra-les-Bains) ad est di Alessandria, del III secolo a.C., con semicolonne doriche nel passaggio che consentiva l'accesso alla cameretta funeraria?, e negli ipogei 1, 2 e 3 della necropoli di Mustafa Pascià, sempre ad est di Alessandria, con pseudo-colonnati dorici addossati alle pareti delle corti centrali scoperte e con vestiboli dalle colonne doriche, attribuiti alla seconda metà del III secolo i nn. 1 (Figg. 69, 108) e 3 e ai primi decenni del II il n. 2 (Figg. 67, 68)". Si menziona ancora il cosiddetto «Tempio di Arsinoe Zephyritis» (Fig. 70), a poche centinaia di metri ad est della necropoli di Mustafa Pascià, nel quale in realtà sono stati riconosciuti i resti del peristilio colonnato di una tomba del III secolo a.C., caratterizzato da pilastri angolari con semicolonne addossate, in modo da acquistare la tipica forma «a cuore»?. Ai monumenti ora citati va aggiunto un certo numero di colonne, capitelli dorici (cat. nn. 96-98) ed elementi di fregio (cat. nn. 945-948) conservati nel Museo e provenienti dal Quartiere Reale di Alessandria e da Canopo, dei quali però non è possibile ricostruire il contesto (Fig. 66). Sono poi presenti ad Alessandria ed in altre località egiziane elementi di fregio dorico sormontati da cornici ioniche (cat. nn. 960-966) o da cornici doriche in cui sono inserite modanature ioniche (cat. nn. 942-944) ed abbastanza precoce risulta l’uso di capitelli corinzi per sostenere fregi dorici, come è visibile nella nota inquadratura architettonica di un loculo della necropoli di Shiatbi, con frontoncino triangolare, fregio dorico e pilastrini con capitelli corinzieggianti, ritenuta del III secolo* (Tav. 118, 1), moda che continua almeno fino agli inizi dell'età imperiale, come mostra il tempio di Augusto a Philae’, con capitelli corinzi (cat. nn. 354-355), fregio dorico (cat. n. 949) e cornice ionica. A Hermoupolis

Magna sembra invece che numerosi elementi di fregio dorico (cat. n. 64) rinvenuti nell'area del santuario tolemaico sotto la Basilica cristiana, sormontassero la parete del recinto che limitava l'area sacra?, mentre degli elementi di fregio dorico conservati a Ombos (Kom Ombo) (cat. n. 950) si ignora la provenienza.

! HOPFNER, «Zwei Ptolemaierbauten», pp. 78-85. ? ADRIANI, Topografia, p. 124, n. 79, tav. 45, fig. 171. ? [p., p. 138, n. 88, tavv. 59-60, figg. 209-210; Ip., Lezioni l’arte alessandrina, Napoli 1972, p. 114, tav. 7. ^ ADRIANI, Topografia, p. 130 ss., nn. 84-86, tavv. 48-57.

sul-

° Ip., p. 127, n. 81, tav. 47, figg. 178-180. $ Ip., p. 114, fig.I; P. PENSABENE, in Studi in onore A. Adriani, Roma 1983, p. 91, n. 1. 7 L. BoRcHARDT, in Jd], 18, 1903, p. 73 ss. * HOPFNER, «Zwei Ptolemaierbauten», p. 82.

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Fig. 69 - Alessandria, necropoli di Mustafa Pascià, ipogeo I (da Adriani).

2.

STORIA DELLE FORME

E stato già rilevato il carattere conservativo, anzi, per le proporzioni, tardo-classico (v. i templi di Strato e Nemea), delle forme doriche impiegate nell'edificio del Quartiere Reale di Alessandria e nel santuario tolemaico di Hermoupolis

Magna*: si è anche parlato di un «dorico essenzialmente manieristico» ^, dipendente soprattutto da monumenti dell’ Asia Minore e caratterizzato da forme abbastanza rigide e geometriche. Nei due edifici citati, dunque, i capitelli, in cui si sono riconosciuti paralleli con il Didymaion di Mileto, sono chiaramente divisi in tre parti e presentano echini troncoconici con inclinazione di 45°; gli abaci quadrati hanno i lati lisci solo leggermente inclinati ed i tre anuli a listello, talvolta non differenziati e sotto forma di gola, sono distinti dalle scanalature delle colonne attraverso archi piatti. I triglifi presentano

? [p., pp. 85,89-90, a cui si rimanda per i rapporti proporzionali.

© [, BACCHIELLI, in RendLincei, 377, 1980, p. 334.

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Fig. 70 - Alessandria, peristilio di tomba (c.d. tempio di Arsinoe Zephyritis) (da Adriani).

i glifi abbastanza distanziati, dato il rapporto di 1:1, o poco meno. tra questi e gli spazi intermedi, mentre le metope hanno una larghezza in rapporto di 3:2 con quella dei triglifi. Più complessa appare la definizione puntuale delle forme doriche rappresentate nell’architettura funeraria ellenistica di Alessandria, in quanto molti particolari erano affidati allo stucco che rivestiva la pietra locale, oppure per varie ragioni non erano portati a termine: a ciò ad esempio si possono ascrivere la cosiddetta doppia regula, cioè una regula con le guttae semilavorate, o la mancanza di distinzione tra gli anuli alla base dell’echino e il loro aspetto a largo listello (cat. nn.

97-98),

anuli che in molti casi non hanno

il diametro

degradante

secondo

l’inclinazione dell’echino,

bensì

presentano

lo stesso diametro di questo (cosi negli ipogei n. 2 di Mustafa Pascià (Fig. 67) e A di Sidi Gaber!!); anche una certa tendenza a forme rigide ed eccessivamente dure nei capitelli dorici delle necropoli alessandrine e la mancanza di modulazioni nei passaggi tra questi e le colonne possono attribuirsi proprio alla perdita della stuccatura dipinta, o comunque alle condizioni e al luogo di impiego, in cui frequente doveva essere la mancanza di rifiniture. Comunque, anche ad Alessandria, si riscontra quella tendenza dell’architettura ellenistica ad accentuare le modanature orizzontali di separazione tra le singole componenti della trabeazione dorica: così la taenia è più spessa, mentre le regulae sono piuttosto sottili, con guttae spesso più alte delle regulae stesse, come è nuovamente visibile negli ipogei di Mustafa Pascià, ma anche nel portico del recinto di Atena a Pergamo! In una tendenza generale del periodo ellenistico rientra anche una maggiore altezza del fregio rispetto all’architrave, questo sempre di più privo di valore tettonico, e con un rapporto ormai lontano da quello del periodo classico di 1:1”; non mancano però casi di architravi più alti, come a Pergamo, Eleusi o Delo", dovuti a riprese classicistiche, o a particolari funzioni date dal contesto della trabeazione dorica (cat. n. 965). Per ciò che riguarda il fregio rientrano pienamente nel gusto architettonico ellenistico il coronamento, quasi sempre a semplice lista, o alcune modificazioni strutturali del triglifo, come la terminazione dei glifi orizzontale, secondo una tendenza generalizzata ovunque già a partire dal IV secolo in Grecia! Le corti degli ipogei di Mustafa Pascià mostrano una variazione nella forma delle metope, ora quadrate, ora rettangolari, a seconda se siano poste nei lati corti o in quelli lunghi, in corrispondenza dei quali ne varia anche il numero, tre o quattro, negli intercolumni! (Fig. 108). Le cornici vi appaiono semplicemente sagomate con una corona liscia (geison), dal soffitto decorato con sottili mutuli e con una sima a gola semplice (Fig. 68) o dritta, ma con la curva inferiore poco accentuata; esse poggiano sulla lista di coronamento del fregio o direttamente, o tramite la mediazione di una fascia, intagliata insieme alla cornice, ma strutturalmente facente parte del fregio (Fig. 69).

82

! In., p. 339, fig. 11.

^ Roux, Architecture de l'Argolide, p. 326.

? Von HesBERG, Konsolengeisa, p. 87.

5 [p., pp. 324-325.

1 A. SCHOBER,

16 ADRIANI,

* , 1935, p. 5.

in Annuaire,

1933-35, p. 85.

Ricordiamo brevemente che frequente diviene anche l'inserzione di un ovolo tra il fregio e la cornice: si tratta di un'innovazione introdotta dagli architetti attici nel Partenone, nei Propilei e nella stoà Basileios, poi divenuta abituale nel periodo éllenistico in Grecia e in Asia Minore". Tale inserzione si ritrova anche nell'architettura alessandrina (cat. n.

950, da Kom Ombo),

secondo una modalità ampliamente documentata quando al fregio dorico si sovrappongono cornici

con mensole (cat. nn. 960-965, in cui le estremità dei triglifi, una del centro delle stico, non più inclinato, ma orizzontale e elementi decorativi, faciliti l'impiego del

mensole sono collocate secondo il ritmo del fregio, due in corrispondenza delle metope). Si è già detto come proprio la trasformazione del geison dorico-ellenicon una perdita sempre maggiore della consistenza dei mutuli, ormai solamente geison ionico, con dentelli, o ionico-corinzio, con mensole, al posto di quello

dorico 5, Un'ultima osservazione riguarda il fatto che la sima a gola dritta, regolare in Grecia nell’ordine ionico,

viene usata

anche in quello dorico a partire dal IV secolo a.C. ^. Le colonne

e i capitelli dorici di Alessandria sono anche richiamati dagli esemplari del «piccolo peristilio» del Pa-

lazzo delle Colonne

il sommoscapo

di Tolemaide:

i fusti, ottenuti in tre rocchi,

e presentano un echino troncoconico,

sono

lisci, i capitelli sono

intagliati in un solo blocco con

sotto con tre anuli e sopra con listello terminale tra l’echino e

l'abaco, questo con scamillus circolare su cui poggiava una trabeazione ionica?0, Le osservazioni fin qui fatte permettono d’inquadrare anche gli elementi dorici di Alessandria (Figg. 70, 106) in quel processo generale di snellimento dell’ordine che si matura ovunque nei centri ellenistici del Mediterraneo, ma che parallelamente è accompagnato, soprattutto nel II e nel I secolo a.C., da un arricchimento delle forme tramite l’introduzione di modanature ioniche.

1 Roux, Architecture de l'Argolide, p. 324. 35 Von HESBERG, Konsolengeisa, p. 92 ss.

PL.T. SHoE, Profiles of Greek Mouldings, p. 92 ss. ? Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 60.

New

York

1936,

$3

III ELEMENTI

1.

TESTIMONIANZE

AD

ALESSANDRIA

E IN ALTRI

CENTRI

DELL'ORDINE

IONICO

EGIZIANI

Scarse sono nell’ Alessandria tolemaica testimonianze superstiti di ordine ionico ancora in situ, o di cui è ricostruibile l’elevato. Anche in questo caso si devono citare gli elementi architettonici rinvenuti presso la banchina nuova del porto orientale (cat. nn. 10-21), attribuiti all’Edificio del Quartiere Reale. Ancora in situ, l'ordine ionico si trova nuovamente in uno degli ipogei della necropoli di Shiatbi (Fig. 71), utilizzato come prospetto architettonico, ai lati di un passaggio tra un ambiente e l’altro, e per articolare le due pareti laterali del primo di questi ambienti con uno pseudo-portico, nei cui

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Fig. 71 - Alessandria, necropoli di Shiatbi, ipogeo A, prospetto dall’accesso al vano G (da Adriani).

intercolumni

si aprivano

i loculi?!.

L'ordine

è rappresentato

anche

nell'ipogeo

n. 3 della Necropoli

occidentale

(Miniet

el-Basal), come inquadramento architettonico di un portale” (Figg. 72, 73). A questi esigui elementi

conservati

in situ,

vanno

aggiunti

numerosi

capitelli ionici,

interi e frammentari,

del Museo

di Alessandria, appartenenti per lo più al III e al II secolo a.C.: essi hanno una provenienza piuttosto vaga (si tratta spesso di doni fatti al Museo dall’emiro Tousson e da M.Sardella) ad esempio da Canopo (cat. nn. 105-110, 115, 116), da Gabbari (cat. nn. 111, 112, 117) da Hadra (cat. n. 118). Lo stesso problema si pone per decine di cornici lisce, sempre del Museo, con simili provenienze (cat. nn. 800-847), tutte semplicemente sagomate con sima a gola diritta, corona sottile e soffitto senza sostegni, con cavetto ed ovolo liscio sottostanti a cui si aggiungono spesso i dentelli (cat. nn. 815-847). Si tratta di esemplari che hanno un ampio riscontro con cornici in situ nelle necropoli a lessandrine, dove spesso si è avuta la testimonianza che elementi decorativi, come kymatia ionici e lesbici, erano dipinti sul sottile strato di stucco

che

rivestiva

le trabeazioni?.

Queste

cornici,

inoltre,

21 ADRIANI, Topografia, p. 124, n. 79, tavv. 44-45. 2 Ip., p. 158, n. 110, tav. 82, figg. 271, 274, tav. 83, fig. 276.

84

erano

spesso

impiegate

come

2 Cfr. ADRIANI, in Annuaire, di cornice dal Quartiere Reale).

coronamento

di finestre,

di

1935-39, p. 53, tav. 19 (frammento

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Fig. 72 - Alessandria, necropoli ipogeo n. 3 (da Adriani).

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Fig. 73 - Alessandria, necropoli occidentale, Miniet el Basal, ipogeo n. 3 (da Adriani).

porte, di edicole e di loculi, poggianti direttamente sugli stipiti^, o sostenute anche da pilastri, questi sormontati non da un capitello tradizionale, bensì da una semplice incorniciatura?. Quando vi erano, i capitelli non erano necessariamente ionici, bensì anche dorici, o corinzi, come nel noto caso dell’ipogeo n. 1 di Mustafa Pascià, sostenenti, al di sopra di un

passaggio, probabilmente un frontoncino triangolare con architrave a tre fasce”. È noto inoltre come spesso sono stati introdotti motivi ionici proprio nelle incorniciature delle porte, delle edicole, e dei loculi (vedi ad esempio il kyma ionico nella cornice mista e nei capitelli di pilastro delle tre porte del peristilio sempre della tomba n. 1 di Mustafa Pascià”, o il kyma ionico ed i dentelli introdotti nella cornice egittizzante dei finti portali negli ipogei di Anfushi)**; come diffuso ad Alessandria ed in altre località egiziane si può anche considerare il motivo del fregio e dentelli a coronamento delle facciate di tomba (Tuna el-Gebel)?. Direttamente dipendenti da Alessandria, ed in particolare dall’Edificio citato del Quartiere Reale, sono i frammenti di un portale

(cat.

n.

72),

di architravi,

con fregio liscio intagliato nello

(cat. n. 42) di grandi dimensioni (diametro del tribuiti ipoteticamente al tempio"Ὁ; altri capitelli ai propilei del santuario*', si possono collegare entrambi i casi il riferimento è di nuovo sempre

stesso blocco

(cat.

nn.

70-71),

e di capitelli ionici

sommoscapo cm. 92) del santuario tolemaico di Hermoupolis Magna e ationici più piccoli (diametro del sommoscapo cm. 52), attribuibili invece con frammenti simili della sala tolemaica di Tebtynis (cat. n. 119), ed in ad Alessandria.

2. EDIFICIO DEL QUARTIERE REALE DI ALESSANDRIA

(Fig. 74)

Le cornici ioniche dell’Edificio del Quartiere reale di Alessandria (Tavv. 2, 3) presentano una sima a leggerissima gola diritta e la corona (geison), che sporge inferiormente rispetto al soffitto liscio: questo è separato, tramite una gola ro-

vescia ed un largo listello, dai dentelli rettangolari e distanziati, la cui superficie inferiore coincide con il piano di posa delle cornici (cat. n. 19); gli architravi, a due fasce, sono coronati da una taenia sporgente e da un cavetto (cat. nn. 2021). Come per gli elementi dorici dello stesso edificio, anche per questi ionici è stato nuovamente rilevato il carattere conservatore, d'impronta microasiatica, del tutto esente dagli influssi egittizzanti: i richiami, per le proporzioni e per l'elevato, sono con il tempio di Artemide a Magnesia, progettato da Ermogene nel II secolo a.C., ma realizzato nel secolo successivo, o ancora, sempre a Magnesia, con il tempio di Zeus Sosipolis, dell’inizio del II secolo a.C., e non mancano

inoltre somiglianze con le trabeazioni del tempio del Ginnasio di Pergamo”.

% ApRIANI,

Topografia, pp. 134-135, nn. 85-86, tav. 54, fig. 194;

tav. 56, fig. 199; tav. 57, fig. 200; (ipogei nn. 2-3 di Mustafà Pascià).

5 Ip., p. 143, n. 90, tav. 65, (ipogeo del Giardino Antoniadis). 26 p. 130, ?' 7

ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 38, fig. 17; Ip., n. 84, tav. 55, fig. 195. Ip., in Annuaire, 1933-35, p. 57, tav.C. Ip., in Annuaire, 1940-50, p. 92, fig. 54; Ib.,

p. 195, n. 145, tav. 113, fig. 395.

Topografia,

Topografia,

7? Cfr.

S.

GaBRA,

in

ASAE,

32,

1932,

p.56 ss.;

39,

1939,

p. 483 ss.; G. Grimm, in MittKairo, 31, 1975, p. 230, tav. 72. 30 HOPFNER, «Zwei Ptolemaierbauten», p. 82, tav. 24,b; MEGAW, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 8, tav. 13, fig. 4. 31 H6PFNER, «Zwei Ptolemaierbauten», p. 82, tav. 24,0; Megaw, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 8, tav. 13, fig. 3.

WACE, WACE,

32 HOPFNER, «Zwei Ptolemaierbauten», pp. 86-87.

85

Ugualmente richiami precisi all'ambiente microasiatico offrono gli otto capitelli ionici (cat. nn. 10-18) dello stesso edificio: in essi l'echino è intagliato con un kyma ionico di ventiquattro plastici o vuli, separati da lancette molto sottili, dei quali sono completi soltanto quelli tra le volute, mentre degli altri, sotto i pulvini, è visibile solo l'estremità inferiore. Le semipalmette laterali nascono da un piccolo calice e sono formate da quattro lobi leggermente ondulati, con le cime leggermente ricurve in alto, in modo da toccare il lobo successivo. Il canale delle volute è leggermente più alto nel tratto orizzontale sopra l’echino. Il pulvino è abbastanza compatto e poco ristretto al centro, dove è legato da un balteo decorato a squame. L'abaco, quasi quadrato, presenta i lati sagomati con un listello e con un kyma lesbico trilobato, ricoperto agli angoli da una larga palmetta. i Questi esemplari sono stati considerati come lo stadio, in un certo senso finale, di una serie che deriva dai capitelli ionici del Mausoleo di Alicarnasso, ripresi poi in quelli del Didymaion di Mileto, in quelli del monumento votivo di Tolomeo II ad Olimpia (eretto tra il 278 e il 270 circa), e ancora nei capitelli della sala ipostila di Delo: si è anzi sottolineato il ruolo dei capitelli del Didymaion come modello per numerosi esemplari del periodo alto-ellenistico, tra i quali questi di Alessandria, che presentano con essi una parentela formale molto stretta*.

3. MODALITÀ DI IMPIEGO NELLE ARCHITETTURE MINORI Apparentemente poco frequente risulta, comunque, la ripresa in modo coerente dell’ordine ionico della grande tradizione templare microasiatica nell’architettura minore, ad opera delle maestranze locali, quale testimoniata dalle necropoli:. se infatti sono numerosi gli esempi di architetture miste con cornici o modanature ioniche introdotte nell’ordine dorico, ¢

con cornici ioniche sostenute da capitelli corinzi o egittizzanti, limitati, come si è visto nell’elenco iniziale, sono i casi di un impiego coerente dell'ordine ionico, e tutti relativi a contesti datati ancora al III secolo a.C (Tav. 118, 4). Nell’ipogeo A di Shiatbi (Fig. 71), il prospetto ai lati di un accesso™ presenta quattro semicolonne ioniche con intercolumnio piuttosto largo al centro, dove vi era il passaggio, e più stretto ai lati, dove sono inquadrate due finestre: esse sostengono un frontoncino triangolare, con semplice architrave, senza divisione in fasce e non distinto dal fregio superiore a dentelli, questi rettangolari e piuttosto distanziati tra loro. Il soprastante geison orizzontale è liscio e su di esso sporge una modanatura convessa piuttosto stretta: anche i geisa obliqui presentano la stessa modanatura superiore — che non può definirsi sima data la sottigliezza — e sotto di essi pendono 1 dentelli come nel geison orizzontale. Le stesse modanature si ritrovano sia nello pseudo-portico ionico del Grande Vestibolo, sia come inquadramento architettonico di una porta d'accesso ad una cameretta funeraria’: qui però è ridottissima la corona, divenuta un listello, mentre più sviluppata appare la modanatura superiore, che riproduce una sottile sima a gola diritta. Nell’inquadramento del portale nell’ipogeo 3 di Miniet el-Basal (Figg. 72, 73), la semicolonna ionica ed il pilastro dorico a cui si addossa sostengono un architrave a due fasce, distinto tramite un ovolo dalla cornice, questa con dentelli rettangolari più ravvicinati rispetto a quelli dell’ipogeo di

Shiatbi, con sottilissima corona dal soffitto liscio e con sima a schematica gola diritta: nella fascia superiore dell’architrave era dipinta una decorazione a festone, mentre sull’ovolo un kyma ionico”. In un angolo di portale del Museo di Alessandria (Tav. 116, 10) un Kyma ionico e un Kyma lesbico dipinti su un ovolo e una gola rovescia distinguono l’ar-

chitrave dalla cornice, questa sorretta alle estremità da modiglioni ad S, secondo una moda che s’instaura proprio in età ellenistica per i portali (cfr. n. 982).

4.

CAPITELLI IONICL

Le tradizioni a cui si ispirano i capitelli ionici di Alessandria non sono soltanto di origine microasiatica, come nel caso degli esemplari descritti dell’Edificio del Quartiere Reale (v. sopra), ma risultano piuttosto varie. Vi è infatti un certo

numero di esemplari caratterizzati da un’ampio canale delle volute, concavo inferiormente, e da echini abbastanza sottili con il profilo ad ovolo (cat. nn. 107-112): si tratta di una forma di antica tradizione attica, che si ritrova ancora nel IV secolo a.C., ad esempio nei Propilei canale. Tuttavia alcuni elementi, come volute, superiore o uguale a quella del tradizione dell’ovolo attico, rimandano

Nord o nell’abaton di Epidauro, in cui l’echino è piuttosto ridotto in favore del l'astragalo che accompagna la spirale delle volute, la distanza tra gli occhi delle diametro del sommoscapo, e ancora il profilo dell’echino ad arco convesso, nella a tipi diffusi nel primo periodo ellenistico in Macedonia, in Grecia (Philppeion di

Olimpia) ed in Asia Minore”. Solo il cat. n. 112 presenta la distanza delle volute inferiore al diametro del sommoscapo, ancora secondo la tradizione peloponnesiaca?. A questa rimanda anche un particolare decorativo visibile sui fianchi sia dell'ultimo capitello citato, sia del cat. n. 111, entrambi di semicolonna addossata a pilastro, con le facce principali contrapposte ai lati di un passaggio, come nei citati esempi dell'ipogeo n. 3 di Miniet el-Basal (Fig. 72): di conseguenza sul

?' [p., n. 110, tav. 82, fig. 271: in questa foto appare chiaramente la divisione in due fasce, che non è però riprodotta nel disegno rico-

33 Ip., pp. 57,87. % ADRIANI,

86

Topografia,

n. 79, tav. 44, fig. 168.

struttivo di tav. 83, fig. 276.

55 Ip., n. 79, tav. 45, fig. 172.

* Cfr. Roux, Architecture de l'Argolide, pp. 345-347,350.

36 Ip., n. 79, tav. 45, fig. 170.

9 Ip., p. 350.

fronte del passaggio sono visibili i fianchi ed i semicapitelli, quanto collegata con uno stelo ricurvo sotto di esso. Questa

particolare

fluenza magno-greca^:

forma

trova

confronti

numerosi

in

che presentano

Grecia

e in

Magna

la metà del pulvino Grecia,

ed

era

a forma

stata

di calice,

attribuita

tuttavia, si è ora riconosciuto che la sua origine è probabilmente peloponnesiaca,

ad

in

un'in-

in quanto è già

presupposta durante il IV secolo a.C. in capitelli del tempio di Atena Pronaia a Delfi e di una semicolonna forse del Ginnasio di Epidauro*!, e a cid si deve la sua precoce presenza in Italia, e non viceversa. In altri due esemplari di Alessandria (cat. nn. 114-115), entrambi a quattro facce, meno incurvato è il canale delle volute, ancora peró abbastanza ampio secondo modalità di origine attica, come nel gruppo precedente, ma ancora presenti nel periodo medio-ellenistico (stoà del santuario di Atena, tempio del ginnasio di Pergamo)”, quando sono ampiamente

utilizzati tipi formatisi nel IV secolo; alla tradizione microasiatica rimanda nuovamente la distanza tra gli occhi delle volute, di poco superiore al diametro del sommoscapo,

che può farci ritenere non più recepibile l’eventuale influsso pelo-

ponnesiaco. Lo stesso nei cat. nn. 116-117, con canale delle volute rettilineo, di un’altezza ora non più di molto maggiore dell’echino, ma, o più piccola di questo, o appena più grande. Ricordiamo che se il canale delle volute rettilineo già compare alla fine del III secolo, ad esempio nel Portico di Filippo a Delo“, tuttavia diviene predominante soprattutto

nel tardo ellenismo^. Al cat. n. 118, già il Delbrück^ attribuiva influssi peloponnesiaci, per l’echino liscio e l'ampio canale, ma nuovamente la distanza tra le volute e la forma di queste non permettono ispiratrice.

5.

forse di risalire con tale precisione

alla tradizione

ARCHITRAVI

Analizzando brevemente le forme che compaiono ad Alessandria, possiamo subito osservare come la suddivisione del'architrave in tre fasce non sia mai stata obbligatoria nell’architettura ionica‘: sono noti infatti architravi a due fasce in Grecia orientale, Sicilia e Magna Grecia già nel VI e V secolo a.C.^', mentre nel secolo successivo un esemplare a due fasce di uguale altezza si trova nel Philippeion di Olimpia”. Tuttavia è solo dal periodo ellenistico che il tipo a due fasce, accanto ad esemplari attestati ancora in occidente e in Macedonia‘, si incontra anche altrove: architravi con due fasce regolarmente decrescenti sono attestati, anche se in modo sporadico, nei due esempi citati, del tardo III secolo a.C., di Alessandria

(Edificio

del Quartiere

Reale,

cat.

nn.

21-22),

e di Miniet

el-Basal,

e ancora

nel frontoncino

ionico

del-

l'accesso alla camera funeraria dell'ipogeo di Mafrusa, del II secolo a.C., non più però coerentemente ionico perché sostenuto da pilastri con capitelli schematicamente dorici? altri esempi sono a Salamis di Cipro, a Mileto, a Pergamo, dove vengono usate entrambe le forme, a due e a tre fasce, a Lagina e a Priene?!. A giudicare dagli esempi alessandrini, l'architrave senza fasce doveva essere consueto nei coronamenti di porte o di finestre, o al di sopra di passaggi, quando la cornice piuttosto frequentemente poggia direttamente sull'architrave, senza il fregio, in quanto come tale non si possono considerare i dentelli, ormai divenuti parte integrante delle cornici. L'architrave senza fasce, che abbiamo visto nell'ipogeo di Shiatbi (Fig. 71) e anche nel grande ipogeo di Wárdian, pur ricorrendo nell'architettura greca dal periodo arcaico all'ellenismo, è noto con pochi esempi in Asia Minore: nel primo Didy-

maion di Mileto e, nel periodo ellenistico, a Lindos e a Priene (qui nella sala degli Efebi del Ginnasio ellenistico)”. L'architrave a tre fasce si generalizza in Grecia soltanto alla fine del V secolo a.C. e stico con un rapporto tra la fasce non sempre uguale: il modello prevalente in Asia Minore decrescenti?. Un indizio significativo che anche ad Alessandria fosse usata questa forma tuario di Hermoupolis Magna, dell'epoca di Tolomeo III (246-221 a.C.), con architravi fasce

su un lato e due sull’altro (cat. nn.

ancora con del I secolo ad esempio da colonne

70-71),

coronati

lesbico e da una taenia,

o da un ovolo,

talvolta

tracce del kyma ionico dipinto?*. Va citato di nuovo il Palazzo delle Colonne di Tolemaide, della prima metà a.C., dipendente, come si è detto, dall'architettura alessandrina: qui si incontrano sia architravi a due fasce, nell'ordine superiore della facciata interna meridionale del Grande Peristilio, dove la trabeazione è sostenuta corinzie, sia a tre fasce nell’ordine inferiore della opposta facciata settentrionale, ancora con colonne corinzie,

^ C. WEICKERT, in RM, 59, 1944, pp. 210-218. 4 Roux, Architecture de l’Argolide, pp. 350-351. 4 p. 223, 4 ^ 5

o da un kyma

si mantiene nel periodo ellenipresenta tre fasce regolarmente di architrave, lo si ha nel sana tre fasce degradanti, o a tre

FAA, Atlante, tav. 334,36; Bincot, Jonische-normalkapitelle, n. 232. FAA, Atlante, tav. 333,33. A. Lézine, in Karthago, 10, 1959, p. 151. DELBRUCK, Hellenistische Bauten, 2, p. 161, fig. 104 (in alto).

^5 Von HESBERG, Konsolengeisa, p. 43 n. 158. 4 L.T. SHOE, «Profiles of Western Greek Mouldings»,

in Pap-

MAARome, 1952, pp. 150-151; per l'architettura ionica, del VI-V secolo a.C., in Magna Grecia, cfr. G. GuLLINI, in AA.Vv., Sikanie, Storia e

civiltà della Sicilia greca, Milano 1985, pp. 294 ss. ^ S. GroBEL MILLER, in AM, 88, 1973, p. 202 ss.

^ In., p. 303.

* ADRIANI, Topografia, p. 140, n. 93, tav. 68, fig. 228.

i

?' M. Von Sipow, in RM, 91, 1984, p. 323, note 301-306, dove sono citati gli esempi rinvenuti: nel Laodiceo di Mileto (H. KNACKFUSS, Milet, 1,7, Berlin 1924, p. 262, fig. 268), nella stoà del tempio di Atena a Pergamo (R. Boun, Altertumer von Pergamon, 9, Berlin 1885, tav. 23, 1-2), a Lagina (A. ScHOBER, in IstForsch, 2, 1933, p. 23, figg. 7-12), nell'altare di Priene (A. Von GERKAN, in BJb, 129, 1924, pp. 32 ss., tav. 2,4); a cui si aggiunge l'esempio della tomba 50 a Salamis di Cipro (Von HEsBERG, Konsolengeisa, p. 78). ? Von HesBERG, Konsolengeisa, p. 43, nota 158, dove sono citati anche altre testimonianze dalla Grecia. 5 L’architrave a tre fasce era già stato usato talvolta internamente {tempio dell’Illisso), ma esternamente appare per la prima volta nel tempio di Atena Nike: W.B. DiNsMOOR, The Architecture of Ancient

Greece, London-New York 1985, p. 186. * Wace,

MEGAw,

SKEAT, Hermopolis,

pp. 7-8, tavv. 12,3,

14,1.

87

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Fig. 74 - Alessandria, dall'Edificio presso la banchina nuova del Porto Orientale, ricostruzione dell'ordine ionico (dallo Hópfner).

sia senza fasce nell'ordine superiore della precedente facciata, relativo alle edicole con frontoncini spezzati sostenuti da pilastri e colonnine corinzi?. Anzi, proprio i due ordini sovrapposti della facciata settentrionale consentono, per l'uso di due forme diverse di architravi, una spiegazione legata ai rapporti proporzionali tra le trabeazioni dei due ordini. Ancora senza fasce, l'architrave si incontra in un'edicola dell'ipogeo n. 3 di Gabbari?*: esso fa parte di un frontoncino ionico-corinzio,

con geison a mensole,

dentelli, fregio liscio,

sostenuto

da pilastrini con capitelli corinzieggianti.

Un tratto che caratterizza gli architravi ionici dell'Edificio del Quartiere Reale (cat. nn. 20-21) è il coronamento costituito da una faenia e da un cavetto (Fig. 74), più tardi attestato anche nel Palazzo delle Colonne, dove la taenia si assottiglia fino a divenire un semplice listello: così nella trabeazione dell’ordine inferiore della facciata interna settentrionale’, dove il fregio, decorato con girali d’acanto, è convesso, secondo una tradizione microasiatica che comincia nel periodo ellenistico. Ma nello stesso Palazzo compare la forma più consueta di un ovolo stilizzato sormontato da un sottile listello in una resa piuttosto schematica, come si ricontra anche negli esempi citati della necropoli alessandrina. L'ovolo come coronamento dell’architrave ionico è consueto già dal VI secolo a.C., anche se nel V secolo in Attica compare per la prima volta al suo posto una gola rovescia sormontata da un cavetto?. Se ancora nel IV secolo la gola rovescia o l'ovolo come coronamento si trovano soltanto in Grecia? nel III e nel II secolo a.C., invece, entrambe le forme sono usate anche in Asia Minore: a Pergamo viene usato sia l'ovolo, sia la gola rovescia con un cavetto, lo stesso a Delo, mentre in altre località come Magnesia, Mileto, Efeso, si mantiene l'ovolo, talvolta con un cavetto?!.

6.

FREGI

Testimonianze in situ di fregi dritti nell'insieme dell'elevato sono scarsissimi nell'architettura alessandrina. Gli esempi citati dell'ipogeo A di Shiatbi presentano l'architrave sormontato direttamente dal fregio a dentelli della cornice e ciò è abbastanza significativo, data l'alta cronologia, ancora al III secolo, attribuita all'ipogeo. Tuttavia, nel santuario tolemaico di Hermoupolis Magna sono stati rinvenuti due tipi di fregio intagliati con l’architrave (cat. nn. 70-71) e per l'Edifico del Quartiere Reale di Alessandria, più volte menzionato, è stato possibile ipotizzare la presenza di un fregio nonostante non si conservi alcun blocco: infatti in passato erano stati disegnati, sul luogo del ritrovamento di altri pezzi dell'Edificio, elementi semilavorati che per la loro forma potevano essere identificati come appartenenti a fregi. In tal modo l'Hópfner ha potuto ricostruire il rapporto proporzionale di 4:4:3 tra l'architrave, il fregio e la cornice, in quanto i primi due hanno entrambi un'altezza di cm. 59, mentre la cornice di cm. 16,89.

55 Pesce, Palazzo delle Colonne, tavv. 5, 8, 10. 5 ADRIANI, Topografia, n. 56, fig. 114, tav. 32.

9 Roux, Architecture de l'Argolide, p. 353 ss. © DINSMOOR, op. cit, p. 186; Roux, Architecture de l’Argolide,

5 Pesce, Palazzo delle Colonne, tav. 8,E.

8 Tp., tav. 8,A. ?L.T. SHoE, Profiles

of Greek

Mouldings,

p. 353 ss.

New

pp. 170-171; Roux, Architecture de l'Argolide, p. 353 ss.

88

York

1936,

$ L. BORCHARDT, in BSAA, 8, 1905, p. 1 ss., figg. 7-8. © HOPENER, «Zwei Ptolemaierbauten», p. 75-76: l'autore

rico-

struisce come unità di misura usata nell'edificio, un piede di cm. 29,48,

Tuttavia, il fregio dritto (Fig. 85) era indubbiamente utilizzato in trabeazioni ioniche sostenute da capitelli corinzi, o nelle quali erano pure introdotte cornici con mensole, del noto tipo alessandrino «a travicello». L'ordine superiore delle

facciate interne del Grande Peristilio del Palazzo delle Colonne di Tolemaide ce ne offre un buon esempio, dove l'altezza del fregio ha rispetto a quella dell'architrave un rapporto di circa 3:2: qui inoltre il coronamento del fregio appare limitato ad una leggera gola e ad un listello sporgenti, mentre la soprastante gola rovescia è intagliata insieme alla cornice, di cui è ormai parte. Esistono poi ad Alessandria un cospicuo numero di cornici di piccole dimensione, ma senza un preciso contesto di provenienza, che sono intagliate insieme al fregio, normalmente liscio, ma possibilmente in origine

stuccato e dipinto: si tratta di cornici che sono senz'altro da definire o ioniche o ionico-corinzie, con le tradizionali sima a gola dritta e sottile gola rovescia. Le variazioni riguardano la presenza o meno dei dentelli tra il soffitto ed il fregio e la presenza o meno di mensole sotto il soffitto (cat. nn. 800-801, 833, 836-837, 839, 869-874, 896): alcune risultano intagliate insieme all’architrave, in questi casi sempre ad una fascia e con un rapporto di circa 2:3 rispetto al fregio (cat. n. 875) o più spesso di 1:3 (cat. nn. 896-897). Se normalmente il fregio è diritto, questo assume un profilo concavo (cat. n. 838), per influsso della gola egizia, quando si trova inserito in trabeazioni di portali, all’interno di un’architettura mista greco-egizia: così negli ipogei di Anfushi, attribuiti sia alla seconda metà del II secolo a.C. (ipogeo n. 2; Fig. 107; Tav. 117, 1, 2), sia al I secolo a.C. (ipogeo n. 5)9. Sono appunto questi i casi in cui il fregio risulta intagliato insieme ad un architrave, quasi sempre ad una sola fascia e ridotto in altezza, come era anche visibile negli esemplari citati subito sopra. Vanno ancora rilevati alcuni elementi in cui il fregio è leggermente convesso nella parte inferiore, in modo da assumere un profilo a leggerissima gola dritta (cat. nn. 881-882): le cornici hanno inoltre il geison sostenuto da mensole ad S, come vedremo, secondo l'influsso rodio, e agli influssi dell'architettura greco-ellenistica è da attribuire la forma del

fregio. Il profilo convesso ritorna ancora nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide, dove il fregio della facciata dell'ordine superiore del lato settentrionale del Grande Peristilio è anche intagliato con una decorazione a girali d’acanto®”: lo stesso si ritrova in alcuni frammenti di fregi del Museo di Alessandria (cat. nn. 967-971), uno dei quali (cat. n. 967) è molto vicino agli esempi citati di Tolemaide e probabilmente aveva la stessa funzione nell’elevato architettonico. Della storia delle forme del fregio ci limitiamo ad osservare brevemente che l’associazione di dentelli e fregio ionico

compare per la prima volta in Asia Minore,

nel Mausoleo

di Alicarnasso,

e in Grecia, nel Philippeion di Olimpia”,

mentre in ambienti periferici, come la Magna Grecia, è noto anche prima?

7.

FREGI DECORATI

I frammenti di fregi con tralci (cat. nn. 967-971) sono un indizio importante che ad Alessandria, nonostante l’esiguità del numero di fregi decorati, ve ne fosse in realtà un uso più diffuso: un’eco di ciò ci viene dai tralci dipinti in alcune camerette funerarie della necropoli, e anche dal fregio a girali che orna un letto funebre dell’ipogeo n. 3 di Mustafa Pascià” e dalla continuità nell'età imperiale del motivo delle girali, secondo schemi iconografici che possono riallacciarsi ai pezzi citati (ad esempio si confronti con le girali dei lati corti sul coperchio di un sarcofago a ghirlande in pietra locale

del Museo di Alessandria, con foglie di vite a cuore)”. Sui tipi di decorazione dei fregi alessandrini, ma anche di altri elementi architettonici, abbiamo testimonianze soprattutto da quelli sovradipinti (Figg. 75, 76) e quasi certamente dobbiamo immaginare che i frammenti di trabeazione in calcare con

fregi lisci che

si conservano

dovevano

presentare

un ornato

833-839,

dipinto (cat.

869-877,

893,

896,

897).

Ad

Alessandria sono note, in fregi di sovraporte dell’ipogeo n. 1 di Mustafa Pascià (Fig. 108), datato al III secolo a.C., decorazioni figurate con cavalieri alternati a figure di sacerdotesse in una scena di libagione”. Fregi figurati compaiono anche nelle trabeazioni al di sopra dei finti portali di lastre di chiusura di loculi del periodo tardo-tolemaico come mostra un esempio

di Mafrusa

(Tav.

118,

5), con uraei alati ai lati di cespi di loto, da identificare con la «corona

un ottavo di piede da lui citato con l'abbreviazione

AF. Risulta ad esempio che la larghezza totale dei capitelli dorici e ionici è di 30 AF, mentre la larghezza dell'abaco solo dei capitelli 9 Pesce, Palazzo delle Colonne, tavv. 5, 13,A. 6 ADRIANI, Topografia, pp. 191,196, nn. 142-145, tav. 113: nelle trabeazioni dei portali vi & un geison orizzontale a dentelli relativo ad un timpano arcuato, con soffitto della corona a mensoline, nell'ipogeo n. 2.

6 Cfr. Roux, Architecture de l'Argolide, p. 353, sull'origine di questa profilatura del fregio in Argolide per un forte influsso della Tholos

di Epidauro;

S.

GroBEL

MILLER,

in AM,

88,

1973,

p. 206.

Cfr.

anche D.E. STRONG, in BSR, 21, 1953, p. 135, su esempi ellenistici di fregi a questa 61 6

MERTENS, in Architectura, Zeitschrift fur Geschichte der Architektur, 7, 1977, pp. 152-162; Ip., in RM, 86, 1979, p. 103 ss.

7 ADRIANI, in Annuaire, tralci vegetali

ionici è di 12 AF.

S (altare di Pergamo, porta occidentale dell'agorà di Efeso): forma si sarebbe sviluppato il fregio a profilo convesso. Pesce, Palazzo delle Colonne, tavv. 8,E, 10. Roux, Architecture de l'Argolide, p. 355.

da

em-

© Ad esempio nel tempio ionico di Metaponto del V sec.a.C.: D.

ritiene però utile prendere in considerazione, per la ricostruzione dei rapporti proporzionali,

di Atef»,

dipinti

v.

1933-35, p. 103, fig. 45, tav. 19,23. Per

ADRIANI,

Topografia,

tav. 107,

fig. 368

(An-

fushi). 71 ADRIANI, Repertorio: il motivo delle foglie di vite a cuore e di altri

elementi

vegetali

in schematica

successione

come

ornamento

dei

bordi dei sarcofagi e delle lastre di chiusura si ritrova proprio nei sarcofagi intagliati nella roccia all'interno di nicchioni di camere funerarie della necropoli di Kom esh-Shogafa: ADRIANI, Topografia, n. 122, tav. 101, fig. 340. 7 ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, tav. 27; Ib., Topografia,

p. 131. Cfr. anche A. ADRIANI, Lezioni sull'arte alessandrina, Napoli 1972,

p. 183,

tav. 154,

per i confronti

con un dipinto di secondo

stile

della Villa di Boscoreale, dove compare il motivo della porta con fregio dipinto nella sovraporta.

89

Fig. 75 - Alessandria, museo, stucco dipinto dalla necropoli di Mustafa Pascià, ipogeo I (da Adriani).

OTRS

P i fesa ἡσαὐὐ΄ῪἢhA

Fig. 76 - Alessandria, museo,

im

fe

"

1/5. cm

stucco dipinto dalla necropoli di Mustafa Pascià, ipogeo I (da Adriani).

blema di Osiris”. Tra i motivi vegetali, molto amate erano le ghirlande a festoni: sono testimoniate soprattutto dipinte, come in fregi di pareti di camere funerarie o nel frammento di pittura con tholos della necropoli di Mustafa Pascià”, o scolpite in sarcofagi attribuiti ancora all’età ellenistica, con mele grappoli e foglie d’alloro nelle ghirlande”. Tuttavia, il fatto che vi siano anche esempi in cui i festoni sono dipinti sul fregio appartenente ad una trabeazione scolpita plastica-

mente, come nell’ipogeo n. 3 di Miniet el-Basal (Fig. 73), al di sopra di un portale attribuito al III secolo”, deriva pro-

babilmente da modalità di decorazione architettonica dell’architettura contemporanea di più grandi dimensioni; modalità che Alessandria aveva in comune con altri centri ellenistici, dove ghirlande a festoni sono anche note nei fregi di templi, ad esempio in quello di Apollo ad Aegae, pendenti da protomi bovine, lo stesso nei fregi del Ginnasio ellenistico di Priene", o ancora in un cubicolo della casa della Nave Europa di Pompei, con festoni pendenti da grandi rosette”.

7 P. PENSABENE, p. 93, n. 4.

in

Studi

in

onore

A.Adriani,

I,

Roma

1983,

7 ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, pp. 27,131, figg. 12,49. Cfr. E. Breccia,

1909,

«Sulla

ghirlandomania

p.211 ss. Come

mostrano

alessandrina»,

in Congrès

fregi dipinti di tombe

du

Caire,

di Tuna

el-

Gebel, vengono frequentemente introdotti come riempitivi delle ghirlande, o tra di esse, grapoli e foglie di vite (S. GABRA, in ASAE, 39, 1939, p. 483 ss., tav. 88,c), secondo mode ornamentali molto diffuse in Egitto (V. CuHapot, La colonne torse et le décor en hélice dans l'art

antique, Paris 1907, pp. 9-12, figg. 8,3, 14; B. SCHROEDER, Studien zu den Grabdenkmalern der róm. Kaiserzeit (Diss.), Bonn 1902, pp. 13-14;

90

VaLLoIs,

Architecture

à

Delos,

pp. 290-298)

anche

se

con

riscontri

anche altrove, ad esempio in mosaici ellenistici di Pergamo e di Antiochia (v. nota 75). P'Th. Kraus, tav. 15.

Die

Ranken

der

Ara

Pacis,

Berlin

1953,

p. 56,

7€ ADRIANI, Topografia, p. 158, n. 110, tav. 83, fig. 276. 7 R. Bown, Die Altertumer von Aegae, Erg.JdI, 1889; F. KriSCHEN, in JdI, 38-39, 1923-24, pp. 134-150. 7? W. Von Sipow, in RM, 86, 1979, p. 222, tav. 47,5. Sull'uso dei festoni a ghirlanda in epoca ellenistica v. Th. KRAus, Die Ranken des Ara Pacis, Berlin 1953, p. 70 ss.

Ugualmente un motivo di larga diffusione nei fregi scolpiti e dipinti sono le girali continue d'acanto, citate per il frammento cat. n. 967 e per il Palazzo delle Colonne a Tolemaide, in cui i due tralci giraliformi nascevano al centro del fregio da un cespo d'acanto, secondo modalità divenute correnti anche per l'età imperiale. All'origine, l'iconografia è probabilmente

una

derivazione

da modelli

attici,

con

tralci

a volute

nascenti

da cespi

o calici d'acanto,

che

si sono

for-

mati negli elementi essenziali alla fine del V secolo a.C. e rispetto ai quali un parallelo importante sono le volute e le elici a spirale dei capitelli corinzi, già nel tempio di Apollo a Bassae?: è anche in questo periodo che comincia ad affermarsi il motivo dei fiori al centro delle volute conchiuse?. Sono però i tralci usati nell'Asklepieion e nella Tholos di Epidauro,

come

decorazione

della sima,

nell’architettura dell’Argolide

del IV secolo

e presumibilmente

anche

nella Mace-

donia, come si ricava dalle decorazioni a tralci vegetali dei pavimenti musivi, a rappresentare, data l’importanza politica e religiosa dei monumenti in cui erano impiegati, i modelli ripresi nell'ellenismo?'. In questo periodo i tralci vengono trasformati ed arricchiti e sempre maggiore diviene la lunghezza dei singoli rami nascenti dal cespo, come già si vede nella sima del tempio dei Cabiri e dell’ Arsinoeion a Samotracia®™; in particolare è adesso che diventa comune l’uso delle girali continue d'acanto anche nei fregi delle trabeazioni ioniche, così nel Santuario di Atena a Pergamo, o applicati ad altri elementi architettonici, come nei pannelli delle basi del Didymaion di Mileto. Oltre ai tralci ondulati con diramazione

agli inizi di ogni curva, si hanno tralci in cui le diramazioni assumono chiaramente l’aspetto di girali in forme sempre più «barocche»,

tramite il moltiplicarsi dei particolari vegetali lungo

il fusto dei tralci: ciò secondo

le tendenze tipiche del

tardo ellenismo*, visibili anche in mosaici del palazzo V di Pergamo e di Antiochia, con l'introduzione di grappoli e di foglie di vite o di piccoli animalettiὅδ, Negli esempi alessandrini comune ai tipi ellenistici più diffusi è il fusto del tralcio avvolto da foglie d'involucro scanalate (cat. n. 969), come si riscontra frequentemente anche in molti capitelli corinzi (cat. nn. 232-243, 257, 258, ecc.) e in un cratere marmoreo del Museo del Cairo, con steli dei tralci, sia scanalati, sia tortili”, come ancora è visibile in ca-

pitelli (cat. nn. 272, 297, ecc.); nel fregio di trabeazione sporgente (cat. n. 967) e in quelli dell’ordine superiore nel lato

settentrionale del Grande Peristilio del Palazzo delle Colonne, le girali sono intrecciate e il lato corto è decorato rispettivamente con una rosetta a girandola e con maschere teatrali.

L'intreccio dei viticci e delle girali d’acanto è ugualmente

un tratto della koiné ellenistica” e in forme particolarmente ricche si trova ancora a Pergamo, ad esempio nel frammento di tralcio con iscrizione di Livia”. Altro motivo decorativo che compare nel rivestimento di stucco di fregi parietali sono una fila di palmette nascenti dal punto di unione di tralci intermittenti ad S (cat. n. 972), mentre in basamenti stuccati o anche marmorei del periodo tolemaico (cat. nn. 25-29) compaiono sottili fregi ornati con l’antico motivo delle palmette alternate a fiori di loto, negli esempi marmorei arricchiti da calicetti e volute a spirale, secondo un sistema ornamentale risalente all’età classica, ma che trovò ampio seguito nel periodo ellenistico in Asia Minore”. A questo stesso ambiente e periodo rimandano diversi frammenti di fregi in stucco nei quali compare una serie di coppie di grifi affrontati con motivi vegetali al centro (cat. n.

972B; Fig. 76)”.

7 Roux, Architecture de l’Argolide, pp. 43-45, tav. 17. 80 F. COARELLI, G. SAURON,

in MEFRA,

86 Ip., p. 727 ss.

90, 1978, p. 713, nota 34.

8! Ip., pp. 713-716. Cfr. E. VawpERPOOL, in AJA, 61, 1957, pp. 584-85, tav. 86, per i mosaici di Palatitsa; K. Vorsis, in BCH, 100, 1976, pp. 583-84, fig. 12. ScHEDE, € M. figg. 27-52.

Antikes

Traufleisten-ornament,

Strassburg

1909,

8 Th. Kraus, Die Ranken der Ara Pacis, Berlin 1953, p. 58 ss., tav. 19. δ G. SAURON,

in MEFRA,

91,

1979, pp. 194-95.

85 F. COARELLI, G. SAURON, in MEFRA, 90, 1978, p. 712 ss.

E.W.

Von

Bissinc,

in AA,

1901, p. 207, fig. 10; C.C.

EpGAR,

Catalogue du Musée du Caire, Greek Sculpture, Le Caire 1903, tav. 29, n. 27580,a; Th. Kraus, Die Ranken der Ara Pacis, Berlin 1953, p. 55. 8 Pesce, Palazzo delle Colonne, fig. 16. 8 Ch. BORKER, in /d/, 88, 1973, p. 283 ss. 9 Th. Kraus, Die Ranken der Ara Pacis, Berlin 1953, tav. 24.

2 Tp., pp. 70-71. ® Cfr. con i noti stucchi parietali con fregi di Grifi di Pergamo: G. KAWERAU,

TH.

WIEGAND,

«Die

Paláste

der

Hochburg»,

Altertiimer

v.Pergamon, V,1, Berlin-Leipzig 1930, pp. 48-50, tav. 7.

91

IV CORNICI

1.

ORDINAMENTO

TIPOLOGICO

La sistemazione tipologica che qui si presenta, con le relative definizioni di «cornici doriche», «cornici ioniche» e «cornici ionico-corinzie», non implica che i singoli pezzi appartenessero a elevati rispettivamente dorici, ionici o corinzi, nè tantomeno

a trabeazioni

dell’ordine

corrispondente,

anche

se eventualmente

sostenute

da colonne

di ordini diversi.

In-

fatti si è ripetutamente osservato come: 1. cornici a soffitto liscio (Fig. 78), con o senza dentelli, o cornici a soffitto decorato da mensole (Fig. 77), con o senza

dentelli,

sostituiscono

spesso la cornice

a mutuli della trabeazione

dorica,

secondo

modalità

architettoniche afferma-

tesi nel periodo ellenistico un po’ ovunque nelle regioni del Mediterraneo; 2. cornici con mensole e dentelli, facenti parte di frontoncini arcuati (Ipogei 2 e 5 di Anfushi del II-I secolo a.C.}; Fig.

107;

Tav.

117,

1, 2) o di trabeazioni

orizzontali

di portali,

sono

frequentemente

usati in trabeazioni

miste

greco-e-

gizie, dove il fregio è sagomato secondo la gola egizia. All’interno di elementi prevalentemente di tradizione egizia, soprattutto di età imperiale (necropoli di Kom esh Shogafa della seconda metà del I - primi decenni del II secolo d.C.)?, sempre in timpani arcuati o in coronamenti orizzon-

0.74 2

«200 σ--

[| umm

+ 190

:

L

0.215

| d Fig. 77 - Alessandria, (da Adriani).

! ADRIANI,

92

museo,

.48e

dai cantieri Finney,

cat. n. 965

Topografia, p. 192, nn. 142, 145, tavv. 109, 113.

Fig. 78 - Alessandria, (da Adriani).

museo,

? Ip., p. 173, tav. 99, n. 122.

dai cantieri Finney,

cat.

n. 826

0.74, |———

TTT

ἘΠῚ

|

|

2

0.22

F——

Fig. 79 Adriani).

-

0.06

——3

Alessandria,

museo,

dai

cantieri

Finney

(da

tali di portali, o di edicole, o anche di pareti, la cornice a dentelli tardo-ellenistica si schematizza in una o due modanature (listello e dentelli — questi quadrati e distanziati — listello e kyma ionico).

La classificazione seguente costituisce dunque il tentativo di restituire al materiale senza precisa provenienza, ma sicuramente trovato ad Alessandria, un significato nella storia degli elevati architettonici dell'ellenismo e dell'Egitto grecoromano: ciò attraverso il dato statistico delle forme più ricorrenti, quale ad esempio risulta dalla stragrande maggioranza di cornici «ioniche» o «ionico-corinzie» o anche miste (per un totale di più di 150 pezzi), rispetto a quelle più sicuramente definibili come doriche (Fig. 79), generalmente più antiche, o comunque con elementi chiaramente dorici, come i mutuli

(4 esemplari;

Tav.

115,

6).

Questo

dato deve

essere considerato

parallelamente

al fatto che

ancora

ad Alessandria

e in altri centri egiziani, come Hermoupolis Magna, Edfu, ecc., la maggior parte dei capitelli conservati di età ellenistica, o primo imperiale ma nella tradizione alessandrina, sono corinzi o corinzieggianti (cat. nn. 180-319, 324-374, per un totale di circa 200 esemplari), molto meno ionici (cat. nn. 10-18, 104-122), di tradizione egizia (cat. nn. 160-179) o misti (cat. nn. 320-323) e ancora meno dorici (cat. nn. 1-3, 96-102).

A.

CORNICI

DORICHE

(Cat. nn. 61, 942-944)

Sono rappresentate forme canoniche, corrispondenti a periodi piü antichi, e forme miste, con l'introduzione di decorazioni ioniche dipinte sulle modanature o intagliate nel soffitto (mensole alternate a mutuli). Tipo 1. (cat. n. 61) Forma canonica con mutuli e guttae sotto il geison orizzontale o senza guttae e con la c.d. doppia regula (frontoncini di Shatbi); Tipo 2. (cat. nn. 942-943) Sima a gola diritta, corona liscia e soffitto con mutuli. Seguono una gola rovescia su cui è dipinto un kyma lesbico, una taenia, un ovolo liscio su cui è dipinto un kyma ionico, un astragalo e una fascia.

Tipo 3. (cat. n. 944) Sima a gola diritta e sottile corona liscia. Il soffitto è decorato da mutuli a cui si alternano coppie di mensole; in mezzo a queste vi sono rosette. Seguono un ovolo liscio, dentelli, un astragalo e un listello liscio.

B.

«CORNICI

IONICHE»

1. Cornici con il soffitto della corona liscio (Cat. nn. 800-814) Sotto questa denominazione sono indicati frammenti di cornice, o anche esemplari interi, nei quali la sima è costituita da una gola diritta, separata tramite un listello, talvolta leggermente arrotondato in modo da suggerire un astragalo liscio,

dalla

corona

liscia

e

sottile,

con

soffitto

ugualmente

liscio,

senza

mensole.

Talvolta

il margine

inferiore

della

corona sporge con un peduncolo rispetto al piano del soffitto (nn. 804-806). La prima modanatura della sottocornice è un cavetto, cui segue un ovolo nei nn. 800-801, 805-808, un cavetto e una fascia nel n. 803. Nel n. 804, in luogo del cavetto e dell’ovolo, nella sottocornice si trovano tre cavetti in successione.

Differenti sono le modanature dei nn. 802 e 809, perché manca la corona in quanto appartenevano a coronamento di lesene

o a comici

di finestre

o di porte.

I nn.

810-811

conservano

il sottile rivestimento

in stucco,

con

tracce

di colore

azzurro, nella sima. Lo stesso i nn. 813-814, dove nell’ovolo sotto il soffitto il n. 813 presenta modellato in stucco un kyma ionico, che nel n. 814 è solo inciso perché doveva risaltare solo attraverso i colori. Infine va rilevato che i nn. 800-802 sono intagliati insieme al fregio liscio. 93

2. Cornici con dentelli (Cat. nn. 815-847) Sotto questa denominazione vengono indicate le cornici la cui sima a gola diritta è separata tramite un listello dalla sottile corona liscia: questa presenta il soffitto liscio e la variante principale è costituita dalla sporgenza con peduncolo del margine inferiore della corona sul soffitto. Variazioni più numerose sono presenti nella sottocornice con dentelli. Tipo

2,1

(cat.

nn.

815-818).

I dentelli

sono

rettangolari

e molto

ravvicinati;

ad essi inferiormente

seguono

un

cavetto

e

una fascia liscia. I nn. 817-818 presentano inoltre un tratto intermedio tra i dentelli, retrostante rispetto ad essi in quanto la pietra non è stata scalpellata in profondità. Inoltre in questi due ultimi esemplari tra il soffitto e i dentelli vi è un solo listello, mentre nei nn.

815-816

vi è un listello e un cavetto.

Tipo 2,2 (cat. nn. 819-828). I dentelli sono rettangolari e abbastanza ravvicinati, sopratutto nei nn. 819-821, che si distinguono anche perché tra il soffitto e i dentelli vi è soltanto un listello. Uguali sono invece le modanature inferiori costituite da un

ovolo,

un listello e una

sottile fascia.

Il n. 826

conserva

il sottile rivestimento

in stucco,

su cui sono

stati

dipinti un kyma lesbico, in giallo, tra il soffitto e i dentelli, un kyma ionico e un astragalo, in giallo su fondo rosso.

Tipo 2,3 (cat. nn. 829-831). Negli esemplari di questo tipo i dentelli sono rettangolari e non troppo ravvicinati, soprattutto

nei

nn.

830-831.

Tra

il soffitto

e i dentelli

vi è un

listello,

mentre

le modanature

inferiori

sono

costituite

da un

ovolo liscio e da un listello, molto retrostante rispetto ad esso. Tipo 2,4 (cat. n. 832). L’unico esemplare che presenta sopra i dentelli un ovolo è il n. 832, che però non è precisamente definibile, in quanto sono spezzate la sima e la corona. Sotto i dentelli le modanature sono costituite da un listello e un cavetto, come nel tipo 1. Tipo 2,5 (cat. nn. 833-839).

Vi sono raccolti gli esemplari simili ai nn. 823-825

del tipo 2,2, cioè con un listello e ca-

vetto sopra i dentelli, ma con i sottostanti ovolo e listello costituenti il coronamento di un fregio liscio intagliato nello stesso blocco. Il fregio è abbastanza stretto nei nn. 833-835, più alto, e limitato inferiormente da un astragalo liscio sporgente, nel n. 837, a cui si aggiunge una gola rovescia nel n. 836. Nel n. 838 invece il fregio è leggermente concavo. Tipo 2,6 (cat. nn. 840-847). In questo tipo sono raccolte le cornici le cui modanature, uguali a quelle del tipo 2,2, si arrestano ai dentelli: la superficie inferiore di questi coincide col piano di posa. Le uniche varianti sono costituite dalla sporgenza della corona sul soffitto liscio (cfr. n. 841).

C.

«CORNICI IONICO-CORINZIE »

3. Cornici con soffitto della corona a mensole semplici («A travicello») (Cat. nn. 848-877) Sotto questa denominazione sono raggruppate le cornici la cui sima a gola diritta è separata tramite un listello dalla sottile corona liscia: questa presenta il soffitto sorretto da piccole mensole, con la superficie inferiore percorsa da una scanalatura mediana. Le variazioni possono riguardare la presenza di una incorniciatura o meno attorno alle mensole e l’articolazione

della sottocornice,

che in alcuni casi è unita al fregio liscio.

Tipo 3,1 (cat. nn. 848-868). Sima con gola diritta separata tramite un listello dalla corona liscia. Soffitto sorretto da mensole rettangolari, incorniciate da gola rovescia schematica e con superficie inferiore percorsa da scanalatura mediana. Lo spazio tra le mensole è liscio e piatto. La sottocornice è articolata in ovolo, listello, fascia. Il n. 866 presenta sotto le mensole soltanto un listello. I nn. 867-868 presentano invece un leggero cavetto come prima modanatura della sottocornice,

cui segue un sottile ovolo liscio, un listello e una fascia.

Tipo 3,2 (cat. nn. 869-877). Gli esemplari di questo tipo sono intagliati col fregio liscio e presentano la sopracornice uguale a quella precedente; le mensole sono prive di incorniciatura, sottili e a sezione leggermente trapezoidale nei nn. 875-876,

mentre

sono

incorniciate,

oltre che da una

schematica

gola rovescia,

anche

da un listello nei nn.

869-871,

873,

quest’ultimo con bastoncino sulla superficie inferiore delle mensole, e non con una semplice scanalatura mediana. Inferiormente seguono un ovolo appiattito e un listello, che costituiscono l’incorniciatura di un fregio liscio (nn. 869-870), nella maggior parte dei casi limitato inferiormente da un astragalo liscio sporgente, un listello (questo solo nei nn. 872, 874) e una fascia (nn. 871-876). Solo il n. 877 si diversifica per le modanature tra le mensole e il fregio con listello, due fasce oblique e cavetto. 4. Cornici con mensole profilate a «S» (tipo Rodio) (Cat. nn. 878-883) In questo tipo, rimanendo la sima uguale ai tipi precedenti, le mensole presentano l’importante variazione della superficie inferiore, sempre scanalata al centro, ma non piatta, bensì modanata ad S, con ampia curva concava sul retro che si prolunga su una larga fascia rientrante posta tra il soffitto e l’ovolo. Le

mensole

iniziano

inoltre

sul margine

superiore

dell’ovolo

liscio

nel

n.

878,

mentre

nel

n.

879

l’ovolo

diviene

molto sporgente e costituisce il coronamento superiore di un fregio a leggera gola rovescia, limitato inferiormente da un largo astragalo sporgente liscio e da una fascia.

94

5. Cornici con grandi mensole semplici di tipo pergameno (Cat. n. 884) "D

Con questa denominazione è indicato un frammento di cornice, con lacunare nel soffitto riempito da un ovolo liscio e appiattito.

n. 884,

con una grande mensola

parallelepipeda e

6. Cornici con mensole semplici separate da cassettoni (Cat. nn. 65-69) Le modanature della

corona.

sono

Sotto

tutte riportate in stucco.

il soffitto

vi

sono

sottili

La sima é a leggera gola diritta, separata tramite un astragalo liscio

mensole

rettangolari,

scanalate

al centro

e incornicate

da

un

piatto

ovolo

liscio, che continua assottigliato anche sul lato posteriore dei cassettoni intermedi: questi sono chiusi sul lato anteriore da

un sottile listello. Sembra che le mensole risultino formate dall'unione delle incorniciature dei cassettoni, separate dalle scanalature.

Nei

nn.

66-67

si conservano

decorazioni:

a disco

circolare,

forse una rosetta,

in uno

dei cassettoni,

e a fiore

di tre foglie in un altro.

7. Cornici con mensole semplici e ,dentelli (Cat. nn. 885-895) Sotto questa denominazione sono raggruppate le cornici con sima a gola diritta, separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia; questa presenta il soffitto sorretto da piccole mensole, con la superficie inferiore percorsa da una scanalatura mediana. Ad esse seguono'i dentelli e le variazioni all’interno di questo gruppo riguardano appunto la forma dei dentelli e delle successive modanature. Tipo 7,1 (cat. nn. 885-886).

I dentelli sono rettangolari, piuttosto allungati e ravvicinati tra di loro, e ad essi seguono un

ovolo liscio, un listello e una sottile fascia. x

Tipo 7,2 (cat. nn 887-888). Le mensole sono molto sottili e a sezione trapezoidale; il loro contorno è accompagnato da una scanalatura che unisce anche sullo sfondo lo spazio intermedio. I dentelli, rettangolari sono ravvicinati moltissimo tra di loro. Tipo 7,3 (cat. nn. 889-892). La sopracornice e i dentelli sono molto simili al tipo 7,1, da cui differiscono per le modanature della parte inferiore, costituite da un appiattito ovolo liscio, un listello arrotondato, una fascia leggermente obliqua, una gola rovescia e una stretta fascia degradante.

Tipo 7,4 (cat. n. 893). La sopracornice è simile a quella dei tipi 7,1-3, mentre variano notevolmente i dentelli, quadrati e distanziati tra di loro quanto la larghezza. La cornice è inoltre unita al fregio liscio. Tipo 7,5 (cat. n. 894). Appartiene ad una cornice obliqua di frontone, per la sopracornice uguale al tipo 7,1-4; presenta sotto ristretti e allungati dentelli, un’ampia gola diritta e una fascia. Tipo 7,6 (cat. n. 895). rettangolari.

8. Cornici con mensole 86-89, 896-915)

Differisce dai tipi precedenti per la corona,

semplici

alternate

a mutuli

schematizzati

ridotta ad un sottile listello, e per i dentelli appena

e ridotti

a incorniciature

quadrangolari

(Cat.

nn.

Sotto questa denominazione sono raggruppate le cornici con sima a gola diritta, separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia (Figg. 80, 81). Il soffitto è però sostenuto, o meglio decorato, da mensole semplici alternate a mutuli schematizzati, senza guttae e ridotti a incorniciature quadrangolari vuote all’interno («a meandro»). A

seconda

delle

forme

delle

due

decorazioni

del soffitto

e della loro

successione,

si possono

distinguere

i seguenti

tipi: Tipo 8,1 una

(cat. nn.

scanalatura

896-903).

mediana

Sia le mensole

sulla superficie

ture della sottocornice,

costituite

invece nei nn.

dove

898-903,

semplici,

inferiore,

da un ovolo

sia quelle «a meandro»

eccetto

nei nn.

liscio tra due

899,

901,

sono a sezione rettangolare e presentano

con

listelli a cui segue

è sostituito da una fascia più o meno

alta.

la superficie

liscia.

un fregio

nei nn.

Variano

896-897,

Solo nel n. 899 vi sono due mensole

le modana-

mancante a meandro

in successione.

Tipo 8,2 (cat. nn. 904-911). Le mensole sono a sezione trapezoidale, molto strette e allungate quelle semplici, che presentano una profonda scanalatura mediana, la quale si prolunga dietro la fascia che le unisce alle incorniciature quadrangolari. In queste i lati interni sono meno obliqui rispetto a quelli esterni, in modo che le scanalature mediane delimitano tre listelli, all’interno dei quali lo spazio è quadrato. Un’incisione profonda e continua accompagna inoltre il contorno delle mensole e delle incorniciature e la fascia che le unisce. Le modanature della sottocornice sono costituite da una gola

e un ovolo liscio tra due listelli. Solo i nn. 905-906 presentano unicamente le mensole semplici, ma per il tipo di modanature e di lavorazione sembrano appartenere alla stessa trabeazione degli esemplari di questo tipo, tra l’altro quasi tutti caratterizzati da sigle incise sul piano di posa. 95

^

2 Fig. 80 - Alessandria, 914 (da Adriani).

museo,

dai cantieri Finney,

Fig. 81 - Alessandria, 915 (da Adriani).

n.

cat.

museo,

dai

cantieri

Finney,

cat.

n.

Tipo 8,3 (cat. n. 912). E simile al tipo precedente, ma ne differisce per l'aspetto di cassettone delimitato da quattro listelli assunto dallo spazio all'interno delle incorniciature quadrangolari «a meandro». Le mensole semplici inoltre presentano una sezione trapezoidale molto espansa alla base. Tipo 8,4 (cat. nn. 86-89, 913-915). Le incorniciature quadrangolari sotto il soffitto sono simili a quelle del tipo 8,2 e talvolta non

sono

presenti,

forse

per

la limitata

dimensione

dei blocchi

conservati,

mensole

semplici.

Inoltre,

a differenza

del tipo 8,3, il punto di passaggio nell'angolo è risolto nel n. 914 con un'incorniciatura ridotta a due lati soltanto, mentre nel n. 913 con la continuazione intorno all'angolo delle modanature delle mensole. 9.

Cornici

con

mensole

semplici

alternate

a mutuli,

schematizzati

a

incornicature

quadrangolari,

e dentelli

(Cat.

nn.

916-923) Sotto questa denominazione sono raggruppate le cornici con sima a leggera gola diritta separata, tramite un listello leggermente arrotondato, dalla sottile corona liscia. Come nel gruppo precedente il soffitto è sostenuto da mensole semplici alternate a incorniciature rettangolari, in entrambi i casi con la superficie inferiore percorsa da una scanalatura abbastanza larga, che solo nel n. 917 è riempita da un bastoncino. I dentelli sono in tutti i casi stretti, allungati e piuttosto ravvicinati: sono separati dal soffitto tramite un listello e una schematica gola rovescia. Questa talvolta assume chiaramente l’aspetto di un listello obliquo, a cui ne segue uno verticale (nn. 916-917), oppure di un astragalo liscio e di un listello (nn. 920-922). In tutti i casi sotto i dentelli vi è un ovolo liscio piuttosto appiattito ed obliquo, mentre variano le modanature successive: una fascia liscia nel n. 916, un’ampia gola

nel n. 923, mentre nei nn. 919-920, e forse anche nel 918, il successivo profilo si articola in un astragalo liscio sporgente, una faenia leggermente obliqua, un altro ovolo liscio appiattito, a cui seguono due taeniae degradanti. 10.

Cornici con solo mutuli, schematizzati a incorniciature rettangolari, alternati a fiori (Cat. n. 924) La

sima è a gola semplice,

unita direttamente

alla sottile corona

liscia, mentre

il soffitto è sostenuto,

in luogo

delle

mensole, da ampie incorniciature quadrangolari che ricordano più i cassettoni che non i mutuli di cui il motivo costituisce forse una schematizzazione: a queste si alternano rosette di varia forma. 11.

Cornici con mensole a losanga (Cat. nn. 925-927) Presentano una sopracornice costituita da una corona liscia con fascia superiore sporgente, mentre il soffitto è deco-

rato da losanghe, con i listelli che le delimitano scanalati al centro. La sottocornice è costituita da un semplice ovolo liscio tra due listelli e da una sottile fascia. Le losanghe riprendono il motivo delle incorniciature quadrangolari, inclinate come per rendere illusionisticamente le obliquità dei geisa di un frontoncino. 12.

Cornici

con mensole

semplici e rombi

(Cat.

nn.

928-935)

Le cornici di questo gruppo presentano le consuete sima a gola diritta e corona liscia, separate da un listello obliquo, mentre il soffitto è sostenuto da piccole mensole rettangolari a cui si alternano rombi allungati. In base alla forma delle mensole e alle modanature della sottocornice, si possono distinguere si seguenti tipi: Tipo 12,1 (cat. nn. 928-930). Le superfici inferiori delle mensole e dei listelli che formano i rombi sono scanalate al centro. La sottocornice è sagomata con un ovolo liscio, preceduto da un cavetto, nei nn. 928-929, a cui seguono un listello e una fascia sottile.

96

Tipo 12,2 (cat. nn. 931-933). mano il rombo.

Le mensole sono più sottili ed allungate e lisce inferiormente, come anche i listelli che for-

Tipo 12,3 (cat. n. 934). In luogo della sottocornice vi sono due larghe mensole a gola diritta. Tipo 12,4 (cat. n. 935). Presenta singole mensole, e non coppie, alternate ai rombi ed inoltre costituisce la cornice di un tetto a spiovente, con soffitto che riprende in piü ampie dimensioni il motivo della mensola rettangolare alternata a coppie di cassettoni con coppie di rombi accostati. 13.

Cornici con mensole semplici,

rombi e dentelli (Cat. n. 936)

Abbastanza simile agli esemplari del tipo precedente, da cui differisce soprattutto per l'introduzione, tra il soffitto e l'ovolo liscio, di una serie di dentelli rettangolari, stretti e abbastanza ravvicinati. 14.

Cornici con mensole semplici,

rombi,

rosette e dentelli (Cat. n. 937)

Introduce tra le coppie di mensole e al centro del rombo una rosetta; 1 dentelli sono quasi quadrati e superficialmente distinti, lo stesso il kyma ionico con gli ovoli rovesciati. 15.

Cornici con soffitto

a meandro

(Cat. nn. 938-941)

Vi é la consueta sima a leggera gola diritta, separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia; il soffitto & decorato con doppio meandro, nei nn. 940-941 arricchito da un quadrato che si alterna al punto di incrocio dei due meandri, motivo che si ritrova anche nel soffitto della cornice della semicupola n. 973. Soffitti decorati di volte, con sottili cornici a mensole sul fronte (Cat. nn. 973-978) Vi sono compresi sei esemplari, il primo appartenente ad una semicupola di edicola, quattro a volte arcuate, sovrastanti passaggi colonnati con soffitto decorato a cassettoni, l'ultimo invece ad un frontoncino spezzato con leggera curvatura convessa. Dovevano far parte, soprattutto il primo e l'ultimo, di architetture più complesse, con edicole al centro di frontoncini

spezzati,

come

nel Palazzo

delle Colonne

a Tolemaide

(ordine

superiore del lato settentrionale

del Grande

Pe-

ristilio). Tipo 1 (cat. nn. 973-975). un

frontoncino

spezzato,

Nel n. 973 la semicupola costituiva il coronamento di un’edicola ed era inserita all’interno di come

mostrano

le fratture

alle estremità

inferiori

laterali,

che

indicano

un

collegamento

con

il

geison orizzontale, interrotto del frontoncino. Il soffitto è decorato con cassettoni esagonali, direttamente collegati fra loro, ognuno dei quali a sua volta racchiude un cassettone interno ribassato. Sul fronte il soffitto presenta una sottile cornice, con sima a gola diritta e corona dal soffitto decorato a doppio meandro, alla cui base seguono dentelli molto ravvicinati. Nei nn. 974-975 il soffitto è decorato da file accostate di cassettoni esagonali, a cui si alternano file di rombi allungati che riempiono gli spazi liberi tra gli esagoni. Anche in questo caso, all’interno dei cassettoni vi è un altro esagono ribassato, separato dal fondo tramite una scanalatura. Sul lato anteriore la volta presenta un architrave a doppia fascia, sopra cui vi è una cornice con dentelli stretti ed allungati e soffitto decorato o a meandro o con mensole. Tipo 2 (cat. n. 976). I cassettoni esagonali, sempre disposti in file parallele, sono a loro volta iscritti in un altro esagono, che serve da elemento di separazione tra i cassettoni contigui e forma su quattro lati opposti un doppio meandro («motivo a svastica»), il quale riempie lo spazio quadrangolare tra i cassettoni. Tipo

3 (cat.

n.

977).

Il soffitto

è decorato,

con

cassettoni

quadrati

molto

profondi,

con

cassettone

ribassato

iscritto;

al

centro del soffitto, nella parte anteriore, in luogo di quattro cassettoni quadrati, vi è un unico grande cassettone a rombo, con altri due della stessa forma iscritti. Sul fronte vi è una cornice con sima a gola diritta, corona liscia e soffitto con piccole mensole alternate a incorniciature quadrangolari. Tipo 4 (cat. n. 978). Il soffitto ha un andamento leggermente convesso e apparteneva ad uno dei due spioventi della copertura di un’edicola con frontoncino spezzato. È decorato con piatti cassettoni quadrati con motivi geometrici, separati da un travetto che ha assunto l’aspetto di mensola rettangolare, con lacunare sempre rettangolare. Sul fronte presenta una sottile cornice con mensoline, sotto cui si distinguono baccellature ed un astragalo.

D.

TRABEAZIONI

DORICHE

CON

CORNICI

«IONICO-CORINZIE » (Cat. nn. 960-966)

A questo gruppo appartengono le cornici intagliate insieme ad un fregio (intero o solo alla parte superiore di questo; Fig. 82; Tav. 135) e, quando si conserva, ad un architrave dorici. Le cornici rientrano soltanto nel gruppo «ionico-corinzio», cioè con il soffitto sorretto da mensole: i nn. 961-964 nel tipo 3, il n. 965 nel tipo 7. Solo il n. 960 si differenzia per la forma delle mensole, piuttosto spesse, anzi decisamente parallelepipede e prive della scanalatura centrale, in modo abbastanza simile alle mensole delle cornici pergamene (v. oltre). La trabeazione dorica a cui appartenevano questi 97

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82

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Alessandria,

museo,

dai

zT cantieri

Finney,

cat.

n.

966

i

(da Adriani).

Fig.

83

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|

l

A]

- Tolemaide,

Palazzo

delle

= 50... ———

Colonne,

ordine



inferiore

del

Gran Peristilio (dal Pesce).

esemplari era molto probabilmente sostenuta, più che da capitelli dorici, da capitelli ionici, pilastrini o ante con semplici incorniciature come coronamento.

E. TRABEAZIONI 897)

IONICHE

CON

CORNICI

IONICHE

E «IONICO-CORINZIE»

(Cat.

o meglio corinzi, ma anche da

nn.

833-839,

869-877,

893-

Nei tipi sopra elencati abbiamo incluso anche le cornici intagliate insieme a fregi lisci, che permettono dunque di definire come ionico l'elevato originario a cui appartengono i frammenti. Si sono descritte le cornici nn. 833-839 nel tipo 2,5, nn. 869-877 nel tipo 3,2, n. 893 nel tipo 7,4, nn. 896-897 nel tipo 8,1.

2.

STORIA DELLE FORME

A. CORNICI SEMPLICI Il fatto

di trovare

due

o tre modanature

alla base

del

soffitto

della

cornice

ha

riscontri

in Asia

Minore,

dove

ad

esempio nel tempio di Atena a Priene vi è un'associazione di tre profili (cavetto, astragalo ed ovolo)*. In ogni caso è noto come, dal V secolo a.C., sia stata introdotta in Attica (tempio del Sunio) la gola rovescia, che a partire da questo momento diventa la modanatura più impiegata al di sotto del soffitto (tempio B di Coo, ginnasio di Mileto, agorà di Magnesia,

ecc.),

anche

se

non

cessa

mai

l'uso,

di

antica

tradizione,

dell’ovolo:

così

nell’ Artemision

di

Magnesia

o nel

tempio di Apollo ad Aegae*. Va rilevato che, quando è usato il calcare locale stuccato e soprattutto quando le cornici sono impiegate in architetture civili o private di minore importanza (v. gli ipogei funerari alessandrini), o ancora in dipendenza di una particolare funzione architettonica di sottolineatura o di stacco, queste stesse modanature possono subire varie interpretazioni, che ne semplificano o ne complicano la successione delle sagome. Il prevalente profilo a gola diritta della sottile sima delle cornici alessandrine del Museo si rifà alla consueta forma canonica dell’architettura ionica, che si estese anche all’ordine dorico soprattutto a partire dal tardo IV secolo a.C. (tempio di Atena e stoà di Lindos?, portico B5 dell’agorà di Cirene”, Palazzo delle Colonne a Tolemaide — ordine inferiore del Grande Peristilio?) (Fig. 83). È stato già osservato come, nell’uso della gola diritta (cyma recta), sia avvertibile, nel corso del tempo, una tendenza ad una maggiore sporgenza e alla scomparsa degli elementi verticali?.

3 A. Von GERKAN, in AM, 43, 1918, p. 165ss.; Ip., Von antiker Architektur, 1959, fig. 1; W. Von Snow, in RM, 91, 1984, p. 307 ss. ^L.T. SHoE, Profiles of Greek Mouldings, New York 1936,

p. 12 ss. 5 E. Dyceve,

98

chitecture lidienne, Berlin-Copenhagen 1960. $ S. Succui, L’Agorà di Cirene, I, Roma 1965, p. 147ss.; L. BAcCHIELLI, L’Agora di Cirene, Il,1, Roma 1981, p. 98, fig. 96.

7 Pesce, Palazzo delle Colonne, tav. 8,d. Lindos,

IIl, 2, Le sanctuaire d'Athena Lindia e l'ar-

8 SHOE,

op. cit., p. 92 ss.

Anche sulla sima, soprattutto quando & usato il calcare locale stuccato, o in base alla posizione e funzione architettonica della cornice (ad esempio nei portali o nei coronamenti di pareti, di architravi o di grossi pilastri) (Figg. 84, 85), possono intervenire variazioni che ne semplificano la forma, irrigidendone il profilo o riducendone la curvatura: di conseguenza in un'architettura di maggiori dimensioni poteva essere maggiormente avvertibile un'articolazione del profilo non in gola diritta, bensi ad esempio in un cavetto (gola semplice) e in un ovolo, distinti da un angolo vivo della pietra. Se

questo profilo è più comune nella Sicilia e nella Magna Grecia di età ellenistica, dove la sima a gola diritta è attestata invece in pochi casi’, esso compare anche in Egitto, in alcune cornici di edicole e di portali, come risulta da disegni dal Delbrück?, nei quali la gola semplice e l'ovolo appaiono anche separati da un listello!°. Tuttavia, da altri profili greco-egiziani di cornici ritrovate a Dionysias, o di nuovo disegnati dal Delbrück!', risulta come coronamento della cornice sia un ovolo ad arco di cerchio o appiattito, sia una irrigidita gola rovescia, che appare o appiattita o appena concava. Una sima a leggera gola semplice compare nella trabeazione dorica dell'ipogeo n. 1 di Mustafa Pascià, del III secolo a.C.!, e in una cornice in stucco di Priene!; d'altronde sono noti i profili a gola semplice della sima nei portici dorici dell'agorà

di Cirene!, o a gola rovescia dei propilei nord di Epidauro ! e di molte cornici ellenistiche siciliane. La gola diritta è però sempre la forma più diffusa nell’Oriente ellenistico anche per i coronamenti di cornici all’interno

di edifici

civili,

ad esempio

ancora

a Priene,

in un’altra cornice

in stucco

con

kymatia

ionici

e lesbici

sovradipin-

ti’®, nel teatro ellenistico di Mileto!” e ad Alessandria: qui, nonostante le forme irrigidite, dovute alle piccole dimensione di molti degli esemplari ritrovati nelle necropoli (Fig. 86) e al previsto rivestimento di stucco, raramente conservatosi, pare riconoscibile prevalentemente questo profilo, impiegato sicuramente nell’architettura ufficiale già dal III secolo a.C., come mostrano le cornici, più volte citate, dell’Edificio del Quartiere Reale e del santuario tolemaico di Hermoupolis Magna

B.

(cat. nn.

CORNICI

4-7,

CON

19, 65-69).

MENSOLE

Uno degli elementi più caratteristici delle forme architettoniche alessandrine sono le sottili mensole a «travicello», che non tanto sostengono, quanto decorano il soffitto delle cornici, mettendone in risalto la sporgenza (Tavv. 117, 6 = 136, 2). La maggior parte delle cornici con questo tipo di mensole note ad Alessandria è di piccole dimensioni e appartiene

all’architettura

funeraria

o

degli

interni

delle

case;

non

mancano,

tuttavia,

esempi

dall’architettura

monumentale,

come mostrano frammenti di un grande portale in granito di Assuan, coronati da un geison a mensole, provenienti dal Serapeo (cat. nn. 33-34): anche se di età imperiale, essi attestano la continuità d’uso ad Alessandria stessa di questa tradi-

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museo,

old.

-| |

dai

cantieri

Finney

(da

Adriani). 3 R.B.

? W.

HOF

Von

Sipow,

in RM,

91,

1984,

pp.

249

ss.,

305

ss.

? DELBRUCK, Hellenistische Bauten, p. 167. fig. 114,1,3. H Ip., fig. 114,2,4; J. Scawartz, H. Wirp, Qasr-Qarun/Dionysias, 1950, Fouilles Franco-Suisses, Le Caire 1969, p. 14 ss., fig. 9. 1? ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 84, fig. 34.

zu Berlin,

4 5 16 "

WARTKE, 18,

1977,

in Forschungen p. 33,

fig.

und Berichte

staatliche Museen

18.

S. Sruccur, L’Agorà di Cirene, I, Roma 1965, passim Roux, Architecture de l'Argolide, p. 266, fig. 73. WARTKE, art.cit., p. 42, fig. 32. F. Krauss, Das Theater von Milet, I, Berlin 1975, fig. 200.

99

zione architettonica tolemaica, e lo stesso si riscontra nel timpano di una delle porte della fortezza di Babylon (Tav. 128) e nelle cornici del Serapeo del Mons Porphyrites, della prima età adrianea (cat. nn. 86-91). Il problema dell'origine di questa forma va inquadrato in quello piü generale della storia delle cornici con mensole: si tratta di una forma caratteristica dell'età ellenistica, che compare, più o meno contemporaneamente nella prima metà del II secolo a.C. in diverse località del Mediterraneo orientale, tuttavia con caratteristiche diverse e senza la possibilità di determinare dove compaia per la prima volta, anche perché lo sviluppo dell’architettura ellenistica nel Il secolo a.C. non è ancora stato studiato in tutte le sue articolazioni’*. In ambiente pergameno le mensole hanno forma di blocchi squadrati e piatti, e non posseggono decorazione esterna fino a tutto il II secolo a.C.: fa eccezione il portico di Aegae a due piani, quello inferiore con ordine dorico e un sistema di quattro triglifi per interasse, quello superiore ionico, corrispondente a quello inferiore anche nel sistema di quattro mensole: queste hanno il soffitto scanalato al centro e sono alternate a cassettoni piccoli e in bassorilievo, con incornicia-

tura plastica e a sezione arrotondata ?. Diverse dalle forme pergamene sono le cornici con mensole di Rodi, nel II secolo a.C. impiegate soprattutto nelle edicole, perché mentre nelle prime le mensole e i cassettoni sono autonomi, con propria incorniciatura, nelle seconde sono

fortemente connessi. In ambiente rodio, infatti, viene ripreso nelle coperture delle edicole il tipo di soffitto a cassettoni quadrati del IV secolo a.C. (Philippeion di Olimpia); ne deriva che questi pendono anche all'esterno nella parte inferiore delle cornici, per cui si aggiunse una fila di mensole come sostegno?: è per questo che le mensole, con profilo a S, ven-

nero applicate direttamente e allineate sulle incorniciature dei cassettoni contigui?!.

5

20

_

$0 cm.

Fig. 86 - Alessandria, necropoli Mustafa Pascià (da Adriani).

di

Nel tardo II e nel I secolo a.C. si verificano frequenti mescolanze delle due forme, ma i geisa di tipo rodio conservano

l'articolazione

in mensole

e in cassettoni

incorniciati:

nella Torre

dei Venti

ad Atene,

del I secolo

a.C.,

la cornice

interna del secondo ordine riprende nel profilo esempi pergameni, ma con l'uso di mensole rodie poggianti su una taenia

e con la sorprendente introduzione di dentelli sul lato frontale del geison?. I due tipi di cornici, inoltre, verranno preferibilmente usati con trabeazioni doriche (primo esempio nell'entrata del ginnasio di Assos, con mensole che ancora ripren-

dono il ritmo del fregio), più che in quelle ioniche, all'interno della cui tradizione si erano formati, e presto, soprattutto il tipo rodio, verranno usati anche come cornici delle pareti?. I due tipi si diffondono largamente in Grecia e in Asia Minore nel corso del I secolo a.C., mantenendo la distinzione tra le mensole e i cassettoni: rispetto ad essi notevolmente diversa appare la forma delle cornici con mensole che si afferma nell'Egitto tolemaico. Qui uno dei primi esempi noti é costituito da alcuni frammenti di cornici rinvenuti nel san-

tuario di Hermoupolis Magna (cat. nn. 65-69) e probabilmente attribuibili allo stesso complesso, che risale al terzo quarto del HI secolo a.C.: i soffitti delle cornici presentano una decorazione, completamente lavorata nello stucco, a forma di cassettoni con fiori al centro; quattro listelli delimitano i campi quadrati, a loro volta incorniciati su tre lati (escluso quello frontale) da un astragalo e da un ovulo lisci. Vengono cosi a trovarsi unite le incorniciature laterali dei cassettoni con18 Von Hesperc, Konsolengeisa, per la storia degli studi.

? Ip., p. 32.

20 Ip., p. 48.

100

p. 87 ss., a cui si rimanda

anche 2 Tp., p. 48.

? In., p. 53. ? Ip., p. 57.

tigui, per cui diventa necessaria una scanalatura centrale per distinguerli: sono comunque queste incorniciature unite a dare l'effetto di una sottile mensola. La stessa origine devono avere molte altre «mensole a travicello» del museo di Alessandria: esse sono a sezione tra-

pezoidale e divise da una scanalatura in due metà, ciascuna in continuazione dell'incorniciatura che si trova sul retro dello spazio quadrangolare intermedio, simile a un cassettone (Fig. 87), ma negli esemplari conservatisi (cat. nn. 887, 904-911, 912, quest'ultimo in marmo; Fig. 88) quasi sempre privo dell'originario rivestimento in stucco, su cui spesso che dove-

vano essere sovradipinti i cassettoni” (Fig. 89). Variazioni sulle incorniciature dei cassettoni sono anche riscontrabili in un altro gruppo,di cornici (cat. nn. 896-923), nel quale alle mensole «a travicello» si alternano incorniciature quadrangolari delimitanti un campo quadrato, ma non nella tradizionale successione di mensole e cassettoni: infatti tra le mensole e le incorniciature quadrangolari sono inseriti spazi rettangolari, aperti frontalmente o chiusi da un listello in leggero rilievo (cat. n. 912). In questo tipo vi è da una parte la suggestione della mescolanza degli ordini, chiaramente visibile nel cat. n. 944, dove alle mensole si alternano rispettivamente rosette e mutuli con guttae, dall'altra la forte suggestione dei cassettoni (v. le mensole rodie), che prendono il posto dei mutuli alternati a mensole dell'esempio citato: in tal modo si spazieggia, e nello stesso tempo si sottolinea, la superficie del soffitto tramite l'arricchimento della decorazione plastica.

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30

con

Fig. 87 - Alessandria, necropoli di Mustafa Pascià (da Adriani).

Va rilevato che la sottigliezza delle mensole egiziane è stata giustificata in base a trasformazioni della funzione costruttiva di elementi di diverso materiale: la sua diversità dagli altri tipi di mensole ellenistiche è stata infatti spiegata interpretando le mensole come la terminazione di un travicello (da qui il nome) del graticcio in legno di un pergolato o della copertura di un baldacchino, in modo simile ad una decorazione di parete della villa di Boscoreale”. Gradi intermedi di un’architettura lignea, che avrebbero potuto favorire la variante egiziana della mensola ellenistica, apparterrebbero al periodo tolemaico, come si ricava dalla nota descrizione del padiglione di Tolomeo II Filadelfo, ricostruito dallo Studniczka con un geison a mensole di legno”, e dalla rappresentazione di un baldacchino nel mosaico nilotico di Palestrina?”: un’eco di ciò è vista dal von Hesberg in un'edicola del piano superiore nel Grande Peristilio del Palazzo delle Colonne a Tolemaide, dove il soffitto dei due spioventi del frontoncino interrotto è articolato in cassettoni con decorazione geometrica, distinti da travi in forma di mensole, queste chiaramente alludenti al graticcio di legno del tetto; a sua volta gli spioventi presentano sul fronte un sottile geison con mensole «a travicello»*. Va sottolineato che pezzi identici agli spioventi ora descritti sono conservati nel Museo di Alessandria (cat. n. 978). È difficile dire (pur essendo possibile) se i graticci,

tombe

nel

loro

reticolo

a scacchiera,

possano

aver

favorito

la loro

assimilazione

a soffitti

cassettonati,

alessandrine appaiono riprodotti in pittura proprio come scacchiera (ipogei 2, 5 di Anfushi)?.

che

in alcune

Anche per Alessan-

dria, come per Rodi, si può attribuire, quindi, un certo ruolo alle ripartizioni del soffitto nel determinare la forma che assume la superfice inferiore delle cornici, e quindi delle mensole e dei campi quadrangolari o dei cassettoni ad esse alternati: da qui deriva anche il carattere non tanto di sostegno del geison, quanto piuttosto di decorazione, assunto dalle mensole «a travicello», che ben si addiceva al tipo di contesto architettonico di piccole dimensioni in cui erano soprattutto utilizzate (edicole,

porte,

coronamenti

di pareti all’interno,

2 Ip., p. 35, nota 119, per confronti in altri centri ellenistici. Per esempi alessandrini di cassettoni dipinti v. H. TurERsCH, Zwei antike Grabanlagen bei Alexandria, Berlin 1904, tav. 2,f; ADRIANI, Topo-

grafia, n. 93, p. 146 ss., tav. 71, fig. 236 (Mafrusa). 2% P.W.

LEHMANN,

Metropolitan Museum

% F.

Roman

Wall

Paintings from

of Art, Cambridge

StupNICZKA,

Das

Symposion

(Mass.)

dgyp. Bauforschung u. Altertumskunde, 9, 1970, p. 76 ss., fig. 29, non accettata da G. Grimm, in Alexandrien, (Agyptiaca Treverensia, 1), Mainz a.M. 1981, pp. 14-18, nota 12.

7 Per una più ampia discussione del problema si rimanda a VON Boscoreale

in

the

1953, tav. 20.

Ptolemaios,

ecc.).

HESBERG,

Konsolengeisa,

pp.

80-86.

28 Pesce, Palazzo delle Colonne,

tavv. 10,

13,8.

II abh.Leipzig,

2 ADRIANI, in Annuaire, 1940-50, p. 73 ss., tav. 36; Ip., Topogra-

«Basilikale in Beitrage

fia, p. 192 ss., nn. 142, 145, tav. 109, fig. 377, dove il soffitto dipinto della camera 2 dell'ipogeo 2 puó chiaramente interpretarsi come graticcio.

329, 1914, p. 48 ss. Cfr. altra ricostruzione in G. Hany, Anlage in der àgyptischen Baukunst des neuen Reiches»,

101

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B

Comunque,

in analogia

a ció che si verifica a Pergamo

e a Rodi nel corso del II secolo a.C.,

anche in Egitto le

mensole e i cassettoni divengono sempre più due entità autonome, le prime con un'incorniciatura molto semplificata, i secondi spesso soltanto dipinti e poco frequentemente con quattro listelli in tenue rilievo che ne delimitano il contorno (cat. nn. 963-964). Quest'ultimo fatto si verifica perché troppo esiguo è lo spessore delle mensole per consentire la presenza di un listello sporgente di chiusura dei cassettoni, che inoltre avrebbe disturbato la linea orizzontale del margine inferiore del geison, spesso lievemente sporgente rispetto al piano del soffitto. Le testimonianze, anche se scarse, di cornici con mensole parallelepipede (cat. n. 960) di tipo pergameno, o incurvate ad S, secondo il tipo rodio (cat. nn. 878-883) sono un indizio di come anche ad Alessandria si sia risentito l’influsso di queste forme, che hanno appunto contribuito a standardizzare l’uso delle mensole e degli spazi quadrangolari intermedi come

due elementi

distinti,

con una conseguente

trasformazione

della scanalatura

al centro

delle mensole

in una

semplice

decorazione. Il frammento di cornice di tipo pergameno cat. n. 884 di Hermoupolis, a larghe e piatte mensole incorniciate e con lacunare al centro del soffitto, collocabile nella prima età imperiale, potrebbe invece essere dovuto ad un diretto influsso microasiatico, avvertibile anche nei capitelli corinzi della città della prima metà del II sec.d.C. (cat. nn. 381-391). Le cornici con mensole «a travicello» sono diffuse quasi esclusivamente nell’ambito del dominio tolemaico (Fig. comprese

Cirene

e Cipro,

mentre

al di fuori di queste

aree compaiono

in Palestina nel I secolo a.C.

Ad

Alessandria,

+ Alor

930

90),

050

Fig. 90 - Tolemaide, Palazzo delle Colonne, ordine superiore del Gran Peristilio (dal Pesce).

ancora inserite in un elevato, si trovano nell'ipogeo n. 2 di Anfushi, del II secolo a.C., impiegate in timpani arcuati, a coronamento di edicole con capitelli egittizzanti ed architrave con gola egizia?, e ancora nell'ipogeo n. 3 di Gabbari, della prima metà del I secolo a.C., in un timpano triangolare con dentelli sotto il geison orizzontale?'. Questo tipo fu ben presto usato, secondo una tendenza generalizzata in età ellenistica per le cornici con mensole, anche nelle trabeazioni doriche, come mostrano piccoli frammenti di cornice provenienti dal Quartiere Reale ed altri simili di diversa provenienza (cat. nn. 960-965). In un'edicola del grande ipogeo del Wárdian, del I secolo a.C., le cornici oblique del frontoncino presentano ancora le mensole «a travicello»*; queste, alternate a mutuli, si incontrano in frammenti architettonici di una casa tardo

ellenistica di Plinthine

(cat.

n.

944)

o, alternate

alle incorniciature

quadrangolari

coperture a semicupola di edicole provenienti da Gabbari e da altre località (cat. AI di fuori di Alessandria sono impiegate nel tempio di Augusto a Philae costituita da incorniciature quadrangolari concentriche a listelli poco sporgenti tratta di uno dei primi esempi dell'uso di cornici con queste mensole in un 30 ApRIANI, Topografia, p. 192, n. 142, tav. 108, fig. 392. 31M. SABOTTKA, in Das ròmisch-byzantinische Agypten,

Mainz-

sopradette,

nelle cornici

delle

nn. 973-974, 977). (Fig. 6) in una forma piuttosto arricchita, e alternate a spazi quadrangolari vuoti: si edificio di dimensioni abbastanza grandi,

am-Rhein 1983, p. 200, tav. 40. 32 ADRIANI, Topografia, p. 162 ss, n. 118, tav. 88, fig. 218.

103

dove, come si è detto, il fregio è dorico (cat. n. 949) e poggia su un architrave ionico a due fasce sostenuto da colonne corinzie (cat. nn. 354-355). Altre testimonianze provengono da Athribis?, da Paraetonium (Marsa Matruh), qui nell'in-

quadramento achitettonico di una lastra di chiusura di loculo del I-II secolo d.C., con mensole semplici nella cornice arcuata del timpano e solo inquadrature quadrangolari nella cornice orizzontale?*: citiamo ancora le numerose cornici reimpiegate nel bema della sala basilicale della fortezza di Dionysias, probabilmente ancora tardo-ellenistiche®. Altre cornici alessandrine mostrano ancora l'arricchimento decorativo dei soffitti tramite l'introduzione di rombi tra le mensole (cat. nn. 928-936), o la sostituzione delle mensole con losanghe o con un doppio meandro continuo (cat. nn.

925-927, 938-941). Va ancora affrontato il problema dell'unione, frequente nell'architettura tolemaica, del geison con mensole «a travicello» con i dentelli: problema che a sua volta è stato connesso con la frequente introduzione di questo geison nella trabeazione dorica (Tavv. 117, 6 — 136, 2), secondo modalità note anche in ambiente pergameno o rodio, legate a particolari funzioni architettoniche. Se trabeazioni doriche con dentelli erano conosciute in Asia Minore già dal II secolo a.C. (in Sicilia anche prima), tuttavia l'altezza del geison ionico con la sima corrispondente è circa il doppio di quella dei dentelli con la taenia sottostante. In Egitto invece il geison con la sima è alto circa quanto i sottostanti dentelli, il che per la trabeazione dorica può significare una contrazione della sua parte superiore, che può essere però corretta da una forte accen-

tuazione plastica del soffitto: in ciò ricollegandosi proprio alle funzioni delle mensole per riequilibrare una proporzione poco idonea, derivante da sviluppi specifici all’interno non solo dell’architettura tolemaica,

ma anche, con altre modalità,

di altri centri”.

C.

DENTELLI

Per ciò che riguarda specificatamente i dentelli, si possono individuare, in base alla forma, alle proporzioni e agli intervalli, i seguenti raggruppamenti tipologici:

1. Dentelli rettangolari, ben spazieggiati (rapporto distanza-larghezza: 0,4-0,7) e con una sporgenza dal piano di fondo più o meno forma

uguale

all’altezza.

In base

rettangolare più allungata,

al rapporto

altezza-larghezza,

con un rapporto

altezza-larghezza

si possono di 0,5-0,7

dividere (cat.

nn.

in due 825,

sottotipi:

836,

841,

telli rettangolari, ma poco allungati, con un rapporto altezza-larghezza di 0,7-0,9 (nn. 820, 823-824,

a. dentelli dalla 843-844);

b. den-

827, 831-832,

834,

837-839, 842). 2. Dentelli rettangolari, distanziati, ma con una sporgenza superiore all’altezza (n. 840). 3. Dentelli rettangolari, ma dalla forma molto più allungata dei precedenti, stretti, molto ravvicinati (rapporto distanzalarghezza: 0,2-0,3) e poco profondi (cat. nn. 815-816, 819, 821, 833, 887, 890, 892, 916, 919, 922-923; Tav. 132, 1) Al tipo appartengono anche dentelli che presentano lo spazio intermedio parzialmente occupato da un piccolo dente, che

doveva servire per fissare lo stucco (cat. nn. 817-818), o dentelli ancora più allungati e stretti dei precedenti, in dipendenza della particolare funzione architettonica della cornice a cui appartengono (cat. n. 888, di frontoncino spezzato), ma necessariamente con la distanza maggiore, data l’esigua larghezza (rapporto 0,5). 4.

Dentelli quadrati,

o quasi,

distanziati quanto la loro larghezza (cat. n. 893; Tav.

117).

Va rilevato che un’indicazione su quali fossero le proporzioni tradizionali dei dentelli ci deriva da Vitruvio (II 5,11): l’altezza dovrebbe corrispondere alla profondità, la larghezza a metà dell’altezza e la distanza tra essi a circa metà o due terzi della larghezza. La forma dei dentelli del primo e medio ellenismo in Grecia, in Asia minore e in Egitto è caratterizzata dunque in primo luogo da dentelli dal profilo rettangolare e con intervalli piuttosto larghi tra i singoli elementi; tale forma deve essere comunque definita anche in base al variare degli altri rapporti proporzionali. Infatti, nell’ambito della stessa forma rettangolare, largamente impiegata nel primo e medio periodo ellenistico, è necessario distinguere i dentelli rettangolari allungati da quelli poco allungati (talvolta quasi quadrati): questi con un rapporto larghezza-altezza che oscilla tra i valori 0,7-0,9,

i primi

con

un rapporto

0,5-0,7.

I dentelli

quasi

quadrati

sono

assai frequenti

ad Alessandria

(tipo

Ib),

mentre

trovano poco riscontro in Grecia ed in Asia Minore!, dove prevalgono quelli più allungati?.

? K.

MICHALOWSKI,

in Atti

VII Congresso

Intern.

Classica, II, Roma 1961, p. 227, tav. 4,8. 3 P. PENSABENE, in Studi in onore A.Adriani,

p. 98, n. 14. 355 J. ScuwanTZ,

H. Wap,

Franco-

Caire

Suisses,

Le

1969,

Qasr-Qarun/Dionysias, p. 20,

fig. 9.:

cfr.

I,

Archeologia Roma

1983,

1950, Fouilles Von

HESBERG,

il tempio corinzio del Cesareo di Cirene, di età adrianea, e ancora, a Cipro, il teatro e il santuario di Apollo Hylates a Kurion, l'agorà a Salamis, in Palestina e in Siria, nella tomba corinzia di Petra, ancora con trabeazione dorica, e a Samaria.

3$ Von HESBERG, Konsolengeisa, pp. 85-86. 37 ΤΡ, p. 85.

Konsolengeisa, pp. 73, 80 per gli esempi della Cirenaica e Tripolitania, in particolare il tempio di Hermes dell’Insula di Giasone Magno, con cornice a mensole inserite in una trabeazione dorica, il Palazzo delle Colonne e la «villa romana» a Tolemaide, il Calcidico di Leptis Magna,

104

! Cfr. VaLLOIS, Architecture à Délos, p. 281 ss. ? Cfr. DINSMOOR, Architecture, tav. 55

ERA TEETILIIEETIIZIIDEIZFIZLZDURNpnnnürfnrrnrrrrrErrntrrrrrnr ooo”

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B

prospetto (da Adriani).

È stato osservato? come altrettanto determinante per definire il profilo dei dentelli, risulti il rapporto tra la profondità e l'altezza,

che permette di individuare

almeno

tre classi:

1. dentelli in cui la profondità è minore dell’altezza. 2. dentelli in cui la profondità è maggiore dell’altezza. 3. dentelli in cui la profondità è più o meno uguale all’altezza.

La prima classe è poco diffusa nel IN-II secolo, se si escludono pochi esempi, conosciuti ad Alessandria, a Delo e a Delfi^, mentre la terza classe è quella maggiormente impiegata non solo ad Alessandria, ma anche in Grecia e nell’Est?. I dentelli della seconda classe, invece, si differenziano fondamentalmente da quelli delle altre classi, perché sono caratteristici soprattutto di edifici di grandi dimensioni: in ciò è da riconoscere forse la ragione della mancanza di questi dentelli ad Alessandria, poiché la grande maggioranza di cornici conosciute provengono da edicole o da trabeazioni pertinenti ad architetture di piccole dimensioni. Dentelli che possiamo definire canonici (Tipo 1), in quanto vicini alle proporzioni del primo e medio ellenismo, si incontrano dunque in numerosi esempi anche ad Alessandria’, sia nella quasi unica testimonianza di architettura monumentale costituita dai resti dell’Edificio del Quartiere Reale (cat. n. 19), sia negli ipogei più antichi della città, quali la tomba A (Fig. 71) di Shiatbi (alt.dei dentelli cm. 3,5; largh. cm. 2; distanza cm. 1,5)5, l'ipogeo n. 3 di Mustafà Pascià (alt.dei

dis 9.

dentelli

cm.

3,5;

profondità

cm.

3,5;

largh. 2,3;

distanza

cm.

1,4)?,

o ancora

la Tomba

del giardino

di Antonia-

Rispetto a questi rapporti, che abbiamo definito canonici, sembra che già intorno alla metà del III secolo a.C., a Si-

racusa,

e verso la fine del secolo

nell'intera Sicilia,

si verificassero nuove

proporzioni nei dentelli: l'altezza infatti supera,

talvolta anche di molto, il doppio della larghezza, la profondità è molto minore, la distanza tra gli elementi si riduce (anche se queste proporzioni non sono mai fisse, ma possono cambiare persino nello stesso insieme architettonico)!!. Queste proporzioni si incontrano anche, durante l’ultimo terzo del II secolo a.C. e la prima metà di quello successivo,

nell'Italia meridionale (Pompei, casa della nave Europa", tribunal nella Basilica, propileo del Foro Triangolare!, com$ ADRIANI, Topografia, p. 124 ss. ? ADRIANI,

3 VALLOIS, Architecture à Délos, pp. 281-282.

in Annuaire,

1933-35, p. 56, fig. 24.

^ [p., p. 281, nota 5.

10 ADRIANI, Topografia, p. 143, n. 90, tavv. 64-65, fig. 222.

5 In., p. 282, nota 2.

!" W.

6 Ip., p. 282, nota 1. 7 Per un elenco v. W. Von Sipow, in RM, 86, 1979, p. 214, nota 59: cfr. G. Ch. Picanp, in RA, 1977, p. 242.



Von

Sipow,

in RM,

86, 1979, p. 213.

La casa della nave Europa, Tokio Aoyaci, 2M. p. 118 ss.; Von Sipow, in RM,86,1979, p. 213, nota 52. 5 M. VERZAR, in DdA, 9-10, 1976-77, pp. 388-389.

1977,

105

( =

eee

prese

le decorazioni

architettoniche

Fig. 92 - Alessandria, stecher).

museo,

altare dalle necropoli (dal Pagen-

Fig. 93 - Alessandria, stecher).

museo,

altare dalle necropoli (dal Pagen-

Fig.

museo,

chiusura di loculo

94 - Alessandria,

dalla necropoli

di Gabbari (dal Pagenstecher).



di I stile della casa di Sallustio

Magna Mater, ecc.) e nel Lazio.

e della casa del Fauno)",

a Roma

(tempio

della

Nell'oriente ellenistico, dentelli ravvicinati si incontrano soltanto dalla fine del II secolo a.C., in piccoli monumenti e mai nella grande architettura: gli esempi noti, ad esempio quelli delle cornici in stucco di Delos, non si ritiene abbiano

avuto contatti con la Sicilia!’. Comunque, minore è la differenza rispetto alle forme canoniche, perché è soprattutto l'al-

tezza che risulta allungata, mentre si conservano i rapporti rispetto alla distanza e alla profondità. Esempi di dentelli allungati, stretti e piuttosto ravvicinati, dunque, si riscontrano anche in Grecia, in Asia Minore e nelle isole: così ad Atene, nella Torre dei Venti", a Priene, in frammenti di stucco?, e a Kos, nel peristilio del ginna-

sio!; tuttavia è soprattutto ad Alessandria che se ne hanno le testimonianze più numerose (Tipo 3), in cornici nelle quali si verifica (come in Sicilia) un aumento del numero delle modanature inferiori?. Come indicherebbe l'impiego di dentelli

^ J. ENGEMAN, Architekturdarstellungen des frühen 2 Stils, (12° Suppl. RM) 1967, tav. 55; VERZAR, art.cit., p. 388. 15 VERZAR,

art.cit., pp. 388-389.

16 Von Sipow, art.cit., p. 214. U VERZAR, art.cit., p. 391.

106

5 R.B. WARTKE, in Forschungen und Berichte Staatliche Museen zu Berlin, 18, 1977, p. 40, n. 30. 1? LAUTER, Architektur, tav. 7,b.

.

? DELBRUCK, Hellenistiche Bauten 2, p. 166, dove attribuisce ad influssi alessandrini esempi di Priene.

stretti e ravvicinati nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide, sembra che questa forma ad Alessandria sia attribuibile soprattutto al tardo ellenismo, in particolare alla fine del II e nei primi due terzi del secolo successivo, in un periodo senza dubbio posteriore alla comparsa di questa forma in Sicilia, che comunque non deve essere stata estranea alla formazione di questo tipo ad Alessandria: nel II e nel I secolo a.C. si deve comunque pensare più ad Alessandria, che non alla Sicilia, per spiegare la comparsa di questa forma sia in Italia, sia in altri centri ellenistici. Esempi alessandrini in situ si trovano nuovamente nelle necropoli, ma in ipogei datati in epoca successiva a quelli precedentemente citati, con dentelli di forma canonica: così nel grande ipogeo del Wardian, del I secolo a.C. (alt.dentelli cm. 7; largh.cm. 3,5; profondità. cm.

2,5;

distanza cm.

0,5)?!,

elementi è molto ridotta (Fig.

con rapporto

91).

tra larghezza

Gli esempi

telli, sia quella di ridurre la loro distanza,

ed altezza abbastanza canonico,

del Museo

di Alessandria dimostrano

ma

dove

la distanza tra i singoli

sia la tendenza

ad allungare i den-

sia entrambe.

Una particolarità che si riscontra in alcune cornici con dentelli di Alessandria, lontana dai modelli siciliani, è il piccolo tratto risparmiato

che riempie parzialmente

lo spazio intermedio

(cat. nn. 817-818):

è probabilmente

un’accortezza

per fissare più facilmente lo stucco”, attestata anche in cornici dello stesso periodo a Roma”. Va infine rilevato che la forma sopraddetta non pare più usata ad Alessandria con la fine dell'età tolemaica, come mostrano gli esempi dell'ipogeo n. 5 di Anfushi, della fine del I secolo a.C., con dentelli quasi quadrati e distanti quanto la larghezza?

, della necropoli

di Kom

esch Shogafa,

del I secolo

d.C.

o degli inizi del Hi, con dentelli

sia quadrati,

sia

appena rettangolari e distanti quanto la larghezza”, o ancora di lastre di chiusura di loculi, della stessa epoca (Tav. 117) e con dentelli simili a quelli di Kom esch Shogafa**: va rilevato che questo tipo di dentelli, quadrati e distanziati quanto la larghezza, si trovano quasi sempre in architetture miste (Figg. 92-93), greco-egizie o egizie con qualche elemento decorativo di origine greca (Fig. 94). Si tratta probabilmente di un cambiamento da ricollegare con il ritorno a forme più classicistiche, che si verifica un po’ ovunque nell’architettura del periodo augusteo e che probabilmente determina ad Alessandria anche l’introduzione di capitelli corinzi di tipo attico, accanto a quelli della tradizione ellenistico-alessandrina. Brevemente osserviamo che la transizione tra i dentelli della cornice ed il fregio avviene attraverso una gola rovescia: in età ellenistica si è definitivamente sciolta la dipendenza della gola rovescia dall’ovolo quando la prima si trova

impiegata come modanatura di transizione".

21 ADRIANI, fig. 312; Von

Topografia, p. 162, n. 118, tav. 88, fig. 299; tav. 92,

Sipow,

2 Cfr. VERZAR, art.cit., p. 391 ss. 23 Ip., p. 391. p. 195, Topografia, 2 ADRIANI, tav. 113, fig. 395.

n. 145,

2 ADRIANI, Topografia, p. 172, n. 122, tav. 99, fig. 132; tav. 100, fig. 337.

art.cit., p. 214, nota 59.

tav. 109,

fig. 375;

26 P. PENSABENE, in Studi in onore A.Adriani, I, Roma p. 110. ©? L.T. SuomE, Profiles of Greek Mouldings, New York p. 22 ss.; W.

Von

Sipow,

in RM,

86,

1983, 1936,

1979, p. 212.

107

V SOFFITTI

È noto come i soffitti a cassettoni siano parte dell’architettura esterna del V secolo a.C. di Atene (ad esempio nel Partenone, nei Propilei, nell'Eretteo, ecc.) e in generale si ritiene che derivino da originari modelli in legno!. Dopo questo periodo essi sono sempre piü usati, come mostrano tra l'altro gli esempi della metà del IV secolo, quando viene raggiunta una forma sempre piü funzionale e decorativa (Tholos di Epidauro). Ció implica peró una tendenza progressiva ad abbandonare ia struttura funzionale del cassettone a favore di effetti sempre più decorativi e illusionistici?, e in tal modo questa forma architettonica si perpetua in età romana, quando ancora si incontrano incastri di cassettoni poligonali, quadrati o romboidali, e triangolari, ad esempio nell'ambulacro del c.d. tempio di Bacco a Baalbek e nel tempio di Adriano

a Roma}, dunque

nella tradizione formatasi in età ellenistica e ben documentata

ad Alessandria.

Soprattutto i soffitti di stucco, o di pietra locale stuccata, presentano spesso esagoni ed anche cerchi, come nei templi di Bel e del Sole a Palmira, o nelle terme Stabiane a Pompei‘. I soffitti del Museo di Alessandria (cat. nn. 973-978) non mostrano ancora quella trasformazione, tipica del periodo imperiale, dei cassettoni in lastre accostate, con suddivisione della superfice in lacunari geometrici che ricordano il sistema decorativo dei pavimenti musivi?. Nel gruppo principale viene infatti mantenuta la distinzione tra i cassettoni, con relativa incorniciatura del campo geometrico, e il reticolo nei cui spazi vuoti essi si collocano (Tav. 134): reticolo rappresentante la litizzazione dell’originario graticcio ligneo che talvolta aveva anche la funzione di nascondere le travi portanti. Di conseguenza, si ha un accentuato effetto prospettico di profondità, poiché, in ogni spazio vuoto che compone il reticolo, si hanno due o tre successioni di incorniciature architettoniche intorno ai campi geometrici. Solo

nel n. 978

i cassettoni hanno

conservato

il carattere di lastre di rivestimento

del soffitto,

decorate

da lacunari

e

sorrette da travi, diverse dunque da incorniciature, rivelando un rapporto immediato con l’architettura lignea (v.sopra). Infine va rilevato che un’importante testimonianza della forma decorativa assunta dai soffitti, ci viene da alcuni ipogei alessandrini con volte a botte dipinta: nell'ipogeo n. 5 di Anfushi? compaiono, riprodotti in pittura, sia lacunari ottagonali, uniti a piccoli quadrati, sia lacunari quadrati. L'effetto non è dissimile da quello del soffitto suddiviso in quadrati decorati da un fiore, che compare in un edificio colonnato dipinto su un frammento di cratere a calice di Taranto,

datato al IV secolo a.C.’.

! M. WeGNER, in EAA, IV, Roma 1961, sotto la voce «lacunari». ? D. MICHAELIDES, in Il Tempio di Adriano, Roma 1982, p. 37. 3 Ip., pp. 32-38. ^ K. Ronczewski, Gewolbeschmuck in ròmischen Altertum, 1903, tav. 6, fig. 9; P. GRos, in MEFRA, 81, 1969, p. 169 ss.

108

Berlin

*M.L. Morricone, «Mosaici romani a cassettoni del I secolo a.C.», in ACI, 18, 1965, pp. 79-91; cfr. R. Linc, «Stucco Decoration in Pre-Augustan Italy», in BSR, 40, 1972, pp. 11-57. $ ADRIANI, Topografia, n. 142, tav. 109. 7M. ROBERTSON, Greek Paintings, Geneva

1959, p. 162.

VI CAPITELLI

]. TESTIMONIANZE ANCORA

CORINZI

IN SITU

Da ciò che fin qui si è detto sono emerse anche le modalità d'uso delle colonne e dei capitelli corinzi o corinzieggianti in età ellenistica: i pochi esempi egiziani ancora inseriti in un contesto sono quasi tutti di piccole dimensioni, cosi nel noto frontoncino di edicola di Shiatbi, datato al III secolo a.C, e nei frontoncini delle finte finestre della facciata di una tomba

di Tuna

el-Gebel,

del tardo III o II secolo

a.C.,

dove

in entrambi

i casi sostengono

una trabeazione

dorica.

A

confermare la versatilità d'uso di questi capitelli anche nell'architettura tolemaica, si puó nuovamente ricorrere al Palazzo delle Colonne a Tolemaide, della prima metà del I secolo a.C., dove sostengono sia trabeazioni doriche (ordine inferiore del lato nord

del Grande

Peristilio),

sia trabeazioni

ioniche

(ordine

superiore),

spesso,

ma

non

necessariamente,

con

cor-

nici sorrette da mensole. Anche il tempio di Augusto a Philae presenta un fregio dorico, sostenuto da colonne di granito d'Assuan con capitelli corinzi di basalto (cat. nn. 354-355), e possiamo rilevare come l’edificio sia una tipica espressione di architettura templare ellenistica, per la pianta prostila e tetrastila, ma elaborata in ambiente alessandrino, come mostrano le finte finestre ai lati del portale della cella!. Ad Alessandria sono conservati capitelli corinzi in calcare, rivestiti di stucco e colorati, o in basalto, ancora appartenenti al III secolo a.C., le cui dimensioni ci assicurano l’appartenenza ad un edificio pubblico (cat. nn. 24, 180, 203). L’uso di questa forma ad Alessandria già nel III secolo a.C., è anche confermato dalla presenza negli ipogei nn. 1 e 2 di Mustafa Pascià di capitelli corinzi di pilastro (cat. nn. 209-210), ai lati di un portale? che manca della trabeazione, ma per uno dei quali è stato ricostruito un frontoncino triangolare con architrave a tre fasce*: anzi la presenza di capitelli corinzi proprio all’entrata di camerette funerarie particolarmente evidenziate, perché all’estremità dell’asse degli ipogei, sta ad indicare che ancora era sentito il valore simbolico,

allusivo all'immortalità,

dell'acanto*.

Abbiamo già rilevato (v. sopra) come da Apollonio Rodio si deduca che nel III secolo a.C. il Serapeo di Canopo era corinzio,

ed

è probabile

che

anche

il Serapeo

di Alessandria,

costruito

da

Tolomeo

III

Evergete,

fosse

corinzio’;

co-

munque aveva certamente parti corinzie negli edifici del suo complesso, come può supporsi in base a capitelli corinzi in calcare di età tolemaica”, o a frammenti di cornici di portali e di raffinati basamenti in marmo di tradizione microasiatica, ritrovati nell’area (cat. nn. 28-29): al periodo imperiale possono invece appartenere i grandi framenti in granito di Assuan

della porta est del recinto del santuario”,

coronata

con una cornice

a mensole

nella tradizione

tolemaica

(cat.

nn.

33-34). Tutto ciò, comunque, è il segno del favore che presto incontrò ad Alessandria il. capitello corinzio, già nel terzo quarto del III secolo utilizzato anche in altri centri egiziani, come testimonia il santuario tolemaico di Hermoupolis Magna (cat. nn. 43-47). 2.

ORDINAMENTO

TIPOLOGICO

I. Disposizione e forma delle volute Come risulta dalla classificazione che segue, la maggioranza degli esemplari in pietre locali di Alessandria, ma anche di Hermoupolis Magna (cat. nn. 43-47), di Edfu (cat. nn. 196, 271, 296-298) e di Kom Ombo (cat. n. 272), del periodo ! L. BORCHARDT, in Jd], 18, 1903, p. 73 ss., fig. 1,3. ? ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 86, dove vengono

stabilite le

differenze tipologiche tra i capitelli dei due ipogei. ? ADRIANI,

$ A. ROWE,

^ Si veda il mio contributo in ACI, 34, 1982, pp. 58-59, nota 93, (XVIII,

26-28)

che

avvolgono

le colonne

del canopo

sul carro funebre

di

5 Cfr. S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 64 ss.

Topografia, n. 84, tav. 55, fig. 195.

dove cito tra l'altro il passo di Diodoro

canto d'oro Alessandro.

sulle foglie d'a-

in BSAA,

35, 1942, p. 143 ss.

7 E. BOTTI, in Memoire de la Société Arquéologique d'Alexandrie, Alexandrie

1897, pp. 139-140.

109

Fig. 95 cher).

- Alessandria,

dalla

costa

orientale

(dal

Pagenste-

Fig. 96 - Cairo, museo egizio, da Erment (dal Pagenstecher).

tolemaico, o anche imperiale; ma nella tradizione alessandrina, puó considerarsi come appartenente alla classe dei capitelli corinzi «liberi»!, nei quali cioè gli steli delle volute esterne e interne nascono liberamente dietro le foglie e non da uno stesso caulicolo. Va distinto il gruppo A (cat. nn. 180-230), in cui gli steli delle volute esterne assumono l’aspetto di una foglia d’acqua, perché non separati da quelli contigui sotto lo stesso spigolo dell’abaco?. Gli steli, invece, delle volute interne (che per distinguerli più facilmente dalle volute esterne chiameremo elici), pur nascendo liberamente dietro le foglie, presentano spesso il fusto avvolto da una o più foglie d’involucro scanalate: in queste possiamo identificare dei caulicoli, terminanti con una piccola foglia ripiegata che non può ancora definirsi come un calice. A questo stesso gruppo

appartengono però altri esemplari (cat. nn. 208-230) in cui le elici sono del tutto libere, con lo stelo non arrotondato e convesso, bensì scanalato e concavo, o a sezione angolare o piatto negli esemplari in granito.

Nel gruppo B (cat. nn. 231-242), più piccolo, invece ciascuno stelo delle volute esterne nasce da un singolo caulicolo, in modo che questi raggiungono il numero di otto nei capitelli di colonna, o di sedici quando anche le elici sono avvolte da caulicoli (cat. nn. 236-242). È a questo gruppo che appartengono quegli esemplari nei quali tra le volute e le elici nascono lunghe e strette foglie d’acanto, in modo analogo ai capitelli corinzi-italici (cat. nn. 232-235), o nei quali le elici oltre che da caulicoli sono avvolte nella parte inferiore da foglie d’acanto, sempre strette e allungate (cat. n. 244). Infine al gruppo C appartengono quei pochi capitelli (cat. nn. 247-249) che possiamo definire «normali», con le elici e le volute esterne nascenti da uno stesso caulicolo: da questo si origina anche un calice, le cui foglie sostengono le spirali delle elici, che ora raggiungono l’abaco, e quelle delle volute. La stessa definizione possiamo attribuire ad alcuni capitelli di granito e di basalto di età imperiale avanzata, ma derivanti dalla tradizione tolemaica, nei quali le volute e le elici hanno perduto il comune caulicolo con calice per una semplificazione dell’apparato vegetale (gruppo D: cat. nn.

250-254). Infine un folto gruppo di capitelli presenta per le volute angolari schemi simili ai gruppi citati, mentre le elici sono sostituite da varianti vegetali? (Figg. 95, 96), in quanto si trasformano in viticci spiraliformi, sempre contrapposti simmetricamente, ma di varia forma e spesso allacciati: sono queste varianti che hanno consentito la definizione di capitelli corinzieggianti (gruppo E: cat. nn. 255-319). La tecnica di lavorazione, lo stile esuberante e la sovrabbondanza degli elementi vegetali già qualificano di per sè come alessandrini, pur nell’ambito di un comune gusto ellenistico, i capitelli dei gruppi citati: tuttavia come tipici dell’ambiente greco-egizio si può considerare un certo numero di capitelli misti, che abbiamo definito corinzi-egittizzanti per la presenza di papiri che sostituiscono tutte o parte delle foglie d’acanto e per l’introduzione di uraei e dischi solari (Fig. 97), pur essendo sempre visibile lo schema del capitello corinzio «libero» per la presenza delle volute e delle elici nascenti separatamente dietro le foglie (cat. nn. 320-323). D'altronde erano impiegati in alcune delle necropoli alessandrine tardo-tolemaiche e primo-imperiali (Anfushi e Kom esch-Shogafa) capitelli di tipo egizio, che compaiono anche in alcune

! Per la distinzione in capitelli corinzi «liberi» Roux, Architecture de l’Argolide, pp. 368-375.

2 In tal modo

e «normali»

vedi

la superficie esterna angolare dei larghi listelli che

accompagnano i margini degli steli si unisce, formando un unico elemento a sezione angolare: ne risulta quindi una larga foglia, che definirei d’acqua, non piatta bensì articolata in tre parti, arcuate e a sezione

110

concava quelle laterali, che derivano dagli steli originari, a sezione angolare quella centrale, che deriva dal fatto che non è stata tolta la pietra

tra i due steli, la quale invece risulta costantemente sagomata ad angolo. 3 Come risulta dall’ordinamento tipologico, per la definizione di queste varianti si è mantenuta la nomenclatura del RONCZEWSKI, Musée d'Alexandrie.

lastre di chiusura di loculi con inquadramento architettonico*, in entrambi i casi collegati con la rappresentazione di cappelle nella tradizione faraonica, ma spesso anche con l'introduzione di elementi decorativi greci: é noto inoltre come capi-

telli papiriformi siano stati ricostruiti nel famoso padiglione ligneo per i banchetti di Tolomeo II. Confermano questi dati la presenza nel Museo di Alessandria di una ventina di capitelli compositi egizi (cat. nn. 160-179), provenienti anche dalla necropoli e da Canopo, che rappresentano copie fedeli di capitelli egizi nella tradizione architettonica faraonica. Come tipicamente alessandrini possono anche considerarsi diversi capitelli di Alessandria e di Edfu, che introducono foglie di vite tra quelle di acanto (cat. nn. 294-295), o mostrano i caulicoli cilindrici delle volute esterne avvolti da viticci e pampini (cat. nn. 296-297), talvolta con grappoli d'uva pendenti sotto le spirali (cat. nn. 298-302)°. In forme schematiche e con gli elementi vegetali appiattiti questi modelli sono ripresi in alcuni capitelli corinzi «liberi» di Dionysias, reimpiegati nella Basilica della Fortezza romana$.

Fig. 97 - Alessandria, museo, cat. n. 320 (dal Pagenstecher).

II. Tipi dell'acanto All'interno dei singoli gruppi in cui abbiamo diviso i capitelli alessandrini l'acanto é di diversi tipi: la suddivisione tra i capitelli non è dunque fatta in base alla tipologia dell'acanto, bensì agli schemi con cui sono disposti gli elementi vegetali. Il primo tipo, ancora nella tradizione di Epidauro, è a foglie plastiche e naturalistiche, articolate in lobi a fogliette appuntite, che vengono separati da zone d’ombra ovali e aperte (cat. nn. 180, 203). Un certo numero di capitelli presenta foglie simili a questo tipo, ma con i lobi più strettamente raccolti intorno alle nervature centrali, con minor numero di fogliette nei lobi e con zone

d’ombra

ovali chiuse o quasi chiuse (cat. nn.

182-183,

194-196,

208-209,

244,

257).

Il secondo tipo segue la tradizione affermatasi in Grecia e in Asia Minore nel II secolo a.C. (santuario del porto di Cos,

Olympieion

di Atene,

ecc.)^

i lobi sono

distinti da zone d’ombra

circolari chiuse

o quasi chiuse,

(cat.

nn.

24,

188,

201, 204-206, 246, 263-268, 315-317). Spesso a questo tipo di articolazione del contorno si accompagnano nervature mediane parallele, rese in modo piuttosto schematico (cat. nn. 204-206). Il terzo tipo è costituito da larghe foglie con piccoli lobi a corte e larghe fogliette, che conferiscono ai lobi un contorno frastagliato: negli esemplari più antichi di questo tipo, di Hermoupolis Magna (cat. nn. 43-47), le zone d’ombra sono grandi, circolari e aperte, e la superficie delle foglie è increspata plasticamente tramite nervature quasi parallele e convergenti al centro della base delle foglie. Anche in questo caso si tratta di una forma nota in vari ambienti del periodo ellenistico (porta sud della palestra di Olimpia, propylon del bouleuterion di Mileto)?, che deriva da una maggior articolazione dell’acanto di tradizione peloponnesiaca del IV secolo a.C. Ad Alessandria questo acanto è alla base di tipi di foglie caratterizzate da piccoli lobi a tre foglioline e da zone d’ombra larghe, oblique e aperte, quasi fessure tra i lobi: le

^P. PENSABENE, in Studi in onore A.Adriani, I, pp. 97,99, nn. 13,18, tavv. 11,6, 12,6. 5 Cfr. VALLOIS, Architecture à Délos, pp. 290-291. $ A.M.

Bapawy,

in

Gazette

des

Beaux

Arts,

72,

Roma

1968,

1983,

pp.

249-

254. Per esemplari più tardi cfr. U. MONNERET DE VILLARD, Monastero di S.Simeone presso Aswan, I, Milano 1927, p. 150, fig. 150. ? C. BORKER, in AA, 1971, p. 49, fig. 6. * Olympia, II, Berlin 1892-96, tav. 75,3; H. KNAcKFuss, Das Rathaus

von Milet,

Milet,

1,2, Berlin

1908,

p. 68,

tav.

11.

111

foglie cosi articolate sono spesso larghe e piatte, con la parte mediana solcata da fitte nervature, schematiche e parallele (cat. nn. 189-191, 198-201, 213, 232-236, 240-243, 256, 258-261, 322). Negli esemplari di questo tipo è ancora più evidente la tendenza a semplificare in senso geometrico il disegno dell'acanto: tendenza che si riscontra nel II - I secolo a.C. ad Alessandria, ma che certamente è comune anche ad altri ambienti nello stesso periodo, come è visibile ad esempio nell’acanto dei capitelli corinzi del tempio di Zeus ad Olba in Cilicia, attribuibili al II secolo a.C., nella porta di ingresso del ginnasio di Olimpia e altrove?. Questa tendenza verso forme stilizzate è quella che predomina in Egitto nella produzione di età imperiale in pietre dure, quali il granito e la diorite, fino al IV secolo d.C. (cat. nn. 217-219, 227-231) ed anche in quella che utilizza calcari locali, come mostra l’acanto dei capitelli delle fontane di Dendera (cat. nn. 220-226): i lobi, a fogliette appuntite, sono separati da piccolissime zone d’ombra circolari e convergono verso il centro della base o si raccolgono intorno alla nervatura centrale; le cime delle foglie sono notevolmente incurvate e sporgenti, quasi a formare un cappuccio, in modo da contrastare con la piattezza delle foglie stesse. L’aspetto è sempre più simile a quello delle foglie di palma, anche se ciò è dovuto soltanto alla forte stilizzazione. Il passo è breve per arrivare ad una produzione in cui gli elementi vegetali sono lasciati lisci, senza la rifinitura dei particolari: si tratta di capitelli quasi sempre in pietre dure (granito, diorite) e spesso già semilavorati nelle cave (cat. nn.

249-254).

A.

GRUPPO DEI CAPITELLI CORINZI «LIBERI», CON VOLUTE UNITE SEZIONE ANGOLARE LUNGO LA LINEA MEDIANA (cat. nn. 180-229)

A FORMA

DI FOGLIA

D’ACQUA

A

In questo gruppo, accomunato da volute di tipo uguale, sono distinguibili tre sottogruppi per la forma delle elici: i primi due con lo stelo, a sezione angolare o tubolare, nascente da caulicoli, il terzo con elici libere (senza caulicoli). I caulicoli, quando ci sono, risultano articolati in sottili fogliette allungate e terminano sia con un piccolo calice a due foglie (cat. nn. 180-186), sia con un’unica foglia di «involucro», da cui si originano altre foglie di «involucro», av-

volgenti anche parte della spirale (cat. nn. 43-47,

187-202).

Lo spazio triangolare tra le volute e le elici è riempito da

fiori con pistilli molto allungati su stelo ondulato. Gli esemplari scolpiti nelle pietre dure sono sempre con elici libere, senza caulicoli, rese in modo disorganico, quanto molto allargate nel tratto inferiore dello stelo e con spirali invece piuttosto piccole (cat. nn. 217-219, 227-231).

in

1. Elici a sezione angolare con caulicolo (cat. nn. 180-186). Tipo 1,1. (cat. nn. 180-181) caulicoli da cui nasce soltanto l’elice, la cui spirale a sezione concava non arriva sotto l’orlo dell’abaco. Tipo 1,2. (cat. n. 182) caulicoli da cui nasce solo l’elice, con spirale a sezione concava che arriva all’orlo dell’abaco. Tipo 1,3. (cat. nn. 183-186) caulicoli da cui nasce soltanto l’elice, la cui spirale a sezione concava non arriva sotto l’orlo dell’abaco, e con l’introduzione di una piccola foglia per lo stelo del fiore dell’abaco. 2.

Elici a sezione convessa con caulicolo

Tipo

2,1.

(cat.

nn.

43-47,

187-188)

(cat. nn.

caulicoli

43-47,

scanalati,

187-202) da cui nascono

soltanto

le elici a sezione

convessa,

con

piccolo

calicetto alla base. Tipo

2,2.

(cat.

n.

189)

caulicoli

scanalati

da cui nascono

soltanto

le elici a sezione

convessa,

con

piccolo

calicetto

alla

base e con l’introduzione di una piccola foglia per lo stelo del fiore dell’abaco. Tipo 2,3. (cat. nn. 190-196) caulicoli scanalati lunghi e ricurvi, che danno origine ad un piccolo calice solo all’inizio della spirale delle elici, e con l’introduzione di una piccola foglia per lo stelo del fiore dell’abaco. Tipo

2,4.

(cat.

nn.

197-201)

caulicoli

scanalati

lunghi

e ricurvi,

che

danno

origine

ad un

piccolo

calice

solo

all’inizio

della spirale delle elici, e senza la piccola foglia per lo stelo del fiore dell’abaco. Tipo 2,5. (cat. n. 202) caulicoli accompagnati da una lunga foglia dentellata, elici con stelo a sezione convessa. 3.

Elici libere,

senza caulicolo,

a sezione

angolare,

nascenti dalle volute

(cat. nn.

203-231)

Tipo 3,1. (cat. n. 203) di basalto, con sottili elici prive di caulicolo e nascenti accanto.ai margini delle volute. Tipo 3,2. (cat. nn. 204-216) sottili elici prive di caulicolo e nascenti accanto ai margini delle volute. Tipo 3,3. (cat. nn. 217-227) con foglie dalla cima fortemente ripiegata a cappuccio e larghe elici scanalate, prive di caulicolo. Tipo 3,4. (cat. nn. 228-230) in granito, con foglie dalla cima triangolare fortemente ripiegata, con volute semplici ed elici ridotte.

°C. BORKER,

112

in AA,

1971, p. 37 ss.

Tipo 3,5. (cat. n. 231) con due corone elici ridotte.

B.

GRUPPO DEI (cat.232-248)

CAPITELLI

di foglie d'acanto della stessa altezza, dalla cima ovale fortemente ripiegata, ed

CORINZI

«LIBERI»

È ugualmente accomunato dalle volute di nei cat. nn. 232-235, dove sono accompagnate lici. Per lo piü, tuttavia, le elici nascono da lucro, come nei cat. nn. 43-47, 187-202 del

CON

VOLUTE

NASCENTI

DA

CAULICOLI

SCANALATI

tipo uguale, mentre varia la forma delle elici, che risultano libere e lisce da una stretta foglia acantizzante, in modo analogo ai capitelli corinzi itacaulicoli terminanti in un piccolo calice a due foglie, o in foglie di invogruppo precedente. I cat. nn. 245-246 hanno invece gli steli delle elici e

delle volute accompagnati da due foglie d'acanto. 4. Elici distinte dalle volute perché libere o nascenti da caulicoli diversi da quelli delle volute (cat. nn. 232-248) Tipo 4,1. Tipo 4,2. Tipo 4,3. Tipo 4,4. spirale. Tipo 4,5. Tipo 4,6.

C.

(cat. nn. 232-235) (cat. n. 236) elici (cat.237-238) elici (cat. nn. 239-244)

elici libere, accompagnate da una lunga e stretta foglia d'acanto. avvolte da due foglie formanti un calice. dal corto caulicolo con calice. elici nascenti da un lungo caulicolo ricurvo, formante un piccolo calice solo all'inizio della

(cat. nn. 245-246) con due foglie acantizzanti alla base delle elici e delle volute. (cat. n. 247-248) con coppie di caulicoli angolari, da ciascuna delle quali nascono una voluta e due elici.

GRUPPO DEI CAPITELLI CORINZI LICOLO CON CALICI (cat. nn. 249)

«NORMALI»

CON

VOLUTE

ED ELICI NASCENTI

DALLO

STESSO

CAU-

Tipo 5. (cat. n. 249) in granito, a foglie lisce, con volute ed elici nascenti dallo stesso caulicolo.

D.

GRUPPO DEI CAPITELLI CORINZI E DI CAULICOLI (cat. nn. 250-254)

Tipo 6. (cat. nn. 250-254) plici.

E.

GRUPPO

«NORMALI»

CON

VOLUTE

ED ELICI NASTRIFORMI,

PRIVE DI CALICI

in granito, a foglie lisce, con scomparsa dei caulicoli e dei calici e con volute ed elici sem-

DEI CAPITELLI

CORINZIEGGIANTI

(cat. nn. 255-319)

Tipo 7. (cat. n. 255) con volute a foglie d'acqua e spirali delle elici allacciate.

8.

Con

motivo

liriforme

Tipo 8,1. (cat. n. 256) con acanto a piccoli lobi con fogliette arrotondate, motivo liriforme e volute emergenti da doppio caulicolo rivestito da foglia triangolare. Tipo 8,2. (cat. n. 257) con acanto a piccoli lobi con fogliette aguzze e zone d'ombra ovali, motivo liriforme e volute emergenti da doppio caulicolo, senza foglia di rivestimento. Tipo 8,3. (cat. nn. 258-269) con acanto a piccoli lobi con fogliette arrotondate o ovali, motivo liriforme e volute emergenti da doppio caulicolo, senza foglia di rivestimento. Tipo 8,4. (cat. n. 270) con acanto a piccoli lobi con fogliette arrotondate, motivo liriforme e volute a foglia d'acqua. Tipo 8,5. (cat. nn. 271-272) con acanto a piccoli lobi con fogliette aguzze, motivo liriforme e volute a foglie d'acqua.

9.

Con

motivo

liriforme intrecciato

Tipo 9,1. (cat. n. 273) con acanto a lobi con piccole fogliette arrotondate e zone d’ombra oblique ed aperte, e con spirali del motivo liriforme intrecciate. Tipo 9,2. (cat. nn. 274-275) con acanto a piccoli lobi, con fogliette aguzze e zone d’ombra ovali, e con spirali del motivo liriforme intrecciate. 113

10.

Con motivo centrale di steli spiraliformi accostati (cat. nn. 276292).

Tipo 10,1. (cat. nn. 276-277) con motivo centrale di steli spiraliformi accostati nascente da una foglia calice o da caulicolo e foglie che accompagnano le volute. Tipo 10,2. (cat. nn. 278-279) con motivo centrale di steli spiraliformi accostati nascente direttamente dietro seconda corona e con foglie che accompagnano le volute. Tipo 10,3. (cat. n. 280) con motivo centrale di steli spiraliformi accostati e unica foglia che accompagna le Tipo 10,4. (cat. nn. 281-291) con motivo centrale di steli spiraliformi accostati, nascenti direttamente dietro seconda corona. Tipo

10,5.

(cat. n. 292)

con motivo

centrale di steli spiraliformi

accostati,

nascenti

direttamente

rettangolare

a

le foglie della volute. le foglie della

dietro le foglie

della se-

conda corona, e volute a foglia d'acqua.

Tipo 11. (cat. n. 293) corinzieggianti con foglie schematiche e motivi di steli spiraliformi sia accostati sia incrociati.

12. Corinzieggianti con foglie di vite (cat. nn. 294-300). Tipo 12,1. (cat. n. 294) con foglie di vite alternate a foglie d'acanto dai lobi con zone d'ombra oblique aperte e con motivo cemtrale di steli dalle spirali rivolte verso l'interno. Tipo 12,2. (cat. n. 295) con foglie di vite alternate a foglie d'acanto con zone d'ombra oblique ed aperte e con motivo centrale liriforme.

Tipo 12,3. (cat. nn. 296-299) con foglie di vite alternate a foglie d'acanto dalle fogliette lanceolate e dalle zone d'ombra ovali e chiuse e con spirali del motivo liriforme. Tipo 12,4. (cat. n. 300) con foglie di vite e collare con meandro.

13.

Corinzieggianti con grappoli d'uva (cat. nn. 301-302).

Tipo 13,1. (cat. n. 301) con grappoli d'uva. Tipo 13,2. (cat. n. 302) figurati, con protome umana e grappoli d'uva.

14. Tipo Tipo Tipo Tipo

Corinzieggianti con motivo a doppia S (cat. nn. 303-319). 14,1. 14,2. 14,3. 14,4.

(cat. (cat. (cat. (cat.

F. GRUPPO

15.

nn. n. nn. n.

303-313) con motivo a doppia S e volute nascenti da stelo a forma di caulicolo. 314) con motivo a doppia S e volute a forma di spiga. 315-318) con motivo a doppia S e volute a forma di foglia lanceolata. 319) semirifiniti con motivo a doppia S.

DEI CAPITELLI MISTI GRECO-EGIZI

(cat. nn. 320-323).

Corinzi-egittizzanti con volute a foglia d'acqua (cat. nn. 320-321).

Tipo 15,1. (cat. n. 320) con papiri, foglie d'acanto, volute a foglia d'acqua, uraei a disco solare. Tipo 15,2. (cat. n. 321) con papiri, foglie d'acanto e volute a foglia d'acqua.

16.

Corinzi-egittizzanti con doppi caulicoli (cat. nn. 322-323).

Tipo 16,1. (cat. n. 322) con papiri, foglie d'acanto e volute a doppio caulicolo. Tipo 16,2. (cat. n. 323) con foglie d'acanto, volute a doppio caulicolo e corona isiaca.

G. Tipo Tipo Tipo Tipo 114

GRUPPO 17,1. 17,2. 17,3. 17,4.

DEI CAPITELLI

(cat. (cat. (cat. (cat.

nn. nn. nn. nn.

354-355) 356-365) 366-367) 368-374)

CORINZI

A FOGLIE LISCE (cat. nn. 354-374).

a foglie lisce con volute a foglie d'acqua. a due corone di foglie lisce con spirali delle volute a disco. ad una sola corona di foglie lisce con spirali delle volute rozzamente arrotondate. ad una sola corona di quattro foglie lisce figurato di lesena addossata a pilastro.

3. STORIA DELLE FORME Innanzitutto va rilevato che il successo dell'ordine corinzio nel periodo ellenistico & stato determinato da nuove necessità simboliche ed architettoniche, in connessione con i mutamenti delle piante tradizionali: da tempo si è riconosciuto come la difficoltà di risolvere il problema del capitello d'angolo nell'ordine ionico avesse determinato, nel corso del IV e III secolo

a.C.,

un

minore

uso

dei capitelli

ionici

nei peristili!,

e in Grecia

una

sua scomparsa

nei colonnati

interni

dei

templi, dove è sostituito da colonne corinzie. È evidente che oltre alle implicazioni simbolico-religiose?, allusive all'immortalità, si devono considerare le possibilità che il capitello corinzio offriva di risolvere i problemi estetici derivanti dall'uso dei capitelli ionici negli angoli?. Già nel tardo V secolo a.C., nel tempio di Apollo a Bassae sono impiegati capitelli corinzi

nel muro

di fondo

della cella,

mentre

nel IV

e nel III secolo

a.C.,

quando

nella Grecia

continentale

e nel-

l'Argolide sono attestati con sicurezza ordini interni (tholos di Delfi, tholos, templi L e di Artemide ad Epidauro, templi di Tegea e Nemea, Philippeion di Olimpia), si trovano capitelli corinzi*. Per l’impiego del corinzio nell’ordine esterno di un tempio, invece, si deve aspettare fino alla metà del II secolo a.C., come mostra l'Olympieion di Atene’. Solo in Magna Grecia si hanno nel tempio italico di Paestum capitelli corinzieggianti figurati nell’ordine esterno già alla fine del

III secolo a.C.5, mentre in Egitto si è potuto ricostruire, in base alle fonti e alle monete, che il tempio di Serapide, fin dalla prima

fase della seconda

metà del III secolo

a.C.,

quando

fu dedicato

da Tolomeo

III, fosse corinzio

anche

esterna-

mente’. Il mausoleo

di Belevi

comunque

ci attesta l'uso

delle

colonne

corinzie

come

ordine

esterno,

anche

se in altre tipo-

logie architettoniche, già nei primi decenni del III secolo a.C.*, uso probabilmente favorito dal significato simbolico dellacanto, che deve essere alla base dell'iniziale impiego dei capitelli corinzi all'interno di templi di divinità particolarmente connesse con aspetti ctonii?^, compresa la tholos di Epidauro, se è vero che è da interpretare come tomba-heroon

di Asclepio!°.

Probabilmente per queste ragioni il capitello corinzio ad Alessandria si incontra già nel III secolo a.C.

nella necropoli di Mustafa Pascià (cat. nn. 209-210), e ancora nei più volte citati frontoncini con fregio dorico di Shiatbi e delle finte finestre di una tomba di Tuna el-Gebel: si è già osservato come l’uso dei capitelli corinzi sia a sostegno di trabeazoni doriche, sia ioniche, come è tipico nel periodo ellenistico, cessi solo con l’età imperiale, quando, a causa delle scelte classicistiche volute da Augusto, prevale l’associazione delle colonne corinzie alla trabeazione ionica con cornici con mensole, soprattutto quando impiegate all’esterno degli edifici.

Già da tempo è stato riconosciuto! come il modello dei più antichi capitelli corinzi di Alessandria sia rappresentato dai capitelli impiegati nell'ordine interno della tholos di Epidauro, del 380 a.C. circa: questo significa che quando nel IIT secolo a.C., probabilmente nella prima metà, fu introdotto ad Alessandria l'ordine corinzio, il modello dominante era ancora quello del capitello corinzio «libero», cioé con gli steli delle volute esterne e delle elici (volute interne) distinti, ciascuno con o senza un proprio caulicolo e nascenti liberamente dietro le foglie. E questa la ragione per cui nel succes-

sivo svolgimento del capitello corinzio ad Alessandria continua ad essere prediletta la forma libera, evidentemente divenuta parte integrante del patrimonio figurativo delle officine locali: su di essa si introducono numerose varianti, sia nell'ambito del comune gusto ellenistico per l'esuberanza vegetale, sia con modalità ed elementi tipologici caratteristici di

Alessandria, che certamente hanno un ruolo nella storia della decorazione architettonica ellenistica anche per l'influenza che esercitano in regioni limitrofe come la Siria soprattutto meridionale, il regno nabateo e la Palestina, ma in una qualche misura anche l'Asia Minore. Per far emergere con piü chiarezza quali possano essere gli elementi comuni alla tradizione ellenistica del capitello corinzio e quali invece quelli peculiari dell'ambiente alessandrino, è forse utile ripercorrere brevemente la storia delle

forme, facendo riferimento in modo specifico anche alla tipologia dell'acanto. Alla base della diffusione del capitello corinzio deve esserci stato, come si è detto, anche il suo zato in centri piuttosto importanti del IV secolo a.C. ed in edifici apprezzati in modo particolare per il lico ed estetico. Un successo particolare ebbe la tholos di Epidauro, i cui capitelli corinzi furono ripresi dauro stessa": le qualità stilistiche ed estetiche che li contraddistinguono probabilmente determinarono modello

classico.

Oltre

che

dagli

steli

delle

volute

esterne

ed interne,

nascenti

liberi,

e dalle

due

impiego generalizloro valore simboed imitati ad Epiil loro costituirsi a

corone

di otto

foglie,

sono caratterizzati dalla particolare eleganza ed agilità dell’acanto: le foglie sono suddivise in lobi percorsi da nervature ed articolati in tre fogliette lanceolate: tra un lobo e l'altro l'elemento distintivo è costituito da occhielli circolari che formano zone d’ombra lungo il contorno delle foglie, evidenziandone i valori plastici. Le spirali delle elici (volute interne), a se-

! Roux,

Architecture de l'Argolide, p. 356, che osserva come nella

Grecia continentale e nell'Argolide siano noti solo due peristili ionici, nel ginnasio di Kleinias a Sicione e in quello di Delfi. ? Cfr. P. PENSABENE, in AC/, 34, 1982, p. 58, nota 83. ? CouLTON, Greek Architects, pp. 127-128. 4 Roux, Architecture de l'Argolide, p. 356. 5 B.

WESEMBERG,

Beitrage

zur Rekonstruction

e sulla sua datazione alla fine del ΠῚ sec. cfr. E. Greco, in AION, 6, 1984, p. 307. ? P.M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972, p. 266, nota 634; S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 64 ss. nota 91. 8 Cfr. W. ALZINGER, in Das Mausoleum von Belevi, Forsch.Ephesos

ktur ndch literarischen Quellen (Beih. 9 AM), Berlin 1983, p. 174, nota 759. $F. Krauss, R. HeisIG, Der korinthisch-dorische Tempel am Forum von Paestum, Berlin 1939, tav. 3; sull'esistenza di un'unica fase

6, Wien

1979,

p.

188

ss.

? Vedi nota 2.

griechischer Archite-

? Roux, Architecture de l'Argolide, p. 190. Roux,

4 Si rimanda ai lavori più volte Bauer, von Hesberg, Hópfner.

citati di Delbrück,

Ronczewski,

? Roux, Architecture de l'Argolide, p. 359.

115

zione angolare, non raggiungono l'orlo del kalathos, e tra questo ed il punto di unione delle spirali nascono fiori a fitti petali, con pistilli sporgenti e senza stelo, perché non visibile dal basso. Le volute angolari uniscono invece la spirale sotto lo spigolo dell'abaco, mentre gli steli inferiormente sono separati e sagomati a sezione angolare, accompagnata da un nastro piatto lungo i bordi esterni, in corrispondenza dello spigolo dell'abaco. Precedenti a quelli di Epidauro sono i capitelli corinzi del tempio di Apollo Epicurio a Bassae (430-400 a.C.) e della tholos di Delfi (circa 400

venti foglie a Delfi,

a.C.),

con foglie di acanto

spinoso,

con grosse volute a spirali congiunte

molto piccole e poco naturalistiche,

e palmette

al centro del kalathos:

divise in due corone

a Delfi,

di

inoltre, appare il

motivo delle doppie volute ad S contrapposte simmetricamente P. Quasi contemporaneamente alla tholos di Epidauro, invece, vengono creati, ad opera di Scopas, per le semicolonne interne del tempio di Atena Alea a Tegea (360-340 a.C.) capitelli corinzi che si allontanano del tutto dalla forma dei prototipi di Bassae e di Delfi, acquistando definitivamente quell’aspetto naturalistico che contraddistinguerà in seguito l’or-

dine corinzio: è da accettare la proposta di ricostruzione del Roux", che già individua a Tegea due corone di otto foglie, secondo una disposizione che diverrà canonica per tutto il periodo successivo greco-romano. Le foglie, dunque, perdono il loro aspetto schematico per divenire più carnose e naturalistiche, con le cime fortemente ripiegate: nell'asse del kalathos, dietro le foglie della seconda corona, nasce un’altra foglia d’acanto piuttosto lunga, creando un terzo ordine di foglie, che sostituisce lo stelo del fiore e le volute interne, secondo una disposizione che avrà poco seguito con queste stesse modalità. Alcuni esemplari ellenistici proprio di Alessandria mostrano che questo terzo ordine di foglie sopravvive nella piccola foglia d’acanto che nasconde lo stelo del fiore (cat. nn. 185, 190, 194-196)!. Ma l’altra novità dei capitelli di Tegea sono i caulicoli scanalati ed i piccoli calici che avvolgono gli steli delle volute!?. Le spirali delle volute sono ancora separate e poggiano sulle cime delle foglie angolari della seconda corona; sulla curva superiore sono coperte da una piccola foglia che nasce sotto lo spigolo dell’abaco.

I capitelli di Tegea, ripresi poco dopo nel tempio di Zeus a Nemea, rappresentano il definitivo orientamento dei capitelli corinzi verso il naturalismo vegetale, con l'acanto che non aderisce al kalathos, ma si giustappone ad esso e lo av-

volge!”. Un’ultima osservazione sul fatto che le colonne e le basi che si accompagnano ai capitelli corinzi sono ioniche, le prime quasi sempre a venti scanalature — ma a ventiquattro nella tholos di Epidauro — le seconde, a partire soprattutto dalla tholos, attiche tradizionali.

Le esperienze di Epidauro e di Tegea sono alla base dei tipi «liberi» del periodo ellenistico, del Peloponneso, della Grecia

interna

«normale»:

e, come

vedremo,

di Alessandria,

e sono

anche

alla base

della

creazione

in Attica

del capitello

corinzio

questo è caratterizzato dalle volute e dalle elici nascenti a due a due da uno stesso caulicolo e si contrappone

dunque al capitello «libero», che è la forma più antica’®. In Attica i capitelli corinzi sono

collocati

all’esterno

dell’edificio,

e non

all’interno,

così

nel monumento

coregico

di

Lisicrate! e nell'Olympieion?? (175-164 a.C.): qui abbiamo la forma definitiva assunta dal capitello «normale», con le spirali delle volute e delle elici tangenti l'abaco ed emergenti da un caulicolo e da un calice sulle cui foglie esterne si ap-

poggiano le volute, mentre le foglie interne toccano lo stelo del fiore dell'abaco; le foglie, increspate e con le nervature sporgenti, sono articolate in lobi a fogliette lanceolate, distinti da zone d'ombra ad occhiello. Se nel IV e III secolo a.C. non è possibile determinare, come invece per il dorico e lo ionico,

un'evoluzione

con-

tinua di proporzioni che ci informerebbe sulla cronologia, tuttavia in questo periodo si definisce il valore soprattutto decorativo, e non di supporto architettonico, delle semicolonne addossate con capitelli corinzi, nella stessa direzione seguita dall'ornato vegetale di rivestimento e di dissimulazione del kalathos?!. Prima di analizzare le forme alessandrine, brevi osservazioni vanno dedicate alla presenza dell’ordine corinzio in Asia Minore: qui infatti la tradizione radicata dell’ordine ionico può spiegare la sua non troppo frequente attestazione fino agli inzi dell’età imperiale: di conseguenza i monumenti più importanti di IV secolo, come il Mausoleo di Alicarnasso ed i templi di Magnesia e di Priene, sono ionici; successivamente lo stesso ordine si trova non solo negli edifici religiosi (tempio di Apollo a Aegae), ma anche in quelli civili.

I più antichi esemplari corinzi sono quelli del mausoleo di Belevi? (dei primi due decenni del III secolo a.C.), che, nonostante l’alto abaco di tradizione piuttosto antica, mostrano una tradizione più recente per lo stelo del fiore dell’abaco nascente da una foglia; inoltre, le grandi volute esterne e le piccole elici si originano da caulicoli con calici. Elementi

simili ritornano nei capitelli meglio conservati del Laodiceo di Mileto”, ben databili su basi epigrafiche tra il 259 e il

13 In., p. 362. 4 Tp., p. 366. 5 Ip., p. 366, dove sottolinea il conservarsi di influssi peloponnesiaci ad Alessandria. 16 Ip., p. 366: il motivo è ripreso dai tralci delle sime e dai coronamenti delle stele, dove compare nel primo quarto del IV secolo a.C. U In., p. 366, da vedere anche per le osservazioni sui capitelli di Nemea: la sezione del kalathos non è un cerchio, bensì viene ad essere formata da quattro archi di cerchio, con il centro non coincidente con quello del capitello per evitare che le foglie assiali fossero nascoste dalle cime delle altre.

116

18 Ip., p. 369. ?]p., p. 370: i capitelli del monumento di Lisicrate ricordano quelli di Bassae, con una sola corona di foglie, palmetta nell’asse e risalto delle volute centrali e i modelli immediati sono nelle stele attiche; da notare le rosette isolate tra le foglie. 20 Ip., p. 369-373; HEILMEYER, Korintische Normalkapitelle, p. 57, nota 237. 2! Roux, Architecture de l'Argolide, p. 368 ss. 2 W. ALZINGER, in Das Mausoleum von Belevi, Forsch.Ephesos 6, Berlin 1979, pp. 178-179. ? ]p., p. 179; BAUER, Korinthische Kapitell, tav. 31,6.

252 a.C., dove,

come nell’ordine interno dell'Arsinoeion di Samotracia™

Alessandria

nn.

(cat.

180-186),

le due

corone

di foglie

sono

poco

(289-281

alte (meno

a.C.) e negli esemplari più antichi di

della

metà

del kalathos),

con

quelle

della

seconda corona di poco superiori alla prima corona; a differenza di Belevi sono fortemente separate la zona delle foglie e

quella dei caulicoli. Questi sono ora sottili e terminanti con un calicetto, da cui si originano le piccole elici interne, con spirale contigua allo stelo del fiore dell'abaco, e ancora steli ondulati, simmetricamente contrapposti, terminanti con fiore a lungo pistillo e rivolti verso il fiore dell'abaco. Le volute, invece, crescono liberamente dietro le due corone di foglie, ma con la particolarità disorganica dovuta al fatto che i margini esterni di esse nascono dagli stessi caulicoli delle elici, mentre lo spigolo centrale si origina da un altro caulicolo: si hanno cosi in tutto, compresi i caulicoli per gli steli dei fiori d'abaco, sedici caulicoli. Ancora con Belevi sono in qualche modo confrontabili i capitelli dell'adyton di Didyma? (collocati tra il 250 e il 230 a.C.), con i caulicoli però collegati soltanto con le sottili elici, mentre le volute esterne sono libere. Sembra dunque che le suggestoni dei capitelli di Tegea e di Epidauro siano ancora presenti durante il III secolo a.C., mentre, come mostra il propylon del bouleuterion di Mileto? (175-164 a.C.), solo con il II secolo a.C. venne accettata la forma del capitello corinzio «normale», quale era stata rielaborata in ambiente attico. Si è detto che già nel III secolo a.C. è ripreso ad Alessandria il modello della tholos di Epidauro, ma anche qui non in modo pedissequo perché vengono precocemente introdotte piccole varianti. Uno dei capitelli più antichi della città (cat. n. 180) ha le elici nascenti da un caulicolo scanalato con un piccolo calice; le volute, libere, non presentano unite solo le spirali, ma anche gli steli, tra 1 quali si forma una piega d’angolo che le trasforma in un'unica grande foglia d'acqua angolare. Come già nel monumento di Lisicrate e nel Laodiceo di Mileto, sono introdotti viticci fioriti tra le elici e le volute: nel cat. n. 180 ed in altri esempi più antichi non si tratta ancora di varianti specifiche dell'ellenismo alessandrino, ma di una tendenza al naturalismo ornamentale all'interno di una koinè artistico-decorativa del mondo mediterraneo, che ha le sue radici,

come

si è detto,

nelle

correnti

architettoniche

greche

del IV

secolo

a.C.

Tuttavia

nel cat.

n.

180

sono

avvertibili già quelle tendenze tipiche dell'ambiente alessandrino verso un'eleganza formale accentuata da «preziosismi» naturalistici, come l'introduzione di girali nello stelo ondulato dei fiori: inoltre rientra in quel gusto per le varianti sul tema

dei pilastri

uniti

alle semicolonne,

in quanto

non

sormonta

soltanto

la semicolonna,

ma

si estende

anche

ai fianchi

del pilastro: in tal modo lateralmente la parte del kalathos relativa al pilastro e alla semicolonna è unificata in un'unica faccia del capitello, che viene cosi a negare la divisione tra 1 due sostegni sottostanti. Il cat. n. 180 è comunque sotto l'influsso di Epidauro anche per la forma dell’acanto con foglie a lobi concavi, articolati in fogliette lanceolate a sezione angolare e separati da zone d’ombra ovali aperte. Se il suo schema vegetale «libero» si riscontra in un folto gruppo di capitelli alessandrini (gruppo A, cat. nn. 180-229), tuttavia proprio i cambiamenti nella tipologia dell’acanto, nei modi di lavorazione e nelle varianti vegetali, mostrano che il tipo derivante dal modello di Epidauro continua a sussistere per tutto il periodo tolemaico: diviene inoltre in età romana parte integrante del patrimonio decorativo delle officine lavoranti presso le cave di granito e di basalto (cat. nn. 227-231; Fig. 98) e anche di officine che utilizzavano la pietra locale in città dell’alto e medio Egitto — così negli schematici capitelli corinzi del tempio di Augusto a Philae (cat. nn. 353-354) o in quelli del Ninfeo di Dendera (cat. nn. 220-226). Che già durante il primo periodo ellenistico fossero lavorati nelle pietre dure non solo colonne, ma anche capitelli corinzi lo mostra il noto capitello di basalto, lavorato in due pezzi, della colonna di Karthoun (cat. n. 203), appartenente quasi certamente ad un

grande edificio del III secolo a.C. (la colonna di granito di Assuan è alta m. 10,54): esso mostra l’apparato vegetale, derivante dal modello di Epidauro, riprodotto, a causa del materiale impiegato, nei suoi elementi essenziali e senza arricchimenti ornamentali. Rispetto al simile cat. n. 187 mancano i caulicoli delle elici e i viticci fioriti, mentre si conserva la particolarità dello stelo centrale che forma una girale poco sotto il fiore dell'abaco. Sono state rilevate la sottigliezza dell’abaco, coronato da un ovolo tra due listelli, e l'altezza delle foglie, pari a due quinti e non alla metà del kalathos, secondo modalità che divengono caratteristiche ad Alessandria”; pure in questo esemplare le spirali delle elici sono abbastanza alte, anche se non toccano l'abaco, mentre il fiore poggia ormai al centro dei lati dell'abaco e non piü sotto di esso. Ma, sempre nel III secolo, compaiono ad Alessandria, e di riflesso in edifici di altre città egiziane dipendenti da essa, forme diverse: i capitelli corinzi (cat. nn. 43-47) del santuario di Hermoupolis Magna, del terzo quarto del III secolo a.C., introducono elici a sezione circolare, completamente rivestite da piü caulicoli scanalati; questi terminano con un orlo a tondino, da ciascuno dei quali nasce una foglia d'involucro con la cima ripiegata in senso opposto all'andamento delle spirali interne. Le foglie inoltre presentano increspature convesse e sono suddivise in lobi a solo tre fogliette, con un effetto a trifoglio. Più che alla tradizone dell'acanto dei capitelli della tholos di Epidauro, come invece nei cat. nn. 180203, si deve pensare ad altre tradizioni, forse peloponnesiache, nelle quali era piü accentuato l'effetto decorativo del contorno delle foglie. Questa diversa tradizione dell'acanto si riscontra ancora nei capitelli del Laodiceo di Mileto, ben databili su basi epigrafiche tra il 259 e il 252 a.C. (vedi sopra)", in cui ugualmente le elici molto più piccole e sottili sono

tubolari??, 7^ A. chungen

Conze,

A.

Hauser,

auf Samotrake,

I,

G. NiEMANN,

Wien

1875,

Archaeologische

tav. 60,

fig.

1.;

EAA,

Untersu-

ad Olimpia nei capitelli del propylon della palestra e nella Siria meridio-

Atlante,

nale,

tav. 361,9.

5 W.

in capitelli dipendenti

da Alessandria.

27 Vedi nota 23.

VOIGTLAENDER,

Der jüngste

Apollontempel

von

Didyma,

Beih. IstMitt, Tübingen 1975, p. 108. 26 Roux, Architecture de l'Argolide, p. 379: questa forma si ritrova

? Cfr. Von HesBERG,

in Das ptolemaische Ágypten, p. 138, dove

viene citato, come testimonianza di storie della forme alessandrine, tra il nostro cat. n. 87 e gli esemplari di Hermoupolis Magna, un capitello di

117

545 ran. ^0 ῃ

10

Fig. 98 - Hermoupolis Ronczewski).

Nel

corso

del II secolo

ad Alessandria

continua

Magna,

capitello corinzio,

sia la tradizione

cat. n. 231

dell'acanto

(dal

del modello

di Epidauro

(cat.

nn.

180,

194-195, 203), sia quella dei capitelli di Hermoupolis Magna (cat. nn. 43-47). La prima tradizione dà luogo a forme di acanto con la superficie delle foglie più profondamente solcata da scanalature, per rendere le nervature, e con le cime

ancora più ripiegate: le zone d’ombra ovali sempre più frequentemente sono chiuse e rese mediante un cerchio (cat. nn. 188, 201). La seconda tradizione dà luogo a foglie con la superficie trattata a solchi paralleli, verticali al centro e leggermente arcuati in corrispondenza dei lobi laterali (cat. nn. 190-192): questi sono articolati in fogliette dentate e distinti da zone d’ombra aperte, oblique e incavate profondamente (cat. nn. 197-200). Con il tardo II e il I secolo a.C., le foglie sono spesso schematizzate, in quanto hanno la superficie piatta, percorsa da fitti solchi paralleli, contrapposta ai lobi che si susseguono paratatticamente lungo il contorno (cat. nn. 240-241). È possibile che da queste tendenze sempre maggiori verso una resa schematica ed astratta delle foglie, derivi la tipica foglia «di palma», con stretti lobi accostati nascenti direttamente dalla sottile nervatura centrale e con la cima esageratamente ripiegata, che è visibile nei capitelli del ninfeo di Dendera della prima metà del II secolo d.C. (cat. nn. 220-227). Che questa «standardizzazione» dell’acanto si sia prodotta in epoca tardo-tolemaica, periodo in cui appunto si trasmise

Amathus da Cipro (fig. 132), con acanto ancora del tipo di Epidauro, ma

sia per le volute (cfr.

con robusto caulicolo centrale da cui nascono le spirali simmetricamente

colazione dell'acanto, a fogliette leggermente dentate e con zone d'ombra ovali aperte. Il gruppo è anche confrontato con due capitelli di Tocra in

contrapposte e con volute angolari e viticci fioriti simili alle forme ales-

sandrine. Menziona inoltre, per ricostruire lo sviluppo successivo nel II e nel I secolo a.C., capitelli di Harag-el-Emir in Giordania (fig. 134), della prima metà del Hi secolo a.C., che richiamano nell’elevato i capitelli di Cipro, ad Amathus ed anche a Kouplia (fig. 133), ma anche numerosi esemplari da Alessandria, con robusti caulicoli scanalati, sia per le elici,

118

cat. nn.

141-154);

il richiamo è anche per l’arti-

Cirenaica (fig. 136), dove, come a Kouplia (fig. 133) e nel nostro cat. n. 141, le elici nascono libere come nei capitelli corinzi-italici; infine un ter-

mine per il successivo sviluppo è dato dai capitelli del Calcidico di Leptis Magna, di età augustea, con elici giraliformi intrecciate, che hanno numerosi confronti

ad Alessandria

(cfr. cat. nn.

141,

150,

164).

anche alle officine lavoranti pietre dure come il basalto ed il granito, lo mostra il cat. n. 217: vi è già avvertibile la forma schematica delle foglie, appiattite sul kalathos e in contrasto con la cima accentuatamente sporgente, in modo da creare un movimento di piani sulla superficie del kalathos. Si tratta ora di capitelli che fondano l'effetto decorativo sulla contrapposizione della parte inferiore, più chiaroscurata, e quella superiore, più liscia e meno evidenziata, con un'evidente perdita della visione organica degli elementi del kalathos come un unico organismo vegetale continuo. Nel II secolo a.C. si diffonde ad Alessandria (gruppo B) un'altra importante variante che, prendendo spunto dalla tradizione derivante dai capitelli dei templi di Tegea e di Nemea (v.sopra), e ancora del Philippeion di Olimpia, introduce per lo stelo delle volute

angolari,

ora tubolari

avvolgimenti vegetali (cat. nn. 232-233),

e separate,

un robusto

caulicolo,

distinto dalle elici: queste

sia lisce,

sia nascenti da caulicoli con piccole foglie (cat. nn. 190-201).

senza

La presenza,

come si é detto, nei capitelli del Laodiceo di Mileto di caulicoli agli angoli e al centro (vedi sopra) mostra che anche in questo caso si tratta di modalità note già nel III secolo. E all'interno di questo gruppo di capitelli che vi sono alcuni noti esemplari della fine del III o della prima metà del II secolo a.C. (cat. nn. 232-235), che richiamano 1 capitelli corinzio-italici per la presenza di una lunga e stretta foglia d'acanto che accompagna le elici?. Il richiamo non può spingersi tuttavia alla forma dell’acanto e delle volute esterne, ma va comunque segnalato anche per altri parallelismi, tra il mondo alessandrino

e quello

siciliano,

come

il frequente

uso

di dentelli

stretti e allungati,

che,

come

si è detto,

sembra

essere

precedente in Sicilia. La tradizione, così radicata ad Alessandria, del capitello corinzio «libero» perdura in Egitto, come si è detto, anche in età imperiale, soprattutto quando si utilizzano le pietre locali e non il marmo: ciò fa sì che la forma del corinzio «normale», con le elici e le volute nascenti da uno stesso caulicolo con calice, sia poco rappresentata e limitata a pochi

esempi (gruppi C,D; cat. nn. 249-254). Databile tra la fine del I secolo a.C. e la prima metà del I secolo d.C. è il cat. n.

376

di Hermoupolis,

che presenta

i lobi dell’acanto

a fogliette

lanceolate,

separate

da zone

d’ombra

oblique,

e cauli-

coli piuttosto larghi e poco rilevati che occupano del tutto lo spazio tra le cime delle foglie superiori. Più che all’acanto della tradizione di Epidauro (cat. nn. 180, 203) si deve pensare ad un tipo classicistico ispirato ad essa, che si elabora in Grecia in età augustea e visibile, ad esempio, nell’ Agrippeion di Atene (20-10 a.C.), nella Basilica Iulia e in quella meri-

dionale di Corinto. Si tratta dunque di una corrente classicheggiante, probabilmente in connessione con la politica augustea,

che

non

sembra

aver

avuto

grande

seguito:

anche

tra i capitelli corinzi

di marmo

possiamo

citare

esempi (cat. nn. 377-378), che, pur diversi, sono in qualche modo collegabili a questa tradizione. Contatti con la Grecia e l'Asia Minore dovevano comunque essere continuati durante il II e il I secolo

soltanto a.C.,

due come

mostra la metà inferiore di un capitello corinzio (cat. n. 24, non si conserva la parte superiore), di cui non si può dire se appartenesse al tipo normale: lo contraddistingue un acanto con lobi a tre fogliette e separati da zone d'ombra chiuse a cerchietto («a occhiello»), secondo la tradizione tardo-ellenistica visibile nei capitelli del propylon del bouleuterion di Mileto (175-164 a.C.), dell'Hekataion di Lagina, ora datato tra l'ultimo venticinquennio del II e il principio del I secolo a.C., e financo dei Piccoli Propilei di Eleusi?'. Che d'altronde questa tradizione sia stata già introdotta ad Alessandria, sicuramente nel corso del II secolo, lo mostrano le foglie d'acanto che sorreggono le mensole ai lati di una trabeazione di portale da Theadelphia (cat. n. 982), datata con precisione al 150-149 a.C. per l'iscrizione sull'architrave, dedicata a To-

lomeo VI?. La forma del corinzio «normale» è poi rappresentata ad Alessandria e in Egitto, da capitelli in granito (cat. nn. 249-254), tutti a foglie lisce: di questi solo il cat. n. 249 conserva visibile il calice, da cui nascono grandi volute e sottili elici dalle piccole spirali che non toccano l'orlo dell'abaco. Che in esso si conservi ancora la tradizione alessandrina è visibile nell'altezza quasi uguale delle foglie delle due corone e nello spesso tondino sporgente alla base del kalathos. I cat. nn.

252-254,

niano il volute e come un Nei

di età dioclezianea per il contesto in cui sono collocati (aula imperiale

di culto imperiale

testimo-

di Luxor),

conservarsi della tradizione del corinzio «normale» in unione a quello «libero», come mostrano da una parte le le elici nascenti da un unico punto, dall'altra i fiori tra di esse e le foglie che sostengono le volute, formanti terzo ordine. capitelli corinzieggianti (gruppo E, cat. nn. 255-319) ritornano ugualmente i due tipi di volute angolari descritte

per il gruppo A ed il gruppo B, cioè unite in modo da formare una sorta di foglia d'acqua (cat. nn. 270-272, 292),

oppure separate e con stelo tubolare (cat. nn. 256-269, 274-287, 294-298): è questa nei corinzieggianti la forma più comune, che compare quasi sempre percorsa da scanalature verticali (Fig. 95). Talvolta gli steli delle volute angolari accostate sono coperti parzialmente da una foglia (cat. nn. 256, 280), oppure ciascuno di essi è avvolto da foglie (cat. nn. 276-279); altre volte essi sono rivestiti da piccole foglie disposte a squame di pesce (cat. n. 295) o intorno vi si avviticchiano viticci con pampini (cat. nn. 297-298). I capitelli di Edfu (cat. n. 257) possono forse considerarsi, tra i corinzieggianti, quelli più antichi, in quanto l’acanto conserva ancora il riflesso di quello della tradizione di Epidauro (cfr. cat. n. 180) ed è ancora attribuibile tra la fine del 2 Cfr.

CZEWSKI,

DELBRUCK,

Musée

Hellenistische Bauten,

d'Alexandrie,

Zuwo,

in Atti III

Von

3 H.

2, p. 157, fig. 98; Ron-

p. 15, tav. 3,4; V.

cfr.

A.

2,

Propylaen

von

1981-82,

des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, Mainz-am-Rhein

GIULIANO, Arte greca, Milano 1987, p. 892. 2 M. BERGMANN, in Bathron, Beitrage

3 Han MEYER, 12,3,4, 13,12.

Korinthische

Normalkapitelle,

pp. 63-66,

tavv.

p. 43 ss.,

figg. 1-3;

p. 19, figg. 8-9; H.

1933,

MANN,

61, nn. 38,41, tav. 45,d,e: cfr. anche p. 93 sui particolari.

inneren

53,

OJh,

in IstForsch,

Convegno Naz.Storia Architettura, Roma 1938, p. 50, fig. 10; C. WEI CKERT, in RM, 59, 1944, p. 206; H. Lauter Bure, Die Geschichte

1987, pp. 60-

Die

in

HesBerc,

ScHoBER,

Eleusis,

Berlin

1932,

Hor-

p. 57 ss.,

tav. 48 ss; per la datazione dell'Hekataion di Lagina vedi da ultimo, A.

wandten

Kunsten,

für H.

Drerup

zu seinem

80°

zur Architektur Geburistag,

und

ver-

Saarbrücken

1988, pp. 61-63, figg. 2-7.

119

Fig. 99 - Già a Philae (dal Pagenstecher).

III e la prima metà del II secolo d.C., epoca in cui possiamo dunque collocare l'introduzione della variante «a lira» 5, in

base alla forma assunta dalle elici, a S e con la spirale rivolta verso l'esterno (Fig. 99). Comunque la maggior parte degli esemplari, sia con questo tipo di variante, sia con il motivo degli steli centrali del tutto accostati presenta il tipo schematico dell'acanto, con la superficie suddivisa da solchi verticali e paralleli e con lato in lobi in successione paratattica (vedi sopra), ed è collocabile in epoca tardo-tolemaica, a partire del II secolo a.C., e primo-imperiale: le zone d'ombra possono essere aperte, piuttosto profonde e strano numerosi

esemplari

di Alessandria

(cat. nn. 256,

258-260,

276,

279-284)

e anche del Palazzo

(cat. nn. 276-292), il contorno articodalla seconda metà oblique, come mo-

delle Colonne

di To-

lemaide**, oppure chiuse e a forma di cerchietto, presumibilmente reso con il trapano (cat. nn. 263, 265-268, 289, 291292) e secondo modalità già testimoniate dalla metà del II secolo a.C. (cat. n. 982). Che questa forma a cerchietto non debba soltanto essere considerata come una maniera più spiccia per rendere le zone d'ombra, ma rappresenti invece l'eco di articolazioni nella tradizione tardo-ellenistica, detta prima a proposito dei cat. nn. 180, 982, è indicato da un capitello corinzieggiante di pilastro con volute a «doppia S» (cat. n. 315): in esso si distingue chiaramente l'origine del motivo dovuto all'urtarsi delle fogliette aguzze dei lobi contigui dell'acanto, che conserva una certa plasticità, visibile nelle ner-

vature curve e sporgenti tra i lobi, la cui superficie è invece rientrante e a sezione angolare; le foglie sono disposte soltanto agli angoli e presentano i cerchietti soltanto lungo la stessa linea obliqua del margine. Va comunque rilevato che molte delle schematizzazioni presenti nei capitelli corinzi alessandrini si riscontrano soprattutto negli esemplari di piccole dimensioni, ed è in questi che prende maggiore risalto la zona d'ombra a cerchietto (cfr. cat. nn. 291-292), in contrasto con il trattamento semplificato della superficie delle foglie. Una caratteristica dell'ambiente alessandrino appaiono essere le foglie di vite in luogo dell'acanto, come si riscontra in alcuni esemplari mancanti di altri riferimenti alla vite (cat. nn. 294-295), o arricchiti da pampini e piccoli grappoli lungo gli steli delle volute esterne e sotto la spirale di questi (cat. nn. 296-299, 302): si tratta di una tradizione che si protrasse, anche al di fuori di Alessandria, in età imperiale avanzata, come mostrano i capitelli reimpiegati nella fortezza di Dionysias (v. p. 233).

chitecture,

33 RONCZEWSKI, Musée d'Alexandrie, p. 25. 4 Pesce, Palazzo delle Colonne,

120

fig. 13; LvrTELTON,

p. 58, che sottolinea le caratteristiche di questi capitelli, co-

stituite dalla nervatura centrale piuttosto prominente nelle foglie d'acanto Baroque Ar-

e dalle zone d'ombra tra i lobi.

VII BASI

1.

BASI ATTICHE SEMPLICI

In età ellenistica,

oltre che

ad Alessandria,

un

certo

numero

di basi

del tipo

attico,

cioé

a due

tori

separati

da una

scozia e poggianti direttamente sullo stilobate, senza la mediazione del plinto, & testimoniato soprattutto in tre località egiziane: si tratta di Hermoupolis Magna, dal santuario tolemaico (cat. n. 60), di Edfu, da un edificio ignoto (cat. n. 708), e di Tebtynis, dalla «sala tolemaica» lungo la via processionale (cat. nn. 705-707). Esse sono accomunate dal fatto di essere intagliate insieme all'imoscapo della colonna, mentre varia la convessità del profilo e la sporgenza sopratutto del toro superiore, più espanso negli esempi più antichi di Hermoupolis Magna e di Edfu, attribuibili al tardo III secolo a.C., più sottile nelle basi di Tebtynis, del II-I secolo a.C. e confrontabili con le basi dell'ambulacro meridionale del Grande

Peristilio del Palazzo delle Colonne a Tolemaide!, o ancora della terrazza superiore del palazzo di Erode a Masada?. Gli esempi alessandrini (cat. n. 711-712), anche se Soa!

confermano l’accettazione di questo tipo in Egitto, dove sarà utiliz-

zato anche nei primi due secoli del periodo imperiale, come mostrano le basi delle fontane di Dendera (cat. nn. 709710), in un periodo cioè in cui diverrà più usuale il tipo che aggiunge il plinto alla forma attica tradizionale?. Ad Alessandria si incontra peró un altro tipo di base, modanata solo con un plinto circolare e una gola dritta (cat. n. 700B), che si può ritenere di derivazione peloponnesiaca e che ha una certa diffusione anche in ambiente magno-greco, etrusco e nelle tombe di Petra, qui piü spesso usata con stipiti di portali e comunque contemporaneamente alle basi at-

tiche.

2.

BASI ATTICHE CON CORONA D'ACANTO

Ad Alessandria & documentato (cat. n. 779-786) l'uso di intagliare la base attica insieme ad una corona di foglie d'acanto, che si origina dunque dal toro superiore e viene a costituire la parte inferiore della colonna: si potrebbe anzi dire che strutturalmente queste corone di foglie fanno parte della colonna piuttosto che della base. A proposito dell'origine di questa forma, devono essere innanzitutto distinte le colonne isolate con base d'acanto, che hanno funzione votiva o funeraria e un particolare significato simbolico, da quelle inserite in un complesso architettonico, sostenenti dunque una trabeazione. L'origine delle prime va ricercata in ambiente greco: tra gli esempi piü noti si possono citare la colonna di acanto di Delfi, sormontata dalle Aglauridi^, e la colonna di Pratomede nel santuario di Apollo a Cirene?, entrambe collegate con il culto di Apollo*. Le seconde trovano invece un precedente nell'architettura egizia: spesso infatti le colonne dei templi del periodo faraonico, o di stile faraonico in periodo greco-romano, presentano la parte inferiore del fusto sotto forma di calice di foglie, e ciò costituisce la regola nelle colonne di papiro. E dunque da questo tipo che in ambiente alessandrino nasce la colonna con l’imoscapo avvolto da una corona d'acanto; in essa sono evidenti influssi greco-ellenistici visibili nell’adozione della foglia d’acanto in sostituzione di quella di loto o di papiro”, ma è dalla tradizione architettonica egizia che deriva la sua chiara funzione architettonica di sostegno. Tuttavia, poiché nell’architettura ellenistica vi era l’uso di intagliare l'imoscapo, insieme alla base (per varie ragioni tecniche legate anche alla misura dei blocchi da cui erano scolpiti i

! Pesce, Palazzo delle Colonne, fig. 35. ? Y. Yapin, Masada. La fortezza di Erode Zeloti, ed.it., Bari 1968, p. 66.

e l'ultima difesa degli

3 Sull'origine e la diffusione di questo tipo v. L.T. SHoE, in Hesperia, 39, 1969, p. 190 e ss.; cfr. P. PENSABENE, in 25" Suppl. RM,

1982, pp. 109-110.

^ T. HOMOLLE, in BCH, 32, 1908, p. 233, figg. 7, 9. 5E. ParisenI, Catalogo delle sculture di Cirene, Roma p. 405; STucCHI, Architettura cirenaica, p. 113-115, fig. 97.

6 P. PENSABENE, in ACI, 34, 1982, pp. 58-59, nota 83. 7Per tutto il problema v. MAKOWIECKA, «Acanthus-base»,

1959,

pp.

116-131.

121

singoli rocchi), la corona d'acanto venne ad essere intagliata quasi sempre insieme alla base, e quest'uso continua in età imperiale. Solo quando le particolari dimensioni della colonna e il materiale, in genere pietre dure come la diorite o il granito d'Assuan, determinavano la necessità di separare le basi dalla parte inferiore del fusto, si avranno corone d'acanto senza la base (cat. n. 779). Basi d'acanto ancora in situ, al di fuori dell'Egitto, ma su influsso alessandrino, sono visibili nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide?. Altri esempi noti dell'impiego di questa forma si trovano nel santuario di Nîmes? e in diverse località orientali in cui è stato riconosciuto un influsso tolemaico!°. La popolarità del motivo è inoltre confermata dalla sua presenza negli stili architettonici della pittura romana!!. Che l'introduzione di questa forma fosse stata abbastanza precoce lo prova il cat. n. 779, con un tipo di acanto a fogliette lanceolate

e zone

d’ombra

ad occhiello,

collocabile

nel II secolo

a.C.,

che

era pertinente

ad una colonna

di circa

m. 6 di altezza. Gli altri esempi noti alessandrini sono soprattutto pertinenti a piccole colonne e quasi tutte presentano il tipico acanto di età tardo-tolemaica, caratterizzato da foglie schematiche con nervature parallele, piccoli lobi e grandi zone d’ombra oblique aperte (cat. nn. 780-786): non si tratta soltanto di esemplari di colonna, in quanto i cat. nn. 781-784

sono relativi a semicolonne o a quarti di colonne uniti a pilastri; inoltre il cat. n. 780 presenta la base relativa ad una semicolonna addossata con il contorno non semicircolare, bensì semipoligonale. Vanno infine citate le basi d’acanto conservate nei giardini di Kom esch-Shogafa (cat. nn. 787-789), in quanto presentano foglie con la caratteristica coppia di zone d’ombra, l’una ogivale e l’altra triangolare, tra i lobi e con le fogliette molto appuntite e vagamente geometriche, pur nel tentativo di una resa naturalistica. Si tratta di un acanto i cui modelli sono da ricercare in età tardo-ellenistica, anche se perdurano nella prima età imperiale, e che segna la presenza di un notevole influsso di tipi attici.

* Pesce,

Palazzo

delle

Colonne,

fig. 48;

H.

Lauter,

in Jdl, 86,

1971, p. 153, fig. 6. ? R.

NAUMANN,

pp. 46-53, figg. 31-55.

122

© MAKOWIECKA,

«Acanthus-base»,

p. 121 e ss.

τ Cfr. ad esempio alcune rappresentazioni di teatri in pitture di IV stiDer

Quellbezirk

von Nîmes,

Berlin-Leipzig

1937,

le: M. BreBER, The Hystory of Greek and Roman Theatre, Princeton 1961,

p. 233,

figg. 776-778;

MAKOWIECKA,

«Acanthus-base»,

p. 121

e ss.

VII COLONNE,

SEMICOLONNE,

QUARTI

DI COLONNE

Negli edifici civili e nelle abitazioni del periodo ellenistico le colonne, doriche (Tavv. 112; 116, 4) e ioniche (Tav. 113), quasi sempre a venti scanalature, presentano spesso, come di consueto nell’età ellenistica, il quarto inferiore risparmiato o con le scanalature riempite da una modanatura ad arco convesso che definiamo «bastoncino» (Tav. 116, 1, 2). Questa moda, che si diffonde nel mondo di cultura greca a partire dal IV secolo (numerosissimi ne sono gli esempi'), probabilmente si originò in corrispondenza della maggiore diffusione di portici colonnati lungo le strade e le agorà che determinarono nuove esigenze estetiche nell’apparato complessivo delle sequenze colonnate: in questi edifici la parte inferiore del fusto, come ha rilevato S. Stucchi?, era più soggetta a danneggiamenti per il continuo passaggio. Il terzo inferiore risparmiato è talvolta anche il segnale dell’esistenza di transenne tra le colonne, come ad esempio nel secondo piano delle corti a peristilio delle case, o nel piano superiore delle stoai?. È

stato rilevato

come

l’uso

di venti

scanalature

nelle

colonne

ioniche

sia un tratto caratteristico,

che le distingue

da

quelle canoniche a ventiquattro scanalature“: per la prima volta noto nel tempio di Apollo a Bassae, ebbe una larga diffusione nel Peloponneso e nell’ Argolide, frequente soprattutto nei monumenti di piccole dimensioni e in calcare. Si ritiene

che la minore fragilità della superficie, dovuta ad un minor numero di scanalature, possa spiegare la diffusione delle colonne con venti scanalature in regioni in cui l’architettura era prevalentemente in calcare o in poros, più eccezionale invece in Asia Minore e in Attica, in cui più comunemente si usa il marmo*: tuttavia ragioni estetiche, determinate dalla necessità di rendere meno esili i fusti senza aumentarne il diametro, sono alla base della scelta di colonne con venti scanalature nel tempio di Apollo a Bassae e nella tholos di Delfi, dove è impiegato il marmo. Comunque, l’importanza di un santuario come quello di Delfi dovette certamente favorire agli inizi la diffusione di questo tipo di colonne. Per Alessandria la testimonianza dell’uso di queste colonne è ancora una volta fornita dalle necropoli, in particolare dagli ipogei di Mustafa Pascià (Fig. 69) e di Shiatbi, dove le colonne e le semicolonne doriche non devono però essere considerate anche come attendibili modelli per l’analisi delle proporzioni dell’ordine dorico in uso ad Alessandria nel periodo ellenistico: infatti le dimensioni tozze e poco slanciate dei fusti rastremati (v. ad esempio negli ipogei 1 — Fig. 108 — e 2 di Mustafa Pascià,

con colonne

alte m.

3,33/3,35,

dove i diametri inferiore e superiore scartano di circa cm.

8/9) sono

più da mettere in relazione con il luogo d’impiego e le tecniche di lavorazione, essendo intagliate direttamente nella roccia: quindi, solo apparente è il contrasto con la moda ellenistica di colonne sottili e slanciate, che d’altronde si riscontra in monumenti coevi, come nel c.d. Tempio di Arsinoe Zephyritis®. A questo proposito si rimanda alle osservazioni fatte da A driani’, di cui si riporta la tabella sui rapporti tra altezza e diametro inferiore delle colonne doriche: c.d. Tempio di Arsinoe Zephyritis Necropoli di Shiatbi, ipogeo A Ipogeo di Sidi Gaber Necropoli di Mustafa Pascia, ipogeo 1 ipogeo 2

: : : : :

6,6. 6,5. 5,5. 5,5. 5,4. 6,4.

! Citiamo soltanto ad Atene la stod di Attalo, ad Olimpia la palea Megalopoli il portico di Filippo, a Kalydon l'heroon, a Delo il

H.P.

portico di Filippo V o la casa del Tridente, a Tenos la fontana, a Coo il

New

portico dorico-ionico dell'Asclepieion, a Cnido il colonnato vicino al teatro, ad Aegee il portico, a Cirene il portico B5 dell'agorà, a Solunto il Ginnasio, ecc.: cfr. S. STUCCHI, L'Agorà di Cirene, I, Roma 1956, p. 169 ss.; LAUTER, Architektur, p. 253ss. 2 STUCCHI, op. cit., p. 169; cfr. osservazioni di LAUTER, Archite-

colonna a ventiquattro scanalature apparve la prima volta nell'Heraion di Samo di Policrate (della seconda metà del VI secolo a.C.), mentre é solo con la fine del V secolo a.C., nel tempio di Apollo a Bassae, che si utilizza il numero di venti. ? Roux, Architecture de l’Argolide, p. 335.

stra,

ktur, p. 261. ? Ad

esempio

IsLER, in Sicilia Archeologica, 59, 1987, p. 3 ss. e bibl. citata. * W.B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, London-

York

1985, p. 135; Roux, Architecture de l'Argolide, p. 364: la

$ ADRIANI, Topografia, p. 127, n. 81, fig. 176, tav. 47. nella casa a peristilio di Monte

lato in Sicilia, attri-

7 ApRIANI,

in Annuaire,

1933-35,

p. 80,

dove

osserva

che

nell'i-

buita al primo ellenismo, con peristilio rettangolare a due piani, il secon-

pogeo 1 di Mustafa Pascià le semicolonne non sono intagliate tutte sullo

do chiuso fino ad una certa altezza delle colonne con con una balaustra a lastre scolpite ed intramezzate di colonnine: da ultimo H. BL6scH,

stesso asse e il loro diametro inferiore varia da cm. 59 a 63, ecc. Cfr. L. BACCHIFLLI, in RendLincei, 35, 1980, p. 335.

123

Va ancora rilevato che il sommoscapo, qualora la colonna sia divisa in rocchi, appare sempre intagliato insieme al capitello dorico, lo stesso si incontra frequentemente nelle colonne ioniche (ad esempio nel santuario tolemaico di Hermoupolis Magna?) e corinzie: soprattutto quando le dimensioni sono piccole, troviamo una buona parte della colonna intagliata insieme

ai capitelli (cat. nn.

200-201,

204-207).

I pochi esempi noti di rocchi con imoscapo di colonne ioniche e corinzie di maggiori dimensioni sono quasi sempre intagliati insieme alla base attica, con due tori e senza plinto, come è visibile ancora nel santuario tolemaico di Hermou-

polis Magna”, in alcuni elementi da un edificio sconosciuto di Edfu (cat. n. 708) e nella sala tolemaica di Tebtynis (cat. nn. 705-707, qui i bastoncini che riempiono il terzo inferiore dei fusti sono ottenuti con lo stucco). Lo stesso si verifica in monumenti di età romana, ma nella tradizione alessandrina e che impieghino colonne di calcare, dunque lavorate sul posto: cosi, ad e sempio, nel ninfeo di Dendera, dove le colonne, prive di scanalature e del tutto lisce, sono intagliate insieme alla base (cat. n. 709). Gli esempi citati di Hermoupolis Magna e di Edfu, se come è probabile appartenevano ad edifici templari, indicano che nei templi di età tolemaica, le colonne nelle pietre locali erano scanalate per tutta l’altezza del fusto, senza il risparmio del terzo inferiore. Ma

le necropoli

alessandrine,

le facciate

di tombe

di Tuna

el Gebel

(Tavv.

122-126)

e di altre località,

come

Tere-

nouthis, un tempietto di Dionysias (Tav. 121), la sala tolemaica di Tebtynis (Tavv. 113, 114) e ancora il Palazzo delle Colonne di Tolemaide, ci restituiscono l’immagine di alcune delle forme dell’architettura greca, e in particolare del periodo

ellenistico,

più

amate

ad Alessandria

in funzione

di sostegno

della trabeazione:

ci si riferisce

alle semicolonne,

ai

quarti o tre quarti di colonne ed alle semicolonne accostate a cuore o addossate sui lati opposti di un pilastro. Nel loro impiego vanno distinte tre modalità: 1. I rocchi delle semicolonne sono lavorati insieme ai blocchi della muratura a cui si appoggiano, oppure, senza distinzione in rocchi, le semicolonne o i quarti di colonna sporgono dalla parete intagliata nella roccia (necropoli di Mustafa Pascià) o costruita in mattoni (tempietto di Dionysias): ciò è frequente in generale nelle pareti o facciate articolate architettonicamente,

sia ad un

solo

(ipogeo

n. 3 di Mustafa

Pascià)!°,

sia

a più

ordini

(Palazzo

delle

Colonne).

Si incontra

ancora nelle semicolonne ai lati di una porta posta in facciata, o appartenenti all’inquadramento architettonico di loculi o di nicchie (ipogeo 1 di Anfushi)!! e spesso intagliate insieme all’incorniciatura. Altre applicazioni sono possibili sulle pareti di templi pseudoperipteri, come appunto nel tempietto di Dionysias (Tav. 121), o alle estremità dei muri, in funzione di anta, o presumibilmente nelle pareti, questa volta interne, di templi secondo la moda che si diffonde soprattutto dal IV secolo a.C. nell’architettura templare greca", con tutte le note implicazioni di perdita del valore statico in favore di effetti decorativi e illusionistici dello spazio. È ovvio che nella modalità citata il peso della trabeazione e degli eventuali ordini superiori viene scaricato sulla muratura e non sulle semicolonne, data la funzione solo decorativa e non di reale sostegno architettonico di questo tipo di ordini applicati: ciò anche se questi sporgono dalla parete tramite la mediazione di lesene (si vedano i quarti di colonne addossati ai lati corti delle lesene angolari sul retro del tempietto di Dionysias, o la semicolonna e il quarto di lesena addossati ad una lesena di un pezzo del Museo di Alessandria (cat. n. 256), secondo usi architettonici di derivazione greca

I

: 335



Ci

Ù 060

π-

- 008

D

a

o£g^ '

E

- 375

035

: 040 |

Fig. 100 - Alessandria, museo, (da Adriani).

* Wace,

Mecaw,

dai cantieri Finney,

SkgAT, Hermopolis Magna,

? Ip., p. 8, tav. 16,2. ? ApRIANI, Topografia, n. 86, tav. 55 ! Tp., n. 138, tav. 107, fig. 368.

124

cat. n. 290

p. 7, tav. 13,3.

Fig. 101 - Alessandria, (da Adriani).

7? Roux,

Architecture

museo,

de

dai cantieri Finney,

l'Argolide,

p. 393;

F.M.

cat. n. 256

PErsAs,

O

Taphos ton Leukadion, Athenai 1966, p. 63; H. BusmG, Die griechische Halbsaule, Wiesbaden 1970; R. MARTIN, in Mélanges P.Collart, Lausanne 1976, pp. 285-294; CoULTON, Greek Architects, p. 131 ss.

445

130

360

Fig. 102 - Alessandria, (da Adriani).

museo,

dai cantieri Finney,

cat. n.

189

Fig. 103 - Alessandria, da via Baidaui (da Adriani).

0

certamente più antichi, come mostra la Tomba di Langaza in Macedonia,

30 em.

con semicolonne ioniche addossate alla facciata,

che si riducono a quarti di colonna in corrispondenza di lesene laterali, ai cui fianchi si addossano!. 2. Un pilastro viene inserito tra la parete e la semicolonna (o quarto o tre quarti di colonna), che in questa eventua-

lità è intagliata direttamente con esso. Anche ciò risale ad una tradizione piuttosto antica, come rivela l’impiego di pilastri e semicolonne ioniche addossate nel tempio di Apollo Epicurio a Bassae!, ma la sua diffusione risale al IV secolo a.C., dove si incontra in diversi templi”, e soprattutto al periodo ellenistico, quando tale modalità non è consueta solo nei prosceni dei teatri, ma anche in altri elementi architettonici, come gli stipiti delle porte. L'ambiente greco-egiziano offre diverse esemplificazioni, che vanno dalla semplice soluzione di semicolonne addossate agli stipiti delle porte, in modo da essere contrapposte nel vano di passaggio (ipogeo di Sidi Gaber, tomba della Necropoli occidentale’®, cat. n. 111), a soluzioni più complesse, come mostra il portale di una tomba di Terenouthis (Kom Abu Bilb), dove a ciascuno degli stipiti si addossano su tre lati lesene che in facciata comunicano con le pareti tramite quarti di colonne": forme molto simili si trovano in elementi sporadici del Museo di Alessandria, con pilastri in origine addossati a pareti e dai quali sporgono lesene e doppi quarti di colonne (Figg. 100, 101), superiormente unificati da un unico capitello corinzieggiante, che segue il contorno irregolare così ottenuto da tali accostamenti (cat. n. 363). 3. I pilastri e le relative semicolonne (o altro) addossate sono liberi: anche in questo caso le soluzioni sono molteplici e dipendenti dalla funzione del pilastro all’interno del complesso architettonico in cui si trova. Si hanno così semicolonne

addossate

ad

un

pilastro

(Fig.

102),

sia rivolte

in facciata,

sia verso

l’intercolumnio,

ancora

semicolonne

sui lati

opposti del pilastro (Fig. 103) sormontate, da capitelli dello stesso ordine (cat. n. 242, corinzi), talvolta unificati in un unico grande capitello (cat. n. 244, corinzio), o di ordini diversi (cat. n. 243, corinzio e ionico); ancora semicolonne addossate a due lati contigui del pilastro,

l'Adriani

i precedenti

13 Th. Macripy,

nuaire,

1933-35,

greci

una rivolta in facciata l’altra verso l’intercolumnio:

di tali forme

(ad esempio

in Jd], 26, 1911, p. 200, tav. 6; ADRIANI,

pp. 90-91;

cfr.

anche

M.J.

MELLINK,

a Palatitza)

in An-

in AJA,

69,

1965, p. 144, fig. 377, per il Letoon di Xanthos, di età ellenistica, con all’interno della cella semicolonne ioniche e quarti di colonne agli angoli. ^H. Berve, G. GRUBEN, Griechische Tempel, München 1962, tav. 95.

5 Roux, Architecture de l'Argolide, p. 389 ss. 16 ApRIANI, Topografia, n. 88, tav. 60, fig. 210, n. 110, tav. 82, fig. 271; cfr. L. BaccHIELLI, in RendLinc, 35, 1980, p. 317, per la grande

diffusione

in ambiente

cirenaico

della semicolonna

fianco e non al fronte di un pilastro nei colonnati in antis.

addossata

al

sono

stati già messi in rilievo dal-

ed altri paralleli dell'ambiente

U A.M. Bapawy, p. 52 ss., figg. 1-5.

in Journal

of Near

ellenistico?, dove Eastern

Studies,

16,

è

1957,

18 ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 90, nota 3. Gli esempi del palazzo di Palatitza, conservati al Louvre, mostrano un pilastro con semplice incorniciatura a fascia e cavetto in funzione di abaco, a cui si addossano sui lati opposti semicolonne ioniche: i capitelli mostrano una faccia intera sui lati opposti (con largo canale delle volute orizzontale che si restringe in corrispondenza delle spirali, echino liscio, semipal-

mette a quattro lobi e collarino a gola), e metà faccia sui quarti contigui al pilastro, come se questo interrompesse a metà il capitello; la base attica a doppio toro e trochilo (manca il toro inferiore) è unica per tutto l’elemento, sporgendo leggermente solo in corrispondenza dei lati del pi-

125

Fig.

104

Adriani).

[o

Fig. 105 - Alessandria, (da Adriani).

museo,

Alessandria,

50 cm.

da via Ibrahim I, cat. n.

Fig. 106 - Alessandria, peristilio di tomba sinoe Zephyritis) cfr. fig. 70 (da Adriani).

126

-

(c.d.

tempio

1026

di Ar-

necropoli

di

Mustafa

Pascià

(da

anche da ricercare l’impiego, negli angoli dei peristili, di pilastri con semicolonne addossate, in modo da assumere la ca-

ratteristica forma a cuore! (Figg. 105-106). Si tratta di una forma nota ad Alessandria, ad esempio nel periptero del c.d. Tempio di Arsinoe Zephyritis, del III secolo a.C.?, in un grande edificio ellenistico con colonne in granito dell'estrema zona occidentale della citta?!, di cui appunto resta un pilastro angolare a cuore (cat. n. 1024), e ancora, in diretta dipendenza da Alessandria, nella «sala tolemaica» di Tebtynis (cat. nn. 706, 707), nella Casa di Giasone Magno a Cirene e nel Grande Peristilio e nell'oecus del Palazzo delle Colonne a Tolemaide?. Essa fu adottata già dal III secolo a.C. anche

nelle corti a pseudoperistilio degli ipogei della necropoli di Mustafa Pascià, articolati in pilastri con semicolonne (ipogeo 1 di Mustafa Pascià)? e in altre tombe, non solo alessandrine (ipogeo 3 di Miniet el-Basal)?, ma anche di altri centri egiziani?. L'impiego di questa forma, nelle corti a psuedoperistilio o agli angoli di facciate articolate con pilastri e semico-

lonne,

può certamente ritenersi un'imitazione

illusionistica dell’originaria architettura a peristilio”;

essa probabilmente

ebbe luogo ad Alessandria, o comunque trovò qui ampio sviluppo, come indirettamente sembrerebbero indicare diversi frammenti architettonici (cat. nn. 205-207, 233), pilastri sia a cuore (cat. n. 1024), sia con quarti di colonna addossati sui fianchi (Fig. 104) con capitelli corinzi, del Quartiere Reale della città o di Plinthine*’, e si è affermato con ragione che anche l’introduzione dei pilastri angolari a cuore nei colonnati frontali dei templi (Tempio di Roma e Augusto a Leptis Magna)?" abbia avuto luogo ad Alessandria, dove probabilmente in tale funzione continuarono ad essere usati

almeno fino al II e III secolo d.C., come proverebbero imitazioni nell'architettura meroitica??. Va infine rilevato che le variazioni sul tema dei pilastri angolari, o ai lati di un portale o di un passaggio, sono in ambiente alessandrino molteplici — basti qui citare un caso dell’ipogeo 1 di Mustafa Pascià, dove, tra la camera 4 e la corte?°, il pilastro è a doppia lesena, ad angolo retto verso la camera, a cuore verso la corte — e costante rimane la tendenza illusionistica a moltiplicare gli effetti spaziali: ciò secondo modalità che già abbiamo riscontrato negli inquadramenti architettonici delle chiusure dei loculi, di porte e di edicole in stile misto greco-egizio (necropoli di Anfushi), per i quali non sono estranee anche suggestioni dall’architettura templare in stile faraonico, caratterizzata da una successione di

portali e accessi collocati sullo stesso asse?!. L’ultimo esempio che citiamo è quello di un pilastro a T, proveniente da Canopo (cat. n. 120), angoli, in ciascuno dei quali sono addossate due quarti di colonna coronati da capitelli ionici.

lastro. Dalla pianta del palazzo si ricava che tre pilastri con semicolonne addossate erano situati tra il secondo e il terzo vano del monumentale ingresso (diviso in tre vani) e tra il terzo vano e il cortile a peristilio. Le semicolonne non sono volte verso gli intercolumni, bensi rispettivamente

verso l’entrata e verso il peristilio. Si noti ancora che i tre vani dell’ingresso sono limitati lungo l'asse rispettivamente da colonne, in facciata, pilastri con semicolonne, pilastri con lesene, pilastri con semicolonne (sul peristilio). Cfr. L. Heuzey, H. DAUMET, Mission archéologique de Macédonie, I-II, Paris 1876, p. 175 ss.; K.A. RHomaros, «TO Anàktoron thés Palatìtzas, in ArchEph, 1953-54, pp. 141-150; M. ANDRONIKOs, Tò Anáktoron thés Berghinas, Athenai 1961; M. ANDRONIKOS, Berghina, Oi Basilikoi Tàphos, Athenai 1985, con bibl.

? Ad

esempio

a Magnesia

sul

Meandro

(J.

Konre,

C.

Wa-

TZINGER, Magnesia am Maeander, Berlin 1904, figg. 126, 147), a Petra (»Tomba del soldato romano«: EAA, 6, 1965, pp. 96-99), a Tivoli nel Santuario di Ercole (grande terrazza porticata: L. CREMA, in ANRW,

L4, p. 656,

figg. 37-38).

Cfr. J.B. Warp

PERKINS,

in Gnomon,

40,

1968, pp. 699-704; LvrrELTON, Baroque Architecture, p. 53; L. Torok, in Studia Aegyptiaca, 2, 1976, p. 116 ss.: si ritiene che l'enfasi degli angoli del colonnato sia un'innovazione in un certo senso barocca,

che contrasta con la tradizione classica di dare uguale importanza a ciascun

lato

del

peristilio.

Da

ultimo

v.

COULTON,

Greek

Architects,

che presenta

due

p. 131, fig. 57, che cita come uno dei primi esempi la stoà del porto di Mileto, del tardo IV secolo a.C. ? ADRIANI, Topografia, p. 127, n. 81, tav. 47: cfr. anche p. 77, n. 34, tav. 18, ambiente presso la «Scuola Scozzese» lari a cuore. ?! [p., p. 78, n. 36.

con pilastri ango-

? Pesce, Palazzo delle Colonne, tav.I; StuccHI, Architettura Cirenaica, pp. 298, 301; R. REBUFFAT, in MEFRA, 86, 1974, pp. 445-449. 2 ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p.90; Ip., in Topografia, p. 130, n. 84, tav. 48. 2 A. ADRIANI, in BSAA, 40-41, 1953-56, pp. 22-33. 25 Pilastri a cuore sono ancora a Taposiris Magna e a Oxyrhynchos: ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 90, nota 2.

% 2? ? Beida,

L. TOROK, in Studi AStAeg, 2, 1976, p. 116. [p., p. 116. [p., p. 124 (per esempi di Ercolano, Brescia e Balagrae (El in Cirenaica), qui con capitelli ionico e dorico su ciascuna delle

due semicolonne)

2 Ip., p. 126. 30 ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 32, fig. 15. 31 P. PENSABENE, in Studi in onore A.Adriani, p. 106 ss.

I,

Roma

1983,

127

1. INTRODUZIONE I dati su cui ci siamo basati per poter inquadrare l'architettura alessandrina provengono, come si é visto, proprio dai ritrovamenti di elementi architettonici della città di Alessandria: essi pur essendo privi quasi sempre di contesto (eccetto per gli elementi in situ delle necropoli), hanno confermato le notizie delle fonti ed hanno aggiunto nuove informazioni che costituiscono la base di ogni discorso sull’architettura ellenistica in Egitto. Le cornici, ad esempio, provano il frequente uso nella città di trabeazioni sporgenti dalle pareti, in modo da interromperne l’andamento orizzontale (cat. nn. 886, 887, 890, 912-914, 919, 920): a seconda delle loro articolazioni e sporgenze può arguirsi se la cornice e la relativa trabeazione poggiassero su semicolonne e/o quarti di colonne, su lesene (cat. nn. 872-874) e/o quarti di lesene e ancora se questi sostegni fossero a loro volta addossati ad un pilastro semplice o ad angolo o a T (Figg. 100-104), allo stipite di una porta o direttamente alla parete; è arguibile anche quando la trabeazione sporgente poggiava su colonne staccate dalla parete e, a conferma di questa varietà di soluzioni, vi è la ricca serie di capitelli che

per il loro

complesso

articolarsi richiamano

direttamente

i vari tipi di sostegni

citati (cat.

nn.

180,

189,

197-

200, 201, 205, 206, 232-235, 242-244, 256, ecc.). È ancora noto come elementi di trabeazione arcuati (cat. n. 916) rimandino ad archi forse connessi a forme quali il c.d. «frontone siriaco» o a una successione di archi su colonne, nelle forme testimoniate ad esempio dagli affreschi della Villa dei Misteri (cubicolo 16); altri invece costituivano la cornice di piccole semicupole (cat. nn. 973-977) al di sopra di nicchie semicircolari che potevano anche essere inserite in un timpano triangolare, caratterizzato dunque dall’interruzione e rientranza della parte centrale del geison orizzontale. Fanno parte del materiale alessandrino anche elementi di trabeazioni orizzontali concave (cat. n. 923), che appunto coronavano la nicchia semicircolare su cui doveva impostarsi la semicupola,

ed

ancora

elementi

di trabeazione

rientranti,

relativi

a timpani

triangolari

interrotti

al centro,

ma

non

divisi in due

angoli separati in quanto i geisa orizzontali e obliqui rientrano in modo da formare una nicchia rettangolare (cat. n. 890). Sono presenti anche angoli di frontoncini, tuttavia non isolati bensì uniti agli angoli del timpano intermedio, anche se più sporgenti rispetto a questo (cat. nn. 888, 919). Infine un soffitto di frontoncino spezzato con il piano inferiore convesso indica l’esistenza ad Alessandria di frontoni a «pagoda» quali noti ad esempio dalle pitture della Villa di Oplontis (triclinio 14, stanza 23) a Torre Annunziata (cat. n. 978). Nel campo degli studi su queste forme architettoniche, oltre ai lavori del Pagenstecher e di Adriani, che si fondano soprattutto sulle necropoli, si deve citare lo studio del Lauter, che ha il merito di aver evidenziato l’importanza del Palazzo delle Colonne di Tolemaide e delle tombe rupestri di Petra come fonte principale della «perduta architettura» di Alessandria!: anzi il nostro lavoro ha confermato vieppiù alcune presunzioni del Lauter, in quanto abbiamo rinvenuto un numero ancora maggiore di pezzi di Alessandria uguali o molto simili ad elementi impiegati nel Palazzo delle Colonne (cat. nn. 787-788, 888, 916, 919-920, 967, 973, 978-979). Da tutto ciò che si è detto nei capitoli precedenti è risultato che l'Egitto tolemaico è stato notevolmente influenzato, anzi condivideva le tendenze architettoniche dell’età ellenistica, quali sono visibili nelle trasformazioni e nella mescolanza degli ordini: tratti caratteristici diffusi ovunque sono lo scioglimento della cornice con mensole dalla dipendenza della trabeazione ionica ed il suo frequente uso con forme doriche o a coronamento di pareti?. Tuttavia alcuni motivi architettonici di questo periodo, la cui iconografia è stata anche ripresa dalla pittura romano-campana, sembrano avere una forte connessione con la tradizione alessandrina. In accordo

con la storia degli

studi?,

riteniamo

che i motivi di architettura alessandrina,

che possiamo

sviluppi caratteristici dell’ambiente tolemaico, basati però su motivi ellenistici e diffusi ovunque, influenzate dalla tradizione greco-ellenistica, ma anche egiziana, sono: 1 - frontoni semicircolari o arcuati* (Tav. 2 - frontoni con il geison

considerare

sia

sia elaborazioni locali

136,2);

orizzontale interrotto”;

! H. Lauter, in JdI, 86, 1971, p. 171. ? Von HesBERG, Konsolengeisa, p. 57. 3 Ci si riferisce in particolare ai lavori del Delbrück, del Weber, del Ronczewski, del Gilbert, di Adriani, del Lauter, del Tórók e di von Hesberg (vedi note seguenti).

^ W. WEBER, Ein Hermes-Tempels des Kaiser Marcus (Sitzungsberichte Akademie) Heidelberg 1910. 5 Pesce, Palazzo delle Colonne, tav. 10; VaLLOIS, Architecture à Délos, pp. 281-286; H. LAUTER, in Jd], 86, 1971, p. 166.

131

3 - semifrontoni o angoli di frontoni isolati su colonne? (Tav. 4 - colonne e trabeazioni sporgenti” (Tavv. 129, 130); 5 - cornici con mensole «a travicello»? (Tavv. 130-133); zoccolo, e cchie a forma di abside?;

132,1);

7 - alternanza tra nicchie rettangolari e nicchie ad abside’;

8 9 10 11

-

alternanza ritmica tra architrave e archivolto!!; resa illusionistica dell'inquadratura architettonica di ordini architettonici di proporzioni minime 5; edicole, finti portali, ai lati del portale di accesso zione greco-alessandrina ^ (Tavv. 124-126). 12 - variazioni sul tema del pilastro libero, o addossato pseudoperistili e interni di edifici: pilastri a cuore,

aperture (portali, edicole, ecc.) attraverso lo sguincio "^; alla cella, finte finestre al di sopra, nei templi prostili di tradia parete, o ai lati di un passaggio (finestre, portali) in peristili, semicolonne e/o quarti di colonne inseriti in pilastri semplici o a

Τ᾽:

a cuore nella facciata colonnata di un tempio! e introduzione di lesene sporgenti, 13 - Introduzione del P pilastro angolare 8 P porg talvolta con quarti di colonna addossati ai lati stretti, negli angoli esterni di un tempio ^; 14 - inserimento di un portale o di due piloni interrotti egiziani tra due colonne al centro della facciata di un tempio, in modo che parte delle colonne viene nascosta o fusa con i pilastri!5; 15 - varianti sul capitello corinzio (derivato dal tipo della tholos di Epidauro) e creazione di tipi misti greco-egizi'? (Fig.

97); 16 - introduzione di foglie di vite e viticci intrecciati in capitelli, colonne e altri elementi?";

17 - alti plinti quadrangolari e ottagonali sotto le basi delle colonne”; 18 - basi d’acanto?; 19 - zoccoli parietali con lastre di alabastro, o sovradipinti con finte lastre di alabastro;

20 - Ipogei con volte a «dorso d’asino» ^.

$ Cat. n. 888; cfr. la descrizione della nave di Tolomeo IV (F. CaSPARI, in Jdl, 31, 1916, pp. 1-74, figg. 10-13, che restituisce anche una tholos monoptera) e ancora: Pesce, Palazzo delle Colonne, tavv. 10, 13,a; H. Laurer, in Jd/, 86, 1971, p. 166; con gli angoli con le metà dei frontoni è connessa anche l’iconografia architettonica della tholos tra angoli di frontoni su colonne, nota dalle facciate di tombe di Petra (elHasne, Deir) e da pitture pompeiane (Casa del Labirinto, Villa di Boscoreale), rispetto a cui Adriani sottolinea la comparsa di una tholos dipinta nell'ipogeo 2 di Mustafa Pascià (ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, pp. 27,131; H. Picarp, in RA, 10, 1937, pp. 268-269). Ricordiamo che, nella storia degli studi, la facciata della tomba el-Hasne di Petra è stata anche considerata come un modello preso dai templi greco-egizi (DoMASZEWSKI, Provincia Arabia, 1, p. 186) o ispirato alla tomba di Cleopatra (H. THrERsCH, in Jd/, 25, 1910, pp. 66-67). Cfr. VALLOIS, Architecture à Délos, p. 339, nota 2, su altre ipotesi. 1 DELBRUCK, Hellenistische Bauten, p. 173; PAGENSTECHER, Ne-

kropolis, p. 167; ADRIANI,

Topografia, p. 150, n. 98, tav. 74 (ipogeo

Thiersch 2, che nella parete est della corte centrale presentava alle estremità due colonne avanzate su zoccolo, e al centro un nicchione rettangolare fiancheggiato da due colonne); VaLLOIS, Architecture à Délos, p. 347 (attribuisce al terzo quarto del I secolo a.C. l'innovazione dell'ordine sporgente della parete, anche se le pitture romane ne attestano l'uso in qualche regione dell'ellenismo un po’ prima); LAUTER, in Jdl,

3 Pesce,

Palazzo

delle

Colonne,

tav. 10;

LaAurER,

in

Jdl,

86,

1971, p. 166, che cita questo uso in altri centri ellenistici, anche se in Alessandria è impiegato in ordini piuttosto estesi, con paralleli soprattutto in Italia. Per colonnine e trabeazioni di piccole dimensioni di Alessandria e località vicine, vedi cat. nn. 205-207.

14 Tombe p. 483 ss.,

di

Tuna

tav. 75),

el-Gebel

tempio

(S.

SaBRA,

di Augusto

in ASAE,

a Philae

(L.

39,

1939,

BorcHARDT,

in

JdI, 18, 1903, p. 73, fig. 1). 5 Cfr. nel testo pp. 125. 16 L. Torok,

in Studia Aegyptiaca, 2, 1976, pp. 115-138.

" Tempio di Alessandro nell'oasi di Bahria, a sud di el-Bawit, (A. FAKRHY, in ASAE, 40, 1940, pp. 823, 828, tav. 110); tempietto di Dionysias J. Scuwartz, H. WILD, Quasr-Quarun/Dionysias, 1945,11, Le Caire 1950, tav. 3,b). 3 Tombe di Tuna el-Gebel (vedi nota 14); architetture e lastre di chiusura di loculi (P. PENSABENE, in Studi in onore A. Adriani, I, Roma 1983, p. 107, tavv. 11, 6,7). Cfr. ancora L. TOROK, in AA, 1984, p. 148, fig. 6.

? RONCEWSZKI, Musée d'Alexandrie, pp. 3-36. ? V. CuApPOT, La colonne torse et le décor en hélice, pp. 9-12, figg. 8, 3, 14; B. ScHRODER, Studien zu den Grabdenkmálern der ròm.

86, 1971, p. 166, che cita cornici sporgenti su pilastri del teatro di Tin-

Kaiserzeit (Bonn. Diss. 1902), pp. 13-14; VaLLoIs, Architecture à Délos, pp. 290-298. Cfr. nel testo cat. nn. 294-300. Per l’impiego in altre aree del motivo dei tralci e grappoli d'uva v. mosaici ellenistici o

dari e del monumento

romani,

di Memnio

a Efeso, tardo-ellenistici.

ma

d'ispirazione

ellenistica,

a

Pergamo

e

ad

Antiochia:

J.

Bauten,

SAURON, in MEFRA, 90, 1978, p. 729, figg. 32-33. 21 Lauter, in JdI, 86, 1971, p. 164, per esempi in vari centri elle-

? Cat. n. 973; Pesce, Palazzo delle Colonne, tav. 10; LAUTER, in JdI, 86, 1971, p. 167.

nistici, nel Palazzo delle Colonne e nella «Roman Villa» a Tolemaide. Per basi con plinti ottagonali ad Alessandria vedi cat. n. 780.

* V.

nel

testo

p.

99;

cfr.

Delbrück,

p. 164 ss.; Von HesBerRG, Konsolengeisa,

9 P. GiBERT,

in ChrEg,

Hellenistische

p. 68 ss.

33, 1942, p. 83 ss.

! C.H. KraELING, Ptolemais, city of the Libyan Pentapolis, Chicago 1962, fig. 43, tav. 12 («Roman Villa»); Laurer, in Jdl, 86, 1971, p. 167. Cfr. cat. n. 974 del Museo di Alessandria: frammento di archivolto unito a soffitto di copertura arcuato. Connesso con il problema architettonico dell'archivolto alternato agli architravi, noto tra

2 Cat.

nn.

779-788;

cfr.

DELBRUCK,

Hellenistische

Bauten,

2,

p. 173 nota 2; ὟΝ. WarziNGER, Denkmaler Palestinas, 2, p. 15; P. PENSABENE, in Studi in onore A.Adriani, I, Roma 1983, p. 112. 2 ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 117; S. GaBRA, in ASAE, 39, 1939, p. 483 ss.

? Questa particolarità dell'architettura alessandrina nei loculi degli

l’altro in pitture pompeiane, è anche quello della successione di archi semplici o combinati con colonne, ad esempio visibile in una pittura del cubiculum della Villa dei Misteri o in un rilievo fittile Campana con

ipogei con le volte a «dorso d'asino» è documentata ad esempio nell'ipogeo A di Shiatbi, nel grande vestibolo della camera funeraria G, e

scene di vita presso il Nilo interrotte da arcate su colonne (R. PARIBENI, in BArt, 12, 1918, p. 53 ss.). P? ADRIANI, Topografia, pp. 133, 144, 192. Si veda nel testo cat.

profilo era nascosto da una falsa porta: cfr. ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, pp. 27, 70; VaLLoIs, Architecture à Délos, p. 277, nota 3, dove è riportata la bibliografia sulla discussione dell’origine alessandrina o meno dei loculi.

nn. 33-34, 982-983, 986.

132

nell’ipogeo di Mustafa Pascià, nel fondo della camera 3, dove però il

2.

FRONTONI SEMICIRCOLARI

O ARCUATI

Di grande importanza nelle composizioni architettoniche alessandrine fu il timpano ad arco, che fece la sua prima apparizione ad Alessandria: nell'ipogeo n. 1 della necropoli di Mustafa Pascià venne trovata una statuina di terracotta!, rappresentante un elefante che trasportava sulla schiena Arpocrate in un tempietto; questo presenta sulla sommità un tim-

pano ad arco e capitelli a forma di fiori di loto. La tomba nella quale si ritrovò la statuina è stata datata al III secolo

a.C. anche dalla Lyttelton, che appunto enfatizza questo ritrovamento come la testimonianza piü antica dell'uso del timpano arcuato. Tale ritrovamento potrebbe, dunque, collocare in età ellenistica questo particolare motivo architettonico, e confermerebbe il fatto che le caratteristische architettoniche del periodo sono dapprima documentate nelle arti decorative, ma in realtà la cronologia

della

statuina,

datata

al INI secolo

a.C.

per i suoi

caratteri

stilistici,

non

trova

conferma

nella

strati-

er

È

grafia dello scavo: con la statuina sono infatti state trovate numerose lucerne datate in età imperiale.

Fig. 107 - Alessandria, necropoli ingresso all’ambiente n. 2.

di

Anfushi,

ipogeo

n.

2,

Nella necropoli di Anfushi sono stati individuati due esempi di timpano ad arco (ipogeo 2 - Fig. 107; Tavv.

117,1,2

ed ipogeo 5). Nell’ipogeo 2 l’arco è in stile greco-egizio, con due sfingi sui piedistalli ai lati della porta e con i pilastri dai capitelli papiriformi sostenenti un basso architrave, una gola ed un timpano ad arco. La cronologia di questa tomba purtroppo non è certa: il Pagenstecher? data l’inizio della decorazione intorno al 270 a.C., ma sostiene che gli elementi egittizzanti siano stati introdotti nel 200 a.C. circa, mentre il Noshy? ritiene che i motivi egittizzanti siano del II secolo a.C. L'Adriani^, dopo un accurato esame della tomba, la datò alla prima metà del II secolo a.C. e ritenne inoltre che gli elementi egittizzanti fossero stati inclusi nella decorazione sin dall’inizio, mentre la porta con il superiore timpano ad arco, fosse stata decorata nuovamente alla fine del periodo tolemaico, o al più tardi verso la fine del I secolo a.C. Dello stesso parere fu B.Brown?, che pensò di poter precisare la datazione della porta al 30 a.C. 1 ApRIANI,

in Annuaire,

1933-35,

pp. 154;

LyTTELTON,

Baroque

Architecture, p. 45. ? PAGENSTECHER,

4 ADRIANI, in Annuaire, 1940-50, pp. 123-124. Nekropolis, pp. 126-127.

3 I. NosHy, The Arts in Ptolemaic Egypt, Oxford 1937, pp. 26-28.

° B.

Brown,

Ptolemaic

Painting and Mosaics,

Cambridge

(Mass.)

1957, p. 3.

133

L'uso architettonico del timpano ad arco risulta così ad Alessandria durante gli ultimi anni del periodo tolemaico, anche se la statuina in terracotta ritrovata nella tomba 1 della necropoli di Mustafa Pascià potrebbe essere precedente: è comunque nota nella città la produzione di naiskoi in terracotta con divinità all’interno che continuano a riproporre il modello misto greco-egizio con timpano arcuato (Tav. 116,9). Un altro problema è costituito dall'origine di questo motivo: numerosi indizi farebbero pensare all'Egitto, nonostante

sia conosciuto anche in altre aree®. Il Weber?

raccolse

in proposito,

però dell’architrave orizzontale, conosce l’ubicazione, dedicato timpano ad arco ed osserva che egiziani. Così l’Iseo Campense trovati frammenti di trabeazione

all’inizio

del secolo,

un'interessante

e fece risalire il motivo,

documentazione

privo

all’antico regno egizio*: egli, partendo dallo studio su un tempio di Hermes di cui non si da Marco Aurelio e noto solamente da monete, approfondisce la ricerca sul motivo del in varie parti dell’impero romano è attestato in genere su edifici che si riferiscono a culti (71 d.C.) di Roma, noto da monete del periodo di Vespasiano e nella cui area sono stati a forma di timpano curvo con disco solare al centro”, e ancora nei due templi con fron-

tone semicircolare che si affacciavano sul bacino traianeo del porto di Ostia". Si è inoltre potuto notare, soprattutto nelle pitture di secondo stile, l’alternanza tra timpano curvo e triangolare, che

farebbe pensare a cappelle alternativamente consacrate a divinità greche ed egiziane!!. Dalle rappresentazioni su monete di Alessandria, è stato possibile individuare alcune facciate di santuari con timpano

ad arco accompagnato dal disco solare, e a volte anche da dentelli): un esempio è costituito dal tempio di Iside ed Arpocrate, edificio forse facente parte del complesso del Serapeo. Sulle monete è raffigurata la facciata di un santuario su un podio di due gradini, ed ai lati due colonne coronate da capitelli egiziani papiriformi, sostenenti un architrave a forma rotonda, secondo un motivo architettonico popolare in Egitto sin dall’età predinastica. Un altro esempio è costituito dal tempio di Iside ed Osiride!5: su queste monete appare il santuario con il consueto motivo ad arco, e con due canopi rappresentanti le due divinità egiziane al posto della porta. In un esemplare (A) appaiono, come di consueto, le colonne papiriformi, in un altro (C) il santuario è fiancheggiato da due sfingi su piedistalli. La datazione di questi edifici rimane dubbia, ma un utile aiuto ci proviene da queste monete (I e II secolo d.C.), in quanto ci forniscono un terminus ante quem e confermano come questa forma di timpano, visibile attualmente negli ipogei funerari, fosse una caratteristica dell’architettura alessandrina. Questo motivo è ancora attestato nell'ipogeo di Kom esh Shogafa", che probabilmente si data tra la fine del I e l'inizio del II secolo d.C., in rappresentazioni architettoniche su lastre di chiusura di loculi attribuibili dal tardo periodo tolemaico fino agli inizi del II secolo d.C.! (Tavv. 117,7-10; 136,2), ed in molte stele funerarie egiziane di epoca roma-

na!, tra cui quelle di Terenouthis. Le lastre di chiusura di loculi conservate nel Museo di Alessandria" riproducono facciate architettoniche derivanti dall'architettura religiosa contemporanea, che ovviamente è anche echeggiata dalle necropoli alessandrine nei caratteristici

portali in stile greco-egizio. È per questo che può essere utile soffermarsi su quelle lastre, o frammenti, che presentano il motivo già esaminato del timpano ad arco. Sono state ritrovate quattro lastre di chiusura complete: 1 - proviene da Kom el Kazui! (Tav. 118,8): nella porta interna è visibile Iside seduta, rappresentante la defunta, che stringe il seno in atto di allattare; ai lati due uccelli imbalsamati. L'inquadramento architettonico della porta interna è costituito da una trabeazione con fregio ad uraei, gola egizia ed architrave; quello esterno è formato da un timpano ad arco ribassato, con disco solare alato, ed un architrave.

2 - proviene da un ipogeo della necropoli di Gabbari!? (Tavv. 117,9): al centro è visibile Horus sotto forma di falco. La porta interna presenta una gola egizia e un fregio di uraei sormontati dal disco solare; quella più esterna, oltre al timpano ad arco con disco al centro, presenta una serie di dentelli ed una gola egizia, con disco solare alato tra due uraei.

3 - proviene dall’ipogeo di Marsa Matruh (Paraetonium)?° (Tavv. telli quadrati e gola egizia, gola egizia, ed architrave: corinzie; davanti alla porta, naiskos due falchi di Horus

6 Cfr. D.C. Kurtz, J. BOARDMAN, Greek Burial Customs, London 1971, p. 233, tav. 59; p. 271, tav. 72. 7 W. WeBER, Ein Hermes-Tempel des Kaiser Marcus, (Sitzungsberichte Akademie) Heidelberg 1910, n. 7. 8 Cfr. A.M. CALVERLEY, The temple of Sethos I at Abydos, II, London 1938, tavv. 14,16; J.Ph. Lauer, Histoire Monumentale des Py-

ramides d'Egypte, I, Le Caire 1972, tav. 425. ? K. zu Berlin, 1? A. blica” am 1965-6, p.

PARLASCA, in Forschungen und Berichte Staatliche Museen 18, 1977, p. 59 ss., tavv. 10,2-3, 11,1. ALFOLDI, «Die alexandrinischen Gótter und die “Vota PuJahresbeginn», in Jahrbuch für Antike und Christ., 8/9, 58 ss.

li P, GILBERT, in Chronique d'Egypte, 33, 1942, p. 88.

134

117,8): al centro una porta con fregio ad uraei, den-

inquadrata da un naiskos costituito da un timpano ad arco con disco al centro, dentelli, questo poggia su due colonnine, recanti capitelli greco-egizi con foglie di papiro e volute su due piedistalli, vi sono due sfingi accucciate con acconciatura faraonica e ai piedi del affrontati.

!? S. HANDLER,

in AJA, 75,

? Ip., pp. 61-62. 4 Th. SCHEREIBER, F.W.

1971, pp. 63-64.

Von Bissinc, Die Nekropole vom Kom

Esch Schukafa, Leizpig 1908, tav. 20,6; Breccia, Alexandrea ad Aegyptum, Bergamo 1922, p. 286. 5 P. PENSABENE, in Studi in onore A. Adriani, I, Roma 1983,

pp. 97-119. 16 K. PARLASCA, in MittKairo, 26, 1970, p. 172 ss. Up, PENSABENE, in Studi pp. 91-119. 18 S. HANDLER, in AJA, 75,

in

onore

A.Adriani,

I,

Roma

1983,

1971, p. 63, tav. 12, 28.

? F. Le Corsu, in Revue d'Egyptolgie, 18, 1966, p. 41, fig. 4,b. ? Ip., p. 40, fig. 3.

4 - proviene

dall'ipogeo

di Marsa

Matruh

(Paraetonium)*'

(Tav.

118,7):

presenta

al centro una porta rastremata,

con tim-

pano ad arco decorato forse con uraei e con disco solare alato; seguono i dentelli quadrati e gola egizia sopra l'architrave. Ai lati vi sono due colonnine con capitelli papiriformi e vasi a calice che sostenevano la trabeazione del naiskos, costituita da un timpano ad arco con spazio frontonale liscio, dentelli e gola egizia, e da un architrave; ai lati della lastra sono

due colonne

scanalate.

Alla base del naiskos

due sfingi accucciate,

ma con acconciatura faraonica.

Inoltre sono stati trovati due frammenti di altrettante lastre di chiusura: 5 - proviene dalla necropoli di Hadra??: resta l'angolo superiore destro, con naiskos costituito da timpano ad arco, con spazio frontonale riempito da disco solare alato. Lungo il margine della lastra vi è una colonnina con piccolo capitello

a fiore di loto e papiro; all'interno del naiskos è visibile una porta con fregio ad uraei e gola egizia. 6 - dalla necropoli occidentale” (Tav. 117,9): naiskos con timpano ad arco, dentelli, gola egizia e architrave su capitelli papiriformi. È inoltre visibile la parte superiore di una porta con fregio ad uraei, dentelli, gola egizia ed architrave. Per concludere due coronamenti di lastre di chiusura: 7 - proviene da Alessandria™: timpano ad arco con al centro disco solare tra due uraei, trave. 8 - proviene

da Alessandria?

(Tav.

117,10):

timpano

ad arco con disco al centro,

dentelli,

gola egizia ed archi-

dentelli regolari e fregio con uraei.

Le lastre di chiusura dei loculi che abbiamo osservato ci aiutano relativamente a capire lo sviluppo del motivo decorativo in esse impiegato; comunque è improbabile che questi motivi, ed in particolare il timpano ad arco, possano datarsi al primo periodo tolemaico. Poiché in età romana questi elementi sicuramente diventano comuni, si può ritenere che ciò si fosse verificato già nel periodo tardo-tolemaico: il Noshy”° suggeriva il II secolo a.C. La decorazione di queste tombe e loculi rivela comunque un misto di elementi greci ed egizi e ci documenta un momento dello sviluppo dello stile ales-

sandrino caratterizzato, rispetto ad altri centri ellenistici, dall’adattamento di elementi architettonici dell’antico Egitto alla tradizione greca. Concludendo, se la ricostruzione delle fasi che portano al timpano arcuato appare ancora problematica, tuttavia una conferma della sua origine egiziana ci viene da suo primo uso architettonico con altri elementi egizi nell’ipogeo 2 della tomba di Anfushi (Fig. 107), datato a partire dalla tarda età tolemaica, e dal ritrovamento della statuina in terracotta nella necropoli di Mustafa Pascià, con capitelli lotiformi e una divinità greco-egizia, Arpocrate. Si ha inoltre un nuovo elemento per comprendere la misura dell’influenza della tradizione egizia sugli architetti greci di Alessandria. Il quadro cronologico può essere confermato dal fatto che gli ipogei alessandrini più antichi di età tolemaica, come quelli di Mustafa Pascià, di Shiatbi, del Wárdian, di Mafrusa, sono più fedeli ai modelli greco ellenistici, non solo per la decorazione, ma anche per la presenza dei timpani triangolari, della semicolonna e del quarto di colonna. I motivi del repertorio egizio sono invece prevalenti, negli ipogei di Anfushi e di Kom esh-Shogafa, alla fine del periodo tolemaico e nei primi due secoli di quello romano.

3.

FACCIATE

ARCHITETTONICHE

È noto come scavate

CON

RAPPRESENTAZIONI

ILLUSIONISTICHE

per la ricostruzione delle caratteristiche dell’architettura alessandrina ci si debba

nella roccia:

molte

di esse

sono

dotate

di corte

centrale,

sul tipo

della casa ellenistica,

avvalere delle tombe

intorno

alla quale

si alli-

neano una serie di stanze con nicchie o loculi, per urne o sarcofagi. È su queste e su alcuni elementi architettonici sporadici di Alessandria e di altri città egiziane (Theadelfia, Tebtynis, ecc.), confrontati con le architetture meglio documentate di centri

come

Tolemaide

e Petra,

che

vari

autori,

come

lo

stesso

Adriani,

il Lauter,

la Lyttelton

e da

ultimo

la Ber-

gmann, si sono basati per individuare le tendenze illusionistiche e scenografiche della loro decorazione architettonica. È stato osservato come in uno degli ipogei più antichi!, quello di Shiatbi, la parete tra il vestibolo e la camera funeraria sia divisa in cinque parti da sei semicolonne doriche addossate ad essa?: al centro vi è una porta, ma negli intercolumni laterali sono riprodotte quattro finte finestre semiaperte, con lo scopo dunque di articolare insieme alle semicolonne la parete e senza una funzione strutturale. Evidentemente si voleva rappresentare in modo illusionistico la parete di un vero edificio?, e ciò sta ad indicare come la funzione decorativa non sia mai disgiunta da quella simbolica, in questo caso

la rappresentazione della casa in cui si sarebbe svolta le vita del defunto nell'aldilà. È stato spesso sottolineato come questo motivo delle finte finestre e delle semicolonne

addossate abbia avuto una lunga storia anche nell’architettura tole-

?! Ip., p. 40, fig. 4,a. 2p.

PENSABENE,

in Studi

in onore

A.

Adriani,

I, Roma

p. 99, n. 18, tav. 12,6. 23 2 ?5 ?$

Ip., p. 100, n. 19, tav. 12,1. Borm, Catalogue, p. 531, n. 11. Ip., n. 50. I. NosHy, The Arts in Ptolemaic Egypt, Oxford

1983,

! LvrTELTON,

Baroque Architecture, p. 41, con bibliografia citata.

? ADRIANI, Topografia, p. 124, n. 79.

1937, p. 30.

531. Nosuv, The Arts in Ptolemaic Egypt, Oxford 1937, pp. 28, 30; LvrrELTON, Baroque Architecture, p. 42: sullo stesso sistema ma con vere finestre nel bouleuterion di Mileto, nella corte meridionale del mercato di Magnesia, nel c.d. Odeon di Termessos.

135

maica^,

come mostrerebbe il loro impiego nel Palazzo delle Colonne per articolare una parete (facciata est) che si affac-

ciava sulla strada?. Va ancora rilevato che i pochi edifici templari nella tradizione architettonica greco-romana conosciuti in Egitto, generalmente di piccole dimensioni, con unica cella, prostili e su podio, sono proprio caratterizzati da finestre, o anche da finte finestre, ai lati o al di sopra del portale di accesso alla cella. L'esempio meglio studiato è costituito dal tempio di Augusto

a Philae$,

dove

sono

state ricostruite

due

finestre sul fronte della cella,

ai lati del portale,

in base

al conservarsi

del loro coronamento e a frammenti delle cancellate in pietra che le chiudevano (Figg. 1-7). In alcuni tempietti funerari di Tuna el-Gebel”, di età tolemaica, ma nei quali predomina la tradizione architettonica egiziana, posti su podio e con scalinata d'accesso, la facciata è caratterizzata da un grande portale centrale e da due finti portali più piccoli ai lati: nella parte superiore della facciata vi sono due o tre finte finestre, a seconda se il portale centrale raggiunge o meno la trabeazione a gola egizia che corona l’edificio (Tavv. 124, 126). In due di questi edifici inoltre si incontra quel caratteristico motivo dell’architettura egiziana di due semicolonne con capitelli papiriformi, addossate o inserite nella facciata ai lati del

portale centrale, ma non distinte da esso: infatti gli stipiti si addossano a loro volta ai fusti delle semicolonne, nascondendone metà per quasi tutta l’altezza; l’altra metà della parte inferiore del fusto invece è seminascosta dagli stipiti dei finti portali laterali (Tavv. 124, 126). Nella facciata di un’altra tomba, maggiormente nella tradizione greco-alessandrina, come mostra il coronamento superiore a dentelli, ai lati del portale vi sono invece due piccole edicole sormontate da un timpano triangolare con fregio dorico sorretto da pilastrini corinzi: gli stipiti e l’architrave del portale sono incorniciati da un kyma lesbico, mentre la cornice, con semplice listello e cavetto, è sorretta da due mensole a S, del tipo di cui discuteremo più oltre a proposito della rappresentazione di sguincio (Tav. 126). Ma le finte finestre si incontrano anche ad Alessandria in un’altra delle più famose necropoli, quella di Mustafa Pascià: nell'ipogeo n. 3, del ΠῚ secolo a.C., la parete nord della corte centrale riprende il sistema, già descritto per Shiatbi, della suddivisione in cinque parti attraverso semicolonne doriche addossate, ma delle cinque porte che si aprono tra di esse soltanto le tre centrali sono vere, mentre le due laterali sono finte porte dipinte. La Lyttelton sottolinea come la stanza sul retro di questa parete sia larga come le tre porte centrali e non quanto tutta la parete, anche se illusionisticamente l'impressione era appunto di quest'ultima larghezza, a causa delle finte porte laterali?. Inoltre gli angoli di questa parete sono marcati da quarti di colonne addossati a pilastri, secondo una moda certamente di tradizione primo-ellenistica”, ma che ebbe un largo seguito nell’Egitto tolemaico, come mostrano esempi sporadici del Museo di Alessandria (v. p. 127) e gli angoli esterni di un tempietto pseudoperiptero a Dionysias (Tav. 121). Ma nella corte di un altro ipogeo di Mustafa Pascià, il n. 1 (Fig. 108), compare un’altra particolarità, quella cioè dei portali inseriti negli spazi tra le semicolonne, con gli stipiti direttamente addossati ad esse, come se le porte fossero collocate sulla parete di fondo dello pseudoportico, illusionisticamente rappresentato dalle semicolonne'. Nella stessa corte un’altra porta, l’ingresso alla camera 4, richiama invece il tipo del portale egizio: sopra il suo architrave inoltre la parete è vuota. Sempre nella corte dell’ipogeo n. 1 di Mustafà Pascià si incontra un altro tipico aspetto della rappresentazione illusionistica dell’architettura alssandrina: nella parete sud infatti le tre porte, che conducono alla stanza n. 1, hanno le ante leggermente strombate verso l’esterno, in modo che i fianchi non sono perpendicolari alla fronte, ma lievemente obliqui:

lo stesso si verifica per il piano inferiore dell'architrave, rappresentato con un lieve sguincio!. In questo modo viene modificata la prospettiva e aumentato acroteri non

sono

verticali,

ma

l’effetto di profondità.

si inclinano

ai lati offrendo

Inoltre alle estremità laterali delle cornici di queste porte gli una piena visibilità,

da sotto,

della loro decorazione:

si tratta

di una modalità ampiamente ripresa nei più elaborati acroteri della tomba di el-Hasne a Petra e che spesso compare nelle pitture campane. Citiamo ora una trabeazione di portale (cat. n. 982), di Teadelfia, probabilmente dal ginnasio, con iscrizione di Tolomeo VI in base alla quale è databile intorno alla metà del II secolo a.C.: in essa la cornice ha fianchi leggermente rientranti sul fondo e non è perpendicolare al blocco da cui sporge, bensì forma con esso un angolo, in modo che il soffitto risulti leggermente sollevato in alto ed obliquo. Ci troviamo nuovamente di fronte ad una rappresentazione di sguincio, in funzione di una ricerca di effetto illusionistico. Lo stesso modo di rappresentare la trabeazione si ritrova in un finto portale sul fianco di un altare funerario con coronamento a corni (Tav. 117,4), rinvenuto nella Necropoli occidentale (Gabba-

ri)"; in più, rispetto all'esempio di Teadelfia, sono visibili le tipiche mensole a incorniciatura quadrangolare sotto il soffitto della cornice. Il fatto che questa sia rappresentata di sguincio non è dunque legato alle piccole dimensioni del portale

riprodotto sull’altare, bensì all’imitazione di una modalità dell’architettura reale. In un’altra trabeazione di portale (cat. nn. 33-34), in granito di Assuan, proveniente probabilmente dal portale sul lato orientale del recinto di età romana del Serapeo, le mensole che sorreggono il soffitto della cornice non sono perpendicolari rispetto al piano del portale, bensì ? Vedi la tomba di Langaza in Macedonia: Th. Macripy, ^ LvTTELTON, Baroque Architecture, p. 42. 5 Pesce, Palazzo delle Colonne, tavv. 7,a, 11. $ L. BORCHARDT, in JdI, 18, 1903, p. 79. 7Per tutti i tempietti citati v. S. GABRA, in ASAE, 32, 1932, p. 56 ss. e in ASAE, 39, 1939, p. 438 ss.; Ip., Chez les derniers adorateurs du Trismegiste, La necropole de Hermoupolis, Tuna el-Gebel, Le Caire 1971, pp. 63-65.

* LYTTELTON, Baroque Architecture, p. 42.

136

in Jdl,

26, 1911, p. 200, tav. 6. ? ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, tav. 7,1, porta d'entrata alla corte centrale. " Cfr. ADRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 15 ss, tavv. 25, 28; LYTTELTON, Baroque Architecture, p. 42; M. BERGMANN, in Bathron, Beitrage zur Architektur und verwandten Kunsten, für H.Drerup zu seinem 80^ Geburstag, Saarbrücken 1988, p. 59.

? ADRIANI, Topografia, p. 120, fig. 5.



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Fig.

108 - Alessandria, necropoli di Mustafa Pascià, corte dell'ipogeo I (da Adriani).

x

leggermente ruotate verso l’esterno di circa 45°. Tale rotazione è accentuata dal fatto che il fianco delle mensole rivolto verso l’esterno è meno obliquo rispetto al fianco rivolto verso il centro della cornice: questa con il soffitto non perfettamente piano, ma leggermente ribaltato. Si tratta di nuovo di una rappresentazione di sguincio in funzione dell’effetto ottico. Già Adriani aveva rilevato come spesso si sia cercato negli ipogei alessandrini di rendere in modo illusionistico la profondità nelle edicole, spesso suggerita proprio dalla rappresentazione di sguincio dell’inquadratura architettonica: ciò ad esempio nell'ipogeo del giardino di Antoniadis ed ancora nell'ipogeo n. 2 di Anfushi ". Il ribaltamento dei piani in funzione del punto di vista privilegiato dello spettatore è ancora visibile nel Palazzo delle Colonne di Tolemaide, dove, nell’ordine superiore del Grande Peristilio, appaiono leggermente ribaltati i pennacchi ottenuti da angoli di frontoncini spezzati, al di sopra di singole colonne che separano le nicchie !*. Lo stesso si verifica nell'angolo di frontoncino spezzato (cat. n. 888) del Museo di Alessandria, molto simile agli esemplari di Tolemaide, e vedremo come nell’architettura «copta» questa particolarità del ribaltamento delle cornici e dei pennacchi laterali sia stata ripresa nelle incorniciature delle coperture a semicupola delle nicchie aperte nelle pareti o nelle absidi delle Chiese (cat. nn. 1008-1013, da Oxyrhynchos e da Hermoupolis Magna). Va però rilevato che la tradizione del ribaltamento del soffitto delle cornici deve probabilmente rimanere una costante nell’architettura di Alessandria, come prova una delle cornici tardo antiche reimpiegate nell’ Auditorium di Kom el Dik (cat. n. 989), in cui è rilevabile un’inclinazione in alto del soffitto di almeno 10°: evidentemente le forme architettoniche ancora visibili in edifici più antichi ancora funzionanti, di età

tolemaica o imperiale, sono stati i modelli a cui si sono ispirati direttamente gli architetti cristiani. Gli esempi citati di Alessandria, le riprese nell’architettura religiosa copta, le forme architettoniche del Palazzo delle Colonne, le tombe di Petra, a cui si può aggiungere la descrizione del padiglione ligneo e della nave di diporto sul Nilo dei Tolomei, testimoniano il particolare sviluppo che ebbe questo aspetto dell’architettura ellenistica ad Alessandria, anche se va rilevato che non tutti i modi citati di rappresentazione illusionistica sono necessariamente originari da questo centro. Ad esempio, il portale con gli sguinci nello strombo sembra essere una forma attestata a Cirene già nel IV secolo a.C.,

? Tp., pp. 144, 192, nn. 90, 142; BERGMANN, op. cit., p. 60.

4 Pesce, Palazzo delle Colonne, tav. 10. 15 BERGMANN, Op. cit., p. 68, fig. 12.

137

come mostrano i portali del secondo Artemision e del tempio di Apollo Archegeta!6, quest'ultimo con raffinati capitelli a sofà posti non sul fronte, ma all'interno del vano di passaggio, in modo da essere contrapposti (ad Alessandria si incontrano ugualmente portali con capitelli, ma ionici, dove 1 lati principali non sono sul fronte del portale, ma contrapposti all'interno).

Anche la rappresentazione di sguincio della trabeazione di portali, che sembra funzionale a correggere l'effetto ottico di obliquità quando si osserva da sotto una trabeazione sporgente, ha paralleli in Cirenaica e a Tolemaide 7. ma questa volta in dipendenza da Alessandria, e pare riconoscibile in naiskoi riprodotti nei vasi apuli!. E stato rilevato come in questi spesso le colonne e le semicolonne che inquadrano la facciata sono leggermente oblique, con i profili esterni convergenti verso l'alto, dimodoché si genera di fatto un epistilio più stretto della base su cui poggia il naiskos: lo stesso fenomeno si ritrova sempre in Apulia, nelle porte d'accesso agli ipogei’®. Inoltre il tipo più diffuso dei naskoi, visibile nella pittura vascolare apula, presenta frotoncini con acroteri laterali inclinati verso l'esterno e soffitti con una serie di travi longitudinali, il più delle volte disegnati obliquamente: in un caso il trave centrale è diritto e quelli che partono a

destra e sinistra verso i lati sono resi come obliqui, i primi verso destra, i secondi verso sinistra?. È lo stesso criterio utilizzato nella trabeazione di portale del Serapeo (cat. nn. 33-34) o nell'altare a corni, citati prima, dove le mensole divergono a destra e sinistra, mentre il motivo degli acroteri inclinati, come si è visto, compare nella necropoli di Mustafa Pascià, ai lati dell'epistilio sulla parete meridionale della corte nell'ipogeo n. 1. E evidente dunque l'esigenza di una resa prospettica, le cui modalità sembrerebbero ispirate a quelle che la presiedono nella pittura?!. Per inciso notiamo che la stessa ispirazione si riscontra anche in particolari architettonici quali la forma non a sottile parallelepipedo, bensi a sezione trapezoidale spesso assunta dalle mensole a «travicello» di cornici non solo di piccole dimensioni (cat. nn. 887, 888, 904-911): il campo rettangolare del soffitto delle mensole più stretto del loro contorno superiore conferisce infatti un'impressione di maggiore volume e profondità, e viene a costituire un nuovo aspetto dell’illusionismo ottico dell’architettura alessandrina ripreso da modelli pittorici. Ma la parete a pseudo-peristilio della corte nell’ipogeo n. 1 di Mustafa Pascià (Fig. 108) offre la possibilità di illustrare un altro aspetto delle rappresentazioni illusionistiche architettoniche: in esso infatti le porte presentano una trabeazione ridotta, sorretta da pilastri di un ordine molto più piccolo rispetto alle dimensioni dell’ordine dorico delle semicolonne e della trabeazione che articolano la parete”. Se evidentemente lo scopo era quello di rappresentare in facciata l'ala di un peristilio, l’unica possibiltà di alludere ai due differenti piani del colonnato e delle porte retrostanti era quello di riprodurre l’ordine architettonico delle porte in scala minore rispetto all’ordine delle colonne, di nuovo secondo regole prospettiche riprese dalla pittura?. Che tuttavia, al momento della costruzione di questa parete doveva essere ormai diffusa la moda

di utilizzare

ordini

di diversa

grandezza

in una

stessa facciata,

per sottolinearne

le diverse

parti e funzioni,

ma

senza sempre tener conto della prospettiva illusionistica alla base delle diverse dimensioni, lo mostra questo fatto: nella parete citata gli acroteri delle porte, ribaltati in avanti, sovrappongono la cima al margine del fusto delle semicolonne, secondo una logica ormai solo decorativa e non prospettica. Alla stessa stregua è da considerarsi l'uso di ordini «nani», quando sono sovrapposti ad ordini molto più grandi, come si verifica nella facciata interna meridionale del Grande Peristilio del Palazzo delle Colonne a Tolemaide”: in tal modo vengono aumentate illusionisticamente l’altezza e l’imponenza dell’ordine inferiore, anche qui secondo regole non tanto derivate dalla tradizione architettonica dei portici a più ordini sovrapposti, quanto dalla pittura. Ordini «nani» sono anche noti nello Hierà di Samotracia, nella Torre dei Venti ad Atene ed a Pompei”.

4.

FRONTONE

Un

INTERROTTO

E ANGOLI DI FRONTONE

altro dei più caratteristici motivi dell'architettura ellenistica «barocca»

ment»), che è testimoniato ad Alessandria in elementi sporadici del Museo

è il frontone interrotto («broken pedi-

(cat. n. 888): questo motivo è stato messo in

relazione con il portale dall’architrave interrotto («broken lintel»), che compare in Egitto già in edifici della XVI dinastia! e dei quali un’eco si ritrova in alcune lastre di chiusura di loculi alessandrine? (Tavv. 1$ StuccHI, Architettura Cirenaica, pp. 49-51, figg. 37-38; BERGMANN, Op. cit., p. 61. 7 Cfr. BERGMANN, op. cit., pp. 62-66, che cita gli esempi della «Roman

Villa»,

uno

dei quali con guttae sopra l'architrave tagliate in

modo obliquo, rispettivamente.a sinistra e a destra dell'osservatore: ció secondo regole prospettiche probabilmente riprese dalla pittura. Ricorda inoltre come proprio nelle porte l'uso di forme oblique rispetto allo spet-

tatore era già da tempo conosciuto, ad esempio nella grande tomba di Leuvcadia o in quella vicina di Lyson e Kallicles, dove ugualmente ritorna il cambiamento

di direzione,

a seconda dell'asse di osservazione,

di elementi architettonici posti obliquamente. 5 H. LoHMANN, Grabmaler auf 1979, AF7; BERGMANN, op. cit., p. 62.

Vasen,

Berlin

? J.L. LAMBOLEY, in MEFRA, 94, 1980, p. 115. 2 CVA,

Villa Giulia, fasc.I, IV, dr.tav. 1.

2! Cfr. anche BERGMANN, op. cit., p. 77. 2 LYTTELTON, Baroque Architecture, p. 45,

138

nell’architettura classica la combinaione di due ordini di diversa grandezza non sarebbe stata possibile. ? Cfr. K. FrrrscHen, «Zur Herkunft und Entstehung des 2. Stils», in Hellenismus

in Mittelitalien,

che sottolinea come

2, Góttingen

1976,

p. 539 ss.; LAUTER,

Architektur, p. 293 ss; BERGMANN, op. cit., p. 72, e bibl. citata, per l'inserimento delle forme architettoniche prospettiche in quella tendenza generale ad una resa illusionistica diffusa in tutte le regioni greche dal IV secolo a.C. e fortemente accentuate nel tardo ellenismo: dalla storia degli studi è messo

in risalto come

in ciò sia riscontrabile un forte in-

flusso della pittura con prospettive e forti chiaroscuri. * H. Lauter,

unteritalischen

117,7,8) e nella necropoli di

in JdI, 86,

1971, p. 166.

5 Ip. p. 166, nota 74. ! R. ENGELBACH, Ancient Egyptian Masonry, Oxford 1930, fig. 53; LYTTELTON, Baroque Architecture, p. 52.

? P. PENSABENE, in Studi pp. 97-98, tav. 11,6,7.

in onore

A.Adriani,

I, Roma

1983,

Anfushi.

Il Palazzo

delle Colonne

a Tolemaide,

le tombe

di Petra,

ma

anche

il ninfeo

dorico di Albano,

mostrano

la dif-

fusione del motivo in età tardo ellenistica, quando assume sia una forma a semifrontone, sia ad angolo di frontone?. Altra forma caratteristica è quella in cui è interrotto nel frontone soltanto il geison orizzontale («hollow pediment») come è visibile ancora nel Palazzo delle Colonne, dove nel lato nord del Grande Peristilio esso è alternato a singoli angoli di frontone talmente ridotti da essere sostenuti da una sola colonna Oltre alle note rappresentazioni nelle pitture parietali pompeiane, il suo uso si riscontra nel Pythion di Delos, forse dedicato da Tolomeo D, che ne rappresenta uno

degli esempi più antichi nell’architettura ellenistica. Si è detto come nei coronamenti di nicchie appartenenti all’architettura «copta» compaia una tipica forma con timpano triangolare o arcuato, dotato di pennacchi angolari appuntiti (cat. nn. 1008-1014): questi non sono schematizzazioni di acroteri,

bensì

frontoncini

spezzati

che

si sono

fusi con

il contorno

del coronamento

delle nicchie

e di cui dovevano

sor-

montare le colonnine poste ai fianchi’. Ciò ne spiega anche la forma aguzza, spesso la leggera rotazione e l’inclinazione ad angolo acuto verso l’interno, ed ancora il già citato ribaltamento prospettico del soffitto della cornice, con le tipiche

mensoline alessandrine: sono tutti elementi che derivano dall’architetura tolemaica, e in particolare proprio dalla rappresentazione di sguincio dei frontoncini spezzati, come appunto testimoniati dal cat. n. 888 e dal Palazzo delle Colonne. Viene inoltre ad essere confermato, proprio dal Palazzo delle Colonne e dagli esempi «copti», come sia da conside-

rarsi un’invenzione dell’ellenismo alessandrino non soltanto la specifica forma degli angoli di frontoncini spezzati rappresentati di sguincio, ma anche la combinazione di questi con frontoni triangolari o arcuati, ai cui lati si dispongono, probabilmente anche quando nicchie con frontoncini triangolari e arcuati sono posti in alternanza, come a Tolemaide, dove compaiono nell’ordine superiore. Tutto ciò si accorda con quanto detto nel capitolo precedente a proposito dell’origine alessandrina del timpano arcuato, di cui si sono messi in luce gli elementi di tradizione locale.

È stato enfatizzato dalla Bergmann? come il riscontro di motivi architettonici simili in età tardo-ellenistica e nel periodo «copto» sia anche l’indizio del persistere in età imperiale di correnti architettoniche «tradizionaliste». Che il classicismo dell’architettura ufficiale romana non le avesse soffocate, è mostrato tra l’altro dai due frammenti di trabeazione di portale già citati (cat. nn. 33-34), dal Serapeo di Alessandria, attribuiti al rifacimento imperiale del recinto: questi, insieme ad altri elementi, come le basi d’acanto del II e III secolo d.C. del Museo di Alessandria (cat. nn. 787-791), di Antinoe (Fig. 125) e dei tetrapili del campo di Diocleziano a Luxor (cat. n. 793-794), mostrano la continuità e anche lo

sviluppo di motivi architettonici tolemaici. Ciò accanto al generale gusto classicistico dell’epoca imperiale, testimoniato invece dal gran numero di capitelli corinzi asiatici d'importazione o rifiniti localmente del II, del III e di parte del IV secolo ad Alessandria, Nel

tentativo

a Hermoupolis Magna

di individuare

(cat. nn. 379-438) e di reimpiego nelle moschee del Cairo.

altre possibili

origini,

che,

parallelamente

a quella

citata,

possono

aver

contribuito

alla

creazione del motivo, citiamo ora quello del frontone interrotto con tholos al centro, noto a Petra e a Tolemaide, ma per il quale riteniamo utile collegarci nuovamente con la pittura, dove è spesso attestato (Pompei, Casa del Labirinto, ecc.)*. Si & detto come la rappresentazione architettonica di sguincio testimoni l'imitazione nell'architettura reale di effetti prospettici secondo l'illusionismo proprio della pittura e nel capitolo seguente riprenderemo la problematica delle pareti illusionisticamente aperte tramite l'uso del colore azzurro simulante il cielo, di finti cancelli e finte porte aperte, dietro cui si intravede il paesaggio: tutto ció sta a dimostrare lo stretto rapporto tra pittura e partizioni architettoniche reali delle facciate sia all'interno che all'esterno degli edifici, non solo alessandrini ma ellenistici in generale. Si è ritenuto utile sottolineare questo rapporto in quanto un altro motivo che sembra dovuto piü all'imitazione della sua resa pittorica, che non a diretti modelli reali, è proprio quello del frontone interrotto con tholos al centro. Non si tratta tuttavia di un'invenzione pittorica: il tempio dorico di Villa Adriana? infatti è la prova dell’esistenza nell’architettura reale del IV sec. a.C. ed ellenistica della tholos circondata da un portico semicircolare, quale poteva esistere a Cnido, per il luogo di culto dell’Afrodite Euploia, probabilmente quella di Prassitele?. Il monumento di Villa Adriana frontalmente appariva come un tem-

pietto circolare con ai lati due semifrontoni dietro cui iniziava il portico semicircolare: il lato verticale dei due triangoli

rettangolari dei semifrontoni poteva essere verso la tholos. È evidente, in questo caso, che il motivo del frontone interrotto con tholos al centro deriva da una architettura realmente esistente, di cui è avvenuta la resa prospettica in pittura o anche in stucco: in questi ambiti il motivo si arricchì con aggiunte e varianti, e come tale fu imitato nelle facciate architettoniche delle tombe di Petra ed anche di case o di palazzi e nei loro interni tramite riproduzioni in stucco o pittura. L'esistenza ad Alessandria di tholoi testimoniate dalla già citata descrizione della nave di Tolomeo IV Filopatore (dove la tholos conteneva una statua di Afrodite), dalla pittura della tomba I di Mustafà Pascia, (dove appare decorata di ghir-

lande), e indirettamente da un frammento architettonico del Palazzo delle Colonne di Tolemaide!! e dai noti esempi di Petra,

con

ai lati angoli

di frontone

interrotto,

testimoniano

3H. Lauter, in Jd], 86, 1971, p. 166, dove è riportato il passo di Vitruvio (VITR., VII, 5,5) relativo a questa forma, denominata con il

termine tecnico di semifastigium. ^ Pesce, Palazzo delle Colonne, tav. 10. 5 VALLOIS, Architecture à Délos, p. 279 ss.; H. LAUTER, 86, 1971, p. 156; LyTTELTON, Baroque Architecture, p. 52.

in Jdl,

$ BERGMANN, OD. cit., pp. 68-69. 7 Ip., p. 72. 8 Nella Villa di Fannius Sinistor a tholos appare circondata da un portico

Boscoreale, cubicolo M, la quadrangolare con propileo

l’impiego

come

decorazione

di facciate e la diffusione

di

d'ingresso dal frontone aperto triangolare con geison orizzontale interrotto. ? R. Vicut, Villa Hadriana, Roma 1959, p. 95; Die Hadriansvilla bei Tivoli, Roma 1975, p. 24 ss.; F. RAKOB, in RM, 81, 1974, p.

82 ss., fig. 40, 23, da vedere anche sulla diffusione e problematica dei portici semicircolari intorno ad un edificio sacro. 0 IC. Love, in AJA, 76, 1972, pp. 70 ss., 402 ss.; cfr. A. BonBEIN, in JDI, 88, 1973, pp. 188-194; A. Conso, «Prassitele, fonti epigrafiche e letterarie. Vita e opere», Quaderni Xenia, 10, 1988, p. 24. !! LAUTER,

in JDI, 86, 1971, p. 172.

139

questo motivo architettonico in ambiente alessandrino ed in quelli direttamente influenzati da esso: tuttavia le architetture realmente

esistite,

che

sono

alla base

della sua elaborazione

in pittura,

in stucco

o nelle facciate

architettoniche

di Petra,

sono da considerare genericamente ellenistiche, come provano non solo il monumento di Cnido, ma altre testimonianze, quali un altro monumento circolare all'interno di un peristilio, a Paros, del IV secolo, o il Delphinion di Mileto del tardo

II sec. a.C. "^. Anche gli angoli di frontone vorati su due lati contigui, come la cui fuga prospettica reale in perché a Tolemaide gli angoli o di

essi,

e ancora

perché

nel

vanno considerati alla stessa stregua per ciò che riguarda l'origine: essi infatti sono lase in origine riproducessero il lato corto frontale di un portico e l’inizio del lato lungo, pittura poteva essere resa da una linea discendente. Questo spiegherebbe nuovamente spicchi frontonali appaiono aperti verso le edicole con frontoni interrotti, poste al centro

frontone

interrotto

della

tomba

di

el Khasneh

i lati

interni

degli

angoli

frontonali

hanno

ugualmente il gheison obliquo, come sul fronte, perché alludono alla fuga prospettica del portico intorno alla tholos. Il suggerimento sarebbe ancora quello di un portico concentrico ai lati del tempietto, questo suggerito dall’edicola con frontoncino dal geison orizzontale interrotto, visibile appunto a Tolemaide.

Anche per la formazione del motivo del frontoncino con geison orizzontale interrotto devono essere confluite diverse istanze, che possiamo solo ipotizzare in base alle diverse funzioni con cui appare in pittura: qui è usato in rappresentazioni sia di portici ai lati di una tholos, la cui visione risulta appunto facilitata dall’apertura inferiore del frontone (vedi a Boscoreale il cubicolo M della Villa di Fannius Sinistor), sia di passaggi con tetto a doppio spiovente nei quali il geison orizzontale avrebbe interrotto la resa del tetto (vedi a Roma, il gabinetto delle Maschere nella casa di Augusto), sia di altri sul fondo dei quali vi era un portale (con o senza frontoncino), che in parte sarebbe stato mascherato dalla resa del geison orizzontale nel frontoncino

all’ingresso dell’atrio (Roma,

casa dei Grifi, stanza 2).

In sintesi vanno distinte le facciate architettoniche sia esterne sia interne di edifici pubblici e privati nelle quali era possibile applicare partizioni ispirate alla resa prospettica di architetture nella pittura e nello stucco, partizioni dunque con

funzione soprattutto decorativa e non strutturale ?.

Ciò sembra verificarsi soprattutto in ambiente alessandrino (e di riflesso a Petra’ e nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide),

ma

non

solo.

Dove

invece

il rapporto

tra funzione

reale e decorativa

degli elementi

architettonici consentiva un

maggiore collegamento, la resa illusionistica e prospettica di partizioni architettoniche complesse su un'unica facciata rimase molto più limitata, circoscritta ad esempio all'uso di pseudoperipteri o di uno o più ordini sovrapposti addossati in facciata. Alla base comunque dell'illusionismo architettonico in pittura e ad Alessandria è certamente l’architettura elleni-

stica, per la sua articolazione dello spazio con portici su più livelli intorno ad edifici templari e civili.

5.

INTERRUZIONE SPAZIO

ILLUSIONISTICA

TRAMITE

PITTURA

DI

PARETI

E

DI

SOFFITTI

CON

FINTE

APERTURE

CHE

MOSTRANO

LO

LIBERO

Nella necropoli orientale, la sezione di Shiatbi è sita presso il mare, immediatamente dopo il presunto limite orientale

della città ellenistica di Alessandria; è questa una delle sezioni più antiche fra quelle a noi note, tentativamente fatta risalire all’età tra la fine del IV e i primi anni del III secolo a.C.!, comunque certamente del primo periodo ellenistico. Nell’ambiente d dell’ipogeo A di questa necropoli possiamo vedere una decorazione architettonica che consiste in due pseudo-colonnati dorici, distribuiti lungo le pareti meridionale e settentrionale del suddetto ambiente. Al momento dello scavo, la parete meridionale era la meglio conservata, permettendo così al Bartocci la nota ricostruzione. Possiamo vedere che quattro pseudo-finestre, con davanzale e con un’imposta chiusa ed una semiaperta, erano imitate nella roccia tra le due coppie di finti intercolumni fiancheggianti l’ingresso. Riscontriamo l’impiego del colore azzurro per decorare la parete di roccia intonacata in fondo al vano semiaperto; tutta la parete inoltre è ricoperta da un duplice strato

di stucco, sul quale si constatò la presenza di un'originaria decorazione policroma?. Il colore rosso ed il bianco sono im-

piegati per l'inquadratura delle finestre, ed il giallo per le imposte, oltre al già ricordato colore azzurro. La presenza di questo colore ha una grande importanza, in quanto esso veniva usato in certi casi per la rappresentazione dello spazio

libero: poiché in questo caso lo spazio con la roccia compreso fra i battenti dischiusi delle finestre stava ad indicare l'at-

mosfera,

viene reso per tale ragione

con l’impiego

del colore blu.

Non

si tratta qui dello sfondo

di un quadro,

per il

quale invece dell’azzurro poteva venir impiegato qualsiasi altro colore, senza alcun significato speciale, bensì di una fac-

ciata architettonica in cui l’azzurro fra i battenti dischiusi sta ad indicare il cielo, intravvisto attraverso l’apertura?. Il Pagenstecher non aveva tenuto conto della presenza di questo colore, sebbene essa fosse stata esplicitamente constatata dal Breccia,

ed inoltre aveva affermato che qui ci trovavamo

di fronte a finestre realmente

semiaperte,

che avevano

la funzione di lasciar passare la luce fra gli ambienti contigui. Tuttavia lo studioso fu tratto in inganno osservando la tavola 10 del volume del Breccia, dove attraverso il vano dei battenti si poteva vedere l’ambiente contiguo b, ma ciò si 7 G.

GrUBEN,

in AA,

1982, pp.

661-672,

fig.

Baroque Architecture, p. 20; cfr. anche E. NETZER, Qedem 13, 1981, figg. 9, 11, 20.

13; LYTTELTON, Greater Herodium,

© Cfr. R.A. Tvaour, Aedificorum Figurae Untersuchungen zu den Architekturdarstellungen des frühen Zweiten Stils, Amsterdam 1989, pp.

128 ss.

140

^ Cfr. M.J. RocuE,

in Syria, 64, 1987, p. 217 ss., sull'influenza

dell'Egitto tolemaico su Petra.

! ADRIANI, Topografia, p. 124, nota 79. ? Ip., pp. 144-126, nota 79.

? A. ADRIANI, in BSAA, 10, 1938, p. 124.

era verificato a causa della decomposizione del calcare sabbioso, e non per lo stato originale della parete: infatti l'estrema finestra a sinistra della tavola era ancora ostruita dalla roccia e si vedevano anche le tracce del colore azzurro segnalato

dal Breccia*. È chiaro dunque che in questa facciata architettonica, del principio del III secolo a.C., la parete reale è già illusioni-

sticamente interrotta con aperture, attraverso le quali si immagina d'intravedere lo spazio libero?. Sempre a proposito della rappresentazione illusionistica dello spazio aperto in architettura, vanno prese in considerazione anche le decorazioni dipinte delle volte conservate nelle tombe. I motivi usati sono spesso figure geometriche, come le losanghe, i quadrati, gli esagoni, gli ottagoni, o le differenti combinazioni di queste figure. Questo genere di decorazioni della volta è quello che si riscontra maggiormente ad Anfushi, dove i motivi geometrici sono sottolineati con numerose righe di colore, le quali, quasi certamente, vogliono indicare il profilo dei cassettoni, tanto che i campi delle figure geometriche, tranne qualche eccezione, sono colorati di bianco”. Tra questi motivi vi è il sistema ad esagoni che riveste la volta come un reticolato (Tav. 117,1), come è visibile in particolare nella cameretta 5 dell'ipogeo 5 di Anfushi. A volte il soffitto è invece rivestito semplicemente da stucco dipinto ad imitazione dell’alabastro, come nella volta dipinta delle scale nell’ipogeo 1 di Anfushi. L’imitazione di un tappeto, come tema decorativo di una volta, è pure abbastanza frequente ad Alessandria ed altrove, ed è ad esempio usata nella necropoli di Mustafa Pascià, sul soffitto di una nicchia nell’ambiente 2 dell’ipogeo 3; è noto, inoltre, come rappresentazioni simili ad un tappeto si trovino nei soffitti delle tombe della Russia meridionale e della Magna Grecia”. Anche in un ipogeo inedito della Necropoli occidentale, scoperto alla fortezza di Saleh nel 1952, troviamo la decorazione della volta dell'alcova che ricorda motivi propri della tappezzeria orientale?. Ancora, nella cameretta 5 dell’ipogeo 5 di Anfushi, al centro della parete di fondo, si apriva un grande loculo, sul cui soffitto era immaginato un tappeto disteso, a più zone concentriche: infatti ad un ampio riquadro centrale si sussegue una serie di liste e di fasce, di cui una presenta un motivo ad onda, un’altra il motivo «a torri» contrapposte, entrambi propri di questo genere

di decorazione”. Un altro motivo ricorrente nella decorazione delle volte è quello costituito da campi quadrati ornati all’interno da rosette, visibile nel grande ipogeo del Wárdian e nella seconda parte dell’ipogeo 5 della necropoli di Anfushi. In questa decorazione i quadrati blu hanno

all’interno un tondo bianco,

con al centro una rosetta gialla’®.

Nei casi citati, il soffitto viene concepito come una superficie compatta e reale da decorare, ma altre volte esso appare invece come uno spazio aperto al di sopra dell’ambiente, sul quale si immagina distesa una tenda, o una grata che a sua volta è coperta illusionisticamente da un drappo!. Ciò si verifica per la prima volta nell'ambiente 3 dell'ipogeo di

Sidi Gaber, decorato al centro con una tenda policroma che è rappresentata in modo da apparire come gonfiata dal vento e staccata dal fondo, reso con il colore azzurro con cui erano stati riempiti anche i margini della volta. Giustamente il Thiersh vide in questa rappresentazione un'allusione all'apertura della volta stessa ed allo spazio libero al di là di essa". Ciò si riscontra anche nella decorazione della volta nella cameretta 2 del ipogeo 2 di Anfushi: essa rappresenta un graticcio esterno a scomparti quadrangolari, il quale risulta otticamente sovrapposto ad un arazzo, la cui decorazione a riquadri, che occupa quasi tutta la superficie della volta, è vista come attraverso il graticcio stesso!5. L'arazzo presenta un ampio riquadro centrale, occupato da motivi decorativi e con due ordini di riquadri figurati, uno più interno e l’altro più esterno, che risultano corrispondenti a quelli del graticcio e come visibili attraverso essi: nell’ordine interno essi presentano immagini isolate, mentre quelli dell’ordine esterno erano occupati da composizioni e figure, forse di sog-

getto ciclico e forse accompagnati anche da iscrizioni "^. Un analogo principio di apertura illusionistica tramite la pittura è applicato anche alla decorazione parietale. Il Tiersch vide chiare testimonianze di ciò già nella decorazione dell'ambiente 3 dell’ipogeo di Sidi GaberP, dove ritiene sia applicato il principio della parete «interrotta» nella zona azzurra coronante le pareti della cameretta funeraria con un sistema di pilastrini dipinti: da qui si sarebbe sviluppata la pittura pompeiana successiva al primo stile. Egli considerava questa decorazione come il riflesso di un baldacchino, in cui il soffitto — che rappresentava, come abbiamo già detto, un velario rigonfio dal vento — era stato concepito come sorretto dagli stessi pilastrini dipinti alla sommità delle pareti; la zona azzurra sulla quale essi erano raffigurati indicava lo spazio libero all'esterno della presunta tenda!°. Il Pagenstecher confutava, come si è detto, il significato da attribuire al colore azzurro, dicendo che il suo impiego è antichissimo e tradizionale; adduceva inoltre parecchi esempi in cui nei soffitti è impiegato questo stesso colore, o nei quali si trova un’imitazione di tappeti o tende, senza tuttavia alcun accenno ad un’immaginaria apertura della superficie dipinta!”. Tuttavia, va rilevato che il colore azzurro perde il suo significato di allusione allo spazio libero allorché insieme ad esso non compaiano altri elementi che possano far pensare ad una decorazione realistica della parete. Quando ? ADRIANI, Repertorio, p. 196, nota 145. Y NOWICKA, op. cit., pp. 69-70.

4Ip., pp. 124-125. 5 Ip.,

p. 125.

Cfr.

anche

L.M.

GiGANTE,

A Study of the Perspec-

! ApRIANI,

Topografia, p. 32.

tive from the Representations of Architectural Forms in Greek classical and hellenistic Paintings, Diss. Chapel Hill, 1980, p. 162 ss. $ M. NowICKA, La maison privée dans l'Egypte Ptolémaique, War-

? Ip., op. cit., pp. 139-140, nota 88. 13 Ip., p. 193, nota 142. ^ Ip., p. 193, nota 142.

sawa

5 A. ADRIANI, 16 A. ADRIANI, U Tp., p. 127.

1969, p. 69. ? ADRIANI, in Annuaire, 1940-1950, p. 3. 5 ADRIANI, Topografia, p. 149, nota 96.

Lezioni sull'arte alessandrina, in BSAA, 10, 1938, p. 126.

Napoli

1962, p. 81.

141

invece si verifica il contrario, come nel caso del colore azzurro fra i pilastrini della parete di Sidi Gaber, si può ritenere che esso alluda allo spazio libero, intravisto appunto tra i sostegni. Si puó quindi constatare che il principio illusionistico

viene applicato e si associa alle strutture architettoniche, come abbiamo già visto nella finta facciata architettonica e nelle pseudo-finestre a battenti dischiusi a Shiatbi'*. Contrariamente al Pagenstecher, lo Ippel, trovandosi di fronte, negli ambienti 2 e 3 dell'ipogeo di Sidi Gaber, ai piJastrini ionici, dipinti come se fossero visti di scorcio, in prospettiva e con angoli d'ombra, affermava che questo tipo di decorazione era da considerare come appartenente alle forme del secondo stile: non perché il secondo stile fosse stato inventato ad Alessandria, ma perché in Oriente, già nel IV e nel III secolo a.C., erano presenti elementi potenzialmente

capaci di condurre alla sua formazione P. Vi sono altre due decorazioni parietali in cui è applicato il principio della parete illusionisticamente «aperta». Nella cameretta 2 dell’ipogeo 5 di Anfushi, tutt'intorno alle pareti, sono rappresentati quindici pilastri, doppi negli angoli: la

parte superiore di quelli al di sopra del letto funerario è raffigurata come nascosta da questo, e su di essi corre una trabeazione con architrave a kyma dorico. Negli intercolumni delle pareti laterali alberi, che mancano invece nelle pareti fiancheggianti l'ingresso??. Questi sono in toni di verde più chiaro, mentre il fondo della parete e i pilastri sono resi in una parete aperta su una specie di giardino è l'idea di profondità spaziale data

e di quella di fondo sono dipinti alcuni dipinti in verde, con ritocchi in giallo ed bianco: tuttavia, ciò che dà l'illusione di dalle fasce di ombreggiatura colorate che

delineano i pilastri. L'altro caso è quello già citato dell'ipogeo 8 di Ras el Tin, dove la parete al di sopra del bancone del letto funerario

si apre su un portico: infatti viene immaginata come al di là di una fila di pilastri in finto alabastro?!. Anche le pseudo-porte presentano una ricerca prospettica di profondità spaziale, che deriva dalla loro ubicazione e dal loro valore funzionale come chiusure di loculi. Come è noto, il loculo, che è una caratteristica costante delle necropoli alessandrine, era in genere chiuso dopo la sepoltura, e raramente destinato a rimanere aperto per ricevere il sarcofago del defunto: solo in questo caso infatti il soffitto e le pareti venivano decorati pittoricamente”. Le porte di loculo erano costituite o da lastre di calcare del tipo delle stele dipinte, oppure da modeste opere murarie, ricoperte da uno strato di stucco sul quale veniva rappresentata pittoricamente una porta, generalmente con un'inquadratura dorica?. Essa era rastremata in alto e talvolta era sormontata da un frontoncino o da una cornice orizzontale; inoltre aveva una fascia di base, che a volte diventava una semplice fascia decorativa in corrispondenza dell’architrave. In genere la pseudo-porta imitava una porta a due battenti, ciascuno dei quali era sormontato da un riquadro, in modo da dividere la porta in due parti, quella inferiore più alta e quella superiore più bassa. La parte superiore a volte era immaginata piena e con motivi decorativi, più spesso, invece, come una finta grata per il passaggio dell’aria e della luce, resa con finte traverse di legno o di ferro, oppure con finte sbarre incrociate trasversalmente, da cui pendevano bende o

motivi floreali”. Va inoltre rilevato come le chiusure dei loculi nelle necropoli alessandrine fossero molto frequentemente dipinte con false porte durante tutto il periodo ellenistico. Ma frequenti sono anche i casi in cui le pseudo-porte dipinte non presentano alcuna allusione alla concezione illusionistica dello spazio: così nell’esemplare rinvenuto nella necropoli di Hadra durante gli scavi del 1912”, nel quale la parte superiore dei battenti presenta dipinte due protomi di Medusa, mentre al di sopra

dell’architrave vi sono

una tabella iscritta e un festone,

compresi

tra due figure femminile,

forse nikai; così

ancora

in un due altre pseudo-porte della stessa necropoli, la prima che riproduceva una porta a tre battenti con figurazioni nei riquadri superiori (scena di congedo funebre e bacini da giardino sormontati da un graticcio a cupola), la seconda con due

battenti al di sopra dei quali vi è una scena di commiato funebre”. Adriani ha invece sottolineato come, in una porta di loculo sulla parete destra dell’ambiente e dell’ipogeo A di Shiatbi, possa trovarsi la resa illusionistica di uno spazio libero e aperto al di là del limite costituito dal campo decorativo*’. La pseudo-porta, con pilastrini dorici laterali e frontoncino ionico, è immaginata come posta dietro un’inquadratura, consistente in una larga fascia di stucco a rilievo e decorata ad imitazione dell’alabastro. Questa inquadratura non è una semplice cornice della rappresentazione interna, in quanto taglia e nasconde le estremità laterali del frontoncino, in modo da suggerire che la prima sia l'apertura attraverso la quale si vede la porta. Tale interpretazione, osserva sempre l'Adriani, è confermata dall’uso del colore azzurro negli spazi triangolari tra gli spioventi del frontoncino e l’inquadratura; x un’impressione di profondita è inoltre data dalla forte proiezione di ombre sotto i dentelli del frontoncino, che danno

55 Ip., p. 128. P A. IppeL, Der Bronzenfund von Galyub Modelle eines Hellenistichen Goldschmieds,

Berlin 1922, pp. 88-89.

? ADRIANI, Topografia, p. 195, nota 145.

in Egitto. Le prime pseudo-porte in Alessandria presentano interamente i

21 ADRIANI, in Annuaire 1940-1950, p. 115.

caratteri dell’architettura ellenistica, quindi soltanto più tardi vi sarà una

? ADRIANI, Topografia, p. 112, nota 68.

penetrazione dei motivi del repertorio decorativo egiziano e sembra pro-

3 Ip., p. 112, nota 68.

babile che fosse proprio allora che le figurazioni religiose egizie vennero introdotte nella sintassi decorativa delle pseudo-porte (cfr. inoltre B.

? Ip., p. 112, nota 68. Il Pagenstecher aveva adombrato la possibiltà che il motivo della pseudo-porta potesse essere derivato dall'Egitto faraonico,

ma

aveva

poi respinto

l'idea,

trovando

difficile credere

che le

popolazioni non egizie, che seppellivano i loro morti nelle necropoli di Shiatbi e di Hadra, avessero adottato tale uso in cosi breve tempo; egli

142

preferiva credere che quelle popolazioni avessero portato con sé il motivo della pseudo-porta o dalla Macedonia o dall'Asia Minore, ma in realtà esse si trovano in molte parti del mondo mediterraneo, cosi come

Brown, Ptolemaic Painting and Mosaic, Cambridge (Mass.) 1957, p. 34). ?5 ADRIANI, Topografia, p. 115, nota 68. 2% Ip., p. 115. 2 A. ADRIANI, in BSAA, 10, 1938, p. 123.

6

Fig.

109

- Alessandria,

museo,

x ; was

" Fy iNETT

DesMESS

stele di Helixo

(da Adriani).

l'idea di una porta investita dall'alto dalla luce del 8016.38, con un evidente ricerca di effetti chiaroscurali che «sfondano» la superficie di chiusura. Ma una delle chiusure di loculo più note, proprio per la problematica dell'illusione spaziale, è la cosiddetta stele di Helixo (Fig. 109), appartenente a quelle categorie di chiusure che imitavano una stele, lavorate non tanto nel calcare, ma in una specie di impasto ottenuto con sabbia e gesso, poi intonacato”: vi è raffigurata una scena funeraria, probabilmente di commiato, all’interno di un’inquadratura architettonica che circoscrive le figure. Quest'inquadratura comprende una fascia di base e due pilastri laterali, intonacati ad imitazione dell’alabastro e sormontati da semplici capitelli d’anta, sopra i quali è dipinto un fregio dorico, con festoni pendenti dalle guttae, e all’interno è chiaramente indicato, attraverso due colonne ai lati delle figure, un portico o loggiato aperto sul fondo, dipinto in azzurro. La rappresentazione spaziale è accentuata dal soffitto del portico, reso in prospettiva con travi convergenti, e dal pavimento, costituito da una serie di elementi poligonali, sopra cui erano collocate le figure. Tra le colonne e i pilastri dell’inquadratura sono dipinte due fasce

verticali, interrotte ad una certa altezza e indicanti quindi delle mezze pareti ??. Una

scena di commiato

funebre

simile alla precedente

compare

in un’altra stele di Plinthine,

trovata ad Abousir e di

nuovo attribuita al IIT secolo a.C.: anche in questo caso l'inquadratura esterna imitava un portale di marmi policromi e metteva in risalto il piano di fondo, ancora più incassato. Le tre figure rappresentate sono poste su tre piani diversi e arretrati nello spazio, in modo da accentuare l’idea di profondità, mentre l’ombreggiatura della cornice ionica completa

l'impressione di illusionismo plastico? Si può ancora citare una chiusura di loculo rinvenuta nel 1935 ad Hadra, negli scavi di Adriani presso la sezione di Ezbet Mahlouf*: lavorata, come la stele di Helixo, in un impasto di cementizio intonacato, anch'essa presenta una sorta di portale rustico, rilevato plasticamente di ben cm. 7 rispetto al fondo della stele. Su questo è dipinto un basso cancelletto, che chiude il passaggio del portale fino a metà circa della sua altezza e che è reso inferiormente con un'intelaiatura di assi di legno sovrapposti ad un tavolato massiccio e superiormente con due pannelli rettangolari con assicelle incrociate, sormontate da altre aste appuntite: queste si stagliano sullo spazio libero dello sfondo, reso con colore azzurro”. Ai lati del cancello vi sono due pilastrini che raggiungono l’architrave e che sono dipinti come arretrati e visti in lontanza, rispetto al piano del cancelletto: tra di essi pendono due sottilissimi festoni. 2 2 ciorum 30

Ip., pp. 123-124. Ip., p. 21; cfr. BROWN, op. cit., p. 14; R.A. Figurae, cit., p. 132. A. ADRIANI, in BSAA, 10, 1938, p. 120.

TyBouT,

Aedifi-

| A. ADRIANI, Lezioni sull’arte alessandrina, tav. 52,2. ? Ip., tav. 53,1. 33 A. ADRIANI, in BSAA, 10, 1938, p. 122.

Napoli

1962, p. 181,

143

È stato rilevato, da Adriani e da altri, come

questa composizione

anche

in un'altra chiusura

secondo

mente,

si riscontrano

che

modalità

si svolga su tre piani ideali, arretrati prospetticadi loculo,

trovata nella Necropoli

occidentale,

ma

conosciuta solo mediante un lucido a colori”: la sua inquadratura mostra forme composite greco-egizie e inquadra una scena con Eracle, immaginata in uno spazio libero con accenni paesistici, vista attraverso due pilastri di tipo egizio, che si incastrano nell'inquadratura.

6.

CAPITELLI COMPOSITI EGIZI

Durante tutto il periodo tolemaico e imperiale continuano ad essere costruiti in Egitto templi nella tradizione faraonica (v. p. 4) e, di conseguenza, anche gli elementi architettonici decorativi dell'elevato sono in stile egizio. Ció si verificó

sicuramente

anche

ad

Alessandria,

come

provano

le testimonianze

numismatiche:

alcune

monete

traianee

ed

adria-

nee!, ad esempio, ci restituiscono l'immagine di un tempio d'Iside con la facciata a pilone nel più puro stile egiziano, mentre altre, del II secolo d.C., mostrano un santuario di Iside e Arpocrate con colonne e capitelli con fiori di loto, che sorreggono un frontone curvo su cui è raffigurato il disco solare tra uraei*. Una conferma dell'esistenza di questa architettura egizia ad Alessandria proviene dai rilievi di resti architettonici effettuati dalla spedizione francese? nell’Isola di Faros,

tra i quali tronchi di colonne lotiformi in granito d’ Assuan.

È noto come in Egitto anche l’architettura funeraria presenti una continuità di forme tradizionali: basti pensare alle tombe

a forma

di tempietto

della necropoli

di Tuna

el Gebel,

a cominciare

da quella più antica di Petosiris

(Tav.

122,3;

v. p. 258), anche se presto si incontrano motivi decorativi di origine greca inseriti in elevati caratterizzati dal pilone egiziano. Infine, il costituirsi dell’«arte alessandrina» determinò, soprattutto a partire dalla fine del regno di Tolomeo II (questi tra l’altro fece innalzare un obelisco faraonico davanti al tempio dedicato alla moglie Arsinoe II) e agli inizi di quello di Tolomeo III, il frequente uso di forme miste in vari contesti. Nella decorazione architettonica ciò si tradusse, ad esempio, in capitelli corinzi-egiziani, con foglie d’acanto e dischi solari (cat. nn. 321-323), oppure con fiori di loto, uraei,

elici e volute, uno dei quali (cat. n. 320) datato già al III secolo a.C.“ (Fig. 97), ancora in fregi dorici con l’inserzione di motivi egizi nelle metope (cat. n. 955; Tav. 136,2), nell’impiego di gole egizie come coronamento di porte (Ipogeo A di Shiatbi), ecc. Queste forme miste dovevano forse trovarsi anche nel padiglione ligneo fatto erigere da Tolomeo II Filadelfo, dove erano impiegate (v.la ricostruzione dello Studniczka) colonne palmiformi egizie e colonne a forma di tirso?. Ad Alessandria esiste una documentazione, abbastanza numerosa, di capitelli nella più pura tradizione egiziana: essi dovevano trovare impiego certamente nell’architettura funeraria, come mostrano colonne, pilastri e capitelli ai lati di passaggi nella necropoli di Kóm esh-Shogáfa (ambienti XII-XIV)$, ma anche in quella religiosa e forse privata. In particolare nel museo sono conservati venti esemplari (cat. nn. 160-179), in buona parte di sicura provenienza alessandrina, che confermano quanto si è detto sulla continuità d'uso di forme egizie. Essi rappresentano quasi tutti i tipi noti nell'architettura

egizia e, certamente, nella scelta di questi capitelli in contesti funerari e non, caratterizzati da un’architettura mista greco-egizia,

non dovette essere estraneo il valore simbolico legato alla rinascita che sempre

ne accompagnò

l’impiego nei

grandi templi egiziani. Un certo numero di esemplari è costituito dal tipo composito egizio, con fascio di steli e anelli alla base e con la campana avvolta da papiri alternati a calici a tre sepali lanceolati e palmetta (cat. nn. 160-165): tra di essi uno dei più antichi presenta anche l’introduzione di elici, la cui forma permette un inquadramento cronologico nel II o nella prima metà del I secolo a.C. (cat. n. 160). In un altro tipo (cat. nn. 166-170), la campana è avvolta da uno (cat. n. 166) o due (cat. nn. 167-168) o tre ordini (cat. n. 169) di calici a tre sepali, dalle cui cime si originano rametti obliqui, in modo da formare un’inflorescenza triangolare vagamente palmettiforme; nei cat. nn. 167-168 questi rametti sono articolati in fitte foglioline ovali. Il terzo tipo comprende invece i caratteristici capitelli polilobati, con papiri fioriti dagli «ombrelli» sporgenti, alternati a calici a tre sepali (cat. nn. 171-173): i capitelli emergono da colonne percorse da fasci di steli verticali, e varianti sono costituite dalla presenza nello stesso capitello di due ordini di papiri fioriti di diverse dimensioni (cat. n. 173). Papiri fioriti, a «ombrello», e quindi sporgenti, si ritrovano anche in capitelli con calici a tre petali e inflorescenze a rametti (cat. n. 174). È anche presente un noto tipo, diffuso soprattutto in età romana, nel quale si moltiplicano gli «ombrelli», fino a disporsi fittamente in tre ordini di diverse grandezze 3 ADRIANI, Topografia, p. 116, n. 68. ! S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 61. ? [p., p. 62: questo santuario è stato tentativamente identificato con

il tempio citato in un'iscrizione di Rachotis, e quindi collocato nel complesso del Serapeo, forse anche un naiskos per la statua di Iside che allatta Arpocrate. ? JomARD, Description de l'Egypt, V, p. 229 (testo) e anche

p. 239, per fusti di colonne lotiformi presso la Casa della Dogana: cfr. I. NosHy,

The Arts in Ptolemaic Egypt, London

1937, p. 65.

^ DELBRUCK, Hellenistiche Bauten, p. 159, fig. 101. di

5 L’aspetto del padiglione ci è giunto attraverso la descrizione Callisseno di Rodi, tramandata da Ateneo: era di legno e fu rea-

144

(cat. nn.

175-179).

lizzato in occasione delle feste di Dioniso, durante le quali Tolomeo offrì un grande banchetto. Sembra che la sua architettura possa considerarsi, in qualche modo, più libera rispetto a quella ufficiale, decisamente dominata da esigenze simboliche, dato l’interesse del re per it culto di Dioniso: tuttavia, anche se l'aspetto di Dioniso, connesso

a Serapide,

apparentemente

non compare,

riferimenti egizi sono forse

da considerare le colonne palmiformi che, insieme a quelle a forma di tirso, erano impiegate a sostenere il tetto. Cfr. F. STUDNICZKA, Das Symposion Ptolemaios II, abh.Leipzig, 32, 1914, p.4ss.; G. HAENY, «Basilikale Anlage in der ügyptischen Baukunst des neuen Reiches», in Beitrige zur dgyptischen Bauforschung, 9, 1970, p. 76 ss.

$ ADRIANI, Topografia, p. 173, n. 122, tav. 99, figg. 332-334.

APPENDICE:

MOTIVO

DEL TIMPANO AD ARCO ED ELEMENTI CHE LO ACCOMPAGNANO NELLA PITTURA E NEI MOSAICI ROMANI

Esaminiamo ora alcune testimonianze del motivo architettonico del timpano ad arco, di cui ci siamo occupati precedentemente a proposito della sua origine in ambiente greco-egizio e della sua rappresentazione su rilievi e monete alessanribadiamo

drini:

che

ci troviamo

di fronte

ad

modello

un

ellenistico

del II secolo

a.C.,

che

verrà

introdotto

nel mondo

romano solamente nel tardo periodo repubblicano e in età primo imperiale. Un primo confronto puó essere effettuato con caratteristiche tipicamente ellenistici: nella prima, probabilmente il porto di Alessandria: in ambedue Nel momento di passaggio dal «secondo» al

alcune lucerne di provenienza alessandrina!, che si basano su moduli e che è stata ricostruita, possiamo riconoscere un santuario, nella seconda è presente il motivo del timpano ad arco. «terzo stile», il motivo si ritrova non solo nei quadri accompagnati dai

sistemi decorativi, ma anche nelle stesse decorazioni ornamentali, nonostante in questo periodo (dalla fine del I secolo a.C. al periodo neroniano), ogni evasione spaziale sia soffocata e le strutture architettoniche siano ridotte a forme larvate

delle architetture reali. Un esempio di sistema decorativo di «terzo stile» è presente a Pompei, dallo «scavo del principe di Montenegro »?, che conosciamo solo da un antico acquarello essendo oggi scomparso: presenta, su alto zoccolo nero, al centro, un quadro mitologico, incorniciato da un'edicola vista in prospettiva con due colonne davanti e due dietro, lievemente decorate, con un architrave e con un timpano ad arco, anch'esso con sottili decorazioni tipiche del «terzo stile»; al centro vi è un piccolo quadro. Ai lati pareti nere con quadretti e decorazioni di tipo vegetale ed animale.

Sempre a Pompei,

nel triclinio (i) della Casa dello Specchio?, sono rappresentate un'edicola al centro della parete

ovest ed una del tutto simile sulla parete est dello stesso cubicolo. Ambedue presentano al centro due quadri di tema mitologico. Le edicole hanno due pilastri ad anta su due lati, un architrave ed il timpano ad arco in nero, con sottilissime decorazioni. Il sistema ornamentale del triclinio è stato considerato dal Maiuri di «quarto stile», anteriore al terremoto, mentre la Bragantini propende per una fase intermedia tra «terzo» e «quarto stile»: i quadri, infatti, rivelerebbero un gusto attestatosi dal «quarto stile», mentre i sistemi decorativi e le ornamentazioni appartengono piuttosto al «terzo stile».

Da inquadrare nell'ambito del «quarto stile » è la decorazione di una parete della casa di Giulio Polibio*; la parete ed il soffitto sono lunettati, cosi da ricordare il motivo del timpano ad arco. La parete presenta al centro un quadro con il giudizio

di Paride;

lo zoccolo

è nero,

con piante,

spartito

da stretti scomparti

privi di decorazione;

nei pannelli

laterali e

su quello superiore vi sono motivi architettonici di «quarto stile» (dal tardo periodo neroniano), che ricalcano quelli di

«secondo

stile». In questo modo,

come è noto, schemi e motivi attinti dal vecchio repertorio architettonico sono rielabo-

rati in strutture complesse, piuttosto improntate ad un fantastico illusionismo.

Dalla villa di Boscotrecase a Pompei? proviene un quadro inserito in una decorazione di «terzo stile», con uno schietto paesaggio di tipo ellenistico; il paesaggio idilliaco-sacrale è monocromo e sembra quasi un motivo ornamentale. Sono presenti numerosi motivi architettonici, di tipo ellenistico e non, ma in secondo piano, sulla destra, si distingue una

piccola edicola con il motivo del timpano ad arco.

Dalla casa di «P.Cornelius Teges», a Pompei”, proviene un lungo fregio (dal podio del triclinio), con ben quattro esempi di timpano ad arco, tra scene nilotiche di vario genere: 1. Dalle acque del Nilo, rappresentato nel periodo dell'inondazione, emerge un sacello, costituito da un ampio porticato

su tre lati

ad emiciclo;

al centro

su un podio,

si eleva,

un'alta edicola

a forma

di naiskos,

con

all'interno

il simu-

lacro dorato di Iside-Fortuna, reggente con la sinistra la cornucopia e con la destra la patera.

!M.L.

BERNHARD,

in

RA,

1956,

pp. 129-156

e

in

RA,

1972,

pp. 317-320. RM,

2 A. Mau, «Wandschirm und Bildtriger in der Wandmalerei», 17, 1902, p. 224, fig. 14. ? Pompei 1748-1980, Roma 1981, pp. 106-115, fig. 1, 6.

in

^ [p., pp. 106-115,

fig. 7.

5 G.E. Rizzo, La pittura ellenistico romana, Milano 1929, p. 138. M.Fabius Amandus, del Sacer$ A. MAIURI, La pittura delle case di dos Amandus e di P. Cornelius Teges, (Monumenti della Pittura Antica scoperti in Italia, Il, Rompei, fasc. II, Roma 1938, pp. 23-25, tavv. 3-4.

145

Dinanzi stigio

ai pilastri del tempietto

del timpano,

come

acroterio

si trovano

terminale,

due statuette femminili

è una

sfinge

ad

contrapposte,

ali spiegate

e,

ai lati,

in atteggiamento due

acroteri

di oranti; sul fa-

a palmetta.

Chiude

lo

sfondo un folto gruppo di alberi, sommariamente accennati. A sinistra sorge un sottile obelisco su un basamento quadrato, mentre a destra si scorge un'altra edicoletta dalla caratteristica forma absidata, fiancheggiata da due alberi e racchiudente il simulacro di un'altra divinità egiziana. Intorno al recinto sacro sono sparse alcune figure caricaturali. 2. Sotto un'ampia tenda di stoffa, tesa tra un pilastro quadrangolare ed un basso podio a forma di edicoletta, siede una giovane donna intenta a filare; accanto sono un cane da guardia ed una palizzata. Sul Nilo si vedono piante ed animali acquatici, mentre in basso c'é un grosso bue; una barca con rematori, naviganti e timoniere, sormontata da un festone fiorito, naviga a destra verso altri edifici. Nel piano superiore della scena si scorge un tempietto tetrastilo con timpano ad arco e gli intercolumni chiusi da plutei, cinto da un muro alle cui estremità sorgono due piccole edicole, mentre dinanzi al pronao si scorge una figura di sacerdote. A sinistra della barca sorge un isolotto roccioso su cui sta eretta una cicogna; segue un gruppo di edifici disposti su due piani: in basso un edificio a forma di pilastro turrito, coronato da quattro merli agli angoli e con grande apertura rettangolare nel mezzo; nel registro superiore un isolotto con tre piccole costruzioni. 3. Un rustico ponticello, a forma di passerella, mette in comunicazione due gruppi di edifici; sul ponticello passa un personaggio, al di sotto un grosso coccodrillo. Sulla riva destra, tra un'edicola su alto podio ed una minore edicola sormontata da un vaso, si trova un basamento con il simulacro aureo del bue Apis. Nel registro superiore è visibile una grande mensa conviviale, nella cui cavità circolare si scorge una fontana marmorea; al convito partecipano i Pigmei. Ritornando

al piano inferiore,

si notano figure di pescatori, tra piccoli edifici porticati chiusi da transenne,

tra cui un'edicola

con il caratteristico motivo del timpano ad arco; sulla destra è un'altra edicola absidata, dove appare il simulacro di una divinità egiziana. In alto è un grande portico quadrato e, di lato, si eleva un sottile obelisco piramidale su un basamento quadrato. 4. Su di un lembo di terra si eleva la caratteristica costruzione dell’architettura ellenistica egiziana, a pianta quadrata, con porta al piano inferiore e finestra al primo piano; l’area della casa è posteriormente delimitata da un recinto a palizzata. Più a sinistra è un altro grande recinto, sul cui fronte è un tempietto, con caratteristico timpano ad arco e simulacro di divinità; nelle colonne del tempietto sembra possibile individuare la forma dei capitelli a foglie di loto. Un altro esempio di questo tipo proviene dalla casa di Livia sul Palatino”, dove su un lungo fregio monocromo, tra motivi architettonici ellenistici di vario genere, è presente anche quello del timpano ad arco. Intorno sono scene di vita reale con personaggi di vario tipo e animali, tra cui cammelli, asini e pecore. Lo stesso motivo è presente, con le dovute rielaborazioni, in un quadro proveniente dalla villa di P. Fannio Sini-

store* a Boscoreale, costruita poco dopo la metà del I secolo a.C.; si tratta di una delle pareti di un cubicolo che presenta una ricca e fantasiosa decorazione di tipo naturalistico, con colonne inghirlandate. La rappresentazione non è altro che la visione degli intercolumni di una villa romana, tra cui sono una ombrosa grotta, presso cui sgorga una fonte, ed un pergolato che presenta appunto il tetto arcuato; l’unica variazione, in questo caso, è la mancanza dell’architrave, che, come vedremo anche negli esempi seguenti, costituisce forse una sorta di rappresentazione del motivo del timpano arcuato nella forma originaria della cultura locale, prima della sua rielaborazione in ambiente a lessandrino.

Un esempio di questo tipo lo abbiamo nella casa delle Amazzoni a Pompei?: conosciamo la composizione da una tempera di F. Morelli (1812); oltre al tempietto con timpano ad arco, naturalmente molto alleggerito, in cui sono alcune divinità egiziane (Iside, Serapide ed Arpocrate), sullo sfondo osserviamo un paesaggio marino ed in primo piano, al di là di una palizzata, un giardino con palme ed uccelli acquatici. Un altro esempio del medesimo tipo proviene dal cubicolo B della casa della Farnesina'®: al centro della parete, su

alto zoccolo, è un quadro mitologico, incorniciato da un’edicola con due colonne laterali, architrave e timpano triangolare, ma che presenta nella parte più interna una leggera arcuatura, che potrebbe ricordare i motivi egittizzanti che abbiamo finora esaminato. Ai lati dell’edicola sono sparse figure maschili e femminili, quadretti minori e motivi architettonici molto ridotti. Da inquadrare nell'ambito del «quarto stile», è un motivo con architetture proveniente da Ercolano!!, ed ora al Museo Nazionale di Napoli: nella parte superiore è un velario alzato, in funzione prettamente scenografica; in primo

piano, in basso, è visibile un’edicola con timpano ad arco, oltre il quale si può osservare un edificio splendente, con ornamenti bronzei ed argentei. L'edicola presenta, come al solito, due colonne sul fronte, sempre decorate, e altre due colonne sul lato destro, mentre sul sinistro sono alcuni motivi architettonici. Sopra il timpano, sontuosamente decorato, si trovano alcuni acroteri, tra cui due cavalli ed una maschera al centro.

Dal

peristilio delle

terme

Stabiane

di Pompei",

di età vespasianea,

proviene

una

decorazione

di tipo classicheg-

giante, in parte in stucco ed in parte pittorica. La frons scenae & qui alterata dall'edificio circolare centrale, con due nicchie laterali con il solito motivo del timpano ad arco, sopra le quali sono tesi tappeti con figure alate di Vittoria. Nei pa-

? G.E.

Rizzo,

Pittura Antica tav. 9,2.

* M. Borpa,

146

Le pitture della «Casa

scoperti

di Livia»,

in Italia, Tl, Roma,

La pittura romana, Milano

fasc.

(Monumenti

III), Roma

1958, pp. 30-32.

della

1936,

? Pompei 1748-1980,

Roma

? BORDA, op. cit., pp. 46-52. Ul [p., p. 85. ? [p., p. 88.

1981, p. 135.

diglioni appaiono quadri con prospetti paesistici aperti; le due edicole laterali presentano le consuete colonne frontali decorate e molto stilizzate.

Dopo le decorazioni del periodo traianeo, caratterizzate da una grande sobrietà, con motivi architettonici molto semplici e con un repertorio ridotto, al periodo di Adriano si é attribuito un gusto piü retrospettivo, che si rifà alla tradizione classica, ma che soprattutto riprende i motivi del «secondo stile». Un esempio di questo tipo di decorazione, consono al gusto neoclassico adrianeo, proviene da una casa scoperta nell'area della villa Negroni (134 d.C. circa), e ne è prova la presenza del timpano ad arco: tradizionale è la ripartizione dello zoccolo, dipinto su fondo nero, con soggetti di natura morta; la parte mediana offre campi azzurro scuri. Tutto è incentrato sull'edicola retta da pilastri-candelabri, con quadro centrale, timpano ad arco superiore e figure di centauri ai lati. Conosciamo le pitture di questa casa da un disegno di Camillo Buti. Tra i mosaici dobbiamo

ricordare quello di Palestrina,

che illustra scene di vita sulle rive del Nilo.

Il mosaico

mostra

ben tre esempi di timpano ad arco con architrave: il primo ^ rappresenta un piccolo tempio colonnato dorico, aperto davanti e dietro, con mura da ambedue le parti a metà altezza; davanti alcuni sacerdoti in processione trasportano un'immagine cultuale. Un confronto puó essere effettuato con un frammento di vetro dorato, proveniente da Alessandria": rappresenta un piccolo tempio, con un colonnato tetrastilo davanti ed una niccchia nel muro di fondo, probabilmente per l'immagine cultuale. Un altro esempio di timpano ad arco, sempre nel mosaico di Palestrina! rappresenta un gruppo di soldati sotto la

tenda; l'edificio appare tetrastilo, con la parte posteriore chiusa da un muro. Tutt'intorno i motivi nilotici ci riportano all'Bgitto alessandrino. Nell’ultimo esempio!” sono rappresentati un tempietto, come al solito tetrastilo, alcuni personaggi (sacerdoti?), due o belischi ed 1 consueti motivi nilotici. E per finire citiamo un mosaico pavimentale proveniente dall’ Aventino!, ora al Museo Nazionale Romano: rappresenta pigmei in barca che cacciano ippopotami e coccodrilli; sulla destra una serie di costruzioni con vari motivi architettonici, tra cui quello del timpano

ad arco,

e a sinistra probabilmente

un tempio.

Vorrei comunque ricordare che, oltre agli esempi citati, in passato erano stati raccolti dal Weber??, che ne aveva individuato l’origine egiziana, alcuni esempi di timpano ad arco nelle composizioni figurate: nel mosaico di Villa Albani, in due

pitture provenienti

da Ercolano

e in tre da Pompei

(Reg.

IX,

Is. V,

casa n. 9; casa della Caccia;

casa

della Fontana

di Mosaico). Numerosi sono quindi gli elementi architettonici dipinti negli affreschi di Pompei, di Roma, di Ercolano, e nei mosaici: le costruzioni rappresentate sono di tipo ellenistico e provengono appunto da prototipi del mondo ellenistico, influenzato

soprattutto

da Alessandria.

Lo

stile architettonico

negli

affreschi

è presente,

comunque,

non

solo

in Italia,

ma

anche in Asia Minore; le costruzioni rappresentate derivano in massima parte dalla tradizione architettonica del mondo orientale ellenistico e riflettono lo sviluppo dello stile cosiddetto «barocco» nell’architettura di queste regioni.

13 [p., p. 99.

16 GULLINI, op. cit., tav. 18.

^ G. GuLLINI, 7 mosaici di Palestrina, Roma 1956, tav. 19. 5 W. Weger, Eine Hermes-Temples des Kaiser Marcus, (Sitzung-

Tp., tav. 14. 18 Rizzo, op. cit., p. 82.

Sberichte Akademie), Heidelberg 1910, p. 26.

? WEBER, op. cit., pp. 9-16.

147

CRITERI DI SUDDIVISIONE

DEI CAPITELLI

I capitelli corinzi, corinzieggianti, ad imposta di varie forme (a canestro, bizonali ecc.) e 1 pochi compositi sono stati divisi in tre gruppi principali: 1 primi due riguardano quasi prevalentemente la produzione in marmo, rispettivamente dal I al tardo IV secolo d.C. e dalla fine del IV al VI secolo; il terzo gruppo comprende invece la produzione in calcare

locale, rientrante nella c.d. arte copta che rappresenta l'aspetto assunto dall’arte cristiano-bizantina in questa provincia!. Mentre di questa produzione fanno parte manufatti scolpiti in tutte le fasi di lavorazione, a partire dal blocco grezzo, sicuramente in Egitto?, le altre due sono costituite da esemplari, soprattutto marmorei, appartenenti per stile e tipologia

all’architettura «ufficiale», nelle forme impiegate nella parte orientale dell’impero: si tratta di manufatti importati del tutto o quasi rifiniti, soprattutto dal II alla prima metà IV secolo; spesso lavorati o, in caso di manufatti d'importazione sboz-

zati, completati ad opera di officine alessandrine che avevano assimilato, e talvolta anche rielaborato, lo stile e i tipi bizantini nel V-VI secolo. La presenza anche di capitelli appartenenti per stile e tipologia a queste due prime produzioni, ma intagliati nel calcare locale, come si verifica ad Hermoupolis Magna per il II secolo d.C. (cat. nn. 381-393, 473-474) e ad Alessandria

in particolare

nel V

secolo,

conferma

l’esistenza di officine,

probabilmente

residenti ad Alessandria,

del

tutto partecipi alla decorazione architettonica dell’arte ufficiale della parte orientale dell’impero. A queste si può tentare di attribuire, per il primo gruppo i cat. nn. 422, 429-430, per il secondo i cat. nn. 460-468, 476-487, compresi molti dei capitelli del complesso

di S. Mena,

ecc.

All’interno dei tre gruppi il materiale è stato ancora suddiviso in sottogruppi che radunano tipi simili, relativi ad una stessa fascia cronologica o ad una stessa produzione.

! Cfr. K. PARLASCA, in Enchoria, 8, 1978, p. 115. ? Sono

note

anche

firme

degli

scultori

specializzati

zione delle chiese: nella

decora-

P. Du

Bouncugr,

in Hommages

a S. Sauneron,

Caire 1979, II (Chiesa sud di Bawit).

151

I CAPITELLI

CORINZI

NELLA

TRADIZIONE

TARDO-ELLENISTICA

(TIPO «GRECO »)

1. TESTIMONIANZE AD ALESSANDRIA ED IN ALTRI CENTRI EGIZIANI

Si tratta del tipo del capitello corinzio «normale» lano

lobi separati da zone

d'ombra

ad occhiello

caratterizzato da acanto spinoso, con fogliette appuntite che artico-

o anche

ovali.

Poco

testimoniato

ad Alessandria,

anche

in età tardo tole-

maica (cat. n. 24), se ne conoscono pochi esempi in calcare locale ad Hermoupolis Magna (cat. n. 376) e ad Alessandria (cat. nn. 249-254), che possono risalire alla prima età imperiale. In marmo è noto un solo esemplare (cat. n. 377), caratterizzato dal precoce urtarsi delle foglie d'acanto, che unendo le punte delle fogliette formano figure geometriche: per quanto siano note in età bizantina riprese classicistiche del tipo dell'acanto tardo-ellenistico, la struttura del kalathos, tozzo,

ma

ancora collegato con il diametro

del suo orlo, e la forma dei caulicoli sembrano,

dramento in età prebizantina. La resa schematica e vagamente geometrizzante particolari delle officine alessandrine, che hanno adottato un modello esterno.

tuttavia,

Tipo 1. (Cat. n. 376) con volute ed elici nascenti da uno stesso caulicolo. Tipo 2. (Cat. n. 377): foglie unite ad acanto spinoso con zone d'ombra ovali, caulicoli cilindrici.

152

confermare

un'inqua-

dell'acanto deve quindi attribuirsi ad esiti

II GRUPPO

1.

TESTIMONIANZE

DEI CAPITELLI

CORINZI

ASIATICI IN MARMO

DAL

Il AL TARDO

IV SECOLO

AD ALESSANDRIA ED IN ALTRI CENTRI EGIZIANI

La quasi totalità dei capitelli corinzi marmorei di età imperiale (cat. nn. 378-448) appartiene al tipo asiatico. Infatti nello stesso periodo non sono documentati in Egitto capitelli corinzi in marmo importato eseguiti nella tradizione alessandrina, che, come si è detto, ricompare quando si utilizzano pietre locali, come è visibile nei capitelli del ninfeo di Dendera, in calcare locale (cat. nn. 220-226), o dell’aula di culto imperiale a Luxor, in diorite (granito nero) (cat. nn. 252-

254). Nella maggioranza dei casi si tratta di capitelli importati da officine dell’ Asia Minore del tutto o quasi rifiniti: tuttavia, per alcuni capitelli corinzi in calcare locale, reimpiegati nella grande Basilica cristiana di Hermoupolis Magna (cat. nn. 381-386) e provenienti dal Komasterion e forse dalla via colonnata della città, si deve pensare ad un intervento sul posto di maestranze

asiatiche,

o meglio

alessandrine che avevano

assimilato lo stile asiatico.

I capitelli corinzi asiatici erano impiegati soprattutto ad Alessandria e nelle località costiere, come ad esempio nel santuario di S.Mena, dove presumibilmente erano adoperati negli edifici più antichi del complesso, o erano di spoglio!. Sono ancora testimoniati ad Athribis (Tell Atrib)?, l'antica capitale del decimo nomos del Basso Egitto, nella zona del Delta, quindi in una zona ancora facilmente accessibile dal mare e di cui è noto lo sviluppo soprattutto in età romana. Comunque il numero più cospicuo di esemplari di questo tipo si trova reimpiegato nelle moschee del Cairo ed è per la

maggior parte inedito’. Praticamente

non

si hanno

indicazioni

sugli originari edifici in cui erano presenti questi capitelli:

infatti è nota in

modo esauriente la provenienza solo per quattro capitelli corinzi asiatici, rinvenuti nell’auditorium di Kom el-Dik (cat. nn. 405, 428, 435, 459), dove però furono reimpiegati in trasformazioni dell’edificio nel VI secolo, anche se non può escludersi che fossero in uso nello stesso edificio durante la sua prima fase, nel ΠῚ secolo. Dagli scavi delle terme di Kom el-Dik provengono invece tre esemplari (cat. nn. 379, 399, mentre il terzo è riprodotto in resoconti dello scavo)*, forse appartenenti al portico del frigidarium o al colonnato di separazione tra le terme e la strada F4. Infine si conosce l'edi-

ficio di provenienza anche dei capitelli di Athribis, scavati nelle Grandi Terme della città rimesse in luce nuovamente dagli scavi polacchi.

2.

ORDINAMENTO

TIPOLOGICO

Gli esemplari considerati appartengono tutti ad un tipo classicistico in voga in Asia Minore dal tardo I secolo d.C., che deriva dalla stilizzazione sempre maggiore del capitello corinzio normale tardo-ellenistico. Li caratterizzano due corone d'acanto spinoso, con foglie separate nei capitelli più antichi, decisamente unite in modo da formare figure geometriche in quelli più tardi. Nella corona inferiore le foglie sono articolate in cinque lobi: quattro ai lati della stretta costolatura centrale ed il quinto in funzione di cima; questo a sua volta é suddiviso in tre sottolobi dei quali solo quello mediano si ripiega in avanti, incurvandosi in modo da formare la vera e propria cima. I lobi laterali sono divisi in tre o quattro lunghe fogliette appuntite e a sezione angolare, e si accostano tra di essi in modo da formare uno stretto spazio

! KAUFMANN,

Die Menasstadt,

iavv. 66,1,

67,4,

68,9, 70,3,

71,2,

72,2. 2K. MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, p. 76, tav. 6; K. KoroDZIEICZYK, in Etudes et travaux, 13, 1972, p. 144, fig. 6, dove è citata anche una base di marmo ottagonale. 3 Cfr. KaurzscH, Kapitellstudien, p. 25, nn. 42,68 (moschea di

en-Nasir) 43,61 (moschea di el-Mu'aijad); 44,51,65,72,75 (moschea di Amr); 62,66-67, (moschea di Kaláün); 63 (moschea di el-Azhar); 64 (moschea di Salih Talá'i); G. NIEMEYER, in MittKairo, 18, 1962, p. 136 ss., tavv. 28,c,d, 29,a,d (moschea di Ulmas). ^ W. KoLATAJ, in Etudes et Travaux, 6, 1972, p. 47 ss., fig. 23.

153

10. SA SN

SAR

24 AT

HM AT

A 5X—455

N

Fig. 110 - Hermoupolis Magna, capitello corinzio di reimpiego dalla Basilica cristiana (dal Ronczewski).

vuoto, allungato e obliquo, che è definito zona d'ombra in quanto crea un accentuato contrasto di luce con la superfice delle foglie. Nella corona superiore sono normalmente scolpiti soltanto i tre sottolobi che compongono la cima, mentre i lobi mediani sono ridotti: si articolano ancora in tre fogliette negli esemplari più antichi del II secolo (1°, 2° sottogruppo, tipi 3, 4, cat. nn. 378-393 di Hermoupolis; Fig. 110), ma sono già ridotti ad una o due fogliette nei capitelli della prima metà del III secolo (3? sottogruppo, tipi 6-7, cat. nn. 395-399), secondo una tendenza alla semplificazione delle foglie della seconda corona sempre piü diffusa nella produzione del tardo III secolo e mel primo trentennio del IV secolo (4? sottogruppo, tipi 11-17, cat. nn. 407-434). I caulicoli sono ancora distinti come elemento vegetale autonomo per buona parte del II secolo (cat. nn. 379-386), mentre divengono protuberanze a sezione angolare del kalathos a partire dall'età severiana (cat. nn. 395-448). Rimane comunque costante il collegamento tra essi e i calici, composti da due foglie d'acanto di profilo: più sviluppate le foglie esterne che sorreggono la spirale delle volute, ridotte quelle interne, con la cima appuntita e fortemente ricurva, spesso fino a toccare la cima delle foglie centrali della seconda corona, in modo da fondersi con il calicetto del fiore dell'abaco. Le volute esterne e le elici subiscono lo stesso processo di riduzione, fino ad arrivare ad una resa schematica che ne cancella del tutto la funzione strutturale di sostegno dell'abaco: di conseguenza le spirali sono poco pronunciate e si perde la parte verticale dello stelo (cat. nn. 399-422), che invece è ancora visibile negli esempi più antichi (cat. nn. 390-395). Una

variante

è costituita

dalla

sostituzione

delle

elici

interne

con

una

semipalmetta

stilizzata

di profilo

(cat.

nn.

401,

405). L'abaco presenta i lati divisi in un sottile ovolo superiore e in un leggero cavetto, separati da un'incisione a sezione

angolare. Al centro dei lati vi è inoltre un fiore fogliaceo con stelo ondulato, nascente dietro la cima delle foglie centrali della seconda corona: talvolta vi è una piccola foglia linguiforme in funzione di calicetto (cat. nn. 379, 395, 419-420, 422), più raramente un calicetto (cat. n. 399) o una piccola foglia d'acanto (cat n. 400), in quanto sono le cime incurvate

delle foglie interne dei calici che hanno assunto la funzione di calicetto. Va inoltre rilevato che frequentemente & omesso lo stelo

del fiore

dell'abaco,

perché

evidentemente

non

era ritenuto

visibile

dal basso

(cat.

nn.

379,

382,

399-406,

410,

419-423, 425-430). Un'altra particolarità, che definisce insieme agli elementi citati le serie ἘΣ: è il contorno e insieme l'ampiezza della sagoma liscia di sfondo alle cime delle foglie della prima corona, che varia a seconda della maggiore o minore riduzione dei lobi mediani delle foglie della seconda corona. Questa sagoma evidentemente non era visibile dal basso, perché nascosta dalle cime fortemente sporgenti delle foglie inferiori: in ogni caso, il modo con cui è risolto il suo rapporto con le foglie laterali sta ad indicare tecniche di lavorazione indirizzate ad una produzione sempre piü rapida e 154

standardizzata, per la quale era essenziale ridurre le superfici da rifinire con l'intaglio degli elementi vegetali, senza questo alterare la forma canonica del capitello. Ne conseguirà però, come è stato spesso rilevato, l'accentuarsi della zione solo decorativa degli elementi vegetali, il che finisce per eliminare l’originaria struttura naturalistica, favorendo troduzione di soluzioni disorganiche nel collegamento fra i singoli elementi vegetali (cfr. la perdita di significato dei

per funl’incau-

licoli, la trasformazione in semplici viticci delle volute esterne ed interne, divenute in un certo senso superflue, e la separazione in due zone distinte delle foglie della prima e della seconda corona). In base a quanto detto sono stati distinti: i tipi 3-5, nei quali si sono raccolti i capitelli con le foglie separate, i caulicoli conici e le elici e le volute sviluppate (1°, 2° sottogruppo, cat. nn. 378-394); i tipi 6-10, con foglie separate o anche unite, ma con i lobi laterali e la cima delle foglie della seconda corona ‘ancora ben articolati, caulicoli a spigolo, elici e volute ridotte (talvolta con semipalmette sostituenti le elici (3° sottogruppo, cat. nn. 395-406); i tipi 11-17, con foglie unite, quelle superiori con lobi laterali ridotti, caulicoli a spigolo al di sopra di sagome di sfondo in varia forma (4° sottogruppo, cat. nn. 407-434). Indizio di una produzione diversa è la trasformazione delle elici in viticci giraliformi, che si uniscono al centro dei

lati dell’abaco per formare il fiore con le estremità fogliformi (cat. nn. 435-436, 442). I capitelli in cui si trova questo nuovo elemento si diversificano dagli altri anche per la forma dell’acanto (Weichacanthus) con lobi a fogliette più larghe (5° sottogruppo, tipi 18-20, cat. nn. 435-446). Sono gli esemplari più tardi di questa produzione ad essere privi dei calici e delle elici (cat. n. 444) Ugualmente ad un’altra produzione rimandano due capitelli con le foglie inferiori unite e con le foglie superiori dai lobi laterali articolati in tre fogliette, che si uniscono con quelle delle foglie contigue formando figure triangolari (6° sot-

togruppo, tipo 21, cat. nn. 447-448); a questo sviluppo dei lobi laterali nel cat. n. 444, corrisponde un impoverimento dell’articolazione dell’acanto, visibile nelle cime ridotte ad un solo lobo (lo stesso nella prima corona del cat. n. 446). 1° sottogruppo Tipo 3. (Cat. nn. 378-380): foglie separate ad acanto spinoso con strette zone d’ombra inclinate, caulicoli conici e spirali delle volute e delle elici sviluppate. i 2° sottogruppo Tipo 4. (Cat. n. 381-393): foglie separate, caulicoli sottili e conici con orlo rigonfio. Tipo 5. (Cat. n. 394): foglie più morbide, separate o che appena si sfiorano, e introduzione di una sagoma di sfondo alla cima delle foglie della prima corona, distinta dal caulicolo. 3° sottogruppo Tipo 6. (Cat. nn. 395-398): foglie separate, caulicolo a spigolo e sagoma di sfondo molto stretta. Tipo 7. (Cat. n. 399): foglie separate, caulicoli a spigolo e sagoma di sfondo trapezoidale. Tipo 8. (Cat. nn. 400-401):

foglie separate,

caulicolo a spigolo, sottile sagoma di sfondo,

delimitante uno spazio rettan-

golare: varianti costituite da palmetta in luogo del calicetto, o da schematiche semipalmette in luogo delle elici. Tipo 9. (Cat. nn. 402-404):

foglie separate e appiattite, caulicolo a spigolo, sottile sagoma di sfondo semiovale o delimi-

tante uno spazio rettangolare: variante nella presenza o meno di una foglietta liscia in funzione di calicetto. Tipo 10.

(Cat.

elici linguiformi.

n. 405-406):

foglie unite,

spazio quasi triangolare e aperto al di sopra della sagoma

di sfondo; variante:

. 4° sottogruppo

Tipo 11. (Cat. nn. 407-411): foglie unite, caulicoli a spigolo e sagoma mancanza di resa dei lobi laterali delle foglie superiori.

di sfondo trapeizodale

o semiovale

dovuta

alla

Tipo 12. (Cat. n. 412): foglie unite, caulicoli appiattiti privi di calici e sagoma di sfondo trapezoidale. Tipo 13. (Cat. nn. 413-423): foglie unite, caulicoli a spigolo e sottile sagoma lare: variante nella foglia ovale in luogo del calicetto.

di sfondo delimitante uno spazio triango-

Tipo 14. (Cat. nn. 424-428): foglie unite, caulicoli a spigolo, sottile sagoma di sfondo delimitante uno spazio triangolare. Tipo 15. (Cat. n. 429-430): foglie unite, caulicolo a spigolo, sottile sagoma di sfondo delimitante uno spazio triangolare o rettangolare aperto, foglia a tre lobi su sfondo liscio in luogo del calicetto. Tipo 16. l'abaco.

(Cat. n. 431): una sola corona di foglie unite, caulicoli a spigolo,

calici con volute ed elici direttamente sotto

Tipo 17. (Cat. nn. 432-434): foglie unite, spazio triangolare o trapezoidale sopra la sagoma di sfondo, mancanti, ridotto spazio tra le foglie superiori e l'orlo del kalathos.

calici e caulicoli

155

5? sottogruppo Tipo 18. (Cat. n. 435-437): aperto,

foglie separate o unite, sagome

di sfondo ogivali, talvolta delimitanti uno spazio triangolare

ed elici trasformate in girali sostituenti il fiore dell'abaco

Tipo 19. (Cat. nn. 438-445): foglie unite, sagoma di sfondo delimitante spazio triangolare o pentagonale, aperto o chiuso. Tipo 20. (Cat. n. 446): foglie più morbide e unite, sagome elici mancanti.

di sfondo triangolari delimitanti spazi pentagonali,

calici ed

6° sottogruppo Tipo 21. (Cat. nn. 447-448): foglie unite ad acanto spinoso con fogliette larghe, presenza dei lobi mediani nella seconda corona e scomparsa della sagoma di sfondo.

156

II GRUPPO DEI CAPITELLI BIZANTINI — CORINZI, CORINZIEGGIANTI, COMPOSITI E A CALICE IN MARMO, D’IMPORTAZIONE E DI OFFICINE LOCALI DAL TARDO IV AL VI SECOLO.

1.

TESTIMONIANZE

AD

ALESSANDRIA

In questo gruppo vengono tani: si tratta nuovamente

ED IN ALTRI

CENTRI

EGIZIANI.

compresi i capitelli corinzi e corinzieggianti direttamente ispirati

di capitelli importati,



a modelli costantinopoli-

con ogni probabilità dalle officine del Proconneso,

sia del tutto rifiniti,

sia

più frequentemente sotto forma di semilavorati, che dovevavo essere completati dalle officine alessandrine. L'assimilazione da parte di queste dello stile e dei tipi bizantini è mostrata dai cat. nn. 473-474,

in calcare locale, ma

simile ad

esemplari in marmo (cat. nn. 475-478), e ancora dai cat. nn. 463-464, 486, di S. Mena, che imitano, ad opera di scultori locali, capitelli di marmo

importati,

o molto vicini ai modelli d’importazione, rinvenuti sempre nel santuario.(cat. nn.

462, 480). La produzione costantinopolitana o di officine di Alessandria, ma nel complesso fedele al modello d’importazione, su

cui vengono apportate poche modifiche e semplificazioni!, è testimoniata ad Alessandria stessa, nel santuario di S. Mena ed in altre località vicino alla costa come i monasteri dello Wadi Natrum: oltre ai capitelli furono importati anche basi di colonne su alti piedistalli e colonne, sempre di marmo proconnesio. Nell'interno dell'Egitto gli esempi sono invece pochissimi, uno (cat. n. 452) a Hermoupolis Magna, un altro (cat. n. 460) a Heracleopolis Magna (Ahnas), lo stesso per quanto riguarda le basi su piedistallo (alcuni esempi a Saqqara, cat. nn. 749-752).

2.

ORDINAMENTO

TIPOLOGICO.

Per i capitelli corinzi il criterio di suddivisione è basato sulla forma dell'acanto e sulla maggiore o minore fedelta al-

l'apparato tradizionale dell'ordine. Di conseguenza si sono distinti fondamentalmente due tipi d'acanto: quello nella tradizione del tipo spinoso, con lobi a larghe fogliette e zone d'ombra strette e allungate (cat. nn. 452-468, 472-487), elaborato a Costantinopoli nel tardo IV secolo d.C. (Forum Tauri) e rappresentante uno sviluppo dell'acanto testimoniato nei

tipi 18-20 del 5? sottogruppo dei capitelli precedenti (cat. nn. 435-446) e ampiamente ripreso in ambiente «copto», dove venne 490),

rielaborato con

lobi

Costantinopoli

in tipi locali; quello invece

a fogliette

nella

Porta

ricurve

d'Oro,

e separati

nella tradizione dell'acanto

da zone

ugualmente

d'ombra

spesso

imitato

dentellato

(meno

ad occhiello

o ovali,

secondo

nell'Egitto

interno,

e

rappresentato,

spesso

il tipo

fuso

cat.

nn.

classicistico

col

tipo

489-

creato

a

precedente

(v.oltre). Il capitello composito cat. n. 549 testimonia anche il tipo, sempre costantinopolitano (Colonna di Marciano, S. Giovanni di Studio), dell'acanto con dentelli più fitti, anch'esso ampiamente ripreso in ambiente «copto» e anche siriano, dove dette luogo a tipi locali (v. oltre). Rispetto alla fedeltà per l'apparato canonico del corinzio, abbiamo distinto tre sottogruppi. Il primo con due corone di foglie d’acanto spinoso a larghe fogliette, calici prevalentemente collegati in modo disorganico con le volute, ed elici quasi sempre mancanti o trasformate in sottili steli desinenti nel fiore dell’abaco (tipi 23-30, cat. nn. 451-468). Il secondo con una o due corone di foglie d’acanto spinoso a larghe fogliette, con le volute, ma senza calici e quasi sempre senza elici (tipi 31-40, cat. nn. 469-488). Il terzo simile al precedente, ma ad acanto dentellato (tipi 41-42, cat. nn. 489-494). Nella suddivisione dei tipi si sono ritenute importanti anche le osservazioni: sulla forma della sagoma di sfondo alle cime delle foglie della prima corona, dato il suo collegamento con la semplificazione dei lobi mediani delle foglie della

baco presentano una croce inserita in una coroncina d’alloro (cfr. cat. ! Di produzione alessandrina, anche se lavorati su pezzi grezzi importati, sono considerati i capitelli corinzi che in luogo del fiore dell’a-

nn. 460-463, 475, 479, 480, 491, 542, 544-546): H.G. SEVERIN, in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna 1981, p. 316.

157

seconda corona; ancora sulla forma e il numero delle figure geometriche originatisi dall'urtarsi delle foglie, perché anche in questo caso sono in dipendenza dell'articolazione maggiore o minore dell'acanto. Un altro elemento tipologico importante è l'andamento dell'orlo superiore del kalathos, se cioè organicamente collegato con il suo diametro, oppure riprodotto

meccanicamente

con

un

arco

di cerchio

ribaltato

sotto l'abaco,

senza

alcuna

funzione

strutturale

(cat.

nn.

463-466,

473, 478, 480-481, 485, 487, 489): in questo caso esso è l'indizio della continuità nel tempo dell'uso di un determinato tipo, riprodotto in serie dalle officine locali. Sono stati considerati capitelli corinzieggianti tutti gli esemplari di piccole dimensioni con ridotto apparato vegetale: le foglie sono disposte in una corona di quattro foglie al centro dei lati e di altre quattro angolari piü alte (tipi 43-49, cat. nn. 495-512), oppure di quattro foglie angolari alternate a quattro foglie d'acqua minori al centro (tipo 50, cat. nn. 513-514), infine di sole quattro foglie (tipi 51-55, cat. nn. 515-526 ad acanto spinoso con zone d'ombra strette e allun-

gate; tipi 57-58, cat. nn. 528-541, con acanto influenzato da quello dentellato per le zone d'ombra ad occhiello). Nella tradizione microasiatica dei capitelli a calice, con parte superiore baccellata, sono alcuni esemplari di Alessandria e di S. Mena, che alla base presentano un'unica corona di foglie ad acanto spinoso (cat. nn. 677-679), oppure sono interamente decorati con baccellature (cat. nn. 684-686).

A.

CAPITELLI

CORINZI 1° sottogruppo

Tipo 23. (Cat. n. 451): due corone di foglie d’acanto con lobi mediani delle foglie superiori intagliati, sagoma di sfondo con zona triangolare al di sopra, volute collegate disorganicamente, calici ed elici mancanti. Tipo 24. (Cat. nn. 452-454): due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, con quelle superiori piuttosto sviluppate, ridottissima sagoma di sfondo, caulicoli, calici abbastanza collegati con le volute o le elici, queste molto piccole o mancanti. Tipo 25. (Cat. n. 455): foglie lisce in funzione di calicetto, elici molto ridotte e volute collegate disorganicamente con i calici. Tipo 26. (Cat. nn. 456-457): due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo ogivale con o senza spazio geometrico al di sopra, volute collegate con i calici dalle foglie interne schematizzate ad arco, elici mancanti o ridotte. Tipo 27. (Cat. n. 458): due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo ogivale e spazio ogivale al di sopra,

volute collegate disorganicamente

con i calici, elici desinenti nel fiore dell’abaco.

Tipo 28. (Cat. nn. 459-461): due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo sormontata da spazio triangolare, rettangolare o trapezoidale, volute collegate disorganicamente con i calici, elici mancanti. Tipo 29. (Cat. nn. 462-467): due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, senza sagoma di sfondo ogivale, con o senza spazio romboidale al di sopra, parte superiore del kalathos ridotta ed espansa, volute collegate disorganicamente

ai calici, elici mancanti.

Tipo 30. (Cat. n. 468): sagoma di sfondo con spazio trapezoidale al di sopra e calici trasformati in volute ed elici. 2° sottogruppo Tipo 31. (Cat. nn. 469-471): mancanti.

due corone di foglie d’acanto appiattite, senza sagoma di sfondo, volute ed elici a V, calici

Tipo 32. (Cat. n. 472): due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, senza sagoma di sfondo, calici ed elici mancanti. Tipo 33. (Cat. nn. 473-475): due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, spazi rettangolari e triangolari al di sopra, calici mancanti, con o senza elici.

sagoma

di sfondo

ridotta con

Tipo 34. (Cat. nn. 476-478): due corone spazi triangolari, calici ed elici mancanti.

sagoma

di sfondo

ridotta con

di foglie d’acanto

appiattite a larghe

fogliette,

Tipo 35. (Cat. n. 479): due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, triangolare, calici ed elici mancanti. Tipo 36. (Cat. nn. 480-481): due corone di foglie d’acanto spazio romboidale, calici ed elici mancanti.

appiattite a larghe

sagoma di sfondo ogivale con spazio fogliette,

sagoma

di sfondo

ovale

con

Tipo 37. (Cat. n. 482): due corone di foglie d’acanto a larghe fogliette, stretta sagoma di sfondo semiovale, calici ed elici mancanti. 158

Tipo 38. (Cat. nn. 483-486): due corone di foglie d'acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo ogivale priva di spazio triangolare superiore, calici ed elici mancanti. Tipo 39. (Cat. n. 487): una corona di foglie uguali d'acanto appiattite a larghe fogliette, calici ed elici mancanti. Tipo 40. (Cat. n. 488): una corona di foglie , caulicoli appiattiti ad orlo angolare, volute, mancanti le elici (capitelli corinzi a «medaglione).

calici ridotti ad una foglia, piccole

3° sottogruppo Tipo 41. (Cat. nn. 489-491):

due corone di foglie d’acanto a grandi zone d’ombra circolari, ottenute dall’unione delle fo-

gliette dei lobi, calici ed elici mancanti,

volute con «Lederblatter».

Tipo 42. (Cat. nn. 492-494): una corona di foglie d’acanto con zone d’ombra ogivali, calici con foglie interne, volute ed elici molto ridotte.

B.

CAPITELLI

CORINZIEGGIANTI 1° sottogruppo

Tipo 43. (Cat. nn. 495-496): una corona di foglie d’acanto a larghe fogliette, volute ridotte, caulicoli ed elici mancanti. Tipo 44. (Cat. n. 497): due corone di quattro foglie d’acanto con zone d’ombra strette ed allungate, volute a V. Tipo 45. (Cat. nn. 498-508): due corone di quattro foglie d’acanto con zone d’ombra strette e allungate, ridotte volute a V prive di spirale. 2° sottogruppo Tipo 46. (Cat. n. 509): due corone di quattro foglie d’acanto con zone d’ombra ad occhiello, unico calice a V al centro dei lati e volute.

Tipo 47. (Cat. n. 510): due corone di foglie d’acanto con zone d’ombra circolari od ogivali e volute a V. Tipo 48. (Cat. n. 511): due corone di foglie d’acanto con senza spirali e parte superiore del kalathos molto espansa.

zone

d’ombra

circolari od ogivali,

volute a V schematiche,

Tipo 49. (Cat. n. 512): figurato, due corone di quattro foglie, zone d'ombra ad occhiello, privo di elici e volute. 3? sottogruppo Tipo 50. volute.

(Cat.

nn.

513-514):

corona di quattro foglie,

strette zone d'ombra

e foglie d'acqua negli intervalli, presenti le

Tipo 51. (Cat. nn. 515-518): corona di quattro foglie d'acanto, strette zone d'ombra, volute a V. Tipo 52. (Cat. nn. 519-523): corona di quattro foglie, strette zone d'ombra, volute a V. Tipo 53. (Cat. n. 524): corona di quattro foglie con strette zone d'ombra, volute fuse con l'abaco, toro decorato a treccia alla base del kalathos. Tipo 54. (Cat. n. 525): corona di quattro foglie con strette zone d'ombra e parte superiore del kalathos molto espansa. Tipo 55. (Cat. n. 526): corona di quattro foglie triangolari separate e prive di zone d'ombra. Tipo 56. (Cat. n. 527): corona di quattro doppie foglie sovrapposte, strette zone d'ombra triangolari 4? sottogruppo Tipo 57. (Cat. nn. 528-531): corona di quattro foglie, zone d'ombra ad occhiello e volute a V. Tipo 58. (Cat. nn. 532-541): corona di quattro foglie d'acanto, zone d'ombra ad occhiello, spazi geometrici tra le foglie, volute a V quasi fuse con l'abaco. 5? sottogruppo Tipo 59. (Cat. nn. 542-543): caulicoli,

foglie ad acanto spinoso,

con zone d'ombra

strette ed allungate, mancanti i calici, ma con

volute ed elici.

159

Tipo 60. (Cat. nn. 544-546): foglie d'acanto separate con zone d'ombra ovali tra i lobi, mancanti i calici, ma con caulicoli, volute ed elici.

C.

CAPITELLI COMPOSITI

Tipo 1 (Cat. n. 547): due corone di foglie con zone d'ombra strette e allungate. Tipo 2. (Cat. n. 548): due corone di foglie con zone d'ombra ad occhiello. Tipo 3. (Cat. n. 549): due corone di foglie con lobi a piccoli dentelli e con grandi zone d'ombra ovali e triangolari. Tipo 4. (Cat. nn. 550-551): due corone di foglie d'acanto finemente dentellato. Tipo 5. (Cat. n. 552): una corona di foglie palmiformi, volute nascenti dietro le foglie angolari.

160

IV GRUPPO

1.

DEI CAPITELLI

TESTIMONIANZE NEI CENTRI INTERNI

In questo

gruppo

CORINZI E CORINZIEGGIANTI IN PIETRA DAL IV AL VII SECOLO D.C.

LOCALE

(«COPTI»)

DELL' EGITTO.

sono raccolti i capitelli corinzi e corinzieggianti,

sia quelli lavorati anche nei particolari vegetali,

sia quelli privi dell'ultima rifinitura e con le foglie lisce, intagliati nel calcare e nelle pietre locali: si tratta di una produzione

legata

soprattutto

all'architettura

cristiana

(chiese

e monasteri

annessi),

ma

anche

funeraria

e civile,

anche

se

in

questi ultimi due casi mancano quasi sempre, finora, contesti che permettano un'attribuzione sicura. Le testimonianze riguardano in particolare il convento di Apa Geremias (Fig. 199) a Saggara (cat. nn. 568, 570, 581, 583, 585, 587-588, 590, 592, 606, 632-639, 642-643), gli elementi architettonici in calcare della grande Basilica di Hermoupolis (cat. nn. 559-567, 617-621) e la chiesa, con annesso convento, di Antinoe (cat. n. 574, 622-625), 1 rinvenimenti di Ahnas (Heracleopolis Magna), di Banasa (Oxyrhynchos) (cat. nn. 577, 593-594), di Batn Herit (Theadelfia) (cat. nn. 553-556), il Convento Bianco (Deir el Abiad - Fig. 60) e il Convento Rosso (Deir el Ahmar - Fig. 62) presso il Sohag (cat. nn. 572-573), il monastero di Apa Apollo a Bawit (cat. nn. 569, 578-580, 589), e ancora le chiese di Luxor (cat. n. 598, 627, 647-651) (Fig. 64), di Kom Ombo (Cat. n. 645) e di Dendera (cat. nn. 599-603, 626, 646)?. E stato piü volte rilevato come la decorazione di questi complessi, pur rielaborando chiaramente influssi dell'arte bizantina contemporanea, ma in parte anche di altri ambienti, come quello siriano, abbia saputo raggiungere una sua originalità «provinciale», che va sotto il nome di arte copta, alla quale non è estraneo l'innesto di tradizioni locali egiziane ed alessandrine, sia del periodo tolemaico, sia di quello imperiale?. È evidente

il ruolo di Alessandria

e di altri centri non lontani dalla costa,

come

S. Mena,

nella trasmissione

dei mo-

delli bizantini in Egitto. Tuttavia va tenuto conto di quanto detto sopra sulla formazione ad Alessandria di officine che avevano assimilato le modalità dell’arte ufficiale: esse apportarono modifiche e variazioni che certamente ebbero una ripercussione nelle officine dei centri interni dell’Egitto: tra l’altro, a S. Mena (cat. n. 612-614) e ad Alessandria stessa (cat. n. 576) vi sono capitelli che possono considerarsi molto vicini alla produzione «copta». Ma troppo scarna è la conoscenza della produzione alessandrina di età bizantina per ricostruire lo specifico apporto della sua decorazione architettonica nell’arte «copta»: i capitelli in calcare locale del Museo di Alessandria che vi rientrano, o non provengono dalla città, o sono quasi tutti di provenienza ignota (cat. nn. 558, 575, 586, 609-611, 616, 628-631, 640-641), per cui non è possibile valutarne l’apporto in questa ottica. Per tale ragione sono stati raccolti in questo catalogo alcuni pezzi di sicura provenienza conservati in altri musei e lapidari egiziani o ancora in situ, in quanto solo così era possibile individuare i canali e i modi di trasmissione dell’arte ufficiale e bizantina nella provincia egiziana.

2.

ORDINAMENTO

TIPOLOGICO.

I capitelli corinzi «copti» sono stati suddivisi in due classi principali: la prima comprende i capitelli del tutto lavorati, anche nei particolari vegetali; la seconda, invece, quelli privi dell’ultima rifinitura, per cui le foglie appaiono lisce

(di qui la definizione di capitelli corinzi a foglie lisce), evidenziate cioè solo dal contorno e dalla sporgenza rispetto al

kalathos. Ciascuna delle due classi, a sua volta, è stata divisa in sottogruppi, che tengono conto nuovamente della forma dell’acanto e della completezza o meno dell'apparato vegetale canonico del corinzio.

! Cfr. E. KrrziNGER, in Archaeologia, 87, Torp, in Synthronon, Paris 1968, pp. 11-27. ? Sulle chiese citate vedi: P. GROSSMANN,

1938,

pp. 181-225;

in Enchoria,

8,

H.

1978,

pp. 89, 100; Ip., in 28° corso di cultura arte ravvenate e bizantina, Ravenna 1981, pp. 149-176. 3 A.M. Bapawy, in BIE, 34, 1951-52, pp. 151-205; 35, 1952-53, pp. 57-120.

161

Dei quattro sottogruppi nei quali sono ripartiti i capitelli del tutto rifiniti, il primo presenta un'acanto che possiamo ancora definire spinoso, con lobi articolati in fogliette più o meno allungate e distinti da quelli contigui tramite strette zone d’ombra (tipi 1-5, cat. nn. 553-570); i successivi due sottogruppi invece sono caratterizzati da un’acanto spinoso con chiari influssi del tipo «dentellato»,

cioè a fogliette leggermente

più larghe ed in alcuni casi ricurve,

in modo

da formare

zone d’ombra ogivali (tipi 6-14, cat. nn. 571-597); il quarto sottogruppo presenta infine un acanto semplificato e appiattito, con fogliette ovali o lanceolate (tipi 15-19, cat. nn. 598-606). Sono evidenti alcune riprese di capitelli corinzi bizantini (Porta d'Oro) nei tipi 3, 6, ὃ e 13, con i calici fusi con le elici e le volute, o ancora nel tipo 7, privo di collegamento organico tra le volute e le elici. Come elemento tipologico è stata considerata anche la ripresa, nel tipo 10, dell’apparato canonico del capitello corinzio normale, anche se realizzata in modo molto meccanico. I capitelli a foglie lisce sono stati divisi in tre sottogruppi, il primo comprendente i capitelli con due corone di

foglie, sia con tutti gli altri elementi dell’ordine corinzio (tipo 1, cat. n. 607-608), sia con la riduzione di questi soltanto alle volute e/o alle elici (tipi 2-3, cat. nn. 609-625). Gli altri sottogruppi comprendono capitelli che possiamo definire corinzieggianti per la riduzione del numero

delle foglie di ciascuna corona a quattro, senza nessun altro elemento vegetale

(2° sottogruppo, tipi 4-6, cat. nn. 626-635), oppure per la riduzione ad un’unica corona di quattro foglie (3° sottogruppo) con al centro schematiche volute a V (tipo 7, cat. nn. 636-639) o altre foglie di cui si intravede solo la cima al centro dei lati (tipo 9, cat. nn. 648-652).

1° sottogruppo Tipo 1. (Cat. nn. 553-556): due corone di foglie d’acanto spinoso a corte fogliette e strette zone d’ombra, fiore dell’abaco formato dalle spirali delle elici. Tipo 2. (Cat. n. 557): due corone di foglie d’acanto spinoso a lunghe fogliette e strette zone d’ombra, sorganicamente con le volute e con le elici.

calici collegati di-

Tipo 3. (Cat. nn. 558-556): due corone di otto foglie d’acanto spinoso a lunghe fogliette e strette zone d’ombra, calici fusi con le elici e le volute. Tipo 4. (Cat. nn. 567-569): due corone di quattro foglie d’acanto spinoso a lunghe fogliette e strette zone d’ombra, unico calice fuso con le elici e le volute. Tipo 5. (Cat. n. 570): una corona di quattro foglie d’acanto spinoso a lunghe fogliette e strette zone d'ombra, volute.

2° sottogruppo Tipo 6. (Cat. nn. 571-577): una o due corone di foglie d’acanto spinoso, con influssi del tipo dentellato, a fogliette medie e zone d’ombra ogivali od ovali, calici fusi con le volute e le elici.

3° sottogruppo Tipo 7. (Cat. nn. 578-583): due corone di foglie ad acanto influenzato da quello dentellato, con fogliette diritte e ricurve e zone d’ombra ogivali, volute collegate disorganicamente con i calici ed altre varianti. Tipo 8. (Cat. nn. 584-586): una o due corone di foglie ad acanto influenzato da quello dentellato, con fogliette diritte e ricurve e zone d’ombra ogivali, elici e volute fuse con i calici. Tipo 9. (Cat.587-588): una corona di foglie ad acanto influenzato da quello dentellato, con fogliette diritte e ricurve e doppie zone d’ombra ogivali tra i lobi, elici e volute nascenti da stelo semplice; variante con doppie zone d’ombra tra i lobi, la seconda triangolare. Tipo 10. (Cat. nn. 589-590): di tradizione classicistica, due corone di foglie d’acanto zone d’ombra ad occhiello e ogivali, caulicoli, calici, volute ed elici.

influenzato da quello dentellato,

con

‘Tipo 11. (Cat. n. 591): due corone di foglie d’acanto influenzato da quello dentellato, con zone d'ombra ad occhiello e triangolari, variazioni sui caulicoli a stelo e sui calici. Tipo 12. (Cat. n. 592): quattro foglie d'acanto con volute a V (del tipo «Lederblátter»). Tipo

13.

(Cat.

nn. 593-596):

due corone

di foglie d’acanto

spinoso influenzato da quello dentellato,

con zone d’ombra

ogivali, calici fusi con le volute e le elici e riempiti da foglia dentellata rovescia con zone d’ombra ad occhiello. Tipo 14. (Cat. n. 597): foglie della prima corona sostituite da grossi «caulicoli» a canestro, sottili calici a V. 162

4? sottogruppo

Tipo 15. (Cat. nn. 598-600): lanceolate,

una o due corone di foglie ad acanto semplificato e appiattito, con piatte e larghe fogliette

elici e calici mancanti,

talvolta presenti le volute.

Tipo 16. (Cat. nn. 601-603): due corone di foglie d'acanto semplificato d'ombra strette e allungate, elici e volute nastriformi a V, senza calici. Tipo 17. (Cat. n. 604): due corone di foglie d'acanto semplificato, elici e volute nastriformi a V, senza calici. Tipo 18. (Cat. n. 605): quattro calici negli spazi intermedi.

foglie con

lobi a lunghe

con lunghe fogliette ovali od appuntite e zone

con fogliette St

fogliette appuntite,

zone

d’ombra

e zone d'ombra

ad occhiello,

strette e allungate,

serie di

Tipo 19. (Cat. n. 606): foglie palmiformi.

CAPITELLI

CORINZI

E CORINZIEGGIANTI,

A FOGLIE

LISCE.

1° sottogruppo Tipo I. (Cat. nn. 607-608): Tipo

2.

(Cat.

nn.

609-616):

due corone di foglie lisce, caulicoli e calici con elici e volute, abaco classicistico. due

corone

di foglie

lisce,

volute

e talvolta

anche

elici ridotte

o fuse,

calici

mancanti;

va-

riante con fogliette sporgenti sotto la cima delle foglie. Tipo 3. (Cat. nn. 617-625): due corone di foglie lisce, calici fusi con le elici e le volute. 2° sottogruppo Tipo 4. (Cat. nn. 626-630): due corone di quattro foglie lisce, con quelle della prima corona al centro dei lati e in primo piano. Tipo 5. (Cat. n. 631): due corone di quattro foglie lisce, con foglietta sporgente sotto la cima, con le foglie della prima corona al centro dei lati e quelle della seconda corona appena accennate. Tipo 6. (Cat. nn. 632-635): due corone di quattro foglie lisce e volute a V. 3° sottogruppo Tipo 7. (Cat. nn. 636-639): una corona di quattro foglie lisce agli angoli e volute. Tipo 8. (Cat. nn. 640-647): corona di quattro foglie lisce e volute. Tipo 9. (Cat. nn. 648-652): spunta solo la cima.

quattro

foglie

lisce,

senza

volute,

con

o senza foglia intermedia

al centro

dei lati di cui

Tipo 10. (Cat. n. 653): quattro foglie unite distinte dalla coppia di elici e volute. Tipo 11. (Cat. n. 654): una corona di foglie eccessivamente distanziate.

163

V GRUPPO DEI CAPITELLI BIZANTINI E «COPTI», IN MARMO E IN PIETRA LOCALE, CON ALTRE FORME (AD ACANTO MOSSO DAL VENTO, AD IMPOSTA, A DUE ZONE, FIGURATI), DAL V AL VI SECOLO.

1.

TESTIMONIANZE AD Nel

Museo

ALESSANDRIA E NEI CENTRI INTERNI DELL'EGITTO.

di Alessandria,

nel Museo

copto

del Cairo

e di reimpiego

nelle moschee,

è conservato

un certo numero

di capitelli a imposta, polilobati, bizonali, che sono da ritenere di importazione bizantina (cat. nn. 656, 668 — questo da Hermoupolis Magna —, 670, 673). Altri capitelli, sempre marmorei, sono forse da considerare prodotti di officine locali che hanno assimilato lo stile bizantino e che forse sono intervenute su pezzi semilavorati: ci si riferisce in particolare ad alcuni capitelli a canestro rinvenuti ad Alessandria (cat. nn. 657-660), figurati con maschere vegetali (cat. n. 674) o con colombe (cat. n. 676, da S. Mena), e ancora a capitelli a calice (cat. nn. 677-679, da S. Mena, 684, 686,da El De-

khelah, 687 - Fig. 111, dallo Wadi Natrum). Esiste poi un’abbondantissima produzione in pietra, nei centri dell’interno, di capitelli che riprendono tipi bizantini, sottoposti ad un’interpretazione locale più o meno fedele ai modelli: tra i centri più rappresentativi in questo senso sono Bawit e Saggara, dove sono testimoniati l’unico esempio egiziano di capitello con acanto mosso dal vento (cat. n. 655) e contemporaneamente una ricca serie di capitelli-imposta semplici e polilobati, rivestiti con tralci ad otto, foglie di vite e frutti (cat. nn. 663-665, 667), oppure con foglie caratterizzate da lobi separati da occhielli seguiti da un triangolo aperto, secondo

un motivo

di orgine

bizantina,

ma

molto

diffuso

anche

in Siria; ancora

capitelli bizonali

(cat.

nn.

669-671),

se-

condo un tipo abbastanza diffuso, caratterizzato dalla zona inferiore a canestro, e capitelli a calice (cat. nn. 680-683). Capitelli a imposta rivestiti da racemi vegetali, bizonali e polilobati si incontrano ancora a Tebtynis (cat. n. 672) e a Hermoupolis Magna (cat. n. 662)

2.

ORDINAMENTI TIPOLOGICI

A. CAPITELLI

CORINZI

CON

ACANTO

MOSSO

DAL

Tipo 1. (Cat. n. 655): acanto mosso dal vento.

B. CAPITELLI

— IMPOSTA

Tipo I. (Cat. n. 656): a canestro, con grandi campi decorativi che occupano i lati. Tipo 2. (Cat. nn. 657-660): a canestro, con piccoli campi decorativi al centro dei lati. Tipo 3. (Cat. n. 661): a canestro semplice. Tipo 4. (Cat. nn. 662-664): a tralci di vite.

C. CAPITELLI POLILOBATI Tipo 1. (Cat. nn. 665-668): polilobati

164

VENTO

111

Dekhelah,

δὰ

SS AQ SN

ANS ANS SNNNAANS

NON

TEX h

δον

1

NN NSNSNSSSSSSSSSNNSS vt

N



ar

Fig.

- Alessandria,

museo,

da

El-

cat. n. 686 (dal Breccia).

D. CAPITELLI

BIZONALI

Tipo 1. (Cat. nn. 669-672): zona inferiore a canestro. Tipo 2. (Cat. n. 673): zona inferiore a foglie d'acanto E. CAPITELLI

FIGURATI

Tipo 1. (Cat. nn. 674-675): con maschere vegetali. Tipo 2. (Cat. n. 676): con aquile. F. CAPITELLI

A CALICE

Tipo I. (Cat. nn. 677-679): una corona di foglie e parte superiore del kalathos baccellata. Tipo 2. (Cat. nn. 680-683): una corona di foglie e parte superiore del kalathos con foglie d'acqua. Tipo 3. (Cat. nn. 684-687): kalathos del tutto baccellato (Fig.

111).

165

VI STORIA

1.

ARCHITETTURA

UFFICIALE

E CAPITELLI

CORINZI

DELLE

FORME

ASIATICI.

Il fatto più rilevante nell’architettura pubblica egiziana del periodo imperiale è l’introduzione di tipi edilizi, con relativa decorazione architettonica, appartenenti alla tradizione dell’architettura ufficiale romana: si tratta di edifici monumentali ispirati direttamente ai modelli romano-orientali, legati alla politica di propaganda imperiale e caratterizzati, negli elevati e nell’ornato architettonico, da un costante classicismo. Ciò era anche espresso dall’uso prevalente dell’ordine co-

rinzio, secondo modelli stereotipati in uso nei grandi centri urbani dell’ Asia Minore. Questa tradizione architettonica antica, in parte si sostituisce a quella locale di derivazione ellenistica, in parte si accompagna ad essa riprendendo piante, elementi costruttivi e decorativi di tradizione tolemaica ed adattandoli alle nuove esigenze di rappresentanza, affidate alle manifestazioni architettoniche di età imperiale. Anche in questo campo va comunque distinta l’architettura templare e funeraria, che più tenacemente e frequentemente rimane fedele alla tradizione greco-egizia elaborata in età tolemaica, dall’architettura civile: qui è già evidente l’adozione

di modelli

«internazionali»,

ad esempio

negli

edifici termali

(Kom

el Dik,

Athribis)

e nelle

vie colonnate,

che

nella decorazione architettonica si traduce nell'impiego di capitelli corinzi asiatici, sia d'importazione da officine dell’ Asia Minore,

specializzate

nella produzione

di elementi

decorativi

da utilizzare nei monumenti

di architettura

ufficiale,

sia la-

vorati da officine locali, che imitano i modelli asiatici nei calcari egiziani o nel marmo, importato in blocchi grezzi e in manufatti semilavorati. Come esempio di persistenza della tradizione greco-egizia in età imperiale possono citarsi: la ricostruzione del Serapeo

di Alessandria,

di età adrianea,

dove

nei portali del recinto del santuario

sono utilizzate trabeazioni,

in granito di Assuan, nella tradizione architettonica alessandrina, visibile nella forma delle mensole e nella rappresentazione «di sguincio» (cat. nn. 33-34); i naiskoi funerari riprodotti in lastre di chiusura di loculi di ipogei funerari di Alessandria e Paretonium!, e le cappelle della necropoli di Kom esh Shogafa; ancora diversi capitelli corinzi, in granito ed in basalto, di età imperiale, ma nella tradizione alessandrina, che, per le loro grandi dimensioni (cat. nn. 217-218) possono

attribuirsi ad importanti monumenti pubblici; infine i capitelli delle fontane di Dendera, attribuiti al II secolo d.C. (cat. nn. 220-226). Per ciò che riguarda le piante adottate, citiamo il piccolo tempio lati, che forse riprende l’edificio templare del Serapeo di Alessandria. Come

esempio,

invece,

dell’introduzione

in Egitto

di Serapide

a Luxor?,

periptero su tre

I

dell’architettura ufficiale romana,

si citano

morei di cornice e di un fregio, di nuovo dal Serapeo di Alessandria (cat. nn. 38, 38A) e i

alcuni frammenti

mar-

capitelli corinzi di Hermou-

polis Magna, dal komasterion e reimpiegati nella Basilica cristiana del V secolo (Fig. 112): sono di calcare locale, per cui sicuramente lavorati sul posto e non importati. Dal punto di vista della tipologia sono caratterizzati da foglie d’acanto spinoso, da caulicoli sottili ed allungati con orlo sporgente, quasi ad anello (cat. nn. 381-384) e da calici che avvolgono gli steli alti e slanciati delle volute

esterne

ed interne: i confronti

immediati

sono

con capitelli microasiatici

del Traianeo

di Pergamo, delle terme di Faustina a Mileto e del Serapeo di Efeso?, il ché permette di proporre per essi una datazione al secondo quarto del II secolo d.C., forse anche in collegamento col viaggio di Adriano in Egitto, che sappiamo passò anche per Hermoupolis Magna” (a lui e ad Antinoo furono anche qui dedicati templi - Fig. 150). È noto tra l’altro il

ruolo proprio di Adriano nella riorganizzazione artistica e architettonica di Roma e delle province imperiali, in accordo ai principii classicistici alla base dell’arte ufficiale imperiale. Ma il dato di Hermoupolis Magna è ancora più importante, perché indica come l’introduzione di forme dell’architettura ufficiale e la rottura rispetto alla tradizione

alessandrina,

! V, p. 134. ? V. nel testo, p. 11, nota 5. ? HEILMEYER,

166

Korinthische

almeno

nei grandi monumenti

28,2, 32,3. ^F. BLUMENTHAL, Normalkapitelle,

p.

88,

tavv.

26,5,

pp. 333-334; R6DER,

in

Archiv

pubblici,

für

Hermopolis, p. 115.

sia avvenuta

Papyrusforschung,

soprat-

5,

1913,

56

56

4.49

ABO CAA

Fig. 112 - Hermoupolis wski).

Magna,

capitello corinzio

(dal Roncze-

tutto nel II secolo d.C. e probabilmente a partire da Traiano ed Adriano. In età augustea e nel I secolo d.C., invece, dovevano ancora essere prevalenti le forme del periodo tolemaico, come mostra il piccolo tempio di Augusto a Philae, nella tradizione architettonica dell’ellenismo alessandrino? (Figg. 1-7) e che forse potrebbe conservare un’eco dell’edificio tem-

plare del Cesareo di Alessandria. Nel museo di Alessandria e ad Hermoupolis Magna si conservano tuttavia alcuni capitelli corinzi in calcare (cat. n. 376) ed in marmo (cat. n. 377), che riprendono direttamente la tradizione decorativa attica del I secolo a.C., e forse proprio dell’età augustea. Ciò non testimonia semplicemente la presenza nella città di altre correnti o influenze accanto a quella alessandrina predominante: infatti può essere un indizio che, anche ad Alessandria, l’attività edilizia legata ai programmi augustei avesse richiamato maestranze attiche, più consone alle realizzazioni architettoniche classicistiche volute dalla politica imperiale, e in reazione dunque alle forme esuberanti del periodo tolemaico. Si tratta comunque di pochi esempi che non alterano il quadro di continuità della tradizione greco-egizia durante il I secolo d.C. Se, dunque, i capitelli di Hermoupolis Magna testimoniano l’introduzione in Egitto di forme dell’architettura ufficiale romana con un’impronta soprattutto orientale e non attica già nella prima metà del II secolo d.C., è però dal periodo severiano in poi che queste forme sembrano divenire prevalenti ad Alessandria e nelle città vicino alla costa. La documentazione

è ora costituita

da capitelli

corinzi

d’importazione

dall’ Asia Minore

(cat.

nn.

395-444),

dove

vi erano

centri

spe-

cializzati nella produzione in serie di elementi architettonici destinati ad edifici di committenza pubblica, ed anche di ritratti imperiali, di statue e di sarcofagi, rivolti sia ad una clientela pubblica, sia privata?. Alla base della grande ampiezza di attività raggiunta proprio in questo periodo dai centri di produzione di manufatti marmorei microasiatici (Proconneso, Docimium, Afrodisia) ed in parte anche attici, vi è il significato di prestigio e di ricchezza che accompagna l’uso del marmo,

insieme

al suo tradizionale uso nell’architettura ufficiale,

di cui diviene

simbolo:

parallelamente,

l’acquisto di ma-

nufatti già lavorati del tutto o in parte, permetteva ai centri importatori grossi risparmi nelle spese di trasporto (un sarcofago internamente vuoto o un capitello sono più leggeri e meno ingombranti rispetto al peso ed alle dimensioni del blocco da cui sono ricavati) e nei tempi di lavorazione e quindi d’impiego, che dovevano compensare largamente la spesa maggiore data dalla «prelavorazione» del manufatto importato. All’interno della produzione di capitelli dell'Asia Minore è stato individuato da tempo un tipo specifico, derivato da trasformazioni in senso sempre meno naturalistico del capitello corinzio normale di età tardo-ellenistica: largamente in uso nel II secolo d.C. in centri come Efeso e Pergamo, acquista definitivamente una forma stereotipata in età severiana’. È in questo periodo che le officine lavoranti presso le cave del Proconneso ne adottano il modello? e ne iniziano la produzione in serie, legata soprattutto alla committenza pubblica e ad edifici religiosi e civili dell'architettura ufficiale, che aveva adottato prevalentemente l'ordine corinzio’. 5 V. p. 6. 6 Cfr. P. PENSABENE, in Società romana e impero tardoantico, III, Bari 1986, pp. 294-297, 304-306. 7 Ip., pp. 306-309; N. Ascari, in Classical Marble: Geochemi-

stry, Technology, Trade, London 1988, pp. 115 e ss., figg. 11-15. 3 Nell'isola del Proconneso è conservato un capitello corinzio di eta

augustea e di tipo occidentale ad acanthus mollis: non è in marmo, bensì

in calcare, e in esso Lorenzo Lazzarini ha riconosciuto il calcare di Aurisina, cavato presso Aquileia. Ció sta a significare che, anche precedentemente all'età severiana, venivano prodotti direttamente sull'isola capitelli ed altri elementi architettonici da destinare a centri occidentali e su mo-

delli che venivano inviati appositamente; ciò è indicato dal capitello citato in calcare di Aurisina, che è da considerare appunto come un modello.

? Cfr. J.B. Warp Perkins, in BSR, 48, 1980, pp. 52 e ss.

167

Per tutto il III secolo e i primi decenni del IV, fino alla fondazione di Costantinopoli, che per alcuni decenni ne monopolizza le attività, le officine del Proconneso continuano a produrre lo stesso tipo di capitello corinzio: esso rimane sostanzialmente immutato negli elementi strutturali essenziali, anche se vengono apportati piccoli cambiamenti e modifiche nei particolari, dovuti soprattutto alla necessità di accelerare sempre più i modi di lavorazione, introducendo semplificazioni o accentuando la resa schematica degli elementi vegetali, in funzione di una maggiore produttività. È in questo senso che va intesa la progressiva tendenza delle foglie della corona inferiore ad urtarsi, senza essere più distinte chiaramente l’una dall’altra: ciò consentiva di risparmiare il tempo necessario alla separazione delle singole foglie,

anche se presto divenne un motivo stilistico fine a se stesso. Dalla stessa esigenza era determinata la riduzione sempre maggiore dei lobi laterali delle foglie superiori, sfruttando il fatto che essi non sarebbero stati visibili dal basso perché nascosti dalle cime delle foglie della prima corona. Anche in Egitto questa produzione è sicuramente utilizzata in grandi monumenti, come le terme pubbliche: così ad nelle terme

Alessandria

di Kom

el Dik!,

con

colonne

in granito

di Assuan

e capitelli

alte m. 4,70-5,85

corinzi

asiatici

nel portico del frigidarium e nel colonnato che separava l’edificio dalla contigua via a nord (cat. nn. 403-405, 414, 428); ancora nelle terme di Athribis, da dove tra l'altro provengono capitelli con aquile al posto dei fiori dell’abaco!!, uguali o

molto simili ad esemplari delle terme di Adriano e della basilica severiana a Leptis Magna", delle Grandi terme a Cirene! del tempio Rotondo di Ostia, ancora di Caesarea di Palestina! e, di reimpiego, della moschea di Kairouan!6. La documentazione di Alessandria (cat. nn. 395-399), di Athribis" e di San Mena (cat. n. 408)! riguarda esemplari del periodo severiano, fino a circa la metà del ΠῚ secolo d.C., appartenenti alla produzione con foglie inferiori separate e foglie superiori con i lobi laterali ancora intagliati, diffusa ovunque nel Mediterraneo (Roma, Ostia, Hadrumetum, Leptis Magna, Tiro, Bosra, Paphos a Cipro, Side, Perge). Ancora più diffusi appaiono i tipi del tardo III — primi decenni del IV secolo d.C. (circa 280-320 d.C.)?°, con foglie inferiori unite e ridotto apparato delle foglie superiori, documentati ad Alessandria ancora nelle terme e nell'auditorium (qui di reimpiego) di Kom el Dik e in diversi esemplari del Museo, di incerta provenienza (cat. nn. 407-430); altri esemplari sono stati rinvenuti nuovamente ad Athribis? e a San

Mena”.

2.

CAPITELLI BIZANTINI IN EGITTO.

Se il grande numero di capitelli bizantini reimpiegati nelle moschee del Cairo è una prova della larga penetrazione e diffusione dell’architettura ufficiale bizantina anche in Egitto, e in particolare ad Alessandria (da qui deve provenire buona parte del materiale di spoglio), tuttavia di essa si ha una diretta testimonianza soltanto nel complesso di S. Mena: progettato infatti su una scala grandiosa, data l’importanza del santuario ed il gran numero di fedeli che lo visitavano, presentava una grande basilica, lunga circa m. 66 e larga m. 50 in corrispondenza del transetto, con una pianta che il Krautheimer ha pensato sia stata inviata in Egitto dall’amministrazione imperiale delle opere pubbliche, in analogia a quanto doveva essere avvenuto per la tomba di S. Giovanni ad Efeso e per la basilica di Gaza!. È importante sottolineare che la sua fase principale, nella quale raggiunse la massima estensione, risale al periodo dell’imperatore Zenone: questi trasformò la precedente basilica, forse quella di Teofilo, che sarebbe stata terminata nel 412 sotto Arcadio e Teodosio H (ma ora questa fase è stata spostata agli inizi del periodo di Zenone), conservandone la navata e le navatellle originarie, ma ampliando il transetto, che divenne a croce e fu diviso da colonnati in tre navate a giro, e a cui si aggiunse un’abside con

presbiterio antistante?. La partecipazione di altri edifici del santuario all’architettura cristiana «internazionale» è anche visibile nei due tetraconchi



cioè la chiesa martiriale

sopra la tomba

tale, a circa un chilometro e mezzo

del santo,

unita alla grande

a est dell’abitato di Abu Mina

—,

Basilica

sul lato

ovest,

e la chiesa

orien-

strettamente in relazione con esempi di ambiente

microasiatico e siriano?. Ad Alessandria invece, nonostante le notizie delle fonti che ci confermano cristiani,

non

si conserva

? W. KoLATAJ,

quasi nessuna

struttura sicuramente

in Etudes et Travaux, 6, 1972, pp. 147-167; cfr.

anche qui nel testo p. 205.

1! K. MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, p. 72, tav. 7. ? J.B. WARD Perkins, in BSR, 48, 1980, p. 53, tav. 14 d. 13 StuccHI, Architettura Cirenaica, p. 285, fig. 289; anche in PENSABENE, Scavi di Ostia, VII, tav. C, 3.

riprodotto

5 M. FrscHER, in Classical Marble: Trade, London 1988, p. 164, fig. 4.

Geochemistry,

16 HARRAZI, Kairouan, n. 76. " K. MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, p. 76, tav. 6,8. 15 KAUFMANN, Die Menasstadt, tav. 68 a destra in basso. !° Cfr. J.B. WARD Perkins, in BSR, 48, 1980, pp. 52-54; P. PenSABENE, Decorazione, pp. 306-309, tipi 2-4. ? P. PENSABENE, in Società romana e impero tardoantico, II, Bari 1986, pp. 313-319; J. Kramer, in Festschrift F.W.Deichmann, p. 109 ss.

168

! R.

Die Menasstadt,

KRAUTHEIMER, 1986,

p.

l'auditorium

di Kom

el

Architettura

tavv. 70

a sinistra in basso,

paleocristiana

e bizantina,

72

a

(ed.

136.

2 P. GROSSMANN, Technology,

eccezione

?! K. MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, p. 76, tav. 6,b,c. 2 KAUFMANN, destra in alto.

ital.), Torino

^ PENSABENE, Scavi di Ostia, VII, n. 336.

anche qui l'esistenza di grossi complessi

attribuibile ad essi: fanno

in MittKairo,

33,

1977, pp. 35-45; 40,

1984,

p. 138 ss.; SEVERIN, Marmor von heiligen Menas, p. 15 ss.: il Severin attribuisce la prima basilica «di Arcadio» agli inizi dell'ultimo quarto

del V secolo, collegandola con il patriarca Timoteo Salophakiolos, imposto dall'umperatore Zenone, mentre ritiene che sia avvenuto poco piü tardi l'ingrandimento della sua parte orientale tramite la trasformazione del transetto. Si ritiene peró importante non trascurare il dato delle fonti sulla fondazione della lussuosa basilica sotto l'imperatore Arcadio. ? P. GROSSMANN, in Das rómisch-byzantinische Agypten, Mainzam-Rhein 1983, p. 167 ss.; Ip. in 28? Corso di cultura arte ravennate e bizantina,

Ravenna

1981,

p.

164.

Dik,

che,

nella sua ultima fase, nel VI

secolo,

fu trasformato

in una grande

sala con cupola

a destinazione

religiosa

(una

chiesa o un'«esedra», o forse meglio una sala conciliare^, che potrebbe far pensare ad una destinazione episcopale del complesso di Kom el Dik in epoca tarda). È comunque probabile che anche ad Alessandria fossero eretti o restaurati, nel periodo bizantino, oltre che chiese (S. Marco, probabilmente ad est di Silsileh, S. Theonas, S. Atanasio, ecc.), terme, fori, vie colonnate e portici collegati con i porti, che spiegherebbero dunque il grandissimo numero sopracitato di capitelli bizantini reimpiegati nelle moschee del Cairo. L'esistenza non solo di chiese ma anche di monasteri nelle vicinanze im-

mediate di Alessandria & nota dalle fonti, che menzionano quello di Ennaton, cosi detto perché a sole nove miglia dalla città, la cui ubicazione

si è voluta riconoscere

in un vicino

centro,

El Dekhela,

dove

nel

1907

furono

rinvenuti

numerosi

frammenti architettonici?. A testimoniare direttamente l'esistenza di un'attività edilizia nel periodo bizantino ad Alessandria rimane soltanto un certo

numero

di capitelli

corinzi

marmorei,

ora

nel

Museo

di Alessandria,

(cat.

nn.

456,

458-459,

472-473,

476-478,

487, 489-490) che non hanno un contesto preciso di provenienza, eccetto quelli di Kom el Dik (cat. nn. 477-478, 481): tanto piü desolante appare questo quadro se si pensa alla ricchezza dei patriarcato alessandrino, testimoniata tra l'altro dalle notizie dello sfarzo con cui i patriarchi, ad esempio, partecipavano ai concili dell'epoca. Si è già detto come i capitelli corinzi marmorei di Alessandria, di S.Mena ed i pochi esempi dell’interno (cat. nn. 452,

460

da

Hermoupolis

Magna

e da

Ahnas)

siano

divisibili,

in base

alla

tipologia

e alla

datazione,

in

alcuni

sotto-

gruppi: per gli esemplari del IV secolo è stato preso in considerazione come elemento discriminante l’abbandono del tipo classicistico,

il cosidetto

capitello

corinzio

asiatico,

dominante

fino

alla prima

età

costantiniana

(cat.

nn.

407-434),

ed

invece l’adozione di un tipo di capitello contraddistinto dall’acanto spinoso, piuttosto esuberante e a larghe fogliette, e dalla frequente mancanza delle elici e dei calici (tipi 19-20, cat. nn. 438-446), che riteniamo caratteristico del secondo da Costantino

e condotti

a termine

dai suoi diretti discendenti:

ci riferiamo

in particolare

al Foro

di Costantino,

ad un co-

lonnato che avrebbe circondato la città”, eretto da Costanzo II, e ancora alla prima chiesa di S. Sofia, forse già progettata da Costantino

e comunque

terminata

da Costanzo

II, sotto cui nel 360

fu consacrata

dal vescovo

ariano Eudossio.

Attual-

mente nei giardini di S.Sofia si conserva un capitello corinzio che pare attribuibile proprio alla fase della chiesa di Costanzo II: esso presenta due corone di foglie unite tra loro, con i lobi mediani delle foglie superiori ridotti ad una sola foglietta che delimita un’ampia sagoma di sfondo ogivale e, sopra di questa, una zona d’ombra pentagonale; i calici sono praticamente

collocati

sotto

l’orlo

dell’abaco

e da

essi

si originano

disorganicamente

schematiche

volute,

che

sembrano

nascere più dall’orlo del kalathos che non dal calice stesso; esse sono corte e parallele ai lati dell'abaco, mentre le volute mancano. Questa breve descrizione mostra come siano già sopravvenute notevoli semplificazioni nella parte vegetale della parte superiore del kalathos, da connettere evidentemente con una certa produzione in serie di questo tipo: ciò è provato anche dalla sua presenza appunto in Egitto, ma anche altrove (ad esempio a Roma)", ma non sempre nella stessa edizione, in quanto vengono importati ed imitati localmente anche esemplari solo con le volute, senza i calici (cat. n. 446). I capitelli invece del tardo IV-V secolo sono stati raccolti in tre sottogruppi, distinti in base alla presenza o meno calice e delle elici e alla forma dell'acanto, se cioè derivante da quello spinoso a larghe fogliette del IV secolo (cat. 451-487), oppure influenzato dall'acanto con zone d'ombra ovali o ad ochiello (dovuto all'incurvarsi delle fogliette, accentuano il carattere dentellato delle foglie stesse), creato sempre a Costantinopoli nel periodo di Teodosio II (cat. 489-490). Anche queste produzioni vanno messe in relazione con quanto era avvenuto a Costantinopoli a partire da Teodosio I: qui infatti, dopo una certa stasi corrispondente ai regni di Giuliano, di Gioviano ed in parte anche di Valente (364-378), noto soprattutto per la costruzione delle terme e del suo acquedotto, si verificò un’intensa attività costruttiva sotto Teodosio I (379-395), Arcadio (396-408) e Teodosio II (408-450), ai quali è da attribuire buona parte delle cinquantadue strade colonnate della città”. Tutto ciò comportò una grossa produzione in serie di capitelli, accompagnata dalla ricerca di soluzioni tecniche e tipologiche nella resa degli elementi vegetali che consentissero tempi di lavorazione ridotti: citiamo in particolare l’arco trionfale del Forum Tauri, dedicato da Teodosio I nel 393°, in quanto i capitelli in esso impiegati rappresentano i modelli alla base di tipi semplificati a cui appartengono molti esemplari esportati, sia rifiniti, sia semilavorati. Nei capitelli dell’ordine principale dell’arco le foglie sono collegate in modo da formare figure geometriche che diventano abbastanza caratteristiche rispetto al tipo precedente: le foglie della seconda corona tornano ad avere più sviluppati la cima ed i lobi mediani, e tra di esse ugualmente si formano da due a tre figure geometriche. L'acanto è ancora del nn. che nn.

144ss.; ^ E noto

come

ad Alessandria

si tennero

ben

venticinque

concilii,

W.C.

FREND.

The

Rise

of Monophysite

Movement,1972;

fino al 635 (la conquista araba data dal 640): A.M. DE ZoGHEB, Etudes

of Africa,

sur l'ancienne Alexandrie, Paris 1910, pp. 209-229.

7G. Downey, in DOP, 6, 1951, pp. 77-79; C. Manco, House, Copenhagen 1959, p. 22 nota 7.

5 E. BSR, 17, $ È triarcato

BRECCIA, in BSAA, 9, 1907, pp. 3-12; J.B. WARD PERKINS, in 1949, p. 65. noto dunque lo sfarzo ed il numero di vescovi con cui il padi Alessandria partecipò al primo concilio di Efeso ed a quello

Ip.,

«The Christian Period in Mediterranean Africa», in Cambridge History

8 P.

1978, II, cap. 7.

PENSABENE,

in Società

romana

e impero

tardoantico,

Vebrazen II,

Bari

1986, p. 352, fig. 20,a.

queste occasioni i patrarchi si facevano accompagnare da un seguito di

? BerscH, Constantinople, p. 186, da vedere in generale su tutta la problematica dei colonnati a Costantinopoli. ? KAvTZSCH, Kapitellstudien, pp. 42-44, fig 1,2; per una buona ri-

servitori magnificamente vestiti con la divisa del patriarcato di Alessandria: cfr. R.P. Macams, Histoire de l'Eglise d'Alexandrie, p. 78ss.,

produzione dei capitelli vedi: P. VERZONE, pp. 125-204.

di Nicea, quando trionfó ottenendo la condanna di Ario e di Nestorio; in

in MonLincei,

43,

1956,

169

quello spinoso, ma con i lobi a lunghe fogliette e separati da strette zone d'ombra allungate e leggermente oblique. Se da una parte c'é un ritorno ad una sorta di classicismo nella maggiore articolazione delle foglie superiori, dall'altra si accentua tuttavia la tendenza alla riduzione dell’apparato vegetale al di sopra delle foglie: i calici sono collegati disorganicamente con lunghe e schematiche volute, quasi parallele all’abaco. Certamente vi fu una produzione di capitelli ispirata a questo tipo e destinata all’esportazione, come mostra ad

esempio un capitello di Salonicco nell’area del palazzo di Galerio: essa inoltre è alla base di esemplari di Alessandria, di S. Mena e di Ahnas (cat. nn. 458-462). È stato rilevato!! come l'ordine minore, sempre dell'arco teodosiano, mostri invece capitelli con un diverso tipo di acanto («mask acanthus»), definito dal ruolo decorativo ormai preponderante, assunto dalle figure geometriche formate dall'unione delle foglie rispetto al contorno di queste. Si tratta dell'acanto che si ritrova nei soli due monumenti sicuramenti datati nel V secolo: l'atrio di S. Sofia nella ricostruzione di Arcadio e Teodosio II, tra il 404 ed il 415, e la Porta d’Oro!, iniziata da Teodosio II non più tardi del 413. Nei capitelli di colonna e di pilastro del fastigium dell'atrio della prima e in quelli di pilastro della seconda, l'acanto si articola in lobi a fogliette dentate separati da zone d'ombra ad occhiello: il valore decorativo, come è noto, non è affidato dunque alla plasticità delle foglie — queste anzi sono piuttosto piatte ed in contrasto con la sporgenza della cima —, bensì all’effetto quasi ad intarsio dei contorni e, come si è detto, alla forma delle figure tra le foglie. Inoltre nella Porta d'Oro appare un altro tratto, caratteristico della produzione bizantina e ampiamente ripreso in ambiente «copto», cioè quello della fusione dei calici con le volute e le elici". Ma sempre nella S. Sofia della fase di Teodosio II, nei due portici che fiancheggiano il fastigium dell’atrio, continuano invece ad essere usati i capitelli corinzi con l’acanto derivante dal tipo precedente, con strette zone d’ombra a separare i lobi. Anzi a Costantinopoli esiste una produzione, almeno durante i primi due trentenni del V secolo, di capitelli corinzi semplificati, senza caulicoli, calici ed elici, proprio con questo tipo di acanto. Parallelamente è presente una produzione, che continua anche nei primi decenni del VI secolo, di capitelli con simile apparato vegetale semplificato, ma nei quali è adottato l’acanto «dentellato», con zone d'ombra ad occhiello od ogivali", Vedremo ora come in Egitto, in particolare ad Alessandria e a S. Mena, siano rappresentati tutti questi tipi di capitelli corinzi, compresi quelli semplificati (cioè con solo le volute nella parte superiore): tuttavia prevale numericamete il tipo che impiega l’acanto più «dimesso», con lobi separati da strette zone d’ombra (cat. nn. 472-487), in quanto pochi sono gli esemplari con l'acanto a zone d'ombra ad occhiello (cat. nn. 489-490, più alcuni esemplari, qui non catalogati, di S. Mena)". Il sottogruppo più antico, ancora databile alla fine del IV primo trentennio del V secolo (cat. nn. 454-467), rappresenta, dunque, la standardizzazione del tipo di capitello corinzio elaborato a Costantinopoli nel Forum Tauri e nell’ordine inferiore dell’arco di Teodosio I, del 3915: esso è caratterizzato da foglie d’acanto spinoso con lobi distinti da zone d'ombra strette ed allungate («crowded acanthus»), e ancora da volute collegate disorganicamente con i calici e da elici molto ridotte o mancanti. Le foglie della seconda corona sono più sviluppate e si uniscono in modo da formare caratteristiche figure geometriche. Rispetto ai capitelli corinzi del periodo di Costanzo II vi è, come si è detto, una maggiore propensione classicistica, visibile appunto nel ritorno dei calici e talvolta anche delle elici, quasi sempre mancanti negli esempi del 340-370 circa; tuttavia, nei capitelli del periodo di Teodosio I l’estrema riduzione in dimensioni proprio dell’apparato vegetale superiore, a favore di una maggiore altezza delle due corone di foglie, rispetto all’altezza totale, ed il conseguente accorciamento delle volute molto schematiche, appena incurvate o quasi parallele all’abaco, stanno ad indicare un processo sempre maggiore verso la resa astratta e geometrica degli elementi vegetali, privi di connessione organica. Gli esemplari di questo tipo sono a S. Mena (cat. nn. 462-464), ad Ahnas (cat. n. 460)!, nel Museo di Alessandria cat. nn. 458-459) ed in gran numero, di reimpiego, nelle moschee del Cairo (cat. nn. 465-467)”. Ma ancora in quantità maggiore, nelle moschee del Cairo è, rappresentato il secondo sottogruppo (cat. nn. 472-487), che deriva dalla semplificazione del precedente, rispetto a cui riduce l’apparato vegetale, venendo a cadere del tutto i calici e le elici, schematizzandosi sempre di più l’articolazione delle foglie della seconda corona e perdendosi il rapporto tra l’orlo del kalathos

e il kalathos

stesso,

in favore di una funzione

solo decorativa dell’orlo?!.

Certamente

la produzione

di capitelli di questo tipo è avvenuta per la maggior parte ad opera delle officine alessandrine ed un buon numero di essi doveva essere impiegato nelle vie colonnate di Alessandria. Oltre che nel Museo (cat. nn. 472-473, 476, 479, 483-485), un certo numero di esempi, in tutte le gamme di semplificazioni e anche di imitazioni da parte di maestranze non esperte, è attestato a S. Mena, in particolare nella Grande Basilica (cat. nn. 480, 486).

! BerscH, Constantinople, p. 189. 2 KAuTZscH, Kapitellstudien, p. 44 ss.;

cfr.

A.M.

SCHNEIDER,

Die Aghia Sophia zu Konstantinopel, Berlin 1939; Ip., Die Grabungen in Westhof der Sophienkirche zu Istanbul, IstForsch 12, Berlin 1941.

13 Sull’origine

dell’acanto

di questo tipo di capitelli sono ancora

valide le osservazione di E. WEIGAND, in AM, 39, 1914, p. 25, dove viene messa in rilievo la ripresa di modelli tardo-ellenistici. ^ DEICHMANN, Studien zu Konstantinopel, pp. 68, 69; BErscu, Constantinople, p. 194 («capitals with crowded acanthus»); cfr. KAurZscH, Kapitellstudien, p. 51, n. 159, tav. 12 («Kapitelle mit weich-zackigem Akanthus »).

170

5 KAUTZSCH, Kapitellstudien, pp. 51-52, nn. 159-167, tav. 12. 16 Ip., pp. 53-56, nn. 170-178, tav. 13 («Acanthus mit aufgekrummtem Innenzacken »). 11 KAUFMANN, Die Menasstadt, tavv. 71,1; 72,1. 3 BgrscH, Constantinople, p. 188 ss. 19 SEVERIN, in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina,

Ra-

venna 1981, p. 316, fig. 1. ? KAuTZsCH, 103.

Kapitellstudien,

tav. 6,

nn. 82-96,

.

?! Ip., p. 35, tav. 8, n. 122, tav. 9, nn. 112-131.

tav. 7,

nn. 100,

Il terzo sottogruppo (cat. nn. 490-494) presenta l'acanto con fogliette ricurve a forma di grossi dentelli e con zone d'ombra ad occhiello oppure ogivali tra i lobi («mask-akanthus»), secondo il tipo della Porta d’Oro”, anche se in forme meno articolate: nel complesso è rappresentato in pochi capitelli corinzi (due esemplari nel Museo di Alessandria, lo

stesso a S. Mena e poco più di un dozzina nelle moschee del Cairo)?. Tuttavia questa forma d’acanto appare frequentemente nei piccoli capitelli corinzieggianti a quattro o otto foglie e volute schematiche a V (oppure mancanti), nonostante il fatto che, pure in questo gruppo, molto più numerosi siano i capitelli che adottano l’acanto a strette zone d’ombra, ma per il resto quasi uguali ai precedenti^'. Inoltre la sua forma sarà spesso adottata, come vedremo, nei capitelli e in altri elementi della decorazione architettonica da parte delle officine locali attive presso i centri cristiani dell’interno. Per varie ragioni storiche, che non è possibile chiarire, ma legate ad una ristrutturazione urbanistica della città, risulta che è da attribuire al V secolo il maggiore utilizzo ad Alessandria di capitelli nello stile internazionale bizantino e, possiamo aggiungere, anche di colonne e di basi su piedistallo, anch’esse rifinite localmente, ma importate spesso già semilavorate, e in tutti i tre casi in marmo proconnesio. Sono anche noti capitelli corinzi del tipo a lira o a medaglione (cat. n. 488) — di questo tipo a S. Mena vi è un pezzo d'importazione del periodo di Zenone? —, o ancora capitelli compositi sia ad acanto dentellato (cat. nn. 547-549), sia finemente

dentellato

(cat.

nn.

550-551)?5,

in alcuni

casi sicuramente

d'importazione:

nel complesso,

tuttavia,

la produ-

zione costantinopolitana tipica della seconda metà del V e dei primi decenni del VI secolo è meno testimoniata rispetto, si ripete, alla massa di capitelli appartenenti al gruppo precedente e perduranti per quasi tutto il secolo. Tuttavia nel secondo quarto del VI secolo vi sono alcune forme bizantine, alcune inventate proprio in questi decenni — quelle dei capitelli imposta semplici o polilobati o a canestro’, o dei capitelli bizonali con parte inferiore a canestro —, che, pur non essendo rappresentati in Egitto da molti esemplari d’importazione, ebbero un larghissimo seguito presso le officine alessandrine e presso quelle attive nelle chiese e nei conventi dell’alto e medio Egitto (v. oltre). Vi è ancora un particolare tipo di capitelli compositi, con un’unica corona di foglie di palma, che può considerarsi proprio del VI secolo, come mostra il confronto con le foglie sul retro di un capitello di Eraclio a Costantinopoli”: il tipo appartiene ad una diffusa produzione in marmo, fatta propria dalle officine alessandrine, ma prodotta anche altrove, essendo pure in uso a Gerusalemme”; è testimoniato in molti esemplari delle moschee del Cairo (moschea di Amr) e ancora nel Museo di Alessandria (in un esemplare, cat. n. 552, con il kalathos molto espanso). Sono ancora rappresentate in Egitto le tipiche produzioni del V secolo di capitelli in marmo a calice (cat. nn. 677-683), con foglie baccellate (Alessandria, S. Mena, Cairo,

di Salih Tala’i,

di El Márdáni,

moschee

mausoleo

Kaláün)?,

e del VI

secolo

di capitelli,

sempre

in marmo,

con

maschere d'acanto (cat. nn. 674-676, moschee di Amr e di El Márdáni, Museo di Alessandria)”.

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Fig. 113 - Alessandria, museo, da El-Dekhelah, cat. n. 502 (dal Breccia).

Fig. 114 - Alessandria, museo da El-Dekhelah, cat. n. 522A

(dal Breccia).

Molto numerosi sono in Egitto (ad Alessandria, a S. Mena, allo Wadi Natrum) i capitelli corinzieggianti di piccole dimensioni, a sole quattro foglie e talvolta con schematiche volute: si è detto che quelli che adottano l'acanto a strette ed allungate zone d’ombra (cat. nn. 498-508, 513-524) (Fig. 113) sono in maggior numero rispetto a quelli con l'acanto dalle zone d'ombra ad occhiello (cat. nn. 512, 528-541). Anche in questo caso si tratta di una produzione di età bizantina, probabilmente legata alle cave del Proconneso, da dove erano esportati sia prodotti sbozzati, sia, soprattutto, semila-

vorati e rifiniti. Ad Alessandria certamente, come mostrano i pezzi di El Dekhela (Fig. 114), dovevano esistere officine

che ne avevano assimilate le modalità e la cui produzione doveva avere una certa rilevanza (cat. nn. 502-503, 537) SA Comunque anche la presenza di questi tipi di capitelli nel nord dell’Egitto mostra gli stretti legami tra l'architettura

ufficiale bizantina ed Alessandria durante il V e VI secolo”. ? BerscH,

Constantinople, p. 193 ss.

23 KAuTzscH, Kapitellstudien, p. 36, tav. 9, nn. 132-137. 2 W. DASZEWSKI, «Les citernes et les chapiteaux» in Mélanges G.E.Moktar, Le Caire 1985, p. 184, tav. 1,e-f. 25 KAUTZSCH, Kapitellstudien, p. 136, tav. 9, nn. 133, 135 26 [p., p. 120, n. 380, p. 131, nn. 420-421. 27 Ip., p. 192, tav. 38, nn. 630-631. 28 Ip., p. 210. 29 Ip., p. 210, tav. 44, n. 745.

30 In., p. 213, nn. 754-758.

?! Tp., p. 213, nn. 760-762. ® Cfr. Sopini, Sculpture Architecturale, p. 36 ss., sulla diffusione in Grecia dei capitelli a sole quattro foglie. 3 Cfr. BErscH, Constantinople, p. 195 ss. per i legami di S. Mena con Costantinopoli e per la continuità in essa dell'uso di capitelli con acanto a strette zone d'ombra («crowded acanthus»), la cui produzione peró non dovette limitarsi al primo quarto del V secolo, ma continuare fino almeno ai primi due terzi di esso.

171

3.

PRODUZIONE

DI ELEMENTI

ARCHITETTONICI

IN PIETRA

LOCALE

L'ETÀ

DURANTE

IMPERIALE.

Nel corso del periodo imperiale i centri dell'interno, da una parte continuarono ad impiegare i tipi architettonici nella tradizione egizia e greco-tolemaica, dall'altra recepirono, attraverso la mediazione di Alessandria, nuove forme architettoniche derivate dall'architettura ufficiale romana, soprattutto quale era rappresentata in Asia Minore ed in Siria. Non è possibile seguire in modo organico la storia di queste correnti architettoniche, dati gli scarsi o mal noti resti delle città e degli insediamenti egiziani in età greca e romana. Tuttavia nel campo della decorazione architettonica vi è un certo numero di pezzi, databili anche per il contesto, che getta luce sulla recezione delle correnti artistiche contemporanee e su quale fosse il patrimonio di tradizioni agli inizi del periodo bizantino. Vanno subito rilevate le testimonianze sulla continuità di forme alessandrine di cornici con mensole «a travicello» in età imperiale: queste ci sono offerte dagli elementi del portale del Serapeo di Alessandria (cat. nn. 32-34), dal timpano triangolare della porta sud della fortezza di Babylon al Cairo e dal Serapeo del Mons Porphyrites (cat. nn. 86-90), in un ambito cronologico, dunque, che riguarda soprattutto il periodo traiano-adrianeo. La continuità nell'uso di trabeazioni di portali con successione «libera» di modanature decorate, come testimoniate nelle porte di tempietti funerari tolemaici di Tuna el-Gebel, è attestata nuovamente ad Hermoupolis Magna in esempi forse attribuibili al IV secolo (cat. nn. 999-

1000). Più frequentemente rilevabile è invece la continuazione di tipi alessandrini di capitelli corinzi e corinzieggianti, sia nel calcare locale, sia in granito ed altre pietre dure delle cave imperiali: così, per il primo caso, nelle fontane di Dendera del II secolo d.C. (cat. nn. 221-227), nei capitelli reimpiegati nella fortezza di Dionysias, del III secolo d.C. (v. p. 233), ancora in quelli dei pilastri e delle colonne dell'atrio a tre porte del «Palazzo» di Medinet Madi! e di case di Theadelfia nel Fayyum (cat. nn. 368-369), che abbracciano un periodo dal I al III secolo d.C. e che attestano, come mostrano i casi di Medinet Madi e di Theadelfia, l’esistenza di officine con attività regionali. In pietre dure e probabilmente prodotti nelle cave imperiali sono invece diversi capitelli corinzi e corinzieggianti di Alessandria (cat. nn. 217-219, 227-228), di Hermoupolis Magna (cat. n. 231), del Cairo (cat. n. 230), di Apollinopolis Magna (cat. n. 229), secondo tipi esportati anche al di fuori dell’Egitto, come mostrano esempi di Roma e di Ostia?: a questa serie si possono collegare alcuni tipi di capitelli corinzi a foglie lisce, sempre in pietre dure (granito di Assuan, diorite), ma più influenzati dal capitello corinzio «normale», come attestano la presenza delle elici e delle volute nascenti dietro le foglie (cat. n. 250) e, nei casi più antichi, del calice (cat. n. 249). Tra essi rientrano un capitello corinzio del Serapeo del Mons Claudianus, della prima età adrianea (cat. n. 251), e i capitelli della «cappella delle insegne» di Luxor, di età dioclezianea (cat. nn. 252-254), che mostrano

alessandrini

tuttavia influssi

nelle rosette

tra le elici e le volute;

riferibile

più genericamente

all’architettura im-

periale è il capitello corinzio, ancora in granito di Assuan, della colonna di Diocleziano ad Alessandria (cat. n. 39).

Questi ultimi esempi mostrano come nei centri dell’interno, ed anche presso le conservatrici officine collegate con le cave imperiali del Deserto Orientale e di Assuan, siano stati recepiti pure influssi dall’architettura ufficiale romana, soprattutto nelle forme in cui questa si manifestava in Oriente. La prova di questa recezione è ancora più chiara nell’impiego di capitelli corinzi asiatici in edifici ispirati sia all’architettura internazionale, come i tetrapili, sia a forme tipicamente locali, come i Serapei e 1 komasteria: ciò non si verifica solo ad Hermoupolis Magna, dove vi sono numerosi esemplari di età adrianea ed antonina (cat. nn. 381-392) — alcuni esemplari del Cairo sono di provenienza sconosciuta (cat. n. 380) —, ma anche in un piccolo centro come Akhoris?. Può dirsi dunque provata la penetrazione di queste forme

anche nei centri dell’interno, sicuramente a partire dal II secolo d.C. Numerosi capitelli di Alessandria, di S. Mena e del Cairo (ma molto probabilmente da Alessandria), in marmo ed alcuni anche in calcare (cat. nn. 473-474), provano come durante il IV ed anche il V secolo d.C. si verificasse un continuo rapporto con l’arte ufficiale bizantina, non solo attraverso l’importazione di pezzi semilavorati o quasi rifiniti, ma anche

attraverso

imitazioni

oltre (cat. nn. 377-379) anche

se in scala minore,

locali.

Vi

che sembrano fossero

sono

inoltre

due

capitelli

corinzi

in marmo,

attribuibili

al IV

secolo

d.C.

o poco

indicare che ad Alessandria stessa, in analogia a quanto si verificava in Grecia‘,

utilizzati come

modelli

capitelli più antichi

del I a.C.-I

secolo

d.C.,

dando

luogo

a fe-

nomeni classicistici locali: ciò si può ritenere avvenuto, ad esempio, anche per le basi d’acanto dell’auditorium di Kom

el

Dick (cat. nn. 798-799), di età bizantina, dove le zone d’ombra ad occhiello e a triangolo tra i lobi delle foglie non richiamano tanto l’acanto a grossi dentelli costantinopolitano, quanto la tradizione dell’acanto tardo ellenistico, visibile ad esempio nelle basi d’acanto ora a Kom esch-Shogafa (cat. nn. 787-789) o in quelle del Palazzo delle Colonne di Tolemaide. I riflessi dello stile e dei tipi bizantini, come probabilmente di continuità e di riprese classicistiche all’interno delle tradizioni ellenistico-romane saranno, dunque, riscontrabili in tutta la produzione in pietra locale dei centri dell’interno. Un certo ruolo delle correnti architettoniche più specificatamente siriane può anche essere ipotizzato per analogie delle forme monumentali (v. pp. 15, 33), visibili ad esempio già nei primi decenni del II secolo d.C. nella pianta del Serapeo del Mons Claudianus, o nelle porte monumentali e nei propilei di Antinoe, del II e del III secolo d.C., o ancora nelle volte a cupoletta dei fornici laterali dell'arco di Diocleziano a Philae; a ció si deve aggiungere l'entrata dell'Egitto nell'orbita palmi-

! E. BrescIANI, Missione di scavo a Medinet Madi, Rapporto preliminare delle campagne di scavo 1966-67, Varese 1968, p. 37 ss.

? PENSABENE, Scavi di Ostia, VII, nn. 670-671.

172

> P. GROSSMANN,

in MittKairo,

* Cfr. V. DEROCHE, in BCH,

37,

1981, p. 199 ss.

111, 1987, p. 425 ss.

rena durante il regno di Zenobia,

fatto a cui vengono collegati i rapporti stilistici riscontrati tra la ritrattistica palmirena e

quella egiziana durante il IV secolo?. Tutto ció, dunque, contribuisce a spiegare la molteplicità non, e nella decorazione architettonica dei centri dell’ Alto e ad un ricorrente emergere di forme di tradizione alessandrina, absidi e lungo le pareti delle chiese, o nelle trabeazioni dei che si riscontra soprattutto nei capitelli: la spiegazione di ciò

di correnti artistiche che si riscontra negli edifici, cristiani e Medio Egitto durante il V e VI secolo d.C. Infatti, accanto quali visibili nei timpani delle nicchie che si aprivano nelle portali, vi è una costante attenzione a forme internazionali, non è dunque soltanto in una ripresa di forme più antiche,

ma anche in una continuità nell’uso di tradizioni decorative le cui radici sono appunto da ricercare nel III e soprattutto nel IV secolo d.C. Tradizioni, tuttavia, che non prescindevano mai dalle mode contemporanee, note attraverso Alessandria, e, nel caso di circuiti monastici, anche attraverso i centri religiosi della Siria®. Come vedremo, è a questa serie di cause che deve attribuirsi il tipo di capitelli presente nella Basilica cristiana di Hermoupolis Magna, dove l'acanto spinoso é ancora a lunghe fogliette, con zone d'ombra strette e oblique, secondo le forme tornate di moda in Siria proprio nello

stesso periodo, e con l'introduzione di calici con foglie poco distinte dalle elici e dalle volute, molto ridotte, secondo modalità che si erano da poco affermate a Costantinopoli, a partire soprattutto dalla Porta d'Oro.

4.

CAPITELLI DI OFFICINE E PIETRE LOCALI DI ETÀ BIZANTINA.

Si é detto, dunque, come la scultura architettonica tardo-antica in Egitto possa essere divisa in due classi principali, la scultura in marmo e quella in pietra locale!, e come la produzione marmorea fosse strettamente legata alla committenza pubblica, in quanto à l'amministrazione imperiale ad avere la quasi assoluta disponibilità delle cave di marmo. All'in-

terno,

invece,

il materiale da costruzione piü diffuso era costituito dalle pietre locali, in particolare il calcare tenero

bianco, ma anche, nell’Alto Egitto, l'arenaria e il granito, impiegati in quasi tutta la scultura architettonica’. È appunto la tradizione ornamentale

in calcare a differenziarsi dall’arte ufficiale,

quasi sempre

in marmo,

e ad essere legata a tradizioni

locali che hanno assimilato elementi anche di culture differenti (v. sopra). Lo studio degli elementi architettonici ha presentato, nel corso degli anni, diversi problemi cronologici, dovuti a due fattori principali: i pezzi sparsi nei vari musei non hanno quasi mai una documentazione relativa al loro contesto archeolo-

gico? e inoltre, in ambiente egiziano era molto diffuso l'uso di materiale di reimpiego*. Tali motivi hanno determinato, come ha rilevato recentemente il Severin”, tipici errori di valutazione presso gli studiosi dell'inizio del secolo, in particolare «il misconoscimento della specie architettonica (supposte chiese, cappelle, conventi) e relativo disconoscimento del carattere sepolcrale e parzialmente pagano di parecchi complessi», così per Ahnas, Banasa e la cosiddetta «tomb church» a Saggara, e ancora «datazioni tarde in base a supposti punti fermi o supposto apparato scultoreo-architettonico contemporaneo» (Bawit, Saqqara, Hermoupolis Magna).

Nel tentativo di fornire un contributo per una classificazione di questi materiali, va certamente affrontato il problema di come nell'architettura cristiana dell'interno dell'Egitto vengano recepiti

i modelli metropolitani e quali siano le trasfor-

mazioni locali e gli elementi caratteristici che permettano non solo di definire, ma anche di comprendere i processi di trasformazione alla base delle forme architettoniche e della produzione decorativa c.d. «copta». Il problema va posto nell'ambito più generale del rapporto tra arte colta e arte popolare, usando questo termine nell'accezione con cui Bianchi Bandinelli aveva introdotto il termine di arte plebea contrapposta a quello di arte colta, dando un significato storico, e non solo o, non tanto, un giudizio di qualità alle differenze e alle somiglianze. L'arte decorativa dei vari centri religiosi egiziani, infatti, non prescinde mai da un continuo rapporto con l'arte bizantina, di cui riprende continuamente elementi tipologici e vari spunti ornamentali, mantenendo anzi continua l'attenzione sulle nuove

forme:

tuttavia,

rispetto

ad essa,

vi è anche

un chiaro

intento

di autonomia e

di differenziazione,

che

si rea-

lizza non imitando pedissequamente i modelli ufficiali, ma variandone le forme e utilizzando qualsiasi spunto fornito da essi per approfondire e innovare tematiche decorative. Ció deriva evidentemente dalla committenza, costituita dai conventi egiziani, come si è detto, per lunghi periodi in dissidio e in lotta con il potere centrale per motivi religiosi: anche attra-

verso l'esasperazione di forme della decorazione architettonica e attraverso la scelta di piante di chiese diverse da quelle piü

comuni

dell'architettura

religiosa

bizantina,

venivano

riaffermate

l'autonomia

e le differenze

specifiche

del

cristiane-

simo egiziano. Ciò che caratterizza l’architettura religiosa è la forma esterna, massiccia e quadrangolare delle chiese, internamente articolate a tre navate, spesso «a giro», con portico su uno dei lati lunghi. Il presbiterio è spesso triconco, ma non sempre,

e ai lati dell’abside centrale

vi sono

due vani

di varia destinazione

(Convento

Bianco,

Convento

Rosso,

Dendera

- Figg. 60, 62, 63); non mancano casi ad una sola abside (Luxor - Fig. 64), o senza abside e con la zona presbiteriale tripartita e nettamente separata dalle navate tramite alti plutei o addirittura pareti divisorie (chiese dello Wadi Natrum). 5 Cfr. J. ScHWARTZ, in BSAA, 40, 1953, p. 63 ss.; D.M. BrinKERHOFF, A Collection of Sculpture in Classical and Early Christian Antioch, New York 1970, p. 24 ss.

6 Cfr. E. KITZINGER, in Archaeology, 87, 1937, p. 181 ss. ! H.G.

SEVERIN,

Ravenna 1981, p. 315.

in 28° Corso

cultura arte ravennate

e bizantina,

? Ip., p. 317. ? Ip., p. 318 ss.

^ [p., p. 318 ? Ip., p. 318. 6H.G. SEVERIN,

in 28° Corso

cultura arte ravennate

e bizantina,

Ravenna 1981, p. 326, fig. 7.

173

I vani ai lati dell'abside, pur potendosene individuare il concetto in piante basilicali dell'architettura cristiana internazionale (ad esempio nella chiesa della Vergine a Efeso) e pur essendo numerosi i paralleli in diverse regioni, in partico-

lare in Africa, presentano forme abbastanza comuni soprattutto con le chiese siriane: in queste & frequente anche la forma massiccia dell'insieme, compresa la mancata sporgenza dell'abside dal muro di fondo, anche se in molti altri casi questa invece sporge esternamente?. La forma triconca dei presbiteri permette collegamenti non tanto con la piü diffusa forma basilicale bizantina o siriana, quanto con esempi africani, e in particolare con la Basilica di S. Felice a Nola®, la cui pianta sarebbe poi stata ripresa in Italia settentrionale e in Africa. Si tratta comunque di una forma peculiare dell'ambiente

egiziano, anche se genericamente vari triconchi sono noti in altri contesti nell'architettura imperiale romana e in particolare in sale d'udienza e di banchetto possibilmente influenzate da quelle di analoga forma in cui avveniva l'apparizione dell'imperatore (v. p. 54). È possibile vi siano stati gradini intermedi negli edifici cristiani dell’Egitto a noi non pervenuti. Si puó solo osservare come ricorrente nelle basiliche egiziane sia la forma absidata sia sui lati corti di narteci e portici, sia alle estremità del transetto absidato delle Basiliche di Hermoupolis e di Marea. Ritornando alle forme decorative dell'architettura «copta», va ribadito che non

nascono

improvvisamente,

ma

in

qualche modo si ricollegano a tradizioni che già nel ΠῚ e nel IV secolo si erano formate nei centri dell’ Alto e Medio Egitto: infatti la difficoltà di far pervenire in queste zone manufatti marmorei, per gli alti costi inerenti al trasporto e all'acquisto dalle cave di marmo, aveva da tempo determinato la formazione di officine locali, che spesso continuavano a lavorare seguendo la tradizione alessandrina: questa tuttavia era soprattutto sentita come fonte di motivi iconografici, mentre da tempo lo stile e la tipologia degli elementi vegetali erano mutati nel senso di uno spiccato schematismo e di una tendenza all'astrazione, data la mancanza di collegamenti organici tra gli elementi vegetali. Ciò si è riscontrato, come si è visto, nei capitelli in calcare, in diorite e in granito di Assuan del II-III secolo (Fig. 98) o degli inizi del IV, sia di tradizione alessandrina, sia influenzati dall'architettura ufficiale, ma realizzati schematizzando gli elementi vegetali, come quelli già citati (v. sopra). L'attestazione del trasferimento delle forme dei capitelli corinzi asiatici nel calcare locale già nel II secolo, come mostrano gli esempi menzionati (cat. nn. 381-393) di Hermoupolis Magna e di Akhoris (v. sopra), rende plausibile l'ipotesi che abbiano contribuito a creare una propria tradizione o a influenzare quelle esistenti. Tuttavia l'adozione

in un

certo

senso,

definitiva,

di forme

decorative

architettoniche

derivate

da

quelle

orientali,

note

attraverso

Alessandria, sembra si sia verificata dalla seconda metà del IV secolo ed è certamente da collegare con la diffusione della nuova architettura cristiana e con i modelli di questa adottati in Egitto. Parallelamente si era verificata ad Alessandria, proprio in questo periodo ed in connessione anche a nuove attività edilizie, non solo religiose, ma anche civili, una maggiore presenza di pezzi d'importazione nell'epoca di Costanzo II e successivamente quasi un esplodere quantitativo di capitelli corinzi bizantini nel V secolo, prodotti o comunque rifiniti dalle maestranze della città. Molti elementi architettonici che risentono di influssi costantinopolitani, pur nell’autonomia della forma locale, e che il Kitzinger e il Torp rivendicavano a monumenti non necessariamente cristiani? — vedi molti dei pezzi di Ahnas e di Bawit — devono essere stati intagliati proprio dalla seconda metà del IV alla prima metà del V secolo, rivelando come questo tipo di arte decorativa, spesso definita astratta e geometrica, non nasca necessariamente legata all’architettura cristiana, anche se in molti casi lo è (ed anche se in molti casi un tema apparentemente pagano in realtà può aver avuto un'interpretazione cristiana). Va subito rilevato un fenomeno particolare, per cui i capitelli vanno distinti da altri elementi architettonici, come nicchie, colonne decorate, fregi, che invece mostrano una maggiore varietà nella scelta delle tradizioni figurative da rielaborare, per cui vengono spesso ripresi anche motivi dell’ellenismo alessandrino'®. Si può citare, nelle nicchie che si aprivano lungo le pareti delle navate laterali o nelle absidi delle chiese (Convento Rosso, Dendera, Chiesa Sud di Bawit), l’uso di timpani triangolari o arcuati, caratterizzati dal fatto di essere fusi, alle estremità laterali, con quarti di frontoncino, che così assumono un aspetto acroteriale, e dalla rappresentazione di sguincio del soffitto delle cornici, entrambi i motivi tipicamente alessandrini; quasi sempre inoltre i soffitti delle cornici di questi timpani presentano le caratteristiche

mensoline a travicello, che sono appunto una peculiarità esclusiva dell’Egitto ellenistico!!. Anche i pilastri con alcuni caratteristici motivi a zig zag, a meandro, o con basi d’acanto rimandano spesso allo stesso ambiente.

I capitelli invece non sono più nella tradizione alessandrina, come ancora si verificava (v. sopra) nel II (fortezza di Dendera) e nel III secolo (capitelli reimpiegati nella fortezza di Dionysias), compresa l’età tetrarchica («cappella delle insegne» di Luxor): infatti essi testimoniano, nella loro forma, quasi esclusivamente la rielaborazione di tipi asiatici del III o della prima metà del IV secolo, per i più antichi, e di tipi costantinopolitani, dal tardo IV al VI secolo, a cui si devono aggiungere anche influssi siriani, per quelli più tardi. Per il IV e per buona parte del V secolo, i tipi di acanto adottato sono sempre basati sulla rielaborazione del modello dell’acanto spinoso, sia a lunghe e strette fogliette, sia a fogliette meno lunghe e più larghe (Fig. 115). Preferiamo utiliz-

zare questo come criterio di distinzione, perché ci consente di tracciare una linea di svolgimento che coincide anche con i

7H.C. ButLER, Architecture and Other Arts, London 1904, pp. 195, 305-306, ecc.; R. KRAUTHEIMER, Architettura paleocristiana e bizantina, (ed.it.), Torino 1986, p. 172. * P. GROSSMANN, in Propylüen Kunstgeschichte, suppl. 1, 1977, p. 237; KRAUTHEIMER, op.cit., p. 140. ? H. Torp, in Synthronon, Paris 1968, p. 11 ss.; Ip., «Leda Chri-

stiana: the Problem of the Interpretation of Coptic Sculpture with Mytho-

174

logical Motifs», in Acta ad Archaeologiam et Artium Historiam pertinentia, 4, 1969; E. KrrziNGER, «Notes of Early Coptic Sculpture», in Archeologia, 87, 1938. ? A.M. Bapawy, «L'art copte. Les influences hellénistiques et romaines», in BIE, 34, 1951-52, pp. 57 ss.; 35, 1952-53, p. 151 ss.

!! Cfr. qui nel testo p. 139.

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JJ Fig. 115 - Hermoupolis Magna, zieggiante (dal Ronczewski).

capitello

corin-

Fig. 116 - Hermoupolis giante (dal Ronczewski).

Magna,

capitello

corinzieg-

dati offerti dai pochi contesti noti, come le Basiliche di Hermoupolis Magna e del Convento Rosso: nella prima si trovano capitelli corinzi con l'acanto a lunghe fogliette e con volute quasi fuse con le foglie dei calici! (questo particolare secondo

una

rielaborazione

del

modello

offerto

dalla

Porta

d'Oro

di Costantinopoli,

come

si è detto

ampiamente

noto

ad

Alessandria ed altrove, anche in esemplari in calcare, (cat. nn. 473-474). Sempre ad Hermoupolis Magna (cat. n. 567), vi sono capitelli con un solo calice al centro dei lati (Fig. 115), anche in questo caso secondo modalità che avranno largo

seguito in Egitto e che in qualche modo richiamano i capitelli corinzi bizantini a lira o a medaglione (cat. n. 488). Ai capitelli di Hermoupolis Magna possono associarsi altri pezzi di Saqqara (cat. nn. 568-569) e del Museo di Alessandria (cat. n. 558). Si tratta di una produzione, dislocabile nella prima metà del V secolo circa, caratterizzata dunque da due corone di foglie con acanto ancora definibile come spinoso, con lobi articolati in fogliette allungate e distinti da quelli contigui tramite strette zone d’ombra. La particolare importanza dei pezzi della grande Basilica a transetto di Hermoupolis Magna, deriva dal probabile carattere di chiesa episcopale della città e dalla probabile origine metropolitana della pianta: la forma dell’acanto ne conferma la diffusione in questo periodo in Egitto, come si è già riscontrato ad Alessandria. Una caratteristica della produzione costantinopolitana, quella cioè del collegamento disorganico delle volute con i calici da cui comunque sono distinte (v. sopra), diventa un motivo ampiamente ripreso in ambiente «copto», sin dalla

fine del IV secolo e nei decenni successivi?, ed ancora nella seconda metà del V secolo e nei primi decenni del VI, anche se in forme sempre meno

organiche,

foglia interna dei calici (cat. nn.

578-580,

ad esempio

caratterizzate dall’estrema schematizzazione

o dalla perdita della

di Bawit).

Nel corso del V secolo, all’acanto spinoso a lunghe fogliette, si sostituisce un acanto a fogliette più corte lanceolate od ogivali e con zone d’ombra ancora strette e ricurve, ma più larghe delle precedenti e spesso anche di forma ogivale (Fig. 116): un importante dato cronologico per questa forma è offerto dai capitelli dei due ordine di colonne dell’abside triconca del Convento Rosso, circa del penultimo decennio del V secolo (cat. nn. 572-573), dove i calici presentano la caratteristica forma, sempre di origine bizantina (Porta d'Oro), contraddistinta dalla fusione delle volute con le elici e dal

contorno triangolare delle due zone d’ombra al centro di ogni calice. Un capitello della «chiesa paleocristiana» di Antinoe (cat. n. 574) ed altri pezzi di Banasa, del Museo di Alessandria (cat. nn. 576-577) e di Bani Suwif'* mostrano l’acanto spinoso sempre più influenzato da quello a grossi dentelli per l’incurvarsi di alcune delle fogliette e per le dimensioni sempre maggiori delle zone d’ombra ogivali: si tratta di capitelli databili nell’ultimo quarto del V secolo, nei quali piut-

1? H.G.

SEVERIN,

in 28° Corso

tina, Ravenna 1981, p. 321, fig. 3.

di cultura

arte ravennate

e bizan-

P Tp., p. 321, fig. 2.

14 Ip., p. 323, fig. 6.

175

36

1ὲε

Las

n

2 141

LETT

Fig. 117 - Hermoupolis Magna, della Basilica cristiana, capitello foglie lisce (dal Ronczewski).

complesso corinzio a

tosto caratteristici sono la grossa espansione della parte superiore del kalathos e l’urtarsi, ma non ad Antinoe, delle foglie interne dei calici, in modo da formare uno spazio romboidale al di sopra della cima della foglia centrale della seconda corona. Nel capitello di Antinoe (cat. n. 574) il calice presenta un contorno trapezoidale, come è visibile anche in alcuni dei capitelli del Convento Rosso (cat. n. 573), con cui ha in comune il conservarsi di caulicoli chiaramente distinti dai calici. Peculiare infatti dell’ambiente «copto» è il ritorno all’apparato tradizionale del capitello corinzio normale, fenomeno in comune anche con molta della produzione siriana contemporanea di capitelli corinzi: così in capitelli sempre più stilizzati e geometrizzanti per la forma dell’acanto, con zone d’ombra ad occhiello e ogivali (cat. nn. 578-586, di Bawit e di Saggara), compaiono i caulicoli e i calici con elici e volute chiaramente distinte. In questi esemplari va però distinta la forma

dei caulicoli,

in alcuni molto

una forma che ha molte

sottili e con orlo sferico o comunque

analogie in ambiente

siriano (Aleppo,

moschea

ingrossato

(cat. nn.

di Hallewiyye)",

578-579,

581-583),

secondo

in altri con un caulicolo del

tutto classicheggiante, cilindrico o tronco-conico e suddiviso in lunghe fogliette: a questo proposito si citano i cat. nn. 589-590, sempre di Bawit e Saggara, in quanto i caulicoli richiamano una forma molto simile nei due capitelli marmorei di Alessandria, del IV secolo o poco oltre, in cui abbiamo riconosciuto una ripresa classicistica di modelli alessandrini

tardo-ellenistici o primo-imperiali (cat. nn. 377, 380). I due esemplari di Bawit e di Saqqara, inoltre, chiaramente attribuibili alle stesse maestranze, stanno ad indicare, non tanto il riutilizzo di pezzi da una stessa località nei due diversi conventi di Saqqara e di Bawit, quanto l’esistenza di un circuito culturale, legato ad una comune posizione religiosa che collegava centri conventuali anche piuttosto distanti. L'interesse comunque alle variazioni è dimostrato da altri capitelli di Bawit (cat. n. 580), quasi uguali ai tipi con caulicoli (cat. nn. 578-579), ma nei quali questi e le elici mancano, mentre ricompaiono gli steli per i fiori dell’abaco, ondulati e con un nodo sotto il fiore. Si tratta di capitelli probabilmente databili alla fine del V — prima metà del VI secolo d.C., che sono da collocare accanto ad altri, sempre delle due località, contemporanei, ma con una maggiore libertà interpretativa dell’apparato vegetale. saqqara e Bawit restituiscono un grandissimo complesso di elementi architettonici, databili dal tardo IV al VII secolo in base ai criteri sopra esposti!°: nei capitelli corinzi e corinzieggianti la chiara tendenza classicistica nell'apparato vegetale sembrerebbe dovuta non solo o non tanto ad un ritorno programmato a forme canoniche, ma anche al gusto di una citazione «classica»! Va ora rilevato come una tendenza maggiore alla lavorazione «a giorno» nei capitelli corinzi si avverte soprattutto nei lobi interni delle foglie dei calici, talvolta sostituiti da una foglia di vite rovescia piuttosto sottile a tre lobi, con fo15 Ch. STRUBE, in JACh, 26, 1983, p. 64, tav. 10,c. 16 Sull’attribuzione degli elementi architettonici alle varie parti dei complessi, vedi H.G. Severin, in MittKairo, 33, 1977, p. 113 ss.,P.

176

GROSSMANN, H.G. SEVERIN, in Mittkairo, 38, 1982, pp. 170-193. 1 CHASSINAT, Fouilles à Baouit, Saqqara, 4, 1908-1910, tav. 26.

tav. 96; QUIBELL,

Excavations at

gliette dentate molto ricurve e con zone d'ombra ogivali o circolari, come mostrano alcuni esemplari di Banasa (cat. nn. 593-594) e il capitello citato di Bani Suwif (solo su un lato): si tratta di una foglia di origine bizantina piuttosto comune

anche negli ornati di altri elementi architettonici 18, In definitiva si puó affermare che, nel tardo V e soprattutto nella prima metà del VI secolo, diviene piü forte l'influsso dell'acanto con zone d'ombra ad occhiello e ogivali, che in un qualche modo viene a fondersi con quello a lunghe fogliette, in quanto è meno frequente l'uso di acanto a grossi dentelli. Nelle chiese dell’Alto Egitto è anche testimoniato un tipo di capitello corinzio piuttosto semplificato, in cui le foglie sono rese in modo sommario, con il numero delle fogliette ridotto, in modo tale che spesso i lobi hanno una sola foglietta; le volute e le elici sono fuse con i calici nel senso che sono rese con due steli a V in mezzo ai quali sono incise due fogliette (o altro motivo vegetale): si citano tre esemplari della chiesa di Dendera (cat. nn. 601-603), dove questo tipo di acanto è anche impiegato in capitelli con due corone a sole quattro foglie, privi degli altri elementi vegetali e con l’abaco suddiviso in tre zone (cat. n. 599). Esiste infine nell’interno dell’Egitto una numerosa testimonianza di capitelli corinzi e corinzieggianti privi dell’ultima rifinitura dei particolari vegetali e quindi a foglie lisce (cat. nn. 611-654): i tipi rappresentati in essi sono gli stessi dei capitelli completamente lavorati, rispetto a cui dunque rappresentano una produzione lavorata meno approfonditamente, con ogni probabilità per motivi di risparmio o in corrispondenza di momenti storici particolari (Fig. 117). Non va neanche trascurata

come

causa

dell’uso

di capitelli

schematici

una

particolare

collocazione

che

consentiva,

non

essendo

in primo

piano, di tralasciare la rifinitura. In questo senso possono spiegarsi i cat. nn. 617-621 di Hermoupolis Magna, in quanto appartenenti ad un portico esterno alla Basilica cristiana, o i piccoli capitelli corinzieggianti a sole quattro foglie lisce (cat. nn. 648-650), relativi all’inquadramento architettonico di nicchie o edicole. Si tratta nel complesso di una produzione che appartiene soprattutto al VI secolo. La chiesa di Antinoe?, la «main

church» di Saqgara”, qui riutilizzati, ce ne offrono una ricca serie (cat. nn. 632-643), che testimonia come ormai questa produzione, qualunque siano stati i motivi che l’hanno determinata, abbia aquistato una sua indipendenza, con uno specifico valore decorativo che nasce dalla valorizzazione proprio delle parti lisce, attraverso eleganti linee di contorno, nervature e accurate allisciature. Ma i conventi di Bawit e di Saqqara hanno restituito un altro grande gruppo di capitelli, quelli bizonali e ad imposta, sia semplici, sia polilobati, databile nel secondo trentennio del VI secolo (cat. nn. 661-667,669-671): se derivano

da modelli bizantini, ciò che li contraddistingue è proprio la fantasia decorativa, gli effetti ad intarsio, conseguenza dell’estrema stilizzazione

di motivi vegetali,

con cui sono rielaborate le originarie iconografie”!.

18 Cfr. KaurzscH, Kapitellstudien, p. 233, n. 336,b, Bapawy, Coptic Art, p. 180, fig. 3. 119 — 3. 121. 19 G. UcaerI, tav. 19,1,4.

in

Antinoe

(1965-1968),

Roma

1974,

tav. 48; pp. 40,42,

22 H.G, SEVERIN, in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna 1981, p. 328, figg. 13-15, e bibl.citata. ?! Cfr. H.G. bibl. cit.

SEVERIN,

in MittKairo,

38,

1982, p. 38 (gruppo D) e

177

VII CAPITELLI IONICI DI ETÀ IMPERIALE

E BIZANTINA

In età imperiale sono nel complesso poco numerose le testimonianze dei capitelli ionici in marmo (cat. nn. 124-144): ad Alessandria gli esemplari più antichi provengono dalle terme di Kom el Dik, dove erano reimpiegati capitelli ionici di un noto

tipo

asiatico

di derivazione

tardo-ellenistica,

con kyma

ionico

ad ovuli interi e lancette,

attribuibili

al

I —

primi

decenni del II secolo d.C. (cat. n. 124), che sono probabilmente da ritenere di importazione microasiatica!. Allo stesso tipo appartengono altri capitelli provenienti genericamente da Alessandria e databili sia nel I, sia nel II secolo d.C. (cat. nn. 125-127, 132). Vi è poi un certo numero di esemplari di piccole (cat. n. 138) e medie dimensioni (cat. nn. 128-131), che, pur derivando dal tipo precedente, sono stati lavorati da una manodopera non più attenta allo schema tradizionale: presentano tratti schematici e una resa appiattita di elementi come il kyma ionico e le palmette (cat. n. 129), la lancetta è poco distinta dagli sgusci (cat. nn. 130, 131-137), o ancora semplificazioni nelle foglie dei pulvini (cat. n. 133). Si tratta di una era approfondita localmente, come può ricavarsi quando nel kyma ionico gli ovuli sono grandi e disuguali (cat. n. 138), o resi in un modo paratattico (cat. n. 137). A lungo perdura la tradizione di far corrispondere la parte inferiore del capitello con il margine dell’echino, coincidente con la linea immaginaria che unisce gli occhi delle volute (cat. nn. 124-123), o spostato poco più in basso (cat. n. 134). Solo in epoca imperiale avanzata si incontrano capitelli con un astragalo a perline e fusarole sotto l’echino (cat. n. 137).

Limitata ad un solo esemplare (cat. n. 139) è la testimonianza di un altro noto tipo di capitello ionico di età imperiale, caratterizzato da un kyma ionico con ovuli e freccette e da una fronda vegetale che percorre il canale delle volute, comprese le spirali: questo capitello, come mostra l’acanto che ne avvolge i pulvini, sembra influenzato direttamente dalla

tradizione del capitello ionico che si afferma a Roma dall’età flavia?, costituendo in tal modo uno dei rari esempi in Egitto di elementi della decorazione architettonica occidentale relativa all’arte ufficiale. Diversi dai capitelli ionici marmorei fin qui trattati, sono i cat. nn. 140-144, in quanto la forma delle semipalmette a lobi spiraliformi e del kyma ionico con sottili freccette, nitide e intagliate con un effetto quasi disegnativo, non hanno confronti altrove. È possibile si tratti di una produzione alessandrina tarda che rielabora in modo autonomo la forma ionica di importazione. La produzione locale ci è sicuramente restituita dai capitelli in calcare e in altre pietre egiziane (cat. nn. 121-122,

145-159), ugualmente poco numerosi rispetto ai contemporanei capitelli corinzi. Oltre che ad Alessandria, il loro impiego è attestato a Hermoupolis Magna ioniche,

(cat. nn. 121-122)?,

eretto sulla «via trionfale» (v. p. 286)*,

ad Antinoe,

e a Dionysias,

in un propyleion monumentale

di reimpiego

tetrastilo, con colonne

nella fortezza (v. p. 233).

Tutti questi esem-

plari attestano ugualmente la ripresa, durante il II-IV secolo d.C., della tradizione tardo-ellenistica, quale è testimoniata nel tipo asiatico citato, con kyma ionico a lancette (cat. nn. 145-150),

queste talvolta poco distinte dagli sgusci (cat. n.

146). Quasi sempre i capitelli di questa produzione sono intagliati insieme ad un collarino, più o meno sviluppato, fino a costituire un vero e proprio hypotrachelion decorato, in età trajano-adrianea?.

Inoltre molto

meccanica

come mostra un esempio di Hermoupolis

è la resa del canale

delle volute,

dove

Magna

(Fig.

il tratto orizzontale

118), datato è mal raccor-

dato con l’inizio della spirale (cat. nn. 145-146) per una certa mancanza di comprensione, da parte dello scalpellino, del suo significato strutturale originario. Ciò è ancora più evidente nel cat. n. 147, che è anche eccessivamente allungato e

! Cfr.

P.

PENSABENE,

in

Int/NautA,

7,

1978,

p. 116,

n. 8,

figg.

13-14; BiucoL, Zonische-normalkapitelle, p. 159 ss., tav. 12-14.

? Cfr. PENSABENE, Scavi di Ostia, VII, n. 116. 3 Cfr. MittKairo,

178

RópER, Hermopolis, 6, 1935, pp. 88-89,

p. 117, tav. 10,c; K. RONCZEWSKI, in figg. 1-2; E. BARAIZE, in ASAE, 40,

1940,

p. 741

Museum

ss.,

Expedition

tav.

89;

D.M.

to Middle

BairEv,

Egypt,

in

London

Ashmunein

1986,

1985,

p. 19,

(«ionic wall»). ^ JoMARD, Description de l'Egypte, IV, p. 267, tav. 61. 5 K. RONCZEWSKI, in MittKairo, 6, 1935, p. 88, fig. 1.

British

tav. 10,a

43

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48

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-

- Hermoupolis

Magna,

capitello

ionico

(dal Roncze-

ionico

(dal Roncze-

A0

So +

GOMMA

Fig. 118 wski).

id

:

τι

Í

" Fig. 119 wski).

82 - Hermoupolis

Magna,

capitello

con volute troppo piccole rispetto all'altezza, dove appunto il canale delle volute non è distinto superiormente dall'abaco per mezzo del listello che dovrebbe proseguire la spirale: in questo capitello, inoltre, il margine inferiore dell’echino è più basso della linea immaginaria che passa tra gli occhi delle volute. Scomparso è invece il canale delle volute in un capitello di Dionysias reimpiegato nella fortezza (v. p. 234), dove l’echino e l'Aypotrachelion sono stati unificati in un'unica forma troncoconica, divisa meccanicamente da un astragalo, e dove il kyma ionico, costituito sui due lati opposti da tre piccoli ovuli rovesci senza elementi separatori, è spostato in alto per far posto ad una testina di divinità. Si tratta di tendenze, tutte queste, presenti anche in altre regioni del Mediterraneo in epoca tardo-antica, quando il capitello ionico subisce nuove interpretazioni ad opera delle officine locali, sempre meno condizionate dalla forma canonica della tradizione ionica”: evidentemente, anche in dipendenza del fatto che l’architettura ufficiale utilizza in prevalenza

6 Cfr.

P.

PENSABENE,

in Società

romana

e impero

tardoantico,

ΠῚ,

Bari 1986, p. 416 e ss.

179

capitelli corinzi, e di conseguenza sono soprattutto questi ad essere esportati in grande quantità dalle cave imperiali e a fornire continuamente modelli alle officine regionali. E tuttavia attestata una certa produzione ed esportazione di capitelli ionici anche in epoca medio e tardo-imperiale, come mostra sia il carico di una nave naufragata nel Mar Nero (Sile)’, che

oltre

a statue

sbozzate,

tra cui una

di imperatore,

forse Traiano,

conteneva

diversi

elementi

architettonici,

una base,

due colonne e cinque capitelli ionici in marmo proconnesio semilavorati, sia il carico naufragato presso Punta Scifo?, con capitelli ionici quasi rifiniti, sia, ancora, la produzione, recentemente studiata dallo Herrmann e dal Sodini’, delle cave di Thasos, riguardante un periodo che va dal IV al VI secolo. . Nelle cave imperiali egiziane, come é noto, vi fu una certa produzione di capitelli semirifiniti, soprattutto corinzi e corinzieggianti, meno ionici, questi tuttavia attestati nel Serapeo del Mons Porphyrites (cat. nn. 76-78) e nel Museo di Alessandria (cat. n. 150), caratterizzati dalle volute e dall'echino lisci, senza l'intaglio dei particolari. Le proporzioni e ia forma dei capitelli del Serapeo, di età adrianea, rimandano in parte ancora alla tradizione tardo-ellenistica, come rivela l'ampiezza del canale delle volute rispetto all'echino, anche se il centro delle volute appare leggermente più alto rispetto al margine inferiore dell'echino (su cui poteva essere peró previsto l'intaglio dell'astragalo).

Nella seconda metà del IV secolo e nel proseguo dell'età bizantina sono nuovamente poco numerose le testimonianze dell'ordine ionico (Fig. 119), basti pensare che mancano nei complessi di Saqqara e di Bawit, mentre limitato a pochi esemplari ne è l'uso a S. Mena!°, evidentemente relativo a particolari funzioni architettoniche. Sia negli esemplari noti di marmo (cat. nn. 151-152), sia in quelli in calcare (cat. n. 154 da Edfu), ritornano sempre formulazioni sproporzionate degli elementi canonici, tuttavia presenti, quali l'eccessiva grandezza dell'ovulo centrale del kyma (cat. nn. 151-152), o le volute con la spirale irregolare (cat. nn. 151, 154). I capitelli del santuario di S. Mena sono a quattro facce (cat. n. 153), con volute eccessivamente piccole sostenute da foglie schematiche, grande ovulo centrale nel kyma e abaco a due zone: essi sembrano derivare da una riduzione del tipo composito, rispetto a cui manca il kalathos. Dalla basilica cristiana di Kom Ombo provengono alcuni capitelli (cat. nn. 155-157), attribuibili al tardo V — VI secolo, che mostrano invece una decisa semplificazione e incomprensione della forma canonica: l'abaco e l'echino sono fusi e appaiono decorati soltanto da foglie e grappoli, nascenti alle estremità, ma senza un organico collegamento con le piccole volute; queste presentano fitte spirali e pulvini cilindrici. Che

tuttavia ad Alessandria

si fosse

al corrente

delle mode

VI secolo, anche per ciò che riguarda i capitelli ionici,

piü recenti,

in auge

nel mondo, bizantino

durante

il V e

è mostrato da un esemplare sicuramente trovato nella città e inta-

gliato nel calcare locale (cat: n. 158) e che trova confronti puntuali al di fuori dell'Egitto!: si tratta di un capitello ionico ad imposta,

questa

con

una

grande

croce

inscritta in una

corona,

caratterizzato

da una ripresa

classicistica

visibile

nella

sua parte ionica, dotata del canale delle volute e ben distinta dall'imposta troncopiramidale.

7M. BEvKAN, from

«The Marble Architectural Elements in Export-form

the Sile Shipwreck»,

in Classical Marble:

Geochemistry,

Techno-

logy, Trade, Nato ASI Series, Dordrecht-London-Boston 1988, pp. 127131, figg. 9-16. * P. PENSABENE,

180

in IntJNautA,

7,

1978, p. 116, n. 8, figg. 13-14.

? J.J. HERRMANN, © KAUFMANN,

“J.P.

Sopini,

J.P. Sopini, in BCH,

Die Menasstadt,

Sculpture

101, 1977, pp. 471-511.

tavv. 68,2, 69,5, 72,4.

architecturale,

p. 79,

VEMI, Les chapiteaux ioniques à imposte de Gréce chrétienne, Suppl. 17 BCH, 1989, p. 29, tipo 4.

figg. 32-38;

V.

à l'époque paléo-

VII COLONNE

E MARMI

COLORATI

Tra i pochi monumenti conservatisi in Egitto della prima età imperiale significativo è il tempio di Augusto a Philae (Figg. 1, 2), prostilo tetrastilo e con colonne lisce di granito di Assuan (v. p. 6): in effetti va rilevato che nel periodo imperiale

diviene

comune

il fusto

liscio,

anche

quando

le colonne

non

siano

di granito,

bensi

nel

calcare

locale,

come

mostrano il tempietto ionico di Ras es Soda (Fig. 16), nei pressi di Alessandria, datato al II o III secolo d.C.!, il ninfeo di Dendera del II secolo d.C.?, o tempietti funerari prostili su podio (nn. 11,12) della necropoli di Tuna el-Gebel, attribuiti all’età imperiale? (Figg. 174, 175). Ciò non è tuttavia una regola, perché dai disegni dello Jomard sappiamo che l’atrio tetrastilo di un edificio sulla «via trionfale» di Antinoe presentava colonne ioniche scanalate con il terzo inferiore risparmiato (Fig. 192); anche il propileo d’accesso alla corte quadrangolare che precedeva il teatro era nuovamente tetra-

stilo (Figg.

188,

189), ma con colonne corinzie scanalate e chiaramente divise in rocchi*: si tratta di monumenti del II

secolo d.C. che rientrano nell’architettura ufficiale, quale era in voga anche in Asia Minore e in Siria e nella quale era fortemente viva la tradizione tardo-ellenistica. Nella stessa Antinoe, però, in un monumento del tardo UI secolo (Fig. 182), quale era la porta ovest («arco trionfale»), sono invece utilizzate ormai solo colonne lisce, sormontate da capitelli doricizzanti (v. p. 281). Un

discorso

a sé meriterebbe

l’uso

di colonne,

semicolonne

o pilastri nella tradizione egizia,

piegati in elevati misti greco-egizi, quasi sempre conservano tracce di un (necropoli di Kom esch-Shogafa), mentre il fusto è quasi sempre liscio. Scarse sono le informazioni sull’uso e la collocazione ad Alessandria periale, cioè quelle in granito rosa o rosso di Assuan e in granito grigio casse anche in età ellenistica, lo mostra il ritrovamento di basi e colonne del periodo

ellenistico:

basti citare la nota colonna di Khartoun

(alt. m.

che,

anche

quando

im-

rivestimento di foglie intorno alla parte inferiore di uno dei tipi più diffusi di colonne in età imdal Deserto Orientale. Che il loro uso si verifidi granito insieme a capitelli pertinenti ad esse

10,54),

eretta ora nella piazza Said,

ma rinvenuta

insieme ad altre grandi colonne e capitelli, questi sempre in basalto, nella zona del Quartiere Reale — si è ipotizzato che facessero parte del complesso della palestra? —, e ancora i citati pilastri angolari con semicolonne addossate a cuore (largh. m. 1,25; cat. n. 1024), provenienti da un grande edificio di età ellenistica nell’estrema zona ovest di Alessan-

dria®. E noto come proprio le colonne di granito siano state reimpiegate ad Alessandria stessa in eta bizantina, ad esempio nella chiesa di S. Atanasio, consacrata nel 370 e poi trasformata nella moschea di El-Attarin (Fig. 120), o nelle numerosissime cisterne della città, talvolta a più piani”. Anche durante l'età medioevale moltissime colonne furono rimosse e trasportate altrove, ed a questo proposito è esemplare la notizia dello scrittore arabo Abd el-Latif (ca. 1161-1231) su più di 400 colonne di granito da lui viste presso il porto, dove sarebbero state trasportate per utilizzarle come frangionde e per

opere di difesa. Come materiale da costruzione, colonne di granito si trovano in affrettate fortificazioni erette nel periodo tardo-bizantino o anche arabo — si ricorda scoperto presso l’ospedale governamentale, perate orizzontalmente nella muratura?. Tutto ciò ha fatto sì che quasi mai si ritrovamenti nel Serapeo di Alessandria, di Quartiere Reale di Alessandria a Bruchium,

soltanto il caso delle colonne rinvenute nel fossato del tratto di mura tarde, o alcune descrizioni delle mura arabe di Alessandria con antiche colonne adopossa conoscere il contesto originario d’impiego. Possiamo comunque citare i colonne di granito di Assuan (cat. nn. 31-32) alte quasi m. 9, e nell’area del nei pressi della stazione di Ramley (via Abd el-Moneim)?, di diverse colonne

! ADRIANI, Topografia, p. 100, n. 56, tav. 32. 26. CasteL, F. Daumas, J.C. GoLvin, Les fontaines de la Porte Nord, Dendera, IFAO, Le Caire 1984, 3 S. GABRA, in ASAE, 39, 1939, p. 484, tav. 78.

^ JoMARD, Description de l'Egypt, IV, tavv. 55-56, 61.

5 ADRIANI, Topografia, p. 78, n. 35. $ Ip., p. 78, n. 36. 7Ip., p. 69, n. 20. * Ip., p. 228; (cfr. G. Borri, in BSAA,

1, 1898, pp. 56-59).

? ADRIANI, Topografia, p. 86, n. 47.

181

.»--«...ς...

2004

52

487

E

SAM

Fig. 120 - Alessandria, Moschea di el Attàrîn Sienite (dalla Description de l’Egypte).

con colonne

di

o

AAA

Fig. 121 - Hermoupolis Magna, Assuan (sienite) (dal Ronczewski).

base

in granito

di

intere e frammentarie di granito rosso (alt. m. 5), attribuite ad un edificio con portico che si affacciava su una strada. Anche nelle vicinanze (via Nabi Daniel) sono state rinvenute colonne dello stesso materiale (alt.m. 5,85), ma con basi di

marmo, che si sono ritenute appartenenti al colonnato di una strada di età imperiale! Ciò prova l’esistenza anche ad Alessandria di vie colonnate, d’altronde testimoniateci dalle fonti (Achille Tazio)!! e da descrizioni e disegni di viaggiatori: menzioniamo soltanto le tre colonne di granito rosso (alt. m. 12-13, diam. m. 1,40) che si trovavano davanti alla moschea di El-Attarin"? e ritenute collocate lungo il percorso dell’antico dromos di Alessandria. Colonne in granito di Assuan, con capitelli corinzi asiatici del III secolo d.C., sono state scoperte nel portico che separava il frigidarium delle terme romane di Kom el Dik dalla via R. 4 di El Falaki (Fig. 130): colonne dello stesso materiale si trovano nel portico delle terme e nell’auditorium, qui all’entrata e nel portico della strada antistante, e a questo proposito è stato osservato! come probabilmente ci si trovi di fronte ad una delle qualità standard di colonne delle strade dell’ Alessandria romana di età imperiale avanzata (come quelle, citate sopra, trovate nella via Nabi Daniel). Ricordiamo che la strada antinoitica di Hermoupolis Magna doveva essere accompagnata da colonnati anche in granito di Assuan e da essi provengono parte delle colonne e dei capitelli corinzi reimpiegati nella grande Basilica cristiana del V secolo d.C.! (Tavv. 47, 48). Sempre ad Hermoupolis Magna, colonne di questo granito erano impiegate in gran numero nel Komasterion (Fig. 156), di età antonina, dove si trovano di tre dimensioni principali: la prima di m. 6,55 (diametro (diametro

inferiore m. 0,94), la seconda di m. 5,90/6,00 (diametro inferiore m. 0,81/0,86), la terza (Fig. 121) di m. 4,84 inferiore m. 0,635) ?; in un altro edificio della città, vicino alla cosiddetta porta delle Sfingi, forse un tempio,

di età adrianea o antonina,

erano ugualmente

alte m. 5,90/6,05

inferiore m. 0,82/0,87),

(diametro

impiegate colonne della stessa pietra, di cui ne restano almeno nella stessa posizione,

pare,

in cui caddero

sei intere,

nell’antichità!9.

Altre co-

lonne in granito di Assuan sono state rinvenute nelle terme di Athribis", mentre nella cittadella del Cairo sono conservate una

colonna

alta

m.

8,60,

due

colonne

alte

m. 8,30

con

9? Ip., p. 85, n. 46.

Ἡ Si tratta della strada che l'eroe del suo romanzo percorre uscendo dalla porta del Sole: AcHiLLe Tazio, V,l; ADRIANI, Topografia, p. 234; B. TKAczow, in Archeologia (Warsawa), 30, 1984, p. 5.

? ADRIANI, Topografia, p. 69, n. 20. 3 E.M. Ropziewicz, in Etudes et Travaux, 11, 1979, p. 199. ^ RópER,

182

Hermopolis,

p. 101ss.;

A.J.

SPENCER,

British

Museum

diametro

all'imoscapo

di

m.

1,23

e

diametro

inferiore

di

Expedition to Middle Egypt. Excavations at El Ashmunein I, The Topography of the site, London 1983, p. 6.

5 D.M.

Bamv,

in Ashmunein

to Middle Egypt, London 16 D.M. Barzv, in to Middle Egypt, London 7 K. MICHALOWSKI,

1983,

British Museum

1984, pp. 36-37. Ashmunein 1985, British Museum 1986, p. 21. in ASAE, 57, 1962, p. 71.

Expedition Expedition

m.

1,15,

e un’altra

alta

m.

6,86",

e ovviamente

molte

colonne

in

questo

granito

sono

reimpiegate

nelle

moschee

del

Cairo. È noto come in età imperiale la produzione e l'esportazione di colonne in granito d'Assuan fosse grandissima, fino ad arrivare anche in città lontane dal mare, come è visibile a Palmira e a Gerasa, nei tetrapili delle strade colonnate. È probabile, dunque, che l’uso di colonne in questo materiale anche al di fuori dell’architettura religiosa di tradizione faraonica! risalga già al periodo tolemaico: si può quindi presumere un’organizzazione altamente sviluppata di produzione e distribuzione, e ciò spiega la concorrenzialità che sempre i manufatti in granito di Assuan mantennero all’interno del mercato delle pietre colorate. La grande quantità di colonne in granito ad Alessandria potrebbe essere un indizio che in essa risiedesse anche una statio marmorum, deputata all’immagazzinamento e allo smistamento dei materiali lapidei cavati ad Assuan ed anche nel Deserto Orientale, ma non si hanno elementi archeologici per suffragare questa ipotesi??. Altre pietre colorate, documentate ad Alessandria in architettura, erano l'alabastro, impiegato nei rivestimenti parietali e pavimentali, il basalto e la diorite, in cui erano intagliati capitelli che giungevano quasi sempre ad Alessandria in uno stato di semilavorazione portato avanti da officine residenti presso le cave?!; già dall’età ellenistica vi dovevano essere impiegate per alcuni edifici principali anche colonne in marmo bianco-grigiastro, come mostrerebbe il ritrovamento di un fusto iscritto nel Quartiere Reale di Alessandria”. Una bella colonna di alabastro è conservata nell’area del Serapeo di Alessandria, mentre una base dello stesso materiale, e forse pertinente, si trova nel Museo copto del Cairo (cat. n. 720). Colonne in cipollino e in altri marmi colorati, insieme a colonne di granito, sono state rinvenute nel auditorium di Kom el Dik?, reimpiegate durante le tarde trasformazioni dell’edificio, ma possibilmente anche provenienti dallo stesso (Tav. 119). Altri marmi colorati trovati nell’area degli scavi di Kom el Dik, e appartenenti a lastre pavimentali e parietali, sono il porfido, il pavonazzetto, il verde antico, il rosso antico, il giallo antico e il serpentino. Centinaia di mattonelle di pietre colorate, tra esse

sono

intere e frammentarie

attestati alabastri

di vario

tipo,

sono

state rinvenute

pavonazzetto,

giallo

durante antico,

la costruzione

santo,basalto, cipollino , serpentino (nn. inv. 17583-17744 del Museo di Alessandria). A Hermoupolis Magna una recente indagine superficiale sul terreno ha permesso lastre

di africano,

di giallo

antico

brecciato,

di bigio

antico

del museo

varie qualità di brecce

dell’ Asia Minore,

, nel Quartiere

di Sciro,

il rinvenimento

di porfido,

di cipollino

reale:

tra cui il seme-

di frammenti e di marmo

di

bian-

co-grigiastro asiatico, mentre nella Basilica cristiana sono reimpiegate anche due colonne di cipollino™. Un altro sito archeologico egiziano che ha restituito numerose colonne ed elementi dell’arredo in pietre colorate è

quello di S. Mena, e ciò non stupisce, data la vicinanza al mare e la partecipazione imperiale alle attività costruttive: in particolare sono ancora visibili sul posto frammenti di lastre pavimentali in proconnesio, verde antico, serpentino, breccia corallina, breccia di Sciro, marmo d'Aquitania e marmo lesbio, mentre le colonne erano di porfido rosso, di bigio lumachellato, di pavonazzetto, di cipollino verde, di cipollino rosso, oltre che, ovviamente, di granito di Assuan e anche di diorite. Nel convento di Deir Abu Makarios dello Wadi Natrum, si trovano invece numerose colonnine in marmo proconnesio

(cat.

nn.

652,

653),

e va rilevato

che

sono

frequentemente

attestate in contesti

cristiani,

soprattutto vicino

al mare,

colonne di piccole dimensioni in marmo proconnesio ed anche in altri materiali, quasi sempre di importazione, utilizzate nei recinti presbiteriali. A Saqqara, nella «main church», in corrispondenza dell'ingresso sud, erano reimpiegate due colonne di marmo proconnesio, alte m. 2,95, cioè 10 piedi, che rappresentano uno dei tipi standard prodotti in serie nelle cave per essere esportati (Tav. 116). Infine menzioniamo alcune colonne, rinvenute nelle terme di Athribis, in verde anti-

co”, La presenza nell’architettura ufficiale di Alessandria di colonne d’importazione in grandi quantita si ricava tuttavia non dalla città stessa, bensi dalle moschee del Cairo: qui erano impiegate centinaia di colonne, probabilmente di provenienza alessandrina e molte delle quali forse utilizzate nelle sue vie colonnate, come è stato già detto per i capitelli e le basi su piedistallo del tardo IV e V secolo, il cui gran numero é stato anche messo in relazione con il terremoto del 365?5 e la successiva ricostruzione degli edifici pubblici. Prevalentemente sono rappresentate colonne di marmo proconnesio, ma numerose sono anche colonne di bigio, di bigio lumachellato, di cipollino e di granito troadense; meno abbondanti, ma presenti,

sono

le testimonianze

di colonne

in altre pietre, quali il pavonazzetto,

lo iassense,

il sagario,

il granito

misio, la breccia corallina, il verde antico e il giallo antico. L'aumento delle importazioni dalle cave del Proconneso di marmo in blocchi grezzi e sotto forma di manufatti sbozzati e semirifiniti, quali basi, capitelli e colonne, che si verifica con l'età costantiniana e soprattutto a partire dalla se-

prima colonna, di m. 8,60, pesa 5a m. 8,30, 17,250 tonnellate, quella di m. 6,86,

18 tonnellate, quelle 14,250 tonnellate.

di

19 Un grandioso impiego di granito rosa e di granito grigio si riscontra nel tempio di Iside a Behbeit el-Hagar, nella zona del Delta, costruito esclusivamente in granito ed ultimato da Tolomeo II Filadelfo rispettandone l’architettura nella tradizione faraonica.

? Cat. «granito

nn.

nero»

88 in granito grigio, (diorite),

228-231

in

116 in basalto,

granito

di

Assuan,

217

e 227 in

252-254,

293,

354-355 in «granito nero» (diorite). 21 Sul trasporto delle colonne e altri manufatti egiziani: K. FITZLER, Steinbrüche

und Bergwerke

in Ptolemáischen

und rómischen

Aegypten,

Leipzig 1910, p. 139 ss.; D. MEREDITH, L. TREGENZA, in Bulletin de la Faculté de Lettres, Université d'Alexandrie, 11, 1949, pp. 1-30; J. THEODORE PENA, in Journal Roman Archaeology, 2, 1989, pp. 126-132. 2 G. Botti, in BSAA, 4, 1902, p. 121; L. BORCHARDT, in BSAA, 8, 1905, p. 5; HOPFNER, «Zwei Ptolemaierbauten», p. 69. 3 E. e M. RopziEWwICZ, in Etudes et Travaux, 11, 1979, pp. 198-

199, figg. 2-3 2 S.

WALKER,in

Ashmunein

1983

British

Museum

Expedition

to

Middle Egypt, 1984 (Occasional Paper 53). 25 K. MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, pp. 71, 76. ?6 A. DI VITA, in Antiquités Africaines, 15, 1980, p. 303 ss.

183

conda

metà

del IV

secolo,

è certamente

da mettere

in relazione

con

le mutate

condizioni

economiche

e politiche

dell’E-

gitto dopo la riforma di Diocleziano e in particolare dopo la fondazione di Costantinopoli: i cambiamenti sono relativi all’assegnazione dell’Egitto alla diocesi d'Oriente e al suo ruolo di produttore del grano per le necessità dell'annona di Costantinopoli, che come a Roma aveva il compito della distribuzione periodica del grano alla plebe della nuova capitale.

Da una parte viene a crearsi un traffico di navi onerarie che trasportavano grano, ma anche altre merci voluminose, come

blocchi

merci,

quali

e colonne marmi

di granito e di porfido,

e manufatti

architettonici

a Costantinopoli

d’importazione

Alessandria e di altri centri cristiani importanti,

e che al ritorno certamente potevano

dal Proconneso,

quali S. Mena,

destinati

alla nuova

trasportare altre

architettura religiosa

di

e ancora al rinnovamento urbanistico che ebbe luogo ad

Alessandria dopo i grandi terremoti del TV secolo (nel 306-10 e nel 365)?'. Dall'altra, appunto, l'incremento della produzione di derrate alimentari destinate ad essere esportate, anche se essa avvenne in latifondi di proprietà imperiale o senatoriale, certamente causò l’arricchimento di gruppi sociali connessi con l’amministrazione delle proprietà, il trasporto e la distribuzione dei prodotti agricoli egiziani. Da qui la possibilità ad Alessandria di un’intensa attività edilizia, testimoniataci dagli strati archeologici di età bizantina che documentano una sopraelevazione dei livelli precedenti e di cui una manifestazione furono nuove grandi strade colonnate con elementi d’importazione, dovute non solo ad esigenze di ripristini o restauri, ma anche all’imitazione di Costantinopoli, come è noto, dotata di almeno sessanta vie colonnate. Ma un altra conseguenza dei mutamenti politici ed economici nell’Egitto di questo periodo fu anche l’importanza sempre maggiore della chiesa egiziana, dovuta al peso economico raggiunto attraverso ricchi donativi da parte dei fedeli, che si tradusse nell’arredo anche marmoreo sempre più sontuoso degli edifici di culto della nuova religione.

2 Ip., in Kokalos,

184

18-19,

1972-73, p. 251 ss.

IX BASI

1.

BASI ATTICHE SEMPLICI

Le basi di età imperiale vanno preliminarmente distinte, in base ai materiali, in tre gruppi: al primo gruppo appartengono quelle intagliate in pietre dure delle cave imperiali egiziane (granito, diorite, alabastro; cat. nn. 30, 79-80, 713, 715, 720), al secondo quelle in marmo (cat. nn. 712, 714, 717-719, 721-726, 728-729), mentre al terzo quelle nei calcari locali (cat. nn. 716, 727, 730-732). Questa distinzione è necessaria in quanto a materiali come il granito, o come il marmo proconnesio, si accompagna spesso la problematica del luogo di lavorazione, cioé se direttamente nelle cave, o nei centri importatori,

che eventualmente

rifinivano prodotti semilavorati.

Basi ancora inserite in un contesto, sono quelle del Serapeo di Alessandria (cat. n. 30) e dei Serapei del Mons Porphyrites (cat. nn. 79-80) e del Mons Claudianus (cat. nn. 703, 704)!, le prime in granito di Assuan e attribuibili alla trasformazione imperiale del Serapeo, forse adrianea, (v. p. 199), le altre in un granito grigio-rossastro locale della prima età adrianea: sono articolate in un plinto quadrato e in due tori separati da una scozia, che, nel caso del Mons Porphyrites, presenta abbastanza accentuata la sporgenza del listello superiore; inoltre è poco sporgente il toro superiore, nel complesso sottile e con una convessità poco pronunciata. Va ancora ricordata una base in alabastro del Museo Copto del Cairo (cat. n. 720), con un profilo della scozia quasi campaniforme e sormontato da uno spesso listello, che è forse collegabile per le dimensioni con una colonna nello stesso materiale che si conserva nel Serapeo di Alessandria. Un altro contesto è invece quello delle basi rinvenute nel complesso di Kom el-Dik ad Alessandria (cat. nn. 714, 717-718): si tratta di esemplari in marmo proconnesio, databili nel II e nel III secolo, caratterizzati da un notevole spessore del listello superiore della scozia e da un irrigidimento e riduzione del toro superiore. Vi è infine un certo numero di piccole basi in marmo proconnesio, conservati nel convento di Abu Makarios nello Wadi Natrun del tutto rifinite, sia semilavorate, che possono considerarsi come importazioni dal Proconneso,

(cat. nn. 721-723), sia anche se rifinite local-

mente. A queste sono collegabili due basi più grandi dell'auditorium di Kom el-Dik (cat. nn. 725-726) ed una del Museo di Alessandria (cat. n. 724), che ugualmente sembrano pezzi di importazione rifiniti localmente in modo piuttosto irregolare, e sono attribuibili al V secolo d.C. Il cat. n. 729 del Museo Copto del Cairo, con le sue proporzioni alterate, data l’altezza sproporzionata della scozia rispetto ai tori, si colloca invece in una produzione abbastanza tarda, spesso legata all’edilizia cristiana e caratterizzata appunto dalla disinvolta rielaborazione delle proporzioni canoniche. Per quanto riguarda la produzione in calcare locale, va rilevato che in città come Antinoe (cat. nn. 715-716) ed Hermoupolis Magna, le basi dei monumenti pubblici principali del II e III secolo conservano pienamente la forma canonica, come è ad esempio visibile nel komasterion di Hermoupolis Magna’. Solo nei centri religiosi dell'interno vi è un abbandono di questa tradizione, come mostra una base di Kom Ombo (cat. n. 733), o altre basi della Basilica cristiana di Hermoupolis Magna (cat. nn. 730-731), queste con la scozia quasi appiattita e con i listelli divenuti piccole fasce.

2. BASI SU PIEDISTALLO Un diretto collegamento con l’architettura imperiale, secondo modalità enormemente diffuse in Asia Minore e in Siria, ma note anche in Occidente, appare il frequentissimo impiego in Egitto di basi attiche su piedistallo: tra gli esempi più antichi di questo gruppo sono da citare le basi su piedistallo, in calcare locale, reimpiegate nella Basilica cristiana di

! Cfr. W. MULLER-WIENER, in MittKairo, 22, 1967, p. 132, fig. 7; Th. Kraus, J. Roper, in AA, 1962, col. 711, fig. 10.

? D.M. Barney, «Ashmunein 1983», in British Museum Expedition to Middle Egypt, London 1984, p. 36, fig. 36,f.

185

Hermoupolis Magna, ad esempio (Fig. 122) nell'ingresso tetrastilo settentrionale (cat. n. 734), o presso il propileo occidentale, sempre del medesimo complesso (cat. n. 735), in entrambi i casi databili nel III secolo d.C., probabilmente in età antonina. Un altro esempio, noto dalle riproduzioni dello Jomard (Fig. 123) è quello del tetrastilo di Antinoe (v. p. 287), con iscrizioni sui piedistalli dedicate ad Alessandro Severo (Fig. 124). L'esempio di dimensioni maggiori, in granito di Assuan, è quello della Colonna di Diocleziano ad Alessandria (cat. n. 40), che mostra come era accuratamente sentita la differenza tra il plinto della base e il coronamento parallelepipedo del piedistallo. 5i tratta di una differenziazione strutturale che caratterizza, anche in epoca piü tarda, una produzione di tipo maggiormente classicista. Un riflesso della diffusione che in età imperiale aveva questo tipo di base con piedistallo ci é restituito in modo chiaro dal tempio settentrionale di Sobek, del II sec. d.C., a Karanis. Qui infatti gli angoli del tempio presentano il tradizionale toro trasformato in sottili colonnine poggianti su semplificate basi ad un solo toro e con il plinto sostenuto da alti piedistalli; lo stesso si verifica ai lati dei portali sull'asse del tempio, dove agli stipiti sono addossate sottilissime colonnine poggianto su una semplificata base con piedistallo stretto e molto alto (Tav. 120).

(

)

2

C

}

4.36

*

|

1 mE i

=> 2 ας

«ὡς.

BE

4355

^

iaa eaa—

1.36

A49

Fig. 122 - Hermoupolis Magna, dall'ingresso nord della Basilica czweski).

50

60

TOWN 1

base su piedistallo cristiana (dal Ron-

Il numero maggiore di testimonianze di basi su piedistalli, intagliate nel marmo (molto spesso proconnesio), è offerto dal complesso di S. Mena (cat. nn. 740-744, 748) e dagli esemplari reimpiegati nelle moschee del Cairo (cat. nn. 753754), che quasi certamente provengono da Alessandria: qui sono invece conservati nel museo pochi esemplari (cat. nn. 738-739, 745-747). Vanno infine citate le basi reimpiegate nel convento di Apa Geremias a Saqqara (cat. nn. 749-752), dove ritornano gli stessi tipi di S. Mena e del Cairo. Recenti ritrovamenti nelle cave del Proconneso e di Docimium hanno rivelato che, tra i manufatti marmorei lavorati direttamente dalle officine presso le cave, vi erano anche le basi su piedistallo*, che dunque dovevano essere esportate in uno stadio di semilavorazione, per essere rifinite nei luoghi d'impiego. Per quanto le forme di questi basi siano abbastanza simili, tuttavia si sono potute osservare variazioni tipologiche, molto spesso legate ai processi di lavorazione: la necessità di una produzione in serie ha determinato, soprattutto in epoca bizantina, varie modalità di semplificazioni rispetto al modello tradizionale, stabilitosi nella piena età imperiale e che in Egitto è ad esempio testimoniato ad Hermoupolis Magna (cat. nn. 734-735). Evidentemente, in analogia a quanto si è verificato per i capitelli corinzi asiatici e bizantini prodotti in serie, anche la forma di questo elemento architettonico ha subito modificazioni in relazione al suo amplissimo uso e ai conseguenti processi di lavorazione affrettati. Anzi a questo proposito va rilevato come per l'età bizantina un grosso ruolo deve avere avuto l'uso di basi su piedistallo a Costantinopoli, non solo nelle chiese, ma anche nelle vie colonnate, alle quali dovevano essere pertinenti capitelli corinzi dei tipi 31. p. 255.

186

CLAYTON

Fant,

Cavum Antrum Phrygiae, BAR,

482,

1989,

Ἂς

a

Fig. 123 - Antinoe, veduta d’insieme del Tetrapilo di Alessandro Severo (dalla Description de l'Egypte).

rappresentati

dai cat.

nn.

458-486.

Certamente

i modelli

costantinopolitani,

quali ad esempio

quelli rappresentati

dalle

basi su piedistallo del portico di S. Sofia^, databile tra il 404 e il 415, sono i modelli diretti a cui si ispira la produzione delle cave destinata ad essere esportata. Ad interpretazioni delle officine locali è invece dovuta tutta una serie di semplificazioni e trasformazioni presenti in numerose basi su piedistallo in calcare (cat. nn. 755, 758-762) ed anche in granito (cat. n. 756-757) dei centri religiosi del Medio e Alto Egitto, nelle quali è evidente l’imitazione del tipo «classico» in marmo: questo, talvolta, è ripreso abbastanza fedelmente, come è visibile in un esemplare nell’area della Piccola Basilica di S. Mena (cat. n. 755), dove le modificazioni riguardano soprattutto le proporzioni alterate (fusto del plinto molto ridotto, zoccolo invece molto alto), o in un’altra base di Kom Ombo (cat. n. 737), dove però il coronamento superiore del piedistallo si è trasformato in un’unica fascia sporgente; più spesso invece il modello è liberamente modificato, anche in base alle esigenze strutturali di adattamento alle colonne. 4 A.M.

SCHNEIDER,

11,2; DEICHMANN,

in ZstForsch,

12,

1941, p. 4 e ss., tavv. 10,

Architektur Kostantinopels, p. 56 e ss.

187

In quest'ottica vanno anche valutate numerose basi, nelle quali non esiste più una chiara differenziazione tra il coronamento del piedistallo e il plinto, fusi in un unico blocco parallelepipedo (cat. nn. 757-758), o nelle quali i due tori si sono uniti in un unica modanatura

ad arco di cerchio,

sormontata

da un collarino (cat.

nn.

759-762),

o ancora in cui si è

persa la distinzione tra il plinto e il piedistallo, che hanno assunto un aspetto parallelepipedo (cat. nn. 763-764). sistenza

di queste

varie forme

nella «main

church»

(cat.

nn.

756,

in granito,

759-764,

in calcare)

e nella

La coe-

«cappella

del

refettorio» (cat. nn. 749-752, in marmo e simili alle basi di S. Mena) del convento di Saqgara è certamente dovuta all'impiego di materiale di spoglio, insieme a materiale lavorato ex novo, durante le varie fasi del complesso (l'ultima fase della chiesa è attribuita al VII secolo): tuttavia ciò testimonia anche il processo di trasformazione ed il cambiamento

culturale rispetto alle forme più antiche della tradizione architettonica bizantina: si tratta di modalità comuni ad altri centri cristiani dell’interno dell’Egitto, dove ugualmente sono attestate basi simili, con il plinto fuso col piedistallo e con la riduzione ad un’unica modanatura dei tori e della scozia, ad esempio in granito a Elephantine (cat. nn. 765-766) e nel convento di Abu Makarios allo Wadi Natrun (cat. n. 768), in calcare a Luxor (cat. n. 767) e nel Convento Rosso del

Sohag®.

Fig. 124 - Antinoe, Tetrapilo di Alessandro Severo, particolare del piedistallo con l’iscrizione (dalla Description de l’Egypte).

In base a quanto detto, le basi con piedistallo qui considerate sono state suddivise tenendo conto delle modanature soprattutto del coronamento e del mantenersi o meno della separazione strutturale tra il plinto che sormonta il coronamento, ma sempre relativo al piedistallo, ed il plinto invece relativo alla base vera e propria.

> MoNNERET DE VILLARD, Sohag, p. 125, fig. 177.

188

Tipo 9: piedistalli con plinto superiore rientrante rispetto al coronamento e basi a due tori separati da scozie accuratamente concave, in calcare (cat. nn. 734-736).

Tipo 10: piedistalli con plinto superiore rientrante rispetto al coronamento molto schematizzato, base con toro superiore irrigidito, in calcare (cat. n. 737). Tipo 11: piedistalli con plinto superiore ridotto a fascia sporgente e fuso con il coronamento, rientrante,

a due tori molto

schematici,

quello inferiore a sezione angolare,

in marmo

(cat.

base con plinto leggermente

nn. 738-741).

Tipo 12: piedistalli con fascia superiore sullo stesso allineamento dei lati del plinto della base e con coronamento con listello, due astragali lisci e un altro listello; base a due tori molto schematici, quello inferiore a sezione angolare (cat. n.

742). Tipo

13: piedistalli con fascia superiore

fascia,

cavetto,

ovolo

liscio

e listello;

sullo stesso base

con

allineamento

toro

inferiore

dei lati del plinto della base e con

arrotondato

e toro

superiore

molto

coronamento

schematico

(cat.

con nn.

743-753). Tipo 14: simile al tipo precedente, ma con fusto sostituito da pulvini (cat. n. 755). Tipo 15: imitazioni in calcare e granito di tipi marmorei (cat. nn. 755-757). Tipo 16: con modanature schematizzate (cat. n. 758). Tipo 17: piedistallo con modanature schematizzate e riduzione della base ad un solo toro (cat. n. 759-762). Tipo 18: piedistallo parallelepipedo e base ridotta ad un toro (cat. nn. 763-765). Tipo 19: semplificato a zoccolo (cat. nn. 765-768). Tipo 20: piedistallo a pilastrino per transenne (cat. n. 769).

3.

BASI DI COLONNA

SU PIEDISTALLO OTTAGONALE.

Questa forma è attestata in Egitto ad Alessandria (cat. nn. 760, 775, 778), a S. Mena (cat. n. 771-772), nel convento di Abu Makarios dello Wadi Natrun (cat. n. 773), nella «main church» di Saqqara (cat. nn. 776-777), nonché in esemplari di reimpiego nelle moschee del Cairo (cat. n. 774). Basi con piedistallo ottagonale sono largamente presenti anche in Cirenaica e sono attestate in Palestina? e in Asia Minore, ad esempio nella chiesa ricavata all'interno del tempio di Afrodite ad Afrodisia, o nel Martirion di S. Filippo a Hierapolis’. Sulla loro larga diffusione in età bizantina dovette avere una certa incidenza il loro impiego nei propilei della prima S. Sofia*, dove erano alternate a basi con piedistallo quadrato: a Costantinopoli sono documentate anche basi con plinti ottagonali senza piedistallo, ad esempio nella chiesa di

S. Eufemia?. Questa forma deriva certamente dall'architettura imperiale microasiatica: basi con piedistalli ottagonali sono impiegate nel frontescena del teatro di Hierapolis, con pannelli incorniciati sui lati del fusto che avrebbero potuto essere scolpiti con motivi decorativi. E probabile che questa moda architettonica abbia i suoi prototipi nelle basi con plinto poligonale del lato est della peristasi esterna del Didymaion di Mileto, attribuite al completamento del I secolo d.C.: in questo caso sui plinti poligonali, dotati di pannelli decorati, poggiano tori circolari, poiché le basi sostenevano colonne. In età ellenistica, invece, si conoscono basi in cui anche i tori hanno forma poligonale, ad esempio una base d'acanto di Alessandria (cat. n. 780). Gli esemplari del catalogo sono stati distinti in due tipi principali in base alle sagomature del basamento e del coronamento del piedistallo: i cat. nn. 770-777 presentano sagomature simili ai nn. 742-752. Il n. 778 è invece piuttosto semplificato, in quanto la base ha soltanto il toro inferiore, mentre la scozia e l’altro toro non sono stati lavorati, facendo assumere alla parte superiore della base un contorno cilindrico (cfr. nn. 759-762).

4.

BASI D'ACANTO.

in epoca

Anche modalità,

come

in Palestina, $ E. Russo, fig. 49,1.

imperiale

abbiamo

non

basi intagliate insieme

sono documentate

rilevato,

solo in epoca

in Acta Instituti Romani

di origine alessandrina (v. p.

ellenistica, Norvegiae,

ma 6,

anche 1987,

ad una corona di foglie d'acanto,

p. 178,

* Torino ? bingen ?

secondo

che troviamo diffusa anche in Asia Minore,

imperiale '?. Citiamo

TP. VERZONE, in Quaderni de «la ricerca scientifica» CNR, Roma p. 333, dove il Martirion, con sedici colonne poggianti su basamento ottagonale, é datato alla fine del IV — inizi del V secolo d.C.

‘1978,

121),

ancora gli esempi

del tempio

una

in Siria e

di Adriano

a

R. KRAUTHEIMER, Architettura paleocristiana e bizantina, ed. it., 1986, p. 137. W. MULLER-Wiener, Bildlexikon zur Topographie Istanbuls, 'Tü1977, p. 123, fig. 108. MACOWIECKA, «Acanthus-base», pp. 118-119.

189

Fig. 125 - Antinoe, Tetrapilo di Alessandro Severo, della base d'acanto (dalla Description de l'Egypte).

Cizico,

dell'arco

di

Marco

Aurelio

a Tripoli

e

dall'esedra

della

strada

particolare

colonnata

a Leptis

Magna,

di

età

severiana!.

Anche per questi esemplari la corona d'acanto in realtà avvolge strutturalmente la parte inferiore della colonna, ed è per questo che nell'esemplare cat. n. 790 il toro visibile alla base della corona puó essere interpretato come parte dell'imoscapo, piuttosto che della base: in quest'esemplare, ben databile dall'iscrizione all'età di Commodo, l'acanto della corona & del tipo spinoso asiatico, che viene utilizzato anche nel cat. n. 791, in calcare proveniente da Gabbari, nel quale la

base vera e propria ha un aspetto troncoconico. L'uso in Egitto anche durante il III secolo di questa forma & documentato dalle basi di uno dei tetrastili di Antinoe

(Figg.

123,

125) rilevati dallo Jomard

e ben databili in base all'iscrizione sul

piedistallo all'epoca di Alessandro Severo! (Fig. 124). Il loro impiego è ancora attestato nei tetrapili del campo fortificato di Luxor, anche in questo caso monumenti ben datati in base all’iscrizione agli inizi del IV secolo (cat. nn. 793794): l’acanto è sempre di tradizione asiatica, ma reso in una interpretazione locale che ne appiattisce e semplifica la

struttura. Questi tipo di acanto influenza anche esemplari più tardi, come il cat. n. 795 di Hermoupolis, o il cat. n. 796 di Oxyrhynchos, del V secolo d.C. La ripresa della colonna d’acanto è inoltre documentata

anche nei centri religiosi dell’interno,

ad esempio

nel con-

vento di Saqqara (cat. n. 797): anche qui vi è un acanto spinoso, ma molto stilizzato, con una serie di triangoli in successione verticale che si formano tra le foglie, molto alte e strette. Un problema a parte dell’auditorium di Kom el Dik (cat. nn. 798-799), in quanto le strette foglie allungate zone d’ombra circolari, a cui ne segue un’altra irregolarmente triangolare: si tratta di una basi d’acanto di Kom esch Shogafa (cat. nn. 787-789), ma che in realtà è da considerare lenistico, operata ad Alessandria stessa nel periodo imperiale e bizantino.

J.B. WARD PERKINS, in JRS, 38, 1948, p. 64. ? JoMARD, Description de l'Egypte, IV, tav. 60; MANN,

190

Die

Quellbezirk

von

Nîmes,

Berlin-Leipzig

1937,

cfr.

R.

NAU-

Baney,

p. 48;

D.M.

Egypt,

«Ashmunein (Occasional

1984»,

Paper 61),

pongono invece due esemplari della corona formano tra i lobi forma che può ricollegarsi alle una ripresa dell’acanto tardo-el-

in British Museum London

1985,

p. 23.

Expedition

to Middle

PREMESSA

Questa parte del volume

è dedicata alla definizione dei luoghi di provenienza degli elementi architettonici del cata-

logo. Il problema si è posto in particolare per il materiale del museo di Alessandria risalente ai ritrovamenti degli ultimi decenni del secolo passato e ai primi di questo: come risulta dall'indice delle provenienze e dei numeri di inventario in fondo al volume,

esso proviene sía dalla città antica, sia dalle necropoli, ma il fatto di essere stato rinvenuto in occasione

di lavori edilizi, in particolare durante lo scavo per le fondazioni, ha determinato la mancanza pressoché totale di informazioni sul contesto di rinvenimento, ad eccezione di pochi casi, nei quali tuttavia la documentazione archeologica è molto frammentaria. Di conseguenza dai registri inventariali risulta quasi esclusivamente il nome moderno della via o del terreno in cui é avvenuta la scoperta, accompagnato talvolta dal nome del proprietario. Solo la costruzione di edifici pubblici, quali ospedali o scuole, ha reso possibile la presenza piü continua dell'assistenza archeologica allo scavo, che ha permesso il recupero di una maggiore quantità di dati inerenti al materiale trovato, immesso poi nel museo sotto forma di donazione da parte del direttore dell'ente (v. ad esempio la donazione Schiess Bey). Lo stesso vale per gli oggetti rinvenuti durante i lavori edilizi nelle proprietà di influenti e ricchi personaggi dell'epoca, come il pascià Omar Tousson: di essi si conoscono alcuni dati sulla provenienza, ma in comune con tutti gli altri ritrovamenti alessandrini vi è quasi

sempre la mancanza di chiare informazioni sui contesti architettonici. I materiali del catalogo collocati in altri siti egiziani invece sono stati scelti prevalentemente in base al criterio del contesto noto, in quanto questa conoscenza, soprattutto per i pezzi di età imperiale, ha fornito un contributo alla ricostruzione dei tipi edilizi originari in cui potevano essere impiegati gli elementi del museo di Alessandria privi di dati sulla provenienza. Sono queste le ragioni per le quali si è scelto di fornire un inquadramento storico-architettonico di monumenti di

Alessandria, come il Serapeo e il complesso di Kom el Dik, da cui provengono elementi architettonici per i quali è nota o è possibile ricostruire la collocazione originaria. Inoltre, se era possibile rinviare al primo volume del Repertorio dell’Egitto greco-romano, dedicato ad Alessandria, per un inquadramento generale sulla città e sui monumenti noti in base alle fonti o agli scavi archeologici (in questo caso soprattutto delle necropoli), altrettanto non si poteva per gli altri siti egiziani nei quali vi siano resti di architettura nella tradizione greco-romana: di conseguenza si è ritenuto opportuno redigere un limitato quadro riassuntivo delle conoscenze su alcune delle città principali a questo riguardo (Hermoupolis Magna, Antinoe, Dionysias, Tebtynis, Teadelfia, Abu Mina, Saqqara, Bawit) e delle quali nel catalogo siano raccolti alcuni degli elementi architettonici.

193

ALESSANDRIA

1.

IL SERAPEO

È stato più volte rilevato come la complessità delle vicissitudini che hanno accompagnato la lunga storia del Serapeo di Alessandria abbia reso estremamente difficile ricostruirne le varie fasi di sviluppo: di conseguenza manca fino ad ora un’esauriente interpretazione del grandioso campo di rovine che caratterizza tutt'oggi il pianoro dell’«acropoli» alessandrina. Gli scavi sulla collina di Rhakotis! sono stati condotti in maniera frammentaria e già Achille Adriani? metteva in risalto la necessità «di un riesame ex novo delle rovine e una rielaborazione critica dei vecchi e nuovi risultati di scavo»: le pagine che seguono costituiscono un tentativo in questa direzione, in quanto si mettono a confronto i dati ricavabili da altri serapei egiziani e dalle rappresentazioni monetali del Serapeo di Alessandria, raccolte dalla Handler, con i dati noti sul complesso,

da ultimo

riassunti dall’ Adriani.

Le fonti più importanti che illustrano più ampiamente il Serapeo sono: Ammiano Marcellino (XXII, 16, 12-13), il retore di Antiochia Aftonio, che lo visitò nel 315 (Progymn.) e Rufino, un prete cristiano che assistette alla distruzione del Serapeo

(Hist.Eccles.,

II, 22-26,

33; XI,

23).

Dall’analisi di queste fonti gli studiosi che si sono occupati del monumento hanno potuto dedurre che all’inizio del IV secolo d.C. c’era ad Alessandria un acropoli con l’aspetto di fortezza: su di essa sorgeva un santuario dedicato a Serapide?, a cui si accedeva per una grande scala di cento gradini, in cima alla quale vi era un propylon monumentale tetrastilo, chiuso da porte di bronzo e con un oecus descritto con una copertura a cupola*. Dentro il recinto che limitava il santuario sono ricordati una «grande sala centrale» (probabilmente il tempio) circondata da un colonnato, due obelischi di granito,

una colonna di dimensioni

straordinarie,

una fontana,

una biblioteca.

Fonti epigrafiche e le campagne di scavo, condotte dal Botti prima e dal Rowe dopo, provano l’esistenza di altri monumenti oltre a quelli citati da Aftonio e Rufino, come per esempio il c.d. Iseo di Botti ed un edificio di pianta quadrata interpretato

come

mausoleo

tolemaico,

ma,

secondo

il Rowe?,

usato per altri scopi durante

il periodo

romano,

forse

un edificio templare. Antichi autori ebrei e arabi concordano Serapeo’:

alla «biblioteca figlia»

! L'identificazione

sembra

della collina del Serapeo

sull’esistenza di una «biblioteca figlia» e di una stoà o museo nell'area del

anche

con

alludere Epifanio

(I, 524),

^ Il propylon

la collina di Rha-

kotis è stata confermata dagli scavi di Mahmud El-Falaki nel 1866 (cfr. Ip., Memoire sur l’antique Alexandrie, Copenhagen 1872), dal Botti nelle memorie presentate alla società archeologica nella seduta del 17 Agosto 1895 (cfr. L'acropole d’Alexandrie et le Sérapee d’après Afhtonius, Alexandrie 1895); infine la definitiva conferma del sito si ha con

gli scavi del Rowe del 1942 e con la sua scoperta di placche di fonda-

un vescovo

del IV secolo.

era sorretto da quattro

enormi

colonne,

due per lato;

Polibio ne fa riferimento a proposito della rivolta di Cleomene: «il comandante della cittadella (l'acropoli) ne protesse la porta» (cfr. A.J. BurLER, The arab conquest of Egypt, p. 382). La cupola dell'oecus era dorata.

Oxford

1902,

ristampa

1978,

? Cfr. A. Rowe, in BSAA, 35, 1942, p. 127.

at

$ Cfr. S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 67 sulla possibile utilizzazione di questa biblioteca come sede degli archivi amministrativi.

? Cfr. ADRIANI, Topografia, p. 90 ss. ? Aftonio parlando dell'Acropoli non menziona mai il Serapeo, si limita a citare celle dedicate a piü dei. Il Botti ne trova conferma in un

blioteca del Museo. Secondo Botti questa «Biblioteca madre» dopo Settimio Severo (193-211) non esisteva più e dopo Caracalla (211-217) non esisteva più neanche il Museo. In seguito alla distruzione della vecchia

piccolo

Biblioteca tutta l’attività scientifica e filosofica si spostò nel Serapeo,

zione con testi epigrafici multipli (cfr. A. Rowe, Pompey's Pillar» in BSAA, 35, 1942, p. 123 ss.).

Dio)

«New

Escavation

7 Fu detta «biblioteca figlia» per distinguerla dalla più grande Bi-

tronco in granito nero con una iscrizione su un lato: «(Al

Serapide e agli altri dei (che sono)

nello stesso tempio,

salute dell'imperatore Traiano Adriano Augusto...» pole d'Alexandrie, cit., p. 22).

gran

per la

(Cfr. BOTTI, L'acro-

dove

continuò

a vivere

la scuola

centro della cultura mondiale cit., p. 424 ss.).

aristotelica,

(cfr. BUTLER,

che

fece

di Alessandria

il

The arab conquest of Egypt,

195

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SERAPIS (PTOL. mz.)

ü

126 - Alessandria, Serapeo, pianta con scavi fino al 1945 (dal Rowe).

A. Il recinto nelle sue due fasi, tolemaica e romana (Fig. A

sud-ovest

della colonna

di Diocleziano

sono

126).

state rinvenute

dal Rowe,

durante

le sue campagne

di scavo

del

1942-45, varie fondazioni, con blocchi di calcare inseriti in profondi tagli rettilinei della roccia, che furono oggetto di numerose fosse di spoliazione che hanno tuttavia lasciato qualche blocco in situ; inoltre nella trincea interna, ad ovest del

sito, è stato ritrovato un unico frammento di capitello ionico in marmo bianco, attribuito all'età tolemaica?. Interpretate come fondazioni del recinto tolemaico, esse hanno permesso di ricostruire l’esistenza di un muro di cinta e di un colonnato interno, forse ionico, lungo i suoi lati maggiori, supposto anche per i lati brevi. Il Rowe ricostruisce le dimensioni esterne del recinto in m. 173,70x76, con un larghezza internadi m. 55. Sul lato lungo occidentale, la parete di fondo del portico presentava sul retro una serie di vani rettangolari che la separavano

dal muro

esterno

del recinto.

Sul

lato corto

meridionale,

dietro

ai due

muri

di fondazione

del colonnato

e del

muro di fondo del portico, vi sono altri tre muri paralleli ad essi. I due più esterni limitano stretti vani rettangolari (almeno 19), separati da setti murari ugualmente spessi, questi probabilmente con funzione anche di muri di controspinta, che indicherebbe la natura di sostruzioni di questi vani, posti ad un livello inferiore rispetto al piano del santuario. Tra i vani ed il muro di fondo del portico lo spazio è suddiviso dall’altro muro di fondazione: si riconoscono a ovest due corridoi con resti di una pavimentazione marmorea, mentre ad est lunghi vani rettangolari. Su questo muro di fondazione sono state viste «tracce sicure» di un colonnato che vi poggiava sopra’.

8 A. Rowe, «Discovery of the Famous Temple and Serapis at Alexandria», in Suppl. ASAE, 2, 1946, p. 19.

196

Enclosure

of ? Ip., p. 22.

Ancora su questo lato sud il portico interno sembrerebbe interrotto, non però al centro, da una grande «nicchia tripartita», in realtà tre vani, sempre a livello di fondazione, larghi complessivamente m. 18, intagliati nella roccia e con le pareti intonacate. Qui fu scoperta una colonna di granito rosso distesa al suolo e rotta in due pezzi (cat. n. 31), alta circa m. 9, con un diametro all'imoscapo di m. 1,26 e al sommoscapo di m. 1,18. A sud-est di questa ci sono i resti di un'altra colonna e di almeno due basi di colonna (cat. n. 30), sempre nello stesso granito. Si tratta di elementi attribuibili alla successiva fase, imperiale che per dimensioni non possono essere collegati con il colonnato, il quale poggiava sopra il muro di fondazione sul retro del portico (v. sopra)! si presterebbe meglio data l'altezza delle colonne, un'ipotesi di provenienza dallo stesso tempio di Serapide, che era però collocato sul lato opposto del recinto". In definitiva va rilevato che non è sempre chiara la situazione dei livelli, ma è possibile accettare l'interpretazione della «nicchia tripartita», dei 19 vani di sostruzione e dei corridoi e spazi intermedi, come appartenenti al complesso sostruito artificialmente che caratterizza il lato sud del santuario e che in parte era forse destinato alla famosa «biblioteca figlia», in parte forse a sacelli di culto. Durante gli anni 1943-44 furono anche scoperte le fondazioni in opera cementizia di tre muri che correvano paralleli al lato orientale del recinto tolemaico. Il muro più esterno presentava inoltre una grossa sporgenza rettangolare, una specie di terrazza («lower terrace»), presso cui sono state trovate delle scale. Queste fondazioni appartenevano al recinto di età imperiale e, poiché le fonti lo descrivono come quadrato, il Rowe in un primo momento lo ricostruì con questa forma: in seguito le successive campagne di scavo fecero ritenere più probabile un ingrandimento solo del lato orientale e dei lati minori e, conseguentemente, venne proposta un’area di m. 205,70x105,55. L’Adriani ritiene tuttavia che un estensione dello scavo sul lato occidentale potrebbe modificare queste

dimensioni, rivelando forse una maggiore larghezza". Il fatto che il recinto fosse costituito da tre muri, permise di ricostruire all’interno un portico colonnato diviso in due navate. Ad esso paiono attribuibili le colonne di granito grigio, alte m. 7,10/7,15, rinvenute dal Botti nel 1895 presso l’«Atrio» dei sotterranei! (cioè l'ingresso a pozzo che immetteva nei sotterrani, collocato presso l'angolo sud-ovest del tempio di Serapide, v. oltre): il grande numero di colonne di questo portico ci è testimoniato dalla notizia che nel 1167, per esigenze di fortificazione, furono gettate nel porto almeno 400 colonne provenienti dalla «Colonna dei Pilastri», nome

arabo della Colonna di Pompeo". All'esterno il recinto ci è noto quasi esclusivamente dalle descrizioni di Rufino: inferiormente vi sarebbe stato un samento voltato, sopra cui vi era un piano superiore i cui angoli erano occupati, tra l'altro, da sale di lettura. Se di questo basamento facevano parte i 19 vani del lato sud, ciò potrebbe essere un indizio che l'allargamento età imperiale inglobó e riutilizzó questa parte del santuario, e che dunque il lato sud del recinto romano doveva essere poco piü ampio di quello precedente. Inoltre va rilevato come sia rimasta non scavata l'estremità del lato nord, data presenza del cimitero arabo di Bab Sîdra, e come manchi dunque l'evidenza archeologica sulla collocazione del recinto tolemaico, sia romano, su questo lato: di conseguenza mi sembra che possa anche proporsi — in analogia ai Serapei

badi di la sia del

Mons Porphyrites e del Mons Claudianus e anche in analogia al Santuario tolemaico di Hermoupolis Magna, in cui abbiamo proposto di identificare un Serapeo (v. p. 252) — che questo lato del recinto coincida con il muro di fondo dei templi tolemaici di Serapide e di Iside nella prima fase; lo stesso in quella successiva, quando su questo lato fu ricostruito un unico grande tempio ed una piscina. In età romana l'ampliamento maggiore del recinto riguardó dunque soprattutto i lati est ed ovest, mentre molto minore dovette essere sugli altri due lati. B.

Tempio di Serapide

All’interno dei due recinti, verso l'estremità settentrionale del pianoro, vi sono resti di costruzioni le cui fondazioni occupano buona parte del settore centrale e meridionale di questa estremità. Si tratta di fondazioni in opera cementizia, in alcune parti gettate su precedenti fondazioni in blocchi di calcare, di una costruzione in un primo tempo creduta unitaria e di età tolemaica:

il Botti

infatti aveva

identificato

questi resti con

un Iseo.

Gli scavi

del Rowe,

tuttavia,

di depositi di fondazione con tavolette il cui testo era uguale alle altre trovate agli angoli meridionali narono una revisione della topografia del luogo: l'Iseo risultó essere il tempio di Serapide, costruito esso era affiancato ad ovest un edificio piü corto, forse contemporaneo. Fu provata inoltre, con la pozzetti di fondazione, l'esistenza di un sacello dedicato da Tolomeo IV ad Arpocrate e di un'altra tigua. Di conseguenza non c’è coincidenza tra la pianta disegnata dal Botti e quella del Rowe: infatti menti di ricostruzione nel rilievo senza distinguerli da esso e fornisce una pianta in cui apparirebbe con pronao colonnato, a cui si sarebbe acceduto tramite una grande scalinata corrispondente ad un

romano,

tuttavia

non

si può

escludere

che

con

la scoperta

del recinto, da Tolomeo scoperta di cappella ad

il Botti introduce eleuna cella rettangolare ampio intercolumnio

siano

anche

tardo-tolemaiche

? Cfr. Ip., tav. 8, dove le colonne di granito e le basi appaiono più larghe dello spessore del muro con le impronte del colonnato. "Le due colonne, più una terza uguale trovata all'estremità est

(cfr. A. Rowe, in Suppl. ASAE, 2, 1946, p. 23, nota 3). ? ApRIANI, Topografia, p. 93. 13 Cfr. A. Rowe, in Suppl.ASAE, 2, 1942, p. 3, nota

della «great trench», per il Rowe fanno parte del portico del recinto co-

BSAA, 35, 1942, p. 134.

lonnato

intorno

al

tempio;

se

sono

in

genere

attribuite

al

periodo

4 ADRIANI,

determiIIT, e ad altri otto esso con-

2; Ip.,

in

Topografia, p. 92.

197

centrale nel pronao; ai lati di questa scala appaiono vani rettangolari, ma non è chiaro se essi siano a livello di fondazione. La cella avrebbe muri molto spessi, eccetto quello di fondo, in quanto vi era aperto uno stretto vano rettangolare. Il Botti inoltre aveva rilevato fondazioni in opera cementizia intorno a queste strutture e le aveva interpretate come le

fondazioni di un grande periptero quadrato intorno al tempio”. Il Rowe distingue invece le fondazioni in blocchi, che attribuisce all’epoca tolemaica, da quelle in opera cementizia, dell’epoca romana. Inoltre nel prosieguo dello scavo dell’area Botti verso ovest, rileva altre strutture, che nella pianta ri-

sultano appartenenti ad un edificio quadrangolare con all’interno due spessi muri paralleli: sul fianco di quello più ad ovest si forma una serie di piccoli vani rettangolari. Questo edificio appare più corto rispetto a quello precedente, scavato dal Botti. Queste nuove strutture e le precedenti permettono al Rowe di ricostruire due templi affiancati di età tolemaica: uno dedicato

da

Tolomeo

HI

a Serapide,

largo

m.

16,20,

ed

uno

più

corto

e arretrato

sul fronte,

probabilmente a Iside; al primo di essi, a est, era addossato un sacello di Arpocrate, detto, da Tolomeo IV.

largo

di m. 8,80x5,

m.

19,15,

dedicato,

dedicato

come

si è

Si tratta di una sistemazione caratterizzata da più aule di culto affiancate, con preminenza data a quella di Serapide, che richiama l’analoga sistemazione visibile in un Serapeo più piccolo della prima età adrianea: ci si riferisce a quello del

Mons Porphyrites, che per quanto diverso, è caratterizzato da una simile sistemazione, costituita da un tempietto prostilo, ai cui fianchi sono accostate aule di culto di diverse dimensioni, una più larga e arretrata rispetto al pronao del tempietto, l’altra una cappella più piccola; il tempietto non è inoltre al centro del lato posteriore del recinto, ma spostato verso la cappella più piccola!$. Si è già detto che questa sistemazione poteva essere un indizio che anche nel Serapeo di Alessan-

dria il lato di fondo del recinto tolemaico vada ricercato subito dietro i templi'e il sacello accostati di Serapide, Iside e Arpocrate; è inoltre una conferma della non necessaria centralità del tempio di Serapide rispetto a questo lato. Anche la scalinata di accesso laterale, e non sul fronte, del recinto del santuario del Mons Porphyrites, certamente dovuta anche a motivi topografici, data la collocazione del monumento su un’altura, potrebbe comunque essere un indizió che conferma la posizione dell’accesso monumentale al recinto di Alessandria proprio sul fianco est, dove sono stati trovati resti di scalinate anche di epoca tolemaica,

e non al centro del lato sud,

in contrapposizione

ai templi.

Infine i resti delle spesse fondazioni in opera cementizia rinvenuti sui fianchi dei due edifici, al centro tra di essi e sul fronte di quello più sporgente, hanno permesso di ricostruire una grande trasformazione in età romana, quando i templi affiancati furono sostituiti da un unico grande tempio, che inglobava all’interno delle sue fondazioni quelle precedenti. Il Rowe ritiene che il nuovo tempio di Serapide venne in pratica a sostituire quello più sporgente, di cui aumenta leggermente la larghezza, che ora raggiungerebbe i m. 21,10, mentre non è chiaro cosa avviene dell’edificio tolemaico

contiguo più corto. Tuttavia, poiché sul fianco ovest di questo fu rinvenuto uno spesso tratto di muratura in opera cementizia simile agli altri, ci si chiede se il podio del nuovo tempio non avesse inglobato entrambi i precedenti edifici, costituendo una piattaforma larga poco più di m. 40, su cui si sarebbe elevato il nuovo tempio. A ciò non osta il cosiddetto «atrio» nell’angolo sud-ovest di questo enorme podio, perche esso immetteva in un vasto complesso di sotterranei, di cui non vi è indizio di strutture emergenti in superfice. Inoltre le colonne di granito di Assuan dal diametro inferiore di m. 1,26, trovate sull’altro lato del recinto (cat. n. 31), se appartenevano a questo tempio, si addicono meglio ad un tempio più largo di quello ricostruito dal Rowe. È presumibile inoltre che la ricostruzione del tempio e del recinto possa aver comportato un asse di simmetria nel complesso, in analogia ai grandi santuari di età imperiale che rientrano nell’architettura ufficiale: stabilendo l’asse al centro del podio ora ipotizzato, ed essendo nota la distanza tra questo ed il fianco est del recinto di età romana, può rico-

struirsi la posizione del fianco ovest, che viene in tal modo ad includere i resti trovati su questo lato. Se invece è vera la ricostruzione del tempio imperiale fatta dal Rowe, mantenendo ferma l’ipotesi che la trasformazione del santuario di questo periodo abbia comportato l'inserimento di un preciso asse di simmetria, si deve allora ritenere che l'ampliamento

romano riguardò quasi soltanto il fianco est, perche in tal caso il tempio verrebbe a trovarsi al centro del lato nord di fondo

del recinto,

che risulterebbe,

secondo

il Rowe,

largo esternamente

Sull’originario aspetto del tempio si hanno ugualmente

m.

105,55

scarse informazioni.

e all’interno m.

76,90.

Vaghe referenze nelle fonti, quali Apol-

lonio Rodio, che definisce nel III secolo a.C. corinzio il Serapeo di Canopo (v. p. 11), ci permettono comunque di arguire che lo fosse anche quello di Alessandria. Dagli scavi del Botti e del Rowe è risultato che il tempio,

orientato a sud-est,

presentava una scalinata d’accesso

monumentale, in quanto sul lato sud-est sono stati ritrovati gli allettamenti dei gradini!” è inoltre ricostruito periptero per l’affermazione di Aftonio, che menziona un’aulè perìstylos all’interno del santuario, forma che potrebbe essere confermata dall’analogia con il piccolo Serapeo di Luxor (v. p. 11): non vi sono tuttavia dati archeologici per confermare ciò.

Tuttavia una lunga serie di emissioni monetali alessandrine, dall’età traianea a quella di Marco Aurelio, raffigurano la facciata del Serapeo. Esse sono state suddivise dalla Handler? in tre tipi: il primo con il dio stante nel tempio, questo con frontone triangolare sorretto da due o da quattro colonne corinzie; il secondo con una versione del tempio più sempli-

15 Cfr. G. Born, L'acropole d’Alexandrie, cit.; Ip., «Fouilles à la colonne Theodosienne», in MemSAA, 1897. 16 W. MULLER-WIENER, in MittKairo, 22, 1967, p. 174, fig. 17.

198

U A. Rowe, in Suppl.ASAE, 2, 1946, p. 61. δ S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 66 ss.

ficata, ma con Serapide insieme all'imperatore Adriano; il terzo con il tempio simile al primo tipo, anche se ancora più semplificato, e con disco centrale nel frontone (una moneta di questo tipo mostra dentelli sotto il frontone), ma con il dio seduto in trono. La Handler ritiene che queste monete raffigurerebbero il tempio ellenistico, quale ancora si conservava in

età imperiale fino al II secolo d.C., rifiutando la cronologia del suo rifacimento in età adrianea del Botti e del Rowe! infatti essa interpreta la rappresentazione di Adriano insieme a Serapide nelle monete del secondo tipo, non come indizio di attività edilizie di questo imperatore connesse col Serapeo, ma come allusione alla nuova funzione di una parte del Serapeo (la «biblioteca figlia») come archivio, a cui alludono le stele tenute da Serapide o da Adriano nelle rappresentazioni monetali del tempio del primo e secondo tipo?°. Di conseguenza, in base alle ultime emissioni monetali sotto Marco Aurelio con questo tipo di rappresentazione, avanza l’ipotesi che il tempio fosse ricostruito sotto Caracalla, in base al

fatto che la piscina vicina, che ritiene contemporanea, ha restituito, da depositi di fondazione, monete dal periodo di Traiano fino a quello di Caracalla e Geta, ed è stata quindi datata al 215, quando Caracalla venne ad Alessandria?! A ciò può forse opporsi l’obiezione che le rappresentazioni monetali in ogni caso avrebbero restituito un tipo simbolico di edificio templare, non necessariamente distinguendo quello ellenistico dalla trasformazione romana; inoltre la riforma adrianea sul luogo di conservazione degli archivi non sembra sufficiente a spiegare la comparsa dell’imperatore all’interno del tempio di Serapide rappresentato nelle monete: una ricostruzione da lui promossa, forse in seguito alle distruzioni seguite alla rivolta ebraica del 114-115, sembra invece una ragione più importante, considerando inoltre il ruolo

di Adriano nel promuovere costruzioni monumentali in Egitto e ad Alessandria stessa (è nota l'affermazione che «Ha-

drianus Alexandriam a Romanis eversam publicis reparavit impensis» delle Chr. Min.)?. Questa cronologia si accorderebbe con quella proponibile per gli elementi in granito di Assuan, rinvenuti dal Botti, del portale del recinto di età imperiale (cat.

nn.

33-35),

osservato (v. p. 167), voga in Asia Minore m.

su un

135x98,

ancora nella tradizione alessandrina.

dei Severi

Il periodo

e quindi di Caracalla,

come

già

abbiamo

è caratterizzato anche in Egitto dall'assunzione definitiva delle forme dell’architettura ufficiale in e in Siria; inoltre se è vero che sotto Caracalla si costruì a Roma un grandioso Serapeo di

terrazzamento

in buona

parte

artificiale

sul margine

del Quirinale,

una

con

scalinata monumentale

di

accesso, che in definitiva richiama quello di Alessandria?, tuttavia va rilevato che il soggiorno di questo imperatore ad Alessandria fu caratterizzato da un'aperta lotta contro il popolo alessandrino, che culminó nel massacro dei giovani raccolti nello stadio e nel saccheggio della città, almeno a giudicare da quanto ci è tramandato da Cassio Dione?^'. Ciò mal converrebbe ad una promozione edilizia di tale portata, quale era rappresentata dalla monumentale ricostruzione del Serapeo a giudicare dall'altezza delle colonne ritrovate: anzi il Serapeo di Roma aveva forse lo scopo di superare in grandezza quello di Alessandria, ad ulteriore punizione della città. E noto infine come il tempio alessandrino fosse distrutto dal palnianea Teofilo I, su ordine di Teodosio, nel 391, e come sui suoi resti fosse costruita la chiesa di S. Giovanni Battista?, che non è chiaro se sia da distinguere dalla chiesa monofisita

C.

dell' Angelion,

costruita nel 539.

Il «mausoleo »

Gli scavi del Botti del 1896 misero in luce larghe trincee di fondazioni a sud-ovest della Colonna di Diocleziano, che in origine dovevavo ospitare blocchi, ma furono, al momento dello scavo, rinvenute quasi del tutto «spogliate»: esse erano inerenti ad un edificio di forma quasi quadrata, che però non potè allora essere scavato completamente per l’esistenza sul sito di abitazioni arabe. Gli scavi furono ripresi dal Rowe nel 1942: essi permisero, oltre alla definizione dell’andamento delle fondazioni, anche la scoperta di un passaggio sotterraneo completamente scavato nella roccia. La costruzione

si presenta

a pianta rettangolare

(m. 27,50x24,60),

con fondazioni

scavate

nella roccia fino a m. 2,60

di profondità e larghe m. 4,40. Tutto quello che poteva essere racchiuso dai muri è scomparso, tranne un piccolo tratto di

pavimenti, attribuito all’età romana, e l'imbocco del passaggio che scende sotto l'angolo sud-est della costruzione.

Questo passaggio è completamente scavato nella roccia, ma in origine aveva pareti rivestite di blocchi e forse una copertura a volta: è alto fino a m. 3,70 ed è lungo complessivamente m. 60. Dall’angolo superiore del lato sud dell’edi-

ficio, dopo un paio di deviazioni ad angolo retto, il passaggio sbucava non molto lontano, a m. 28 a nord. Nell’area dello scavo è stata trovata la parte inferiore di trincee di fondazione. Il Botti aveva interpretato questa struttura (è noto il passo sandrino in quest'area) come un antichissimo tempio faraonico, come un grande mausoleo tolemaico. Entrambe queste ipotesi perché la costruzione originale e il suo passaggio non trovano

2 Chr.Min.

Y,

pp. 422,540;

Topografia,

p. 43,

I,

p. 141; nota 93,

CALDERINI,

e frammenti

Guida Archeologica, Bari 1983, p. 243.

di granito

rosso

nelle

Hist. IV,84, sull’esistenza di un tempio 2 nel periodo tolemaico o romano a Serapide”9, riprese e poi abbandonate dal Rowe: la ἊΝ nei templi faraonici e greco-romani; la seconda

G.

LumBroso,

in BSAA,

12,

1910,

2% BOTTI, «Fouilles à la colonne Theodosienne», cit., pp. 122-123.

Dizionario,

che riporta l’opinione che

il luogo di Romanis si dovesse leggere Judaeis. 23 E, COARELLI, Roma.

di Tacito, ridedicato sono state riscontro

corinzio

^ Cass. Dio., 77, 23,3: Cfr. p. 71 ss. ?5 Rurin., Hist.Eccles., 11,28.

19 A. Rowe, in Suppl.ASAE, 2, 1946, pp. 62-64. ? S. HANDLER, in AJA, 25, 1971, p. 67. ? A, Rowe, in Suppl.ASAE, 2, 1946, p. 62. p. 70; ADRIANI,

un capitello

Cfr.

A.

Rowe,

in BSAA,

35,

1942,

p. 144 ss.; ADRIANI,

Topografia,

p. 91, anche sulle fonti relative all’esistenza di sacelli di culto ad Iside ed Osiride ed un tempio di Serapide precedente a quello di Tolomeo III.

199

perché la definitiva prova che il tempio sul lato nord era quello dedicato a Serapide, e non a Iside, permetteva di escludere la costruzione nell'area di un cosi grande mausoleo funerario, o anche di un altro tempio di Serapide, a meno che questo non sia da identificare con un primitivo tempio di Serapide, che precedette quello di Tolomeo III. Si tratta dunque di

ipotesi

non

verificabili,

come

anche

quella,

rileva

l'Adriani,

di

considerare

un'altra

grande

trincea

(«foundation

trench») che a sud-ovest abbraccia l'area del «mausoleo», come destinata a custodire gli oggetti di culto?" Anche se fosse vero un Iseo e che entrambi sembra in definitiva che luogo di culto nello stile

che nel secondo edificio più corto, accostato al tempio di Serapide tolemaico, sia da riconoscere 1 due templi fossero poi inglobati nelle fondazioni della grandiosa ricostruzione imperiale, mi non sia da scartare la possibilità che nelle fondazioni del «mausoleo» sia da riconoscere un architettonico di tradizione faraonica, forse proprio un tempio di Iside o di Iside e Arpocrate. A

questo proposito possono richiamarsi alcune emissioni monetali alessandrine di età traianea ed adrianea, che rappresentano la facciata a pilone di un Iseo?5, dunque edificato in stile e tecnica costruttiva faraonici (a cui potrebbero convenire fondazioni in blocchi così larghe), o le emissioni di età adrianea e antonina, che rappresentano un santuario di Iside e Arpocrate?, con il timpano curvo secondo la nota tradizione alessandrina: va ancora rilevato che dalla collina di Rhakotis pro-

viene un’iscrizione dedicata a Isis Mater?°, il cui santuario doveva certamente essere collocato nel Serapeo, che appunto sorgeva su questa collina. D.

Altre strutture.

A sud-est del tempio di Serapide vi è un grande pozzo quadrangolare scavato nella roccia («Atrio»), con pareti rivestite di blocchi di calcare. Da esso partivano delle gallerie sotterranee, ad andamento irregolare, di cui una raggiungeva il sottosuolo della Colonna di Diocleziano. Le pareti delle gallerie accoglievano nicchie di differente forma e grandezza, e la loro destinazione più probabile era forse quella di accogliere riti segreti legati ai culti”. In queste

nicchie,

come

ipotizza il Botti,

che

le rilevò nel

1895,

venivano

collocate

le mummie

di animali

sacri.

Il

Botti trovò anche, fra le altre cose, una grande statua del bue Apis (in pezzi, in parte mancanti). La statua è di granito nero e del periodo di Adriano, come si desume dall’iscrizione, con dedica al «gran dio Serapide per la salute dell’Imperatore Cesare Traiano Adriano Augusto». Strutture simili esistono comunque nel Serapeo di Memphis e a Tuna el-Gebel. È stata trovata

anche

una

stele votiva con

dedica a Hermanoubis,

frammenti

di statuette in marmo

noubis, Serapide e Venere, gioielli in oro, ecc. L’esatto uso di questo grande complesso sotterraneo è ancora incerto. Riportiamo ancora brevi notizie sulla Colonna di Diocleziano, desunte soprattutto dall'Adriani?,

bianco

di Herma-

di cui nel catalogo

sono descritte la base ed il capitello (cat. nn. 39-40). La piattaforma rocciosa sulla quale si erge segna la parte più alta dell’area del Serapeo, e alla colonna probabilmente allude Aftonio, quando, a proposito dell'«Acropoli», parla di «una colonna di straordinaria grandezza eretta al centro di un portico». La colonna fu eretta, come è stato dedotto dall'iscrizione incisa sul lato ovest del plinto di base*, dal prefetto Postumio in onore dell’imperatore Diocleziano, dopo il 297, anno in cui ebbe ragione di una grande rivolta in Alessandria, a ringraziamento

della

sua

clemenza

e beneficenza.

La

colonna

è di granito

nero,

alta complessivamente

m. 26,85,

com-

presi base e capitello (Figg. 127-129). Gli scavi hanno dimostrato che essa si ergeva al centro di un piano orizzontale e pavimentato, in seguito rotto e portato via?*. Le fondazioni del basamento sono fatte con blocchi di pietre provenienti da altri monumenti più antichi, uno dei quali, un piedistallo di statua, conserva un'iscrizione che menziona una statua eretta ad Arsinoe, la famosa sorella e moglie di Tolomeo II Filadelfo (283-245 a.C.). Inglobato nella fondazione si è trovato anche un blocco di obelisco con iscrizione in geroglifico che fa riferimento a Senusret I o II, entrambi della XII Dinastia (1906-1850 a.C.). Molto probabilmente in cima alla colonna era stata collocata una statua dell’imperatore: resti di una statua di porfido sono stati trovati ai suoi piedi e fanno parte della ex collezione Choiseul Gouffier, e ancora nel 1733 pare siano stati visti al di sopra del capitello corinzio il piede e la caviglia di una grande statua. E.

Conclusioni.

Il Serapeo di Alessandria consisteva in un vasto santuario costruito sulla collina di Rhakotis, il cui piano superiore fu

in parte allargato artificialmente attraverso sostruzioni. Incerta, anche se possibile, è l’esistenza di precedenti edifici religiosi faraonici, o di un primo tempio di Serapide che avrebbe ospitato la statua di Briaxis. Allo stato attuale della ricerca risulta che, presumibilmente sotto Tolomeo II, fu costruito un grande recinto rettangolare, con portico interno forse ionico lungo i lati; inoltre i lati sud ed ovest presentavano, dietro il muro di fondo del portico, ambienti di varia natura, che sono stati connessi con vani di servizio e con la «biblioteca figlia», che dalle fonti sappiamo era ospitata nel Se-

?! Cfr. ADRIANI,

7 ApRIANI, Topografia, p. 95. ? S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 61. ? Tp., p. 62. ? G. Borti, Plan de la Ville d'Alexandrie, HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 63.

200

Topografia,

p. 95, che riassume i dati dello scavo

Botti. ? ADRIAN, Topografia, p. 97. 1898,

p. 136; ;

cfr.

S.

33 CIG, II 4681; OGIS, n. 718. 34 Cfr. W. SMITA, Dictionary of Greek and Roman 1854, p. 102.

Geography,

I,

Qux

ijt

mes

jene

τ EN dv. CE



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᾿ς SUD

ER

τὴ

bw

ὌΝ

e

odd onn

pare IET

A

VECTRA

Fig.

127 - Alessandria,

Serapeo,

«colonna di Pompeo»

(dalla

Fig. 128 - Alessandria, Serapeo, Description de l'Egypte).

«colonna

di Pompeo»

(dalla

Fig. 129 - Alessandria, Decription de l'Egypte).

«colonna

di Pompeo»

(dalla

Description de l’Egypte).

Serapeo,

201

rapeo: in particolare il lato sud presenta una sorta di basamento articolato in 19 vani rettangolari, ad un livello inferiore del piano del santuario e che si devono ritenere parte di un sistema di sostruzioni su questo lato. Contro il lato nord sono stati invece individuati due edifici templari ed una piccola cappella: quello centrale piü

avanzato è sicuramente identificabile con il tempio di Serapide costruito da Tolomeo HI, in base al ritrovamento di placchette iscritte di fondazione; la cappella addossata al lato est di questo è, per le stesse ragioni, identificabile con un luogo

di culto ad Arpocrate, mentre per l’edificio ad ovest si può ipotizzare un’attribuzione ad Iside. Il tempio di Serapide di questa fase non risulta centrato rispetto all’asse del santuario. Ancora al periodo tolemaico va attribuito un grosso edificio quadrangolare, collocato a poco più di quaranta metri davanti al tempio di Serapide, ma non coincidente con questo: esso è stato individuato in base ad una grande fossa di fondazione, in origine con blocchi ora quasi del tutto asportati, e in base a resti pavimentali sotto cui sarebbero stati trovati frammenti di ceramica non posteriori al IN secolo a.C. Varie sono le ipotesi di identificazione, che vanno da un mausoleo tolemaico ad un tempio di Serapide precedente a quello di Tolomeo UI, o addirittura ad un tempio faraonico: in ogni caso non può escludersi la possibilità di un’identificazione

con

pocrate.

Da questo edificio si accedeva

un tempio

di età tolemaica,

suoi lati est-ovest vi era una grande

ma

costruito in stile faraonico,

ad un lungo e vasto corridoio

trincea di una fondazione,

eventualmente

dedicato

ad Iside o ad Iside e Ar-

scavato nella roccia; inoltre a circa m.

ritenuta tolemaica,

non identificabile,

ma

stimoniare l’esistenza di una cinta muraria intorno all’edificio, soppressa poi al momento della costruzione cinto. Le trasformazioni di età imperiale riguardarono l’allargamento del recinto, sicuramente ampliato nel dove sono stati rinvenuti tre muri di fondazione in opera cementizia che hanno permesso di ricostruire un navate. Sicuramente fu anche ricostruito con fondazioni in opera cementizia, che inglobavano quelle

blocchi, il tempio di Serapide. come

ricostruisce il Rowe,

15/20 dai

che potrebbe

te-

del grande relato orientale, portico a due precedenti in

Se questo era largo circa m. 21 ed è collocabile nella posizione di quello precedente,

si può ritenere che venisse ora a costituire l’asse del recinto,

allargato solo sul lato est e forse

nella posizione di quello precedente sugli altri tre lati. Se invece un nuovo tempio aveva inglobato i due precedenti affiancati di Serapide ed «Iside», come è forse ipotizzabile per i resti di uno spesso muro in opera cementizia sul fianco

ovest del tempio di «Iside», allora si deve considerare che il tempio assunse dimensioni molto più grandiose, data la grandezza del podio, e che il recinto fosse ingrandito su tutti i lati. L'originario aspetto dell'elevato del tempio nelle due fasi, in base alla testimonianza di Aftonio, può ricostruirsi come periptero, e in base alle analogie con il Serapeo di Canopo, definito corinzio da Apollonio Rodio, e con il tempio del santuario tolemaico di Hermoupolis Magna (probabilmente un Serapeo, vedi p. 252), come ugualmente di ordine

corinzio. La data di ricostruzione si ritiene più probabile nel periodo adrianeo, date le rappresentazioni monetali del del tempio con Serapide e Adriano, che non in epoca di Caracalla, come ritiene la Handler per varie ragioni, sembra da escludere per la lotta instaurata da questo imperatore contro gli Alessandrini. Tra gli altri monumenti del Serapeo va citata una grande piscina di età severiana, ad una quindicina di metri golo sud-est del tempio imperiale di Serapide, un grande pozzo quadrangolare, definito «atrio», che immetteva passaggi sotterranei, aperto invece presso l’angolo sud-ovest del tempio, ed infine la nota Colonna di Diocleziano.

APPENDICE: 1. due frammenti

ELEMENTI

ARCHITETTONICI

DAL

SERAPEO

altezza massima

m. 2,76; diametro

dall’anin vasti

DI ALESSANDRIA

di una colonna in granito grigio trovata in una fossa a sud-est del «mausoleo»

della sezione inferiore è mancante,

frontone ma che

al sommoscapo

(«n.P.P. 46»;

parte

m. 0,45)”.

2. una grande colonna in granito rosso in due pezzi, trovata nella cosiddetta «grande nicchia» (cat. n. 31); a sud-est di questa vi sono i resti di un fusto di colonna simile e di due basi, pure di colonna e in granito rosso (cat. n. 30)?°.

3. tre colonne di granito grigio (due complete ed una rotta) scoperte dal Botti ad ovest del cosiddetto «Atrio»; la loro

IAU

lunghezza varia tra i m. 7,10 e m. 7,15,

con diametro massimo

all'imoscapo

di m.

1,065”.

metà inferiore di capitello corinzio, dal «mausoleo». parte di un capitello ionico in marmo bianco, trovato nel colonnato interno tolemaico”. frammenti di portale in granito rosso del recinto romano (cat. nn. 33-37), rinvenuti negli scavi Botti‘ (Fig. 221). capitello corinzio con fiori di loto (alto m. 0,815, diagonale abaco m. 1,23), che il Fraser descrive come collocato

nel sentiero a sinistra del portico di entrata del sito e attribuisce al complesso”. 8.

vari frammenti architettonici in calcare stuccato, secondo l’inventario vati, rinvenuti presso la Colonna di Pompeo (cat. nn. 25, 27).

5 A. Rowe, in BSAA, 35, 1942, pp. 144, 157, tav. 29,3.

«Fouilles

di Alessandria,

à la colonne

3% A. Rowe, in Suppl.ASAE, 2, 1946, pp. 23-24.

141; A. Rowe, in BSAA,

7 Ip., p. 3, nota 2, p. 23, nota 3.

pl.ASAE, 2, 1946, p. 61.

% A. Rowe,

in BSAA,

35, 1942, p. 132, fig. 5.

? A. Rowe, in Suppl.ASAE, 2, 1946, p. 19.

202

Ὁ Botti,

del Museo

“P.M.

nota 634.

Fraser,

in cui sono

Theodosienne»,

conser-

cit.,

pp. 140-

1972,

p. 266,

35, 1942, p. 143, fig. 8; Ip., in Sup-

Ptolemaic

Alexandria,

Oxford

9.

frammenti di basamento in marmo, vati, nel «souterrain d’Hermanoubis»

10. frammento

rinvenuti, secondo l'inventario del Museo di Alessandria, dove sono conser(cat. nn. 28-29), cioè nelle gallerie a cui si accedeva attraverso l’«Atrio».

di fregio con girali d'acanto e architrave inscritto (cat. n. 38) che, dall'inventario del Museo

dria, in cui é conservato,

risulta proveniente

dall'area della Colonna

di Alessan-

di Diocleziano.

11. frammenti in marmo conservanti la sima intagliata con palmette (di influsso microasiatico) provenienti probabilmente dal portico della fase imperiale: secondo l'inventario del Museo di Alessandria (nn. inv. 3614-3617; cat. n. 38A) sono stati rinvenuti presso «Colonne». 12. frammenti di coronamenti di parete con decorazione ad anthemion in calcare stuccato (alt.cm. 12): secondo l'inventario del Museo di Alessandria (nn. inv. 3632-3634; cat. n. 26) sono stati rinvenuti presso « Colonne». 13. frammenti di decorazione: secondo l’inventario del museo di Alessandria (nn. inv. 3718-3719) sono stati rinvenuti

presso il «sotterraneo di Hermanoubis » ^. 14.

un capitello corinzio bizantino in marmo

(cat. 483).

A questi ritrovamenti vanno aggiunte le informazioni desunte da varie fonti storiche, e in particolare la notizia di uno scrittore

arabo,

Abd

el-Latif

(circa

1161-1231),

del

riutilizzo

di più

di 400

colonne

di granito,

fratturate

in due

o più

pezzi e provenienti dal Serapeo, riutilizzate come frangionde e fortificazioni nel porto di Alessandria”.

2.

Kom

EL Dik

A.

Inquadramento topografico

È noto come il primo studio sistematico su Alessandria risalga al 1872, ad opera di Mahmoud Bey el Falaki!; è secondo la teoria di questi che il Breccia’, nella ricostruzione della città antica proponeva l’ubicazione del «Soma», con accanto

il «Panaeum»,

al centro

della

città,

nella

zona

di Kom

parte di uno degli antichi quartieri della città, il Bruchium:

el-Dik.

Detta

zona,

secondo

il Breccia?,

avrebbe

fatto

questo era indicato, come parte della Neapolis, fra il Cesareo

ed il gruppo di edifici del teatro, della palestra e del Meandro, che avrebbero costituito dunque il limite settentrionale di Kom el-Dik; ad ovest, invece, il limite della zona era dato dal tempio di Serapide, lungo la via Canopica (questa taglia la collina nel suo asse ovest-est), mentre ad est dallo sbarramento del Canale‘. Sempre il Breccia offre un inquadramento più preciso alla collina, rapportandola alla topografia stradale a lui con-

temporanea?. Essa risultava, dunque, delimitata: a nord dalle vie Kom el-Dik, Ibrahimen, ed El Horreya (già Fuad e di Porta Rosetta); ad est dalle propaggini della moschea Nabi Daniel; a sud dalla via Abd el Moneim; zona cinta dalla via Sidi el Bardissi,

B.

comunicante

con la moschea

Sidi Abd

infine ad ovest dalla

el Razek.

Storia degli scavi

Nel 1895 D.G. Hogarth pubblicò un piccolo scavo, praticato nelle pendici settentrionali di Kom el-Dik, a sud della via di Porta Rosetta (poi Fuad, poi El Horreia). Il sondaggio, che aveva un’apertura di m. 9 x m. 5,80, ed una profondità di m. 9, fra il livello moderno del suolo e la falda sotterranea d’acqua, rivelò” il succedersi di vari strati (ellenistico, romano

e bizantino,

arabo



quest’ultimo

contenente

i resti di un

cimitero)”,

senza

però

mettere

in luce

delle

strutture

edilizie specifiche. ὃ Nel 1929 Breccia eseguì invece scavi nella zona orientale ed in quella occidentale della collina, accanto alla moschea El Bardissi

e dentro

ed intorno

alla moschea

resti antichi, fra cui grossi muri di fondazione,

Nabi

Daniel’.

A

nord

di essa,

ad una

profondità

di m.

14,

s'incontrarono

costruiti con blocchi di calcare ben squadrati. In una delle trincee è stato

visto un pozzo ὃ, di nuovo identificato dal Michalowski!!.

£ Borrn, Musée,

sala I, nn. 1739,

$ D.G. HoGARTH, «Report on prospects of research in Alexandria»

1741.

in Egypt Exploration Fund,

4 ADRIANI, Topografia, p. 92.

! M. Bey FL FALAKY, Memoire sur l'antique Alexandrie, Copenhagen 1872, risultato di saggi di scavo eseguiti in vari punti della col-

lina: cfr. ADRIANI, Topografia, pp. 62-63. ? Breccia, Alexandrea ad Aegyptum, pografia, p. 63).

figg. 24-27 (v. ADRIANI,

To-

p. 306; ADRIANI, Topografia, p. 63. ^ Qui, nella carta di El Falaki, si trova segnata una caserma; in essa Breccia non ritiene di dover identificare l'accampamento macedone, che

si registra nella Reggia, ma più probabilmente un moderno posto di polizia.

5 Breccia,

in Musee

Topografia, p. 85).

Greco-romain,

1894-1895,

pp. 1-33;

muro

in pietra; un terzo contenente

povere

tombe

a fossa,

attribuito al

periodo bizantino; uno più profondo, con avanzi di due muri paralleli; il seguente con frammenti di un pavimento a mosaici, attribuibile al passaggio fra il I e il II secolo d.C.; infine un ultimo strato di terra conte-

? E. BRECCIA, in Enciclopedia Italiana, I, 1929, s.v. Alessandria,

ADRIANI,

Archeological Report,

cfr. ADRIANI, Topografia, p. 83. 7 Un primo strato con tracce di occupazione industriale non molto remota e rifiuti di vetro; uno immediatamente seguente con resti di un

1925-1932,

pp. 48-52

(v.

nente frammenti di vasi a vernice acroma oppure rossa. * ADRIANI, Topografia, pp. 83-84. ? Breccia, in Musee Greco-romain, 1925-31, pp. 48-52; cfr. ADRIANI, Topografia, pp. 83-85. !° Riempito da ceneri e resti di un forno da vetraio; c'erano inoltre piccoli cilindri e qualche mascheretta ad applique, da Breccia assegnati

al II secolo d.C.; v. ADRIANI, Topografia, pp. 83-85. 1 T] quale

riteneva

che

pozzo

e serbatoio

appartenessero

ad

una

203

Sempre nel 1929 l'attenzione del Breccia si concentró sulla parte delimitata dalla via Sidi El Bardissi, ai piedi della moschea Sidi Abd el Razek. Il complesso delle rovine risultava composto da due nuclei principali: il primo rappresentato da un grosso muro, sul quale era impiantato un colonnato in blocchi di calcare; il secondo era invece indicato da due tratti di muro, approssimativamente orientati in direzione nord-sud, da un canale sotterraneo, dagli avanzi di un lastricato in calcare e basalto e da quelli, molto esigui, di un pavimento di calcare bianco (il tutto recante tracce di rimaneggiamenti)". AI di sotto dei detriti che coprivano le rovine si trovarono resti di una piccola cisterna e tracce di un cimitero ara-

bo”. Dall'insieme

di dati raccolti

dal Breccia

in quest'ultima

zona,

Adriani,

nel

suo

volume

del Repertorio,

stabilisce

la

sintesi cronologica degli scavi eseguiti fino a lui. Egli prima rileva l’esistenza di un canale di età ellenistica, in secondo luogo tratti di lastricato e di colonnato, quindi cospicui avanzi di due edifici contemporanei e del cimitero arabo. La rozza tecnica in scheggioni anche di marmo del pavimento degli edifici indica un’età molto avanzata: tardo antica o bizantina. Durante

i lavori

eseguiti

nelle

pendici

meridionali

di Kom

el-Dik,

lungo

la via Abd

el Moneim,

furono

aperte

nel

1933-34 delle trincee "^, atte a saggiare gli strati inferiori della collina. Fu confermata l'origine relativamente recente di essa e la successione di tre fasi principali: quella ellenistica, con resti di costruzioni molto danneggiate; quella tardo romana, con strada lastricata e colonnato; quella araba, con costruzioni e sepolture. Frequente fu anche il rinvenimento di frammenti

di ceramica

araba,

con mosaico

a tessere marmoree

stati rinvenuti resti ancora appartenenti al periodo arabo (per lo vata nei tratti scoperti è stata vista una scala fatta di blocchi di (cat. n. 986). Contigua ad un muro è stata scoperta una vasca di questi risultati, Adriani, nella pubblicazione dello scavo nell’ della necropoli reale a Kom el-Dik. Nella stagione 1950-1951 furono compiuti altri scavi in un le vie Ibrahimen ed EI Horreya. Adriani! riferisce il già citato sultati dei lavori confermarono la seriorità delle strade romane strati inferiori (che potevano essere attribuite all’età ellenistica).

rinvenute nel 1885 e 1898!

policrome!

Sotto il livello di una costruzione

araba sono

più tombe in muratura). A nord di una strada ben conserreimpiego; accanto venne trovato un architrave in calcare rettangolare, rivestita da un condotto idraulico. Alla luce Annuaire (1935-1939), ritenne poco probabile l'ubicazione terreno sito alle pendici settentrionali di Kom el-Dik, fra ritrovamento di resti appartenenti a diversi periodi". I ria blocchi poligonali di basalto rispetto a costruzioni di Le fondazioni a grandi blocchi si ricollegarono ad altre

Furono anche ritrovati un frammento di capitello corinzio del H-IH secolo (cat. n. 394) e

una testina grottesca di terracotta, questa in un pozzo sito in via El Horreya. Degli scavi del Wace (1947-1948) riferisce il Dabrowski!, dal quale si ricava che i saggi eseguiti dall'americano cadevano in diversi punti della collina. Essi confermarono l’ipotesi che Kom el-Dik si fosse andata formando con l’accumularsi dei detriti e dei rifiuti, fra cui numerosi quelli delle fabbriche di vetro, nel periodo compreso fra medioevo ed età moderna. È però alla missione polacca che si deve il più importante intervento nella zona ed il chiarimento di molti dei suoi aspetti urbanistici ed architettonici. Essa ha operato, a partire dal 1960, su una larga area, con scavi estensivi sulla collina, approfittando della demolizione del forte. Nel suo repertorio Adriani ubica i lavori nella zona settentrionale, alle spalle del cinema Amir. In questi primi anni il ritrovamento più importante fu quello dei resti di un grande edificio termale romano. Oltre a questo, si rinvennero vestigia di importanti mosaici. Dal punto di vista stratigrafico le terme risultavano impiantate su avanzi di edifici greci?°. Si ripeterono qui nel terreno di riempimento al di sopra dei resti romani i numerosissimi ritrovamenti di frammenti di ceramica araba, precedentemente segnalati in via Abd el Moneim. Successivamente gli scavi proseguirono presso la moschea Nabi Daniel. I saggi di scavo realizzati dal 1966 al 1972 sono stati brevemente resi noti da W.Kolataj. I risultati principali riguardarono la messa in luce di un quartiere fra le vie «Canopica» e «L?», «R*», «R°» risalente al I-II secolo d.C., con costruzione del tipo «villa urbana», ma con edifici pubblici (tra cui due piccole sale tripartite per riunioni, le «scholae») impiantati a partire dalla fine del III primo quarto del IV secolo, e in uso fino al 618 (invasione di Chosroe II). Si completarono, inoltre, le indagini sul cimitero mussulmano, e furono ulteriormente scoperte le terme, insieme ad un edificio per riunioni, con cavea sostruita, (1’« auditorium»)

che costituisce l'altro grande rinvenimento della zona; venne anche verificato il tracciato della via «R^», ad est del quale 51 scoprì parte di un quartiere d'abitazione, nonché venne localizzato il sondaggio dello Hogarth?! (Fig. 130).

piccola cisterna a due piani, con pozzetto semicircolare, forse d'età bizantina, ricostruito in età araba; cfr. ADRIANI, Topografia, p. 85. 12 Cfr. ADRIANI, Topografia, p. 85. 13 Ad una tomba apparteneva un epitaffio databile all'anno dell'Egira corrispondente all’860 d.C. Ciò dimostra che nel IX secolo le costruzioni antiche vennero sepolte sotto uno strato di detriti e di terreno di riporto; cfr. ADRIANI, Topografia, p. 85. * Fra il 1933 e il 1934; cfr. ADRIANI, Topografia, p. 86. 15 Cfr. ADRIANI, in Annuaire, 1935-39, pp. 55-64, fig. 25. 16 Ip., «Scavi e scoperte alessandrine, (1949-1952)», in BSAA, 41,

1956, pp. 1-10. 7 A] più antico periodo appartenevano resti dello strato inferiore, in grandi blocchi di calcare, con tecnica ellenistica; in un periodo intermedio si collocavano, invece, costruzioni più rozze, per le quali si era anche fatto ricorso a materiali di reimpiego.

204

18 ADRIANI, Topografia, pp. 87, 253: il ritrovamento di tavolette d’oro di fondazione ha permesso di attribuire i blocchi al tempio di Serapide e Iside sulla via Canopica, eretto da Tolomeo IV. ? L. DABROWSKI, in Bulletin de la Faculté de Lettres de l'Université d’Alexandrie, 14, 1960, pp. 39-49 (cfr. ADRIANI, Topografia). Egli ha riprodotto lo schema stratigrafico di Kom el-Dik, in base ai saggi eseguiti tra il 1895 (Hogarth) e il 1948 (Wace). Risultò così confermata l’esistenza di vari strati: dal più profondo di età tolemaica al più recente (XVIII e XIX secolo), attraverso un livello intermedio d’età romana, bizantina ed araba. 2° AI di sopra di esse si succedevano altri strati, con testimonianze di costruzioni, cimiteri e scarichi di età araba (tra il VIII-IX e il XVIXVII secolo); cfr. ADRIANI, Topografia, p. 89.

21 W. KoLATAI, in Das rómisch-byzantinische Agypten, Mainz-amRhein 1983, pp. 187-194.

0

m

50m

]

| Fig. 130 - Alessandria, Kóm polacchi (dal Kolataj).

C.

Terme

4

el Dik, pianta generale degli scavi

romane

L'edificio non è stato portato interamente alla luce (manca circa un terzo), ma dai resti visibili è stato possibile rico-

struirne le dimensioni e la pianta? Di forma rettangolare (m. 80 x 100), le terme sono organizzate lungo un asse centrale, su cui si allineano due fepidaria ed un calidarium. Su ognuno dei fianchi di queste tre sale se ne aprono altre due, interpretate come apodyterium e sudatorium. Mancherebbe l'evidenza, fino ad ora, sia della palestra che della natatio, mentre il frigidarium era collocato prima del tepidarium d'entrata. Esso era probabilmente costruito sul lato di un cortile situato sulla parte ovest del portico,

dov'era l’entrata alla zona riscaldata delle terme. Caratteristica era la mancanza di una grande vasca centrale, in quanto i bacini, di piccole dimensioni, erano situati sotto il portico, secondo una tipologia africana. Infatti il bacino più grande rinvenuto nel frigidarium ha le dimensioni di m. 2 x 2: esso era costruito in mattoni intonacati, con lastre di marmo sul fondo, ed era circondato da muri di calce con frammenti in calcare, con cui era anche costruito lo zoccolo”. Gli altri bacini erano ancora più piccoli e si è ritenuto che nella parte inferiore servissero come docce. Tre sono rettangolari, smussati negli angoli, un quarto, ad est, è semicircolare. Tutti sono intonacati da due strati di calce, con un fondo in marmo. . È probabile che un porticato si trovasse lungo il muro est del calidarium. Questa ipotesi è suffragata dall'esistenza di possenti fondazioni in calcare, utilizzate forse come sostegno per base di colonne o di pilastri, che reggevano la volta o il soffitto del portico. Sotto il pavimento delle terme si trovavano delle sale sotterranee a volta? in esse sono stati visti quattro forni usati per riscaldare l'ipocausto del destrictarium e di alcune sale adibite a sauna. La maggior parte di queste volte & crollata.

Dallo studio dei reperti numismatici rinvenuti negli strati di cenere dei forni risulta che essi furono in uso fino agli inizi del VII secolo.

2 Ip., pp. 187-194. ? E. e M. Ropziewics, in Etudes et Travaux,

128, tav. 3, p. 113.

11, 1979, pp. 108-

^ W.

KoLATAJ,

M. Ropziewics,

in Etudes et Travaux, 7, 1973,

pp. 249-252. 205

Della muratura delle terme rimangono

diversi setti costruiti in blocchetti di calcare e mattoni: le sale non riscaldate

erano in pietra, mentre la zona riscaldata era costruita in mattoni. Le terme ‘ dopo

subirono

i terremoti del 447

diverse trasformazioni, e del 525;

alcune delle quali ebbero

furono poi distrutte nel VII

stato adibito a cimitero musulmano.

secolo.

luogo

agli inizi del VI secolo,

Risulta che fra il IX

e il XII

verosimilmente

secolo il terreno

sia

Durante la campagna napoleonica esso fu sede di un forte costruito sull'accumulo di

terra sopra il cimitero. Altri danneggiamenti furono causati da un'esplosione avvenuta nel XIX secolo, che distrusse eventuali altri resti delle terme”. D.

L’« Auditorium »

Al 1964 risale la scoperta di un piccolo edificio per riunioni nella zona sud-est di Kom el-Dik (tra la vie «L!», «1,2», «R?» e «R“»)?9. Al momento del rinvenimento apparve costituito da un auditorium circolare che, attraverso tre archi che ne continuavano la curvatura, comunicava con un vestibolo, collocato nella zona corrispondente all’edificio scenico nei teatri. Il proseguo degli scavi permise di definire due fasi precedenti: la prima documentata solo da alcuni tratti del muro dell’ambulacro che sosteneva la parte alta della cavea, da pilastri ed altri elementi di costruzione riutilizzati successivamente (essa sarebbe stata attribuita, in base ad elementi stratigrafici, alla seconda metà del V secolo; è stata però

proposta anche l’età severiana per una possibile struttura originaria); la seconda, degli inizi del VI secolo, relativa ad un piccolo teatro o odeion, in cui la cavea semicircolare era collegata attraverso parodoi con l’edificio scenico. Sono stati distinti anche il piano dell'orchestra ed il proscenio. Si è ritenuto probabile che in questa fase l'auditorium presentasse un portico superiore, diviso in piccole esedre. Mentre per questa fase è quasi certa l’utilizzazione della struttura come edificio

per spettacoli, una trasformazione anche della funzione dovette avvenire nell’ultima fase, che è quella attualmente meglio conservata.

Si è già detto come in luogo dell’edificio scenico vi fosse un vestibolo con triplice arcata, risulta che le parodoi furono murate; si rese inaccessibile l’ambulacro intorno alla cavea, il cui portico superiore fu diviso in nicchie. Si prolungo?! inoltre l’ala ovest della cavea con l'aggiunta di nuovi sedili, utilizzando elementi di reimpiego (cornici, cfr. cat. nn. 989-990), e di due muri di sostegno della cupola, sacrificando la scena che diviene vestibolo. Per i gradini vennero usati blocchi di marmo provenienti dalle file superiori dell'auditorium. Al di sopra della dodicesima fila furono poste numerose nicchie. Vennero anche rinvenute delle iscrizioni databili alla fine del VI — inizi del VII secolo, incise sui sedili e sugli zoccoli in marmo dei pilastri, e che vengono interpretate come acclamazioni di vincitori del circo??. Infine, a quest’ultima fase viene attribuita la costruzione di una grande cupola che ricopriva tutto il complesso: essa poggiava su un tamburo in muratura,

sorretto dalle arcate delle nicchie superiori e del vestibolo

(Fig.

131).

Sono conservati ancora i piedistalli rettangolari su cui poggiavano le colonne del vestibolo, mentre si è ricostruito che le arcate delle nicchie erano sorrette sia da colonne, sia da pilastri, questi ultimi con doppie colonne sul lato frontale. Si sono evidenziati tre tipi di colonne di diversa grandezza e si è inoltre constatata l’esistenza di un quarto tipo di colonna, più grande, rinvenuta nell’accesso esterno al vestibolo, dove sono stati collocati i fusti nascenti a cespo d’acanto. Tra i principali materiali da costruzione ritrovati abbiamo: calcare locale, nummulitico di Moquattin, marmi (v.

p. 183), granito e mattone cotto, ma il principale è un calcare giallo biancastro piuttosto leggero, estratto ad ovest della città (Mex, Dekhela). I resti delle mura mostrano i due metodi usati per la loro costruzione: opera pseudo-quadrata e opus emplectum, che diviene mixtum emplectum per l'uso combinato di pietra e mattone”’. Per quanto concerne l'interpretazione dell’edificio, il Borkowsky? ritiene che nell'ultimo periodo di utilizzo l’edificio fosse un'esedra o ninfeo aperto al pubblico. Di diversa opinione è invece il Balty?', che avanza l'ipotesi che l’edificio fosse nato inizialmente come un bouleuterion, in occasione della concessione ad Alessandria da parte di Settimio Severo dello ius bouleutarium: & in questa fase che la cavea era delimitata dalle scale circondanti l'analemna e dominanti il palco. Alla seconda fase attribuisce l'ingrandimento della cavea con i gradini prolungati oltre il semicerchio dell'emiciclo: ciò testimonierebbe la mutata funzione dell’edificio in odeion, o comunque luogo per rappresentazioni. Nell'ultima fase,

quando avvenne la costruzione della cupola in mattoni, si sarebbe verificata, sempre secondo il Balty, la trasformazione del monumento,

non in un ninfeo o esedra, bensi in chiesa a pianta centrale (Fig.

Possiamo tuttavia osservare che mancano tracce dell’altare,

132).

o comunque del dispositivo liturgico, e non può esclu-

dersi che l'edificio costituisse una sala di riunioni collegata ad un complesso pubblico, ad esempio ad una sede episcopale

(in modo simile al palazzo episcopale di Afrodisia, sorto vicino ad un odeion precedente)?. E comunque da ribadire un uso pubblico, inneggianti

e non esclusivamente religioso, perché solo in tal modo

alle fazioni

del circo,

che

sarebbe

invece

poco

adatto

si spiegherebbe un numero

ad una

chiesa.

Che

si tratti,

cosi grande di graffiti

nella fase finale,

di un'e-

sedra sembra poco probabile, in quanto l'edificio conservó il carattere di sala di riunione, anche se coperta, come mostra la costruzione della cupola.

25 W. KoLATAJ, in Etudes et Travaux, 6, 1972, p. 166. 26 W. KOoLATAJ, in Das rómisch-byzantinische Agypten, Mainz-amRhein 1983.

28 BORKOWSKY, op. cit, pp. 78-96. ? W. KuBIAK, E. MAKOWIECKA, in ASAE, 61, 1973, pp. 93-124.

27 Z. BoRKOWSKY, Alexandrie II, Inscriptions des factions à Alexandrie, Varsavie 1981, pp. 78-96; J. Batty, in Etudes et Travaux, 12,

9? BORKOWSKI, op. cit., pp. 78-96. 31 J. BALTY, in Etudes et Travaux, 12, 1983, pp. 8-12.

1983, pp. 8-12.

32 MULLER WIENER, in Felix Ravenna,125,

206

1983, pp. 112-115.

| Fig.

Γ

131 - Alessandria, Kóm

el Dik, «auditorium»,

1

pianta (dal Kolataj).

Si ritiene? che la cupola e gran parte dell'edificio crollarono in seguito al terremoto che coinvolse anche l'isola di Faro nel 792. E.

Case

romane

Durante

tarde

gli scavi della missione polacca vennero rinvenute anche delle case romane

tarde al di sopra di uno strato

più antico di età ellenistica?*.

8 W. KuBIAK, E. MAKOWIECKA, in ASAE, 61, 1973, pp. 93-124. % M. Ropziewicz, Les habitations romaines tardives d'Alexandrie

à la lumiere des fouilles polonaises a Kom pp. 330-335.

el Dikka,

Varsavie

1984,

207

LIS za '

|

n ἘΞ

Li

RII

\

I

nivean_ i certifio

Fig.

132 - Alessandria, Kóm

el Dik, «auditorium»,

sezione trasversale (dal Kolataj).

Non si tratta di case di lusso con peristilio, né di ricche ville urbane, piuttosto di un quartiere di modesti edifici, di cui è interessante l'analisi dei materiali e dei tratti caratteristici. L'impiego quasi esclusivo del calcare di Mex e della

struttura a pilastri attestano l'uso di elementi tipici dell'architettura locale, ed & da notare l'utilizzo quasi soltanto di materiali di reimpiego.

Non

vi è l'uso di tegole,

infatti i tetti erano

piatti,

costruiti in legno,

canne,

tronchi di palme,

ecc.,

e

solo raramente sono stati usati mattoni per la costruzione dei muri?. Tali edifici hanno tratti in comune con l’architettura intensiva destinata alle abitazioni nelle grandi città sotto l'influenza dell'architettura dei «mercati» delle città d'Oriente. Probabilmente una delle cause della costruzione di tali edifici artigianali e di mercato era proprio l'ubicazione in questo luogo delle terme, che attiravano il pubblico favorendo così il commercio. L'edificio meglio conservato è la casa D, che ci fornisce, grazie al suo buono stato di conservazione, numerose notizie. Essa aveva un cortile al centro, un’entrata e dei magazzini sulla strada. Si è pensato che la parte inferiore fosse adibita ai lavori artigianali, quella superiore ad abitazione. Il cortile aveva più funzioni e si può dividere in tre zone: una per il riposo

con

sedili di pietra,

una

seconda

intesa come

luogo

di culto

centrale,

ed infine una terza zona in fondo

con

la scala che portava al piano superiore. Dai ritrovamenti si è potuto supporre che la facciata di questa casa fosse munita di una loggia con due o tre colonnette su una balaustrata, o di balconi al di sopra della bottega. Anche le finestre erano

probabilmente decorate di piccole colonne in marmo colorato”. F.

«S cuola »

Nel settore ad ovest delle terme di Kom el-Dik è stato rinvenuto un edificio a pianta quasi quadrata, diviso in tre sale allungate, ciascuna con file di sedili lungo le pareti, in modo da formare piccole cavee di tre o quattro gradini. La sala centrale,

inoltre, presenta

55 Ip., p. 330. 36 In., p. 331. 208

sul lato di fondo

una forma

absidata che sporge

rispetto

al rettangolo?,

e ancora un sedile

? In., p. 332. 3 M. RODZIEWICZ, in ASAE, 70, 1984-85, p. 238.

piü grande al centro di questo lato absidato. Le due sale laterali sono leggermente piü piccole, quella a sinistra con il lato di fondo rettilineo, quella a destra invece absidato.

L'edificio è stato interpretato come scuola e il sedile al centro dell’abside della sala centrale sarebbe l'indicazione che questa era la principale aula di lettura, con la sedia per il lettore ?. Un edificio molto simile sorge a poca distanza da questo.

APPENDICE: A.

ELEMENTI

ARCHITETTONICI

DI KOM

EL DIK

Basi

All’ingresso dell’«auditorium» secondo la diversa funzione:

sono

state rinvenute undici basi, suddivise,

in accordo

alle loro sezioni, in più tipi,

1. basi attiche con plinto e due gole separate da un trochilo, collocate sotto le grandi colonne del vestibolo, a loro volta

poggianti

su grandi piedistalli di marmo

con coronamento

modanato,

intagliati però separatamente dalle basi?.

A

questo tipo appartengono basi sparse nell’area dell’ «auditorium» (cat. n. 714), probabilmente di reimpiego, come anche le due basi citate, un’altra presso il mosaico ad ovest del vestibolo” ed altre sparse nell’area di Kom el Dik

(cat. nn. 718,719), per lo più provenienti dai portici connessi con le terme”. 2. basi d’acanto, cioè con imoscapo avvolto da una corona di foglie. I due esemplari dell’«auditorium» (cat. nn. 798,799) sono intagliati separatamente dalle vere e proprie basi su cui poggiano, entrambe di reimpiego, una appartenente al tipo precedente, l’altra con plinto e piedistallo ottagonali e con i tori più schematici rispetto al tipo precedente. La base con piedistallo ottagonale (cat. n. 798) è usata per le colonne interne del vestibolo, l'altra? per le colonne d’ingresso, e forse a questa collocazione si deve la sua scelta in quanto più rifinita, con il profilo dei tori più arrotondato e la superficie liscia. Il fatto che in entrambe una stretta zona della corona d’acanto risulti semilavorata, con la foglia liscia e la mancanza di rifinitura, potrebbe indicare che le due basi, anch’esse di reimpiego, erano giunte sul cantiere del primo impiego già semilavorate e lì furono rifinite , tralasciando la zona che non sarebbe stata visi-

bile”. Le basi di acanto sono di difficile attribuzione cronologica: di una ripresa classicistica di età bizantina,

come

si è pensato al III secolo‘,

indicherebbero

le zone

d’ombra

ma è anche possibile si tratti

ad occhiello dell’acanto di tradizione

ellenistica. 3. basi attiche schematiche con i due tori separati soltanto da un doppio listello, in quanto manca il trochilo e sono stati

intagliati soltanto i due listelli che lo delimitano. Queste basi erano utilizzate per le colonne delle nicchie sul coronamento superiore della cavea: sono testimoniati esemplari in marmo (cat. nn. 725, 726) ed in calcare (cat. n. 727); va osservato che sia il n. 725, sia il n. 727 presentano il toro superiore schematizzato in forma cilindrica, in quanto non è arrotondato sul margine superiore. B.

Colonne e capitelli

Per ciò che riguarda i ritrovamenti delle colonne, vanno distinti quelli avvenuti nella zona prima degli scavi polacchi da quelli, invece, relativi all’«auditorium», alle terme ed alle case messi in luce dalla missione polacca.

Al primo gruppo* appartengono i ritrovamenti in via El Horreya^ di una colonna di granito rosa di Assuan e in via El Bardissi di un’altra colonna dello stesso granito‘: questa è stata rinvenuta insieme a quattro basi attiche in marmo e in connessione con un muro di fondazione di rozzi blocchi di calcare (nucleo A). Adriani ritiene che siano appartenuti al colonnato di una strada di età bizantina, nel quale probabilmente si utilizzarono elementi di reimpiego; ciò sarebbe confermato dagli analoghi rinvenimenti di colonne nelle vicinanze. Nei lavori invece per il prolungamento della via Abd el Moneim (a sud dell' «auditorium» e delle terme) fu rinvenuto un lungo

tratto di strada,

sul lastricato

della quale

si rinvennero

diverse

colonne

abbattute,

intere o frammentarie,

di gra-

nito rosso di Assuan”. Esse sono state attribuite al colonnato di un edificio sul lato meridionale della strada. Durante gli scavi in via Nabi Daniel si rinvennero ancora alcune colonne di granito d’epoca romana, trovate su basi

di marmo bianco e appartenenti al portico della strada”.

39 A.K. Bowman, p. 223, fig. 141.

Egypt

after the Pharaohs,

Warwickshire

1987,

^ K. MICHALOWSKI, Alexandria, Wien 1972, tavv. 53-64; W. KoLATAJ, in Das rémisch-byzantinische Agypten, Mainz-am-Rhein 1983, pp. 194, 263-275, fig. 7. ^ MICHALOWSKI,

Op.

cit.,

tav. 65;

n.A105.

4 MICHALOWSKI, op. cit., tav. 66. 43 Tp., tavv. 53, 62.

KOLATAJ, .

op.

cit,

fig. 5,

^ Jp., tavv. 60, 66 (con plinto ottagonale), tavv. 53, 62 (con plinto quadrato).

5 MAKOWIECKA, «Acanthus base», pp. 116-131. 4 ApRIANI, Topografia, p. 85, nota 46. 4 Ip., p. 88. 48 ADRIANI, 4 ADRIANI,

in Annuaire, 1935-39, tav. 4,2. Repertorio, tav. 25, fig. 91.

5° La colonna in marmo verde riportata da MICHALOWSKI, Op. Cit., tav. 74, sembra pià probabilmente in marmo cipollino.

209

Al secondo gruppo, degli scavi polacchi, appartengono i ritrovamenti di colonne effettuati nell' «auditorium» e nelle terme. Nel primo sono state scoperte quattordici colonne: rispettivamente, quattro di granito rosa, quattro di granito grigio, due di diorite (granito nero) e quattro di marmo verde?'. Al momento dello scavo esse giacevano obliquamente sui gradini della cavea, nel seguente ordine, come riportano gli scavatori?: una colonna in diorite, due in granito grigio,

quattro in marmo verde, due altre in granito grigio e l'ultima ancora in diorite. Solo le colonne di granito rosa furono ritrovate nella parte occidentale della cavea e si ritiene che esse appartenessero alle nicchie di coronamento di questo lato. Altri rinvenimenti

di elementi

architettonici

sono

avvenuti

nelle

El Falaki, ed in particolare durante gli scavi del 1968-69 quando come tale per l'assenza di un sistema di riscaldamento).

terme

romane?,

che

ad est confinavano

con

la via

si scoperse la parte ovest del frigidarium (riconosciuto

1. All'esterno, a circa una dozzina di metri ad est del frigidarium (estremità ad est del settore 68), sono state riconosciute delle fondazioni in blocchi sui quali si conservava in situ una grande base in marmo, di m. 1 di diametro: probabilmente essa apparteneva alla colonna d’angolo del portico del frigidarium, e si è supposto anzi che si trovasse qui l’an‘ golo del cortile”. Dalla pianta relativa risulta che, sempre in questo settore, sono stati trovati sette frammenti di colonne ed un capitello fortemente eroso: tra questi vi era una grande colonna (alta m. 5,77), in granito di Assuan. Il completamento degli scavi del frigidarium (settore O) e della parte est delle terme (settore 68) è avvenuto nel 1975. 2. Nella zona settentrionale del frigidarium è stato messo in luce un pavimento in lastre di calcare nummulitico circondato sui tre lati dalle fondazioni di un colonnato, successivamente spogliate perché in blocchi. 3. A sud delle terme si ritiene che sia esistito un criptoportico e nell’area posta nel contiguo prolungamento del criptoportico,

sempre

a sud,

è stato distinto uno

spazio

pavimentato

con

lastre di calcare

e di marmo,

limitato

sui quattro lati

dalle fondazioni asportate di un colonnato. Questo spazio era preceduto da una sala con mosaico in fessellatum, nuovamente limitato dalle fondazioni di un portico sui tre lati. 4. Il frigidarium delle terme era diviso dalla via R* tramite un colonnato di cui si è rinvenuto lo zoccolo. Sembra che di

questo colonnato? abbia fatto parte una colonna di granito con capitello corinzio (cat. n. 402)* appartenente al tipo asiatico con acanto spinoso e attribuibile alla metà del III secolo d.C.. Si osserva che la colonna pertinente era dello stesso granito di Assuan delle grandi colonne del portico delle terme, dell’entrata del teatro e del portico della strada davanti al teatro. Nella sala del mosaico è stata invece rinvenuta una colonna in marmo

colorato con un capitello ionico di reimpiego

(cat. n. 124) e dal resoconto degli scavi sembra di capire che, sempre in questa zona, sono stati rinvenuti un altro grande capitello corinzio, appartenente al colonnato citato al punto 4, con due corone di foglie e simile al capitello di tipo asiatico prima menzionato, e un altro capitello corinzio in marmo grigio, più piccolo, appartenente alla sala del mosaico: si è supposto che appartenesse alla stessa sala un capitello ionico in marmo grigio asiatico. I capitelli ionici (cat. nn. 124, 125) sono sicuramente di reimpiego e probabilmente lo sono anche quelli corinzi: non sappiamo però se provengano dallo stesso edificioo da altri. Emerge, comunque, che il colonnato di separazione tra le terme e la strada R^ e quello del portico del frigidarium dovevano essere con capitelli corinzi asiatici (cat. nn.

379, 402, 403, 404, 414). Va ricordato che anche per i capitelli si devono distinguere i ritrovamenti precedenti a quelli degli scavi polacchi, che riguardano, però, un solo esemplare rinvenuto a sud di via El Horreya”, alle pendici nord di Kom el-Dik. Qui è

stato rinvenuto un frammento di capitello corinzio romano

(cat. n. 394), proveniente dagli strati di riempimento al di

sopra di una strada lastricata romana a blocchi poligonali di basalto e calcare; di questa si ebbe l’evidenza di un percorso

per almeno m. 52 (strada R* di El Falaki). Dall’«auditorium», invece, provengono otto capitelli, quasi tutti diversi: — —

tre sono di tipo corinzio asiatico, probabilmente d’importazione; la loro datazione non è però omogenea, in quanto i cat. nn. 405 e 435 sono attribuibili ai primi decenni del III secolo; il n. 428 al III secolo, forse alla seconda metà. tre sono bizantini (cat. nn. 477, 478, 481), attribuibili alla prima metà del V secolo. x

Inoltre sulle due colonne del vestibolo con base d’acanto sono stati ricollocati altri due capitelli corinzi asiatici, che sembrerebbero di età severiana. Essi sono caratterizzati dalle elici interne sostituite da semipalmette stilizzate58. I primi sei capitelli erano collocati sulle colonne sostenenti le nicchie e sul coronamento della cavea; quelli più grandi invece appartengono alle colonne con basi d’acanto poste all’entrata del vestibolo. Erano le colonne più alte, con basi su plinto, a sostenere la cupola dell'«auditorium», insieme alle colonne sul coronamento della cavea. Diamo di seguito un elenco parziale delle colonne e dei capitelli rinvenuti, in base alla bibliografia, nella zona di Kom el-Dik:

5! MICHALOWSKI,

Op. cit., tav. 84.

ἜΣ W. KuBIAK, E. MAKOWIECKA, in ASAE, 61, 1973, pp. 113-114. 5 W. KoLarai, in Etudes et Travaux, 6, 1972, pp. 147-167. ἜΝ, KoLarA; in Das ròmische-byzantinische Agypten, Mainzam-Rhein

210

1983, tav. 4; Ip., in Etudes et Travaux,

6, 1972.

55 E. e M. Ropziewicz, in Etudes et Travaux, 11, 1979, p. 198. 56 Tp. , p. 199, fig. 5. 97 Ip., pp. 195-206. 55 MICHALOWSKI,

Op. cit., tav. 60.

|

Colonne: — colonna in granito rosa”. quattro colonne in granito rosso”. colonna di granito”. — colonna in marmo verde (forse cipollino)9. — una colonna in granito e due in breccia”. capitelli: rinvenuti nell’« auditorium»:

— quattro capitelli corinzi asiatici in marmo ^. — due capitelli bizantini®. rinvenuti nelle terme:

— — C.

un capitello ionico. due capitelli corinzi asiatici”.

Cornici

All’interno dell’«auditorium» sono stati portati alla luce almeno ventisette pezzi architettonici (capitelli, architravi e cornici), prevalentemente in marmo grigio chiaro del Proconneso, reimpiegati come sedili della cavea, mentre di altri nove è stata rinvenuta l’impronta nella malta di alloggiamento. Di questi sono stati resi noti quindici frammenti di cornici da parte di T.Borkowska-Kolataj®, che distingue due gruppi principali: il primo comprende due cornici con mensole «a travicello» e dentelli, secondo la tradizione alessandrina (cfr. p. 101) (definite dall’autrice «cornici con decorazioni geometriche»);

il secondo

con

cornici

nella

tradizione

dell’architettura

ufficiale

romana,

secondo

tipi di moda

in Asia

Minore

(definite dall’autrice «cornici con decorazione scultorea»). A sua volta la studiosa divide le cornici di questo secondo gruppo in tre sottotipi: il primo (cat. n. 990) comprende cornici con la sima decorata con un kyma di larghe foglie d'acanto e con la corona liscia con soffitto sorretto da mensole quasi piatte rivestite con foglie d’acanto e separate da spazi quadrangolari con rosette; seguono lunghi dentelli rettangolari e un kyma ionico, che costituiscono le modanature della sottocornice?.

Il

secondo

tipo

(cat.

n.

989)

comprende

invece

cornici

con

corona

liscia,

dal

soffitto

non

orizzontale,

bensì leggermente ribaltato, sostenuto da larghe mensole quasi piatte, decorate da una foglia d’acanto e incorniciate da un kyma ionico, che prosegue anche sul retro degli spazi quadrangolari tra le mensole: questi sono occupati da rosette, ma anche

da protomi

di divinità e maschere

teatrali; la sottocornice

è invece

modanata

con un ovolo

liscio,

una

serie di den-

telli, un kyma ionico ad ovuli e freccette e un astragalo a perline e fusarole”. Al terzo tipo appartengono infine due cornici, simili a quelle precedenti, eccetto che per la mancanza dell’ovolo liscio tra il soffitto e i dentelli”!. D.

Imposte

Insieme ai capitelli sono state rinvenute alcune imposte di due tipi diversi: il primo (cat. n. 699), in calcare, troncopiramidale a contorno quadrato e decorato semplicemente da croci greche”; per i due pezzi ad esso appartenenti si è ipotizzata una collocazione sulle due colonne con base su piedistallo del vestibolo, che sostenevano la cupola. Il secondo tipo (cat. n. 697, 698) ha invece un contorno rettangolare e presenta i quattro lati sagomati a gola dritta e con piano di posa inferiore distinto da un listello, mentre il piano superiore è sormontato da un abaco liscio, aggettante sui quattro lati. Sui lati corti è scolpita a bassorilievo una croce greca patente, inscritta in una stilizzata corona liscia da cui pendono nastri svolazzanti?; questo secondo tipo è databile intorno alla prima metà del VI secolo e si è supposta una sua collocazione sulle coppie di colonne addossate ai pilastri che, sopra il coronamento della cavea, sostenevano il tamburo della cupola. Se per gli altri frammenti architettonici citati si deve dunque pensare esclusivamente ad elementi di reimpiego, per le imposte, soprattutto per quelle in calcare, si può ritenere che si tratti di elementi lavorati appositamente al momento del loro utilizzo.

8 Cat. nn. 379 (E. e M. Ropziewicz, 59 ADRIANI,

in Annuaire,

1935-39,

© ADRIANI, Topografia, tav. 25, fig. 91. $! MICHALOWSKI, op. cit., tav. 84. € Tp., tav. 74. 8 Tp., tav. 49. $ Cat. nn. 405 (MICHALOWSKI, op. cit, tav. 68), 435 (Ip., tav. 69); Ip., tav. 60. 6 MICHALOWSKI, Op. cit., tavv. 63, 76. 6 E. e M. Ropziewicz, in Etudes et Travaux,

fig. 6.

tav. 69),

11,

in Etudes et Travaux,

1979, p. 197, fig. 4), 402 (Ip., p. 198, fig. 5); W.

pp. 55-64, tav. 4,2.

428

1979,

(Ip.,

p. 199,

KoLaraj,

11,

in Etudes

et Travaux, 6, 1972, fig. 23. $ T. BORKOWSKA KoLATAJ, in «Elementy dekoracji architektonicznej w teatrze na Kom el-Dikka», in Starozytna Aleksandria w bataniach polskich, Warszawa 1977, p. 35 e ss. 9 Ip., p. 39, tipo 1, figg. 6-7. 7 Ip., p. 41, tipo 2, fig. 8. 7! Ip., p. 43, tipo 3, fig. 9. 7 MICHALOWSKI, Op. cit., tav. 62.

7 [p., tav. 79.

211

E .

APPENDICE M.

Bey

2. D.G.

FL FALAKI,

Memoire

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Kom

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T.

BORKOWSKA

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48. 49.

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el Dikka»,

et la destruction

interpretaija mektorych

in Starozytna Aleksandria

des Thermes

elementaw

romanes

dekorayj

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tardifs de Kom

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architektoricznej

odkrytych

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des fouilles polonaises pp.

à Kom

el

133-140.

3. QUARTIERE REALE A.

Edificio presso la «banchina nuova del porto orientale ». Questo

edificio è stato individuato

da Wolfram

Hópfner!,

che ha riconsiderato le circostanze

di rinvenimento

dei ma-

teriali architettonici, analizzandone le caratteristiche, fino ad arrivare ad un'ipotesi ricostruttiva sull'elevato e la funzione: si rimanda quindi al lavoro dello Hópfner, limitandoci qui ad un breve riassunto delle sue conclusioni. Durante i lavori di ristrutturazione della banchina del porto orientale di Alessandria del 1902-1904? e dell'ultimo tratto della ferrovia di Ramleh,

a nord-est

della stazione,

del

1907?,

una

vasta

area lungo

la costa e

all'interno* fu inte-

ressata da diversi scavi: questi, tra l'altro, rimisero in luce resti di muratura in opera quadrata e numerosi elementi architettonici, non del tutto rifiniti (alcuni anzi semilavorati), di ordine dorico (cat. nn. 1-9) e ionico (cat. nn. 10-21) in calcare nummulitico, ed alcuni anche in marmo l'area, un altare con divinità, cat. n. 23).

(tra questi

| HOPFNER, Zwei Ptolemaierbauten, pp. 55-87.

un

architrave,

un

orologio

solare,

cat.

n.

22,

e, piü

a est del-

? G. BOTTI, in BSAA, 4, 1902, p. 120: «... À la suite des terrassements faits par la Compagnie Almagià, ayant l'entreprise des travaux

waren gewaltige Kalkstein -Fundamente aufgedeckt»; E. BRECCIA, in BSAA, 9, 1907, p. 107: nella rue Alexandre le Grand, «di fronte alla scuola Victoria», per i lavori della ferrovia di Ramleh; Ip., Muséé gre-

pour le nouveau Quai d'Alexandrie, à droite des Bains Zouro, et vis-à-

co-romain,

vis de la maison

rita, on a mis à jour découvert quantité de gros blocs en calcaire, sourtout sur la pente nord-ouest au terrain de l’Hépital du Gouvernement». ^ F. NOACK, in AM, 25, 1900, p. 215 ss.: il limite dell'area dei ri-

des Gardes-Cétes,

des bloc énormes

ont étés trouvés,

jetés péle-méle dans le terreau du terre plein des anciennes fortifications arabes.».

? L. BoncHanDT, in BSAA, 8, 1905, p. 1 ss.: «Am flachen Südost-Ufer des "grossen Hafens" lüngs der letzen Strecke der Ramleh-Babn, nordóstlich vom

Bahnhof bis hin zu dem

neu erbauten Victoria College

1922-23, p. 6: «... entres les gares de Ramleh et de Maza-

trovamenti può essere dato dallo scavo di Noack all’angolo tra la rue Champollion (già rue Kartoum) e la rue Alexandre PFNER, Zwei Ptolemaierbauten, p. 66, Beil 22.

le Grand.

Cfr.

Hó-

213

Lo Hópfner é stato in grado di ricostruire due grandi trabezioni dorica e ionica, anche dal punto di vista metrologico, e di esse analizza i rapporti con l'architettura microasiatica e i caratteri conservativi, per le proporzioni di tradizione tardo-classica: ritiene inoltre che esse non facessero parte di un tempio, bensi di un grande portico, con cui mette in relazione i muri di fondazione rinvenuti nell'area (di fronte al Victoria College). A questi peró collega anche altri due tratti di muri paralleli, rinvenuti da Adriani? a circa m. 70 a sud dei primi (dietro l'ospedale governamentale), in uno dei quali riconosce le tracce di una crepidine, di una euthyntheria e di gradini, su cui poggiava un muro o un colonnato e che forse possono essere gli indizi di un tempio”. Non vi sono tra quelli rinvenuti elementi architettonici attribuibili ad un tempio, che doveva essere di grandi dimensioni, come si ricava dal grosso spessore dei due muri. Le fondazioni e gli elementi architettonici inerenti al portico, avrebbero invece dovuto far parte di un grande recinto intorno al tempio, nel

quale è proposto a livello di ipotesi che l’ordine ionico fosse impiegato nei lati est ed ovest, quello dorico negli altri. Vi sarebbe stato nel lato est un propylon, questa volta con elementi architettonici in marmo". I lavori di costruzione di tutto il complesso sarebbero rimasti interrotti forse dopo la morte di Tolomeo III (nel 226 a.C), che li avrebbe iniziati. B.

Ospedale governamentale,

cantieri Finney e altri ritrovamenti (Fig. 132A).

Ma nei pressi dell'area in cui lo Hópfner ha ipotizzato l'esistenza del grande complesso sopra descritto i rinvenimenti di materiali

architettonici,

sicuramente

di tutt'altro contesto,

sono

stati molto

numerosi.

Definiamo

subito le vie moderne,

con tra parentesi i precedenti nomi delle stesse, che delimitano questa zona: a nord essa è limitata dalla sharia Eskandar el Akbar (traduzione di rue Alexandre le Grand); ad est dalla rue Champollion (già rue Kartoum) che terminava a sud nella piazza Said (già piazza di Kartoum),

dove

si trova la colonna

di Ondurmam;

a sud dalla sharia Salah Moustafa

(già

rue Sultan Hussein, già rue o boulevard d’Allemagne o des Allemands, già rue Gallici Bey) che costeggiava a est il lato sud della piazza Said; ad ovest infine dalla sharia Amin Pasha Fikri. Quest'area, grosso modo quadrangolare, comprendeva

l'ospedale

governamentale,

posto

a sud

del tempio

ipotizzato

dallo

Hópfner;

ancora

il consolato

inglese,

che

si af-

facciava sulla sharia Eskandar el Akbar (rue Alexandre le Grand); inoltre era traversata dalle vie L2 e L3 e dalla trasversale R3 del reticolo di M. El Falaki; la «scuola scozzese» si trova invece sulla sharia Amin Pasha Fikri, ma all'esterno dell'area e limitata ad est dalla rue Pereyra*. Citiamo ancora la vecchia stazione di Ramleh, collocata ad est di questa zona, a sud della cosiddetta «Tour des Romains»: la stazione é dunque collocata nei pressi del luogo in cui viene tradizionalmente identificato il Caesareum, posto, appunto, ad est della stazione, all'estremità settentrionale della sharia Satiya (già rue Missalla). Infine menzioniamo ancora, sempre nell'area del porto orientale, il terreno Zouro, collocato presso la costa tra la «Tour des Romains» e l'estremità nord della via Pereyra. Come genericamente provenienti dall'area del porto orientale sono i cat. nn. 184 (inv. 17833), 185 (inv. 17834),

276 (inv. 3803), 576 (inv. 20993), 712 (inv. 17831), 941 B (inv. 3794), 979 (inv. 3801), 991 (inv. 20992).

Il cat. n.

966 B (inv. 3789) é stato invece rinvenuto nei bagni Zouro?, mentre i cat. nn. 458 (inv. 11902), 738 (inv. 11903), presso le fortificazioni arabe alla «Tour des Romains». Da saggi nel terreno al fianco dell' «Ecole Anglaise», tra il mare, la ferrovia di Ramleh

Come

e la «Tour

dono

Levi

des Romains»,

Francis,

è stato rinvenuto

e provenienti

dal

il cat. n. 935 (inv. 78).

«Boulevard

d'Allemagne»

sono

riportati i nn.

163

(inv. 3668),

171

(inv. 3664), 172 (inv.n. 3671)? L'altro grande ritrovamento di elementi architettonici fu effettuato in occasione di lavori presso l'ospedale governamentale, dove, a sud di questo, furono rinvenute già nel 1897 alcune rovine. Riportiamo il passo di Adriani?! sul ritrovamento di «resti di un grande edificio in grossi blocchi di calcare e decorato con colonne di calcare compatto, che seguivano verosimilmente l'andamento della strada L2», nel quale il Botti! aveva individuato un «tempio policromo in calcare». Adriani continua notando come «parecchi oggetti furono allora recuperati per cura del dott.Schiess Bey, direttore dell'ospedale e da lui donati al museo (Botti ne ha lasciato una lista); particolarmente interessanti sono due capitelli policromi

di calcare,

uno

di stile corinzio,

l'altro di stile misto

greco-egizio

(Inv.

nn. 3860-3861)».

Della donazione

Schiess

Bey sono qui inclusi i cat. nn. 197 (inv. 3856), 245 (inv. 3861), 249 (inv. 3582), 261 (inv. 3802), 320 (inv. 3860). Adriani osserva poi che «le rovine furono ancora viste dal Dórpfeld nel febbraio del 1898, ma furono distrutte subito

dopo... Il sito della scoperta ... risultava presso l'angolo SO del recinto dell'ospedale, a circa 30 m. a sud del tracciato della strada L2. Sulla pianta che accompagna il lavoro del Noack è tracciato anche il muro dell'ospedale allora costruito...

Il Noack pensava che le rovine scoperte appartenessero

ad un grande peristilio»!5. ? Cfr. ADRIANI,

mento nel terreno Zouro di una colonna in marmo

ὁ HOpENER, Zwei Ptolemaierbauten, p. 69. 7]p., p. 81, dove è ipotizzato il propylon

due capitelli.

(in AM,

corrispondono

25,

1900,

p. 215

ss.)

aveva

al lato est del recinto,

in marmo rinvenuto

un architrave

nei

in quanto suoi

il

scavi,

marmoreo

non

finito ed anche perché poco oltre é stato rinvenuto nel 1961 l'altare con divinità (cat.23). * Le carte consultate per l’identificazione delle vie sono quelle allegate a: E. BRECCIA, Alexandrea ad Aegyptum, Bergamo 1922; ADRIANI, in Annuario, 1932-33; HOPrFNER, Zwei Ptolemaierbauten, Beil 22;

Egypte Map,

214

(Les s.d.

Guides

bleus),

Paris

1979,

p. 381;

Alexandria,

Tourist

9? Cfr. Cartum,

che

E.

Breccia,

unisce

la

in

Piazza

BSAA,

alla

1932-33, p. 92, n. 111: sul ritrova-

> ADRIANI, Annuario, 1932-33, p. 11 ss.

Noack

che

in Annuario,

I lavori che portarono

9,

omonima

1907,

bianco alta m. 4 e di p. 105:

e il boulevard

via

di

d'Allemagne

«Nella

al

nuovo quai del Porto orientale, tra il giardino dell'ospedale indigeno e il cimitero israelita». La via di Kartoum corrisponde probabilmente alla rue Champollion. !! ADRIANI, in Annuaire,

1932-33, p. 86.

? G. BOTTI, in BSAA, 1, 1898, p. 56. ? F. Noack, in AM, 25, 1900, p. 219 ss. La pianta è riprodotta anche in ADRIANI, Topografia, p. 71, fig.A: cfr. nella pianta la struttura con l'indicazione «Neue Hospitalmauer».

scoperta di questo edificio furono occasionati «dalla demolizione di un tratto delle mura arabe», dove erano incorporate parecchie colonne frammentarie di granito rosa e grigio, poi trasportate nei giardini dell'ospedale. Questa demolizione aveva permesso di riconoscere anche i resti di muri più antichi in blocchetti di calcare, definiti «muri bizantini». Nei cantieri Finney, cioé in una proprietà collocata tra la shaira Eskandar el Akbar (rue Alexandre le Grand) e la rue du Consulat d'Angleterre, durante i lavori degli anni 1933-37, furono messi in luce numerosi muri di epoche diverse, alcuni dei quali relativi alle fondazioni in opera quadrata di edifici monumentali di età tolemaica e con direzione approssimativa nord-ovest — sud-est". Furono qui ritrovati diversi frammenti architettonici, tra cui i cat. nn. 189 (inv. 25657),

243, 256 (inv. 25667), 285 (inv. 25666), 286 (inv. 25672), 290 (inv. 25663), 781 (inv. 25668), 826 (inv. 25674), 914915, 942-943, 965-966, 968 (inv. 25671), e i nn.inv. 25664, 25665, 25670, 25673, 25675. Dalle schede inventariali del museo risulta che dall'area del Cricket Club di M.Finney, immediatamente ad ovest dell'ospedale governamentale, provengono i cat. nn. 160 (inv. 24027) e 448 (inv. 24026): evidentemente si tratta della stessa proprietà in cui sono avvenuti

i ritrovamenti sopra citati nei cantieri Finney. Ad ovest dell'ospedale governamentale, collocata tra la rue Amin Pacha Fikri e la rue Pereyra vi era la ex scuola scozzese (all’incrocio della longitudinale L2 e della trasversale R4 della pianta di M. El-Falaki), presso cui è stato rinvenuto un ambiente di età tolemaica con pilastri d'angolo a cuore, tra i quali vi erano semicolonne addossate a pilastri^. Sopra la distruzione di questo ambiente si rinvenne poi un mosaico romano. Nell'area invece tra l'ospedale governamentale e la sharia Gamal Abd el Nasser (già rue Fuad, già rue di Rosette, già rue Al Horrya), più esattamente tra la ex casa Olivier e la scuola Menasce, sarebbe stato visto nel 1892, secondo il Botti, l'angolo di un edificio con colonne di granito di Assuan e grandi capitelli corinzi in due pezzi di basalto!5: questa segnalazione sarebbe confermata da notizie più antiche di ritrovamenti simili"; a questo edificio il Noack attribui undici basi e una grande colonna in granito di Assuan (con diametro inferiore maggiore di m. 1), da lui viste presso il «Porto dei Re», sulle rive del porto orientale, ma lì trasportate dall'edificio rinvenuto presso la scuola Menasce'®. Sempre da questo edificio proviene la colonna in granito di Assuan (altezza m. 10,54; diametro inferiore cm. 109,8; diametro superiore cm. 98) e il capitello corinzio in basalto (cat. n. 203; altezza cm. 138) rialzati nel 1899 nell'attuale piazza Said. Adriani rileva come questi resti dovevano appartenere ad un complesso monumentale esistente tra la via Canopica (rue di Rosette) e la lungitudinale L2!, e come nella stessa area era anche collocato il grande edificio in blocchi sopra menzio° del Botti). nato (il «tempio policromo» Menzioniamo ancora il ritrovamento del cat. n. 180 (inv. 17855) nella rue Champollion, al di sotto di una casa «a nord di casa Sursock»?°, mentre nelle fondazioni di questa si rinvennero «cinque bei tronchi di colonne scanalate in granito rosa aventi un diametro

uniforme

di circa m. 0,80»?!.

Infine ricordiamo il ritrovamento di numerosissime mattonelle intere e frammentarie di diverse qualità di marmo (alabastri di vario tipo, pavonazzetto, giallo antico, breccie di Sciro, tra cui anche la qualità del semesanto, porfido, basalto, cipollino, serpentino), rinvenute durante gli scavi per la costruzione del museo (inv. 17583-17744).

4.

ALTRI

NUCLEI

DI DIVERSE

PROVENIENZE

Un altro ritrovamento abbastanza consistente (cat. nn. 158, 659, 674, 955), avvenne durante la costruzione della Scuola d'Arte e Mestieri dei Fréres des Écoles Chrètiennes, collocata tra la rue E] Faranda e la rue Sidi Abou Darda, ad est e ad ovest, e tra la rue Amir Abdel Moneim e la rue FI Imam Ali a nord e a sud, di fronte alla stradina Sidi el

Wasti (nella zona nord dell'antico quartiere di Rakhotis). «Lavorando per scavare le fondazioni si videro e si estrassero parecchi tronchi di colonne di granito e di marmo, un tronco di colonna di marmo trasformata in condotto d'acqua e terminante in una testa di leone a basso rilievo; un capitello ionico di marmo bluastro; due magnifici e grandi pezzi di cornici in marmo, che avevano appartenuto a un edificio cristiano; un pezzo di fregio su cui sono i resti d'un'iscrizione ...

Inoltre si rinvenne un superbo capitello bizantino del tipo cosidetto a imbuto o ad abaco (kimpferkapitell) col corpo rivestito da una graticciata a rilievo e con quattro rilievi di motivo floreale nel centro delle quattro facce» 2. A sud di Kom el Dik inizia la grande rue Moharrem Bey: nella parte iniziale di essa è stato ritrovato nel 1960 un consistente numero di capitelli corinzi marmorei e di altri elementi riferibili all'età imperiale avanzata e bizantina (cat. nn. 446-447, 451). Tra

le donazioni

di elementi

architettonici

fatte al museo

va ricordato

il dono

M.Sardella,

che

dalle

schede

inventa-

riali del museo risulta provenire da Ibrahmieh, cioè dall’area delle necropoli di Hadra (cat. nn. 118, 186, 325-327, 803,

14 ADRIANI,

in Annuaire,

1935-39,

pp. 24-32,

39; ADRIANI,

grafia, nn. 31-32, p. 75, tavv. 14, 16-19. 5 ADRIANI, in Annuario, 1932-33, p. 85, n.:87; ADRIANI, grafia, n. 34, p. 77, tavv. 18, 61. 1$ G. Borr, Rapport 1892-93,

p. 35;

cfr.

ADRIANI,

Topo-

18 F, NOACK,

Topo-

1? ApRIANI, Topografia, n. 35, p. 78. ? E. BRECCIA, in BSAA, 9, 1907, pp. 105-106:

Topografia,

n. 35, tav. 78. 17 NgRoutsos

p. 72.

in AM,

L'ancienne

Alexandrie,

Alexandrie

1888,

nelle fondazioni

della casa Sursock sono state rinvenute anche cinque tronchi di colonne scanalate in granito (diam.circa cm. 80); ADRIANI, in Annuario, 1932-33,

p. 85; E. Breccia, Bry,

25, 1900, p. 219 ss.

2! ADRIANI,

Alexandreia ad Aegyptum,

in Annuario,

Bergamo

1922, p. 89.

1932-33, p. 85, n. 26.

? E. BRECCIA, in BSAA, 9, 1907, pp. 108-109.

215

811-813,

922,

927,

931-933,

939; inv.

nerica provenienza dalle necropoli

17747-17828).

(cat. nn.

Va rilevato che frequente è, nelle schede inventariali la voce

103, 361-363,

365,

868,

886, 928-929,

936) o dalla Necropoli

di ge-

Occidentale

(cat. nn. 945, 953) o da Gabbari (cat. nn. 111-112, 117, 232-235, 278-279, 282, 783, 791, 888, 912, 916, 972, 976): solo gli elementi architettonici rinvenuti nella necropoli di Mustafa Pascià (cat. nn. 210, 242, 840, 905, 948) hanno un'indicazione più precisa. Dall'area di Kom esch Shogafa, ma non dalla necropoli, bensì da un edificio monumentale, provengono

216

i cat. nn.

114,

143-145,

316-317,

787,

789).

Bagni Zuro. Torre dei Romani. Vecchia stazione di Ramleh (Place Ismail). ia College. Ospedale governamentale. Piazza Said. Consolato inglese. Scuola scozzese. Cesareo. Cricket Club di M. Finney. Casa Sursoch. Scuola Menasce. Museo Greco Romano. l'arte e mestieri (École Professionelle). Abu Darda, della Via Moharrem Bey. «Colonna di Pompeo». Kom EI Shogafa. Forte Faleh, Gabbary. esa di Theonas. Selsileh. Moschea-Nebi Daniel. EI Wardian. Moschea Ibrhaim Tarbane (Terbane). Chiesa Copta. Rue Zein El Abedine Waziri. Patriarcato Copto.

PIANTA DI ALESSANDRIA - 1941

= = = -

-

| OLLIDH.G. VIMONVSSAT VILNVId

II CANOPO

A circa km. 15 da Alessandria vi è la penisola di Aboukir, caratterizzata da un promontorio che la divide in due parti, quella orientale, dove si trova l'ottocentesco fortino di Ramleh, e quella occidentale, dove sorge il fortino di Teufi-

kieh. Le rovine di Canopo si estendevano secondo il Breccia! dal fortino di Ramleh fino alla parte occidentale, mentre i resti di Menuti? dovevano distare solo alcune centinaia di metri ad est di Canopo.

Si ritiene che Canopo risalga già all'età faraonica, quando era capitale del nomos menelaite?. Dopo la fondazione di Alessandria essa ne divenne un sobborgo, famoso per i santuari e per il conseguente afflusso di fedeli, in particolare durante le feste Panegirie, ed è nota la fama di dissolutezza che ben presto la circondó. I santuari più famosi erano costituiti dal tempio di Osiride, costruito da Tolomeo III e dove ogni anno il 29 del mese Choiak era trasportata la barca di Osiride, e dal tempio di Serapide, già famoso nella prima metà del III secolo a.C.: i due templi sono ritenuti distinti dal Breccia^. Dovevano esservi anche luoghi di culto per Arpocrate, per Bes e per la «Madre degli Dei», cosi menzionata in iscrizioni? rinvenute a Canopo e probabilmente da identificare con Cibele. Ancora dalle fonti siamo informati dell'esistenza di complessi cristiani, dei quali non è stato identificato alcun edificio,

ma

la cui esistenza è confermata

da numerosi

elementi

architettonici:

su iniziativa del vescovo

Teofilo

fu eretto sul

luogo del Serapeo il monastero dei Tabennesioti, seguaci della regola di Pacomio; il monastero sorgeva presso una chiesa dedicata agli Apostoli. Ma il più importante dei monasteri di Canopo era quello della Metanoia o della Penitenza, molto ricco in quanto disponeva come rendita di una parte dell'annona$.

Nel vicino centro di Menuti, già in età tolemaica vi era un tempio di Iside piuttosto rinomato, distrutto dal vescovo Cirillo, che in suo luogo consacrò una chiesa dedicata agli Evangelisti”: presso questa si trasferirono le ossa dei martiri Ciro e Giovanni, il cui culto divenne diffusissimo per 1 suoi aspetti taumaturgici (in seguito infatti tutta la penisola su cui sorgevano Canopo e Menuti assunse il nome di Aboukir, derivante da Abu Kyr)*. I due centri furono poi quasi del tutto abbandonati, ma la loro distruzione risale soltanto al secolo passato, quando i fortini militari furono costruiti con blocchi di rempiego provenienti dagli antichi edifici, e soprattutto ai primi decenni di questo secolo, quando dalle rovine furono tratti materiali da costruzione sia per il campo di aviazione inglese (1917-18),

sia per i nuovi edifici di Alessandria?. Scavi regolari furono eseguiti nel 1893 da parte di Daninos Pascià e del Botti'?; l'allargamento delle cave ai piedi del forte Teufikieh e in un terreno di proprieta del pascia O. Tousson determinó agli inizi di questo secolo lavori di recupero di materiali antichi!!, tra cui molti elementi architettonici poi acquisiti dal museo di Alessandria (dono Tousson; cat. nn. 97-98, 105-110, 115-116, 120, 123, 170, 173-176, 188, 193, 199, 202, 204, 212-213, 315, 237, 246, 248, 255, 258, 262, 280, 283-284, 288, 299, 306, 308-315, 321, 323-324, 332-337, 340, 343-349, 351, 542-543, 802, 805-807, 809, 816, 818, 821, 823-824, 827-828, 833-836, 841-843, 845-851, 853-854, 856-857, 859, 861-864, 866-867, 879883,

885,

893-894,

899-900,

903,

917,

930,

934,

940-941,

946-947).

Presso

questo

luogo

vi sarebbe

stato il tempio

di

Serapide identificato in base alle iscrizioni e al materiale rinvenuti in una vasta spianata di circa m. 80x80, in cui vi erano numerosi frammenti architettonici e mosaici ancora in situ’. In particolare

! Breccia,

sono

Monuments,

stati rinvenuti

numerosi

tronchi

p. 9 ss.: la penisola di Aboukir comprende

le spiaggie di Maamoura, di Moaskar e i forti di Teufikieh e di Ramleh. ? [p., p. 16. 3 Ip., pp. 16-17. * [p., p. 18. ? E. BRECCIA,

in BSAA,

17, 1919, p. 189 ss.

$ BRECCIA, Monuments, pp. 26-30.

di colonna

con

venti scanalature

7 Cfr. L. DucHESNE,

in granito

in BSAA,

di Assuan P

che

il

12, 1910, pp. 3-14.

* Breccia, Monuments, p. 31. ? Ip., pp. 30-31. ? Ip., pp. 32-33. H Cfr. E. BRECCIA, in BSAA, 8, 1905, p. 107 ss. 12 BRECCIA, Monuments, p. 38.

? Il Breccia riferisce che il tronco di colonna con il massimo dia-

217

Breccia distinse in due gruppi: il primo costituito da rocchi sovrapposti, l'altro da fusti monolitici; inoltre li attribuì all’ordine dorico, rilevando come ciò non concordi con le poche basi superstiti, nè con i più mumerosi capitelli di tipo corinzio, in entrambi i casi di marmo, rinvenuti nella zona. In ogni modo le misure dei capitelli (altezza cm. 75 e diametro inferiore cm. 50) non si accordano a quelle delle colonne in granito. Sempre il Breccia riporta il ritrovamento di altre colonne con fusto liscio, sia in calcare rivestito di stucco, sia in marmo. Furono anche trovati un capitello ionico in calcare, lavorato

insieme

al sommoscapo

della colonna,

e un architrave

di porta,

sempre

in calcare.

Il Breccia riferisce inoltre che

da questa zona e dagli immediati dintorni proviene «la grande maggioranza degli oggetti donati alla Società Archeologica da S.A.

Principe Omar

Pascià Tussun.

Tale raccolta,

assai varia,

comprende

anche

molti frammenti

architettonici,

in cal-

care per lo più, e in marmo: colonne e rocchi di colonne di varie dimenzioni a fusto liscio, a fusto con scanalature assai profonde o con scanalature appena accentate; capitelli dei più diversi ordini: dorico, ionico, corinzio (in prevalenza papiri-

formi, floreali e greco-egizi)» ᾽ς. Pur non essendo possibile ipotizzare una pianta degli edifici che occupavano la spianata, il Breccia ritiene che il tempio dovesse essere di tipo greco e non egizio, e possibilmente di stile dorico. Va rilevato, tuttavia, che in un passo di Apollonio Rodio il Serapeo di Canopo è associato a colonne corinzie! e che la sommaria descrizione che il Breccia fa dei fusti scanalati in granito di Assuan non sembra escludere la possibilità che in realtà appartenessero all’ordine ionicocorinzio. A circa m. 60 a sud del Serapeo sono state rinvenute altre due colonne di granito di Assuan a fusto liscio (altezze rispettivamente

m. 4,65

e m.

3,65;

diametro

cm.

50

e cm. 40)

«presso

le rovine

di un

edificio

a filari di pietra e mat-

toni, una parte del quale era certo adibita a forno». Ad est del forte Teufikieh numerose statue di età faraonica furono scoperte. su una superficie di circa m. 21x21, pavimentata con lastre calcaree e granitiche e attraversata da resti di grandi fondazioni a da una parete in blocchi di granito di Assuan. Nella stessa area si sono ritrovati frammenti di colonne doriche in calcare. In queste rovine si è creduto riconoscere il tempio di Iside, sempre di Canopo, e non quello di Menuti!f. Sulla collina su cui sorge il forte di Ramleh e su altre più basse vicine vi è un’area di m. 25x23 con resti di una costruzione in blocchi e blocchetti

di età tolemaica,

ma rifatta in età romana,

che viene identificata in un edificio termale.

Infine tutta l’area di Canopo ha restituito numerosi resti di abitazioni e soprattutto di vasche e di piscine, anche di grandi dimensioni; di conseguenza frequenti sono anche i rinvenimenti di cisterne sia semplici, sia a corridoio, non infre-

quentemente conservanti il soffitto a volta e l’accesso talvolta a forma di pozzo cilindrico. Menzioniamo ancora un gruppo di vasche scavate negli scogli vicino al mare, presso cui erano «grandi blocchi di granito, alcuni dei quali sono frammenti di statue colossali»: in esse il Breccia vuole riconoscere delle peschiere, secondo i tipi rinvenuti anche in altre zone

dello stesso litorale 17, Una zona di necropoli è stata rinvenuta nella zona tra il supposto tempio di Iside e il mare, dove sono stati messi in luce molti ipogei ravvicinati, caratterizzati da un «pozzo» di accesso, un piccolo atrio ed una o più camere, sulle cui

pareti si aprono file di loculi.

Altre aree funerarie sono state viste presso l’Hotel Canopo

(già villetta di Daninos

Pascià), con ipogei sotterranei profondi fino a m. 12, uno dei quali con accesso costituito da una galleria lunga m. con 43 gradini,

altri articolati in molte camere

14 e

con una o due file di loculi nelle pareti.

Ad una certa distanza ad est del forte di Teufikieh sono stati ritrovati sarcofagi in marmo a festoni.

metro misura cm. 105, quello con il diametro minimo cm. 90; in un altro frammento è conservato un sommoscapo dal diametro di cm. 83; si riporta inoltre la misura della larghezza delle scanalature, corrispondente

a cm. 15. 4 Breccia, Monuments, p. 39.

218

5 ApPOLL. RH., frg. 1 (Powell); cfr. P.M. xandria, Oxford 1972, p. 266, nota 634, 16 Breccia, Monuments, p. 42.

U Ip., p. 46. 18 Ip., p. 47.

FRASER,

Ptolemaic Ale-

i

EL-DEKHELAH

Nel 1907 il Breccia! identificò come provenienza di alcuni pezzi comparsi sul mercato antiquario, tra cui quattordici iscrizioni e un bassorilievo marmoreo raffigurante S. Mena, una cava di pietra presso il villaggio di El-Dekhelah, subito a ovest di Alessandria. Sul posto furono individuati i resti di un edificio cristiano di considerevole importanza, ma per la maggior parte distrutto: era ancora visibile un corridoio scavato nella roccia, ma con le pareti in parte rivestite di stucco, largo m. 2,5 e con andamento

nord-sud;

verso

sud esso comunicava

con una cisterna.

Ad ovest del corridoio furono rinvenuti i frammenti di una lastra marmorea decorata con rilievi e recante sul bordo tracce alt.m.

di un’iscrizione menzionante un arcivescovo, e due colonne in marmo bianco (rispettivamente inv. 13854, 1,03, con capitello non intagliato e base solpiti nel medesimo blocco; inv. 13857, altezza cm. 170; diametro infe-

riore cm. 69; diametro superiore cm. 61). Si trovarono ancora i frammenti di una transenna marmorea, ricomposta con integrazioni in stucco (cat. n. 1030, inv. 13855) un fusto di colonna (altezza cm. 205; inv: 13852) scanalato a spirale nei due terzi superiori e con otto scanalature inferiormente? (Fig. 134); un altro frammento della parte inferiore di un fusto simile recava un incasso per l'inserimento di un cancello? (Fig. 133). Il Breccia afferma ancora che nello stesso luogo furono rinvenuti sette capitelli in marmo”, mentre altri due? acquistati sul mercato antiquario avrebbero avuto la medesima provenienza, insieme ad un pilastrino decorato in marmo bianco, con traccia dell’inserimento di un cancello (alt. cm. 1,33, inv. 13859; cat. n. 1029A) e al frammento della parte superiore di un altro uguale (alt. mass. cm. 89, inv. 13856). Sulla base delle iscrizioni, la più antica delle quali è datata al 524 d.C., il Breccia ritiene che l’origine degli edifici a

cui i frammenti appartenevano debba risalire al più tardi al VI secolo. Gli edifici sono identificati, su suggerimento di M. Crum®, con uno dei monasteri di Ennaton, ma forse non con quello principale’. Riportiamo di seguito l’elenco dei pezzi (tutti in marmo) venienti da El Dekhela (Figg. 133, 227). 11899 11900 13725 13726 13727 13728 13729 13730 13852

che nell’inventario del museo

di Alessandria risultano pro-

(cat. n. 449) capitello corinzieggiante (v. nota 5) (cat. n. 537) capitello corinzieggiante capitello «cristiano» (alt. cm. 17) capitello corinzieggiante a quattro foglie (alt. cm. 14,5) capitello corinzieggiante (alt. cm. 14,5) capitello corinzieggiante (alt. cm. 26) capitello corinzieggiante (alt. cm. 16) capitello corinzieggiante (alt. cm. 14,5) colonnina (v. sopra)

LE. Breccia, in BSAA, 9, 1907, pp. 3-12; per le iscrizioni anche G. LEFEBVRE, in BSAA, 8, 1905, pp. 11-19.

cfr.

gianti, corrispondenti ai cat. nn. 502 (inv. 14155, Ib., p. 10, n. 4a) e 503 (inv. 14157; Ip., p. 10, n. 4, fig. 6); di un capitello sbozzato (cat.

? Ip., fig. 1.

n. 689; inv. 14156; Ib., p. 10, n. 5, fig. 7).

3 Ip., fig. 2 4 Si tratta: di un capitello corinzio con una corona di quattro foglie

foglie

angolari

e croce

(alt. cm.

16; lati abaco

inscritta

in un

cm. 25x24;

cerchio Ip.,

al centro

di uno

dei

lati

p. 7, n. 1, fig. 4); di un altro

simile, leggermente più grande, ma in cattivo stato di conservazione e con incasso sul lato opposto alla croce (Ip., p. 10, n. 1a); di un capitello con kalathos baccellato e lati dell'abaco decorati con volute (alt. cm. 14;

*I

due capitelli lisce (il primo

sono corinzi con foglie d'acanto sovrapposte a alt. cm. 33: In., p. 10, n. 6; il secondo cat. n.

447: Ip., p. 10, n. 7, fig. 8). $ Ip., pp. 3-4.

7 Cfr. Ip., p. 12, per l’identificazione del monastero principale con Kom el Zougáeg, Dérr, dove furono

o Kom el Hanadoun, ovvero con la località di Ei viste le vestigia di una cisterna e di muri di fonda-

Ip., p. 10, n. 2, fig. 5); di un altro simile più piccolo (forse identifica-

zione e vicino alla quale si trovavano resti di antiche costruzioni, tra cui

bile con

blocchi in granito rosso.

il n.

inv. 13994;

Ip.,

p. 10,

n. 3); di due

capitelli

corinzieg-

219

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GLA

Fig.

13853 13854 13855 13856 13857 13858 13859 13990 13993

133 - Alessandria, museo,

Fig.

capitello corinzieggiante (alt. cm. 17,5; lato abaco cm. 28) colonnina (v. sopra) (cat. n. 1030) transenna (v. sopra) pilastrino di transenna (v. sopra) fusto di colonna (v. sopra) capitello corinzieggiante (alt. cm. 14; lato abaco cm. 34) pilastrino di transenna (cat. n. 1029A) (v. sopra) (cat. n. 684) capitello con kalathos baccellato (cat. n. 686) capitello con kalathos baccellato

13994

(cat. n. 687A)

13995 14155 14156 14157

capitello (cat. n. (cat. n. (cat. n.

220

da El-Dekhelah (dal Breccia).

capitello con kalathos baccellato

corinzieggiante (alt. cm. 17) 502) capitello corinzieggiante (v. nota 4) 689) capitello sbozzato (v. nota 4) 503) capitello corinzieggiante (v. nota 4)

(v. nota 4)

134 - Alessandria, museo, da El-Dekhelah (dal Breccia).

IV TEADELFIA

1. Premessa.

Un

consistente

numero

di

elementi

architettonici

conservati

nel

museo

di

Alessandria

proviene

da

Teadelfia

(inv. 19902-19913, 20883-20895, 20977, 20941, 21792, di cui qui inclusi i cat. nn. 98 A, 301 A, 368-372, 553-556, 924, 937, 951, 955-958, 982). La località di Batn Herit, verso il limite occidentale dell’oasi del Fayum, fu identificata per la prima volta come l’antica Teadelfia nel 1898-99 da Grenfell e Hunt!, che ne esplorarono le rovine alla ricerca di papiri: gli edifici di abitazione si rivelarono in buono stato di conservazione, ma privi di reperti antichi. Fu identificato anche un tempio nei pressi

della necropoli. Nel 1902 le ricerche furono continuate da Rubensohn?, che studiò in particolare due case. Nel 1908 furono ritrovati casualmente due esemplari di un'iscrizione riguardante il diritto di asilo concesso dalla regina Berenice VI nel 58-57 a.C. per il tempio del dio coccodrillo Pneferòs, confinante a sud con il Boubasterion e a nord

con

la necropoli

degli

animali

sacri.

Il Lefebvre’,

cercando

di individuare

i complessi

citati nell'iscrizione,

mise

in

luce un edificio a pianta trapezoidale in mattoni crudi rinforzati con travi di legno, il quale era fronteggiato da una fila di colonne in calcare. In uno degli ambienti furono visti i resti di impianto per la spremitura dell’uva: più che di un reim-

piego tardo dell’edificio del tempio si può forse pensare a degli annessi di tipo utilitario al santuario*. Il Breccia’ infine mise in luce e studiò il tempio di Pneferós e parte di un edificio con funzione termale situato a nord di questo. La fondazione di Teadelfia risale probabilmente a Tolomeo II, dalla cui moglie-sorella divinizzata, Arsinoe II, prende il nome”. La città fu un fiorente centro agricolo durante tutta l'età ellenistica e nei primi due secoli dell'impero, ma subi successivamente una rapida decadenza, a causa probabilmente della mancata manutenzione dei canali di irrigazione, e nella seconda metà del IV secolo doveva essere abbandonata”.

Da papiri ed iscrizioni conosciamo l’esistenza di santuari dedicati ad Ercole, ad Iside Eseremfia e al dio Erón*, e del citato tempio di Pneferós, con il Boubasterion e la necropoli degli animali sacri.

2. Il tempio di Pneferós. Il santuario sorgeva nel centro della città antica, allo sbocco di una strada che correva in senso nord-sud fiancheggiata da edifici di abitazione; la facciata meridionale del recinto si affacciava su una via ortogonale a questa, la quale proseguiva verso est e verso ovest attraversando probabilmente l'intera città. L'ingresso, in asse con la strada nord-sud e fiancheggiato dalle statue di due leoni accovacciati, era costituito da un propylon, dedicato nel 137 a.C. da Agatodoro, cittadino di Alessandia e ufficiale della seconda eparchia, come testimonia l'iscrizione al di sopra dell'architrave?. Attraverso un vestibolo bipartito terminante con un’apertura arcuata, si entrava in un cortile (m. 19 x 18), dotato di un grande pozzo e limitato ad est e ad ovest da una serie di ambienti su due piani, con nicchie,

spesso

dipinte,

ΕΒ, GrENFELL, A.S. London 1900, pp. 51-62.

ricavate nello spessore

delle pareti.

Hunt,

their

.

Fayüm -

Towns

and

Papyri,

20. RUBENSOHN, in JdI, 17, 1902, p. 47; 20, 1905, pp. 1-25. 3 G. LEFEBVRE, in CRAI 1908, p. 762 s.; Ip., in ASAE, 10, 1910,

pp. 162-170; 19, 1919, pp. 38-62.

^ BnaECCIA, Monuments, pp. 89, 96.

Nel cortile si trovava inoltre una colonna

5 Ip., pp. 87-131. 6 In., p. 92: il papiro

più

antico

formata

menzionante

da rocchi di

ja città

è del

III

'secolo a.C. 7 Ip., p. 93.

8Ip., p. 95. ? Ip., pp. 100-104.

221

calcare, terminante superiormente con un abaco, con incasso sul lato verso l'ingresso e fori soprastanti destinanti a sorreggere torce: sulla colonna era incisa un'iscrizione, dedicata probabilmente ai sovrani Cleopatra III e Tolomeo XI nel 102

a.C. 1, Verso

proprio, calcare. di essi furono

nord,

circondato

da una

sorta

di corridoio

che

dal muro

lo separava

di cinta,

si trovava

il santuario

vero

e

a cui si accedeva per mezzo di un apertura fiancheggiata da due robusti piloni in mattoni crudi e da due sfingi in Seguivano due piccoli cortili (rispettivamente m. 4 x 12 e. m. 4 x 10) separati da una porta in calcare. Il primo fu in epoca tarda parzialmente occupato da un ambiente coperto, forse adibito a deposito, mentre nel secondo rinvenuti frammenti di suppellettili in legno scolpito e la portantina processionale. Dal secondo cortile per mezzo

di una porta in calcare

al centro

del lato nord,

dove

sono

stati rinvenuti

alcuni affreschi,

si accedeva

ad un vestibolo

co-

perto (m. 5 x 3,5) antistante la cella: questa era quasi interamente occupata da un altare costruito in calcare, poggiato sulla parete di fondo e dotato di tre profonde nicchie per ospitare i coccodrilli sacri. Ai lati del vestibolo due corridoi collegavano il cortile con ambienti di servizio destinati alla conservazione della suppellettile del culto. Il santuario doveva esistere già nel 137 a.C., quando fu dedicato il propylon d’ingresso, ed era ancora in funzione nel 163

d.C.,

come

testimonia un'iscrizione in onore di Marco

Aurelio

e Lucio Vero".

3. Edificio termale. A nord del tempio è stato rinvenuto un edificio con muri in mattoni crudi. Dall’ingresso, posto sul lato settentrionale si accedeva in una vasta sala rettangolare (m. 14,30 x 4,20), con soffitto sorretto da quattro colonne in calcare giallo, in parte ritrovate in situ, insieme alle basi, e in parte in frammenti sparsi nell’area, insieme a quattro capitelli corinzi (cat.

nn. 553-556; inv. 19902-19905)". Sulla parete meridionale della sala si aprivano due nicchie, una a pianta quadrangolare e l’altra absidata (m. 2,30 x 2,40), entrambe dotate di vasche in cui si scendeva per mezzo di gradini in pietra e il cui svuotamento era assicurato per mezzo di condutture in piombo. Tra le due nicchie una terza apertura arcuata dava su un corridoio che conduceva agli ambienti retrostanti, non ben conservati.

1° Ip., pp. 106-108.

222

7 [p., p. 119. ? Ip., pp. 123-124.

V DIONYSIAS

].

INTRODUZIONE

Dionysias

é l'ultima città del Fayum

a Nord,

non

lontana

dal deserto

della Libia; le sue rovine

sono

situate ad ovest

del lago Qarun, a circa km. 4 dalla riva attuale del lago, che in origine lambiva la città; tali rovine sono state calcolate su un'area che misura m. 800 in lunghezza ed oltre m. 400 in Jarghezza!. Le fonti antiche su Dionysias sono Tolomeo?, che cita Dionysias insieme a Bacchias, considerandole parte della Marmarica (regione africana tra l'Egitto e le Sirti), e la Notitia Dignitatum Orientis?, che segnala la presenza a Dionysias dell’ala quinta Praelectorum alla fine del IV secolo d.C. Oltre a questi due testi esistono circa 80 papiri ed ostraka nei quali appare il nome di Dionysias: i più antichi sono delle liste di imposte, datate dall'editore F.Preisigke^ al III secolo a.C., i più recenti sono i papiri riguardanti la corrispondenza di Abinnaeus, intorno al 350 d.C. comandante del distaccamento di cavalleria che stazionava al limite del deserto?. Dall'epoca di Tiberio almeno, e fino al II secolo d.C. nei papiri la città è detta «presso le miniere di rame»; nel IV secolo, nella corrispondenza di Abinnaeus si trova la menzione dei «Castra Dionysiados »$. Non è nota la data di fondazione di Dionysias, ma, essendo attestata la citta di Bacchias a cui essa è spesso associata già nel 249 a.C., alla fine del regno di Tolomeo II Filadelfo”, si è ritenuto molto probabile che anche Dionysias fosse già esistente nel primo periodo tolemaico; alcuni hanno anche suggerito che il suo nome sia da connettere con un intervento di Tolomeo IV Filopatore, di cui è noto il ruolo nella diffusione del culto di Dioniso?. Comunque la fondazione di Dionysias dovette certamente essere connessa con le vicine miniere di rame, alle quali forse conduceva,

2.

LUOGHI

come

vedremo,

ED EDIFICI NOTI

una grande

DAGLI

SCAVI

strada che attraversava la città nel senso

sud-est - nord-ovest?.

E DAI PAPIRI.

Una prima descrizione dei resti archeologici di Dionysias è dello Jomard!°, che si interessò soprattutto al tempio tolemaico presente sul sito; circa un secolo dopo, nel 1898-1899, Grenfell ed Hunt compirono alcuni saggi di scavo intorno

al tempio, ma le loro ricerche durarono solo pochi giorni!!. La prima campagna di scavi regolari è stata condotta ai primi del 1948 in comune dall’Istituto francese del Cairo e dall’Università di Ginevra?. I nuclei principali portati alla luce durante tale campagna riguardano il tempio tolemaico, la strada processionale, il komasterion, il «mausoleo», un quartiere di abitazioni posto a sud della città, e definito perciò dagli

editori dello

scavo

il «Quartiere

Sud»!,

un insieme

di stanze

ad ovest del tempio,

nonché

un'officina in cui si la-

vorava il vetro. Quest'ultima è stata identificata grazie alla presenza in essa di tavole di pietra rotonde,

FS.

ScHwartz,

H.

WILD,

Qasr

Qarun/Dionysias,

1948,

Fouilles

Franco-Souisses, I, Le Caire 1950, p. 1. ? ToLoMmEO, IV, 5,15. 3 Notitia Dignitatum Orientis, XXVIII,

59325,

1. 59,

mentre

sull'associazione

* Cfr. SCHWARTZ, WILD, ? Ip., p. 8, nota 6.

34.

a

fornitaci

da

un

ostrakon

op. cit., I, p. 6, nota 3.

10 JomaRD, Description de l'Egypte, IV, pp. 457-477. ! Cfr. B.P. GRENFELL, A.S. Hunt, Archaeological Report 18981899, (Egypt Exploration Fund), p. 13; Ip., Papyr, London 1900, pp. 11, 63.

(Ostr.Fay. 21, dell’anno 306 d.C.), che menziona i cdstr(a) anoikodo-

12 ScHwARTZ, WILD, op. cit., I, p.V.

móumen(a)

13 [p., p. 10.

en kóme Dionusiddi:

di Bacchias

Dionysias v. ToLoMEO, IV, 5,15.

^F. PreIsIGKE, Worterbuch der griechischen Papyrusurkunden, (ed.E.v.Kiessling), III, Berlin 1931, p. 16 ss., a, s.v. 5 SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 2 ss. La formula di transizione è quella

? P.Zenon.

sulle quali sono

cfr. SCHWARTZ,

WILD,

op. cit., I, p. 2.

Fayyum,

Towns

and their

223

ÉCHELLE

toon.

LEGEND 100 amt

*

cet

J frescue

N Batiment officiat founié

Da

Henri Wild

Fig. 135 - Dionysias, pianta generale (dallo Schwartz - Wild).

stati ritrovati dei grossi pezzi di vetro verde non ancora lavorato, che aveva lo stesso colore di alcune basi di vasi ritro-

vate sul terreno ^. Durante la prima campagna di scavi si è anche individuata la fortezza, della quale venne descritto soltanto l’esterno,

poiché lo scavo vero e proprio di tale edificio avvenne nel 1950, durante la seconda campagna degli scavi franco-svizzeri, quando fu rimessa in luce anche un’officina di monete (vi furono ritrovati circa 15. 000 stampi)!.

È nota dai papiri la nomenclatura di alcuni dei siti urbani della città: in particolare è citato un quartiere sud dove era una scuderia per cammelli!. Vi erano certamente il grapheion" ed il thesaurés'*, malgrado non siano stati ritrovati durante gli scavi, e dovevano

esistere altri edifici pubblici,

data la menzione nei papiri di numerosi funzionari!?.

Sempre i

papiri ci informano che a Dionysias erano praticati la cultura dell’olivo e l’allevamento dei cammelli”. La città possedeva un impianto urbanistico ortogonale (Fig. 135): sono state rinvenute infatti tre grandi strade parallele in direzione sud-est nord-ovest e due minori perpendicolari a due di esse; la strada mediana trasversale attraversava tutta la città e coincideva con un percorso precedente, che, come già detto, conduceva alle miniere di rame ed anche a Quta e all'oasi di Bahria”!. In questa grande via trasversale mediana J.Schwartz propose di riconoscere la «e ek libòs rüme basiliké»?. La strada più a nord di questa costituiva il grande dromos conducente al tempio faraonico, mentre quella più a sud arrivava fino ad un complesso di edifici pubblici non bene identificati.

V Ip., p. 8 ss. 55 S. SCHWARTZ, H. Witp, Qasr Qarun/Dionysias, 1950, Fouilles Franco-Souisses, II, Le Caire 1969, p. 10. 16 BGU, 393, 1. 7, del 168 d.C. Altri quartieri noti sono il quartiere di Herminios (P.Strasb., 122, 1. 7, del 161-169 d.C), il quartiere di Harpocration (P.Fay., 95,9, del II secolo d.C.) ed il quartiere di Boubaste (BGU, 53,13, del 133 d.C.). Un altro papiro ci fornisce il nome di una strada, Ja via di Leukios (P.Lond., 289 II, p. 184, 11. 1415, del 91 d.C.). Cfr. ScHwARTZ, WILD, op. cit., I, p. 2 ss.

224

!? Citato nel P.Lond., II, p. 184, n. 289, 1. 12 del 91 d.C. 5 P. Lond., n. 293, i. 33, del 114 d.C. ? S. Danis, in A. CALDERINI, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell'Egitto greco-romano, 11,2, Milano 1975, p. 110. 2 Tp., p. 109. ?! SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 8, nota 6.

2 Nota

dal Pap.Lond.,

d.C. Cfr. ScHWARTZ,

WILD,

Il, pp. 187-188, op. cit., I, p. 2.

n. 293,

1. 18,

del

114

Oltre alle strade menzionate sopra, la città doveva avere, sempre secondo lo Schwartz?, altre strade (una o forse due), che correvano nel senso sud-est — nord-ovest, non piü visibili all'epoca dello scavo e che non oltrepassavano il tempio verso ovest. Gli scavatori danno infine notizia di strade perpendicolari a quelle suddette, non riportate nella pianta,

che

testimoniano

che

il sito era diviso

in isolati quadrati,

in modo

analogo?

a Philadelphia.

Ancora

lo Schwartz

fa notare che in quest'ultima città le rumai basilikai sono distanti tra loro più di m. 100, mentre le strade trasversali m. 50, con una larghezza da m. 5 a m. 10; a Dionysias invece la distanza tra le strade senbra uniformemente di m. 50 e

la loro larghezza non supera i m. 6,50”. Va ancora rilevato come sia stata individuata una rete di canali che si estendeva a sud della città e che doveva comprendere un canale principale con varie ramificazioni”. Quando la città venne scavata nel 1948, non fu possibile individuare dove fosse collocato l'ingresso principale; si è

comunque ipotizzata una sua collocazione non lontano dal cosiddetto «mausoleo», posto a sud-est?’. Come

già detto, la maggior parte della città fu portata alla luce durante la prima campagna di scavi. Oltre agli edi-

fici principali, quali la fortezza, il quartiere sud e le terme, di cui ci occuperemo in seguito, furono rinvenuti: una casa rettangolare a sud-est della fortezza, che presentava una serie di vani rettangolari aperti tutti su un corridoio e doveva essere ornata, sebbene le decorazioni non ci siano note; un complesso di case ad ovest del tempio (v. p. 228); infine il tempio in stile egiziano eretto in epoca tolemaica e dedicato al dio coccodrillo. Quest'ultimo era il solo edificio noto prima degli scavi del 1948, poiché era stato oggetto di studio da parte dello Jomard?*: di forma rettangolare esso misura m. 28,6 di lunghezza su, m. 18,8 di larghezza”; all'interno presenta una «navata» centrale sulla quale si aprono delle stanze,

quasi delle cellette, mentre

La via processionale sculture??.

tempio:

All’estremità

in fondo

vi è una sorta di sacello.

che dava accesso est di tale strada

al tempio

appare essere stata affiancata da edifici notevoli e costeggiata da

si trova un edificio,

vi si può riconoscere probabilmente un komasterion,

aperto

sui lati est ed ovest,

cioè l'ambiente

da mettere

in relazione

con il

da cui partivano le processioni e di cui vi

sono altre testimonianze in Egitto?!. Presso il tempio tolemaico sono stati rinvenuti resti nei quali si è creduto di poter riconoscere elementi di propilei; più lontano, lungo il dromos giaceva interrato il busto di un leone coricato, lungo circa m. 2, a cui un altro doveva corrispondere sul lato opposto della strada , che il Wild ha poi riconosciuto in un leone del museo di Alessandria”. Più lontano, sul versante nord della strada, presso l’incrocio tra questa ed una delle strade perpendicolari riportate in pianta, è stata ritrovata la cosiddetta «casa bianca», che faceva parte di un complesso di costruzioni in pietra. A partire da questo

incrocio,

fin quasi

all’estremità

della strada,

era possibile

vedere,

al momento

dello

scavo,

prevalentemente

sul

lato nord, degli architravi di porta con decorazioni a meandro (cat. n. 983), un considerevole numero di «chapiteaux-pilastre» (l’unico raffigurato sembra però di colonna) ed alcuni fusti di colonne giacenti a usate per impastare la farina; di tutto ciò danno notizia gli editori dello scavo**. Proseguendo lungo il dromos, leggermente a sud di esso, resta una porta in pietra, già all'epoca dello scavo, come osserva lo Schwartz?5; essa si apriva verso nord, ma cesse. A sud di tale porta è stato scavato un insieme di muri che non avevano alcun dello

Schwartz,

erano

utilizzati,

almeno

durante

il III

secolo

d.C.?9,

come

magazzini;

terra insieme a macine e a tavole in pessimo stato di conservazione non è possibile dire dove condulegame con essa e che, a parere essi

si presentavano

a forma

di

ferro di cavallo. Un'altra porta, più piccola di quella sopra mezionata, ma costruita nel medesimo modo, si trova a nord-ovest del tempio; è descritta come inglobata in una costruzione in mattoni crudi, molto probabilmente più tarda?" Le altre due grandi strade trasversali visibili sulla pianta non presentavano alcun carattere particolare, se non la presenza, quasi al centro di quella mediana, di una casa, la cui entrata era posta sul lato nord e che comprendeva almeno sette vani. Ad est, oltre la mediana trasversale, orientato nella medesima direzione nord-est — sud-ovest, è il cosiddetto «mausoleo», non lontano dal sistema di canali di cui si è parlato in precedenza (Tav.

131). Esso consiste in una cella rettangolare,

all'esterno pseudoperiptera, con due semicolonne su ognuno dei fianchi e sul retro e con pilastri con quarti di colonne addossati agli angoli. La cella comprese le semicolonne, poggia su un piccolo podio costruito in blocchetti parallelepipedi,

3 ScHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 6. 2 Ip., p. 6; P. VIERECK, in Morgenland, 16, 1928, p. 8. 25 SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 6, nota 2. 26 Questa ipotesi è confermata da tracce di canali rinvenute ad est e a sud del cosidetto «mausoleo»: cfr. SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 4.

21 Ip., p. 6. 28 JoMARD, Description de l'Egypte, IV. 2 Tp., p. 460.

39 S. Danis, Dizionario, cit., p. 109. 31 Un komasterion è menzionato da E. PREIsSIGKE (Sammelbuch griechischen urkunden aus Agypten, 1,4, Strassburg 1915, n. 5051) a Taposiris Magna. Altri sono citati a Tebtynis (A.S. Hunt, The Tebtynis Papyri, 3, 3, London 1938, n. 871, del 158 a.C.) e sul dromos di Apollo e Afrodite, probabilmente ad Edfu (Apollinopolis Magna: cfr. in

Archiv für Papyrusforschung, 6, 1920, p. 428). Uno è stato infine individuato e ricostruito ad Hermoupolis Magna, in collegamento con il tempio di Thot-Hermes (cfr. D.M. Barney, «Ashmunein 1983», in British Museum Expedition to Middle Egypt, London 1984).

32 ScHwARTZ, WILD, op. cit., I, p. 7 e nota 2. 33 Cfr. Ip., I, p. 7. Di essa rimane troppo poco per tentare di ricostruirne la pianta. 5 Ibidem. Se è interessante la notizia del ritrovamento di elementi architettonici, è tuttavia troppo poco per poterne individuare la funzione originaria, se per esempio appartenessero ad un colonnato che costeggiava la strada. 35 Ip., p. 8. 36 [p., p. 8, nota 3.

? Ip., p. 8.

225

mentre

sono im mattoni cotti. All'interno,

i muri della cella e le semicolonne

sulla parete di fondo,

si apre un abside,

con

semicupola ottenuta sistemando concentricamente archi di mattoni. Si ritiene che la sua copertura fosse a volta. Sul lato anteriore

vi era

un

pronao,

non

ora

presumibilmente

conservato,

tetrastilo.

Va

rilevato

come

le

semicolonne

sono

con

fusto liscio e presentano basi attiche a due tori. Le pareti erano rivestite con uno strato di intonaco, che si conserva

ancora in diversi tratti. Si può osservare, infine, che la presenza di pilastri angolari con quarti di colonne addossati richiama alcuni templi peripteri di ambiente meroitico, ma di sicuro influsso greco-alessandrino, con pilastri a cuore agli

angoli del peristilio (tempio di Basa, del 61-41 a.C.)?*. Va ricordato come luoghi di culto con piccola nicchia sulla parete di fondo, più stretta di quella di Dionysias, ricor-

rono in Egitto nei Serapei del Mons Porphyrites (in seguito murata) e del Mons Claudianus”; in quest'ultimo inoltre vi è un ambiente

annesso al santuario, presumibilmente

O), che possiede un’abside

semi-circolare

3. IL «QUARTIERE SUD» (Figg.

136,

sul muro

anch’esso dedicato al culto delle divinità legate ai Serapei

(ambiente

di fondo.

137)

Questo quartiere è compreso in un rettangolo di circa m. 100x50 e si compone di due piccoli complessi di edifici posti alle estremità est ed ovest e uniti da una strada che attraversava tutto il quartiere‘. Sul lato nord della strada vi era una vasta costruzione, di cui restano soltanto i due primi filari in pietra, mancando tracce dell’elevato in mattoni; sono stati invece rinvenuti piccoli cumuli di paglia, che suggerirono allo Schwartz l’ipotesi

di un uso dell’edificio come magazzino”. A sud della strada vi erano alcune abitazioni costruite con lo stesso sistema di filari in pietra visto sul lato opposto: il pavimento era al livello del secondo filare che, in corrispondenza delle porte, ricopriva la funzione di soglia; i pochi muri, ancora conservati al momento dello scavo, erano in mattoni crudi e non oltrepassavano m. 1,50 di altezza”. Sono state identificate almeno

sei case,

dietro tre delle quali, immediatamente

a sud della strada che attraversava il quartiere,

si

trovava un’altra strada più piccola e parallela alla prima, modificata e ridotta in più parti per un rimaneggiamento; era poi visibile una terza strada, perpendicolare alle prime due, che andava dalla strada principale verso sud?. Queste case, prima di subire trasformazioni successive (soppressione di alcuni accessi e creazione di nuovi, anche se le entrate princi-

pali restarono come prima sul lato nord) erano di forma quadrata, o leggermente rettangolare, e di dimensioni simili *. L’assenza di un sistema di scale esterne e la presenza al contrario di scale interne conducenti ad una terrazza, di cui è

Fig. 136 - Dionysias, pianta degli edifici del quartiere sud (dallo

Schwartz - Wild).

8 Cfr. L. TOROK, in Studia Aegyptiaca, 2, 1976, pp. 115-138. 9 Th. Kraus, J. Roper, in MittKairo, 18, 1962, p. 91 ss.; Ib., in AA, 1962, col. 710; Th. Kraus, J. ROpER, MittKairo, 22, 1967, p. 109 ss., tav. 55,b.

“Essa

226

risulta

formata

da

due

gradini

W.

MULLER-WIENER,

vicini:

cfr.

in

SCHWARTZ,

Fig. 137 - Dionysias, pianta degli edifici del quartiere sud (dallo

Schwartz - Wild).

WILD, op. cit., I, p. 10. 4 Cfr. Ip., p. 10. 4 Ibidem. 4 Tp., p. 12.

^ Ibidem.

stata rinvenuta la parte iniziale, ha fatto dedurre allo Schwartz?, che le abitazioni non fossero molto alte e che appartenessero ad un ceto modesto. All'estremità ovest della strada vi sono i resti di due edifici, posti l'uno dietro l'altro e sorti sul posto di precedenti costruzioni che erano state abbandonate e demolite: il primo, molto rimaneggiato, è disposto perpendicolarmente alla strada ed ha pianta rettangolare con due porte opposte al centro dei lati lunghi, mentre il secondo, alle spalle del primo ed ugualmente in asse con il centro della strada, è di forma pressocché quadrata, ma presenta sulla parte anteriore una scala di alcuni gradini ed è suddiviso in due vani rettangolari. Esso richiama la forma di un piccolo tempio, con scalinata

antistante al pronao, come potrebbe confermare la presenza di una stanza sotterranea («cellier», qui si rinvennero diverse monete di Antonino Pio)‘. I due edifici sembra siano stati abbandonati nel secondo terzo del III sec.d.C.^.

4.

LE TERME.

All'etremità est del «quartiere sud» sono venute alla luce due costruzioni identificate in un edificio termale e in una

casa privata: in questa il Wild^* propone di riconoscere la casa del balaneds (gestore del bagno pubblico). A.

La

casa del « Balaneus».

Questa

casa,

dai muri

in mattoni

nerastri

molto

spessi,

conservati

per un'altezza

non

superiore

a m.

1. 50,

ha l'en-

trata sul lato ovest, di fronte alla strada principale del quartiere, con la soglia e i montanti in calcare,?: si compone di quattro stanze di diversa grandezza, che si aprono ai lati di uno stretto corridoio, che conduceva ad un passaggio nel muro est, di comunicazione con le terme e chiuso all'esterno da un piccolo muro”. B. Il bagno Sotto una costruzione piü tarda, probabilmente un'abitazione, come ipotizza H. Wild, di cui non fu possibile rilevare la pianta?! , fu individuato un piccolo edificio termale di cui però restavano poche tracce: il basamento in pietra del muro esterno e scarsi resti dell'elevato in mattoni crudi non molto spessi; al centro della facciata nord si apriva una

grande porta, con piccola rampa di accesso ?. L'edificio, di forma rettangolare (m. 14,25 x almeno m. 10), era diviso in due parti distinte per mezzo di un corridoio: questo con il pavimento leggermente inclinato per consentire lo scorrimento dell'acqua proveniente dagli ambienti contigui”. Il corridoio comunicava ad est con un locale quadrato, dal pavimento ugualmente inclinato e dalle pareti rivestite di intonaco bianco (ne restano tracce nella parte bassa della parete sud). Sul lato opposto

del corridoio,

a nord-ovest dell'edificio,

vi era un'altro

ambiente,

con

il perimetro

esterno quadrato,

ma internamente a pianta circolare e coperto a cupola?. Tale stanza presentava nella sua primitiva organizzazione dieci vasche da bagno individuali, formanti una corona interrotta soltanto dallo stretto passaggio di entrata: le vasche erano di forma pressocché quadrata, anche se leggermente più larghe sul retro ed erano separate da un tramezzo di mattoni?*. In seguito ad un radicale rimaneggiamento, le vasche furono grossolanamente colmate e i tramezzi eliminati in modo da ottenere una base su cui si costrui un muro circolare di mattoni cotti: all'interno di esso fu sistemata un'unica grande vasca

rotonda?.

H.Wild?* rileva come nella pianta primitiva dell’edificio fossero presenti all'esterno di questo locale, che ri-

tiene a cupola («tholos»), due bacini ovali, che probabilmente centrale, l'altro nell'angolo sud-ovest della tholos. Gli angoli sud-est e sud-ovest erano occupati da altri due una caldaia, il cui calore emanato serviva anche a riscaldare suspensurae, tegulae mammatae o tubuli, propri degli impianti

4 Ibidem; queste case non presentano appartentemente una corte scoperta e sono tutte impostate con una stanza grande che occupa un angolo del perimetro ed altre stanze minori.

4 [p., p. 13. 47 Tale datazione è stata sostenuta dallo Schwartz in base al ritrovamento di due monete dell’età degli Antonini e di altre due datate all’i-

trovavano posto in nicchie; il primo all’inizio del corridoio locali fortemente alterati: quello a sud-est era occupato da gli ambienti vicini, sebbene non sia stata trovata traccia di termali romani”.

sensibilmente più stretta della restante porzione di muro.

Essa sembra

essere appartenuta ad un edificio intermedio, posto a nord della casa, secondo l’ipotesi di ricostruzione avanzata dal Wild.

5 [p., p. 54. ? Ibidem. 9 Ip., p. 55.

nizio della seconda metà del III secolo d.C. (di cui una di Gallieno in ottimo stato di conservazione), insieme ad una sessantina di monete in

* Jbidem. Tale pavimento risulta essere costituito da una lastra spessa m. 0. 16 in calcestruzzo ricca di ghiaia e coperta da uno strato di

bronzo molto ossidate, che, per il loro modulo, sono probabilmente state

cemento

coniate nell'età dei Severi; dunque

rosato. La lastra di cemento riposava su di una imbrecciatura di ghiaia e

l'abbandono

delle abitazioni rientre-

rebbe nel periodo dell'anarchia militare seguita alla fine dei Severi: cfr. ScHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 12, nota 3, pp. 13-15. 4 Ip., p. 51. ? Ibidem. 50 Ibidem. È stato osservato dagli scavatori che la parte settentrionale del muro

orientale

x

è in mattoni

crudi di colore giallastro e che è

che presentava in superficie della sabbia fine di colore grigio

sabbia. 5 Ibidem. ?6 ΤΟΙ, pp. 55-56. 5 Ip., p. 56. 5 Ip., p. 57.

*? Ip., pp. 57-58.

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138 - Dionysias, case ad ovest del tempio (dallo Schwartz -

Wild).

Oltre

a questi

ambienti,

esisteva nella parte

meridionale

dell'edificio,

addossato

alla caldaia,

delle acque provenienti dalla tholos, ivi convogliate da un condotto 9. Lo stabilimento termale di Dionysias è da identificare per l'assenza di suspensurae stico,

anche

per la presenza

della tholos

attestata in modo

simile in Grecia®!.

un bacino

con un semplice

Tra le tholoi conosciute

di recupero

bagno

in Egitto,

elleni-

quella di

Dionysias è una delle più modeste per il numero dei bagnanti che poteva accogliere, come mostra il confronto con altri bagni, quali quello di Kom en-Negileh presso Alessandria (con una tholos con 14 vasche), di Abusir (Taposiris Magna, con due tholoi a 15 vasche ciascuna), di Kóm-el-Wasat e Kóm-el-Qadi con due tholoi simmetriche a 18 vasche ciascuna;

le terme di Tell Atrib (Athribis) hanno due tholoi vicine con 25 vasche ciascuna? (v. p. 22). H. Wild® rileva infine come negli esempi conosciuti di bagni pubblici o privati di epoca greco-romana in Egitto le vasche individuali siano meno

profonde di quelle di Dionysias. Per quanto concerne il problema della datazione, lo Schwartz, che ha studiato il quartiere sud nel suo insieme ed i ritrovamenti di monete in esso fatti, propone come terminus ante quem l'epoca dei Severi.

5.

L& CASE AD OVEST DEL TEMPIO

(Fig.

138).

Durante la prima campagna di scavi sono state portate alla luce due case situate ad ovest del tempio tolemaico e separate da una strada che corre nella direzione sud-est, nord-ovest: di diverse dimensioni, la più grande è quella a nord,

con dieci ambienti dai muri poco conservati in altezza, mentre la più piccola pare quella a sud, della quale è stata scavata solamente una stanza’: nelle pareti nord-est e sud-est di questa, costruite in mattoni crudi poggianti su tre filari di pietra, si aprono nicchie quadrangolari («armadi»), alte cm. 64 e profonde circa cm. 30, sormontate da travi orizzontali di

9 Ip., p. 58. 8 A.R. ScHurz, in Der Hauses, Giessen 1936, p. 27 ss.

8 Tp., p. 60, n. 2. Typus

des

€ SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 60.

228

hellenistisch-ügyptischen

$5 Ip., p. 61. $5 V supra e cfr. SCHWARTZ,

WILD,

op. cit., I, p. 62.

6 SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 15.

legno,

in origine rivestite di stucco”.

già conosciuto a Karanis®. verso l'alto, presentavano

Più in alto vi erano finestre inclinate e sporgenti verso l'esterno, secondo un tipo

Su ciascuna parete, tra le nicchie, vi è inoltre un’ampia rientranza, i cui fianchi, rastremati capitelli di pilastri ( ne sono stati rinvenuti otto, di cui due in situ)

che erano incastrati nei

mattoni, appena al di sotto delle finestre. Infine, al livello del primo filare di pietre, si conserva un pavimento in mattoni crudi ben connessi.

Si é ritenuto che, prima di essere adibita ad abitazione,

questa stanza avesse rivestito la funzione di

santuario privato con larari ^9. La casa situata a nord della strada, composta, come si è detto, di dieci stanze (la n. 8 era ancora affrescata)”, presentava gli ingressi sia sul lato sud (stanze nn. 3,6) sia sul lato est (stanza n. 10); un corridoio la divideva in due parti distinte e conduceva ad una scala addossata alla parete nord. Lo Schwartz, in base alle varie trasformazioni”? ed in particolare al modo più o meno accurato con cui molte porte furono tamponate^, ricostruisce una fase originaria in cui le stanze dovevano appartenere ad un'unica abitazione: infatti dal corridoio centrale si poteva accedere sia alla parte est (stanza n. 2) sia alla parte ovest (stanza n. 4) della casa. In seguito le stanze dovettero essere occupate da proprietari diversi, che chiusero alcuni dei passaggi interni ed aprirono contemporaneamente nuovi ingressi sulla strada. Sempre lo Schwartz” ricostruisce le modalità di abbandono delle stanze (la prima ad essere abbandonata sarebbe stata la stanza n. 7 e di conseguenza il piano superiore e la terrazza con la relativa scala), in base all’insabbiamento che avanzava da sud e determinava il diverso uso dell’insieme degli ambienti”. Successivamente la casa venne divisa tra quattro proprietari diversi, forse in collegamento con la presenza a Dionysias del presidio militare in epoca tarda”.

6.

L'OFFICINA DELLE MONETE

Lo scavo di questo edificio fu compiuto nel 1950, durante la seconda campagna di scavi con cui viene designato deriva dal rinvenimento al suo interno di circa 15.000 stampi di monete. stanze, poste sui due lati di un corridoio che lo attraversava da sud a nord; l’ingresso sul lato una strada non più visibile al momento dello scavo, ma con ogni probabilità parallela alle tre

franco-svizzeri e il nome Era composto da cinque sud doveva affacciarsi su grandi arterie sud-est —

nord-ovest ed equidistante rispetto ad esse”. In una

delle tre stanze

sul lato ovest,

solo parzialmente

scavate,

è stata ritrovata una

moneta

del II secolo

d.C.:

ciò

ha indotto lo Schwartz a datare all’epoca romana tutto il quartiere posto tra il tempio e la fortezza, che fu abitato fino al IV secolo d.C.75*. Le stanze erano costruite con piloni rettangolari in pietra collegati da tramezzi in mattoni crudi. Tutti i muri della casa erano rivestiti da un intonaco bianco, che, a partire dall’altezza di circa m. 0.40 dal suolo era dipinto in blu scuro tendente al grigio. Non conosciamo la destinazione primitiva dell’edificio, ma esso dovette subire senz’altro numerosi rimaneggiamenti, tra i quali la chiusura della porta che dava sulla strada. Quando venne effettuato lo scavo, la parte est della casa appariva composta di due stanze, entrambe aperte sul corridoio centrale; nella stanza più settentrionale, di forma quadrata (m. 5,50 di lato)*°, sono stati ritrovati gli stampi, ed in essa la porta non apparteneva alla fase primitiva. Si è dedotto che originariamente sul lato est del corridoio vi fosse una sola stanza, come proverebbe il muro che la suddivide, in mattoni crudi senza basamento in pietra, contrariamente agli altri muri dell’edificio’, e ancora che le porte delle due stanze, ai lati del muro che le separava, non dovevano essere più

utilizzate quando la casa servì da zecca, in quanto tamponate®. Nella stanza più settentrionale si è individuato un pavimento, in cementizio, di una fase più antica, situato nella metà est, in collegamento con due muri separati da un’intercapedine riempita da una grande quantità di fuliggine, che hanno permesso allo Schwartz di ipotizzare l’utilizzazione a forno del’angolo nord-ovest di questa stanza?. Contro il muro sud della stessa stanza si trova la parte iniziale di un altro muro perpendicolare, costruito su di un pavimento in mattoni crudi; nell'angolo formato tra questi due (angolo ovest) vi erano i resti di due forni costituiti da grossi pezzi di pareti di

anfore®*. Lo Schwartz? ipotizza due fasi principali, corrispondenti l'una al pavimento in cementizio, l'altra a quello in mattoni crudi.

8? Ibidem.

74 SCHWARTZ,

6 A. BoAK, E.E. PETERSON, Karanis, Ann Arbor 1931, p. 32, fig. 3. $ Non si conosce la destinazione di tali rientranze ed inoltre, non essendovi alcuna traccia di sovrapposizione dei capitelli, & impossibile dire dove fossero situati quattro di essi: cfr. SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 17. 7? Lo Schwartz ricorda a tale proposito che nella stanza è stata ritrovata una conchiglia, probabilmente un ogetto ornamentale, insieme ad una piccola statua in bronzo di Arpocrate ScHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 18. 7 [p,, p. 19.

2 Ip., p. 20. 7 Ciò è indice Schwartz.

di

maggiore

e ad una grande lucerna:

antichità,

secondo

il parere

cfr.

dello

7 76 7 7$ ? 80

WILD,

op. cit., I, p. 20.

Ip., p. 21. Ibidem. SCHWARTZ, WILD, op. cit., II, p. 99. Tbidem. Ibidem. Tbidem.

81 Ip., p. 100. 8 Non è dunque più possibile dire in quale modo zecca: cfr. Ip., p. 99.

si accedesse

alia

8 Tp., p. 101. 84 Ibidem. 5 Ibidem.

229

HDJAERNE

ΠΥ},

Dube

Fig. 139 - Dionysias, fortezza (dallo Schwartz - Wild).

Resti di forni sono stati ritrovati anche nella stanza più meridionale, insieme a tracce di bruciatura dei mattoni nel. l'angolo sud-ovest e ad una gran quantità di fuliggine; tutto ciò lascia credere che entrambe le stanze fossero adibite ad

officina per la manifattura delle monete ?$. La parte est della casa sembra dunque presentare tre diverse fasi: dapprima, in epoca romana, essa era costituita da

una sola grande stanza, forse già utilizzata come zecca, come rivelerebbe un dispositivo lungo la parete nord*; agli inizi del IV secolo la stanza venne divisa in due da un muro e vi si installò un'officina per colare il bronzo; infine, dopo il 315

d.C.,

quando

cessò

la monetazione,

si continuò

ad utilizzare le stanze,

un considerevole innalzamento del suolo88.

7.

le cui porte vennnero

ostruite forse a causa di

LA FORTEZZA

La fortezza fu scavata in parte nella prima campagna franco-svizzera del 1948, quando furono portate alla luce solo le mura esterne e l’entrata monumentale, e del tutto nel 1950, quando la seconda campagna di scavo fu dedicata quasi esclusivamente a questo edificio. A. La pianta (Fig. La

fortezza,

139).

situata a nord-ovest

della città,

è di forma rettangolare

leggermente

romboidale*?.

Le mura

esterne pre-

sentano agli angoli e sul Jato ovest delle torri quadrate, mentre sui lati est e sud, e ai lati della porta di accesso, vi sono torri arrotondate ad U. La facciata nord e quella sud misurano rispettivamente m. 80,75 e m. 80,55, comprese le torri angolari?. La corte si estende su un'area pari a m. 75,40 di lunghezza per m. 62 circa di larghezza. 36 Ip., p. 102. *7 Si tratta di un budello compreso tra il muro «a» e la parete nord della stanza piü settentrionale,

a cui si accedeva

tramite due rampe

di

due gradini ciascuna e nel quale sono state ritrovate tracce di fuliggine: cfr. SCHWARTZ, WILD, op. cit., II, p. 101. ** A causa della presenza di uno scheletro rinvenuto nella stanza piü

230

settentrionale, si & ipotizzato che questa officina fosse gestita da falsari, ma lo Schwartz (ScHWARTZ, WILD, op. cit., II, p. 103), ritiene che le piastre di bronzo ancora grezze qui ritrovate fossero inviate a Dionysias

da Alessandria per ricavarne monete ufficiali. $9 SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 63. 9? Ibidem.

*

Il materiale da costruzione più usato è il mattone semi-cotto, che si ritrova ovunque tranne che nel vestibolo d'accesso, in calcare bianco, e nei muri angolari che limitano quest'ultimo, in mattoni cotti”. Il muro di cinta è spesso, in media, m. 3,80” e presenta un'interruzione in corrispondenza della porta nord ed un'altra sul lato ovest, ove si apriva

una porta laterale di ridotte dimensioni”. Gli elementi caratteristici di tale fortezza sono

essenzialmente

due:

la pianta quadrangolare,

con unica porta e con

torri angolari quadrate e torri lungo i lati a forma di U. H.Wild™ fa notare che l'unico esempio che presenti riuniti entrambi gli elementi, si trova nelle due fortificazioni presso il tempio di Luxor, costruite in età tetrarchica. simili sono note, ad esempio, in Numidia e sui confini numido-mauretani, in Arabia, in Siria e nella Rezia”. B.

Altre opere

La corte interna. x

All’interno delia fortezza, lungo il muro di cinta, è allineata una serie di stanze precedute da portici; lungo il lato sud, di fronte alla porta d’accesso, queste sono sostituite da un complesso insieme di sale, accentrate intorno al béma. Lo Schwartz? identifica le stanze lungo il muro di cinta con gli alloggiamenti dei soldati, mentre le scuderie si sarebbero trovate

forse

al di fuori delle mura

dell’edificio,

dal momento

che le stanze,

tutte simili,

erano

dotate

di armadi,

e che

i

portici antistanti mal si accorderebbero con una utilizzazione come scuderie”. J.M.Carrié?*,

invece,

in base

soprattutto

all'eccezionale

altezza

delle

stanze,

ritiene

che

queste

potessero

ben

adat-

tarsi ad entrambe le utilizzazioni a seconda delle circostanze”; per ciò che riguarda l’orientamento lo studioso fa notare come, al contrario di ciò che avviene solitamente, le stanze di Dionysias non presentano il lato lungo parallelo alle mura

esterne, bensì perpendicolare ad esse: questa caratteristica avvicina la fortezza in esame a quella di Da'Gáníya9. Di fronte alla porta d’accesso vi è un viale colonnato fiancheggiato sui due lati da una serie di stanze simili a quelle perimetrali; in fondo al viale vi è il béma e la cappella delle insegne ?!. Ad ovest del béma è stato scavato un gruppo di stanze disposte su vari livelli, alle quali è stato dato il nome di «blocco amministrativo»!°. Le stanze occupano un'area

di circa m. 18 su m. 20795.

.

Il viale colonnato che dava accesso ai principia presentava in origine tredici colonne per lato, con due pilastri alle estremità, i quali inquadravano la scalinata di pietra che dava accesso al béma. I colonnati distano tra loro m. 7. 65. Le colonne dal fusto liscio e di diversa altezza (ne è stata ritrovata una intera alta m. 3,22) poggiavano su uno stilobate co-

stituito da blocchi accostati di taglio. Il esso si mezzo stanza

béma, con pavimento in mattoni cotti, era posto in fondo al viale colonnato e ad un livello superiore"^. Ad est di trovava una stanza di forma allungata adoperata per le cerimonie!°. La parte anteriore del béma era separata, per di un muro in pietra interrotto al centro da una porta!, dalla cappella della insegne, questa costituita da una pressoché quadrata con il lato di fondo absidato. Ad ovest della cappella si aprono due stanze, quella più arretrata

interpretata dallo Schwartz come Nemesi su alto piedistallo 95.

aerarium".

Nella cappella

delle insegne,

dinanzi

all'abside,

vi era una

statua di

Nella disposizione della corte interna è stata individuata l’originalità di questa fortezza: innanzitutto va rilevato, con il Carrié, come i principia, che generalmente occupano una posizione centrale, siano qui posti contro il muro sud e come l’area centrale sia occupata, invece, da un viale colonnato e da due ordini di stanze precedute da un portico! La singo-

larita della corte della fortezza e in particolare dell'uso del doppio colonnato è stata sottolineata anche dallo Schwartz !!°: egli ritiene che il settore centrale costituisse una «sala basilicale» scoperta, alla quale è del tutto estraneo il «blocco am-

ministrativo»!!!. Ancora lo Schwartz stabilisce un confronto con il palazzo di Teodorico a Ravenna, richiamando l’attenzione sulla presenza in entrambi gli edifici di una corte a cielo aperto, con portici colonnati sormontati da tribune". In base al fatto che la «basilica» della fortezza ha avuto funzioni civili, lo Schwartz! si chiede se non sia possibile ammettere che la pianta basilicale di Dionysias sia l’archetipo della basilica cerimoniale palatina, la quale, come sostiene

E. Dyggve, a sua volta avrebbe influenzato l’antica basilica cristiana^. Se infatti la parte basilicale è confrontabile, come già detto, con il palazzo di Teodorico,

ed inoltre con quello di Diocleziano a Spalato, il béma e la parte absidale richia-

merebbero alcune chiese del IV secolo!!. otto gradini e larga m. 3,18, inquadrata superiormente da due colonne

?! SCHWARTZ, WILD, op. cit., IL, pp. 27-32. ® Esso

p. 27.

poggia

su una

base

in pietra alta circa

cm.

15:

cfr.

Ip.,

poggianti sullo stesso allineamento dei pilastri al termine dei colonnati.

105 SCHWARTZ, WILD, op. cit., II, p. 22.

9 Ip., p. 7.

106 Ip., p. 19.

% Ip., p. 68.

107 Ip., p. 21.

?5 9$ 7 9

108 Ip., p. 2. 19 CARRIÉ, op. cit., p. 826.

Ibidem. Ip., p. 9. p., p. 10. JM. Carrié, «Les Castra Dionysiados et l'evolution de l'archi-

tecture militaire romaine tardive», in MEFRA,

86,

1974, pp. 819-850.

99 Ip., p. 825.

100 Ip., p. 825 s. 101 Lo

Schwartz

lical»: cfr. SCHWARTZ,

dà a questo WILD,

settore il nome

di «ensamble

basi-

op. cit., II, p. 14.

1? Ip. p. 12. 13 Ip., p, 13. 10 Vi si accedeva per mezzo di una scala (v. supra), composta da

10 Cfr. SCHWARTZ,

WILD,

op. cit., II, p. 70, n. 2.

11 Lo Schwartz (SCHWARTZ, WILD, op. cit., II, p. 72) afferma che la posizione di questi ambienti & determinata dalla mancanza di altro spazio in cui fosse possibile collocarli. 1? A Dionysias le tribune sono ipotizzabili per la presenza di scale, che dovevano condurre sul tetto delle camere allineate lungo il viale: cfr. SCHWARTZ, WILD, op. cit., IL, pp. 73-74.

13 Ip., p. 74. 1^ pP, LEMERLE,

in RA,

1949, p. 171.

15 SCHWARTZ, WILD, op. cit., II, p. 74.

231

Il Carriè!!5 ritiene però eccessivo attribuire all'edificio di Dionysias il termine di «basilica» e lo stabilire un rapporto

di dipendenza con le basiliche paleocristiane, in quanto esso é soprattutto inquadrabile all'interno delle tendenze dell'ar-

chitettura militare tarda!!”. C. Inquadramento architettonico e cronologico.

Mentre gli editori dello scavo tendono a considerare la fortezza come costruita in un unico momento e le differenze di esecuzione in essa presenti come le diverse tappe di un unico processo costruttivo, il Carrié"? ritiene invece che la fortezza presenti dei rimaneggiamenti e delle aggiunte piü tardi, una delle quali sia il doppio colonnato nonché le stanze forse anche

allineate con esso!?;

il blocco

amministrativo

non

costruito unitariamente,

venne

ma

in ogni caso precedente-

mente al doppio colonnato'?. Nella riorganizzazione interna della fortezza di Dionysias, il Carrié vede solo un tentativo di imitare la basilica romana: infatti l'utilizzazione di un doppio colonnato è generalizzata già nei campi legionari del II secolo d.C. e si integra in un programma architettonico volto a porre la cappella delle insegne al fondo di una basilica di

cui finisce per costituire l’abside!!, In questa prospettiva varianti del tipo presente a Dionysias si possono riconoscere in Mauretania Tingitana e in Dacia!?: ad esempio nelle fortezze di Thamusida e di Castrum Drobeta!, dove ugualmente si osserva la trasformazione dei principia. Tali confronti implicano, secondo il Carriè, la necessità di rivedere la datazione della fortezza di Dionysias, poiché i rimaneggiamenti subiti dai principia dei due campi citati sono databili rispettivamente alla metà e al terzo quarto del III secolo d.C.: proprio in questo periodo andrebbe posta l’apparizione dei principia a

forma basilicale ?*. Gli studiosi che pubblicarono lo scavo hanno attribuito il complesso di Dionysias all’epoca di Diocleziano, sulla base soprattutto di confronti con altre fortezze che presentano elementi architettonici simili: di tali fortezze sono datate con precisione il centenarium di Aqua Viva!5, nel Nord-Africa, e il forte di Qasr Bser"5, sul limes d' Arabia, entrambi con deMassimino,

a Diocleziano,

diche

Costanzo

Cloro

e Galerio

circa.

d.C.

risalenti al 300

e dunque

La datazione in età dio-

clezianea sarebbe confermata, secondo il Wild!”, dal vasto programma di costruzioni militari voluto da Diocleziano, come attestano le dediche delle fortezze (non conservatesi) di El Qantarah e di Deir el-Gebrawi, degli anni 287-288

d.C. ?5, In

ogni

caso

fortezza

la

doveva

senz'altro

esistere

nel

anno

d.C.,

306

cui

in

è

menzionata

da

un

ostrakon

(O. Fay. 21), in cui compare il participio di un verbo tradotto come «costruita di recente» secondo lo Schwartz e gli edi-

tori del papiro di Abinnaeus, come «riedificata» invece secondo il Carrié'?, forse in seguito al terremoto del 306 d.C., che avrebbe reso necessari i rimaneggiamenti

da lui identificati nel complesso.

Il Carrié considera dunque la fortezza di

età anteriore a quella dioclezianea, poiché essa sarebbe fedele solo in parte al modello consueto dei forti di quest'epoca: le torri e i bastioni

sono

pieni a Dionysias,

invece

di essere composti

da locali su piü piani muniti

di casematte,

ed

'??. inoltre vi sono torri sia quadrate sia di pianta arrotondata, mentre altrove sono uniformemente quadrate Secondo l'ipotesi del Carrié!! l’edificazione della fortezza sarebbe da mettere in relazione con l’aggravarsi del pericolo libico alla metà del IN secolo d.C., nonché con l'importanza acquisita dallo stato palmireno nel 268 e nel 270-271 d.C. L’influenza palmirena si rifletterebbe nell'alternanza appunto di torrioni pieni a pianta quadrata e di torri di fiancheggiamento con pianta ad U: l’unico esempio di torrioni a pianta quadrata e pieni si trova in effetti nel campo di Palmi-

ra! (sempre con l’arte palmirena potrebbe riconnettersi un'affresco trovato a Dionysias nel corso della prima campagna di scavi)!. Viene fatta l'ipotesi che il campo di Dionysias sia stato l'opera di truppe palmirene nella sua prima fase, mentre solo in seguito ne avrebbe preso possesso l’armata romana, che sicuramente volle in tal caso imprimere il proprio segno mediante un secondo gruppo di lavori estranei al progetto iniziale. Se è impossibile precisare la data di tali sistemazioni

nonché

interne,

la loro eventuale relazione

con il terremoto

del 306

d.C.!5,

va inoltre rilevato che l’influenza si-

riana e microasiatica è una costante talmente frequente nell’architettura egiziana di età imperiale, che non sempre è riconducibile ad avvenimenti storici così circoscritti.

116 17 "3 blocchi

CARRIÉ, in MEFRA, 86, 1974, p. 828. Ibidem. Ad esempio, mentre la porta e la scala del béma presentano di pietra accuratamente tagliati, il secondo vestibolo è realizzato

con blocchi più grezzi: cfr. CARRIÉ, in MEFRA,

86, 1974 p. 828.

1? [p., p. 829. 120 Tp., p. 829 s.

134 CARRIÉ, in MEFRA,

122 Ip., p. 832. 13 Tp., pp. 834-835.

giudiziari ed economici del comandante

in CRAI,

I, Strassburg

232

1905, p. 58.

A. V. DOMASZEWSKI,

di un campo nel Basso Impero;

87,

tuttavia l'archivio di Abinnaeus in particolare non indica in questo pe-

Die Provincia Arabia,

riodo per il comandante mansioni diverse da quelle che conosciamo nella prima età imperiale: cfr. ScHwartz, WiLD, op. cit., II, p. 71; CARRIÉ,

1941, p. 171; Ip., in Revue africaine,

1943.

BRUNNOW,

86, 1974, p. 847. È seducente l'ipotesi

formulata dallo Schwartz, secondo cui l'introduzione della pianta basilicale sarebbe connessa con un ampliamento dei poteri amministrativi,

124 Τρ, pp. 836-837.

126 R.E.

SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 70. SCHWARTZ, WILD, op. cit., II, p. 1. CARRIÉ, in MEFRA, 86, 1974, p. 838. In., pp. 838-839. Ip., pp. 840-846. Ip., p. 841. Ip., p. 842. Cfr. inoltre per l'affresco anche ScHwARTZ, WILD,

op. cit., I, pp. 72-80.

121 Tp., p. 831 s.

25 L. LescHI,

127 128 7? 130 31 1? 153

in MEFRA, 86, 1974 p. 848.

APPENDICE:

Oltre

alle colonne

ELEMENTI

citate,

sono

ARCHITETTONICI

state rinvenute

RITROVATI

nella fortezza

anche

NELLA

FORTEZZA

DI DIONYSIAS

alcune basi di colonna,

frammenti

di una cornice

che era posta all'interno del béma, e quattro capitelli ionici e tre corinzi dal doppio colonnato.

A.

CORNICI

(Fig.

140)

I frammenti della cornice!5 presentano una sima a cavetto, con spesso listello superiore, separata tramite un sottile ovolo appiattito dalla corona liscia. Il soffitto & sorretto da piccole mensole «a travicello» con scanalatura mediana. Segue la sottocornice, con listello, ovolo liscio, gola diritta ed una gola rovescia piuttosto irrigidita.

Leggermente diverse sono invece alcune cornici angolari!,

in quanto la sima è costituita da una fascia e da uno

spesso ovolo liscio, separati tramite un pesante listello dalla corona molto sottile. Anche in questo caso il soffitto & sor-

retto da piccole mensole «a travicello», che sono tuttavia più larghe e meno distanziate; nella sottocornice seguono un listello, un ovolo liscio molto obliquo, un listello con cavetto, un altro spesso listello ed un'ampia fascia.

B. PILASTRI (Fig. 141) Le incorniciature dei pilastri al lati della scala di accesso al béma

appaiono modanate con un listello, un cavetto ed

un ovolo liscio, al di sopra di una fascia, eventualmente arricchita da listelli ed astragali lisci; vi é anche un esempio con semplice fascia, cavetto e seconda fascia più stretta 157.

C. Basi (Fig. Le

basi

142) delle

colonne

che

fiancheggiavano

la scala

monumentale

che

conduceva

al béma,

presentavano

un

alto

plinto, quasi un piccolo piedistallo, sopra il quale i due tori erano distinti solo da una stretta modanatura obliqua. Le basi della terza, quarta e quinta colonna est! ci mostrano una base composta da due tori separati da una scozia, questa limitata da listelli eccessivamente sporgenti; la base sembra intagliata insieme all'imoscapo della colonna a causa della ri-

duzione del plinto rispetto al piedistallo. L'esemplare su cui poggia la nona colonna! ha invece forma di un alto plinto, al di sopra del quale poggia un solo toro, intagliato insieme all’imoscapo della colonna. seconda

colonna

ovest!,

in cui tuttavia il toro,

non

essendo

Una forma simile si ritrova nella

stato rifinito, ha assunto una forma tronco-conica

che

si so-

vrappone al plinto. Va infine rilevato come la base della sesta colonna est! mostri tracce di una foglia d'acanto: ciò potrebbe indicare la presenza a Dionysias anche di basi d’acanto.

D.

CAPITELLI

Nella sala basilicale (Fig. 143) sono stati rinvenuti sette capitelli interi e vari frammenti in calcare: in particolare quattro capitelli ionici (G3, D4, D6 e D8) sono attribuiti rispettivamente alla terza colonna est e alla quarta, alla sesta e 135 SCwARTZ, tav. 3,a-d. 136 Ip., p. 20, 137 Ip., p. 20, 138 In., p. 15,

WiLp,

op.

cit, IL, p. 20,

fig. 9 a destra al centro. fig. 9 a sinistra. fig. 7 in alto a destra.

fig. 9 a destra in alto,

139 40 ^! 142

Ip., [p,, Ip,, Ip.,

p. p. p. p.

15 15, 15, 15,

fig. fig. fig. fig.

7 in 7 in 7 al 7 a

basso a sinistra. alto a sinistra. centro in basso. destra al centro.

233

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Fig. 140 - Dionysias, fortezza, particolare di elementi architettonici (dallo Schwartz - Wild).

o

Fig.

141

10

20

se

- Dionysias,

45

$6 Cm

Xf sande BLodays%

fortezza, via colonnata (dallo Schwartz

-

Wild).

all'ottava colonna ovest, mentre un capitello corinzio con testa di Dioniso (G4) alla quarta colonna est e altri due, sempre corinzi, alla nona e alla decima colonna ovest!?. Si tratta di materiale di reimpiego, adattato alla diversa altezza delle

colonne con la frequente aggiunta di pulvini!^. 1. Capitelli ionici

Tre dei capitelli ionici (G3, D6, D8)'* sono molto simili, sebbene uno sia di dimensioni maggiori degli altri ed un altro sia figurato e quasi uguale ad uno dei frammenti di capitelli trovati a sud del cosiddetto «mausoleo» ^9. I tre esem-

143 Tp., p. 47. 4 Ibidem. 145 Il capitello G3 (altezza cm. 23, lati abaco cm 49x49,5) presenta l'abaco modanato con una sottile fascia e un cavetto; inoltre i pulvini lisci sono tenuti al centro da un balteo con i margini a listello e alla base dell'echino vi è un sottile collare liscio (cfr. Schwartz, WILD,

op. cit., II, p. 48, tav. 6). Nei capitelli D6 e D8 (D6: altezza cm. 22; lati abaco

234

cm. 48x

48,5;

D8:

altezza

cm. 27;

lati abaco

cm. 55,5x56)

l'abaco

x

è invece

molto

più

schematico,

a tavoletta

e con

modanatura

obliqua, mentre i pulvini lisci sono tenuti stretti da un balteo a tre listelli paralleli; inoltre i due capitelli presentano alla base dell'echino, oltre allo stretto collarino, anche un astragalo a perline e fusarole, e sul

retro sono semirifiniti, con le superfici lisce senza particolari ornamentali. Sul piano

superiore dell’abaco si trovano due incisioni perpendico-

lari lungo gli assi ed altre parallele ai lati che formano un quadrato. 146 SCHWARTZ, WILD, op. cit., I, p. 7, fig. 1.

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21

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Misano. Dactauyso

Fig. 142 - Dionysias, fortezza, via colonnata, base di colonna (dallo Schwartz - Wild).

Fig.

143 - Dionysias, fortezza, via colonnata, ricostruzione (dallo Schwartz - Wild).

235

i Fig. 144 - Dionysias, Schwartz - Wild).

fortezza,

via colonnata,

capitello

corinzio,

piani

di posa

e di appoggio

(dallo

plari sono accomunati da un kyma ionico a tre ovuli quasi interi, contenuti in larghi e sottili sgusci dai contorni irregolari e separati da lancette. Il canale delle volute, orizzontale e concavo, prosegue nella voluta fino a terminare al centro della spirale con un lobo circolare. In nessuno dei capitelli la linea immaginaria che passa al centro delle volute coincide con il margine inferiore dell’echino.

Nel quarto capitello! è evidente l’incomprensione rispetto alla tradizione classicheggiante dell’ordine ionico, ancora parzialmente presente invece negli altri tre esemplari, visibile ad esempio nella forma troncoconica dell’echino, scomposto in due parti. L'esemplare è databile al tardo III - inizi del IV secolo d.C. 2. Capitelli corinzi Il capitello corinzio che era collocato sulla nona colonna ovest (D9)! (Fig. 144), separate, presenta foglie con zone d’ombra ogivali e ad occhiello tra 1 lobi; l’apparato se reso in modo piatto e schematico, è ancora nella tradizione del capitello alessandrino nel I — prima metà del II secolo d.C. Il capitello corinzio reimpiegato sulla decima colonna ovest (D10)! (Fig. 145), ma meno rifinito nella parte superiore.

in calcare e intagliato in due parti vegetale nel suo complesso, anche e fa propendere per una datazione risulta essere simile al precedente,

147 ἢ capitello presenta un'altezza di cm. 31, con i lati dell'abaco pari a cm. 61x61,5: cfr. ScHWARTZ, WILD, op. cit., II, p. 49, fig. 37,

schematicamente lobi suddivisi in due fogliette divergenti e separati da zone d'ombra ogivali e a occhiello. Le cime, costituite da un lobo a tre

tav. 9. Esso presenta la zona dell'echino e del collare inferiore unificata

fogliette e fortemente ricurve, mostrano sulla loro superficie superiore un

in un'unica forma

solco mediano. Le foglie della seconda corona sono di un terzo più alte che le foglie inferiori e presentano visibile solo la cima.

troncoconica,

distinta in due parti da un astragalo

a

perline allungate e romboidali, separate da coppie di astragali. Mentre la zona inferiore è liscia, quella superiore presenta un kyma ionico con tre ovuli interi e rovesciati con la punta in alto, contenuti in sgusci raddoppiati nella curva inferiore; ai lati sono due semipalmette a tre lobi disposti paratatticamente, e in basso si trova una testina di divinità, che

presenta a sinistra una sorta di seggio, identificabile forse con Medusa piuttosto che con Dioniso. Alle estremità vi sono due piccole volute, con la spirale a nastro accuratamente disegnata, ma unite da un canale ridotto ad una solcatura. L’abaco sottile è a tavoletta, con strettissimo cavetto

inferiore. Sui fianchi i pulvini hanno la rigida forma di due coni contrapposti, uniti al centro da due listelli che derivano dall’eccessivo ingrandimento dei nastri dei margini del balteo; sul retro invece oltre alle palmette, non rifinite, vi sono solo tre ovuli, maggiormente distanziati rispetto al lato frontale. 148 Il capitello (alt. parte inf. cm. 31; alt. parte sup. cm. 28; diam. inf. cm. 28; diam. sommoscapo cm. 51; diag. abaco cm. 96: cfr. SCHWARTZ, WILD, op. cit., II, pp. 52-55, figg. 38-39, tav. 10) presenta

nella parte inferiore due corone di foglie d’acanto, intagliate insieme al sommoscapo

della colonna.

Le foglie sono piatte, con larga costolatura

La parte superiore del capitello mostra le elici e le volute a V, nascenti da caulicoli appiattiti, con stelo percorso da due solcature verticali per rendere le fogliette allungate che lo rivestono e orlo suddiviso in tre listelli. Le spirali sono piuttosto piccole e serrate, con andamento legger-

mente a chiocciola. Negli spazi a V tra gli steli delle elici e delle volute vi sono grappoli, superiormente ricoperti da una foglia dalla cima rovesciata; altri grappoli pendono dalle spirali. Superiormente il kalathos termina con uno spesso orlo a doppio listello, suddiviso da una solcatura

orizzontale, e sporge rispetto alla curvatura dei lati dell’abaco, sagomati con un listello, un astragalo liscio ed un cavetto. Al centro dei lati vi è un grande fiore con pistillo a pigna e cinque petali fogliformi, che si origina da un sottilissimo stelo nascente dietro una piccola foglia nello

spazio triangolare tra le elici non occupato dai grappoli. Sul piano di appoggio inferiore è incisa la lettera A, sul piano superiore dell’abaco, oltre alla lettera A sono state tracciate le quattro dia-

gonali, gli assi, due quadrati e un cerchio, inscritto nel quadrato interno. ^? L'esemplare (alt. parte inf. cm. 28; alt. parte sup. cm. 27,5;

centrale che si svasa leggermente in basso ed con altre due sottili nerva-

diam. inf. cm. 39; diam. sommoscapo cm. 52,5; diag. abaco cm. 94: cfr. SCHWARTZ, WILD, op. cit., II, pp. 52-55, figg. 40-41, tav. 11) è simile

ture

al precedente, dal quale si differenzia tuttavia per una minore rifinitura

236

limitate

da

scanalature

poco

profonde:

lungo

queste

si articolano

Fig. 145 - Dionysias, Schwartz - Wild).

fortezza,

via

colonnata,

capitello

corinzio,

piani

Infine sulla quarta colonna est era collocato un capitello corinzieggiante

di posa

e di appoggio

(dallo

(G4) 155, con testine umane nello spazio a V

tra gli steli delle elici, e con le volute sostituite da tralci di vite terminanti in grappoli. Tre delle testine sono molto simili,

caratterizzate da un volto largo,

con mascella pesante,

grandi occhi disuguali e troppo ravvicinati,

e capelli rac-

colti in due grandi boccoli ai lati del volto, in un modo che richiama l’acconciatura delle maschere teatrali. La quarta, invece, pur presentando un volto simile, con lineamenti molto irregolari ed occhi ancora più accentuatamente asimmetrici, presenta capelli spartiti al centro, che scendono ai lati del volto in un boccolo che si ramifica dietro le spalle. Le testine sono state identificate con Dioniso, ma è probabile che quella con i capelli più lunghi sia femminile e rappresenti forse una menade.

La schematizzazione delle foglie d'acanto rimanda ai capitelli delle fontane di Dendera (cat. nn. 221-226) e l'esemplare è attribuibile al II secolo d.C.

della parte

superiore:

si osservi

sopratutto

come

l’abaco

presenti

i lati

suddivisi in tre listelli, mentre il suo cavetto si è trasformato in una piatta fascia. Su un lato la lavorazione è giunta ad uno stadio di maggiore rifinitura, come è visibile nella forma decisamente a pigna del pistillo del fiore dell’abaco, mentre sul lato opposto la resa è molto più schematica, con spirali delle elici eccessivamente piccole e collegate di-

foglie d'acanto su due piani, quelle anteriori intere e di forma vagamente palmettiforme, in quanto la superficie & suddivisa in solchi obliqui e paralleli, che convergono verso l'unica nervatura centrale; la cima ripiegata presenta sulla faccia superiore solcature verticali leggermente arcuate,

sempre parallele. Le foglie in secondo piano sono visibili negli intervalli delle prime,

gata,

per cui si distingue

leggermente

solo la zona

centrale e la cima ripie-

più alta di quella delle foglie in primo

piano.

Ai

sorganicamente e con steli troppo larghi: ciò ha causato la riduzione dello spazio libero intermedio e dei grappoli pendenti dalle spirali. Sul piano di posa inferiore è inciso un delta maiuscolo e un diametro con sedici raggi equidistanti, che corrispondono all’asse delle foglie delle due

quattro angoli, in corrispondenza degli spigoli dell'abaco, sporge la cima di altre quattro foglie, che sorreggono le volute.

corone. Sul piano superiore dell’abaco, oltre alla lettera delta maiuscola, sono incise le quattro diagonali, i quattro assi e due quadrati. 150 Il capitello (alt. cm. 30,5; diag. abaco cm. 87: cfr. SCHWARTZ,

due elici, i cui steli si incrociano e terminano in grandi spirali piatte. Nello spazio a V formato dagli steli, si inseriscono su ogni lato due testine umane che sostituiscono il fiore dell'abaco e che sporgono sotto

WILD, op. cit., II, pp. 56-58, figg. 42-43,a-b, tavv. 12-13) presenta alla

una sorta di protuberanza piatta e parallelepipeda, la bozza superiore da

base un sottilissimo collarino liscio ed è completato solo su tre lati, mentre sul quarto le foglie sono state lasciate lisce. Il kalathos è piut-

cui doveva ricavarsi il fiore. Sotto gli spigoli dell'abaco il kalathos si prolunga in elementi arcuati terminati con schematici grappoli d'uva, che vengono a sostituire lo stelo e la spirale delle volute. Va ancora rilevato come l'abaco sia suddiviso in due zone da un'unica incisione orizzontale.

tosto espanso e la larghezza dell'abaco corrisponde a circa tre volte l'altezza.

La

metà

inferiore

del kalathos

-

ἃ avvolta

da un'unica

corona

di

La metà superiore del kalathos & invece occupata su ogni lato da

237

VI TEBTYNIS

1.

INTRODUZIONE.

Presso il villaggio moderno di Umm el Breigát, nel Fayum, vi sono le rovine di Tebtynis, che furono messe in luce soprattutto durante gli anni 1930-35 da una missione italiana condotta da C. Anti e da G. Bagnani: sono conosciuti tut-

tavia precedenti interventi, quali i famosi scavi alla ricerca di papiri del Grenfell e dell'Hunt, della fine del secolo passato, che durante i capitello rono nel

portarono alla luce parte del tempio e della necropoli degli animali!, e ancora gli scavi del Breccia del 19297, quali fu scoperto un gruppo di case del quartiere occidentale a nord del Tempio e, tra i materiali, un importante bizonale del VI secolo d.C. (cat. n. 672) ed altri capitelli corinzi «copti» (cat. nn. 578 C, 595 B), che confluiMuseo di Alessandria.

Attualmente

i lavori sono

stati ripresi da una missione

italo-francese

diretta da C.Gallazzo,

che di recente ha ripreso

la storia degli scavi, sia ufficiali, sia clandestini, di Tebtynis, ricostruendo le modalità e i luoghi di rinvenimento dei papiri?: è in corso d'opera inoltre un nuovo rilievo di tutta la cittadina, in quanto l'unico esistente, o almeno noto, è quello eseguito dall'architetto F.Franco durante il primo anno dello scavo di Anti, nel 1930, quando molti monumenti e insulae

ancora non erano stati scoperti*. Tebtynis,

che

si trovava nell'antico nomos

di Arsinoite,

è conosciuta

in molti

aspetti della sua vita sociale attraverso

i numerosi papiri in essa trovati: questi ci danno notizia anche dei suoi principali edifici religiosi, quali il santuario di Sekhnebtynis, l'unico sicuramente ritrovato, il Sucheion e il tempio di Hermes, e pubblici, quali il grapheion dove erano raccolti i documenti dei vicini villaggi (tra cui quelli di Kerkesucha Orus), il thesauros pubblico, con la sua propria misura, ed un altro thesauros legato a proprietà terriere di Livia Augusta che erano nella zona (frequente è la menzione di latifondi dei Giulio-Claudi nell'Arsinoite). I papiri menzionano anche una grande strada («megale odòs») e vari canali, tra cui uno lungo il margine del deserto).

2.

TEMPIO DI SEKHNEBTYNIS.

Tra i risultati degli scavi di Anti e di Bagnani un posto particolare merita la completa messa in luce del santuario più importante della città, dedicato al dio Sekhnebtynis. Le sue componenti principali sono: il vasto recinto rettangolare, orientato da nord a sud, che limita l’area sacra di m. 112x60, costituito da un grande muro in mattoni crudi, spesso circa m. 3,50 e alto di media circa m. 5; il tempio vero e proprio in blocchi di calcare, innalzato nella metà posteriore del re-

cinto e preceduto sud; una serie di del tempio erano vari magazzini e

!B.P.

da due corti, vani addossati adibiti almeno laboratori. Il

GRENFELL,

A.J.

Hunt,

la prima con la vasca circolare per il coccodrillo alle facciate interne dei muri del recinto, destinati 50 sacerdoti, così si ricava dai papiri)’, composte fronte del recinto presentava il consueto pilone di

Fayüm

Towns

and

their Papyri,

London 1900, pp. 376-378: furono allora rinvenute per la prima volta le note mummie di coccodrilli, e soprattutto i «fantocci» a forma di mummie di coccodrilli a carattere probabilmente votivo e spesso avvolte

da rotoli di papiro; almeno in parte furono scoperte anche parecchie case romane ed una chiesa affrescata. Un altra campagna di scavi, molto breve, risale al 1902 quando furono messe in luce nuovamente case: O.

RUBENSOHN, in JdI, 20, 1905, p. 16 ss. 2 E. BRECCIA,

238

in ASAE,

31,

1931,

sacro e con una sorta di torre sul lato alle abitazione dei sacerdoti (ai servizi da un'anticamera e da una camera, e a tradizione egizia, interrotto dal portale

romain, 1925-31, p. 61 ss. * C. GaLLazzo, in BIFAO, 89, 1989, p. 179 ss. ^C. ANTI, in Architettura e Arti decorative, 10,

Ip.,

Musée

gréco-

pp. 97-

5 Cfr. in generale S. Darts, in A. CALDERINI, Dizionario dei nomi geografici e topografici pp. 377-382.

dell'Egitto

$ C. ANTI, in Aegyptus, pp. 23,24;

1930-31,

105. greco-romano,

IV,4,

Milano

1986,

11, 1931, pp. 389-391. Sul santuario cfr.

inoltre G. BAGNANI in Aegyptus,

14, 1934, pp. 3-13.

principale, ed era preceduto da un vestibolo, o corte, con le pareti in blocchi ornate con bassorilievi: questi rappresentano il dio Sekhnebtynis in diversi aspetti ed anche altre divinità che ricevono il dio coccodrillo portato sulla lettiga dai sacerdoti. Il tempio sembra aver avuto una fase pretolemaica in mattoni crudi, rinvenuta sotto il naos centrale?, forse risalente alla XXII

dinastia;

il suo

impianto

attuale

si deve

però

a Tolomeo

I, che

si ritiene

lo costruisse

nuovi interventi si devono attribuire alla fine dell'età tolemaica in quanto nei rilievi del vestibolo è XII Neos Dionysos. La sistemazione definitiva è fatta risalire al II secolo d.C.*, mentre in epoca plesso fu usato come cava di pietre, che dovevano essere rilavorate proprio sul posto, come rivela lavorazione rinvenuti durante lo scavo?, prima di essere trasportati nelle nuove destinazioni: una di chiesa del quartiere «copto».

3.

DROMOS

verso

il 300,

mentre

menzionato Tolomeo cristiana tutto il comlo strato di detriti di queste sicuramente la

ED EDIFICI ANNESSI.

Al santuario si accedeva attraverso una larga via processionale, o dromos, sempre con orientamento nord-sud e pavimentata con lastre rettangolari. Su questa via, rimessa in luce per più di m. 200 e fiancheggiata da sfingi e leoni, si apri-

vano, spesso in corrispondenza di altari, sale rettangolari in mattoni crudi adibite a scopi liturgici: sono caratterizzate da banconi lungo le pareti interne e da un’entrata con scalinata e vennero interpretate come deipneteria, cioè sala di banchetti per le corporazioni della città, o più in generale per i fedeli". Una di esse risulta essere stata riempita e sopraelevata in modo da ottenere un podio! e ugualmente altre sale erano dotate di podi, da cui si poteva assistere meglio alla processione che percorreva in determinate ricorrenze il dromos trasportando la mummia del coccodrillo sacro: ciò in analogia a quanto avveniva nella città principale del Fayum, Crocodilopolis/Arsinoe (Medinet Fayum), dove vi era il grande santuario di Sobek di Shedet, e come confermano le rappresentazioni nei rilievi sopracitati del vestibolo del santuario di

Tebtynis!?. Il dromos,

inoltre,

attraversava

due

chioschi,

uno

di età tolemaica

in blocchi

e con

otto colonne”,

l’altro di età ro-

mana! (Tav. 115,1), che sostituirono molto probabilmente i padiglioni provvisori nei quali avvenivano le soste durante la processione sacra. Il chiosco romano, preceduto a nord da una corte scoperta di m. 13,50x11, presenta la forma e le dimensioni (m.

11,70x9,25)

simili

a quelle

del chiosco

tolemaico:

consiste

in una

sala rettangolare

in blocchi

calcarei,

con

ciascuna

parete articolata da quattro colonne inserite nella muratura e sporgenti sia all’interno, sia all’esterno: esse poggiano su una specie di zoccolo che sporge alla base delle pareti, sopra il livello del lastricato visibile (Tav. 115,2). Questo, in lastre rettangolari, è però considerato come appartenente alla pavimentazione tolemaica del dromos, mentre del pavimento originario del chiosco, sorgente appunto sul dromos, sono stati visti solo piccoli tratti agli ingressi e lungo il lato orientale’. Va rilevato che

su tutti i blocchi,

sia delle colonne,

sia delle pareti,

è stato lasciato un bugnato,

interpretato come

indizio

di non finito, che ricorda i noti esempi di Roma a Porta Maggiore e nelle sostruzioni del Claudianum. Poco prima del chiosco romano il dromos presentava due grandi leoni accovacciati! che paiono costituire una sorta d'ingresso. Inoltre, in prossimità sempre di questo chiosco, vi è l'incrocio con una grande via trasversale!”, forse marcato da un tetrastilo, al di la del quale il dromos prosegue e presenta una corte scoperta con un portale davanti il quale è visibile la pavimentazione lastricata della strada.

4. QUARTIERI DELLA CITTÀ. Ad est e a ovest del dromos si estendono due quartieri attaversati da diverse vie in senso nord-sud e collegati dalla grande trasversale est-ovest, che è probabilmente da identificare con la via decumana di cui parla l'Anti nel 1930. Questa trasversale è ugualmente bordata da edifici ritenuti in collegamento con i pellegrini e i sacerdoti del tempio e interpretati ancora come sedi di banchetto e di riposo”.

? Cd'E,

15-16,

1932-33, p. 99.

P Cq'E, 13-14, 1931-32, p. 86 ss. ^ G. BAGNANI, in BArte, 21, 1933, pp. 120-121.

$ Ip., p. 99. ? G. BAGNANI, in BArte, 27, 1933, p. 124 ss. ? C. ANTI, in Aegyptus, 11, 1931, p. 389 ss.; Ip., Istituto

Veneto

! Cfr.

di Scienze

G. BAGNANI,

Lettere

e Arti,

in BArte,

27,

91,2,

1931-32,

in Atti Reale

pp.

1183-1187.

1933, p. 120; Cd'E,

18,

1934,

5 Ip., p. 120, fig. 9, dove si osserva come sia il chiosco, sia la corte fossero sempre aperti perché non si sono trovate tracce di stipiti di porte o altre chiusure, e come, prima della costruzione permanente del

p. 77: a destra del suo ingresso (sul lato est del dromos, a circa m. 100

chiosco,

dal Tempio)

delle processioni, perché sul lato ovest si vedano

vi era una cantina dove

togate di età romana,

si rinvennero

frammenti

di statue

in stucco dipinto, e di un ariete in calcare, che

potevano far parte della sistemazione della sala, prima della sua trasformazione in podio. Cfr. inoltre W.L. WESTERMANN, in JEA, 18, 1932, pp. 18-27 sulla cronologia dei deipneteria in base ai papiri. ? Cfr. G. BAGNANI, in Aegyptus, 14, 1934, p. 7, che rileva anche come a Tebtynis non sia stato ritrovato il Sucheion, cioé il luogo di de-

posizione dei coccodrilli che erano stati venerati nel tempio.

ugualmente

avveniva

nello stesso punto

del dromos

la sosta

1 fori in cui erani infi-

lati i pali per sostenere il velario e la decorazione di padiglioni temporanei.

1$ Cq'E, 18,1934,p. 269. U G. BAGNANI, in Aegyptus, 14, 1934, p. 3 ss. HC ANTI, in Architettura e Arti decorative, p. 97 ss.

10,

1930-31,

9. Cd'E, 18, 1934, p. 269.

239

Il quartiere occidentale, attribuito all'età romana, presentava numerosi edifici pubblici e grandi case (dalla più estesa provengono un fregio dorico di portale (cfr. cat. n. 954) e una cornice ionica) 0: si è rilevato che un’insula, formata da più case e attribuita forse alla fine del II secolo d.C., era stata costruita sopra gli avanzi di un grande edificio pubblico tolemaico, a cui apparteneva un colonnato di cui restano tre colonne e un’anta?!. Nella pianta del 1930 esso appare solo parzialmente scavato e nella sua area marginale ovest è da identificare il grande «mercato» rettangolare (m. 120x40) collegato con la via decumana. Inoltre questo quartiere è detto essere attraversato anche da un'altra via parallela al dromos, ma apparentemente senza lastricato?, e sembra che nell’area a sud-ovest del dromos siano stati rinvenuti horrea e un edificio termale, i primi attribuiti al II secolo d.C.?. Insieme alla pianta del 1930, quando ancora non era stato messo in luce del tutto il santuario di Sekhnebtynis, e nella quale non è chiaro dove sia il dromos tra le vie nord-sud rilevate, l'Anti pubblica un commento all'impianto urbanistico di Tebtynis, mettendo in risalto la possibilità di individuare un precedente nucleo abitativo egizio forse risalente alla XXII dinastia, al quale si aggiunsero ad est e ad ovest due quartieri «greci» a insulae, collegati appunto dalla grande via decumana? e attraversati da vie nord-sud che li mettevano in comunicazione a nord con l’oasi, cioè con la direzione del traffico principale. Nel quartiere orientale le strade parallele nordsud sarebbero ad una distanza di m. 25, lo stesso probabilmente nel quartiere ovest: risulterebbe che nei due quartieri le

case sono distribuite in blocchi rettangolari che indicano l'esistenza di un piano regolatore”. A nord-est del nucleo urbano ora descritto è stato riconosciuto un altro nucleo, il cosidetto quartiere copto, nel quale vi erano alcune chiese; esisteva inoltre anche un quartiere arabo, che sarebbe vissuto almeno fino al XIV secolo, ma che

fu quasi interamente distrutto dai raccoglitori di sebak.

5.

LA CHIESA

Tra le chiese rinvenute ve ne è una più grande”, internamente di m. 21x11, con annesso monastero, costruita quasi interamente con materiale di reimpiego proveniente dal santuario Sekhnebtynis: di forma basilicale e preceduta da un atrio, presentava sette colonne a destra e sei a sinistra alte in media m. 3,40, quasi tutte monolitiche (solo tre sono composte da tamburi) e formate da blocchi del basamento del santuario rozzamente lavorati, per cui conservano una sezione più quadrata che circolare. Al momento dello scavo sono stati rinvenuti capitelli ionici di reimpiego insieme a capitelli molto sommari «a fogliame»; le basi avevano forma di sommari blocchi parallelepipedi e in due di esse, in corrispondenza del presbiterio, vi erano gli incassi per le transenne. Il presbiterio era rettangolare e rialzato e ai suoi lati vi sono

altri due vani rettangolari. Inoltre questa zona era separata dalle navata tramite tre archi con archivolto in mattoni cotti con ornamenti vegetali. Le diverse fasi della chiesa sono documentate ad esempio dalla creazione di passaggi, in origine mancanti, tra il presbiterio e i vani laterali tramite la costruzione di un grande arco che venne a sostituire il muro di se-

parazione con il vano di destra: in questo, al centro dell’ingresso, fu collocata una mensa d’altare in marmo proconnesio di importazione”.

Al momento

dello scavo era conservata parte degli affreschi,

sia intorno alle colonne,

affrescate con

motivi geometrici ad intreccio, in un caso anche floreali, sia su alcune delle pareti, da cui provengono affreschi con rappresentazioni del paradiso terrestre e del peccato originale attribuiti al X secolo d.C.,

quando

dunque

la chiesa esisteva

ancora”.

6.

«SALA TOLEMAICA».

Di incerta destinazione è un altro edificio di Tebtynis, messo in luce nel 1934 sempre dagli scavi italiani. Si tratta di un grande ambiente o sala quadrangolare che si affaccia sul dromos e precede immediatamente l’entrata al santuario di Sekhnebtynis, anzi si appoggia alla metà ovest del grande muro della facciata di questo. Esso presenta un portico colon-

nato lungo i lati interni, caratterizzato da quattro pilastri a cuore collocati agli angoli e tra i quali si innalzano colonne ioniche scanalate. Gli scavatori? affermano che al momento dello scavo era visibile al centro del lato colonnato sud una piccola cappella, dove forse vi era un luogo di culto per il monarca. Si tratta dunque di una corte scoperta con peristilio sui lati, della quale non è noto il livello pavimentale. Essa sembra comunicare con il dromos attraverso una sala rettangolare più stretta, che forma un atrio aperto sulla strada e collegato con la corte attraverso un ampio portale. Sul fianco, contiguo alla facciata del tempio, vi è uno stretto corridoio che separa i due edifici, mentre sul fianco opposto a nord, vi è un altro stretto corridoio, suddiviso però in vani rettangolari tramite setti murari perpedicolari, interrotto al centro da un passaggio: la corte era così messa in comunicazione con una serie di vani contigui abbastanza articolati, che gli scavatori

Ὁ C. ANTI, p. 97 ss., fig. 10.

in

Architettura

e

Arti

decorative,

10,

1930-31,

21 G. BAGNANI, in Aegyptus, 14, 1934, pp. 3-4. 2 2 2 tere e 5

240

Cd’E, 18, 1934, p. 269. Cd’E, 19-20, 1935, p. 281. Cfr. anche C. ANTI, in Atti Reale Istituto Veneto di Scienze, LetArti, 90, 1930-31, pp. 1060-1062. C. ANTI, in Architettura e Arti decorative, 10, 1930-31,

p. 102 ss. ?$ G. BAGNANI, in BArte, la descrizione della chiesa.

7 E. KITZINGER, in DOP, in

Salamine

de

Cypre,

IV,

27,

1933,

pp. 123-125,

da cui è ripresa

14, 1960, pp. 30-31, fig. 17; G. Roux, Antologie

salaminienne,

p. 159 ss. ? J. Jarry, in BIFAO, 66, 1968, pp. 139-144. ? Cd’E, 19-20, 1935, p. 282.

Paris

1973,

descrivono mie» 39,

come

magazzini

voltati,

di cui uno

avrebbe

potuto

servire come

«deposito

per vecchi cartonnages

di mum-

Sul posto, all'interno della corte, sono conservati (Tavv. 113, 114): almeno sei rocchi di pilastri a cuore (nn. 4-9) e tre basi intagliate insieme all'imoscapo, relative a questi pilastri e che sembrano conservate in situ (nn. 1-3); due tronconi

di colonne, apparentemente non divise in rocchi, comprendenti (nn. 20-21); sei rocchi di semicolonne addossate a pilastri (nn. sommerse dalla sabbia (nn. 17-19) e una base di colonna fuori trovano invece due frammenti di triglifo di un fregio dorico (n. 25). Sul dromos si trova poi un capitello ionico piuttosto cronologia a questo edificio (n. 22, cat. n. 119). Le colonne erano a 24 scanalature, come è visibile nel n. è ricavabile,

ad

esempio,

semicolonna

nella

n. 10,

in cui

parte del terzo inferiore liscio e parte del fusto scanalato 10-15); tre rocchi di colonne, forse ancora in situ e semiposto intagliata insieme all'imoscapo (n. 16). Nell'atrio si (nn. 23-24) e un frammento di portale con gola egizia rovinato, che può essere attribuito per le dimensioni e la 16, dove l’imoscapo è intagliato insieme alla base, e come

si possono

contare

tredici

scanalature.

Già

al momento

della

scoperta era stato osservato come sul lato est della corte vi fosse una fila di colonne doriche, ritenute appartenenti ad un

edificio più antico, Comunque

sia,

dal quale

risulta che

sarebbero

molti

derivati altri elementi reimpiegati nella successiva

dei pezzi,

in particolare

i pilastri a cuore

e alcune

delle

costruzione

semicolonne,

di stile ionico. erano

scanalati

in

origine lungo tutto il fusto: in seguito il terzo inferiore era stato rivestito e nascosto con lo stucco in modo da risultare liscio. Vi sono poi dei frammenti di fusti di colonne (nn. 20-21) nei quali invece il terzo inferiore risulta liscio fin dall’origine. Se ciò può essere quindi una conferma eventualmente di due fasi, la prima con colonne e semicolonne del tutto scanalate, la seconda con l’impiego invece di fusti con il terzo inferiore risparmiato, ottenuti in parte riutilizzando elementi precedenti, in parte eseguendoli ex-novo, va tuttavia rilevato che anche in origine l'ordine doveva essere ionico, perché gli imoscapi sono intagliati insieme a basi a due tori separati da una scozia secondo un noto modello attico (nn. 1-3). È possibile quindi che l’ordine del peristilio della sala fosse rimasto sempre quello ionico, mentre il dorico era utilizzato nell’atrio, ad esempio sopra le colonne ai lati del portale. Non è ancora possibile, comunque, risolvere i problemi connessi con la ricostruzione dell’originario elevato: ad esempio, per ciò che riguarda le semicolonne addossate a pilastri, è possibile che esse fossero relative al fronte del vano centrale che si apriva sul lato nord, di cui dunque delimitavano il passaggio.

30 Ip., p. 282.

31 Ip., p. 282. 24]

APPENDICE: INVENTARIO DEGLI ELEMENTI ARCHITETTONICI CONSERVATI NELLA SALA TOLEMAICA.

1. Base di pilastro a cuore intagliata insieme al rocchio inferiore (cat. n. 707) (Tavv. Calcare bianco. Alt.cm. 47,8; diam.semicolonne cm. 42,5.

alt.base cm.

13,8;

alt.rocchio

cm.

34; largh.compresa

80; 113,1-3). una delle semicolonne

cm.

60,5;

AI centro delle semicolonne vi è un incavo rettangolare per l'inserimento di transenne, poi riempito quando la parte inferiore dell’elemento fu del tutto rivestito in stucco fino a nascondere le scanalature. Sopra l’incavo a sinistra è incisa la lettera A 2. Base di pilastro a cuore intagliata insieme al rocchio inferiore (cat. n. 706) (Tav. 113,4). Calcare bianco. Alt.cm. 56; larg.compresa una delle semicolonne cm. 56. In origine il rivestimento in stucco nascondeva del tutto le scanalature 3. Base di pilastro a cuore intagliata insieme al rocchio inferiore (Tav. 113). Calcare bianco.

Larg.compresa una delle semicolonne

Semisommersa nella sabbia.Visibili le scanalature 4. Rocchio di pilastro a cuore (Tav. 133). Calcare bianco. Alt.cm. 26; larg. compresa una cm.

cm.

delle

58; diametro

semicolonne

semicolonne

cm. 53,5;

cm. 40.

diam.

semicolonne

risp.

36,5.

Semicolonne con fusto liscio.

5. Rocchio di pilastro a cuore (Tav. 133). Calcare bianco. Alt.cm. 27; larg. compresa una delle semicolonne cm. 53,5; diam.

semicolonne cm. 35,5.

Semicolonne con fusto liscio. Sull'attuale piano superiore è incisa la lettera N. 6. Rocchio di pilastro a cuore (Tav. 133). . Calcare bianco. Alt. cm. 28,5; larg. compresa una delle semicolonne cm. 50; diam. semicolonne cm. 33. Semicolonne con fusto liscio 7. Rocchio di pilastro a cuore (Tav. 133). Calcare bianco. Alt. cm. 28,5; larg. compresa una delle semicolonne cm. 54; diam. semicolonne cm. 36. Semicolonne con fusto liscio 8. Rocchio di pilastro a cuore (Tav. 133). Calcare bianco. Alt. cm. 29; larg.compresa una delle semicolonne cm. 54; diam. semicolonne cm. 36. Semicolonne con fusto liscio.

9. Rocchio di pilastro a cuore (Tav. 133).

10.

11.

12.

13.

242

Calcare bianco. Alt. cm. 28; larg. compresa una delle semicolonne cm. 52. Semicolonne con fusto liscio. Sull’attuale piano superiore è incisa la lettera N. Rocchio di semicolonna addossata a pilastro (Tav. 133). Calcare bianco. Alt. cm. 26,5; larg. compresa la semicolonna cm. 59,5; diam. semicolonna cm. 40. Semicolonna dal fusto con 12 scanalature Rocchio di semicolonna addossata a pilastro (Tav. 133). Calcare bianco. Alt. cm. 27; larg. compresa la semicolonna cm. 60. Semicolonna dal fusto con 12 scanalature Rocchio di semicolonna addossata a pilastro (Tav. 133). Calcare bianco. Larg. compresa la semicolonna cm. 58,5; diam. semicolonna cm. 38. Semicolonna dal fusto con 12 scanalature Rocchio di semicolonna addossata a pilastro (Tav. 114). Calcare bianco. Larg. mass.compresa la semicolonna cm. 52; diam. semicolonna cm. 38. Semicolonna dal fusto con 12 scanalature

cm. 38,

14. Rocchio di semicolonna addossata a pilastro Calcare bianco. Alt. cm. 29; larg. compresa Semicolonna dal fusto con 12 scanalature 15. Rocchio di semicolonna addossata a pilastro Calcare bianco. Alt. cm. 27; larg. compresa Semicolonna dal fusto con 12 scanalature

(Tav. 114). la semicolonna cm. 60. (Tav. 114). la semicolonna cm. 60.

16. Base di colonna intagliata insieme al rocchio inferiore (Tav. 114). Calcare bianco. Alt. cm. 34,5; diam. apophigi sotto il toro inferiore cm. 44. Il rocchio mostra 24 scanalature. 17. Rocchio di colonna (Tav. 114). Calcare bianco. Diam. sup. cm. 36. Il rocchio, scanalato, è inserito nella sabbia e non è visibile se fosse intagliato insieme alla base o se fosse isolato. 18. Rocchio di colonna (Tav. 114). Calcare bianco. Diam. sup. cm. 35. Il rocchio, scanalato, è inserito nella sabbia e non è visibile se fosse intagliato insieme alla base o se fosse isolato. 19. Rocchio di colonna (Tav. 114). Calcare bianco. Diam. sup. cm. 34. Il rocchio,

20.

Frammento

scanalato,

Calcare bianco.

21.

è inserito nella sabbia e non è visibile se fosse intagliato insieme

di fusto di colonna (Tav. Alt.

mass.

cm.

alla base o se fosse isolato.

114).

124; diam.

inf. cm.

52; diam.

sup.

cm.

49.

La colonna cui apparteneva il fusto era intera e non divisa in rocchi: la parte inferiore presenta il fusto risparmiato, mentre quella superiore è scanalata. Frammento di fusto di colonna (Tav. 114). Calcare bianco. Alt. mass. cm. 125; diam. inf. cm. 52. La colonna cui apparteneva il fusto era intera e non divisa in rocchi: la parte inferiore presenta il fusto risparmiato, mentre quella superiore è scanalata.

Elementi

conservati davanti all'entrata della «sala

tolemaica »

o sul dromos a poca distanza 22. 23.

Capitello ionico (cat. n. 119) (Tav. Calcare bianco. Frammento di triglifo (Tav. 114). Calcare bianco.

Alt.

mass.

cm.

18).

18; larg. mass.

cm.

17,5.

24. Frammento di triglifo (Tav. 114). Calcare bianco. Alt. mass. cm. 14; larg. cm. 21. 25. Frammento di portale con gola egizia (Tav. 114). Calcare bianco. 26. Architrave sporgente. Calcare bianco.

243

VII HERMOUPOLIS

1.

MAGNA

INTRODUZIONE

La prima ricognizione nota di Hermoupolis Magna è quella contenuta nella Description de l’Egypte, con una pianta topografica pubblicata poco più tardi!: al nord del villaggio di Ashmunein si distingue una strada più o meno rettilinea,

lunga circa un chilometro e mezzo, sulla quale sono indicate delle colonne e una monumentale iscrizione greca dedicata agli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero, che si sarebbe trovata a m. 400 a sud del portico del tempio di Thoth-Hermes?. La città, situata nel Medio Egitto non lontano dal corso del Nilo, sorgeva probabilmente in origine sulle rive del fiume, poiché nei papiri si parla di un porto di Hermoupolis (forse presso l’attuale città di Mallawi), non più reperibile dato lo spostamento del letto del fiume. Poiché di Hermoupolis, nei papiri detta «la Grande, l'Antica, Splendente e Sacra»?, oggi resta ben poco rispetto alla sua originaria grandezza, ci si è basati molto per la sua conoscenza sulle testimonianze scritte: il documento più importante è senza alcun dubbio il P. Vindob., gr. 12565, che ci ragguaglia sulla topografia e sui monumenti principali della

città*. Lo studio della città deve necessariamente comprendere anche quello della necropoli di Tuna el Gebel, collocata più ad ovest rispetto all'abitato ed il cui monumento piü noto é la tomba di Petosiris, grande sacerdote del dio Thoth, protettore delle scienze e della musica, al quale era consacrata la città.

La ricostruzione di alcuni aspetti principali della città è dunque possibile per mezzo dei papiri, ma anche degli scavi, soprattutto tedeschi degli anni 30-40, i cui risultati sono stati collegati alle notizie delle fonti scritte dal Róder e dai suoi collaboratori, e ancora per gli scavi del Servizio alle Antichità egiziano e dell'Università di Alessandria, e per quelli re-

centi del British Museum".

1. EDIFICI E STRADE PRINCIPALI (Fig.

146)

La città risale all'antico regno e presenta resti di un tempio di Ammenemes II della XII dinastia (se ne é ricostruito l'accesso monumentale), di un grande tempio di Ammone della XIX dinastia (Fig. 147), da cui provengono rilievi con scene

di offerta,

e di un

tempio

di Ramesses

II di cui

si conservano

le statue

colossali

ai lati dell'entrata.

Fu

sede

di

importanü attività edilizie fin dagli inizi della dominazione greca, come testimoniava un grande santuario, il tempio di Thoth, iniziato, pare, sotto la XXX dinastia (Nectanebo I), ma su cui intervenne Filippo Arrideo (323-317): fino al 1822-25 era ancora in piedi un portico del tempio, con colonne lotiformi iscritte col nome di questo monarca, e da esso provengono colossali statue di babbuini. Tuttavia gli interventi urbanistici greci e poi romani non hanno fatto tabula rasa del precedente impianto faraonico, ma si sono inseriti in questo”, favoriti dalle sue proporzioni regolari determinate dal-

la prevalenza dell'angolo retto”.

! Jomarp, Description de l'Egypte, IV, pp. 169-170, tav. 50. Cfr. J. ScHwARTZ, in Ktema, 2, 1977, pp. 59-63. ? M. LgrRONNE, Recueil des Inscriptions

Grecques

et Latines

de

l'Egypte, Paris 1842 (ristampa Aalen 1974), n. XL VI; CIG, 3, n. 4704. Sembra che l'iscrizione sia scomparsa nel 1843. C.R. Lepsius, méiler aus Agypten und Athiopen, 2, Leipzig 1904, p. 113.

? C. WesseLy,

Griechische

Urkunden,

rorum Raineri, I, p. 96, 116, pap. RAIZE, in ASAE, 40, 1940, p. 742.

244

n. XIX,

Wien

Denk-

1894 (Corpus Papy-

XXXIX,

ecc.

Cfr. E. Ba-

^H.

ScHMITZ,

in Münchener Beitrüge zur Papyrusforschung

antiken Rechtsgeschichte, polis, passim.

° Per

una

9,

bibliografia

SPENCER, R.D. ANDREWS, Middle Egypt Excavations

1934,

pp. 406-428.

esaustiva

sulla

citta

Cfr.

v.

ROpER,

da

und

Hermo-

ultimo

A.J.

D.M. BAILEY, British Museum Expedition to at El Ashmunein I, The Topography of the

site, London 1983, pp. 9-10. $ J. SCHWARTZ, in Ktema, 2, 1977, p. 59. 7G. ROpER, Hermopolis, passim.

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WALL

Fig. 146 tardi (B = Amun; H dromos di

Hermoupolis tempio della = tempio sud Hermes; R =

Magna, pianta ricostruttiva del «dominio sacro» della XXX dinastia in relazione a complessi più antichi e più XVIII dinastia; C = Pilone di Horemheb; D = tempio di Thoth; E = Pilone di Ramesses II; F = tempio di di Ramesses II; J = Porta della Sfinge; K = tempio di Thoth Hermes; L = tempio di Nehenet-Awy; N = Komasterion; S = strada antinoitica; T = Santuario Tolemaico; U = Basilica cristiana) (dallo Spencer).

Della collina primitiva, dove sorgevano i templi del «lago del coltello» e dell’«isola del raggio solare» che si trovavano nel «Grande parco» non resta niente, come niente resta del «porto» di Hermoupolis (v.sopra). La città aveva una cinta muraria in mattoni ed era divisa in due parti principali: il «dominio sacro» a nord e le zone di abitazione civile a sud (difficilmente riconoscibili perché la città attuale le ricopre). Questa divisione pare continuasse fino all’epoca bizantina ed araba, ma è possibile risalga all’Antico Regno, quando il grande sacerdote di Hermoupolis porta il titolo di «capo delle due piazze». 8.1. SCHWARTZ, in Ktema, 2, 1977, p. 59.

245

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Fig. 147 - Hermoupolis Magna, pianta ricostruttiva più antica del «dominio sacro» (dallo Spencer).

Il «dominio m. 600

di lato:

sacro»

(Fig.

146),

vi si innalzavano

attribuito

i templi,

alla XXX

ciascuno

dinastia,

era costituito

con il suo muro

di cinta,

della fase

da un muro

mentre

intorno

di cinta quadrato ad essi si trovavano

di oltre gli al-

loggiamenti dei sacerdoti e del personale dei templi. Il «dominio sacro» conteneva anche, almeno all'epoca faraonica, le dimore degli alti funzionari e le caserme per la truppa: anche in epoca tolemaica doveva esservi una guarnigione, in quanto in seguito il «dominio sacro» ebbe il nome di phrourion?. Dai papiri egiziani e dagli scavi abbiamo informazioni su un certo numero di templi del «dominio sacro»: il più im-

portante era il tempio di Thoth, poi assimilato a Hermes, a cui era pertinente il portico colonnato con l'iscrizione menzionante Filippo Arrideo; esso misurava m. 50 in facciata e da m. 100 a m. 150 in profondità, centro

del

«dominio

sacro»

ed

era

certamente

il più

imponente

di tutti.

A

sud

di

esso

vi

e occupava piü o meno era

un

dromos

il

lastricato ^;

questo era collegato con un edificio per le processioni (Komasterion), recentemente identificato!!, e terminava, poco oltre il muro di cinta, con un grande tetrastilo, per cui ugualmente si è proposto da poco il riconoscimento, attribuendo ad esso

i plinti con l'iscrizione di dedica a Marco Aurelio e Lucio Vero". Nel «dominio sacro» vi erano altri templi meno importanti: uno sembra fosse ugualmente consacrato a Thoth, un altro ad Ammone; inoltre a sud vi era il pilone di Ramesses II con la vicina porta della Sfinge. Una strada est-ovest fiancheggiava approssimativamente la parte sud della cinta del «dominio sacro» (la strada Antinoitica) e lungo di essa furono costruiti in età tolemaica e romana i principali edifici civili e di culto. Dei nomi di questi siamo informati dai papiri che ci consentono di intravedere il periodo dei piü importanti interventi urbanistici ed edilizi: tempio di Augusto, strada di Domiziano, strada Antinoitica, tempio di Adriano, tempio di Antinoo, forse un tempio di Faustina, porte del Sole e della Luna (questi due nomi di porte, in analogia a quelli di Alessandria, riconducono al periodo di Antonino

Pio).

La posizione e la sistemazione architettonica della strada principale est-ovest (strada Antinoitica) é conosciuta in molti particolari dal P. Vindob., gr. 12565, in quanto vi sono riportati i conti dei costi sostenuti, poco dopo la metà del HI secolo d.C., da un Aurelio Appiano per la riparazione e la ricostruzione della strada ed anche la notizia di una serie di interventi edilizi.

? G. RópER,

Hermopolis,

p. 105 ss; J. ScHwaRrTz,

in Ktema,

2,

1977, p. 60, dove si osserva come un muro che esisteva ancora in epo-

sta «desacralizzazione» simo.

ca tarda, separava le parti est ed ovest del phrourion; ma in genere queste diverse mura di cinta, ovvero di separazione, si sono progressiva-

10 Roper, Hermopolis, p. 54 (II par. 60); J. ScHwanrz, in Ktema, 2, 1977, p. 60.

mente abbassate nell'epoca addossarono a queste mura.

!! D.M. BarLEv, «The Procession House of the Great Hermaion at Hermopolis Magna», in Pagan Gods and Shrines of the Roman Empire, Oxford 1986, pp. 231-237.

greco-romana; inoltre delle abitazioni si D'altra parte l'aumento della popolazione

ed un certo desiderio di vivere meglio portó alla creazione di nuovi quartieri.

Sembra inoltre che, in periodo tardo, quello che doveva esse-

re il quartiere operaio del «dominio

246

sacro» diventa residenzale.

Que-

non poté aversi prima

del trionfo del Cristiane-

? D.M. Barney, in British Museum Expedition to Middle Egypte, Ashmunein 1984 (Occasional Paper 1985), p. 23.

La direzione est-ovest della strada è data dall’indicazione delle porte che si trovano ai due estremi, cioè le porte del Sole e della Luna, delle quali non resta alcuna traccia archeologica. I prolungamenti di tale strada conducevano rispettivamente,

ad est verso

la riva del Nilo

e, al di là di questo,

ad Antinoe,

mentre

ad ovest verso

la necropoli

di Tuna

el Ge-

bel. E generalmente accettata l'ipotesi del Wiereck e del Róder, che essa sia da identificare con la strada Antinoitica, menzionata in alcuni papiri, su cui vi era il tempio di Antinoo. Sia la direzione est-ovest, sia la presenza di propilei colonnati sui lati nord e sud sono confermate dai papiri, che inoltre

parrebbero

indicare

il nome

di strada

Antinoitica

soltanto

per

la metà

orientale;

per la metà

occidentale

il Róder

ipotizzava invece il nome di strada di Serapide. Ancora dai papiri sappiamo che su di essa si affacciavano un Tychaion nella metà ovest e nella metà est il tempio di Adriano, il tempio di Antinoo, il Makellon, l'Agorà, il Serapeion, il Neilaion, il Komasterion, un ninfeo orientale e uno occidentale, un Aphrodisieion ed un tempio di Atena non localizzabile. Quasi tutti questi templi sono verisimilmente di epoca romana (eccetto il Tychaion e l’Aphrodisieion) e alcuni fronteggiavano il muro del «dominio sacro» (Fig. 150). Le ricerche archeologiche hanno stabilito due importanti punti fermi: esattamente nel mezzo del muro di cinta meridionale del «dominio sacro», la strada viene incrociata dal dromos di Hermes; a circa m. 75 ad est di questo incrocio si

trovano i resti di una grande porta sul lato sud della strada!. Sulla base di questi due punti fermi gli edifici menzionati sarebbero stati localizzati da H.Schmitz come segue: il Komasterion (casa delle processioni), per la sua denominazione collegato con il dromos di Hermes, poiché apparteneva agli edifici posti sulla strada Antinoitica, è stato collocato presso l’incrocio con il dromos,

e ciò, come

si è detto,

è stato confermato

da una recente indagine

archeologica.

Dopo

il Koma-

sterion, il papiro menziona un ninfeo orientale ed uno occidentale, che, come edifici a nicchie, avrebbero potuto far parte della sistemazione

architettonica dell’incrocio

tra le due strade;

ad ovest dell’incrocio

è da collocare la porta del santuario

di Afrodite e ancora più ad ovest, ma sempre all'interno del circuito murario, il Tychaion".

Ad est del Komasterion e

dei due ninfei, seguono un Serapeo e un Neilaion (questi due templi sono citati insieme, come se fossero strettamente collegati? e con essi, come vedremo, proponiamo di identificare gli edifici del santuario tolemaico sotto la Basilica cristiana). Ad est del Serapeo e separati da esso tramite l'Agorà e il Makellon, troviamo l'Adrianeion, a cui era connesso un tempio di Antinoo. Il Makellon e l'Agorà sono menzionati insieme ad alcuni propilei, ed in particolare ad un tripylon; non è chiaro l'ordinamento architettonico del primo e del suo propileo esterno'®. La strada Antinoitica presentava agli incroci monumentali tetrastili, che si distinguevano per grandezza e forma dalle colonne dei portici e dei quali si è tentata

la ricostruzione di quello all’incrocio con il dromos di Hermes! Se quanto resta e quanto è documentato della strada è soprattutto di epoca romana, tuttavia essa era certamente più antica, sia perché doveva esserci una strada che conduceva al dromos del tempio di Thoth-Hermes, sia perché il santuario di Afrodite è già menzionato nel II secolo a.C., ed anzi era forse pretolemaico; nel Róderè citato per le stesse ragioni anche il tempio di Atena ed il Tychaion (questo rappresenta il tipico santuario di una città ellenistica)?. Si può dunque ritenere che la strada est-ovest fosse già usata in epoca più antica, sicuramente in età tolemaica, quando la metà occidentale doveva aver maggiore importanza, come indicano appunto i templi di Atena e di Afrodite e il Tychaion. In età romana, al contrario, sembrerebbe piü importante la metà orientale, come testimoniano gli altri edifici citati ed anche un'altra strada parallela a questa metà, cioè la strada di Domiziano! In base ai papiri, oltre ai templi già menzionati sulla strada est-ovest, sembrano esserci stati ad Hermoupolis Magna almeno altri due Serapei, dei quali uno nel Ginnasio, un tempio di Apollo noto da un'iscrizione dedicatoria ad opera di soldati del periodo di Tolomeo XIII (78 a.C.)” ed ancora un Dioskureion e un Asklepieion; è poi menzionato il peribolos di un Iseion ed un tempio di Ammone. Durante lo scavo della presunta «agorà» si è scoperto un tratto della strada Antinoitica; essa risulta composta da un lastricato di pietre calcaree limitate da due marciapiedi, con un margine di pietra da taglio. All'esterno, lungo questa grande strada, si trova un canaletto di scolo delle acque piovane; in molte parti della strada i blocchi di pietra rettangolari usati per la pavimentazione sono ancora in situ.

Questi stessi scavi hanno portato alla luce colonne, parti di capitelli, architravi e pilastri non necessariamente appar-

tenenti ai colonnati lungo la strada, bensì agli edifici che si affacciavano su di essa, come mostrano alcune basi di va lonne su plinti, trovate nella posizione originaria e appartenenti all’atrio tetrastilo sul lato nord della Basilica cristiana”!

A cira m. 40 a sud della strada Antinoiticaè stata riconosciuta nel 1930” un'altra strada parallela ad essa, identificata in base ai papiri con la strada di Domiziano.

BH.

Scnmwrrz,

in MittKairo

, 2, 1931, pp. 88-90; Ip., in Mün-

chener Beitrdge zur Papyrusforschung und antiken Rechtsgeschichte, 1934, pp. 406-428; RODER, Hermopolis, p. 103.

9,

1^ RopER, Hermopolis, p. 103. 5 In., p. 103 (il P. Vindob., Neilaion). 16 Ip., p. 104

gr. 12565, parla di Serapeo davanti il

essere collegato evidentemente il tetrastilo di Atena).

1$ Ip., pp. 104-105. ? Il Róder ritiene che che la metà ovest* fosse denominata strada di Serapide, mentre la metà est* strada Antinoitica, vedendo anche in

ciò una conferma dello sviluppo della strada attraverso i secoli (RÒDER, Hermopolis,

U Ip., p. 104. Sempre dai conti del P. Vindob., gr. 12565, risulta un primo tetrastilo dopo la porta del Sole,

porta della Luna, dunque nella metà ovest (al tempio di Atena doveva

in quanto

furono restaurati i

colonnati su entrambi i lati di questo tratto di strada; lo stesso per il tratto tra il «grande testrastilo» ed il tetrastilo di Atena e tra questo e la

p. 105).

? Rópgn, Hermopolis, p. 114 dove lo si ipotizza nell'area nord-est della città, dove fu ritrovata l'iscrizione.

? E, BARAIZE, in ASAE, 40, 1940, p. 745. 2 A. NOLDEKE,

in MittKairo, 2, 1931, p. 88.

247

Va infine rilevato come la politica urbanistica romana non abbia inizialmente modificato il precedente sistema, come sembrerebbe mostrare la costruzione del tempio di Augusto all'interno del «dominio sacro». Apparentemente, solo a partire dalla fine del I secolo d.C. si optó per una decisa urbanizzazione all'esterno del muro sud del «dominio sacro», con

una conseguente politica di restauro degli edifici tolemaici e di creazione di nuovi edifici e con la valorizzazione e la mo-

numentalizzazione di strade più antiche, che ora assunsero nuovi nomi, quali la strada di Domiziano e la strada Antinoitica, questa certamente da collegare al viaggio di Adriano e al conseguente avvio di un’intensa attività costruttiva, ancora sensibile fino al termine del II secolo d.C. È stato rilevato come nella parte sud della città alcune tavole statistiche del III secolo d.C. attestino 4300 case di abitazione; purtroppo non è precisabile nè l’estensione media di ciascuna, nè le dimensioni medie, ed anche delle strade che dividevano ortogonalmente le insulae della città si sa poco (sono attestate la strada dei tessitori e quella dei panierai). Non vi era apparentemente alcun acquedotto ad Hermoupolis Magna, ma solo canali e stagni, con una distribuzione sotterranea. Si è osservato che, malgrado l’esistenza di quattro castelli d’acqua, è impossibile che la parte sud della città nella maggior parte, avesse l’acqua direttamente; ciò è stata considerata la causa del numero ingente di recipienti di terracotta rinvenuti, che servivano per attingere l'acqua, ed anche dell'assenza di piccole terme private in alcuni quartieri??. Ancora a Sud della città, presso il Tempio di Ramesses II è stata rinvenuta una grande basilica cristiana, anche se meno estesa di quella più nota presso la via antinoitica (v. oltre) rispetto alla quale presenta una pianta più semplice, con una sola abside, caratterizzata dall’essere molto più stretta rispetto alla larghezza della navata centrale: dal Grossmann è stata fatta l’ipotesi che possedesse uno pseudo transetto data la presenza di pilastri a T tra il presbiterio e le colonne che dividono le tre navate.

3. IL SANTUARIO TOLEMAICO E LA BASILICA CRISTIANA («AGORA») A.

(Fig.

148)

L’«agorà».

Nel Pap.Vindob.gr 12565 è menzionata, tra gli altri monumenti di Hermoupolis Magna, l'«agorà»: nei primi decenni di questo secolo si discusse a lungo se essa fosse stata effettivamente ritrovata dalle campagne di scavo tenute nella zona dove presumibilmente sorgeva. Piü o meno al centro delle rovine di Hermoupolis Magna vi era un'area chiamata Kom el Kenissa, dove agli inizi del secolo alcune colonne di granito rosso erano ancora in piedi, mentre altre giacevano sul terreno. Qui i primi esploratori ritennero di poter individuare l'«agorà», o piazza del mercato citata dai papiri e con questo

nome l'area fu a lungo designata”. Il primo scavo in questa zona fu eseguito nel 1939 sotto la guida di E. Baraize?, per conto del Dipartimento delle antichità di cui era direttore: egli ricollocó al loro posto le colonne del «tetrastilo» sul lato nord dell'«agorà», sulla strada Antinoitica. Nel 1942 il Dipartimento decise di scavare la piazza vera e propria ed i lavori furono affidati a M. Kamal? che era allora Ispettore del Medio Egitto: importanti risultati diede soprattutto lo scavo eseguito lungo il lato sud, in quanto nel luogo dove avrebbe dovuto sorgere la presunta piazza vennero ritrovate delle file di grandi colonne distese sul terreno accanto alle loro basi. Le basi, in pietra, erano nella loro posizone originaria e presso di esse vi erano alcuni capitelli corinzi anch'essi in pietra. La costruzione rivelava una pianta cruciforme. L'opinione che si trattasse di una Basilica cristiana — come veniva a confermare il nome locale dell'area, Kom el Kenissa — venne condivisa sia dal Kamal,

sia dal Baraize,

che

esegui

altri scavi in quest'area nel

1945.

Durante

tali scavi esaminó

le fondazioni

dei colon-

nati della Basilica ed i suoi muri e lungo questi ultimi rinvenne molti pezzi architettonici dipinti, appartenenti al periodo tolemaico. Fu cosi stabilito che l'«agorà» era in realtà una Basilica cristiana, eretta sullo stesso sito di un santuaro tolemaico distrutto proprio per poter costruire la chiesa.

Nel 1949-50 vennero eseguiti nuovi scavi della Basilica e del santuario tolemaico dall'Università di Alessandria, che portarono ad un rilievo esatto e ad una convincente ricostruzione della Basilica, accompagnati dalla pubblicazione e dalla discussione dei dati di scavo?”. Ancora, nel nel 1960 K. Parlasca?? ha ribadito il riconoscimento di una Basilica, sostenendo inoltre che le quattro colonne poste sul lato nord non costituiscono alcun tetrastilo, essendo questo adatto all'incrocio tra due strade e non ad un ingresso. B. Il santuario tolemaico (Serapeo?) (Fig.

149)

È noto come la prova definitiva dell'esistenza di un santuario tolemaico, oltre che dagli elementi architettonici trovati da E.Baraize nelle fondamenta della Basilica, sia data dall'iscrizione, rinvenuta dallo stesso Baraize su cinque blocchi dell'architrave dorico che egli trovò nelle fondamenta del colonnato est e nord della navata della Basilica. L'iscrizione 2 jJ, SCHWARTZ, in Ktema, 2, 1977, p. 63. 2 B, BRECCIA, in BSAA, 6, 1904, p. 28, fig. 4; M. CHABAN, in ASAE, 8, 1907, p. 213; Wace, MzGAw, SKEAT, Hermopolis. Sulla storia degli scavi v. D.M. Barney, in British Museum Expedition to

Middle Egypte, Ashmunein 1983, (Occasional 1984), pp. 29-30. ? E. BARAIZE, in ASAE, 40, 1940, pp. 741-755.

248

Paper

?$ M. KAMAL, in ASAE, 46, 1947, pp. 289-295 7 Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis. 2 K.

PARLASCA,

in JbMainz,

7,

1960, pp. 197-207.

Egli ammette

tuttavia che sia potuta esistere un'agorà colonnata, i cui resti sarebbero da ravvisare nei capitelli delle colonne della Basilica; non dà comunque molto credito a questa ipotesi.

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Fig.

148 - Hermoupolis Magna,

pianta del complesso tolemaico dopo gli scavi del 1949-51

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Fig. 149 - Hermoupolis Megaw, Skate).

Magna,

pianta

ricostruttiva

del recinto

e delle fondazioni

del tempio

del Santuario

Tolemaico

(dal Wace,

249

dice: «Al re Tolomeo figlio degli dei fratelli Arsinoe e Tolomeo ed alla regina Berenice sorella e moglie di lui, dei Evergeti, ed a Tolomeo e Arsinoe dei fratelli, i cavalieri che riscuotono nella città di Hermoupolis, per la loro benevolenza

(dedicarono) le statue il tempio e tutte le altre cose che sono nel recinto sacro e la stoa»”. Il Wace, che pubblica l'iscrizione, osserva come essa dati chiaramente il santuario all'epoca di Tolomeo III Evergete: questi, rileva sempre il Wace, agli inizi del suo regno sostenne la terza guerra siriaca o guerra di Laodicea®, conclusasi brillantemente, sicché Tolomeo e la sua armata ritornarono in patria con un ingente bottino. Di conseguenza è da credere che tra le donazioni fatte dal re ai suoi soldati ce ne sia stata anche una in denaro e che i cavalieri abbiano ri-

compensato la gratidudine del sovrano dedicandogli questo santuario. Se così fosse, osserva sempre il Wace, l’inizio della costruzione del santuario potrebbe essere datata al primo periodo piuttosto che alla fine del regno dell’Evergete e potrebbe porsi non più tardi del 240 a.C. circa. L'iscrizione menziona le statue di Tolomeo II e della sua regina Berenice, il tempio, e altre costruzioni entro il sacro recinto ed il portico. I resti architettonici di tradizione ellenistica indicano l’esistenza di almeno quattro costruzioni: due doriche di diverse dimensioni, la maggiore delle quali reca l’iscrizione, una costruzione ionica ed una grande costruzione corinzia, con colonne scanalate e capitelli riccamente decorati. Nel corso degli scavi furono portate alla luce parte delle fondazioni di un recinto rettangolare?', accompagnato da un muro

interno,

nel quale

sono

state individuate

le fondazioni

del colonnato

del portico;

dentro il recinto,

al centro

del lato

corto orientale, sono state scoperte le fondazioni in opera quadrata di un edificio rettangolare, forse la cella di un tempio, mentre sul lato occidentale vi é una sorta di corte rettangolare, larga quanto il lato, al centro della quale si apre un propileo con una rampa di scale, attraverso cui doveva accedersi al santuario. Il muro esterno del recinto era in mattoni crudi e raggiungeva uno spessore di circa m. 2; all'esterno del lato ovest ed ai lati dell'entrata sembra fossero addossate una serie di piccole taberne. Si è ritenuto che i resti di fondazioni in pietra locale (calcare nummolitico) della stoà sud, conservati lungo l'angolo sud-ovest della Basilica, e le impronte sullo stilobate mostrino chiaramente che il portico era dorico: ad essi sono stati attribuiti i resti architettonici dorici più piccoli?, tra cui il fusto di una colonna non interamente conservato e parti di due capitelli. Sempre lo Wace rileva che i tagli sullo stilobate negli intercolumni indicano un tramezzo o una grata che era posta tra ogni coppia di colonne. Riportiamo dal Wace l'elenco e la descrizione degli elementi architettonici dorici: 26 blocchi di architrave (inclusi 5 blocchi angolari), quattro di fregio con triglifi e l'impronta di un quinto, due frammenti di colonne scanalate ed alcuni piccoli frammenti di una cornice con mutuli e guttae. Egli riferisce che gli architravi erano dipinti di rosso ed i triglifi di blu; nella parte inferiore degli architravi vi è un lungo lacunare incavato, sempre dipinto di blu, inoltre sui fianchi di sette blocchi di architrave, nella parte superiore, lavorata in modo rozzo, vi sono due scanalature sagomate per il solleva-

mento. Anche i frammenti di cornice erano dipinti di rosso e blu*î, Ancora il Wace* ritiene che questi frammenti provengano dal tempio vero e proprio, che verrebbe ad essere quindi dorico periptero, con sei colonne sui lati brevi e probabilmente tredici colonne sui lati lunghi, se era conforme alle normali proporzioni. Una diversa opinione ha espresso a tal proposito W. Hòpfner®, che ritiene possibile invece un ordine ionico in base alle proporzioni ricavabili da alcuni frammenti di capitelli: questi presupporrebbero un diametro delle co-

lonne di cm. 92. Per quanto riguarda poi gli elementi architettonici di ordine dorico, Hópfner ritiene che fossero pertinenti al recinto: i cinque blocchi di architrave con l’iscrizione dedicatoria, per una lunghezza di m. 11,72, che secondo la ricostruzione di Hópfner dovevano trovarsi sul lato interno del recinto, in corrispondenza del propylon (cat. n. 62). A questa conclusione arriva avendo notato che i due blocchi alle estremità laterali terminano con triglifi angolari, in quanto il fregio-architrave iscritto doveva sporgere rispetto alla parete del recinto: è conservato inoltre un frammento di geison

frontonale dorico che poteva appartenere al frontone del propylon (cat. n. 61)". L'Hópfner stabilisce poi interessanti paragoni con l’Edificio del Quartiere Reale di Alessandria, facendo notare come la chiusura orizzontale dei glifi si accordi in entrambi gli edifici; molto simile è anche la distribuzione nel geison delle piatte guftae sui mutuli, parallelismi che l’hanno indotto a ritenere possibile che le stesse maestranze abbiano lavorato sia ad Hermoupolis Magna sia ad Alessandria. I resti architettonici ionici sono invece costituiti da cinque capitelli frammentari (cat. n. 42) e sette volute, un elemento di fregio-architrave ionico con kyma lesbico trilobato (cat. n. 70), che era riutilizzato nel muro della Basilica immediatamente ad est della fontana tolemaica posta nell’angolo sud ovest del complesso, ancora un elemento di portale con

? Wacs,

MEGAw,

SKEAT,

JHS, 65, 1945, p. 109. ? E. Bevan, A History

Hermopolis,

of Egypt

p. 9 ss.; A.J.B.

WACE,

in

? Ip., pp. 5-6, dove si rileva come la parte meglio conservata della stoà sud sia quella sud-ovest del tetrastilo, poiché qui la fondazione di

under the Ptolemaic Dynasty,

mattoni di fango crudo è ricoperta di mattoni cotti, fissati con leggera mal-

1927, p. 189 ss.; WAcE, MEGAW, SKEAT, Hermopolis, p. 4. 7! Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis, p. 6. Verso est, sotto l'ab-

ta di calce. E stato anche notato che nella fondazione una fila di blocchi in pietra calcarea & ancora in situ e questi erano connessi alle estremità con grappe a coda di rondine, come d'uso nell'arte muraria tolemaica.

side della Basilica è stata trovata parte della fondazione di una costruzione di circa undici metri di larghezza. Nell'angolo sud-est la fondazione é conservata in tutta la sua altezza, per nove filari di blocchi in cal-

care nummulitico ben levigati, connessi con leggera malta di calce in

5 HOPENER, «Zwei Ptolemaierbauten», pp. 81-83.

orizzontale.

36 Ip., p. 82, tav. 24,a.

250

kyma lesbico trilobato (cat. n. 72) e un coronamento di anta con rosette (cat. n. 73); sono inoltre citati diversi blocchi di muratura, soprattutto provenienti dall'angolo dell'edificio o da un'anta, ricoperti con due strati di stucco bianco, ed ancora un «block with an ornamental console». Anche questi elementi presentano tracce di pittura rossa e blu. Il Wace? ritiene che possano provenire da un propylon, poiché la maggior parte di essi è stata rinvenuta vicino alla piccola scalinata all’entrata occidentale del recinto. Di diversa opinione è di nuovo lo Hópfner? che, come si è detto, pensa per i capitelli ionici più grandi ad una pro-

venienza dalla peristasi del tempio; malgrado il loro stato di conservazione frammentario, secondo lo Hópfner si può riconoscere che la spirale delle volute e la forma del canale e dei pulvini sono in accordo con i capitelli ionici dell'Edificio del Quartiere Reale di Alessandria (cat. nn. 10-17).

I più numerosi elementi architettonici ritrovati appartengono all’ordine corinzio, in quanto sono stati recuperati sedici capitelli (cat. nn. 43-59) e quattordici basi (cat. n. 60) con una scozia tra due tori, almeno sessantasette fusti di colonne e ventuno blocchi di architrave, di cui sei sono angolari. Sembra inoltre che siano stati trovati anche tre rocchi di semicolonne addossate. Il Wace ci informa anche sui colori dei capitelli. Erano colorati in modo brillante: lo sfondo era rosa tendente al purpureo, le foglie d’acanto gialle, le elici erano blu e con spirale marrone. Gli steli delle volute erano marroni con le estremità delle spirali blu-verde. Secondo il Wace?? gli elementi sarebbero appartenuti ad un portico, forse la stoà dell'iscrizione, mentre lo Hópfner li attribuisce al tempio, ritenendoli collocabili all’interno della cella. Dalle misure

dei capitelli si è potuto ricavare il diametro superiore delle colonne, che era di cm. 82. Da

quanto

detto

risulta

evidente

che

non

si è ancora

giunti

ad una

ricostruzione

sicura

del

santuario,

il che

è sen-

z’altro da addebitare al fatto che la maggior parte dei suoi elementi andò distrutta quando, nel V secolo d.C., sul medesimo luogo venne eretta la Basilica cristiana‘. Avanziamo un’altra ipotesi ricostruttiva, proponendo di attribuire gli elementi corinzi non all’interno della cella, bensì alla peristasi esterna del tempio, in quanto ci sembra che l’elevato numero di capitelli rinvenuto e le loro dimensioni ne rendano difficile Ja collocazione sulle colonne di un’eventuale colonnato interno. È noto come l’ordine corinzio nell’architettura templare sia normalmente usato all’interno della cella per tutto il IV e parte del III secolo a.C.: è con l’Olympieion di Atene, della metà circa del II secolo a.C., che si ha la prima utilizzazione di quest'ordine nel periptero esterno, dove i capitelli sono di un tipo corinzio normale”. Ma alla fine del III secolo a.C. è ora attribuito il Tempio italico di Paestum, di cui si è dimostrata recentemente infondata l’esistenza di due fasi”: questo tempio, periptero sine postico, presenta nella peristasi capitelli corinzieggianti figurati, evidentemente varianti del capitello corinzio libero. Si può quindi ritenere che in Magna Grecia, nel III secolo a.C., almeno i capitelli corinzi liberi, con le volute interne sostituite da protomi di divinità, potevano essere impiegati nell’ordine esterno del tempio: ciò doveva essere connesso al particolare significato simbolico di natura ctonia di questi capitelli ed anche agli aspetti e alla forma e alle modalità che caratterizzavano il culto praticato in quel tempio. Per ciò che riguarda l’Egitto si hanno poche testimonianze dirette di templi conservanti l’ordine architettonico e quasi tutte dell’età imperiale, tra le quali citiamo il tempio di Serapide a Luxor, periptero e con colonne in mattoni crudi, il tempio di Augusto a Philae, prostilo tetrastilo e corinzio, ed i tempietti del Serapeo del Mons Porphyrites e di Ras es Soda, entrambi prostili tetrastili e ionici, (v. pp. 5, 11, 14). Per il tempio del Serapeo di Alessandria sappiamo da monete di età traianea ed adrianea che era corinzio: si è ritenuto inoltre che queste monete riproducessero lo stato del tempio prima della sua ricostruzione in età imperiale“. Dovevano essere impiegati capitelli corinzi liberi nella tradizione alessandrina, come sembrerebbe indicare l’ordine di uno dei portali del recinto, appartenente all'ampliamento di età imperiale con mensole «a travicello» e rappresentazioni di sguincio sulle cornici (cat. nn. 33-34) e la metà di un capitello corinzio ritrovato nella zona (cat. n. 24). Tuttavia un indizio importante che anche in età ellenistica il tempio era corinzio ci viene da Apollonio Rodio, che menziona come corinzio il Serapeo di Canopo^. La citazione del III secolo a.C. ci autorizza dunque a proporre che anche il Serapeo di Alessandria, che doveva costituirne il modello, fosse corinzio nella sua fase tolemaica. Il tempio in effetti era all’interno di un recinto chiuso, inscritto in un complesso sacro atipico sia rispetto al mondo greco, sia rispetto all’ambiente egiziano: certamente doveva presentare caratteri sincretistici, data la coesistenza nel complesso del Serapeo di templi e cappelle greci

ed egizi. A ciò si può aggiungere che nell’architettura faraonica il capitello lotiforme aveva sempre avuto un significato simbolico collegato all’idea di eternità (l’etimologia egiziana della parola richiama il concetto di verde) e ugualmente nell’archi-

tettura greca i primi impieghi del capitello corinzio sono legati al significato ctonio dell’acanto (v. p. 115): non stupirebbe quindi che, per analogia alle colonne vegetali della architettura faraonica, anche il tempio di Serapide di Alessandria utilizzasse all’esterno l’ordine corinzio fin dalla sua prima fase. 7 Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis, p. 7. 3 HOPFNER, «Zwei Ptolemaierbauten», pp. 81-83.

? Wace, MEGAw,

tektur nach nota 759.

SKEAT, Hermopolis, p. 8.

? F.

literarischen

Krauss,

R.

Quellen,

HeL81G,

(Beih.

Der

9 AM),

Berlin

1983,

korinthisch-dorische

p. 174,

Tempel

am

^ Ip., p. 10: agli angoli nord-ovest e sud-ovest del recinto vi sono due cisterne circolari, mentre fuori del recinto, a sud, vi è una terza cisterna d’acqua circolare, che sembra essere rimasta in uso nella prima

Forum von Paestum, Berlin 1939, tav. 3; sull’esistenza di un’unica fase e sulla sua datazione alla fine del ΠῚ secolo cfr. E. Greco, D. THEoDORESCU, Poseidonia-Paestum, ΠῚ, Rome 1987, pp. 34, 38, 70-71, 79

epoca cristiana, poiché è connessa con il battistero che si trova fuori

€ 88.

della Basilica. In tutto il recinto tolemaico ceramica greca ed offerte votive sono estremamente rare, anzi nessuna ne è stata trovata. ^! B. WESEMBERG, Beitrage zur Rekonstruction griechischer Archi-

43 S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, pp. 65 ss. ^ APOLL. RH., fr. 1; (Powell) cfr. P.M. Fraser, xandria, Oxford 1972, p. 266, nota 634.

Ptolemaic

Ale-

251

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tempio tolemaico di Hermes

distretto di Thot-He

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Fig. 150 - Hermoupolis Magna, ipotesi ricostruttiva sulla posizione degli edifici lungo la strada antinoitica in base al papiro di Zenone (dal Kamal).

Sono queste le ragioni per cui non meraviglierebbe che il tempio di Hermoupolis presentasse nella peristasi esterna l’ordine corinzio, anche perché ci sembra possibile avanzare l’ipotesi che esso sia da identificare con un Serapeo. Infatti

sulla

identificazione

del

complesso

non

è sufficiente

l’iscrizione

sul

fregio-architrave

dorico,

forse

collocato

nella parte interna del propileo del recinto, perché questa ci informa solo della dedica del santuario a Tolomeo II e alla

moglie sorella Berenice e della costruzione di un tempio e di un portico (probabilmente, come si è detto, il portico interno del recinto) da parte di un'ala della cavalleria residente a Hermoupolis

e che certamente finanzia l’opera.

L'iscri-

zione invece non specifica i nomi dei luoghi di culto all’interno del recinto, cioè il temenos. Se nel santuario infatti era praticato il culto dei sovrani tolomei, questo non significa che il culto avvenisse in templi esclusivamente dedicati ad essi: inoltre è noto come il concetto di sunnaos theos (termine con il quale sono designati i sovrani nell'iscrizione) possa indi-

care l'accettazione da parte della divinità dei sovrani come dei associati^. Ora, il suggerimento su quale fosse lo scopo a cui Magna ci viene dal citato Pap. Vindob., gr. 12565, che, portici e di alcuni edifici lungo la strada est-ovest, cioè ad est e la porta della Luna ad ovest‘. In particolare da Adriano,

molto

vicini l’un l’altro,

erano destinati gli come si è detto, la via Antinoitica, est ad ovest sono

ai quali segue l’agorà ed il macellum;

edifici del santuario tolemaico di Hermoupolis riporta le spese per costruzioni e riparazioni di nel suo tratto principale tra la porta del Sole menzionati (Fig. 150) i templi di Antinoo e di

dopo

l’agorà,

sempre

verso

ovest,

sono

citati il

Serapeo ed il Neilaion, questo di fronte all’altro; quindi il Komasterion, che doveva essere connesso al punto in cui il dromos incrocia la strada est-ovest. Sono poi nominati un ninfeo orientale ed uno occidentale che, si è proposto, decoravano l’incrocio. Emergono alcuni dati di fatto: i templi di Adriano e di Antinoo, nel settore est della strada, sono separati tramite l’agorà ed il macellum dal Serapeo e dall’antistante Neilaion^'; questi due edifici sono vicini al Komasterion. Vi è ora l'identificazione del Komasterion nei resti di un edificio che interrompe il lato sud-ovest del muro di cinta del «dominio sacro» (Fig. 146), accanto ad un altro edificio piü piccolo, il c.d. Bastion (forse magazzini) e che si affacciava lungo il bordo nord della Via Antinoitica, nelle immediate vicinanze dell’incrocio di questa con il dromos**. Qui inoltre si è proposta

la collocazione

Vero,

vista dal Jomard

del

Grande

Tetrastilo,

a cui

si è collegata

la monumentale

iscrizione

a Marco

sulla strada (v. sopra), e metà di un enorme capitello corinzio (cat. n. 393).

Aurelio

e a Lucio

Proprio vicino al

Komasterion vi sono i resti del santuario tolemaico, distrutti nel V secolo per far posto alla Basilica cristiana: il recinto rettangolare con propileo di accesso e resti di un edificio sul lato corto orientale possono richiamare quanto è noto della pianta del Serapeo di Alessandria, ed anche di quello del Mons Porphyrites. In definitiva è plausibile identificare in questo complesso tolemaico un Serapeo, con il recinto porticato dedicato ai sovrani associati alla divinità e con almeno due edifici interni da identificare con il tempio di Serapide e con il Neilaion.

5 A.D.

Nock,

in

Harvard

Studies

in

Classical

Philologie,

41,

1930, pp. 1-62 ^5 Vedi qui nel testo p. 246; l'autore del documento ha diviso la strada in parecchie parti: la prima dalla porta del Sole al primo tetrastilo; la seconda da questo all’«arco trionfale»; interviene una lacuna dove & riconosciuta solo la parola Aphrodisieion. Quando il testo & di nuovo chiaro, risulta che il portico va dall’ Aphrodisieion al Thychaion,

poi dal Grande Tetrastilo al Tetrastilo di Atena e, l'ultima parte, da

252

questo alla porta della Luna. Cfr. M. Kamat, in ASAE, 46, 1947, pp. 249-265. ^ I templi di Adriano e di Antinoo non possono quindi corrispondere o essere nelle immediate vicinanze del Serapeion e del Neilaion: cfr. invece D.M. Banzv, in British Museum Expedition to Middle Egypt, Ashmunein 1984, (Occasional Papers 1985), p. 43.

4 Tp., p. 29 ss. ? Ip., p. 45

Dalliscrizione ricaviamo anche che ai sovrani furono dedicate statue: dato il ritrovamento nelle setto meridionale della Basilica di diversi frammenti di una statua femminile seduta, forse in marmo

fondazioni del tranpario, è stata avan-

zata l'ipotesi che questa rappresentasse Berenice sul trono e che accanto vi fosse anche la statua di Tolomeo III. La riduzione

in numerosi

frammenti

delle

due

statue

sembrerebbe

doversi

attribuire

ad

una

volontaria

distruzione

al momento

della edificazione della Basilica”. C. La Basilica (Fig. La Basilica,

151)

i cui resoconti di scavo

sono dovuti principalmente

ad A.H.S. Megaw,

risulta divisa in tre navate «a

giro» da due file di dieci colonne monolitiche in granito di Assuan che proseguono nei due bracci del transetto: questi sono costituiti da due esedre comprendenti ciascuna altre dieci colonne. Altre quattro colonne collegano i due colonnati in corrispondenza dell’entrata, sul lato corto ovest, chiudendo il giro. Le navate laterali sono piuttosto strette (larghezza m. 5,61) rispetto all’ampiezza della navata centrale (m. 14,77). Tra i due bracci absidati del transetto vi era il coro, dietro

il quale un grande arco trionfale incorniciava l’abside principale. Vi

erano

due

accessi:

uno

ad ovest,

al centro

del lato breve,

l’altro a nord,

che

sembra

costituisse

l’ingresso

princi-

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pale e al quale si accedeva attraverso un tetrastilo, aperto sulla via Antinoitica (Figg. 112, 122, 222). Il contorno triabsidato non emergeva tuttavia all’esterno, in quanto la Basilica era inserita in un complesso di ambienti che conferivano una forma rettangolare al santuario, di cui si sono osservati condizionamenti rispetto alla rete stradale ed anche alla disposizione dei precedenti edifici”. In particolare, ai lati dell'abside centrale vi sono alcuni vani rettangolari, dei quali i più vicini all’abside comunicavano sia con questa, sia con i bracci del transetto (pastofori); il vano

151 - Hermoupolis Magna,

complesso della Basilica cristiana, pianta ricostruttiva (dal Grossmann).

nell’angolo nord-est era invece adibito a battistero. Vi è inoltre un nartece che precede il lato ovest, ma il cui ingresso non è in asse con quello della Basilica, bensì con una strada colonnata che conduceva al grande propileo occidentale: questo riutilizzava le strutture del precedente propileo di età tolemaica, che su questo lato dava accesso al recinto. Un altro portico colonnato sembra che accompagnasse all’esterno il fianco meridionale, mentre sul fianco settentrionale vi è una serie di vanti rettangolari allungati, ugualmente accompagnati da un portico (Figg. 152-154) lungo la strada Antinoitica. Per la costruzione della Basilica furono utlizzati in buona parte materiali preesistenti (Figg. 110, 121, 223): nella

navata le colonne e i capitelli corinzi (questi databili al secondo venticinquennio del II secolo d.C.: cat. nn. 387-389) sono di reimpiego e ad essi corrispondono colonne di granito di minori dimensioni, che testimoniano come la Basilica presentasse delle gallerie superiori; a queste colonne minori, come ai pilastri dell’arco trionfale, corrispondono invece ca-

pitelli tagliati appositamente in occasione della costruzione della Basilica (cat. nn. 559-564)”.

9? Wacw, MEGAW, SKEAT, Hermopolis, p. 9. 5! P. GROSSMANN, in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizan-

tina, Ravenna 52 Wace,

1981, p. 155. MEGAW, SKEAT,

Hermopolis,

p. 67.

253

40

Fig. 152 - Hermoupolis Magna, portico nord del complesso della Basilica cristiana, capitello corinzio a foglie lisce (dal Ronczewski).

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Fig. 153 - Hermoupolis Magna, portico nord del complesso della Basilica cristiana, capitello corinzio a foglie lisce (dal Ronczewski).

Fig. 154 - Hermoupolis Magna, portico nord del complesso della Basilica cristiana, capitello corinzio a foglie lisce (dal Ronczewski).

Il Megaw osserva come le proporzioni delle navate siano definite dalla posizione delle colonne e come le basi non siano tutte della stessa altezza, in quanto quelle del lato nord superano di circa cm. 20 quelle del lato opposto; inoltre le basi del transetto erano poste piü in alto di quelle della navata. Il variare nelle dimensioni delle colonne (alte m. 5,87/6,02 circa) certamente determinó parte della differenza di misure nei capitelli e nelle basi. Ai resti della già citata costruzione tolemaica si sovrappone in parte l'abside, il cui muro è scomparso, anche se la posizione della sua faccia interna sul lato sud risulta dal limite della pavimentazione in pietra calcarea che qui è ben conservata?. Sotto la parte centrale dell'abside c’è una piccola cripta costruita in mattoni; era coperta da una volta a botte anch'essa

in mattoni

che

è crollata,

mentre

per il suo pavimento

era stata usata la sommità

del secondo

strato della fon-

dazione tolemaica: questa camera lunga m. 5. 10, larga m. 1. 90 e alta da m. 2. 00 a m. 2. 14, ha due piccoli archi che si aprono nel muro nord; l'uno conduce verso est ad un piccolo corridoio coperto con volta a botte, l'altro conduce ad

una piccola camera secondaria”. Dei bracci del transetto il meglio terna,

che

occupava

di quest’ultimo

conservato

l’area est della navata sud,

si estende

da una parte

inoltre sette delle dieci colonne

originarie

è quello meridionale:

e di un’abside

all’altra del braccio erano

si componeva

di una parte rettangolare più in-

al di fuori della linea del muro

del transetto,

in piedi già all’inizio

dello

della navata; la fondazione

lungo

la corda dell’abside.

scavo,

mentre

Nel braccio

tutte le altre, tranne una,

sud sono

state ricollocate al loro posto. L’ampiezza del transetto (m. 8. 09) è di poco maggiore della metà di quella della navata (m. 14. 77). Si ritiene che si accedesse al transetto da sud, tramite una porta al centro dell’abside. Delle colonne della parte nord ne è rimasta una sola; molto verosimilmente le due parti corrispondevano perfettamente.

Sempre il Megaw rileva come resti una sufficiente pavimentazione dell’area centrale tra i due bracci del transetto, che permette di riconoscere la posizione originaria del presbiterio. Ad est vi è un’area rettangolare con pavimentazione in pietra in cui sono intagliati un certo numero di quadrati profondi circa m. 0. 27; in essi dovevano essere poste le colon-

5 Ip.,

p. 23 ss.; l'abside

era una

costruzione

a forma

di ferro

di

cavallo, profonda m. 8,66, ma con il raggio di soli m. 6,13. Il pavimento della parte centrale è scomparso in seguito al crollo della volta che copriva la cripta, sicché non resta traccia dell’altare che deve essere

254

stato posto

qui

dopo

la ristrutturazione;

l’altare originale

era posto

nel

transetto. % Ip., p. 25; è difficile dire se la cripta apparteneneva alla costruzione originaria.

nine che reggevano l’altare originario: quattro lungo il lato est, tre sui lati nord e sud e sei lungo il lato ovest: di queste ultime le quattro centrali erano poste intorno ad un segmento di cerchio. Nessuna parte dell'altare sopravvive, esso deve essere stato rimosso in toto quando fu formata la Haikal. Ad ovest della posizione dell’altare è una grande area di uguale ampiezza, che ha perduto il pavimento; sette piccoli pezzi di marmo colorato, trovati specialmente nell'angolo sud-ovest, indicano che tale area era ricoperta con un pavimento in opus sectile. Lungo il lato nord di questa area centrale vi è una fila di spesse lastre di granito rosso che segue uno stretto canale, ampio m. 0. 26 e coperto da una struttura muraria larga m. 0. 40: si trattava probabilmente dello stilobate su cui poggiavano le transenne del presbiterio e le file di blocchi di granito lungo il margine interno di questo stilobate devono indicare

la posizione del syntronon, cioè i sedili del presbiterio” Infine si puó riportare l'opinione degli scavatori, ripresa dal Grossmann,

secondo i quali questa Basilica,

datata alla

prima metà del V secolo d.C., sarebbe da ritenere la chiesa episcopale della città: probabilmente rappresenta un esempio di

architettura

metropolitana,

doveva

come

ritrovarsi

ad

esente

non

Alessandria,

da

influssi

di

piante

«internazionali»

come mostrano le tre navate e l'ampio transetto, ma sicuramente caratterizzata anche dall'accettazione di tradizioni architettoniche locali, visibile nei portici laterali esterni e nell'ampio complesso rettangolare in cui è inclusa la chiesa?6.

3. ALTRI EDIFICI

Dai papiri è citato ad Hermoupolis

un «komasterion»

sacro» e collegati con il dromos d Hermes, Questo

ha forma

basilicale

lungo Ja via antinoitica: alcuni resti, a sud del «dominio

sono stati recentemente riconosciuti come appartenenti a questo edificio.

(m. 40,66x31,5),

con

navata

centrale

più

ampia

e quattro

navate

minori

su ciascuno

dei

lati lungo l'asse piü corto. La facciata settentrionale era rivolta verso il tempio e si ergeva su un podio preceduto da un'ampia scalinata: questa conduceva ad un propileo tetrastilo, con frontone triangolare, colonne al centro e pilastri alle

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Fig. 155 - Hermoupolis Magna, Komasterion, pianta ricostruttiva (dal Bailey).

estremita: sui fianchi esterni dei pilastri si addossavano semicolonne minori, di altezza uguale a quella delle altre colonne della facciata, ai lati del propileo. Il fronte meridionale era invece rivolto verso la via antinoitica, questa ad un livello più alto rispetto al «dominio sacro», e presentava pure un propileo tetrastilo, ricostruito peró con quattro colonne e privo di scalinata di accesso. La trabeazione che sormontava il colonnato piü corto, ai lati del propileo, sembra rientrasse sul lato ad esso contiguo (Figg. 155-157). Sono conservate le otto colonne dei tetrastili, e restano anche sette esemplari, piü vari frammenti, delle altre 46 co-

5 Ip., p. 31 ss.; ad ovest del presbiterio le lastre superstiti del pavimento in granito sono piuttosto irregolari, ma non vi sono aperture come

di una solea che si estendeva verso ovest, come quella di Abu Mina. 36 P. GROSSMANN, in 28° Corso di cultura arte ravennate e bizan-

quelle che reggevano la barriera del presbiterio; ciò suggerisce l'esistenza

tina, Ravenna 1981, p. 155.

255

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Komasterion, prospetto ricostruttivo del fronte e del retro (dal Bailey).

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157 - Hermoupolis Magna, Komasterion e «Grande Tetrastilo», ricostruzione assonometrica (dal Bailey).

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1938-1839

Fig.

158 - Hermoupolis Magna,

lonne piü piccole.

Porta della Sfinge e resti di un edificio vicino (dal Bailey, Spencer).

I capitelli corinzi in calcare locale e in stile asiatico (cat. nn. 381-385) fanno supporre una datazione

del monumento all'età antonina”. Inoltre, presso la cosiddetta porta della Sfinge (Fig. 158), nell'area ad ovest e a sud di questa, sono state rinvenute sei colonne di granito e relativi capitelli, conservati ancora sul luogo di caduta. Si & ipotizzato che essi facessero parte di un tempio esastilo del II secolo d.C., o forse anche di una chiesa che aveva riutilizzato le colonne e i capitelli come

spolia®. Infine nel corso delle missioni archeologiche degli anni '30 sono stati rinvenuti numerosi elementi architettonici sporadici (cat. n. 231) talvolta rilevati (Figg. 115-119, 159, 160), e in alcuni casi trasportati nei Musei di Alessandria (cat. nn. 999, 1000) e del Cairo (cat. nn. 452, 662, 668), ma di cui si ignorano o quasi i contesti originari.

5.

NECROPOLI DI TUNA EL GEBEL.

A circa 14 km a est di Hermoupolis, in un'area a nord di Tuna el Gebel e a sud di Derouah, si estende una vasta necropoli: essa comprende quattro zone, rispettivamente del periodo della XVIII dinastia, dell'epoca saita, di quella greco-romana e di quella cristiana. La necropoli greco-romana divenne nota soprattutto dopo la scoperta nel 1919-1920 e la pubblicazione nel 1924 della

Tomba

di Petosiris da parte del Lefebvre.

Cairo, che portarono alla una necropoli di animali Badawy®!, portarono nel 1952-1955 di A. Shoukry

Seguono dal 1931 al 1952 gli scavi diretti da S. Gabra dell’Università del

scoperta di almeno 17 tempietti funerari di età sotterranea, con tre principali gallerie, e di un 1949 alla scoperta di un'altra tomba a «casa», e Z. Aly’. Documenti inediti su un complesso

5 D.M. Barney, «The Procession-House of the Great Hermaion at Hermopolis Magna», in Pagan Gods and Shrines of the Roman Empire, Oxford 1986, p. 231 e ss.; D.M. Baney, «Ashmunein 1983», in British Museum Expedition to Middle Egypt, London 1984, pp. 29 e ss.; D.M. Baney, «Ashmunein 1984», in British Museum Expedition to Middle Egypt, (Occasional Paper, 61), London 1985, p. 20 e ss.

53 D.M.

Bamey,

tion to Middle

Egypt,

«Ashmunein (Occasional

1985», Paper,

in British Museum 67), London

1986,

Expedipp. 18 e

Ss. 5 G. LeFEBVRE, Le tombeau de Petosiris, I-III, Le Caire 1923-24. Cfr. R. EL Sayvep, in Colloques Internationaux du CNRS, n. 595, L'Egyptologie en 1979, I, pp. 273-278, e Aa.Vv., Un siècle de fouilles

tolemaica e romana, di 24 tombe a «casa», di tempio di Thoth®. Interventi minori, dovuti al mentre poco noti sono i risultati degli scavi del di tombe a più piani sotterranee, a circa m. 230

francaises en Egypte, 1880-1980, Paris breve storia degli scavi della necropoli.

1981,

pp. 312-313,

per una

6 S' GaBRA, in ASAE, 32, 1932, p. 56 ss.; Ip., in ASAE, 39, 1939, p.483ss.; S. Gasra, E. Drioron, P. PeERDRIZET, W.G. WaDDEL, in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Quest (Touna elGebel), Le Caire 1941, tav. XIII. 6! A. Bapawy, in Archaeology, 11, 1958, p. 117 ss. € Cfr. E. LOppECKENS, Jahrbuch 1955 Akademie der Wissenschaften und der Literatur Mainz, p. 251 nota 1, p. 256 nota 2, tav. 1; Z. ALvs, in Proceedings of the IX International Congress of Papyrology,

1961, p. 329.

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trabeazione di portale (dal Ronczewski).

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159 - Hermoupolis Magna,

capitello corinzio a foglie lisce (dal Ronczewski).

ad ovest della tomba di Petosiris, scavato da W. Honroth nel 1913, sono stati resi noti nel 1975 dal Grimm, mentre nel 1983 è stato pubblicato uno studio sulla galleria C della necropoli degli animali, di D. Kessler^ (Figg. 161-163). Vengono qui di seguito riportate alcune brevi note descrittive sulla necropoli degli animali e su alcune tra le tombe più significative, soprattutto dal punto di vista dell’elevato architettonico della facciata e delle tradizioni egizie, greco-egizie, o greco-romane in esse rispettivamente dominanti.

A. Tomba di Petosiris (Figg. 164-166; Tav. 122,3) Alla tomba, con un orientamento nord-sud e rivolta verso il deserto, si accedeva tramite un viale lastricato leggermente pendente e con blocchi bugnati lungo il bordo: largo m. 4, in origine doveva essere lungo almeno m. 20. Sul suo lato est si erge un altare «a corni» nella tipica tradizione egizio-alessandrina (alto m. 2,60 compresi i corni). La tomba riproduce un tempio in miniatura e la sua facciata, dotata di un elegante portale e di colonne con capitelli

egizi unite da bassi muri coronati da una gola, è nello stile dei templi di tradizione faraonica, dei quali appunto riproduce la facciata: basti citare il confronto

con il pronao

del grande

tempio

di Edfu,

di età tolemaica,

o del tempio di Kalab-

chah, di età romana”. Va subito rilevato che nella tomba di Petosiris il pronao risulta consacrato al culto dello stesso Petosiris, mentre la cappella è dedicata a suo padre e a suo fratello; inoltre la camera funeraria sottostante contiene fra gli altri sarcofagi

anche quello della moglie e dei suoi figli: si tratta dunque di una tomba di famiglia costruita da Petosiris®. Il Lefebvre ritiene che in origine la tomba fosse composta soltanto dalla cappella, pressoché quadrata, e che più tardi il monumento fosse ingrandito per l’aggiunta del pronao, che Petosiris destinò al proprio culto. Il muro dunque la facciata del monumento primitivo ed era dotato di un portale chiuso da un unico battente.

nord costituiva

La cappella, che misura all’interno m. 6,25 in larghezza e m. 7,15 in lunghezza, è divisa in tre campate da due file di piloni quadrangolari, senza basi nè capitelli, che poggiano su uno zoccolo quadrato alto solo cm. 2; i suddetti piloni corrispondono a dei pilastri che si stagliano sulle pareti nord e sud. Pilastri e piloni, alti m. 2,80, sostengono gli architravi, sui quali poggiavano le lastre del soffitto sostenute superiormente anche dalle pareti est ed ovest, in blocchi coronate da un fregio. Un parapetto, formato da due filari e da una cornice, coronava la cappella, che si eleva ad un’altezza

di m. 4,45. Il pavimento è rivestito da lastre rettangolari di calcare con tessitura irregolare e interrotte da un pozzo fune-

6 G.

$ G. Grimm, in MirtKairo, 31, 1975, p. 221 ss. $ D. KESSLER,

258

in MittKairo,

39, 1983, p. 107 ss.

LEFEBVRE,

Le

tombeau

de

Petosiris,

I,

Cairo

1923-1924,

p. 1; cfr. H. GAUTIERRE, Le temple de Kalbchah, * *, tav. 61,a. $6 LEFEBVRE, Op. Cit., p. 1.

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161 - Tuna el-Gebel, necropoli, pianta (dal Gabra).

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- Tuna

el-Gebel,

necropoli,

tomba

di Petosiris,

pianta

(dal Gabra).

Fig.

166 - Tuna

el-Gebel,

necropoli,

tomba

di Petosiris,

sezione

del tempietto e delle camere funerarie sottostanti (dal Gabra).

rario profondo

circa m.

8:

questo

si apriva

nella campata

centrale,

a m.

1,35

dal muro

sud,

e in origine,

chiuso

da tre

lunghe lastre, permetteva di raggiungere la grande camera funeraria sottostante scavata nella roccia. I muri interni ed 1 piloni della cappella sono ricoperti da rilievi figurati e da iscrizioni lavorati sul sottile strato di stucco che ricopre il calcare. L'esterno dei muri sud, est, ovest non è decorato, mentre il muro nord ha avuto una decorazione quando si aggiunse il pronao alla cappella e si completò il monumento. Il pronao è rettangolare e leggermente più largo rispetto alla cappella: all’esterno misura m. 11,20 sul fronte per m. 5,15 sui fianchi” e risulta leggermente sollevato rispetto alla cappella. In facciata i fianchi terminano con pilastri e tra questi vi sono quattro colonne con capitelli egizi che sostenevano in origine un architrave sormontato da una gola egizia

con disco solare alato al centro, ora del tutto restaurato. Le colonne composte da tamburi alti m. 0,40, non sono uguali, in quanto le due centrali, incastrate negli stipiti del portale, hanno il fusto liscio, con capitelli egizi campaniformi decorati da papiri e fiori di loto, e sono sagomate solo sul fronte, dove appaiono ornate con foglie triangolari. Le altre due colonne, invece non hanno base e presentano capitelli compositi a foglie di palma. Va rilevato come le colonne e i pilastri siano collegati nei due terzi inferiori attraverso pannelli a forma di finti portali, coronati da una gola egizia e decorati da rilievi ed iscrizioni su tutto il campo. Al centro è il consueto portale egizio, incastrato come si è detto nelle colonne e con l’architrave interrotto: di conseguenza i due stipiti sono sormontati da un’alta cornice a gola egizia decorata con baccellature dipinte.

Naturalmente, data la chiara ripresa di modelli faraonici, i pilastri laterali della facciata ed i fianchi non sono verticali, bensì leggermente inclinati all’interno (alla base larghi m. 1,20, alla sommità m. 1).

© Ip.,

p. 15:

m. 9,40 x 3,80.

262

le misure

del

pronao

all’interno

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invece

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Fig.

167 - Tuna el-Gebel, necropoli, tempietto n. 1, pianta e sezione (dal Gabra).

Una sola colonna ci è giunta pressocché intatta, quella con capitello palmiforme del lato est: è alta m. 3,80 circa, mentre i pannelli intermedi sono alti m. 2,20, con disuguale larghezza di m. 1,15/1,30. La camera funeraria è un vasto sotterraneo di forma molto irregolare, divisibile in due parti rispettivamente ad est e ad ovest del pozzo di entrata: a est quella più piccola di m. 6 x 9, con porte in muratura e con piccola camera che si apre sulla parete ovest, suddivisa in due vani per ospitare i sarcofagi. La parte ovest è invece più bassa e più ampia (m. 2,10) e all’interno di essa sono stati rinvenuti sarcofagi e mummie: in particolare sono stati ritrovati, disposti l’uno accanto all’altro e parallelamente al muro di fondo, tre grandi sarcofagi di pietra, il più grande appartenente a Renpetnofrit, sposa di Petosiris, come indica l’iscrizione, mentre l’ultimo, quello più vicino al muro appartiene a Petosiris®. ^

La tomba è stata datata al tardo IV secolo a.C.®. B.

Tempietto funerario n. 1 (di Ptolemaios) (Fig. 167; Tav.

124)

A circa m. 10 più a sud della tomba di Petosiris vi è un monumento funerario a forma di tempietto egizio con gli angoli esterni inclinati e in risalto attraverso una fascia sporgente: alto m. 5,40, è a pianta rettangolare di m. 5,25x7,90, ed è preceduto

(m. 2,80x2,30),

da una piattaforma

a cui si accede

tramite una piccola scalinata di sei gradini.

Risulta co-

orienstruito in piccoli blocchi di pietra calcarea, della misura compresa tra m. 0,38 e m. 0,45 di lunghezza. L'entrata è

m.

8 La cassa misura m. 2,50 di lunghezza, m. 0,75 di profondità 0,90 di larghezza alle spalle. Il coperchio di forma prismatica,

ancora

più

lungo:

misura

infatti

m. 2,75;

m. 0,60 di larghezza alla testa, m. 0,45

la fascia

ai piedi.

centrale

e è

misura

Su questa fascia sono

incise, su due linee verticali, il nome ed i titoli del defunto. Il sarcofago è stato violato, per cui non si è ritrovato il corpo di Petosiris. Contro

una parete della cassa è stato ritrovato il coperchio di legno scuro di una bara, alcuni frammenti, interamente marci, di un’altra bara di legno giallastro ed infine la cassa piatta della prima bara. La seconda bara di

legno è di sicomoro ricoperta. 9 G. LEFEBVRE, in ASAE, 20, 1920, pp. 41 ss., 207 ss.; cfr. anche F.W. v. Bissinc, in BSAA, 28, 1933, p. 186; C. VANDERSLEYEN, alte Àgypten, 1975, p. 203, 205, n. 95, pp. 327, 332, fig. 95.

Das

263

tata verso

sud,

ma

successivamente

è stata chiusa da una costruzione

rettangolare in mattoni

crudi?

e solo dopo

la demo-

lizione di questa & apparso il tempietto preceduto da un piccolo altare in calcare, alto m. 1,20, del tipo «a corni ». La tomba comprende due camere pressoché quadrate, sulle cui pareti laterali si trovano due nicchie con cadaveri mummificati; inoltre presso una delle pareti è stata rinvenuta una lastra con un retore alessandrino di nome Ptolemaios, morto al'età di venticinque anni.

La facciata presenta vi sono invece due finte della facciata si trovano angoli della facciata. La terali che dovevano forse

un grande portale con cornice a gola egizia, dagli porte più piccole, ugualmente con gli stipiti verso come due larghi pilastri rastremati, che rientrano parete al di sopra del portale e delle finte porte è ospitare statue funerarie. Tra i pilastri e i capitelli

un'iscrizione

dipinta in rossa,

che

menziona

stipiti inseriti in colonne lotiformi; ai suoi lati il portale inseriti nelle colonne. Alle estremità però rispetto alle fasce che accompagnano gli rientrante, in modo da formare due nicchie lacompositi egizi delle colonne vi sono tre finte

finestre, quella centrale a due battenti, le altre due ad uno solo: esse sono decorate con una falsa grata a losanghe dipinta in rosso, con ai lati due colonnine che sorreggono una cornice a gola egizia, che nella finta finestra centrale è decorata con disco solare con uraei e sormontata da un fregio con uraei. La parte superiore del monumento, compresa una delle finte finestre, è di restauro. Comunque, in analogia con altre facciate simili, è probabile terminasse con un architrave e con una grande cornice a gola egizia che poggiava sui pilastri laterali e su sottili pulvini parallelepipedi sopra 1 capitelli. Va rilevato come la facciata di questo monumento funerario derivi dal tipo di tradizione egizia, rappresentato dalla tomba di Petosiris, rispetto a cui apporta la modificazione della parete del tutto piena, con finte finestre, al di sopra dello pseudo-recinto. In base

alla differenza

di livello

con

la tomba

di Petosiris,

il monumento

è stato

attribuito

dal

Gabra

al I secolo

a.C. "t, C.

Casa funeraria di Kopre

Accanto alla tomba di Ptolemaios, lungo il fianco ovest, vi era un altro monumento a pianta rettangolare con due colonne in mattoni tra due ante in facciata, questa verso sud. Era costruito in mattoni crudi, ma con rivestimento in stucco bianco leggermente bluastro sulla facciata e all’interno”. Si componeva di due piani: quello inferiore con due nicchie voltate ai lati dell'entrata e con una camera, pure voltata, di forma quasi quadrata sul fondo. Il piano superiore, a cui si accedeva tramite una piccola scala sul fianco ovest, comprendeva due vani, il primo fiancheggiato da due colonne parzialmente dipinte in rosso: tutte le pareti sono tagliate da nicchie arcuate. Sotto il vano delle scale è stato trovato un gruppo di vasi, uno dei quali con il nome di Kopre dipinto in rosso.

A] momento dello scavo risultò che questa casa funeraria era stata costruita ad un livello di un metro più alto,rispetto al tempietto di Ptolemaios. D.

Casa funeraria n. 1 (di Isidora) (Fig. 168) Ad

una

trentina

di metri

a sud-est

della

tomba

di Ptolemaios

vi è un’altra

costruzione

in mattoni

crudi

intonacati,

posta ad un livello superiore rispetto a questa. Sia il pianterreno, sia il piano superiore presentano due camere quasi quadrate e contigue, in origine con volte a botte perpendicolari all’asse. Sembra che la facciata fosse prostila, mentre quell’attuale è dovuta ad un restauro moderno. Le camere superiori erano intonacate di bianco, ma con ia parte inferiore dipinta in rettangoli rossi, grigi e blu, con cerchi iscritti in vari colori, che imitano vari marmi, graniti e porfidi. La prima

camera presenta tre nicchie sulle pareti e contro quella sud un letto funerario di legno, su cui era una mummia: attraverso una porta fiancheggiata da pilastri addossati con capitelli corinzieggianti in stucco comunicava con la seconda stanza. Questa era definita thalamos da uno dei due epigramma iscritti nelle pareti ai lati della porte; sulla parete di fondo si apriva una nicchia voltata con grande conchiglia, fiancheggiata da due colonnine tortili, con letto funerario su cui poggiava la mummia di una giovinetta, Isidora, di cui parla uno dei due epigrammi, che ci informa della sua morte nel

Nilo”. E.

Tempietto funerario n. 2 (di Ditosiris) (Fig.

169; Tav.

122,1)

Contiguo al fianco sud della tomba di Isidora, questo monumento ha una pianta rettangolare di m. 8x10,60 e non poggia su un podio, bensi presenta una crepidine composta da un solo filare di blocchi. E costruito in opera quadrata, con 7? S. GABRA, in ASAE, 32, 1932, p. 58 e ss., figg. 2-3; Ip., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Ouest (Touna el-Gebel), cit.,

tro e un

pp. 54-58, tavv. 19,20. Questo muro era stato costruito sopra la piatta-

mente.

forma, e sembra di capire che era golare in mattoni crudi, poi fatta costruzione sono stati ritrovati un lathos e un'altra statua in gesso, con i due corni e il disco solare. con vetrificazione bianca, con il

264

pertinente ad una costruzione rettanabbattere dal Gabra. All'interno della busto di Serapide in gesso con il kadanneggiata, che rappresenta un ibis Si è poi ritrovato un vaso a due anse nome ON, forse l’inizio del nome

Onesimos,

una collana

in legno

altra collana formata

con

figurine

di donne

e un

fallo al cen-

da pezzi di alabastro tagliati grossolana-

ΤῈ Ip., in ASAE, 32, 1932, p. 63. 7 fp., p. 63, fig. 1,b: la casa è stata poi abbattuta dal Gabra per dare maggiore risalto al tempietto di Ptolemaios 7? $. GABRA in ASAE, 32, 1932, p. 66 e ss.: In., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Quest (Touna el-Gebel), cit., pp. 67-72, tavv. 31-32.

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168 - Tuna

el-Gebel,

necropoli,

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Fig. 169 - Tuna el-Gebel, necropoli, tempietto n. 2, pianta e se-

1 (di Isidora),

pianta e sezione (dal Gabra).

᾿

zione (dal Gabra).

uno spessore inferiore delle pareti di circa un metro, secondo la tradizionale forma della cappella funeraria egizia: è infatti sormontato su tutti e quattro i lati da un'alta cornice a gola egizia, distinta tramite una taenia sporgente dalle pareti, e in facciata (larga m. 8 e alta m. 4,60) presenta soltanto un portale, ugualmente coronato con un'alta cornice a gola egizia e alle estremità della parete due sottilissime fasce (o tori) lungo gli spigoli". Il tempietto è diviso in due camere: la prima più piccola con un’altra cameretta ricavata al suo interno, con cui comunica attraverso una bassa porta con gola egizia; la seconda con pozzo funerario, profondo m. 12 che conduce a due sarcofagi, mentre altri cinque erano collocati

contro le pareti della stanza. F.

Tempietto funerario n. 3 (Tav.

122,2)

Contiguo al fianco sud della tomba di Ditosiris, da cui è separata tramite un passaggio che conduceva al settore est della necropoli, la tomba è di forma rettangolare ed è suddivisa in due vani, quello posteriore più grande con enorme sarcofago in calcare. In facciata, larga m. 6,55, presenta un portale con cornice a gola egizia e due finti portali laterali bassi, in tutti e tre i casi con gli stipiti inseriti in due colonne con schematici capitelli egizi (semilavorati? di restauro?): questi sostengono un ampio architrave, che alle estremità poggia sui pilastri rastremati che accompagnano le strette fasce leggermente sporgenti lungo i bordi della facciata. Come nella tomba di Ptolemaios, vengono a crearsi due nicchie rettangolari ai lati ed una più corta al centro, che in questo caso non presentano superiormente finte finestre”. G.

Tempietto funerario n. 4 (Figg.

170, 171; Tav.

125)

Nel settore sud della necropoli, a circa m. 60 a sud, sud-est della tomba di Ditosiris, vi è un altro tempietto fune-

rario nella tradizione egiziana, molto simile alla tomba di Ptolemaios: infatti nella facciata, larga in basso m. 6, gli stipiti del portale e quelli interni delle finte porte sono inseriti nel fusto delle colonne con capitelli compositi egizi. Gli angoli

7 S. GABRA, in ASAE, 39, 1939, tavv. 74 (al centro), 76 (a sinistra); Ip., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Ouest (Touna elGebel), cit., p. 59, tavv. 21,22,1.

75 S. GABRA, in ASAE, 39, 1939, p. 484, tav. 76 (a destra); Ip., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Ouest (Touna el-Gebel), cit., p. 59, tav. 22,2

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Fig. 170 - Tuna el-Gebel, necropoli, tempietti nn. 4 e 5, pianta (dal Gabra).

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171 - Tuna el-Gebel, necropoli, tempietti nn. 4 e 5, prospetto (dal Gabra).

della facciata sono sottolineati anche qui da fasce sporgenti e lungo di essi vi sono i consueti pilastri rastremati che. insieme alle colonne sorreggono l’architrave liscio e la cornice a schematica gola egizia. Sulla sommità delle nicchie al di-

sopra del portale e delle finte porte vi sono , sempre in analogia con la tomba di Ptolemaios, tre false finestre con la grata resa in stucco. L’interno è articolato anche in questo caso in due vani, quello anteriore più piccolo, quasi un atrio o pronao, quello posteriore costituente la vera e propria cella del tempietto”. 76 Ip., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Ouest (Touna elGebel), p. 60, tavv. 23,24,25.

266

H.

Tempietto funerario n. 5 (Figg.

170,

Addossato al tempietto n. 4 più piccolo tempietto funerario, a pianta cone sovradipinto sul lato di fondo forma, il tempietto presenta tuttavia con

architrave

e stipiti a tre fasce

171; Tav.

126)

antico, anzi con la parete del fianco ovest incassata nel fianco est del primo, vi è un rettangolare: dispone di un unico vano interno di m. 3,30x3,15, alto m. 3, con banper la mummia e il suo sarcofago. Costruito in blocchi e di tradizione egizia per la elementi decorativi di tradizione greca nella facciata: al centro vi è un grande portale, incorniciati

da un kyma

lesbico

trilobato,

e una

trabeazione

con

cornice

a gola,

forse

egizia, sorretta da mensole laterali, sotto la quale sono intagliati kymatia ionici e lesbici. Ai lati del portale vi sono due piccole edicole, con pilastrini e piccoli capitelli corinzi che sorreggono un fregio dorico sormontato da un frontoncino triangolare con piccoli acroteri. Il margine superiore della facciata è sagomato con una faenia e con una serie di dentelli.

Il monumento è datato alla tarda età tolemaica” I. Casa funeraria n. 3 (Tav.

123,2)

Sul retro dei tempietti nn. 4, 5 e da essi separata tramite un passaggio vi è una casa funeraria composta da due vani disuguali: le pareti sono dipinte tra l’altro ad imitazione di lastre di granito, porfido e breccia; nella seconda camera vi è un arcosolio inquadrato da due colonnette, dentro cui vi è un letto funerario e una scena dipinta rappresentante il ratto di Proserpina”. All’esterno sul fianco nord, vi era una porta a cui si accedeva tramite una scala non perpendicolare ma contigua alla parete e sotto la quale doveva esservi un vano sottoscala voltato. La porta è inquadrata da due pilastri con parte superiore in corrispondenza dell’architrave in rilievo, in modo da formare un riquadro sporgente coronato da sottile capitello a gola e listelli; sopra questi poggia un fregio liscio ed una cornice a sima e corona molto sottili, sotto cui pendono dentelli rettangolari molto ravvicinati, di un tipo nella tradizione tardo ellenistica (v. p. 104). L.

Tempietto funerario n. 10 (Fig.

172)

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A circa m. 40 ad est della tomba di Isidora, vi è un altro tempietto nella tradizione delle tombe egizie, di pianta rettangolare, con una sola camera di m. 2,42x3,18, e costruito in blocchi. Le quattro pareti sono coronate da un architrave e

IDebes

Magonnerie

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Alexandre Badaay 1337

Fig. 172 - Tuna el-Gebel, necropoli, tempietto n. 10, pianta, prospetto e sezione (dal Gabra). 7 Ip., pp. 60-63, tavv. 23, 24, 26.

18 Ip., pp. 73-76.

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Fig. 173 - Tuna el-Gebel, necropoli, tempietto n. 6 («tomba di Padikan»), pianta (dal Gabra).

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da una cornice ad alta gola egizia. Questa trabeazione è sostenuta sulla facciata da due colonne con capitelli campaniformi egizi e pulvino parallelepipedo, poste alle estremità, e dall’alta cornice a gola egizia che sormonta il portale al

centro: ai lati di questo, due finte porte creano, anche in questo caso, due nicchie rettangolari nello spazio soprastante, essendo la parete arretrata rispetto ai portali e alle colonne; sulla parte superiore delle nicchie due finte finestre a grata”?. M.

Tomba di Padykam (Tempietto n. 7) (Fig. 173)

A circa m. 72 ad est della tomba di Petosiris, è stato rinvenuto un tempio funerario appartenente a discendenti di Petosiris, preceduto da una strada lastricata larga m. 3: si componeva di un pronao rettangolare di m. 3,90x10, orientato a nord, e di una cappella, di m. 8x5, rientrante sui fianchi rispetto al pronao, con quattro piloni quadrati e con al centro un

pozzo.

°

Il pronao presentava in facciata quattro colonne inserite nella parete, alle quali si addossavano gli stipiti del portale e probabilmente quelli delle finte porte più basse: le due colonne laterali sporgevano all’interno come semicolonne, mentre

quelle centrali come quarti di colonne essendo limitate dai vani di passaggio del portale. Di una forma molto simile alla tomba di Petosiris, essa si deve datare all’epoca ellenistica, anche se nel I-II secolo d.C. non solo la cappella, ma anche il pronao, furono invasi da sepolture: sono stati rinvenuti numerosi sarcofagi romani e sotto le lastre pavimentali la mummia di una donna con una collezione di vetri e di strumenti in piombo, che forse la identificano con una sacerdotessa. Il pozzo conduceva ad ambienti sotterranei, in cui sono stati rinvenuti sarcofagi antropoidi, sul coperchio di uno dei

quali le iscrizioni in geroglifico ci tramandano il nome Padykam, imparentato in via femminile con Petosiris®. N. Tempio funerario Prostilo-tetrastilo, n. 12 (Fig. 174) Al limite meridionale del settore nord della necropoli, a sud est della tomba di Ditosiris, vi è una piazza sulla quale si affacciano due tempi, il primo esastilo (n. 11), il secondo tetrastilo (n. 12) e molto probabilmente costruito dopo il

? S. GABRA, in ASAE,39,

1939, p. 484, tav. 77 (ultima a destra);

Ip., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Quest (Touna el-Gebel), cit., p. 64, tavv. 27,30,2; cfr. anche S. GABRA, Chez les derniers adorateurs du Trismégiste. La Necropole d'Hermoupolis, Tuna el Gebel,

268

Caire 1971, fig. a p. 55 (ultima a destra). 9 S. GABRA, in ASAE, 32, 1932, sur les fouilles d'Hermoupolis Ouest pp. 11 ss., 29 ss.

p. 72 e ss; S. GABRA, Rapport (Touna el-Gebel), Caire 1941,

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174 - Tuna el-Gebel, necropoli, tempietto n. 12, pianta (dal Gabra).

n. 11 (Fig.

175): infatti fu elevato davanti a metà del colonnato di questo, in modo da essere contiguo alla sua piccola

scalinata e all’altare. Il tempio

n. 12,

di m. 9,12x4x90,

si erge

su un podio

alto almeno

cinque

filari di blocchi,

e a cui si accedeva

tra-

mite una stretta scalinata, con antistante altare (non è sicuro se fosse a «corni»), sul lato sud, ed era prostilo tetrastilo, con colonne lisce su base attica (i capitelli non si conservano). Internamente risulta articolato in due stanze superiori ed in due inferiori all’interno del podio, alle quali si accedeva tramite una porta sul fianco est?!. Il monumento è ritenuto di età imperiale. O.

«La Cappella dei graffiti»

La tomba venne scoperta nel 1949 da A.Badawy nel settore sud-est della necropoli, tra il tempio n. 9 e la casa funeraria n. 11 della pianta della necropoli del Gabra*. Nel cortile antistante il monumento vi era un altare con una nicchia; la tomba comprende due stanze ed in origine era su due piani, ma ora non resta più nulla del secondo piano. Il listello della porta d’accesso al monumento era decorato con una striscia a denti di sega, dipinta in marrone rossastro. In un momento successivo furono deposti dei corpi a circa un metro al di sotto del listello: questi erano orientati sud-nord, affiancati o distesi attraverso la porta, ed erano avvolti in bende di lino. Nella tomba sono state rinvenute iscrizioni dipinte in rosso con epitaffi greci, graffiti con vari personaggi, tra cui un soldato ed un cavaliere che trafiggono con la lancia un animale, o ancora, sulla parete nord della stanza anteriore, pitture

in stile egizio, raffiguranti Osiride mummiforme, che regge i due scettri heka e nekhakh o riceve offerenti.

8! S. GABRA, in ASAE, 39, 1939, p. 484, tav. 77; In., in Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Ouest (Touna el-Gebel), cit., pp. 65, 66, tavv. 28-30,1. Cfr. GABRA, Chez les derniers adorateurs, cit., p. 55.

? Su

questa pianta cfr.

GABRA,

DRIOTON,

PEDRIZET,

WADDEL,

Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Ovest (Touna el-Gebel), cit., tavv. 2,2, 30,1. 8 A. BApAwY, in Archaelogy, 2, 1958, pp. 117-122; cfr. inoltre

G. Grimm, in MittKairo, 31, 1975, p. 228, tav. 65,8.

269

AELT\VWMETZITÀIÒÒ SS

N

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Ga

NN.

N

SS

Ò È

SS È Wace,

MeGAW,

SKEAT, Hermopolis Magna,

tav. 27, 7.

Tipo 4: DUE CORONE DI QUATTRO FOGLIE LISCE, CON QUELLE DELLA PRIMA CORONA AL CENTRO DEI LATI E IN PRIMO PIANO.

Dendera, stiana.

viale

di

accesso

al tempio

di Hathor,

dalla

Basilica

cri-

Calcare.

Il kalathos è del tutto avvolto da due corone di foglie nervatura

superiore

Scheggiature lungo l'abaco e la base del kalathos.

Calcare bianco. Alt. cm. 56; diam. inf. cm. 23,2.

con

Capitello corinzio a foglie lisce di pilastro.

626. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 72)

624. Capitello corinzio a foglie lisce di colonna.

lisce,

625.

Antinoe, convento paleocristiano, lato est del chiostro. Lievi scheggiature sulle cime delle foglie. Calcare bianco. Alt. cm. 68; lato inf. cm. 76; lato 107.

x

Il kalathos, piuttosto espanso superiormente, è avvolto da una corona di quattro foglie lisce, poste al centro dei lati; ad esse si alternano altre quattro fogli in secondo piano, più strette e a sezione angolare, che sorreggono gli spigoli dell’abaco, con i lati irregolarmente arcuati e lisci. Si può osservare come notevolmente ridotte siano le dimensioni delle foglie angolari in funzione di volute. L’esemplare rappresenta la forma, priva della rifinitura dei particolari vegetali, già incontrata nel n. 599. Databile alla fine del V - primi decenni del VI sec.

d.C. 627. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 72) Luxor, lapidario accanto al tempio di Ammone. Scheggiato tutto il piano di posa inferiore. Calcare.

Intorno al kalathos, piuttosto espanso superiormente, si articolano al centro dei lati quattro foglie lisce; ad esse si alternano in secondo piano altre quattro foglie lisce, leggermente piü alte, in quanto sorreggono gli spigoli dell'abaco quadrato. La semplificazione dell'apparato vegetale e dell'abaco indicano una variante locale di un modello corinzieggiante caratterizzato dallo scambio di posizione delle foglie angolari, in secondo piano invece che, come è più frequente, in primo piano. E inoltre quasi avvenuta la fusione in un'unica corona di due corone di quattro foglie di diversa altezza. Si puó confrontare con il n. 626. Databile nella seconda metà del V - primi decenni del VI sec. d.C. 628.

Capitello corinzio di colonna. (Tav. 72)

Alessandria, giardini del museo,

di provenienza sconosciuta.

Scheggiature sull'abaco e abrasioni lungo il margine inferiore. Calcare. Alt. cm. diam. inf. cm. 35.

36;

spess.

abaco

cm.

6,6;

lato abaco

cm.

51;

Intorno al kalathos si articolano due corone di quattro foglie, quelle inferiori disposte secondo gli assi centrali dei lati, quelle superiori secondo le diagonali e quindi con le cime sorreggenti gli spigoli dell’abaco. La parte inferiore delle foglie angolari è completamente nascosta dalle foglie centrali, piuttosto espanse e unite alla base, senza un'incisione che ne indichi la separazione. L'esigua superficie del kalathos visibile sopra le foglie centrali sporge notevolmente, con un orlo ricurvo privo di rapporti con il reale diametro superiore del kalathos. L'abaco è piuttosto stretto e irregolare, con al centro dei lati protuberanze arrotondate in funzione di fiore. Si osservino ancora l'aspetto tozzo del kalathos, eccessivamente largo rispetto all'altezza, e 1 resti di lavorazione a gradina visibili sulle foglie. Dal

confronto

con

i nn.

497-512,

di marmo e

lavorati

nei particolari vegetali, emerge che questo esemplare rappresenta l'imitazione nel calcare locale di tipi piü colti, come si verifica in modo analogo anche in altri ambienti!. Databile nel V sec. d.C. ! PENSABENE,

Scavi

di Ostia,

VII, nn.

523-524.

Molto simile ai nn. 627-628, ma con il kalathos meno espanso inferiormente e più alto rispetto alla larghezza. Databile nel V sec. d.C.

TIPO

5:

DUE

GLIETTA DELLA DELLA

CORONE

DI

SPORGENTE PRIMA

QUATTRO

SOTTO

CORONA

SECONDA

AL

CORONA

FOGLIE

LA

CIMA,

CENTRO

APPENA

LISCE CON

DEI

CON

FO-

LE

FOGLIE

E

QUELLE

LATI

ACCENNATE.

631. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 72) Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Spezzato uno degli spigoli dell’abaco. Marmo bluastro a cristalli grandi. Alt. cm. 21,7; spess. abaco 3,6; lato abaco cm. 32; diam. inf. cm. 23.

cm.

Il kalathos presenta quattro foglie lisce al centro di ogni lato, dalle quali sporge nella parte superiore una protuberanza triangolare in forma di foglietta: questa non è in contatto con la cima, solo leggermente ripiegata e arrotondata. Può trattarsi di una cima triangolare di foglia, come nei nn. 609-611, ma volutamente staccata da essa e resa disorganicamente come una protuberanza della stessa foglia. Le tracce di altre quattro foglie disposte agli angoli sono visibili sotto gli spigoli dell’abaco, dove sporge una cima triangolare ripiegata, di cui non è però stata intagliata la parte restante della foglia. L’abaco, irregolarmente

fasce,

presenta

al centro dei lati un sommario fiore fogliforme. La stessa soluzione della cima della foglia

diviso

da un

solco

riportata

sotto la curva superiore

ondulato

è visibile,

in due

in modo

più articolato,

nei nn. 613, 616, in un capitello siriano di Qanawat ed in

altri esempi orientali!. È possibile che il capitello risulti dalla lavorazione locale di un esemplare sbozzato d’importazione, rappresentato ad Alessandria dal n. 688: se fosse stata portata avanti la lavorazione nei prticolari vegetali, avrebbe

assunto una forma

simile al n. 495,

con la

stessa disposizione delle foglie (la stretta cima di queste richiama le protuberanze nelle foglie lisce del nostro esemplare). Databile nel tardo IV - prima metà del V secolo d.C. ! Kautzscu,

Kapitellstudien, p. 37.

629. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 72) Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Scheggiature lungo i margini inferiori del kalathos e agli spigoli dell'abaco. Calcare. Alt. cm. 36; lato abaco cm. 51; diam. inf. cm. 35.

Uguale al n. 628. Si osservi come ai lati del fiore dell'abaco siano visibili due file di fori di trapano. Databile nel V sec.

630. (Tav.

d.C.

Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. 72)

Alessandria, giardini del museo (ora nei giardini di Kom gafa), di provenienza sconosciuta. Scheggiature sull’abaco.

Calcare. Alt. cm. 40.

esch-Sho-

TIPO 6: DUE A WM.

632. (Tav.

CORONE

DI QUATTRO

FOGLIE LISCE E VOLUTE

Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. 72)

Saggara,

convento di Apa Geremias,

nell'area immediatamente a nor-

d-ovest della «Main Church». Spezzata la parte superiore delle foglie angolari. Calcare bianco.

e mancanti

le

estremità

delle

volute

e

Dietro una bassa corona di quattro foglie poste al centro dei lati e unite alla base, nascono quattro alte foglie angolari,

marcatamente

ad

angolo,

in modo

da

conferire

alla

parte superiore del kalathos una sezione quadrangolare che contrasta con la parte inferiore circolare e relativa ad una 457

colonna. Tra le foglie angolari crescono in ogni lato due volute, unite inferiormente e diramantisi a V in modo da seguire il contorno delle foglie. Nello spazio angolare tra le volute sono intagliate piccole foglie rovesce, ora abrase, che si originano dalla bozza sporgente in funzione di fiore dell'abaco. Nel capitello si riconosce lo schema vegetale derivante dalla semplificazione di un tipo di capitello corinzio

«copto»

caratterizzato da un unico calice fuso con le elici

e le volute: esso nasce sopra le quattro foglie della prima corona al centro dei lati ed è limitato lateralmente dalle quattro foglie superiori, che sostengono con le cime le spirali delle volute (cfr. nn. 567-568). Da questo schema derivano anche capitelli a sole quattro foglie angolari e volute a V uguali a quelle del nostro esemplare, testimo-

niati a Saggara in diversi pezzi!. Databile nella seconda metà del V - primi decenni del VI sec. d.C. Bibl: QuIBELL, Excavations at Saggara, IV, tav. 35, 6; P. GnosSMSNN, H.G. SEVERIN, in MittKairo, 38, 1982, p. 174, nota 85. ! QUIBELL,

Excavations at

Saggara,

TH,

tav.

23;

P.

GROSSMANN,

H.G. SEVERIN, in MittKairo, 38, 1982, p. 186, gruppo B.

635.

Capitello a foglie lisce di colonna. (Tav. 72)

Saqqara, convento di Apa Geremias, nell'area immediatamente a nord-ovest della «Main Church». Leggere abrasioni. Calcare bianco. Alt. cm. 40; diam. inf. cm. 41; lato abaco cm. 53.

L’esemplare, che pare sia stato impiegato in uno stadio di semilavorazione, presenta quattro foglie semiovali al centro dei lati ed altre quattro foglie angolari dal contorno triangolare terminanti sotto gli spigoli dell’abaco. Questo presenta al centro dei lati protuberanze semiconiche che proseguono fino alla fine delle foglie mediane. È possibile che a lavorazione ultimata il pezzo sarebbe stato simile al n. 632. Databile nella seconda metà del V - primi decenni del VI sec. d.C.

Tipo 7: DUE FOGLIE TELLI DI LESENA).

LISCE AGLI ANGOLI

636. Capitello corinzieggiante addossata a pilastro.

E VOLUTE

a foglie

(CAPI-

lisce di lesena

Saqqara, convento di Apa Geremias, nell'area immediatamente a nord-ovest della «Main Church»!. Lievi scheggiature e spezzata la cima di una delle foglie.

633. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 72)

Calcare bianco. Alt. blocco cm. 40; alt. capitelo cm. 31; larg. alla base cm. 20.

Saqqara, convento di Apa Geremias, nell'area immediatamente a nordovest della «Main Church».

Il capitello occupa l'estremità di un blocco parallelepipedo che doveva costituire la parte superiore di un pilastro sporgente dalla parete: al capitello tuttavia non corrisponde una lesena sporgente dal blocco stesso. Quasi tutta la superficie del capitello & occupata da due grandi foglie: angolari con la cima fortemente ripiegata: in

Spezzato uno degli spigoli del'abaco, compresa della foglia, scheggiati due degli altri spigoli. Calcare.

Uguale

al n.

632,

conserva

la voluta e la cima

maggiormente

visibile

fiore dell'abaco a forma di lobo circolare sporgente,

il

su

cui é incisa una piccola foglia dentata. Databile nella seconda metà del V - primi decenni del VI sec. d.C. Bibl: QuIBELL, Excavations at Saggara, IV, tav. 35, 6; P. GrosSMANN, H.G. SEVERIN, in MittKairo, 38, 1982, p. 174, nota 85.

634. (Tav.

Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. 72)

Saqqara, convento di Apa Geremias, nell’area immediatamente a nordovest della «Main Church».

Spezzato lungo una linea obliqua e mancante di circa la metà. Calcare. Alt. mass. cm. 36.

Affine ai nn. 632-633, rispetto ai quali presenta più svasata la coppia delle volute, che si originano da una sorta di sottile caulicolo con orlo di forma pentagonale, molto più largo dello stelo (cfr. nn. 578, 582): questo inoltre si sovrappone disorganicamente alla parte iniziale degli steli. Tra le volute il kalathos sporge notevolmente, in modo da acquistare una forma con sezione e contorno superiore ad angolo che amplifica gli angoli formati dal margine superiore dell’orlo del caulicolo e dalla membrana vegetale che congiunge le due volute alla base. Databile nella seconda metà del V - primi decenni del VI sec. d.C. 458

mezzo

ad

esse

si originano

due

volute

nastriformi,

unite

inferiormente e con la biforcazione a V secondo il contorno delle foglie, sopra le cui cime terminano senza formare la spirale. Manca l’abaco in quanto il capitello termina in corrispondenza del margine delle volute e del piccolo tratto ad angolo dell’orlo del kalathos, che sporge nello spazio a V tra le volute. Esemplari molto simili e con la medesima funzione a Saqqara provengono dalla «Tomb Church»?, ma è stato sottolineato come elemento distintivo importante il fatto che

in questo capitello ed in altri provenienti dallo stesso complesso (nn. 637-638) siano venuti a mancare la piccola spirale terminale delle volute e l’abaco?. Va comunque rilevato come la forte sporgenza della cima delle foglie abbia finito per occupare proprio lo spazio riservato alle spirali, secondo

modalità già in parte visibili nei nn.

Si confronti

con

due esemplari

592,

di colonna

595-596.

del Museo

Copto del Cairo‘. Databile nella prima meta del VI sec. d.C. Bibl:

P.

191-192:

GrossMmann,

H.G.

Severin,

in MittKairo,

28,

1982,

pp.

questo ed altri capitelli simili di pilastro sono considerati di

reimpiego nella fase più tarda della «Main Church».

! L'esemplare è quasi uguale ad un capitello trovato in uno stato di distruzione relativo ad una fase precedente della «Main Church»: P. GROSSMANN,

H.G. SEVERIN, in MittKairo, 28, 1982, p. 192, tav. 6, b-c.

? [p., p. 174, tavv. 27, c, e (PK 1-7). 3 Ip., p. 192. ^ G. Duruurr, La sculpture copte, Paris 1931, p. 50, tav. 50, a-b.

637. Capitello corinzieggiante addossata a pilastro. (Tav. 73)

a foglie

lisce di lesena

Saqqara, convento di Apa Geremias, nell'area immediatamente a nord-ovest della

«Main Church».

V, noto dai nn. citato, all’abaco

514-519, 528-530. In base al confronto diviso in due zone e all’orlo superiore

del kalathos ad arco non coincidente con la circonferenza reale del kalathos, l'esemplare è databile al V sec. d.C.

Scheggiate le volute del capitello e scheggiature minori lungo i margini del blocco. Calcare. Alt. blocco cm. 39,5; lati blocco cm. tello cm. 29,5; larg. base capitello cm. 19.

68,5x 19,5; alt. capi-

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. 1069 (?).

Uguale al n. 636. Databile nella prima metà del VI sec. d.C. 638. Capitello corinzieggiante addossata a pilastro. (Tav. 73)

a foglie

lisce

Scheggiata l'estremità di uno degli spigoli dell'abaco.

di lesena

Saqqara, convento di Apa Geremias, nell'area immediatamente a nord-ovest della «Main Church». Scheggiati

i margini superiori agli angoli.

Calcare. Alt. cm. 35,5; lati base cm. 29 x 33.

Saqqara,

convento di Apa Geremias,

d-ovest della

a foglie

lisce di lesena

nell'area immediatamente a nor-

«Main Church».

Alt. blocco cm.

36; lati blocco cm.

53x31;

Molto simile ai nn. 636-638, rispetto a cui mostra visibile la foglia rovescia che decora il fiore dell'abaco e scende nello spazio a V tra le volute in modo uguale ai nn. 632-633, con cui ha anche in comune la brevissima spirale al termine della voluta.

Databile nella prima metà del VI sec. d.C. Bibl.: Forse da identificare con H.G. SEvERIN, in 28° Corso Cultura Ravennate e Bizantina, Ravenna 1981, p. 328, fig. 15, anche se attualmente più danneggiato.

8: CORONA

640. (Tav.

DI QUATTRO

FOGLIE LISCE E VOLUTE.

Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. 73)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Abrasa l’estremità di uno degli spigoli dell’abaco e lievi scheggiature sul tondino

inferiore.

Calcare. Alt. cm. 32,5; lato abaco cm. 34; diam.

Il kalathos, quattro foglie alla base. La nascenti dallo lato; lo stelo l’impressione

con lobo circolare al centro

dei lati, non più divisi

642. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 73) Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church». Scheggiature lungo i margini dell'abaco. Calcare. Alt. cm. 34,5; diam. inf. cm. 26; lato abaco cm. 40.

alt. capitello

cem. 27.

TiPo

Simile al n. 640, ma più semplificato, come è visibile nel kalathos poco espanso e solo leggermente troncoconico, nella mancanza di spirali delle volute, nella riduzione dello spazio a V tra di esse ed infine nel sommario abaco,

Spezzato uno degli spigoli dell'abaco con la relativa voluta.

Calcare.

Calcare. Alt. cm. 29; spess. abaco cm. 5; lato abaco cm. 34; diam. inf. cm. 23. '

in due fasce. Databile nel V - prima metà del VI sec. d.C.

Uguale ai nn. 636-637. Databile nella prima metà del VI sec. d.C. 639. Capitello corinzieggiante addossata a pilastro. (Tav. 73)

641. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 73)

inf. cm. 24.

molto espanso superiormente, è avvolto da lisce, disposte lungo le diagonali e unite loro cima sorregge la spirale delle volute, spazio ἃ V tra le foglie, al centro di ogni a nastro piatto delle volute può anche dare di una seconda corona di quattro foglie

dietro alla prima e con le cime emergenti spiraliformi in funzioni di volute. L'abaco è diviso in due fasce da un’incisione e presente al centro dei lati una sporgenza in funzione di fiore. Alla base delle foglie si trova un tondino rientrante che delimita il piano di posa. L'esemplare sembra un’imitazione locale di un capitello marmoreo a quattro foglie di acanto spinoso, con volute a

Molto simile al n. 641, rispetto a cui apporta un ulteriore elemento di semplificazione, in quanto l'abaco viene

a mancare. Databile nel V - prima metà del VI sec. d.C. 643. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 73) Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church». Larga scheggiatura orizzontale alla base delle foglie e spezzata stremità di uno degli spigoli dell'abaco. Calcare. Alt. cm. 43; diam. inf. cm. 32.

l'e-

Molto simile al n. 642, rispetto a cui presenta sovrapposta allo stelo da cui si biforcano le volute una membrana vegetale a sezione angolare. Non é distinguibile se

le volute terminassero in una piccola voluta o meno,

in

quanto sono danneggiate. Nello spazio a V tra le volute la pietra è lavorata,

in

modo

di

da assumere,

anche

se sommariamente,

l'aspetto

stelo per il fiore dell'abaco. Ben visibili l'abaco, con al centro dei lati arcuati lobi semicircolari in funzione di fiori. Se l'esemplare fosse stato ultimato anche nei particolari vegetali,

avrebbe potuto avere una forma

simile al n. 592,

o ad un altro esemplare, sempre di Saggara!. Databile nel tardo V - prima metà del VI sec. d.C. Bibl.: QuiBELL, Excavations at Saqqara,

III, tav. 27, 3.

! QuiBELL, Excavations at Saqqara, YII, tav. 27, 1.

644.

Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna.

Saqqara. Spezzato uno spigolo dell'abaco. Calcare bianco.

Il kalathos, tozzo e piuttosto espanso, in modo da sembrare rigonfio, è quasi del tutto rivestito da quattro lunghe foglie

dal

contorno

ogivale;

queste

sono

percorse

da

una

459

sottile

nervatura

a listello,

che

sporge

al centro

in corri-

spondenza degli spigoli dell'abaco, sotto cui termina la cima. Nell'esiguo spazio tra le foglie cresce uno schematico calice fuso con le volute prive di spirali e in mezzo a cui è intagliato un motivo vegetale a tre fogliette. L'abaco è piuttosto spesso, con i lati lisci appena incur-

vati e senza modanature.

spesso e determina il contorno della parte superiore del kalathos. Capitelli molto simili si ritrovano nelle chiese tarde egiziane, ad esempio nel monastero di S. Febammone (Deir el-Bahari)!. Databile nella seconda metà del V-VI sec. d.C. IW.

Databile nel VI sec. d.C.

GoDLEWSKI,

Deir

el-Bahari.

V.

Le

monastère

de

St.

Phoi-

bammon, Varsavie 1986, p. 115, n. 3, fig. 71.

Bibl. QUIBELL, Excavations at Saqqara, IV, tav. 35, 3.

645. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 73)

Tipo

9:

QUATTRO

FOGLIA

Kom Ombo, lapidario all'interno del tempio di Sobek e Haroeris. Leggere abrasioni.

SOLO

FOGLIE,

INTERMEDIA

AL

SENZA

CENTRO

VOLUTE, DEI

LATI

CON DI

O SENZA

CUI

SPUNTA

LA CIMA.

Calcare. x

Il kalathos piuttosto tozzo è avvolto da una corona di quattro foglie lisce con nervatura centrale evidenziata da un sottile listello, mentre i margini sporgenti delle foglie sono quasi indipendenti dal loro contorno, in quanto, unendosi fra loro, formano un motivo a V su ogni lato.

La parte superiore

sul suo piano

del kalathos è liscia e appiattita,

e

superiore poggia il lobo semicircolare in

funzione di fiore dell’abaco. Questo è sottile, con i lati lisci e arcuati. L’esemplare appare una schematica imitazione da parte di officine locali del tipo bizantino a quattro foglie, con volute a V (cfr. n. 528). Databile nel VI sec. d.C.

648. Capitello nina. (Tav. 73)

corinzieggiante

a foglie

lisce

di colon-

Luxor, lapidario accanto al tempio di Ammone. Leggere scheggiature su una base e su uno degli spigoli dell’abaco. Calcare. Alt. cm. 35.

Il kalathos, quasi cilindrico, è avvolto da quattro foglie lisce con la superficie leggermente picchiettata, a cui si alternano altre quattro foglie di cui si intravede solo la cima e la nervatura centrale evidenziata con una sporgenza angolare. L’abaco è quadrato e piuttosto spesso. Si osservi come a differenza dei precedenti nn. 641647 le foglie angolari non formino tra di esse uno spazio a V,

in quanto

il loro contorno è

rettilineo.

Esemplari uguali provengono dal monastero di Febam646. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 73) Dendera, viale di accesso al tempio di Hathor.

mone (Deir el-Bahari)!. Databile nel VI sec. d.C. 1

Piccole abrasioni lungo i margini dell’abaco e della base.

W.

GODLEWSKI,

bammon,

Deir

el-Bahari.

V.

Le

monastère

de

St.

Phoi-

Varsavie, p. 115, n. 2.

Calcare.

Il kalathos è avvolto da quattro foglie lisce con la costolatura centrale evidenziata da due incisioni. Tra di esse vi sono due incisioni a V che simulano le volute ed altri elementi vegetali intermedi, probabilmente due foglie di un calice, a giudicare dal contorno dentato intagliato sui lati dell'abaco, la cui superficie non è distinta dal kalathos. Anche in questo caso ci si trova di fronte ad una schematica imitazione locale del tipo marmoreo bizantino a quattro foglie d’acanto e volute a V (cfr. nn. 514-516). Databile nella seconda metà del V-VI sec. d.C. 647. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 73) Luxor, lapidario cristiana.

accanto

al tempio

di Ammone,

forse dalla Basilica

Abrasioni ai margini dell'abaco e sulla cima delle foglie. Calcare. Alt. cm. 20.

é avvolto

da

quattro

foglie

lisce,

ma

con

buona

parte della superficie picchiettata (forse per ospitare un rivestimento in stucco). Lo spazio a V tra le foglie non è stato rifinito ed è rimasto in una prima fase di lavorazione. Lo stesso, l'abaco, che risulta quadrato e piuttosto 460

(Tav.

73)

Luxor, lapidario accanto al tempio di Ammone, forse dala Basilica cristiana. Leggere scheggiature sugli spigoli dell'abaco e sulle cime delle foglie. Calcare.

Simile al n. 648, ma con spazio a V tra le foglie angolari dal contorno piü arcuato. Databile nel VI sec. d.C. 650. Capitello nina. (Tav. 73)

a foglie

lisce di colon-

Luxor, lapidario accanto al tempio di Ammone, cristiana.

forse dalla Basilica

Scheggiato foglia.

cima

uno

corinzieggiante

degli

spigoli

dell'abaco

e

la

della

relativa

Calcare.

Il capitello risulta dalla rilavorazione di un blocco con geroglifici. Il kalathos, basso e piuttosto espanso superiormente,

649. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonnina.

Simile al n. 648, ma con le foglie angolari molto ravvicinate e separate anche alla base. Le differenze di lavorazione tra i nn. 648, 649 e 650 sono dovute evidentemente

a mani

diverse

che è molto probabile stesso edificio. Databile nel VI sec.

o

a fretta

che d.C.

essi

nella

fossero

lavorazione,

impiegati

dato

nello

651. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 73) Luxor, lapidario accanto al tempio di Ammone, forse dalla Basilica cristiana. Leggere abrasioni sulle cime delle foglie e agli spigoli dell’abaco.

Calcare.

x

Il fusto liscio della colonnina è caratterizzato da un sommoscapo con un tondino molto espanso e un listello. Ugualmente l’imoscapo è trattato con un alto collare e viene

quasi

ad

unirsi

strutturalmente

con

la base,

molto

alta e con scarsa distinzione tra i due tori in modo da as-

sumere un aspetto cilindrico. Si può

confrontare

con

le colonnine

relative

a recinti

Il kalathos è avvolto da quattro foglie lisce che sorreggono gli spigoli di un abaco quadrato. La parte libera del

presbiteriali o a tabernacoli, dove ugualmente si ritrovano

kalathos è così delimitata da una forma a V costituita dai

sia foglie lisce, sia ad acanto spinoso!. Databile nel VI sec. d.C.

margini di due foglie accostate, eccetto che in un lato, dove vi è al centro un profondo e largo incasso verticale per l’inserimento di una transenna o meglio di un infisso di finestra. Databile nella seconda metà

del V-VI

da el-Dekhelah,

forse dal mona-

Leggere abrasioni sul plinto della base della colonnina. Marmo.

Alt. cm.

Le quattro foglie che avvolgono il piccolo capitello sono unite tra di loro alla base: inoltre la larga e lanceolata nervatura centrale è rilevata lungo i margini da una solcatura che è unita con quella della nervatura delle foglie contigue. Viene così a crearsi un motivo che richiama un kyma lesbico continuo rovesciato. La colonnina, visibilmente rastremata, è intagliata insieme alla base, caratterizzata da uno spesso plinto parallelepipedo e da due tori cilindrici separati da una fascia che sostituisce la scozia. sec.

Treo 10: QUATTRO DI ELICI E VOLUTE.

653. Capitello nina. (Tav. 74)

FOGLIE UNITE DISTINTE

corinzieggiante

a foglie

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Scalpellati i lati della base della colonnina;

105,5 (compresa la colonnina).

Databile nel V

Bonn 1986, p. 133, 10, 1984, tav. 14, i.

sec. d.C.

651A. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonnina. (Tav. 74) Alessandria, magazzini del museo, stero di Hennaton; n. inv. 13854.

τ Cfr. A. SoNJE, in Festschrift F.W. Deichmann, tav. 27; J.P. Sopint, in Aliki, 2. Etudes Thasiennes,

d.C.

DALLA

lisce

scheggiate

COPPIA

di colon-

le cime delle

foglie. Marmo.

Alt. cm.

97,5; lati base cm.

15x14.

Sopra la cima delle quattro foglie lisce, strettamente unite, poggiano le brevi spirali delle due volute, nascenti dallo stesso stelo tra due foglie. L’abaco, irregolarmente quadrato, non è distinto dal kalathos e 1 suoi margini in-

feriori seguono il contorno a V tra le volute. Nella colonnina sia l’imoscapo che il sommoscapo sono a forma di spesso tondino. Va rilevato l’aspetto disorganico vamente allungato. Databile nel VI-VII sec. d.C.

del capitello,

eccessi-

651B. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonnina. (Tav. 74) Alessandria,

magazzini

del museo,

da el Hamman

(Girgeh);

n. inv.

21796. Lievi scheggiature agli spigoli del plinto di base e dell’abaco. Marmo.

Ait. cm. 98 (compresa la colonnina).

Il capitellino presenta quattro foglie lisce unite e distinte solo nelle cime sotto il pesante abaco parallelepipedo. La colonnina è eccessivamente rastremata, in modo da

assumere una forma quasi conica: dal fusto rudentato il terzo inferiore presenta larghe baccellature, mentre la parte superiore è scanalata. La base, piuttosto irregolare, presenta uno spesso plinto diviso in due zone e tre elementi cilindrici sovrapposti e digradanti. Databile nella seconda metà del V-VI sec. d.C. 652. Capitello nina. (Tav. 74)

corinzieggiante

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Lievi scheggiature. Marmo. Alt. cm. 107; lati base cm.

a foglie

di colon-

14,5x 14.

Il capitellino è strettamente avvolto da quattro foglie lisce, con la cima ricurva, quali si intravede la punta di altre foglie. poggia un abaco quadrato molto spesso e zone per mezzo di una solcatura. x

lisce

una corona di in mezzo alle Sopra di esse diviso in due

Tiro

11:

UNA

CORONA

DI

FOGLIE

ECCESSIVAMENTE

DI-

STANZIATE.

654. Capitello corinzieggiante a foglie lisce di colonna. (Tav. 73) Alessandria, giardini del Serapeo. Scheggiate le estremità di uno degli spigoli dell’abaco con la relativa foglia. «Granito nero» (diorite). Alt. cm. 32.

L’esemplare è caratterizzato da una forma quasi ad imposta,

in

quanto

il kalathos,

circolare

alla

base,

si rac-

corda con l’abaco quadrangolare senza soluzione di continuità. Sopra un alto collarino liscio inferiore poggiano otto foglie, più larghe quelle angolari, strette di forma disorganica quelle centrali: la cima di queste termina in corrispondenza del lobo sporgente al centro dei lati dell’abaco, mentre la cima delle foglie angolari ne sostiene gli spigoli. Va rilevata l’interpretazione paratattica della disposizione delle foglie, in quanto quelle centrali, nello schema originale, nascevano dietro quelle angolari, unite alla base, e di conseguenza apparivano più strette: qui invece le foglie sono state intagliate sullo stesso piano, conservando meccanicamente dimensioni minori delle foglie centrali. Databile nel VI sec. d.C. 461

CAPITELLI BIZANTINI D'IMPORTAZIONE (ACANTO

Tro

1:

CAPITELLI

CORINZI

MOSSO

CON

DAL VENTO,

ACANTO

MOSSO

DAL

VENTO.

E DI OFFICINE LOCALI DI VARIE FORME

A CANESTRO,

BIZONALI,

IMPOSTA)

trapposti simmetricamente e terminanti con piccoli calici, sempre a tre foglie. Su altri due lati il piccolo calice a tre

foglie è sostituito rispettivamente da calici campaniformi e 655. Capitello (Tav. 74)

corinzio

con

acanto

mosso

dal

vento.

Cairo, museo copto, da Saqqara; inv. 2978. Leggere abrasioni. Calcare bianco. Alt. cm. 40; diam. inf. cm. 26; lato abaco cm. 43.

Il kalathos è avvolto da due lunghe e strette corone di foglie

d’acanto

mosso

dal

vento:

i lobi,

a fogliette

den-

tate, sono separati da due zone d’ombra rispettivamente ogivale e triangolare. La parte superiore del kalathos, che segue il contorno dell’abaco, presenta due sottili volute, senza collegamento con i calici: ciascuno di questi si è trasformato in due foglie separate e di prospetto, una più piccola interna e una più grande che riveste gli angoli superiori, compresi gli spigoli dell’abaco. Tra le volute è intagliata una coroncina a fogliette dentate, in cui è una croce. In Egitto sembra che l’esemplare rappresenti l’unico ca-

pitello di questo tipo! finora trovato.

da calici quadrangolari definiti «a faretra» (cfr. n. 657). Sul quarto lato in luogo della croce vi è un grande kantharos ai lati del quale vi sono due pavoni. È stato ritenuto che il lato con il campo figurato, questo in un rilievo più energico rispetto agli altri, rappresenti

probabilmente il lato principale del capitello!.

È stato già da tempo riconosciuto come il prototipo di questo tipo di capitelli sia da ricercare in un monumentale esemplare nella chiesa di S. Polyeucto a Costantinopoli,

databile tra il 524 e il 527 d.C.?; sono stati inoltre già raccolti tutti i pezzi noti immediatamente dipendenti da questo, rispetto ai quali l’esemplare di Alessandria rappresenta una variazione, anche se può sempre considerarsi un prodotto di importazione bizantina. Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C.. Bibl.: KaurzscH, Kapitellstudien, p. 192, n. 630, tav. 38; DEICHMANN, Ravenna, ll, p. 107, n. 7; H.G. SEVERIN, in Festschrift F.W. Deichmann, Bonn 1986, p. 107, tav. 20, 1-3. ! SEVERIN,

Databile nel VI sec. d.C. Bibl: QUIBELL, Excavations at Saggara, tav. 32, 5; G. DUTHUIT, La sculpture copte, Paris 1931, tav. 42, d; H. Peirce, R. TYLER, L'art byzantin. II, 1934, tav. 41, d; Koptische Kunst. Christentum am Nil, Essen

1963, kat. 112; C.C. Watters, Monastic Archaeology in Egypt, Warminster 1974, p. 179, fig. 24; Bapawy, Coptic Art, fig. 3.172. ! Sull’origine e la diffusione del tipo cfr. KAurzscu, p. 142 ss.; DEICHMANN, Venedig, p. 84.

Tipo

1:

A CANESTRO

OCCUPANO

CON

Kapitellstudien,

- IMPOSTA

GRANDI

CAMPI

DECORATIVI

CHE

I LATI.

Cairo, cittadella, moschea Muhammad an-Nasir ibn Qalawun. Scheggiata la fascia a canestro lungo gli angoli e sotto i campi decorati. Marmo. Alt. cm. 50; diam. inf. cm. 41,5.

Il capitello presenta alla base un sottile collarino intagliato con un astragalo a fusarole e perline, le prime molto ravvicinate e quasi formanti un unico astragalo con incisione mediana. Il kalathos, circolare alla base e quadrangolare in corrispondenza del sottile abaco, presenta al centro dei lati quattro campi trapezoidali circondati da fasce decorate a canestro. Uno dei campi è decorato con una croce con il braccio verticale a contorno trapezoidale nella parte inferiore; nella parte superiore questo è invece trasformato in un calice a

tre foglie ogivali, ai lati del quale nascono altri due calici

462

a tre foglie,

di cui vedi osservazioni sull'uso

TIPO

2:

e due

A

CENTRO

CANESTRO

CON

PICCOLI

CAMPI

STRUBE,

Polyeu-

DECORATIVI

AL

DEI LATI.

Capitello - imposta di colonna.

Alessandria, sala II del museo, da «Rue Cherif Pacha» (maison Kindineco, sul canale Mahmudieh); n. inv. 3. Integro. Marmo. Alt. cm. 69; diam. inf. cm. 61; lato abaco cm. 104.

656. Capitello - imposta di colonna. (Tav. 74)

più grandi,

107-108,

? DEICHMANN, Ravenna, ll, p. 107; cfr. inoltre Ch. ktoskirche und Haghia Sophia, München, 1984.

657. CAPITELLI

cit. in bibl., pp.

del motivo del kantharos, con pavoni laterali.

sottili steli ondulati con-

Il capitello presenta alla base un collare sporgente intagliato con croci, i cui bracci orizzontali si prolungano formando rametti con foglie ogivali uniti tra loro da tralci intrecciati ad otto. Il kalathos, circolare alla base e rettangolare in corrispondenza del sottile abaco, presenta tutta la superficie

decorata

al centro

di ogni lato quattro

sono

ornati

da

una

a canestro, croce,

in modo

campi

il cui

da lasciare

trapezoidali.

braccio

verticale

liberi

Questi nella

metà inferiore è triangolare, mentre superiormente si trasforma in un calice a tre foglie ogivali. Ai lati di questo, dal braccio orizzontale della croce, nascono altri due calici più piccoli, a tre foglie, della quale quella centrale coincide con gli angoli superiori del trapezio; dalle estremità del braccio orizzontale nascono inoltre due steli ondulati terminanti in un piccolo calice di due foglie iscritto in un campo rettangolare. L'esemplare rappresenta la variante di una forma assai nota di capitelli costantinopolitani, importati anche in Egitto, e che si ritrova su esemplari reimpiegati nella moschea Muhammad an-Nasir ibn Qalawun della cittadela del Cairo (n. 656)!, in quella di Kairouan (con un motivo

quasi uguale confronti

nel campo

con

capitelli

trapezoidale)*; di Ravenna?.

si trovano

Il capitello,

inoltre

81 distingue soprattutto per le piccole dimensioni del campo decorativo al centro dei lati, che permettono di esprimere l'ipotesi che si tratti non tanto di un'importazione bizantina^, quanto di un prodotto egiziano lavorato in stretto contatto con modelli bizantini?.

Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C. Bibl:

BoTTI,

Museo,

n.

3;

STRZYGOWSKI,

Koptische

Kunst,

p.

78;

E.

Kapitellstudien, p. 192, tipo 3, n. 632: in questo tipo sono raccolti i «Gerahmtenkampfenkapitelle»; J. BEckwrrH, Coptic Sculpture, London,

1963, p. 21; M. v. LonuuizEeN-MurpzR, «Early Christian Lotus-panel Capitals and other so-called Impost Capitals», in BaBesch 62, 1987, p. 133 (che riprende l'ipotesi del Breccia della provenienza di questo capitello e dei tre successivi dalla chiesa di S. Marco e li considera del IV secolo, ritenendoli i prototipi da cui deriva il tipo costantinopolitano). 192,

n.

630,

p.

55

tav.

38

(«Kam-

3 DEICHMANN, Ravenna, II, 2, p. 106 ss. ^ DEICHMANN,

Architektur

Konstantinopels,

(i primi esemplari

di questo tipo ben datati appartengono alla chiesa di S. Polyeucto a Costantinopoli, del 514-517: cfr. N. FiratLI, in DOP, 21, 1967, p. 267, fig. 14; per la chiesa di S. Polyeucto v. Ch. SrRusE, Polyeuktoskirche und Haghia Sophia, München, cita altri esempi in Turchia (N. p. 210, tav. 39, 3), a Megara CHMANN, San Marco, nn. 299,

1984); HARRAZI, Kairouan, p. 177, che FIRATLI, in IstArkMunzY, I, 24, 1964, in Grecia e a S. Marco a Venezia (Der 304).

? Cfr. invece Kautzscu, Kapitellstudien, p. 192.

de Ramleh»

(maison Kindineco);

del

museo,

da

«Rue

Sidi-el-Wasti»;

n.

inv.

1922, p. 289, fig. 200; KAurzscH,

Ka-

pitellstudien, p. 192, nota 3, n. 632.

660.

Capitello - imposta di colonna.

Cairo, museo

copto, da Alessandria; n. inv.

(Tav. 74)

Alt.

cm.

82,5; diam.

inf. cm.

55,5; lati abaco

Uguale ai nn. 657-659. Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C.

canestro su tutta la superficie e sormontato da un abaco quadrato con i lati lisci divisi in due fasce da un’incisione. Alla base è visibile un collare a toro.

Dato

l’uso

del calcare

Bibl.: KAurzscH,

1931,

p.

49,

tav.

è da considerare

! QuIBELL,

Kapitellstudien, p. 201, n. 675, tav. 41.

Excavations at Saqqara, tav. 36, 4; BapAwv,

Coptic Art,

p. 202, fig. 3.173-175.

TIPO 4: A TRALCI DI VITE.

Capitello - imposta di colonna.

Cairo, museo ME 45394,

copto,

da Hermoupolis

Magna

(Ashmunein);

n. inv.

piti da una grande foglia. Anche lo spesso abaco a tavoletta è decorato al centro dei lati da un tralcio cuoriforme con foglia. L’esemplare è influenzato da capitelli - imposta di importanzione bizantina, dove frequentemente si incontrano foglie e tralci di vite!: si tratta tuttavia di una tipica produzione di officine locali dell’ Alto e Medio Egitto, da dove deriva la particolare forma assunta dalla stilizzazione

Bibl: G. Dutuurr, La sculpture copte, Paris 1931, p. 49, tav. 48, d; E. KITZINGER, in Archaeologia, 87, 1937, tav. 69, 2; Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 81, nota 4; R. KRAUTHEIMER, Architettura paleocristiana e bizantina, ed. italiana, Torino 1986, fig. 185. ? QuiBELL, Excavations at Saqqara, II, tavv. 16-17, 21; KAUTZSCH, Kapitellstudien, p. 233, n. 837, a, tav. 48 (Kesselkapitelle); G. DuTHUIT, La sculpture copte, Paris, 1931, p. 50, tav. 48; BADawy, Coptic Art, p. 202, figg. 3.176-3.178.

663.

Capitello - imposta di colonna.

(Tav. 75)

Cairo, museo copto, cortile, da Saqqara. Calcare. Alt. cm. 52.

Paris

l’esemplare

come un prodotto di officine locali, imitanti modelli d’importazione, quali forse ad esempio i nn. 657-659, dei quali riproduce, semplificandolo, l’apparato decorativo. È noto come il tipo del capitello a canestro sia stato spesso ripreso in ambiente «copto», dove compare in diverse varianti a seconda delle officine locali: così si incontra a Bawit, a Deir Mawas, a Hermoupolis Magna e a Saqqara!. Databile nel VI sec. d.C.

DurHurr,

copte,

inv.

Calcare.

Lievi scheggiature ed abrasioni.

sculpture

n.

Abrasioni sulle estremità degli spigoli e sotto di essi.

Bibl.: SrRzvcowski, Koptische Kunst, pp. 77-78, n. 7352, fig. 105; G. La

(Bahnasa);

! DEICHMANN, Venedig, nn. 471-476, 482.

1895.

Su uno dei lati abrasa superiormente la superficie del canestro. Marmo proconnesio. cm. 107x105.

da Oxyrhynchos

Databile al VI sec. d.C.

Bibl: E. Breccia, in BSAA, 9, 1907, pp. 108, 232, fig. 34; Ip., AleBergamo

del museo,

dei tralci, come è visibile in alcuni esemplari di Saqqara (nn. 663-664)?.

Uguale ai nn. 657-658. Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C. xandrea ad Aegyptum,

sala C

Il capitello è avvolto da tralci di vite intrecciati in modo

Capitello - imposta di colonna. (Tav. 74) II

Alessandria, 23479.

(Tav. 75)

da formare due file sovrapposte di spazi cuoriformi riem-

Bibl: BoTTI, Museo, n. 5; KAUTZScH, Kapitellstudien, p. 192, tipo 3, n. 632; E. Breccia, Alexandrea ad Aegyptum, Bergamo 1922, p. 289.

sala

Capitello - imposta di colonna.

Calcare. Alt. cm. 41.

Uguale al n. 657. Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C.

Alessandria, 17013. Integro. Marmo.

SEMPLICE.

Lievi scheggiature.

Piano superiore incavato per ricavarvi un bacino. Marmo proconnesio. Alt. cm. 63; lato abaco cm. 104.

659.

661.

662.

658. Capitello - imposta di colonna. Alessandria, museo del «Boulevard n. inv. 13475.

3: A CANESTRO

Il capitello ad imposta presenta il kalathos decorato a

BreccIA, Alexandrea ad Aegyptum, Bergamo 1922, p. 289; KAUTZSCH,

! Cfr. Kautzscu, Kapitellstudien, p. pferkapitell mit geflochtenem Rahmen »). ? HARRAZI, Kairouan, n. 387.

TiPO

tuttavia,

47,

c; J.

BE.

CKWITH, Coptic Sculpture, London, 1963, p. 21, fig. 84; M. v. LoHUIZEN-MuLDER, «Early Christian Lotus-panel Capitals and other socalled Impost Capitals», in BaBesch 62, 1987, p. 133, fig. 1.

L'esemplare presenta alla base un collarino limitato da un tondino sporgente ed è, su tutta la superficie, rivestito 463

da tralci di vite con

foglie rovesce,

collarino decorato da una serie di calici chiusi uno nascente dall’altro. Il capitello, che trova confronti simili in ambiente «copto»!, costituisce una rielaborazione locale di un noto tipo bizantino? (si tratta forse di una ripresa «colta» del tipo faraonico polilobato — v. nn. 171-173 — operata a Costantinopoli?). Databile intorno alla metà del VI sec. d.C.

separate dall'intreccio

ad otto degli steli: alcuni degli elementi circolari di questi intrecci sono riempiti da schematici fiori a margherita, cioè con pistillo circolare e fitti petali, altri da motivi getali. Al di sopra dell'imposta vi è uno spesso abaco lati accentuatamente concavi, al centro dei quali sporge parallelepipedo in funzione di fiore. Va rilevata la rigida suddivisione a spina di pesce lobi delle foglie, ottenuta tramite fitti solchi paralleli, si originano

dalla nervatura

centrale

a rilievo;

vedai un dei che

e ancora

Bibl. Cuassinat, Fouilles à Baouit, tav. 99; C.P. Du BoURGUET, Art i

fori di trapano come elementi di chiaroscuro, che accentuano il punto di separazione tra 1 lobi. L'esemplare trova una ricca serie di confronti con altri pezzi, sempre di Saqqara!: è stato spesso rilevato come ci si trovi di fronte a prodotti di officine locali che rielaborano modelli bizantini, attive non solo a Saqqara, ma anche

altrove,

come

mostrano

esempi

simili

di Hermou-

Excavations at Saqqara,

I,

tavv.

664.

16-17; IV, tav. 32,

1,

cit., p. 50, tav. 48, d.

tralci di vite con

foglie rovesce

separate dagli steli intrecciati ad otto: rispetto al n. 663, molto simile, l'apparato vegetale è più semplificato, come mostrano ad esempio le foglie con soli cinque lobi. Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C. Bibl.: QuiseLL,

Excavations at Saqqara, II, tav. 22, 2.

CAPITELLI POLILOBATI 665.

Capitello polilobato di colonna.

(Tav. 75)

L'esemplare presenta lungo le otto sporgenze convesse in senso verticale (che appunto lo caratterizzano come polilobato) tralci vegetali intrecciati ad otto. Gli spazi circolari circoscritti dai tralci sono alternativamente vuoti, i più solo

o riempiti con frutti e con

nel

sporgenze

cerchio al

sotto

centro

dei

l’abaco, lati,

e

altri elementi

vegetali;

in

corrispondenza

nel

cerchio

centrale

delle del

traleio in corrispondenza delle diagonali il riempitivo è costituito da una croce. I tralci sono collegati da rami suddivisi in strette foglie dentate che si urtano con quelle dei rami contigui: si vengono così a formare figure geometriche lungo l’asse delle concavità tra una sporgenza e l’altra. L’abaco è una piatta e spessa tavoletta, con gli spigoli a contorno pentagonale e il centro dei lati sporgente e decorato con una rosetta che occupa l’ultimo elemento del tralcio corrispondente. Alla base il capitello presenta un 464

33,

Coptic

Sculpture,

London

Coptic Art, p. 202, fig. 3.179; H.G.

1977, pp.

114,

120, note 8, 50.

! KAurzscH, Kapitellstudien, p. 189, dove è distinto un gruppo di capitelli di Gerusalemme e del Cairo di importazione bizantina o di officine locali che ne avevano assunto pienamente le modalità (n. 600, nella sala 44 del Museo Egizio del Cairo) e un secondo gruppo di capitelli polilobati specificatamente egiziani, caratterizzati dal modo di lavorazione delle foglie e dei tralci di vite: n. 601, tav. 37 (nel Museo Arabo Excavations

at Saqqara,

tavv.

21,

25)

che

costituiscono

i

confronti più vicini per l'esempio di Bawit; Bapawy,

Coptic Art, p.

202,

delle principali

dove

sono

riportate nelle fig.

3.176-3.178

alcune

varianti con tralci di vite e grappoli o con grandi foglie di vite, da Saqqara.

666.

Capitello polilobato di colonna. (Tav. 75)

Cairo, museo copto, giardini. Leggere abrasioni.

Calcare.

Gli otto lobi del capitello sono rivestiti da lunghe e strette foglie con zone d’ombra ad occhiello di un tipo molto simile al n. 667: anche in questo caso le foglie si toccano formando una successione di figure geometriche in corrispondenza della superficie rientrante che separa i lobi. L’acanto è dello stesso tipo dei capitelli corinzi nn.

590-592. Databile intorno alla metà del VI sec. d.C.

Parigi, Museo del Louvre, da Bawit, Chiesa Sud, cappella B; inv. N.X 5067. Ben conservato. Calcare. Alt. cm. 53.

piccoli,

81; J. BecKwITH,

fig. 88 (Costantinopoli, SS. Sergio e Bacco); Sopin1, «Sculpture architecturale», pp. 60-61, fig. 16.

Cairo, museo copto, cortile, da Saqgara. Lievi abrasioni. Calcare. Alt. cm. 37.

presenta

n.

? E. Drioron, Les sculptures copies du Nilométre de Rodah, Le Caire 1943, p. XVII; KaurzscH, Kapitellstudien, p. 188 ss.; Ch. STRUBE, Polyeuktoskirche und Hagia Sophia, München 1984, p. 87,

Capitello - imposta di colonna. (Tav. 75)

L'esemplare

1964,

SEVERIN, in MittKairo,

(QuisBEL,

2; G. DuTHUIT, La sculpture copte, Paris 1931, p. 49, tav. 47, b. ? Cfr. DUTHUIT,

Katalog

1963, p. 52, fig. 79; BapAwy,

del Cairo) e n. 602, nel quale sono compresi due capitelli di Saggara

polis Magna (n. 662)?. Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C. ! QuiBELL,

Copte,

Bibl.: QUIBELL, Excavations at Saggara, HI, tav. 29, 1.

667.

Capitello polilobato di colonna.

Parigi, Museo del Louvre, da Bawit, 5060. Ben conservato. Calcare.

(Tav. 75)

Chiesa Sud, cappella B; inv. X

Il capitello è avvolto da quattro corone strette

foglie

d’acanto,

di

dimensioni

sovrapposte

crescenti

dal

di

basso

verso l’alto: esse sono articolate in lobi a fogliette dentellate separati da zone d’ombra perfettamente circolari che accentuano l’effetto di traforo della decorazione. Lo spesso abaco a tavoletta ha gli spigoli pentagonali e

una sporgenza parallelepipeda al centro dei lati decorata sul lato frontale da un tralcio ad S terminante in due piccole foglie dentate. La base del capitello è decorato con

un astragalo a lunghe perline separate da singole fusarole ad anello. Il capitello pur non presentando in modo evidente la forma polilobata, sembra derivare da questo tipo, rispetto a cul è stata apportata una trasformazione, dovuta alla po-

sizione

sfalsata

delle

foglie

delle

diverse

corone,

ma

di

cui riprende il contorno articolato in sporgenze convesse. Databile intorno alla metà del VI sec. d.C. Bibl: CHassiwAT, Fouilles à Baouit, tav. 102; C.P. Du BOoUuRGUET, Arte Copte, n. 82; J. BeckwiTH, Coptic Sculpture, London 1963, p. 52, fig. 80; BAbAWY, Coptic Art, p. 203, fig. 3.180; H.G. SEvERIN, in MittKairo,

33,

1977, pp.

114, 120, note 8, 50.

668.

Capitello polilobato di colonna. (Tav. 75)

Cairo,

museo

copto,

da

Hermoupolis

Magna

(Ashmunein);

nezia* n.

inv.

! DEICHMANN,

che è stato considerato

come

trova

costantinopolitana

confronti

Databile nella prima metà del VI sec. d.C. Bibl.: CHASSINAT,

L'esemplare presenta la caratteristica forma «a melone» del kalathos («Faltkapitelle»)!, interamente rivestito da quattro doppie foglie polilobate diagonali, in origine intrecciate lungo la linea mediana; ad esse si alternano altre quattro doppie foglie al centro dei lati. Tutte le foglie, toccandosi con la cima appuntita delle fogliette, formano irregolari figure triangolari. L’abaco presenta lungo i margini superiore ed inferiore un sottile listello sporgente, mentre la restante parte della superficie è liscia. Sulla sporgenza in funzione di fiore dell’abaco si ricongiungono le cime delle doppie foglie mediane. Alla base vi è un collare, rivestito da piccole foglie d’alloro stilizzate, che partivano da quattro ovoli posti lungo le diagonali. Si osservino infine le larghe scanalature verticali al centro di due lati opposti.

Il capitello

nario di Costantinopoli?. Un confronto molto simile per la posizione degli arieti e dei volatili è reimpiegato nella basilica di S. Marco a Ve-

45393. Mancanti alcune delle foglie. Marmo proconnesio. Alt. cm. 44.

importazione,

riori. Negli intervalli tra di essi, in luogo dei fiori dell’abaco, vi sono aquile o colombe con le ali dispiegate. Il tipo più comune di capitelli bizonali, con la parte superiore con colombe ai quattro spigoli!, è abbastanza diffuso in Oriente nel VI secolo d.C.? e deve essere origi-

in

area

prodotto

di

Fouilles S. Marco,

à Baouit, tav. 39. nn.

167,

168,

171,

172.

? KAUTZSCH, Kapitellstudien, p. 163 ss. 3 Ip., n. 522, tav. 32 (atrio sud-ovest di S. Sofia). ^ DEICHMANN,

670.

δ. Marco,

n. 323.

Capitello bizonale di colonna.

(Tav. 75)

Cairo, museo copto. Scheggiate le teste di alcuni dei volatili. Marmo. Alt. cm. 24.

Alla base del capitello vi è un collare decorato con uno schematico

ramo

d'alloro;

segue

la metà

inferiore

del ka-

lathos intagliata a canestro e quella superiore con quattro volatili — aquile o colombe — sotto gli spigoli. A] centro dei lati dell'abaco vi è una croce iscritta in una coroncina che viene a poggiare su una sorta di piccolo piedistallo parallelepipedo che a sua volta sporge dal tondino che limita la parte inferiore a canestro.

Si tratta di un noto tipo di capitello bizonale di impor-

nella moschea el Aqsa), a Kairouan nella moschea?. Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C.

tazione che ha ampi confronti, a Costantinopoli (ciborio di S. Sofia), in Egitto stesso (Museo Copto e moschea di Ibn Tulun, al Cairo), e ancora in Italia (Cattedrale di Otranto, S. Clemente a Roma)': un esempio molto vicino é a S. Marco a Venezia. Databile nel secondo quarto del VI sec. d.C.

Bibl:

Bibl.: KaurzscH,

(SS.

Sergio

e

Bacco,

Kalenderhane

Camii)

a Ravenna

(S. Vitale), in Grecia, a Nea Anchialos e a Salonicco, a Gerusalemme (spianata del Tempio, un tempo in opera

G.

DurHurr,

La sculpture

copte,

Paris

1931,

p. 49, tav. 44, c;

Sopini, «Sculpture architecturale», p. 61, nota 206. ! KaurzscH, Kapitellstudien, p. 187 e sui capitelli «copti», pp. 232234. ? KauTzscH, Kapitellstudien, p. 199, n. 667, tav. 40; SODINI, «Sculpture architecturale», pp. 60-61; Harrazi, Kairouan, nn. 391-393.

! KAUTZSCH, Kapitellstudien, p. 64. ? DEICHMANN, San Marco, pp. 53-54, nn. 167, 172, tav. 9; A. GurGLIA GUIDOBALDI, in Million, Studi e ricerche d'arte bizantina, Atti giornata di studio Roma 1986, Roma 1988, p. 232, tav. 41 e bibl. citata; cfr. anche J.P. SODINI, in Aliki. 2. Etudes Thasiennes, 10, 1984, tav. 17, c-f.

671. CAPITELLI

Tipo

BIZONALI

Capitello bizonale di colonna. (Tav. 75)

Parigi, Museo del Louvre, da Bawit, Chiesa Sud.

Scheggiate e abrase le teste degli arieti e degli uccelli. Calcare.

L’esemplare

è divisibile in due

zone:

Capitello bizonale di colonna.

(Tav. 75)

Cairo, museo copto, cortile. Abrasioni sulle teste delle protomi. Calcare. Alt. cm. 41.

1: ZONA INFERIORE A CANESTRO.

669.

Kapitellstudien, p. 164, n. 523, tav. 32.

quella inferiore,

che occupa i tre quarti dell’altezza totale, intagliata a ca-

A due zone, quella inferiore a canestro, quella superiore con quattro sommarie protomi, forse d'ariete, agli angoli, e pigne al centro, con calici laterali a tre fogliette, l'esemplare rappresenta una rielaborazione locale di un noto tipo bizantino (v. nn. 669-670). Va rilevato come tra le protomi e l'abaco si sia introdotta una

sorta

di ghirlanda.

L'abaco,

quadrato,

nestro, presenta alla base un tondino liscio rientrante e un astragalo, mentre sul suo bordo superiore si trova un

Databile nel secondo trentennio del VI sec. d.C.

motivo a corda.

672.

La zona superiore è intagliata con quattro protomi di ariete in corrispondenza degli spigoli dell’abaco, con visibili parte della corna a spirali, il petto e le zampe ante-

presenta

uno scamillus circolare sul piano superiore.

Capitello bizonale di colonna.

Alessandria, sala I del museo,

da Tebtynis

(Tav. 76) (1929); n. inv. 22283.

Scheggiate le protomi leonine. Calcare nummulitico. Alt. cm. 33; diam. inf. cm. 37; lato abaco cm. 55.

465

3 D.I. PALLAS, Les monuments paléochrétiens de Gréce découverts de

Il capitello si presenta diviso in due zone, quella inferiore a canestro, con la rete sostituita da una fila di rombi intrecciati alle estremità e con rosette al centro. La zona

1959 à 1953, Rome 1977, p. 133, fig. 43. 4Lo stesso motivo in altri capitelli molto simili

superiore presenta invece, sotto gli spigoli dell'abaco, quattro protomi di leone, con i ciuffi della criniera raccolti in boccoli paralleli; sotto i fiori dell'abaco sono intagliati dei piccoli cesti conici da cui emergono appunto i calici del fiore. L'esemplare, ispirato al tipo dei capitelli a due zone, delle quali quella inferiore a forma di cesto (Korbkapitelle)!, rappresenta il prodotto di un'officina locale, dato l’uso del calcare e l'aspetto tozzo dovuto alla scarsa altezza rispetto al diametro e alla meccanica separazione delle due zone, di cui quella inferiore sporge rispetto all’altra?. Databile nella prima metà del VI sec. d.C. Bibl.: BreccIA, Musée gréco-romain, 1925-31, tav. 38, fig. 136; KAvTzscH, Kapitellstudien, p. 165, n. 534, tav. 32; E. KITZINGER, in DOP, 3, 1946, p. 66, n. 42, fig. 83; M. WEGNER, «Blattmasken», in Fests-

chrift Goldschmidt, Berlin, 1935, p. 48; v. MERCKLIN, Figuralkapitelle, p. 138. 1 Kautzscu,

Kapitellstudien,

p.

164;

SopiNr,

«Sculpture

architectu-

rale», p. 50 ss. 2 G. BAGNANI,

in BArte, 27, 1933, p. 124 ss., sul ritrovamento a Te-

btynis di una chiesa con annesso monastero e di «capitelli copti».

Treo

2: ZONA

INFERIORE

A FOGLIE

673. Capitello bizonale di colonna. (Tav. 76) inv.

dalla moschea Tarbane; n.

18954.

Piccole scheggiature baco. Marmo.

alle corna delle protomi e agli spigoli dell'a-

Alt. cm. 36; diam. inf. cm.

Il capitello

presenta

30; lati abaco cm. 42.

il kalathos

diviso

CAPITELLI FIGURATI Treo

1: CON MASCHERE

VEGETALI.

674. Capitello figurato con maschere vegetali di doppio pilastro ad angolo. (Tav. 76) Alessandria, sala II del museo, da Rue Sidi Abou Darda, «Ecole professionelle des Freres des Ecoles chretiennes»; n. inv. 17014. Leggere scheggiature alle estremità degli spigoli dell'abaco.

Marmo. Alt. cm. 54; lato abaco cm. 119.

L'esemplare presenta inferiormente una corona di foglie, quattro agli spigoli e altre tre nei lati lunghi o altre due nei lati corti. L'acanto è diviso in cinque lobi separati da una fila di fori di trapano;

i lobi stessi sono artico-

lati in numerose piccole fogliette nella loro parte superiore e, nella parte inferiore, in due o tre lunghe fogliette, che si prolungano fino alla costolatura centrale, questa larga e in leggero rilievo. Dietro le foglie inferiori nasce una seconda corona di

foglie che occupano lo spazio libero del kalathos tra le

D'ACANTO.

Alessandria, ora nei giardini del museo,

a Venezia, Sousse,

Tessalonica: E. KITZINGER, in DOP, 3, 1946, p. 64 ss., nn. 21, 44; M. PANAYIOTIDI, in DChAE, 6, 1970-1972, p. 114, n. 7, tav. 33, a, b.

in

due

grandi maschere, con capelli e barba vegetalizzati, scolpite sotto gli spigoli dell'abaco. Per ogni lato vi sono due foglie, eccetto in quello che accompagna l'angolo del pilastro, dove vi è una sola foglia centrale. Sopra questa, o tra le cime delle due foglie superiori negli altri lati, poggia un'aquila o una colomba, con le ali dispiegate, ora

frontale, ora di tre quarti, occupante anche lo spazio del fiore dell'abaco.

zone,

Questo

& piuttosto sottile, con i lati de-

quella inferiore articolata in un toro rivestito da foglie

corati sia a fogliette a spina di pesce, sia a treccia.

d'acanto oblique,

Il tipo di maschera con i capelli e la barba trasformata in foglie trova confronti ancora a Costantinopoli, in Egitto e in Siria', dove analogo è il richiamo della foglia di vite per i lobi leggermente uncinati. L'acanto delle corone di foglie, parzialmente dentellato con fori di trapano, sembra ispirato all'acanto finemente dentellato elaborato a Costan-

secondo

il modello

dell'«acanto mosso

dal vento», e in una corona di foglie d'acanto dentellato, che rivestono pià della metà inferiore del kalathos; la

zona

superiore

é invece

occupata

da quattro

protomi

di

ariete, riprodotti anche con le zampe anteriori, che sporgono sotto gli spigoli dell'abaco. Tra gli arieti & visibile una specie di cornucopia su due lati, mentre sugli altri due si trova un uccello di profilo iscritto in un semicerchio. L'acanto, di un tipo ancora di influsso teodosiano con le cime notevolmente ricurve e sporgenti e con i lobi in-

feriori verticali e sviluppati in altezza!,

insieme al tipo

delle

altri

protomi

d’ariete,

trova

confronti

in

capitelli

a

due zone con acanto dentellato?: che si tratti di un esem-

plare di importazione

è confermato

dall’esistenza di un

capitello uguale a Callatis?, dove ritornano ugualmente aquile con la testa rivolta all’indietro inserite tra le pro-

tinopoli nella prima metà del VI sec. d.C.?. Databile nel tardo V - metà del VI sec. d.C. Bibl. E. Breccia, Alexandrea ad Aegyptum,

Bergamo,

1922, p. 289,

fig. 157; M. WEGNER, «Bltattmasken», in Festschrift Goldschmidt, Berlin, 1935, p. 48; KAUTZSCH, Kapitellstudien, p. 213, n. 762, tav. 45; v. MERCKLIN, Figuralkapitelle, n. 365, fig. 682 («giustinianeo»); J.B. Warp Perkins, in BSR, 17, 1949, p. 65, n. 147; F.W. Der CHMANN, in DChAE, 4, 1964-1965, pp. 71-81; Bapawy, Coptic Art, p. 210, fig. 3.189. ! KAUTZSCH, Kapitellstudien, p. 213. ? Ip., p. 126, tavv. 25-26.

tomi d’ariete*. Databile nella prima metà del VI sec. d.C. Bibl: E. Kirzincer,

in DOP,

zscH,

p.

Kapitellstudien,

3, 1946, p. 64, n. 17, fig. 62; KAUT-

157, n. 494,

tav. 30;

chitecturale», p. 58; M. v. LoHUIZEN-MULDER,

SopmI,

«Sculpture

ar-

in BaBesch 64, 1989,

p. 195, fig. 3. ! Cfr. KAurzscH, Kapitellstudien, p. 127. 2 I., p. 158, n. 499, tav. 30 (museo di Istanbul); DEICHMANN, Marco, n. 325; HARRAZI, Kairouan, nn. 311-312.

466

San

675. Capitello lonna. (Tav. 76)

figurato

con

maschere

vegetali

di co-

Cairo, museo copto, cortile; n. inv. 4917.

Scheggiati gli spigoli dell’abaco. Calcare. Alt. cm. 39.

L'esemplare presenta alla base un collare decorato da uno stilizzato serto vegetale che si origina da un fiore al

centro dei due lati principali. Segue una corona di quattro foglie d'acanto («a farfalla») con lobi stretti e allungati, articolati in dentelli e separati da zone d'ombra ogivali: va rlevato come la cima, insieme alla costolatura centrale,

Tipo

assumano

KALATHOS

un

contorno

triangolare,

con

la punta

verso

il

basso e come sporgano rispetto ai lobi laterali in secondo piano; questi sono uniti con quelli della foglia contigua in modo da formare zone d'ombra. L'effetto fortemente decorativo o chiaroscurato dell'acanto è accentuato da una fitta serie di forellini di trapano in corrispondenza della nervatura mediana di ciascun lobo. Agli angoli vi sono quattro protomi di grifi con le ali sollevate

in alto,

mentre

al centro,

schematiche

maschere

vegetali, forse teste di Medusa, circondate da fogliette ogivali. Sui fianchi vi sono due incassi verticali per l’inserimento di infissi di finestre. L’esemplare rappresenta una variazione locale sul tema dei capitelli con maschere vegetali e volatili (cfr. n. 674). L’acanto, pur riprendendo elementi dal tipo rappresentato nei nn. 581-586 per le zone d’ombra e la forma dei lobi, sl ispira alla forma «a farfalla», tipica di ambiente bizan-

DEICHMANN,

in DCHAE,

4, 1964-1965,

pp. 71-81; H.G.

SEVERIN, in Propylden Kunstgeschichte, Suppl. I, 1977, p. 248, n. 275, c.

Treo

2: CON AQUILE.

676.

Capitello figurato di colonna.

(Tav. 76)

Alessandria, sala I del museo, da S. Mena, Battistero; n. inv. 17445. Lievi scheggiature sui margini superiori dell'abaco e abrasa buona parte delle teste delle aquile. Marmo. Alt. cm. 24; lato abaco cm. 33.

L'esemplare presenta quattro aquile (o colombe) disposte sotto gli spigoli dell'abaco e con altezza uguale a quella del kalathos da cui sporgono e del quale rivestono quasi tutta la superficie con le ali distese. Resta libero soltanto lo spazio centrale lungo l'asse di ogni lato, occupato completamente da un calice a corolla con petali a superficie convessa: esso nasce da uno stelo e dà origine al fiore

dell'abaco,

ugualmente

a corolla,

ma

con

petali

a

superficie concava. Alla corolla del fiore si sovrappongono due piatti lobi semicircolari, che sono la prosecuzione di

due delle tre fasce in cui è suddiviso l'abaco.

di foglie non è stata ripresa per le dimensioni ridotte del nel

VI

sec.

d.C.,

UNA

CORONA

DI

FOGLIE

E PARTE

probabilmente

SUPERIORE

nella prima

Bibl.: KAUFMANN, Die Menasstadt, p. 114, tav. 66, 2; BapawYy, liana, p. 26, tav. 4, 3.

DEL

BACCELLATA.

677. Capitello (Tav. 77)

corinzieggiante

a

calice

di

colonna.

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. G

308. Mancante di uno degli spigoli dell’abaco e danneggiata la superficie di due lati. Marmo. Alt. cm. 32; alt. corona di foglie cm. 19,5; lato abaco cm. 38,7; diam. inf. cm. 30.

Intorno ai due terzi inferiori del kalathos si avvolge una corona di otto foglie d'acanto che si toccano fra loro for-

mando

figure geometriche (un triangolo inferiore appena

abbozzato,

un

rettangolo

ed

un

rombo);

le

fogliette

dei

lobi (due in quelli inferiori, tre in quelli mediani) sono allungate e a sezione angolare, e le zone d'ombra sono strette e leggermente oblique. La parte restante del kalathos è piuttosto espansa ed è L'abaco

& quadrato,

con 1 lati lisci. L'esemplare è inquadrabile in un tipo abbastanza noto in Grecia e nell'Asia Minore, soprattutto a partire dal IT secolo d.C. Mentre il tipo greco é normalmente caratterizzato da una corona di foglie d'acanto in basso e da un'altra corona di foglie d'acqua appuntite in alto, il tipo asiatico presenta invece piü frequentemente una serie di baccellature (o strigilature) in luogo della seconda co-

rona!,

pur

non

mancando

esempi

piü

rari

con

foglie

d'acqua, ad esempio ad Alicarnasso, nel museo. Il tipo baccellato verrà inoltre spesso usato in Asia Minore come kalathos dei capitelli compositi. Il nostro esemplare deriva dunque da una tradizione asiatica?,

di questo

come

rivela anche

l'acanto:

è appiattita e geometrica,

tuttavia l'esecuzione

in contrasto

con

le

cime fortemente sporgenti. Che si tratti di un acanto impoverito è mostrato dalla cima ridotta e dai lobi due e a tre fogliette larghe e appuntite, prive valore plastico, secondo tipi che cominciano ad uso soprattutto nella prima età bizantina (v. 681)". Databile nel tardo IV - prima metà del V sec.

laterali a di ogni essere in nn. 680d.C.

! BORKER, Blattkelchkapitelle, p. 197 ss.; J.P. SopINI, in BCH,

Sia lo stelo del calice, sia le zampe dell’aquila poggiano su un toro e su un listello alla base del kalathos. L’esemplare è certamente un prodotto locale che si ispira ai capitelli bizantini con aquile ad ali distese sotto gli spigoli dell’abaco, corone di foglie d’acanto finemente dentellato e toro inferiore!. Di questi elementi la corona capitello. Databile metà.

1:

A CALICE

rivestita da fitte baccellature concave.

tino. Databile nel VI sec. d.C. Bibl.: F.W.

CAPITELLI

1977,

pp.

428-429,

anche

pér l'impiego

della foglia d'acqua

101,

in epoca

paleocristiana. ? Cfr. anche Kautzscu, Kapitellstudien, pp. 212-213. 5 Cfr. QuIBELL, Excavation at Saggara, WARD PERKINS, in BSR, 17, 1949, tav. 9, 3.

NI,

678. Capitello (Tav. 77)

calice,

corinzieggiante

a

tav.

22,

di

4-6;

J.B.

colonna.

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. 11830. Scheggiat gli spigoli dell'abaco; scheggiature sono presenti anche sul

margine inferiore. Kyril-

! KAUTZScH, Kapitellstudien, p. 154, n. 478, tav. 30 («das Zweizonenkapitelle»); HARRAZI, Kairouan, n. 321. DEICHMANN, San Marco, nn. 271, 273, 451, 452.

Marmo

bianco

con

alone

lato abaco cm.

36; diam.

Il kalathos,

piuttosto

azzurrastro,

a grande

media.

Alt.

cm.

26,1;

inf. cm. 29.

tozzo,

è circondato

da una corona

di otto foglie d'acanto spinoso che si toccano fra loro for467

mando delle figure geometriche (un trapezio e un rombo); le zone d'ombra fra i lobi sono strette, allungate e leggermente oblique. Il quarto superiore del kalathos & invece percorso da baccellature continue concave,

una

specie

kalathos,

di collare posto con

cui non

è però identificabile

curva e per il contorno

dei lati dell'abaco.

le cui cime terminano

nella posizione

quadrangolare,

Questo

sotto

dell'orlo

del

per la sezione

che segue

quello

presenta al centro dei lati i

fiori, che poggiano sul collare sottostante. Il collare può forse ritenersi un residuo di una delle fasi intermedie di lavorazione del capitello, quando forse era stata prevista una seconda corona di foglie, di cui si era lasciata la sbozzatura sporgente in corrispondenza delle cime. L’acanto risulta più semplificato rispetto al n. 677, come è visibile nella larghezza della costolatura centrale e

Simile ai nn. 677-679, ne differisce per la forma dell’acanto, maggiormente sotto l’influsso del come mostrano le zone d’ombra ogivali e curve che le delimitano. I lati dell’abaco sono decorati in modo è intagliato un tralcio ondulato con foglie un altro una serie di elementi a forma pelte.

tipo bizantino, le fogliette ridiverso: in uno cuoriformi, in di schematiche

Va inoltre rilevata l’accentuata espansione del kalathos in corrispondenza delle baccellature. Databile nel V sec. d.C.

Tipo

2:

UNA

KALATHOS

CORONA

CON

FOGLIE

DI

FOGLIE

E PARTE

SUPERIORE

DEL

D’ACQUA.

nella riduzione dei lobi inferiori e della cima, probabilmente in conseguenza dell'adattamento ad un kalathos eccessivamente alto rispetto all’altezza. L’esemplare pur essendo forse opera di maestranze

680. Capitello (Tav. 77)

corinzieggiante

a

calice,

di

colonna.

Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church».

locali, riprende un tipo abbastanza diffuso come mostra un

Spezzati gli spigoli dell’abaco e abrasa la parte inferiore delle foglie

capitello simile, ma con acanto più vicino a quello dentellato, del Museo Civico di Trieste’. Databile nel tardo IV - prima metà del V sec. d.C.

d’acanto.

! P. PENSABENE, Società 1986, p. 350, fig. 23, d.

679. Capitello, (Tav. 77)

romana

e impero

corinzieggiante

a

tardo

antico,

calice,

di

YII,

Bari,

colonna.

Calcare. Alt. cm. 37; diam. inf. cm.

36.

Intorno al terzo inferiore del kalathos si articola una corona di otto foglie ad acanto spinoso, abbastanza impoverito, come mostra la riduzione delle fogliette della cima; le zone d’ombra sono ogivali, piuttosto lunghe ed incurvate, mentre le fogliette sono ugualmente lunghe e

abbastanza

larghe

e toccandosi

con

quelle

delle foglie

della metà inferiore del kalathos, la cui parte superiore,

contigue formano figure geometriche. I due terzi superiori del kalathos sono avvolti da larghe foglie d’acqua, con nervatura centrale a listello sporgente e con il margine a sinistra di ogni foglia che si sovrappone a quella successiva. Nell’intervallo delle foglie, tra le cime, sporgono altre foglie d’acqua, visibili soltanto nella cima dalla superficie liscia. Databile nel V sec. d.C.

con baccellature concave, si espande a forma troncoconica, creando quasi una seconda zona distinta da quella inferiore cilindrica.

(Tav.

Alessandria, sala Π del museo,

da S. Mena; n. inv.

17006.

Leggere abrasioni sull'abaco e sul listello inferiore del kalathos. Marmo proconnesio. cm. 27.

Alt.

cm.

42; lato abaco

cm.

50,

3; diam.

inf.

Simile al n. 677, rispetto al quale presenta le foglie intagliate meno nitidamente e non del tutto rifinite e formanti tra loro due triangoli. Inoltre esse occupano meno

I lati dell'abaco, quadrato e molto spesso,

sono divisi in

due fasce da un'incisione mediana. L'esemplare presenta numerosi confronti con altri capitelli quasi uguali, sempre provenienti da S. Mena!, o di reimpiego nella moschea di Ulmas, al Cairo?. Che si tratti di una lavorazione eseguita da officine locali, è indicato dall'eccessiva espansione della parte superiore del kalathos e dall'intaglio superficiale dell'acanto. Databile nel tardo IV - prima metà del V sec. d.C. Bibl.: KAUTZSCH,

! KAUFMANN,

Kapitellstudien, p. 213, n. 754.

Die Menasstadt, tavv. 68, 69, 6; Kautzscu, Kapitell-

Studien, p. 213, n. 753, tav. 44; BORKER, Blattkelchkapitelle, p. 201, BK 191, tav. 101. ? H.G. NIEMEYER, in MittKairo, 18, 1962, p. 141, tav. 33, c.

679A. (Tav.

Capitello

corinzieggiante

a calice,

Alessandria,

magazzini

del

museo,

dal

Patriarcato

13583. Lievi scheggiature sugli spigoli dell’abaco. Marmo. Alt. cm. 36; diam. inferiore cm. 26.

468

di colonna.

77) Copto;

n.

inv.

681.

Capitello

corinzieggiante

a

calice,

di

colonna.

77)

Cairo, museo copto, da Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church». Spezzati due degli spigoli dell’abaco e scheggiate alcune delle cime delle foglie. Calcare con tracce di pittura sulle foglie d’acqua. Alt. cm. 57; diam.

inf. cm. 47. Molto

simile

al n. 680,

rispetto

a cui si diversifica per

la mancanza di rifinitura delle foglie d’acqua, più strette e senza l’indicazione dei margini sovrapposti. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: QUIBELL, Excavations at Saqqara, II, tav. TERS, Monastic Archaeology in Egypt, Warminster 32; P. GROSSMANN, H.G. SEVERIN, in MittKairo, nota

134,

682.

22, 5; C.C. War1974, p. 184, fig. 38, 1982, p. 185,

gr. A.

Capitello corinzieggiante a calice, di colonna.

Cairo; museo copto, da Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church»; n. inv. 39938. Lievi scheggiature lungo i margini dell'abaco e su alcune delle cime delle foglie.

Calcare. Alt. cm. 40.

Le otto foglie d'acanto nella thos presentano un acanto con i intorno alla nervatura centrale e curve che formano zone d'ombra

La

parte

superiore

parte inferiore del kalalobi strettamente raccolti articolati in fogliette riogivali.

del kalathos

è avvolta

da foglie

d'acqua con nervatura centrale a rilievo, in modo

uguale

al n. 681. L'acanto peró differisce da questo e si collega invece

al tipo rappresentato

nei capitelli corinzi e corin-

drato e diviso in due fasce da una scanalatura mediana. Alla base delle baccellature vi è un collare a listello. Si osservi come sul piano di posa inferiore è intagliata al centro una cavità rettangolare per l’imperniatura del pezzo. Per l’abaco e il tipo delle baccellature l’esemplare è confrontabile

con

il n.

679,

da cui però si differenzia per

la

la mancanza della corona inferiore di foglie d’acanto. Qualche affinità si può trovare con un capitello del Museo di Bursa, con il kalathos però tronconico e non a gola ro-

fascia centrale leggermente piü sporgente delle altre due. Databile nella seconda metà del V - inizi del VI sec. d.C.

il kalathos simile, ma con la parte inferiore modanata con un kyma ionico. Capitelli con il kalathos soltanto baccel-

zieggianti nn. 582-586. Va

rilevata

la divisione

Bibl: QuIBELL, Excavations at La sculpture copte, Paris, 1931, nastic Archaeology in Egypt, GROSSMANN, H.G. SEVERIN, in gr. A.

683. Capitello

in tre zone

dell'abaco,

con

Sagqara, III, tav. 22, 4; G. DUTHUIT, p. 49, tav. 44, d; C.C. WALTERS, MoWarminster 1974, p. 185, fig. 33, P. MittKairo, 38, 1982, p. 185, nota 134.

nello

stesso museo,

tuttavia,

vi è un capitello

con

lato si trovano nella chiesa di S. Michele a Mileto!, nel palazzo episcopale di Afrodisia?, confermando l'origine orientale del tipo. In Egitto à documentato nella moschea

di Ulmas al Cairo, di reimpiego?. Databile nel V sec. d.C.

corinzieggiante

a

calice,

di

colonna.

! KLEINER, in /stMitt, 23-24, 1973-74, p. 117 ss.; O. FELD, in IstMitt, 25, 1975, p. 198, tav. 33, 3; W. MULLER WIENER, in JstMitt,

(Tav. 77)

27-28,.1977-78, pp. 93-125.

Cairo, museo copto, da Saqqara. Lievi scheggiature lungo l’abaco e mancanti i lobi inferiori delle foglie d’acanto per la rilavorazione di una fascia inferiore per il reimpiego. Calcare.

Uguale

vescia;

? W.

MULLER,

686. al n.

682,

da cui

diviso soltanto in due zone. Databile nella seconda metà d.C. Bibl.: QuisELL,

differisce del

V

perché - inizi

l’abaco del

VI

è

sec.

in Felix Ravenna,

125,

1983, pp.

112-115.

Capitello a kalathos baccellato.

Alessandria, sala I del museo, da El-Dekhelah, forse dal monastero di Hennaton; n. inv. 13993. Lievissime scheggiature sui margini superiori dell'abaco. Marmo. Alt. cm. 19; lato abaco cm. 24.

Simile

Excavations at Saqqara, IV, tav. 35, 4.

WIENER,

* H.G. NIEMEYER, in MittKairo, 18, 1962, p. 141, tav. 33, d.

al n.

685,

ma

con

un

lato dell'abaco

ornato

da

sette rosette molto semplificate. Databile nel V sec. d.C.

TrPO

Bibl: 508.

3: KALATHOS DEL TUTTO BACCELLATO.

684. Capitello a kalathos baccellato di colonna. (Tav. 77) Alessandria, sala II del museo, da El-Dekhelah, forse dal monastero di Hennaton; n. inv.

13990.

Lievissime scheggiature sui margini superiore e inferiore. Marmo proconnesio. Alt. cm. 12,4; lato abaco cm. 26; diam. cm.

inf.

13,5.

Il capitellino presenta un basso kalathos avvolto da foglie baccellate a forma di ovuli rovesci, contenuti in sgusci a listello. L'abaco è quadrato e con i lati lisci. L'esemplare doveva appartenere ad una colonnina di un edificio forse cristiano. Databile nel VI sec. d.C.

E. Breccia,

in BSAA,

9, 1907, pp.

3-12; Dic.Ant.Chr.,

col.

687. Capitello a kalathos baccellato di colonna. (Tav. 77) Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Lievi abrasioni. Marmo, con tracce di colore.

Il kalathos, con leggera espansione inferiore è avvolto da strette foglie baccellate, che lambiscono l’abaco quadrato a due zone. L’esemplare rappresenta un’edizione ridotta, ma dello stesso tipo, del n. 685. Databile nel V sec. d.C.

Bibl.: E. BRECCIA, in BSAA, 9, 1907, pp. 3-13; Dic.Ant.Chr., col. 508.

687A. Capitello a kalathos baccellato di colonna. (Tav. 77)

685. Capitello a kalathos baccellato di colonna. (Tav. 77) Alessandria,

giardini

del

museo,

da

Hadra

(Ibrahimieh);

n.

inv.

20930. Scheggiati gli spigoli dell'abaco. Marmo bianco a grana grossa (proconnesio). cm. 46,5; diam. inf. cm. 30.

Alt. cm.

35; lato abaco

Alessandria, magazzini del museo, da el-Dekhelah, stero di Hennaton; n. inv. 13994. Leggere abrasioni. Marmo. Alt. cm. 14; lato abaco cm. 23.

Simile tronconico,

Il kalathos presenta un profilo ad esse ed è decorato con una corona di baccellature concave. L’abaco è qua-

ai nn. senza

684-687,

ma

rigonfiamento

con

forse dal mona-

kalathos

alla base,

rigidamente

presenta

i lati

dell'abaco decorati con un motivo a corda. Databile nel V sec. d.C.

469

CAPITELLI

688. Capitello (Tav. 78)

corinzieggiante

sbozzato

di

690.

colonna.

Tutte le superfici del capitello sono allo stato di pice l’esemplare

è chiaramente

solo

sbozzato

e

destinato ad essere ultimato con quattro foglie intorno al kalathos, come è rilevato dalle cime visibili sotto gli spigoli dell’abaco, sporgenti rispetto alla parte superiore del

kalathos. Esemplari molto simili, allo stesso grado di sbozzatura, sono stati rinvenuti ad Efeso ed ancora a Ostia, immagaz-

zinati nel tempio dei Fabri Navales!:

si ritiene anzi che

siano prodotti di esportazione dalle cave di Thasos. possibile che il n. 631 derivi da un’approfondimento

È di

lavorazione di un esemplare uguale a questo. 1 P. PENSABENE,

Scavi

di Ostia,

VII, nn.

549-550;

J.P.

Sopinr,

J.

101, 1977, pp. 482-487, figg. 34-35.

689. Capitello corinzieggiante (Tav. 78; Fig. 225)

sbozzato

di

colonna.

Alessandria, sala I del museo, da El-Dekhelah, forse dal monastero di Hennaton; n. inv. 14156. Privo di due degli spigoli dell’abaco. Marmo. Alt. cm. 29; lato abaco cm. 27; sporgenza del fiore dell'abaco cm. 8,5; diam. inf. cm. 21,5.

Il kalathos, con tutta la superficie allo stadio di picchiettatura, presenta un tondino inferiore, un’incisione orizzontale poco sotto la metà dell’altezza e la parte superiore leggermente espansa e prolungantesi fin sotto gli spigoli e il fiore dell’abaco. Questo presenta i lati concavi, con la superficie trattata a gradina e la sporgenza cuspidata di fiori sbozzati uguale a quella degli spigoli. Due

capitelli nello stesso stadio di sbozzatura si trovano rispettivamente a Ostia e a Villa Adriana!. Databile nel V sec. d.C. ! PENSABENE,

Scavi di Ostia,

lapidario accanto al tempio di Sobek e Haroeris, forse

Il capitello è stato impiegato nello stadio iniziale della lavorazione e risulta diviso in due zone principali: quella inferiore cilindrica, gradina,

con la superficie quasi liscia, trattata a

e quella superiore tronconica,

articolata in quattro

grosse sporgenze parallelepipede lungo le diagonali del piano superiore e in altre quattro minori, quasi cubiche,

lungo gli assi. Le prime corrispondono agli spigoli dell'abaco,

fusi con

le bozze

per

le spirali

delle volute,

le se-

conde invece ai fiori dell'abaco. Databile nel V sec. d.C.

691.

Capitello corinzio

sbozzato

di colonna.

(Tav.

78)

Kom Ombo, lapidario accanto al tempio di Sobek e Haroeris, forse dalla Basilica cristiana. Mancante

uno

degli spigoli dell'abaco e la relativa parte sottostante;

scheggiature lungo il tondino inferiore. Calcare. Alt. cm. 35, spess. abaco cm. 20.

Databile alla fine del IV - V sec. d.C. HERRMANN, in BCH,

Ombo,

dalla Basilica cristiana. Scheggiati ed in parte mancanti gli spigoli dell’abaco. Calcare. Alt. cm. 45; alt. zona inferiore cm. 23, lato abaco cm. 60. P3

Alt. cm. 22; lato abaco cm. 21; diam. inf. cm. 23.

L'esemplare presenta un tozzo kalathos, separato da un'incisione dell’abaco, quest’ultimo con protuberanza sporgente al centro dei lati. chiettatura

Capitello corinzio sbozzato di colonna. (Tav. 78)

Kom

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. G 712 (ἢ). Abrase le estremità di due delle protuberanze dell'abaco; scheggiature sul margine inferiore. Marmo.

SBOZZATI

Il capitello, probabilmente impiegato nell'attuale stadio di semilavorazione, presenta l'abaco non ancora distinto dalle

sottostanti

bozze

per

le

spirali

delle

volute;

ugual-

mente le bozze parallelepipede per i fiori al centro dei lati

dell'abaco sono fuse con le bozze per il motivo decorativo al centro di ogni lato del kalathos. Questo è suddiviso in due zone, quella superiore sporgente rispetto all'altra, in quanto su di essa dovevano intagliarsi le cime ricurve delle foglie. Inferiormente é visibile un tondino. Databile nel V sec. d.C.

692. Kom

Capitello corinzio sbozzato di colonna. Ombo,

(Tav. 78)

lapidario accanto al tempio di Sobek e Haroeris, forse

dalla Basilica cristiana.

Mancanti due degli spigoli dell'abaco. Calcare. Alt. cm. 35; spess. abaco cm. 20,5; alt. fiore abaco cm. lato abaco cm. 70; lato scamillus, cm. 34.

8;

x

VII, n. 552.

Il capitello è impiegato in uno stadio di semilavorazione, come i nn. 690-691, rispetto ai quali, tuttavia, rappresenta un grado più avanzato, in quanto è intagliato lo scamillus sull’abaco e i lobi sporgenti in funzione di fiori dell’abaco presentano la superficie anteriore arrotondata. Distinte dagli spigoli dell’abaco sono anche le sbozzature da cui si sarebbero dovute ricavare le spirali delle

volute: tuttavia il fatto che queste sbozzature siano molto ridotte

Fig. 225 - Alessandria, museo, da El-Dekhelah, cat. n. 689 (dal Breccia).

470

rispetto

all’abaco,

caratterizzato

da

un

notevole

spessore, dimostra la non comprensione da parte degli scalpellini del tradizionale modello corinzio. La parte superiore del kalathos risulta inoltre fusa con l'abaco e nettamente distinta da quella inferiore tramite una rientranza della pietra. Databile nel V sec. d.C.

693.

Capitello corinzio sbozzato di colonna. (Tav. 78)

Kom Ombo, lapidario accanto al tempio di Sobek e Haroeris.

1972, pp. 323-329, 1981, pp. 589-594.

tavv.

134,

135,

2; S. DE

Mania,

in MEFRA, ᾿

93,

Mancante di uno degli spigoli dell’abaco.

Calcare. Alt. cm. 35; spess. abaco cm. 20; lato abaco cm. 70.

695.

Quasi uguale al n. 692, ma senza Ia distinzione tra la sagoma sbozzata delle spirali delle volute e gli spigoli dell'abaco. Databile nel V sec. d.C. 694. Capitello (Tav. 78)

corinzieggiante

Alessandria, giardini del venienza sconosciuta; n. Scheggiature agli spigoli thos. Calcare. Alt. cm. 50,5; inferiore cm. 24,5; alt. inf. cm. 34.

sbozzato

di

sono

state

museo, ora nei giardini del Serapeo, di proinv. 21013. dell'abaco e nella parte superiore del kalaalt. cilindro superiore cm. 16,8; alt. cilindro collare cm. 6,6; lato abaco cm. 38; diam.

abbozzate

foglie:

esse

reggono

le

cime

di

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Lievissime scheggiature. Calcare. Alt. cm. 56; spess. abaco cm. 4,8; alt. cilindro superiore cm. 12; alt. cilindro inferiore cm. 26; lato abaco cm. 45; diam. inf. cm. 35.

colonna.

L'esemplare presenta alla base un collare sporgente, cui segue un cilindro leggermente rientrante ed un altro, di nuovo sporgente; al di sopra, nella parte superiore del kalathos,

Capitello corinzio sbozzato di colonna. (Tav. 78)

quattro

larghe

La parte inferiore del kalathos è costituita da due cilindri sovrapposti, su cui sporge un altro cilindro piü stretto, che doveva servire all'intaglio delle cime delle foglie della seconda corona. Sotto le volute vi è un altro tratto sporgente, su cui doveva intagliarsi la cima delle foglie di sostegno alle spirali, mentre la sbozzatura di queste è di forma quadrangolare. Va rilevato come l’esemplare non sia su tutti i lati allo stesso grado di lavorazione per ciò che riguarda la parte superiore: solo in uno dei lati sono state intagliate sulle volute

delle

sporgenze

quadrangolari,

da cui doveva

rica-

volute. Abbozzato è anche l’abaco, di cui si riconosce la

varsi la spirale delle volute stesse. Sempre sul medesimo lato è visibile tra le volute e sotto il fiore dell’abaco un’altra sporgenza quadrangolare, in cui si dovevano inta-

leggera curvatura dei lati.

gliare

Gli elementi

la

sbozzatura

delle

ora descritti confermano,

spirali

come

delle

già rilevato

in precedenza!, la lavorazione del capitello a partire dall’abaco. Il cilindro superiore serviva per l’intaglio delle cime delle foglie della prima corona, mentre il collare inferiore era per il tondino alla base del capitello e l’attacco delle foglie della prima corona, che dovevano essere leggermente rigonfie inferiormente. La presenza di questo tondino può quindi far pensare che il capitello dovesse essere rifinito nella forma corinzia tipica ad Alessandria nel periodo tardo ellenistico. Databile nel II-I sec. a.C. ! Hg MEvER, Korinthische Normalkapitelle, p. 120, tav. 1, 6; PENSABENE, Scavi di Ostia, VII, p. 192 ss.; H. LAUTER Burg, in RM, 79,

CAPITELLI

696.

Capitello corinzio di colonna.

Alessandria, giardini del museo,

CORINZI

(Tav. 78)

di provenienza sconosciuta.

Scheggiati gli angoli dell'abaco e le estremità di alcune delle foglie protezionali delle volute. Calcare.

Alt.

cm.

53,5;

alt. prima

cm. 33; lato abaco cm. 46; diam.

corona

cm.

16; alt. seconda

corona

inf. cm. 29.

Nei due terzi del kalathos si avvolgono due corone di foglie d'acanto piuttosto larghe e con i lobi dentellati a fogliette molto corte e numerose, separati da piccole zone

d'ombra a goccia.

le

spirali

accostate

delle

elici;

ancora,

solo

su

questo stesso lato è stato sagomato l’abaco.

Negli altri lati sono solo visibili 1 tre cilindri sovrapposti e la sbozzatura quadrangolare delle volute. In uno di questi

lati,

sul

cilindro

mediano,

che

doveva

servire

all’intaglio delle cime delle foglie della prima corona, è visibile parte della superficie trattata con scalpello a pettine, meno superficialmente della restante superficie dei cilindri, trattata invece a gradina e a colpi paralleli di piccola subbia. Il capitello,

spetto

di un

a lavorazione ultimata,

capitello

corinzio

avrebbe

alessandrino

assunto

del

l’a-

periodo

tardo ellenistico. Databile nel II-I sec. a.C.

DI DUBBIA

ANTICHITÀ

Dei caulicoli sporgono soltanto gli orli arrotondati tra le cime delle foglie superiori: da essi nascono due piccoli calici a due foglie lisce fortemente ricurve, da cui si originano grandi volute, con spirale a chiocciola, ed elici piü piccole e sottili. L'abaco é piuttosto spesso,

con

grande

fiore

a

margherita

al

centro

dei

lati,

questi sagomati con un ovolo superiore e un cavetto inferiore. E dubbia l'antichità del pezzo, non avendo l'acanto riscontro altrove in Egitto.

471

IMPOSTE DI ETÀ BIZANTINA

697.

Imposta.

(Tav. 79)

Kom el Dik, dall'«auditorium», sopra la coppia di colonne sostenenti le arcate sulla sommità della cavea. Scheggiato un angolo del fianco destro e minori abrasioni e scheggiature lungo il margine superiore. Marmo proconnesio. Alt. cm. 25.

Quasi uguale al n. 697, ma con proporzioni diverse nella corona con la croce e nella larghezza della base. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: K. MicHaLowSsKI, Alexandria, Wien

699.

Imposta.

1972, tav. 79.

(Tav. 79)

L’imposta ha un contorno rettangolare e presenta quattro lati sagomati a gola diritta e con piano inferiore di posa

Kom el Dik l’orchestra.

distinto

Lievi scheggiature lungo i margini e gli spigoli.

da un

listello; il piano

superiore

è sormontato

da

un abaco liscio e aggettante sui quattro lati. Sui lati corti è scolpita a bassorilievo una croce greca patente, iscritta in una stilizzata corona liscia da cui pendono nastri svolazzanti: si tratta di un motivo simbolico molto diffuso in Egitto, di derivazione bizantina (cfr. n. 985)!. È noto come l’imposta tra il capitello e l’arcata sia un elemento caratteristico dell’architettura bizantina, diffusosi a partire dall'età post-costantiniana?. Il tipo più utilizzato è quello dell’imposta tronco-piramidale che in Egitto è testimoniato già nella prima metà del V secolo d.C.?, in un’edizione però più simile al n. 699 in quanto relativo a una e non a due colonne,

come

nel nostro esemplare.

In Oriente questo tipo di imposte è comunemente impiegato con capitelli corinzi e compositi, il che risulta ugualmente per le imposte dell’auditorium di Kom el Dik che sormontavano capitelli corinzi (nn. 477-478, 575)“.

Per aiuto

l’attribuzione il contesto

cronologica

dell’imposta

di ritrovamento,

perché

essa,

non

è di

insieme

ad

un’altra molto simile, fu reimpiegata come sostegno delle nicchie delle arcate nell’ultima trasformazione dell’edificio

a pianta centrale alla fine del VI secolo. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: Κα. MicHALOwskI,

Alexandria, Wien

delle imposte è vista

a Roma

in S. Costanza,

un’anticipazione

dove i tratti isolati di tra-

beazione sulle coppie di colonne, pur conservando ancora l'articolazione in architrave,

fregio e cornice,

possono

già intendersi come

imposte

di

forma vicina a quella tronco-piramidale. * KAUFMANN, Die Menasstadt, tav. 13, 66-67; DEICHMANN, Architektur Konstantinopels, p. 43; cfr. anche J.B. Warp Perkins, in BSR, 17, 1949, p. 40 ss., che insiste su particolarità egiziane nelle imposte di S. Mena, che tuttavia sono in stretta dipendenza con la produzione della

tra il vestibolo

Mainz-am-

molto simili si trovano nella basilica della cripta del santuario di S. Mena). Per l’attribuzione cronologica può forse essere un’indizio l’uso del calcare e la particolare collocazione originaria sopra le colonne del vestibolo che sostenevano la cupola, costruita nell’ultima trasformazione dell’edificio alla fine del VI secolo (cfr. n. 697): è possibile che l’imposta sia stata lavorata appositamente per questa funzione, utilizzando il calcare locale, e che non sia quindi materiale architettonico di reimpiego, che è quasi esclusivamente in marmo. Databile nel VI sec. d.C. Bibl.: W. KuBrAK, in BSAA, 42, 1967, p. 47 ss., tav. 9, a; K. MicHALOWSKI, Alexandria, Wien 1972, tavv. 53, 62. ! KAUFMANN, Die liana, p. 17, tav. 1.

Imposta.

Menasstadt,

tav.

13,

66,

77; BADawy,

in Kyril-

(Tav. 79)

Lievi scheggiature lungo gli spigoli. Calcare nummulitico. Alt. cm. 54; diam. inf. cm. 112.

80; lato abaco cm.

L'imposta,

centro

piuttosto

bassa,

presenta

al

dei

lati

una grande corona d'alloro con bende svolazzanti, entro la quale & inserita una croce a braccia patenti. La forma richiama il capitello ionico - imposta n. 158. Databile nel VI sec. d.C.

700A.

Imposta.

(Tav. 79)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Lievi scheggiature.

698.

Imposta.

(Tav. 79)

Kom el Dik, dall’«auditorium», sopra la coppia di colonne sostenenti le arcate sulla sommità della cavea. Scheggiature agli spigoli e sul retro. Marmo. Alt. cm. 26.

472

e

Di forma tronco-piramidale leggermente rigonfia, sui lati è decorata alternativamente a croce greca iscritta in una corona e a croce libera senza altri elementi. Confronti

! Il pezzo reca il n. inv. provvisorio 50.

parte orientale dell’impero.

^ K. MicHALOWSKI, Alexandria, Wien 1972, tav. 79. 5 W. KoLATAj, in Das rómisch-byzantinische Agypten, Rhein 1983, p. 190 ss., fig. 7.

ie colonne

Alessandria, giardini del Serapeo!.

1972, tav. 79.

p. 41:

sopra

Calcare. Alt. cm. 42.

700.

! P. NAUTIN, in CahA, 17, 1967, pp. 1-43. ? DEICHMANN, Architektur Konstantinopels,

dall’«auditorium»,

Marmo proconnesio. riori cm. 36,5x36.

Alt. cm.

27; lati superiori cm.

Di forma troncopiramidale, una croce a rilievo.

sul

lato

80x56;

presenta

Databile nella prima metà del VI sec. d.C.

lati infe-

scolpita

BASI

I BASI DEL TIPO PELOPONNESIACO 700B.

Base di colonna.

(Tav.

80)

in un toro piuttosto sottile. Questo tipo «libero» di base al di fuori del Peloponneso si incontra ancora nella

Alessandria, magazzini del museo, da Canopo (Aboukir, dono Tousson; n. inv. 18550. Scheggiato circa un quinto della superficie della base e scheggiature

tholos di Delfi e in Macedonia, nei propilei di Palatitza e ancora a Megalopolis, nella stoà di Filippo?. È possibile che anche ad Alessandria questa forma sia stata recepita,

più superficiali sul fusto della colonna. Calcare. Alt. cm.

21; diam.

superiore colonna cm.

DI ETÀ ELENISTICA

17.

anche se con variazioni locali, come mostrerebbe l’apparente scomparsa del sottile toro superiore della base al plinto circolare e alla gola. Databile nel III sec. a.C.

x

La base è sagomata con un plinto circolare, al quale segue una leggerissima gola diritta; un listello la separa dall’imoscapo della colonna, questa di tipo ionico a larghe scanalature (in origine venti) distinte da spessi listelli. Il richiamo può stabilirsi con tipi di base in uso in ambiente magno-greco (Taranto, Paestum) ed anche etrusco!, che derivano da forme diffuse in area peloponnesiaca?: si tratta di una forma caratterizzata da un plinto circolare sormontato da un cavetto o da una gola diritta terminante

e la riduzione

ΤῊ, KLUMBACH, Tarentiner Grabkunst, Reutlingen 1937, p. 77 ss., Beil D, nn 183-202; F. Krauss, R. Hersic, Der korinthisch-dorische Tempel am Forum von Paestum, Berlin 1939, p. 26, tav. 4.

? Roux,

Architecture

de l'Argolide,

pp.

libre»). ? Ip., p. 338; cfr. S. GroBEL-MILLER,

336-339,

in AM,

(«bases

de style

88,1973, p. 196.

II BASI ATTICHE

TIPO

702.

1: SBOZZATE

701.

Base

DI ETÀ ELLENISTICA

sbozzata di colonna.

(Tav.

80; Fig. 226)

Alessandria, giardini del museo, da Alessandria; n. inv. 20994 (?). Qualche leggera abrasione.

Calcare nummulitico. Alt. cm. 51,5; diam. sup. cm. 90; diam. inf. cm. 115.

Il piano di appoggio inferiore è finemente scalpellato, quasi liscio, mentre la superficie restante è solo sgrossata, sotto forma di tre gradini circolari. È stato ipotizzato che anche quest’elemento dovesse essere ultimato per un impiego nell’edificio del quartiere reale a cui sono stati attribuiti i capitelli ionici nn. 10-17: la mancanza del plinto conferma comunque una datazione in età ellenistica. Databile nel III-II sec. a.C. Bibl.: HoPFNER, Zwei Ptolemaierbauten, p. 159, tav. 17 A, Beil 25. 20,0

Due basi sbozzate di colonna.

(Tav.

80)

Karanis, lapidario accanto al museo. Ben conservate. Calcare.

Gli

esemplari

fasce circolari,

sono

sbozzati

superiormente

sporgenti l’una rispetto all’altra,

con

due

e inferior-

mente con un basso parallelepipedo: da questo doveva ricavarsi il plinto, mentre dalle due fasce il toro superiore e quello inferiore. Databili nel I-II sec. d.C. 703.

Base

di colonna

Mons Claudianus, vanti alla cella. Integra. Granito.

Serapeo,

semilavorata. atrio

tetrastilo

che

precede

la corte da-

La base! é rimasta ad uno stadio di semilavorazione in quanto sono sagomati soltanto il plinto e il toro inferiore; dalla parte superiore, di forma cilindrica, dovevano ricavarsi la scozia e il toro superiore.

Databile dal contesto nella prima età adrianea?. Bibl.: T. Kraus, J. RópER, in MittKairo, 18, 1962, p. 93, tav. 14, b; Ip., in AA, 1962, col. 711, fig. 10. x

! La base è considerata, insieme ad un'altra uguale, ancora in situ e si ritiene facente parte di un atrio tetrastilo con capitelli corinzi (cfr. n. 251), di cui si consevano le altre due basi non più in posto (n. 704). L'atrio dava accesso alla corte che precedeva il santuario vero e proprio.

8

ἰμμιψιη TÉ ο

οὐ -ἰ

40,

T 24

PIEDI

Fig. 226 - Alessandria, dall'Edificio presso la banchina nuova del Porto Orientale, base semilavorata, cat. n. 701 (dallo Hópfner).

? Cjó in base all'iscrizione dell'architrave, in cui lo schiavo Epaphroditos,

appaltatore

delle

cave,

dedica

l'edificio

Adriano a Serapide e ai Sunnaoi Theoi: 1954, p. 103 ss., n. 22 e bibl. cit.

D.

nel

secondo

MEREDITH,

in

anno

CdE,

di

29,

473

704.

Base di colonna.

Mons Claudianus, vanti alla cella.

Serapeo,

atrio tetrastilo

che

precede

la corte da-

Lievi scheggiature sul margine superiore. Granito.

La base rispetto al n. 703 presenta piü nettamente lavorati il plinto e il toro inferiore; della parte superiore era iniziato l'intaglio soltanto della scozia, di cui resta visibile un listello e parte dell'incurvatura, mentre la parte superiore risulta, come

nel n. 703,

Databile dal contesto nella prima età adrianea. 18,

Bibl: C. ANTI, ss., fig. 7.

in Architettura e arti decorative,

! Pesce, Palazzo delle Colonne,

1962, p. 93, tav.

14, d;

706. Base

10, 1930-31, p. 97

fig. 35.

? Y. YADIN, Masada. La fortezza di Erode Zeloti, (ed. it.) Bari 1968, p. 66.

cilindrica.

Bibl.: T. Kraus, J. RópER, in MittKairo, Ip., in AA, 1962, col. 711, fig. 11.

I confronti più vicini sono con le basi dell'ambulacro meridionale del grande peristilio del Palazzo delie Colonne a Tolemaide! e della terrazza superiore del palazzo di Frode a Masada’, in entrambi i casi ascrivibili a maestranze alessandrine. Databile nel II-I sec. a.C.

di due semicolonne

e l'ultima difesa degli

a pilastro (pilastro «a

cuore»). (Tav. 80) Tebtynis (Umm

el Breigát),

«sala tolemaica» lungo la via processio-

nale!. Tro

2:

SCAPO

SENZA

PLINTO

E AL ROCCHIO

E

INTAGLIATE

INFERIORE

DELLA

INSIEME

ALL'IMO-

COLONNA.

Abrasioni lungo il margine superiore delle scanalature della semicolonna. Calcare stuccato. Alt. cm. 56; largh. compresa una delle semicolonne

em. 56.

704A.

Base di colonna. (Tav. 80)

Alessandria, giardini del museo, dai cantieri Finney. Restano due tronconi della parte inferiore della colonna, intagliata insieme alla base, questa con scheggiature lungo i tori. Calcare stuccato. Alt. tronco inf. cm. 26; diam.

La

sup. cm.

x

base

è articolata in un toro inferiore,

32.

in una

scozia

dalla concavità accentuata ed in un sottile toro superiore, che è fuso per mezzo della stuccatura con l’imoscapo della colonna. Vanno rilevati lo spessore del listello che

corona superiormente la scozia e ancora la sottile apofigi sporgente sotto il piano di posa della base: al centro di questo vi è una cavità irregolarmente circolare per il

perno. La colonna era liscia lungo il quarto inferiore, stuccato e dipinto in giallo. Il secondo tronco frammentario, più piccolo, conserva l’inizio delle scanalature che appaiono riempite di stucco e tondino. Databile nel II sec. d.C. Bibl.:

ADRIANI,

in Annuarie

1935-39,

p. 52,

n. 22,

fig.

21,

La base ha due tori separati da un’alta scozia ed è intagliata insieme agli imoscapi delle semicolonne, con tondino e cavetto, e del pilastro a cui queste si addossano. Le semicolonne presentavano dodici scanalature separate da un

sottile listello,

in seguito

stuccate,

in modo

che

il

fusto dell’imoscapo del rocchio inferiore appaia liscio. I fianchi del pilastro presentano un’incisione orizzontale, come per indicare una finta divisione in blocchi del pilastro stesso.

Il confronto più vicino è con le semicolonne addossate a pilastro dell’angolo sud-ovest dell’ambulacro del grande peristilio del Palazzo delle Colonne a Tolemaide?. Databile al II-I sec. a.C. Bibl.: G. BAGNANI, in CdE, 19-20, 1935, p. 282. ! Cfr. sugli scavi di Tebtynis, C. ANTI, in Atti Reale Istituto Veneto, 90, 2, 1930-31, p. 1060 ss.; 91, 1931-32, p. 1183 ss.; G. BAGNANI, in

BArte, 27, 1933, p. 124 ss. ? Pesce, Palazzo delle Colonne, fig. 36.

a.

707. Base di due semicolonne addossate a pilastro (pi704B.

lastro «a cuore»). (Tav. 80)

Base di colonna. (Tav. 80)

mancante di un terzo il toro inferiore e la scozia della base. Calcare stuccato. Alt. cm. 38; diam. sup. cm. 34.

Tebtynis (Umm el Breigát), «sala tolemaica» lungo la via processionale. Scheggiati i tori inferiori e abrasioni sul resto della superficie. Calcare, stuccato in alcune scanalature. Alt. cm. 47,8; alb. base cm.

Uguale al n. 704A.

colonne cm. 42,5.

Alessandria, giardini del museo, dai cantieri Finney.

Restano due tronconi combacianti della parte inferiore della colonna,

Databile nel II sec. Bibl.: ADRIANI,

13,8; largh. compresa una delle semicolonne, cm. 60,5; diam. semi-

a.C.

La base, a due tori separati da un'alta scozia, è relativa

in Annuarie 1935-39, p. 51, n. 21, fig. 21, b.

a due

semicolonne

accostate,

addossate

sui due lati conti-

gui di un pilastro, in modo da formare un contorno a cuore. 705.

L'esemplare,

Base di colonna. (Tav. 80)

Tebtynis

(Umm

el Breigát),

dalle

«rovine

di un

tempio

sulla

via

omonima». Scheggiature sul toro inferiore. Calcare.

La base presenta due tori, abbastanza sottili, separati da un'alta scozia delimitata da due listelli. Sopra il toro superiore poggia l'imoscapo della colonna, composto da un

al

medesimo

edificio

dei

nn.

e del relativo grande peristilio del Palazzo delle Colonne a Tolemaide!. Databile nel II-I sec. a.C. Bibl.: G. BAGNANI, in CdE, 19-20, 1935, p. 282. ! Pesce, Palazzo delle Colonne, tav. XI.

tondino (con il diametro e lo spessore solo di poco minori

708.

rispetto al toro sottostante), da un cavetto e dalla parte inferiore del rocchio.

Apollinopolis Horus.

474

pertinente

705-706, trova confronti uguali agli angoli dell’ambulacro

Base di colonna. (Tav. 80) Magna

(Edfu),

lapidario

all’interno

del

tempio

di

Scheggiature sul toro superiore, mancante il toro inferiore.

710.

Calcare.

La base presenta due tori separati da una scozia, con i margini delimitati da un listello, ed è intagliata insieme all'imoscapo di una colonna a ventiquattro scanalature separate da un listello e terminanti inferiormente in un arco di cerchio che si espande sul tondino dell’imoscapo. Sul piano di posa superiore è intagliata un’anathyrosis circolare, con due diametri perpendicolari incisi e relativo canaletto di scolo: questo può far ritenere che fosse prevista una cavità per un perno di ferro, poi non eseguita. L’esemplare si può confrontare con analoghe basi inta-

gliate insieme al rocchio inferiore della colonna del santuario tolemaico di Hermoupolis Magna (n. 60). Databile alla fine del III-I sec. a.C. 709.

Base di colonna. (Tav. 30)

Dendera, ninfei sulla strada di accesso al tempio di Hathor. Calcare. Alt. tot. cm. 44; alt. base cm. 26; diam. imoscapo cm. diam. toro inferiore cm. 70.

in base ai capitelli dell’edificio 221-227), al II sec. d.C.

54;

di ap-

Bibl.: G. CastEL, F. Daumas, J.C. GoLvin, Dendara. Monuments de l’enceinte sacrée. tavv. 3, 4, 7.

Les fontaines de la Porte Nord,

Caire,

1984,

BASI ATTICHE

fig. 3,

La base faceva parte del portico colonnato del dromos che conduceva al tempio!: essa è intagliata insieme all’imoscapo della colonna e presenta, separati da una profonda

scozia,

IX, a.

Treo

i

di essi

quello

inferiore,

i

711.

Base di colonna.

(Tav. 80)

Alessandria, sala XV del museo, di provenienza sconosciuta. Scheggiature lungo il toro inferiore. Calcare.

La base è di un normale tipo attico, senza plinto, articolata in due tori separati da una scozia. Notevole è lo spessore del listello arrotondato che separa la scozia dal toro superiore. Databile nel I sec. a.C. - I sec. d.C.

E BIZANTINA

5: CON PLINTO.

Base di colonna. (Tav. 81)

Lievi scheggiature agli spigoli del plinto, più profonde sul toro superiore.

«Granito nero» (diorite). Alt. cm. 26; diam. sup. cm. 54; lato plinto em. 58,5.

La base è articolata in due tori separati da una scozia accentuatamente concava. Si osservi come sia stata intagliata accuratamente e in profondità la superficie superiore piatta del listello di separazione tra la scozia e il toro superiore: per questa particolarità l’esemplare si può confrontare con una base più piccola rinvenuta nel quartiere

!

Databile nel tardo I sec. a.C. - primi decenni del I sec. d.C.

La base poggia su un plinto quadrato ed è articolata in due tori dal diametro quasi uguale, separati da un'alta scozia incorniciato da due listelli. L’abbandono del rapporto canonico tra i due tori indica una datazione in età imperiale avanzata (III sec. d.C.). 714. Base di colonna. (Tav. 81) Alessandria, Kom el-Dik, dall’« auditorium». Spezzato

in Etudes

tori;

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta.

Alessandria, sala XVI del museo, dal porto orientale; n. inv. 17831.

DASZEWSKI,

sommari

3: SENZA PLINTO.

713.

Lievissime scheggiature sparse. Marmo. Diam. inf. cm. 110.

ΕΑ. a-b.

due

di diametro minore, è piatto verticalmente e rigido. Manca il plinto. Si osservi come tutta la superficie dell’imoscapo sia picchiettata e come segni di scalpello siano visibili anche sui tori, probabilmente per facilitare l’allettamento dello stucco di rivestimento. Databile nel II - inizi III sec. d.C.

Treo

Base di colonna. (Tav. 80)

reale!.

Dendera, viale di accesso al tempio di Hathor. Scheggiata la superficie di uno dei lati. Calcare.

DI ETÀ IMPERIALE

Tipo 4: SENZA PLINTO.

712.

(Tav. 80)

1G. CasrEL, F. Daumas, J.C. GoLvin, Dendara. Monuments de l'enceinte sacrée. Les fontaines de la Porte Nord, Caire, 1984, tav.

Le otto basi appartengono alle colonne di facciata delle due fontane contrapposte all’entrata nord del tempio: esse presentano una scozia espansa inferiormente, ma a concavità ridotta, e due tori, dei quali quello superiore è molto sottile, mentre quello inferiore è accuratamente arcuato e poggia su una specie di sottile plinto circolare, di diametro leggermente inferiore ad esso. Le basi sono intagliate insieme all’imoscapo della colonna, che inferiormente presenta un’apofigi articolata in una sottile gola e in un listello. Databile, anche partenenza (v. nn.

Base di colonna.

et travaux,

11,

1979, p. 96, figg.

3,

uno

degli spigoli del plinto,

compresa

buona

parte dei lati

corrispondenti. Marmo.

475

Su un plinto quadrangolare

poggiano

due tori separati

717.

Base di colonna.

da una scozia. Notevolmente spesso é il listello superiore

Alessandria, Kom el Dik.

della

Abraso il toro superiore.

scozia

e

piuttosto

irrigidita

è

la

curvatura

dello

stretto toro superiore. Questi ultimi due dati fanno ritenere probabile una cronologia in età imperiale avanzata (tardo II - III sec.

d.C.). 714A.

Marmo. Alt. cm. 28; lato plinto cm. 120.

La base presenta il toro superiore piuttosto spesso e irrigidito. Il plinto è stato intagliato inferiormente, forse per l’inserimento nel pavimento in occasione di un reimpiego. Databile nel II sec. d.C.

Base di colonna. (Tav. 81)

Alessandria, Kom

el-Dik, da portici nella zona delle terme.

Spezzato uno dei lati del plinto e la parte soprastante del toro inferore. Marmo. Alt. cm. 40. Molto

simile

al n. 714,

ma

con i

listelli che delimitano

la scozia leggermente meno spessi. Databile nel tardo II - III secolo d.C.

Treo

(Tav. 81)

6: CON

PLINTO

718.

Base di colonna. (Tav. 81)

Alessandria, Kom el Dik. Scheggiato uno degli spigoli del plinto. Marmo. Alt. cm. 43; diam. sup. cm. 88; lato plinto cm.

La base presenta il toro superiore ridotto, poco più alto dello spesso listello che lo separa dalla sottostante scozia. Databile al III sec. d.C. 719.

SEMPLIFICATO.

110.

Base di colonna.

(Tav. 81)

Cairo, museo copto.

Tagliata sui fianchi e scavata dal piano di posa inferiore. 715.

Base di colonna.

Antinoe,

Marmo

convento paleocristiano, lato ovest del chiostro, appartenente

ad un propileo monumentale agli inizi della via «Trionfale». Lievi scheggiature. Granito di Assuan. Alt. cm. 90; diam. sup. cm. 146; lato plinto, cm. 189. i

La base presenta un plinto quadrato su cui poggia il toro inferiore, questo con curvatura poco accentuata e distinto, tramite la scozia e uno

spesso listello, dal toro su-

periore, piuttosto schematico e poco spesso. Sul piano di posa superiore è incisa una circonferenza per la sovrapposizione dell’imoscapo della colonna. Essa,

insieme

ad un’altra base,

a tre rocchi di colonna,

uno dei quali conserva l’imoscapo (diam. cm. 146), e a cinque grandi blocchi di architrave, sempre in granito, faceva parte di un propileo monumentale che doveva segnare l’inizio della via «Trionfale». Il rinvenimento nelle vicinanze di un’iscrizione datata al 282-3 d.C., ha permesso di identificare il monumento con un arco dedicato agli imperatori Caro, Carino e Numeriano!. Databile nel tardo III sec. d.C. Bibl: G. UcGRRI, in Antinoe (1965-1968), Missione Archeologica in Egitto dell’Università degli Studi di Roma, Roma 1974, p. 52, tav. 24, 2. ! UGGERI,

716.

Due basi di pilastro.

Antinoe, tempio ramesside, piazzale di fronte al pilone. 135x165.

Le basi sono caratterizzate da un plinto piuttosto alto rispetto alla parte superiore, costituita da due tori separati da una scozia, di cui quello superiore si presenta abbastanza rigido. Su uno dei lati inoltre le basi sono completate da un elemento sporgente per l’inserimento nella muratura.

Databili nel II sec. d.C. Bibl: L. BONGRANI FANFONI, in Antinoe (1965-1968), Missione Archeologica in Egitto dell’Università degli Studi di Roma, Roma 1974, p.

34, tav. 14, 1-2.

476

x

Alt.

cm.

44,5;

lato plinto cm.

113; lato plinto

La base presenta il plinto proporzionalmente molto spesso in rapporto all'altezza complessiva della base e il toro superiore atrofizzato, trasformato in un listello di coronamento della scozia. Le grandi dimensioni ne fanno presupporre l'appartenenza ad un edificio di una certa importanza,

con colonne

di circa m.

6-7 di altezza.

Il piano di appoggio superiore è liscio. Il pezzo è stato tagliato e allisciato sui fianchi e scavato internamente per essere riadoperato, rovesciato, come bacino di una fontana o di un fonte battesimale: Ja vasca interna presenta agli angoli gradini sporgenti curvilinei, decorati da croci a braccia patenti. Databile nel IV sec. d.C. 720.

Base di colonna.

(Tav. 81)

Cairo, museo copto. Spezzati gli spigoli del plinto. Alabastro. Alt. cm. 35; lato plinto cm. 82.

La base presenta un plinto quadrato ed è composta da due tori separati da una scozia: questa presenta un profilo campaniforme,

op. cit. in bibl. p. 52.

Lievi scheggiature. Calcare. Alt. cm. 77; lati cm.

proconnesio.

parte tagliata cm. 91.

con

concavità

poco

accentuata,

ed

è sor-

montata da uno spesso listello. Il piano di appoggio superiore presenta uno scamillus circolare sporgente. Va rilevato che nell’area del Serapeo di Alessandria è conservata una colonna in alabastro di misure abbastanza corrispondenti a questa base.

. Databile nel I-II sec. d.C. 721.

Base di colonna.

(Tav. 81)

Wadi Natrun, Deir Abu Makar, lapidario. Leggere abrasioni e scheggiature sugli spigoli del plinto e sul toro superiore. Marmo. Alt. cm. 12; lato plinto cm. 29,6; diam. sup. cm. 27,8.

La base è composta da un plinto quadrangolare e da due tori separati da una scozia. Il toro inferiore è ridotto, con la curvatura poco accentuata, mentre il toro superiore

presenta un profilo quasi rettilineo ed è di altezza supe-

riore al toro inferiore!. Va ancora notata Ja linea leggermente irregolare che segna 1 bordi orizzontali del plinto. Databile nel V sec. d.C. 1 È possibile

che

la scozia

sia

stata

intagliata

anche

su parte

Caratteristica

è

l’irregolarità

delle

725.

zione in altezza di questo.

Alessandria, Kom el-Dik, dall' «auditorium». Lievi scheggiature agli spigoli del plinto. Marmo. Alt. cm. 21.

7:

722.

CON

ELEMENTI

SEMPLIFICATI

Base di colonna.

(Tav.

E NON

FINITI.

31)

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios.

Abrasi gli spigoli del plinto; scheggiature sul toro superiore. Marmo. Alt. cm. 13,5; lato plinto cm. 30. x

La base con plinto quadrangolare, è stata solo parzialmente rifinita distinguendo, per mezzo di una netta solcatura, il toro superiore da uno spesso listello che sormonta il toro inferiore. Da questi elementi e dal confronto con i nn. 723-727 si

può ritenere che il toro superiore e il sottostante listello siano stati intagliati in uno dei due elementi cilindrici costituivano la base nella prima fase di sbozzatura. spessore dei due tori, maggiore rispetto a quelli del 721 è da attribuire al fatto che in quest’ultimo è stata

che Lo n. in-

tagliata una scozia di ampie dimensioni che ha ridotto lo spessore dei due tori; nel n. 722 invece la mancanza di scozia rimasta allo stadio di sottile cilindro ha determinato l’aumento in altezza dei due tori. Va rilevato l'andamento leggermente convesso assunto

dai bordi del plinto. Le superfici dei due tori e del plinto presenta tracce di lavorazione con lo scalpello a denti. Databile nel V sec. d.C.

Base di colonna.

Base di colonna.

colonna era forse pertinente. la superficie

(Tav. 81)

da un listello. Supe-

riormente è un elemento cilindrico, da cui avrebbe dovuto ricavarsi, se la lavorazione fosse stata ultimata, il toro su-

base

S1 osservi inoltre come tutta

manchi

dell'ultima

rifinitura,

es-

- sendo molto accentuati 1 resti della lavorazione a gradina; sul piano di posa superiore sono invece visibile frequenti colpi di scalpello a punta. L’irrigidimento dei tori, la non comprensione della scozia e le linee orizzontali leggermente ondulate indicano non

tanto

un’incompiutezza

della lavorazione,

quanto

una

sommarietà e un’incapacità nella resa del modello originale (cfr. invece il n. 795). Databile nel V sec. d.C. (secondo o terzo venticinquennio). 726.

Base di colonna. (Tav. 81) el-Dik, dal frigidario delle terme romane.

Databile nel V sec. d.C. (Tav. 81)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Abrasioni agli spigoli del plinto e lievi scheggiature sparse. Marmo proconnesio. Alt. cm. 14; diam. sup. cm. 26; lati plinto cm. 32,5x31.

Su un plinto irregolarmente quadrangolare poggia un sottile toro poco arcuato, distinto da un’ampia scozia incorniciata da due spessi listelli su cui poggia il toro superiore poco espanso, rigido e meno sporgente rispetto al listello superiore della scozia.

Alt. cm. 29.

L'elemento presenta un plinto quadrangolare e un toro poco espanso, al di sopra del quale sono intagliati due listelli degradanti e un collarino liscio. Sul piano di posa superiore è incisa una H. L'esemplare è certamente una base non finita e non è da confondere con un irrigidito capitello dorico. Databile nel V Bibl.: E.M.

727.

periore.

Base di colonna.

della

Scheggiature su parte del toro superiore.

La base è stata lasciata ad uno stadio di semilavorazione intagliando al di sopra del plinto quadrangolare un

724.

(Tav. 81)

carattere esattamente uguale alla sigla del n. 478, alla cui

Alessandria, Kom

Wadi Naturn, Deir Abu Makarios. Spezzati gli spigoli del plinto; scheggiature sull’elemento cilindrico superiore. Marmo. Alt. cm. 12,5; lato plinto cm. 40; diam. sup. cm. 30,5.

irrigidito toro inferiore sormontato

la

a cia-

La base presenta un plinto quadrangolare, con 1 margini superiore e inferiore leggermente curvilinei. Lo stesso si verifica per i due tori pochi espansi e irrigiditi. Non intagliata è inoltre la scozia di separazione tra i due tori: infati i due listelli che avrebbero dovuto delimitarla non sono stati assottigliati per permetterne l'intaglio, ma sono stati lasciati piuttosto spessi, separati da una semplice scanalatura (cfr. invece il n. 724). Sul piano di posa superiore è incisa la lettera O, con

Marmo.

723.

orizzontali,

dello

spazio destinato al toro inferiore, per un’incomprensione dello scalpellino incaricato di rifinire la base, e che a questo motivo sia dovuta la ridu-

TIPO

linee

riduzione dei tori e la maggiore altezza, rispetto scuno di essi della scozia. Databile nel V - prima metà del VI sec. d.C.

sec.

RopziEwics,

d.C. in Etudes et travaux,

Base di colonna.

11, 1979, p. 199, fig. 6.

(Tav. 82)

Alessandria, Kom el-Dik. Scheggiature agli spigoli del plinto Calcare.

Uguale

al n. 726,

di cui rappresenta un'imitazione

in

calcare locale. Databile nel V sec. d.C.

728.

Base di colonna semilavorata. (Tav. 82)

Alessandria, giardini del museo,

Abrasioni sui lati del plinto. Marmo proconnesio. Alt. cm. cm.

di provenienza sconosciuta.

9,5; diam.

sup.

cm.

30; lato plinto

37.

477

Si conserva un plinto quadrangolare molto irregolare ed il toro inferiore molto ridotto. Non sono stati intagliati né la scozia,

né il toro superiore,

che sono stati lasciati nella

forma cilindrica tipica dello stadio di semilavorazione. Si osservi la linea ondulata che segna il margine superiore del toro. Tutta Ja superficie presenta una scalpellatura a gradina, secondo linee ondulate e parallele.

8:

CON

PLINTO

MOLTO

ALTO

E PROPORZIONI

ALTE-

RATE.

729.

Base di colonna.

(Tav. 81)

Cairo, museo copto. Lievi scheggiature sui margini del toro superiore e del plinto. Marmo. Alt. cm. 33; alt. plinto cm. 9.

cristiana. Scheggiati

la concavità poco accentuata, tra due spessi listelli. Va ri-

levato come il plinto sia molto alto in rapporto all’altezza complessiva della base. Al di sopra del toro superiore è visibile una sorta di scamillus circolare piuttosto sporgente che rappresenta forse l’estremità dell’imoscapo della colonna.

Va notato ancora che nel suo insieme la base presenta proporzioni piuttosto tozze. Databile nel IV-V sec. d.C. Base di colonna. (Tav. 82)

Hermoupolis Magna

(Ashmunein), Alt. cm.

32; lato plinto cm. 46.

La base è articolata in un plinto molto alto e in due tori dal profilo, irrigidito separati da una scozia priva di curvatura: va rilevato come questa sia inquadrata da due spessi listelli che hanno perso ogni rapporto con essa divenendo modanature autonome. AI centro di due lati opposti è visibile un profondo incasso verticale a sezione rettangolare per l’inserimento di

transenne.

È possibile che questa base e i seguenti nn. 731-732 fossero impiegate per le colonne del matroneo della Basilica cristiana.

Databile nella prima metà del V sec. d.C.

478

lapidario nei pressi della Basilica

quasi del tutto il margine

del toro superiore e gli spigoli

Su un altissimo plinto, che assume evidentemente anche la funzione di piedistallo (cfr. nn. 736 ss.), poggiano due tuata e delimitata da spessi listelli. Uno degli spigoli del plinto è intagliato ad angolo, come se dovesse esservi inserita una lastra. Le eccessive altezze della scozia e dei listelli e la conseguente mancanza di proporzione tra i singoli elementi denotano una cronologia tarda. È possibile che questa base, insieme ai nn. 730 e 732, fosse impiegata per le colonne del matroneo della Basilica cristiana. Databile nella prima metà del V sec. d.C. Base di colonna.

Hermoupolis cristiana.

Magna

(Tav. 82)

(Ashmunein),

lapidario nei pressi della Basilica

Scheggiati buona parte del margine del toro superiore e gli spigoli del plinto. Calcare.

Uguale al n. 731. Su uno dei lati il plinto presenta al centro

un incavo

verticale a sezione rettangolare, forse per l’inserimento di una lastra di transenna. Sul piano di posa superiore è inciso un x. È possibile che la base fosse impiegata nelle colonne del matroneo della Basilica cristiana. Databile nella prima metà del V sec. d.C.

area della Basilica cristiana.

Ampie scheggiature sul plinto e minori sul toro superiore. Calcare nummulitico.

(Tav. 82)

del plinto. Calcare. Alt. cm. 34.

732. La base presenta due tori separati da un’alta scozia, con

730.

Base di colonna.

Hermoupolis Magna (Ashmunein),

tori, separati da un’alta scozia dalla concavità poco accen-

Databile nel III-IV sec. d.C.

Tipo

731.

733.

Base di colonna. (Tav. 82)

Kom Ombo, lapidario accanto al tempio di Sobek e Haroeris, dalla Basilica cristiana. Lievi scheggiature sparse. Calcare.

L'esemplare

è lavorato sommariamente,

con il toro infe-

riore piatto e quasi verticale, la scozia eccessivamente alta e quasi priva di concavità e il toro superiore molto ridotto. Piuttosto alto & anche il plinto inferiore. Uno dei lati presenta un profondo incasso verticale per

l'inserimento di transenne. L'evidente abbandono delle proporzioni tradizionali nel rapporto tra le modanature colloca l'esemplare piuttosto tarda (V sec. d.C. ?).

in epoca

IV BASI CON

Tipo

9:

PIEDISTALLI

RISPETTO DA

AL

SCOZIE

734.

CON

PLINTO

CORONAMENTO

E BASI

ACCENTUATAMENTE

SUPERIORE A DUE

CONCAVE,

RIENTRANTE

TORI

SEPARATI

IN CALCARE.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 82)

La base presenta una scozia tra due tori, dei quali il superiore è poco espanso, ed è intagliata insieme al plinto ed al piedistallo. Questo è parallelepipedo, con coronaa listello,

ovolo

e astragalo

liscio

e con

semplice

zoccolo sporgente inferiore. Esemplari

quasi

uguali

sono

utilizzati per le altre co-

lonne del tetrastilo!. Un richiamo molto simile è con un piedistallo da Antinoe (n. 736). Databile nella prima metà del II sec. d.C.

Piedistallo di base di colonna.

Antinoe,

convento

87;

paleocristiano,

saggio nel pavimento

del chiostro,

Il piedistallo è composto da uno zoccolo inferiore, sormontato da un sottile toro e da una gola diritta. Segue il fusto, modanato superiormente con una fascia leggermente sporgente rispetto alla sua larghezza. Il coronamento è divisibile in due zone: la prima che si espande superiormente,

sagomata

WACE,

in MittKairo, 6, 1935, p. 93, fig. 6, che ripro-

con

due

listelli,

un

ovolo

liscio,

due

astragali lisci; la seconda, separata dalla prima per mezzo di un ampio listello, riprende le modanature della parte inferiore, essendo sagomata con una gola diritta. Su questa si imposta un plinto, tramite la mediazione di un listello. Era su quest’ultimo che doveva poggiare la base, probabilmente con due tori e pertinente ad una colonna. Confronti molto simili possono istituirsi con esemplari di Hermoupolis

Bibl: E. BARAIZE, in ASAE, 40, 1940, p. 741 ss.; tav. MeEGAW, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 49, tav. 11, 1.

1 Cfr. Ronczewski,

736.

dalla sottostante via «Trionfale» Si compone di due parti trovate separate. Calcare. Alt. cm. 133; lato sup. cm. 130; lato zoccolo inf. cm. 150.

Hermoupolis Magna (Ashmunein), tetrastilo al centro del portico nord sul fianco della Basilica cristiana. Scheggiature sul toro superiore e sul coronamento del piedistallo. Calcare. Alt. cm. 135; lato zoccolo inf. cm. 154; alt. base cm. 44.

mento

PIEDISTALLO

e, in marmo,

di Alessandria,

e di Saggara (nn. 734-749). Un'analoga strutturale si ritrova nel piedistallo della Pompeo»

ad Alessandria

di S. Mena

impostazione Colonna «di

(n. 40).

Questi confronti riportano ad un'epoca tarda: le grandi dimensioni del plinto, che presuppongono colonne con

duce una delle basi del tetrastilo (qui nel testo Fig. 122), arricchendo nel disegno le modanature dello zoccolo in base a quelle di un altro piedistallo (cfr. scritta a mano a sinistra in basso del disegno).

diametro inferiore di circa un metro e alte intorno ai 7

735. Base (Tav. 82)

m., possono far pensare ad un rifacimento tardo della via «Trionfale» o ad una fase precedente della chiesa paleocristiana, di cui non si sono conservate le tracce. Databile alla fine del III-IV sec. d.C.

di

colonna

su

coronamento

di piedistallo.

Hermoupolis Magna (Ashmunein), presso il propileo occidentale ingresso al complesso basilicale cristiano!. Spezzati tre degli spigoli e numerose scheggiature. Calcare.

di

La base è intagliata insieme al solo coronamento del piedistallo, modanato con due astragali lisci, sormontati da due listelli. Il coronamento è collegato per mezzo di un cavetto direttamente al plinto della base. Questa è costituita da due tori separati da un’alta scozia, limitata superiormente da un listello piuttosto spesso. Se la base faceva parte del propileo di entrata all’atrio che

precede

ad

ovest

la Basilica,

essa

doveva

essere

co-

munque di reimpiego”. Databile forse all’età tardo-antonina. Bibl.: Wace,

MEGAW,

! Cfr. Wace,

SKEAT, Hermopolis Magna,

MEGAW,

SkgAT, Hermopolis Magna, p. 61: la base è

invece non si conservano. Le colonne sarebbero state collocate tra due ante, distanti circa m. 11,6: di conseguenza è stato ipotizzato un frontone siriaco, con l'arco poggiante sulle colonne e architravi orizzontali tra le colonne e le ante, in modo analogo alla facciata supposta nell'entrata retrastila sul lato nord del complesso (cfr. nn. 387, 734).

? Cfr.

R.D.

AnprEws,

Expedition in Pagan

D.M.

BatLey,

Ashmunein

1983,

British

to Middle Egypt, London 1984 p. 87, fig. c; D.M. Gods and Shrines of the Roman Empire, Oxford

1986, p. 236, per la metà inferiore di un capitello (n. 393), attualmente conservato in prossimità della base, attribuito ad un tetrastilo all'incrocio della strada Antinoitica con il dromos di Hermes.

! Va rilevato inoltre che il piedistallo è stato rinvenuto a pochi metri di distanza dal luogo di ritrovamento delle due basi (n. 715) e dei frammenti

di colonna di granito,

che tuttavia hanno

dimensioni

molto

mag-

giori rispetto al piedistallo: non dovrebbero dunque far parte dello stesso monumento, a meno che i plinti non siano appartenuti ad un ordine superiore, in cui era utilizzato il calcare in luogo del granito.

Tiro 10: PIEDISTALLI CON PLINTO SUPERIORE RIENTRANTE RISPETTO AL CORONAMENTO MOLTO SCHEMATIZZATO, BASE CON TORO SUPERIORE IRRIGIDITO, IN CALCARE.

737. p. 60, tav. 23,1.

stata attribuita al propileo di accesso all'atrio che precedeva la Basilica cristiana, insieme ad un'altra, con piedistallo ugualmente intagliato a parte, e a due colonne monolitiche di granito, alte m. 7,15; i capitelli

Museum BAILEY,

Bibl: G. UGGERI, in Antinoe (1965-1968). Missione Archeologica dell’Università degli Studi di Roma, Roma 1974, p. 51, fig. 14 bis, 2.

Kom

Base di colonna, su piedistallo. (Tav. 82) Ombo,

lapidario

accanto

al tempio

di Sobek

e Haroeris,

dalla

Basilica cristiana. Lievi scheggiature sugli spigoli del plinto.

Calcare.

La base, a due tori poco espansi separati da un'ampia scozia con spessi listelli lungo i margini, poggia su un plinto quadrangolare, ed è intagliata nel medesimo blocco insieme ad un piedistallo parallelepipedo. Questo presenta lo zoccolo e il coronamento schematizzati e sporgenti a fascia. L’irrigidimento del toro superiore, solo appena sporgente rispetto allo spesso listello che lo separa dalla scozia,

sembra indicare una datazione in età tarda.

Databile nel V sec. d.C. 479

Treo

11:

PIEDISTALLI

CON

PLINTO

SUPERIORE

RIDOTTO

A

FASCIA SPORGENTE E FUSO CON IL CORONAMENTO; BASE CON PLINTO LEGGERMENTE RIENTRANTE, A DUE TORI MOLTO SCHEMATICI, QUELLO INFERIORE A SEZIONE ANGOLARE, IN MARMO.

da un listello tra due tori, quello superiore molto sottile. Nel coronamento del piedistallo inoltre liscio sostituisce i due astragali lisci. Databile nel V sec. d.C. ! La

base

reca unnumero

provvisorio

un

di inventario

unico

(176)

ovolo

relativo

ai

pezzi conservati nell’area del Serapeo, ma lì recentemente spostati dal

738.

Base di colonna, su piedistallo. (Tav. 83)

Alessandria, museo,

dalla «Tours des Romains»;

n. inv.

museo. 11903.

740.

Lievi abrasioni agli spigoli e scheggiature sul toro superiore. Marmo proconnesio.

Alt. cm. 90.

Il piedistallo presenta un alto zoccolo sormontato da un sottile toro, da un listello, da una gola diritta, da un altro sottile toro e da un listello. Il fusto è liscio e con altezza ridotta, inferiore rispetto a quella del basamento. Il coronamento è modanato con due astragali lisci, un leggero cavetto, sopra cui sporge una fascia, che rappresenta la schematizzazione del plinto superiore del prototipo originario, ora divenuto parte integrante del coronamento. Sopra è intagliata la base, costituita da un basso plinto, iscritto su uno dei lati, sopra cui vi è uno spesso toro, sagomato ad angolo ottuso, cui segue una scozia, limitata da

due

spessi

listelli

arrotondati;

l’ultima

modanatura

è

costituita da uno schematico toro superiore, dal profilo molto irrigidito ed alto circa la metà della sottostante scozia. Il piedistallo e la base sono caratterizzati da una certa mancanza di proporzioni, dovuta all’esiguità dell’altezza del fusto del piedistallo rispetto a quella totale e allo spessore eccessivo del toro inferiore rispetto al plinto. Confronti molto simili sono nella Grande Basilica di S. Mena (nn. 740-742). È possibile che l'esemplare rappresenti un prodotto rifinito

localmente,

ma

dove

esemplari

simili

di

nelle cave di Docimium,

importazione

sono

dall’ Asia

stati rinvenuti,

in Frigia?,

ad

Minore,

esempio,

e nel Proconneso.

Se le basi con piedistallo hanno una lunga tradizione nell’architettura imperiale, in particolare in quella microasiatica e siriana, tuttavia i modelli per le serie rappresentate ad Alessandria, S. Mena e di reimpiego al Cairo’, ma provenienti probabilmente dalle vie colonnate di Alessandria (in collegamento con i capitelli corinzi n. 458-

486 ss.), sono da ricercare in quelle impiegate a Costantinopoli: vanno citate le basi su piedistallo del portico teodosiano della chiesa di S. Sofia, databili tra il 404 e il 415 d.C.*. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: BOTTI, Musée, p. 3, n.7; E. BRECCIA, Catalogue du Musée d'Alexandrie. Iscrizioni greche e latine, Le Caire 1911, p. 82, n. 42. A; E. WEIGAND, in AM, 39, 1914, p. 15.

! Già demolita ai tempi del Breccia, si trovava presso la stazione di Ramley.

2J. CLAYTON 1989, p. 255.

739.

Fant,

«Cavum

Antrum

Phrygiae»,

in BAR,

482,

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 83)

Alessandria, giardini del Serapeo!, dal «Cesareo» (?); n. inv. 3510 (2). Mancanti con frattura irregolare la scozia e il toro superiore della base; spezzati o scheggiati gli spigoli del coronamento del piedistallo. Marmo proconnesio. Alt. cm. 95.

Simile

al n. 738,

ma

con

modanature

inferiori del pie-

distallo costituite da una gola diritta, limitata inferiormente 480

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 83)

S. Mena,

Grande Basilica.

Danneggiato il toro superiore e ampie scheggiature agli spigoli e intorno al coronamento del piedistallo Marmo proconnesio. Alt. cm. 103; diam.

sup. cm.

103; lato basamento cm 69.

Quasi uguale al n. 738, del piedistallo costituite da

ma con modanature inferiori un toro inferiore, uno spesso

listello, una gola diritta, un listellino e un liscio sormontato da un altro listello. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: KAUFMANN, Die Menasstadt, heiligen Menas, p. 28, fig. 17.

741.

tav.

sottile ovolo

11, 2; SEVERIN,

Marmor

vom

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 83)

S. Mena, «Grande Basilica». Si compone di due pezzi combacianti con frattura obliqua; spezzato uno spigolo dello zoccolo e scheggiature sul toro inferiore e sul plinto della base.

Marmo proconnesio.

Quasi uguale al n. 740,

bili nelle modanature

a parte piccole variazioni visi-

dello zoccolo,

con la gola diritta

resa in modo piü rigido e in quelle del coronamento, con il listello inferiore e il contiguo astragalo quasi fusi in un'unica gola rovescia, in quanto é meno marcata la distinzione tra essi. Si tratta evidentemente di piccole diversità dovute alle modalità dell'ultima rifinitura sul luogo d'impiego. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: KAUFMANN,

Treo

Die Menasstadt, tav. 67,1.

12: PIEDISTALLI CON FASCIA SUPERIORE SULLO STESSO

ALLINEAMENTO DEI LATI DEL PLINTO DELLA BASE E CON CORONAMENTO CON LISTELLO, DUE ASTRAGALI LISCI E UN ALTRO LISTELLO; BASE A DUE TORI MOLTO SCHEMATICI, QUELLO INFERIORE A SEZIONE ANGOLARE. 742.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 83)

S. Mena, «Grande Basilica». Scheggiati gli spigoli e parte di un lato del piedistallo.

Marmo proconnesio.

L'esemplare é molto simile ai nn. 740-741, anche per il profilo dei tori della base, ma se ne differenzia per piccole semplificazioni: innanzi tutto il plinto della base ha la stessa sporgenza della fascia superiore del coronamento del piedistallo, dalla quale è separata semplicemente tramite un'incisione. Inoltre le modanature del basamento — zoccolo, toro inferiore, gola diritta, cavetto — presentano le consuete piccole variazioni dovute alle modalità dell’ultima rifinitura. Uguali sono invece le modanature del coronamento rispetto al n. 741. Databile nel V sec. d.C.

Tipo 13: PIEDISTALLI CON FASCIA SUPERIORE SULLO STESSO ALLINEAMENTO DEI LATI DEL PLINTO DELLA BASE E CON CORONAMENTO CON FASCIA, CAVETTO, OVOLO LISCIO E LISTELLO; BASE CON TORO INFERIORE ARROTONDATO E TORO SUPERIORE MOLTO SCHEMATICO. 743.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 83)

S. Mena, ambiente a peristilio a nord della Basiliche («Pilgrim Court»). Lievi scheggiature agli spigoli della base e al toro superiore. Marmo proconnesio. Alt. cm. 52; diam. sup. cm. 35,5; lato zoccolo cm. 45.

Il piedistallo presenta un basamento con zoccolo, sottile

toro inferiore, zione

schematica

tra le due

corto

è liscio,

gola diritta con rigida distin-

curvature

mentre

e listello.

il coronamento

Il fusto,

piuttosto

di cerchio,

mentre

la scozia

ha una

curvatura

sche-

matica, quasi angolare, ed è caratterizzata dall’ispessimento dei listelli che la inquadrano; il toro superiore, come negli esemplari precedenti, ha un aspetto cilindrico. Per il profilo del coronamento si può confrontare con il n. 739, rispetto a cui ha però perso la distinzione struttuDatabile nel V sec. d.C. ! Cfr. J. Kosciux, in MittKairo, 40, 1984, p. 139 ss.

Menas, p. 28, fig. 15.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 83)

S. Mena. Scheggiature lungo il toro superiore e su un lato della base. proconnesio.

Alt. cm. 54.

Simile al n. 743, rispetto a cui è lavorata più accuratamente la base, come mostrano i profili arcuati dei tori e la concavità ben delineata della scozia,

il cui listello supe-

riore sporge rispetto al toro soprastante. Inoltre su un lato del fusto la superficie è stata ribassata, in modo da ottenere una sorta di tabella con anse sporgenti alle estremità. Databile nel V sec. d.C.

745.

l’aspetto da

un

di gola

alto

nella resa delle modanature santuario di S. Mena! (cfr.

rovescia.

zoccolo,

Il basa-

seguito

da

uno

minori, sono n. 743-744),

impiegati nel mentre molto

simili si trovano a Saqqara e nel convento Bianco presso

Sohág?. Databile nel V sec. d.C. ! A.W. MULLER WIENER, in MittKairo, 21, 1966, p. 11 ss., tav. LXX. ? MONNERET DE VILLARD, Sohag, p. 125, tav. 176.

746.

Base di colonna su piedistallo.

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. G

372. Lievi scheggiature agli spigoli dello zoccolo. Marmo proconnesio. Alt. cm. 59; diam. toro superiore zoccolo cm. 44,5x 44.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 83)

Alessandria, giardini del museo, dalla demolizione delle fortificazioni arabe («Cesareo»); n. inv. 12071 (G 776). Lievi scheggiature sparse. Marmo proconnesio. Alt. tot. cm. 74; alt. base cm. 16; diam. toro

sup. cm. 30, 5; lato plinto cm. 35.

La base è composta da un sottile plinto e da due alti tori separati da una scozia scarsamente concava e con listello superiore ingrossato: il toro inferiore è rigidamente articolato in una zona cilindrica distinta ad angolo vivo da un’altra sagomata a leggero arco; il toro superiore è invece soltanto cilindrico (cfr. con i nn. 738, 740-742). La base è intagliata insieme al piedistallo con basamento e coronamento sagomati: il coronamento presenta una fascia superiore, un listello, un ovolo e un altro listello, con la distinzione poco marcata, anche se non as-

cm.

31; lati

Uguale al n. 745. Due incassi verticali sono visibili su due lati contigui. Databile nel V sec. d.C. Base di colonna su piedistallo. (Tav.

Alessandria, giardini del museo,

? Un esemplare uguale a questo, sempre proveniente da S. Mena, è conservato nel Museo di Francoforte: SEVERIN, Marmor vom heiligen

Marmo

costituito

stretto toro inferiore e da una scozia molto ridotta, con spesso listello inferiore: viene così a formarsi una sorta di gola rovescia molto irrigidita. Il toro superiore è appiattito e obliquo. Seguono ancora tre listelli degradanti. Il fusto del piedistallo è liscio e piuttosto corto. Esemplari quasi uguali, anche se con piccole variazioni

747.

rale tra coronamento e plinto?.

744.

chiaramente è

presenta un listello,

un ovulo liscio, un leggerissimo cavetto e una fascia. Sullo stesso piano di questa vi è il plinto che ne ha lo stesso spessore e dalla quale è separato tramite un'incisione. Il toro superiore della base è profilato a leggero arco

sumono mento

83)

forse da S. Mena.

Scheggiature superficiali agli spigoli del piedistallo e del plinto della base.

Marmo proconnesio. Alt. cm. 47,2; alt. base cm. 19; diam. toro sup. cm. 32; lato plinto cm.

32,5.

Uguale ai nn. 745-746, se ne differenzia per il fatto le modanature del basamento sono quasi rifinite e non timate del tutto: infatti ci si è limitati ad arrotondare spigoli dei tre gradini dai quali dovevano ricavarsi le gole modanature. Databile nel V sec. d.C. 747^.

che ulgli sin-

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 83)

Alessandria, magazzini del museo, da una cisterna rinvenuta scavo delle fondazioni della «London Bank»; n. inv. 16164. Lievi scheggiature. Marmo. Alt. cm. 50; lato plinto cm. 34.

nello

Molto simile al n. 745, rispetto al quale presenta il plinto della base fuso con il piano superiore del piedistallo, senza una scanalatura di separazione, come invece nei nn. 742-746. Databile nel V sec. d.C. 747B.

Base di lesena su piedistallo. (Tav. 83)

Alessandria, magazzini del museo,

dal «Cesareo»; n. inv. 3558.

Lievi scheggiature. Marmo.

Alt. cm. 90, 5.

Simile per le modanature ai nn. 744-747, rispetto ad essi presenta il basamento del piedistallo molto alto, a scapito del fusto, che risulta corto e diviso in due fasce. Si osservi ancora come sul lato destro il piedistallo e la base presentano un taglio verticale, in quanto forse l’elemento era addossato all’angolo di una parete. Databile nel V sec. d.C. 481

748.

Base di colonna su piedistallo.

Alessandria, giardini del museo,

forse dalla «London

Bank»;

n. inv.

17847 ? (G 759). Leggere abrasioni agli spigoli.

Marmo proconnesio, Alt. cm. 47; alt. base cm. 19,5; diam. toro sup. cm.

30; lati plinto cm. 33,8x31.

Uguale al n. 745, rispetto a cui presenta la sagomatura superiore del basamento del piedistallo piü esplicitamente

a forma di gola rovescia. Databile nel V sec. d.C.

tato da una scozia inquadrata da due listelli, quello superiore arrotondato e sporgente rispetto al toro superiore; questo,

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 84)

Saqgara, convento di Apa Geremias, «Refektoriumskapelle». Scheggiature sui tori della base e sugli spigoli del coronamento del piedistallo e del plinto della base. Marmo proconnesio. Alt. cm. 53; diam. sup. cm. 46; lato zoccolo

Il basamento montato

da

un

del piedistallo presenta uno zoccolo, toro

inferiore,

da

un

cavetto

con

sor-

listello

sottostante, da un toro superiore e da un altro listello. Il fusto è liscio e piuttosto ridotto in altezza, mentre il coro-

namento è costituito da un listello, un ovolo liscio, un caun

secondo

listello

e una

fascia.

Questa

è divisa

dal plinto della base, di altezza inferiore alla fascia stessa, per mezzo di una semplice incisione. La

base

è costituita

da

due

tori

arrotondati,

piuttosto

sottile quello superiore: essi sono separati da una scozia inquadrata da due listelli, di cui quello soprastante, arro-

tondato sporge rispetto al toro superiore. Su due lati opposti l’elemento presenta un profondo incasso verticale a sezione rettangolare, per l’inserimento di

una transenna. Sul piano superiore una zona centrale circolare è leggermente ribassata e mostra tracce di picchiettatura, formando una sorta di anathyrosis. La cappella del refettorio è attribuita alla seconda metà del VI secolo d.C., mentre le basi con piedistallo ed anche i capitelli trovati nel suo interno sono da conside-

rare di reimpiego!. Bibl.: P. GROSSMANN,

in MittKairo,

36,

1980, p. 197 ss., tav. 41,a.

! GROSSMANN, art. cit. in bibl., p. 198.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 84)

Saqqara, convento di Apa Geremias, «Refektoriumskapelle». Lievi scheggiature sui tori della base e sugli spigoli del piedistallo. Marmo

proconnesio.

Alt.

cm.

72; diam.

sup. cm.

47; lato base cm.

61,5.

Il basamento del piedistallo presenta uno zoccolo sormontato da un sottile toro inferiore e da una gola diritta, delimitata inferiormente da un listello: questa inoltre riassume in un’unica modanatura la scozia e il toro superiore; seguono

non

essere

stato rifi-

in MittKairo, 36, 1980, p. 197 ss., tav. 41, a.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 84)

Saqgara, convento di Apa Geremias, «Refektoriumskapelle». Scheggiature sui tori della base e sugli spigoli del piedistallo. Marmo proconnesio. Alt. mass. cm. 54; diam. sup. cm. 41; Jato zoccolo cm. 55.

a cui tuttavia il cavetto e il toro superiore del basamento sono meno nettamente distinti, in modo da formare una sorta di gola diritta. La base è costituita da un plinto poco più alto che la fascia superiore del coronamento del piedistallo, da cui lo divide una semplice incisione. Sopra vi sono due tori dal profilo irrigidito, separati da una scozia inquadrata da due listelli, quello superiore arrotondato e appena sporgente rispetto al toro contiguo. Su due lati opposti l’elemento presenta un incasso verticale e sezione rettangolare, che non interessa la scozia e il toro superiore della base, per l’inserimento di una transenna. Sul piano superiore è inoltre visibile una sorta di

anathyrosis come nei nn. 749-750. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: P. GROSSMANN,

due listelli. Il fusto è suddiviso

in due alte fasce,

quella superiore leggermente sporgente a gradino rispetto a

in MittKairo,

36, 1980, p. 197 ss., tav. 41,a.

752. Base di colonna su piedistallo. (Tav. 84) Saqqara, convento di Apa Geremias, «Refektoriumskapelle». Danneggiati il toro superiore e il listello superiore della

scozia;

scheggiature sugli spigoli del piedistallo e sulle modanature del coronamento. Marmo proconnesio. cm. 57.

Databile nel V sec. d.C.

750.

sembra

Il piedistallo è quasi uguale a quello del n. 749, rispetto

cm. 54.

vetto,

cilindrica,

Bibl.: P. GRossMANN,

751. 749.

di forma

nito. Va invece rilevata l’accurata lavorazione del toro inferiore con la curvatura ben sviluppata. Come nel n. 749 il piano superiore presenta una sorta di anathyrosis. Databile nel V sec. d.C.

Alt.

cm.

72;

diam.

sup.

cm.

48; lato zoccolo

Molto simile al n. 750, a differenza del quale tuttavia il fusto del piedistallo presenta la fascia superiore sporgente di altezza minore rispetto a quella inferiore. Inoltre nelle

modanature

del

coronamento,

al di sotto

dell’ovolo

liscio, vi è un secondo ovolo liscio più sottile con listello sottostante,

invece

che

due

listelli;

ancora,

il plinto

della

base è di altezza superiore a quella della fascia superiore del coronamento. Sul piano superiore è visibile, come nei nn. 749-750, una sorta di anathyrosis. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: P. GROSSMANN,

753.

in MittKairo,

36,

1980, p. 197 ss., tav. 41,a.

Base di colonna con piedistallo. (Tav. 84)

quella inferiore. Le modanature del coronamento sono simili a quelle del n. 749, ma con raddoppiamento del listello inferiore, e ugualmente la fascia superiore è separata

Cairo, cittadella, moschea Muhammad an-Nasir ibn Qalawun. Mancante la parte superiore della base al di sopra della scozia, forse

dal plinto, piuttosto sottile, della base mediante una semplice incisione. La base è costituita da un sottile toro inferiore sormon-

uno degli spigoli del piedistallo. Marmo proconnesio. Alt. cm. 97 (fino all’imoscapo della colonna sovrastante); lato coronamento del piedistallo cm. 66.

482

sostituita da muratura con rivestimento in anelli metallici; scheggiato

Il piedistallo presenta, sottile

toro

inferiore

al di sopra di uno zoccolo,

e un

cavetto;

questo

non

è ben

un di-

stinto dai due spessi listelli arrotondati di inquadramento, insieme

ai quali forma

una

sorta di schematica

gola di-

ritta. Il toro superiore, pure ridotto, è sormontato da un listello. Il fusto, liscio, è piuttosto corto ed il coronamento superiore è modanato con un listello, due listelli arrotondati, quasi fusi in una gola rovescia, un cavetto dalla cur-

vatura irrigidita e una fascia; quest’ultima è separata dal plinto

della

base,

all’incirca

della

stessa

altezza,

tramite

una semplice incisione. La base presenta il toro inferiore arrotondato e la scozia limitata inferiormente da un listello. Va rilevato l’andamento non perfettamente rettilineo della linea superiore del plinto. Databile nel V sec. d.C.

modello di questo esemplare éx strettamente vicino ai piedistalli in marmo della Grande Basilica di S. Mena (nn.

743-744).

Databile nel V sec. d.C. 756.

Due basi di colonna su piedistallo. (Tav. 84)

Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church», ingresso principale ovest, sotto le colonne che suddividono il passaggio. Abrasioni sul toro superiore e sugli spigoli del piedistallo. Granito di Assuan. Alt. cm. 53; diam. sup. cm. 43,5; lato zoccolo cm. 51.

Le modanature di coronamento del piedistallo sono ridotte ad un'unica fascia sporgente, non divisa dal plinto della base. Questa presenta un sottile toro inferiore, una scozia inquadrata da due listelli, piuttosto spessi, e un alto toro superiore cilindrico. Databili

Tipo

14: CON FUSTO SOSTITUITO DA PULVINI.

754.

Cairo, cittadella, moschea Muhammad del

! Le

an-Nasir ibn Qalawun.

scheggiature sui tori e sul plinto della base e sullo zoccolo

piedistallo;

scheggiature

minori

sulle

modanature

V

sec.

Bibl.: P. GROSSMANN,

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 84)

Ampie

nel

d.C.,

gli elementi

furono

reimpie-

gati nel portale ovest della chiesa durante la fase principale del secondo quarto del VII sec. d.C.?.

del

corana-

colonne

sono

in MittKairo, alte m.

3,24,

27, con

1971, p. 175. diametro

inferiore

di cm.

46 e

diametro superiore di cm. 42. ? Cfr. P. GROSSMANN, in MiftKairo, 38, 1982, p. 159.

mento.

Marmo proconnesio. Alt. cm. 71; lato zoccolo cm. 60.

Il piedistallo zione

del

fusto,

757.

si distingue dai precedenti per la decorache

ha

assunto

la forma

dei pulvini

con

foglie d’acqua agli spigoli e la restante superficie a imbricature, con al centro di ogni lato una rosetta. Va inoltre rilevato come nette incisioni separino lo zoccolo dal toro inferiore del basamento e la fascia superiore

del coronamento dal sottile plinto della base. In questa la scozia è piuttosto alta rispetto ai due tori. Databile al V sec. d.C.

Tipo 15: IMITAZIONI MARMOREI.

755.

IN CALCARE

E IN GRANITO

DEI

TIPI

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 84)

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 84)

Alessandria, giardini del Serapeo!, dalle vicinanze di Hagar el Nawatieh, nell’«antico edificio» di Abou’] Hid. Abrasioni e scheggiature sugli spigoli e sulle modanature del piedistallo. Granito di Assuan. Alt. cm. 100; diam. sup. cm. 56.

Il piedistallo presenta le modanature del basamento e del coronamento ridotte a semplici fasce sporgenti, fuse rispettivamente con lo zoccolo e con il plinto della base ed alle quali si collega la superficie concava del fusto. La base è costituita da due tori appiattiti, separati da una scozia dalla curvatura pure poco accentuata e inquadrata da due listelli, quello superiore arrotondato e sporgente rispetto al toro soprastante. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: Borri, Musée,

p. 486, sala XII, n.

13.

S. Mena, area della «Piccola Basilica». Scheggiature sugli spigoli e sulla superficie. Calcare. Alt. cm. 85.

I] piedistallo presenta un alto zoccolo con una fascia inferiore sporgente e lasciata grezza su due lati opposti. Il basamento è modanato con due tori, appiattito quello inferiore e sagomato ad ovolo liscio quello superiore; questi sono separati da una modanatura, sempre ad ovolo liscio ma più sottile di quella soprastante, delimitata inferiormente da un listello. Il fusto è liscio e di altezza ridotta. Il coronamento

è modanato

con un listello, un ovolo liscio

e un secondo listello, sopra cui sporge la fascia superiore, separata tramite una semplice incisione dal plinto della base,

della stessa altezza.

La base presenta uno spesso toro inferiore dalla curvatura irregolare, una sottile scozia inquadrata da due listelli e un toro superiore cilindrico. Va rilevata una certa sommarietà nella lavorazione, visibile nello spessore disuguale dei due tori, anche se il

Treo

758.

16: CON MODANATURE

SCHEMATIZZATE.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 84)

Alessandria, Kom

esch-Shogafa,

giardini all'ingresso della necropoli.

Scheggiature sul toro superiore della base, sugli spigoli e su uno dei lati del piedistallo. Calcare. Alt. cm. 71; lati zoccolo cm.

58x 52.

X

Il piedistallo & costituito da uno zoccolo, separato per mezzo di un'incisione da un listello e da una modanatura obliqua derivante dalla schematizzazione delle modanature del basamento. Anche il coronamento ha un profilo angolare, per un analogo processo di semplificazione. La fascia superiore é fusa con il plinto della base. Questa presenta un toro inferiore dalla curvatura appiattita, una scozia tra due listelli e un alto toro superiore cilindrico. Databile nel V sec. d.C. 483

Treo 17: PIEDISTALLO CON MODANATURE SCHEMATIZZATE E RIDUZIONE DELLA BASE AD UN SOLO TORO.

759.

ma con nette incisioni che

Quasi uguale ai nn. 759-760,

separano i listelli della fascia superiore, fusa con il plinto,

e dallo zoccolo del piedistallo. Databile nella seconda metà del VI - inizi VII sec. d.c.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 85)

Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church». Ampie scheggiature sulla fascia superiore e sullo zoccolo del piedi-

175; H.G.

1971, p.

Bibl.: P. GROssMANN, in MittKairo, 27, in MittKairo, 38, 1982, pp. 184-185.

SEVERIN,

stallo.

Calcare. Alt. cm. 62; diam. sup. cm. 42; lato zoccolo cm. 54.

762.

Il piedistallo presenta uno zoccolo sormontato da una sagomatura piatta e obliqua che rappresenta la schematizzazione delle modanature del basamento. Il fusto, di altezza piuttosto ridotta, è diviso in due fasce di uguale altezza da una netta incisione orizzontale,

mento

mentre

è costituito da un’altra sagomatura

il corona-

obliqua,

da un

listello e da un’alta fascia, separata dal plinto della base per mezzo di un’incisione; altre due incisioni dividono il

plinto in tre fasce sottili. La base è ridotta ad un toro inferiore dalla curvatura appiattita, sormontato da un elemento cilindrico che non

sostituisce la scozia e il toro superiore, ma rappresenta l’imoscapo del fusto. Sul piano di appoggio superiore è incisa la lettera K. Basi molto simili sono ancora in posto nella «tomb churc»!, probabilmente attribuibili alla tarda trasforma-

zione di questo edificio?. La

base

è stata messa

in opera

nella fase

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 85) «Main

di Apa Geremias,

convento

Saggara,

collocata ai

Church»,

lati dell’ingresso all’estremità est del portico lungo il fianco sud.

Lievi scheggiature sugli spigoli. Calcare. Alt. cm. 67; diam. sup. cm. 39; lato zoccolo cm. 50.

Simile ai nn. 759-761, il piedistallo presenta tuttavia le

sagomature oblique di altezza ridotta rispetto allo zoccolo e all’alta

fascia

superiore,

fusa

con

il plinto.

Il fusto

si

presenta liscio, privo di divisione in fasce. La base presenta inoltre l’elemento superiore di forma vagamente

troncoconica e piuttosto alto. Sul piano di appoggio superiore sono incise la lettera N e, in corrispondenza degli assi, due linee perpendicolari che si incontrano

al centro,

Databile d.C.

seconda

nella

segnato

metà

Bibl.: P. GRossMANN, in MittKairo, in MittKairo, 38, 1982, pp. 184-185.

del

27,

da un forellino.

VI

1971, p.

- inizi

VII

175; H.G.

sec.

SEVERIN,

principale

della chiesa, durante il secondo quarto del VII sec. d.C.?, ma è da considerare di reimpiego come le altre della navata (nn. 760-762). Databile nella seconda metà VI - inizi VII sec. d.C. Bibl.: P. GrossMann, in MittKairo, 27, in MittKairo, 38, 1982, pp. 187-185.

1971, p.

175; H.G.

SEVERIN,

rata su una precedente struttura del V sec. d.C. 3 Cfr. P. GrossMmann, in MittKairo, 38, 1982,

p.

159:

alla navata

della chiesa erano pertinenti in origine diciotto basi con piedistallo, di cui nella fila nord se ne conservano in situ almeno otto, e altre due nella fila sud (cfr. H.G. SEVERIN, in MittKairo, 38, 1982, p. 184).

Saqgara, convento di Apa Geremias, «Main Church» Mancante uno degli spigoli del basamento e del fusto del piedistallo e scheggiati gli altri spigoli e l'elemento cilindrico della base. Calcare. Alt. cm. 59; diam. sup. cm. 41; lato zoccolo cm. 51. senza le incisioni a dividere

la fascia superiore del coronamento del piedistallo dal plinto della base. Su uno dei lati è presente un incasso verticale per l'inserimento di una transenna. Databile nella seconda metà del VI - inizi VII sec. d.C. Bibl.: P. GROSSMANN, in MittKairo, 27, in MittKairo, 38, 1982, pp. 184-185.

761.

1971, p. 175; H.G.

SEVERIN,

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 85)

Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church». Scheggiature sull'elemento cilindrico della base e sugli spigoli del piedistallo. Calcare. Alt. cm. zoccolo cm. 14.

484

64; diam.

sup.

cm.

CON

PIEDISTALLO

763.

PARALLELEPIPEDO

50; lato zuccolo

cm.

68; alt.

E BASE

RI-

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 85) «Main Church»

Scheggiature sugli spigoli. Calcare. Alt. cm. 47; diam. sup. cm. 40,5; lato zoccolo cm. 50.

Il piedistallo & semplificato in un elemento parallelepipedo che comprende anche il plinto della base; quest'ultima

è ridotta

ad un

sottile toro inferiore,

dalla curvatura

appiattita e piuttosto sporgente, sormontato da un alto elemento troncoconico che riore della colonna!.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 85)

Quasi uguale al n. 759, ma

18:

DOTTA AD UN TORO.

Saqqara, convento di Apa Geremias,

! H.G. SEVERIN, in MittKairo, 38 1982, pp. 177-178. 2 Ip., p. 182, dove si parla di una trasformazione nel 600 d.C., ope-

760.

Tipo

viene

a costituire la parte infe-

La base è stata messa in opera nella fase principale della chiesa, durante il secondo quarto del VII sec. d.C.?,

ed è probabilmente contemporanea ad essa. Bibl.: P. GROSSMANN,

in MittKairo, 27, 1971, p. 175.

! Si tratta di una forma che compare in altri ambienti e che talvolta puó essere interpretata come dovuta all'impiego di basi semilavorate, di cui, invece di intagliare la parte superiore, ci si è limitati a lisciare la superficie: cfr. forme simili a S. Giovanni in Efeso (R. KRAUTHEIMER, Architettura

paleocristiana

e bizantina,

ed.

italiana,

Torino

1986,

p.

247, fig. 133. ? Cfr. P. GROSSMANN,

764.

in MittKairo,

38, 1982, p. 159.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 85)

Saqqara, convento di Apa Geremias, «Refektoriumskapelle ». Scheggiature sugli spigoli e sul margine superiore dell'elemento tronconico della base. Calcare. Alt. cm. 38; diam. sup. cm. 36.

Il piedistallo è ridotto ad un unico elemento parallelepi-

pedo, sopra cui è intagliata la base, con toro inferiore dal profilo ad angolo ottuso e con alto elemento

superiore di

forma vagamente troncoconica. Su uno dei lati il toro non sembra sporgere rispetto all'elemento superiore, forse perché addossato in origine alla parete. Databile nella seconda metà del VI - inizi VII sec. d.C.

Tipo

Base a zoccolo di colonna.

La parte superiore della base è a forma troncoconica, mentre quella inferiore è costituita da un irregolare parallelepipedo in funzione di zoccolo. L’elemento non rappresenta una prima fase di lavorazione di una base destinata ad essere sagomata con i tori e con il plinto, come invece è visibile nei nn. 725-726, 733), bensì è da collegare tipologicamente con i nn. 763-

764 di Saqqara: è quindi da considerare un sostegno semsi é peró persa anche la cilindrica, presente invece uso in epoca molto tarda. cioè ad un semplice zocRosso del Sohag e nella

chiesa di Luxor’. Databile alla fine del V - VI sec. d.C. ! MoNNERET DE VILLARD, Sohag, p. 125, fig. 177.

Base a zoccolo di colonna.

Elephantine, museo,

(Tav. 85)

Base a zoccolo di colonna. lapidario

accanto

al tempio

(Tav. 84)

di Ammone,

dalla

Basilica

cri-

stiana. Leggere abrasioni agli spigoli dell'abaco e scheggiature sul margine inferiore.

L'esemplare presenta la parte superiore troncoconica, mentre la parte inferiore, sporgente rispetto a quella soprastante, & parallelepipeda. Il piano di posa superiore, picchiettato, presenta un’incisione circolare lungo il bordo. Questa base, come altre quasi uguali, è stata rinvenuta presso la Basilica cristiana di Luxor ed era probabilmente

impiegata in questo edificio. Databile alla fine del V-VI sec. d.C. ! MONNERET DE VILLARD, Sohag, p. 125, fig. 177; cfr. anche Ip., in MIFAO,

83, 1986, fig. 16.

CON

PIEDISTALLO

A FORMA

DI PILASTRINO.

769. Base di colonna su piedistallo a pilastrino. (Tav. 86) Wadi Natrun, Deir Abu Makarios.

Lievi scheggiature. Marmo proconnesio. Alt. cm. 150; alt. base cm. 14; diam. sup. cm. 19.

La base è articolata in due rigidi tori — quello superiore quasi cilindrico — separati da un’irregolare scozia inquadrata da spessi listelli arrotondati; essa sormonta un piedistallo dalla forma di pilastrino, sul fronte decorato da un lacunare rettangolare con incisione mediana, mentre sul fianco destro presenta una cavità rettangolare per l’incasso dei plutei. La base, che era sormontata da una colonnina di minore altezza del pilastrino, doveva essere inserita in un recinto, forse presbiteriale, con la funzione di separare i plutei. Si tratta di una tipologia piuttosto nota in epoca bizantina (da elementi

simili, che con-

servano anche la colonnina e il capitello, della Basilica di Parenzo)!, che si può ritenere legata a pezzi di importazione dalle cave del Proconneso, che fu ampiamente imi-

Uguale al n. 765, rispetto al quale presenta incisa una E su uno dei lati dello zoccolo. Databile alla fine del V-VI sec. d.C.

Luxor,

20:

ultimo si confronti con numerosi

da Assuan.

Leggere abrasioni agli spigoli dell'abaco e sul margine inferiore. Granito rosa di Assuan. Alt. cm. 60.

767.

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Lievi scheggiature sugli spigoli. Granito di Assuan. Alt. cm. 20; lati zoccolo cm. 24,5 x 24.

Tipo

Granito rosa di Assuan. Alt. cm. 60.

766.

(Tav. 85)

(Tav. 85)

Elephantine, museo, da Assuan. Leggere scheggiature sul contorno inferiore e sull’abaco.

plificato di colonna, nel quale modanatura alla base della parte a Saqqara, secondo modalità in Infatti basi quasi uguali, ridotte colo, si trovano nel Convento

Base e zoccolo di colonna.

La base è simile ai nn. 765-766, rispetto ai quali presenta la parte inferiore in proporzione piü alta e la parte superiore di forma quasi cilindrica. Databile alla fine del V-VI sec. d.C.

19: SEMPLIFICATO A ZOCCOLO.

765.

768.

tata localmente;

è forse presente anche in altre cave,

potrebbe arguirsi da pilastri Thasos (Aliki)?. Databile nel VI sec. d.C. ! A. SONJE,

in Festschrift F.W.

con

Deichmann,

135, tavv. 27, 2-4; 29,1. ? J.P. Sopint, in Aliki. 2. Etudes Thasiennes

769A.

colonnette

Bonn

come

simili

1986,

10, 1984, tav.

pp.

di

133-

14,i.

Base di colonna su piedistallo. (Tav. 86)

Alessandria, magazzini del museo, da el-Dekhelah, stero di Hennaton; n. inv. 13856. Scheggiature lungo il toro superiore della base. Marmo. Alt. cm. 89.

forse dal mona-

Simile al n. 769, l'esemplare presenta sul fianco del pilastrino l’incasso verticale della transenna. Più decisamente sproporzionate sono le modanature della base vera e propria, nella quale il toro superiore e la scozia sono leggermente espansi in alto. Databile nel V - prima metà del VI sec. d.C.

485

V BASI CON

PIEDISTALLO

E PILASTRO

769B. Base con piedistallo e pilastro ottagonale.

diversi elementi di fusti e basamenti poligonali, quasi tutti della stessa provenienza! e ancora capitelli corinzieggianti che sormontavano pilastri della stessa forma (nn. 311313): si tratta quindi di un sostegno architettonico identifi-

(Tav. 86) Alessandria,

magazzini

Tousson; n. inv.

del

museo,

da

Canopo

(Aboukir),

OTTAGONALE

dono

18510.

Scheggiature lungo la superficie.

cabile come pilastro e dotato di basi e di capitelli, eviden-

Calcare. Alt. cm. 35.

temente secondo una moda nota ad Alessandria in età ellenistica

L'elemento presenta il plinto ottagonale, su cui s'imposta una sorta di toro, ugualmente ottagonale, che può considerarsi la base del pilastro della stessa forma su di esso poggiante. Va rilevato che nel museo di Alessandria si conservano

avanzata,

ed

anche

in

altre

località,

come

mo-

strano simili pilastri a Sagalassos, in Asia Minore, ecc. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. ! Dono Tousson, probabile provenienza da Canopo inv. 18414, 18427, 18458, 18461, 18467, 18516.

(Aboukir),

nn.

VI BASI DI COLONNA

TIPO

21: PIEDISTALLI

ALLINEAMENTO

DEL

CON FASCIA SUPERIORE PLINTO

DELLA

SULLO

SU PIEDISTALLO

STESSO

BASE.

770. Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86) Alessandria,

giardini del museo,

di provenienza

sconosciuta;

n. inv.

11336. Lievi scheggiature sullo zoccolo e sul toro inferiore. Marmo proconnesio. Alt. cm. 63,5; lato ottagono dello zoccolo 16.

cm.

questi ultimi due non separati da un li-

stello, per cui formano un'unica modanatura a gola diritta; segue uno spesso listello. Il coronamento è invece sagomato con un listello, un ovolo liscio, un cavetto e una fascia, fusa con il plinto della base, da cui è separata

solo tramite una solcatura. La base è costituita da un toro inferiore arrotondato, sormontato da una scozia, inquadrata da due listelli piuttosto spessi e a semplice cavetto, senza restringimento della curvatura nella parte superiore: di conseguenza, il diametro del toro superiore risulta di poco inferiore a quello dall’altro toro. Il toro superiore ha inoltre una forma cilindrica, in quanto non è stata portata a termine l’ultima rifinitura arrotondandone il profilo. Su un lato, all’altezza della fascia superiore del piedistallo

e

del

toro

inferiore

della

base,

sono

visibili

due

cavità circolari, probabilmente per l’incasso di una transenna. Basi con piedistallo ottagonale hanno una larga diffusione in Egitto e in Cirenaica e sono anche documentate in Palestina! e in Asia Minore, ad esempio nella chiesa ricavata all’interno del Tempio di Afrodite ad Afrodisia o nel Martiron di S. Filippo a Hierapolis?. Sulla larga diffusione che il tipo ebbe nel periodo bizantino, una certa in-

cidenza dovette avere il suo impiego nella S. Sofia teodosiana?.

486

I prototipi

certamente

derivano

imperiale in Asia Minore, dove ad esempio basi con piedistalli ottagonali sono impiegate nel frontescena del teatro di Hierapolis*: in queste i lati del fusto del piedistallo presentano pannelli incorniciati che avrebbero potuto essere scolpiti con motivi decorativi. È probabile che si tratti di una moda architettonica sulla scia delle basi con plinto poligonale del lato est della peristasi esterna del Didymaion di Mileto, dovute al completamento di età imperiale (I sec. d.C.): in esse a plinti poligonali, con pannelli decorati,

I] piedistallo, a sezione ottagonale, presenta un alto zoccolo sormontato da un toro inferiore, una scozia e un

toro superiore,

OTTAGONALE

dall’architettura

corrispondono

quanto

sorreggevano

ugualmente

colonne.

In

tori

età

circolari,

ellenistica

in

invece

erano certamente conosciute basi non solo con il plinto, ma anche con i tori poligonali, come rivela un pilastrino e

una base d'acanto di Alessandria (cfr. nn. 769B, 780). Il nostro esemplare é confrontabile con simili basi dal toro superiore cilindrico con piedistallo quadrato (cfr. nn. 741-742, 745), ed & possibile che anche in questo caso derivi da prodotti di importazione dal Proconnesso semilavorati. Databile nel V sec. d.C. ΤῈ. Russo, in Acta Instituti Romani Norvegiae, 6, 1987, p. 178, fig. 49,1. ? P. VERZONE, in Quaderni de «La ricerca scientifica» CNR, Roma 1978, p. 478 ss., dove il Martirion, con sedici colonne poggianti su basamento ottagonale, è datato alla fine del IV - inizi del V sec. d.C. V. anche

Ip.,

in

Corso

di

cultura

arte

ravennate

e bizantina,

1965, pp. 613-627. ? R. KRAUTHEIMER, Architettura paleocristiana e bizantina, liana, Torino 1986, p. 137.

Ravenna

ed. ita-

^ F. D’ANDRIA, T. RrrTI, Hierapolis, Scavi e ricerche, II. Le sculture del teatro, Roma 1985, p. XXV, tav. 5,3.

774.

Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86)

S. Mena,

«Grande Basilica», entrata sul fianco sud.

Fessure verticali in superficie. Marmo proconnesio. Alt. cm. cm. 18. Le

modanature

del

70; lato dell’ottagono

basamento

piedistallo, a sezione ottagonale,

e

del

dello zoccolo

coronamento

del

sono uguali a quelle del

n. 770, mentre il fusto è proporzionalmente meno alto. La base è costituita da un toro inferiore a sezione angolare, una scozia inquadrata da due spessi listelli, di cui quello superiore è arrotondato, e un toro superiore cilindrico. Databile nel V sec. d.C., e pertinente probabilmente alla fase della Basilica della fine del secolo!.

La base presenta il piedistallo a sezione ottagonale, con le modanature del basamento e del coronamento uguali a quelle del n. 770, ma con il fusto di altezza ridotta. La base è costituita da un toro inferiore dalla curvatura appiattita, sormontato da una scozia inquadrata da due listelli, quello superiore piuttosto spesso; segue un toro su-

Bibl: J.B. Warp PERKINS, in BSR, 17, 1949, p. VERIN, Marmor vom heiligen Menas, p. 28, fig. 16.

periore cilindrico. Databile nel V sec. d.C.

47,

tav.

7,2;

Se-

! Altre basi con piedistallo ottagonale erano impiegate a S. Mena nel complesso termale: cfr. KAUFMANN,

Die Menasstadt, p. 113, fig 64.

772. Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86) S.

Mena,

ambiente

a peristilio

a nord

delle

Basiliche

(«Pilgrim

Court»). Lievi scheggiature, più ampie sul toro superiore della base. Marmo proconnesio. Alt. cm. 71, 5; diam. sup. cm. 43,5; lato ottagono dello zoccolo cm. 21.

Molto simile al n. 770, eccetto che per le proporzioni diverse del fusto e dello zoccolo del piedistallo e del toro superiore della base. Databile nel V sec. d.C.

776. Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86) Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church», da una delle colonne della navata corrispondenti all’ingresso sul fianco sud. Scheggiato il toro superiore e il listello soprastante la scozia. Marmo proconnesio. Alt. cm. 68,5; diam. sup. cm. 45,5; lato ottagono dello zoccolo cm. 22.

Il piedistallo, a sezione ottagonale, presenta uno zoccolo sormontato da un toro inferiore trasformato in una sottile fascia con profilo vagamente angolare; seguono un listello, un cavetto, una modanatura obliqua che rappresenta il toro superiore e un altro spesso listello. Il coronamento presenta un listello, un irrigidito ovolo liscio e uno schematico

773. Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86) Wadi Natrun, Deir Abu Makarios.

Lievi scheggiature. Marmo.

Alt. cm. 44; diam.

Il piedistallo,

sup. cm. 26,5.

a sezione

ottagonale,

La base presenta le modana-

ture del basamento e del coronamento uguali a quelle del n. 770, mentre lo zoccolo inferiore e il fusto sono proporzionalmente di altezza minore. La base è costituita da un toro inferiore dalla curvatura ridotta, sormontato da una sempificata scozia a cavetto: questa è inquadrata da due listelli, di cui quello superiore è arrotondato e di spessore ineguale. Segue un toro superiore cilindrico.

774. Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86) Cairo, cittadella, moschea Muhammad an-Nasir ibn Qalawun. Scheggiature sugli spigoli e sulle modanature.

Calcare. Alt. cm. 80; lato ottagono dello zoccolo cm. 25. a sezione

ottagonale,

presenta le modana-

ture del basamento e del coronamento uguali a quelle del n. 770, mentre lo zoccolo inferiore e il fusto sono proporzionalmente di altezza minore. La base è costituita da un toro inferiore a sezione appena angolare, sormontato da una scozia inquadrata da due listelli, di cui quello superiore è più spesso e a sezione angolare; segue un toro superiore, poco spesso, ma nel quale è stata portata a termine l’ultima rifinitura arrotondando il profilo. Databile nel V

sec.

la

sottile

fascia

superiore

del

piedistallo

si articola in un toro inferiore arrotondato,

una

scozia inquadrata da due spessi listelli e un toro superiore quasi cilindrico, ma con la curvatura inferiore resa per mezzo di una superficie obliqua.

Databile nel V sec. d.C. Bibl.: QuIBELL, Excavations at Saggara, III, tav. 29,5; P. GROSSMANN, in MittKairo, 27, 1971, p. 175; H.G. SEVERIN, in MittKairo, 38, 1982, p. 184.

777. Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86)

Databile nel V sec. d.C.

Il piedistallo,

cavetto;

sporge leggermente rispetto al plinto della base, che è però più spesso. I lati dello zoccolo e del fusto del piedistallo presentano pannelli grezzi, allisciati solo in corrispondenza dei margini.

d.C.

Saqqara, convento di Apa Geremias, «Main Church». Spezzata con frattura verticale metà dell'elemento; Mancante inferiore dello zoccolo. Marmo proconnesio. Alt. cm. 64.

la parte

Uguale al n. 776. Databile nel V sec. d.C. Bibl. P. GROSSMANN, in MittKairo, in MittKairo, 38, 1982, p. 184.

27,

1971, p.

Treo 22: PIEDISTALLI CON CORONAMENTO PLIFICATI E BASE.

175; H.G.

SEVERIN,

E ZOCCOLO

SEM-

778. Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86)

Scheggiato in due punti il toro superiore e la parte adiacente della

Alessandria, giardini del museo, dal «Boulevard d'Allemagne»; n. inv. 18953. Scheggiature sull'elemento cilindrico della base e sullo zoccolo del piedistallo. Marmo.

scozia. Marmo.

Il piedistallo,

775. Base di colonna su piedistallo ottagonale. (Tav. 86) Alessandria, giardini del museo,

di provenienza sconosciuta.

a sezione

ottagonale,

P3

è costituito

da uno

487

zoccolo sormontato da due tori irrigiditi. Al di sopra del fusto si trovano come coronamento due ovoli lisci, ugualmente irrigiditi, a cui segue una fascia separata dal plinto della base solo per mezzo di una solcatura orizzontale. La base,

in

modo

analogo

ai nn.

x

759-762,

è ridotta

ad

un

BASI CON

Tipo

1:

CON

LANCEOLATE,

FOGLIE

DI ACANTO

SEPARATI

DAI

LOBI

DA ZONE D'OMBRA

A FOGLIETTE OVALI AD OC-

toro inferiore dalla curvatura appiattita, sormontato da un elemento cilindrico che rappresenta l’imoscapo del fusto. Va rilevato l’andamento irregolare delle linee orizzontali nelle modanature della base e del piedistallo. Databile nel VI sec. d.C.

ACANTO

TIPO OVALI QUASI

CHIELLO.

2:

CON O

FOGLIE

DI ACANTO

TONDEGGIANTI,

ORIZZONTALI,

DAI LOBI

SEPARATI

STRETTE

inferiore

di colonna

con

foglie

ZONE

D'OMBRA

E APERTE.

780. Base poligonale di semicolonna stro con foglie di acanto. (Tav. 87) 779. Parte (Tav. 87)

A TRE FOGLIETTE

DA

addossata a pila-

di acanto.

Alessandria, sala XV del museo, da Alessandria; n. inv. 3825. Scheggiati due dei lati del plinto e un lato dei due tori; fratturata irregolarmente la parte superiore della semicolonna.

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. G

Calcare, con tracce di colore verde sulle foglie, rosso sugli occhielli e sul lato anteriore del pilastro e infine giallo sui lati del pilastro. Alt.

193. Scheggiate le cime delle foglie di acanto.

cm. 34; lato inf. plinto ricostruito cm.

Granito di Assuan. Alt. cm. 55; diam. superiore cm. 86; diam. inferiore cm.

84.

L’esemplare rate,

doveva

essere lavorato

in due parti sepa-

quella inferiore relativa alla base vera e propria,

ora

mancante, e quella superiore, riguardante l’imoscapo della colonna avvolto da due corone di foglie della stessa altezza. Il piano di posa superiore presenta tre grosse concavità, con relativi canaletti di sfogo, per l’imperniatura del fusto della colonna. Le otto foglie della prima corona nascondono le parti laterali delle foglie della seconda, che nascono negli intervalli e di cui si distingue soltanto la cima, uguale a quella delle foglie della prima corona. L’acanto è caratterizzato da tre costolature

centrali a sezione

lare, verso cui convergono concava,

convessa,

quasi tubo-

i lobi laterali dalla superficie

separati tra loro da nervature,

anch’esse tubolari,

che si uniscono alle costolature centrali. Le fogliette dei lobi hanno forma lanceolata e sezione angolare e sono separate da quelle dei lobi contigui da una zona d'ombra ovale ad occhiello: le zone d’ombra si dispongono in successione ritmica, in modo da scandire il contorno delle

foglie. Il richiamo più vicino, nonostante la differenza di materiale è con l’acanto del capitello corinzio n. 180. L'esemplare

ora

decritto,

data

la sua

collocazione

ancora

in età

ellenistica per la forma dell’acanto, è stato considerato come una delle prove dell’origine ad Alessandria di questo tipo di basi con acanto!. Databile nel III sec. a.C. Bibl: Ronczewski, Musée d'Alexandrie, p. 11, fig. 7, b; R. NAUMANN, Der Quellbezirk von Nimes, Berlin-Leipzig, 1937, p. 46; MaxoWIECKA, «Acanthus-base», pp. 118-120, fig. 2; LvrTELTON, Baroque Architecture, fig. 46. ! MAKOWIECKA,

488

«Acanthus-base»,

p. 118.

18; spess. mass.

cm.

29.

La base poggia su un plinto a quattro lati ed & sagomata in due tori separati da un listello e da una scozia, dove ricompare il perimetro poligonale (ottagonale se la base fosse stata pertinente ad una colonna intera). La base é intagliata insieme al rocchio inferiore della semicolonna, che non presenta la modanatura dell'imoscapo, in quanto la sua metà inferiore è avvolta da una corona di quattro foglie di acanto alternate ad altre quattro foglie di cui sporge solo la nervatura centrale. L'acanto è percorso da fitte nervature a sezione angolare ed è articolato in nove lobi a tre fogliette delle quali quella centrale è ripiegata; i lobi sono inoltre separati tra loro da zone d’ombra quasi orizzontali, strette e aperte. Per un inquadramento tipologico delle basi intagliate in-

sieme alla parte inferiore della colonna avvolta da foglie di acanto,

si deve

innanzitutto

distinguere

tra le colonne

isolate, con cespo di acanto alla base, e quelle simili, inserite tuttavia con altre uguali in un complesso arcitettonico,

con

la

funzione

dunque

di

sostenere

una

trabea-

zione. Le prime non hanno funzione architettonica, ma votiva, o anche funeraria, e presentano un particolare significato simbolico; la loro origine è da ricercare in am-

biente greco e come esempi più noti si citano la colonna di acanto di Delfi, sormontata dalle Aglauridi! e la colonna di Pratomede del santuario di Apollo a Cirene, entrambe collegate con il culto di Apollo’. Le seconde, invece, sono state giustamente considerate come originantisi ad Alessandria: esse infatti hanno il loro presupposto nell'architettura egizia, dove frequentemente le colonne dei tempi del periodo faraonico o di stile faraonico del periodo greco-romano presentano la parte inferiore del fusto sotto forma di calice di foglie, il ché è una

regola nelle colonne di papiro. Ed è da questo tipo che nasce in ambiente alessandrino la colonna con cespo di acanto alla base e con chiara funzione architettonica, come mostrano gli esempi del Palazzo delle Colonne a Tole-

maide^,

e

mostra

l'uso

con

evidenti

dell'acanto

influssi

invece

greco-ellenistici,

delle foglie

papiro”.

come

di loto e di

|

Altro esempio noto dell’impiego di questo tipo di colonna viene dal santuario di Nimes” e da diverse località orientali, nelle quali si è riconosciuto l'influsso tolemaico’. Una qualche popolarità di questo motivo è inoltre documentata negli stili architettonici della pittura romana*. Per una definizione cronologica dell’esemplare di Ales-

sandria ci aiutano la tipologia dell’acanto, che trova confronto con quella dei capitelli corinzi nn. 190-195, e l’articolazione della base con plinto”: si può proporre l'età tardo-ellenistica

(seconda

metà

del

II

secolo

a.C.),

fino

Berlin-Leipzig,

1937,

agli inizi del periodo imperiale. Bibl.: R. NAUMANN, p. 46, figg. 38, 40. T.

HOMOLLE,

Der Quellbezirk von Nimes,

in BCH,

? E. PARIBENI,

32, 1908, p. 233, figg. 7, 9.

Catalogo

delle sculture di Cirene,

Roma

1959,

p.

405; SruccHi, Architettura cirenaica, p. 113-115, fig. 97. 3 P.

PENSABENE,

* Pesce,

in ACI,

Palazzo

delle

34,

1982,

Colonne,

pp.

fig.

58-59,

48;

nota 33.

H.

LAUTER,

in Jd],

86,

1971, p. 153, fig. 6. 5 Per tutto il problema

131. $ NAUMANN,

«Acanthus-base»,

pp.

116-

Op. cit., pp. 46-53, figg. 31-55.

7 MAKOWIECKA,

è Cfr.

v. MAKOWIECKA,

«Acanthus-base»,

ad esempio

? Manca il plinto invece nelle basi del palazzo delle Colonne a Tole(cfr. nota 4). Si osservi come

l'acanto delle basi senza plinto di

Tolemaide sia quasi uguale a quello delle basi di pilastro di Alessandria conservato

nella necropoli

di Kom

Bibl.: ADRIANI, in Annuaire,

782. Base

1935-39,

di quarto

p. 49, tav. XVI,

fig. 6.

di colonna unita a pilastro,

con

foglie d’acanto. (Tav. 87) Alessandria, magazzini del museo, da Alessandria. Scheggiata buona parte del toro inferiore; abrasioni lungo i listelli tra le scanalature. Calcare stuccato.

La base pertinente lonna

ad

esso

sia al pilastro,

addossato,

presenta

un

sia al quarto unico

toro

di coseparato

tramite una gola diritta piuttosto espansa dai due tondini superiori (cfr. n. 700B). Sopra la base nasce una corona di quattro foglie di acanto, a cui se ne alternano altre quattro con il margine nascosto dalle prime. Il quarto di colonna presenta cinque scanalature separate da listelli piuttosto spessi. Per l’acanto cfr. con il n. 781. Databile nel I sec. a.C.

p. 21 ss.

alcune rappresentazioni di teatri in pitture di IV

stile: M. BrgBER, The History of Greek and Roman Theatre, Princeton 1961, p. 233, figg. 776-778; MAKOWIECKA, «Acanthus-base», p. 121 ss. maide

delle quali quella centrale non è ripiegata — come invece nel n. 780 — e separate da zone d’ombra poco profonde; il confronto più vicino è con l’acanto del capitello corinzio n. 190. Databile nel II - prima metà I sec. a.C.

el-Shogafa

(nn.

787-789),

783.

Base

di

semicolonna

foglie di acanto. (Tav.

addossata

a

pilastro,

con

87)

Alessandria, sale XV del museo, da Gabbari; n. inv. 3787. Resta soltanto la corona di foglie, mentre la base è spezzata da un taglio obliquo; fratturati irregolarmente la colonna e il pilastro. Calcare. Alt. cm. 35.

e per le

quali non & da accettare né la proposta cronologica né lo stretto accostamento alle basi di acanto reimpiegate nell' «auditorium» di Kom el-Dik, fatti dalla MAKOWIECKA, «Acanthus-base», p. 125, nota 38. Infatti nelle basi di Kom el-Dik (nn. 798-799) sono visibili influenze proto-bizanti-

Uguale al n. 781. Databile nel I sec. a.C.

ne, mentre in quelle di Antinoe e di Leptis Magna (citate sempre dalla MAKOWIECKA,

«Acanthus-base»,

figg.

8,

10), é da vedere un influsso

dell'acanto spinoso microsiatico di età imperiale avanzata. Nelle basi del

Tipo

3:

BASI

FOGLIE

DI ACANTO

DAI LOBI

SCHEMATIZ-

ZATI,

di Aquileia, in calcare locale, molto simili, con zone d'ombra ovali tra i lobi e ancora prive del plinto secondo la tradizione tardo-ellenistica).

784. Base di semicolonna addossata a pilastro. (Tav. 87)

781.

Base

di

semicolonna

addossata

a

pilastro,

con

foglie di acanto. Alessandria, magazzini del museo, dai cantieri Finney; n. inv. 25668.

QUASI

CON

Palazzo delle Colonne e di Kom el-Shogafa, invece, l'acanto conserva ancora influssi ellenistici (così anche in alcune basi d'acanto del Museo

DENTATI.

Alessandria, 3848.

sala XV

del

museo,

dall’«interno

della città»;

n.

inv.

Scheggiati i margini laterali del pilastro e della parte superiore della semicolonna. Calcare.

Alt. cm. 23; diam.

inf. cm.

22; larg. mass.

pilastro cm. 24.

Spezzati un terzo dei due tori e buona parte del plinto; scheggiature lungo il margine laterale sinistro del pilastro e frattura irregolare nell'estremità superiore della semicolonna.

La base è articolata in due tori separati da una scozia e da un listello. Essa é intagliata insieme alla parte inferiore

Calcare. Alt. cm. 44; larg. cm. 28.

della

La base vera e propria & articolata in due tori separati da una scozia e poggianti su un plinto rettangolare. Essa è intagliata insieme con la parte inferiore della colonna, avvolta da una corona di quattro foglie di acanto a cui se ne alternano altre quattro, delle quali sono visibili soltanto le nervature mediane. La parte restante della colonna conserva dieci scanalature, alcune delle quali ancora rivestite di stucco modellato ad angolo sul listello di separazione tra le scanalature. L’acanto, pur essendo simile a quello del n. 780, si presenta con foglie più espanse inferiormente, articolate in modo meno rigido in lobi a tre fogliette tondeggianti,

colonna,

avvolta

da una

corona

di foglie

di acanto,

di cui se ne conservano tre in primo piano, alternate ad altre due nascoste dai margini delle prime. La superficie delle foglie & appiattita, con solchi superficiali per rendere le nervature; i lobi sono irregolarmente rettangolari e stretti, quasi dentati,

sicché le zone d'ombra

di separazione presentano una dimensione maggiore di questi. La mancanza del plinto, insieme ad una eccessiva schematizzazione e sommarietà nel rendimento delle foglie, rendono possibile una cronologia nel tardo I a.C. - inizi I secolo d.C. Bibl.: Botti, Musée, p. 533, sala XV,

n. 57.

489

785.

zone

Base di colonna con foglie di acanto. (Tav. 87)

Alessandria, sala XV del della città»); n. inv. 3859.

museo,

dal

«quartiere

greco»

(«interno

Scheggiato un terzo della base e abrase le cime delle foglie. Calcare. Alt. cm. 36; diam. inf. cm. 22; diam. sup. cm. 16,2; alt. foglie di acanto cm.

13,2.

Sia la base che il fusto della colonna sono in uno stadio

di semilavorazione, in quanto nella prima la sagomatura è costituita da due

fasce

sovrapposte

e degradanti,

da cui

d’ombra

larghe

ed

ovali,

d’ombra triangolare, entrambe

cui

segue

un’altra

zona

formate dall’accostarsi delle

due fogliette superiori di ogni lobo con il margine arcuato della foglietta inferiore del lobo successivo. Si osservi inoltre come i lobi delle foglie contigue, pur sfiorandosi tra di loro, non uniscono decisamente le cime delle fogliette,

in quanto

esse non

sono

ripetute

simmetricamente

contrapposte tra ogni coppia di lobi contigui, vrappongono leggermente l’una all’altra.

ma

si so-

se-

La corona di foglie presenta alla sua base un tondino

condo mancano le scanalature. Anche la corona di foglie sembra intagliata nella superficie di un cilindro, a cui si sovrappone la colonna, in

piuttosto sottile, mentre sul suo piano superiore è intagliato una specie di spesso scamillus, che forse doveva essere inserito all’interno del piano di appoggio sovrastante la colonna. I confronti più vicini per il tipo di base a due tori senza plinto e per la corona di foglie è con le basi del Palazzo delle Colonne di Tolemaide?, che presentano zone

dovevano

ricavarsi

i due

tori e la scozia,

mentre

nel

quanto non sono state staccate le cime delle foglie dal fusto;

inoltre

una

parte

della

corona

é liscia,

mancando

l'intaglio dei particolari vegetali. Le foglie sono piuttosto alte e strette, articolate in numerosi lobi dentati e con la superficie suddivisa da fitti solchi per rendere le nervature; anche le foglie in secondo piano, visibili negli intervalli delle prime, sembrano dello stesso tipo. Databile nel II-I sec. a.C. Bibl.: Botti, Musée, p. 533, sala XV,

786.

n. 68.

Base di colonna con foglie di acanto. (Tav. 87)

Alessandria, giardini del Serapeo.

Scheggiature e abrasioni lungo il toro inferiore; spezzato il fusto in alto. Calcare. Alt. cm. 52; diam. inf. cm. 27.

La base è articolata in due tori separati da una stretta scozia; essa è intagliata insieme a parte del fusto della colonna, che nella parte iniziale è avvolto da una corona di otto fo-

glie d’acanto, alternate ad altre otto foglie simili di cui si intravede sporgere la costolatura centrale nell’intervallo. Le foglie sono abbastanza appiattite e articolate in lobi frastagliati separati da larghe zone d’ombra leggermente oblique. Piuttosto sommaria è la resa dei particolari vegetali, ottenuta attraverso sottili incisioni che delimitano le nervature. Databile nel I sec. a.C.

Tipo 4: BASI CON FOGLIE DI ACANTO DAI LOBI A LARGHE FOGLIETTE LANCEOLATE (QUASI SPINOSE), SEPARATE DA GRANDI ZONE D'OMBRA AD OCCHIELLO OVALE.

d’ombra

ovali simili tra i lobi dell’acanto,

seguono

zone

d’ombra

triangolari,

a cui però non

in quanto

del vertice superiore non si toccano,

ma

le fogliette

sono aperte.

Il confronto fatto e le osservazioni sull’acanto di tipo spinoso, ma conservante una certa plasticità e movimento, con qualche tentativo naturalistico nell’evitare il formarsi delle figure geometriche tra le foglie, sembra indicare una diversità sostanziale dall’acanto microasiatico, riscontrabile

invece in alcune basi con acanto del museo (nn. 790-792) o anche di Leptis Magna e di Antinoe?, che inoltre presentano il plinto sotto il toro inferiore. Il modello dell’acanto è probabilmente da ricercare nel tipo venuto in auge in Grecia in età tardo ellenistica e perdurante almeno fino all’età adrianea (anche se con trasformazioni), come mostrano gli esemplari dell’Olym-

pieion di Atene:

come

confronto

si può richiamare l’a-

canto dei capitelli dei Grandi Propilei di Eleusi”, dove, nonostante la lavorazione più approfondita, con largo uso del trapano, uguale è la forma delle zone d’ombra tra i lobi, ugualmente a larghe fogliette lanceolate, ma con sezione più accentuatamente angolare. Ad Alessandria questa forma dell’acanto è presente anche in un capitello corinzio «normale» in marmo del museo (n. 377) e in un esemplare libero in calcare, conservato sempre nei giardini di Kom esch Shogafa (n. 182), e, per le misure, probabilmente pertinente alla colonna della base d’acanto.

Databile nella seconda metà del I a.C. - prima metà del I sec. d.C.

787.

Base di colonna con foglie di acanto. (Tav. 87)

Alessandria,

Kom

esch-Shogafa,

giardini

all’ingresso

della

necro-

! Il prezzo presenta il numero di inventario provvisorio 206. ? Pesce, Palazzo delle Colonne, fig. 48; H. LAUTER, in JdI,

86,

poli!, dai dintorni.

1971, p. 153, fig. 6.

Scheggiate le cime delle foglie. Calcare. Alt. cm. 73; diam. inf. cm. 79 ca.

si presenta avvolto da otto foglie di acanto spinoso, che si urtano tra

Inferiormente la base presenta due tori separati da una profonda scozia, delimitata da due listelli; nello stesso blocco è intagliata la parte inferiore della colonna, avvolta da una corona di otto foglie di acanto, alternate a foglie d’acqua di cui si intravede soltanto la costolatura centrale ad angolo, sporgente tra i margini dell’acanto. L’acanto si articola in foglie a nove lobi: quelli inferiori a tre piccole fogliette arcuate e appuntite, quelli mediani a quattro fogliette appuntite e a sezione angolare; la cima ha cinque fogliette ricurve, in modo da costituire un orlo continuo sporgente. I lobi sono inoltre separati da

490

3 Questo esemplare,

intagliato separatamente dalla base vera e propria,

loro formando figure geometriche, in modo simile al n. 791. In base ad un'iscrizione rinvenuta in piedistalli collegati con queste basi e appartenenti ad un tetrapilo (JoMARD, Description de l'Egypte, IV, pp. 237242, tavv. 59-60.) esso è databile nel periodo di Alessandro Severo: R. NAUMANN, Der Quellbezirk von Nimes, Berlin-Leipzig, 1937, p. 48; MAKOWIECKA, ^ HEILMEYER,

788.

«Acanthus-base», Korinthische

p.

125,

figg.

Normallkapitelle,

8,10. tav.

19,2.

Base di colonna con foglie di acanto. (Tav.

Alessandria, Kom dai dintorni.

esch-Shogafa,

Scheggiature lungo il toro inferiore e sulle cime delle foglie. Calcare. Alt. cm. 73.

87)

giardini all'ingresso della necropoli,

Uguale ai n. 787. Databile nella seconda del I sec. d.C. 789.

metà

del I a.C.

- prima

metà

Base di lesena con foglie di acanto. (Tav. 87)

lobi, le zone d’ombra sono strette e oblique e le nervature arcuate che partono da essi convergono attorno alla costolatura centrale. Le foglie si toccano tra di loro con la punta delle fogliette, in modo di formare numerose figure geometriche (rombi e rettangoli) che si sovrappongono

Alessandria, giardini di Kom esch-Shogafa, dai dintorni.

sulla stessa linea verticale.

Scheggiato lo spigolo superiore destro; abrasioni lungo il margine su-

Questo tipo gato nelle basi (nn. 798-799), diversa forma

periore. Calcare.

Uguale ai nn. 787-788. Databile nella seconda del I sec. d.C.

metà

del I a.C.

- prima

metà

Bibl.: R. NAUMANN, Der Quellbezirk von Nimes, Berlin-Leipzig, 1937, p. 46; J.B. Warp PERKINS, in JRS, 38, 1948, p. 64 ss.; MAKOWIECKA, «Acanthus-base», p. 122, nota 27, p. 125, nota 38, fig. 9.

di acanto richiama non tanto quello impiedel cosiddetto auditorium di Kom el-Dik da cui si differenziano decisamente per la delle zone d'ombra!, quanto piuttosto l'a-

canto del n. 790 e soprattutto di una base di Antinoe?, con figure geometriche tra le foglie. Databile nel tardo III sec. d.C. Bibl.: Bort,

Musée, p. 532, sala XV,

! MAKOWIECKA,

n. 31.

« Acanthus-base», p. 124, fig. 7.

? Ip., p. 125, fig. 8. Treo

5: BASI CON

790.

FOGLIE

DI ACANTO

SPINOSO.

792.

Base di colonna con foglie di acanto. (Tav. 88)

Alessandria,

giardini

del museo,

da Sakha

(Chois),

(1883);

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta.

n. inv.

11211. Fratturata irregolarmente la parte foglie e l’inizio dell’iscrizione.

Marmo

bigio,

superiore,

compresa

la cima

con venature bianche e cristalli medi.

diam. inf. cm. 48,5; lati tabella con iscrizione cm.

delle

Alt. cm.

88;

35x63.

Inferiormente la base è ridotta ad un unico toro separato da un cavetto a sezione angolare dall’imoscapo della colonna, che si espande lungo il margine inferiore in modo da sporgere quanto il toro. Della corona restano tre foglie di acanto

spinoso,

a cui si alternano in secondo

canto, nel quale le fogliette conservano una certa plasticità: per esso i confronti più vicini si trovano in alcuni capitelli corinzi asiatici dello stesso museo (nn. 395 ss.). Databile nel tardo II sec. d.C. Bibi.: E. Breccia, Catalogue géneral du Musée d'Alexandrie. Iscrizioni greche e latine, Le Caire 1911, p. 56, n. 78; Bapawy, in Bulletin de l'Institut d'Egypt, 35, 1952-53, p. 75, fig. 40,n.

del

1900

era conservata

al Museo

del Cairo,

Della base

resta parte del toro

col n. inv.

9288. ? L’iscrizione è datata esattamente al 4 luglio 181 d.C. (BRECCIA, in bibl., p. 56).

791.

Base

di colonna sala XV

con foglie di acanto.

del museo,

da Gabbari;

n.

inv.

mentre

della corona

di

/ diam.

mass.

inf.

cm.

26,8;

alt.

Sul toro superiore della base poggia la corona di foglie ad acanto spinoso, alternate a foglie d'acqua, di cui si intravede soltanto la nervatura sporgente ad angolo. Databile all'età severiana.

cit.

Tiro

6:

ACANTO

ROCCHI SPINOSO

793. Parte (Tav. 88)

(Tav. 3788.

88) Spezzata

irregolarmente la parte superiore della corona di foglie. Calcare. Alt. cm. 33,3; diam. inf. cm. 24. x

La base è costituita da un plinto circolare a cui si sovrappone un elemento troncoconico; è stata forse lasciata in fase di semilavorazione, come confermerebbe la corona di foglie, in un tratto non ancora lavorata, essendo la su-

perficie liscia e trattata solamente a gradina. Le foglie visibili, del tipo spinoso, sono articolate in sette lobi con fogliette aguzze e a sezione angolare. Tra i

INFERIORI

DI

COLONNA

CON

FOGLIE

DI

SCHEMATIZZATE.

inferiore

di colonna

con

foglie

di acanto.

Luxor, campo romano, tetrastilo.

Piccole scheggiature lungo il tondino superiore. Calcare.

L'elemento presenta una corona di otto foglie di acanto alternate

a otto foglie d’acqua,

di cui si intravede

la cima

e la costolatura centrale sporgente ad angolo. La base vera e propria doveva essere stata lavorata in un pezzo separato. L'acanto

è a sette lobi,

separati da strette zone d'ombra

oblique e articolati in lunghe fogliette spinose, alcune piatte altre a sezione angolare. Ogni lobo presenta una nervatura arcuata,

Alessandria,

superiore,

foglie soltanto la parte inferiore. Marmo proconnesio. Alt. cm. 42; foglie cm. 27.

piano due

foglie d’acqua. Un terzo del fusto risulta invece tagliato verticalmente in modo da ricavare una tabella per un’iscrizione greca, dedicata all’imperatore Commodo?. L'acanto è articolato in nove lobi a lunghe fogliette appuntite a sezione angolare, separate tramite zone d’ombra strette e oblique. Abbastanza caratteristico è l’intaglio accurato dell'a-

! Prima

Base di colonna con foglie di acanto.

ottenuta con un profondo

solco,

conver-

gente verso la stretta costolatura centrale. È evidente nel tipo dell’acanto la tradizione microasiatica (cfr. nn. 790-792) in una resa leggermente appiattita e semplificata, che si riscontra anche ad Alessandria (cfr. n. 791), da cui probabilmente sono venute le maestranze in occasione della costruzione del tetrapilo. Databile,

in base all’iscrizione del Tetrastilo, al 308-309

d.C. Bibl.: H. CARTER, in Society of Antiquaries of London, 1953, tav. 34; R. NAUMANN, Der Quellbezirk von Nimes, Berlin-Leipzig, 1937, p. 48; MAKOWIECKA, «Acanthus-base», pp. 123, 125; M. RÉpDÉ, in Le camp romain de Lougsor, Mirao 83, Caire 1986, p. 11, tav. 17, fig. 22.

40]

inferiore

794. Parte (Tav. 88)

foglie

con

colonna

di

tervalli tra le cime sporgono degli elementi vegetali, probabilmente le nervature terminali di foglie d’acqua. Alla base vi è un tondino liscio. Databile nel V sec. d.C.

d'acanto.

Luxor, lapidario accanto al tempio di Ammone. Scheggiata la parte superiore. Calcare.

L'elemento è avvolto da otto foglie d'acanto alternate a otto foglie d'acqua, di cui si intravede sporgere la costo-

latura centrale e sezione angolare. La base vera e propria doveva essere intagliata in un pezzo separato. L'acanto presenta nove lobi separati da strette d'ombra,

quasi fessure,

Lievi scheggiature alla parte figurata del rilievo. Calcare.

oblique e arcuate; i lobi sono arti-

sezione leggermente convessa, mentre assumono una Se-

zione angolare solo quando le fogliette coincidono con il solco della nervatura arcuata che attraversa ciascun lobo per convergere lungo la costolatura centrale della foglia. Pur potendosi riconoscere nello schema dell'acanto la derivazione dal tipo impiegato nel Tetrastilo di Luxor (n. completamente

diversa

è la resa

formale:

le foglie

appaiono infatti con un contorno compatto, in cui si legge difficoltà

con

in lobi e in fogliette;

l’articolazione

queste

sono disposte in modo da essere quasi parallele tra loro e con una tendenza ad ingrossarsi all’estremità, sicché la

foglia assume un aspetto carnoso.

inferiore

di colonna

con

foglie

di acanto.

L’elemento è avvolto da quattro foglie d'acanto spinoso alternate a foglie d’acqua di cui s’intravede sporgere solo la costolatura centrale a sezione angolare. L’acanto presenta sette lobi separati da lunghe zone d’ombra ogivali, leggermente oblique o verticali; ad esse una

zona

triangolare,

ottenuta

dall’unione

di

fo-

gliette dei lobi contigui. Le fogliette dei lobi sono lunghe, sottili e a sezione leggermente angolare. L’acanto sembra rappresentare una ripresa tarda di un tipo molto più antico (del II - inizi del III secolo d.C.), in

analogia a quanto si riscontra anche in alcuni capitelli corinzi della Basilica di Hermoupolis Magna (nn. 559, 561). Infatti l’acanto è molto lontano da quello estremamente schematico e stilizzato visibile nella corona di foglie alla

base di una colonna di Saqqara! (n. 797). Databile nel V sec. d.C. Bibl.: Wace,

MEGAW,

è diviso in tre zone:

inferiore è decorata con corone

di foglie d'acanto

quella spinoso,

articolate lungo il contorno da fogliette aguzze leggermente ricurve che si toccano con quelle delle foglie contigue. Si vengono così a formare una serie di triangoli in successione verticale. La zona mediana delle foglie è trattata con solchi verticali e paralleli che distinguono tre sottili curvature. La zona mediana presenta al centro del lato frontale un pannello con due figure alate che sorreggono un medaglione, occupato da un busto. Ai lati di questo pannello ve ne sono

altri due,

ma

rettangolari,

la dia-

divisi lungo

matici calicetti, derivanti da una rappresentazione

Hermoupolis Magna (Ashmunein), lapidario nei pressi della Basilica cristiana. Scheggiate le cime delle foglie e il piano di posa. Calcare.

segue

Il fusto della semicolonna

gonale da un nastro decorato con una successione di sche-

Databile nel IV sec. d.C. 795. Parte (Tav. 88)

797. Semicolonna addossata ad uno stipite di porta con foglie d’acanto nel terzo inferiore. (Tav. 97) Cairo, museo copto, da Saqqara.

zone

colati in fogliette lanceolate molto ravvicinate, piatte o a

793),

1931-32, tav. 43.

Bibl.: Breccia, Musée gréco-romain,

SKEAT, Hermopolis Magna,

L’estremità

superiore

del fusto presenta una gola tra

tondini piatti che forse riprende le modanature della parte superiore della parete da cui sporgeva la semicolonna. Va rilevata la ripresa della colonna d’acanto di origine alessandrina nella corona di foglie inferiore, secondo moin Egitto

dalità testimoniate

anche

in età imperiale,

come

mostrano le basi d’acanto dei tetrapili del campo di Diocleziano a Luxor (nn. 793-794). Anche l’acanto è disposto in modo

dal tipo bizantino

non influenzato

simile,

dentel-

lato. Databile nella prima metà del VI sec. d.C. Bibl.: QuiBELL, Excavations at Saggara, sculpture copte, p. 46, tav. 38,c.

tav. 25, fig. 7.

stilizzata

del Kyma lesbico continuo. Le due metà triangolari così ottenute sono decorate con un grappolo a forma di pigna e con due larghe foglie laterali formanti un calice stilizzato. La zona superiore è suddivisa da due nastri che si intersecano a croce di S. Andrea, decorati con un motivo di piccole spirali, forse ispirate ad un motivo ad onde ricorrenti. Le quattro parti triangolari così ottenute sono a loro volta decorate da una coppia di spirali terminanti esternamente con calicetti rovesci: tra di essi nasce il consueto grappolo stilizzato a forma di pigna, con due foglie spinose ai lati.

IV,

tav.

37,1;

DuTHUIT,

La

! QuiBELL, Excavations at Saggara, IV, tav. 37,1; DurHurr, La scul-

pture copte, tav. 38,c.

796.

Alessandria, inv.

Treo

Parte inferiore di colonna con foglie d’acanto. magazzini

del

museo,

da

Oxyrhynchos

(Bahnasa);

798.

Lievi scheggiature. Calcare.

dal profilo

CON

ad S,

x

è avvolto

da otto

FOGLIE

DI

ACANTO

DAI

Base di colonna con foglie di acanto.

Alessandria, Kom

strette

foglie d’acanto spinoso, che si toccano formando una serie di figure geometriche trapezoidali e rettangolari. Negli in492

BASI

LOBI

A

FO-

CIRCOLARI.

n.

23800.

L’elemento,

7:

GLIETTE SPINOSE, SEPARATI DA ZONE D'OMBRA

(Tav.

88)

el-Dik, dall' «auditorium».

Scheggiata parte dell'orlo superiore, comprese le cime di due foglie di acanto. Tra il piano di posa del toro e la corona di foglie vi è una

rientranza in cemento moderno, dalla superficie trattata a solchi verticali e paralleli: è probabile che la base e la corona d’acanto non fos-

esse sono da considerare politane e provano l'uso zantina anche al di fuori Databile nella seconda d.C.°.

sero intagliate nello stesso blocco di marmo, bensi fossero di reimpiego e sovrapposte nel momento della nuova utilizzazione. Marmo bianco grigiastro. Alt. tot. cm. 103; alt. corona di foglie cm.

80; diam. sup. cm. 65.

La base (non pertinente alla corona d'acanto) presenta un plinto ottagonale servante

una

certa

su cui poggia il toro inferiore, curvatura;

esso

è separato

con-

tramite

Bibl.: MAKOWIECKA, «Acanthus-base», p. 124, fig. 7; W. KUBIAK, E. MAKOWIECKA, «Preliminary Report of the Excavations at Kom el-Dikka in Alexandria», in ASAE, 61, 1973, p. 61 ss.; K. MICHALOWSKI, A. DZIEWANOWSKI, Alexandria, Warszawa, 1970, tav. 66.

una

scozia profonda e delimitata da due spessi listelli dal toro superiore poco espanso, irrigidito e distinto dal listello della scozia solo tramite un'incisione orizzontale. Le strette e allungate foglie di acanto che formano la corona presentano ciascuna undici lobi; quelli laterali sono a cinque fogliette appuntite e a sezione angolare, separate tra loro tramite una zona d'ombra circolare a cui ne segue un'altra irregolarmente triangolare. La cima è composta da nove fogliette e si incurva leggermente sotto il largo listello che costituisce il bordo superiore dell’elemento. Il profilo poco espanso e rigido del toro superiore e della base richiama

esemplari

tardi,

noti ad esempio

1K. MICHALOWSKI, in ASAE, 57, 1962, pp. 70, 76. ? L'uso

stica.

Ciò

pare

confermato,

delle piccole

in

zone

particolare,

d’ombra

dal

ottenuto

di

modelli

799.

contorno

a

Costantinopoli

nei

classicistico durante il pe-

el-Dik, dall’« auditorium».

rientrnza in cemento moderno,

dall’incur-

dalla superficie trattata a solchi verti-

cali e paralleli: è probabile che la base e la corona d’acanto non fossero intagliate nello stesso blocco di marmo, bensì fossero di reimpiego e sovrapposte nel momento

della nuova utilizzazione.

Marmo bianco grigiastro. Alt. corona di foglie cm. cm. 65.

80; diam.

sup.

Quasi uguale al n. 798, da cui differisce per essere stata reimpiegata insieme ad una base di colonna dal plinto quadrato e non ottagonale. Inoltre nella corona di foglie, due presentano le metà contigue incompiute: in esse

è stato

inciso

soltanto

il contorno,

mentre

la super-

ficie è piatta e liscia, con tracce di lavorazione a gradina. Databile nella seconda metà del II - inizi del IV sec. d.C.

DI TRABEAZIONE IONICHE seguono un ovolo liscio e un cavetto sottile. La cornice è unita

Cornice semplice con fregio.

Alessandria, sala XV del museo, da Hadra (Ibrahimieh), (1924); n. inv. 21709. Abrasa la parte destra della superficie della sima e scheggiato l'an-

golo inferiore corrispondente. Calcare, con tracce di colore rosso fregio. Alt. cm. 33; larg. cm. 56,5;

sulla

cornice

e di

azzurro

sul

^

a gola diritta, è sormontata da uno spesso licorona

operata

Scheggiata la cima di una foglie e abrasioni lungo il margine superiore. Tra il piano di posa del toro e la corona di foglie vi è una

1: CORNICI LISCE.

la

costituisce,

Base di colonna con foglie di acanto. (Tav. 88)

Alessandria, Kom

I - CORNICI

mentre

tardo-ellenistico,

l'introduzione in Egitto di questo movimento

in due noti esemplari di Bawit e di Saqqara (nn. 589590). Citiamo ancora a Roma le basi d'acanto della tomba del Cardinal Venerio a S. Clemente, reimpiegate dalla chiesa sottostante^ e ben databili al VI secolo d.C. per il monogramma del presbitero Mercurio inciso sui capitelli:

stello,

bizantina

riodo bizantino («style à l'antique») in quanto non vi sarebbe stata un'interruzione completa rispetto alla tradizione tolemaica. * E. Russo, in MEFRA, 96, 1984, p. 11 e nota 17 con bibliografia. 5 È possibile che questa base d'acanto e la n. 799 siano contemporanee alla cornice n. 989, ugualmente reimpiegate nell'«auditorium» di Kom el-Dik.

questa ripresa non si limita soltanto all’acanto, ma anche alla forma canonica del capitello corinzio, come è visibile

La sima,

in epoca

epoca tarda delle basi d'acanto di Kom el Dik, avremmo un ulteriore elemento per confermare l'ipotesi del Torp sul ruolo di Alessandria nel-

biente alessandrino, e più ampiamente egiziano, sia avvenuta una ripresa dell’acanto tardo-ellenistico, è mostrato da diversi capitelli corinzi e corinzieggianti di età imperiale avanzata (nn. 182A, 377) e «copti»?, dove talvolta

800.

dell’acanto

anche

(in AM, 39, 1914, p. 26), una ripresa

v. V. DEROCHE, in BCH, 111, 1987, p. 425 ss. ? QuiBELL, Excavations at Saqqara, IM, tav. 24, 1-2; cfr. inoltre H. Torp, in Synthronon, Paris 1968, p. 18 sulla «renovatio dell’antico» nel VI secolo in Egitto. Se è vera l'attribuzione che abbiamo fatto ad

varsi delle fogliette superiori dei lobi?. Che anche in am-

Treo

ad occhielli

primi decenni del V sec. d.C. Per riprese di tipi più antichi in Grecia,

nelle

ELEMENTI

dell'acanto

come già osservava il WEIGAND

terme di Athribis! o nel santuario di S. Mena (cfr. nn. 771-772). Meno evidente è invece la determinazione cronologica delle foglie della corona d’acanto, che tuttavia solo apparentemente ci sembrano richiamare il tipo tardoellenistico - primo-imperiale documento dalle basi d’acanto di Kom esch-Schogafa (cfr. nn. 787-789): infatti l’effetto fortemente disegnativo e la successione di figure geometriche formate dall’unione dei lobi delle foglie contigue sembrano risentire del tipo dell’acanto asiatico sovrapposto però ad una struttura di foglia ancora di tradizione ellenicircolare

opera di maestranze costantinodelle basi d'acanto in epoca bidell'ambiente egiziano. metà del III - inizi del IV sec.

si presenta

sottile

e liscia,

con

soffitto leggermente ricurvo e liscio, unito ad un cavetto;

ad

un

ampio

fregio,

inferiormente

limitato

da

un

largo listello sporgente e da una fascia. Databile nel II - I sec. a.C. 801.

Cornice semplice con fregio. (Tav. 89)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Scheggiature sugli angoli superiori e sull’angolo inferiore destro. Calcare. Alt. cm. 30,5; larg. cm. 34,5; spess. cm. 23.

La sima è costituita da una leggerissima gola diritta ed è sormontata da un listello; seguono la corona liscia, il soffitto,

pure

liscio,

un cavetto,

un ovolo

liscio,

una gola

493

x

rovescia e un listello. La cornice è unita ad un ampio fregio, inferiormente limitato da un largo listello sporgente e da una fascia. Databile nel II - I sec. a.C. 802.

Cornice liscia angolare di pilastro.

Alessandria, sala XXII del museo,

18428.

tutta la superficie. Calcare. Alt. cm. 32; larg. mass. posteriore cm. 45; larg. mass. anteriore cm. 33; larg. anteriore della cornice cm. 41; Spess. superiore cm. 32; spess. inferiore cm. 23.

La cornice é modanata dall'alto verso il basso con un listello, un ovolo liscio, un fascia liscia inclinata e una gola rovescia. Essa costituisce il coronamento di un pilastro angolare con fusto liscio. Databile nel II - I sec. a.C. Cornice liscia. (Tav. 89)

Databile nel II - I sec.

807.

(Ibrahimieh),

Mancante il margine della sima e l'angolo inferiore destro; spezzata parte della corona. Alt. cm.

(Tav. 89)

Calcare. Alt. cm.

Calcare. Alt. cm.

18,8; larg. cm. 45,4; spess. cm. 31.

La

gola

è

a

diritta,

separata

16; larg. cm.

tramite

dono Tousson

131; spess. cm.

(?). Fratturato irre-

19.

Uguale ai nn. 805-806. Databile nel II-I sec. a.C. Cornice

Alessandria,

liscia.

sala XIV

del museo,

di provenienza sconosciuta; n. inv.

3800 ? Spezzata la sopracornice Calcare. Alt. cm.

15; larg. mass. cm.

29,5; spess. cm. 22.

Restano soltanto le modanature della sottocornice, costituite da un listello, un sottile cavetto, un ovolo liscio e leggermente appiattito, a cui seguono un altro cavetto e una spessa fascia liscia. Databile nel II-I sec. a.C. Cornice liscia angolare.

Alessandria, sala XXII del museo,

Alessandria, sala XV del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. P. 10875. Spezzato l'angolo sinistro della sima; minori abrasioni sulla superficie.

sima

liscia.

sala XXII del museo,

golarmente alle due estremità; grossa scheggiatura a destra e abrasioni sulla parte sinistra della sima.

809. Cornice liscia angolare.

a.C.

13,5; larg.

La sima è a gola diritta ed è separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia, che sporge con. peduncolo sul soffitto, questo molto allungato; segue un listello, un cavetto e una fascia. Databile nel II-I sec. a.C. 804.

Cornice

Alessandria,

808.

Alessandria, sala XIII del museo, vetrina B, da Hadra, dono, M. Sardella (1908); n. inv. 17749.

Calcare rivestito di stucco con tracce di colore. cm. 22,7 spess. cm. 11,7.

Cornice liscia. (Tav. 89)

Uguale al n. 805.

dono Tousson; n. inv.

Scheggiature agli angoli della sima e lungo il margine superiore; abrasioni circolari e cavità dovute all'esposizione alle intemperie su

803.

806.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18480. Il fianco destro è fratturato verticalmente, mentre il sinistro presenta la superficie originaria; abrasioni lungo la sima. Calcare. Alt. cm. 17; larg. cm. 51; spess. cm. 16,5.

un

listello

dalla corona liscia con peduncolo sporgente sul soffitto. Segue un listello e tre cavetti degradanti separati da listelli. Il piano di appoggio inferiore presenta alle estremità la-

terali incassi rettangolari con fori circolari per il fissaggio

dono Tousson; n. inv.

18486.

Piccole scheggiature sul margine superiore destro della sima; frattura verticale sul lato destro. Calcare. Alt. cm. 14,5; larg. cm. 38,2; spess. cm.

11.

La piccola cornice sporge da una lastra e a sinistra mostra visibile l'angolo che può far ritenere che essa costituisse il coronamento di un portale. Le modanature sono costituite da una sima a gola diritta, da un ovolo separato tramite una scanalatura da un altro ovolo

liscio, liscio;

seguono un triplice listello e una fascia. Databile nel II-I sec. a.C.

del pezzo.

La cornice era probabilmente pertinente alla trabeazione di un portale o di un passaggio. Databile nel II - I sec. a.C. 805.

Cornice

gola

liscia.

rovescia

(vetrina A) del museo,

Calcare. Alt. cm. 7; larg. cm. 40; spess. cm.

ed

una

fascia,

la cui

superficie

inferiore serviva come piano di appoggio. La cornice sporgeva da una parete, come mostra l’estremità destra rientrante ad angolo, forse al di sopra di un portale o passaggio.

Databile nel II - I sec. a.C.

494

sala XIV

da Alessandria; n. inv.

3675. Scheggiati i margini della sima e spezzati irregolarmente il lato sinistro e la parte posteriore, compresa la sottocornice.

La sima è a gola diritta ed è separata tramite un listello arrotondato dalla sottile corona liscia, che sporge con un peduncolo sul soffitto liscio. Segue un cavetto, un ovolo una

Cornice liscia. (Tav. 89)

Alessandria,

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18479. Scheggiature alle estremità e abrasioni lungo la sima. Calcare. Alt. cm. 17; larg. cm. 171; spess. cm. 17.

liscio,

810.

La sima è a gola diritta obliquo dalla corona liscia soffitto liscio. Sul listello una decorazione dipinta con

Questa

cornice

8.

ed è separata tramite un listello che sporge con peduncolo sul si conservano deboli tracce di astragalo a fusarole e perline.

si differenzia

dalle precedenti

per la

maggior altezza della corona rispetto alla sima. Rientra ugualmente in una delle forme più comuni del periodo ellenistico e si può confrontare ad esempio con cornici del Teatro ellenistico di Mileto, con uguale sagomatura!. Databile nel II - primi decenni del I sec. a.C. ! F. Krauss,

Das Theater von Milet, Berlin 1973, fig. 200.

811.

Cornice liscia. (Tav. 89)

Treo

Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, dono M. Sardella (1908); n. inv. 17746.

da Hadra (Ibrahimieh),

Si conserva l'angolo destro della cornice, fratturata irregolarmente sul Jato sinistro. Calcare. Alt. cm. 6,8; larg. mass. cm. 19; spess. cm. 8.

da Hadra (Ibrahimieh),

Fratturata irregolarmente sui fianchi, scheggiata parte della sima. Calcare. Alt. cm.

12; larg. mass.

cm.

18,5; spess. cm.

10,8.

La sima è sagomata con un listello ed una gola diritta,. cui segue la corona, ridotta ad un listello, e il soffitto liscio, non eccessivamente sporgente rispetto alle successive

modanature;

queste

sono

costituite

da

815.

Cornice con dentelli. (Tav. 89) da Alessandria; n. inv. 3670.

I due fianchi sono interi; qualche abrasione è visibile lungo la sima; restaurata nella parte centrale. Calcare. Alt. cm. 21; larg. cm. 178; spess. cm. 29.

Cornice liscia. (Tav. 89)

Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, dono M. Sardella (1908); n. inv. 17751.

TIPO 2,1

Alessandria, sala XIV del museo,

Uguale al n. 810. Databile nel II - primi decenni del I sec. a.C.

812.

2: CORNICI LISCE CON DENTELLI

un

astragalo

liscio, un cavetto un ovolo liscio, un listello e una fascia la cui superficie inferiore formava il piano di appoggio. Databile nel II - primi decenni del I sec. a.C.

La sima è costituita da una gola liscia, separata tramite un listello dalla corona liscia, con peduncolo sporgente rispetto al soffitto liscio; seguono un listello, un sottile cavetto, una serie di dentelli rettangolari allungati e molto ravvicinati tra di loro, sotto i quali si distinguono un cavetto liscio e una sottile fascia. Esempi ancora in situ di questo tipo di cornice senza mensole si trovano ad Alessandria in tombe delle necropoli Occidentale!,

del Wardiyan?,

ecc.

Come elementi cronologici valgono: 1 dentelli allungati, stretti e molto ravvicinati, in modo analogo ai nn. 819, 885 e alle cornici del Palazzo delle Colonne a Tole-

maide?. Databile alla fine del Il - primi decenni del I sec. a.C.

813. Frammento (Tav. 89)

! M. SABOTTKA, in Das ròmisch-byzantinische Rhein, 1983, p. 201 ss., tav. 41.

di cornice con Kyma ionico.

Mainz-am-

? ADRIANI, Topografia, p. 162 ss., n. 118, tav. 88, fig. 299.

Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, dono M. Sardella (1908); n. inv. 17816.

Fratturata irregolarmente

Agypten,

da Hadra (Ibrahimieh),

sui fianchi e abraso il margine

della sima. Calcare stuccato. Alt. cm. 7; larg. cm.

> Pesce, Palazzo lengeisa, p. 74.

delle Colonne,

p. 43, fig.

16; v. HEsBERG,

Konso-

superiore

10; spess. cm. 7,5.

Il frammento presenta dall’alto verso il basso una gola diritta, una sottile corona, sporgente con peduncolo rispetto al soffitto liscio; seguono un listello, un Kyma ionico ad ovuli contenuti in sottili sgusci separati da lancette, un astragalo liscio e un listello. Si osservi come tutte le modanature siano rivestite di stucco e come il Kyma ionico risulti modellato e dipinto nel rivestimento, come è usuale nell’architettura funeraria alessandrina a proposito degli ornati architettonici: si confronti ad esempio la trabeazione di uno degli ipogei della

816.

Cornice con dentelli. (Tav.

89)

Alessandria, sala XXII (vetrina B) del museo, dono Tousson; n. inv. 18665 A. Mancante la sima, resta soltanto la sottocornice con la superficie dei dentelli abrasa. Calcare con rivestimento in stucco. Alt. mass. cm. 10; larg. mass. cm. 22; sepss. mass. cm. 10,7.

Della sottocornice si distinguono un cavetto, la serie dei dentelli rettangolari e abbastanza ravvicinati tra di loro, un listello, un cavetto e una fascia liscia costituenti il piano di appoggio della cornice. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

Necropoli Occidentale!. Databile nel III-I sec. a.C.

817.

! ADRIANI, Topografia, p. 157, nn. 110, tav. 83, fig. 276.

Alessandria,

814. Frammento di cornice con Kyma ionico. (Tav. 89) Alessandria, sala XIV (vetrina B) del museo, da Alessandria; n. inv. 3682. Fratturata sul fianco destro e scheggiata sul lato superiore. Calcare. Alt. cm. 18,5; larg. cm. 28,5; spess. cm. 9.

Il frammento presenta una fascia superiore a cui segue una modanatura a leggero arco di cerchio, sulla quale è inciso un Kyma ionico che in origine doveva essere dipinto. Seguono un tondino e un listello (cfr. n. 813). Databile nel III-I sec. a.C.

Cornice con dentelli. (Tav. 89) sala XIV

del museo,

di provenienza sconosciuta; n. inv.

R 366. I due fianchi sono interi, mentre numerose sono le abrasioni lungo il margine

superiore

della

sima

e

mancano

alcuni

dentelli

a

destra,

spezzati. Calcare. Alt. cm.

14; larg. cm.

54; spess. cm.

36.

La sima è a gola diritta e ad essa segue direttamente la

corona liscia con peduncolo sporgente rispetto al soffitto liscio. La sottocornice é costituita da un listello, una serie di dentelli rettangolari, allungati e avvicinati tra di loro e con gli spazi intermedi scalpellati in modo da essere di poco degradanti rispetto ai piani dei dentelli; seguono un cavetto e una fascia liscia, la cui superficie inferiore costituisce il piano di appoggio. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. 495

$18.

Cornice

parata tramite un listello obliquo da una sottile corona liscia, questa con il bordo inferiore (peduncolo) leggermente sporgente rispetto al soffitto. I dentelli sono rettangolari e distanziati di circa un terzo rispetto alla loro larghezza. Seguono un ovolo liscio appiattito, un leggerissimo cavetto e una fascia. Non è chiaro dove originariamente la cornice con

con dentelli.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv.

18386.

Abrasa la superficie della sima. Calcare. Alt. cm. 19; larg. cm. 36; spess. cm. 20,5.

Uguale al n. 817. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

dentelli, a cui questi elementi appartenevano, TIPO 2,2

819. Cornice con dentelli. (Tav. 90) Alessandria, giardini del museo,

Fratturata

irregolarmente

Di

di provenienza sconosciuta.

sui fianchi

e spezzate

le estremità

della

sima. Calcare. Alt. cm. 25; larg. cm. 62,5; spess. cm. 42.

‘La sima un listello sul soffitto rettangolari un listello

è a leggerissima gola diritta, separata tramite dalla corona liscia, con peduncolo sporgente liscio; seguono un listello, una serie di dentelli e molto ravvicinati tra loro, un ovolo liscio, e una sottile fascia. Sul fronte di ognuno dei

dentelli è inciso un rettangolo suddiviso in quattro parti, forse per favorire l’allettamento dello stucco di rivestimento. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. 820.

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

Alessandria,

giardini del museo,

dai cantieri Finney

(n.

inv.

25670

Bibl.: ADRIANI,

820A.

in Annuaire,

1935-39, p. 50, n. 13, tav.

del

17,5.

museo,

da

Canopo

(Aboukir),

dono

sala XXII (vetrina B) del museo,

dono Tousson; n. inv.

18,5; larg. cm. 24; spess. mass. cm.

11.

Uguale ai nn. 819-820. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. Quattro cornici con dentelli. (Tav. 90)

Hermoupolis Magna (Ashmunein), cristiana.

lapidario nei pressi della Basilica

In due pezzi vi sono lievi scheggiature agli spigoli e lungo i margini;

gli altri due sono fratturati superiormente e scheggiati. Calcare.

Molto simili ai precedenti nn. 819-821, anche in questi esemplari è visibile una sima a gola diritta, se-

496

la cornice imperiale,

può fino

essere almeno

823.

Cornice

con dentelli.

(Tav.

Alessandria, sala XXII del museo,

90)

dono Tousson; n. inv.

18519.

Abrasa e in parte spezzata la sima. Calcare. Alt. cm.

17; larg. cm. 35; spess. cm.

19.

La sima era a gola diritta e con sottile corona liscia, che sporge con un peduncolo sul soffitto liscio; seguono un cavetto, un listello, una serie di dentelli rettangolari e distanziati tra loro quanto la metà circa della loro larghezza!, un ovolo liscio molto appiattito, un listello e una sottile fascia. Databile nel II-I sec. a.C. ! Per questo tipo di dentelli, meno fitti rispetto ai nn. 819-820, cfr. Topografia,

p.

124, n. 79, tav. 44, fig.

167

(ipogeo A della

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

Uguale al n. 823. Databile nel II-I sec. a.C. 825.

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

Alessandria, R 300 (?)

sala XIV

del museo,

di provenienza sconosciuta; n. inv.

Spezzata la sima sull'angolo destro. Calcare. Alt. cm. 20,6; larg. cm. 52; spess. cm.

38.

Il frammento costituisce la parte angolare di una cornice sporgente su un blocco in calcare. La sima è a gola di-

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

18543. Mancante la sopracornice spezzata.

822.

età

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18518. Spezzata e abrasa la sima e parte della corona. Calcare. Alt. cm. 20; larg. cm. 37; spess. cm. 23.

Molto simile al n. 820, con i dentelli leggermente piü distanziati. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

Calcare. Alt. cm.

prima

alla metà del II sec. d.C.

824.

Mancanti i due dentelli laterali e scheggiata parte della corona. Calcare. Alt. cm. 27; larg. cm. 26.

Alessandria,

nella

14; larg. cm. 37; spess. cm. 21.

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

Alessandria, magazzini Tousson; n. inv. 18526.

tardo-ellenistica,

anche

in in

necropoli di Shatbi).

Uguale al n. 819. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

821.

tradizione

databile

ADRIANI,

2). Spezzato uno degli spigoli. Calcare (bianco friabile). Alt. cm.

fosse col-

locata ad Hermopolis, se cioè nella Basilica stessa — questo caso si tratterebbe di un reimpiego — o qualche edificio vicino.

ritta, separata soffitto liscio;

tramite un listello dalla seguono un cavetto, un

corona liscia con listello, una serie

di dentelli rettangolari e distanziati tra loro, un ovolo liscio, un astragalo liscio e una fascia molto sottile, rispetto ad esempio ai simili nn. 823-824. Databile nel II-I sec. a.C. 826.

Cornice con dentelli.

Alessandria, magazzini del museo, dai cantieri Finney; n. inv. 25674. Fratturato irregolarmente sul fianco sinistro e sull’ultima modanatura inferiore.

Stucco con resti di pittura. Alt. cm. 16; larg. cm. 16; spess. cm. 17.

Uguale ai nn. 815-825, presenta la sima a gola diritta con tracce di colore rosso, un Kyma lesbico dipinto in giallo tra il soffitto e i dentelli e un Kyma ionico e un

astragalo

a fusarole

e perline

dipinti in giallo

su fondo

831.

rosso sopra l'ovolo liscio e il listello arrotondato che si

Alessandria, giardini del museo,

trovano sotto i dentelli. Si osservi come nel Kyma ionico l'elemento separatore degli ovuli sia una lancetta e come gli sgusci siano piuttosto sottili e aderenti agli ovuli stessi.

827.

in Annuaire,

1935-39, p. 52, tav.

Marmo.

Alt. cm. 20; larg. cm. 63; spess. cm.

Uguale al n. 830. Databile nel tardo III-II sec.

18381.

832.

destra. Calcare. Alt. cm.

Alessandria,

15,7; larg. cm. 45; spess. cm.

18.

dono Tousson; n. inv.

18387.

18; larg. cm. 42; spess. cm.

18.

dal

di provenienza

sconosciuta;

Resta soltanto la sottocornice, superiormente soffitto per mezzo di un listello arrotondato,

golari

L'esemplare presenta i dentelli rettangolari, allungati e molto ravvicinati tra loro (cfr. 1 nn. 815, 819). Databile nel II - primi decenni del I sec. a.C.

TIPO 2,3

829.

del museo,

n. inv.

distinta cui se-

guono un ovolo liscio, una serie di dentelli appena rettan-

Spezzata la sima e la corona e le modanature sotto i dentelli. Calcare. Alt. cm.

sala XV

Spezzata la sima e la corona, di cui resta solo l'attaco; fratturate irregolarmente le due estremità. Calcare. Alt. mass. cm. 14,5; larg. mass. cm. 25,5.

con dentelli.

Alessandria, sala XXII del museo,

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

3751.

Molto simile al n. 825. Databile nel II - primi decenni del I sec. a.C. Cornice

a.C.

TIPO 2,4

dono Tousson; n. inv.

Abrasioni lungo la superficie della sima, spezzato l’ultimo dentello a

828.

20.

18,5.

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

Alessandria, sala XXII del museo,

di provenienza sconosciuta.

Abraso l'angolo sinistro lungo la sima e i primi due dentelli.

Databile nel II - primi decenni del I sec. a.C. Bibl.: ADRIANI,

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

e abbastanza

ravvicinati!,

un

listello,

un

cavetto

e

una sottilissima fascia. Databile nel II sec. a.C. ! Per il tipo di dentelli cfr. ADRIANI,

Topografia, p. 157, n. 110, tav.

82, fig. 271 (Necropoli Occidentale, quartiere di Miniet el-Basal).

TIPO 2,5 Timpano triangolare con dentelli. (Tav. 90)

Alessandria,

sala XIV del museo,

833.

di provenienza sconosciuta; n. inv.

Cornice con dentelli e fregio. (Tav. 90)

comba-

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18485. Mancante per buona parte il fregio e scheggiata la sima; i fianchi sembrano essere interi. Calcare. Alt. cm. 27; larg. cm. 42,5; spess. mass. cm. 11,5; alt. dentelli cm. 3, larg. dentelli cm. 1,9.

Il timpano, che doveva coronare un'edicola funeraria, presentava una sima obliqua, con gola diritta, separata tramite un listello dalla corona liscia; la cornice orizzon-

rata tramite un listello dalla corona liscia, sporgente con un peduncolo sul soffitto liscio; seguono un cavetto e un

3655. Del timpano manca la sima obliqua, di cui restano soltanto gli angoli inferiori; la sima orizzontale si compone di due frammenti cianti, il cui punto di frattura è restaurato in gesso.

Calcare. Alt. mass. cm. 20; larg. cm. 85; spess. cm. 32.

tale si compone

soltanto

della corona

liscia,

che

sporge

con un peduncolo sul soffitto e a cui seguono un listello, una serie di dentelli rettangolari e allungati, piuttosto distanziati tra di loro!, e un ovolo liscio. Databile nel tardo III — rima metà del II sec. a.C. ! Per questo tipo di dentelli allungati e distanziati cfr. ADRIANI, Topografia, p. 157, n. 110, tav. 83, fig. 276 (Necropoli Occidentale, quar-

La sima presenta una gola diritta molto appiattita sepa-

listello, da cui pendono 1 dentelli rettangolari e molto ravvicinati: sotto di essi si distinguono ancora un ovolo liscio, un listello e la parte superiore mediana del fregio, che

doveva

essere

abbastanza

stretto,

come

nei

nn.

834-

835. Sopra la cornice sporge una lastra rivestita di stucco, forse facente parte del frontoncino. Databile nel tardo II - prima metà I sec. a.C.

tere di Miniet el-Basal). Si tratta di una forma di dentelli nel complesso in voga nella media età ellenistica, come motracia (280-264 a.C.), l’edificio del (n. 19), il portico di Filippo V a Delo, nord dell’agorà di Priene (150-130 a.C.),

830.

mostrano lo Ptolemaion di SaQuartiere Reale di Alessandria del 210 ca., e anche il portico ecc.

Cornice con dentelli. (Tav. 90)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Il fianco sinistro è intero, mentre l’altro è fratturato irregolarmente. Marmo.

Alt. cm. 20; larg. mass.

liscio; seguono rettangolari, un

Cornice con dentelli e fregio. (Tav. 90)

Alessandria, sala XXII del museo,

dono Tousson; n. inv.

18483.

Mancante la sima, spezzata; fratturata irregolarmente sul lato destro. Calcare. Alt. cm.

16,5; larg. mass. cm. 28; spess. mass.

cm.

10,8.

Quasi uguale al n. 833, rispetto al quale i dentelli sono meno ravvicinati (cfr. n. 832). Databile nel II sec. a.C.

cm. 44; spess. cm. 48.

La sima presenta un ovolo liscio tra due listelli, a cui segue la corona liscia, con peduncolo sporgente rispetto al soffitto dentelli

834.

ancora un listello, una serie di ovolo liscio e, in posizione arre-

trata, un listello (cfr. n. 829). Databile nel tardo III-II sec. a.C.

835.

Cornice con dentelli e fregio. (Tav. 91)

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18517. Spezzata agli angoli la sima e mancante dell’angolo destro il fregio.

Calcare. Alt. cm. 33; larg. cm. 47; spess. cm. 20.

Stesso tipo dei nn. 833 e 834. Databile nel II sec. a.C. 497

836.

839.

Cornice con dentelli e fregio. (Tav. 91)

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv.

18482.

Spezzato l'angolo superiore destro e abrasi quello sinistro e la sima. Calcare, con resti di stucco colorato in verde sul fregio. Alt. cm. 24,5; larg. cm. 31,8; spess. mass. cm.

Calcare rivestito di stucco. Alt. cm.

11; alt. dentelli cm. 2,5; larg.

cm.

dentelli cm. 1,9.

Stesso tipo dei nn. 834-835, rispetto ai quali presenta maggiormente alto il fregio, inferiormente terminante con un astragalo liscio molto sporgente, una gola rovescia e una sottile fascia. Databile nel II sec. a.C.

837.

Cornice con dentelli e fregio. (Tav. 91)

Alessandria,

sala

XIV

del

museo,

da Hadra

(Ibrahimieh);

n.

Cornice con dentelli e fregio. (Tav. 91)

Alessandria, sala XIV (vetrina B) del museo, di provenienza sciuta; n. inv. 3725. Abrasa la sima e spezzata buona parte del fregio.

17; larg. mass. cm. 26; spess.

11.

Tra il soffitto e i dentelli sembrano visibili una gola con tracce dell’originale decorazione in stucco, riproducente un kymation,

e un listello; i dentelli

sono

rettangolari,

inv.

839A.

Spezzato l'angolo inferiore sinistro e abrasioni lungo la sima, mentre il fianco destro & fratturato irregolarmente.

Frammento

di cornice con dentelli. (Tav. 91)

Calcare. Alt. cm. 21; larg. cm. 65; sepss. cm. 23; alt. dentelli cm.

Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, dono M. Sardella: n. inv. 17799. Restano tre dentelli.

3; larg. dentelli cm. 2,3.

Calcare. Alt. cm. 6,5; larg. mass. cm. 10.

838.

Databile nel tardo II - prima metà I sec. a.C. 839B.

Restano tre dentelli e parte dell'ovolo inferiore. Calcare. Alt. cm.

di provenienza sconosciuta; n. inv.

La sima è a gola diritta, separata tramite un listello dalla corona liscia che sporge con un peduncolo rispetto liscio;

seguono

un

cavetto,

un

10; larg. mass. cm.

12.

Moito simile al n. 839. Sui dentelli sottili strati di rivestimento di stucco.

sono

visibili

due

Databile nel tardo II - prima metà I sec. a.C. 839C.

Fratturata irregolarmente sui fianchi e scheggiata la sima; lo stesso i dentelli sulla destra. Calcare con tracce di policromia, di cui si distingue l'azzurro sul coronamento del fregio. Alt. cm. 19,3; larg. cm. 70; spess. cm. 33.

soffitto

da Hadra (Ibrahimieh),

Cornice con dentelli.

Alessandria, sala XV del museo, da Alessandria; n. inv. 3722. Abrasa la sima e la corona con relativo soffitto, fratture irregolari sui Jati. Calcare. Alt. cm. 18; larg. mass, cm. 23.

3667.

al

Frammento di cornice con dentelli. (Tav. 91)

Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, dono M. Sardella; n. inv. 17815.

Cornice con dentelli e fregio. (Tav. 91) sala XIV del museo,

da Hadra (Ibrahimieh),

I dentelli sono di un tipo molto simile al n. 839.

! ADRIANI, Topografia, p. 157, n. 110, tav. 83, fig. 276.

Alessandria,

allun-

gati e abbastanza ravvicinati e ad essi seguono un ovolo liscio appiattito e un listello, costituenti il coronamento del fregio liscio. Si confronti con il n. 833 per i dentelli. Databile nel tardo II - prima metà I sec. a.C.

21712.

La sima e a gola diritta, separata tramite un listello dalla corona liscia, con peduncolo sporgente rispetto al soffitto liscio; seguono un sottile cavetto e una serie di dentelli appena rettangolari e distanziati tra di loro. Sotto questi si distingue un ovolo liscio appiattito, costituente il coronamento di un fregio limitato inferiormente da un astragalo liscio sporgente e da una sottile fascia (cfr. n. 836). Si confronti con la trabeazione di una delle tombe della Necropoli Occidentale (nel quartiere di Miniet el-Basal)!, dove il fregio è dipinto con festoni e l’ovolo liscio con il kyma ionico. Databile nel II sec. a.c.

scono-

listello

ed

una

x

L’elemento presenta la metà inferiore, che è più sporgente rispetto a quella superiore, sagomata con un’incorniciatura ora abrasa, sotto cui sono visibili una serie di dentelli e un architrave a due fasce: è possibile si tratti del coronamento di un portale, come indicherebbe lo spazio piuttosto esiguo dedicato alla cornice e soprattutto il gradino che esso forma con la parte superiore rientrante. Databile nel tardo II - prima metà I sec. a.C.

serie di dentelli rettangolari, distanti tra di loro quanto la metà circa della loro larghezza. Sotto di loro si distingue ancora

un

sottile

astragalo

liscio

e una

fascia,

costituenti

TIPO 2,6

il coronamento del fregio, incurvato a cavetto superiormente e limitato inferiormente da un astragalo liscio e da una sottile fascia.

Si differenzia dal n. 837 per la mancanza

dell’ovolo

sotto i dentelli. Il profilo leggermente concavo del fregio richiama l’influsso della gola egizia e trabeazioni di portali di tipo greco-egizio con analoga riduzione dell’architrave ad una sottile fascia: così nell’ipogeo 2 di Anfuschi'.

Databile nella seconda metà del II a.C. ! ADRIANI, Topografia, p. 191 ss., n. 142, tav. 113, fig. 392.

498

840.

Cornice con dentelli. (Tav. 91)

Alessandria, giardini del museo,

Fratturata irregolarmente

dalla necropoli di Mustafa Pascià.

sui fianchi,

con

abrasioni lungo

la sima;

spezzati alcuni dei dentelli. Calcare. Alt. cm. 11,5; larg. cm. 54; spess. cm. 29.

La sima è a un

listello

leggerissima

sottile

dalla

gola diritta,

corona

liscia,

con

separata tramite soffitto

liscio;

seguono un sottile cavetto, un listello e una serie di den-

telli quasi quadrati e distanziati tra loro!. Databile nel tardo I sec. a.c.

Bibl.: ADRIANI,

in Annuaire,

1933-35, p. 161, n. 5, fig. 89,3.

! Per il tipo dei dentelli cfr. ADRIANI, Topografia, p. 162, n. 118, tav. 88, p. 299 (grande ipogeo di Wardiyan nella Necropoli Occiden-

tale); più distanziati, ma ugualmente quasi quadrati sono nell’Ipogeo n. 2 della necropoli di Anfushi (ADRIANI, Topografia, p. 192, n. 142, tav. 109, fig. 376).

Uguale ai nn. 841-845, con i dentelli leggermente piü distanziati; la corona è ad angolo retto con il soffitto e in generale maggiori sono le dimensioni. Databile nel tardo III-II sec. a.C. 847.

841.

Cornice con dentelli. (Tav. 91)

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18665 B (?). Abrasa la parte inferiore e lievi scheggiature sulla sopracornice. Calcare. Alt. cm. 20; lati cm. 48x26; spess. fianco sinistro cm. 23; alt. dentelli cm. 5; larg. dentelli cm. 3,5; prof. dentelli cm. 6,7.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18384. Si ricompone da due frammenti non combacianti; la parte superiore

della sima è restaurata in gesso. Calcare. Alt. cm.

12; larg. cm.

104, 5; spess. mass.

cm.

e

16,2.

La

La stima è a gola diritta, separata tramite un listello dalla sottile corona liscia, che sporge con un peduncolo sul soffitto liscio; il sottostante cavetto è schematizzato in un listello obliquo, a cui segue un altro listello dal quale pendono i dentelli rettangolari!, la cui superficie inferiore coincide con il piano di appoggio. Databile nel tardo III-II sec. a.C. "Per

il tipo dei dentelli

cfr.

ApRIANI,

Topografia,

p.

157,

Cornice angolare con dentelli.

n.

110,

sima,

a gola

diritta,

è

separata

tramite

un

listello

dalla sottile corona che sporge con un peduncolo sull'ampio soffitto liscio; seguono un cavetto e un listello da cui

pendono

i

dentelli

rettangolari,

distanziati

tra

loro

quanto la metà della larghezza di ognuno. Essendo abrasa la parte inferiore, non è chiaro se le modanature terminassero con i dentelli come nei nn. 841-

846. Databile nel II sec.

a.C.

tav. 83, fig. 276 (Necropoli Occidentale, ipogeo nel quartiere di Miniet el-Basal).

TIPO

842.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18385. Spezzato il margine superiore della sima, scheggiati alcuni dei denCalcare. Alt. cm. 13,5; larg. cm. 39; spess. mass. cm. 14,3.

Databile nel tardo III-II sec.

Alessandria,

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18481. Fratturato irregolarmente su due fianchi; abraso il margine superiore della sima. Calcare. Alt. cm. 11; larg. mass. cm. 23; spess. dentelli cm. 3,3; larg. dentelli cm. 2,5.

mass.

cm.

14; alt.

Uguale ai nn. 841-842. Databile nel tardo III-II sec.

a.C.

Cornice con dentelli. (Tav. 91) sala XIV

(vetrina B)

del museo,

di provenienza

scono-

sciuta; n. inv. 3680. Abrasi il margine superiore della sima e quello inferiore della corona. Calcare. Alt. cm. 12; larg. mass. cm. 25; spess. mass. cm. 14.

sala XXII

(vetrina B) del museo,

dono Tousson;

Spezzati gli angoli sul fianco destro e abraso il margine della sima. Calcare. Alt. cm.

n. inv.

superiore

12; larg. cm. 25; spess. cm.

Databile nel tardo III-II sec. Cornice

Tousson;

n.

inv.

18382

A.

La sima è articolata in una gola diritta, separata tramite un listello dalla corona liscia. Il soffitto è sorretto da mensole rettangolari, incorniciate da una gola rovescia schematica e con superficie inferiore percorsa da una scanalatura mediana!. Lo spazio tra le mensole è liscio e piatto.

La sottocornice

è articolata in un ovolo,

un listello

e una fascia. Va rilevato che in edicole o su porte degli ipogei alessandrini cornici semplici, senza dentelli e con il soffitto sorretto da mensole, sono frequentemente impiegate nei lati obliqui di frontoncini triangolari (o ad arco), insieme a cornici con dentelli, che sono collocate nel gheison orizzontale

del frontoncino?;

fuori Alessandria,

si trovano

impiegate a Cirene, nel tempio di Hermes, e a Cipro, nel-

l’agorà di Salamis?.

cropoli di Anfushi, ipogeo n. 2); M. SABOTTKA, in Das rémisch-byzantinische Ágypten, Mainz-am-Rhein, 1983, p. 201, tav. 41,1 (Necropoli Occidentale, Gabbari). ?v.

Hesperc,

Konsolengeisa,

p.

78;

Ip.,

in

Das

ptolemdische

Agypten, p. 140, figg. 140-141. 16,5.

849.

Uguale ai nn. 841-844.

846.

dono

! Su questo tipo di mensole «a travicello», originario di Alessandria: v. HEsBERG, Konsolengeisa, p. 68 ss. ? Cfr. ADRIANI, Topografia, p. 192, n. 142, tav. 109, fig. 376 (ne-

Cornice con dentelli. (Tav. 91)

Alessandria, 18544.

del museo,

Databile nel tardo II-I sec. a.C.

Uguale ai nn. 841-843. Databile nel tardo III-II sec. a.C. 845.

sala XXII

(Tav. 92)

Calcare. Alt. cm. 18,7; larg. cm. 60; spess. cm. 20.

a.C.

Cornice con dentelli. (Tav. 91)

Alessandria,

Cornice con mensole semplici.

Leggere scheggiature sul margine superiore della sima.

Uguale al n. 841.

844.

SEMPLICI.

TIPO 3,1

848.

telli.

843.

3: CORNICI CON MENSOLE

Cornice con dentelli. (Tav. 91)

a.C.

con dentelli.

Cornice con mensole semplici.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18389. Scheggiato il margine della sima, l'angolo sinistro della corona spezzatoo irregolarmente il fianco destro. Calcare. Alt. cm. 18; larg. mass. cm. 39; spess. cm. 26.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18470. Fratturata irregolarmente sul fianco sinistro, abrasioni sui dentelli.

Uguale al n. 848.

Calcare. Alt. cm. 25; larg. cm. 41; spess. cm. 36.

Databile nel tardo IL-I sec.

e

a.C.

499

850.

$58.

Cornice con mensole semplici.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. Scheggiature lungo il margine superiore della sima. Calcare. Alt. cm. 12; larg. cm. 32; spess. cm. 15.

Alessandria,

18469.

sala XIV del museo,

di provenienza sconosciuta; n. inv.

3659. Scheggiature lungo il margine della sima. Calcare.

Alt. cm.

12; larg. mass.

cm.

72; spess.

cm.

31; larg. men-

sole cm. 3,5; lung. mensole cm. 6.

Uguale ai nn. 848-849. Databile nel tardo II-I sec.

851.

Cornice con mensole semplici.

a.C.

Uguale ai nn. 848-857. Databile nel tardo II-I sec. a.C.

Cornice con mensole semplici.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. Scheggiato il margine della sima. Calcare. Alt. cm. 14; larg. cm. 43; spess. cm. 22.

18390.

859.

Cornice con mensole semplici. (Tav. 92)

Alessandria, sala XXII del museo,

dono Tousson; n. inv.

18471.

Scheggiature lungo il margine della sima.

Uguale ai nn. 848-850.

Calcare. Alt. cm.

Databile nel tardo II-I sec.

852.

a.C.

15; larg. cm.

Uguale ai nn. 848-858. Databile nel tardo II-I sec. a.C.

Cornice con mensole semplici.

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Superficie consumata.

860.

Calcare. Alt. cm. 20; larg. mass. cm. 46; spess. cm. 33.

Alessandria, giardini del museo,

Uguale ai nn. 848-851.

mensole. Calcare. Alt. cm.

Databile nel tardo II-I sec.

853.

Cornice con mensole semplici.

13,5; larg. cm. 63; spess. cm.

Databile nel tardo II-I sec. a.C. 18388.

Scheggiato il margine della sima. Calcare. Alt. cm. 16; larg. cm. 65,4; spess. cm. 20,4.

860A.

Cornice con mensole semplici.

Alessandria, sala XV

del museo,

(Tav. 92)

da Alessandria; n. inv. 3770.

Scheggiature lungo il margine superiore della sima.

Uguale ai nn. 848-852. Databile nel tardo H-I sec.

Calcare. Alt. cm.

a.C.

sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv.

Spezzata parte della sima.

14; larg. cm. 51,5.

Simile al n. 860, rispetto al quale differisce per l’al-

Cornice con mensole semplici.

Calcare. Alt. cm.

38.

Uguale ai nn. 848-859.

Cornice con mensole semplici. (Tav. 92)

Alessandria,

(Tav. 92)

da Alessandria; n. inv. 3783.

Scheggiato il margine superiore della sima e abrasi gli spigoli delle

a.C.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv.

854.

28; spess. cm. 20.

18383

(?).

tezza della corona, ridotta ad un listello. Databile nel tardo II-I sec. a.C.

. Bibl: Botti, Musée, sala Bauten, p. 165, fig. 111b.

15; larg. cm. 40; spess. cm. 20.

XV,

n.

27;

DELBRUECK,

Hellenistische

Uguale ai nn. 848-853. Databile nel tardo II-I sec. a.C.

861.

855.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. Scheggiato 11 margine della sima e della corona.

Cornice con mensole semplici.

Alessandria,

sala XIV

del museo,

di provenienza sconosciuta; n. inv.

3660 (?).

Uguale ai nn. 848-854. Databile nel tardo II-I sec. a.C.

862.

Cornice con mensole semplici. 18374.

Spezzata in due parti la sopracornice, con la sima abrasa. Calcare. Alt. cm.

14; larg. cm.

Cornice con mensole semplici.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18475. Scheggiato il margine superiore della sima e abrasa la restante superficie. Calcare. Alt. cm. 17; larg. cm. 40; spess. cm. 16.

come

l'esemplare

a.C.

863.

857. Cornice angolare con mensole semplici. (Tav. 92) Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. Spezzato l'angolo e scheggiato il margine della sima.

18368.

Calcare. Alt. cm. 12; larg. cm. 60; spess. cm. 38.

Affine ai nn. 848-856, rispetto a cui presenta la sima con gola diritta più sottile; manca inoltre il listello tra l’ovolo liscio inferiore e la fascia. Databile nel tardo II-I sec. a.C. 500

a.C.

Uguale ai nn. 848-861. Si osservi sporga da una lastra. Databile nel tardo II-I sec. a.C..

87; spess. cm. 24,5.

Uguale ai nn. 848-855. Databile nel tardo II-I sec.

Calcare. Alt. cm. 16; larg. cm. 37; spess. cm. 15.

Databile nel tardo II-I sec.

Calcare. Alt. cm. 11,5; larg. cm. 58,8; spess. cm. 26.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv.

18473.

Uguale ai nn. 848-860.

Scheggiature lungo il margine della sima.

856.

Cornice con mensole semplici.

Doppia cornice con mensole semplici. (tav. 92)

Alessandria, sala XXII del museo,

dono Tousson; n. inv.

18432.

Scheggiati i margini della sima e quelli inferiori. Calcare. Alt. cm.

L'elemento modo uguale

13, 5; larg. cm. 40; spess. cm. 40.

à modanato su entrambi i lati lunghi in ai nn. 848-862. La superficie inferiore é

grezza e non é chiaro se ció sia dovuto alla lavorazione originaria o a successivi danneggiamenti superficiali; su di essa sono incise le lettere A I.

Doppie

cornici senza mensole

provengono

dalla necro-

poli di Mustafà Pascià!. Databile nel tardo II-I sec. a.C. ! ADRIANI,

864.

in Annuaire,

1933-35,

p. 161, n. 6, fig. 88.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18436. Scheggiati i margini della sima e fratturato irregolarmente sui fianchi. Calcare. Alt. cm. 13,5; larg. cm. 42; spess. cm. 33.

Uguale al n. 863, insieme al quale doveva essere impiegato probabilmente nella medesima trabeazione. Databile nel tardo II-I sec. a.C. 864A.

Cornice con mensole semplici. sala

XII

del

museo,

da

(Tav. 92)

Canopo

ai nn.

848-862,

con

Databile nel tardo II-I sec.

Cornice con mensole semplici. (Tav. 92)

Alessandria,

Affine

le mensole

incorniciate

da

una schematica gola rovescia, se ne differenzia in quanto la prima modanatura della sottocornice è costituita da un cavetto, cui segue un ovolo e un listello e probabilmente una sottile fascia ora spezzata.

(Aboukir,

dono

868.

a.C.

Cornice angolare con mensole semplici. (Tav. 92)

Alessandria, sala XV del museo, da «necropoli»; n. inv. 26. Scheggiature sul lato destro del margine della sima, scheggiato golo sinistro della corona. Calcare.

Simile al n. 867, ma con rombo Databile nel tardo IL-I sec. a.C. Bibl.: Borri, Musée,

p. 532, sala XV,

l'an-

inserito nel soffitto.

n. 26.

Tousson; n. inv. 18376. Spezzata buona parte della cornice su uno dei lati lunghi, sull'altro Scheggiato un angolo.

TIPO

Calcare. Alt. cm. 14; larg. cm. 54; spess. cm. 40.

Molto simile ai nn. 863-864, anche quest'esemplare, lavorato su due lati opposti e probabilmente pertinente ad un portico, presenta sul piano inferiore una lettera incisa, in questo caso una A, molto simile a quella visibile sul n. 863,

da

cui

però

differisce

perché

non

è

seguita,

bensì

preceduta dal segno I. Databile nel tardo II-I sec. a.C.

3,2

869.

Cornice con mensole semplici e fregio. (Tav. 92)

Alessandria,

sala

XIV

del

museo,

da

Hadra

(Ibrahimieh);

n.

inv.

21710. Scheggiato l’angolo sinistro della sima e abrasa del fregio. Calcare rivestito di stucco. Alt. cm. 20,5; larg. cm. 16.

l’estremità cm.

42,

sinistra 5; spess.

La sima è a gola diritta, separata per mezzo di un listello leggermente obliquo dalla corona liscia. Il soffitto è sorretto da mensole rettangolari, incorniciate da una schex

865.

Cornice con mensole semplici. (Tav. 92)

Alessandria, giardini del museo (ora nei giardini di Kom gafa), di provenienza sconosciuta.

esch Sho-

matica gola rovescia e da un listello, con la superficie in-

Spezzato l'angolo destro della sima, compresi la corona e il soffitto, scheggiature

lungo

il margine

superiore

della sima e su buona parte

della superficie dell'ovolo liscio. Calcare. Alt. cm. 18; larg. cm. 53; spess. cm. 37.

La sima presenta una leggerissima gola diritta, separata tramite un listello dalla corona liscia, il cui soffitto è sostenuto da mensole molto sottili, lunghe e scanalate al centro; segue un ovolo appiattito tra due listelli. L’esemplare,

pur essendo

molto

simile

ai nn.

848-862,

se ne differenzia per le mensoline molto sottili (cfr. 875) e per la mancanza della sottile fascia inferiore. Databile nel tardo II-I sec. Bibl.:

LyTTELTON,

866.

Baroque

p. 49,

tav.

cm.

14,3;

larg.

cm.

38;

spess.

uguale

ai nn.

848-862,

cm.

22;

lati mensola

rispetto ai quali sembra

differire per la mancanza dell’ovolo nella sottocornice. Databile nel tardo II-I sec. a.C. 867.

sala XXII del museo,

dono Tousson; n. inv.

18522.

Scheggiati il margine superiore della sima e la fascia inferiore. Calcare con tracce di colore rosso. Alt. cm. cm. 21,5.

Magna

870.

ad

esempio

richiama

un

Cornice con mensole semplici e fregio. (Tav. 93)

14; larg. cm.

33; spess.

14,5.

Molto simile al n. 869, con cui ha in comune il trattamento delle superfici inferiori delle otto mensole che si conservano: esse infatti non sono percorse da una semplice scanalatura mediana, bensì da un bastoncino limitato da due scanalature. Databile nel I a.C. - I sec. d.C. 871.

Cornice con mensole semplici.

Alessandria,

di cor-

inferiore cm.

4x8,5.

Quasi

che

Calcare. Alt. cm. 24; larg. cm. 77; spess. superiore cm. 25; spess.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n.inv. 18382 B (?). Scheggiati gli angoli superiori e abrasioni sulla sima e sulla mensola

cm.

frammento

nice con mensole parallelepipede di Hermoupolis (n. 884). Databile nel I a.C. - I sec. d.C.

Alessandria, giardini del museo (ora nei giardini di Kom esch Shogafa), di provenienza sconosciuta. Numerose scheggiature e abrasioni circolari su tutta la superficie.

57.

Cornice con mensole semplici.

di destra. Calcare. Alt.

Va rilevato il particolare trattamento del soffitto e delle mensole,

n.

a.C.

Architecture,

feriore percorsa da uno strettissimo lacunare riempito da un bastoncino. Lo spazio tra le mensole è liscio e piatto. Seguono un ovolo liscio e appiattito e un listello, che costituiscono il coronamento di un fregio liscio.

Cornice

con mensole

semplici e fregio.

(Tav.

93)

Alessandria, sala XIV del museo, da Alessandria; n. inv. 3658. Spezzato l’angolo sinistro della sima e scheggiato quello destro; la sima è restaurata con l’unione di due pezzi combacianti stuccati nella parte mancante. Calcare.

cm.

Alt.

cm.

25,5;

larg.

cm.

65;

spess.

cm.

23;

lati

mensole

3,9x 6,6.

501

Affine ai nn. 869-870, da cui differisce per l'introduzione di un astragalo liscio sporgente e di una fascia liscia a limitare inferiormene il fregio. Databile nel tardo II-I sec. a.C. 872.

Cornice con mensole semplici e fregio. (Tav. 93)

Alessandria, 21713.

sala

XV

del

museo,

da

Hadra

(Ibrahimieh);

n.

inv.

Scheggiato il margine superiore e l’angolo destro della sima. Calcare. Alt. cm. 39; larg. cm. 69,4; alt. fregio cm. 19; larg. fregio cm. 59; spess. superiore cm. 24,5; spess. mensole cm. 3/3,3; lung. mensole cm. 6,5.

inferiore

cm.

11,5;

larg.

873.

Cornice

angolare

con mensole

Il soffitto è sorretto

da mensole

molto

sottili, prive

di in-

corniciatura e dalla sezione leggermente trapezoidale (cfr.

n. 887), come se le superfici laterali si fossero fuse con la prevista sporgenza della pietra per l’intaglio della gola; si osservi inoltre come ia loro scanalatura mediana sia piutto-

sto profonda'. Sotto di esse inoltre non segue direttamente

Uguale al n. 871, rispetto a cui presenta chiaramente visibile un listello sotto l’astragalo liscio che limita inferiormente il fregio. Si osservi come la cornice e il fregio sporgano entrambi da una lastra rettangolare. Databile nel tardo II-I sec. a.C.

(Tav.

L'esemplare è lavorato su due lati contigui, dei quali quello più corto presenta come un pilastro sporgente appoggiato al blocco della cornice e lungo il quale continuano le modanature del lato lungo. La sima presenta una gola diritta molto schematica, separata tramite un listello obliquo dalla sottile corona liscia.

semplici

e fregio.

l’ovolo liscio, bensì Il fregio è limitato sporgente, cui segue Databile nel tardo

una sottile fascia poco sporgente. inferiormente da un astragalo liscio e una fascia piuttosto alta. II-I sec. a.C.

Bibl.: BOTTI, Musée, p. 531, sala XV,

n. 16,

! Si tratta del tipo di mensoline piuttosto strette che esempio a Tolemaide: Pesce, Palazzo delle Colonne, Lauter, in Jd/, 86 1971, p. 157, fig. 8.

si ritrova ad fig. 16; H.

93)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Scheggiature lungo il margine superiore della sima e abrasioni circolari e a strisce parallele sul fregio. Calcare. Alt. cm. 30; larg. cm. 63; spess. cm. 20.

Molto simile ai nn. 871-872, presenta chiaramente visibile l'incorniciatura delle mensoline, costituita da una gola rovescia e da un listello: il soffitto di queste non presenta

876.

Cornice con mensole semplici e fregio. (Tav. 93)

Alessandria, sala XV del museo, da Hadra (Ibrahimieh); n. inv. 3746. Mancante con taglio regolare la sima; spezzata invece irregolarmente

buona parte della fascia inferiore. Calcare. Alt. mass. cm. 18,7; larg. cm. 51; spess. cm. 18.

Simile al n. 875; la mancanza della sima potrebbe indi-

una semplice scanalatura, bensi uno strettissimo lacunare

care che la cornice costituiva il gheison orizzontale di un

riempito da un bastoncino, come i nn. 869-870. L'angolo superiore sinistro della sima gira, presentando un'altra

frontoncino. Databile nel tardo II-I sec. a.C.

mensolina

sul fianco

sinistro, in realtà limitato dalla lastra

rettangolare da cui sporgono cornice e fregio. Databile nel I a.C. - I sec. d.C. 874. Cornice (Tav. 93) Alessandria, R 376.

angolare

sala XV

con mensole

del museo,

877. Cornice con mensole semplici e fregio. (Tav. 93) e fregio.

sconosciuta; n. inv.

porta con l'angolo destro della sima spezzato e con frattura obliqua abbastanza regolare sul fianco destro. Calcare. Alt. cm. 24; larg. mass. cm. 33; spess. cm. 24.

Scheggiature agli angoli della sima e della corona e lungo l'astragalo che limita il fregio. Calcare.

Uguale al n. 873, rispetto a cui presenta chiaramente visibili due listelli, e non uno solo, al di sopra della gola diritta della sima, mentre l'articolazione della modanatura

che limita inferiormente il fregio è più complessa: questa è infatti costituita da un largo listello, una schematica gola rovescia e un sottile listello. La fascia sottostante è inoltre piuttosto ampia. Anche quest’esemplare sporge da una lastra rettangolare, ma, a differenza del n. 873, la sima non gira sul fianco sinistro, ma solo l’ovolo liscio che delimita così la

larghezza del fregio. Databile nel I a.C. - I sec. d.C. 875. Cornice angolare (Tavv. 93, 130) Alessandria,

sala XV

con mensole

del museo,

da Hadra

semplici

e fregio.

(Ibrahimieh);

3747.

Scheggiata la parte sinistra della sima, di cui manca l’angolo. Calcare. Alt. cm. 21,7; larg. cm. 42,5; spess. cm.

502

n. 15.

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Si conserva l'angolo superiore destro della trabeazione di una piccola

semplici

di provenienza

Bibl.: Borri, Musée, p. 531, sala XV,

18.

n. inv.

La cornice presenta la sima articolata in due listelli obliqui e separata tramite un terzo listello dalla sottile corona liscia. Questa presenta il soffitto sorretto da mensole rettangolari, con larga scanalatura al centro; seguono un sottile listello e due fasce oblique, la prima rappresenta la schematizzazione di un ovolo liscio, mentre la seconda forma come un cavetto con un successivo listello. Questo, a sua volta, costituisce la modanatura di coronamento del fregio, insieme a due piccole fasce oblique e ad un ampio listello verticale sul margine destro. Sulla destra sotto il fregio, è visibile sporgere un capitellino, costituito da un abaco, da un listello e da una fascia liscia, sotto cui è visibile una sorta di pulvino. Il capitellino probabilmente coronava lo stipite di una porta di loculo o il pilastrino di un'edicola, a cui apparteneva la trabeazione. Va rilevata la decorazione a pulvino del capitello che rimanda direttamente ad un tipo di capitello molto diffuso

a Cirene dalla fine del IV sec. a.C. (Donario degli Strateghi) e durante tutto il periodo ellenistico!. Databile nella seconda metà del II-I sec. d.C. ' L. BACCHIELLI, in RendLincei, 35, 1980, p. 328, fig. 8.

TIPO 4: CON MENSOLE PROFILATE A S (TIPO RODIO) 878.

Cornice con mensole profilate a S. (Tav. 93)

Alessandria,

sala XIV

(vetrina A) del museo,

da Alessandria; n. inv.

3685. Spezzato l’angolo e parte del lato destro; scheggiato il margine superiore della sima. Calcare con tracce di colore rosso, sul listello tra sima e corona, e di

giallo sull’incorniciatura delle mensole. Alt. cm. 15; larg. cm. 49, 3; spess. cm. 34.

La

sima

è a

sottile

gola

diritta,

separata

tramite

uno

spesso listello dalla sottile corona liscia. Questa è sorretta da mensole incorniciate da una schematica gola rovescia e

riormente da un ovolo liscio piuttosto sporgente e inferiormente limitata da una leggera scanalatura, un astragalo sporgente liscio e una sottile fascia che delimita il piano di posa. Databile nel I sec. a.C. 881.

Cornice con mensole profilate a S. (Tav. 93)

Alessandria, sala XXII del museo, Scheggiature lungo la sima.

dono Tousson; n. inv.

18379.

Calcare. Alt. cm. 20; larg. mass. cm. 51; spess. cm.22.

Uguale al n. 880. Databile nel I sec.

d.C.

da un listello; a differenza delle cornici fin qui trattate, la

superficie inferiore delle mensole una

larga scanalatura

mediana,

non solo è percorsa da

ma

è modanata

ad S, con

la curva posteriore concava che si prolunga sulla fascia che separa il soffitto dal sottostante ovolo liscio!. Questo, insieme

ad un sottile listello, costituisce il coronamento

882.

Cornice con mensole profilate a S. (Tav. 93)

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. Abrasa la parte centrale della sima e della corona. Calcare. Alt. cm. 20; larg. cm. 48; spess. cm. 21.

di

un fregio convesso, quasi sagomato a leggera gola diritta. Un confronto abbastanza simile, anche per la sottigliezza delle mensole è con le cornici dell'Ottagono di

Uguale ai nn. 880-881.

Efeso?, degli inizi dell'età imperiale.

883.

Databile nel I sec. a.C. o primi decenni del successivo. ! Su questo tipo di mensole,

d'origine rodia, cfr. v. HesBERG,

Kon-

solengeisa, p. 43 ss. ? Ip., p. 56, tav. 53.

879.

Cornice angolare con mensole profilate a S.

Alessandria,

sala XXII del museo,

dono Tousson; n.inv.

22; lato destro cm.

Databile nel I sec. d.C.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. Scheggiati gli angoli della sima e della corona. Calcare. Alt. cm. 23; larg. cm. 48; spess. cm. 20.

41; lato sinistro cm.

Treo

MENO).

Mentre la sima e la corona sono simili al n. 878, maggiore è il prolungamento delle mensole sulla più ampia fascia tra il soffitto e l’ovolo liscio. Questo è piuttosto sporgente e costituisce il coronamento di una leggera gola rovescia, delimitata inferiormente da un listello e da una sottile fascia. Si osservi come la parte inferiore e verticale della mensola possa ricordare vagamente un triglifo. Databile nel I sec. a.C. o primi decenni del successivo.

884.

880. Cornice angolare con mensole profilate a S. (Tav. 93) Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18367. Scheggiati l’angolo sinistro e quello centrale; diverse abrasioni sulla sima. Alt.

cm.

22;

lato sinistro

cm.

50; lato destro

cm.

41.

Quasi uguale al n. 879, da cui differisce leggermente per i rapporti di proporzione tra le singole modanature, anche qui è visibile una sima a gola diritta abbastanza sottile, separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia; il soffitto di questa è sorretto da mensole

18373.

Uguale ai nn. 880-882. Databile nel I sec. d.C.

33; spess.

Calcare.

Cornice con mensole profilate a S.

18520.

Spezzato l'angolo centrale della sima e della corona; abrasi i margini superiori della sima sul lato destro. Calcare. Alt. cm. cm. 33,5.

18372.

ad S con

la curva concava sul retro che si prolunga su una fascia tra il soffitto e l’ovolo liscio sottostante. Anche in questo esemplare si osservi l’ampia scanalatura (cm. 2) che percorre l’asse mediano delle mensole. Maggiormente distinguibile rispetto al n. 879 è ancora il sottostante fregio, a leggera gola diritta, coronata supe-

5:

CON

GRANDI

MENSOLE

SEMPLICI

(TIPO

PERGA-

Cornice con mensole semplici. (Tav. 94)

Hermoupolis Magna (Ashmunein), area della Basilica cristiana. Resta una mensola e parte della corona corrispondente; fratturato irregolarmente su un fianco superiore della corona. Calcare.

e inferiormente;

scheggiata

la modanatura

Della cornice è visibile soltanto una corona liscia superiormente incorniciata con un sottile ovolo e con il bordo inferiore che sporge leggermente rispetto al soffitto. L'ampio soffitto era sorretto da mensole rettangolari (di cui ne resta una), con lacunare sul piano inferiore riempito da un ovolo liscio e appiattito. Lungo il contorno la mensola è accompagnata da una doppia incorniciatura a fascia obliqua e a listello. Inferiormente segue un cavetto, mentre le restanti modanature della sottocornice sono ora mancanti. È possibile che il pezzo facesse parte del gheison orizzontale

del

frontone,

e

ad

esso

è

forse

pertinente

un

angolo di gheison decorato sul soffitto da un’aquila disposta obliquamente in asse con la bisettrice dell’angolo e con le ali dispiegate. La cornice non pare nella tradizione dei tipi alessandrini con mensole semplici e piatte (cfr. nn. 848, 870874, 877), il cui uso continuò anche nella prima età imperiale!; le dimensioni e la forma della mensola, infatti,

permettono un collegamento con tipi microasiatici di origine pergamena (porta del ginnasio di Assos, ecc.), in 503

voga anche in epoca tardo repubblicana o proto-augustea in Italia, ma

sempre

Databile nel I - prima metà del II sec. d.C. ! Cfr. v. HEsBERG, Konsolengeisa, p. 68 ss. ? Ip., pp. 22 ss., 144 ss., tav. 22,4 (Roma, tempio del Divo Giulio).

Treo

6:

CORNICI

CON

MENSOLE

SEMPLICI

886B.

Cornice con mensole semplici e dentelli.

(Tav. 94)

di tradizione orientale?.

SEPARATE

DA

CASSETTONI.

Alessandria, sala XV del museo, da Alessandria; n. inv. 3830. Scheggiata e in parte mancante la sima, abrasi e scheggiati i dentelli,

soprattutto quelli laterali. Calcare. Alt. cm. 10; larg. mass. cm. 19.

Simile ai nn. 885-886A, il frammento apparteneva alla cornice di un timpano arcuato. Databile tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. Bibl.: BOTTI, Musée,

65-69.

TIPO

Cornici con mensole scanalate, dal santuario tolemaico di Hermoupolis Magna (v. p.00).

7: CORNICI CON MENSOLE

SEMPLICI E DENTELLI.

885.

Cornice

n. 54.

TIPO 7,2

887. Cornice angolare con mensole semplici e dentelli. (Tav. 94) Alessandria, sala XIV del museo, da Alessandria; n. inv. 3612. Si ricompone di cinque frammenti combacianti con stuccatura punti di unione. Calcare. Alt. cm. 13; lati cm. 160x 72.

TIPO 7,1.

(Tav.

sala XV,

con mensole semplici e dentelli.

Simile per la sima e la corona ai nn.

94)

Alessandria, sala XXII del museo,

dono Tousson; n. inv.

18380.

Scheggiata la sima e abrasi alcuni dei dentelli. Calcare. Alt. cm. 19,5; larg. cm. 28; cm. 7x4,7; lati dentelli cm. 5x2,6.

spess.

cm.

23; lati mensole

885-886,

nei

ne diffe-

risce per la sezione trapezoidale (cfr. n. 875) e non rettangolare delle piccole mensole che sostengono il soffitto. Il contorno delle mensole è inoltre sottolineato da una profonda scanalatura, che continua anche sul fondo dello

spazio intermedio. Un'altra scanaltura è visibile lungo la

La sima presentava in origine una gola diritta, separata tramite un listello obliquo dalla sottile corona diritta. Il soffitto è sostenuto da mensole rettangolari con scanalatura

diagonale che divide l’angolo tra i due lati della cornice. I dentelli sono molto ravvicinati e rettangolari, in modo simile ai nn. 815-816, 819, 821, 833, 839 e a cornici del

mediana

Palazzo

abbastanza

larga;

seguono

un cavetto,

un listello

e una serie di dentelli allungati, stretti e piuttosto ravvicinati tra di loro (cfr. n. 817). Le ultime modanature sono costituite da un ovolo liscio, un listello e una sottile fascia

il cui margine inferiore coincide con il piano di posa!. Databile tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. ! Per l’associazione di cornici con mensole e dentelli v. H. LAUTER, in JdI, 86, 1971, p. 157, fig. 8 (Palazzo delle Colonne a Tolemaide); M. SABOTTKA, in Das rómisch-byzantinische Ágypten, p. 101, tav. 41 (Alessandria, Gabbari), ecc.

886. Cornice con mensole semplici e dentelli. (Tav. 94) Alessandria, sala XIV del museo, da «necropoli»; n. inv. 3821. Si compone di due pezzi combacianti; numerose scheggiature sulla sima e mancante l'angolo destro sul retro. Calcare. Alt. cm. 13; larg. cm. 65; spess. cm. 24.

Per le modanature uguale al n. 885. Databile tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. Bibl.: BOTTI, Musée, p. 533, sala XV,

n. 48.

886A. Cornice con mensole semplici e dentelli. (Tav. 94) Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, da Hadra (Ibrahimieh), dono M. Sardella; n. inv. 17822. Fratturata e mancante buona parte della sopracornice, scheggiati i dentelli laterali. Calcare. Alt. cm. 16; larg. mass. cm. 16,5.

Molto simile ai nn. 885-886. Databile tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C.

504

delle

Colonne

di

Tolemaide,

alle

quali

rimanda

anche la sezione trapezoidale delle mensole. Databile nella prima metà del I sec. a.C. Bibl.: v. HEsBERG, Konsolengeisa, p. 71, tav. 7,2. ! Pesce, Palazzo delle Colonne, 1971, pp. 157, 172, figg. 8, 19.

tav.

8, d; H.

LAUTER,

in Jdl,

86,

888. Cornice di frontoncino spezzato con mensole semplici e dentelli. (Tavv. 94; 115; 132,1) Alessandria, sala XV del museo, da Gabbari; n. inv. 3790. Scheggiati l’angolo destro della sima e due dentelli sul fronte, zata la sima sul fianco sinistro. Calcare. Alt. cm. 22,5; lati inferiori cm. 23x 19.

spez-

L’elemento apparteneva all’angolo destro di un frontoncino spezzato ed è lavorato sul fronte e sul fianco sinistro obliquo: presenta una sima sagomata con gola diritta, separata tramite una semplice incisione da una corona liscia; il soffitto è sorretto da strette mensole a sezione leggermente trapezoidale e con scanalatura mediana. Un’altra scanalatura accompagna i fianchi delle mensole e lo spazio tra di esse sul fondo, in modo da isolare uno spazio quadrangolare intermedio tra le mensole, che non può però definirsi cassettone, mancando la delimitazione sul fronte. Seguono listelli degradanti, forse derivanti dalla schematizzazione di una gola semplice, da cui pende una serie di dentelli strettissimi e molto allungati. Le ultime modanature sono costituite da un ovolo liscio, da un listello arrotondato e da una fascia. Va rilevata la ricerca d’illusionismo prospettico data dal piano inferiore dei dentelli obliquo e non orizzontale, e dalla sezione trapezoidale delle mensole.

Infine si deve sottolineare che quest'angolo di frontoncino non era isolato, bensi,

come

risulta da una foto degli

anni '30, dove il fianco sinistro appare più intero (tav. 115), era unito all'angolo di un timpano, anche se più avanzato

rispetto

ad

esso,

in

modo

analogo,

dunque,

a

quanto è noto dai frontoncini con pennacchi acroteriali dell’architettura cristiana nell’Egitto del V e VI secolo (cfr.

cat.

nn.

1009,

1010,

1011),

che

evidentemente

ri-

prendono questa tradizione di origine tolemaica. Si tratta, dunque, di una modalità d’uso diversa dagli spicchi di frontoncini isolati, quali compaiono nella parte superiore della facciata interna settentrionale del Gran Peristilio nel

Palazzo delle Colonne a Tolemaide!.

Cornice con mensole semplici e dentelli. sala XXII del museo,

da Gabbari, dono Tousson; n. inv.

18472. Scheggiata buona parte della sima e abrasi alcuni dei dentelli. Calcare. Alt. cm. 28; larg. cm. 54; spess. cm. 29; lati dentelli cm. 5,5x3.

Molto affine al n. 889. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. 892. Cornice con mensole semplici e dentelli. (Tav. 95) Alessandria,

sala XIV

(vetrina A) del museo,

da Alessandria; n. inv.

3678.

Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. Bibl: Born, Musée, p. 532, sala XV, n. 33; H. v. HESBERG, in L’Art decoratif a Rome, Rome 1981, p. 29, fig. 35; P. PENSABENE, in Studi in onore A. Adriani, Palermo

891.

Alessandria,

1983, I, p. 108, figg. 8-9.

! Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 27, tav. X.

Mancante della sima e delle corona; fratturato irregolarmente sui fianchi. : Calcare, con resti di colore azzurro tra gli attacchi delle mensole, giallo sui listelli tra le mensole e i dentelli, rosa sulla fascia inferiore. Alt. cm. 24,5; larg. mass. cm. 23; spess. mass. cm. 12.

Uguale ai nn. 889-891. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

TIPO 7,3 TIPO 7,4

889. Cornice angolare con mensole semplici e dentelli. (Tav. 94) Alessandria, sala XXII del museo, da Gabbari, dono Tousson; n. inv. 18468. Scheggiata la sopracornice e parte dei dentelli. Calcare. Alt. cm. 25; lati cm. 49x22; lati dentelli cm. 6x3.

893. Cornice (Tav. 95)

con

mensole

Alessandria, sala XXII del museo,

semplici

dentelli

e fregio.

dono Tousson; n. inv.

18832.

Abrasioni sulla sima e agli angoli. Calcare. Alt. cm. 30,5; larg. cm. 34,5; sporg. cm. 17; spess. lastra cm. 12; lati mensole cm. cm. 2x2.

cornice dalla lastra 6x4,1; lati dentelli

La sima è a leggere gola diritta, separata tramite un listello dalla sottile corona liscia. Il soffitto era sostenuto da sottili mensole scanalate (come nel n. 891, più intero) e ad esso seguono due listelli degradanti e una serie di dentelli piuttosto allungati e ravvicinati tra loro (larghi la

differisce per la forma quadrata dei dentelli, distanti tra loro quanto la loro larghezza. I dentelli sono separati dal soffitto tramite un doppio listello, mentre inferiormente

metà della loro altezza).

presentano

Più complessa rispetto ai nn. 885-887 è la modanatura della parte inferiore, costituita da un appiattito ovolo liscio, un listello arrotondato, una fascia leggermente obliqua, una gola rovescia e una stretta fascia aggettante. Databile nel tardo Il - prima metà del I sec. a.C.

costituiscono

Bibl.: DeLBRUCK,

Hellenistische Bauten, p. 166, fig. 113.

890. Cornice angolare con mensole semplici e dentelli, da frontoncino. (Tav. 95) Alessandria,

magazzini

del

museo,

da

Gabbari,

dono

Tousson;

n.

Mentre per la sopracornice è simile ai nn. 885-892,

un

ovolo

liscio,

l'incorniciatura

un listello e un del fregio;

cavetto

questo

ne

che

è limitato

inferiormente da un astragalo liscio e sporgente e da una fascia. La cornice sporge da una lastra e presenta a sinistra l'angolo terminale. La forma del dentelli distanziati trova un confronto diretto nell’Ipogeo n. 2 della necropoli di Anfushi!. Databile nel tardo I a.C. - primi decenni del I sec. d.c. ! ADRIAN, Topografia, p. 192, n. 142, tav. 109, fig. 376.

TIPO 7,5

inv. 18474. Abraso il margine inferiore della corona e spezzata la sima obliqua. Calcare. Alt. cm. 36.

Per

le

modanature

è

simile

al

n.

889,

rispetto

a cui

presenta poggianti sull'angolo sinistro una sima obliqua che rivela l'appartenenza del frammento ad un frontoncino. Questo era collegato sul fianco sinistro con una trabeazione rientrante rispetto ad esso, la quale presenta il soffitto più spesso sorretto da mensole, che apparentemente mancano invece nel soffitto più stretto del gheison orizzontale del frontoncino, sotto il quale in compenso vi sono 1 dentelli. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

894. Cornice (Tav. 95)

obliqua con mensole

semplici

e dentelli.

Alessandria, sala XXII del museo, dono Tousson; n. inv. 18474 B. Spezzata parte della sima, scheggiata nella parte restante, e abrasi e scheggiati alcuni dentelli. Calcare. Alt. cm. 38; larg. cm. 34; spess.

cm. 29.

Simile per la sopracornice ai nn. 885-892, presenta una serie di dentelli stretti,

allungati

e piuttosto ravvicinati

tra

loro, pendenti da un doppio listello e inferiormente seguiti da un appiattito ovulo liscio, un sottile listello arrotondato e una gola diritta alta e piuttosto appiattita, separata tramite un astragalo liscio da una sottile fascia. 505

L'esemplare doveva appartenere ad una cornice obliqua di frontone, data l'inclinazione dei dentelli rispetto alle linee orizzontali. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

? Sono note infatti vicino ad Alessandria, a Plinthine, cornici con mensole alternate a mutuli, sotto i quali pendono le guttae (n. 994), databili al If sec.

a.C.

o più tardi (cfr.

V.

HesBERG,

Konsolengeisa,

p.

71), che potrebbero confermare l’influsso esercitato dalla forma dei mutuli su questa nuova ripartizione del soffitto della cornice con mensole.

TIPO 7,6

897. Cornice con mensole semplici, incorniciature quadrangolari e fregio liscio. (Tav. 95)

895. Cornice con mensole semplici e dentelli. (Tav. 95)

Alessandria,

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Spezzato

l'angolo

sinistro

della

sima

destra. Calcare bianco tenero. Alt. cm. 39.

e abrasi

parte

dei

dentelli

di

13,8; larg. cm. 31,5; spess. cm.

La sima è a gola diritta, separata tramite un listello da una

sottilissima corona,

poco

meno

alta del listello che la

sovrasta. Il soffitto è sorretto da mensole rettangolari ed è

separato tramite un cavetto da una serie di dentelli appena rettangolari, cui seguono un ovolo liscio, un listello e una

fascia sottile!.

sala XIV del museo,

di provenienza sconosciuta; n. inv.

3601. Si compone di tre frammenti, apparentemente combacianti, con stuccatura sulle linee di frattura. Scheggiato il margine superiore della sima. Calcare. Alt. cm. 44; larg. cm. 74; spess. cm. 33.

Uguale al n. 896. Databile nel I a.C.

- I sec. d.C.

898. Cornice con mensole semplici, incorniciature quadrangolari e fregio liscio. Alessandria,

sala XIV

del museo,

di provenienza sconosciuta; n. inv.

Databile nella seconda metà del I sec. a.C.

R.363. Mancante

! Cfr. con i frammenti di cornice di una casa di Tebtynis: M. No-

tracce di colore rosso sulla sima e sulle incorniciature quadrangolari e

WICKA,

La maison privée dans l'Egypte ptolémaique, Warszaw

1969, p.

11, fig. 65.

di giallo sulle mensole

Uguale

8,1

sala XIV del museo,

e

incorniciature

della sima. Calcare. Alt. cm. 44; larg. cm.

di provenienza sconosciuta; n. inv.

167; sepss. cm. 33.

La sima presenta la consueta gola diritta separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia e sottile. Il soffitto è sostenuto da mensole rettangolari con scanalatura

centrale, alternate a incorniciature quadrangolari delimitanti uno spazio vuoto nel soffitto! (ciò esclude si tratti di mutuli, anche se è possibile un’influenza di questa forma sulle dimensioni e sul contorno delle incorniciature?): sia le prime, sia le seconde sono incorniciate da un listello obliquo leggermente sporgente. Inferiormente segue un liun ovolo

liscio e un

altro sottile listello che

ai nn.

costi-

tuiscono il coronamento di un fregio liscio, inferiormente limitato da un listello, da una gola semplice e da un altro listello, coronante una sottile fascia il cui margine inferiore coincide con il piano di posa dell'elemento. Databile nel I a.C. - I sec. d.C. ! Le mensole e le incorniciature quadrangolari ad esse alternate costituiscono praticamente un motivo continuo, essendo unite sul retro dalla stessa fascia ed essendo accompagnate lungo il contorno da un listello

Alt.

cm.

Calcare

14,5; larg. cm.

con 59;

che

eccetto che per la parte infe-

appare

limitata ad una

fascia sot-

tostante all'ovolo liscio. Databile nel I a.C. - I sec. d.C. Cornice

con

mensole

semplici

e

incorniciature

quadrangolari. del

museo,

da

Canopo

(Aboukir),

dono

Scheggiata la sima. Calcare. Alt. cm. 13; larg. cm. 28, 2; spess. cm. 17,4. x

La sima è a leggera gola diritta, separata tramite un sottile listello della corona, pure liscia; il soffitto è sostenuto da due incorniciature quadrangolari accompagnate da un listello arrotondato e da un listello obliquo, derivante dalla schematizzazione di una leggera gola rovescia. È probabile che mensole semplici si alternassero a

coppie di incorniciature quadrangolari intagliate negli elementi contigui. Seguono un ovolo liscio incorniciato due listelli, una gola rovescia e una sottile fascia. Si osservi che,

a differenza dei nn. 896-898,

da

le incorni-

ciature non presentano solcature al centro della superficie inferiore. Databile nel I a.C. - I sec. d.C. 900. Cornice quadrangolari.

con

mensole

semplici

e

incorniciature

Alessandria, sala XXII del museo, da Canopo (Aboukir), dono Tousson; n. inv. 18396. Scheggiate e consumate la sima e la parte anteriore della incornicia-

tura quadrangolare. Calcare. Alt. cm.

13; larg. mass.

uguale: ciò può richiamare una sorta di meandro semplificato e indica come entrambi i motivi fossero sentiti come aventi il medesimo valore

Uguale al n. 899.

decorativo.

Databile nel I a.C.

506

rettangolari.

896-897,

senza fregio,

Alessandria, sala XXII Tousson; n. inv. 18392.

R 362. Si compone di cinque frammenti combacianti con stuccatura sulle linee di frattura, di restauro tutto il fianco destro e la parte centrale

stello,

riore,

899.

896. Cornice con mensole semplici quadrangolari, e fregio liscio. (Tav. 95) Alessandria,

sinistro della sima e del soffitto.

spess. cm. 32.

Tiro ὃ: CORNICI CON MENSOLE SEMPLICI ALTERNATE A MUTULI SCHEMATIZZATI SENZA GUTTAE, VUOTI ALL'INTERNO E RIDOTTI A INCORNICIATURE QUADRANGOLARI. TIPO

l'angolo

cm. 23,5; spess. cm.

- I sec. d.C.

17,5.

901.

Cornice

con

mensole

semplici

e

incorniciature

quadrangolari. Alessandria,

sala XIV

del museo,

di provenienza sconosciuta; n. inv.

3724. Fratturata irregolarmente

sul fianco destro e lungo la fascia inferiore;

della cornice si conerva la parte relativa alla mensola. Calcare

con

tracce

di

colore

rosso

sulla

sima,

viola

sul

listello

obliquo, verde sulla corona liscia e sulle mensole queste incorniciate da

listello

viola,

e rosa

all'intemo

delle

mensole..

Alt.

cm.

12,3;

larg. mass. cm. 16,8; spess. cm. 19.

Uguale ai nn. 899-900. Databile nel I a.C.

- I sec.

Sulla superficie inferiore, costituente il piano di appoggio, vi è inciso M I. Per analoghe mensole sottile a sezione trapezoidale confronta i nn. 875-876. Confronti uguali si trovano nel Pa-

lazzo delle Colonne a Tolemaide!. Databile tra la fine del II e i primi decenni del I sec. a.C. Bibl.: LyrTELTON,

905. Cornice quadrangolari.

d.C.

Baroque Architecture, p. 49, tav. 58.

! Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 26, tav. VIII, c.

con

mensole

semplici

e

incorniciature

Alessandria, magazzini del museo, dalla necropoli di Mustafa Pascià.

902. Cornice quadrangolari.

con

mensole

semplici

e

incorniciature

Alessandria, sala XIV del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. 3799. Scheggiata la sima e parte della fascia inferiore.

Calcare. Alt. cm. 15; larg. mass. cm. 15; spess. cm. 27.

Uguale al n. 898, con il quale presenta in comune anche la scanalatura inferiore dell'incorniciatura rettangolare in funzione di mensola. Databile nel I a.C. - I sec. d.C. 903. Cornice quadrangolari. Alessandria,

con

sala

XXII

mensole del

semplici

museo,

da

e

Canopo

incorniciature (Aboukir,

dono

Tousson; n. inv. 18476. Scheggiata la sima, eccetto che nella parte centrale.

La sima presenta la consueta gola diritta, coronata superiormente da un doppio listello, mentre inferiormente è separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia. Il soffitto & sostenuto alternativamente da mensole rettangolalari e da mensole a forma di incorniciatura quadrangolare, in entrambi i casi con la superficie inferiore solcata al centro. un

ovolo

liscio,

un

sottile

cavetto,

una

gola

rovescia e un fregio liscio. Databile nel I a.C. - I sec. d.C.

16,5.

Uguale al n. 904. Databile tra la fine del If e i primi decenni del I sec. a.C. Bibl: ADRIANI, SBERG,

in Annuaire,

in Das ptolemüische

1933-35, p. 161, n. 2, fig. 87; V. HE Agypten,

p.

140, fig.

138; Ip., Konsolen-

geisa, p. 72, g. nota 314.

906. Cornice con mensole quadrangolari. (Tav. 95)

semplici

e

incorniciature

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Mancante l'angolo destro della sima e del soffitto. Calcare. Alt. cm. 22; larg. cm. 65; spess. cm. 48; lati mensole 12x4,5.

L’esemplare

Calcare. Alt. cm. 13,6; larg, cm. 50; spess. cm. 16.

Seguono

In buona parte mancanti Ja sima e la corona. Calcare. Alt. cm. 20; larg. cm. 44,5; spess. cm.

sembra

simile

ai nn.

904-905,

cm.

nonostante

siano visibili sotto il soffitto soltanto tre strette mensole rettangolari a sezione trapezoidale. Evidentemente la trabeazione a cui esso apparteneva doveva includere cornici con solo mensole rettangolari e cornici con mensole rettangolari ed altre a forma di incorniciatura quadrangolare, alternate secondo una successione dipendente dalla posizione nell’elevato. Databile tra la fine del II e i primi decenni del I sec. a.C. 907.

Cornice

con

mensole

semplici

e

incorniciature

quadrangolari. (Tav. 95) TIPO

8,2

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta.

904. Cornice con mensole quadrangolari. (Tav. 95)

semplici

e

incorniciature

Uguale al n. 906. Databile tra la fine del II e i primi decenni del I a.C.

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Scheggiature sul margine superiore della sima. Calcare. Alt. cm.

17; larg. cm. 48; spess. cm. 46.

La sima è a leggera gola diritta, separata tramite un listello dalla sottile corona. Il soffitto è sostenuto alternativamente da mensole rettangolari e da mensole a forma di incorniciature

quadrangolari,

che,

a

differenza

Spezzata con linee oblique sul lato destro; delle mensole se ne conserva soltanto una intera. Calcare. Alt. cm. 17; larg. mass. cm. 41; spess. cm. 46,5.

dei

nn.

896-903, sono piuttosto sottili, a sezione trapezoidale e con profonda scanalatura, non soltanto al centro della superficie inferiore, ma anche lungo il contorno: la superficie intermedia tra le mensole viene così ad assumere l’aspetto di un cassettone, del quale però manca la delimitazione del quarto lato sul fronte. Gli spazi interni delle mensole a incorniciatura rettangolare sono quasi perfettamente quadrati.

908. Cornice con mensole quadrangolari. (Tav. 95)

semplici

e

sec.

incorniciature

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Spezzati gli angoli della sima, di cui resta intera soltanto la parte re-

lativa alla mensola centrale. Calcare. Alt. cm. 22; larg. cm. 67; spess. cm. 44.

Uguale ai nn. 904-907. Sulla superficie del piano di appoggio inferiore sono visibili incise le lettere numerali N X. Databile tra la fine del Il e i primi decenni del I sec. a.C. 507

909. Cornice quadrangolari.

con

mensole

semplici

e incorniciature

(Tav. 95)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta; n. inv. 129. Mancante la sopracornice. Calcare. Alt. cm. 22; larg. mass. cm. 68; spess. inf. cm. 25.

Uguale ai nn. 904-908. Sulla superficie del piano di appoggio inferiore sono visibili incise le lettere N X. Databile tra la fine del II e i primi decenni del I sec. a.C. 910. Cornice con mensole quadrangolari. (Tav. 95)

semplici

e

Si conserva soltanto la sottocornice. Calcare. Alt. cm. 18; larg. mass. cm. 42; spess. mass.

Alessandria, sala XXII del museo,

e

Cornici tardo-ellenistiche in marmo sono molto rare ad Alessandria: due pezzi provengono dall’ Auditorium di Kom el Dik, dove erano impiegati come sedili! e differiscono per la presenza di dentelli sopra l’ovolo. Databile nel I sec. a.C. Bibl.: DELBRUCK,

Hellenistische Bauten, p. 165, fig. 111.

!T. Borkowska-KoLaTaJ, in Starozytna Polskich, Warszawa 1977, p. 35 ss.

TIPO

cm. 34.

Uguale ai nn. 904-909. Sulla superficie del piano di appoggio inferiore è visibile la lettera A. Databile tra la fine del Il e i primi decenni del I sec. a.C. semplici

listelo, un ovolo liscio e una sottile fascia.

Aleksandria

w Badaniach

incorniciature

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta.

911. Cornice con mensole quadrangolari. (Tav. 95)

da delimitare uno spazio rettangolare, formante come un irregolare cassettone. Le modanature della sottocornice sono costituite da un

incorniciature

di provenienza sconosciuta.

Spezzato il fianco destro della sopracornice. Calcare. Alt. cm. 22; larg. cm. 45; spess. cm 50.

Uguale ai nn. 904-910. Sulla superficie del piano di appoggio inferiore sono visibili incise le lettere N B.

Databile tra la fine del II e i primi decenni del I sec. a.C.

8,4

913. Cornice angolare con mensole ciature quadrangolari. (Tav. 96) Alessandria, giardini del museo,

semplici e incorni-

di provenienza sconosciuta.

Fratturati gli angoli della sima, di cui è abraso il margine superiore. Calcare. Alt. cm. 45; larg. cm. 77.

Il soffitto della corona presenta mensole strette e rettangolari alternate a incorniciature quadrangolari: queste sono accompagnate esternamente da un ovolo liscio e da un listello e la superficie inferiore è percorsa da una scanalatura mediana. Lo spazio racchiuso all’interno dell’incorniciatura è quasi quadrato e più piccolo dello spazio quadrato intermedio che separa le mensole. Il punto di passaggio del soffitto nell’angolo è risolto con il continuare intorno ad esso delle modanature che incorniciano le mensole. La

sottocornice

è

costituita

da

una

faenia,

un

ovolo

liscio e un leggero cavetto e sporge dal blocco in cui è intagliata formando un angolo. In un ipogeo di Gabbari il gheison orizzontale del fron-

toncino di un’edicola funeraria presenta alle estremità anTIPO

golari la medesima soluzione di incorniciature quadrangolari intere e ridotte per collegare la decorazione del soffitto con quella del suo proseguimento sul fianco inserito

8,3

912. Cornice con mensole quadrangolari. (Tav. 96)

semplici

e

incorniciature

Alessandria, giardini del museo, da Gabbari (?). Abrasi i margini della sima, scheggiata sull'angolo destro. Marmo.

Simile genericamente

Bibl.: ADRIANI,

ai nn. 904-911 per la sopracor-

quadrangolari,

solcate

non

al centro,

bensi

sui

margini: si viene cosi a delimitare per ogni lato un listello che forma come

un cassettone all'interno della mensola,

in

quanto un quarto listello risulta sul fondo da una quarta solcatura che continua quella della mensola. Il cassettone è quadrato, mentre lo spazio tra le mensole e le incorniciature e rettangolare. Si osservi inoltre come sull’angolo destro, dove la cornice

gira

brevemente,

il

punto

di

raccordo

è

costituito

poco elegantemente da due mensole che si dispongono ad angolo retto; di queste la mensola di destra è più lunga e tocca la prima delle mensole del lato successivo, in modo 508

in Annuaire,

1933-35,

p.

161, n. 4, fig.

89,2; v. He-

SBERG, Konsolengeisa, p. 71, g.

nice, l'esemplare è tuttavia di marmo e presenta le mensole rettangolari a sezione trapezoidale più espanse alla base e con solcatura mediana non approfondita. Piü decisamente a sezione semitrapezoidale sono inoltre le incorniciature

nella parete!. Databile nel tardo II - prima metà I sec. a.C.

! M. SABOTTKA, in Das ròmisch-byzantinische Rhein 1983, p. 201, tav. 41.

Ágypte,

914. Cornice con mensole semplici quadrangolari. (Tav. 96; Fig. 80)

e

Alessandria, magazzini del museo, dal Quartiere Finney). Abrasa parte della sima e della corona. Calcare giallo con resti di colore rosso sul soffitto. Alt. cm. 15; larg. cm. 40; spess. cm. 37,5.

Mainz-am-

incorniciature Reale

(cantieri

Presumibilmente la cornice presentava, come nel n. 916 la sima con la consueta gola diritta e la corona liscia. Delle mensole che sostenevano il soffitto resta soltanto un'incorniciatura quadrangolare, simile ad un cassettone, collocata in corrispondenza dell'angolo formato tra la parte sporgente della cornice (che eventualmente doveva essere collocata al di sopra di una colonnina e quella rientrante, che coronava forse una porta.

La

sottocornice

é costituita da un

liscio tra due listelli arrotondati grande, che, tramite un listello parato dall'ultima modanatura a Databile nel tardo II - prima

cavetto,

Bibl: ADRIANI, in Annuaire, 1935-39, p. 50, 17,4; v. HEsBERG, Konsolengeisa, p. 70, d.

915. Cornice quadrangolari. Alessandria,

con

magazzini

mensole del

da un ovolo

e da un altro cavetto piü e un astragalo liscio, è segola rovescia. metà I sec. a.C. n.

semplici

museo,

dal

14, tav. XV,

e

Reale

(cantieri

Finney). Fratturate le parti laterali della sopracornice e abrasi i margini della sima. Calcare giallo chiaro, con resti di colore giallo, rosso, bruno e ver-

de-blà. Alt. cm. 20; larg. cm. 45; spess. cm. 33.

Uguale al n. 914, rispetto a cui mostra chiaramente l'alternarsi di mensole rettangolari con solcatura centrale e di incorniciature quadrangolari. Databile nel tardo II - prima metà I sec. a.C. Bibl: ADRIANI, in Annuaire, 1935-39, p. 50, n. 17,5; v. HesBERG, Konsolengeisa, p. 70, d.

Alessandria, sala XXII (vetrina B) del museo, da Canopo (Aboukir), dono Tousson; n. inv. 18542. Fratturati irregolarmente i fianchi e il retro; abrasi il margine della sima e parte di alcuni dei dentelli. Calcare. Alt. cm. 14; larg. mass. cm. 14; spess. cm. 20.

4, fig.

incorniciature

Quartiere

917. Cornice con mensole semplici alternate a incorniciature quadrangolari e dentelli. (Tav. 96)

15, tav. XV,

Simile per la sopracornice e le mensole al n. 916, se ne differenzia per l’introduzione di un sottile bastoncino che riempie la scanalatura mediana della superficie inferiore delle mensole e delle incorniciature. Manca inoltre la scanalatura che nel n. 916 accompagna all’esterno mensole e incorniciature. I dentelli sono rettangolari, con una distanza tra loro pari alla metà della loro larghezza. Ad essi segue un ovolo liscio, quasi appiattito, un listello arrotondato e una sottile fascia. Databile alla fine del II - prima metà del I sec. a.C. 918. Cornice con mensole semplici alternate a incorniciature quadrangolari e dentelli. (Tav. 96)

5, fig.

Alessandria, sala XV del museo, dall’«interno della città»; n. inv. 3829. Mancante la sima e scheggiata e in parte spezzata la parte destra della corona; abrasi quattro dentelli. Calcare.

86-89. del Serapeo del Mons Porphyrites (v. p. 330).

Tipo 9: CORNICI CON MENSOLE SEMPLICI ALTERNATE INCORNICIATURE QUADRANGOLARI E DENTELLI.

AD

916. Cornice con mensole semplici alternate a incorniciature quadrangolari e dentelli, da timpano curvo. (Tavv. 96; 131) Alessandria, sala XV del museo, da Gabbari (?); n. inv. 3795. Si compone di due frammenti combacianti; spezzati gli angoli 7,6; larg. mass.

cm.

35; spess. cm.

ad

essi

seguono

un

ovolo

lisico,

un

listello,

una

sottile

taenia e una schematica gola diritta. Databile alla fine del 11 - prima metà del I sec. a.C. Bibl.: BOTTI, Musée,

p. 533, sala XV,

n. 53.

della

sima. Calcare. Alt. cm. telli cm. 3x 1,2.

Il soffitto è sostenuto da mensole rettangolari alternate a incorniciature quadrangolari, caratterizzate da una larga scanalatura mediana che ne percorre la superficie, formando come un sottile lacunare rettangolare. I dentelli sono abbastanza ravvicinati e rettangolari, e

19,5; lati den-

919. Cornice sporgente con mensole semplici alternate a incorniciature quadrangolari e dentelli. (Tav. 96) Alessandria, sala XV del museo, da Alessandria; n. inv. 3852. Spezzata la sopracornice e la parte esterna del soffitto. Calcare. Alt. cm. 30.

La sima presenta una gola diritta ed & separata tramite un listello arrotondato dalla corona liscia. Il soffitto à sostenuto da sottili mensole rettangolari con scanalature centrali alternate ad incorniciature quadrangolari ugualmente

cui si differenzia invece per le modanature

inferiori, costi-

scanalate;

tuite

astragalo

le

mensole

e le

incorniciature

sono

accompa-

Uguale da

per la sopracornice un

ovolo

liscio

e i dentelli

appiattito,

un

al n. 916,

da

liscio

gnate da un sottile ovolo liscio, a sua volta distinto nella

sporgente, una faenia, un altro ovolo liscio appiattito e

linea di contatto con il soffitto da una scanalatura che delimita il campo quadrato tra mensole e incorniciature. Seguono un listello e una sottile taenia, da cui pendono

molto obliquo, cui seguono due taeniae degradanti. $1 osservi come il dentello nell'angolo sia irregolare nel contorno e più largo degli altri. L'elemento faceva parte di una trabeazione sporgente con avancorpo poggiante su colonnina e che forse superiormente doveva presentare un angolo di frontoncino in-

stretti e allungati

dentelli

(cfr.

nn.

817,

821,

887).

Sotto

di essi si distingue un ovolo liscio, un listello e un fregio liscio. Confronti uguali si trovano nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide! e molto simili nel gheison orizzontale di un'e-

dicola della tomba III di Gabbari?. Databile tra la fine del II e i primi decenni del I sec. a.C.

come

il n. 888.

Databile alla fine II - prima metà I sec. a.C. Bibl.: BOTTI, Musée, p. 528, sala XV,

n. 61.

920. Cornice sporgente con mensole semplici alternate

Bibl.: BoTTI Musée, p. 528, sala XV,

! Pesce,

terrotto,

Palazzo delle Colonne,

a incorniciature quadrangolari

n. 36.

p. 27, fig.

15: si tratta dell'ordine

superiore del colonnato del lato settentrionale del Grande Peristilio. 2B. SABOTIKA, in Das ròmisch-byzantinische Agypten, Mainz-am-

Rhein 1983, p. 202, tav. 41,1.

e dentelli.

(Tav.

96)

Alessandria, magazzini del museo, di provenienza sconosciuta. Spezzata nella parte della sopracornice, compreso il soffitto, resta soltanto intera una delle incorniciature quadrangolari. Calcare. Ait. cm. 30.

di cui

509

Uguale al n. 919. Databile alla fine II - prima metà I sec. a.C. 921.

sterno, ma solo su tre lati, in quanto continua sul fondo dello spazio intermedio tra le incorniciature, in modo da

Cornice con mensole semplici alternate a incorni-

ciature quadrangolari

e dentelli.

(Tav.

97)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Spezzata e mancante la sopracornice. Calcare. Alt. cm. 31; larg. cm. 88; spess. cm. 34. L'esemplare

doveva essere molto simile ai nn. 919-920,

di cui ripete in modo più schematico le modanature infe-

delimitare il campo occupato dalle rosette. Le tre rosette sono una diversa dall’altra: a doppia corolla a fitti petali, o a corolla semplice con quattro petali fogliacei dalla cima ripiegata senza pistillo, o con pistillo a rosetta sporgente. La loro fattura è abbastanza elegante e plastica. Databile nella prima metà del I sec. a.C. Bibl.: Breccia, Monuments, ‘Con

riori. Databile nella prima metà del I sec. a.C.

sole incorniciature

p. 128, tav. 67,4. quadrangolari

è ornato il soffitto della cor-

nice di una finta porta scolpita su un altare funerario a forma di naos (Tav. 120,4), in funzione di cippo, di una tomba a cielo scoperto della Necropoli Occidentale (Gabbari): ADRIANI,

Topografia, p. 120.

Treo 11: SOLE.

IN LUOGO

922. Cornice con mensole semplici alternate a incorniciature quadrangolari e dentelli. (Tav. 97) Alessandria, sala XII (vetrina B) del museo, da Hadra (Ibrahimieh), dono M. Sardella; n. inv. 17832. Mancante la sopracornice e le modanature sotto i dentelli; fratture irregolari sui fianchi. Calcare. Alt. cm. 16,5; larg. cm. 16; spess. cm. 14.

Uguale ai nn. 919-920. Databile alla fine del II - prima metà del I sec. a.C. 923. Cornice sporgente con mensole semplici alternate a incorniciature quadrangolari e dentelli. (Tav. 97) Alessandria, magazzini del museo, di provenienza sconosciuta.

L'elemento doveva appartenere ad una trabeazione sporgente ai lati di una nicchia circolare. La sopracornice era

probabilmente molto simile a quella dei nn. 919-920 ed era separata, tramite una schematica gola rovescia e un listello, dai dentelli. Questi sono stretti, allungati e piuttosto ravvicinati;

ad

essi

seguono

un

ovolo

liscio,

un

listello,

una gola piuttosto larga, una gola rovescia molto schematica e un sottile listello. Databile alla fine del II - prima metà del I sec. a.C.

Tipo 10: CORNICI CON SOLO INCORNICIATURE GOLARI IN LUOGO DELLE MENSOLE.

QUADRAN-

924. Cornice con incorniciature quadrangolari in luogo di mensole. (Tav. 97) Alessandria,

magazzini

del museo,

da Teadelfia (Batn Herit); n. inv.

19910. Scheggiato il margine della sima a sinistra e abrasioni e scheggiature sull'angolo sinistro del retro. Calcare. Alt. cm. 14; larg. cm. 91; spess. cm. 43.

La sima è a gola semplice, unita direttamente alla sottile corona

liscia,

delle mensole,

mentre

da ampie

925. Cornice (Tav. 97) Alessandria,

il soffitto

è sostenuto,

in luogo

incorniciature quadrangolari che

CON

con

magazzini

LOSANGHE

losanghe del museo,

in

luogo

da Gabbari,

DELLE

di

MEN-

mensole.

ipogeo B1; n. inv. R

10243 A. Spezzata la parte destra della sopracornice. Calcare. Alt. cm. 23; larg. cm. 60; spess. cm. 37. x

La sopracornice è costituita da una corona liscia con fascia superiore sporgente; il soffitto è decorato con incorniciature

Spezzata la sopracomice. Calcare.

CORNICI

a losanga,

con

la superficie

inferiore

dei listelli

che la delimitano fornita di scanalatura mediana. Seguono un ovolo liscio tra due listelli e una sottile fascia. Sul piano di appoggio inferiore è incisa la lettera A. Databile, dal luogo di provenienza, nel tardo I a.C. — primi decenni del I sec. d.C. ! ADRIANI, Topografia, p. 160, n. 113.

926. Cornice (Tav. 97)

con

losanghe

in

luogo

di

mensole.

Alessandria, magazzini del museo, da Gabbari, ipogeo Bl; n. inv. R. 10243. Fratturata irregolarmente su entrambi i fianchi. Calcare. Alt. cm. 23; larg. cm. 33; spess. cm. 37.

Uguale al n. 925.

Databile nel tardo I a.C. d.C.

- primi decenni del I sec.

! ADRIANI, Topografia, p. 160, n. 113.

927. Frammento mensole. (Tav. 97)

di cornice

con

losanghe

in luogo

Alessandria, sala XII (vetrina B) del museo, da Hadra (Ibrahimieh), dono M. Sardella; n. inv. 17812. Fratturato irregolarmente su tre lati, resta solo un frammento del sof-

ricordano la forma di cassettoni!: a queste si alternano ro-

fitto. Calcare. Alt. mass. cm. 8; larg. mass. cm. 12; spess. mass. cm. 6.

sette. Si osservi come le incorniciature quadrangolari siano accompagnate all’interno da un ovolo liscio e da listelli su

Molto simile ai nn. 925-926. Databile nel tardo I a.C. - primi

tutti e quattro

510

1 lati; un

altro

ovolo

liscio

è anche

all'e-

di

d.C.

decenni

del

I sec.

Treo

12:

CORNICI

CON

MENSOLE

SEMPLICI

TIPO 12,2

E ROMBI.

931. 1IPO

(Tavv.

12,1

928.

Cornice con mensole semplici e rombi. (Tav. 97)

Alessandria, sala XV

del museo,

da «necropoli»; n. inv. 3771.

Abrasioni lungo il margine della sima e dei fianchi. Calcare. Alt. cm. 6,6x4,3.

cm.

14;

larg.

cm.

69,5;

spess.

cm.

36;

lati mensole

La sima è a gola diritta, con listello arrotondato superiormente, ed è separata tramite un listello piatto dalla corona liscia; il soffitto è sorretto da mensole rettangolari scanalate al centro e con incorniciatura a sottile ovolo. Lo spazio intermedio tra ogni coppia di mensole è occupato da un rombo allungato, con la superficie inferiore dei listelli che lo delimitano scanalata. i Seguono

un cavetto,

un ovolo

liscio,

un listello,

e una

sottile fascia, il cui margine inferiore coincide con il piano di appoggio. In uno degli ipogei di Gabbari (Necropoli Occidentale), il gheison orizzontale del frontoncino di un’edicola funeraria presenta il soffitto con mensole sottili, alternate ad

incorniciature quadrangolari: negli intervalli, ma solo alle estremità del soffitto, vi sono rombi allungati!. Databile tra la fine del II e la prima metà a.C. Bibl.: BoTTI, Musée, p. 532, sala XV,

n. 28; DeLBRÙCK,

del I sec. Hellenistische

Bauten, p. 165, fig. 111 a. ! M.

SABOTTKA,

in Das

rómisch-bizantynische

Agypten,

Mainz-am-

Rhein 1983, p. 201, tav. 41.

929. Cornice angolare (Tavv. 97; 133,1) Alessandria, sala XV

semplici

e rombi.

dono

M.

Calcare stuccato. Alt. cm. 16; larg. mass. cm. 41, 5; spess. cm. lati mensole cm. 9x3,7.

19;

La sima è a leggera gola diritta, separata tramite un listello obliquo dalla sottile corona liscia. Il soffitto è sorretto, come nei nn. 928-930, da coppie di mensole separate

del museo,

da «necropoli»; n. inv. 3769.

Uguale al n. 928. Databile tra la fine del II e la prima metà a.C. Bibl.: Botri, Musée, p. 532, sala XV,

un

rombo

allungato;

citati le mensole

tuttavia,

a differenza

degli

sono più sottili e allungate e

prive, come anche 1 listelli del rombo,

della scanalatura

centrale. Inferiormente seguono un listello, un ovolo liscio, gola diritta, un altro listello e una sottile fascia.

Databile a.C. 932.

tra la fine del II e la prima

metà

Cornice con mensole semplici e rombi.

Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, dono M. Sardella (1908); n. inv. 17750.

una

del I sec.

(Tav. 98)

da Hadra (Ibrahimieh),

Mancante la sima e fratturati irregolarmente i fianchi e il margine inferiore. Calcare stuccato, con tracce di colore rosso sui rombi. Alt. cm. larg. mass. cm. 35,5; spess. mass. cm. 20,2.

Uguale al n. 931. Databile tra la fine del II e la prima a.C.

metà

Cornice con mensole semplici e rombi.

Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, dono M. Sardella (1908); n. inv. 17552.

da Hadra

del I

sec.

corrispondente della sima. Calcare stuccato, con tracce di colore rosso sulla sima,

10,7;

del I sec.

(Tav. 98) (Ibrahimieh),

azzurro sulla

corona, nuovamente rosso sui rombi. Alt. cm. 7; larg. mass. cm. 29; spess. mass. cm. 19,5.

Uguale ai nn. 931-932. Databile tra la fine del II e la prima a.C.

metà

del I sec.

n. 26.

TIPO

angolare

da

esemplari

Resta la parte del soffitto, con un rombo e una mensola, e la parte

Scheggiatura sul margine destro della sima; abrasioni sulla mensola centrale e sulla parte sinistra dell'ovolo inferiore. Calcare. Alt. cm. 17,7; larg. mass. cm. 69; spess. cm. 35,4.

930. Cornice (Tav. 98)

132,2)

Alessandria, sala XV del museo, da Hadra (Ibrahimieh), Sardella; n. inv. 17829. Fratturati l'angolo destro della sima e i fianchi.

933. con mensole

Cornice con mensole semplici e rombi. 98;

con mensole

semplici

12,3.

e rombi.

Alessandria, sala XXII (vetrina B) del museo, da Canopo (Aboukir), dono Tousson; n. inv. 18552. Scheggiati i margini superiori della sima e fratturati irregolarmente il fianco sinistro e il retro.

Calcare. Alt. cm. 11; larg. mass. cm. 38; spess. mass. cm. 14.

Uguale ai nn. 928-929. Sul fianco destro conserva l'angolo, in corrispondenza del quale, la superficie inferiore del soffitto & delimitata in forma quadrata da due mensole poste ad angolo. La sottocornice è sagomata con un ovolo liscio tra due listelli e una sottile fascia. Databile tra la fine del II e la prima metà del I sec. a.C.

934.

Cornice con mensole semplici e rombi.

Alessandria,

sala

XXII

del

museo,

da

Canopo

(Tav. 98)

(Aboukir),

dono

Tousson; n. inv. 18524? Scheggiate la sima e la corona e fratturato irregolarmente destro. Calcare. Alt. cm. 17; larg. mass. cm. 59; spess. cm. 27.

Per la sopracornice e per il soffitto con mensole

il fianco

sem-

plici e rombi l'esemplare è uguale ai nn. 928-933. La sottocornice è invece sostituita da due ampie mensole a leggera gola diritta (larg. cm. 24) e distanziate da un breve intervallo (larg. cm. 4,7): le mensole sporgono da un’alta fascia sul retro e il loro margine inferiore, insieme a quello della fascia coincide con il piano di appoggio della cornice. 511

mali sottili mensole rettangolari dell'architettura alessandrina) in quanto paiono sostenere la sopracornice evidentemente allungata in funzione del contesto in cui il pezzo

La sottocornice è costituita da un listello, una serie di dentelli rettangolari, allungati e molto ravvicinati tra loro (cfr. nn. 817, 821, 887), un ovolo liscio, un astragalo liscio e una sottile fascia. Per i rombi nella sottocornice e i dentelli si confronti con l’edicola di una delle tombe di Gabbari nella Necro-

era collocato!.

poli Occidentale’.

Le due mensole vengono cosi ad ampliare la zona del soffitto, rispetto al quale sono dotate di una funzione strutturale

(e non

semplicemente

decorativa,

come

Databile tra la fine del H e la prima metà a.C.

le nor-

del I sec.

TIPO

non fa parte della cornice,

Databile tra la fine del II e i primi decenni del I sec. a.C.

! Si tratta quindi di una funzione diversa da quella del successivo n. 935, dove la grande mensola fitto dell’edicola.

x

bensì del sof-

Bibl.: BOTTI, Musée, p. 533, sala XV, ! M.

Sabottka,

in

Das

Agypten,

Mainz-am-

Rhein 1983, p. 201, tav. 41.

12,4.

935. Cornice con mensole semplici e rombi, di soffitto di frontoncino triangolare di edicola. (Tav. 98) Alessandria, inv. 78 (3703 Scheggiato il Calcare. Alt.

L'ampio

sala XIV del museo, dall’«Ecole Anglaise» A). margine superiore della sima. cm. 10; larg. cm. 63; spess. cm. 44.

(1894);

n.

soffitto è sorretto da una lunga mensola con P»

lacunare rettangolare,

scanalato

al centro

e incorniciato

da

larghi listelli; ai lati si dispongono cassettoni decorati da coppie di rombi accostati. Sul fronte del soffitto sporge una sottile cornice, con sima a gola diritta separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia; lo stretto soffitto di questa è sorretto da piccole mensole rettangolari, scanalate al centro e incorniciate da un ovolo liscio, alle quali si alternano

rombi,

con la superficie

dei lati che li delimitano

ugualmente scanalata. La congiunzione con il soffitto più ampio avviene mediante un ovolo liscio e due sottili fasce degradanti. Cornici strutturalmente quasi uguali si trovano nella parte superiore della facciata interna settentrionale del

Grande Peristilio del Palazzo delle Colonne a Tolemaide!. In analogia a questi anche l’esemplare di Alessandria doveva far parte della trabeazione obliqua di un frontoncino triangolare, come prova il fianco destro, che conserva ancora il taglio originale ad angolo ottuso rispetto al soffitto, in quanto doveva poggiare sul sottostante piano di posa del gheison orizzontale. Databile nella prima metà del I sec. a.C. ! Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 27, tavv. X, XIII, A.

Tipo 13: TELLI.

CORNICI

936. Cornice (Tav. 98)

CON MENSOLE

SEMPLICI,

ROMBI

E DEN-

Tipo 14: CORNICI CON ALTERNATE A ROMBI, KYMA IONICO.

con

mensole del museo,

semplici,

rombi

e dentelli.

da «necropoli»; n. inv. 3792.

Scheggiata la sima e fratturato irregolarmente il fianco destro sul retro. Calcare.

SIMA A GOLA SEMPLICE, MENSOLE ROSETTE E AQUILA, DENTELLI E

937. Cornice angolare con rosette e dentelli. (Tav. 98) Alessandria, 19909.

mensole

magazzini del museo,

rombi,

da Teadelfia (Betn Herit); n. inv.

La

sima

è a gola

semplice,

coronata

da un alto listello

e separata tramite un listello piuttosto sporgente da corona sottilissima ridotta a listello. Mentre il soffitto lato sinistro è liscio, su quello frontale è sorretto da coppie di mensole separate da un rombo con piccola setta al centro. Un'altra rosetta più grande, a doppia

una sul due roco-

rolla con pistillo circolare ad anello, è collocata invece tra

le mensole di ogni coppia. La parte angolare del soffitto è invece occupata da un aquila con il capo volto verso la sinistra. La sottocornice è modanata con una serie di dentelli quasi quadrati, molto ravvicinati e distinti tra loro solo da un solco superficiale; ad essa segue un Kyma ionico intagliato molto superficialmente e costituito da ovuli rovesciati, in quanto la parte più appuntita è in alto, racchiusi in sgusci a sezione angolare. Poco distinguibili sono le

lancette

intermedie,

delle

quali

emerge

malamente

la

punta. L’ultima modanatura è costituita da una sottilissima fascia, la cui superficie inferiore coincide con il piano di appoggio. Un certo approfondimento della lavorazione è dunque soltanto

sul

soffitto,

dove

le mensole

presentano

un lacunare rettangolare scanalato al centro e delimitato da listelli; ugualmente scanalata al centro è la superficie inferiore dei listelli che costituiscono il rombo. Già ritenuto dallo scopritore come proveniente da un piccolo edificio della zona antistante al tempio, la cornice è da collocare per la schematica

La sima presenta la consueta gola diritta, separata tramite un listello obliquo dalla corona liscia, che sporge con un leggerissimo peduncolo sul soffitto. Questo è sostenuto da coppie di mensole con la superficie superiore scanalata al centro e alternate a rombi.

semplici,

Abrasioni sulla superficie inferiore dei dentelli e della cornice stessa. Calcare. Alt. cm. 21; larg. cm. 74,5; spess. cm. 46.

visibile

Alessandria, sala XV

512

n. 49.

rómisch-byzantinische

resa della sima,

telli e degli ovuli del Kyma ionico, non più epoca imperiale, forse nel tardo II-III sec. d.C.

dei den-

capiti,

ad

Bibl.: Breccia, Monuments, p. 128, tav. 67,5, dove il luogo di rinvenimento è indicato come la strada «che separava la facciata del tempio (di Pneforos) dalle case verso sud».

Treo

15: CORNICI CON SOFFITTO A MEANDRO.

938.

Cornice con soffitto a meandro.

Alessandria, 3831.

sala XV

del museo,

941.

Alessandria, sala XXII Tousson; n. inv. 18668.

(Tav. 98)

dall’«interno

della città»;

n.

Resta

inv.

cavità dovute agli agenti atmosferici. 27,5.

Calcare.

Alt. cm.

della

museo,

sopracornice,

da

Canopo

fratturato

(Aboukir),

irregolarmente

dono

il fianco

Calcare.

separata

tramite

un

listello

obliquo

Alt.

cm.

16; larg.

mass.

cm.

25;

spess.

cm.

10.

26; larg. cm.

Uguale al n. 940. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

La sima, piuttosto sottile, a gola diritta molto schemaè

parte

del

(Tav. 98)

destro e la sima è spezzata.

Fratturata irregolarmente sui fianchi e inferiormente, presenta diverse

tica

Cornice con soffitto a meandro.

dalla

corona

liscia; il soffitto è decorato con un doppio meandro e ad esso segue una fascia liscia. La cornice è rettilinea, ma può confrontarsi per il meandro con quella della semicupola della necropoli di Wardian, n. 973. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. Bibl.: BortI, Musée,

p. 533, sala XV,

Tipo NEGLI

n. 55.

Uguale al n. 938. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

Alessandria,

con soffitto

a meandro.

sala XXII del museo,

da Canopo

(Tav.

98)

(Aboukir),

dono Tous-

son'; n. inv. 18833. Fratturata spezzate.

irregolarmente

su

tutto

il contorno;

sima

e sottocornice

Calcare. Alt. cm. 15,5; larg. mass. cm. 34; spess. cm. 11.

Della sopracornice si distingue poco la sima forse decorata

con

un

Kyma

lesbico;

inferiormente

seguono

un

li-

stello e la corona liscia. Il soffitto è decorato con un doppio meandro, fortemente sporgente, arricchito da quadrati, mentre della sottocornice nulla è distinguibile. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. ! Cfr. BRECCIA, Monuments, p. 40.

1: CORNICI NORMALI.

4-8. cornici

doriche,

dall'edificio

presso

la

SOFFITTO

Frammenti di cornice.

DECORATO

DA

banchina

nuova del porto orientale di Alessandria (v. p. 312).

PALMETTE

(Tav. 99)

Il frammento

doveva

forse

appartenere

frontonale, perché conserva solo ciatura ed ovolo, senza la sima.

(1902),

ad un gheison

la corona, con incorniL'angolo del soffitto è

è visibile,

ad esempio,

nel Ginnasio

ellenistico di Priene?,

con una palmetta simile a quella di Alessandria.

Databile nel II sec. a.C. ! M.

ScHEDE,

Antike

Traufleisten-Ornament,

Strassburg

Tipo

2: CORNICI DORICHE CON

KYMATIA IONICI E LESBICI

DIPINTI INFERIORMENTE.

942. Cornice con Kymatia ionico e lesbico dipinti inferiormente.

1909,

tav.

VI. in Jd], 39-40,

1923-24, p. 134 ss., fig. 94, b.

DORICHE

Alessandria, magazzini del museo, dal Quartiere Reale (cantieri Finney). Abrasa parte della sima; fratturato irregolarmente il fianco sinistro ed il retro. Calcare giallo chiaro, con tracce di colore blu sui mutuli, di rosso

nello spazio tra essi e di giallo e rosso sulle modanature.

61. angolo di gheison frontonale dal santuario tolemaico di Hermoupolis Magna (v. p. 325).

n. inv.

decorato con una palmetta a nove lobi rivolti verso l’interno, ad uncino e percorsi da una scanalatura mediana. La palmetta nasceva da due girali contrapposte, da cui si originava anche lo stelo di un fiore a quattro stretti petali suddivisi in tre foglioline. La palmetta rappresenta la variante di un tipo greco molto noto!, rispetto a cui i lobi laterali mostrano la parte iniziale strettamente aderente al lobo centrale. Si tratta di un modello che si diffonde anche in ambiente microsiatico e che viene usato spesso come riempitivo angolare dei soffitti delle cornici, soprattutto, ma non solo, doriche: ciò

? F. KRISCHEN,

II - CORNICI

Treo

CON

Alessandria, sala XV del museo, dal porto orientale 3794. Resta solo l’angolo del soffitto della corona. Calcare. Alt. cm. 17; larg. mass. cm. 30.

Alessandria, sala XIII (vetrina A) del museo, da Hadra (Ibrahimieh), dono M. Sardella; n. inv. 17808. Si conserva solo un frammento angolare della sopracornice. Calcare. Alt. cm. 5,6; larg. cm. 18; spess. cm. 10.

Cornice

CORNICE

ANGOLI.

941A.

939. Cornice angolare con soffitto a meandro. (Tav. 98)

940.

16:

13; larg. cm. 23,5; spess. cm.

Alt. cm.

19.

La sima è a gola diritta, la corona liscia con peduncolo sporgente rispetto al soffitto: questo è sostenuto da mutuli, con guttae disposte in tre file. Seguono una gola rovescia su cui è dipinto un Kyma lesbico, una faenia, un ovolo liscio su cui è dipinto una Kyma ionico, un astragalo liscio e una fascia. La pittura di elementi ionici su cornici doriche ha di513

versi precedenti nell'architettura della Sicilia fin dall'epoca e

arcaica!,

va

che

ricordato

ancora

nel

di

rhesauros

Cirene a Delfi si presenta una caratteristica combinazione

tra dorico e ionico nella trabeazione’.

La sima presenta la consueta

Databile nel II sec. a.C. Bibl.: ADRIANI,

in Annuaire,

Abraso il margine superiore della sima e spezzato l'angolo destro sul fronte. Calcare.

schematica gola diritta e

una sottile corona liscia; il soffitto di questa è decorato da

1935-39, p. 51, n. 18, tav. XVIII, 2.

! G. VALLET, F. BERARD, Magara Hyblaea, Le temple du IVE siècle, Paris 1966, p. 54 ss.; per cornici contemporanee a quella di Alessandria con kymatia ionici e lesbici dipinti su stucco v. R.B.WARTKE, in FuB, 18, 1977, pp. 29-30, tav. 6,4,6. ? Dinsmoor, Architecture, p. 233.

due mutuli rettangolari, rispettivamente con quindici e diciotto guttae disposte su tre file. Ad essi si alternano cop-

pie di mensole con scanalatura centrale, il cui spazio intermedio è occupato da una rosetta piuttosto espansa. Seguono un sottile ovolo liscio, una serie di dentelli piuttosto ravvicinati tra di loro, un astragalo liscio e un listello.

Dalla stessa casa, insieme a questa cornice provengono 943. Frammento di cornice. (Fig. 80) Alessandria, magazzini del museo, Finney). Fratture irregolari sui fianchi.

dal

pilastri a cui si addossano semicolonne con capitelli co-

Quartiere

Reale

(cantieri

Calcare giallo chiaro con tracce di colore rosso sulla sima. Alt. cm. 14; larg. cm. 31; spess. cm. 22.

mensole con rosetta?.

Uguale al n. 942, rispetto a cui non presenta piü visibili i Kymatia sovradipinti. Databile nel II sec. a.C. Bibl.: ADRIANI, in Annuaire,

rinzi (nn. 205-207); non sono stati ritrovati elementi del fregio: la presenza dei mutili potrebbe far ritenere che si trattasse di un fregio dorico, nel quale le metope corrispondessero ai mutuli, mentre i triglifi alle coppie di Il tipo di mescolanza descritta, trova confronti in una nicchia della stoà del tempio di Atena a Pergamo, il cui gheison ionico presenta un soffitto con mutuli e guttae; a Solunto,

1935-39, p. 50, n. 17, fig. 19.

invece,

nella

casa

di

Leda,

il

soffitto

del

gheison ionico è decorato con una doppia fila di guttae?. Databile nel tardo II - primi decenni del I sec. a.C. Tipo

3:

944.

CORNICI

CON

MENSOLE

Bibl.:: ADRIANI,

E MUTULI.

magazzini

del museo,

da Plinthine!,

in Annuaire,

1940-50,

p.

158,

tav. 58,5; v. HESBERG,

Konsolengeisa, p. 71. ! Sulla localizzazione di Plinthine a circa 2600 m a est di Taposiris

Cornice con mensole e mutuli. (Tav. 99)

Alessandria, Magna

DORICHE

Magna,

presso Taposiris

(Abousir), casa.

v. ADRIANI, in Annuarie,

1940-50, p. 140.

? v. HesBERG, Konsolengeisa, p. 71. 3 W. v. Sipow, in RM, 91, 1984, pp. 327, 338.

HI - FREGI DORICI

Tipo

circa di un'altra metopa;

1: FREGI DORICI CON METOPE LISCE.

945.

Elemento di fregio dorico. (Tav. 99)

Alessandria, inv. 20312.

sala

XIV

del

museo,

dalla

Necropoli

occidentale?;

n.

Scheggiati i margini di tutti i lati. Calcare. Alt. cm. 25; larg. cm. 68; spess. cm. 12.

L'elemento presenta due triglifi interi e il primo glifo di un terzo; ugualmente intere sono due metope, mentre di un’altra ne restano i due terzi. Il fregio, attualmente

rovesciato,

presenta

inferiormente

una

faenia

sporgente

con regulae (senza guttae) in corrispondenza dei triglifi. Insieme al fregio & intagliata la fascia superiore dell'archi-

trave. Il rapporto tra le larghezze delle metope e dei triglifi e

di 1,5. Databile nel II sec. a.C. 946.

Elemento di fregio dorico. (Tav. 99)

Alessandria, sala XXII Tousson; n. inv. 18393.

del

museo,

da

Canopo

(Aboukir,

dono

Scheggiato e abraso per metà il margine inferiore. Calcare. Alt. cm. 25; larg. mass. cm. 49!.

Sono visibili un triglifo e una metopa interi e due terzi 514

si distinguono

le due

taeniae che

limitano il fregio e le terminazioni orizzontali dei glifi e dei canali in alto. La larghezza delle metope è quasi il doppio di quella dei triglifi. Databile nel II sec. a.C. 1 Lo muro.

947.

spessore

non

x

è misurabile

in quanto

l'elemento

è incassato

nel

Elemento di fregio dorico. (Tav. 99)

Alessandria, sala XXII del museo, da Canopo (Aboukir), dono Tousson; n. inv. 18394. Scheggiato il margine della lastra sul Jato destro e sull'angolo a sinistra in alto. Calcare. Alt. cm. 25; larg. cm. 52,5!.

Sono visibili due triglifi e due metope interi e un glifo di un terzo triglifo. Si osservi come sotto la taenia le regulae, in corrispondenza dei triglifi, non presentino le guttae pendenti. Confronti molto simili si trovano nella necropoli di Mustafà Pascià, ad esempio nell'ipogeo n. 1?, anche se in tal caso il rapporto tra larghezze delle metope e dei triglifi è di 1,25, circa 1, 40.

mentre

nel

Databile nel II sec. a.C.

pezzo

qui

considerato

è

di

! Lo spessore non è misurabile in quanto l'elemento è incassato nel muro. ? ADRIANI,

948.

in Annuaire,

1933-35,

TIPO

2: FREGI DORICI CON METOPE DECORATE.

p. 15 ss., tav. VIII.

951. Fregio dorico con mento di porta. (Tav. 100)

Elemento di fregio dorico.

Alessandria, magazzini del museo,

dalla necropoli di Mustafa Pascià.

Resta il quarto superiore destro del'elemento.

Alessandria, 21792.

magazzini

metope

del museo,

decorate

da

corona-

da Teadelfia (Batn Herit); n. inv.

Calcare. Alt. cm. 25; larg. cm. 50.

Scheggiatura al centro dell'architrave e abrasi parte del margine supe-

E visibile,

riore e la decorazione della prima metopa a Calcare. Alt. cm. 35,5; larg. cm. 119.

con taglio orizzontale,

la metà di un triglifo,

di una metopa e del glifo successivo. La parte superiore presenta un'ampia fascia che probabilmente doveva articolata attraverso la pittura, per cui non risulta guibile il listello di coronamento del triglifo dalla sovrastante. Il rapporto tra la larghezza delle metope triglifi è poco più di 1,5. Databile nella seconda metà III-II sec. a.C. Bibl.: ADRIANI,

949.

in Annuaire,

essere distintaenia e dei

1933-35, p. 161, n. 3, fig. 89,1.

Elemento di fregio dorico. (Tav. 99)

Philae, tempio di Augusto. Lievi scheggiature lungo i margini. Calcare.

Nel blocco è intagliata la parte inferiore di una metopa e di un triglifo del fregio dorico che correva all’esterno della cella del tempio, questo con colonne e capitelli corinzi sulla fronte (v. nn. 354-355). I canali a sezione angolare tra i glifi sono percorsi al centro da una profonda solcatura verticale che li isola accentuatamente. Una solcatura ugualmente profonda delimita lateralmente le metope. Infine una mancanza di rifinitura è visibile nella non articolazione in guttae del listello al di sotto delle regulae. Si osservi come anche nel santuario tolemaico di Hermoupolis Magna gli elementi che compongono il fregio siano tagliati lungo il terzo inferiore (v. n. 64). Databile, in base all'iscrizione dedicatoria sull'architrave

frontale del Tempio, Bibl.: L. BORCHARDT,

al 13-12 a.C.

in Jd],

18,

Il fregio è costituito da cinque triglifi e quattro metope, mentre

alle

estremità

il piano

è ribassato;

esso

inoltre

è

intagliato insieme ad un architrave iscritto, ugualmente con il piano ribassato alle estremità, che lascia in evidenza

sia la taenia,

sia l’architrave:

è probabile

che

l’ele-

mento sia intero e che costituisse il coronamento di un portale e non facesse parte invece di un fregio più lungo. I glifi e 1 canali dei triglifi si concludono in alto orizzontalmente sotto la sottile fascia che sporge in loro corrispondenza e che rientra invece sopra le metope. Inferiormente corre la consueta faenia, sulla quale pare si sovrappongano le regulae in corrispondenza dei triglifi e dalle quali pendono sei guttae a sezione trapezoidale. La prima metopa a sinistra pare presentasse in origine una rosetta a

doppia corolla ora abrasa; la seconda e la terza metopa sono decorate con uno steli

ricurvi,

stilizzato fiore di papiro a quattro

terminanti

con

pistillo

circolare;

la

quarta

metopa presenta una rosetta a doppia corolla con petali vagamente cuoriformi. L’elemento è databile al 140 a.C., nel periodo di Tolomeo VII Evergete II e di Cleopatra III, in base all'iscrizione con dedica al dio locale Heron. Bibl.: G. LEFEBVRE, in ASAE, 21, 1921, p. 163, SB 6596; Th. Kraus, in Hellenismus in Mittelitalien, Góttingen

952. Fregio dorico rato. (Tav. 100)

con metope

Alessandria, magazzini del museo, 23579.

1903, p. 73 ss.

sinistra.

1976, p. 457.

lisce e pannello

da Oxyrhynchos

deco-

(Bahnasa); n inv.

Abrasioni lungo l'incorniciatura della metopa di destra e scheggiatura sotto l'angolo sinistro inferiore di questa. Calcare. Alt. cm. 29,5; larg. cm. 73; spess. cm.

950. Elemento di fregio dorico. (Tav. 99)

13,5.

Kom Ombo, lapidario all'interno del tempio di Sobek e Haroeris. Spezzato l'angolo inferiore destro dell'elemento e abrasa la superficie della fascia superiore. Calcare.

L'elemento & coronato superiormente da una fascia e da un ovolo liscio sporgente, che delimitano la taenia e i mutuli del fregio. Questo à composto da un triglifo con i tre elementi fortemente distanziati, quanto la larghezza dei singoli glifi, e da una metopa eccessivamente larga rispetto alle dimensioni dei triglifi stessi e alla sua altezza. Sotto le regulae pendono sei guttae troncopiramidali. Si osservi l'allontanamento dalle proporzioni tradizionali degli elementi del fregio dorico, come è visibile nelle metope e nei triglifi eccessivamente larghi, i secondi con spazio a sezione rettangolare tra i glifi. Databile nel I sec. a.C.

64.

Elementi

di fregio

dorico,

dal santuario

Hermoupolis Magna (v. p. 326).

tolemaico

di

A sinistra sono visibili due glifi di un triglifo, la cui parte restante doveva essere intagliata nell'elemento successivo. Segue una metopa liscia e quadrata, incorniciata da una profonda solcatura. Il successivo triglifo presenta i canali e i glifi conclusi orizzontalmente in alto in modo da delimitare come un listello sotto la stretta fascia sovrastante che costeggia il fregio. La taenia inferiore pare presentare nella parte bassa un'incisione che ne accompagna il margine e forse la parte superiore di essa sporgeva a ovolo liscio, come

nei nn.

954-956.

In corrispondenza dei triglifi sono intagliate sotto la taenia le regulae con il lato sinistro che oltrepassa però la larghezza del triglifo fino a corrispondere con l’angolo inferiore destro della metopa liscia. Sotto le regulae pendono sei guttae a sezione trapezoidale. La metà destra dell’elemento è occupata da un pannello rettangolare, separato dal fregio tramite una fascia verticale e incorniciato da tre listelli lisci, mancanti sul lato superiore. Il pannello è decorato da un grande fiore a 515

sette petali dalla superficie increspata da solchi a sezione angolare e dal contorno frastagliato di foglioline ovali; occhielli resi con un foro di trapano separano tra di loro i petali. In luogo del pistillo vi è una grande pigna che poggia sul lato inferiore del pannello. Anche il tratto di taenia corrispondente a questo pannello presente il margine inferiore distinto da un’incisione e sotto sono intagliati due listelli degradanti che proseguono l’allineamento della regula e delle guttae da essi separate. La parte inferiore dell’elemento è conclusa da una sottile fascia liscia. Databile nel II sec. a.C. 953.

Fregio dorico con metope decorate. (Tav.

Alessandria,

sala XV

del museo,

parte

superiore

dalla Necropoli Occidentale; n. inv.

sul fianco sinistro, scheggiati i margini e la

dei triglifi; scalpellata a decorazione

della metopa

intera; l'elemento si compone di due frammenti combacianti.



Calcare bianco. Ait. cm. 38; larg. cm. 88; spess. cm. 37; lati metopa cm. 28,8x27.

Abbastanza

simile

al n.

952,

l'elemento

conserva

due

triglifi e una metopa intera; la metà mancante della metopa di destra doveva essere intagliata nell’elemento successivo. Le metope risultavano decorate: forse da una corona isiaca!, ora scalpellata, quella intera, da un elemento vegetale l'altra, in cui si distinguono due foglie e un fiore. Databile nel II sec. a.C Bibl. BOTTI, p. 7, n. 12.

Musée,

p. 532,

sala XV,

n.

18; Ip., in BSAA,

2,

1899,

! Fregi dorici con rappresentazioni greco-egizie nelle metope sono noti anche

altrove

in Egitto,

ad esempio

da Tell Athrib,

ora al Museo

del

Cairo, con quattro metope che raffiguravano successivamente: Isis-Thermouthis sotto forma di un uraeus con corona isiaca nella prima, una corona isiaca nella seconda, lo pschent nella terza e Agathodaimon coro-

nato di pschent nella quarta: C.C. EpGAR, Greek Sculpture. Cataloque general du Musée du Caire, 1903, v. Agathodaimon, p. 278, n. 10.

954. Fregio dorico con mento di porta. (Tav. 100) Alessandria, 24024.

magazzini

del

. 27619, tav. 31; LIMC,

metope

decorate,

I, 1, 1981,

da

corona-

museo,

da

Tebtynis

(1935);

n.

inv.

metope.

Calcare. Alt. cm. 39; larg. cm. 128; spess. cm. 21.

parte di un fregio più lungo. I glifi e i relativi canali si concludono in alto orizzonmodo

da

lasciare

in

evidenza

un

sottile

li-

stello sotto la fascia che corona i triglifi. Al di sopra di ogni triglifo è intagliato inoltre un rocchetto con balteo centrale costituito da due nastri accostati,

accompagnati

da

volute e con la restante superficie percorsa da solchi obliqui, leggermente ricurvi e paralleli. Ciascuna metopa è decorata con elementi vegetali: la prima a sinistra presenta lo schema di un capitello corinzio

di lesena,

frastagliati 516

in

con

tre foglie

foglioline

ticcio ondulato,

terminante con una rosetta.

La seconda metopa si ispira ugualmente ad un capitello

corinzieggiante di lesena, con motivo a doppia S: dietro due foglie angolari mità

spiraliformi,

si innalzano quelle

due volute con le estre-

inferiori

unite

in

modo

da

for-

mare un calice, da cui nasce una foglia con uno stelo centrale; quelle superiori sorreggenti gli angoli dell'abaco, sottili elici con piccole spirali terminali, in mezzo alle quali passa uno stelo ondulato terminante con un fiore al centro dell'abaco. La terza metopa presenta un calice composto da due sottili foglie di profilo, con lobi bilobi separati da zone d'ombra ovali: in mezzo alle foglie si innalzano due robusti steli solcati verticalmente e terminanti con spirali poggianti sulla cima delle foglie stesse: tra questi steli nasce una foglia d'acanto, dietro la cui cima si originano steli ondulati desinenti in rosette. Infine la quarta metopa è decorata da due foglie di palma leggermente ricurve, in mezzo alle quali nasce una foglia d'acanto, con i lobi distinti da fori di trapano e con due rosette ai lati. Il margine inferiore del fregio è accompagnato da un listello, un ovolo liscio, altri due listelli di diversa grandezza, formanti tra loro quasi una schematica gola, e infine da una taenia, sotto la quale sporgono in corrispondenza dei triglifi le regulae, con sei guttae a sezione trapezoidale pendenti da esse. L'architrave sottostante appare liscio. | Si osservi come il particolare decorativo dei rocchetti sopra i triglifi trovi un parallelo nei rocchetti che si trovano al di sotto dei capitelli degli stipiti di porte con trabeazione mista dorica e ionica dell’ipogeo n. 1 della ne-

e

d’acanto

separati

da

alla base,

fori

moda dei rocchetti coronanti pilastri angolari dell’ordine dorico secondo un’influenza ionica, come appare già riscontrabile nel donario degli Strateghi a Cirene della fine del IV secolo a.C., motivo in questa città piuttosto

comune per tutto il periodo ellenistico?.

Il fregio è costituito da cinque triglifi e quattro metope, ed è intagliato insieme ad un architrave liscio: l'elemento infero presenta all’estremità il piano ribassato, in quanto doveva costituire il coronamento di un portale e non far

in

due ro-

buste elici con lo stelo accompagnato da involucri vegetali, l'uno nascente dall'altro, e terminanti in spirali, ai lati di uno stelo che nasce dietro la foglia d’acanto centrale; negli spazi angolari tra le elici e i triglifi vi è un vi-

cropoli di Mustafà Pascià! e più in generale rimandi alla

Abrasa parte della superficie dei primi due triglifi e delle relative

talmente,

altre due foglie di pro-

leggermente sporgenti. Dal nastro delle volute si originano

100)

3750. Fratturato irregolarmente

dietro le foglie angolari crescono

filo, alludenti ad un calice, dietro cui si innalzano

di

a lobi

trapano;

Databile nella seconda metà del II sec. a.C. ! ADRIANI,

in Annuaire,

1933-35, tav.

18.

? L.BACCHIELLI, in RendLincei, 35, 1980, p. 328.

955. Fregio dorico con mento di porta. (Tav. 100)

metope

decorate,

da

corona-

Alessandria, magazzini del museo, da Teadelfia (Batn Herit), «a poca distanza dal tempio, verso SO»; n. inv. 20892.

Scheggiato il margine superiore al centro, compresa la fascia di coronamento della terza metopa.

Calcare. Alt. cm. 24; larg. cm. 125; spess. cm. 25. M

Il fregio è costituito da cinque triglifi e quattro metope e pare presentare all'estremità un piano ribassato. I glifi e relativi canali si concludono in alto orizzontalmente, in modo da lasciare in evidenza un sottile listello sotto la fascia che corona i triglifi e che prosegue, rien-

trante, anche al di sopra delle metope. Inferiormente non vi è la taenia, che doveva forse essere intagliata nel blocco sottostante dell’architrave. Ciascuna metopa è decorata con elementi vegetali: la prima e la terza presentano due larghe foglie di acanto a lobi frastagliati separati da zone d’ombra ovali e oblique; sopra le foglie si innalzano due steli con spirali terminali contrapposte simmetricamente, in modo da formare un motivo

a cuore,

visibile

soprattutto

nella

prima

metopa,

dove le spirali sono più ravvicinate. La seconda e la quarta metopa presentano un fiore ogivale, con fitti petali e pistillo a pigna delimitato da due steli ondulati terminanti all’estremità con spirali simmetricamente contrapposte nello stesso senso. Un richiamo può farsi con il meno fine n. 951. Databile nella seconda metà del II sec. a.C. Bibl.: BRECCIA,

Monuments,

p. 128, tav. 67,1.

956. Fregio dorico con metope decorate e architrave con meandro, da coronamento di porta. (Tav. 100) Alessandria, magazzini del museo, da Teadelfia (Betn Herit), «nella strada che separava la facciata del tempio dalle case verso S»; n.

inv. 20887. Lievi scheggiature sulla fascia superiore e lungo i margini. Calcare. Alt. cm. 44; larg. cm. 137; spess. cm. 24.

Il fregio è costituito da cinque triglifi e quattro ed è intagliato insieme ad un architrave ornato meandro; l’elemento intero presenta all’estremità ribassato, in quanto costituiva il coronamento di un I glifi e 1 relativi canali si concludono in alto talmente,

in

modo

da

lasciare

in evidenza

un

metope con un il piano portale. orizzon-

sottile

li-

stello sotto la fascia che corona i triglifi e che prosegue, rientrante, anche al di sopra delle metope. Ciascuna metopa è intagliata ribassando la superficie con quattro incorniciature concentriche, costituite da listelli di diversa larghezza, eccetto il secondo, formato invece da un ovolo liscio. Il margine inferiore del fregio è accompagnato da una piccola taenia,

cornice sporgente, costituita da un listello, una un ovolo liscio, un listello e una fascia, sotto al

quale sporgono le regulae e sel guttae a sezione trapezoidale pendenti da esse. La cornice costituisce inoltre il coronamento di un fregio a doppio meandro e di una fascia liscia formante l’architrave vero e proprio del portale. Le incorniciature concentriche delle metope possono ricordare

la

riproduzione

di

un

cassettone,

com'è

chiara-

mente visibile in un fregio proveniente da una casa privata di epoca tolemaica di Tebtynis!; tuttavia la mancanza del lato

inferiore

del

cassettone,

nelle

metope

del

nostro

esemplare, può anche far supporre che si volesse riprodurre schematicamente una serie di portali in successione di un tempio egiziano, com'é visibile in molte lastre di chiusura dei loculi nelle necropoli alessandrine?. Il motivo del fregio a meandro trova confronti con diversi capitelli corinzieggianti, sempre provenienti dalle necropoli alessandrine (cfr. n. 304) o impiegati nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide?, o ancora nel soffitto di cornici, sempre

ad Alessandria

(cfr. n. 938-941).

Databile nella seconda metà del II sec. a.C. Bibl.: BRECCIA,

Monuments,

p. 128, tav. 67,6.

! M.

NowicKa,

La

masion priveé dans

l'Egypte

Ptolemaique,

War-

sawa, 1969, p. 111, fig 65. ? P. PENSABENE, in Studi in onore A. Adriani, I, Roma, 1983. p. 91 ss. ? Pesce, Palazzo delle Colonne, fig. 13.

957.

Fregio dorico con metope decorate. (Tav.

Alessandria, 19908.

magazzini

del museo,

100)

da Teadelfia (Batn Herit); n. inv.

Scheggiata al centro la fascia superiore e gli angoli inferiori esterni dei triglifi. Calcare. Alt. cm. 28; larg. cm. 58,5; spess.

cm.

x

Il fregio è costituito da due triglifi coronati da una fascia sporgente su tutti (e non rientrante in corrispondenza delle nn. 951-956). I triglifi sono conclusi superiormente in corrispondenza

dei

canali

14.

e da una metopa, e tre gli elementi metope come nei da un listello, che

si incurva,

in modo

da

for-

mare dei lobi semicircolari all’estremità superiore dei due canali intermedi e una specie di orecchietta sopra il taglio obliquo che limita i margini esterni del triglifo. La metopa presenta in rilievo una figura maschile frontale, con le gambe di profilo flesse nell’atto di correre; essa indossa una tunica ripiegata sul ventre e trattenuta da una cintura in modo da lasciar libere le gambe. Il volto è tondo, con guance piene, occhi molto aperti con palpebre superiori a listello e pupille incavate, naso largo e bocca stretta semiaperta; le orecchie sono ribaltate sul piano e sono rese da due listelli ovali concentrici: le unisce una frangetta

a piccole

ciocche,

distinte

da

sottili incisioni.

Il

copricapo è conico e sembra costituito da foglie di papiro. La figura trasporta un doppio carico appeso alle estremità di un bastone in bilico sulle spalle; a sinistra si distinguono forse delle reti sospese, a destra un anfora appesa al bastone per mezzo di corde incrociate. La figura è resa in modo molto elementare e disorganico, come rivelano la testa, piuttosto grande rispetto al corpo, in posizione innaturale, e la mancanza di valori plastici. Databile nella seconda metà del II sec. a.C. Bibl.:

Breccia,

958.

Monuments,

p.

128,

tav.

67,

2.

Fregio dorico con metope decorate. (Tav.

Alessandria,

magazzini

del museo,

100)

da Teadelifa (Batn Herit); n. inv.

19907. Scheggiata la fascia superiore e abrasa la superficie lungo il margine inferiore. Calcare. Alt. cm. 27,4; larg. cm.

50; spess. cm.

18.

M

Il fregio è costituito da un triglifo e una metopa, mentre sul lato destro si distingue un unico largo glifo e una fascia verticale intagliata obliquamente rispetto ad esso. Il triglifo è uguale a quello del n. 957 e probabilmente l'elemento apparteneva al medesimo fregio. La metopa presenta in rilievo un busto di divinità con testa barbata, ma senza baffi; sulla fronte sembra presentare una taenia da cui sporgono ai lati le corna e al centro un serpente ureo; il busto indossa una tunica, le cui pieghe sono rese con schematiche incisioni. È probabile che vi sia raffigurato il dio locale Heron (cfr. n. 951). Databile nella seconda metà del II sec. a.C. Bibl.: Breccia,

Monuments,

p. 129, tav. 67,3.

517

959.

Frammento di fregio dorico. (Tav.

101)

Alessandria, magazzini del museo, di provenienza sconosciuta; inv. 25096. Fratturata irregolarmente la parte inferiore dell'elemento.

n.

Calcare. Larg. cm. 78,5.

infatti un cerchio con le relative diagonali e con i quarti di cerchio cosi ottenuti a loro volta divisi rispettivamente da due bisettrici. Può ipotizzarsi che fosse previsto l’intaglio di una rosetta o altro elemento vegetale circolare, in analogia ai nn. 951-952, e come si ricava dal confronto

con un frammento di fregio dorico dalle terme del palazzo L'elemento è costituito da due triglifi e una metopa. Del triglifo di sinistra vi sono solo due glifi, in quanto il terzo doveva far parte dell'elemento contiguo del fregio, intagliato separatamente. I glifi e i canali si concludono verso l'alto orizzontalM

mente,

in modo

da formare

un listello sotto la fascia che

corona sia i triglifi che la metopa. La metopa è liscia, ma presenta linee incise: è visibile

IV - TRABEAZIONI Treo

MISTE

CON

1: CORNICI IONICHE CON MENSOLE E FREGI DORICI.

960.

Cornice con mensole e fregio dorico. (Tav.

Alessandria,

sala

XV

del

museo,

da

Hadra

(Ibrahimieh);

101) n.

inv.

21741. Di restauro buona parte della sopracornice, del triglifo e della metopa a destra.

sima

obliquo

è a gola x

dalla

corona

diritta, sottile;

separata il

tramite

soffitto

Frode

a

Masada,

con

rosetta

a

stella

su

disco

che

occupa l’intero campo metopale!: questo frammento insieme ad altri dello stesso fregio, sempre rinvenuti nelle terme, sono nel complesso dello stesso tipo e stile di quelli alessandrini. Databile nel II-I sec. a.C. ! Y,

Yapin,

Masada.

La fortezza

di Erode

e l’ultima

difesa

degli

ebrei, (ed. it.) Bari 1968, p. 83.

CORNICI

IONICHE

E FREGI DORICI

sottile la fascia sotto la taenia, in quanto termina poco sotto le guttae delle regulae. Il rapporto tra la larghezza delle metope e del triglifo e di 1,5. Databile nel II - prima metà del I sec. a.C. 962.

Cornice con mensole e fregio dorico. (Tav.

101)

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Abrasa buona parte della sima e scheggiato inferiormente il triglifo di sinistra.

Calcare con resti di stuccatura gialla sulle metope. Alt. cm. 34; larg. mass. cm. 67; spess. cm. 26,5.

La

di

è

un listello

sostenuto

da

Calcare. Alt. cm. 37,5; larg. cm. 90; spess. sup. cm. 22; spess. inf. em.

17.

mensole parallelepipede, probabilmente non scanalate al centro e incorniciate da un listello obliquo. Seguono un ovolo liscio, un astragalo liscio e un largo listello. Del fregio dorico si conservano due triglifi, di cui solo quello a destra per intero, mentre l’altro è in parte di restauro. Si osservino sotto le regulae corrispondenti ai triglifi la sporgenza di sei guttae a sezione trapezoidale. Insieme al fregio pare intagliata anche la fascia superiore

Simile ai nn. 960-961, si diversifica da essi per la presenza di un listello sul lato posteriore dello spazio quadrangolare tra le mensole, in modo da unire l’incorniciatura a listello di queste. La corona inoltre sporge leggermente rispetto al piano del soffitto con un peduncolo a listello, separato tramite un’incisione dal fronte delle mensole e dallo spazio quadrangolare tra queste.

dell’architrave.

tocornice sono costituite da una sottile fascia, da una gola rovescia appena accennata e da un listello. Il fregio dorico conserva tre triglifi e due metope. I canali tra i glifi, a sezione angolare, terminano in alto orizzontalmente, in modo da delimitare un listello sotto la fascia che corona superiormente il fregio: questo listello sembra arrotondato alle estremità, in corrispondenza del taglio obliquo dal lato esterno dei glifi laterali. Inferiormente sotto la taenia sporge, in corrispondenza dei triglifi, la regula con sei guttae a sezione apparentemente trapezoidale. Il rapporto tra le larghezze delle metope e dei triglifi è di 1,5. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

L’uso del gheison ionico con il fregio dorico, pur avendo precedenti più antichi!, diviene abbastanza frequente nell’architettura ellenistica soprattutto con il II secolo a.C.?. La larghezza eccessiva della metopa centrale (poco meno del doppio del triglifo) ricorda alcuni fregi tardo-ellenistici con uguale ampliamento della metopa, ad esempio

a Callatis,

con centauromachia?.

Le mensole per lo spessore e la forma parallelepipeda richiamano il tipo impiegato nelle cornici pergamene*. Databile nel tardo II sec. a.C. ! K. JgPPESEN, Paradeigmata, Aarhus 1958, p. 91 ? W. v. Sipows, in RM, 91, 1984, p. 328.

N

* G. BORDENACHE, in Dacia, 4, 1960, p. 399 ss. ^ v. HEsBERG, Konsolengeisa, p. 22 ss.

961.

Cornice con mensole e fregio dorico. (Tav.

101)

Alessandria, magazzini del museo, di provenienza sconosciuta. Mancante metà della sopracornice e spezzato irregolarmente sul fianco sinistro. Calcare. Alt. cm. 28.

Molto

simile

al n. 960,

rispetto

più sottili e scanalate; meno 518

a cui presenta mensole

larghe sono le metope e più

A

differenza dei nn.

960-961,

963. Cornice con mensole triangolare. (Tav. 101)

le modanature

della sot-

e fregio dorico da frontone

Alessandria, giardini del museo, di provenienza sconosciuta. Mancante buona parte della sima obliqua e l'angolo destro inferiore

del fregio; numerosi fori e scheggiature sulla superficie. Calcare molto chiaro. Alt. 43; alt. fregio cm. 26.

cm.

43; larg.

mass.

cm.

88;

spess.

cm.

La cornice obliqua presenta la sima a gola diritta, sepa-

rata tramite un listello da una sottile corona,

di cui non

è

distinguibile se il soffitto è sorretto da mensole. La cornice orizzontale & costituita dalla corona, retta da mensole scanalate al centro. Seguono una sottile gola diritta e una gola rovescia. Il fregio dorico conserva tre triglifi e due metope, simili a quelli dei nn. 960-962. Dato il tipo di abrasione sul margine superiore è possibile che il frontoncino triangolare coronasse un’edicola di piccole dimensioni larga quanto l’attuale fregio a tre triglifi che si conserva. Databile nel II - prima metà del I sec. a.C.

separata

tramite

un

listello

obliquo

dalla

sottilissima

corona; il soffitto è sorretto da mensole rettangolari con scanalatura al centro. Seguono una gola rovescia, un sottile listello e una serie di dentelli rettangolari. Questi sono separati tramite un ovolo appiattito e un listello dal fregio dorico, incorniciato superiormente da una sottile fascia. Del fregio si conserva un triglifo e le due metope contigue; 1 glifi si concludono

in alto orizzontalmente,

mentre

inferiormente presentano la consueta taenia, a cui sono attaccate le regulae con sei guttae quadrangolari. Le metope sono liscie e in origine dovevano essere forse dipinte. Nella zona inferiore è intagliato parte del sottostante ar-

chitrave sotto forma di fascia liscia. 964. Cornice con mensole dorico. (Tavv. 101; 135) Alessandria,

sala XIV

del museo,

e parte

superiore

di fregio

da Hadra

(Ibrahimieh)

(?); n. inv.

È stata fatta l’ipotesi che questo pezzo, e il succesivo n. 966, appartengano forse ad un edicola con colonne alta circa m.

2, o ad una

parete

di casa

di altezza

simile.

In

3647.

quest’ultimo caso è possibile che la parte inferiore dell’ar-

Scheggiature lungo la sima e agli angoli inferiori; di restauro Ja parte centrale e buona parte del margine inferiore. Calcare con tracce di colore rosso. Alt. cm. 18; Jarg. cm. 101, spes. cm. 31.

chitrave fosse in legno!.

La sima é a gola diritta e sormontata da uno spesso listello con solco orizzontale al centro. La corona liscia presenta il soffitto sorretto da mensole rettangolari con

larga

scanalatura

al centro

e incorniciate

da un

ovolo

liscio appiattito e da un listello. Inferiormente seguono un ovolo liscio, un astragalo liscio e una sottile fascia. Il fregio dorico è coronato dalla consueta fascia, che sporge in corrispondenza dei triglifi; questi presentano due canali a sezione angolare che si concludono in alto orizzontalmente. La larghezza delle metope corrisponde a una volta e mezzo quella dei triglifi. Databile nel II - prima metà del I sec. a.C.

Si osservino il taglio inferiore obliquo delle guttae, secondo una forma successiva al III secolo a.C. e il contorno dei dentelli rettangolari messo in evidenza dalla zona d'ombra degli spazi intermedi?. Databile intorno alla metà del II sec. a.C. Bibl:

ApRIANI,

in Annuaire,

1935-39,

p.

49,

n.

11,

tav.

18,3,

fig.

17,1; v. HesBerc, Konsolengeisa, p. 69, b, nota 293. ! v, HESBERG, Konsolengeisa, p. 62. 2 Il v. HEsBERG (Konsolengeisa, p. 70) osserva come i dentelli corrispondano a pezzi simili nell'architettura ellenistica, ad esempio nel portico nord dell'Agorà di Priene (Th. WIEGAND, in Priene, Berlin 1904,

p. 192 ss., fig. 188 ss.), e che la loro forma, determinata dai contorni quadrangolari del lato frontale e di quello inferiore, si appoggia a modelli del III secolo a.C., come ad esempio i dentelli del gheison ionico dell'edificio presso la banchina del porto orientale (n. 19).

966.

Cornice

con

mensole,

dentelli

e

fregio

dorico.

(Fig. 82) TIPO

2:

CORNICI

IONICHE

CON

MENSOLE,

DENTELLI

E

FREGI DORICI.

965. Cornice con (Tav. 101; Fig. 77) Alessandria, Finney).

magazzini

mensole, del

museo,

dentelli dal

e

fregio

Quartiere

dorico.

Reale

(cantieri

Abrasa la sima e parte della corona del soffitto, comprese le mensole; grossa scheggiatura inferiormente a sinistra.

Calcare giallo chiaro. 33,5; spess inf. cm.

Il pezzo

Alt. cm.

45; larg. cm.

51; spess.

sup.

cm.

18.

presentava in origine una sima a gola diritta,

Alessandria, magazzini del museo, dal Quartiere Reale (cantieri Finney). Spezzati gli angoli superiori della sima e buona parte del fregio dorico, di cui resta solo la parte superiore. Calcare giallo chiaro. Alt. mass. cm. 20; larg. cm. 49; spess. cm. 34.

Molto simile nel profilo al n. 965; i dentelli sono leggermente più ravvicinati e maggiore è la sporgenza della sopracornice. Databile nella seconda metà del II sec. a.C. Bibl.: ADRIANI, in Annuaire, 1935-39, p. 50, n. v. HESBERG, Konsolengeisa, p. 70, nota 302.

16, tav.

18,4, fig.

18;

V - FREGI IONICI DECORATI

Treo

1: FREGI CON GIRALI.

966A.

Frammento di fregio con girali. (Tav.

Alessandria, sala XV del museo, Zouro); n. inv. 3789. Fratture iregolari sui fianchi.

dal

porto

orientale

102) (dono

Marmo bianco a cristalli piccoli. Alt. cm. 21; larg. mass. cm. 33.

G.

Dell'originale fregio si conserva una girale terminante al centro con un fiore dal pistillo piuttosto grande, a forma di bocciolo chiuso e dalla corolla rovescia a petali suddivisi da tre fogliette e separati da zone d'ombra ogivali. All’inizio della curva lo stelo della girale si origina da un lungo calice a due foglie, dal quale nasce anche lo 519

stelo della girale successiva. Negli angoli si distinguono fiori. Il tipo del tralcio ha riscontri in ambiente pergameno, dove in mosaici compaiono fiori simili!. Anche nel fregio

di una base del Didymaion di Mileto? alcuni dei fiori presentano un pistillo simile, confermando l'ambiente di origine del tipo del tralcio. Databile nel II sec. a.C. Bibl.: BoTTI, Musée, p. 532, sala XV, n. 32.

di fregio

sporgente

due

grandi

rosette

con

girali

e fiori.

a girandola,

che

nascono

dal tralcio a spirale collocato all'estremità del lato frontale. Dalla spirale sinistra si originano due steli ondulati ad S terminanti con brevi spirali opposte, in mezzo a cui cresce un fiore, e accompagnate da numerose foglie. Dalla spirale di destra nasce uno stelo ondulato ad S, terminante con

breve

spirale

e uno

stelo

desinente

in una rosetta;

al

centro sono visibili altre foglie e in alto una rosetta a quattro petali. Essendo lavorato su tre lati è possibile che il pezzo coronasse un pilastro e ne sostenesse quindi la relativa trabeazione. Un confronto vicino è con i fregi dei frontoncini spezzati del prospetto ad edicole del lato nord del Grande Peristilio del Palazzo delle Colonne a Tolemaide!, da cui si può ricavare un'ipotesi sul modo di utilizzazione del nostro esemplare. Ad Alessandria tralci ondulati con rosette al centro di ogni girale si trovano nel fregio di un letto fune-

rario dell’ipogeo n. 3 della Necropoli di Mustafà Pascià”. Databile nel II - primi decenni del I sec. a.C. Palazzo

delle Colonne,

p. 27, tav.

10; H. LAUTER,

in Jdl,

86, 1971, p. 158, figg. 11, 12, 15. ? ADRIANI, in Annuaire,

968.

1933-35, p. 103, fig. 45.

Frammento di fregio con girali contrapposte.

Alessandria, magazzini del museo, dal Quartiere Reale (cantieri Finney); n. inv. 25671. Scheggiature lungo il fianco sinistro e sul margine inferiore. Calcare giallastro. Alt. cm. 23,5; larg. cm. 27; spess. cm. 27.

L’elemento si articola in due parti: quella inferiore costituente la prima fascia dell’architrave con coronamento sporgente a gola diritta e a largo listello; la parte superiore facente parte di un fregio con girali d’acanto. Il tipo di frattura sul margine sinistro sembrerebbe far ritenere che l’elemento facesse parte dell’angolo di un fregio, che richiedeva dunque una decorazione compiuta: questa è costituita da una coppia di girali simmetricamente contrapposte nascenti da un elemento vegetale lanceolato al 520

969. Frammento di fregio con girali. (Tav.

102)

da Alessandria; n. inv. R 360 A.

18.

Il frammento apparteneva ad un fregio con girali, delle quali se ne conserva una, con lo stelo avvolto da brattee scanalate a cui si sovrappongono piccole foglie d’acanto dalla cima ripiegata; da queste emerge libera la spirale terminante a punta. Una girale quasi uguale si trova in un elemento di fregio dai cantieri Finney di Alessandria (n. 968), simili invece

nel Palazzo

delle Colonne

a Tolemaide!;

un fregio

a girali orna un letto funebre dell’Ipogeo n. 3 della necropoli di Mustapha Pasha?, e ció conferma la conoscenza del motivo, nonostante apparentemente ad Alessandria ve . ne siano poche testimonianze. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C. ! Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 17, fig. 15; H. LAUTER,

in Jd,

86, 1971, p. 158, fig. 12.

? ApRIANI, in Annuaire, 1933-35, p. 103, fig. 45, tavv. 19, 23.

970.

Frammento di fregio con girale (?). (Tav.

Alessandria,

magazzini

del museo,

da Alessandria.

102)

Resta una spirale

di voluta e parte di un calice. Calcare. Alt. cm. 18.

L'elemento

traleio

doveva

a girali:

costituire

si conserva

la

una

parte

iniziale

voluta

di

un

spiraliforme

a

nastro concavo, da cui si origina un calice composto da due foglie d'acanto a fogliette aguzze, unite tra loro in modo

da

formare

una

zona

d'ombra

stretta

e ogivale,

a

cui ne segue un altra triangolare. Databile nel II-I sec. a.C. 970A. (Tav.

Bibl.: Borrt, Musée, p. 533, sala XV, n. 46. ! Pesce,

Bibl.: ADRIANI, in Annuaire, 1935-39, p. 49,n. 7, tav. 16,5.

Calcare. Alt. cm.

L'esemplare è lavorato su tre lati, mentre sul retro si restringe ed è liscio, forse per l'attacco. I fianchi sono da

terminanti con una cima ricurva in senso op-

Resta una girale, con fratture irregolari sui fianhci.

Alessandria, sala XV del museo, da Gabbari (dono Schiess Bey); n. inv. 3812. Abrasa in superficie la cornice superiore e scheggiata la metà destra del margine inferiore, restaurato in gesso. Calcare. Alt. cm. 28; lati sup. cm. 61x26; lati inf. cm. 54,5 x 18; sporgenza attacco sul retro cm. 7.

decorati

di involucro,

posto all'andamento della spirale. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

Alessandria, magazzini del museo,

! F, COARELLI, G. SAURON, in MEFRA, 90, 1978, p. 728, fig. 28. ? G. Sauron, in MEFRA, 91, 1979, p. 194, fig. 19.

967. Elemento (Tav. 102)

centro con alla base una foglia d’acanto. Lo stelo della girale è avvolto da brattee scanalate e da foglie d’acanto

Due frammenti di fregi con girali (?).

102)

Alessandria, sala XIII (vetrina B) del museo, da Hadra (Ibrahimieh), dono M. Sardella; nn. inv.: 1? 17774; 2? 17775. I frammenti conservano elementi del tralcio vegetale di un fregio. Calcare. 1°: alt. mass. cm. 5; larg. mass. cm. 13. 2°: alt. mass. cm. 12.

I due frammenti mostrano visibili parte del fusto di un traleio vegetale i cui elementi dovevano intrecciarsi e in parte essere rivestiti da foglie di involucro. Databili nel II-I sec. a.C. 971. Elemento poste.

(Tav.

Alessandria, 3857.

di fregio semirifinito con girali contrap-

102) sala XV

del museo,

dall'«interno

della città»;

n. inv.

Scheggiati i margini laterali e quello superiore. Calcare. Alt. cm. 20,5; lati inf. cm.

39,7x 44,5.

L'elemento presenta il lato frontale articolato in due parti: quella inferiore costituita dalla prima fascia dell'architrave

coronato

da

un

listello

e da

una

gola

rovescia;

quella superiore formante il fregio, intagliata con una serie di girali simmetricamente contrapposte, prive dell'ultima rifinitura, per cui le spirali appaiono come lobi circolari.

972A. Frammento di fregio con tralcio di vite. (Tav. 102) Alessandria, museo, ora nei giardini del Serapeo!.

Questi si originano da steli arcuati uniti superiormente, in modo da formare come un elemento lanceolato, con la ci-

Fratturati irregolarmente sui fianchi. Calcare con sottile rivestimento di stucco.

fogliette trilobe,

che forse a lavorazione ultimata

avrebbe-

ro

costituito la cima delle foglie nascenti tra le girali. Il confronto più vicino per questo motivo è dato dal n. 968. Databile nel tardo II - prima metà del I sec. a.C.

Bibl.: Botti, Musée,

p. 533, sala XV,

Elemento di fregio con palmette. (Tav.

102)

Alessandria, sala XIV del museo,

da Gabbari (1906); n. inv. 3666.

L'elemento,

presenta di restauro quasi tutta la

incassato nel muro,

fascia inferiore; abraso il margine della fascia superiore. Calcare. Alt. cm. 55,5; larg. cm. 98; alt. palmette m. 19.

ricurva

verso

l'interno,

e alla base

sono

colle-

gate tra loro tramite tralci intermittenti a doppia spirale, dall’accostarsi delle quali si originano appunto le palmette e, alternate a queste, un elemento triangolare. Seguono un listello, un pesante astragalo a perline e doppie fusarole a disco e un sottile fascia. Databile nella seconda metà del III - inizi del II sec. a.C.

1:

VOLTE

CON

SOFFITTO

A

ESAGONI

E CORNICE

CON

DENTELLI.

della corteccia del fusto e delle nervature delle foglie. È

noto

come

Alessandria, sala XIV del museo, da Wardiyan; n. inv. 18873. Scheggiata e mancante di brevi tratti la sopracornice sul lato destro; mancanti al centro e in basso alcuni dei cassettoni della volta. Calcare rivestito in stucco. Alt. cm. 47; diam. inf. cm. 79.

La volta della semicupola presenta un soffitto decorato con cassettoni esagonali collegati tra loro e piuttosto profondi, con il contorno interno che circoscrive un altro esagono. La cornice della semicupola è costituita da una sima a gola diritta, da una sottilissima corona con il soffitto decorato da un doppio meandro (come nei nn. 936-939). Seguono un listello e una serie di dentelli molto sottili e allungati, con lo spazio intermedio quasi uguale alla loro doppio

le ultime

listello

due modanature

arrotondato

e da

un

il motivo

decorativo

del tralcio

di vite

(stele di Berlino da Pergamo, mosaici di Pergamo e di Antiochia”), anche per gli evidenti richiami dionisiaci che esso permetteva: come tale fu spesso impiegato anche nell’Egitto tolemaico, come mostrano la serie dei capitelli di Edfu e altri di Alessandria (cfr. nn. 295-301), o fregi di età imperiale che sembrano dipendenti dai modelli tolemaici (lastra rinvenuta presso un edificio termale di TeaIl frammento di Alessandria si distingue per l'accurato naturalismo con cui sono resi il fusto del tralcio e le foglie, in ció collegandosi ad una tradizione piü genericamente

ellenistica,

citare

le colonne

sono

costituite da un

Kyma

lesbico

con-

che

continua

dell’interno

in

della

età

cella

imperiale:

basta

del Tempio

di

Adriano a Cizico*. Databile nel I-II sec. a.C. ! Nella nuova collocazione ha ricevuto il numero di serie 241.

? G. SAURON, in MEFRA, 90, 1978, p. 729, figg. 32, 33. > Breccia, Monuments, p. 129, tav. 68,5. ^ B. ASHMOLE, in Journal of the Warburg 19, 1956, pp. 185-186.

and Courtauld Institutes,

DI EDICOLE

tinuo, che inquadra la fascia liscia che circonda la semicupola. Il limite inferiore dei cassettoni esagonali della volta è marcato

973. Volta di semicupola con soffitto ad esagoni e cornice con meandro e dentelli. (Tav. 103)

larghezza;

mass.

Al centro di una lastra arcuata e a sezione concava vi è un tralcio di vite con foglie e pampini: vanno rilevati il plasticismo e la precisione con cui sono resi i dettagli

VI - SOFFITTI DECORATI

Tipo

34, largh.

delfia)?.

L'elemento presenta dall'alto verso il basso una prima modanatura a leggero arco di cerchio, cui segue una fascia tra due listelli che corona un fregio a palmette. Queste sono costituite da nove lobi, con cima leggermente ad uncino

cm.

abbia goduto di una certa diffusione nel periodo ellenistico

n. 61.

TIPO 2: FREGI A PALMETTE.

972.

Alt.

cm. 53, spess. cm. 8.

ma coincidente con il margine superiore del fregio. Sopra la stretta zona vuota tra i lobi circolari contigui crescono

da una taenia

sporgente,

un listello e una

serie di dentelli, leggermente più corti e meno sottili di quelli della cornice. Si osservi come la parte inferiore della fascia che limita la semicupola non sia accompagnata dalla cornice, in quanto questa a circa tre quarti della curva diventa rettilinea, forse in modo da potersi poi unire alla cornice della trabeazione successiva: ciò potrebbe essere un indizio che la semicupola non costituisse semplicemente la volta di un’edicola, bensì facesse parte di un’architettura più complessa, come visibile nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide, dove nella facciata interna settentrionale del Gran Peristilio analoghe semicupole sono inserite al centro di

frontoni interrotti. Databile nel tardo II - primi decenni del I sec. a.C. Bibl: F. EL FAKHARANI, in AJA, 69, 1965, p. 58, LAUTER, in Jd/, 86, 1971, p. 158, n. 39, fig. 10.

tav.16,

fig. 5; H.

! Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 27, tav. X.

521

974.

Frammento

di

volta

arcuata

goni e. cornice con dentelli. (Tavv. Alessandria,

sala XV

3855. Spezzata

sima

la

del museo,

della

con

dall'«interno

cornice

soffitto

ad

esa-

103; 134)

e fratturati

della città»; n. inv.

irregolarmente

i due

fianchi, di cui il sinistro è parzialmente restaurato in gesso. Calcare. Alt. cm. 20,5; larg. cm. 38; spess. cm. 22,5; alt. dentelli cm. 3,5; larg. dentelli cm. 1,2.

La volta è decorata da file accostate e parallele di cassettoni a due esagoni concentrici,

che formano tra loro file

di rombi allungati: i campi ribassati interni sia degli esagoni, sia dei rombi, sporgono leggermente, in quanto sono delimitati tramite una scanalatura rispettivamente dall’esagono interno e dal rombo.

Anteriormente

la volta

è circondata

da

una

doppia

fascia su cui si imposta la cornice, probabilmente con il soffitto decorato a meandro (come nei nn. 936, 940) o a mensoline;

sotto

sono

intagliati

un

listello

e

i

n. 64.

! Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 27, fig. 17; H. LAUTER, in Jdl,

86, 1971, p. 157, fig. 9

? ADRIANI, Topografia, p. 192, n. 145, tav. 107, fig. 365, n. 142, tav. 109, fig. 375, tav. 111, figg. 385 e 386. T. Fyre, The Ellenistic Architecture, Cambridge

975.

Frammento

1936, tav. f.t.

di

volta

arcuata

goni e cornice con dentelli. (Tav. Alessandria, sala XV

con

soffitto

ad

esa-

103)

del museo, da Alessandria; n. inv. 3819.

CON

SOFFITTO

AD

Databile nella seconda metà del II - primi decenni del I sec. a.C. Bibl.: ADRIANI,

con

soffitto

Alessandria,

ad

otta-

Alessandria, sala XV del museo, da Gabbari (?); n. inv. 3798. Fratturato irregolarmente lungo il contorno.

Calcare. Alt. cm. 11; larg. cm. 32; spess. cm. 36.

gono,

sottilineato lungo

ottagonali, il cui a forma di otta-

i lati da una scanalatura.

I casset-

toni ottagonali sono a loro volta iscritti in un altro ottagono dai lati a listello che formano sui quattro lati opposti un doppio meandro; questo riempie lo spazio quadrangolare che si forma tra le file dei cassettoni accostati. 522

A CASSETTONI

QUADRATI

E

sala XV

del museo,

dall’«interno

della città»;

n. inv.

3847. Fratturato il lato sinistro su una linea obliqua, comprendente la cornice.

Calcare. Alt. cm. 25,5; larg. mass. cm.

86; spess. cm. 41,5.

La volta ha un soffitto decorato con cassettoni quadrati molto profondi, che presentano all’interno un altro cassettone ribassato, il cui campo centrale, sempre quadrato, è distinto da una scanalatura lungo i lati. AI centro del soffitto nella parte anteriore, in luogo di quattro cassettoni, ve ne è uno più grande, sempre quadrato, ma riempito con un rombo, nel cui interno sono iscritti due cassettoni ribassati e sui cui lati si formano quattro triangoli equilateri. La volta termina sulla fronte con una cornice con sima a gola

diritta,

corona

liscia e soffitto

sorretto

da piccole

mensole rettangolari alternate a incorniciature quadrangolari (cfr. nn. 896-903) con la stessa sporgenza e con lo spazio intermedio del soffitto delimitato da scanalature su tutti i lati eccetto che sul fronte. Inferiormente segue un listello,

un cavetto

e ancora

un

altro listello e un

cavetto

Databile nel II sec. a.C. Bibl.: BoTTI, Musée, p. 533, sala XV, n. 56; DELBRUECK, Hellenistische Bauten, p. 142, fig. 73; v. HEsBERG, Konsolengeisa, pp. 71, 72, tav. 7,1.

! ADRIANI,

Topografia, pp.

146 ss., 192 ss., nn. 93,

142, tav. 71,

figg. 236-237.

4:

SOFFITTO

DI FRONTONCINO

SPEZZATO

CON

MOTIVO

A STELLA.

978. Elemento edicola.

Il soffitto è decorato con cassettoni campo interno ribassato è ugualmente

109, fig. 375, tav.

977. Volta arcuata con soffitto a cassettoni quadrati e cornice con mensole. (Tav. 103)

Tipo

OTTAGONI.

arcuata

p. 192 ss., n. 142, tav.

TIPO 3: VOLTE CON SOFFITTO CORNICE CON MENSOLE.

DI ROMBI

976. Frammento di volta goni. (Tavv. 103; 133,2)

Topografia,

111, figg. 385-386.

cropoli di Anfuschi!.

Uguale al n. 974, sul fronte presenta 1 dentelli leggermente obliqui come se nella volta la cornice fosse collocata all'estremità della curva. Databile nella seconda metà del II - primi decenni del I sec. a.C.

2: VOLTE

negli

più sottile, costituenti l’incorniciatura del fregio liscio. Cassettoni quadrati sono dipinti nel soffitto di un ambiente dell’ipogeo di Mafrusa e nell’ipogeo n. 2 della ne-

Spezzata la sopracornice. Calcare. Alt. cm. 10; larg. cm. 42; spess. cm. 35.

TIPO

si trovano

dentelli

stretti e allungati, con la distanza intermedia uguale a metà della loro larghezza. Un confronto uguale è nel Palazzo delle Colonne di Tolemaide!, mentre molto simile è il soffitto in stucco dipinto di alcuni ipogei della necropoli di Anfushi?. Databile nella sconda metà del II - primi decenni del I sec. a.C. Bibl.: Botti, Musée, p. 532, sala XV,

Soffitti dipinti decorati con ottagoni ipogei della necropoli di Anfushi!.

(Tavv.

di soffitto 103;

di frontoncino

spezzato

di

136,1)

Alessandria, sala XIV (vetrina A) del museo, da Wardiyan; n. inv. 18885. Mancanti la sima e la corona della cornice del soffitto, questo fratturato irregolarmente sui fianchi. Stucco. Alt. cm. 10; larg. cm. 30; spess. cm. 21.

Il soffitto è sostenuto da un travetto che ha assunto l’aspetto di una lunga mensola rettangolare, con stretto lacunare, sempre rettangolare incorniciato da listelli sui quattro lati. Ai lati della mensola la superficie del soffitto è decorata da piatti cassettoni quadrati, che presentano due li-

stelli sul fronte e il campo ornamentale decorato con motivi diversi: quello maggiormente conservato, a sinistra, presenta un rombo con fiore al centro, circondato da rombi schiacciati che si dispongono sui vertici e al centro dei

lati

del

quadrato,

in

modo

da

formare

un

motivo

ritenersi

presenta

esternamente

una

si conserva invece la decorazione

impiegato

come

gheison

obliquo

del

Per la presenza delle lunghe mensole a sostenere il sofoltre che con il n. 935, anche con

la trabeazione dell’ordine superiore della facciata settentrionale del Gran Peristilio del Palazzo delle Colonne a Tolemaide: anche qui lunghe mensole separano i cassettoni quadrati del soffitto che alternativamente presentano motivi diversi, tra i quali compare la composizione a stella forma-

a

sottile cornice,

presumibilmente con sima a gola diritta e corona sorretta da mensoline (cfr. l'analogo frammento di soffitto n. 935):

fosse

interrotto di un'edicola.

fitto, si può confrontare,

stella. Il cassettone di destra sembra fosse diviso a sua volta in quattro quadrati, con fiore al centro di ognuno.

Il soffitto

che

‘ frontoncino

ta da rombi,

in modo

simile

all’esemplare

di Alessandria;

la trabeazione di Tolemaide mostra inoltre che la volta terminava con una cornice sorretta da mensole sottili, come nel n. 935 e presumibilmente in questo esemplare. Databile nella seconda metà del II - primi decenni del I sec. a.C.

della sottocornice,

costituita da una serie di baccellature, da un astragalo a lunghe perline alternate a coppie di fusarole e da una sottile fascia. Si osservi come il soffitto abbia un andamento legger-

mente curvo, con la convessità nella parte inferiore: puó

! Pesce, Palazzo delle Colonne, tav.

13,4.

VII - ANTEFISSE

979,

Antefissa.

(Tav.

104)

servate nella sala XV del museo: nn. inv. 21729, 21730 e alt. rispettiva-

Alessandria, sala XV del museo, dalla banchina orientale (1902); n. inv. 38011. Mancante dello zoccolo inferiore e abrase le cime trali. Calcare nummulitico. Alt. cm. 15.

nuova

del

mente cm. 12 e cm. 13. ? M. ScHEDE, Antikes V, 29, 32, 62.

porto

dei tre lobi cen-

979A.

L'antefissa presenta una palmetta a nove lobi leggermente ondulati e ricurvi verso l’interno con la cima appuntita. I lobi si originano da una membrana vegetale vagamente triangolare, costituente probabilmente la stilizzazione di una foglia nascente da un sottile calice composto da due foglie ripiegate. Il tipo di antefissa deriva da un modello greco-orientale discendente da prototipi greci del IV secolo a.C. (tempio di Athena a Tegea, tholos di Epidauro, ecc.) e ampia-

mente usato anche nell’architettura microasiatica del periodo ellenistico (tempio di Artemide a Magnesia)?. Databile nel tardo HI-II sec. a.C. ! Altre due antefisse molto simili provengono da Hadra, ed erano con-

di

cornice

parietale

con

anthemion

Alessandria, sala XIII (vetrina G) del museo, forse dal Serapeo; n. inv. 3719. Fratturato irregolarmente lungo tutto il contorno. Marmo bianco a cristalli grossi. Alt. cm. 11,5; larg. cm. 9,8. spess. cm. 9,4.

Superiormente si distingue una gola decorata con un anthemion a fiori di loto alternati a palmette: queste si

Antefissa. (Tav.

Alessandria,

sala XV,

Ornament,

Strassburg

1909,

tav.

104)

da Alessandria; n. inv. 3827.

Scheggiate le estremità di tre lobi della palmetta e fratturato irregolarmente il fianco destro della comice. Calcare. Alt. tot. cm. 15; larg. mass.

cm.

20.

L'elemento presenta un’antefissa con palmetta a nove lobi dalla cima leggermente incurvata verso l’interno: dalla doppia voluta ad S alla base si originano la palmetta e la relativa membrana triangolare al centro. L'antefissa è intagliata insieme ad un elemento di cornice caratterizzato da una sima a cavetto e dal soffitto della corona sorretto da piccole mensole. Databile nella seconda metà del II - primi decenni del I sec. a.C. Bibl.: BOTTI, Musée,

VII - CORONAMENTO

980. Frammento (Tav. 104)

Traufleisten

sala XV,

n. 51.

DI PARETI

originano dalle spirali accostate dei tralci nascenti dai calici dei fiori di loto. Inferiormente segue un Kyma ionico a ovuli interi contenuti in sottili sgusci allargati e separati da lancette a sezione quasi angolare e ben distinta dagli sgusci. Il marmo e il motivo delle palmette e dei fiori di loto sono uguali a quelli dei nn. 28-29 ed è anzi probabile la stessa provenienza; il Kyma ionico richiama invece il tipo che appare nei capitelli ionici dell’edificio incompiuto 523

presso la banchina nuova del porto orientale, nn. 10-18. Una cornice molto simile, per motivi decorativi e profilo, ugualmente limitato ad una gola decorata e a un Kyma ionico, si ritrova nella porta di Mazeo ad Efeso, in particolare nell’attico! o nell'Artemision di Sardi sulla parete con portale”. Questo tipo di cornice fu spesso usata come coronamento di aperture o di parete come mostrano

l'orchestra del Teatro ellenistico di Mileto. e la cella del tempio di Roma e Augusto ad Ankara”, in cui nuovamente compaiono

una gola con palmette e fiori di loto e

IX ELEMENTI 981.

Architrave e cornice di portale. (Tav.

104)

Alessandria, giardini del museo, dall'isolato «Hazzarita» tra via Tolomeo Soter e via Alessandro il Grande (Quartiere Reale); n. inv.

23898. Si compone di quattro frammenti combacianti, scheggiata al centro e all'estremità sinistra la cornice superiore. Granito di Assuan.

L'architrave

Alt. cm. 70; lung. cm. 310; spess. cm. 70.

è a due

fasce

delle quali quella inferiore

molto più piccola dell'altra. Il coronamento

è sagomato

con un listello, una gola, un ovolo liscio, un sottile listello e una fascia che all’estremità prosegue verticalmente in modo da inquadrare gli stipiti; questa fascia inoltre è accompagnata lungo il margine inferiore da una gola rovescia che prosegue anche lateralmente. Databile nel III sec. a.C. Bibl: Breccia, Musée gréco-romain, Annuario, 1932-33, p. 60, n. 14.

982. Trabeazione VI. (Tav. 104)

1925-31,

tav.

62;

di portale con iscrizione

ADRIANI,

in

a Tolomeo

Alessandria, museo, da Teadelfia (Batn Herit), probabilmente dal ginnasio; n. inv. 20977.

un kyma

ionico in modo

schematica,

delle

cornici

simile, ma

con una resa piü

di Alessandria

e di quella citata

di Efeso. ! A. BAMMER, in AM, 88, 1973, tav. 96, 1. ? W. VOIGTLANDER, Der jungste Apollontempel Beiheft 14, Tubingen 1975, p. 130, tav. 25.

von Didyma,

IstMitt,

3 F. Krauss, Das Theater von Milet, Berlin 1973, figg. 74-84. ^D. KRENCKER, M. ScHeDE, Der Tempel in Ankara, Berlin 1936; M. Kosag, in Anatolia, 2, 1957, p. 133 ss.; v. da ultimo H. HENLEIN SCHAFER, Veneratio Augusti, Roma 1985, p. 185.

DI PORTALI La foglia ha un contorno semiovale, con i margini articolati in piccoli lobi distinti da piccole zone d'ombra circolari apparentemente ottenute con fori di trapano; la superficie è percorsa da solchi per distinguere le nervature,

che terminano in corrispondenza dei fiori di trapano. In questo esemplare va rilevato il fatto che la cornice ha i fianchi leggermente rientranti e non è perpendicolare al blocco da cui sporge, bensì forma con esso un angolo, in modo che il soffitto risulta leggermente sollevato in alto e obliquo: si tratta della tipica rappresentazione di sguincio, in funzione di una ricerca di effetto di illusionismo architettonico!, che si riscontra proprio nelle trabeazioni di portali, sia di grandi (nn. 33-34), sia di medie dimensioni: ad esempio nell'ipogeo n. 1 della necropoli di Mustafa Pascià, dove un portale di stucco di chiusura di loculo? presenta una simile rappresentazione a sguincio, con una voluta che sorregge l'estremità sinistra della cornice (mancante sull'altro lato) e che puó considerarsi una mensola come nel nostro esemplare. In effetti la resa illusionistica della profondità nelle edicole & spesso suggerita dalla rappresentazione di sguincio dell'inquadratura architettonica, cosi ad esempio nell'ipogeo del Giardino Anto-

Mancante buona parte della sima e scheggiature ed abrasioni minori

niadis?, ed ancora nell'ipogeo n. 2 di Anfushi*.

lungo il margine della corona e agli spigoli del blocco. Calcare, con tracce di rivestimento in stucco. Alt. cm. 40; lung. cm. 193.

Il profilo ad S delle due mensole riprende piü probabilmente una voluta vegetale, come indicherebbe la foglia

L'elemento in origine presentava una sottile sima, schematizzata con sagomatura obliqua: essa è separata tramite una rigida gola rovescia, semplificatasi in due listelli, dalla sottile corona; questa presenta il soffitto reso con un piano obliquo alla cui base sono un cavetto, un ovolo appiattito ed un altro cavetto, modanature che inoltre servono come elemento di separazione rispetto all’incorniciatura dell’architrave e degli stipiti che inquadrano l’in-

d'acanto

che

le riveste,

e non

rodio ribaltata frontalmente.

la sagoma

ondulata

di tipo

La doppia voluta usata come

sostegno delle cornici delle porte ha una lunga tradizione (Mausoleo di Belevi, ecc.)? e mensole usate come sostegno di tutta la cornice, poste solo alle estremità laterali

e non sotto il soffitto, hanno richiami anche in altri centri ellenistici, nell’Oecus

come in un architrave del Rodio di Delo, o in una

Teatro di Oropos, casa di Pergamo,

dove era impiegata una sola mensola®: un confronto molto

un

vicino é sopra il portale dell'interno di una tomba di Petra

cavetto ed una leggera gola diritta. L’architrave è ad una sola fascia e presenta un'iscrizione dedicata a Tolomeo VI. Alle estremità dell'architrave ci sono due mensole ad S che sostengono la cor-

funzione del pezzo qui considerato, sostengono alle estremità la cornice ionica, con dentelli e sottile kyma ionico

gresso.

Tale

incorniciatura

è

costituita

da

un

ovolo,

nice: esse presentano in alto la curvatura convessa, in basso quella concava; il lato frontale richiama una voluta,

in quanto è a sezione angolare, con nervatura sporgente al centro, ed è più largo nella parte superiore, rivestita da una piccola foglia d'acanto rovescia. Sui fianchi esterni il margine ondulato della mensola é accompagnato da un'incisione che individua cosi una striscia nastriforme. 524

del

tardo

I secolo

a.C.,

dove

le mensole,

con

analoga

alla base del soffitto. Come elemento cronologico zione, a cui si aggiunge il tipo dalla resa schematica e dai fori 268). Databile intorno alla metà del Bibl: G. LEFEBVRE, in ASAE, SICKE, Sammelbuch griechischer

vale la dedica dell'iscridell'acanto, caratterizzato di trapano (cfr. nn. 263II sec. a.C.

19, 1919, Urkunden,

p. 62 ss., n. 36; F. PREI3, 1, 1926, p. 24, n. 6157;

M. LauwEY, Recherches sur les armées hellénistiques (BEFAR 169), Paris 1950, p. 841; Breccia, Monuments, p. 91; M. BERGAMNN, in Bathron. Beitrage zum Architektur und verwandten Kunsten. Fur H.

Drerup zu seinem 80. Geburstag,

Saarbrucken

1988, pp. 61-63, figg.

2-9; E. BERNARD, Recuil des inscriptions du Fayum, IL, Caire 1981, n. 103.

! ADRIANI, Topografia, p. 133. ? Ip., p. 132, tav. 50, fig.185. Adriani sottolinea come nel gusto per le deformazioni architettoniche sia anche la leggera pendenza dei soffitti dei passaggi del lato meridionale dell'ambiente 1 dell'ipogeo n. 1.

5 Ip., p. 144, n. 90. 4 [p., p. 192, n. 142.

Bibl.: ADRIANI, Annuaire,

5 W. ALZINGER, in Das Mausoleum von Belevi, Forsch. Wien 1979, p. 43, fig. 31, a. $ v. HESBERG, Konsolengeisa, p. 48, nota 179.

983.

Elemento di portale. (Tav.

Ephesos.

si

distinguono

un

ovolo liscio, un listello e una fascia.

Per il doppio analoghi motivi

984.

irregolar-

pite. Il pannello era decorato con motivo a rombi, mentre dell'incorniciatura

meandro e i rombi si confronti con gli dei soffitti delle cornici nn. 928-930,

940-941.

Alessandria,

museo,

dal

Quartiere

Sul lato frontale del blocco sporge la cornice e l’angolo dell’architrave di un portale. Delle modanature della cornice sono visibili quelle inferiori,

pite,

sul

cantieri

fianco

e la relativa

incorniciatura,

costituita

da

una

fascia

liscia. L'intaglio nitido e la forma delle modanature richiamano alcuni elementi di portale del recinto di età impe-

riale del Serapeo di Alessandria (cfr. nn. 33-37).

985. Architrave (Tav. 104)

con

cornice

a gola

egizia

di portale.

Alessandria, giardini del museo, da Rosetta; n. inv. 22234. Scheggiato il margine superiore al centro e alle estremità.

Granito di Assuan. Finney;

n.

inv.

cm.

33,

25675. Leggere abrasioni. Calcare, con resti di color rosso largh. cm. 12,5, spess. cm. 12,5.

con ovolo liscio, cavetto

e sottile listello arrotondato; del portale si distinguono l'architrave a due fasce nell'angolo che forma con lo sti-

102)

Reale,

104)

Databile nella prima metà del II sec. d.C.

Bibl: J. Scawartz, H. Wap, Qas-Qarun/Dionysias. 1948, Fouilles Franco-Souisses, I, Le Caire 1950, p. 7; tav. 5, g; v. anche tav. 5, e, dove è riprodotto un altro epistilio molto simile, ma con astragalo a perline e fusarole tra il fregio a meandro e la prima fascia dell’architrave.

Mensola da portale. (Tav.

Elemento di portale. (Tav.

Hermoupolis Magna (Ashmunein), lapidario nei pressi della Basilica cristiana. Scheggiata agli spigoli e su buona parte della cornice. Calcare.

Databile nel tardo ἢ - prima metà del I sec. a.C.

983A.

16,3,4.

Trabeazioni di portale dal recinto di età imperiale del Serapeo di Alessandria (v. p. 321).

104)

L'elemento conserva l'epistilio di un portale, composto da due fasce lisce incorniciate superiormente da un fregio a doppio meandro. Sul fianco sinistro si conservano la parte iniziale di un pannello e dell'incorniciatura laterale dello stipite e ancora le due fasce dell'architrave, che continuavano nello stimodanature

1935-39, p. 52, n. 1, tav.

VI,

33-34.

Dionysias (Qasr Karum), presso la «Maison blanche». Scheggiati i margini superiore e laterale destro, fratturato mente sul retro. Arenaria.

delle

tizzante con lobi allungati a contorno frastagliato e percorsi da sottili nervature ben rilevate: nell’insieme la foglia è resa plasticamente con una certa impressione di carnosità data dalle cime dei lobi ingrossate. Sui fianchi vi è una voluta spiraliforme a nastro che termina inferiormente con un elegante calice molto espanso, in modo da occupare tutto lo spazio triangolare inferiore. Databile nel tardo II sec. a.C.

destro.

Alt.

L'elemento è sagomato ad S, con la curvatura convessa in alto e con quella concava poco accentuata in basso. Il x lato frontale è rivestito da una lussureggiante foglia acan-

Fig. 228 - Alessandria, auditorium di Kom

L’elemento presenta una gola egizia percorsa da sottili baccellature accostate e sormontata da un largo listello liscio. Un astragalo liscio la separa dal fregio, sempre liscio, su

cul

sono

intagliate,

al centro

e lateralmente,

tre croci

greche iscritte in una corona di alloro con bende ondulate alla base: il margine inferiore del fregio è accompagnato da un altro astragalo liscio più sottile del precedente.

el Dik, cat. n. 989 (da Borkowska-Kolataj).

525

Dato

il materiale

probabile ficio

Ciò

in

e

la

nettezza

che la cornice provenga stile faraonico,

spiega

anche

riutilizzato

la posizione

dell’intaglio,

è

molto

dal portale di un edinel

periodo

e il numero

cristiano.

delle croci

scolpite sull’architrave: è noto infatti che nella costituzione

di Teodosio II! sulla distruzione dei templi pagani,

era

prescritto di ergere sulle rovine il segno della croce, il che significò,

nei templi non distrutti, ma trasformati in chiesa

(vedi il caso del tempio di Iside a Philae) la sostituzione dell’idolo con la croce e la riconsacrazione degli arredi tramite l’incisione di croci; il numero

di tre croci è ricol-

legabile al valore del tre nelle formule spesso

assume

l’aspetto

di una corona

di alloro,

dove

però,

sul lato

ovest,

di Kom

el Dik,

nn.

Se può ritenersi che il reimpiego dell’architrave sia avvenuto circa nella seconda metà del V - primi decenni del VI secolo d.C., la cronologia del primo impiego è più difficile da determinare; infatti la tradizione dell’architrave e della gola egizia al di sopra di passaggi perdura negli esempi di architettura mista greco-egizia noti ad Alessandria, così negli ipogei 2 e 5 di Anfushi del II e I sec.

a.C.7 o in lastre di chiusura di loculi?, spesso in unione con timpano arcuato.

si ha una

croce

Bibl.: J.B. WARD

sim-

bolo di vittoria (cfr. nn. 452, 460, 480, 516, 542, 544545, 717), ma anche di corona gemmata, ad imitazione delle corone degli imperatori?. La corona di alloro spesso nell’arte cristiana era intorno al monogramma XP, rappresentante il Cristo: così nel lato sud della Colonna di Arcadio^,

dell'«auditorium»

dell’esorcismo?.

Frequente è anche l’iscrizione della croce in un cerchio, che

ment, imposte 968-699, ecc.).

greca

al

centro di una corona di alloro sostenuta da angeli. La stessa scena s’incontra in un fregio scolpito della chiesa

sud di Bawit°; comunque la croce nella corona d'alloro, diverrà simbolo comune nell’Egitto cristiano (stele di Her-

PERKINS,

in BSR,

17, 1949, p. 67, tav. 9, 6.

! Cod. Theod., XVI, 10, 25 (ed. Mommsen). ? Su tutto il problema v. P. Nautin, in CahA,

17, 1967, pp.

1-43.

A. GRABAR, L'age d'or de Justinien, Paris 1966, tav. 319; NAUTIN, art. cit., p. 22. ^ A. GRABAR,

L'emergeur

dans

l'art byzantin,

Paris

1936,

tavv.

14-

15. * CHASSINAT, Fouilles à Baouit, tav. 88; NAUTIN, art. cit., p. 23. $ A. Matton,

3271, 3272. 7 ADRIANI,

DACL,

III,

s.v.

Topografia, nn.

Copte,

142,

pp.

145, tav.

2831-2835;

figg.

3268,

113, figg. 392, 395: in

questa figura la gola egizia è baccellata come nel nostro esemplare.

8 PENSABENE, tavv.

in Studi in onore A. Adriani, I, Roma

1983, p. 155,

12-13.

X - ARCHITRAVI

986.

Architrave.

Alessandria, giardini del museo, da Kom el Dik, pendici meridionali. Lievi scheggiature lungo i bordi. Calcare. Alt. cm. 30,5; larg. cm. 259; spess. sup. cm. 50; spess.

inf. cm. 45.

È possibile che l’architrave fosse riutilizzato nel propileo tetrastilo che ad ovest consentiva l’accesso all’atrio

che precede la Basilica cristiana!. Databile in età antonina. Bibl.: Wace,

L'architrave, a due fasce, è coronato da un listello e da una gola rovescia; del fregio resta la parte inferiore liscia,

intagliata separatamente da quella superiore. Databile nel I-II sec. d.C. Bibl: ADRIANI, in Annuarie, 1935-39, p. 59, fig. 28; ADRIANI, Topografia, p. 86, n. 47: l'elemento era stato reimpiegato nella gradinata ai

lati di una strada lastricata, nel cui tratto scoperto sono state trovate anche abbattute diverse colonne di cui alcune in granito di Assuan.

987.

Elemento di architrave ionico. (Tav.

Hermoupolis Magna (Ashmunein), cristiana, area ovest.

104)

lapidario nei pressi della Basilica

Scheggiature agli spigoli superiore e abrasa la superficie del coronamento. Calcare.

L'architrave presenta tre fasce, degradanti in altezza e spessore. Il coronamento è costituito da un listello e da una modanatura sporgente, mal distinguibile, in origine forse un ovolo.

526

Mecaw,

! Cfr. Wace,

SkeaT, Hermopolis Magna,

Mecaw,

SKEAT,

p. 60, tav. 23,

Hermopolis Magna,

p. 61, dove è

1. ri-

costruito un arco siriaco sul fronte del propylon e una seconda fila di due colonne all’interno.

988.

Elemento di architrave ionico. (Tav.

104)

Hermoupolis Magna (Ashmunein), lapidario nei pressi della Basilica cristiana, area ovest. Fratturato il coronamento dell’architrave. Calcare.

L'architrave presenta due fasce e un coronamento superiore forse in origine ad ovolo. Il soffitto presenta al centro uno stretto lacunare rettangolare. Uno dei fianchi è tagliato obliquamente e presenta al centro un'anathyrosis. L'elemento doveva essere impiegato nel propileo tetrastilo che ad ovest consentiva l'accesso all'atrio che pre-

cede la Basilica cristiana!. Databile in età antonina. ! Cfr. nota 1 del n. 987.

XI - ELEMENTI DI TRABEAZIONE DI ETÀ IMPERIALE (NELLO STILE MICROASIATICO) E BIZANTINA

1. CORNICI CON MENSOLE AD S E PROTOMI UMANE SETTE SUL SOFFITTO, DENTELLI E KYMA IONICO.

989.

E RO-

Frammento di cornice angolare. (Tav. 105, Fig. 228)

Alessandria, Kom el-Dik, dall’«auditorium», dove era riutilizzata come sedile. Mancante la sima e fratturata irregolarmente sul fianco sinistro e sul retro. Marmo proconnesio.

ora descritta,

ninfeo

La sima, pochissimo sviluppata e a leggera gola diritta,

era

liscia

e comunicava

direttamente

con

una

sottile

corona, ugualmente liscia. Il soffitto era sorretto da mensole rettangolari a leggera S,

con

curvatura

convessa

posteriore;

il loro

fronte

pre-

senta un pulvino con balteo al centro, mentre la superficie inferiore e rivestita con una foglia d’acanto spinoso. Ciascuna foglia presenta cinque lobi, dei quali i laterali sono articolati in tre fogliette lanceolate percorse da una scanalatura a sezione angolare; le zone d’ombra dei lobi sono strette, allungate e leggermente arcuate, mentre la costolatura centrale della foglia è piatta e leggermente svasata inferiormente. Le mensole sono incorniciate da un kyma ionico a piatti ovuli contenuti in sgusci a listello e separati da lancette. Il kyma ionico corre anche tra le mensole sul fondo dello spazio quadrato tra di esse, che non costituisce un vero e proprio cassettone, in quanto manca l’incorniciatura

sul lato frontale. Questi spazi in funzione di cassettoni ne presentano il tipico motivo decorativo a forma di rosette, ognuna diversa dalle altre per contorno e per numero dei petali. Due cassettoni sono però riempiti rispettivamente da una testa femminile con capelli ondulati, spartiti al centro e ricadenti sulle spalle, e da una testa maschile a corti riccioli molto fitti, che potrebbero suggerire un tipo negroide. Lo spazio tra le due mensole angolari è invece occupato da una protome femminile diademata, con lunghi capelli sciolti che ricadono sopra le spalle: la protome emerge da un cespo d’acanto, a tre foglie con i lobi distinti da fori circolari di trapano;

è visibile un lieve ac-

cenno ai seni nudi e soprattutto il velo a contorno cuoriforme che inquadra la protome. Il soffitto è separato dalla sottocornice tramite un listello e un ovolo liscio. Seguono i dentelli quasi quadrati, un piatto kyma ionico con gli ovuli largamente contenuti in sgusci semicircolari separati da freccette con larga cuspide. L'ultima modanatura è costituita da un astragalo a tozze perline ovali separate da coppie di fusarole biconvesse, intagliate in modo da corrispondere assialmente con il sovrastante kyma, in quanto le freccette coincidono con la linea di separazione tra le fusarole e la punta degli ovuli con il centro delle perline. Lo stesso vale per i dentelli, ciascuno dei quali coincide con la larghezza degli ovuli e dei relativi sgusci,

mentre

la freccetta viene a tro-

varsi nella linea che passa per lo spazio tra i dentelli stessi. La corrispondenza assiale tra gli elementi ornamentali

insieme

alla forma

del kyma

ionico,

sono in

una tradizione rappresentata ad esempio dalle cornici di alcuni edifici di Roma del II secolo, come il tempio del divo Adriano e la Basilica di Nettuno, il primo noto anche per l’attività in esso di maestranze microasiatiche’. Ad ambiente microasiatico in effetti rimandano le protomi tra le mensole?, come mostrano la porta di ingresso ad Antalya o una cornice dell’agorà di Side od un’altra del di Laodicea

sul Lykos

e, di nuovo

a Roma,

la co-

siddetta base quadrata del Mausoleo di Adriano?: tuttavia nella

capitale,

quando

toni, essi sono riore.

Cassettoni,

tra le mensole

sempre ma

si trovano

i casset-

chiusi anche

sul quarto lato ante-

anche mensole,

decorati con protomi

umane o maschere, sono ancora noti in Siria, nel museo di Soueida*, ad Aquileia, nel museo, e nell'Africa romana, in particolare nelle terme di Antonino Pio a Car-

tagine e nell'arco di Gordiano III a Mustis?. Nello stile asiatico sono pure la corona liscia e l'ovolo liscio tra il soffitto e i dentelli e soprattutto l'acanto di tipo spinoso che riveste inferiormente le mensole. Anche il motivo del busto di divinità femminile nascente da un cespo d'acanto trovó ampia diffusione nel II secolo d.C. proprio in Asia Minore, come mostra un acroterio del tempio

di Zeus

ad Aizanoi,

di età adrianea,

il frontoncino

circolare del tempio di Adriano ad Efeso e un rilievo del frontescena del teatro di Aspendos dell'età di Marco Au-

relio®. Stabilita dunque la tradizione asiatica nelle componenti iconografiche e tipologiche della cornice, va rilevata forse un'influenza di tradizioni locali nella mancanza di chiusura anteriore dei cassettoni, nel leggero ribaltamento in alto del soffitto (cfr. n. 982) e ancora nel piatto profilo ad S delle mensole. Infine si può rilevare l'effetto molto disegnativo con cui sono incisi il kyma ionico e l'astragalo della sottocornice, che ci porta lontano dai tipi più diffusi del II secolo e richiamano invece simili elementi di età tardo-imperiale (palazzo di Diocleziano a Spalato, ninfeo di Laodicea sul Lykos, nei pezzi del restauro più tardo), a cui forse rimandano anche le foglie delle mensole. Databile in età tetrarchica-primo costantiniana. Bibl: K. MicHALOWSKI, A. DZIEWANOWSKI, Alexandria, Warzsawa 1970, p. 16, tav. 55; K. MICHALOWSKI, Alexandria, Wien-Miinchen 1970, tav. 54; W. e T. KorATAJ, in BSAA, 43, 1975, p. 85; T. BorKOWSKA-KOLATAJ, in Starozytna Aleksandria w Badaniach Polskich,

Warzsawa 1977, p. 35 ss., fig. 8: l'autrice informa che reimpiegati come sedili del «teatro» furono rivenuti almeno ventisette pezzi architettonici (capiteli, architravi, resta l'impronta).

cornici

- di altri nove

frammenti

di cornici

! D.E. STRONG, in BSR, 21, 1953, p. 123 ss., tav. 31, a. ? Cfr. M.WEGNER, Ornamente Kaiserzeitlicher fitten, Kóln-Gratz 1957, p. 35 ss. * D.E. STRONG, in BSR, 21, 1953, p. 142 ss.; DEVAMBEZ, ET AL., Laodicée du Lycos, Paris 1969, * M. DuNAND, Le musée de Soueida, Paris 1934,

Bauten

Roms.

Sof-

J.D. GaGNrERs, P. n. 111, tav. 60, 1. n. 128, tav. 29.

? N. FERCHIOU, in Africa, 9, 1985, p. 106, tav. 8. $D. De BERNARDI FERRERO, Roma 1970, pp. 161 ss.

Teatri

classici

in Asia

Minore,

II,

527

990.

Frammento

Alessandria Kom come sedile.

di cornice. (Tav. el-Dik,

perline e fusarole e un listello.

105)

dall'«auditorium»,

dove

era

riutilizzata

Abrasa parte della sima e fratturato irregolarmente sul fianco destro. Marmo proconnesio.

La sima, poco sviluppata e a leggera gola diritta, è intagliata con un kyma di foglie d'acanto spinoso, piuttosto larghe e semplificate, alternate a foglie d’acqua di cui si intravede soltanto la parte centrale; un sottile listello arro-

tondato e un astragalo liscio la separano dalla corona liscia. Il soffitto è sorretto da mensole rettangolari con la superficie inferiore rivestita da una foglia d’acanto spinoso piuttosto semplificata; le mensole sono incorniciate da un sottile ovolo liscio che delimita lo spazio quasi quadrato tra di esse, che tuttavia non costituisce un vero e proprio cassettone, perché manca l’incorniciatura sul lato frontale

di essi. Gli spazi in funzione di cassettone sono riempiti da grandi rosette vali.

con pistillo circolare

Il soffitto è separato dalla sottocornice tramite un li-

a ovuli

e lancette,

la cui

lavorazione

non

è stata

completata nei particolari. Databile nel tardo III - prima metà del IV sec. d.C. Bibl.: T. BoRKowsKA-KOoLATAJ, in Starozytna Aleksandria w Badaniach Polskich, Warzsawa 1977, p. 35 ss., fig. 6.

990A.

Frammento di cornice. (Tav.

105)

Alessandria, magazzini del museo, da Alessandria; n. inv. 3967. Scheggiato il margine superiore. Marmo. Alt. cm. 14; larg. mass. cm. 39.

L'elemento conserva un cavetto sotto cui è intagliato un kyma ionico ad ovuli e lancette; seguono un astragalo liscio e un listello. Sul fianco destro il taglio obliquo potrebbe indicare l'appartenenza del frammento ad una cornice di portale. Databile nel II-III sec. d.C.

La cornice è lavorata su

è liscia sul retro,

e doveva

coronare

o un

pilastro sporgente dalla parete od anche la trabeazione sporgente poggiante su una colonna. Agli angoli, in corrispondenza

delle protomi,

vi è un

ovulo

che

sostituisce il

dentello. Si osservi come l’acanto delle mensole presenti le fogliette dei lobi leggermente spinose e a sezione angolare, in modo da richiamare la cornice marmorea n. 989, decisamente più fine, rinvenuta a Kom el-Dik reimpiegata nell'«auditorium»: in essa le mensole sono ugualmente abbastanza appiattite, con foglia d'acanto solo leggermente ondulata, e agli angoli vi & una protome femminile na-

scente da un cespo d'acanto. È possibile che la cornice in calcare del museo di Alessandria si sia in qualche modo ispirata all'esemplare marmoreo di Kom el-Dik, datato al II secolo d.C., e che rappresenti quindi il lavoro di un'of-

ficina piü tarda. Databile nel tardo HI-IV sec. d.C.

e fitti petali ogi-

stello a cui seguono dentelli rettangolari abbastanza ravvicinati tra di loro e un ovolo liscio solo in parte: su più della metà infatti era stato iniziato l’intaglio di un kyma ionico

tre lati, mentre

3.

FREGI E ARCHITRAVI.

38. Fregio con girali d'acanto e architrave Serapeo di Alessandria (v. p. 00). 992,

Architrave.

(Tav.

Alessandria, sala XV Hasan; n. inv. 3862.

del

iscritto,

dal

105) museo,

dal

Cairo,

madrasa

del

Sultano

Si compone di due frammenti sovrapposti, probabilmente non combacianti; manca l'estremità parte del kyma. Marmo. Larg. cm. 328.

sinistra

del

coronamento,

di cui

è abraso

Superiormente vi è un coronamento costituito da un anthemion su una gola rovescia, decorato con palmette alternate a fiori di loto: sotto di esso è intagliato un kyma ionico a ovuli interi appuntiti, contenuti in sgusci molto allargati, dal nastro sottile e separati da larghe freccette con punte triangolari e asta ugualmente triangolare, ma pià piccola della punta. Dell’architrave

manca

la

parte

centrale,

relativa

alla

zona inferiore della prima fascia e a quella superiore della seconda;

si conserva

intera soltanto

la sottile terza fascia,

gafa), dalla banchina nuova del porto orientale (1903); n. inv. 20992.

superiormente separata dalla seconda per mezzo di un astragalo a perline e fusarole biconiche. La successione delle modanature del coronamento e lo stile degli elementi decorativi rimandano a numerosi analoghi architravi microasiatici (Serapeo e Biblioteca di Celso a Efeso!, ecc.). Databile nella seconda metà del H secolo d.C.

Abrasi gli spigoli e il margine superiore della sima.

Bibl.: Borrr, Musée, p. 480, sala XII, n. 32.

2. CORNICI CON MENSOLE AD S RIVESTITE DI FOGLIE ALTERNATE A ROSETTE NEL SOFFITTO E CON DENTELLI.

991. Cornice sporgente con mensole a foglia d’acanto e dentelli. (Tav. 105) Alessandria, giardini del museo (ora nei giardini di Kom esch Sho-

Calcare. Alt. cm. 27; lati cm. 91x67.

! D.E. STRONG,

La sima è a gola diritta, separata tramite un listello dalla sottile corona liscia. Il soffitto è sostenuto da mensole con foglia d’acanto alternate a rosette di diversa foggia. Agli angoli le foglie sono sostituite da protomi umane,

forse

Gorgoni,

nascenti

da

un

cespo

d’acanto

molto schematico. La sottocornice è costituita da una serie di dentelli lunghi, rettangolari, distanziati tra di loro quanto la metà della loro larghezza: ai dentelli seguono un astragalo a 528

992A.

in BSR,

21, 1953, pp.

Architrave. (Tav.

136-137, tav. 36, d-e.

105)

Alessandria, magazzini del museo, da «Rue Sidi-el-Wasti», dono dei «Frères des Ecoles chrétiennes»; n. inv. 17524. Fratturato irregolarmente alle due estremità laterali e lungo il margine superiore. Marmo. Alt. mass. cm. 26; larg. mass. cm. 76.

L'elemento superiore

conserva

iscritta

di un

probabilmente architrave,

parte

della

superiormente

fascia limitata

da un listello sporgente che la separa dal coronamento: questo è costituito da un kyma ionico e da un astragalo a perline ovali molto allungate alternate a coppie di fusarole biconvesse. I] testo dell’iscrizione è il seguente ETAAQZOQTHPIX. Databile nella seconda metà del II secolo d.C. Bibl.: E. Breccia, Catalogue général du Musée d'Alexandrie. greche e latine, Le Caire 1911, p. 66, n. 99.

Iscrizioni

collana tubolare con pendente a forma di spicchio di luna. Il busto è apparentemente nudo. Il coronamento

è costituito

da uno

spesso

lare, con due tori separati da una scozia bene

993.

Fregio-architrave con girali d'acanto.

Cairo, museo copto, cortile. Fratturato sul fianco sinistro e posteriormente. Calcare. Alt. cm. 69; larg. cm. 168; spess. mass. cm. 42.

(Tav.

64; alt. fregio

In origine il fregio-architrave doveva essere lavorato su un lato lungo e sui due lati corti adiacenti. Il fregio è decorato con un tralcio d'acanto ad otto rivestito di calici a fogliette ogivali rovesce e da foglie d'involucro dal contorno dentellato: al centro di ogni cerchio la spirale termina con fiori diversi gli uni dagli altri. Vanno ancora rilevati i tralci più sottili che si diramano da ogni calice insieme allo stelo principale, al quale si sovrappongono. Sul lato corto vi sono due foglie ad acanto dentellato lungo gli spigoli, che incorniciano una rosetta al centro con petali a fogliette spinose. Il coronamento dell’architrave è costituito da uno spesso listello a cui segue un cavetto: su questo è inciso un kyma di foglie appiattite a cinque sommari lobi tra le quali si intravede la cima di strette foglie lanceolate in secondo piano. Va rilevato come il fondo non sia interamente occupato dalle foglie, ma assuma l’evidenza di un motivo decorativo a sé, intagliato a rilievo negativo. Se-

guono ancora un kyma ionico con ovuli troncati superiormente contenuti in larghi sgusci e separati da freccette con alta cuspide dal margine ondulato. Al spondenza assiale con il kyma ionico,

di sotto, in corrisi trova un astra-

galo: questo ha perline ovali allungate e dalle estremità accentuatamente a punta, tra cui si trovano coppie di fusarole a disco, piuttosto distanti l’una dall’altra e collegate

con un trattino di marmo risparmiato. L'architrave termina inferiormente con una fascia sottile, coronata da un listello, sebbene la rifinitura grossolana dell’attuale piano inferiore possa far pensare che il pezzo sia stato tagliato per un reimpiego successivo. Databile in età tetrarchica-primo costantiniana. 994.

Coronamento di pilastro. (Tav.

Alessandria, giardini del museo,

106)

Scheggiature agli spigoli e lungo la fascia superiore. Calcare.

Alt.

cm.

36;

lato fianco

sinistro cm.

56;

larg.

cm.

48.

L’elemento è ricavato dal reimpiego di una base attica di colonna visibile sul retro. Sul fianco destro presenta un busto femminile con volto dai tratti grossolani, come è visibile negli occhi con palpebre a listello, diseguali e irregolarmente obliqui, nelle guance gonfiate e nella bocca sformata; i capelli si spartiscono quasi al centro della fronte, lasciano in evidenza le orecchie a sventola e scendono in due ciocche ondulate sulle spalle. Alla base del collo cilindrico vi è una robusta x

Architrave sporgente. (Tav.

Alessandria, museo, Lievi scheggiature. Marmo.

Alt.

cm.

arcuata.

L'architrave,

106)

di provenienza sconosciuta; n. inv.

22;

lati cm.

17835.

22,5x28.

a due fasce,

è coronato

da una taenia,

un

cavetto e un ovolo liscio. Sul lato frontale sporge la protome di una medusa con grandi occhi sbarrati dall’iride e dalla pupilla a rilievo; sotto il mento i due consueti serpentelli annodati. Databile nel II sec. d.C. 995.

Architrave sporgente. (Tav.

106)

Alessandria, giardini del Serapeo!, da «Rue Sidi Abou Darda»; n. inv. 11901. Abrasa la superficie dell'incorniciatura dell'architrave; lievi scheggiature agli spigoli. Marmo bianco.

L'architrave apparteneva ad una trabeazione sporgente ed é suddiviso schematicamente in due fasce da una semplice incisione. Superiormente vi era una spessa incorniciatura, con ovolo appiattito gola rovescia, ora abrasa.

tra

due

listelli

e forse

una

Sul lato corto è scolpita una corona di alloro con croce greca e con bende svolazzanti e contrapposte simmetricamente che pendono dalla curva inferiore. Va rilevato come ai lati della corona l’incisione che distingue le due fasce non è sulla stessa linea orizzontale. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: J.B. WARD

Perkins, in BSR,

17, 1949, tav.

! Sul pezzo è dipinto con vernice nera il numero

10, 5. 172, corrispondente

ad un inventario provvisorio.

4.

CORONAMENTI

996. Frammento (Tav. 106)

di provenienza sconosciuta.

una

Databile nel IV sec. d.C.

105)

994A. cm.

listello,

gola rovescia e un kyma ionico con ovuli contenuti in spessi sgusci separati da lancette. Seguono un listello e un astragalo con perline ovali allungate dalle estremità appuntite, separate da coppie di fusarole a disco. Un altro listello termina inferiormente le modanature. La base da cui è reimpiegato il pezzo è piuttosto rego-

CON FOGLIE D'ACANTO.

di coronamento

con

foglie

d'acanto.

Hermoupolis Magna (Ashmunein), Basilica cristiana. Fratturato irregolarmente sul fianco destro e scheggiato il bordo superiore. Calcare. Alt. cm. 28.

Il coronamento è modanato con ampia sima a cavetto, decorata con una serie di foglie d’acanto spinoso: questo presenta i lobi inferiori ridotti a due fogliette, quelli mediani a tre fogliette e quelli superiori suddivisi nella cima in due lobi laterali, articolati in quattro fogliette; le zone d’ombra sono strette allungate e ricurve. Si tratta di un tipo d’acanto che richiama quello dei ca529

pitelli nn. 559-566, sempre della Basilica di Hermoupolis Magna, con cui ha in comune la forma allungata e lanceolata delle fogliette e le zone d'ombra. Il frammento

è stato rinvenuto,

elementi di coronamento

insieme a numerosi

altri

uguali o simili (ma con l’intro-

! Hgr MEYER,

Korinthische

Normalkapitelle,

997A.

Alessandria,

di pareti?. Databile nella prima metà del V sec. d.C.

Abrase Ie cime delle foglie.

MEGAW,

SkEAT,

Hermopolis Magna,

tavv. 26, 3-4. 51; MONNERET meridionale con Ch. STRUBE, in

AA, 1978, p. 78, tav. 17, e.

997.

Coronamento con foglie d'acanto. (Tav.

106)

cristiana. Fratturato irregolarmente sui fianchi e sul retro. Calcare.

liscia, delimitata superiormente da uno spazio triangolare aperto, formato dall’avvicinarsi delle fogliette del secondo ordine. La fascia superiore è decorata da tralci intermittenti a doppia S, dalle cui spirali contigue si originano foglie triangolari: viene così a formarsi una sorta di calici a tre fogliette, alternativamente diritti e rovesci.

L’esemplare è affine ad alcuni coronamenti di pilastro colonnata

di

Apamea,

ugualmente

ornati

da

foglie d’acanto spinoso e con l’incorniciatura superiore articolata in più zone, di cui una ugualmente decorata da tralci vegetali: l'origine del tipo è da ricercare in Asia Minore,

dove

non

infrequentemente

si incontrano

corona-

menti di pilastro ornati da una sola corona di foglie, tal-

volta con kyma ionico alla base!. Il tipo dell’acanto

richiama

utilizzate in un fregio del

i nn.

558-561

e le foglie

«Convento Rosso» del Sohag?.

Databile nel secondo o terzo trentennio del V sec. d.C.

XII - ELEMENTI

ARCHITETTONICI

Coronamento di porta. (Tav.

Alessandria, nein); n. inv. Scheggiature riori. Calcare. Alt.

106)

magazzini del museo, da Hermoupolis Magna (Ashmu22403. all’angolo superiore destro e su parte dei dentelli supecm. 30; larg. superiore cm.

101.

L'elemento costituiva la trabeazione di un portale, come rivela il conservarsi all'estremità della parte superiore 530

del

museo,

da

Oxyrhynchos

106)

(Bahnasa);

n.

tre foglie d'acanto spinoso che si in modo da formare figure geomerettangolo). d.C.

Coronamento con foglie d'acanto. (Tav.

Alessandria, inv. 17830.

magazzini

del

museo,

di

provenienza

106)

sconosciuta;

n.

Scheggiato l'angolo superiore destro. Alt. cm. 40; larg. mass. cm.

55.

Il lato frontale presenta alla base un astragalo liscio sporgente, sopra cui crescono quattro foglie: due intere al centro e due metà alle estremità, che dovevano girare sui fianchi. Negli intervalli si distinguono tre sommarie e appuntite foglie, articolate solo lungo il margine superiore, dove il lobro centrale ripiegato allude alla cima. L'acanto presenta una nervatura centrale sottolineata da incisioni,

che

intorno

alla

compongono

ogni

quale

foglia:

si raccolgono

essi

sono

i cinque

separati

lobi

tramite

zone d'ombra ad occhiello e articolati in fogliette aguzze disposte a ventaglio. Superiormente vi è un toro decorato con una corona di

alloro con le fogliette distinte da fori di trapano e composto da due serti convergenti verso il centro, dove è una rosetta.

L’acanto mostra un chiaro influsso del tipo bizantino dentellato per le zone d’ombra ad occhiello formate dall’incurvarsi della foglietta che le circoscrive. Lo schema decorativo del capitello è noto in molti altri casi, soprattutto tardi, ed è tipico dei capitelli di corona-

mento di lesene o pilastri addossati a pareti. Databile nella seconda metà del V sec. d.C. ! Cfr. J. KRAMER, 113, tav. 21, 5.

TARDI NELLA

1. TRABEAZIONI ED ELEMENTI DI PORTALE.

999,

magazzini

L'elemento presenta urtano con le fogliette triche (due rombi e un Databile nel IV sec.

Marmo.

Il lato frontale è intagliato con due ordini di foglie d’acanto spinoso, le prime alte circa la metà delle seconde. I lobi nascono direttamente dalla nervatura centrale e sono costituiti da strette foglie allungate e appuntite. Sopra la cima delle foglie inferiori è visibile una sagoma di sfondo

via

(Aizanoi,

inv. 23742.

998.

Hermoupolis Magna (Ashmunein), lapidario nei pressi della Basilica

della

3-4

Calcare. Alt. cm. 18.

p. 71.

! Wace, MEGAw, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 71, ? Cfr. ad esempio DuTHUIT, Sculpture Copte, tav. DE ViLarp, Sohag, fig. 149 (Convento Rosso, porta trabeazione coronata da una sima a foglie d'acanto);

37,

Coronamento con foglie d'acanto. (Tav.

duzione di rosette tra le cime delle foglie), nella Basilica cristiana!, e doveva far parte del coronamento di porte o

Bibl.: Wace,

tavv.

tempio di Zeus), 39, 1 (Milas, porta della città). ? DuTHUIT, Sculpture copte, tav. 51.

in Festschrift

TRADIZIONE

F.W.

Deichmann,

ravvicinati,

1986,

p.

ALESSANDRINA

degli stipiti. Dall'alto verso il basso seguenti modanature: una serie di molto

Bonn

un listello, un kyma

sono distinguibili le dentelli rettangolari ionico,

un altro li-

stello e un meandro: gli elementi di quest'ultimo sono intagliati obliqui e convergenti verso il centro. Seguono un altro listello più largo e una serie di dentelli rettangolari e ravvicinati, ugualmente intagliati, come il meandro, obliqui e convergenti verso il centro, dove vi è un triangolo. L'ultima modanatura è costituita da un’incorniciatura a listello liscio che corre sopra il portale e lungo gli sti-

piti,

sotto

la quale

pendono

una

serie di festoncini;

dal

centro di questi, in corrispondenza della curva, pendono le estremità

accostate

dei

nastri,

che

formano

come

dentelli

quasi quadrati che invadono l'architrave sottostante, modanato in tre fasce degradanti nella sporgenza e nell'altezza. Si osservi come nell'elemento le modanature tradizionali siano accostate secondo un valore decorativo non piü

dipendente dalla tradizione,

come rivelano ad esempio i

dentelli posti a coronamento della trabeazione, o l'altra serie di dentelli obliqui e convergenti al centro che derivano dalla ripresa, non capita, dei dentelli di un gheison obliquo di frontone. Fuori dalla tradizione classica é anche

kyma ionico, un fregio a meandro! tra due listelli e un altro kyma ionico: questo è separato tramite una sottile fascia,

costituente

l’incorniciatura

vera

e

propria

della

porta, da un kyma lesbico. L’ultima modanatura è uno schematico architrave molto ridotto e a tre fasce degradanti nella sporgenza, ma di uguale altezza. Si osservi come l’esemplare presenti ancora influssi alessandrini, soprattutto per la sopracornice con il soffitto decorato da losanghe (cfr. nn. 931-936), secondo una tradizione che doveva essersi consolidata anche in periodo imperiale,

come

rivela il confronto

con il n. 937 da Thea-

mentre la trabeazione della porta presenta un listello, un cavetto e due kymatia ionici sovrapposti, ai quali seguono

delfia, ugualmente con rosette che si alternano a losanghe. L'alternarsi, invece, delle modanature della sottocornice, rivela una notevole disinvoltura (tipica nelle trabeazioni dei portali) nella disposizione della tradizionale sequenza dei motivi decorativi, come è visibile nella posizione dei dentelli al di sopra del kyma ionico e nel ripetersi di questo sotto il meandro; lo stesso vale per l’estremo ridursi dell’architrave, quasi trasformato in una modanatura della sottocornice. Per la sequenza di due kymatia ionici separati da un meandro il confronto più vicino è con un’altra trabeazione di portale, rinvenuta sempre a Hermoupolis Magna?, che presenta analoghe mensole ad S alle estremità della sottocornice, in funzione di sostegno della corona e della sima sporgenti; anche nel n. 990 compare la sequenza di kyma

un listello e una

ionico

la sorta di dentelli che pendono dai festoni e la posizione di questi ultimi come coronamento dell'architrave e non come

decorazione

di un fregio.

E ancora

da rilevare la

piattezza del kyma ionico, a ovuli ben distinti dalle lancette intermedie, che non si assottigliano in punta, asso-

migliando piuttosto a segmenti verticali di listelli. Va rilevato che proprio nelle trabeazioni di portali si assiste spesso ad un disinvolto uso dei tradizionali ornamenti architettonici: così in una tomba della necropoli di Tuna el-Gebel, databile al II o agli inizi del I secolo a.C., la cornice superiore della facciata è costituita da una corona

sottilissima

di

dentelli

gola rovescia;

ravvicinati!

(Tav.

124),

in un’altra cornice di por-

tale, sempre da Hermoupolis Magna’, forse ancora di epoca tardo-ellenistica, si ritrova la stessa successione del kyma ionico e del meandro, come nel nostro esemplare. I modelli vengono da Alessandria, come ad esempio mostra l'inquadramento architettonico di un'alcova entro una tomba

della

Necropoli

Occidentale,

con

dentelli,

kyma

ionico, e fregio a festoncini?. Databile forse nel IV-V sec. d.C. Bibl: V. arkaz». τι

HoFERT,

in RODER,

Hermopolis,

p.

276:

«vor

ss.

Su modelli

der Tur

e

Bibl:

in ASAE,

39,

1939,

p. 483

mentre

nel

portale

di

una

tomba

di

V.

Horert,

K.

RonczewsKI,

in RODER,

Hermopolis,

pp.

276,

284, tav. 52. ! Il motivo del meandro è trattato in modo tale che le svastiche da cui partono i listelli sono disposte a coppie contrapposte simmetricamente, modificando così lo schema originario. ? V. Horert, in MittKairo, 2, 1931, p. 121, fig. 117.

des

1001.

GABRA,

meandro,

Tuna el-Gebel compaiono due kymatia ionici sovrapposti. Databile nel IV-V sec. d.C.

di Alessan-

Elemento di portale. (Tav.

107)

Apollinopolis Magna (Edfu), lapidario all’interno del tempio di Horus. Scheggiato e mancante lo spigolo superiore sinistro; e abrase le superfici dell'incorniciatura superiore. Calcare.

dria, l'uso del fregio a dentelli, anche come coronamento di pareti interne di tombe, si diffuse precocemente anche nella necropoli di Tuna el-Gebel: cfr. G. Grimm, in MittKairo, 31, 1975, p. 230, tav. 72, b. ? V. Horert, in MittKairo, 2, 1931, p. 121.

> ADRIANI, Topografia, p. 157, n. 110, tav. 83, fig. 276.

x

1000.

Coronamento di porta. (Tav.

Alessandria, magazzini nein); n. inv. 22402.

del museo,

107)

da Hermoupolis

Magna

(Ashmu-

Scheggiato l'angolo superiore destro e parte del margine della sima. Calcare nummulitico. 149; spess. cm. 32.

Alt. cm.

40; larg. sup. cm.

177; larg. inf. cm.

La sima è a gola diritta, separata tramite un listello dalla corona liscia. Il soffitto è sostenuto da sottili mensoline, rettangolari e piatte, scanalate al centro; lo spazio tra di esse è decorato alternativamente da losanghe e da rosette. All’estremità del soffitto le mensoline sono più larghe, in corrispondenza di due grandi mensole ad S decorate con grappoli, che limitano lateralmente la sottocornice e parallelamente dovevano decorare gli stipiti del portale. Tra il soffitto e la prima modanatura della sottocornice, costituita da una serie di dentelli rettangolari molto

ravvicinati,

vi

è

un

sottile

listello;

seguono

un

L'elemento è intagliato con un fregio percorso da un tralcio di vite con grappoli e piccole foglie schematiche, che doveva originarsi dagli stipiti e proseguire sopra l’architrave per unirsi al centro con il tralcio proveniente dallo stipite opposto. Il fregio è accompagnato da due listelli arrotondati e inferiormente da una serie di dentelli quadrati contigui, mentre superiormente da un’incorniciatura a cavetto e, presumibilmente,

a gola rovescia

(ora mancante).

Va rilevata una certa disorganicità nello stelo del tralcio, eccessivamente largo rispetto alle piccole foglie, e ancora la posizione dei grappoli nel fregio orizzontale, che per motivi di spazio non pendono verticalmente, bensì sono disposti secondo l’andamento del tralcio. Infine si può rilevare come la forma schematica dei grappoli richiami quella nelle mensole del n. 1000. L'uso

di

di tralci di vite

archivolti

o di portali

con

grappoli,

si ritrova

come

spesso

decorazione

in

ambiente 531

«copto», ad esempio ad Oxyrhynchos!, in modo analogo a quanto si verifica anche in Siria? e all'interno di un ico-

nografia molto diffusa in età bizantina?. Databile nel IV-V sec. d.C. ! Breccia, Musée gréco-romain, 1931-32, p. 36 ss. (Museo di Alessandria, n. inv. 23779); Koptische Kunst. Christentum am Nil, Essen

1963, p. 117, n. 119; cfr. anche Duruurr, Sculpture copte, tav. 68, a-b. ? E. KITZINGER,

in Archaeologia,

86,

1938, p. 198, tav. 72, dove tra

l'altro si sottolinea l'influsso siriano in Egitto proprio per questa decorazione. 3 Cfr. R.F. Hoppinot, Early Byzantine Churches in Macedonia and Southern Serbia, London 1963, tav. 9, c (arco del palazzo di Galerio a Tessalonica); F. GaAwpoLH, in Propylüen Kunstgeschichte, Suppl. I, 1977, p. 152, n. 106, b (S. Polieucto).

le allungate perline corrispondono alla larghezza dei cassettoni, mentre le coppie di fusarole cilindriche a quella delle mensole (cfr. n. 1002). Nonostante il richiamo alla tradizione alessandrina, dovuto alla forma delle mensole, il tipo delle rosette e dell’astragalo denota un ambiente stilistico e formale molto più tardo. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: Breccia,

Musée gréco-romain,

1931-32, p. 44, tav. 34, n. 97.

1004. Frammento di cornice cassettoni decorati. (Tav. 107) Alessandria,

magazzini

del

circolare

museo,

da

con

mensole

e

Oxyrhynchos

(Bahnasa);

n.

inv. 23398. 2.

Scheggiata l’estremità della sima e abrasioni lungo i listelli che delimitano le mensole. Calcare.

CORNICI

1002. Frammento decorati. (Tav. 107) Alessandria,

di cornice

magazzini

del

con mensole

museo,

da

e cassettoni

Oxyrhynchos

(Bahnasa);

n.

inv. 23401. Scheggiato

l’angolo

sinistro

sul fronte

e anche

sul

retro;

abrasioni

lungo il margine della sima. Calcare.

La sima presenta una schematica gola diritta e sotto di essa la corona

è molto

sottile;

ampio

è invece

il soffitto,

sorretto da lunghe e strette mensole rettangolari piatte, con solcatura mediana e i margini accompagnati da listelli. I cassettoni

sono

incorniciati

ancora

da

quattro

listelli,

invasi al centro dal motivo decorativo che ne occupa tutto il campo, costituito da una rosetta a quattro petali trilobi iscritti in un doppio cerchio. Il cassettone di sinistra non

presenta invece distinguibili i quattro listelli di incorniciamento perché ricoperti dalle estremità dei diciotto petali lanceolati costituenti la rosetta. All’attaccatura del soffitto si distinguono alcuni elementi di un astragalo con lunghe perline corrispondenti all’ampiezza del cassettone e coppie di fusarole cilindriche larghe quanto le mensole. Un’eco della tradizione architettonica alessandrina è

ancora visibile nella forma appiattita delle mensole, prive di curvatura. La forma degli elementi vegetali e dell’astragalo, compresa la corrispondenza con le mensole e i cas-

settoni!, suggeriscono una datazione nel V sec. d.C. Bibl.: Breccia, Musée gréco-romain,

1003.

Frammento decorati.

di cornice (Tav.

circolare

con

mensole

(Bahnasa),

e

«edi-

Molto ridotte sono la schematica sima a gola diritta e la corona. Ampio è invece il soffitto, sostenuto da lunghe e sottili mensole rettangolari con incisione mediana, unite tra loro sul retro da un listello che incornicia anche il motivo floreale che occupa i cassettoni. Ognuno di questi è diverso dall’altro per il numero e la disposizione dei petali. Alla base del soffitto vi è un ampio astragalo, nel quale 532

toccano

in

modo

da

formare

due

irregolari

triangoli,

Bibl.: BRECCIA,

1005.

(Tav.

Musée gréco-romain,

Cornice

con mensole

1925-31, tav. 49, n. 177.

e cassettoni decorati.

107)

Hermoupolis Magna (Ashmunein), Basilica cristiana. Scheggiati e abrasi il bordo superiore e parte del soffitto.

Nell'elemento la cornice doveva essere molto sottile, ed

107)

Alessandria, magazzini del museo, da Oxyrhynchos ficio cristiano» settentrionale; n. inv. 23368. Abrasioni lungo la sima e la corona.

si

mentre ai lati dello stelo e del caulicolo vi sono altre due foglie più sottili con le fogliette spinose, in modo da creare lungo i listelli spazi triangolari. Il cassettone di sinistra è decorato con uno schematico motivo a meandro che divide il campo in quattro parti con al centro l’incrocio dei nastri. Il cassettone di destra presenta invece quattro tralci a cuore con la punta rivolta verso gli spigoli e con le curve concatenate con quelle dei tralci contigui; al centro di ogni cuore e nello spazio libero al centro del cassettone vi è una foglia di vite molto schematica. Databile nel V sec. d.C.

Calcare. Alt. cm. 35; alt. cornice cm. 10,5.

1925-31, p. 60, tav. 49, n. 177.

! I confronti sono numerosissimi in tutta l’arte copta (BRECCIA, Musée gréco-romain, 1931-32, tav. 47, ecc.).

cassettoni

La sima presenta una schematica gola diritta, separata tramite un’incisione dalla sottilissima corona liscia. Il soffitto è piuttosto ampio ed è sorretto da ampie mensole rettangolari, con il campo inferiore piatto e decorato da un motivo vegetale: questo è costituito da uno stelo con caulicolo, da cui nascono due foglie ad acanto spinoso, che

avere

perso

il suo

significato,

trasformandosi

in una

sem-

plice modanatura che incorniciava il soffitto, divenuto l’elemento principale: esso infatti è del tutto ribaltato, in modo da formare un angolo appena ottuso con il piano inferiore, da cui è separato tramite una serie di grosse perline ogivali. La perdita del significato strutturale originario è anche visibile nel fatto che la mensola rettangolare si è trasformata in una fascia decorata con motivo a zigzag e separante due piatti cassettoni, la cui decorazione è divenuta l’ornato principale. Nel cassettone a sinistra sono visibili una rosetta iscritta in un

ottagono,

a sua

volta

iscritto

in un

altro

ottagono:

dai lati di questo si originano meandri a loro volta formanti irregolari campi geometrici riempiti da motivi a treccia in corrispondenza degli angoli del cassettone. Nel cassettone di destra è invece visibile una schematica stella

costituita da rombi che delimitano spazi triangolari e quadrati riempiti da elementi vegetali. Databile nel secondo venticinquennio del V sec. d.C. Bibl.: Wace,

1006.

(Tav.

MEGAW,

Cornice

SKEAT,

Hermopolis Magna,

con mensole

piuttosto irregolare, articolato in ovuli rovesciati — hanno infatti la punta verso l’alto — contenuti in spessi sgusci appiattiti e separati da altri ovuli senza sgusci, che sostituiscono le lancette. L'esemplare è confrontabile, in particolare, con il n. 1003 per la forma delle mensole. Databile nel V sec. d.C.

p. 73, tav. 27, 3b.

e cassettoni decorati.

107)

Hermoupolis Magna Fratturato

(Ashmunein),

irregolarmente

su

un

Bibl.: CHASSINAT,

Basilica cristiana. fianco

e

su

parte

dell'altro,

dove

Fouilles

à Baouit, tav. 79.

è

scheggiato e mancante l'angolo superiore sul fronte. Calcare. Alt. cm. 25; spess.

La

cornice

vera

sup. cm.

e propria,

64; spess. inf. cm. 44.

cioè

la sima

3.

e la corona,

ridotta ad una semplice fascia piuttosto sottile, decorata con un tralcio vegetale: infatti, come nel n. 1005 la parte principale é divenuta il soffitto decorato, ribaltato e ad angolo rispetto al piano inferiore, anche se in modo meno

accentuato rispetto al n. 1005. Il soffitto è decorato con mensole

a travicello,

TIMPANI DI EDICOLE.

è

divise da

scanalature in due fasce lisce che proseguono sul retro degli spazi quadrati intermedi, in modo da formare incorniciature quadrate che si alternano a questi e alle mensole. Gli spazi quadrati (da non considerare veri e propri cassettoni in quanto manca l’incorniciatura anteriore) sono riempiti da grandi rosette, mentre le incorniciature circoscrivono cassettoni, sempre quadrati, ornati con piccole

1008. Timpano angolare di edicola con pennacchi laterali. (Tav.

108)

Alessandria,

magazzini

del

museo,

da

Oxyrhynchos

(Bahnasa);

n.

inv. 23402. Abrasa la sommità degli acroteri laterali e abrasioni lungo il margine superiore della lastra. Calcare.

ternate ad incorniciature rettangolari, proviene direttamente dalla tradizione alessandrina, come mostrano i nn. 896914: la forma dell’astragalo richiama direttamente i nn.

Da una lastra rettangolare sporge un timpano angolare, privo della sima orizzontale; agli angoli inferiori presenta due elementi triangolari di timpano interrotto, che sporgono a gradino e le cui cornici formano un angolo acuto con quella del timpano intero: quest'angolo è occupato da schematici acroteri obliqui. In particolare si può osservare come nel timpano sia presente soltanto una corona liscia resa con un largo listello, sotto la quale si distende il soffitto ribaltato. Esso è sorretto da piccole mensole rettangolari con foglie a tre lobi formanti come un giglio negli intervalli. Tra l’ultima mensola e la sporgenza del timpano spezzato, il soffitto è occupato da una lunga mensola perpendicolare alle altre. Alla base del soffitto vi è uno schematico astragalo con allungate perline biconiche in corrispondenza delle mensole e con doppie fusarole cilindriche. Sotto è intagliato un fregio con tralci giraliformi e il soffitto del timpano

1002-1004,

presenta

rosette.

La sottocornice è intagliata con un astragalo a perline molto allungate e ogivali e coppie di fusarole unificate in unico

cilindro;

segue

una

serie

di

dentelli

molto

ravvici-

nati. Questi sono contigui alla fascia anteriore del piano di appoggio decorata con una serie di foglie triangolari di Vite lisce. La decorazione

del soffitto,

e in particolare

con mensole

a travicello al-

l’esemplare

richiama

i nn.

1002-1003 anche per la forma delle mensoline. Questa cornice insieme ad altre molto simili, è considerata appartenente alle pareti della navata della Basilica cristiana. Databile nel secondo venticinquennio del V sec. d.C. Bibl.: WAcE,

Mecaw,

! Wace, MEGAW, 1007. (Tav.

SkEAT, Hermopolis Magna,

p.72, tav. 26, 6.

SKEAT, Hermopolis Magna, p. 72.

Cornice

con mensole

margine

superiore

e

nell’angolo

inferiore

Nell'elemento

sono

sostituite

la sua decorazione,

la modanatura

scomparse

da un

come

del

listello,

nei nn.

più importante:

tutto

in quanto

la sima

e la

il soffitto,

per

1005-1006,

rosette

al centro

e con

quasi romboidali,

eccetto la mensola

che

occupa la parte inferiore del soffitto del timpano. Gli acroteri sono costituiti da un calice con girali simmetricamente contrapposte e fiore fogliforme. L’esemplare si colloca nelle serie di coronamenti di nicchie rinvenuti ad Oxyrhynchos e decorati con motivi di origine

Bibl.:

Breccia,

! Breccia, 121.

Calcare.

corona,

con

alessandrina,

ripresi

senza

eccessiva

com-

Databile nel V sec. d.C.

Parigi, Museo del Louvre, da Bawit, Chiesa Sud, cappella B. sul

ottagonali,

prensione dello spunto originario.

107)

Lievi scheggiature destro.

sole e cassettoni

lontana

e cassettoni decorati.

cassettoni

elementi quadrangolari di separazione, come nel n. 1018. La cornice del timpano spezzato presenta invece men-

è divenuto

esso è ornato con sottili

mensole a travicello, scanalate al centro, alternate a spazi rettangolari (non esattamente cassettoni perché manca l’incorniciatura anteriore) del tutto intagliati con grandi rosette e, nell’angolo, con una foglia d’acanto di profilo. La modanatura inferiore è invece costituita da un kyma ionico

Musée

Musée

1009.

Timpano

rali. (Tav.

108)

gréco-romain,

gréco-romain,

1925-31,

1931-32,

p.

p.

60,

44,

tav.

tav.

44,

n.

46;

nn.

158.

119,

angolare di edicola con pennacchi late-

Alessandria, museo, da Oxyrhynchos (Bahnasa); n. inv. 23388. Scheggiata e mancante buona parte della cornice angolare superiore e del pennacchio di destra. Calcare. Alt. cm. 50.

La cornice presentava la sima e la corona ridotte ad un sottile listello, come

nel n. 1008

e il soffitto ribaltato,

de-

533

corato da mensole con motivo a treccia e da cassettoni con grandi rosette (l'unica visibile é iscritta in un cerchio). Il margine inferiore del soffitto & accompagnato da

un kyma ionico con semiovuli, sgusci appiattiti e lancette dalla cuspide molto allargata. Seguono una fascia decorata con un motivo a meandro, un listello e un astragalo costituito da sole perline allungate: queste modanature non proseguono nei pennacchi, in analogia al n. 1008. Il soffitto del timpano è decorato, con un rilievo molto tenue,

assume

forma

triangolare,

dato

a

strette

foglie

dentate,

che

una

corona con croce greca e frutta negli spazi delimitati dai bracci della croce. Come elemento cronologico possono valere le foglie del cespo d’acanto che circoscrive la croce: esso è caratterizzato

da lobi

a forma

di grossi

dentelli

triangolari,

se-

condo una forma che già compare nella Basilica cristiana di Hermoupolis Magna nelle piccole foglie al centro dei calici dei capitelli corinzi (nn. 558-563). Va rilevato come la disposizione di queste foglie sia allena da eccessivi effetti geometrici, per cui predomina ancora il contorno delle foglie rispetto agli spazi tra di esse. Databile nella prima metà del V sec. d.C. Bibl.: Breccia,

Musée gréco-romain,

cm.

30;

larg.

mass.

cm.

56;

spess.

mass.

cm.

quadrangolari, decorati con rosette, a cui si alternano. Se-

il con-

circoscrivono

mass.

x

torno del timpano stesso: essa è intagliata con un cespo di acanto

Alt.

Il soffitto, ribaltato è decorato con strette e lunghe mensole «a travicello», con scanalatura centrale che le divide in due fasce che proseguono sul retro degli spazi

da tralci ad otto con croci iscritte. che

108)

Alessandria, giardini del Serapeo!, da Oxyrhynchos (Bahnasa). Resta poco più della metà del timpano, scheggiato lungo tutto il margine superiore e con buona parte del pennacchio mancante. Calcare. 30.

Insieme al timpano è anche intagliata la lastra di fondo dell’edicola,

1011. Timpano angolare di edicola con pennacchi laterali. (Tav.

1931-32, p. 44.

guono inferiormente un astragalo a perline molto allungate e ogivali, separate da coppie di fusarole a disco, e una fascia decorata con uno schematico anthemion a tralci intermittenti uniti da calici alternativamente diritti e rovesci. Il soffitto del timpano era decorato su due lati con lacunari rettangolari scanalati al centro. Si può rilevare che in analogia ai modelli alessandrini (cfr. nn. 912, 914) nell'angolo le due mensole finiscono delimitando uno spazio quadrangolare. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: BRECCIA, Musée gréco-romain,

1931-32, tav. 47, n. 123.

! Il pezzo reca il n. 197 con inchiostro nero, relativo ad un inventario provvisorio.

1012. Timpano arcuato con pennacchi angolari. (Tav. 108) Alessandria,

magazzini

del

museo,

da

Oxyrhynchos

(Bahnasa);

n.

inv. 23403. Mancante la parte sinistra e abrasa la corona.

1010. Timpano rali. (Tav. 108)

angolare di edicola con pennacchi late-

Alessandria, museo, da Oxyrhynchos (Bahnasa); n. inv. 23382. Spezzato in due parti combacianti, scheggiato il vertice superiore quello laterale sinistro. Calcare. Alt. cm. 50, larg. cm. 112.

e

Il timpano superiormente sostituisce la sima e la corona con un fregio a calici tra due listelli; il soffitto, del tutto ribaltato, presenta mensole rettangolari con lunghe foglie dentellate, che si alternano a cassettoni con rosette ed altri motivi vegetali. Agli angoli inferiori sporgono due pennacchi

derivanti dai frontoncini

interrotti,

come

nel n.

1008. Seguono inferiormente un astragalo, a perline prismatiche allungate, separate da coppie di fusarole piramidali, e un toro decorato con un motivo a treccia. Il soffitto vero e proprio del timpano presenta invece due rami a strette foglie dentellate convergenti verso il centro, dove vi è il dio Pan dalle zampe caprine che suona la siringa. L'acanto richiama abbastanza quello del cespo di foglie nel n.

1009,

in quanto

le foglie dei rami,

una certa tendenza paratattica non

sono

pur mostrando

ancora collegate

rigidamente tra di esse, né suddividono la superficie di sfondo in spazi geometrici regolari. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: BRECCIA,

534

Musée gréco-romain,

1931-32, p. 44, tav. 46, n. 119.

La cornice presenta una sottile corona a listello con ampio soffitto ribaltato sostenuto da mensole rettangolari a sezione triangolare e scanalate al centro. Gli spazi intermedi sono occupati da fiori a stella. Alla base del soffitto

vi é un astragalo a perline molto allungate, coppie di fusarole

troncoconiche;

segue

un

fregio

decorato

con

due

lunghe foglie dentate tra due listelli. All'estremità sporgevano due elementi triangolari di timpano interrotto, con le mensole simili a quelle precedenti, ma convergenti verso il centro, e non leggermente divergenti come quelle del timpano. La semicupola è occupata da una conchiglia, le cui baccellature nascono alla sua base inferiore, secondo una tipologia abbastanza nota

in ambiente egiziano!. Sono evidenti alcuni richiami alla tradizione alessandrina nella forma delle mensole a sezione triangolare o quasi trapezoidale (cfr. nn. 904-912). Databile nel V sec. d.C. Bibl.: BRECCIA,

Musée gréco-romain,

1925-31, p. 60, tav. 46, n. 156.

! Sulle nicchie con conchiglia egiziane v. U.

MowNERET

DE

Vm.

LARD, La scultura ad Ahnas, Milano 1923, pp. 60-62; L. TOROK, in ActaArchHung, 22, 1970, pp. 168 ss.; H.G. SEVERIN, in Propylüen Kunstgeschichte, Suppl. I, 1977, p. 250, n. 278, c.

1013. Frammento di timpano arcuato con pennacchi angolari. (Tav. 108) Alessandria, magazzini del museo, di provenienza sconosciuta. Si conserva un angolo del timpano e il relativo pennacchio. Calcare. Alt. cm. 53; larg. cm. 88; spess. cm. 38.

Da cente

una lastra sporge sulla sinistra un pennacchio, faparte di un timpano spezzato incorniciato da un

fregio a tralci vegetali tra due astragali. L'astragalo inferiore accompagna anche il campo semicircolare del timpano

intero,

ora mancante.

Un confronto molto simile, anche per l'inquadramento dell'astragalo & con un pezzo di Oxyrhynchos!. Databile nel V sec. d.C. ! Breccia,

Musée gréco-romain,

1931-32, p. 44, tav. 46, n. 120.

1014. Pennacchio laterale di timpano arcuato. (Tav. 108) Hermoupolis Magna (Ashmunein), Basilica cristiana. Resta il pennacchio laterale destro e l'attacco contiguo arcuato. Calcare. Alt. mass. cm. 45.

del timpano

Ii pennacchio triangolare presenta quasi completamente ribaltato il soffitto della corona. Questo è decorato con sottili mensoline scanalate al centro, alternate a piü larghe mensole, separate da un cassettone romboidale con piccolo fiore al centro; anche gli spazi intermedi tra i due tipi di mensole sono occupati da fiori piü grandi di diversa foggia. Al soffitto segue una serie di dentelli largamente spazieggiati. Il soffitto del timpano è invece intagliato con un motivo a doppio meandro che inquadra i cassettoni con fiori al centro.

Sia questo motivo, sia il tipo di mensoline del pennacchio sono di derivazione alessandrina (cfr. nn. 848-878, 938-941),

ma

stravolto è il significato delle mensole

e del

relativo soffitto, che da superficie orizzontale diviene quasi verticale, riallacciandosi in modo esagerato alla rappresentazione di sguincio, in funzione di un effetto architettonico illusionistico, tipica dell’architettura alessandrina (cfr. nn. 33-35). Tuttavia l’eccessivo ribaltamento fa perdere quasi del tutto l’originaria funzione illusionistica dello «sguincio», e si trasforma in un motivo decorativo fine a

se stesso. Databile nella prima metà del V sec. d.C.

boidale.

ondulato,

Inferiormente

il fregio dell’archivolto,

con tralcio

dal cui fusto si origina agli inizi di ogni curva

un breve stelo ad andamento opposto; questo termina con una rosetta di varia forma, occupante integralmente lo spazio circolare formato da ogni curva del tralcio e del relativo stelo contrapposto. Si osservi come la decorazione del soffitto della corona sia ancora nella tradizione alessandrina delle piccole mensole alternate ad incorniciature rettangolari in modo da formare come un meandro (cfr. nn. 896-911). Il timpano apparteneva alla Basilica cristiana e doveva essere impiegato in una posizione non dissimile da quella conservata delle pareti interne della Basilica di Dendera!. È probabile che anche in questo caso la conca presentasse alle estremità laterali due pennacchi sporgenti, secondo un modello ibrido derivante dal tipo ellenistico-romano del

frontone interrotto,

già evidenziato

anche

nelle fasi più

antiche dell'architettura cristiana in Egitto?. Un esemplare simile, proveniente sempre da Hermoupolis Magna, si trova nel Museo di Torino?, con la lunetta della conca occupata peró da un albero tra leoni contrapposti e con il fregio dell'archivolto decorato da un tralcio molto simile al nostro esemplare^. Ricordiamo ancora che tralci di vite occupanti le lunette delle nicchie si ritrovano frequentemente ad Oxyrhynchos?. Infine si deve sottolineare che caratteristico dei soffitti a conca di Hermoupolis Magna è quasi sempre la mancanza di figure scolpite’, come invece si ritrovano ad Ahnas e in altre località cristiane dell’Egitto (le nicchie a conca con figure sono state considerate preminenti esempi di stile proto-copto)’. Si è inoltre riconosciuta una derivazione dei motivi decorativi dall'area alessandrina? in molti elementi architettonici della Basilica cristiana di Hermou-

polis Magna’.

Bibl: Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 69, tav. 25, 2, dove pare pubblicato l’altro lato di questo stesso timpano.

1015.

Seguono un astragalo a grosse perline vagamente romboidali, alternate a coppie di fusarole ad anello, e un kyma ionico a larghi semi-ovuli appuntiti, contenuti in sottili sgusci e separati da larghe freccette con punta rom-

Timpano arcuato e soffitto di edicola. (Tav. 108)

Hermoupolis Magna (Ashmunein), Basilica cristiana. Mancanti la parte inferiore, compreso l’inizio della conchiglia, i pennacchi e l’estremità laterale sinistra, con frattura irregolare; abrasioni e scheggiature nella parte centrale della sima. Calcare. Alt. cm. 40.

Databile nella prima metà del V sec. d.C. Bibl: Wace, MEGAw, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 68, tav. G. RODER, in MittKairo, 38, 1938, pp. 449 ss., tav. 74, 1. ! MONNERET DE VILLARD, Sohag, figg. 164, 165. ?N. STRZYGOWSKI, in E. Kirzincer, in Archeologia, p. 194.

87,

25,

1;

1937,

3 MONNERET DE VILLARD, Sohag, figg. 187-188. ^ È stato ipotizzato che anche questa conca di nicchia provenga Basilica: WAcE, MEGAW, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 169.

dalla

> KITZINGER, art. cit., tav. 70, 3.

Il soffitto dell’edicola presenta al centro una grande conchiglia con le costolature nascenti nella parte inferiore; ai

suoi

lati

sono

intagliati

due

robusti

rami,

con

foglie

quasi a palmetta, e grappoli d’uva che occupano lo spazio

restante del soffitto. Questo sul fronte presenta una cornice costituita da una sottilissima sima a leggero cavetto, separata tramite listello da una corona liscia ugualmente molto sottile. Più estesa è la superficie del soffitto, intagliata con piccole mensoline rettangolari con scanalatura al centro, alternate a larghe mensole quasi quadrate con doppia scanalatura. Negli spazi intermedi tra i due tipi di mensole sono visibili cassettoni quadrati, con campo centrale ribassato, sempre quadrato, e distinto da profonde scanalature.

6 Cfr. anche G. RODER, in 7 KITZINGER, art. cit., pp. 8 Anche se in effetti un copta fin dalla sua origine,

ASAE, 38, 1938, p. 449, tav. 74, 1. 189 ss., 209, tav. 70, 2-3. chiaro eclettismo domina l'arte decorativa per cui sembra artificiale voler operare di-

stinzioni tra elementi di tradizione alessandrina e quelli genericamente attribuiti all’arte del periodo imperiale romano, o tra aree con maggiori o minori influssi alessandrini.

1016.

Timpano e

Hermoupolis Magna

soffitto di edicola.

(Tav.

108)

(Ashmunein), Basilica cristiana.

Lievi scheggiature lungo i margini del blocco. Calcare. Alt. cm. 53; larg. cm.

165; spess. em.

80.

Sul fronte di un blocco piuttosto spesso è intagliata una semicupola decorata con una conchiglia nella stessa posi535

zione che nel 1012. La semicupola è incorniciata da timpano arcuato, intagliato, dall'alto verso il basso, un listello, un cavetto, un astragalo a perline ogivali lungate e coppie di fusarole cilindriche non sempre stinte,

con

una

faenia

e infine

un

fregio

tra due

un con aldi-

listelli,

ornato con un tralcio ondulato. L'elemento non presentava agli angoli pennacchi sporgenti ed appare quindi come una forma abbastanza semplificata. Alcuni confronti possono farsi con coronamenti di nicchie di Luxor che presentano analoghe modanature

semplificate Ahmar,

dell’archivolto!

anche

per

e con

le analoghe

un'altra di Kom

piccole

dimensioni

eldella

semicupola?.

Caratteristica in questo esemplare è la resa sommaria e ridotta

degli

elementi

ornamentali,

fino

ad

4.

1019. Fregio-architrave dri. (Tav. 109)

con

motivi

ottagonali

Hermoupolis Magna (Ashmunein),

! STRZYGOWSKI, Koptische Kunst, Wien 1904, p. 41, fig. 48.

cristiana. Fratturato irregolarmente alle due estremità laterali.

Sohag, fig. 190.

Dendera,

109) viale di accesso

al tempio di Hathor,

dalla Basilica cri-

stiana, nicchia-sui muri longitudinali delle navate laterali. Fratturato su entrambi i fianchi. Calcare.

La copertura semicircolare della nicchia presentava un soffitto decorato con una grande conchiglia e sul fronte una cornice sporgente e un fregio con girali intrecciate con rosette. Il soffitto della cornice è sorretto da mensoline scanalate al centro e incorniciate da listelli sullo stesso

piano

delle

mensoline;

e mean-

lapidario nei pressi della Basilica

Calcare. Alt. cm. 41; alt. fregio cm. 28; larg. 116; spess. mass. cm. 45.

1017. Frammento di timpano arcuato e soffitto di edicola. (Tav.

alla

FREGIO-ARCHITRAVE DECORATI.

Databile nella prima metà del V sec. d.C. ? MONNERET DE VILLARD,

arrivare

trasformazione del loro significato originario, come è visibile nelle nuove forme assunte dal kyma ionico e dalla conchiglia. Databile nel VI sec. d.C.

ad esse

si alternano

casset-

toncini quadrati riempiti da grandi rosette. . Va rilevato come si incontri non infrequentemente l’uso di tralci ondulati o ad otto nella decorazione dei fregi in-

torno alle semicupole di nicchie circolari. Anche quest'esemplare, come il n. 1016, non presentava pennacchi laterali sporgenti. Databile nel tardo V - prima metà del VI sec. d.C.

Il campo decorato presenta un motivo di ottagoni separati da meandri a svastica. Ogni ottagono è riempito da una grande rosetta con petali ogivali alternati a petali di minori dimensioni. Motivi decorativi simili si incontrano spesso in Egitto, ad esempio ad Oxyrhynchos!; noto è anche l'impiego del ' motivo della svastica, come mostrano esempi della Basilica cristiana di Hermoupolis Magna?, soffitti di porte

conservati nel museo egizio del Cairo? o lastre di transenna del Cairo^. Si puó ancora confrontare con un fregio, ora a Berlino, ugualmente con meandri che si originano da svastiche e con ottagoni, secondo la composizione del nostro esemplare, ma con elementi vegetali ed

acanto dentellato di tipo bizantino?. Tutti

nica

i motivi citati, derivano

alessandrina,

dove

soffitti a cassettoni,

dalla tradizione architetto-

erano

come

impiegati

mostrano

soprattutto

i confronti

con

nei i nn.

Bibl: E. KrrziNGER, in Archeologia, 87, 1937, p. 194; MONNERET DE

976 ss. e che evidentemente continua nel V ed anche nel VI secolo d.C. (v. esempio di Berlino): rispetto ad essa si è trasformato del tutto il senso strutturale degli originari

VILLARD,

cassettoni,

Sohag, fig. 194; BADAwy,

in Kyrilliana, p. 41, tav. 9.

! Cfr. MONNERET DE VILLARD, Sohag, figg. 183-186; H.G. SEVERIN, in Propylden Kunstgeschichte, Suppl. I, 1977, p. 250, n. 279, c.

1018.

Timpano di edicola. (Tav.

Bibl.: WAcE,

109)

Alessandria, sala II del museo, da Oxyrhynchos R. 623. Lievi scheggiature lungo i margini.

(Bahnasa); n. inv.

Breccia,

assunto

decorata da una conchiglia,

che non

lo stesso

valore

Une

SKEAT, Hermopolis Magna,

in Archeologia, gréco-romain,

? Wace,

87,

1937,

1931-32;

decorativo

tav.

p. 72, tav. 26, 7.

p. 194 ss., tav. 72, 47,

n.

124;

collection de pierre sculptés aux Musée

Caire, Caire 1948, nn. 20-21, tavv.

arcuato é costituito internamente da una se-

schiacciata,

MEGAW,

Musée

rabi); cfr.

Il timpano,

hanno

! E. KrrziNGER, SCHER,

Calcare.

micupola

che

dei riempitivi floreali. Databile nella prima metà del V sec. d.C.

Wace,

MeGcaw,

MEGAW,

SKEAT,

SKEAT,

H.

1;

Zaro-

copte du Vieux

11, a-c, 12 (collezione Abbas el-AHermopolis

Hermopolis

Magna,

Magna,

p. 72.

p. 72.

3 DurBurr, Sculpture copte, tav. 61, b. ^ H.G. Severin, in Festschrift F.W. Deichmann,

Bonn

1986,

pp.

ne occupa tutta la superficie come nei nn. 1016-1017:

in-

104-107, tavv. 18-19, da vedere anche per l'uso del meandro a svastica

fatti,

un

al di fuori dell’Egitto. 51. BECKWITH, Coptic Sculpture, London

estremamente

ridotta

di dimensioni,

à diventata

semplice motivo decorativo, quasi una palmetta, al centro della metà inferiore. L'incorniciatura è formata da un'unica modanatura intagliata con un semplificato kyma ionico: in questo gli ovuli interi sono contenuti in larghi sgusci a doppio listello, ridotti ad archetti in quanto non sono uniti inferiormente; le freccette sono state sostituite da piccole foglie schematiche. Agli angoli si originano due stretti acroteri lisci a pennacchio, che derivano da una semplificazione del noto motivo visibile nei nn. 1008-1014. 536

1963, pp. 22, 53, fig. 92.

1020. Fregio da archivolto con motivi ottagonali. (Tav. 109) Alessandria, magazzini del museo, da inv. 23400. Scheggiato l'angolo inferiore sinistro.

Oxyrhynchos

(Bahnasa):

n.

Calcare.

L'elemento apparteneva al timpano curvo di un'edicola ed è decorato con ottagoni contigui lungo i lati diagonali

e separati da elementi quadrati lungo i lati perpendicolari. Ciascun

ottagono,

a sua

volta,

ne iscrive

un

altro,

il cui

Il fregio presenta tralci ad otto formanti cerchi perfetti, nei quali si iscrivono due rami intrecciati terminanti in foglie e in grappoli d'uva che riempiono tutto lo spazio. Anche le curve superiore e inferiore dei cerchi sono unite da un tralcio a lieve ondulazione con foglie e grappoli che riempiono gli spazi tra un cerchio e l'altro. Va rilevato come l'acanto, per le zone d'ombra ad oc-

campo decorativo è occupato da una rosetta con petali romboidali. Anche gli elementi quadrati presentano al centro uno spazio ribassato. Motivi decorativi uguali si trovano anche in soffitti di timpani arcuati di Oxyrhynchos, con cornici del tipo dei nn. 1002-1003. Anche il motivo di questo elemento deriva dalla tradizione dell’architettura alessandrina (cfr. n. 976), dove era usato soprattutto nei soffitti a cassettoni, ripresa in ambiente tardo in modo schematico e con valori chiaroscurali accentuati pur nella piattezza del rilievo. Databile nel V sec. d.C.

È noto come fregi con tralci ad otto siano stati piuttosto usati nell’architettura cristiana in Egitto, come mostrano gli esempi più naturalistici della Basilica cristiana di Hermoupolis': esempi quasi uguali sono stati rinvenuti a Saq-

Bibl.: Breccia, Musée gréco-romain,

qara?.

1925-31, p. 60, tav. 44, n. 162.

chiello

fra i lobi,

varsi

dell’ultima

ottenute

attraverso

foglietta

di

ogni

il ridursi

lobo,

e l'incur-

richiami

i nn.

578-587.

Databile nel tardo V - prima metà del VI sec. d.C. 1021.

Frammento di fregio. (Tav.

109)

Bibl.: CHASSINAT,

Parigi, Museo del Louvre, da Bawit, Chiesa Sud, cappella B.

Fouilles à Baouit, tav. 86, 1.

! Wace, MEGAW, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 70, tav. 26, 1, 5.

Lievi scheggiature, sul margine superiore.

? QUIBELL, Excavations at Saggara, Ill, tav. 34, 4.

Calcare.

Il fregio è decorato con meandri a svastiche che formano con il prolungamento dei bracci spazi quadrango-

1024.

lari, che si alternano alle svastiche

Parigi, Museo del Louvre, da Bawit, Chiesa Sud, cappella B.

motivi ornamentali. L'uso di motivi simili architettonici,

ad

e sono riempiti da vari

si riscontra

esempio

come

in diversi

decorazione

elementi

di fregi,

in

cui in luogo dei quadrati vi sono poligoni (cfr. nn. 10191020)!. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: CHASSINAT, pp.

Fouilles à Baouit, tav. 76, 3.

! Cfr. H.G. SEvERIN, in Festschrift 104-107, tavv. 18-19.

1022.

F.W.

Deichmann,

Bonn

1986,

Frammento di fregio. (Tav.

109)

Scheggiato lungo il fianco sinistro. Calcare.

L'elemento

è decorato

con

un

tralcio

giraliforme,

ac-

compagnato da strette foglie a grossi dentelli triangolari che convergono verso una rosetta al centro della spirale. Si tratta di un tipo noto ad Ahnas e Saqqara, in forme molto simili e anche con l’introduzione di animali al

centro delle spirali!. Databile nel V sec. d.C.

Frammento di fregio. (Tav.

Bibl.: CHASSINAT,

109)

Fouilles à Baouit, tav. 82, 2.

11. STRZYGOWSKI, Koptische Kunst, Wien

Cairo, museo copto, da Bawit, Chiesa Sud, cappella B. Lievi scheggiature agli spigoli.

QuiBELL,

Excavations

at Saggara,

Il,

tav.

35,

1904, p. 54, figg. 66-67; 3.

Calcare.

L'elemento é decorato con piccoli motivi di meandro a svastiche, disposti alternativamente lungo il margine superiore e inferiore: dal prolungamento dei bracci si originano spazi quadrangolari, riempiti con quadrati in cui sono iscritti fiori. Anche in questo elemento vi é una variante del motivo a meandro,

secondo

una

moda

diffusa

non

solo

in

am-

biente egizio!. Databile nel V sec. d.C. Bibl.: CHASSINAT, ! H.G.

SEVERIN,

Fouilles à Baouit, tav. 76, 1. in

Festschrift

F.W.

Deichmann,

Bonn

1986,

104-107.

1023.

Frammento di fregio. (Tav.

109)

Parigi, museo del Louvre, da Bawit, Chiesa Sud, cappella B. Lievi scheggiature lungo i margini. Calcare.

pp.

1025.

Frammento di fregio con tralci d'uva. (Tav. 109)

Alessandria, sala II del museo, da Oxyrhynchos (Bahnasa). Fratture irregolari sui fianchi.

Calcare.

Il fregio é decorato non piü con unm tralcio articolato in girali

circolari,

come

nel

n.

1024,

bensi

con

due

tralci

leggermente ondulati che corrono lungo i bordi superiore ed inferiore: da questi si origina una serie di steli leggermente arcuati che formano una sequenza di triangoli alternativamente diritti e rovesci. All'interno di essi vi sono due tralci ad otto terminanti rispettivamente in un grappolo ed in una foglia che si incurvano verso il basso nei triangoli con il vertice in alto, questo occupato da una grande rosetta nascente dalla diramazione dei due tralci. Databile nella prima metà del VI sec. d.C. Bibl.: E. BRECCIA, Musée gréco-romain,

1931-32, tav. 31, 9.

537

XIII

1026. Pilastro cuore».

(Tav.

con

due

semicolonne

addossate

- APPENDICE

«a

110)

Alessandria, giardini del museo, ora nei giardini di Kom esch Shogafa, da «Rue Ibrahim I»; n. inv. G 170 (R 360 B). Restano due rocchi: quello superiore presenta abrasi

i listelli tra le

scanalature e scheggiata la metà della superficie del lato destro. Granito di Assuan. Alt. blocco sup. cm. 76; larg. cm. 175; alt. blocco inf. cm. 75; larg. mass. cm. 125. Il pilastro

con

due

semicolonne

scanalate,

addossate

a

cuore, era composto da più blocchi sovrapposti, di cui ne restano due non combacianti: in origine doveva avere una

collocazione

angolare.

Il blocco

superiore

presenta

sul

fianco destro un cartiglio rettangolare sporgente, sul quale è intagliato un umbone (?). Si è ritenuto che questi blocchi provenissero da un grande edificio di età ellenistica che doveva esistere nell’estrema area ovest di Alessandria. Colonne a cuore si trovano agli angoli del cosiddetto Tempio di Arsinoe Zephyrithis e, fuori Alessandria, a Tebtynis, nella «sala tolemaica»

(nn.

706,

707)

e a Oxyrhynchos,

nel portico to-

lemaico!. Databile nel III-II sec. a.C. Bibl.: E. BRECCIA, in BSAA, 22, p.

19, 1907, p. 109; In., in Rapport, 1921-

11, tav. 4, 2; Ip., in Alexandreia ad Aegyptum,

p. 90; 1922, 14, 47.

p. 104; Ip., Musée gréco-romain,

Bergamo

1914,

1931-32, p. 50, tav.

! Breccia, Musée greco-romain, 1931-32, p. 49, tav. 7,29.

1027. Rocchio di lesena. (Tav. 110)

semicolonna

ionica

addossata

a

Alessandria, museo dalla banchina del porto orientale; n. inv. 22893.

Lievi scheggiature lungo i listelli. Calcare. Alt. cm. 94.

La semicolonna presenta dieci lesena sui fianchi è liscia. Databile nella II-I sec. a.C. 1028. (Tav.

Due

scanalature,

mentre

la

addossate.

110) delle

cavità per l'inseri-

Lo stipite di sinistra presenta il fianco esterno decorato con un tralcio vegetale a otto, con ciascun elemento riempito di fiori. Gli spazi lasciati liberi in corrispondenza dei punti in cui gli steli si intrecciano tra un elemento circolare e l'altro, sono occupati da calici con foglie rovesce. Nello

stipite

di destra,

invece,

il fianco

esterno

Databile nella prima metà del VI sec. Bibl:

QuiBELL,

Bapawy,

Excavations

at

Saggara,

IV,

in Bullettin de l'Institut d'Egypte, 32,

tav.

37,

2-3;

A.M.

1952-53, p. 75, fig.

40 b.

1029.

Pluteo. (Tav.

110)

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Si compone di sei frammenti combacianti; manca poco meno metà con frattura irregolare. Marmo cm. 4.

proconnesio.

Alt.

cm.

88;

larg.

mass.

cm.

81,

5;

della spess.

La lastra è occupata da un grande campo rettangolare ribassato, incorniciato da una gola rovescia: in esso è scolpita una grande croce greca ad estremità patenti, iscritta in una ghirlanda perfettamente circolare e con la superficie liscia. Ai lati del campo centrale vi sono altri due campi minori, sempre rettangolari, ma molto stretti, decorati con uno schematico

tralcio intrecciato ad otto, ma

con cerchi alternati a rombi: ciascuno di questi è riempito da motivi vegetali diversi; inoltre negli angoli che i cerchi formano con i rombi vi sono elementi circolari che probabilmente rappresentano la schematizzazione di un fiore. Il pluteo presenta numerosi confronti, anche se non esattamente uguali: citiamo tra gli altri a Roma quelli di S. Clemente, dalla recinzione della Schola cantorum del papa Giovanni II (533-535 d.C.)!, con alcuni dei quali ha in comune

la superficie liscia della corona,

in quanto

non

rifinita, e l’analoga schematizzazione dei pilastrini in ristretti campi laterali con motivo a treccia. Menzioniamo Si tratta molto probabilmente di una produzione proveniente dal Proconneso che, & noto?, ebbe una certa diffusione in età bizantina e in particolare sotto Giustiniano. Databile nella prima metà del VI sec. d.C. ! E. Russo, in MEFRM, 96, 1984, p. 10 ss.; P. PENSABENE, in Società romana e impero tardo antico, III, Bari 1986, p. 293. ? W. Winria, in BSR, 46, 1978, p. 94 ss. 3 Cfr. Th. ULBERT, Studien zur dekorative Reliefplastik des Ostlichen

Mittelmeerraumes

(Schrankenplatten

1969; J.P. SODINI, in BCH,

10294.

101,

des 4-10 Jahrhunderts),

München

1977, p. 441.

Pilastrino di transenna. (Tav.

110)

presenta

una variazione del motivo precedente, in quanto il tralcio non è più intrecciato ad otto, bensì è costituito da un susseguirsi di elementi a X intrecciati in corrispondenza delle estremità. Le semicolonne sono suddivise in due zone principali tramite uno stretto pannello decorato, nello stipite di sinistra con due volatili affrontati, in quello di destra da un leone che azzanna un personaggio con berretto cilindrico 538

riori e inferiori.

ancora i plutei della Basilica B di Latrum in Cirenaica?.

stipiti di porta con semicolonne

Cairo, museo copto, da Saqqara. Scheggiata la superficie in corrisponsdenza mento di tavole di chiusura. Calcare. Alt. cm. 140.

(forse Daniele nella fossa dei leoni). La zona inferiore è decorata con un ramo verticale piuttosto stretto, da cui si diramano foglie rappresentate come baccellature in successione. La zona superiore presenta un motivo a zig-zag con motivi vegetali usati come riempitivo nei triangoli supe-

Alessandria, magazzini del museo, stero di Hennaton; n. inv. 13859. Lievi scheggiature. Marmo. Alt. cm. 136.

da el-Dekhelah,

forse dal mona-

Il pilastrino conserva una sorta di zoccolo per l'inserimento nella fondazione ed è coronato da un pomolo ovale vagamente a pigna’. Due lati opposti presentano un campo rettangolare decorato con un tralcio ondulato da

Bibl:

E.

Breccia,

in BSAA,

9,

1907,

p. 10; J.B.

WARD

PERKINS,

in

BSR, 17, 1949, p. 65, tav. 8,3. ! Cfr. E. Russo, in MEFRM, 6, 1987, p. 136 ss., figg. 18, 27, 28 su pilastrini con pomoli a forma di pigna.

1030.

Transenna.

(Tav.

Alessandria, sala II del museo,

110; Fig. 228) da El Dekhelah; n. inv.

13855.

Alcune parti sono restaurate in gesso. Marmo.

Ait. cm.

82; larg. cm.

156.

La transenna è lavorata a giorno e presenta lo stretto campo centrale rettangolare decorato con una croce a braccia patenti posta all’interno di un cerchio: questo è ottenuto dall'alargamento dell'elemento centrale di un motivo

a treccia,

che

si origina

dalla

fascia a

tre listelli

che inquadra il campo; sopra e sotto il cerchio centrale sono cerchi minori con rosette al centro ed altri motivi vegetali sono negli angoli del campo. I campi laterali sono invece occupati da un reticolo a losanghe nei due terzi inferiori; queste nel terzo superiore si trasformano in pelte. Databile nella seconda metà del V - prima metà del VI sec. d.C. Bibl: E. Breccia, in BSAA, 9, 1907, p. KINS, in BSR, 17, 1949, p. 65, tav. 9, 1.

1031.

Mensa rettangolare. (Tav.

7, fig.

3; J.B.

Warp

PER-

110)

circondato

appena

127x 77.

sui

quattro

interrotta

lati

al centro

da

una

di uno

larga

fascia

dei lati corti,

lato corto: pezzi molti simili si trovano ad esempio nei conventi di Der Amba Bischoi e Der es Suriani!. Comunque

mense

rettangolari

sono

note

anche

altrove,

ad

esempio a Thasos (Aliki)?. Va rilevato come il canale non possa piü avere una reale funzione di scolo per facilitare la pulizia della mensa, in quanto manca il cavetto tra il margine rialzato e la fascia: è probabile che ci si trovi di fronte ad un’iconografia di mense senza piü rapporto con la funzione profana originaria, dato il contesto religioso in cui dovevano essere state impiegate. Il pezzo è da considerare come prodotto di importazione dal Proconneso. | Databile nel V - primi decenni del VI sec. d.C. Bibl: H.G.E. WurrE, W. Hauser, The Monasteries of the Wadi Natrun. The Architecture and Archaeology, III, New York 1933, p. 18; M. KRAMER, in MittKairo, 7, 1937, p. 20, fig 3.

Hauser,

op. cit. in bibl., pp.

160-161, 208 (mense senza

canale). ? J.P. Sopini, in Aliki. 2. Etudes Thasiennes, 10, 1984, pp. 140, 194, figg. 120, 163, tav. 87, c: v. anche p. 203 sulla funzione delle mense, legata ad un uso profano, o in connessione con il culto dei

morti, o appunto come mense d'altare, spesso rettangolari, a cui, come si è detto, ci sembra rimandare la forma schematica della nostra.

fm 44 098

φρον

00

PL

VEL

DL

0

i

Dal contorno rettangolare, la mensa presenta la consueta sponda rialzata e leggermente svasata verso l'esterno e il

rilevata,

dove le estremità della fascia stessa sono arrotondate: viene cosi a formarsi una specie di canale. L'esemplare é caratterizzato da un disegno molto semplice, in quanto anche manca, lungo il contorno esterno della fascia, il cavetto. I confronti più immediati si trovano proprio nei conventi del Wadi Natrun, dove sono noti due tipi rettangolari, uno con il margine rialzato e foro al centro, l'altro uguale al pezzo qui considerato, contraddistinto appunto dalla interruzione della fascia sul

! WurrE,

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Lievissime scheggiature nell'angolo posteriore sinistro.

Marmo proconnesio. Lati cm.

piano

080906

cui si originano foglie a tre lobi che occupano le lunette delimitate dalle ondulazioni dei tralci. Databile nella seconda metà del V - prima metà del VI sec. d.C.

Fig. 229 - Alessandria, museo,

da El-Dekhelah,

cat. n. 1030 (dal Breccia).

539

1032.

Mensa «a sigma».

(Tav.

Dal contorno a ferro di cavallo, la mensa presenta il bordo costituito da una larga fascia sporgente rispetto al

110)

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Integra. Marmo proconnesio. Lati cm. 143x 142; spess. cm. 9

piano

chitettonici

nota

abbastanza

conventi

nei

dello Wadi Natrun, dove alcune di queste mense sono ancora utilizzate sopra un sostegno in mattoni!, e dove è

testimoniato un tipo dallo stesso contorno, ma senza canale?. Un esemplare molto simile & stato rinvenuto nella

Basilica cristiana allaga al Cairo*.

e nella

di Tebtynis?

Chiesa

EI-Mo'

(Aliki)5, a Cipro (Salamina)S, ecc. È stato rilevato come a cm.

142x142,

sempre

in un marmo

bianco con venature bluastre, che è appunto da identificare con il marmo proconnesio. Databile nel V - primi decenni del VI sec. d.C. Bibl: H.G.E. Wurre, W. Hauser, The Monasteries of the Wadi Natrun. The Architecture and Archaeology, III, New York 1933, p. 62; M. KRAMER, in MittKairo, 7, 1937, p. 120, nota 1; O. NUSSBAUM, in JACh, 4, 1961, p. 40, n. 18. 1 WurrE, HAUSER, op. cit. in bibl., pp. 62, 71, 103, 117, 153, 203. ? Ip., p. 79. 3 G. BAGNANI, in BArte, 7, 1933 ss.; E. KITZINGER, in DOP, 14, 1960, pp. 30-31, fig. 17.

40, NUSSBAUM, in JACh, 4, 1961, p. 38 ss., fig. 2, d (B 12). 5 J.P. Sopmnt, in Aliki. 2. Etudes Thasiennes, 10, 1984, pp. 195-196, figg. 165-166. $ G. Roux,

in Salamine de Chypre. IV. Antologie Salaminienne, Paris

1973, p. 133 ss.: da vedere anche per la raccolta sistematica su tutte le mense del bacino del Mediterraneo, e in particolare p. 159 ss. sulle mense del tipo a cui appartiene il nostro pezzo, dall'autore definito «tables cloturées ».

1033.

Mensa «a sigma».

(Tav.

110)

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Integra.

Marmo proconnesio. Lati cm. 92x 89.

Quasi uguale al n. 1032, rispetto a cui si diversifica per la maggiore larghezza della fascia che circonda il piano della mensa. Databile nel V - primi decenni del VI sec. d.C. Bibl:

H.G.E.

Wurre,

W.

Hauser,

The

Monasteries

of

the

Wadi

Natrun. The Architecture and Archaeology, YII, New York 1933, p. 62; M. Kramer, in MittKairo, 7, 1937, p. 120, nota 1; O. NUSSBAUM, JACh, 4, 1961, p. 40, n. 18.

Mensa «a sigma».

(Tav.

110)

Wadi Natrun, Deir Abu Makarios. Lievissime scheggiature lungo il bordo esterno. Verde antico. Lati cm. 149,2x 146; spess. cm. 6.

540

non,

e

in

verde

antico,

si citano le lastre di ambone del carico naufragato di Marzameni!, che trasportava l'arredo di una chiesa, o la mensa rinvenuta nella «Casa del cervo» di Apamea, questa più rifinita lungo il bordo dove la fascia è accompagnata da un cavetto e da un largo listello. Databile nel V - primi decenni del VI sec. d.C.

1035.

Mensa «a sigma».

Alessandria, museo!, da Achmin; n. inv. 110. Integra.

in

Uguale ai nn. 1032-1033, la mensa è stata reimpiegata come stele funeraria e in tale funzione è stata incisa su di essa un'iscrizione nel 512 o nel 796 d.C.

Databile nel V - inizi delVI sec. d.C. Bibl: M. KRAMER, in MiftKairo, 7, 1937, p. 122, tav. 21, a; G. Roux, in Salamine de Chypre. IV. Antologie Salaminienne, Paris 1973, p. 189, n. 93.

! La mensa si trovava precedentemente al Museo Egizio del Cairo.

1036.

Base di tripode. (Tav.

Alessandria, giardini del museo,

110)

da Kafr Daouar, dono A. Ruscho-

wich; n. inv. 3934. Scheggiatura nella metà superiore di due lati contigui e mancanti teste dei grifi alla base. Marmo pentelico. Alt. cm. 103; lato base cm. 44.

le

I tre lati della base presentano campi rettangolari incorniciati da una fascia e distinti gli uni dagli altri, lungo gli spigoli, da una fila di perline. Il terzo inferiore è invece occupato agli spigoli da tre grifi alati in funzione di piedi, e al centro, tra le ali dispiegate di questi, da due coppie di spirali contrapposte, che si originano da una palmetta rovescia, con ai lati due fiori di loto, sempre rovesci. Tra questi e il corpo dei grifi vi sono grandi rosette a due corolle, con petali «a cucchiaio».

L’esemplare

è da considerare

un prodotto

di importa-

zione attico! e trova diversi confronti uguali”. Databile a.C.

nella

seconda

metà

Bibl.: G. BoTTI, Notice des Monuments

d'Alexandrie,

1034.

cristiani

Marmo proconnesio. Lati cm. 93x94.

si tratti di una produzione di mense con dimensioni varia70x70

edifici

per

! G. KAPITAN, in Archaeology, 22, 1969, p. 129. ? J.P. Sopmi, in Aliki. 2. Etudes Thasiennes, 10, 1984, p. 200.

L’esemplare è da considerare come prodotto di importazione dal Proconneso e trova numerosi confronti in altre località del bacino del Mediterraneo, ad esempio a Thasos

bili da cm.

le sue

probabilmente semilavorati già da officine presso le cave:

da una fascia, interrotta al centro del lato rettilineo, dove le sue estremità si arrotondano, in modo da formare una

forma

dove

del lato rettilineo,

estremità si arrotondano. La mensa é da ricollegare con una serie di elementi ar-

Dal contorno a ferro di cavallo, la mensa presenta la consueta sponda leggermente svasata e il piano circondato

sorte di canale. Si tratta di una

e interrotta al centro

H.U.

Cam,

del

II - inizi

exposés au Musée gréco-romain

1893, p. 181, n. 1748; Borri, Musée, Rémische

Marmorkandelaber,

! Cfr. CAIN, op. cit. in bibl., Beil 2, tipo 1. 115-118, tav. 7 (Tunisi).

p. 219, n. 188;

Mainz-am-Rhein

149, n. 2, tav. 8. ? Ip., nn.

del I sec.

1985,

p.

XIV - APPENDICE:

25-27.

Frammenti

di

cornice

con

decorazione

dal Serapeo («Colonna di Pompeo») 1037. (Tavv.

FRAMMENTI

in

stucco,

(v. p. 320).

Sei frammenti di fregio con grifoni contrapposti. 89;

111)

Alessandria, sala XV del museo, da Alessandria; 2°: 3814; 3°: 3815; 4°: 3816; 5°: 3817; 6°: 3818.

nn.

inv.

1°: 3813;

CON

1039.

Calcare stuccato. 1°: alt. cm. 13; larg. cm. 14,5; 2° alt. cm. 14,5; larg. cm. 15,5; 3°: alt. cm. 17; larg. cm. 20; 4°: alt. cm. 19; larg. cm. 28; 5°: alt. cm. 13,5; larg. cm. 19; 6°: alt. cm. 13,5; larg. cm. 23.

I frammenti appartengono ad un fregio in stucco articolato in tre zone: quella superiore sagomata con un listello, un ovolo e un cavetto; quella mediana con il fregio figurato tra due astragali lisci; quella inferiore con un ovolo, sovradipinto con un kyma ionico, cui seguono un astragalo liscio, una fascia e una gola rovescia.

Sul fregio sono modellati in un rilievo abbastanza tenue coppie di grifi affrontati, in mezzo ai quali è uno stilizzato fiore di loto nascente da un piccolo calice, che si origina a sua volta da due piccole volute contrapposte. Ogni coppia di grifi é separata dalla seguente tramite coppie di volute simmetricamente contrapposte, sia tra di sia con le ali terminanti

in voluta dei grifi.

nella decorazione

in stucco

111) 1°: 3775;

Il fregio presenta una serie di sfingi sedute affrontate in mezzo alle quali vi è una palmetta, nascente da un piccolo

calice: questo è formato dalle estremità di due corti tralci. contrapposti, terminanti esternamente con due piccole spirali rivolte all'interno. Anche tra le code sollevate ad S delle sfingi vi era un motivo vegetale. Il fregio inferiormente era limitato da un listello e da una gola rovescia. Databile nel II-I sec. a.C. 1040. Frammento di fregio con potnia grifoni contrapposti. (Tav. 111)

Il fregio con grifi affrontati è un motivo noto anche nel anche

Tre frammenti di fregio con sfingi. (Tav.

Alessandria, sala XV del museo, da Alessandria; nn. inv. 2°: 3776; 3°: 3777. Fratturati irregolarmente sui fianchi. Stucco. 1°: alt. cm. 11; 2°: alt. cm. 21; 3°: alt. cm. 8.

Alessandria, sala XV

periodo ellenistico, ad esempio nel Didymaion di Mileto!: il suo impiego

IN STUCCO

AI piano inferiore è unito un altro elemento di cornice minore, che inferiormente sembrerebbe presentare un mutulo con guttae pendenti: è possibile che si tratti dell'angolo della trabeazione di un portale che si apriva sotto la cornice con il fregio a sfingi contrapposte. Per il tipo dei dentelli databile nel I a.C. - I sec. d.C.

Fratturati irregolarmente sui fianchi.

esse,

DECORAZIONE

del museo,

theroon

(?) tra

da Alessandria; n. inv. 3778.

Fratturato irregolarmente sui fianchi.

è atte-

Stucco. Alt. cm.

14.

stato dal noto esempio pergameno’. Databile nel II sec. a.C. ! W. VoiGTLANDER, Der Jungste Apollontempel von Didyma, Beiheft 14, p. 119, tav. 16.

? G. KAWERAU, vom Pergamon,

Th. WieGAND,

IstMitt,

Die Palaste der Hochburg, Altertum

V, 1, Berlin-Leipzig

1930, pp. 48-50, tav. 7.

Tra due grifi alati e seduti vi è una figura femminile con sottili ali sollevate a voluta che tocca le zampe alzate degli animali: la figura sembra nuda, ma non se ne distinguono chiaramente i tratti. Si distinguono al di sopra dei grifi festoni da cui pen-

dono elementi circolari: i festoni paiono appesi ad un ele1038.

Frammento

di cornice

con

fregio

a sfingi

con-

trapposte. (Tav. 111) Alessandria, magazzini (1936); n. inv. 24873.

del museo,

da Marsa

Matrouh

mento verticale collocato dietro ciascun grifo. Databile nel II-I sec. a.C.

(Paraetonium)

1041.

Ricomposto da più frammenti separati con le parti mancanti comple-

Frammento

di

fregio

con

palmette

e bucrani.

(Tav. 111)

tate nel restauro.

Stucco. Alt. cm.

Alessandria, sala XV del museo, da Alessandria; n. inv. 3779. Fratturato irregolarmente sui fianchi. Stucco. Alt. cm. 10.

18; larg. cm. 44. x

La parte superiore è sagomata con una schematica corona a cui seguono un astragalo liscio e una serie di dentelli, separati da uno spazio pari alla loro larghezza. I dentelli terminano sopra un altro astragalo liscio sotto il quale vi è un ampio ovolo decorato con sfingi stanti simmetricamente contrapposte, alternate a palmette: le code terminanti in volute delle sfingi formano come dei calici dai quali si originano le palmette, mentre non sono conservati i motivi vegetali tra le sfingi affrontate.

La parte conservata del fregio è decorata con un bucranio scarnificato collocato tra due palmette rovesce: tra le corna appare una benda leggermente incurvata in alto,

con

i capi

pendenti

verticalmente

tra

il teschio

e le

palmette: queste sembrano nascere da tralci contrapposte ad S. Databile nella seconda metà del I sec. d.C.

541

XV

- SIDI KREIR

Da questa località sul mare presso El Agamy, a circa km. 21 ad ovest di Alessandria, sono stati recentemente trasportati diversi frammenti architettonici ora depositati provvisoriamente nei giardini di Kom el Dik. Si ignorano le circostanze di rinvenimento, ma a sud di questo sito, sulle rive settentrionali del lago Mareotis, emergono resti di edifici e un molo. Si tratta di elementi intagliati in un calcare molto tenero e bianchissimo, dei quali il nucleo principale è costituito da un

gruppo di rocchi di colonne doriche, di grandi dimensioni, attribuibili al periodo tolemaico, insieme ai quali è stata rinvenuta una parte di iscrizione dedicata ad una Cleopatra. Gli altri pezzi architettonici riguardano alcune colonne in granito ed alcune basi su piedistalli in marmo o nel calcare sopra citato, del tipo noto a S.Mena e a Saggara (cfr. cat. nn. 744-762). Elenco

Calcare bianco. cm. 15.

dei materiali.

1042.

Rocchio di colonna.

(Tav.

in quanto la super-

(Tav.

112)

1044.

vi è al centro

una

cavità

Rocchio di colonna.

Sul piano superiore sono visibili due incisioni perpendicolari che si originavano dagli angoli del blocco: forse si tratta delle bisettrici del piano superiore dell'abaco. Blocco iscritto. (Tav.

112)

Il blocco è scheggiato sul retro in corrispondenza degli spigoli superiori. Calcare nummulitico. Alt. cm. 126; lati cm. 57 x 41,5.

prima

Calcare bianco. Alt. cm. 71; diam. mass. cm. 84.

1045.

Blocco frammentario forse da capitello dorico.

Il blocco, a forma parallelepipeda con la superficie leggermente picchiettata, presenta lungo il borde superiore e agli inizi del terzo inferiore due strisce allisciate: sulla

Scheggiata buona parte del tronco.

Sull’attuale piano cavità quadrangolare.

1051.

1052.

sup. cm. 90.

Sull’attuale piano superiore quadrangolare di cm. 13 x 11.

scanalature

Calcare bianco. Alt. cm. 37; largh. mass. cm. 62.

Consumate in superficie alcune delle scanalature. Calcare bianco. Alt. cm. 68; diam.

cm. 46; largh.

Tagliato irregolarmente su tutti i lati.

Va rilevata la concavità poco accentuata delle scanalature. Su uno dei piani di posa vi è una cavità quadrangolare al centro. Rocchio di colonna.

cm. 32; largh. mass.

112)

Resta visibile solo l’attacco di alcune scanalature, ficie è quasi del tutto scheggiata. Calcare bianco. Alt. cm. 69; diam. cm. 86.

1043.

Alt.

superiore

è

visibile

è inciso

al

centro

K

AEO

IT A[TP

A],

nella

una 1053.

Rocchio di colonna. (Tav.

il nome

striscia inferiore K L. Colonna.

(Tav.

112)

Manca la parte inferiore.

112)

Granito di Assuan. Alt. mass. cm. 299; diam. sup. cm. 60.

Mancante di circa la metà con taglio verticale. Calcare bianco. Alt. cm. 34; diam. mass. cm. 81.

1054.

Si conserva parte del rivestimento di stucco nelle scanalature la cui superficie è lasciata a gradina per favorire l'allettamento.

1055.

1046.

Rocchio di colonna.

(Tav. 112)

Ne resta circa un terzo con taglio verticale sul retro, scheggiata la superficie di due delle cinque scanalature che si conservano. Calcare bianco. Alt. cm. 33; diam. mass. cm. 65; largh. scanalature cm. 15.

E visibile parte del rivestimento di stucco delle scanalture. 1047.

Rocchio

di colonna.

Resta meno di un quarto del rocchio, parte scheggiata.

con le scanalature visibili nella

Calcare bianco. Alt. mass. cm. 31; largh. mass. cm. 71.

1048.

Rocchio di colonna.

(Tav.

1049.

Rocchio

1050.

Rocchio

di colonna.

1056.

Base su piedistallo. (Tav.

112)

Scheggiature agli spigoli.

Marmo proconnesio. Alt. cm. 60; lati inf. piedistallo cm. 45 x 45; diam. sup. base cm. 33. Molto

simile ai cat. nn.

1057.

Base su piedistallo. (Tav.

738-749.

112)

Molto simile all'esemplare precedente. 1058.

cm. 63.

di colonna.

Scheggiata la superficie e mancante piü di un terzo del tronco.

542

Frammenti

Restano tre tronchi frammentari. Marmo bianco. Diam. rispettivamente cm. 24, 23, 23,5, 23,5.

sup. base cm. 36. 15.

di colonna.

Frammentaria e scheggiata tutta la superficie. Calcare bianco. Alt. mass. cm. 35; largh. mass.

di colonna.

Lievi scheggiature agli spigoli e sui bordi. Calcare bianco. Alt.cm. 68; lati inf. piedistallo cm. 39 x 39; diam.

112)

Resta circa metà del rocchio. Calcare bianco. Alt. cm. 35, largh. scanalature cm.

Frammenti

Restano quattro tronchi frammentari. Granito di Assuan. Diam. rispettivamente cm. 37,5, 34, 33, 33.

Base su piedistallo. (Tav.

112)

Lievi scheggiature.

Calcare bianco. Alt. cm. 46; lati inf. piedistallo cm. 38 x 38; diam. sup. base cm. 34. Molto

simile al cat. n. 758.

Se fino a pochi decenni fa l'interesse prevalente degli scavatori e degli studiosi era stato rivolto ai monumenti di età o di tradizione

gitto («copta»),

faraonica,

alla problematica

ultimamente

si è potuto

dell'arte

alessandrina

verificare un maggiore

e all’architettura

e all’arte

cristiana

dell’interno

dell’E-

interesse anche per i resti architettonici e della cultura

materiale di età imperiale e di tradizione greco-romana: in particolare si ricordano i lavori delle missioni inglesi ad Hermoupolis Magna (Ashmunein), degli Italiani ad Antinoe, dei Polacchi a Kom el Dik in Alessandria e ad Athribis, degli Egiziani a Marea, dei Francesi a Dendera, Luxor e nel Mons Claudianus, dei Giapponesi ad Akoris, e ancora dei Tedeschi a S. Mena, Saqqara e Bawit. Se per Alessandria permane l’impossibilità di ricostruire le scelte architettoniche dei suoi edifici in età romana, in molte altre città i monumenti superstiti ci hanno potuto fornire informazioni sulle forme dell’architettura ufficiale e privata dell'Egitto imperiale. Tra l’altro in Egitto lo studio delle testimonianze architettoniche, dipendenti o influenzate, in maggiore o minore misura, dalla tradizione greco-ellenistica prima e romano-orientale poi, si inserisce nella problematica storica più ampia del rapporto tra i diversi elementi della popolazione egiziana. Ci si riferisce in particolare agli elementi greci: attraverso i papiri e le iscrizioni è nota l’insistenza con cui essi rimarcavano la loro origine, ad esempio per mezzo della conservazione, nell’onomastica, di un riferimento alla nazionalità originaria greca, e ciò anche dopo che diverse generazioni erano nate e vissute in Egitto!. Le loro forme di associazione intorno ai ginnasi, nelle metropoli dei nomoi, erano un modo per distinguersi dalle popolazioni autoctone egiziane, anche per conservare gli sgravi fiscali ad essi garantiti dalla loro origine?. Da qui evidentemente l’importanza del ritrovamento nei vari siti egiziani, e non solo ad Alessandria, di edifici o anche,

in mancanza

di meglio,

solo

di parti della loro decorazione

architettonica nella tradizione

greco-ellenistica;

da qui

ancora l’utilità di registare i momenti o le situazioni in cui questa tradizione si mostra più aperta ad accogliere invece elementi egiziani, o ancora quando la tradizione faraonica predomina all’interno dell’architettura religiosa e funeraria di età

tolemaica e romana: si deve cercare di individuarne le cause o almeno di stabilire un collegamento con i complessi processi sociali e storici nati proprio dalla coesistenza di così diverse componenti umane e culturali. Certamente un ruolo essenziale ebbe anche il potere centrale, per i suoi interventi tesi alla promozione e al controllo dei rapporti tra le parti greche ed egiziane della popolazione: è noto come i Tolomei avessero un rappresentante, l’epistates, in ogni santuario egiziano, con il compito di controllare l’amministrazione dei possedimenti dei templi, e come dal II secolo a.C. l’indebolimento della monarchia, a causa delle continue crisi dinastiche, abbia spinto i sovrani a migliori rapporti con la potente classe sacerdotale, attraverso donativi e concessioni di asylia e a utilizzare elementi della popolazione egizia nell'esercito?. È probabile che tale cambiamento di attitudine abbia anche avuto un riflesso nell'attività architettonica, ed è ciò che appunto si cercherà di mettere a fuoco nelle pagine seguenti, dato il ruolo che l’architettura ha sempre avuto di specchio delle realtà sociali e dei meccanismi del potere: ciò anche attraverso i messaggi ideologici connessi alle forme architettoniche (è stato affermato che negli edifici pubblici spesso l’ornato architettonico e scultoreo ne definisce la funzione simbolica‘) e al rapporto tra i diversi edifici all’interno del tessuto urbano delle singole città. Ed è in questa direzione che andranno interpretate, come vedremo, la presenza di sale con elementi di architettura greco-alessandrina (cat. nn. 119, 705-707) lungo il dromos che conduce al tempio del dio-coccodrillo a Tebtynis, la costruzione di un tempietto pseudoperiptero tetrastilo non lontano dal tempio in stile faraonico di Dionysias, o, ancora, la collocazione di un tempio prostilo tetrastilo dedicato al culto di Augusto all’interno del grande complesso faraonico di Philae (Fig. 1). Dal nostro lavoro è emersa tuttavia chiaramente una particolare scarsezza di strutture monumentali civili di età romana costruite con materiali durevoli e provvisti di elementi dell’elevato nella tradizione dell’architettura ufficiale imperiale: insomma, da un punto di vista quantitativo il maggior numero dei pezzi architettonici esaminati in questo lavoro ap-

ΒΡ. GRENFELL, A.S. HUNT, Hocart D.G., Fayum Towns and Their Papyri, London 1900; P.M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972; cfr. D.J. CrawroRD, Kerkeosiris. An Egyptian Village in the Ptolemaic Period, Cambridge 1971.

2 J. DELORME,

Gymnasion,

Etude sur le monuments

consacrés à

l'éducation en Gréce, Paris 1960, passim. *O. MontEveccHI, La papirologia, Torino 1973, p. 141; cfr. J.A.S. Evans, in YaleCiSt, 17, 1961, pp. 143-283; N. Lewis, Life in Egypt under Roman Rule, Oxford 1983.

* P. Gros, in JdI, 102, 1987, p. 339 ss.

545

partengono

tolemaico

al periodo

mentre

e a quello bizantino,

molto

numerosi,

meno

anche

se chiaramente

attestati,

sono i

materiali architettonici del I-II secolo d.C. È per questo che si ritiene utile premettere a queste conclusioni una breve disamina storica dell'Egitto romano, ripresa dal lavoro di A.K. Bowman «Egypt after the Pharaons», che serva ad inquadrare le note che seguono riassumenti i risultati di questo lavoro. Dopo l'assunzione dell'Egitto a provincia romana ed il suo particolare stato giuridico («kratesis» dell'imperatore), iniziò un processo di cambiamento interno in molte delle istituzioni sociali ed amministrative: infatti l'urbanizzazione del paese era inferiore rispetto a quella di altre monarchie ellenistiche assoggettate a Roma, e ciò richiese, come è noto, da parte del governo romano un trattamento diverso (sistema monetario chiuso, ecc.). L'Egitto rimase insieme all'Africa, fino alla fondazione di Costantinopoli, uno dei principali fornitori di grano per Roma. Vi venivano prodotte anche merci di lusso (vetri e faiances) e alcune delle pietre colorate più utilizzate nell'architettura imperiale (colonne, lastre di rivestimenti)

e in parte

nella scultura,

anche

fettura egiziana fosse di rango

essa ebbe

basalto,

(graniti, porfidi,

solo di Roma

non

equestre,

importanza

basanite,

strategico

per il ruolo

alabastri).

dell’Egitto:

prima volta proclamato imperatore ad Alessandria dal prefetto Tiberio Giulio Alessandro,

la pre-

Nonostante

Vespasiano

fu per la

originario della città stessa e

membro di una grande famiglia giudea. Avidio Cassio, che nel 175 si fece proclamare imperatore, era figlio di un prefetto probabilmente nato ad Alessandria. Nel II secolo comunque l’evento più grave rimase quello della rivolta giudaica (115-117), diffusasi, dopo l’apparizione di un messia a Cirene, non solo in Egitto ma anche a Cipro ed in Mesopotamia; l’avvenimento invece più importante, dal punto di vista dell’attività edilizia ad Alessandria ed in Egitto, fu la visita, nel 130-1, per 8-10 mesi dell’imperatore Adriano e di questa visita echi importanti furono probabilmente la ricostruzione del Serapeo ad Alessandria, gli importanti interventi edilizi ad Hermoupolis Magna e la fondazione della città di Antinoe. Nel III secolo, a parte l’episodio dell’eccidio, nel 215, dei giovani alessandrini da parte di Caracalla, offeso per l'allusione sull’assassinio del fratello, il fatto politico più significativo si verificò con la caduta del paese in mano a Zenobia e

al figlio Vaballathus tra il 270 ed il 272. La vittoria su di essi di Aureliano fu tra l’altro ricordata dalla presentazione all’imperatore di una statua d’oro della Vittoria da parte della città di Ossirinco, di cui resta testimonianza nei papiri. La vicenda palmirena fu anche possibile per il generale indebolimento del potere imperiale a partire dalla metà del III secolo: se non è sicuro l’episodio del mercante alessandrino Firmus, che sarebbe stato proclamato imperatore poco dopo la sconfitta di Zenobia,

sono

certe

le rivolte

interne

del 293-94,

quando

Galerio

in persona

distrusse

la città di Coptos,

e del

297-98, quando un nuovo usurpatore, Lucio Domizio Domiziano, controllò l’Egitto per circa un anno, costringendo Diocleziano ad essere presente alla caduta di Alessandria assediata per otto mesi. Diocleziano tornò quattro anni dopo ad Alessandria, poco prima della grande persecuzione dei cristiani e sembra essere stato l’ultimo imperatore che, durante il suo regno,

visitasse l’Egitto.

Nel

313,

dopo

poco

la fine della persecuzione

contro i cristiani,

iniziò un nuovo

sistema

di

calcolo e di raccolta delle tasse, secondo cicli di quindici anni, detti indizioni, e già nel 296 era terminata la separazione del sistema monetario egiziano da quello dell’impero (cessazione dei tetradrammi alessandrini). Questi fatti, insieme alle conseguenze dovute alla fondazione di Costantinopoli, che determinarono l’invio del grano egiziano non più a Roma ma alla nuova capitale, sono tra le cause del più importante ruolo politico dell’Egitto in epoca tarda, ora maggiormente integrato alla struttura amministrativa dell’impero: ciò è certamente alla base del massiccio aumento di testimonianze dell’architettura ufficiale, proprio a partire dall’età costantiniana, documentato dalle centinaia di capitelli marmorei e colonne di marmo e di pietre colorate del tardo IV secolo e bizantini reimpiegati nella moschea del Cairo ma provenienti quasi certamente da Alessandria, che implicano un’intensa attività d’importazione di materiali marmorei da Costantinopoli, dalle cave del Proconneso, della Troade, dell’Eubea ecc. L’altro grande cambiamento è costituito dalla rapida diffusione del cristianesimo che divenne una potente organizzazione in grado di influenzare e modificare le istituzioni politiche durante tutti i tre secoli, dalla morte di Costantino all'arrivo degli Arabi nel 641 d.C. (all’8 novembre risale la capitolazione di Alessandria). I patriarchi di Alessandria furono al centro delle lotte politiche sia in rapporto all’Egitto stesso, dove la Chiesa egiziana ebbe spesso un ruolo mediatore tra

Alessandria e l’interno, rispettivamente eredi dell’«ellenismo» e della tradizione egiziae rispettivamente esponenti dell’architettura ufficiale bizantina e di un’architettura religiosa locale in cui si amalgano le componenti bizantine e quelle tradizionali egizie, tolemaiche

e romane.

All’interno di questa situazione storica si inserisce la problematica sulla distribuzione delle città e di importanti insediamenti abitativi in Egitto, in rapporto alla loro continuità o meno in età imperiale: è da ciò che si può avere un quadro in cui inserire il valore da attribuire alle testimonianze architettoniche superstiti degli elevati degli edifici, che sono stati

presentati in questo catalogo. Infatti il numero ristretto di località che conservano capitelli ed altri elementi dell’elevato attribuibili all’architettura ufficiale imperiale anche

nell’interno),

rispetto

al gran

numero

(quale era recepita da Alessandria) delle

città ed anche

chiarire il rapporto della provincia dell’Egitto e l'impero. Rifacendosi ai lavori in questo campo del Mansuelli, rimase

condizionata

dalla

valle

del

Nilo,

il cui

corso

dei santuari

osserviamo

costituiva

l’asse

e a quella di tradizione tolemaica

della tradizione

faraonica,

(viva

contribuiscono

a

che anche in età imperiale la poleografia egiziana dell’urbanizzazione,

ad eccezione

della

zona

del

Delta, del Fayum, del Sinai e delle grandi oasi: oltre «alla logica tradizionale del popolamento egiziano, in parte naturale ed in parte dipendente dalla dislocazione di santuari di varia importanza» (Mansuelli), si riscontrano ben presto in età tolemaica e imperiale modelli di urbanizzazione diversi. Nel Basso Egitto, Sennytos, Sais, Buto, Tanis e Heroonpolis, citiamo alla base del Delta

oltre a Naucratis, Terenuthis, Heliopolis, Busiris, Athribis e Leontopolis, quest’ultima colonia mili-

tare giudaica dell’età tolemaica, distrutta nel 73 d.C. da Vespasiano. Ad Athribis fu ricostruito in età imperiale il tempio BN di Horus, è stato scavato un grande complesso termale ed era noto un tetrapilo dedicato a Valente. Con il Delta è con546

nessa la zona dello stretto, importante anche se l'istmo non venne attuato: un ruolo militare ebbe la città di Pelusium con

grande cinta muraria (Adriano vi restauró il tempio di Zeus Kasios); sulle coste occidentali dello stretto vi era un sistema di porti con Arsinoe (presso Suez) e Clysma, entrambe importanti per i viaggi di esplorazione nel Mar Rosso. L'area ad ovest del Delta presentava un numero minore di città tra cui Taposiris Magna, Antiphrae, Derris, Catabathmos Maior. Il porto princiale della zona, in uso per tutta l'età imperiale, era Paraetonium (Marsa Matruh), che veniva anche chiamata Ammonia in quanto vi si originava la strada piü breve per l'oasi di Ammone. Tra le grandi oasi dell'Egitto occidentale (Bahariya, Kharga), al confine con la Libya, quella di Siva, o di Ammone per la presenza del famoso santuario, conserva resti

di costruzioni

romane

anche

monumentali,

sia civili

sia funerarie

(tomba

di Gebel

el Mutah),

che

testimoniano

la

continuità del traffico carovaniero e la sua importanza economica. In collegamento con la zona immediatamente precedente al Delta erano: Babylon con un'importante fortezza e unita alla piccola isola di Rodah (con il famoso nilometro); Memphis, ancora frequentata per il Serapeo e con l'importante necropoli tardo-romana di Saqqara; infine la serie di piccole città e villaggi intorno al lago Moeris (Fayum) note per i fortunati ritrovamenti di papiri, e a causa di ciò mal scavate nei primi decenni del secolo (Filadelfia, Bacchias, Socnopaiou-

Nesos, Dionysias, Euhemeria, Teadelfia, Kerkeosiris, Tebtynis, Heracleopolis Magna, la capitale Arsinoe/Crocodilopolis,

Ptolemais-Hormou, Karanis). Si tratta di città spesso di fondazione tolemaica, quasi sempre sviluppate intorno al santuario principale dedicato al dio coccodrillo a cui si accedeva con il consueto dromos, e spesso conservanti le tracce di un'urbanizzazione a impianto ortogonale di tipo ellenistico (Filadelfia [Fig. 58], Tebtynis, Dionysias). Nel Medio Egitto vi è ancora Hermoupolis Magna, dove è stato riconosciuto un importante asse urbanistico costituito da una grande via colonnata trasversale Est-Ovest (la via Antinoitica) rispetto a cui è perpendicolare il dromos del tempio di Thot-Hermes (Fig. 146). Ancora intorno ad una via principale colonnata e a due vie perpendicolari ad essa, emergenti rispetto al sistema viario che rispecchia l’ordinamento

ortogonale

ad insulae regolari è Antinoe,

la cui fondazione

servì

a rafforzare il nucleo

ellenistico della popolazione anche attraverso il trasferimento di nuclei da Ptolemais: la città, con porto sul Nilo, faceva capo alle vie carovaniere verso il Mar Rosso, e richiama nella sua urbanistica e architettura le città microasiatiche e siriane (Fig. 178). Più a Sud, sempre sul Nilo, vi erano Lykopolis (Asyut) ancora importante in epoca tardo-antica, Panopolis, nota per la produzione di tessuti e la lavorazione della pietra, Afroditopolis e Ptolemais, questa fondata dai Tolomei con lo scopo di esercitare attraverso la sua popolazione greca un controllo in questa zona: doveva essere dotata di un impianto urbanistico regolare ed essere sede di vari edifici pubblici, come il teatro e il pritaneo. Seguono più a Sud, sempre lungo il Nilo, altri centri, ugualmente con importanti fasi in età imperiale: Abydos, Diospolis Parva, Tentyra (Dendera), Coptos importante nodo stradale per le vie verso il Mar Rosso e la zona mineraria e delle cave orientali e ricostruita da Diocleziano dopo la distruzione della fine del III secolo, Hermonthis, Diospolis Magna (Karnack), Latopolis, Hieraconpolis, Apollinopolis Magna (Edfu), Ombos e Syene, presso la prima cataratta. Lungo il Mar Rosso vi era a nord il porto di Myos Hormos, in collegamento con Antinoe e con Coptos, a sud forse Philotera e sicuramente Leukos Limen (Qoseir), collegato nuovamente con Coptos e a sud conApollinopolis; più a sud ancora Berenice, presso il Capo Bonas, non solo porto ma anche stazione militare e centro del culto della dea del Mons Smaragdus (Gebel Hameta), in quanto era presso le cave di pietre e le miniere di smeraldo e di autrifodine. Questo monte, il Mons Claudianus (Gebel Fatireh), il Mons Porphyrites (Gebel Dokan), lo Umm Torwat, lo Umm Balad, lo Wadi Hammamath, lo Wadi Barud e lo Wadi Furaki,

località tutte nel deserto

orientale,

costituivano

la zona

mineraria

principale,

sfrutta fin dall’epoca

faraonica;

essa

era percorsa da una serie di vie principali e di piste e da una rete di stazioni di sosta, spesso caratterizzate dalla presenza di un fortino, disposte secondo la distanza giornaliera percorsa dalle carovane provenienti dai porti del Mar Rosso e dalle spedizioni per il trasporto delle pietre e dei vari minerali. Come abbiamo visto nella parte iniziale di questo lavoro tra le testimonianze principali dell’architettura imperiale romana vi sono proprio le fortezze (Figg. 17-27), oltre agli edifici termali, mentre di altri tipi monumentali come gli archi, i teatri, i resti sono limitati a pochi casi: da qui nuovamente l’importanza dello studio di elementi dell’elevato architettonico, come basi, colonne e capitelli, anche quando non sia noto con precisione il contesto originario.

II Ma lo studio dell'architettura greco-romana in Egitto e della sua decorazione può portare un contributo ad un altro dibattuto problema: è noto come Alessandria, insieme ad Antiochia, con la quale ha in comune la scarsità di resti archeologici nonostante l’importanza in epoca antica, sia stata uno dei più significativi centri del mondo ellenistico. Data appunto questa importanza, ci si è spesso chiesto se, nell’ambito dell’«arte alessandrina» anche l’architettura abbia avuto caratteristiche specifiche e se abbia esercitato influssi in qualche modo apprezzabili sull’architettura tardo-ellenistica, quale

poi fu ripresa

a Roma.

centri occidentali,

Pare ormai assodato che l’impiego in età imperiale, negli Isei noti

del frontone

con

timpano

arcuato

e, più in generale,

a Roma,

la diffusione di questa forma,

a Porto e in altri derivino

soprattutto

dall’ambito dell’architettura greco-egizia, quale si era ormai codificata nel II secolo a.C.° (si è discusso se il più antico esempio noto sia dato da una statuina fittile di Arpocrate all’interno di un tempietto con timpano circolare, trasportato da

? W.

WeBER,

Ein Hermes-Tempel des Kaiser Marcus

(Sitzungsberi-

chte Akademie), Heidelberg 1910, n. 7; P. onore A. Adriani, I, Roma 1983, I, p. 106.

PENSABENE,

in

Studi

in

547

di un elefante, che è stata rinvenuta nella tomba 1 di Mustafa Pascià, del ΠῚ secolo a.C.; non è noto tuttavia il contesto tardi)°. più materiali anche provengono tomba questa da e statuina rinvenimento della Ancora in esame è il rapporto tra numerosi motivi decorativi e architettonici rappresentati nelle pitture di II e III stile e l'architettura alessandrina?: ad esempio nelle necropoli di Hadra* e di Shiatbi, del III secolo a.C.?, compaiono fondi prospettici che hanno riscontri nella finta porta del grande oecus della Villa dei Misteri e in quella di Boscoreale a Pompei (si vedano gli studi del Beyen e del Lehmann). Altre testimonianze pittoriche, sempre di età ellenistica, si tro-

vano nell’ipogeo di Sidi Gaber!! con pilastrini dell’ordine superiore della parete risaltanti sul cielo o con la rappresentazione di un porticato in prospettiva che ritorna nella porta di loculo di Helixo, trovata a Hadra! (Fig.

109).

Da tutto ciò risulta comunque che nella pittura pompeiana sono testimoniati molti motivi architettonici presenti in pitture e altre rappresentazioni alessandrine; così ancora le colonne con basi d’acanto impiegate in portici o in tempietti, note già dall’età ellenistica ad Alessandria su alcune lastre di chiusura di loculi riproducenti tempietti ed in numerosi esemplari di tombe e sporadici! (cat. nn. 779-789). Queste colonne non sono da confondere con le colonne d'acanto isolate, a scopo votivo o funerario e con il significato simbolico di rappresentazione di divinità con aspetti ctonii, quale la colonna di Delfi, riferentesi all'Apollo Pitico, o quella di Pratomedes a Cirene, sempre riferita ad Apollo 14. infatti ad Alessandria le colonne con basi fogliate nascenti dalla base stessa intagliata insieme all’imoscapo, sembrano derivare invece dall’architettura faraonica, dove sono spessissimo impiegate colonne avvolte da foglie ^. Così ancora, compare nella pittura pompeiana, ad esempio nel cubicolo della Villa di Boscoreale, la tholos con fron-

e propilei! e il motivo si ritrova nella necropoli di Mustafa Pascià, della fine del III —

tone «barocco» secolo

è noto,

(come

a.C.!

una tholos è inoltre descritta da Atheneus

nella nave di Tolomeo

inizi del II

(221-205)

Filopatore

sul

ponte superiore, con lo scopo di ospitare una statua di Afrodite)'*: apparentemente anche il collegamento, visibile nei propilei della tholos di Boscoreale, della metà inferiore delle colonne e dei pilastri laterali con un muro, che rappresenta un motivo tipico del II stile, si riscontra in numerosi templi, nella tradizione faraonica, di età tolemaica, quali quelli di Philae, Edfu e Dendera’’. Una definizione precisa di questi influssi alessandrini non è, come è risaputo, possibile, in quanto della città antica, oltre a strade,

canali e pochi resti,

non è stato portato quasi nulla alla luce.

Di conseguenza

ci si deve riferire alle forme

architettoniche degli edifici funerari di Alessandria — che però rispecchiano per certi aspetti soprattutto abitazioni private — per tentare di definire almeno alcuni dei caratteri di questa architettura; e ancora, come mi suggerì Achille Adriani, era necessario percorrere la strada della redazione di «cataloghi ragionati» di tutti i materiali architettonici greco-romani conservati nei vari musei egiziani. Infatti, se anche questi materiali sono il più delle volte privi di dati precisi sulla provenienza, la loro sistemazione cronologica e stilistica consente di restituire ad essi un significato specifico nella storia dell’architettura. Ancora era utile prendere in considerazione tutte le rappresentazioni di architetture greco-egizie a disposizione, come quelle offerte dalle monete, dai vetri, dalle tessere di gioco”, dalle stele funerarie, dalle già citate terracotte con tempietti (Tavv. 117, 118), comprendenti anche le lucerne, ecc. In questa direzione sono state già studiate alcune lastre di chiusura di loculi rinvenute nelle necropoli alessandrine (Tav. 116,9) e sulle quali erano scolpite a rilievo o riportate in stucco rappresentazioni di edifici religiosi con carattere funerario?!. Da questo studio si sono potuti ricavare alcuni indizi che riguardavano proprio la grande architettura religiosa di Alessandria. Emergevano due dati, confermati anche dall'analisi delle monete con rappresentazioni architettoniche fatta da Susan Handler: il primo riguardante il periodo primo-ellenistico, fino agli inizi del II secolo a.C., in cui l’architettura o era nella tradizione greco-ellenistica, come il Serapeo,

dunque

Memphis

seconda

della

le due

tradizioni

metà

del

HI

coesistevano

secolo,

o in quella

eccessivi

senza

faraonica,

scambi

cone

e lo stesso

il tempio

di Iside,

si doveva

verificare

noto

da

altrove,

monete;

l'emiciclo di tipo greco con statue di poeti e filosofi costruito accanto al tempio di Nectanebo”.

in esso

a

mostra

come

Successiva-

mente sempre maggiori divengono i reciproci influssi, ed anzi, a giudicare dalle architetture riprodotte nelle lastre di chiu-

6 ADRIANI, in Annuaire, 1933-35; LYTTELTON, Baroque Architecture, p. 45. ? Cfr. K. ScHEFOLD, in Neue Forschungen in Pompeji, Recklinghausen 1975, p. 55 ss. e bibl.cit. (in particolare Studniczka e Friedlander).

* Cancelletto di legno tra due pilastri, tra i quali è teso un semplice festone dipinto su una porta di tomba: ADRIANI, Repertorio, n. 68,

nn.inv. 3788, 3825, 3848, 3859, 25668.

^ E. Di Fuirro BALESTRUZZI,

? Finta porta con frontone a timpano e battenti decorati a squame, al di là di un'apertura quadrata incorniciata di finto alabastro; ADRIANI, Die pompejanische

Wanddekoration von zweiten bis

zum vierten Stil, Y, Den Haag 1938; P. LEHMANN, Roman Wall Painting from Boscoreale in the Metropolitan Museum of Art, Cambridge (Mass.) 1953, tav. 8; cfr. PAGENSTECHER, Nekropolis.

! ADRIANI, Repertorio, pp. 115, 138-139, n. 88, tav. 60, fig. 210. 7 ADRIANI, Repertorio, p. 115, tav. 38, fig. 36. PENSABENE,

in

Studi

in

onore

A.Adriani,

I,

Roma

1983,

tav. 11, figg. 3,5,6; per le basi con acanto del museo di Alessandria v.

548

n. 1). 15 ATENEO,

Deipnos., V, 204d-206c.

?L. BorcHaRDT, Agyptische Tempel mit Umgang, Kairo 1938; I.

Repertorio, n. 68, tav. 37, fig. 131.

13 p.

ὃ,

! ADRIANI, Repertorio, pp. 129, 132, n. 83 (ambiente 3 dell’ipogeo

tav. 38, fig. 140.

? H. BEvEN,

L. GASPERINI, in QuadALybia,

1976, pp. 109-191; cfr. P. PENSABENE, in ACI, 34, 1982, pp. 58-59, nota 82, tav. 46. 15 JEQUIER, Manuel. 16 P, WILLIAMS LEHMANN, Roman Wall Paintings from Boscoreale in the Metropolitan Museum of Art, Cambridge (Mass.) 1953.

NosHy, The Arts in Ptolemaic Egypt, Oxford 1937, p. 66 ss. 2 A. ALFOLDI, in JbAntCh, 8/9, 1965-66, p. 66; A. EL-MOSSEN Er-KHasHaB, in Mélanges K.Michalowski, 1966, p. 11 ss.; E. ALFOLDI-

ROSENBAUM, in Chiron, 6, 1976, p. 205 ss. 21: P. PENSABENE, in Studi in onore A.Adriani, 2 S. HANDLER, in AJA, 75, 1971, p. 57 ss.

2 J. PH. LAUER, peum de Memphis,

I, Roma

1983.

CH. PICARD, Les statues ptolémaiques du Sera-

Paris

1955, tav. 27.

sura, finisce per prevalere il tipo architettonico dei grandi templi egiziani, a cui si sovrappongono, soprattutto nei particolari della decorazione architettonica, influssi greci, come testimonia ad esempio la presenza di kymatia ionici e di dentelli

nella trabeazione ^. Gli impianti architettonici tardo-ellenistici e primo-imperiali nelle città del Fayum, di templi, portici e sale per riunioni organizzati lungo il dromos, cioé la strada della processione sacra, rivelano la costruzione di nico (d'altronde la divinità principale era il dio-coccodrillo) e invece di portici e sale colonnate con greci tradizionali. A Tebtynis (Urn el-Breigat) è stato scoperto il santuario di Sekhnebtynis, cioè l'antica città, al cui tempio in blocchi di calcare conduceva un dromos quasi esattamente orientato

templi in stile faraol'impiego degli ordini il dio-coccodrillo delda nord a sud, lungo

più di 100 metri, largo m. 6,50 e pavimentato in calcare; esso era costeggiato da leoni e da sfingi e nel primo tratto vi si aprivano quattro edifici in mattoni crudi a destinazione rituale e perfettamente identici, forse destinati al servizio degli oracoli e datati in epoca romana, e ancora una sala di età tolemaica con grande peristilio e nicchia absidata al centro di uno dei lati: vi sono usati basi attiche, colonne, pilastri angolari con due semicolonne addossate a cuore (Tav. 113), dal caratteristico risparmio delle scanalature nel quarto inferiore, e capitelli ionici (cat. nn. 119, 705-707)?; lungo la via seguivano altri ambienti pubblici rettangolari con banconi lungo le pareti, interpretati come deipneteria, cioè sale per banchetti da cui si poteva anche assistere alla processione. A Dionysias (Qasr Qarun) sono stati rinvenuti un frammento di portale con soffitto della cornice decorato con rombi (cat. n. 983) e ancora cornici con mensole «a travicello» (Fig. 140), reimpiegate nella sala basilicale della fortezza dioclezianea, secondo noti tipi alessandrini, e in questa città, contrapposto assialmente al tempio di Sobek, vi è un padiglione, in origine forse circondato di colonne (un komasterion?), e, a circa 40 metri da questo, un piccolo tempio in mattoni di età imperiale, forse dedicato a Serapide, con abside sulla parete

di fondo della cella dalla volta a botte e con semicolonne e quarti di colonne addossati all'esterno (Tav. 121,4-6), apparentemente nell'imitazione di un tempietto pseudo periptero?Ó: in entrambi i centri, tuttavia, i templi costruiti o ampliati in età

tardo

tolemaica

e romana

sono

nella

tradizione

faraonica

(Tav.

121,1,2),

e lo

stesso

avviene

a Soknopaiou

Nesos

(Dimai), a Theadelphia (Batn Herit)?, a Narmouthis (Medinet Madi)?*, a Karanis? (Tav. 120), a Bacchias, ecc. Citiamo ancora il caso di Hermoupolis Magna (El-Ashmunein), dove il grande santuario tolemaico con tempio forse ionico, o meglio corinzio, dato il numero di capitelli conservatisi (cat. nn. 43-47), era inserito in un recinto rettangolare (Figg. 148, 149) con portici dorici e propileo ionico: forse nuovamente un Serapeo, esso risale al 246-226 (data l'iscrizione dedicata a Tolomeo III Evergete e alla moglie-sorella Berenice). Ad Apollinopolis Magna (Edfu) sono conservati nel lapidario del grande tempio di Horus numerosi capitelli corinzi di stile alessandrino (cat. nn. 271, 296-298), provenienti da un edificio sconosciuto. Nelle due città di antica fondazione faraonica, dunque, sono presenti templi e portici costruiti nella tradizione greca, con l'impiego di capitelli dorici, ionici e corinzi, accanto a templi del piü puro stile farao-

nico, come quello di Horus a Edfu?', o di Thot-Hermes nel «dominio sacro» di Hermoupolis Magna”. Lo stesso doveva avvenire

a Ombos

(Kom

Ombo)

dove

oltre al grande

tempio

di fondazione

tolemaica,

ma

architettonicamente

nella tradi-

zione faraonica, dedicato a Horus e Sobk (Tolomeo VIII Evergete II e Tolomeo Neos Diònysos), dovevano esservi edifici di tradizione greco-ellenistica, come mostrano capitelli, cornici e diversi elementi di fregio dorico conservati nel lapidario all'interno del tempio (cat. nn. 272, 950).

^ Sui

caratteri

generali

lomei, v.da ultimo M.A.

dell’architettura

ELvIRA

BARBA,

alessandrina

sotto

El Alejandrinismo,

i To-

Tesi Doc-

toral, Universidad Complutense de Madrid, 1981, p. 147 ss. % C.

ANTI,

in

Atti

Reale

Istituto

Veneto,

90,

2,

1930-31,

architettonici ionici sono cinque

capitelli molto rovinati e sette fram-

menti con volute (cat. n. 42), un blocco sagomato a gola rovescia (ora incassato nel muro della Basilica immediatamente a est della fontana to-

lemaica), blocchi con rosette, con mensole ed altri con doppio rivesti-

p. 1060 ss.; 91, 1931-32, p. 1183 ss.; G. BAGNANI, in Cd'E, 15, 1932,

mento

pp. 85-87; cfr. ancora C. ANTI, in Architettura e arti decorative, 10, 1930-31, pp. 97-105; Ip., in Aegyptus, 1931, pp. 389-391; Ip., in Congress, 4, pp. 473-478. % Cfr. J. ScHwARTZ, H. Wi, Qasr-Qarun/Dionysias, 1948, Fo-

possono meglio attribuirsi alla peristasi del Tempio (cfr. HOPFNER, «Zwei Ptolemaierbauten») in quanto i capitelli presuppongono colonne con diametro superiore di cm. 92. Si rinvennero ancora 16 capitelli corinzi di tipo greco-alessandrino (cat. nn. 43-59) e 14 basi con scozia tra

uilles Franco-Suisses,

due tori (cat. n. 60), almeno 67 rocchi di colonna e 21 blocchi di architravi, di cui almeno 6 angolari. I capitelli erano colorati: sullo sfondo rosa, tendente al purpureo del kalathos, le foglie d'acanto erano gialle, le elici blu e rifinite con spirali marroni; gli steli delle volute marroni, ed altri viticci sotto l'abaco blu e verdi. Questi capitelli presuppongono

WiLp,

I, Le Caire

Qasr-Qarun/Dionysias,

1950, p. 7, tav. 5,g-l; SCHWARTZ,

1950,

Fouilles

Franco-Suisses,

II,

Le

Caire 1969, p. 19, fig. 9, tav. 3; cfr. anche A.M. Bapawy, in Gazette des Beaux Arts, 72,

1968, pp. 251-254.

27 Breccia, Monuments, p. 87 ss. 2 A. VAGLIANO, in ASAE, 39, 1939, p. 687 ss.; E. BRESCIANI, Missione di scavo a Medinet Madi, Rapporto preliminare pagne di scavo 1966-1967, Varese 1968 e bibl.cit.

delle

cam-

2 Cfr. A. Boax, E. PETERSON, Karanis. Topographical and Architectural Report of Excavations

during

the Seasons

1924-28,

Ann

Arbor

di stucco bianco: più che al propileo della corte,

questi elementi

colonne dal diametro superiore di cm. 82 ed è possibile fossero collocati all’interno della cella del tempio (ricordiamo che da Arorr.

RH., frg. 1

(POWELL), si ha la notizia che il tempio di Serapide a Canopo era probabilmente

costruito con colonne

corinzie già nel IN secolo a.C., e che

forse anche il Serapeo di Alessandria,

costruito da Tolomeo

ΠῚ Ever-

cristiana furono liberati i resti di almeno quattro costruzioni, tra cui un tempio e una corte porticata con entrata monumentale a propilei: furono

gete, era corinzio: cfr. P.M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972, p. 266, nota 634). Sull'uso dell'ordine corinzio nei templi v. B. WESENBERG, Beitrage zur Rekonstruktion grieschischen Architektur nach literarischen Quellen, (Beih. 9 AM), Berlin 1983, p. 154, nota 179.

poi rinvenuti circa 26 blocchi in calcare di architrave dorico (cat. n. 63) intagliati con la parte inferiore del fregio (di questi cinque blocchi con

Caire

1931. °° Wace,

MEGAW,

SKEAT, Hermoupolis Magna.

Sotto la Basilica

31 M.

RocHEMONTEIX,

18971934;

S.

E.

CouviLLe,

CHASSINAT, Edfou,

Le

(Guides

Temple

d'Edfou,

Archéologiques

Le

IFAO),

l'iscrizione dedicatoria, cat. n. 62), quattro triglifi (cat. n. 64), frammenti di cornice con mutuli e guttae (gli architravi erano dipinti in rosso, i triglifi in blu, le cornici in rosso e blu), elementi attribuibili alla

Paris 1984, p. 87, sull'estensione:a gran parte dell'epoca tolemaica della costruzione del tempio.

trabeazione esterna della corte, che all’interno era forse porticata. I resti

63.

92 RODER,

Hermopolis;

J. SCHwARTZ,

in Ktema,

2,

1977,

pp. 59-

549

Ciò non stupisce essendo queste città metropoli di nomoi, dove l'elemento greco rimase sempre notevole e distinto da quello egiziano: anzi si può rilevare che in quasi ogni metropoli di nomoi e nei borghi più importanti, come testimoniano papiri e iscrizioni, vi doveva essere non solo il ginnasio (a Luxor, a Ombos, a Theadelphia, a Philadelphia (Darbel-Gerza), a Samoreia nel Fayum ecc.)?, ma anche il teatro, così a Oxyrhynchus e a Tolemais Everghetis/Arsinoitonpolis (Medineth Fayum). ‘Sono, dunque, queste categorie di edifici pubblici, a cui vanno aggiunte le terme, le porte e i propilei monumentali (ed anche le fortezze), ad essere costruiti nella tradizione architettonica greco-romana per tutta l’età imperiale, mentre nel campo religioso i templi sono edificati costantemente nello stile faraonico. Fanno eccezione i Serapei, come è noto dalle fonti per quelli di Alessandria e di Canopo, corinzi, e confermato dai ritrovamenti archeologici, come mostrano il Serapeo periptero di Luxor di età adrianea e i santuari, sempre dedicati a Serapide agli inizi dell’età adrianea, nel Mons Claudianus e nel Mons Porphyrites. Anche due piccoli templi dedicati al culto imperiale, quello di Philae, augusteo, e di Karnak, giulio-claudio, sono nella tradizione greco-romana, o meglio, soprattutto per quello di Philae, greco-alessandrina (v. oltre). Per altri luoghi di culto imperiale più tardi, noti dai papiri, non può escludersi che essi si trovassero all’interno

di templi in stile faraonico, dove gli inperatori erano venerati sotto forme egizie (v. p. 5). Con l’età tardo-ellenistica e imperiale anche i tradizionali elementi architettonici dell’alzato di derivazione greca subiscono trasformazioni per influssi locali, spesso legati al simbolismo religioso: così non è infrequente trovare fregi dorici con il glifo centrale dei triglifi trasformato in un uraeo, in modo che gli altri due glifi laterali assumano l’aspetto di un’e-

dicola, o ancora con le metope riproducenti due o tre portali concentrici di templi egiziani (Theadelphia) (cat. n. 955): era resa in questo modo la prospettiva dei diversi portali posti lungo l’asse di uno stesso tempio, come è consueto nell'ar-

chitettura di stile faraonico*. Va però rilevato che nel periodo imperiale la continua relazione di Alessandria con il Mediterraneo, e soprattutto la presenza in essa del potere centrale amministrativo dell'Egitto, mantennero vive le esigenze di collegamento con l'arte ufficiale di stato, che sempre di più in Oriente era espressa da scuole artistiche microasiatiche. Ciò è mostrato chiaramente dal caso di Leptis Magna, in cui i programmi di rinnovamento della città, in funzione celebrativa di Settimio Severo e della sua famiglia,

furono realizzati da officine asiatiche,

di marmo proconnesio e

tra cui probabilmente

anche

di Afrodisiensi,

e greche,

con l'uso

attico.

La sensibilità di Alessandria verso nuove mode

architettoniche, favorita d'altronde dalla composizione stessa della

popolazione, é visibile in età augustea e nel I secolo d.C. nell'introduzione di tipologie della Grecia in alcuni capitelli corinzi e, dal II secolo d.C., soprattutto dalla seconda metà, nel prevalere di tipi asiatici e poi bizantini, di importazione o rielaborati localmente, nella maggior parte dei capitelli corinzi marmorei di età imperiale del Museo e degli scavi polacchi di Kom

sul mare

el-Dik,

e, per influenza,

o meglio

per l'intervento

o non lontani dalle coste o dal delta, come

te al persistere fino al periodo

diretto

Athribis

di maestranze

alessandrine,

(cat. nn. 381-440).

cristiano nella Tebaide e nella Heptanomia

a S. Mena e

Cid si contrappone

in alcuni

siti

in modo’ eviden-

cioè nel sud e nel centro dell’Egitto,

di

forme architettoniche di tradizione greco-alessandrina dell'età tolemaica, a cui si aggiungono frequenti influssi siriani e non solo bizantini, che danno luogo nel IV-V secolo a caratteristici stili locali che nella storia degli studi sono stati inquadrati nella definizione di «arte copta». Int Da tutto ciò che si è detto risulta che in questo lavoro sono state distinte tre direzioni nella ricerca delle caratteristiche dell'architettura alessandrina, in base alle quali vanno ripartite le osservazioni che seguono. 1. La prima direzione di ricerca è stata relativa da una parte alla fedeltà rispetto all'architettura greco-asiatica, e dall'altra alla continuità della tradizione faraonica nel primo periodo tolemaico, per ció che riguarda la grande architettura religiosa e ufficiale. L'aspetto conservativo di questo periodo più antico è per esempio dimostrato da un capitello dorico e da parecchi

rocchi

di colonne

trovati ad Alessandria,

nelle

vicinanze

di Kom

el-Dik,

a sud

della

strada

canopica?*:

det-

tagli del capitello, come l'echino leggermente incurvato e le scanalature correnti verso gli anuli (cat. n. 90), hanno paral1611 in edifici del primo ellenismo di Lindos (tempio di Athena) e soprattutto in Macedonia?" Ciò, come è stato già rilevato, non sorprende, poiché i primi architetti attivi ad Alessandria dovevano avere stretti rapporti con la madrepatria greca: di conseguenza è ovvio che durante il primo ellenismo ad Alessandria fosse preferito l'ordine dorico?*. Il caso del monumento votivo di Tolomeo II ad Olimpia, eretto intorno al 278-270, & stato ampiamente illustrato da Wolfram

Hépfner,

9? J. DELORME,

che

ritiene

Gymnasion,

che

Etude

l'ammiraglio

sur le monuments

Callicrate incaricasse

consacrés

à

550

microasiatico,

forse

già attivo nel Di-

p. 168, tav. 67,1.

55 Cfr. nota 19. 36 HóPENER, «Zwei Ptolemaierbauten», p. 88, tav. 23,4. 7 [p., p. 89. Per l'uso e le caratteristiche degli ordini dorico e ionico in Macedonia v.anche S. GRoBEL MILLER, in AM, 88, 1973, pp. 189-218.

alessandrino rinvenuti presso la chiesa di Alessandro: NÉROUTSOS BEY, L'ancienne Alexandrie, Paris 1888, p. 72.

architetto

5. Breccia, Monuments,

l'éducation en Gréce, Paris 1960, p. 139,199; v.anchep. 137 per il Ginnasio di Alessandria della prima metà del HI secolo a.C., ad opera di Tolomeo II (STRABONE, XVII, 795), situato sulla grande via longitudinale, forse tra il Serapeion e il Paneion, con cui sono stati messi in relazione fusti di colonna e capitelli corinzi di granito in stile greco-

un

°° HOPFNER, 191.

«Zwei

Ptolemaierbauten»,

pp. 76-78,

81-82,

nota

dymaion di Mileto?. Lo Hópfner ha anche riscontrato una certa relazione tra il Didymaion e i capitelli (più tardi di circa una generazione rispetto al tempio) del grande Edificio porticato (recinto di un tempio?) del Quartiere Reale di Alessan-

dria, che si ritiene sia rimasto incompiuto alla morte di Tolomeo III; ad esso attribuisce 1 resti di muratura in opera quadrata e l'impiego sia dell'ordine dorico, sia di quello ionico (cat. nn. 1-21), con colonne alte m. 6,75‘. A questo edificio appartenevano anche un frammento marmoreo di orologio solare^' e un plinto circolare (cat. nn. 22-23), questo in marmo pario, con la raffigurazione in origine di quindici dei? (tutti gli altri elementi architettonici dell’edificio sono in calcare)": essi presentano tra l’altro lo stesso kyma lesbico trilobato (il contorno delle foglie cuoriformi è talmente in rilievo da aver fatto perdere consistenza alle parti interne delle foglie) che orna l’abaco dei capitelli ionici (cat. nn. 10-18) e che si ritrova anche

in elementi

architettonici

di Hermoupolis

Magna

(cat.

n. 70)“;

la sua derivazione

è chiaramente

microa-

siatica (esempi a Kos, Mileto, Samotracia, Belevi, oltre che nei capitelli ionici del monumento votivo di Olimpia) e risale

al III prima metà del II secolo a.C., come ha chiaramente mostrato lo Hópfner?.

D'altronde, la parentela dei capitelli

con il Didymaion mostra che in Alessandria erano attivi nel IH secolo architetti che conoscevano bene l'architettura microasiatica, come confermano anche gli altri elementi architettonici dell’Edificio del Quartiere Reale. 2. La seconda direzione seguita nella ricerca sull’architettura alessandrina, ha riguardato il formarsi, a cominciare soprattutto dal II secolo a.C., ma anche prima, di uno stile architettonico greco-alessandrino, con parziale accettazione di

elementi della tradizione locale egiziana: ciò in particolare nell’architettura civile dei palazzi e delle case, di cui il riflesso fedele si ha nelle necropoli di Alessandria e nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide‘. Questo stile è visibile: nei capitelli corinzi alessandrini che, pur riprendendo il tipo «libero» della tholos di Epidauro^' (cat. n. 180), ben presto assumono caratteristiche proprie, che permettono di distinguerli da qualsiasi prodotto greco o microasiatico, e ciò non solo nei casi in cui nell’apparato vegetale canonico si introducono motivi egittizzanti (foglie di palma, fiori di loto, uraei, dischi solari, corona isiaca) (cat. nn. 320-323), o comunque estranei ad essa (grappoli e foglie di uva: cat. nn. 294-302), ma proprio per la resa stilistica dell’acanto e di altri elementi vegetali (cito soltanto la separazione tra gli steli delle elici e delle volute, molto variati (cat. nn. 180-231),la stretta foglia allungata che molto spesso si innalza tra le volute e le elici, accompagnando queste ultime (cat. nn. 223-234), quale si ritrova soltanto nei capitelli corinzi italici della Magna Grecia e della Sicilia)?. È ancora visibile nella creazione di un particolare tipo di mensole a sostenere i geisa impiegati appunto nella piccola architettura delle case e delle necropoli: esse derivano dall’architettura lignea e sono state definite mensole «a travicello» dal Delbrück, che per primo se ne occupò più sistematicamente‘ (cat. nn. 848-895). Diverse da tutti gli altri tipi di mensole (rodie, pergamene, ecc.) che si introducono nel bacino del Mediterraneo nello stesso periodo di

tempo,

cioè il II secolo a.C., sono note in un’architettura più monumentale

solo a Philae, nel tempio di Augusto”,

a

Dionysias dalla sala basilicale della fortezza (v. sopra) e, per influsso alessandrino, a Cirene, nel tempio di Hermes, all’interno dell'insula di Giasone Magno?!. La loro presenza, tuttavia, appare limitata solo all'Egitto e alle regioni da esso influenzate

(Cirenaica,

Cipro,

Palestina)?,

anche

se

mensole

a

«travicello»

sono

riprodotte

in

pitture

del

II

stile

e in

stucchi della casa di Augusto sul Palatino e di case di Pompei”. Va rilevato che nell’area del già menzionato santuario tolemaico di Hermoupolis Magna (Fig. 149), come si è detto databile per la dedica (Tav. 9) al terzo quarto del III secolo a.C., sono presenti anche numerosi frammenti di cornice con mensole «a travicello» (cat. nn. 65-69), dove esse risultano formate dall’unione delle incorniciature di una sorta di cassettoni in stucco che decorano il soffitto: questi sono infatti incorniciati su tre lati (fianchi e retro, ma non sul fronte) da due modanature continue (astragalo liscio e ovolo liscio) che sui fianchi risultano separate da quelle dei cassettoni con-

tigui tramite una scanalatura. Sono queste incorniciature laterali unite a dare l’effetto di una sottile mensola e la stessa origine hanno molte altre mensole «a travicello» del Museo di Alessandria: sono ugualmente divise da una scanalatura in due metà, ciascuna in continuazione dell’incorniciatura sul retro dello spazio quadrangolare intermedio, simile ad un cassettone, ma negli esemplari rimasti quasi sempre privo dell’originale rivestimento in stucco (cat. nn. 904-912). Se inoltre, come pare, le cornici di Hermoupolis Magna facevano parte del santuario, l’introduzione delle mensole «a travicello» ad

Alessandria può farsi risalire almeno al terzo quarto del III secolo a.C. Solo con l'avanzato II e con il I secolo a.C., per influenza delle cornici con mensole di altri centri ellenistici, si incontreranno ad Alessandria anche mensole dalla forma decisamente parallelepipeda, pur rimanendo in esse la caratteristica sottigliezza. Come genericamente rientrante nell’archittetura ellenistica, citiamo la sovrapposizione del gheison con mensole «a

5 [p., p. 90. 4 Ip., p. 55 ss. ^! G. BOTTI, in BSAA, 4, 1902, p. 120; HOPFNER, ierbauten», p. 62. £ HOpENER, «Zwei Ptolemaierbauten», p. 66.

«Zwei

Ptolema-

JdI, 86, 1971, pp. 151-152.

4 Del plinto marmoreo è stato possibile ritrovare il numero di inventario

(17007)

e la provenienza

da «Rue

Alexandre

le Grand»,

nelle

fondazioni del palazzo al n. 39 (1961). ^ HOPENER, «Zwei Ptolemaierbauten», p. 82, tav. 24,c. ^5 Ip., p. 41.

4 Pesce, pp. 149-178.

Palazzo

delle Colonne;

H.

Laurer,

47 Roux, Architecture de l'Argolide, p. 378; BAuER, Korintische Kapitelle, p. 102 e ss.; W. HOPENER, in Studi in onore A. Adriani, I, Roma 1983, p. 74 ss. 5 K. RONCZEWSKI, in BSAA, 22, 1927 (suppl); H. LAUTER, in

in Jdl,

86,

1971,

? DeLBRUCK, Hellenistische Bauten, p. 165, fig. 111. °° L. BORCHARDT, in Jd/, 18, 1903, p. 80, fig. 7, tav. 3. ^? pP, MINGAzzINI, L’insula di Giasone Magno a Cirene, Roma 1966, p. 3 ss., fig. 5 ss.; STUCCHI, Architettura Cirenaica, p. 297 ss. 3 Von Hesserg, Konsolengeisa, pp. 68-80. 5 H. Lauter, in JdI, 86, 1971, p. 174; G. CARETTONI, in RM, 87,

1980, p. 131ss.

551

travicello»

su fregi

dorici

(cat.

nn.

960-965),

che

rientra nel gusto

caro

all'ellenismo

della mescolanza

dei due

ordini?*.

Le mensole, inoltre, dovevano conferire maggiore risalto alla sporgenza della cornice, soprattutto quando questa era impiegata, come è stato recentemente rilevato dal v.Hesberg, nel secondo ordine di un porticato, in cui spesso erano proporzionalmente ridotte l'altezza delle colonne e le dimensioni della trabeazione superiore (come nelle stoà di Pergamo), o ancora in interni di case o in edicole di piccole dimensioni (come a Delo, a Rodi e nella stessa Alessandria)”. Ad Alessandria ed in altre città egiziane il fregio dorico avrà spesso caratteri propri, sia per il tipo di decorazione delle metope (cat. nn. 951-958) (a grandi fiori, con corona isiaca, con figure simboliche, busti di Giove Ammone, ecc.)?$, sia per una frequente tendenza a far assumere ai triglifi una maggiore larghezza, per cui le viae divengono strette fessure (cat. nn. 945-950). Per ciò che riguarda in generale l’ordine dorico usato in questo periodo e successivamente, va osservato che la parte inferiore delle colonne non è di regola scanalata, nel capitello gli anuli circondano l'echino come spesse bande arrotondate (cat. nn. 96-98), l'architrave è talvolta basso e privo della regula (questa in alcuni casi si trova sovrapposta alla taenia), le guttae non sono quasi mai plasticamente lavorate e le cornici sono spesso di forme diverse: anche in esse vengono introdotti talvolta elementi ionici, come in un esempio da una casa di Plinthine presso Taposiris Magna (Abousir) con mensole a «travicello» inserite tra i mutuli? (cat. n. 944). Nelle trabeazioni ioniche, sempre documentate negli edifici civili e funerari, le cornici sono rappresentate in molti

tipi diversi: cornici semplici con sima a gola diritta, corona liscia e soffitto senza sostegni, sotto cui seguono rientranti un cavetto e un ovolo (cat. nn. 801-814); cornici con dentelli e ancora corona con soffitto senza sostegni, con la possibilità di seguire in esse le varie forme assunte dai dentelli, ora stretti, rettangolari e molto ravvicinati, ora più larghi e distan-

ziati (cat. nn. 815-845); cornici con soffitti sorretti da mensole «a travicello» (cat. nn. 848-877), spesso alternate a riquadri rettangolari (cat. nn. 896-914) o romboidali (cat. nn. 928-937), con o senza dentelli (cat. nn. 885-895). Sono anche testimoniati casi di cornici con soffitti sorretti da mensole profilate ad S (cat. nn. 878-883), influenzate dal tipo rodio?*. Le modanature liscie delle cornici dovevano in origine spesso essere stuccate e dipinte con i consueti motivi ornamentali, lo stesso i fregi, che nella maggioranza dei casi conservati hanno la superficie liscia (cat. nn. 800-801): non mancano tuttavia esempi di fregi scolpiti con tralci vegetali (cat. n. 967) dai grossi fiori al centro delle spirali e dal fusto strettamente avvolto da foglie di involucro??, in forma simile alle elici dei capitelli corinzi alessandrini di età tolemaica e, dunque, secondo un modo caratteristico di questo ambiente”; va rilevato che elementi di fregio quasi uguali a questi di

Alessandria si trovano impiegati nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide*!. Altra caratteristica dell'architettura di Alessandria è, come si è detto, l'accettazione del timpano curvo (Tav. 136,2) accanto a quello triangolare della tradizione greca”, ed anzi P.Gilbert ha espresso l'ipotesi che l'alternanza tra timpani curvi e triangolari, cosi tipica dell'architettura romana nei ninfei, nei frontescena teatrali, ecc., sia di origine alessandrina, dove vi erano, nell'ambito del caratteristico pantheon sincretistico locale, cappelle consacrate alternativamente a divinità greche ed egiziane?. Comunque sia, frequente doveva essere negli alzati architettonici delle case e di altri edifici alessandrini la presenza di nicchie con volte a semicupola, incorniciate sul fronte da una trabeazione arcuata, come testimoniano numerosi frammenti del Museo di Alessandria (cat. nn. 973-977): questi sono in un certo senso replicati, date le forme uguali, nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide® — il cui arredo architettonico era sicuramente dovuto a maestranze ales5 Esempi veri e propri di mescolanza come appunto il fregio dorico con colonne e trabeazione ionica sono rari in Grecia e relativi meno all’architettura monumentale quanto ad altre categorie come le stele funerarie, che forse però in qualche modo dovevano riflettere i monumenti reali, di dimensioni ed uso anche diverso dai grandi templi (in base a iscrizioni si è desunto che nell’arsenale del Pireo e nel Telesterion di

Eleusi, entrambi del IV secolo, vi fosse una combinazione di forme doriche e ioniche: K. JEPPEsEN, Paradeigmata, Aarhus 1958, p. 88 ss.): citiamo le stele a naiskos di Tebe con fregio dorico e cornice a dentelli

già dagli inizi del IV secolo ed altri esempi piü tardi della Grecia orientale e di Delos (P.M. Fraser, T. RONNE, Beotian and West Greek Tombstones, Lund 1957, nn. 21, 22, 26-29, 33, 40-44, ecc.; E. PrFunr, H. Mostus, Die Ostgriechischen Grabreliefs, I-II, Mainz-am-Rhein

1977-79,

nn. 170,

196,

530,

804,

1077,

ULLOD, Les monuments funeraires de gique de Delos, 30, Paris 1974, 81, n. 118, ecc.; cfr. H. Von HesseRrc, in 1981, p. 20; S. ANGIOLILLO, in Studi

tav. 162,

ecc.;

M.T.

Co-

Rhenée, Exploration Archéolo57, tav. 12, nn. 98, 107, 109, L'art decoratif à Rome, Rome in onore di G. Lilliu, Cagliari

1985, p. 101). Attestazioni collegate ad un'architettura piü monumentale per il IV secolo a.C. provengono invece da ambienti periferici, come mostrano in Caria edifici della dinastia degli Ecatomnidi a Labraunda, dove è impie-

(II-I secolo a.C.) — basti pensare alle numerose testimonianze alessandrine (P. PENSABENE, in Studi in onore A.Adriani, I, Roma 1983, p. 113), pergamene (Altertumer von Pergamon 3,1, Berlin 1986, p. 108 ss., tavv. 30, 32, 34; cfr. W.B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, London-New York 1950, pp. 271, 279, 283, 293, 329, ecc.: sono noti gli esempi del bouleuterion di Mileto, della stoà settentrionale di Assos, del mercato di Priene, della stoà del tempio di Athena a Pergamo, ecc.) ed ancora siciliane (M.W. Von Sipow, in RM, 91, 1984, pp. 327, 328, 338) e magno-greche ΟΥ̓. JOHANNOWSKI, in Hellenismus in Mittelitalien, I, Gottingen 1976, p. 280, figg. 5, 6: geison tardo-ellenistico di Capua con mutuli e guttae nel soffitto e kyma lesbico e

dentelli nella parte inferiore, in modi analoghi a diversi esempi di Alessandria) — p. 179 ss.).

fig. 61;

Atheniensi R.A.

Sueciae,

4,

V,

ToMLImNSON,

in

JHS,

degli ordini assumerà connotazioni

1; 83,

Ip.,

Paradeigmata,

1963,

specifiche

p.

138).

a seconda

La

cit.,

doriche, basi e gocciolatoi ionici, ecc.) rispetto alla Sicilia, e diverrà nell’architettura greco-orientale meno rara durante il periodo ellenistico

552

(H.

KAHLER,

in

Jdl,

50,

1935,

57 ADRIANI, in Annuaire, 1940-50, tav. 58,5; Von HesBERG, Konsolengeisa, p. 71,e.

® V. qui nel testo p. 99 ss. ° Museo greco-romano di Alessandria, n.inv. 3812. $ H. Lauter, in Jd/, 86, 1971, p. 158. 8 Pesce,

mescolanza

come attestano le diverse modalità ad esempio della Cirenaica (STUCCHI, Architettura Cirenaica, pp. 131-132: si tratta di un edificio con colonne

augustea

% G. LEFEBVRE, in ASAE, 21, 1921, p.163, SB 6596; Tu. Kraus, in Hellenismus in Mittelitalien, II, Gottingen 1976, p. 457; Breccia, Monuments, pp. 128-129, tav. 67,2-3.

p. 91,

degli ambienti,

all’età

55 Von HEsBerG, Konsolengeisa, p. 39.

gata la trabeazione dorica con colonne ioniche (K. JEPPESEN, in Acta Instituti

fino

86,

Palazzo

delle

Colonne,

figg.

15-16;

H.

LAUTER,

in Jd],

1971, figg. 11 e 12.

$ V. note 5 e 6. 8 P. GILBERT, in ChrEg, 33, 1942, p. 88. $ Pesce, Palazzo delle Colonne, p. 27, tav. 10; Jdl, 86, 1971, pp. 157-158, nota 39, figg. 9-10.

H.

LAUTER,

in

sandrine — dove nella facciata interna settentrionale del Grande Peristilio analoghe semicupole dovevano essere inserite al centro di frontoncini interrotti (anche questi documentati nel Museo di Alessandria, da pezzi® (cat. n. 888) del tutto simili a quelli di Tolemaide). Questi erano spesso rappresentati di «sguincio», cioé secondo le regole dell'illusionismo prospettico derivate dalla pittura e spesso applicate anche alle facciate architettoniche, come è visibile nell'ipogeo n. 1 di Mustafà Pascia e, in età imperiale, in un portale in granito d'Assuan del recinto del Serapeo di Alessandria, di cui restano diversi frammenti della trabeazione (cat. nn. 33-34).

Più in generale si può dire, e non è certo la prima volta che questo viene affermato, che l'architettura civile e privata di Alessandria si mostra precocemente caratterizzata, nell'elevato, da piü piani, da contorni articolati con nicchie ed edicole, da cornici sporgenti (cat. nn. 914, 920, 923) su colonne e semicolonne, queste spesso addossate a pilastri, da un grande colorismo con l'imitazione di pietre colorate e la pittura degli elementi architettonici in colori vivaci e da una trattazione sorprendentemente libera degli ordini architettonici, con mescolanze e sovrapposizioni, e dei dettagli decorativi®. Che questo stile greco-alessandrino riguardi l’architettura anche nell’ambito del Palazzo Reale di Alessandria, oltre che dalla nota descrizione del padiglione in legno eretto da Tolomeo II per il grande banchetto offerto durante la festa di Dioniso?', potrebbe essere rivelato da numerosi elementi architettonici di stucco conservati nel Museo di Alessandria e rinvenuti durante gli scavi di Adriani nel Quartiere Reale: questi confermano sia l'immagine di una ricca e multiforme architettura (sulle modanature degli stucchi sono dipinti kymatia ionici e lesbici - Tav. 116,8,10, dentelli, trecce; numerose inoltre le specchiature di pareti sempre dipinte sullo stucco), sia il suo affermarsi in quelle tipiche forme (frontoni spezzati,

cat. n. 888,

colonne

d’acanto,

cat. nn.

779-795,

trabeazioni

sporgenti,

cat. nn.

914,

923,

929,

ecc.) testimoniate

dai frammenti architettonici in calcare del Museo e successivamente riprodotte nel Palazzo delle Colonne a Tolemaide®, ma proprie del II secolo a.C.: tra l’altro è stato ritenuto che difficilmente questi frammenti in stucco possano risalire al III secolo a.C. 3. La terza direzione di ricerca ha riguardato

l'architettura religiosa tardo-tolemaica e dei primi due secoli dell'im-

pero, quando continua e, come si è detto, sembra ormai prevalere — l’architettura della tradizione faraonica nei templi. Solo, come si é detto, nei Serapei, in edifici di culto minori e nelle necropoli si riscontrano tempietti nella tradizione greca: tuttavia si verifica parallelamente la frequente assunzione di elementi del repertorio alessandrino nella decorazione architettonica e nell'elevato di monumenti ispirati invece alla tradizione egiziana. Per il primo caso citiamo il tempietto di Ras

es-Soda

tempio

ad Alessandria,

funerario

tetrastilo, con colonne

(n. 11) di Tuna

el-Gebel

ioniche

(necropoli

e innalzato su podio

di Hermoupolis

con scale di accesso”

Magna)”,

ugualmente

ed un altro piccolo

tetrastilo,

con

colonne

su

basi attiche (i capitelli non sono conservati), su podio con stretta scalinata di accesso; ad essi si può aggiungere un tempietto tetrastilo su podio con scalinata di accesso, noto da un disegno di Mariette come affacciantesi sul dromos di Memphis?. Per il secondo caso, oltre agli ipogei di Alessandria di questo periodo (Anfushi, Kom esh-Shogafa)”, si possono citare alcune cappelle funerarie di Tuna el-Gebel, come la «Casa del Guardiano», attribuita al II secolo a.C., con all’interno ortostati dipinti ad imitazione del marmo, in modo simile al primo stile, e con decorazioni a meandri, perle, ovu-

li^, od altre tombe con il rivestimento in stucco della muratura esterna riproducente l’opera isodomica”.

Accenniamo

brevemente alla tomba di Ptolemaios del I secolo a.C. (Tav. 124; Fig. 167), a forma di tempietto egizio , ma collocato su podio con scalinata d'accesso e, in facciata, con gli stipiti del portale inseriti nelle semicolonne di tipo egizio (Tavv. 124,2; 126), e anche con tre false finestre a grata”: è stato rilevato" come tale disposizione sia venuta in uso nell'architettura tardo-ellenistica dell'Egitto, non solo per l'adattamento di una porta egittizzante ad un prospetto a semicolonne, ma

anche per la diffusione di forme non canoniche o barocche venute di moda in ambienti influenzati da Alessandria, pur con l’impiego di elementi esclusivamente classici. Va ancora rilevato che nella trabeazione di alcuni portali di tombe di Tuna el-Gebel,

si assiste

spesso

ad un

disinvolto

uso

dei tradizionali

ornamenti

architettonici:

così

in un'altra

tomba,

databile

nel II o agli inizi del I secolo a.C., la cornice superiore della facciata è costituita da una corona sottilissima e da dentelli

6 P. PENSABENE, p. 108, figg. 8,9.

in

Studi

in

onore

A.Adriani,

I,

Roma

1983,

6 È stato più volte rilevato come l’architettura privata di Alessan-

de Madrid,

1981,

di datazione

del Palazzo

v.

H.W.

BvvANCK,

in BABesch,

27,

1952, pp. 17-19; H. LAUTER, in Jd], 86, 1971, pp. 149-178; STUCCHI,

dria sia certamente riflessa negli ipogei alessandrini a forma di casa. Pur essendosi discusso delle influenze che su di essi poterono esercitare i tumuli macedonici, o gli ipogei di Cirene, o addirittura quelli della cultura egiziana faraonica (PAGENSTECHER, Nekropolis, p. 97 ss.), è indubbio che gli ipogei alessandrini, con peristili, corti, frontoni, colonne e finestre reali o dipinte, abbiano preso come modello anche le case contemporanee (cfr. PAGENSTECHER, Nekropolis, p. 105, dove compara l’ipogeo di Shiatbi con alcune case di Priene). V. più in generale M.A. ELvira BARBA, El Alejandrinismo, Tesi Doctoral, Universidad Complutense

poste

p.

153.

8 ATENEO, Deipnos., V,

196-197.

6 ADRIANI, in Annuaire, 1935-39, p. 24 ss. 9 Ritengo che il nucleo originario del Palazzo delle Colonne debba risalire alla prima metà del I secolo a.C., se non meglio alla fine del IT secolo, come indicherebbero i capitelli corinzieggianti figurati, con protomi d'ariete e di divinità, dello oecus della Medusa. Sulle varie pro-

Architettura Cirenaica, pp. 215-220 e in particolare p. 216, nota il riassunto bibliografico di tutte le proposte cronologiche.

1, con

7? ADRIANI, Annuaire, 1935-39, pp. 136-138, fig. 61. 7! S. GABRA, in ASAE, 39, 1939, pp. 484, tav. 77. 7 J. PH. Laver, CH. PicARD, Les statues ptolémaiques du Serapeum de Memphis,

7 P.

Paris 1955, tav. 17,b.

PENSABENE,

p. 110 e bibl.cit. 7 S. GABRA,

in Studi

in ASAE,

32,

in onore

A.Adriani,

I, Roma

1983,

1932, pp. 68-71.

7 S. GABRA, Rapport sur les fouilles d'Hermoupolis Ouest, Touna el Gebel, Le Caire 1941, p. 39 ss., tav. 8 (casa funeraria n. 21); Ip., Chez les derniers adorateurs du Trismegiste. La necropole d'Hermoupolis, Tuna el Gebel, Le Caire 1971, fig. a p. 56.

76 S. GABRA, in ASAE, 32, 1932, pp. 68-71, tav. 1; In., in ASAE, 39, 1939, p. 483, tav. 75,a; Ip., Chez les derniers adorateurs du Trismegiste, op. cit., pp. 63-65; cfr. anche in Cd'E,14, 1932, pp. 88-89;

7 L. TOROK, in AA, 1984, p. 150.

553

ravvicinati? (Tav. 125; Figg. 170, 171), mentre la trabeazione della porta presenta un listello, un cavetto e due kymatia ionici sovrapposti, ai quali seguono un listello e una gola rovescia (Tav. 125,1). In un'altra cornice di portale, sempre di Hermoupolis Magna”, forse ancora di epoca tardo-ellenistica, si ritrova la stessa successione del kyma ionico e del meandro, come negli esemplari precedenti (Fig. 160; cat. n. 999). I modelli vengono da Alessandria, come ad esempio mostra l'inquadramento architettonico di un'alcova di una tomba nella Necropoli occidentale, con dentelli, kyma ionico e fregio a festoncini?. Sempre a proposito dell'ultima tomba citata di Tuna el-Gebel, si può ancora rilevare come ai lati del portale vi siano due edicole per immagini funerarie, sormontate da un frontoncino triangolare con un disco al centro, forse solare, su fregio dorico sorretto da lesene con capitelli corinzi e basi attiche (Tav. 125,2): anche in questo caso l'immediato

richiamo

ad Alessandria é dato non

solo dai capitellini di tipo alessandrino,

ma dal confronto

con un fronton-

cino, con fregio dorico sorretto da capitelli corinzieggianti, rinvenuto nella necropoli di Shiatbi®! (Tav. 118,1). Questa stessa mescolanza degli ordini si ritrova nell’unico tempio di tipo greco-ellenistico nell’Egitto meridionale che

conserva parti dell’elevato, cioè quello di Augusto a Philae®, datato dall’iscrizione sull’architrave al 13-12 a.C. (Figg. 1-4) Le sue dimensioni sono abbastanza ridotte e non comparabili a quelle dei grandi edifici templari di tradizione faraonica (m. 15 x 9). Non è un caso che questo tipo architettonico sia utilizzato proprio in un tempio dedicato al primo so-

vrano romano del paese, ed è probabile che il modello del culto ed anche dell’edificio provenga da Alessandria stessa”. Si tratta di un tempio prostilo tetrastilo, con intercolumnio centrale decisamente più largo degli altri due; la facciata della cella presenta un portale sormontato da un frontoncimo triangolare e due nicchie secondo la disposizione già riscontrata nei tempietti funerari di Tuna el-Gebel, ma anche di Terenouthis (Kom Abu Bilb) nel Delta occidentale?*, e dunque secondo una moda diffusa da Alessandria nel tardo periodo tolemaico e in quello primo-imperiale. Le pareti e le colonne frontali sono coronate da un architrave a due fasce e da un fregio dorico in arenaria, sopra cui poggia una cornice con mensole a riquadri concentrici (derivate dalle mensole a «travicello») alternate a campi liberi e con file di dentelli molto piccoli solo nel geison obliquo del frontone, dove invece non compaiono mensole? (Figg. 6-7). Sulle colonne di granito vi sono capitelli corinzi di diorite (cat. nn. 354-355), di tipo alessandrino, ma in un’edizione molto semplificata (gli elementi vegetali sono lisci ed il kalathos è intagliato in due metà separate), poiché il materiale molto duro non avrebbe permesso l’intaglio di sovrabbondanti particolari vegetali.

Il tipo schematico a cui appartengono i capitelli di Philae è documentato anche in altre località egiziane come Alessandria stessa (cat. nn. 356-360), e continuò ad essere usato nel sud dell’Egitto anche nel periodo imperiale avanzato, ad esempio a Ombos (cat. n. 293) e a Luxor — qui nell’aula di culto imperiale di età dioclezianea inserita nel Grande Tempio® (cat. nn. 252-254) —, quando ad Alessandria non era più di moda, perché sostituito da modelli microasiatici. Si

tratta di un tipo adottato” dalle maestranze legate alle cave di Assuan e di altre pietre dure egiziane (porfido, diorite, basalto, granito): esse lavoravano presso le cave stesse, dove venivano prodotti anche altri manufatti, quasi sempre fino ad uno stadio di semilavorazione, come colonne, basi, bacini, sarcofagi?? (cat. nn. 79-80, 154), talvolta esportati anche al di fuori dell'Egitto?. Dove invece era usato un calcare locale più tenero, o comunque meno duro del granito o della diorite,

si conservò più frequentemente, almeno fino a tutto il Il secolo d.C., l'abitudine di intagliare anche i particolari vegetali ed ornamentali,

secondo il più comune tipo alessandrino in calcare stuccato, come mostrano i capitelli del ninfeo di Den-

dera? (cat. nn. 220-226). Ci si è chiesto fino a quando perdurasse la tradizione greco-alessandrina nell’architettura e nella decorazione architettonica di Alessandria stessa. Si è detto infatti come la città, data la sua importanza politica e la sua posizione sul mare, fosse molto più aperta, rispetto all’interno dell’Egitto, all’introduzione di nuove mode architettoniche e comunque ad influssi dell’arte

75 S. GABRA,

ufficiale,

in ASAE,

soprattutto

mediati

dall’Asia Minore

39, 1939, p. 483 ss. Su modelli di Ales-

sandria, l'uso del fregio a dentelli anche come coronamento di pareti interne di tombe si diffuse precocemente anche nella necropoli di Tuna

el-Gebel: cfr. G. Grimm, in MittKairo, 31, 1975, p. 230, tav. 72,b. 7? V. HOFERT,

in MittKairo,

ADRIANI, Repertorio, pp. 114,

1912, tav. 19, 21;

$ In Egitto sono noti templi dedicati ad Augusto

in Das rémisch-byzantinische Agypten, Mainz-

p. 52 ss., figg. 1-5; il tempietto,

secondo il tipico modello tolemaico,

mostra

delle

e

stipiti

porte

of Imperial Cult at

ad Assuan (V. MowNERET DE VILLARD, J] monastero presso Aswan, I, Milano 1927, p. 152, fig. 148).

di S. Simeone

ancora ad Ar-

of Near

angolari

«The Temple

Luxor», in Archaeologia. The Society of Antiquaries of London, 95, 1953, pp. 85-105; esempi simili per la schematizzazione degli elementi vegetali, in granito verde, nero o rosso, sono noti anche ad Alessandria

* Il capitello della colonna di Diocleziano inserita nel Serapeo (cat.

am-Rhein 1983, p. 47 ss. * A. Bapawy, in Journal pilastri

DE VILLARD,

la

n. 39) non appartiene invece al tipo alessandrino schematico a foglie lisce, anche se è un capitello di granito e proveniente forse dalle cave già semilavorato.

sinoe, Oxyrhynchos, Hermoupolis Magna, Elefantina, oltre che ad Alessandria: F. BLUMENTHAL, in Archiv für Papyrusforschung, 5, 1915,

Eastern

dalla Siria: paradossalmente

in Studi in

126, fig. 1; P. PENSABENE,

onore A. Adriani, I, Roma 1983, p. 91. ? L. BORCHARDT, in Jd/, 18, 1903, p. 73 ss.

p. 317 ss.; F. DUNAND,

5$ V. MoNNERET

anche

(K. RONCZEWSKI, in BSAA, 22, 1927 (suppl.), p. 19, fig. 15), Ombos e

2, 1931, p. 121.

8 ADRIANI, Repertorio, p. 157, n. 110, tav. 83, fig. 276. *! E, BRECCIA, La necropoli di Shatbi, Le Caire

e in una certa misura

Studies,

contrassegnati

16 da

1957, lesene

8 T. KRAUS, W. MULLER WIENER, J. RODER, in MittKairo, 22, 1967, pp. 108-205 (porfido dal Mons Porphyrites — Gebel Dokhan); TH. Kraus, J. RODER, in AA, 1962, pp. 693-745 (granito del Foro, dal Mons Claudianus — Gebel Fatireh); J. ROpER, in AA, 1965, pp. 467552 (granito rosso di Siene — Assuan). 89 PENSABENE, Scavi di Ostia VII, nn. 670-671; Ip., in DdA, 6, 1972, p. 354; Ip., in Società romana e impero tardoantico, III, Bari

e parti di colonna e ancora transenne tra la parte inferiore delle co-

1986, p. 296.

lonne.

9? G. CasrEL, F. Daumas, J.C. GoLvin, Les fontaines de la Porte Nord, Dendera, IFAO, Le Caire 1984, p. 24, figg. 3-4, tav. 9.

* Von HESBERG, Konsolengeisa, p. 72,4.

554

tradizione alessandrina sposta più puntuale

si conservò più a lungo nell'Alto e Medio

alla domanda

iniziale,

sarebbe

stato

utile,

Egitto che non nella capitale.

ovviamente,

il conservarsi

Comunque,

di testimonianze

per una ri-

architettoniche

di monumenti pubblici e privati, in realtà quasi mancanti. Si sono quindi messi a confronto i risultati del nostro studio sugli elementi superstiti degli elevati architettonici con le ricostruzioni finora proposte dello sviluppo urbanistico e architettonico della città, effettuate in base alle fonti e soprat-

tutto alle rappresentazioni monetali: si ritiene dunque che Augusto si dedicasse ad un'attenta opera di restauro e di ristrutturazione e che nella successiva età imperiale la città subisse alterne vicende Ebrei

nel 41

lotte sotto Claudio

nel 38 d.C.,

con relative distruzioni (rivolta contro gli

nel 55, disordini tra Ebrei e Greci dopo

e sotto Nerone

la caduta di Gerusa-

lemme, terminati nel 116 con la distruzione di molti monumenti). Si ritiene ancora che con Adriano si fosse verificata una nuova opera di restauro degli edifici principali (testimoniata da Cassio Drone, 69,11,2) e che sotto Antonino Pio venissero rinnovate

tra le quali si estendeva,

le porte del Sole e della Luna,

si ricava da Achille Tazio,

come

strada co-

una

lonnata, mentre nel 181 un incendio danneggiò il Serapeo. Dopo un periodo tranquillo, nel 295 scoppiò la rivolta di Domizio

Domiziano,

domata

nel

l’assedio

con

301

di Diocleziano

distruzione

e la conseguente

Breccia

identificato nel Mesompedion?!,

sulla via Canopica

e, a ridosso

della Biblioteca,

edifici.

molti

di

rovine di molte zone della città si susseguirono nei due secoli successivi durante le lotte eretiche e Crediamo sia utile sottolineare il ruolo che dovette avere il terremoto del 365 per un rinnovamento della città, come pare si possa ricavare dal numero straordinariamente elevato di capitelli corinzi secolo e alla prima metà del V secolo, attualmente reimpiegati nelle moschee del Cairo, ma con tutti provenienti da Alessandria. Dell’antica città (Fig. 56) si conosce la collocazione di alcuni quartieri Bruchium, Neapolis zona degli empori, a ridosso del porto grande; degli edifici di età romana noti dalle fonti citiamo

e

Danni

tra Cristiani ed Ebrei. urbanistico ed edilizio attribuibili al tardo IV ogni probabilità quasi e Rhakotis — e della il Forum Augusti, dal

il Caesareum,

edificio ornato

da

obelischi e con il fronte sul mare, probabilmente progettato da Cesare e completato da Augusto”, ma di cui un’immagine non ci è restituita: doveva essere situato all’interno del Quartiere Reale, esteso tra questa zona e il promontorio di Lochias,

e nel

centro

dei

residenziale

funzionari

di corte.

Dietro

di esso

fu edificato

dell’Hadrianeum,

il complesso

com-

prendente diversi edifici: un tempio dedicato all’imperatore ed un ginnasio, poi trasformato in chiesa”. Adriani ritiene che con questa zona fosse collegato il teatro, antistante la costa e unito tramite una strada nord-sud. Gli edifici ora citati facevano parte di Bruchium, a sud del quale si estendeva il quartiere di Neapolis, cioè la parte sud-est della città, ricostruita da Augusto dopo la guerra alessandrina. Menzioniamo ancora, nel quartiere di Rhakotis, cioè la zona occidentale della città, il Serapeo, risalente a Tolomeo HI, che è stato anche oggetto di scavi (Fig. 126): posto su un'altura, era circondato da un recinto rettangolare con colonnato interno, forse ionico, sui lati maggiori e probabilmente anche su quelli minori. Il recinto fu ampliato sui lati brevi e su quello orientale in età imperiale, raggiungendo dimensioni molto più grandi

(ricostruite

di m. 205,7

x

105,55):

in tale occasione

fu elevato

un nuovo

interno

porticato

e costruita

una

monu-

mentale scala d’accesso al lato orientale, dove si trovava un ingresso a quattro colonne preceduto da un dromos. La colonna di Diocleziano («di Pompeo»), alta con il capitello m. 26,85 (cat. nn. 39, 40), era situata all’interno del recinto e fu eretta nel 297%. La trasformazione imperiale comportò anche la costruzione di un nuovo e grande tempio di Serapide, largo m. 21,10, che sembra abbia inglobato i precedenti templi di Serapide e di Iside, in quanto fu collocato al centro del lato settentrionale. Tra il 400 e il 412, dopo essere stato rifugio degli elementi pagani della popolazione, e conseguentemente assediato

dai Cristiani, fu abbattuto e la sua area occupata dalla chiesa dell’ Anghelion”. Completamente scoperta da scavi archeologici risulta la collina di Kom el-Dik, presso l’attuale stazione ferroviaria (Quartiere Reale), dove è stato rinvenuto un complesso monumentale tardo imperiale (Fig. 130) comprendente delle terme, una schola con tre sale gradinate e un edificio per riunioni, con testimonianza di rimaneggiamenti e restauri fino al VII secolo d.C.?9. Sembra che quest’ultimo edificio sia nato inizialmente come un bouleuterion in occasione della concessione ad Alessandria, da parte di Settimio Severo, dello ius bouletarion (Balty): la cavea era delimitata dalle scale circondanti l'analemma e dominanti il palco. In un secondo tempo, pare agli inizi del VI secolo d.C., la cavea fu ingrandita con il prolungamento dei gradini oltre il semicerchio dell'emiciclo, a testimoniare la mutata funzione dell’edificio in odeon o edificio per riunioni. Ad un ultimo periodo, forse della fine del VI secolo d.C., si deve la costruzione di una cupola in mattoni

legata

un’esedra,

alla trasformazione

del monumento,

o ninfeo, aperta al pubblico (Figg.

?! STRAB., XVII,

131,

secondo

132; Tav.

1,8; Breccia, Alexandrea ad Aegyptum, p. 101;

P.A. BRUNT, in JRS, 65, 1975, pp. 24-147. Per le notizie storiche e architettoniche, v. ADRIANI, Repertorio; cfr. ancora A. CALDERINI, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell’Egitto greco-romano, Il Cairo 1935, s.v.«Alexandreia», p. 55 ss.; E. BERNARD, Alexandria la

Grande, Paris 1966; Ip., in RA, 2, 1972, pp. 317- 320; L. CASTI GLIONE, «Kunst und Gesellschaft in rómischen Agypten», in Acta Academiae Scientiarum Hungaricae, 15, 1967, p. 107 ss. ?? ADRIANI, Repertorio, p. 69, n. 321, p. 212; E. SJOKVIST,

«Kai-

sareion, a Study in Architectural Iconography », in Opuscola Romana, 1, 1954, p. 86 ss; cfr. ancora E.G. Huzar, in ANRW, p. 628, dove si osserva come il Cesareo fu il primo

2,10,1, 1988, grande edificio

il Balty

in chiesa

a pianta centrale,

secondo

il Borkowski

in

119): a queste si può aggiungere l’ipotesi di sala conciliare,

finito dai Romani

sotto Augusto,

del quale divenne

centro per il culto.

Per l’età augustea ad Alessandria v. inoltre C. BALCONI, in Egitto e società antiche, Milano 1985, pp. 181-196. 9 ADRIANI, Repertorio, p. 222.

% IG, III, 4681. 55 Rurin., Hist.Ecl.,I,23;

Aprtani,

Repertorio,

p. 90 ss. e bibl.

cit. (in particolare A. Rows, in ASAE, 1946). % M. Ropziewics, in Etudes et Travaux, 11, 1979, p. 107 ss.; W. KOLATAJ, in Das rómisch-byzantinische Agypten, Mainz-am-Rhein 1983, p. 187 ss. Sulla creazione da parte di Settimio Severo di boulai nelle metropoli dell'Egitto all'inizio del III secolo d.C., v. A.K. Bowman, in AmStPap, 11, Toronto 1971.

555

la se gli edifici di Kom el Dick vennero a far parte di un complesso episcopale in età bizantina, come potrebbero indicare gran e cupola la che presenza della schola ed il richiama al palazzo episcopale di Afrodisia con auditorium. Si è ritenuto

parte dell’edificio crollassero a seguito del terremoto che aveva coinvolto anche l’isola di Faro nel 792.

Va rilevato che buona parte dei sedili dell’ingrandimento della cavea erano costituiti da elementi architettonici marmorei di reimpiego (soprattutto cornici ed architravi: cat. nn. 989-990): ciò indica che al momento della loro messa in opera si avevano a disposizione ad Alessandria numerosi elementi marmorei provenienti da costruzioni pubbliche evidentemente non più in uso, e forse danneggiate in occasione degli eventi citati. Da ciò che si è detto risulterebbe, dunque, che per il periodo romano una grossa importanza hanno avuto gli interventi augustei, adrianei, ancora dioclezianei, quelli successivi al terremoto del 365 e ancora del V e VI secolo. Si ritiene utile aggiungere ancora il confronto con un altro sito egiziano di cui sono state ugualemente molto studiate le notizie, in particolare desunte dai papiri, sull’urbanistica e gli edifici anche del periodo greco-romano, e in cui esistono alcuni resti monumentali di età romana che permettono un riscontro con le fonti: si tratta nuovamente di Hermoupolis Magna, in cui le proporzioni regolari dell’impianto faraonico, determinate dal dominio dell’angolo retto, erano idonee ad una lenta trasformazione della città nel senso dell’urbanistica greco-romana (Fig. 146). La città era divisa in due parti principali: le zone di abitazione civile a sud e il «dominio sacro» a nord, questo costituito da un quadrato di oltre seicento metri di lato, con grande muro di cinta, risalente alla XXX dinastia, con templi, abitazioni per il personale e ca-

serme per le truppe, sussistenti anche in epoca tolemaica (da qui il nome di Phrourion). La parte sud della città era attraversata da una grande strada est-ovest, che per un lungo tratto fiancheggiava il lato sud del muro di cinta del «dominio sacro». Agli estremi della strada si trovavano le porte del Sole e della Luna: ad est essa portava verso la riva del Nilo e verso Antinoe e ad ovest verso la necropoli di Tuna el-Gebel. La strada è stata identificata con la via Antinoitica menzionata da alcuni papiri e sulla quale era il tempio di Antinoo: per la metà occidentale è stato ipotizzato anche il nome di

strada di Serapide, sempre in base ai papiri”. Nella metà ovest della strada si affacciava (Fig. 150) un Tychaion, e nella metà est, oltre al tempio di Antinoo, un tempio di Adriano, il makellon e l’agorà, menzionati insieme ad alcuni propilei, il Serapeion, il Neilaion, il Komasterion, un ninfeo orientale ed uno occidentale, un Aphrodiseion ed un tempio di Atena: templi, tutti questi, fronteggianti il muro del «dominio sacro» e molti verosimilmente di epoca romana (gli ultimi due templi citati e il Tychaion risalgono invece all’età tolemaica). È noto ancora un tempio di Augusto, collocato però all’interno del «dominio sacro», in quanto soltanto sotto Domiziano (da lui prende nome la strada di Domiziano parallela alla precedente) l’urbanizzazione e la monumentalizzazione della città si spostano all’esterno del muro sud. Doveva forse esistere anche un tempio di Faustina. Ricordiamo ancora i Tetrastili della strada Antinoitica, noti dalle fonti, che presentavano su ognuno dei quattro lati una colonna, distinguentesi per grandezza e forma da quelle del portico colonnato che accompagnava la strada, e sostenente una statua (il confronto più vicino è dato da Antinoe, con tetrastilo all’incrocio della strada principale con quella est-ovest) (v. p. 287). Di tutti gli edifici menzionati resta ben poco, ma la loro esistenza è provata in particolare da una nota delle spese”, sostenute da Aurelio Appiano nel 250 d.C., per la manutenzione e la riparazione dell’arteria principale della città, la via Antinoitica, e delle costruzioni che la costeggiavano. Le ricerche archeologiche hanno stabilito recentemente una nuova acquisizione: al centro del muro meridionale di cinta del

«dominio

sacro»,

la via Antinoitica era tagliata da una

strada nord-sud,

il dromos

di Hermes,

che doveva

costi-

tuire la via processionale del tempio di Thot-Hermes, e all’incrocio vi doveva essere uno dei tetrastili menzionati dalle fonti, che nel caso specifico si è supposto di identificare con il Grande Tetrastilo menzionato dai papiri”; di questo l’unica traccia rimasta sarebbe costituita dalla parte inferiore di un enorme capitello di età adrianea o antonina (cat. n. 393), rinvenuta vicino al portico occidentale della Basilica cristiana e appartenente ad una colonna alta almeno m. 2099, Presso questo incrocio è stato identificato un komasterion monumentale (Figg. 155-157), in cui doveva formarsi la processione sacra e di cui restano diversi elementi architettonici dell'elevato, in particolare colonne di granito d'Assuan e capitelli corinzi di tipo microasiatico , ma in calcare locale (cat. nn. 381-386). Testimonianze archeologiche riguardano lo scavo della presunta «agorà», quando fu scoperto un tratto della via Antinoitica; questa risulta composta da un lastricato di pietre calcaree limitate da due marciapiedi, con un margine di pietra da taglio. All’esterno si trova un canaletto di scolo delle acque piovane e in molte parti della strada i blocchi di pietra rettangolari usati per la pavimentazione sono ancora in situ. Durante lo scavo sono stati rinvenuti architravi, pilastri, colonne, parti di capitelli; alcune basi di colonne sono state trovate nella loro posizione originaria e questo prova che la strada era fiancheggiata da colonne su entrambi i lati, come attestano i papiri. Le colonne, a giudicare dai frammenti ri-

trovati, erano in pietra, come anche le basi e i capitelli!?!, Nella presunta «agorà» è stata invece individuato un santuario tolemaico (Figg. 148, 149), nel quale abbiamo proposto di riconoscere un Serapeo (v. p. 252), distrutto poi per far posto ad una grande Basilica cristiana della prima metà del V secolo d.C. Si è negato, inoltre, che le quattro colonne situate sul lato nord (cat. nn. 387, 734) possano aver costituito in origine uno dei tetrastili citati dai papiri, in quanto tale denominazione si addice all’incrocio tra due strade: si è invece riconosciuto in esso un accesso monumentale al passaggio che

Cfr. nota 32 : quasi tutte le notizie da papiri sugli edifici di Hermoupolis Magna sono state desunte dal lavoro del Róder. 95 Pap.Vindob.gr. 12565. ? Pap.Vindob.gr.

556

12565, lin. 197.

0 D.M. Barney, «The Procession House of the Great Hermaion at Hermoupolis Magna», in Pagan Gods and Shrines of Roman Empire, Oxford 1986, p. 231 ss. 10 E. BARAIZE,

in ASAE,

40,

1941, p. 745.

dalla strada conduceva

alla Basilica'?.

Questa

aveva una grande

navata centrale,

separata dalle due laterali,

molto

strette,

con due file, ciascuna di dieci colonne di granito rosso, e transetti absidati, comprendenti ciascuno ancora dieci colonne; vi era un secondo piano al di sopra delle colonne della navata centrale, come dimostrerebbe il ritrovamento di fusti sempre in granito, ma di dimensioni minori. La Basilica (Fig. 151) fu costruita sulle fondazioni del santuario tolemaico già citato (v. p. 253), abbattuto probabilmente in tale occasione, col conseguente riutilizzo dei materiali per il nuovo edificio cristiano. Ma per i suoi colonnati interni di granito rosso (Tav. 47,4,5) e di pietra locale furono riutilizzati anche numerosi elementi provenienti da edifici di età imperiale, soprattutto di età adrianea e antonina, come mostrano i capitelli corinzi reimpiegati (cat. nn. 388-389): è probabile che molti di questi capitelli e colonne provenissero da edifici colonnati della via Antinoitica.

Non

mancano,

tuttavia,

capitelli

ed

altri elementi

architettonici,

come

semicupole

di nicchie,

con-

temporanei alla Basilica e dunque intagliati appositamente per essa (cat. nn. 559-567)!9*. Anche per Hermoupolis Magna risulterebbe dunque, per l'età romana, che periodi importanti furono quelli di Augusto e soprattutto di Adriano: è noto che questo imperatore soggiornò nella città (viaggiò in Egitto nel 130/131)'* e la sua notevole attività ad Hermoupolis Magna si lascia riconoscere dai templi di Adriano, di Antinoo e dalla stessa nuova denominazione della via Antinoitica, strada che risaliva almeno all'età tolemaica. Ancora, la costruzione della grande Basilica cristiana, la trasformazione del quartiere operaio del «dominio sacro» in residenziale, avvenuta in età tarda, ed altri

elementi, ci mostrano l'importanza che continuava ad avere la città nel periodo cristiano. Ma una notevole importanza per lo studio dell'urbanistica e dell'architettura egiziana in età imperiale riveste Antinoe, fondata tra l'ottobre e il novembre del 130 da Adriano, in quanto ci é nota dai disegni dello Jomard, che forniscono dati

ancora alla base delle recenti (Fig. 178) indagini topografiche9?: la città era attraversata da una larga strada nord-sud con colonne

doriche,

intersecata

da

due

strade

est-ovest,

di cui

soltanto

quella

meridionale

aveva

colonne

doriche.

Oltre

a

queste vie principali, ve ne erano altre secondarie che dividevano la città in insulae piuttosto regolari. Questa struttura, oltre che dalle evidenze archeologiche, è attestata dai papiri che menzionano quattro grammata, indicati con lettere progressive dell’alfabeto, delimitati da strade maggiori e divisi in plintheia con un proprio numero d’ordine. All’estremità della strada colonnata est-ovest vi erano due porte, quella orientale, che doveva essere l’unico accesso della città per chi

veniva da est, già crollata all’epoca della spedizione napoleonica, ma di cui affiorano dal terreno tuttora molte colonne di granito; la porta ovest, denominata «arco di trionfo», conserva ancora colonne di granito in piedi, ma il suo aspetto originario ci è restituito dai disegni dello Jomard (Fig. 181). Questi mostrano una porta monumentale (Figg. 182-184), con frontone triangolare largo quanto la porta stessa e con tre fornici, di cui i laterali più piccoli, comunicanti tra di essi e verso i fianchi esterni, attraverso porte poste sullo stesso asse che rivelano la posizione isolata del monumento, non inserito nel circuito murario: una sorta, dunque, di propileo monumentale di un piazzale aperto posto all’inizio della strada, che segue la tradizione architettonica delle grandi porte monumentali asiatiche e siriane, come l’arco trionfale e la porta di Gerasa, o l’arco sulla via colonnata di Palmira. Anche ad Antinoe il punto d’intersezione della via longitudinale con quelle trasversali era sottolineato dalla presenza di monumenti tipici anche delle città microasiatiche e siriane, cioè i tetrastili (riportati in pianta dallo Jomard): quello settentrionale era costituito da quattro colonne, con base d’acanto su alti piedistalli inscritti e con capitelli corinzi su cui poggiavano plinti con le statue degli imperatori, come si deduce dalla dedica a Severo Alessandro su uno dei piedistalli

(Figg. 123-125). Una conferma del ruolo che potè avere proprio Adriano nell’introdurre nuove mode nel campo dell’architettura si ha ad Hermoupolis Magna: qui infatti si verifica la presenza, come materiale di primo impiego nel Komasterion e di reim-

piego nella Basilica, di capitelli corinzi ad acanto spinoso, di tipo asiatico, attribuibili a questo periodo (cat. nn. 381392). Si tratta di una forma sinora estranea all’ambiente egiziano, diffusa in questo periodo dall’Asia Minore e ad Hermoupolis Magna addottata da maestranze del posto — i capitelli sono lavorati nella pietra locale — su modelli di officine

di formazione estranea all’Egitto greco-romano, bensì microasiatica: è possibile che al seguito dell’imperatore vi fossero anche

marmorarii

specializzati

nella decorazione

architettonica!

che

eventualmente

avrebbero

diretto le maestranze

di

Hermoupolis Magna. Va comunque

rilevato,

per ciò che riguarda la decorazione

architettonica,

che in età augustea

si reintrodussero

ad

Alessandria capitelli corinzi di tipo greco, con zone d’ombra ad occhiello!” e disegno più sobrio, che sono da collegare con l’edilizia pubblica di questo periodo, e che, proprio a partire dalla seconda metà del II secolo d.C. e in modo più esteso dall’età severiana, si verifica un mutamento decisivo ad Alessandria, che si traduce, d’ora in poi, in un netto distacco tra la città e i centri dell’interno. Nell’architettura ufficiale di Alessandria ora vengono infatti impiegati capitelli corinzi normali di tipo e di marmo asiatico, dunque ad acanto spinoso (cat. nn. 395-426) e molto spesso di importazione

102 K. PARLASKA, in JbMainz, 7, 1960, pp. 197-207. 103 Wace, Mecaw, SkeaT, Hermopolis Magna, tav. 24,

figg.

2, 3, 5.

104. Sul viaggio di Adriano in Egitto e sul suo passaggio ad Hermoupolis,

cfr.

F.

1915, pp. 333-334.

BLUMENTHAL,

in Archiv für

Papyrusforschung,

5,

105 JomARD, Description de l'Egypte, IV, p. 192 ss.; G. UGGERI, in Antinoe (1965-68), Roma 1974, pp. 40 ss.; E. MircHELL, in Vicino Oriente, 5, 1983, p. 171 ss.

106 HenMmevYER, Korinthische Normalkapitelle, p. 78 ss. da vedere per i capitelli asiatici; cfr. inoltre il noto passo di AURELIO VITTORE (Epit.de Caesaribus, XIV, 3-6: namque ad specimen legionum militarium fabros, perpendiculatores, architectos genusque cunctum exstruendorum moenium sue decorandorum, in cohortes centuriaverat) sull’organizza-

zione delle maestranze specializzate nelle costruzioni, che presumibilmente potevano accompagnare l’imperatore nei suoi viaggi (Cfr. H. BLocH, in AJA, 63, 1959, p. 237). 107 H, Von HEsBERG, in OJh, 53, 1981-82, pp. 49-51.

557

(dal Proconneso e da altri centri dell’ Asia Minore); sembra inoltre quasi scomparsa, zione

nella

pietra

locale

di capitelli

forme molto irrigidite e schematiche,

nella

tradizione

greco-alessandrina!,

Questa,

o comunque come

molto ridotta, la produ-

si è detto,

si conserva,

ma

in

solo nelle officine lavoranti presso le cave di granito e di porfido (cat. nn. 217-219).

IV

Una particolare attenzione va posta al periodo di Costantino, quando, dopo l'ultima grande persecuzione sotto Diocleziano, poterono essere innalzati liberamente grandi edifici di culto cristiani ed anzi, va rilevato come le tradizioni locali attribuiscano ad Elena la fondazione di numerose chiese (Deir el Bakara, Deir el Schouhada)!®. Proprio a riguardo dell’arredo marmoreo, questa notizia è tanto più significativa, se si pensa alla facile disponibiltà che l’imperatore e la sua famiglia avevano dei prodotti delle cave del Proconneso, in appoggio alla loro politica religiosa: é noto come quasi sempre la committenza imperiale diretta o la partecipazione di un membro della famiglia imperiale alla costruzione di una basilica cristiana sia accompagnata dalla donazione di colonne ed aitri elementi marmorei (vedi il caso della cattedrale di Gaza

del 402-7,

manodopera

per la cui erezione Eudossia invió trentadue colonne

per la costruzione

doveva

essere fornita dalla comunità

di marmo

cristiana,

caristio e la pianta della chiesa,

o invece

mentre

il caso della costruzione

la

della

chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme, del 426, completamente edificata a spese dello stato)'?. Ciò può spiegare anche per Alessandria, Abu Mina! e per molti elementi di reimpiego al Cairo!?, la presenza di numerosi capitelli corinzi marmorei di importazione asiatica del periodo costantiniano: non solo del primo trentennio del IV secolo ma anche del secondo trentennio, come mostrano alcuni esemplari di Alessandria, uno di Hermoupolis Magna!? e molti di reimpiego nelle moschee cairote (cat. nn. 407-446). In questa prospettiva si deve in parte vedere la successiva presenza di altri prodotti marmorei di importazione, come testimoniano diversi capitelli del V e VI secolo, corinzi, compositi e ad imposta, del Museo di Alessandria e, soprattutto di reimpiego, nelle moschee del Cairo! (cat. nn. 549-551, 656, 668, 673-674). Anche Alessandria partecipava all'arte ufficiale bizantina, e ciò spiega la sussistenza in età tarda di officine in grado di completare elementi marmorei semilavorati di importazione, mostrando di avere assimilato velocemente lo stile costantinopolitano. Rapporti con l'architettura bizantina sono anche testimoniati da una tipica forma di base, con le consuete modanature attiche, ma sostenuta da un alto piedistallo quadrato o ottagonale: esemplari di questo tipo sono stati trovati semilavorati in cave

microasiatiche,

specializzate nell’esportazione

di manufatti

marmorei

architettonici

così

nel Proconneso

e a Doci-

mium in Frigia —, ed è noto come nell’atrio teodosiano di S. Sofia vi fossero plinti ottagonali e quadrati, in entrambi i casi secondo una tradizione ben attestata in Asia Minore durante l’età imperiale (Afrodisia, Hierapolis, ecc.). In Egitto

esempi in marmo

sono testimoniati nella Grande Basilica di San Mena!,

reimpiego, ad Alessandria nell'auditorium di Kom

el-Dik!! e nel Museo,

nel convento di Apa Geremias a Saggara, di mentre frequentemente ne sono attestate le imi-

tazioni in pietra locale in vari centri egiziani, così nella basilica cristiana di Hermoupolis Magna!,

nei conventi del So-

hag!5, ecc. (cat. nn. 737-778). In Egitto si è conservato un unico grande santuario cristiano, per il quale si può affermare con sicurezza non solo l'intervento imperiale, ma anche la sua partecipazione diretta all'architettura ufficiale bizantina, quale in particolare si esprimeva lungo le coste dell'Egeo, e ancora la sicura presenza nei suoi edifici di manufatti marmorei di importazione. Si tratta del santuario di S. Mena, nel quale certamente operarono anche maestranze alessandrine che avevano assimilato i modi espressivi della decorazione bizantina (Fig. 196).

Ne facevano parte i seguenti edifici 115: 1. La Basilica della Cripta (m. 22,5 x 38), costruita in sostituzione di precedenti edifici più piccoli al di sopra della tomba del martire: presentava in una prima fase (Piccola Basilica) tre navate distinte da colonne (di cui restano solo le basi) e un’abside sporgente, alla quale si affiancavano due vani provvisti di absidiole; presto fu ampliata, divenendo a cinque navate per adattarsi al grande afflusso dei pellegrini, probabilmente sostituendo con colonnati le pareti esterne della fase precedente. Inoltre vi fu aggiunto un grande battistero. La prima fase della Basilica è attribuita al secondo quarto del V secolo (gli impianti precedenti risalgono al IV e agli inizi del V), mentre l'ampliamento al terzo quarto dello stesso secolo.

108 Cfr. note 86,87. *? BADAWY, in Kyrilliana, p. 4. 1? C. Manco, Byzantine Architecture, New

15 KAUFMANN, York

1976, p. 24 ss.

7! Bapawy, in Kyrilliana, p. 21, tav. 6,1. 12 H.G. Niemeyer, v. 28,c-d, 30,c.

in

MittKairo,

18,

1962,

p. 103 ss.,

tav-

1? DurHurr, La sculpture copte, p. 49., tav. 48,4. 4 KAuTZsCH, Kapitellstudien, Berlin 1936, tavv. 7-9, 38, 45; J. BEckwirH, Coptic Sculpture, London 1963, p. 21, fig. 84; BETSCH,

Constantinople, p. 391 (tra l'altro sono citati i capitelli-imposta della moschea di Ulmas al Cairo, esportati secondo l'autore al secondo stadio di lavorazione e rifiniti localmente, cfr. G. NIEMEYER, in MittKairo, 18, 1962, tav. 3 figg.a,b).

558

Die Menasstadt, tavv. 40, 43-44; BapAWY,

rilliana, p. 20, tav 2,2. 16 K. MICHALOWSKI,

Alexandria, Wien

in Ky-

1972, tav. 66.

17 Wace, MEGAW, SkEAT, Hermopolis Magna, p. 5158. 18 MoNNERET

DE VILLARD,

Sohag, p. 125.

*

!? Non vengono più seguite le tradizionali datazioni date dal Kaufmann e più o meno seguite dal Bapawy, in Kyrilliana, pp. 15-26, e dal J.B. WarD Perkins, in BSR, 17, 1949, pp. 26 sultanti dai lavori più recenti del MULLER-WiENER, del SEvERIN: da ultimo v. SEVERIN, Marmor von GROSSMANN, «Die Gruftkirche und die Gruft», Abu Rhein 1989.

ss., bensì quelle ridel GROSSMANN e heiligen Menas; P. Mina I, Mainz am

In età giustinianea si verificò una radicale trasformazione della Piccola Basilica e dei vani annessi, in quanto furono

sostituiti da un grande Tetraconco, costituito da quattro esedre semicircolari sorrette da colonne, alcune con piedistalli ottagonali, ed esternamente limitato da muri rettilinei: esso è collegato col nartece a due esedre laterali della Grande Basilica, ponendosi sullo stesso asse di questa. Vi sono stati trovati capitelli che avevano una corona di foglie d’acanto nella parte inferiore del kalathos ed una serie di baccellature in quella superiore, piuttosto espansa; l'abaco quadrato era sormontato da un’imposta con croce su ogni lato. 2. Grande

Basilica

(m. 57,6 x 26,5),

detta anche

Basilica di «Arcadio»

o di «Teofilo»,

aggiunta al precedente

com-

plesso con cui comunicava attraverso due porte sul lato frontale. In una prima fase, recentemente attribuita agli inizi dell’ultimo quarto del V secolo (non più dunque

agli inizi del secolo,

sotto Arcadio),

presentava un abside sporgente.

Ben

presto (ultimo decennio del secolo) fu ampliato e trasformato il transetto, diviso in tre navate che continuavano quelle del corpo principale. Le colonne erano sormontate da capitelli corinzi d'importazione dal Proconneso (vi si conserva un capitello corinzio a «medaglione »), spesso con piccola croce in luogo del fiore dell'abaco, e con capitelli corinzi lavorati da officine di origine alessandrina, che spesso utilizzano semilavorati d’importazione (cat. nn. 457, 462-464, 486). 3. Trasformazione e ampliamento del battistero (m. 25 x 26), addossato sul lato frontale della Basilica della Cripta (Piccola Basilica) con la costruzione di una sala ottagonale come sala battesimale e con l’aggiunta di un atrio colonnato. Ciò dovette avvenire contemporaneamente alla costruzione della Grande Basilica, in base ad un progetto unitario. Ricordiamo soltanto che il pavimento era in opus sectile, con lastre di serpentino, di porfido e di altri marmi colorati. In esso

sono stati ritrovati capitelli bizantini con colombe dalle ali dispiegate. 4. Basilica Nord (Basilica Cimiteriale), con larga navata limitata da due file di nove colonne, che proseguivano anche sul fronte. L’abside semicircolare era rientrante (Fig. 195). La Basilica è attribuita alla stessa epoca della Grande Basilica. 5. Complesso termale (le «doppie terme») con due grandi sale a forma di basilica, di cui una a doppia abside (m. 20 x 13) e a tre navate. Le due file di colonne che le separavano erano sormontate da capitelli corinzi marmorei rifiniti localmente. La sala basilicale è datata al V secolo. Un’importante fase del complesso è della metà circa del VI secolo,

ma l’impianto ha diverse fasi precedenti.

6. Chiesa Orientale a forma di tetraconco'?: all’interno presenta però un contorno quadrato mentre all’esterno non sono visibili le sporgenze delle quattro absidi perché nascoste da vari annessi. È stato rilevato

come

la Grande

Basilica rappresenti

un esempio

di architettura

definito

«internazionale»,

da pilastri,

noto

in diversi

centri dell'Egeo, e ancora che i due tetraconchi si rifanno a modelli microasiatici o siriani. Di conseguenza non stupisce di trovare ad Abu Mina! manufatti marmorei d’importazione, che confermano il ruolo degli interventi imperiali nel santuario. L'insistenza che qui si è posta sui prodotti d’importazione e sulla committenza o partecipazione imperiale alla costruzione di chiese,

con le relative ripercussioni

sulla qualità e scelte stilistiche dell’arredo marmoreo,

è anche

dovuta al fatto

che, dove ciò manchi o sia un fenomeno isolato, i programmi decorativi, i materiali e anche le piante delle chiese appaiono diversi, con moltissimi rapporti con le tradizioni architettoniche e ornamentali locali (spesso è stato notato che la massa quadrangolare compatta delle prime chiese egiziane ricorda i monumenti di stile faraonico e che, ad esempio, i muri della basilica del Convento Bianco del Sohag presentano un'inclinazione di 1/15 come nelle costruzioni egiziane)": i materiali da costruzione saranno le pietre del posto oppure mattoni cotti o crudi (Deir el Ahmar/Convento Rosso, Abu Hennis)!”, anche se massiccia sarà la presenza di elementi di reimpiego (chiesa di Dendera, che riutilizza materiali del vicino Mammisi di Augusto, Deir el Abiad/Convento Bianco, Apa Geremia a Saggara)! presi dai templi egiziani, dove è più facile reperire i blocchi calcarei e le colonne monolitiche di granito. Come risorsa locale può considerarsi, ad esempio nei conventi del Sohag, l’uso di travi in legno poggianti direttamente sui capitelli e sostenenti l’architrave in pietra!5. Nell'architettura cristiana dell'Egitto una particolare diffusione avrà la pianta basilicale con presbiterio triconco e con abside interna, cioè non sporgente dal muro di fondo (Figg. 60, 62, 63): frequenti saranno le nicchie ricavate estensivamente

sia

nello

spessore

dei

muri

rettilinei

(Dendera,

Abu

Hennis),

che

in

quelli

curvilinei

delle

absidi

(Deir

el

Abiad/Convento Bianco, Deir el Bakara), ed anzi proprio la decorazione della loro copertura, spesso a conca e con frontoncino anche interrotto, costituisce un’importante testimonianza dell’arte decorativa cristiana, offrendo anche la possibilità di risalire ad una delle sue fonti. Molte di queste coperture"^ infatti presentano un’incorniciatura architettonica dove sono

120 p. GROSSMANN, in Das rómisch-byzantinische Agypten, Mainzam-Rhein, 1983, pp. 167-173.

3 Ip., p. 6.

21 KAUFMANN, Die Menasstadt, tavv. 68 al centro, 71,1; KAUTzscH, Kapitellstudien, n. 100, tav. 7, nn. 108-109, tav. 8, pp. 33,35;

U^ Ip., p. 42. 95 Ip, p. ll.

J.B. WARD PERKINS, in BSR, 1949, pp. 26 ss. 12 Bapawy, in Kyrilliana, pp. 12,35.

126 Breccia, Musée gréco-romain, 1931-32, p. 45 ss., tavv. 33-36; J. BeckwITH, Coptic Sculpture, London 1963, figg. 71, 75, 92.

559

ripresi motivi alessandrini del periodo tolemaico (mensole «a travicello», rombi, rosette in cassettoni quadrangolari od ottagonali, acroteri a pennacchi , ecc.), ma non tanto o non solo per una continuità di tradizione artistica, bensi per una ripresa di modelli più antichi, spesso non capiti e tradotti in modo ingenuo e vivace ad opera degli artigiani cristiani (cat. nn. 1002-1017). Tra l'altro viene riproposta e accentuata quella tendenza del periodo tolemaico a riprodurre le incornicia-

ture architettoniche delle coperture delle nicchie ribaltandole obliquamente (rappresentazione di «sguincio»)!”, in modo

da mostrare chiaramente i particolari ornamentali dei soffitti delle cornici: ciò è ben visibile ad Alessandria, nei soffitti di alcune trabeazioni ellenistiche di portali (cat. n. 982) e nelle porte del lato sud della corte dell’ipogeo 1 di Mustafa Pascià,

e a Tolemaide,

nell'ordine

superiore del lato nord del Grande

Peristilio del Palazzo

delle Colonne,

di cui è ormai

riconosciuta la dipendenza dall'architettura alessandrina "*. Inoltre, nel centro e nel sud dell’Egitto e lungo il Mar Rosso, pur in un panorama fortemente influenzato dall'arte e

dall'architettura bizantina, avrà un certo ruolo nel periodo tardo anche l'influsso architettonico proveniente dai conventi e dai centri religiosi della Siria: ciò si riscontra anche in elementi decorativi a Saqqara'? e in particolarità dei capitelli corinzi dei conventi del Sohag, struttura

tradizionale

studiati dal Monneret de Villard!,

dell'ordine

corinzio

con

anche avere influenzato la forma dell’acanto

caulicoli,

calici,

con acanto a fogliette lanceolate e con la ripresa dalla

elici

e volute.

Ci

sembra

dei capitelli corinzi scolpiti appositamente,

per la Basilica cristiana di Hermoupolis Magna!,

che

modelli

siriani!

possano

nella prima metà del V secolo,

soprattutto per la lunghezza delle fogliette dei lobi (cat. nn. 559-567).

Questi rapporti con l’architettura siriana sono meglio visibili in alcune riprese di piante e di elementi dell’elevato dei

conventi del Sohag!

e vanno anche inquadrati all’interno degli avvenimenti storici e religiosi del V secolo, che videro

contrapposti i monofisiti ai diofisiti: è noto ad esempio come l’Egitto e la Siria, dopo il concilio del 450 di Calcedonia e il generale

accentuarsi

delle divisioni

dottrinarie,

aramaici dell’interno, mentre Costantinopoli,

combatterono

a favore

del monofisismo,

su iniziativa di monaci

copti e

con la sua tradizione di cultura ellenica propendeva per il diofisismo!*.

Conseguenza di queste lotte dogmatiche fu comunque il rafforzarsi del potere centrale, e il riflesso di ciò è da vedersi proprio nel fatto che le grandi città, sedi del governo provinciale, continuarono a mantenere stretti contatti anche con

l’arte ufficiale in uso a Costantinopoli.

V Proprio per ció che riguarda specificamente i capitelli, ma anche altri elementi come le transenne e 1 pilastri decorati del IV-VI secolo d.C., appartenenti all’arte «copta», è stato necessario precisare meglio gli elementi tipologici dei pezzi d'importazione bizantina o lavorati da officine alessandrine, fedeli però ai modelli costantinopolitani: infatti solo in tal modo si sono resi comprensibili i rapporti fra l’arte «copta» e l'arte ufficiale di stato bizantina ed è stato possibile valutare il significato delle variazioni apportate dalle officine locali. A

questo

fine

si è partiti dall’arredo

architettonico

del grandioso

complesso

di San

Mena

che,

come

si è detto,

ri-

flette direttamente l’architettura bizantina, come è visibile nell'abside sporgente e nella pianta cruciforme della Grande Basilica o nelle aule di culto a tetraconco. I capitelli di questo complesso sono notevolmente importanti perché testimoniano il tipo corinzio elaborato a Costantinopoli, e in particolare nelle officine legate alle cave del Proconneso, nel corso della seconda metà del IV secolo. La produzione di queste aumentó grandemente per sopperire alle esigenze di rappresentanza della

nuova

capitale

(basti

pensare

al Foro

di

Costantino,

alla prima

Santa

Sofia

sotto

Costanzo

II,

al Forum

l'arco d'ingresso di Teodosio I)!. In questo periodo i capitelli corinzi sono ancora, per la forma delle due foglie d'acanto, nella tradizione dei capitelli del III secolo e di età costantiniana: rispetto ad essi però si utilizza a fogliette più larghe («Weichacanthus») e vengono apportate ulteriori semplificazioni e schematizzazioni, quali parsa delle volute interne (elici), il collegamento disorganico dei calici con le volute (Arco di Teodosio I) e mancanza anche dei calici e dei caulicoli. A

S. Mena,

d’altra parte,

come

per altri siti, la presenza

della croce

nella coroncina

d'alloro,

Tauri

e

corone di un acanto la scomspesso la

da cui pendono

nastri

svolazzanti (cat. nn. 462-464, 479-480), e altre particolarità stilistiche e tipologiche, come l’accento sempre maggiore che acquista la sagoma di sfondo sopra le foglie della prima corona, indicano che la rifinitura di questi capitelli avvenne ad opera di officine egiziane. Queste evidentemente lavoravano su manufatti semilavorati o quasi rifiniti d’importazione, ma

27 ADRIANI,

Repertorio,

p. 32; M.

BERGMANN,

in Bathron,

trag sur Architectur und verwandten Kunsten, fiir H.Drerup 80° Geburstag, Saarbriicken 1988, p. 59 ss.

Bei-

zu seinem

8 LyTTELTON, Baroque Architecture, pp. 43-44. 19 BApAwY,

in Kyrilliana, p. 7.

130 MoNNERET DE VILLARD, Sohag, tavv. 37, 158. 131 C. STRUBE, in JACA, 26, 1983, p. 59 ss., tav. 10,c; v. anche Ip., in AA, 1978, pp. 594-595 per l'osservazione sul ritorno alla scultura barocca dei Severi nella Siria del nord ad opera di officine urbane verso la metà del V secolo d.C. Cfr. T. ULBERT, in Resafa-Sergiupolis,

Resafa II, Mainz-am-Rhein 1986, p. 41, tav. 19,5; J.P. Sopmt, La scul-

560

pture architecturale, p. 39, nota 67, per i-possibili influssi di prototipi siriani nei capitelli di Santa Sofia situati nel mezzo del colonnato sud (KAurzscH, Kapitellstudien, n. 457).

tav. 24,

fig-

g. 4,6 ss.; H.G. SEVERIN, in 28° Corso di cultura arte ravennate zantina, Ravenna 1981, p. 320 ,fig. 3.

132 Wace,

MEGAW,

SKEAT,

Hermopolis

Magna,

e bi-

153 MoNNERET DE VILLARD, Sohag, pp. 126 ss. 1*R. KRAUTHEIMER, Architettura paleocristiana (ed.it.), Torino 1986, p. 112. 135 BetscH, Constantinople, precedente bibliografia.

da

vedere

sugli

edifici .

e

bizantina,

citati

e sulla

avevano assimilato le modalità ornamentali protobizantine legate all'uso del marmo e nessun rapporto, dunque, con la tradizione architettonica decorativa alessandrina.

alla tradizione microasiatica, e senza

Anche quando saranno diffusi a Costantinopoli (Porta d'Oro, Colonna di Marciano) capitelli che utilizzano la nuova forma di acanto a grossi dentelli («dentellato», «mask-acanthus»)! con zone d'ombra circolari o ogivali tra i lobi, sembra che ad Alessandria e a S. Mena l'acanto preferito sia quello con lobi a fogliette larghe e zone d'ombra strette e allungate («crowded-acanthus»), che d'altronde continuò ad essere impiegato a Costantinopoli durante buona parte del V secolo e parallelamento dunque all’acanto a grossi dentelli. Ad Alessandria e a S. Mena i capitelli corinzi con l’acanto a strette zone d'ombra vanno dalla fine del IV — primi decenni del V secolo, quando conservano ancora i calici, collegati però disorganicamente con le volute (cat. nn. 452467), fino ad almeno i primi tre quarti sempre del V secolo, quando i capitelli corinzi quasi sempre sono privi dei calici e presentano solo le volute emergenti dietro le foglie (cat. nn. 472-487). Le testimonianze di questi tipi di capitelli provengono oltre che da Abu Mina e da Alessandria, anche dal Cairo

(moschea di Ulmas, ecc.) e da Ahnas!”: può certamente affermarsi che questa tradizione dell'acanto spinoso costantinopolitano, fatta propria dalle officine alessandrine inserite nelle correnti artistiche ufficiali della parte orientale dell’impero,

ha certamente svolto un ruolo importante nel determinare le forme ornamentali dei capitelli e di altri elementi architettonici «copti» lavorati nei calcari locali e nei quali a lungo predomina l’acanto spinoso. Ma non può parlarsi di una produzione unitaria nel periodo «copto», che tra l’altro è caratterizzata da numerosi classicismi visibili anche nei capitelli, dove spesso, oltre all’acanto spinoso con fogliette molto lunghe, ritornano caulicoli, calici, volute ed elici secondo la tradizione più antica del capitello corinzio*: a questo proposito sarebbe necessario uno studio per ogni centro. Si è già detto che deve anche considerarsi il ruolo avuto dalla contemporanea decorazione architettonica in Siria, dove nei conventi del IV e V secolo frequentemente i capitelli corinzi sono di tipo classicistico, con acanto spinoso a fogliette molto lunghe e con calici e caulicoli molto sottili, in una forma che ritorna simile in alcuni capitelli dei conventi

del Sohag, della Basilica di Hermoupolis Magna (cat. nn. 559-567), e di Apa Jeremia a Saggara!”. Caratteristica di molti capitelli corinzi di colonna e di pilastro delle chiese egiziane del V e anche del VI secolo, è la forma schematica a V che assumono i calici, nascenti da sottili e lunghi caulicoli, o direttamente negli intervalli tra le

foglie; gli steli delle volute e, quando ci sono, delle elici, o sono distinti dai calici, assumendo una forma sempre più stilizzata, oppure sono fusi con le foglie dei calici stessi (cat. nn. 559, 566, 571-572, 576-577)!

Si tratta di forme che si

ritrovano già a Costantinopoli nella Porta d'Oro e in altri esempi reimpiegati nelle cisterne '^' dove il sottilissimo e molto ridotto stelo delle volute non è quasi più distinguibile dai calici a V. Nei centri egiziani è frequente l’introduzione di una variante, per cui su ogni lato i calici a V nascono dietro le foglie, al centro dei lati del kalathos'**, o da un unico caulicolo sull'asse di ogni lato!?. Anche in questo caso le volute possono essere distinte dai calici (cat. n. 588) o essere fuse con essi (cat. nn. 567-569): in ogni modo le foglie di profilo dei calici sono articolate in lunghe fogliette spinose solo all'interno dello spazio a V. Per il motivo centrale a V puó riconoscersi un influsso dei capitelli bizantini con motivo a lira; inoltre nella foglia d'acanto che talvolta riveste lo spazio angolare tra le volute di due lati contigui può riconoscersi un'eco delle «Lederblitter» bizantine. Tutto ciò riporta l’attenzione al ruolo che i capitelli di Costantinopoli ebbero nella produzione contemporanea egiziana: come si è detto, il materiale del Museo di Alessandria e di S. Mena indica che continuarono ad essere importati e rifiniti localmente capitelli corinzi ad acanto spinoso, con lunghe ed ampie fogliette e strette zone d’ombra («crowded-acanthus»). Un indizio che la produzione di capitelli con questo tipo d’acanto perdurasse a lungo nel corso del V, ed anche nei primi decenni del VI secolo, ci è fornito da capitelli corinzieggianti marmorei di piccole dimensioni, con una sola corona di quattro oppure otto foglie (con quelle angolari più alte di quelle centrali): ad esempio i pezzi provenienti da El-Dekhela, presso Alessandria, dove forse vi era il monastero di Ennaton, o quelli del lapidario del convento di Deir Abu Makarios, allo Wadi Natrum (cat. nn. 498-507)!^. Anche questa classe di capitelli dette luogo ad imitazioni e rielaborazioni locali di piccole dimensioni, spesso con le foglie lisce, cioè senza l’intaglio dei particolari vegetali, utilizzate sopratutto in edicole, cibori ecc., e lavorate nelle arenarie e nei calcari del posto (cat. nn. 637-653).

in Propylüen Kunstgeschichte,

156 Ip., p. 189.

10 E.

BrEescIANI,

suppl. 1, 1977, p. 232, n. 246a.

Missione

di scavo

a Medinet Madi,

Rapporto

1? STRZYGOWSKI, Koptische Kunst, p. 75, n. 7350, Per il tipo confronta Kautzscu, Kapitellstudien, pp. 26 ss., 213 ss.; G. NIEMEYER, in MittKairo, 18, 1962, p. 133 ss.; W. Daszewsxi, «Les citernes et les chapiteaux», in Mélanges G.E.Moktar, Le Caire 1985, p. 184, tav. 1. 38 Cfr. CBASSINAT, Fouilles à Baouit, tavv. 44-47: l'autore osserva come i capitelli corinzi principali siano ancora vicini al prototipo vitruviano, con ancora tre fogliette a lobo, ed è noto come li datasse intorno

preliminare delle campagne di scavo 1966-1967, Varese 1968, tav. 2,4; Wace, Mecaw, SkEAT, Hermopolis, tav. 27, figg. 8,10; H.G. Sr. VERIN, in 28° Corso cultura arte ravennate e bizantina, Ravenna 1981, pp. 320-325, figg. 2-7. 141 KAurZscH, Kapitellstudien, pp. 45, 53, tav. 11, n. 155, tav. 12, n. 168.

alla metà del VI secolo in base ai capitelli-imposta trovati con essi in un'epoca a cui dunque risalirebbe una parte considerevole di edifici a

Bapawy, in Kyrilliana, p. 43, tav. 10,3 (chiesa funeraria del monastero di Apa Geremia a Saqqara). Cfr. inoltre H.G. SEVERIN, in MittKairo, 33, 1977, p. 113 ss; H.G. SEVERIN, P. GROSSMANN, in MittKairo, 38,

Bawit cfr. J. BEckwrrH, Coptic Sculpture, London 1963, p. 20. Per una revisione della cronologia dei complessi di Bawit e Saqqara v. pero i lavori di GROSMANN e SEVERIN citati alla nota 142.

139 Cfr. forme

note

classicistiche

130-131

e Bapawy,

in Kyrilliana,

tav. 11,a;

per

di capitelli corinzi bizantini in Siria v. J. Lassus,

'2 QuIBELL,

1982,

Excavations

pp. 155-194

at

per l'attribuzione

Saqgara,

degli elementi

I,tavv. 27,2;28,4;

architettonici alle

varie parti dei complessi di Saqqara e di Bawit.

1? Bapawy,

Coptic Art, fig. 3,159 (Bawit).

44 E, BRECCIA,

in BSAA,

9, 1907, pp. 3-12.

561

L'acanto dentellato, a corte fogliette (cioè i dentelli) arcuate ed appuntite e con le zone d'ombra ad occhiello o ovali tra i lobi,di moda a Costantinopoli dal periodo di Teodosio II (408-450), è documentato, in forme fedeli ai modelli bizantini, molto meno frequentemente nei capitelli corinzi di produzione e di pietra locale. Tuttavia ad Alessandria è conservato, sia un grande e raffinato capitello composito di pilastro, probabilmente importato già rifinito, sia due o tre capitelli corinzi semplificati, con solo le volute, che indicano la conoscenza del tipo (cat. nn. 489-494, 547-550): ciò è confermato anche da alcuni capitelli corinzi e compositi reimpiegati al Cairo e da numerosi capitelli corinzieggianti di piccole dimensioni, molto simili a quelli citati di El Dekhela e dello Wadi Natrum, ma con i lobi del’acanto separati da zone d’ombra circolari (cat. nn. 528-541). In effetti l’acanto dentellato, e anche quello finemente dentellato, sono frequentemente documentati nei capitelli ad imposta di produzione locale, come mostrano noti esempi di Saqqara e di Bawit (cat. nn. 666-667): anzi la forma ad imposta (semplice o polilobata) è stata particolarmente amata nel VI secolo in Egitto, come testimoniano gli esempi di Hermoupolis Magna, di Bawit e di Saqqara'^, tanto da aver fatto pensare erroneamente allo Strzygowsky! che i capitelli ad imposta fossero nati in Egitto e da qui ripresi a Costantinopoli, e non invece il contrario. Nella produzione «copta», cioè cristiana, dei centri monastici dell’interno, l’acanto dentellato con i lobi separati da zone d’ombra circolari non è subito adottato nei capitelli corinzi, in quanto continua la predilezione per l’acanto spinoso con i lobi separati da zone d’ombra strette e allungate e articolati in fogliette lunghe ed appuntite (Basilica di Hermoupolis Magna, cat. nn. 559-567, ed esempi di Saqqara, più antichi, cat. nn. 568, 570): in ciò potremmo anche individuare elementi comuni con l’ambiente siriano, dove, come si è detto, ancora nel IV-VI secolo, continua anche una produzione,

piuttosto classicistica, di capitelli corinzi con acanto spinoso!^. Con la seconda metà del V secolo, tuttavia, sempre più spesso vengono introdotte zone d'ombra ogivali (Convento Rosso presso il Sohag, cat. n. 572) e l'influsso dell'acanto x dentellato & visibile nell'incurvarsi di alcune delle fogliette dei lobi, in modo da toccare i lobi contigui e da accentuare l'effetto decorativo e ad intarsio con cui nell'arte «copta» é utilizzato questo tipo di foglie. Esempi caratteristici sono

alcuni capitelli di Bawit e di Saqgara!*, in cui è maggiormente avvertibile l'influsso dell’acanto dentellato per i lobi a tre

fogliette appuntite delle foglie dei calici (cat. nn. 578-588); l’influsso dell'acanto «finemente dentellato» è visibile di nuovo in capitelli corinzi di Bawit!^?, mentre il caratteristico acanto mosso dal vento si riscontra a Saqqara (ora nel Museo copto del Cairo, cat. n. 655). Che anche in questi casi possano esservi stati rapporti, in particolare con la Siria del nord, potrebbe arguirsi proprio dalle forme che anche qui vengono elaborate con la fine del V ed i primi decenni del

?!. VI secolo, forme che tuttavia tengono conto di quelle costantinopolitane La ricettività di Alessandria

stri e le colonne esempio, dei noti capitelli bizantini, rono anche motivi

è mostrata dalla diffusione

bizantine

le forme

verso

che ebbero

in Egitto i fregi,

i pila-

decorati con tralci ed altri motivi vegetali (cat. n. 797)!°, che riprendono modelli alla base, ad pilastri «acritani» di Venezia, da S. Polieucto a Costantinopoli, ed ancora dalla ripresa di altri tipi di come quelli a cesto e a due zone del VI secolo, che diedero luogo a diversi tipi locali a cui si adattadecorativi tradizionali (cat.669-670).

Tra l’altro continua ad avere successo l’impiego di tralci di vite e di grappoli come riempitivo ornamentale (cat. n. 1022), sia per suggestioni bizantine, sia per la continuità dell’uso di questi motivi nell’Egitto stesso fin dall’età tolemaica. Sono stati già citati i capitelli (cat. nn. 294-302) di un edificio sconosciuto di Edfu, della fine del III — prima metà II secolo a.C., diversi esemplari corinzi tardo-ellenistici del Museo di Alessandria e capitelli figurati reimpiegati nell’aula

basilicale della fortezza di Dionysias!5 (v. p. 233): in tutti questi sono inseriti foglie di vite e grappoli nell’apparato vegeagli influssi soprattutto bizantini si devono attribuire i tralci di vite strettamente allacciati che ri-

tale corinzio. Comunque,

vestono diversi capitelli ad imposta di Saqqara^, a giudicare dai confronti con Costantinopoli ed altri centri del Mediterraneo ^. Va infine rilevato che, mentre motivi decorativi di tradizione alessandrina si riscontrano nelle coperture delle nicchie, nelle incorniciature (v. sopra), nei fregi, nelle colonne addossate ai pilastri (qui ad esempio nelle corone di foglie che circondano l'imoscapo e nei motivi a zig zag) "6, etc., al contrario l'influenza del capitello corinzio alessandrino è molto più

rara e non sembra oltrepassare i limiti del IV secolo, quando si riscontra, come si è detto, in capitelli di granito e di altre pietre dure, nelle cui cave le officine specializzate negli elementi architettonici dovevano aver conservato questa tradizione: sono già stati citati i capitelli utilizzati nella chiesa ricavata all’interno del tempio di Kom Ombo e quelli dell’aula

di culto imperiale di età dioclezianea all’interno del tempio di Luxor (cat. nn. 252-254, 293).

145 CHASSINAT,

Fouilles à Baouit,

tav. 39; DUTHUIT,

La sculpture

copte, pp. 47 ss., tavv. 45-49; BADAWY, Coptic Art, fig. 3,173-181. 146 STRZYGOWSKI, Koptische Kunst, n. 7352, fig. 105; cfr. invece E.

Drioton,

1943, p. 17; bibl. citata.

Les

J.

sculptures

BEckwrrH,

coptes

du

Coptic

Sculpture,

Nilométre

V? V. nota 139. 48 DuTHUIT, La sculpture copte, p. 50, Bapawy, Coptic Sculpture, fig. 3. 158-159. 149 Dutauir,

La

sculpture

copte,

p. 49,

de

Rodah,

London

Le

1963,

Caire

p. 21

e

fig. 3,161-169 (Bawit, Saqgara).

tav. 43,b,c tav. 41;

(Saqqara); cfr.

anche

tav. 45,a per un capitello di marmo del Cairo, ma di produzione locale, ispirato ai capitelli a calice con una corona di foglie d'acanto finemente

562

dentellato nella parte inferiore del kalathos ed una corona di baccellature nella parte superiore. 150 DuTHUIT, La sculpture copte, p. 49, tav. 42,4; KAurzscH, Kapitellstudien, p. 152, tav. 29, n. 476, che osserva come si tratti di un'interpretazione egiziana della forma bizantina. P! CH. STRUBE, in JACh, 26, 1983, pp. 59 ss. 1? DuTHUIT, La sculpture copte, pp. 50 ss.; BADAwy, Coptic Art, 1$ 154 49,a-b. 155 156

BapawY, Coptic Art, fig. 3,182 DurHurr, La sculpture copte, p. 49, tavv. 45,4,

46,c,

Cfr. DEICHMANN, San Marco, nn. 194, 310-311, 364, 419. BapawY, Coptic Art, p. 198, fig. 3,168.

48a-d,

SUDDIVISIONI

DEL CATALOGO

ED ELENCO

DEI TIPI

(i numeri tra parentesi si riferiscono a quelli del Catalogo)

PRESSO

ELEMENTI DELL'EDIFICIO PROGETTATO LA BANCHINA NUOVA DEL PORTO ORIENTALE DI ALESSANDRIA



μ-

Elementi dorici. (1-9) Elementi ionici. (10-21) 3. Elementi dell'arredo pertinenti al medesimo edificio. (22-24)

Boo

pon

ELEMENTI Elementi Elementi Elementi Elementi

NELL'AREA

DEL

SERAPEO

DI ALESSANDRIA

da edifici di età tolemaica. (25-29) dal recinto di età imperiale. (30-37) da edifici di età imperiale. (38, 38A) della «Colonna di Pompeo». (39-40)

ELEMENTI

PWD

RINVENUTI

DEL

SANTUARIO

Capitelli. (41-59) Basi. (60) Elementi della trabeazione dorica. (61-64) Elementi di trabeazione ionica e ionico-corinzia.

ELEMENTI

TOLEMAICO

DI HERMOUPOLIS

MAGNA

(65-73)

ARCHITETTONICI

DEL SERAPEO

DEL MONS

PORPHYRITES

(74-95)

CAPITELLI Tipo Tipo Tipo Tipo Tipo Tipo

1: 2: 3: 4: 5: 6:

DORICI

con tre anuli piatti sottili e ravvicinati. (96) con anuli piatti e poco distinti. (97-98A) con due anuli ed echino sottile. (99) senza anuli. (100) con echino incurvato e sottile collarino. (101-102) con kyma ionico sull’echino. (103)

CAPITELLI IONICI Tipo 1:

con ovuli e lancette e canale delle volute incurvato inferiormente,

Tipo 2:

con kyma ionico ad ovuli e lancette e canale delle volute orizzontale, di età ellenistica. (116-123,

di età ellenistica.

(104-115)

123A) 565

Tipo Tipo Tipo Tipo Tipo Tipo

3: 4: 5: 6: 7: 8:

di marmo, con ovuli e lancette di età imperiale. (124-138) di marmo, con ovuli e freccette di età imperiale. (139-144) di pietra locale con ovuli e lancette di età imperiale (II-IV sec. d.C.). (145-150) di marmo e di calcare tardi (IV-VI sec. d.C.). (151-157) capitelli ionici-imposta. (158) con hypotrachelion decorato a rosette. (159)

CAPITELLI Tipo 1,1:

COMPOSITI

EGIZI

Tipo 1,2:

con calici di papiri alternati a calici di palmette e introduzione delle elici. (160) con calici di papiro alternati a calici con tre sepali lanceolati. (161-165)

Tipo Tipo Tipo Tipo

con con con con

2,1: 2,2: 2,3: 2,4:

ordine di calici a tre sepali ed inflorescenze a rametti. (166) due ordini di calici a tre sepali ed inflorescenze a rametti. (167-168) tre ordini di calici a tre sepali ed inflorescenze a rametti. (169) schematici calici ad unico sepalo centrale ed inflorescenze a rametti. (170)

Tipo 3,1: Tipo 3,2:

a lobi con papiri fioriti alternati a calici a tre sepali. (171-172)

Tipo 4:

con calici a tre sepali e inflorescenze a rametti alternati a papiri fioriti. (174)

Tipo 5:

a tre ordini di calici fioriti di papiro ad ombrello.

a lobi con papiri fioriti alternati a calici a tre sepali e papiri fioriti più piccoli. (173)

(175-179)

CAPITELLI CORINZI DI ETÀ TOLEMAICA (e di età imperiale ma nella tradizione tolemaica) Tipo 1,1:

con volute a forma di larga foglia d’acqua e caulicoli da cui nascono soltanto le elici, le cui spirali a sezione concava non arrivano

Tipo 1,2:

sotto l’orlo dell’abaco.

(180-181,

24)

Tipo 1,3:

con volute a forma di larga foglia d’acqua e caulicoli da cui nasce solo l’elice con spirale a sezione concava che arriva all’orlo dell’abaco. (182) con volute a forma di larga foglia d’acqua poco articolata e corte elici tubolari nascenti dietro le volute.

Tipo 1,4:

con volute a forma di larga foglia d’acqua e caulicoli da cui nasce soltanto l’elice, la cui spirale a sezione

(182A) concava non arriva sotto l’orlo dell’abaco, e con l’introduzione di una piccola foglia per lo stelo del fiore dell’abaco.

(183-186)

Tipo 2,1:

con volute a forma di larga foglia d’acqua e caulicoli scanalati, convessa con piccolo calicetto alla base. (nn. 43-47, 187-188)

Tipo 2,2:

con volute

Tipo 2,3:

Tipo 2,4:

Tipo 2,5: Tipo 3,1:

Tipo 3,2: Tipo 3,3: Tipo 3,4: Tipo 3,5:

a forma

di larga foglia d’acqua,

vessa con piccolo calicetto alla base e con baco. (189) con volute a forma di larga foglia d'acqua, colo calice solo all'inizio della spirale delle fiore dell'abaco. (190-196) con volute a forma di larga foglia d'acqua, colo calice solo all'inizio della spirale delle (197-201, 201A) con volute a forma di larga foglia d'acqua, stelo a sezione convessa. (202)

scanalati

da cui nascono

soltanto le elici a sezione

soltanto le elici a sezione con-

l’introduzione di una piccola foglia per lo stelo del fiore dell’a: caulicoli scanalati lunghi e ricurvi, che danno origine ad un picelici, e con l'introduzione di una piccola foglia per lo stelo del caulicoli scanalati lunghi e ricurvi, che danno origine ad un picelici, e senza la piccola foglia per lo stelo del fiore dell'abaco. caulicoli accompagnati

da una lunga foglia dentellata, elici con

con volute a forma di larga foglia d'acqua e sottili elici con ampie spirali prive di caulicolo e nascenti accanto ai margini delle volute. (203) con volute a forma di larga foglia d'acqua e sottili elici prive di caulicolo e nascenti accanto ai margini delle volute. (204-216) con foglie dalla cima fortemente ripiegata a cappuccio, volute a forma di foglia d'acqua e larghe elici scanalate prive di caulicolo. (217-227) in granito, con foglie dalla cima triangolare fortemente ripiegata, con volute semplificate derivanti dalla forma di foglia d'acqua ed elici ridotte. (228-230, 228A)

con due corone di foglie d'acanto della stessa altezza, dalla cima ovale fortemente ripiegata, con volute a foglia d'acqua ed elici ridotte. (231)

566

caulicoli

da cui nascono

Tipo 4,1: Tipo 4,2:

Tipo 4,3: Tipo 4,4:

con volute nascenti da canto. (232-235) con volute nascenti da con volute nascenti da con volute nascenti da all'inizio della spirale.

due caulicoli accostati ed elici libere, accompagnate da una lunga e

stretta foglia d'a-

due caulicoli accostati ed elici avvolte da due foglie formanti un calice. (236) caulicoli accostati ed elici dal corto caulicolo con calice. (237-238) lunghi caulicoli e le elici da un lungo caulicolo ricurvo formante un piccolo calice solo (239-244)

Tipo 4,5:

con

Tipo 4,6:

stati. (245-246, 246A, 246B) con coppie di caulicoli angolari da ciascuna delle quali nascono una voluta e due elici. (247-248)

Tipo 5:

in granito, a foglie lisce, con volute ed elici nascenti dallo stesso caulicolo.

Tipo 6:

in granito, a foglie lisce con scomparsa dei caulicoli e volute ed elici semplici.

Tipo 7:

corinzieggianti con volute a foglia d’acqua e spirali delle elici allacciate. (255)

Tipo 8,1:

corinzieggianti,

Tipo 8,2: Tipo 8,3: Tipo 8,4: Tipo 8,5:

Tipo 9,1:

Tipo 9,2:

Tipo 10,1: Tipo 10,2:

Tipo 10,3: Tipo 10,4: Tipo 10,5:

due

foglie

acantizzanti

con

acanto

alla base

a piccoli

delle

lobi

elici e delle volute,

con

fogliette

queste

arrotondate,

ultime

motivo

nascenti

da due

caulicoli

acco-

(249) (250-254)

liriforme

doppio caulicolo rivestito da foglia triangolare. (256) corinzieggianti, con acanto a piccoli lobi con fogliette aguzze e zone d’ombra ovali, emergenti da doppio caulicolo senza foglia di rivestimento. (257) corinzieggianti, con acanto a piccoli lobi con fogliette arrotondate o ovali, motivo genti da doppio caulicolo senza foglia di rivestimento. (258-269) corinzieggianti con acanto a piccoli lobi con fogliette arrotondate, motivo liriforme (270) corinzieggianti con acanto a piccoli lobi con fogliette aguzze, motivo liriforme e (271-272)

e volute

emergenti

da

motivo liriforme e volute liriforme e volute emere volute a foglia d'acqua. volute

a foglie d’acqua.

corinzieggianti, con acanto a lobi con piccole fogliette arrotondate e zone d’ombra oblique ed aperte e con spirali del motivo liriforme intrecciate. (273) corinzieggianti, con acanto e piccoli lobi con fogliette aguzze e zone d’ombra ovali e con spirali del motivo liriforme intrecciate. (274-275) con motivo centrale di steli spiraliformi accostati nascente da una foglia rettangolare a calice o da caulicolo e foglie che accompagnano le volute. (276-277) con motivo centrale di steli spiraliformi accostanti nascente direttamente dietro le foglie della seconda corona e con foglie che accompagnano le volute. (278-279) con motivo centrale di steli spiraliformi accostati e unica foglia che accompagna le volute. (280) con motivo centrale di steli spiraliformi accostati, nascenti direttamente dietro le foglie della seconda corona. (281-291) con motivo centrale di steli spiraliformi accostati, nascenti direttamente dietro gli steli della seconda corona, e volute a foglia d’acqua. (292)

Tipo 11:

corinzieggianti con foglie schematiche e motivi di steli spiraliformi sia accostati sia incrociati. (293)

Tipo 12,1:

Tipo 12,4:

corinzieggianti con foglie di vite alternate a foglie d’acanto dai lobi con zone d’ombra oblique aperte e con motivo centrale di steli dalle spirali rivolte verso l’interno. (294) corinzieggianti con foglie di vite alternate a foglie d’acanto con zone d’ombra oblique ed aperte e con motivo centrale liriforme. (295) corinzieggianti, con foglie di vite alternate a foglie d’acanto dalle fogliette lanceolate e dalle zone d’ombra ovali e chiuse e con spirali del motivo liriforme intrecciate. (296-299) corinzieggianti, con foglie di vite e collare con meandro. (300)

Tipo 13,1: Tipo 13,2:

con grappoli d’uva. (301-301A) figurati, con protome umana e grappoli d’uva. (302)

Tipo 14,1:

corinzieggianti con motivo a doppia S e volute nascenti da stelo a forma di caulicolo. (303-313) corinzieggianti con motivo a doppia S e volute a forma di spiga. (314) con motivo a doppia S e volute a forma di foglia lanceolata. (315-318)

Tipo 12,2: Tipo 12,3:

Tipo 14,2: Tipo 14,3: Tipo 14,4:

Tipo 15,2:

corinzi-egittizzanti con papiri, foglie d’acanto, volute a foglia d’acqua, ureai e disco solare. (320) corinzi-egittizzanti, con papiri, foglie d’acanto e volute a foglia d’acqua. (321)

Tipo 16,1: Tipo 16,2:

corinzi-egittizzanti, con papiri, foglie d’acanto e volute a doppio caulicolo. (322) corinzi-egittizzanti con foglie d’acanto, volute a doppio caulicolo e corona isiaca. (323)

Tipo 15,1:

567

Frammenti di capitelli corinzi (324-353) Tipo 17,1:

Tipo 17,2: Tipo 17,3: Tipo 17,4:

a foglie lisce con volute a foglia d’acqua. (354-355) a due corone di foglie lisce con spirali delle volute a disco. (356-365) ad una sola corona di foglie lisce con spirali delle volute rozzamente arrotondate. (366, 366A, ad una sola corona di quattro foglie lisce con spirali delle volute a disco. (368-374)

CAPITELLI

367)

DI TIPO SIRIANO

(375) CAPITELLI CORINZI E CORINZIEGGIANTI

DI ETÀ IMPERIALE

E BIZANTINA

capitelli corinzi di età imperiale (I - tardo IV secolo d.C.) CAPITELLI DI TIPO GRECO

Tipo 1: Tipo 2:

con volute ed elici nascenti da uno stesso caulicolo. (376) foglie unite ad acanto spinoso, con zone d’ombra ad occhiello e caulicoli cilindrici. (377)

CAPITELLI

DI TIPO ASIATICO

1° sottogruppo Tipo 3:

foglie separate ad acanto spinoso, con strette zone d’ombra inclinate, caulicoli conici e spirali delle volute e delle elici sviluppate. (378-380) 2° sottogruppo

Tipo 4: Tipo 5:

foglie separate, caulicoli sottili e conici con orlo rigonfio (381-393)

foglie più morbide, separate o che appena si sfiorano e introduzione di una sagoma di sfondo alla cima delle foglie della prima corona, distinta dal caulicolo. (394) 3° sottogruppo

Tipo 6: Tipo 7: Tipo 8: Tipo 9:

foglie foglie foglie stituite foglie

separate, caulicolo a spigolo e sagoma di sfondo molto stretta. (395-398) separate, caulicoli a spigolo e sagoma di sfondo trapezoidale. (399) separate, caulicolo a spigolo, sottile sagoma di sfondo, delimitante uno spazio rettangolare: varianti coda palmetta in luogo del calicetto o da schematiche semipalmette in luogo delle elici. (400-401) separate e appiattite, caulicolo a spigolo, sottile sagoma di sfondo semiovale o delimitante uno spazio

rettangolare:

variante

nella presenza

o meno

di una

foglietta liscia in funzione

404) Tipo 10:

di calicetto.

(402-403,

403A,

foglie unite, spazio quasi triangolare e aperto al di sopra della sagoma di sfondo; variante: elici linguiformi.

(405-406) 4° sottogruppo Tipo 11: Tipo 12: Tipo 13: Tipo 14: Tipo 15: Tipo 16: Tipo 17:

568

foglie unite, caulicoli a spigolo e sagoma di sfondo trapezoidale e semiovale dovuta alla mancanza di resa dei lobi laterali delle foglie superiori. (407-411) foglie unite, caulicoli appiattiti privi di calici e sagoma di sfondo trapezoidale. (412) foglie unite, caulicoli a spigolo e sottile sagoma di sfondo delimitante uno spazio rettangolare: variante nella foglia ovale in luogo del calicetto. (413-423) foglie unite, caulicoli a spigolo e sottile sagoma di sfondo delimitante uno spazio triangolare. (424-428) foglie unite, caulicoli a spigolo, sottile sagoma di sfondo delimitante uno spazio triangolare o rettangolare aperto e foglie a tre lobi su sfondo liscio in luogo del calicetto. (429-430) una sola corona di foglie unite, caulicoli a spigolo, calici con volute ed elici direttamente sotto l’abaco. (431) foglie unite, spazio triangolare o trapezoidale sopra la sagoma di sfondo, calici e caulicoli mancanti, ridotto spazio tra le foglie superiori e l’orlo del kalathos. (432-434)

5? sottogruppo Tipo 18: Tipo 19: Tipo 20:

foglie separate o unite, sagome di sfondo ogivali, talvolta delimitanti uno spazio triangolare aperto, ed elici trasformate in girali desinenti nel fiore dell’abaco. (435-437) foglie unite e sagoma di sfondo delimitante spazio triangolare o pentagote a larghe fogliette, sagoma di445) foglie più morbide e unite, sagome di sfondo triangolari delimitanti spazi pentagonali, calici ed elici mancanti. (446) 6° sottogruppo

Tipo 21:

foglie unite ad acanto spinoso con fogliette larghe, presenza dei lobi mediani nella seconda corona e scomparsa della sagoma di sfondo. (447-448) Capitelli corinzieggianti di età imperiale (I - tardo IV secolo d.C.)

Tipo 22:

una corona di quattro foglie d’acanto con strette zone d’ombra ogivali e oblique, volute a V nascenti da un ovulo. (449-450)

CAPITELLI BIZANTINI

(tardo IV - VI sec. d.C.) Capitelli corinzi 1° sottogruppo Tipo 23:

due corone

di foglie d’acanto

triangolare al di sopra,

Tipo 24:

due corone di foglie d’acanto sima

Tipo 25: Tipo 26:

sagoma

con lobi mediani delle foglie superiori intagliati,

volute collegate disorganicamente

di sfondo,

sagoma

con i calici, elici mancanti.

di sfondo

con zona

(451)

appiattite a larghe fogliette, con quelle superiori piuttosto sviluppate; ridottis-

caulicoli,

calici abbastanza

collegati

con

le volute

e le elici,

queste

molto

piccole

o

mancanti. (452-454) foglia liscia in funzione di calicetto, elici molto ridotte e volute collegate disorganicamente con i calici. (455) due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo ogivale con o senza spazio geo-

metrico al di sopra, volute collegate con i calici dalle foglie interne schematizzate ad arco, elici o mancanti o ridotte. (456-457) Tipo 27: Tipo 28: Tipo 29:

Tipo 30:

due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo ogivale e spazio trinagolare al di sopra, volute collegate disorganicamente con i calici, elici desinenti nel fiore dell’abaco. (458) due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo sormontata da spazio triangolare, rettangolare o trapezoidale, volute collegate disorganicamente con i calici ed elici mancanti. (459-461) due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo ogivale, con o senza spazio romboidale al di sopra, parte superiore del kalathos ridotta ed espansa, volute collegate disorganicamente ai calici, elici mancanti. (462-467) sagoma di sfondo con spazio trapezoidale al di sopra e calici trasformati in volute ed elici. (468) 2° sottogruppo

Tipo 31: Tipo 32: Tipo 33:

due

corone

di foglie

triangolari al di sopra,

Tipo 34: Tipo 35: Tipo 36: Tipo 37:

d’acanto

appiattite,

senza

sagoma

di sfondo,

volute

ed elici a V,

calici mancanti.

(469-

471) due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, senza sagoma di sfondo, calici ed elici mancanti. (472) due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo ridotta con spazi rettangolari e due corone di calici ed elici due corone di calici ed elici due corone di calici ed elici due corone di elici. (482)

calici mancanti,

con o senza elici. (473-475)

foglie d’acanto appiattite a larghe mancanti. (476-478) foglie d’acanto appiattite e a larghe mancanti. (479) foglie d’acanto appiattite a larghe mancanti. (480-481) foglie d’acanto a larghe fogliette,

fogliette,

sagoma

di sfondo

ridotta con

spazi

triangolari,

fogliette, sagoma di sfondo ogivale con spazio triangolare, fogliette,

sagoma

stretta sagoma

di sfondo

di sfondo

ovale con

semiovale,

spazio romboidale,

mancanti

i calici e le

569

Tipo 38: Tipo 39: Tipo 40:

due corone di foglie d’acanto appiattite a larghe fogliette, sagoma di sfondo ogivale priva di spazio triangolare superiore, mancanti i calici e le elici. (483-486) una corona di foglie uguali d’acanto appiattite, a larghe fogliette, calici ed elici mancanti. (487) una corona di foglie, caulicoli appiattiti ad orlo angolare,

le elici (capitelli corinzi

a medaglione).

mancanti

calici ridotti ad una foglia, piccole volute,

(488)

3° sottogruppo Tipo 41: Tipo 42:

due corone di foglie d’acanto a grandi zone d’ombra circolari, ottenute dall’unione delle fogliette dei lobi, calici ed elici mancanti, volute con «Lederblatter». (489-491) una corona di foglie d’acanto con zone d’ombra ogivali, calici, con foglie interne, volute ed elici molto ri-

dotte. (492-494)

Capitelli corinzieggianti

1° sottogruppo Tipo 43: Tipo 44: Tipo 45:

una corona di foglie d’acanto a larghe fogliette, volute ridotte, elici e caulicoli mancanti. (495-496) due corone di quattro foglie d’acanto con zone d’ombra strette e allungate e volute a V. (497) due corone di quattro foglie d’acanto con zone d’ombra strette e allungate, ridotte volute a V prive di spirale.

(498-503, 503A, 504-508, 508A) 2° sottogruppo Tipo 46: Tipo 47: Tipo 48: Tipo 49:

due corone di quattro foglie d’acanto con zone d’ombra ad occhiello, unico calice a V al centro dei lati e volute. (509) due corone di foglie d’acanto con zone d’ombra circolare od ogivali e volute a V. (510) due corone di foglie d’acanto con zone d’ombra circolari od ogivali, volute a V schematiche, senza spirali e parte superiore del kalathos molto espansa. (511) figurato, due corone di quattro foglie, zone d’ombra ad occhiello, privo di elici e volute. (512)

3° sottogruppo Tipo 50:

con corona di quattro foglie, strette zone d’ombra 514)

e foglie d’acqua negli intervalli; presenti le volute.

Tipo 51: Tipo 52:

corona di quattro foglie d’acanto,

Tipo 53:

corona

Tipo 54: Tipo 55: Tipo 56:

del kalathos. (524) una corona di quattro foglie con strette zone d’ombra e parte superiore del kalathos molto espansa. corona di quattro foglie triangolari separate e prive di zone d’ombra. (526) corona di quattro doppie foglie sovrapposte, strette zone d’ombra triangolari. (527)

strette zone d’ombra,

volute a V.

(515-516,

corona di quattro foglie, strette zone d'ombra e volute fuse con l’abaco. 522C, 523) di quattro

foglie

con

strette zone

d'ombra,

volute

fuse

con

516A,

(519-521,

l'abaco,

toro

517-518,

521A, decorato

(513-

518A)

522, 522A,

522B,

a treccia alla base

(525)

4° sottogruppo Tipo 57: Tipo 58:

corona di quattro foglie, zone d’ombra ad occhiello e volute a V. (528-531) corona di quattro foglie, zone d’ombra ad occhiello, spazi geometrici tra le foglie, volute a V quasi fuse con l’abaco. (532-541, 534A)

5° sottogruppo Tipo 59:

foglie ad acanto spinoso,

con zone

d’ombra

con

d’ombra

strette ed allungate,

mancanti

i calici, ma con caulicoli,

volute ed

elici. (542-543) Tipo 60:

foglie

d’acanto

elici. (544-546) 570

separate

zone

ovali

tra i lobi,

mancanti

i calici,

ma

con

caulicoli,

volute

ed

CAPITELLI

Tipo Tipo Tipo Tipo Tipo

1: 2: 3: 4: 5:

due due due due una

corone corone corone corone corona

di di di di di

foglie foglie foglie foglie foglie

COMPOSITI

DI ETÀ

BIZANTINA

con zone d'ombra strette e allungate. (547) con zone d'ombra ad occhiello. (548) con lobi a piccoli dentelli e con grandi zone d'ombra ovali e triangolari. (549) d'acanto «finemente dentellato». (550-551) palmiformi, volute nascenti dietro le foglie angolari. (552)

CAPITELLI

DI OFFICINE

E PIETRE

LOCALI

DI ETÀ

BIZANTINA

Capitelli corinzi . 1? sottogruppo Tipo 1: Tipo 2: Tipo 3:

due corone di foglie d'acanto spinoso a corte fogliette e strette zone d'ombra, fiore dell'abaco formato dalle spirali delle elici. (553-556) due corone di foglie d'acanto spinoso a lunghe fogliette e strette zone d'ombra, calici collegati disorganicamente con le volute e con le elici. (557) due corone di otto foglie d'acanto spinoso a lunghe fogliette e strette zone d'ombra, calici fusi con le elici e le volute.

Tipo 4: Tipo 5:

(558-566)

due corone di quattro foglie d’acanto spinoso a lunghe fogliette e strette zone d'ombra, unico calice fuso con le elici e le volute. (567-569) una corona di quattro foglie d’acanto spinoso a lunghe fogliette e strette zone d’ombra, volute. (570, 570A) 2° sottogruppo

Tipo 6,1:

una o due corone di foglie d’acanto spinoso, con influssi del tipo dentellato, a fogliette medie e zone d’ombra ogivali ed ovali, calici fusi con le volute e le elici; variante corinzieggiante con volute a V senza calice.

Tipo 6,2:

(571-577)

due corone di foglie d’acanto spinoso, con influssi del tipo dentellato, a fogliette medie e zone d’ombra ogivali od ovali, calici distinti dalle elici e dalle volute. (577A) 3° sottogruppo

Tipo 7: Tipo 8:

due corone di foglie ad acanto influenzato da quello dentellato, con fogliette diritte e ricurve e zone d’ombra ogivali, volute collegate disorganicamente con 1 calici ed altre varianti. (578-583) una o due corone di foglie ad acanto influenzato da quello dentellato, con fogliette diritte e ricurve e zone

Tipo 9,1:

una corona di quattro foglie d'acanto influenzato da quello dentellato, con fogliette diritte e ricurve e doppie

Tipo 9,2:

tra i lobi, la seconda triangolare. (587-588) una corona di quattro foglie d'acanto influenzato da quello dentellato, con fogliette diritte e ricurve ed unica

d'ombra

ogivali, elici e volute fuse con i calici.

(584-586)

zone d'ombra ogivali tra i lobi, elici e volute nascenti da stelo semplice; variante con doppie zone d'ombra

grande

Tipo 10:

zona d'ombra

ogivale

occhiello e ogivali, caulicoli,

Tipo 11: Tipo 12: Tipo 13:

tra 1 lobi, elici e volute nascenti

due corone di variazioni sui quattro foglie due corone di con le volute

(588A)

calici, volute ed elici. (589-590,

590A)

foglie d’acanto influenzato da quello dentellato con zone d’ombra ad occhiello e triangolari, caulicoli a stelo e sui calici. (591) d’acanto con volute a V (del tipo Lederblatter). (592) foglie d’acanto spinoso influenzato da quello dentellato, con zone d’ombra ogivali, calici fusi e le elici e riempiti da foglia dentellata rovescia con zone d’ombra ad occhiello. (593-595,

595A, 596) Tipo 14:

da stelo semplice.

di tradizione classicistica, due corone di foglie d'acanto influenzato da quello dentellato con zone d'ombra ad

.

foglie della prima corona sostituite da grossi «caulicoli» a canestro, sottili calici

a V. (597)

4° sottogruppo Tipo 15:

una o due corone di foglie ad acanto semplificato e appiattito, con piatte e larghe fogliette lanceolate, elici e calici mancanti,

Tipo 16:

talvolta presenti le volute.

(598-600)

due corone di foglie d’acanto semplificato con lunghe fogliette ovali o appuntite e zona d’ombra strette e allungate, elici e volute nastriformi a V e senza calici. (601-603) 571

Tipo 17: Tipo 18: Tipo 19:

due corone di foglie d'acanto semplificato, con fogliette appuntite e zone d'ombra ad occhiello, elici e volute nastriformi a V, senza calici. (604) quattro foglie con lobi a lunghe fogliette appuntite, zone d'ombra strette e allungate, serie di calici negli spazi intermedi. (605) foglie palmiformi. (606)

CAPITELLI

A FOGLIE

LISCE

Capitelli corinzi Tipo 1: Tipo2::

due corone di foglie lisce, caulicoli e calici con elici e volute, abaco classicistico. (607-608) due corone di foglie, volute, e talvolta anche elici ridotte o fuse, calici mancanti: variante con

Tipo 3: Tipo 4:

genti sotto la cima delle foglie. (609-616) due corone di foglie lisce, calici fusi con le elici e le volute. (617-625) due corone di quattro foglie lisce, con quelle della prima corona al centro dei lati e in primo piano.

fogliette spor-

(626-

630) Tipo 5: Tipo Tipo Tipo Tipo

6: 7: 8: 9:

Tipo 10: Tipo 11:

due corone di quattro foglie centro dei lati e quelle della due corone di quattro foglie due foglie lisce agli angoli e corona di quattro foglie lisce

lisce con foglietta sporgente sotto la cima, seconda corona appena accennate. (631) lisce e volute a V. (632-635) volute (capitelli di lesena). (636-639) e volute. (640-647)

quattro foglie, senza volute, con o senza foglia intermedia al centro dei lati di cui spunta solo la cima. (648651, 651A, 651B, 652) quattro foglie unite distinte dalla coppia di elici e volute. (653) una corona di foglie eccessivamente distanziate. (654)

CAPITELLI BIZANTINI D'IMPORTAZIONE E DI OFFICINE LOCALI, (ACANTO MOSSO DAL VENTO, A CANESTRO, BIZONALI,

Tipo 1:

con le foglie della prima corona al

DI VARIE FORME IMPOSTA)

capitelli corinzi con acanto mosso dal vento. (655) capitelli - imposta

Tipo Tipo Tipo Tipo

1: 2: 3: 4:

a canestro con grandi campi decorativi che occupano i lati. (656) à canestro con piccoli campi decorativi al centro dei lati. (657-660) a canestro semplice. (661)

a tralci di vite. (662-664) capitelli polilobati

(665-668) capitelli bizonali Tipo 1: Tipo 2:

zona inferiore a canestro. (669-672) zona inferiore a foglie d'acanto. (673) capitelli figurati

Tipo 1: Tipo 2:

con maschere vegetali. (674-675) con aquile. (676) capitelli a calice

Tipo 1: Tipo 2: Tipo 3: 572

una corona di foglie e parte superiore del kalathos baccellata. (677-679, 679A) una corona di foglie e parte superiore del kalathos con foglie d'acqua. (680-683) kalathos del tutto baccellato.

(684-687,

687A)

CAPITELLI SBOZZATI

(688-695)

CAPITELLI

CORINZI

DI DUBBIA

ANTICHITÀ

(696)

IMPOSTE DI ETÀ BIZANTINA

(697-700, 700A)

BASI

I - BASI

Tipo 1:

«LIBERE»

senza plinto e con schematico toro e leggera gola diritta. (700B)

II - BASI ATTICHE DI ETÀ ELLENISTICA

Tipo 1: Tipo 2: Tipo 3:

sbozzate. (701-704) senza plinto e intagliate insieme all'imoscapo e al rocchio inferiore della colonna. (704A, 704B, 705-710) senza plinto. (711)

III - BASI ATTICHE DI ETÀ IMPERIALE E BIZANTINA

Tipo 4:

senza plinto. (712)

Tipo 5:

con plinto. (713-714, 714A)

Tipo 6: Tipo 7: Tipo 8:

con plinto semplificato. (715-721) con elementi semplificati e non finite. (722-728) con plinto molto alto e proporzioni alterate. (729-733)

IV - BASI CON PIEDISTALLO

Tipo 9:

piedistalli con plinto superiore rientrante rispetto al coronamento e basi a due tori separati da scozie accentua-

Tipo 11:

tamente concave, in piedistalli con plinto irrigidito, in calcare. piedistalli con plinto

Tipo 12:

piedistalli con fascia superiore sullo stesso allineamento dei lati del plinto della base e con coronamento con

Tipo 10:

mente rientrante, listello,

Tipo 13:

Tipo Tipo Tipo Tipo Tipo

14: 15: 16: 17: 18:

due

calcare. (734-736) superiore rientrante rispetto al coronamento molto schematizzato, base con toro superiore (737) superiore ridotto a fascia sporgente e fuso con il coronamento; base con plinto legger-

a due tori molto

astragali lisci e un

schematici,

quello inferiore a sezione

altro listello; base

a due

tori molto

angolare,

schematici,

in marmo. quello

(738-741)

inferiore

a sezione

an-

golare. (742) piedistalli con fascia superiore sullo stesso allineamento dei lati del plinto della base e con coronamento con fascia, cavetto, ovolo liscio e listello; base con toro inferiore arrotondato e toro superiore molto schematico. (743-747, 747A, 747B, 748-753) con fusto sostituito da pulvini. (754) imitazioni in calcare e in granito dei tipi marmorei. (755-757) con modanature schematizzate. (758) piedistallo con modanature schematizzate e riduzione della base ad un solo toro. (759-762) con piedistallo parallelepipedo e base ridotta ad un toro. (763-764)

Tipo 19:

semplificato a zoccolo. (765-768)

Tipo 20:

con piedistallo a forma di pilastrino. (769, 769A) 573

V - BASI SU PIEDISTALLO OTTAGONALE

Tipo 21: Tipo 22: Tipo 23:

piedistalli e pilastri ottagonali. (769B) piedistalli con fascia superiore sullo stesso allineamento del plinto della base. (770-777) piedistalli con coronamento e basamento semplificati a base. (778)

VI - BASI CON ACANTO

Tipo 1: Tipo 2: Tipo 3: Tipo 4: Tipo 5: Tipo 6: Tipo 7:

con foglie di acanto dai lobi a fogliette lanceolate, separati da zone d’ombra ovali ad occhiello. (779) con foglie di acanto dai lobi a tre fogliette ovali o tondeggianti, separati da zone d’ombra quasi orizzontali, strette e aperte. (780-783) basi con foglie di acanto con lobi schematizzati, quasi dentati. (784-786) basi con foglie di acanto dai lobi a larghe fogliette lanceolate (quasi spinose), separate da grandi zone d’ombra ad occhiello ovale. (787-789) basi con foglie di acanto spinoso. (790-792) rocchi inferiori di colonna con foglie di acanto spinoso schematizzate. (793-797) basi con foglie di acanto dai lobi a fogliette spinose, separati da zone d’ombra circolari. (798-799)

ELEMENTI

DI TRABEAZIONE

I - CORNICI IONICHE

Tipo 1:

cornici lisce. (800-814)

Tipo 2:

cornici lisce con dentelli tipo 2,1 (815-818) tipo 2,2 (819-820, 820A, 821-828) tipo 2,3 (829-831) tipo 2,4 (832) tipo 2,5 (833-839, 839A, 839B, 839C) tipo 2,6 (840-847)

Tipo 3:

cornici con mensole semplici.

tipo 3,1 (848-860, 860A, 861-868) tipo 3,2 (869-877) Tipo 4:

con mensole profilate a S (tipo rodio). (878-883)

Tipo 5:

con grandi mensole semplici. (884)

Tipo 6:

cornici con mensole semplici separate da cassettoni. (nn. 65-69)

Tipo 7:

cornici con mensole semplici e dentelli. tipo 7,1 (885-886, 886A, 886B) tipo 7,2 (887-888) tipo 7,3 (889-892)

tipo 7,4 (893) tipo 7,5 (894) tipo 7,6 (895) Tipo 8:

cornici con mensole semplici alternate a mutuli schematizzati senza guttae, vuoti all'interno e ridotti a incorniciature quadrangolari. tipo 8,1 (896-903) tipo 8,2 (904-911) tipo 8,3 (912) tipo 8,4 (913-915, nn. 86-89)

Tipo 9:

cornici con mensole semplici alternate ad incorniciature quadrangolari e dentelli. (916-923)

Tipo 10:

cornici con solo incorniciature quadrangolari in luogo delle mensole.

Tipo 11:

cornici con losanghe in luogo delle mensole.

574

(925-927)

(924)

Tipo 12:

cornici con mensole semplici e rombi. tipo 12,1 (928-930) tipo 12,2 (931-933) tipo 12,3 (934) tipo 12,4 (935)

Tipo Tipo Tipo Tipo

cornici cornici cornici cornice

13: 14: 15: 16:

con con con con

mensole semplici, rombi e dentelli. (936) sima a gola semplice, mensole alternate a rombi rosette e aquila, dentelli soffitto a meandro. (938-941) soffitto decorato da palmette negli angoli. (941A)

e kyma ionico. (937)

II - CORNICI DORICHE

Tipo 1: Tipo 2: Tipo 3:

cornici normali. (4-8, 61) cornici doriche con kymatia ionici e lesbici dipinti inferiormente. cornici doriche con mensole e mutuli. (944)

(942-943)

III - FREGI DORICI

Tipo 1: Tipo 2:

fregi dorici con metope lisce. (945-950, 64) fregi dorici con metope decorate. (951-959)

IV - TRABEAZIONI MISTE CON CORNICI IONICHE E FREGI DORICI Tipo 1: Tipo 2:

cornici ioniche con mensole e fregi dorici. (960-964) cornici ioniche con mensole e dentelli e fregi dorici. (965-966)

V - FREGI IONICI DECORATI

Tipo 1: Tipo 2:

fregi con girali. (966A, 967-970, 970A, 971, 971A) Fregi a palmette. (972, 972A)

VI - SOFFITTI DECORATI DI EDICOLE

Tipo 1:

volte con soffitto a esagoni e cornice con dentelli. (973-975)

Tipo 2:

volte con soffitto ad ottagoni. (976)

Tipo 3:

volte con soffitto a cassettoni quadrati e cornice con mensole.

Tipo 4:

soffitto di frontoncino spezzato con motivo di rombi a stella. (978)

(977)

VII - ANTEFISSE

(979, 979A) VIII - CORONAMENTO

DI PARETI

(980)

IX - ELEMENTI DI PORTALI

(981-983, nn. 33-34, 984-985)

X - ARCHITRAVI

(986-988) 575

BUONI

i

XI

- ELEMENTI

Di TRABEAZIONE

DI ETÀ IMPERIALE

NELLO

STILE MICROASIATICO

E BIZANTINO

Cornici con mensole ad S e protomi umane e rosette sul soffitto, dentelli e kyma ionico. (989-990) Frammenti di cornice. (990A) Cornici con mensole ad S rivestite di foglie alternate a rosette nel soffitto e con dentelli. (991) Fregi e architravi. (n. 38, 992, 992A, 993, 994, 994A, 995) Coronamenti con foglie d'acanto. (996, 997, 997A, 998)

oM

XII - ELEMENTI ARCHITETTONICI TARDI NELLA TRADIZIONE ALESSANDRINA

Trabeazioni ed elementi di portale. (999-1001) Cornici. (1002-1007) Timpani di edicole. (1008-1018) Fregi-architrave decorati. (1019-1025)

XIII - APPENDICE

1026. Pilastro con due semicolonne addossate «a cuore». 1027. Due stipiti di porta con semicolonne addossate. 1028. Pluteo. 1029. Transenna. 1029A. Pilastrino di transenna. 1030. Mensa rettangolare. 1031-1035. Mense «a sigma». 1036. Base di tripode.

XIV

1037-1041

576

- FRAMMENTI

CON DECORAZIONE IN STUCCO

CORRISPONDENZA

TRA I NUMERI DI INVENTARIO DEL MUSEO E I NUMERI DEL CATALOGO

Nel caso di pezzi del museo anche la definizione, N. inv.

N.

il materiale,

DI ALESSANDRIA

di Alessandria non catalogati sono riportati, oltre al numero le misure e la provenienza,

di inventario,

ripresi dagli inventari del museo.

cat. o dati dell'inventario

3 26 29 46 78 110 129. 231 248 366 (?) 376

= — = = = = = = = = =

398 481 1069 (?) 1895 3230 3290 3292 3393 (?) 3429 3506 3508 3509 3510 3558 3575 3582 3583 3590 3601 3610 3610 (9) 3611 3612 3613 3614 3615 3616 3617

= = = = = = = — — = — = = = = = = = — = = = = = = = = =

657 868 215 Architrave con iscrizione greca di quattro linee, in due pezzi, in calcare (cm. 24,5x 164), da El Kousia. 935 1035 909 12 11 855 Capitello egiziano, decorato con una testa di Hathor sulle quattro facce, in basalto nero (cm. 84x43), dalle «fortifications», (1905). Frammento di capitello con testa di Hathor, in basalto nero (cm. 51x41), dono L. Avierino. 360 641 660 552 S46A. Frammento architettonico con iscrizione greca, in calcare (cm. 9,5). 217 238B 396 399 430 739 741B Capitello, in marmo (cm. 53), da presso l’ospedale, dono Schiess Bey, 1897. 249 Capitello in marmo (cm. 48), da presso l'ospedale (Zogheb Ghenenah). 29] 897 236 216 331 887 Capitello di lesena, in marmo (cm. 27x36). 38A 38A 38A 38A

3619

=

Frammento

3630 3632

= Frammento = 26

di voluta di capitello,

in calcare

(cm.

16,54x 11,5).

di voluta di capitello, in calcare con tracce di colore (cm. 20).

5T]

3633 3634 3635 3636 3637 3639 3641 3643 3644 3645 3646 3647 3648 3649 3653 3655 3656 3657 3658 3659 3660 3664 3666 3667 3668 3670 3671 3675 3677 3678 3679 3680 3681 3682 3683 3684 3685 3686 3687 3688 3689 3691 3692 3697 3698 3699 3700 3703A 3711 3712 3718 3719 3721 3722 3724 3725 3734 3736 3738 3739 3740 374] 3742 3744 3745

578

26 26 Frammento di voluta di capitello corinzio, in calcare policromo (cm. Frammento

di voluta di capitello corinzio, in calcare (cm.

Frammento

di voluta di capitello, in calcare (cm.

Frammento di capitello, in calcare (cm.

16).

14,5x 15).

15,5).

13x28).

162 Frammento

di cornice con mensole, in calcare (cm.

Frammento

di «decoration mural», in calcare(cm.

Frammento

di «decoration mural», in calcare (cm.

Frammento

di «decoration mural», in calcare (cm. 7).

16,5x 6). 13,5x 12,5). 17 x23).

964 Capitello di lesena, in marmo

(cm.

32x 43).

295 558 829 263 Semicolonna con capitello mal conservato, in marmo

(cm. 50), da Gabbari.

871 858 Cornice liscia, in calcare, policroma (cm. 60x 11 x29). 171 972 838 163 815 172 810 Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm.

892 Frammento

17,5).

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 9).

844 123A 814 342 341 878 Frammento

di cornice stuccata (cm. 42), da Alessandria.

27 247 273 350 260 990A Frammento di «decoration mural», in calcare (cm.

17,5x 17,5).

179 178 935 Frammento

di capitello corinzio, in calcare policromo (cm.

23x 31).

198 =

Frammento

«de

la

decoration

du

temple»,

(cm.

11,5)

da

« Colonne»,

presso

il

«sotterraneo

peo). — 980 Frammento di capitello corinzio di semicolonna addossata a pilastro, in calcare policromo (cm. 26x27). 839C 901 839 307 Frammento

di capitello «ebauché»,

in calcare (cm.

16).

364 Frammento

di capitello corinzio policromo, in calcare (cm. 26).

322 Frammento

di capitello corinzio (?) molto mal conservato, in calcare (cm. 21).

Frammento

di «decoration mural» con decorazione floreale, mal conservato, in calcare (cm. 20x 19).

359 Frammento di «decoration», in calcare (cm.

19).

di

Hermanoubis »

(Se-

3746 3747 3748 3750 3751 3752 3753 3754 3755 3756 3757 3758 3760 3761 3762 3763 3764 3765 3768 3769 3770 3771 3774 3775 3776 3777 3778 3779 3783 3785 3786 3787 3788 3789 3790 3791 3792 3793 3794 3795 3796 3897 3798 3799 3800 (?) 3801 3802 3803 3804 3805 3806 3807 3808 3809 3810 3811 3812 3813 3814 3815 3816 3817 3918 3819 3820 3821

876 875 374 953 832 Frammento

di «decoration mural»

(cm. 20).

305

Frammento di voluta di capitello corinzio, in calcare (cm. 26). 183 29 28 Frammento

di voluta di capitello corinzio, in calcare (cm.

Piccola colonna con capitello, forse copto, in marmo

(cm.

11). 22,5), dono Schiess Bey.

358 363 365 362 Frammento 361

di capitello con testa di Hathor, in calcare (cm. 30), da Alessandria.

929 860A 928 Frammento

di capitello, in marmo

Fregio con grifi, in stucco (cm.

(cm.

13).

11)

Fregio con grifi, in stucco (cm. 21). Fregio con grifi, in stucco (cm.

8).

Fregio con grifi, in stucco (cm.

14).

Fregio con palmette e bucrani, in stucco (cm.

10).

860 Lastra con arco di ciborio a «decoration floreal», in due pezzi, in marmo 287

(cm. 47), dono Schiess Bey.

783 791 966A 888 278 936 233 941A 916 279 232 976 902 808 979 261 276 235 164 373 Frammento

di abaco di capitello corinzio, in calcare (cm.

15x31).

111 112 282 117 967 1037 1037 1037 1037 1037 1037 975 38 886

579

3822 3824 3825 3827 3828 3829 3830 3831 3847 3848 3849 3850 3851 3852 3853 3854 3855 3856 3857 3858 3859 3860 3861 3862 .3934 6377 6386 6741 6742 6748A 6748B 7350 10974 11211 11215 11221 11229 11234 11241 11242 11243 11244 11245 11246 11248 11249 11250 11251 11252 11259 11265 11274 11276 11278 11279 11282 11284 11286 11287 11289 11306 11317 11320 11325 11327 11330

580

= Frontoncino: gheison orizzontale con dentelli, in calcare (cm. 44x23), da Alessandria. Frammento di capitello corinzio, in calcare (cm. 28). 780 979A 168 918 886B 938 977 784 500 501 512 919 294 200 974 197 971 303 785 320 245 992 1036 Architrave a due fasce, in calcare (cm. 56x 272 x 85). Cornice con dentelli, in calcare (cm. 56x 121x 141). 328 Frammento

di voluta in calcare (cm.

10x 11,5).

329 330 460 Frontone di tomba, in calcare (cm. 34x 107), da Wardyian (1906). 790 Capitello «en forme de cloche renversée», in calcare nummulitico (cm. 48), da Ghenanah.

Capitello, in calcare nummulitico (cm. 30x 105 x 80), scoperto presso il Cesareo, dal Porto orientale (1902). Capitello in marmo bianco (cm. 30x 60x 85). 439 Capitello corinzio in marmo

(cm. 44) = G 565

129 Capitello corinzio in marmo

(cm. 27,8x34x34).

Base di colonna, in marmo Base di colonna in marmo

(cm. 42). (cm. 88x51).

Base di piccola colonna (cm. 35). 136 13 228 Fusto di colonna in calcare (cm. Base di colonna in marmo

52x 35).

(cm. 30).

Base di colonna in marmo,

da Tell Mokdam.

Base di colonna in granito (cm. 71). 10 15 Base di colonna in granito (cm. 80). Capitello corinzio in calcare nummulitico (cm. Capitello di lesena in marmo

100 x 205 x 80).

(cm. 42).

18 16 14 Frammento

di architrave decorato in marmo

Frammento

di capitello corinzio in marmo

(cm.

100 x 60).

(cm. 20x25)

= G 665

Base di colonna «monolithe», dal Porto orientale (1902). Capitello dorico «monolithe» Frammento

(cm. 40x80),

dal Porto orientale (1902), dal Cesareo.

di «capitello a spirale», in calcare (cm. 50).

Capitello dorico «monolithe» Base di colonna in marmo

(cm. 40x80),

dal Porto orientale (1902), dal Cesareo.

(cm. 27) = G 1786.

11332



11333

— Capitello dorico in marmo (cm. 41).

Capitello corinzio in marmo

(cm. 51).

11334

=

472

11336

=

770

11338

=

Capitello a fiori di loto, in granito (cm. 43 x 30,5).

11342



Capitello corinzio in marmo

(cm. 48).

11343

=

Capitello corinzio in marmo

(cm. 21) = G 889

11350

=

Frammento

11351

=

Capitello corinzio in marmo

(cm. 50). (cm.

di capitello corinzio, in marmo

(cm. 20).

11354

=

Capitello corinzio in marmo

11356

=

516

30).

11358

=

Piccola base di colonna mal conservata, in marmo

11359

=

151

11360

=

400

11363

= Capitello «monolithe» (cm. 33).

11365

=

433

11366

=

Frammento

11369

=

Capitello in marmo

11374

=

Frammenti di architettura in calcare (cm. 63x17).

(cm. 43).

di architettura in calcare (cm. 40). (cm.

87x 46).

11375

=

Capitello corinzio in marmo

11377

=

Frammento

(cm. 28).

11379

=

Capitello corinzio mal conservato in marmo

11381

=

Frammento

11385

=

Capitello corinzio in marmo

11388

=

Capitello corinzio mal conservato, in marmo

11396

=

Capitello corinzio in marmo

di architettura «monolithe»

(cm.

87). (cm. 34).

di architettura con decorazione floreale, in calcare (cm. 55 x 46).

11397

=

Frammento

11398

=

Capitello corinzio in marmo

11399

=

468

(cm. (cm.

54). (cm. 28) G 910.

19).

di architettura in calcare (cm. 50). (cm. 26).

11400

=

Frammento

11402

=

Capitello con lettera a delta sul piano di posa, in calcare (cm. 35).

di architettura in calcare (cm. 55).

11403

=

Capitello corinzio con tracce di colore, in calcare (cm. 39).

11404

=

Capitello corinzio in marmo

11406

=

Base di colonna

11407

=

Capitello corinzio in marmo

11408

=

Frammento

(cm. 30).

= G 598, (cm.

15) = G 868.

di architettura restaurato in calcare (cm. 56).

11409

=

609

11411

=

Capitello «monolithe»

11412

=

Frammento

11413

= Capitello corinzio in marmo (cm. 23) = G 764.

11415

=

Frammento

11417 (?)

=

532

11419



Base di colonna, in marmo

11422



Frammento

11432

=

395

11681

=

422

(cm. 45), dal Porto orientale.

di «embouchure

décorative tard», in basalto (cm. 46).

di architettura in calcare (cm. 56). (cm. 43x 15x40).

di cornice con dentelli, in calcare (cm. 53).

11790

=

611

11791

=

158

11802

= Capitello corinzio bizantino.

11830

=

11839

=

678 610

11899

=

449

11900

=

537

11901 11902

= =

995 458

11903 12070

= =

738 Capitello corinzio bizantino, in marmo

12071

=

745 504

(cm. 68), dono del Credit Foncier, da rue Cherif Pascià.

12072

=

12073

=

541

12074 13174

= =

508 Capitello bizantino, in marmo

(cm. 32x38),

. dalla London Bank.

13175

=

Capitello bizantino, in marmo

(cm.

dalla London Bank.

13475

=

658

13583 13725

= =

679A Capitello bizantino in marmo

(cm.

18x26),

17), da El Dekhelah (1907).

581

13276 13727 13728 13729 13730 13852 13853 13854 13855 13856 13857 13858 13859 13990 13991 13992 13993 13994 13995 14152 14154



508A 522A 518A Capitello corinzieggiante, in marmo

(cm.

16), da El Dekhelah (1907).

522B Colonna spiraliforme (cm. 205), da El Dekhelah. Capitello corinzieggiante in marmo

(cm.

17,5 x 28), da El Dekelah (1907).

651A 1030 769A Fusto di colonna (cm.

175), da EI Dekhelah.

503A 1029A 684 Capitello corinzieggiante, in marmo

(cm. 22), da El Dekhelah.

522C 686 687A

Capitello corinzieggiante a quattro foglie d’acanto spinoso, in marmo (cm. 17x22,5), da El Dekhelah (1907). 544 Architrave

di

frontone,

in

marmo

(cm.

154x60),

da

Rue

Sidi

Abou

. (1906),

Darda

dono

dei

Fréres

des

Ecoles

Chre-

tiennes.

14155 14156 14157 14170 14171 14173 16162 16163 16164 16165 17004. 17006 17007 17008 17010 17011 17013 17014 17160A 17444 17445 17446 17447 17448 17449 17478 17511 17524 17745 17746 17747

502 689 503 516A Capitello cristiano, in marmo

(cm. 23 x 32,5).

Capitello cristiano, in marmo

(cm.

190), dalla London Bank (1908).

Fusto di colonna, in marmo

83), dai resti di una cisterna scoperta nelle fondazioni della London Bank (1908).

(cm.

7ATA Fusto di colonne con crepe, mal conservato, in marmo

(cm.

171), dalla London Bank (1908).

479 679 23 480 514 Piccolo capitello con croce, in marmo

(cm.

17 x 26).

659 674 17 545 676 522 521 534 534A 153 24 992A 18 81 =

Frammento di architrave Sardella (1908).

17748

Frammento (1908).

17749 17750 17751 17752 17753

803

con

kyma

ionico

dipinto,

in

calcare

policromo

(cm.

9x7.5),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

di

architettura

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

13.5x8),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

di

architettura

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

15x9.5),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

932 812 933 Frammento (1908).

17754

Frammeno di rivestimento Sardella (1908).

di

17755

Frammento (1908).

con

582

12,5x29).

Fusto di colonna, in granito (cm.

di

architettura

parete i tracce

con di

tracce colore,

di

colore, in

calcare

in

calcare (cm.

(cm.

9x9),

7,5x7), da

Hadra

da

Hadra

(Ibrahimieh),

(Ibrahimieh),

dono

M.

dono

M.

Sardella

17756

Frammento

di

rivestimento

di

di

architettura

con

di

rivestimento

di

di

rivestimento

di

parete

con

tracce

di

colore,

in

calcare

16x 13),

(cm.

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

17757

Frammento

di

colore,

in

parete

con

tracce

di

policromia,

in

di

parete

con

tracce

di

policromia,

rivestimento

di

parete

con

tracce

di

di

rivestimento

di

parete

con

tracce

di

rivestimento

parete

con

tracce

di

rivestimento

parete

con

tracce

[on

Sardella (1908). tracce

calcare

(cm.

5x6.5),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

calcare,

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

in

calcare,

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

policromia,

in

calcare,

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

di

policromia,

in

calcare,

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

di

policromia,

in

calcare,

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

policromia,

in

calcare,

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

(1908).

17759

Frammento (1908).

17760

Frammento (1908).

17761

Frammento (1908).

17762

Frammento (1908).

17763

Frammento (1908).

17764

Frammento

i

(1908).

17765

Frammento (1908).

di

rivestimento

di

parete

con

tracce

di

policromia,

in

calcare,

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

17766

Frammento (1908).

di

rivestimento

di

parete

con

tracce

di

policromia,

in

calcare,

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

17767

Frammento

di

architettura

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

5,5x4.5),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

15,5x 12),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

(1908).

17768

Frammento (1908).

di

architettura

17769

Frammento

di

architettura

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

5x5),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

di

architettura

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

7x8),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

(1908).

17770

Frammento (1908). Frammento

di voluta con tracce di colore, in calcare (cm.

17772

Frammento

di capitello corinzio ?, con tracce di policromia, da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

17773

Frammento

17771



di

architettura

con

tracce

di

10), da Hadra (Ibrahimieh), dono M. in

colore,

calcare

(cm.

da

9x12),

Sardella (1908).

Sardella (1908).

Hadra

(Ibrahimieh),

Sardella

dono

(1908). 17774



970A

17776

970A. 325

17777

Frammento

17778

Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm . 10), da Hadra (Ibrahimieh), dono M. Sardella (1908). di architettura con tracce di colore, in calcare (cm . 9), da Hadra (Ibrahimieh), dono M. Sardella (1908).

17779

Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm . 13), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

Sardella (1908).

17780

326

17781

Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm . 13), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

Sardella (1908).

17783

327

17775

17784

Frammento

di foglia d'acanto, in calcare (cm. 9), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

17785

Frammento

di rivestimento di parete con tracce di colore, in calcare, da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

17786

Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm.

17787

Frammento

17789

Frammento

di rivestimento di parete con tracce di colore, in calcare, da Hadra (Ibrahimieh), dono M. Sardella (1908). di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 9,5x6), da Hadra (Ibrahimieh), dono

(1908). Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

17790 17791

Frammento

17792

(1908). Frammento

17793

Frammento

di

foglia

d’acanto

con

tracce

di

colore,

in

Sardella (1908). Sardella (1908).

10), da Hadra (Ibrabimieh), dono M.

calcare

(cm.

7,5),

da

Hadra

Sardella (1908).

Sardella (1908). (Ibrahimieh),

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 8,5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M. di

foglia

d’acanto

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

8.5),

da

Hadra

Sardella

M.

Sardella

M.

Sardella

dono

M.

Sardella

dono

M.

Sardella

dono

Sardella (1908).

(Ibrahimieh),

dono

(1908). 17794

Frammento

di voluta con tracce di colore, in calcare (cm.

17795

Frammento

di voluta con tracce di colore, in calcare (cm. 7,5x9),

17796

Frammento

di voluta con tracce di colore, in calcare (cm.

17797

Frammento

di

cornice

di

foglia

con

mensole,

con

tracce

di

tracce

di

colore,

10x8.5),

da Hadra (Torahimieh), dono M.

Sardella (1908).

da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

Sardella (1908).

9,5x 8,5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

colore,

in

calcare

(cm.

10,5),

da

Hadra

Sardella (1908). (Ibrahimieh),

(1908). Frammento

17798

d'acanto

con

in

calcare

(cm.

12x8,5),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

(1908). 17800

839A Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm.

8.5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

17801

Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm.

8), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

Sardella (1908).

17802

Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm.

8), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

Sardella (1908).

17803

Frammento

di rivestimento di parete, in calcare, da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

17804

Frammento

di cornice con tracce di colore, in calcare (cm. 7), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

17799



Sardella (1908).

Sardella (1908). Sardella (1908).

583

Frammento Frammento

Sardella (1908).

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 4,5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M. di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 5,5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

Sardella (1908).

i

17805 17807 17808 17809

939

=

Frammento

di

architettura

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

15x9),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

(1908). Frammento

di

architettura

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

13,5),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

M.

Sardella

17810

(1908). Frammento

17811 17812 17813

927 Frammento (1908). Frammento

17814 17815 17816 17817 17818 17819

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. di

architettura

con

tracce

di

colore,

in

13), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

calcare

(cm.

10,5x10),

da

Hadra

Sardella (1908). (Ibrahimieh),

di rivestimento di parete con tracce di colore, in calcare, da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

dono

Sardella (1908).

839B 813 Frammento

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 6,5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

Frammento

di architettura in calcare rivestito in stucco (cm.

Frammento

di

fiore

dell'abaco

di

capitello

corinzio,

10,5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M. con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

dono M. Sardella (1908). Frammento di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 6), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

17820 17821 17822 17823

Sardella (1908). Sardella (1908). 6),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

Sardella (1908).

186 886A Frammento

di

voluta

di

capitello

corinzio,

con

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm.

12),

da

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella (1908).

17824 17825 17826

334 Frammento =

di architettura con tracce di colore, in calcare (cm. 6,5), da Hadra (Ibrahimieh), dono M.

Frammento

di

architettura

con

tracce

di

17827

(1908). Frammento

di

architettura

con

tracce

di

17828

(1908). Frammento

di

architettura

con

tracce

di

colore, colore, colore,

in

calcare

in in

calcare calcare

(cm.

8,5x5),

(cm. (cm.

6x5), 31x28),

da da da

Sardella (1908).

Hadra

(Tbrahimieh),

dono

M.

Sardella

Hadra

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

(Ibrahimieh),

dono

M.

Sardella

Hadra

(1908).

17829 17830 17831 17832 17833 17834 17835 17840 17843 17844 17846 17848 17849 17850 17855 17882 17899B 17930B 17977B 18099A 18101A 18259 18273A 18274A 18290A 18367 18368 18369 18371 18372 18373 18374 18376 18379 18380 18381

584

= 931 98 712 922 184 185 994A Fusto di colonna, in granito nero (cm.

177), da un'antica cisterna, London Bank.

Fusto di colonna in granito (cm. 270), dalla «Colonna di Pompeo»

(Serapeo).

Fusto di colonna in granito (cm. 27), dalla «Colonna di Pompeo» (Serapeo). Base di colonna in marmo (cm. 50), da un'antica cisterna, London Bank. Fusto di colonna in marmo

(cm.

84), da un'antica cisterna, London Bank.

Fusto di colonna in marmo

(cm.

160).

Fusto di colonna in marmo

(cm. 216).

180 Frammento

di rivestimento.

9D Frammento

di decorazione architettonica, in calcare policromo

131 126 20 880 857 306 108 882 883 856 864A 881 885 827

(cm. 7,5x6,5),

da Shiatbi (scavi 1908-9).

18832A 18382B 18383 (?) 18384 18385 18386 18387 18388 18389 18390 18391 18392 18393 18394 18395 18396 18398 18399 18407 18408 18409 18410 18412 18413 18414 18415 18416 18417 18419 18421 18422 18423 18424 18425 18426 18427 18428 18429 18430 18431 18432 18434 18435 18436 18437 18438 18439 18440 18441 18442 18443 18444 18445 18446 18447 18448 18449 18450 18451 18452 18453 18454 18457 18458 18459 (?) 18460

848 866 854 841 842 818 828 853 849 851 246B 89 946 947 201A 900 Capitello corinzieggiante a una sola corona di quattro foglie, in marmo

(cm. 20), dono Tousson.

Capitello corinzio a una sola corona di quattro foglie dentellate, in marmo

(cm. 20), dono Tousson.

213 97 Due rocchi di colonna dorica, in calcare stuccato (cm. 79), dono Tousson. Tre rocchi di colonna dorica scanalata, in calcare stuccato, dono Tousson.

Frammento di fusto di piccola semicolonna addossata a pilastrino (cm. 40 x 16). 312

Fusto di pilastro poligonale su piedistallo poligonale, in calcare (cm. 50), dono Tousson. 176 115 Rocchi di colonnina ionica, in calcare (cm.

167), dono Tousson.

255 173 Capitello ionico in calcare (cm. 35x28),

dono Tousson.

Rocchi di colonna ionica con scanalature riempite, dono Tousson. Fusto di colonna, in calcare (cm. 94), dono Tousson. Base di colonna intagliata insieme all’imoscapo, in calcare (cm. 42), dono Tousson. Frammento

di cornice con piccole mensole, in calcare (cm. 30x31),

dono Tousson.

Fusto di colonna e plinto poligonale (cm. 52), dono Tousson. 802 Capitello corinzio mal conservato, in calcare (cm. 41x47),

dono Tousson.

110 Rocchi di colonna ionica, dono Tousson. 863 Cornice angolare con mensole, in calcare (cm.

43 x 54,5), dono Tousson.

Capitello di pilastro decorato con bottoni in rilievo, in calcare (cm.

16x24,5), dono Tousson.

864

Capitello di pilastro decorato con bottoni in rilievo, in calcare (cm. 34x44), dono Tousson. Capitello corinzieggiante a una sola corona di quattro foglie dentellate, in marmo (cm. 23), dono Tousson. 237 315 Antefissa, in calcare (cm. 21), dono Tousson. Cornice in calcare (cm.

130x16),

dono Tousson.

280 Frammento

di capitello corinzio, in calcare (cm. 26x30),

258 Frammento

dono Tousson.

di capitello dorico, in calcare (cm. 36), dono Tousson.

246A 202 188

= Capitello a foglie lisce, in calcare (cm. 22x37), dono Tousson. Frammento

di capitello corinzio, in calcare (cm.

Frammento

di capitello corinzio (?), in calcare (cm.

Frammento

di capitello corinzio, in calcare (cm. 26x35),

Capitello ionico e sommoscapo

19x30). 11x30),

dono Tousson.

dono Tousson.

di colonna, in calcare (cm. 27x40),

dono Tousson.

Capitello corinzio di piccola semicolonna addossata a lesena, in calcare (cm. 42x25),

dono Tousson.

Frammento di piccolo pilastro decagonale, in calcare (cm. 26), dono Tousson. 314 Frammento

di capitello corinzio unito a colona, in calcare (cm. 41), dono Tousson.

585

18461 18462 18463 (Ὁ 18464 18465 18466 18467 18468 18469 18470 18471 18472 18473 18474 18474B 18475 18476 18477 18478 18479 18480 18481 18482 18843 18485 18846 18490 18491 18492 18493 18494 18495 18496 18497 18498 18500 18504 18506 18507 18508 18509 18510 18512 18513 18515 18516 18517 18518 18519 18520 18521 18522 18523 18524 (?) 18526 18527 18528 18529 18533 18537 18538 18539 18541 18542 18543 18544 586

Fusto di piccolo pilastro decagonale,

in calcare (cm. 46), dono Tousson.

Frammento di voluta di capitello ionico, in calcare (cm. 48), dono Tousson. 208 Capitello corinzio, in calcare (cm. 34x31), dono Tousson. Fusto di piccola colonna scanalata, in calcare (cm. 32,5x 41),

dono Tousson.

109 Fusto di pilastro poligonale, in calcare (cm. 27), dono Tousson. 889 850 846 859 891 861 890 894 862 903 Architrave con urei, (cm.

18x31), dono Tousson.

Architrave con urei, (cm.

14x29),

dono Tousson.

805 806 843 836 834 833 809 199 98 Fusto di colonna scanalata dorica, in calcare rivestito in stucco (cm.

150), dono Tousson.

Rocchi di colonna dorica, in calcare (cm. 38), dono Tousson. Quattro rocchi di colonna scanalata dorica, in calcare rivestito in stucco (cm. 26), dono Tousson. Frammento

di cornice con dentelli (cm.

19x20), dono Tousson.

Frammento di capitello corinzio (cm. 36x29), dono Tousson. Frammento di capitello corinzio di semicolonna (cm. 21x38),

dono Tousson.

311 212 310 120 299 Frammento

di cornice con dentelli (cm. 30x28), dono Tousson.

313 769B 204 542 308 Fusto di piccolo pilastro decagonale (cm. 54), dono Tousson. 835 824 823 879 97A. 867

Cornice (cm. 22x 50), dono Tousson. 934 820A Frammento

di capitello corinzio (cm. 21x40),

Frammento

di capitello di lesena (cm. 50x38),

dono Tousson. dono Tousson.

Capitello di colonna liscia (cm. 27), dono Tousson. Frammento

di rocchio di semicolonna addossata a pilastro, 1n calcare (cm. 21), dono Tousson.

107 Due rocchi di colonna ionica (cm. 69), dono Tousson. 170 Frammento di voluta di capitello (cm. 917 821 845

13x 9,5), dono Tousson.

i

18545

= Frammento di voluta di capitello corinzio (cm. 18x 14), dono Tousson.

18546

=

283

18547



340

18548



106

18549



Frammento

18550

=

700B

18551

=

333

18552

=

930

18643

=

Frammento

18644

=

351

18645

=

105

18646

=

336

18647

=

337

18648

=

28

18649

=

309

18650

=

346

18651

=

123

18652

=

193

18653

=

Frammento

18654

=

348

18655

=

347

18656

=

335

18657

=

349

18658

=

345

18659

=

Frammenti di capitello corinzio, in calcare (cm. 5), dono Tousson.

18660

=

344

18662

=

Frammento

di cornice (cm.

18663

=

Frammento

di cornice con mensole (cm.

18664

=

248

18665A

=

816

18665B (?)

=

847

18666

=

332

18667

=

343

18668

=

941

18669

=

Frammento

18827

=

116

18828

=

174

18829

=

175

18830

=

Frammento

18831

=

262

18832

=

893

18833

=

940

18834

.

di capitello corinzio (cm. 22), dono Tousson.

di capitello, in calcare (cm.

13), dono Tousson.

di voluta di capitello corinzio, in calcare (cm.

11x7),

12x10),

dono Tousson.

dono Tousson. 12x16),

di cornice con mensole scanalate (cm.

dono Tousson.

15), dono Tousson.

di capitello corinzio, in calcare (cm. 20,5), dono Tousson.

=

Frammento

di cornice con soffitto

a meandro

(cm.

18835

=

Frammento

di cornice con soffitto

a meandro

(cm. 25), dono Tousson

19), dono Tousson.

18836

=

324

18873

=

973

18874

=

25

18875

=

26

18876

=

26

18877

=

26

18878

=

26

18879

=

26

18880

=

26

18881

=

26

18882

=

26

18883

=

165

18884

=

304 978

= R 375.

18885

=

18953

=

778

18954

=

673

19264A

=

407

19283A

=

417

19402

=

270

19407

=

201

19408

=

246

19409

= Frammento di capitello corinzio, in calcare (cm. 27), da Canopo (Aboukir).

587

19434



Frammento

19435

=

321

19537

= Capitello figurato con uomo in piedi tra due animali, in marmo (cm. 45), dalla moschea Tarbane di Alessandria.

19591

=

241

19670 19671

= =

240 Fusto di colonna ionica, in calcare rivestito di stucco (cm. 92), da Hadra (Ibrahimieh).

19672

=

Fusto di colonna ionica, in calcare rivestito (cm. 34), da Hadra (Ibrahimieh).

19902 19903

= =

556 555

19904

=

554

19905 19906

= =

553 Capitello di pilone a base rettangolare, in calcare giallo (cm. 28,5), da Teadelfia (Batn Herit).

19907

=

958

19908

=

957

19909

= 937

19910

=

924

19911

=

371

19912

=

372

19913

=

369

19943B 20266

= =

456 Frammento



Herit). Rocchio

20267

di architettura (cm.

di di

capitello

semicolonna

19 x 27,5), da Canopo

dorico

e

scanalata

di

(Aboukir).

sommoscapo

addossata

a

di

colonna

pilastro,

in

scanalata,

calcare

in

stuccato

calcare

con

(cm.

tracce

di

55x28), colore

da

(cm.

Teadelfia

43x43),

(Batn

da

Hadra

Hadra

(Ibra-

Hadra

(Ibra-

(Ibrahimieh). 20310

=

238A

20311

=

239

20312 20701 20883

— = =

945 543 Capitello di pilastro decorato su tre facce, in calcare giallo (cm.

20884

= Capitello di pilastro decorato su tre facce, in calcare giallo (cm. 57 x 27 x 53), da Teadelfia (Batn Herit).

20886

=

Blocco rettangolare con decorazione di rami di vigna, in calcare giallo (cm.

20887 20890

= =

956 i Imoscapo di colonna con plinto circolare, in calcare (cm. 50x20),

20891

=

368

20892 20893

= =

955 Piccolo capitello di colonna ottagonale, in calcare giallo (cm. 23x29),

20894



301A

20895



98A

20911

= Capitello corinzio figurato con aquile (cm. 25 x25), da Hadra (Ibrahimieh).

20923



Capitello di pilastro con foglie di papiro, in calcare bianco (cm. 43), da Hadra (Ibrahimieh).

20927 20929

= =

Capitello corinzio, in marmo (cm. 25), da Rue Waziri Mohairam Bey = G 1099. Parte superiore di fusto di semicolonna scanalata addossata a pilastro, in

62x 46,5 x 28,5), da Tealdelfia (Batn Herit). 92x 33), da Teadelfia (Batn Herit).

da Tealdelfia (Batn Herit).

da Teadelfia (Batn Herit).

calcare

bianco

(cm.

55x35),

da

himieh). 20930 20932

= =

685 Fusto

=

himieh). Capitello

20934 20935

— =

(1916). Capitello corinzio, in calcare stuccato (cm. 51x54), da Hadra (Ibrahimieh) (1916). Capitello di semicolonna angolare, in calcare stuccato (cm. 43 x24), da Hadra (Ibrahimieh) (1916).

20938

=

Cornice in due pezzi, in calcare (cm. 70), da Hadra (Ibrahimieh) (1913).

20939

=

194

20940 20941

= =

195 Capitello angolare nel mezzo di un pilastro angolare, in calcare stuccato (cm. 34x24),

20947 20948

= =

403A Capitello corinzio asiatico (?), in marmo

20961

=

487.

20962 20963

= =

476 Fusto di colonna con iscrizione cristiana, in marmo

20965 20966

= Fusto di piccola colonna in marmo (cm. 240), da Kom Riachat. = Fusto di piccola colonna in marmo, da Kom Riachat.

20967

=

498

20968 20970

= =

499 Fusto

20971

=

(cm. 105), da Canopo (Aboukir). Capitello corinzio in calcare bluastro (cm. 30x34),

20977

=

982

20933

588

di

di

semicolonna di

corinzia

semicolona

colonna

scanalata

mal

a

mal

conservata

conservato,

spirale

con

con

tracce

di

colore,

in

tracce

di

colore,

in

calcare

(cm. 21x40),

sormontata

(cm.

da

calcare

stuccato

stuccato

(cm.

(cm.

35),

43),

da

da Hadra

(Ibrahimieh)

da Teadelfia (Batn Herit).

da Thmuis.

185), da Kom Abu’l Eda.

un

capitello

da Canopo

corinzio

(Aboukir)

(1916).

ad

una

sola

corona

di

quattro

foglie,

in

marmo

20978A 20990 20991 20992 20993 (2) 20994(Ὁ 20995 20996 21003 21005

Architrave con iscrizione in onore di Tolomeo VI Filometore, da Kom

576 701 Gocciolatoio a testa di leone, in calcare nummulitico (cm. 65x32), Fusto di piccola colonna, in marmo 135 =

=

(cm.

140x20),

corinzieggiante

ad

una

sola

corona

di

quattro

foglie

d’acanto,

in

marmo

(cm.

30x25),

dal

Porto

orientale

corinzieggiante

ad

una

sola

corona

di

quattro

foglie

d’acanto,

in

marmo

(cm.

30x25),

dal

Porto

orientale

Capitello ionico, in marmo bianco (cm.

100x 65), da Rosette.

21013

694

21684 21709 21710 21711 21712 21713 21714 21715 21716 21717 21718A 21718B 21719 21720 21721 21722 21723

= G 915

(1907). Capitello (1907).

Fusto di grande colonna in granito rosa (cm.

= Architrave

21485

dal Porto orientale (1903).

dal Porto orientale (1903)

Capitello

21008 21016

= G 1041

991

21006 21007

Huchiem.

Capitello ionico in calcare nummulitico (cm. 55), dal Porto orientale (1903) 139

in

quattro

pezzi

con

565x 110x 90), da Rue Fouad I.

iscrizione

votiva

al dio

Héron

righe, in calcare (cm.

186 x 54), da Teadelfia (Bath Herit) (1921).

Frontone (1912-3).

con

di

edicola

fregio

dorico,

con

tracce

di

in

colore,

nome

in

calcare

di Tolomeo

II Evergete

bianco

60x21x40),

(cm.

e

Cleopatra, da

Hadra

su

quattro

(Ibrahimieh)

— 586 800 869 Frammento

di cornice, in calcare (cm.

68x 39), da Hadra (Ibrahimieh).

837 872 Frammento

di cornice (cm. 47 x 20).

Frammento

di cornice con dentelli, in calcare (cm.

18x23),

da Hadra (Ibrahimieh).

Due frammenti di fusto e di capitello corinzio di semicolonna (cm. 264

100 x 38), da Hadra (Ibrahimieh).

266 281 292 265 Capitello corinzio di semicolonna addossata a pilastro (cm. 289 Frammento

100 x38), da Hadra (Ibrahimieh).

di

fusto

di

piccola

semicolonna

scanalata

addossata

a

pilastro,

in

calcare

stuccato

(cm.

33x47),

da

Hadra

di

fusto

di

piccola

semicolonna

scanalata

addossata

a

pilastro,

in

calcare

stuccato

(cm.

35x41),

da

Hadra

di

fusto

di

piccola

semicolonna

scanalata

addossata

a

pilastro,

in

calcare

stuccato

(cm.

32x57),

da

Hadra

(Ibrahimieh). Frammento

21724

(Ibrahimieh). Frammento

21725

21727 21729 21730 21731 21732 21733 21734 21735 21741 21784 21792 21796 21797 21800 21123 22234 22282 22283 22284 22285 22286 22287 22402 22403 22893

=

(brahimieh). Frammento di voluta di capitello corinzio (cm.

13x 12), da Hadra (Ibrahimieh).

Antefissa in calcare (cm.

12x 13x 33),

da Hadra (Ibrahimieh).

Antefissa in calcare (cm.

13x9 x28), da Hadra (Ibrahimieh).

268 267 Frammento di semicolonna addossata a pilastro angolare (cm. 33x50), da Hadra (Ibrahimieh). Frammento

di semicolonna scanalata addossata a pilastro (cm.

Frammento

di quarto di colonna addossata a pilastro, stuccata (cm.

960

33x 51),

da Hadra (Ibrahimieh).

51,5x 36x22).

'

Architrave in calcare (cm. 22x 70 x 30), da Luxor.

951 651B Fusto di piccola colonna liscia (cm. 101), invio «Direzione Generale». Capitello ionico in marmo

(cm.

61x41).

104 985 Capitello bizonale, in calcare nummulitico (alt. cm.

34; diam. inf. cm. 37; lato abaco cm. 54).

672 595A 588A Frammento di trabeazione di un piccolo edificio (cm. 73x 39), da Tebtynis, rovine di una casa. Frammento

di nicchia decorata, da Tebtynis.

1000 999 — 1027

589

22942 22943 22944 22985 23365 23366 23367 23368 23369-23381 23383 23383 23384 23395 23386 23387 23388 23389 23390 23301 23398 23399 23400 23401 23402 23403 23404-23416 23417 23418-23437

192 191 190 169 Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

103 Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos (Bahnasa) (1930). 1010 Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos (Bahnasa)

(1930).

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos (Bahnasa)

(1930).

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos (Bahnasa) (1930). Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

1009 Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

104 Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

1020 1002 1008 1012 Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

570A Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

23447-23478

=

Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

23479 23480-23578

= =

661 Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

23579

=

952

23580-23625 23626

= =

Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos (Bahnasa) (1930). Frammento di soffitto con cassettoni ottagonali, in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

23627

=

Frammento

di soffitto con cassettoni ottagonali, in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

23628

=

Frammento

di soffitto con cassettoni ottagonali, in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

23629 23630-23645

= =

Frammento di soffitto con cassettoni ottagonali, in calcare, da Oxyrhynchos Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos (Bahnasa) (1930).

(Bahnasa)

(1930).

23646

=

590A

23647

=

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

23648

=

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa) (1930).

23649

=

593

23650

=

594

23651-23741

= Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos (Bahnasa) (1930).

23742 23743-23799

= =

997A Elementi architettonici in calcare, da Oxyrhynchos

23800

=

796

23801 23802

= =

148 Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos (Bahnasa)

23803 23804

= =

149 S77A

23805

=

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

23806

=

Elemento architettonico in calcare, da Oxyrhynchos

(Bahnasa)

(1930).

23882

=

Capitello di colonna mal conservato, in marmo

23898 23899

= =

981 Frammento

di

fusto

di

colonna

in

(Bahnasa) (1930).

(cm.

granito

di

(1930).

19,5), da Kasr Kaliga, Mariout, Assuan

(cm.

300x70),

da

dono Tousson. pozzi

aperti

per

lo

scavo

in

proprietà

K.

Orfali, in rue Alexandre le Grande, quartiere di Azarita (1934). 24024

=

954

24026 24027

= =

48 160

24873

=

Frammento

25095

=

(1936). 242

25096

=

959

25657 25658

= =

189 96

25663

=

290

590

di

piccola

trabeazione

con

dentelli

e

fregio

con

animali,

in

stucco

(cm.

44x18),

da

Marsa

Matrouth

25664 25665 25666 25667 25668 25670 25671 25672 25673 25674 25675 26010 26017



Frammento

di cornice in stucco dipinto (cm. 21), dai cantieri Finney.

Frammento

di architrave in calcare (cm. 34), dai cantieri Finney.

285 256 781 Frammento

di cornice in stucco dipinto (cm.

15,5), dai cantieri Finney (forse 820).

968 286

Frammento di cornice in stucco dipinto, dai cantieri Finney. 826 Frammento

di mensola in stucco bianco (cm.

34), dai cantieri Finney.

43 =

Frammento

di

cornice

con

decorazione

dipinta,

in

calcare

policromo

(cm.

33x21x10,5),

dal

cantiere

Politi

(Stazione

di Ramleh).

27038

Fusto

di

colonna

(cm. 38x44),

27039 27040 27043 27058 27059 27060 27061 27062 27063 27944 P 8355 P 8356 P 8476 (?) P 8495 P 8496 P 8501 P. 8502 P 8503 P8511 P 8512 P 8513 P 8547 P 8605 P 8688 P 8689 P 8697 P 8727 P 8728 P 8729 P 8730 P 8731 P 8753 P 8754 P 8758 P 8759 P 8825 P 8827 P 8831 P 8832 P 8833 P 8960 P. 8963 P 8974 P 8975 P 8978 P 8979 P 8980 P 8991 P 9059 P 9099



in

marmo

(cm.

120x60),

capitello

di

colonna

in

marmo

(cm.

35x47),

base

di

colonna

in

granito

da Rue Tabat Harb, di fronte alla banca Misr, 2.

489 436 Frammento

di capitello corinzio in calcare (cm. 28 x 46), dalla «pepiniere» Hadra-Alessandria.

446 447 451 Capitello corinzio in marmo

(cm. 47x55),

da Rue Waziri Mohairam Bey.

Capitello corinzio in marmo

(cm.

da Rue Waziri Mohairam Bey.

39x57),

1

Capitello di pilastro in calcare (cm. 95), «trouvé dans la réserve». Capitello di colonna in marmo Frammento

verde (cm.

16,5), dalla moschea di Nebi Daniel (luglio 1943).

di fusto e capitello di colonna in marmo

verde (cm. 38,5), dalla moschea di Nebi Daniel (luglio 1943).

375 Frammento

di cornice in marmo bianco (cm. 225 x 10).

Frammento

di cornice in marmo

Frammento

architettonico in marmo bianco (cm.

grigio (cm. 250).

Frammento

di piccola cornice in marmo

Frammento

di colonna dorica scanalata, in calcare stuccato (cm.

14x 8,2).

bianco (cm. 9x 7x 5). 19x 19).

Frammento di cornice con due scanalature incise, in marmo grigio (cm. 6x5). Frammento

di cornice con fine decorazione floreale e rilievo, in marmo

Frammento

di cornice (?) in marmo bianco (cm. 9x6).

Sei frammenti di cornice (?), in marmo

(cm.

13,5 x 10,5).

Piccolo frammento di cornice in marmo

(cm.

ὃ x6,5).

Piccolo frammento di capitello (2), in calcare (cm. Frammento

di fregio in calcare (cm.

bianco (cm.

8x5).

12x 13,5).

19).

Frammento

di cornice decorativa (?), in marmo

Frammento

di cornice in marmo

(cm.

Frammento

di cornice in marmo

grigio (cm. 9).

purpureo (cm.

88x 5).

11,5).

Frammento di voluta di capitello corinzio in stucco bianco (cm. 11,5). Frammento

di cornice in stucco bianco (cm. 8,5 x7).

Frammento

di cornice in stucco bianco (cm.

16).

Frammento di capitello di colonna in marmo bluastro (cm. 25 x 24), da Attarine, rue Drovetti (rue Fouad I). Frammento di capitello di colonna in marmo grigio (cm. 15x13), dalla «Colonna di Pompeo» (Serapeo) (1944). Frammento di cornice in marmo bianco (cm.

14).

Frammento di capitello con tracce di colore, in calcare (cm. 18).



Frammento

di comice (?), in marmo bianco (cm. 9x6).

Frammento

di cornice (?), in pietra (cm. 7,3).

Frammento

di fregio con tracce di colore, in calcare (cm.

Frammento Frammento

di fregio di colore, in calcare (cm. 25,5). di capitello in marmo bianco (cm. 27,5 x 21,5), da «Colonne»

Frammento

di cornice decorata, in marmo bianco (cm.

(Serapeo) (1944).

10.5).

Frammento

di capitello in colonna, in marmo bianco (cm.

Frammento

di cornice in marmo

grigio (cm. 7,5).

Frammento

di cornice in marmo

grigio (cm. 0,5 x25).

Frammento

di cornice con due fori, in marmo bianco (cm.

Frammento

di fusto di colona in marmo

grigio (cm.

13,5).

14,8).

15x 12).

14,5).

Frammento

di cornice in marmo

Frammento

con decorazione incisa, in marmo bianco (cm.

grigio (cm. 9,5x 5,5).

Frammento

di cornice in marmo

Frammento

di capitello di colonna in calcare (cm.

giallastro (cm.

6,5x 5,7).

14x 11,5) (1944). 14).

591

di decorazione floreale in marmo bianco (cm. 12,2). Frammento di fusto di colonna con tracce di colore, in calcare (cm. 11,7). Frammento di decorazione in calcare (cm. 25x 19). Frammento architettonico con tracce di colore, in marmo bianco (cm. 11x8,5) (1944).

P 9100 P 9178 P 9307 P 9309 P9310 . P 9356 P 9398 P 9399 P 9407 P9477 P9478 P 9655 P9672 . P 9674 P 9784

Frammento

Frammento

architettonico rotondo (cm.

Frammento

di cornice in marmo bianco (cm.

13,5x9,5).

Frammento di cornice in marmo bianco (cm.

14). 19,5 x 12).

giallastro (cm.

Frammento

di cornice in marmo

Frammento

di cornice in marmo bianco (cm.

19,5 x 12).

10).

13x 11).

Frammento

decorativo in calcare (cm.

Frammento

di cornice in marmo giallastro (cm. 16x 13). di capitello ionico in marmo bianco (cm. 15), da «Colonne»

Frammento

(Serapeo).

Frammento di fregio con decorazione in marmo bianco (cm. 12), dal Serapeo. Frammento Frammento

di lastra con disegno inciso in marmo bianco (cm. 7x6,4), dal Serapeo. di cornice (?) in marmo bianco grigio (cm. 38,5x18,5), dal Serapeo,

cisterna

ad

cruciforme

tistero est.

Frammento

P 9785

di

cornice

(7)

in

di

cornice

(?)

in

marmo

bianco

grigio

(cm.

34x25),

Serapeo,

dal

cisterna

cruciforme

ovest

ovest

ad

del

del

bat-

batti-

stero est.

P9786 P 9878 P 10450 P 10874 P 10875 P 10876 P 12075 P 12076 R 300 (?) R360A R 360B R 362 R 363 R 366 R376 R 436 R 623 R 10243 R 10243A

592

dal

Serapeo,

Capitello corinzio in marmo bianco (cm. 25x39), da Kiosh o da Taposiris Magna Frammento di cornice in calcare (cm. 35 x 22,5 x 20), da Shiatbi (1948).

(Abusir).

Frammento tistero est. =

marmo

bianco

grigio

(cm.

Frammento di cornice in calcare stuccato e dipinto (cm. 31 x 20). 804. Frammento

316 317 825 969 : 1026 896 898 817 874 323 1018 926 = 925

di fusto di colonna in granito grigio (cm. 92).

24,5x22,5),

cisterna

cruciforme

ad

ovest

del

bat-

TABELLA DI CONCORDANZA DEI NUMERI DI INVENTARIO DEL MUSEO DI ALESSANDRIA INIZIANTI CON G INV.G

N.CAT.

N. INV.

INV.G

79 80 81 82 103 116 147 167 170 182 282 287 288 308 352 372 380 386 387 397 419 421 423 508 561 565 598 615 639 649

14 17 13 10 779 126 131 397 1026 4 490 16 18 677 15 746 9D 19 20 21 407 417 406 400 128 — -— 448 459 472

11287 17160A 11249 11274

665 E 712(?) 688 759 748 764 — 765 456 7762) 745 787 8 788 7 795 130 797 132 830 127 835 319 863 217 868 — 889 — 910 = 915 — 939 377 1001 770 1041. — 1075 484 1079 487 1099 — 1568 5 1786 | — 1792(?) 539 1796 520 3621(?) 497 9734 3

18274A 18273A

18099A 11286 11284 11276 18101A 18290A 19264A 19283A 11360 17899B 11241 11406 24026 17977B 11334

N. CAT.

N. INV.

11306

11414 19943B 12071

17930B 3393 (?) 11407 11343 11388 20996 11336 20990 20961 20927

11330

593

INDICE DELLE

PROVENIENZE

I numeri del catalogo sono citati in grassetto. Nel caso del museo di Alessandria sono riportati i numeri di inventario quando i pezzi corrispondenti non sono schedati in questo catalogo.

ABOUKIR:

V. CANOPO

ABU Mina: ACHMIN: AHNAS:

v. S. MENA

1035 V. HERACLEOPOLIS

MAGNA

ALESSANDRIA

Cantieri Finney: 189, 243, 256, 285-286, 290, 704A, 704B, 781, 820, 826, 914-915, 942-943, 965-966, 968; nn. inv. 25664-25665, 25670, 25673, 25675 Casa — — — — —

Kindineco: 657-658 Olivier: 203 Orfali: n. inv.23899 Politi: n. inv. 26017 Sursock: 180 Tilche, presso la via dei Fatimidi (fondazioni): 303

«Cesareo»: 739 (?), 745, 747B; n. inv. 3510, 11221, 11320, 11327 Chiesa Copta: 238A, 239 «Cricket Club» di M. Finney: dono — — — — —

— — — —

14154,

17524

Pugioli: 544 M. Sardella: 118, 186, 325-327, 803, 811-813, 922, 927, 931-933, 939; nn. inv. 17747-17748, 17781, 17784-17787, 17789-17805, 17807, 17809-17811, 17817-17820, 17822-17823, 17825-17828 Schiess Bey: 181, 197, 245, 261, 320, nn. inv. 3575, 3583, 3760, 3785 Tousson: 194-195 ]

«Fondation Cercle Mohamed Kom — — — —

160, 448

L. Avierino: n. inv. 398 «Credit Foncier»: n. inv. 12070 Freres Ecoles Chretiennes: nn. inv. Levi Francis: 163, 171-172 Pini: 552 «Presse libre egyptienne»: 514

Aly»

(1905), dono Tousson:

17753-17775,

17777-17779,

194-195

el Dik: 717-718, 727 «auditorium»: 405, 428, 435, 477-478, 481, 697-699, 7124, 725, 798-799, 989-990 «Cantiere del cinema amir»: 394 pendici meridionali: 986 terme romane: 124-125, 379, 402-404, 414, 714A, 726

Kom esch Shogafa (dintorni): 140-144, 316-317, 787-789 — giardini all'ingresso della necropoli, luogo di provenienza non identificato: 99, 102, 114, 145, 182, 398, 440, 546, 758 «London Bank»

(fondazioni): 747A, 748; nn. inv.

13174-13175,

16162-16163,

16165,

17840,

17846-17848

Moschea Nebi Daniel: n. inv. P 8355-8356 — Tarbane: 673; n. inv. 19537 necropoli: 183, 361, 365, 868, 886, 928-929, 936 — Gabbari: 111-112, 117, 232-235, 278-279, 282, 783, 791, 888-891, 912, 916, 967, 972, 976; nn. inv. 3657 ipogeo B: 925-926

595

Hadra (Ibrahimieh): 178-179, 190-192, 201, 216, 236, 240-241, 266, 268, 270, 281, 289, 292, 364, 374, 685, 800, 837, 869, 872, 975-876, 886A, 960, 964; n. inv. 27043 dono M. Sardella: 118, 186, 325-327, 803, 811-813, 839A, 839B, 922, 927, 931-933, 939; nn. inv. 17747-17748, 17753-17775, 17777-17779, 17781, 17784-17787, 17789-17785, 17807, 17809-17811, 17813-17815, 17817-17820, 17822-17823, 17825-17828, 19671-19672, 20267, 20911, 20923, 20929, 20932-20935, 20938, 21711, 21715-21716, 21721, 28723-21727, 21729-21730, 21733-21734 Miniet el Basal, dono «Presse libre egyptienne»: 514 Mustafa Pascià: 242, 840, 905, 948 ipogeo I: 209

ipogeo II: 210 occidentale: 945, 953

Shiatbi: n. inv. 18259, P 10450 Wardiyan:

165, 304, 973, 978; n. inv. 10974

Ospedale governamentale,

dono Schiess Bey: 181, 197, 245, 261, 320, nn. inv. 3575, 3583, 3760, 3785

Patriarcato Copto: 679A Piazza Said/piazza Khartoum (colonna Omdurman): Porto

203

orientale: 2, 4-17, 19-22, 135, 139, 184-185, 11411, 20990, 20995-20996, 21005-21006

276,

576,

712,

941A,

966A,

979,

991,

1027;

nn.

inv.

11221,

11320,

11327,

17843-17844,

18875-

Quartiere Attarine: n. inv. P 8753 «greco»:

785

di Messala: 396, 399, 430 di Azzarita: 23-981; n. inv. 23899 Scuole: «Ecole Angalise» (1894): 935 «Ecole professionelle»: 158, 659, 674; n. inv. 17524 « Victoria College»: 18 Serapeo: 31, 32, 38, 38A, 980; n. inv. P 9672, P 9674, P 9784-9786

«Colonna di Pompeo» (nei pressi): 25-26, 28-29, 39-40, 476, 487, nn. inv. 3614-3617, 3632-3634, 3718, 18882, P 8754, P 8833, P 9655 portale del recinto romano: 33-34 recinto: 30, 35-37 Stazione di Ramleh: n. inv. 26107 «Tours des Romains», presso le fortificazioni arabe: 458, 738; n. inv. 376 Selsileh (presso Kom el-Dik): 96 via AI Horrya (Sharia Gamal Abd el Nasser): 552; «d'Allemagne» (Sharia Salah Moustafa): 163, « Alexandre le Grand»: 1, 18, 23, 981; n. inv. Cherif Pasha: 657-658; n. inv. 12070 El Abdine Moharam Bey (1960): 436, 489 Fouad I: v. Al Horrya Gallici Bey: 181, 320; v. «d'Allemagne» Ibrahim I: 1026 Rosette: v. Al Horrya Sidi Abu Darda: 995; n. inv. 14154 Sidi El Wasti: 158, 659, 674, 992A Sultan Hussein: v. «d'Allemagne» Tabat Harb: n. inv. 27038 Waziri Mohairam Bey: 446-447, 451; nn. inv. Youssef Eir-Effendi: 180

n. inv. 21008, P 8753 171-172 23899

20927, 27061-27062

da Alessandria, luogo esatto di provenienza non identificabile: 123A, 168, 198, 200, 247, 260, 273, 287, 291, 294-295, 322, 358-359,

373, 413, 500-501, 504, 508, 512, 558, 660, 701, 780, 782, 784, 810, 814-815, 839C, 860, 860A, 871, 878, 886B, 887, 892, 918-919, 938, 969-971, 1037, 974-975, 977, 979A, 990A, 1039-1041; nn. inv. 3686, 3765, 3822, 3827, 3830 Museo

di provenienza non identificabile: 3, 27, 102,

211, 378, 485, 641, 839, 998,

104,

113,

126-134,

136,

Serapeo, giardini, di provenienza non identificabile: 301, 397, 431, 654, 700, 786 AMSTERDAM

Allard Pierson museum,

596

138-139,

146-147,

150-152,

161-162,

164,

167,

187,

214, 217, 227, 228, 228A, 238B, 244, 250, 259, 263, 267, 300, 305, 319, 341-342, 350, 352-353, 360, 367, 375, 377400-401, 406-407, 409-412, 416-417, 419-420, 423-426, 429, 432-434, 438, 444, 450, 455-456, 459, 468, 472-473, 483490, 496-497, 513, 515-516, 519-520, 523-529, 532-533, 535-536, 539-541, 549, 575, 586, 609-611, 616, 628, 631, 640677-678, 688, 694-696, 711, 713, 724, 728, 746, 770, 775, 778-779, 792, 801, 804, 808, 817, 819, 825, 829-832, 838844, 852, 855, 858, 865, 870, 873-874, 877, 895-898, 901-902, 906-911, 913, 920-921, 923, 959, 961-963, 994, 994A, 1013

dalla collezione von Bissing: 302

ANTINOE chiesa paleocristiana: 574, 622-624 convento: 625

tempio ramesside, piazzale di fronte al pilone: 716 via «Trionfale», propileo monumentale: APOLLINOPOLIS

MAGNA

715, 736

(Edfu)

lapidario all'interno del tempio di Horus: 154, 196, 229, 257, 271, 277, 296-298, 708, 1001 ASHMUNEIN: ASSUAN:

V. HERMOUPOLIS

MAGNA

765-766

ATTARINE:

n. inv. P 8753

BAHNASA:

V. OXYRHYNCHOS

BATN HERIT: v. TEADELFIA 19671-19672, 20267, 21733-21734

20911,

20923,

20929,

20932-20935,

20938,

21485,

21711,

21715-21716,

21721,

28723-21217,

21729-21730,

BAWIT Chiesa Nord: 596 Chiesa Sud: 669 — cappella A: 569, 578 — cappella B: 579-580, 589, 665, 667, 1007, 1021-1024 BEHIG (presso Abusir): 479 CAIRO «cafeteria» presso la madrasa del Sultan Hassan: 607 chiesa El-Mo'alaqa,

all'interno della fortezza di Babylon:

437

madrasa del Sultan Hasan: 992 moschea Muhammad an-Nasir ibn Qalawun: 418, 466-467, 491-492, 547-548, 551, 656, 753-754, 774 — Qalawun (complesso di:) 453, 461, 465, 488, 511, 550 — Salih Talay: 495 museo egizio: 452 — copto: 103, 137, 415, 421, 445, 454, 460, 482, 507, 509, 517-518, 557, 568, 570-571, 581-585, 588-592, 595-597, 604-606, 615, 655, 660, 662-664, 666, 668 670-671, 675, 681-683, 719-720, 729, 797, 993, 1021, 1028 — Militare (Cittadella), giardini: 218, 219, 230, 380, 469-470, 471, 474 Canopo

(Aboukir)

498-499, nn. inv.

19409,

19434, 20970-20971

dono Tousson: 97-98, 105-110, 115-116, 120, 123, 170, 173-176, 188, 193, 199, 201A, 202, 204, 208, 212, 213, 215, 237, 246A, 246B, 248, 255, 258, 262, 280, 283-284, 288, 299, 306, 308-315, 321, 324, 332-337, 340, 343-349, 351, 700B, 769B, 802, 805-807, 809, 816, 818, 820A, 821, 823-824, 827-828, 833-836, 841-843, 845-851, 853-954, 856-857, 859, 861-864, 864A, 866-867, 879-883, 893-894, 899-900, 903, 917, 930, 934, 940-941, 946-947; nn. inv. 18376, 18391, 18395, 18398-18399, 18409-18410, 18414, 18417, 18422-18427, 19429, 18430, 18434-18435, 19437-18438, 18441-18442, 18444, 18446-18447, 18450, 18452-18458, 18460-18462, 18464-18465, 18467, 18477-18478, 18492-18497, 18508, 18510, 18516, 18521, 1852618529, 18533, 18538, 18541, 18545, 18549-18550, 18643, 18653, 18659, 18662-18663, 18669, 18830, 18834-18835 — Forte Teufikieh, nelle vicinanze: 323, 542-543 CHOIS



SAKHA

DENDERA

Basilica cristiana: 599, 603, 626, 1017 ninfei: 220-226,

318,

709

viale di accesso al tempio di Hathor: 159, 269. 274, 646, 710 Dionystas EDFU:

(Qasr karum), presso la «Maison blanche»: 983

V. APOLLINOPOLIS

MAGNA

EL-DEKHELAH: 336A, 449, 502-503, 503A, 508A, 518A, 521A, 522A, 522B, 522C, 537, 1029A; nn. inv. 13725-13730, 13852-13854, 13856-13859, 13991-13992, 13994-13995 ELEPHANTINE, Er

Kousta:

684,

686,

687A,

689,

769A,

museo: 765-766

n. inv.

FRANCOFORTE,

651A,

46

museo:

462

597

GHENENAH:

395, 422; n. inv.

nei pressi, «antico edificio» di Abou'] Hid: 757

Hagar EL NAWATIEH, HENNATON

11215

(monastero): v. EL-DEKHELAH

HERACLEOPOLIS HerMouPOLIs

MAGNA MAGNA

(Ahnas): 460 (Ashumunein)

452, 662, 668, 999-1000

Basilica cristiana: 100, 121-122, 388-392, 559-567, 621, 730, 884, 996, 1005-1006, 1014-1016 — — —

portico settentrionale: 386, 617-620 propileo occidentale: 393, 735 propileo settentrionale: 387, 734

Komasterion:

382-385

lapidario: 231, 356, 376, 381, 608, 731-732, 795, 822, 984, 987-988, 997, 1019 santuario tolemaico: 41-69, 71 — propylon ovest di accesso al recinto: 70, 72-73 Karr Daouar,

dono A. Ruschowich:

1036

KARANIS

museo: 357 lapidario accanto al museo: 366, 702 Kasr KALIGA

(Mariout), dono Tousson: n. inv. 23882

Kom ABU'L EDA: n. inv. 20963 Kom

HucHIEM:

Kom

OmBo

n. inv. 20978A

Basilica cristiana: 690-692, 733, 737 lapidario all’inteno del tempio di Sobek e Haroeris: 155-157, Kom

RIACHAT:

177, 272, 293, 645, 693, 950

nn. inv. 20965-20966

Luxor n. inv. 21784 aula di culto imperiale nel tempio di Ammone:

252-254

Basilica cristiana: 598, 647, 649-651, 767 campo romano, tetrastilo: 793 lapidario accanto al tempio di Ammone: Marsa

MATROUH

166, 627, 648, 794

(Paraetonium): 1038

Mons

CLAUDIANUS,

Serapeo: 251, 703-704

Mons

PORPHYRITES,

Serapeo: 74-95

MouzHa:

439

OXYRHYNCHOS

(Bahnasa) 148-149, 570A, 577A, 590A, 593-594, 661, 796, 952 , 997A, 1002, 1004, 1008-1012, 1018, 1020, 1025, 1030; nn. inv. 2336523367, 23369-23381, 23383-23387, 23389-23391, 23399, 23404-23416, 23418-23437, 23447-23478, 23480-23578, 23580-23645, 23647-48, 23651-23799, 23801-23803, 23805-23806 «edificio cristiano» settentrionale: 1003 stazione di polizia di Bahnasa: 577 PARAETONIUM:

V. MARSA

MATROUH

PARIGI Museo

del Louvre:

569,

578-580,

PHILAE, tempio di Augusto:

665,

667,

354-355, 949

PLINTHINE, presso «Taposiris Magna (Abusir) n. inv. P 9878 casa ellenistica: 205-207, 944 QAsR KARUM: ROSETTA:

598

v. DIONYSIAS

985; n. inv. 2107

669,

1007,

1020,

1022-1023

S. MENA

(Abu Mina)

153, 441-442, 480, 521-522, 534, 612, 679, 740, 744, 747 ambienti conventuali a nord della

«Grande Basilica»: 545

Battistero: 462, 676 «Grande Basilica»: 408, 741-742,

771

lapidario presso la «Grande Basilica»: 443, 457, 463-464, 486, 493-494 «Piccola Basilica»: 614, 755 «Pilgrim Court»: 613, 743, 772 SAKHA: 790 SAQQARA convento di Apa Geremias: 583, 644, 655, 663-664, 683, 797, 1025 — area immediatamente a nord-ovest della «Main Church»: 632-639 — «Main Church»: 581, 588, 590, 592, 642-643, 680-682, 756, 759-763, 776-777 — «Refektoriumskapelle»: 749-752, 764 — «Tomb Church»: 568, 582, 584-585 SoHAG,

Convento rosso: 572-573

TEADELFIA (Batn Herit). 98A, 368-371, 553-556,

924, 937, 951, 957-958; nn. inv.

19906, 20266, 20883-20884,

20886, 20890, 20893,

20941, 21016

ginnasio: 982 presso il tempio: 955 presso le terme: 301A, 372 strada tra il tempio e le case a sud: 956 TEBTYNIS

(Umm

el Breigat)

338, 588A, 595A, 672, 954; nn. inv. 22826-22827 «sala tolemaica»: TELL

MOKDAM:

TuMrus

119, 705-707 n. inv.

11259

(Tell Timai nel Delta): 169, 403A; n. inv. 20948

Umm

EL BREIGAT:

WADI

NATRUN

Deir Abu

Makarios:

v. TEBTYNIS

505-506,

510,

530-531,

538,

652,

687,

721-723,

768-769,

773,

1029,

1031-1034

599

INDICE DEI SOGGETTI Abd el-Latif 181, 202 Aboukir 217

Miniet el-Basal 58, 77, 84, 86, 87, 90, 127, 216, 338, 350, 495

Abu Hennis 54, 56 Abu Mina, v. S. Mena Abu Sha'ar 31

— moschea di El-Attarin, v. S. Atanasio — necropoli di Gabbari 58, 59, 62, 84, 88, 88, 103, 134, 136,

Abusir, v. Taposiris Magna

— necropoli di Mustafà Pascià 3, 27, 38, 58, 59, 62, 63, 76,

Achille Tazio 64, 182

79, 82, 85, 89, 90, 99, 105, 109, 115, 123, 124, 127, 133, 134, 135, 136, 138, 139, 141, 216, 322, 335, 501, 520 — Tomba del giardino di Antoniadis 38, 58, 105, 137

141, 144, 190, 216, 508, 509

Adriani A. 38, 44, 60, 64, 123, 125, 131, 133, 135, 137, 142, 143, 144, 195, 197, 200, 204, 209, 214, 215, 273, 278, 281 Adriano 20, 45, 64, 65, 166, 199, 200, 202, 248, 274, 288, 546, 555, 557 Aege 76, 100 — tempio di Apollo 90, 98, 116

Africa 30, 174 Aftonio 11, 195, 198, 200, 202 Ahnas

(Heracleopolis

Magna)

49, 51, 52, 67, 69, 71,

157,

161, 169, 170, 173, 174, 414, 415, 440 Ain El Tebanieh 5 Aizanoi - tempio di Zeus 410

— necropoli di Wardian

— — — — —

38, 59, 62, 87, 103,

— Quartiere Reale 181, 183, 213-215 — sacello di Arpocrate 15, 62, 197, 198

Aleppo 438



— moschea di Hallewiyye 176, 437, 443 Alessandria 195-216, 555 — Adrianeo 8 — Cesareo o Sebasteion 5, 167, 203

"souterrain d' Hermanoubis" 203

Shiatbi 38, 57, 93, 109, 115, 140, 142 — ipogeo A 86, 87, 88, 105, 123, 140, 142, 144, 338 — necropoli 58, 62, 79, 84, 123, 135, 136, 383 — Tempio di Arsinoe Zephyritis 58, 79, 123, 127

— Chiese: S. Atanasio 169, 181, 182, S. Giovanni Battista 199 S. Marco 169 S. Theonas 169 — Colonna di Diocleziano 172, 186, 197, 199, 200, 202,

203, 479 — Colonna di Pompeo v. Colonna di Diocleziano — Edificio del Quartiere Reale 79, 81, 84, 85-86, 87, 88, 99,

103, 105, 250, 251

— — — —

Sidi Gaber 79, 125, 141, 142 ipogeo A 82, 548 teatro 18, 203 templi: - di Ras es Soda 5, 17, 58, 75, 181, 251, 553 - di Iside 11, 15, 62, 134, 200, 202 — Thiersch ipogeo 60 — tombe a kline 38

— ginnasio 18

alessandrina arte 144

— Kom el Dik 67, 69, 79, 169, 183, 185, 193, 203-211, 215, 555

Alessandro Magno 5, 41, 75, 272

153,

168,

169,

172,

182, 183, 185, 190, 206-207, 209, 210, 211, 433, 491, 508, 526 — Case romane 207-208, 209 — piccolo teatro 18, 210 — scuola 60, 208-209

— terme 3, 19, 22, 25, 60, 66, 68, 69, 153, 166, 168, 178, 182, 205-206, 209, 210, 211 — Kom

esch Shogafa 20, 67,

122, 172,

190, 216, 392, 433,

490, 493 — necropoli 59, 92, 107, 110, 134, 135, 144, 166, 181, 344, 348 — terme 20 — Mafrusa ipogeo 87, 89, 135 — Mausoleo tolemaico 12

141,

— Serapeo 3, 5, 11-12, 14, 16, 17, 60, 62, 64, 99, 109, 134, 136, 138, 139, 166, 172, 181, 183, 185, 193, 195-203, 251, 252, 319, 322, 525, 546

al-Mu'allaqa fortezza 27

137,

135,

— Ras el Tin ipogeo 8, 142

Akoris, v. Tihna al-Gabal

— auditorium 3, 60, 66, 68, 69,

107,

495, 513 Necropoli Occidentale, v. Miniet el-Basal porta del Sole 44 porta della Luna 44 Portus Eunusti 43 Portus Magnus 43

Alessandro Severo 45, 65, 66, 186, 190, 287 Alicarnasso Mausoleo 77, 86, 89, 116, 314

Aly Z. 257 Amenophis IH 27 Ammiano Marcellino 195 Ammone 5, 16 Amsarredi fortezza 30 Anazarbo 32 Anfushi necropoli

38, 59, 62, 85, 89,

101,

103,

107,

108,

110, 124, 127, 133, 135, 137, 139, 141, 142, 498, 505, 522, 526 Antalya museo 409 Anti C. 19, 238, 239, 240 Antinoe 4, 32, 34, 44, 45, 46, 49, 51, 52, 54, 64, 65, 68, 139, 161, 172, 175, 176, 177, 178, 181, 185, 190, 193, 247, . 273-288, 546, 547, 557 601

agorà 46, 276 anfiteatro 46 archeion (praitórion) 277 “arco di trionfo" 33, 281, 336 chiesa paleocristiana 280 Chiesa Sud 54

— cinta muraria 273, 275

— — — — — — — — — — — — —

ippodromo 46, 277 necropoli meridionale 279 necropoli settentrionale 279 porta ovest 64, 65, 281 porto 46, 276 praetorium 46, 277 santuario di Iside 46, 277, 278 stadio 46 teatro 18, 34, 46, 65, 273, 277, 279, 284-285 tempio delle divinità degli Antinoiti 46 tempio di Ramesse II 273, 275, 277 terme 22, 25, 46, 277 Tetrapilo 65, 186

— “tomba di Antinoo" 46, 277 — tomba di Teodosia 273, 279 Antiochia 45, 49, 288, 290 - palazzo imperiale 32

Antoniades v. Alessandria Antonio 18 Anubis 5 Apamea 45, 67, 288, 393, 410, 411, 437 Apollinopolis Magna v. Edfu Apollonio Rodio 11, 60, 62, 109, 198, 202, 218, 251 Aquitania (marmo di) 183 Arak el-Emir 374 Arcadio 53, 168, 169, 170, 290 Argo - santuario di Apollo Piteo 338 Arpocrate 11, 17, 135, 146

Arsinoe (Medinet Fayum) 5 — teatro 18 — tempio di Giove Capitolino 8 — terme 19

Asafrah 20 Asclepio 41 Ashmunein, Asia Minore 100, 104, 167, 172, 397, 399,

v. Hermoupolis MagNa 45, 49, 64, 65, 66, 75, 81, 83, 86,87, 91, 98, 106, 111, 115, 116, 119, 123, 147, 153, 166, 181, 185, 189, 199, 211, 337, 366, 392, 393, 401, 407, 410

Assos - ginnasio 100, 322, 503

— stoà 77 — tempio 76 Assuan (granito di) 4, 12, 27, 64, 65, 67, 69, 99, 109, 122, 136, 144, 166, 168, 172, 174, 181, 182, 183, 185, 186, 198, 199, 209, 215, 217, 218, 253, 304 Assuan, monastero di S. Simeone 51

Atene 76, 78, 106, 108, 115 — Agrippeion 392 — Asklepieion 77 — Biblioteca di Adriano 394 — Monumento di Lisicrate 384 — Olympieion 251, 325, 392, 490 — Porta di Adriano 410 — stoà di Attalo 78 — stoà di Eumene 78 — Torre dei venti 138 Athribis (Tell Atrib) 20, 41, 44, 46, 104, 153, 398, 546 — terme 19, 20, 25, 64, 65, 67, 153, 166, 168, 182, 183, 228, 493 Augusto 8, 25, 115, 387, 557

Aureliano 546 Autun 27 Avidio Cassio 546 Baalbek - tempio di Bacco 108 602

— tempio di Helios 22 Babylon fortezza 4, 25-27, 31, 63, 64, 100, 171, 330, 547 Bacchias 35, 37, 47, 223 -Badawy A.M. 39, 60, 257, 269, 290, 293 Bagnani G. 19, 238 Bahnasa, v. Oxyrhynchos Bahria 5, 41, 47, 224 — arco 33

Balty J. 206 Bani Suwif 175, 176, 442, 443, 449 Baraize E. 248 Bari - S. Nicola 423, 427, 430 Bartocci 140 Basa 63, 226 Bassae - tempio di Apollo 91, 115, 116, 123, 125

“bastoncino” (modanatura a) 123, 124 Batn Herit, v. Teadelphia Bauer H. 366, 374 Bawit 3, 41, 49, 51, 56, 71, 164, 173, 174, 175, 176, 177, 180, 193, 301, 444, 445, 447, 450, 456 — Chiesa Nord 53, 68, 298 — Chiesa Sud 53, 56, 68, 71, 174, 298, 300, 526 — Monastero di Apa Apollo 51, 68, 161, 298-300 Belevi Mausoleo 77, 115, 116, 117, 325 Benha, v. Athribis Bergmann M. 135, 139

Berytus - foro romano 397, 399 Bey el Falaki M. 203 Bianchi Bandinelli R. 173

Bonaparte N. 32 Bongrani Fanfoni L. 277 Borkowska-Kolataj T. 211 Bosra 398, 410

Botti G. 195, 197, 198, 199, 200, 202, 214, 215, 217 Bowman A.K. 546 Bragantini I. 145 Breccia E. 51, 52, 140, 141, 203, 204, 217, 218, 219, 221, 238, 273, 279 Brindisi 419 Brown B. 133 Bruchium 19, 181, 203

Bulgaria 32 Byblos 401 Cairo 3, 38, 49, 51, 64, 67, 69, 70, 153, 164, 168, 169, 170, 171, 172, 182, 183, 186, 189, 419 — chiesa El Mo’ allaqa 540 — Fortezza di Babylon v. Babylon — moschea di Amr 408, 410, 413, 425, 436, 453, 454

— moschea di en-Nasir 454 moschea Muhammad an Nasir ibn Qalawun 462 — museo copto 427 Calcedonia (Concilio di) 51, 68 Calderini A. 277 calici “a faretra" 462 Callatis 466 Canopo 79, 84, 111, 127, 217-218 — monastero della Metanoia 217 — Serapeo 11, 17, 60, 62, 109, 198, 202, 217, 218, 251 — tempio di Iside 218 — tempio di Osiride 217 Canosa tempio di Minerva 75, 76 capitello “a canestro” 463 capitello “a tralci di vite" 463 Caracalla 65, 199, 202 Caro 33 Carrié J.M. 231, 232

|

— — — — — —

Cassio Dione 45, 199

Castiglione L. 3, 4 Castrum Drobeta 232 castrum 3, 27, 66

Cesareo 6

— tholos 123

Chassinat E. 298, 300

Delo 8, 77, 82, 88, 105, 106 — Portico di Filippo 87, 339

Cheikh Zonede - fortezza 30 — terme 22, 25

— Sala Ipostila 76, 86, 335

Cherchel 342 Cilicia 32 Cipro 18, 364, 374 Cirenaica 65, 138, 189, 364, 431 Cirene 137, 398 — Casa di Giasone Magno 127 — santuario di Apollo 121, 488 — Strategheion 322 — tempio di Hermes 499 Cizico tempio di adriano 189

— tempio di Iside 76 Delta 8, 18, 22, 25, 39, 51 Demetrio 49 Dendera 3, 4, 5, 51, 53, 54, 56, 57, 64, 68, 70, 71, 121, 161,

166, 172, 173, 174, 176, 237, 363, 364, 377 — tempio di Hathor 63, 68, 361 — ninfeo 117, 118, 124, 153, 181, 361, 374, 388 — fortezza 174 "dentellato" (acanto) 162, 170, 171, 412, 415, 417, 425, 435,

561

Clarke S. 39 Claudio 8 Cledat J. 298

Derouah 257

Description d'Egypte 45, 46, 244, 281 Didyma 117

Cleopatra 18 Cleopatra III 222 Commodo 45, 190, 491 Convento Bianco (Sohag)

Dinocrate di Rodi 43

51, 52, 53, 54, 56, 68, 70,

161,

173 Convento Rosso (Sohag) 51, 53, 54, 56, 68, 70, 71, 161, 173, 174, 175, 176, 188, 437, 438, 441, 442, 450, 485, 530 "copta" arte 49, 52, 60, 67, 70, 137, 139, 161, 173, 174, 444, 545, 560

Dioniso 22, 30 Dioniso/Serapide 5, 17

Dionysias 549

17, 44, 45, 47, 70, 99, 124, 193, 223-237, 545,

— basilica settentrionale 47 — battistero 47

— case ad ovest del tempio 228-229 — dromos 224, 225 — fortezza 4, 27-29, 30, 32, 47, 49, 66, 67, 71, 104, 111, 120, 172, 174, 178, 179, 224, 225, 230-237, 377, 379

Corinto — Basilica Iulia 392 — Basilica meridionale 392

Cos 327 Costante II 407 Costantino 169, 290 Costantinopoli 27, 49, 51, 53, 54, 60, 67, 69, 70, 157,

Diocleziano 31, 33, 49, 184, 232, 324, 546 Diodoro 18 Dione di Prusa 43

— Grande Basilica 47

— grapheion 224 168,

169, 170, 171, 173, 184, 186, 394, 409, 412, 414, 417, 418, 419, 421, 422, 425, 426, 427, 436, 546, 561 — arco di Teodosio I 170, 409, 414

— komasterion 223, 225 — “mausoleo” 223, 225, 234 — officina delle monete 229-230

— colonna di Marciano 435

— "Quartiere Sud" 223, 225, 226-227 — Serapeion 8, 17

— Foro di Costantino 169

— strada processionale 223, 225

— Forum Tauri 170

— tempietto 124, 136

— Porta d'Oro 170, 171, 173, 175, 409, 419, 435, 438 — S. Eufemia 189

— terme 22, 225, 227-228

— tempio del dio coccodrillo 223, 225

— S. Giovanni di Studio 435

— tetraconco 47

— S. Polyeucto 462 — S. Sofia 53, 67, 169, 170, 187, 189, 407, 408, 412, 435, 465, 480

— thesaurós 224 Domiziano 45

Costanzo Cloro 33

Donadoni S. 273, 275, 277, 278, 279 Dórpfeld M. 214

Costanzo II 69, 169, 170, 174, 412, 416

Douch - fortezza 30

Coulton J. 76

Drobeta - fortezza 27, 32 dromos 3, 4, 18, 19, 47, 48 Dyggve E. 231

Crocodilopolis, v. Arsinoe Crotone 341 "crowded acanthus" 170, 412, 561 Crum M. 219

Edfu (Apollinopolis Magna)

57, 67, 93, 109, 111, 119, 121,

— colonna di acanto 488

124, 172, 180, 258, 325, 363, 365, 370, 371 — tempio di Horus 5 — terme 22 Efeso 167, 392, 393, 411, 470 — Arcadianè 67, 287, 435 — Serapeo 166, 395, 396 — tempio di Euromos 399 — chiesa di S. Giovanni 435 — ottagono 503 El Ashmunein, v. Hermoupolis Magna El Bara 437 El Dekhela 68, 164, 169, 171, 219-220 El-Bagawat 41, 288 El-Nassery 38 Elephantine 5, 56, 188 Eleusi 82 — Grandi Propilei 392, 490

— tempio di Atena Pronaia 338

— Piccoli Propilei 382

Dabrowski L. 204

Dahaila 56 Dair Abu Hinnis 450 Damasco 45, 288 Danisos Pascià 217 Darb-el-Gerza, v. Philadelphia De Johnson J. 273

deipneteria 19 Deir Abu Fana 54, 56, 68

Deir el Abiad, v. Convento Bianco Deir el Ahmar, v. Convento Rosso Deir el Bakara 54

Deir el-Bahari 460 Delbruck R. 60, 87, 99 Delfi 121

603

Engelbach R. 39 Engemann J. 290 Epidauro 117, 118, 119, 356, 359, 367, 371, 384, 392 — Abaton 336

— Asklepieion 91

— Ginnasio 338 Propilei Nord 336 Teatro 339 tempio di Artemide 75, 115 tempio L 75, 115, 339 — Tholos 108, 115, 117, 325, 352 Epifanio 195 Eraclio 436 Esna 5 Eudossio vescovo 169 Euhemeria 35, 37 Ezbet Mahlouf, v. Hadra

Fa'w Qibli 52, 66 Fakhry A. 41 “Faltkapitelle” 465 Farid 38 Faros (Isola di) 144, 207 Fayum 3, 5, 18, 19, 35, 37, 46, 47, 221, 223, 238, 239 Fedra 30

Filippo HI Arrhidaeos 18 Filone 5 Finney (cantieri) 215 Flindiers-Petrie W.M. 51 Fortezze 25-32 Franco F. 238 Fraser P.M. 202

frontone interrotto 138 frontone siriaco 131

109, 111, 118, 137, 169, 172, 173, 174, 244-272, 298, 325, 68, 70, 71, 79, 153, 183, 185, 247, 248, 440, 441, 442, 447,

dominio sacro (phrourion) 245, 246, 247, 248, 252, 255 dromos di Hermes 45, 65, 246, 247, 252, 255

ginnasio 45, 247 Iseion 247 komasterion 3, 18, 34, 45, 58, 64, 65, 153, 166, 182, 185, 246, 247, 252, 255, 394, 453 makellon 45, 247, 252 mercato 45 necropoli v. Tuna el Gebel Neilaion 45, 247, 252

Porta del Sole 45, 246, 247, 252 Porta della Luna 45, 246, 247, 252 Porta della Sfinge 257 porto 244, 245 santuario tolemaico 5, 16, 45, 60, 63, 76, 79, 81, 85, 87,

88, 99, 100, 109, 117, 121, 124, 197, 202, 248-253, 319,. 340, 383, 475 Serapeo 17, 45, 62, 247, 248, 252 Strada di Domiziano 45,

64, 246, 247, 248

teatro 18

tempio dei Dioscuri 5, 247 tempio tempio tempio tempio

di di di di

Adriano 8, 45, 65, 166, 246, 247, 252 Afrodite 5, 247 Ammenemes II 244 Ammone 244, 246, 247

tempio di Antinoo 8, 45, 65, 166, 246, 247, 252

Gabbari v. Alessandria

Gabra S. 257, 264, 269, 270, 271 Gallazzo C. 238 Gallieno 31 Gayet A. 273, 276, 277, 278

Gaza (basilica) 168 Gemila - terme 20

Gerasa 45, 65, 66, 67, — porta monumentale — tempio di Artemide Gerusalemme 70, 171, Gilbert P. 552

44, 45, 49, 57, 64, 65, 67, 93, 103, 139, 151, 152, 154, 157, 164, 167, 175, 178, 183, 185, 186, 190, 193, 328, 366, 450, 546, 547, 549, 556 agorà 45, 247, 252 basilica cristiana 5, 52, 54, 56, 64, 161, 166, 173, 174, 175, 177, 182, 250, 251, 252, 253,-255, 326, 396, 453, 456, 492 Bastion 252

183, 285, 287, 288 33, 34, 64, 283 16, 34 414, 416, 417, 425, 435, 436

ginnasio 17-18, 57 Gioviano 169 Giuliano 169

Giustiniano 30, 67, 294

tempio di Apollo 5, 247 tempio di Asclepio 5, 247 tempio di Atena 5, 247 tempio di Augusto 45, 246, 248

tempio di Faustina 8, 246 tempio di Ramesses II 244, 248 tempio di Thot-Hermes

18, 45; 244, 246, 247

tempio di Tyche 5, 247 terme di Adriano 45 via Antinoitica 64, 66, 182, 246, 247, 248, 252, 253, 255 H errmann J.J. 180 Histria museo 411

Hogarth D.G. 203, 204 Honroth W. 258 Hópfner W. 44, 60, 88, 213, 214, 250, 251, 319

Grecia 75, 76, 83, 86, 87, 100, 104, 106, 111, 115, 119, 172,

Horus 5, 134

228, 337, 338, 347, 392, 393, 410 Grenfell B.P. 221, 223, 238 Grimm G. 258 Grossmann P. 60, 248, 255, 289, 290, 291, 292, 293, 294,

Hunt A.S. 221, 223, 238 hypotrachelion 178, 179, 338, 339

295, 301, 302 Guerrini L. 279, 280

Tatrus fortezza 32

Hadra 84, 143

Iatos 57 Ilio tempio di Apollo 76 Ippel A. 142 Ippolito 30

— necropoli 135, 142, 215 Handler S. 195, 198, 199, 202, 548

Iseo 8

Hathor 3, 5 Hauwariya, v. Marea

Istambul, v. Costantinopoli

Helixo (stele di) 143 Heptastadium 43

Jomard J. 22, 32, 34, 64, 65, 66, 181, 185, 190, 223, 225, 252, 273, 276, 277, 278, 281, 284, 285, 287, 336, 557

Heracleopolis Magna, v. Ahnas Heracles 18 Herment 526

Kairouan moschea 399, 406, 409, 430, 462

Hermes 18 Hermoupolis Magna (El Ashmunein) 3, 5, 8, 17, 18, 34, 39, 604

Iside 5, 8, 17, 146

Kamal M. 248 Karanis 5, 19, 20, 35, 37, 229

tempio di Sobek 186

— Tempio di Soxeis 20

Mallawi 244

Mar Nero 180

— terme 20 Karnak 8, 19

— complesso di Ammone 5, 8 Karthoun (colonna di) 117, 181

Mar Rosso 18, 31, 43, 278 Marco Aurelio 45, 198, 199, 222, 244, 246, 252 Marea (Hauwariya) 54, 70, 174

kataskeuasma 11

Mareotis lago 22, 43, 44, 289

Kaufmann K.M. 51, 289, 290, 292, 293, 294 Kautzsch R. 60 Kellia 51, 52, 54, 56, 66 Kerkeosiris 5 — santuario dei Dioscuri 5 — santuario di Zeus 5

Mariout, v. Abu Mina Marmarica 223 Marsa Matruh, v. Paraetonium Masada - palazzo di Erode 121, 355, 474, 518

“mask acanthus" v. “dentellato acanto” Maspero J. 298

Kessler D. 258

Medinet Fayum, v. Arsinoe

Kharegh 30 Kharga 41 Kitzinger E. 52, 71, 174 Koitai 19 Kolataj W. 204

Medinet Ghoran 35 Medinet Madi 37, 172, 390 Mediterraneo 43, 57, 63, 179 Megaw A.H.S. 253, 254 Memphis 18, 43, 301, 303, 547

Kom Abu Billo (Terenouthis) 8, 38, 39, 40, 124, 125, 134 Kom el Dik v. Alessandria

— Serapeo 5, 200, 547

Kom Kom Kom Kom Kom

Mensole *a travicello" 327, 330, 551, 552, 554, 560

el Kazui 134 el Negileh 228 el Qadi 228 el Wasat 228 el-Ahmar 536

Menuti 217, 218 — tempio di Iside 217 Michalowski K. 203 Milano (editto di) 49

— terme 22

Milano 405, 410 Mileto

Kom esch Shogafa v. Alessandria Kom Ganady - terme 22

— Bouleuterion 382

Kom Khobeiz - terme 22

Kom Madi - cenotafio 5, 14, 41, 64 Kom

Ombo

(Ombos)

3, 5, 18, 29, 57, 67, 70, 79, 83,

109,

161, 185, 187, 380 — basilica cristiana 180 Kom Sakha - terme 22

Kom Trugah - terme 22 komasteria 18, 172

"Korbkapitelle" 466 Kos 106 Krautheimer R. 168 Kuta 47

Kysis, v. Douch Labranda 399 Lagina - Hekateion 382 Lambesis - fortezza 27 Lauter H. 131, 135 “Lederblatter» 421, 561 Lefebvre G. 221, 257, 258

legione III Cyrenaica 25 legione XXII Deiotariana 16 Leone I 53 Leptis Magna 65, 190, 398, 400, 401

Libia 18 Lindos 335 Lucio Vero 222, 244, 246, 252

Luxor 3, 11, 27, 51, 53, 56, 68, 70, 71, 119, 153, 161, 172, 173, 174, 188, 231 — fortezza 3, 4, 27, 29, 31, 66, 67, 139, 190, 492

— ginnasio 18 — Serapeion 4, 5, 8, 11, 63, 75, 166, 198, 251

— tempio di Ammone 27, 63, 67, 369, 450 Lyttelton M. 133, 135, 136

Macedonia 335, 337 Mafrusa ipogeo v. Alessandria Magna Grecia 87, 89, 99, 115, 251, 338

Magnesia 116 — tempio di Artemide 85, 316, 340 — tempio di Zeus Sosipolis 85, 316

Mahmoud Bey 44 Maiuri A. 145

Menfi, v. Memphis

— Didymaion 81, 86, 91, 189, 311, 314, 320, 486, 520 — Laodiceo 117, 119, 325, 352, 368 — Porta del Mercato 393 — Terme di Faustina 394 Miniet el-Basal v. Alessandria

Mitchell E. 279, 280, 281 Moeris lago 47 Monneret de Villard 27, 34, 60 Mons Claudianus 8, 14 — fortino 31

— Serapeo 15-16, 34, 58, 63, 172, 185, 197, 226 Mons Porphyrites 8, 14 — Serapeo 14-15, 58, 63, 64, 100, 171, 180, 185, 197, 198, 226, 251, 252, 328, 347 Monte lato casa ellenistica 76 Morelli F. 146 Motivi architettonici decorativi

— “a corda attorcigliata" 379 — “a doppia S" 380, 381, 382, 383

— — — — —

“a doppia treccia” 319 “a fogliame” (capitelli) 240 “a giorno» (lavorazione) 176 “a medaglione” 421 “bastoncino” (modanatura a) 123, 124

— calici “a faretra” 462

— “a canestro” (capitello) 463 — “a tralci di vite” (capitello) 463 — “crowded acanthus" 170, 412, 561

— “dentellato” (acanto) 162, 170, 171, 412, 415, 417, 425, 435, 561 — “Faltkapitelle” 465 — frontone interrotto 138 — frontone siriaco 131 — hypotrachelion 178, 179, 338, 339

— "Korbkapitelle" 466 — “Lederblatter” 421, 561 — *mask acanthus», v. dentellato acanto — motivo “liriforme» 370, 371, 372, 373, 377, 378 — *"ombrelli'144, 351

— "pagoda» (frontoni a) 131 — “svastica” 97 © — “Weichacanthus» 412, 560 Muller-Wiener W. 290, 293

605

Mustafà Pascià (necropoli) v. Alessandria

— Traianeo 166, 394, 395, 396, 397

Nabucodonosor 25 Nag'el-Hagar - fortezza 29-30, 32, 66 Napoli 406 Naukratis 4, 18, 38 Naupatto 433 Nea Anchialos 433 Necropoli Occidentale, v. Miniet el-Basal

Persiani 33 Perugia 400 Petesouchos 5 Petra 63, 121, 131, 135, 137, 139, 140, 373, 378, 383 — tomba di el-Hasne 136 Pharbaitos 18 Pharos 43

Perge 398, 399, 407, 412

Nectanebo I 18

Philadelphia (Darb -el-Gerza) 18, 35, 44, 45, 47-48, 225

Neiloa 18 Nemea 116, 119 — tempio di Zeus 77

— terme 19 Philae — arco 33, 34, 66, 172

Neos Dionysos, v. Tolomeo IV Filopatore

— Tempio di Augusto 4, 5, 6, 33, 57, 59, 63, 64, 75, 79, 103,

Neville 51, 52 Nicopolis 27 Nimes santuario 122 Noack F. 214, 215

109, 117, 136, 167, 181, 251, 545, 554 — tempio di Iside 5, 526 phrourion 3 Piazza Armerina 401, 402

Nola Basilicata di S. Felice 174

Plinthine 57, 58, 77, 103, 127, 143, 359

Noshy I. 133, 135

Pnepheros 5

Oceano Indiano 43

Pompei 138, 145, 147 — terme Stabiane 108, 146

Oea (Tripoli) 65 — arco di M. Aurelio 190 Olimpia 410 — Philippeion 87, 89, 100, 115, 337

Porto 414 Portus Eunusti v. Alessandria Portus Magnus v. Alessandria praetorium 3

Ombos, v. Kom Ombo

Preisigke F. 223

Osiride 5

Priene 106, 116

Osiride-Canopo 17

— tempio di Atena 75, 98

Ostia 172, 341, 363, 364, 398, 399, 400, 401, 405, 406, 430,

Psenamosis 18

470

Ptolemais 4, 18

Otranto duomo 399

— teatro 18

Ottaviano 18, 65

Oxyrhynchos (Bahnasa) 4, 5, 18, 52, 137, 161, 173, 175, 177, 190, 443, 447, 449, 532, 535, 538, 546 — tempio dei Dioscuri 5

Qalat Seman 438 Qanawat 454, 457 Qarun (lago) 223

— tempio di Atargatis-Bethynnis 5 — tempio di Demetra 5

Qasr Qarun, v. Dionysias Qasr-el Megysbeh 41

— tempio di Era-Isis 5

Qasz an-Nuwaggis 34

— — — — — — —

Qdeyen fortezza 30 Quibell J.E. 51, 301, 303, 305 Quta 224

— tempio di Apollo 5

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Hermes 5 Iside 5 Iuppiter Capitolino 5 Kore 5 Marte 5 | Osiride 5 Serapide 5

Qasr al-Qayasira - fortezza 27

Ramses II 27 Ras el Tin - ipogeo 8 v. Alessandria Rassart-Debergh M. 301

— tempio di Thyche 5

Ravenna 430, 463

— tempio di Zeus-Ammone 5

— palazzo di Teodorico 231 — S. Apollinare in Classe 417 — S. Vitale 435 Resafa 66 Robertson D.S. 75

Paestum tempio italico 76 Pagenstecher R. 1312, 133, 140, 141, 142 “pagoda” (frontoni a) 131 Palestina 34, 189, 444

Roder G. 244, 247

Palmira 45, 183, 288 — arco 33, 64, 283

Roma 8, 52, 65, 105, 107, 108, 169, 172, 178, 363, 364, 398, 400, 402, 406, 419, 421

— fortezza 27, 66, 232

— Claudianum 239

— tempio del Sole 22, 108 — tempio di Bel 108 Papyrus Vindobonensis 16, 45, 244, 246, 252 Paraetonium (Marsa Matruh) 104, 134, 135, 166 Parenzo Basilica 435, 485

— Porta Maggiore 239 — Serapeo 199 Romania 32 Ronczewski K. 60, 366, 370, 374, 377 Roux G. 116

Parlaska K. 248

Rowe A. 195, 196, 197, 198, 199, 202

Paros-Katapoliani 449 Pbow, v. Fa’w Qibli

Rubensohn O. 221 Rufino 11, 195, 197

Pelusium, v. Tell el-Farama

Rusafa 438

Pergamo 78, 82, 88, 91, 103, 167, 392 — Asclepieion 400, 410 — ginnasio 85 — Tempio del Ginnasio 316, 339 — tempio di Atena Polias 76, 78, 82, 91, 338, 339

S. Mena (Abu Mina) 45, 48, 49, 51, 52, 70,153, 157, 158, 161, 164, 169, 170, 184, 186, 188, 189, 193, 189-197, 346, 417, 418, 419, 420, 421, 426, 427, 432,

606

53, 171, 406, 433,

54, 66, 67, 68, 172, 180, 183, 407, 408, 414, 450, 454



Basilica

Cimiteriale

(Chiesa

Nord)

54, 289,

290,

291,

292, 559

sùnnaoi theoì 15, 17

“svastica» (motivo a) 97 Taposiris Magna 57, 58, 77, 143, 228 Teadelphia (Batn Herit) 18, 19, 35, 37, 51,

— Basilica della Cripta 54, 558

— battistero 289, 290, 293-295, 559

— Cappella del giardino 289, 293 — Chiesa Est 168, 290, 291-292, 559 doppie Terme 19, 20, 22-25, 68, 69, 168, 289, 290, 293, 559 emiciclo Sud 291 170, 289, 290, 291,

293-295, 480, 483, 559

Tebtynis

(Umn

el-Breigat)

Salona 400, 406, 427

193, 238-243, 450, 545 — basilica cristiana 540 — dromos 239, 240, 241, 243 — edificio termale 240

Salonicco 430 — ottagono 410 — palazzo di Galerio 170

— horrea 240 — necropoli 41

— Piccola Basilica 187, 289, 290, 291, 293-295, 558

Sabratha 65 Salamina 499

Samaria 34 Samo - Heraion 339

Samoreia 18 Samotracia

— Hierà 138 — Ptolemaion 327

Sams ad-Din 54 Saqqara 3, 49, 51, 53, 54, 56, 68, 157, 164, 173, 175, 176, 180, 190, 193, 444, 446, 447, 450, 458 — cappella del refettorio 188 — convento di Apa Geremias 51, 68, 161, 186, 298, 301-305 — Main Church 54, 177, 183, 188, 189, 301, 303-305, 455 — Tomb Church 173, 302, 303, 304, 440, 458, 484 Sardella M. 215 Sbeitla (Sufetula) - Basilica sesta 409 Schiess Bey 214 Schlager H. 290 Schmitz H. 247 Schwartz J. 47, 224, 225, 226, 228, 229, 231, 232 Sciro (breccia di) 183, 215

Scopas 116 Sebnnytos 18 Serapei 8-16, 172

Serapide 5, 8, 11, 15, 17, 57, 62, 64, 146, 199, 202 Settimio Severo 18, 65, 206, 555 Severin H.G. 52, 60, 173, 291, 295, 298, 300, 301, 303, 304, 305 Shiatbi v. Alessandria

Shoukry A. 257

Si - tempio di Ba-al-Shamin 380 Sicilia 341 Side 398, 399, 412 Sidi Gaber v. Alessandria Sidi Krier 542 Sidi-Bishr 20 Sinai - Convento di S. Caterina 454 Siria 30, 34, 45, 49, 51, 60, 64, 65, 66, 67, 69, 76, 171, 173, 181, 185, 189, 199, 393 Socnopaiounesos (Dimela) 35, 48 Sodini J.P. 180 Sohag 51, 68, 161, 188 v. Convento Rosso e Convento Bianco Solunto 57

Sostrato di Cnida 43 Spalato - palazzo di Diocleziano 32, 66, 231, 399 Strabone 18, 43 Stratonicea 378

Studniczka F. 101, 144

136,

66,

135,

164,

Edificio termale 222 necropoli degli animali sacri 221 tempio di Ercole 221 tempio di Eron 221 tempio di Iside Eseremfia 221 tempio di Pneferos 221-222

— cortile dei pellegrini 291, 295

Strzygowski J. 52 Stucchi S. 123

135,

— Boubasterion 221

— chiesa quadriconca 53, 69, 559

— Grande Basilica 52, 54, 56, 69, 168,

119,

161, 172, 193, 221-222, 390

3, 19, 44, 46-47,

— grapheion 238 — sala tolemaica 4, 19, 58, 62, 85, 121,

124, 127, 240-243,

538 — Santuario di Sekhnebtynis

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240, 549 Sucheion tempio di thesauros thesauros

3, 4, 12, 19, 46, 47, 238-239,

238 Hermes 238 di Livia Augusta 238 238

Tegea 116, 117, 119

Tell Atrib, v. Athribis Tell el Fara - terme 22, 25 Tell el Mashuta 37, 39

Teli el-Farama - fortezza 30 — terme 22 Tell el-Herr - fortezza 30, 32

Tell Sersena - terme 22, 25 Teodosio I 69, 169, 170, 199, 290, 418 Teodosio II 69, 168, 169, 170, 526 Teofilo 53, 168, 199, 217

Teos - tempio di Dionisio 340 Terenouthis v. Kom Abu Billo terme 19-25, 48

Termesso 288 Thamusida - fortezza 232

Thermouthis 38 Thiersch v. Alessandria Thiersh H. 141

Thot 5, 39 Tiberio Giulio Alessandro 546 Tiberio 8, 20, 223 Tihna al-Gabel 172, 174, 388 — necropoli 41 — Serapeo 16

Tindari - casa C p. 77

— teatro 77

Tine 48 Tiro 398, 401, 402 Tito 8 Tivoli Villa Adriana 470 Tkaczow B. 44

Tolemaide 49, 135, 138, 139, 140, 339, 393 —

“Palazzo delle Colonne” 57, 58, 63, 64, 77, 83, 87, 88, 89,

91, 97, 98, 101, 107, 109, 120, 121, 122, 124, 127, 131, 136, 137, 138, 139, 172, 321, 392, 474, 488, 490, 495, 504, 505, 507, 509, 512, 517, 520, 523 Tolomei 4, 5, 16, 43, 45, 46, 47, 57, 137, 378, 545 Tolomeo I 139, 239, 272

Tolomeo II Filadelfo 5, 22, 48, 144, 200, 221, 223 — (padiglione di) 101, 111 Tolomeo III 5, 11, 22, 60, 62, 79, 87, 109, 115, 144, 197, 198, 200, 202, 214, 217, 250, 252, 253, 325, 555 607

Tolomeo IV Filopatore 5, 11, 139, 197, 198, 223 Tolomeo V Epifane 18 Tolomeo VI 119, 136

Tolomeo VIII Evergete II Tolomeo XI 222 Tolomeo XIII Neos Dionysos 239, 247 Tomi museo 411 Tomlinson R.A. 75 Torp H. 52, 71, 174 Traiano 20, 25, 167, 180, 199 Transgiordania 34 Treviri - Porta Nigra 27 — terme 20 Tripoli v. Dea Tuna el Gebel 8, 12, 29, 41, 59, 62, 63, 64, 75, 85, 109, 115, 124, 136, 144, 172, 182, 200, 244, 247, 257-272 — "Cappella dei graffiti" 269

— “Casa del Guardiano” 63, 270, 553 — Casa di Kopre 264 — Casa n. 1 (di Isidoro) 264, 267

— Casa n. 11 269 — Casan. 3 267

— "Casa" 21 63, 270 — necropoli degli animali 271-272 — tempietto n. 3 265 — tempietto n. 4 265-266, 267

— tempietto n. 5 267 — tempietto n. 10 267-268 — tempietto n. 11 63, 553

— tempietto n. 12 63, 268-269 — tempio di Thot 257, 271 — tempio n. 9 269

— tomba di Ditosiris 39, 264-265, 268

608

— tomba di Padikem 39, 268, 270

— tomba di Petosiris 39, 40, 63, 144, 244, 257, 258-263, 264, 268, 270, 271, 272, 348 — tomba di Ptolemaios 40, 63, 263-264, 265, 266, 553 Tunisia 405, 407 Uggeri G. 278, 280, 288 Ulis 18 Umn el-Breigat, v. Tebtynis Utica - terme 20 Vaballathus 546 Valente imperatore 169 Venezia - S. Marco 409, 410, 421, 423, 465 Vespasiano 546 Vienne 406 Vitruvio 75, 104

Vogliano 19 von Hesberg H. 60, 101 Wace A.J.B. 204, 250, 251 Wadi Natrum 49, 51, 157, 164, 171, 173, 539, 540 — convento di Deir Abu Makarios 49, 183, 185, 188, 189, 430 Wadi Tumilat 37, 39 Ward Perkins J.B. 290

Wardian necropoli v. Alessandria Weber W. 134

“Weichacanthus” 412, 560 Wesir as-Salih Tala'i moschea 416 Wiereck 247 Wild H. 225, 227, 228, 231 Zenobio 173, 546

Zenone 19, 35, 53, 68, 70, 168, 171, 280, 290, 294, 442

Cat. n. 211 Cat. n. 925

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p. 236, nota 148 p.242,n. 1

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INDICE DELLE SIGLE

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Cat. n. Cat. n. Cat. n. Cat. n. Cat. n. p. 242, p. 242, Cat. n. Cat. n. Cat. n. Cat. n. Cat. n. Cat. n. Cat. n. Cat. n.

759 145 7 910 904 n. 5 n. 9 762 908 909 911 734 86 124 525

INDICE DELLE ISCRIZIONI

BRECCIA,

Iscrizioni, n. 155

OGIS, 718

Cat. Cat. Cat. Cat. Cat. Cat.

WACE, MEGAW, SKEAT, Hermopolis Magna, p. 4 KAEO A[TRA]

Cat . n. 1052

BRECCIA, Iscrizioni, n. 99

CIG, II, 4681 CIG, III, 4713C

LEFEBVRE, ASAE, 19, 1919, n. 36

n. 38

n. 992A n. 40 n. 84

n. 982 n. 40

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Alessandria, Museo, cat. nn. 139, 146, 147, 148 (da Bahnasa); Kom esch Shogafa, giardini all’ingresso della necropoli, cat. nn. 140-143,

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Alessandria, Museo, cat. nn. 180, 181, 183 Kom esch Shogafa, giardini all'ingresso della necropoli, cat. n. 182. *

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Alessandria, Museo, cat. nn. 184, 185, 188-190.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 233, 235-237, 238A, 239-244, 247 . giardini del Serapeo, cat. n. 234. >

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254 Alessandria, Museo, cat. nn. 245, 246, 246A, 246B, 248-250. Luxor, «aula di culto imperiale», cat. nn. 252-254.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 273, 276, 278-285, 287, 289, 291, 292. Edfu, lapidario nel tempio, cat. n. 277. Dendera, viale d' accesso al tempio, cat. nn. 274, 275.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 303-306, 308-311, 313, 314. Amsterdam, Allard Pierson Museum (dalla collezione v. Bissing), cat. n. 302.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 368 (da Batn Herit), 369 (da Batn Herit), 373-375; giardini del Serapeo, cat. n. 367.

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Hermoupolis Magna, Komasterion: cat. n. 384. 1: pilastro con semicolonna addossata in sienite dal Komasterion; 2: area del Santuario tolemaico, Basilica cristiana da nord-ovest (a sinistra l'atrio tetrastilo); 3: Basilica cristiana da nord-ovest.

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Hermoupolis Magna, Basilica Cristiana, cat. nn. 386, 388-391; davanti l'atrio ovest, cat. n. 393 (dal «Grande Tetrastilo»); Komasterion, cat. n. 392. 1-2: Hermoupolis Magna, area del santuario tolemaico; 1: davanti l'atrio ovest.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 395, 396, 399-401, 403A (da Thmius); giardini del Serapeo, cat. nn. 394, 397; Kom esch Shogafa, giardini all'ingresso della necropoli, cat. n. 398; Kom el Dik, Terme, cat. nn. 402, 403.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 406, 407, 410, 412, 413, 416; Kom el Dik, Terme, cat. n. 404, «auditorium», cat. nn. 405, 414. S. Mena, cat. n. 408. Cairo, Museo Copto, cat. n. 415.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 422, 424-426, 429; Kom esch Shogafa, giardini all’ingresso della necropoli,

cat. nn. 419, 420;

Kom el Dik, cat. n. 428: giardini del Serapeo, cat. n. 423. Cairo Museo Copto, cat. nn. 421, 427; Moschea Muhammad an Nasir ibn Qalawun, cat. n. 418.

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436 Alessandria, Museo, cat. nn. 430, 433, 434, 436; Kom el Dik, «auditorium», cat. n. 435; giardini del Serapeo, cat. n. 431.

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cat. nn. 547, 548, 551 complesso Qalawun, cat. n. 550. *

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Alessandria, Museo, cat. nn. 586, 588A (da Tebtynis), 590A (da Bahnasa). Cairo Museo Copto, cat. nn. 582, 584 (da Saqqara), 585 (da Saqqara), 587, 588 (da Saqqara), 589 (da Bawit), 590 (da Saqqara), 591.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 593 (da Bahnasa), 594 (da Bahnasa), 595A (da Tebtynis); Kom esch Shogafa, giardini all’ingresso della necropoli, cat. n. 594. Luxor, lapidario presso il tempio, cat. n. 598. Cairo Museo Copto, cat. nn. 592, 595, 596 (da Bawit).

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Cairo Museo Copto, cat. nn. 597, 604-606. Dendera, Basilica cristiana, cat. nn. 599-603.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 640, Saqqara, Convento di Apa Geremias, presso Kom Ombo, Basilica cristiana, cat. n. 645. Luxor, lapidario presso

641; giardini del Serapeo, cat. n. 654. la «main church», cat. nn. 637-639, 642, 643. Dendera, via di accesso al tempio, cat. n. 646. il tempio, cat. n. 647-651.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 661 (da Bahnasa). Cairo Museo Copto, cat. nn. 663 (da Saqqara), 664 (da Saqqara), 666, 668, 670, 671. Parigi, Louvre, cat. nn. 665 (da Bawit), 667 (da Bawit), 669 (da Bawit).

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Tav.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 688, 689, 694-696. Kom Ombo, cat. nn. 690-693.

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Tebtynis, «sala tolemaica», cat. nn. 705-707. Edfu, lapidario nel tempio, cat. n. 708. Dendera, via di accesso al tempio, cat. n. 710.

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cat. n. 757; Kom esch Shogafa, giardini all'ingresso della necropoli, Apa Geremias, «main church», cat. n. 756; «Refektoriumskapelle», Cairo, Moschea Muhammad an Nasir ibn Qalawun, 754. S. Mena, «Piccola Basilica», cat. n. 755.

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Saqqara,

Convento

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Geremias,

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cat. nn. 776, 777.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 973-978.

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Alessandria, Museo, cat. nn. 979, 979A, 980, 981, 982 (da Batn Herit), 985. Hermoupolis Magna, area del Santuario tolemaico, cat. nn. 984, 987, 988. Dionysias, presso la «Maison blanche», cat. n. 983.

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Magna,

area della Basilica cristiana, cat. nn.

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1039-1041.

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colonne da Hadra (1) e da Canopo (2-4, 7) nella precedente si1S temazione della sala XXII; da Hadra, 6; ipinti, 8, 10; nais kos in terracotta, 9; Saqqara «ma in C hurch», 5.

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1-2: tempio di Sobek; 3-6: tempietto pseudoperiptero.

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1-2: Tuna el Gebel, necropoli, tempietto funerario n. 1 (di Ptolemaios).

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1-2: Tuna el Gebel, necropoli, tempietto funerario n. 4.

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3: Philae, Arco di Diocleziano.

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Alessandria, museo, cat. n. 978. (Dis. T. Semeraro)

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Alessandria, museo (da Marsa Matrouh), coronamento di lastra di chiusura di loculo. (Dis. T. Semeraro)

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20cm

Alessandria, museo (dal Serapeo), cat. n. 28. (Dis. T. Semeraro)

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