Prefazione di Umberto Eco. Postfazione di Alberto Asor Rosa 
L'idea deforme. Interpretazioni esoteriche di Dante
 8845214427, 9788845214424

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L ’ I DEA DEFORME Interpretazioni esoteriche di Dante

a cura di Maria Pia Pozzato introduzione di Umberto Eco postfazione di Alberto Asor Rosa

St u d i Bo mp i a

Ci nz i aBi a nc hi ,Sa ndr aCa vi c c hi ol i ,Ma r i aLa c a l l e He l e naLoz a no,Cl a udi aMi r a nda ,Ma r i aPi aPoz z a t o Re gi naPs a ki

SB I lc a mp os e mi o t i c o Fin dal secolo scorso sono state proposte letture occultistiche, esoteriche, ermetiche di Dante (spesso in chiave rosicruciana e massonica). Secondo tali interpretazioni, svillaneggiate dalla critica ufficiale (De Sanctis e altri), Dante non avrebbe scritto quello che sembra avere scritto, in quanto ogni sua parola non sarebbe altro che un messaggio in codice che allude all'esistenza della setta ereticale dei Fedeli d'Amore. La ricerca, introdotta da un saggio di Umberto Eco e con una postfazione di Alberto Asor Rosa, affronta autori “classici” sul Dante “ermetico” (Gabriele Rossetti, Eugène Aroux, Giovanni Pascoli, Luigi Valli, Rodolfo Benini, Rene Guénon) ponendosi varie domande: quale metodo seguivano questi autori? a quali ragioni è dovuta la ripulsa totale che hanno subìto? quali delle loro intuizioni sono poi state accettate dalla critica successiva, anche se per altre vie? che cosa c'era di “sbagliato” nelle loro ipotesi?

202655

ac u r ad i Umb e r t oEc o

Studi Bompiani li campo semiotico

· a cura di

Umberto Eco

Maria Pia Pezzato, Helena Lozano, Maria Lacalle, Sandra Cavicchloli, Cinzia Bianchi, Claudia Miranda, Regina Psaki L'IDEA DEFORME Interpretazioni esoteriche di Dante a cura di Maria Pia Pezzato

Introduzione di Umberto Eco Postfazione di Alberto Asor Rosa

Bompiani

© 1989 Gruppo Editoriale Fabbri, Via Mecenate 91 Milano I edizione Bompiani ottobre 1989 ISBN 88-452-1442-7 ·

Bompiani, Sonzogno, Etas S.p.A.

INDICE

Umberto Eco

p ag.

IN'I'RODUZIONE - LA SEMIOSI ERMETICA E

IL "PARADIGMA DEL VELAME"

L'analogia universale, il seweto e il complotto L'interpretazione sospettosa I limiti dell'interpretazione Lo slittamento del senso Il paradigma del ve lame Conclusione in guisa di prefazione o.

Maria Pia Pezzato PREFAZIONE

l.

9 12 16 19 23 27 34

39

Helena Lozano Miralles "DANTIS AMOR": GABRIELE ROSSETTI E IL "PARADIGMA DEL VELAME"

l. l. 1 .2 . 1 . 3. 1.4. 1.5 . 1 . 6. 2.

La genesi del "paradigma del velame" La sapienza pervicace

Nella selva indiziaria Il segreto è il linguaggio L'innocenza dello studioso. Le ragioni del fallimento La funzione oracolare

47 51 52 56 61 66 75

Maria R. Lacalle Zalduendo IL DANTE ERETICO, RIVOLUZIONARIO E SOCIALISTA DI

È

EUG NE AROUX

2. 1 . La genealogia de l Dante "eretico" 2.2 . I contratti fiduciari: il lettore modello 2.3. Il contratto con la Chiesa

79 82 88 91

2.4. Il contratto con la scienza 2.5. L'esegesi 2.6. Il duello con la critica 3.

95 97 101

Sandra Cavicchioli GIOVANNI PASCOLI: DEL ·sEGRETO STRUTTURALE NELLA "DIVINA COMMEDIA "

107

3,1. Il tipo di interpretazione 3.2. Il dramma del riconoscimento 3.3. Le condizioni della ricerca ovvero l'istituzione del segreto 3.3 .l. La costruzione dell ' anomal ia 3.3.2. Duplic it à del segre to 3.4. La costruzione del soggetto dell'interpretazione 3.4.1. Dante c ome alter ego 3.4.2. La conoscenza come c on t att o di ret to 3.5. Effetti discorsivi del segreto come efficacia 3.5 .l. Ossessione parafrastica e pulsione affabulatoria

3.5 .2. Propedeutica dell' enunciatario 3.5.3. L ' is otopi a patemica 3 . 6. Strategie interpretative: l'eccesso di struttura 3.6.1. Corrispondenze per antitesi e chiasmi 3.6.2. Referenti interni e omol ogazioni 3.6.3. Scorrettezza e produttività 3.6.4. "Coniuncta membra" intertestuali 3.7. I limiti dell'interpretazione 4.

Maria Pia Pozzato LUIGI VA� E LA SETTA

DEI "FEDELI D'AMORE"

109 111 114 115 118 120

121 121 124 126 127 129 130 131 133 136 138 139

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148 4.1. L 'ipotesi della setta 4.1.1. Le variazioni intensive dei parametri di giudizio 148 151 4.1.2. I Fedeli d'amore e la Santa Sapienza . 153 4.2. La polemizzazione della ricerca: amici e nemici 4.2.1. I predecessori e il "paradigma del velame" 153 155 4.2.2. I successori e le prospettive della ricerca 4.3. Il contesto di interpretazione: "farsi l'occhio", "farsi 156 l'orecchio" 4.3.1. Cos truzione e sanzione dell' "oggetto teorico" 156 158 4.3.2. La coerenza del discorso

4 . 3 . 3 . L'intertesto come "supercontesto aspecifico" 4. 3 .4. L'interpretazione globale 4 . 3 . 5 . Le opinioni orientative 4 . 3 .6. Il puzzle settario 4.3 .7. Il tonfo degli esempi 4.4. I livelli di interpretazione: un gergo che non è un gergo 4 .4 l Il codice gergale 4.4.2. La riduzione dei livelli interpretativi 4 . 4.3 . La reificazione dell'assiologia 4.4.4. Codice gergale o sceneggiature? 4 . 4 . 5 . La"penombra connotativa" dei tratti .

.

passionali 4.4.6. Il carattere strumentale delle poesie settarie e la regolazione pragmatica del significato

4 . 5 . Le diverse ragioni per credere 4 . 5 . l. La visione etico-fiduciaria della scienza 4. 5 . 2. Rivelazione ed efficacia deli'interpretazione 4 . 5 . 3 . L'addestramento del neofita 4 . 5 . 4 . La strategia di esemplificazione 4.6. Un senso, due verità, nessuna verifica 4.6. 1 . Invenzione e scoperta. La costruzione del discorso"vero" 4.6.2. Le condizioni di verificabilità della teoria 4 . 6 . 3 . Consapevolezza epistemologica e commisurazione fra paradigmi

5.

160 161 162 163 165 166 166 167 168 170 173 175 177 177 l78 179 181 182 1 82 184 186

Cinzia Bianchi RODOLFO BENINI: UN'INTERPRETAZIONE IN CIDAVE NUMEROLOGICA DELLA "DIVINA COMMEDIA"

5 .l. La "genialità" di Dante 5 .l. l. La struttura dell'opera 5 . 1 .2 . Il segreto da scoprire 5 .2. Il mondo esterno e l'enigma 5 . 2 .l. Il segreto"referenziale" 5 . 2 . 2 . Il segreto"enigmatico" 5 . 3 . Il costo della coerenza 5 . 3 .l. La coerenza d'insieme 5 . 3 .2 . Controfatti e rompicapi 5 . 4 . Il riconoscimento della teoria 5 . 4. 1 . I"logici" e la "critica ufficiale" 5 . 4 . 2 . n gruppo di riferimento

191 1 92 192 195 196 1 97 199 202 202 203 214 2 14 2 16

5.5. La richiesta della fiducia

5 . 5 .l. Il simulacro d'attività 5 . 5 .2 . Gli elementi di persuasione

5 . 6. Gli "eccessi" dell'interpretazione 6. 6. 1 . 6.2. 6.3. 6.4. 6.5. 6.6. 7.

Claudia Miranda RENÉ GUÉNON O LA VERTIGINE DELLA VIRTUALITÀ

227

Un paradigma esoterico

229 230 232 238 242 248 253 256

6 . 1. 1 . il quarto senso, un senso iniziatico 6 . 1 . 2 . I presupposti del paradigma L 'intertesto esoterico: tradizione e tradimento Parlar tacendo o tacer parlando: la semiosi sfrenata Insegnare nascondendo Un discorso invulnerabile Il circolo ermetico

Regina Psaki LA CRITICA DANTESCA ORTODOSSA E GLI ALLEGORISTI

7. 1. La critica positivista 7.2. La critica estetico-idealista 7.3 . Gli allegoristi e gli studi danteschi contemporanei 8.

219 219 22 1 224

Maria Pia Pozzato CONCLUSIONI

Alberto Asor Rosa

263 265 269 273 28 1

POSTFAZIONE

295

BffiLIOGRAFIA

317

a cura di Regina Psaki

INTRODUZIONE LA SEMIOSI ERMETICA E IL "PARADIGMA DEL VELAME"

di Umberto Eco

Questa tecnica popola di avventure i libri più calmi. (J.L. Borges, "Pierre Menard, autore del 'Chisciotte' in Finzioni, Tutte le opere, Milano, Mondadori, 1984, p. 658) ",

Questo libro presenta i risultati di una ricerca - diretta da Maria Pia Pozzato - iniziata tre anni fa presso l'Istituto di Di­ scipline della Comunicazione dell'Università di Bologna mentre tenevo un corso monografico sulla semiosi ermetica. 1 In questo corso esaminavo una pratica interpretativa del mondo e dei testi basata sull'individuazione dei rapporti di simpatia che legano re­ ciprocamente micro e macrocosmo. Questo atteggiamento ha prodotto sia in tempi preistorici che in tempi storici la fiducia nella possibilità di agire sul simile attraverso il simile (da cui la magia, antica, rinascimentale - e moderna, almeno nelle degene­ razioni grottesche dell' occultismo ottocentesco e contempora­ neo). Ma per poter nutrire la fiducia che il simile agisca simpate­ ticamente sul simile occorre che una metafisica e una fisica della simpatia universale si reggano su una semiotica (esplicita o im­ plicita) della somiglianza. Di un paradigma della somiglianza si era già occupato Michel Foucault in Les mots et les choses,2 ma la sua attenzione era rivol­ ta principalmente a quel momento-soglia in cui il paradigma del­ la somiglianza, tra Rinascimento e Seicento, si dissolve nei paradigmi propri della scienza moderna. . La mia ipotesi era storicamente più comprensiva e intendeva mettere in luce un criterio interpretativo di cui additavo la so­ pravvivenza attraverso i secoli. Assumevo che quel modo di pen­ sare che chiamavo semiosi ermetica assumesse forme riconoscibi1 I materiali del corso esistono solo in forma dattiloscritta e fotocopiata, sotto il titolo Università degli Studi di Bologna, Cattedra di Semiotica, A.A. 1986-1987. 2 Michcl Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1967.

Aspetti de/14 semiosi ermetica,

9

UMBERTO ECO

li e documentabili nei primi secoli dell'era cristiana, con l' appa­ rizione di quella silloge (sincretisticamente autocontraddittoria) nota come Corpus Hermeticum,3 si sviluppasse in modo alquanto clandestino nel periodo medievale , trionfasse con la riscoperta umanistica degli scritti ermetici, si fondesse nella più ampia cor­ rente dell'ermetismo rinascimentale e barocco, ma non scompa­ risse con l'affermarsi della scienza quantitativa galileiana. n filo­ ne ermetico, e il pensiero della somiglianza universale, continua parallelamente al pensiero della quantità, spesso si intreccia con esso, più sovente gli si oppone, e non sempre in sordina, né sem­ pre come pensiero minore e sottobosco di bizzarrie. Anche gli esponenti della scienza moderna, e si pensi a New­ ton, se da un lato elaboravano una spiegazione fisico-matematica dell'universo, dall 'altro corroboravano la loro ricerca ormai 'uf­ ficiale' con esplorazioni nell'universo delle essenze qualitative, delle forze occulte, della speculazione cabalistica.4 Dall'altro si davano, nella storia del pensiero occidentale, casi evidenti in cui il filone ermetico andava direttamente a nutrire alcuni dei gran­ di sistemi dell'idealismo trascendentale e/o interi filoni di prati­ ca ermeneutica.5 Assunto come rivelazione, come stimolo imma­ ginativo, come pretesto, il filone ermetico riappare nei luoghi culturali più impensati creando parentele tra correnti e pratiche che siamo usi considerare reciprocamente estranee e che spesso J

Corpus Hermeticum, 4 voll., ed. A.D. Nock, tradotta da A.J. Festugière, Pa.ris, Société d' Éditions 'Les Belles Lettres', 1954. Una recente edizione di uno dei più famosi testi dd C.H. è Ermete Trismegisto, Poimandres, a cura di Paolo Sca.rpi, Venezia, Marsilio, 1987. Cfr. per una prima introduzione al problema, Eugenio Garin, Il ritorno dei filosofi antichi, Napoli, Bibliopolis, 1983. 4 Su questa rilettura 'dialettica' della storia dello stesso pensiero scientifico esiste ormai una bibliografia sterminata. Rimando solo ad alcune opere pionieristiche e ad alcuni studi più recenti: Lynn Thorndike, History of magie and experimental science, 8 voll., New York, Columbia U.P., 1923; Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, Torino, Einaudi, 1966 (l • ed. 1940-47); Paolo Rossi, F. Bacone dalla magia alla scienza, Bari, Laterza, 1957 (2" ed., Torino, Einaudi , 1974); Giuseppe Faggin, "Gli occultisti dell'età rinascimentale", in Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati, 1964, vol. 2; Arthur O. Lovejoy, La wande catena dell'essere, Milano, Feltrindli, 1966 (ed. or., 1936); FrancesYates, G. Bruno e la tradizione ermetica, Bari, Laterza, 198 1 (ed. or., 1964); Allen G. Debus, The english para­ celsians, New York, Watts, 1965; B.J.T. Dobbs, Foundations of Newton's alchemy, Cam­ bridge, 1975; Allen G. Debus, L'uomo e la natura nel Rinascimento, Milano, Jaka Book, 1982; Charles Webster, Magia e scienza da Paracelso a Newton, Bologna, il Mulino, 1984; B. Vickers, ed., Occult and scientific mentalities in the renaissance, Cambridge, Cambridge U.P., 1984; Merkel, I. & Debus, A.G, eds., Hermeticism and the renaissance. Intellectual history and the occult in early modern Europe, Washington, Folger Books,l988. 5 Cfr. ad es. Hans Jonas, The gnostic religion, Boston, Beacon Press, 1958 (28 ed. riv., 1963); Ioan Petru Culianu, Gnosticismo e pensiero moderno: Hans Jonas, Roma, L'Erma, 1985; Giovanni Filoramo, L'attesa della fine. Storia della Gnosi, Bari, Laterza, 1983, Intro­ duzione.

lO

INTRODUZIONE

lo sono, tranne che per questo gioco di prestiti comuni: cito come voci di un elenco indubbiamente incongruo - Joyce o Bor­ ges, Kandinskij, Jung, i nuovi studi di mitologia, alcune teorie scientifiche 6 In un suo libro discutibilissimo per il suo entusiasmo fideisti­ co, ma non privo di argomentazioni seducenti, Gilbert Durand 7 vede tutto il pensiero contemporaneo, in opposizione al paradi­ gma scientifico positivistico e meccanicistico, percorso dal soffio vivificatore di Hermes, e la lista delle parentele che egli indivi­ dua suscita qualche riflessione: Spengler, Dilthey, Scheler, Nietzsche, Husserl, Kerényi, Plank, Pauli, Oppenheimer, Ein­ stein, Bachelard, Sorokin, Lévi-Strauss, Foucault, Derrida, Bar­ thes, Todorov, Chomsky, Greirnas, Deleuze . . . In ogni caso, al di là delle parentele, delle ascendenze, dei prestiti documentabili (e se ne trovano sempre, basta volere), si trattava di costruire un modello forte di semiosi ermetica, ovvero di un modo di pensare fondato sulla somiglianza a ogni costo, per individuarlo all'interno di pratiche o di quadri concettuali altrimenti insospettabili. Ora, che gli esseri umani pensino sutJ.a base di giudizi di iden­ tità e di somiglianza, è indiscutibile . E però un fatto che nella vita di tutti i giorni sappiamo di solito distinguere tra somiglian­ ze pertinenti e rilevanti, e somiglianze casuali e illusorie. Possia­ mo da lontano vedere qualcuno che nelle fattezze ci ricorda la persona A, che conosciamo, scambiarlo per A, e poi accorgerci che si trattava di un B ignoto : dopodiché - di solito - abbando­ niamo l'ipotesi dell'identità e non diamo più credito alla somi­ glianza, che registriamo come casuale. Facciamo cosl perché cia­ scuno di noi ha introiettato un principio indiscutibile, già illu­ strato da vari semiologi e filosofi del linguaggio: da un certo pun­ . . .

to di vista ogni cosa ha rapporti di analogia, contiguità e somiglian­ za con qualsiasi altra. Si può giocare al limite e affermare che c'è un rapporto tra l'avverbio mentre e il sostantivo coccodrillo per­ ché - e come minimo - entrambi appaiono nella frase che state leggendo. Ma la differenza tra l'interpretazione sana e l'inter­ pretazione paranoica sta nel riconoscere che il rapporto è appun6

Come semplice suggerimento di tracce praticabili, per arte e letteratura suggerisco: U. Eco, Le poetiche di Joyce, Milano, Bompiani, 1966; Barbara Di Bernard, Alchemy and Fin­ negans Wake, Albany, SUNY Press, 1980; Saul Sosnowski, Borges y la Cabala, Tucuman, Pardes, 1986; Arruro Schwarz, The complete works o/ Marcel Duchamp, London, Thames & Hudson, 1986. Ma la lista potrebbe occupare parecchie pagine. 7 Science de l'homme et tradition, Paris, Berg, 1979.

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UMBERTO ECO

to minimo, o nel dedurre al contrario da questo minimo il massi­ mo possibile. Il paranoièo non è colui che rileva che curiosamen­ te mentre e coccodrillo appaiono nello stesso contesto: è colui che inizia a interrogarsi sulle ragioni misteriose che mi hanno indot­ to ad accostare proprio queste due parole. Il paranoico vede al di sotto del mio esempio un segreto, a cui alludo, e un complotto, in b.ase al quale certamente mi muovo (di solito ai danni suoi).

L'analogia universale, il segreto e il complotto Il mio gioco solitario è governato da una legge antitetica. (J.L. Borges, "Pierre Menard�, cit., p. 655)

Sindrome del segreto e sindrome del complotto nascono come corollario ineliminabile dal modello ermetico tradizionale. Per il razionalismo greco, da Platone ad Aristotele e oltre, co­ noscere è conoscere attraverso la causa. Per poter spiegare il mondo attraverso cause occorre elaborare una nozione di catena unilineare: se un movimento va da A verso B, nessuna forza al mondo potrà fare che vada da B verso A . Per fondare l'unilinea­ rità della catena causale occorre avere assunto alcuni principi: il principio di identità (A= A), il principio di non contraddizione (è impossibile che qualcosa sia A e non sia A nello stesso tempo) , e il principio del terzo escluso (o A è vero o A è falso e tertium non datur). Da questi principi deriva il modo di ragionamento ti­ pico del razionalismo occidentale, il modus ponens: se p allora q; ma p: allora q. Tuttavia questo è solo uno dei volti dell'eredità classica. Affa­ scinata dall'infinito la civiltà greca elabora, accanto al concetto di identità e non contraddizione, l'idea della metamorfosi conti­ nua, simbolizzata da Hermes . Hermes è volatile, ambiguo, padre di tutte le arti ma dio dei ladri, iuvenis et senex a un tempo. Nel mito di Hermes vengono negati i principi di identità, di non contraddizione e di terzo escluso, le catene causali si riavvolgo­ no su se stesse a spirale, il dopo precede il prima, il dio non co­ nosce confini spaziali e può essere, in forme diverse, in luoghi diversi nello stesso momento. Riconoscere i limiti del modellù razionalistico e decidere che in molte circostanze esso debba venir integrato da approcci di12

INTRODUZIONE

versi, è cosa che fa anche la scienza contemporanea. 8 Generaliz­ zare questa sfiducia è invece proprio del pensiero ermetico. So­ spettoso dei limiti del razionalismo classico, l'ermetismo del II secolo cerca una verità che non conosce, e scava nel deposito delle tradizioni culturali estranee al filone platonico e aristoteli­ co. Rifiutando modelli prestabiliti, immagina o spera che ogni voce di questa tradizione trasmetta una scintilla di verità, e che tutte si riconfermino tra loro. Molte cose possono essere vere nello stesso momento, anche se si contraddicono tra loro . Ma se le voci della tradizione dicono la verità anche quando si contrad­ dicono, allora ogni loro parola è una allusione, una allegoria. Es­ se dicono Altro da quello che sembrano dire. Ciascuna di esse contiene un messaggio che nessuna di esse da sola, potrà mai ri­ velare. Anzi, ogni voce tradizionale dovrà parlare di una verità ancora segreta - e profonda (perché solo ciò che giace sotto la superficie può rimanere ignoto a lungo) . Cosl si identifica la ve­ rità con ciò che non viene detto, o che viene detto in modo oscuro e deve venire capito al di là dell' apparenza e della lettera. Ma se la ricerca di una verità diversa nasce da una sfiducia nel sapere contemporaneo, questa sapienza dovrà essere antichissi­ ma: la verità è �nalcosa accanto alla quale abitiamo sin dall'ini­ zio dei tempi, salvo che l'abbiamo dimenticata. Se l' abbiamo di­ menticata, qualcuno deve averla conservata per noi, e noi non siamo più capaci di capire le sue parole. Questa sapienza deve essere dunque esotica. Il razionalismo classico identificava i bar­ bari con coloro che non sapevano neppure articolare la parola (l'etimologia di barbaros è questa, barbaro è chi balbetta) . Ora, invece, è proprio il presunto balbettio dello straniero che diven­ ta lingua sacra, piena di promesse e di rivelazioni taciute. Se per il razionalismo greco era vero ciò che poteva essere spiegato, ora è vero solo ciò che non si può spiegare. Ma quale era il sapere misterioso di cui erano in possesso i sa­ cerdoti dei barbari? L'opinione diffusa era che costoro conosces­ sero le catene occulte che uniscono il mondo spirituale al mondo astrale e questo al mondo sublunare, per cui agendo su una pian­ ta si può influire sul corso delle stelle, il corso delle stelle in­ fluenza il destino degli esseri terrestri, e le operazioni magiche compiute su una immagine della divinità costringono la divinità 8

La fisica contemporanea mette in crisi; quando è utile, sia il principio di identità sia l'i­ dea che le catene causali siano lineari e indefinitamente aperte. Cfr. H. Reichenbach, The direction of time, California U. P., 1956; M.L. Dalla Chiara e G. Toraldo di Francia, "In­ dividusls, kinds and names in physics", in VS 40, gennaio-aprile: 1985.

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UMBERTO ECO

a seguire il nostro volere. L'universo diventa un grande Teatro degli Specchi dove qualsiasi cosa riflette e significa tutte le altre. Una pianta non viene definita nelle sue caratteristiche modo­ logiche e funzionali, ma in base alla sua somiglianza, sia pure parziale, con un altro elemento del cosmo. Se assomiglia vaga­ mente a una p arte del corpo umano, ha senso perché rinvia al corpo. Ma quella parte del corpo ha senso perché rinvia a una stella, questa ha senso perché rinvia a una gamma musicale, que­ sta perché rinvia a una gerarchia angelica, e cosi senza termine, in una logica spiraliforme in cui entra in crisi la linearità delle cause e degli effetti.9 Tout se tient. Come conseguenza, ecco l'in­ terpretazione infinita. Nel tentativo di ricercare un senso ultimo e inarrivabile, si accetta uno slittamento inarrestabile del senso. Uno dei tratti salienti del pensiero ermetico è proprio la flessi­ bile agilità con cui accetta qualsiasi criterio di somiglianza, e tut­ ti insieme anche se contraddittori tra loro . Traggo da una mne­ motecnica cinquecentesca una lista di criteri per associare imma­ gini o parole. La citazione è interessante perché - al di là di ogni presunzione ermetica -l' autore ha individuato, nell' ambito della propria cultura, degli automatismi associativi comunemente ac­ cettati come efficaci.10 l. Per similitudine, la quale a sua volta si suddivide in similitudine, in sostan­

2.

3. 4.

5. 6. 7.

8.

9.

za (l'uomo come immagine microcosmica del macrocosmo), in quantità (le dieci dita per i dieci comandamenti), per metonimia e antonomasia (Atlan­ te per gli astronomi o per l'astronomia, l'orso per l'uomo iroso, il leone per la superbia, Cicerone per la retorica); Per omonimia: il cane animale per il cane costellazione; Per ironia e contrasto: il fatuo per il sapiente; Per traccia: l'impronta per il lupo, o lo specchio in cui Tito si è ammirato per Tito; Per nome di diversa pronuncia: sanum per sane; Per somiglianza di nome: Arista per Aristotele; Per genere e specie: leopardo per animale; Per simbolo pagano: aquila per Giove; Per popoli: i Parti per le frecce, gli Sciti per i cavalli, i Fenici per l'alfa­ beto;

9 Per queste caratteristiche dell'ermetismo tradizionale, cfr. A.·]. Festugière, La révélation d'Hennès Trismegiste, 3 voli., Paris, Belles Lemes, 3• ed., 1983. to Per le arri della memoria cfr. Paolo Rossi, Clavis universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lu/lo a Leibni:r., Mllano, Ricciardi, 1960 (28 ed. riveduta, Bologna, il Mu­ lino, 1983); Frances Yates, L'artedella memoria, To rin o , Einaudi, 1972 (ed. or., 1966). Il testo che cito è Cosma Rosselli, Thesaurus artificiosae memoriae, Venezia, 1579.

14

INTRODUZIONE.

10. Per segni zodiacali: il segno per la costellazione; 11. Per rapporto tra organo e funzione;

12. Per accidente comune: il corvo per l'Etiope; 13. Per geroglifico: la formica per la provvidenza; 1 4 . E infine l'associazione totalmente idiolettale, un mostro qualsiasi per qual­ siasi cosa da rirnemorare.

Come si vede, talora due cose sono simili per il comportamen­ to, talora per la forma, talora per il fatto che in un certo conte­ sto sono apparse unite. Il criterio non conta, purché un qualche rapporto possa essere posto. Una volta messo in azione il meccanismo dell'interrogazione analogica, non vi è garanzia dell'arresto. Anche l'immagine, il concetto, la verità che si trova sotto il velame della somiglianza, sarà a propria volta spia di un nascondimento successivo. Ogni volta che si pensi di aver scoperto un segreto, esso sarà tale solo se rinvia a un altro segreto, in un movimento progressivo verso un segreto finale. Ma non ci può essere segreto finale. Il segreto finale della iniziazione ermetica è che tutto è segreto. Il segreto ermetico deve essere un segreto vuoto, perché chi pretende di ri­ velare un segreto qualsiasi non è un iniziato e si è arrestato a un livello superficiale della conoscenza del mistero cosmico. Cercare un segreto che non si svela mai induce a pensare che: (i) c'è chi conosce il segreto ma ordisce un complotto per negar­ cene il possesso, e che (ii) ogni testo, che rinvia a un segreto, sia la spia di un complotto. Questa idea, che a prima vista appare tortuosa e complicata, si presenta invece come il modo più sem­ plice per spiegare le difficoltà dell'esistenza. Infatti l'origine del­ la psicosi del complotto è la speculazione gnostica sulle ragioni per cui esiste il Male nel mondo: esiste un principio negativo a cui si deve la nascita del mondo con tutte le sue imperfezioni, e di conseguenza la presenza del Male. Nelle cosmologie gnostiche questa origine del Male assume la forma del complotto ordito, per malizia o insipienza, da lpostasi Maligne che derivano dalla stessa natura contraddittoria della Divinità.11 La permanenza di questa ossessione nel pensiero quotidiano è stata magistralmente messa in luce da Popper. Egli ha dimostra­ to come questa ossessione metafisica si sia trasferita alla "teoria sociale della cospirazione". 1 1 O ltre a Filoramo e Jonas, op. cit., si veda anche Henri-Charles Puech, Sulle !Tacce della Gnosi, Milano, Adelphi, 1985 (ed. or., 1959, 1978).

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UMBERTO ECO Detta teoria, più primitiva di molte forme di teismo, è simile a quella rileva­ ta in Omero. Questi concepiva il potere degli dèi in modo che tutto ciò che ac­ cadeva nella pianura davanti a Troia costituiva soltanto un riflesso delle molte­ plici cospirazioni tramate nell'Olimpo. La teoria sociale della cospirazione è in effetti una versione di questo teismo, della credenza, cioè, in una divinità i cui capricci o voleri reggono ogni cosa. Essa è una conseguenza dd venir meno dd riferimento a dio, e della conseguente domanda "chi c'è al suo posto?" Que­ st'ultimo ora è occu pato da diversi uonùrù e gruppi potenti sinistri gruppi di pressione, cui si può i m utare di aver organizzato la grande depressione e tutti i mali di cui soffriamo.1 -

f

A questo punto il pensiero ermetico celebra l'ultima delle sue volute contraddizioni: in un universo in cui non valgono i rap­ porti causali lineari, ma ciascuna cosa determina tutte le altre, e ne è determinata, ci si trova sottoposti alla più occulta- ma non per questo meno paventata - delle tirannie causali. Qualcuno trama sempre alle nostre spalle. L 'interpretazione

so�ttosa Menard. . ha arricchito mediante una tecnica nuova I' arte incerta e rudimentale della lettu ra : la tecnica .

dell'anacronismo deliberato e delle attribuzioni erronee. (J.L. Borges , "Pierre Menard", cit., p. 658)

Per leggere sospettosamente il mondo e i testi occorre avere elaborato un qualche metodo ossessivo. Sospettare, in sé, non è patologico: sia il detective che lo scienziato sospettano per prin­ cipio che alcuni elementi, palesi ma apparentemente irrilevanti, possano essere indizio di qualcosa di non palese - e su questa ba­ se elaborano una ipotesi inedita che poi mettono alla prova.13 Ma l'indizio va preso come tale solo a tre condizioni: che non possa essere spiegato in modo più economico, che punti verso 12 Congetture e confutazioni, Bologna, il Mulino, 1972 (ed. or., 1969), cap. 4 in genere c: pp. 212 sgg. Cfr. anche D ario Antilieri, "La teoria cospiratoria della società", in Mondo

Operaio 8-9, 1986. Per la sindrome cospiratoria e le società segrete: Nes ta Webster, Secret societù!s and �ubvtmive mouvements, London, Boswc:ll, 1924 (impressionante e se mpio di antisemitismo occultistico); Norman Cohn, Licen:u1 per un genoc idio, Torino, Einaudi, 1969 (radici occultistichc: dei «Protocolli dei Savi di Sion"); J.M. Roberts, The mytholor;y o/ the secret societies, London, Secker & Warburg, 1972; Gianni Vannoni, Le società segre­ te, Fuc:nze, Sansoni, 1885. Più aneddotico Jean Robi n , Les sociétés secrètes au rendez·vous de J'Apocalipse, Paris , Trédaniel, 1985. n Sulla iiJOtc:si, c: l'abduzione, vedi U. Eco e T.A. Sebeok, eds., Il sel!Jo dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Milano, Bompiani , 1983.

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INTRODUZIONE

una sola causa (o una ristretta classe di cause possibili) e non a una pluralità indeterminata e difforme di cause, e che possa far sistema con altri indizi. Se trovo sul luogo dd delitto una copia del più diffuso quotidiano dèl mattino, debbo anzitutto chieder­ mi (criterio di economia) se non appartenesse alla vittima; in ca­ so contrario, l'indizio punterebbe verso un milione di potenziali sospetti. Se invece sul luogo del delitto trovo un monile di fog­ gia rarissima, ritenuto esemplare unico, notoriamente apparte­ nente a un certo individuo, l'indizio diventa interessante; e se poi scopro che quell'individuo non riesce a esibire il proprio mo­ nile, allora i due indizi fanno sistema. Si noti che a questo punto la congettura non è ancora verificata. Essa appare soltanto ragio­ nevole, e lo è perché permette di stabilire alcune delle condizio­ ni in cui potrebbe essere falsificata: per esempio se il sospettato potesse dimostrare con testimonianze inoppugnabili di aver do­ nato il monile alla vittima molto tempo prima. In tal caso la pre­ senza del monile sul luogo del delitto non sarebbe più inspiega­ bile, e cesserebbe di essere indizio significativo. La sopravalutazione degli indizi nasce sovente da una propen­ sione a ritenere significativi gli elementi più immediatamente apparenti, mentre il fatto che siano apparenti dovrebbe indurre a riconoscerli come spiegabili in termini assai economici. Un esempio di cattiva pertinentizzazione fornito dai teorici dell'in­ duzione scientifica, è il seguente: se un medico rileva che tutti i pazienti che soffrono di cirrosi epatica bevono regolarmente o whisky e soda, o cognac e soda, o gin e soda, e ne trae la conclu­ sione che la soda provochi la cirrosi epatica, sbaglia. Sbaglia per­ ché non rileva che c'è un altro elemento comune ai tre casi, e cioè l'alcool, e sbaglia perché trascura tutti i casi di pazienti astemi che bevono solo soda e non hanno la cirrosi epatica. Ora l'esempio appare ridicolo proprio perché colui che sbaglia si me­ raviglia per ciò che era spiegabile altrimenti e non per ciò su cui doveva interrogarsi; e fa così perché è più facile accorgersi della presenza dell'acqua, evidente, che non della presenza dell'alcool. Il pensiero ermetico eccede proprio nelle pratiche di interpre­ tazione sospettosa, secondo principi di facilità che si ritrovano in tutti i testi di questa tradizione. Anzitutto un eccesso di meraviglia, che porta alla sopravaluta­ zione delle coincidenze altrimenti spiegabili. Tutto l'ermetismo classico va alla ricerca di "segnature", e cioè di tracce visibili che rivelino parentele occulte. La tradizione aveva scoperto che la pianta detta orchis aveva due bulbi di forma sferoidale e vi 17

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aveva visto una soprendente analogia morfologica coi testicoli. Sulla base della somiglianza si era proceduto alla omologazione di rapporti diversi: dall'analogia morfologica si era passati all ' analo­ gia funzionale. L'orchis non poteva che avere proprietà magiche nei confronti dell'apparato riproduttivo (e di qui era stata nomi­ nata anche satyrion). In realtà, come ha poi spiegato Bacone, 14 i bulbi dell' orchis sono due perché ogni anno si forma un bulbo nuovo che s'inseri­ sce a fianco di quello vecchio, e mentre il primo progressivamen­ te cresce il secondo progressivamente avvizzisce. Quindi i bulbi possono esibire una analogia formale con i testicoli, ma hanno diversa funzione rispetto al processo fecondativo. E siccome il rapporto magico deve essere di tipo funzionale, l'analogia non tiene. Il fenomeno morfologico non può essere indizio di un rap� porto causa-effetto perché non fa sistema con altri dati che ri­ guardano i rapporti causali. Il pensiero ermetico faceva uso di un principio di falsa transitività, per cui si assume che se A ha una relazione x con B, e Buna relazione y con C, si assume che A deve avere una relazione y con C. Se i bulbi hanno una rela­ zione di similitudine morfologica con i testicoli e i testicoli una relazione causale con la produzione del seme, non ne consegue che i bwbi siano causalmente connessi all'attività sessuale. Ma la fiducia nel potere magico dell' orchis si sostiene anche su di un altro principio ermetico, e cioè il corto-circuito del post hoc ergo ante hoc: si assume una conseguenza e la si intende co­ me la causa della propria causa. Che l'orchis debba avere un rap­ porto coi testicoli è provato dal fatto che ne porta il nome (or­ chis testicolo). Naturalmente l'etimologia nasce proprio da un falso indizio. Tuttavia il pensiero ermetico vede nell'etimologia l'indizio che prova la simpatia occulta. La stessa attribuzione del Corpus Hermeticum a una sapienza antichissima anteriore allo stesso Mosé si basa su questo principio: benché dovesse apparire evidente (come è poi apparso ai filologi moderni) che nei t esti del Corpus si trovavano nozioni che già circolavano nel mondo classico ed ellenistico, se ne deduceva che 'pertanto' non poteva essere stato che quel testo a ispirarle. La semiosi ermetica mette anzitutto in questione la linearità delle catene storiche.15 =

14

Francesco Bacone, "Parasceve ad historiam natural.em et experimentalern", in Appendi­

ce a Novum Organum, 1620. 15 "Questa sincronicità minimizza i procedimenti di causalità fisica perché lo ante hoc ergo propter hoc (sic) che fonda ogni causalità classica viene relativizzato. L'uomo dell'Arte, il Mago, è c olui che trova negli esseri e nei fenomeni le congruenze sincroniche ... in modo

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INTRODUZIONE

Un caso singolare di ricorso al post hoc ergo ante hoc è dato dalla ricerca, frequente nell'ermetismo, del terzo testo archetipo. Normalmente si accetta l'idea che se un documento è stato prodotto prima di un altro, analogo al primo per contenuto e sti­ le, sia lecito ipotizzare che il primo abbia influenzato la produ­ zione del secondo, ma non viceversa. Al massimo si può fare l'i­ potesi di un documento archetipo, prodotto prima degli altri due, da cui gli altri due hanno indipendentemente attinto. L'i­ potesi del testo archetipo può essere assai fruttuosa per spiegare analogie altrimenti ingiustificabili tra due documenti noti. Ma è necessaria solo se le analogie (gli indizi) non sono spiegabili altri­ menti, e in termini più economici. Se si trovano due testi, di epoca diversa, che menzionano entrambi l'assassinio di Giulio Cesare, non si ha bisogno né di supporre che il primo abbia in­ fluenzato il secondo, né che entrambi siano stati influenzati da un testo archetipo, perché si tratta di notizia che circolava e cir­ cola in migliaia di altri testi. Deflettere da questo principio si­ gnifica cadere nell'eccesso di meraviglia. Tuttavia accade di peggio: l'eccesso di meraviglia rende indi­ spensabile l'ipotesi del terzo testo, il terzo testo non si trova, e allora lo si postula fideisticamente immaginandolo in tutto e per tutto uguale a C. L'effetto ottico è che C abbia influenzato B, ed ecco realizzato - agli occhi del lettore, ma spesso agli occhi dello stesso falsario - il post hoc ergo ante hoc. Per costruire a tutti i costi l'archetipo introvabile, non di rado la semiosi ermetica, a prova della sua ipotesi, usa notizie non docu­ mentate, testimonianze imprecise fondate sul 'si dice'. Artificio che non viene avvertito come illegittimo, in un quadro mistico in cui ogni voce tradizionale fa aggio su qualsiasi altro documento.

I limiti dell'interpretazione TI testo di Cervantes e quello di Menard sono ver­ balmente identici, ma quello di Menard è infinita­ mente più ricco. (J.L. Borges, "Pierre Menard", cit., p. 656)

La semiosi ermetica, sin dagli inizi, si è manifestata a due li­ velli: interpretazione del mondo come libro e interpretazione dei non di agire su cause oggettive, ma su fattori sincronici soggettivi� (Gilbert cit., p. 166).

Durand,

op.

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libri come mondi. Il modello d ella semiosi ermetica presiede a molt e teorie della interpretazione, sia pure con modalità e inten­ sità diverse. Si badi che il criterio interpretativo di cui sto parlando non ha nulla, o poco, a che vedere con quello che trionfa con l'allegori­ smo classico, cristiano e giudaico e culmina nella teoria medieva­ le dei quattro sensi delle Scritture. La civiltà medievale ricono­ sceva un criterio di multinterpretabilità del testo, ma pone va in opera tutta la sua en erg ia encicloped ica per fissare in modo in­ tersogg ettivo i limiti di t ale interpret azione : il testo era interpre­ tabile in dive rsi modi, ma secondo regole ben definite, non al­ I'infinito.16 Può accadere (e si veda l'intervento di Sandra Cavicchioli) che certe pratiche interpretative più o meno esoteriche ricordino (se non altro per esplicite ascendenze comuni) quelle di certa cri­ tica decostruzionista. Ma nei rappresentanti più avveduti di questa corrente il gioco ermeneutico non si sottrae a un sistema di regole. Ecco come uno dei leaders dei Y aie Decons truction­ ists, Geo ffrey Hart man , 17 esamina alcuni versi dai Lucy Poems di Wordsworth, dove si parla esplicitamente della morte di una fanciulla: .

I had no human/ears: She seemed a thing that cotild not feel The touch of earthly years. No motion has she now, no force; She neither hears nor sees, Rolled round in earth's diurna! course With rocks and stones and trees.

Egli vi vede una serie di motivi funerari sotto la superficie te­ stuale. Diurna! può essere diviso in die e um, mentre course sug­ gerisce corpse. Dal fatto che il pe rso naggio è trascinat o dal m ovi mento della terra nasce una immagine di gravitation che allude alla parola grave, tomba (si noti come si passa senza posa dalla

­

16 Il problema è messo in chiaro in alcuni dei miei contributi che precedono il corso sulla semiosi ermetica. Cfr. il capitolo sul modo simbolico in Semiotica e filosofia de/linguaggio, Torino, Einaudi, 1984 (già co m "Simbolo", in Enciclopedia 12, Torino, Einaudi, 1981); "L'epistola XIII e l'allegorismo medievale", in Sugli specchi e altri lllggi, Milano Bompiani, 1985; Arte e bellezza nell'estetica medievale, Milano, Bompiani, 1987, cap. 12. D'altra par­ te una estetica e una serniotica della rnultinterpretabilità controllata dalla natura del testo sono presenti in tutti i miei scritti, da Opera aperta (Mil��no, Bompiani, 1962) a "Appunti sulla semiotica della ricezione", Carte semiotiche 2, ottobre 1986. n Easy Pieces, New York, Columbia U.P., 1985, pp. 145 sgg.

e

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INTRODUZIONE

forma gra mma tolo gica alla forma fonica dei termini - e dal sep­ pur dis cutib ile rapporto grammatologico tra termini in praesentia a quell o fonico tra due termini entrambi in absentia, prodotti dalla parafrasi dell'interprete). Inoltre sarebbe individuabile un termine che nel testo non appare (come se gravitation app ari sse) e cioè tears, lacrime. Esso viene evocato dal fatto che rimerebbe co n fears , y ea rs, e hears. Certamente Hartman non sta insinuando che Wordsworth vo­ lesse produrre quelle associazioni - né rientrerebbe nella sua po etic a critica questo andare alla ricerca delle intenzioni dell'au­ tore. Vuole semplicemente dire che un lettore sensibile è auto­ rizzato a trovarle,. perché il testo, sia pure pot enzialmen te , le contiene o le suscita, e perché il poeta può aver (magari incon­ sciamente) creato degli 'armonici' al tema principale. È d iffic ile accantonare l'osservazione che il primo periodo di A Silvia di Leopardi inizia con Silvia e termina con il suo anagramma salivi. E se nonl'autore, diremo che il linguaggio- traendo partito dal­ la sua limitata combinatoria alfabe tic a - ha creato quest'effetto d'eco. Per quanto riguarda Wordsworth, se nulla prova che il te ­ sto suggerisca la tomba e le lacri me, nulla p eraltro lo esclude. La tomba e le lacrime evocate appartengono allo stesso campo se­

mantico dei lessemi in presenza. La lettura di Hartman non en­ tra in contraddizione con altri aspetti espliciti del testo. La si può giudi c are 'eccedente', ma la sua legittimità rimane indecidi­ bile. Gli indizi saranno labili, però possono far sistema. Indubbiamente il sistema nasce da una ipotesi interpretativa. E dunque, in linea teorica, si può sempre ipotizzare un sistema che renda plausibili indizi altrimenti sconnessi. Ma nel caso dei testi esiste una prova, peraltro congetturale, che consiste nell'in­ dividuare l'isotopia semantica pertinente. Sappiamo che illessema italiano granata corrisponde a molti significati, almeno sei, tra i quali vi è "scopa di saggina", "primitiva bomba a mano" e "proiettile d'artiglieria con ogiva". Si vedano ora le tre frasi se­ guenti: (i) Ho appoggiato la granata alfrigorifero, (ii) La granata è esplosa regolarmente, (iii) Ho messo la granata sulla branda.

Il parlante normale asserirebbe che nel primo caso si tratta di una scopa, nel secondo caso di un pr oiet tile, mentre il terzo caso 21

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rimane indecidibile , perché può trattarsi o di un piantone ne­ ghittoso, o di un artificiere imprudente. Le prime due interpretazioni sono ovvie perché nel caso (i) viene evidenziato il tratto semantico di domesticità comune alla scopa e al frigorifero, e nel secondo il tratto di bellicità comune alla bomba e all'esplosione (anzi, nel secondo caso, la potenziali­ tà dell' esplodere farebbe parte della descrizione semantica della bomba) . Nel terzo caso è il lessema branda a introdurre una am­ biguità perché suggerisce "caserma" e quindi sia luogo di pulizia mattutina che luogo di conservazione di ordigni bellici. Naturalmente è possibile che un artificiere imprudente abbia appoggiato un proiettile al frigOrifero o che un terrorista abbia riempito di tritolo il manico di una scopa di saggina. Ma di soli­ to l' interpretazione attendibile è consentita da un ricorso - sem­ pre congetturale - al topic discorsivo . Se si ipotizza che il sogget­ to del discorso sia ciò che avviene in una cucina, allora (i) sarà interpretato nel modo che appare più ovvio, mentre per (iii) si deciderà l'interpretazione più attendibile decidendo se il topic discorsivo sia "modalità di pulizia in una camerata di caserma" oppure "irregolarità di comportamento degli artiglieri in una ca­ serma " . Naturalmente, decidere di che cosa si stia parlando, è una scommessa interpretativa. Ma i contesti permettono di ren­ dere questa scommessa meno aleatoria di una puntata sul rosso e sul nero.18 L'interpretazione funeraria di Hartman ha il vantag­ gio di giocare su una isotopia costante . La puntata sull'isotopia è certo un buon criterio interprçtati­ vo , ma a patto che le isotopie non siano troppo generiche . E un principio che vale anche per le metafore. Si ha metafora quando si sostituisce un metaforizzante a un metaforizzato sulla base di uno o più tratti semantici comuni a due termini linguistici: ma se Achille è un leone perché entrambi sono coraggiosi e feroci, si sarebbe però portati a rifiutare la metafora Achille è un 'anatra, se la si volesse giustificare in base al principio che entrambi han­ no in comune il tratto di essere animali bipedi. Achille e il leone sono coraggiosi come pochi, mentre Achille e l'anatra sono ani­ mali bipedi come troppi. Una somiglianza o una analogia, qual­ siasi statuto epistemologico esse abbiano, sono rilevanti se sono eccezionali. Trovare una analogia tra Achille e un orologio sulla base del fatto che entrambi sono oggetti fisici, non è interes­ sante. ·

18

C fr. il

22

nostro

Lector infahula, Milano, Bornpiani,

1979.

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Spesso il pensiero ermetico individua isotopie troppo generi­ che, che consentono qualsiasi interpretazione.

Lo slittamento del senso Attribuire a Louis Fe:rdinand Céline o a James Joy­ l'Imitazione di Cristo, non sarebbe sufficiente rinnovo di quei tenui consigli spirituali? (J.L. Borges, "Pierre Menard", cit . , p . 658)

ce

Quasi tutte le caratteristiche del pensiero ermetico sono repe­ ribili nei procedimenti argomentativi di uno dei suoi epigoni contemporanei, René Guénon (della cui dantologia si occuperà il saggio di Claudia Miranda) . Nel suo Le roi du monde19 l' autore assume l'esistenza di un centro spirituale occulto, governato da un Re del Mondo, dal quale verrebbero dirette le vicende umane . Questo centro coin­ cide per Guénon col regno sotterraneo di Agarttha che si trove­ rebbe nell'Asia e probabilmente nel Tibet, ma si ramificherebbe sotto i continenti e sotto gli oceani. I testi da cui Guénon pren­ de le mosse non sono anteriori alla seconda metà del XIX seco­ lo, e sono privi di ogni attendibilità scientifica/0 ma Guénon in­ tende dimostrare che il centro sotterraneo e il Re del Mondo so­ no attestati da tutte le mitologie e le religioni, e che il regno di Agarttha si identifica con ogni evidenza con quel centro miste­ rioso nell'Asia in cui, a detta della leggenda, emigrarono i Tem­ plari dopo la loro distruzione da parte di Filippo il Bello, e gli stessi Rosa Croce. Si tratta pertanto di andare alla ricerca non di uno ma di molti testi archetipi o - in assenza di questi - di infi­ nite voci tradizionali. 19

Poris, Gallimard, 1�58 (useremo l'edizione italiana, Il re del mondo, Milano, Addphi, 1977) . 20 Il primo è il marchese Saint-Yves d'Alveydre che nel l901 pubblicò una Mission de l'In· de en Europe, dove descrive il misterioso mondo sotterraneo di Agart tha. La descrizione di questo universo è assai fantasiosa, a tratti fiabesca - come in tutti i regni utopici e immagi­ nari del passato vi vivono anche animali leggendari - ma serve a Saint-Yvcs come sostegno ideologico per la sua proposta di un governo mondiale, detto Sinarchia. il sec ondo testo è quello di un altro fantasioso autore, Ferdinand Ossendowski, che nel 1924 ha pubblicato un Beasts, Men and Gods, in cui pare ripr e ndere a tal punto le idee di Saint-Yves da essere stato accusato di plagio (è però Ossendowski che introduce il termine di Re del Mondo) . La prima menzione di Agarttba appare nel XIX s ecolo in uno scrittore di libri di avventu· re, Louis Jacolliot, che fu anche autore di libri esoterici sulle origini orientali delle varie re­ ligioni.

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Come esempio delle tecniche argomentative impiegate all'uo• po, seguiamo lo sviluppo del capitolo VII , " 'Luz' o il so ggio rno d'immortalità". Le tradizioni riguardanti i l 'mondo sotterraneo' s i ri tro vano presso moltissi­ mi popoli . . . Si potrebbe osservare, in linea generale, che il 'culto delle caverne' è sempre connesso all'idea di un 'luogo interiore' o di un 'luogo centrale' , e

che il simbolo della caverna e quello del cuore, sotto questo aspetto, sono assai vicini l'uno all'altro . . . Fra le tr adizioni a cui alludevamo ve n'è una che presen­ ta un in tere s se particolare: la troviamo nel giudaismo e concerne una città mi­ steriosa chiamata Luz . . . Vicino a Luz vi è, si dice, un mandorlo (chiamato luz in ebraico) alla base del quale si trova una cavità attraver so cui si penetra in un sotterraneo e questo sotterraneo conduce alla città, che è completamente na­ scost a (p. 70).

Si può incominciare a notare che le notizie su Luz si basano su un 'si dice', e che le leggende sulle città sotterranee da cui si penetra passando per una caverna o per il cavo di un albero sono infinite. In ogni caso, anche se Luz fosse esistita, attraverso la sua esistenza non si sarebbe ancora dimostrato ancora che vi sia un centro sotterraneo del Re del Mondo . Il lettore attende que­

sto importante passaggio argomentativo . Ma Guénon imbrocca u n ' al tra strada.

La parola luz nelle sue diverse accezioni, sembra per altro derivare da una radice che designa tutto ciò che è nas co sto, coperto, avvilup pato , silenzioso, segreto; è da notare che le parole che designano il cielo hanno lo stesso signifi­ cato, Si avvicina di solito coelum al greco koilon, "cavo" (il che può anche ave­ re un rapporto con la caverna, tanto più che Varrone indica tale accos tamento in questi termini: a cavo coelum); ma bisogna osservare però che la forma più antica e più corret ta sembra essere caelum, che ricorda da vicino la parola cae­ lare, " n asco nd ere" . D'altra parte in sanscrito Varuna deriva dalla radice var, "coprire" (che è anche il significato della radice kal alla quale si ricollegano il latino celare, altra forma di caelare, e il suo sinonimo greco kalyptein); e il greco Ouranos è un ' altra forma dello stesso nome, perché var si trasforma facil­ mente in ur. Tali parole dunque possono significare "ciò che copre "ciò che nasconde" , ma anche "ciò che è nascos to D , e quest 'ultimo significato è duplice: ciò che è nascosto ai sensi,. il regno sovrasensibile; e nei pe riodi di occultamen­ to o di os curame nt o, la tradizione che cessa di essere ma nifestata esteriormen­ te e apertamente, allorché il 'mondo celeste' divien e il 'mond o sotterraneo' (pp. 70-72). D,

Non ho citato le note inserite dall'autore, dato che esse, anzi­ ché fornire conferme filologiche delle etimologie proposte, inse­ riscono altre associazioni con la tradizione vedica, egizia e mas­ sonica. Quello che importa o sservare è che - anche a p rendere 24

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per buone tutte le etimologie che Guénon pirotecnicamente fa scintillare agli occhi del lettore - a una rilettura del brano emer­ ge che anche il termine greco koilos vuoi dire cavo, o concavo, e una cosa cava non è necessariamente una cosa nascosta o caver­ nosa, tanto che si usa koilos potamos per indicare un fiume dalle alte sponde. Ma anche se gli antichi avessero stabilito un rappor­ to tra il cielo, che cela ai nostri occhi una realtà iperurania, ed eventualmente le caverne, che celano le cose nascoste sottoterra (ma ciò che nasconde, nelle caverne, non è la loro cavità, bensl la volta, convessa), questo non porrebbe affatto un rapporto au­ tomatico tra il cielo e una caverna in cui abiterebbe il re del mondo. Tuttavia, ciò che emerge più chiaramente ancora è che qui abbiamo due linee etimologiche, una che collega il cielo alla concavità, l' altra che lo collega al nascondimento. Se si dà credi­ to all'una non si può darlo all' altra, perché fare etimologia non significa stabilire reti di associazioni semantiche ma stabilire li­ nee causali. In ogni caso nessuna delle due linee etimologiche ha rapporto con Luz, se non per il fatto che, come si aggiunge un poco più avanti, Luz verrebbe anche chiamata "la città azzurra" (da chi?) . Ciascun elemento del discorso potrebbe essere un indi­ zio, ma tutti gli indizi insieme non fanno sistema. Guénon tuttavia non demorde. Abbandona il cielo al suo desti­ no, e torna a Luz, che vuole dire anche "mandorlo" e/o "noccio­ lo ": il nocciolo è dò che il frutto nasconde, ed ecco di nuovo il rapporto straordinario con le caverne (del tutto ovvio, visto che per definizione Luz è una città sotterranea) . Ma ancora una volta si tratta di collegare i sotterranei di Luz coi sotterranei del Re del Mondo - perché questo, a essere onesti, è il motivo per cui Gué­ non ha incominciato ad argomentare. A questo punto, nuovo col­ po di scena: Guénon scopre (non dice dove) che luz è anche il nome che viene dato a una particella corporea indistruttibile, rappresentata

simbolicamente come un osso durissimo, particella alla quale l'anima rimarreb­ be legata dopo la morte e fino alla resurrezione. Come il nocciolo contiene il germe, e come l'osso contiene il midollo, questo luz contiene gli elementi vir· tuali necessari alla restaurazione dell'essere; essa si opererà sotto l'influsso del­ la 'rugiada celeste', rivificando le ossa disseccate; a questo alludono le parole di san Paolo: " Seminato nella corruzione, resusciterà nella gloria» (pp. 74-75).

Per sopramercato Guénon aggiunge in nota che la frase di Paolo si riferisce evidentemente al principio ermetico per cui "ciò che è in alto è come ciò che è in basso, ma in senso in" verso . 25

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Qui lo sfrenamento analogico porta alla falsificazione delle ci­ tazioni. Da buon ermetista Guénon dovrebbe sapere che il prin­ cipio ermetico tramandato dalla Tabula smaragdina suona quod

est in/erius, est sicut quod est superius, et quod est superius est sicut quod est in/erius, e attesta l'esatta corrispondenza tra micro e

macrocosmo, mondo terrestre e mondo celeste, senza menziona­ re alcun rapporto inverso. N aturalmente il rapporto sarà un po­ co più inverso e molto meno armonico in san Paolo, che non cre­ de affatto che la gloria celeste sia simile alla corruziòne di questo mondo. Ma ormai Guénon è inarrestabile : dalla gloria ritorna a Luz e afferma che "si usa situare il luz verso l'estremità inferiore della colonna vertebrale" (chi 'usa'?), passando quindi a identificare il luz col serpente Kundalini tantrico, che risiederebbe nel coccige e che, dovutamente risvegliato, salirebbe ai plessi superiori per aprire un terzo occhio nel corpo. Da tale accostamento sembra risultare che la localizzazione del luz nella par­ te inferiore dell'organismo si riferisce soltanto alla condizione dell'uomo deca­ duto; e, per l'umanità terrestre considerata nel suo insieme, lo stesso vale per la localizzazione del centro spiritu ale supremo nel ' mondo sotterraneo' ( pp. 76-

77).

A questo punto Guénon ha indubbiamente fatto sorgere due opposizioni semantiche che potrebbero sistemare tutti gli ele­ menti che manovra: alto vs basso, e palese vs nascosto. Ma le due opposizioni sono cosl generali da esaurire l'intero ammobi­ liamento mondano e celeste. Perché in basso stanno bottiglie d' annat à, alluci, portinai, cisterne, quadrupedi e tappeti - e tra le cose non palesi si annoverano tuberi, miniere di tungsteno, differenziali d' automobile, numeri di Bancomat, milze, microbi e il più alto dei numeri dispari. Insomma, Guénon suggerisce un sistema, ma il sistema non permette di escludere nulla e ogni gioco che si faccia al suo interno può svilupparsi cancerogena­ mente all'infinito, attraverso un intreccio di associazioni, alcune basate sulla similitudine fonetica, altre su una presunta etimolo­ gia, altre su analogia di significato, in un gioco a staffetta tra si­ nonimie, omonimie e polisemie, in uno slittamento continuo del senso dove ogni nuova associazione lascia cadere ciò che l'ha provocata per puntare verso nuovi approdi, e il pensiero si taglia continuamente i ponti dietro le spalle. In questo slittamento del senso ciò che conta non è certo la dimostrazione, ma la persua-

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sione che ciò che era già saputo possa essere confortato solo da una sorta di cacofonia assordante del pensiero, dove ogni suono fa musica, e l'armonia è data dalla volontà dell'adepto, che su quella musica vuole danzare a tutti i costi. In questa disco-music ermetica una sola cosa è chiara: se ci sia e dove sia il Re del Mondo rimane un segreto che l'autore fa di tutto per non svelare. Infatti si tratta di un segreto vuoto: anche Guénon sa che il Re del Mondo è una metafora per la tradizione sapienziale di cui è adepto, e che la tradizione sapienziale è la somma sincretistica di tutti i discorsi di cui il suo è l'inconscia parodia. Per dirla con Simmel: Il segreto conferisce a chi lo possiede una posizione d'eccezione e opera co­ me una forma d' attrazione determinata da pure ragioni sociali. Esso è fonda­ mentalmente indipendente dal suo contenuto, ma certamente è tanto più effi­ cace in quanto il suo possesso esclusivo sia vasto e significativo . . . Dalla segre­ tezza, che copre d' ombra tutto ciò che è profondo e significativo, nasce il tipi­ co errore per cui ogni cosa misteriosa è importante ed essenziale. Di fronte al­ l'ignoto il naturale impulso all'idealizzazione e il naturale timore dell'uomo cooperano insieme allo stesso fine: intensificare l'ignoto attraverso l' immagina­ zione e considerarlo con una intensità che di solito non è riservata alle realtà evidenti. 21

Il paradigma del velame Dedicò i suoi scrupoli e le sue veglie a ripetere in un idioma estraneo un libro preesistente. G.L. Borges, "Pierre Menard", cit., p. 657)

Non appena un testo diventa 'sacro' per una certa cultura, si scatena nei suoi confronti il gioco della lettura sospettosa e dun­ que di una interpretazione indubbiamente eccedente. Era avve­ nuto, con l'allegorismo classico, per i testi omerici, non poteva che avvenire in periodo patristico e scolastico con le Sacre Scrit­ ture, ed è avvenuto nella cultura ebraica con l'interpretazione talmudica. Ma con un testo sacro non ci si possono permettere molte licenze, perché c'è di solito una autorità e una tradizione religiosa che rivendica le chiavi della sua interpretazione . Per esempio la cultura medievale non ha fatto altro che incoraggiare lo sforzo di una interpretazione infinita nel tempo, e tuttavia li21

Georg Simmel, "Das Geheimnis und die geheime Gesellschaft", in Soziologje, Leipzig, Dunker & Humblot, 1908.

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UMBERTO ECO

mitata nelle sue opzioni . Se qualcosa caratterizzava l a teoria me­ dievale dei quattro sensi era che i sensi delle Scritture (e per D ante anche della poesia profana) erano quattro, ma (i) ques ti sensi dovevano essere individuati seguen do de1le regole ben pre­ cis e e (ii) que st i sensi, ancorché nascosti sotto la superficie lette­ rale , non erano affatto segreti, anzi - per coloro che sapevano leggere rettamente il testo - dovevano essere palesi. E se palesi non fos sero apparsi a prima vista, era compito della tradizione esegetic a (p er la Bibbia) o del poeta (per la sua opera) provvede­ re le chiavi. Che è qu ello che Dante fa nel Convivio e in altri scritti come l'Epistola XIII. 22 Questo at teggi amento verso i testi sacri (nel senso letterale del termine) si è tuttavia trasmesso - in forma secolarizzata - ai testi diventati metaforicamente sa cri a causa della loro fortuna critica (e, sia l ecito ,sospe tt are , a ca-u sa di alcune loro qualità di polis emia poetica). E accaduto, almeno per i medievali, con Vir­ gilio ; 23 è accaduto in Francia con Rabelais/4 sta accadendo al li­ mite dell'indocumentabile con Joyce_ Non poteva non accadere con S h akespeare , dove il gioco della ricerca del senso segreto sa­ le al qu adrato : essendo infatti luogo comune storiografico che i testi di S hakespeare potrebbero essere stati scritti da qualcun al­ tro, non solo la s toriografi a letteraria si è s bizzarrita a cercare chi costui potesse essere/5 ma è sorto un filone ulteriormente s pecial istico di questa corrente storiografica: all' insegna della 'Bacon-Shakespeare controversy' cacciatori di sensi segreti si son dati a s accheggi are parola per parola , lettera per let tera , i te­ sti del Bardo per trovarvi anagrammi, acrostici o altri segreti mes saggi attraverso i quali Francis Bacon segnalava di ess ere il vero autore dei testi sh akesp eariani . 26 22

Ho già detto in "L'epistola XIII . . . ", ci t., che il fatto che alcuni la ritengano spuria non

toglie alcun valore alla t eoria che enuncia e alla pratica interpretativa che instaura, perfet­ tamente in accordo entrambe con la mentalità medievale.

2}

Cfr. Domenico Comparetti, Virgilio ne/Medioevo, Firenze, Nuova Italia, 2• ed_ 1955 . Cfr_ per es., L. Merigot, "Rabelais et l'alchimie", Cahiers d'Hermès 1, 1947; Pau! Nau­ don , Rabelais Franc-Maçon, Paris, Dervy, 1954. 21 Tra le opere più recenti cito Charlton Ogburn, The misterious William Shakespeare, Nc:w York, Dodd & Mead, 1984. 26 Qui la bibliografia è immensa, e persino il grande matematico Georg Cantor si era dilet­ tato a pubblicare testi che confermassero l'ipotesi. Cfr. per es.: lanatius Donnelly, The weat cryptogram, London, Sampson, 1888, 2 voll.; C . Stopes, Tbe Bacon-Shakespeare que­ stion answered, London, Trubner, 1889; W.F.C. Wigston, Francis Bacon fit:TIUS phantom captain Shakespt:are. The rosicrncian mask, London, Kegan Pau!, 1891; Georg Cantor, ed., Die Rawley'sche Sammlung van :zweiunddreissig Trauergedichten auf F.B. Ein Zeugniss zu gunsten der &con-Shakespeare Theorie, Halle, Niemeyer, 1897; Edwin Reed, Francis Ba.con our Shakr:speare, Boston, Goodspeed, 1902; William Stone Booth, Some acrostic signatures

2
9 Visto che la verità viene considerata come un effetto di senso, che si produce nel testo attraverso una serie di manipolazioni, "si può capire perché nell'epistemologia moderna, al

concetto di verità si trovi sostituito sempre più spesso quello di efficacia", A.]. Greimas, Du Sens Il, Paris, Seuil, 1983 (tr. i t. Del Senso 2, Milano, Bompiani, 1984, p. 109). 40 William Michael, op. cit. , p. 177, notava già come fosse fastidiosa la prolissità di suo pa­ dre c il continuo perdersi in dettagli.

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HELENA LOZANO MIRALLES

Quest'ultima ha origine nei suoi primi studi esegetici dove si impone l'obbligo di fornire una spiegazione del testo nella sua globalità che, data la possibilità di un riscontro immediato, egli non è in grado di rendere convincente altrimenti. Questo lo co­ stringe a una frammentazione in gruppi tematici di versi (la cui estensione media è la terzina) ai quali fa seguire una parafrasi, con note filologiche e, se il senso segreto lo richiede, un com­ mento in cui spiega l'interpretazione allegorica, sia morale che politica, polemizza contro alcune interpretazioni e apporta delle fonti. Tutto indicato attraverso differenti caratteri tipografici. Alla fine del commento Rossetti colloca delle riflessioni, di soli­ to sulla bontà della teoria, a cui segue l'esposizione del canto commentato alla luce della nuova interpretazione ricavata. Le disamine sul linguaggio, o sistema allegorico, sono collocate in fondo al volume. Mi soffermo su questa struttura perché essa determina l'iperesaustività argomentativa della Beatrice. Nella Beatrice il lettore si sente sommerso da un mare di cita­ zioni e documenti. Le dimostrazioni sono imperniate sulla pro­ posta di un problema, l'anticipazione della soluzione, l'apporto di dati, l'appello a una qualche auctoritas, preferibilmente Dan­ te, per concludere nella certezza che quest'ultima abbia detto tutto. Noi, invece, siamo rimasti invischiati nella rete di citazio­ ni, e non abbiamo colto l' allusività che Rossetti attribuisce alle fonti. Il paradigma colpisce ancora: ciò che a Rossetti sembra cogente a noi sembra arbitrario, e spesso notiamo che i suoi pro­ blemi sono falsi problemi, pure ovvietà. Per esempio, se Dante dice che Beatrice è la filosofia, essa è la filosofia. Il ritmo dell'esposizione rosse ttiana è sia accumulativo, che proliferativo (nel senso di una continua digressione) . Molto inte­ ressante è il modo di presentare gli esempi: non si tratta di cita­ zioni opportunamente troncate in funzione di ciò che si vuole dimostrare, bensì egli procura di farle il più estese possibile, evi­ denziando con il corsivo ciò che gli interessa. Adotta la tecnica della dispersione. Si potrebbe pensare che non sia una tecnica molto astuta, ma invece lo è: sopraffare il lettore, partire da lon­ tano in modo da non arrivare mai veramente al centro della di­ mostrazione, al confronto diretto. Rossetti crea la sensazione di avere dimostrato tutto e, così facendo, si salva inoltre dall' accu­ sa di scarsa erudizione. A furia di sentirsi ripetere che vi è un segreto, che non sembra poi cosl segreto, il lettore probabilmen­ te inizierà a sospettare che esso ci sia veramente. L' enunciazione è sorretta da procedure testuali di oggettiva72

GABRIELE ROSSETTI

zione e soggettivazione, tra le quali esiste uno slittamento reci­ proco continuo in cui finisce per prevalere ciò che Benveniste chiama "discorso" , in opposizione alla "storia". 41 Normalmente il testo di storia pretende di manifestare una verità che si evince da sola, ed è quindi preferito per la trasmissione del sapere scientifico. Rossetti alterna i due registri, anche se in prevalenza usa il discorso, poiché esso gli permette di installarsi nel testo come Soggetto Enunciatore. I passaggi tra storia e discorso consentono delle strategie per­ suasive particolari . Rossetti spesso riporta Dante come principio di autorità utilizzando due procedimenti. Il primo consiste nel­ l'inquadrarlo nella storia: "Dante disse questo e quell'altro" . Il secondo, molto più ardito, compie un débrayage attanziale che trasforma il Soggetto Enunciatore in Enunciatario, accomunato a "noi lettori", poiché il ruolo di soggetto dell'enunciazione vie­ ne svolto da Dante. Quest'ultimo procedimento risponde alla costruzione "Dante stesso ci svela i suoi misteri" , "Dante è il miglior interprete di se stesso" . In quest'ottica rientrano le nu­ merose anafore cognitive presenti nelle pagine rossettiane che ci propongono un intrico di autoriferimenti e, come in una serie di scatole cinesi, inglobano anche gli autoriferimenti di Dante. Le ipotesi e prove sono costruite sovraccaricando di incon­ gruità l' anomalia e quindi creando false incompatibilità. Questa strategia è particolarmente evidente rispetto alla problematica delle donne e dell'innamoramento: "Ma chi mai, nell' invaghirsi di una donna, chi mai sente parlar tre spiriti dentro di sé? E se ciò non accade ad alcuno (almeno a me non è accaduto) , come po­ tea avvenire ad un fanciullo che in sl tenera età non sapeva egli stesso, probabilmente, parlar latino? " (Beatrice, p. 95, corsivo nostro) . Il soggetto femminile , inoltre, gli permette di creare nu­ merosissimi anticlimax: non è possibile considerare letteralmen­ te l'epistola ai Principi della T erra, perché non è possibile che un uomo assennato come Dante abbia scritto "all'imperador d' Alemagna, al re di Francia, a quello d'Inghilterra, a que' di Spagna [ . ) per invitarli tutti a pianger secolui sulla morte d'una certa Fiorentina, sua cara amante, e moglie d'un suo compatrio­ ta" (Beatrice, p. 129). . .

4 1 Nella storia le forme linguistiche predominanti, in quanto forme dell'oggettività; esclu­ dono totalmente !'"autobiografia", mentre nel discorso prevalgono le forme della soggetti­ vità, io-tu, e le deissi: E. Benveniste, "Le relazioni di tempo nel verbo francese", in Pro­ blèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard, 1966 (tr. it. Problemi di linguistica genera­ le, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 283-300).

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HELENA LOZANO MIRALLES

A questi procedimenti si affiancano strategie che qualificano il "fare" del soggetto enunciante, valorizzando le sue perfor­ mances e sottolineandone la conformità a un programma stabi­ lito. All'inizio esse presentano la ricerca in modo incoativo, dunque tendono a sottolineare la fecondità della teoria appena scoperta, la casualità e l'esaustività che permette persino coin­ cidenze "letterali" con le cronache del tempo . Cosl facendo si afferma la credibilità dell' autore e se ne mette in risalto la sta­ tura scientifica. Tipiche di questo stadio della ricerca sono strategie del tipo "neanch'io ci credevo, ma adesso . . . " in cui il primo segmento accomuna Enunciatore e Destinatario, per fare accettare la nuova informazione attraverso la locuzione av­ versativa. Verso la fine della Beatrice invece, avendo perso ogni spe­ ranza di pubblicare il libro, Rossetti sottrae il suo testo alla ve­ rifica, e scrivendo per se stesso o per un lettore che è un suo doppio, qualifica il suo "fare" in termini di verità e presenta la ricerca sotto un aspetto terminativo . Questi due momenti del testo sono messi in rilievo dall' at­ teggiamento molto diverso nei confronti della costruzione delle argomentazioni. Ciò è molto evidente nei procedimenti di "diffidenza trasmissiva" dove in un primo tempo Rossetti si appella alla "paura di annoiare" per non portare avanti il di­ scorso (ci troviamo davanti a una proposta di credibilità) , men­ tre in un secondo tempo , non curandosi più del suo fare per­ suasivo, può essere noioso e prolisso a oltranza. In questo modo diventano ancor più scoperte le strategie di veridizione, costruite sistematicamente su una pretesa dimo­ strazione della verità che, essendo soggetta alla logica del se­ greto, non è neanche questionabile. Diventa importante il con­ tratto fiduciario stabilito in base a convinzioni morali spartite tra lettore e autore che insieme possono ricostruire la figura geniale di Dante. Ambivalenti saranno le strategie verso il let­ tore, contemporaneamente di seduzione (attraverso la valoriz­ zazione delle sue capacità) e di provocazione (polemizzazione contro coloro che "non vogliono" intendere) . Questo atteggia­ mento si risolve in una distinzione dei lettori in due categorie, "spiriti sottili" (coloro che capiscono) e "spiriti grossi" (coloro che non possono o non voglion comprendere) a cui sono af­ fiancati i critici, che diventano gli Antidestinatari, non solo dell'opera rossettiana, ma anche dell'opera dantesca.

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GABRIELE ROSSETTI

1 .6. La funzione oracolare Rossetti è il creatore del paradigma ma viene deriso da tutti coloro che più o meno apertamente si ispirano a lui. Egli provo­ ca un rifiuto che trova le sue motivazioni non solo nelle sue stra­ tegie discorsive, cioè nell'impotenza fascinatoria della sua scrit­ tura, ma soprattutto in ciò che possiamo definire il suo "assolu­ tismo testuale" : la propria interpretazione, pur non essendo l'u­ nica riconosciuta, è la sola "moralmente" accettabile. Essendo posta all'insegna della "Verità" , la trasmissione rossettiana del sapere non ammette né gradualità né mezzi termini, è modaliz­ zata aleticamente e non epistemicamente. 42 Inoltre, se le ipotesi diventano prove e le congetture certezze, non vi è spazio per la cooperazione testuale nei confronti del testo dantesco. L'insistenza sul gergo impoverisce una lettura che potrebbe dare i suoi frutti se si proponesse semplicemente di concentrare l'interesse sui contenuti politici o ermetici. Manca la libertà a cui siamo abituati dal punto di vista estetico e questo ci porta a rifiutare la lettura in toto (si confronti la posizione diversissima di Bruno Cerchio, 1 988) . La logica del segreto impone una lettura che non ha nessun ancoraggio con i testi. Cosl l'uso degli anagrammi e del "concer­ to delle sillabe" si può accettare soltanto da un punto di vista ca­ balistico, o comunque da un punto di vista che implichi la "so­ spensione" della pertinenza. Il lettore viene in certo senso ricat­ tato affinché adotti il paradigma, altrimenti si troverà a far par­ te degli "spiriti grossi" . Ci troviamo di fronte a un testo in cui vi è un eccesso non so­ lo "verbale" , ma anche sentimentale, pieno di marche passionali (in senso polemico o autocommiserante) tese a sollecitare solida­ rietà, coinvolgimento, fiducia. Ne risulta una narrativizzazione patetica delle argomentazioni. Riportiamo una citazione che esemplifica bene le " costanti" del testo rossettiano secondo un percorso figurativo che scherzo­ samente potremmo intitolare "Dante 007 contro Doctor Roma" . Rossetti si chiede perché Dante non dica apertamente il suo segreto, che in fondo è di una semplicità spaventosa: 42

Le modalità aletiche costruiscono il testo all'insegna della "necessità " , quindi l'oggetto della conoscenza ha uno statuto ontico. Le modalità epistemiche costruiscono il testo al­ l'insegna della "credenza", considerando la relazione tra soggetto conoscente e oggetto della conoscenza. Nel primo caso si assiste all' ontologizzazione del sapere, nel secondo alla sua assun�ione; dr. Greimas e Courtès, op. cit. , voce "modalità" .

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La miseranda fine di C ecco d'Ascoli, il quale si attentò indicarlo meno oscu­ ramente, e la mala sorte di migliaia di personaggi dotti e benevoli che lo prece­ dettero e lo seguirono spiegano ad esuberanza un tal perché. Son quasi certo che a Dante non piaceva d'esser arso vivo, e molti saran probabilmente della mia opinione: anche di ciò son quasi certo. Roma che con pertinace accanimento, e quasi con voluttà di rabbia crescen­ te, perseguitò sempre i cultori della filosofia occulta, e dichiarati eretici li tor­ turava e spegneva in ogni paese; Roma che, fondato avendo il suo potere im­ maginario sulla generale ignoranza, s'indragava qualor vedesse che una furtiva istruzione cercasse smascherare la di lei profonda malizia; Roma che, braman­ do i ciechi credenti e non illuminati fedeli, esigea superstizion d'idolatri e non religion di cristiani; Roma che s'indegnava della fede se non si disgiunge a dalla ragione ch'ella voleva orba e non oculata; Roma che avea ridotta la dottrina dell'eterna sapienza ad un cicalio antilogico, antiaritmetico ed antievangelico, Roma fu la principal cagione che l' arcana scienza venisse con tanta paurosa cautela sì mascherata e custodita. Roma sapea quali fossero e quante le colpe sue, e non ignorava che quella scuola di operosi sapienti nel mettere in evidenza l'umana dignità mostrava pu­ re chi l' avesse degradata cotanto . Dagli spiriti eletti che sotto que' velami si te­ nean appiattati, Roma non era più creduta la chiesa di Cristo, ma il conciliabo­ lo dell'Anticristo (Beatrice, pp. 148- 149).

Per concludere, vorremmo puntare brevemente l'attenzione sugli aspetti più validi delle posizioni rossettiane . L'aspetto forse più interessante è il tentativo di spiegare Dante con Dante, evi­ denziando l' organicità dell'intera produzione letteraria dantesca e mettendo il poeta in relazione all'ambiente culturale dell'epo­ ca. Questo tentativo dimostra anche la necessità di considerare la Commedia come struttura, una perfetta "architettura" in cui i valori etici, morali, politici e religiosi del tempo trovano una lo­ ro armonica corrispondenza. Prescindendo dagli eccessi che ab­ biamo avuto modo di commentare, la rivendicazione della neces­ sità di un'interpretazione allegorica costituisce di fatto un con­ tributo fondamentale per gli studi danteschi. Questo approccio va spesso a scapito della "poesia" crociana, ma, per certo, appare consono alla concezione estetica mèdievale per quanto riguarda la "convenzionalità" dell'interpretazione.43 Comunque una lettura esagerata come quella di Rossetti non solo cancella il lirismo ma anche ogni sovrasenso, che tomistica­ mente potremmo chiamare "parabolico" , nonché la possibile equivocità e polisemia delle metafore; ne risulta che l'insistenza sul gergo impoverisce il poema. Bisogna ribadire ancora che l'appiattimento di Rossetti e la sua insistenza sull'idea del gergo rispondono in fondo a esigenze 43

Si veda il paragrafo l. 4.

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GABRIELE ROSSE1TI

di sicurezza e prevedibilità del medium estetico e forse anche so­ ciale, in contrasto con la movimentata vicenda personale dell' au­ tore: Il codice non è una lista, un paradigma che occorre ricostruire ad ogni co­ sto. Il codice è una prospettiva di citazioni, un miraggio di strutture [ . . . ] che sono altrettanti barbagli di quel qualcosa che è sempre stato già letto, visto, fatto, vissuto: il codice è il solco di questo già. 44

A questo "già" prende parte il paradigma esoterico a cui Ros­

setti aderisce e a cui si aggrapperà con crescente veemenza e de­ crescente senso critico di fronte alla mancanza di sanzione da paJ;_te della comunità letteraria. E come se Rossetti non si fosse accorto che il "Dantis amor" , portato all'eccesso, si sarebbe ritorto contro di lui: potrebbe an­ che darsi che egli vi fosse predestinato, poiché il risultato di un impegno durato decenni, lo studio dei FEDELI n ' AMORE, con un metodo a lui caro, quello anagrammatico, diventa L'IDEA DEFOR­ ME . 45

44 ''

Roland Barthes, S/Z, Paris, Seuil, 1970 (tr. i t. Torino, Einaudi, 1973, pp. 24-25).

Si ringra2;ia Stefano Bartez:ughi per l'anagramma.

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EUGÈNE AROUX

2. IL DANTE ERETICO, RIVOLUZIONARIO E SOCIALISTA DI EUGÈNE AROUX di Maria R. Lacalle Zalduendo

L'opuscolo cabalistico intitolato Vita Nuova sareb­ be sufficiente per stabilire che nel 13 00 esisteva una lingua convenzionale nelle file dell'opposizione rivoluzionaria, che contrastava sia l' ordine politico che quello religioso; e in realtà, non si scrive in quello stile e con quelle immagini, e rivolgendosi esplicitamente agli spiriti intelligenti, senza essere certi di aver parecchi lettori per i quali nessuna del­ le parole cosl artificiosamente disposte sarebbe ri­ masta lettera morta (Dante hérétique, p. 73) .

Eugène Aroux (Rouen, 1 7 73-Paris, 1859), politico liberale, procuratore del Re e deputato di Dieppe, fece della sua passione per la letteratura e per la storia della Chiesa l' asse centrale degli ultimi anni della sua vita. Dal momento in cui sentì parlare per la prima volta dell'interpretazione di Dante svolta da Gabriele Rossetti, 1 si appassionò all'idea di un Dante "eretico" che cospi­ rava contro Roma, affiliato a una setta segreta, e passò il resto dei suoi giorni tentando di dimostrarla. La sua biografia lo ritrae come un personaggio singolare che "si fece una reputazione di letterato eccentrico scrivendo su Dante" 2 e configura l'immagine di un cattolico fedele sia ai suoi principi religiosi che a un credo liberale. Di fatto nel 1832 aveva perso il posto di procuratore del Re per essersi rifiutato di pre­ siedere una cerimonia religiosa, perché la sua presenza avrebbe implicato il riconoscimento di una religione di Stato contraria­ mente ai principi della Carta costituzionale. Nel 183 7 non si ri­ presenterà alle elezioni, ponendo termine così alla sua carriera politica. L'episodio acquista un notevole rilievo per il nostro di1 Per tutti i riferimenti su Gabriele Rossetti si rimanda all'introduzione di U. Eco e al sag­ gio precedente di H. Lozano nonché alla bibliografia generale. 2 Cfr AA.VV. , La Grande Encyclopédie, Paris, Société Anonyme de la Grande Encyclopé­ die [senza data], tome troisième; AA.VV. , Dictionnaire de biographie française, Paris, Li­ brairie Letourzey et Anée, tome troisième; F. Boissard 1854 e 1858; ] . Cherbuliez {éd.), Revue critique des livres nouveaux, Genève, mai 1858.

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MARIA R. LACALLE ZALDUENDO

scorso perché è proprio citandolo che Aroux si difenderà dalle accuse di ultramontanismo suscitate dalle sue opere: 3 Perdono a M. Rigault questo epiteto di ultramontano, rivolto assai singolar­ mente a un magistrato che si è fatto strappare dalla sua carica per non aver vo­ luto assistere, su comando, ad una messa ufficiale e quindi riconoscere una reli­ gione di Stato (Aroux, 1856, P- XVI).

Nello stesso modo Aroux respinge i sospetti che potrebbero nascere dai suoi frequenti riferimenti alla storia della massoneria (''devo chiaramente ribadire che non ho mai fatto parte di tale associazione" , p. 158) : e lo fa per sostenere l'ortodossia del libro che intendiamo analizzare, Dante hérétique, révolutionnaire et so­ cialiste. Révélations d'un catholique sur le Moyen Age ( 1854) . In effetti il problema che tormenterà Aroux per tutta la vita è sem­ pre lo stesso: poiché non riesce a elaborare un metodo che gli permetta di dimostrare la sua tesi attraverso una analisi rigorosa del testo dantesco, e poiché le prove storiche che individua sono deboli, la sua unica garanzia è l' appello alla sua probità e orto­ dossia personale, in base alla quale egli tenta di stipulare un esplicito contratto fiduciario col lettore modello che egli confi­ gura, per ottenere un assenso a quella verità che egli ritiene di aver intuito. 4 Pertanto tutta la sua opera si manifesta come una oscillazione irrisolta tra la costruzione di una autorità Autoriale interna al testo, garanzia della scientificità del metodo, e la messa in scena di se stesso come personaggio storico, con la sua biografia perso­ nale, le sue angosce, i suoi risentimenti, le sue arringhe a difesa della propria onorabilità: Aggiungete che una volta usciti dalla cerchia legislativa, abbiamo finito con gli affari di governo. Ora, è bene che lo si sappia, il nostro cervello è talmente organizzato, che se una nozione capitale vi si venisse ad impiantare dal nulla, buona parte di quella che vi dominava. prima ne sarebbe cancellata (Aroux, 1858, p. VIII).

È questo continuo passaggio dall'interno all'esterno del testo J Nel XIX secolo il termine u/tramontanismo usato soprattutto dai liberali e dagli acattolici [cristiani non cattolici] serviva per designare i sostenitori ad oltranza dell'infallibilità pon­ tificia. Cfr. Enciclopedia Cattolica, Firenze, Sansoni, 1954, vol. XII; The Catholic Ency­ c/opedia, New York, Robert Appleton & Company, 1912, vol. XV; La Grande Encyclopé­ die, op. cit., vol. XXXI. � Per la nozione di Lettore Modello, ci riferiamo a Umberto Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979.

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EUGÈNE AROUX

a determinare quello che chiameremo il tragitto completo del suo programma narrativo globale.5 Questo programma si genera a partire delle diverse modifiche effettuate inutilmente da Aroux per il desiderio di adattarsi alle esigenze del destinatario reale. Nei suoi libri la persona storica e il ruolo di autore si me­ scolano continuamente e in modo indissolubile, mentre i due percorsi, quello dell'uomo pubblico e quello dell' appassionato " dantista", si avvicinano fino a confluire progressivamente nel­ l' identificazione di chi, al termine della sua attività letteraria che coincide con la fine della sua vita, si sente deluso e abbando­ nato. Il ruolo svolto dalla storia dell'autore all'interno del testo, l'importanza che assegna al lettore e il rilievo che questi ha avu­ to in tutte le sue opere, costituiscono l'oggetto principale della nostra analisi. Nel 185 6 Aroux pubblica la Clef de la Comédie anti-catholique de Dante Alighieri, che costituisce un vero e proprio dizionario dantesco, in cui l'autore sistematizza per ordine alfabetico le pa­ role del linguaggio segreto utilizzato dai membri della setta per trasmettere i messaggi, in base al quale ha decodificato i testi di Dante nell'opera precedente. Nello stesso anno esce la Comédie de Dante, Enfer, Purgatoire et Paradis, traduite selon la lettre et commentée selon l'esprit e nel l857 Le Paradis illuminé à giorno, dénouement tout maçonnique de sa Comédie albigeoise, accompa­ gnata da un opuscolo intitolato Preuves de l'hérésie de Dante de­ montrée par Francesca da Rimini. La Comédie de Dante è precedu­ ta da un'introduzione in cui Aroux lamenta l'indifferenza dei critici riguardo al suo primo libro e li invita di nuovo a dichia­ rarsi. Per questa ragione si affretta a pubblicare nello stesso an­ no un altro fascicolo intitolato Preuves de l'hérésie de Dante, no­ temment au sujet d 'une fusion opérée vers 1 3 1 2 entre la massenie albigeoise, le Tempie et les Gibelins. Nella sua ultima opera, Les Mystères de la chevalerie et de l'amour platonique au moyen age ( 1858) , Aroux modifica alcune delle sue posizioni iniziali, spinto dalla unanime condanna mostrata dal silenzio della critica, e rin­ forza l'ipotesi di un Dante "eretico" che nei libri precedenti era stato sempre sorretto da un Dante "politico" . L'opera ricevette 5

Come vedremo più avanti, tutte le opere di Aroux sono, in un certo senso, appendici del

Dante hérétique, scritte allo scopo di rinforzare i punti meno convincenti della prima ape·

ra, in risposta alle critiche ricevute e al silenzio di chi non si era pronunciato. In tale senso intendiamo che il programma di Aroux (dimostrare l'eresia di Dante) non si conclude nel

Dante hérétique.

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MARIA R. LACALLE ZALDUENDO

un timido elogio della Revue critique des livres nouveaux di Gine­ vra,6 e segnò la conclusione , almeno in Francia (insieme alla morte dell' autore l' anno successivo) , di un excursus al di fuori del paradigma letterario in vigore, che consegnava alla posterità solamente l'esempio di un episodio curioso. Dall'entusiasmo delle prime pagine del Dante hérétique fino al­ la profonda disillusione che traspare dall'introduzione della sua ultima opera, il personaggio Eugène Aroux interscambia con l'Enunciatore il ruolo di Soggetto dell'Enunciazione che costi­ tuisce uno dei supporti strutturali di tutte le sue opere. In que­ sto modo, la sua indipendenza di giudizio e la sua dedizione al lavoro, caratteris tiche che neppure coloro che lo criticarono po­ terono negargli, e che gli valsero nella vita politica la "Médaille de Juillet" e la Legion d'Onore, acquistano nei libri di Aroux un valore capitale. Almeno a livello formale, sono i requisiti indi­ spensabili su cui s'appoggia la decisa convinzione dell' autore di trovare un proprio spazio nel paradigma letterario dominante, di cui tuttavia non rispetta i criteri e i metodi. Pertanto il lettore modello presupposto dall'autore modello del Dante hérétique era incompatibile con il lettore empirico che effettivamente Aroux voleva raggiungere. Dopo l'abbandono dell'arengo politico, Aroux rimane cosl escluso anche dall'arengo letterario . 2 . l . La genealogia del Dante "eretico "

Il Dante hérétique è la prima opera critica di Aroux, che peral­ tro aveva pubblicato anni prima alcune traduzioni, tra cui la Di­ vina Commedia in versi francesi.7 L'origine del libro, che l'auto­ re attribuisce ai primi volumi di Rossetti su Dante, si deve so­ prattutto alla Beatrice rossettiana, il cui manoscritto, rifiutato dagli editori italiani e inglesi, gli era stato affidato da Rossetti con la promessa di pubblicarlo in Francia. La Beatrice non giunse però mai a vedere la luce, e al suo posto il Dante hérétique di Aroux sconcertò, almeno per un momento, il mondo accademico francese. Aroux trae da Rossetti non solo la tesi dell'esistenza di una set­ ta segreta che cospirava contro la Chiesa, ma le stesse modalità 6

Paris-Genève, année XVI, 1858, n. 5, mai, pp. 237-23 9 . 7 Nel 1825 Aroux aveva anche pubblicato un libro di poesie intitolato Trois Eoliennes, pour une société de gens de lettres, Paris, Les Marchands de Nouveautées.

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d'analisi e sovente gli stessi esempi. Tuttavia attenua l'importan­ za del Dante "politico" di Rossetti a favore di un Dante "eretico" attorno a cui ruota la sua interpretazione. 8 Questo rende difficile determinare fino a che punto si può parlare di plagio.9 Di fatto la critica gli ricordò in modo reiterato la sua discendenza da Rosset­ ti, pur senza mai giungere ad accusarlo direttamente. Da parte sua Aroux si guardò bene dal riconoscere l'influenza di Rossetti, limitandosi a censurare gli attacchi che i dantisti avevano portato all'autore italiano. Ad A. W. Schlegel, "venera­ bile di una loggia massonica", che aveva duramente attaccato Rossetti, Aroux obietta che la ferocia della sua critica si deve al fatto che Rossetti aveva rivelato alcune tendenze della setta an­ tipapale (p. 436) . A Ozanam rimprovera unicamente la sua "mancanza di carità" per aver calunniato "gratuitamente un uo­ mo onesto" (id. ) . Infine sottolinea che Délecleuze aveva accetta­ to alcune delle idee di Rossetti (p. 438). Anch'egli rimprovera duramente a Rossetti la sua ostilità ver­ so Roma, ma evidentemente lo fa per prendere le distanze da un autore "sospetto " , qualificato unanimemente come massone. In questo modo il Dante hérétique appare, in relazione alla Beatrice, come un apporto personale e originale: Alle scoperte di Rossetti ho unito il frutto delle mie personali ricerche, poi­ ché non ha così perlustrato il terreno che non vi si possa trovare ancora molti preziosi filoni (p. 4 39).

Alla Beatrice Aroux dedica in tutto poco più di una pagina (p . 442), e la sua descrizione del lavoro di Rossetti è tanto gene8 La questione dell'eterodossia di Dante era stata sollevata in precedenza da altri autori, come si può notare nella "Vita di Dante" di Francesco Lomonaco (che difficilmente avreb­ be avuto notizie dell'opera di Aroux), pubblicata per la prima volta a Milano nel 1904, nel I volume dell'opera Vita degli eccellenti italiani. L' autore si rifà ad altri commentatori di Dante, non citati, che avrebbero cercato di stabilire a quale religione appartenesse Dante, in base ad alcuni elementi che anche Aroux presenta come "prove" dell'eterodossia del poeta: la scelta di Virgilio e Beatrice come guide, l' odio contro Roma, l 'influenza di Bru­ netto Latini e il titolo Commedia "perché schernisce e proverbia non meno i costumi de' laici che que' dei cherici" (p. 36) . Cfr. F. Lomonaco, Lugano, Tipografia Ruggia e C . , 1836. Comunque, è improbabile che Lomonaco s i potesse riferire a Rossetti, poiché que­ st'autore non parla esplicitamente della religione di Dante. 9 L'accusa di plagio è stata per esempio f