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Italian Pages XI,251 [264] Year 2003
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SCIENZE STORICHE 12
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Guido D’Agostino
POTERI, ISTITUZIONI ` NEL E SOCIETA MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO ISSN 1972-1455
Liguori Editore
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© 2003 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Ottobre 2003 D’Agostino, Guido : Poteri, istituzioni e società nel Mezzogiorno moderno e contemporaneo/Guido D’Agostino Scienze storiche Napoli : Liguori, 2003 ISBN
978 - 88 - 207 - 3555 - 5 (a stampa)
eISBN 978 - 88 - 207 - 6304 - 6 (eBook) ISSN 1972-1455 1. Storia moderna e contemporanea 2. Storia del Mezzogiorno
I. Titolo
II. Collana III. Serie
Aggiornamenti: ————————————————————————————————————––—————— 23 22 21 20 19 18 17 16 15 14 13 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
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INDICE
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IX
Introduzione Parte prima
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Temi e problemi di storia ispano-italiana mediterranea. Un percorso di studio
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Per una tipologia socio-storica delle citta` e dei centri urbani nei domini italiani della Corona d’Aragona (secoli XIV-XVII)
39
Monarchie, citta`, parlamenti nella storia d’Europa tardo-medievale e moderna Parte seconda
51
Napoli, capitale aragonese
61
Carlo V e Napoli: Citta`, Parlamento e Regno
79
Napoli al tempo di Filippo II
89
Il Seggio del popolo a Napoli tra regno aragonese e viceregno spagnolo
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viii
INDICE
Parte terza 99
Il Parlamento sardo del 1677-78
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Parte quarta 155
Dalla provincia preunitaria alla provincia-citta` metropolitana. Lineamenti storico-istituzionali
175
Per una storia elettorale di Caserta e dell’ambito casertano in eta` giolittiana. I rappresentanti locali alla Camera dei deputati
201
Materiali per una storia elettorale dell’Abruzzo (1946-1996) Parte quinta
243
Omaggio a un grande maestro: la macchina logica e narrativa del Capasso
247
Quasi una conclusione. Napoli tra passato e futuro
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INTRODUZIONE
Ancora un volume di saggi (il terzo, e dovrebbe concludere la serie) sul tema dei rapporti tra poteri, istituzioni e societa` nel Mezzogiorno, questa volta in eta` moderna e contemporanea. Come le due raccolte che lo hanno preceduto, nelle stesse edizioni Liguori, si tratta di studi, editi e inediti, compiuti nel corso degli anni piu` recenti, variamente motivati e rispondenti comunque ad interessi di fondo delle esperienze culturali e civili di chi scrive. Ovviamente, c’e` un filo sostanziale che li lega tra loro e c’e` anche, inevitabile, quel tanto di ‘ordine’ a posteriori che simili volumi miscellanei comportano quando si attende alla loro sistemazione complessiva. Ne sono scaturite, cosı`, piu` sezioni, tematiche e il piu` possibile omogenee: nella prima, si e` inteso fornire le ‘chiavi’ di un percorso di studio e di ricerca, con i punti di maggiore densita` di approfondimenti; nella seconda, si lumeggia la parabola di Napoli capitale mediterranea, in epoca aragonese, quindi al tempo di Carlo V e infine durante il lungo regno di Filippo II; nonche´ la vicenda storica riguardante il Seggio popolare cittadino. La terza parte e` invece dedicata ad un argomento di storia parlamentare d’antico regime, segnatamente al parlamento sardo del 1677-78, il primo dopo la grave crisi politica che investe l’isola nel sesto decennio del secolo. Con la quarta si affrontano casi di studio e di ricerca afferenti all’ambito della storia istituzionale – la Provincia di Napoli tra Ottocento e Novecento-, nonche´ di quella elettorale, attraverso le indagini orientate sui parlamentari di Terra di Lavoro in eta` giolittiana e sulla sequenza elettorale dell’Abruzzo contemporaneo. In chiusura, due brevi scritti: un omaggio a Bartolommeo Capasso e uno ‘schizzo’ fra cultura e politica, sul rapporto presente-passato, a partire da alcune riflessioni sulla Repubblica napoletana del 1799 (nella prospettiva del bicentenario). ***********
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
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Per debito di completezza dell’informazione, si danno di seguito rimandi e referenze in relazione a ciascun contributo. 1. Temi e problemi di storia ispano-italiana-mediterranea ripercore le tappe e i temi salienti di un ampio percorso di studio personale, nel corso di oltre un ventennio di applicazione (destinato alla rivista dell’Istituto di studi italo-iberici di Cagliari, “ Medioevo. Saggi e ricerche”, n. 25) 2. Per una tipologia socio-storica dlle citta` e dei centri urbani nei domini italiani della Corona d’Aragona (secoli XIV-XVII), (relazione al XVII˚ Congresso Internazionale di Storia della Corona d’Aragona, Barcellona-Lerida, settembre 2000; di imminente pubblicazione nei corrispondenti “Atti”). 3. Monarchie, citta`, parlamenti nella storia dell’Europa tardo-medievale e moderna (stralcio da lezioni e interventi tenuti in Spagna presso l’Universita` di Saragozza, nel maggio 2002 e presso il Centro di Studi Alto-aragonesi di Monzo`n nel giugno 2002; in parte pubblicato nella rivista “Arago`n en la edad media”, XVII, 2003, pp. 279ss.) 4. Napoli, capitale aragonese (saggio storico inserito nel volumecatalogo della relativa mostra, tenutasi a Napoli nell’autunno 1998, “La Biblioteca Reale di Napoli al tempo della Dinastia argonese”, a cura di G. Toscano, Valenza I998, pp. 127ss..L’iniziativa culturale e la corrispondente pubblicazione hanno avuto sia una versione italiana, sia una versione spagnola. 5. Carlo V e Napoli (relazione al convegno “Sardegna, Spagna e Stati italiani nell’eta` di Carlo V”, Cagliari-Villamar, dicembre 2000, in occasione del V˚ centenario della nascita dell’Imperatore; di imminente pubblicazione nei corrispondenti “Atti”). 6. Napoli al tempo di Filippo II (saggio storico inserito nel volumecatalogo della relativa mostra, “Napoli e Filippo II” presso l’Archivio di Stato di Napoli, I998, edito da G. Macchiaroli, Napoli 1998, pp. 27 ss.). 7. Il Seggio del Popolo a Napoli tra regno aragonese e viceregno spagnolo (inedito). 8. Il Parlamento sardo del 1677-78 (parte dell’introduzione storica elaborata per il volume complessivo dedicato a tale episodio della storia parlamentare sarda di antico regime, e di imminente pubbli-
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INTRODUZIONE
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cazione a cura del Consiglio Regionale della Sardegna nella collezione “Acta Curiarum Regni Sardiniae”). Dalla Provincia preunitaria alla Provincia-citta` metropolitana (contributo proposto in piu` sedi e occasioni, tra cui nella rivista “Nord e Sud”, n. 8, 1998, pp. 41 ss.). . Per una storia elettorale di Caserta e dell’ambito casertano in eta` giolittiana. I rappresentanti locali alla Camera dei Deputati (nel volume Caserta. Dalla Restaurazione alla Repubblica, 1815-1946, Paparo editore, Caserta 2001, pp. 87ss. ). Materiali per una storia elettorale dell’Abruzzo contemporaneo (saggio pubblicato, con le relative serie statistiche qui non riportate, nel volume einaudiano di storia regionale dedicato appunto all’Abruzzo, a cura di C. Felice e M. Costantini,Torino, 2000, pp. 727 ss.). Omaggio ad un grande Maestro (B. Capasso), testo elaborato per il convegno in onore di Bartolommeo Capasso nel centenario della morte, Sorrento 2001, di prossima pubblicazione nei corrispondenti “Atti”. Napoli tra passato e futuro (conferenza tenuta nel Salone d’onore del Municipio di Lione, e promossa dall’Istituto Italiano di Cultura della citta` transalpina, inverno 1999-2000).
Questo libro e` dedicato ai miei allievi, di ieri, di oggi e, si spera ancora tanti, di domani. Guido D’Agostino
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Parte prima
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TEMI E PROBLEMI DI STORIA ISPANO-ITALIANA MEDITERRANEA.
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UN PERCORSO DI STUDIO
Un lungo percorso culturale e di studio ha portato chi scrive ad approfondire a piu` riprese, e in momenti anche diversi, con inevitabili sovrapposizioni, talora, ma anche con la possibilita` ogni volta di incrementi e affinamenti ulteriori, temi e problemi di storia ispano-italiana, mediterranea, tra Medioevo ed Eta` Moderna, con riferimento specifico ai rapporti tra Mezzogiorno italiano, continentale e insulare, e il complesso geo-politico dei domini della Corona d’Aragona. Visti a posteriori, i nuclei forti di oltre un ventennio di lavoro, sembrano inscriversi – si tratti dei sovrani o delle assemblee rappresentative, delle citta` e segnatamente delle citta`-capitali, in primo, luogo Napoli – intanto nella cornice, assunta pero` non come mero contenitore, bensı` quale orizzonte fondativo del discorso, costituita dal processo di costruzione e affermazione dello Stato moderno in un’area cruciale del Mediterraneo. Si tratta di soggetti e attori che si rimandano, comunque, l’un l’altro, che intrecciano i propri ruoli e le corrispondenti iniziative e attivita`, che richiamano, insomma, a logiche e a prospettive comuni o, almeno, fortemente interagenti, sicche´ il punto di metodo piu` stringente non poteva eludere l’istanza della comparazione e, similmente, se non piu`, quella della piu` corretta considerazione della relazione tra dimensione “interna”, attinente agli ambiti “locali”, e dimensione “esterna”, propria della sponda iberica. Come si e` avuto modo di dichiarare apertamente, e qui si intende ribadire, «cura costante nell’abbordare momenti e argomenti cosı` delicati, e sovente controversi, sul piano storiografico, e` stata quella di evitare impostazioni unilaterali, nell’una e nell’altra direzione, e di cogliere piuttosto l’intreccio o l’impatto tra logiche e processi corrispondenti alle peculiari situazioni locali italiane, e gli impulsi, le sollecitazioni, i modelli messi in campo dal versante iberico, in buona sostanza legati al vario evolversi
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
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dell’espansione catalano-aragonese, come in seguito e piu` in generale, alle esigenze della monarchia aragonese-castigliana e quindi di quella ispanoasburgica»1.
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Napoli, l’“ambigua” capitale mediterranea Napoli, la sua storia, la sua straordinaria parabola di citta` capitale per oltre mezzo millennio, ha costituito un interesse forte e costante, ravvivato da esigenze e ragioni anche trascendenti il campo della mera applicazione scientifica storiografica. Ad essa ci si e` comunque avvicinati valorizzando al massimo gli apporti recati al tema-citta`, sia in generale sia in riferimento ad esempi specifici, e dentro la costruzione di reti di modelli e tipologie su scala europea e mondiale, dalle scienze sociali alla nuova storiografia. Nel caso Napoli, e` emersa appunto dagli studi la peculiarita` della condizione di “metropoli politica”, come e in quanto “capitale”, con tutta una serie di fattori connessi a tale precipuo status. Si pensi all’insorgere e al consolidarsi di un’altrettanto caratteristica “relazione di reciprocita`” con la dinastia regnante; la presenza stabile della corte, con la sede del governo e la dimora dei re; l’attivazione di uffici funzionari al dispiegarsi dello “Stato macchina”, in conformita` con l’evoluzione generale verso forme e procedure dello “Stato moderno”, e in grado di svolgere il proprio ruolo anche in assenza del sovrano; ancora, la dimostrata capacita` di guida e di controllo rispetto al resto del paese e l’affermazione crescente come esempio e modello di buon governo che si irradia dal centro alla periferia. Tutto cio`, si e` ravvisato con grande evidenza nella fattispecie napoletana – e riteniamo di averlo mostrato a sufficienza – soprattutto a partire dall’arrivo nel Regno e nella citta`, nel Quattrocento inoltrato, dei monarchi aragonesi, ai quali va riconosciuto il merito di aver dato solido corpo e sicura consistenza alla precedente intuizione angioina, peraltro largamente indirizzata dalla perdita della base siciliana e dalla conseguente, necessitata, dislocazione dell’asse territoriale strategico in direzione del continente. In ogni caso, e` proprio in concomitanza con il regno di Alfonso il Magnanimo che risulta esaltata anche la funzione economica di Napoli, grande emporio dentro il circuito delle rotte mediterranee dell’esteso com1
G. D’Agostino, Gli Stati italiani e la Corona d’Aragona. Potere regio, istituzioni, assemblee rappresentative, in Id., Poteri, istituzioni e societa` nel Mezzogiorno medievale e moderno, Napoli, 1996, p. 93.
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TEMI E PROBLEMI DI STORIA ISPANO-ITALIANA MEDITERRANEA
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mercio catalano, e nel contesto di un sistema di scambi, e quasi di una sorta di “divisione del lavoro” sullo scacchiere mediterraneo stesso, coinvolgente il complesso di Stati e domini conglobati nella Corona d’Aragona. Piu` tardi, con i successori del Magnanimo, gli Aragonesi di Napoli in senso stretto, si vede realizzato il superamento in senso rinascimentale della Napoli medievale; incrementarsi, al tempo stesso, quella che abbiamo definita la soggettivita` politica e giuridico-istituzionale della capitale, con ripercussioni positive sul tessuto demografico, sugli aspetti strutturali come su quelli urbanistici, della tipologia abitativa e della stessa vita comunitaria. Gia` al tempo di Ferdinando il Cattolico, peraltro, e quindi con la nascita del “viceregno”, mentre il tasso di dipendenza e di subordinazione del Regno alle esigenze della politica iberica di sicuro tende ad aumentare, il ruolo e il prestigio della citta` restano intatti e anzi persino accresciuti. Se ne vedranno ulteriori sviluppi nell’epoca del vicere´ Toledo, quando pero` comincia a manifestarsi la divaricazione tra capitale e Regno, «tra le dimensioni dell’una e il correlato impoverimento, assorbimento dell’altro; alla crescita materiale, fisica, della citta`, corrisponde il declino sociale e produttivo, in una spirale di eventi e fenomeni tenuta ancora sotto controllo dalla ferrea autorita` del vicere´ – promotore di un incisivo riassetto territoriale rispondente ai canoni ed alle esigenze dell’assolutismo – ma destinata a esplodere successivamente»2. Si tratta di un punto di estrema complessita` e interesse, una sorta di incrocio obbligato su cui si e` cimentata un po’ tutta la storiografia napoletana piu` recente – e noi con essa – sulla scia degli studi di G. Galasso. Piu` avanti ancora negli anni, in effetti, lo squilibrio appena delineatosi si assestera` in termini di parassitismo, assistenzialismo, carenza di sviluppo autopropulsivo, “contaminazione feudale” progressiva, cui non sara` efficace contrappeso il pur indubbio primato politico-istituzionale, l’essere la capitale e la sua rappresentanza uno dei cardini del sistema politicorappresentativo interno, accanto e dentro lo stesso Parlamento generale del Regno. Non a caso a meta` Seicento, saranno i Seggi nobili cittadini a surrogare funzioni e ruolo dell’assemblea rappresentativa plenaria, di fatto non piu` convocata. In tutto cio`, in definitiva, le radici rinvenute di quella “ambiguita`” della Napoli capitale, su cui personalmente abbiamo insistito al punto da connotare e designare da essa la stessa realta` cittadina, sintomo ed espressione di una contraddizione di fondo, di una frattura grave e 2 G. D’Agostino, Napoli: una capitale mediterranea, in Le ideologie della citta` europea dall’Umanesimo al Romanticismo, a cura di V. Conti, Firenze, 1993, p. 192.
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
foriera di problemi di lunga durata e parimenti insanabili tra quantita` e qualita`, tra sociale e politico, tra regressione e spinta in avanti, modernizzatrice.
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Le citta` nei domini italiani della Corona d’Aragona L’approfondimento del peculiare caso storico costituito dalla vicenda della citta` capitale napoletana, ha di certo funzionato da stimolo e da traino per ulteriori curiosita` e domande, e corrispondenti risposte, sul terreno della personale investigazione scientifica. Una volta ancora, si e` trattato di un muoversi per reti di interessi, attorno a temi fortemente intrecciati l’uno con l’altro, necessitanti di per se stessi un approccio accentuatamente comparativo. D’altronde, era ed e` ben noto che la centralizzazione dello Stato e la concorrente riduzione delle funzioni politiche cittadine, e in termini piu` generali il quadro dei rapporti tra citta`, municipi, da un lato, e monarchie, Corone dall’altro, di antagonismo, di scontro, di compromesso, abbia caratterizzato la storia europea, e in essa il processo di formazione dello Stato moderno, tardomedievale e protomodemo. E non solo, ma anche che, una volta che l’annichilimento delle citta` sul piano politico, la loro “destrutturazione politica”, voluta e perseguita dai poteri forti messi comunque in campo dall’istanza monarchica, o signorile, diviene un dato di fatto incontrovertibile, parte l’iniziativa delle citta` stesse in direzione di quelli che sono stati definiti, da chi scrive, come fruttuosi e significativi “percorsi di adattamento”, e in vista di conseguirne in ogni caso la condizione dell’‘‘essere citta` nello Stato”. E` come se la pienezza dei poteri sovrani e il trionfo della statualita` stessa si fossero acconciati a fare i conti con il gioco delle molte variabili geografiche, territoriali ed economiche, delle trasformazioni sociali e politiche, delle componenti culturali, religiose e ideologiche, del fattore patriottico e militare. Ancor piu`, pero`, come se risultassero condizionate dalle coordinate spazio-temporali e dalle modalita` in cui viene a impostarsi il rapporto con le citta`, e dai relativi esiti. Seguendo tali suggestioni, si sono rintracciati i detti percorsi di adattamento, situati dentro un complesso quadro, o mappa, di riferimento, sagomato per aree geografiche e fasi di sviluppo. Opzioni economiche e fattori-guida, o risorse, di carattere piu` squisitamente politico, modellano i destini di innumerevoli citta` francesi, tedesche, spagnole, inglesi, italiane, e di tanti altri contesti nell’ambito del continente. Tra queste ultime spiccano le citta`-capitali, per le loro straordinarie, peculiari caratteristiche, che ne fanno autentiche metropoli politiche (tra cui Napoli, assieme a Londra e
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TEMI E PROBLEMI DI STORIA ISPANO-ITALIANA MEDITERRANEA
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Parigi, soprattutto) nel cui schema rientrano, a ogni buon conto, anche le citta` non capitali, o capitali “anomale” (tipo Valladolid, Amiens e Barcellona, tra le altre). Accanto alle metropoli politiche, le metropoli sociali, quelle specializzate (nel senso di rese “speciali” e in quello di “dedicate”) in relazione a particolari modi e tempi dello sviluppo economico sociale (Lione, in Francia, tra le tante; Bristol e York in Inghilterra). Per tutte, in definitiva, una configurazione di e da “laboratori”, corposi e formicolanti, come nota A. Caracciolo, di autentici “crogiuoli di novita`”. Di qui, e con questo “armamentario”, l’applicazione di idee, concetti, riscontri storici e storiografici ai territori italiani-mediterranei della Corona d’Aragona, alla realta` delle citta` sarde, del Mezzogiorno continentale, in prospettiva (ma il lavoro e` in corso) della Sicilia. Si sono cosı` verificate, sia le politiche regie e signorili di impatto e confronto con citta` e municipi, sia le resistenze e le reazioni delle une e degli altri, in pratica il dispiegarsi, anche in quest’ambito territoriale e geopolitico specifico, dei “percorsi di adattamento” delle citta` rispetto agli Stati e alle cornici istituzionali e politiche su di essi centrati. Con l’avvertenza, anche qui ripetuta, di non aspettarsi trasposizioni meccaniche, sovrapposizioni o effetti “fotocopia”, essendo sempre indispensabile intrecciare “locale” e “generale”, distinguere tempi, fasi, modalita`. Nel caso in questione, largo spazio si e` visto doversi riconoscere – per le citta` sarde, in specie – alle riforme degli ordinamenti interni municipali operate da Ferdinando il Cattolico, sostituendo meccanismi di sorteggio alle procedure elettorali, o designatorie, in vigore fino ad allora, seguendo in cio` il “modello” barcellonese. In tal modo, si sarebbe affermato il primato del “fattore” regio rispetto agli organismi dell’(auto)governo cittadino; insieme, si sarebbe “raffreddato” il clima competitivo interno alle oligarchie locali; colpito duramente il municipalismo come roccaforte delle resistenze all’accentramento regio, nonche´ migliorate le possibilita` di intervenire in campo finanziario e fiscale. La riforma ferdinandea giunge, in verita`, come “terzo tempo” rispetto al primo, rappresentato dalla congiuntura della conquista e del primitivo allineamento istituzionale (non diversamente da quanto si e` realizzato sul terreno delle assemblee rappresentative), e al secondo, culminato nella maggiore integrazione della Sardegna nei domini della Corona d’Aragona, ma anche nella divaricazione, e a tratti radicale contrapposizione, tra le esperienze di Cagliari e di Sassari, sia a livello sociale che politico, oltre che giuridico-istituzionale. Dopo resistenze e ostilita` anche assai violente, la “normalizzazione” imposta dal Cattolico passa, sull’esempio ancora di quanto verificatosi a Barcellona, e pervade,
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
una dietro l’altra, le citta` dell’isola, accettata con maggiore o minore tranquililta` e adattamenti. Quanto al “teatro” napoletano, scenari e attori sostanzialmente diversi, o ispirati da strategie diverse: per il Magnanimo, ad esempio, la citta`capitale sembra essere piuttosto una “carta di riserva” da giocare, se e quando occorra, contro il baronaggio. In breve, pero`, si faranno sentire I’‘‘effetto-citta`” e la “logica della capitale”, sino al raggiungimento di uno status, politico, economico e giuridico, di assoluto rilievo. Non vi sono interventi riformatori o limitativi delle procedure che presiedono al funzionamento dell’organismo di governo locale (Tribunale di San Lorenzo). Vi ha luogo, a fine ‘400, l’integrazione della componente “popolare” (borghesia), ma fondamentalmente la capitale continua ad amministrarsi secondo le sue proprie, antiche regole. E continuera` a farlo anche in seguito, in epoca vicereale, come abbiamo noi stessi mostrato e come ha ribadito un maestro di tali studi, M. Berengo. Naturalmente non mancano problemi e tensioni, ma questi tendono a scaricarsi piuttosto sulle relazioni tra i ceti, o anche sui difficili rapporti tra questi ultimi e l’autorita` viceregia. Con il Toledo (prima meta` del XVI secolo) si arrivera` a una manipolazione pesante dei meccanismi di formazione della rappresentanza “popolare”, e per questa via a un indubbio controllo della “macchina” amministrativa della capitale. Il tutto nell’orbita del destino “castigliano” di Napoli (contrapposto a quello “catalano” per le citta` sarde e a quello, forse, piu` “ siciliano” per quelle della Sicilia), come prezzo pagato all’essere citta` nello Stato, come si e` detto, e che sfocera` confusamente a meta` Seicento nella rivolta masanielliana, embrionale riscoperta, secondo Berengo, addirittura della patria-comunita`. Accanto a Napoli, comunque, non poche altre entita` urbane, compongono una galassia cui dovra` dedicarsi l’allargamento delle prospettive di studio e ricerca (peraltro in corso), e lo stesso discorso vale per il contesto siciliano, per il quale occorrera` fare mente locale almeno sulla capitale, Palermo, e sulle sue principali antagoniste, Messina e Catania.
Parlamenti e assemblee rappresentative Alle istituzioni “parlamentari” di antico regime, e comunque alle assemblee rappresentative tra basso Medioevo e prima Eta` Moderna, chi scrive ha dedicato molti e impegnativi saggi e ricerche, tra storia e storiografia. “Cuore” dei cosı` numerosi interventi, la trattazione storica riguardante il Parlamento generale del Regno di Napoli tra Quattrocento e Seicento,
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TEMI E PROBLEMI DI STORIA ISPANO-ITALIANA MEDITERRANEA
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attraverso studi circostanziati, pubblicazioni di fonti, sintesi tematiche, entro un quadro accentuatamente comparativo (con riferimento alle analoghe istituzioni sarde e siciliane), in stretta relazione con la storia parlamentare spagnola coeva, e senza perdere d’occhio l’influenza dell’ideologia “pattista” tipicamente catalano-aragonese, il ruolo delle citta` in parlamento, e segnatamente della capitale Napoli (in parallelo, quello di Palermo e Cagliari), oltre che, beninteso quello dei sovrani e dei loro piu` influenti ministri e funzionari. Un tema, insomma, dalle molte interazioni, caratterizzato da nodi metodologici e concettuali rilevanti, su cui ci si potra` qui soffermare, piuttosto che su spaccati di ricostruzione storica analitica, gia` compiuta e ai quali quindi si rimanda. Si e` accennato, ad esempio, al ruolo di Napoli in assemblea; esso si e` configurato come l’esito di un lungo percorso dentro l’istituzione rappresentativa maggiore, al punto da guadagnare i luoghi-chiave progressivamente – tra la fine del XV secolo e i primi decenni del secolo seguente –, all’interno delle piu` potenti deputazioni speciali attive in quella, e in particolare nelle istanze ristrette incaricate dell’elaborazione delle “grazie” (le richieste avanzate dall’assemblea al vicere´ e al sovrano) e del controllo della ripartizione del donativo (la somma “offerta” dai sudditi regnicoli al sovrano). Orbene, nelle une e nelle altre la citta` compare, autorevolmente accanto ai membri designati del baronaggio titolato e di quello “privato”, attraverso esponenti del proprio patriziato, ceto protagonista di una formidabile ascesa all’ombra dei Seggi nobili cittadini, tanto piu` aggressivi, politicamente, quanto piu` resi pressocche´ inaccessibili a nuove «ascrizioni». Ovviamente, il profilo istituzionale non e` mai stato considerato nella sua esclusiva essenza giuridicoformale, quanto, invece, con larga attenzione per i fenomeni sociali e politici in atto, i rapporti di potere profondamente incidenti sulla realta` complessiva del Regno, nonche´ per la natura e i modi della relazione basica tra governati e governanti, di cui il livello parlamentare e` proiezione e riscontro. Ne e` risultato un quadro mosso, in evoluzione nelle varie epoche e fasi prese in esame, da cui e` emersa netta la vitalita` dell’istituzione, il suo porsi variamente, ma costantemente, come sede, occasione, strumento di rapporti e di processi eminentemente politici, riconducibili al confronto tra Regno meridionale continentale, con Napoli capitale in testa, anche in parlamento, e Corona aragonese, o, piu` tardi, ispano-asburgica. Al riguardo, e soprattutto in relazione all’asserita pervasivita`, se non superiorita` annichilente dei modelli istituzionali spagnoli corrispondenti (cortes o corts che fossero), impregnati positivamente dalle concezioni “pattiste” e ritenute capaci di mettere letteralmente in moto, o comunque
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rivitalizzare, le assopite o poco reattive assemblee napoletane, siciliane, sarde, si e` avuta cura di verificare e sostenere un punto di vista notevolmente diverso. In altri termini, si e` visto e mostrato come i parlamenti del meridione italiano, pur inseriti nel contesto della consociazione italo-iberica costituita dalla Corona d’Aragona, abbiano posseduto sostanziale efficacia e autonomia, una considerevole suscettibilita` a svolgersi ed evolversi “per linee interne”, per cosı` dire, oltre che in relazione, mai inerte, in ogni caso, con i “modelli” spagnoli. E la riprova la si e` agevolmente riscontrata e illustrata nel diverso cammino intrapreso e compiuto in Napoli, Sicilia e Sardegna, addirittura in direzione di un rafforzamento parlamentare, mentre proprio nella penisola iberica le locali assemblee rappresentative sarebbero andate incontro al declino imposto loro dal montante assolutismo. In particolare, si e` cercato di tenere insieme i diversi fili di un discorso che si profilava peraltro convincentemente unitario, elaborando uno schema, logico e cronologico, incentrato su tre momenti essenziali che avrebbero scandito la storia dei parlamenti sull’una e l’altra sponda mediterranea. In principio, quello dell’impatto istituzionale “iniziale” e della cosiddetta “prima ispanizzazione”, naturalmente diverso e sfalsato nel tempo secondo che si tratti delle assemblee di Sicilia (fine XIII secolo), Sardegna (1355 e anni seguenti) o, ancora piu` tardi, Napoli (1442). Con le opportune puntualizzazioni e distinzioni, in coerenza con le diverse situazioni sociali e politiche, locali e generali, si e` dato spazio alla possibilita` di una ricostruzione non mediocre – ci sembra – di storia istituzionale e parlamentare, adottando, quando necessario, la tecnica dello “sguardo incrociato” (Mezzogiorno-Spagna-Mezzogiorno). Quindi, il momento della “seconda ispanizzazione”, in anni e contesti ormai piu` maturi, quasi ovunque coincidente con l’affermazione – a partire dall’avvento del Cattolico – di una forte monarchia iberica unitaria, seguita dal trionfo dell’assolutismo e della centralizzazione sotto l’egida castigliana. In ultimo, come si e` gia` accennato, il momento degli esiti, differenziati, e della “crisi finale”, tra Sei e Settecento. Il tutto, per ribadire «che c’e`, paradossalmente, quasi un rovesciamento di ruoli, tra assemblee spagnole e parlamenti italiani, le prime in declino e i secondi, se non in progresso, in tenuta e a tratti in ripresa. E cio` a riprova, non meccanica, ovviamente, del collegamento vitale tra storia spagnola e storia italiana, ma ancor piu` della specificita`, se non autonomia, della dimensione istituzionale della Storia»3. 3 G. D’Agostino, Assemblee rappresentative di Sicilia, Sardegna e Napoli nell’eta` spagnola, in Id., Poteri, istituzioni cit., p. 140.
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TEMI E PROBLEMI DI STORIA ISPANO-ITALIANA MEDITERRANEA
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“Mestiere di re” e formazione dello Stato moderno: le politiche di Alfonso il Magnanimo e Ferdinando il Cattolico nei territori italiani E` per certi versi il tema maggiormente “di contesto”, nel senso che affronta il cruciale rapporto Spagna-Mezzogiorno italiano, continentale e insulare, seguendo in particolare ruolo e attivita` dei sovrani, essenzialmente Alfonso il Magnanimo e Ferdinando il Cattolico, nel solco del processo, basico, di formazione dello Stato moderno. La “cifra”, emblematica, di questa sezione dell’impegno storiografico e di ricerca cui ci stiamo riferendo potrebbe essere identificata con la piu` volte richiamata e puntigliosamente ricostruita “prospettiva locale”, intesa ancora una volta – e contro ogni interpretazione riduttiva o fuorviante – nell’individuazione delle linee “verticali” del processo storico, a partire dalle quali si concretizzano poi gli sguardi incrociati, i percorsi di andata e ritorno, le connessioni, gli intrecci, le interazioni reciproche, i movimenti orizzontali. Se e` corretto, in altri termini, parlare di un sistema “ispano-italiano-mediterraneo”, cio` non puo` sottendere «la sovrapposizione escludente di una realta` – la piu` forte – sull’altra, quella necessariamente subordinata»4, e dunque, non fenomeni di acculturazione, piu` o meno drastica, quanto incontro sistematico, di culture, di civilta`. Senza escludere,per questo, momenti e questioni da cui si evincano piu` agevolmente “cessioni” e “assorbimenti”, e sempre tenendo presenti le situazioni di volta in volta diverse che si vengono a determinare e nelle quali, oltre che rispetto alle quali, attori e protagonisti si trovano ad agire. Il Magnanimo e il Cattolico operano a diversi decenni di distanza, l’uno alle prese con la straordinaria impresa dell’impero mediterraneo catalanoaragonese, «lo sforzo piu` consistente che da parte di una potenza occidentale sia stato fatto nel medio evo per affermare, con la propria egemonia, anche una certa unita` politica dell’intero bacino mediterraneo»5 come ci ricorda M. Del Treppo. L’altro, artefice di una sorta di “seconda ispanizzazione”, resa necessaria dalla raggiunta unificazione della monarchia spagnola, dalla nuova proiezione diplomatica internazionale che le compete, dal recepimento dell’eredita` politica mediterranea della Corona d’Aragona, dall’impulso che proviene dalle risorse castigliane e “americane”. Con tali presupposti, linee comuni di iniziativa e intervento, in Sicilia, in Sardegna e
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G. D’Agostino, Gli Stati italiani cit., p. 120. M. Del Treppo, L’espansione catalano-aragonese nel Mediterraneo, in Nuove questioni di Storia Medioevale, Milano, 1964, p. 280. 5
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a Napoli, ma anche adeguamenti e flessibilita`, diversificazioni suggerite dalle realta` locali specifiche. Con entrambi, e dovunque, riforme e svecchiamento, che vuole essere “modernizzante”, in campo istituzionale e politico; salutari “scosse” sul terreno sociale ed economico; ma, allo stesso modo, realistica considerazione delle configurazioni “indigene” delle relazioni sociali e dei rapporti di potere, da non sconvolgere e da maneggiare, anzi, con cura e persino “rispetto”, pur dentro un orizzonte “aristomonarchico”, e tenendo ferma l’area dell’autoritarismo regio, e in ogni caso a meno che le circostanze non rendessero necessarie incursioni piu` profonde nel corpo dei diversi domini italiani. Insomma, piu` compromessi e mediazioni, che non rotture e imposizioni nette, in cio` concorrendo sia i modi e le ragioni provenienti, soprattutto a Napoli e in Sicilia, ma piu` tardi anche in Sardegna, dall’interno delle societa` locali, sia le attitudini e la peculiare progettualita` della monarchia iberica e dei suoi piu` grandi sovrani. Nel caso specifico di Napoli, lo strutturarsi delle relazioni con il sovrano (Alfonso il Magnanimo) si e` in effetti ricostruito alludendo al «quadro di una indiscutibile subordinazionazione di interessi e aspettative locali al primato economico e politico-burocratico catalano», nel quale, comunque, «non v’e` dubbio che il coinvolgimento di Alfonso nei fili spesso intricati della politica napoletana (ma anche meridionale e italiana), sia intenso e convinto, e altrettanto forti ne risultino le spinte all’adattamento e alla ricerca di mediazioni e compromessi. Al punto che la stessa necessita` di consolidamento della conquista e di radicamento del nuovo dominio si traduce, sul piano interno, nella ricerca di appoggio sostanziale del baronaggio meridionale all’azione promossa dalla Corona e dal governo regio, con effetti di rafforzamento del vecchio ordine. E persino quei tratti di cultura e di prassi giuridico-istituzionali considerati, e non a torto, l’essenza della civilta` storica e politica dell’impero mediterraneo catalano aragonese – il pattismo e la delega dei poteri – stentano, soprattutto il primo, ad avere compiuto corso nel Regno. E del resto, difficilmente potrebbero averlo, dal momento che proprio il Magnanimo mostra di preferire l’autoritarismo cui puo` conformare il proprio operato a Napoli, al defatigante contrattualismo impostogli in Barcellona»6 . E da questo punto di vista, puo` dirsi che la “pregiudiziale” localista si e` confrontata con le teorie e le visioni “aragonesizzanti” di un Del Treppo, come con le implicazioni reitalianizzanti di un Galasso, sostanziandosi delle rinvenute emergenze della citta`-capitale, per un verso, e del Parlamento 6
G. D’Agostino, Gli Stati italiani cit., p. 120.
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TEMI E PROBLEMI DI STORIA ISPANO-ITALIANA MEDITERRANEA
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generale del Regno, per l’altro. Piu` in generale si e` cosı` potuto osservare l’agire di un «peculiare quanto attivo spirito di compromesso tra vecchio e nuovo, tra forze, obiettivi e strategie delle due parti in campo, tra adattamenti funzionali degli apparati preesistenti e invenzioni piu` o meno felici di segmenti e articolazioni istituzionali, che sembrerebbero connotare piu` realisticamente un comune ‘modello’ ispano-italico-mediterraneo, pur con le sue inevitabili varianti. Teorie e pratiche di compromesso e di mediazione presenti, in effetti, soprattutto nel contesto dei rapporti tra la Corona e i parlamenti locali, e ancora tra la prima e le citta` principali, innanzitutto le relative capitali»7. Su questa strada, peraltro, si e` anche giunti a parlare, con A. Musi, di «via napoletana allo stato moderno», frutto di un assai caratteristico «insieme di compromessi e convergenze, di interessi tra la Monarchia e i ceti regnicoli, la prima tesa a valorizzare la posizione geo-politica del Regno di Napoli e il suo patrimonio di risorse entro il contesto imperiale sovranazionale – una tendenza non nuova se si pensa alla confederazione aragonese-; i secondi, tesi a salvaguardare prerogative, ad esprimere modelli differenti di autonomia e costituzione del Regno, forme di rappresentanza, resistenza e contrattazione con la Corona»8. Il che sarebbe di fatti riuscito, oltre che depersonalizzando uffici e cariche pubbliche principali, organizzando strutture permanenti di esercito, burocrazia, diplomazia, ponendo concrete basi alla teoria e alla prassi del “governo delegato” (vicere´ e Consiglio collaterale), soprattutto attuando duttili compromessi tra Corona e feudalita`, corte e capitale, fisco e opera9 tori economici privati, Chiesa e Stato, appunto .
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G. D’Agostino, Gli Stati italiani cit., p. 103. A. Musi, Mezzogiorno spagnolo. La via napoletana allo stato moderno, Napoli, 1991, p. 7. 9 Gli scritti di Guido D’Agostino cui fare riferimento (anche per ulteriori rimandi bibliografici) e sulla scorta dei quali si e` redatta la presente rassegna sono: La Capitale ambigua. Napoli dal 1458 al 1580, Napoli, 1979; Parlamento e societa` nel Regno di Napoli (secoli XV-XVII), Napoli, 1979; Le istituzioni parlamentari nell’Ancien Re´gime, Napoli, 1980; Citta` e monarchie nazionali nell’Europa moderna, in Modelli di citta`, a cura di P. Rossi, Torino, 1987; Per una storia delle istituzioni parlamentari, Napoli, 1994; Per una storia di Napoli capitale, Napoli, 1986. Si vedano inoltre le relazioni ai convegni storici della Corona d’Aragona, in particolare quelli svoltisi in Sardegna (1990) e a Jaca (1993), nei volumi di atti corrispondenti, e, ancora quella tenuta al convegno di Barcellona (2000): Per una tipologia socio-storica delle citta` nei domini italiani della Corona d’Aragona. Molti saggi, anche tra quelli qui segnalati, sono apparsi in spagnolo, in volumi e pubblicazioni periodiche che hanno visto la luce negli ultimi anni in Spagna. 8
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PER UNA TIPOLOGIA SOCIO-STORICA DELLE ` E DEI CENTRI URBANI CITTA NEI DOMINI ITALIANI DELLA CORONA D’ARAGONA (SECOLI XIV-XVII)
Questa relazione, dedicata all’evolversi del quadro dei rapporti tra citta` e monarchia, centri urbani e potere statale, nell’ambito dei territori italiani della Corona d’Aragona (Sardegna e Napoli), costituisce una prima elaborazione, ancora per certi versi provvisoria, di una ricerca piu` ampia ed organica, sia nel senso che dovra` toccare nella redazione finale anche il contesto siciliano, sia in quello di una complessiva sistemazione del tema, correlato a momenti e problemi di storia istituzione piu` generale. La tipologia che ci si ripromette di costruire, e che qui il lettore trova piu` che abbozzata, risponde a una istanza di analisi e di approfondimento che muove dalla consapevolezza di essere in ogni caso di fronte a caratteri, tempi, modalita` peculiari e distinti di un processo che nelle sue linee generali riguarda e coinvolge, con un movimento che procede dal centro alla periferia, non solo la consociazione di stati raccolti nella forma “plurali1 sta coordinata” della Corona stessa, ma in pratica l’intera Europa tardomedievale e moderna. E di tale processo, del resto, i riscontri storiografici sono stati e continuano ad essere assai larghi e qualificati. Ne risulta messa a fuoco la complessa fenomenologia per cui, su scala europea, occidentale, soprattutto, ma non esclusivamente, via via con l’emergere e il consolidarsi delle monarchie nazionali o anche di cospicue formazioni statali ‘regionali’, con l’affermarsi comunque di piu` ampie articolazioni territoriali e piu` incisive espressioni di statualita` e, ancor piu`, con lo sviluppo delle configurazioni istituzionali corrispondenti allo stato moderno, e piu` tardi, allo stato 1
J. Lalinde Abadia, L’influenza dell’ordinamento politico-giuridico catalano in Sardegna, in Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo. Storia di una citta` e di una minoranza catalana in Italia, a cura di A. Mattone e P. Sanna, Sassari, Gallizzi, 1994, p. 274ss.
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assoluto, si delineano e prendono vigore politiche regie, e/o signorili, di impatto e confronto con citta` e municipi. L’intento, o la necessita`, dal punto di vista dei detentori del massimo potere pubblico costituito e` quello, secondo i casi, i tempi e le circostanze, di contrastare le une e gli altri, non piu` visti e riconosciuti come i campi privilegiati della convivenza pubblica e poli di animazione e di identita`2, quanto piuttosto individuati quali soggetti o aree di potere, antagonisti e privilegiati, variamente autonomi, sia interni sia esterni al contesto che va prevalendo, ridimensionandoli, inglobandoli, comprimendoli, e, quando occorra, annichilendoli. A fronte di cio`, le reazioni e le resistenze di citta` (e relativi municipi), il loro cercare di proporsi quali “cellule vitali”3 all’interno dei nuovi sistemi politici ed economici in cui si sviluppa la societa` europea, di cui parimenti la storiografia ha registrato e registra il corso. In effetti, se la posta in gioco e` la loro “destrutturazione politica”, la riduzione a “semplici enti territoriali amministrativi”4, non puo` sorprendere l’altrettanto complessa strategia di risposte e contro-iniziative messa in campo, la fitta trama di quelli che sono stati definiti, soprattutto a partire da una certa fase di svolgimento del contrasto, alle soglie dell’eta` moderna propriamente intesa (secolo XV), quali veri e propri “percorsi di adattamento”5 delle citta` rispetto agli stati e alle cornici istituzionali e politiche su di esse centrate.In altri termini, se puo` convenirsi che un punto di condensazione, se non di risoluzione in assoluto dello scontro in atto, e` dato appunto dall’‘‘essere citta` nello stato”6, va altresı` precisato – come chi scrive ha ritenuto di dover fare – che su tale nuova condizione influiscono in maniera determinante la sperequazione vistosa tra le forze in campo, la decisa spinta di cui sembra dotata la statualita`, e non vi sono estranee profonde modificazioni sociali, tra le schiere borghesi come tra quelle nobiliari. Allo stesso modo, giocano, per la propria parte, fenomeni di perdita controllata e strumentale di identita` e di 2
M. Berengo, L’Europa delle citta`. Il volto della societa` urbana europea tra Medioevo ed Eta` moderna, Torino, Einaudi, 1999, p. XIII. 3 G. Chittolini, La citta` europea tra Medioevo e Rinascimento, in Nodelli di citta`. Strutture e funzioni politiche, a cura di P. Rossi, Torino, Einaudi, 1987, p. 391 (il volume miscellaneo di P. Rossi e` stato riedito presso le edizioni di Comunita`, Milano 2000). 4 G. Galasso, Potere e istituzioni in Italia. Dalla caduta dell’impero romano ad oggi, Torino, Einaudi, 1974, p. 83. 5 G. D’Agostino, Citta` e monarchie nazionali nell’Europa moderna, in Modelli di citta`, cit., pp. 395 ss.; per una versione piu` ampia, v. nella rivista “Tempo Nuovo”, 39/40, (XXI), luglio-dicembre 1987, ma anche nel volume Per una storia di Napoli capitale, Napoli, Liguori, 1988, p. 16-46. 6 P. Anderson, Lo stato assoluto, Milano, Mondadori, 1980.
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PER UNA TIPOLOGIA SOCIO-STORICA DELLE CITTA` E DEI CENTRI URBANI
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nerbo politici cui si abbandona, in diversi casi e in qualche misura con intenzionalita`, l’elemento cittadino tentato dall’opportunita` di potersi dedicare esclusivamente alle cure del proprio ‘particulare’. La mente e la mano del sovrano, o del signore, e lo stesso ‘apparato’ dello stato, possono e fanno dunque molto, anzi moltissimo, ma non tutto. Come e` stato osservato7, essi piegano e utilizzano le autonomie cittadine fino a farle diventare uno strumento di amministrazione statale. Al caso, si avvalgono pure degli antichi privilegi dei maggiorenti cittadini assorbendone la sostanza ma deviandone potenzialita` ed effetti; manovrano, infine, i processi di mobilitazione sociale ai fini degli equilibri interni di ceto e fra i ceti. In piu`, vantaggi di non poca entita` provengono a corti, governi e corone da circostanze quali la debolezza, o importanza ridotta, delle citta` rispetto all’ambito rurale mano a mano che ci si inoltra nell’eta` moderna e in particolari contesti, come si puo` vedere in area mediterranea e tedescomeridionale, dove pure il fattore umano-borghese era apparso originariamente piu` forte. E ancora, la persistenza nelle citta` di valori non immediatamente strutturali, cioe` culturali, ideali e simbolici, spendibili, in quanto tali, senza rischio per le grandi monarchie sul piano politico piu` generale. Citta` e Stato, insomma, tornano in eta` moderna in relazione tra loro, ma in maniera diversa che nel passato, piu` o meno recente: ora, la prima appare subordinata, o destinata a subordinarsi, al secondo. Ma per cio` stesso, e di qui, lo sviluppo di una rete sempre piu` intensa di interferenze e di interazioni orientate, di necessita` o per compensazione, in molte altre direzioni. Cosı` che i nodi centrali posti dalla citta` come istituzione politica, quelli della riclassificazione dei poteri al proprio interno e di una ridisegnata contrattualita` quanto alla proiezione esterna – in primo luogo, evidentemente, proprio in rapporto allo stato – vanno a collocarsi entro la cornice di tale scambio complesso di apporti reciproci. Avviene che valori e funzioni tipicamente urbani vengano trasposti dalla citta` all’interno del nuovo modello statale, riconnessi al senso generale dello stato territoriale che va ora a costituirsi nel suo insieme come la “citta` nuova”, a riprova delle capacita` assimilatrici dei grandi organismi politici, istituzionali e territoriali che dominano la scena, ma anche della vitalita` della stessa istanza urbana. Alle spalle e alla base dell’incontro/impatto con stato moderno e monarchia assoluta, e dei percorsi di adattamento cui da` luogo, per la citta` c’e` un ‘codice’ di risorse e peculiarita`, un patrimonio in parte naturale e in parte storico, acquisito e maturato nel tempo. 7
G. D’Agostino, Citta` e monarchie ecc. cit.
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Ne sono parte integrante quei tratti che consistono nei piu` marcati elementi fisionomici e formali, nella spiccata vocazione culturale e nella funzione di catalizzazione sul terreno sociale ed economico, nell’essenza tipica di spazio critico in cui si enfatizzano e precipitano le tensioni di un sistema piu` vasto, il continuum citta`-campagna o le entita` territoriali su scala almeno regionale8 e in cui ancora si esplicano i rapporti di classe, o ceto, e si misurano gli esiti della lotta per il potere e per l’egemonia a livello locale e non. Stati e monarchie, per parte loro, appaiono definitivamente caratterizzati dal sicuro consolidamento delle proprie strutture, militari, burocratiche e diplomatiche, dalla piu` ampia estensione territoriale, dall’assunzione di compiti e competenze i piu` vari e numerosi svolti attraverso ordinamenti diversi, dall’ingerenza piena nelle attivita` economiche sempre piu` rilevanti e a largo raggio, dalla netta tendenza al disciplinamento sociale e alla razionalizzazione verticale dei rapporti e delle gerarchie, nonche´ alla concentrazione e al monopolio della forza e del potere. Eppure la centralita` di elementi indubbiamente di fondo, quali la pienezza dei poteri sovrani e il trionfo della statualita` come struttura burocratica e come reticolo istituzionale – elemento fondante dell’intero processo, anche piu` della natura e dei condizionamenti di classe, in senso borghese e nobiliare, che pure vi sono sottesi – si articola nel gioco delle molte variabili geografiche, territoriali ed economiche, delle trasformazioni sociali e politiche, delle componenti culturali, religiose e ideologiche, del fattore patriottico e militare.In misura ancora maggiore, pero`, risulta condizionata dalle coordinate spazio-temporali e dalle modalita` in cui viene a impostarsi il rapporto con le citta` e dai relativi esiti. Chi scrive, come del resto si e` gia` lasciato intendere nel corso di questo intervento, ha avuto modo di misurarsi con questo tema centrale della storia europea, svolgendo, sulla scorta delle osservazioni sin qui sviluppate, e in pratica riprese, una verifica, in chiave storica e storiografica, dei vari “modelli di citta`” alle prese con i poteri sovrani. In particolare, sono stati ricostruiti ed analizzati i piu` volte citati “percorsi di adattamento” nel loro concreto manifestarsi, in relazione alle aree geografiche e alle fasi di sviluppo economico, ovviamente differenziate, che compongono il complesso panorama europeo a partire dal secolo XV. E non solo, dal mo8
Ph. Abrams, Citta` e sviluppo economico: teorie e problemi, nonche´ l’Introduzione, nel volume miscellaneo Citta`, storia, societa`, a cura di Ph. Abrams e E.A.Wrigley, Bologna, Il Mulino, 1983.
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mento che si e` ulteriormente distinto tra “metropoli politiche”, citta` capitali e citta` non capitali, e “metropoli sociali” (altri, come il Berengo, hanno illustrato le vicende delle citta` capitali, delle capitali senza re e delle citta` suddite)9; ne e` emersa una ricca casistica, materiata dei riferimenti, tra le altre citta`, a Parigi, Napoli, Londra, e ancora Vienna, Barcellona, Roma, Valladolid, e poi Amiens, Lione, Digione, Norimberga, Monaco, Manchester. Seguendo ancora il filo di tali ragionamenti, vale forse la pena di riprendere qui anche alcune delle considerazioni finali di quel saggio, ribadendo in particolare che le citta` in definitiva rappresentano lo scenario e il contenitore ‘condizionante’ delle intense trasformazioni sociali dell’eta` moderna, in ordine alla demografia, alla stratificazione e alla distribuzione sul territorio delle popolazioni urbane. I casi studiati confermano, e` stato detto10, la straordinaria forza di attrazione che genera poderose correnti immigratorie; la concentrazione dei diversi ceti sociali in aree e quartieri determinati della citta`, seguendo motivazioni di diversa e complementare natura; abbandoni e reinsediamenti da una zona all’altra, con fenomeni di commistione e di compresenza fra ‘opposti’ nella scala sociale, preludio a dominanze esclusive successive. Insomma, topografia sociale, gerarchie politiche, aggregati operai e masse di poveri e vagabondi, assetto urbanistico sono d’altronde elementi tra loro intrecciati e sovrapposti di uno stesso quadro. L’avvento della pianta ‘stellare’, la ridelineazione degli spazi per luoghi simbolici, con la casa del re, o del suo rappresentante, le sedi dei diversi poteri, i luoghi di culto e di pieta`, gli edifici religiosi in genere, il centro amministrativo e i palazzi nobiliari, quartieri e case del popolo e della plebe, il nuovo reticolo viario e in genere l’edilizia civile e abitativa, ne offrono in effetti la visualizzazione piu` convincente, in ogni aggregato urbano dell’epoca. Ha pertanto ragione chi individua nelle citta` dei “laboratori”, autentici “crogiuoli di novita`”11 nei quali prevalgono secondo i casi configurazioni borghesi o feudali, anche se e quando puo` apparire netta la contrapposizione fra sfera contadina e sfera cittadina; dove, ancora, possono convivere
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M. Berengo, L’Europa delle citta` ecc. cit, pp.30, 39 ss. ; prima ancora, La citta` di antico regime, in “Quaderni Storici”, 27, 1974; e La capitale nell’Europa di antico regime, in Le citta` capitali, a cura di C. De Seta, Bari, Laterza, 1985. 10 C. D’Agostino, op.cit., in “Tempo Nuovo”, cit., pp. 38-39, con relative indicazioni bibliografiche. 11 A. Caracciolo, La citta` moderna e contemporanea, Napoli, ESI, 1982.
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il massimo dell’astrazione (la citta` ‘ideale’) e il massimo dell’intenzionalita` e della finalizzazione (la citta` militare)12. Soprattutto, il concetto di ‘laboratorio’ vale ad esplicare un dato incontrovertibile: la citta` attraversa, nell’impatto con lo stato moderno e la monarchia nazionale, un processo di modificazione continua e profonda. Sembra questo, in definitiva, il suo modo di passare dal vecchio al nuovo, di deperire ma per trasfigurarsi, quasi una ‘mutazione’ morfogenetica; non diviene certo la citta` che e` oggi sotto i nostri occhi, ma senz’altro costituisce il suo antecedente piu` immediato, pronto al ‘salto’ nell’eta` industriale e nella contemporaneita`, rompendo definitivamente con schemi e tradizioni del passato. E sono appunto queste, o vorrebbero esserlo, le coordinate cui sembra opportuno attenersi anche per quanto riguarda il panorama relativo alla Corona d’Aragona e in particolare ai territori mediterraneo-italiani del complesso dei suoi domini. Non bisogna, tuttavia, e` appena il caso di avvertirlo, aspettarsi una trasposizione meccanica di temi, problemi, categorie ad un caso tanto sui generis, come quello affrontato in questa sede, articolato poi in ulteriori ‘specie’ oltremodo peculiari. Non sara` stato certo un caso, da parte nostra, in un’altra occasione e a proposito di istituzioni parlamentari in questi stessi territori, (la cui vicenda storica interseca significativamente, e in tanti punti, quella delle citta`) fare ricorso all’indicazione di piu` fasi nell’incontro tra realta` iberica, catalano-aragonese, e realta` di Napoli, Sardegna e Sicilia, dell’impatto istituzionale iniziale, nonche´ di una successiva prima “ispanizzazione” e susseguentemente di una seconda, prima del definitivo esito13. In questo senso, politiche regie nei confronti dei municipi e percorsi di adattamento da parte delle citta`, fanno i conti, oltre che con precise coordinate spazio-temporali, con una griglia logica e cronologica che vede azioni e reazioni, connesse, collocarsi dentro un processo in cui si intrec12 G. Simoncini, Citta` e societa` nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1974; Le Capitali italiane dal Rinascimento all’Unita`, Angeli, Milano, 1982. 13 G. D’Agostino, Assemblee rappresentative di Sicilia, Sardegna e Napoli nell’eta` spagnola, in Poteri, Istituzioni e Societa` nel Mezzogiorno medievale e moderno, Napoli, Liguori, 1996, pp. 123-142 (gia` in Las Cortes de Castilla y Leo´n, 1188-1988, Valladolid 1990 vol. II, pp. 193-212, a cura del Governo Regionale di Castiglia e Leo´n). Sempre sul tema delle assemblee rappresentative, e ovviamente dello stesso A., v. pure Las Cortes en los Paises de la Corona de Arago´n, in La Corona de Arago´n. Cortes y Parlamentos, Barcelona y Zaragoza, 1988; Aragona y los territorios italianos mediterraneos (s.XIII-XVI), in Arago´n, Reyno y Corona, Zaragoza 2000 (Gobierno de Arago´n e Ibercaja).
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ciano dimensioni locale e generale, nonche´ dinamiche vive e attive dal centro alla periferia e viceversa. Possiamo assumere come momento di snodo, di svolta, l’azione di recupero e di riordino (redrec¸ ) portata avanti con tenacia e decisione, ma non senza equilibrio, da Ferdinando d’Aragona, il Cattolico. Al riguardo, la piu` recente e accreditata storiografia sarda ha segnalato il carattere piu` omogeneo e unitario che avrebbe assunto la politica urbana della Corona d’Aragona nell’isola nell’ultimo tratto del Quattrocento e nei primissimi decenni del secolo successivo, nonche´ il suo rilievo e centralita` nell’ambito del progetto politico e istituzionale piu` generale14. Come e` noto, il punto cruciale dell’intervento del sovrano aragonese e` costituito dall’applicazione ai principali centri isolani della importante riforma degli ordinamenti interni municipali centrata sul regime di attribuzione delle principali cariche civiche pubbliche per sorteggio (insaculacio´n), piuttosto che per elezione o designazione comunque dirette da parte dei cittadini o degli stessi amministratori uscenti, o, anche, da corpi piu` o meno ristretti o selezionati, all’uopo delegati. Attraverso tale misura, e con gli altri provvedimenti collegati, si punta a valorizzare complessivamente il ‘fattore’ regio, rafforzando forme e strumenti di supervisione e controllo, da parte della corona sugli organismi di governo cittadino, marcando cosı` il potere di iniziativa della prima rispetto ai secondi. Al tempo stesso, – e nel sostenere cio` nulla intendiamo togliere alle autorevoli tesi di chi ritiene che sarebbero state le manipolazioni e degenerazioni successive del sistema imbussolatorio a farne uno strumento utile e intenzionale nelle mani dei sovrani rispetto alla funzione ‘arbitrale’ iniziale15 – si conta di neutralizzare, o ridurre drasticamente il potenziale dirompente delle lotte intestine di fazioni per il predominio in citta`, vivissime in seno alle oligarchie locali e altrettanto pericolose sul piano dell’ordine pubblico. In ogni caso, tuttavia, preme non meno al Sovrano rimettere ordine nel sistema dei privilegi, immunita` ed esenzioni, in uso presso le citta` e da queste eretto e codificato 14
B. Anatra, La Sardegna dall’Unificazione ai Savoia, estr. da “Storia d’Italia”, UTET, Torino 1984 (e prima, v. il saggio dello stesso A. in Anatra-Puddu-Serri, Problemi di storia della Sardegna spagnola, Cagliari 1975), nonche´ i contributi raccolti sui temi in questione nei fascicoli recenti dell’Archivio Storico Sardo, in particolare nn. 41/43 (1993) e 47/49 (1996). 15 J. M. Torras i Ribe´, El intervencionismo monarquico en los municipios de la Corona de Arago´n (1427-17I4), in Acta Curiarum Regni Sardiniae. Istituzioni Rappresentative nella Sardegna medievale e moderna (Atti del Seminario di Cagliari, novembre I984), Consiglio Regionale della Sardegna, Sassari 1986, pp. 285-298.
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spesso, come un po’ dappertutto in Europa, in una sorta di ‘santuario’ delle resistenze municipali alle varie ondate delle politiche di accentramento; in ultimo, ma non certo in ordine di importanza, si tende a costruire i presupposti per un efficace riassetto di finanze e tributi16. Sul terreno dei rapporti tra centri urbani e monarchia, il ciclo riformatore intrapreso dal Cattolico nella realta` sarda, rappresenta quello che si potrebbe individuare come un “terzo tempo”. In principio, in effetti, vi e` stato il dispiegarsi di una politica municipale da parte dei sovrani della Corona d’Aragona che ha accompagnato le varie fasi della conquista sin dal primo Trecento, scandendone, anzi, e contraddistinguendone il corso. Rivolta essenzialmente ad ancora piccole comunita` costituite in larga maggioranza da sudditi catalani artefici del ripopolamento in atto, come e` il caso di Bonaria e del Castello di Cagliari, o piu` tardi di Alghero, per antonomasia citta` “roccaforte-colonia”, tale politica e` consistita percio` nella trasposizione, avvertita come del tutto naturale, e in certa misura ‘obbligata’, del diritto privilegiato urbano barcellonese, e segnatamente degli ordinamenti municipali della citta` condale, il ‘cuore ‘ stesso della Corona, alle citta` reali acquisite nell’isola, sanzionata in atti e documenti solenni, come il Coeterum di Giacomo II nel 1327 a proposito di Cagliari. Cio` che in particolare si trasmette a queste ultime e` un sistema di designazione alle cariche di governo cittadine, nella duplice istanza, quella consiliare piu` larga e quella di un piu` ristretto esecutivo, centrato sull’iniziativa e sulla responsabilita` diretta dei detentori delle cariche stesse, abilitati a fare i nomi dei propri rispettivi successori (regime “ad voces”). Un meccanismo che sembra riflettere lo stato dei rapporti tra entita` urbane e autorita` del principe, di impronta tardo – o post – comunale, in quanto premia la componente interna urbana piu` stratificata, di cui alimenta il consolidamento in senso oligarchico, e riconosce alle citta` forme e capacita` di autoamministrarsi. Esso e` stato tuttavia applicato alla Sardegna integrato dal significativo correttivo – in linea con la tendenza affermatasi ovunque e nei territori spagnoli comunque nella stessa Castiglia – costituito dalla figura sovrapposta di un vicario di nomina regia (veguer), in funzione di presidente-
16
A. Mattone, Gli statuti sassaresi nel periodo aragonese e spagnolo, in Gli Statuti sassaresi, a cura di A. Mattone e M. Tangheroni, Sassari, Edes, 1986, pp, 409 ss; dello stesso A., I privilegi e le istituzioni municipali di Alghero (XIV-XVI), Sassari, Gallizzi, 1994, pp. 281-310, nel volume Alghero, la Catalogna, ecc., cit.
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supervisore, coadiuvato da propri esperti e funzionari. In piu`, un tale indirizzo – organico nei principıˆ quanto duttile e pragmatico nelle applicazioni – ha incrociato variamente l’eredita` giuridica e istituzionale pisana e genovese, nonche´ quella legata alle consuetudini piu` strettamente locali e connesse al regime autoctono dei giudicati. E questo spiega pure il particolare impatto che si e` realizzato con la realta` sassarese, intrisa di esperienza comunale – podestarile, per quanto sui generis, e dotata di propria compiuta elaborazione statutaria, cio` che ha orientato fortemente il principale centro mercantile e burocratico del distretto settentrionale dell’isola a rappresentare, in antitesi a Cagliari, la Sardegna non catalana, ma in qualche modo ‘indigena’. Alla fine, tuttavia, anche Sassari (come anche Iglesias, Oristano, Castellaragonese ecc.) ha ricevuto il trattamento riservato a Cagliari, e, piu` sfalsato nel tempo, ad Alghero, con l’estensione al proprio territorio del modello barcellonese-cagliaritano, reso nei fatti suscettibile di interagire con il profilo piu` spiccato, frutto della situazione specifica locale. Nel prosieguo di tempo – in pratica dalla meta` del Trecento sin oltre la meta` del secolo successivo – si sono visti aver luogo tutta una serie di contraccolpi, politico-sociali e istituzionali, un’altalena di turbolenze, di rigetti, anche, del dominio catalano e di successivi aggiustamenti, in maniera probabilmente piu` eclatante proprio a Sassari, ma assai intensa anche a Cagliari e altrove ancora. Una fase di notevole agitazione del quadro, insomma, cui non e` mancato di corrispondere un’accentuata dinamica sociale che se ha finito per confermare in Cagliari una netta preminenza della configurazione borghese-mercantile, con le relative egemonie di ceto e di gruppi, espressione e proiezione di una comunita` cosı` caratterizzata, a Sassari, ma anche ad Alghero, ha importato come delle ‘torsioni’ dei rispettivi, originari, profili, nel senso di un’accentuata prevalenza nobiliare, nonche´ rilevanti modificazioni del rapporto fra entita` propriamente urbana e il contado di pertinenza, divenuto piuttosto la base materiale di possesso e di potere su cui ha costruito le proprie fortune un nuovo ceto nobiliare. Di fronte a tutto questo, ai sovrani succedutisi nel tempo e` toccato il compito, non sempre facile, di rincorrere, correggere, recuperare, alternando, come suol dirsi, il ‘bastone’ dell’intervento armato e del rafforzamento dei contrappesi istituzionali organizzati attorno alla figura del veguer, del suo staff, e in generale attorno alla ‘macchina’ comunale, alla ‘carota’ del sostegno, quando non dell’ampliamento, delle giurisdizioni urbane, e soprattutto del riconoscimento e conferma, o anche nuova concessione, di privilegi e ‘capitoli’. In particolare, ha finito con svolgere un ruolo siffatto
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Alfonso V nel secondo quarto del Quattrocento, ed esempi clamorosi se ne sono avuti a vantaggio di Cagliari e di Alghero, ma anche della stessa Sassari. Alla vigilia della riforma ferdinandea, pertanto, si sono sedimentate sia le esperienze legate al primo tempo della fase della conquista e del primitivo allineamento istituzionale, sia quelle connesse al secondo tempo, nei termini in cui ne abbiamo accennato, culminato sicuramente in una maggiore integrazione della Sardegna nei domini della Corona d’Aragona, ma anche nel consolidamento di situazioni di squilibrio o, almeno, di scompenso, rispetto a cui si ritrova determinato ad agire appunto il Cattolico. Ed in effetti, con l’avvento del sistema imbussolatorio, e dunque del sorteggio tra candidati eleggibili attraverso l’estrazione, ricompresi in apposite liste controllate dall’autorita` regia, diretta o delegata, e periodicamente soggette a revisione censoria, parimenti da effettuarsi sotto la vigile supervisione del vicere´ di turno, dovrebbe aprirsi, almeno nelle aspettative del monarca, una fase di maggiore stabilita` ed equilibrio, rimossi i fattori di rischio e i piu` evidenti inconvenienti, secondo quanto si e` gia` detto. Nell’immediato, tuttavia, accade l’inverso: le riforme suscitano ostilita` e resistenze violentissime, provocando strascichi di incidenti e problemi talora protrattisi per diversi anni. Anche questa volta, comunque, risulta decisivo l’esempio di Barcellona, dove il regime basato sull’insaccolazione passa nei primi anni Novanta del XV secolo, sicche´ esso viene accettato, dopo Oristano, a Cagliari (1500), Alghero (1501), Iglesias (1508) e infine a Sassari (1518). E la ‘normalizzazione’, sia pure a fatica e con le difficolta` enunciate, procede negli anni a seguire. Gli organigrammi politici e gli apparati tecnico-amministrativi, sempre modellati sulla falsariga di Barcellona, o di Valencia, ma comunque dei territori-madre della Corona, si applicano alle varie e crescenti competenze e funzioni della vita cittadina, dalle finanze locali all’annona, dall’igiene e sanita` urbana all’attivita` edilizia, dalla polizia municipale ai regolamenti dei servizi, tariffe, pesi, e misure, ecc. D’altro canto, si tratta di ordinamenti che resisteranno in Sardegna quasi tre secoli, e che nella fase di impianto iniziale si giovano, oltretutto, dell’accorta regia del Cattolico, attento nel costituire all’interno del sistema adeguati contrappesi e bilanciamenti distribuiti opportunamente fra gli attori in campo. Cio` vale per l’oculatezza con cui si procede alla scelta del veguer, nel fissare la sua durata in carica e il relativo obbligo di sottoporsi a ‘sindacato’ (purgar taula); per la larghezza con cui si confermano o concedono privilegi ed esenzioni locali,
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e, ancora, si determinano le prerogative dei giurati e dei consiglieri in quanto rappresentanti della comunita`. E altri esempi si potrebbero fare, a proposito del favore accordato agli abitanti non iberici e delle facilitazioni in materia di concessione e acquisizione della cittadinanza, cosı` come dello stabilimento di particolari tipi di giurie (juhı` de prohomens), corpi qualificati di cittadini idonei a sciogliere determinate controversie. Quando pero` si passi dal campo di quella che potrebbe definirsi, con termini in uso attualmente, “ingegneria istituzionale”, al territorio dei processi reali, sociali e politici, alle situazioni di fatto e ai rapporti concreti di potere, allora si osserva come l’insieme di regole e riti, pur rigidamente strutturato, non ne blocca certo l’evoluzione, semmai devia tensioni e comportamenti in altre direzioni e verso altri obiettivi. Il che e` quanto avviene alle citta` di cui sopra si e` parlato, le quali paradossalmente – se si vuole – ‘coperte’ proprio dalle cornici istituzionali messe a punto per imbrigliarle, vivacizzano oltremodo, lungo il corso del Cinque e Seicento, le relazioni dialettiche ciascuna al proprio interno, e all’esterno fra loro e nei confronti della corona e del governo regio. Non solo, per quanto trovano ancora nei parlamenti generali periodicamente convocati un ulteriore e significativa ‘tribuna’ da cui manifestarsi e quando possibile farsi valere. Di qui, l’aprirsi per loro di quelle opportunita` e l’esplicarsi di quelle vicende di cui sono materiati i percorsi di adattamento ricordati in principio, i modi concreti, empirici, dell’essere citta` nello stato, in versione sarda, evidentemente, che si vanno facendo piu` accentuati, in alcuni casi, almeno, proprio quando i giochi frontali sembrano definitivamente chiusi, o le lotte di principio scioltesi in una condizione di generale declino o decadenza17. Cosı` a Cagliari, nel giro di pochi anni successivi al varo della riforma voluta dal Cattolico, si producono le avvisaglie del tentativo dei nobili di entrare nel giro delle magistrature cittadine, periodicamente ripetuto in seguito, con alterna fortuna ed in connessione con i mutamenti della struttura sociale cittadina. Intanto, nella prima meta` del XVI secolo, divampano le lotte di fazioni, gruppi e ceti, con episodi clamorosi che coinvolgono il consigliere Selles e il commissario Arquer, conclusisi entrambi in maniera tragica. Sul finire del secolo, poi, la difficile congiuntura economica
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A. Mattone-C. Ferrante, I privilegi e le istituzioni municipali del Regno di Sardegna nell’eta` di Alfonso il Magnanimo, Atti del XVI Congresso di Storia della Corona d’Aragona (dedicato ad Alfonso il Magnanimo), Napoli 1997, ed. Paparo per il Comune di Napoli, Napoli 2000, p. 277.
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impone drastici tagli al bilancio comunale, con la riduzione delle spese correnti e l’aumento generalizzato di tariffe, servizi e merci. Il nuovo secolo (XVII) sia apre, ancora, nella capitale su uno scenario di disordini e di malversazioni, ma il clima evolve in seguito in direzione di positivi e maturi interventi da parte dello stesso consiglio municipale. Nel 1621–22 il consigliere capo Armanyach promuove un piano di riordino, razionalizzazione e moralizzazione, compendiato nelle nuove costituzioni civiche cagliaritane. Esse sono state valutate18 come un forte contributo alla difesa dell’autonomia cittadina e al suo consolidamento e incremento, diretto ad arginare pressioni ed interferenze pesanti operate dalla Regia Udienza e dallo stesso vicere´. D’altro canto, e` pur vero che nella fattispecie si sia di fronte ad uno stadio di evoluzione politico – istituzionale della monarchia spagnola e della stessa societa` ispano – sarda parecchio avanzato, ormai, connotato per di piu` da un orientamento generale influenzato da modelli castigliani, che insidiano in sede locale quelli di matrice sardo – catalana prevalenti sin dalle origini. Per la verita`, si fa anche spazio alla partecipazione delle corporazioni di arti e mestieri (Gremi) all’ amministrazione della citta`, mentre compie decisivi passi avanti la costituzione della sede universitaria, con spese a carico comunale. Venticinque anni dopo, e ancora nella stessa direzione, si afferma il principio in base al quale le delibere consiliari vengono adottate a scrutinio segreto. I gravissimi torbidi del 1668, con il duplice omicidio dell’influentissimo Marchese di Laconi e dello stesso Vicere´ in carica, riverberano sulla capitale e sull’isola gli effetti di un passaggio oltremodo delicato nella storia della Sardegna spagnola, che si ricomporra`, ma ormai per avviarsi a conclusione, solo negli ultimi sprazzi del secolo. Assai netta, la contrapposizione con Sassari – ulteriore frattura ‘verticale’ nella complessa realta` isolana – che a sua volta rivendica spazi e prerogative19, mal sopportando il ruolo principale svolto dalla capitale e ad essa sicuramente riconosciuto dal governo spagnolo. Le cronache delle cerimonie pubbliche sono costellate dai contrasti di “precedenza” tra le due citta` preminenti, l’una nel ‘capo’ settentrionale e l’altra in quello meridionale.Con particolare astio e intensita` cio` si verifica nei parlamenti generali isolani, nei quali si da` appunto vita a conflitti e a contenziosi che dal piano
18
C. Sorgia-G. Todde, Cagliari. Sei secoli di amministrazione cittadina, Cagliari 1981; I. Principe, Cagliari, Bari, Laterza, 1981. 19 A. Mattone, Gli statuti sassaresi ecc. cit.; G. Sorgia, La citta` di Sassari nei parlamenti, in Gli Statuti sassaresi, cit., pp. 375-384.
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formale e procedurale sfociano in quello politico dal quale per altro traggono la loro principale ragion d’essere. Per circa un secolo, Sassari reclama contro le ingiustizie fiscali di cui si dice vittima, e nella seconda meta` del Cinquecento, in declino sul piano sociale ed economico, e piu` tardi anche su quello giuridico – istituzionale, – come attestato dalla mancata riuscita del tentativo di ripubblicare i propri Statuti, proprio mentre a Cagliari avviene il contrario con il corpus delle leggi, consuetudini, capitoli e privilegi cittadini – alza addirittura il tiro delle richieste politiche, giungendo a chiedere l’indipendenza dei due ‘Capi’ in cui e` diviso il territorio dell’isola, e reclamando perentoriamente per se´ la condizione di capitale (unica) del Regno, con il conseguente trasferimento della stessa dalla sede di Cagliari20. Napoli rappresenta di certo, e per piu` rispetti, un caso notevolmente diverso rispetto a quello sardo, appena esaminato, anche se ritroviamo anche qui analoghi problemi e comuni dinamiche politico-istituzionali, ma ‘trascritti’ in un altro codice, secondo un peculiare ‘alfabeto’ che e` proprio della realta` napoletana e regnicola. E a proposito delle diversita`, intanto va sottolineato come al momento cui corrisponde l’ingresso del Mezzogiorno continentale d’Italia, il ‘Regno’ per antonomasia, tra i domini della Corona d’Aragona la citta` rivesta da oltre un secolo la prestigiosa e influentissima condizione di capitale dello stesso, cui ha anzi conferito, a partire da se´, denominazione e identita`. Attorno a tale ruolo e al suo esercizio, e` venuto a polarizzarsi lo status, anche sotto il profilo socio-economico, oltre che politico-istituzionale del patriziato urbano, in varia connessione di famiglia gruppo o interesse, con l’aristocrazia maggiore (baronaggio), arroccato nei seggi nobili cittadini (insieme, consorterie, lignaggi, e sedi materiali, fisiche del loro ritrovarsi associati e organizzati sul territorio anche politicamente) per i quali qualcuno ha pensato ad interessanti punti di contatto con i Monti senesi o gli Alberghi genovesi. Tale patriziato, risulta oggettivamente e soggettivamente in competizione, a tratti anche accesa, come al tempo della crisi dinastica angioina, con la componente popolare a sua volta diffusa su tutto il territorio urbano e dotato di una propria specifica, seppure meno stabile,
20
Ci si riferisce al ponderoso studio dedicato da G. D’Agostino al parlamento sardo convocato dal Vicere´ Conte di Santo Stefano (Santisteban) nel 1677 e protrattosi per tutto il corso dell’anno seguente a dieci anni dalla crisi del 1668 e con evidenti intenti, e clima, di ‘normalizzazione’. Vedilo, in parte, nelle pagine di questo stesso volume.
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configurazione istituzionale. Alfonso V d’Aragona, il Magnanimo, entrato in Napoli nel 1442 al termine di una dura e lunga campagna di conquista militare, contro francesi e nemici ‘interni’, e` tutt’ altro che inconsapevole di cio` che la citta` rappresenta; sara` in effetti in essa che porra` il nuovo centro dell’impero catalano-aragonese, proteso al balzo della maggiore espansione mediterranea, in tutte le direzioni possibili, il levante e l’Africa21, con l’occhio tuttavia sempre vigile a seguire la situazione centro – e alto-italiana e quella europea occidentale. Ne fara`, parimenti una delle ‘stazioni’ principali del Rinascimento italiano, irrobustendo con lo Studio e le accademie la gia` piu` che ragguardevole tradizione artistica e culturale, animando una vita di corte piena e brillante, oltre che colta, come prescritto dai canoni umanistici imperanti, ed occupandosi del risanamento, ingrandimento e abbellimento di quella che avrebbe finito con l’essere la sua seconda e definitiva patria ( non l’avrebbe, in effetti, piu` lasciata, fino alla morte avvenuta nel 1458)22. Eppure, sul piano piu` strettamente politico, anche senza indulgere alla necessita` di dare credito a iniziative regie dirette a colpire l’istituzione cittadina nella sua componente presumibilmente piu` debole, appare evidente che non e` Napoli l’interlocutrice principale del Sovrano, tutto proteso piuttosto a cercare appoggio e consenso presso l’aristocrazia feudale, dalla quale intende da subito conseguire l’avallo, indispensabile, al proprio progetto di successione dinastica nel Regno centrato sulla figura del figlio naturale, Ferrante, e dunque sull’istituzione di un regno autonomo retto da una linea collaterale di Casa Aragona, distinto ma non avulso rispetto all’insieme dei domini della Corona, in seno alla quale avrebbe proseguito invece la sua parabola in linea diretta la dinastia dei Trastamara. In tale prospettiva, l’impressione saliente e` che Napoli –citta` gia` tra le piu` popolose dell’epoca e fulcro, strutturato, di un insieme altrettanto consolidato –costituisca nelle mani di Alfonso come “una carta di riserva”, da mante21
M. Del Treppo, L’espansione catalano-aragonese nel Mediterraneo, Milano, Marzorati, 1964; I mercanti catalani e l’espansione della Corona d’Aragona nel secolo XV, Napoli 1972; Il re e il banchiere, in Spazio, societa`, potere nell’Italia dei Comuni, Napoli 1982; Aragon per la “New Cambridge Medieval History”; cfr. pure le relazioni ai convegni napoletani di Storia della Corona d’Aragona, 1973 e 1997 (negli Atti corrispondenti). 22 G. D’Agostino, La Capitale ambigua. Napoli dal 1458 al 1580, Napoli, S.E.N., 1979; Id, Parlamento e Societa` nel Regno di Napoli (secoli XV-XVII), Napoli, Guida, I979; Id, Dal Toledo al Masaniello. Potere e istituzioni a Napoli tra Cinque e Seicento, in Poteri, Istituzioni e Societa` nel Mezzogiorno medievale e moderno, cit., pp. 143-154; Id, Na´poles, capital aragonesa, nel catalogo della mostra “La Biblioteca Real de Na´poles en tiempos de la dinastia aragonesa”, Napoli e Valencia, 1998. Quest’ultimo saggio e` riproposto nella presente raccolta.
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nere in qualche modo ‘congelata’ e da lanciare sul piatto della contrattazione, solo se e quando necessario e in chiave deterrente nei confronti dello stesso baronaggio. Sede, occasione e strumento, la capitale, di una strategia tra alternativa e complementare, insomma, a disposizione –non senza contropartite, come si e` detto, e comunque da ribadire a scanso di equivoci, anche e soprattutto nel caso in cui si volesse porre l’accento su fiducia, o incertezze o ambiguita` del Magnanimo a questo riguardo – del grande monarca, ‘inventore’, per cosı` dire, del regno aragonese indipendente di Napoli, vale a dire di quella che si sarebbe rivelata una delle esperienze piu` positive della sua multisecolare vicenda storica. D’altronde, le energie principali di Alfonso vengono assorbite in misura prevalente dallo sforzo di trasformazione dello stato napoletano in senso moderno, con l’ausilio di fidati e competenti consiglieri e collaboratori catalani, valenzani e aragonesi, e nell’orizzonte di un adeguamento, quando non del superamento, dello stesso “pattismo”, tanto vivo e fin troppo impegnativo per lo stesso esercizio del “mestiere di re”, nella madrepatria23. In un quadro di questo genere, sarebbe toccato alla citta`, e alla citta`capitale, in particolare, gestire vantaggiosamente le prospettive aperte dalle circostanze, in particolare con l’avvento al trono dell’erede designato.Fatto sta che proprio con la nuova congiuntura cosı` determinatasi, e a fronte di orientamenti ed esigenze del nuovo Sovrano, parecchio diversi da quelli del suo predecessore,e` appunto la Citta` a sapere trarre i maggiori benefici. Essa diviene indiscutibilmente non solo la residenza stabile di un sovrano proprio e stanziale, ma il centro di gravitazione di una compiuta entita` statale, come di recente ha indicato Marino Berengo tornando sulle caratteristiche della citta` capitale24. Vi appare, per di piu`, intesa e precisa nei suoi
23
G. D’Agostino, Gli Stati italiani e la Corona d’Aragona. Potere regio, istituzioni, assemblee rappresentative, in Poteri, Istituzioni ecc. cit, pp.93ss. (gia` relazione nella giornata inaugurale del XV Congresso di Storia della Corona d’Aragona, Jaca, settembre 1993, e pubblicata nei corrispondenti “Atti”, nonche´ seminario svolto all’Universita` di Granada nello stesso 1993: v. “Chronica Nova”, 21, 1993-94, pp. 143ss.) con particolare riferimento ai punti trattati nel testo (inclusi i riferimenti ai sovrani, Alfonso il Magnanimo e Ferdinando il Cattolico, ai quali sono state altresı` dedicate, dal medesimo A., ricerche specifiche, pubblicate nei volumi Fernando el Catolico y el Mediterraneo, Zaragoza, Fundacio´n Fernando el Cato´lico, 1996 e La Corona de Arago´n y el Mediterraneo, Zaragoza, 1997). 24 M. Berengo, L’Europa delle citta` ecc. cit, pp. 12ss; con accenno assai interessante a scambio di ruoli, nel contrasto con la Corona, tra citta`-capitale e parlamento, con riferimento specifico al caso inglese.
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abitanti l’autocoscienza di citta` (R.S. Lopez)25 e si accende tra comunita`, municipalita` e corona, anche intesa come famiglia regnante ‘larga’, una fruttuosa e significativa “relazione di reciprocita`”. Tutto cio` si compie non a caso, soprattutto attraverso ‘capitolazioni’dirette tra Napoli e Ferrante, rivelatesi sin dal 1459 la strada maestra dei rapporti tra la citta` e il suo principe, inizialmente espressione dell’universitas civium, piu` che di uno specifico corpo politico cittadino, che pure esiste e ad ogni buon conto sormontato da un ‘capitano’, o suo equivalente, di nomina regia. Dette capitolazioni, o convenzioni, articolate, in piu`, sulla logica del rafforzamento o della rifondazione della condizione privilegiata, fiscale e giurisdizionale, soprattutto, della capitale e del suo regime, o status, del tutto speciale, la cui mitica eta` dell’oro veniva fatta risalire, con un misto di malizia e strumentalita`, all’ultimo periodo del lungo dominio angioino. Via via tali relazioni contrattuali, verso le quali Ferrante si mostra piu` che ben disposto, e in cui gia` trapela a volte qualche preoccupazione di Napoli nei confronti di altre entita` demaniali globalmente favorite dalla politica regia in cerca di puntelli in funzione antibaronale, rivelano la piu` precisa articolazione sociale dei richiedenti e la loro collocazione politica. In realta`, dietro a petizioni, richieste, ‘capitoli’ si muovono volta a volta, “gentiluomini” cittadini, Seggi che cercano il proprio utile particolare ma sono altrettanto consapevoli che la crescita della citta`, autentico “spazio critico” rispetto ai poteri e alla societa` del tempo, il progredire e l’incrementarsi della “logica della capitale”, da un lato, e il connesso, concomitante processo di autopromozione del patriziato urbano e del ceto di governo municipale che da esso promana, rappresentano le facce della stessa moneta, una causa unica e comune. Nel decennio centrale della seconda meta` del secolo, con la riproposizione del privilegio giurisdizionale e di quello fiscale, con la richiesta di attribuzione degli ‘uffici’ a regnicoli e segnatamente a napoletani, con la facolta` dello svolgimento del ‘sindacato’ a cui sottoporre i detentori di cariche pubbliche, da parte di commissioni integrate da ‘sindaci’ napoletani, viene richiesto il rispetto da parte del governo regio dei diritti e delle consuetudini locali nell’amministrazione della universitas napoletana e soprattutto si regolamentano funzioni e poteri della municipalita`. Questa, raccolta nella magistratura collegiale detta del Tribunale di San Lorenzo, e` formata dagli Eletti (sei) rappresentanti nominati, con procedure designato25 R.S. Lopez, Intervista sulla citta` medievale, a cura di M. Berengo, Bari, Laterza, 1984; Id., La nascita dell’Europa (s. V-XIV) , Torino, Einaudi, 1966, in particolare pp. 289 ss.
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rie rigorosamente interne, dai Seggi nobili di appartenenza (cinque, tra cui i piu` antichi e rinomati di Capuana e di Nido; e i tre piu` recenti di Porto, Portanova e Montagna, quest’ultimo con diritto alla nomina di due Eletti ma con un unico voto) e ad essa compete, fra l’altro, il delicato controllo della materia annonaria – rifornimento dei generi alimentari e disciplina del relativo commercio –, su cui vegliano pure la giustizia ordinaria e il rappresentante del governo regio. Nelle mani degli stessi Eletti, in San Lorenzo, tutti gli officiali della citta` avrebbero dovuto prestare giuramento, mentre ogni controversia interna dei Seggi si sarebbe dovuta risolvere a cura dei relativi reggitori (i cosiddetti “signori Cinque e Sei”, in totale 29 cavalieri ‘prominenti’) senza interventi esterni (eccetto nel caso di spargimento di sangue). Come si vede, un’escalation di tipo politico-amministrativo, che ha riscontri in paralleli fenomeni sociali e politico-istituzionali piu` generali che investono il patriziato urbano napoletano, alla conquista spesso del rango feudale (ma c’e` anche un movimento inverso al riguardo, della feudalita` verso la citta`), ma al tempo stesso lanciato anche, e seguendo altri percorsi, tra le file della burocrazia. Si e` gia` notato il positivo atteggiamento del Sovrano nei confronti della citta`; nei documenti ufficiali, e` frequente l’appellativo di “fedelissima” ed altri lusinghieri attributi, cosı` come e` d’uso ormai consolidato riferirsi ad essa come a “caput totius istius Regni”; da rilevare inoltre che in piu` di un caso importanti prammatiche regie, alle quali Ferrante affida sempre piu` spesso l’esplicarsi del proprio superiore diritto a legiferare, riprendono temi al centro di sollecitazioni o interventi della comunita`. Esemplare, a riguardo, il provvedimento emanato nel 1479 e relativo alla regolamentazione dei diritti e dei privilegi di cittadinanza per i napoletani e le condizioni alle quali potevano equipararsi ai primi i forestieri che in numero sempre maggiore stavano affollando la capitale26. La storiografia registra in maniera abbastanza concorde una ‘svolta’, a partire dagli anni Ottanta, nella traiettoria dello sviluppo politicoistituzionale della Citta` e delle stesse relazioni tra Capitale e Corona. E` il clima generale a mutare, a Napoli come in tante altre citta` italiane ed europee del tempo; nel caso specifico, certo anche in connessione con la 26 G. D’Agostino, La Capitale ambigua ecc. cit, ma anche Parlamento e societa` ecc. cit, nonche´ Napoli e il Sud dagli Angioini agli Aragonesi, nella “Storia della societa` italiana”, Milano, Teti, vol. VIII, pp.437-480; cfr. pure, El sistema politico representativo interno del Reino de Napoles entre Monarquia aragonesa y virreinato espan˜ol, in “Cuadernos de Investigacion historica”, 2, Fundacio´n Universitaria Espan˜ola, Seminario ‘Cisneros’, Madrid 1978.
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gravissima crisi rappresentata dalla “congiura bei baroni” e dall’attacco frontale al potere e all’autorita` del re, sebbene la vicenda, e i suoi esiti, finiscano per rinsaldare ulteriormente i rapporti tra Ferrante e Napoli. E` piuttosto che i patriziati locali tendono un po’ dappertutto a “restringersi in casta chiusa”, spinti dalle circostanze – l’aggressivita` delle formazioni statali o l’esigenza di conservare egoisticamente quanto fino allora conseguito – a un riflesso di difesa corporativa, ad un istinto di monopolizzazione del potere cittadino nei confronti dei popolari e dei loro eventuali progressi, o conquiste, su questo terreno. E Napoli non fa eccezione, rispetto a tutte queste evenienze; crescono le occasioni e le procedure di auto-regolamentazioni, sia rivolte alla vita interna dei Seggi con ‘riti’ di accesso e di trasmissione di cariche e di onori sempre piu` severi e rigidamente autoreferenziati; sia orientate a disciplinare le uscite esterne, di rappresentanza, della Citta` e dei propri sindaci o deputati. La piu` importante normativa del genere – e siamo ancora durante il regno di Ferrante – risale al 1488, e consiste nell’adozione del piu` semplice e naturale “ordine di ruota”, cioe` di rotazione, a turno tra i diversi Seggi nobili, in abbinamento alle pubbliche cerimonie nelle quali Napoli dovesse essere presente e intervenire, a nome proprio e del Regno. In tal modo, come e` stato osservato, si sanciscono principi in realta` piu` rilevanti: che i patrizi dei Seggi sono i rappresentanti piu` qualificati e diretti della Citta`, e dunque lo erano a titolo collettivo e poi di singoli deputati designati per ogni specifica circostanza. E, piu` ancora, che la loro rappresentativita` e` resa piu` piena e autorevole dalla posizione della Citta`, in quanto Capitale, rispetto al Regno nel suo complesso, come si sarebbe visto soprattutto in occasione delle riunioni del parlamento generale. Va per inciso notato al riguardo che deriva di qui, da questo passaggio istituzionale appena rievocato, la peculiare caratteristica di molte raccolte, manoscritte o a stampa, napoletane le quali compendiano insieme tracce e testimonianze della “precedenza” goduta e fatta valere dai Seggi nobili in pubblico; capitoli e capitolazioni, con i privilegi concessi alla citta` dai sovrani che si sono succeduti nel tempo, nonche´ stralci dalle riunioni parlamentari. E` peraltro appena il caso di ribadire l’importanza di simili collezioni, poste dal Berengo accanto alle piu` alte tradizioni statutarie dell’Italia comunale, con osservazioni e valutazioni che e` lecito estendere oltre lo stesso scenario italiano27. E ancora in tema di ‘svolta’, va segnalato l’altro perspicuo, e in fin dei 27
M. Berengo, L’Europa delle citta` ecc. cit. pp. 41-44.
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conti connesso, fenomeno che si delinea altresı` a Napoli tra fine Quattrocento e primo Cinquecento, e che investe la rappresentanza istituzionale del ‘popolo’, cioe` della componente borghese, o comunque non nobile della citta` singolarmente assente nel periodo dei primi due sovrani aragonesi, nonostante una pur corposa presenza sociale e politica. Tant’e`, di un Seggio del Popolo, e di uno strutturato ‘reggimento’ popolare, con proprie regole, macchinose procedure elettorali, un mix fra pratiche designatorie dirette, per scrutinio, imbussolamenti e sorteggi tra i candidati piu` votati, si parla, o si torna a parlare, a partire dalla congiuntura determinata dalla discesa di Carlo VIII di Francia nel Regno, nel 1494. La platea territoriale di riferimento, per tale ‘popolo’ – come si e` anticipato – e` l’intera citta`, divisa in 29 ottine, con a capo, ciascuna, un capitano e un certo numero di consultori. I ventinove capitani corrispondono cosı`, per la parte non nobile, al corpo dei 29 cavalieri di seggio, concorrendo a formare insieme una sorta di consiglio largo, a fronte del quale e` la gia` ricordata giunta degli Eletti. Da questo momento, in ogni caso, il Popolo di Napoli, con l’insieme della sua proiezione giuridico-istituzionale, occupa la scena politica cittadina e la riempie in tante, cruciali circostanze, al tempo dei successori di Ferrante, ma anche sotto Ferdinando il Cattolico, e nel corso del lungo viceregno ispano-asburgico di impronta castigliana. Del Cattolico, al quale si deve nel 1503-4 il ricongiungimento del Regno, strappato ai francesi, al complesso dei territori e degli stati della Corona e della monarchia plurinazionale di Spagna, giova ricordare l’attenzione con cui considera appunto ruolo e potenzialita` dei popolari in un’ottica riequilibratrice dei rapporti con baroni e patrizi, quale si manifesta nei provvedimenti da lui adottati nel corso della sua permanenza a Napoli (1506-7) e in occasione della celebrazione solenne del parlamento generale. Per il resto, e al contrario di quello che si verifica altrove, non si registrano ulteriori interventi del Sovrano, pur artefice dell’importante riforma degli ordinamenti municipali di cui si e` gia` parlato per altri territori italiani, a riprova anche di duttilita` e pragmatismo, o persino di rispetto per i segni distintivi di alcune autonomie particolari, attitudini non estranee certo alla tradizione dell’autoritarismo ferdinandeo e tali da indurre il governo regio ad assecondare tendenze e tensioni provenienti dall’interno della realta` locale, quelle almeno, reputate utili o compatibili con il disegno e le esigenze della corona. D’altronde, come si e` gia` ricordato, il Regno appena recuperato e` dotato di suo di un profilo stabile e profondo dal punto di vista del sistema politico-rappresentativo interno, tutto sommato ancorato attorno ai due
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‘poli’del Parlamento generale e del Tribunale di San Lorenzo, nella capitale napoletana, e con la sola eccezione rappresentata appunto dal segmento popolare presente e attivo in quest’ultima. L’istituzione formale del viceregno, in ogni caso, non comporta il declassamento della citta`-capitale; la citta` vicereale non sembra patire, dopo un iniziale e comprensibile disorientamento, un contraccolpo da citta` suddita o da capitale senza re. Da ultimo, lo ha ribadito il Berengo, notando addirittura, sulle orme di chi scrive, come essa abbia conservato e persino rafforzato la sua natura, preesistente, di capitale28. Oltretutto, deve essere messo in conto che con l’assetto vicereale, tutto l’insieme dei meccanismi istituzionali locali entra in tensione positiva e acquista piu` profilato rilievo, cosa che non avveniva con la presenza del sovrano in loco e con i suoi interventi discrezionali. La stessa aristocrazia feudale, poi, e` indotta a trasferirsi in citta`, per ostentare il proprio buon animo e l’assenza di qualunque trama o macchinazione, sicche´ ricerca l’immissione nei Seggi e tende a inserirsi negli affari municipali. Pertanto, neppure la presenza davvero incombente di un vicere´ come il Toledo, artefice di interventi urbanistici destinati a incidere definitivamente sulla forma urbis napoletana, ne´ le stesse dinamiche che si accendono tra i poteri vicereali e le magistrature-chiave del nuovo stato assolutista carolino e di quello filippino (dispotico), al centro come in sede locale, valgono a togliere spazio all’iniziativa politica dei Seggi nobili e del patriziato napoletani, che prosegue secondo le linee di cui si e` detto. In tali condizioni al Toledo, e Carlo V ne avallera` tutto sommato l’operato nel corso della sua permanenza a Napoli (1535-36), non restano che i piuttosto limitati margini di manovra consentiti dalla situazione istituzionale della parte popolare, e del suo Elettato in particolare, cambiandone ancora una volta le regole del gioco interno e intromettendosi pesantemente nella designazione dell’Eletto, che diventa in pratica una nomina a discrezione del Vicere´, al quale viene sottoposta una rosa, pur se ristretta, di nomi. In effetti, e` questa la via possibile per condizionare, o tentare di farlo, la municipalita` napoletana; per il resto, occorre operare in modo che i cavalieri dei Seggi, in particolare gli Eletti e tutti quelli investiti di cariche e responsabilita` pubbliche, siano persone “fedeli e zelanti”, devote al servizio della corona, come insistentemente raccomandano gli stessi sovrani ai propri ministri lontani. E` degno di nota, al riguardo, che di fronte a simili raccomandazioni, il vicere´ Toledo, tra stizzito e indignato, 28
Ibidem.
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accusi i sudditi napoletani di pretendere di comportarsi come quelli d’Aragona, inclini all’autonomia e indocili, senza rendersi conto che gli uni sono una cosa ed essi...un’altra!29 D’altro canto, la Citta` non si e` lasciata intimidire neppure dai pesanti tentativi di normalizzazione politica e istituzionale insiti nella decisione del Cattolico di impiantarvi l’Inquisizione, nel 1510, e di nuovo, al tempo di Carlo V, nel 1547; entrambe le volte si e` rischiato con la violenta reazione cittadina, anche la temutissima “unione dei ceti”, vale a dire la riunificazione in un sol fronte delle componenti sociali e politiche cittadine, e, sull’esempio di Napoli, dell’intero Regno30. E questo e` quanto maggiormente puo` preoccupare la monarchia spagnola, al punto, ad esempio, da lasciarle preferire a meta` Cinquecento, e nei decenni a seguire, di congelare la situazione potenzialmente esplosiva legata alla pressione di decine di famiglie, legatissime al baronaggio o al corpo sociale cittadino, per entrare nei Seggi, risolutamente contrari, dal canto loro, a tale massiccio inserimento, avocando alla corona ogni decisione a riguardo. O, ancora, di limitarsi a controllare il contenzioso che scoppia in parlamento tra baroni e patrizi, e tra questi ultimi e i popolari. Gia`, perche´ anche nel caso di Napoli, molta parte della dialettica interna fra i ceti, e le lotte di potere tra i vari settori della societa` e dello stato napoletano-spagnoli, si trasferisce nei parlamenti. Anzi, il percorso che compie la Capitale, per mezzo dei suoi rappresentanti, e del Sindaco, in testa, e` straordinariamente rivelatore. In poco meno di un secolo e mezzo, essa occupa una dopo l’altra le istanze principali del maggior organo rappresentativo del Regno, le sue varie deputazioni interne e ristrette alle quali sono affidate le competenze piu` delicate e risolutive, fino a conseguirvi un ruolo di assoluto primo piano. Verso la meta` del Seicento, addirittura, saranno i Seggi a subentrare al Parlamento, a sostituirsi ad esso nella funzione di erogare i donativi, le sovvenzioni finanziarie richieste periodicamente dal monarca31. Ma quello che sembra il culmine vittorioso di un’ascesa politico-
29
G. D’Agostino, Parlamento e societa` ecc. cit., loc. cit. G. D’Agostino, Re, Vicere´, Rivolte, Napoli, ESI, 1993. 31 Chi scrive ha dedicato studi, non pochi ne´ poco consistenti, al Parlamento Generale del Regno di Napoli; oltre a quanto gia` citato sinora, v. Per una storia delle istituzioni parlamentari, Napoli, ESI, 1994, con relativa, densa bibliografia; sul piano documentario v. l’importante raccolta, sempre a cura di G. D’Agostino, Il Parlamento Generale del Regno di Napoli nell’eta` spagnola, I. 1556-1598, Napoli, Guida, 1984. 30
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istituzionale, ha un riscontro, sociale, di perdita progressiva dell’identita` tipicamente urbana, di accentuata ambiguita` e ambivalenza della capitale. L’essere citta` nello stato e` costato a Napoli un destino ‘castigliano’, in termini di contaminazione feudale e di inaridimento oligarchico nobiliare. Sara` invece ancora il popolo a muoversi pochi anni piu` tardi, nella rivolta guidata da Masaniello, e in cui sara` messo in seria discussione il legame di fedelta` dinastica in nome – secondo il Berengo – di una embrionale riscoperta della “patria-comunita`”32. Si e` accennato, sin da principio, alla parzialita` del presente saggio, alla sua natura di “prima approssimazione”. Esso andra` dunque completato, come pure s’e` detto, in piu` direzioni, e non solo perche´ si dovra` prendere in considerazione l’ambito siciliano, caratterizzato peraltro da entita` urbane tutt’altro che irrilevanti, e percorse da note di antagonismo reciproco assai intenso. Si pensi, ovviamente, nello specifico, alla citta` di Palermo, in pratica la prima capitale del regno meridionale angioino, e assai precocemente – a seguito del Vespro – entrata nell’orbita, prima indiretta e poi diretta, di marca ispanica; ma parimenti ai casi di Messina, dalle significative tradizioni mercantili medievali e dal protagonismo sociale e politico esploso nella seconda meta` del XVII secolo, e dell’emergente Catania, per limitarci agli esempi piu` significativi33. Ne´ basta, visto che anche relativamente a Napoli e al contesto sardo vanno anticipate le ulteriori linee di approfondimento (peraltro gia` in corso): esse riguardano, nel caso del regno meridionale continentale, letteralmente dominato e come ‘oscurato’, dalla prevalenza della capitale, altre citta` demaniali, strategiche sotto il profilo militare-territoriale, quali Gaeta, Capua e Pozzuoli, anche qui per fermarci alle maggiori evidenze34. Ne´ possono trascurarsi centri urbani, non sempre rimasti in demanio, eppure 32
M. Berengo, L’Europa delle citta` ecc. cit, pp.33ss.; 317ss. Su Palermo, si puo` partire dal vecchio, ma valido, B.Genzardi, Il Comune di Palermo sotto il dominio spagnolo, Palermo 1891, e seguire lo sviluppo della ricca bibliografia isolana sino agli studiosi piu` recenti; per Messina, sugli aspetti richiamati nel testo,si e` tenuto presente E. Pispisa, Messina medievale, Galatina (LE), Congedo ed., 1996, mentre su Catania, valgono le penetranti considerazioni di G. Giarrizzo, variamente riprese ed elaborate dagli studiosi della sua scuola. 34 Su Pozzuoli, cfr. G. D’Agostino, Pozzuoli, la citta` flegrea, nel volume Poteri, Istituzioni e Societa` ecc. cit., pp. 177 ss.; su Capua, dello stesso A., Capua e il Parlamento Generale del Regno di Napoli, Capua-Napoli, Benincasa, 1967; quanto a Gaeta, qualche cenno in G. D’Agostino, Problemi di storia urbana meridionale nell’eta` moderna, nel volume Alghero, la Catalogna ecc., cit., pp. 319ss. 33
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artefici di trattorie politico-istituzionali di indubbio rilievo, realta` del calibro di Bari e di Salerno, per intenderci35. Quanto alla Sardegna, sarebbe sicuramente interessante riscontrare la situazione delle sue principali citta` non infeudate e raccolte nello ‘stamento’ o ‘braccio’ reale, quale emerge via via, in epoche diverse, nei vari parlamenti convocati periodicamente nell’isola, e dei quali chi scrive si e` occupato in maniera diretta nell’ambito di una meritoria impresa, di alto valore scientifico e civile, promossa e patrocinata dal Consiglio Regionale Sardo e dalla sua presidenza. Accanto a tali necessarie integrazioni, non meno importante e` l’individuazione, e quindi l’analisi sistematica di un contesto istituzionale piu` ampio e complessivo, dentro cui si situino anche gli stessi rapporti tra Mezzogiorno italiano, continentale e insulare, e l’insieme dei domini della Corona d’Aragona. Indubbiamente, un posto di rilievo spetta al processo di costruzione e affermazione dello stato moderno in aree cruciali del Mediterraneo, e su scala europea, come si e` detto. In effetti, si tratti dei sovrani o delle assemblee rappresentative, con cui le citta` entrano variamente in relazione, si e` in presenza di soggetti e attori che si rimandano l’un l’altro, che intrecciano i propri ruoli e le corrispondenti iniziative e attivita`. Per questo, risulta ineludibile il ricorso a ottiche comparativiste e tecniche di “sguardo incrociato”, non lasciando che prevalgano impostazioni unilaterali, unidirezionali, ma salvaguardando la sostanza vera di impatti e intrecci tra peculiari situazioni locali ‘interne’, da un lato, e sollecitazioni, o modelli, messi in campo sui versanti ‘esterni’, dall’altro.
35
Relativamente a Bari, esiste una buona opera collettiva di sintesi, Storia di Bari nell’Antico Regime, a cura di F. Tateo; v. in particolare, t. II, Bari, Laterza, 1992, mentre analoga iniziativa per Salerno e` attualmente in corso di realizzazione; e` gia` disponibile, tuttavia, la trattazione su Salerno medievale, a cura di G. Cacciatore, I. Gallo, A. Placanica, Salerno antica e medievale, Sellino ed. 2000. Su Salerno moderna, cfr. A. Musi, Salerno moderna, Salerno, Avagliano ed., 1999; e ancora, a cura dello stesso Autore, Le citta` del Mezzogiorno nell’eta` moderna, Napoli, ESI, 2000.
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` , PARLAMENTI MONARCHIE, CITTA NELLA STORIA D’EUROPA TARDO-MEDIEVALE E MODERNA
Tra i fenomeni salienti della storia d’Europa fra tardo medioevo e prima eta` moderna, vi e` di certo lo svilupparsi dello stato moderno (che piu` tardi si connotera` come stato assoluto). Si tratta di un processo a largo spettro, differenziato territorialmente e dalle piu` varie implicazioni che dal terreno politico e istituzionale investono in profondita` aspetti sociali, economici e culturali, e che si sostanzia in pratica in una nuova dislocazione dei poteri, dei soggetti e delle istituzioni coinvolti. In particolare, in questa esposizione, si cerchera` di dare conto della rottura dei precedenti assetti e della ricerca di nuovi equilibri possibili, delle modifiche e alterazioni intervenute all’interno di quella peculiare ‘costellazione’ costituita da Monarchia – Corona e connessa statualita` –, Citta` – e corrispondenti municipi – e Assemblee di tipo rappresentativo e/o parlamentare, a vario livello territoriale. Al riguardo,occorre comunque partire dal fatto che dei tre fattori, o anche ‘meccanismi’, connessi rispettivamente al potere regio e alla statualita`, alle realta` urbane e a quelle istituzionalirappresentative, e` proprio il primo quello che mutando la propria fisionomia induce controspinte e reazioni da parte degli altri due, che peraltro tende pure, dopo avere conseguito nel confronto diretto una posizione di sicurezza e di preminenza, a controllare e assorbire. Va inoltre considerato il dato per cui non solo le entita` suddette, monarchia, citta` e parlamenti, hanno intanto, in un quadro storico evolutivo nel quale vanno naturalmente distinte piu` fasi, vita e attivita` di per se´; assemblee e citta`, dal canto loro, hanno altresı` relazioni ‘parallele’ ma distinte se non di reciprocita`, almeno di interazione con la Corona, nonche´ rapporti fra loro, in quanto istituzioni che comunque entrano in contatto l’una con l’altra. Al tempo stesso, insorgono, a partire da un certo momento, significative, quanto specifiche interferenze tra citta` e parlamenti, le
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
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une e gli altri accomunati, in maniera concreta e diretta, intrecciando le rispettive vicende, dal dispiegarsi degli effetti dell’impatto con Corone e Stati in forte ascesa e in posizione sempre piu` sovraordinata. Seguiremo dunque i diversi piani del discorso. cercando di tenere insieme modi e tempi del processo in esame, nonche´ i condizionamenti e gli intrecci che ne scandiscono l’evoluzione, procedendo tuttavia, per comodita` espositiva, inizialmente col tema dei rapporti tra citta` e monarchia, centri urbani e potere statale1 1. Come si e` anticipato, il punto nodale e` che via via con l’emergere e il consolidarsi delle monarchie nazionali, o anche di cospicue formazioni statali a scala almeno regionale, con l’affermarsi in ogni caso di piu` ampie articolazioni territoriali e di piu` incisive espressioni di statualita` e, ancor piu`, con lo sviluppo delle configurazioni istituzionali corrispondenti allo stato moderno, e piu` tardi allo stato assoluto, si delineano e prendono vigore politiche regie, e/o signorili, di impatto e confronto con citta` e municipi L’intento, o la necessita`, dal punto di vista dei detentori del massimo potere pubblico costituito e` decisamente quello, secondo i casi, i tempi e le circostanze, di contrastare le une e gli altri, non piu` visti e riconosciuti come i campi privilegiati della convivenza pubblica e poli di animazione e di identita`2, quanto piuttosto individuati quali soggetti, o aree di potere, antagonisti e privilegiati, variamente autonomi, sia interni sia esterni al contesto che va prevalendo, e dunque di ridimensionarli, inglobarli, comprimerli e, quando occorra, annichilirli. A fronte di cio`, le reazioni e le resistenze di citta` (e relativi municipi, il loro cercare di proporsi quali “cellule vitali”3 all’interno dei nuovi sistemi politici ed economici in cui si sviluppa la societa` europea. In effetti, se la posta in gioco e` la loro “destrutturazione politica”, la riduzione a “semplici enti territoriali amministrativi4, non puo` sorprendere l’altrettanto complessa strategia di risposte e controiniziative messa in campo, la fitta trama, insomma. di quei “percorsi di adattamento delle citta` agli stati e alle cornici istituzionali e politiche su
1
G. D’Agostino, Per una storia delle istituzioni parlamentari, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, passim. 2 M. Berengo, L’Europa delle citta`. Il volto della societa` urbana europea tra Medioevo ed Eta` Moderna, Torino, Einaudi, 1999, p. XIII. 3 G. Chittolini, La citta` europa tra Medioevo e Rinascimento, in ‘‘Modelli di citta`: Strutture e funzioni politiche’’, a cura di P. Rossi, Torino, Einaudi, 1987, p. 391. 4 G. Galasso, Potere e istituzioni in Italia, Torino, Einaudi, 1974, p. 83.
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MONARCHIE, CITTA` , PARLAMENTI NELLA STORIA D’EUROPA
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di essi centrate, particolarmente evidenti soprattutto a partire da una certa fase del contrasto, e anzi quando esso appare ormai risolto a loro sfavore5. In altri termini, se puo` convenirsi che un punto di condensazione se non di risoluzione in assoluto dello scontro in atto, e` dato appunto dall’‘‘essere citta` nello stato”6, va altresı` precisato che su tale rinnovata, e articolata, condizione influiscono in maniera determinante la sperequazione vistosa tra le forze in campo, la decisa spinta di cui sembra dotata la statualita`, e non vi sono estranee profonde modificazioni sociali, tra le schiere borghesi come tra quelle nobiliari. Per altro verso, giocano il loro ruolo anche fenomeni di perdita controllata e strumentale di identita` e di nerbo politici cui si abbandona, in diversi casi e in qualche misura con intenzionalita`, l’elemento cittadino tentato dalla opportunita` di potersi dedicare esclusivamente alle cure del proprio ‘particulare’. Di contro, sovrani e signori, e lo stesso apparato statale, arrivano a piegare e utilizzare le autonomie cittadine fino a farle diventare uno strumento di amministrazione statale. Al caso, si avvalgono pure degli antichi privilegi dei maggiorenti cittadini assorbendone la sostanza ma deviandone potenzialita` ed effetti; manovrano infine i processi di mobilitazione ai fini degli equilibri interni di ceto e fra i ceti. In piu`, vantaggi di non poca entita` provengono a corti, governi e corone da circostanze quali la debolezza, o importanza ridotta, delle citta` rispetto all’ambito rurale mano a mano che ci si inoltra nell’eta` moderna e in particolari contesti, come si puo` vedere in area mediterranea e tedesco-meridionale, dove pure il fattore urbano-borghese era apparso originariamente piu` forte. E ancora, la persistenza nelle citta` di valori non immediatamente strutturali, cioe` culturali, ideali e simbolici, spendibili, in quanto tali, senza rischio per le grandi monarchie sul piano politico piu` generale7. Citta` e Stato, insomma, tornano in eta` moderna in relazione fra loro, ma in maniera diversa che nel passato, piu` o meno recente: ora, la prima appare subordinata, o destinata a subordinarsi, al secondo. Ma per cio` stesso, e di qui, lo sviluppo di una rete sempre piu` intensa di interferenze e di interazioni orientate, di necessita` o per compensazione, in molte altre direzioni (e qui e` il caso di riferirsi al rapporto citta`-parlamenti, a cui si e` 5
G. D’Agostino, Citta` e monarchie nazionali nell’Europa moderna, in ‘‘Modelli di citta`’’, cit., pp. 395 ss.; e dello stesso autore, Per una tipologia socio-storia delle citta` e dei centri urbani nei o domini italiani della Corona d’Aragona (secoli XIV-XVII), in ‘‘XVII Congreso de Historia de la Corona de Arago´n’’, Barcelona-Lleida, 2000; Actas, 2002. 6 P. Anderson, Lo Stato assoluto, Milano, Mondadori, 1980. 7 M. Berengo, op. cit., pp. 30 ss.
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gia` accennato e su cui si tornera` piu` avanti). Cosicche´ i nodi centrali posti dalla citta` come istituzione politica, quelli della riclassificazione dei poteri al proprio interno e di una ridisegnata contrattualita` quanto alla proiezione esterna – in primo luogo, evidentemente, proprio in rapporto allo stato – vanno a collocarsi entro la cornice di tale scambio complesso di apporti reciproci. Avviene pure, peraltro, che valori e funzioni tipicamente urbani vengano trasposti dalla citta` all’interno del nuovo modello statale, riconnessi al senso generale dello stato territoriale che va ora a costituirsi nel suo insieme come la “citta` nuova”, a riprova delle capacita` assimilatrici dei grandi organismi politici, istituzionali e territoriali che dominano la scena, ma anche della vitalita` della stessa istanza urbana. Alle spalle e alla base dell’incontro/impatto con stato moderno e monarchia assoluta, e dei percorsi di adattamento cui da` luogo, per la citta` c’e` un ‘codice’ di risorse e di peculiarita`, un patrimonio in parte naturale e in parte storico, acquisito e maturato nel tempo8. Ne sono parte integrante quei tratti che consistono nei piu` marcati elementi fisionomia e formali, nella spiccata vocazione culturale e nella funzione di catalizzazione sul terreno sociale ed economico, nell’essenza tipica di spazio critico in cui si enfatizzano e precipitano le tensioni di un sistema piu` vasto, il continuum citta`/campagna o le entita` territoriali su scala almeno regionale9 e in cui ancora si esplicano i rapporti di classe, o ceto, e si misurano gli esiti della lotta per il potere e per l’egemonia, a livello locale e non. Stati e monarchie, per parte loro, appaiono definitivamente caratterizzati dal sicuro consolidamento delle proprie strutture, militari, burocratiche e diplomatiche, dalla piu` ampia estensione territoriale, dall’assunzione di compiti e competenze i piu` vari e numerosi svolti attraverso ordinamenti diversi, dall’ingerenza piena nelle attivita` economiche sempre piu` rilevanti e a largo raggio, dalla netta tendenza al disciplinamento sociale e alla razionalizzazione verticale dei rapporti e delle gerarchie, nonche´ alla concentrazione e al monopolio della forza e del potere. Eppure la centralita` di elementi indubbiamente di fondo, quali la pienezza dei poteri sovrani e il trionfo della statualita` come struttura burocratica e come reticolo istituzionale – elemento fondante dell’intero processo, anche piu` della,natura e dei condizionamenti di classe, in senso borghese e nobiliare, che pure vi sono sottesi – si articola nel gioco delle 8
G. D’Agostino, Citta` e monarchie nazionali etc., cit., passim.. Ph. Abrams, Citta` e sviluppo economico in ‘‘Citta`, storia, societa`’’, a cura di Ph. Abrams y E.A. Wrigley, Bologna, Il Mulino, 1983. 9
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molte variabili geografiche, territoriali ed economiche, delle trasformazioni sociali e politiche, delle componenti culturali, religiose e ideologiche, del fattore patriottico e militare. In misura ancora maggiore, pero`, risulta condizionata dalle coordinate spazio-temporali e dalle modalita` in cui viene a impostarsi il rapporto con le citta` e dai relativi esiti10. 2. Soffermiamoci ora sull’altro processo annunziato in precedenza e che riguarda l’evolversi dei rapporti tra sovrani (principi, o comunque signori di territori-stati) e assemblee rappresentative o parlamentari. E` sufficientemente noto, al riguardo, che sotto il profilo storico l’emergere quasi ovunque in Europa di piu` o meno ampi corpi collegiali, che di fatto finiscono per rappresentare i sudditi o i governati nell’ordinamento dello stato, scaturisce ed e` legato all’essenza stessa dell’originario “sistema aristomonarchico”, attraverso una progressiva distinzione di ruoli, entita` e peso invalsa fra i diversi soggetti in campo, inizialmente il monarca e i piu` ragguardevoli esponenti della nobilta`, laica ed ecclesiastica. Cio` che prima puo` avere costituito un insieme compatto e omogeneo si articola in seguito e si compone di elementi destinati a contrapporsi, isolando il sovrano medesimo (il quale comunque tendera` a ricreare intorno a se´ un nucleo sempre piu` ristretto ed esclusivo di fidati consiglieri e collaboratori). Al tempo stesso, pero`, cio` che piu` conta, isolandosi da esso e costituendosi in assemblea, o appunto, corpo collegiale, con funzioni inizialmente piu` ristrette, ma destinate ad allargarsi via via sul terreno della rappresentanza e della deliberativita` (in pratica, i preparlamenti e i parlamenti di cui tratta la storiografia sul tema, ancorata alla concezione istituzionale; o le assemblee di stati dell’Antico Regime, cui hanno prestato massima attenzione gli storici orientati in senso corporativista o costituzionalista)11. In estrema sintesi, si puo` ben parlare di costituzionalismo e contrattualismo medievale e proto-moderno centrato appunto sui corpi rappresentativi dei governati (ma, talora, dei “co-governanti”), quali ordini e ceti privilegiati, in situazioni che di volta in volta si propongono in termini di equilibrio, o di dualismo (come confronto e collaborazione) ma che finiscono per sfociare ben spesso in contrapposizione e antagonismo col potere regio, via via sempre piu` forte e tendenzialmente monopolista (e di
10
G. D’Agostino, Citta` e monarchie nazionali etc., cit., v., inoltre, ovviamente, il saggio Per una tipologia socio-storica ecc., contenuto nella presente raccolta. 11 G. D’Agostino, La storia delle istituzioni parlamentari. Problemi e prospettive in ‘‘Les Corts a Catalunya’’, Barcelona, 1991.
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qui poi la storia dei parlamenti si dilata seguendo linee di sviluppo su cui non e` il caso qui di soffermarsi)12. E` evidente, intanto, che nelle assemblee medievali siano presenti gli esponenti, o i rappresentanti, della societa` politica del tempo, la quale si allarga gradualmente a misura che entrino a farne parte nuovi soggetti collettivi, oltre e accanto ai ceti privilegiati tradizionali. Ed e` appunto quanto e` avvenuto con le citta` e l’elemento sociale cittadino; il loro ingresso nei parlamenti segnala per un verso il livello di crescita e di importanza che hanno raggiunto, e che li abilita a tale inserimento; per l’altro, conferisce maggiori peso e incisivita` alle assemblee stesse, nel momento in cui queste veicolano un’azione di contenimento nei confronti della Corona. Non e` un caso, peraltro, che un nucleo consistente di storici, aderenti in vario modo alle scuole di pensiero cui si e` accennato, abbia posto in stretta connessione i piu` significativi sviluppi del parlamentarismo, e quasi la sua essenza stessa, con tale affacciarsi sulla scena istituzionale dell’elemento sociale e politico urbano, prefigurazione di una componente, in senso lato, borghese (che ritroveremo egemone nei parlamenti liberali ‘classici’)13. In effetti, in particolare secondo l’americano R. Howard Lord, ad esempio, nell’ambito di quella che egli definisce come un’eta` intermedia tra feudalesimo e assolutismo, di sperimentazione, di quasi-costituzionalismo, caratterizzata dai limiti posti al potere regio dalle assemblee in parte elettive (XIII-XVII secoli) conseguenti e connessi alla necessita` che ha il primo di ricercare forme di contatto, collaborazione, partecipazione da parte delle seconde, soprattutto a fini fiscali e finanziari, si sarebbe prodotta una vera e propria “ondata di parlamentarismo” in tutta Europa, scandita dall’ingresso delle citta` nei parlamenti, dal 1188 (Leo`n) al 1613 (Russia). E vale ancora la pena di sottolineare come negli approcci comparativi e nelle analisi tipologiche di studiosi come l’inglese H.G. Koenigsberger (fondato sulle teorie e sui ‘meccanismi’ di N. Elias) e su concetti quali quelli di “monarchie composite” e “parlamenti multipli” (soprattutto nel caso della Spagna), o come l’olandese W. P. Blockmans, autore di una articolata tipologia delle istituzioni rappresentative nell’Europa tardo-medievale, siano ben presenti e valorizzati i rapporti tra citta` e parlamenti, nonche´ l’intreccio fra tali due elementi nella dialettica che li oppone al potere regio. In particolare, il Blockmans fonda un intero tipo, o modello di istituzioni rappresentative in funzione della presenza e del ruolo di forti realta` urbane, 12 13
G. D’Agostino, Le istituzioni parlamentari nell’Ancien Re´gime, Napoli, Guida, 1980. G. D’Agostino, Per una storia delle istituzioni parlamentari, cit., passim.
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distinguendo ulteriori tratti specifici nel caso delle Fiandre, di alcune aree tedesche e dell’Italia del nord. D’altronde, si e` ben consapevoli della varieta` di opinioni, anche contrastanti in materia, cosı` come si comprende bene la grande diversita` di situazioni territoriali, sociali, politico-istituzionali e culturali. Ne´ si puo` ignorare lo spartiacque fondamentale che separa l’esperienza parlamentare inglese, da quella, a sua volta estremamente variegata, del continente. Si vuole tuttavia confermare l’utilita` e validita` di certi rimandi storiografici a dati di realta` storica che indicano con chiarezza la natura dialettica dei rapporti tra monarchie, parlamenti, citta`. Nella fase della loro ascesa, queste ultime possono sia restare estranee e autonome rispetto alle assemblee rappresentative, oppure riversare in queste il potenziale della propria condizione ed incrementarlo in tal senso. Piu` tardi, possono essere indotte a trovare nelle assemblee addirittura un campo di difesa o di compensazione, a utilizzare la risorsa di una tale collocazione all’interno dei propri “percorsi di adattamento”. Ma d’altro canto, anche le assemblee subiscono i contraccolpi della crescita del potere monarchico, il quale, se da un lato ha sempre piu` bisogno di risorse finanziarie aggiuntive e per questo non puo` esimersi dal convocarle, cosı` pure sotto il profilo politico e piu` propriamente istituzionale tende a ridurle in stato di subordinazione e minorita`, a conferire e riconoscere loro solo un ruolo sussidiario e subalterno. Equilibrio difficile, che apre la via, anche in questo campo, alle diverse configurazioni di una relazione certamente asimmetrica, ma tutt’altro che marginale o solo virtuale. Anche per diversi parlamenti della prima eta` moderna, almeno, dovrebbe in definitiva essere possibile scorgere vere e proprie traiettorie di inserimento nei nuovi contesti istituzionali; ne´ dappertutto, certo, ne´ in tutti i casi: il braccio di ferro con le Corone, proseguendo nella fase dell’assolutismo, in special modo, lascera` sul terreno sicuramente molte vittime tra le istituzioni rappresentative europee. E pero` la ricerca di contatti e di mediazione, di luoghi, occasioni e strumenti di dialogo fra governati e governanti, di verifica delle rispettive forze e posizioni, di attuazione concreta dello ‘scambio’ fra tasse, o proventi fiscali straordinari, e concessioni regie sulle piu` disparate materie (capitoli, “gratie”, privilegi ecc.), tende a preservare una prassi di convocazioni, consultazioni, riunioni, ascolto anche in casi e situazioni difficili, in cui si mescolano diritti e doveri, consenso e delega, fedelta` e autoritarismo14. 14
Ibidem.
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Per concludere, almeno su questi punti: quanto alle citta`, chi scrive si e` esercitato a cogliere e ricostruire i menzionati “percorsi di adattamento” nel loro concreto manifestarsi, in relazione alle aree geografiche e alle fasi di sviluppo economico, ovviamente differenziate, che compongono il complesso panorama europeo a partire dal secolo XV. Si e` cosı` potuto distinguere tra “metropoli politiche”, citta` capitali e citta` non capitali, e ‘‘metropoli sociali” (altri studiosi si sono soffermati anche sulle capitali senza re e sulle citta` suddite)15. Ne e` emersa una ricca casistica, materiata di riferimenti a realta` quali, tra le altre, Parigi, Napoli, Londra e, ancora, Vienna, Barcellona, Roma, Valladolid, e poi Amiens, Lione, Digione, Norimberga, Monaco, Manchester. Il tutto per ribadire che le citta` in definitiva rappresentano lo scenario e il contenitore ‘condizionante’ delle intense trasformazioni sociali dell’eta` moderna, in ordine alla demografia, alla stratificazione e alla distribuzione sul territorio delle popolazioni urbane. I casi studiati confermano, e` stato detto, la straordinaria forza di attrazione che genera poderose correnti immigratorie; la concentrazione dei diversi ceti sociali in aree e quartieri determinati della citta`, seguendo motivazioni di diversa e complementare natura; abbandoni e reinsediamenti da una zona all’altra, con fenomeni di commissione e di compresenza fra ‘opposti’ nella scala sociale, preludio a dominanze esclusive successive. Insomma, topografia sociale, gerarchie politiche, aggregati operai e masse di poveri e vagabondi, assetto urbanistico sono d’altronde elementi tra loro intrecciati e sovrapposti di uno stesso quadro. L’avvento della pianta ‘stellare’, la ridelineazione degli spazi per luoghi simbolici, con la casa del re, o del suo rappresentante, le sedi dei diversi poteri, i luoghi di culto e di pieta` gli edifici religiosi in genere, il centro amministrativo e i palazzi nobiliari, quartieri e case del popolo e della plebe, il nuovo reticolo viario e in genere l’edilizia civile e abitativa, ne offrono in effetti la visualizzazione piu` convincente, in ogni aggregato urbano dell’epoca. Ha pertanto ragione chi individua nelle citta` dei “laboratori”16, autentici “crogiuoli di novita`” nei quali prevalgono secondo i casi configurazioni borghesi o feudali, anche se e quando puo` apparire netta la contrapposizione fra sfera contadina e sfera cittadina; dove, ancora, possono convivere il massimo dell’astrazione (la citta` ‘ideale’) e il massimo dell’intenzionalita` e della finalizzazione (la citta` militare). 15
M. Berengo, op. cit., pp. 12 ss. A. Caracciolo, La citta` moderna e contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1982. 16
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Soprattutto, il concetto di ‘laboratorio’ vale ad esplicare un dato incontrovertibile: la citta` attraversa, nell’impatto con lo stato moderno e la monarchia nazionale, un processo di modificazione continua e profonda. Sembra questo, in definitiva, il suo modo di passare dal vecchio al nuovo, di deperire ma per trasfigurarsi, quasi una ‘mutazione’ morfogenetica; non diviene certo la citta` che e` oggi sotto i nostri occhi, ma senz’altro costituisce il suo antecedente piu` immediato, pronto al ‘salto’ nell’eta` industriale e nella contemporaneita`, rompendo definitivamente con schemi e tradizioni del passato. Per quanto, infine, concerne i parlamenti, si son potute individuare le ricordate “traiettorie di inserimento” che portano tali assemblee a consolidare e persino a cristallizzare i tratti procedurali e fisionomia, a sviluppare organizzazioni interne elaborate e articolazioni strutturali funzionali insieme flessibili ed efficaci. Progressivamente, ad esempio, le istanze di maggiore respiro decisionale si spostano dal contesto assembleare plenario alla variegata serie di commissioni e deputazioni ristrette, all’interno delle quali si mettono particolarmente in evidenza i segmenti piu` prestigiosi delle rappresentanze convenute, nobili o cittadine che siano. La contrattualita`, il fulcro di quel “do ut des” che si e` visto agire come molla decisiva nel rapporto con la Corona, si spoglia delle forme piu` antiche, vincolanti e tradizionali, per caricarsi di sostanza e domande rispondenti a logiche contingenti all’evolversi, talora imprevedibile, dello stato reciproco dei rapporti di forza, dei calcoli e delle strategie messi in campo dall’una e dall’altra parte17. Sicuramente, e lo si e` gia` avvertito, non si e` di fronte a un quadro uniforme ne´ omogeneo, quanto piuttosto a scenari che richiamano a una ricchissima realta` storica, con radici e ‘origini’ nel mondo feudale e persino in quello romano-germanico ancora anteriore, ma destinata a straordinari sviluppi nel corso della “lunga marcia” verso l’eta` moderna e contemporanea.”Modello inglese”e”modello francese”, in modi e tempi diversi, convergeranno in effetti nella creazione di configurazioni istituzionali rappresentative assai prossime ai parlamenti del XIX secolo, mostrando che anche l’eclisse sei-settecentesca, sul continente soprattutto, era un letargo, foriero di ritorni e di riprese, e persino di trasfigurazioni, piuttosto che una scomparsa, una sconfitta irreversibile18.
17 18
G. D’Agostino, Per una storia delle istituzioni parlamentari, cit. M. Duverger, Giano: le due facce dell’Occidente, Milano, Comunita`, 1974, passim.
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Parte seconda
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NAPOLI, CAPITALE ARAGONESE
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1. La vicenda politica Se e` vero che l’intuizione di un ruolo forte per Napoli, da citta` capitale dell’intero Regno meriodionale continentale, dal confine con lo Stato pontificio all’estrema punta della Calabria, risale agli Angioini, ancor piu` corrisponde ai dati storici il fatto che la sua maturazione e il suo sviluppo si producono nell’eta` aragonese, nel cuore del XV secolo. E` al genio politico-istituzionale di Alfonso il Magnanimo, artefice peraltro d’una non meno brillante conquista militare, che si deve l’inserimento del Regno nell’ambito dell’impero mediterraneo catalano e della Corona d’Aragona, il cui centro operativo e direzionale viene fissato appunto a Napoli, residenza stabile e definitiva, oltretutto, del Sovrano e della sua corte. Divenuta cosı` la base delle principali rotte e delle piu` consistenti correnti di traffico dell’impero alfonsino, teatro della spettacolare ascesa dei mercanti catalani, la Citta` acquista i tratti fisici e i connotati “sociologici” della metropoli portuale, del grande emporio mediterranco, mercato internazionale e fiera permanente, in grado di polarizzare, e funzionalizzare, alle proprie esigenze un sistema di dimensioni almeno regionali, con riguardo, soprattutto, alla produzione agricola dell’entroterra e delle province nonche´ all’afflusso di materie prime per la lavorazione artigiana. Sotto il profilo politico, la capitale appare, con il suo patrimonio ancora potenziale, piu` che davvero effettivo, piuttosto come una ‘‘carta di riserva” nelle mani del Magnanimo, che e` pronto a giocarla, o a minacciare di giocarla, nella partita di fondo, che e` e resta quella che oppone fra loro Corona e Baronaggio regnicolo. In questa situazione, ai napoletani riesce intanto di rafforzare le ragioni della loro superiorita` nei confronti degli altri sudditi regnicoli, attraverso privilegi fiscali e giudiziari, e ancor piu` concentrando sul proprio territorio instanze e relative sedi inerenti all’organizza-
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zione amministrativa e della giustizia, a quella economica, sociale, culturale e, ancora, militare. Insomma, l’effetto-citta` si somma alla logica della capitale, potenziandosi reciprocamente e Napoli ospita cosı` tribunali, uffici, organi di controllo; ospedali, luoghi pii, banchi, mercati, scuole, accademie, universita`; porto, arsenale, fortificazioni. La presenza della corte e l’influenza del suo ruolo, fanno il resto, incidendo in modo anche diretto sul tessuto economico cittadino, e, piu` in generale, su quella che si potrebbe definire “qualita` della vita”. Ma qui pure, con l’ispanizzazione incipiente, le premesse per interne contraddizioni e ambiguita`, che si manifesteranno platealmente, pero`, piu` tardi, quando l’equilibrio sostanziale, se non l’armonia, fra le dimensioni politica e sociale salteranno e la citta` apparira` per piu` di un verso, “fuori-misura”. D’altronde, nella fase immediatamente successiva alla conquista, la stessa amministrazione cittadina, in mano al patriziato ascritto ai Seggi, non figura al pari di un ente o soggetto politicoinstituzionale collettivo e autonomo, come il baronaggio e l’insieme delle “universita`”. Accortamente, dal suo punto di vista, Alfonso si e` premunito, favorendo la “mobilitazione ascendente” di strati borghesi piu` elevati nei ranghi del patriziato; blandendo e beneficando gli strati minuti, ma dividendoli e quindi neutralizzandoli; stimolando, infine, la stessa nobilta` cittadina a stringersi attorno alla sua persona e a legarsi agli ambienti e alla vita di corte. Le cose si modificano alquanto con l’avvento al trono di Ferdinando, o Ferrante, e quindi con l’avvio dell’esperienza del regno aragonese autonomo, sotto un ramo collaterale e illegittimo, ma in via di naturalizzazione, della dinastia regnante nei rimanenti Stati della confederazione. In un quadro di confronto ravvicinato con i potentati italiani dell’epoca, e di minore condiscendenza – da parte del Regno autonomo – alla precedente subordinazione agli interessi della “Corona”, si fanno piu` marcatamente dialettici anche i rapporti tra le forze politiche e sociali locali, fra loro e nei confronti del nuovo Sovrano, signore del solo stato meridionale d’Italia. Ciascuno – baroni, comunita` e citta`-capitale – cerca di trarre il miglior partito dalle circostanze; l’aristocrazia, peraltro, finisce con l’andare allo scontro diretto, e almeno per il momento, a soccombere, mentre le “universita`” si sforzano di cogliere le opportunita` sociali e politiche loro precluse in precedenza. Quanto a Napoli, assecondata dal monarca, avvia una prassi istituzionale di relazioni dirette con la Corona che sfocia in frequenti e articolate “capitolazioni”, produttrici di importanti risultati e conquiste, tali da scandire, in positivo, l’ascesa della capitale stessa e, corrispondentemente, quella del ceto politico e di governo locale.
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NAPOLI, CAPITALE ARAGONESE
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Ancora una volta, insomma, e` proprio nelle vicende napoletane, nell’iter che la citta` compie da “universitas” tardomedievale, a capitale “moderna”, nel suo rapporto con l’ampia regione di riferimento e col Regno tutto, la chiave di lettura e di interpretazione di processi piu` complessivi. Presenza della corte, centro politico ed economico, concentrazione dei servizi e dei consumi, attrazione urbana, sono elementi ormai acquisiti, del resto, e non piu` separabili dal destino della citta`, mentre variazioni possono intervenire piuttosto, come di fatto accade, sul piano delle motivazioni, degli agenti sociali e politici, della stratificazione sociale e dell’inquadramento nella strategia di fondo della monarchia. Quest’ultima, nei decenni centrali della seconda meta` del secolo, s’ingegna a creare le basi per una certa liberalizzazione della vita economica, ed anche, a promuovere ricambi e aggiustamenti in seno ai grossi blocchi politico-sociali, al fine di renderne piu` agevole il controllo e conservare alla corona il primato e, in ogni caso, il potere di iniziativa. Le cose, anche in questo caso, sarebbero in effetti andate un po’ diversamente, sia per via della massiccia conversione urbana della feudalita` provinciale, sia perche` il contesto socio-economico resta in sostanza ancorato alla configurazione agrario-feudale e nobiliare; in piu`, i principali protagonisti, Ferrante da un lato, e l’aristocrazia feudale dall’altro, scelgono la strada della resa ultimativa del conti. Al momento, tuttavia, e nonostante quanto detto, la Capitale, nei cui Seggi e` sempre piu` intenso l’afflusso di baroni, che vi recano una carica di potere aggiunto e un’istanza di rivalsa, vive ancora la sua stagione migliore, ingrandita e abbellita, ridotata della prestigiosa sede universitaria: una citta` in cui le condizioni del vivere civile possono apparire ad un umanista fiorentino venuto a visitarla, straordinariamente invitanti e felici. Eccezionalmente accorsata, nel 1479 una “prammatica sanzione” regola i criteri e i requisti per l’acquisizione della cittadinanza napoletana, estendendo ai forestieri che affluiscono sempre piu` numerosi dalle province e da altri centri nella citta` “fidelissima”, e “caput Regni”, i diritti e i privilegi goduti dai napoletani. Uscito di scena “il gran re Ferrante” (1494), e mentre incombe sul Regno la minaccia francese, tocca al figlio Alfonso II raccogliere la pesante eredita` politica e la precaria situazione, militare, fino all’abdicazione, che decide d’improvviso e in modi drammaticamente misteriosi, in favore del giovane Ferrandino (Ferrante II) e, dopo un breve lasso di tempo, al passaggio dello scettro nelle mani del maturo Federico, zio di Ferrandino scomparso nel compianto generale. Per alcuni anni, la dinastia si barcamena, ma e` ben difficile resistere alle
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conseguenze dello scontro in atto tra le due superpotenze dell’epoca, la Francia e la Spagna riunificata con il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona (il Cattolico) e Isabella di Castiglia, la cui posta immediata e` proprio la conquista definitiva del Regno. Ed e` appunto la Spagna dei Re Cattolici a spuntarla, grazie anche allo straordinario potenziale bellico messo in campo dal leggendario Gran Capitano, Consalvo di Cordova, insediandosi cosı` nel Mezzogiorno continentale d’Italia e restandovi per oltre due secoli, governando capitale e paese attraverso i propri vicere´. Ma anche nella sequenza accelerata e convulsa degli eventi di fine secolo, culminanti nel crollo della dinastia aragonese indipendente e propizianti il rientro di Napoli nell’orbita diretta del dominio iberico, la posizione e la condotta della capitale si rivelano illuminanti. Il suo ruolo e il suo potere crescono, mentre la stessa situazione militare isola da essa il resto del paese, per cui Napoli finisce con l’essere quasi il solo centro di aggregazione e di attivita` politica in grado di funzionare e di rappresentare qualcosa. Particolarismo e opportunismo, una disinvolta gestione delle circostanze, l’accentuazione, strumentale, dell’inclinazione filo-francese, con l’insorgente animosita` verso Casa d’Aragona, apre spazi a rivendicazioni politiche da parte dei “popolari” della capitale, gia` favoriti dai francesi e abili nello sfruttare il ritorno di Ferrandino, prima, e il regno di Federico, poi, per conquistare un posto e un ruolo importanti, pur se inferiori alle esigenze e alle aspettative del ceto nel suo complesso, all’interno della municipalita`. D’altronde, la componente patrizia aveva segnato all’attivo, pochi anni prima, un importantissimo punto politico e istituzionale, guadagnando la formalizzazione della propria preminenza – attraverso il Sindaco designato dai Seggi nobili – nella funzione di rappresentanza pubblica della Citta` e del Regno.
2. Il disegno urbano Anche l’intreccio fra i processi sociali, politici e istituzionali da un lato, e quelli riguardanti il piano urbanistico e l’assetto del territorio dall’altro, particolarmente evidente nel caso di Napoli aragonese, si sviluppa secondo momenti e con modalita` distinti. Esigenze ricostruttive, di difesa e dei collegamenti viari prevalgono in effetti al tempo di Alfonso (1442-1458) e sfociano in interventi di ristrutturazione di Castel Nuovo – confermato, peraltro, nella sua funzione di sede del potere e di dimora di una corte sempre piu` propulsiva – e di nuova
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organizzazione dell’area circostante che assume connotati e caratteristiche di autentica “cittadella” fortificata, di risistemazione del porto e degli arsenali, di apertura di nuovi assi stradali verso est e verso ovest, con un netto ravvicinamento alla zona flegrea (Pozzuoli). Ad una consapevolezza sicuramente piu` orientata in direzione del prestigio e del decoro della capitale, si ricollega invece l’apertura di nuove strade, slarghi e piazze all’interno della citta` e tra il porto e il mercato (Selleria, Olmo, Lanzieri ecc.), che segna in pratica l’avvio del superamento della citta` medievale in senso rinascimentale. Tale tendenza, valutata diversamente dagli studiosi che l’hanno analizzata enfatizzandone o, viceversa, ridimensionandone la portata in termini di profondita` e originalita`, ha intanto il supporto e il riscontro indiscutibile del momento particolarmente felice attraversato dalla citta` stessa sotto il profilo culturale-artistico e dal punto di vista politico e civile. Favorita in particolare da Ferrante – il figlio naturale di Alfonso, succeduto al padre, come s’e` gia` detto, ed incoronato re nel 1459 – la capitale del regno aragonese indipendente cresce intensamente sul terreno istituzionale, giuridico e amminitrativo, come pure su quello demografico e materiale, ed afferma la propria soggettivita` politica che si materializza nel Tribunale di San Lorenzo e nella giunta degli Eletti, organo esecutivo del governo cittadino. A questo contesto va dunque riportato il peculiare fenomeno di riconsiderazione e di “rilettura” in chiave rinascimentale del tessuto urbano preesistente. Si tratta forse di qualcosa in piu` della semplice “riquadratura”, o riordino, della citta` antica, e insierme di qualcosa in meno di quella “ricostruzione su se stessa” gia` notata per epoche precedenti: e` un grosso fatto culturale, ma operante e carico di effetti e di opzioni espresse da un solido e innovativo sapere urbanistico. Ne consegue il ripristino della centralita` del disegno piu` tradizionale a pianta ortogonale, con il ritorno del baricentro urbano verso la citta` antica, cosı` rivitalizzata, piuttosto che su quella medievale; con esso avviene anche l’innesto dell’edilizia “moderna” sulla maglia antica, con esiti non sempre controllati e felici, alterazioni e scompensi, rispetto ai precedenti rapporti volumetrici e architettonici. E sempre a Ferrante, e al figlio Alfonso, si deve la realizzazione della nuova murazione, ampliata ad est e aperta, attraverso il varco di Porta Capuana, ad una zona di nuovo sviluppo centrata lungo l’asse che congiunge il decumano maggiore con Castel Capuano e Poggioreale; ad ovest, il tracciato si estende a partire da Costantinopoli, incrocia Port’Alba, devia alle spalle di piazza Dante e prosegue per Trinita` Maggiore, Monteoliveto, Toledo, Santa Brigida, per giungere al Maschio Angioino; lungo la linea di costa, numerose torri e porte entrano a far parte della cinta difensiva
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all’interno e a ridosso della quale prende forma il caratteristico assetto dei quartieri “bassi” su cui incidera` nell’Ottocento l’opera del “risanamento”. Come e` stato giustamente osservato, e puo` agevolmente verificarsi dall’esame della Tavola Strozzi (Museo di San Martino) che risale appunto agli ultimi decenni del secolo, la citta` cosı` strutturata e circondata dalle nuove possenti mura, esprime un “pieno” in termini di estensione e di razionalita`, del tutto commisurate e compatibili con l’evoluzione storica precedente, le caratteristiche morfologiche del suolo e dell’ambiente, le esigenze di difesa e di sicurezza. Si comprende pertanto come su questi presupposti nascessero nel terzo sovrano aragonese – Alfonso II, salito al trono alla morte di Ferrante (1494) – l’ispirazione e la volonta` di dare corso ad un fascio organico di interventi e realizzazioni, un vero e proprio “piano” all’insegna dei piu` apprezzati canoni rinascimentali. Il progetto, non realizzato – salvo dei ritocchi alle mura e l’ideazione e l’impianto delle ville della Duchesca e di Poggioreale (ad opera di Giuliano da Maiano) – avrebbe dovuto dotare Napoli di attrezzature adeguate ed efficienti, di un assetto moderno e ordinato, coniugando, attraverso idonee soluzioni scenografiche e architettoniche, arte, bellezza, sontuosita` e igiene. Se prospettive del genere non trovano sbocco, ne´ allora ne´ poi, e` anche perche´ la grande stagione aragonese e` ormai al tramonto: incalzano le complicazioni politiche e militari su scala internazionale, di cui s’e` detto, e non vi e` piu` tempo per rendere Napoli ancora piu` “bella e gentile”.
3. La vita culturale Anche sul versante della cultura, con le relative articolazioni e implicazioni, e` dato cogliere quei fattori e caratteri di equilibrio e di omogeneita`, se non di armonia, come pure da taluno si vuole, tipici dell’epoca. E` il caso, ad esempio, del rapporto di intesa e di collaborazione che si stabilisce fra intellettuali e potere, tra ceti colti e competenti, da un lato – soprattutto uomini di legge e umanisti laici, ma anche artisti, filosofi, scienziati – e Corona dall’altro. Ma anche quello del fenomeno altrettanto vistoso di avvicinamento e di ricomposizione e di “commistione” tra saperi e culture professionali distinti e separati, che, ancora richiamando la polarita` “retorica e giurisprudenza”, promuove e produce la figura e il ruolo dei “giuristi umanisti”. O ancora, della facilita` e disponibilita`, riscontrabili in tutta l’area, alla circolazione e allo scambio delle esperienze culturali e artistiche maturate nel contesto mediterraneo ed europeo.
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NAPOLI, CAPITALE ARAGONESE
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Allo stesso modo, pero` , vi si riflettono pure nel senso inquietante di “pienezza dei tempi”, di vigilia sempre incombente della rottura degli equilibri faticosamente raggiunti, e cio` nelle pieghe stesse dell’evoluzione dei fenomeni accennati; quindi, pure, la problematicita`, le “sospensioni” e le contraddizioni piu` di una volta richiamate a proposito delle fasi salienti del corso storico sin qui rievocato. Ne sono evidenti testimonianze le incomprensioni e poi la rottura, salvo determinati casi individuali, tra intellettualita` e monarchia, la disinvolta ricerca di protezione e, insieme, la prevalenza degli egoismi corporativi nei ranghi della prima, e, al suo interno, la divaricazione delle carriere e dei destini sociali che non tarderanno troppo a manifestarsi. Si intende, inoltre, come vi si rispecchi la dialettica tra Napoli e il Regno, tra la realta` della capitale a quella delle province, tra valori e mete del patriziato urbano e quelli del baronaggio. La citta` e` il luogo in cui e` attivo lo Studio e dove sono impiantate le piu` significative istituzioni culturali, a cominiciare dalla splendida Biblioteca cui si dedicheranno tutti i sovrani aragonesi di Napoli, alla prestigiosa Accademia affidata dal Magnanimo alle cure del Panormita e piu` tardi retta dal Pontano. A Napoli converge da tutto il paese il ceto intellettuale che vi compie gli studi, si forma e assai spesso vi si afferma attraverso una ratio studiorum e un cursus honorum che dall’universita` immette alla pratica professionale, quindi alle cariche amministrative e infine, per i piu` in vista, a quelle politiche diplomatiche, cioe` al “sevizio del re” e dello stato. La capitale, a scapito delle province, e` il centro “obbligato” in cui si raccoglie, si rielabora e si ritrasmette quanto di piu` vitale esprimano le arti del tempo; addirittura essa contende a Firenze il primato culturale in quanto viene vista e accreditata come culla della classicita` le cui testimonianze affiorano effettivamente nel tessuto vivo della struttura cittadina e nei complessi paesistici e architettonichi che le fanno corona (Campi Flegrei). Non e` infrequente il caso di umanisti toscani, come Pucci e Bandini tra gli altri, che ne elogiano pubblicamente lo spirito classico oltre che la bellezza dei luoghi, la salubrita` del clima, la qualita` della vita e persino la saggezza ed efficacia del regime politico, giudicato piu` saldo e affidabile di quello fiorentino. Beninteso, e` che sul Regno e su Napoli dispiega i suoi effetti tutta una temperie culturale che investe – vero “rinascimento diffuso” – gli stati della penisola italiana e opera da lievito costante anche per le singole situazioni locali. Ma non va neppure sottovalutata, al riguardo, la questione della specificita` della cultura umanistica napoletana e meridionale, dell’esistenza di caratteri suoi propri. Giudizi assai autorevoli insistono invero sul pro-
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
fondo innesto di tradizioni esterne, sull’importazione iniziale di elementi e filoni che trovano poi confacente e fruttuosa dimora nell’ambiente colto del Regno e della capitale, ma segnalano intanto di volta in volta, la dispersione della preziosa eredita` angioina e quindi la frattura “epocale”, l’impatto su piani strutturali arretrati e tradizionali delle sollecitazioni di una cultura letteraria e artistisca “alta”, la netta divaricazione tra livelli superiori e livelli inferiori delle sfere socio-culturali, tra loro scarsamente o per nulla comunicanti. Di contro, in altre valutazioni, le distanze e gli scarti sono ritenuti senz’altro minori, si fa riferimento alla “napoletanizzazione’’ progressiva dell’umanesimo, in senso persino antiaccademico e antipedantesco, ad aperture popolari e insieme a dimensioni extraregnicole ed extranapoletane. Ancora, in campo artistico, soprattutto, si accentua il dato della circolazione internazionale di forme, idee e correnti, nonche´ quello del peculiare ruolo di Napoli, prima ricettivo, quindi di autonoma elaborazione e infine di trasmissione e di raccordo, lungo rotte ideali che ricalcano, intersecano, quelle materiali. In ogni caso, intensita` e modalita` delle varie influenze esterne, come pure peso e rilievo dei precedenti e dello stesso contesto locale, si combinano variamente con la scansione dei tempi storici e politici del “ciclo aragonese” nel Regno. Cosı`, nell’eta` del Magnanimo prevalgono dell’Umanesimo gli aspetti maggiormente legati al mecenatismo, alla cultura di corte, all’animazione di circoli di dotti in cui si dibattono con passione temi morali e filologici; si e` gia` accennato all’Academia e vanno ancora segnalate l’importazione della cultura toscana e la diffusione della tradizione classica greca. Gli studi di umanita` vi hanno ovviamente un corso intenso ma in qualche misura “gratuito”, o almeno cosı` ancora appare; inoltre, la figura del sovrano e la glorificazione della sua liberalita`, della sua eleganza, dell’approccio estetico cui egli sembra dare rinnovato vigore, restano al centro dell’ambiente e ne costituiscono l’oggetto e il “fuoco” di finalizzazione e di sublimazione culturale. Con il Panoramita, che vi svolge la parte principale di animatore e di mediatorre letterario, di tramite per i rapporti con Firenze (Bruni e Poggio), ma anche di biografo e segretario di Alfonso, nonche´ di altissimo funzionario e ministro, figurano alla corte napoletana il genovese Facio, storiografo ufficiale, e per un po’ vi gravitano pure il Manetti e il Valla. Al tempo di Ferrante, invece, quei caratteri di “gratuita`” e di celebrazione dinastica precedentemente notati cedono alla massima intenzionalita` e applicazione politiche. I punti di riferimento diventano per un verso lo Studio, come luogo istituzionale deputato alla formazione dei nuovi “qua-
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NAPOLI, CAPITALE ARAGONESE
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dri” intellettuali e dove convergono i docenti piu` prestigiosi (Maio, Calenzio, Vassallo, Mariconda, D’Afflitto, Ferrillo); per l’altro, il ceto emergente dei giuristi-umanisti che meglio incarnano le necessita` e l’ideale stesso cui rimandano l’umanesimo civile meridionale e piu` in generale una cultura fortemente ancorata alla “patria” napoletana e al “servizio” politico e diplomatico in favore suo e della monarchia. Si smorzano anche i toni oziosi e polemici, prima piu` frenquenti, grazie alla presenza del Pontano (che svolge alla corte di Ferrante il ruolo che il Panoramita aveva avuto presso quella del Magananimo) e al clima di concentrazione e di determinazione che aleggia attorno al sovrano e anzi da lui, e dal duca di Calabria, direttamente promana. Attorno al Pontano – che dal 1485 subentra al Petrucci, coinvolto nella “congiura dei baroni”, nella funzione di segretario di stato – si stende una rete di relazioni, innanzitutto personali, che collega tra loro quanti, poeti e letterati, praticano i circoli e l’Accademia (Calenzio, Altilio, Cariteo, ma anche polemisti, filosofi e scienziati come Marchese, lo stesso Galateo, l’Artaldo e poi Nifo, Vopisco, Summonte, Gravina, Giano Anisio) con i mecenati (Acquaviva e Cavaniglia), con nobili di casa Caracciolo, d’Avalos, Sanseverino, oltre che con un fronte di cultura professionale non disgiunto da “umanita`” (Capece, Tomacelli, d’Alessandro, Riccio). Se in riferimento alla figura di Alfonso II, piu` che al suo breve regno, si ricordano episodi particolarmente significativi dell’architettura e dell’urbanistica tardoquattrocentesche (Laurana, Giuliano da Maiano, Fra Giocondo, Francesco di Giorgio Martini), dentro e fuori Napoli e sulla scia degli emblematici interventi patrocinati dai suoi predecessori (Castelnuovo), la fine del Regno autonomo ha il suo accorato cantore in Jacopo Sannazaro, segretario di Federico e suo accompagnatore anche nell’esilio francese. Ancor piu`, infine, trova suggestivi e dolenti riscontri nelle “epistole” e nelle considerazioni morali di Tristano Caracciolo, patrizio del Seggio di Capuana e uno dei rappresentanti e degli interpreti piu` autorevoli della societa` napoletana tra Regno e Viceregno.
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CARLO V E NAPOLI
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` , PARLAMENTO E REGNO CITTA
Alcune osservazioni preliminari, utili per inquadrare e sostenere il discorso che si va qui a sviluppare. Esse riguardano intanto, un dato di fatto che e` insieme un rilevante fattore condizionante e di contesto, vale a dire l’aumento della distanza, il vero e proprio gap politico-istituzionale, ormai difficilmente colmabile, che si produce, nel passaggio dall’autoritarismo ferdinandeo all’assolutismo carolino, tra le parti in causa, tra i poteri del ‘centro’ e quelli di ‘periferia’1. Di qui, in evidente connessione, l’indotta ‘riclassificazione’ dei ceti privilegiati e delle entita` forti ‘locali’. Nella realta` napoletana e meridionale, la cosa riguarda il baronaggio, il patriziato, il popolo; Napoli stessa, in quanto e come citta`-capitale; le terre, universita` e citta` demaniali; l’apparato burocratico ed il governo viceregio; il sistema politico-rappresentativo interno articolato attorno ai due poli del Tribunale di San Lorenzo (governo e amministrazione di Napoli) e del Parlamento Generale del Regno2. 1
G. Galasso, Momenti e problemi di storia napoletana nell’eta` di Carlo V, in Mezzogiorno medievale e moderno, Torino, Einaudi, 1965, pp. 139ss.; anche in Id., Alla periferia dell’impero. Il Regno di Napoli nel periodo spagnolo (secoli XVI-XVII), Torino, Einaudi, 1994. Impostazione e valutazione riprese in G. D’Agostino, La Capitale ambigua, Napoli dal 1458 al 1580, Napoli, SEN, 1979, pp. 175ss.; nello stesso volume e` riportata con larga evidenza l’opinione espressa al riguardo da F. Ruiz Martı´n, Fernando el Ca´tolico y la Inquisicio´n en el Reyno de Napoles in Fernando el Ca´tolico. Pensamiento politico, politica internacional y religiosa, negli Atti del “V” Congreso de Historia de la Corona de Arago´n”, Estudios, II, Saragosa 1956, p. 325. Spunti di notevole interesse nel recente Nel sistema imperiale. L’Italia spagnola, a cura di A. Musi, Napoli, ESI, 1994. 2 Sul sistema politico-rappresentativo interno del Regno di Napoli fra monarchia aragonese e viceregno spagnolo, v. G. D’Agostino, il saggio dallo stesso titolo, in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, 1977, XVI; quindi, nei “Cuadernos de Investigacio´n Historica, Fundacion Universitaria Espagnola, Seminario “Cisneros” Madrid 1978, pp. 13-33. In ultimo, v. Parlamento e Societa` nel Regno di Napoli (secoli XV-XVII), Napoli, Guida, 1979, pp.
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In secondo luogo, valgono a ricordare e precisare che l’esigenza prioritaria della Corona-Impero nei confronti del Regno meridionale si concretizza in processi, spinti, di normalizzazione, disciplinamento, integrazione, subordinazione . E questo sia sul piano strategico-diplomatico, visto che l’intero Mezzogiorno rappresenta il fianco destro del cuneo ispano-asburgico puntato contro la potenza francese, e, soprattutto, quella ottomana; sia sul terreno della necessaria e piu` pronta disponibilita` finanziaria a supporto della grande politica imperiale; sia, ancora, a livello della piu` rigorosa ortodossia dottrinale, culturale, religiosa, da osservarsi e tutelare con non minore impegno, al fine di non consentire scollamenti pericolosi o aperture che sarebbero stati prontamente sfruttati da nemici e avversari, interni o esterni. Infine, a mettere in luce come non siano tuttavia mancate, a fronte di cosı` pervasive linee interventiste, reazioni e resistenze di segno opposto, quelle stesse dinamiche di adattamento che hanno finito per polarizzarsi per un verso attorno al ruolo e alla funzione di Napoli-capitale, esempio di 3 “metropoli politica” e dunque di citta` che si difende e organizza un suo proprio destino e rango all’interno del Regno suo proprio e del piu` vasto complesso di domini in cui e` inserita; per l’altro, nell’intreccio con la dialettica tra autorita` regia, lontana, e delega o mediazione dei vicere´, presenti in loco.
I (1516-1532) 1. In termini piu` generali, sono gli anni in cui maturano progressivamente i nuovi equilibri e si dispongono le nuove relazioni, secondo quanto si e` piu` 163ss.; conserva la sua imprescindibile utilita`, R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Laterza, Bari, 1967. 3 La definizione-distinzione di “metropoli politica” in G. D’Agostino, Citta` e monarchie nazionali nell’Europa moderna, in Modelli di citta`, a cura di P. Rossi, Torino, Einaudi, 1987, pp. 395 ss.; in edizione piu` ampia, Id., Municipi e monarchie nazionali: il problema storico della citta` europea nell’eta` moderna, in Per una storia di Napoli capitale, Napoli, Liguori, 1988, pp. 15-46. Ancora, nella riproposizione del volume einaudiano, dalle Edizioni Comunita`, Milano 2001; d’obbligo, in ogni caso, riferirsi a M. Berengo, L’Europa delle citta`. Il volto della societa` urbana europea tra Medio Evo ed Eta` moderna, Torino, Einaudi, 1999. Sulla scorta dei saggi appena citati si e` costruito l’intervento di G. D’Agostino, Per una tipologia socio-storica delle citta` nei domini italiani della Corona d’Aragona (al XVII˚ congresso internazionale di storia della Corona d’Aragona, Barcellona, 2000, in corso di stampa nei corrispondenti Atti). Cfr. pure, ancora, Le citta` capitali, a cura di C. De Seta, Bari, Laterza, 1985 e a cura di A. Musi, Le citta` del Mezzogiorno nell’eta` moderna, Napoli, ESI, 2000. Sul caso specifico di Napoli, G. Galasso, Napoli Capitale. Identita` politica e identita` cittadina. Studi e ricerche, 1266 – 1860, Napoli, Electa, 1998.
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CARLO V E NAPOLI
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sopra anticipato. Tutto sommato, l’uomo della transizione, insieme traghettatore del ‘cambio’ e persino, all’occorrenza, ‘parafulmine’, si rivelera` quel Ramo´n de Cardona, gia` “colaborador del Rey Catolico”4, suo apprezzatissimo vicere´ sempre piu` stretto, dopo la morte di Ferdinando e negli anni immediatamente successivi, tra l’insoddisfazione della corte imperiale e l’incertezza e le preoccupazioni dei napoletani e dei regnicoli, ma lasciato comunque al suo posto fino alla morte sopraggiunta nel 1522. Sono altresı` gli anni della missione Leclerc5, occhialuta visita fiscale e ispezione generale sui conti del regno, nonche´ del memoriale Gattinara, nel quale l’autorevole ministro e consigliere di Carlo raccomanda tra l’altro al giovane imperatore di procurare che venisse fiaccata in maniera non piu` reversibile l’autonomia e l’indipendentismo del Regno napoletano6. D’altronde, negli anni a seguire, Carlo V dovra` vedersela, e duramente, con il tradizionale nemico francese e addirittura nel 1528 si registrera` la rovinosa invasione del sud-Italia da parte delle truppe guidate dal Lautrec, con strascichi politici e conseguenze notevoli anche nell’ambito della geografia feudale locale7. La fase si chiude con l’avvio, ancora contrastato, pero`, della normalizzazione – della cui esecuzione effettiva si rendera` regista inflessibile il vicere´ Toledo piu` tardi – e con il governo affidato, in forma di luogotenenza, a Pompeo Colonna, prelato, militare e politico navigato, al quale tocchera` fronteggiare, con difficolta`, un’irrequieta e difficile sessione parlamentare8. 2. E` comunque indicativa – sempre tenendo conto delle osservazioni su cui ci si e` soffermati in principio – la relazione diretta che anche Carlo, come molti suoi predecessori, stabilisce con la Capitale e con la sua rappresentanza politica. Vi e` certo l’implicito riconoscimento di Napoli come “spazio 4 Su Ramo´n de Cardona, il classico M. Ballesteros-Gaibrois, Ramon de Cardona, colaborador del Rey Ca´tolico en Italia, I.E.A., Madrid, 1953 (in chiave, comunque, tutta al positivo); G. D’Agostino, La Capitale ambigua ecc., cit., pp. 135ss. 5 G. D’Agostino, La Capitale ambigua cit. p. 155-156; G. Muto, Le finanze pubbliche napoletane tra riforme e restaurazione (1520-1634), Napoli, ESI, 1980, pp. 147ss. 6 Sul memoriale Gattinara, e sul suo grande rilievo, v. G. Galasso, Momenti e problemi ecc. cit. (1965), pp. 147ss. 7 Si rimanda su questo punto al mio La Capitale ambigua, cit., pp. 183ss. (e relative indicazioni bibliografiche); sui ‘riflessi’ parlamentari, G. D’Agostino, Parlamento e Societa` nel Regno di Napoli ecc. cit., pp. 217 ss. 8 Una ricostruzione attenta del parlamento del 1531 e del comportamento del Colonna in G. D’Agostino, Parlamento e Societa` cit., pp. 221ss.; sullo stesso tema, l’importante lavoro di A. Cernigliaro, Sovranita` e feudo nel Regno di Napoli (1505-1557), Napoli, Jovene 1985, I, pp. 140ss.
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critico”, ‘contenitore’ socio-politico e istituzionale di assoluta rilevanza e capacita` di incidenza, sede di vertebrazione dello stato e del governo, potente fattore di aggregazione e, al caso, di miscelazione sociale. In ogni caso, al di la` dello scambio formale di cortesie, scatta tra il 1516 e il 1517, e dentro quella che si annuncia come un’ennesima manifestazione della tradizionale e privilegiata “relazione di reciprocita`” tra Corona e Citta`Capitale, la divaricazione tra i comportamenti politici della componente nobiliare, o patrizia, e quella popolare. La prima, istintivamente diffidente e comunque intrisa di umori, piu` o meno strumentali, di marca filo-angioina; la seconda, di spirito ‘aragonese’, come ha dimostrato nel corso di quasi un secolo (in pratica sin dalla comparsa di Alfonso d’Aragona sulla scena politica meridionale). E Carlo in effetti si mostra da subito orientato a favore della fazione, se non della causa popolare, come si vedra` in occasione dell’ambasceria napoletana del 1517, con relativa conferma, e/o nuova concessione di capitoli a beneficio dei soli popolari9. Di qui, peraltro, anche un lungo contenzioso tra richieste locali insistentemente reiterate, e solo parziali accoglimenti da parte di Carlo e del suo entourage di governo, con strascichi di malumori, proteste e persino dichiarazioni di non gradimento, e quasi, in pratica, ricusazione di alcuni capitoli, accordati parzialmente o del tutto svisati, a giudizio, almeno, dei reclamanti10. Il tutto consente, o almeno agevola, il cammino della ‘piazza’ popolare, vale a dire della struttura e proiezione istituzionale del ceto, il suo “reggimento”, che proprio nel 1522 perviene ad importanti mete di formalizzazione istituzionale, di regolamentazione e, insieme, di riforma degli assetti organizzativi interni. E di tali indiscutibili progressi, non a caso, si faranno carico i maggiorenti della stessa ‘piazza’, o Seggio, sia nel senso di garantirne l’efficacia, anche futura, mediante scritture, salvaguardie legali e autentiche varie; sia, promovendo una sorta di campagna propagandistica e conoscitiva, con la messa a stampa e circolazione dei documenti e delle testimonianze delle conquiste raggiunte e dello status conseguito, anche a seguito, evidentemente, delle concessioni regie (e viceregie)11. 9
La Capitale ambigua, pp. 153ss. Il ‘contenzioso’ cui si riferisce nel testo si protrarra` a lungo riemergendo a tratti in occasione dei parlamenti riuniti nel corso del primo Cinquecento. In particolare, i capitoli contenuti nella articolata ‘capitolazione’ di Worms del 1521, riportata con forte rilievo dal Cernigliaro (op. cit., I, pp. 112ss. e II, pp. 409ss. e 778ss.), costituiscono essi stessi parte integrante di detto contenzioso, in quanto addirittura non ricevuti, o non recepiti, in Napoli. 11 La Capitale ambigua, pp. 178ss.; G. Muto, Gestione politica e controllo sociale nella Napoli spagnola in Le citta` capitali cit., pp. 67ss. 10
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CARLO V E NAPOLI
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Piu` avanti negli anni, i rapporti tra nobili e popolari, come era da attendersi, si rifaranno tesi; i contrasti, a parte quelli sostanziali e pero` latenti, o tenuti a freno, trovano esche per accendersi in occasione delle dispute per la custodia delle porte cittadine – a chi toccasse fra i ceti e in quale proporzione la delicata incombenza – , o della formazione e realizzazione di ambascerie della Citta` presso Carlo, momento-chiave della realizzazione della ricerca di dialogo, o contatto, tra sudditi e monarca lontano. E a questo riguardo, piu` propizie appariranno le circostanze – dopo il fatidico 1528 – della venuta dell’imperatore in Italia e della sua dimora in Bologna per l’incoronazione (1529)12. 3. Se un canale, per cosı` dire riservato, sembra costituirsi per il dispiegarsi del rapporto politico tra Napoli e Carlo, va tenuto presente che alla medesima istanza, sostenuta dal Regno, nell’interezza della sua realta` sociopolitica e istituzionale, dovrebbe provvedere il Parlamento Generale (del Regno, appunto). Ad intervalli non regolari, e con alterne fortune, tali assembleee sono state ovviamente riunite anche in tempi lontani dal primo Cinquecento, cui ora si sta alludendo, ma e` sicuramente dall’epoca aragonese che hanno conosciuto nuovo impulso e vigore. In vario modo hanno scandito il passaggio dal regno aragonese del Magnanimo a quello indipendente, aragonese-napoletano, dei suoi successori, e poi il ritorno pieno nell’orbita della Corona d’Aragona e quindi l’avvento del viceregno spagnolo. Sempre piu`, si vuole dire, i parlamenti (intesi come riunioni o sessioni periodiche del Parlamento Generale) hanno precisato i propri dati organizzativi, funzionali e procedurali, rivelando, e cristallizzando, una fisionomia sostanzialmente mono-camerale (in cio`, diversi dagli omologhi istituti siciliani e sardi, per restare ai domini italiani di Spagna)13, in senso aristocratico, ma non senza intervento di altri soggetti e soprattutto con una peculiare presenza di Napoli, attraverso la figura del Sindaco (designato dai Seggi nobili cittadini con funzioni miste, di rappresentanza, interlocuzione e conduzione, e di propri rappresentanti in ruoli decisivi del lavoro e dell’attivita` parlamentari). Negli anni a cui ci si sta riferendo il quadro appena accennato e` in movimento, in costruzione; del resto, annoveriamo, nella fase, alcuni episodi minori di concreta vita dell’assemblea, nel corso 12
K. Brandi, Carlo V, Torino, Einaudi, 1961, pp. 272ss. Una panoramica in prospettiva comparativa sulle assemblee rappresentative di Napoli, Sicilia, Sardegna in G. D’Agostino, Gli Stati italiani e la Corona d’Aragona. Potere regio, istituzioni, assemblee rappresentative, in Poteri, Istituzioni e Societa` nel Mezzogiorno medievale e moderno, Napoli, Liguori, 1996, pp. 93ss., Id., Assemblee rappresentative di Sicilia, Sardegna e Napoli nell’eta` spagnola, ibidem, pp. 123ss. (con relativa, densa, bibliografia). 13
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del decennio 1520-30, mentre durante il viceregno del Colonna, a cui si e` fatto cenno, ha luogo l’episodio di gran lunga maggiore, sia per l’indubbia importanza politica, sia per i molteplici riflessi istituzionali e procedurali14. Tutto prende le mosse dall’eccesso di zelo del Colonna, desideroso di ben figurare nei confronti del monarca, sperando magari di rendere piu` stabile e piu` duraturo il proprio incarico a Napoli, e dunque patrocinatore di una richiesta al parlamento di un contributo, o ‘donativo ‘, giudicata subito enorme, letteralmente spropositata (tra i sei e gli ottocentomila ducati, in un certo numero di rate ed anni ). Della protesta, assai risentita e violenta, si fa portavoce il Principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, tra i piu` cospicui se non il principale dei baroni regnicoli, il quale non risparmia accuse e critiche al Colonna, richiamandolo a limite del suo ruolo e del suo mandato, con la decisa sollecitazione a conformarvisi. E qui traspare con ogni evidenza un aspetto di fondo del rapporto tra nobilta` locale e rappresentante del governo spagnolo in citta` e nel Regno, con l’insofferenza della prima, che rivendica autonomia e comunque accesso diretto (e nel caso del Sanseverino, persino, in certo modo, paritario e comunque non ‘mediato’) al dialogo con la Corona, nei confronti del secondo, che da quella si vuole abilitato al confronto in senso piu` amministrativo e istituzionale, che in quello propriamente politico e dei rapporti di potere, sfera riservata della relazione diretta aristocrazia-monarchia15. Ce n’e` abbastanza, invero, perche´ si inneschi il contrasto e si trasferisca in sede parlamentare, tra durezze e colpi di scena, risse e tranelli di varia natura e misura, investendo appieno l’assemblea e rendendola incandescente. Si palesano due schieramenti contrapposti, l’uno – facente capo al potente Principe di Bisignano, egualmente di casa Sanseverino – dei servitori ‘zelanti’, o autoproclamatisi tali, rispettosi della linea politica dispiegantesi lungo l’asse che da Carlo arriva fino al proprio rappresentante in Napoli, e che prescinde da intemperanze ed errori – che comunque ci sono stati – dello stesso Colonna; l’altro in questo caso quello tradizionalista, e geloso difensore delle liberta` dei privilegi antichi di casta e per estensione del Regno, capeggiato, quasi ‘naturalmente’ dal richiamato Principe di Salerno16. Il primo e` comunque di gran lunga piu` numeroso, sostanziato da una maggioranza, o blocco, che diremmo ‘filogovernativo’, mentre il secondo e` 14 15 16
Ancora il mio Parlamento e Societa` ecc., cit. pp. 223ss. ibidem G. D’Agostino, La Capitale ambigua ecc., cit., pp. 190ss.
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piu` scarno, quantitativamente, ma di indubbio peso e prestigio, sotto il profilo sociale e politico, nonche´ solidamente ancorato a una visione classista intransigente, e, tutto sommato, destinata a soccombere dinanzi ai “tempi nuovi” dei mutati rapporti di forza e allo stesso programma assolutista di Carlo V. Una dialettica, a ben vedere, interna, per la grandissima parte, ai ranghi nobiliari, e oscillante tra l’ossequio condiscendente, o interessato, degli uni, e la rancorosa, seppur fiera, opposizione ultraconservatrice degli altri. Sul terreno contingente, i temi buttati sul tappeto pesantemente, riguardano la successione feudale, di cui si chiede l’‘‘ampliatione”, l’amministrazione della giustizia, spedita ma al tempo stesso tale da lasciare ampi margini di manovra agli aventi titolo in ambito giurisdizionale signorile, la concessione di ‘uffici’ e cariche ai regnicoli secondo precise gerarchie: tutte materie decisive nel confronto governati-governanti, e vitali per la condizione nobiliare, in primo luogo, ma anche gli strascichi del 1528 (ribellioni, scelte filo-francesi e conseguenti punizioni con perdita dei feudi) e, una volta di piu`, il richiamo all’osservanza delle concessioni precedenti (dell’epoca aragonese, in sostanza) intrecciati alla partita, ancora in sospeso, delle rivendicazioni rimaste inevase, o male evase, sin dal 1516-17. Alla fine, lo scontro si ricompone, alla meno peggio, tra minacce, fronteggiamenti, invii contrapposti di emissari a corte. Il Regno resta in ogni caso gravato del carico di varie centinaia di migliaia di ducati, anche se l’assemblea spunta un rateizzo di maggiore respiro, con pagamenti dilazionati nel tempo. Non sfugge, tuttavia, ad osservatori e analisti, e certo meno che a tutti allo stesso Carlo, il significato dello scontro appena sopito, e la realta` della posta in gioco. Su tutto spicca la necessita`, avvertita da tempo a corte ma ora impostasi con perentoria urgenza, di condurre con decisione avanti, e in porto, la preventivata, e programmata, azione di riduzione e imbrigliamento della complessa, e difficile da maneggiare, realta` del Regno napoletano17. Al nuovo governatore dello stato meridionale, individuato con mano sapiente nella energica persona di don Pietro de Toledo, tocchera` tradurre con tempestivita`, rigore, efficacia e al massimo grado di radicalita` e impegno, il mandato rimessogli in tal senso.
17
Ibidem, pp. 193ss.
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II (1532-1547) 1. Appena insediato a Napoli, il nuovo vicere´ presenta alla Citta` e al Regno le sue credenziali, investendo in maniera globale, e con straordinaria incisivita`, tutti gli aspetti, sociali, politici e istituzionali, della realta` locale. Intanto, mostra immediatamente il pugno di ferro, rovesciando su quanti, soprattutto tra popolari e ‘plebe’, boicottano, o semplicemente intralciano il rullo compressore dell’iniziativa governativa e amministrativa (in cio` tradendo inveterate abitudini al riguardo e presunzioni di impunita`, secondo quanto probabilmente verificatosi in passato), i fulmini di una repressione persino spietata, e comunque evidentemente esagerata ad arte, con intento chiaramente ammonitorio e paradigmatico18. Con eguale impeto, Toledo si muove sul terreno delle riforme giudiziarie, della verifica puntigliosa del funzionamento (o, piu` spesso, del malfunzionamento) di ogni singolo ‘ufficio’ e branca dell’apparato burocratico; delle bonifiche, costruzioni e strade, mostrando di non nutrire alcun timore reverenziale, di non considerare alcun passo troppo audace, di non avere remore o pregiudizi di sorta. In altri termini, di non subire condizionamenti dal pur difficile ambiente locale, e di avere ben chiare e fisse in mente le istruzioni ricevute, le quali, condensate nell’esecuzione ad unguem del programma assolutistico dell’Imperatore, costituiscono la unica e vera bussola del suo agire. Se a tutto questo, si aggiunge la mobilitazione di risorse, umane e materiali, in vista dei futuri impegni “contra el Turco”, si potra` agevolmente intendere la somma di interessi, le posizioni personali, le brighe dei ceti e le strategie dei “poteri forti” smosse dal Toledo e coalizzatesi contro di lui. L’occasione per quella che nelle intenzioni di molti e` in pratica una vera e propria “resa dei conti”, avrebbe dovuto essere costituita dalla presenza di Carlo in Napoli (per diversi mesi, tra il 1535 e il 1536) e segnatamente dalla solenne e articolata celebrazione del Parlamento Generale. L’azione orchestrata contro il Toledo, innanzitutto dalla nobilta` nelle sue varie espressioni e ‘sensibilita`’, ma non senza il concorso anche di altri soggetti, ‘offesi’, o non sufficientemente soddisfatti o gratificati rispetto alle proprie aspettative, non sortisce – come si vedra` ancora avanti – gli effetti sperati da quanti vi
18
Sul Vicere´ Toledo, v. ora gli acuti saggi di C.J. Hernando Sanchez, Castilla y Napoles en el siglo XVI: el virrey Pedro de Toledo. Linaje, estado y cultura (1532-1553), Valladolid 1994; Id., Nobilta` e potere vicereale a Napoli nella prima meta` del ‘500, in Nel sistema imperiale ecc. cit. pp. 147ss.
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hanno posto mano e mente, e lascera` le cose, almeno in apparenza, tra sospese e cristallizzate19. Nell’immediato, il Toledo riprende con lena il suo multiforme e deciso intervento riformatore, coadiuvato da alcuni funzionari di grosse capacita` (Camerario), ma anche, seppure con discrezione, seguito piu` dappresso da altri influenti esponenti di governo e dell’amministrazione, a cio` stimolati, per non dire esplicitamente preposti, direttamente dall’Imperatore. Tra quest’ultimo e il suo efficace ministro, il “vicere´ di ferro”, si e` rinnovato evidentemente il legame fiduciario, con qualche cautela da parte di Carlo, ma si e` anche stabilizzata quella relazione dialettica, in parte fisiologica, in parte costruita e mantenuta in maniera decisamente piu` artificiale e strumentale, ai limiti di un peraltro ben congegnato “gioco delle parti”, per sviluppare, con maggiori potenzialita`, una strategia complessivamente vincente con le diverse componenti sociali e politiche della Citta` e del Regno. In buona sostanza, Toledo – tra le importanti iniziative assunte sul terreno civile e sociale, e quelle di politica finanziaria e i pur pressanti impegni militari – fronteggia la situazione locale, devia (rispetto al destinatario imperiale) e assume su di se´ rancori e insofferenze, divenendo bersaglio di un odio tenace quanto ‘congelato’, almeno fino alla meta` degli anni Quaranta, quando lo scontro, a lungo evitato o rimandato, esplodera` con straordinaria virulenza20. 2. La Citta` che con solennita` ed entusiasmo saluta l’Imperatore che in un tripudio di folla fa in essa il suo ingresso (la “felice entrata”) e ne percorre strade e quartieri – secondo un’accorta e scenografica regı`a che esalta atti e momenti dall’assoluto impatto rituale e simbolico21 – e` probabilmente persuasa di poter dissipare, nel contatto e nel dialogo diretti con Carlo, ombre e chiarire, anzi, punti nodali del rapporto sudditi-sovrano. Lo pensano, e lo sperano, per i primi i baroni convenuti in massa tra le mura cittadine (piu` tardi, dal vicere´ saranno pressoche´ ‘precettati’ alla vita e dimora in citta`, lontani dalle tentazioni di intrighi politici e militari al riparo dei propri castelli o dimore fortificate). Ma l’illusione dura poco, visto che il messaggio prevalente che emana dalla presenza e dai comportamenti
19
Parlamento e Societa` ecc. cit. pp. 241 ss.; A. Cernigliaro, Sovranita` e feudo ecc. cit. I, pp. 267ss.; II, pp. 946ss. 20 La Capitale ambigua, cit. pp. 207ss. 21 G. D’Agostino, La solenne entrata di Carlo V in Napoli (25 novembre 1535) , Napoli 1980, Gennaro D’Agostino editore.
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dell’Imperatore va in direzione del tutto opposta, vale a dire del livellamento, in basso, di tutti i ceti e i gruppi che brigano per la rimozione del Toledo, con in piu` qualche accenno perequativo, o risarcitorio, nei confronti22, ad esempio, delle terre stesse soggette al duro dominio feudale. Anche in seguito a cio`, in ogni caso, ha luogo quella ri-dislocazione delle forze in campo, che prelude all’attacco diretto del vicere´ alle roccaforti, in senso proprio e figurato, del potere aristocratico e baronale in genere; ad una appena piu` duttile condotta nei riguardi del patriziato urbano napoletano ed alla ricerca di una intesa, per fini e con modi assolutamente ‘egoistici’, con il popolo, il problematico elemento borghese di una realta`, nei suoi tratti di fondo, anti – o extra-borghese. Per un po’, tuttavia, sembra proprio Napoli la destinataria delle maggiori attenzioni del Toledo, che ne ridisegna, addirittura, la fisionomia, la struttura urbanistica, con l’apertura – fra l’altro – del lungo asse viario nord-sud nel cuore stesso della citta`, a valle del pendio sul quale si inerpicano gli alloggiamenti militari delle truppe spagnole di stanza nella capitale (i ‘quartieri’) rimasta per sempre la principale arteria cittadina (dalla antica “strada Toleta” alla piu` tarda “via Roma” e di nuovo, infine, ma piu` semplicemente, ‘Toledo’), e che culmina ai piedi e in faccia all’imponente prospetto del palazzo vicereale, traducendo cosı` compiutamente in e sulla “forma urbis” l’istanza politica assolutistica23. Al punto che gli organi di rappresentanza e di governo della citta`, anche perche´ impensieriti dall’interesse mostrato dallo stesso Toledo per altri ambiti e realta` provinciali, si sentono spinti e legittimati a procedere in direzione di una generale riorganizzazione degli assetti istituzionali interni (ad esempio, circa il modo di “formare la citta`” da parte di quattro Seggi sui sei esistenti ed attivi, punto tradizionalmente assai controverso nei rapporti tra popolo e patrizi) e di quelli riguardanti i singoli Seggi. Non solo, ma anche in quella di una nuova ricerca di agganci diretti con la corte imperiale, presso la quale far valere le proprie ragioni affidate ad autorevoli e frequenti ambasciatori ‘speciali’. E in piu`, prosegue nel frattempo, e anzi acquista un ritmo piu` serrato, la conquista da parte della Capitale di spazi e ruoli cruciali in parlamento, sede in cui i poteri locali tentano di far valere una doppia presenza, e incidenza, istituzionale, legata allo status aristocra-
22
La Capitale ambigua ecc. cit. pp. 250ss. Sull’attivita` urbanistica del Toledo, tra i tanti, v. oltre ai noti lavori di G. Russo, F. Strazzullo, C. De Seta, R. Pane, Pietro di Toledo, vicere´ urbanista, in Storia di Napoli, vol. IV, 2, 1974, pp. 417-426; G. Simoncini, Citta` e societa` nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1974, pp. 180ss. 23
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tico per un verso, e a quello della riconosciuta rilevanza del fattore urbano, pur se abbondantemente ‘contaminato’ in senso feudale, o, almeno, nobiliare, per l’altro24. In questo clima, pero` maturera` la reazione tolediana, e l’attiva opera di repressione culturale e religiosa, contro accademie, circoli e la stessa sede universitaria, in cui si sostanziera`. Per la verita`, l’impressione e` che, dal punto di vista del vicere´, i segnali allarmanti siano ormai numerosi e tali da avere portato la situazione al livello di guardia. Da parte sua, e` come un giocare d’anticipo, paventando il peggio, o magari per un bisogno di confermare se stesso, e ancor piu` la corte imperiale, della bonta` ed efficacia del proprio impegno a Napoli. Di certo, influisce, per la sua parte, l’esigenza di dare un’accelerazione al mai del tutto compiuto iter di normalizzazione della realta` locale, per l’abilita` dei regnicoli nello smarcarsi continuamente e nel mimetizzarsi, nonche´ nel trarre partito da singole congiunture o anche da piu` necessitati e necessitanti processi socio-politici in atto, con il loro corollario di contraddizioni e di equilibri assai difficili da trovare e mantenere25. 3. Molte delle cose che si sono sin qui prospettate, trovano nelle sessioni parlamentari una sede ideale di manifestazione e di riscontro. Intanto, il ricorso oltremodo frequente all’assemblea per ripetute e pressanti richieste finanziarie, a partire dal 1534 (sei o sette riunioni, tra loro anche molto ravvicinate, nello spazio di una dozzina d’anni) denota il crescere delle esigenze finanziarie e l’opzione per questa modalita` di procurarsi le corrispondenti risorse. Dal punto di vista dei napoletani e dei regnicoli, poi, il consolidamento della prassi parlamentare va di pari passo con gli importanti progressi istituzionali di cui s’e` detto, i quali, con l’occupazione di postazioni politico-istituzionali di tutto rispetto, traducono a loro volta quei processi sociali e politici di amalgama e, insieme, di distinzione che si sono visti in via di svolgimento e su cui si e` gia` richiamata l’attenzione, pur senza arrivare a dire che rappresentano in realta` le conseguenze dei limiti e contraddizioni difficilmente risolvibili o eliminabili, in quanto insiti e radi-
24
G. D’Agostino, Dal Toledo a Masaniello. Potere e istituzioni a Napoli tra Cinque e Seicento, in Poteri, Istituzioni e Societa` ecc. cit., pp. 143ss.; A. Musi, Parlamenti, rappresentanze, sistema di potere: il caso del Regno di Napoli, in Acta Curiarum Regni Sardiniae. Istituzioni rappresentative nella Sardegna medievale e moderna, Cagliari 1986, Consiglio Regionale della Sardegna, pp. 251ss. 25 La Capitale ambigua, pp. 215ss.; G. D’Agostino, Re, Vicere´, Rivolte, Napoli, ESI, 1993, pp. 53ss., 87ss.
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cati nella concezione e nella prassi dell’assolutismo spagnolo e imperiale dell’epoca. In ogni caso, a parte la veloce convocazione del 1534 per scopi contingenti e riservata per l’urgenza ai soli baroni piu` prossimi alla citta`, e quindi in grado di intervenirvi senza eccessivi problemi26, il parlamento di gran lunga piu` importante e` quello del 1536, di cui si e` detto, celebrato alla presenza di Carlo, e finalizzato al conseguimento del sospirato allontanamento del Toledo dal Regno. Nonostante tutti gli sforzi, e i tentativi messi in campo – compresa l’offerta-record di un milione e mezzo di ducati – non si approdera` a nulla e Carlo confermera` il Toledo alla guida del paese. E` pero` interessante notare come nella circostanza si manifestino non poche novita` procedurali e di struttura rilevanti, quali emergono dal piu` nitido resoconto dei lavori, e in particolare relativi alla speciale commissione, o ‘deputazione’ delle gratie, al cui interno per la prima volta si trovano documentati la presenza e il ruolo organico di deputati napoletani. In precedenza, tale commissione era risultata composta da soli membri del baronaggio, davanti ai quali sfilavano i sindaci delle citta` (quello di Napoli, in testa) presentando le proprie richieste, depositandole e facendo istanza che venissero raccolte e inserite nella serie di ‘capitoli’ da approvarsi, dal re o vicere´, a cui sarebbero stati sottoposti. Inoltre, si menzionano ed elencano richieste (o ‘grazie’) compilate e presentate, distinte in “particolari” e “universali”, secondo la natura, singola o di entita` collettiva, dei destinataribeneficiari dei provvedimenti corrispondenti. E` ancora dalla lettura dei documenti parlamentari che si evince lo stato, praticamente irrisolto, della questione ‘nodale’ dei rapporti tra la nobilta` locale e il vicere´, del quale la prima continua a pretendere una sorta di ‘neutralita`’, o impotenza, politica a fronte di piena capacita` sul versante amministrativo e istituzionale27. Due anni piu` tardi, nuovo parlamento, ulteriore contribuzione e altro passo avanti della rappresentanza napoletana, questa volta inserita all’interno della speciale deputazione dedicata al calcolo delle quote di ‘donativo’ e in quella per l’‘‘osservanza e sollecitazione dei capitoli”, posizione ancora confermata e ampliata nel parlamento del 1541, celebrato ‘a valle’ delle due missioni diplomatiche presso Carlo V affidate rispettivamente dal regno e dalla Citta` al Marchese di Vico, Caracciolo, e al Priore Carafa, entrambe restate prive di apprezzabili risultati, nonostante le grosse aspettative e il credito dei personaggi coinvolti. Le concessioni che avrebbero 26 27
Parlamento e Societa` ecc. cit. pp. 238ss. Ibidem, pp. 242ss.
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forse potuto scongiurare la prova di forza non giungono, probabilmente perche´ ritenute incompatibili con la situazione di fatto e con le prospettive dei governanti; lo scontro, con la repressione che inevitabilmente dovra` seguirne resta ormai l’unica strada da percorrere, e vi sara`, in effetti, nel 1547, producendo una gravissima crisi28.
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III (1547-1554) 1. Si e` detto, nelle pagine precedenti, che quello del 1547 ha tutta l’aria di un episodio di grave provocazione, di un tumulto annunciato, il punto di condensazione di una crisi venuta da lontano. E non stupisce neppure che il terreno sia quello delle manovre per introdurre nel regno l’Inquisizione spagnola, come era avvenuto gia`, e con le stesse prevalenti motivazioni politiche, qualche decennio prima. E` vero, in effetti, che gia` l’anno precedente lo zelo del Toledo si era esercitato nel chiudere varie istituzioni culturali, non sembrando opportuno “che sotto pretesto di esercizio di lettere si facessero tante congregazioni e quasi continue unioni de’ piu` savij et elevati spiriti della Citta`, cosı` nobili come popolari, perocche´ per le lettere si rendono piu` accostumati gli uomini e accorti, e si fanno anco piu` 29 animosi e risoluti nelle loro azioni” . Allo stesso modo, non e` meno vero che l’allarme per le ‘deviazioni ‘ religiose, ormai intorno alla meta` del secolo, era assai piu` vivo e pungente che non nel 1510. Ma resta egualmente problematico intendere appieno il significato del 1547 se non si fanno entrare in campo tutti i possibili motivi, anche di calcolo personale e psicologico da parte del Vicere´, ad esempio, e quelli legati alla percezione della posta in gioco, da parte di Carlo V, della Capitale e del Regno meridionale. Nella cruda, e concitata, sequenza degli avvenimenti, si passa dalla provocatoria pubblicazione di un perentorio editto, fatto affiggere alle porte dell’arcivescovato, all’esplosione della collera dei napoletani contro i quali interviene la truppa spagnola. Qui si evidenzia la tattica del Toledo, il quale, con pubblici spettacoli di esemplari castighi, esaspera vieppiu` la popolazione, la aizza ad alzare ulteriormente il tiro della protesta e della ribellione, onde potere a sua volta scatenare una repressione ancora piu` dura, sanguinosa, plateale. E pero`, la 28 29
La Capitale ambigua, loc. cit.; Re, Vicere´ ecc. cit. pp. 89-91. Dell’Istoria di Notar Antonino Castaldo, Napoli, Gravier, 1769, p. 73.
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misura e` ben presto varcata: i tumultuanti decidono, radunatisi al suono delle campane di San Lorenzo, di uscire dall’obbedienza al vicere´, di sancire l’unione tra nobili e popolari, di mandare ambasciatori a Carlo. Si e` giunti cosı` all’estremo passo, quella unione tra i ceti, evento-limite, in grado di sovvertire il rapporto tra governati e governanti, e in quanto tale temuto dagli spagnoli piu` di qualsiasi altra congiuntura. Il resto, e` violenza, spesso incontrollata, con cui Napoli reagisce a rivalse e contromisure, ma in realta` gioca la carta del “governarsi da se´”, del decidere, o almeno orientare, il proprio destino politico30. E` comunque, una lotta impari, e che coalizza, una volta ancora, il governo spagnolo in Napoli e la corte imperiale. Dopo, non si guardera` tanto per il sottile, e ancora si lascera` mano libera al Toledo per compiere le sue vendette, terribili, e per normalizzare sudditi riottosi con processi e persecuzioni di cui faranno le spese in tanti, tra cui il Principe di Salerno, ma anche con interventi politici e istituzionali tesi a ridimensionare e imbrigliare le stesse rappresentanze patrizie e popolari. Nei confronti di questi ultimi , Toledo manomettera` pesantemente il sistema di designazione dell’Eletto, avocandolo praticamente a se´ e legando cosı` al ‘carro’ filogovernativo il ceto, o buona parte di esso31. Non passera`, comunque, l’Inquisizione “al modo di Spagna”, ma opereranno, e come, quella romana e quella diocesana, ordinaria. Ed a proposito della tempesta appena placatasi, un cronista del tempo, solitamente cauto e conformista, non resistera` questa volta a gridare con toni appassionati e disperati la sua protesta per le menzogne strumentali fatte circolare ad arte per potere mettere sotto processo praticamente l’intera citta` e Regno. Circa l’asserita, presunta intelligenza con i Francesi e le trame orchestrate contro la Spagna, non esita a puntualizzare “che certo non fu detta la maggiore mentita di questa, perocche´ dall’odio implacabile in fuora che si aveva al vicere´, niuno mai penso`, ne´ in detto ne´ in fatto, di disservire a tanta Maesta`, e se alcuno ha detto, o scritto, altramente, o stampato, e` proceduto da passione o da maligna informazione, e mentono e mentiranno tutti quelli che oppugnarono questa verita`”32. Come tuttavia ha notato Croce, “i moti del 1547 furono l’ultima manifestazione della vitalita` politica e dell’indipendenza napoletana; e pur tra le molte prove che vi si dettero di entusiasmo e di prodezze, nel modo 30 31 32
G. D’Agostino, Re, Vicere´ ecc. cir., loc. cit. La Capitale ambigua, pp. 220-223. Dell’Istoria di Notar Antonino Castaldo cit. pp. 103-104.
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in cui si svolsero e nella fine che ebbero mostrarono aperta la decadenza. Nonostante che all’Inquisizione a modo di Spagna si rinunziasse dal governo spagnolo, e che l’impegno preso di non mai introdurla fosse sempre tenuto vivo e fatto rispettare dai napoletani..., la citta` dove` allora sottomettersi, pagare ammenda, vedere punire i principali agitatori; e la forza di levarsi compatta e in armi, e affermare la propria volonta`, e sostenere di fronte alla monarchia spagnola gli interessi nazionali o municipali fu fiaccata per sempre”33. Un giudizio fin troppo severo nei confronti della Capitale che pure ha provato ad esprimere contrarieta` risoluta all’assolutismo e al centralismo imperanti, anche se dentro una logica di salvaguardia e di rafforzamento del proprio ruolo e del proprio potere contrattuale, in pratica dei suoi ceti ‘forti’, ed ha pagato per questo un prezzo altissimo. 2. E` interessante seguire, come si e` fatto anche in precedenza, in ‘filigrana’ parlamentare – per cosi dire – le vicende degli anni Quaranta inoltrati, centrate sullo spartiacque costituito dal 1547. In verita`, anche in ragione delle sempre crescenti esigenze finanziarie della corte, sin dai primissimi anni del decennio il parlamento appariva non piu` come lo strumento principale attraverso cui si veicolava la soffocante pressione fiscale spagnola e di conseguenza, neppure come il canale tradizionale che convogliava le tensioni, disciplinandole e ammortizzandole, tra governati e governanti, sicche´ la stessa evenienza del 1547 non coinvolge nell’immediato l’istituto 34 rappresentativo maggiore del Regno . Cio` che invece avverra` due anni piu` tardi, nella prima riunione dell’assemblea dopo la rivolta. Il Toledo – ritenuto per altri da molti, che non hanno mancato di esternare tale opinione anche dinanzi all’Imperatore, almeno responsabile di piu` di un passo falso nella gestione della recente e pericolosa crisi – ha preparato, a maggior ragione, con estrema cura le cose. Addirittura, come egli stesso si compiace di riferire,ha fatto in modo che fedelissimi alla causa spagnola e alla sua persona, dal castellano di Castelnuovo al tesoriere Sanchez, dal Marchese di Vico al Duca di Monteleone ed altri, siano presenti massicciamente e occupino ruoli-chiave in parlamento, ma ha pure favorito l’intervento di alcuni “sospetti”, in testa il Principe di Salerno, per meglio mostrare di avere l’animo scevro da parzialita` e stornare da se´ l’accusa di comportarsi da “tiranno”35. A fronte della concessione di 600mila ducati, i 33 34 35
B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, Laterza, 1965, sesta ediz., p. 124. Parlamento e Societa` cit., loc. cit. Ibidem, pp. 281ss.
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parlamentari avanzano un pacchetto di richieste oltremodo ‘pesanti’, e che, accanto ai nodi, ormai antichi, della successione feudale e della concessione di uffici e cariche, nonche´ della conferma di privilegi, capitoli e grazie dell’epoca aragonese, prevedeva la chiusura del duro contenzioso legato ai fatti del ‘47. Eppure, alle primitive ‘aperture’ esibite platealmente dal Toledo, fa seguito un atteggiamento assai piu` prudente e quasi stizzito. Traendo spunto dalle ultime vicende, il vicere´ lamenta che erano ormai “mas los capitulos de Napoles que las constituciones del Reyno”, al punto da legare le mani ai governanti; e non solo, ma dal tutto gli sembra essere pervenuta al regno la pretesa di venire considerato e retto al modo (estilo) “de Arago´n”, laddove si sarebbe invece dovuto tenere fermissimo il principio secondo cui alle diverse realta` sociali e politiche corrispondessero e si applicassero specifiche forme di governo. In tal senso, suggerisce al Sovrano una condotta quanto mai prudente e avara di sostanziali concessioni. Al di la` di possibili ritorsioni, se non di veri e propri colpi di coda da parte del Toledo, che si deve sentire mancare il terreno sotto i piedi, si tratta di un passaggio di estremo interesse, considerata la nota propensione autonomistica della realta` aragonese in seno alla monarchia ispano-asburgica, e i problemi da cio` tradizionalmente posti36. Intanto, nell’immediato il risultato non poteva non essere, una volta ancora, un irrigidimento delle parti: Seggi e parlamento notificheranno al Toledo la propria intenzione di accettare solo alcune delle decretazioni (regie e viceregie) in ordine ai capitoli richiesti, e di rifiutarne altre, replicando un atteggiamento gia` osservato negli anni precedenti37. Tre anni piu` tardi, nuova sessione e concessione di 800mila ducati, contro la reiterata richiesta, tra le altre, di mettere la parola ‘fine’ al contenzioso legato all’‘‘indulto” nei confronti di quanti erano risultati compromessi nei tumulti del 1547, fino all’ultima riunione, nel gennaio 1553 quando, poco prima di lasciare il Regno, il Toledo – che sarebbe morto di lı` a poco – raccoglieva attorno a se´ i baroni in maniera un po’ informale, per urgenti necessita` e spese locali. Ne otteneva 300mila ducati in cambio dei quali concedeva direttamente, ma fatta salva la ratifica del sovrano, alcune grazie relative, manco a dirlo, agli ‘uffici’ e al sospirato ‘indulto’38. In definitiva, il rapporto ravvicinato vicere´-parlamento era stato, nei diversi momenti, come il concentrato della piu` generale dialettica politica 36 37 38
Ibidem, pp. 284ss. Ibidem, pp. 286ss. Ibidem, pp. 288.
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stabilitasi tra Corona e Regno; in certo modo, l’assemblea aveva davvero funzionato come un lente riducente che miniaturizza, riproducendo con esatta perfezione, forme e forze attive nel contesto piu` ampio39. Quanto all’uscita di scena del Toledo, protagonista indiscusso di un ventennio di storia ispano-napoletana, uno storico che non puo` sospettarsi di tenerezza nei suoi confronti commenta cosı`: “se ben’ universalmente piacque la sua partenza per l’odio grande che gli haveano, nondimeno quelli di qualche giudizio non n’hebbero molta sodisfattione, perche´ a dir il vero, egli fu il [miglior] Ministro che per inanzi nel Regno stato fosse e s’egli il negozio dell’Inquisizione tentato non havesse al quale lo spinse solo il desiderio sfrenato che haveva d’opprimer la nobilta`, alla qual’egli portava odio di morte, sarebbe stato degno non solo di somma lode, ma di perpetua statua”40. 3. La scomparsa del Toledo, cui sarebbe seguita, non molto dopo, quella dello stesso Carlo V, lascia il Regno e la Capitale in una sorta di ‘vuoto’ che l’elemento locale provvede a riempire con tempestivita` e seguendo il filo delle proprie tradizionali rivendicazioni. Del resto, se e` corretto ritenere il lungo viceregno toledano non tanto l’aspetto politico di una fase di sviluppo della societa` meridionale in senso ‘moderno’, quanto piuttosto la fase conclusiva del confronto ‘storico’ tra feudalita` e Corona, si intende bene come si riaprisse un’intensa dialettica politica congelata e tenuta a freno dalla rigida autorita` dell’ultimo Vicere´41. Torna cosı` a muoversi, per il primo, il corpo politico cittadino, con i suoi innesti baronali, e tende a una verifica dell’impostazione e dello stato delle relazioni fra sudditi e sovrano, sulla base della riconsiderazione critica dell’esperienza appena conclusasi, e con l’obiettivo dichiarato di giungere ad un ‘chiarimento’ sul significato effettivo che si era inteso attribuire al governo del Toledo, di un “episodio necessario, ma isolato” o viceversa, di ‘modello’, valido quindi anche per il futuro42. In questa ottica vanno inquadrate sia la missione a corte dell’eminente ecclesiastico, Girolamo Seripando, sia il contrappunto, tra propagandistico e ideologico, alla missione stessa, costituito dal Discorso sopra il Regno di 39
G. D’Agostino, a cura di, Per una storia delle istituzioni parlamentari, Napoli, ESI, 1994, con particolare riferimento al saggio dedicato agli studi di E. Lousse, pp. 13ss. 40 Il celebre epitaffio e` in Summonte, Dell’Historia della Citta` e Regno di Napoli, IV, Napoli 1673, p. 215. 41 La Capitale ambigua cit. pp. 226ss. 42 Ibidem, loc. cit.
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Napoli, di Giulio Cesare Caracciolo, patrizio del prestigioso Seggio di Capuana, quasi un ‘manifesto’ chiarificatore delle tesi e degli intenti della nobilta` locale nella congiuntura in atto43. Si materializzava la riproposizione di un contrasto di fondo variamente attivo e presente nella realta` napoletana e meridionale, a sua volta schermo e riflesso di contraddizioni piu` profonde entro cui va a inscriversi il rapporto tra Spagna e Mezzogiorno d’Italia in eta` moderna. Nel frattempo, il Seripando consegue alcuni risultati e riporta in patria (1554) qualche importante provvedimento (cariche e uffici a napoletani e regnicoli; reintegrazione nei propri impieghi dei colpiti dalle punizioni collegati al 1547; dimora di un Reggente napoletano stabilmente a corte; un lieve alleggerimento fiscale; disciplina dei modi del “formare citta`” con risoluzione sfavorevole ai popolari e alla loro Piazza, ed altro ancora)44. Nel passaggio del testimone dalle mani di Carlo a quelle di Filippo II, insomma, si apriva una nuova fase, dalla spiccata e diffusa conflittualita`, che avrebbe in qualche modo finito per mettere tutti contro tutti, favorendo il primato della Corona e lo scivolamento del regime in quelli che da alcuni si sono detti “gli estremi dispotici” dell’eta` filippina45.
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A. Cernigliaro, op. cit., I, pp. 335ss.; G. Galasso, Momenti e problemi ecc. cit. pp. 189ss. Sulla missione Seripando, v. G. D’Agostino, La Capitale ambigua, loc. cit. 45 In ultimo, AA.VV., Napoli e Filippo II. La nascita della societa` moderna nel secondo Cinquecento, Napoli, G. Macchiaroli ed., 1998. 44
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NAPOLI AL TEMPO DI FILIPPO II
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1. La scena fisica Il lungo regno di Filippo II, in pratica quasi l’intera seconda meta` del Cinquecento, si apre su una citta` la cui ‘forma’ e` quella cui ha gia` impresso, da qualche decennio, caratteri decisivi l’intervento urbanistico del vicere´ Toledo che ha provveduto a ridistendere, ma pure a ingabbiare il nuovo centro urbano, e a mantenere sotto controllo fenomeni di addensamento e sovrappopolazione minacciosamente emergenti. E sono proprio questi, con la concomitante crescita ulteriore della popolazione e l’«esplosione» degli spazi abitativi, i temi che balzano in drammatica evidenza a Napoli agli esordi dell’eta` filippina, con il comprensibile corredo dei problemi legati all’approvvigionamento granario, all’ordine pubblico, all’organizzazione sociale e istituzionale. Non si trattava invero di questioni nuove, ma e` vero che – come chi scrive ha osservato in altra sede – nel corso degli anni Cinquanta e attorno ai primi anni Sessanta le cose si presentavano in maniera alquanto diversa. Difficolta` congiunturali ed inefficienze strutturali, il ristagno della produzione granaria e l’ascesa dei prezzi da un lato ed i cattivi raccolti e la precarieta` del sistema dei trasporti e dei collegamenti dall’altro, rendevano drammatico il compito «de entretener – no saciar el apetito de un monstruo con infinidad de estomagos». Se si riflette, parallelamente, alla composizione sociale della popolazione residente nella capitale, nella quale confluivano vaste correnti immigratorie dall’entroterra e dalle province che venivano ad ingrossare la massa urbana proletaria e sottoproletaria, e sulla circostanza che la preoccupazione costante del governo vicereale e cittadino di tenere Napoli ben fornita si applicava in particolare a tali strati, s’intende come tutta la questione avesse uno spiccato risvolto politico e sociale destinato a divenire preminente.
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Cosı`, in effetti, per piu` d’uno dei vicere´ che si susseguono via via al governo della citta` e del Regno – e tra loro ve ne sono di indubbio prestigio e competenza – il punto diventa quello di riuscire a fronteggiare, tra difficolta` spesso aspre, la complessa situazione. Di qui scaturisce quel lungo e acceso dibattito tra i maggiori responsabili politici del paese, animato dalle rispettive analisi e proposte, in cui e` coinvolto lo stesso Sovrano: per un verso c’e` chi – come il vicere´ Alcala´ – suggerisce di vietare drasticamente ai ‘forestieri’ di venire a stabilirsi a Napoli; per l’altro, dal reggente Albertino, ad esempio, viene fatto valere il ragionamento opposto, del danno economico e sociale, o dei rischi politici, che sarebbero potuti derivare da misure restrittive cosı` severe e che oltretutto ponevano sullo stesso piano mercanti, operatori economici e finanziari, artigiani specializzati e le persone ‘disutili’, come vagabondi, mendicanti, facinorosi. Ne e` convinto, del resto, Filippo, il quale, oltre a raccomandare prudenza e un supplemento di riflessione, trova piu` opportuno ammonire il vicere´ a darsi da fare al fine di provvedersi adeguatamente e per tempo del grano necessario a sfamare l’intera citta`, con tutti gli abitanti che vi si ritrovino. In tale contesto, e dietro la spinta di pareri contrapposti, parte fondati su fatti precisi, ma parte strumentali rispetto alle rivalita` politiche e di ‘fazione’ esistenti e attive a Napoli come alla corte spagnola, maturano le decisioni regie, alla fine del decennio, del severo blocco edilizio per le costruzioni ad uso domestico di nuovo impianto, ad eccezione delle case vecchie e in rovina che si sarebbero potute ristrutturare o riedificare. Alla fine, si e` scelta la strada che sembra piu` praticabile, e forse meno rischiosa, muovendosi per di piu` sulla scia di provvedimenti dello stesso tipo (fascia di rispetto al di qua e al di la` delle mura cittadine, interdetta alle costruzioni) sperimentati un quindicennio prima. Le misure varate, comunque, ne´ era difficile prevederlo, hanno esiti deludenti, mentre, inoltrandosi negli anni e dotandosi la citta` di determinati servizi fondamentali (quali una rete di fornitura idrica, opere pubbliche e di difesa, strade, porte e torri marittime, l’arsenale), ma anche di giardini, fontane e statue, si fanno spazio opinioni, anche autorevoli, che vedono nella citta` persino i tratti della metropoli operosa, affollata e opulenta (come in parte vogliono gli stessi canoni interpretativi del tempo), cosicche´ gli stessi fenomeni di congestione e sovrappopolazione si prestano a piu` chiavi di lettura. Ne´ sono assenti le voci di coloro che in maniera esplicita insistono sulle cause di quei fenomeni, raccomandando, ad esempio, di rendere piu` celeri i procedimenti giudiziari, visto che liti interminabili costringono a lunghissime dimore in citta` (il che, peraltro, farebbe gli interessi dei napoletani possessori di case o stanze da affittare).
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A meta` degli anni Settanta, la numerazione dei fuochi del Regno (sorta di censimento a scopo fiscale) non registra grosse variazioni intervenute rispetto al quindicennio precedente; per quanto concerne la capitale, in ogni caso, il flusso immigratorio non si e` certo arrestato, alimentato com’e` dalle cause di sempre: le esenzioni fiscali vigenti in Napoli, la possibilita` di lavorare e guadagnarsi da vivere, la fuga dalla miseria e dall’oppressione del barone, dei funzionari e degli ufficiali reali, dai soprusi delle soldatesche. Insomma, e` l’attrazione della citta` «macchina per fabbricare uomini liberi», non necessariamente felici o ben nutriti, antitesi, pero`, del mondo feudale circostante e incombente, specchio della realta` dominante nel Regno. Non per niente l’ambasciatore veneto Lippomano, dopo avervi dimorato diversi mesi, scrive (1575) che Napoli «dalla quale tutto il Regno prende norma e si regola» doveva reputarsi fra le principali citta` d’Europa per la gran quantita` di nobili che vi vivevano, per la copiosita` d’ogni genere e per la moltitudine di abitanti. E ancora, tra le maggiori citta` d’Italia e d’Europa per ricchezza e opportunita` economiche e commerciali; e quanto allo strabocchevole numero di abitanti cosı` ne precisa le cause: Concorrendo il popolo a venire volentieri in Napoli, sı` per le franchigie grandi che vi sono, che per la comodita` che vi hanno i poveri di guadagnarsi il vivere essendovi da lavorare in qualsivolia tempo abbondantemente e non essendo tiranneggiati dagli uffiziali che sono per il Regno.
Poco piu` avanti, e si e` gia` in una nuova fase, contraddistinta da una piu` accentuata, a tratti ossessiva, sensibilita` alla problematica dell’ordine pubblico e dell’incombente rischio politico-istituzionale, alimentata dall’effervescenza che attraversa i vari ordini sociali e le loro rappresentanze cittadine, nonche´ dall’indubbio acuirsi del confronto fra Corona e Capitale, segnato dall’interna contraddizione connessa alle esigenze, strategie, orizzonti in cui si muovono l’una e l’altra. E se i crudi fatti del 1585 (uccisione dell’Eletto popolare Storace, con scempio pubblico del cadavere, per cause comunque connesse alla materia dell’approvvigionamento granario della citta`) – peraltro interpretati anche come «prove tecniche» della rivoluzione che sarebbe arrivata oltre mezzo secolo dopo – sembrano dare ragione a chi ritiene imminente un incontrollato sommovimento da parte «de li popoli li quali sono incoregibili: mancandoli un dı` pane, ovvero altra cosa necessaria, sogliono fare rumore, et molte volte se muoveno senza ragione», alla Corona, nonostante tutto, resta la frustrazione di non poter procedere contro la Citta` con il rigore desiderato.
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Non puo` farlo perche´ rischierebbe di annichilire insieme anche la concentrazione di interessi mercantili e finanziari in essa raccolta, e di provenienza prevalentemente ‘forestiera’, Per questa via, le cospicue dimensioni di Napoli, l’abbondanza della sua popolazione, restano insomma elementi di forza per la Capitale, fattori che promuovono il suo ruolo politico, alimentano vieppiu` quel compito di ‘riserva’ di autonomia e di liberta` che essa mette innanzi tutto, ma non esclusivamente, a servizio della propria autopromozione politica e di quella del ceto dirigente locale, patrizio, nei confronti di tutto il Regno.
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2. La scena politica Si puo` dire che sin dal primo atto ufficiale legato al riconoscimento della successione di Filippo al padre, Carlo V, anche nel dominio napoletano, e nel corso poi di tutte le cerimonie che si susseguono in citta` sul finire del 1554 – punteggiati, l’uno e le altre, da numerosi contrasti di ‘precedenza’ e dalle dispute sul ‘luogo’ e sul rango spettanti al Sindaco di Napoli – emerge la carica rivendicativa del proprio ruolo e delle proprie prerogative da parte del corpo politico rappresentativo della Capitale. In pratica, all’uscita dal ventennio toledano, in cui tale carica e` rimasta sicuramente frenata, e in concomitanza con il cambio di sovrano, si ritiene giunto il momento di conferire peso e sostanza politici alle teorizzazioni coeve di un giureconsulto del calibro di Marino Freccia, per il quale Napoli e` «caput totius Regni Siciliae, ac mater omnium civitatum Regni dicitur, & ipsius exemplo reguntur». Per la verita`, la posta in gioco non sembra essere tanto la possibilita` di contare di piu` nel confronto diretto con la Corona, quanto, piuttosto, quella di segnare nuovi e decisivi punti nel processo di autopromozione, gia` ricordato e cosı` indissolubilmente legato alla crescita complessiva della capitale. Protagonista, e beneficiario, principale e` in questa fase, il patriziato urbano ascritto ai Seggi cittadini, il quale tende a consolidare le proprie posizioni di potere materiale e istituzionale, seguendo diverse vie e modalita`. Gioca in effetti una dura partita allorche´ resiste a qualsiasi apertura dei Seggi stessi a quanti, nobili e non solo, premono per entrarvi, e difende cosı` al contempo la propria individualita` nei confronti del baronaggio provinciale e del Regno stesso. Tra gli aspiranti all’accesso nelle file della nobilta` cittadina – come sostiene ancora il Freccia – vi sono «oppidorum domini, Iureconsulti
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NAPOLI AL TEMPO DI FILIPPO II
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doctissimi, officiales & consiliarii, ditissimi mercatores, medici, philosophi, veterani etiam milites, & cum equis et armis militariter viventes, qui ut nobiles habendi sunt qui artes non exercent, nec ut populus grossus ex eorum virtute iudicandi sunt», cioe` importanti segmenti del corpo sociale della citta` alla meta` inoltrata del Cinquecento. Le loro ragioni, affidate a prestigiosi ambasciatori, vengono perorate a corte e sottoposte direttamente alla considerazione del Sovrano, il quale pero` gia` nel 1557 aveva congelato la questione, raccomandando che non si derogasse dalla prassi seguita fino ad allora secondo cui ogni decisione era rimessa ai cavalieri e reggitori dei Seggi medesimi, e sollecitando il vicere´ pro tempore a fornirgli una esatta relazione dei termini del problema. Ma anche le argomentazioni dei nobili fuori-seggi risultano forti e convincenti, fondate come sono sull’evidente iniquita` del monopolio difeso ad oltranza dal patriziato inserito nei Seggi dopo che l’importanza stessa delle Piazze (altra denominazione dei Seggi) era cresciuta a dismisura con l’allontanamento da Napoli di re propri e residenti e con l’avvento del regime vicereale. Sicche´, sempre piu` conformate come consorterie famigliari privilegiate, gelosamente chiuse in se stesse, si erano date norme di ammissione severissime, e praticamente «ristretto poi l’entrarvi con inaudite e ingiustissime leggi», al punto da essere divenuti luoghi di riunione di «ormai pochi, inesperti ed imberbi cavalieri, mentre essi [i reclamanti] si trovavano in una penosa situazione di umiliazione e di disagio, trattati – come dicevano – peggio degli ebrei». La controversia si sviluppa, con vicende alterne, con memoriali e ambascerie, per diversi anni: Filippo II si destreggia con tattiche dilatorie e comunque da autentico «rey prudente»; nelle istruzioni rimesse al vicere´ Alcala´ (1559) raccomanda di avere particolare cura nei confronti della Capitale, «por ser cabec¸a y quien ha de dar exemplo a todas las otras», ma al tempo stesso badare a che i membri della municipalita` fossero «personas de govierno y buena intencion, y aficionados a nuestro servicio» vigilando affinche´ «no haya entre ellos passiones, ni ensanchen su iurisdic¸ion mas de lo que por razon de sus oficios les compete». E pero` vi e` un altro terreno ancora, sul quale si trasferisce e si complica, nel corso degli anni Sessanta, il contrasto tra le diverse componenti sociali e politiche della citta`, e del Regno, proprio in relazione all’esito della prima fase della lotta per le aggregazioni al seggi. Si tratta dell’ambito dei parlamenti generali del Regno, nei quali Napoli ha gradualmente, sin dal quarto decennio del secolo, guadagnato una rilevante posizione attraverso il proprio Sindaco e deputati, pur restando esente per antico privilegio, da
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qualsiasi contribuzione, a cui sono invece tenuti tutti gli altri sudditi regnicoli. Il ruolo della Citta` si esalta in particolare sia nelle preminenze formali cui si e` accennato, sia, e in maniera piu` sostanziale, nella proposta e discussione dei «capitoli e grazie», cioe` delle richieste con cui si accompagnano le concessioni dei donativi (contributi finanziari) alla Corona. Sono fasi dei lavori parlamentari che si svolgono non in sede di assemblea plenaria, bensı` di commissioni ristrette, o deputazioni, ed e` in esse che patriziato urbano da un lato (due per Seggio, incluso quello del Popolo, per un totale di dodici voti, o voci), e baronaggio dall’altro, quello titolato legato ai feudi e quello ‘privato’ legato alle cariche e dignita` pubbliche per un totale corrispondente di 12 rappresentanti, si scontrano con durezza e a piu` riprese. Alla fine, la Citta` vince sul punto della precedenza e della preminenza per cui ai propri deputati viene riconosciuto un diritto di iniziativa e di priorita` sui punti cruciali dell’azione parlamentare (grazie e donativo), mentre deve soccombere per quanto concerne la pretesa parita` dei voti (dodici contro dodici) in quanto si stabilisce, su pronuncia del Consiglio Collaterale, che alla Citta` tocchino non voti individuali, ma per Seggio, e quindi sei, a fronte dei dodici riconosciuti alle due componenti baronali. Il contrasto si inasprisce vieppiu`, a questo punto, e tende a uscire dai confini del campo parlamentare per investire altre due cruciali questioni, quali quelle dell’invio di ambasciatori a Corte (che il Sovrano vuole sia uno solo a nome di tutto il Regno) e della concessione di determinati benefici e prebende ai ‘cavalieri’ napoletani. Ne nascono ancora ripetuti e aspri dissidi, a stento controllati dal viccre´ Granvela (Granvelle): piu` di un tentativo viene peraltro compiuto dalla Citta` di inviare un proprio rappresentante al Sovrano e di mantenerlo stabilmente a Corte, mentre alcune maldestre operazioni miranti all’aggregazione forzata nei seggi di alcuni ministri, alti funzionari e baroni esasperano gli animi cittadini. Essendo peraltro parso al vicere´ Mondejar di potersi spingere molto oltre sulla strada delle maniere forti nel governo della citta`, ne scaturisce una violentissima reazione (1579) e il conseguente invio di Giovan Antonio Carbone a perorare il punto di vista di Napoli sulle questioni aperte e ancora sul tappeto; invio di ambasciatori, contrasti tra patrizi e popolari, rapporti tra citta` e parlamento. Filippo e` indotto a dare soddisfazione alla inquieta Capitale, riconoscendo i torti del Mondejar (secondo l’oratore veneto Alvise Lando, giunto a Napoli poco dopo i fatti, era proprio a causa di tale vicere´ che si era avuto lo scadimento dell’importante carica e si era aperta la strada di frequenti contenziosi e contestazioni) reintegrando i Seggi nelle loro tradizionali prerogative e competenze, consentendo all’in-
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vio di ambasciatori, ma previa autorizzazione da richiedersi al viccre´ di turno. Nel caso in cui la missione fosse finalizzata a «quexarse del virrey, aunque esperamos – come tiene a sottolineare il Sovrano – los que embiaremos en nuestro lugar a´ esse Reyno seran tales y se governaran de manera que no den causa de quexa, tambien en este caso pidiendola la dicha licencia se le dara». Per il resto, il Re si mantiene sulle generali o prescrive che non si verifichino alterazioni dei comportamenti e delle norme in vigore; in tal modo rivelando e testimoniando i propri piu` profondi convincimenti ed intenti: determinare un elaborato sistema di relazioni e di poteri bilanciati e contrapposti fra loro, tali da costituire un insieme di blocchi e di contrappesi su cui applicare in piu` le rigide direttive centralizzatrici e normalizzatrici della monarchia. Di inaudita violenza, nella primavera del 1585, il tumulto, scoppiato per una oscura manovra collegata all’approvvigionamento granario della citta`, e sfociato nell’uccisione dell’Eletto popolare Storace (o Starace) e nello scempio delle sue spoglie. Rimasto solo a fronteggiare una folla inferocita, il malcapitato era stato letteralmente ghermito da «molti di quella spietata plebe con tutta la sedia dov’era venuto» e portato «sospeso con le spalle voltate senza berretta» mentre «tutta quella moltitudine lo seguı`, la quale quella mattina stava fortemente sdegnata perche´ nella Piazza con vi era comparso pane di niuna sorte». La citta` e` ben presto tutta sottosopra, e nella furia popolare il calvario dell’Eletto si compie in tutta la sua tragicita`: trascinato da Santa Maria la Nova fino a Sant’Agostino alla Zecca, sede del reggimento popolare, viene ripetutamente maltrattato e ferito gravemente. A nulla possono gli estremi tentativi per evitare il peggio, lo sventurato viene in pratica prima sepolto ancor vivo, e quindi tratto dalla sepoltura «e lui ancor vivo che domandava di confessarsi, non ancora satij con pugni e con sassi lo tornarono a ferire e non pur finito di morire, fu con rabbia spogliato di propri vestimenti, e quelli ridotti in mille parti si gloriava ciascuno di quei vilissimi huomini haverne una minima straccia». Del resto, avviene lo stesso con pezzi del cadavere, dei quali la plebe scatenata gridava di volersi cibare. Il vicere´ Ossuna, compiutosi il crudele rito, fa scattare una repressione di straordinaria severita` e che si protrae a lungo. Intanto, pero`, il radicale «rovesciamento dell’ordine» di cui si e` materiato ogni atto del terribile episodio, intriso secondo alcuni di netti significati politici, e per altri di mera vendetta personale, risentimenti nobiliari e tentativi riformistici, lascia il segno e marca se non la fine di un’epoca, di certo l’esaurimento di una
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intera fase, aprendo il campo ad una frammentazione della stessa vita politica della Capitale che solo parecchio piu` tardi avrebbe ritrovato una sua organicita`.
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3. Contrasti giurisdizionali, Inquisizione, Lepanto A piu` riprese si accendono in citta` pericolosi conflitti tra autorita` civili e religiose, che culminano nella grave crisi legata alla promulgazione dei decreti tridentini. I motivi piu` frequenti di dissidio concernono l’exequatur regio, forme e termini della giustizia ecclesiastica, decime e casi misti, visite apostoliche, testamenti e spogli, e dunque si comprende come scoppino casi clamorosi collegati ora all’uno ora all’altra di tali materie. Ma se nella maggior parte dei casi appena ricordati, la citta` funge da cornice agli scontri tra poteri, ciascuno teso a difendere i propri a`mbiti – giurisdizionali, in alcuni altri si delinea invece il diretto coinvolgimento e il protagonismo del soggetto sociale e politico urbano. Fu cosı` nel 1564, di fronte all’ennesimo tentativo di introduzione dell’Inquisizione spagnola, complice il vicere´ Alcala´, «le cui tenerezze pel Santo Officio erano pur troppo non ordinarie» e gia` artefice dell’orrendo massacro dei valdesi di Calabria qualche anno prima. Sparsasi, piu` o meno a ragione, la notizia di un’imminente mossa in tal senso, «tutta la citta` si pose in sospetto, perloche´ molte famiglie, con li loro beni uscite da Napoli, se ne andarono ai luoghi sicuri per li contorni della citta`». In particolare, sono i patrizi del Seggio di Capuana a insorgere protestando vivacemente con il vicere´ e cercando di opporsi alle prevaricazioni del vicario Campagna, vescovo di Montepeloso, intenzionato a trasferire da Napoli a Roma i processi per sospetto di eresia. Poco piu` tardi, l’esecuzione pubblica dell’Alois e del Gargano – giudicati dall’Inquisizione romana come luterani relapsi e consegnati alla giustizia secolare – rende incandescente l’atinosfera. Di nuovo, si muovono i nobili di Capuana – il piu` antico e prestigioso dei seggi cittadini – inviando una delegazione al vicere´ e predisponendo per spedire a Corte un proprio ambasciatore, mentre scoppiano i primi disordini e la situazione sembra precipitare. Lo spirito del 1510 e del 1547 aleggia sulla citta`: come allora, il movimento si spinge oltre la questione religiosa contingente e recupera su tale terreno piu` impegnativi temi di azione politica. A differenza di allora, pero`, quando la resistenza ai tentativi di introdurre l’Inquisizione aveva effettivamente accostato, se non unito, le diverse componenti cittadine, stavolta il pur palpabile risentimento antispagnolo o anche la reazione alle misure con cui Filippo Il meditava di fiaccare «la potencialidad cobrada con la dimencio´n» da parte
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della Citta` , non riescono a coagulare un fronte sufficientemente unitario, troppe e profonde essendo le spaccature e le divisioni, come s’e` del resto gia` visto. Tuttavia, se il punto era di creare imbarazzi e difficolta` al governo spagnolo e in qualche modo impegnarlo distogliendolo dai pesanti interventi progettati contro la Capitale, e il Regno, sul terreno politico, allora va detto che anche il parziale insorgere del 1564 e` servito allo scopo. D’altronde, l’ambasciatore inviato dalla Citta`, il teatino Paolo Burali d’Arezzo – sul quale, per essere un religioso, si era appuntata piu` di una riserva da parte di alcuni Seggi napoletani – non solo restera` molti mesi a Corte per svolgere al meglio l’incarico affidatogli, fino a strappare a Filippo l’assicurazione formale che non vi era mai stata, in alcun modo, l’intenzione di porre a Napoli l’Inquisizione «al modo di Spagna», ma si fara` carico pure di rappresentare al Sovrano le questioni sorte in Napoli a proposito dei contrasti scoppiati in seno agli ultimi parlamenti generali e degli strascichi della ‘visita’ (ispezione) del Quiroga. All’onesta` e saggezza del Burali, non sembrano corrispondere risultati particolarmente soddisfacenti per la Citta`, invero, ma anche le controverse conclusioni della missione del teatino, nulla tolgono alla conferma della preminente caratterizzazione politica dei tumulti scoppiati per motivi religiosi, e soprattutto alla formazione di un ‘mito’ per il quale la vitalita` del Regno si identificava con l’esclusione dell’Inquisizione spagnola, secondo l’intuizione di F. Ruiz Martin. Lo stesso Burali, divenuto arcivescovo di Napoli al tempo del vicere´ Mondejar, si rende protagonista alle soglie degli anni Ottanta, di una nuova stagione nei rapporti fra Chiesa e Stato, concorrendo con la sua fervida e multiforme attivita` pastorale, a temperare gli effetti negativi del «coevo autoritarismo politico-amministrativo» caratterizzante l’azione del governo spagnolo nel Regno in quegli anni, ed a smussare gli spigoli dei contrasti giurisdizionali. Col tempo, peraltro, quei sentimenti di orgoglio e di superiorita` tipici del patriziato urbano e del corpo politico rappresentativo cittadino – uno dei ‘poli’ forti dell’intero sistema politico-istituzionale rappresentativo interno del Regno di Napoli – ‘contagiano’, per cosı` dire, il Capitolo della Cattedrale e alcuni monasteri femminili, come San Gregorio Armeno e Santa Patrizia, animati da un caratteristico, acceso particolarismo. Resta da segnalare il ruolo giocato da Napoli rispetto alla questione turca e alla giornata di Lepanto. La citta`, centro vitale e propulsore del Regno che da essa prende nome, vede enfatizzato dalla congiuntura militare della seconda meta` del Cinquecento, il rilievo della propria posizione e funzione strategica di ‘cuore’ dell’antemurale difensivo per lo stesso impero spagnolo. Nel confronto mortale tra Spagna e Turchi, essa e` la base
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primaria e naturale di uno sforzo gigantesco in atto, di contenimento prima ed offensivo poi, che culmina nella formazione della lega con Venezia e la Chiesa, conclusa nel maggio 1571 dopo una dura ed estenuante campagna diplomatica. A Napoli, dove le ultime fasi del negoziato sono state seguite con particolare trepidazione, si lavorava gia` da tempo per approntare navi, equipaggi e rifornimenti. Solenni festeggiamenti pubblici sono indetti dal vicere´ all’annuncio liberatorio e di qui in poi la citta` si trasforma in un immenso arsenale, un vero e proprio quartiere generale per quello che sarebbe stato «il maggiore evento militare del secolo XVI nel Mediterraneo». L’arrivo di don Giovanni d’Austria viene salutato da accoglienze entusiastiche, con una cerimonia in Santa Chiara di straordinaria solennita` per la consegna delle insegne del comando (14 agosto). Meno di due mesi dopo, il trionfo nelle acque del golfo di Lepanto; in tutta la memorabile impresa Napoli aveva avuto un suo ruolo di «grossa stazione regolatrice», e fornito un ingente apporto diretto, rimanendo sottoposta ad una pressione non indifferente in termini di fornitura di mezzi e di denaro, e spesso pagando con un’insufficiente copertura alle proprie necessita` di difesa, come ancora si sarebbe visto cinque anni piu` tardi alle prese con le incursioni delle bande corsare di Uccialı`. Nell’insieme, la lunga eta` di Filippo II si identifica per Napoli con la fase centrale del piu` volte menzionato processo di autovalorizzazione della Citta` come e in quanto Capitale del Regno. Un periodo destinato, quanto altri mai, ad incidere durevolmente rispetto all’assunzione della propria identita` fisica e della conquista del peculiare ruolo politico e sociale, nei confronti del Regno e nel contesto del Mezzogiorno continentale, caratterizzando in piu`, nel bene e nel male, la sua vicenda storica successiva.
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IL SEGGIO DEL POPOLO A NAPOLI TRA REGNO ARAGONESE E VICEREGNO SPAGNOLO
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I Risale ad una peraltro autorevole tradizione storiografica napoletana cinque-seicentesca l’attribuzione ad Alfonso il Magnanimo, primo sovrano aragonese di Napoli, della responsabilita` (attorno alla meta` del secolo XV) dell’abbattimento del Seggio del Popolo, privando cosı` di fatto la componente popolare cittadina, con la sede materiale, anche della propria rappresentanza istituzionale. E sempre negli stessi Autori (tra cui primeggiano il Summonte e il Tutini) si ritrova non a caso enfatizzato il ruolo di Carlo VIII di Francia che l’avrebbe reintegrata (1495), nel corso della sua breve permanenza a Napoli sull’onda dell’effimera conquista del Regno, nei suoi diritti ed autorizzata a stabilirsi in S. Agostino alla Zecca, poco distante dalla sede – tra la via della Sellaria e l’angolo della stessa chiesa – gia` occupata al tempo dell’ostile iniziativa del Magnanimo. Ma la storiografia piu` recente e quella attualmente al lavoro (da Schipa a Pontieri, da Galasso a chi scrive, tra gli altri) danno assai minore credito a simile ricostruzione dei fatti e tendono piuttosto a mettere in evidenza, per un verso, i precedenti angioini del protagonismo popolare, con le corrispondenti proiezioni istituzionali; per l’altro, ad inquadrare e valutare la presenza popolare successiva, o la sua ricomparsa sulla scena, dentro l’innegabile processo complessivo di crescita civile, sociale e politica della Citta`-capitale e del suo corpo istituzionale-rappresentativo (“Tribunale di San Lorenzo” e magistratura degli Eletti), e dunque anche rispetto al rapporto tra patriziato urbano e popolo, tra l’insieme dei ceti cittadini e la Corona. E` effettivamente dentro tale complessa dinamica, che si sviluppa con accentuata intensita` nella fase finale del Quattrocento, che si inscrive il percorso dei popolari e del loro Seggio, dal momento che e` appunto in tale
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congiuntura che risulta vitale non restare fermi e praticamente tagliati fuori dalla traiettoria politica e istituzionale della Citta` e del governo municipale in mano, originariamente, ai soli Eletti e Seggi nobili. In questo senso e in tale logica tutte le occasioni vengono sfruttate al meglio: la discesa di Carlo VIII e il suo atteggiamento di disponibilita`; il concitato recupero del Regno da parte degli ultimi sovrani aragonesi; il conflitto franco-spagnolo e la definitiva vittoria del Gran Capitano; il regno di Ferdinando il Cattolico e la permanenza del sovrano a Napoli tra 1506 e 1507; la nuova dialettica politico-istituzionale che si instaura con il consolidamento del regime vicereale, di impronta castigliana. Cruciale si rivela, al riguardo, il biennio 1495-’96, durante il quale uno spazio ben definito appare ritagliato per la componente popolare, fondamentalmente centrato sulla sua partecipazione all’amministrazione cittadina in via definitiva, come parte essenziale, in un primo momento, almeno, dell’organizzazione municipale. Si tratta di un exploit davvero notevole per la presenza popolare che addirittura, con re Ferrandino, raggiunge posizioni di preminenza destinate pero` abbastanza velocemente, gia` con il successore Federico – ultimo sovrano aragonese di Napoli – a rifluire entro limiti ben piu` circoscritti. Cosı` come vengono ridimensionate, negli ultimissimi anni del secolo, attribuzioni e prerogative, precedentemente ampliate al campo fiscale e della cittadinanza, con attacco diretto, da parte di re Federico, sostenuto dallo schieramento nobiliare, alle procedure decisionali gia` poggianti sull’unanimita` fra quattro rappresentanti nobili e l’Eletto popolare, e ora modificate nel senso di stabilire che comunque quattro Seggi, o Piazze, “fanno citta`”, indipendentemente dalla presenza e dal concorso dell’esponente popolare. Allo stesso modo, viene introdotto, dallo stesso re Federico, un piu` stretto controllo sull’apparato del “regimento” popolare e l’organizzazione stessa del Seggio, attraverso la nomina dei Capitani delle ‘ottine’ in cui e` articolato il territorio cittadino. In definitiva, a fine secolo, e pur dopo il ripiegamento di cui si e` detto, il Popolo e il suo Seggio costituiscono un’indiscutibile realta` socio-politica e istituzionale. Attorno all’Eletto, che dura in carica un semestre, e viene designato attraverso la combinazione di sorteggi e indicazioni dell’Eletto uscente, una decina di Consultori, con funzioni di supporto e collaborazione, nominati con le stesse procedure. Alla base, un corpo elettorale costituito da 58 ‘procuratori’, formato con il concorso dei capitani (27 o 29) delle corrispondenti ‘ottine’. Non e` un caso, a questo punto, che il gruppo dirigente interno del ceto popolare, esponenti del popolo ‘grasso’, si affretti comunque a mettere al
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IL SEGGIO DEL POPOLO A NAPOLI TRA REGNO ARAGONESE E VICEREGNO SPAGNOLO
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sicuro le conquiste ottenute, raccogliendo scrupolosamente in un unico ‘corpus’ tutta la documentazione relativa a singoli accordi, concessioni, capitolazioni, laddove i gruppi di popolo minuto e ultrapopolari (in termini attuali, sottoproletariato urbano) conservino un atteggiamento risentito e animino una dura reazione all’interno e contro il governo regio, peraltro energicamente repressa per ordine dello stesso Federico. Resta in piedi, la rivendicazione – questa, largamente condivisa – della parita` delle ‘voci’, o voti, cioe` cinque per parte, sia ai nobili sia ai popolari, in seno alla municipalita`: diverra` una sorta di bandiera, continuamente agitata, valida per il passato e per il futuro, a compendio ed emblema d’una problematica affermazione del “potere popolare”.
II La fine del Regno aragonese autonomo si consuma nel giro di qualche anno: di fronte a una prima offensiva francese, i popolari tornano a spaccarsi al loro interno, differenziando vistosamente atteggiamenti e comportamenti. L’Eletto si accompagna, di necessita`, ai propri colleghi dei Seggi nobili e compone con questi ultimi la delegazione che a nome della Citta` raggiunge il campo francese (Marcianise) per ‘contrattare’ l’adesione della municipalita` al nuovo corso che sembra profilarsi. Il Tramontano (gia` Eletto, Consultore e Mastro della Zecca) preferisce invece testimoniare clamorosamente la fede ‘aragonese’ della Piazza e raggiunge le truppe del Gran Capitano riuscendo piu` tardi a precederne l’ingresso in Napoli. Gli strati piu` ‘bassi’ del ceto si lanciano in azioni dimostrative di ribellione e di anarchismo, attirandosi, come gia` in altre circostanze, la durissima repressione da parte del governo regio. Quando il rovesciamento di fronte proietta gli spagnoli alla vigilia della vittoria finale, e` la parte popolare a riprendere l’iniziativa, e a stimolare gli opportuni contatti con il Gran Capitano, accampato presso Acerra. Ma un deciso passo avanti si compie per i popolari in relazione al rapporto che si stabilisce con il nuovo sovrano, Ferdinando il Cattolico. Addirittura vi sarebbe stato l’intervento diretto dell’Eletto Terracina in un piano, sponsorizzato, secondo Zurita, dallo stesso monarca, per fare fuori l’ingombrante Consalvo de Cordoba, divenuto troppo potente e autonomo in Napoli. Sempre secondo l’annalista aragonese appena menzionato, il Cattolico avrebbe invogliato i popolari ad essere della partita, promettendo loro l’equiparazione, tanto sospirata, delle ‘voci’ rispetto ai nobili in seno al governo cittadino.
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Fatto sta che dal Cattolico, nel frattempo venuto personalmente in citta`, i popolari ricevono importanti concessioni specifiche nel maggio del 1507, ai margini dello svolgimento del Parlamento Generale. Tra le materie toccate nella ‘capitolazione’, i poteri dell’Eletto e del Seggio; l’elezione dei capitani delle ‘ottine’ da una sestina di nomi presentati al re o vicere´; la parita` dei voti nell’ambito del “Tribunale di San Lorenzo”. Anche in tale circostanza, ad onta delle caute determinazioni del Cattolico, l’establishment popolare si affretta a mettere al sicuro i risultati ottenuti, procurando di radunare i corrispondenti documenti convalidati e commissionando persino un dipinto tematico commemorativo su una parete di S. Agostino alla Zecca. Nei primi anni di regime vicereale, e segnatamente nel corso del tredicennio di governo del Cardona, l’integrazione della Capitale, del suo patriziato, della stessa amministrazione locale, nella trama del disegno politico ferdinandeo sembra un fatto compiuto. La cosa riguarda e coinvolge gli stessi popolari, come attestato dall’importante memoriale di Luca Russo, piu` volte Eletto del Popolo in tale torno di tempo, che si diffonde, tra l’altro, sullo stato e sulle prospettive del “gobierno interior de Napoles”, cosı` come sulla presenza popolare in esso. Apprendiamo per questa via molti e notevoli particolari sull’organizzazione e sui poteri del Seggio del Popolo (e degli stessi Seggi nobili): ad esempio, circa la facolta` di avere un proprio rappresentante alla corte spagnola, o la partecipazione (Eletto, con due Consultori) alle riunioni congiunte con i reggitori i “Cinque e Sei” – dei Seggi nobili. Ancora popolari alla ribalta nel 1510, quando la monarchia prova a intimidire il Regno minacciando lo stabilimento della temibile, e temuta, Inquisizione “al modo di Spagna” ed i ceti della Capitale reagiscono con prontezza e durezza, promuovendo una reazione unitaria, ed in occasione del parlamento dell’anno successivo. Alla morte del Cattolico, cinque anni piu` tardi, e` sparita ogni traccia di quella ventilata unione: di nuovo, nobili da una parte – rivendicando una problematica successione per il figlio di re Federico d’Aragona – e popolari dall’altra, pronti ad acclamare Carlo – il futuro Carlo V – e sua madre Giovanna (figlia del Re Cattolico). Ne saranno ricompensati dallo stesso Carlo che accordera` loro, nella persona dell’Eletto Folliero recatosi appositamente a Bruxelles, la conferma delle concessioni elargite dal Cattolico dieci anni avanti, mentre neghera` ogni soddisfazione ai rappresentanti dei Seggi nobili.
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IL SEGGIO DEL POPOLO A NAPOLI TRA REGNO ARAGONESE E VICEREGNO SPAGNOLO
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III. Con l’avvento di Carlo V, e dopo l’uscita di scena del vı´cere´ Cardona, si avvia a Napoli e nel Regno l’intensa stagione politica dall’assolutismo – oltre, quindi, l’autoritarismo del Cattolico – e, conseguentemente, di una riduzione generalizzata degli spazi d’iniziativa politica per tutti i ceti cittadini e regnicoli. Tuttavia, la Piazza popolare si inserisce bene nell’azione di governo del vicere´ Lannoy e consegue nel 1522 una compiuta “reformatione” del proprio ‘Regimento’. Si tratta, invero, di una sistemazione generale della materia, in 23 ‘capi’, piu` che di un’autentica innovazione, e come al solito, di una preziosa occasione di conferma e convalida legale della situazione di fatto, a futura memoria e cautela giuridico-formale. Da notare, il ‘capo’ XX, che fissa nel sistema combinato delle ‘sestine’ dei piu` votati e dei successivi sorteggi, le procedure di accesso alle varie cariche del Seggio. In termini piu` generali abbiamo in altra sede cosı` ricostruito l’evento. Il 12 ottobre del 1522 con pubblica e solenne funzione in S. Agostino fu sanzionata la «reformatione» del Regimento della Piazza popolare, articolata in ventitre´ «capitoli», previamente presentati al Lannoy ed approvati dal Consiglio Collaterale. In realta`, pero`, la Piazza popolare si mosse, nella circostanza, su una linea moderata, tesa, piuttosto, che al conseguimento di posizioni piu` avanzate, alla conservazione ed al consolidamento di quelle gia` acquisite, correggendo le sfasature ed eliminando gli abusi che nel tempo erano via via intervenuti ad alterare le costituzioni gia` stabilite per il corretto governo di essa. Solo alcuni, infatti, dei numerosi «capitoli» apparivano realmente qualificanti: in primo luogo quello relativo alla facolta` di poter inviare e tener un proprio rappresentante a Corte, presentandosene la necessita` e per tutto il tempo ritenuto opportuno, la cui elezione spettasse all’Eletto, ai Consultori ed ai Capitani, e cio` anche nel caso in cui i nobili pretendessero inviare un loro ambasciatore a nome di tutta la Citta`; ed, in tutt’altro ambito, quello che prevedeva l’istituzione d’una sorta d’insegnamento primario gratuito a favore dei figli dei cittadini ed a spese del «reggimento», misura che, peraltro, non ebbe apprezzabile seguito. Per il resto, oltre la conferma di qualche prerogativa secondaria, si trattava di provvedimenti di natura tecnica ed amministrativa il cui scopo era quello di rendere piu` funzionale e meglio garantito l’apparato finanziario su cui poggiava l’organizzazione economica della piazza e di una serie di disposizioni riguardanti il sistema elettorale relativo alla nomina dei responsabili di essa a vario livello . In tutti i casi, ci si ricollegava alle concessioni del Cattolico o alla prassi gia`
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invalsa a cui si riferiva il memoriale di Luca Russo tra il 1508 ed il 1509, operando, rispetto ad esse, nel modo che abbiamo gia` chiarito, senza, cioe`, un effettivo spirito innovatore. D’altronde le risposte dei vicere´ ai vari «capitoli» furono nel complesso, anche se positive, assai caute e limitative, riservando sempre alla suprema autorita` il diritto di derogare a qualsiasi norma ed a qualsiasi precedente deliberazione, quando l’avesse ritenuto opportuno. In ultima analisi, infine, la «reformatione» della piazza popolare costituiva pur tra tante riserve e limitazioni, nella misura in cui favoriva una sola delle componenti sociali della Citta`, il proseguimento e la conferma dell’indirizzo di Carlo V a questo riguardo, palesatosi gia` – come s’e` detto – in occasione dell’ambasceria cittadina del 1517. Negli anni seguenti, si sviluppa un asse di intesa e collaborazione tra Vicere´ ed Eletto popolare, che si manifesta in piu` di una occasione, sia a proposito della vertenza che oppone nel 1526 popolari a nobili in relazione alla custodia delle porte, risolta in senso favorevole ai primi, sia nel corso del travagliato parlamento generale del 1531, quando l’Eletto Pellegrino si distingue per il suo zelante sostegno agli sforzi del luogotenente Pompeo Colonna. E sempre sulla stessa linea, sembra muoversi l’Eletto Terracina, allorche´ si mostra condiscendente, fin troppo, nei confronti del vicere´ Toledo e della stretta fiscale da questi messa in opera proprio ad inizio mandato (1532-1533). Ma in questo caso, la Piazza non segue il proprio Eletto, anzi lo contesta duramente e inscena vivaci manifestazioni di protesta, degenerate in tumulti. La reazione del governo viceregio non si fa attendere e cala con inaudito rigore sui dimostranti, lasciandoli atterriti ma non meno amaramente delusi, come increduli nel vedere cosı` ripagato il proprio atteggiamento .... filospagnolo. L’intervento massiccio dei soldati inviati sul posto dal vicere´ aveva riportato definitivamente l’ordine e pochi giorni piu` tardi anche gli altri responsabili dei disordini erano stati presi e condannati, alcuni a morte ed altri al bando e ad altre pene minori. Il meccanismo repressivo messo in atto dal Toledo con tanta severa efficacia aveva lasciato assai scossi i popolari che ebbero modo di correggere rapidamente la primitiva favorevole impressione che avevano ricevuto dall’operato del vicere´ quand’esso era stato volto a deprimere nobili e patrizi: «era un pianto generale delli cittadini – annota accorato il cronista – li quali si ricordavano di tanti buoni e fedeli servigi fatti per cittadini popolari con loro proprio sangue contro i Francesi per ricuperare questo Regno di Napoli. (Cio` che non avevano fatto) i nobili, che anzi avevano sempre macchinati ed ordinati trattati di ribellione dalla maggior parte di essi. Ed in questo disfavore disunitamente
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come iniqui uomini se ne sono goduti per dire: lassateli appiccare questi popolacci vili, senza nessuna pieta` ed amore. E questo non e` causato se non per viva invidia, che sempre li popoli hanno fatto segnalati servigi alli retropassati Re di casa d’Aragona, e al tempo nostro hanno gridato Carlo e Giovanna sua madre contro la volonta` dei nobili. E questo pianto amaro e` restato alli onorati cittadini». La delusione e la stizza dei cittadini popolari erano davvero profonde: essi ritenevano di essere stati nei momenti cruciali il puntello della dinastia nel Regno, laddove puntualmente i nobili, per loro conto, ed i patrizi cittadini avevano risfoderato i tradizionali sentimenti filofrancesi, per cui si attendevano un diverso trattamento; avere visto, invece, tanti nobili e patrizi partecipare con zelo alla repressione di Toledo, nel caso Fucillo, era parso il colmo dell’ingiustizia e dell’ingratitudine. Le conseguenze saranno inevitabili, e si concretizzeranno nella rottura dell’asse privilegiato fra Vicere´ e fazione ‘borghese’, o parte di essa, comunque; anche i popolari saranno tra coloro che sosterranno, dinanzi a Carlo V presente in Napoli (1535-1536), la opportunita` di allontanare dal governo il Toledo. Questi, in verita`, non attende inerte l’esito delle manovre contro la propria persona e l’alta carica rivestita, ma reagisce con decisione e con piu` durezza proprio nei confronti dei popolari. Tre Eletti, alla fine, ne restano pesantemente coinvolti, Gregorio Rosso, Domenico Terracina e Francesco Di Piatto, ed in piu` Toledo avoca a se´ in pratica la nomina dell’Eletto della Piazza. Piu` tardi, in occasione dei moti del 1547, con la nuova ribellione della Citta` contro Toledo e l’ulteriore tentativo di stabilire in citta` e nel Regno l’Inquisizione spagnola, la completa subordinazione dell’Eletto attraverso la nomina diretta vicereale, e` ormai cosa fatta e diviene prassi costante e definitiva. Considerato poi che la ‘normalı´zzazione’ colpira` anche Consultori e Capitani, si puo` ben dire che autonomia del Popolo e autonomia della Capitale vengono, assai significativamente, ad essere attaccate e a soccombere insieme, l’una come faccia speculare dell’altra.
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Parte terza
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IL PARLAMENTO SARDO DEL 1677-78
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1. Gli antecedenti e il contesto La storia parlamentare sarda, quale si evolve nel corso del Seicento, seguendo e accompagnando le alterne e complesse vicende economiche, sociali, politiche e istituzionali di quella che e` stata definita “una crisi lunga un secolo”1, si impone per densita` di caratteristiche ed ampiezza di significati. Vengono in pratica a condensarsi e a precipitare in essa, nella linea del suo sviluppo d’insieme come nelle singole riunioni delle numerose assemblee convocate, le tensioni, gli urti e gli aggiustamenti derivanti dal confronto primario continuo tra “ragioni del parlamento” e “strumenti dell’assolutismo”2, col quale interferiscono gli effetti e i risultati dei contrasti solo apparentemente ‘secondari’ che oppongono i ceti fra loro e all’interno di ciascuno di essi, per motivi di interesse e di prestigio. Cosı`, dai primissimi anni del secolo e dai corrispondenti episodi di vita parlamentare che via via si succedono – sullo sfondo di una congiuntura economica inizialmente favorevole – si assiste a un ‘crescendo’ di rivendicazioni, col ‘contrappunto’ del fiorire di una trattatistica parlamentare di assoluto rilievo. Tali rivendicazioni riguardano la stessa organizzazione interna dell’assemblea, procedure e poteri (deleghe, commissioni, deputazioni), accanto ai punti sostanziali della difesa dell’autonomia, dei privilegi fiscali e corporativi,
1
B. Anatra, La Sardegna dall’unificazione aragonese ai Savoia, in B. Anatra, J. Day, L. Scaraffia, La Sardegna medievale e moderna, Torino 1984, vol.X della Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, ed. Utet, p.517. 2 A. Mattone, Centralismo monarchico e resistenze stamentarie. I Parlamenti sardi del XVI e XVII secolo, in Acta Curiarum Regni Sardiniae, Consiglio Regionale della Sardegna, 1, Cagliari 1986, pp.143 ss.; 147 ss. Dello stesso Autore, v. pure “Corts” catalane e Parlamento sardo: analogie giuridiche e dinamiche istituzionali (XIV – XVII secolo) in “Rivista di Storia del Diritto italiano”, LXIV (1991), e ora nel volume miscellaneo a cura di G. D’agostino, Per una storia delle istituzioni parlamentari, Napoli, Esi, I994, pp. 559-579.
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degli ordinamenti amministrativi del Regno cercando di vincolare il tutto allo ‘scambio’ cruciale: capitoli-donativo, e alla questione, altrettanto cruciale, dell’attribuzione, in esclusiva ai regnicoli, delle cariche e uffici disponibili3. E` per questa via che la contrapposizione in seno al parlamento, gia` legata all’antagonismo territoriale delle due circoscrizioni amministrative, il Capo di Cagliari e di Gallura, e quello di Sassari e di Logudoro, e rispettive citta` simbolo e guida, a quello sociale dei gruppi collegati di fazioni e famiglie, della maggiore e minore nobilta`, delle citta` e rispettivi contadi, si accende e divampa. In particolare, cio` avviene nel corso dei vari parlamenti della prima meta` del secolo attraverso, appunto, la richiesta degli uffici, del rappresentante sardo nel Supremo, del maggior controllo e ingerenza in materia di armamento marittimo e difesa del territorio costiero, e persino la contraddittoria istanza volta al rafforzamento e ampliamento della Regia Udienza, oltre che della istituzione, nuova, dei “giudici conservatori” per vigilare sull’osservanza dei ‘capitoli di corte’ e del ‘padre censore’, come garante dei rapporti sociali e materiali nell’ambito delle attivita` del lavoro agricolo.4 Al giro di boa di meta` secolo, mentre si profilano gli scenari della crisi produttiva e del decremento delle rendite, e insomma dell’ingresso in una fase nettamente recessiva, lo scontro oppone ormai i sostenitori d’un atteggiamento di sostanziale lealismo e di rinnovata adesione ai principıˆ del contrattualismo tradizionale, da un lato (col Villasor),ai partigiani della rimessa in discussione, su nuove basi, delle relazioni tra i ceti locali ed il potere centrale e delegato, dall’altra (con il Laconi). Sono i germi e i prodromi dell’urto frontale, covato a lungo in verita`, e punteggiato dalle aspirazioni, a stento represse, all’autoconvocazione delle assemblee, alle giurisdizioni privilegiate e separate, all’invasione del campo delle istituzioni cittadine, alla presa delle misure nei riguardi della burocrazia e del ceto
3
Sul tema dell’autonomia nella Sardegna di antico regime, cfr. A. Era, L’autonomia del “Regnum Sardiniae” all’epoca aragonese e spagnola, in “Archivio Storico Sardo”, XXV (1957), pp.209-225; spunti in I. Birocchi, La carta autonomistica della Sardegna tra antico e moderno. Le “leggi fondamentali” nel triennio rivoluzionario (1793-96), Torino 1992. 4 Cfr.ancora B. Anatra, La Sardegna ecc. cit., passim; il riferimento obbligato per i testi normativi corrispondenti, alle raccolte di J. Dexart, Capitula sive acta curiarum Regni Sardiniae, Calari, 1645 (e sul Dexart v. il profilo curatone da A. Mattone nel Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem); e di F.de Vico, Leyes y pragmaticas reales del Reyno de Sarden˜a, Napoles 1640. Sulla figura del ‘censore’ v. il saggio di P. Sanna, Monti granatici e problemi aunonari nella Sardegna spagnola in ‘‘XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona’’ (Sassari-Alghero, 1990), vol. IV, pp. 421 ss.
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IL PARLAMENTO SARDO DEL 1677-78
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‘togato’, alla ‘riclassificazione’, in breve, delle sfere di potere e delle gerarchie sociali. Sotto tale profilo, l’irrigidimento reciproco delle posizioni nell’ambito del parlamento Camarassa (1666) rappresenta insieme un esito e una premessa del processo in corso e delle sue ulteriori manifestazioni. Ha probabilmente ragione che ha visto nella gestione della crisi culminata nel duplice omicidio (Laconi e Camarassa), con le sue evidenti forzature e strumentalizzazioni, modi e fini tutti interni al disegno da parte del governo spagnolo sbarrare il passo, insieme, a feudalita` e parlamento, di contenerli, se non di annichilirli del tutto.5 Di qui, pertanto, e a partire dalla durissima repressione messa in opera dal Sangermano, l’accenno di ripiegamento su se stessi dei ceti forti, la contingente prevalenza delle citta` rispetto alla maggiore nobilta`, la emersione dei soggetti prima conculcati o nell’ombra, come villaggi, ‘incontrade’ ed entita` legate all’economia rurale isolana, l’induzione alla ricerca, per tutti, di nuove strategie, di sopravvivenza se non piu` di offensiva (emblematica, da questo punto di vista, la ‘complicita`’ che si stabilisce fra quadri aristocratici e amministrativi).6 Quanto al parlamento, conclusasi la drammatica sessione legata al nome del Camarassa, dieci anni dopo tocca al vicere´ Santo Stefano misurarsi con la prima delle assemblee ‘normalizzate’ del dopo-crisi. E` evidente, peraltro, che l’anomalia sarda, di parlamenti vitali e in ascesa mentre a Madrid sono stati in pieno vigore prima lo stato assoluto centralizzato e quindi la “decentralizzazione continua”, non avesse piu` luogo, ragione e forza, a sussistere. E dentro tale ‘schema’ si muove con impegno il Vicere´, chissa` se e quanto consapevole che l’aria di smobilitazione e liquidazione che spira, riguarda ancor prima e piu` che il Regno, la stessa orgogliosa monarchia ispano-asburgica7. 5
Oltre ai gia` citati lavori di Anatra e Mattone segnalati nelle note precedenti, cfr. ancora di B. Anatra, Corona e ceti privilegiati nella Sardegna spagnola, in B. Anatra – R. Puddu – G. Serri, Problemi di storia della Sardegna spagnola, Cagliari, Edes, 1975, in particolare pp.108 ss., con la pertinente segnalazione dei memoriali dell’abate Frasso; del saggio di A. Mattone, “Corts” catalane e Parlamento sardo ecc. cit., v. in particolare le pp. 265 ss. nel volume IV degli Atti del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona (Sassari-Alghero, 19-24 maggio 1990), Sassari, Delfino ed., 1997. Per l’affaire Camarassa-Laconi, punto di svolta della storia isolana seicentesca, si rimanda ovviamente alla trattazione, nella collana dedicata, a cura del Consiglio Regionale della Sardegna, agli antichi parlamenti sardi, del parlamento corrispondente; intanto si veda la ricca bibliografia sarda sul tema. 6 Sui villaggi, in particolare, v. F. Francioni, Le comunita` rurali nei Parlamenti sardi del Seicento, in “Le carte e la storia”, III (1997), n.2, pp.118-129. 7 F. Floris – S. Serra, Storia della nobilta` in Sardegna, Cagliari 1986, pp. 93 ss.; F. Loddo Canepa, La Sardegna dal 1478 al 1793, I, (I478-I720), a cura di G. Todde, Cagliari 1986,
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2. I protagonisti Nell’articolare un quadro, seppur sommario, dei protagonisti del parlamento cui si riferisce il presente saggio non si puo` certo prescindere dal Vicere´, anche se non sembra proprio che il Conte di Santo Stefano, e Marchese de las Navas (ma la sfilza dei suoi titoli e` davvero impressionante), abbia dato il meglio di se´ nel corso del triennio scarso di permanenza al governo dell’isola. A fronte di poche iniziative concrete, spesso di dubbio esito o ritenute inopportune dal Sovrano, e` proprio il parlamento l’evento piu` significativo del suo mandato, affrontato peraltro come una questione di routine – ad eccezione, forse, degli aspetti piu` strettamente fiscali e finanziari a cui Santo Stefano dedica maggiori attenzioni (nuovo censimento), sia per la delicatezza della posta in gioco sia per le sue personali propensioni, se non competenze specifiche di settore – e sforzandosi soprattutto di smorzare i toni e assecondare la “normalizzazione” dopo la crisi CamarassaLaconi. Da notare che il suo viceregnato si chiude con il raddoppio del proprio stipendio (a parziale risarcimento di alcune entrate non piu` incamerate a proprio beneficio), e che con tale viatico si porta in Sicilia a spegnere gli ultimi fuochi della rivolta di Messina e alcuni anni piu` tardi a Napoli ad esercitarvi, in maniera alquanto piu` incisiva, lo stesso incarico, preludio all’acquisizione per se´ del Grandato di Spagna8. Alter-ego del Vicere´, e sotto certi rispetti quasi un comprimario, se non antagonista, suo, e` il Reggente Melchiorre Sisternes de Oblites, la seconda piu` alta carica politica e istituzionale del Regno, e vero motore anche della vicenda parlamentare. Regge l’interim del governo isolano prima dell’arrivo del Santo Stefano e appena dopo la sua partenza; di origini valenzane e benche´ da relativamente pochi anni in Sardegna, compie una ragguardevole carriera, e procura, proprio in occasione del parlamento, di radicare nella realta` locale il figlio, Placido, e il nipote Melchiorre, promuovendone l’abilitazione come membri del Braccio militare. E` appena il caso di notare come il Sisternes, an-
pp.245 ss. e 469 ss.; A. Marongiu, Il Parlamento o Corti del vecchio Regno Sardo, in Acta Curiarum Regni Sardiniae. cit., pp. 54 ss.; B. Anatra, Contrappunti sui Parlamenti sardi, in “Archivio Sardo”, nn.47/49, 1996, pp. I37 ss. 8 Sul vicere´ Santo Stefano, cfr. J. Mateu Ibars, Los Virreyes de Cerden˜a, Padova 1968, vol. II, pp.I43 ss.; v. ancora G. Coniglio, I Vicere´ spagnoli di Napoli, Napoli 1967, pp.322-36, nonche´ il piu` recente C. De Frede, I Vicere´ spagnoli di Napoli, Roma 1996. Sulla rivolta di Messina. A. Di Bella (a cura di), La rivolta di Messina (1674-78), Reggio Calabria 1974; R. Villari, Ribelli e riformatori, Roma 1983, pp. 119 ss.; Messina. Il ritorno della memoria, Palermo 1994.
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che al di la` del preminente ruolo formale, e` presente, e dunque in grado di orientare e controllare, in tutte le istanze-chiave dell’assemblea, tra cui le commissioni degli abilitatori, dei trattatori e dei giudici dei gravami9. Accanto al Sisternes de Oblites, un notevole rilievo hanno, naturalmente, altri membri della Regia Udienza, i cui giudici sono in larga misura figure emerse da poco sulla scena politico-istituzionale cagliaritana e sarda: segnale di un ricambio, se non di un rimpasto recente, anch’esso da mettere in relazione agli esiti della grave crisi, piu` volte richiamata, del passato decennio. Si tratta comunque dei rappresentanti della piu` importante e prestigiosa istituzione del governo locale, strategicamente inseriti nelle cruciali commissioni parlamentari. Figurano tra gli abilitatori Simone Soro e Rafael Martorell: il primo, cagliaritano, e` l’esponente di seconda generazione d’una famiglia di burocrati che ha appena attinto alla condizione del cavalierato ereditario ed egli stesso sara` abilitato e ammesso allo stamento militare nel 168810. Il secondo, di origini maiorchine, e` il protagonista del trasferimento dalla Spagna in terra sarda, e viene abilitato proprio nel parlamento di cui qui si tratta. Fra i trattatori di nomina viceregia sono presenti, sempre con il Sisternes, Roger, Carnicer e Carcassona; tra i giudici Delitala, Cavassa, Ruggio, Heredia e Manca. Concretamente, Francesco Roger, procuratore reale (e` uno dei ‘tecnici’ dell’amministrazione regia assieme agli avvocati fiscale e patrimoniale, al Mastro Razionale e al Tesoriere, tutti supportati dal segretario Lecca) proviene da famiglia di origine catalana, di antica immigrazione, attiva nelle carriere pubbliche e nobilitatasi a meta` Seicento. Oltre a ricoprire questo delicato incarico, il Roger e` titolare di un consistente numero di procure, nonche´ personaggio di riferimento, in assemblea, della componente ‘governativa’. Giovan Battista Carnicer, di famiglia aragonese trasferita a Cagliari sin dal Quattrocento, e` figlio di Francesco, titolare di importanti cariche amministrative, nonche´ fratello di Gaspare, anch’egli – come lo stesso Giovan Battista – Mastro Razionale, nonche´ membro del Supremo Consiglio d’Aragona. Nobilitatosi nel 1676, e` padre di Giuseppe, segretario della citta` di Cagliari nonche´ beneficiario di alcune procure. Eusebio Carcassona, da Alghero – e prima da Lerida – e` figlio di un
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F.Floris – S.Serra, Nobiliario sardo in Storia della nobilta` in Sardegna, cit., p.330; J. Mateu Ibars, Los Virreyes de Cerden˜a cit., pp.I36 ss. 10 Futuro reggente del Consiglio d’Aragona, dove approda nel 1698: v. J. Arrieta Alberdi, El Consejo Supremo de la Corona de Arago´n (I494-I707), Zaragoza 1994, p. 626.
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Salvatore, anch’egli giudice della Regia Udienza, imparentatosi nobilmente11. Emanuele Delitala, di lontane origini corse, e` figlio di Angelo, e fratello di Giuseppe, governatore di Cagliari e vicere´ interino nel 1668; dal 1671 ricopre la carica di Tesoriere generale ed e` stato inoltre nel Supremo Consiglio d’Aragona. Giorgio Cavassa, origini liguri e famiglia trasferitasi a Cagliari nel Seicento, con progressivi inserimenti nell’ambito delle cariche pubbliche e nell’universo nobiliare, per via di matrimoni. Ammesso allo stamento militare nel corso del parlamento Camarassa, Giorgio, figlio di Giovanni, ha un ruolo di primo piano, tra i giudici dell’Udienza, nella repressione e persecuzione dei responsabili dei torbidi sfociati nel doppio omicidio, del vicere´ Camarassa e del Marchese di Laconi. Antonio Ruggio, algherese, brillante carriera nel maggiore apparato istituzionale isolano; nel 1677 consegue il cavalierato ereditario e quindi la condizione nobiliare; nello stesso anno, dal gennaio, e` giudice della Regia Udienza. Andrea Manca, di antica e preminente famiglia sassarese, di provata fedelta` agli aragonesi di Spagna, nobilitatasi per via di matrimonio, e da meta` del Seicento titolari del marchesato di Mores12. E` in questo gruppo di persone, orchestrato dal Sisternes, che va ravvisato il nucleo di regı`a, una sorta di cabina di pilotaggio informale, del parlamento; sono essi, secondo le diverse circostanze e i propri ruoli specifici, ad intervenire in caso di intoppi, a creare e mantenere i collegamenti e gli opportuni scambi di informazioni e punti di vista; a stabilire le convenienti concertazioni e ad uniformare gli indirizzi, d’intesa col Vicere´ della cui fiducia evidentemente, o necessariamente, godono, e tutte le volte in cui le evidenze lo suggeriscono. Per molti di loro, in ogni caso, vi saranno a fine parlamento, premi e propine, caricati sull’importo del donativo stesso, cosı` come importanti concessioni regie, privilegi, uffici, avanzamenti di carriera per se´ e per i propri figli e congiunti13. 11
Sul peculiare ambiente civile, politico e culturale di Alghero in eta` catalana e spagnola, v. A. Mattone – P.Sanna, (a cura di), Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo. Storia di una citta` e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX secolo), Sassari, ed. Gallizzi, 1994, a cui si rimanda per i contributi specifici e la bibliografia. 12 Le notizie riguardanti i ‘protagonisti’ sono ricavate ovviamente dai documenti stessi relativi al parlamento, cui dunque si rimanda, nonche´ dal Nobiliario sardo gia` citato. 13 Archivio di Stato di Cagliari, Parlamenti, vol. 179 (ex 27), cc.735 ss., 791 ss.
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Vi e` poi, accanto a questa di cui si e` detto, ancora un’altra schiera di quelli che si sono definiti come dei ‘protagonisti’, nei confronti di molti dei quali parimenti si eserciteranno, ad assemblea terminata, la benevolenza e la riconoscenza del Vicere´ e del Sovrano, per lo zelo e la lealta` esibiti nella circostanza. Si tratta dei rappresentanti del singoli Bracci, dei loro rappresentanti nelle commissioni degli abilitatori, trattatori, giudici, nonche´ i sindaci e i principali amministratori delle citta` piu` importanti, le piu` significative cariche ecclesiastiche, il ‘sindaco’ che a nome dell’intero parlamento viene inviato a corte in Spagna, con risultanze e documenti dell’assemblea, i potenti segretari del Regno, dell’Udienza e del Vicere´, oltre che alcuni funzionari di rango dello staff di quest’ultimo. Certo, non per tutti si e` in grado di ricostruire seppur minimi profili, ma occorre almeno gettare luce su quelli piu` ‘esposti’. E` il caso, ad esempio, dei principali capi delle fazioni nobiliari, il marchese di Villasor, Artale de Alago`n, e il marchese di Laconi, Giovan Francesco Efisio di Castelvı`14. Quest’ultimo e` membro sia della commissione degli abilitatori, sia di quella dei trattatori, nelle quali siede rispettivamente per i nobili e per il Braccio militare. Inoltre, porta con se´ un ragguardevole numero di procure, al punto di essere tra i tre “superprocuratori” (assieme al Roger e all’Alago`n) di questo parlamento. Di famiglia feudale catalana trasferitasi nell’isola sul finire del Quattrocento, e ascesa nel corso del secolo seguente ad una delle piu` rilevanti posizioni nell’ambito della maggiore feudalita` sarda, e che ha avuto un ruolo di primissimo piano in tutto l’affaire della congiura contro il Camarassa. Diversi esponenti della famiglia ne hanno subito le conseguenze piu` dure (Paolo, Giacomo Artale e Agostino, anch’egli assassinato nel 1668) e il nostro ha dunque anche il non facile compito di raddrizzare, in qualche modo, le compromesse sorti del suo gruppo politico-famigliare. Quanto al marchese di Villasor, appartiene a famiglia feudale altrettanto potente, di origine aragonese, antagonista storico dei Castelvı`, guidando tradizionalmente le file del partito ‘realista’, o dei sostenitori del potere e dell’autorita` regi. Nell’occasione di questa assemblea, tuttavia, ruolo e figura del Villasor – per il quale viene richiesta la concessione del titolo di Grande di Spagna – appaiono piuttosto marginali. Tra l’altro, dispone di pochissime procure, le quali sono invece copiosamente affluite nelle mani del nobile cagliaritano dallo stesso nome (Vicente de Alagon), referente, pero`, di altre forze sociali e politiche, legate ormai all’area piu` estesa e multi14
Per i Castelvı`, v. le voci corrispondenti nel Dizionario Biografico degli Italiani.
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forme, dei nobili non titolati e dei cavalieri, quale si e` venuta articolando in connessione con l’evoluzione sociopolitica dell’isola ed anche con i nuovi rapporti citta`-campagna. Accanto ai due principali esponenti dell’aristocrazia feudale, vanno menzionati il marchese di Albis, Antonio Manca Guiso, e Antonio Manca Dell’Arca, entrambi tra i trattatori per il Braccio militare. Il primo e` di famiglia originaria del villaggio di Galtellı´ trasferitasi a Cagliari, dove alcuni suoi esponenti hanno esercitato il notariato e si sono nobilitati (baronia di Orosei e marchesato di Albis, 1643, appunto per Antonio). Il secondo e` di famiglia spagnola, leonese, trasferitasi a Sassari; nello stamento militare dalla meta` del Cinquecento e coinvolta nel Seicento nelle vicende dei marchesi di Laconi. Completano la squadra i giudici dei gravami, sempre per il Braccio militare, Francesco Carola, di famiglia algherese, con ramificazioni in Cagliari, di agiati commercianti e professionisti, nobilitatisi a meta` Seicento; Giuseppe de la Mata, cagliaritano di origine spagnola, nipote di un Giuseppe che conquista nel 1630 la condizione nobiliare ed i cui figli sono ammessi allo stamento militare nel 1653 (parlamento Lemos); Gavino Martinez, sassarese di origine spagnola, con importanti ascendenti (Tommaso Antonio giudice della Real Udienza, Giovan Antonio nobile feudale e Francesco, suo padre, assessore della Regia Governazione). Infine, Baldassarre Dexart, cagliaritano di origine spagnola (Navarra), figlio di Giovanni, giudice della Regia Udienza e del Sacro Regio Consiglio di Napoli15. Tra gli ecclesiastici, spicca il nome e la figura dell’arcivescovo di Cagliari, Diego de Angulo (Ventura Sandoval Fernandez) inquisitore e presenza forte sulla scena politica e religiosa isolana; e` anche vescovo di Iglesias, nonche´ barone di Suelli e San Pantaleo. Rappresenta il Braccio ecclesiastico, ed e` tra gli abilitatori e i trattatori; in quest’ultimo incarico lo affiancano i vescovi di Oristano (Pietro de Alago`n) , Ampurias-Civita e Tempio con sede in Castellaragonese, (Giovan Battista Sorribas), Torres (con sede in Sassari, Gavino Cattaina). Gli ecclesiastici in seno ai giudici sono anch’essi personaggi di spicco, 15 Sui Dexart, le voci corrispondenti nel Dizionario Biografico degli Italiani; segnatamente, i prrofili curati da A. Mattone.
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procuratori spesso dei rispettivi vescovi nonche´ dei Capitoli cui appartengono o si riferiscono. Si segnalano Michele Cugia, dottore e canonico della cattedrale di Cagliari; Michele Vacca, cappellano reale e canonico della cattedrale di Iglesias; Giovan Battista Rachis (abilitato in parlamento come abate di Salvenero), canonico della cattedrale di Cagliari e procuratore del relativo Capitolo; l’arciprete Francesco Nurra, vicario generale di Arborea, procuratore del vescovo Alago`n e del Capitolo di Arborea16. Folto il numero dei sindaci e amministratori locali, punta di diamante del Braccio reale di cui hanno la rappresentanza e costituiscono l’emanazione nelle commissioni piu` volte ricordate. Le figure piu` in vista sono quelle dei sindaci-procuratori, e spesso nobili, Antonio Murta y Quensa (Cagliari), Antonio Manca Jacumoni (Sassari), Giuseppe Olives (Alghero), Tommaso Serra, poi sostituito da Francesco Muro (Oristano), Leonardo Maiolo (Castellaragonese), Gavino Salazar (Iglesias), Giovan Battista Delitala (Bosa). Accanto a costoro, anche giurati e consiglieri, in particolare della citta` di Cagliari, membri di famiglie cospicue: e` il caso di Giuseppe Carnicer, figlio del menzionato Giovan Battista, giurato in capo, abilitatore e trattatore (nella prima carica, e come presidente della giunta degli abilitatori, gli subentra poi Domenico Pitzolo), o di Andrea Yanez, di famiglia spagnola trasferitasi a Cagliari, con ascendente tra i giudici della Reale Udienza ed egli stesso destinato a brillante carriera e alla nobilitazione. Siedono fra i trattatori, appunto, i sindaci di Cagliari, Sassari e Alghero: quest’ultimo, incombe sulla vita politica cittadina lungo la seconda meta` del secolo, divenendo avvocato fiscale e signore della Planargia. Tra i giudici, quelli di Oristano, Iglesias, Castellaragonese e Bosa. Il quadro puo` completarsi menzionando Diego Pinna, il ‘sindaco del parlamento’, inviato a corte in Spagna; i segretari Antonio Lecca, Giovan Battista Marongiu, influente quanto efficiente, lo spagnolo de Univarri (o Uribarri); nonche´ funzionari e militari come Antioco Del Vecchio, notaio e “claviario” (come indica il termine, e` il depositario delle chiavi, con importanti funzioni di sovrintendente amministrativo e contabile); Agostino Carcassona, della guardia personale del Vicere´; Giovanni Matteo Scanu, “alguazil” maggiore (capo di polizia, con responsabilita` nel campo dell’ordine pubblico e in ambito giudiziario); Antonio Del Monte, procuratore del patrimonio fiscale. Per costoro, e qualche altro ancora, un ruolo –secondo 16
Sulle figure piu` rappresentative della gerarchia ecclesiastica sarda, cfr. i noti repertori dell’Eubel e del Gams, ad voces; piu` in generale, R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma, Citta` Nuova ed., 2000.
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le circostanze – in assemblea, spesso accompagnato dalla disponibilita` di qualche procura17.
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3. Lo svolgimento Con la solenne lettera-mandato del sovrano, datata dal monastero di San Lorenzo dell’Escorial il 13 ottobre 1676, si avvia in pratica la complessa ‘macchina’ parlamentare. Nel documento, come variamente del resto negli altri collegati e utilizzati via via – quali la ‘commissione’ dei poteri al vicere´, la ‘proposta’, altra lettera regia diretta ai regnicoli – si fa riferimento alla necessita` di convocare “populos et parlamentum generale” del Regno per provvedere alla giustizia, al bene pubblico, al miglioramento delle condizioni materiali dei sudditi, oltre che per significare le esigenze della Corona (ingenti spese militari legate alla congiuntura internazionale) e quindi sollecitare dall’isola i dovuti aiuti. La gestione del tutto e` formalmente, in senso politico e giuridico, rimessa, oneri e onori, al vicere´, stante pure la forzata assenza di re Carlo, impedito –come scrive – dal prendervi parte di persona “arduis negotiis horum regnorum nostrorum Castellae”, e questi vorra` avvalersi del consenso e dell’intervento dei Bracci18. Il passo, ufficiale, successivo e` costituito dall’emanazione da parte del vicere´, assistito dal reggente Sisternes, a fine gennaio 1677, delle disposizioni relative all’invio, a tutti gli aventi diritto, delle apposite convocatorie in cui si fissa la data di apertura dei lavori dell’assemblea per il primo aprile seguente. I destinatari – si avverte nelle lettere a firma del segretario 17
Oltre a quanto gia` indicato nelle note precedenti, si evidenzia come notizie e dati sui personaggi menzionati nel testo possano reperirsi in opere di carattere piu` generale, biobibliografiche e in monografie riguardanti specifici ambiti territoriali. Cosı` in J. Arce, La Spagna in Sardegna, I960, pp.283ss.; A. Era, Municipio di Oristano. Tre secoli di vita cittadina, Cagliari 1937; E. Costa, Sassari. 1967, pp. 203ss.; Casalis – Angius, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale, XVIII, quater, Torino 1856; V. Prunas – Tola, I privilegi di Stamento militare nelle famiglie sarde, Torino 1933; I. Principe, a cura di, Cagliari, Bari 1981, pp.69ss.; G. Sorgia – G.Todde, Cagliari. Sei secoli di amministrazione cittadina, Cagliari 1981; P.Tola, Dizionario Biografico degli uomini illustri di Sardegna (r. anastatica, Forni, Bologna 1993). Cfr. ancora la citata opera di Mattone e Sanna su Alghero, nonche´ A. Mattone-M. Tangheroni (a cura di), Gli Statuti Sassaresi. Economia, societa`, istituzioni a Sassari nel Medio Evo e nell’Eta` moderna, Sassari 1986. 18 Intende riferirsi ai pesanti impegni legati al governo del regno di Castiglia. ASC, Parlamenti, 179 cit.: la lettera del Sovrano dall’Escorial e` alle cc.3r – 3v; quella contenente i poteri delegati al Vicere´, cc. 4r – 4v.
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Marongiu – dovranno “personaliter sive per procuratorem eiusdem tamen qualitatis omnes et singuli ex dictis stamentis” (cioe` personalmente o attraverso procuratore di conforme dignita` e qualita`, tutti e ciascuno singolarmente componenti i diversi ‘stamenti’) comparire a Cagliari per tale data, con esplicito avviso che le eventuali assenze, da giustificare e in ogni caso debitamente sanzionate, in nessun modo avrebbero potuto costituire ostacolo alla spedita celebrazione del parlamento, fino alla sua regolare e positiva conclusione. Di qui, tutta una serie molteplice di atti e operazioni, curata dalla segreteria e volta a raggiungere, effettivamente ed efficacemente, tutti i destinatari, secondo rango e categorie, attivando i canali istituzionali e burocratici corrispondenti per ambiti territoriali e di competenza, e procurando che ne risultino i necessari riscontri esecutivi, adeguatamente certificati, oltre che a verificare-confermare il quadro complessivo dei soggetti, numero e qualita`, coinvolti e da coinvolgere. Nell’insieme, una fase preparatoria, ma anche piuttosto laboriosa e non priva di difficolta`, la quale si protrae, ad ogni buon conto, fino a febbraio inoltrato19. In effetti, e sin dal primo momento della formalizzazione della convocazione e dello stabilimento della data di apertura del parlamento, si e` parallelamente messa in moto la complessa macchina del conferimento, o anche della sollecitazione o dell’accaparramento, delle procure. In una prima fase, che si protrae in pratica fino a tutto marzo, il fenomeno riguarda poco piu` di duecento deleghe rimesse per lo piu` nelle mani di procuratori diretti. A fronte di una presenza e di una partecipazione che nei termini piu` generali si articola comunque seguendo le linee, pur sensibilmente attutite alla luce della crisi legata agli eventi di dieci anni prima, della geografia politica dell’isola, dei grossi schieramenti e dei raggruppamenti famigliari, il controllo e manipolazione, essenza del ‘gioco’ delle procure, e` e resta un’importante risorsa nelle mani del Vicere´ e del governo regio. Cosı`, circa due terzi di tali procure dirette sono raccolte da soli cinque parlamentari, tre dei quali, peraltro –il Marchese di Laconi Castelvı`, il nobile cagliaritano Alago`n, l’onnipotente ministro regio Roger – se ne accaparrano ben 124. 19 Ibidem, 5r ss.: si tratta delle convocatorie riguardanti i vari Bracci, i Governatori dei Capi, le autorita` delle citta`, terre, ville, universita` o singoli esponenti di esse, ecc., con i relativi riscontri. Per tutto, si rimanda ovviamente ai documenti e ai regesti corrispondenti che vi sono stati anteposti, nella pubblicazione complessiva a cura di chi scrive, per conto del Consiglio Regionale della Sardegna (in corso di stampa).
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Nel complesso, poco piu` di mezzo centinaio di rappresentanti risultano mobilitati in luogo di oltre duecento aventi titolo, la maggior parte dei quali ha allegato impegni personali inderogabili, impedimenti vari, ragioni di salute o anche l’eccessiva lontananza da Cagliari, sede di svolgimento dell’assemblea. In seguito, come vedremo, tra aprile e maggio, questa situazione avrebbe subı´to un’ulteriore evoluzione, con conseguente, parziale, rimescolamento delle carte, pur continuando a lasciare intravedere tre ‘blocchi’ di procure, riconducibili rispettivamente allo schieramento della nobilta` feudale, della nobilta` senza titolo e dei cavalieri, della componente ‘governativa’ (ministri, funzionari, burocrati), tutte, complessivamente, piu` condiscendenti, se non dipendenti, nei confronti della corona e dei suoi rappresentanti nell’isola. Un’assemblea insomma all’interno della quale non si precostituiscono tanto motivi e modi di fratture sull’atteggiamento di fondo da osservare verso la ‘controparte’, quanto piuttosto una ‘conta’ della consistenza di ciascun gruppo, ai fini della regolazione interna dei rapporti di potere reciproci20. Si giunge quindi alla programmata giornata di apertura e alla sessione “del solio”. Conformemente allo spirito dell’evento, e dei tempi, ogni momento della lunga seduta inaugurale viene massimamente enfatizzato con una solenne cerimonia ricca di significati simbolici, associandosi a tale spiccato risalto anche il puntiglioso, e non meno ricco di simboli, rispetto, spesso tutt’altro che pacifico, di formalismi, etichette e ‘precedenze’. Alle cinque del pomeriggio convengono a palazzo, con i principali ministri (consiglieri regi, giudici, avvocati, tesoriere) gli esponenti piu` in vista del braccio ecclesiastico, di quello militare e del reale. Di qui parte il coreografico corteo che accompagna il vicere´ diretto alla cattedrale . In testa, i nobili dello stamento militare, seguiti dagli ecclesiastici, la cui seconda posizione viene contestata, ma senza successo, dal capitano della guardia viceregia con le sue file di alabardieri. Poi, e` la volta 20 Cfr. B. Anatra, Corona e ceti privilegiati nella Sardegna spagnola, cit., pp.65 ss.. Naturalmente, queste stesse prime fasi dei lavori parlamentari, e le questioni connesse, possono utilmente considerarsi in ottica comparativa, confrontando i piu` recenti contributi dedicati ai singoli antichi parlamenti sardi. Nell’ambito, almeno, di quelli seicenteschi, v. G. Tore, II Regno di Sardegna nell’eta` di Filippo II, Milano 1996; Idem, Il Parlamento straordinario del vicere´ Gerolamo Pimentel marchese di Baiona (1626), Acta Curiarum Regni Sardiniae, 16, Cagliari I998; G. Ortu, Il Parlamento del Vicere´ Carlo de Borja, Duca di Gandia (1614), Acta Curiarum Regni Sardiniae, 14, Cagliari 1995. Va altresı` osservato come l’insieme della procedura cerimoniale sia del tutto simile a quella predisposta nel 1720 per l’atto di cessione del Regno: cfr. A. Mattone, La cessione del Regno di Sardegna, in “Rivista Storica Italiana”, 1992, n. 1
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dei valletti della citta` di Cagliari con i gonfaloni, le mazze e le insegne della municipalita`, con alcuni officiali e funzionari di rango che aprono il passo ai ministri di giustizia. A questo punto, nel cuore del corteo, incede il vicere´ ai cui fianchi si collocano rispettivamente il giurato in capo e l’arcivescovo di Cagliari; piu` indietro vanno il reggente Sisternes, coi sindaci delle principali citta`, e i consiglieri di Cagliari, a loro volta seguiti dal clavigero e dal ‘subsindaco’ della stessa. In tale ordine si giunge davanti la chiesa, dove il vicere´ viene accolto dal Capitolo (e nuovi contrasti di precedenza e di ruolo coinvolgono il Capitolo stesso e soprattutto l’arcivescovo, impuntatosi a sostenere il suo buon diritto, nella circostanza, a portare la croce, cui provvedono tempestive risoluzioni del vicere´ e dell’Udienza a loro sfavore). Allo stesso modo successivi interventi valgono a dirimere il contenzioso sorto, per motivi analoghi, tra il capitano delle torri e il maggiordomo, e, piu` grave, quello tra il procuratore reale da un lato e il governatore del capo di Cagliari e Gallura, dall’altro. Per non dire della lunga diatriba, o meglio, dell’ennesimo capitolo di essa, accesasi fra Sassari e Cagliari, con la prima che ribadisce energicamente, per il tramite del sindaco, la propria contrarieta` al riconoscimento della ‘precedenza’ (che vale un primato in senso piu` generale e complessivo) in favore della seconda, come appunto ribadito ancora dal vicere´, ma che pure dichiara, fatte salve le proprie ragioni e gli asseriti diritti, di non aver inteso, tuttavia, creare difficolta` e impedimenti allo svolgimento ordinato e previsto delle azioni parlamentari, a cominciare dal corteo del giorno di apertura dei lavori. Peraltro, la risposta di Cagliari non e` meno articolata e incisiva, distendendosi a piu` riprese e nell’arco di diverse settimane e sostanziandosi di proteste e ‘cautele’, sorrette da ricca documentazione storica risalente alle ‘corti’ riunite da Alfonso d’Aragona nel 1421 e, in progressione confirmatoria, ai parlamenti degli ultimi anni del Cinquecento e di quelli del Seicento. Eseguiti, “genibus flexiis in altari maiori” i canti (“Veni Creator Spiritus” ad impetrare l’assistenza dello Spirito Santo) e le preghiere di rito, il vicere´ prende posto nell’apparato che e` stato predisposto (soglio, con cattedra e baldacchino) mentre il seguito, con i piu` eminenti tra gli intervenuti, si dispone sedendo ai diversi livelli corrispondenti ai ‘gradi’ dell’apparato stesso, piu` in alto Sisternes e i principali ministri, divisi sui due lati, mentre occupano il secondo e il terzo ‘grado’ funzionari e officiali di rango immediatamente inferiore. Sul ‘solio’ accanto al vicere´, il suo segretario personale e il segretario Marongiu; l’alguazil maggiore a sinistra ed alle spalle il capitano della guardia speciale, Carcassona.
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Gli esponenti dei Bracci siedono invece nei primi banchi loro riservati dalla chiesa, a destra gli ecclesiastici, a sinistra i militari, a centro, davanti, i rappresentanti delle citta` coi consiglieri di Cagliari21. Cosı` preparata, ha dunque luogo la lettura “alta et intelligibili voce” da parte del segretario Marongiu e dell’Uribarri dei documenti regi riguardanti il parlamento e in cui abbondano gli attestati di affetto e stima per i sudditi sardi, nonche´ le promesse di opportune ricompense, mercedi e onori, a loro favore, dimostrando essi ancora una volta il proprio zelo e pronta generosita` nel servire il sovrano. Ne´ manca l’incitamento a studiare e proporre leggi e ordinamenti, nuovi o riformati, da sottoporre al vaglio del Supremo, con fiducia e dichiarate buone possibilita` di accoglimento. E sulla stessa linea si muove, naturalmente, il breve intervento ‘a braccio’ del vicere´ interessato alla piu` sollecita e soddisfacente conclusione del parlamento. La risposta del Bracci (presentata per iscritto dall’arcivescovo di Cagliari) e` comunque interlocutoria, benche´ non priva delle espressioni di ossequio che ci si attende e con profferte di massima disponibilita` e generosita`. Si giunge cosı` alle ultime battute, con le dichiarazioni di contumacia e la proroga dei lavori sino all’8 aprile, onde tra l’atro consentire che si proceda avanti con le abilitazioni e la predisposizione delle richieste, nominando in primo luogo, i componenti delle corrispondenti commissioni22. Ed e` appunto quanto avviene frattanto nelle sedute, non plenarie, ma piu` ristrette e che hanno luogo nei locali del palazzo a cio` deputati, a partire dal giorno 3 (aprile). Alle quattro e mezza del pomeriggio si riuniscono, “in quadam cela regij palatij ad celebrationem generali parlamenti” il vicere´ con i principali ministri e il segretario Marongiu. Anche in tale circostanza si osservano, dai presenti convenuti, sia un determinato cerimoniale, sia un ordine altrettanto precostituito nel disporsi e collocarsi rispetto al vicere´, al solito seduto “sub quodam baldachino...in cathedra”, per cui nei seggi allineati lungo la parete destra si situano il reggente Sisternes, i giudici della Regia Udienza e l’avvocato fiscale regio, mentre sulla sinistra il procuratore reale, il mastro razionale, il reggente la tesoreria e l’avvocato fiscale e patrimoniale23. I tre Bracci sono a loro volta simultaneamente riuniti: l’ecclesiastico nel palazzo arcivescovile, il militare nella chiesa della Beata Vergine della Speranza e il reale nell’aula magna del palazzo di citta`. All’ordine del 21 22 23
ASC, Parlamenti, 179 cit., cc. 113 ss. Ibidem, cc. 116 ss. Ibidem, cc. I27 ss.
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giorno, la nomina degli abilitatori che, per parte della regia Corte, risultano essere Sisternes, Soro e Martorell; di tale nomina, si recano a portare la notizia ai Bracci, e la corrispondente lista messa per iscritto, Roger e Carcassona, con il Marongiu, oltre che a consegnare i documenti presentati e letti nella seduta inaugurale dei lavori dell’assemblea. Da notare anche qui le assai formali procedure e la rigida etichetta che presiedono all’andirivieni degli emissari di ciascun Braccio che vengono a turno a rendere noti i nomi dei propri abilitatori (nella fattispecie, il marchese di Laconi per i nobili, l’arcivescovo di Cagliari per gli ecclesiastici e il giurato in capo di Cagliari per quanto concerne la citta` ), all’accoglienza loro riservata e alla ricezione, da parte del vicere´, di ciascun singolo atto. Al termine dell’intensa seduta, il vicere´ fissa per il giorno 5 la riunione, nella sacrestia della chiesa “mayor”, degli abilitatori cosı` nominati, riservandosi di comunicare ai Bracci la data stabilita per loro. Il parlamento in seduta plenaria non riprende, tuttavia, l’8 aprile, come preannunziato, perche´ in tale data, e per sei volte successive, i lavori vengono prorogati, contestualmente ad altrettanto pubbliche denunzie di contumacia a carico degli assenti, addirittura per un intero mese24. Ma dai primi di aprile, si avviano per un verso la seconda fase del processo gia` ricordato di conferimento-assestamento delle procure, e per l’altro, il non meno complesso iter delle abilitazioni. L’uno e l’altro si protraggono per un paio di mesi, circa; per quanto concerne le procure, ne entrano in circolo di nuove nelle mani, anche, di rappresentanti diversi (non piu` di una dozzina, in ogni caso) da quelli coinvolti ed emersi sin dalla prima tornata. Cio` che pero` caratterizza la fase in atto e` il gran numero di sostituzioni di procure che viene a concretizzarsi (oltre 100), a beneficio di nuovi soggetti che in larghissima maggioranza sono cagliaritani, esperti in diritto, burocrati e funzionari, membri dell’entourage di governo, e ben spesso “gente del Castello”, indicazione quest’ultima di indubbia rilevanza socio-politica e istituzionale. Tale manovra, o strategia, di alleggerimento, o come sembra piu` probabile, di smistamento consapevolmente orientato di suffragi ‘indiretti’, ulteriore segno di quel clima politico e istituzionale di “normalizzazione” – come si e` gia` accennato, e dopo la fase della piu` energica repressione, si tratta di ripristinare relazioni ordinarie piu` tranquille, rasserenare il clima, mantenendo alta la vigilanza e il controllo, efficace ma discreto, della 24
Ibidem, cc. I43r – I48v.
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situazione – che sembra aleggiare sul parlamento convocato dal vicere´ Santo Stefano, riguarda appieno anche i tre procuratori maggiori. A “bocce ferme”, per cosı` dire, e` ancora il Marchese di Laconi, detentore del maggior numero di procure (60), il quale riversa comunque sulla piazza cagliaritana la piu` parte delle sue 22 sostituzioni operate; a ruota, l’Alago`n con 59 procure e 28 sostituzioni, quindi Roger, rispettivamente con 54 e 15; assai distaccati, Giuseppe Delitalia y Castelvı`, governatore dei Capi di Cagliari e di Gallura, con 10 e 4; Geronimo Guitierres (9 e 7) e Francesco Montanacho (7 e 6). Anche per le sostituzioni, in definitiva, la concentrazione del fenomeno (82 casi) a carico di un numero ristrettissimo di parlamentari (sei in tutto, come si e` detto, ma con i primi tre in posizione di assoluta preminenza) e` del tutto evidente. Il totale definitivo, tra procure dirette e sostituzioni, ascende alla cifra di circa 300, per un numero di voti effettivi considerevolmente inferiore25. Relativamente alle abilitazioni, l’esame e la verifica dei poteri dei titoli di legittimita`, non e` sempre agevole e univoco, cosı` come non pochi sono i casi per i quali sono necessarie lunghe e specifiche indagini al fine di dirimere contenziosi anche pesanti. Dai documenti, non sempre concordi fra loro, si evincono le sedute piu` numerose in aprile (una dozzina), cinque-sei in maggio e tre in giugno per un totale di diverse centinaia (circa 500) di abilitati nell’ambito del Braccio militare, incluse le procure (per un ridotto numero delle quali vi e` esplicita menzione) e tra i quali comunque vi sarebbe un centinaio abbondante di abilitati all’ammissione in parlamento, ma senza voto, a causa della minore eta`. Come e` ovvio, la Commissione si occupa, in sedute specifiche, o anche miste, delle abilitazioni riguardanti il Braccio ecclesiastico ed il Reale, ma entrambe coinvolgono entita` numericamente relativamente poco consistenti26. Anche tutto quanto si inscrive nella sfera del processo delle abilitazioni –tra i dati cruciali dell’esperienza storica parlamentare sarda – ha la sua 25 Tutto il complesso gioco delle attribuzioni delle deleghe, e le successive manipolazioni, si ricava, nei termini formali, dai documenti contenuti nei volumi 177 e 178 della serie cui qui si fa riferimento, piu` che dal registro 179 contenente essenzialmente il processo-verbale dei lavori dell’assemblea. A essi occorre quindi fare riferimento, utilizzando, come si e` peraltro gia` avvertito, anche i corrispondenti regesti (ci si riferisce, ancora, all’edizione in corso di stampa). 26 ASC, Parlamenti, 177, con le indicazioni delle varie sessioni dedicate alle abilitazioni, fino a tutto aprile 1677; ASC, Parlamenti, 178, per il prosieguo lungo il corso dello stesso anno. In particolare, cfr. lunghi e particolareggiati elenchi degli abilitati alle cc. 227 ss. del volume 179, alle date del 15 e del 24 maggio; concretamente, si tratta di 472 abilitazioni.
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etichetta ed i suoi formalismi procedurali, che riguardano i luoghi e le modalita` di lavoro, il ruolo e le gerarchie tra i presenti, la registrazione degli atti e la loro comunicazione. Cosı` l’insediamento e il giuramento degli abilitatori avvengono in seduta solenne, alla presenza dei maggiori ministri e autorita`; le figure coinvolte, sia da parte regia, sia da parte dei Bracci, sono del maggiore calibro; l’Arcivescovo di Cagliari, ad esempio, riafferma in questa sede, come rappresentante dell’Ecclesiastico, il proprio diritto a precedere i rappresentanti del Militare (Laconi) e del Reale (Carnicer), e tale prerogativa gli viene prontamente riconfermata dal Sisternes. Le riunioni si tengono in appositi locali del palazzo arcivescovile, messi quindi a disposizione dello stesso arcivescovo de Angulo, e nonostante il buon ritmo e l’intensita` di lavoro da parte degli abilitatori, non mancano critiche e sollecitazioni a procedere ancora piu` speditamente. Con particolare calore, la questione viene portata all’attenzione del Vicere´ accanto a molte altre richieste ufficiali, proposte dal Marchese di Villasor in data 9 maggio, in quanto il protrarsi e il procedere lentamente delle abilitazioni arreca inconvenienti e danni ai cavalieri non ancora abilitati ed in attesa di esserlo27. Si riprende concretamente il giorno 7 maggio, ma in sessione ristretta, come quella del 3 aprile, nello stesso luogo e con gli stessi attori. Questa volta tocca pero` nominare i trattatori e i giudici dei gravami, altro snodo cruciale di tutta la regia dell’azione parlamentare28. Per parte viceregia, gli incarichi vanno, come trattatori, a Sisternes, Roger, Carcassona e Carnicer, mentre per l’esame dei “greuges” ancora al Sisternes, onnipresente, coi giudici Cavassa, Ruggio e Fernandez de Heredia, nonche´ al tesoriere Delitala. Si procede all’informativa (ambasciatori Carnicer e Soro, con quest’ultimo che trova modo di sollevare un cavillo in ordine al proprio ruolo rispetto a quello del collega, ma ricevendo un brusco richiamo all’obbedienza) e quindi, con l’arrivo, a vario intervallo, anche piuttosto lungo, degli emissari dei Bracci, all’integrazione e completamento delle commissioni, secondo risulta dai “papeles” che vengono da essi consegnati al vicere´. Per le citta`, trattatori sono i sindaci di Cagliari, Sassari e Alghero, ed il giurato in capo di Cagliari; tra i giudici e provveditori dei gravami, i sindaci 27
Sull’importanza del ruolo degli abilitatori e crucialita` del loro operato, cfr. tra gli altri, B. Anatra, La Sardegna dall’unificazione ecc. cit., pp. 543 ss. 28 ASC, Parlamenti, 179 cit., cc. 150r. ss..
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di Oristano, Castellaragonese, Iglesias e Bosa; per gli ecclesiastici, rispettivamente, gli arcivescovi di Cagliari e Oristano; il vescovo di Ampurias e il procuratore dell’arcivescovo di Torres (trattatori), nonche´ i canonici Cugia, Vacca, Rachis e l’arciprete Nurra (giudici); per i militari (emissari il Ripol e il Carnicer) le indicazioni riguardano i nomi dei marchesi di Villasor, Laconi e Albis, e di Antonio Manca Dell’Arca (trattatori); ancora, di Baldassarre Dexart, Giuseppe della Mata, Gavino Martinez e Francesco Carola, come giudici. Per tutti, convocazione per il giorno seguente in cattedrale, presso la cappella della Vergine del Rosario, in vista della cerimonia del giuramento, e la lunga seduta, protrattasi fin quasi alla mezzanotte, viene tolta. Prima, tuttavia, il vicere´ ha provveduto pure in merito alla protesta della citta` di Oristano contro Sassari e Alghero, per rivendicare la seconda posizione immediatamente dopo Cagliari. In pratica, secondo Oristano, il proprio buon diritto sarebbe fuori discussione, considerata l’importanza economica e strategica, la quantita` di popolazione, le vicende storiche; ma intanto il suo appello non va oltre l’ammissione della protesta con il rispetto di quanto solitamente osservato al riguardo nei precedenti parlamenti29. La seduta in cattedrale, presso la cappella della Vergine del Rosario, ha luogo effettivamente nel pomeriggio del giorno 8. Il canonico Cugia presenta un articolato memoriale che il vicere´ da` in lettura al segretario e che contiene in pratica l’indicazione dei modi e degli scopi del lavoro di esaminatori e giudici dei gravami, delle garanzie per un sollecito ed efficace svolgimento del delicato compito, dei tempi entro cui operare e dei severi controlli da attuare, delle istruzioni cui attenersi nei casi di assenze forzate, morte e accidenti vari. Il tutto appare finalizzato a rendere possibile l’assunzione di decisioni rapide e soddisfacenti, prese dalla commissione su “qual si vol greuges fets per la Magestat del Rey nostre Sen˜or o qual se vol antecessor de gloriosa memoria, de sos governadors de Espan˜a, o qual se vol altres que por Sa Magestat hagian governat, y per los exelentissims sen˜or Virreys passats, per Vuestra Exellencia, Governadors, veces portants de aquells y per qual se vol offisials reals, ordinaris o delegats, tant de justissia, com del real patrimony, a qual se vol estaments...universitats o particular del present regne...”30. Determinazioni adottabili, peraltro e se del caso, anche a maggioranza, formata, nella fattispecie, rispettando il requisito della presenza in essa almeno di un 29 30
ASC, Parlamenti, 179 cit., cc. 199-223. ASC, Parlamenti, 179cit., cc. 169r. ss.
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giudice nominato dalla regia Corte e di uno per ogni stamento tra quelli designati, appunto, dai bracci, e nelle quali non possono avere voce o ruolo alcuni degli avvocati e procuratori fiscali, se non espressamente richiesti. Il vicere´, dal canto suo, “se contenta condescender a las cosas suplicadas”, sicche´ si procede al giuramento formale sui Vangeli, nello spirito e seguendo anche la lettera di quanto riportato nel memoriale-petizione del Cugia; giura lo stesso vicere´ (nelle mani di Roger, essendo assente il governatore di Cagliari) e quindi via via tutti gli altri tenuti a farlo. Del tutto, come al solito, viene redatto e registrato apposito ‘atto’, mentre specifica ‘grida’ pubblica viene emanata dal vicere´ per rendere edotti tutti i regnicoli che entro 30 giorni potranno ‘proporre’ gli eventuali aggravi patiti, documentati adeguatamente, sui quali chiedere e ottenere giustizia. Il giorno seguente, in palazzo, vicere´ e ministri si dedicano a dirimere contrasti sorti in merito alla nomina dei trattatori, ma sono in effetti gli stessi ricorrenti, Matteo Pilo barone di Putifigari, e il marchese di Soleminis (Enrico de Rocaberti) con Francesco Brunego (questi ultimi contro Antonio Manca Dell’Arca) dopo aver proposto il gravame a chiedere che venga ammesso il loro “desistimiento” e che quindi non si proceda piu` oltre, al fine di non intralciare e ritardare il sollecito corso del parlamento. Ad ogni buon conto, il vicere´ aveva fatto procedere alla nomina dei relativi giudici (10 maggio) e portato il caso davanti alla commissione, gia` disposta al voto. La ripresa dei lavori, ancora in seduta ristretta e dopo due nuove proroghe, ha luogo il 13 maggio, con la ratifica di quanto avvenuto sino ad allora, in particolare della vicenda del gravame rientrato, di cui detto sopra. Da parte dei Bracci, viene avanzata la richiesta di poter disporre della lista di tutti gli abilitati, onde accelerare le procedure e lo stesso lavoro dei trattatori; il vicere´, nell’assicurare la massima disponibilita` al riguardo ed impegnandosi a far recapitare tale lista, fissa il giorno 15 la riunione dei trattatori stessi. Questi ultimi hanno il delicatissimo compito di predisporre quanto concerne l’ammontare e le modalita` del ‘servizio’: si riuniscono in giunta (17 maggio) nel salone grande del palazzo, “sentados cada qual en su silla llevando en medio una tabla cubierta de damasco colorada y en cima de vaqueta de Flandes”31 e discutono per un’ora e mezza. La loro proposta, recata al vicere´ dal reggente Sisternes (che, come si e` visto, fa parte della commis31 seduti ognuno sulla propria sedia, con in mezzo una tavola ricoperta di damasco e sopra da pelle delle Fiandre.
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sione) e` che, tenuto conto delle necessita` ma anche delle cattive condizioni del Regno, sia il vicere´ a far conoscere la quantita` che chiede in nome del sovrano; dal canto loro, sono pronti a fare il piu` e il meglio possibile, a condizione che “todo lo que fuere para las conveniencias del comun y particular, lo piden a Vuestra Excellencia por grac¸ia, para que a un mismo tempo se tracte de dicho real servicio y de dichas conveniencias”32. E in ordine a cio` l’opinione dichiarata dal vicere´ e` che il Regno potrebbe arrivare per l’occasione ad 80mila scudi annui per un periodo di 15 anni, superando quindi importi e termini fissati nei precedenti parlamenti, a fronte dell’impegno, da parte sua, ad attivarsi affinche´ dal sovrano giungano ai sudditi sardi nuove concessioni, sia particolari che generali. Tocca ancora al Sisternes tornare prima in seno alla giunta dei trattori per fare il punto della situazione, e quindi riferire nuovamente al vicere´ che l’orientamento generale e` per la riconferma della somma di cui al precedente ‘servizio’, pur con rammarico di non essere al momento il Regno in grado di fare di piu` per le miserissime condizioni in cui versa. Una curiosita` (e parrebbe sulle prime un vezzo linguistico, quasi un gioco di e con parole): i trattatori tengono a precisare, e il reggente se ne fa diligente portavoce, che l’erogazione del donativo va a compiersi sotto il segno delle tre lettere A.B. e C., intendendosi per la prima che “el servicio sempre seria antepuesto a las conveniencias del Reyno”; per la seconda che si trattassero queste ultime “en comun”; e quanto alla terza che rappresentasse evidentemente le citta`, il loro rilievo ed il ruolo da svolgere. In piu` dichiarano di avere bisogno ancora di qualche tempo (almeno 8 giorni) per definire l’intesa complessiva. Il vicere´ si dichiara d’accordo, sentiti i suoi ministri, su tutta la linea, riconoscendo addirittura che “no esperava menos da la finesa de todos dichos ilustres tractadores” e consente pertanto ai termini richiesti33. Si riprende, al modo delle ultime sessioni, il 24 seguente: i Bracci reale e militare notificano la propria disponibilita` circa i 70mila scudi e le rispettive quote di pertinenza, ma chiedono un’ulteriore proroga per la messa a punto finale dei documenti conclusivi, in particolare a proposito delle ‘suppliche’
32
tutto cio` che fosse a vantaggio del (bene) comune e di quello particolare, o individuale, lo chiedano a Vostra Eccellenza per grazia, di modo che al medesimo tempo si tratti di detto real servizio e di detto vantaggio. 33 L’anteposizione della determinazione del donativo alla elargizione delle grazie, puntigliosamente ribadita, rimanda alla prassi precedente, e tradizionale, interrotta dal parlamento Camarassa.
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per le quali raccomandano al vicere´ di impegnarsi nell’appoggiarle autorevolmente. Quanto agli ecclesiastici, appaiono meno spediti e vengono percio` sollecitati, attraverso ambasceria affidata a Roger e Carcassona, a seguire l’esempio degli altri de Bracci. La situazione si sblocca solo a tarda sera nel senso che i due delegati, Rachis e Dore, confermano la disponibilita` anche del Braccio ecclesiastico circa il donativo e chiedono anch’essi la proroga per le ‘suppliche delle convenienze’, che viene accordata fino al 2 giugno seguente. Concretamente, l’adesione dei bracci comporta, per il reale, il pagamento della quota toccante, da ripartirsi salvaguardando “la igualdad que 34 disponen las reales ordenes” e secondo le modalita` “por as, dos y tres” , rispettando le deduzioni a favore delle citta` che ne godono, e ponendo le spese del parlamento a carico del sovrano “como siempre”; di piu`, restando inteso che nessun sindaco della citta`, come da apposito ordine viceregio, possa ripartire se non siano concluse “las suplicas de dichas conveniencias”, a meno che non deleghi in sua vece un sostituto con “poderes bastantes”35. Quanto al braccio militare, per bocca del Villasor si chiedono al vicere´ importanti concessioni (a nome del sovrano), quali, con la conferma e l’osservanza di tutti i capitoli precedenti, la riserva a favore dei naturali regnicoli circa la concessione degli uffici dell’amministrazione giudiziaria e patrimoniale, nonche´ delle sedi ecclesiastiche, contemplandosi in piu` la reciprocita` nel caso di forestieri cui nell’isola vadano cariche da ministri ‘togati’; la ulteriore convalida del beneficio del ‘reale’ per ogni starello di grano estratto dal Regno, regolamentando gli elenchi dei beneficiati, modi e forme della raccolta dei proventi e la loro utilizzazione. E ancora, il riconoscimento degli ambiti di giurisdizione privilegiata per i signori di vassalli nel civile come nel penale, includendovi la prima istanza per quanto attiene ai delitti con effusione di sangue ed escluse le ‘regalie’ riservate al sovrano in materia debitoria; infine, la revoca del pregone del marchese de Los Velez in contrasto con quanto sopra, nonche´ garanzie degli arresti, detenzioni o fermi, per nobili, militari, giurati in capo ecc.36. Ancora a nome dello stamento reale, e per esso dall’avvocato Muro, si avanza la richiesta dell’eliminazione del presidio militare permanente, per di piu` costituito da soldati forestieri, posto, a seguito dei fatti del 1668 e
34 35 36
ASC, Parlamenti, 179, cit. c. 265. Ibidem, c. 265 v. ASC, Parlamenti, 179 cit., cc. 267 – 274.
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della politica repressiva del San Germano, davanti le porte della citta` (Cagliari), ritenuto un danno sotto il profilo materiale e un’offesa nei confronti del conclamato e sempre esibito spirito di lealta` e di sicura fedelta` dei sudditi sardi. Nella stessa direzione e per gli stessi motivi si chiede pure la rimozione della torre dell’Elefante, delle teste dei condannati per la congiura Camarassa, lasciate in esposizione a terribile ammonimento ed esempio. Ne allegano un’ampia scelta di documenti e testimonianze a sostegno, anche di provenienza regia e viceregia, in particolare riguardanti il comportamento encomiabile dei cagliaritani al tempo dei torbidi collegati all’omicidio Camarassa. Lo stesso discorso vale per gli abitanti delle ‘appendici’, di Stampace, la Marina e Villanova,che egualmente, nel corso degli anni precedenti, a partire dal fatidico 1668, hanno evidenziato lo stesso atteggiamento e posto il medesimo problema37. Proseguendo le abilitazioni, il parlamento viene via via aggiornato all’11 di giugno. Sotto tale data pervengono le richieste da parte dei sindaci di Cagliari, Sassari e Alghero riguardanti i privilegi di ‘porti aperti’ con facolta` di imbarcare grano, e da parte del Tribunale dell’Inquisizione che lamenta la scarsita` delle risorse a propria disposizione. In entrambi i casi il vicere´ elude le domande38. Invero serpeggia la preoccupazione comune per i tempi che slittano di continuo, al punto che il vicere´, consultati i ministri, si risolve di inviare ai Bracci, per il tramite di Carnicer e Martorell, pressante invito a stringere definitivamente con l’approntamento dell’elenco delle richieste da presentare e a dare indicazioni sul nome del sindaco da inviare in Spagna, “en la forma que se ha platicado en las Cortes antecedentes”. In capo ad alcune ore, giungono a turno le risposte dei Bracci, come di consueto portate dagli emissari che sono stati designati. In pratica, “las suplicas de las combeniencias del Reyno” sono state approntate (solo il Militare –rappresentato da Dalmao Sanjust e Francesco Carola – chiede ancora otto giorni avendo alcuni punti da aggiungere e sistemare), cosı` come concorde e` la scelta del canonico Diego Pinna, commissario generale dell’Ordine della Merced, quale sindaco. Ne prende atto con soddisfazione il vicere´ che “para correr de una misma conformidad, nombra al mismo muy reverendo comisario general Pinna en sindico por parte de la Regia Corte”39.
37 38 39
Ibidem, cc. 275 ss.; 295v ss. Ibidem, cc.300 – 301v. Ibidem, cc.611 – 614v.
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Gli atti successivi sono una lunga sequenza di proroghe che conducono alla ripresa dei lavori in sede ristretta solo ai primi di agosto. Si formalizza la missione del Sindaco Pinna (7 agosto) e ciascun Braccio, data assicurazione di aver compiuto i prescritti adempimenti al riguardo, sollecita il Vicere´ ad intercedere presso il Sovrano per quanto concerne il donativo e soprattutto le grazie richieste. Nell’occasione il militare, per bocca di Antonio Manca Ledda e Lucifero Carcassona, ribadisce la propria disponibilita` al pagamento della quota-parte (35.000) della somma concordata di 70.000 scudi (secondo il criterio “per as, dos y tres”) ed avanza alcune specifiche richieste riguardanti il proprio avvocato Nurra (cavalierato e posto di togato) e il monastero delle monache cappuccine (estrazione di grano), incontrando la favorevole disposizione del Santo Stefano. Per gli ecclesiastici, i canonici Rachis e Mason y Nin precisano che la partecipazione al donativo e` sulla base di 7500 scudi di cui 4000 in contanti e il resto attraverso “sacas”, destando qualche perplessita` nel Vicere´. I sindaci di Oristano e di Bosa, a nome del Braccio reale, appoggiano le richieste riguardanti il Nurra ed il ‘grandato’ per il Marchese di Villasor, nonche´ le monache cappuccine. Ovviamente chiedono anch’essi una copia della “Carta regia”, mentre per quel che concerne la ripartizione del donativo si richiamano ai criteri osservati nel parlamento Lemos. In ultimo, ancora una dichiarazione d’appoggio, da parte del braccio ecclesiastico (Nurra e Tronchi), per le grazie di cui si e` detto40. La successiva tornata del 9 agosto si apre con una protesta dei sindaci di Alghero (Olives) e Iglesias (Salazar) nei confronti di quel che e` consentito a Cagliari in materia di estrazione e conservazione del grano di ‘scrutinio’, seguita dalla richiesta da parte degli stessi di particolari benefici a vantaggio dei Pellicer de Moncada, ottenendo risposte dilatorie proprio su quest’ultimo punto. Tocca quindi al Vicere´ (tramite Carnicer e Soro) sollevare, con il braccio militare la questione della non opportunita` di seguire il criterio “per as, dos y tres” nel pagamento del donativo, essendo piu` conveniente per tutti uniformarsi alle modalita` fissate nel parlamento Lemos; e in tal senso si pronunziano i Bracci. Nei giorni seguenti, in particolare nel corso delle riunioni del 13 e 14, si sviluppa la controversia originata dalla concessione, da parte del vescovo di Ampurias, Giovan Battista Serrives, del canonicato della chiesa di Castellaragonese a Lazzaro Maiolo, ritenuta dal Braccio reale, ma anche dagli altri 40
Ibidem, 616 ss.
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due, un arbitrio, essendo il beneficato “forestiero e non naturale”. Ancora richieste isolate di o a favore di particolari, ma ce n’e` anche una del braccio ecclesiastico che patrocina una rivendicazione delle comunita` dei Capitoli, monasteri e confraternite di Sassari, Oristano, Alghero, Ales, Bosa, Ampurias e Iglesias nei confronti del Capitolo di Cagliari (16 agosto), cosı` come in pari data i Bracci congiuntamente confermano l’entita` del donativo offerto e ufficialmente richiedono l’adozione dei criteri e delle modalita` risalenti al parlamento Lemos. Di piu`, reclamano l’approvazione di una ampia serie di capitoli (59) di interesse comune o generale.41 Conclusasi questa impegnativa fase, il parlamento viene ripetutamente prorogato, addirittura fino ad alcune sedute tra maggio e giugno dell’anno seguente (1678), dedicate a fissare la ripartizione del donativo al quale in definitiva lo stamento ecclesiastico partecipa con 4000 scudi (in luogo di quanto in precedenza concordato essendogli stata condonata la differenza); il militare per 37mila scudi e 50 (di cui 2000 a carico dei titolati e baroni; 2500 a carico dei ministri e officiali regi); il reale per i restanti 21450 scudi. Stabilite le quote a carico di ciascun contribuente, la durata decennale, i criteri e le modalita`, il parlamento viene di nuovo e ripetutamente prorogato fino ai primi di novembre, mentre alcuni strascichi si consumano ancora tra gli ultimi giorni dell’anno e i primi del 1679. Tra il 5 e il 7 novembre si svolgono gli atti conclusivi del lungo parlamento: il primo giorno si predispone la cerimonia finale del ‘solio’ fissata per domenica 6 alle due del pomeriggio. Ciascun Braccio assicura, attraverso i propri rappresentanti la presenza per il giorno successivo; e` l’occasione, per il militare, di chiedere tra l’altro che sia consentito al Castelvı` di ritornare in patria; per il reale, di riferire su una controversia sorta attorno alla presidenza della giunta degli abilitatori. Nella fattispecie, il Vicere´ conferma nella carica Domenico Pitzolo, giurato in capo di Cagliari, su cui vi era stata la contestazione delle altre citta` del Regno, cosı` come risolve altre controversie legate alle ‘precedenze’ rivendicate e contestate da vari personaggi. Il 6 novembre, la celebrazione del ‘solio’ come si e` accennato e in forma rituale e solenne come per la seduta d’apertura. Nel corso di tale celebrazione ha luogo pure la proclamazione dei privilegi, immunita`, concessioni, titoli e grazie accordati dal Sovrano e dallo stesso Vicere´ a quanti si siano segnalati per particolari meriti e per lo zelo mostrato durante i lavori parlamentari e a favore del loro sollecito e
41
Ibidem, cc. 801 ss.
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positivo svolgersi. In particolare e con altrettanta solennita` il giorno seguente vengono rese pubbliche e lette dal segretario della R. Udienza, Antonio Lecca, le grazie concesse (31 agosto 1678) dal Sovrano alle singole citta` e Capitoli sulla base e a riscontro delle richieste presentate42. Si riferiscono ancora al parlamento, segnatamente agli ultimi adempimenti previsti, le disposizioni vicereali a favore di chi ha lavorato nel corso dell’assemblea svoltasi e per la liquidazione di mandati di pagamento a beneficio di alcune chiese, cosı` come convenuto in parlamento. Le ultime battute segnalano lo svolgimento delle funzioni religiose finali (giuramento del vicere´ sui singoli vangeli; “Te Deum solenne) e l’accompagnamento del Santo Stefano in corteo a palazzo mentre tutto intorno, per la citta` si assiste all’esplodere di “saltationes et tripudia”.
4. I capitoli Le richieste che i Bracci – ceti, corpi e persino singole individualita` – avanzano in parlamento costituiscono il nucleo piu` consistente e significativo della relazione fra essi e la Corona, quale si manifesta nella “sede, occa43 sione, strumento” – per dirla col Marongiu – rappresentata da ciascuna singola assemblea. I ‘capitoli’, in effetti, rivelano meglio di qualsiasi altro documento la natura e lo stato di quella relazione, dei rapporti di forza ad essa sottesi, oltre che, ovviamente, la situazione generale della realta` territoriale e geo-politica cui si riferiscono e da cui promanano, le esigenze piu` vive della comunita` o di parti di essa, piu` o meno consistenti e potenti44. I ‘capitoli’ del parlamento di cui ci stiamo occupando non fanno certo eccezione, come agevolmente si vede nello scorrerli, cosı` come e` indubbio 42
Ibidem, cc. 735 ss.; per quel che riguarda propine e assegnazioni, si tratta di circa 120mila lire, divise per oltre 108mila in provvidenze al Vicere´, ministri e presidente del Supremo Consiglio d’Aragona, nonche´ ai Commissari tutti (giudici, trattatori, abilitatori), ai Consiglieri ed altri funzionari, segretari ecc.; e per il resto, in materiali d’uso (legno, candele ecc.). Alle Opere pie (chiese, monasteri, conventi ecc.), altre 16.750 lire; infine, per opere di pubblica utilita` , a discrezione del Vicere´, ancora lire 3775. Per le battute finali del parlamento, v. Ibidem, c. 790v. 43 A. Marongiu, Il parlamento in Italia nel Medio Evo e nell’Eta` moderna, Milano 1962, pp.263 ss.; 307 ss.: 447 ss.; 529 ss. 44 F. Loddo Canepa, La Sardegna ecc. cit. pp. 503 ss.; B. Anatra, La Sardegna dall’unificazione ecc., cit. pp.635 ss.; A. Marongiu, Il Parlamento o Corti ecc. cit., pp. 79 ss.; P. Sanna, I Parlamenti del Regnum Sardiniae, in “Archivio Sardo”, nn. 47-49, pp. 29-49.
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che essi rimandino al clima specifico, politico e sociale, degli estremi decenni del secolo, a quella fase di normalizzazione e assestamento, di cui si e` detto, dentro la quale, tuttavia, si intravedono sia gli strascichi della tumultuosa stagione degli anni Sessanta, sia l’irruzione sulla scena di soggetti che avanzano, per dir cosı`, dalle retrovie della societa` sarda ed alle quali proprio la congiuntura in atto offre delle opportunita` in piu`, sicuramente negate in precedenza. Beninteso, villaggi, comunita` rurali, ‘incontrade’, o segmenti di ceti, urbani o rurali, che vengano alla ribalta possono aspirare a ricavarsi degli spazi, non gia` a mettere in discussione egemonie consolidate, sia nel campo nobiliare che nell’ambito delle piu` grosse realta` cittadine, ma almeno a proporsi come interlocutori, e cio` rappresenta una considerevole novita` frutto dell’evoluzione certa della societa` sarda coeva ed anche della contingente fase di ‘stanca’ di altri attori e soggetti in campo. Quantita` e rilevanza dei ‘capitoli’, espressione e proiezione dei protagonisti tradizionali della vita parlamentare sarda, non contraddicono ne´ smentiscono peraltro uno stato di cose piu` che consolidato. Si avvertono, pero`, stanchezza e ripetivita`, una sorta di ripiegamento cauteloso, necessario, forse, a riprendere fiato e a ritrovare la baldanza istituzionale di un tempo. Di qui, la preoccupazione di non perdere colpi, pregiudizievoli comunque anche per il futuro, e dunque l’esigenza da una parte di saggiare la controparte –Vicere´ e Corona – sugli orientamenti di fondo, sui presupposti su cui poggia la relazione governati-governanti; dall’altra di esporre, accanto ai temi tradizionalmente forti, che pure – a scanso di equivoci – si ripropongono, anche rivendicazioni minute su punti assai specifici di realta` molto particolari. Il tutto, evidentemente, in sintonia con un panorama che appare lontano da scontri e divisioni contrapposte, ai quali e` come se, dopo la ‘sfuriata’, fosse stata messa (definitivamente?) la sordina. I capitoli di cui Sassari (sindaco A. Manca Jacumoni) sollecita l’approvazione da parte del vicere´ riguardano fondamentalmente la difesa e l’incremento dello status politico-istituzionale della citta`, come della sua situazione socio-economica dopo il disastro della grande peste a meta` secolo45. Di qui le rivendicazioni puntigliose della salvaguardia delle prerogative e del ruolo del governo locale dalle insidie rappresentate dalle interferenze e vincoli provenienti dall’azione sia dei baroni, sia dei ministri e funzionari del governo regio (in materia di giurisdizione e di patrimonio). Accanto a
45
Cfr. B. Anatra – F. Manconi, Castigo de Dios, Donzelli, Roma 1994.
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queste, la richiesta di regolamentare i rapporti tra debitori e creditori secondo l’uso di Barcellona, anche in questo caso dando risalto alla giurisdizione cittadina in materia, come del resto nell’ambito del rifornimento e mantenimento della popolazione. Altrettanto significativo l’insistente richiamo, quale circola in piu` capitoli, al miglioramento strutturale e funzionale del porto di Torres, le cui esigenze e opportunita` vengono prospettate anche con il supporto di una doviziosa documentazione storica46. Risulta evidente, al riguardo, quanto la citta` punti alla risorsa portuale e come si impegni quindi a strappare per essa e in virtu` di essa le migliori condizioni alla circolazione e allo stoccaggio delle merci. Oltretutto, risultati positivi in questa direzione rafforzano Sassari anche nei confronti di Cagliari e dell’annosa disputa che la oppone alla capitale e che si trova piu` di un’ eco nei capitoli in questione. Le risposte del vicere´ sono in ogni caso oltremodo prudenti: per una buona meta` dei capitoli rimette la decisione al sovrano o rimanda a quanto gia` in uso e fissato da capitoli, leggi, prammatiche. Nel caso dell’ ‘incontrada’ di Barbagia Belvı`, le richieste, presentate in pari data dal sindaco Marra, riflettono ambiente ed esigenze peculiari della specifica comunita` rurale e pastorale. I punti salienti si riferiscono per un verso ad istanze di piu` libero accesso e maggiore disponibilita`, da parte dei locali, nei confronti dei beni comuni e relative risorse; per l’altro, alla tutela dei diritti istituzionali e connessi al governo del territorio, rispetto ai soggetti terzi in grado di limitarli o di ostacolarli. L’ ‘incontrada’, per i suoi meriti incorporata al patrimonio della Corona, chiede pure che i suoi cittadini possano riunirsi senza troppi problemi per trattare materie che tocchino i propri interessi, ed e` questo invero il capitolo (quasi l’unico) su cui la risposta del vicere´ e` meno aperta e permissiva, rimandando all’osservanza di quanto gia` in uso al riguardo47. Quanto ad Alghero (sindaco Olives) il panorama delle richieste rimanda all’immagine di una citta` in gravi difficolta` economiche e sociali, necessitate ad avanzare istanze di concessioni straordinarie in materia di 46
I capitoli di Sassari, in ASC, Parlamenti 179 cit., cc. 305-321v; v. pure E. Costa, Sassari cit. e, a cura di A. Mattone-M. Tangheroni, Gli Statuti sassaresi. Economia, societa`, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Eta` moderna, Edes, Cagliari 1986: in particolare, il contributo di A. Mattone, Gli Statuti sassaresi nel periodo aragonese e spagnolo pp. 409-490. 47 Per le richieste dell’incontrada di Barbagia Belvi, cfr. in ASC, Parlamenti, 179 cit., cc. 331-338v.
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conferimento ed estrazione di grani, di esenzioni fiscali, di agevolazioni per l’attivita` delle barche coralline e di quelle adibite al trasporto del vino, nel quadro di una sostanziale protezione da accordare al proprio porto ed alle sue attivita`48. Ma non meno impellenti e significativi sono i richiami all’opportunita` che alla citta` sia riservato lo stesso trattamento di cui gode Cagliari, in generale e in materie particolari, nonche´ insistiti riferimenti alle prerogative, funzioni e poteri del ‘veghiere’, come anche, ma in subordine, dei consiglieri, e infine, alle esigenze di scurezza e alla necessita` di subordinare il ruolo delle incontrade delle ville dei Capi di Sassari e Logudoro ai prioritari bisogni di Alghero49. Su quasi tutti i punti, e in ogni caso per quelli ritenuti piu` importanti, i richiedenti presentano altresı` il supporto di consistente documentazione ‘storica’, vale a dire riguardante i precedenti, omologhi e favorevoli a quanto reclamato nella circostanza. Le risposte del vicere´ ricalcano l’orientamento piuttosto rigido gia` riscontrato a proposito di quelle riguardanti le richieste di Sassari: poche le approvazioni piene, numerose le rimessioni al sovrano per le opportune decisioni e diversi richiami all’osservanza delle disposizioni gia` in vigore. Da parte della citta` di Iglesias (sindaco Salazar), una serie di 16 capitoli tra cui la conferma di tutti i privilegi gia` concessi, un proprio vescovato indipendente da quello di Cagliari, agevolazioni riguardo alla propria quota di donativo, maggiore di liberta` di esportare. Attraverso un gruppo specifico di petizioni, poi, si chiedeva una sorta di messa a punto dei poteri e delle prerogative del capitano della citta`. Le risposte del vicere´ sono diversificate secondo l’entita` e la delicatezza delle richieste; del tutto negativa circa la domanda tendente al conferimento ai contadini del ‘reale’ a starello disposto da Filippo IV, ma assai avversato dagli stessi Bracci, e sostanzialmente elusive quelle riguardanti particolari agevolazioni fiscali e finanziarie avanzate dagli ecclesiastici50. Assai consistente la serie di richieste sottoposte in pari data (23 luglio) all’approvazione del vicere´ da parte del sindaco di Oristano, Tommaso Serra. Tra le preoccupazioni maggiori, la puntigliosa delimitazione delle spettanze del ‘veghiere’, e del suo ufficio in corrispondenza delle prestazioni e
48
In particolare, quanto al vino, vedi ora a cura di M. I. Di Felice e A. Mattone, Storia della vite e del vino in Sardegna, Laterza, Roma-Bari, 1999. 49 Il caso Alghero, in ASC, Parlamenti, 179 cit., cc. 361-371v. 50 Ibidem, cc. 414-425.
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delle funzioni, all’occorrenza anche estese, comunque, ad ambiti di ‘supplenza’ (custodia degli atti dei notai morti). Assieme a questa, la rivendicazione della tutela della condizione dei diritti dei vassalli a fronte dei molteplici abusi ai loro danni in particolare da parte degli arredatori di saline. La citta` tende comunque a preservare rango e ruolo propri nei confronti dei Campidani, chiede di potere esportare mille starelli di grano (oltre la quota proveniente dagli ammassi) con il cui ricavato finanziare la riparazione delle mura; esercitare la facolta` di visita alle torri del Marchesato. Anche per Oristano e` ovviamente importante la conferma di tutti i privilegi concessile in passato ed effettivamente goduti, con particolare riferimento per quello che vieta l’utilizzo dei cittadini e dei loro beni al servizio del vicere´ e degli ufficiali regi (Carlo V) e l’altro circa le procedure per le nomine degli officiali dei Campidani (Ferdinando d’Aragona). Le risposte del vicere´ sono improntate a una certa disponibilita`, salvo che per quei casi in cui ritiene, per la delicatezza della materia (sicurezza, Tribunale dell’Inquisizione, esportazione di grani), di dover respingere il capitolo o rimandare i richiedenti direttamente al sovrano51. Un discreto numero di richieste proviene poi direttamente a nome dei Campidani e ne riflette l’ambiente socio-economico (pastorizia, allevamento) e le relative esigenze52. Per la citta` di Castellarogonese, il sindaco Maiolo presenta un ristretto numero di capitoli, il cui motivo ricorrente sembra essere quello di ottenere lo stesso trattamento riservato alla ben piu` importante Cagliari. Cio` sia nel caso dei seimila starelli da poter immagazzinare che in quello dell’estensione alla propria citta` delle procedure in uso appunto a Cagliari nelle immatricolazioni per l’elezione dei giurati, o della possibilita` di esercitare, sia pure provvisoriamente, l’ufficio della podestaria rimasto vacante. La citta` che rivendica la propria fedelta`, apprezzabile tanto piu` in ragione della cruciale posizione strategica, deve tuttavia segnare il passo rispetto alle richieste agevolazioni per le barche coralline impegnate a pescare nelle proprie acque e in quelle dell’Asinara, perche´ – come sottolinea il vicere´ – recherebbero pregiudizio a Sassari. Ancora due capitoli di interesse per
51
I capitoli oristanesi, Ibidem cc.426 – 437; i privilegi fondativi della citta` (1478), in F. Uccheddu (a cura di), Llibre de regiment, Oristano 1997. 52 Relativamente ai Campidani di Oristano, nella fonte ripetutamente citata, ASC, Parlamenti 179, cc. 448-456v.
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Castellaragonese vengono infine presentati dal vescovo di Ampurias, in materia di uffici e dei luoghi fuori citta` da destinare appositamente alle esecuzioni capitali53. Prevedibilmente assai estesa e corredata con abbondanti pezze d’appoggio, la serie dei capitoli presentati dal sindaco di Cagliari, Antonio Murta y Quensa. Il fulcro delle richieste risiede nell’affermazione e difesa della condizione privilegiata e preminente della citta` di Cagliari, del proprio governo locale, come dei suoi abitanti, e in prima istanza delle prevalenti attivita` mercantili/commerciali, reclamando al riguardo, in piu` di un caso, che alla capitale venga riservato il trattamento vigente a e per Barcellona. Di qui, con la puntigliosa riserva di rango e di funzioni costantemente espressa a favore dei consiglieri e delle loro competenze in ogni settore della vita pubblica, sociale e civile, cittadina, e in materia economica e fiscale, in particolare anche la ribadita opposizione alle interferenze nell’ambito delle attivita` e prerogative della Citta`, da parte di qualunque altra autorita`, inclusi il vicere´ e il reggente la Regia Cancelleria, in evidente polemica con le piu` recenti censure e lagnanze fatte pervenire da Madrid direttamente dai sovrani Carlo e dalla regina-madre Marianna a carico dell’amministrazione cagliaritana. La Citta`, in ogni caso, intende premunirsi e giocare d’anticipo, per cosı` dire; si preoccupa in effetti di dimostrare che quanto chiede e` nella maggior parte gia` stato richiesto e concesso in passato; che essa puo` e deve porre ordine in materia istituzionale come in quella annonaria, associando a se´ anche i cittadini delle ‘appendici’ (e in questo caso la richiesta va nel senso della equiparazione tra la condizione di questi ultimi e quella dei cittadini di Cagliari). Significativi al riguardo le rivendicazioni in ordine all’attribuzione delle cariche pubbliche locali, con connesse procedure, nonche´ limitazioni ed esclusioni, o, provvedimenti riguardanti l’approvvigionamento di grano di carne e di viveri in genere, nonche´ la relativa commercializzazione54. E indicativo, su altro terreno, appare pure la proposta di fare accedere ai parlamenti, previa abilitazione e dunque ammissione al voto, i “generosi”. Da osservare che accanto al gruppo delle 31 richieste approntate per il 23 luglio, recano la data di una quindicina di giorni piu` tardi due brevi
53
ASC, Parlamenti, 179, cc. 459-461 e 468-476. Importanti concessioni risalivano appunto al secolo XVI, puntualmente registrate in Dexart e riprese da D. Quaglioni che nella collezione degli Acta Curiarum Regni Sardiniae ha trattato del parlamento Moncada (1592-94), vol. 12, Cagliari 1997. 54
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ulteriori serie di capitoli, anch’essi corredati di numerosi e incisivi ‘precedenti’ a volte risalenti a tre secoli addietro, e utilizzati per dare maggiore forza a quanto si desidera proporre e ottenere. Cosı`, una parte di essi si riferisce alla durata delle cauzioni rilasciate per i prigionieri, delle polizze per incassare i depositi, o ai termini da osservarsi nei reclami dei crediti dei mercanti e nelle transazioni derivanti da acquisti negli incanti. Un’altra ancora verte, tra l’altro, su condizioni e privilegi delle mastı`e, sulla competenza della Citta` in materia di giustizia penale, sulle prerogative dei consiglieri rispetto ai procuratori regi, sull’obbligo del praticantato per i medici e l’esenzione della giurisdizione del ‘veghiere’ per i dottori in legge e in medicina, e infine sul tenere la cavalleria dentro i confini del territorio di competenza della citta`. Le risposte del vicere´ sono largamente positive, salvi i casi in cui o vi siano interessi preminenti di giustizia e patrimonio, o quando la materia attiene in maniera evidente ai rapporti politici, alle sfere distinte e contrapposte, dei poteri fra Corona, governo regio e Citta`, per cui ogni decisione non puo` che essere rimessa al sovrano lontano55. Il Capitolo di Iglesias, per bocca dell’arcivescovo Tronchi in funzioni anche di sindaco, avanza (in data 7 agosto) un gruppo di richieste che vanno dalla rivendicazione al Capitolo delle isole di S. Antiogo e isolette adiacenti, ad una serie di sgravi materiali e di benefici fiscali che possano arrecare ristoro alla dichiarata condizione di poverta` della chiesa e del clero di Iglesias. Alcune, invero, si riferiscono piu` strettamente al porto (Palmas), da tenere sempre libero e aperto nonche´ munito di opportune difese; alla citta`, nella quale in occasione della festa e fiera patronale, sia possibile portare e vendere liberamente qualsiasi genere di merce e bestiame, o a particolari esigenze difensive del territorio (monte Serrai), oltre che a prerogative e privilegi specifici del Capitolo stesso e dei vescovi di Iglesias. Le risposte del vicere´ sono improntate a toni formali, concilianti ma a nessuna larghezza nelle concessioni56. Dalla villa di Quartu (in pari data) segnatamente dai sindaci dei vassalli e contrade della stessa, si sollecitano diversi provvedimenti che riguardano
55
Per la lunga serie dei capitoli richiesti da Cagliari, con la connessa documentazione di sostegno, Ibidem, cc. 477 ss. (e come sempre, i relativi regesti preposti a ciascun documento trascritto e riportato nel volume corrispondente, in corso di stampa). 56 Capitolo di Iglesias, ASC, Parlamenti, 179 cit., cc. 549 ss.
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l’universo quotidiano, sociale ed economico, del luogo e della comunita` rurale: difesa dei contadini, regolazione dell’obbligo lavorativo, disciplina nella tenuta del bestiame, alleggerimento del peso fiscale, equa ripartizione del carico della guardia marittima, adeguata protezione da possibili abusi degli arrendatori delle saline o degli stessi ufficiali e ministri nell’amministrazione della giustizia. Al riguardo, il vicere´ rimanda puntigliosamente all’osservanza delle norme in vigore, o invita a dirigersi verso le istanze giurisdizionali piu` appropriate e competenti. Nel caso invece della villa di Siliqua, le richieste si orientano principalmente a premunirsi dagli abusi baronali, e, significativamente, a vedere valorizzate le facolta` decisionali della comunita`, sia pure supportate dal consenso del barone. Anche in questo caso, comunque, l’atteggiamento del vicere´ e` quello gia` rilevato57. Ancora capitoli presentati da un Capitolo, quello di Torres, attraverso il relativo sindaco, il reverendo Pietro Moros. Risaltano gli interessi materiali e di prestigio, che si vogliono salvaguardati –anche nei confronti del Tribunale dell’Inquisizione – e che riguardano tra l’altro vari tipi di proventi, l’attribuzione in esclusiva dei canonicati, la possibilita` di estrarre grano. Ha buon gioco, nella fattispecie, il vicere´, rimandando il piu` delle volte 58 al sovrano, che dovrebbe a sua volta intercedere con il Pontefice . Di qualche giorno piu` tardi, i capitoli di Bosa (14); i consiglieri della citta` chiedono – col sostegno di ampia documentazione riferita ai precedenti in materia – non solo la conferma di tutti i privilegi e concessioni varie gia` in godimento, ma anche l’estensione alla loro citta` di quanto accordato nel tempo a Sassari e Alghero. Ovviamente, il vicere´ li rimanda al sovrano, come del resto dispone in diversi altri casi, quali l’immagazzinamento ed estrazione di quote di grano, il porto, le peschiere di Campo di Mare, l’esclusione dei forestieri (fino alla terza generazione) dalle elezioni per le cariche di governo locale. Approva, viceversa, alcune modalita` riguardanti norme di attribuzione degli uffici, limiti ai poteri del governatore di Sassari, la trasformazione della ‘podestaria’ in ‘vegheria’; mentre prende tempo in merito alle fortificazioni,
57 58
Villa di Quartu: Ibidem, cc. 555-558v e 563-567 Capitolo di Torres: Ibidem, 602-606v
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all’esportazione di vino, alla preminenza degli interessi cittadini rispetto alle comunita` ecclesiastiche o laiche59. A quelle della citta`, il Capitolo di Bosa aggiunge alcune sue richieste, in parte a supporto delle istanze cittadine (estrazione libera di grano; porto; peschiera;) e in parte di interesse proprio o ecclesiastico piu` in generale (possibilita` di avere in fitto quote di terre non disboscate agli stessi prezzi pagati dai laici; festa patronale; licenza ai gesuiti di fondare nuove case). Tranne che a proposito della festa patronale, le risposte del Vicere´ sono tutte interlocutorie o rimandando al Sovrano o segnalando la contrarieta` della citta` stessa di Bosa a quanto richiesto dal Capitolo.60 Assai importante la nutrita serie dei 59 capitoli che nel momento cruciale dei lavori parlamentari (16 agosto) i Bracci sottopongono all’approvazione o comunque alla pronuncia del Vicere´. Tra questi, alcuni rimandano alla richiesta ormai ‘classica’ di attribuzione di uffici e cariche, civili, militari ed ecclesiastiche, ai naturali regnicoli; e altri, non meno basilari, tentano di fare accettare (e la questione era gia` emersa nel precedente Parlamento Camarassa) l’istituzione di una ‘giunta’ speciale di 12 membri, per meta` espressione dei Bracci e per meta` designati dal Vicere´ col compito di trattare e dirimere casi e questioni connesse all’osservanza dei capitoli e ad eventuali violazioni dei diritti del Regno. Prudentemente, il Vicere´ rimanda ogni decisione al Sovrano, come del resto fa a proposito delle lamentele espresse nei riguardi dell’operato del Tribunale dell’inquisizione o della definizione degli ambiti giurisdizionali riservati ai “signori dei vassalli”, o ancora della dislocazione dei posti di guardia a presidio del Castello di Cagliari, pur sentiti come manifestazione di scarsa fiducia nei confronti dei sudditi isolani, e di cui si e` detto. Qualche apertura il Santo Stefano la concede in materia di diritti personali e a proposito di piu` agili discipline sul terreno commerciale e fiscale, o, e non e` privo d’importanza, nella tutela dei diritti materiali e giuridici dei contadini, spesso calpestati dalle citta`. Favorevole e` il parere del Vicere´ anche riguardo alla nuova normativa che viene anzi nella circostanza formalizzata e che regola la nomina, e relativi comportamenti, del castellano e dei soldati delle torri; allo stesso modo si regola nel caso dei notai e degli scrivani per aspetti riguardanti la loro attivita`. Ai Bracci che chiedono di potere osservare particolari criteri nell’elezione dei propri sindaci, il vicere´ fa poi notare l’improprieta` del 59 60
Capitoli di Bosa: Ibidem, cc. 635-641 Richieste del Capitolo di Bosa: Ibidem, 680-681v
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rivolgersi a lui in materia che e` totalmente nella discrezionalita` dei richiedenti, mentre minore entusiasmo rivela rispetto alla possibilita` che gli avvocati dei Bracci accedano a cariche onorifiche in ragione dei loro meriti. Da osservare, il secco rimando alla decisione regia non solo per materie per le quali apparirebbe insensato il contrario, come e` nel caso di passi da compiersi direttamente presso il pontefice, ma per tutti quei capitoli che in misura maggiore o minore si allacciano ai drammatici eventi legati alla crisi politica di dieci anni addietro. Tali, ad esempio, le istanze di condono per delitti commessi dagli appartenenti ai bracci e loro famigliari; di restituzione della piazza di Reggente al Marchese di Castelvı`; di eliminazione delle piu` crude e plateali tracce dell’esemplare castigo toccato a molti dei responsabili di quegli eventi (le teste dei congiurati esposte nella Torre dell’Elefante, come sopra ricordato). In ultimo, per quanto attiene alla concessione del ‘Grandato’al marchese di Villasor, il Vicere´ si dichiara d’accordo, ma parimenti rimette ai richiedenti l’onere di perorare la causa direttamente col Sovrano. Rigore e prudenza emergono in definitiva dalle risposte del Santo Stefano, non disgiunti tuttavia da una maggiore disponibilita` nei casi meglio inquadrabili nella sfera delle competenze veceregie, o comunque nei quali l’intervento del vicere´ non tocca le aree riservate alla prerogative regie, ne´ rischia di innescare conflitti di competenze o produrre pericolosi accumuli di potere in una direzione o in un’altra.61 Quanto al Sovrano, egli accorda intanto una pioggia di grazie –come nota Loddo Canepa sulla scorta del Tola – a chi si e` ben distinto nel corso del parlamento: un segnale, certo, di disponibilita` dopo la dura repressione ordinata al San Germano, e zelatamente da questi eseguita. Cariche, concessioni, prebende per il marchese di Villasor, per il Reggente Sisternes, per Giuseppe Delitala (creato governatore di Cagliari e Gallura), Francesco Sanjust (governatore di Sassari), e ancora, Roger, Carnicer e molti altri. Al sindaco Pinna una sostanziosa pensione e riconoscimenti vari alla citta` di Cagliari, al Cavallero, al Del Monte, a G. Carnicer; agli avvocati Murra e Muro, ai sindaci di Iglesias e Castellaragonese, nonche´ ancora al Sequi, sindaco del Capitolo di Alghero. E` pero` importante segnalare l’atteggiamento del Sovrano sui temi piu` delicati in campo: del tutto negativo in ordine alla ‘giunta’ speciale di 12 membri, a fronte di una promessa generosita` nella concessione di impieghi 61
La documentazione corrispondente in ASC, Parlamenti, 179, cit., cc. 683-705.
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e uffici ai regnicoli e di una concreta adesione alle richieste di ribasso delle ‘sacas’ di esportazione del grano e contro la sollecitazione di donativi straordinari. Allo stesso modo, le risposte regie sono rassicuranti circa l’impegno ad intervenire presso la S. Sede in materia di Inquisizione e di giurisdizioni inquisitoriali, ma ancora nettamente negative a proposito della dislocazione delle guarnigioni a presidio del Castello e della citta` di Cagliari, pur riconoscendo la necessita` di riformare alcune modalita` e comportamenti dei militari. Inoltre, il Sovrano si mostra propenso a riqualificare la carica di governatore di Cagliari ed a rispettare alcune prerogative nobiliari (porto d’armi, limiti all’incarcerazione), ed anche i diritti dei sudditi e vassalli a non subire eccessive gravezze, ma e` d’avviso contrario a consentire l’utilizzo di quote del donativo per le fortificazioni del Regno, nonche´ estremamente cauto nel rimettere pene agli implicati nei torbidi culminati nell’omicidio del Camarassa, e persino nel rimuovere i segni plateali delle punizioni comminate ai maggiori responsabili delle stesse vicende. Relativamente alle richieste specifiche avanzate da singoli richiedenti, a Cagliari e ai cittadini cagliaritani vengono accordate, o ribadite, importanti grazie: sostanziale esonero dagli obblighi delle ronde; tutela dei poteri e competenze dei consiglieri in materia annonaria; riconoscimento dei requisiti, e connessi diritti, per concorrere a pubbliche cariche e in materia di giustizia. Piu` severa la risposta regia circa i giudici di appellazioni, che si era reclamato fossero nativi della citta` e residenti in essa. Per Sassari, deluse le aspettative della equiparazione con Cagliari in vari punti, e di vedere rimesse le pene a quanti si erano distinti, in negativo, nel delitto e nel processo Camarassa, nonche´ a proposito dell’utilizzazione ‘mirata’ di porzioni del donativo per fabbriche di pubblica utilita`; mentre qualcosa in piu` la citta` consegue circa le prerogative dei propri consiglieri, e su talune agevolazioni fiscali e commerciali. Nel caso di Oristano (e Campidani) importanti concessioni vengono fatte sui diritti degli abitanti a non essere costretti a prestazioni indebite. E risposte sostanzialmente positive concernono il divieto di invio dei commissari per le esenzioni dei salari; il rispetto delle prerogative dei consiglieri; gli opportuni limiti alle iniziative dei tribunali ecclesiastici. Negativo l’avviso del Sovrano, invece, a proposito della richiesta concessione di ulteriori ‘sacas’ di grano e della possibilita` di utilizzare parti del donativo per le fortificazioni e per restauri delle mura.
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Le precarie condizioni materiali di Castellaragonese fanno breccia, nal senso che inducono il Sovrano a valutare positivamente le richieste per maggiori e piu` libere estrazioni di grano, direttamente dal proprio porto, come anche alcune altre riguardanti l’attivita` delle ‘coralline’ e prerogative istituzionali (podesteria esercitata dalla citta` nel passaggio da un titolare all’altro; immatricolazione dei jurados). Niente da fare, invece, – come del resto per gli altri richiedenti la stessa cosa – per l’utilizzo del donativo per opere pubbliche difensive. Sulla stessa linea, la condotta regia nei confronti di Alghero e delle sue molteplici richieste. Il Sovrano consente su punti anche importanti di carattere istituzionale (godimento capitoli; equiparazione col trattamento riservato in determinati ambiti a Cagliari) ma non transige sullo storno di fondi provenienti dal donativo o sull’ampliamento delle ‘sacas’ (estrazione grano). Prudente anche il pronunciamento sulle competenze del ‘veghiere’ –che la citta` vorrebbe piu` ampie e in certi casi surrogatorie – o sui limiti della giurisdizione del Governatore nel confronti del veghiere stesso. Con qualche vivacita` e insistenza Alghero chiede che si tenga conto della sua posizione, consentendo interventi tesi ad alleggerire i carichi fiscali, o ad essere esonerata dal contribuire in occasioni quali le visite dei vicere´. Anche Bosa punta molto sulle difficili condizioni in cui versa per avanzare sostanziose richieste, ma ottiene poco in verita` (libera estrazione dei suoi frutti dal porto). Ne´ migliore sorte conseguono i capitoli di carattere istituzionali (veghiere) e quello relativo alla non attribuzione di uffici ai forestieri, benche´ naturali del Regno. Al Capitolo bosano, poi, non si consentono l’apertura di una peschiera ne´ l’attribuzione di terre non disboscate agli ecclesiastici, in conformita` col primo responso viceregio. Favorevole accoglienza, di contro, per la richiesta a favore dei Gesuiti (edificazione di una casa in citta`). Iglesias, dal canto suo, chiede molto in materia di rapporti economici e commerciali, di tutela delle prerogative del governo locale, e, al solito, di riservare ad uso proprio fondi provenienti dal donativo. Le risposte regie, appena possibiliste nei primi due ambiti, sono nettamente contrarie sull’ultimo. Stesso trattamento per il Capitolo, il quale –come s’e` gia` visto rivendica alcune isole territorialmente pertinenti (S. Antiogo) e cerca di allargare la sfera d’azione vescovile. In pratica, consegue il carro di sale in piu` all’anno per gli ecclesiastici e l’eventuale costruzione di due torri difensive.
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Infine, l’incontrada di Barbagia Belvı`, il Campidano d’Oristano, la villa di Quartu e quella di Siliqua: qui, forse, sono piu` presenti i tratti caratterizzanti la fase. Le concessioni regie sono decisamente piu` numerose e piu` consistenti e sembrano volere ‘aprire’ a settori tradizionalmente poco gratificati anteriormente. Certo e` che i vassalli dell’incontrada ottengono notevoli risultati, sul terreno delle condizioni materiali come su quello del pure embrionale apparato di governo locale. Liberta` nel tagliare legna e fare legnami; riparo contro gli abusi dell’amministrazione feudale; ufficiale di giustizia, naturale del luogo; facolta` di associarsi e riunirsi in ogni villa, sono tra le principali richieste esaurite. Da parte del Campidano, la maggior parte dei capitoli si riferisce alla “vita interna del territorio” e alla sua economia fondata sul bestiame, come in parte avviene anche per la villa di Quartu, la quale peraltro chiede pure maggiore giustizia nella ripartizione del donativo. Assai sensibile al tema dei rapporti giuridici e istituzionali, oltre che a quelli connessi all’economia pastorale, la villa di Siliqua, le cui richieste ottengono per lo piu`, risposte interlocutorie62.
5. Il donativo Si sono gia` visti i tempi e i modi, nonche´ le entita` e le quote rispettive, del donativo varato nel corso dei lavori del parlamento. La sua concessione da parte dell’assemblea non produce particolari travagli: si e` gia` visto, del resto, che a fronte della ‘presunzione’ del vicere´, di una cifra superiore e per un lungo periodo, i convenuti, e per essi i commissari all’uopo delegati, e comunque scelti tra i piu` stretti e fedeli collaboratori del governo, oppongono un’offerta che ricalca importi e modi ormai tradizionali. In sostanza, con espresso riferimento nell’offerta del primo giugno 1678 e nelle successive dichiarazioni confirmatorie, ai criteri e quantita` della ripartizione affermati e seguiti nelle ‘cortes’ celebrate dal vicere´ Lemos nel 1653, si conviene di donare i 70mila scudi annui, con decorrenza a partire dal 1˚ gennaio 1678 e per dieci anni, con versamento della prima rata al Mastro razionale, ed esattore all’uopo nominato, Carnicer, al 1˚ agosto 1678. 62
Si tratta, per certi versi, del ‘cuore’ politico-istituzionale dell’azione parlamentare, nonche´ dei documenti piu` significativi del lungo parlamento in esame; in particolare, v. cc. 801 ss.
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Restano a carico degli ecclesiastici 7mila scudi –ma in realta` si tratta di 4mila annui, ripartiti tra le sette ‘cattedre’ vescovili dell’Isola (Cagliari, Oristano, Ales, Sassari, Alghero, Ampurias, Bosa) poiche´ ne vengono scontati 3mila, corrispondenti al valore di ‘sacas’ per 15mila starelli di grano, concesse in franchigia dal Sovrano-, mentre per i titolati e baroni l’onere e` di 2mila scudi, 500 in meno di quel che tocca a ministri, funzionari, officiali ecc. (2500). E a questo riguardo, per i soli officiali, e rispettivi scrivani, il carico ascende a poco piu` di 2100 lire, corrispondenti a circa 900 scudi, di cui due terzi riguardano quelli del Capo di Sassari e Logudoro. Al Braccio militare compete fare fronte con 37050 scudi (in origine, 38mila su cui si e` operato uno sconto di 950 scudi), ed a quello reale con 21450 (anche qui, un lieve abbuono, per 550 scudi), comprensivi di alcuni obblighi specifici assunti dalle citta` in luogo di cavalieri e cittadini, per 63 3mila scudi. Ovviamente, alla base delle operazioni di computo e riscossione, serve la numerazione dei ‘fuochi’ (“foguejament”), disposta e fatta eseguire sotto la responsabilita` del Sisternes e di G. B. Carnicer, sulla scorta delle istruzioni viceregie dei primi di dicembre 1677, e cio` spiega anche l’ulteriore prorogarsi dei lavori64. A ciascun ‘fuoco’ corrispondono 28 soldi, 6 denari e 1/5, sicche´ relativamente ai 37050 scudi imputati al Braccio militare, pari a 92629 lire (libre), 5 soldi e 2 denari, toccano al Capo di Cagliari e Gallura (44871 ‘fuochi’ per 256 ville) 63978 lire, 11 soldi e 4 denari, pari a 25591 scudi, 21 soldi, 4 denari. Dai Capi di Sassari e Logudoro (20094 ‘fuochi’ per 104 ville) sono dovute 28650 lire, 13 soldi e 10 denari, pari a 11460 scudi, 13 soldi, 10 denari. Il tutto, secondo il prospetto qui di seguito riportato, nel quale per ciascun ambito territoriale, e per le singole localita` ad esso afferenti, sono riportati tra parentesi il numero dei ‘fuochi’ con a fianco, liberi, i corrispondenti importi in lire, soldi, denari.
63 Sulla materia dei ‘donativi’, cfr. G. Serri, I donativi sardi nel secolo XVI, in B. Anatra – R. Puddu – G.Serri, Problemi di storia della Sardegna spagnola cit. pp. 181-230; per il donativo relativo al parlamento in esame, la documentazione in ASC, Parlamenti, 179, cit. cc. 735 ss. 64 Ibidem, cc. 829 ss.; le istruzioni sono particolarmente minuziose e severe, contemplando in piu` la nomina di responsabili anche in sede locale. In ogni caso, su tutta la materia fiscale, ripartizione, carichi ecc., cfr. i prospetti riportati anche nella serie dei regesti e tra i documenti riportati nel testo (del volume in corso di stampa a cura del Consiglio regionale Sardo, piu` volte menzionato).
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Per quel che concerne le citta` principali, assommano a circa 10mila ‘fuochi’, per un corrispettivo –a 5 lire, 8 soldi, 7 denari e 4 noveni per ‘fuoco’ – di 53625 lire, 16 soldi, 6 denari – pari ai 21450 scudi di cui si e` detto. Nello schema relativo, sono stati riportati tra parentesi quadre gli importi effettivi dei pagamenti cui sono tenute Cagliari, Sassari, Oristano sulla base degli sconti accordati per quote pendenti da precedenti pagamenti e incluse nel donativo o per transazioni intervenute. Il risultato, evidente, e` che la quota di Cagliari praticamente si dimezza, sicche´ il carico maggiore finisce con il riversarsi sull’antagonista Sassari, nonostante il numero dei ‘fuochi’ notevolmente inferiore di quest’ultima.
Schema-prospetto di ripartizione del donativo CAPO DI CAGLIARI E GALLURA
INCONTRADA DI GALLURA (2302) 3282.5.3 Tempio (1107) 1578.11.4 Calangianus (394) 561.15.6 Aggius (236) 336.9.11 Luras (230) 327.18.10 Bortigiadas (200) 285.3.4 Nuchis (135) 192.9.9 INCONTRADA DI SARRABUS (721) 1028.0.4 Muravera (244) 347.18 Villaputzu (169) 240.19.3 San Vito (196) 279.9.3 Perdasdefogu (112) 159.13.10 GIUDICATO DI OLLASTRA (2651) 3780.6.10 Oliena (402) 573.3.8 Tortolı` (236) 374.19.10 Arzana (283) 403.10.2 Baunei (291) 414.18.4 Barı` (221) 315.2.2
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Lotzorai (71) 101.4 Lanusei (104) 148.5.8 Esterzili (131) 186.15.8 Villa Grande Strisaili (58) 82.13.11 Ulassai (111) 158.5.4 Ilbono (89) 126.17.11 Girasole (56) 79.16.11 Tertenia (887) 124.0.11 Jerzu (53) 75.11.4 Gairo (59) 84.12.5 Osini (42) 59.17.8 Urzulei (74) 105.10.2 Talana (61) 86. 19. 6 Loceri (87) 124.0.11 Ardauli (18) 25.13.3 Triei (21) 29.18.10 Elini (46) 65.11.9 Mannuri (23) 32.15.10 BARONIA DI SAN MICHELE (1033) 1472.17.7 Selargius (225) 320.16.3 Sestu (267) 380.13.11 Settimo (121) 172.10.6 Assemini (278) 396.7.7 Uta (142) 202.9.4 BARONIA DI SINNAI (536) 764.4.11 Sinnai (420) 598.17.0 Maracalagonis (116) 165.7.11 INCONTRADA DI PARTE USELLUS (829) 1181.19.0 Gonnosno (101) 143.19.2 Ales (141) 201.0.10 Banari (119) 169.13.5 Pau (78) 111.4.3 Ollastra Usellus (82) 116.18.4 Zeppara (82) 116.18.4 Usellus (82) 116.18.4 Curcuris (62) 88.8
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Figu (40) 57.0.8 Escovedu (42) 59.17.8 BARONIA DI MONREALE (2007) 2861.12.9 San Gavino (375) 534.13.9 Sardara (407) 580.6.3 Guspini (449) 640.3.11 Gonnosfanadiga (249) 355.0.7 Arbus (372) 530.8.2 Pabillonis (155) 221.0.1 Uras (253) 360.14.8 Terralba (286) 407.15.9 San Nicolo` d’Arcidano (76) 108.7.3 INCONTRADA DI PARTE MONTIS (1714) 2443.17.2 Mogoro (352) 501.17.10 Forru (289) 412.1.3 Morgongiori (199) 283.14.9 Gonnostramatza (221) 315.2.2 Masullas (220) 313.13.8 Gonnoscodina (146) 208 Simala (72) 102.13.2 Gemussi (50) 71.5.10 Siris (74) 105.10.2 Serzela (39) 55.12.1 Ponpu (52) 74.2.10 INCONTRADA DI MORMILLA (1221) 1740.18.4 Lunamatrona (189) 269.9.7 Genuri (138) 196.15.3 Turri (68) 96.19.1 Baradili (37) 52.15.1 Atzei (55) 78.8.5 Ussaredda (14) 19.19.2 Ussaramanna (97) 138.6.1 Sini (134) 191.1.2 Sestu (56) 79.16.11 Siddi (125) 178.4.7 Sitzamus (37) 52.15.1
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Pauli Arbarei (88) 125.9.5 Villanovaforru (75) 106.18.9 Baressa (108) 153.19.9
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INCONTRADA BARBAGIA OLLOLAI (1998) 2848.16.3 Fonni (585) 834.2.3 Mamoiada (420) 598.17 Olzai (292) 416.6.10 Gavoi (340) 484.15.8 Ovodda (185) 263.15.7 Ollolai (125) 178.4.7 Lodine (51) 72.14.4 INCONTRADA DI CURATORIA SIURGIUS (2938) 4189.1.7 Nurri (581) 828.8.2 Gergei (442) 630.4.4 Mandas (557) 794.3.9 Isili (323) 460.10.10 Orroli (216) 307.19.7 Scalapiano (246) 350.15.1 Serri (137) 195.6.9 Donigala (91) 129.15 Siurgius (89) 126.17.11 Villanovatulo (134) 191.1.2 Escolca (122) 173.19 INCONTRADA DI BARBAGIA SEULO (638) 909.13.5 Seui (191) 272.6.8 Siddi (121) 172.10.6 Esterzili (84) 119.15.4 Seulo (127) 181.1.7 Sadali (59) 84.2.5 Ussassai (56) 79.16.11 BARONIA DI OROSEI (1594) 2272.15.3 Dorgali (699) 996.13.1 Orosei (310) 442.0.2 Galtellı´ (183) 260.18.6 Irgoli (141) 201.0.10
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Lula (99) 141.3.1 Onifai (82) 116.18.4 Loculi (69) 98.7.7 Torpe´ (11) 15.13.8
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BARONIA DI POSADA (643) 916.16 Siniscola (318) 249.10.5 Posada (124) 176.16 Lode´ (117) 166.16.5 Torpei (84) 119.15.4 INCONTRADA DI GERGEI (700) 998.1.6 Villa Salto (175) 249.10.5 Pauli Gergei (138) 196.15.3 Balai (141) 210.0.10 Silius (88) 125.9.5 Armungia (125) 178.4.7 Sisini (33) 47.1 BARONIA DI SERDIANA (387) 551.15.10 San Sperate (166) 263.13.9 Serdiana (114) 162.10.10 Donori (107) 152.11.3 BARONIA DI FURTEI (704) 1003.15.7 Pauli Pirri (225) 320.16.3 [valori contestati e corretti, per cui in realta` : (125) 178.4.7] Furtei (219) 312.5.3 Segariu (106) 151.2.9 Villagreca (74) 105.10.2 Lomas (50) 71.5.10 Nurachi di Furtei (30) 42.15.6 BARONIA DI MONASTIR (1521) 2168.13.8 Nuraminis (250) 356.9.2 Decimomannu (138) 196.15.3 Monastir (210) 299.8.6 Villamassargia (386) 550.7.5 Siliqua (344) 490.9.8
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Villaspeciosa (88) 125.9.5 Domusnovas (105) 149.14.3
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INCONTRADA DI AUSTIS (336) 479.1.6 Teti (147) 209.11.11 Austis (120 171.2 Tiana (69) 98.7.7 INCONTRADA DI PARTE BARIGADU GIOSU (818) 1166.6.6 Busachi (402) 573.3.8 Allai (140.12.4 Fordogianus (167) 238.2.3 Villanova Truscheddu (109) 155.8.3 INCONTRADA DI SEDILO Y CANALES (1030) 1468.11.11 Sedilo (584) 832.13.8 Tadasuni (102) 145.8.8 Domusnovas (77) 109.15.9 Nurchidda (69) 98.7.7 Soddi (86) 122.12.5 Boroneddu (67) 0.10.7 Turri (45) 64.3.3 BARONIA DE LAS PLASSAS (595) 848.7.3 Villanovafranca (268) 382.2.5 Barumini (254) 362.3.2 Las Plassas (73) 104.1.8 INCONTRADA DI PARTE BARIGADU SUSO (981) 398.14.8 Ardauli (205) 292.5 Serradile (189) 269.9.7 Neoneli (221) 315.2.2 Nule (215) 306.11.1 Nughedu (89) 12617.11 Bidonı` (62) 88.8 INCONTRADA DI TREXENTA (1337) 1906.6.4 Guasila (273) 389.5 San Basilio (187) 266.12.7
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Senorbı` (192) 273.15.2 Selegas (153) 218.3 Guamaggiore (192) 273.15.2 Ortacesus (66) 94.2.1 Suni (67) 95.10.7 Arixi (84) 119.15.4 Segolai (18) 25.13.3 Barrali (36) 51.6.7 Pimentel (69) 98.7.7 MARCHESATO DI VILLACIDRO (871) 1241.18 Villacidro (516) 735.14.7 Serramanna (355) 506.3.5 BARONIA DI SAMASSI (828) 1180.11.7 Serrenti (314) 447.14.2 Asuni (68) 96.19.1 Nurachi (129) 183.18.7 Samassi (317) 451.19.9 BARONIA DI SENIS (346) 493.6.8 Senis (141) 201.10 Ruinas (51) 72.14.4 Assolo (102) 145.8.8 Mogorella (52) 74.2.10 MARCHESATO DI LACONI (1361) 1940.11 Laconi (367) 523.5.7 Genoni (227) 323.13.3 Nuragus (318) 196.15.3 Nurallao (145) 206.14.11 Sanluri (484) 690.2 BARONIA DI QUARTU (709) 1010.18.2 Quartu (384) 547.10.4 Quartucciu (181) 258.1.6 Pirri (144) 205.6.4
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INCONTRADA DI MADRALISAI (1923) 2741.17.3 Sorgono (348) 496.3.9 Tonara (412) 587.8.10 Samugheo (390) 556.1.6 Desulo (347) 494.15.3 Atzara (219) 312.5.1 Ortueri (189) 269.9.7 Spasulei (18) 25.13.3 INCONTRADA DI BARBAGIA BELVI´ (942) 1343.2.7 Meana (353) 503.6.4 Aritzo (350) 499.10 Gadoni (155) 221.1 Belvi (84) 119.2.7 INCONTRADA DE PARTE OZIERI REALE (1533) 2185.15.11 Ghilarza (548) 781.7.1 Pauli latino (546) 778.10.1 Aidomaggiore (269) 383.10.11 Abbasanta (170) 242.7.10 CAMPIDANO SIMAXIS (873) 1244.14.8 Santa Giusta (228) 325.1.9 Sili (58) 82.13.11 Simaxis (39) 55.12.1 Villaurbana (99) 141.3.1 Siamanna (168) 239.10.9 Siamedia (61) 86.19.6 Ollastra (127) 181.1.7 San Vero Congiu (63) 89.16.6 Palmas (30) 42.15.6 CAMPIDANO MAGGIORE DI ORISTANO (1589) 2265.12.7 Cabras (429) 611.13.7 Ariola (163) 232.8.2 Solarussa (265) 377.16.11 Maxima (47) 67.3 Siamaggiore (142) 202.9.4 Solanas (36) 51.6.7
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Cherfaliu (56) 79.16.11 Nuracabra (28) 39.15.5 Nurachi (105) 149.14.3 Baradili (57) 81.5.5 Domigala (43) 61.6.2 Seddini (72) 102.13.2 Marrubiu (105) 149.14.3 Nuraghi Nieddio (41) 58.9.2 CAMPIDANO MILIS (1296) 1847.17.4 Milis (163) 232.8.2 Narbolia (173) 246.13.4 Seneghe (442) 630.4.4 Bonarcado (107) 152.11.3 San Vero Milis (276) 392.10.7 Stramatza (99) 141.3.1 Bauladu (36) 51.6.1 MARCHESATO DI VILLASOR (494) 704.7.2 Villasor (244) 347.18 Decimoputzo (130) 185.7.2 Vallermosa (120) 171.2 BARONIA DI GESIGO (185) 263.15.6 Genico (141) 201.10 Goni (44) 62.14.8 BARONIA DI SAN PANTALEO (417) 594.11.5 Villa di San Pantaleo (166) 236.13.9 Villa di Suelli (251) 357.17.8 BARONIE DI SAMATZAI E TUILI (435) 620.4.8 Samatzai (248) 353.12.1 Tuili (187) 266.12.7 TERRANOVA (156) 222.8.7 VILLE DI DIVERSI SIGNORI (1064) 1517.1.5 Ossana (124) 176.16
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Gesturi (371) 528.19.8 Musei (68) 96.19.1 Mara Arborei (385) 548.18.11 Capoterra (39) 55.12.1 Teulada (39) 55.12.1 Soleminis (38) 54.3.7
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CAPI DI SASSARI E LOGUDORO PLANARGIA DI BOSA (752) 1072.4.4 Tre Nuraghi (216) 307.19.7 Suni (171) 243.16.4 Tinnura (22) 31.7.4 Modolo (28) 39.18.5 Magomadas (95) 135.9.1 Sagama (66) 94.2.1 MARCHESATO DI SETTE FONTI (1366) 1947.13.7 Santulussurgiu (536) 764.4.11 Cuglieri (398) 567.9.7 Scano (230) 325.1.9 Flussio (120) 168.4.11 Sennariolo (82) 122.12.5 INCONTRADA DI MARGONE (1876) 2674.17 Bolotana (353) 503.6.4 Bortigali (426) 607.8.1 Macomer (271) 386.8 Borore (228) 325.1.9 Noragugume (75) 106.18.9 Biroli (108) 153.19.9 Dualchi (115) 163.19.5 Mulargia (21) 29.18.10 Lei (22) 31.7.4 CONTADO DI GOCEANO (1848) 2634.18.6 Orune (600) 664.8.9 Bono (320) 456.5.4
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Illorai (106) 151.2.9 Benetuttu (265) 377.16.11 Burtei (228) 325.1.9 Bottida (94) 134.0.6 Anela (54) 76.19.10 Burgos (52) 74.2.10 Sporlata (54) 76.19.10 Bortioccoro (15) 21.7.9 INCONTRADA DI BITTI (818) 1166.6.6 Bitti (575) 819.17.1 Gorofai (179) 255.4.5 Onani (64) 91.5 INCONTRADA DI ORANI (1435) 2046.1.2 Orani (627) 893.19.11 Orotelli (304) 433.9 Ottana (163) 240.19.3 Sarule (301) 429.3.6 Univeri (34) 48.9.6 INCONTRADA DI MONTE ACUTO (2245) 3200.19.8 Ozieri (725) 1033.14.7 [valori contestati e corretti, per cui in realta` : (930) 1326.0.6] Pattada (378) 538.19.3 [(428) 610.5.1] Nule (128) 182.10.1 [(248) 353.12.1] Nughedu (290) 413.9.110 [(292) 416.6.10] Budduso (208) 296.11.5 [(433) 617.7.8] Berchidda (101) 144.0.2 [(139) 198.3.10] Oschiri (170) 242.7.10 [(268) 382.2.5] Tula (30) 42.15.6 [(57) 81.5.5] Ittiri Fustiarius (75) 106.18.9 [(58) 82.13.11] Ala` (52) 74.2.10 [(68) 96.19.1] Bantine (25) 35.12.11 [(37) 52.15.1] Osidda (63) 89.16.6 [(64) 91.5.1] INCONTRADA DI COSTA DE VALLS (595) 848.7.4 Bonorva (440) 627.7.4 Semestene (113) 161.2.4
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Terchiddu (17) 24.4.9 Rebecu (25) 35.12.11
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INCONTRADA DI BONVEI (278) 396.7.7 Padria (207) 295.2.11 Mara (71) 101.4.8 Giave (245) 349.6.7 Cossoine (143) 553.4.5 [(388) 203.17.10] MARCHESATO DI MORES (298) 424.17.11 Mores (231) 329.7.4 Ardara (51) 72.14.4 Laquesos (16) 22.16.3 BARONIA DI PLOAGHE (776) 1106.8.8 Ploaghe (339) 483.7.1 Fiorinas (259) 369.5.9 Codrongianus (94) 134.0.6 Cargeghe (71) 101.4.8 San Venero (13) 18.110.8 MARCHESATO DI MONTEMAGGIORE (612) (872) Thiesi (419) 597.8.5 Queremula (114) 162.10.10 Bessude (79) 112.12.9 CONTADO DI MONTELEONE (621) 885.8.9 Villanova (376) 536.2.3 Romana (171) 243.16.9 Montileo (74) 105.10.2 MARCHESATO DI VILLA RIOS (17) 24.4.9 Lunafras (17) 24.4.9 BARONIA DI PUTIFIGARI (48) 68.8.9 Putifigari (48) 68.8.9 MARCHESATO DI ZEA (CEA) (195) 278.0.8 Banari (81) 115.9.10 Siligo (114) 162.10.10
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MARCHESATO DI TORRALBA (1034) 1474.6.1 Torralba (209) 297.19.111 Bonnanaro (212) 302.5.6 Burutto (60) 85.11 Ittiri Caneddu (437) 623.1.9 Uri (116) 165.7.11 INCONTRADA DI ANGLONES (1695) 2416.15.7 Nulvi (550) 784.4.2 Chiaramonti (292) 416.6.10 Martis (182) 259.10 Sedini (265) 377.16.11 Perfugas (170) 242.7.10 Bulzi (76) 108.7.3 Laerru (146) 208.3.5 Bisarchi (14) 19.19.2 INCONTRADA DI ROMANGIA (814) 1160.12.6 Sorso (575) 819.17.1 Senaro (239) 340.15.5 INCONTRADA DI NUORO (1026) 1462.17.11 Nuoro (654) 936.9.10 Orgosolo (332) 463.7.6 Lolloi (21) 29.18.10 Loca (19) 27.1.9 CONTADO DI SAN GIORGIO (122) 259.9.11 Usini (138) 196.15.3 Tissi (44) 62.14.8 VILLE DI DIVERSI SIGNORI (1175) 1675.6.11 Villamonti (59) 84.2.5 Ossi (164) 233.16.8 Villamuro (40) 57.0.8 Borgo di Ossilo (600) 855.10 Pozzomaggiore (312) 444.17.2
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´ PRINCIPALI CITTA Cagliari (3213) 17449.17.3 [9765.18.3] Sassari (25189 13675.5.10 [10596.14.4] Alghero (644) 3497.11.4 Iglesias (1066) 5789.9.2 Oristano (976) 5300.13.4 [4577.15.4] Bosa (1052) 5713.8.4 Castellaragonese (405) 2199.11.3
Uno sguardo, infine, alla consistente serie dei beneficati con propine e assegnazioni a vario titolo, per quanti direttamente o indirettamente hanno avuto a che fare con i lavori parlamentari, ma anche delle spese ‘vive’ sostenute per la stessa circostanza, cosı` come predisposta dagli stessi tassatori (nonche´ ‘trattatori’ regi), consente di verificare il destino di ben 140mila lire (corrispondenti a circa 58mila scudi) , delle quali la meta` incamerata solo dal vicere´ e famiglia, da don Giovanni d’Austria, dal marchese di Solera, e dal Cardinale d’Aragona come presidente del Supremo e da pochi altri dignitari e ministri di altissimo rango. A favore delle fondazioni religiose e di alcune opere pie, vengono assegnate, inoltre, oltre 16mila lire, mentre restano impegnate, a disposizione del vicere´, poco meno di 4mila lire per opere pubbliche urgenti (come il restauro di alcuni ponti).65
1. La fonte Gli atti del Parlamento Santo Stefano (1676-78) trascritti (con la collaborazione delle dottoresse Marina Barranu e Giulia Buffardi), muniti dei corrispondenti regesti (curati da Giulia Buffardi), sono contenuti nei volumi 177, 178 e 179 (25, 26 e 27 secondo l’antica numerazione) della serie Parlamenti nel fondo Antico Archivio Regio, presso l’Archivio di Stato di Cagliari. In tali volumi –rispettivamente di 809, 810 e 863 carte – sono confluiti i documenti originali relativi al parlamento in questione, raccolti in un primo momento contestualmente allo svolgimento dei lavori, come si evince da correzioni, pentimenti, aggiunte, errori, dalle stesse grafie diverse o da notazioni di prima mano apposte sui documenti, e solo successivamente 65
Ibidem, cc. 850 ss.
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riordinati e rilegati definitivamente, in maniera, peraltro, non sempre perfetta e con qualche inserzione di materiale non pertinente o di epoca posteriore, presumibilmente nel corso dell’Ottocento. I primi due volumi contengono la documentazione originale riguardante le procure e le abilitazioni (A 1 e A 2), mentre il terzo (A 3 = 179 = ex antico 27) costituisce il vero e proprio processo verbale dei lavori e dello svolgimento dell’assemblea (Proces original del Real y General Parlament celebrat per lo Illustrisimum et Excelentisimum Senor Don Francisco de Benavides...). Qui dunque sono ricomprese anche le sezioni riguardanti i ‘capitoli’ e il ‘donativo’, con la corrispondente analitica ripartizione dei carichi imposti, la destinazione d’uso di alcune somme, mercedi ed elargizioni concesse a particolari. E proprio del processo verbale originale di cui s’e` detto –di cui si puo` indicare con certezza, se non sempre il verbalizzante materiale, ma il responsabile diretto della verbalizzazione stessa, nella persona di Giovan Battista Marongiu, l’influentissimo Segretario del Regno, in funzione, rispetto al parlamento, di notaio e segretario – esiste la copia autentica, quella ufficialmente inviata in Spagna per conoscenza e custodia, presso l’Archivo de la Corona de Arago`n, nella sezione Consejo de Arago`n, fondo Camara, Reg. 383. Si tratta (Coppia autentica del Proceso del Real y General Parlamento celebrado por el Magnifico y Ecelentisimo Senor Don Francisco de Venavide Devila y Corella, Conde de Santisteban...) di una raccolta, materialmente redatta il ventuno agosto (1677) e datata sotto il 17 novembre seguente, composta da 390 carte, in cui di seguito e in maniera ordinata, si riporta il contenuto del processo verbale fino alla data delle proroghe fissate alla seconda meta` di agosto (vi corrispondono oltre 700 carte del volume A3 dell’Archivio di Stato di Cagliari). Tale copia e` stata predisposta con ogni diligenza a cura e con l’intervento personale di Giovan Battista Marongiu, che ne rende esplicita dichiarazione, con valore di atto notarile e con apposizione dell’apposito “signum” dopo aver siglato ogni singolo foglio. Mancano quindi, nel registro barcellonese, ne´ potrebbe essere altrimenti, tutti i riferimenti successivi (il parlamento si chiude addirittura ai primi di novembre dell’anno successivo) e i particolareggiati documenti finanziari e fiscali finali, che occupano in A 3 ancora 150 fogli circa. Esistono ovviamente, oltre a quanto riportatone a stampa nella pubblicistica sarda piu` nota e ricorrente, ancora parti o stralci di documentazione di questo parlamento in sedi disparate: cosı`, si segnalano negli archivi civici
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dei vari Comuni interessati copie degli elenchi dei capitoli richiesti in parlamento a nome dei consigli delle relative comunita`, nonche´ resoconti del parlamento in questione, piu` o meno condensati e abbreviati, nelle carte Angius (Archivio di Stato di Cagliari) e nella Biblioteca Tola di Sassari. Infine, presso l’Archivo de las Cortes (Congreso de los Diputados) in Madrid, si rinvengono, tra i materiali riguardanti la Sardegna copie di convocatorie e capitoli riguardanti questo parlamento (Archivo de Cerden˜a, legajos 14 e 16).
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Parte quarta
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DALLA PROVINCIA PREUNITARIA ALLA ` METROPOLITANA. PROVINCIA-CITTA
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LINEAMENTI STORICO-ISTITUZIONALI
I Sin dagli albori dell’ordinamento provinciale quale si e` costituito e consolidato nel Regno meridionale e a partire dal primo Ottocento, ha preso forma e denominazione una provincia propriamente napoletana, ‘costola’ illustre staccatasi dal piu` generale ambito territoriale e amministrativo di Terra di Lavoro (1806, 1816, 1820). Fortemente esemplate sul modello francese, le 12 e poi 15 province del Regno meridionale erano rette, in luogo degli antichi Pre´sidi, da potentissimi funzionari (gli Intendenti) da cui dipendevano i rispettivi Segretari generali, coadiuvati da un consiglio di intendenza, di fronte ai consigli generali della provincia; ulteriormente suddivise in distretti, anche questi ultimi con propri preposti, i sottointendenti, con corrispondenti consigli distrettuali. L’intendente, oltre ai vasti poteri, ordinari e speciali, gia` connessi alla carica, ha pure importanti ruoli giurisdizionali, in quanto presidente del consiglio di intendenza in sede contenziosa, nonche´ commissario ripartitore dei demani comunali: in pratica, «un potente e temuto personaggio, occhio del ministro dell’interno, da cui particolarmente dipendeva» (Landi, II, 618). Quanto al consiglio provinciale, organo rappresentativo della provincia stessa, era costituito dal presidente e da 20 (o 15) consiglieri, l’uno e gli altri di nomina regia, ma segnatamente i consiglieri sulla base di terne di candidati proposti dalle amministrazioni locali tra i propri eleggibili, proprietari con rendita di una certa consistenza, e secondo criteri di proporzionalita` rispetto alla popolazione dei singoli distretti. Le riunioni del consiglio si svolgevano una volta l’anno (per venti giorni al massimo) e vertevano sulle materie di competenza dell’organo e delle relative attribuzioni (esame dei voti dei consigli distrettuali; determinazione dell’entita`
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della sovraimposta facoltativa necessaria per le spese particolari della provincia; formazione del progetto dello «stato discusso», cioe` del bilancio di previsione della spesa, provinciale; discussione del «conto morale» dell’intendente sull’impiego dei fondi provinciali e di quello dei consiglio degli ospizi; elaborazione di parere sullo stato della provincia e dell’amministrazione pubblica, con suggerimenti e proposte; nomina di deputazioni incaricate in materia di opere pubbliche provinciali – strade e acque – e di apposite commissioni di «sollecitatori»). Era possibile, inoltre, deliberare, su fondi fissati e ripartiti tra le province dal governo centrale, spese comuni per il funzionamento della gendarmeria e della forza pubblica provinciale in genere; per l’istruzione media (quella superiore essendo a carico dello Stato e quella elementare toccando ai Comuni); per i servizi statistici; per la sanita` (vaccinazioni); per l’assistenza (ai minori abbandonati, «esposti» ecc.) e per il funzionamento degli uffici di segreteria (intendenza e sottointendenze). E accanto alle spese comuni, quelle particolari (da approvarsi dal Sovrano) riguardanti: costruzione e manutenzioni di immobili e strade provinciali; mantenimento e sviluppo delle societa` economiche, delle biblioteche provinciali e di istituzioni tese «al vantaggio particolare di ciascuna provincia»; fornitura di attrezzature e arredi per particolari uffici. Tutto quanto sopra, per dare un’idea, anche se assai sommaria, del funzionamento e del ruolo dell’amministrazione provinciale, come delineata dai sovrani napoleonidi di Napoli e recepita dalla monarchia borbonica al suo ritorno sul trono (1816). Sono certo ben evidenti i limiti quanto ai poteri, all’autonomia e alla libera elettivita` dell’istituto precursore dell’odierno ente intermedio; si tratta, invero, di un’articolazione, operativa sul territorio, dello Stato centrale e accentratore, con compiti di vigilanza e di controllo (nei confronti dei Comuni, in particolare). E` comunque altrettanto vero che sin dall’inizio alla provincia napoletana, e proprio in ragione dell’essere incardinata sulla citta` capoluogo e capitale, sia stato riservato un trattamento del tutto particolare e privilegiato, secondo una logica politica e istituzionale che si sarebbe protratta molto a lungo (con qualche punto di contatto ravvisabile nella sola esperienza palermitana). Sotto il profilo della circoscrizione territoriale, l’ampiezza della provincia di Napoli risulta, nei primi anni del XIX secolo, dalla sua quadripartizione distrettuale (Napoli; Casoria a nord; Pozzuoli al centro dell’area flegrea, occidentale; Castellammare, nell’ambito costiero meridionale). Attorno alla citta` capoluogo e capitale, 63 comuni (Appendice, 1), prefigura-
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DALLA PROVINCIA PREUNITARIA ALLA PROVINCIA-CITTA` METROPOLITANA
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zione della successiva «corona di spine» (di nittiana memoria) e frattanto assestamento, amministrativo e geofisico, degli insediamenti e degli spazi sia a ridosso immediato dei territorio urbano napoletano, sia in ambito piu` largo, nella meta` dei casi proprio degli antichi ‘casali’ della citta`, divenuti anche in seguito alla legge di eversione della feudalita`, appunto singoli comuni, capoluoghi di circondari (Marano, Mugnano, Barra), o, addirittura, di distretto (Casoria). Nell’insieme, un aggregato di oltre 300 mila abitanti, in buona parte costruito sull’onda positiva della liberazione dal vincolo feudale, e pero` anche traduzione, in termini istituzionali e materiali, e con un principio, all’interno, di sia pur parziale riequilibrio, di un peculiare rapporto, strettissimo e plurisecolare, di dipendenza e sussidiarieta` del ‘campo’ napoletano rispetto al debordante ed egemone nucleo urbano della capitale.
II. Il quadro appena delineato permane, nelle sue linee essenziali, inalterato, sia sotto il profilo della circoscrizione territoriale, sia sotto quello piu` strettamente istituzionale e amministrativo, sino alle soglie dell’unificazione nazionale. D’altronde, l’iter della Provincia all’interno degli ordinamenti istituzionali dello Stato sabaudo, si e` svolto come in parallelo con quanto si e` gia visto per la realta` specifica del Regno meridionale. Origini legate al primo Ottocento e iniziali sviluppi caratterizzati da quella che e` stata definita una creazione «a rovescio» – prima, organo e quadri; poi, riconoscimento come corpo morale e naturale – e dalle spiccate finalita` conservatrici, orientate al contenimento dei Comuni piu` irrequieti e in via di cadere sotto il controllo di strati sociali borghesi (Petracchi). Con gli anni Quaranta si perviene alla formalizzazione e all’assetto organizzativo piu` pieni, alla strutturazione, con le riforme albertine, dell’amministrazione provinciale e divisionale, base per la legge organica del 1859 (legge Rattazzi) con la quale si procedera` all’unificazione amministrativa dell’intero Regno d’Italia. Nella contrastata dialettica fra i gelosi indirizzi del parlamento, la rivendicazione di autonomia dei corpi locali, la propensione degli organi governativi periferici all’autotutela, la legge del 23 ottobre 1859 fa comunque nuovo spazio alla Provincia (a scapito della malvista Divisione) incrementandone il ruolo di controllo e tutela nei confronti dei Comuni, ma non piu` attraverso funzionari governativi, bensı` delegando tali poteri alla Deputazione provinciale, esecutivo dell’organo elettivo, il Consiglio, a sua volta
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minutamente regolamento e tenuto a bada prima dagli Intendenti e poi dai Prefetti. I problemi si riversano cosı` nel nuovo Stato unitario, e presto maturano atteggiamenti e scelte fortemente influenzati dal pregiudizio antimeridionale. Vero e` che per il governo centrale (presieduto dal Cavour e suoi immediati successori) occorre smantellare le residue autonomie locali del precedente Regno borbonico, ma al tempo stesso anche procedere con opportuna cautela, prorogando la luogotenenza e piu` tardi affidando poteri straordinari al generale La Marmora, una sorta di superprefetto per Napoli. Nonostante tutto, pero`, e pur tra grosse difficolta` e i traumatici eventi, politici e militari, del biennio 1860-62, il processo si avvia, facendo registrare la clamorosa sconfitta delle istanze piu` innovatrici in materia (Minghetti) e sancendo piuttosto il prevalere della linea propugnata dal Rattazzi. Una linea – come e` stato ricordato – dalle gravi conseguenze e dai costi assai elevati, in termini di snaturamento dei parlamentari, al centro e in quanto proiezioni della/dalla periferia, a patrocinatori e mediatori degli affari locali, e di mancata valorizzazione della classe amministrativa decentrata. La Provincia, comunque, riesce a fare la sua strada, a conquistare una effettiva dimensione «sensatamente provinciale» e persino a contrastare il carattere cittadino dominante delle stesse oligarchie provinciali. Al giro di boa del 1865, con il definitivo assestamento della legislazione sugli ordinamenti locali, troviamo la Deputazione provinciale saldamente insediata nelle funzioni di controllo e tutorato sui Comuni (prestiti, tasse, spese facoltative e spese obbligatorie, bilanci): una somma di poteri ragguardevolissima, pagata peraltro a caro prezzo nel momento in cui le viene sovrapposto il Prefetto, sia pure bilanciato dai membri elettivi (4 o 6) della Deputazione stessa. Per l’uno e per l’altra, poi, resta il nodo del confronto con il Consiglio provinciale, in una dialettica anche serrata a tratti, tra la difesa di interessi generali, la protezione di privilegi consolidati, l’ondata di nuove forze sociali e l’urgenza delle esigenze che montano dal «territorio animato» ai vari, intrecciati livelli di ‘locale’. Andando allo specifico meridionale, e napoletano, va osservato come nel Mezzogiorno, e nelle condizioni critiche in cui versava, si appuntassero molte, quanto infondate speranze, proprio sugli ordinamenti locali. Percezione peraltro assolutamente giusta del ruolo e dell’importanza degli enti locali, come si sarebbe visto lungo tutto il corso della storia italiana otto-novecentesca, ma al momento, come ha notato lo Scirocco, «era
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utopistico attendersi proprio dalle amministrazioni locali un intervento economico massiccio, capace di migliorare rapidamente il livello di vita delle masse». Le province meridionali sono intanto divenute sedici (alle 15 dei periodo borbonico, si e` aggiunta quella beneventana, gia` appartenente allo Stato pontificio), e a partire dal 1861 inoltrato si cimentano con i tanti problemi sul tappeto. La penuria assoluta di mezzi costringe le amministrazioni provinciali a barcamenarsi, o ricorrendo alla sovraimposta fondiaria o tentando di coinvolgere i comuni interessati, perche´ beneficiari, delle opere pubbliche (stradali) e dunque impegnandoli a quotarsi (ratizzi), o, ancora, indicando la strada dei prestiti dallo Stato. E` noto comunque che nel giro di pochi anni la situazione si fa, da critica, esplosiva (brigantaggio) e mette a dura prova i governi nazionali che si succedono e che sempre di piu` inclinano alla repressione, al decentramento solo burocratico, al ricorso a prefetti non meridionali, dalle particolari attitudini e capaci di farsi valere a contatto con la difficile realta` locale. Ovviamente, e una volta ancora, Napoli rappresenta lo «spazio critico», il luogo in cui si accumulano e poi precipitano tensioni che si generano e circolano in ambiti territoriali piu` ampi. La ex-capitale imbocca un malinconico tramonto, si avvita in una spirale di degrado e di inerzia, cova rancori che animano una sorda resistenza e ostilita` nei confronti dello Stato e del governo unitari. Occorrera` molto tempo e passeranno numerosissime tornate elettorali, prima che ci si avvii a una pur relativa ‘normalita`’ e che si aggreghi una classe politica locale in grado di porsi obiettivi razionali e di un certo respiro. In tali condizioni, e a fronte di una citta` che persiste nel suo ruolo di calamita, nonostante l’evidente e doloroso cambio di status, la Provincia fa, si potrebbe dire, la sua parte. Intanto, dal punto di vista della realta` geo-fisica, annovera nei suoi quattro circondari, 68 comuni (rispetto ai 63 di prima dell’Unita`, ma con molti accorpamenti di comuni ‘binari’ in comuni singoli – tra gli altri, Casoria, Grumo Nevano, Caivano, Qualiano, Pollena Trocchia, Forio d’Ischia – e con qualche nuova istituzione, nel caso, ad esempio, di Licignano, Villaricca, Agerola, Meta, S. Agnello, Torre Annunziata, Cercola, e alcune estinzioni, con una popolazione che sfiora il milione di abitanti (Napoli, 450 mila circa). Sotto il profilo istituzionale, l’avvio non risulta particolarmente stentato, o tribolato; il 23 giugno del 1861 nel palazzo di Monteoliveto, gia` sede del Decurionato, ha luogo la prima riunzione del costituito Consiglio provinciale di Napoli. Con tale atto celebrativo, e` stato osservato, «non si era certo esaurita la questione dell’ordinamento autonomo locale, sia nella sua accezione autarchico-
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circoscrizionale, sia nelle sue forme di attuazione» destinata, appunto, a lunga, e non semplice, evoluzione. In ogni caso, i protagonisti di tali esordi vanno ricordati: dal presidente Antonio Spinelli al vicepresidente Paolo Emilio Imbriani (il primo eletto in due collegi cittadini e il secondo a Pomigliano d’Arco); come segretario Paolo Nardi e vicesegretario Luigi Iorio. L’esecutivo (Deputazione) annovera tra i propri membri i consiglieri Cacace, Avellino, Confalone, Giunti, G.B. Capuano, Bellelli, Cappelli, Colletta. Il tutto si svolge sotto gli occhi attenti del prefetto D’Afflitto, di parte dichiaratamente moderata e con spiccata vocazione ‘interventista’. Alla fine del primo quinquennio post-unitario, il panorama appare notevolmente mutato: se nella citta` ex-capitale, e` il momento dei moderati (elezioni 1865), la Provincia si accredita come una roccaforte della Sinistra. Il Duca di San Donato, destinato ad occupare per diversi decenni la scena politica locale, ne diventa vicepresidente, mentre vi entrano personaggi del calibro di Nicotera e Lazzaro; in Deputazione, accanto ad alcune conferme, gli ingressi del Marchese Avitabile, del D’Afflitto, di Rodrigo Nolli deputato dal ‘63 e futuro sindaco). Il dato e` certo politicamente rilevante, e depone per una apprezzabile coerenza con la configurazione territoriale provinciale, considerato che il personale politico che fa le sue prove nella istituzione provinciale, assai spesso e` attivo anche a livello cittadino napoletano, o a quello parlamentare nazionale. Circolarita` e mobilita` di e´lites che di fatto costituiscono un elemento in piu` di quella peculiare dialettica politico-istituzionale che anima, e animera`, il rapporto tra Napoli e il suo distretto, tra capoluogo e provincia.
III. Nell’ultimo quarto del secolo, alcune importanti innovazioni (allargamento del suffragio amministrativo; elettivita` dei sindaci dei comuni maggiori e dei Presidenti ai vertici della Deputazione provinciale in luogo dei prefetti, con conseguente distacco dal modello francese) modificano la fisionomia degli ordinamenti locali, pur senza allentare il controllo esercitato su di essi da parte dello Stato centrale. La stessa Giunta Provinciale Amministrativa (presieduta dal prefetto e formata da funzionari statali) che nasce negli anni del governo Crispi, «con l’attribuzione di compiti di vigilanza e di tutela sugli enti locali e con la competenza a conoscere dei ricorsi di privati contro i loro atti», viene posta in stretto collegamento con la neoistituita
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IVa Sezione del Consiglio di Stato, a garanzia certo degli interessi legittimi dei singoli pur senza che venisse imboccata, per questo, la via di un’effettiva separazione dei poteri (Ghisalberti) quale si sarebbe conseguita solo attraverso la drastica attenuazione del primato dell’esecutivo. Tale contrastata, o ambigua, democratizzazione degli enti locali prosegue nei lustri succesivi: nel cuore dell’eta` giolittiana, fiorisce la stagione della «rinascita comunale», culminante nella legge sulla municipalizzazione dei servizi. Eppure, tale provvedimento – implicito riconoscimento di autonomia, e anzi di autarchia – pone la municipalizzazione sotto la tutela di una serie di organi (Rugge) e in definitiva sanziona la dipendenza economica e finanziaria dei Comuni rispetto allo Stato, dal quale dovranno pervenire le necessarie risorse. Sul versante della circoscrizione territoriale dell’istituto provinciale nessuna novita` di rilievo, se non la conferma del criterio della sua sostanziale immutabilita`. In queste condizioni si giunge al Testo Unico del 1915, che peraltro sposta ancora a favore dell’istanza esecutiva (Giunte, Deputazioni e rispettivi vertici), rispetto alle configurazioni assembleari, o consiliari, il peso dei poteri decisionali effettivi, in evidente connessione con la generale decadenza delle istituzioni in previsione della guerra e durante la stessa. Dopoguerra e fascismo, d’altronde, non sono certo periodi favorevoli allo sviluppo degli enti locali, che anzi vengono depotenziati, soggetti a controlli piu` rigidi e minutamente regolamentati e disciplinati in ogni manifestazione della loro attivita`, ormai di carattere esclusivamente tecnicoesecutivo. In momenti successivi, ma con determinata progressione nel conseguimento dei suoi intenti, il regime fascista abolisce l’elettivita` delle principali cariche amministrative, (sostituendole con podesta` e presidi nominato dall’alto) nel 1928 induce la «statizzazione» dei segretari generali, prima nominati dagli amministratori locali, riunisce quindi in un unico corpus (Testo Unico del 1934) le leggi ordinative degli istituti comunale e provinciale. C’e` da dire, al riguardo, che la legge comunale e provinciale fascista ha goduto di una ‘fortuna’ eccezionale e straordinariamente protratta nel tempo, avendo valicato la nascita e il consolidamento dell’assetto repubblicano nel nostro paese ed essendo stata soppiantata soltanto dopo diversi decenni, con il che e` venuta ad alimentarsi la non sopita querelle, storiografica e politica, sulla «continuita` del sistema politico-costituzionale» italiano e su quella dell’accentramento amministrativo, pur in contesti politici assai diversi fra loro. In definitiva, ha commentato Ettore Rotelli, nessun altro
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testo della legge comunale e provinciale ha goduto di una vita altrettanto lunga: non quello del 1865, ne´ quelli del 1889, del 1898, e del 1908, ne´, infine, quello del 1915, l’ultimo anteriore all’avvento del fascismo. A livello di provincia napoletana, tutto quanto si e` ricordato qui per sommi capi, si riverbera, ovviamente, acquistando al contempo una spiccata fisionomia locale. Si tratta, in ogni caso, di un periodo di intensa laboriosita`: si pone mano a piu` di un tentativo regolamentatore o direttamente riformatore, nel campo dei lavori pubblici, dell’istruzione secondaria, della macchina burocratica e tecnica dell’ente provinciale, del delicato settore delle opere pie e della beneficenza/assistenza. Sciolto d’imperio, e per ripicca, dal prefetto Galterio il Consiglio provinciale (1867), l’istituto riprende il suo cammino con le successive elezioni e si presenta puntuale all’appuntamento con Minghetti venuto a Napoli nel 1874 per farsi un’idea diretta della situazione locale, tanto complessa e difficile. E` appena il caso di sottolineare il concorso della Provincia alla tenuta della Sinistra, in questa congiuntura alla ribalta anche nel municipio napoletano con sindaci (tra cui Imbriani e Nolli) gia` tra gli artefici del decollo della Provincia stessa (intesa in particolare, qui e altrove, soprattutto come Consiglio provinciale), e piu` tardi con il San Donato stesso. Nel corso degli anni Ottanta, due inchieste (Astengo 1880 e Conti 1888) guardano in profondita` nel funzionamento e nell’attivita` dell’Ente, mettendo a nudo non poche ne´ lievi irregolarita`, frutto di negligenze e incompetenza, piu` che direttamente di corruzione e malversazioni. Ma il punto debole resta quello della esiguita` cronica delle risorse disponibili: nel bilancio preventivo del 1886, ad entrate stimate in lire 376.145 corrispondono spese per oltre 4 milioni, sicche´ occorre appostare ben 3.732.423 lire come attivo rinveniente dalla sovrimposta per conseguire il pareggio contabile indispensabile alla approvazione esecutiva del bilancio stessa da parte dell’autorita` prefettizia. Gli stessi anni sono per Napoli quelli della prima inchiesta Saredo, dell’amministrazione cattolico-moderata guidata prima dal Giusso e poi da Nicola Amore; ma anche il tempo del devastante colera (1884, con 54 comuni – su 69 – colpiti e con oltre 15 mila morti) e dell’enorme critico e criticato, sforzo del Risanamento, protrattosi per lunghi anni. E mentre il San Donato cede il timone della Provincia a Salvatore Fusco (1887), matura il clima della rivolta dell’opinione pubblica contro gli scandali e le infiltrazioni malavitose (Summonte, Casale, «La Propaganda») che sfocia nella decisiva seconda inchiesta Saredo i cui risultati vedono la
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luce nel 1901 e finiscono per coinvolgere anche l’istituto provinciale, per le dimissioni di molti consiglieri alle prime avvisaglie delle indagini della stessa Commissione presieduta dal Saredo (ed effettivamente concretizzata in una seconda relazione, dopo quella pubblicata sul Comune capoluogo). Al vertice della Deputazione provinciale, divenuto elettivo con la legge del 1888-89, si succedono il Brancaccio, principe di Ruffano; G. Orlandi, Pagliano e Luigi Napodano, mentre alla presidenza del Consiglio, uscito di scena, dopo trent’anni, il San Donato, si susseguono il de Bernardis, E. Girardi, T. Senise (fino al 1920). Ancora, alla guida della Deputazione, ritroviamo il Carafa d’Andria, Carlo Gargiulo, l’Orlandi, e ancora Angrisani, Mazzella, Galdi e Liguori (1917). Si deve pero` rilevare come agli inizi del nuovo secolo la ventata moralizzatrice, sotto il cui segno si era chiuso il precedente, sembra gia` un ricordo. Il trionfo clerico-moderato del 1901 catapulta al Comune e alla provincia una maggioranza di vecchi e navigati consiglieri. Del resto, al consigliere provinciale socialista Enrico Leone che protestava e sfornava documenti infuocati di denunzia perche´ colleghi consiglieri coinvolti nell’inchiesta Saredo erano rimasti ai loro posti, il presidente Girardi replicava che il da farsi riguardava il riordinamento dei servizi provinciali e che non si doveva turbare il corso della vita pubblica col pretesto della moralita` (!). Eppure di qui nascera` pure il consenso crescente alle idee e alle proposte del Nitti e si aprira` il cammino al destino industriale di Napoli (1904), unica chance che si intravvede per conseguire una trasformazione radicale, e all’altezza dei tempi nuovi, dell’economia e degli assetti sociali della citta` e del suo distretto, nel senso piu` ampio (Scirocco). E` il caso, peraltro, di notare che per Nitti uno dei punti salienti della «grande riforma» che avrebbe dovuto investire citta` e Mezzogiorno, consisteva nell’aggregazione a Napoli dei comuni limitrofi, che avevano in piu` i propri bilanci in attivo e cosı` avrebbero migliorato anche le condizioni delle finanze comunali nel capoluogo. Al censimento del 1901, la Provincia ha intanto fatto registrare 69 comuni (in piu`, Frattaminore e S. Giuseppe Vesuviano; in meno Pomigliano d’Atella, con una popolazione complessiva di 1.121. 938 abitanti, con una rete di quasi 254 mila famiglie; a Napoli citta`, oltre 540 mila cittadini residenti). In ogni caso, Provincia e Comune-capoluogo partecipano attivamente, e assieme, ai lavori della Commissione Reale prima e alle trattative con il Governo, poi, gli uni e le altre centrati sull’avvenire industriale di Napoli.
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Tra il 1925 e il 1927, e mentre si dispiega la ‘fascistizzazione’ degli enti locali, importanti ripercussioni si registrano sul piano del ‘riordino’ territoriale, in realta` di una vera e propria rimodellazione dell’ambito della provincia napoletana, a partire da Napoli stessa. Vengono aggregati al capoluogo territori dei comuni di Barra, Ponticelli, S. Giovanni, S. Pietro a Patierno, Soccavo, Pianura, Chiaiano, Secondigliano e l’isola di Nisida (prima ricadente nel territorio di Pozzuoli), che iniziano nuova vita come quartieri della citta` e cessano l’esistenza di comuni autonomi, o di loro parti. Cio` naturalmente comporta un consistente aumento della superficie entro la cinta urbana napoletana, oltre che un incremento della popolazione residente ascrivibile al solo comune di Napoli, mentre quel che fa letteralmente ‘esplodere’ le dimensioni quantitative della provincia napoletana e` connesso all’evento politico, prima ancora che istituzionale, della soppressione della provincia di Caserta, per cui ben 71 comuni di quest’ultima passano a far parte della prima. E accanto ai tanti comuni che entrano nella provincia cosı` gonfiata a dismisura, inglobando il circondario di Nola ed estendendosi ormai fino al Garigliano e al Preappennino, almeno altrettanti sono i comuni che sempre nel corso degli anni Venti variano di consistenza e quindi di importanza (v. Appendice, 4). Al censimento del 1936, la provincia napoletana annovera 130 comuni, con una popolazione di 2.184. 409 abitanti, di cui circa 866 mila risiedono in Napoli. La proporzione tra capoluogo e distretto della propria provincia, mantenutasi nel tempo costante ai valori di 1 a 2, in questo nuovo quadro, certamente ‘artificiale’ per i motivi gia` detti, si evolve tuttavia verso i valori di 1 a 3, marcando in tal modo un ridimensionamento della citta` gia` capitale, ed anche questo costituisce un dato soprattutto politico, legato a scelte generali, e, al tempo stesso, nel caso in questione, specifiche, del governo fascista.
IV Nella piu` generale tensione alla ricostituzione del tessuto istituzionale, e costituzionale, della neonata Repubblica (1946), piu` spedito appare il cammino per quanto concerne i comuni rispetto a quel che non avvenga, invece, per le province. Effetto, probabilmente, di un peraltro momentaneo entusiasmo per la prospettiva regionalista (ma le Regioni nasceranno solo
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nel 1970) che, accanto al persistere del senso comune positivo nei confronti dei municipi, sembra togliere spazio e ragioni all’Ente-provincia. Certo e` che l’articolo 128 della Costituzione repubblicana non ne precisa le funzioni specifiche ne´ indica le relative risorse finanziarie e legislative; anzi, un sondaggio in seno all’Assemblea costituente rivela che la maggioranza dei deputati (298) e` per l’abrogazione dell’Ente. «Nasce cosı` – annotano Pucci e Russo – un organismo istituzionale cui sono demandati compiti piu` limitati di quelli dei Comuni, nel campo dell’edilizia scolastica, della costruzione e manutenzione della rete viaria provinciale, dell’assistenza sociale ed in particolare della gestione degli ospedali psichiatrici». Compiti e funzioni che ricalcano in scala ridotta quelli tradizionali, e che vengono svolti tra gli affanni della altrettanto tradizionale penuria di mezzi, al punto di fare riaffacciare, ricorrentemente, l’ipotesi della soppressione. Semmai e` il caso di notare come permanga, connesso alla Provincia, il carattere di «sede privilegiata di potere», nel senso di «palcoscenico politico», piu` che luogo effettivo di governo del territorio, o ‘casella’ da riempire nello scacchiere a disposizione di partiti e forze politiche per le loro combinazioni alchemiche. Una situazione che evolve lentamente, migliorando decisamente, e la cosa solo ad un’osservazione superficiale puo` apparire paradossale, in connessione con il varo, tutto sommato non esaltante, dell’istituto regionale, avvenuto, come detto, nel 1970. Nel momento in cui, in effetti, vengono trasferite dallo Stato alle Regioni parecchie e varie competenze (DPR. 616 del 1977) e` come se si schiudessero nuove prospettive proprio per la bistrattata Provincia, riposizionata nell’ordinamento istituzionale di fatto nel paese come l’ente intermedio per eccellenza, razionalizzatore delle attivita` sul territorio, pianificatore e specificatore degli indirizzi regionali, coordinatore rispetto agli ambiti comunali. Via via acquisendo, in piu`, funzioni di controllo, di informazione rispetto all’occupazione, di tutela ambientale, che modellano ‘un’organizzazione rigida che opera attraverso forme suborganizzative elastiche e relativamente libere’ (Enciclopedia del Diritto). Tutto sommato, nuove e buone carte in mano alla Provincia che consentono e preludono al «gran balzo» degli anni Novanta verso la provincia/citta` metropolitana, con i comuni-quartieri e che soprattutto fanno intravvedere due spazi-tipo (a parte il caso delle grandi aree urbane) nettamente identificati nella Provincia e nel Comune: a quest’ultimo si connettono tutti i servizi alla sua misura territoriale e istituzionale; alla prima, la gia` menzionata funzione di programmazione e specificazione.
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Il dato strutturale della provincia napoletana nel mezzo secolo che si puo` ormai analizzare dalla nascita della Repubblica a oggi, (ripristinata intanto la provincia di Caserta i cui comuni erano confluiti in quella di Napoli) rimanda a un territorio che secondo caratteristiche demografiche e socioceonomiche omogenee si raggruppa per aree ben definite: flegrea (11 comuni), giuglianese (7), frattese (5), afragolese (7), pomiglianese (8), nolana (16), sorrentina (16), vesuviana (12), torrese (9), oltre, naturalmente, Napoli come area urbana a se stante. Un complesso di 92 comuni (nel tempo si sono aggiunti agli 89 del secondo dopoguerra, S. Maria la Carita`, Trecase e Massa di Somma), con una popolazione che dai poco piu` dei 2 milioni del 1951 e` passata ai poco piu` di 3 dei primi anni Novanta. Cio`, mentre Napoli nell’arco di oltre quarant’anni prima cresce, e poi decresce, sicche´ ritorna ai livelli di partenza (poco al di sopra di un milione di abitanti), a fronte del fortissimo incremento (circa il 50 per cento in piu`) fatto registrare a livello provinciale nello stesso periodo. Il capoluogo contiene ormai (1991) solo la terza parte della popolazione provinciale (ma era la meta` nel 1951) e rappresenta un decimo dell’intera superficie territoriale (1171 chilometri quadrati). Siamo, insomma, oltre la situazione di riequilibrio segnalata in alcune delle epoche anteriori su cui ci si e` soffermati, e in presenza, piuttosto, di un fenomeno inedito, e rovesciato, rispetto alle dinamiche tradizionali all’interno del rapporto tra Napoli e il distretto provinciale, al punto da far pensare non tanto, o piu` tanto, alla testa enorme su un corpo rachitico, secondo la metafora dell’illuminismo meridionale, e napoletano, quanto al comune urbano gia` dilagante che si trova ormai circondato, e come compresso, quasi ‘assediato’, dai comuni, un tempo rurali, che lo contornano. E in questo, traspaiono non pochi ne´ rari segnali di vecchie patologie, riemerse e rafforzatesi, accanto a nuove e altrettanto insidiose, con pesanti conseguenze sul piano sociale e politico. In termini politico-istituzionali piu` stretti, la Provincia napoletana rinasce nel 1952, sulla base della nuova legge elettorale ‘proporzionale’, ma corretta secondo le esigenze del voto ‘bloccato’ per collegi, e la logica degli ‘apparentamenti’. Iniziale predominio di centro-destra (presidente Altavilla, liberale), con programmi volti particolarmente alle necessita` della ricostruzione post-bellica; nell’insieme, comunque, una netta subordinazione agli interessi di Napoli-citta`. Dalla seconda meta` degli anni Cinquanta alla meta` degli anni Settanta, la guida della Provincia resta nelle mani del ceto politico democristiano (tra i presidenti, Antonio Gava, per un decennio, e
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Ciro Cirillo): in una prima fase, contenendo persino l’offensiva laurina e, piu` tardi, muovendosi tempestivamente nel solco dell’apertura a sinistra e partecipando cosı` alla stagione della programmazione e delle riforme. «Le maggioranze democristiane – e` stato scritto (Pucci-Russo) – gestiscono il flusso di denaro pubblico proveniente dal centro; parte dei fondi della legge speciale per Napoli e le sovvenzioni della Cassa per il Mezzogiorno, per la realizzazione di opere pubbliche e infrastrutture industriali passano per le mani degli assessori che attrezzano l’Ente a principale organo di controllo e di gestione dello sviluppo economico e della industrializzazione del territorio. Sono questi gli anni di maggiore vitalita` progettuale ed operativa della provincia, che sotto la presidenza Gava vede crescere il proprio ruolo di interlocutore istituzionale privilegiato nella redazione di piani intercomunali, nella creazione del consorzio Asi e dello stesso intervento statale». In ogni caso, tra il 1956 e il 1960, su 5 miliardi e 675 milioni di spesa complessiva, la Provincia impiega, di risorse proprie, solo 900 milioni, poco piu` della sesta parte; il resto, viene dal governo nazionale: situazione non molto lontana, in verita`, da quella vista sul finire dell’Ottocento. Nel proseguo dei decenni analizzati, e avvicinandoci ormai ai tempi piu` prossimi all’attualita`, si registra l’avvicendamento, ai vertici dell’Istituzione, a favore dei socialisti e quindi un ritorno, ‘condizionato’, all’egemonia democristiana. Il resto, puo` dirsi, e` storia dell’oggi. Contraccolpi e ribaltamenti connessi alla «tangentopoli» locale, investono anche la Provincia. E anch’essa, come gia` il comune di Napoli, passa attraverso una rigenerazione favorita dalla nuova legge sulle autonomie locali (142 del 1990) e da quella per l’elezione diretta dei sindaci (nei comuni) e dei presidenti provinciali. La prima, in particolare, insiste nel privilegiare il momento della collaborazione su quello autoritativo, mentre concorre, per la sua parte, a consolidare il ventaglio dei terreni operativi di pertinenza provinciale (suolo e ambiente; risorse idriche ed energetiche; valorizzazione dei beni culturali; viabilita` e trasporti; flora, fauna, parchi e riserve; inquinamento e sanita`; istruzione e raccolta ed elaborazione dati). Quanto al presidente (su cui interviene anche la legge 81 del 1993), egli viene individuato con nettezza come colui che «assomma in se´ il momento piu` alto, terminale della funzione politico-amministrativa, e di quella di gestione», figura-sintesi, insomma, e gestore della provincia intera, sulla scia di quanto gia` delineato a proposito dei sindaci, guida e «personificazione simbolica» di citta` e comuni.
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A Napoli, l’elezione diretta del presidente della Provincia, con le nuove procedure entrate in vigore e sulla base della rinnovata ripartizione territoriale in collegi, di cui 16 afferenti all’ambito urbano napoletano, ha luogo nella tornata amministrativa di aprile-maggio 1995, un anno e mezzo dopo il ‘cambio’ gia` registratosi nel governo locale di Napoli e contemporaneamente al rinnovo del Consiglio regionale (anche in questo caso, con una nuova legge elettorale). Al successo del candidato di centro-destra nel primo turno, si contrappone il risultato finale del ballottaggio nel secondo, favorevole al candidato del centro-sinistra, Lamberti (57, 3). Esito dovuto, e` stato osservato, «alla capacita` delle forze progressiste di attivare una seria strategia degli apparentamenti ma anche, al ruolo decisivo svolto dal capoluogo, sia a livello quantitativo, che a livello qualitativo» (D’Agostino-Mandolini). In conclusione, non puo` che valutarsi positivamente, nel suo insieme, l’esperienza dell’attuale governo provinciale, intento a precisare e a riqualificare il suo ‘spazio’ politico-istituzionale, tra Citta`, Regione e Stato, a completare il proprio assetto e riordino normativo, e a corrispondere, in ogni caso, alle molteplici e sempre piu` vivaci esigenze degli amministrati.
Appendice 1.Elenco dei 63 comuni (esclusa Napoli) costituenti la Provincia napoletana al 1812 Fonte: Statistica murattiana (1812) S. Sebastiano, Ponticelli, S. Giorgio a Cremano, Massa di Somma, Somma, Barra, Portici, Resina, Torre del Greco, Pollena e Trocchia, S. Anastasia, Casoria-Casavatore, S. Pietro e Patierno, Mugnano, Calvizzano, Piscinola, Melito, Giugliano, Panicocolo e Qualiano, Arzano, Secondigliano, Caivano Pascarola, Cardito Crispano, Pomigliano d’Atella, Casalnuovo, S. Arpino Pomigliano d’Arco, S. Antimo, Frattamaggiore, Casandrino, Grumo e Nevano, Afragola, Pozzuoli, Procida, Ischia, Forio e Casali di Panza, Casamicciola, Lacco, Barano, Testaccio, Serrara Fontana, Pianura, Soccavo, Marano, Chiaiano e Polvica, Ventotene, Castellammare, Vico Equense, Piano di Sorrento, Sorrento, Massalubrense, Capri, Anacapri, Gragnano, Lettere, Casola, Pimonte, Gioacchinopoli, Boscoreale, Boscotrecase, Poggiomarino, Ottaviano. N.B. Popolazione della provincia: 644.967 (di cui NA 330.000)
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2.Elenco dei 68 comuni della provincia napoletana al 1881 Fonte: Censimento 1881
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Circondario di Casoria (ab. 138.179). Afragola, Arzano, Caivano*, Calvizzano, Cardito, Casalnuovo di Napoli, Casandrino, Casoria*, Crispano, Frattamaggiore, Giuliano in Campania, Grumo Nevano*, Licignano, Melito di Napoli, Mugnano di Napoli, Pomigliano d’Arco, Pomigliano d’Atella, Qualiano*, S. Antimo, S. Arpino, S. Pietro a Patierno, Secondigliano, Villaricca. Circondario di Castellammare di Stabia (ab. 176.805) Agerola, Anacapri, Boscoreale, Boscotrecase, Capri, Casola di Napoli, Castellammare, Gragnano, Lettere, Massalubrense, Meta, Ottajano, Piano di Sorrento Pimonte, Poggiomarino, S. Agnello, Sorrento, Torre Annunziata, Vico Equense. Circondario di Napoli (ab. 609.720, di cui NA 493.314) Barra, Cercola, Napoli, Pollena Trocchia*, Ponticelli, Portici Resina, S. Anastasia, S. Giorgio a Cremano, S. Giovanni a Teduccio, S. Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Torre del Greco. Circondario di Pozzuoli (ab. 76.541) Barano d’Ischia, Casamicciola, Chiaiano ed Uniti*, Forio*, Ischia, Lacco Ameno, Marano di Napoli, Pianura, Pozzuoli, Procida, Serrara Fontana, Soccavo, Ventotene. N.B. 1 comuni riportati in corsivo costituiscono nuovi ingressi nell’elenco rispetto ai dati precedenti; quelli contrassegnati con asterisco, segnalano avvenute trasformazioni parziali. Popolazione totale della provincia: 1.001.245 3.Al 1901 (dati del corrispondente censimento) la popolazione totale della provincia ascende a 1.121.938 ab. (di cui a NA 540.485). I comuni sono 69, per effetto di due nuovi ingressi (Frattaminore e S. Giuseppe Vesuviano) e della scomparsa di Pomigliano d’Atella. 4.Elenco dei comuni della provincia al 1931; sono 137, (di cui provenienti dalla disciolta provincia di Caserta quelli qui riportati in corsivo). Popolazione totale: 2.084.960 (di cui NA 839.390).
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
Acerra, Afragola, Agerola, Albanova, Arienzo S. Felice, Arzano, Atella di Napoli, Aversa, Bacoli, Baia e Latina, Barano d’Ischia, Brusciano, Caianiello, Caivano, Calvi Risorta, Calvizzano, Camigliano, Camposano, Cancello e Arnone, Capri, Capua, Carbonara di Nola, Cardito, Carinola, Casalba, Casalnuovo di Napoli, Casamarciano, Casamicciola, Casandrino, Caserta, Casola di Napoli, Casoria, Castel di Sasso, Castellammare di Stabia, Castel Cisterna, Castelmorrone, Castel Volturno, Cercola, Cervino, Cesa, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Conca della Campania, Crispano, Fertilia, Forio, Formicola, Francolise, Frattamaggiore, Frattaminore, Frignano, Galluccio, Giugliano in Campania, Gragnano, Grazzanise, Grumo Nevano, Ischia, Lacco Ameno, Lettere, Liberi, Liveri, Maddaloni, Marano di Napoli, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Marzano Appio, Massalubrense, Melito di Napoli, Mignano, Mondragone, Monte di Procida, Mugnano di Napoli, Napoli, Nola, Ottaviano, Palma Campania, Parete, Pietramelara, Pietravairano, Pignataro Maggiore, Pimonte, Poggiomarino, Pollena Trocchia, Pomigliano d’Arco, Pompei, Pontelatone, Ponza, Portici, Pozzuoli, Presenzano, Procida, Qualiano, Recalo, Resina, Riardo, Rocca d’Evandro, Roccamonfina, Roccarainola, Roccaromagna, Rocchetta e Croce, S. Gennaro Vesuviano, S. Giorgio a Cremano, S.Giuseppe Vesuviano, S. Paolo Belsito, S. Pietro Infine, S. Sebastiano alVesuvio, S. Maria a Vico, S. Maria Capua Vetere, S. Maria la Fossa, S.Anastasia, S. Antimo, S. Antonio Abate, S. Vitaliano, Saviano, Scisciano, Croce Fontana, Sessa Aurunca, Somma Vesuviana, Sorrento, Sparanise, Striano, Teano, Terzigno, Tora e Piccilli, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trentola, Vairano Patenora, Valle di Maddaloni, Vico Equense, Villa Literno, Villaricca, Villa Volturno, Visciano Fonte: Censimento 1931 N.B. Nella documentazione d’epoca figurano come comuni passati dalla provincia di Caserta a quella di Napoli anche localita` registrate nel censimento come frazioni di singoli comuni presenti in elenco: Bellona, Capodrise, Giano Vetusto, Gricignano di Aversa, Macerata Campania, Mignano, Pastorano, Ponza, Portico di Caserta, S. Cipriano d’Aversa, S. Felice a Cancello, S. Leucio, S. Marcellino, S. Marco Evangelista, S. Nicola la Strada, San Prisco, S. Tammaro, Teverola. 5.Elenco dei comuni della provincia al 1951, divisi per aree omogenee: Area Flegrea Bacoli, Barano d’Ischia, Casamicciola Terme, Forio, Ischia, Lacco Ameno, Monte di Procida, Pozzuoli, Procida, Quarto, Serrara Fontana
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DALLA PROVINCIA PREUNITARIA ALLA PROVINCIA-CITTA` METROPOLITANA
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Area Giuglianese Qualiano, Villaricca, Calvizzano, Giugliano in Campania, Marano, Melito, Mugnano Area Frattese Casandrino, Frattamaggiore, Frattaminore, Grumo Nevano, S. Antimo Arca Afragolese Afragola, Arzano, Caivano, Cardito, Casavatore, Casoria, Crispano
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Area Pomigliariese Acerra, Brusciano, Casalnuovo, Castello di Cisterna, Mariglianella, Marigliano, Pomigliano d’Arco, Volla Area Nolana Camposano, Carbonara di Nola, Casamarciano, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Liveri, Nola, Palma Campania, Roccarainola, San Paolo Belsito, San Vitaliano, Saviano, Scisciano, Tufino, Visciano Area Sorrentina Agerola, Anacapri, Capri, Casola, Castellammare di Stabia, Gragnano, Lettere, Massalubrense, Meta, Piano di Sorrento, Pimonte, S. Agnello, S. Antonio Abate, Sorrento, Vico Equense Area Vesuviana Cercola, Ottaviano, Poggiomarino, Pollena Trocchia, S. Gennaro Vesuviano, S. Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano, S. Anastasia, Somma Vesuviana, Striano, Terzigno Area Torrese Boscoreale, Boscotrecase, Ercolano, Pompei, Portici, S. Giorgio a Cremano, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase Napoli N.B. I comuni sopra indicati assommano a 90; al censimento del 1981 sono presenti, inoltre, i comuni di S. Maria la Carita` e Trecase; a quello del 1991, Massa di Somma, per un totale di 93 comuni attuali. I valori quanto a popolazione complessiva sono stati forniti all’interno del testo, al quale si rimanda, quindi, anche per commento e interpretazione degli scarti decennali.
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Referenze bibliografiche e documentarie Atti del Consiglio Provinciale di Napoli (1861 ...) Atti della Deputazione Provinciale (1861...) Amministrazione Provinciale di Napoli: -Regolamento stradale della Provincia di Napoli votato dal Consiglio Provinciale e approvato con R.D. 27 agosto 1871 -Regolamento di polizia stradale e per garantire la liberta` della circolazione e la materiale sicurezza del passaggio (approvato con R.D. 10 marzo 1881) Regolamento per gli appalti di mantenimento delle piantagioni sulle strade dipendenti della Direzione Generale di Ponti e Strade (1881) Relazione sulla Inchiesta Astengo al Consiglio Provinciale di Napoli (1882) Relazione sul coordinamento delle Scuole di Arti e Mestieri della Citta` di Napoli (1885) -Proposta di Riforme organiche (relatore Filotico), 1885 -Bilancio preventivo per l’esercizio 1886 (1886) -Relazione della Commissione della Deputazione Provinciale. -Proposte pel riordinamento dei servizi tecnici della Provincia di Napoli (1892) La popolazione del Regno di Napoli (dalla Statistica Murattiana a cura di S. Martuscelli, Guida ed., Napoli) Censimenti 1881, 1901, 1931, 1936 Relazione sull’attivita` economica della Provincia di Napoli nell’anno 1929, a cura del Consiglio Provinciale dell’Economia di Napoli, Napoli 1930 (IX) Comune di Napoli (Servizi Statistici), Dal dato di base all’informazione per il governo della citta` metropolitana, Napoli 1996 (contiene i dati dei censimenti dal 1951 al 1991) Enciclopedia del Diritto (ad vocem) G. Landi, Istituzioni di Diritto Pubblico del Regno delle Due Sicilie (1815-1861) Milano, Giuffe´ ed., 1977, II, p. 618. A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Vicenza, Neri Pozza ed., 1962, pp. 88 ss. A. Scirocco, Il Mezzogiorno nell’Italia unita, Napoli, S.E. N., 1979, p. 31. Le Province italiane. (Campania) / Napoli C.Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia, Bari, Laterza, 1985, p. 212 F.Rugge, La «citta` che sale»: il problema del governo municipale di inizio secolo, nel
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DALLA PROVINCIA PREUNITARIA ALLA PROVINCIA-CITTA` METROPOLITANA
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volume Istituzioni e borgbesie locali nell’Italia liberale, Milano, Angeli, 1986, pp. 60-61 E. Rotelli, Costituzione e amministrazione dell’Italia unita, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 213 ss. A. Scirocco, Dall’unita` alla prima guerra mondiale, in Storia di Napoli, vol. X, Napoli 1971, passim A. Pucci-P. Russo, La Provincia, in Le assemblee elettive dopo la riconquista della liberta` in «La Citta` Nuova», 3-4, 1981 G. D’Agostino-M. Mandolini, Il voto amministrativo di aprile-maggio 1995 «La Citta` Nuova», 2/3, 1995
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PER UNA STORIA ELETTORALE DI CASERTA ` GIOLITTIANA. E DELL’AMBITO CASERTANO IN ETA I RAPPRESENTANTI LOCALI ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
Quello che segue e` un ‘saggio’, nel senso piu` letterale del termine come ‘abbozzo’, prova di lettura di una fase complessa, e anzi cruciale, di storia nazionale (e di un locale specifico, Caserta e il ‘Casertano’), rappresentata dall’eta` giolittiana (1901-1914). Esso poggia comunque su due basi, o presupposti, di carattere teorico e metodologico che hanno a che vedere per un verso con il rapporto tra dimensione locale e dimensione generale (o nazionale, in questo caso) e per l’altro con le modalita` stesse, le opportunita` e i vantaggi connessi all’approccio in termini di storia elettorale. Se ne potrebbe aggiungere un terzo, che appena si puo` provare a sintetizzare nell’intreccio tra ‘identita`’ e manifestazione di voto, all’interno di una comunita` data o di sezioni significativa di essa. Al riguardo, e per brevita`, devo rifarmi a quanto sostenuto e scritto in altre sedi, limitandomi qui a richiamare soltanto, quanto al primo punto, la radicata convinzione di una relazione ‘differenziale’ e interattiva (ma anche, al caso, di “tensione reciproca”) tra le due configurazioni richiamate, piuttosto che di omogeneita`, pur se su scale diverse, o di inerte complementarieta`. E quanto al secondo, ribadire l’importanza e il significato dell’indicatore elettorale, del voto inteso come processo piu` che atto singolo, e la validita` piu` generale della storia elettorale, quasi una pista di raccordo e interazione, o cerniera, fra storia politico-istituzionale e storia sociale, nella sua molteplice gamma di espressioni e di interessi, ma anche di fasi tempi e modi diversificati, ma connessi. Come si e` avuto modo di precisare altrove, in effetti la storia elettorale «connette l’attenta ricognizione di cio` che precede e di cio` che segue il voto in se´, in quanto sistema plurimo di manifestazione, attingibile mediante le opportune tecniche di rilevazione e lettura, statistiche e matematiche, ed i metodi, in genere,
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
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dell’indagine sociale ed politica. Essa dunque studia la fisionomia strutturale dell’ambiente e le caratteristiche del corpo elettorale; la campagna elettorale, con le sue modalita`, i temi e l’impatto sui destinatari; il piano di formazione delle liste e la loro composizione; i vari tipi, riscontrabili, di ‘condizionamento’, e parimenti, poi, la traduzione politica dell’esito elettorale, l’analisi del personale eletto, anche rispetto ai candidati, ed il rendimento di uomini ed istituzioni». Rispetto, infine, al tema appena accennato del rapporto tra identita` e voto ci si puo` in parte riferire alle indagini di ecologia politica ed egualmente al consistente filone degli approfondimenti su concetto e realta` delle ‘subculture’ territoriali, ma piu` specificamente il discorso andrebbe reimpostato alla luce dei piu` recenti studi su identita`, comunita` e ‘locale’. 1. Partiamo da quello che puo` definirsi un “senso comune storiografico” sull’eta` giolittiana, per cui viene considerata e qualificata, in maniera pressoche´ concorde, oltre che ovviamente per la presenza quasi continua dello statista piemontese ai vertici della scena politica italiana, come un’epoca di svolta «con la quale si affermarono nuove linee di sviluppo economico, sociale, e politico». Concretamente, si esce dalle pericolose strettoie delle tendenze autoritarie di fine Ottocento, per imboccare la strada di un apprezzabile allargamento delle basi sociali dello stato, aprendo ad ampi settori operai e popolari, e alle forze politiche organizzate di socialisti, in primo luogo, e di cattolici. Dall’integrazione del movimento operaio e socialista nel sistema istituzionale sarebbe derivato, secondo Giolitti, il sostanziale rafforzamento dello stato stesso e delle sue articolazioni burocratiche e periferiche. Si tratta dunque di un disegno che non esce dall’universo liberal-conservatore, di stabilizzazione accorta, che favorisce l’industrializzazione spinta del paese, prova a percorrere la via di importanti riforme sociali economiche e politiche (in campo previdenziale e nella disciplina del lavoro, trasporti e comunicazioni, assicurazioni, municipalizzazioni, leggi elettorali e suffragio quasi universale maschile, grandi infrastrutture pubbliche, come l’acquedotto pugliese, e provvedimenti speciali per Napoli e alcune aree meridionali). E comunque di un disegno che ha vincoli e limiti oggettivi e soggettivi, intrinseci ed estrinseci, per cosı` dire, nella propensione a rapportarsi quasi esclusivamente con e tra poteri forti e costituiti, aborrendo movimenti spontanei e aggregazioni informali; nel netto privilegiamento di una ottica centro-nord centrica, nell’impostare l’azione politica e di governo, nel rafforzare il potere della burocrazia e soprattutto dei prefetti, non esitando a ricorrere, tramite questi ultimi, a
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PER UNA STORIA ELETTORALE DI CASERTA
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pesanti forme di manipolazione e intimidazione, in particolare al sud e nei confronti delle amministrazioni locali non allineate in senso ministeriale e filogovernativo. Il risultato, come e` stato sottolineato, e` stato l’aggravamento delle condizioni del meridione, passato dall’arretratezza al sottosviluppo e protagonista negativo di una biblica emigrazione, e lasciato «sotto la prepotente influenza dei ceti latifondisti e parassitari, una delle cause di debolezza economica strutturale su cui non incisero assolutamente provvedimenti come le leggi per l’industrializzazione di Napoli, e per la costruzione dell’acquedotto pugliese o i provvedimenti per la Basilicata». Cosı` per circa un quindicennio, i nodi della crisi senza uscite dello stato liberale non vengono al pettine, o vengono deviati o frenati; Giolitti manovra con indiscutibile abilita` e buona dose di disinvoltura tattica, spingendo sull’acceleratore delle aperture e delle riforme nei primissimi anni della fase di cui e` protagonista, ma indietreggiando di fronte alle tensioni sociali e allo sciopero generale del 1904, imprimendo alle cose una pausa moderata e quindi una svolta non priva di durezze, per poi lasciare di nuovo le briglie sciolte nel biennio a cavallo del 1907 ed alla vigilia, dopo il nuovo sciopero del 1908, delle elezioni politiche del 1909 e delle imprese coloniali. Meno riforme e meno democrazia, piu` ordine pubblico e poteri prefettizi, non impediscono tuttavia la istituzione del suffragio quasi universale maschile, nel 1912, che porta il corpo elettorale nazionale a quadruplicarsi, sfiorando gli 8 milioni e mezzo di cittadini-elettori, quasi il 24 per cento della popolazione. Per taluni, si tratterebbe peraltro di un’abile mossa per “parlamentarizzare il conflitto” e per coagulare un solido blocco conservatore, includendovi i cattolici moderati; eppure, proprio quei soggetti, suscitati, favoriti, e poi ricercati per riceverne appoggio, verranno meno, o seguiranno altri richiami e tendenze, dai socialisti riformisti agli stessi cattolici dalle eccessive pretese. La guerra di Libia, il crescere delle tensioni nel “fronte interno”, il prevalere di correnti e gruppi anarchici e rivoluzionari, sono gli anelli di una crisi piu` generale che porta intanto all’uscita di scena del “ministro della malavita” e che prepara ardui scenari per la vita politica e per la societa` italiana. 2. Si possono ripercorrere, ora i tre lustri, circa, dell’eta` giolittiana seguendo il filo rosso delle elezioni politiche generali, le quali effettivamente scandiscono, accompagnano, influenzano il corso della vicenda storica e politica. A ben vedere, la nuova fase si annunzia proprio, e in qualche modo si predispone, sin dalle elezioni del giugno 1900, con cui si chiude emblema-
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
ticamente il ciclo piu` intensamente reazionario culminato nella crisi di fine secolo e nel “colpo di stato della borghesia”. In effetti, le aspettative del Ministero (Pelloux), di riuscire ad avere un Parlamento ancora piu` docile e ben disposto ad assecondare l’Esecutivo nel suo programma sociale e istituzionale vengono deluse nonostante il ricorso al pesante intervento dei prefetti e in qualche caso a forme di intimidazioni e pressioni, non disgiunte da brogli e violenze, da risultati che vanno in opposta direzione, premiando piuttosto le forze di opposizione costituzionale e dell’Estrema (radicali, socialisti, repubblicani: insieme, passati da 75 a 96 eletti, con due socialisti in Campania). Nel complesso, la maggioranza (numerica) stretta attorno al Pelloux consegue circa 300 seggi, corrispondenti ad altrettanti collegi, dei quali 103 nei 137 collegi meridionali, mentre per la Sinistra i migliori risultati si concentrano nelle regioni centrosettentrionali. Nella circostanza, gli elettori sono stati poco meno di 2,3 milioni, corrispondenti al 6 per cento della popolazione (33 milioni di persone), ed i votanti hanno raggiunto la media nazionale del 58,3. Assai piu` alti, in ogni caso, i valori della frequenza alle urne nelle regioni meridionali (67,2; Campania 65,29) rispetto al Centro e al Nord, soprattutto, in cui si registra un maggior tasso di astensionismo. L’esito elettorale conduce alla crisi politica, e dunque alla caduta del governo Pelloux, sostituito da un breve intermezzo Saracco (funestato dal “regicidio” e dall’ascesa al trono del nuovo sovrano Vittorio Emanuele III), infine, spiana la strada allo Zanardelli e allo stesso Giolitti, che assume intanto la responsabilita` del dicastero. Per tutti, un’eredita` difficile da gestire, con un’azione in cui si alternano aperture politiche e sociali a riflessi di difesa e di autoconservazione. Ma e` pure il momento in cui vengono al pettine nodi piu` antichi e non piu` rinviabili, legati appunto al permanere di un sistema elettorale «che non riesce a fare uscire dalle secche del parlamentarismo l’interazione tra Ministero e Deputazione», che non agevola la composizione del contrasto con i cattolici, che non puo` assecondare neppure i disegni dell’allargamento della base sociale dello stato, e che in ultima analisi rivela, una volta di piu`, il carattere classista della maggioranza ministeriale alla Camera e l’artificiosita`, condita di corruzione e e violenza, della stessa macchina elettorale. Nel giro di pochi anni, e quando ormai Giolitti e` subentrato allo Zanardelli, lo scenario inizialmente promettente si oscura e si delinea una nuova svolta a destra (con eclisse dei socialisti riformisti e piuttosto ascesa delle componenti socialiste piu` accese e radicali, mentre piegano a destra i cattolici rendendosi cosı` meglio adatti alla strategia giolittiana). Le elezioni
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PER UNA STORIA ELETTORALE DI CASERTA
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del 1904 – anticipate sull’onda dello sciopero generale che ha paralizzato il paese – sanzionano tale stato di cose, e in un certo modo lo consolidano e legittimano. Dalle urne, alla fine di una campagna elettorale piuttosto evanescente sui grossi temi politici, e concentrata sul rischio della “sovversione rossa” esce una maggioranza ministeriale, stretta attorno al capo indiscusso (Giolitti), piu` ampia che nel 1900, ma anche piu` eterogenea. Ha votato il 62,7 per cento degli elettori, con un divario tra Sud e Centro-Nord che questa volta e` decisamente meno pronunciato. Il Piemonte si conferma la vera roccaforte del giolittismo, come Napoli, e in parte della stessa Campania, nel Mezzogiorno, il cui contributo ammonta a ben 103 collegi, piu` i 5 del gruppo Marcora (radicali filoministeriali); all’opposizione costituzionale (quasi tutta sonniniana), 23 collegi, piu` altri sei meno connotati, sei deputati all’Estrema (4 radicali e 2 repubblicani). Un quadro oltremodo significativo, che traduce gli effetti del primo inserimento, indiretto, dell’elettorato cattolico a favore dei liberali, le difficolta` di una Sinistra divisa, e percio` stesso in calo, anche sotto il profilo elettorale, il predominio di agrari e industriali, la disinvoltura con cui si manipola ancora il voto. La nuova legislatura si apre tuttavia con una Camera molto rinnovata nel suoi esponenti, se non nella sua geografia interna, con un tasso di ricambio calcolato attorno al 20 per cento, che nel caso meridionale si raddoppia addirittura. Al Marcora, utile alleato del presidente Giolitti, va la presidenza di questa assemblea. Come si e` gia` accennato in termini generali, si tratta di un quinquennio durante il quale si delineano con piu` nettezza i contorni di uno stato forte e interventista, anche in campo economico, che dialoga con i poteri altrettanto forti e corporati, che segue con interesse l’evoluzione politica dei cattolici e assiste ai progressi del proletariato e delle sue organizzazioni sindacali. In pratica, pero`, colpisce soprattutto la regia giolittiana, tra spregiudicata e burocratica, capace di grande respiro politico e istituzionale, come delle piu` meschine incursioni nel sottobosco e nella corruzione clientelare. La XXIIa legislatura si chiude comunque anch’essa sotto il segno di un nuovo sciopero generale, del 1908, con alcuni mesi di anticipo, pertanto, e con le forze di sinistra all’attacco. Le elezioni (marzo 1909), ultime a svolgersi con il suffragio ristretto, e intanto con il piu` alto numero di votanti (65 per cento degli elettori), riflettono il clima piu` teso e vivace, che porta, tra l’altro, a 74 ballottaggi. La maggiore politicizzazione dello scontro gioca in ogni caso a favore delle ali estreme dello schieramento, con esiti assai favorevoli per socialisti, repubblicani e radicali (insieme, 113 seggi) e, corrispondentemente, negativi per destra e centro ministeriali e
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filogovernativi. Da registrare, l’aumento di deputati cattolici, da 7 a 17, ma soprattutto il ruolo dell’elettorato cattolico, in sostegno alle candidature liberali ‘compatibili’ (secondo gli orientamenti lasciati trapelare dalle piu` alte gerarchie ecclesiastiche) e stimato utile, o decisivo, in 160-190 collegi, tra cui alcuni tra quelli campani e segnatamente casertani. Nel Mezzogiorno, personalismi e manipolazioni prefettizie, incidono profondamente sui risultati che assegnano al fronte giolittiano 104 collegi su 139, anche se con varie sfumature di fedelta` elettorale e politica, almeno in una ventina di casi. Si tratta di un concorso di tutto rispetto ai 303 seggi della maggioranza di governo, e sembra prefigurare quella “meridionalizzazione” della vita politica nazionale, contrapposta alla “settentrionalizzazione” della vita economica, della quale parlano analisti e scienziati della politica per varie fasi della storia italiana novecentesca. Occorre forse notare, altresı`, accanto al replicarsi del fenomeno di un alto ricambio nella composizione della Camera, gia` osservato nel 1904, e pari stavolta al 25 per cento, con il raddoppio per la deputazione meridionale, nelle cui file 50 deputati uscenti cadono e 101 non sono piu` presenti rispetto ai dati del 1900, il forte impatto di queste elezioni sul dibattito relativo alla riforma elettorale. Gli anni immediatamente successivi al 1909, vedono riaccendersi la peraltro mai sopita questione della necessita` di una nuova legge in materia, tale da «assicurare la sincerita` delle elezioni» secondo le parole dello stesso Giolitti. Invero, le ipotesi di riforma diventano presto due, e fanno capo al Luzzatti, subentrato per breve tempo al Giolitti, dimissionario, e a quest’ultimo stesso. Ed e` una volta ancora il Giolitti a spuntarla, alla fine, riuscendo a fare approvare il proprio disegno “piu` radicale nell’allargamento del suffragio, pur non mutando i parametri di definizione dell’elettorato attivo, e che mantiene inalterate le dinamiche di potere presenti nei vecchi collegi”. A fronte delle piu` ardite proposte del Luzzatti, che si spingevano fino alla sperimentazione della proporzionale, all’ampliamento delle circoscrizioni e all’introduzione dello scrutinio di lista, prevale insomma un punto di vista decisamente gradualista, che si coneretizza tuttavia nel suffragio quasi-universale maschile, in alcune modifiche procedurali riguardanti la costituzione dei seggi elettorali, la scheda da utilizzarsi, le modalita` di voto per gli analfabeti (su quest’ultimo punto, e non a caso, trattandosi di una condizione piu` diffusa nelle regioni meridionali rispetto al resto del paese, intervengono con decisione alcuni deputati del Casertano, come Schanzer e Buonanno), nonche´ sulla spinosa questione dell’indennita` parlamentare. La riforma elettorale viene approvata il 12 giugno 1912, anche dal
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Senato, nonostante qualche critica e perplessita` di indubbio peso, come quelle sollevate da Gaetano Mosca, e con il voto contrario della Sinistra, che continuera` la sua battaglia per la proporzionale e per un vero suffragio universale. Nel giudizio contrastante di due grandi spiriti meridionali del tempo, un fatto di enorme rilevanza ed eccezionale valore, in grado di inverare il meglio della tradizione social-liberale, attraverso l’alleanza con i nuovi ceti (Croce); per Napoleone Colaianni una condanna senza appello: «se la corruzione pecuniaria e` la caratteristica del settentrione d’Italia, la violenza del Governo e` la caratteristica antropologica del Mezzogiorno completata dai caratteri antropologici dell’Onorevole Giolitti». Con questi presupposti si va alle elezioni del 1913 (26 ottobre) un autentico spartiacque, del tempo in cui, come e` stato osservato, «nonostante tutto l’Italia liberale e` finita». Per effetto delle nuove leggi, il corpo elettorale cresce fino a 8,5 milioni, pari al 23,2 per cento della popolazione, meno concentrati al Nord rispetto al 1909 (45,8% rispetto al 56,5). Quanto ai votanti, la media nazionale e` del 60,4 per cento; pressoche´ identica a quella registrata nella provincia casertana, notevolmente piu` alta del 53,2 napoletano e del 58,5 campano. Le innovazioni recate dalla riforma (busta di Stato; ufficio elettorale costituito dal magistrati; scrutatori; indennita` parlamentare) tutto sommato funzionano; restano pero` irrisolti i nodi a cui si e` gia` fatto riferimento, tra cui l’enorme sperequazione nelle dimensioni e nella densita` dei collegi, a giudizio dello Schiavi «il primo vizio fondamentale e permanente, che si osserva nell’ordinamento italiano». In definitiva, oltre cinque milioni di votanti decretano l’arretramento dei liberali (perdono 63 seggi, toccando quota 307); 72 seggi vanno ai socialisti (di cui 20 riformisti); 17 ai repubblicani e 73 ai radicali (di cui 25 al sud). Il tasso di rinnovamento della rappresentanza alla Camera e` di 146 nuovi eletti, dunque assai considerevole, di cui 43 riguardano collegi meridionali. Marcora e` ancora confermato alla presidenza dell’Assemblea, ma la situazione delineatasi sulla base dell’esito delle elezioni, viene rapidamente scompaginata dai venti di guerra che si annunciano e che in poco piu` di un anno tra la primavera del 1914 e quella del 1915 portano, spazzato via il governo Giolitti, l’Italia dalla neutralita` all’intervento. Il disastro del primo conflitto mondiale cambia la faccia del mondo di allora, rappresenta la fine irreversibde di un’epoca, al tempo stesso “il suicidio d’Europa” e da noi, il tramonto della discussa, ma certo decisiva esperienza di egemonia, di un uomo e della sua politica, sul paese e sul popolo.
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1. Partiamo da un primo sguardo d’insieme al quadro della deputazione casertana (nel senso dei tredici collegi in cui e` ripartito l’ambito provinciale sotto il profilo della circoscrizione territoriale elettorale). I 34 nomi censiti (TAB. 1) corrispondono ad altrettanti eletti nel corso delle quattro legislature prese in esame. Al 1900, due hanno eta` inferiore ai trent’anni (Buonanno e Tosti) e il piu` anziano risulta essere il sessantatreenne De Renzis; l’eta` media, comunque, – da dati a disposizione – e` di anni 44,7. La meta`, circa, dei deputati e` originaria del proprio collegio, mentre, nella restante quota, sette sono nati a Napoli, uno a Roma (Gaetani di Laurenzano) e uno addirittura a Vienna (Schanzer). Quanto alla professione esercitata, o dichiarata o prevalente, ed allo status, piu` in generale, si annoverano otto nobili, di cui almeno tre militari di carriera; dodici avvocati, cinque medici (con o senza docenza universitaria), un agronomo, due industriali, altri tre militari, tre pubblicisti o giornalisti (in abbinamento, per due di essi, ad altra condizione o professione). Per dodici della deputazione, circa un terzo, l’ingresso alla Camera e` anteriore alle legislature dell’eta` giolittiana, mentre per sedici – poco meno della meta` – la permanenza nella stessa si esaurisce nel volgere delle quattro legislature considerate. Quanto ai curricula, e in termini piu` generali, alle carriere e ai cursus honorum, ci si trova di fronte a figure spesso dall’intensa e molteplice attivita`, a presenze significative nel campo degli studi, delle professioni, per lo piu` forensi, delle pubbliche responsabilita` amministrative e burocratiche, e quasi sempre, comunque, con ‘tappe’ non di rado di lunga durata nei consigli comunali e provinciali, talora nelle sindacature dei propri comuni di origine, o in importanti assessorati, come pure ai vertici dell’amministrazione provinciale. In parlamento, tuttavia, non tutti rivelano particolare zelo e assiduita`, a fronte, in ogni caso, di una maggioranza di essi che invece intervengono sulle materie di propria pertinenza o interesse, siedono in Giunte o Commissioni, ed hanno al proprio attivo una piu` o meno duratura e fortunata militanza tra i banchi del governo, con responsabilita` di vario livello e importanza (sottosegretariato e/o ministero), anche con risvolti e corollari che a volte sfociano nella rovina o, persino, nella tragedia personale (Rosano, ad esempio, suicida nel 1903 travolto dallo scandalo finanziario e giudiziario). Cinque deputati, infine, in prosieguo di carriera, anche molto piu` tardi rispetto al periodo qui trattato, raggiungono la carica senatoria (Molisani, Perla, Schanzer, Tosti di Valminuta, Visocchi). Nel complesso, una pattuglia di ragguardevole livello e, tutto sommato, rappresentativa di una apprezzabile varieta` di situazioni, provenienze sociali e civili, fortemente implicata nelle vicende amministrative e politiche locali,
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non priva di respiro ma spesso poco incline o suscettibile o messa nelle condizioni di esplicarlo, e, soprattutto, poco coesa al proprio interno e compatta e tenace nel proseguimento di obiettivi mirati e coerenti con il proprio ruolo pubblico. Mediatori individuali, e isolati, si direbbe, fra centro e periferia, ‘distratti’ volta a volta o dalla ‘bassa’ o dalla ‘alta’ politica, o, talora, dalla propria carriera personale, e dunque nel complesso e il piu` delle volte poco efficaci nei confronti della stessa comunita` rappresentata, delle sue tensioni interne e delle sue pulsioni identitarie, che restano variamente inespresse, velleitarie o soggette a ‘implosioni’ dall’interno. Anticipando qualcosa che potra` tornare ancora piu` avanti, nell’analisi della deputazione casertana per singola legislatura, va ricordato tuttavia il colore politico, o, piu` concretamente, l’opzione di schieramento assunta e esibita dai deputati in questione, di tipo rigorosamente, e con eccezioni sporadicissime, ministeriale, di sostegno e appoggio alla maggioranza giolittiana di governo, da “ascari” fedeli e remunerati al meglio possibile, quasi ‘pezzi’ indispensabili al buon funzionamento dell’ingranaggio politico e istituzionale che assegnava al Mezzogiorno e al sottosistema politico meridionale il ruolo di “riserva del consenso” (e piu` tardi anche di serbatoio di manodopera), di supporto subordinato e funzionale filo – ministeriale e filo – governativo, in una catena di do ut des dal centro alla periferia e dalla periferia al centro. E` questa del resto l’essenza e il prodotto dello ‘scambio’ elettorale e politico, del processo di manifestazione di volonta` di intenti e interessi attraverso il voto, e in ultima analisi della stessa natura e fisionomia “duale” dello sviluppo socio-economico, come dell’organizzazione politica, dello stato e della societa` italiani, quale proprio nell’eta` giolittiana acquista i suoi caratteri piu` distintivi e peculiari. 2. Prendiamo ora le mosse dalla prima legislatura (1900), con qualche osservazione sui numeri: alta frequenza alle urne (69,8) con punte oltre l’80 per cento dei votanti a Capua e Aversa, e comunque oltre la media locale a Gaeta ed Acerra, ricordando, in ogni caso, che il rapporto medio percentuale tra elettori e popolazione si attesta sul 5,6, ma scende al di sotto in almeno sette collegi, con punta minima – 4,3 – ad Aversa, dove peraltro e` molto alta, come si e` osservato, la percentuale dei votanti. I candidati vincitori nei singoli collegi ottengono percentuali di consensi che in molti casi si avvicinano all’en plein (primato personale per Francesco Montagna ad Acerra, con il 98,7), ma nel caso di Giovan Battista di Lorenzo – opposto a Giuseppe Romano – scende al 45,4. Il valore medio e` comunque ben alto, attestandosi al 77,2 per cento ed assicura, nella
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media dei casi, il successo assoluto ai candidati ‘forti’ di partenza. Nelle altre situazioni, evidentemente gli elettori votanti si sono divisi, assegnando una piu` o meno cospicua quota di suffragi anche all’altro candidato, quasi sempre appartenente allo schieramento dell’opposizione costituzionale di sinistra (nella fattispecie, Rosano, Romano, Bonacci, Morelli). Da osservare che Rosano e Romano rientrano nel gioco nei rispettivi collegi di Aversa e Sessa Aurunca, nel successivo turno di suppletive, quest’ultimo (schieratosi ad ogni buon conto velocemente tra i ‘ministeriali’) a spese peraltro del gia` ricordato Di Lorenzo, mentre la drammatica fine del Rosano apre la strada, sempre attraverso le suppletive, a Carlo Schanzer come deputato di Aversa, collegio che torna cosı` ai “ministeriali”. L’intero gruppo di deputati qui considerati, con le eccezioni di Vitale (Nola) e di Rosano stesso (Aversa), dichiaratamente “oppositori costituzionali di sinistra” – appartiene allo schieramento ‘ministeriale’, filo – governativo, in pratica al ‘partito’ giolittiano. Certo, le sfumature non mancano, e i precedenti talora sono vari e interessanti, e lo attestano le connotazioni che si sono riportate traendole dagli studi e dai repertori consultati, oltre che, in maniera visibile e per certi versi ‘dimostrativa’, i settori e i banchi dell’aula nei quali ciascuno prende posto. Da segnalare ancora che sui 16 casi sotto osservazione (inclusi i tre afferenti alle elezioni suppletive) cinque si riferiscono a deputati che fanno il loro primo ingresso alla Camera (Cantarano, Capece Minutolo, Visocchi, Romano e Schanzer), due (Broccoli e Montagna) sono gia` stati deputati, ma non nella legislatura immediatamente precedente (XXa), nella quale invece risultano presenti tutti gli altri, tra i quali qualcuno, come Grossi, Leonetti (Caserta), Rosano stesso si trovano pero` nella duplice condizione e comunque devono considerarsi, accanto ai menzionati Broccoli e Montagna, il nucleo, per cosı` dire, dei ‘perduranti’. Il tasso di continuita`, nella legislatura 1900-1904, e` in ogni caso rilevante, riguardando in effetti 11 eletti su 16; e va inoltre detto che tra i candidati non eletti, almeno in prima battuta, vi sono deputati uscenti o comunque attivi in non poche legislature anteriori (in particolare, Morelli, Rosano e Verzillo). Quanto al rendimento istituzionale e ai ‘profili’ politico-istituzionali peculiari di questo primo gruppo di deputati che si sta esaminando, in parte possono valere le considerazioni piu` generali riguardanti l’intero quadro storico, a cui quindi si rimanda e in parte occorre riferirsi alle ricerche di studiosi quali in particolare Capobianco, Cimmino, Corvese, Musella ed a quelle di respiro piu` generale di Allum e Barbagallo. Dalle une e dalle altre si conferma la valutazione pesante dello stesso ‘ministerialismo’, espressione di un pieno e al tempo stesso condizionato appoggio della e dalla periferia
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al centro, al governo nazionale in carica, ricambiato con favori posti, prebende e opportunita` varie che vengono resi disponibili per il deputato e la cui gestione investe i modi e le finalita` con cui questi a sua volta opera, “fa politica” sul territorio locale di riferimento e alimenta in pratica la rete del consenso e del sostegno alla sua persona. In tal modo egli si abilita, o autoabilita, contemporaneamente a trasferire consenso e sostegno dal canto suo al centro che appunto cio` richiede e reclama. Cosı` i Romano, i Rosano, i Verzillo, i Montagna, come piu` tardi i Visocchi o i Casertano, o su un piano diverso i Leonetti (il “deputato notabile”) e persino gli Schanzer anche quando senatori e ministri, sono al centro di interessi e di un groviglio di cariche, partecipano attivamente alle contese amministrative locali, gestendo in prima persona, o per interposto fiduciario, la lotta con il seguito di faide furibonde per conseguire il controllo dei consigli comunali, delle sindacature, o della influente posizione assicurata dal Consiglio provinciale. Carriere ‘esemplari’ insomma non mancano, con comportamenti che in alcuni casi (Romano, Rosano, e non solo) sconfinano nella condotta irregolare o sicuramente illegale, cosı` come peraltro, e non potrebbe essere altrimenti, vengono segnalati esempi “al positivo”, anche restando nel campo, minato, del ministerialismo spinto, come era nello spirito dell’epoca e come dallo stesso governo centrale si premeva con ogni mezzo perche´ le cose andassero e continuassero ad andare in un certo modo. 3. L’esame della situazione relativamente alla seconda delle quattro legislature considerate, consente di rilevare intanto una percepibile riduzione del tasso di frequenza alle urne (votanti: – 2,0), in presenza, peraltro, di una tendenza al riequilibrio del divario fra regioni centro-settentrionali su questo terreno (+4,4 a livello nazionale). Il rapporto medio elettori/popolazione e` nella circostanza del 6,1 nell’ambito del casertano nel suo insieme (+0,5) con punte massime (9,5) a Piedimonte d’Alife e a Teano (7,5) nei turni suppletivi; minime ad Aversa (4,9) e a Piedimonte nel turno ordinario (5,1). Il consenso ai candidati vincitori risulta in media del 66,7, di circa dieci punti inferiore rispetto all’analogo valore registrato nella precedente legislatura. Spiccano tuttavia anche stavolta il 99,4 ottenuto da Francesco Montagna e il 98,7 di Michele Verzillo, rispettivamente ad Acerra e a Capua; il livello minimo di suffragi e` per Guglielmo Cantarano (46,6) a Gaeta, e per il generale Achille Mazzitelli nelle suppletive a Teano, con il 47,6. Nel turno ordinario, si osservano sei vittorie (su dodici casi) dei candidati di collegio su concorrenti, per lo piu` interni allo stesso schieramento, che
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conseguono maggiori o minori quote di suffragio. Nelle suppletive, sei casi su sei presentano oltre ai vincitori, candidati non eletti di varia consistenza e caratura, tra i quali per ben due volte il Lonardo, la cui elezione nel turno ordinario era stata annullata, sconfitto con minimo scarto di voti dal Galdieri, nel 1905, e dal Mazzitelli nel 1907, per soli 11 voti, dopo avere a sua volta vinto, sullo stesso Mazzitelli, nel 1906, il tutto, ovviamente, nel tormentato collegio di Teano. Compagine ampiamente ‘ministeriale’, come nelle previsioni, ma con un piccolo drappello di “costituzionali sonniniani” di piu` o meno recente acquisizione (Cantarano a Gaeta, Montagna ad Acerra, Visocchi a Nola) e del «costituzionale» avvocato Agostino Santamaria, deputato di Caserta (suppletive del 1905 in cui prevale su Alfonso Ruggiero, che riuscira` eletto, ai danni del Santamaria stesso, nella legislatura seguente, ma la cui elezione verra` comunque annullata). Numerosi i primi ingressi in parlamento (otto, di cui sei usciti dalle elezioni suppletive): Conte (Sora), Lonardo, Della Pietra (Nola), Galdieri, Mazzitelli, Santamaria, Scorciarini Coppola (Piedimonte d’Alife); confermati, rispetto al 1900-1904, Cantarano, Gaetani di Laurenzana (Piedimonte), Lucernari (Pontecorvo), Montagna, Romano (Sessa Aurunca), Schanzer, Visocchi (Cassino), Vitale (Nola); un ‘ritorno’, dopo le ultime tre presenze in altrettante legislature di fine Ottocento, per l’avvocato Emilio Morelli (S. Maria Capua Vetere), sconfitto dal conte Perla nella precedente tornata elettorale. Consistente tasso di continuita` ancora nella circostanza, a quel che pare, sebbene si profili una almeno altrettanto robusta tendenza al cambiamento, o all’avvicendamento di nomi e persone. In definitiva, considerate le presenze di quanti si sono affacciati alla vita parlamentare solo nella precedente legislatura, ‘prima’ dell’eta` giolittiana propriamente detta, si puo` parlare dell’avvio di un processo di consolidamento e di stabilizzazione della deputazione casertana, in sintonia e sincronia con la stessa fase della politica giolittiana e del suo rafforzamento. Insomma, sembrano orami lontani i tempi delle battute d’arresto di personaggi del calibro di un Rosano o di un Verzillo, e decisamente superata la fase della “quasi–fronda” antigiolittiana. Rinnovato l’astro, un po’ offuscato del pur onnipresente e onnipotente Montagna, e soprattutto in costante e impegnativa ascesa quello di Carlo Schanzer, e` proprio attorno a questi due esponenti che per qualche tempo e sull’onda dell’intensa attivita` legislativa del governo nazionale orientata favorevolmente nei confronti delle regioni meridionali sembra realizzarsi quel raccordo con la societa` civile, le esigenze e gli umori della comunita` di Terra di lavoro, sostanzialmente mancato o malamente inteso e peggio praticato fino ad allora. All’interno della Deputazione si
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accende un dibattito che investe finalmente proposte e progetti concreti, e una Commissione, o gruppo di lavoro, lavora su opzioni e modelli di intervento che riguardano il territorio, energie, risorse, sviluppi possibili. Se Montagna, in particolare, si fa sostenitore di un ruolo di grosso respiro per la Provincia nella delineazione di piani di utilizzo, gestione e distribuzione delle risorse idriche, Schanzer –nel pieno di una brillante carriera che dalla statistica e dalla profonda competenza amministrativa lo porta alla guida di ministeri oltremodo importanti – suggerisce soluzioni piu` avanzate sotto il profilo sociale e giuridico, soprattutto lascia intravedere la possibilita` – necessita` di un fronte comune fra industriali e agricoltori. Ma la ‘primavera’ casertana, di cui ha visto bene i tratti e i limiti Felicio Corvese, dura poco, anche perche´ i principali protagonisti e promotori, si defilano, arretrano di fronte alle indubbie difficolta` e si lasciano risucchiare nella consueta routine della ragnatela locale, dei ‘giri’ vorticosi, dei personalismi inconcludenti, dell’instabilita` endemica. Un’occasione sprecata, o almeno rimandata, e` il differimento di prospettive e messe a fuoco di piu` nette e incisive identita`, alla nuova leva di personale politico che sarebbe uscito dalla terribile prova del conflitto mondiale. 4. La terza legislatura della serie (XXIIIa), 1909-1913, mette ancora in evidenza quella doppia caratteristica rilevata nell’occasione precedente: aumento del numero degli elettori rispetto alla popolazione (6,9), mentre diminuisce la percentuale dei votanti (65,9) in calo di circa due punti. L’astensionismo su scala nazionale si riduce di oltre due punti, e vale la pena osservare che ormai la ‘forbice’ tra i valori estremi riportati alla Tabella 3 dagli 11 punti e mezzo del 1900 si e` ridotta a meno di un punto nove anni piu` tardi. Su scala micro-locale si oscilla tra le percentuali dell’8,9 (rapporto elettori su popolazione) di Teano nelle suppletive del 1912 (8,1 nel turno ordinario) al 5,1 di Aversa; e quanto al rapporto votanti sugli elettori si va dal 99,2 (Santamaria a Caserta nelle suppletive del 1910) e dal 99,0 (Visocchi a Cassino), al 49,7 (Capace Minutolo ad Aversa). La media corrispondente e` in ogni caso di 71,3, in netta risalita rispetto al 1904 ma ancora lontana dai valori del 1900. Le vittorie assolute dei candidati di collegio, in pratica senza dispersione di voti, si verificano solo in quattro casi (Montagna ad Acerra; Morelli a Santa Maria Capua Vetere; Visocchi a Cassino e Santamaria a Caserta nelle suppletive); in tutti gli altri, vi e` un candidato battuto, non eletto, con il suo vario patrimonio di consensi. Tra i ‘bocciati’, nomi illustri di deputati uscenti (Verzillo a Capua; Romano ad Aversa; Lonardo a Teano, su cui prevale prima Mazzitelli e poi, nel turno
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suppletivo, il generale Ernesto Mirabelli, dopo che il Lonardo stesso, pochi mesi prima, era prevalso sullo Zanfagna al ballottaggio con circa 700 voti di scarto; il Santamaria rimesso in gioco dall’annullamento dell’elezione di Alfonso Ruggiero a Caserta, e poi indiscusso, plebiscitario vincitore nelle suppletive del 1910). Per altri, come l’avvocato napoletano Federico Grossi, si tratta del deputato di Sora gia` eletto nel 1900 e questa volta finito, con meno di 200 voti, fuori portata rispetto ai quasi 3000 suffragi riversatisi sul conte Lucernari. Interessanti ‘annunzi’ – sempre tra i candidati non eletti – riguardano uomini come Teodoro Morisani, medico e docente presso l’Universita` di Napoli, piu` tardi deputato e poi senatore del Regno nella circostanza battuto dallo Scorciarini Coppola Angelo, anch’egli medico, gia` assessore e sindaco di Piedimonte d’Alife, consigliere provinciale, suscitatore di scuole di agricoltura e patron della Banca del Matese, e comunque deputato uscente. E ancora, Antonio Casertano, destinato a lunga quanto discussa carriera; Basilio Mazzarella, medico, consigliere comunale e provinciale, deputato, nella legislatura seguente (XXIVa), di Sessa Aurunca. Un cenno a parte, per il socialista Lollini, che contrasta, con 1563 voti, il successo del ministeriale Vincenzo Simoncelli, avvocato e docente di Diritto civile ed ecclesiastico presso l’Universita` di Roma. Nel complesso (16 personalita` censite) cinque nuovi ingressi in assoluto alla Camera (Enrico Buonanno per Capua, versatile giornalista e consigliere provinciale; Gaetano Ciocchi, a Sessa Aurunca, medico consigliere comunale e provinciale, nonche´ presidente del Manicomio di Aversa; Alfonso Ruggiero, la cui elezione a Caserta – come si e` detto – viene annullata; Vincenzo Simoncelli (Sora), gia` ricordato parlando del suo avversario socialista e infine Ernesto Mirabelli, menzionato in relazione al Lonardo e, soprattutto, Sottosegretario alla guerra dal 1911 al 1914 (ministero Giolitti). Un solo ‘ritorno’, Capace Minutolo (Aversa) e dieci conferme o rientri, insomma, danno l’idea insieme di un maggiore compattamento della deputazione, ed anche di un certo aumento di ‘peso’ della stessa, sia con i nuovi innesti sia con l’impennata della qualita` e prestigio delle carriere di alcuni almeno tra quelli che la compongono. 5. La legislatura che parte nel 1913 risente anzitutto della nuova legge elettorale varata finalmente dopo un iter complesso e dopo piu` di un tentativo per realizzare una riforma ancora piu` radicale. Anche cosı`, comunque, si quadruplica il corpo elettorale nazionale, con tutte le ripercussioni immaginabili nelle diverse sedi locali. Nel caso che si sta esaminando gli elettori (ambito casertano) passano da poco piu` di 57 mila a quasi 192
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mila, in percentuale rispetto alla popolazione dal 6,9 al 23, 0 per cento, valori tutti quanti, comparativamente, superiori a quelli fatti registrare dall’ambito napoletano e campano, e sulla stessa linea, in pratica, dei corrispondenti dati nazionali. Quanto ai votanti, la media che ascende al 60,5 per cento e` ancora di oltre cinque punti inferiore a quelle del 1909, e dunque si inscrive nella tendenza in atto, su cui ci si e` in precedenza soffermati, mentre regrediscono pesantemente gli indici di frequenza alle urne ai livelli di Napoli e Campania (anche, probabilmente in ragione dei vuoti creati dalle correnti emigratorie). Dall’andamento documentato per le singole realta` locali all’interno dello stesso comparto provinciale, si osserva che la piu` alta percentuale di elettori rispetto alla popolazione si registra a Nola (26,0) e la piu` bassa (21,0) a Sessa Aurunca; tra i votanti, piu` zelanti i casertani (74,9) e meno solerti i cassinesi (47,5). Per la prima volta nel periodo in esame, c’e` la possibilita` di verificare l’entita` dei voti validi (rispetto al totale dei votanti) e si e` in grado di apprezzare i sia pur minimi scarti tra le due grandezze e i relativi valori di riferimento. Si va in effetti dal 99,5 di Teano (8480 voti validi su 8516) al 95,5 di Aversa (7898 su 7953). Infine, i voti raccolti dai candidati per concretizzare la propria elezione a deputati. La media corrispondente sfiora il 71 per cento, di poco inferiore al valore omologo immediatamente precedente con una oscillazione che vede al livello piu` alto il cento per cento dei voti totalizzato da Ernesto Mirabelli a Teano, seguito dal 99,9 di Agostino Santamaria a Caserta e dal 99, 3 di Achille Visocchi a Cassino, quest’ultimo con alle spalle e in corso una ragguardevolissima carriera parlamentare che l’avrebbe piu` avanti portato a vari sottosegretariati e al ministero agricolo nonche´ al seggio senatoriale nel 1929; al livello piu` basso, il 49,9 di Basilio Mazzarella a Sessa Aurunca, il 50,4 di Gennaro Marciano, brillante giurista e co-ispiratore della riforma dei codici che succede all’inossidabile barone e industriale Francesco Montagna nel collegio di Acerra; ed il 51,0 raggiunto da Vincenzo Simoncelli a Sora. Nel suo insieme, la deputazione (13 rappresentanti) presenta ben quattro ulteriori nuovi ingressi alla Camera, nelle persone del Marciano, appena ricordato, di Basilio Mazzarella (Sessa A.), Teodoro Morisani (Piedimonte d’Alife) e Fulco Tosti di Valminuta (Gaeta), quest’ultimo, nobile e ammiraglio, capo di gabinetto al Ministero della Marina, sottosegretario agli Esteri (1922) e senatore, nonche´ presidente della Lega navale. I restanti nove sono deputati uscenti riconfermati dal voto. In nove casi la vittoria del deputato di collegio si realizza attraverso il contrasto, e quindi la sconfitta, di un antagonista al quale e` andata comunque una parte
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di consensi. Di nuovo si ritrovano, tra i candidati non eletti, i nomi del Dumuet a Capua, di Casertano a Nola, del socialista Lollini a Sora; per la prima volta compaiono invece quelli di Epifania ad Acerra (dove al terzo posto si incontra il Montagna, l’antico ‘signore’ del collegio); di Antonio Indaco a Santa Maria Capua Vetere, personaggio di spicco del socialismo e del sindacalismo rivoluzionario in Terra di Lavoro; di Paone a Gaeta e di Persico a Pontecorvo. ‘Bocciati’ eccellenti, i deputati uscenti Ciocchi (Sessa A.) e Scorciarini Coppola (Piedimonte). Senza storia le vittorie di Capace Minutolo (Aversa), Mirabelli (Teano), Santamaria (Caserta) e Visocchi (Cassino). In questa occasione, comunque il fenomeno del rinnovamento della rappresentanza e` un dato comune, a tutto il territorio nazionale e sui 146 nuovi deputati che si costituiscono, poco meno di un terzo riguardano il Mezzogiorno. Secondo Giuseppe Capobianco, l’appassionato e non dimenticato storico di Terra di Lavoro, che imputa comunque alla scarsa consapevolezza della propria identita`, o direttamente a crisi o insufficienza oggettiva di identita`, la debolezza del ceto politico locale provinciale, con il 1913 si e` aperta una nuova fase nel processo di formazione e selezione della classe politica, per l’apporto degli elementi socialisti e radicali che pure esterni al collegio risultano tuttavia portatori di fermenti e linfa nel dibattito politico del tempo. In piu`, e sempre per effetto di tale promettente avvio, si riduce il gioco manipolatorio orchestrato dal governo nazionale attraverso i prefetti, la cui influenza pertanto scema considerevolmente, e si riorienta la posizione e l’azione di personaggi influentissimi, come Achille Visocchi, il quale si avvicina al Nitti e conquista pure una prestigiosa caratura nazionale. E` un punto d’analisi importante e suggestivo, da cui bisognera` far ripartire nuove e piu` approfondite indagini.
Referenze bibliografiche P. Allum, Potere e societa` a Napoli nel dopoguerra, Torino 1975. P.L. Ballini, Le elezioni nella storia d’Italia dall’Unita` al fascismo, Bologna 1988. F. Barbagallo, Stato, parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno (1900-1914), Napoli 1974. G. Capobianco, Le tendenze del primo socialismo in Terra di Lavoro 1900-1925. Antonio Indaco e il sindacalismo rivoluzionario, Napoli 1983. Idem, Fascismo e modernizzazione. La scomparsa di Terra di Lavoro nel 1927, Caserta 1991.
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PER UNA STORIA ELETTORALE DI CASERTA
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Idem, Dal fascismo alla Repubblica di Terra di Lavoro in Per una storia di Caserta dal Medioevo all’Eta` contemporanea, a cura di E. Corvese e G. Tescione, Napoli 1993. Idem, La classe dirigente casertana dall’eta` prefascista alla fase che segue l’abolizione della provincia di Terra di Lavoro, in Caserta e la sua Diocesi in eta` moderna e contemporanea, a cura di G. De Nitto e G. Tescione, Napoli 1995. C. Cimmino, Democrazia e Socialismo in Terra di lavoro nell’eta` liberale (1861-1915), Napoli 1974. E. Corvese, Elites, mercato e istituzioni. Caserta e Terra di Lavoro nella seconda meta` dell’Ottocento (1848-1880), Caserta 1989. Idem, Gruppi sociali e governo del territorio dalla meta` dell’Ottocento alla prima guerra mondiale, in Caserta e la sua Diocesi in eta` moderna e contemporanea, cit. G. D’Agostino (con R. Vigilante), Il voto a Napoli prima e dopo il fascismo, in «Quaderni dell’Osservatorı´o elettorale», Regione Toscana, n. 15 (1985) (riproposto nel vol. Poteri, Istituzioni e Societa` nel Mezzogiorno contemporaneo, Napoli 1998). Idem, Caserta nell’eta` moderna, in Per una storia di Caserta..., cit. (riproposto nel vol. Poteri, Istituzioni e Societa` nel Mezzogiorno medievale e moderno, Napoli 1996). Idem, Politica e Mezzogiorno: un rapporto difficile, in «Mezzogiorno Europa», anno II, n. 2, marzo-aprile 2001; Societa`, elezioni e governo locale a Caserta (1946-1994), nel vol. Poteri, Istituzioni e Societa` nel Mezzogiorno contemporaneo, cit.(sulla scorta del saggio, in collaborazione con M. Mandolini, Un microcosmo regionale e meridionale in «Caserta. Economia e lavoro», a. IV, 1989. G. Galasso, Dalla Terra di Lavoro alla provincia di Caserta: travaglio e durata di un’antica circoscrizione provinciale, in Caserta e la sua diocesi in eta` moderna e contemporanea, cit. A.Malatesta, Ministri, Deputati, Senatori dal 1848 al 1922, Roma 194l. A. Mastropaolo, Elezioni in Storia d’Italia. Il Mondo contemporaneo, Firenze 1978. L. Musella, Politica e Societa` a Caserta in eta` giolittiana, in Per una storia di Caserta..., cit. Idem, Individui, amici e clienti. Relazioni personali e circuiti politici in Italia meridionale tra Otto e Novecento, Bologna 1994 Idem, Clientelismo, Napoli 2000. M.S. Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi, Bari-Roma 1996. La Provincia di Terra di Lavoro, a cura dell’Amminstrazione Provinciale di Caserta, 1961. La Campania in Storia d’Italia-Le Regioni dall’Unita` a oggi, a cura di P. Macry e P. Villani, Torino 1990. Storia della Campania, a cura di F. Barbagallo, Napoli 1978.
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Di Lorenzo
Gaetani di Laurenzana
Galdieri
9
10
11
Paolo Emilio
Luigi
Giovan Battista
Michele
Gioacchino
Emilio
Gaetano
Gerardo
Guglielmo
Enrico
Enrico
Nome
Teano
Piedimonte d’Alife CE
Sessa Aurunca
Capua
Nola
Sora
Sessa Aurunca, CE
Aversa
Gaeta
Capua
Teano/Caserta
Collegio
Roma, 1863
Sessa Aurunca, 1839
Capua, 1837
Nola
Sessa Aurunca, 1862
NA, 1856
Fondi, 1860
Capua, 1872
NA, 1841/2
Classe di eta`
Luogo di nascita
Nobile (conte)
Avvocato
Barone, generale
Medico
Nobile
Medico, lib. Docente
Pubblicista
Avvocato, pubblicista
Status e profession e
Seguace Crispi – piuttosto attivo in Commissioni Diplomatico (console, ambasciatore) – Cons. Provinc. CE
3: XIX – XXI 4: XIX – XXII
1: XXII
Militare; poco assiduo in parlamento
Cons. comunale Sessa A. e Cons. Provinciale CE, Presid. Manicomio Aversa; interessi scuola e sanita`
Attiva presenza parlamentare
2: XX – XXI
3: XXII –XXIV
1: XXII
4: XXIII – XXVI
1: XXIII
Dirett. Manicomio prov. Na; presid. Cons. Provinc. CE
Intensa attivita` giornalistica; Cons. Provinc.; cariche amministrative
1: XXIII 3: XXI – XXIII
Militare, magistrato (procuratore Tribunale BN), intellettuale (Conserv. Monumenti; Arch. Stor. Campano; Accademie); presiede Assoc. Costituz. (CE); fondatore giornale “il Patto costituzionale”
Cariche – Carriera Note
6: XIV-XVII; XIX, XXI
Presenze/Frequenze Legislature Corsive (1900-1913)
Deputati dell’ambito casertano in eta` giolittiana*
Fonti: A. Malatesta, Ministri, Deputati, Senatori dal 1848 al 1922, Roma 1941. F. BARBAGALLO, Stato, parlamento e lotte politico-soxiali nel Mezzogiorno (1900-1914), Napoli, Guida 1980. Dizionario Biografico degli Italiani
De Renzis
Ciocchi
5
8
Capece Minutolo di Bugnano
4
Conte
Cantarano
3
Della Pietra
Buonanno
2
7
Broccoli
1
6
Cognome
N..
Tabella 1A
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Marciano
Mazzarella
Mazzitelli
Mirabelli
Montagna
Morelli
Morisani
Perla
Romano
Rosano
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
Pietro
Giuseppe
Raffaele
Teodoro
Enrico
Francesco
Ernesto
Achille
Basilio
Gennaro
Annibale
Giuseppe
Raffaele
Federico
Caserta/Aversa
Sessa Aurunca
S. Maria Capua Vetere
Piedimonte d’Alife/CE
S. Maria Capua Vetere
Caserta/Acerra
Teano
Teano
Sessa Aurunca/CE
Acerra/Caserta
Pontecorvo
Teano
Caserta
Pontecorvo; Caserta Cassino, Sora
Aversa, 1847
S. Maria Capua V., 1858
S. Maria Capua V., 1856
Marigliano, 1848
Napoli, 1850
Moliterno, 1845
Sessa A., 1929
Napoli, 1863
Pontecorvo, 1856
Caserta, 1855
Napoli, 1838
Avvocato
Conte, avvocato
Medico, docente
Avvocato
Barone, industriale
Generale
Generale
Medico
Avvocato
Conte
Nobile, agronomo
Avvocato
Sottosegretario alla guerra Min. Giolitti 1911-14
Consigliere Comun. e assessore (S.M.C.V.) – intensa attivita` parlamentare Docente e clinico presso Univ. di Napoli – cariche pubbliche a NA – Senatore, 1839 – interessi problemi agrari e zootec. Magistrato e docente universitario (St. Diritto) – esperto giurisperito (codice penale) – Consigliere e Presidente Consiglio di Stato – Sernatore, 1909 Coinvolto nel processo “La Propaganda” (1907) e prosciolto – Cons. Provinc. Illustre penalista – attivo nelle lotte amministrative locali – Sottosegretario Interni e Ministro Finanze (1903). Coinvolto in scandalo Banca Romana; Cons. Provinc. CE
6: XVIII – XX; XXII – XXIV 3: XXIV – XXVI
1: XXI – ?
2: XXI – XXII 7: XV – XXI
Carriera militare
2: XXII – XXIII
Intensa attivita` parlamentare – Cariche locali
Consigliere comunale e provinciale
3: XXIV – XXVI
6: XVII – XIX; XXI – XXIII
Intensa attivita` giuridica – Comm. Parlamentare nuovi codici
2: XXIV – XXV
2: XXIII – XXIV
Sindaco di Pontecorvo – Vicepres. Cons. Provinc. Caserta
5: XX – XXV
*elez. annullate
Cons. Provinc. CE; Vicepres. Camera Comm.; Cons. Amminist. Banco Napoli; Consorzio Agrario Provinciale
4: XIX – XXII 2: XXII* – XXIII
Presid. Cons. Prov. – Caserta e altre cariche pubbliche
9: XIII – XXI
Fonti: A. Malatesta, Ministri, Deputati, Senatori dal 1848 al 1922, Roma 1941. F. BARBAGALLO, Stato, parlamento e lotte politico-soxiali nel Mezzogiorno (1900-1914), Napoli, Guida 1980. Dizionario Biografico degli Italiani
Lonardo
Lucernari
15
Leonetti
13
14
Grossi
12
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Santamaria
Schanzer
Scorciarini Coppola
Simoncelli
Tosti di Valminuta
Verzillo
Vitale
Visocchi
27
28
29
30
31
32
33
34
Achille
Tommaso
Michele
Fulco
Vincenzo
Angelo
Carlo
Agostino
Alfonso
Cassino/Caserta
Nola
Capua
Gaeta/Caserta
Sora
Piedimonte d’Alife
Aversa/Spoleto
Caserta
Caserta
Frosinone, 1863
Nola, 1857
Minturno, 1859
Napoli, 1874
Sora, 1860
Piedimonte d’Alife, 1852
Vienna, 1865
Napoli, 1859
Avvocato, industriale
Avvocato
Avvocato, giornalista
Conte, ammiraglio
Avvocato, docente
Medico
Avvocato, lib. Docente
Avvocato
Cons. Provinciale Direz. Generale Statistica – Vicebibliotec. Senato, Consiglio di Stato – esperto amministrativista – Dirigente Amministr. Civile – Senatore e Ministro (Poste, Tesoro, Esteri) 1906 – 1922; Cons. Sup. Sanita` e Cons. Benef. e assistenza Promotore 1a cattedra prov. Agricoltura di CE; consorzi e cooperative agrarie; Scuole di Agricolt.; Banca del Matese; assessore e sindaco Piedimonte; Cons. Provinc. CE; Cons. Amm. Manicomio Aversa; Camera Commercio CE; Cons. sanitario circondariale Docente univ. Roma (Ist. Dir. Civile ed Eccles.) – Direttore Istituto Autonomo pro orfani maestri elementari Ministero Marina e Senatore – Sottosegret. Esteri (1922) – Presid. Opera Naz. Assistenza Italia redenta e Lega Navale Partecipa attivamente lotte politico-amministr.locali; Tribunale S. Maria Capua Vetere; Cons. Provinc. CE; intensa pres. Parlamentare Sindaco Nola; attivo in lotte politico-amministrative casertane; presente in Giunte e Commissioni parlamentari Questore Uff. Presidenza Camera; Sottosegret. Lavori Pubblici e Tesoro; Ministro Agricoltura (1919-1920) – Senatore 1929
4: XXI – XXIV
2: XXII – XXIII
2: XXIII – XXIV
3: XXIV – XXVI
3: XVIII – XIX; XXII
5: XVII – XXII
7: XXI – XXVII
* elez. annullate; preside scuola superiore; giornalista; scrittore; Presid. Deputaz. Provinciale
3: XXII – XXIV
1: XXIII*
Fonti: A. Malatesta, Ministri, Deputati, Senatori dal 1848 al 1922, Roma 1941. F. BARBAGALLO, Stato, parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno (1900-1914), Napoli, Guida 1980. Dizionario Biografico degli Italiani
Ruggiero
26
Tabella 1A (continua)
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Guglielmo
Gerardo
Michele
Giovan Battista
Luigi
Federico
Raffaele
Annibale
Francesco
Raffaele
Achille
Cantarano ***
Capece*** Minutolo
De Renzis
Di Lorenzo*
Gaetani di Laurenzana*
Grossi*
Leonetti*
Lucernari*
Montagna**
Perla*
Visocchi***
Ministeriale – liberale, demolib.
Ministeriale
Ministeriale – maggioranza giolittiana
Ministeriale – costituzionale – centrosin.
Ministeriale – a sinistra
Ministeriale – a sinistra
Ministeriale – crispino – repubblicano, poi sinistra democratica
Ministeriale – crispino
Ministeriale – destra
Ministeriale – costituzionale – a sinistra
Ministeriale – costituzionale – a sinistra
Ministeriale – liberale – a destra
Schieramento-Colore politico – Posizionamento in aula
Cassino
S. Maria Capua Vetere
Acerra
Pontecorvo
Caserta
Sora
Piedimonte d’Alife
Sessa Aurunca
Capua
Aversa
Gaeta
Teano
Collegio
60576
65393
60279
67033
68096
64756
49575
66583
60419
63681
57273
59754
Popolazione
nuovo ingresso in assoluto gia` deputato/ritorno deputato nella legislatura immediatamente precedente
Angelo
Broccoli**
Legenda *** ** *
Nome
Cognome
Tabella 2A – Deputati alla XXIa legislatura (1900 – 1904)
3915 (6,4)
3149 (4,8)
3034 (5,0)
4513 (6,7)
3589 (5,2)
3723 (5,7)
2483 (5,0)
3139 (4,7)
3450 (5,7)
2746 (4,3)
3291 (5,7)
3897 (6,5)%
Elettori
2523 (64,4)
2188 (64,4)
2180 (71,8)
2585 (57,2)
2349 (65,4)
2430 (65,2)
1661 (66,8)
2560 (81,5)
2898 (84,0)
2248 (81,8)
2369 (71,9)
2817 (56,1)
Votanti
2453 (97,2)
1751 (80,0)
2152 (98,7)
2507 (96,9)
2288 (97,4)
1859 (76,5)
1069 (64,3)
1164 (45,4)
1860 (64,1)
1220 (54,2)
1320 (55,7)
1829 (77,4)%
Voti
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a) Morelli E. (Opp. Costituz. Sinistra; v. 372)
a) Bonacci T. (Opposiz. Costituz. Sinistra; voti 506)
a) Del Giudice M.V. (ministeriuale voti 552)
a) Romano Giuseppe (Opp. Costituz. Sinistra, voti 701)
a) Verzillo Michele (Opp. Costituz. Sinistra; voti 974)
a) R o s a n o P i e t r o ( O p p . C o s t i t u z . Sinistrtra, voti 974)
a) Amore O. (Ministeriale, voti 971)
Candidati non eletti (a) Ballottaggio (b)
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Carlo
Schanzer***
Ministeriale –
Opposiz. Costituz.Sinistra – centro – sinistra
Ministeriale – a sinistra
Opp.Costituz. Sinistra – liberale di sinistra
Aversa
Aversa
Sessa Aurunca
Nola
63681
63681
66585
61925
nuovo ingresso in assoluto gia` deputato/ritorno deputato nella legislatura immediatamente precedente
Pietro
Rosano*
Legenda *** ** *
Giuseppe
(SUPPLETIVE)
Tommaso
Romano***
Vitale*
2894 (4,5)
2683 (4,2)
2922 (4,3)
3922 (6,3)
Tabella 2A (continua) – Deputati alla XXIa legislatura (1900 – 1904)
2197 (75,9)
1906 (71,0)
2346 (80,2)
2573 (65,6)
2133 (97,0)
1825 (95,7)
1099 (46,8)
2518 (97,8)
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13-XII-1903
9/VI/1901
a) Di Lorenzo G.B. (voti 914, 6-1-1901)
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Gioacchino
Paolo Emilio
Giuseppe
Achille
Agostino
Angelo
Della Pietra***
Galdieri***
Lonardo***
Mazzitelli***
Santamaria***
Scocciarini*** Coppola
Suppletive
Tommaso
Romano*
Achille
Giuseppe
Morelli**
Vitale*
Enrico
Montagna*
Visocchi*
Francesco
Lucernari*
Carlo
Annibale
Lonardo***
Michele
Giuseppe
Gaetani di Laurenzana*
Verzillo**
Luigi
Conte***
Schanzler*
Guglielmo
Emilio
Cantarano*
Nome
Cognome
Ministeriale – a sinistra
Costituzionale – a destra
Ministeriale – a centro
Ministeriale
Ministeriale liberale costituz.
Ministeriale – sinistra costituzionale
Ministeriale
Costituzionale sonniniano
Ministeriale giolittiano – a sinistra
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale – a sinistra
Costituzionale Sonniniano
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Costituzionale Sonniniano
Schieramento-Colore politico – Posizionamento in aula
Piedimonte d’Alife
Caserta
Teano
Teano
Teano
Nola
Nola
Cassino
Capua
Aversa
Sessa Aurunca
S. Maria Capua Vetere
Acerra
Pontecorvo
Teano
Piedimonte d’Alife
Sora
Gaeta
Collegio
49575
68096
59754
59754
59754
619925
61925
60576
60419
63281
66585
65393
60279
67033
59754
49575
64756
57273
Popolazione
Tabella 2B – Deputati alla XXIIa legislatura (1904-1909)
4727 (9,5)
3778 (5,5)
4768 (7,9)
4771 (7,9)
4205 (6,7
4461 (7,2)
4264 (6,8)
4147 (6,8)
3886 (6,4)
3155 (4,9)
3544 (5,3)
3693 (5,6)
3486 (5,7)
4798 (7,1)
4360 (7,2)
2529 (5,1)
4097 (6,3)
4149 (7,2)
Elettori
4450 (94,1)
2785 (73,7)
3242 (67,9)
3185 (66,7)
3377 (80,3)
3089 (69,2 )
2495 (58,5)
2535 (61,1)
2859 (73,5)
2346 (74,3)
2709 (76,4)
2322 (62,8)
2195 (62,9)
3252 (67,7)
3565 (81,7)
1400 (55,3)
2525 (61,6)
2649 (63,8)
Votanti
2243 (50,4)
1381 (49,5)
1544 (47,6)
1599 (50,2)
1676 (49,6)
1658 (53,6)
2333 (93,5)
2333 (92,0)
2822 (98,7)
1625 (69,2)
1406 (51,9)
2251 (96,9)
2182 (99,4)
3189 (98,0)
1801 (50,5)
1117 (79,7)
1839 (72,8)
2237 (46,6)
Voti
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a) Laudisi G. (voti 1739) 29/IV/1906
a) Ruggiero A. (voti 1128) 12/II/1905
a) Lonardo G. (voti 1535) 16/VI/1907
a) Mazzitelli G. (voti 1582) 23/XII/1906
a) Lonardo G. (voti 1582) 14/5/1905
b) Ferrante V. (voti 1270) 16/XII/1906
a) De Rosa V. (voti 69)
a) Marino B. (voti 671)
a) Godio G. (voti 1014=
Elezioni annullate
Del Giudice A.V. (voti 70)
a) Zincone G. (voti 91)
a) Barone E. (ministeriale voti 1115)
Candidati non eletti (a) Ballottaggio (b)
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Gaetano
Ciocchi***
Enrico
Alfonso
Angelo
Vincenzo
Achille
Montagna*
Morelli*
Ruggiero***
Scorcianini Coppola*
Simoncelli***
Visocchi*
Giuseppe
Ernesto
Agostino
Lonardo*
Mirabelli***
Santamaria*
Suppletive
Achille
Francesco
Mazzitelli*
Gioacchino
Gerardo
Capece Minutolo**
Annibale
Guglielmo
Cantarano*
Lucernari*
Enrico
Buonanno***
Della Pietra*
Nome
Cognome
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Opposiz. Costituzionale
Ministeriale – liberale moderato – a centro
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Opposiz. costituzionale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale a sinistra
Schieramento-Colore politico – Posizionamento in aula
Caserta
Teano
Teano
Cassino
Sora
Piedimonte d’Alife
Caserta
S. Maria C.V.
Acerra
Teano
Pontecorvo
Nola
Sessa Aurunca
Aversa
Gaeta
Capua
Collegio
67076
60211
60211
65684
67904
48466
67076
66980
62608
60211
68356
61995
70318
67122
61972
61013
Popolazione
Tabella 2C – Deputati alla XXIIIa legislatura (1909-1913)
5226 (7,7)
5370 (8,9)
5337 (8,8)
4636 (7,0)
4754 (7,0)
2928 (6,0)
4944 (7,3)
4030 (6,0)
3758 (6,0)
4933 (8,1)
5233 (7,6)
5058 (8,1)
4223 (6,0)
3443 (5,1)
4839 (7,8)
4465 (7,3)
Elettori
2920 (55,8)
3382 (62,9)
3544 (66,4)
3065 (66,1)
3560 (76,7)
2054 (70,1)
3534 (71,4)
2566 (63,6)
2162 (57,5)
2543 (51,5)
3288 (62,8)
3647 (72,1)
3164 (74,9)
2815 (81,7)
3191 (65,9)
3277 (73,3)
Votanti
2897 (99,2)
1798 (53,1)
2081 (58,7)
3036 (99,0)
1815 (50,9)
1393 (67,8)
1835 (51,9)
2511 (97,8)
2132 (98,6)
2450 (96,3)
2948 (89,6)
2293 (62,8)
2092 (66,1)
1401 (49,7)
1903 (59,6)
1635 (49,8)
Voti
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12/VI/1910
a) Lonardo G. (voti 1515) 16/VI/1912
b) Zanfagna M. (voti 1389) 10/III/1912
a) Lollini V. (voti 1563), socialista
a) Morisani T. (voti 606)
a) Santamaria A. (voti 1645) elezioni annullate
a) Lonardo G. (voti 57)
a) Grossi F. (voti 198)
a) Casertano A. (s.; voti 1185)
a) Mazzarella B. (voti 968)
a) Romano G. (voti 1336)
a) Dusmet A. (voti 1268)
a) Verzillo M. (voti 1201)
Candidati non eletti (a) Ballottaggio (b)
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a
Nome
Enrico
Gerardo
Gioacchino
Annibale
Gennaro
Basilio
Ernesto
Enrico
Teodoro
Agostino
Vincenzo
Fulco
Annibale
Cognome
Buonanno*
Capece Minutolo*
Della Pietra*
Lucernari*
Marciano***
Mazzarella***
Mirabelli*
Morelli*
Morisani***
Santamaria*
Simoncelli*
Tosti di Valminuta***
Visocchi*
Opposiz. Costituz.
Ministeriale – liberale di destra
Ministeriale
Ministeriale – democr. Liberale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale – democr. Sociale – gruppo radicale
Ministeriale – demoliberale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Ministeriale
Schieramento-Col ore politico – Posizionamento in aula
Cassino
Gaeta
Sora
Caserta
Piedi monte d’Alife
S. Maria C.V.
Teano
Sessa Aurunca
Acerra
Ponte corvo
Nola
Aversa
Capua
Collegio
65684
61972
67904
67076
48466
66980
60211
70318
62608
68356
61995
67123
61013
Popolazione
16606 (25,2)
14950 (24,1)
16185 (23,8)
15516 (23,1)
12273 (25,3)
15604 (23,2)
14893 (24,7)
14810 (21,0)
14876 (23,7)
16705 (24,4)
16140 (26,0)
14171 (21,1)
13753 (22,5)
Elettori
Tabella 2D – Deputati alla XXIV legislatura (1913-1919)
7980 ()47,5
1564 (57,2)
9354 (57,7)
7689 (74,9)
7710 (62,8)
2908 (57,0)
8516 (57,1)
10630 (71,7)
9783 (65,7)
10247 (61,3)
10971 (67,9)
7953 (56,1)
9076 (65,9)
Votanti
7847 (99,4)
8461 (98,7)
9276 (99,1)
7617 (99,0)
7599 (88,5)
8759 (98,3)
8480 (99,5)
10538 (99,1)
9403 (96,1)
10165 (99,1)
10826 (98.6)
7898 (95,5)
8996 (99,1)
Voti validi
7796 (99,3)
4934 (58,3)
4740 (51,0)
7612 (99.9)
4676 (61,5)
6910 (78,8)
8480 (100, 0)
5293 (49,9)
4747 (50,4)
7612 (99,9)
6394 (59,0)
7525 (95,2)
4859 (54,0)
Voti
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a) Paone G. (2866); Tucci M. (657)
a) Lollini V. (4532)
a) Scocciarinni Coppola A. (2891)
a) Indaco A. (1849), socialista
a) Ciocchi G. (5212); 1˚ scrutinio: C. (4775); M. (4587)); Patriarca (84)
a) Epifania (2564); Montagna (2091)
a) Persico (3260); Nardone (1468)
a) Casertano A. (voti 4432); 1˚ scrutinio: D.P., 5030; C.:3392; Ferrante (voti 2105)
a) Dusmet A. (v.3578); Ranucci (v. 1044)
Candidati non eletti (a) Ballottaggio (b)
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171392 (5,4)/65,2
2248509 (6,9)/58,3
Campania
Italia
2541327 (7,5)/62,7
188012 (5,0)/65,2
60524 (5,0)/63,4
2930473 (8,3)/65,0
217455 (6,4)/65,1
71649 (5,6)/63,3
57066 (6,9)/65,9
Elettori/votanti
1909
8433205 (23,2)/60,4
768990 (22,2)/58,5
272409 (20,4)/53,2
191806 (23,0)/60,5
Elettori/votanti
1913
Elettori: Espressi in valori assoluti e percentuali rispetto alla popolazione e per provincia. Votanti espressi in percentuale sugli elettori. Fonte: Ministero per l’Assemblea Costituente. Statistiche elettorali.
55020 (4,9)/59,9
Napoli
49980 (6,1)/67,8
Elettori/votanti
Elettori/votanti
44941 (5,6)/69,8
1904
1900
Caserta
Tabella 3
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MATERIALI PER UNA STORIA ELETTORALE DELL’ABRUZZO (1946-1996)*
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1. Premessa Questi ‘materiali’ si propongono per cio` che il loro nome suggerisce che siano, e dunque dati e risultati secondo tipologie omogenee e in modo da facilitare raffronti, orizzontali e verticali, nonche´ elementi di analisi e interpretazione, spesso tecnica, pur se si spera non aridamente quantitativa, con ovvi rimandi alle tematiche e ai significati piu` generali. In questo senso l’intero saggio puo` dirsi un capitolo di una trattazione complessiva, ancorata alla storia ma non esclusivamente storica, sull’Abruzzo contemporaneo, almeno del mezzo secolo, e piu`, trascorso dalla nascita della Repubblica, e a tale trattazione rimanda costantemente, con essa integrandosi. Diversamente, una storia elettorale compiuta, in certo modo autosufficiente, implica un’articolazione del discorso assolutamente piu` ampia, che situando al centro il voto (espresso e non) come manifestazione di un sentire, un volere, un aderire, ed anche di un protestare, un desiderare, uno scambiare, ne abbraccia anche tutto il prima e tutto il poi, in termini di assetti e configurazioni sociali, individuali e collettivi, di condizionamenti territoriali, psicologici e antropologici, ma anche delle conseguenze in termini politici e istituzionali, sul terreno delle traduzioni, del voto stesso, in senso attivo, operativo, inclusi gli aspetti riguardanti vita e azione di movimenti, partiti e ceto politico, agenti sia al centro che in periferia. E` evidente che in questo caso, pur rispettando le regole di un approccio in chiave storico-sequenziale, e avendo il riferimento privilegiato nell’analisi ecologico-politica, ci si attestasse sul primo ambito, data anche la natura * Si ripropone il testo senza Appendice statistica; chi fosse interessato a consultarla, cfr. il saggio completo nella Storia regionale einaudiana, utilizzando i rimandi, le note e i riferimenti che sono stati invece qui conservati.
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
peculiare dell’opera nel suo insieme. Di qui, pertanto, i “materiali” con tutta una teoria di scelte e di ‘tagli’, imposta dai limiti di spazio ma anche dalla valutazione fatta circa la maggiore o minore rilevanza della documentazione principale. A tale riguardo, va precisato che si e` tenuto conto, come di due realta` distinte di riferimento, dell’Abruzzo-Molise (fino al 1963) e dell’Abruzzo in senso proprio; che il voto tenuto presente nella descrizione e nell’analisi e` stato a livello di consultazioni politiche generali, quello riguardante la Camera dei Deputati, piuttosto che il Senato, ripetitivo e il piu` delle volte ininfluente o poco influente sul piano interpretativo. Ovviamente, anche i dati elettorali concernenti il Senato sono stati inseriti nelle tabelle documentarie allestite, ma per essi non si e` proceduto alla particolare disaggregazione per grossi comparti territoriali e, soprattutto, per singole citta` capoluogo, e relative province, come invece operato con i voti politici destinati alla Camera dei Deputati. Per quanto attiene alle consultazioni elettorali di tipo amministrativo locale, l’attenzione si e` incentrata essenzialmente sul voto per il rinnovo dei Consigli comunali, seguito ad ogni sua scadenza; per i Consigli provinciali, si sono considerate le prime tornate elettorali (in pratica fino a meta` circa degli anni Sessanta) come quelle piu` significative, anche in relazione agli altri risultati concomitanti nell’ambito di una stessa fase. Le tornate successive, giudicate ormai ripetitive o di routine rispetto agli anni del primo insediamento e del rodaggio istituzionale, sono stati debitamente registrate e inserite nell’Appendice statistica. Annoverati dagli analisti, politologi ed esperti del settore tra i voti amministrativi, pur se di una categoria ‘speciale’, il voto regionale (a partire dal 1970) e quello europeo (dal 1979) sono stati oggetto di una specifica registrazione e attenzione, in pratica di una lettura ad un apprezzabile livello di disaggregazione territoriale (Italia – Mezzogiorno – Abruzzo – capoluoghi), soprattutto al fine di misurare, anche nel caso abruzzese, il grado di ‘indipendenza’ dell’elettorato nelle risposte a piu` stimoli e sollecitazioni, simultanei ma di natura essenzialmente diversificata, cioe`, in altre parole, l’esistenza, o meno, di ‘corsie’ rigide, come predeterminate. A se´ stante, il voto referendario, che non ha per sua natura, calendario o scadenze rigidi, e che da noi ha tipologia di pronunciamento popolare volto all’abrogazione, cancellazione di qualcosa che esiste nell’ordinamento e vi e` stato immesso attraverso leggi ordinarie, o parti di esse. Si tratta tuttavia di un indicatore assai sensibile del ‘polso’ di una societa`, di una comunita` (larga o ristretta che sia), soprattutto in presenza di temi e quesiti che toccano da vicino aspetti della coscienza e della sensibilita` collettive. Cio` spiega lo spazio che nel saggio vi e` stato riservato.
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MATERIALI PER UNA STORIA ELETTORALE DELL’ABRUZZO (1946-1996)
203
In ogni caso, quello che ne viene fuori e` il quadro di un comportamento elettorale non assimilabile immediatamente ai parametri propri del Mezzogiorno, ne´ di sue singole regioni in particolare. L’impressione prevalente e` che l’Abruzzo partecipi di orientamenti e opzioni, sul terreno elettorale e politico, solo in parte meridionali e, per il resto, da area centro-italiana. Beninteso, questo pur con le peculiarita` che gli sono proprie e che possono emblematicamente essere compendiate nell’intensita` del voto democristiano e di quello comunista (almeno sino a fine anni Ottanta – inizi anni Novanta), tale da configurare una singolare, quanto netta bipolarizzazione di suffragi e consensi. Peraltro le percentuali cosı` elevate a favore del maggior partito di governo indicano l’esistenza di un legame forte e resistente con le fonti del potere politico centrale, da cui ci si attende evidentemente molto, in termini di soddisfacimento delle esigenze e dei bisogni della societa` locale, ma anche di protezione lungo le varie fasi di un percorso di profonde e, se non guidate, destabilizzanti trasformazioni sociali e istituzionali. Di contro, l’altrettanto consistente richiamo, e corrispondente adesione, di cui e` protagonista la maggiore forza di opposizione, ha ragioni e radici specularmente opposte e – in maniera solo apparentemente paradossale – complementari. Insomma, una regione elettoralmente bifronte, con una interessante diversificazione al proprio interno, che ne ricalca l’intreccio forte tra storia e geografia, l’impatto dei tempi lunghi con quello dei tempi medi e brevi di congiunture ed eventi. Sotto tale profilo, se L’Aquila sembra mantenere, pur tra alti e bassi, una sua caratteristica fisionomia ‘di sintesi’ delle tendenze elettorali generali della regione, Chieti (e Campobasso, ma quest’ultima fino al 1963 ricade nel territorio abruzzese-molisano) ha opzioni di centro destra, Pescara di centro-sinistra o di sinistra, e Teramo intermedie tra quelle dell’una e dell’altra. D’altronde, si tratta di fenomeni e dati che emergono nettamente dai ‘materiali’ proposti e che si possono leggere con sufficiente chiarezza sin dai primi episodi della pluridecennale storia qui rievocata. Le cose certo appaiono avviate su binari diversi negli ultimi anni; una fase ancora troppo breve, comunque, per poter esprimersi in merito, e valutare se si sia dentro un’accidentata transizione o all’inizio di un nuovo lungo periodo compatto e omogeneo come quello ormai irrevocabilmente alle nostre spalle.
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
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2. Il triplice voto del 1946 Assai emblematicamente sotto il profilo della storia elettorale, il ritorno alla liberta` e alla democrazia, dopo il ventennio fascista, l’incubo della guerra e la decisiva esperienza resistenziale e` scandito appunto dal triplice appuntamento elettorale che matura nel 1946 ed attraverso il quale viene sancito il nuovo assetto istituzionale del paese al centro come nelle molteplici e diversificate realta` locali1. In Abruzzo2 – il primo voto politico, per l’Assemblea Costituente, rivela, a livello dell’insieme abruzzese-molisano, un orientamento nettamente polarizzato al centro, con due consistenti blocchi, a sinistra e, meno pronunciato, a destra; in piu`, un buon seguito per la componente laica intermedia. Concretamente, alla DC va oltre il 42 per cento, in termini assoluti piu` di 326mila voti sui 769mila validi (rispetto a 857468 votanti e circa 974000 elettori): un esito superiore sia ai corrispondenti valori nazionali, (32,5 per cento), sia alla media meridionale che non supera il 35 per cento3. Di contro, il risultato relativo alla sinistra, comunisti e socialisti, segue la tendenza inversa per quanto concerne il raffronto tra medie locali e medie nazionali, mentre sul piano del rapporto con il corrispondente voto meridionale ci si trova (socialisti) alcuni punti al di sopra. A destra, i valori sono nettamente superiori a quelli nazionali, ma considerevolmente distanti da quelli meridionali. L’area azionista-repubblicana, infine, ottiene un buon successo nettamente superiore al risultato nazionale e meridionale. Vanno pero` precisate entita` e qualita` di questo risultato misurato non 1
Il tema e` affrontato in G. D’Agostino (a cura di), Il triplice voto del 1946. Agli esordi della storia elettorale dell’Italia repubblicana, vol. 1, Napoli I, 1989, che resta l’unica analisi specifica destinata all’argomento. Cfr. pure, tuttavia, C. Ghini, L’Italia che cambia, Roma 1976, pp. 7 sgg. 2 Lo spazio elettorale della regione alla data cui ci si riferisce nel testo, e fino al 1963, risulta costituito dalle province abruzzesi in senso proprio (L’Aquila, Chieti, Pescara, Teramo), alle quali e` aggregato pero` il territorio molisano centrato sulla provincia di Campobasso (a sua volta, poi, accorpato in collegio con Benevento). Di qui, correttamente, la doppia denominazione, nelle raccolte statistiche elettorali, di Abruzzo-Molise o AbruzziMolise, per il periodo in questione, e di qui, anche, per noi la ravvisata opportunita` di organizzare i relativi dati nella duplice, distinta serie di Abruzzo-Molise da una parte, e di Abruzzo in senso proprio dall’altra, per confrontarli quindi utilmente. 3 Per i dati riguardanti le elezioni per l’Assemblea costituente, si veda la tabella I nell’Appendice statistica. Questa tabella (come altre che verranno indicate piu´ oltre) segue lo schema del doppio comparto: nel primo, i dati per il raffronto tra il duplice ambito regionale, il Mezzogiorno, l’Italia (dati generali); nel secondo, i risultati conseguiti nelle singole citta` e rispettive province (dati disaggregati).
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piu` sull’insieme, sostanzialmente piu` statistico che geopolitico, abruzzesemolisano, quanto piuttosto, e piu` a proposito in questa sede, a livello delle province de L’Aquila, Pescara, Chieti e Teramo (inclusi i rispettivi capoluoghi). In questo caso, le osservazioni gia` fatte a proposito della DC, sono confermate e, anzi, accentuate (oltre il 43 per cento dei suffragi, pari a circa 250mila voti su una platea di voti validi che ascende a 524mila). Nettamente piu` elevato e` il consenso raccolto dalla sinistra, nonche´, e soprattutto, dimezzati appaiono i valori relativi alla destra, sia nel caso delle formazioni liberal-monarchiche (da 9,6 a 5,9 per cento) che dell’Uomo Qualunque (da 7,1 a 4,6). In pratica, un voto, quello abruzzese in senso proprio, che si differenzia da quello generale “bi-regionale” per dir cosı`, in ragione, in particolare, del diverso rapporto tra voto di sinistra e voto di destra, con le conseguenti implicazioni politiche di cui si parlera` piu` avanti. In ogni caso, i dati su cui ci siamo appena soffermati, vanno ulteriormente approfonditi attraverso l’analisi degli apporti che provengono dai singoli, specifici ambiti territoriali che concorrono a costituirli, segnatamente dai quattro capoluoghi abruzzesi, con i rispettivi ambiti provinciali, e allo stesso modo, da quello molisano. Intanto per quattro delle almeno cinque citta` vale l’osservazione previa relativa alla modesta densita` di concentrazione della popolazione votante che vi si riscontra (tra un sesto e un settimo del totale dei voti validi), rispetto agli stessi comparti provinciali4. Quindi, va messa in conto la diversificazione delle tendenze e dei comportamenti al voto che si registra fra i vari contesti urbani presi in esame. Cosı`, a Pescara i consensi della DC sono relativamente contenuti (al di sotto del 30 per cento), mentre a L’Aquila e a Teramo superano la media di collegio e a Chieti le sono inferiori di meno di un punto. Per la sinistra, Teramo e Pescara costituiscono solide basi seguite dall’Aquila, mentre Chieti regge, nella fattispecie, il fanalino di coda. Senza paragone la consistenza dell’UDILL a Chieti, rispetto alle altre realta` cittadine e forti percentuali per la destra ancora a Chieti e a Pescara (prevalenza dell’Uomo Qualunque). Gli scostamenti piu` significativi tra citta` e corrispondente provincia si notano a Teramo, per quanto riguarda il voto a comunisti e socialisti (nove punti in meno ai primi da parte della provincia, rispetto al capoluogo, e 4 Cfr. ancora la tabella I, relativamente ai risultati disaggregati a livello di citta` capoluoghi e relativi ambiti provinciali.
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quattro punti in piu` ai socialisti nella stessa direzione), a Chieti nel caso dei repubblicani e dell’Uomo Qualunque, rispettivamente piu` forti e piu` debole in provincia. Quest’ultima tendenza riguarda, sempre per l’Uomo Qualunque, anche la provincia pescarese mentre l’UDN raddoppia i propri suffragi nel Teramano, rispetto al corrispondente dato cittadino. Quanto a Campobasso, la provincia fa registrare un consenso verso la DC, solidamente primo partito, che sfiora il 40 per cento, e dunque e` meno alto che altrove, e al di sotto della media, sia abruzzese che di insieme. Cio` trova riscontro nei bassi valori percentuali verificabili a sinistra nell’area laica intermedia, e, corrispondentemente, nel 40 per cento di suffragi che vanno alla destra nelle sue varie componenti (piu` della meta`, comunque, all’UDN). A livello cittadino, il voto a sinistra e` ancora piu` contenuto (ai socialisti, comunque, va il doppio del consenso accordato ai comunisti); meno suffragi alla DC; primato netto per l’Uuomo Qualunque, che vola verso il 40 per cento. Questo voto, sostanzialmente di centro-sinistra a livello abruzzese e di centro-destra in territorio molisano, parzialmente riequilibrato se osservato nell’insieme, trova riscontro nel pronunciamento referendario5. La percentuale favorevole alla monarchia in ambito abruzzese-molisano sfiora il 57 per cento, superando il corrispondente risultato nazionale, ma restando assai lontano dalla media meridionale (67,4). Nel solo comparto abruzzese, il voto monarchico scende al 53,3 (un punto in meno rispetto al 54,3 nazionale) e si allontana cosı` vieppiu` dai parametri del Mezzogiorno continentale. L’esame ravvicinato per singola citta` e provincia, poi, mostra una scala filomonarchica discendente dai valori record di Campobasso e di Chieti, passando per L’Aquila (53,3) e quindi arrivando al responso capovolto di Teramo e soprattutto Pescara, dove vince la repubblica, con percentuali, nel caso del capoluogo adriatico, piu` che “italiane”. Anche in questo caso, comunque, tra citta` e provincia si osservano considerevoli scostamenti: a Chieti e a Campobasso, in particolare, i voti urbani sono assai piu` consistentemente a favore della monarchia, rispetto agli analoghi 5
Sul referendum istituzionale del 2 giugno 1946 cfr. tab. 2 (dati generali e dati disaggregati). Sull’istituto referendario e sugli aspetti delle prospettive storico-elettorale e politicoistituzionale, D’Agostino (a cura di), Il triplice voto del 1946 cit., si veda A. Chimenti, Storia dei referendum, Bari 1993; nonche´ i miei lavori: Alla ricerca di un futuro. Il voto a Napoli dal 1980 al 1985, Napoli 1987; La posta in gioco. Politica ed elezioni a Napoli (e in Italia) dal 1987 al 1992, Napoli 1992; Per una storia delle istituzioni parlamentari, Napoli 1994. Da ultimo, M. Caciagli e P.V. Uleri (a cura di), Democrazie e Referendum, Bari 1994.
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valori espressi dalle rispettive province. Anche Teramo e Pescara hanno un epicentro urbano piu` ‘radicale’ nelle proprie scelte monarchiche, pur se qui minoritarie rispetto all’opzione repubblicana. E` questo, comunque, un tratto proprio del voto monarchico (e di destra) che accomuna questi territori al piu` generale comportamento delle regioni meridionali, e rivela la minore propensione filomonarchica delle campagne rispetto alle citta`6. Per quel che riguarda il voto amministrativo, va segnalato che le elezioni per la ricostituzione degli organismi democratici di governo locale, dopo l’involuzione determinata dal fascismo in tale delicato segmento istituzionale, hanno luogo, qui come altrove, in due tornate, a cavallo del fatidico appuntamento del 2 giugno. Ne deriva che per Pescara, Chieti e Teramo, dove si vota tra marzo e aprile del 1946, si tratta in assoluto della prima manifestazione di libera espressione politica, dopo il fascismo, mentre per L’Aquila il “battesimo delle urne” si concretizza proprio in occasione del voto del 2 giugno che nel caso specifico precede di alcuni mesi la consultazione amministrativa di ottobre7. Accanto, dunque, alle influenze locali, quando non localistiche, al peso ed alle caratteristiche proprie delle elezioni municipali, va pure ipotizzata una diversa interazione tra voto amministrativo e voto politico nei casi in cui sia il primo a precedere, e viceversa. Se si raffrontano tra loro, tali suffragi indicano per Pescara e Teramo un minore consenso alla DC sul versante amministrativo, che poi risale vistosamente – come si e` gia` visto – il 2 giugno, salvo che a Chieti dove avviene esattamente, e in dimensioni clamorose, l’inverso (effetto della presenza dell’UDILL). Il fenomeno di una maggiore polarizzazione del voto a sinistra si presenta nei tre capoluoghi appena citati, soprattutto a Teramo e poi a E` noto il giudizio di M. Rossi-Doria, Fu l’inizio al Sud della riscossa popolare, in «Avanti», 2 giugno 1976. 7 Cfr. tab. 3. A titolo di migliore orientamento si puo` precisare che in queste elezioni amministrative i totali dei voti validi ascendono per L’Aquila a 17869, Chieti 15776, Pescara poco meno di 25000, Teramo 15050 e Campobasso 13666. Con riferimento a Pescara e piu` in generale all’Abruzzo, si veda C. Felice, Bandiera rossa e gonfalone: la vicenda pescarese nel 1948, in Archivio di stato di Pescara, Pescara, la sua memoria, i suoi archivi, Pescara 1999, pp. 45-59. Cfr. anche D’Agostino (a cura di), Societa`, elezioni e governo locale in Campania, Napoli 1990; nonche´ per un’utile comparazione di due casi vicini e diversi, il mio saggio Per una storia politica ed elettorale della Campania, in P. Macry e P. Villani (a cura di), La Campania, in Storiaq d’Italia. Le regioni dall’Unita` a oggi, Torino 1990, pp. 1029 sgg. 6
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Pescara e, assai meno, a Chieti; un consenso destinato a ridimensionarsi nel successivo pronunciamento politico, a riprova della evidente correlazione tra orientamento di sinistra e orientamento di centro nel contesto del diverso condizionamento operato dalla duplice configurazione di voto. Meno ‘lineare’ la condotta dell’elettorato di destra, piu` influenzato da fattori contingenti legati alla scena locale. Anche nel caso aquilano – l’unico, come si e` detto, a calendario ‘invertito’ – la DC, comunque partito di maggioranza relativa anche sul piano amministrativo, perde rispetto al voto politico precedente ben 14 punti percentuali, e conta su una quota di elettori, in valori assoluti, che e` di quasi un terzo inferiore all’elettorato socialcomunista, mentre il 2 giugno ha conseguito da sola un risultato quasi doppio di quello fatto registrare da PCI e PSI. Da segnalare, sempre a L’Aquila, il 15,8 dell’Uomo Qualunque che quattro mesi prima non e` andato oltre il 6,4 (e ancor meno a livello provinciale). Un voto d’esordio alla storia elettorale regionale abruzzese dell’eta` repubblicana quello espresso nel 1946 che si connota come si e` visto in maniera peculiare e nel quale confluiscono motivi, esigenze e spinte molteplici. Vi sono, e giocano il loro ruolo, le ragioni della geografia, della posizione e del territorio, sia interne che in relazione all’intero contesto nazionale, proprie di un ambito spaziale situato al centro, con propaggini meridionali, quasi un ponte tra due ampie fasce geografiche, appunto. Vi sono, e non meno importanti, quelle della storia, la piu` lontana e profonda come la piu` prossima. Sotto tale profilo, sarebbe fuorviante non tenere adeguatamente conto dell’impatto con il deperimento dello stato liberale e con l’avvento del fascismo, del modo in cui viene vissuto il ventennio dell’autoritarismo politico e istituzionale, con le sue implicazioni, nonche´ di quello che accompagna l’uscita dal tunnel della guerra – esperienze qui davvero ravvicinate e drammaticamente quanto direttamente coinvolgenti – e si sostanzia in un avvio significativo di processo resistenziale e antifascista8. 8 Senza volersi addentrare sul terreno, insidioso, delle statistiche elettorali per il periodo che segna il passaggio dallo Stato liberale, in crisi, al fascismo, segnaliamo che se nel 1913 i 285998 votanti (sui 381448 elettori, pari al 24 per cento della popolazione del comparto Abruzzi-Molise) hanno dato uno schiacciante 64 per cento ai liberali, il 28 ai radicali e l’8 ai social-riformisti, nel 1919 liberali, democratici e radicali si dividono circa il 25 per cento dei suffragi (su 556145 elettori), i socialisti il 10, i popolari tra il 6 e il 7, i combattenti tra il 10 e il 12. Nel 1921, i liberali sono al 76 per cento, i socialisti ufficiali al 15, i popolari al 7 e i comunisti all’1,7; tre anni piu´ tardi, il «listone» fascista consegue quasi il 90 per cento dei suffragi contro il 3,9 degli «aventiniani» e il 6 dei socialisti. Quanto alla Resistenza, cfr. C. Colacito, La Resistenza in Abruzzo (1943-1944), in «Il Movimento di Liberazione in Italia»,
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In questo senso il voto abruzzese, piu` ancora di quello abruzzesemolisano, mediato da un ceto politico locale che ha piu` radici nel cattolicesimo politico che nel nobilitato prefascista, di stampo liberale, rivela certo la ricerca di nuovi referenti in grado di corrispondere al rinnovato bisogno di interlocuzione, se non di protezione, ma esprime pure un non trascurabile impulso all’apertura e all’uscita in avanti dai traumi degli ultimi anni, risultando piu` contenuta di contro la tendenza propria invece a larga parte del Mezzogiorno ad una ripresa dei comportamenti conservatori e tradizionalisti, con il corollario di una non identificazione immediata della DC come agente politico trainante del vecchio e nuovo corso. In sostanza in Abruzzo sembra prefigurarsi sul terreno elettorale, e pertanto con qualche anticipo, rispetto anche ai processi reali di qualche anno e decenni piu` tardi, quella caratteristica di regione-cerniera di transizione, fra centro e sud del paese, nel quadro di un certo equilibrio fra le diverse componenti sociali e le rispettive opzioni e tendenze. Cio` che farebbe pensare a scelte indirizzate positivamente nel momento in cui, nel corso del 1945, il ‘gioco’ politico istituzionale si riapre, il rapporto tra societa` civile, politica e istituzioni si rimette in movimento, scelte tali da confermarsi – pur in un quadro non lineare ne´ statico – anche in seguito e per questa via contribuire al loro stesso consolidamento e al rafforzamento della capacita` di guida e controllo dei processi sociali successivi. Anche qui, in ogni caso, primato della politica su economie e societa`, nonche´ predominio democristiano, nell’intreccio tra consenso e controllo, ma nella cornice 9 di un modello abruzzese dalle spiccate caratteristiche e modalita` . 1954, n. 30, pp. 3 sgg; C. Felice, Guerra, Resistenza, dopoguerra in Abruzzo. Uomini, economie, istituzioni, Milano 1993, soprattutto pp. 151-77; ID. (a cura di), La guerra sul Sangro. Eserciti e popolazione in Abruzzo (I943-I944), Milano 1994. 9 Tra gli eletti abruzzesi, usciti dalle elezioni politiche del 1946, figurano – tra gli altri – i comunisti Umberto Terracini e Bruno Corbi; i democristiani Giuseppe Spataro (avvocato chietino, classe i 1897, capolista e primo eletto), Alfredo Proia (industriale cinematografico, da Pescina, classe i 890, in nona posizione nella lista ma secondo eletto), Vincenzo Rivera (ordinario nell’Universita` di Roma, aquilano, classe 1890), Filomena Delli Castelli (docente di lettere nelle scuole medie, pescarese, classe 1916), Mario Cotellessa (medico e docente universitario, da Lanciano, classe 1897), Giuseppe Castelli Avolio (consigliere di Stato, napoletano, classe 1894), Arnaldo Fabriani (docente di lettere nei licei, aquilano, classe 1898). E ancora, per il Pri, Raffaele Paolucci (avvocato chietino, piu´ tardi passato al Psi, classe 1903); il liberal-monarchico Carlo Bassano e i socialisti Emidio Lopardi e Secondino Tranquilli (Silone). Nel collegio XXII (Benevento e Campobasso) compaiono i nomi di Francesco Colitto, Raffaele De Caro, Antonio Cifaldi, Battista Bosco Lucarelli, Michele Camposarcuno, Giovanni Perlingieri. Non si pretende, ovviamente, da questi pochi dati (ma, per inciso, si nota come ancora negli anni immediatamente successivi circolino gli stessi nomi, con qualche ancora sporadico inserimento) tirare conclusioni sociologiche o politi-
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3. Assestamento e consolidamento delle tendenze elettorali di fondo (1948-60) Il 1948 e` l’anno del trionfo elettorale (annunciato?) della DC, la quale ha messo evidentemente a frutto la lezione dei risultati, sia politici sia amministrativi, del 1946, ha rotto le alleanze politiche al centro con la sinistra socialista e comunista, ha scompaginato, soprattutto nel Mezzogiorno, le file dello schieramento di destra, incuneandovisi, ha cavalcato, a proprio vantaggio, la congiuntura internazionale, ha rinsaldato infine il proprio radicamento sul territorio spingendo per tutte le forme di collateralismo conformi e funzionali alla propria ispirazione, a partire dalle aggregazioni interne al mondo ecclesiastico e della religiosita` organizzata10. Analizzando i dati a livello nazionale e dei grandi comparti territoriali, emerge la posizione egemone del partito scudo-crociato che sfiora la maggioranza assoluta a livello dell’intero paese, ma la consegue, sia pure di un soffio al che; tuttavia lo spaccato che emerge – soprattutto in casa democristiana – di un ceto politico eminentemente di raccordo fra periferia e centro, proveniente dall’insegnamento e dalle carriere liberali, di eta` media attorno ai cinquant’anni, con significative eccezioni rappresentate da alcuni trenta-quarantenni, in nettissima prevalenza di sesso maschile, e` piuttosto illuminante. D’altronde, questo del ceto politico e amministrativo locale, elettivo, e` un tema di grosso interesse, strettamente intrecciato all’ambito complessivo degli studi elettorali, come a piu´ riprese e in piu´ sedi ci siamo sforzati di illustrare, sulle orme di studiosi quali Percy Allum, Mario Caciagli, Mauro Calise, Maurizio Cotta, Paolo Farneti, Giorgio Galli, Gabriella Gribaudi, Renato Mannheimer, Alfio Mastropaolo, Gianfranco Pasquino e altri, i cui saggi e volumi sono ben noti – anche al di la` della cerchia dei lettori specializzati – e in ogni caso agevolmente identificabili. In ambito piu´ strettamente abruzzese, oltre a C. Felice, Bandiera rossa e gonfalone cit., cfr. S. Setta, Lineamenti di geografia elettorale.L’Abruzzo dal 1946 al 1970, L’Aquila 1971; L. Ponziani, Notabili, combattenti e nazionalisti. L’Abruzzo verso il fascismo, Milano 1988; per il Molise, cfr. G. D’Agostino e M.L. Lolli, La «marginalita` complessa». Il Molise fra innovazione e tradizione, Napoli 1990 (per conto del Consiglio Regionale del Molise). In territorio campano, meridionale e napoletano, oltre alle opere gia` segnalate, cfr. pure S. Minolfi e F. Soverina, L’incerta frontiera. Saggio sui consiglieri comunali a Napoli, I946-I992, Napoli 1993 (nella collana dell’Istituto campano per la Storia della Resistenza, « Il presente come storia», n. I). Una notevole impresa scientifica collettiva, maturata nell’ambito della rete nazionale degli Istituti storici della Resistenza e dedicata al tema del ceto politico locale, ha prodotto importanti risultati pubblicati in diversi volumi. Infine, contengono importanti spunti sull’argomento: N. Gallerano (a cura di), L’altro dopoguerra. Roma e il Sud 1943-I945, Milano 1985; G. D’Agostino e P. Villani (a cura di), Alle radici del nostro presente. Napoli e la Campania dal fascismo alla Repubblica (I943-1946), Napoli 1986 (nei «Quaderni dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza», n. I). 10 Sulla Dc nel 1948, cfr. G. Galli, Storia della Democrazia Cristiana, Bari 1978. Sul 18 aprile, piu´ in generale, cfr. S. Fedele, Fronte Popolare. La Sinistra e le elezioni del 18 aprile I948, Milano 1978.
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sud, e la supera abbondantemente nell’ambito abruzzese in senso stretto (53,7%) e in quello abruzzese-molisano (54,3%)11. Un risultato del genere, su scala nazionale, trova corrispondenza nella tenuta della sinistra (insieme, centro democristiano e sinistre raggiungono il 90 per cento dei suffragi) e nella scarsa incidenza, in termini elettorali, della presenza degli altri attori in campo (partiti laici intermedi e, piu` ancora, blocco di destra). Non cosı` pero` nel Meridione, dove il consenso delle liste di sinistra e` sensibilmente minore mentre liberali, monarchici ed estrema destra raggiungono quasi il 20 per cento. La regione abruzzese, e ancor piu` marcatamente, quella abruzzese-molisana, se per un verso enfatizzano il dato del successo democristiano (tra i piu` vistosi del Centro-Sud), per l’altro confermano la prima, un piu` evidente orientamento di sinistra, rispetto alla seconda in cui, proporzionalmente, e` piu` consistente il voto di destra (12 per cento), in termini, quindi, piu` vicini, o meno lontani, rispetto alla fisionomia elettorale del Mezzogiorno nel suo insieme. Le cinque province, e rispettivi capoluoghi, concorrono al risultato complessivo di cui si e` detto in maniera articolata e diversificata12. In assoluto e` Chieti, citta` e ambito provinciale, la roccaforte della DC, con percentuali oscillanti rispettivamente tra 62 e 60 per cento, con una significativa differenziazione tra voto di sinistra piu` alto in provincia e orientamento di destra piu` marcato nello spazio urbano. Va tuttavia segnalato un voto repubblicano insolitamente cospicuo in riferimento allo specifico gruppo politico beneficiario. Oltre la maggioranza assoluta si proietta la DC anche ad Aquila (citta` e, assai piu`, provincia); nell’insieme, il voto aquilano e` anche quello che meglio rispecchia, e compendia, il voto dell’Abruzzo. Diversamente, Teramo e Pescara, pur avendo soprattutto la prima sempre la DC posizione preminente, indicano una capacita` di presa, da parte della sinistra (inclusa Unita` Socialista) sull’elettorato, che raggiunge soglie percentuali intermedie tra 40 e 50 punti, superiori ai corrispondenti dati italiani. In piu`, territorio urbano e territorio provinciale, sono, nei casi di cui stiamo trattando, piu` omogenei tra loro di quanto riscontrabile altrove. Infine Campobasso che da` evidentemente il maggior contributo al tono elettorale alla ‘combinazione’ abruzzese-molisana vede la DC oltre il 56 per cento in provincia (ma meno di 47 in citta`), con una 11 Cfr. tab. 4, in particolare per le elezioni politiche del 1948 (dati generali) . In relazione al voto politico ci si limita, in questo caso come nei successivi, ai dati per l’elezione della Camera dei deputati. Per il Senato, un quadro generale si puo` vedere nella tabella 32 dell’Appendice statistica. 12 Cfr. tab. 5, ancora per le elezioni politiche del 1948 (dati disaggregati).
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netta superiorita` del voto di destra (33 per cento in citta` e oltre 24 in provincia),in particolare liberalmonarchici, rispetto al corrispondente risultato conseguito dalla sinistra. Insomma, un voto di centro e in seconda battuta, di sinistra, piuttosto che di destra, sulla scia di quanto s’e` gia` osservato a proposito del 1946, con il che si conferma anche la collocazione della regione lungo l’asse SudCentro-Nord del paese. In piu`, va considerata l’assoluta crucialita` dell’appuntamento politico del 1948, un’elezione ‘chiave’ nella storia complessiva del paese, caratterizzata dall’intensa mobilitazione e dalla contrapposizione frontale, ideologica, tra i due blocchi, proiezioni dei blocchi, parimenti contrapposti, a livello internazionale13. Ma anche sotto tale profilo, si puo` parlare, tutto sommato per l’Abruzzo, di un tono generale piu` discreto ed equilibrato, espressione, si direbbe, di una comunita` meno esposta e meno attraversata da tensioni, sociali, ma non solo, suscettibili di polarizzarsi in una sola direzione. Sicuramente orientata, beninteso, sulla base di opzioni precise e meditate, ma, insieme, con un contemperamento, globale, delle espressioni politico-elettorali dei singoli e dei cittadini associati, delle porzioni di territorio, ciascuna con una propria fisionomia e vocazione, ma tendenti all’incastro, non traumatico ne´ oppositivo. In termini strettamente politici, e` naturale, peraltro, che l’esito della consultazione predisponga e legittimi anche qui, la fase del «centrismo stabile» sotto l’attenta regia di De 14 Gasperi, cornice entro cui si avvia la ricostruzione postbellica del paese . Il quadro appena delineato, che fissa una situazione colta per cosı` dire in maniera istantanea, quasi statica, e soprattutto rende ragione di rapporti di forza e di equilibri a livello politico nazionale, appare parecchio piu` mosso e variegato via via che ci si inoltra negli anni Cinquanta e che maturano le nuove scadenze elettorali amministrative. In particolare si vota, per lo piu`, tra il 1951 e il 1952 (ma a Campobasso e a Pescara rispettivamente anche nel 1947 e nel 1948) per il rinnovo dei consigli comunali e per la prima volta in regime repubblicano per i consigli provinciali15. 13
Le definizioni scientifico-politiche delle elezioni del 1948 sono riportate nei saggi contenuti nel volume da me curato, La posta in gioco cit., pp. 293 sgg., 313 sgg., e sono tratte dalle opere di P. Allum, R. Mannheimer, P. Corbetta e A. Parisi citate nella ricca nota bibliografica (ibid., pp. 363 sgg.). 14 Ancora sulla politica « locale », o sugli effetti locali della « grande » politica, cfr. R. Gaspari, Politica ed economia nel «modello» Abruzzo. Conversazione a cura di C. Felice, in «Abruzzo contemporaneo », n. s., 1997, n. 5, pp. 7 sgg. (periodico dell’Istituto abruzzese per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza). 15 Cfr. tab.6.
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Piu` articolato lo schieramento delle forze in campo, con frequenti presenze di aggregazioni ‘civiche’, di indipendenti, o spesso, di ‘costole’ che si staccano dai corpi principali di appartenenza. Tranne che a Pescara citta`, dove cede la posizione al PCI (1951), e` sempre la DC a confermarsi primo partito, quasi ovunque con percentuali piu` consistenti alle provinciali, sebbene con valori che a L’Aquila e a Pescara sono sensibilmente piu` bassi che a Chieti e Teramo. La sinistra si attesta in seconda posizione, secondo quell’orientamento piu` generale di cui si e` detto, raggiungendo significative affermazioni nel capoluogo e a Pescara e Teramo, mentre a Chieti e` il blocco di destra a connotare la stessa inclinazione del polo di centro. Diversa la situazione a Campobasso, in cui la DC passa, nel voto amministrativo locale, dal 28,8 delle comunali del 1947 al 40,2 delle provinciali di cinque anni dopo, mentre la destra risulta assai piu` consistentemente rappresentata, rispetto a una sinistra alquanto debole. Gli scarti tra suffragi per il Comune e quelli per la Provincia, interessanti da verificare dove il voto e` simultaneo, si presentano assai vistosi a L’Aquila per la DC, e a Chieti per la destra; altrove, si osserva un maggior equilibrio tra i due dati. Le elezioni politiche del 1953 vedono il maggior partito di governo impegnato, per un verso, a misurare l’impatto delle riforme cui ha nel frattempo dato mano (agraria e Cassa per il Mezzogiorno); per l’altro, intento a manovrare la leva istituzionale di un premio di maggioranza in grado di garantire ai vincitori della competizione elettorale la “governabilita`” del paese (cosiddetta “legge-truffa”). Nei fatti, le percentuali raggiunte nel ‘48 si dimezzano, i consensi si ridistribuiscono verso tutti i contendenti in gioco, in misura maggiore a sinistra piuttosto che a destra, a livello nazionale, almeno. Nel Mezzogiorno, complessivamente, il 39 per cento della DC ha ceduto punti alla destra che peraltro qui tallona da vicino una sinistra in progresso; e l’Abruzzo in senso stretto si colloca in posizione intermediaria tra Italia e Sud, laddove l’insieme abruzzese-molisano presenta il migliore risultato per la DC, nonche´ destra e sinistra tra loro meno distanti. Il disegno istituzionale di “democrazia protetta”, o ‘blindata’, sulle orme delle suggestioni del tempo, in particolare di marca tedesca, fallisce, non raggiungendo la DC, sia pure di poco, il quorum necessario a fare scattare il meccanismo premiale16. 16 Cfr. tab. 4, in particolare per le elezioni politiche del 1953 (dati generali) . Sulla «legge-truffa» e il clima di quegli anni, cfr. C. Rodota` , Storia della legge truffa, Roma 1992; G.
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Le citta` del territorio qui in esame, con i rispettivi ambiti provinciali, riflettono variamente gli andamenti generali che in realta` concorrono a delineare. E` L’Aquila citta` a far registrare il minor consenso per la DC, anche se l’arretramento piu` vistoso, rispetto al 1948, si misura a Chieti (-21,6); la sinistra, presentandosi per separate componenti, migliora ovunque, con punte a Pescara e Teramo, mentre la destra vede il MSI prevalere su monarchici e liberali. A Campobasso, identico discorso per la sinistra, pur se in dimensioni quantitative piu` ridotte, calo sensibile della DC e robusta affermazione della destra (liberali oltre il 12 per cento, monarchici oltre il 14 e misini oltre il13). Su tutta la linea, poi, incremento dell’influenza alle urne, cosı` come, significativamente, aumento delle schede bianche e nulle, rispetto al 1948, l’uno e l’altro per la percezione dell’importanza della posta in gioco e come effetto “della dura battaglia che si svolge all’interno dei seggi sui voti contestati”17. Ancora un voto amministrativo intermedio, nel 1956 e poi nel 1960 (rinnovo dei consigli comunali e provinciali, a cavallo, per cosı` dire, del terzo appuntamento politico generale del 1958. In effetti, come si e` visto, quello che nel 1948 era parso ai piu` come una sorta di stabile avallo alle fortune politiche ed elettorali della DC e dei suoi alleati di centro, si era piuttosto rivelato l’inizio di difficolta` e di squilibri notevoli, l’espressione di un rapporto fra societa` e politica tutt’altro che pacificato e risolto. E` pur vero che sin dall’indomani della sconfitta, il partito di maggioranza relativa corre ai ripari, in maniera radicale, imboccando una strada completamente nuova e diversa, affidandosi all’attivismo di uomini ‘nuovi’, come Fanfani, ad esempio, e rivoluzionando a un tempo i propri assetti interni, la stessa forma-partito e i rapporti con la societa` civile. Emergeranno via via quadri e capi capaci di costruire sul territorio macchine di potere, intrise di consenso e di controllo, ponti tra centro e periferia, dando alla DC quella fisionomia cosı` peculiare di federazione (strutturalmente unitaria) composta da tante realta` territoriali diverse. E di queste, una e` certamente l’Abruzzo, ulteriormente segmentata al proprio interno, come ben emerge nel 195618. D’Agostino, Per una storia delle istituzioni cit., pp. 451 sgg.; P. Craveri, De Gasperi e la legge elettorale del 1953, ibid., pp. 521-32. 17 Cfr. tab. 5 (dati disaggregati) per il voto politico del 1953. La citazione e` tratta da G. D’Agostino, La posta in gioco cit., p. 320, e si riferisce appunto all’affluenza alle urne e all’incremento delle percentuali riguardanti le schede bianche e nulle. 18 Su queste elezioni, ulteriori dati e spunti importanti di analisi si leggono in Le elezioni
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A L’Aquila, la DC si presenta in netta ripresa, con risultati piuttosto omogenei al Comune e alla Provincia; al pari, consistente successo socialdemocratico e del blocco monarchico-misino. Al solito, a Pescara – citta` la DC, unita con i liberali, resta molto al di sotto, a fronte degli ulteriori progressi del blocco di sinistra (41,2 per cento) e di un buon 20 per cento di monarchici e neofascisti. Alla Provincia, piu` voti per la DC e meno – rispetto al voto comunale – a sinistra e anche a destra. Anche a Teramo buon risultato per la sinistra, ma la DC si porta oltre il 40 per cento e minori consensi, di conseguenza, per la destra; comportamento inverso a Chieti, con una destra molto agguerrita ed una DC che almeno in citta` non va oltre il 33,5%. A Campobasso, infine, percentuali assai elevate per la DC (Provincia, 47,1 per cento), e per i liberali, mentre il blocco di destra registra qualche affanno e cresce quello di sinistra19. Alle politiche del ‘58, la DC conferma i progressi fatti intravedere; a livello nazionale fa registrare un 42,3 rispetto al 40,1 di cinque anni prima in un quadro che segue ancora qualche avanzamento della sinistra e corrispondenti regressi della destra20. Il Mezzogiorno appare nella circostanza piu` generoso verso la stessa DC (44,7%) la quale cosı` rimonta rispetto al tonfo del 1953, e ritoglie voti alla destra (monarchica, soprattutto), spostando in piu` suffragi verso i socialisti. L’Abruzzo in senso proprio da` ancora una spinta ulteriore alla DC, conferisce complessivamente gli stessi voti alla sinistra, segue con minore entusiasmo la sirena monarchica; assieme al Molise, porta la DC quasi al 49 per cento, frena sul voto socialista, ma anche su quello di destra. Il voto politico del ‘58, analizzato nella sua articolazione per ambiti cittadini e provinciali, mette in luce dappertutto il netto recupero democristiano (assai piu` evidente in provincia), con punte superiori al 50 per cento a Chieti – provincia, e a Campobasso – provincia; l’indubbio successo monarchico (19,2 a L’Aquila – citta`), eccetto a Teramo, la soddisfacente tenuta o crescita della sinistra (insieme, comunisti e socialisti realizzano quasi 30 punti percentuali a L’Aquila, 41 a Pescara, 28 a Chieti, 38 a Teramo, 23 a Campobasso). Come si e` accennato, il voto di destra, piu` marcato nelle citta`, e` comunque in diminuzione. amministrative nel Mezzogiorno continentale, in «Cronache Meridionali », 1956, n. 5, pp. 289-302. 19 Cfr. ta. 7 per i risultati alle amministrative del 1956 in Abruzzo (dati disaggregati). 20 Cfr. tabb. 4 e 5(rispettivamente, dati generali e dati diosaggregati) per un raffronto tra 1953 e 1958.
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La stagione che e` aperta da questo voto, si concludera` con l’apertura a sinistra: in effetti, le formule politico-istituzionali si riveleranno in faticosa rincorsa rispetto ai profondi mutamenti sociali21. Sotto tale profilo, il voto amministrativo del 1960, si rivela cruciale in un anno esso stesso cruciale ! Province e Comuni ancora alle urne, e segnali importanti di conferma del trend in atto, come di anticipazione di alcuni fenomeni e tendenze: l’esaurimento delle spinte di destra, con il ridimensionamento monarchico e la resistenza misina; il proseguimento della ripresa DC (punte massime a Chieti, Teramo – Comune, Campobasso – Provincia); il consolidamento della sinistra (oltre il 42 per cento a Pescara – Provincia)22.
4. Un quadro in movimento (1963-72) La fase che si apre con le elezioni politiche generali del 1963 – sotto il segno dell’apertura a sinistra (ai socialisti, invero) – e` connotata da un quadro elettorale destinato sin dall’anno successivo, a semplificarsi e a mettersi meglio a fuoco per il distacco del territorio molisano e al contempo per gli effetti del mutato assetto politico-istituzionale (centro sinistra e governo di quadripartito). D’altro canto, proprio “il 1963 e` l’anno in cui si conclude il miracolo economico, il ciclo di trasformazioni che in pochi anni rende definitivo il passaggio ad una societa` moderna e industrializzata, da cui gli stessi poli dello sviluppo e del sottosviluppo escono profonda23 mente modificati” . La nuova formula non appare premiata a livello nazionale, nonostante il clima di maggiore distensione sul piano internazionale e l’atteggiamento meno oltranzista delle gerarchie ecclesiastiche, con un travaso di voti dalla DC al PLI (che si avvantaggia pure del declino monarchico), e con sorte non migliore per il PSI che subisce un arresto o un lieve calo cui corrisponde l’incremento dei suffragi a favore del PSDI, all’interno della coalizione, e del PCI all’esterno. 21
Valutazioni e analisi sulle elezioni politiche del 1958 si trovano in G. D’Agostino, La posta in gioco cit., pp. 322-26; nonche´ in ID., Per una storia delle istituzioni cit., pp. 456-59. Secondo Arturo Parisi si tratterebbe delle prime elezioni apparentemente «senza storia», proprie del periodo tra gli annio Cinquanta e i Settanta, cfr. A. Parisi, Mobilita` senza movimento, Bologna 1970; P. Corbetta, A. Parisi e H. Shadee, Elezioni in Italia, Bologna 1988. 22 Cfr. tab. 7 per le elezioni comunali e provinciali del 1960 in Abruzzo. 23 G. D’Agostino, La posta in gioco cit., p. 326.
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Ma e` l’esame della distribuzione del voto per comparti territoriali, piu` o meno ampi, a rendere piu` chiare le dinamiche apprezzate con uno sguardo d’insieme generale (tab. 7)24. Nel Mezzogiorno l’irrigidimento a destra dell’elettorato e` sicuramente meno pronunciato con riferimento ai parametri tradizionali meridionali e alla contestuale impennata verificatasi nel Centro-Nord, cosı` come meno vistoso e` l’arretramento della DC in presenza comunque del progresso comunista (meno di un punto percentuale rispetto al corrispondente dato nazionale). L’Abruzzo conforta, di suo, quest’ultimo rilievo, ma assegna alla DC un 45,4 per cento (a scapito del piu` debole voto di destra) sensibilmente piu` cospicuo dello stesso risultato meridionale, e ancora oltre si spinge il voto abruzzese-molisano, che al tempo stesso e` piu` contenuto verso sinistra, ma piu` generoso a destra. Da misurare, naturalmente, oltre il voto, quanto agisca anche in ambito abruzzese quel fenomeno di “elettorizzazione dei partiti” e relativa deideologizzazione, segnalato dal Farneti, che lo scorge al di sotto della pur sostanziale stabilita` del voto stesso25. In ogni caso, l’analisi del voto abruzzese e molisano disaggregato ulteriormente sul territorio (tab.8), mette in luce le specifiche configurazioni locali26. La DC oscilla tra il 31 per cento di Pescara-citta` (ma in provincia risale a quasi 39 punti percentuali) al 48,1 di Chieti-provincia e al 51,5 in provincia di Campobasso, con il che si conferma la geografia del voto democristiano nell’area gia` rilevata in occasioni precedenti. Sul venti per cento si attesta il blocco di destra negli ambiti urbani considerati (in provincia i valori risultano, come sempre, piu` bassi) salvo che a Teramo (13,4), ma a Campobasso citta` si registrano valori che sfiorano il 23 per cento. A sinistra, socialisti attorno al 15 per cento a L’Aquila e a Pescara, tra 10 e 12 a Chieti e Teramo, con flessioni contenute nelle rispettive province, mentre i comunisti sfiorano il 28 per cento in provincia di Pescara e superano il 31 nel Teramano, guadagnando a Chieti (citta` e provincia) una posizione migliore di quel che si registri a L’Aquila. A Campobasso-citta` i socialdemocratici superano i socialisti e comunisti, che si rifanno in ambito provinciale (16,5%). Alterno, infine, il movimento 24
Cfr. tab. 8 per le politiche del 1963 (dati generali); si veda, inoltre, «Cronache Meridionali», 1963, n. 4. Si segnala che per il 1963 i votanti in Abruzzo superano di poco i 700000 (Mezzogiorno: 6700000; Italia: quasi 32 milioni). 25 P. Farneti, Il sistema politico italiano, Bologna 1973; ID., I partiti politici e il sistema di potere, in AA.VV., L’Italia contemporanea. 1945-1975, a cura di V. Castronovo, Torino 1976, pp. 61-104. 26 Cfr. tab. 9, in particolare per le elezioni politiche del 1963.
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relativo ad astensionismo e voti non validi, in aumento, comunque a L’Aquila e a Chieti, con punte massime in provincia di Campobasso. Un test sicuramente significativo interviene nel 1964, con le elezioni comunali che coinvolgono 39 comuni abruzzesi e circa 350mila elettori, e che riguardano i quattro capoluoghi di provincia27. Si risente, ovviamente, l’influsso determinante del peculiare genius loci; considerati, tuttavia, nel complesso, i risultati dicono di una DC in salute media (43,9%), frutto, pero`, del 60 per cento di Chieti e del 49,2 di Teramo, a fronte del 34 a Pescara e del 41,7 a L’Aquila e di un PLI che continua la sua corsa in crescita, soprattutto a Pescara (11,4%), Chieti e L’Aquila. A sinistra, la scissione in casa socialista porta alla ribalta il PSIUP – 3,6 a Pescara e 3,8 a Teramo, ben al di sopra del 2 per cento medio abruzzese (sempre del campione costituito dai 39 comuni) – che sembra togliere qualcosa al PCI, oltre che, evidentemente, ai socialisti. Successo dei socialdemocratici a L’Aquila e a Pescara; risultati di una certa consistenza per il MSI (Pescara 7,2), superiori invero alla media in tutti e quattro i comuni; piuttosto elevato l’astensionismo e la percentuale dei voti non validi, in particolare nel caso di Teramo. In termini di seggi, dalle quattro citta` in questione provengono alla DC il 18 per cento del totale (79 su 443), al PCI il 15 (30 su 199), quasi la meta` al PSIUP e circa un terzo al MSI. Il secondo appuntamento politico generale cade nel cuore del maggio ‘68 (per altri versi, fatidico), all’inizio di quello che e` stato definito “un periodo di profondo fermento sociale contraddistinto dalla piu` grande stagione di azione collettiva della Repubblica” (Ginsborg)28. La DC si conferma ancora una volta (Camera dei Deputati, tab.7) protagonista (39,1%)migliorando un po’ rispetto al 196329; a sinistra PSIUP con eccellente slancio iniziale, PCI al 27 per cento (suo miglior risultato ‘storico’).L’unificazione tra PSI e PSDI non ha di contro premiato le due componenti (insieme, perdono il 5,5%), mentre tra liberali e repubblicani vi e` un travaso a favore di questi ultimi, cosı` come tra i residui monarchici e il MSI. Il dato nazionale si ‘distorce’ al sud nel senso di mostrare un centro (DC) piu` forte, sinistre e socialisti unificati attestati su valori piu` contenuti,
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Cfr. tab. 10, in particolare per le elezioni comunali del 1964. P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Torino 1989, vol. II, p. 404. 29 Cfr. tab. 8 per i risultati del voto politico del 1968 (dati generali) e per un confronto con il 1963. 28
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pur se ben consistenti e destre in regresso. Il voto abruzzese, dal canto suo, si accumula in direzione DC in quantita` tale (48,7) da indurre a destra e, meno, a sinistra, nonche´ nei confronti del PSU, piu` di una battuta d’arresto o un netto calo. Certo il PCI consegue il 25,4 per cento, ma si tratta di un valore pari alla meta` circa di quello fatto registrare dalla DC, sicche´ non appare calzante per la regione quella tendenza alla polarizzazione (tra DC e PCI) colta a livello nazionale dall’attento studioso e analista elettorale Galli30. D’altronde, a lanciare la DC verso la maggioranza assoluta sono stati certo i risultati di L’Aquila e di Chieti, ma anche a Teramo (piu` in citta` che in provincia, peraltro) e persino a Pescara si sono avute affermazioni consistenti31. Considerato che i comunisti fanno registrare quasi ovunque progressi (in provincia piu` che nelle citta`), perdono colpi i socialisti unificati e le destre (ma a Pescara-citta` i neofascisti sfiorano ancora il dieci per cento). Anche per tali singoli casi, si conferma in effetti la non polarizzazione, ma neppure si afferma il suo contrario; semmai, esce rafforzata l’opzione di centro-sinistra, in termini piu` elettorali che politici, articolata su un centro assai forte, piu` forte che nel Mezzogiorno e nell’Italia intera, ed un pool di alleati piu` deboli che lasciano crescere alla propria sinistra (PCI e PSIUP)forze politicamente tenute ai margini (significativo, al riguardo, il dibattito sull’ “autonomia” della maggioranza, in un contesto di forti tensioni sociali, in particolare nel biennio 1969-1970) . Due anni piu` tardi, ancora un test amministrativo: vanno alle urne per il rinnovo dei consigli comunali circa 670mila elettori abruzzesi che assegnano alla DC circa il 47 per cento, tolgono voti al PCI rispetto alle scadenze precedenti, mostrano di apprezzare la separazione tra i cugini socialisti e continuano ad allontanarsi dalle destre. In concreto, tuttavia, Chieti e Teramo conferiscono alla DC rispettivamente il 60 e il 58 per cento (ma Pescara poco piu` del 38 e L’Aquila il 43,6 per cento). Destra, sinistra e partiti laici intermedi in effetti si spartiscono il non esaltante resto, subendo un indubbio calo32. Anno comunque difficile questo 1970 in Abruzzo, anche per la guerra del capoluogo regionale tra L’Aquila, la citta` che vanta un sicuro prestigio storico e Pescara, l’aggregato urbano emergente che tende a far valere le
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C. Galli, I partiti politici italiani, Milano 1991; C. Mammarella, L’Italia dalla caduta del fascismo ad oggi, Bologna 1978. 31 Cfr. tab. 9 per i risultati del voto politico del 1968 in Abruzzo (dati disaggregati). 32 Cfr. tab. 10, in particolare per i risultati delle comunali del 1970.
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ragioni dell’indubbio successo economico33. Con il voto per la neonata34 Regione, si aggiunge a quelli sin qui considerati, un ulteriore, nuovo indicatore elettorale-politico. Il primo risultato regionale si segnala per il forte tasso di astensionismo (15 per cento) e quanto al voto espresso, per la collocazione intermedia nel trend tra le due elezioni politiche generali piu` vicine (anche se il voto per la DC segue a tratti anche altre logiche, piu` peculiari). Da segnalare che il dato abruzzese costituisce per la DC il miglior risultato in assoluto (rispetto a Mezzogiorno e Italia) mentre per il PCI il peggiore (22,8 rispetto a 23,3 – sud e 27,9 – paese intero), come del resto per i socialisti; tenuto conto dei suffragi a liberali e misini, sembrerebbe proprio questa la riserva cui attinge la stessa DC (Tab. Regionali), nonostante la tutt’altro che simbolica presenza proprio del MSI, ‘arricchito’ con l’apporto di Democrazia Nazionale. Le ultime elezioni politiche del ciclo si svolgono nel maggio del 1972, le prime ‘anticipate’ nella storia elettorale repubblicana. Tuttavia, ad onta delle previsioni, tenute o auspicate, il ribollire della societa` e gli indubbi riflessi politico-istituzionali, nonche´ i calcoli dei partiti, nell’insieme, grazie anche all’ammortizzatore rappresentato dal sistema proporzionale, non si traducono in alcun terremoto elettorale35 (Camera dei Deputati, tab. 7). La DC incassa il 38,7 per cento, pochissimo meno di quanto ricevuto quattro anni prima; il PCI migliora di altrettanto, poco o nulla disturbato dalle presenze che si affollano alla sua sinistra; i socialisti, di nuovo separati, riguadagnano i propri consensi originari; le destre rimontano qualcosa. Dal Mezzogiorno, segnali tendenzialmente abbastanza conformi, ma i numeri, al solito, sono alquanto diversi: quasi 42 per cento alla DC, 24,4 per il PCI; oltre il 13 i due partiti socialisti e 2,2 ai repubblicani; 8,4 tra liberali e misini, con secca perdita rispetto al 1968. L’Abruzzo si situa, quanto al voto di sinistra e laico, tra i due livelli appena esaminati, ma assegna il 7,2 ai neofascisti, da soli, e il 48,2 alla DC. Anche da questi dati, viene la conferma che il ‘sistema’ ha retto e si e` 33 Sui «fatti» di Pescara (e di Reggio), cfr. gli interventi – equilibrati quanto documentati – di U. Leone, Pescara. L’Aquila e dintorni, in « Nord e Sud», 1970, n. 188, pp. 68-96; ID., Abruzzo. Un’ipotesi di assetto, ivi, 1977, n. 266, pp. 65 sgg. Si veda anche G. Chiaromonte, Riflessioni sui fatti dell’Aquila e di Reggio, in « Rinascita», 1971, n. II. 34 In relazione ai dati regionali, cfr. tab. II (dati generali) per le elezioni a partire dal 1970 fino al 1990. 35 Il riferimento e` di nuovo alle tabelle 8 e 9, questa volta per le elezioni politiche del 1972.
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dimostrato in grado di assorbire spinte e tensioni. Il successo della DC abruzzese e` una costante che sembra premiare un ceto politico locale, con i suoi addentellati nazionali, in grado di accompagnare, se non guidare, anche i notevoli mutamenti strutturali maturati nel corso di quasi trent’anni e che hanno rifatto il voto di una regione; quanto all’estrema destra, ha capitalizzato rabbia, tensione e proteste collegati ai non pochi episodi di ‘insorgenza’ verificatisi all’avvento della Regione, in relazione alla scelta del capoluogo unico.
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5. Gli anni del «terremoto» elettorale (1974-1981) A riprova del cambiamento di clima politico e sociale che si respira in questa quarta fase della storia elettorale che stiamo ricostruendo, va segnalata la incalzante sequenza di chiamate alle urne: in pratica, a partire dal 1974, si vota ogni anno, o quasi, e in piu` di una circostanza, per un appuntamento doppio. Si comincia con il referendum (abrogativo) sulla legge che ha introdotto il divorzio in Italia36: se a livello nazionale il fronte divorzista sfiora il sessanta per cento, l’elettorato meridionale si divide tra il 52,1% di antidivorzisti e il 47,9 di favorevoli alla permanenza in vigore della legge. L’Abruzzo segue nella circostanza –destinata a costituire uno spartiacque nella storia civile dell’intero paese – quel suo comportamento piu` tipico di regione-cerniera, esprimendo una maggioranza di opinioni antiabrogazioniste (51,1 per cento) che lo pone in pratica al di fuori delle logiche prevalenti nel Sud. Un voto, in pratica, piu` laico, anche se lo schieramento antidivorzista e` stato sconfitto con un minimo scarto. L’astensionismo e` stato peraltro considerevole (quasi 18 punti percentuali) a fronte del 12,3 nazionale e del 19 per cento meridionale. Quanto ai singoli capoluoghi, e rispettive province, il no vince a L’Aquila (52,7) e, con valori record, a Pescara, nonche´ a Teramo, in tutti e tre i casi sia in citta` sia in provincia, mentre a Chieti solo in citta`. L’anno seguente tocca al rinnovo dei consigli comunali (e provinciali). In particolare, per quanto riguarda i primi, il test riguarda 25 comuni (tra cui le quattro citta` principali) per poco meno di 370mila elettori37. 36
Cfr. tab. 12. Cfr. tab. 13 per il voto alle comunali del 1975 e per un raffronto con quelle del 1980. Si tenga presente che nella tornata amministrativa del 1975, concorrono venticinque comuni, per circa 368000 elettori e 331 000 votanti; in quella del 1980, i comuni sono ventitre, per 37
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I dati complessivi assegnano alla DC la posizione di testa (41,9% e 296 seggi) seguita dal PCI con poco piu` del 26 per cento e 182 seggi guadagnati, con un certo restringimento dell’indice di polarizzazione; socialisti e socialdemocratici conseguono il 17,5 dei voti e circa 100 seggi, mentre misini (6,1) e repubblicani (4,8) distanziano nettamente i liberali fermi all’1,2. I risultati locali indicano una considerevole ‘diversita`’ aquilana, con minori suffragi per DC e PCI e piu` consistenti, di contro, per tutte le altre forze in campo; Pescara ricalca il suo orientamento ormai tradizionale: solo otto punti di differenza tra DC (34) e PCI (26), e bottini piu` ricchi per socialisti, socialdemocratici, misini, repubblicani e anche liberali. Maggioranza assoluta per il partito scudocrociato a Chieti e Teramo, con comunisti e socialisti peraltro in progresso, rispetto alle precedenti tornate; inoltre a Teramo cresce l’astensione e diminuisce ancora il peso della destra. In definitiva, a parte il caso aquilano, altrove l’impressione e` che non ci si sia allontanati troppo dai comportamenti elettorali amministrativi locali (almeno per il Comune) piu` consueti, il che costituisce pur sempre un elemento di analisi e valutazione interessante, tenuto conto della crucialita`, in termini elettorali e politici, del 1975 (“terremoto” elettorale – che contagia anche il 1976 – e giunte locali ‘rosse’ in gran parte del paese). Un po’ diverse, in cambio, le cose e sempre nel 1975, al secondo appuntamento con il voto per la Regione38. La circostanza della simultaneita` tra le due espressioni fa risaltare vieppiu` le disomogeneita` e dice comunque di un voto abruzzese che si sposta a sinistra, indebolendo il nucleo di centro: rispetto al precedente turno regionale del 1970 la DC perde circa 6 punti mentre quasi 8 in piu` ne conquistano i comunisti ed anche i socialisti e laici intermedi progrediscono; a destra, erosione liberale e crescita, contenuta, dell’estrema. Rispetto al Mezzogiorno, e` risultata comunque ancor piu` consistente la percentuale democristiana, a sua volta maggiore al sud nei confronti dell’intero paese. Per i comunisti, la soglia abruzzese e` intermedia tra sud (27,3) e Italia (33,4). I socialisti e i repubblicani copiano il trend democristiano (ma avviene il contrario per i socialdemocratici); i neofascisti conseguono in Abruzzo il 6,4%, stesso valore medio nazionale, ma sensibilmente inferiore al dato meridionale (10,2); considerevole il tasso di astensione (12,3) rapportato al 7,3 italiano o al 12,8 meridionale. oltre 403 000 elettori e 347 000 votanti. Quanto ai dati riguardanti le elezioni provinciali – in questa occasione, e nelle precedenti e seguenti (dal 1964 al 1990) – cfr. tab. 14. 38 Cfr. tab. 11, in particolare per le regionali del 1975.
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Nell’insieme un voto, questo regionale, nel quale confluiscono – piu` che nei livelli locali spazialmente piu` ristretti, ma anche piu` vicini ai cittadini e piu` esposti al ricordato ‘specifico’ comunitario – elementi di novita` e di cambiamento, o li lasciano presagire. E questo spinge ad ulteriori considerazioni su peso e ruolo del voto regionale, tra comunali e politiche generali, ma anche sull’esistenza come di piste, o corsie elettorali lungo le quali si incanala l’elettorato a seconda del tipo di consultazione in cui e` implicato, senza salti o confusioni anche in presenza di concomitanti, diverse sollecitazioni. Nel 1976, e` la volta delle elezioni politiche generali, preannunciate dagli eventi del biennio precedente e caratterizzate dall’importante proposta politica del “compromesso storico” tra le due maggiori forze presenti sulla scena italiana. In effetti, nello scorrere i risultati nazionali39, (tab. 10) colpisce lo scarto esiguo (4 punti percentuali) ormai esistente tra DC (38,7) e PCI (34,4), e l’effetto riducente, o impoverente, che tale dato induce sulla quota di suffragi distribuiti tra gli altri partiti in gioco. Ma gia` i valori fatti riscontrare dal voto meridionale attenuano la fisionomia dominante sul piano dell’intero paese, sia per il maggiore peso della DC e del MSI-DN che per la minore consistenza del voto a sinistra. E l’Abruzzo si colloca – come ormai da qualche tempo – “a incastro” tra voto ‘italiano’ e voto meridionale (rispetto alla collocazione netta intermedia tra l’uno e l’altro, tipica delle prime fasi della sua storia elettorale): la DC riceve 5 punti e mezzo in piu` rispetto al corrispondente dato nazionale e oltre tre in piu` rispetto a quello del Mezzogiorno; ma anche il PCI riceve qualcosa in piu` rispetto allo stesso livello nazionale e 2,5% in piu` nei confronti della ‘soglia’ meridionale. E la stessa osservazione puo` farsi per qualcun’altra ancora delle forze in campo. L’analisi disaggregata per ambiti urbani e provinciali40: a L ’Aquila – citta` DC in media meridionale (ma in provincia, sale al 46 per cento), e correlazione incrociata con il voto al MSI-DN; piu` debole la performance comunista, al di sotto del 30 per cento, sia in citta` che in provincia. Rovesciamento di situazione, secondo lo schema solito, nel caso di Pescara, dove il PCI e` il primo partito (35,8 in citta` e 39 in provincia) sia pure di un
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Cfr. tab. 15, in particolare per i risultati del 1976. Sotto l’indicatore ‘Estr. sin.’ (Estrema sinistra) si raggruppano Dp (Democrazia proletaria), Pdup (Partito di unita` proletaria) e «Nuova sinistra unita». 40 Cfr. tab. 16, in particolare per il 1976.
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soffio rispetto alla DC; in queste condizioni, e` evidente che diminuiscano le chances degli altri contendenti, eccezion fatta per il Movimento Sociale – Destra Nazionale che si attesta oltre il 10 per cento in citta`. Chieti e Teramo sono alquanto piu` generose nei confronti della DC, ma anche i comunisti raggiungono, rispettivamente il 30,2 e il 33,8; in maniera meno vistosa, e` tuttavia visibile il dato del bipolarismo dilagante (oltre il 75% dei voti ai due maggiori partiti), mentre abbastanza contenuti sono gli scarti tra spazi urbani e spazi provinciali (tab. 11). Per concludere sul punto delle elezioni del 1976 «le ultime elezioni del passato remoto della politica italiana»41, va detto dei nuovi soggetti politici che irrompono sulla scena (essenzialmente, aggregazioni da “nuova sinistra” e radicali) e che ricevono in Abruzzo consensi mediamente in linea con i valori nazionali Eppure, lo sviluppo della situazione politica quale si delinea dopo la raffica di pronunciamenti elettorali non sembra permeato dallo stesso dinamismo. Nessuna alternativa o rottura con il passato appare, o comunque risulta, concretamente percorribile; in particolare la DC, dopo una forzata, seppur timida, apertura ai comunisti, torna sui suoi passi rincuorata da qualche successo elettorale e amministrativo ma soprattutto impietrita dalla tragedia Moro. I referendum del 1978 sotto tale profilo danno qualche indicazione42: sotto tiro, le leggi relative al finanziamento pubblico dei partiti e all’ordine pubblico, connesso alle esigenze della lotta al terrorismo. Come in simili precedenti occasioni, l’Italia si divide in due e dice no (56,4) al primo dei due quesiti ed egualmente no (76,5) ma in maniera ben piu` massiccia, anche al secondo. Il Sud invece e` favorevole ad eliminare il finanziamento pubblico (51,6 al si) ed e` d’accordo, in modo meno entusiasta (70,3) sulla non abrogazione della “legge Reale”. In Abruzzo, come gia` avvenuto quattro anni prima, risultato in linea con la volonta` espressa dalla maggioranza degli italiani di conservare il contributo statale ai partiti e le norme regolanti l’ordine pubblico; in relazione al primo quesito, in particolare, valori percentuali vicini a quelli nazionali e avviso globalmente opposto a quello meridionale, abrogazionista in materia. Su tale linea, in ogni caso, il voto di tutti e quattro gli ambiti provinciali, e solo quello urbano di Teramo; in pratica, L’Aquila, Pescara e 41 42
Cfr. G. D’Agostino, La posta in gioco cit., p. 30. Cfr. tab. 17.
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Chieti citta` , si sono manifestate come attraversate maggiormente dal sentimento antipartitico che ha caratterizzato la maggioranza del voto meridionale e gran parte di quello nazionale. Per gli analisti, hanno giocato a favore di tali orientamenti un diffuso senso di fastidio per la politica veicolata dai partiti tradizionali e quindi anche una minore disponibilita` a seguirne le indicazioni in materia. Ancora, tra il 1979 e il 1981, tre importanti e delicate scadenze elettorali: la prima concerne la consultazione politica generale cui si affianca il primo voto europeo; nel corso dell’’80 matura il rinnovo dei consigli degli enti locali, incluso quello regionale e l’anno seguente, si vota su ben cinque referendum. Occorre intanto tener conto dell’ulteriore e ancora piu` netta contrazione della durata della legislatura, di per se´ gia` indicativa della difficolta` della fase. Ne esce sostanzialmente indenne la DC che compensa sul territorio a livello nazionale i movimenti interni al suo elettorato, mentre il PCI perde quattro punti percentuali43. Depolarizzazione in atto, dunque, dopo l’esperienza inversa di tre anni prima, e politicamente passo sbarrato ai comunisti e riapertura del dialogo con gli alleati socialisti, nella versione imposta da Craxi, e con i partiti laici intermedi (cui va ad aggregarsi il PLI, nella formula del governo di “pentapartito”); a destra pressoche´ ininfluente la scissione e defezione di Democrazia Nazionale. Effettiva novita` di rilievo il balzo in avanti radicale, sicuro attrattore del voto giovanile e di protesta “antisistema” nei confronti dei partiti e dell’ingombrante coalizione di governo; d’altronde, qualche progresso lo realizza anche l’estrema sinistra, sicche´ e` da ritenersi penalizzato su due lati proprio il PCI che nel 1976 era parso beneficiare di tali spinte ma si giudica non averle capitalizzate nel modo e nella direzione giusti (movimento del ‘77, contrasto del terrorismo, eccesso di ‘statalismo’, affievolimento della lotta alla DC). Situazione in definitiva indubbiamente difficile a sinistra, in termini politici ancor piu` che elettorali, con i socialisti tesi ad accreditarsi stabilmente come referente politico-istituzionale nella cornice di un processo di modernizzazione alle soglie degli anni Ottanta che si vuole far evolvere intrecciato con una crescente deideologizzazione ed un altrettanto propagandato bisogno di consumismo, individualismo, esibizione di nuovi e vecchi status symbols. Anche il Mezzogiorno sembra contagiato in tal senso, sebbene le cifre elettorali indicano la DC al 43,3 per cento (incremento dei due punti perduti al Centro-Nord), il PCI a poco piu` 43
Cfr. tab. 15, in particolare per le elezioni politiche del 1979 (dati generali).
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del 26 per cento (oltre sei punti in meno rispetto a tre anni prima), socialisti e socialdemocratici in crescita e il MSI ancora oltre l’8 per cento, pure se in flessione. Agli analisti non e` sfuggito, al riguardo, il doppio dato della crisi democristiana nel nord del paese e il sempre maggior peso del ministerialismo meridionale, entrambi fenomeni destinati a progressiva enfatizzazione negli anni seguenti. In tale quadro il risultato abruzzese si inserisce ancora nella piu` volte richiamata collocazione intermedia, ma a incastro, tra i due livelli: la DC in effetti supera la soglia meridionale abbondantemente, e il PCI con 31,1% presenta, come gia` nel 1976, il suo migliore risultato, al punto che, insieme, i suffragi ai due maggiori partiti assommano a circa 77 punti (79 tre anni prima), il che, come e` ovvio, si riflette sulle percentuali, basse, di cui godono tutti gli altri contendenti (il MSI ottiene comunque il 5,2). L’astensionismo, in aumento ovunque, tocca l’83,9 per cento al sud e in Abruzzo. Quanto alle citta` (con i rispettivi ambiti provinciali)44 la situazione e` caratterizzata dal consistente aumento del voto democristiano in tutte, con punte a Chieti – provincia (51,3) e dalla flessione comunista, che non risparmia Pescara, ma risulta piu` contenuta a Teramo e, tutto sommato, nella stessa Aquila. I socialisti arretrano, salvo a Pescara, e i socialdemocratici migliorano a L’Aquila e Pescara (dove si difendono anche i repubblicani). Leggero progresso per i liberali (1,9 a Chieti e 1,6 a Pescara) mentre l’estrema destra perde colpi, ma conserva ancora piu` del 10 per cento a L’Aquila – citta`. Si e` gia` accennato al concomitante voto europeo45, che data la sua novita`, non presenta in maniera plateale quelle caratteristiche da voto di “second’ordine”, del genere ‘amministrativo locale’ per certi versi, e notevolmente piu` libero dai vincoli della politica generale, per altri. In questa prima volta, a parte il maggiore astensionismo, i dati a livello nazionale si discostano da quelli politici generali per qualche punto in meno alla DC e qualcuno in piu` ai partiti dell’area socialista e laica intermedia, con la conferma sostanziale del voto radicale, mentre a livello meridionale, alla DC continua ad andare quasi il 42 per cento dei suffragi, ed all’estrema destra quasi il 10, con un’astensione – record del 24 per cento. Ma tant’e`: stentano a decollare, presso i partiti del sistema italiano e del sottosistema meridionale, passi e misure specificatamente europei, o europeisti. 44 45
Cfr. tab. 16, in particolare per le elezioni politiche del 1979 (dati disaggregati). Sui risultati delle elezioni europee del 1979, cfr. tab. 18 (dati generali e dati disaggrega-
ti).
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In Abruzzo la Dc ‘europea’ ottiene lo stesso risultato che alle elezioni politiche, mentre il Pci arretra di qualche punto fermandosi al 29,1 per cento; socialisti, radicali e destre in recupero, mentre l’astensione supera il 21 per cento. Doppio appuntamento nel 1980, Comuni (parte) e Province da un lato, Regione dall’altro46. La tendenza alla diminuzione dei suffragi a sinistra si conferma puntuale, e secondo i punti di partenza locali; ci sono anche i progressi socialisti, ma e` soprattutto evidentissimo il recupero democristiano sempre oltre il 40 per cento, ma con punte del 54 a Chieti e del 57,8 a Teramo (in questa citta` si e` praticamente compiuta una inversione tra sinistra e DC accentuatasi nel corso degli ultimi anni). A livello dell’intero ‘campione’ (23 comuni e circa 403.000 elettori), la DC ha guadagnato 285 seggi; 146 vanno ai comunisti, 82 ai socialisti, 35 ai socialdemocratici e 21 al MSI. Il voto per la Regione, dal canto suo, rivela il consolidamento delle tendenze appena accennate con la DC al 45,8 per cento, PCI al 27,5, quasi 11 per i socialisti e 6 per il Movimento Sociale. Sono dati che pongono l’Abruzzo al di sopra delle regioni meridionali relativamente ai suffragi per la DC e il PCI, ma al di sotto quanto alle soglie che riguardano tutte le altre forze in campo: collocazione intermedia ma a incastro, come gia` osservato in precedenza, e secondo quella trasformazione piu` generale degli orientamenti iniziali, da cui si evince il peculiare rapporto, preferenziale, con la principale forza di governo e con quella di opposizione, il che se restituisce, in fin dei conti, la fondamentale orientazione bipolare, di centro e di sinistra, traduce anche sul piano elettorale le trasformazioni intervenute nella societa` abruzzese nel corso di alcuni decenni47. 46
Per i risultati delle elezioni regionali cfr. tab. II; per i dati delle comunali cfr. tab. 13. Ricca la bibliografia sull’evoluzione sociale della regione, supportatata dall’attenta analisi del corredo statistico somministrato dai censimenti decennali dell’Istat. Si possono proficuamente consultare, tra gli altri, i saggi di N. Felicetti, L’emigrazione dall’Abruzzo, in «Cronache Meridionali», 1956, n. II; Id., I comuni abruzzesi e molisani per il petrolio, ivi, n. I-2; A. Esposito, Movimento contadino e riforma agraria in Abruzzo, ivi, 1959, n. 4, pp. 294 sgg.; G. Spallone, Bilancio e prospettive dell’industrializzazione, ivi, n. 4, pp. 185 sgg.; V. Cao Pinna (a cura di), Le regioni del Mezzogiorno, Bologna 1979 (un profilo-sintesi che abbraccia il periodo 1951-75). Negli anni Ottanta, gli accurati studi di P. Landini, L’Abruzzo: una regione ‘cerniera’ in «Nord e Sud», 1982, n. 329-31, pp. 69-82; N. Boccella, L’eterogeneita` della struttura del Mezzogiorno, ivi, ottobre-dicembre 1985, pp. 31 sgg. Piu` recentemente – in prospettiva storica, ma non solo – i saggi di C. Felice, L’Abruzzo nella storiografia contemporanea: alcune riflessioni e qualche proposito, in «Abruzzo contemporaneo», n.s., 1995, n. I, pp. 7-48; A. 47
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In chiusura del ciclo, i cinque referendum (1981) relativi all’abrogazione delle Leggi Cossiga, dell’ergastolo, del porto d’armi, della legge sull’aborto (su quest’ultima, due quesiti referendari, promossi l’uno dai radicali e l’altro dal Movimento per la vita). Il no all’abrogazione vince nel caso delle leggi Cossiga (85,1), ergastolo (77,4), porto d’armi (85,9) e nei due quesiti sull’aborto (rispettivamente con 88,4 e 68,0). Il dato nazionale trova conferma nel Mezzogiorno con percentuali minori di no a proposito di aborto e Cossiga, maggiori per quanto attiene alla pena dell’ergastolo. In Abruzzo48, i cinque referendum fanno registrare questa volta risultati assai piu` vicini alla configurazione meridionale che a quella «italiana». Fuori discussione il ciclone di no all’abrogazione, cosı` come dappertutto del resto, con una lieve impennata per quanto concerne la proposta radicale sull’aborto e una piu` contenuta adesione ai no abortisti nel quinto quesito. Per questo pronunciamento massiccio dell’elettorato, nazionale e locale, su temi-spia del moderatismo e del laicismo, il voto abruzzese risulta nell’insieme allineato alle tendenze piu` generali; quanto agli scarti tra citta` e provincia, ne mancano di veramente eclatanti; semmai, va segnalato il quasi 40 per cento di sı` contro l’aborto di Teramo citta`.
6. Tra normalizzazione elettorale e «modernizzazione» politica (1982-92) Anche la nuova fase della storia elettorale abruzzese (in relazione con quella meridionale e nazionale) che si apre con le elezioni politiche generali del 1983, racchiude una sequenza che si sviluppa in maniera intensissima con appuntamenti, anche multipli, quasi ad ogni anno fino al 1992. Le politiche del 26 giugno del 1983 (ancora una scadenza anticipata) giungono a valle di un evolversi della situazione che ha portato alla guida del governo il repubblicano Spadolini (interrompendo la quasi quarantennale serie di presidenti democristiani) e ha visto accentuarsi ulteriormente il dinamismo craxiano. Le ripercussioni elettorali si concretizzano nel tonfo democristiano (oltre cinque punti percentuali in meno), agevolato sicuramente dalle manovre in corso attorno alla nuova segreteria DC affidata a De Mita, e D’Angelo, L’Abruzzo come regione ecclesiastica: un profilo storico tra continuita` e trasformazioni, ivi, pp. 75-89; P. Mauro, L’economia abruzzese oggi: dinamiche e prospettive, ivi pp. 113-71. 48 Cfr. tab. 19.
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MATERIALI PER UNA STORIA ELETTORALE DELL’ABRUZZO (1946-1996)
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nella parallela crescita di tutte le altre componenti del pentapartito49. La sinistra, d’altro canto, non cresce mentre migliora a destra il MSI (+ 1,5) e compaiono la Liga Veneta, il Partito Sardo d’Azione, i Pensionati, in assenza dei radicali che si sono chiamati fuori dalla contesa attirando sulle proprie liste, oltre il 2 per cento dei suffragi. L’evidente depolarizzazione in atto appare anche osservando i dati relativi al comparto meridionale (37,9% alla DC; 25,4 al PCI; 13,2 per i socialisti e quasi 10 al MSI) e quanto all’Abruzzo, vi si mostra assai piu` resistente la DC (42,1 per cento, ma comunque con la perdita secca di tre punti e mezzo rispetto alle precedenti politiche) mentre il PCI si conferma nei valori medi nazionali; tutte le altre forze, con l’eccezione repubblicana, conseguono nella regione il loro peggiore risultato, al di sotto cioe` sia del livello nazionale che di quello meridionale, e questa orientazione del voto non risulta piu` in linea con i precedenti storici fin qui evidenziati, salvo, appunto, che per i due partiti maggiori. Nelle singole citta`, andamento tutto sommato tradizionale50: DC sempre preminente e con valori rilevanti a L’Aquila, Chieti (provincia 47,7) e Teramo (con scarto considerevole tra citta` e provincia), ma assai meno consistenti a Pescara; in correlazione il PCI che resta sotto la media abruzzese con le eccezioni di Pescara – provincia (31,5%) e Teramo – provincia (37,1%). Piu` forti che altrove i socialisti aquilani, mentre e` ancora Pescara a confermarsi roccaforte socialdemocratica e repubblicana; il MSI raccoglie oltre l’11 per cento a Chieti – citta`; pensionati e radicali in buona evidenza ancora a Pescara – citta`. L’astensionismo, infine, e` in pronunciato aumento ovunque con punta massima a L’Aquila – provincia (oltre il 12 per cento). Le europee dell’anno seguente (1984, Craxi presidente del Consiglio e Berlinguer tragicamente scomparso) segnano il sorpasso del PCI nei confronti della DC51. Si tratta di un dato e di un evento clamoroso che ha luogo certo sull’onda di forti emozioni, segnala la suscettibilita` del voto europeo di canalizzare opzioni piu` libere e piu` ‘desideranti’, rispetto alle regole e ai vincoli del gioco politico reale ma rivela anche l’assai minore 49
Cfr. tab. 20, in particolare per i dati generali sulle elezioni politiche del 1983. Su tali consultazioni, cfr. G. D’Agostino, Alla ricerca di un futuro cit., pp. 81 sgg. 50 Cfr. tab. 21 (dati disaggregati), in particolare per il voto politico del 1983. 51 Cfr. tab. 22 (dati generali e dati disaggregati), in particolare sui risultati delle elezioni europee del 1984. Sulle stesse, cfr. G. D’Agostino, Un voto per l’Europa. Tra desiderio e delusione, Napoli 1987. Sullo stesso argomento si veda anche Orizzonte Europa, in « Bollettino dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza», 1990.
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coinvolgimento dell’elettorato, soprattutto del centro filogovernativo. Il risultato nazionale non trova comunque riscontro a livello meridionale (tra DC e PCI permangono ancora oltre sei punti di scarto a vantaggio della prima). In Abruzzo, nell’insieme del territorio, risalta il 41,5 per cento conseguito dalla Dc, ben al di sopra dei corrispondenti dati meridionale e nazionale, e superiore di ben 9 punti percentuali al risultato del Pci. In ogni caso, benche´ molto distanziati fra loro, i due valori, considerati insieme, concorrono all’effetto, assai consistente, di bipolarizzazione, con un indice che sfiora il 75 per cento dei suffragi. Tra gli altri contendenti, socialisti che sfiorano il 10 per cento (peggiore risultato della «scala» di raffronto) e Msi oltre il 7 (posizione intermedia tra dato nazionale e dato meridionale). Singolarmente, citta` e ambiti provinciali, presentano la tradizionale preminenza DC, appena piu` contenuta rispetto ai valori consueti, con distacchi tra DC e PCI sicuramente meno pronunciati che per il passato, anche recente, ma tuttavia considerevoli, a L’Aquila, Chieti e Teramo – citta`; esigui, invece, a Pescara, sia citta` che provincia, e sorpasso comunista a Teramo – provincia (39,9% rispetto al 37,5 conseguito dalla DC). La tornata successiva riguarda il rinnovo dei consigli comunali delle quattro principali citta` abruzzesi (vanno alle urne 30 comuni per quasi 500miola elettori), quello del consiglio regionale, nonche´ il referendum abrogativo riguardante il meccanismo di adeguamento – recupero salariale della “scala mobile” nella versione riformata, cioe` ‘sterilizzata’ dagli accordi di governo. E` certo significativo, anche alla luce delle considerazioni sin qui svolte, che il voto amministrativo locale52 presenti le percentuali a favore della DC nella versione piu` robusta (64 per cento a Chieti – provincia; 60 a Teramo – citta`, con punta minima di quasi il 42 per cento addirittura a Pescara), cosı` come si evidenzia la crescita persino impetuosa del PSI che supera il partito comunista a L’Aquila (19,5 contro 18,9). Il dato regionale53, di contro, ricompone in certa misura quantita` e distacchi piu` vicini ai quadri di riferimento consueti; sul piano nazionale, la DC si attesta sul 35 per cento, staccando di cinque punti il PCI; socialisti al 13,3 per cento, repubblicani 4 e per i Verdi, 2% di esordio. A destra, 6,5% al 52 Cfr. tab. 23 per le comunali del 1985. Da segnalare che, nello spazio tra le due consultazioni amministrative comunali (1985 e 1990), L’Aquila passa da oltre 52 000 elettori a quasi 55 000, Pescara oscilla tra 105 000 e 108000, Chieti passa da 43000 a 46000, Teramo da quasi 42000 a oltre 44000. 53 Per le elezioni regionali del 1985, cfr. tab. II.
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MSI e 2,2 per i liberali. Il voto meridionale cammina d’altronde nel suo solco: piu` del 40 per cento alla DC, meno del 24 al PCI e quasi 15 i socialisti, 8,4 al MSI. L’Abruzzo sembra riprendere la piu` consolidata collocazione intermedia “a incastro”, come l’abbiamo definita, almeno per i due partiti maggiori, considerato che fornisce il 44,3 dei suffragi alla DC (suo migliore risultato) e 26,9 al PCI (tra 23,8 del Sud e 30,2 nazionale); per le altre forze, la ‘linea’ abruzzese e` piu` in basso, sia rispetto al Mezzogiorno che all’Italia nel suo insieme. Per quanto concerne il referendum sulla “scala mobile”54, decimo nella storia elettorale del paese dalla nascita della repubblica, il no vince con il 54,3 a livello nazionale, mentre nel Sud si e no si bilanciano (rispettivamente, 49,9 e 50,1). L’Abruzzo, dal canto suo, si attesta su un valore (53,8 per cento al no) assai prossimo a quello nazionale, e sensibilmente superiore al dato meridionale corrispondente. Quanto ai singoli ambiti territoriali da noi presi in considerazione nella regione, le percentuali dei no sono quasi ovunque superiori alla media abruzzese, con le eccezioni di Pescara provincia e di Teramo provincia (in quest’ultima, il risultato addirittura si rovescia, con la vittoria dei sı`), cioe` dei due distretti piu` industrializzati e con maggiore presenza operaia. Si torna alle urne nel 1987 per le elezioni politiche generali, le ultime del decennio caratterizzate dalla netta generalizzata sconfitta comunista, la vittoria dei due principali partners di governo, il PSI in misura maggiore della DC, buone affermazioni di Verdi e radicali55. Tutto sommato, prevalere indiscusso del ‘pentapartito’ ed eclisse della prospettiva di un’alternativa che corra lungo l’asse destra\sinistra; il tutto, in una cornice in cui si sono affacciate forme di spettacolarizzazione e personalizzazione del messaggio politico, cui e` corrisposta una diminuzione dell’astensionismo. Anche questo voto rivela una marcata caratterizzazione territoriale, con un Nord che rispecchia abbastanza il risultato nazionale, contro un Centro e un Sud dalle accentuate, distinte peculiarita`. Cosı`, nel Mezzogiorno, DC oltre il 40 per cento (34,3 a livello nazionale) e PCI al 23,1 (contro il 26,6); socialisti quasi al 15, MSI al 7,2%. 54
Cfr. tab. 24 (dati generali e dati disaggregati). Nella circostanza, l’Abruzzo conta oltre un milione di elettori (esattamente 1 055 026). 55 Cfr. tab. 20 (dati generali) per il voto politico del 1987.
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L’Abruzzo fa registrare un risultato migliore per la DC, di un punto e mezzo rispetto alla soglia meridionale, ma analogamente per il PCI con un vantaggio di oltre quattro punti sul dato meridionale e di quasi un punto su quello nazionale. Accenno piu` spinto in senso bipolare, dunque, nel caso abruzzese e ancora parziale modifica dello schema piu` tradizionale. Tra le altre forze, spicca in effetti il 12 per cento dei socialisti; per il resto, valori intermedi ‘classici’ per socialdemocratici (3,7) repubblicani (3,4) e Verdi (1,9); peggiore risultato, per i radicali e per gli stessi socialisti, ad onta della pur considerevole percentuale riscossa. Sul piano dei dati riscontrati a livello delle quattro citta` principali e relative province56, valori superiori alla media regionale per la Dc dappertutto (47 per cento a Teramo citta`), tranne che a Pescara (citta` e provincia) e a Teramo provincia, dove, correlativamente, si contano i maggiori consnesi al Partito comunista. Per i socialisti, il migliore risultato e` a L’Aquila e nell’Aquilano (tra il 16 e 17 per cento, al di sopra di tutte le percentuali di riferimento), il peggiore e` a Teramo citta`. A Pescara i suffragi piu` alti per socialdemocratici, radicali e verdi, ma anche quasi l’8 per centgo al Movimento sociale. Buon risultato a Chieti per repubblicani, radicali e verdi, nonche´ voto record per l’estrema destra (8,7 per cento). Astensionismo in calo (rispetto al 1983), soprattutto nei centri urbani. Gli anni immediatamente successivi al voto del 1987, si caratterizzano per sostanziale stabilita` di governo, cui si contrappone uno dei periodi di piu` intensi mutamenti politici e sociali, interni ed internazionali57. Lo stesso 1987 e` l’anno di ben cinque referendum riguardanti la responsabilita` dei giudici, la Commissione Inquirente, la localizzazione delle centrali nucleari, il contributo degli Enti Locali in materia e la costruzione all’estero di centrali nucleari da parte dell’Enel. Schiacciante affermazione del sı` abrogazionista in un mare di astensioni e di voti non validi, tanto da indurre i commentatori a parlare di “una sconfitta complessiva del sistema dei partiti, un ulteriore segno di una crisi di rappresentanza”. Se le medie nazionali oscillano tra il 71,8 a proposito del ruolo dell’Enel all’estero all’85,1 nel referendum sull’Inquirente, nel Mezzogiorno i risultati sono in quasi tutti i casi piu` enfatici nella risposta affermativa e l’Abruzzo, con il 40 per cento di astenuti (la quota piu` bassa fra le regioni meridionali), dice sı` in tutti i casi allineandosi al dato meridionale o collocandosi tra i valori 56 57
Cfr. tab. 21 (dati disaggregati) ancora per le elezioni politiche del 1987. Cfr. G. D’Agostino. La posta in gioco, cit., pp. 351 sgg.
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medi nazionali e quelli meridionali in ordine ai quesiti sul nucleare, o segnalandosi come piu` entusiasta o piu` tiepido sostenitore dei sı`, nei confronti di entrambi i livelli, rispettivamente a proposito delle responsabilita` dei giudici e dell’Inquirente58. Due anni piu` tardi, nuovo appuntamento con l’Europa59; questa volta non tira aria da sorpasso e la DC, benche´ in lieve flessione, infligge cinque lunghezze di distacco all’inseguitore PCI. Tutto sommato, in proporzione, va meglio per il PSI con 14, 8 (+3,6) e per i Verdi; meno bene per tutti gli altri. Il Mezzogiorno si dimostra piu` prodigo con DC, PSI, PSDI e MSI, risospingendo piu` indietro i comunisti (24,4) e accreditando l’estrema sinistra di un 1,2 quasi secondo media nazionale. L’Abruzzo interseca i due livelli, proiettando piu` avanti la DC (41,2), portando il PCI a ridosso della soglia nazionale (27,1) e contenendosi rispetto ai socialisti e alle altre forze in campo. Citta` per citta`, il voto disaggregato mostra un profilo piu` frastagliato: DC al di sopra della media regionale a L’Aquila – provincia, a Chieti – provincia e a Teramo – citta`; Di contro il PCI supera il livello regionale solo a Pescara e Teramo (province); affermazione socialista a L’Aquila, Pescara e Chieti; ridimensionamento del MSI (ma 9, 2 a Chieti citta`). Ovunque astensione molto alta e percentuali rilevanti per i voti non validi. Nelle comunali del 1990, DC sugli scudi, con medie – record a Chieti (64%) e Teramo; socialisti che a L’Aquila, a Pescara e a Teramo superano il PCI; MSI in netto regresso rispetto allo stesso voto di cinque anni prima60. A livello piu` complessivo (30 comuni e 531mila elettori sparsi per la regione) i dati indicano la DC in testa (46,8% e 400 seggi), socialisti e comunisti ormai a distanza ravvicinata tra loro (129 seggi, i primi, contro i 144 dei secondi). In termini strettamente elettorali, forte accentuazione bipolare, fra centro e sinistra (comprendendo in quest’ultima PCI e PSI) che sfiorano, congiuntamente, l’80 per cento dei suffragi, con quasi 700 seggi su 800. Nel concomitante voto per la Regione61, la DC conferma la propria posizione (46,6%) ma il rapporto tra comunisti e socialisti presenta ancora 58
Ibid., pp. 221 sgg. (per i risultati, anche relativamente all’Abruzzo, pp. 230-232. Cfr. tab. 22 (dati generali e dati disaggregati) per il voto europeo del 1989. Sul referendum di indirizzo che accompagna tali elezioni (conferimento di mandato costituente al Parlamento europeo), cfr. ISTAT, 45 anni di elezioni in Italia cit., p. 219; G. D’Agostino, La posta in gioco cit., p. 284. 60 Cfr., tab. 23 per le elezioni comunali del 1990 e per un raffronto con i dati del 1985. 61 Cfr. tab. 11, in particolare per i dati del 1990. 59
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un divario netto a favore dei primi. Il dato abruzzese relativo al partito scudocrociato e`, d’altronde, il migliore sulla scala Abruzzo – Mezzogiorno – Italia, cosı` come quello che attiene al PCI e` il peggiore e quello socialista segue lo stesso andamento di quello comunista. Anche il 1991 diventa anno referendario, essendo stato proposto al corpo elettorale di pronunziarsi contro (o a favore) la preferenza multipla, individuandosi da parte dei promotori nell’abbattimento del voto multipreferenziale il punto d’attacco per una strategia tesa a trasformare in senso uninominalista il sistema elettorale rigidamente proporzionalista voluto dai costituenti nel 1947. Con il 95,6% i sı` alla preferenza unica rendono effettiva la conquista dell’obiettivo collegato, o presunto, tale, all’esigenza di pulizia e moralita` nell’esercizio di voto62. Anche l’Abruzzo partecipa di tale indirizzo generale, con qualche pur lieve differenziazione. Intanto, quasi il 58 per cento di votanti (tra valore meridionale e dato nazionale); ma appena piu` alta percentuale dei contrari alla monopreferenza nel voto per la Camera dei deputati, e quasi doppia quella dei voti non validi, rispetto a entrambi i riferimenti statistici presi in esame. Da segnalare, sempre nell’ambito dei no e dei voti non validi, le punte fatte registrare a Chieti (maggiore affezione per la pluripreferenza, evidentemente); a Pescara, la piu` alta percentuale dei votanti. L’ultimo ricorso alle urne, nel ciclo considerato, ha luogo nell’aprile del 1992, con le elezioni politiche generali63, a scadenza, questa volta, entro i termini di durata fisiologica della legislatura (avviata nel 1987). DC sotto il 30 per cento a livello nazionale ed ex – PCI, ora PDS dopo lo ‘strappo’ occhettiano, al 16,1, mentre alla costola neo-comunista della Rifondazione va il 5,6%. Al PSI il 13,6 per cento, con lievi perdite rispetto al 1987; in ripresa repubblicani e liberali, stabili Verdi e radicali, sorprendente 8,7 per cento alla Lega, i cui suffragi risultano pero` concentrati tutti nelle regioni settentrionali; astensione, in netto aumento (13,2). Al Sud, democristiani poco al di sotto del 40 per cento, PDS al 13,8 (con Rifondazione Comunista al 4,9) e socialisti quasi al 18 per cento. Piu` consistente, rispetto al corrispondente valore nazionale, il suffragio socialdemocratico e meno quello repubblicano, mentre a destra, aumentano liberali e misini; minori 62
Cfr. tab. 25 (dati generali e dati disaggregati). In questa occasione gli elettori abruzzesi sono 1145842 e i votanti 663000. 63 Cfr. tab. 20 (dati generali).
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consensi invece per Verdi e radicali. L’astensionismo, al Sud, raggiunge quasi il 20 per cento, cifra da secondo partito in assoluto, dietro la DC e prima di tutte le altre forze in lizza. In Abruzzo (territorio regionale nel suo insieme) la Dc perde qualche posizione rispetto alle precedenti, omologhe, scadenze; molto piu` consistenti le perdite dei comunisti, ora democratici di sinistra (17,5 per cento), mentre oltre il 5 per cento si colloca la formazione neocomunista. Balzo in avanti per socialisti e laici intermedi, nonche´ radicali e verdi; in ripresa l’estrema destra e astensione sempre piu` alta. Nei capoluoghi e relative province abruzzesi64 la DC e` in testa: oltre il 40 per cento a Chieti e Teramo, ma solo 28,4 a Pescara e 35,4 a L’Aquila. Il PDS esordisce tenendosi sul 15 per cento a L’Aquila e Teramo, poco piu` a Pescara, e poco meno a Chieti; i neo-comunisti, dal canto loro, guadagnano il 5 per cento a Teramo, poco meno a Pescara e Teramo, il 3,5 a L’Aquila. Socialisti in salute a Pescara e L’Aquila (dove raggiungono l’11,2% anche i socialdemocratici), piu` deboli a Chieti e Teramo. A destra, liberali in netta ripresa e misini all’11,6 a Chieti e 8,9 a Pescara. Nelle province corrispondenti, percentuali piu` alte per la Dc (salvo che nel Teramano) e analoga tendenza rispetto al Pds (meno che a L’Aquila), e Rifondazione comunista (7 per cento nel teramano e 6,1 nella provincia di Pescara). Anche i socialisti appaiono piu` forti a livello provinciale ovunque, con l’eccezione del territorio pescarese; mentre i socialdemocratici si affermano a L’Aquila e l’estrema destra a Chieti e Pescara.
7. Nuovi soggetti e nuove regole elettorali per una transizione difficile (1993-96) Il quadriennio conclusivo del mezzo secolo di storia elettorale qui ricostruito si apre ancora sotto il segno delle elezioni politiche generali dell’anno precedente. Gia` in tale circostanza, invero, si sono intravisti fenomeni quali la fine del bipolarismo DC-PCI, tratto distintivo del “caso italiano”, cosı` come si sono avvertiti gli effetti della lunga onda della secolarizzazione nonche´ dell’affievolirsi dei legami subculturali tradizionali, della stessa incipiente crisi della DC e della sua funzione/capacita` di mediare tra interessi anche eterogenei, tenendo tutto assieme con il connettivo del solidarismo cattolico e dell’anticomunismo. Insomma una svolta, 64
Cfr. tab. 21 (dati disaggregati, ancora per le elezioni politiche del 1992.
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appena ancora velata da meccanismi quasi inerziali di compensazione, ma tant’e`, intrecciata con “tangentopoli”, con la contaminazione fra politica e criminalita` organizzata, tale da preludere all’imminente tracollo. La fase e` intanto scandita da ben otto referendum65 approdati al vaglio degli elettori dopo un percorso accidentato triennale; tra le materie, spicca l’ulteriore attacco trasformativo alla legge elettorale in vigore (dopo la monopreferenza, l’abolizione del meccanismo proporzionale residuo previsto per il Senato); inoltre, la cancellazione di tre ministeri (Partecipazioni Statali, Agricoltura, Turismo), la riduzione di alcune competenze delle Unita` Sanitarie Locali in tema di ambiente, la depenalizzazione dei reati connessi all’uso della droga; ancora il finanziamento pubblico. Il risultato e` un ciclone di sı`, avendo l’elettorato recepito l’essenziale di un messaggio martellante secondo il quale in tal modo soltanto poteva esprimersi la sacrosanta voglia di cambiamento, il generalizzato sentimento punitivo verso partiti, ceto politico, ‘regime’ proporzionalista, corruzione, inefficienza, in una parola, verso quasi cinque decenni parsi ad un tratto ingessati, bloccati, sempre uguali a se stessi e immarcescibili. Ovviamente, si punisce il fuori da se´ dimenticando corresponsabilita`, omerta`, complicita`, e soprattutto ritenendo cosı` di guadagnarsi una sorta di rinnovamento interiore catartico, un diritto al ricominciamento. Sı`, insomma, su tutta la linea, con un’astensione, stavolta addirittura in calo, e tuttavia in presenza ancora di qualche disomogeneita` territoriale, in particolare con la diminuzione progressiva delle risposte affermative scendendo da nord verso sud e con la crescita del non – voto nella stessa direzione. Ma sono le anticipatissime consultazioni politiche generali del marzo 1994 a sancire definitivamente il nuovo corso, precedute pochi mesi avanti da un turno di elezioni amministrative locali di straordinaria rilevanza, come quelle che hanno fatto sperimentare appieno e con buon esito agli elettori le nuove procedure (doppio turno con ballottaggio, elezione diretta del sindaco, cartelli elettorali a sostegno dei candidati prescelti, possibilita` di ulteriori accordi e aggregazioni tra primo e secondo turno, interazione 66 tra proporzionale e uninominale) e portato a risultati sostanzialmente favorevoli alla sinistra. 65
Sui referendum del 18 aprile 1993 (elettori abruzzesi: 1 131 810) cfr. tab. 26 ()dati generali). Si veda inoltre G. D’Agpstino, Per una storia delle istituzioni cit., pp. 497 sgg. (e relative indicazioni bibliografiche). 66 Sui diversi sistemi elettorali, e la loro efficacia relativa, con particolare riferimento al’elezione diretta del sindaco, ci siamo variamente espressi; si veda, tra l’altro: G. D’Agostino, Poteri, Istituzioni e Societa` nel mezzogiorno contemporaneo, Napoli 1998, pp. 229 sgg. Per l’analisi di un caso specifico (Napoli e Bassolino) cfr. «Nord e Sud», n.s., 1998, n. 4-5
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MATERIALI PER UNA STORIA ELETTORALE DELL’ABRUZZO (1946-1996)
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In ambito abruzzese, per la verita` , a quest’ultimo riguardo risultati in parte in controtendenza, per le molte peculiarita` locali: vanno alle urne per il rinnovo dei rispettivi consigli comunali, tra il 1993 e il 1994, Pescara, Chieti e L’Aquila67. Nel primo caso, in particolare, in un clima di notevole tensione agonistica, prevale il candidato dello schieramento progressista (Collevecchio), ma pochi mesi piu` tardi, intervenuta la pronuncia del Tribunale amministrativo che annulla la consultazione, si ritorna alle urne, e questa volta prevale il candidato moderato (Pace). A Chieti, vittoria, altresı`, del centro-destra, propiziata anche dalla condotta elettorale della sinistra, che ha corso divisa al proprio interno; in ogni caso, nel capoluogo chietino il Movimento sociale e` di gran lunga il primo partito, distanziando nettamente popolari ed ex comunisti. A L’Aquila, vittoria per il candidato sindaco espressione delle forze congiunte di centro-sinistra (Centi): primo partito, nel capoluogo regionale, il Pds, seguito a ruota dai popolari e, piu´ distanziata, da Forza Italia. Tornando al voto politico generale del 1994, occorre dire che in questa occasione, pero`, e` alla prova un marchingegno elettorale alquanto farraginoso che non e` riuscito a intrecciare apprezzabilmente le ragioni del proporzionalismo e quelle del maggioritario, finendo piuttosto per enfatizzare i difetti dell’uno e dell’altro. Il risultato e` sotto il profilo tecnico-istituzionale parecchio deludente, con conseguenze negative sul piano della rappresentativita` effettiva e in presenza di piu` d’un effetto distorcente. In un panorama affollato di sigle, in parte nuove, in parte mimetizzate, in parte solite ma castigate durissimamente dall’elettorato, si cambia del tutto scena. Vince la destra schierata dietro Berlusconi e il movimento di Forza Italia, Lega e post-fascisti; al centro, al posto della DC, i nuovi popolari e il Patto Segni; a sinistra PDS, Rifondazione Comunista, Verdi, socialisti ridotti ai fantasmi di se´; e ancora, cattolici progressisti (Rete), Verdi, Lista Pannella, laici intermedi. In cifre, e partendo dal dato nazionale68, si va dal 21 per cento di Forza Italia, verso cui e` traghettata gran parte del voto gia` socialista e di quello democristiano, seguito dal 13,5 dell’estrema destra e dell’8,4 della Lega tendenzialmente secessionista (antimeridionalista), al 15,7 del centro ex(numero monografico a cura di O. Cappelli, Governo e partiti a Napoli negli anni Novanta. Verso un presidenzialismo metropolitano»?). Ancora sul tema dei sindaci, si legga l’acuta disamina di L. Vandelli, Sindaci e miti, Bologna 1997. 67 Per i dati sulle elezioni amministrative abruzzesi, cfr. tab. 27. 68 Cfr. tab. 29 (dati generali) per le elezioni europee del 1994.
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democristiano, al 30 per cento circa di una in verita` composita sinistra. Il Mezzogiorno, che era apparso nel 1992 non ancora toccato dalle novita` che maturavano altrove, questa volta e` piu` pronto, quasi allineato in piu` settori ai valori nazionali, addirittura concedendo qualcosa in piu` a sinistra (inclusi i socialisti), ma anche al centro; con significativa inversione di suffragi, pero`, a destra, con netto privilegiamento di Alleanza Nazionale (ex MSI), in pratica primo partito (23,2) rispetto a Forza Italia (15,8). Gli analisti hanno segnalato, al riguardo, una sorta di perduranza delle tre Italie elettorali, sia pure con connotati in parte diversi: destra nel Nord; sinistra al Centro; ‘parita`’ al Sud, quasi una situazione di equilibrio o immobilita`, dovuta all’incertezza nell’individuazione dell’interlocutore (di governo) piu` affidabile, tra due schieramenti non sperimentati in precedenza. Quanto all’Abruzzo, nella circostanza si situa su valori intermedi, tra Mezzogiorno e Italia, per quanto riguarda l’ormai ex-Dc, Forza Italia e la formazione di estrema destra succedanea del Movimento sociale, nonche´ i verdi: in pratica, almeno tre casi dei piu´ emblematici. Valori massimi, nella nostra scala di riferimento, per Rifondazione comunista, Rete, socialisti, Lista Pannella (8,5 per cento); praticamente assenti Lega e Ad, mal integrata dai resti delle formazioni laiche. Le ultime battute del lungo tragitto storico-elettorale riguardano, con il voto europeo dello stesso 199469, il voto sui dodici referendum dell’11 giugno I995 e le consultazioni amministrative (in particolare, comunali e regionali) dello stesso anno, per concludersi con il voto politico del 1996. Per quanto concerne il voto multiplo referendario70, l’eterogeneita` delle materie rende difficile un filo interpretativo unitario. Si puo` intanto segnalare che la percentuale abruzzese dei votanti, senza ricalcare quella nazionale, notevolmente piu` alta, supera in maniera altrettanto consistente quella meridionale che si arresta tra il 42 e il 43 per cento. Cospicue anche le percentuali dei voti non validi e delle schede bianche, con valori in questo caso assai prossimi a quelli meridionali. In merito al pronunciamento politico, dove il no prevale a tutti i livelli della scala dei raffronti, il dato abruzzese occupa prevalentemente una posı´zione intermedia; ma vi sono casi in cui il risultato abruzzese e` di segno opposto rispetto al corrispondente nazionale e meridionale (legge elettorale per i comuni con popola69 70
Cfr. tab. 29 (dati generali) per le elezioni europee del 1994. Cfr. tab. 30 (dati generali) per i risultati dei dodici referendum del 1995.
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MATERIALI PER UNA STORIA ELETTORALE DELL’ABRUZZO (1946-1996)
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zione superiore ai 15000 abitanti), o soltanto all’uno o all’altro dei due (rappresentanze sindacali, soggiorno cautelare, privatizzazione Rai). Un comportamento, nel complesso, che rivela ancora una maggiore disciplina ma anche sensibilita` specifiche su alcuni temi. Quanto al voto regionale, esso rivela un primo consolidamento delle tendenze emerse in queste elezioni della « transizione », all’interno di uno scenario in cui ormai i soggetti in campo e le stesse procedure appaiono notevolmente modificati e, a tratti, addirittura irriconoscibili. In Abruzzo i tre partiti piu´ votati, cosı´ come e` per la scala nazionale, risultano il Pds, Forza Italia e An; in quarta posizione Rifondazione comunista, sensibilmente distanziata71. Le cose stanno in maniera alquanto diversa esaminando il voto politico generale del 199672. Se a livello nazionale vince il blocco di centrosinistra, in Abruzzo, e a livello di singoli partiti, l’estrema destra prevale (cio` che non si verifica neppure su scala meridionale), superando il Pds e Forza Italia, nell’ordine. Nell’insieme, e` il Polo, con annessi e connessi, a vincere comunque la partita, come del resto diversi dati amministrativi, a cavallo dello stesso voto politico del 1994, lasciavano gia` intravvedere. Una conferma, parrebbe, dell’orientamento emerso due anni prima (ma che intanto a livello nazionale e` stato ribaltato), con al tempo stesso elementi di contraddittorieta` e ambiguita` quali emergono ad esempio in sede di attribuzione dei seggi senatoriali, in netta maggioranza appannaggio dello schieramento di centro-sinistra. In definitiva, un quadro ancora mosso, in via di assestamento e, dunque, di difficile lettura: e` pensabile, in ogni caso, una transizione abruzzese alla cosiddetta « seconda Repubblica», diversa e/o antitetica al senso di marcia del Mezzogiorno e del resto del paese? Ci vorra` ancora del tempo, per poterlo dire.
71
Cfr. tab. 31 (dati generali) per il voto regionale del 1995. Sulla tematica piu´ generale delle elezioni di questi ultimi anni, cfr. G. Gangemi e G. Riccamboni (a cura di), Le elezioni della transizione. Il sistema politico italiano alla prova del voto, 1994-1996, Torino 1997; C. Fusaro, Le regole della transizione. La nuova legislazione elettorale italiana, Bologna 1995. Per quanto riguarda il fenomeno astensionistico, Cfr. A Mussino (a cura di), Le nuove forme di astensionismo elettorale, Roma 1999. 72 Per i dati riguardanti il voto politico del 1996 cfr. tab. 28 (dati generali). Su questo voto Cfr. P. Corbetta e A. Parisi (a cura di), Cavalieri e fanti: proposte e proponenti nelle elezioni del 1994 e del 1996, Bologna 1997; O. Vitali, La vittoria del Sinistra-Centro nelle elezioni politiche del 1996, Milano 1997.
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Parte quinta
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OMAGGIO A UN GRANDE MAESTRO: LA MACCHINA LOGICA E NARRATIVA DEL CAPASSO
I. Tra le tante cose dette o scritte su Bartolommeo Capasso, e a costo di ripeterne alcune, mi piace sottolineare quelle che a mio avviso di piu` connotano la sua personalita` e attivita` di studioso, di grande studioso. Senza assolutamente pretendere di metterle in fila, mi riferisco alla straordinaria capacita`/gusto del narrare, quale si evidenzia in ogni suo scritto di qualche respiro, inclusi quelli dove maggiore e` il tasso di erudizione. E` questione, evidentemente, di stile, di educazione, di frequentazione di autori, classici e non, che ne hanno affinato la scrittura e l’hanno resa docile e felice strumento evocativo e comunicativo in grado cosı` elevato. E` funzione, credo, di tale capacita`/gusto del narrare, ‘la padronanza in lui, assolutamente oltre il descrivibile, delle fonti, appunto, narrative (cronache, manoscritti vari, ...) in particolare (va da se´ che Capasso sia stato straordinario individuatore e utilizzatore di tanti tipi di fonti, ma qui si intende segnalare ancora qualcosa di specifico, forse di speciale). Ancora, anche se solo per unirmi al coro dei tanti che l’hanno ben visto ed esaltato, il mestiere da lui posseduto, al massimo livello, di erudito fı´lologo, archivista, al punto da meritargli, assai giustamente, l’appellativo di “Muratori napoletano”. E devo in qualche modo tornare sulla forza evocativa delle sue ricostruzioni e delle sue pagine in genere, alludendo a quell’interesse, divenuto presto un’altra preziosa ‘guida’ dell’operare infaticabile del “padre della storia napoletana”, per la topografia storica e per l’iconografia, alla cui base sta ed emerge puntualmente da molti eccellenti lavori il convincimento fortissimo che le “pietre parlino” e allo stesso modo tanto ci dicono immagini e ritratti.
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Lascio in fine due aspetti che personalmente ho in grandissima considerazione, e che mi fanno sentire il Capasso ancora piu` caro e vicino: l’amore, e inclinazione scientifica, per la storia locale per un verso; la passione civile, lo stare nel mondo, schierarsi, non sfuggire carichi e responsabilita`, una sorta, insomma, di ‘sensibilita` pubblica’ e ‘politica’ che tanto spesso fa difetto agli studiosi.
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II. Premesso quanto sopra (atto di omaggio, o meglio riconoscimento sincero e convinto, piu` che attestato di frequentazione scientifica ed accademica), e` necessario chiarire che non di Capasso storico ‘modernista’ mi accingo a parlare (e come pure improvvidamente io stesso avevo anticipato mesi fa che avrei fatto, nel momento dell’“auto-tassazione” doverosa, con relativa presa in carico di compiti e interventi), quanto piuttosto dei modi in cui si atteggia, si articola e si sviluppa il discorso storico capassiano in alcune opere in cui sono preminenti gli argomenti di storia moderna. I testi tenuti presenti, sono: Il Tasso e la sua famiglia a Sorrento. Ricerche e Narrazioni storiche, Napoli, Nobile, 1866, ma di cui ho utilizzato in concreto la recente edizione (1997) curata per le napoletane Edizioni Scientifiche Italiane da Alfonso Paolella che vi ha preposto una calibrata prefazione, attenta, tra l’altro, ai meriti dell’Autore; La Vicaria vecchia. Pagine della storia di Napoli studiata nelle sue vie e nei suoi monumenti, Napoli, Giannini, 1889 (anche qui, l’edizione d’uso piu` corrente e` stata quella dovuta a Don Franco Strazzullo – e curatore, nonche´ prefatore, piu` vicino allo spirito e agli studi del “gran vegliando” non si saprebbe immaginare – per Berisio nel 1988); La casa e la famiglia di Masaniello. Ricordi della storia e della vita napolitana nel secolo XXVII, Napoli, Giannini, 1919, che reca una veemente, appassionata prefazione di Ferdinando Russo, feroce verso l’intellettualı´ta` e l’accademia napoletane del tempo, e verso la Citta` in genere, “ingrata e obliviosa” nei confronti del Capasso. L’opera e` stata riproposta (1979, Napoli, ed. Berisio) con una densa, e altrettanto sanguigna prefazione di Angelo Manna che ricorda tra l’altro l’attaccamento vivo e profondo di Don Bartolommeo per Sorrento, Napoli, Frattamaggiore, ma soprattutto la sua inderogabile ‘divisa’:”l’amore del vero e della patria”, congiunto al principio che ebbe fermissimo, del “pubblico vantaggio”. Ora qui non dovro` certo recensire queste opere, ben note ai cultori e agli studiosi (si puo` semmai raccomandarne la lettura ai giovani e ai lettori comuni che non le conoscessero), anche se qualche notazione in proposito non manchera` piu` avanti. Inte-
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OMAGGIO A UN GRANDE MAESTRO
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ressa piuttosto – come si e` detto – indicare quella singolare e come architettonica, scenografica maniera in cui e` disposto e si svolge il discorso storico. Questo procede a onde, per grandi cerchi concentrici, quasi dei gorghi, ma anche, puo` dirsi, attraverso un sistema di quinte, di quelle che costituiscono la prospettiva del palco, o della scena teatrale. In primo piano, o cerchio, o onda, o quinta, c’e` l’ambiente materiale e/o naturale, su cui si vertebra l’ambientazione (nel senso anche di clima, atmosfera storica); appena dopo, i luoghi concreti, identificati e, a loro volta, identificativi; le realta` geografiche (Sorrento, Napoli) e ancor piu`, quelle materiali, strutturali, alfine, le pietre. A questo punto, si innestano le persone fisiche, i personaggi: i protagonisti e il contorno di famigliari, partigiani, vicini, antagonisti (Tasso, Masaniello). A conclusione del tutto, nel cerchio piu` interno, l’iconografı´a, le testimonianze figurative, ma anche le ‘maschere’, l’inquieta immagine dell’immagine (tanto osteggiata dal Tasso, ad esempio). Aggiungo che forse in queste opere, ascrivibili alla ‘modernistica’, piu` che in altre la ‘macchina’ logica e narrativa del Capasso sembra funzionare meglio, in ragione di una configurazione complessiva in cui la miscela e l’amalgama delle diverse ‘sezioni’ si sono compiute piu` a fondo, ma questa impressione va messa a confronto con quelle degli altri studiosi capassiani qui raccolti.
III. Di seguito, alcune notazioni riguardanti le opere richiamate, con l’intento, almeno, di offrire qualche esempio di cio` che si e` detto, e che troppo potrebbe sembrare debitore a soggettive sensazioni di lettore. La Vicaria vecchia costituisce uno spaccato topografico-storico di rara efficacia; i soggetti principali, prima ancora che entrino in scena il vicere´ Toledo o il capo dei tumultuanti, il malcapitato Fucillo, sono il rione, il palazzo antico di giustizia, le vie, assunti come concrezione storica, come luoghi e pietre parlanti, perche´ recanti tracce indelebili e memorie forti, essi non meno degli uomini e delle donne, delle generazioni che si sono succedute, anzi, forse e persino, qualcosa in piu`. Nel caso degli studi tassiani, anche qui apertura di scenario sui luoghi nella loro fisicita` e nella ‘ventura’ su questa costruita: Sorrento, citta` dominante rispetto a Piano, a Massa, a Vico; e, ancora, feudo-demanio della regina Giovanna, sorella del Cattolico, e sposa di Ferrandino. Quindi, la descrizione degli aspetti politici, giuridici, sociali ed istituzionali, tratteggiati con sicurezza e profonda conoscenza; e di
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nuovo uno scorcio topografico e di pietre parlanti (la casa del Tasso) che prelude alle ‘inquadrature’ dirette sui personaggi, umani stavolta: il poeta, il padre, la sorella, i nipoti, con cui culmina la scena e il racconto . Infine, Masaniello; qui a parte la magistrale introduzione sulle fonti, il procedimento non si smentisce: precede la minuziosa localizzazione dei siti, in primis; alla ribalta, la piazza Mercato e la casa del pescivendolorivoluzionario. Quindi, attraverso e inframmezzate con lunghe digressioni toponomastiche e topografiche (alcune riguardanti l’abbattimento del Seggio popolare), il quadro di famiglia, ma anche la presentazione del Genoino, una sorta di burattinaio, o deus ex-machina, qualcosa di mezzo tra un Richelieu e un Rasputin. Alla fine, il protagonista e il corredo di quadri, figure e stampe, raccolto in decenni di sagaci, appassionate investigazioni. Si e` detto prima della passione civile del Capasso; anche per questo elemento, mi sembra di poter scorgere in queste opere in particolare segnali piu` evidenti. Cosı`, nel suo giudizio su Masaniello, ritenuto non alla stregua di un fanatico repubblicano ne´ di leader politico-ideologico, quanto piuttosto di un capopopolo in lotta generosa contro il malgoverno. Oppure, nella secca valutazione del 1799 come “memorabile e tirannica ecatombe”, anch’essa avvenuta nella fatidica piazza Mercato. Ma ancor piu`, direi, nel costante riferirsi alla storia locale, ai monumenti patri come fattori primari e insostituibili di identita` e di memoria, baluardo contro i guasti dell’oblio e della incuria. In questo senso, vedeva – e chi scrive ancor oggi con Lui – che dagli archivi e dalle testimonianze architettoniche e urbanistiche solo poteva prodursi la rinascita della cultura e della coscienza dell’amatissima patria napoletana. Una lezione, e non la meno importante e duratura, delle tante che quel Grande ha lasciato a chi sarebbe venuto dopo di lui.
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QUASI UNA CONCLUSIONE NAPOLI TRA PASSATO E FUTURO
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1. Una premessa concettuale e di metodo Il passato di una comunita` , la sua storia in senso lato, prima variamente appresi e quindi percepiti e rivissuti attraverso il costante contatto/rapporto con l’ambiente e il territorio di vita (in cui, cioe`, la comunita` stessa e` insediata, immersa e svolge la sua esistenza quotidiana), e` o diviene fattore di identita`, cultura, conoscenza. E` fuor di dubbio, al riguardo, che a seconda di come si combinano tra loro le azioni di tale “circuito” (apprendimento-aggiornamento; rimessa in circolo e rafforzamento attraverso gli stimoli ambientali-territoriali; riconoscimento/identificazione) qualita` e ruolo della memoria storicoantropologica si configurino in senso e direzione positivi, oppure agiscano al negativo, con effetti controproducenti e conseguenze disastrose sul piano dell’auto-stima, come di quello della considerazione da parte degli altri (esterni alla comunita`). Nel caso di Napoli, citta` e comunita`, alla sostanza di un peculiare processo storico piu` che bimillenario, e segnato – a partire soprattutto dalla prima eta` moderna – dal prevalere di elementi contraddittori e/o negativi sul piano socio-economico e su quello politico (assenza di sviluppo autopropulsivo, disunione fra i ceti, relazione strutturale fra governati e governanti, scarso senso civico ecc.) rispetto a quelli piu` positivi legati in specie alla cultura e alla tradizione intellettuale, al rango di citta` capitale e alle connesse accentuate dimensioni quantitative, al patrimonio artisticomonumentale, al richiamo della bellezza paesaggistica, e` corrisposta una percezione del passato frammentaria, intermittente, disomogenea. Tale percezione, con netti connotati di dis-valorizzazione, si e` posta addirittura
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come freno, limite e alibi (complici le classi dirigenti che si sono succedute e che hanno trovato conveniente collocarsi in un quadro di questo genere) nei confronti di una invocata, ma mai seriamente perseguita, inversione di tendenza. Le cose sono cambiate negli ultimi cinque, sei anni, per impulso della nuova amministrazione che si e` affermata al governo della citta` (guidata dal sindaco “post-comunista” A. Bassolino). Questa compagine ha raccolto un’identita` negativa pesantissima, si e` trovata di fronte una citta` “sgovernata” e anti-istituzionalista, nella quale altri poteri – legati alla malavita organizzata e all’illegalita` – hanno avuto l’opportunita` di insediarsi e proliferare, contaminando e inquinando societa` e politica. Si e` dovuto ricostruire un’idea stessa di citta` (tra citta` “normale” e citta` “giusta”), si e` trattato di tentare di riavviare in senso “virtuoso” quel circuito di cui s’e` detto in principio, attivando processi e materializzando eventi che partendo dalla gestione e valorizzazione del territorio e dell’ambiente, incidessero sulla forma urbis, sulla fisionomia stessa della citta`, e di qui stimolassero anche una nuova percezione di se´, riconnettessero cultura, identita`, immagine riconquistando letteralmente a tal fine memoria e passato. Sono evidentemente andati in questa direzione la riapertura del discorso sul piano regolatore urbanistico; la ripresa degli interventi di manutenzione. decoro e abbellimento della citta`; la rimessa in moto dei servizi prioritari (trasporti, rifiuti, cura sociale, scuola); il forte impulso alle politiche culturali e artistiche, al rinnovamento (restauro, riscoperta) dei tesori del patrimonio storico-artistico-monumentale. Ma hanno rappresentato spinte assai forti nello stesso senso i lavori per la riunione dei 7 Grandi (1994) – primo, salutare shock per gli stessi napoletani che hanno visto riemergere sotto i propri occhi una citta` perduta o dimenticata, ma anche iniziative che hanno incontrato un successo strepitoso, dentro e fuori la citta`, come, tra le altre, La scuola adotta un monumento, Napoli Museo Aperto, Maggio dei Monumenti (quest’ultima, in particolare, e` una singolare kermesse nel corso della quale la Citta` mette in vetrina se stessa, i suoi “pezzi” migliori, attraendo migliaia di visitatori con un ricco programma di visite, itinerari, feste e spettacoli), da cui la comunita` ha ricavato rinnovata e maggiore conoscenza delle proprie potenzialita`, civili e culturali. E va detto altresı`, che se oggi la citta` e` un cantiere per i lavori
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QUASI UNA CONCLUSIONE
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complessi della nuova Metropolitana (che colleghera` i diversi punti della citta`), non meno impegnativi sono gli sforzi legati alla riscoperta di monumenti emblematici, luoghi d’arte, musei, fabbriche di straordinario valore e vestigia di un passato che diventa leva per l’avvenire, per il futuro. Tanta operosita`. in ogni caso, e` stata alla fine premiata, sia a livello di riconoscimenti internazionali (l’UNESCO si e` pronunciata a favore dell’inserimento del centro storico di Napoli nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanita` ritenendo che “il s’agit d’une des plus anciennes villes d’Europe dont le tissu urbain contemporain conserve les e´le´ments de sa longue histoire riche en e´ve´nements. Les trace´s de ses rues, la richesse de ses e´difices historiques caracterisent des e´poques diverses et confe`rent au site une valeur universelle sans pareil; tout cela a exerce´ une profonde influence sur une grande partie de l’Europe et au-dela` des frontie`res meme de celle-ci”); sia con un concorso crescente di visitatori e turisti, dall’Italia e dall’estero; sia, infine, con un risveglio generalizzato di Napoli e dei Napoletani, che sembrano aver ritrovato insieme radici e orgoglio, un nuovo sentimento di appartenenza, ed avere rimesso a fuoco una piu` precisa e confortante identita`. Questa, potrebbe oggi cosı` compendiarsi: citta` con due millenni e mezzo di storia dalla sua fondazione, e con esperienza piu` volte secolare di citta`-capitale di piccoli o grandi aggregati statali, nonche´ cerniera tra Europa e Mediterraneo, crocevia di mondi e di culture, laboratorio permanente di tolleranza, solidarieta`, eclettismo, interferenze. In piu`, con una sua vocazione storica e attuale, che sembra essere quella di un autentico “spazio critico’’, nel quale precipitano eventi, processi, tensioni e idealita` che appartengono ad ambiti spaziali e sociali piu` vasti. O, ancora, quella di polo attrattore e ricettore, ma anche di rifrazione e di restituzione in circolo di nuovi amalgama e di cruciali sintesi. Per tutto questo, la nostra citta` appare come un’entita` che non sa, ne´ vuole, ne´ puo` vivere chiusa in se stessa, che ha grosse capacita` di assorbimento, che costruisce, disfa e riarticola continuamente il suo patrimonio di cultura e di identita`, attraverso una ricerca e verifica continua dei tanti elementi, fattori, “pezzi” che tale patrimonio, quasi un codice genetico del luogo e del suo spirito, compongono e costituiscono. Rispetto a tali coordinate, fare cultura a Napoli rappresenta comunque un impegno e un lavorio costante e complesso, implicato in mille fili nei quali attivita` intellettuali, i diversi saperi e le loro applicazioni, si rincorrono, sovrappongono, intrecciano.
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` NEL MEZZOGIORNO MODERNO E CONTEMPORANEO POTERI, ISTITUZIONI E SOCIETA
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2. Il caso esemplare del bicentenario della Repubblica Napoletana del 1799 Alla luce di cio` che si e` osservato finora, acquista un significato assai particolare la circostanza di questo anniversario bicentenario della Repubblica Napoletana, giacobina, fiorita due secoli fa. In effetti deve essere stato proprio in ragione del peculiare clima culturale determinatosi in citta` che l’insieme delle manifestazioni, iniziative, celebrazioni quali si sono susseguite dall’inizio di quest’anno 1999, a cominciare dal convegno internazionale, dalla mostra di pittura e scultura, nonche´ dalla splendida rappresentazione della “Leonora” di Roberto De Simone al Teatro San Carlo, con tutto l’intenso seguito costituito dalla miriade di eventi, studi, pubblicazioni, spettacoli che si sono succeduti su impulso del Comitato Nazionale appositamente costituito, dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici, nonche´ quanto connesso e intrecciato ad una edizione del “Maggio dei Monumenti” interamente dedicata alla Repubblica, ha suscitato tanto straordinari interesse e partecipazione corale. La comunita` si e` interrogata, si e` appassionata a questo momento cruciale della propria storia, vi ha riconosciuto le radici della propria modernita` e della propria irruzione sulla scena europea. Ha colto il dato fondamentale costituito dall’affermarsi in quella congiuntura di una nuova visione generale del mondo, della politica come dei rapporti sociali, sulla scia delle sollecitazioni se non dei modelli, provenienti dalla Francia rivoluzionaria, ma facendo interagire con le une e con gli altri, forme e temi della propria tradizione culturale. Ma ha fatto anche di piu`, e meglio: e` giunta a intendere che si e` affermata, allora, una visione antagonista a quella dominante di antico regime, ha visto con notevole chiarezza che nel 1799 maturano germi antecedenti e prendono avvio processi e tensioni destinati a incidere in profondita` e a giungere fino all’oggi. Sotto tale profilo, i napoletani e i meridionali del 1799 hanno condotto una sorta di auto – inchiesta di massa; hanno posto domande, con spirito di autentica curiosita` e laicita`, predisponendo a se´ e da se´, nuove risposte su punti non secondari dell’intera vicenda storica (il ruolo contrastante delle diverse classi sociali; il rapporto con la Francia; il giudizio sulla monarchia del tempo; l’autonomia e il senso complessivo dell’esperienza napoletana) andando anche oltre quanto finora era apparso stabilmente assodato e consolidato. E` stato individuato il filo rosso che connota una traiettoria lunga di una
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QUASI UNA CONCLUSIONE
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parte sostanziale e decisiva della societa` napoletana e meridionale nel suo cammino di democrazia, liberta`, solidarieta`, e nel corso della quale il testimone e` passato anche per le mani di ceti diversi, in un intreccio di forme e di forze che ha contagiato, ha pervaso di valori condivisi settori sempre piu` ampi di quella societa` stessa. Per queste vie, la pur breve esistenza della Repubblica giacobina e` apparsa connessa ai moti politici e costituzionali della prima meta` del XIX secolo, all’unificazione nazionale (1860), ai sommovimenti di fine secolo, fino alla lotta contro il fascismo, alle Quattro Giornate del 1943, alla conquista della Repubblica nel 1946 e alla Costituzione del 1948. E per molto di questo cosı` lungo e impegnativo percorso e` emerso il costante riferimento ad un difficile, ma tutt’altro che flebile, “istinto di liberta`” pronto a manifestarsi, esplodere, affermarsi. Accanto ad esso una piu` recente e montante sensibilita` pacifista, che chiede spazio e che ritiene giusto associare le celebrazioni del 1799 alla condanna della violenza e dell’intolleranza, al rifiuto della pena di morte, del dovere di uccidere o restare uccisi per testimoniare le proprie idee. Istinto di liberta`, insomma, ma anche riconoscimento del valore della vita e del primato della cultura e del rispetto per l’altro, in una visione che senza minimamente rinunziare ad affermare il profilo ideale civile e politico, vede prevalere un concetto e una pratica di egemonia, neogiacobina, se si vuole, sostanziati di valori, universali, condivisi. Per tutto questo, mi pare, esce rafforzata la consapevolezza che la memoria di un popolo non e` racchiusa nell’attitudine antiquaria del contemplare passivamente o del guardarsi indietro, inseguendo magari miti e illusioni di improbabili e lontane eta` dell’oro; al contrario, e` cosa completamente diversa, e` progetto, e` tensione per e verso cio` che e` davanti a tutti noi, proiettata cioe` sul presente e, piu` ancora, sul futuro dell’intera comunita`. Cosı` il passato si recupera e diviene forza attiva e propositiva, si fa per cosı` dire, presente e futuro; cosı` una citta` puo` ritrovare equilibrio e armonia, che sembravano irrimediabilmente perduti.
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Scienze storiche
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