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Italian Pages 56 Year 2008
«POICHÉ NIENTE DI QUELLO CHE LA STORIA SEDIMENTA VA PERDUTO» Author(s): Massimo Quaini Source: Quaderni storici, NUOVA SERIE, Vol. 43, No. 127 (1), Una geografia per la storia Dopo Lucio Gambi (APRILE 2008), pp. 55-109 Published by: Società editrice Il Mulino S.p.A. Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43901108 Accessed: 27-03-2020 21:14 UTC REFERENCES Linked references are available on JSTOR for this article: https://www.jstor.org/stable/43901108?seq=1&cid=pdf-reference#references_tab_contents You may need to log in to JSTOR to access the linked references. JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at https://about.jstor.org/terms
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«POICHÉ NIENTE DI QUELLO CHE LA STORIA SEDIMENTA VA PERDUTO»
Gambi , il paesaggio e «Quaderni storici»1
Possiamo amarlo o non amarlo2, in quanto arnese della nost
cassetta degli attrezzi, ma è incontestabile che il paesaggio abbia at versato da protagonista l'intera storia del sapere geografico moder non meno dell'intera esperienza scientifica di Lucio Gambi. Dai pri interventi critici contro la «geografia integrale» ai più corposi contr all'indagine sui nodi territoriali della storia della società italiana, f agli ultimi scritti che chiudono il cerchio di una riflessione che alla sembra voler tornare e quasi ripiegarsi sulla propria terra, la ricerc Gambi è stata un'incessante messa in discussione dei modi storicame
determinati in cui una società locale si rapporta al suo ambiente e suoi paesaggi, al suo territorio e alla sua storia: «poiché niente di qu che la storia sedimenta va perduto»3. Anche quando l'insoddisfazione per il carattere superficiale e fu viarne del concetto geografico di paesaggio lo ha indotto a riesuma applicare altre visioni e paradigmi o a inventare nuove categorie - d
definizione cattaneana di territorio, alle «strutture» della socio storica delle «Annales E.S.C.», fino ai «quadri ambientali» del pr e fondativo volume della Storia d'Italia Einaudi - i paesaggi rimang
sulla scena del suo cantiere di lavoro come un residuo incancellabile
che non può essere rimosso né riassorbito dall'egemonico approccio storico-economico che, almeno in parte, gli suggerisce il senso della sua più nota e alternativa definizione di geografia (come storia della messa in valore della Terra e della sua elaborazione regionale), e tanto meno dagli incerti approcci della «storia ambientale» di derivazione americana che in tempi più recenti hanno affascinato alcuni storici a
lui vicini4.
Malgrado ciò, è per molti versi sorprendente che nell'opinione comune di colleghi e amici si leghi soprattutto al paesaggio il senso del suo magistero e si faccia di Gambi QUADERNI STORICI 127 / a. XLIII, n. 1, apnie 2008
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Massimo
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un grande innovatore nella lettur dentro e attraverso, spesso seguit esaminasse in immagini, fotograf geografo-storico sapeva scorgere, ol trascurati!), ogni sia pur tenue trac operosità nel corso del tempo. E a insegnò a generazioni di allievi5.
In effetti, il tema paesaggio ha c di lavoro sia negli anni Sessanta q originali ricerche di Emilio Seren prendere una certa distanza crit ne
deriva un'idea di «paesaggio» rura contenuti, ma resa insieme più fun abitualmente fedeli: l'idea per cui il come in una sintesi la realtà di ogni orizzontale, e che riguarda solo le pe fenomeni, esperienze e miti di cui s'al
nei
Sia
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anni
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Settanta,
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«Quaderni storici» del 1976)7 e be delle campagne di rilevamento d nino promosse da Andrea Emilia «topografia»
e
«la
paesistica»
tanto
v
Con l'una e l'altra si deve confron i Beni Culturali della Regione Em presidente (dal giugno del 1975 a in carico dall'IBC erano basate, co matore, non solo su «un'immagin bolognese, che molto doveva alla r gie che rivalutavano alcuni vecchi il lavoro sul terreno e l'approccio umano»8. Basate, in ogni caso, su queste sì innovative - con lo stess dietro i principali assi concettuali «conservazione globale», la «schem concetto di «territorio storico-cul tazione spazio-temporale del terri rica di un passato ineliminabile», E lo stesso Emiliani a sostenere,
nuovo
inventario
conoscitivo
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gusto delle «deduzioni trascendentali che, eliminando l'attrito della realtà, consentono progetti mirabili e talvolta colmi di intelligenza, ma irrealizzabili»10 - deve incanalarsi su un rinnovato rapporto con le amministrazioni locali (e su una nuova concezione della pianificazione), oltre che allinearsi alla vasta serie dei riconoscimenti culturali
del passato che comprendono le indagini sulle dimensioni urbanistiche e sul monumento, sulle dimore rurali e sugli insediamenti minori [...] non ultima, infine, fra le dimensioni parallele della ricerca conoscitiva [...] quella indirizzata al paesaggio e ai beni naturali come beni largamente umani e dunque culturali: seguendo in ciò la più moderna proposta di una geografia vista come scienza della dinamica degli spazi umanizzati f11.
Bisogna dire che lette oggi queste pagine scritte oltre trenta anni fa mostrano tutta la loro freschezza e attualità, anche per quel tanto che allora rimase incompiuto e irrealizzato12. Ed è anche in rapporto ad esse e soprattutto alla pratica della ricerca sul campo che mi viene naturale evocare, più avanti, l'idea di un approccio storico-topografico e di piano che Gambi matura nello stesso periodo e che può ben farci capire, insieme a una concezione della storia incline al progetto, le ragioni del suo impegno nell'IBC (e anche probabilmente le ragioni della sua delusione). Fin dal 1971, infatti, Emiliani parlava della «dolorosa frattura» fra la scienza storica e la prassi politica e definiva un programma di lavoro che, anche in seguito, avrebbe informato il lavoro di quanti si collocavano sul terreno di una geografia storica che sempre più si appropriava della «netta sensazione che proprio sul campo dei beni culturali e naturali si combattesse l'ultima possibile battaglia contro l'abbandono delle terre e delle colture» della montagna appenninica13. Non è allora un caso se la maggior parte degli interventi di Gambi su «Quaderni storici», fra il 1974 e il 1980, continuano a ruotare attorno ai temi che, se non proprio suscitati direttamente da queste esperienze, si inseriscono entro una filosofia che non senza qualche accento giacobino e utopistico Andrea Emiliani esprimeva in questi termini: Eppure ricerca storico- culturale e pianificazione sono, per ogni processo di pertinenza culturale, la stessa cosa; così come non è possibile fare opera di ricerca storico- culturale sull'orizzonte di uno sbocco operativo di questa ricerca stessa, senza fare nel contempo opera politica. E qui si impone subito un chiarimento: stiamo lavorando sul territorio italiano, vale a dire sul territorio
più complessamente stratificato esistente nel mondo, ove la sedimentazione storica e culturale, in mille forme, ha raggiunto vertici di sovrapposizione
impensabili in ogni altra nazione. In Italia [...] ogni chilometro quadrato
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comprende invariabilmente quantità allo stesso storico di mestiere, ed ep
eccezionale
validità.
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territorio, così capillarmente intess e di testimonianze di lavoro, ogni p passare attraverso il vaglio più rigor
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geografi, architetti e urbanisti h del tutto. Forse perché il pathos cuno a parlare in proposito di Un affievolendo e, per così dire, bu
fallimentare
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dei BBCC, dove, non per caso, le ambientali sono del tutto minor artistici e archeologici e si è in g contestualizzazione che il territo Per questo è molto difficile legge
ci invitavano Emiliani e Gambi della storia tesa al progetto ci
nazione post-unitaria» di rivitaliz stava per scomparire e che il pae e nei suoi crescenti squilibri:
Quel mirabile equilibrio fra concen privilegio e aree periferiche (così com novecentesca), è qualcosa di più che n magistero valido per la sua storica (q vita italiana, il passato dell'intera naz trentanni fa) entro questa struttura paesi; entro questo reticolo meravigli tro questo cielo fatto di torri e di cam e di colline mitigate dalla mano, dall za. Testimonianze dell'arte e del lavo armoniosa ancora oggi e nonostante tanto che se di conservazione si vor vo metodologico della «globalità» co
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all
Atlante
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Da parte sua, Gambi, nella Presentazione già citata a Territorio e conservazione (1972), saldando politica e cultura, sottolineava come
il «minuto accuratissimo rilevamento dei beni culturali» delle «zone
ritenute prive o povere di personalità e di emergenza a tale riguardo» (ma dove tanti giovani ricercatori allora si impegnavano) dovesse non solo fare giustizia della «equivoca tesi di scuola crociana sulla cosiddetta
spontaneità o sulla pretesa minorità di una elaborazione urbanistica popolare» (da estendere anche «alla costruzione delle trame del paesaggio: i campi, le strade, le sistemazioni idrauliche ecc.»), ma fosse soprattutto «funzionale alla istanza di assicurare alle comunità studiate gli strumenti e le vie per una autogestione del loro territorio»17. Gli anni Settanta sono certamente il periodo più fecondo e ricco di molteplici prospettive nel cantiere scientifico di Lucio Gambi e non soltanto per la ricchezza delle sollecitazioni che gli vengono dall'ambiente bolognese o per la partecipazione al cantiere della Storia d'Italia Einaudi o ancora per l'inedito collocarsi sul versante applicativo della ricerca - sul quale e in particolare sulla insoddisfazione che si esprime
nelle clamorose dimissioni dalla presidenza dell'Istituto bolognese si deve ancora fare piena luce18 - ma anche per l'apertura verso nuove esperienze e punti di vista che sono l'evidente portato del Sessantotto e dell'ambiente politico-culturale milanese (che non fu certo inferiore all'influsso del polo culturale bolognese). Ne è prova la partecipazione al VII Colloquio indetto a Perugia nel 1973 dalla «Conférence européenne permanente pour l'étude du paysage rural», nei cui Atti del 1975 figura una relazione dal titolo significativo di Strutture rurali e conseguente
paesistica come risultato di rivalità fra i campi opposti di forze sociali , che
intende applicare al contesto rurale i canoni della «posizione ideologica strutturalista» e dell'analisi di classe del territorio già sperimentati nel tema della Città fabbrica dal collettivo di A. Magnaghi, A. Perelli, R. Sarfatti, G. Stevan: l'impianto teorico per cui «l'assetto urbano è interpretato come una sequenza sedimentata di ridimensioni e di risposte, motivate le prime da impulsi economici e le seconde da scontri sociali». Una relazione che, per quanto basata su un impianto teorico che oggi ci appare piuttosto rigido e che in seguito Gambi ammorbidirà, mira soprattutto a mettere i geografi di fronte allo «inestricabile e continuato intreccio [. . .] fra dinamica economica e struttura sociale» che «gli studi intorno alla paesistica rurale lasciavano alquanto in ombra»19. La dinamica molteplicità di questi dialoghi interdisciplinari trova un momento di coagulo a Bologna, all'inizio degli anni Ottanta, quando, coinvolto non più soltanto dagli storici dell'arte ma anche da storici di varia formazione, semiologi e architetti (Poni, Raimondi, Calabrese,
Maldonado e Savi), Gambi partecipa all'importante mostra del 1981
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su Paesaggio. Immagine e realtà. cui aveva dato prova nel citato c non vuole dare l'impressione di
attorno
al
paesaggio
contemporaneo,
do sul
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del
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catalogo, affidi a Franco Farinell l'intero svolgimento del rapport se stesso un breve contributo su
«sezione storico-produttiva» co La sordità, quasi l'insensibilit
l'intera sezione dedicata nell'espo dana» e che lascia delusi alcuni d spiegazione nella scarsa adesion che animava invece i promotori d sincrasia per la registrazione fot in cui un fotografo geniale come generosa ricerca dell'invisibile at Un'insensibilità nei confronti d
del
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significato
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necessario ritornare22, ma che r il forte interesse, oltre che per
storiche
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biente bolognese anche per effet paesistici23. Lo dimostra la brev citato catalogo. Proponendosi di
da
Sereni,
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Poni
sperimenta,
derivate
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invisibile ed evidenzia come me quasi esibiscono le strutture pr nasconderle», perché mentre chio del padrone sul territorio «rispondono, volta a volta, a es a
vademecum per chi viaggia»24. E a queste direzioni di ricerca, b e spaziali, che Gambi dimostra al riesca a riconoscersi in quelle ispi una storia del concetto di paesag che Franco Farinelli enuncia, per catalogo (e più tardi estenderà an
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per questo appare come un luogo da cui si diramano diversi e opposti sentieri della ricerca storico-geografica italiana25.
Se questa diversa inclinazione della ricerca gambiana ha un qualche fondamento (e a me pare che l'abbia) si potrebbe ipotizzare che, attraverso la mediazione di Poni, Gambi si fosse allora venuto accostando a quell'approccio, se non proprio topografico, microstorico che «Quaderni storici» comincia allora a dibattere per impulso di Poni e Carlo Ginzburg da una parte e di Giovanni Levi e Edoardo Grendi
dall'altra26.
In realtà, Lucio Gambi, pur partecipando intensamente alla programmazione di «Quaderni storici» (almeno fino al 1981), non si colloca sul terreno di una discussione storiografica che cominciava a prendere le distanze dall'esperienza delle «Annales», in specie da quella segnata
dalla direzione di Fernand Braudel, nella quale, come vedremo più
avanti, Gambi si era in qualche modo «ri-formato», derivando o almeno rinforzando tanto la sua concezione della storia, quanto la sua visione dei rapporti fra la geografia e le altre scienze storiche e umane. La sua stessa originaria formazione, ma anche l'amicizia con Sergio Anselmi e la vicinanza intellettuale con il nucleo fondatore dei «Quaderni storici
delle Marche» - che, non a caso, avevano assunto nel primo numero del 1966 come «editoriale o manifesto il celebre articolo di Fernand Braudel, Storia e scienze sociali : il lungo periodo , tratto dalle "Annales"» (1958)27 - lo legano più allo spirito della prima serie che ai nuovi temi e versanti critici della seconda. Anche quando questa, come è il caso dei numeri monografici sulla Storia e archeologia dei boschi , sulla Protoindustria o sulle Borghesie urbane dell'Ottocento , affronta alcuni dei suoi più forti interessi di studio, Gambi non partecipa e di fatto la sua partecipazione più attiva cessa in questo fatidico 1981 (ma rimane nel comitato scientifico fino al 1989)28. Contestualizzando meglio l'indagine gambiana, anche la comunanza di interessi scientifici con Carlo Poni si spiega con una direzione dei flussi e influssi della ricerca che muove da Gambi a Poni almeno quanto muove da Poni a Gambi e che più che confrontarsi sul terreno effimero della mostra bolognese si avvale dei risultati di quel grande cantiere collettivo di lavoro che dall'inizio degli anni Settanta è, per Gambi e molti dei suoi collaboratori, la Storia d'Italia Einaudi e in particolare l'ultimo volume: V Atlante (1976). Attraverso questa esperienza, Gambi matura un indirizzo di ricerca storico-locale, che, in attesa di indagini più precise, si potrebbe definire più topografico che microstorico29. Ma, piuttosto che dare definizioni sulla base di categorie elaborate successivamente da alcune delle più rilevanti direzioni di ricerca assunte da «Quaderni storici», vale la pena notare che Gambi, nel corso di questa
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importante esperienza che si chiude torna a confrontarsi con il tema p
a quanto ha fatto fino ad allora e confronto con le pratiche e i ris indotto a radicalizzare il suo «stru
Le
«
Lo
Annales
»
e
il
storicismo
modello
braude
strutturalista
geografi italiani e in particolare moderne di provenienza californ senza neppure tentarne un'analisi
alla
fonte
di
ciò
che
ho
chiama
sarebbe meglio definire storia so punto deve essere meglio precisa Associare Gambi alle «Annales», permette anche di evidenziare un che i geografi italiani fanno finta storico che geografo, come risult da lui praticata che comincia sem non volersi definire geografo n (come sembrano pensare in molt
ispirato
alla
scuola
di
Francofo
Farinelli), ma deriva da una conc lo induceva nel 1965 a dichiarars
a questo mondo è la storia (e qu Neppure si trattava di un attegg zioni con gli storici. E piuttosto n
che
Gambi
sentiva
il
bisogno
d
convincerli che Coloro che si dich problemi storici , come recita il internazionale di Dégioz (Aosta) n
Nella dura polemica con Dino «demolire» o annullare la geogr
della storia e il porre «a base di di valore storicamente mutevoli»
neoidealista, ma semmai del po e soprattutto della concezione
rifarsi a Febvre - in particolare a era per nulla strumentale: al con anche autore insieme al geografo
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sul Reno, esiste una tale affinità di pensiero che è spesso facile ritrovare formule definitorie molto prossime36. Si veda per esempio quanto Feb vre scriveva nel 1941-42, in un testo di scarsa circolazione allora, ma che Gambi poteva leggere nei Combats pour l'histoire (1953): Esiste solo la storia, nella sua unità. La storia che è per intero sociale, per definizione. La storia che io penso che sia lo studio, scientificamente condotto, delle diverse attività e delle diverse creazioni degli uomini di altri tempi, colti nel loro tempo, entro l'ambito delle società estremamente varie e tuttavia comparabili tra loro, con cui hanno ricoperto la superficie della terra e la successione dei tempi37.
Per Gambi come per Febvre si può ben dire che «storia e ricerca storica tendono a confondersi sul piano concettuale come su quello pratico: il presupposto di entrambi è infatti la definizione rigorosa di problemi o dell'ambito dei problemi che si intende isolare, e delle procedure - ipotesi - con cui li si intende studiare». Per Gambi come per Febvre l'oggetto della ricerca sono i «fatti umani» e, come diceva il secondo, «elaborare un fatto significa costruirlo»38.
Ritornando all'illuminante polemica con Dino Gribaudi, Gambi ammette ancora che al centro del suo storicismo vi è il problema
dell'individuazione delle «strutture come forze di fondo di quella organizzazione delle vocazioni ambientali, la cui storia è oggetto di studio della geografia umana». E infine, che tale idea di struttura che, nota bene, poteva consentire anche «la risoluzione dei problemi paesistici», ha la sua genesi nel materialismo storico39.
Non è qui il caso di avviare un'analisi della interpretazione gambiana del marxismo, ma è evidente che, già per effetto di questa sua convinta adesione, per alimentare la sua pratica di ricerca e la «costruzione dei fatti umani», Gambi dovesse guardare, oltre che agli storici italiani presso i quali il materialismo storico aveva già ben fecondato la ricerca (si pensi all'effetto Gramsci)40, soprattutto ai geografi francesi dove già esisteva, a suo dire, una «Sinistra geografica» che si ispirava al marxismo41. La Francia non aveva avuto l'esperienza devastante del fascismo e, già fra le due guerre, la geografia godeva di un notevole prestigio e proprio al contrario di quanto accadeva in Italia molti dei temi della nuova storiografia, che aveva «Les Annales»
come suo organo, derivavano dalla geografia umana di Vidal de La Blache e di Demangeon.
Lo scambio, non a senso unico, fra storici e geografi francesi appare formidabile - e Gambi lo nota nei suoi articoli degli anni Sessanta - soprattutto nel campo della geografia rurale e delle relazioni fra le
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forme dell'insediamento e l'or tema appare decisivo il contrib
originaux del 1931, dove gli stud francesi si incrociano con il cont tedeschi della Siedelungsgeschich rica dell'insediamento rurale. Ne dei paesaggi agrari in termini di soltanto quella fra le forme visib e quella dei «bocages» o dei camp la spiegazione di paesaggi che rif implicano invece il ruolo essenzia collettivi nell'uso della terra e de
Se
da
Marc
Bloch,
a
proposito
di una svolta marxista all'inizio d aver derivato il concetto di strut faceva degli studi di geografia ru umana francese»42 (e ne spiega d tanto presso i geografi ma press zatto e studiosi di agraria come E ambientale» (che abbiamo visto e biana della geografia umana) der di Lucien Febvre, l'altro fondato Al di là di questi riferimenti p
comunque
da
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in
man
concetti portanti della critica ge dalla metà degli anni Cinquanta qualche tratto del clima cultural
l'influenza in Italia delle «Ann su Gambi44. Non c'è dubbio ch
«Annales» del dopoguerra non po tegrazione e degli scambi che fra
scienze
umane,
geografia
comp
Non stupisce perciò che un geogr italiana una «regione depressa» e interdisciplinare, implicito nell'a grande attenzione alla rivista dir e successore di Lucien Febvre.
Fin dal primo opuscolo dei Fratelli Lega di Faenza, con cui nel 1956 apre la sua battaglia contro la geografia italiana, il richiamo più
esplicito è alla lezione di Vidal de La Blache e alla «pleiade di storici francesi venuti su alla sua scuola - ricordo solo i nomi principali: Lucien
Febvre, Marc Bloch, Fernand Braudel». A proposito di quest'ultimo
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Gambi osserva che la sua «poderosa opera intorno alle civiltà e agli imperi del mare Mediterraneo» è impostata su una interpretazione della storia umana nuova e originale: egli vede la storia umana ordinata come su tre piani o, come egli preferisce, su tre scene che si proiettano una sopra l'altra. La prima, che fa da base, è quasi immobile nella sua natura, ma è instabile nei suoi valori: è la scena dell'uomo nei suoi rapporti con l'ambiente, una storia di lento svolgimento e di lente mutazioni, fatta molte volte di ritomi periodali, regolari o no: è quella che ho chiamato geografia umana secondo una problematica storica45.
Nel 1956 Gambi pensa a una divisione della geografia umana in due
problematiche che hanno un medesimo oggetto (l'uomo) ma diverso «piano di visuale»: un piano naturalistico che si traduce in una «problematica ecologica» ed è in comune con la geografia fisica (quanto al metodo) e uno umanistico che dà accesso a una problematica essenzialmente storica. In questa fase la concezione gambiana appare piuttosto rigida: la distinzione fra geografia umana e storia - problema di cui allora si discuteva anche in Francia - viene a essere determinata dalla visuale o mentalità dello studioso più che dall'oggetto o dai problemi che la realtà pone. Questa scelta determina conseguenze importanti: l'oggetto (l'uomo o meglio gli uomini), che separa la geografia umana dalla geografia fisica, non è sufficiente a dare autonomia alla geografia umana, e questa può sciogliere la sua costitutiva ambiguità solo rifluendo da un lato nel paradigma o orizzonte naturalistico della geografia fisica (per la problematica ecologica) e dall'altro in quello umanistico della storia (per tutto il resto)46. Come si vede, il dichiararsi storico e non geografo è la conseguenza inevitabile di una precisa visione della geografia umana. Appare infatti evidente che se la Mediterranée di Braudel è il modello di riferimento, la distinzione fra storia e geografia si fa interna al singolo studioso: se è storico di formazione dovrà farsi geografo-storico ovvero praticare
la «geostoria», come hanno fatto Febvre e soprattutto Braudel, se è geografo dovrà farsi anche e soprattutto storico come hanno fatto Demangeon, Dion e altri47. In questa bi-tripartizione della geografia il paesaggio dove si colloca? Se, accanto al modello Braudel (per la problematica storica), vale per la problematica ecologica il modello di Biasutti e di Sorre, la conseguenza sembra inevitabile: «la geografia del paesaggio può venire svolta unicamente dà una mentalità naturalistica» e, come tale, è fuori dalla geografia umana di impianto storico. L'impasse è evidente e porta ad un risultato paradossale: il paesaggio, che nasce come visuale o punto di vista dell'uo-
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Massimo
Quaini
mo prima ancora che del geografo umana e anche dalla storia. Da ta la via di uscita non può essere cos occhi di Gambi appare attardata, in concezioni troppo superficiali e in cantieri di ricerca come quello antropologi, economisti e geograf
Per
capire
con
quanta
adesione
allora guardare alle «Annales»48, nel 1961 Fernand Braudel propon
rezione di Bloch e Febvre, part a le très gros avantage de saisir
train de progresser, d'établir d sciences voisines». L'idea-chiave «d'une histoire considérée, en p
une science de l'actuel , je dirais m sciences de l'homme». Un proget verificato, a partire da esempi e
del
sociologo,
Per
dare
capire
che
dell'economista
che
cosa
questa
queste
idea
della
e
istan
stori
assicurata sulla rivista da alcuni g anni 1958 e 1959, troviamo sulle geografa che ebbe una certa infl pubblica due interessanti dossier Palerme, d'après l'enquête de Dan sociaux: un pays du latifondo sic
Chi
oggi
riesce
a
immedesima
periodo eroico - perché fatto di nare quanto queste esperienze po confermare e ampliare la sua con è del tutto evidente che il rappo francesi è stato ben più rilevante parte di chi ha voluto accreditar
Gambi,
vantando
un'appartenen
appare del tutto fantasiosa (e al m e nulla apporta alla comprension di Gambi51.
La realtà, come si visto, è molt mule ad effetto a rovesciarla52. fra i geografi italiani - presso i
scientifici
che
allora
si
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svolgev
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nella geografia europea - Gambi si dimostra lettore attento dei classici della storiografia e della geografia francese e molto informato anche delle ricerche che, a partire da Le Lannou, i geografi francesi vengono a condurre in Italia e in particolare nel Mezzogiorno53. Anche questa circostanza va vista come un ulteriore elemento di distacco dalla geografia italiana e di identificazione nello spirito della geografia europea e in particolare francese. Al punto che si potrebbe dire che, negli anni
Cinquanta, Gambi svolge a Messina il suo insegnamento con uno spirito e una concezione del lavoro che non appaiono molto distanti
da quelli professati negli stessi anni da Renée Rochefort, che in Sicilia sta conducendo, fra il 1954 e il 1959, la sua thèse di geografia sociale su Le travail en Sicile. Lo dimostra l'adesione profonda a ciò che per
brevità ho chiamato il «modello Braudel», che emerge anche dalla penetrante recensione dedicata al lavoro della Rochefort sulle pagine
di «Critica Storica», contestualmente a una dichiarazione di rifiuto
della tradizione geografica italiana che più esplicita non potrebbe essere: «chi voglia indicare nella letteratura geografica più recente delle opere che trattino con vero impegno, acume e originalità, i problemi della geografia umana nelle regioni meridionali italiane deve rivolgersi a studi di non geografi o a studi di geografi non italiani». E di seguito
indicava varie indagini di Galasso, Rossi Doria, Dickinson, Meyriat,
Le Lannou e infine il volume della Rochefort che «per lo studio delle relazioni fra lavoro e ambiente in Sicilia è quanto di meglio sia stato
scritto finora»54.
La recensione si rivela importante per definire per quali vie e per quali apporti si viene costruendo la sua geografia umana. Più degli scritti teorici dimostra, infatti, con quanta attenzione Gambi abbia riflettu-
to sulla Mediterranée di Braudel. A partire infatti da un'indicazione della stessa Rochefort, che aveva collegato la lezione di Le Lannou alla «scuola di Braudel» (l'espressione è di Gambi), viene dimostrato al lettore italiano quanto puntualmente l'impianto metodologico di Travail en Sicile ricalchi o meglio esperimenti su un'area più ristretta e con raggio tematico più limitato (ma riguardante «un problema sociale di oggi»): «la validità della nota interpretazione storica "su tre piani». L'analisi di Gambi appare molto convincente e, oltre a spiegare con il ricorso a questa teoria l'efficacia e la penetrazione delle indagini della geografa francese, costituisce la prova del rilievo che allora il modello Braudel poteva o doveva avere nella costruzione della nuova geografia umana anche nel nostro paese. Sul buon esito di questo esperimento di «geografia sociale» vengono infatti a basarsi le conclusioni che Gambi trae sul piano metodologico generale:
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e sotto questo riguardo l'opera del con notevole energia ed acutezza a
in corso specialmente in Francia) di scienza geografica; e il merito di doc la cosiddetta geografia umana fa pa e rivela una sostanziale coincidenza la storia sociale.
Sul piano più specificamente m allargamento nella adesione al m più limitata al piano basale al qua il campo della geografia umana ( con l'ambiente, una storia di len fatta molte volte di ritorni per chiamato geografia umana second in virtù della sperimentazione de
tanto quello dei movimenti d'i caratterizzano la «storia strutt
della storia che supera la routine oscillazioni, secondo un dinamism sonalità ben definite...», vengono della geografia umana56. Non è dunque un caso se in que e la «paesistica» - l'uno e l'altro t lette per prenderne ulteriormen connotati da quei caratteri di sup
ducono Gambi ad escluderli dal questo piano della proiezione oriz geografi alla percezione sensibile alla storia e soprattutto da quella più aggiornata e larga del metod dei piani sovrapposti. Alla luce di queste considerazi di ricerca, chę in questa sede non ma che consentirebbe di valuta dei prodotti più consistenti e sig Lucio Gambi: il bel volume dedicato alla Calabria nella collezione UTET impostata e diretta da Roberto Almagià e pubblicato nel 1965. Proprio per questa sua collocazione questa opera si dovrebbe leggere come la definitiva resa dei conti con l'eredità scientifica della geografia italiana nella quale si era formato, avendo appunto come maestro Almagià. In che misura il vecchio maestro, la vecchia lezione, vengono sostituiti dalla nuova scuola geostorica? In che misura la famosa griglia
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 69
tripartita costituisce anche per questa seconda regione mediterranea la filigrana che sorregge la ricerca? Se la risposta alla prima domanda
appare solo un problema di proporzioni (e certamente la lezione di
Almagià continuerà ad agire negli studi di storia della cartografia57), per
quanto attiene al secondo quesito l'indagine resta ancora da fare. Ma fin ďora si può riconoscere che la Calabria , che per la sua difformità dallo schema fino ad allora adottato non venne neppure recensita sulle riviste geografiche, rimane la migliore delle monografie regionali che la geografia italiana abbia saputo produrre in quello che è il suo più classico e famoso genere letterario e ancora oggi presenta suggestioni e stimoli di grande interesse e modernità58. Vale dunque per lo stesso Gambi l'osservazione che «per scrittori ed economisti e operatori sindacali [. . .] nel secolo nostro, e da quindici anni specialmente, la Calabria è stata fra le migliori palestre di realismo in Italia, e che in questo "franco, implacabile realismo" si veniva ritrovando "l'anima delle generazioni più giovani"59». Quel che è certo è che l'esperienza del Mezzogiorno e della questione meridionale ha segnato profondamente Gambi e gli ha dato modo di alimentare ulteriormente la sua polemica contro l'arretratezza della geografia. Irresistibile appare infatti la sua descrizione del mondo della geografia italiana quando ricorre alla metafora di una piazza di quei paesi assonnati del Mezzogiorno, ove la vita conserva o ricalca fedelmente i ritmi e gli schemi di alcune generazioni fa e i circoli degli anziani galantuomini, fra i silenzi intorno, rimasticano nei loro aridi conversari le idee e le tradizioni degli avi, restii a capire perché i giovani ora disertano in gran numero quei decaduti paesi, e migrano ove c'è dinamismo e apertura
sociale, ove gli ambienti sociali si ridimensionano via via con l'evoluzione culturale, ove i miti sono frantumati da una cosciente interpretazione della
storia 60.
Di altri «conversari» - che qui si dovrebbero ricostruire a partire dalla «lunghe conversazioni orali ed epistolari svolte negli ultimi cinque o sei anni con molti amici della mia generazione, e naturalisti e storici» a cui Gambi riferisce il suo primo riesame del 1956 - si nutriva allora la sua costruzione della geografia umana61.
A guardare verso Parigi e le «Annales» con crescente interesse lo avevano forse già indotto sociologi e meridionalisti che dimostrano di conoscere e praticare la geografia umana francese se non prima più intensamente degli stessi geografi62. Ma è certo che mademoiselle Rochefort fa da ponte non solo con alcuni degli ambienti geografici di là delle Alpi ma anche con le «Annales». E infatti proprio la geografa che
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nel 1961 presenta sulle «Annales» raccolto nelle Questioni , come l' sciences humaines» (che mi semb semplice e profonda, sufficiente ografi italiani del tempo preoccup La Rochefort, che aveva tenuto a la figlia della Méditerrannée di B materiale e la geostoria»63, prese anni Cinquanta come contributi « nostre Annales si sforzano di pro abbiamo già ipotizzato, la geogra fine che Gambi si propone è sop della concezione tradizionale di g particolare in Francia, come lo s a
Una
E
geografia
qui
Gambi
per
la
storia
inutile
dire
trova
troverà
escludono
e
che
Francesco
64
il
per
.
conse
lungo
Compagn
raci, è pari a zero65. Anche per critici hanno sulle «Annales» app dall'autorità della rivista. Va perc della Rochefort si estende, in un di Gambi in tema di «geografia s interventi che consentono alla R della sua personalità di studioso conception
du
géographe
dans
la
c
acteur, créateur qui participe et doit de la terre, Ne reproche-t-il pas à se
le
terme
de
«projet»?
Sachons-lui
mission de planifier que, si l'on veu bien en revenir, par-delà les abstrac point d'aboutissement d'un long des
Si intravede in questo ritratto senso e dell'istinto geografico m dologica e culturale e dal senso d le parole della Rochefort - molto
Gambi
di
allora).
Da
questi
di Salerno»67 avrà certamente ricavato la convinzione di essere sulla
buona strada anche per il fatto che sempre sulle «Annales» poteva spesso ritrovare, in termini a lui congeniali, le stesse questioni che
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rico
«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 7 1
allora lo travagliavano. Ne cito soltanto due, molto dibattute in quegli anni sulle «Annales»:
- la questione del paesaggio agrario ovvero delle strutture paesistiche e regionali: è infatti nella storia e geografia umana francese che
paesaggi, strutture agrarie, insediamenti e regione si saldano in un
unico discorso e non è un caso se fra i più costanti collaboratori delle «Annales» vi sia anche Etienne Juillard, con contributi assai rilevanti tanto sulla genesi dei paesaggi agrari quanto sul concetto di regione e di geografia economica68;
- la questione della chiusura della geografia rispetto alle scienze umane. Dalla lettura delle «Annales E.S.C.», piuttosto delle «Annales de Géographie», Gambi poteva apprendere che esisteva anche una
questione francese e che questa veniva liberamente dibattuta da storici e geografi. A porla era stato Braudel (ben coadiuvato da Febvre, Morazé, Mandrou e altri69) fin dal 1944 recensendo il manuale di Sorre - uno dei testi più apprezzati da Gambi - e successivamente nel 1951 con la
critica della Géographie humaine di Le Lannou. Nell'uno e nell'altro intervento, ripresi ancora nel 1960, Braudel aveva espresso la sua delusione del fatto che la geografia, cercando ora di delimitare il suo territorio, rinnegasse il suo modello di crescita che la storia aveva saputo far proprio e che avrebbe dovuto garantire non l'integrazione fra due sole discipline ma fra tutte le scienze umane. Proprio nel confronto con
Le Lannou, Braudel, ispirandosi al concetto di «interscienza», aveva così disegnato l'edificio delle scienze umane:
non esistono scienze umane dai confini limitati, ciascuna di esse è una porta aperta sull'insieme del sociale che si apre su tutte le stanze e conduce a tutti
i piani dell'edificio, a condizione che l'investigatore non si arresti nel suo
cammino, mosso da un senso di riguardo nei confronti degli altri specialisti suoi vicini, ma essendo al contrario pronto ad utilizzare, quando ve ne sia la necessità, le loro porte e le loro scale.
Questa visione, che Braudel applica a qualsiasi scienza umana - arrivando a dire «tutte le scienze sociali sono condannate ad essere globali o a scomparire» - lo portava anche a scrivere che non si è geografi se si ammette che «non esistendo una scorza geografica dei problemi umani [...], l'inchiesta geografica deve attraversare, partendo dai suoi territori particolari [...], lo spessore globale delle questioni sociali»70. Se nel 1952 Sorre aveva ammesso: «c'est vers l'histoire totale que la géographie humaine se tourne», dieci anni dopo nessun geografo francese avrebbero probabilmente sottoscritto queste parole. I rapporti si erano fatti difficili e le «Annales» registrano più di un intervento critico
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sulla
Quaini
chiusura
dei
geografi,
tanto
Higounet e Chaunu che in qual «geohistoire» l'auspicio di Sorre geografia umana con ulteriori
scienza umana più ambiziosa e no Insomma, Braudel, palesemente spazialista della geografia umana cronia, alla geografia il presente e programma che è praticamente l attraverso i confronti che abbiam
che Braudel si rifaceva in questo ne delle scienze» che era già stat da J. Revel e A. Torre, piuttosto delle diverse discipline era «affid blemi comuni» e a piani di inda di civiltà: «un luogo verso il quale
che compongono, nel loro insie della società». Intorno a questo quanto generico nei suoi fonda stringente forse Bloch non l'av
interdisciplinare delle «Annales» storia, ma per la geografia che f pagnato la storia anche nella for
più
rilevante
è
l'invito
che
Bra
l'ipotesi
che
il
separazione: la geografia, avendo tempo incorporato, nella pratica della dimensione spazio-temporal sua timidezza e «prendre son bie richesse nouvelle», non deve aver dunque trasformarsi in scienza u A conclusione di questo profilo sue implicazioni avrebbe dovuto
poter
avanzare
m
gli sforzi e i dibattiti delle «Ann i geografi francesi, ansiosi di tr a calcare altri sentieri, trovava in Lucio Gambi, che in effetti r
nuova
ricchezza»
il
bene
prodo
(non solo francesi, ovviamente), più che nella sua ombra nell'aper non potevano non fare riferim
«Annales»,
alle
seduzioni
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della
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da Einaudi nel 1953) e non formarsi sui testi dei classici francesi, che tanto dovevano all'antica alleanza fra storia e geografia. Anche - non va dimenticato - per merito della benemerita collana «Geografia Umana» promossa da Gambi e inaugurata presso l'editore Angeli nel 1972 con un agile manuale di Pierre George 73 .
Tra «questione iconografica» e «questione dei valori »: la formazione di un apparato concettuale leggero ma di grande efficacia
In un'accorata rievocazione della figura di Lucio Gambi, una giovane geografa, che ha avuto la possibilità di frequentarlo soltanto nell'ultimo periodo della sua vita scientifica, riferisce che, per sua stessa confessione, i temi che più lo avevano attratto erano stati «lo studio del paesaggio nelle sue più varie ed ampie declinazioni e la questione della pianificazione territoriale in rapporto alla dinamica del mosaico politico-amministrativo, l'ossatura di base per la costruzione del territorio dello stato»74. Il paesaggio, i confini e il progetto, dunque, se è vero che pianificare il territorio significa riconoscere e delimitare valori paesistici e ambiti di civiltà o di cittadinanza all'interno delle strutture
dello stato nelle quali siamo chiamati a vivere, a operare e, non per
ultimo, a trasformare e riprogettare. Quale migliore terreno di verifica di questo atteggiamento si può allora scegliere della sua collaborazione alla Storia ďltalia , il luogo in
cui vocazioni ambientali, valori paesistici, ambiti spaziali e orizzonti politico-amministrativi dialogano nella costruzione-interpretazione di un'identità nazionale che sempre si rinnova? Abbiamo già intravisto quanto il cantiere einaudiano fosse importante per Gambi e per quanti si riconoscevano nel suo magistero. Più che il primo volume - 1 caratteri originali (1972) - che in fondo riproponeva il vecchio schema, alla Michelet, di una geografia che introduce la storia descrivendone la scena e più ancora del saggio inserito nel V volume: I documenti (1973 )75, è Y Atlante (1977), il volume conclusivo , che a mio avviso va visto come il suo contributo più originale all'opera, avendo Gambi avuto la responsabilità di progettarlo praticamente per intero76. E intanto va sottolineato il fatto - che non mi pare sia stato colto nelle discussioni peraltro scarse che l'opera ha suscitato in Italia77 che non era per nulla scontato l'affidamento a un geografo, non tanto del compito tradizionale di aprire con la sua «introduzione» la nuova
Storia d'Italia , quanto di chiuderla, sia pure provvisoriamente, con «una raccolta di materiali visivi attinenti alla storia d'Italia» che aveva
l'ambizione di essere «un'apertura di nuovi temi [...] nella direzione
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di una psicologia storica della per tali materiali «a una profonda m ha un indubbio significato innov Gambi che sui limiti della percez di studio aveva basato la sua crit E anche vero che nel corso degl di progetti di atlanti anche fra g anche in seguito e sulle pagine d sta discussione aveva partecipato imbarazzo dovuto proprio al suo infatti aperto la relazione Per un nazionale di scienze storiche (Per prendere le distanze da «quei geo che considera per fine della geog visibili
e
di
superficie
-
e
quindi
icon
che si svolgono sopra la Terra»8 bisogno di distinguersi anche da scuola francese81, si deve pensar nasconde una questione diriment capire non solo il senso dell'At concetto di paesaggio.
In realtà si tratta di una doppia iconografica» ovvero il problema delle configurazioni visibili e di visivo e nelle sue immagini più o topografiche, e dunque la questio delle conseguenti tecnologie dell rappresentazione cartografica (o distanza critica che ha già espres visibile e topografico» dei geogra deve attingere alla invisibilità de della storia sociale, anche la cart tura, rende molto elementari e m storici, per loro natura invece
invisibili82.
La seconda questione possiamo definirla la «questione dei valori»: un concetto- chiave nella visione di Gambi, al quale finora non abbiamo dato il dovuto rilievo, preferendo finora parlare di «vocazioni ambientali» e «strutture».
La doppia questione ha evidenti significati filosofici, che in questa sede non è possibile affrontare in maniera adeguata. Essi ci riporterebbero al coevo dibattito sullo strutturalismo e alla successiva deriva
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fenomenologica che negli anni Ottanta porta alla cosiddetta «geografia umanistica» (non a caso fondata sulla riscoperta della percezione e della soggettività) e al superamento dello strutturalismo, al quale mi pare di poter dire che Gambi rimane sostanzialmente fedele, anche se con qualche importante aggiustamento che, come ora vedremo, riguarda proprio il paesaggio e il concetto di rappresentazione83. E infatti il filo che si dipana dal concetto di «valore storico-geografico» che potrebbe aver portato Gambi a rivalutare il paesaggio e, in quanto tale, a costituire una delle maggiori, ma anche più disconosciute, originalità della filosofia gambiana sul piano della geografia europea.
Non è molto che Vincent Berdulay riconoscendo come «les valeurs liées à l'espace géographique ont stimulé la recherche géographique sans toutefois constituer un champ d'intérêt bien circonscrit» (pur essendo «un passage obligé dans la démarche du géographe» anche
per la ragione che interferiscono con i suoi personali valori), ne ha ricostruito la parabola nella riflessione geografica europea dall'antichità a oggi. Giustamente ne ha visto la centralità nel possibilismo di Vidal
de la Blache (che da questo punto di vista si colloca in una posizione ambigua fra neo-kantismo e positivismo), annotando tuttavia come «l'idée de la relativité des valeurs géographiques au contexte social a mis longtemps à s'imposer» e come in tempi più vicini a noi la questione si intrecci al problema epistemologico della coscienza della non neutralità del lavoro scientifico ovvero del fatto che anche il geografo deve essere consapevole che certi valori della società in cui vive possono ritrovarsi nel cuore della sua scienza. A questo punto Berdulay prende atto che, se si rifiuta la visione dicotomica che oppone i valori al lavoro scientifico, la loro interpenetrazione, pur con il rischio di tristi dérapages (come la geopolitica nazista), può farci accedere alla «plus grande créativité dans la pensée géographique». Infatti, «en tachant de répondre à certains des enjeux majeurs de la société, des géographes ont contribué à modeler le paysage de leur époque et même à révolutionner l'approche de leur discipline». A questo punto citare Gambi sarebbe il meno che ci si possa aspettare. E in effetti viene fatto un riferimento bibliografico al geografo
romagnolo, senonché se si va a guardare il titolo corrispondente nella
bibliografia finale si trova questa indicazione: «Gambi L., 1975, La costruzione della geografia umana , Florence, La Nuova Italia»84. Personalmente sono molto felice di questa «sottrazione». In questo lapsus calami mi piace anche veder brillare la ragione del filosofo che una volta ci ha ricordato come, facendo storia del pensiero, «sia impossibile, anche in linea di diritto, distinguere a ogni istante ciò che appartiene a ciascuno», perché «pensare non è possedere oggetti di pensiero: è circoscrivere, mediante questi ultimi, un campo da pensare, che dunque
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non pensiamo ancora» e penseran geografo che fin dal 1956 ha trac basato sul concetto di valore, nel
valori storico-geografici, merit perché questo percorso riesce ad
la
valorizzazione
umanistica
de
necessaria tanto il rifiuto del dis tipico della «Nuova Geografia», q conto dei valori nella dinamica d valori geografici e delle conseguen degli attori territoriali implicati. In realtà, più di una spia dell'es teorici (di cui tutti diventeremo
tempo
nella
riflessione
di
Gam
vita o strutture sociali? Gambi af seguenti abbandona, la questione e limiti della geografia come scie non riconoscendo che
la geografia è formata da un nodo d quei problemi (che poi si riducono al
di
una
società
in
funzione
della
or
ambienti ove si è stabilita ed opera» basi su un certo modo di vedere , o precisamente di coglierle in termini vari fenomeni ambientali e sociali p
Assunta alla lettera questa pre distanza dalla concezione di geog negli anni Ottanta e che sarà espr seppe Dematteis con Le metafore lo stesso obiettivo: «la nostra con mondo reale», Dematteis ritiene presupposto più lontano da Gamb so geografico e scrive «come form
può
solo
offrire
rappresentazio
parzialità specifica della geograf spaziale del mondo». Se vuole ess deve operare solo come «descri tà», rappresentare «fatti socialm fisico terrestre» e, in quanto tale esplicita». Se a queste premesse
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sul piano della collocazione disciplinare e della professionalizzazione del geografo, apparirà del tutto evidente che la prospettiva offerta dal
nuovo «pensiero debole» - debole nel senso che rinuncia ad essere un sapere esplicativo-causale per essere un sapere pragmatico basato sulla descrizione spaziale - non può non apparire agli antipodi delle prospettive che finora abbiamo delineato all'interno dell'orizzonte epistemologico comune a Gambi e a Braudel87. Letta alla luce dello sviluppo successivo, la presa di posizione del 1966 potrebbe apparire come un regresso rispetto alla concezione del 1957, che aveva ancorato la differenza fra le due problematiche della geografia umana (ecologica e umanistica) non nell'oggetto e nell'oggettività dei problemi che la società pone allo studioso, ma nei differenti piani di visuale o modi di vedere: un regresso ribadito dalla già nota diffidenza del geografo «storicista» nei confronti del discorso del geografo che cerca nella spazialità o punto di vista spaziale la distinzione e l'autonomia della disciplina rispetto alla storia. In realtà, nella rettifica del 1966 c'è qualcosa di ben diverso da un irrigidimento della vecchia posizione, ci sono le basi di una nuova problematizzazione e di un comportamento scientifico che abbiamo finora stentato a riconoscere. Ci troviamo infatti di fronte a un esempio - non è l'unico che Gambi ci offre - di come egli procede nelle questioni di epistemologia: l'analisi delle interpretazioni con cui alcuni cultori sciolgono in modo autonomo e diverso la medesima questione scientifica può metter in rilievo degli intrecci di idee - cioè una vicenda di incontri e disgiunzione fra tesi di diversa natura e motivazione - che sono, poi, con il conseguente travaglio dialettico, l'arma migliore per rischiarare ulteriormente la via di qualunque scienza88.
A questo metodo dialettico, che esclude sia l'eclettismo senza nerbo che caratterizza tanta della geografia italiana più recente, sia l'irrigidi-
mento su posizioni personali e/o disciplinari alla lunga dogmatiche, Gambi rimane fedele per tutto l'arco del suo percorso scientifico, senza mai dar segno di rincorrere le mode culturali del momento ma dimostrandosi sempre pronto a misurare e adattare il compasso del suo pensiero sulla ampiezza e natura dei nuovi problemi che l'evolvere della società e delle scienze umane pongono al suo sguardo sempre vigile. Nel caso di cui stiamo parlando l'intreccio di idee che in prospettiva si coagula e fa problema riguarda non soltanto i tradizionali concetti di genere di vita e di paesaggio ma anche il ruolo attivo da attribuire al punto di vista, allo sguardo e alle rappresentazioni non solo del geografo ma anche degli attori territoriali in sintonia e per impulso di processi reali e tendenze culturali che mirano a svuotare lo strutturalismo del suo
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esasperato oggettivismo, facendo soggetti sociali quanto su letture Gambi partecipa a questo travag italiana degli anni Ottanta, anch
vi
partecipa
con
un
tono
e
uno
appaiono più sommessi (ma anch e che sembrano escludere il pian Gambi, convinto di aver già cond diversa e offerto, attraverso ver come furono i volumi della Stor
epistemologici
che
agitavano
la
di ritrarsi in seconda fila lascian dei giovani (con un atteggiament sarebbe stato comunque in grado piano teorico)89.
Forse c'è spazio anche per un' anni Ottanta, a prendere posizi
anche
dalla
maturazione
di
un
ori
e ricostruire la sua personalissim dibattito teorico sull'intuizione e
questo senso il suo percorso più a quello di un autore molto am aveva in passato tratto la distinz generale: fisico, biologico e um lettuale, Rencontres de la géogra
lasciato
pagine
-
che
Gambi
be
concetti di paesaggio e di regione l'invito a considerare l'intuizione geografo Y
esprit
deve
e
de
come
proprio
potrebbe
la
finesse
a
quasi
dote
più
piuttosto
questa
dire
nece
che
il
riscoperta
di
un
rinn
capacità di stare dentro il paesag noscevano tutti coloro che hann guidati sul terreno90. O forse, già negli anni
zando
l'auspicio
indotto
a
che
scrivere:
Ottanta
nello
scrit
avrei molto dispiacere se di qui a ci visione che avranno delle tre geogr
coloro
che
chiamo
ora
provvisoria
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 79 rimasta uguale alla mia visione odierna. Il mio augurio è che a quei tempi la visione sia ancora diversa e nuova. Sarà segno che in quelle discipline non vi è stato immobilismo ma fermento e che esse avranno tenuto il passo con la evoluzione della cultura91.
Se le cose stanno così, sono certo che Gambi si sarà felicitato con se stesso del fatto che quel periodo di cinquanta anni fosse stato assai più breve di quanto avesse potuto pensare in un contesto geografico caratterizzato nel nostro paese da una grande inerzia intellettuale. Tutto ciò, comunque, non toglie che anche la sua traiettoria mostri fin dagli anni Settanta alcune interessanti correzioni di rotta che denotano la sua sempre criticamente vigile ricettività nei confronti di un contesto
culturale assai più dinamico, al quale lo collegavano con nuovi fili
le curiosità e le opzioni scientifiche di nuovi amici, colleghi e allievi. Rispetto alla fine degli anni Cinquanta Gambi non è più solo e non ha più bisogno di ritrovare all'estero le solidarietà che non può trovare in patria. Le riunioni e iniziative del collettivo di «Geografia democratica», che si svolgono per tutta la seconda metà degli anni Settanta e alle quali Gambi partecipa assiduamente, aprono un periodo del tutto nuovo nella storia della geografia italiana ed è innanzitutto in questo contesto più complesso e articolato che si dovrebbe spiegare in maniera più collettiva e solidale anche l'evoluzione del pensiero di Lucio Gambi92.
Prima e dopo l' «Atlante della Storia d' Italia-Einaudi» Qualche correzione di rotta nella concezione del paesaggio emerge già nei volumi della Storia d'Italia Einaudi. Non poche tracce interessanti, tutte ancora da interpretare soprattutto nelle modalità interne alla costruzione di un'opera collettiva come questa, si offrono a una
prima lettura. Cominciamo da quelle più vistose. Dal punto di vista teorico-generale il fatto nuovo che si riscontra nell'Atlante è che i «quadri paesistici» subentrano ai «quadri ambientali» (e al connesso concetto di «vocazioni ambientali») del saggio del primo volume e si aprono a un approccio storico-topografico centrato sulla lettura del documento cartografico, secondo i canoni di cui abbiamo già discorso a proposito della mostra bolognese del 1981 e dell'«assaggio» di Carlo Poni. Nel 1976, non ritroviamo più la presa di distanza dal concetto geografico di paesaggio, che nel 1972, richiamandosi al ruolo primario
della «storia umana» nella spiegazione della diversità delle «forme
ambientali» dell'Italia contemporanea rispetto all'ambiente originario, faceva scrivere a Gambi:
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80
E
Massimo
tale
Quaini
diversità
è
il
risultato
esclusi
Esclusivamente di storia umana nell che fa suoi anche gli oggetti e i feno
ad
essi
un
valore,
come
fa
quando
destina a un suo piano, a una sua azi forme che l'Italia ha preso almeno d interpretazione puramente paesistic di «tipi», ma che in realtà sono il ri della società. E che verranno quindi a quando le si proiettino sul piano di u culturale, di una istituzione sociale, e
Ma al di là delle dichiarazioni pr realtà anche in questo primo e fo è per nulla assente. Se ne rileggia storico e all'atmosfera culturale
capire come Gambi abbia liazione col paesaggio.
potut
Nella Presentazione dell'editore - un testo dovuto ai due curatori
Ruggero Romano e Corrado Vivanti - è la metafora dello sguardo paesaggistico che sembra far convergere i diversi approcci nell'unità di «uno scorcio critico particolare, capace di dare un certo senso a vicende in apparenza slegate ed eterogenee, come una luce radente dà risalto a particolari altrimenti male individuabili». E questa «prospettiva» è vista come quella che riesce a interessarsi precipuamente degli «sforzi compiuti dagli uomini nel paese chiamato Italia per creare in un certo ambiente geografico, un suolo e un paesaggio agricolo, una vita economica, un'organizzazione sociale, e così via»95. Al di là delle metafore è interessante osservare che mentre il con-
tributo scritto di Gambi (che si rivela attento tanto alle vocazioni ambientali, quanto all'organizzazione storica dello spazio) si avvale soprattutto del linguaggio più astratto della cartografia tematica per
dare una rappresentazione dei flussi e delle strutture economiche, l'inserto iconografico dedicato alle foto aeree zenitali e oblique del
paese e affidato alle sue cure (ma forse stimolato soprattutto da Giulio Bollati), ci riporta al paesaggio visibile. In ogni caso, la nota editoriale presenta l'aerofotografia come una iconografia «capace di offrire un approccio originale al nostro passato» in particolare nel campo della storia dell'insediamento umano e della archeologia e invita il lettore a «un viaggio inconsueto nel tempo, per penetrare, attraverso lo strato più superficiale della realtà d'oggi , nelle strutture di secoli trascorsi, che hanno condizionato la nostra stessa esistenza». Significativa della futura direzione di marcia appare anche l'ammissione successiva:
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 81
Il complesso sviluppo delle nostre città, dalla fondamentale centuriazione all'intreccio convulso entro le cinte fortificate del Medioevo e alla nuova visione urbanistica rinascimentale, apparirà all'occhio del lettore non meno evidente del significato di alcune scelte di fondo della vita economico-sociale, che hanno adattato certe aree a particolari esigenze di vita associata. Attraverso l'occhio dell'obiettivo sarà così dato scorgere anche i diversi orizzonti che il nostro paese offriva in passato: le innovazioni tecniche degli ultimi decenni rischiano
altrimenti di cancellare perfino le possibilità di osservazione del paesaggio
tradizionale, che una ferrovia e una autostrada hanno rivoluzionato96.
Nelle didascalie che Gambi prepara non si leggono tracce di uno sguardo nostalgico per il paesaggio tradizionale, semmai l'annotazione che «gli elementi che sono espressione più tipica della società moderna, come industrie, scali ferroviari, quartieri residenziali in batteria, ecc.» si inseriscono al di fuori della cornice della città storica «con accostamenti disarmonici e soluzioni per lo più banali» (come nel caso della lettura della foto aerea di Ferrara). Tanto meno si asseconda l'idea, stimolata talvolta dalla rigida perfezione dell'immagine97, di fissare i paesaggi in tipi più o meno statici e «identitari», come si usa dire oggi. Su questo versante si nota semmai la preoccupazione di segnalare che i caratteri paesistici puntualmente descritti sono in via di una più o meno «energica evoluzione» (come nel caso della piantata padana nella zona di Parma) e quindi di leggere il complessivo «quadro paesistico» alla luce di una periodizzazione storica più o meno generale e i suoi elementi singoli e più ravvicinati nella scala, come le dimore rurali e il loro immediato contesto, quali indizi del maggiore o minore avanzamento degli ordinamenti agricoli (come nei casi del paesaggio del castello di Torrechiara e di una dimora rurale della pianura padovana). In qualche caso - per es. Castelfranco Veneto - la lettura della foto aerea zenitale produce un efficacissimo profilo storico urbano, colto sempre nell'intreccio fra il piano verticale della storia urbana e quello orizzontale delle espansioni della maglia edilizia che va a riempire non gli spazi aperti (nel senso di spazi vuoti) come si suole dire oggi, ma la campagna intorno, marcata dalla regolarità di campi molto allungati e dalla presenza di ville un tempo isolate.
Come si vede, non c'è nessuna limitazione oggettiva o condizionamento attribuibile alla fonte iconografica che impedisca di leggere in profondità il paesaggio visibile. La differenza rispetto ad analoghe letture allora compiute dai geografi sta nello sguardo, nell'approccio di chi guarda. Se lo confrontiamo col Paesaggio di Sestini, pubblicato dal TCI neppure dieci anni prima, vediamo che la differenza sta nella volontà di leggere storicamente l'immagine, di vincere quella staticità delle componenti del paesaggio che le fotografie inserite nel testo di Sestini
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Massimo
Quaini
danno in maniera inesorabile, an limita a descrivere i lineamenti s sia le fotografie sia le carte oltre
senza data sono anche immagin sentazioni che all'autore non par
del
paesaggio.
Questo
atteggiam
la mancanza in Sestini di qualsias sconvolgendo i paesaggi italiani99 fatto che l'aver usato foto zenita
meno ravvicinate ha consentito immagini un discorso più comp con le ampie didascalie quasi un m esistiche o almeno «una metodo di fondo della storia e della vit nella ricerca «anche nei seminari dirà nella Presentazione Atlante™ . E l' Atlante, infatti, che affronta di petto il problema dell'intreccio fra rappresentazioni e pratiche territoriali che è venuto emergendo nella crisi dello strutturalismo ed è all'interno di questa crisi che il paesaggio riesce a guadagnarsi un nuovo spazio. Le strutture e i valori - le due
parole-chiave del primo intervento teorico del 1956 - risultano non certamente emarginate ma completate da nuove parole nella analisi «intorno ai termini in cui è stato interpretato figurativamente» sia il mondo
urbano sia il mondo agricolo. Parole che danno senso a quella «psicologia storica della percezione visiva» nella quale i curatori intendono riassumere la novità di un approccio che recupera «i condizionamenti d'ogni sorta cui è soggetto il nostro modo di vedere e correlativamente il nostro modo di rappresentare»101. La stessa definizione di «quadri paesistici» è in questo senso eloquente: Nella loro costituzione originale e in ogni loro evoluzione i quadri paesistici sono il risultato di una lunga e, da regione a regione, mutevole storia di cognizioni e di usi delle condizioni ambientali, di modi con cui organizzare lo spazio abitato, di strutture sociali, di orientamenti economici e di tecnologie di produzione102.
Già i titoli delle due principali sezioni del volume: La città da immagine simbolica a proiezione urbanistica , La campagna: gli uomini , la terra
e le sue rappresentazioni visive , sono eloquenti e risentono della nuova «psicologia storica della percezione visiva» che, non ristretta alla pittura di paesaggio, contribuisce a porre su nuove basi quella distinzione fra i paesaggi urbani e i paesaggi rurali che la mostra bolognese sul paesaggio
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«Poiché niente di quello che la stona sedimenta va perduto» 83
non riuscirà ad attuare con altrettanta efficacia. Ambedue le sezioni dell 'Atlante mettono al centro il documento iconografico, la topografia urbana e rurale nella sua storia, e le capacità di registrare insieme le mutazioni sociali profonde e quelle superficiali senza neppure dimenticare
i cambiamenti nelle tecniche mensorie e del disegno e nell'ideologia
della committenza. Con una differenza, a detta di Gambi: mentre l'iconografia urbana consente di «cogliere con facile percezione l'entità e il ritmo degli incrementi e delle imponenti rapide rielaborazioni urbane negli ultimi cento anni» (che è fenomeno comune a tutti i centri urbani medio-grandi della penisola), «nel caso del mondo rurale invece siamo di fronte ai numerosi e fra loro molto difformi quadri paesistici», a una frammentazione che restituisce quelle «continuità e conservatività
che si colgono un po' dovunque: nell'edificazione dei campi e delle abitazioni, nei rapporti di produzione, nei sistemi delle coltivazioni, nelle scelte delle piantagioni, ma anche in numerosi elementi regionali o locali della cultura materiale e delle stesse condizioni linguistiche» che la modernizzazione e lo sviluppo hanno invece in gran parte eliminato nelle città e nei centri minori dei loro ambiti gravitazionali. Ma al di là della constatazione di questa diversa velocità nei ritmi delle trasformazioni paesistiche, il punto metodologicamente più interessante è per noi quello che si riferisce alle chiavi di lettura del documento cartografico che Gambi imposta nel breve ma denso capitolo dedicato alla casa contadina - dove può utilmente rifarsi anche ai risultati collettivi di una pluridecennale ricerca che qualche anno prima ha saputo anche porgere allo storico, sulle pagine della «Rivista storica italiana»103 - e qui affidato a una folta schiera di allievi e collaboratori: con il compito di far parlare cabrei e catasti sui paesaggi agrari delle varie aree regionali fra i secoli XVI e XIX.
In conclusione, si potrebbe dire che Gambi procede a una nuova
valorizzazione del paesaggio e dei materiali visivi per la stessa via indicata da Sereni, ma attuando le indicazione che a suo tempo nell'ampia
recensione su «Critica Storica» aveva criticamente esposto, ovvero
realizzando quello sguardo filologicamente corretto e di piena contestualizzazione che anche gli storici dell'arte, in particolare Giovanni Romano, venivano allora richiedendo con forza104. Rispetto alla fase per così dire sereniana, gli anni spesi nel cantiere della Storia d'Italia Einaudi costituiscono anche una fase nuova in cui
vengono a piena maturazione le esperienze e gli stimoli molteplici, tanto locali e regionali quanto europei, a cui abbiamo già accennato. Non a caso i suoi risultati si proiettano anche negli anni successivi come
modelli dai quali non si può prescindere. Lo prova la realizzazione di un'altra importante mostra bolognese (dopo quella sul Paesaggio ): I
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Quaini
confini perduti , organizzata alla culturali della Regione Emilia Ro Pier Luigi Cervellati105. La sua im concomitanza con il convegno in città storiche in Europa e nell'ar
né
alla
mostra
né
al
catalogo
m
formazione dell'iconoteca «che l'I gione sta allestendo» secondo il m Storia d'Italia. In fondo anche il t che enfatizza il fenomeno di una quell'approccio analitico e topogr to nelle indagini sui confini amm non toglie alla direzione di Cerve mostra, che ebbe un grande succ che si potrebbe far emergere an effetti dell'espansione urbana nei
Se
dunque
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tema
paesaggio
se
tavolo di Gambi non solo attraver stesse fonti archivistiche ma att
di
urbanisti
e
architetti
che
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metodo storico, si deve anche dir Gambi prende atto di una svolta una parte non proprio sparuta d scia o ricongiungendosi alla più a rinnovato con nuovi approcci e m
geografia
fare
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inevitabile
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Sulla
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diradarsi sensibilmente l'impegn potrebbe collocare la voce Paesag sulla soglia degli anni Novanta si dicato a II disegno del paesaggio
né
alla
prima
né
alla
seconda
i
oggi ripartire per attivare una r categoria o idea di paesaggio ha a storico-geografica e urbanistica i più divulgativo e della comunicaz a quello dell'approfondimento sc relativo alla pianificazione109. Li
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esaggio come tante facce di un poliedro per usare un'espressione cara a Italo Calvino.
La voce Paesaggio dell' Enciclopedia Einaudi - questa grande opera che Gambi peraltro non apprezzava - di Blanc Pomard e Jean-Pierre Raison, due geografi dell'Università di Toulouse, fa emergere una concezione del paesaggio che risente di un'evoluzione del concetto che per certi versi è prossima a quella di Gambi, per il fatto che, influenzata soprattutto dal pensiero di Georges Bertrand, salda in maniera convincente i due versanti del paesaggio: quello soggettivo e simbolico e quello oggettivo, materiale e strutturale e per questo fa del paesaggio un imprescindibile nodo nella rete cognitiva delle scienze umane e naturali110. Questa indicazione appare ancor più necessaria se viene messa a confronto con la mappa labirintica offerta agli urbanisti dal numero di «Casabella», dove si celebra l'ambiguità del paesaggio e nella misura in cui ci si arresta su questa soglia filosofica del problema, alla fine più bisognoso di chiarezza risulta il nodo del rapporto natura-cultura
ovvero del mito fuorviarne del cosiddetto «paesaggio naturale» che, nelle procedure analitiche di Bertrand e Gambi, appariva già sciolto
e superato111.
Dopo Gambi. . . e Calvino In una delle sue pagine piene di suggestioni, anche per lo storico e il geografo, Italo Calvino, che della Einaudi era ascoltato consulente, ci fa capire che la chiave di volta della Storia d'Italia è il paesaggio. La sua argomentazione, che parte dalla lettura del volume degli «Annali,
5» dedicato al Paesaggio (1982), è per molti versi interessante. Nella redazione più ampia dell'articolo pubblicato su «La Repubblica» del
12-13 dicembre 1982 (con il titolo E naufragar me dolce in questo vuoto) I, Calvino mette in fila, sotto il medesimo punto di vista, la Storia del paesaggio agrario di Emilio Sereni («il frutto più originale del marxismo degli anni Cinquanta»), il primo volume della Storia d'Italia (di cui sono citati gli studi di Lucio Gambi, Giovanni Hausmann, di nuovo Sereni e infine Argan e Fagiolo) e il sesto, Y Atlante, tutto dedicato all'immagine visiva dell'Italia, seguita nella storia della pittura (Federico Zeri) e nelle immagini e mappe delle varie città e campagne. A questo punto
Calvino si domanda:
Questo volume è dunque un doppione? No, perché qui, più che del paesaggio reale si tratta del paesaggio mentale ; più che della trasformazione dei luoghi visibili si tratta della trasformazione delle idee visuali che ci si fa dei
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luoghi, proprio spazio.
Quaini
cioè
della
visualizzazione
E dopo aver ricordato gli Studi sul paesaggio di Giovanni Romano (fra gli autori del volume), ci tiene a sottolineare che spesso saggi e illustrazioni riguardano il paesaggio cittadino e non il paesaggio rurale: «e già questo - osserva - è un tratto che caratterizza la storia italiana». Il filo che Calvino segue è soprattutto quello tracciato da Sergio Romagnoli, attraverso la letteratura italiana dell'Otto-Novecento da Leopardi
a De Chirico, che «ci immette in una dimensione di paesaggi urbani dominati dal vuoto che può ben dirsi una costante mentale italiana» (da cui il titolo del pezzo)112.
Potremmo allora domandarci se avesse più ragione Calvino ad
esaltare il valore ermeneutico del paesaggio o Gambi a sottovalutarlo appunto come chiave interpretativa113. A rileggere oggi la presenta-
zione del primo volume della Storia d'Italia Einaudi viene forse da
dare ragione più all'intuizione di Calvino che alle ragionate critiche di Gambi, che, come si è visto, nascevano da una sua persistente ritrosia a centrare sul concetto di paesaggio la sua indagine storico-geografica che riguardava pur sempre il paese Italia, nell'articolazione delle sue regioni e dei suoi «quadri paesistici».
A meno che si debba dare ragione a Franco Farinelli, quando, portando alle estreme conseguenze l'antica critica gambiana del paesaggio e perdendo o rendendo inessenziale la distinzione di Calvino fra paesaggio reale e paesaggio mentale, sostiene che «ridotto da modo di vedere a insieme di elementi, da veicolo di un progetto sociale a una serie di lineamenti materiali, da senso del mondo a collezione di cose, da soggettiva proiezione a oggettivo complesso di forme, il paesaggio mostra immediatamente i propri limiti». I medesimi limiti che Lucio Gambi, all'inizio degli anni Sessanta, illustra in un saggio che, secondo Farinelli, «rappresenta il primo dei rarissimi casi in cui la riflessione geografica italiana del dopoguerra precedette quella internazionale» e
che si esprimerebbe nella tesi per cui «il paesaggio appare assolutamente insufficiente a indicare la realtà», in quanto, limitato ai soli lineamenti visibili, non trova in sé la propria spiegazione. Nella geografia di Gam-
bi, sempre secondo Farinelli, vale per il paesaggio quanto vale per la carta: «quel che del mondo si può rappresentare sulla carta, quel che è topograficamente rilevante, non è insomma quel che può spiegarne
il funzionamento»114.
Questa interpretazione, del pensiero di Gambi si inserisce in una concezione per la quale il paesaggio, come qualsiasi altra immagine o loro insieme, oggi non riuscirebbe più a
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sim
«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 87 catturare qualcuno dei rapporti di cui la stessa realtà territoriale si costituisce - rapporti oggi sempre più invisibili ma che fino a qualche anno fa ancora s'incidevano, in maniera ben evidente, sulla superficie della terra. E le cui tracce conducevano tutte, appunto, alla distinzione-relazione tra città e campagna come modello del funzionamento del mondo, in maniera talmente pervasiva che la stessa assenza o debolezza del ruolo urbano valeva a spiegare (e ancora oggi vale) l'esistenza o la persistenza delle forme meno evolute del paesaggio rurale115.
Questa visione, che già nella sua assenza di periodizzazione nega il più elementare senso storico, ci viene oggi presentata come la più coerente illustrazione ed applicazione della geografia umana di Gambi. Ma se Farinelli avesse ragione come spiegare una Storia d'Italia che, nella cosiddetta epoca della smaterializzazione del territorio, si serve di categorie che sarebbero del tutto incapaci anche soltanto di descrivere «quell'intrico di rapporti sempre più invisibili - cioè immateriali perché fondati non tanto sul flusso di cose o persone ma di moneta e di informazioni?»116 Come spiegare poi la riconciliazione o il riavvicinamento di Gambi all'idea di paesaggio che è stata notata da più uno studioso? Tanto che, come si è visto, molti hanno fatto di Gambi un maestro nello studio del paesaggio? Come spiegare poi il crescente interesse non solo per gli studi e i metodi di decifrazione realistica delle carte e delle immagini fotografiche? Come spiegare infine il fatto che Gambi, nell'ambito di un fortunato corso di geografia coordinato da Gianni Sofri ed edito da Zanichelli, pubblichi nel 1979 un vero e proprio manuale di lettura del paesaggio? Leggere il paesaggio non è solo uno dei risultati più didatticamente efficaci che un geografo abbia prodotto per la scuola fra gli anni Settanta e Ottanta (e che oggi con pochi aggiustamenti si presterebbe anche ad adozioni universitarie), ma è una pubblicazione che dice molto di più di quanto la sua modesta apparenza di testo scolastico lasci intravedere: un libro che, per l'impegno che ha richiesto, per la concretezza delle cose che dice e per il metodo analitico che propone, merita, a mio avviso, di stare accanto alla Storia del paesaggio agrario di Emilio Sereni e a II paesaggio di Aldo Sestini. Di fronte a queste evidenze crediamo che sia giusto dare ragione a Calvino per non dare torto a Gambi e soprattutto per non avallare una evoluzione che, anche a prescindere dall'uso troppo disinvolto della heideggeriana «epoca dell'immagine del mondo», è comune a gran parte della cultura italiana e non soltanto alle sue frange più spiritualiste e «culturaliste» che sono tipiche della «geografia culturale» all'italiana. Un'evoluzione che porta e ancor più è destinata a
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Massimo
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portare a esiti del tutto venuti delineando117.
Per
un
altro
verso,
contrari
l'accostam
potrebbe sembrare un'impertine riferimenti espliciti in un geogra di amare la favola del Piccolo pri
fosse verificata, essa non ci aut per quanto insolito, sia anche in
paesaggio
renderla
di
Calvino
ha
ineludibile
riflessione
sulla
una
anche
visibilità
e
cont
per
sul
rap
dall'inizio Gambi aveva basato l L'itinerario di Italo Calvino, p sizione e riflessioni sulla letterat narrativa delle sue opere, è ese lettuale sempre al centro della sc cultura riccamente interdisciplin attraversano l'intero quarantenn di Lucio Gambi e, anche se in ma questo possono aiutarci a scopri è vero che nell'idea di letteratur particolare nelle Lezioni americ di una «scrittura del mondo» (o
possono in fondo riscoprire le rag intellettuale dello scrittore ligur
fascio di luce che ci consente d cultura italiana, anche l'impervio Riservandomi in altra sede di ap
rapporti,
mi
limito
ora
a
segnale
du
ni di un fertile collegamento fra l'esigenza di salvaguardare il «pae
«paesaggio
mentale»
e
alla
relat
sono per nulla lontani119. Il primo riguarda la concezione è incardinata in una tradizione it ordinario passo attribuito a Mich
Ben considerando tutto quel che si ognuno, senza saperlo, sta dipingend nuove forme e figure, come nelT ind
e
occupare
nel
fare
lo
spazio
pitture
e
con
segni
edifici
lavorando
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e
c
la
«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 89 combattere e dividere le legioni, e finalmente nelle morti e nei funerali, come pure in tutte le altre operazioni, gesti e azioni.
Queste parole, che l'artista portoghese Francisco de Holanda nei suoi Dialoghi romani mette in bocca a Michelangelo, intendono illustrare il primato della pittura e del disegno fino al paradosso di fare di tutte le attività umane «una sola arte e scienza», un unico disegnare il mondo.
Come dice Calvino, «anziché l'arte come rappresentazione del mon-
do, ci si apre un nuovo orizzonte in cui il mondo vissuto è visto come opera d'arte e l'arte propriamente detta come arte al secondo grado o
semplicemente come parte dell'opera complessiva [...] Tutto ciò che
l'uomo fa è figurazione, è creazione visuale, è spettacolo». E paesaggio.
E questa la concezione del paesaggio che la migliore tradizione letteraria e culturale italiana consegna ai geografi e agli storici, agli specialisti del paesaggio. Ad essa ci siamo già richiamati, ricordando il passo leopardiano citato da Sereni e da Andrea Emiliani. La fulminante intuizione di Michelangelo esprime lo stesso concetto. Per dirlo ancora con Calvino «il mondo, marcato dalla presenza dell'uomo in ogni sua parte, non è più natura, è prodotto delle nostre mani». Con le parole dell'artista che maneggia sia il pennello e lo scalpello dello sculture, sia la penna dello scrittore «s'annuncia una nuova antropologia per cui ogni attività e produzione dell'uomo vale in quanto comunicazione visiva nei suoi aspetti linguistici ed estetici»120.
Come è stato osservato da Marco Belpoliti nel saggio L'occhio di Calvino , in nessuno scritto come in questo del 1977 lo scrittore «è
stato così esplicito nel dichiarare l'importanza del visivo, nel sostenere una nuova antropologia fondata sull'attività visiva», secondo la quale «il mondo è disegnato da ogni attività umana, ogni fare dell'uomo è disegnarne la superficie, la forma visibile». Può esserci un migliore elogio o definizione del paesaggio come rivalutazione della superficie del mondo o della Terra e delle forme visibili? La superficie del mondo è per Calvino inesauribile e infatti subito dopo afferma che non solo l'uomo tende a creare forme e figure ma «ogni animale e pianta e cosa inanimata, e così il mondo intero e l'universo», per cui si potrebbe dire che «l'uomo è uno strumento di cui il mondo si serve per rinnovare la propria immagine di continuo»121. Calvino aveva già ripreso il testo di Michelangelo in una delle avventure dell'Osservatorio di Palomar sul «Corriere della sera» nel 1975. In questa sede le parole di Michelangelo gli sembravano «anticipare le idee di tanti libri letti negli ultimi anni, che studiano l'aspetto visuale d'ogni attività e produzione umana» secondo varie prospettive: antro1 pologiche o di storia delle civiltà, oltre che dell'estetica e dei linguaggi.
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Massimo
Così
Quaini
capita
a
Palomar-Calvino
d
cosa che vede: sente la responsab intorno a lui, e si sente parte di
volante
della
sua
vettura
e
i
su
geografica. «L'autostrada divide l e grigio, con le rette tratteggiat lo spessore del terreno mettendo all'orografia delle montagne intr dotti e di trafori»122. La geograf verità etimologica di scrittura de delle tracce del tempo e della sto dalle stesse forme paesistiche de Di fronte al paesaggio, al gioco fascinava Michelangelo, Palomar poter riconoscere nelle orme che violenza, ma un'aggiunta necessa ciò che esiste» e la visione di chi che «la degradazione delle immag persone non abbiano più la forza figure precise, ma s'ammucchino macchine imbottigliare nel traffi delle case in estensione e in altez
Ma
Palomar-Calvino
non
perd
s'aspetta da queste visioni arbitr segreto, la Forma a cui inconsape e barbarie». La vena di pessimism sione di Palomar lo induce, tutta
occhi
umani
ad
apprezzarla»,
m
nelle sfaccettature del quale «la n ricompone in un disegno di assol Il gigantesco insetto che ci guar
potrebbe
essere
che
trasmette
nuove,
perfette
meccanica
il
satellite
perfezione,
immag
non
pos
umana, del sapere incerto che in sulle forme: in una parola non po ci parla la tradizione culturale da
a
Cattaneo,
da
Sereni
a
Gambi.
ricostruire questa capacità nelle non meno che come nuovo proge «riflessione sul mondo dato com visibile, e insieme «critica dell'esp
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siamo coinvolti nel triplo ruolo di espositori, d'esposti, e di pubblico», ovvero critica dell'epoca dell'immagine del mondo124.
Di questa ricerca filosofica Calvino, in un percorso che riesce a riassumere nel celebre capitolo di Palomar intitolato II modello dei modelli , ci offre molte tracce che ora non è il caso di riconoscere.
Voglio invece concludere questo mio ultimo percorso fra geografia e letteratura - un sentiero poco praticato dal geografo -, avvalorando il ponte fra Calvino e Gambi con la densa testimonianza di chi oggi nella sua qualità di italianista regge il bolognese Istituto per i Beni Culturali
e incarna a suo modo l'eredità di Lucio Gambi. Dopo quanto siamo venuti dicendo non apparirà certamente come un caso il fatto che uno studioso di letteratura, Ezio Raimondi, abbia preso il posto che in origine spettò al geografo romagnolo. E non soltanto perché anche
Gambi si riconosceva nella stessa tradizione filologica e umanistica
e nella relativa formazione di cui fa l'elogio nello scritto, che nessun geografo si sarebbe aspettato, sul Sentimento della romagnolità125 . Ma anche e soprattutto perché, ricollegandosi da specialista a questa stessa tradizione civile e culturale, Raimondi ha saputo riformulare il concetto
di paesaggio per renderlo ancora più attuale in piena coerenza con l'eredità di Lucio Gambi e con la migliore esperienza bolognese della «conservazione globale». Per Raimondi, come va ripetendo da anni sulle pagine della rivista dell'IBC, «il paesaggio costituisce lo spazio più appropriato per il futuro delle strategie di conservazione e valorizzazione dei beni culturali, una realtà complessa, ma visibile, a cui si deve rapportare tutto ciò che nasce dall 'homo faber». Se questa concezione nell'occasione viene riportata all'esperto di turno126, non manca il richiamo alla lezione gambiana sul paesaggio: «ma proprio per questo occorre ancora riflettere sulla sua natura composita, di cui la funzione estetica è solo un aspetto e riconoscere, come ci insegnava Lucio Gambi, che il paesaggio va inteso come storia, come temporalità che si iscrive in una morfologia stratificata e le da un valore umano»127. Solo affinando in questa direzione gli strumenti descrittivi e interpretativi, si può fare dell'universo molteplice dei beni culturali e del patrimonio «l'espressione attiva di una appartenenza, il referente unitario, nella sua stessa molteplicità, di una memoria condivisa, riscoperta attraverso il dialogo con le cose e con gli uomini che le hanno create, in un luogo che mentre muta resta sempre lo stesso, paesaggio reale e insieme mondo interiore»128.
Ragionando sul paesaggio in occasione dell'incontro pubblico di
riflessione sulla proposta di legge regionale «Governo e riqualificazione solidale del territorio», Raimondi ha giustamente preso le distanze
dalla Convenzione europea e dal Codice dei Beni Culturali, ovvero
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92
Massimo
Quaini
dall'insufficienza
Per
fondare
di
una
un'altra
definizi
prassi
che
obbligato e partecipato delle poli categoria molto più ampia, in un che chiamiamo normalmente i b gio non solo una nozione iniziale interpretativa129. Solo se «intro di interpretazione» e agganciamo tezza dei beni culturali ne possia senza di cui non interpreto ciò c di conseguenza dare valore a ques
Insomma per Raimondi, come non è una semplice aggiunta al lo in più dei beni culturali, ma davvero i beni culturali nella lo si deve registrare, è dunque un parlare di beni culturali se non s della lezione di Lucio Gambi il senso di appartenenza (la Roma paesaggio ovvero la lunga esperie storica appunto, «si realizza co
altre immagini invisibili della reg Questo iscrivere il paesaggio ne saggio l'espressione dell'identità locali ci riporta alla geografia um Gambi aveva amato. Quella prosp recenti e spesso inutili elucubraz realtà delle strutture umane» da
logo»,
ancora
ma
dice
dello
«storico»
Raimondi.
con
u
A noi, per concludere, il compit di ricerca e nel nostro impegno
Raimondi,
che
«questa
prospet
culturale largamente mutato risp ta». In ogni caso, questo contesto ancora più incisivo alle parole giu
«visione globale» e anche al me Senza dimenticare il geografo,
su una rivista storica, le parole g senza virgolette il merito è in g
Massimo
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Qu
«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 93
Note al testo 1 Una premessa necessaria: questo testo non si è posto direttamente il problema di valutare, in relazione al concetto di paesaggio o di altri concetti-chiave più analitici, l'eredità scientifica di Lucio Gambi, ma piuttosto il compito di rispondere ad alcune delle domande più generali che nella costruzione di questo numero abbiamo cercato di formulare (riprese e argomentate nella Presentazione) e che solo la grande arretratezza, nel nostro paese, degli studi sulla storia dei saperi geografi ha finora impedito di porci. Per questa ragione rispondere a tali domande non è stato facile. Ho perciò preferito seguire un percorso «obliquo» che assume il concetto di paesaggio come il filo per capire che cosa sia avvenuto nella geografia italiana nel periodo - fra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Ottanta - che anche da noi e per merito soprattutto di Gambi è stato «le temps des craquements». Ciò non toglie che le «questioni» dalle quali muoveva la ricerca di Gambi rimangono anche oggi all'orizzonte di qualsiasi indagine geografico-storica. Sul significato e il contesto del titolo vedi la nota 3. 2 Come 1 amico e collega Diego Moreno, col quale fin dai primi anni Settanta ho condiviso la mia vicenda scientifica senza mai cessare di intrecciare lunghe discussioni sull'uso scientifico del paesaggio. 3 Solo quando avremo a disposizione la bibliografia degli scritti di Lucio Gambi si potrà valutare l'ipotesi del finale ripiegamento scientifico non meno che sentimentale sulla propria terra
e sulle prime esperienze di ricerca. Significativo di questa inflessione mi pare L. Gambi, Il nodo «proto strategico» della penisola italiana , in Aa.Vv., Toscana Paesaggio Ambiente. Sentii dedicati a Giuseppe Barbieri , in «Atti dell'Istituto di Geografia», 18 (1997), pp. 119-29; dove si richiamano insieme i ricordi partigiani e i lavori giovanili sui rapporti fra viabilità e documentazione corografica e cartografica che lo accomunavano a Barbieri e si arriva a citare fra le fonti anche «un breve stelloncino pubblicato su di un giornale clandestino romagnolo che uscì nei giorni in cui si iniziava, a metà estate del '44, la battaglia della Futa» (ivi, p. 126). Da un'espressione usata dall'anonimo autore «garibaldino» Gambi ricava il titolo del suo articolo, per sottolineare il «perenne» valore militare della dorsale fra la valle del Reno e il Montefeltro oggetto della sua indagine sulla viabilità storica: «poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto». 4 II riferimento è al dibattito italiano sulla «stona ambientale», promossa da noi soprattutto da Alberto Caracciolo e Piero Bevilacqua, ma discussa e criticamente rifiutata, fra gli altri, da Paola Sereno e Diego Moreno. Quanto all'approccio storico-economico esso risulta egemonico sul piano della cultura storiografica alla quale Gambi si riferisce già in rapporto alla sua stessa definizione di geografia. Nel 1956, quando confortato dal pensiero di Max Sorre avanza una prima ridefinizione, scrive che «a rigore la geografia umana si dovrebbe risolvere in due discipline diverse: l'ecologia umana e la storia economica e sociale». L. Gambi, Questioni di geografia , Napoli 1964, p. 49. In questa prospettiva non è casuale che anche Marc Bloch e la stessa esperienza delle «Annales», alla quale Gambi fu molto sensibile, penetrino nella cultura italiana attraverso storici dell'economia come Gino Luzzatto (che per qualche anno tenne a Cà Foscari anche un insegnamento di geografia), Armando Sapori e Franco Borlandi, e solo in parte attraverso alcune importanti figure di urbanisti, come è stato dimostrato da A. Lanzani, Immagini del territorio e idee di piano 1943-1963, Milano 1996. 5 Si veda II ricordo di Lucio Gambi del Presidente del Consiglio Comunale di Bologna, Gianni Sofri, 25 settembre 2006 riportato nel sito dell'IBC (Istituti Beni culturali della Regione Emilia Romagna). Non meno esplicito Ezio Raimondi, in Uniti nel paesaggio , in «IBC» (luglio 2007), che fa risalire a Gambi l'idea del paesaggio come «elemento d'unione, uno specchio di insieme che riflette e interpreta l'intero sistema culturale» e la pone alla base dell'azione dell'IBC. Alla
soluzione di questo enigma, la cui evidenza salta all'occhio del geografo che ben conosce la
critica di Gambi al concetto geografico di paesaggio umano e sul quale ancora ci si può dividere, è dedicato questo saggio. 6 «Quindi - continua Gambi - anche in tal caso il limite della ricerca non può venire delineato da ciò che è visibile e cartografabile e da ciò che non lo è: e la interna omogeneità del problema nega (a meno che in una fase di preliminare assaggio o per motivi strumentali) una validità a qualunque sua vivisezione». Gambi, Questioni di geografia cit., p. 118. Si noti la presa di distanza che si esprime nel mettere tra virgolette il termine paesaggio. Per una più ampia analisi critica dell'approccio di Sereni si veda la recensione in «Critica Storica» (1962), pp. 662-8. Già
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da queste parole si può notare la distanza ri alla nota precedente). 7 II riferimento a Emilio Sereni e a Giova concetti di paesaggio nella cultura italiana deg urbanistica, organizzato a Lucca dal CISCU per la storia del paesaggio agrario , Lucca 198 8 Andrea Emiliani, nel volume che è appena segnata dal ruolo giocato da Gambi, ricorda: « nell'Elogio degli uccelli , dove appare la frase
esergo alla sua Storia del paesaggio agrario ital di Sereni fu presto un modello fondamentale di metodo e di lavoro per la costruzione d'una
(a cura di), Uno sguardo lento. L'Emilia-Rom 2007, p. 20. Il contributo di Emiliani e quell dei beni culturali : 1860-1990, ivi, pp. 31-47, 1 Dalla fine degli anni Sessanta ai Novanta, culturali, le condizioni politiche e organizza dibattito conseguente fino al 1975. 9 Riconosciuto peraltro nella Presentazione M. Foschi, S. Venturi (a cura di), Territorio
culturali
immobili
nell'Appennino
bologn
l'ascendenza demartiniana e anticrociana dell sulla città e le reti urbane, è su questi temi e e sui musei rurali del territorio che Gambi sc E poi lo stesso Emiliani a collegare i due filo Romano ai Casalesi del Cinquecento (Torino 19 letteratura del regionalismo come interpretaz di questi concetti, a metà strada fra Gambi veda P. Sereno, L'etno-geografia, Firenze 1974
esperienza
del
dalla
patrimonio
della
quale
risaltano
culturale,
diffusione
di
del
queste
svariati
quale
idee
il
pr
territo
nell'ambito
territorio dei beni culturali. La tutela paesist riconoscere che in questi anni «Quaderni sto dei Beni culturali di alcune regioni italiane. 10 Anche questo riconoscimento dell'esige
critica della «scarsa propensione che la nost constatazione» mi sembrano idee molto gam «sensibilità dello sperimentale e dell'induttivo l'opera dell'erudizione e della verifica storic quale si richiamava ancora Andrea Emiliani, c cipa
la problematicità di quel rapporto fra sup dell'indagine di Gambi sul paesaggio: «Scorge accade che sia studiato da chi tien occhi che delle chiese o de' palagi». A. Emiliani, Una p 11 A. Emiliani, Introduzione a A. Baccilier della Provincia di Bologna, I, Gli edifici di cu Bologna 1973, pp. 36 ss. (sott. mia). 12 Per una più ampia panoramica su quest compiuti dallo stesso A. Emiliani (a cura di come bene pubblico, Bologna 1971, sul piano Una politica dei beni culturali, Torino 1974 cartografia tematica, P.L. Cervellati e G. Gu definisce questo fortunato volumetto «una nuova amministrazione», ma non manca di nacque il senso moderno dell'ambiente e cioè
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 95 insieme a quell'idea della vita che sola può reggere l'analisi urbanistica e delle stesse forme del territorio». «IBC» (dicembre 2006). L'amarezza di questo giudizio, collegato anche alla vicenda delle dimissioni di Gambi e alla delusione che subentrò dopo il fervore dei primi anni (anche M. Foschi parla di una «lucida utopia, perseguita per una decina di anni») è stata anticipata dal pessimismo di Bianchi Bandinelli che fin dal 1971 aveva previsto lo sfascio che, malgrado le speranze riversate nel ruolo delle Regioni, i limiti culturali delle classi dirigenti e le politiche di valorizzazione avrebbero prodotto nel patrimonio storico-culturale e nel paesaggio. R. Bianchi Bandinelli, ÁA., BB. AA. e B.C. Italia storica e artistica allo sbaraglio , Bari 1974, pp. 259-71. Un indizio del ripiegamento rispetto al progetto iniziale, che almeno in parte spiega il disimpegno di Gambi, è anche dato dal fatto che la progettata collana di manuali aperta dal volume di Emiliani rimase sulla carta e non si ebbero gli annunciati manuali di Gambi, Cervellati, Bagnaresi e altri. 13 Emiliani, Introduzione cit., vol. I, p. 42. Mi riferisco, per esempio, ai molti lavori che storici
e geografi (da Diego Moreno a Manlio Calegari, da Edoardo Grendi a Osvaldo Raggio), ma non solo italiani, a partire appunto dagli anni Settanta, hanno condotto in Val di Vara con il parroco di Cassego, Sandro Lagomarsini. Che questo filone di ricerca non fosse sempre addomesticabile sul piano politico e accademico è anche dimostrato dalla vicenda editoriale di alcuni dei volumi
della serie «Capire l'Italia» del TCI che insieme a Gambi mi è capitato di coordinare sul finire degli anni Settanta e che almeno in parte vanno considerati come uno dei frutti di una stagione che in gran parte resta ancora da studiare. 14 A. Emiliani, Realtà storica e culturale del territorio e schemi di intervento amministrativo ,
in P.G. Castagnoli, A. Emiliani, A. Storelli (a cura di), La valle del Santerno. IV campagna di rilevamento dei beni artistici e culturali dell'Appennino , Bologna 1971, pp. 7-8. 1975.
15 M. Corsale, Un autobus per utopia. Beni culturali - Cultura - Controcultura , Roma 16 Emiliani, Realtà storica e culturale cit., p. 8 (cfr. nota 14). 17 Gambi, Presentazione cit., p. 6 (cfr. alla nota 9).
18 In proposito c'è da domandarsi se si possano considerare sufficienti le motivazioni date dallo stesso Gambi in una intervista del 2002. In questa chiama in causa soprattutto fattori di ordine amministrativo e politico: mancanza di autonomia finanziaria, macchinosità dei suoi organi decisionali, rischio di burocratizzazione e addirittura di «feudalismo partitico». Gli argomenti, per quanto limitati a questo versante, sono comunque forti e traggono alimento da una concezione politica che si radica in un federalismo culturale che lo spinge a dire che «I compiti dell'Istituto per i beni culturali non si possono lasciare nelle mani di un sistema puramente burocratico, soluzione questa che sostanzialmente si risolve in un centralismo della Regione». Nella valorizzazione dei livelli di decisione e di lavoro politico-culturale a scala subregionale e locale Gambi continua a vedere, anche nel 2002, le maggiori garanzie e le possibili soluzioni del problema. In questo contesto e in questa ottica, dimettersi doveva significare per Gambi ritornare con maggior libertà agli studi e dunque partecipare dall'esterno a quell'importante laboratorio di idee e pratiche di ricerca oltre che di nuove politiche culturali e territoriali che nella sua concezione doveva essere la regione. In questa prospettiva si deve mettere in gioco
anche quel «sentimento di romagnolità» che Gambi ritrova nella personalità di Augusto
Campana e di cui recupera nel 1997 i valori ancora attuali, intrecciandoli tanto con le antiche «delusioni regionalistiche di un giovane azionista» quanto con «le indomabili petizioni di un umanista per le architetture coerenti e le letture chiare». Insomma, si deve forse fare entrare in gioco un'idea di regione in parte «tradita» da una prassi che non sempre si è dimostrata capace di rendersi conto che «una qualsivoglia entità regionale per essere governata in modo
razionale e positivamente deve detenere una matura personalità e una chiara omogeneità culturale». La vera domanda sembra ancora quella di sapere quanto i parametri e «criteri,
molto funzionali ai sistemi economici e urbanistici in atto, siano poi veramente sufficienti ed esaurienti» (tanto l'articolo sul Campana del 1997, quanto l'intervista del 2002 sono pubblicati sul sito web dell'IBC). 19 Gambi dimostra di tenere molto a questa occasione e a questo intervento. Lo si vede sia dalla partecipazione al dibattito, sia dal fatto che non essendo prevista questa relazione nel programma del convegno, avendo partecipato ad esso solo in veste di presidente di sessione, decise successivamente di prepararla per gli Atti pubblicati nel 1975. Aa. Vv., I paesaggi rurali europei , Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, Perugia 1975, pp. 225-36.
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20 T. Maldonado, Paesaggio: immagine e re Milano 1981, pp. 8-9. Anche se la mostra n direttivo della Galleria d'Arte Moderna di B
che risente molto dell'approccio di Andrea Em bile. Negli anni Settanta Maldonado è una de ambientale e l'iconicità. Einaudi pubblica pr Torino 1970, poi Avanguardia e razionalità. Ar Anche se non risultano espliciti collegamen non si citano) mi pare che Maldonado riesc anche alcuni comportamenti di Gambi. Per
Gambi
dall'IBC
non
abbiano
pesato
motiva
in La speranza progettuale a proposito della co di progettazione ambientale e l'assoluta imm
società
(p.
9)?
Nello
stesso
pamphlet
Mald
quello di paesaggio che vede ancora legato a Vegas di Venturi e condizionato da ciò ch posizione critica alla quale Gambi sembra, a
più di Maldonado. 21 Lo scarso entusiasmo di Gambi in ordi evidenziato da V. Savi, Atto mancato , in O
contributo - che offre un'immagine di Gam che nello stesso volume da F. Farinelli, Il mae
sulle
ragioni
delle
dimissioni
dalla
presid
lettera di dimissioni al Presidente della Reg fornendo una spiegazione che ricorre sia alla alla scarsa pertinenza conoscitiva della «topo Luigi Ghirri. 22 Qualche osservazioni in proposito svolge ma ricchi di indicazioni e materiali di riflessi
G. Benassati, Affinchè l'occhio veda ciò che no Smargiassi, Dietro lo specchio ( retrovisore ). La
dell'IBC. In particolare, nel primo si ricorda ruolo secondario nei confronti dello strumen la cartografia», nel secondo, raccontando l'Au
di fronte ad una proposta di tesi che assum 1982 ne avesse immediatamente riconosciut
storica. Ma è evidente che queste rievocazioni a partire dai presupposti filosofici della sua 23 Si può in proposito citare la pubblicazi e urbane del territorio bolognese delle collezi Varignana, con scritti di Luigi Dal Pane e A storico-economica e storico-artistica di ques che fece scuola e fu all'origine di altre inizi in varie pubblicazioni degli anni Novanta. Il per il fatto di abbinare la carta storica alla ric F. Varignana, Il paesaggio e la mappa , in Or
ne più consistente fu tuttavia l'«iconoteca» approfondire «l'analisi sull'evoluzione e tras
urbis» dei centri storici e che ebbe la sua prim diretta da Pier Luigi Cervellati, alla quale per nov.-dic. 1983) nell'ambito del convegno int salvaguardia delle città storiche in Europa e n 24 C. Poni, Forze produttive e paesaggio , approfondito questo discorso nel celebre ar vedagne della pianura cispadana nei secoli X che questo articolo ispira ancora oggi la piani
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 97 risulta dal Bando 2003 relativo al Progetto di tutela e valorizzazione relativo al Cavo napoleonico nel contesto della Diamantina.
25 Lo stesso potrebbe dirsi per il convegno fiorentino di «Geografia democratica» dove
l'intervento di Farinelli, nella sua astrattezza filosofica non meno che nella sua matrice culturale, si presenta del tutto dissonante rispetto agli altri. Un indizio minore ma non del tutto trascurabile della diversità dell'approccio farinelliano rispetto all'impostazione storica di Gambi e di «Quaderni storici» è il fatto che l'articolo Luoghi, strade, spazio poi pubblicato su «Urbanistica» 84 (1986) e ripreso in I segni del mondo , Firenze 1992, pp. 35-53, per la sua impostazione troppo generalizzante non era stato accolto dalla direzione dei «Quaderni storici» e dagli stessi curatori del n. 61 dedicato a Vie di comunicazione e potere e proposto fin dal 1984 da F. Farinelli, Aldo Monti e Giuseppe Sergi, mentre sullo stesso tema venne accolto nel n. 64 un saggio del geografo Georges Livet sulle strade lorenesi. La discriminante stava, come si legge tra le righe della Premessa al numero 61, proprio nella volontà di ricostruire dal basso il dibattito sul rapporto
spazio-potere «liberandolo dai suoi apriorismi ideologici e dalle sue vocazioni generalizzanti» tipiche dell'impostazione farinelliana. 26 Risalgono infatti soprattutto agli anni 1979-1982 (con l'anticipazione del numero su Famiglia e comunità del 1976) i primi articoli e numeri della rivista curati da C. Ginzburg, C. Poni, E. Grendi, G. Levi e D. Moreno in cui da angolazioni diverse si comincia parlare di microstoria e soprattutto a praticarla. Sul clima di questa seconda fase si vedano le annotazioni di O. Raggio, La storia come pratica , che introducono il numero 100 dedicato a Edoardo Grendi, il noto articolo di C. Ginzburg, Microstoria: due o tre cose che so di lei , riedito in Id., Il filo e le tracce. Vero falso finto , Milano 2006 e in questo stesso numero le osservazioni di R. Cevasco e V. Tigrino. 27 Lo dicono S. Anselmi, R. Paci, E. Sori, Il contributo di Alberto Caracciolo alla storiografia regionale delle marche , in «Quaderni storici», 91 (1996), p. 7. La travagliata storia della rivista nel passaggio dalla prima alla seconda serie è stata ricostruirà anche da A. Caracciolo, La prima venerazione , in «Quaderni storici», 100 (1999), pp. 13-29. 28 L'ultimo articolo pubblicato su «Quaderni storici» compare nel n. 45 (dicembre 1980) dedicato a L'indagine sociale nell'unificazione italiana e riguarda Le «statistiche» di un prefetto del regno.
29 «Topografico» soprattutto nel senso della scala. Ciò che più suscitava il suo interesse erano infatti le rappresentazioni a scala topografica sia in ambito urbano sia in ambito territoriale.
Inoltre, se si escludono i lavori di storia del pensiero geografico che giustamente assumono una scala nazionale e internazionale, è ben difficile trovare in Gambi ricerche che fuoriescano dalla scala locale e regionale. 30 Gambi non partecipa infatti al successivo cantiere degli Annali della stona d'Italia anche se questi affrontano temi rilevanti per un geografo come di fatto sono 11 paesaggio e Insediamenti
e territorio.
31 U riferimento è in particolare alla posizione di Vincenzo Guarrasi che «nella terra di Gambi» e cioè nel contesto di un convegno fiorentino ha proclamato «la fine dello storicismo», proponendo di ridefinire i compiti della ricerca geografica sulla base della filosofia di Derrida e del post-modernismo californiano. Ma, se «il compito nuovo consiste nell'esplorare il Mondo Moderno per scoprire il Soggetto europeo che lo ha prodotto», sono ben convinto che non sia necessario enfatizzare con le maiuscole un compito che la ricerca storico-geografica ha condotto e continua a condurre efficacemente ben prima di riscoprire, oltretutto in ritardo, il ruolo di filosofi come Althusser, Foucault, Barthes ecc. E ha potuto condurla efficacemente perché, grazie al metodo storico e alla «microstoria», ha saputo sciogliere le grandi categorie della Modernità e del Soggetto europeo in procedure e categorie analitiche. Sulla posizione cit. si veda V. Guarrasi, Mister Vespucci, I suppose , in M. Tinacci Mossello, C. Capineri, F. Randelli (a cura di), Conoscere il mondo: Vespucci e la modernità , Atti del convegno internazionale (Firenze 28-29 ottobre 2004), Firenze 2005, pp. 361-73. 32 H termine «sociologia storica» più che in rapporto ai fondatori delle «Annales» si giustifica in riferimento al mondo che ruota attorno alla rivista, dove per esempio appare importante il ruolo
dei sociologi. Non è casuale che anche i giovani geografi che collaborano negli anni Cinquanta e Sessanta, come Renée Rochefort ed Etienne Juillard, sono quelli che più hanno sentito l'esigenza di introdurre lo spirito sociologico in geografia e di dedicare le loro thèses alla «geografia socia-
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le» piuttosto che alla classica geografia uma strutturalista può sembrare una contraddizi arbitrarie va detto che l'epistemologia di Gam in nome della dicotomia sincronico/diacron forse, sarebbe meglio parlare di materialismo
33 La più famosa delle sue definizioni di geo rifoggia la terra in termini umani, per ricre Gambi come Febvre avrebbe preferito parla 34 Gambi, Una geografia cit., p. 88.
35 Al convegno, organizzato dai geografi fa risalire la nascita di «Geografia Democra Firenze del 1980. In effetti la discussione fu
della geografia o ruolo politico del geografo? le conclusioni, fu l'esigenza largamente cond gagée , liberata dalla gratuità accademica. Alt gambiana: Conoscenza per discipline o per p e fenomeni sociali in geografia o il Contribut Buscaglia, S. Conti, A. Segre, P. Serniotti (a geografica , Torino 1975. 36 L. Febvre ha raccontato più volte le sue
dei
geografi,
in
particolare
di
Jules
Sion
Nell'introduzione ai Combats , fra i testi pi ricorda anche «Elisée Reclus et la profonde
Combats
pour l'histoire , Paris 1965, 2a ed. 37 L. Febvre, Problemi di metodo storico , 38 A. Torre, Introduzione a Febvre, Problem 39 Gambi, Una geografia cit., pp. 93-4. Anch in Lucien Febvre, quando, sempre nel testo sociale era un «residuo o un'eredità delle lung che viene chiamato il problema del material 40 Utili per capire il clima culturale degli
sono 41
le Fa
osservazioni un
certo
di
Caracciolo,
effetto
oggi
La
scoprire
prima
quanto
del dopoguerra e in particolare nei «Que s Géographie industrielle du monde. Il prim tutto» dell'editore Garzanti (Milano, 1951). 42 II giudizio è di Claval, Histoire de la gé si veda ora l'ampia introduzione di Pierre T Fra i geografi Roger Dion recensendo sulle
annotava che «des nouvelle conceptions s'affir eut montré que les paysages ruraux étaient mais d'une structure agraire». LX (1951), p. 43 1 precisi riferimenti bibliografici sono d Gribaudi, ma fin dal primo articolo del 195 concetti di valore , Gambi riconosce che «la t valori e di ogni loro evoluzione, si riannoda in La Terre et l'évolution humaine » (Gambi invece l'apporto della filosofia di Benedetto C importante stimolo non colto dai geografi ita
della
filosofia
di
Bergson
(ivi,
p.
20).
Nella
degli anni Settanta, come si è già visto, tale a non toglie che l'influenza di Croce su Gamb in proposito si veda Concetto e metodi della g Un itinerario nella geografia umana , Bari 19 Riflessioni e ipotesi in tema di geografia stor
dell'Università
di
Genova,
VII
(1968).
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 99 44 Tale influenza è stata riconosciuta anche da uno storico come Delio Cantimori, che non
esitò a contrastarla disapprovando la pubblicazione della thèse di Fernand Braudel da parte dell'Einaudi, di cui peraltro era in genere un ascoltato consulente. Dopo aver definito Braudel esponente di una «geo-socio-storia, che associa in una presentazione tanto brillante e suggestiva,
quanto evasiva, tanto piccante, quanto indigesta, i motivi della geopolitica e, delle sociologie pseudostoricistiche tedesche [...]», Cantimori si preoccupava che «un'opera così ben scritta, - brillante, affascinante anche per la sua facilità ed evasività e superficialità di riflessione e di concetti», diventasse il mezzo di diffusione del metodo di quella che successivamente è stata
chiamata la «scuola delle Annales». Cfr. il testo completo in D. Cantimori, Politica e storia
contemporanea. Scritti 1927-1942 , Torino 1991, pp. 795-96; e per la sua contestualizzazione L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta , Torino 1999,
pp. 589 ss. Un giudizio che, prescindendo dai riferimenti soltanto polemici alla geopolitica e al sociologismo tedesco, centrava un limite della storiografia braudeliana che diventerà più visibile nella produzione successiva. 45 Gambi, Questioni cit., pp. 44-5. 46 Questa visione, che comportava conseguenze rilevanti nella collocazione della geografia, non venne adeguatamente discussa dai geografi italiani fino al 1970, quando Giuseppe Dematteis, un allievo di Dino Gribaudi, ne inserì un primo esame critico nell'importante saggio su «Rivoluzione quantitativa» e Nuova Geografia (Torino 1970), riconoscendo che quello iniziato da Gambi nel 1956 era «il tentativo più originale e radicale» nella direzione della riorganizzazione del contenuto della vecchia geografia in funzione delle «esigenze culturali della società moderna». Una messa in discussione, questa di Dematteis, che si giovava della più ampia contestualizzazione nel dibattito geografico internazionale (compreso l'inserimento nella discussione sulle «due culture» che aveva preso l'avvio con il noto saggio di Charles P. Snow del 1959). In virtù di questo contesto la discussione si spostava dalla contrapposizione fra geografia fisica e geografia umana al problema dei rapporti tra una geografia «scientifica», che per effetto della Nuova Geografia veniva ad attraversare anche la geografia umana, e la geografia «umanistica» o «culturale», ritrovando per altra via la distinzione di Gambi fra i due modi di conoscere naturalistico o scientifico e umanistico. Le conseguenze, secondo Dematteis, erano importanti: «ogni contrapposizione tra geografia fisica e geografia umana viene meno: ognuna delle due geografie (la scientifica e l'umanistica) tratta sia l'aspetto fisico che quello antropico, ma ciascuna con il suo metodo. Ciascuna delle due ha il proprio distinto campo di applicazione: tecnologico l'una, culturale l'altra». Grazie alla distinzione filosofica fra i due campi veniva a cadere anche la vecchia discussione sul determinismo. La differenza più sostanziale con la posizione di Gambi stava nella convinzione della possibilità di «ricomporre i due indirizzi in una nuova unità» rispondente ai bisogni della società moderna: «Una geografia che voglia essere una storia di come l'uomo plasma e rifoggia la terra in termini umani, per ricrearla come opera sua , deve partire dall'esame di come questi termini umani si pongono nelle varie situazioni storiche. Nel caso delle società pre-industriali dovrà rifarsi ai generi di vita e alle rappresentazioni pre-scientifiche dello spazio terrestre proprie
di queste società. Ma nel caso delle società industriali moderne dovrà risalire alla logica della tecnologia territoriale che si basa sulle rappresentazioni dello spazio terrestre offerte appunto dalla geografia "scientifica" (geografia fisica compresa)». Dematteis, «Rivoluzione quantitativa» cit., pp. 56-60. È interessante notare che, a differenza di quanto aveva fatto fino ad allora, Gambi non ritenne di ribattere a queste critiche che gli venivano rivolte da un allievo del già tartassato Gribaudi. Così come non ritenne di intervenire sulle più marginali osservazioni critiche che a proposito dei rapporti fra storia e geografia anch'io avevo avanzato qualche anno prima. Quaini, Riflessioni e ipotesi cit. È probabile che nell'uno e nell'altro caso sia intervenuta in Gambi la consapevolezza che pur muovendo da collocazioni e osservatori ancora lontani dai suoi punti di vista - una diversità marcata anche dalla differenza formale fra le citate Pubblicazioni di Istituto
e gli opuscoli dei Fratelli Lega a cui Gambi affidava le sue polemiche - ambedue le ricerche finissero per convergere sul suo stesso terreno di lavoro, come poteva essere dimostrato anche da G. Dematteis, L'eredità storica nella formazione della regione , Torino 1970 e da M. Quaini, Il Mediterraneo tra geografia e storia nell'opera di F er nand Braudel, in «Rivista Geografica Italiana»,
LXXV (1968), pp. 1-15 dell'estratto. 47 II modello Braudel viene applicato da una geografa francese, Renée Rochefort, che negli anni Cinquanta conduce in Sicilia la sua thèse di geografia sociale e che rappresentò per Gambi,
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100 Massimo Quaini
come vedremo fra poco, un incontro importan lievi di Le Lannou che numerosi sciamarono a f vedano gli articoli di vari autori in La géographi de Lvon», 68 (1993): in particolare quelli di P.
48 Sempre nel medesimo opuscolo del 1956 graphie face aux sciences humaines , in «Anna di ricerca sui temi territoriali, oltre a George, collaboratori delle «Annales», Georges Friedmann
gnes. Civilisations urbaines et civilisations rurale
il massimo della convergenza pluridisciplinare 49 F. Braudel. Retour aux enauêtes. in «Annales E.S.C.». XVI (1961). od. 421-4. 50 Queste prime indagini confluirono poi in R. Rochefort, Le travail en Sicile. Etude de géographie sociale , la thèse pubblicata nel 1961 (Parigi, PUF) con una significativa prefazione di Danilo Dolci. Si tratta di uno studio che anticipa di molti anni la migliore geografia sociale francese ed europea. Fra gli autori che ringrazia oltre ai maestri francesi, Allix, Le Lannou, George e Braudel,
ci sono anche Gambi e Paolo Sylos Labini, ambedue allora docenti dell'Università di Messina. In quegli anni, come è stato ricordato di recente da Lucio Villari, l'ateneo di Messina disponeva di ottimi insegnanti nelle campo delle scienze umane: Santo Mazzarino, Giacomo Debenedetti, Galvano della Volpe, Ruggero Moscati, Giorgio Petrocchi, Rosario Romeo. L. Villari, Perché non possiamo non dirci pagani , in «La Repubblica», 1 agosto 2007. 51 Mi riferisco a Franco Farinelli che in più occasioni ha ritenuto di appiattire la costruzione della geografia umana di Gambi su una tradizione tedesca, che se non gli fu certamente estranea non appare certo una delle sue références strategiche (sarebbe bastato leggere l'indice degli autori di una Geografia per la storia per rendersene conto). L'operazione può avere qualche possibilità di riuscita solo se si annulla del tutto lo spessore delle altre tradizioni e in particolare si rende la geografia umana francese un episodio minore e del tutto inconsistente della geografia europea. È quanto la personale storia del pensiero geografico di Farinelli ha più volte fatto con «napoleonica disinvoltura» (per usare una sua espressione), facendo torto a Lucio Gambi e a se stesso! Si vuole un esempio di questo procedere agli antipodi del metodo
storico (prima ancora che del metodo di Gambi)? Si legga questo mirabile passo: «Ripeteva Humboldt negli ultimi suoi giorni: Il 1848 è l'anno della rivoluzione, ma il 1849 è l'anno della reazione. La reazione durò in geografia un secolo, appunto fino a Gambi - e il rilievo è, nella sua totalità, di portata europea almeno»; o anche questo: «in ogni caso tra storia e geografia [...] non era concepibile, prima di Gambi, nessun rapporto che non fosse fondato sulla separazione ed anzi sull'opposizione». Se al di là di queste sintesi plurisecolari - di cui la storia del concetto di paesaggio offre esempi brillantissimi - si scendesse negli studi più di dettaglio, sarebbe anche peggio: Vidal de la Blache apparirebbe «una vittima di Lucien Febvre» e «un geografo che scriveva senza sapere quello che diceva». Quanto a Febvre si legga questo limpido passo: «concezione positivistica del sapere geografico contro cui Febvre, da storico, si rivolta, ma senza riuscire, da geografo, a ricostruirne l'origine. E che perciò, in fondo, pur criticandone
gli effetti, finisce inconsapevolmente con l'assumere». La spiegazione di tanto avvolgersi in queste e altre «fertilissime contraddizioni» da parte di uno storico di cui persino Cantimori, grande stroncatore di Braudel, fa l'elogio, è molto semplice: Febvre ignora la storia del pensiero geografico, ovviamente del pensiero tedesco, l'alfa e l'omega della geografia moderna e contemporanea, che Franco Farinelli ci ha finalmente «rivelato»! 52 Come queste, sempre di Farinelli, per il quale Gambi «resta l'ultimo geografo umanista, se non l'unico» o, se si preferisce, «l'ultimo rappresentante, in assoluto , della grande tradizione della geografia critica borghese (o civile se si preferisce) riassunta nel termine Erdkunde». Dove,
oltretutto, si potrebbe anche intendere che l'apparente elogio della sua unicità, «ultimità» e assolutezza si rovescia nel senso della sua totale inattualità e definitivo superamento. 53 Significativa è la recensione- stroncatura, compiuta dall'antico maestro di Gambi, Roberto Almagià, della Géographie humaine (1949) di Le Lannou (in «Rivista Geografica Italiana», (1950), pp. 214-8): un testo citato invece favorevolmente da Gambi e che ha il merito di alimentare in Francia un interessante dibattito nel quale interviene anche Braudel. Su alcuni termini di questo dibattito rimando al mio Concetto e metodi della geografia storica , in Quaini, Tra geografia e storia cit., pp. 109-24. L'indifferenza dei geografi italiani nei confronti del dibattito internazionale nel
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 101 campo delle scienze umane e storiche potrebbe essere ben documentato dalla mancanza di citazioni dalle «Annales E.S. C.» per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta. Chi allora ha cominciato a frequentare gli Istituti di Geografia sa bene che le uniche «Annales» a cui allora e anche in seguito si abbonavano erano le «Annales de Géographie». 54 «Critica Storica», I, 1 (1962), pp. 87-91. L'adesione sul piano metodologico, che induce Gambi a individuare nelle posizioni dei geografi italiani tracce di «determinismo geografico» e di «psicologismo positivista», si accompagna a un evidente radicalismo politico che, se da un lato trae alimento e conforto nello «atteggiamento di questa giovane straniera» capace di liberarsi completamente di quel «fondo di concezioni conservatrici e un pochino coloniali» che aveva condizionato lo sguardo di altri geografi anche stranieri come Vochting, dall'altro determina anche
il suo comportamento accademico nell'ateneo messinese. È opportuno ricordare che, appena arrivato a Messina, Gambi fu protagonista di una vivace protesta per una vicenda di cui allora parlarono i giornali - la negata concessione al valdese G. Gonnet dell'insegnamento di storia del cristianesimo per «credenza palesemente non cattolica» - tanto da meritarsi l'aperta deplorazione del Rettore, Gaetano Martino appena nominato ministro della Pubblica Istruzione nel governo
Sceiba, soprattutto per aver denunciato il fatto sulla «Voce Repubblicana» (la questione venne ricostruita su «Il Ponte» nei numeri di gennaio e marzo 1954). 55 Gambi, Questioni cit., pp. 44-5. 56 Gambi, rec. cit., pp. 90-1. La valenza metodologica di questa recensione è sottolineata anche dal fatto che sulla stessa annata di «Critica Storica» Gambi discute ampiamente anche II paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni. Ivi, (1962), pp. 662-8. 57 Come riconosce lo stesso Gambi facendo il bilancio dell'eredità scientifica della geografia italiana in Uno schizzo di storia della geografia in Italia , in Una geografia cit., pp. 28, 31. È significativo che questa resa storica dei conti venne fatta in terra di Francia, in seguito a un invito, nel 1970, di Paul Claval a tenere un seminario all'università di Besançon. L'incontro con Claval avvenne in seguito all'avvio dell'edizione di L'evoluzione storica della geografia umana , Milano 1972 (a cura di T. Isemburg), come mi è stato raccontato da Paul Claval. 58 Ho cercato di indicarne alcuni in M. Quaini, Letture d'Italia, Riflessi italiani. L'identità di un paese nella rappresentazione del suo territorio (a cura di S. Conti), Milano 2004, pp. 121-34. 59 L. Gambi, Calabria , Torino 1965, pp. 532. 60 Gambi, Questioni cit., pp. 88-9. 61 Rapporti che si potranno compiutamente ricostruire quando si potrà accedere all'archivio personale di Lucio Gambi, conservato, insieme alla biblioteca, presso la Biblioteca Classense di Ravenna.
62 Come è stato dimostrato da Lanzani, Immagini del territorio cit., pp. 153 e ss. Ma ciò che
appare più singolare è la convergenza, non sappiamo quanto consapevole, fra Gambi e la sua definizione della geografia e delle scienze sociali e la definizione dell'urbanistica di architetti come Quaroni (cfr. a p. 202) e Samonà (pp. 267-8), fra i più interessati al recupero della geografia umana francese. Tanto che si potrebbe enunciare la regola, nella quale Gambi rientra perfettamente, che gli autori più innovativi sono quelli che possono vantare una biblioteca di testi extradisciplinari e compiono un percorso di ridefinizione della disciplina mettendo a frutto soprattutto il patrimonio scientifico esterno alla stessa. 63 Rochefort, Le travail en Sicile cit., p. 7. Va detto che al ruolo della Rochefort e della sua precoce «geografia sociale», forse perché cresciuta nel contesto lionese, non è stato finora dato dai geografi parigini e per esempio da Paul Claval il dovuto rilievo. Fanno accezione il più recente saggio di J.-F. Deneux, Histoire de la pensée géographique , Paris 2006, pp. 123-4 e A. Meynier, Histoire de la pensée géographique en France , Paris 1969, pp. 192-3 (testo ben noto a Lucio Gambi). Quanto al nostro paese solo di recente l'editore Sellerio ha offerto in traduzione italiana il saggio
di geografia sociale, che fra i geografi era passato quasi inosservato, adottando un titolo che ne travisa il taglio geografico e lo trasforma in un libro di storia se non di rievocazione giornalistica:
R. Rochefort, Sicilia anni Cinquanta. Lavoro, cultura, società , Palermo 2005. 64 Gli scritti degli anni fra il '56 e il '63 «avevano il preciso fine di partecipare ad un riesame
della concezione tradizionale di geografia, che era in corso in alcuni altri paesi" ovvero "della geografia come disciplina che "descrive la Terra" compendiando con visione cacuminale e sintetica - nelle intenzioni: ma superficiale o banale nei risultati - i contenuti di numerose altre», Gambi, Una geografia cit., p. VII.
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102 Massimo Quaini
65 Recensendo Una geografia per la stońa a due Italiana», LXXXII (1975), pp. 152-3, Barbieri con questa volta, salvo poche eccezioni, col silenzio consenso di Giuseppe Caraci, che appartiene al significativo di quelli dei più giovani Compagna e di polemica geografica. Riflessioni in margine al in CISGE, Momenti e problemi della geografia co un biennio cruciale (1963-1964), in F. Canigian geografia. Scritti in onore di Giuseppe Barbieri 66 Le annotazioni di R. Rochefort compaiono graphes et géographies in «Annales E.S.C.», XV
67 Date le conseguenze si può enfatizzare
dell'opuscolo Geografia fisica e geografia umana
di affidare ai Fratelli Lega, sperimentò nel co geografia della città campana. 68 Limitandomi a poche indicazioni: E. Juellar E.S.C.», XVI (1961), pp. 993-1003, dove attraverso paesaggi nella loro organizzazione attuale e nell ricerca geografica ai problemi rurali»; in precede vue par le géographe, in «Annales E.S.C.», XII punti di vista disciplinari e notato come quello di Torino 1955 si caratterizzasse per l'assenza di dat regioni amministrative che escludeva la possibili del territorio posto dal sottosviluppo del Sud. Gottmann che in tal modo venivano proposti a 69 Anche qui limitandomi a qualche esempio, u fra Robert Mandrou e Etienne Juillard a propos
«Annales E.S.C.», XII (1957), pp. 619-27. Un b
histoire - che poteva già allora rafforzare l'ins cui cominciava a farsi paladina la nuova geogra Storica» che aveva ospitato la recensione del vo 70 Questi articoli sono ripresi nelle successive 1973, pp. 151-67; Id., I tempi della storia. Econ sviluppato un parallelo fra Gambi e Braudel in di Braudel. Un' analisi parallela, in Aa. Vv., Medi III, Società Savonese di Storia Patria, Savona 1 particolari. 71 Non senza qualche reazione positiva fra i geografi come dimostrano i casi di Pierre Gourou rimasto fedele al concetto di «civiltà» e di Pierre Monbeig. Quest'ultimo, recensendo M. Philipponeau, Géographie et Action, Paris 1960, notava con dispiacere la tendenza dell' A. e della «Nouvelle Vague géographique» a prendere le distanze dalla storia e si domandava «Faut-il en conclure que pour exercer leur futur métier d'organisateurs des villes et des champs, ceux-ci n'ont pas besoin de connaître l'histoire, la vrai histoire, des citadins et des paysans?» e concludeva che finché le società umane sono al centro di ogni studio veramente geografico, applicato o meno, la storia, quella di Marc Bloch e di Lucien Febvre, deve rimanere determinante nella formazione
del geografo. P. Monbeig, Une défense de la géographie appliquée, in «Annales E.S.C.», XVI (1961), pp. 1925-9. 72 Questo il succo della critica che Braudel sviluppa fin dal 1944 prima discutendo con Sorre e poi nel 1951 con Le Lannou e che parte dal riconoscimento che «la géographie (comme l'histoire) est une science très inachevée, bien plus inachevée que ne le sont les autres sciences du sociale. Peut-être aussi inachevée que l'histoire elle-meme, cette autre vieille aventure intellectuelle». F. Braudel, Ecrits sur l'histoire , Parigi 1969, pp. 171-2. Su questo spirito di unità fraterna fra le due discipline si fondava il progetto svolto sulle «Annales». Con uno spirito del tutto affine, Gambi apriva i suoi cantieri di lavoro a storici, geografi, urbanisti. La risposta della corporazione dei geografi fu di negazione tanto nel primo che nel secondo caso, con la differenza che nel nostro paese l'esempio di Gambi venne seguito (anche a costo della
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 103 carriera) da molti giovani: qualcosa di simile all'interscienza di Braudel si venne costruendo e la rivista «Quaderni storici» ne fu uno dei principali veicoli. In Francia furono pochi i geografi che continuarono a riconoscersi sotto queste bandiere - l'eccezione più grande è costituita da Pierre Gourou che nel 1973 pubblica nella collana diretta da Braudel il suo Pour une géographie humaine dedicandolo a Lucien Febvre - tanto che Braudel negli ultimi anni ritenne di dover rivendicare, anche nei confronti di Etienne Juillard, la vera geografia umana e di dover con la Identità della Francia ancora surrogare i geografi (si veda in proposito l'interessante dibattito che si svolse a Chateauvallon nella prima delle «Giornate braudeliane»). Cfr. F. Braudel, Una lezione di storia , Torino 1986. 73 Si tratta della traduzione di Action humaine (Paris 1968) reso col titolo U organizzazione sociale ed economica degli spazi terrestri (a cura di T. Isemburg), Milano 1972, che ebbe molto successo. Un altro testo, La geografia nella società industriale , venne proposto come quindicesimo volume della collana. Considerando i primi 25 titoli la prevalenza dei testi francesi (12) appare schiacciante rispetto sia agli italiani (7) sia ai testi di lingua inglese (6). La scelta di George, che per il pubblico italiano non era un nome nuovo (altri testi erano già stati tradotti dalle edizioni di Comunità e nella serie «Saper tutto» di Garzanti) non è certamente casuale. Più volte infatti Pierre George, andando del tutto controcorrente, ha ripetuto che «se la geografia si attiene solo alle differenze con la storia, finisce per arrivare a un bilancio di nullità o a una sorta di suicidio, mentre ritrova la sua esistenza e la sua ragion d'essere se associa ciò che la differenzia dalla storia a ciò che la unisce ad essa e per il suo intermediario all'insieme della scienze umane». P. George,
Géographie et histoire , in «Revue Historique», CCXIX (1963), pp. 295-303. La collana ebbe anche il merito di far conoscere Y. Lacoste con il volume Crisi della geografia, geografia della crisi (a cura di P. Coppola), Milano 1977. Lacoste ha ritenuto Braudel oltre che un grande storico anche un grande geografo e ha riconosciuto nella «geograficità» braudeliana un'anticipazione del concetto di «spazialità differenziale», considerata «la regola più efficace dell'analisi geografica» e l'unico rimedio contro il determinismo geografico. Y. Lacoste, Braudel géographe , in Aa. Vv., Lire Braudel, Paris 1988, pp. 171-218. 74 F. Galluccio, La «rivoluzione dello sguardo»: un ricordo di Lucio Gambi , in «Geografia», XXIX 3-4 (2006), pp. 52-6. 75 E tuttavia il saggio Da città a area metropolitana è stato considerato dagli studiosi dei processi di urbanizzazione come una delle prove in cui meglio emerge la lezione metodologica di Gambi, consistente nella «esigenza di collegare le forme geografiche ai processi storici entro cui esse si formano». G. Dematteis, Da area metropolitana a rete. Tendenze recenti dell'urbanizzazione italiana ed europea , in F. Cazzola (a cura di), Nei cantieri della ricerca : incontro con Lucio Gambi ,
Bologna 1997, pp. 235-61. Dematteis torna in questo numero anche sull'importanza del primo volume con considerazioni che mi paiono del tutto convincenti e che vanno lette a necessaria integrazione di queste riferite ali 'Atlante.
76 Non a caso vi chiama a collaborare una folta schiera di amici, allievi e giovani storici e geografi che si riconoscono nel suo magistero. Il contributo di Giulio Bollati, che compare come secondo coordinatore, mi pare limitato alla proposta di valorizzare accanto alle carte le immagini artistiche (col saggio di Federico Zeri) e solo in parte quelle fotografiche di uso corrente per il geografo. A Bollati si deve forse attribuire la scrittura della presentazione editoriale non firmata che infatti non risente del fraseggio e della terminologia, molto personali, di Lucio Gambi. 77 L'attenzione della storiografia italiana (per non dire della geografia) mi sembra essere stata piuttosto debole sia in generale sia per questo volume. Se «Quaderni storici» discute ampiamente
alcuni dei volumi degli «Annali»: da quello su Insediamenti e territorio a quello sul Paesaggio
(tutti e due curati da Cesare De Seta), non discute invece Y Atlante. 78 Così recita la Premessa dell'editore che sottolinea più volte il carattere sperimentale e innovativo di «una metodologia di approccio ad alcuni problemi di fondo della storia e della vita nazionale, che finora è stata trascurata dalla storiografia italiana» e che è volta soprattutto allo
«studio del condizionamento storico della visione» e dello «sguardo di chi vide e rappresentò l'Italia nel corso dei secoli». Sarebbe interessante conoscere l'autore di questa impegnativa premessa. È da escludere che possa essere attribuita a Gambi. 79 Uno dei contributi di Gambi a «Quaderni storici» venne infatti dedicato nel 1978 a Un atlante da 7 miliardi. 38 (1978), pp. 732-47. 80 L. Gambi, Per un atlante storico d'Italia , in Id., Una geografia cit., p. 175.
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104 Massimo Quaini
81 In questo caso si tratta di Paul Claval, più George. 82 Gambi, Per un atlante storico cit., p. 177. 83 Anche se di fatto Gambi è stato un grande studioso di rappresentazioni geografiche non ha mai amato e tanto meno enfatizzato questo concetto sul quale si è invece costruita la ^geografia
umanistica» o meglio la «svolta linguistica» successiva alla crisi della geografia neopositivistica. I termini di questa svolta si sono resi espliciti soprattutto nel Convegno internazionale di Venezia:
Les Langages des representations géographiques (a cura di G. Zanetto), Venezia 1987, con le relazioni di Dematteis, Turco, Olsson, Cosgrove e Vallega. Ma su questo concetto già nei primi anni Ottanta G. Dematteis, Metafore della terra , Milano 1984, aveva costruito, come vedremo fra poco, un'idea di geografia obbligata a confrontarsi con Gambi e a prendere la maggiore distanza critica proprio e non a caso sul rapporto fra storia e geografia. 84 V. Berdulay, Le valeurs géographiques , in A. Bailly, R. Ferras, D. Pumian (a cura di), Encyclopédie de géographie, Paris-Saint-Dié 1992, pp. 371-402. 85 M. Merlau-Ponty, Segni , Milano 2003, p. 212, sott. mia. 86 L. Gambi, Generi di vita o strutture sociali , in Id., Una geografia cit., p. 205.
87 Dematteis, Le metafore cit., pp. 122-24. Le conseguenze vanno per l'appunto nella direzione della rinuncia a quella «dimensione temporale esplicita che la geografia in senso proprio non ha mai avuto. I geografi che cercano di supplire a questa carenza facendo un po' gli storici, un po' i sociologi ecc. forse non hanno mai pensato che nella spiegazione causale razionale lo spazio è altrettanto importante del tempo e che la contiguità spaziale dei fatti (o del loro tramite) è condizione necessaria tanto come la successione temporale degli eventi. La sottovalutazione sistematica di questa verità permette viceversa a storici, economisti, sociologi ecc. di rappresentare efficacemente certi aspetti e settori del reale, ignorando lo spazio (e senza patire complessi di inferiorità)», per concludere che «è ingenuo attribuire l'insoddisfazione intellettuale delle rappresentazioni geografiche alla loro natura puramente spaziale» (ivi, pp.
122-24).
88 Nel caso specifico il riferimento è alle diverse posizioni di geografi della levatura di Sorre,
Le Lannou, George e dell'italiano Pracchi di cui tratta nell'articolo già citato sui Generi di vita. 89 Da questo punto di vista è significativo il fatto già notato che Gambi non ritenne di intervenire sulle critiche espresse da G. Dematteis già nel 1970 (vedi le ampie considerazioni svolte nella nota 46). 90 Su questa evoluzione del pensiero di Gambi non ripeto quanto già osservato in Quaini, Esplorando un biennio cit., pp. 157-60. Sulla rivalutazione del sensismo settecentesco in chiave geografica si veda M. Quaini, Tra Sette e Ottocento: il viaggio e il nuovo paradigma della geografia ,
in L. Rossi, D. Papotti (a cura di), Alla fine del viaggio , Reggio Emilia 2006, pp. 32-46. Sull'illuminismo di Lucio Gambi si vedano anche le osservazioni di A. Lanzani in questo numero. Il tema dovrebbe essere ripreso più estesamente. 91 Sono queste le parole conclusive dell'articolo del 1956 Geografia fisica e geografia umana cit., p. 50, dove evidenzia le differenze fra la sua nuova visione e quella nella quale «quindici anni fa sono stato iniziato alla geografia».
92 Sulla vicenda di Geografia democratica si veda ora F.L. Cavallo, Quelle insegne un po' scomode e parecchio ingombranti. Appunti su Geografia democratica , in «Rivista Geografica Italia-
na», 114 (2007), pp. 1-25. Questa evoluzione era stata preparata e per qualche aspetto anticipata nel 1974 dal già citato Colloquio sulle basi teoriche della ricerca geografica di Dégioz, al quale, come si è già visto, Gambi aveva partecipato con entusiasmo ma senza poi stringere particolari rapporti con i geografi svizzeri e francesi colà convenuti. Più stretto e permanente rimase invece il suo rapporto con la Svizzera italiana e in particolare con il Gruppo dei docenti del settore medio-superiore di Geografia di Bellinzona. 93 L. Gambi, I valori storici dei quadri ambientali , in Storia d'Italia, vol. 1, 1 caratteri originali ,
Torino 1972, p. 16. 94 Pur interessanti per la difesa di un approccio a scala topografica (che la successiva storia ambientale dimostra invece di non prediligere) ovvero per l'attenzione alle «modificazioni, agli aggiustamenti o alle altre azioni più o meno radicali che l'opera umana ha recato alla minuta topografia di ogni angolo d'Italia». Ivi, p. 16. 95 Presentazione dell'editore in Storia d'Italia , vol. 1 cit., p. xx.
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 105 96 Nota editoriale che precede l'inserto fuori testo Cinquantotto vedute aeree , in Storia d'Italia cit., sottolineature mie.
97 Una «perfezione geometrica» nel caso delle foto aeree zenitali dell'Istituto Geografico Militare e «artistica» nel caso delle vedute aree di Folco Quilici. 98 A. Sestini, Il paesaggio, Milano 1963. 99 In proposito si potrebbe confrontare il diverso trattamento che viene fatto per la conurbazione genovese e la riviera versiliana dai due autori. 100 Abbiamo visto quanto questa qualità didattica dell'azione di Gambi, svolta non solo nella scuola, sia stata riconosciuta e apprezzata da molti, anche nella Svizzera italiana. 101 Storia d'Italia , voi. 6, Atlante , Torino 1976, pp. XI-XII. Quanto Gambi abbia partecipato alla redazione di questa presentazione si potrà chiarire solo attraverso le carte dell'archivio Einaudi. Dal fraseggio e dalla terminologia mi pare estranea alla sua penna, ma ciò non toglie che Gambi l'abbia condivisa.
102 Ivi, p. 425. Anche a prescindere dalla sottolineatura della dimensione storica, mettere in primo piano lo studio della «mutevole storia di cognizioni e di usi delle condizioni ambientali» significa riconoscere come oggetto primario dello studio dei quadri paesistici «i saperi e le pratiche di attivazioni delle risorse ambientali», ovvero quello che diventerà l'oggetto della ecologia storica. Si veda D. Moreno, Dal documento al terreno. Storia e archeologia dei sistemi agro-silvo-pastorali , Bologna 1989.
103 L. Gambi, Per una storia dell'abitazione rurale in Italia , in «Rivista Storica Italiana» (1964), pp. 427-54. 104 In un articolo su «Quaderni storici» 1 (1976), pp. 130-201, poi raccolto col titolo Documenti figurativi per la storia delle campagne nei secoli XI-XVI nel volume G. Romano, Studi sul paesaggio , Torino 1978, pp. 3-91. 105 IBC, I confini perduti. Inventario dei centri storici : terza fase analisi e metodo , Bologna 1983 . 106 Sulla continuità delle indagini sui confini e maglie amministrative si veda in questo numero
il contributo di Maria Luisa Sturarti e Floriana Galluccio. Va anche detto che Gambi in un intervento al Seminario II concetto di limite nelle città contemporanee (Firenze, 22-23 gennaio 1988) sembra ancora una volta smentire l'importanza del tracciato topografico rispetto al confine funzionale. Ragionando intorno alla città-regione e alla «alluvione disarginata» della città nelle campagne, mostra di rimanere sostanzialmente fedele a un visione della città più funzionale che topografica, osservando che «corrispondentemente ai fenomeni di alluvione urbana i limiti reali della città si vanno restringendo» e comunque che tale restrizione non si esprime bene in termini di spazio e tanto meno è «disegnabile in termini topografici». Se da un lato queste considerazioni sembrano sconfessare l'indagine sui confini fisici portata avanti da Cervellati e confinare l'approccio topografico allo studio dell'insediamento rurale, dall'altro esse testimoniano un atteggiamento che, a differenza di quello dell'urbanista che ha bisogno di maggiori certezze, è sempre volto a sviscerare la problematicità del reale. Cfr. L. Gambi, Ragionando di confini della città , in «Storia urbana», 47 (1989), pp. 225-8. 107 Come esempio del successo mediático si può citare l'articolo di A. Cederna, 1983, L'Italia che finisce , in «La Repubblica», 27-28 novembre 1983. Sulle significative differenze con l'impo-
stazione data da Cervellati al tema dell'erosione urbana del paesaggio rurale e più in generale sulle divergenze nella concezione del piano paesistico rimando all'articolo di Arturo Lanzani in questo numero. È certamente su questo terreno che oggi si pone uno dei maggiori problemi della pianificazione territoriale: il recupero e il mantenimento del paesaggio e del patrimonio rurale. Un problema che per la sua complessità fuoriesce dai limiti di una visione soltanto funzionale o superficialmente topografica. Molti elementi per apprezzare questa complessità si possono cogliere, oltre che nell'articolo di Lanzani e in quello di Cevasco-Tigrino, soprattutto in R. Cevasco, Memoria verde. Nuovi spazi per la geografia , Reggio Emilia 2007. 108 Mi sia consentito citare come esempio di recupero critico del concetto di paesaggio anche il numero 4 di «Hérodote-Italia», Geografia del paesaggio (marzo 1981), che ha avuto il merito di introdurre nel dibattito italiano alcune importanti elaborazioni dovute a Milton Santos, Claude Raffestin e Beatrice Giblin. 109 Su questo tema si vedano ancora gli articoli di Giuseppe Dematteis e di Artuto Lanzani in questo numero. 110 Sulla natura di questo incrocio o nodo nella rete delle discipline lo stesso Gambi aveva già cominciato a riflettere in occasione del convegno di Lucca sulle Fonti per lo studio sul paesag-
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106 Massimo Quaini
gio agrario del 1979 (ma pubblicato nel 1981),
entrata, porta problematica di una ricerca che «m ritagli disciplinari». Ricerca da affrontarsi sec quello che vede le forme paesistiche «derivate dalla organizzazione storica dello spazio - come
(o anche la riflessa proiezione culturale) di un accadimenti di una comunità umana; e a motiv ciarsi al suo studio». Un approccio che Gambi t Campagnes ombriennes di Desplanques con le q convegno di Perugia. La convergenza fra la pr riconosciuta anche da G. Dematteis, Progetto i scienze del territorio , Milano 1995, pp. 45-6. Le di Bertrand sono ora raccolte in C. e G. Bertran à travers territoires et temporalités , Paris 2002.
111 Per intendere il percorso metodologico c a un rinnovato rapporto fra il patrimonio de rimando a Moreno, Dal documento al terreno compiacimento per l'ambiguità del paesaggio visione naturalistica della risorsa ambientale sociale «locale» della attivazione dell'ambient pastorali e i relativi saperi locali. Oggi, sulla p di Cevasco, Memoria verde cit.
112 II pezzo su «La Repubblica» è ricostituito d 1995, p. 2954 e ripubblicato nelle più breve st 5 14-18. Una discussione sul volume degli Annali M. Quaini, Due sguardi sugli Annali-Paesaggio 113 Non so se Calvino e Gambi si fossero ma aveva grande considerazione per il primo e ch piano politico Una volta che magnificavo la le Gambi mi disse che non si stupiva visto che per «philosophe», una specie di Diderot del nostro giudizio per essere capito andrebbe collocato n che «per chi è convinto che l'unica realtà uman vocazione per fare il filosofo», ma nel comune c contro Gribaudi, Gambi delinea con queste pa anni intorno al '40 - la sua cultura al di fuori de ha costruita nella atmosfera di Giustizia e Libert radicalmente la società italiana, le interpretazion culturali». Gambi, Una geografia cit., pp. 92-3 Resistenza e del dopoguerra Calvino, come not e fino al 1956 al partito comunista. 114 F. Farinelli, Geografia. Un'introduzione a Questa interpretazione, che con la sua ben no geografia, viene soprattutto argomentata in ra mancherebbe lo spazio per accedere ad analisi più Farinelli procede ad acrobatici salti storici e par e la storia dell'informazione, sostenendo che «ne accade a partire dalla metà del Quattrocento fin Novecento), quando quasi tutto in entrambi i c al punto da privare il concetto stesso di paesagg F. Farinelli, Lo spazio rurale nell'Italia d'oggi, i italiana in età contemporanea, vol. I., Spazi e p 115 Farinelli, Lo spazio rurale cit., p. 23 1. Qu campagna mi pare assai lontana da quella ben a proposito della montagna bolognese. Nella difende e riconosce «l'autonoma individualità d
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 107 anche ai quadri paesistici) dei territori dei comuni montani bolognesi osservando da un lato come «l'avvizzimento della economia locale, i forti spopolamenti del nostro secolo non hanno però ancora inciso in modo sensibile sopra il vigore ed omogeneità dei patrimoni culturali» e dall'altro come «il polo urbano della pianura che lo ha dominato amministrativamente per circa sei secoli non è stato in grado finora di risolvere quella crisi, o inserendolo (il territorio di montagna) congruamente nella sua cultura, o inducendolo a modificare da se, con lineari e piuttosto
rapidi processi nel suo interno, i propri equilibri. Il mondo della pianura gli ha solo imposto una mediocre - e in ogni modo ancora disarticolata - industria turistica e qua e là una piccola industria manifatturiera, che assumono il valore di superfetazioni esogene, perché alterano in diversa misura radicate coerenze - stabilitesi da vari secoli - del rapporto fra uomo e ambiente e dei rapporti comunitari fra gli uomini, e non riescono a crearvene e sostituirvene di nuove, parimenti logiche e quindi solide». 116 Per fortuna la realtà geografica non è fatta solo di flussi immateriali che non lasciano tracce
sul territorio e perciò non abbiamo bisogno di giustificare sulla base della smaterializzazione del territorio anche gli indirizzi più spiritualisti della geografia umana ovvero la geografia culturale più lontana dall'approccio gambiano. 117 Un'evoluzione che si legge assai bene nella miriade di convegni sul paesaggio che si vanno tenendo nel nostro paese e con i quali la geografia italiana cerca di riallacciare un rapporto più stretto con le istituzioni, come è avvenuto nell'ultimo organizzato dalla Società Geografica Italiana in collaborazione con la Presidenza della Commissione Cultura della Camera dei Deputati il 21/22 febbraio: Paesaggio culturale, economia e cooperazione nello spazio Euro-Mediterraneo. 118 Anche se non in rapporto a Gambi 1 importanza per il geografo della riflessione di Calvino è stata riconosciuta anche da T. Isemburg, Rileggendo qualche pagina di Italo Calvino. Per interrogarsi sullo spazio globale , in Aa. Vv., Toscana Paesaggio Ambiente. Scritti dedicati a Giuseppe
Barbieri , in «Atti dell'Istituto di Geografia», 18 (1997), pp. 138-45. 119 Nel cancellare questa distinzione e nel voler ridurre il paesaggio a rappresentazione mentale - legittimando un percorso che è esattamente contrario a quello tracciato da Gambi consiste il senso della geografia culturale. Su alcune delle implicazioni di questa operazione, anche in rapporto alla geografia applicata, rimando all'articolo di R. Cevasco e V. Tigrino, infra. 120 II testo di Calvino pubblicato in lingua francese nel 1977, venne inserito con il titolo La penna in prima persona (Per i disegni di Saul Steinberg) nella raccolta di saggi Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società , Torino 1980. Se ne veda ora l'edizione in Saggi cit., I, pp. 361-68. Ma si veda anche il penetrante commento di M. Belpoliti, L' occhio di Calvino , Torino 1996, pp. 167 e ss. 121 Calvino, La penna in prima persona cit., p. 365. 122 Calvino, Palomar e Michelangelo , in Saggi cit., II, pp. 1991-3. Il titolo originario era L'uomo di fronte a disegni segreti.
123 Calvino, Palomar e Michelangelo cit., pp. 1992-3. 124 Come dice ancora Calvino nell'art, cit. e assai bene commenta Belpoliti, L'occhio di Calvino cit., p. 172. 125 L'articolo già citato si trova ora anche on line nel sito dell'IBC. 126 In questo caso si tratta di C. Tosco, Il paesaggio come storia , Bologna 2007. 127 E. Raimondi, Sguardo al paesaggio , in «IBC» (marzo 2007). Lo sguardo di cui abbiamo
bisogno è «uno sguardo consapevolmente storico, educato alle ragioni della storia e dei suoi
mutamenti».
128 E. Raimondi, Un nuovo codice , in «IBC» (giugno 2004). Il passo citato si conclude con le parole che ho utilizzato come secondo esergo in testa a questo articolo. Il «resta sempre lo stesso» mi pare riecheggi il senso della visione di Gambi per cui «niente di quello che la storia sedimenta va perduto» (cfr. alla nota 3). 129 Questa è in effetti la concezione del paesaggio di Gambi come ebbe modo di notare anche Dematteis, Progetto implicito cit., p. 45. 130 E/Raimondi, Uniti nel paesaggio , in «IBC» (luglio 2007). Non a caso il testo di Gambi
già citato - Leggere il paesaggio - si conclude con il «naturale» passaggio dalla varietà delle configurazioni paesistiche alla varietà e ricchezza dei nomi regionali in cui emerge e si riassume l'unità di un territorio, per chiudere nelle parole finali con l'elogio dell'autonomia regionale pur nei suoi limiti tante volte denunciati: «ciò nonostante rimane un fatto positivo che ogni
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108 Massimo Quaini
popolazione regionale, se lo vuole, può discuter
al suo territorio: cioè alla sua vita economica amministrative, ai patrimoni della sua cultur G. Sofri), Bologna 1979, p. 396.
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«Poiché niente di quello che la storia sedimenta va perduto» 109
Fig. 1. Chi in passato ha avuto modo di frequentare le riunioni di «Quaderni storici» ricorda come inevitabilmente l'attenzione di Giovanni Levi si spostasse dalla parola al volto del parlante, quasi che la scommessa fosse di ritrovare nei tratti fńognomici l'essenza della personalità dello studioso o la mappa più essenziale delle argomentazioni. Neppure Lucio si sottrasse allo sguardo di Giovanni. Per evocare l'atmosfera di quelle riunioni ci è perciò sembrato utile pubblicare un paio di schizzi tratti dai quaderni degli anni Settanta, che su nostra richesta Giovanni Levi ci ha gentilmente inviato.
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