Poeti italiani del Novecento 8804520442, 9788804520443

Dalle prime voci poetiche del Novecento di Govoni, Palazzeschi e Gozzano fino alle esperienze degli anni Settanta, quest

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Italian Pages 1182 [1184] Year 2003

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Poeti italiani del Novecento
 8804520442, 9788804520443

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GRANDI CLASSICI

Poeti italiani del Novecento a

cura di Pier Vincenzo Mengaldo

OSCAILUO�n\DOBI

© 1978 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano per l'opera in raccolta I edizione l Meridiani novembre 1978 4 edizioni Biblioteca Mondadori l edizione Oscar poesia gennaio 1990

ISBN 88-04-38731-9

Questo volume è stato stampato presso Mondadori Printing S.p.A. Stabilimento NSM -Cles (TN) Stampato in Italia - Printed in ltaly

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La prima edizione Oscar Grandi classici è stata pubblicata in concomitanza con la quarta ristampa di questo volume

Il nostro indirizzo internet-è. http://www. mondadori .com/libri

SOMMARIO

I ntroduzione POETI ITALIANI DEL NOVECENTO

Bibliografia essenziale Indice dei titoli

e

dei capoversi

a

Enrico

INTRODUZIONE

La prosa non ha che a gittare

Ulf

po'

di soffio per spegnere ogni fiamma di poesia: essa non ha che a dirle: - Tu sei una malattia'

Dc Sanctis

Piuttosto che fornire un'introduzione or�anica, allineo qui una serie di appunti preliminari, che vorrebbero avere, nello stesso tempo, anche il carattere di rifles­ sioni su quel peculiare > metaletterario che è l'Antologia e sulla sua presente fattispecie. In par­ ticòlare, per tutte le ragioni che andrò toccando, ri­ nuncio ben volentieri all'ordinata ricostruzione storica e preferisco incrociare il campo con le luci di riflettori puntati in varie direzioni, e magari un po' a caso, nella fiducia che una serie di « tagli>> settoriali sen•a meglio a illuminare il g;ocfJ delle forze in presenza e le loro relazioni reciproche. Ma, anche a contemperarnento di quest'ottica, eh,_ necessariamente passa sopra la testa degli individui, ogni scelta da un poeta è preceduta da una scheda o minisaggio individualizzante, vòlto cioè a indicare non solo la collocazione, ma la specifica ve­ rità di quei dati autori e testi, cercando di far sjà udire, se non è troppo dirlo, il suono della loro voce. Il che sia pure una maniera per mettere a partito la massima di Peter Szondi, cui sono particolarmente af­ fezionato: « il solo modo equo di considerare l'opera d'arte è quello che vede in essa la storia, e non già l'o­ pera d'arte nella storia>> (benché poi l'autore prose­ gua: (( Innegabilmente, anche questo secondo punto di vista ba una sua giustificazione ... >>). E tra queste pa­ gine introduttive e quelle dei >, spe­ cie se contemporaneamente allestite in funzione di rm punto di vista >; ma non è meno vero che un testo, a rigore, non rappresenta neppure il suo autore: rappresenta solo se stesso. Servendomi ancora di luminose parole di Szondi: « i testi non si presentano come degli esem­ plari, ma come degli individui >>. Le difficoltà in cui quindi si trova, a questo riguardo, l'antologista posso­ no essere ben riassunte da quanto appuntava Debene­ detti, dopo aver discorso dell'importanza documenta­ ria del Rossini di Pascoli: > . Per parte mia, ho cercato al massimo di basare la scelta su quelli che mi apparivano via via valori poetici obiettivamente realizzati, anziché sull'idea che il tale o talaltro testo potesse miniaturizzare un momento generale del gu­ sto o anche la fisionomia che si ritiene più « tipica» del suo autore. Anzi, e specialmente di fronte a poeti facili a cristallizzarsi in una maniera o in una serie di tics (il nostro Novecento ne conta molti), ho cercato di puntare il dito proprio sui momenti atipici - che sono spesso quelli più giovanili -, sulle possibilità centrifughe sfiorate e poi non più imboccate con de­ cisione. Un caso per lutti può essere indicato in Ma-

l ntroduziont

rin, un poeta che, soprattutto nella sua fase più recen­ te, tende ad amministrare il proprio patrimonio (anche se con risultati che sono sempre, almeno, di grande decoro): ciò che è in rapporto col carattere sempre più fluviale della sua produzione senile ma ancor più, al­ l'origine di questa, con una poetica che diremmo di ingenuità coltivata, portata alle estreme conseguenze, dell'immediate1.za e verginità del « canto)) come espres­ sione quasi fisiologica dell'uomo in quanto interamente, quotidianamente risolto in poeta. Ma potrei anche ri­ cordare la tendenza a preferire, nella scelta dall'Alle­ gria ungareltiana, i momenti più discorsivi e più segnati da un gusto primo-novecentesco. 4.ndrà subito affermata con energia un'evidenza pal­ mare ma troppo spesso misconosciuta nella pratica: gli scopi di u,za crestomazia poetica non coincidono con quelli di una storia della poesia, e mescolar.? senz'al­ tro i due piani non può che portare confusione. Non ignoro certo che alcuni dei panoramt critici più effi­ caci e influenti della nostra poesia contemporanea han· no stanUJ nel vestibolo o nei corridoi di fortunate an­ tologie. Ma ognuno vi può constatare i rischi Jeriva'tti dal tentativo di trasferire a discorso storiografico com­ plessivo, categorizzante, punti di vista nati in fun­ zione di un lavoro di tipo diverso: che è insomma la proposta a futura memoria (se la formula non suoni troppo ambiziosa) di una tavola o canone di valori poe­ tici, testualmente verificabili dal lettore, fondato sul prodotto e dosaggio personali, e tutto sommato abba­ stama imponderabzli, dell'ideologia, della cultura e di ciò che si può continuare a chzamare il > prosastici. Ma si badi che le linee di sviluppo intrinseco del fenomeno comportano che alla fine ne sia quasi rovesciato il si­ gnificato di partenza: mentre nei vociani e affini si tendeva all'osmosi di lirica e prosa poetica, e questa era formalmente ancillare di quella (intanto si assiste alla fortuna del z,•erso lungo biblico-prosastico, whit­ manniano o claudelliano), il Comizio di Fortini o i ver­ bali di Raboni, col loro discorso oggettivistico e docu­ mentario, ideologicamente trasparente, intendono al contrario marcare dall'interno i limiti della poesia, di­ segnando il perimetro invalicabile che indica ciò che essa non può essere, e quanto di una realtà sempre più rugosa richiede altri parametri di resoconto P interpre­ tazione. Mentre per il problema parallelo dell'. Ma è evidente che, perché la prospettiva d'indagine in questione abbia pieno signi­ ficato, occorre allargare il quadro fuori dell'I talia e muovere da lontano. Non per nulla Montale s'è ap­ pellato una volta alla congiunzione Baudelaire-Brow­ ning. E non per nulla, di fatto, l'acquisizione di re­ spiro narrativo che costituisce uno degli elementi più nuovi delle Occasioni rispetto agli Ossi presuppone, oltre e forse più che il legame coi « narratori in versi ,, della specie di Browning, proprio quello con la mag­ giore narrativa in prosa contemporanea (per chiarire un rapido accenno del « cappello », a me è sempre parso emblematico che la prima e cronologicamente più antica - 1 926 poesia della raccolta, Vecchi versi, esibisca ttn'ambientazione, una serie di micro-eventi e una stra­ tegia di rapporti fra > ecc. ecc.). Occorre sem­ pre riflettere sul /atto che nel numero dei critici let­ terari in assoluto maggiori del nostro Novecento stia­ no senza dubbio poeti come Montale e Salmi, Fortini e Pasolini; e ancor oggi, nella generazione di chi scri­ ve, il critico militante più acuto di poesia è proba­ bilmente il poeta Raboni. Non è il caso di richiamare qui i precedenti e paralleli europei di questa com­ pre.rem:a di lavoro poetico, metapoesia e milrzia cul­ turale varia; né di indagarne le ragioni storiche di fondo, assommabili in ultima analisi nella crisi irre­ versibile che il ruolo di poeta in quanto tale subisce nella società moderna, e che induce gli interessati a rimot.ivarlo, insieme razionalizzandolo e dislocandolo

lntroduz.ione

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Per quanto riguarda l'Italia degli anni trenta, è certo da mettere in rilievo il nesso supplementare con un clima di restaurazione dell'idea tradizionale di lettera­ tura, che va oltre le posizioni rondesche ma le presup pone; altrettanto certamente la continua convivenza di poesia e di critica > costituisce un segno e insieme una componente determinante di quell'omogeneità culturale della civiltà poetica d'al­ lora cui s'è accennato. Ma non credo neppure che si possa semplificare con interpretazioni a senso unico. Se in alcuni quella compresenza è subordinata a una nozione e pratica della poesia o letteratura come as­ solutezza separata e cnnicomprensiva (ripetiamo/o pu­ re: gli « ermetici> > più tipici), in altri al contrario lo sdoppiamento in poeta e operatore culturale può convo­ gliare una tensione immanente fra letteratura e ciò che letteratura non è, destinata a farsi più acuta nel dopoguf'rra, come wprattutto in Fortini e 11ella fUa violenta dialettica di letteratura e ideoloyja. Senza dimenticare che anche in temperamenti più compatta­ mente « letterati » la stessa ricchezza d'articolazioni e per così dire escursione dell'esperienza culturale può risolversi ir inquietanti fuoriuscite dagli ariuonti - non solo culturali - collaudati (è il caso del rz.usto per la fantascienza, nowriamente riportato .fui fare poetico, dell' onnivoro Solmi, qu('sto anti-umanista a forza di umanesimo). Nell'operazione del tradurre deriva da qt!anto s'e detto, in dosi variabili da individuo a individuo, una doppia spinta contrapposta. Da un lato quella all'« an­ nessione » del diverso da sé, con quanto ciò comporta di addomesticamento e smussamento degli spigoli e di obliterazione della distanza. E si ricordi almeno che parte del fenomeno concomita storicamente a quella consecuzione surrealismo francese-ermetismo per la quale va sempre sottoscritto il vecchio giudizio di Solmi: « L'ermetismo italiano . . . fu sì l'equivalente ita-

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liano del surrealismo francese: ma avendo rifiutato, di quest'ultimo, la tragica esperienza esistenziale e pra­ tica, si risolse piuttosto in una grande avventura for­ malistica e verbalistica: il surrealismo, cioè, di una let­ teratura che non poteva dimenticarsi di avere avuto Petrarca >> (e forse l'etichetta irazione, caratteristica delle pot:tiche post-mallarmeane e che ha teorizzato nella fattispecie Ben;amin, a inseguire, attra­ verso la traduzione, il fantasma di una >, o in maniera più manichea con la crJntrapposizione continuità linguistico-formale vs discontinuità >. Quanto poi ai riscontri tecnici, nell'appo­ sita premessa si insinueranno dubbi sulla semplicisti­ ca opinione vulgata per cui nel Sentimento del Tempo il poeta ricomporrebbe senz'altro gli assetti metrici tra­ dizionali che l'Allegria aveva sconvolto. Ciò precisato, resta nell'assieme evidente - sotto il profilo « negativo '> - che il periodo in discusrione ini­ zia con una reazione alle, e prosegue con una « rimo­ zione '> delle, avanguardie del primo Novecento; e, co­ me insegnano in diversa misura giusto le vicende di Cardare/li e Ungaretti, tale liquidazione fallimentare fu anche e anzitutto un'autocritica e liquidazione in­ terna. Il processo di distacco e rimozione, accentua­ tissimo nei confronti del futurismo (parlante anche da questo punto di vista il passaggio dall'Allegria, così ricca di elementi futuristici, al Sentimento), è però as­ sai meno ne!to e unanime per quanto riguarda lo sti-

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lismo - e l'ethos - vociano, che in più d'uno continua ad agire con vigore, magari in forme sotterranee, carsi­ che: è il caso, lampantemente, di Onofri, ma anche - occorre sempre ricordar/o - di M onta/e (incidenza di un Rebora, oltre che di Boine ecc. ); e poi ancora del primo Gatto, o di Caproni. È però indiscutibile, e assaz significativo, che dei movimenti poetici d'anteguerra quello che continua ad operare più scopertamente e lungamente è il crepuscolarismo, anche rafforzato da certo Pascoli e dal D'Annunzio paradisiaco, che ri­ mane per molto tempo influente quasi quanto quello di Alcione e Laudi in genere: cioè per l'appunto l'a­ vanguardia meno eversiva e radicale, l'avanguardia me­ no avanguardia. (Benché ciò non debba affatto auto­ rizzare a parlare, come si è fatto, di una durevole « con­ dizione crepuscolare » . Tra l 'altro perché questi feno­ meni di continuità possono trasformarsi, o consistere, in « recuperi » zmplicitamente o consapevolmente po­ lemici verso le poeticht! egemoni: insegni Bertolucci, e più tardi il primo Giudici.) Che il passaggio fra le due epoche sia stato delicato, e addirittura traumatico, risulta chiaro dalla tangibile crtsz, vera e propria crisi di trapasso o crescenza con forti ripiegamenti classicistici, attraversata allora dai due maggiori poeti attivi in precedenza: intendo l'Ungaretti delle prime liriche o redazioni del Senti­ mento, e ancur più Saba, che vive in quegli anni il suo momento da un lato più > che ha il suo tipico momento di aggregazione in l Drimo vfJlume

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importante e (( nuovo >> - dei singoli poeti: vale a dire dalla prima vera manifestazione e incidenza pubblica del tale o tale autore come poeta di rilievo. Per preci­ sare: la data indicativa per Buzzi non è evidentemente quella delle Rapsodie leopardiane o della Cuna voeuia, ma di Aeroplani, e così per Morelli vale l'anno delle Poesie scritte col lapis e non quello di Fraternità o del­ la Serenata delle zanzare, Sbarbaro ha la sua colloca­ zione all'altezza di Pianissimo e non di Resine, Marin della Girlanda de gno suore e non degli ancora acerbi Fiuri de tapo, ecc. ecc. : fino al caso-estremo (v. scheda) di Bontempelli. Ma a tale criterio si è fatta ovviamente eccezione per quei due autori (Tessa e Noventa) che pubblicano il primo volume a troppa distanza dall'ini­ zio effettivo della loro attività poetica, subito signifi­ cativa (e in effetti i testi di entrambi hanno avuto pre­ sto una circolazione privata e orale intensa seppur li­ mitata); ottenendo la data segnaletica con lo scalare di qualche anno in avanti rispetto a quell'inizio (molti per Tessa, dato che è parso opportuno far perno sulla data 1 9 1 9 - di Caporetto 1 9 1 7). Credo che questa operazione, apparentemente solo >, v;ene tn prima analisi re­ trodatato alla zona primo-novecentesca che gli com pe­ te: il che non impedisce ma al C('n/rario aiuta ad ap­ prezzarne il grande (o con un ag�ettwo che gli sarebbe piaciuto, « verdiano >>) arco di sv�luppo. In questo modo il lettore potrà anche verificare da sé come qua/mente, negli anni di Casa e campagna e di Trieste e una doP­ na, il maggior poeta in circolazione sia proprio lui. Ana­ loga ritrazione alle origin., in questo caso entro l'epo­ ca (( vociana », si ha ad esempio per Giotti. Ancora: -

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la collocazione dt Sereni in base alla data di Frontiera ( 1 94 1 , sei anni più tardi della Barca di Luzi, nato un anno dopo di lui) rileva immediatamente da sé un da­ lo che non è affatto indifferente per la caratterizzazione del poeta, cioè che il suo esordio > sono anche i più insulsi, Marinetti compreso: non si può reagire all'eccessiva sottovalutazione, che ha dominato in passato, della Jua poesia trasferendo su quest'ultima l'importanza di primo piano che l'autore ha avuto nella storia delle istituzioni culturali e degli intellettuali o anche la consistenza, maggiore, del nar­ ratore. E quanto all'ermetismo m'accorgo che la limi­ tazione delle persone e delle opere che ne costituisco­ no la fase montante e centrale è corretta ma insieme marcata non solo dal rilievo dato agli sviluppi ormai del tutto fuori dell'ermetismo di poeti che hanno in �

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l111roduzion�

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esso le proprie radici (Lu:zi, Sereni, Zanzotto), ma an­ che dall'attenzione a talune esperienze che inizia/menu si possono qualificare posi-ermetiche senza essere an/i­ ermetiche (Orelli, Erba). Viceversa, sempre a cose fatte, vedo che questa sil­ /oge accoghe voci di dialettali in misura superiore alle precedenti antologie (se si escluda solo la repertoriale Ravegnani-Titta Rosa): per stare alle ultime, ignorano del tut/o i poeti in dialetto Bàrberi-]acomu1.1.i, Sangui­ ne/i e Bonfiglioli (anche Majorino, ma dichiarandone il motivo nella propria > non avrebbe maggior dignità epistemologica di quella di « poesia femminile >> . Il lettore ponga dunque mente all'estrema varietà delle motivazioni e finalizzazioni (che cerco anch'io di indicare nelle relative premesse) che sorreg­ gono i singoli impieghi poetici dei dtalettt: caso-limite e perciò istruttivo quello di un poeta ad alto voltaggio intellettuale, dialettale senza alcuna vernacolarità, come Noventa, la cui assunzione del veneziano a lingua della poesia, oltre a rivestire forme peculiarissime, poggia su un intreccio di ragioni e scopi di eccezionale comples­ sità e anche di efficace contraddittorietà (dialetto trat­ tato in modo del tutto intellettualistico e iper-lette­ rario, insieme posto al quadrato e quasi neutraliz­ zato come tale, vs dialetto come regresso alla sfera del materno ecc.). Così va per esempio evitata con scrupolo /t; tentazione di interpretare gli episodi salienti della lirica novecentesca in dialetto quali fattispecie dell'e-

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terno fum:rone « espressionistica >> che percorre tutta la nostra letteratura; etichetta buona per Tessa o anche per Loi, ma che non ci lascerebbe capire nulla di au­ tori come Marin o appunto Noventa: e Marin soprat­ tutto è lì a mostrarci tra l'altro, con tutta evidenza, come proprio il dialetto possa essere al contrario lo stru­ mento che permette di ridurre a un minimo sconosciu­ to ai poeti in lingtta del nostro secolo la tensione ago­ nistica verso n linguaggio, in quanto preliminarmente sentito come codificazione i mpersonale ed estranea, e la conseguente spinta verso lo sperimentalismo a corso continuo. E s 'intende che non si tratta soltanto di diffe­ renze indiviàuali di poetica, gurto, stile; ma che que­ ste s'innestano anche via via sull'obiettiva diversità delle situazioni socio-linguistiche nelle quali i vari poe­ ti si trovano ad operare e a reagire. Altra è anzitutto la realtà di comunità linguistiche in cui, e già nel Nove­ cento meno recente, l'uso del dialetto > tende ormc.i a divenire patrimonio esclusivo e distintivo del­ le classi popolare e piccolo-borghese (è la situazione della Milano di Loi, ma forse già della Milano di Tes­ sa), altra ad esempio quella del Veneto in generale, do­ ve il dialetto è rimasto fin quasi ad ogF,i patrimonio compatto e circolante di un 'intera società, con differen­ ziazioni non marcate in senso verticale, sociale: condi­ zione quest 'ultima che, pur attraverso una personalissi­ ma mediazione intellettuale, sta certo alla base del timbro del dialetto noventiano come sintesi tona/e (e all'origine ideologica) di aristocratico e >, che in tanto può istituir!i in quanto non si abbia solo opposizione dei singoli dia­ letti l'uno verso l'altro, ma anche e soprattutto opposi­ zione di tut/t i dialetti assieme verso qualcosa di natura e rango diverso che è la « lingua >>; e che perciò la va­ rietà delle condiziott; o realizzazioni individuali non

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deve impedire di scorgere e sottolineare gli elementi comuni e unificanti, determinati dall'unità del fenome­ no con cui tutti si confrontano e cui tutti si sottraggo­ IlO, l 'egemonia della cultura e lingua (poetica) , è stato detto) si contrappone il carattere almeno parzialmente unitario della genesi e - ciò che va forte­ mente marcato - della ricezione. I n questo senso la resistenza e controffensiva odierna della poesia in dia­ letto può e deve essere interpretata anche, globalmente, come atto di rifiuto e opposizione, magari in articulo martis, alla sempre più spietata rapidità del processo di accentramento livellatore che sta completando la diJtru­ zione, avviata all'origine dello stato unitario, di quelle variatissime differenze e peculiarità di lingua e di cul­ tura che erano una delle ricchezze, e delle più originali, del nostro paese. Un indice della drammaticità della situazione è soprattutto dato - nonostante o i.t1 forza delle posizioni teoriche molto personali del!'autore - dalla « nuova forma » della Meglio gioventù : rifaci­ mento o meglio stravolgimento totale della primitiva redazione che, elzminando quanto di relativamente « in­ genuo �> ne aveva accompagnato la nascita e facendo · t-·iolentemente reagire su di essa una realtà individuale e collettiva radicalmente mutata in pochi decenni, espri­ me in modo straziante assieme il bisogno quasi fisiolo­ J!,ico di tornare alle proprie origini dialettali e contadi­ r.e e la disperazione frustrante per l'inanità di questo tentativo. Contemporaneamente, non è un caso che con Loi il milanese sia investito di così forti ed esplicite intenzioni ideologico-politiche, e vissuto come « for­ ma �> di un'umanità proletaria completamente estranea ed alternativa al mondo della borghesia dominatrice: e anche qui con una rabbiosa e nera disperazione che,

Intraduzione

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se non i della coscienza di Loi, è certo dei suoi versi. Naturalmente questa situazione non è senz'altro proiettabile a ritroso, in condizioni di maggiore flori­ dezza dei dialetti e di più efficiente policentrismo cul­ turale, quali resisto11o ancora per buona parte del no­ stro secolo. Pur con qualche schematismo è anzi lecito delineare questa contrapposizione di massima: mentre le più importanti o più fitte espressioni di poesia in dialetto della prima metà del Novecento tendono a nascere nei maggiori centri cittadini e all'interno di tradizioni di letteratura dialettale antiche e robuste (Napoli, Roma, Milano, Torino, GenrJVa, il Veneto ecc.), nei tentativi più interessanti di questo dopoguer­ ra si assiste di norma all'emergenza di vernacoli non cit­ tadini - o non metropolitani -, più o meno fortemente decentrati e privi di uno specifir:o retro/erra letterarie (il friulano occidentale di Pasolini e compagni, il ro­ magnolo periferico di Guerra, il remoto lucano di Pier­ ro, il solighese di Zanzotto . . . ; e s'aggiunga il .P,ravisano, insieme coordinato al nobile concerto dei dialetti vene­ ti e appartato, insulare, di Marin, che da questo punto di vista costituisce la cerniera o transizione ,1ra i due stadii). È un'evoluzione che comporta o rafforza nelle grandi linee la tendenza alla trasformazione del dialet­ to - per dirla col titolo di una recente Antologia - da « lingua della realtà " a « lingua della poesia », in altre parole il passaggio da una dialettalità intesa come a­ pertura comunicativa, e comunitaria, a una dialettalità introversa o, col termine che mi è accaduto di usare al­ trove, « endofasico ": ttpico in questa direzione, oggi, il caso di Pierro che per tale via giunge pure a ricreare nel vernacolo (Bandini), portando all'estremo quella concezio­ ne del dialetto come strumento « vergine , su cui me­ no o nulla pesano norme grammaticali e convenzioni socio-culturali, e perciò garante della massimd « auten­ ticità » ·ndividuale, che in sostanza immane u bt�-ona

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parte delle poetiche dialettali posi-decadenti. St veda già, infatti, l'oscillazione fra uso naturalistico e uso onirico-surreale del milanese in Tessa, o parallelamen­ te quella fra realismo locale e assolutizzazione lirico-in­ tellettuale del vernacolo in Giotti. E c'è in molti il biso­ Ji,nO preliminare di creare una distanza fra sé e il pro­ prio dialetto, sottraendo/o alla sua condizione naturale di strumento d'uso generalizzato e quotidiano e miran­ do a « specializzarlo » come lingua poetica: distanza e specializzazione che può essere già indotta dalla dia· lettica fra produzione lirica in lingua e m dialetto, o in Noventa da quella fra saggistica « filosofica » in italia­ no e lirica veneziana, oppure in Gioiti, più radicalmen­ te, dal rifiuto a parlare il triestino sentito quale esclu­ siva >), i contenuti di una cultura « diversa » propria del mondo emarginato che in tale parlata si esprime e di quella che potremmo chiamare la sua anti-storia o

Introduzione

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non storia. Di recente L. Baldacci, in una sua eccellente introduzione a Pascoli (G. P., Poesie, Milano, Garzanti 1 9 74, p. XLIII), ha proposto questa radicale dicoto­ mia: (( la poesia dialettale moderna può essere soltanto poesia gerga,e. . . essa non può ridursi al giochetto di 21erniciare di dialetto la lingua nazionale, ma. . deve tn­ dividuare prima di tutto i livelli tecnici, o diòamo cul­ turali-tecnologici, ai quali il dialetto s 'identifica col gergo, cioè con la p1rola che appartiene a quella e non ad altra cultura. Tutta l'altra poesia dialettale è un p.,io­ co edonistico ». Certamente una polarizzazione così dra­ stica rischia di non dar conto della varietà delle posi­ zioni e sfumature, cioè della complessità del fenomeno m oggetto: Noventa e lo stesso Giotti, che hannn fatto ben altro che verniciare l'italiano di dialetto . restano tuttavta inassimilabili alla categoria der dialettali-ger­ gali. E già Montale, formulando una distinzione in qualcht maniera analoga, contestualmente la attenuava: (( I n due modi, quando si è uomini di qualche rultura, si può essere dialettali: o traducendo dalla lin.�ua, gio­ cando sull'effetto di novità che il trasporto può impri­ mere anche a un luogo comune, o ricorrendo al dia­ letto come a una lingua vera e propria, quando la lin­ gua sia considerata insufficiente o impropria a un'ispi­ razione. Il secondo caso è il più valido e il più interes­ sante; ma i due modi possono essere presenti all'interno dello stesso poeta, anzi lo sono quasi .rempre » . Ciò non toglie che la dicotomia di Baldacci, proprio in ra­ gione della sua drasticità, può funzionare da ottima bussola per operare le opportune divisioni di campo o per abbozzare classificazioni tipologiche, e forse an­ che gerarchie di valore. Con tutta la considerazione che, soprattutto in fatto d'arte, è giusto avere per i beni superflui, occorre però indicare preliminarmente quali sono, e perché, i più necessari. Lascio al lettore intuire come potrebbero essere una tipologia e una scala di valori, sia pure non più che orientative for-

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mutate in base a criteri del genere di quelli ora esposti: proporzioni nelle scelte e tenore dei giudizi possono dare un'idea dei punti di vista, anche in questa dire­ zione, del compilatore. Qui mi limito a rendere espli­ cito che uno dei principii che mi hanno guidato è pre­ cisamente la riserva verso quella poesia dialf'ttale che sostanzialmente si risolve in calco o traduzione dalia lingua e dalla poesia in lingua, e ad essa rimane su­ bordinata. Di qui la decisione finale di escludf're l'a­ mabilissimo Firpo, che pure attua questa operazione di adattamento e calco con tanta grazia e finezza. Ma temo che stia da questa parte, quasi in modo costituzionale, anche la poesia dialettale esplicitamente engagée - di­ ciamo un Butti/la: e non tanto per la sua continuità con moduli di poesia civile ottocentesca, quanto perché i contenuti « popolari >> e potenzialmente alternativi vi sono troppo mediati - fino all'integrazione - da sche­ mi ideologici stereotipi. Per non dire di quegli esperi­ menti dialettali che si presentano come dichiaratammte subalterni alla produzione in lingua, e ai parametri cul­ turali che in essa si riflettono, dello stesso autore: co­ me avviene subito coi sonetti romaneschi di Coraz> ecc. ecc . ) , ' non sempre dunque ortopedizzabili mediante dialefi o, ben più spesso, dieresi , scialate in pretto stile simbo' lista-liberty ; mentre le rime, quando non intervengano esotismi , sono per lo più facili e spesso identiche, e non mancano grafie fonetiche regionali, di naiveté provoca­ toria ( magnoglia, mobiglio, petroglio in Armonia ). � un misto, spesso delizioso, di astuzia e candore, raffinatezza e immediatezza pre-culturale. Altrettanto precocemente, come più tardi egli stesso rivendicherà in polemica con Prezzolini, Govoni appresta quel repertorio di oggetti e temi che sarà tipico della sensibilità ( Salmi). In realtà Govoni è soprattutto attrat­ to dalla superficie colorata del mondo, dalla varietà infi­ nita dei suoi fenomeni , che registra con golosità inappa­ gabile e fanciullesca, quasi in una volontà di continua identificazione col mondo esterno f ldentificaz:ione s'inti­ tola appunto una lirica di Inaugurazione della prima­ vera, e tante altre cantano questo tem a ) ; Montale ha parlato di un bisogno di ridurre i fenomeni del reale a . Quando tutti si furono alzati, e si furono sparpagliati negli angoli , pei vani delle finestre, sui divani di qualche romito salot tino, io, non visto, scivolai nel giardino per prendere un po' d'aria. E subito mi parve d'essere liberato, la freschezza dell'aria irruppe nel mio petto risolutamente, e il mio petto si sentl sollevato dalla vaga e ignota pena dopo i molti profumi della cena Bella sera luminosa ! Fresca , d i primavera.

Poeti italiani del Novecento

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Pura e serena. Milioni di stelle s::mhravano sorridere amorose dal firmamento quasi un'immane cupola d 'argento. Come mi �entivo contento! Ampie, robuste piante dall 'ombre generose, sotto voi passeggiare, sotto la vostra sana protezione obliare, n trovare 1 nostn pens1en p m cari , sognare casti ideali , sperare, sperare, dimenticare tutti i mali del mondo, degli uomini, peccati e debolezze, miserie, viltà, tutte le nefandezze ; tra voi fiori sorridere, tra i vostri profumi soavi, angelica carezza di frescura, esseri puri della natura. Oh! com'è bello sentirsi libero cittadino solo, nel cuore di un giardino. - Zz . . . Zz . . . - Che c'è? - Zz ... Zz .. - Chi è? M'avvicinai donde veniva il segnale, all'angolo del viale una rosa voluminosa si spampanava sulle spalle in maniera scandalosa il décolleté. Non dico mica a te. Fo cenno a quel gruppo di bocciuoli o

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Aldo Palazuschi

che son sulla spalliera, ma non ne vale la pena. Magri affari stasera, questi bravi figliuoli non sono m vena. - Ma tu chi sei ? Che fai? - Bella, sono una rosa, non m 'hai ancora veduta ? Sono una rosa e faccio la prostituta. - Te? . . . - Io, sì , che male c'è? - Una rosa ! - Una rosa, perché? All'angolo del viale aspetto per guadagnarmi il pane, fo qualcosa di male? - Oh ! - Che diavolo ti piglia? Credi che sien migliori , i fiori, i n seno alla famiglia? Voltati, dietro a te, lo vedi quel cespuglio di quattro personcine, due grandi e due bambine? Due rose e due bocciuoli ? Sono il padre, la madre, coi figlioli Se la i ntendono . . . e bene, tra fratello e sorella, il padre se la fa colla figliola, la mad t e col figliolo ... Che cara famigliola! � ancor miglior partito farsi pagar l 'amore a ore, che farsi maltrattare da un porco di marito. .

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Poeti italiani del Novccettln

Q uell'oca deli 'ortensia, senza nessun costrutto, fa sì finir tutto da quel coglione del girasole. Vedi quei due garofani al canto della strada? Come sono elegant i ! Campano alle spalle delle loro amanti che fanno la puttana come me. - Oh ! Oh ' - Oh ! ciel che casi strani . due garofani ruffian i . E lo vedi quel giglio, lì , al ceppo di quel tiglio? Che. arietta i ngenua e casta ! Ah ! Ah ! Lo vedi ? È un pederasta . - No ! No! Non p i ìJ ! Basta. - Mio caro, e ci posso far qualcosa IO,

se il giglio è peuerasta . se puttana è la rosa ? - Anche voi ! - Che maraviglia! Lesbica è la vaniglia. E il narciso, quello specchio di candore, si masturba quando è in petto alle signore. - Anche voi ! Candid i , azzurri , rosei, vellutati , profumati fiori . . . - E la violaciocca, fa certi lavoretti con la bocca . . . - Nell 'ora sì fugace che v'è Jata . . . - E la modestissima violetta , beghina d 'ogni fiore? fa lunghe processioni di devozione

Aldo Palazzesch1

al Signore, poi . . . all'ombra dell'erbetta, vedessi cosa mostra al ciclamino . . povero lilli, è la più gran vergogna corrompere un bambino - misero pasto delle passioni Levai la testa al cielo per trovare un respuo, mi sembrò dalle stelle pungerm1 malefici bisbigli, e il firmamento mi cadesse addosso come coltre di spilli. Prono mi gettai sulla terra bussando con tutto il corpo affranto: - Basta ! Basta ! Ho paura . Dio, abbi pietà dell'ultimo tuo figlio. Aprimi un nascondiglio fuori della natura !

So/t Vorrei girar la Spagna sotto un ombrello rosso. Vorrei girar l 'Italia sotto un ombrello verde. Con una harchettina sotto un ombrello azzurro vorrei passare il mare : giungere al Partenone sotto un ombrello rosa cadente di viole

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Poeti italiani del Novecento

da L'INCENDIARIO ( 1 9 1 0 )

L'incendiario a F. T. Marine/ti amma della nostra ftammQ

In mezzo alla piazza centrale del paese, è stata posta la gabbia di ferro con l'incendiario. Vi rimarrà tre giorni perché tutti lo possano vedere. Tutti si aggirano torno torno all'enorme gabbione, durante tutto il giorno, centinaia di persone. - Guarda un pochino dove l 'ànno messo! - Sembra un pappagallo carbonaio. - Dove lo dovevano mettere? - I n prigione addirittura. - Gli sta bene di far questa bella figura ! - Perché non gli avete preparato un appartamento di lusso, cosl bruciava anche quello ! - Ma nemmeno tenerlo in questa gabbia ! - Lo faranno morire dalla rabbia! - Morire! t uno che se la piglia! - t più tranquillo di noi ! - lo dico che ci si diverte. - Ma la sua famiglia ? - Chi sa da che parte di mondo è venuto! - Questa robaccia non à mica famiglia! - Sicuro, è roba allo sbaragl io! - Se venisse dall 'inferno? - Povero diavolaccio l

Aldo Palazzeschl

Avreste anche compassione? Se v 'avesse bruciata la casa non direste cosl. - La vostra l'à bruciata? - Se non l'ha bruciata poco c'è corso. A bruciato mezzo mondo questo birbaccione ! - Almeno, vigliacchi, non gli sputate addosso, infine è una creatura! - Ma come se ne sta tranquillo! - Non à mica paura ! - Io morirei dalla vergogna ! - Star ll in mezzo alla berlina ! - Per tre giorni ! - Che gogna ! - Dio mio che faccia bieca ! - Che guardatura da brigante! - Se non ci fosse la gabbia io non ci starei ! - Se a un tratto si vedesse scappare? - Ma come deve fare? - Sarà forte quella gabbia? - Non avesse da fuggire ! - Dai vani dei ferri non potrà passare? Questi birbanti si sanno ripiegare in tutte le maniere ! - Che bel colpo oggi la polizia! - Se non facevan presto a accaparrarlo ci mandava tutti i n fumo! - Si meriterebbe altro che berlina! - Quando l'ànno interrogato, à risposto ridendo che brucia per divertimento. - Mio Dio che sfacciato! - Ma che sorta d i gente! - Io lo farei volentieri a pezzetti. _

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Po�ti itllliani d�/ Nov�unto

- Buttatelo nel fosso! - lo gli voglio sputare un 'altra volta addosso ! - Se bruciassero un po' lui perché ridesse meglio! - Sarebbe la fine che si merita ! - Quando sarà in prigione scapper�. è talmente pieno di scaltrezza! - Peggio d 'una faina! - Non vedete che occhi che à ? - Perché non lo buttano in un pozzo? - Nel cisternone del comune! - E ci sono di quelli che avrebbero pietà ! - Bisogna esser roba poco pulita per aver compassione di questa sorta di persone! Largo! Largo! Largo! Ciarpame ! Piccoli esseri dall'esalazione di lezzo, fetido bestiame! Ringollatevi tutti il vostro sconcio pettegolezzo, e che vi strozzi nella gola ! Largo! Sono il poeta! Io vengo di lontano, il mondo ò traversato, per venire a trovare la mia creatura da cantare! I nginocchiatevi marmaglia! Uomini che avete orrore del fuoco poveri esseri di paglia! Inginocchiatevi tutti ! lo sono il sacerdote, questa gabbia è l 'altare, quell'uomo è il Signore! Il Signore tu sei,

Aldo Palaueschi

al quale rivolgo, con tutta la devozionL del mio cuore, la più soave orazione. A te, soave creatura, giungo ansante, affannato, ò traversato rupi d i spine, ò scavalcato alte mura ! Io ti libererò ! Fermi tutti, v'ò detto! Tenete la testa bassa, picchiatevi forte nel petto è il confiteor questo, della mia messa ! T'ànno coperto d'insulti e di sputacchi , quello sciame i nsidioso di piccoli vigliacchi. Ed è naturale che da loro tu ti sia fatto allacciare : quegl'insetti immondi e poltroni, sono lividi di malefica astuzia , circola per le loro vene il sangue verde velenoso. E tu grande anima non potevi pensare al piccolo pozzo che t'avevan preparato, ci dovevi cascare. Io ti son venuto a l iberare! Fermi tutt i ! Ti guardo dentro gli occhi per sentirm i riscaldare. Rannicchiato sotto il tuo mantello tu sei senza parole, come la fiamma : colore, e calore! E quel mantello nero

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Poeti italiani del Novecento

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te l 'àn gettato addosso gli stolidi uomini vero, perché non si veda che sei tutto rosso? Oppure te lo sei gettato da te, per ncuopnre un poco l 'anima tua di fuoco? Che guardi all'orizzonte? Se s 'alza una favilla? Dimmi, non sei riuscito a trafugare l'ultimo zolfino? Ti si legge negli occhi ! Ma t i saltan dagli occhi le faville, a cento, a cento, a mille! Tu puoi cogli occhi bruciare tutto il mondo! T'à creato il sole, che bruci al sol guardarti ? .

.

Quando tu bruci tu non sei piì:t l'uomo, il Dio tu sei ! Mi sento correr per le vene un brivido. Ti vorrei vedere quando abbruci , quando guardi le tue fiamme; tutte quelle bocche, tutte quelle labbra, tutte quelle lingue, non vengono a baciarti tutte? Non sono le tue spose voluttuose? Bello, bello, bello e Santo ! Santo! Santo! Santo quando pensi di bruciare, Santo quando abbruci , Santo quando le guardi le tue fiamme sante! E voi, rimasti pietrificati dall'orrore . . .

Aldo Palaueschi

pregate, pregate a bassa voce, orazioni segrete. Anch'io sai, sono un incendiario un povero incendiario che non può bruciare e sono come te in prigione. Sono un poeta che ti rende omaggio, da povero incendiario mancato, incendiario da poesia. Ogni verso che scrivo è un incendio. Oh ! Tu vedessi quando scrivo ! Mi par di vederle le fiamme, e sento le vampe, bollenti carezze al mio viso. Incendio non vero è quello ch 'io scrivo, non vero seppure è per dolo. Àn tutte le cose la polizia, anche la poesia.

Là sopra il mio banco ove nacque, il mio libro, come per benedizione io brucio il pnmo esemplare, e guardo avido quella fiamma, e godo, e m1 ravvivo, e sento salirmi il calore alla testa come se bruciasse il mio cervello. Come mi sento vile innanzi a te ! Come mi sento meschino! Vorrei scrivere soltanto per bruciare! Nel segreto delle mie stanze passeggio vestito di rosso, e mi guardo in u n vecchio specchio, pieno di ebbrezza, come fossi una fiamma, una povera fiamma che aspetta ... il tuo riflesso'

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Poeti italiani del Novecento

Fuori vado vestito di grigio, ovvero di nessun colore, c'è anche per le vesti una polizh.. , come per le parole. E quella per il fuoco è tremenda, accanita, gli uomini ànno orrore delle fiamme, gli uomini seri, . per questo anno mventato t pomptert .. '

.

.

Tu mi guardi, senza parlare, tu non parli, e i tuoi occhi mi dicono : uomo, poco farai tu che ciarli. Ma fido in te! T'apro la gabbia và ! Guardali, guardali, come fuggono! Sono forsennati dall'orrore, la paura gli à tutti impazzati . Potete andare, fuggite, fuggite, egli vi raggiungerà! E una di queste mattine, uscendo dalla mia casa, fra le consuete catapecchie, non vedrò più le vecchie reliquie tarlite, così gelosamente custodite da tanto tempo! Non le vedrò più ! Avrò un urlo di gioia! Ci sei passato tu ! E dopo mi sentirò lambire le vesti, le fiamme arderanno sotto la mia casa . . . griderò, esulterò, m'avrai data la vita ! lo sono una fiamma che aspetta !

.

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Aldo Palazxeschi

Và, passa fratello, corri, a riscaldare la gelida carcassa di questo vecchio mondo '

da CUOR M IO

La dame du métro Levant la tete rapidement à chaque station et non pour lire sur !es grands tableaux blancs et hleus -

. .

...

. . .

v Ozi beati a mezzo la giornata, nel parco dei Marchesi, ove la traccia restava appena dell'età passata ! Le Stagioni camuse e senza braccia, fra mucchi di letame e di vinaccia, dominavano i porri e l'insalata. L'insalata, i legumi produttivi deridevano il busso delle aiole ; volavano le pieridi nel sole e le cetonie e i bombi fuggitivi. . . l o t i parlavo, piano, e tu cucivi innebriata dalle mie parole. « Tutto mi spiace che mi piacque innanzi ! Ah! Rimanere qui , sempre, al suo fianco, terminare la vita che m'avanzi tra questo verde e questo lino bianco ! Se Lei sapesse come sono stanco delle donne rifatte sui romanzi ! Vennero donne con proteso il cuore : ognuna dileguò, senza vestigio. Lei sola, forse, il freddo sognatore educherebbe al tenero prodigio : mai non comparve sul mio cielo grigio quell'aurora che dicono : l'Amore » ...

l ll

Guido Gou�no

Tu mi fissavi. . . Nei begli occhi fissi leggevo uno sgomento indefinito ; le mani ti cercai , sopra il cucito, e te le strinsi lungamente, e dissi : « Mia cara Signorina, se guarissi ancora, mi vorrebbe per marito? » Perché mi fa tali discorsi vani ? Sposare, Lei, me brutta e poveretta ! . E ti piegasti sulla tua panchetta facendo al viso coppa delle mani, simulando singhiozzi acuti e strani per celia, come fa la scolaretta. �

..



Ma, nel chinarmi su di te, m 'accorsi che sussultavi come chi singhiozza . veramente, ne sa pm r1compors1 : mi parve udire la tua voce mozza da gli ultimi singulti nella strozza : ,

.

'

« Non mi ten . . .ga mai più . . . tali dis . . .corsi ! « Piange?

»

E tentai di sollevarti il viso

inutilmente. Poi, colto un fuscello, ti vellicai l'orecchio, il collo snello . . . Già tutta luminosa nel sorriso ti sollevasti vinta d'improvviso, trillando un trillo gaio di fringuello. Donna : mistero senza fine bello!

VI

Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi luceva una blandizie femminina ; tu civettavi con sottili schermi, tu volevi piacermi , Signorina; c più d'ogni conquista cittadine

»

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Poeti italiani del Novecento

mi lusingò quel tuo voler piacermi ! Unire la mia sorte alla tua sorte per sempre, nella casa centenaria ! Ah ! Con te, forse, piccola consorte vivace, trasparente come l 'aria, rinnegherei la fede letteraria che fa la vita simile alla morte. . . Oh ! questa vita sterile, di sogno! Meglio la vita ruvida concreta del buon mercante inteso alla moneta, meglio andare sferzati dal bisogno, ma vivere di vita ! Io mi vergogno, si , mi vergogno d'essere un poeta ! Tu non fai versi. Tagli le camicie per tuo padre. Hai fatta la seconda classe, t'han detto che la Terra è tonda, ma tu non credi ... E non mediti Nietzsche . . . Mi piaci. Mi faresti più felice d 'un'intellettuale gemebonda . . . Tu ignori questo male che s'apprende in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti, tutta beata nelle tue faccende. Mi piaci. Penso che leggendo questi miei versi tuoi , non mi comprenderesti, ed a me piace chi non mi comprende. Ed io non voglio più essere io! Non più l'esteta gelido, il sofista, ma vivere nel tuo borgo natio, ma vivere alla piccola conquista mercanteggiando placido, i n oblio come tuo padre, come il farmacista ... Ed io non voglio oiù essere io!

Guido Gouano VII

farmacista nella farmacia m'elogiava un farmaco sagace : « Vedrà che dorme le sue notti in pace : un sonnifero d 'oro, in fede mia ! >> Narrava , intanto, certa gelosia con non so che loquacità mordace. 11

« Ma c'è il notaio pazzo di quell'oca ! Ah! quel notaio, creda : un capo ameno! La Signorina è brutta, senza seno, volgaruccia, Lei sa, come una cuoca . . . E la dote . . . la dote è poca, poca : diecimila, chi sa, forse nemmeno . . . >> « Ma dunque ? » - > - « Ecco s'avvia ! « Sono partite .. » « E non le salutò ! » « Lei devo salutare, quelle no; .

-

...

» ­

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Poeti italiani del Novecento

quelle terranno la mia stessa via : in un palmeto della Barberia tra pochi giorni le ritroverò » . . .

Giunse il distacco, amaro senza fine, e fu il distacco d 'altri tempi , quando le amate in bande lisce e in crinoline, protese da un giardino venerando, singhiczzavano forte, salutando diligenze che andavano al confine . . . M'apparisti così come in u n cantico del Prati , lacrimante l'abbandono per l 'isole perdute nell'Atlantico ; ed io fui l'uomo d 'altri tempi, un buono sentimentale giovine romantico . . Quello che fingo d'essere e non sono !

L 'amica di nonna Speranza 28 > . . .

Guardava i libri , i fiori, la mia stanza modesta : « È la tua stanza questa? Dov'è che tu lavori? » «

Là, nel laboratorio

delle mie poche fedi. . » Passammo tra gli arredi di quel mondo illusorio. .

Frusciò nella cornice severa la sottana, passò quella mondana grazia profanatrice ...

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Poeti italiani del Novecento

« E questi sali gialli in questo vetro nero? » « Medito un gran mistero : l 'amore dei cristalli » . « A certi segni « A mano ? ! >> pare. Già i saggi chini cancellano i confini, un iscono i Tre Regn i . . . .

-

Nel disco della lente s'apre l'ignoto abisso, già sotto l 'occhio fisso la pietra vive, sente . . . Cadono i dogmi e l 'uso della Materia. I n tutto regna l 'Essenza , in tutto lo Spirito è diffuso . . . » Mi stava ad ascoltare con le due mani al mento masch io , lo sguardo intento tra il vasto arco cigliare, così svelta di forme nella guaina rosa, la nera chioma ondosa chiusa nel casco enorme. « Ed in quell'urna appesa con quella fitta rete? » > « E la Duse Le piace? ,. - « Oh! Io non me ne intendo mica molto . . . Non nego, sarà sublime, ma io a tea· tro ci vado per divertirmi .• ,. « Stia zitto! . . . Entra il Reveren· do! . . . ..



. . . se

Guido Gou11110

siede col gesto di chi benedica... Ed il poeta, tacito ed assente, si gode quell'accolita di gente ch'à la tristezza d 'una stampa antica . . . Non soffre. Ama quel mondo senza raggio di bellezza, ove cosa di trastullo è l'Arte. Ama quei modi e quel linguaggio e quell'ambiente sconsolato e brullo. Non soffre. Pensa Giacomo fanciullo e la (< siepe » e il « natìo borgo selvaggio » . Il

Come una stampa antica bavarese vedo al tramonto il cielo subalpino . . . Da Palazzo Madama al Valentino ardono l'Alpi tra le nubi accese ... f: questa l'ora antica torinese, è questa l'ora vera di Torino . . . L'ora eh 'io dissi del Risorgimento, l'ora in cui penso a Massimo d'Azeglio adolescente, a I miei ricordi, e sento d'essere nato troppo tardi. . . Meglio vivere al tempo sacro del risveglio, che al tempo nostro mite e sonnolento! III

Un po' vecchiotta, provinciale, fresca tuttavia d'un tal garbo parigino, in te ritrovo me stesso bambino, ritrovo la mia grazia fanciullesca e mi sei cara come la fantesca che m'ha veduto nascere, o Torino! Tu m 'hai vt:duto nascere, indulgesti

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Poeti italiani del Novecento

ai sogni del fanciullo trasognato : tutto me stesso, t u tto il mio passato, i miei ricordi più teneri e mesti dormono in te, sepolt i come vesti sepolte in un armad io canforato. L'infanzia remotissima . . . la scuola . . . la pubertà . . . la giovinezza accesa . . . i pochi amori pallidi . . . l 'attesa delusa . . . i l tedio che non ha parola . . . l a Morte e l a mia Musa con sé sola, sdegnosa , taciturna ed incompresa . IV

Ch 'io perseguendo mie chimere vane pur t 'abbandoni e cerchi altro soggiorno, ch 'io pellegrini verso il Mezzogiorno a belle terre tepide lontane, la metà di me stesso in te rimane e mi ritrovo ad ogni mio ritorno. A te ri torno q uando si rabbuia il cuor deluso da mondani fasti.

Tu mi consol i , tu che mi foggiasti q uest'anima borghese e chiara e buia dove ride e singhiozza il tuo Gianduia che teme gli orizzon ti troppo vasti . . .

Eviva i b6giane11 . . . Sì , dici bene, o mio savio Gianduia ridarello ! Buona è la vita senza foga , bello goder di cose piccole e serene . . .

A l'è questi6n d ' n en piessla . Dici bene, .

.

o mio savio Gianduia ridarello! . . . Evviva i torinesi posap1ano . . . � questione di non prendersela . . .

Guido Gouano

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da LE FARFALLE. EPISTOLE ENTOMOLOGICHE da Della testa di morto Acherontia Atropos

[ .] .

.

L'Acherontia frequenta le campagne, i giardini degli uomini, le ville; di giorno giace contro i muri e i tronchi, nei corridoi più cupi, nei solai più desolati, sotto le grondaie, dorme con l'ali ripiegate a tetto. E n'esce a sera. Nelle sere illuni fredde stellate di settembre, quando il crepuscolo già cede alla notte e le farfalle della luce sono scomparse, l'Acherontia lamentosa si libra solitaria nelle tenebre tra i camerops, le tuje, sulle ajole dove dianzi scherzavano i fanciulli , le Vanesse, le Arginnidi, i Papili. L'Acherontia s 'aggira : il pipistrello l'evita con un guizzo repentino. L' Acherontia s'aggira. Alto è il silenzio comentato, non rotto, dalle strigi, dallo stridio monotono dei grilli . La villa è i mmersa nella notte. Solo spiccano le finestre della sala da pranzo dove la fam iglia cena. L'Acherontia s'appressa esita spia numera i com mensali ad uno ad uno, sibila un nome, cozza contro i vetri tre quattro volte come nocca ossuta. La giovinetta più pallida s'alza con un sussulto, come ad un richiamo. « Chi c'è? �> Socchiude la finestra, esplora

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Poeti italiani del Novecento

il giardino i nvisibile, protende il capo d'oro nella notte illune. « Non c 'è nessuno, Mam ma! Richiude i vetri, con u n primo brivido, risiede a mensa , tra le sue sorelle. Ma già s 'ode il garrito dei fanciulli giubilanti per l 'ospite improvvisa , per l 'ospite guizzata non veduta. In torno al lume turbina ronzando la cupa messaggiera funeraria.

da POES IE SPARSE

K.etty 1

Supini al rezzo ritm ico del panka. Sull 'altana di cedro il giorno muore , giu nge dal Tempio u n canto or mesto or gaio, giungono aromi dalla jungla in fiore. Bel fiore del carbone e dell 'acciaio Miss Ketty fuma e zufola giuliva al tori versa nella sedia a sdraio. Sputa. Nell 'arco della sua saliva m ' irroro di freschezza : ha puri i denti, pura la bocca , pura la genciva . Cerulo-bionda, le mammelle assent i , m a forte come u n giovinetto forte, vergine folle da gli error prudenti, ma signora di sé , della sua sorte,



l.H

Guido Gouano

sola giunse a Ceylon da Baltimora dove u n cugino le sarà consorte. Ma prim a delle nozze, in tempo ancora esplora i l mondo ignoto che le avanza e qualche amico esplora che l 'esplora. Errar prudenti e senza rimembranza : Ketty zufola e fuma. La virile franchezza, l 'inurbana tracotanza attira il mio latin sangue gentile.

II

Non tocca il sole le pagode snelle che la notte precipita. Le chiome delle palme s 'ingemmano di stelle. Ora di sogno ! E Ketty sogna : > di fenomeno a fe­ nomeno fortemente influenzata dalle esperienze tardo­ simbolistiche francesi. I n realtà nessuno mostra meglio di Buzzi l'imponenza del retroterra scapigliato-simboli­ sta che si conserva , condizionandolo, nel futurismo ita­ liano: fenomeno di cui il tardo Lucini è solo l 'esempio più vistoso ( e notevolmente affine a quello luciniano è l 'impasto lessicale del poeta, assai più tardo-scapigliato, appunto, che fu turista ) . Jacobbi ha potuto addirittura parlare di Buzzi come di « uno dei rarissimi poeti ro­ mantici d'un paese che non ha avuto il romanticismo al suo tempo )) , i n ciò inserendo la sua ricerca « del canto ampio, del " poema " >> per non dire della causti­ ca caratterizzazione di Bel canto fatta a caldo da Boine : « D'un tratto si sgancia e si slaccia ( si cala le brache) ed eccoti in camicia un poeta tradizionale. O quasi » . Come sarebbe inopportuno sopravvalutare l'impor­ tanza rivoluzionaria del momento d'avanguardia di Buz­ zi, così non è equo bollare senz'altro di marcia indietro





-

conservatrice i suoi successivi recuperi di modi stilistici tradizionali : che, mentre confermano l'antico sincreti­ smo, significarono anche ri nnovata adesione alla nativa cantabilità « popolare >: , giusta la pronunciata com� nente populistico-folclorica dell 'autore, e gli consenti­ rono ancora qualche buon esito poetico.

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Poeti italiani del Novecento

da AEROPLANI

Zingari Forse è la vita vera. Il carro dipinto, i cavalli salvatici e docili, ebbri di vento, le belle figlie in cenci, la mensa a bivacco furtiva sotto gli astri, la strada bianca del mondo. lo tornerò nella prigione potente dove comando e sono comandato : io sfrenerò, di rabbia, i miei puledri ideali sulla pista del sogno, a cuore morto, a stanca sera: e per l'amore mendicherò la mendicante mia a qualche buio di strada. Io pago la carne con mano che sembra chiedere anzi donare elemosina. E la mia via è una rete di fogne dove altro non luce che l 'occhio del sorcio. O Zingari, scoiatemi vivo, allo spiedo arrostitemi fra due tronchi di selva ! Sono un poverissimo figlio di civili che adora la barbarie.

Sera d'uragano Il cielo è nero fumo che voltola, sfiocca, imperversa come a un fiato d'incendio. Corron ruote di cenere per l 'infinito campo: gorghi d 'ocra e di fuliggine si riproducono e ripercotono. Tutto fugge come a un fosco mare. Le case impallidiscono di spasimi sulle montagne, mostrano i mille occhi dalle palpebre chiuse.

Paolo Buu;

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I lampi sono rosei come i filari efimeri delle gambe alle ballerine in passo di fin ale . Le folgori son come bisce verdi e violette. Spesso han vene di sangue a capo, a coda . Sparve la scena de' monti lontani. I monti attigui sono i lontani. S 'opaca la distanza . Eccoli dispariti. Una dolomia , sola, il chiaro picco mantiene, alto, in un canto della nerezza, teso. Piovon tutte le acque, a gocce, a schegge, a frecce, a micce ebbre di fuoco. Gli uccelli fuggono gli occhi accesi dei gatti saliti sulle [ piante : i gatti fuggono le spire di bragia delle folgori : le foglie degli alberi tremano per l 'Universo. Io m 'abbandono a tutti i fiumi oscuri di me stesso che straripano.

da VERSI LIBERI

Primi lampioni · Esco alla notte contro gli amici lampioni. Son gli occhi dei nuovi mostri terreni . Sfavilla no la luce ignota a' miei avi . Mi fan l'aria moderna onde questo respir o d 'uomo semp lice diventa verso libero di poeta comp lesso . Amo le ombre lunghe a sbarr a dei lampi oni e vi camm ino con piedi sicuri e sogni di vertigine co� l 'equi libris ta sul filo teso al preci pizio . � E p m amo 1_ fogl iami d'alb eri del viale che la luce elett rica dipi nge ad acquerello sul cartone pro lisso dei last rica ti .

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Poelt italiani del Novecento

E più amo la m ia ombra che pare

lo svelto impaccio della mia stessa an; ma fra' miei piedi.

Il mortorio di Bibia Bibia, vecchia zi tella zoppa ricca , è morta l 'altro ieri. Voluto ha eredi tutti , che la seguiranno al funerale, e zoppi e storti poveri della città. La nuova è corsa via per le stamberghe di soffitta e di cantina, pe' fienili e le fogne e le panchette e i gradini di chiesa e di convento e gli archi di ponte pieni di danze moscerine sul canale. È l'ora del mortorio.

Si muove. Avanza. I l prete, zoppo . Il carro pare che zoppichi coi cavalli. E, dietro, l'esercito delle grucce e dei saltelli . Un lieto muovere umano a ritmo lento. Non mai vedesti andare, in vento di marzo, i ramiciattoli d'ippocàstano sui viali? Fosco è il colore della marmaglia sbilenca sulla via civica dove la primavera si riversa. E segue una sua sghemba linea che, veramente, pare sopra una diritta linea di secoli l'eterno passo necroforo claudicante dell'Umanità. Tetano o mazurka, l'ossa loro, i loro nervi ballano sotto l'archettata d'uno spasimo.

Paolo Buzzi

Fango v 'è, per pioggia recente, sulla strada. L'orme gialle hanno il disegno fuggevole dei vecchi burri che friggono, e le stampelle bucano di piccoli botri acquitrinosi obliqui la melma che sghignazza e, forse, gode essere calpestata, finalmente, da un 'orda di miserabili felici . Vi sono vecchi e giovani , maschi e femmine. Prima le femmine fanno il corteo più denso di cenci , sbattocchiano la mota e se ne ingioiellano d'agate spente le sottane sdrucite dalla meccanica guasta degli arti male invisibili. Poi , gli uomini , d'ogni colore e forma , ironici, con zampe d i gallo profonde agli occhi, fin sulle tempie e le guance rigate di rughe perverse. Qua e là un verde di t abe, molti d'un rosso nasuto di vernaccia. Adocchiano, quasi tutti , le belle ferme curiose a ridere nelle cornici di pietra delle finestre o sui plinti prolissi del lastricato. E, traballando avanti , borbottano requiem osceni . Dove marciano? Fin là dove si reggano. Marcerebbero fino alle stelle. Ma non arriveranno fino al cimitero. Ecco : uno stramazza, vinto dalla sua gamba di legno che si sfascia.

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Poeti italiani del Novecento

Ne cascano sovra altri sei. La coda si squassa , scompiglia , rompe. Il carro, lo fermano. È tutto caduto il corteo. Una barricata di corpi umani irta di grucce e di stinchi tiene ora la via dove rideva la gente. Vi sono dei volti e delle nuche nel fango. Contro la primavera l 'ammasso nerastro ha dei riscossoni d'enorme talpa accoppata. E molti, ora , s'odono gridare e piangere nel mucchio sgraziato e all'intorno. E due si son dati a morire. Ecco, sotto il pasticcio di membra , le due mani diverse , stecchite, ma avide pari che prendono il vuoto come la loro parte sudata d 'eredità.

Le unghie V'amo nei neonati, candide, tenere, piccole come i primi petali del fiore del pero : prensil i , nel vagito dei sogni , prendere tentate solo dei fiocchi di neve di limbo o la montagna rosea della mammella nutrice che lor nasconde il mondo. Femmine? Maschi ?

Pt�olo Buul

Chi può dire? L'unghi e dell'infanzia in fasce è come l 'infanzia medesima fasciata. Non ha sesso. Ed ogni falda di neve ed ogni stilla di latte che le imperli degna è di fare, d'una mano d 'angelo piccolo, il fiore paradisiaco della puri tà . V'amo nelle donne : siete lame di corno : potreste ferire a sangue : potreste tatuare di milk segni barbarici la carne avversaria dell 'amante . Avete le lùnule, bianche d'un sm riso adamantino, che saprebbero ardere d'un pianto di rubino se mai vi ficcaste gelose fino al fondo d'una nuca diabolica di traditore. E l 'incarnato gelido dell'anime specchiasi nei vostri segmenti color delle pelli-rosa calde feroci . M'inebriano i profumi concentrici delle faccette vostre di vetri di fiala stappati ; e gli archi estremi , lucidi pallidi acuiti come becchi di civette canarine, adoro se a tornio di limucce e di stecchelli vi lavorano dita pazientissime per ore ed ore che le spio dalla finestra rimpetto ove un uomo odia la donna e pur la mangia d'occhi .

E v'amo , mie, in cima fulgide queste mani di musico e di poeta : v'amo, piccole fiamme dure diafane

Poeti italiani del Novecento

1 46

su questa candelora bizzarra delle mie dita sempre in fuochi di festa. Ch 'io scriva, e voi fulgete chiare , doppie alla punta oscura della penna. Siete la luce, o unghie, di cui l a negra lancetta degli inchiostri è l 'ombra. Ch'io tocchi i tasti al pianoforte - divino amico saldo delle mie soli tudini vertiginose e voi reggete il molle mistero tattile dei polpastrelli , siete i miei dieci plettri onde io ben tocco le corde che legano i lacerti dell 'anima mia alle pi ù profonde alghe sensitive del l 'Infinito.

E v'amo nei pazzi : nei pazzi che vi tagliano e vi riserbano in molti pacchetti preziosi : ed uno uccise u n altro che gli rubò un cartoccio delle piccole tenere ossee reliquie. Qual di noi pensa alle sorti del l 'unghie tagliate ? Dove cadono? Chi le sperde? Non seno le nostre particole? Non sono i quarti di luna esili crescenti con la marea delle giornate? E dicono

che anche ai morti crescan sotterra le ungh ie :

Paolo Buzzi

147

unghie felici, lib� re, log!che, _ cui nessuna forbice taghera.

La sposa danese Vedi la giovinetta d'un biondo-bianco l ino, rosea , tenera, tutta occhi di m are, che al canto, là, della mensa candidissima, tra il fiammeggiar delle luci elettriche e dei fiori , sotto due pupille latine che la spìano, si dona in un continuo palpito pubblico di tortora al suo sposo. Queste donne non curano gli occhi del paese che non le curano. Conta, loro, se gli occhi degli stranieri le denudano? Guardala e invidia un po' di questi obli i , tu che obliar non sai neppure i n sonno. Ella è seduta in grembo al suo uomo e non pare. Quella tovaglia ha il pallore mortale d'un lenzuolo d'orgia .

Quegli occhi affondano nell'abisso dei sensi chiaro di meduse. Quelle labbra sorridono d'angelo e dicon parole demoniache. L'uomo è placido, serio, gigante, quasi sordomuto, pupille su nevi lontane.

Arturo Onofri

Arturo Onofri nacque a Roma nel 1 885 e qui visse fino alla morte, avvenuta nel 1 928, lavorando negli ultimi anni presso la Croce Rossa come impiegato. Vivace la sua attività culturale, in cui spiccano la fondazione della rivista « Lirica » e la collaborazione alla « Voce » di De Robertis, con interessi , affini a quelli del direttore, per i problemi dello stile ( ancora vitali le analisi di Myricae ora raccol te in Letture poetiche del Pascoli, Lucugnano, Edizioni dell'« Albero » 1 9 5 3 ) . Importanti, negli u l ti­ mi anni, l 'incontro con l 'opera di Wagner ( v . Tristano e Isotta, Milano, Bottega di Poesia 1 924 ) e soprattut­ to quello entusiastico con l 'antroposofia di R . Steiner (il nuovo credo filosofico-estetico del poeta è espresso in Nuovo rinascimento come arte dell'io, Bari , Laterza 1 925 ) . Volumi poetici : Liriche, Roma , Vita letteraria 1 907 ( riedito nel 1 948 da Garzan ti ) ; Poemi tragici, ivi , ediz. dell'autore 1 908 ; Canti delle oasi, ivi, id. 1 909 ; Disamore ( prosa), ivi , id. 1 9 1 2 ; Liriche , Napoli, Ric­ ciardi 1 9 1 4 ( scelta dalle tre raccolte precedenti, con ampia revisione, e liriche nuove ) ; Orchestrine ( poemet­ ti in prosa ì , i vi, La Diana 1 9 1 7 ; Arioso ( poesia e pro­ sa ), Roma, Bragaglia 1 92 1 ( ristampati assieme i n Orche­ strine. Arioso, Venezia, Pozza 1 95 9 , con un saggio di G. Vigolo) ; Le trombe d 'argento ( prosa) , Lanciano, Ca­ rabba 1 924 ; Terrestrità del sole , Firenze, Vallecchi 1 927 e Vincere il drago! , Torino, R ibet 1 92 8 , prime due di un ciclo in cinque parti completato dai seguenti volumi postumi : Simili a melodie rapprese in mondo, Roma, Al Tempio della Fortuna 1 928 ( anticipo di una serie di liriche della quinta e ultima parte ) ; Zolla ritorna cosmo , .

1 50

Poeti ittJliuni del Novecento

Torino, Buratti 1 9 3 0 ; Suoni del Gral, Roma, Al Tempio della Fortuna 1 932 ; Aprirsi fiore, Torino, Gambino 1 9 3 5 . E cfr. le tre antologie ( variamente insoddisfacen. ti ) : Poesie, a c. di A . Bocelli e G . Comi , Roma, Tum mi. nelli 1 949 ; Poesie d 'amore, a c. di V. Vittori, Milano, Ceschina 1 95 9 ; Poesie scelte , a c. di F. Floreanini, Par. ma, Guanda 1 960. Per la sua posizione sospesa tra vec. chio e nuovo Onofri, se ha attratto ad esempio l'ime. resse di un filosofo come A. Banfi , è stato segui to in mo­ do saltuario e discontinuo dalla critica militante ( fanno soprattutto eccezione i saggi molto comprensivi di Cee­ chi ) , e solo da poco comincia ad essere studiato più a fondo, tra l'altro con la pubblicazione di materiale ine. dito o malnoto ( vi ha atteso in particolare S . Salucci, autrice anche di una monografia sul poeta, Firenze, La Nuova Italia 1 9 72 ) . La produzione poetica giovanile d i Onofri , scontati i de bi ti alla tradizione e ali'epoca (Carducci , D'Annunzio, il simbolismo straniero e nostrano ecc. ) , ha il suo mo­ mento più interessante - e tuttavia da non sopravvalu­ tare - nell'adesione al clima crepuscolare che si coglie soprattutto nei Canti delle oasi : un crepuscolarismo, è bene precisare, tutto patetico e larmoyant, insomma tipicamente « romano )) , con pronunciati echi pascoliani consoni alle simpatie del critico (v. una formula come -, l'annulla mento dell'io negli oggetti, aneddoti , cronache. D'altra parte la « prosa-poesia >> (con la sua form ula) da lui praticat a unisce ulteriore abbassa mento prosa stico del linguaggio a grande perizia tecnica e a un uso particola rmente attento e ricco delle controsp in­ te poetico-auliche ( non sempre e obbligato riamente in chiave parodica) . Questa prosastic ità controlla ta preve­ de intanto l 'adozione, a tratti proterva, di un lessico umile e deprezzato (cfr . se non altro Valigie ) , e l'acco­ stamento di tipo « gozzaniano >> di termini dissonanti in rima o a contatto immediato, come Piove: Beethoven, t'ami: tegami ecc. o gli ultimi versi di In cucina - testo nel quale è stato notato un sottile controcanto al Para­ disiaco (e v . la programmatica Signora Rima) . Ma ancor più decisivo è l'orientamento per una sintassi paratatti­ ca e franta (cfr. per esempio La maestra di piano ) , influenzata anzitutto dai modelli del Pascoli , la cui pre­ senza in Moretti è , a tutti gli effetti, particolarmente forte e condizionante ( riprese lessicali ; sintagmi sine­ stetici del tipo di « in un bozzolo breve di bisbigli » o di « azzurra tenebra » e varianti ; partiture quali « Eran richiami e un rombo,· un urlo, un brivido » ; il calco « roseo di peschi , bianco di susini » , ecc . : v . so­ prattutto G. Nava in Atti, cit . ) ; mentre il celeberrimo ), rispetto ai rui istituti la sua letterarietà, all'apparenza così « ingenua » , finisce per risultare, nell'ottica del lettore, tutto uno scarto: ciò che è anche confermato, internamente, dal confronto con la fisionomia complessivamente cosl moderna (an­ che per secchezza) e > - con la sua rarità di escursioni sia verso l'alto che verso il basso - del­ l'italiano delle prose. Di fatto l'aulicità della poesia sabiana, certo decrescente col tempo e assai più mar­ cata comunque nella sintassi e nei ritmi e metri che nel lessico, vi adempie a funzioni essenziali sia nell'or­ dine stilistico che psicologico. Stilisticamente, essa con­ trobilancia ( si pensi solo alle continue inversioni e iperbati) la qualità, come Saba diceva, « rasoterra ,. del .

. . .

Umberto Saba

189

suo discorso, la forte presenza di elementi di linguag­ gio quotidiano; e da questi è a sua volta corretta, ad evitare eccessi di scorrevolezza e cantabilità, coi rela­ tivi effetti ritmici quali i frequenti e non rotondi enjambements e l'andamento cosi spesso « pesante » dell'endecasillabo : nell'una e nell 'altra direzione si in­ staura quel continuo « sottile duello tra ritmo e sen­ so » di cui ha parlato Solmi. E importa sottolineare che, come il grande tema del poeta è la ) altri­ menti censura o reprime. Per altro verso la tradizionalità dei mezzi espressivi sabiani « coincide - freudianamente - con la verità inconscia dell'individuo, con l'originalità del suo im­ pulso esistenziale » ( Bonfiglioli ) . Figura fondamentale della poesia di Saba è infatti la tendenziale coincidenza fra « antico >> e « nuovo >> ( « con occhi nuovi nell'an­ tica sera » ), in altre parole il senso del dispiegarsi del­ l'esperienza individuale come ripetizione di un'espe­ rienza già vissuta, individualmente nel proprio passato, archetipicamente nella vicenda dell'Uomo di sempre (e in questo senso la sua visione della vita è, ancor più che in tanti contemporanei , decisamente antistoricisti· ca ). All'origine dell'esperienza dell'uomo e del poeta, come Saba non si è stancato di ripeterei, sta un'imme­ dicabile scissura psicologica, nel doppio conflitto padre­ madre ( complicato da quello razziale) e madre-nutrice (o « madre di gioia »). Situazione di ambivalenze che Saba, « psicoanalitico prima della psicoanalisi >) (Con· tini ), seppe sceneggiare efficacemente prima di esplici­ tarne l'interpretazione coi mezzi d'analisi freudiani, e che si dirama in altre figure oppositive, destinate o meno che siano a comporsi - magari volontaristicamen­ te - in sintesi unitarie : tali le polarità complementari vecchio-giovane, adulto-bambino (che egli trasferl an· che a livello di poetica, definendo anti-pascolianamente il poeta compiuto come unione armonica di adulto e

Umb"to Saba

191

bambino ), donna-fanciulla (dr. il n. 12 di Fanciulle ). Si rileggano soprattutto i versi di Autobiografia, n. 3 : « Egli [ il padre] era gaio e leggero; mia madre l tutti sentiva della vita i pesi. l Di mano ei gli sfuggl come un pallone. l l " Non somigliare - ammoniva - a tuo padre ". l Ed io più tardi in me stesso lo intesi : l Eran due razze in antica tenzone ». In realtà l'opposizione fra il principio materno del dovere-responsabilità e quello paterno del piacere-irresponsabilità sembra tra­ sferirsi , in Saba, dal piano etico-psicologico a quello della pratica poetica a tutti i suoi livelli. Sicché coesi­ stono in lui una poesia che è accompagnamento solen­ ne alla serietà e dolorosità dell'esistenza, voce anche del coinvolgimento morale in essa, e una poesia come « sguardo •> in cui l'aspra realtà, « la nera foga l del­ la vita •> , riflettendosi, s'illimpidisce e purifica (dr. « Guardo e ascolto ; però che in questo è tutta l la mia forza : guardare ed ascoltare », l'insistenza sulla purezza della propria ), che sollecitano tendenziali o� posizioni formali come quella fra l'endecasillabo inca� sulato e accidentato e l'agile verso breve, infine fra le forme-limite del sonetto e della canzonetta. E sta pure in questi paraggi lo sdoppiamento fissato nel titolo Figure e canti, col successivo tentativo di fondere i due termini nelle Fughe. Ma ancor più peculiare è il rapporto necessario che si istituisce in Saba tra io lacerato e bisogno di immer­ gersi tutto nella « calda vita » ( espressione già di Mo­ retti, e prima ancora di HOlderlin ), sentita eroticamente come unità organica e indifferenziata del vissuto in tutti i suoi aspetti, e perciò anche come fondamentale « innocenza » : vitalismo erotico per il quale Saba fini-

192

Poeti italiani del Novecento

sce insomma per inserirsi in una zona del grande alveo decadente. E la calda vita non fornisce tanto al sog­ getto figure proiettive delle proprie esperienze dolorose e contraddittorie - benché vi sia anche questo - quan­ to, globalmente, riparo e consolazione, smarrimento di un'identità personale sofferta nell'identificazione bra­ mata con l'esistenza di « tutti l gli uomini di tutti l i giorni ». « Sono tutte creature della vita l e del d� lore » si dice degli umili e derelitti di Città vecchia : dove l'accoppiamento dei sostantivi sta a significare sia identità di vita e dolore (come ha detto benissimo la Morante, in Saba si esprime veramente « la qualità vul­ nerabile di tutto ciò che vive » ), sia perpetuo compenso che la vita offre al dolore ( « Nulla riposa della vita come l la vita >> ) Dalla natura sostanzialmente erotica del rapporto fra Saba e il reale discende la straordi­ naria sua capacità di sondare fulmineamente gli strati profondi del vissuto e dell 'istintualità, tanto più inci­ siva quando non è sottoposta a razionalizzazioni suc­ cessive ma si affida alla nuda verità di intuizioni � tentemente pre-razionali. Si guardi ad alcune delle più celebri similitudini o analogie sabiane: ora è l 'assimi­ lazione della vitalità giovanile o femminile ad aspetti della vita animale ( i due militari « giovani cani », la moglie paragonata alle femmine dei o aleatoria l'ostinata anamnesi del proprio passato che si vuole giunga a rivelare noi a noi stessi . Si comprende quindi che Saba, a partire dal più disarmato diarismo giovanile, abbia voluto progressi­ vamente organare la propria esperienza poetica nella forma continuata e unitaria - e onnicomprensiva - del Canzoniere, inedita come tale nel nostro Novecento ( tutt'altra cosa è, in particolare, un organismo come l'ungarettiana Vita d'un uomo, in sostanza giustappo· sizione a posteriori di fasi emblematiche dell'esistenza). Estrema affermazione dell'unità di poesia e vita, e della capacità privilegiata della prima di inglobare in sé ogni realtà ed esperienza, che si colloca volutamente al di qua della crisi moderna della nozione di poesia : pur­ ché certo si precisi , con Bonfiglioli, che il Canzoniere è piuttosto « un tentativo sempre fallito e sempre rico­ minciato di abolire il diaframma fra poesia e vita � ( poiché a Saba è estranea l'identificazione Immediata e assoluta fra le due propria di varie avanguardie coe· ve, o prima di D'Annunzio) ; e anche, con Fortini, che •





o

'

195

Umberto Saba

permane tangibile nella poesia del triestino la « resi­ stenza dell'oggetto a fondersi nel soggetto » . Allo stesso modo la ricerca di salvezza individuale nell'abbraccio con la totalità della Vita residua continuamente scac­ chi e riconoscimenti narcisistico-dolorosi di una imme­ dicabile solitudine ( >

• • •

]

Dico : « Son vile . . . » ; e tu : ) o i « fili telefonici del vento )> a

Luciano Fo/gor�

237

Scoppiavano, obici della disperazione, le latte », e si­ mili apposizioni astratte, alle identificazioni allegoriche, ad esempio fra l'« angoscia >) e una « donna alta, ossu­ ta, magra )), alla definizione di un fiume cinese come « futurista azzurro della Cina )) ) . Ma già in questa pri­ ma raccolta Folgore sa tradurre a volte la sua immagi­ nazione visiva in tratti più lievi e favolosi, come ne Il cinese caricaturista (qui prescelto ), squisito acquerello quasi palazzeschiano. E nel finale di questa lirica vi è una definizione, suona un suo memorabile ed hegeliano aforisma) . Ciò che allora continua ad attrarci è proprio quanto rimane al di qua della stilizzazione, il non-finito, i grumi o barbagli di espressività irrisolta, subliminale. L'effetto che si spri· giona dalle pagine di Campana è sempre, e talora in -

Dmo Campana

279

modo potente, di natura puramente suggestiva. Molto vi contribuiscono le strutture aperte e dinamiche sia delle singole liriche, o delle prose, che delle serie ( Mon­ tale ha parlato acutamente di una e l'assolutezza di specie lirico-intellettuale, appaiono omologhe a un sen­ timento della vita che tende in ultima analisi a rappre­ sentarsi quel mondo ambientalmente e biograficamente determinatissimo come universale essenza umana e quasi come e prontamente apprezzato da critici come Boine e Cecchi ; sono questi anche gli anni in cui egli partecipò più attivamente alla vita letteraria, collabo­ rando, oltre che alla « Voce �> , a > . l testi di Simultaneità sono tratti dall'edizione del

1919.

.340

Poeti italiani del Novecento

da BlF§ZF + 1 8 . SIMULTANEITA. CHIMISMI LIRICI

Arcobaleno Inzuppa 7 pennelli nel tuo cuore di 36 anni fini ti ieri [ 7 aprile E rallumina il viso disfatto delle antiche stagioni Tu hai cavalcato la vita come le sirene nichelate dei [ caroselli da fiera In giro Da una città all'altra di filosofia in delirio D 'amore in passione di regalità in miseria Non c'è chiesa cinematografo redazione o taverna che [ tu non conosca Tu hai dormito nel letto d'ogni famiglia Ci sarebbe da fare un carnevale Di tutti i dolori Dimenticati con l'ombrello nei caffè d'Europa Partiti tra il fumo coi fazzoletti negli sleeping-cars [ diretti al nord al sud Paesi ore Ci sono delle voci che accompagnan pertutto come la Ma anche il fischio di una ciminiera [ luna e i cani Che rimescola i colori del mattino E dei sogni Non si dimentica né il profumo di certe notti affogate [ nelle ascelle di topazio Queste fredde giunchiglie che ho sulla tavola accanto [ ali' inchiostro Eran dipinte sui muri della camera n. 19 nell'Hotel des [ Anglais a Rouen Un treno passeggiava sul quai notturno Sotto la nostra finestra Decapitando i riflessi delle lanterne versicolori Tra le botti dd vino di Sicilia

Arden&o Soffici

341

E la Senna era un giardino di bandiere infiammate

Non c'è più tempo Lo spazio � un verme crepuscolare che si raggricchia in una Ogni cosa è presente [ goccia di fosforo Come nel 1 902 tu sei a Parigi in una soffitta Coperto da 35 centimetri quadri di cielo Liquefatto nel vetro dell'abbaino La Ville t 'offre ancora ogni mattina Il bouquet fiorito dello Square de Cluny Dal boulevard Saint-Germain scoppiante di trams e [ d'autobus Arriva la sera a queste campagne la voce briaca della Di rue de la H arpe [ giornalaia , « e tutto il giardino per me, l per il mio male sontuosamente »), le apposi­ zioni-etichetta ( , si porta dietro il processo psicologico che lo ge­ lera ed accompagna, e fra l'altro le sue motivazioni di poetica. Ma ciò significa anche che alla poesia è ri­ tagliato uno spazio affatto autosufficiente e assoluto, entro il quale il poeta può sentirsi ancora legiferatore, a prezzo di una riduzione violentemente esclusivistica della realtà e con l'alibi di confinare quella legge alla

Poeti italiani del Novecento

368

pura sfera del privato, di un privato però che non cessa mai di proporsi come esemplare. Bonfiglioli ha discorso opportunamente di , precisando : . Ne deriva che il messaggio ungarettiano è sempre di natura potente­ mente suggestiva, irrazionale, quasi magica : ciò cui contribuisce l 'uso su larga scala, e originalissimo, del­ l'analogismo moderno (tipo ) che il poeta svilupperà ulteriormente nel Sentimento e teorizzerà, sulle tracce precise di Reverdy e Breton, come corto circuito spriz­ zante dall'accostamento inedito di reali nazionalmente distanti . E ne deriva una conseguenza d'ordine general­ mente elocutivo, nel senso che l'importanza delle pause e dei suggerimenti intonativi predispone potenzialmen­ te questa poesia alla recitazione o declamazione (decisi·

Giuseppe Ungaretti

va al proposito la straordinaria dizione del poeta stes­ so) ; più profondamente ancora : ne disvela l 'intima na­ tura teatrale. Annotava De Robertis : « � forse l 'estre­ mo grado a cui è arrivata la poesia letta e, nel tempo stesso, il principio, l 'embrione di una poesia che do­ mani torni a esser detta )) : dove si può anche vedere una concomitanza (altre ce ne sono nel repertorio sti­ listico) con il contemporaneo futurismo. Per queste c= altre ragioni lascia perplessi il tentativo di ricostruire sistematicamente misure tradizionali sottostanti ai ver­ sicoli dell'A llegria cosl umiliandone gli accapo a puri espedienti grafici, come pure s'è fatto dallo stesso De Robertis e da altri. Certo che un esemplare come « Sorpresa l dopo tanto l d'un amore )) dà alla lettura continuata un endecasillabo, e « Si sta come l d'autun­ no l sugli alberi l le foglie )) un alessandrino ( auto­ traduzione francese « nous sommes tels qu'en automne sur l'arbre la feuille )> : caratteristicamente, un end�ca­ sillabo) : ma in quest'ultimo caso, ad esempio, è pre­ cisamente la scansione molecolare, unita all'inversione sintattica, a imprimere all'enunciato il decrescendo pe­ sante, come di una progressiva caduta, che rinnova drammaticamente « in situazione » l'antichissimo para­ gone biblico-mimnermiano. Tutt'al più si potrà rico­ noscere all'immanenza memoriale dei versi della tradi­ zione un ruolo di avvio genetico, e alla loro compre­ senza virtuale al sillabato ungarettiano un effetto di contrappunto ritmico, stilisticamente pertinente. La metri�a franta dell'Allegria non è che l'equivalen­ te prosodico di quella ricerca della parola • nuda » ed essenziale, o « recitativo atroce » ( Bonfiglioli), in cui sta la maggior novità, umana prima che stilistica, della raccolta, e che può portare il poeta a enunciati ridottis­ simi come il famoso (o famigerato ? ) cc M'illumino l d'immenso », dove tutte le presupposizioni e concomi­ tanze situazionali ( sinteticamente deferite al titolo) so­ no bruciate nella pura illuminazione lirica : ricerca che ,

386

Poeti italiani del Novecento

storicamente rappresenta l'esatto rovescio della strate­ gia crepuscolare, riscoprendo all'interno del discorso comune, per forza di sillabazione interiore, l'assoluto quasi religioso della parola vergine, originaria. Ma que­ sta « fraterna nudità )) ( Sanguineti ) , se in gran parte è attinta immediatamente alla prima stesura, in parte è anche frutto dell'accanita e capillare elaborazione che l'Allegria - come tutte le poesie successive del resto ­ ha subìto per oltre un ventennio. Il fenomeno rientra nella più generale corrente della poesia moderna che si può denominare da Mallarmé e Valéry, per la qua­ le il testo è inteso come progressiva e instabile ap­ prossimazione a un valore-limite, ma, al pari che in questi autori o da noi in un altro infaticabile corret­ tore, Cardarelli, va inteso anche come conseguenza operativa di una concezione della poesia come assolu­ tezza sacralc che aspira a sottrarsi alle causalità della storia ; e che nel caso dell'Allegria urta dialetticamente alla contingenzialità bruciante delle occasioni storico­ biografiche che la generano. Di fatto l'elaborazione dei testi dell'Allegria (andata di conserva a profondi muta­ menti , ancora da indagare, nell'ordinamento e nella strutturazione complessiva della raccolta) consiste so­ prattutto in arte del levare, in successivi processi , quan­ do non di amputazione, di concentrazione dell'enuncia­ to (esemplificabili , poniamo, col passaggio da >

responden da quella stanza. >

Hin qui do parolett chì... ciar e che te resciara . . . . . .che te padima IL . . Pantopon, calmine . . . ho in disparte io due paroline per te che sono un sedobroll . . . un dial . . . che ti calmano . . . che ti mettono quie· to . . . . . . alberi - pensa - un prati no verde; . . .alberi - guarda - una finestra aperta su quei primi getti . . . Studio di Rugabella! « Tele­ fona la Costanza per sapere cosa vuole a mezzogiorno � « Coto­ lette fredde . . . cotolette fredde ... � rispondono da quella stanza. « Cotolette fredde . .. » Sono quelle due paroline qui . . . chiare e che ti rischiarano . . . che ti calmano . . . Sono quelle pezzuole ghiac·

Delio Tem�

Hin qui pezzoeu giazzaa che cambien ai malaa de la fever alta . . . Cottelett frett . . . cottelett frett . . . » «

N un per sti parolett... ( incantésem ... deliri... ) . passom que 11 a muraJa " . . . .. . . .Ona banca . . . ona pianta . . . . . .ona banca . . . ona pianta, ona cort stermenada e di cames a s'cera ... «

È arrit,ato l'ambasciatore,

tantirom-lirom-lera. . . >

»

Canten i cames bianch ! Vogliamo la più bella tantirom-lirom-lella! » « Che cosa ne farete tantirom-lirom-là? » «

Bévela l' alegria matta che se spampana ! ... ci ate che cambiano agli ammalati dalla febbre aJta . . . c Cotolette fredde . . . cotolette fredde . . . ,. Noi per queste paroline . . . ( incantesimo . . . delirio . . . ) passiamo quella muraglia! ! . . . Una panca . . . una pianta . . . una panca . . . una pianta, un cortile sterminato e dei camici a schiere . . . cc E. a"ivato l'ambasciatore tantirom-lirom-lera. . . • « Che cosa volete tantirom-lirom-là? ,. Cantano i camici bianchi!

« Vogliamo la più bella tantirom-lirom-lella! ,. « Che costi ne /Il­ rete tantirom-lirom-là? ,. Bevila l'allegria matta che si dilata! . . .

476

Poeti italiani del Novecento

che cosa volete tantirom-lirom-lella . . .

che gh'òo in studi dedree a quella maistaa . . . - «

-

-

.

• .

- (( Epilettici , infermi , orfani d i guerra ; Totale : Numer : domilatresentses )> T'ee imparaa dalla monega a fa i calzett, te fee i pattinn di fer e se ven la Lily a trovatt, te ghe dee quell che t'ee faa in d'on mes . Te gh'ee mai 'vuu per sort on coo che lavorava ? ( . . . grand-laminage? . . . sistema V anm" ;l. . . . sano Boscone ' ) sei un brachet ta-vuota, un cacasotto . . - « Idioti e semidioti , sc L· m i , ciechi ,. - . . . ti hanno messo in lista . . . - « paralitici , vecchi tmpotenti ,. - . . . sei in quel prospetto « dei nostri ricoverati ,. che ho in studio dietro a quell'immagine sacra . . « Epilettici , infermi, orfani di guerra; Totale: Numero: duerni · latrecemosei .. - Hai imparato dalla monaca a fare le calzette, fai presine a maglia e se viene la Lily a trovarti , le dai quello che hai fatto in un mese. Non hai mai avuto per caso una testa che lavorava? ( . . .grand-laminage? ... sistema V anni? . . . motor? . . . ) Avevi .

.

478

Poeti italiani del Novecento

... motor? ... ) Te gh 'avévet quaidun

ti che te cognossevet?

( ....... Maman? . . . . ... ) Te fee la tomma in terra ! Vess come la gallina sull'era, el boeu in stalla ! Te giughet a la balla ! Idioti e semi idioti , amputati rachitici, infermi . . » -

- «

.

Su ona banca de preja come on sacch de strasc, insemenii . . . ( Viganon? . . . Casablanca? . . . ) . . . te rimiret el so che tramonta ... - paralitici, sordo muti ... . 1 rusen m ca l'è l'ora del mangià, .

'

qualcuno, tu, che conoscevi? ( . . .Maman? . . . ) Fai la capriola in ter­ ra! Essere come la gallina sull'aia, il bue in stalla! Giochi alla palla! - « Idioti e semidioti, amputati rachitici, infermi . . . ,. - Su una panca di pietra come un sacco di stracci , svampito . . . (Viganone? . . . Casablanca? . . . ) . . .contempli il sole che tramonta ... - « paralitici, sordomuti . . . » li sospingono in casa, è l'ora del mangiare , -

�79

Delio Tessa

brugissen come besti ! . . . . . ariomvia . . . al limet di groann . . . chichinscì l'è sempru festa leraj -' col ciondol . leraJ.l . . . » «

. . . da ona quaj ostaria spunta on fil de canzon . . . •



















o









III

chichinscì l'è sempru festa liriliraj.1 » . . .«

Momhell, Vared . . . cassinn . . . paes ... a la longa di sces pedalavi beli beli vegnéndes a Milan . . . « Sò che se volta indree - disevi - acqua ai pee ; scometti che doman . . . � muggiscono come bestie! . . .chisadove . . . al limite delle "groane . . . " chichinscì l'è scmpru festa lera/.1 col ciundol leraj! . . . ,. . . .da una qualche osteria spunta un filo di canzone . . . . . . . . �

l II. .

chichinscì l'è sempru festa lirilirai!

Mombello, Varedo . . . cascine . . . paesi . . . lungo le siepi pedalavo bel bello ve­ nendo inverso Milano... « Sole che si volge indietro - dicevo acqua ai piedi; scommetto che domani . . . ,. Macchine . . . macchine . . . . . . .

. . .«

,.

Poeti italiani

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del Novecento

Macchin ... macchin . . . zam . . . zam. .. motociclett che sgatta . . . - Noeuva . . . Cassina Matta e l'oggiatton del tram ! Dopo i dì de laò sira della doménega. chichinscì l'è sempru festa /era;, col ciondol lera;. . » «

i botteglion anegan i magon . . . »

«

chichinscì l'è sempru festa liri/ira; . » > ... cominciom a andà giò . . . . . .la Cici... la Totò . . . .

.

... tra on g1ppomn e l'alter ... gh'è . . . (de quand ? ) . . . e no le tocca ! . . . (Tabù . . . tabù . . . ) ...gh'è H quel ritrattin! cold-cream ... tout-de-meme . . . foeura i cassett di mobil... « Questa per mi l'è diventada stretta . . . . . .e daghela all'Annetta? ! . . .a tralla via! . . .

>>

(Tosa de tre valis! ) ... dall'utumobil . . . . . . mancia alla coeuga ... basa la Maria ... Dan-daran-dan Luzia . . . sotta a quel! cassinott ghe sta la veggia stria che fa ba/là i pigott . . . dan-dMan-dan Luzia!

L'è cles ann che la gira e ghe l'àn dada la pagnotta alla povera Ciel ! mandalo del resto alla Totò! La casa è buona . . . lavorare di bocca . . vedrai ... ,. . . .cominciamo a calare . . . la Cici . . . la Totò . . . tra un giubboncino e l'altro . . . c'è . . . (di quando? ) . . .e bada a non toc· carlo! . . . ( Tabù . . . tabù . . . ) . . . c'è Il quel ritrattino! cold-cream . . . toul· de-meme. . . fuori i cassetti dai mobili . . . « Questa per me è diven· tata stretta . . . e dalla all'Annetta? ! . . . a buttarla via! . . . ,. ( Ragazza di tre valigie! ) . . . dall'automobile . . . mancia alla cuoca . . . bacia la Ma· ria . . . Dan-daran-dan Lucia ecc. f: dieci anni che va in giro e glie­ l'hanno data la pagnotta alla povera Cici! Intanto che il taxi ... .

Delio Teua

Intanta ch'el taxl... Rondò . . . Sempion ... Pontacc. . . Bastian . . . e l se magna la strada, la marca lee . . . la se smazzucca ... bon che on quaicoss la gh'à via . . . . . . anca in provincia disen che se resia . . . . . .chi o là, basta de tirà a cà ... . . . Vares, Mortara, Lod, Vigeven . . . e poeu se recomincia anmò . . . Vares, Vigeven, Lod, Mortara fina tant che la corsa l'è finida ! « Hin dodes e cinquanta col bagalli . .. . . .gh'òo no i dò lira . . . cali de moneda ! » Se rangen tucc . . . hin tucc della partida, tucc della lega . . . . . . basta ch'el te veda vun e el te ciolla ! . . . . . .Olga, di' su la toa! > «

...

La guarda in straa . . . (gottina) . . .> .la fa ona ridadina, la ghe cantarellina su . . . la mett la cloche . . . el trench . . . ( piovisna) > (col didin) . . . . « . . .che te see denter! . . ven foeura l. » . . . at sotteram . . . la te porta, sotta, a ona sorta de depòset . . . « . . .Foeura . . . ven foeura, ch'el soo ben che te see denter! . . . » I catafalch di mort gh'è giò! ) > col triplice cachinno. La tua casa era un lampo visto dal treno. Curva sull'Arno come l'albero di Giuda che voleva proteggerla. Forse c'è ancora o non è che una rovina. Tutta piena, mi dicevi, di insetti, inabitabile. Altro comfort fa per noi ora, altro sconforto.

da DIARIO DEL '7 1 E DEL '72

L'arte povera La pittura da cavalletto costa sacrifizi a chi la fa ed è sempre un sovrappiù per chi la compra e non sa dove appenderla. Per qualche anno ho dipinto solo ròccoli con uccelli insaccati, su carta blu da zucchero o canneté da imballo . Vino e caffè, tracce di dentifricio se in fondo c'era un mare infiocchettabile, queste le tinte. Composi anche con cenere e con fondi di cappuccino a Sainte-Adresse là dove Jongkind trovò le sue gelide luci e il pacco fu protetto da cellofane e canfora

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Poeti italiani del Novecento

(con scarso esito). t la parte di me che riesce a sopravvivere del nulla ch'era in me, del tutto ch'eri tu, inconsapevole.

da QUADERNO DI QUATTRO ANNI

I miraggi Non sempre o quasi mai la nostra identità personale [ coincide col tempo misurabile dagli strumenti che abbiamo. La sala è grande, ha fregi e stucchi barocchi e la vetrata di fondo rivela un biondo parco di Stiria, con qualche nebbiolina che il sole dissolve. L'interno è puro Vermeer più piccolo e più vero del vero ma di uno smalto incorruttibile. A sinistra una bimba vestita da paggio tutta trine e ricami fino al ginocchio sta giocando col suo adorato scimmiotto. A destra la sorella di lei maggiore, Arabella, consulta una cartomante color di fumo che le svela il suo prossimo futuro. Sta per giungere l'uomo di nobile prosapia, l'invincibile eroe ch'ella attendeva. t questione di poco, di minuti, di attimi, presto si sentirà lo zoccollo dei suoi cavalli e poi qualcuno busserà alla porta ... ma qui il mio occhio si stanca e si distoglie dal buco della serratura. Ho visto già troppo e il nastro temporale si ravvolge in se stesso. Chi ha operato il miracolo è una spugna di birra, o tale parve, e il suo sodale è l'ultimo Cavaliere di grazia della Cristianità.

Eugenio Montale

ma ora se mi rileggo penso che solo l 'inidentità regge il mondo, lo crea e lo distrugge per poi rifarlo sempre più spettrale e inconoscibile. Resta lo spiraglio del quasi fotografico pittore ad ammonirci che se qualcosa fu non c'è distanza tra il millennio e l 'istante, tra chi apparve e non apparve, tra chi visse e chi non giunse al fuoco del suo cannocchiale. 'b poco e forse è tutto.

da QUADERNO DI TRADUZIONI

Canto di Simeone ( Eliot)

Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi e il sole d'inverno rade i colli nevicati : l'ostinata stagione si diffonde ... La mia vita leggera attende il vento di morte come piuma nel dorso della mano. La polvere del sole e il ricordo negli angoli attendono il vento che corre freddo alla terra deserta. Accordaci la pace. Molti anni camminai tra queste mura, serbai fede e digiuno, provvedetti ai poveri, ebbi e resi onori ed agi . Nessuno fu respinto alla mia porta. Chi penserà al mio tetto, dove vivranno i figli dei miei [ figli quando arriverà il giorno del dolore? Prenderanno il sentiero delle capre, la tana delle volpi fuggendo i volti ignoti e le spade straniere.

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Poeti italiani del Novecento

Prima che tempo sia di corde verghe e lamenti dacci la pace tua. Prima che sia la sosta nei monti desolati, prima che giunga l'ora di un materno dolore, in quest'età di nascita e di morte possa il Figliuolo, il Verbo non pronunciante ancora e [ impronunciato dar la consolazione d'Israele a un uomo che ha ottant'anni e che non ha domani. Secondo la promessa soffrirà chi Ti loda a ogni generazione, tra gloria e scherno, luce sopra luce, e la scala dei santi ascenderà. Non martirio per me - estasi di pensiero e di preghiera né la visione estrema. Concedimi la pace. ( Ed una spada passerà il tuo cuore, anche il tuo cuore. ) Sono stanco della mia vita e di quella di chi verrà. Muoio della mia morte e di quella di chi poi morrà. Fa' che il tuo servo partendo veda la tua salvezza.

Attilio Bertolucci

Attilio Bertolucci è nato a S. Lazzaro ( Parma) nel 19 1 1 da famiglia di borghesia agraria. Terminati gli studi medi a Parma, si è dapprima iscritto, senza risultati, alla Facoltà di Giurisprudenza, quindi a quella di Let­ tere di Bologna, legandosi, in un comune clima di di­ stanza verso l 'ermetismo, ad altri giovani letterati emi­ liani come G. Arcangeli e Bassani e subendo come loro l'impronta decisiva di R. Longhi . Dopo la laurea ha insegnato storia dell 'arte a Parma per molti anni , abi­ tando in un paese vicino (Baccanelli ) ; intanto collabo­ rava a riviste come « Letteratura », « Circoli », « Cor­ rente �> , e dal '39 dirigeva per l 'editore Guanda l'im­ portante collana di poeti stranieri « La Fenice » da lui fondata. Nel dopoguerra si è trasferito a Roma, svol­ gendo, accanto a una saltuaria attività di documenta­ rista ( il cinema è un suo intenso amore fin dalla giovi­ nezza, ed entrambi i figli sono diventati noti registi), una fitta opera di organizzatore culturale: collabora­ zione al Terzo programma della RAI, consulenza da Garzanti , redazione di riviste letterarie ( « Paragone », « L'Approdo letterario », « Nuovi Argomenti »), ecc . ; ora è fra l 'altro collaboratore del quotidiano « la Re­ pubblica ». Vive fra Roma, Tellaro ( La Spezia) e l'Ap­ pennino parmense. Dopo l a raccolta giovanile Siria, Parma, Minardi 1929, segnalata fra gli altri dal poeta A. Grande, Bertolucci si è dapprima affermato come lirico con Fuochi in novembre, ibid. 1934, favorevol­ mente accolto da Montale, Solmi, Gatto, poi definitiva­ mente con La capanna indiana, Firenze, Sansoni 1951 (2• ediz. accresciuta ibid. 1955 , 3• ediz. Milano, Gar-

Poeti italiani del Novecento

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zanti 197 3 ) , aperta da una scelta dei due libretti gio­ vanili, più generosa (specie per Sirio) nella silloge gar­ zantiana che ha i- caratteri di una più neutrale ricostru­ zione retrospettiva. Il secondo tempo di Bertolucci è rappre�e!l taro da Viaggio d'inverno, Milano, Garzanti 197 1, cui s'affiancano anticipazioni di un ampio testo in fieri, inerisca una tecnica spesso non rifinita, con evidenti cadute prosastiche e puntelli, quasi voluta-

Carlo Betocchi

,99

me11te approssimativa; vi si contrappongono talora, per compenso, veri e propri esercizi di bravura, al limite della saturazione manieristica ( come, per esempio, nel­ la serie Tetti toscani del '48-'54, in Tetti) , che sem­ brano rivelare nell'autore una sorta di complesso d'in­ feriorità tecnica verso quel fare « moderno >> dalle cui premesse ideologiche è per altro cosi distante. Ma in genere si può asserire che la formula del miglior Be­ tocchi è un accordo spontaneo fra un'idea della vita arcaica, assai più legata alla terra che alla storia, e una sensibilità sottile, affinata in senso moderno, che dosa - anche eticamente - asprezze e morbidità. Il merito maggiore di Betocchi sta però nell'aver saputo sviluppare gli elementi della propria poetica giovanile, minacciata dalla staticità dell'idillio, verso un discorso autobiografico spoglio e meditativo che tocca i momenti più intensi nell 'Estate di San Martino, ceno il capolavoro del poeta : la misura dei suoi testi più recenti è ormai quella diaristica da « taccuino del vec­ chio », nel segno di un'affettuosa e limpida saggezza, dove i dati un tempo oggettivi e immobili della realtà esterna vengono interiorizzati, e per cosl dire passati al rallentatore dell'esperienza individuale contemplata nel suo trascorrere. A questa evoluzione ha contribuito non poco il contemporaneo esercizio della prosa ( (( Oh, da vecchio, andarsene con i lunghi passi della prosa! » ) , dalle molte, purtroppo non ristampate, delle Notizie alle tre assai notevoli dell'Estate, cui sottostà un per­ sonale riecheggiamento della teoria leopardiana della prosa nutrice del verso.

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Poeti italiani del Novecento

da REALTA VINCE IL SOGNO

Dell'ombra Un giorno di primavera vidi l'ombra d'un'albatrella addormentata sulla brughiera come una timida agnella. Era lontano il suo cuore e stava sospeso nel cielo; nel mezzo del raggiante sole bruno, dentro un bruno velo. Ella si godeva il vento ; solitaria si rimuoveva per far quell'albero contento · di fiammelle, qua e là, ardeva. Non aveva fretta o pena ; altro che di sentir mattino, poi il suo meriggio, poi la sera con il suo fioco cammino. Fra tante ombre che vanno continuamente, all'ombra eterna, e copron la terra d'inganno adoravo quest'ombra ferma. Cosi , talvolta, tra noi scende questa mite apparenza, che giace, e sembra che si annoi nell'erba e nella pazienza.

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Carlo Betocchi

Piazza dei fanciulli la

sera

lo arrivai in una piazza colma di una cosa sovrana, una bellissima fontana e intorno un'allegria pazza. Stava tra verdi aiole; per viali di ghiaie fini giocondavano bei bambini e donne sedute al sole. Verde il labbro di pietra e il ridente labbro dell 'acqua fermo sulla riviera stracca, in puro cielo s'invetra. Tutto il resto è una bruna ombra, sotto le loggie invase dal cielo rosso, l 'alte case sui tetti attendon la luna. I vi sembrava l'uomo come una cosa troppo oscura, di cui i bambini hanno paura, belli gli chiedon perdono. da ALTRE POESI E

Un dolce pomeriggio d'inverno Un dolce pomeriggio d'inverno, dolce perché la luce non era più che una cosa immutabile, non alba né tramonto, i miei pensieri svanirono come molte farfalle, nei giardini pieni di rose

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Poeti italiani del Nol•ecento

che vivono di là, fuori del mondo. Come povere farfalle, come quelle semplici di primavera che sugli orti volano innumerevoli gialle e bianche, ecco se ne andavan via leggiere e belle, ecco inseguivano i miei occhi assorti , sempre più i n alto volavano mai stanche. Tutte le forme diventavan farfalle intanto, non c'era più una cosa ferma intorno a me, una tremolante luce d'un altro mondo i nvadeva quella valle dove io fuggivo, e con la sua voce eterna cantava l 'angelo che a Te mi conduce. da NOTIZIE

Rovine 1 945 Non è vero che hanno distrutto le case, non è vero : solo è vero in quel muro diruto l'avanzarsi del cielo . a ptene mam , a pteno petto, dove ignoti sognarono, o vivendo sognare credettero, quelli che son spariti . . . .

.

Ora spetta all'ombra spezzata il gioco d'altri tempi, sopra i muri , nell'alba assolata , imitarne gli incerti ... e nel vuoto, alla rondine che passa.

Carlo Betocch1

da TETTI TOSCANI

D'estate E cresce, anche per noi l'estate vanitosa, coi nostri verdissimi peccati ; ecco l'ospite secco del vento, che fa battibecco tra le foglie della magnolia; e suona la sua serena melodia, sulla prua d'ogni foglia, e va via e la foglia non stacca, e lascia l'albero verde, ma spacca il cuore dell'aria.

da L'ESTATE DI SAN MARTINO

Dai tetti h un mare fermo, rosso, . u n mare cotto, m u n mcrespatura di tegole. h un mare di pensieri. Arido mare. E mi basta vederlo tra le persiane appena schiuse: e sento che mi parla. Da una tegola all'altra, come da bocca a bocca, l 'acre '.

60)

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Pot'li ttaliani del Novectnto

discorso fulmina il mio cuore. Il suo muto discorso : quel suo esistere anonimo. Quel provocarmi verso la molteplice essenza del dolore : dell'unico dolore : immerso nel sapore, unico anch'esso, del cielo. E vi posa ora una luce come di colomba, quieta, che vi si spiuma : ed ora l'ira sterminata, la vampa che rimbalza d'embrice in embrice. E sempre la stessa risposta, da mille bocche d'ombra. - Siamo - dicono al cielo i tetti la tua infima progenie. Copriamo la custodita messe ai tuoi granai . O come divino spazia su di noi il tuo occhio, dal senso inafferrabile.

[ Guarda questi begli anemoni . ] .

Guarda questi begli anemoni colti l'altra sera ai colli di Settignano, alcuni viola, altri più chiari ; erano mezzi moribondi, cosl sepolti quasi, fra le tue mani , quasi emigrati di là, tra le cose che si ricordano, e invece, vediti, come pian piano si son ripresi, nell'acqua; esaltati da una mite speranza di rivivere si ricolorano su dal corrotto gambo che la tua forbice recise; fan come noi, si parlano nel folto

.

Carlo 8etocchi

della lor famigliola, e paion dire molto del breve tempo, molto, molto.

[ Il tempo ci rapisce, e il cielo è solo ] Il tempo ci rapisce, e il cielo è solo anche di queste rondini che il volo intrecciano, pericolosamente, come chi va cercando nella mente qualche nome perduto . . . e il ritrovarlo nemmeno conta , poiché ormai è già sera. Eh sl ! s'invecchia, e ritorna più vera la vita che già fu , rosa da un tarlo . . . un tarlo che la monda . E vien la sera . E i pensieri s'intrecciano, e le rondini . E non siamo più noi ; siamo i profondi cieli dell'esistenza, ahi come intera e profondissima, cupa, nel suo indaco.

da UN PASSO,

UN

ALTRO PASSO

[ Non sei contento del possesso dei giorni? ] Non sei contento del possesso dei giorni? Temi di perderlo? Credi d'esser da più di ciò che sempre muta e viene disfatto? Non ti basta quel po ' di sole che ancora investe il tuo corpo che invecchia? Guarda, stamani disfano il tetto della casa di fronte. Mettono a nudo i correnti, ch'erano marci. Li mutano. E intanto ripiove. Lesti li ricoprono,

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Poeli ilaliani del Nuvecenln

con le tegole vecchie. E i coppi restano, a mucchi, sul colmigno. E subito il sole che torna luccica sulle tegole ignude, e tu ti senti in cuore un di più che ti strugge - vergognati - d'amore per te, mentre in cielo rulla un tamburo lontanissimo, azzurro, per la tua libertà , che è un grido che vola.

da ULTIMISSIME

[Fraterno tetto . . ] .

Fraterno tetto; cruda città ; clamore e strazio quotidiano; o schiaffeggiante vita, vita e tormento alla mia anziana età : guardatemi ! sono il più càduco, tra voi ; un rudere pieno di colpe sono ... ma un segno che qualcosa non tramonta col mio tramonto: resiste la mia pazienza, è come un orizzonte inconsumabile, come un curvo pianeta è la mia anima

Alfonso Gatto

Alfonso Gatto è nato a Salerno nel 1 909 da famiglia d'origine calabrese e legata alla vita di mare; si iscrive all'Università di Napoli, ma poi l'abbandona per fare varii mestieri (commesso di libreria, insegnante, gior­ nalista . . . ) , spostandosi fra le principali città italiane. Nel 1933 è a Milano, dove condivide l'importante esperienza culturale e figurativa di G. Persico e del suo gruppo e subisce (nel '36) sei mesi di carcere per anti­ fascismo; trasferitosi a Firenze, vi fonda nel '38 e diri­ ge, con Pratolini, la notevole rivista di secessione erme­ tica « Campo di Marte » ( vedine l'antologia a cura di R. Jacobbi, Firenze, Vallecchi 1 968) . Intanto ha pu� blicato i primi due libri di poesia, accolti con favore dalla critica militante (a cominciare da Penna e Mon­ tale ; spiccano gli interventi di G. Ferrata), e svolge intensa opera di critico letterario e anche figurativo (su Rosai, Guidi, Broggini ecc.) . Dal 1941 è professore di Letteratura italiana al Liceo artistico di Bologna ; dal '43 partecipa alla Resistenza dalle posizioni del PCI , alla cui stampa collabora poi fittamente fino al distacco dal Partito nel '5 1 . Dagli anni cinquanta alla morte, avvenuta in un incidente stradale nel 1 976, Gat­ to ha abitato prevalentemente a Roma, vivendo del mestiere di giornalista e di operatore culturale ed esercitando con pregevoli risultati la pittura. L'esordio poetico di Gatto si ha nel 1 932 con Isola, Napoli, Edi­ zioni Libreria del 900, seguita da Morto ai paesi, M� dena, Guanda 1 937 ; le due raccolte confluiscono con nuovi testi in Poesie, Milano, Edizioni di « Panora­ ma » 1939 , riedite con aggiunte a Firenze, Vallecchi

Po�11 italiani del Novecento

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nel 1 94 1 e '43 , quindi definitivamente a Milano, Mon­ dadori nel 1 96 1 ( fitto, come per tutta la produzione successiva, il. lavorio delle varianti ) . Durante la guerra r il dopoguerra Gatto pubblica L'allodola, Milano, Schei­ willer 1 943 ; Amore della vita, ivi, Rosa e Ballo 1944 ; Il capo sulla neve, ivi, Milano-sera editrice 1 949 ; Nuo­ ve poesie, ivi, Mondadori 1 950. S'aggiungano le poe­ sie per bambini de Il sigaro di fuoco, ivi, Bompiani 1945 (e poi de Il vaporetto, ivi, Nuova Accademia 1963 ) le prose de La sposa bambina, Firenze, Vallec­ chi 1 94 3 e 1 9642, e de La coda di paglia, Milano, Mi­ lano-sera editrice 1 949, e l 'esperimento teatrale Il duel­ lo , ivi , Rosa e Ballo 1 944 ; più tardi ( ivi, Mondadori 1962 ) escono le prose saggistico-memoriali d'argo­ mento (( meridionalistico )) di Carlomagno nella grot­ ta. Con la esclusione delle infantili, le liriche venute dopo Poesie sono ora comprese per massima parte in una serie di volumi mondadoriani , messi insieme se­ condo criteri parte cronologici parte tematici e giustap­ ponendo se del caso parti di vecchi volumi e cose più recenti (v. le varie Note finali dell'autore, in partico­ lare per la Storia delle vittime: due sezioni che ri­ prendono con lo stesso titolo le raccolte Amore della vita e Il capo sulla neve, una terza che unisce testi del '43-'44 e del '64-'65 e infine l'eponima con testi del '63-'65 ). Sono : Poesie d'amore ( 1 94 1 - 1 949/ 1 960- 1972), uscite nel '73 ; La storia delle vittime. Poesie della Resistenza, del '66 ; La forza degli occhi ( 1953-54), del '54 (e 1 9672 ) ; Osteria flegrea ( 1 954-6 1 ), del '62 (e 19702 ) ; Rime di viaggio per la terra dipinta ( 196869 ), del '69, legate all'attività pittorica del poeta; po­ stume sono uscite Desinenze, a c. di R. Jacobbi e P. M. Minucci, ibid. 1 977. Nel '72 l'autore aveva cu­ rato per lo stesso editore una scelta, Poesie ( 1 9291 969 ) , con ottima introduzione di L. Baldacci. Ancora chiaramente legata a esperienze precedenti, se non altro per la oltranzosa compresenza post-vociana ,

Alforuo GilliO

di liriche e prose poetiche, I sola è il testo decisivo - con le due prime raccolte di Quasimodo - per la costituzione di una grammatica ermetica, quale verrà poi sviluppata in particolare da Luzi e dagli altri fio­ renti ni e definita da Gatto stesso come ricerca di « as­ solutezza naturale � . Linguaggio rarefatto e a-temporale, allusivo (ma con improvvisi grumi di vissuto), confor­ me a una poetica deli'« assenza » e dello spazio vuoto visitato da epifanie e precipitazioni del ricordo, che in Gatto, meridionale sradicato come Quasimodo, è anche reale distanza dal mondo dell 'infanzia e giovinezza, rievocato miticamente o in una sorta di impressionismo memoriale. Più che di esasperazione intellet tuale del­ la sensualità � ( Montale) si può parlare per il primo Gatto di un impasto singolare di retorica, maniera e freschezza immediata, disposta a tutto risolvere in co­ lore e canto e talora deliberatamente naive (ciò che più tardi porterà per esempio il poeta a riprendersi a un Govoni o a un Palazzeschi ) : un impasto dove però gli elementi appaiono sempre separabili, e la « bravura » è così scoperta da poter essere grattata via senza danno. Non specifica di questa poesia ma in essa portata al­ l'estremo è la congiunzione, o attrito, di due vene. L'una, poggiante su una fortissima e mai più abbando­ nata base pascoliana, di impressionismo anche facile e di abbandono a una dolcezza melica e a una cantabi­ lità che più che il Gaeta ricordato da alcuni sembrano richiamare il pure conterraneo Di Giacomo (e Gatto, lo si dica con una punta di dispiacere, era in potenza un grande lirico dialettale ) . L'altra affidata, non senza forzature e astuzie, all'analogismo più dissoluto e alo­ gico che, sebbene con minor motivazione culturale che in de Libero o nel primo Luzi , conduce a esiti vistosa­ mente surrealistici : e sia pure al « surrealismo d'idil­ lio » fissato per lui acutamente da Ferrata. Punto d'in­ contro e di sutura fra queste diverse pulsioni formali appaiono l'uso delle rime in quanto (come ha ben visto «

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Baldacci) creatore esso stesso del gioco delle analogie - che dunque sono analogie più d'ordine fonico che semantico -; e la sistematica asincronia, con en;ambe­ ments gettati anche da strofa a strofa, tra la regolarità delle parti tu re metriche (tipicamente il sonetto o sue varianti) e la durata della frase sintattica e musicale, sicché quegli scherni metrici , e lo stesso ben modulato endecasillabo, funzionano non tanto da coibente quan­ to da punto di fuga o elastica superficie di lancio della serie delle immagini . A una simile poetica immane, ancor più che un necessario frammentismo e la presenza di vistosi squi­ libri tecnici , una sorta di incompiutezza formale e fan­ tastica, quasi che la produzione a getto continuo di segni analogici e la sfrenatezza immaginativa inseguis­ sero un senso che non sono in grado di afferrare com­ piutamente, fornendone in serie equivalenti ,. im­ pressivi e suggestivi (già Ferrata parlava di poesia « che si gira intorno, talvolta » ) Tutto questo può anche spie­ gare la tendenziale risoluzione nel romanzo lirico che Gatto ha cercato nel dopoguerra, nonché tradurre in altri termini l 'affettuosa formula che oggi propone Pratolini : indecifrabilità coatta perché supremamen­ te libertaria d'un trobadore del Novecento ». Le pre­ messe di I sola sono sviluppate in Morto ai paesi, libro centrale dell 'esperienza ermetica, con applicazione più radicale dell 'allusione suggestiva e della compenetra­ zione analogica anche alla sintassi (uso abnorme dei nessi prepositivi, inedite costruzioni verbali ecc. ) ; ma già nelle due ultime parti di Poesie, La memoria felice (titolo emblematico) e soprattutto l'ottima serie di Arie e ricordi, la voce si distende in un recitativo più tran­ quillo, ad evidente anticipo degli sviluppi successivi di Gatto, che tocca nella seconda alcuni dei suoi risultati migliori , di grande naturalezza (ad esempio nel felicis­ simo attacco di Un'alba). � di questa fase una prima presa di distanza dalle posizioni dell'ermetismo più , « le molli sfioro l catastrofi di nubi )>, « arde il chiaro l deliquio delle rose )> ; o anche la squisitezza di « il mallo vergine l della capigliatura )>, e simili ) . Lo stesso lessico, che nelle sue punte esposte si vorrebbe definire non tanto arcaico quanto anticheggiante ( « carnee nubi », « l'Ad­ da riccio/uta di spume )>, « il biondo ploro l autunna­ le », « esistenza . . . arroseata l di sangue », ecc. ) , ha questo carattere di elegante riflessività. C'è già la premessa del Solmi che, all'altezza di Levania e Dal balcone, trasferirà euristicamente nella poesia, in par­ ticolare, l'interesse per il mondo della fantascienza, e affiderà sempre più i consuntivi della sua vita all'obli-

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quità dell'allegorismo (Levania, Lamento del vecchio astronauta ecc.). t in causa l'atteggiamento stesso del­ lo scrittore verso il mondo: un'inquieta e quasi dolo­ rosa curiosità per le « calde cose » che gli si avvicinano e gli sfuggono ( « Bellezza un poco cruda, non mia for­ se, l e troppo mia )) ) , acuita ma insieme sempre scher­ mata da un diaframma intellettuale ( il « vago scher­ mo » di cui Solmi stesso ha parlato di fronte alla « colo­ rita l esistenza terrestre, a cui s'affaccia l di soppiatto, fugace testimone »), quando non divenga consapevole gioco ai margini del nulla: « ridente nulla che in sil­ labe esprimo ». Più precisamente, è in causa il ruolo in definitiva lievemente decentrato che ha in Solmi l'eser­ cizio poetico, piuttosto accompagnamento che precorri­ mento delle conquiste mentali raggiunte per altra via. da RITORNO IN CIITA

Canto di donna Canto di donna che si sa non vista dietro le chiuse imposte, voce roca, di languenti abbandoni e d'improvvisi brividi scorsa, di vuote parole fatta, ch'io non discerno. O voce assorta, procellosa e dolce, folta di sogni, quale rapiva i marinai in mezzo al mare, un tempo, canto di sirena. Voce del desiderio, che non sa se vuole o teme, ed altra non ridice cosa che sé, che il suo buio, tremante amore. Come te l'accesa carne parla talora, e ascolta sé stupefatta esistere. 1926

Ser&io Solml

Sera sull'Adda . . . E l'Adda riccioluta di spume, carica di case attonite, di bianchi ponti nel gonfio lume di luna : dall'erma pergola i fiati della notte, i baci, il vino, le liete parole. Se un giorno di qui lontano errerò (stella bianca che a tratti ardi e ti spegni laggiù) , s'altra in questo impensabile universo avrò stanza, sovente mi piacerà evocarti, bel pianeta terrestre, adornato di dolci fiumi , di morbide erbe e notti ravvolto, stillante amore : e questa tregua alta d'estate, infinito momento, spiri intermessi di brezze, liete parole, vino. 1937

da QUADERNO DI MARIO ROSSEITI

Aprile a San Vittore Grazie sien rese ai ciechi iddii ridenti , che il poeta trassero di morte e dalla nera muda al gaio giorno del camerone dove cantano i giovinetti partigiani. Aprile dolce dormire, s'anche aspra s'ingorga nelle bocche di lupo la sirena, passa la conta, o sparano i tedeschi sulle mura. Reclino

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sul gomito piegato il mallo vergine della capigliatura, dentro il sonno fiducioso calati come in grembo della madre al lomano tempo dell'altra vita, oggi vi guardo, miei quasi figli , fatti miei fratelli da antica giovinezza che m'ha gonfio il cuore all'improvviso, poi che il raggio di miele della primavera cola tra le sbarre, sull'impiantito stampa riquadri luminosi , ed alle nostre gracili vite a oscuro esi to offerte misura a lento passo eguale giorno. 1945

Giardino L'iridato getto che il vento obliqua e sfrangia, vela per un istante il paesaggio, lo appanna come una memoria. Poi di colpo s'imprimono nella stillante aria il fico, il nespolo del Giappone, arde il chiaro deliquio delle rose. A sommo del muro gli archi del loggiato, le persiane verdi e nere s'inseguono, più su la fuga ilare dei meli scende a picco, scendono monti e ombre di monti. Bellezza un poco cruda, non mia forse, e troppo mia, come una spada lampeggiante un giorno mi feristi nel sonno adolescente, dentro t'ebbi a non farmi più dormire. 1946

Sergio So/mi

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da DAL BALCONE

Entro la densa lente dell'estate Entro la densa lente dell'estate, nel mattino disteso che già squarciano lunghi, assonnati e sviscerati i gridi degli ambulanti, - oh, i bei colori ! Giallo di peperoni, oscure melanzane, insalate svarianti dal più tenero verde all'azzurro, rosee carote . . . e vesti accese delle donne, e muri scabri e preziosi , gonfi ippocastani, acque d 'argento e di mercurio, e in alto il cielo caldo e puro e torreggiante di tondi cirri , o bel compatto mondo. Lieto ne testimonia, sul pianeta Terra, nella città Milano, mentre vaga, di sé dimentico e di tutto, lungo le calme vie che si ridestano, - oggi , addl ventisette Luglio mille novecento cinquanta - un milanese. 1 950

Levania Quinquaginta milibus miliorum Germanicorum in aeteris profundo sila est Levania inrula. Johannis Kepleri Somnium reu de Astronomia Lunflri ( 1634)

...Forse a Levania approdai nella sepolta esistenza anteriore, ed era il cono dell'eclissi che l'algida schiudeva nera via degli spiriti. Gli unguenti

l'ueti italiani del Novecenll

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di Fiolxhilda, la spugna infusa d'acqua sotto le nari, l 'affannoso, morbido rotolare nel sogno, il cauto scendere nelle segrete caverne l'orrendo vindice raggio a sfuggire, ritrovo oscuramente. E fu per questo, forse, che mai la fida lucerna, o l 'esangue sposa d'Endimione in essa vidi , né la solinga cacciatrice, quando la miravo fanciullo tra le case sgorgare in bianca vampa, alta fra i segni ascendere del cielo. Ma la rupe nell'inaccesso etere scagliata, l'isola estrema, sentinella insonne protesa ai flutti interminati. E l 'ansia mi sommuoveva il cuore di raggiungerla - ippogrifo, proiettile, astronave ­ d'attingere al silenzio del suo lume . . . . Era il confine, il mondo di lava e roccia , il minerale cieco, il punto fermo apposto alla insensata fantasia delle forme. Era Io zero che ogni calcolo spiega, era il concreto, bianco, forato, calcinato fondo dell'essere. E sovente dai supremi bastioni di Levania il verdeggiante pianeta ho contemplato, l'ombra vaga di oceani e di foreste, della vita impetuosa e fuggevole le polle iridescenti - risalendo l'orlo dei suoi convulsi crateri , vagando lungo la sponda dei suoi mari morti. 1954

Sergio So/mi

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Una volta Eravamo sulla collina di Bergamo, dentro l'erba alta, io te i bimbi. Volgeva su noi, tra pioggia e schiarita, la vaga ruota dei raggi annera ti : per l 'aria tremula si sfaceva il paesaggio in delizia. Eravamo alla punta della vita (quella che più non torna, più non torna) , attraversati di luce, sospesi in un mondo esitante, ombre gentili assunte in un deliquescente eliso. 1956

da LA ROSA GELATA

L'ultimo angelo Fanno, inoltre, degli Angeli, i quali sono servi del Misericordioso, delle femmine. Furono essi presenti alla loro creazione? Corano, Sura xuu

Di notte, sulla prim'alba, ad diluculum, al sole di mezzogiorno, al crepuscolo, ad occhi aperti, ad occhi socchiusi, in sogno o in veglia, Angelo biondo, Angelo bianco, ti parlo, ti straparlo, la faccia nascondo fra le tue ginocchia, che avvinghio perdutamente. Di notte,

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quando l'ultimo sole non è più che un barlume, le stelle una per una si accendono, tu scendi, e al riparo delle tue grandi ali di tenebra, in avanti ripiegate, sul tuo grembo reclino il capo, o tu il più dolce, il più soave degli Angeli, Angelo Nero. 1972

da QUADERNO DI TRADUZIONI

Canti ( Benn) l

Fossimo i nostri pro-progenitori : un grumo di muco in una calda palude. Vita e morte fluirebbero, germe e nascita, via con le nostre linfe mute. Fossimo uno stelo d'alga, un dorso sabbioso che il vento sforma ma è greve di sotto. Testa di libellula, ala di gabbiano, già troppo avanti sarebbero, soffrirebbero troppo. Il

Spregevoli sono gli amanti, i beffatori - tutti disperazione, brama - e i fiduciosi : noi, sofferenti ed impestati dèi, e tuttavia spesso del dio pensosi. La molle baia. I boschivi sogni oscuri, le stelle, enormi palle-di-neve in fiore. Tacite fra le piante balzano le pantere. t tutto riva. Eterno chiama il mare.

Giacomo Noventa

Giacomo Noventa (G. Ca' Zorzi) nacque a Noventa di Piave (Venezia) nel 1 898. Dopo aver partecipato come volontario alla prima guerra mondiale, studia a Tori­ no, leggendo Croce e Gentile, ma anche i classici del marxismo e i pensatori cattolico-reazionari, e si laurea nel '23 con Solari in Filosofia del diritto; a Torino ade­ risce al Partito socialdemocratico e si lega particolar­ mente al gruppo di Gobetti e di « Rivoluzione libe­ rale ». Tra il '25 e il '35 vive lungamente e studia all'estero, soprattutto a Parigi, frequentandovi i Ros­ selli e altri esuli antifascisti. Rientrato in I talia nel '35, è arrestato e incarcerato dal regime, e interdetto in Piemonte. A Firenze, dove si è trasferito, fonda nel 1936 con G. Carocci la rivista « La Riforma lettera­ ria », che redige in gran parte personalmente, impron­ tandola di una singolarissima sintesi di cattolicesimo, hberalismo e socialismo, in polemica filosoficamente col dominante idealismo, letterariamente con la linea poetica culminante nell'ermetismo ; profondo, quasi ca­ rismatico il suo influsso su un gruppo di giovani intd­ lettuali fiorentini, fra cui F. Fortini e G. Pampaloni. Nel '39 i fascisti sopprimono la rivista e proibiscono a Noventa di vivere in città universitarie. Dopo la guerra egli continua la sua azione politico-culturale, da posi­ zioni minoritarie, fondando a Venezia « La Gazzet ta del Nord », a Torino « Il Socialismo moderno ,. e « Il Giornale dei Socialisti », e collaborando a fogli come « Mondo nuovo » e « L'Italia socialista ». Muore a Mi­ lano nel 1 960. Le sue poesie, dapprima comunicate oralmente o epistolarmente ad amici, poi pubblicate alla spicciolata sulla « Riforma letteraria » e altri gior-

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nali e riviste, sono uscite in volume solo nel 1956 a Mi­ lano per le Edizioni di o altrove, e raccolti tardi in volume, si segna­ lano : Il vescovo di Prato, Milano, Il Saggiatore 1958; Nulla di nuovo, ibid. 1960 ; I calzoni di Beethoven, ibid. 1965 ; Tre parole sulla Resistenza, i vi, Scheiwiller 1965 (Firenze, Vallecchi 197 32, con importante prefa­ zione di A. Del Noce) ; Caffè Greco, Firenze, Vallecchi 1969 ; Storia di un'eresia, Milano, Rusconi 1973 . Per la posizione letteraria e ideologica non solo isolata ma controcorrente del suo autore, la poesia di Noventa non ha trovato grazia presso la critica ufficiale più legata alla « lirica nuova )> . Compensano questo silenzio, in anni vicini, soprattutto gli interventi di critici-scrittori della statura di Fortini, di Debenedetti, di Zanzotto (in (( Comunità », 1 30, giugno-luglio 1975) non sen­ za rischi però di sovrapposizione della personalità de­ gli interpreti a quella dell'interpretato. Scarsa anche l'udienza presso la migliore lirica successiva : anche laddove egli è presente, come in Fortini o ultimamente nello Stròlegh di Loi , lo è piuttosto come maestro mo­ rale che di stile. L'adesione di Noventa al dialetto (scarse le liriche in italiano, mentre una è in un tedesco goethiano) non è soltanto del tutto riflessa, ma anche estremamente complessa nelle sue motivazioni. Per un verso il ve­ neto è anche per Noventa, come ha chiarito soprattutto Zanzotto, Ursprache, lingua del ritorno alle origmi e del regresso alla madre, « nei momenti che 'l cuor ... -

Giacomo Noventa

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se rompe >> ; ed è Io strumento che meglio garantisce alla poesia il suo carattere « orale » , per la reci tazione e la declamazione - il quale presuppone non, come nei « moderni », una società letteraria, ma un sodalizio ( i modi della prima diffusione delle liriche noventiane sono ben più che un aneddoto ) : che anzi , più profonda­ mente ancora, riduce il rischio per Noventa mortale del passaggio dal pensiero pensato a quello espresso o, peggio, scritto ( « scrivere è decadere » ; « Ogni ùn che se esprime se perde » ) . Sicché la poesia si colloca in un luogo intermedio, fluttuante, fra culto dell 'ineffabi­ lità del pensiero e volontà magistrale di affabulazione. Ma per altro verso il dialetto, ben altrimenti che es­ sere il terreno vergine di trapianto di una cultura poe­ tica e guardo lei che raggia [ tenerezza verso di me dal biondo del suo sguardo fluido e arguto e un poco mi compiange, credo, d'essere sotto quelle [grinfie.

ti spia un volto arguto di sorella non carnale, non momentaneo, perpetuo come la vita. « Ma dove? >> le ridono da sotto le bande dei capelli le punte d'ossidiana di due pupille giovani più adulte e meno di te, due fuochi impercettibilmente strabici, due anime del mondo in guerra tra loro, tra loro in armonia. *

Dopo la pioggia} alla prima schiarita gli alfieri} le dame} i figuranti} la città sfavillante da tutte le sue squame mentre lei senza memoria né canto cancella il mio nome dai presenti} dispone per il mio bagaglio con cenni di ben conosciuta lontananza. Né io la saluto più di tanto o le cerco in viso il passato

Mario Luzi

di questo stesso momento, meno ancora . la folgore ab antiquo del mutuo conoscimento, pago e parto. *

Possono i professori d'ortodossia di Pilsen e le comari-bene loro consorti decidere qual era il giusto comportamento, giudicare l 'uomo, ucciderlo nel cuore degli altri, placidi, senza timore di vendetta o di altro nocumento, con i piedi sulla maiolica della stufa del soggiorno nei rigori del freddo venuto presto, venuto di agosto. Possono tranquillamente farlo mentre lui sbalzato di colpo nel silenzio del dopo si tortura e strofina la sua mente contro l 'inciampo, incredulo, ripassando le fila del buon lavoro fat to se per caso non è altro, la matassa di un equivoco . .. incredulo, non sa bene se da sveglio o sotto l'azione di un narcotico tenuto in serbo dalla storia per ogni suo bisogno. Suo [ soltanto. *

Non dico lfl certezza del principio, umbratile, sl e no posseduta ma durevole, durevole sempre non dico questo ma quando una lunga età si smarrisce nell'assenza di un fine visibile e tu stesso - parte insicura di lei - ti aggiri stordito dall a sua frondosità superflua

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frugando, rovistando, decidendo il da farsi su strani oroscopi e umiliato nella tua forza inespressa ancora ti logori, «

O non sei tu, invece, che manchi di metterei amore quasi uno, avverso, te ne avesse ritirato la grazia? » suona forte una voce non straniera per quanto sciabordita dal mare grosso che le è dietro e dentro - una voce alta di nocchiero, diresti , entrata di soppiatto qui nella stanza. E ti rimanda le turbe, come allora in Galilea, di Benarl!s [e di Sarnath, oceano umano in via d'estinzione putrefatto dall'inedia dove in giorni di caligine [o forse poltiglia si schiude il seme azzurro dell'anno.

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Inatteso, ma solo in superficie inatteso il nuovo giorno, il giorno di festa >> è questo che desidera dirmi il passo martellato per primo sull 'incudine dell'alba più solare d'ogni altra, lascia credere, più solare, assicura quella insistente squilla udita [ fluttuando nell'acqua dal colore indeciso del mio risveglio ad Agra. O a che altro mi chiama? sussulto trepidando nel risucchio doloroso di quel lampo di letizia, lo stesso inghiottito dall'oscuro e dall'oscuro [ riemergente, lo stesso sempre, oppure un altro, mi chiedo, mentre un po' lo ravviso e un po' lo perdo

Mario Luz1

da roccia a roccia d'un passato senza fine rimbalzando. l'uomo dall'incarnato di bambino [ E penso 0 il manichino terreo un po' sventolato dai suoi cenci che avviva il fuoco dell'incognita - fiammata colore di spatolia, direi nel dormiveglia - e che moltiplica il già fin troppo brulicante della maia passando in fretta. *

Il dissimile, il diverso in tutto da me - ne hai fatto esperienza » piagnucola talvolta nel sonno la parte bambina dell'anima, la parte cucciola come offesa da un tradimento, e si oscura sentendosi cercata ancora « ma non per forza d 'operante amore - si [ rammarica per custodirne insieme il ricordo, la fredda estasi » . di quella cultura, e il proprio stesso fondo vitale , 1 5 , ottobre-dicembre 1975 ). Al contrario di quanto farebbe pensare la sua appa­ rente natura di poeta nativo e d'istinto, Caproni cresci/ eundo, con una lenta maturazione e attraverso uno svi­ luppo interno assai complesso e stratificato. All'inizio la sua cultura poetica è fortemente pre-ermetica, retro­ cedendo fino a Carducci e acquisendo, delle esperienze più recenti, soprattutto il realismo musicale di Saba e Be tocchi : tanto più vi fa spicco e quasi violenza certo capzioso preziosismo lessicale, specie nell'uso alla Gat­ to dei verbi ( « S'illuminano come esclamate ... le chiare donne . . . », ) e « popolare ». Conforme a una poetica anti-novecentesca della gra­ zia e della sorgività , per Caproni in principio è la rima (o l'assonanza e consonanza ) , in cui sono volutamente privilegiati gli accostamenti più « facili » sl ( « la rima in cuore e amore >) ) , ma anche tali da produrre corti circuiti epigrammatici ( tipo fiele: miele e simili ) . Un esempio giovanile, ) ( da Alba, in Come un'allegoria) , mostra bene come sia l 'accordo fonico a creare, quasi per gem ma­ zione spontanea, il gioco delle immagini e dei signifi­ cati ; ma anche come all'apparente melodismo popolare sottostia l 'ossatura di un'indole seccamente intellettua­ le, di drastico semplificatore della realtà. Ed è proprio il gioco insistito delle rime e degli espedienti formali tradizionali a suggerire fortemente, sottolineando il ca­ rattere di artificio del fare poetico, quel sentimento della poesia come inganno e illusione che è uno degli aspetti più sottili e inquietanti di Caproni (egli ne è ben consapevole, cfr. Il « Terzo libro » p . 27 : « E tu . . . inventa l'erba l facile delle parole - fai un'acerba l serra di delicato inganno >) ) , e che è tanto più pungente quanto più il poeta aspirerebbe, all'inverso, all'identità fra poesia e vita : paradigmatico Per lei, nel Seme. Da

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un altro punto di vista, l'ostentata lievità della musica e della finzione sembra voler correggere o meglio di­ strarre il profondo, lacerante patetismo di cui s'investe per Caproni l'esistenza ; quel patetismo che gli detta i memorabili avvii esclamativi ed interrogativi su cui già si soffermò Pasolini (ad esempio, nel Terzo libro : ) : la fedeltà ai luoghi è anzi­ tutto fedeltà ai morti, a una sotterranea osmosi di vivi e morti in cui ciò che vive rivela, assieme alla sua immedicabile friabilità, anche la sua verità ultima. Il Diario d'Algeria è insieme punto d'arrivo e supe­ ramento dell'ermetismo nel senso che la tematica basi­ lare deli'« assenza » qui si invera come assenza da una precisa realtà storica, con la quale tuttavia è indispen-

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sabile misurarsi. Costruito secondo uno schema espli­ citamente diaristico ( tanto che nell'ultima parte ai versi s'intercalano le prose di memoria) , e non senza richiami strutturali all'altro grande diario di guerra, l'Allegria ungarettiana, il libro è tanto più la viva testimonianza di una generazione e di un'epoca quanto più è esclu­ sivamente ripiegato a registrare pulsazioni e scacchi dell'individuo alienato da una guerra insensata e dalla cattività : vicenda esemplare, che oscilla fra il referto di un'esperienza ben reale e storica e l'allegoria della vita intesa come transito e prigionia - centrata sulle due figure emblematiche del protagonista quale « viandante stupefatto )) (prima e terza parte) e prigioniero (secon­ da ) - e sulla cui parete bianca si proiettano le ombre dei personaggi, più apparizioni e fantasmi che esseri reali, che l'hanno attraversata come in un sogno. La forza di persuasione della scarna sezione centrale ed eponima ( la più alta) del Diario sta nella profondità con cui Se­ reni ha scandagliato nella condizione psicologica della prigionia, guidato da un'intuizione centrale : che l 'osti­ nata illusione con cui il prigioniero, morto che non sa di esserlo, tenta di risuscitare o piuttosto « ripetere )) la vera vita, si rovescia necessariamente nel disdegnoso gusto con cui egli infine accetta la prigionia come unica dimensione reale, negatività ed estraniazione assolute ma a loro modo autosufficienti e perfette ( « Ora ogni fronda è muta l compatto il guscio d 'oblio l perfetto il cerchio » , e il finale di Non sa più nulla) ; al punto che la prigionia diviene, come nel potente finale di Spesso per viottoli tortuosi, l'orizzonte che delimita sogni e memoria stessi del prigioniero. Nel « terzo tempo )) di Sereni, che tende ormai alla grande angolatura del romanzo lirico, le vicende e la psicologia private sono sempre confrontate, con un continuo spostarsi del fuoco dal primo piano allo sfon­ do e viceversa (e una delle ragioni del sottile fascino narrativo degli Strumenti umani è proprio nella mobi

Viuorio s�reni

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lità cinematografica di ambienti e fondali ) , alle grandi vicende della storia successiva alla fine della guerra. Ha scritto giustamente Crovi che Sereni « è il poeta che . . . ha meglio interpretato il passaggio, in I talia, da una civiltà di opzioni individuali a una civiltà di con­ fii tti collettivi, da una cultura preindustriale a una cultura di massa, da un decoro provinciale piccolo bor­ ghese a una tensione problematica di crisi e rinnova­ mento antropologico ». Ma il rapporto fra l 'uomo Se­ reni e questa nuova storia è ancora una volta di estra­ neità ( Mi prende sottobraccio. « Non è vero che è rara, - mi correggo - c'è, la si porta come una ferita per le strade abbaglianti. � quest'ora di settembre in me repressa -

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Vittorio Sereni

per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo celava sotto i panni e il fianco gli straziava, un'arma che si reca con abuso, .fuori dal breve sogno di una vacanza. Potrei con questa uccidere, con la sola gioia . » . .

Ma dove sei, dove ti sei mai persa? «

� a questo che penso se qualcuno

mi parla di rivoluzione » dico alla vetrina ritornata deserta.

Intervista a un suicida L'anima, quello che diciamo l 'anima e non è che una fitta di rimorso, lenta deplorazione sull'ombra dell'addio mi rimbrottò dall'argine. Ero, come sempre, in ritardo e il funerale a mezza strada, la sua furia nera ben dentro il cuore del paese. Il posto : quello, non cambiato - con memoria di grilli e rane, di acquitrino e selva di campane sfatte ora in polvere, in secco fango, ricettacolo di spettri di treni in manovra il pubblico macello discosto dal paese di quel tanto . . . I n che rapporto con l'eterno? Mi volsi per chiederlo alla detta anima, cosiddetta. I mmobile, uniforme rispose per lei ( per me) una siepe di fuoco crepitante lieve, come di vetro liquido

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indolore con dolore. Gettai nel riverbero il mio perché l'hai fatto? Ma non svettarono voci lingueggianti in fiamma, non la storia d'un uomo: simulacri, e nemmeno, figure della vita.

La porta carraia, e là di colpo nasce la cosa atroce, la carretta degli arsi da lanciafiamme . . . rinvenni, pare, anni dopo nel grigiore di qui tra cassette di gerani, polvere o fango dove tutto sbiadiva, anche - potrei giurarlo, sorrideva nel fuoco anche . . . e parlando ornato : « mia donna venne a me di Val di Pado » sicché (non quaglia con me - ripetendomi non quagliano acque lacustri e commoventi pioppi non papaveri e fiori di brughiera) ebbi un cane, anche troppo mi ci ero affezionato, tanto da distinguere tra i colpi del qui vicino mattatoio il colpo che me lo aveva finito. In quanto all'ammanco di cui facevano discorsi sul sasso o altrove puoi scriver/o, come vuoi: -

NON NELLE CASSE DEL COMUNE L'AMMANCO ERA NEL SUO CUORE

Decresceva alla vista, spariva per l 'eterno. Era l 'eterno stesso puerile, dei terrori rosso su rosso, famelico sbadiglio della noia col suono della pioggia sui sagrati... Ma venti trent'anni fa lo stesso, il tempo di turbarsi tornare in pace gli steli

Vittorio Ser�ni

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se corre un motore la campagna, si passano la voce dell'evento ma non se ne curano, la sanno lunga le acque falsamente ora limpide tra questi oggi diritti regolari argini, lo spazio si copre di case popolari, di un altro segregato squallore dentro le forme del vuoto . ... Pensare cosa può essere - voi che fate lamenti dal cuore delle città sulle città senza cuore cosa può essere un uomo in un paese, sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante e dopo dentro una polvere di archivi nulla nessuno in nessun luogo mai.

Dall'Olanda: Amsterdam A portarmi fu il caso tra le nove e le dieci d 'una domenica mattina svoltando a un ponte, uno dei tanti, a destra lungo il semigelo d'un canale. E non questa è la casa, ma soltanto - mille volte già vista sul cartello dimesso: « Casa di Anna Frank ». Disse più tardi il mio compagno : quella di Anna Frank non dev'essere, non è privilegiata memoria. Ce ne furono tanti che crollarono per sola fame senza il tempo di scriverlo. Lei, è vero, lo scrisse. Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale

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continuavo a cercarla senza trovarla più ritrovandola sempre. Per questo è una e insondabile Amsterdam nei suoi tre quattro variabili elementi che fonde in tante unità ricorrenti, nei suoi tre quattro fradici o acerbi colori che quanto è grande il suo spazio perpetua, anima che s'irraggia ferma e limpida su migliaia d'altri volti, germe dovunque e germoglio di Anna Frank. Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam .

Il muro Sono quasi in sogno a Luino lungo il muro dei morti. Qua i nostri volti ardevano nell'ombra nella luce rosa che sulle nove di sera piovevano gli alberi a giugno? Certo chi muore . . . ma questi che vivono invece : giocano in notturna, sei contro sei, quelli di Porto e delle Verbanesi nuova gioventù. Io da loro distolto sento l'animazione delle foglie e in questa farsi strada la bufera. Scagliano polvere e fronde scagliano ira quelli di là dal muro e tra essi il più caro. « Papà - faccio per difendermi puerilmente - papà . . . >> Non c'è molto da opporgli, il tuffo di carità il soprassalto ·in me quando leggo di fioriture in pieno inverno sulle alture

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che lo cerchiano là nel suo gelo al fondo, se gli porto notizie delle sue cose se le sento tarlarsi (la duplice la subdola fedeltà delle cose: capaci di resistere oltre una vita d'uomo e poi si sfaldano trasognandoci anni o momenti dopo) su qualche mensola . in via Scarlatti 27 a Milano. Dice che è carità pelosa, di presagio del mio prossimo ghiaccio, me lo dice come in gloria rasserenandosi rasserenandomi mentre riapro gli occhi e lui si ritira ridendo - e ancora folleggiano quei ragazzi animosi contro bufera lo dice con polvere e foglie da tutto il muro [e notte ­ che una sera d'estate è una sera d'estate e adesso avrà più senso il canto degli ubriachi dalla parte di Creva.

La spiaggia Sono andati via tutti blaterava la voce dentro il ricevitore. E poi, saputa: - Non torneranno più Ma oggi su questo tratto di spiaggia mai prima visitato quelle toppe solari. . . Segnali di loro che partiti non erano affatto? E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse. I morti non è quel che di giorno in giorno va sprecato, ma quelle toppe d'inesistenza, calce o cenere

'oeti italiani -Jel IIJovecento

pronte a farsi mov1mento e luce. Non dubitare, - m'investe della sua forza il mare ­ parleranno.

da STELLA VARIABILE

Addio Lugano bella ma quelle luci per chi stanno accese tu/le quelle luci?

Dovrò cambiare geografie e topografie. Non vuole saperne, mi rinnega in effigie, rifiuta lo specchio di me (di noi) che le tendo. Ma io non so che farci se la strada mi si snoda di sotto come una donna (come lei? ) con giusta impudicizia. E dopo tutto ho pozzi in me abbastanza profondi per gettarvi anche questo. Ecco che adesso nevica ... Ma io, mia signora, non mi appello a l candore della neve alla sua pace di selva conclusiva o al tepore che sottende di ermellini legni bracieri e cere dove splendono virtù altrove dilaniate fino al nonsenso ma vizze qui, per poco che le guardi, come bandiere flosce. Sono per questa - notturna, immaginosa - neve di marzo plurisensa di petali e gemme in diluvio tra montagne incerte laghi transitori (come me,

Vittorio Sereni

ululante di estasi alle colline in fiore? falso-fiorite, un'ora di sole le sbrinerà) , per i l suo turbine i l suo tumulto che scompone la notte e ricompone laminandola di peltri acciai leggeri argenti. Ne vanno alteri i gentiluomini nottambuli scesi con me per strada da un quadro visto una volta, perso di vista, rincorso tra altrui reminiscenze, forse solo sognato.

da Un posto di vacanza II

Tornerà il caldo. Va a zero la bolla di colore estivo, si restringe su un [minimo punto di luce dove due s'imbucano spariscono nel dando di spalle al mio male [sempreverde - e io al mare - e sull'attimo di cecità di silenzio si dilata uno sparo. Chi ha fatto chi fa fuoco nella radura chi ha sparato nel folto tra campagna e bosco lungo i filari ? Di qui non li vedo, solo adesso ricordo che è il primo giorno di caccia. Non scriverò questa storia - mi ripeto, se mai una storia c'era da raccontare. Sentire cosa ne dicono le rive ( la sfilata delle rive le rive come proposte fraterne:

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ma mi avevano previsto sono mute non inventano niente [per me) . Pare non ci sia altro : il mio mutismo è il loro. Ma il sogno delle canne, le canne in sogno ostinate a fare musica d'organo col fiume . . . sono indizi di altre pulsazioni. Vorrei, io solo indiziato, vorrei che splendessero come prove - io una tra loro. Una infatti si accende a ora tarda lo scherno della luna ancora intatta inviolata sulla nera deriva sul tramestlo delle acque. Sul risucchio sul nero scorrimento altre si accendono sulla riva di là - lampade o lampioni - anche più inaspettate, luci umane evocate di colpo - da che mani su quali terrazze ? - Le suppongo segni convenuti non so più quando o con chi per nuove presenze o ritorni. - Facciamo che da anni t'aspettassi da un codice disperso è la mia controparola. Non passerà la barriera di tenebra e di vento. Non passerà il richiamo già increspato d'inverno a un introvabile traghettatore. Cosi lontane immotivate immobili di là da questo acheronte non provano nulla non chiamano me né altri quelle luci. Tornerà il caldo. Guizza frattanto uno stormo di nuove ragazze in fiore lasciandosi dietro un motivo : dolcetto con una punta di amaro tra gli arenili e i moli ritorna, non smette mai, . come ogm cosa qm si rigira si arrotola su sé. Di là dagli oleandri, .

V t/tono

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mio riparo dalla vista del mare, là è la provocazione e la sfida un natante col suo eloquio congetturante : confabula dietro uno scoglio sale di giri vortica via triturando lo spazio in un celeste d 'al tura con suoni di officina monologa dialoga a distanza un 'officina liquida, un deliquio iti nerante di sagra agostana in mortorio di fine estate e l'onda rut ilante, oceanica con bagliori di freddo sul frangente obl iquo a invetriare sguardi e voci nell'estate tirrenica ... qui si rompe il poema sul posto di vacanza travolto da tanto mare e vinto il naturale spavento ecco anche me dalla parte del mare fare con lui tutt'uno senza zavorra o parabordo di parole , fendere il poco di oro che rimane sulle piccole isole postume al giorno tra le scogl iere in ombra già : ancora un poco, ed è daccapo il nero. VI

L'ombra si librava appena sotto l'onda : bellissima, una ràzza, viola nel turchino sventolante lobi come ali. Trafitta boccheggiava in pallori , era esanime, sconciata da una piccola rosa di sangue dentro la cesta, fuori dal suo elemento. Mi spiegano che non è sempre così , non sempre come l'ho vista prima : che questo e altri pesci d'alto [ mare si mimetizzano ai fondali, alle secche, alle correnti

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colorandosi o trascolorando, a seconda. Non sapevo, non [so niente di queste cose. Vorrebbe conoscerle l'istinto solo standoci in mezzo, vivendole, e non per svago : a questo patto solo. A quegli esperti avrei voluto dire delle altre ombre e [colori di certi attimi in noi, di come ci attraversano nel sonno per sprofondare in altri sonni senza tempo, per quali secche e fondali tra riaccensioni e amnesie, di quanti vi spende anni l'occhio intento all'attraversamento e allo sprofondo prima che aggallino freddati nel nome che non è la cosa ma la imita soltanto. Ci si sveglia vecchi con quella cangiante ombra nel capo, sonnambuli tra esseri vivi discendenti su un fiume di impercepiti nonnulla aventi in sé la [catastrofe - e non vedono crescere e sbiadire attorno a sé i più cari. Aveva ragione l'interlocutore, quello della riva di là, che da un po' non dà più segni. Ma - il mare incanutito in un'ora ritrova in un'ora la sua gioventù dicono le voci sopraggiunte in coda al fortunale.

Niccolò Quattro settembre, muore oggi un mio caro e con lui cortesia una volta di più e questa forse per sempre. Ero con altri un'ultima volta in mare stupefatto che su tanti spettri chiari non posasse

Vittorio Serenr

pieno cielo una nuvola immensa, defini tiva, ma solo un vago di vapori si ponesse tra noi , pulviscolo lasciato indietro dall 'estate ( dovunque, si sentiva, in terra e in mare era là affaticato a raggiungerei , a rompere lo sbiancante diaframma). Non servirà cercarti sulle spiagge ulteriori lungo tutta la costiera spingendoci a quella detta dei Morti per sapere che non verrai. Adesso che di te si svuota il mondo e il " tu " falsovero dei poeti si ricolma di te adesso so chi mancava nell'alone amaranto che cosa e chi disertava le acque di un dieci giorni fa già in sospetto di settembre. Sospesa ogni ricerca , i nomi si ritirano dietro le cose e dicono no dicono no gli oleandri mossi dal venticello. a

E poi rieccoci alla sfera del celeste, ma non è la soli t a endiadi di cielo e mare? Resta dunque con me, qui ti piace, e ascoltami, come sai . 197 1

Paura seconda Niente ha di spavento la voce che chiama me propno me dalla strada sotto casa in un'ora di notte : è UI"' breve risveglio di vento,

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Poeti italia,; del Novece,to

una pioggia fuggiasca. Nel dire il mio nome non enumera i miei torti, non mi rinfaccia il passato Con dolcezza (Vittorio Vittorio) mi disarma, arma contro me stesso me.

dalle TRADUZIONI

Ebbrezza ( Char)

Terminava la messe d'incidersi sul rame del sole e nella faglia del grande vento un'allodola cantava la sua gioventù prossima a fine Tre mesi - e avrebbe l'alba d'autunno adorna dei suoi specchi crivellati di spari echeggiato.

Giaime Pintor

Di Giaime Pintor, Roma 1 9 19 Castelnuovo al Voltur­ no 1943, figura centrale del più giovane antifascismo italiano, e simbolica nella sua stessa fine, a soli venti­ quattr'anni, in una delle prime azioni della Resistenza, sono soprattutto noti gli incisivi saggi letterari e poli­ tico-culturali raccolti nel volume Il sangue d'Europa, a c. di V. Gerratana, Torino, Einaudi 1950 ( 19652). Ma singolare rilievo hanno anche le sue eccellenti tra­ duzioni poetiche, legate alla competenza professionale di germanista, cui vanno affiancate quelle da testi nar­ rativi e soprattutto teatrali in lingua tedesca (Goethe, Kleist, Hofmannsthal ecc . ) ; pubblicate a partire dal '38 su riviste d'avanguardia ( da « Il Frontespizio » a « Circoli » , da « Campo di Marte » e « Letteratura » a « Corrente )) ) , sono oggi disponibili per la miglior parte in volume: R. M. Rilke, Poesie tradotte da G. P. con due prose dei Quaderni di Malte Laurids Brigge e versioni da H. Hesse e G. Trakl, Torino, Einaudi 1955 (poi ristampato), che amplia, corredato da un'acu­ ta premessa di F. Fortini, il libretto di versioni dal solo prediletto Rilke uscito vivente l'autore (ibid. 1 942 ) . Pintor fu anche discreto lirico ermetizzante in p� prio, con un occhio in particolare a Quasimodo e Gat­ to, ma diede la più compiuta misura di sé come poeta in queste traduzioni, che rappresentano al meglio quel nuovo gusto della versione poetica che si instaurò con l'egemonia della lirica nuova e dell'ermetismo e di cui si è accennato nell'Introduzione ; e va pure richiamato a proposito di Pintor che in quel quadro ebbe partico­ lare rilievo culturale e mediatamente poetico la risco-

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Poeti Italiani del Novecento

perta della grande tradizione otto-novecentesca della lirica tedesca, da Holderlin a Rilke, Trakl, Benn : cioè appunto il settore in cui egli si esercitò, accanto a va­ lenti traduttori più professionali; fra i quali va almeno ricordato Leone Traverso (cfr. Studi in onore di L. T., Urbino 197 1 = « Studi urbinati », XLV, 1 -2 ). Con par­ ticolare pregnanza ed eleganza si ritrovano nelle ver­ sioni di Pintor, la cui analisi è stata abbozzata da Fortini e da chi scrive, i tratti salienti dello stile di traduzione degli anni trenta, più tipicamente riflessi nell 'assunzione, anche qui visibilissima ad occhio nudo, di stilemi caratterizzanti o sigle del linguaggio erme­ tico : dali' ellissi dell'articolo ali 'uso « vago » dei plu­ rali, dalla semantica indeterminata delle preposizioni (soprattutto a) alle sinestesie e ai pronomi emblematici (tu ) , fino a vere e proprie formule discorsive (come, nella versione di Abendlied di Trakl, lo staccato qua­ simodiano . Trasferitosi a Roma nel '49, Pasolini, dopo anni anche materialmente assai difficili, s'affermò decisamente come uno dei protago­ nisti della cultura italiana, affiancando all'attività di poeta e di critico e filologo ( cfr. soprattutto le due antologie di poesia dialettale e popolare italiana e il volume di saggi Passione e ideologia) quella di narra­ tore dapprima discusso e poi di successo ( a partire da Ragazzi di vita del '55) e di altrettanto fortunato regi­ sta cinematografico ( a partire da Accattone del '61 ) .

ns

Poeti italiani del Novecento

Importante, negli anni 1955-58, l'esperienza della rivi­ sta e dell'Ottocento italiano e europeo, attuato soprattutto attraverso i Poemetti del Pascoli (che sarà promosso generosa­ mente da Pasolini critico ad archetipo di tutto il mi­ glior Novecento) , di cui è emblematicamente ripro­ dotto il metro narrativo più caratteristico, la terzina dantesca : s'intende con adattamenti « moderni », per cui agli endecasillabi regolari s'alternano ipo- e iper­ metri, la rima - spesso « ipermetra » - può cedere ad assonanze, rime imperfette o rime zero, ecc.; e non senza che il verso pasoliniano serbi altre tracce, ad esempio della mobilità prosodica di Bertolucci e più ancora dell'endecasillabo narrativo di Caproni. Sul pia­ no della lingua la contrapposizione, al monolinguismo dominante nella linea egemonica della lirica contem­ poranea, di un plurilinguismo magmatico che si vuole ancora una volta autorizzato da Pascoli : « Sono infiniti i dialetti, i gerghi, l le pronunce, perché è infinita l la forma della vita: l non bisogna tacerli, bisogna posse­ derli » è scritto ne La reazione stilistica; ma qui stesso

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Poeti italiani del Novecento

l'« oscurità » della lingua è opposta alla « limpidezza » della Ragione, svelando la natura non razionale ma tut­ ta vitalistica di quel plurilinguismo (come ha scritto Fortini : « il mondo si presenta come pluralità infinita, che l 'espressione infinitamente convoglia e ingloba, co­ me oggetto di un appetito insaziabile » ). � caratteri­ stico che con questa apertura « realistica », specie nel lessico, all'indifferenziato vitale e all'antipoetico convi­ vano tracce vistosissime di una dizione non solo accen­ tuatamente poetico-eloquente, ma segnata da tratti pre­ novecenteschi quasi programmatici : si badi, oltre che all'impaginazione metrica, a elementi come le formule di apertura tipo (ma altri ha detto, non a torto, ) o il gusto fra oggettivo e aleatorio della quoti­ dianità occasionate, non lontano da Erba e Risi. Poeta intellettuale e coltissimo, parco e di pazienti matura­ zioni, Orelli coltiva una sua particolare poetica del­ l'occasione, perseguendo paradossalmente l'oggetto o l'evento privilegiato entro una realtà trita, dagli oriz­ zonti limitati \ che sempre si ripete ritualmente nei propri atti, ambienti , personaggi ; e ad essa sintonizza il suo taglio formale preferito, che è appunto, ma specie nella prima raccolta, quello dell'epigramma. I testi di Orelli appaiono spesso come frammenti o chiuse di più ampie poesie non scritte : che è esattamente il contra­ rio dell'incompiuto e del flou cari a tanta lirica con­ temporanea, ma nasce da predilezione per la poesia­ oggetto fermamente modellata e, alle origini esisten­ ziali, dall'accanita volontà di ritagliarsi uno spazio lu­ minoso, una zona di dicibile ( « Wer redet, ist nicht tot » suona un verso di Benn da lui citato) entro il buio e la gratuità insensata della vita quotidiana. Di qui le caratteristiche salienti dello stile di Orelli: il prevalere della linea sul colore ( « incide a graffito secco », è stato detto), anche in virtù dell'esattezza pascoliano-montaliana della nomenclatura ; la messa a fuoco netta e sobria degli oggetti ; e, nella prosodia,

Giorgio Ore/li

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un taglio esatto del verso, un ritmo perspicuo come da percussione di nocche, soprattutto nei suoi endeca­ sillabi filati e perentori i ( « Nella gloria castissima del sole )>, « Se levo gli occhi dal suo prato, fuggono l co­ me in tempesta i giri della Torre )>) . In questa luce va anche valutata la naturale iperletterarietà di Orelli - nessuno forse sa incastonare come lui nel proprio testo un verso classico, per esempio di Dante -, iperlet­ terarietà che per altro aspetto nasce dal bisogno, tipico del ticinese, di radicarsi più fortemente alla cultura ita­ liana cui appartiene per lingua ma non per nazione. Perché la situazione psicologica di fondo che emerge dalla poesia di Orelli è quella non soltanto di un iso­ lato, ma più propriamente di un « confinato )>: da cui il rapporto insieme di consuetudine e distanza, amore e acredine per la realtà in cui vive, e la tendenza a felpare e quasi ad estraniare i propri stessi sentimenti. Il suo « realismo lombardo )>, pur nutrito di straor­ dinarie attitudini affabulatorie, è perciò ingannevole, quasi dispettoso: più che la consistenza concreta di oggetti e persone si direbbe che rimanga nella pagina di Orelli la loro orma, o, con il termine-chiave dell'ul­ tima raccolta, la loro « sinopia » (basti citare, già in un testo giovanile, le lepri di cui e « Quaderni piacentini )>; lavora dappri­ ma come funzionario della Olivetti, poi come profes­ sore di istituti tecnici e da qualche anno di università (a Siena, dove insegna Storia della critica) . Intensa, a partire dagli anni sessanta, la sua partecipazione alla vita politica, dalle posizioni della sinistra non ufficiale. Opere poetiche : Foglio di via e altri versi, Torino, Einaudi 1946 (2• ediz. con mutamenti : Foglio di via, ibid. 1967); Poesia ed errore, Milano, Feltrinelli 1959, comprensiva di Foglio di via e dei versi giovanili, non­ ché di varie plaquettes successive come Una facile alle­ goria, Milano, La Meridiana 1954 e I destini generali, Caltanissetta, Sciascia 1956 (2• ediz., Poesia e e"ore,

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Potti italiani del Novecento

Milano, Mondadori 1969, che introduce modifiche ed elimina sia Foglio di via che i versi giovanili) ; Una volta per sempre, Milano, Mondadori 1963 ( inclusiva de La poesia delle rose, Bologna, Palmaverde 1963); L'ospite ingrato. Testi e note per versi ironici, Bari, De Donato 1966 (epigrammi e qualche lirica mesco­ lati a capitoli saggistici ed aforismi) ; Questo muro, Milano, Mondadori 1973. E v. ora la silloge comples­ siva Una volta per sempre, Torino, Einaudi 1978 (con qualche correzione) . Un'antologia, Poesie scelte, è usci­ ta a Milano nel '74 negli « Oscar >> mondadoriani a cura dello scrivente. Ma in Fortini la pur densa attività poetica è solo un capitolo di una produzione culturale anche quantitativamente impressionante, che gli ha as­ sicurato un posto di primissimo piano fra gli intellet­ tuali del dopoguerra. Narrativa : oltre al volume sopra citato, Agonia di Natale, Torino, Einaudi 1948, nuova ediz. col titolo (originario) di Giovanni e le mani, ibid. 1972. Saggistica di vario ambito (politico, etico-filoso­ fico, letterario), ma con continue osmosi tra i diversi piani : Asia Maggiore. Viaggio in Cina, Torino, Einau­ di 1956; Dieci inverni 1947-1957. Contributo ad un discorso socialista, Milano, Feltrinelli 1957 (Bari, De Donato 19732); Verifica dei poteri, Milano, Il Saggia­ tore 1965, nuova ediz. riveduta ibid. 1969 (e ibid. - o ivi, Garzanti - 19743); I cani del Sinai, Bari, De Dona­ to 1967; Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, Milano, Il Saggiatore 1969; Saggi italiani e I poeti del Novecento ( v . per entrambi Bibliografia) ; Questioni di frontiera, Torino, Einaudi 1977. S'aggiungano almeno le molte e ottime traduzioni, anche assistite da acuta coscienza teorica dei problemi connessi, dal francese ( Proust, :l:luard ecc.) e dal tedesco ( spiccano quelle di liriche brechtiane e del Faust di Goethe). Scontate le prove ermetizzanti della giovinezza, già Foglio di via è opera di acerba ma anche robusta no­ vità, tra il tentativo di superare o aggirare la koinè

Franco Fortini

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ermetica, cui induce la stessa dura storia di quegli an­ ni, e una connivenza, qua e là magari volontaristica, coi modi del nascente neorealismo, di cui peraltro Fortini subito rifiuta le forme più ingenue di « impegno » per un precoce senso della oggettività, astrazione intellet­ tuale e distanza mediatrice del prodotto letterario (pa­ rallelo è l'attraversamento critico del neorealismo nar­ rativo operato in Giovanni e le mani ). Ma è con Poesia e errore che il discorso poetico di Fortini acquista di spessore e complessità, in rapporto sia a un forte allar­ garsi dell'orizzonte culturale dell'autore, presto vastis­ simo (ma per la sua poesia conteranno specialmente, fra le esperienze straniere, quella del surrealismo e ancor più Brecht, di cui egli è il più diretto erede in Italia), sia e soprattutto alla nuova e più vischiosa situazione storica del dopoguerra, che impone anche alla letteratura riserve mentali e giri viziosi. Ma ogni sviluppo e superamento implica e implicherà sempre in Fortini, come dialettica suggerisce, un movimento complesso di recupero critico: della tradizione, remota o prossima (che può giungere fino al pasticbe e alla « maniera)) esercitata su testi altrui); dei vicini di casa, con un continuo dialogo-scontro, esplicito o implicito, con interlocutori quali Montale, Sereni, Pasolini; infine della propria stessa storia di scrittore, fino alla para­ digmatica retrospettività di Questo muro che - ha os­ servato Raboni - sembra antologizzare tutti i modi poetici esperiti in precedenza, mettendoli al quadrato. Di qui fra l'altro la fortissima continuità e compattez­ za dell'esperienza fortiniana, e anche un suo singolare classicismo, si vorrebbe dire a-temporale e ubiquo, che collide felicemente (e del tutto coscientemente) con la bruciante attualità delle situazioni che provocano l'atto poetico. Vi gioca la sua parte, pur in presenza di una grande curiosità formale e capacità assimilatrice, il costante sospetto verso l'apparente libertà e gli auto­ matismi di ogni sperimentalismo, sia avanguardistico-

Poeti italiani del Novecent()

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tecnologico che « realistico » (v., nell'Ospite ingrato, l'epigramma anti-pasoliniano Diario linguistico) , accu­ sato di soggettivismo e, specularmente, di resa alla falsa oggettività dei reali. In Fortini al contrario la stilizzazione intellettualmente rigorosa, veicolata dalla « sublime lingua borghese », che cosi spesso si chiu­ de nel giro breve dell'epigramma di stampo cinese o brechtiano (e vi si innesta la non comune e graffiante vena di epigrammista nel senso più corrente, attestata soprattutto nell Ospite ingrato) , suggerisce il rapporto necessariamente straniato della poesia alla realtà, parla contro ogni immediatezza : ed è una tendenza cresciuta con gli anni , come mostrano i modi sempre più cifrati di Questo muro. Vi si oppone, con una oscillazione prossima a quella generalmente moderna e novecente­ sca fra lirismo e « narratività », un senso del testo, invece, come progettualità aperta e provvisoria (donde ad esempio il gusto delle variazioni e delle serie, come nell'importante Poesia delle rose, purtroppo non ri­ portabile per le sue dimensioni ) : che ha il compito precipuo di indicare l'altrettanto inevitabile trascen­ denza dei contenuti, o meglio della Storia, rispetto alla forma che dovrebbe, e non può, contenerli . Vista in prospettiva storica, l'orientazione dei mezzi stilistici fortiniani poggia, in sintesi, su una razionaliz­ zazione dello strumentario offerto dalla tradizione del moderno, cosi che esso possa esprimere nello stesso tempo l'obliquità del messaggio poetico e il bisogno di commisurarlo implicitamente alla chiarezza giudicante della coscienza ideologica : perciò l'uso logico-costrut­ tivo, anti-suggestivo, della sintassi e del traliccio metri­ co, la compressione dell'analogia e degli epiteti, ecc.; in una parola il tentativo di trasporre il linguaggio post-simbolistico, e le stesse > suona una recentissima e perento­ ria dichiarazione di Risi : che fin dall'inizio infatti rive­ la la propria estraneità alla linea orfico-evasiva della poesia moderna e una collocazione, non meno per scelta che per retaggio ambientale e familiare, nel solco del­ l'illuminismo e moralismo lombardo, riassunto più tardi negli eloquenti richiami a Parini e al Manzoni della Colonna infame. Ma la sua appassionata vocazione ci­ vile e il suo bisogno di realismo sono presto frustrati dai tempi iniqui e ambigui del dopoguerra : in pochi poeti come in lui è tanto evidente la delusione subita dagli intellettuali « progressisti >> formatisi negli anni dell'antifascismo e della guerra. Ne nasce una profonda crisi di sfiducia nella funzione della poesia, che è an­ che disagio non morbido per la propria condizione di borghese « illuminato >>. È questo il momento in cui Risi si rifugia difensivamente ( « conosco l'arte della fuga » ) in toni minori e svagati, nel « fatto personale >> sia pure corretto sempre da un trattamento auto-ironico dell'io parlante ; la vena realistica può allora diventare, per lo scivolare del mondo sotto la mano che tenta

Nelo Risi

afferrarlo, ottica arbitraria, sguardo distratto, mentre il « moralismo )) si contrae nella falsa leggerezza della gnome. Di qui anche il « gusto per la scheggia verbale ed il graffito )) ( Forti ) e una tendenza alla specializzazio­ ne nell'epigramma che tuttavia è sempre pronto a con­ vertirsi, per politicità immanente, in ciò che ancora Forti ha chiamato « ideogramma lirico ». I l fatto è che una simile versione disimpegnata del realismo post-er­ metico e ; donde la polarità costitutiva di afasia-amnesia vs verbalizzazione-memoria ( seguo sempre da vicino Agosti ). Questa libera attività del significante - che pur presupponendola va nettamente distinta dall'aggressione alla lingua perpetrata program­ maticamente dal di fuori dai seguaci della neo-avan­ guardia - è scatenata dal poeta, con procedimenti affini a quelli che caratterizzano l 'attività dell'in­ conscio ( e la Beltà è anche un lungo poema freu­ diano-lacaniano ), « lasciando fluttuare l'attenzione fo­ nica nei dintorni di una parola, finché accanto non ne sorge un'altra simile » ( Si ti} o scomponendola nei suoi elementi . E perciò balbettii ( , « prude­ ude-ude •> ), allitterazioni ed epifore, ossimori ( tipo « le­ deva illesa •> ) , paronomasie ( « luce limitata limata •> , « affilare e affiorare •> ecc . ) , doppi sensi ironici ( « voi balzaste l ding ding ding, cose, cose squillo •> ) , seria­ zioni paradigmatiche ( « scritto circoscritto descritto trascritto l non scritto •> ), giochi etimologici o pseudo­ etimologici ( movimento accostato a momento, astra­ zione ad astro, gremire a grembo ) , abnorme espan­ sione analogica dei moduli formativi delle parole ( se­ micoma, vertifica, iperbelleue, scontemplare, fra tanti altri ), e cosl via. L'impazzimento provocato del signifi­ cante sconvolge anche la grammatica, per cui i mor­ femi ( come prefissi e suffissi ) assumono lo statuto delle parole piene ( « volare è un insetto, issimo •> ) , il verbo, come in Pizzuto, va all'infinito « zero », gli elementi nominali sono equiparati ai verbali ( « Sempre meglio

Andrea Zanzotto

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s 'ingioia c tin tin l'orchestrina >> ) , e in genere le parti del discorso si scambiano di ruolo ( un « Vie >> un [ « Vite >> . Ultrasonici Segnalazioni nel fondo dell 'occhio. Ricognizioni del fundus oculi del fundus [coelorum. Soflìoni soffiati pappi tutti questi lanci di [ paracadute, falchi e colombe farfalle e vespe sull'attraente sullo spolpabile. In ultima analisi in prima sintesi tutto sottratto o sommato prima di ogni [ somma addendi che là su mah addentellandi parole piene con colla di parole vuote presto troppo presto per far cenno ai linguaggi o [ad altro prosa forma paesaggio. Napalm dietro il [ paesaggio. Arrestarsi sulla soglia del santuario centrale. Un tentativo un traffico di divise all'orlo a fianco, dogane imbrogliate, si dice. Confusamente m 'avvicino ( al tastare ). O mio paesaggio perché mi hai . . . paesaggio-aggio Ho paesaggito molto. [ ( spezie rare )? Chi mi parla di libri carte c arte mi atterrisce ( di donne, di storia-e, di paesaggi ). Chi mi parla mi uccide. Mi è mancato così poco per vivere Così poco per sfuggire alla vita. Il torturatore il dongiovanni il cereo-ceroso

Andrea Zanzottn

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lo spaventapasseri in fumo di film. z/Spasm or insensate war Non dimenticare il campo, l'intrinsechezza che corre tra disparato e disparato, la fine filialità paternità di questi ricami-richiami. >, con notevoli qualità mimetiche : donde il carattere apparente del pur vistoso e diramato plurilinguismo di Sanguineti ( già in sostanza preesistente e istituzionalizzato come « socio letto >> intellettuale ) , ma anche la possibilità di ritrovare paradossalmente in questo strumento un'uni­ tà tonale di discorso « lirico », sia pure costruito sulle macerie della liricità e della stessa discorsività tradi­ zionali. E in effetti al movimento di disarticolazione sintattica, col suo caratteristico montaggio per spez­ zoni, le frasi sospese, le incisioni delle celebri paren­ tesi ( i « ferri chirurgici », come è stato detto da un altro poeta), sembra opporsi un movimento ricostrut­ tivo che agisce all'interno del verso sentito come unità ritmica energicamente articolata e autosufficiente ( v . ad esempio i l bell'attacco della terza poesia d i questa scelta ): il testo poetico sanguinetiano procede, lette­ ralmente, per addizioni di segmenti metrici segnati e scanditi con forza. E l'iterazione e la tautologia, figure stilistiche fondamentali di questa poesia ( Catamerone p . 34 : « la coniunctio è coniunctio il coitus coitus ,., ,

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Poeti italiani del Novecento

in un orizzonte orizzontale » ) , sembrano nascere spesso per espansione da una cellula interiettiva ori­ ginaria, anteriore ali 'organizzarsi del discorso, e val­ gono quindi altrettanto come segnali di un'impossi­ bilità storica di significare e comunicare veramente quanto come nuclei fàtici , balbettamenti espressivi di un soggetto decentrato che ha bisogno di parlar molto per illudersi di essere sentito. La glossolalia di Sanguineti è l'immagine capovolta dell'impotenza in­ tellettuale, e le è essenziale per il suo effetto lo stri­ dore di inautentico che produce ( magari invito auc· tore ). Per altro verso è molto istruttivo che l 'ultima produzione del poeta, diciamo a partire dai Reisebil­ der, oltre che smussare alquanto le precedenti punte più provocatorie, metta a nudo quella dimensione e sinonimi sono infatti parole-chiave del vocabolario pierriano ), che aspira a uscire dal proprio stato tormentoso assimilandosi a ciò che è immobile. In ultima analisi e momenti atonali, cosl come le assonanze e consonanze si avvicendano liberamente alle rime e le misure dei versi si restringono e dilatano sussul tori amente. Le traduzioni sono dell'autore.

da 'A TERRA D'U RICORDF

}A cristarèlla A piomb supre ll'ìrmici adàvete adàvete cch'i scille sbaanchète na cristarèlla ci s'avì mpuntète ; u vente comme ll'acque ni sciacquàite

Lz



cristare/la

»

(l/ gheppio) .

A piombo sopra gli embrici in

alto in alto, ( con le ali spalancate ) , una « cristarella ,. (un ghep pio) s'era fermata. Il vento come l'acqua le sciacquava le pium..

Albino Pierro

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pinne com'a ll'èrva di nu scogghie. lé le uìja chiamè, ni uìja dice > dei piatti l che si allungava tre­ anolando a piangere l nelle vocine bianche dei clarini. l Adesso

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Albino Pierro

nun mporte si duce duce, . ma cl su ' sempe 1 prevete , e u sacnstene cc ' a cruce appresse a na fihéra di uagnune ca le rèjene mbrazze a' cronicelle di ferre ngiallanute com' 'a lune. '

.

.

'

Le pòrtene u taùte supr'i muscke e arruzzuuìne i pére d'i zaccuèe, echi ttacce e suprattacce, com'a cchiumme : u parete ca passene 1 v1tture ca vène f6re, 'a notte, quanne chiòvete, . , e ca sc1ppene, com a p1scunete, da u sonne, chille pòure signure. E quanne su' nd'u strìttue d'u Barone, le gìrene u taùte chiène chiène ; su' cchiù vicine ancore chille grire scattète nda nu mère di suspire : « Oh scasce méja granne ; oh bene d' 'a mamma •

'

'

'

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'

•>

'A cruce quèse tòcchete i finestre e chille ca ci chiàngene arranzète ; l'lnghiete 'a strète 'a folla com'u mère ca nghiànete annivrichète. P6, quanne su' nd' 'a chiazza, cchiù affuchète, tutto è cambiato, l non importa se piano piano, l ma ci son sem­ pre i preti l e il sacrestano con la croce l dietro a una lunga fila di ragazzi l che reggon fra le braccia coroncine l di ferro e del gial­ lore della luna. l l Portano la bara sulle spalle l e rotolano i piedi dei bifolchi, l tempestati di chiodi, come piombo: l e ti sembra che passin le vetture l dirette ai campi, a notte, quando piove, l e che strappano, come a gran sassate, l dal sonno, quei poveri signori . l E quando son nel vico del Barone, l vi girano la bara piano piano; l son più vicine ancora quelle grida l scop­ piate dentro a un mare di sospiri: l « Oh sventura mia grande; oh bene della mamma » . l l La croce quasi tocca le finestre l e quelli che vi piangono affacciati ; l riempie la via la folla come il mare l che sale annerito. l Poi, quando sono in piazza , più

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Poeti italiani del Novecento

le sèntese, e a la logne, n 'atu gnre: « Bene d'u tète sue, bene d'u tète », tante ca m6 le càngene u culore, nda chille facce « a bumme )), ianche e russe, prèvete e previticchie ca p6 càntene cchiù sincire e cchiù forte di nu trone. Ti scàntese ca i vitre d'i balcune nd'u accussì mi dìcete u rilogge ca mbàreche pure tu suspiranne m6 guàrdese nd' 'a logge. U vì' u vì' ca scàttete, u vl', nda fische di sirene e nda campene u grire di menziurne, e nda quillu stesse mumente u nivre ca tinìme nnante ll'occhie si squàgghiete nd'u vese ca si mannème. chia l con la testa alla bara, e poi si graffia l la faccia, e poi si lacera i capelli. l l Ah l'angoscia, l'angoscia; l ora vedi tutto bianco, l e non vi fruscia il vento l né un sospiro l di Dio. Il bacio di meuogiorno.

Sto aspettando mezzogiorno, l e tu lo sai perché. l l « Mancano due minuti » l cosl mi dice l'orologio l che forse pure tu l sospirando ora guardi nella loggia. l l Eccolo eccolo che scoppia, eccolo, l tra fischi di sirene e fra campane l il grido di mezzogiorno, l e in quello stesso momento l il buio che avevamo innanzi agli occhi l si scioglie nel bacio che ci man-

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Poeti italiani del Novtt tnto

P6 si spirdéme nd'u cée c'avvampichìte cuntente : passàvite 'a rise di nu sant. Dopo due plaquettes, Il catalogo è questo del 1 96 1 e L'insalubrità dell'aria del '63, Raboni ha raccolto il suo primo lavoro poetico ne Le case della Vetra, Milano, Mondadori 1966, mentre il successivo è confluito in Cadenza d'inganno, ibid. 1975. ( E v . ora Il più freddo anno di ?.,razia f dicembre 1 976-giugno 1 9 77 / , con seri tti di V. Sereni ed E. Siciliano, Ge­

nova, S. Marco dei Giustiniani 1978 . ) Pregevoli an­ che le sue traduzioni da poeti ( Baudelaire, Apolli­ naire ecc . ) e cospicui gli scritti di critica militante, specie di poesia ( nel volume Poesia degli anni sessanta cit . in Bibliografia, e altrove ). Tra gli interventi sulla sua poesia merita soprattutto segnalare quello, molto notevole, di un non addetto ai lavori, P. G. Bellocchio ( « Quaderni piacentini •> , 57 , novembre 1 97 5 ). Parlando di Risi, Raboni ha usato la metafora della « bottega •> per indicare affinità e arie di famiglia tra questo poeta ed altri coevi come Fortini o Erba e Cat­ tafi. Con la stessa cautela, l'identica metafora si può maneggiare anche per lui. Raboni è poeta coltissimo, di molti innesti e contatti: con la lirica moderna stra­ niera - e l'inglese e anglo-americana, cominciando da Eliot, più ancora che la francese - oltre che con alcuni maestri italiani ( all'attenzione di sempre al Montale più classico, per cui v . subito la prima poesia delle Case della Vetra, si somma poi quella al Montale re-

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cente ; il trattamento del tema del viaggio in Cadenza ha chiare tangenze con Caproni, ecc. ). Ma le sue pa­ rentele più prossime erano e restano quelle con un gruppo di poeti « milanesi >> più aperti ai conti con le degradazioni e le accelerazioni del quadro sociale e più disposti a curvare in direzione politica la loro poesia. E sono volta a volta rapporti ( non solo d'avere s'intende) con Majorino, col Pagliarani di Inventario privato, con Giudici e Risi , con Fortini ( questi sempre più stretti con l'approfondirsi delle intenzioni > di Raboni ) ; ma anche, e soprattutto, sono de­ biti e concomitanze con Sereni, altrettanto riconosci­ bili in « situazioni >> ( ad esempio quella di Discussione sul ponte nella prima raccolta o di Trasloco nella se­ conda ), in forme del giudizio o auto-giudizio ( cfr. Ca­ dem:.a p. 1 2 1 con la sereniana La pietà ingiusta ), in mo­ duli stilistici come certi attacchi pseudo-conversativi ( quello di Figure nel parco, oppure > ( stile da verbale giudiziario o da standard politico) ; mentre sempre i nodi lirici si trovano ad essere corretti da bruschi inserti ragionativi , voluta­ mente appiattiti. Se dunque spesso il « letterato » fa qui aggio, a disegno, sul poeta, ciò può avvenire in quanto prima quel letterato ha inteso negarsi come tale anzitutto nel linguaggio, entrambe le operazioni sottolineando, se occorre ironicamente, lo smarrimento del ruolo e del « mandato » .

Giovanni RAboni

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Anche Raboni, convinto partigiano dell'understate­ ment morale e stilistico, non alza il tono ma fonda­ mentalmente attenua per dissimulare. L'insistenza nel· l'immergere l'io parlante in una rete fittissima di rife­ rimenti biografici e ambientali, sociali e fin professio­ nali, lungi dal compensare accentua la distanza della voce, l'incertezza sul suo luogo di provenienza e sulla sua autorità a parlare ( « Al di qua . . . / di poter dare o prendere parola )) ). L'epigrafe da La Fontaine usata nelle Case della \'etra, « Parler de loin ou bien se taire )), può ben valere come insegna generale di Ra­ boni, del suo discorso coperto e indiretto. Perciò que­ sto poeta, metropolitano se altri mai, ci restituisce della città-Milano un ritratto che non potrebbe essere più spettrale e spaesato ( in Città dall'alto anche con un artificio di straniamento temporale ), sempre più di­ slocando gli sparsi « elementi del paesaggio urbano », come suona un titolo, in un disordine e un'aleatorietà non tanto calcolati quanto obbligati. Altrettanto pro­ fondo il decentramento che colpisce il soggetto: ora accreditato perentoriamente di azioni solo immaginarie­ possibili ( cfr. il finale di Figure nel parco ) , ora sinto­ maticamente sdoppiato in una terza persona che agi­ sce o meglio mima l'azione e una prima che la contem­ pla come un'estranea dal di fuori ( v . Caden1.a p. 8 1 , o anche Case della \'etra p. 4 3 ) . L'inessenzialità, nello stesso tempo coatta e politicamente necessaria, del­ l'individuo può così essere dichiarata consegnandolo per intero all'oggettività del processo storico, conce­ pendolo come ingranaggio minimo di una macchina mostruosa, infine chiudendogli ogni via d'uscita ( v . l'ul­ tima lirica di questa scelta ). Non per nulla l'« impegno » più esplicito di tante parti di Caden1.a d'inganno coa­ gula attorno ad episodi di repressione e onnipotenza poliziesca del Potere ; e l'io oscilla fra l'auto-annulla­ mento nell'impersonalità del referto o denuncia, e la ritrazione in un privato che sempre più acquisisce an-

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ch'esso i connotati della vita vissuta come automa­ tismo sonnambulo. È pure interessante che senso di prigionia e tentativi di sfuggire per la tangente abbiano come premessa una formazione > insieme rivissuta « da sinistra » e segnata indelebilmente da tratti alto-borghesi di solitudine sociale e inattualità storica ( « Ho le mie storie : di bisnonni e prozii d'alto colletto l invischiati con l'Austria e decorose l darsene a lago >> ) Centrale anche da questo punto di vista la presenza insistente dei temi di morte, talora into­ nati su toni lividi da Seicento lombardo ; Bellocchio ne ha colto bene una delle funzioni principali : « Per non essere complice della realtà, il poeta adotta un'ot­ tica mortuaria » . Nell'ultima raccolta, proprio mentre preme ancor più il pedale sulla politicità della propria poesia , Raboni ne ha ancor più omogeneizzato e come soffocato la pronuncia, implicitando il discorso e ac­ centuandone il « parlare d'altro » , l'elusività e provvi­ sorietà ( vi si riferisce la felice etichetta musicale del titolo ) ; e sull'autonomia del singolo testo prevale il filo diaristico e narrativo, anche cementato da verbali d'accertamento in prosa , in una vivace quanto difficile tensione al montaggio « romanzesco ». . . .

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da LE CASE DELLA VETRA

Dalla mia finestra Eh, le misure della notte, l'ambiguo lume di luna che confonde il protocollo dei marmi , l'ombra che ravviv� gli strambi delle finestre, le profonde gole dei cornicioni scampati ( ancora per poco ) al viceregno delle imprese, al morso dei capitali

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premiati col sette, sette e mezzo per cento mentre sai, è già tanto se copri le tue spese... [ con la campagna

Contestazione Una, improvvisamente s'alza dal letto dicendo « questo non si può fare >) . E s'agita, tira fuori roba dai cassetti nello spazio impiccato . tra como e attaccapanni, a momenti fa cadere la lampada, il catino - e fiera nelle sue scarpe davanti allo specchio dove affiora la nebbia, ogni tanto toccandoli col palmo della mano infonde il fissatore-insetticida sui capelli. .

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Città dall'alto Queste strade che salgono alle mura non hanno orizzonte, vedi: urtano un cielo bianco e netto, senz'alberi, come un fiume che volta. dei signori e dei cani [Da qui alle processioni che recano guinzagli , stendardi reggendosi la coda ci saranno novanta passi , cento, non più : però più giù, [ nel fondo della città divisa in quadrati ( puoi contarli ) e dolce . come un catino ... e poco pm avanti la cattedrale, di cinque ordini sovrapposti : e a destra, in diagonale, per altri [proseguendo trenta o quaranta passi - una spanna : continua a [ leggere come in una mappa - imbrocchi i n pieno l'asse della costruita sulle rocciose fondamenta del circo [piazza romano .

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grigia ellisse quieta dove dormono o si trascinano enormi, obesi, ingrassati come capponi, rimpinzati a volontà di carni e borgogna purché non escano dalla piazza ! i [poveri della città. A metà tra i due fuochi lì, tra quattrocento anni impiantano la ghigliottina.

Figure nel parco E dire che ci sono curve spaziose in questi viali, siepi basse o trasparenti . . . Con la mia vista ( poca ) mi domando come faccio a vederli . Chi lo sa . Sbucano dal fondo, dall'alto, da dietro le targhe delle piante rare muovendosi cauti, silenziosi, la cravatta annodata con [cura, le corna piene di muschio, a coda bassa. Non domandano non dicono l'ora ai comuni passanti. Sfilano, cacciando, sull'orlo dello stagno. Povera strega, poveraccia, ripeteva lisciandosi i baffi, i capelli , aggiustando con cura la cravatta, in cuor suo ridendo per la di lei caduta nello stagno. Sulla panchina piega minuziosamente mutande, bende, accomoda la stampella, apre e chiude cartocci di ghiaia e di supposte, pronto a farsi redimere o scannare. Alta cm. 1 05 ma in grado di far rotolare una botte con un ramo lungo discese leggerissime scardinatrice di pali cestini dei rifiuti croci? in un cubo

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di polvere puntando alla quota-trappola dello stagno. La cosa impercettibile, quantità di polvere su una scarpa sola o modo di asciugarsi il sudore sulla fronte ecco l'ho in mano il mostro braccato l'assassino l'uomo che uccide con la luna piena e corro sprizzando scintille dai pattini sull'asfalto a [chiamare i lenti ronzanti bipedi d'acciaio della polizia.

da CADENZA D'INGANNO

Come cieco, con ansia. . . Come cieco, con ansia, contro il temporale e la grandine, una dopo l'altra chiudevo sette finestre. Importava che non sapessi quali. Solo all'alba , tremando, con l'orrenda minuzia di chi si sveglia o muore, capisco che ho strisciato dentro il solito buio, via San Gregorio primo piano. Al di qua dei miei figli, di poter dare o prendere parob .

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Il compleanno di mia figlia 1966

Siano con selvaggia compunzione accese le tre candele. Saltino sui coperchi con fragore i due compari di spada compiuti uno sei anni e mezzo, l'altro cinque e io trentaquattro e la mamma trentadue e la nonna, se non sbaglio, sessantotto. Questa scena non verrà ripetuta. La scena non viene diversamente effigiata. E chi si sentisse esule o in qualche percentuale risulta ingrugnato parli prima o domani. Accogli, streghina di marzapane, la nostra sospettosa Seguano come a caso stridi [ tenerezza. di vagoni piombati, raffiche di mitragliatrice ...

[ Vivo, stando in campagna, la mia morte ] Vivo, stando in campagna, la mia morte. Appeso a trespoli, aiole, alle radici del glicine, ai raggi della ruota, aspetto ( il barattolo del nescafé a portata di mano, l'acciarino fra le dita del piede ) che l'arcangelo Calabresi scenda a giudicarmi.

Amelia Rosselli

Amelia Rosselli è nata nel 1930 a Parigi da Carlo ( il nobile esule antifascista assassinato nel 1 937 assieme al fratello Nello) e da madre inglese. Dopo aver vissuto a lungo all'estero ( Francia, Inghilterra, Stati Uniti ecc . ) è rientrata nel dopoguerra i n Italia, stabilendosi a Ro­ ma. Ha compiuto, senza regolarità e senza approdare a un vero e proprio (( mestiere », studi letterari e filo­ sofici, e più intensamente musicali . All'attività di musi ­ cista, svolta sia come teorica e compositrice che come esecutrice, ha alternato il lavoro di traduzione, la con­ sulenza editoriale, la saggistica c= la collaborazione a varie riviste ( (( Civiltà delle Macchine » e (( Nuovi Ar­ gomenti )), (( Il Verri » e (( Art and Literature » ecc.). Attualmente è tornata a vivere a Londra. Ha scritto prose e poesie, edite in minima parte, anche in inglese e francese ( tra cui un intero libro di versi, Sleep) e ultimamente compone quasi solo in inglese. Alla poesia italiana è giunta tardi, cominciando a pubblicare su riviste nei primi anni sessanta (cfr. soprattutto il grup­ po di liriche efficacemente presentate da Pasolini sul (,( Menabò )) del '63 ), e quindi raccogliendo via via la sua produzione in tre volumi: Variazioni belliche, Mi­ lano, Garzanti 1964 ( testi del '59-'61 , seguiti dall'impor­ tante auto-analisi tecnica Spazi metrici ) ; Serie ospedalie­ ra, iv i , Il Saggiatore 1969 ( il poemetto La libellula [ pa­ negirico della libertà] del '58 e la serie eh� dà il titolo del '63-'65 ) ; Documento 1 966-73, ivi , Garzanti 1 976. La suggestiva e spesso potente poesia della Rosselli era e resta un fenomeno in sosta11za unico nel pano-

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rama letterario italiano, legandosi piuttosto ad altre tradizioni, l 'anglosassone - tra che accompagna la scrittura come sua ombra o complice infido ( « Ho finito di scri­ vere, e continuo ! » ; e anche : « io, che mi mangio le parole l appena pronunciate >> ) . t interessante che le dichiarazioni di sfiducia nelle parole e nei « bisbiglia­ menti » delle forme si infittiscano in Documento , dove la Rosselli esercita un maggior controllo sulla sua ma­ teria verbale, riducendo quasi a zero i fenomeni aber­ ranti delle raccolte precedenti, mentre alla sempre do­ minante densità oracolare e violenza stilistica possono alternarsi modi di recitativo più pacato ( « Oh potessi avere la leggerezza della prosa » ) , gesti d 'ironia, perfino stilizzazioni all'insegna della « grazia ». ,

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da VARIAZIONI BELLICHE

[ E poi si adatterà . ] .

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E poi si adatterà, alle mie cambiate [contingenze, car io ho cambiato residenza, non son più il fiore timido appeso dove erano i salici e non voglio le tue che crudele combatto perché io non ho più [ tenerezze tenerezza. Se tu la mia tomba vorrai sfiorare con le [delicate mani poni una pietra di ferro e di peso sulla bianca lastra che [mi copre, e tu scriverai il verso che chiude l'intenso paragone. Non ho più la lana nel fosso, e non [ ho nemmeno la tenera fede di chi ti toccava la mano per la comprensione ora non rivoglio, la luna è piena [abbastanza, e fa lei da grande sorella, e il suo micidiale raggio io per [diavoleria ora seguo, che m'illumini gli spigoli dell'essere, su di un [ tenereIlo prato dove remano in un modo sofferente e cauto i morti di domani. Non più camminerò con te le tue strade ben ricolte fra le tombe vasarie, e la rugiada può pur bruciare i miei piedi, io m'assiedo e rido e sputo sui franchi visi dei giovinotti ammazzati dal [ tuo ordine. Non vi fosse questa mia e di altri crudeltà non vi fossero quelle allungate gambe, quei dorsi nudi e gracili sotto la erba. L'intento tuo non raggiungerai, prima che [ tu passi per i miei canali stretti e duri .

Amelia Rosse/li

[ Dopo il dono di Dio vi fu la rinascita . ] . .

Dopo il dono di Dio vi fu la rinascita. Dopo la pazienza dei sensi caddero tutte le giornate. Dopo l 'inchiostro di Cina rinacque un elefante: la gioia. Dopo della gioia scese l 'inferno dopo il paradiso il lupo nella tana. Dopo l'infinito vi fu la giostra. Ma caddero i lumi e si [ rinfocillsrono le bestie, e la lana venne preparata e il lupo divorato. Dopo della farne nacque il bambino, dopo della noia [ scrisse i suoi versi l 'amante. Dopo l'infinito cadde la giostra dopo la testata crebbe l'inchiostro. Caldamente protetta scrisse i suoi versi la Vergine : moribondo Cristo le [ rispose non mi toccare ! Dopo i suoi versi il Cristo divorò la pena che lo affliggeva . Dopo della notte cadde l'intero [ sostegno del mondo. Dopo dell'inferno nacque il figlio bramoso di distinguersi. Dopo della noia rompeva il silenzio l'acre bisbiglio della contadina che cercava l'acqua nel pozzo troppo profondo per le sue braccia. Dopo dell'aria che scendeva delicata attorno al suo corpo immenso, nacque la figliola col cuore devastato, nacque la pena degli [ uccelli, nacque il desiderio e l'infinito che non si ritrova se si perde. Speranzosi barcolliamo fin che la fine peschi un'anima servile.

[ Nell'antica Cina vi erano fiori d'andalusa . . ] .

Nell'antica Cina vi erano fiori d'andalusa. Tu non fischi per me. Il ramo storto della tua vigliaccheria non era che la bellezza ! nel mare lisciato e pettinato in un nodoso [ cranio

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La scultura del tuo amore era un ritornello, sapiente [virgola del maestro che sa sparire dalla tavola sparecchiata. I l Giappone crudele e distante è la tua patria. I l Giappone nodoso ed inestricabile è il viaggio che mi procurerò con la tua assenza.

[ Tutto il mondo è vedovo ] .

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Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini [ancora tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il mondo è vedovo se tu non muori ! Tutto il mondo è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi dalla tua nascita e l 'importanza del nuovo giorno non è che notte per la tua distanza. Cieca sono chè tu cammini ancora ! cieca sono che tu cammini e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini ancora aggrappato ai miei occhi celestiali .

da SERIE OSPEDALIERA

[ Di sollievo in sollievo . ] .

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Di sollievo in sollievo, le strisce bianche le carte bianche un sollievo, di passaggio in passaggio una bicicletta [ nuova con la candeggina che spruzza il cimitero. Di sollievo in sollievo con la giacca bianca che sporge [ marroncino sull'abisso, credenza tatuaggi e telefoni in fila, mentre

Amelia Ronelli

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aspettando l 'onorevole Rivulini mi sbottonavo. Di casa [ in casa telegrafo, una bicicletta in più per favore se potete in [ qualche modo spingere. Di sollievo in sollievo spingete la mia [ bicicletta gialla, il mio fumare transitivi. Di sollievo in sollievo [ tutte le carte sparse per terra o sul tavolo, liscie per credere che il futuro m'aspetta. Che m'aspetti il futuro! che m 'aspetti che m'aspetti il [ futuro biblico nella sua grandezza , una sorte contorta non l 'ho [ trovata facendo il giro delle macellerie.

da DOCUMENTO

[ I fiori vengono in dono e poi si dilatano ] I fiori vengono in dono e poi si dilatano una sorveglianza acuta li silenzia non stancarsi mai dei doni. Il mondo è un dente strappato non chiedetemi perché io oggi abbia tanti anni la pioggia è sterile. Puntando ai semi distrutti eri l'unione appassita che cercavo rubare il cuore d'un altro per poi servirsene. La speranza è un danno forse definitivo

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le monete risuonano crude nel marmo della mano. Convincevo il mostro ad appartarsi nelle stanze pulite d'un albergo immaginario v'erano nei boschi piccole vipere imbalsamate. Mi truccai a prete della poesia ma ero morta alla vita le viscere che si perdono in un tafferuglio ne muori spazzato via dalla scienza. I l mondo è sottile e piano: pochi elefanti vi girano, ottusi.

[ Delirai, imperfetta, su scale ] Delirai , imperfetta, su scale di bastoni cose di cucina, casa e impellenti misure che ti riconoscono l 'abilità alle manovre. L'erborista mal si conteneva cannibali si distinsero per una sorta di selvaggia trasparenza ma i tuoi grandi occhi non versano in mal celato affetto altro che stridenti colorazioni, semplici abbandoni nel parcheggio affondato. Trent'anni sono un lasso di tempo convenientl. per ritirare la mano dal fuoco umido e stringere a sé i bambini che adoro

Amelia Russelli

mentre fuori puzzavano vini inaciditi . un ' umta di cui disconosci le proprietà. '

Trovai una pietra bagnata di lacrimt. il suo soave splendore un poco rovinato dalle palestre, giuro di amare il catasto nel suo gingillare per il perdono nel pedigree delle destinazioni. Se esco e faccio la spesa orrore si fracassa appena belle cicogne snelle m'assembrano le membra.

[ Propongo un incontro col teschio ] Propongo un incontro col teschio, una sfida al teschio mantengo ferma e costante chiusa nella fede impossibile l'amor proprio delle bestie. Ogni giorno della sua inesplicabile esistenza parole mute in fila.

[ c} è come un dolore nella stanza . . . ] C'è come un dolore nella stanza, ed è superato in parte: ma vince il peso degli oggetti, il loro significare peso e perdita.

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C'è come un rosso nell'albero, ma è l'arancione della base della lampada comprata in luoghi che non voglio ricordare perché anch'essi pesano. Come nulla posso sapere della tua fame precise nel volere sono le stilizzate fontane può ben situarsi un rovescio d'un destino di uomini separati per obliquo rumore.

Franco Loi

Francesco ( Franco ) Loi è nato a Genova nel 1930 da padre sardo e madre emiliana, trasferendosi già nel '37 a Milano, nella cui parlata ed ethos popolare si è presto immedesimato. Dopo la guerra e la lotta civile, vissute intensamente dal ragazzo, si è iscritto al Fronte della Gioventtt e poi alla Federazione giovanile comu­ nista, svolgendo intensa attività politica di base ; nel '62 si è staccato dal PCI per militare varii anni nelle file della sinistra non ufficiale. Ha lavorato fin da gio­ vamssimo agli appalti ferroviari, poi dal '55 per la pubblicità e le relazioni pubbliche della Rinascente, e dal '62 presso l'ufficio-stampa di una grande casa editrice. Curiosamente tarda la nascita, che è del '65, della poesia dialettale di Loi, e ancor più recente la sua diffusione pubblica : dopo il gruppo di liriche uscite nel '7 1 sul n. 22 di , nel senso che non viene legittimato, secondo l'operazione tipica del poeta ver· nacolare, ritagliandosi uno spazio ristretto e privile­ giato di realtà umile-appartata, ma si pone come lin­ guaggio della totalità, che fagocita con vorace prensi­ lità tutto ciò che si muove nei suoi dintorni : dove è possibile vedere, in ultima analisi, l'espressione di un'idea della classe oppressa e della sua cultura come alternativa radicale, verità assoluta e quindi negazione assoluta dell'altro da sé. � fondamentale che il milanese sia per Loi lingua « paterna �> (o « fraterna �> ) e non materna, non di na­ tura ma di elezione e di storia, introiettata per la via di contatti umani e politici di intensa autenticità quan­ do l'adolescenza già giudicante s'affacciava al mondo del lavoro, alla feroce ma rivelatrice esperienza della guerra civile, infine al sogno della « cosa » , la rivolu­ ?.ione ( di « visione del mondo all'interno di un'espe­ rienza » ha parlato Loi stesso ). E dunque il milanese è soprattutto legato alla riemersione di un doppio ricordo­ mito, quello personale dell'adolescenza e giovinezza e quello storico degli anni eroici dell'Italia contempo­ ranea : « Quel " tornare indietro " che nell'ordine lin­ guistico è il dialetto e in quello psicologico l'infanzia-

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adolescenza, qui si manifesta, come coscienza storica, nella serie di lotte e sconfitte del proletariato europeo e, nella dimensione politica, nel " tradimento " che le sinistre avrebbero compiuto della speranza del '45 )) ( Fortini ). Questa convergenza di motivazioni emerge specialmente chiara dalla struttura di Stròlegh. Qui, con la libertà di movimenti del suo impianto insieme epico-popolare ( non senza consonanze con certa poesia « rivoluzionaria )) ru!\�a ) e fantastico-onirico