Per nulla al mondo. Un amore di Cioran 8865424842, 9788865424841

Quando Cioran annotava nei suoi Quaderni che i discepoli di Martin Buber si opponevano alla pubblicazione delle lettere

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Italian Pages 140 [143] Year 2017

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INDICE
PREMESSA ALL’EDIZIONE ITALIANA
Avvertenza Editoriale
I
II
III
IV
PRIMA CHE IL SIPARIO CALI
CIORAN IN LOVE
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Per nulla al mondo. Un amore di Cioran
 8865424842, 9788865424841

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Mille e una storia 3 Collana diretta da Gerardo Fortunato

Friedgard Thoma

Per nulla al mondo Un amore di Cioran A cura di Massimo Carloni Traduzione di Pierpaolo Trillini Revisione di Massimo Carloni e Lilia Mentrasti

La scuola di Pitagora editrice

TITOLO ORIGINALE:

Um nichts in der Welt. Eine Liebe von Cioran

Copyright © 2016 La scuola di Pitagora editrice Via Monte di Dio, 54 80132 Napoli www.scuoladipitagora.it [email protected] isbn isbn

978-88-6542-484-1 (versione cartacea) 978-88-6542-506-0 (versione elettronica nel formato PDF)

Printed in Italy – Stampato in Italia

In memoria di Franco Volpi

INDICE

Premessa all’edizione italiana 11 I 17 II 41 III 71 IV 119 Prima che il sipario cali 123 «Cioran in love» di Massimo Carloni 129

PREMESSA ALL’EDIZIONE ITALIANA

Questo libro non è un’analisi delle opere di Cioran, e tanto meno rappresenta un nuovo contributo alla sua filosofia o poesia, ma per la prima volta mostra il lato privato della persona, che si ritrae sempre dalla sua opera. Da questo punto di vista la presente storia rivela attraverso le lettere, i commentari a margine e la narrazione, un nuovo aspetto del grande aforista (su cui, già da tempo, Franco Volpi attirava l’attenzione), che a questo punto non può più essere trascurato, poiché grazie a questa vicenda, la sua stessa opera assume un nuovo rilievo. Lo scettico inattaccabile si manifesta qui come una persona vulnerabile, che rifiuta l’ironia e lo scetticismo a fronte d’una situazione esistenziale concreta. Dalla malinconia dell’età s’infiamma di nuovo la forza irrazionale della passione, sino ad estinguersi a poco a poco nella rassegnazione. Tuttavia, persino nella descrizione del progressivo ammutolirsi della sua persona, percepiamo ancora lo splendore dello spirito. Una traduzione di questa storia d’amore epistolare comporta per varie ragioni grosse difficoltà. In primis, Cioran scrive tutte le sue lettere in tedesco, lingua che conosce bene ma che non padroneggia perfettamente. Inoltre si tratta di lettere d’amore, dunque eruzioni emotive – il che potrebbe costituire un unicum nell’opera postuma di Cioran. Esternando la sua infatuazione disperata, scrisse una volta di sentirsi come «costipato» nella lingua straniera; tuttavia, voleva asso-

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lutamente scrivere e anche parlare in lingua tedesca, poiché sosteneva di ammirarla più di ogni altra lingua. All’università di Bucarest aveva già seguito lezioni di tedesco, per esempio sull’Hamlet, che a suo parere poteva essere tradotto solo in tedesco, ma non in francese. Come rendere pertanto lo stile epistolare dal tedesco all’italiano? Poiché non domina del tutto la lingua, come gli capita col francese ed il rumeno, scrive «sinteticamente», comunque abbastanza bene, da esprimere tutto ciò che vuol dire. Commette piccoli errori, o forma delle locuzioni che in realtà non esistono, per quanto siano comprensibili e trasmettano fedelmente un preciso stato d’animo. Per esempio, nella lettera del 12 maggio 1981 scrive a proposito di un’«attraente paura» (anziehende Angst), suscitata dalla foto della sua corrispondente. Il termine anziehend non si usa propriamente in combinazione con Angst, piuttosto sarebbe corretto dire: una verlockende Angst. Il che si potrebbe rendere in italiano con «un certo timore di essere sedotto» – ma così andrebbe perduta l’originalità della lingua cioraniana. Perciò, d’accordo con l’Autrice, il traduttore ha optato per «un’attraente paura», così da restituire l’insolita modalità espressiva di Cioran e conservare, nei limiti del possibile, il fascino del suo stile maldestro. Contrariamente ai suoi aforismi, capolavori d’arte letteraria levigati in lingua francese, le lettere d’amore in tedesco, in virtù del loro contenuto, manifestano una ricerca disperata dell’espressione giusta. Inoltre, l’Autrice stessa dispone d’un proprio stile di scrittura che si manifesta particolarmente nelle sue lettere: nella sintassi procede parzialmente in maniera associativa o frammentaria ed accanto alla lingua ricercata utilizza espressioni colloquiali, inframezzate a giochi di parole intraducibili. La voluttà dell’erotismo puramente intellettuale è decisamente rifiutata da Cioran. Perciò l’Autrice si trova di fronte ad un dilemma che si riflette nello stile delle sue lettere: come mantenere la venerazione e l’amicizia, senza cedere alle esigenze di un amore fisico? In effetti l’ha fatto per poco tempo (le lettere dopo la prima visita a Colonia di Cioran – Baden-Baden 10 maggio e Lausanne-Ouchy 12 maggio 1981 – ne sono una testimonianza), ma poi si è dovuta deci-

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samente difendere dal rapporto fisico non desiderato. Ciò è evidente nella sua del 14 maggio1981, dove utilizza uno stile equivoco, difficile da tradurre, perché l’Autrice rimuove il suo modo di esprimersi, chiaro e razionale, a favore dell’ambivalenza poetica, in modo da non perdere l’amicizia insieme all’amore, da lei respinto. Il traduttore ha cercato di rendere in maniera espressivamente adeguata tanto l’uso linguistico quanto la lacerante condizione interiore. Ha saputo inoltre chiarire e spiegare alcuni avvenimenti attraverso l’uso delle note. P. T.

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Avvertenza Editoriale La presente edizione italiana del libro di Friedgard Thoma Um nichts in der Welt. Eine Liebe von Cioran, viene pubblicata nel rispetto della sentenza del Tribunale di Monaco I (21 O 20566/02) del 14.01.2004, che vieta la divulgazione delle lettere di Emil Cioran indirizzate all’Autrice, qui riportate in ordine cronologico: 28.04.1981, 02.05.1981, 24.05.1981, 26.06.1981, 28.06.1981, 03.07.1981, 04.07.1981, 05.07.1981. Al fine di preservare l’integrità della narrazione, il contenuto di tali lettere è stato riassunto dall’Autrice in forma indiretta. Tutti i riferimenti alle opere di Cioran sono tratti dall’edizione Adelphi. Le note al testo, salva diversa indicazione, sono del curatore.

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Pour rien au monde elle n’eût renoncé à l’usage lyrique et vagabond de son extrême automne. Per nulla al mondo avrebbe rinunciato all’uso lirico e vagabondo del suo tardo autunno. (Colette, a proposito dell’ottuagenaria Marguerite Moreno – scritto da Cioran su un tovagliolo il 19 giugno 1981)

I

Quando feci la conoscenza dell’opera di Cioran nel 1979 (esattamente trent’anni dopo l’uscita del suo Sommario di decomposizione), a proposito della sua arte e cogliendo lo splendido stile aforistico dell’inno alla morte, mi venne subito in mente il passo seguente, tratto da un libro di fantasmi cinese che Kafka riportò nel settembre del 1920, scrivendo a Milena: «Un allievo deride poi un maestro che parla soltanto di morte: “Continuamente parli della morte, eppure non muori mai”». Kafka commentò così il brano: «Non è giusto sorridere dell’eroe che, ferito a morte, giace sul palcoscenico e canta un’aria. Noi giaciamo e cantiamo per anni e anni»1.  Quando Kafka scrisse queste parole, nel settembre 1920, Cioran aveva appena nove anni. Figlio di un prete ortodosso, cresceva spensierato nei pressi della città di Hermannstadt in Transilvania e non presentiva ancora quanto la poetica della morte di Kafka sarebbe stata prossima alla sua opera, che vedrà la luce in lingua rumena nei primi anni Trenta. Da allora 1 Così recita per intero il passo della lettera di Kafka a Milena: «Un allievo deride poi un maestro che parla soltanto di morte: “Continuamente parli della morte, eppure non muori”. “Eppure morirò. Vedi, sto recitando il mio ultimo canto. Il canto di uno è più lungo, il canto dell’altro è più breve, ma la differenza non può essere che di qualche parola. Ciò è esatto e non è giusto sorridere dell’eroe che, ferito a morte, giace sul palcoscenico e canta un’aria. Noi giaciamo e cantiamo per lunghi anni”» (F. Kafka, Lettere a Milena, trad. Ervino Pocar, Oscar Mondatori, Milano 1979, p. 211).

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Cioran ha sempre cantato la morte, il suicidio, l’insonnia, la malinconia, «le cafard» (intraducibile) e la decadenza fisica (déchéance physique). Nonostante Cioran si fosse sempre considerato il grande solitario, nel 1937 partì definitivamente per l’esilio parigino, dove visse cinquant’anni – fino a due anni prima della morte, avvenuta il 21 giugno 1995 nella casa di cura «Broca» – insieme alla sua compagna, l’insegnante francese Simone Boué (annegata l’11 settembre 1997, poco prima della pubblicazione dei Cahiers, opera postuma di Cioran da lei stessa curata). Impiegò degli anni per pubblicare in francese le sue «arie funebri», così infatti si potrebbe definire la sua opera aforistica. Tuttavia ne valse la pena: dopo aver rielaborato cinque versioni del suo Sommario di decomposizione (Précis de décomposition, 1949, tradotto in tedesco da Paul Celan), Cioran fu definito il più grande stilista vivente in lingua francese. Sillogismi dell’amarezza, L’inconveniente di essere nati, Il funesto demiurgo – insieme ad altre raccolte di aforismi, rivelano già dal titolo che nelle sue opere il principio speranza è assente («Sperare significa smentire l’avvenire»)2 e lo stesso dicasi per il tagliente cinismo dei suoi saggi Sul pensiero reazionario (di Joseph de Maistre e Paul Valéry). Effettivamente per molto tempo Cioran risultò un autore sconosciuto riservato agli amanti dell’Incurabile, pertanto non adatto agli esistenzialisti o ai marxisti. «In futuro, se l’umanità dovrà ricominciare, lo farà con i suoi stessi rifiuti, con i mongoli di ogni dove, con la feccia dei continenti: si delineerà così una civiltà caricaturale»3.  Al pari dei pochi che non sublimano ideologicamente l’angoscia della morte ma si attengono alla catastrofe della nascita, ha coltivato nell’aforisma «la paura in mezzo alle parole, quella paura di crollare con tutte le parole»4.  Tuttavia esiste un punto cieco nel passato di Cioran, che egli con me non ha mai chiarito: da studente era stato fervente ammiratore dell’attivista di estrema destra, Corneliu Zelea Codreanu. Altrettanto inaccessibili E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza [Syllogismes de l’amertume, 1952], trad. di C. Rognoni, Adelphi, Milano 1993, p. 74. 3 Ivi, p. 62. 4 Ivi, p. 15. 2

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agli appassionati dell’aneddotica cioraniana appaiono la sua vita e il suo pensiero durante il soggiorno berlinese, tra il 1933 e il 1935, in qualità di borsista dell’Università von Humboldt, così come le sue esperienze di Bucarest nel biennio 1940-1941. Dopo la Seconda Guerra mondiale rimarrà ancora il grande negatore dei valori riconosciuti dall’umanità. Nonostante sia stato spesso definito il filosofo erede di Nietzsche, Cioran si collocava piuttosto tra due estremi, brancolando tra le rovine del sistema, in un «misto di filosofia e poesia, preferendo la seconda. Non dimenticate tuttavia» – mi scrisse – «che mi sono sempre trascinato dietro i residui della Teologia e sono stato infettato dal linguaggio della mistica». Tutto questo può stupire, tanto più per il fatto di aver praticato l’arte della distruzione fino al culmine estremo: «Vivere è perdere terreno»5  e «Vivo solo perché è in mio potere morire quando meglio mi sembrerà: senza l’idea del suicidio, mi sarei ucciso subito»6.  Avversari e ammiratori del grande scettico («Lo scetticismo è l’eleganza dell’ansia»7) gli rimproverarono di aver scritto del suicidio per tutta la vita, e forse di avervi pure istigato qualcuno, senza averlo mai praticato. Chi lo visitò negli ultimi due anni della sua vita, presso la casa di cura dove vegetava assente, privo di coscienza, comprese la macabra ironia del suo destino, che per alcuni anni lo condannò alla vita, senza la pietà d’esserne liberato. Quando Cioran, nel 1989, mi spedì la traduzione in tedesco della sua prima opera rumena – Al culmine della disperazione – scrisse nel suo tedesco un po’ impreciso: «Se in gioventù non avessi prodotto questi lamenti, avrei abbandonato da tempo il palcoscenico». Poiché non lo aveva abbandonato, restò sempre disteso sul palcoscenico gemendo, ferito a morte, ma dal suo gemito è scaturito un canto… E. M. Cioran, L’inconveniente di essere nati [De l’inconvénient d’être né, 1973], trad. di L. Zilli, Adelphi, Milano 1991, p. 91. 6 E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 63. 7 Ivi, p. 25. 5

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Brahms Sextett Il n’est que la musique pour créer une complicité indestructible entre deux êtres. Une passion est périssable, elle s’use comme tout ce qui participe de la vie, alors que la musique est d’une essence supérieure à la vie et, bien entendue, à la mort.8 Il Perdente Sabato pomeriggio 12 dicembre 1981

Ancor prima di aver fatto la sua conoscenza, trasformatasi ben presto in ossessione e poi in amicizia intima (che per lui significava «complicità»), ero un’entusiasta diffidente degli aforismi di Cioran. D’altronde egli stesso esortava a farlo, quando affermava (di sé?): «Diffidate di quelli che voltano le spalle all’amore, all’ambizione, alla società. Si vendicheranno di avervi rinunciato. La storia delle idee è la storia del rancore dei solitari»9.  «Il sestetto di Brahms. Solo la musica può creare una complicità indistruttibile fra due esseri. Una passione è peritura, si consuma come tutto ciò che partecipa della vita, mentre la musica è di un’essenza superiore alla vita e, beninteso, alla morte». 9 E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 12. 8

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Sebbene – o proprio perché – non avesse cercato di sviluppare il suo pensiero in direzione di un sistema, la libera formulazione delle sue idee lo condusse verso una fondamentale ostilità nei confronti della società e dei suoi valori più preziosi. Ne fui immediatamente conquistata. Mi era chiaro che l’arte dell’aforisma non dovesse brillare in virtù d’una veridicità ingenua, quanto piuttosto grazie alla sua sorprendente concisione. «Un libro è un suicidio differito»10  scrive Cioran. Ho compreso tuttavia che chi lo affermava in realtà era tutt’altro che un aspirante suicida. In genere le sue proposizioni godono della sana fragranza riservata a ciò che è considerato vizioso o cinico, liberano dai tabù, mentre li infrangono elegantemente. Impertinenze del tipo: «Una civiltà che cominciò con le cattedrali doveva finire con l’ermetismo della schizofrenia»11; oppure «Fallire la propria vita significa accedere alla poesia – senza il supporto del talento»12; e ancora «Solo gli spiriti superficiali si accostano a un’idea con delicatezza»13, mi hanno entusiasmato a tal punto da inviare subito una lettera alla casa editrice, per saperne di più su Cioran, della cui vita non conoscevo nulla. Gli scrissi in tedesco. La mia prima lettera aveva pressappoco il seguente tenore: mi felicitavo di essermi imbattuta finalmente in uno scrittore che, senza essere affatto «distruttivo», mi ravvivava il cuore scrivendo piccanti insolenze, coniugando la folle profondità del Lenz di Büchner alla flemma solitaria d’un Robert Walser. Non ero della stessa opinione dei giornalisti o altri, che giudicarono depressivo quel suo disperato grido al cielo; al contrario, in un’epoca di grande sconforto, la sua opera ebbe l’effetto d’un tonico rigenerante. Principalmente fu la lettura del suo aforisma della castagna a darmi la spinta decisiva a scrivergli:

E. M. Cioran, L’inconveniente di essere nati, cit., p. 94.. E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 15. 12 Ivi, p. 14.. 13 Ibidem. 10

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Passeggiavo a un’ora tarda in quel viale alberato, quando mi cadde davanti ai piedi una castagna. Il rumore che fece spaccandosi, l’eco che tale rumore suscitò in me, e un trasalimento sproporzionato rispetto a quell’incidente infimo, mi immersero nel miracolo, nell’ebbrezza del definitivo, come se non ci fossero più interrogativi ma solo risposte. Ero stordito da mille evidenze inattese, di cui non sapevo che fare… Così per poco non attinsi il supremo. Ma giudicai preferibile continuare la passeggiata14. 

Ciò avvenne alla fine di gennaio o all’inizio del febbraio 1981. Ad ogni modo mi rispose quasi a stretto giro di posta, con una lettera scritta a mano. Nel riportare la missiva ho mantenuto i lievi errori nell’uso della lingua tedesca, senza correggerne l’ortografia e la punteggiatura. Parigi, 6 febbraio 1981 21 rue de l’Odeon Tel. 633.27-68 Gentile Signora Friedgard Schulte Thoma, La ringrazio molto per la Sua cordiale e – oserei dire – calorosa lettera. Sono rimasto colpito particolarmente dall’allusione a Lenz, Robert Walser lo conosco poco; leggo volentieri saggi, diari e memorie. Mi fa piacere che Lei non mi consideri «distruttivo». Ho sempre cercato di aiutare i miei… simili mostrando loro come si possa sopportare l’intollerabile. Tuttavia i tedeschi diffidano del mio tono ironico. Parigi è una città decadente. Se dovesse venire da queste parti, mi farebbe piacere conoscerla. Sono diventato un vecchio signore e mi ritrovo nella stessa condizione di Parigi. Cordiali saluti Suo E.M. Cioran

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E. M. Cioran, L’inconveniente di essere nati, cit., p. 20.

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Come si può immaginare, la mia risposta non si fece attendere molto. Giovedì, 12.2.81 Caro E. M. Cioran! Non immaginavo di ricevere una lettera da Lei – in fondo non osavo neanche aspettarla. Che insensatezza, eppure che gioia autentica! Ha avuto per caso cattive esperienze con l’attitudine tedesca verso l’ironia? Ciò non mi stupisce, dubito infatti che sia solo una qualità tipicamente tedesca – per parte del perbenismo borghese – diffidare dell’ironia. Ma c’è dell’altro, che Lei riporta, vale a dire la diffidenza nei confronti di ogni verità che proviene dalle idee e, ovviamente, anche delle sue. Non rimane che l’ironia per disarmarla. L’arte della sua ironia, caro Monsieur Cioran, si rivela quindi una necessità! «Tutto è unico – e insignificante»15  – è contenuta proprio in questa sua frase, che mi ricorda appunto Robert Walser, da me già menzionato, che nel 1929 si esiliò di sua volontà in una clinica psichiatrica per non lasciarla più. Un Hölderlin convinto. Scrive in proposito: «La vita ha in sé stessa qualcosa, che non vuole sia perseguito». La prima volta che sentii parlare di Lei fu grazie al mio ex marito Günter Schulte, che inserì una Sua citazione all’inizio di un suo libro d’immagini filosofiche. A tal riguardo, le invio il libro (Prospettive del corpo. Incisioni d’acquaforte), scusandomi al contempo per la mia importunità… Al mio solito modo – frivolo, ma piuttosto vanitoso – allego alla lettera una mia foto, così può farsi un’idea della persona che le scrive. Poco importa che Parigi sia decadente, in ogni caso non molto più del termine «distruttivo»; definirsi decadente da parte sua, è un segno di coerenza che la rende simpatico! Sarei lieta di conoscerla personalmente, se desidera, e se Lei è ancora a Parigi le farò sapere, forse prima di Pasqua, quando passerò dalle sue parti. Nel frattempo sto leggendo 15 «Questo secondo è svanito per sempre, si è perduto nella massa anonima dell’irrevocabile. Non tornerà mai più. Ne soffro e non ne soffro. Tutto è unico – e insignificante», ivi, p. 41.

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i suoi due scritti tratti da «Akzenten»16, dei quali la ringrazio molto! Quale abisso nel XXXV capitolo (la citazione di Tacito e l’ «auspicio» che segue)17. La saluto affettuosamente. Sua Friedgard Schulte-Thoma P.S. Conosce i diari di W. Gombrowicz?

Cioran rispose subito: Parigi, 19 febbraio 1981 Cara Friedgard Schulte-Thoma, La lettera, la foto e il libro di Günter Schulte mi sono piaciuti e la ringrazio molto. Ho capito bene, almeno credo, Le prospettive del corpo, poiché tutta la mia vita è stata una lotta con il mio corpo. Mani e metafisica: simbiosi originale e pregnante. Quale mistero evocano quelle dita! Gombrowicz ha sofferto accessi di megalomania, il che non è assolutamente un difetto. Conosco i suoi diari e li trovo interessanti. La citazione di Walser mi ha colpito nel profondo. La ringrazio ancora. Spero di fare una passeggiata con Lei prima di Pasqua in questa (quale aggettivo potrei usare?) città. La saluto affettuosamente Suo E. M. Cioran

Risposi il sabato di Carnevale:

Rivista letteraria tedesca. Il passo su Tacito ricorre in Squartamento: «Tacito fa dire a Ottone deciso ad uccidersi ma convinto dai suoi soldati a rinviare il suo gesto: “Ebbene, aggiungiamo ancora una notte alla nostra vita”. ... C’è da sperare per lui che la sua notte non rassomigliasse a quella che ho appena passato» (E. M. Cioran, Squartamento [Ecartelement, 1979], trad. di M. A. Rigoni, Adelphi, Milano 1981, p. 117). 16 17

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Caro E. M. Cioran! È una mattinata domenicale talmente radiosa, che mi sento di scriverle (e spero non sia un gesto liturgico succedaneo). Contemporaneamente alla sua lettera (molte grazie!) ho ricevuto dall’Argentina una sua intervista, Un apasionado escepticismo18, la cui conclusione mi ha particolarmente interessato. Lei dice: «la scienza è un camuffamento della saggezza in nome della conoscenza del mondo» (... en nombre del conocimento del mundo). Allego inoltre le bozze di un nuovo libro di Ingomar von Kieseritzky (un mio amico di Berlino nato nel 1944), che reca il titolo enigmatico Lo schiaffo mostruoso ovvero scene dalla storia della ragione. Vi si dice tra l’altro: «Se ognuno… potesse infine decidersi di ritirarsi dopo un paio di passi di danza, invece di perseverare nel concetto di uomo, questo progetto fallimentare, unito al progresso ed altre sciocchezze. Dopo alcuni anni si potrebbe ricominciare da capo, al di là dell’usuale lordura della ragione». Come può vedere, la nuova generazione sembra sapere ciò che Lei scrive da anni; essa le resterà accanto, probabilmente a vita. Sono felice che Lei voglia passeggiare con me, e immagino che mi tenga per mano, accompagnandomi sicuro nella città decadente. Peccato che a Pasqua nessuna castagna «cadrà ai nostri piedi», cosicché, ad un’ora tarda, non sentiremo quel rumore di frantumi (come nel ‘più bello’ dei suoi aforismi). Un’eco viene ridestata, un’emozione… cosa potrà accadere in aprile? Le invio i miei calorosi saluti! Sua Friedgard Schulte-Thoma

Cioran questa volta rispose dalla Normandia: Dieppe, 20 marzo 1981 Cara amica, A Dieppe (clima: polo nord) ho una soffitta dove di tanto in tanto 18

Uno scetticismo appassionato.

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mi ritiro per sottrarmi agli incubi parigini. Purtroppo qui non posso lavorare (d’altronde nemmeno a Parigi). Mi considero un barbaro: Ingomar von Kieseritzky non mi dice niente. La citazione è comunque eccellente. Il filosofo argentino non mi ha spedito l’intervista. Soltanto grazie alla sua lettera ho saputo che è stata pubblicata, Dio solo sa in quale forma! Ad ogni modo credo che la cultura dell’Europa occidentale non continuerà nel Nord, ma nel Sud America. Forse la mia è una debolezza ridicola, ma tutto ciò che reca un’impronta spagnola mi attrae. Per favore mi scriva in anticipo quando deciderà di venire a Parigi, poiché durante la Pasqua ci si deve sempre sacrificare per i vecchi amici. Tanti cari saluti Suo E. M. Cioran 27 marzo 1981 Caro E. M. Cioran! (Cosa significa esattamente quella M.?)19 Se dovessi dare una definizione della gioia, direi che è ciò che provo quando ricevo una sua lettera. Dunque: martedi 14 a mezzogiorno arriverò nella sua città-«incubo» e alloggerò nel mio vecchio Hotel du Lys (rue Serpente) o nelle vicinanze, in ogni caso nel suo quartiere. Probabilmente resterò fino al Venerdì Santo, quindi fino al 17, di modo che a Pasqua Lei possa sacrificarsi per i suoi amici e resuscitare. (Mi viene subito da pensare che Gesù, con questa resurrezione del tutto inutile, sia diventato, piuttosto, il solo vero sacrificato – quantomeno all’industria dei regali). Come sarebbe bello, se Lei non dovesse lavorare e potesse dedicarmi un po’ di tempo! Proverò a telefonarle nel pomeriggio del 14.4 (verso le 18, va bene?) – nonostante la timidezza di trovarmi al cospetto della Più tardi mi spiegò che aveva inserito quella lettera «M» semplicemente nel senso di essere umano. Lui stesso non ha alcun nome che comincia per «M» (anche se nei dizionari lo si trova come Emil Michel!). Osservai, in effetti, che il mio secondo nome inizia per «M», Maria. Mi disse, ridendo, che voleva prendere a prestito il nome (aveva infatti un debole per i santi, soprattutto le sante) per ingannarmi con esso (N.d.A.). 19

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sua voce invisibile, con la mia disarmata, che nello spazio angusto del filo telefonico, bloccherà le prime parole. A costo di ripetermi: sono molto felice. La saluto con affetto Sua F. Schulte-Thoma Parigi, 6 aprile 1981 Cara Friedgard Schulte-Thoma, Conosco l’Hotel du Lys. Mi telefoni per favore il 14. Forse potremo incontrarci il giorno stesso o meglio, il pomeriggio o la sera del giorno seguente. Mio fratello, che non vedo da quarant’anni, viene a Parigi con sua moglie per due settimane, nel periodo di Pasqua. Devo cercare una sistemazione per loro e questo mi crea «problemi» di ogni tipo. Entrambi parlano poco francese e mi chiedo come reagirà la mia compagne (sono mezzo sposato da parecchio tempo)20. La cosa peggiore per me è il ritorno forzato alla mia lingua madre. Rivedere i vecchi amici mi mette alla prova; ora dovrò patire l’incontro con il mio passato… Per i dettagli di cui sopra, le riferirò la prossima settimana. Sono felice di conoscerla così presto. Saluti affettuosi, Suo E. M. Cioran

Dunque partii, tuttavia non alloggiai più all’Hotel du Lys, che risultava occupato, ma all’Ile St. Louis, nell’Hotel omonimo. La nostra conversazione telefonica fu breve e precisa: si convenne che venisse a prendermi all’hotel, alle quattro del pomeriggio. Un uomo di costituzione fragile, con un ciuffo di capelli grigi, arruffati, e gli occhi dello stesso colore, che si guardava intorno vagando senza meta, si presentò all’entrata dell’albergo con dieci minuti d’anticipo. 20

La compagna d’una vita è Simone Boué.

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Lo fermai immediatamente. Come lui stesso sosteneva in uno dei suoi aforismi, ci si può figurare se stessi a dialogare unicamente con il proprio scheletro e tutto ciò, naturalmente, la carne non lo perdonerà mai21.   Per quanto mi riguardava, cercai di apparire attraente, indossando un abito nero non troppo corto, sotto un lungo cappotto chiaro. Cioran, apparentemente incurante di ciò, mi indicò subito una casa di fronte all’albergo, dove tempo addietro una sua amica si era tolta la vita, definendo l’episodio come tragico. Rimasi colpita e chiesi al famoso apologeta del suicidio il perché, ma lui subito cambiò argomento, proponendo di andare a visitare il museo Carnavalet, nel quartiere Marais. Camminando con passo sicuro e costante (doveva aver già girovagato per almeno 20 minuti fino all’Ile St. Louis), iniziò a parlare di mille futilità, dal suo affitto estremamente basso (mansarda) al diverbio avuto con il locatore. Quando paragonai il mio affitto al suo, si fermò con le mani tra i capelli, come se la terra si fosse aperta sotto i suoi piedi. Ancora: la professione di insegnante! Che fortuna per lui non averla dovuta (quasi) mai esercitare (Sono stato sempre un ozioso), ma, ancor più fortunato, per il fatto che la sua compagna lo mantenesse tutto il tempo, e avendo lei ottenuto l’Agrégation, poteva anche godere di una notevole pensione anticipata. Tutto ciò finì per apparirmi così sciocco. Gli feci notare il mio stupore nel trovarmi a passeggiare con una delle più grandi menti di Parigi e parlare unicamente di problemi d’affitto e salario degli insegnanti. (Più tardi, al telefono, affermerà di non ricordarsene, poiché altrimenti una simile impudenza non sarebbe passata inosservata). Ci sedemmo su una panchina, mentre intorno alcuni bambini asiatici scorazzavano dietro ai piccioni. Nella nostra breve chiacchierata affiorarono allora i nomi di Lord Byron e di Malte Laurids Brigge22 ; ma lui voleva a tutti i costi andare al Carnavalet, per mostrarmi il suo amato Talleyrand, celebre donnaiolo! Al contrario io mi sentivo un po’ stanca e volevo invitarlo a bere del vino in un bistrot. Ma lui no, non beveva nulla, niente alcool soprattutto, cosa che per me fu motivo di grande delusione. Al museo Carnavalet, infine, mi fece notare i custodi di colore – tutta 21 22

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Cfr. E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 49. Protagonista dell’opera omonima di Rainer Maria Rilke.

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Parigi era terribilmente piena di gente di colore e si doveva prestare molta attenzione. Recentemente era stato aggredito da un nero e si era salvato gettando il portafoglio lontano da sé – quindi io, in quanto donna, dovevo essere particolarmente prudente. Nel discutere sulla storia della rivoluzione francese, rimasi ammirata dalla sottigliezza delle sue analisi, nonché dalla sua vasta conoscenza della lingua tedesca. Amava su tutte quella lingua e già all’Università di Bucarest studiò l’Hamlet in tedesco. Arrivammo quindi davanti al ritratto della bella Madame Recamier, di cui avevo appena letto una toccante biografia di Chateaubriand. Cioran sollevò la questione se la Recamier fosse mai stata in grado d’intrattenere rapporti sessuali. Non aveva anche lei, come del resto Elisabetta I, un’anomalia anatomica? Davanti al quadretto preferito da Kafka, Le lever de Voltaire, facemmo delle osservazioni spiritose, di cui non ricordo più il contenuto. Improvvisamente, rimasi come sconvolta davanti al bel ritratto del giovane Liszt (ancora senza verruche). Come era finito lì? Assomigliava un po’ a Walter, il mio ragazzo, il quale era rimasto a Colonia piuttosto irritato (Cioran accennerà a lui, nella sua prossima lettera). Mentre me ne stavo lì, in un museo con un settantenne, mettevo in gioco il mio futuro a casa! L’irruzione delle popolazioni straniere in Occidente e le idee reazionarie di Cioran in proposito, mi distolsero infine dalle preoccupazioni domestiche. Più tardi mi condusse, sempre a piedi, in Boulevard St. Germain, nel suo quartiere. In tutto camminammo circa due ore, escluso il tempo trascorso al museo. In rue de la Seine decise di comprare un filetto di manzo di prima qualità e dei fagiolini, gli proposi invece di riposarci un po’ a «La Palette» e di andare a cenare da «Lipp», ma lui rifiutò categoricamente, sostenendo che a Parigi era tutto troppo caro e per giunta cattivo (su questo aveva ragione). – Meglio cenare a casa sua. Bene! Ma la sua «compagne» sarebbe stata d’accordo? – Lei si trovava nel suo paese, in Vandea, e sarebbe rientrata non prima di Pasqua. Allora ritornai sull’argomento vino. Ah, aveva in casa dei vini deliziosi! Entrammo infine attraverso il portone laccato verde scuro in rue de l’Odéon, dove poco prima mi aveva mostrato il luogo in cui una giovane Sylvia Beach

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aprì la libreria «Shakespeare and Company»23. Una gentile concièrge di origini slave mi salutò come se fossi una vecchia conoscenza. Curiosa e consapevole di vivere un momento storico, mi accingevo a seguire Cioran salendo i novantacinque e più scalini che portavano alla minuscola mansarda (la toilette si trovava nel pianerottolo ed era in comune); sulla porta d’ingresso vi era un cartellino scritto a mano, recante il solo cognome della compagna: Boué. All’ingresso ci si doveva abbassare un po’, così come nel corridoio antistante la cucina. Cioran era visibilmente preoccupato (lo sarà anche in seguito) che potessi battere la testa contro le travi del soffitto o inciampare sui gradini. La cucina, a forma d’armadietto, comprendeva due fornelli a gas ed un lavello. Mentre pulivo i fagiolini, cercai d’immaginare cosa avrebbe detto Mme Boué, se fosse entrata in quel momento. In qualche maniera riuscii ad evitare che Cioran bruciasse del tutto quel magnifico filetto. Un eccellente Bordeaux allietava il mio spirito, così che potei infine intraprendere una conversazione appropriata. Se non ricordo male, aveva a che fare con Dostojevski in rapporto alla concezione del divino in Cioran: Dio è concepibile solo come interlocutore nel monologo del solitario24. Ci trovammo d’accordo. Non ricordo più quanto tempo abbiamo poi parlato, almeno fino a mezzanotte. Cioran voleva accompagnarmi in albergo. Per educazione declinai l’invito, tuttavia lui mi spiegò che era abituato a passeggiare molto tardi nel suo quartiere. Inoltre, a quell’ora, sarebbe stato impossibile per me camminare sola in strada. Mi veniva da ridere nel pensare a come erano piene di gente le strade a Parigi, perfino a Sylvia Beach fu editrice e scrittrice americana. Stabilitasi a Parigi nel 1917, vi aprì la libreria Shakespeare & Company (1919), che divenne negli anni Venti celebre ritrovo di artisti europei d’avanguardia e degli espatriati statunitensi. Pubblicò la prima edizione dell’Ulysses di Joyce (1922). A quelle esperienze ha poi dedicato nel 1956 un libro di memorie dal titolo Shakespeare & C. 24 Cfr. E. M. Cioran, Sommario di decomposizione [Précis de décomposition, 1949], trad. di M. A. Rigoni e T. Turolla, Adelphi, Milano 1996, p. 115: «Quando si giunge al limite del monologo, ai confini della solitudine, si inventa – in mancanza di altri interlocutori – Dio, supremo pretesto di dialogo». 23

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quell’ora. Fissammo di nuovo un appuntamento per cenare a casa sua, la sera seguente. La notte era fresca, ma non troppo. Ad ogni modo Cioran, che indossava un buffo cappottino, insisteva nel dire che fossi vestita troppo leggera. Allora gli citai il mio amico berlinese Ingomar von Kieseritzky, per il quale aver freddo era sempre una questione di risoluzione. – Ingomar, tuttavia, sarebbe mai stato capace di premure così affettuose? Davanti all’hotel Cioran mi baciò la mano destra. Presa dall’entusiasmo, lo abbracciai e sfiorai con le mie le sue guancie. In camera, mi stava già aspettando l’amica che era venuta con me. Fumammo una sigaretta arrotolata guardando l’abitazione di fronte, proprio là, dove l’amica di Cioran si era tolta la vita; nel lussuoso appartamento adornato di palme, notammo due uomini in veste da camera di seta luccicante, dietro cui appariva ogni tanto una testa di cavallo a grandezza naturale. …c’est de la férocité qu’il faut pour insister sur le surgissement de l’incurable au milieu de l’insignifiance (Cioran su Tolstoï)  (Più che crudeltà, ci vuole ferocia per insistere sull’insorgere dell’incurabile in mezzo all’insignificanza)25 – Sì, lo volevo! La sera dopo, à bout de souffle, giunsi al quinto o sesto piano, al 21 di rue de l’Odéon. Dopo un saluto affettuoso nel piccolo ingresso, mi condusse in una specie di soggiorno, piccolo e grazioso, con mobili di bambù, un letto con le coperte blu e una fila di libri. Le pareti erano decorate da piccoli disegni (forse di Michaux?). Presso la finestra del balcone, da cui si poteva godere lo straordinario ed improvviso scorcio sui tetti di Parigi, c’era una deliziosa tavola apparecchiata quasi a festa. No, non era la camera di Cioran, ma quella di Simone, la sua compagna. Tuttavia era adibita allo stesso tempo a sala ufficiale per il ricevimento degli ospiti. Solo un tappeto balcanico sul 25 E. M. Cioran, La caduta nel tempo [La chute dans le temps, 1964] trad. di T. Turolla, Adelphi, Milano 1995, p. 90.

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pavimento ricordava la patria di Cioran. A quel punto osai chiedergli il permesso di scattare alcune foto, anche a lui. – Naturalmente, sì. Squillò il telefono. Riuscii solo a capire «Erika»: lunga storia di una ragazzina, questione complicata. La luna saliva alta. Con difficoltà vuotai solo per metà la bottiglia che avevo portato (vino bianco stavolta, che in quel periodo preferivo), perché le preoccupazioni di Cioran che divenissi un’alcolizzata, o che già lo fossi, si facevano sempre più assillanti. Richiamai la sua attenzione sulla credibilità alquanto dubbia dei suoi aforismi. Del resto, non ha forse scritto: «Quando non si è avuta la fortuna di avere dei genitori alcolizzati, bisogna intossicarsi tutta la vita per compensare la pesante eredità delle loro virtù»?26 «Lei è diventato un fanatico della salute di prima categoria», gli rimproverai; ma conversando su Sissi, l’imperatrice austriaca, venerata da Cioran come una donna bella e piuttosto nevrotica, ci avvicinammo l’uno all’altra, ma non troppo. «Sissi, Lei ed… io, una trinità fondata sulla malinconia», mi scriverà un anno dopo nel suo nuovo libro. – Mi disse però di essere deluso dal fatto che quella sera indossassi i jeans, perché… – il motivo lo si può apprendere nella lettera successiva. A notte tarda, Cioran mi accompagnò di nuovo all’albergo. Parlammo confidenzialmente come vecchi amici... Il ricordo della sua bontà. Mi baciò sull’orecchio destro. Commozione. La mattina seguente – il giorno della mia partenza –, il telefono squillò di buon ora nella mia camera d’albergo. Cioran! Balbettò, mi disse parole affettuose, ma non ricordo più ciò che disse. Il solo fatto che mi avesse chiamata così presto, fa parte dei miei ricordi. Nella lettera seguente alluderà a quella telefonata. Questa lettera di Cioran è – insieme a molte altre che mi sono altrettanto care – il mio «tesoro» più prezioso, la cui distruzione rappresenterebbe l’estinzione di una parte importante e forse sconosciuta, delle sue qualità umane. Se non avesse scritto nient’altro – basterebbe questa lettera a renderlo vivo per sempre (per non dire: a resuscitarlo). 26

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E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., pp. 71-72.

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Domenica di Pasqua Cara Friedgard, È mattina presto. Non potevo più rigirarmi nel letto come un verme, dovevo alzarmi (quasi mi apprestassi a risorgere, ma non è veramente il caso) per mandarle un foglietto-confessione. Per tutto il giorno ieri ho patito un terribile cafard, aggravato dal mal di testa. Il cielo era sconvenientemente azzurro, ho fatto una passeggiata inutile, volevo persino entrare in una chiesa (Saint-Séverin), non ho potuto, poi ho comprato un testo sui Trappisti nella libreria accanto, e non sono riuscito a leggerlo. La sera, per fortuna, ho avuto una lunga e gradevole conversazione con due buoni amici, un còrso e una libanese. All’una a casa, ho dormito qualche ora, mi sono risvegliato presto, e poi è cominciato il tormento. Ho pensato a Lei e a tutto quello che sarebbe potuto essere giovedì sera… se non avesse opposto resistenza. L’ho sentita sospirare e piangere. Per oltre un’ora le scene più intime si sono svolte nella mia mente, con una precisione tale che mi sono dovuto alzare dal letto per non impazzire. Abbiamo discusso troppo. Ho compreso in maniera chiara di sentirmi legato sensualmente a Lei solo dopo averle confessato al telefono che avrei voluto sprofondare per sempre la mia testa sotto la sua gonna. Come possono essere letali certe cose. – Tutto in fondo è cominciato dalla foto, con i suoi occhi direi. Lei si era un po’ spaventata quando le ho parlato di una «perversa» attrazione per il suo corpo. Perversa non è la parola esatta; piccante volevo dire. Sono comunque normale; ma gli stati d’animo intensivi esigono delle espressioni in-naturali. Credo (forse mi sbaglio) che stamattina sarei meno ossessionato, se Lei fosse stata più buona con me. In fondo ci conosciamo sin dalla prima lettera. Adesso vorrei contenermi in qualche modo, temo delusioni future ed anche una tremenda gelosia. Il pensiero inevitabile che Lei stia insieme al suo compagno in questi maledetti giorni di Pasqua e nei seguenti, diventa per me insopportabile. Per alleviare questa pena, devo provare a superare le mie ossessioni, possibilmente pensando a Lei in modo diverso. In genere non provo alcuna attrazione sessuale per le donne con cui sento un’affinità intellettuale. Parlerei volentieri del Lenz con Lei a

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letto. Peccato che non abiti da queste parti. La gioia di averla conosciuta sta diventando una prova, e persino un colpo. Vorrei concludere con un aforisma ironico, ma non ci riesco. Suo E. M. C. [Sul bordo della pagina davanti:]* Poco fa, al telefono con la mia compagna ho parlato di Lei e di Sils-Maria, il posto dove vuole andare a tutti i costi in maggio o a giugno. Le racconterò quello che fino adesso, purtroppo, è la verità, ossia che abbiamo stretto un’amicizia puramente intellettuale. [Sul bordo della pagina dietro:] Come le ho già detto, ho rinunciato da tempo al mio nome. Tutti i miei amici usano unicamente il mio cognome.

La domenica di Pasqua gli inviai anch’io una lettera (19 aprile), dopo che Cioran mi aveva telefonato alle nove di mattina, mentre ero a letto con il mio compagno; imbarazzato, lui aveva riattaccato immediatamente, in quanto, alla sua domanda se fossi stata sola, non potei rispondere di sì. Naturalmente tutto sbiadiva di fronte alla semplicità sbalorditiva, toccante e tuttavia macho-egoistica, della sua confessione. La mia lettera era pervasa di una cauta ironia, ma anche (almeno spero) da un’ammirazione affettuosa. Alla fine della lettera, risposi così alle sue preoccupazioni inerenti la mia salute e il consumo di vino (premurosamente mi aveva già consigliato del sano vino rosso): Non indosserò abiti pesanti, tuttavia berrò molto (vino bianco), mi metterò i pantaloni stretti [gli piacevano le gonne e detestava i pantaloni lunghi] sperando che Lei mi rimproveri bonariamente – una prospettiva ammaliante, perché i suoi consigli sulla salute e sull’abbigliamento sono, nella loro assurdità, un ricordo particolarmente «grazioso».

* Le interpolazioni alle lettere entro parentesi quadra [ ] sono a cura dell’Autrice.

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Se questo inciso risultasse ora un po’ ironico, allora potrebbe dubitare della mia sincerità! La saluto, Sua Friedgard

Nel tenere in mano la sua lettera di Pasqua, la rileggevo in continuazione. – Mi suscitava, e mi suscita anche ora mentre la sto riscrivendo, una sensazione altamente erotica. Rimane intatta la forza eccitante di allora, e questa giornata di oggi è all’insegna del suo ricordo; sebbene Cioran sia morto, qui lo conservo interamente. Ricevuta la lettera telefonai a Cioran (o fu lui a chiamarmi) e parlammo un’ora almeno. Da quel momento aumentarono soprattutto le nostre bollette telefoniche, poiché spesso, due o tre volte al giorno, desideravamo parlare. Molte osservazioni, nelle lettere seguenti, fanno riferimento a queste conversazioni. D’altronde si presentava quasi sempre al telefono con il saluto Grüß Gott!27 Risposi il 25.4.1981 alla sua straordinaria lettera: Caro, Le scrivo di fretta, perché il tutto sta arrivando ancora per posta: Hegel, i sentimenti, la foto sorridente. La missiva ricevuta ieri ha fatto sì che non riesca più a lavorare. Lei ha ragione su tutto, le sue parole sono stupende, solo una cosa non accetto: mai potrei essere così altezzosa da dimostrarmi «troppo buona» nei suoi confronti. Se avessi letto prima una tal lettera (il che è naturalmente impossibile), mi sarei preparata. La prego di considerarmi tuttavia come la persona che l’ama, qualunque cosa si intenda; quella che ha bisogno di più tempo (ci siamo 27 Saluto tipico in Austria, Baviera ed Alto Adige, suona un po’ come il nostro «Che Dio ti benedica» (N.d.T.).

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visti solo un pomeriggio e due sere), più lenta e ponderata quando si tratta di infrangere certe soglie – tant pis! Proprio come auspicava, ho iniziato il libro su di Lei. La forma è una delle sue preferite: il diario intimo. Il suo nome è attribuito ad un paese, Orplid, rimasto utopico. Per il termine «cafard», mi viene in mente «gemito miserevole». Sono straziata, adesso chiudo e corro alla posta, mi farà bene. Sua Friedgard Sta arrivando il suo libro…

Nella lettera del 28 aprile 1981 Cioran ringraziava per tutto ciò che gli avevo inviato, ossia il libro di Günter Schulte su Hegel28, di cui lesse subito il capitolo sulla liberazione della coscienza infelice, e poi la mia foto sorridente («ah!»). Come spesso gli accadeva da cinquant’anni ormai, la notte soffriva di uno strano dolore alle gambe e così, invece di dormire, pensava a due cose: al suicidio, che propugnava da anni, e inoltre, recentemente, a me.  E questo nuovo secondo pensiero lo tormentava più del primo, perché sentiva la lontananza tra noi come «una catastrofe naturale», dunque inevitabile. Nonostante tutto era come costretto a pensare a noi due. Inoltre era anche tormentato dalla gelosia, che lo afferrava non appena pensava alla mia vita privata ed al mio compagno. Poteva essere solo attenuata, se solo fosse riuscito ad immaginare che noi vivevamo su pianeti differenti. Solo così la sua disperazione avrebbe potuto essere dominata. Sarebbe andato tutto bene, ma poi davanti alla mia foto sorridente tutto ricominciava, perché aveva su di lui lo stesso effetto della mia voce al telefono. Ionesco l’aveva appena chiamato, riferendogli che sarebbe andato a Colonia per due giorni – ahimé, perché Cioran non l’accompagnava? 28 Si tratta del libro Hegel oder das Bedürfnis nach Philosophie di Günter Schulte, filosofo ed ex-marito di Friedgard Thoma.

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Ma giunsero in visita suo fratello e la moglie. I due non si vedevano da decenni e alla stazione quasi non si riconobbero… Sembrava l’incontro tra due spettri... «Straziata», il termine che usai nella mia lettera, era l’espressione esatta per il suo nuovo libro: Écartèlement. (Purtroppo è stato tradotto successivamente, in tedesco, con il termine meno appropriato di «Gevierteilt». Per quanto Cioran trovasse buona la mia proposta di adottare la parola a doppio senso «Gerädert», evidentemente non riuscì ad attuarla.) Dovetti riferire a Günter Schulte che lui, Cioran, aveva abbandonato da tempo la filosofia, ma che lo perdonava per essere rimasto filosofo… e qualche cosa di più! Cioran concludeva con la speranza che, quand’anche non ci fossimo rivisti mai più, esisteva tra noi due qualcosa di indistruttibile. Mercoledì, 29 aprile 1981 Continuazione dell’impossibile lettera di ieri. «Gemito miserevole» forse esprimerebbe meglio la condizione umana in generale, che l’essenza specifica dei cafards. L’espressione popolare francese per il concetto di insofferenza a cui rimanda il cafard è J’en ai marre, che significa «ne ho abbastanza» – «mi fa vomitare», «basta». Le avrei fatto altre domande anziché importunarla con ridicole sciocchezze linguistiche, sebbene Lei sia legata al linguaggio quasi in maniera erotica. Del resto lo sono anch’io, non crede? La storia del cafard ha ovviamente un’importanza secondaria. Intendevo dire che la lettera di ieri è stata scritta da un insonne e quindi deve essere giudicata con indulgenza. Sa cosa significa lechzen29.  Suo Cioran È difficile figurarsi ciò che mio fratello ha raccontato delle sue esperienze negli ultimi 40 anni in Romania. 29

Desiderare avidamente.

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Ne parla senza amarezza odio o vendetta. Ha ammesso tuttavia che, se avesse saputo ciò che avrebbe patito, certamente si sarebbe suicidato.

La mia risposta del 28 aprile: Caro, inaccessibile, amico! Sebbene sia sempre stata un’apologeta appassionata della mancanza di soluzione, mi domando se sia proprio impossibile emulare Ionesco [e quindi venire a Colonia]. (Un invito per la mostra dove sono attualmente esposte le sue foto, da giorni si trova sul mio tavolino; ma non penso di andarvi, perché purtroppo non mi sono mai interessata a Ionesco, e tanto meno alle sue foto). Mi stupisce che colui che ha dedicato le sue notti alla solitudine, subisca giornalmente la servitù forzata della solitudine a due. Non sarebbe possibile per voi rimanere insieme e, tuttavia, ogni tanto vivere in maniera non convenzionale (à rebours)30 o non vivere affatto insieme? Nel nostro caso, considero l’impossibilità d’una via d’uscita (di un incontro a Colonia) dovuta solo a circostanze esteriori. Cosa posso dirle? Io ho troncato tutto (o meglio interrotto), non riesco a stare assieme al mio compagno. Sono comunque certa che Lei sia stato la causa, pur non costituendo la condizione necessaria, di tutto ciò. Da diverso tempo (dalla mia separazione con Günter) provo una profonda inquietudine: che dopo Orplid possiamo semplicemente chiamare lo struggimento di non concludere mai niente, ma di sopportare. E ora mi sembra che sopporterei meglio la nostalgia se Lei fosse qui. Questo è tutto. Questo è tutto. Per favore, non mi telefoni troppo raramente – la sola prospettiva mi ha spaventata: il telefono è l’unico mezzo per attenuare la «catastrofe naturale» nella quale sono coinvolta insieme a Lei. Quando è […] a casa, posso richiamarla, sì? La mia voce ad ogni modo non costituisce un pericolo; se grido di continuo, è perché temo che non possa sentirmi distintamente, come io Lei… Ma non si tratta affatto di chiarezza! Quanto di Lei e della sua Friedgard. 30

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Controcorrente.

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P.S. Non sento la necessità di occuparmi del suicidio, esso è per principio inevitabile e quindi nessun problema... Deve assolutamente ascoltare la Fantasia in Re minore di Mozart. Che armonia, quando le dita si trovano nello stesso istante sul Re e sul Fa!!!

Intanto avevamo parlato, ovviamente al telefono, della sua abitudine, per me frustrante, di bere soltanto una «tisane» la sera. Sull’argomento ritornava nella lettera del 2 maggio 1981. Cioran respingeva la mia critica ironica al suo stile di vita salutista – condizionato dall’età – e malgrado ciò, tendeva a porsi in una miglior luce, rimarcando che in gioventù, pur non essendo un ubriacone, non disdegnava affatto l’alcool. Abbastanza, tuttavia, da poterci scrivere delle memorie! Una notte di sette anni prima gli era capitato di bere troppo, con conseguenze gravi, salì addirittura su un tavolo, per tenere un discorso. Ad Hermannstadt (Sibiu) dove trascorse la sua gioventù, sua madre, che era presidentessa di un comitato di donne ortodosse, fu rimproverata da un membro dell’associazione: che si preoccupasse del suo figliolo ubriacone, piuttosto che darsi delle arie durante le riunioni. Rientrata a casa imprecando, la madre sgridò il figlio Emil, dicendogli che sarebbe certamente diventato come suo nonno, il quale, per gli eccessi di ebbrezza, aveva condotto la famiglia in rovina. Così Cioran voleva dimostrare di non essere affatto un debole. D’altronde, avrei dovuto essere felice che fosse diventato un «fanatico della tisana», perché altrimenti allora, avrei avuto a che fare con un cretino, che non avrebbe potuto percepire la voce da sirena di Madame Thoma al telefono. Aggiunse che i suoi Sillogismi dell’amarezza tratteggiavano, in parte, l’immagine della sua vita auto-distruttiva di allora. Effettivamente, si chiedeva spesso perché non avesse sfruttato l’opportunità di una «precedente e totale depravazione». Forse io conoscevo la risposta? Alla fine della lettera Cioran menzionò ancora l’incontro con una sua conoscente, mia coetanea, cui confessò di essersi innamorato, sebbene

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egli stesso l’avesse sempre messa in guardia contro i pericoli dell’amore. In seguito, lei lo aveva abbracciato e baciato in strada. Infine mi chiese se conoscessi l’espressione «tour d’esprit» – riteneva infatti che noi avessimo una disposizione interiore comune. Voleva provare comunque a credere in Dio, perché qualcosa potesse separarci di nuovo! Domenica, 3.5.81 tra le ore 20 e le 21 Caro Cioran, Ci sono voluti anni di esperienze, immagini e sogni infiniti perché potessimo incontrarci? E forse è ancor più stupefacente il fatto che se non avessimo avuto delle esperienze simili (anche se eravamo del tutto lontani l’uno dall’altra) – non ci saremmo mai incontrati. Durante l’infanzia immaginavo che tutti gli esseri umani della terra fossero collegati tra loro da fili invisibili. Per quelli che si conoscevano il filo si tendeva molto rigido, mentre coloro che si ignoravano, rimanevano allacciati in maniera estremamente lenta ed impercettibile. Più il filo era teso, più gli uomini imparavano a conoscersi a fondo (sino alla lacerazione, alla morte). Non avverte anche Lei a quale decisiva «prova straziante» siamo ora sottoposti a causa della distanza spaziale, mentre prima eravamo collegati in maniera estremamente libera? Si tratta della sensazione dolorosa dovuta al contrasto tra ciò che lei definisce «indistruttibile» tra noi e la dipendenza dal tempo e lo spazio (il deperibile). Ogni volta che Lei mi telefona, mi strapazza con qualche futilità; ma se io voglio assolutamente dirle qualcosa, come in questo momento, Lei naturalmente non chiama… E quale salto temporale si verifica quando riceve i miei pensieri qui ed ora! Altre persone si incontrano per puro caso. A me invece è capitato di trovare Lei, perché lo desideravo consapevolmente, e che ne consegue? Che ci scriviamo lettere malinconiche. Com’è ridicolo! Credo che adesso potrei viaggiare sei ore in treno, solo per infilare la lettera sotto la porta e poi ritornare… Ma non lo farò – domani di

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sicuro proverò qualcosa di completamente diverso e quindi questa lettera avrà perso per sempre la sua attualità. La consideri quindi come un documento… lacrime pietrificate… qualcosa… F. Fuori c’è un tramonto magnifico, come non si vedeva da tempo. Nuvole libere sospese nell’aria.

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II

Tra l’8 e il 10 maggio (dopo un drammatico tira e molla telefonico) improvvisamente Cioran venne a trovarmi a Colonia. Questo era, così mi disse, il suo primo viaggio un poco più lungo, dopo molti anni. – Vestita di rosso e nero, andai a prenderlo alla stazione, dopo aver ascoltato per ore il quintetto d’archi in Do Maggiore di Schubert. Fu ospite nel mio appartamento dove, almeno credo, dormì piuttosto bene, il che, per il cantore dell’insonnia, era un evento degno di nota. «L’insonnia è la sola forma di eroismo compatibile con il letto»1. Di prima mattina passeggiava per il quartiere residenziale dove abitavo a quel tempo, e si divertiva ad osservare i giardini ben curati e parzialmente rivestiti di granito davanti alle case tedesche, che io avevo sempre definito dei cimiteri. (Una volta, quando fui invitata dal caporedattore di un giornale che aveva una scrivania di granito ed una cucina con lo stesso materiale, osservai «È pratico, la potrebbe usare in futuro come pietra tombale» – la battuta piacque molto a Cioran.) Dimostrava sempre più la sua predilezione per la lingua tedesca e progettava, anche se solo per scherzo, di rimanere almeno sei mesi a Colonia, a scrivere. In un accesso di megalomania considerava la foresta cittadina come una sua proprietà. Inoltre Cioran abbinava questo viaggio a qualcosa di «professionale». Non ricordo più di cosa si trattasse, ma in ogni caso credo si dovesse 1

E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 117.

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recare a tenere interviste e conferenze prima a Baden-Baden e poi a Losanna. Mia cara zingara,

Baden-Baden, 10 maggio 1981 Così mi è sembrata alla stazione. Ho letto tutto d’un fiato in treno Wem sonst als dir (A chi, se non a te), e già alla terza pagina sono spuntate nei miei occhi, come a Leontin [mio figlio, che allora aveva dieci anni] lacrime non già… pietrificate, ma viventi. Da quando fui cacciato dal Paradiso, in ogni istante ho pensato a Lei e non sono in grado di fare altro. Baden-Baden è bella, ma ora non riesco ad interessarmi al «bel mondo». Vorrei volare in Patagonia, lontano, lontano da Lei, al polo opposto. Un’ora fa ho trovato la parola che ieri, od oggi, cercavo inutilmente: lebbroso, significa non stare più con Lei, non sentire più i suoi sospiri… Dopo tanti anni provo di nuovo l’impulso a bere. Come può capitare, ad uno scettico di professione come me, di assumere un’attitudine così anti-scettica? Devo tornare immediatamente a Parigi, e là, nella sua vertigine, conquistare un certo distacco da me stesso. Sa che sono stato tentato di andare a Zurigo per incontrare la sconosciuta che da anni attende di attuare un suicidio in comune? Ho osato considerarmi più distaccato del Buddha, ed ora vengo punito per le mie illusioni. Ho recitato troppo a lungo la commedia della saggezza. Tutto ciò doveva finire e sono felice che Lei vi abbia contribuito. – La sua ospitalità è stata incomparabile. Per due giorni mi sono sentito un re. Cosa attendermi di più da questo mondo di apparenze? Se Lei vuole farmi felice e intende scrivermi delle cose più personali, allora le consiglio di utilizzare il seguente indirizzo: Emile* Cioran Bureau de Poste Poste Restante rue Cujas Paris 75005 * il nome proprio è indispensabile, mille, mille grazie di tutto Suo E. Cioran

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[Losanna] Ouchy,12 maggio 1981 Chère Friedgard, Ricorda la passeggiata sulla strettoia lungo la riva del lago? A causa del gelo, stamattina non c’era quasi nessuno. Solo io, con le mie lacrime. Non ne ho mai versate così tante in vita mia (!), senza la possibilità di riderci sopra. Non capisco cosa sto cercando ancora in questo mondo, dove la felicità mi rende ancor più infelice dell’infelicità. Lei è diventata talmente importante per me che mi chiedo come il nostro incontro finirà. Vorrei rifugiarmi con Lei su un’isola deserta, e piangere tutto il giorno. Mi sono affezionato subito a questo luogo perché Lei lo conosce e le piace. Come avrei potuto immaginare di soffrire così tanto per causa sua? Tuttavia devo ammettere, in tutta onestà, che la sua foto aveva già suscitato in me un’attraente paura. Poi Lei è venuta a Parigi, al Carnevalet mi ha parlato del suo compagno – e l’ho considerata la mia prima disfatta. Ieri sarei dovuto ritornare a Colonia, come mi aveva proposto. Ciò che mi allontana da Lei è un esilio; in qualche modo devo ritrovare la leggerezza o crollare. E comunque, la mia caduta per causa sua è inevitabile ed inattesa. Suo Cioran Tra un’ora parto per Parigi… Caro, caro viandante Lei ha appena telefonato parlando con voce agitata, rauca e triste. Cosa potrei opporre alla sua lettera da Losanna tanto coinvolgente – tutte le belle formule impallidiscono al cospetto della sua verità, in riva al lago. Tutto è legato insieme così strettamente, vorrei spezzarlo: la sua consorte o compagna, così terribilmente presente (anche per me è stato un «colpo», sapere che Lei ha una relazione tanto solida) e poi il mio compagno, Walter, cui devo nascondere tutto. Al pari di Lenz vorrei mettere il mondo dietro una stufa, perché tutto appare così piccolo e angusto.

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Gli stessi due giorni intensi trascorsi insieme mi sono andati troppo stretti, o meglio Lei si era stretto troppo a me. Solo la notte potevo liberarmi dall’impressione di essere una bambola. Di giorno ero quasi spaventata dal suo atteggiamento insolito nei miei confronti, l’esuberanza con la quale mi trattava – come se discendessi da un’altra stirpe. Tutto ciò si oppone solo apparentemente alla convergenza delle nostre inclinazioni, nel vedere o interpretare il mondo allo stesso modo. Mi sento più a mio agio con le parole e le lettere piuttosto che con i gesti dell’affezione non verbale. Questa sua attrazione, per come la sento, mi ha materializzato, trasformata in un oggetto, mentre tendo a realizzarmi più come soggetto, nella sottile forma di una lettera o almeno, così credo. Dunque, caro: Lei mi ha trascinato nell’immediatezza inequivocabile d’una relazione fisica, mentre io cercavo l’erotica ambiguità della relazione «intellettuale». Nel nostro rapporto a Lei forse risulta tutto più facile, poiché sa meglio cosa vuole? Vede, leggendo, sento tutto con Lei, mentre scrivo sono del tutto tranquilla nei suoi confronti, ho bisogno di Lei, della sua dedizione e della nostalgia che provo per Lei. La comunicazione immediata del mio sentire, è stupidamente ostacolata solo dalla presenza fisica. Posso inviarle l’inno di Hölderlin dedicato a Diotima: «A chi se non a te», ma quando Lei sarà qui, le dirò: «Non mi venga troppo vicino, per favore!» Warst du es dort Wo nichts mehr ist? Ein Nichts ist fort das du noch bist. 

Eri tu là Dove c’è nulla? Un nulla è via che tu ancora sei. Sua Friedgard

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Parigi, 16 maggio 1981 Cara Friedgard, Sapevo, dopo la conversazione telefonica, che la sua lettera sarebbe stata sgradevole, lo sapevo addirittura da prima. La temevo, e a ragione. Nello stato d’animo suicida con il quale ho intrapreso questo viaggio, l’eccesso ed il fiasco erano impliciti. Tutto quello che sarebbe accaduto era già previsto nella mia lettera di Pasqua. Non mi perdono per essermi comportato così, e non perdono neanche Lei per avere usato il termine trattata. Sento che tra noi qualcosa si è rotto. Resteremo certamente amici, ma l’ambiguità, il torbido, spariranno irrimediabilmente. Poiché il nostro secondo incontro ha sortito un esito simile, non posso farmi più illusioni su quelli futuri. Ci assomigliamo in molte cose, noi, eccetto una: in ciò che non è importante e al contempo lo è. D’ora in avanti non dovrà più temere la mia vicinanza. Suo E. M. Cioran

Evidentemente seguirono poi delle conversazioni telefoniche, in ogni caso non sono più ritornata per iscritto sui particolari di quella lettera. La situazione era tragica, perché non volevo ammettere la cosa più semplice. Tuttavia, come scopro ora, nelle lettere vi ho girato attorno artificiosamente, oggi però, tra le righe, leggo: Tu sei vecchio ed io sono giovane! Non posso amarti come tu mi ami. Il 19 maggio inviai una lettera amabilmente disimpegnata. Forse accennai che avrei semplicemente cestinato quella in arrivo del 16 maggio (come si vede non l’ho fatto) e citai ampi brani da La passeggiata di Robert Walser. Alla fine però, in modo del tutto inaspettato, scrissi: Iol’amoiol’amoiol’amoiol’amo – di continuo fino alla fine della riga. Inserii anche un errore ortografico che egli doveva scoprire. Nella lettera del 24 maggio Cioran citò, qualificandolo kitsch, un

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detto che a Parigi conoscevano persino le donne delle pulizie: «Un seul être vous manque, et tout est dépeuplé»2. Ad ogni modo questo motto, insopportabilmente vero, era consono al suo stato d’animo. Il giorno prima, pur essendo stato in squisita compagnia, tuttavia si era annoiato in maniera indicibile. Fino ad allora il suo scetticismo non l’aveva mai abbandonato, ma ora la malinconia – in certe cose, si dovrebbe parlare come Amleto – scalzava lo scetticismo. Da ciò era scaturita una specie di dolce, irresistibile «sventura», scriveva presago. La rinuncia sarebbe stata in effetti l’unica soluzione, ma gli mancava il coraggio, e pure la volontà. Nella mia lettera del 23.5.81 (non avevo ancora ricevuto la risposta di Cioran) sono ritornata su una conversazione telefonica, nella quale egli sosteneva che avremmo dovuto conoscerci vent’anni prima. «Cosa avrebbe fatto di me allora» gli scrivevo, e ancora «In ogni caso avrei avuto un figlio con Lei, benché il suo orgoglio non si sarebbe mai reso colpevole di un tale delitto: mettere al mondo un bambino! – Ma solo i conigli devono moltiplicarsi?» domandai in seguito. Passai poi ad Hans Henny Jahnn e al suo mondo fittizio, Ugrino (Fiume senza riva) che paragonai all’isola di Mörike, Orplid (Il pittore Nolten). Infine citai l’incipit di Parrudja e paragonai quel romanzo a L’uomo senza qualità di Musil. La lettera terminava con un accenno alla mia inquietudine, che era là, nel momento in cui iniziai la corrispondenza con Cioran. Il 26 maggio mi venne recapitato per posta un bigliettino enigmatico: Parigi, 26 maggio 1981 Ho provato – in tutti i modi – a dimenticarla. Non ci sono – ahimé! – riuscito. C. 2

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«Un solo essere vi manca, e tutto è spopolato».

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Dopodiché gli spedii una cartolina della maschera mortuaria di Nietzsche, domandandogli: Perché ha provato? E in quali modi?

Il 27 maggio Cioran mi inviò una fotocopia delle sue Fluttuazioni, rivestita con la copertina luccicante dell’edizione inglese – o americana? – del suo libro Écartèlement (Drawn and Quartered), che reca la foto di un giovane Cioran, suddivisa graficamente in diverse strisce decorate. Scriveva inoltre: 27 maggio, 1981 Spero che questa copertina le piaccia. Si potrebbe credere che sia rinchiuso in carcere o, peggio, in manicomio. Le fluttuazioni provengono da Écartèlement (Squartamento). Sono state tradotte, tre o quattro anni fa, da una mia vicina di casa. Glieli mando per via del «piccione disorientato» del primo aforisma*. Il trio di Schubert è un dono che ci ha unito tutti a Lei. Benedizione e maledizione! Suo C.

* L’aforisma: «Se si potesse insegnare la geografia al piccione viaggiatore, il suo volo incosciente, che va dritto alla meta, diventerebbe d’un tratto impossibile» (Carl Gustav Carus). Lo scrittore che cambia lingua si trova nella situazione di questo piccione sapiente e disorientato. E.M.C.3  Il 30 maggio Cioran mi inviò le Stanze di Shelley con il seguente commento: Da quarant’anni, nei momenti di profonda depressione, leggo la poesia di Shelley, che forse a Lei apparirà fuori moda. Il romantici3

E. M. Cioran, Squartamento, cit., p. 85.

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smo nostalgico, che riemerge di tanto in tanto, deve considerarlo con indulgenza. La fortuna d’essere cinico mi ha abbandonato, da che l’ho conosciuta. E. M. C.

Sul retro della poesia trovo ancora adesso, scritta di suo pugno, la citazione di Colette su Marguerite Moreno: Pour rien au monde… Per nulla al mondo… Qui di seguito riporto un estratto delle Stanze («Written in Dejection, near Naples»), in particolare delle strofe III e IV, che lui, in rosso, aveva sottolineato tre volte: (III) Alas! I have nor hope nor health, Nor peace within nor calm around, Nor that content surpassing wealth The sage in meditation found, And walked with inward glory crowned – Nor fame, nor power, nor love, nor leisure. Others I see whom these surround – Smiling they live, and call life pleasure; – To me that cup has been dealt in another measure. (IV) Yet now despair itself is mild, Even as the winds and waters are; I could lie down like a tired child, And weep away the life of care Which I have borne and yet must bear, Till death like sleep might steal on me, And I might feel in the warm air My cheek grow cold, and hear the sea Breathe o’er my dying brain its last monotony4.  4 «Ahimè, non ho speranza né salute, / né pace dentro o calma attorno / né quell’appagamento che vince ogni ricchezza, / che i saggi ritrovarono nella meditazione – / andando incoronati di gloria interiore; / né fama né potere, amore o agi.

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1/2.6. 81 notte fonda «Quando stavano insieme nelle brevi ore felici, continuamente interrotte dalle campagne militari, buttava via i piani, le mappe e il suo Livio, per osservare la sua donna e insieme a lei l’errante vela e l’azzurro mare». C.F. Meyer, La tentazione del Marchese di Pescara Caro Cioran, Il bisogno di dire qualcosa, si risolve in me sempre più in grandiose citazioni. Trascino «lo straniero» a terra per guadagnare terreno? Voglio conquistare la terra per suo tramite? Lei dice: «Vivere è perdere terreno»5  – ma cos’è allora che ci tiene uniti? Ciò mi appare al momento talmente enigmatico, inafferrabile. – Ma Lei mi consiglia di non analizzare niente. Ha ragione. Tuttavia l’analisi è già una terapia (forse l’unica possibile) o un superamento della mancanza di spiegazioni. È forse il tono piatto e colloquiale al telefono, quando Simone ci ascolta, quello vero, e l’altro della nostra relazione nascosta, quello falso – disperatamente retto su alcune frustrazioni contingenti, sulla noia addirittura? Ma anche questa domanda, che conduce alla schizofrenia, non salva – quindi adesso mi distendo e penso ancora un po’ a Lei. / Altri ne sono circondati, vedo: / vivono sorridendo e chiamano la vita / piacere: a me quel calice in ben altra misura fu servito. / Ma ora la disperazione stessa è mite, / come le acque e i venti; e io potrei giacere / come un bambino stanco, e con le lacrime / dissolvere la vita tormentosa / che ho sopportato e devo ancora sopportare, / finché la Morte, come un Sonno, discenda su di me, / e io senta nell’aria tiepida / la mia guancia gelarsi, e il Mare sussurrare / sul mio cervello moribondo la sua ultima nenia». IV/Sebbene ora la disperazione stessa è mite /come i venti e le acque. / Potrei sdraiarmi come un bimbo stanco, / e piangere via questa vita/piena di affanni che ho sopportato e devo ancora sopportare, / Finché la morte come il sonno mi catturi / ed io possa sentire nell’aria calda / la mia guancia raffreddarsi e ascoltare il mare / che sussurra alla mia mente in agonia la sua ultima monotonia» (Shelley, Opere, edizione presentata tradotta e annotata da Francesco Rognoni, Einaudi-Gallimard, Torino 1995, pp. 105 ss). 5 E. M. Cioran, L’inconveniente di essere nati, cit., p. 91.

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Il giorno seguente: rileggendo, tutto mi sembra confuso e superfluo. Eccetto una delle ultime frasi: Sono contenta di vederla il 17.6. Sua F.

In effetti il 17 giugno volevo andare a Parigi – era il nostro terzo incontro, il secondo nella sua città. Come sarebbe andata stavolta? Tutto tra noi era così teso, un andare e venire tra ossessione e leggerezza. In precedenza Cioran mi aveva scritto un biglietto, senza data: Sono contento di poterla rivedere presto. Non deve aver alcun timore: mi comporterò come un Gentleman. In compenso mi dovrà curare dalle mie smanie suicide, con tutti i sortilegi che Lei sicuramente conosce. Suo C. Non conosco Saint-Saëns. Ho un pregiudizio su di lui.

Per l’occasione Cioran aveva prenotato addirittura un hotel per noi, e precisamente il «Brésil», dove il secolo scorso aveva alloggiato Sigmund Freud. Anche quella volta non potei conoscere Simone; la sua compagna sovente andava nel suo paese d’origine sulla costa atlantica, a St. Gilles Croix de Vie, dove annegerà due anni dopo la scomparsa di Cioran. Il Suo nome (Boué) richiama la parola bouée, boa di salvataggio e Croix de Vie significa croce della vita. Magia delle parole. Alla Gare du Nord, Cioran stava piantato come un palo in fondo al binario e mi aspettava in posa statuaria, da antico eroe tragico. Il biglietto di prima classe per il metro, che aveva preso per me, sporge fuori dalla collezione delle lettere... Festeggiammo il mio compleanno al primo piano del «Procope», come preferiva Cioran, mentre io sarei rimasta volentieri di sotto. Qui mi scrisse per la prima volta la frase di Colette su un tovagliolo, che ora fa da epigrafe a questo libro: Pour rien au monde... In seguito devo aver perduto quel tovagliolo, in ogni caso mi ha

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riscritto la frase sul retro di copertina delle poesie di Shelley, probabilmente su mia preghiera... La sera successiva siamo stati invitati a casa del pittore Matta e della moglie italo-tedesca, che possedevano allora un impressionante appartamento di fronte all’Eglise St. Germain des Près. Matta ci accolse subito con delle citazioni dal Gargantua di Rabelais, sulle quali ha insistito per metà della serata. Era con noi anche un calvo ottantenne, elegantemente vestito, Henri Michaux (una delle poche persone cui Cioran si sentiva legato da amicizia) che sedeva al tavolo accanto a me. Mi dovetti cimentare con gli asparagi più grossi della mia vita. Michaux ed io potevamo vedere il boulevard e la chiesa. Tutto ad un tratto Michaux (che a sorpresa mi chiamò con il mio primo nome, difficile da pronunciare) esclamò in tono patetico: «Friedgard, regardez (oppure disse: voyez?) les couleurs!» indicando fuori. In effetti la strada, la chiesa e le persone erano immerse in una gialla luce serale, rosso bluastra, che somigliava ad un’illuminazione scenica. A mia memoria, credo che fossimo nel giorno più lungo dell’anno e nella notte più corta. Discutemmo poi di Sigmund Freud, la cui rilevanza non fu tanto nello sviluppo della terapia, quanto nella capacità interpretativa , nella critica culturale e della religione. Convennero con me, quando evidenziai la sua grande importanza quale letterato, ma Cioran, che si mostrò inquieto per tutta la serata e a tratti persino insofferente, insistette per andare. Gli rimproverai di essere geloso di tutto quello che gli altri mi dicevano (o di quello che io dicevo agli altri). Riconobbe subito la sua gelosia, che riconduceva in genere al suo vampirismo balcanico. Passeggiammo di nuovo, anzi vagabondammo parecchio per Parigi; secondo Cioran, sarebbe diventata una sorta di patria per me. Sapeva esattamente dove aveva vissuto Pascal o il luogo in cui Mirabeau fu arrestato, conosceva tutte le storie di donne o le altre scaramucce dei defunti celebri. Negli anni seguenti il luogo usuale dei nostri incontri sarebbe stata l’Eglise St. Sulpice, al tempo di Napoleone una spaziosa scuderia, in cui a volte ci trovammo a discutere, irritando i fedeli in preghiera. Situata nelle immediate vicinanze di casa sua, egli conosceva

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la chiesa en gros et en detail. Il suo edificio preferito era però St. Séverin (nonostante Claudel ebbe qui la sua conversione); egli amava ogni bella chiesa, proprio come me e tanti altri «apostati». Siamo rimasti impressionati in particolare dalle iscrizioni «Les restes de Racine» e «Le corps de Pascal» sulle lapidi nella chiesa di St. Etienne du Mont. Quando gli era possibile, mentre camminavamo mi prendeva sottobraccio o per mano, come gli feci notare scherzosamente in una delle mie prime lettere. Mano nella mano o a braccetto, siamo andati al Jardin des Plantes, dove attirò presto la mia attenzione sul fatto che proprio lì, Rilke, vide la sua Pantera dietro le sbarre. Ad ogni modo, da oltre quarant’anni, il luogo preferito da Cioran era il Jardin du Luxembourg, nelle immediate vicinanze del portone di casa sua. Più volte al giorno ronzava (la sua andatura, come dicevo, era uno svolazzare incerto, ciononostante molto tenace e resistente) in questo giardino di cui conosceva ogni sassolino ed ogni figura. Proprio qui aveva incontrato Montherlant, che immerso nelle proprie opere, vagava qua e là con aria assente; Cioran lo imitava in modo burlesco. Lì ebbe pure molti dei suoi folgoranti lampi di genio, che poi, a notte fonda o di primo mattino, allegava al suo bouquet di idee nell’armadietto da notte, per farli esplodere dappertutto, come fuochi d’artificio aforistici. Poiché il Luxembourg era chiuso di notte, passeggiava nella prosecuzione del giardino, in direzione Montparnasse, dove si trovavano due viali di vecchi castagni, rigorosamente potati, che terminavano o iniziavano nella magnifica Fontaine de l’Observateur di Carpeaux. Qui, ed è importante la determinazione del punto preciso nel viale a sinistra (visto dalla fontana), accadde a Cioran l’episodio del frutto autunnale, il cui rumore, cadendo, lo colpì al punto da attribuire a quell’infimo incidente un significato psicologico decisivo. Fui tanto prosaica, infine, da scattargli alcune foto, in quel luogo… Ancora un’osservazione a tal proposito, che ho appuntato nella mia edizione de L’inconveniente di essere nati, sotto il mio aforisma preferito:

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24.9.1989, verso le ore 20 e 40, Cioran telefona: «Ieri mi è caduta una castagna in testa». Del resto era convinto che un giorno avrei realizzato un libro su di lui. Mi presentò già in questa veste alla sua compagna: come la donna che scrive su Cioran... Quanto sarebbe stato felice se ciò fosse avvenuto allora, e com’è triste, ma inevitabile, che possa avvenire solo ora, dopo la morte di questa inseparabile coppia. Sempre ai giardini Luxembourg, avanzò pure la proposta di farmi diventare curatrice delle sue opere postume. Declinai, non ultimo a causa della mia imperfetta padronanza della lingua francese. Tanto più provo gioia, ora, nel tramandare «gli scritti postumi». Passeggiando di notte davanti ai cancelli del parco, parlammo del suo ozio disperato. Aveva rinunciato da sempre ad esercitare una professione, così come il dottorato, per cui ricevette una borsa di studio (forse dalla Romania?); sarebbe anzi rimasto sempre un «Jules», un pappone, dal momento che si faceva mantenere da Simone. Il pensiero di essere un Jules l’entusiasmò poi a tal punto da doverci fermare nel bel mezzo della notte, davanti al palazzo del senato in rue de Tournon, dove esplose in una risata veramente infernale, stringendomi il braccio fino quasi a farmi male. Per giunta, a Colonia, l’amante della mia vicina (che menzionerà ancora, in una lettera) si chiamava... Jules! Alla galleria Isy Brachot (in rue Guénégaud) visitammo una mostra di Rustin6  (10 giugno - 11 luglio 1981) che, sebbene estremamente scandalosa (infatti ogni forma di dignità umana era gettata alle ortiche), risultò comunque impressionante: ritratti in morbidi colori pastello su enormi tele, esseri umani singoli e a coppie, colti nella loro grassa e trascurata laidezza, a volte completamente nudi o con i pantaloni abbassati, esibivano penosamente i genitali. I volti di uomini e donne sempre simili, con Jean Rustin (n. 1928): pittore francese contemporaneo. Dopo una fase astrattista si volge alla rappresentazione figurativa, soffermandosi sulla nudità dei corpi, colti nella loro vulnerabile e sguaiata quotidianità. L’effetto è una sorta di allucinazione folle, dovuta ad un eccesso di realtà: «Dipingo ciò che tutti rifiutano di vedere». 6

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le teste calve, gli occhi fissi, ma finemente illuminati, i nasi grandi e le bocche aperte, mostravano la rigidità ostinata dei pazzi. E probabilmente dai manicomi il pittore aveva ricavato i suoi modelli che, in un’ebetudine masturbatoria o seduti semplicemente nudi uno accanto all’altro, manifestavano la loro disperata e alienata esistenza di scimmie glabre. Cioran, inorridito all’inverosimile, proruppe in un’incredibile risata nascosta dalle mani, mentre io non potei tacere la mia ammirazione per quelle schiaccianti verità – in fondo sono essenzialmente le stesse che anche lui ha mostrato, seppur nella brillante eleganza della parola forbita. – Sì, Sì, Sì, ma la forma dovrebbe essere comunque decisiva, e lì qualcosa veramente non andava – oppure sì? Mi ha guardato. Far emergere l’Incurabile dalla banalità – esattamente ciò che ha fatto Rustin con i suoi mezzi provocatori. Naturalmente, quelle non erano certo immagini per una sala da pranzo. Ne abbiamo ancora parlato spesso e sempre con incredibili, ma rispettose risate. L’impressione di quell’esposizione mostruosa, in qualche misura, ha influito persino sulla nostra relazione. Ognuno a suo modo, non è riuscito a liberarsi da un tale orrore. Il pomeriggio del 21 giugno ritornavo a Colonia. Commovente, davvero ardua la separazione alla Gare du Nord. Fiumi di lacrime. Lo stesso giorno Cioran mi scrisse di nuovo una lettera, che mi giunse il 24.6.81. Domenica, ore otto della sera Disteso sul tappeto balcanico e immerso in precisi ricordi, mi sono lasciato andare a pensieri folli (!) dai quali neppure il quartetto di Schumann [che gli avevo portato] è stato capace di liberarmi. Solo la sua voce poteva compiere il miracolo. Sono già un’altra persona – la stessa che ha riso tanto con Lei in quei momenti unici. Non avrei mai immaginato che qualcuno, in questo momento della mia vita, potesse giocare un ruolo simile. La stanchezza sembrava la mia unica compagna. In verità, lo è ancora, ma per fortuna Lei le fa una pericolosa concorrenza.

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Sono vulnerabile, e nessuno quanto Lei può ferirmi tanto facilmente. Basta una parola. È stato terribile il malumore che si è impadronito di me nel pomeriggio. Lei mi ha detto alcune cose spiacevoli in quel maledetto Caffè – prima della partenza. Non ne parliamo più, ora. Lunedì mattina Stamattina, la voluttà del ricordo. E poi subito la sua voce. Da quando la conosco, credo nel PROGRESSO – per via del telefono. Certo, non sono diventato un adoratore del progresso, vale a dire che non giudicherei mai uno scrittore dalle sue idee politiche. Se Chateaubriand è stato o meno un reazionario, per me è lo stesso; – mi interessano le donne intorno a lui, in particolare sua sorella Lucile ed inoltre la delicata Madame de Beaumont. L’ultrapoliticizzazione delle menti è una catastrofe senza pari. È preferibile il dilettantismo all’ideologia, meglio non aggrapparsi a nulla. Perché tuttavia, di fronte a Lei, non sono un dilettante? I suoi occhi hanno fatto di me un fanatico. Che dolce* caduta Suo C * la prossima volta userò un aggettivo migliore. Colonia, 24.6.81 Caro – (rinuncio al ridicolo «Jules» ) – vulnerabile! Oggi a mezzogiorno ho ricevuto la sua meravigliosa lettera, direi quasi «dolce». L’aggettivo mi piace, specialmente in relazione alla «caduta». Non ne cerchi un altro! Ora ci siamo appena telefonati – botta e risposta. Il fatto che si senta ferito da me, testimonia della sua integrità nei miei confronti ed in generale, non quindi, della morbosità (questo lo deve forse alla sua origine balcanica). E col dilettantismo ha soltanto civettato; Lei è stato sempre un fanatico (non solo della «tisana»).

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Attraverso le «cose sgradevoli» spero di dire la verità: non sono così amabile come la mia voce (che Lei trova così affascinante) – Mi lusinga in maniera eccessiva e quindi mi spinge solo alla provocazione. Assolutamente ed in ogni istante vorrei riconoscere in Lei lo scettico elegante! Mi critichi dunque vivamente! Non sarei degna di Lei, se fossi solo carina ed accettassi semplicemente i suoi complimenti (come diverrebbe noioso ad entrambi). Se dunque la ferisco (senza farlo apposta, non sono in effetti così perfida) ciò può solo favorire la sua più autentica vocazione scettica. La vita non è bella, se devo alzarmi la mattina, condannata alla sveglia dalle incombenze quotidiane, talvolta di pessimo umore, sgrido Leontin o il mio compagno, nel caso abbia passato la notte da me, oppure Lei, se avesse la sventura di trovarsi qui. No, noi non ci conosciamo affatto, in quella che di norma è la quotidianità. Ora comprende, perché RUSTIN mi abbia così colpita con i suoi terribili dipinti? Non è tanto la vagina aperta d’una pazza a scioccarmi, quanto la piaga della nostra quotidianità, che si schiude improvvisamente (ricordo di Francis Bacon!). In definitiva, la demenza del vegetare manda in fumo anche le illusioni erotiche. Confido nella sua comprensione per il mio engagement nei confronti di questa problematica tra disgusto (della vita) ed erotismo; poiché chi, se non Lei, può capirlo? Potrei rischiare di vivere senza illusioni, dunque anche senza delusioni (così immagino la nostra convivenza). Tuttavia ho l’impressione che Lei non voglia essere deluso e vivere da illuso – non nei Suoi aforismi, ma nei miei riguardi.

Allegai una mia foto da bambina, dove mostravo uno sguardo che punisce ogni bugia, come scritto in precedenza. Inoltre osservai: «A quel tempo stava forse scrivendo, per la terza o quarta volta, il Sommario di decomposizione?». Nello stesso periodo, il 25 giugno1981, scrissi un breve testo sulla sua camera da letto e da lavoro, in cui avevo gettato un rispettoso, e quindi solo fugace sguardo, durante il mio ultimo soggiorno parigino. Provai una sorta di pudore che mi impedì di fotografare la camera. Solo di

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recente un mio conoscente, che visitò Cioran, mi mostrò delle belle foto di quella celletta per dormire, e lo pregai di prestarmele per questo libro. Ma anche lui si era sentito «imbarazzato» nel mostrare lo spazio letto. Cioran fu subito entusiasta. Anche il titolo nello specifico gli piacque molto: Studio su Cioran Niente camera. Uno stanzino sotto la mansarda, troppo stretto per i gomiti. Nessun letto, piuttosto un giaciglio; sopra di esso la fotocopia di un facsimile, di cui nessuno più sa chi l’abbia scritto o regalato. Niente riscaldamento, ma i resti d’un camino con degli arnesi riposti. Nessuna biblioteca, ma un caos di libri accatastati per il rogo. Niente scrivania. Un tavolo da cucina al centro dello spazio, se di centro si può parlare. Lì sopra non c’era più neanche quel martello riportato in uno dei suoi aforismi, ma già allora avevo avuto il presentimento che il suo tavolo non fosse adatto alla letteratura; stavolta potei annotare farmaci contro malanni da raffreddamento, piccoli batuffoli di cotone, un grigio dizionario tedesco-francese, altri oggetti non identificabili o dimenticati. Sotto il tavolo una sorprendente vitalità: calzini rigorosamente spaiati, frammenti di zerbini, i resti di uno spago, forse una scarpa. Una graziosa poltrona soffocata sotto l’abbraccio d’innumerevoli indumenti. Dove lavora? Solitamente – al tavolo. La mattina. Dove pensa? Sempre disteso sulla schiena. Di notte nel letto. Dove vive? Sul rogo. Dopo che Cioran ebbe mostrato questo piccolo brano alla sua compagna, Simone doveva avermi preso a cuore, sebbene non ci fossimo ancora incontrate (solo attraverso la musica, che continuamente le mandavo e che lei amava – Bach/Glenn Gould; Mozart, Schubert, Schumann, Brahms – ci conoscemmo e stimammo a vicenda). L’osservazione che le piacque

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di più, per la quale più tardi in mia presenza esplodeva sempre in una risata, era «… se di centro si può parlare». Riso della casalinga, giunta al limite estremo, nei suoi tentativi di mettere ordine in quella stanzetta? Quattro anni più tardi, Cioran inviò il testo all’editore Tübinger di «Rive Gauche», presso il quale comparve nell’ultima pagina del volumetto Ein Gespräch: Geführt von Gerd Bergfleth. Cioran scrisse, nell’edizione che mi regalò: Per Friedgard – È vero, l’ultima pagina, la sua pagina è la migliore, e sono felice, poiché già quattro anni fa sapevo che lo Studio avrebbe avuto un futuro.... Con stima Suo Cioran Parigi, 12 aprile 1985

In simultanea all’invio della foto di me bambina, Cioran mi spedì un’edizione del suo capolavoro Précis de décomposition (Sommario di decomposizione) con la dedica: «Lei era già troppo vecchia, quando è stato scritto questo libro per poppanti delusi». Cioran vi accluse inoltre un volumetto di Joseph de Maistre, Du Pape / Les soirées de Saint-Petersbourg et Autres extraits, poiché mio padre, già scomparso, aveva mostrato un particolare apprezzamento per de Maistre. La prefazione è di Cioran (scrisse di suo pugno con biro rossa: 1957), vale a dire il famoso saggio Sul pensiero reazionario. Aveva anche scritto sotto il titolo: fatale coincidenza! (difatti anche lui ammirava Maistre). Si verificò una strana coincidenza in queste due spedizioni postali incrociate, cui Cioran aveva espressamente accennato, quando scrisse che la mia lettera con la foto da bambina, anticipava per così dire la sua dedica. Riconobbe subito molto bene, come miei, gli occhi e le labbra e ritenne che avrebbe dovuto sequestrarmi allora, per fuggire insieme a me in un Paese di cannibali.

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Nella nostra breve storia comune, si registravano già una sequenza di coincidenze. Era totalmente sotto l’effetto anti-Rustin (quindi contro la raffigurazione terribilmente cruda della condizione umana nella pittura di Rustin, che ricordava le espressioni di Francis Bacon); egli in effetti preservava delle illusioni, o se ne era create di nuove, che io non dovevo sottrargli. Altrimenti sarebbe dovuto ritornare al «chiaroveggente vicolo cieco», in cui si trovava prima di me. Nel frattempo, trascorso un giorno senza telefonarmi, si sentiva un orfano privato d’un segno, una telefonata, in grado di rassicurarlo che lo pensassi così intensamente quanto lui me. La notte precedente si era trovato a riflettere, con Susan Sontag, sulla dissipazione di tempo nella vita, aspettando a lungo un taxi sotto la pioggia, in Boulevard Saint-Germain. In realtà, sia che si scriva o si aspetti un taxi, tutto ciò che viene fatto è del tutto irrilevante. D’altronde, non è tutto una gran perdita di tempo? Tuttavia, nella misura in cui si perviene con chiarezza a comprendere le situazioni assurde e dissipatrici della vita, ci si affranca dalle illusioni. Ma era proprio questo, ciò che voleva in quel frangente? Vivere di nuovo senza alcuna illusione gli sembrava piuttosto la mia che non la sua posizione, intendevo infatti ricondurlo alla sua originaria inclinazione scettica e temeva che vi potessi riuscire. Essendo mia abitudine chiudere sempre le nostre telefonate con l’espressione: «L’abbraccio!» Cioran, alla fine della lettera, si felicitava per l’impiego di quel saluto – sebbene l’avessi intesa nel senso di serrer dans ses bras7, mentre l’altro significato rimaneva, purtroppo, un’utopia... Nella lettera del 28.6.1981 Cioran scrisse ancora di aspettare una chiamata da Colonia, poiché il telefono squillava di frequente ma non era il «nostro.» Al contrario, doveva comunicare continuamente al telefono con parecchie persone e senza il minimo interesse, parlando, parlando, parlando. Alla descrizione della sua camera, avrei dovuto aggiungere una specie di sunto dei suoi impegni quotidiani, che consistevano nel praticare l’acedia (pigrizia) in una metropoli come Parigi. Quasi un monaco socievole. 7

Stringere tra le sue braccia.

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D’altronde m’immaginava volentieri nelle vesti d’una suora, dalla voce sensuale però, che sperava di riascoltare quanto prima al telefono. Aveva parlato con un amico di Jean Genet e dell’omosessualità. Sebbene la ritenesse intrigante, non faceva per lui. Meglio con un animale, una iena ad esempio, che con un uomo! [Su di un piccolo pezzo di carta] 29 giugno, 11.30 di sera Il telefono ha squillato. Voglio sperare che sia stata Lei a chiamare. Sembrava provenire da un mondo così lontano e così vicino, come – almeno per me – da una fortuna abissale. Proprio mentre ero al ricevitore, con lo sguardo rivolto al Giardino8 [Luxembourg], pensai che mi sarebbe piaciuto morire insieme a Lei, ad una condizione: che ci mettessero nella stessa bara. Naturalmente dovrebbe essere consenziente e rinunciare alla sua pace per l’eternità... Avrei così tante cose da raccontarle, tante, ancora non dette –

Suo C. Colonia, 2.7.81

Caro Cioran! Mi auguravo di poter condurre la conversazione sulla bara da vivi. Quanti desideri infiniti su un pezzettino di carta! Sono d’accordo, ma ad un patto: vorrei avere il coperchio della bara in marmo, come la tomba imperiale di Riemenschneider, a Bamberga, dove la coppia tiene congiunte le mani con grazia e solennità, posate dolcemente una sopra l’altra, probabilmente sapendo che non dovranno mai più serrarsi per restare unite insieme… La fiduciosa lealtà dei mortali nella morte... In precedenza la bella e delicata imperatrice Kunigunde, si era sottoposta, fra l’altro, ad una prova del fuoco per dimostrare la propria fedeltà, come si può ammirare con stupore nei rilievi delle fian8

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Quando non era solo a casa, C. mi telefonava dalle cabine pubbliche (N.d.A.).

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cate della bara, al centro del duomo di Bamberga (Per quanto tempo dobbiamo rimanere su lastre incandescenti, affinché la nostra freddezza non si estingua del tutto?). Ad ogni modo sarebbe molto bello, se noi – prossimamente, dopo Soglio – andassimo insieme, da vivi, a Bamberga. Mi sento molto vicina al suo Sommario di decomposizione; tuttavia mi risulta estraneo il concetto per cui alcune idee o pensieri avrebbero potuto essere migliori, prima del loro insediarsi nel cervello umano, prima quindi della «presa del potere». Non c’è niente di «puro», «buono» o «creato» al di fuori della nostra coscienza, tutto resta un prodotto di questo substrato, anche l’idea che, senza quel cervello, si approdi ad un mondo migliore9.  Laddove la sua «dottrina» filosofica si fa più presente, essa mi è più lontana; ma è magnifica e straordinaria, quando Lei riduce tutto in briciole, grazie alla più elevata poesia. Ha mai scritto una poesia? Immagino che oscurerebbe tutte le poesie del mondo! Il Suo tavolo non è certo adatto ad un romanzo... ma per un poesia...? L’abbraccio nel senso che Lei desidera! Sua Friedgard P.S.: Ho ragione, quando ritengo il Suo Sommario di decomposizione già un primo tentativo di affrancarsi dalla filosofia attraverso la forza della poesia, senza tuttavia abbandonare la pretesa alla validità generale, e senza soccombere alle seduzioni del puro artifizio? Una dottrina quindi tra due estremi? Sua F.

Il 3 luglio 1981, con in mano la mia lettera contenente la proposta della tomba imperiale Cioran, da rue Cujas (fermo posta) si diresse subito alla Cfr. Genealogia del fanatismo in Sommario di decomposizione, cit., p. 13: «In se stessa ogni idea è neutra, o dovrebbe esserlo; ma l’uomo la anima, vi proietta i propri ardori e le proprie follie; impura, trasformata in convinzione, essa si inserisce nel tempo, assume forma di evento: il passaggio dalla logica all’epilessia è compiuto... Nascono così le ideologie, le dottrine e le farse cruente». 9

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Sorbona per leggerla, seduto nel corridoio vuoto. Era della mia stessa opinione nel collocarsi «tra due estremi», nel senso che la sua opera consisteva in un miscuglio di filosofia e poesia, con una predilezione per la poesia. Mi considerava «kantiana», poiché il suo pensiero rimaneva sempre e comunque distante da me, in particolare nello sviluppo delle idee, a partire dalla loro origine cerebrale. (Ad esempio, l’idea della «creazione fallita»10  presupponeva l’esistenza di un demiurgo onnipotente, a prescindere dalla nostra rappresentazione soggettiva di «creazione»). Non dovevo dimenticare – mi diceva – che sempre si era trascinato dietro i residui della Teologia ed era stato contagiato anche dalla mistica; concetti come sostanza, essenza o perfino assoluto, appartenevano al suo «trottoir11  terminologico». Si diceva inoltre entusiasta di potersi recare con me al duomo di Bamberga; da tempo infatti desiderava visitare quella città. Avrebbe ammirato nel dettaglio le delicate mani dell’imperatrice Kunigunde, raffigurata in vari momenti della sua vita, sui rilievi laterali della bara marmorea. Tutto questo, però, non avrebbe dovuto distoglier-lo dall’intenzione principale, ossia quella di  tumularsi con me nella bara... Quante cose allora avrebbe potuto dirmi… Sarebbe sparito volentieri da questa Terra – con me. Avevo spedito a Cioran una cartolina della tomba imperiale di Bamberga raffigurante il dettaglio di uno dei rilievi laterali, in cui l’imperatrice Kunigunde solleva la sua veste per camminare sulle lastre incandescenti ed ottenere così il giudizio divino sulla sua innocenza. Con la cartolina davanti a sé, il 4 luglio ’81, Cioran mi scriveva di amare anche un’altra Imperatrice, Sissi d’Austria, lasciando intendere che non solo io, ma anche lui, avrebbe potuto essere infedele! Elogiò il mio commento sulla prova del fuoco di Kunigunde, pensando alla propria tortura interiore, divenuta inseparabile compagna. Ciò l’aveva indotto a sfogliare nuovamente la 10 Die verfehlte Schöpfung (La creazione fallita) è il titolo scelto per la versione tedesca de Le mauvais démiurge. 11 Marciapiede.

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sua opera prima, scritta quando era ancora ventenne: Al culmine della disperazione. Riconosceva che lì esisteva già tutto quello che avrebbe scritto dopo, solo l’umorismo era del tutto assente. Vi era delineato anche il disprezzo nei confronti della donna, che avevo sempre criticato, malgrado la simultanea glorificazione dell’amore – il tutto permeato dalla più grande serietà ed odio di sé. Dopo un tale esordio, a stento si capacitava di aver ritrovato la voglia di vivere. Concludeva chiedendosi perché non fossi nata prima. Davanti alla «C» con cui si firmava, quella volta aggiunse: «Il suo crepuscolare…» In un biglietto datato 5 luglio, accennava alla vacanza estiva organizzata insieme a Soglio, durante la quale avrebbe voluto far visita all’editore Larese a  Silvaplana, in Engadina.  Aveva tentato di raggiungermi telefonicamente, ma gli squilli erano risuonati a vuoto – una pugnalata per lui. Avevo forse abbandonato la bara comune? Doveva affrontare l’eternità, ancora una volta, da solo? Gli spedii l’Arpeggione di Schubert e sulla busta gli scrissi una splendida osservazione di mio figlio undicenne. Leontin chiedeva: «Mamma, cos’è la vita? Per caso: aspettare le vacanze estive? Oppure: telefonare a Cioran?». Ci sono aforismi fatti solo per due. Caro Cioran! Ho appena ritrovato un foglietto, in cui l’anno scorso Leontin scrisse qualcosa su Soglio, dove ci troveremo presto tutti insieme. Lo trascrivo a macchina (naturalmente con gli «errori»), per darle un’idea: «La luna si innalza dai gruppi di montagne come una palla abbagliante. – In sottofondo i motivi di Schubert, in primo piano le montagne e la luna; ecco l’immagine in queste ore. Attorno alla luna, un bagliore, dal pianoforte un tono cupo – meraviglioso. – Vorrei ad ogni modo

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menzionare un elemento fastidioso, ovvero le macchine che irrompono su questa strada e interferiscono coi miei pensieri». (24.7.1980) Leontin scrisse all’aperto, dopo cena, davanti al Palazzo, mentre era seduto ad un tavolino in assoluto silenzio. A riguardo, una tal «creazione» non merita forse di essere riprodotta? Ho appena ascoltato due volte la Partita N.1 in Si Maggiore eseguita dall’altro grande rumeno, Dinu Lipatti (!). Sì, nello stesso momento, come al solito, ho pensato a Lei. Anche durante il magnifico Scarlatti. Così si conclude anche questa giornata, che mi ha tanto spossata: di prima mattina gli scrutini, nel contempo le prove teatrali, pasto e bevute con i colleghi, poi a casa, scrivendo a mano trenta pagelle, in aggiunta qualche telefonata, poi la Sua voce da Parigi.... Questa è la giornata tipo, si va avanti sempre così. Si deve tirare avanti così. A questo proposito mi viene in mente una poesia di Eichendorff (dal cui romanzo, Presentimento e presente, ha preso il nome mio figlio) «Sto all’ombra del bosco come ai margini della vita /…un capriolo alza pauroso il capo / e si addormenta subito di nuovo.»... Sì, alziamo brevemente la testa – e subito già moriamo. Allora l’eterno pasticcio è finito. Questa tristezza – come ora nella Sonata in Fa minore (en fa mineur) di Scarlatti, precipita talvolta su di noi. Non c’è quindi da meravigliarsi se noi, Lei ed Io, non vogliamo «rinunciare»: ci mettiamo un poco ai margini dell’Eterno ritorno... nel quale affonderemo, se solo vi «rinunciassimo» – ma naturalmente periamo anche così... Ancora due versi di Eichendorff: «I musicisti hanno suonato. Là nel campo cado». C’è qualcosa da aggiungere? Forse ancora una similitudine: «Una stella cade silenziosa dopo l’altra Nel profondo abisso del cielo»… Ora però basta con Eichendorff, la bara resta chiusa! La bacio (l’ha appena detto Lei con la sua telefonata, che ha interrotto la scrittura della lettera.) Sua Fr

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Lettera di Cioran del 17 luglio 1981.

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Parigi, 17 luglio 1981, ore 11 di mattina Cara Friedgard, Ho appena riletto la Sua lettera pervasa di poesia – ho pianto (piango spesso da quando la conosco!). Ieri ho letto una citazione dalla Maitri Upanisad: il nostro corpo sarebbe una «massa di lacrime». Quattro mesi fa, prima del suo viaggio qui, non avrei potuto sostenere questa affermazione in base ad una mia esperienza personale. Folle, bellissimo, straordinario! Da sempre ho tentato di liberarmi dalla «creatura». La solitudine era la mia religione. In verità mi sono sempre sentito solo – con delle eccezioni tuttavia: la più singolare è la presente. Lei è diventata il centro della mia vita, la dea di uno che non crede in nulla, la più grande felicità e sventura che mi sia capitata. Oder?12 Se pronunciasse questa parolina, ed io fossi morto, risorgerei all’istante. Dopo che per lunghi anni ho parlato con sarcasmo di tali… cose come l’amore (e simili) dovrei essere punito in qualche modo, e lo sono, ma non importa. Il fallimento è il punto capitale del mio programma. Tuttavia ho una qualche possibilità: Lei è propensa a vivere ai margini, anche se solo un poco, ma questa riserva è già tanto – almeno per me. Mi considero un marginale, e interiormente reagirei come tale anche se venissi tradotto in tutte le lingue del mondo, compresa quella dei cannibali. Gli ultimi due versi di Eichendorff e gli altri: «una Stella» erano del tutto consoni al mio 14 luglio emotivo. Lei ed io, condividiamo certamente un «lato notturno» e se penso a questa ricchezza comune, come pretendere che queste maledette lacrime non si impadroniscano ancora di me? Suo C.

Dietro sua richiesta, ho inviato ancora a Cioran le mie poesie tedesche preferite, in particolare quelle di Gottfried Benn: C’è la distruzione, chi la conosce, conosce la mia e Piangere di nuovo – e morire/con te…; Ho abbandonato la casa, Ci sono melodie e canti. Ho copiato per Cioran le 12

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Intercalare tipico di Friedgard, corrispondente all’italiano O no?

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migliori poesie di Benn, Die Schale (La Scorza) e Was schlimm ist (Brutto è), ma anche Glocken und Zyanen (Campane e fiordalisi) di Weinheber e una parte della sua poesia fascistoide Sprache unser (Hymnus auf die deutsche Sprache) (Lingua nostra. Inno alla lingua tedesca). Alla fine ho scritto (variando la domanda di Benn): «Le poesie possono cambiare il mondo?» Naturalmente no, dimostrano, al contrario, che non si tratta affatto di poter cambiare qualcosa, ma dello struggimento di fronte all’immutabile. (20/22.7.81) ODER? Fr. Venerdì mattina, dopo la Sua telefonata. Je m’ennuie de toi in romeno si dice: Mi-e dor de tine. Dor = nostalgia deriva da dolor. E, in realtà, avere nostalgia non è qualcosa di più d’una mania? Una malattia, no, un urgente martirio. Dopo una cronica, pluriennale malattia, la musica e la poesia, tramite Lei, sono entrate di nuovo nella mia vita. Il pericolo è immenso – fortunatamente. La ringrazio. C. 27.7.81 Sì, la nostalgia è più di una mania perché contiene il presentimento dell’invano, mentre la mania allude precisamente all’oggetto della pulsione, senza la consapevolezza dell’ inaccessibilità… Cioran, dobbiamo in perpetuo – come due morti di fame – buttare i nostri soldi al telefono, quasi fosse lì il nostro nutrimento… Perché non si divide: mezzo anno qui e mezzo anno là? Le procurerei una borsa di studio per sostenere la dilaniante prova… Perdoni la stupidaggine, ma sa, cosa potrebbe essere ragionevole? Sua Friedgard

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Al telefono Cioran si dilettava volentieri con la proposta di sposarmi, contro tutti i suoi principi, addirittura secondo il rito ortodosso (su questo devo insistere), il che per lui significava essere cinti entrambi di corone. Quante risate, su un sogno triste! Sabato, ore 7 di sera Lei ha appena chiamato. Subito dopo mi sono abbandonato ad una rêverie13 (la stessa parola è usata anche da Benn), e l’espressione: une âme-soeur mi è tornata in mente. Per me Lei è veramente un’«anima(!) gemella», ma devo subito aggiungere: una sorella per la quale provo un’inclinazione incestuosa. Se fossi stato Suo padre, non le avrei permesso di appartenere a qualcun altro. Come fratello devo rassegnarmi all’inevitabile ed accettare i compromessi. E rimuovere qualche lacrima. Tuttavia non sono da compiangere. Il giorno è stato benevolo: con Schubert e la Sua voce nelle mie orecchie, non ho forse toccato il cielo con un dito? Suo C.

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Fantasticheria.

III

Vacanze estive! – Nell’occasione conobbi anche Simone finalmente, poiché volle accompagnare Cioran nella nostra casa vacanze a Soglio, in Val Bregaglia, dove da anni alloggiavamo presso il Palazzo Salis. Non troppo lontano, del resto, da Sils-Maria e Silvaplana/Engadina, dove l’editore Larese stava aspettando Cioran. Eravamo: il mio ex- marito Günter Schulte, nostro figlio Leontin, la piccola figlia Clarissa (avuta da un’altra relazione), il mio amico Walter (che somigliava a Liszt nell’episodio del Carnevalet) e suo figlio Florian, compagno di giochi di Leontin. Si prospettava allora una bizzarra comitiva; anche lo scrittore svizzero Hermann Burger, nostro amico, come ogni anno voleva farci visita, l’avevamo infatti conosciuto grazie alla sua storia mozzafiato, Il terremoto di Soglio. Quell’anno, la prima sera del nostro arrivo nel luogo di montagna più bello al mondo (dove naturalmente, venivamo accolti come una grande famiglia), avevamo conosciuto anche uno scurrile lussemburghese, psicologo a Berlino: Nicolas. Ogni anno segnava, con una croce sul calendario, la data del suo suicidio. Con una dentatura rovinata e la capigliatura altrettanto, cresciuto bilingue, dopo la maturità aveva abbandonato la casa di dieci stanze dei suoi genitori, con cinque libri sotto braccio; non viaggiava mai senza le poesie di Trakl e la musica di Richard Wagner; davanti alle pareti rocciose declamava a memoria versi di Apollinaire.

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Per prima cosa, la sera del suo arrivo (giorno di festa nazionale in Svizzera) mentre ballavamo si gettò ai miei piedi – da notevole bevitore – con una violenza tale che, da quella sera in poi, dovetti accompagnarlo ogni giorno a rifarsi le fasciature all’ospedale locale, che per fortuna si trovava proprio sotto Soglio. Nicolas, infatti, era senza patente. Non ho mai più incontrato una persona simile («alle dodici di mattina a stomaco vuoto non si deve mangiare niente», era solito dire); mi voleva sposare subito, così su due piedi, e per giunta nella chiesetta di Soglio! Forse con Cioran come testimone? Perché mi sento sempre attratta dai decadenti – e io stessa li attraggo a me? Mentre prevedevo sgradevoli scenate di gelosia, sopraggiunse pure il mal di denti, che di notte mi faceva balzare in piedi sul letto a baldacchino verde slavato – totalmente sconsolata, perché Walter sosteneva che me lo fossi «meritato». Cioran e Simone arrivarono solo alcuni giorni più tardi. Con Günter andammo a prenderli a St. Moritz, ad un’ora di autostrada (mentre Walter, caparbiamente, sotto un sole rovente, si produceva in una camminata suicida per le montagne). Al pari di Cioran, trepidavo sulla questione se Simone ed io ci saremmo piaciute a vicenda. Raggiungemmo la stazione in ritardo, cinque minuti dopo l’arrivo del treno e notammo che Cioran era già in trattative con un tassista. Al nostro arrivo quindi, dovette annullare una «corsa quasi già prenotata», il che gli riuscì facile, tanto che il tassista mi salutò con un bacio, volendo ben intendere di comprendere il cambio. – Era iniziata bene, e dopo esserci tutti abbracciati, a quel punto osservai Simone: una bella ed alta signora elegante, intorno alla sessantina, abbronzata, con vivaci occhi marroni. Scoccò subito la scintilla. Insieme al mio ex-marito rimasi incantata dalla sua apparizione e probabilmente non badai molto a Cioran. Più tardi mi disse che, se avessi stretto amicizia con Simone, tutto sarebbe finito tra noi – e aveva ragione… Sebbene non direi «tutto». In ogni caso da quel momento in poi le lettere si diradarono – scrissi più spesso del solito ad entrambi.

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Tuttavia devo ancora precisare la posizione di Soglio, che dà su un precipizio, poiché è uno splendido completamento al mondo metaforico di Cioran. Quando, durante una visita fuggitiva, vidi per la prima volta quel villaggio montano risalente all’anno mille, con i magnifici palazzi della famiglia Salis, capii che vi sarei ritornata sempre. Situato su un ripido castagneto, l’ingresso di Soglio vede subito la «casa-negozio sul dirupo» di Hermann Burger; accanto la chiesa col cimitero, proprio sull’orlo del precipizio. Di lì si apre uno scorcio sul lato opposto, verso la Sciora – o Gruppo Bondasca, che da tempo vorrei fissare in un’armonia letteraria. Da quasi 20 anni, intanto, armeggio su una frase. Simone e Cioran alloggiavano in una dependance proprio accanto al cimitero (si erano decisi al viaggio troppo tardi per ottenere una camera nel palazzo). Da allora, di notte, si poteva vedere un Cioran insonne vagare sul precipizio del cimitero, in pigiama a righe e sotto uno svolazzante ciuffo di capelli arruffati. Quelle tre settimane divennero per lui un supplizio autodistruttivo. Avreste dovuto vedere che combinazione di essere umani (mancava solo Ingomar von Kieseritzky): Hermann Burger, probabilmente uno dei più grandi artisti della lingua di questo secolo, insieme al geniale e psicopatico Nicolas, inventavano versi stupidi (rimavano Cioran con Majoran e Phlox con whisky on the rocks!). In una sorta di biblioteca, nel corso di un’afosa serata temporalesca, Cioran raccontò infervorato le precoci sedute nei bordelli di Bucarest, al punto che Günter volle sapere i dettagli dell’addestramento alla sua tanto lodata arte amatoria: da dietro, di fronte, di fianco e così via. Nello stesso istante egli si girò di scatto sulla sedia, inginocchiandosi in atteggiamento di lode, virando poi in posizione embrionale, ritornava quindi a sedere a gambe larghe. Ricordo che Cioran guardò imbarazzato verso Simone. E quando anche Hermann, con un bicchiere di vino vuoto, intonò la lode – purtroppo perduta – del mestiere più antico del mondo, allora avreste dovuto vedermi inveire contro l’atteggiamento sprezzante di en-

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trambi verso la donna, celato dietro l’elogio culturale del bordello – ma a casa di Hermann era la moglie pudica, a dettar legge! «Voi machi avete degradato le donne alla stregua di graziose creature sub-umane – senza il nostro permesso!» – Nicolas non presenziò alla discussione sui bordelli: del tutto innocente, sdraiato nel suo baldacchino intarsiato del 1678, ascoltava con le cuffie alle orecchie, come sempre prima di addormentarsi, il primo atto della Walküre o il terzo del Götterdämmerung (la morte di Siegfried). Venne però distolto dalle sue pacifiche illusioni da Hermann, che voleva a tutti i costi ordinare ancora champagne, e dividere la spesa con Walter, Nicolas e me: «Partecipi ad un Veuve Clicquot?», significava per Hermann: «Dividi la spesa con me?» Accadde che per punire la sua avarizia – definita da Cioran e Simone: boire comme un Suisse1,  il che era vero – la prima edizione del suo romanzo La madre artificiale, contenesse il fatale errore di stampa in cui «Veuve Clicquot» appariva senza la seconda «c». Alla fine della lunga e accesa discussione, dopo l’ultima bottiglia di champagne, mentre fuori infuriavano lampi e tuoni, Simone, rimasta in silenzio durante tutta la conversazione in tedesco (che comunque riusciva a capire), all’uscita, sotto l’imponente portale del Palazzo, al mormorio della fontana del paese, mi abbracciò forte in modo inatteso e indimenticabile. Durante il viaggio verso Silvaplana dall’editore Francesco Larese, ci fermammo a Sils-Maria, naturalmente in visita alla casa di Nietzsche. La minuscola cameretta al primo piano, con un catino, un letto e una sedia, aveva pressappoco lo stesso aspetto della camera di Cioran in rue de l’Odéon. Per due franchi al giorno, in estate, Nietzsche vi abitò nell’ultimo decennio della sua vita, tormentato dall’emicrania, prima del crollo: «Mentre la nobile muffa d’Europa / di Pau, Bayreuth ed Epsom si nutriva» (Gottfried Benn)2. Arrivammo purtroppo di lunedì, quando Bere come uno svizzero, espressione proverbiale francese che significa bere da solo senza invitare gli amici (N.d.T.). 2 Cfr. G. Benn, Turin (Torino): «“Cammino con le scarpe rotte” / scrisse questo genio universale / nella sua ultima lettera – / lo portano a Jena – psichiatria. // Non 1

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la casa non era aperta alla visite. Tuttavia, un affabile giovane scrittore di carnagione scura aprì la porta e una volta che ci fummo presentati, disse che aveva proprio un libro di Cioran sulla sua scrivania, e sarebbe stato un onore per lui farci da guida. Naturalmente Cioran annotò anche il proprio nome nel libro degli ospiti, ma non so più cosa si potrebbe leggere oggi, alla data del 10 agosto 1981. Meriterebbero di essere raccontati la proficua visita all’editore Larese e il pranzo alla Chesa Vecchia di Sils-Maria, dove incontrammo di nuovo quel simpatico giovane, di nome Jürg Amann, col quale parlai a lungo di Kafka, irritando molto Cioran, evitando così di partecipare al colloquio, per me noioso, con l’editore… Si rivelò che Cioran, contro i suoi principi, faceva molta attenzione alle questioni di denaro... ma tutto ciò ci allontana troppo dalla poesia. La sera, di ritorno a Soglio, tutti ci aspettavano: Hermann Burger si esibì ancora in giochi di prestigio per i bambini e fece un buco con la sua penna a sfera dorata in un foglio di carta, che aveva preparato per me, Cioran e Simone. «Frrrriedgarrrrd, sta attenta, rrrriconosci qqqquessto buco quiii?», mi chiese con voce grossa e con particolare enfasi sulla parola «buco». Cioran, fortemente irritato (temperamento balcanico?), mi prese da parte dicendomi: «Che diritto ha di parlarle così?». A Cioran non piacevano né Hermann né Nicolas, (non rappresentavano forse essi l’incarnazione dei suoi aforismi?) e neanche il mio amico Walter, che liquidò come ‘good-looking’. Solo Günter rimaneva fuori dalla concorrenza. Dopo cena s’intratteneva con lui sotto le alte volte della bella sala da pranzo vuota, davanti ai merletti violacei delle tende, per lamentarsi di me e domandargli se non fossi veramente una strega. Günter se la sarebbe squagliata volentieri nel salone, abbandonandosi alle Sonate di Schubert o alle Suite di Bach, provenienti dalla finestra aperta sulla posso comprarmi i libri, / li leggo nelle librerie: / appunti – poi a prender l’affettato: – questi sono i giorni di Torino. // Mentre la nobile muffa d’Europa / di Pau, Bayreuth ed Epsom si nutriva, / lui abbracciava due ronzini, / finché il padrone non lo trasse a casa» (Poesie statiche, a cura di G. Baioni, Einaudi, Torino 1972, p. 107)..

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piazzetta della fontana – o ancora, avrebbe dipinto audaci acquerelli dei piumini accatastati sui nostri vecchi letti a baldacchino, davanti agli specchi rococò frantumati. La nostra visita a villa Carlotta, nel lago di Como, fu poi definitivamente immortalata nelle foto: Cioran accanto a me, sotto la spada del dio Marte nudo – come sorpreso – mentre guarda l’obiettivo! In seguito – tre settimane dopo – avvenne il congedo dalla coppia Cioran/Boué, di mattina presto davanti alla fermata degli autobus, con la promessa di far loro visita a Dieppe. Dopo il soggiorno a Soglio, andai in auto con Leontin e il suo amico Moritz a Dieppe, dove stabilii un’eccellente intesa con Simone, mentre con Cioran mi capivo sempre meno. Volevo e dovevo mostrare a Simone che non ero entrata nella vita di Cioran per distruggere il loro rapporto di coppia, che mi stava molto a cuore; stimavo Simone una donna meravigliosa, di cui Cioran poteva essere molto fiero. Tornammo insieme in auto a Parigi. In autostrada, alla velocità di 100 km, Cioran iniziò a preoccuparsi: non si fidava delle strade a scorrimento veloce. Non potevamo non sostare a Rouen, per via di Flaubert, della cattedrale e di una giacca di pelle, che Cioran acquistò in un negozio dell’usato. I tre giorni seguenti, in una Parigi afosa, svuotata di turisti, furono una festa: tanta gente in strada fino a notte fonda, evidentemente nessuno voleva mangiare o bere in camera, neanch’io con i due ragazzi. Vivevamo in una sorta di stato di grazia, in cui improvvisamente tutte le persone apparivano amabili. «Vraiment belle», mi disse un portiere in livrea rossa un pomeriggio a Montmartre, mentre scendevo le scale, insieme ai ragazzi. Un capitano di fregata mi diede il suo biglietto da visita, e un cameriere villano della «Palette», nel salutarmi, baciò «l’Allemande»: voleva ricordarsi di me, cosa che mise Cioran di malumore. Il resto dei parigini comunque, mi si mostrò in una luce trasfigurata – o tutto dipendeva solo dal mio stato d’animo? Non mi sentivo forse liberata? Si era sciolto qualcosa dentro di me, adesso avevo un po’ più di chiarezza. Tuttavia non volevo ammettere il fatto che Cioran stesse semplice-

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mente dominando la sua disperazione interiore. Trovavo assurdi i suoi rimproveri. L’ultimo giorno al Luxembourg, mi disse che non dovevo farmi troppe illusioni sul mio buonumore, poiché non ero più tanto giovane (!), ed io sentii semplicemente il ridicolo, non la tristezza della situazione. «Qualcosa si è rotto» disse, ed io lo sapevo già. Ma non volevo riconoscerlo. Le mie foto di lui, nel Jardin du Luxembourg, mostrano anche questa giornata. La lettera non datata, che ricevetti dopo le vacanze estive, esprime tutto: ore 3, domenica pomeriggio Benché abbia amato ardentemente la vita, l’ho trovata assurda. Adesso la trovo assolutamente assurda – senza di Lei. Avrei voluto aggiungere qualcosa di spiritoso, ma non ne ho la forza. Suo C.

Da allora in poi, dopo anni di astinenza, intraprese molti viaggi con Simone, anche all’estero. La lettera seguente viene da: Saint Julien de C... 4 sett. 1981 Ho provato a raggiungerla. Impossibile. Prima della mia partenza ho ricevuto da un giovane tedesco molto intelligente, che non conosco di persona, una cartolina della casa di Nietzsche. Gli ho risposto subito: «Avremmo potuto incontrarci nel tempio di Nietzsche [la casa a Sils-Maria] il 10 agosto. Una dea pericolosa mi ci aveva portato. Vive in mezzo ai mortali e per giunta abita a Colonia». Ahimé! La mia risposta [6.9 abbreviata]: Ho trovato la sua lettera appena tornata da scuola! Sarei una «dea pericolosa» (quando non mi considera piuttosto una strega)? Ieri, questa

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dea non aveva niente di meglio da fare che ammazzare una mosca e annoiarsi. Più bello, poiché così vuoto, quel suo «ahimé»! In questo lamento, posso racchiudere tutto, anche me stessa. Sua Fr.

Il 18 settembre Cioran chiamò, raccontando che alle sette era troppo infelice per telefonare, sebbene avesse avuto bisogno solo di me – ed aggiunse: «Ero terribilmente sconvolto dal mio stato!»

Una lettera non datata: Cara Friedgard

Domenica, mezzogiorno Non riesco a liberarmi da questo sogno spaventoso. È raggiunto il culmine di sei mesi di incredibili tormenti? O è la fine di un’illusione a senso unico? Quando l’incubo è finito, sono stato afferrato dalla verità che si è rivelata. Anche da morto, ricorderò la sua apparizione beffarda con lo sguardo da strega. Forse può perdonarmi questa notte indimenticabile. Suo C

Il mio telefono doveva essere rotto, ad ogni modo telefonai da casa di una vicina (il cui amico era quel Jules!) oppure fu Cioran a chiamare lì. Il biglietto successivo riporta l’episodio: Sabato Forse perché non era al suo telefono, Lei è stata così gentile con me che per gratitudine quasi mi sono innamorato della sua vicina.

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Dovrebbe essere così, se non sempre, almeno fino al giorno del Giudizio Universale Suo, Suo, Suo C. Domenica, ore 15. 30 [27.9.81] Caro Cioran, talvolta ci sono momenti che racchiudono una tenerezza così immensa, come poco fa, mentre andavo in auto, sotto il sole, pensando a Lei. In quegli attimi, era come se mi sentissi finalmente a casa. Tutto ciò che mi rende sgradevole ai suoi occhi, sparisce per brevi istanti; mi sento totalmente illuminata di bontà o amore. F. Dieppe, martedì 6 ottobre 1981 A Friedgard Come mi spiace - da che la conosco - non aver trascritto ogni giorno, no, ogni ora, ciò che Lei rappresenta per me! Sperimento le impressioni più contraddittorie che un… essere vivente abbia mai provato. Eppure tutte insieme avrebbero un’unità, una convergenza segreta: la paura che Lei mi sfugga. Ieri notte, quando mi sono lamentato della prova straziante che adesso è il mio destino, Lei ha detto qualcosa degno di nota: «Altrimenti si sarebbe annoiato». E questo è vero. Infatti, Lei mi ha (provvisoriamente?) guarito dalla noia. Il tempo che è trascorso dalla sua comparsa è stato talmente ricco, così colmo di significato, imprevedibile, così pieno di Lei, che le sono riconoscente per tutte le gioie e le scosse che sono legati al suo nome. Come ben sa, mi trovo in uno stato di perdurante anxiété  per la sua volubilità, non riesco a consacrarmi alla quiete. Non mi è semplicemente possibile trarre le conseguenze dalla mia natura diffidente. Meglio l’inferno con Lei che la benedizione da solo. Lei è la mia indispensabile maledizione. E. M. C.

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10.10.81

Caro C.! Dopo la sua bella ma dolorosa lettera, un osservatore di un’altra stella (o anche della nostra) naturalmente potrebbe pensare che io sia un mostro. Capricciosa, inquieta, dispensatrice arbitraria di grazie e maledizioni, nel migliore dei casi sembro una divinità dell’antico Olimpo. Lei rappresenta per me il contrario di ciò che appaio ai suoi occhi: è divenuto per me la continuità che mi definisce. Senza di Lei mancherebbe il punto fermo più importante della mia vita. Dunque, quale anxiété l’opprime? Non sarà solo il fatto che trovo simpatici anche altri uomini? Oh, tale timore appare così insensato, deriva solo dalla nostra differenza di età (quindi non dalla mia cattiveria personale) e non può incrinare la mia disposizione intima verso di Lei. Perché non può trovare la tranquillità su questo punto? S’immagini se io provassi una paura simile nei confronti di tutte le cose e persone che la circondano quotidianamente: Lei incontra di continuo così tanta gente, che viene appositamente per Lei, girando qua e là ha tante probabilità di dimenticarmi, può telefonarmi o meno – allora, come dovrei reagire Io? Nulla di tutto ciò, tuttavia so di certo che Lei esiste, e che esistono le nostre lettere. Caro Cioran, il sapere che Lei c’è – cosa desiderare di più – (perfino tra le braccia di un altro uomo non sarebbe la stessa cosa). Non potrebbe pensare allo stesso modo? Questa idea di maledizione-benedizione la considero assolutamente fuori luogo… Ora l’ho chiamata e l’amo così profondamente (ovviamente solo ora!). Fr.

Al telefono Cioran mi disse la cosa più bella che avessi mai sentito:«Lei è per me la realtà più intima» – fu così, come se nulla si fosse infranto, come se grazie al telefono si potesse ricomporre tutto. In quei giorni, gli chiesi anche di dirmi qualche parola in rumeno, volevo sentire da lui lo splendido suono di questa lingua. Rispose però che aveva abbandonato da troppo tempo il suo idioma per volerlo riprendere. Ad ogni modo

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era sempre in grado di parlare perfettamente la sua lingua (al contrario dell’amico Ionesco), come mi confermò una collega transilvana, che una volta parlò con lui in rumeno dal mio telefono. – Ma un giorno scrisse l’appellativo nella sua lingua madre: Sabato, ore 13 (non datata)

Dragu˘3  Friedgard, le Sue lettere sono la mia droga. Non riesco a disintossicarmene. Ne ho bisogno. Come discendente di un vescovo [evidentemente gli avevo raccontato che un mio pro-zio era vescovo di Paderborn ed è seppellito nel duomo locale], deve avere pietà di un tossicomane ed aiutarlo. D’altro canto, quando scrivo in tedesco, sono così impacciato, così constipé, che temo di concederle un vantaggio troppo grande. Dunque, dove è la mia via d’uscita? Pensare a Lei, e al suo orecchio* Suo C. * il destro. Come mi sono potuto sbagliare? Effettivamente è il destro (la seconda sera, durante la sua prima visita a Parigi ) che ho baciato. Come vede, sono nemico dell’approssimazione, almeno quando si tratta di certe zone.

In questo periodo, Cioran ricevette un invito dal Centro Culturale e Linguistico Europeo di Colonia. Insieme all’amico Jochen Meister, che vi lavorava, era mia intenzione in primo luogo offrire una panoramica sull’opera di Cioran e quindi leggere in pubblico una selezione dei suoi aforismi (in ogni caso Cioran non voleva leggerli da sé). In seguito si rese disponibile a rispondere ad eventuali domande. Venne quindi ancora una volta da me, per due giorni a Colonia, dove 3

Cara, in lingua rumena (N.d.T.).

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organizzò in maniera impressionante questa serata con me e Jochen Meister. In aggiunta alla selezione dei testi, volle sentir dalla mia voce il suo capitolo preferito, Le disciple des saintes4. Gli altri brani tratti dalle varie opere, che io stessa avevo scelto, furono evidentemente così toccanti, che Günter non riuscì a trattenere le lacrime e fu costretto a precipitarsi fuori dalla sala, gremita di gente. Più tardi diedi un grande ricevimento in casa mia, durante il quale Cioran discusse animatamente, fino a notte fonda, con parecchi amici e conoscenti. Comunque, quando tutti gli ospiti se ne furono andati, manifestai in maniera definitiva e concreta – con una fermezza che sino ad allora avevo evitato – ciò che mi era chiaro fin da Soglio: il nostro rapporto non poteva sussistere sul piano fisico. Ci siamo poi baciati le mani, piangendo.

Cara Friedgard,

Parigi, 20 ottobre

Le mando in plico separato il romanzo di Jean Pierre Jouve, pieno di un antiquato, tardo-romantico e sublime fascino di cattivo gusto. Ho letto solo l’inizio, essendo prevenuto, non ho voluto continuare oltre. In ogni caso ho un debole per l’idealizzazione, con conseguenze che avvelenano le mie notti. Da parte mia niente, assolutamente niente è cambiato nei suoi confronti, solo un qualcosa che non riesco a definire. Suo C. Parigi, 20 ottobre 1981 Cara F., le due ore molto piacevoli trascorse a pranzo, prima della mia partenza, non mi hanno dato motivo di mandarle l’aspra lettera inviatale stamatti4

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Cfr. Il discepolo dei santi, in Sommario di decomposizione, cit., pp. 164-166.

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na. Deve però capirmi, tanto più che verità, veramente, sono parole che Lei utilizza spesso, in particolare verso di me ed i miei modi. Sono rimasto così turbato da credere che per Lei io possa contare più di altri, e che tra noi, sotto ogni riguardo, tutto sia possibile, poiché tutto è vano. La mia mancanza di modestia ha riservato delle sorprese. Non potrebbe essere altrimenti: non ho forse sopravvalutato la fiducia in me stesso, da un lato, e la sua spregiudicatezza, vale a dire il cinismo, dall’altro? … Intanto sto ascoltando il suo Arpeggione e mi dico che i miei rimproveri, legittimi o meno, sono comunque infondati, e che il vero si trova altrove, nei momenti in cui ho baciato le sue mani. Come Lei le mie. Suo C. 28.10.81 Se considera le foto allegate, caro Cioran, non le sfuggirà lo sfondo del suo bel ritratto: il Luxembourg, il giardino a Lei destinato da 40 anni. Le foto di Dieppe mostrano un’atmosfera un po’ grigia, da grido del gabbiano; in particolare quella vicino alla casa con la grondaia coperta e il numero civico 13, sospeso in obliquo... Non ho nulla da rispondere ad entrambe le lettere, che Lei ha inviato la settimana scorsa – sono indubbiamente giuste. In particolare mi ha colpita l’ultima frase sulle nostre mani e la verità che si trova altrove (forse in mezzo, tra di esse). Oh, se non ci fossero le cosce, ma solo le mani. Tutto sarebbe semplice. Ma probabilmente viviamo affinché tutto sia complicato. Sua Friedgard [Al telefono] Io: «Lei parla sempre della passione e dimentica del tutto di prediligere la noia». Lui: «Sì, ha perfettamente ragione. La noia è il motore della nostalgia,

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non dell’ottusità. Ma certo, la nostalgia è ancora più forte, perché è il motore della passione».

Il 25 novembre 1981 mi è stato inviato un volume fotografico: Tournier/Boubat, Vues de dos. Sulla rilegatura, la foto in bianco e nero di una giovane ragazza seduta di spalle, i cui lunghi capelli, leggermente ondulati, finivano poco sopra le natiche. Cioran scriveva: Parigi, 25 novembre 1981 Per Friedgard. Lei fa delle foto più belle di questo signore, ma lui ha il grande merito di conferire alla schiena, ed in tal modo alle natiche, uno statuto onorevole. E. M. C.

Eppure Cioran non avrebbe dovuto dialogare unicamente col proprio scheletro? Que ferions-nous d’ailleurs du bonheur, quand le malheur est tout le plaisir qui nous reste? (Del resto che ne faremmo della felicità, quando l’infelicità è il solo piacere che ci resta?) Schubert, 1824 Domenica pomeriggio, 28 novembre Cara Friedgard, Sono uscito proprio adesso. Qualche minuto dopo sono dovuto rientrare: ogni respiro, una pugnalata. Nelle persone anziane questo

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morbo infantile è un inferno. Il primo movimento/composizione della Sonata op. 120 per clarinetto e pianoforte di Brahms. Ho pensato subito a Lei, con commozione e despair5. Lei non saprà mai, mi sono detto, cosa è stata – ed è per me. Lo riconosco, ci sono stati momenti ed accessi di collera, in cui l’incantesimo e il delizioso tormento sembravano finiti. Certamente qualcosa è accaduto in me, Lei ha contribuito quasi intenzionalmente, a prepararmi poco a poco all’idea della rinuncia. Semplicemente all’idea! ... Poiché per me Lei è incredibilmente qui presente, forse lo intuisce e non se la deve prendere a male se talvolta me ne lamento. Del resto sono solo io il colpevole, se Lei gioca un così grande ruolo nel mio «malheur»? Suo C.

Cosa voleva dire qui «colpevole»? Forse Cioran non sapeva dove sarebbe andato a parare col suo desiderio erotico, così immediato ed esplicito? Con che genere di anima-gemella (âme-soeur) passeggiava? Che significava avere la stessa disposizione interiore (tour d’esprit)? In che 5

Disperazione.

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modo le sue ossessioni dolorose potevano ridursi al poetico o sublimarsi del tutto nell’intelletto, facendone qualcosa di unico per noi lettori? Io stessa infatti, dopo 20 anni, sono ancora dalla parte del pubblico. 27.11.1981

Caro Cioran! Se tutto il transitorio fosse «solo una parabola», allora tutto esisterebbe unicamente come interpretazione. Esiste solo tutto ciò che ha una consistenza oggettiva? Allora poggiamo anche i nostri pensieri, gli umori, i sentimenti su una base che consiste in nulla? E tutti gli uomini agiscono su queste basi e interpretano i propri vaghi risultati, come se potessero fare la «Storia»... La sola salvezza possibile da questo valzer di sentimenti, è decidersi per l’apatia. – E perciò la nomino ora mio maestro: «Semplicemente, non facciamo nulla e non andiamo da nessuna parte»6. Se potessi adesso sentire queste parole da Lei. Come mi sarebbe di conforto!

Parigi, 2 dicembre 1981

Cara Friedgard, Ho aspettato la Sua lettera con un certo timore. Il timore era giustificato. A partire da Soglio, sapevo di essermi votato ad un monologo. Fino a quel momento l’autoinganno era ancora possibile, dopo, in ogni caso, non più. Lei non ha mai voluto capire veramente il significato del mio desiderio di dimenticarla. Ciò che in me rasentava la disperazione, era in Lei ironica insensibilità. La Sua lettera è brillante come sempre e – stavolta – indifferente. Tuttavia mi è impossibile intrattenere relazioni indifferenti con Lei. Non 6

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E. M. Cioran L’inconveniente di essere nati, cit., p. 19.

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ho più la voglia e neppure la forza di tormentarmi invano. In seguito ci riderò sopra, ma ora mi è impossibile. Sin dal principio, la delusione era in fondo inevitabile. Peccato solo che non ci sia alcuna illusione. Suo C.

In seguito ci siamo telefonati frequentemente, e credo di essere riuscita a discutere ampiamente con lui di questa lettera, cui non ho riposto per iscritto. Ad ogni modo, il 14 dicembre mi arrivò, in carta da lettere, la bozza di quell’aforisma inserito poi in una nuova raccolta dal titolo Tares, pubblicata nella rivista «La Délirante» (N. 8, estate 1982). Sul frontespizio mi scrisse: Per F. Pagina 16, l’aforisma sulla musica appartiene a Lei.

C. Parigi 27 dic. 1982

Nel foglio stesso: Brahms Sextett Il n’est que la musique pour créer une complicité indestructible entre deux êtres. Une passion est périssable, elle s’use comme tout ce qui participe de la vie, alors que la musique est d’une essence supérieure à la vie et, bien entendu, à la mort.7  Il Perdente Sabato pomeriggio 12 dicembre 1981

Vedi p. 20, nota 8. Nel 1987, questo aforisma trovò posto nell’ultima raccolta pubblicata in vita da Cioran, dal titolo Aveux et anathèmes, con una piccola variazione: il verbo «se dégrade» al posto di «s’use»; cfr. E. M. Cioran, Confessioni e anatemi [Aveux et anathèmes, 1986], trad. di M. Bortolotto, Adelphi, Milano 2007, p. 42. 7

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Poiché non ero d’accordo con la traduzione tedesca, in seguito ho fatto io stessa una traduzione, in cui ho apportato una modifica soggettiva, rendendo i «deux êtres» con «noi due». Paragonato alle sue lettere – come riflesso della situazione esistenziale di allora – questo aforisma non raggiunge la stessa dimensione dinamica, ma si riduce ad un pathos verboso, qualcosa di non vivo. Erano ancora troppo vicine le esperienze vissute? Occorreva essere insensibili, per scrivere brillanti aforismi? La sera di quel 12 dicembre, scrissi anche una lunga lettera a Cioran, nella quale raccontai entusiasta del film di Robert Enrico, Gli avventurieri (Les aventuriers, 1967, tratto da un romanzo di José Giovanni, con Lino Ventura, Alain Delon e Joanna Shimkus), rivisto dopo quasi 15 anni. Riportai ampiamente la trama, nelle sue tre parti; l’ultima, la più impressionante, si svolge a Fort Boyard, sul mare davanti l’Ile d’Oléron. In seguito fu citato in un piccolo libro sulla fortezza come «chef-d’oeuvre de l’inutile» (capolavoro dell’inutile) – che a Cioran sarebbe piaciuto molto! Nel finale, un moribondo Manu (Alain Delon), è condotto in cima al forte tra le braccia del suo amico Roland (Lino Ventura), circondato dal fragoroso rumore provocato dal flusso e riflusso dell’oceano, viene confortato nel modo seguente: «Manu, devi sapere, cosa mi ha detto Letitia (J. Shimkus) prima di morire: voleva trasferirsi qui con te» – ma era una menzogna, perché la giovane donna non era innamorata del bel Manu/Alain, ma di Roland/Lino Ventura, e, nonostante la sua morte, rimane Lei il grande amore di Manu. «Tu, caro vecchio bugiardo», sussurra Delon con occhi stremati, morendo. «Provi ad immaginare ancora», scrivevo alla fine della mia lettera, «la cinepresa che si sposta lentamente verso il cielo, finché la fortezza diventa per noi un anfiteatro e il tragico avvenimento che vi si svolge un punto ancora più piccolo, mentre il fragore dell’Atlantico si fa sempre più forte». Nel gennaio 1982, la figlioletta di una coppia di amici di Colonia morì, all’età di tre settimane, così mandai i genitori in lutto, insieme ad un conoscente – da tempo estimatore di Cioran – a Parigi in rue de

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l’Odéon, per confortarli e farli distrarre. In segno di «venerazione», il mio conoscente rubò, alla toilette in comune del piano superiore, il biglietto scritto a mano da Cioran in cui si pregava di non dimenticare di pulire il gabinetto e di spegnere la luce – ma non per questo l’incontro fu meno cordiale e consolante. Cioran accolse i miei amici, che prima non conosceva, con grande partecipazione. Rimasero insieme fino a tarda sera. Poco dopo Cioran mi inviò la seguente lettera – e inoltre una sovracopertina, nella quale era riprodotto a grande dimensioni il volto di Robert Schumann da giovane: Mercoledì, mezzanotte (27.1.1982) Cara Friedgard, Il ritratto qui accluso è di Schumann o di qualcuno che Lei conosce abbastanza bene? I tre signori di Colonia hanno trovato subito la risposta. [intendeva la somiglianza con mio figlio Leontin, che a dire il vero non mi era evidente]. Un’ora fa Lei mi ha chiesto [al telefono] Cos’è una «disgrazia» personale in confronto alla Polonia? [Non so più a quale situazione politica o sociale si riferisse]. Aveva ragione. Tuttavia dobbiamo utilizzare il tempo che ci è concesso per tormentarci inutilmente. Questo è un lusso al quale sarebbe un peccato rinunciare. La Sua voce stasera era più seducente d’un vizio. D’ora innanzi la chiamerò solo quando è rauca. Suo E.M.C. Accluso trova anche un articolo che è apparso da poco. Forse può interessare Jochen.

Il 6.2.1982, in una lettera a Cioran raccontai d’un sogno, che mi era appena venuto in mente scrivendo l’appellativo: «Caro Cioran» in cui misi la G al posto della C: Stavamo camminando tutti e due per Parigi insieme a Jochen e Gün-

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ter. Accanto o sopra un ponte, Jochen la chiamò per nome, al ché Lei lo informò che preferiva essere interpellato per cognome (proprio come indicato nella sua lettera di Pasqua del 1981). Ora, nel sogno, s’insinuò in me una sensazione penosa, rimasi imbarazzata per la confidenza che Jochen si era presa nei suoi confronti e anche dal fatto che non sapeva come rivolgersi a Lei. Credo che Jochen l’abbia addirittura presa sottobraccio, un gesto, a mio modo di vedere, sconveniente. Ma l’assurdo è: quale nome ha utilizzato Jochen? Non Emile, ma uno che mi ha colpito solo adesso, dal suono affine, verso cui Lei ha un forte legame: JULES!!!! Nel sogno era ovvio che questo fosse il Suo nome più appropriato, e non ho formulato perciò riflessioni di alcun genere; vale a dire non ho pensato alla nostra conversazione ai cancelli del Luxembourg. Il fatto che tuttavia mi ricordi il sogno mentre sbaglio a scrivere il suo nome, significa per me che le lettere G C J (non solo Jules, ma anche Jochen!) sono collegate agli uomini forse più importanti della mia vita (tranne mio padre e il mio amico Walter, con il quale è già in atto una separazione che si protrae, ormai, da tempo). Parigi, 18 febbraio 1982 Cara Friedgard, Il suicidio della ragazza [Cioran me ne aveva parlato al telefono] mi ha colpito più di quanto immaginassi. Oltre al rammarico di non avergli dedicato neanche un giorno. Quella volta, il mio tempo – interiore – era solo per Lei… La lettera, che volevo comporre, è rimasta non scritta. Come potrebbe essere altrimenti, soprattutto adesso, quando penso alle esagerazioni del Carnevale? Peccato che Lei non sia una suora – ovviamente perversa! Suo C. 19 febbraio: PS. Ma lo è!!

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Cara birichina,

Parigi, 8 marzo 1982

Se ha occasione di ascoltare – Per Clara – la Grande Sonata n. 1 en Fa dièse mineur [Fa diesis minore] Op. 11 di Schumann – e in particolare i pezzi di Brahms per pianoforte n. 3, 4, 5, 7 dall’ Op. 116, provi a pensare a me, come io ho appena pensato a Lei. Come è vera l’osservazione di Proust, per cui, se non fosse stata inventata la parola, la musica sarebbe l’unica possibilità per le anime (pour les âmes) di venire a contatto (communiquer). Come spiegare altrimenti che io – malgrado così tante delusioni – sia rimasto Suo schiavo? C. 12.3.82 Caro Cioran, mentre sto ascoltando Schumann suonato da Pollini – già, che inizio fulminante! e poi, questo curioso accenno su un tema completamente diverso (?) nel bel mezzo del primo movimento – penso al mio «schiavo», che così tante persone visitano, perfino Oswald Wiener (che secondo Ingomar è un misogino). Cosa le piace nell’idea di sentirsi schiavo? Un schiavo volontario senza padrone né catene? Dov’è al mattino il mio schiavo, a mezzogiorno, quando torno a casa stanca, dov’è la sera? Perché ogni aiuto è così lontano? E quali delusioni può avere il mio schiavo? Provengono forse da quella stanca padrona, che non può corrispondere alle sue attese? Se Lei sapesse, Cioran, quanto realmente sia stanca – sarebbe ancor più deluso. O no? Sua Friedgard

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Venerdì, mezzanotte Dopo aver parlato al telefono Cara Friedgard, Fintanto ero qualcuno – cioè: finché credevo in me stesso – non ho mai concesso interviste. Ora, poiché sono testimone della mia propria diminuzione (diminution), accetto ciò che prima era impensabile. Dov’è la mia fierezza? Dove sono i residui della mia megalomania? Se da un anno la musica non avesse un tale ruolo nella mia vita, per il disprezzo di me stesso sarei finito male. Devo a Lei il mio ritorno alla musica – e questo non lo dimenticherò mai più. Suo C.

Durante le vacanze pasquali, poco prima del settantunesimo compleanno di Cioran, sono andata a fargli visita con il mio compagno Walter, che Simone e Cioran conoscevano già da Soglio. In una fredda e grigia mattinata d’aprile (quel mercoledì della lettera seguente), io e Walter ci congedammo da Cioran all’angolo della strada, sull’Ile St. Louis, dove l’anno addietro avvenne il nostro primo incontro. I suoi occhi: stanchi, commossi e tristi. Lo stesso Walter fu colpito dalla pena di Cioran (senza aver letto mai una sua lettera). L’attitudine perpetua alla sofferenza nei suoi aforismi s’era trasformata in una gravità che opprimeva il mio animo, e persino oggi, qui ed ora, mi lascia sola in un angolo grigio. Parigi, 13 aprile 1982 Cara Friedgard, Purtroppo non c’ero quando Lei ha chiamato. La lettera è arrivata il giorno stesso [Nel frattempo non scrivevo più al Fermo Posta, ma a rue de l’Odéon.]. Molte grazie ad entrambi, sebbene, come sa, la consuetudine di festeggiare il compleanno mi è del tutto incomprensibile.

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Quel mercoledì in cui Lei ha lasciato Parigi, ho fatto – era inevitabile – delle considerazioni malinconiche. Nei giorni seguenti ho distrutto la lettera in cui le avevo scritte: ad ogni modo non avrebbe avuto alcun senso per Lei, ed io stesso non volevo più… pensare al passato. Davanti allo stesso hotel dove ho fatto la sua conoscenza, un anno più tardi ha avuto luogo questo impersonale commiato. Quand’anche fosse stata sola, non sarebbe stato diverso. Soglio fu una svolta. Ma basta così. Rimane solo la musica, ancora. È comunque molto: tutto o quasi tutto. Suo C. Parigi, il 19 aprile 1982 Cara Friedgard, Dopo un anno di auto-flagellazioni in cui inevitabilmente ho pensato così tanto a Lei, credo di conoscerla meglio di me stesso. Il ritratto che mi piacerebbe davvero farle l’indignerebbe ed incanterebbe ad un tempo. Venerdì scorso, verso le 4 del mattino, ho provato a caratterizzarla. L’uomo voleva conoscere più da vicino l’Allemande. Avrei avuto tutto l’interesse a dipingerla di nero; tuttavia non l’ho fatto. Al contrario. Riduzione – è incredibile questa espressione quasi tecnica, e comunque vera, che Lei ha utilizzato la settimana scorsa, sebbene molto meno per me, che per Lei: malgrado la mia attuale mancanza d’illusioni, non mi sono liberato abbastanza da certi ricordi. Verrà il momento in cui noi, come Lei spera, ci ritroveremo «in una risata comune». Suo C. [Sul margine sinistro]: L’abisso tra i miei aforismi e la vita non è poi così grande, come Lei ritiene. Però esiste, e Lei deve ritenersi fortunata, perché se i miei pensieri si fossero tramutati in azioni, Lei oggi si ritroverebbe in una tomba ed io in prigione…

Il 19 aprile probabilmente ci siamo sentiti ancora al telefono, perché Cioran scrisse un’altra breve lettera:

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Parigi, 19 aprile 1982 Cara assaltatrice, Si annoti (?) per favore il seguente indirizzo della Svizzera, Fermo Posta, 6911 Comano – Lugano (Tessin) / Svizzera* Come può un demone possedere una voce così pura? Suo C. * dal 24 al 29 aprile

22.4.82

Caro Cioran, quante volte ho iniziato una lettera per Lei in questo modo: «sto giusto ascoltando…» Questa volta si tratta dell’ «ultimo» in musica, il Quintetto per Archi in Do maggiore Op. 163 di Schubert, il cui Adagio è sublime in tutte le lingue. Credo che Lei lo apprezzerà quanto me, ed è bello a sapersi. Ora è a Lugano, mèta di tutti i letterati tedeschi realizzati di questo secolo, pensi solamente ad un Hermann Hesse – problematicità letteraria, ma comunque ricco – «Negli ultimi otto giorni la spiritualità era divenuta eclatante. Nel grazioso, delicato volto da adolescente, gli occhi inquieti, abbassati, ardevano d’una cenere torbida, sulla bella fronte le sottili pieghe, corrugate nervosamente, rivelatrici di pensiero(!)...»8 – e a scuola sto confrontando questo testo con il Törleß di Musil: «Sembrava che portasse ancora addosso la quiete di un antico e nobile castello di campagna e gli esercizi spirituali. Camminava con movimenti morbidi e sciolti e con quella ritrosia un po’ schiva che deriva dall’abitudine di incedere con portamento eretto attraverso una fuga di saloni deserti, mentre gli altri hanno l’aria di urtare pesantemente contro gli spigoli invisibili della stanza vuota»9. Come si spiega che Hesse morì milionario, mentre Musil (anche lui H. Hesse, Sotto la ruota, trad. di L. Magliano, Bur, Milano 2007, p. 26. R. Musil, I turbamenti del giovane Törleß, trad. di A. Rho, Einaudi, Torino 1975, pp. 15-17. 8 9

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in Svizzera) moriva senza gloria né denaro, e per giunta in rovina? Sarei diventata volentieri una Mecenate – prodigandomi per Musil, o per Lei (se dovesse morire di fame). Ora tuttavia, stante le mie condizioni, non mi resta altro che mollare un paio di aggressioni, di tanto in tanto, ossia far lezione ai miei studenti, nella speranza di dar loro una visione migliore e di portare a termine, magari imprecando, il mio orario settimanale. Sela10! Sua Fr.

Cioran restava sempre più sbigottito del mio lavoro a scuola: 24 ore di lezioni e così tanti compiti da correggere – esprimendo il timore che mi ammalassi (il che accadde poi, nel 1988). Nel frattempo ci telefonavamo ancora spesso, ma comprensibilmente non ci scrivevamo più così tanto, come nel periodo clandestino. La lettera successiva di Cioran è datata Domenica, 20 giugno 1982

Cara Friedgard, Ieri ho avuto un tale attacco di disperazione da dovermi stendere sul letto. Come sempre in questi casi si vorrebbe piangere o ridere, – ridere con chi? Volevo chiamarla, ma non ero solo e probabilmente non lo era neanche Lei. Il corso sotterraneo dei sentimenti! Si crede di essersene liberati, mentre continuano a vivere in segreto, avanzano perfino, in modo quasi indipendente da noi. Domani vado in Svizzera. Impossibile sapere se a Losanna verserò delle lacrime oppure no. Tuttavia penserò sicuramente al suo compleanno, per celebrarlo e maledirlo. Suo C. 10 Sela (in ebraico se˘lâh, in greco diapsalma) è un termine biblico che ritorna in parecchi salmi, ad indicare un interludio di tipo musicale o una pausa.

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A dire il vero, il mio compleanno era già passato (il 19 giugno) e non so a quale data pensasse Cioran. L’ultima frase della sua lettera mi ricorda la dedica che mi scrisse in Vacillations, un suo libro artistico realizzato con Pierre Alechinsky, in occasione del mio compleanno nel 1981: Per Friedgard, in occasione del suo benefico – e funesto – compleanno E.M. Cioran Parigi 19 giugno 1981 Caro Cioran, Come le ho già detto, la sua lettera era così bella, malgrado o grazie alla tristezza che la pervade. Ho appena ricevuto da Ingomar un libro di «Palinuro» (pseudonimo di Cyril Connolly), The Unquiet Grave (La tomba inquieta), il cui modo di scrivere è del tutto simile al suo, vale a dire aggressivo e per aforismi: «Più libri leggiamo, più diventa chiaro che la vera funzione di uno scrittore è quello di produrre un capolavoro e che qualsiasi altro compito è del tutto irrilevante. Ovvio, come ciò dovrebbe essere, assai pochi sono gli scrittori disposti ad ammetterlo, o che, giunti a questa conclusione, siano pronti ad accantonare quel pezzo di iridescente mediocrità sul quale si sono nel frattempo avventurati!»11. Oppure: «Via via che invecchiamo, infatti, scopriamo che la vita della maggior parte degli uomini è priva di valore, se non contribuisce alla ricchezza e alla emancipazione dello spirito. Per quanto seducenti possano sembrare in gioventù le grazie dei sensi, se con la maturità esse non ci hanno condotto a emendare anche un solo carattere del testo corrotto dell’esistenza, il nostro tempo è andato sprecato. Nessuno che abbia passato i trentacinque anni merita di essere conosciuto se non ha qualcosa da insegnarci – qualcosa in più di quanto potremmo imparare da soli, in un libro»12.  Questa seconda citazione sarebbe potuta pro11 Palinuro, La tomba inquieta. Un ciclo di parole, trad. di M. Bertolucci, Adelphi, Milano 1995, p. 23. 12 Ivi, p. 26.

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venire da me… e la prima da Lei. Conosce un poema di Sainte-Beuve sull’Ile St. Louis13?   In questo libro ha una menzione di elogio. Dove volgo lo sguardo, Cioran, ovunque è depressione – già quasi un fatto abituale. Cosa le si dovrebbe opporre – la felicità, per caso? Sarebbe davvero ridicolo! Andiamo avanti dunque, con quel paio di sentimenti che rimangono; rendono tristi, eppure (proprio per questo) sono così intimi. Cordiali saluti a Lei e Simone! Sua Fr. Domenica, 19 settembre 82 Caro Cioran! Stamattina ci siamo parlati al telefono, e Lei mi ha annunciato il regalo del suo nuovo (vecchio) libro. Poiché sto leggendo un meraviglioso poema di Georg Trakl, benché con penne straniere, vorrei un po’ «prendermi la rivincita» (non era questo, nel mio rituale discorsivo, il termine preferito da Simone?). Gliela batto a macchina: Immer wieder kehrst du Melancholie, O Sanftmut der einsamen Seele. Zu Ende glüht ein goldener Tag. Demutsvoll beugt sich dem Schmerz der Geduldige Tönend von Wohllaut und weichem Wahnsinn. Siehe! es dämmert schon. Allora non sapevo ancora, quale significato un giorno avrebbe avuto per me la colonna di Sainte-Beuve: il suo magnifico monumento funerario nel Cimetière Montparnasse (già da sempre la mia tomba preferita) mi serve oggi come punto di riferimento per trovare la pietra sepolcrale che ricopre, «les restes du corps de Cioran» (N.d.A.). 13

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Wieder kehrt die Nacht und klagt ein Sterbliches Und es leidet ein anderes mit. Schaudernd unter herbstlichen Sternen Neigt sich jährlich tiefer das Haupt14 .  Ah Cioran, se solo conoscessi il motivo per cui ciò che più è triste ci fa sentire meglio, e ciò che più ci spaventa, la morte – quando è resa poeticamente, come in Trakl – suscita in noi una nostalgia addirittura piacevole! Sua Fr.

Al telefono abbiamo parlato a lungo di questa poesia, che naturalmente era molto vicina a Cioran, come lo era altrettanto la musica (quella di Schubert forse). Il libro annunciato, in tedesco Gevierteilt (Écartèlement), un titolo che non piaceva affatto a nessuno dei due, un nome terribile già dal suono. «Gerädert»15  andrebbe meglio, almeno quanto al senso, se non proprio alla lettera. Su questo libro ha annotato Cioran: Sissi, Lei e... io,

una Trinità fondata sulla malinconia. E. M. Cioran Parigi 19 settembre 1982

Georg Trakl, In ein altes Stammbuch (In un vecchio album di ricordi): / Sempre ritorni tu, malinconia, / O Mitezza dell’anima solitaria. / Ardendo termina un giorno dorato. // Umile si piega al dolore il sofferente / che d’armonie risuona e di morbida follia. / Guarda! Si fa scuro ormai. // Torna ancora la notte e un mortale geme / E un altro soffre con lui. // Rabbrividendo sotto stelle autunnali / Ogni anno di più si china il capo». Cit. con qualche modifica da G. Trakl, Poesie, a cura di I. Porena, Einaudi, Torino 1997, p. 15. 15 Arrotato, sottoposto al supplizio della ruota (N.d.T.). 14

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In quel periodo, mio figlio Leontin aveva imparato a scuola un vecchio detto, piuttosto noto in Germania. Anche Cioran si accorse di conoscerlo, sebbene non alla lettera: Non so da dove vengo Non so chi sono Non so dove vado Mi meraviglio, di essere tanto allegro. Il filosofo francese Clément Rosset, con il quale allora Cioran era in corrispondenza, aveva terminato un saggio con quel detto. Il 30 settembre a Parigi, per lettera, chiese se l’amie allemande di Cioran, dunque io, ritenesse veramente che il verso provenisse da Angelus Silesius. – Fino a quel momento in effetti la pensavo così, tuttavia, indotta da questa corrispondenza, sono stata informata che si trattava di una frase molto più antica, incisa sulla pietra sepolcrale del Magister Martinus von Biberach, morto nel 1498. Cioran, che tutto ad un tratto si mise a viaggiare molto, nel retro della lettera di Rosset mi scrisse: Roma, 10 ott. 1982 Cara Friedgard, Devo chiederle un grosso favore. Potrebbe inviare direttamente al filosofo Clément Rosset, che vive a Nice, la poesia originale «Je viens, je ne sais d’où»16 (quattro o cinque righe se non erro), con il titolo ed anche i riferimenti necessari al libro o alla raccolta da cui la poesia è tratta? La ringrazio anticipatamente. L’avrei fatto da me, ma sono vittima del turismo, e non ho più il coraggio di visitare una biblioteca. Oggi pomeriggio ho trascorso un paio d’ore al cimitero protestante, dove è seppellito Keats. Parto ora per Firenze e Venezia. Non ho alcuna voglia di ritornare a Parigi. E Lei? Come è andata a Francoforte? 16

Vengo, non so da dove.

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[Ero alla Fiera del Libro con Günter Schulte, in occasione della presentazione del suo libro su Nietzsche, Ich impfe euch mit dem Wahnsinn17]. Carissimi saluti Suo C.

È singolare che non avesse menzionato Shelley, il suo poeta preferito sopra ricordato, che pure è seppellito in quel cimitero stupendo, lontano dal mondo (cimitero acattolico!)18. La lettera successiva di Cioran risale a quasi un anno di distanza. Nel frattempo a Walter era succeduto Klaus, la cui villa in stile liberty, d’un bianco abbagliante e vicinissima a casa mia, da tempo era ormai stata virtualmente confiscata da Cioran e me, come casa dei sogni, quando passeggiavamo per Colonia. Con Klaus mi sono recata più volte a Parigi, dove Cioran e Simone, entrambi ospiti molto generosi, alla fine si lasciarono invitare in vari ristoranti e bar di lusso. In tali occasioni, Cioran fu di nuovo chiamato ad esaltare il suo passato nei bordelli, condividendolo questa volta con Klaus. Rimane memorabile il modo grazioso in cui Cioran, quasi danzando, chiacchierava animatamente accanto a Klaus, un uomo d’affari alto quasi due metri, in reciproca ammirazione pur nella loro diversità. D’altronde Cioran si mostrava estremamente preoccupato per la mia brutta cera. Di continuo mi esortava a vivere in modo più sano e a conservare meglio la mia vita. Dapprima mi prendevo gioco delle sue preoccupazioni eccessive, ma a poco a poco ho capito che, in qualche modo, erano in relazione con la sua premurosa generosità nei confronti di tutte le persone. Un mio conoscente una volta venne derubato a Parigi e Cioran, senza neanche conoscerlo, spontaneamente gli offrì subito un centinaio di franchi e non volle assolutamente riaverli indietro, tanto che solo attraverso grandi sforzi si riuscì, in seguito, a restituirgli il denaro. Benché fosse 17 18

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Vi vaccino con la follia. In italiano nel testo.

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piuttosto parsimonioso con se stesso, non aveva alcuna remora nello spendere i soldi, per cui spesso gli era molto difficile porre un freno alla sua liberalità, lui, che aveva conosciuto così bene la povertà e per tanto tempo era stato mantenuto da Simone (sono il suo Jules). Ad ogni modo, era assolutamente contrario ai doni, come mazzi di fiori o simili. Una volta che portai un bouquet a Simone lo considerò un rito insensato, per quanto ammettesse di avere un debole per l’assurdo, tanto da poter scrivere nel modo che ha fatto. Ad un certo punto del 1983, apparve sul «Neue Zürcher Zeitung» una foto che scattai a Cioran nell’estate 1981 al Luxembourg, in occasione di quella sua scenata di gelosia. Mi scrisse la parola «Madame», con affetuosa ed ironica stima, per definirmi una «grande fotografa»: Parigi 23 luglio 1983 Chère Madame Thoma – Forse non ha ancora ricevuto la mia, cioè la sua foto. Un gran successo; molte persone mi hanno chiesto: chi l’ha fatta? Per fortuna l’articolo è degno di un tale capolavoro fotografico. Sono solo in questo palazzo. Tutti gli inquilini, compresa la portinaia, sono andati via. Una sensazione strana. M’immergerò in un’orgia di Brahms. Spero che durante questa stupida estate Lei non abbia troppi accessi di scoraggiamento. De tout coeur Suo C.

Una cartolina da Toledo, spedita in busta: Toledo, 18 ottobre 1983 Nella casa museo del Greco abbiamo trovato un tedesco che, appena entrato, ha esclamato: «È proprio forte». Simone ed io abbiamo riso: parla come Leontin!

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Volevamo andare in Andalusia, ma stavolta Toledo ci ha sedotto e siamo rimasti qui. – Come è andata a New York? Bello come qui? Tornare a Parigi è assurdo. La Spagna avrebbe dovuto essere la mia patria. Tanti cordiali saluti Suo Cioran [aggiunto da Simone:] Amitiés Simone

Il 27.11.1984 scrissi una lettera a Simone e Cioran, in cui parlavo con entusiasmo del film di Miloš Forman, Amadeus. Nella missiva scrivevo: Secondo me è meraviglioso il rapporto del regista verso il genio di Mozart: Forman è Salieri, nel riconoscere la grandezza di Mozart e al contempo la propria mediocrità. Tutti i mediocri vogliono distruggere la grandezza per essere, infine, perdonati. Ed ugualmente Forman con l’interprete di Amadeus, Tom Hulce, che malgrado tutto trovo valido. Anche per questo motivo il film si conclude con il gesto del perdono (in manicomio, però...). Comunque sia è un film elitario – per la grande massa – ed è proprio questo lo straordinario. Voglio solo darle un assaggio della tecnica di montaggio: il padre di Mozart, Leopold, apprende per lettera del matrimonio del figlio con Constanze, accartoccia il foglio bianco, mentre il gesto delle mani chiuse viene bruscamente troncato da un preciso taglio filmico. Nella scena successiva, un branco di cervi bianchi si disperde in fuga. La caccia imperiale ha inizio. In seguito, quando Amadeus apprende della morte del padre, il Super-Io inizia a divorarlo: la musica della risurrezione del Commendatore nel Don Giovanni – non percepita prima – diviene improvvisamente udibile. Ancora: le grida della suocera di Mozart, sfumate nell’Aria della Regina della Notte (scenografia à la Schinkel!). Infine, nei titoli di coda, risuona la seconda parte del Concerto per Pianoforte in La maggiore e

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il pubblico rimane incantato nel buio del cinema… un tormentone, sicuramente, ma ce ne fossero! L’abbraccio molto affettuosamente, la penso spesso e vorrei tanto che si decidesse a venire un paio di giorni da me, nella quiete del periodo natalizio. Qui è molto bello.

Cioran risponde: Parigi, 9 dicembre 1984 Cara Friedgard, mille grazie per il suo brillante elogio di Amadeus, con il quale non mi trovo completamente d’accordo: la figura di Mozart è falsa e superficiale, irreale come una marionetta; lo stesso dicasi per la maggior parte degli attori, tranne Salieri che è abbastanza bravo, benché non abbia alcuna profondità ed assomigli spesso al «traditore» convenzionale. Si tratta di un film per «la grande massa», come giustamente ha notato. Il finale, invece di essere straziante, è d’un kitsch tragico. La storia del Requiem, su cui ho letto molto, è sbagliata. Ieri un compositore americano mi ha detto che un film del genere sarebbe accettabile solo in lingua tedesca. L’inglese, nella pronuncia yankee è insopportabile e suona come un’offesa. ... E tuttavia non mi sono affatto annoiato. Il movimento, la frenesia, la successione caotica delle scene, danno per tutto il tempo l’illusione della tensione. Qui a Parigi è un successo addirittura enorme. Non ero nella situazione e nell’umore giusto per poter esprimere un giudizio obiettivo sulla «produzione». Riceviamo visite pressoché ogni giorno. Siamo stanchi e al tempo stesso indignati. Simone lavora in cucina tutto il giorno ed io mi esaurisco nelle vesti di fanfarone. È mai vita questa? Siamo prigionieri e purtroppo non possiamo trascorrere il periodo natalizio fuori dal nostro carcere. La ringraziamo per l’invito e l’abbracciamo entrambi. Suo Cioran

Secondo Cioran molte traduzioni erano inaccettabili: non poteva dunque tollerare, ad esempio, l’Amleto in francese ma solo in inglese

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o, al massimo, in tedesco. Riteneva che se Shakespeare avesse saputo scrivere in tedesco, avrebbe composto quest’opera in lingua. Cioran stesso si rammaricava di essere troppo vecchio, ormai, per comporre in tedesco. Ne amava la flessibilità con cui si potevano creare concatenazioni e sostantivazioni; ma soprattutto il suono della lingua tedesca. Ogni volta che andavo a trovare entrambi a Parigi, Simone preparava qualcosa di squisito: ostriche, salmone, verdura varia, dessert, abbinati a vini eccellenti, cosa che doveva logorarla alquanto, come risulta nell’ultima lettera. Tuttavia era impossibile invitarli al ristorante (vi riusciva solo il facoltoso Klaus, ma con grande fatica). Comunque Simone era sempre una conversatrice affascinante ed intelligente, estremamente colta e con molto humour (che indirizzava pro o contro Cioran) dotata di una spiccata sensibilità per la musica, la letteratura e altri piaceri materiali e spirituali. Una volta ha tirato fuori un libro d’immagini su Louise Brooks, la sensuale interprete di Lulù nel film muto di G. W. Pabst (Il vaso di Pandora, 1928). Tanto Cioran che Simone sostenevano fermamente che le assomigliassi (ero già contenta che non dicessero: esattamente tale e quale!), quindi mi regalarono il libro. A casa scoprii che vi era una dedica personale dell’autore a Cioran (Pour E. Cioran ces images de LA femme aimée...). Nell’estate del 1985 mi recai in viaggio a Corfù, cui Cioran fa riferimento nelle breve lettera successiva (sorprendentemente però non parla affatto della «nostra Trinità con Sissi» – forse, perché c’era Simone?) Corfù, 6 ott. 1985 Cara Friedgard, Come vede, siamo sulle sue tracce. L’isola ci piace, ma Atene è stata una delusione. Per giunta ho avuto vari impegni «culturali»: interviste, conferenze, conversazioni, ricevimenti ufficiali. – In Italia abbiamo fatto una scoperta: conosce Lecce, nel Sud, non lontano da Bari? Una città incantevole. Speriamo di parlarne con Lei all’inizio di novembre. Molto cordialmente Suo Cioran

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Je vous embrasse Simone

Cioran si lamentava sempre più delle visite frequenti che riceveva a casa. Allora non gli credevo molto; al contrario, lo invidiavo, a causa di tutte le personalità eminenti che andavano a parlare con lui: sì, addirittura lo rimproveravo spesso (al telefono): «Chi può vantare alla sua età un numero così alto di visitatori?» La maggior parte dei suoi coetanei viveva sola e in disparte. A questo proposito gli mossi pure la critica di aver coltivato la sua solitudine per molti anni. Sebbene avesse sempre vissuto una relazione di coppia, si ostinava a dar valore alla sua individualità. Alle interviste e alla maggior parte degli inviti si presentava solo. Soltanto ora, negli ultimi anni della sua vita, accettava volentieri che Simone partecipasse ad eventi mondani, cui lei tra l’altro, non dava alcun peso. Consideravo false le sue lagnanze riguardo alle visite troppo numerose. Solo adesso poteva gioire della gloria tardiva, che si era guadagnato amaramente: doveva smetterla, finalmente, con la civetteria del lamento. In qualche modo ci stavamo affiatando l’uno con l’altra: lui amava le mie aggressioni ed io le sue lamentele. Nonostante tutto, Cioran divenne per me sempre più un amico paterno, pieno di malinconico umorismo. Amavamo ancora le lunghe passeggiate per Parigi, tenendoci saldamente per mano con passo uguale, camminate interrotte di tanto in tanto da una mia incursione al bar, dove lui beveva del té ed io vino o champagne. Il suo timore per il mio alcolismo era scomparso o nascosto. Forse riconosceva che, a livello sociale, non sarei potuta cadere più in basso? Egli stesso era invitato ad iniziative sempre più prestigiose – e poi mi chiedeva: «A proposito, cosa ne pensa di Ernst Jünger? Un incantevole conversatore molto amato in Francia» – Io: «Ma anche un letterato di terra e sangue, che a Parigi, affacciato su un balcone in ferro battuto, beveva il suo bicchiere di Bordeaux, mentre fuori venivano eseguite sentenze di morte». Lui: «Sì, sì». Oppure: «Raddatz mi ha visitato nuovamente – si fanno delle chiac-

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chierate spiritose con lui». Ed io, vipera: «Dunque, non l’ha importunato coi suoi problemi di affitto o le sue ammiratrici stanche di vivere». Cioran era talmente divertito dalle mie frecciate da riderne di gusto. Dove avrei trovato un altro amico simile? All’inizio di febbraio 1987, Cioran venne a Colonia per una breve visita e la sera stessa ripartì per un’intervista o una conferenza, non ricordo dove. Conservo una foto di noi due sotto i vecchi libri del mio prozio vescovo, scattata da Dolores (Lola), la mia anziana governante, un’inquisitrice spagnola già allora oltre la sessantina. Invece di continuare le pulizie, iniziò subito a conversare in spagnolo con Cioran, ed io rimasi stupita nel costatare come riuscisse a padroneggiare – in qualche modo – anche quella lingua, abbastanza in ogni caso da sostenere un’animata chiacchierata con lei. Naturalmente Lola rimase a cena e da allora ha sempre chiesto notizie di quell’uomo incantevole. Parigi, 18 agosto 1987 Cara Friedgard, Come vede, Lei è diventata una celebre fotografa. Peccato solo che non sia stata scelta l’altra foto, ad ogni modo mi hanno rimproverato di apparire troppo giovane [Si trattava di nuovo delle foto del 1981 al Luxembourg]. Peccato anche che Soglio sia così lontana. Ho provato più volte a raggiungerla telefonicamente, tutto inutile. La saggezza, infine. Non faccio più progetti e non scrivo più ormai. Quindici libri, quindici cadaveri – bastano. Se non sbaglio, Lei conduce ancora una vita avventurosa. Come l’invidio! Saluti affettuosi Suo Cioran

Da quando Richard Avedon l’aveva ritratto a Parigi (alla fine del 1986 o all’inizio del 1987, in un servizio pubblicato nel n. 10 della rivista Egoiste), Cioran non era più in grado di apparire naturale nelle foto.

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Sosteneva che Avedon gli aveva raccomandato di tenere sempre gli occhi spalancati, ciò comportò che da quella volta, nelle foto, somigliasse sempre più ad un incrocio tra il conte Dracula – che almeno aveva una certa attinenza con la terra d’origine – e il Dr. Caligari. In altre parole, aveva perso una volta per tutte la sua innocenza di modello. Lo si può notare nelle fotografie scattate in occasione del suo compleanno, l’8 aprile 1988. Un altro giorno, mentre passeggiavo con lui verso il Panthéon, ci trovammo davanti l’hotel Brésil, proprio l’albergo in cui aveva alloggiato Sigmund Freud e dove Cioran, nel 1981, aveva prenotato una camera per me, quando festeggiai con lui il mio compleanno. Davanti all’entrata dell’albergo, nel chiedermi se Cioran ricordasse quell’appassionato episodio dell’autunno della sua esistenza – nel bel mezzo di una conversazione con un conoscente che avevamo appena incontrato – i suoi occhi balenarono d’una luce intrigante, sicché non ebbi più alcun dubbio, riguardo l’esattezza dei suoi ricordi su tutto quanto vi era avvenuto. Parigi, 6 maggio 1988

Cara Friedgard Grazie mille per le tre foto. Più di tutte mi piace quella in piedi; nelle altre sembro gobbo e lascivo. Simone, al contrario, appare più normale di me. Mio fratello è stato qui con sua moglie per una settimana. Adesso sono di passaggio in Germania, tuttavia più a lungo che a Parigi. Due nature completamente opposte: lei parla di continuo, lui quasi sempre taciturno, interiormente distrutto. Tante grazie ancora per le foto. Saluti affettuosissimi. Suo Cioran [in aggiunta]: Impossible de nier devant les photos que nous étions heureux de vous retrouver – Merci –

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Je vous embrasse19 Simone

Non copiavo più le mie lettere ed ho trovato anche pochi appunti di diario. Così si spegne la vita. Evidentemente però avevo inviato spesso delle foto, cui Cioran fa riferimento ancora. Intanto lessi Il mostro di Ulrich Horstmann e rimasi senza fiato, non solo per il brillante pensiero, ma anche per la suddivisione in due fondamentali visioni del mondo, in particolare il trattato sul senso della vita mi aveva così entusiasmato, che gli scrissi. Tanto più che il suo libro conteneva un capitolo su Cioran, dal quale si deduceva una pressoché illimitata ammirazione da parte dell’autore, altrimenti così tagliente nella critica. Alcune settimane più tardi ho ricevuto la risposta, insieme ad una sua bella traduzione di brani tratti da l’Anatomia della malinconia di Robert Burton. Naturalmente ne ho parlato con Cioran, al quale il libro Il mostro era già noto, attraverso lo «Spiegel» o altre fonti. Parigi, 15 giugno 1988 Cara Friedgard, Mille grazie per la Sua lettera e le foto ben riuscite. Sembro più sano di quanto non sia in realtà. Qualcosa si è rotto in me e non so cosa sia (i medici nemmeno). Forse l’età ne è l’unica responsabile. Ho considerato sempre una vergogna invecchiare. Alla fine di maggio Simone ed io siamo stati tre giorni ad Amsterdam. Sono stato invitato dall’Istituto francese. Il tempo era magnifico e la città incantevole. Sono dovuto rientrare a Parigi, altrimenti avremmo potuto farle visita. Sono quasi… 50 anni che provo a leggere Robert Burton. Impossibile. Ma il titolo, il più bello che ci sia – mi ha affascinato. 19 Davanti alle foto è impossibile negare che siamo felici di ritrovarvi – Grazie – Vi abbraccio.

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Kieseritzky mi ha mandato Il libro dei disastri. Indubbiamente è dotato di notevole humour e finezza. Nessun piano per l’estate. Rassegnazione e Dieppe. Saluti affettuosi Suo Cioran Il faut revenir à Paris... nous ne bougeons plus. Je vous embrasse20. Simone

In luglio/agosto tornai di nuovo a Soglio, dove anche Nicolas si mostrò spregevole. Scrissi a Cioran e Simone di un episodio comico tra Nicolas e la sua nuova, giovanissima fidanzata, Ortrud. Una zanzara le era volata nel bicchiere del vino, e lei ne fu talmente disgustata da non voler più bere, anche dopo aver scacciato l’animale; stava perciò vuotandolo, quando Nicolas volle costringerla ad ingurgitare proprio quel liquido, come segno del suo amore per lui. Se ricordo bene, ho inveito tremendamente contro Nicolas, esortando la ragazza alla resistenza. Ortrud tuttavia si mise a strillare, e un fabbricante di coltelli di Solingen – unitosi a noi insieme alla sua graziosa ragazza con un braccio solo – approfittando della confusione, accarezzò la mia gamba nuda, il che causò ulteriore agitazione, tanto che versai il vino di Ortrud sulla sua mano o giù di lì. Credo di non aver opportunamente citato il fabbricante di coltelli nella lettera a Cioran, tuttavia sono ancora in possesso di un coltello da cucina, molto utile, dalla sua officina di Solingen. Parigi, 20 agosto 1988 Cara Friedgard, Le Sue impressioni di Soglio mi sono piaciute, specialmente le scene con i tre eroi: Nicolas, Ortrud e la zanzara. Quindi qualcosa di simile 20

Occorre tornare a Parigi… non ci spostiamo più. Vi abbraccio.

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si può provare solo in posti bellissimi: il grottesco ed il sublime stanno molto bene insieme. Parigi è molto gradevole in agosto: gli indigeni sono via. I turisti sono molto più sopportabili, ben più ingenui e sciocchi. Tutto sarebbe stato perfetto. Purtroppo ho fatto una scoperta: ho 77 anni. Sono veramente troppi. Sono un uomo finito. Un nuovo genere di stanchezza si è impadronito di me. Leggo ancora molto, ma non scrivo più. Qualcosa si è rotto in me. Per fortuna posso ancora ridere. Dunque, la cosa più importante sopravvive… Saluti di cuore Suo Cioran

Innanzitutto però, divenne chiaro che qualcosa in me si era rotto. Alla fine di agosto avevo scoperto di avere un cancro. Sei mesi d’irradiazioni e chemioterapia mi portarono ad una vita completamente diversa, in quel periodo Cioran chiamava spesso. La sua prima reazione fu: «Lei ha qualcosa di così vigoroso e sano in sé, su cui può contare. Deve puntare sulla sua buona tempra di base». Quindi nessuna istigazione al suicidio, potrebbe ancora accadermi e sarebbe ora del tutto fuori luogo. Nel febbraio 1989, nello stesso giorno in cui finì lo strazio della chemioterapia, seppi della morte o del suicidio di Hermann Burger. Sempre solo perdite. Niente più vittorie – eppure, i miei capelli sono ricresciuti, molto folti per l’esattezza, ricci persino, come non li avevo più dai tempi dell’asilo. Nonostante tutto. Andai poi da un amico scrittore che – probabilmente a causa del prezzo più basso delle sigarette – viveva allora nelle Canarie, sull’isola di La Palma. Un inferno della fecondità, come l’ha chiamata Niels. Conoscevo solo il titolo d’un libro, appena pubblicato, su quell’isola: Ancora un maledetto giorno in paradiso. Mi sono detta quindi: quattro settimane... prima di poter finalmente ritornare… Una lettera che Cioran m’inviò là, non è arrivata. Più tardi, dopo un lungo giro, la ricevetti da Parigi. In quel periodo Cioran aveva gravi problemi di cateratta e in seguito fu operato.

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Parigi, 7 aprile 1989 Cara Friedgard, La ringrazio per il saluto dal paradiso. Non so se Lei è ancora lì o se ho decifrato bene il suo indirizzo. Sono contento che stia bene. Il mio primo libro in rumeno è appena uscito in traduzione tedesca. Devo mandarglielo? Meglio di no, poiché potrebbe deprimere persino un elefante. Deve assolutamente rimettersi in salute. Vale la pena di vivere, non fosse altro per le sorprendenti delusioni cui si andrà incontro. Non ho sentito nulla del suicidio di Hermann Burger. – Cerchi sempre di conservare il suo sorriso. Simone ed io le facciamo i migliori auguri. Le ordiniamo di rimanere in ottima forma. Cordiali saluti da entrambi. Suo Cioran

In effetti era necessario che non dimenticassi di ridere, sebbene in quel periodo avessi conosciuto ciò che temevo. In giugno feci visita a Cioran, il quale, avendomi frequentato quando portavo i capelli lunghi, non si mostrò scioccato nel vedermi con un taglio molto corto. Al contrario, lui e Simone mi fecero dei complimenti incoraggianti, ed in cambio scattai loro delle foto stupende; egli, temendo di raffreddarsi, malgrado la notte calda, si era avvolto uno scialle in testa, tanto da farlo somigliare a Lawrence d’Arabia, almeno in foto. Inoltre si mostrò tenero e preoccupato per la mia salute, a maggior ragione in quel momento. In agosto, uno dei miei medici mi portò con sé a Bayreuth, dove l’ultima volta insieme a Klaus, nel 1983, avevo sopportato il Tristano e il terribile Parsifal, a 40° o forse 50° Celsius. Quella volta vedemmo tutto l’Anello (una pessima messa in scena di Harry Kupfer – non conoscendo quelle, di gran lunga peggiori, degli anni a seguire) ma grazie a Dio, in una birreria conoscemmo i musicisti dell’orchestra, che ci raccontarono alcuni piacevoli aneddoti su Barenboim. Ad esempio, nella conchiglia in cui era infossata l’orchestra, faceva

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talmente caldo che Barenboim diresse praticamente in mutande e alla fine, al momento degli inchini, in tutta fretta dovette prendere a prestito, da un membro dell’orchestra, un frac che proprio non gli andava. Naturalmente riferii tutto ciò a Cioran, così come dell’incontro con Hans Mayer, che ogni volta mi scambiava per un’attrice, come già accaduto a Soglio. Questi pensava che noi dovessimo trovare buono il Ring per il solo motivo che Harry Kupfer, un tempo, era stato suo allievo e che solo a Bayreuth si potesse ascoltare la buona musica di Wagner. Parigi, 28 agosto 1989

Cara Friedgard, L’ho chiamata più volte ma a quanto pare, a causa di Bayreuth, era irraggiungibile. Ero stato là per la prima e unica volta nel 1934! Ho reagito come Lei: un misto di stupidità e maestosità (molto tedesco!) La mia lettera africana [del 7 aprile] mi è stata rimandata indietro solo adesso! Saluti particolarmente affettuosi Suo Cioran [Simone aggiunge :] J’espère que Bayreuth vous a réussi: intesiv Musik Behandlung! Je vous embrasse. Ein Küss auch für Leontin21. Simone

All’inizio di ottobre traslocai – e ricevetti quindi la penultima lettera di Cioran.



Parigi, lunedì [Autunno 1989]

Cara Friedgard, 21 Spero che Bayreuth le abbia giovato: terapia musicale intensiva! Vi abbraccio. Un bacio anche per Leontin.

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Ho prenotato una stanza per due persone all’Hotel Racine. Mi è stato detto che sarebbe opportuno Lei confermasse per telefono o per iscritto. Temo che quel trasloco infernale abbia indebolito il suo stato di salute. Non dimentichi che ogni sforzo può avere piccole o grandi conseguenze. L’essere prudenti, egoisti, un poco vili e senza cuore – tutto ciò è indispensabile alla salute. Con i miei più cordiali saluti Suo Cioran

Simone continuerà a scrivermi, mentre Cioran si limiterà a scribacchiare ormai, solo brevi ma amabili notazioni. Nell’ottobre del 1990, visitai Cioran con degli amici ginevrini, che vollero invitarlo con Simone a La Coupole. Lui confuse i due ristoranti e si diresse con Simone al Dôme, ma riuscii ad intercettarli in mezzo al Boulevard Montparnasse. Passeggiammo ancora per Parigi, mano nella mano. Scattai delle foto a Cioran in un autunnale Jardin du Luxembourg, il suo posto preferito, con i prati pieni di fiori, e davanti alla porta di casa sua proprio mentre calava il sole; chiese ad una studentessa di fotografarci insieme. Mi afferrò la mano – e insieme l’anima: era già un addio. Il 3 dicembre 1990, Simone ringraziò in francese per le belle fotografie e mi inviò alcune istantanee in cui tutti e tre eravamo insieme. Inoltre Cioran, che era appena rientrato dall’ospedale dove si era sottoposto ad un intervento agli occhi, scrisse sul retro della lettera: Cara Friedgard, è avvilente essere ammalati. Ma l’esistenza stessa è avvilente. Penso con piacere al suo splendido fascino. Avec mon amitié de toujours22  Cioran

Prima del suo ottantesimo compleanno, l’8 aprile 1991, spedii a Cioran la mia traduzione del suo aforisma a me dedicato (il sestetto di 22

Con la mia amicizia di sempre.

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Brahms). Rimase molto colpito dalla trasformazione di «deux êtres» con «noi due». Mi accorgo ora che Cioran stesso non l’avrebbe mai formulato in modo così personale, se si fosse trattato solo della sua arte aforistica – una lieve paura o viltà, davanti alla soggettività rivelatrice? Per questo le sue confessioni così personali nelle lettere del 1981 mi sono sembrate assolutamente uniche, poiché negli aforismi ed anche nelle lettere successive a me indirizzate, ricondusse stilisticamente tutto ciò che vi è di personale ad un eccentrico luogo comune. – L’ultima parola dell’aforisma di Brahms è «la mort», e purtroppo la traduzione ufficiale23, nel finale non riesce a rendere la cadenza ritmica. Cioran notò subito che anch’io concludevo con «morte», come ultima parola. In occasione dell’ottantesimo compleanno, andai di nuovo in rue de l’Odéon con quell’amica che mi aveva accompagnato, esattamente dieci anni prima, al mio primo incontro con Cioran. Uno stupendo mazzo di fiori dell’ambasciata rumena riempiva tutta la stanza. Come al solito, l’aspetto di Simone era meraviglioso ed era felice di cenare con noi Chez Julien, il ristorante stile liberty di fronte a l’Ile St. Louis, sulla riva destra della Senna. Quando facemmo portare la torta con le candeline Cioran, tra lo sbalordito e l’impietrito, osservò quell’oggetto fiammante. Gli scattai una foto davanti al dolce. Di ritorno, in rue de l’Odéon 21, nello specchio leggermente appannato del negozio accanto, scoprimmo una dedica con il rossetto: Bonne anniversaire. Lì Cioran restò ancora sconcertato, con Simone tranquilla, accanto a lui. Rimane un’enigmatica fotografia di riflesso… Una volta sopra, saliti a casa, mi donò la nuova edizione francese del suo Sommario di decomposizione. Scrisse all’interno: 8 Avril 0.30 1991 Eternelle Merde 23

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Tedesca.

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de la part de… Merde XX< ça c’est moi24 X Festeggiai insieme a Simone e Cioran il San Silvestro 1991/92. Annotò su un bigliettino, per ricordarsi degli appuntamenti: 5 heures devant la porte oppure: Direction Clignancourt, Gare du Nord 13 h 20 train de Cologne. Nonostante lo pregassi di non venirmi a prendere, Cioran partì e non mi trovò, aspettando per ore in stazione con un freddo gelido. Simone ed io rimanemmo sbalordite. Quella sera invece – ancora una volta Simone cucinò meravigliosamente – dopo un bicchiere di champagne tutto scorreva bene, e conversammo lievemente animati, fino a tarda notte. Lui parlò prevalentemente in francese; al tedesco, che amava così tanto, tornava solo quando eravamo insieme. Bella la fotografia di Cioran, dietro lo champagne rosé. Il 19 ottobre 1992, con una bella giornata, passai a prendere Cioran e andammo al Luxembourg, il suo giardino. Non riusciva più a ricordare l’aforisma sulla castagna, con cui tutto ebbe inizio, e neanche il luogo in cui il frutto si era spezzato davanti ai suoi piedi, con quello schianto da scuotere l’animo. Mi trascinò via sorprendentemente inquieto, voleva dirigersi al Cimitero di Montparnasse. Sul marciapiede trovai un grande scialle di Cacharel, che qualcuno doveva aver perso. Cioran voleva che lo lasciassi lì, invece lo raccolsi e lo portai via. Questo sembrò divertirlo, tuttavia mi trascinò ancora verso il mio cimitero preferito. Non mi aveva mai spinto così tenacemente da qualche parte. 24

«Eterna merda da parte di… merda. Questo sono io».

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Ciò che presentivo solamente, divenne certezza: Cioran era alla ricerca della propria tomba. Simone infatti aveva acquisito un posto per entrambi nel cimitero di Montparnasse. Conosceva la direzione: dall’ingresso principale a sinistra, passando davanti alla tomba della sventurata Jean Seberg, poi a destra nel piccolo sentiero tra i sepolcri. Volteggiava intorno, frettoloso e traballante, cosicché quella volta fui io a preoccuparmi, facendo attenzione che egli non cadesse. In principio avevo fatto dello spirito: «Cioran, ora Lei a Parigi è diventato anche proprietario terriero». E lui: «Meglio visitare la propria tomba prima di morire che dopo». Mi innervosivano i viottoli stretti tra le lapidi appuntite, le croci e le targhette, in quanto Cioran, sebbene mantenesse un ritmo veloce, inciampava di continuo, senza che mi riuscisse di afferrarlo. «Aspetti un po’, non cada in mezzo alle lapidi, non è poi così importante, ha ancora tempo per trovare la sua tomba». Davanti ad uno splendente e pomposo monumento, una biondina formosa rivoltava continuamente la terra con una piccola bacchetta, costruita forse per quello scopo. Là Cioran si fermò davanti ad una lapide di granito grigio, posta a livello del suolo. Era quasi sicuro che quella pietra senza nome fosse la sua, e abbaiò due volte, furente e minaccioso, verso la tomba. Due urla tenebrose e spaventosamente inattese, uscirono dalla sua bocca, simili ad un autentico latrato. Ad ogni modo rimaneva sempre agitato, incerto se quello fosse il posto giusto. Improvvisamente si stupì di non trovare alcun segno sulla pietra. Sulle prime non capì bene e citai stupidamente Hölderlin: «Un segno siamo senza significato», ma poi divenne chiaro che era proprio il suo nome, quello che stava cercando sulla lapide. «Cioran, il nome verrà solo più tardi. Questo privilegio deve ancora acquisirlo». Si accasciò quindi sulla pietra, ridendo forte e disperato, battendosi una mano sulla fronte. Una donna grassoccia, che armeggiava intorno alla tomba accanto, alzò gli occhi sospettosa, di certo aveva già tratto sgradevoli conclusioni, avendolo sentito urlare. In ogni caso ora erano stampate sul suo volto. Al contrario, la ragazza bionda e adorna di gioielli d’oro, imperturbabile

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con la sua piccola scopa, voleva spazzar via qualcosa d’inesistente. Forse, se non già la morte, l’intero autunno. Andammo verso la monumentale colonna di Sainte-Beuve, situata lì vicino. Non c’è alcun corpo, al suo posto è stata eretta una colonna culminante in un mezzobusto con l’espressione da misantropo, ed un lungo drappo che avvolge la colonna si dispiega sopra la lapide, attorno al suo nome... Riprendemmo poi la via principale in direzione della tomba di Baudelaire, dove Cioran si trattenne a lungo, perché voleva esaminarne l’iscrizione: in alto si trova l’epitaffio del Generale Aupick (trovo ridicolo che Baudelaire sia stato inserito lì tra il patrigno e la madre), ad alta voce infine lui ne lesse il nome: Charles Baudelaire. «Era un grande poeta», aggiunse sottovoce. In cammino verso l’uscita, Cioran volle leggere ed esaminare ogni nome su tutte le lapidi. Passata la tomba di Sartre, riuscii infine a trascinarlo verso il Métro Raspail, portandolo quasi a forza in strada; aveva una paura tremenda di finire sotto le auto. Nel metrò rimase in assoluto silenzio, tenevo la sua mano fredda meravigliandomi di quanto fosse calda la mia. Cioran sottolineò che a Parigi mi orientavo talmente bene come se vi fossi di casa. Ed io: «Lo sono grazie a Lei». Era commosso, aveva capito. Lo accompagnai alla porta, digitando per lui la combinazione di cifre sul grande portone del palazzo, che da qualche tempo rendeva impossibile agli estranei di giungere finanche alla portineria. Quando arrivai a cena, Cioran aveva già raccontato a Simone la nostra esperienza al cimitero. Del resto, probabilmente, aveva trovato la tomba sbagliata. Era lo stesso. Simone non smetteva di ridere, per via della ricerca del nome. In seguito parlammo di Paul Celan, la cui traduzione della grande opera prima, Précis de décomposition, non soddisfaceva Cioran, sebbene io la trovassi migliore, meno «manieristica» di tante altre traduzioni tedesche. Cioran riteneva di aver sempre messo in guardia Celan. Non era chiaro da cosa: dal suicidio, forse? Per l’ultima volta prendevo parte ad una discussione alla quale Cioran

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partecipò. Commentò con un «Bravo» le mie opinioni sull’ultima poesia di Georg Trakl, Grodek, che reputavo la migliore di tutte (in particolar modo superiore alla Todesfuge, di cui cito alcuni versi, mettendoli in relazione all’ultimo testo di Trakl). Mi accarezzò il braccio. Quella sera, per l’ultima volta, fummo d’accordo. Scribacchiò sul retro di una busta arancione, scritta da Simone il 27.10.1992, nello spazio sotto il mittente, S. Boué: Lei è presente nel mio cuore. Segue una parola illeggibile, un cerchietto, che sta forse per «Suo», ma sembrerebbe qualcos’altro; poi: Cioran. Poiché la busta era incollata con il nastro adesivo, egli aveva scritto le parole mio cuore, il cerchietto e Cioran sul nastro. Ora le parole sono quasi sparite. Solo quasi...

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IV



... ein Mal gewesen zu sein, wenn auch nur ein Mal: irdisch gewesen zu sein, scheint nicht widerrufbar. (Rainer Maria Rilke, Die neunte Duineser Elegie)1

Mentre scrivo e copio queste parole, l’elaborazione del lutto toccata a Cioran negli anni ’81 e ’82, adesso sembra essere passata a me. Ascolto tutti i brani musicali che mi ha indicato nelle sue lettere. Mi soffermo sui caratteri della sua scrittura, che potrebbero benissimo essere arrivati ora per posta. Ma la sua urgente passione, l’ossessione fisica (posto che questa sia stata l’impulso), si è ora come volatilizzata nella scrittura o, attraverso essa, è diventata qualcosa di più delicato e triste. Ho il terrore della fine, eppure la racconterò, così com’è, senza andare oltre: l’epilogo, vale a dire il periodo fino al suo crollo. Il 5 marzo 1993, di mattina presto, Cioran cadde nella sua piccola mansarda, forse sopra uno di quei gradini che mi indicava sempre con premura, affinché non vi inciampassi. Per caso la domenica seguente telefonai a Simone, la quale, molto agitata mi riferì che era stato portato all’Ospedale Cochin, dove la gamba rotta gli era stata operata e steccata. Siccome voleva alzarsi di continuo, lo si era dovuto immobilizzare a letto. Quando gli feci visita al Cochin, trovai fuori molte auto della polizia: era stato appena ricoverato Mitterand. «... essere stati una volta, seppure solo una volta:/ essere stati terreni, non pare sia revocabile». Cit. R. M. Rilke, La Nona elegia, in Id., Elegie duinesi, trad. di A. L. Giavotto Künkler, Einaudi-Gallimard, Torino 1995, in appendice a P. Szondi, Le «Elegie duinesi» di Rilke, SE, Milano 1997, p. 197. 1

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Nella stanza di Cioran, che all’inizio dovette dividere con un altro paziente, incontrai Simone ed una loro conoscente. Quando Cioran mi vide, si sollevò sul letto guardandomi fisso, come di fronte all’obiettivo di Avedon. Poi esclamò perentorio, in tedesco, in modo distinto e significativo, un po’ patetico: Sono stato un grande cacciatore di donne. Proprio quello che Cioran mi aveva scritto in una delle sue ultime lettere: il grottesco ed il sublime s’accordano molto bene insieme! Simone chiese subito il significato della parola «Frauenjäger» – chasseur de femmes? Si può dire... lo si può forse dire, in tedesco? Oscillammo tra riso e tristezza. – Era l’ultima frase coerente che sentii da lui. In seguito provò ancora a parlare in tedesco, ma giunse solo a degli accenni, poteva forse iniziare una frase senza riuscire a terminarla, neanche in francese. Nelle visite successive – grazie all’aiuto di Jack Lang, venne trasferito in una camera singola nella Casa di Cura Broca – la sua situazione non cambiò: frasi frammentate, ricordi istantanei, espressioni di riconoscimento. Una sera, dal vetro della sua finestra, vedendo il sole tramontare, recitai i versi di Hofmannsthal: Und dennoch sagt der viel, der ‘Abend’ sagt, Ein Wort, daraus Tiefsinn und Trauer rinnt Wie schwerer Honig aus den hohlen Waben2.

Allora guardò in alto, consapevole e disse «Sì». Simone mi scrisse l’11 agosto 1993: La vie continue – se di una vita si può parlare. [Apportò questa variazione al brano preferito del mio piccolo studio sulla camera di Cioran: se di un centro si può parlare. E continuò:] Nel giardino del Broca, facciamo un giro: Cioran cammina, cammina bene e rapidamente. Prova a parlare senza poter trovare le parole. A volte va in collera. L’altro giorno mi ha detto: «Con te, il dialogo è impossibile!»; 2 «E tuttavia dice molto, chi dice ‘sera’/ una parola, da cui scorre profondità e tristezza /come miele pesante dal favo vuoto».

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oppure lascia cadere il capo con una tristezza che mi spezza il cuore. In certi momenti, riesce a formulare qualcosa di assai profondo e inatteso, quasi alla maniera del Cioran d’un tempo.

Simone chiuse la lettera con uno scorcio sul suo piccolo balcone, alto sui tetti di Parigi; da anni coltivava con grande cura alcune rose ed altri fiori. In occasione della mia ultima visita, prima del crollo di Cioran, mi ricordo come lei, furente e in lacrime, avesse litigato con lui poco prima del mio arrivo. Aveva orribilmente tagliato, anzi fatto in pezzi una splendida pianta da vaso, per riportarla indietro, passando per la stretta porta del balcone, fino all’appartamento della vicina, che gliela aveva affidata perché se ne prendesse cura. Ed ora mi scriveva questa bella lettera piena di malinconia sulla terrasse toute fleurie. Si seulement Cioran répondait aussi bien à mes soins que ces plantes autour de moi...: se solo Cioran rispondesse altrettanto bene alle mie cure come queste piante intorno a me… Con la rottura della gamba, il suo spirito si spezzò definitivamente, andando miseramente in rovina. Il fallimento è il punto principale del mio programma, mi aveva scritto – ma sapeva cosa mai significasse metterlo realmente in pratica? Lo seppe allora? Di solito rimaneva profondamente sconvolto quando, al momento di andarcene, non lo portavamo con noi. Naturalmente voleva tornare a casa e, se avesse avuto un’altra abitazione, per esempio al piano terra, più moderna e grande, ciò forse sarebbe stato possibile – ma così? Simone vi si recava due volte al giorno, erano presenti anche altri visitatori, in principio molti, poi sempre meno. Anch’io andavo solo di rado, la sera poi, con Simone, cenavamo al ristorante; non ho più visitato l’appartamento, dall’assenza di Cioran. All’inizio del luglio 1998, guardai da rue Delavigne (sul retro del domicilio 21, rue de l’Odéon) verso l’alto, in cima al piccolo balcone abbandonato, pieno di tavole e materiale edile, senza neanche un fiore.

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Nella calda estate del 1994, Cioran non mi riconosceva più: giaceva apatico e apparentemente assopito nel piccolo parco del «Broca», accanto alle rovine di un convento, dove, col bel tempo, veniva condotto da Simone sulla sedia a rotelle. Presto Simone mi riferirà delle opere postume e del suo lavoro a riguardo. Infine inizierà lei stessa l’opera, pubblicherà i Cahiers, si comprerà una macchina da scrivere elettrica: mille pagine di battitura. Nel settembre 1997, dopo tutto il lavoro sulle opere postume, una volta tornata dalle sua vacanza balneare in Vandea – avant que le rideau ne tombe, prima che cali il sipario – avremmo voluto incontrarci a Parigi. Ma ciò non accadde mai, poiché durante le vacanze, poco prima della pubblicazione dei Cahiers, annegò nell’Atlantico. Durante la mia ultima visita al giardino del Broca, Cioran giaceva riverso all’indietro sulla sedia a rotelle, accanto al rudere. Arrivò lì anche Marie-France, figlia di Ionesco, che era appena deceduto, se non sbaglio. Sarà lei – secondo il desiderio di Simone – ad organizzare nel giugno del 1995 il funerale di Cioran: perché infine morì, due giorni dopo il mio compleanno. Non venne affatto seppellito come Werther («Artigiani portarono la sua bara. Nessun sacerdote lo ha accompagnato») ma questa volta, collocato sotto la giusta lapide, secondo il rito ortodosso. La vita forse può essere difficile. La morte tuttavia potrebbe essere più facile, se ci si decidesse prima o poi per il suicidio. Questo è il punto: quando lo si deve fare? Cioran non l’ha fatto.

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PRIMA CHE IL SIPARIO CALI1 Lettere di Simone Boué a Friedgard Thoma (1993-1997)

1. [Parigi], mercoledì 11 agosto ’93 Cara Friedgard, la vita continua – falls von eines Leben geredet werden kann2. A Ionesco, ricoverato in ospedale a seguito di un infarto, e che diceva: «Mi domando perché Cioran ed io continuiamo ad esistere», ho risposto: «Per quanto soffra Cioran è qui, ed anche lei c’è, ed è infinitamente presente». Nel giardino del Broca, facciamo un giro: Cioran cammina, cammina bene e rapidamente. Prova a parlare senza poter trovare le parole. A volte va in collera. L’altro giorno mi ha detto: «Con te, il dialogo è impossibile!»; oppure lascia cadere il capo con una tristezza che mi spezza il cuore. In certi momenti, riesce a formulare qualcosa di assai profondo e inatteso, quasi alla maniera del Cioran d’un tempo. Alla vigilia della sua partenza per Sils Maria – un luogo dove soffia lo spirito! – V.3 mi ha invitata a cena al ristorante e lì, spinta da non so La traduzione delle lettere seguenti è di Massimo Carloni. «Se di una vita si può parlare» (in tedesco nel testo). Questa frase è una variazione di un’espressione usata da Friedgard per descrivere la stanza di Cioran: «Niente scrivania. Un tavolo da cucina al centro dello spazio, se di centro si può parlare…» cfr. supra, p. 120. 3 Amica di Cioran e Simone. Trattandosi di persona vivente, si omette il nome dell’interessata. 1 2

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quale demone (ma un demone certamente), mentre dicevo: «In ogni caso, nonostante le previsioni del neuropsichiatra, Cioran cammina», ella sussurrò: «Ma, progressivamente, dimenticherà come camminare, smetterà di camminare…». Da allora quella frase mi ossessiona, abita i miei incubi. Non posso dimenticare, né perdonare. Del resto, quella sera ci ho tenuto a pagare il conto!!! Le scrivo dalla terrazza tutta fiorita4. Se solo Cioran rispondesse alle mie cure altrettanto bene delle piante che mi circondano… Grazie Friedgard di pensare a lui e a me, in Italia quanto in Germania. Sono contenta di saperla so lebendig!5 Come sta mein lieber Leontin?6 E Günther?7 L’abbraccio Simone 2. [Parigi], 1° settembre ’93 Friedgard, è lei, cara Friedgard, ad essere veramente TAPFER8. La sua lettera è ganz toll 9 – come dissero Leontin e Moritz10, once upon a time11 – per la profondità e la forza. Grazie per avermela inviata. Quanto a V., non posso e non ho keine lust12 di perdonarla, ovvero, come diceva François Mauriac, perdono ma non dimentico. Immagini la scena: ripetevo per l’ennesima volta: «Ciò che è straordinario, è che Cioran cammina, mentre il neuropsichiatra condotto da Marie-France La terrazza della mansarda di rue de l’Odéon. «Così piena di vita». 6 «Il mio caro Leontin» (figlio di Friedgard). 7 Trattasi di Günther Sculte, l’ex marito di Friedgard Thoma. 8 Valorosa, valente, stoica (in tedesco nel testo). 9 Fantastica (in tedesco nel testo). 10 Amico di Leontin, vedi sopra, p. 76. 11 «Una volta» (in inglese nel testo). 12 «Nessuna voglia» (in tedesco nel testo). 4 5

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Ionesco mi aveva detto che non avrebbe camminato più». E in seguito a questo responso V., che fino ad allora aveva condiviso questa consolazione, ha pensato bene di dirmi che lei sapeva che Cioran avrebbe dimenticato i movimenti necessari per camminare, che il medico l’aveva riferito a Marie-France. Non c’era alcuna ragione per dirmelo. Quella sera, infatti, mi riferì diverse cose ispiratele dalla cattiveria e dalla stupidità. Qualche giorno prima, avevo riunito quattro amici di Cioran e, avendo invitato V. solo all’ultimo momento, lei aveva rifiutato adducendo a pretesto che era stata invitata altrove. Pensare che quanto mi ha fatto – e mi ha fatto malissimo – venga da un motivo così meschino, significa avvilirmi, mettermi sul suo stesso piano, e, tuttavia, lo penso, ne sono quasi sicura (sicher). Ogni giorno vado all’ospedale, spiando la minima esitazione nei movimenti di Cioran, non mi do pace invece di accogliere la nostra passeggiata quotidiana nel giardino, come uno dei momenti privilegiati che ancora ci restano. Non ho potuto esimermi dall’interrogare il medico dell’ospedale che è rimasto sorpreso, e la sua risposta è stata pressappoco questa: «Al momento cammina benissimo, lo vedo deambulare tutto solo nel corridoio, allora perché…» Se questo medico, non particolarmente gentile né premuroso, mi risponde in questo modo, con quale diritto V. brandisce davanti a me lo spettro dell’orrore a venire. In ogni caso, tra me e lei qualcosa è finito. Dalla Svizzera dove passava le vacanze, mi ha telefonato due volte, e gli ho risposto come al solito. Ma dieci giorni fa, quando mi ha chiamato da Monaco, è accaduta una cosa strana, un fenomeno quasi isterico. Non riuscivo a parlare, quasi fossi diventata muta. Ero appena tornata dall’ospedale dove erano accadute cose sconvolgenti. Cioran era riuscito a formulare delle frasi complete. Una di queste era: «Mi devi sopprimere». Sentire poi la voce di V., il suo tono falsamente brioso! Alla fine ho ritrovato la parola e mi sono messa ad urlare: «Perché, perché dirmi quelle cose su Cioran?», ho riattaccato. Nemmeno lo sbottare mi ha dato sollievo! Che miseria! Mi perdoni se la importuno con queste cose. So che è molto legata a Cioran (a modo suo). Personalmente, prenderò le mie distanze, sono capace di farmi abbastanza male anche da sola, non ho bisogno degli altri per tale lavoro. Grazie.

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Cara Friedgard, mi scusi se non è proprio la lettera che intendevo scrivere. Tuttavia, mi ha fatto bene confidarle ciò che mi sconvolge. Penso spesso a lei. L’abbraccio con grande affetto Simone 3. [Parigi, 7 aprile 1996], Pasqua Cara Friedgard, la vostra lettera è arrivata ieri 6 aprile: un MIRACOLO!13 Il pomeriggio sono andata al cimitero a salutare Cioran e a portargli qualche fiore. Come arrivo vi incontro un ragazzo romeno (con la sua fidanzata francese) che cercava la tomba di uno dei loro… grandi uomini! Abbiamo parlato, parlato, seduti di lato sulla tomba… All’Istituto Francese di Bucarest stanno allestendo un convegno su Cioran. Non so se riusciranno a trovare abbastanza partecipanti. Da parte mia, ho declinato l’invito. Per l’occasione, Liiceanu (l’editore romeno di Cioran) pubblicherà un libricino tratto da un manoscritto che ho ritrovato tra le carte di C. – intitolato Mon Pays14. Ho dovuto scrivere un testo per autenticare e datare in qualche modo quella decina di pagine manoscritte. Ho raccontato le circostanze della scoperta, descrivendo il disordine che regnava nella camera e rinviando il lettore alla sua descrizione (pubblicata nel volume Ein Gespräch a Tübingen15). Lavoro ai quaderni lasciati da Cioran: faccio una scelta e li batto a macchina. Ho dovuto comprare una macchina elettrica, poiché l’artrite m’impedisce di usare efficacemente tutte le mie articolazioni (ah, la vecchiaia!). Sono riuscita a battere 630 pagine, che rappresenta all’incirca la metà: Gallimard aspetta che finisca per pubblicare.

In italiano nel testo. Cioran, Mon pays / T ¸ara mea, Humanitas, Bucarest 1996. 15 Emil Cioran, Ein Gespräch, geführt von Gerd Bergfleth, Rive Gauche/Konkursbuchverlag, Tübingen, 1985. 13 14

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Se viene a maggio, come spero, le regalerò Anthologie du Portrait16, con la prefazione di Cioran, appena pubblicata. Grazie, cara Friedgard, del suo fedele pensiero per Cioran e per me. Date un bacio a Leontin da parte mia. Bis bald!17 Simone 4. Parigi, 30 dic. ’96 Cara Friedgard, Was für Überraschung18. Dopo l’estate, mi chiedevo perché fosse sparita così. Sono contenta di avere sue notizie e di sapere che in ogni caso sta bene. La foto mostra che non è cambiata e che assomiglia sempre più a Leontin! Ho riso leggendo nella sua lettera: «Cosa fate per Silvester19?», domanda tipicamente friedgardiana, e che mi ha ricordato il San Silvestro passato qui con i miei e i vostri amici20. Mercoledì andrò a cena con Marie-France Ionesco ed altri amici alla Rotonde (vicino alla Coupole, si ricorda?). Buon anno a lei, Leontin e Günther. Spero che un giorno venga a Parigi, un giorno prima che il sipario cali, come diceva Beckett. L’abbraccio Simone

16 Cioran, Anthologie du portrait, de Saint-Simon à Tocqueville. Arcades Gallimard, Paris 1996. 17 «A presto!» 18 «Che sorpresa». 19 San Silvestro. 20 Cfr. sopra, p. 114.

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5. [Parigi,] 30 giugno ’97 Cara Friedgard, grazie per la magnifica foto che tengo sotto gli occhi. Non rovina per nulla lo sfondo di forsizia in fiore. Sie die schönste Blume!21 Spero stia meglio: la pioggia ha spazzato via il polline e la sua allergia – credo di questo si trattasse – dovrebbe risentirne (in meglio)! Ho parecchi grattacapi e lavori: alla fine Gallimard pubblicherà i Quaderni di Cioran. Il tizio che se ne occupa ha la manìa delle note. Sto impazzendo. Esempio di note che propone: Le Variazioni Goldberg, opera di J. S. Bach. Raskolnikov, personaggio di Dostoievski. Cerco di non insultarlo. Ho bisogno di prendere qualche giorno di vacanza in Vandea per calmarmi, sarò assente dall’8 al 23 luglio. Se passa per Parigi durante l’ultima settimana del mese mi trova qua, così come sarò presente nel mese di agosto. Spero (senza crederci troppo, sono rimasta spesso delusa) di rivederla. Simone22

«Lei [è] il fiore più bello!» in tedesco nel testo. «Ma ciò non accadde mai, poiché durante le vacanze, poco prima della pubblicazione dei Cahiers, annegò nell’Atlantico», cfr. sopra, p. 122. 21 22

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CIORAN IN LOVE di Massimo Carloni ...his ibi me rebus quaedam divina voluptas percipit atque horror, quod sic natura tua vi tam manifesta patens ex omni parte retecta est1. Tito Lucrezio Caro, De rerum natura

«L’orrore della vita e l’estasi della vita» sentiti simultaneamente, sono il riverbero in Cioran – come del resto già in Baudelaire, cui si deve la paternità della formula – dell’ambiguità emotiva provata nei confronti di colei che della vita è il simbolo naturale, la quintessenza, ovvero la donna. Il martire della lucidità, maître à penser contre soi-même, sa fin troppo bene che Amore è Morte, sa che nelle varie metamorfosi della voluttà agisce un impulso perverso di distruzione, che anima parimenti le Veneri imbellettate dei postriboli e le Veneri macerate nei conventi. D’altra parte egli sa che lo slancio verso la purezza del mistico e l’ingordigia carnale del libertino bruciano d’una stessa fiamma. Per questo la vita, che si afferma solo negandosi, dispiega nel forzato alla chiaroveggenza tutta la sua irresistibile potenza, divenendo così un fenomeno assolutamente straordinario, degno quindi della massima attenzione. Avendo sondato fino in fondo gli abissi dell’umano esistere, mettendone a nudo i risvolti, ha visto le cose telles qu’elles sont, ma, nonostante questo, continuerà ancora a vivere, forse ad innamorarsi, a scrivere persino, lottando sempre contro la forza delle evidenze. Negli altri tipi umani, in cui l’istinto di conservazione agisce indi1 «Allora un’ebbrezza quasi divina e un tremore / mi prende al pensiero che nuda in ogni sua parte / si sia la natura per opera tua rivelata» (T. Lucrezio Caro, De rerum natura, III, 28-30, trad. di E. Cetrangolo, Fabbri Editori, Milano 2001, p. 73).

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sturbato, l’esistenza può essere più o meno felice, più o meno ricca di esperienze, ma quasi mai interessante. Per loro infatti, che non hanno mai assaporato la tentazione di abbandonare la scena, la donna – al pari della vita del resto – è il dogma fuori discussione, un valore assolutamente positivo, senza zone d’ombra. Vittime del principio di non-contraddizione, schiavi del buon senso, abbracciano uno degli estremi ignorando l’altro, mentre all’estasi dell’essere ci si innalza solo accordando se stessi alla tonalità conflittuale degli opposti, nella lacerante accettazione di entrambi. Dopotutto, cogliere il supremo e l’infimo che si nascondono in quell’«infini mis à la portée des caniches» che è l’amore, non è da tutti… La cosa più difficile al mondo è mettersi al diapason dell’essere, e afferrarne il tono2. 

Il rapporto tra Cioran e l’universo femminile è stato trascurato dai biografi e sottovalutato dalla critica, perdendo così di vista uno degli aspetti decisivi della sua contrastante personalità, vale a dire quella sotterranea sensualità che l’accompagnò, di fatto, per tutta una vita. Non rimane dunque che chercher la femme… Se fossi onesto, se cioè traessi le conseguenze di ciò che sento e di ciò che so, dovrei rifugiarmi nella solitudine (convento, deserto, ecc.) oppure ubriacarmi dalla mattina alla sera. Ahimè! Ho dei desideri. Sono sicuro che, pur completamente in disparte dal mondo, non riuscirei a dimenticare la donna3. 

E. M. Cioran, Il funesto demiurgo [Le Mauvais démiurge, 1968], trad. di D. Grange Fiori, Adelphi, Milano 1986, p. 118. La definizione dell’amore come «l’infinito abbassato al livello dei barboncini» è tratta dal Voyage au bout de la nuit di Céline, ed era particolarmente amata da Cioran: cfr. E. M. Cioran, Intervista con J. L. Almira, in Id., Un apolide metafisico: conversazioni [Entretiens, 1995], a cura di T. Turolla, Adelphi, Milano 2004, pp. 137-138. 3 Cioran, Quaderni 1957-1972 [Cahiers 1957-1972], trad. di T. Turolla, Adelphi, Milano 2001, p. 537. 2

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Una conferma postuma dell’inestinguibile «vitalità dell’amore», è venuta dalla pubblicazione nel 2001 del libro di Friedgard Thoma, Um Nichts in der Welt. Eine Liebe von Cioran (Per nulla al mondo. Un amore di Cioran), col quale è diventata di dominio pubblico la breve, ma non per questo meno ardente relazione tra l’autrice e il settantenne pensatore rumeno. Dopo l’amore-passione iniziale – costellato da tutti i sintomi del «male sacro» proustiano: telefonate ossessive, versi di poesie, scenate di gelosia – il rapporto, intellettualmente fecondo ma fisicamente improponibile, considerata la notevole differenza d’età, s’incanalerà negli anni lungo i binari d’una tenera ed affettuosa amicizia, grazie soprattutto alla saggezza tutta femminile di Friedgard, che coinvolgerà anche la compagna di Cioran: Simone Boué. Lungi dal vedere in questa storia, secondo un collaudato clichè, l’ennesimo scacco della filosofia di fronte alla prova del sesso4, vi si ritrova semmai una conferma dell’idea che da tempo Cioran si era fatto di se stesso. Non era stato lui forse, trent’anni prima, ad aver scritto con sorprendente premonizione: «Quanto più un uomo di spirito è stanco e disilluso tanto più rischia, se l’amore lo sorprende, di reagire come una sartina»?5  Insomma, in luogo di distruggere l’immagine che ci eravamo fatta di Cioran, questa infatuazione senile contribuisce semmai a rendercelo più prossimo e, se possibile, ancora più amabile. Tuttavia i mandarini della cultura si sono scandalizzati, stracciandosi le vesti, alla divulgazione d’un tale epistolario d’amore, in cui uno scrittore mette in gioco tutto se stesso, esibendo come non mai l’umana fragilità dei suoi sentimenti. Siamo nel 2001, e la statua dell’idolo – il pensatore scettico, misantropo e apocalittico, per intenderci – era appena stata eretta, ragion per cui, chi ne mostrava le crepe era pubblicamente perseguito. L’ostracismo legale intentato per tutelare la «buona memoria» di uno scrittore, nonché l’odiosa inquisizione letteraria volta a separare il canonico dall’apocrifo, sono sempre sospetti e, nel caso in questione, 4 Vedasi a questo proposito l’articolo del compianto Franco Volpi, Cioran. Così il pessimista assaporava il proibito, in «La Repubblica», 26 luglio 2002. 5 E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 98.

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assolutamente ridicoli. Ad ogni modo Cioran, come suo solito, guardava oltre la miopia censoria dei custodi della sua immagine postuma… Qualcuno di cui abbiamo la più alta stima ci diventa più vicino quando compie un atto indegno di lui. Così facendo, ci dispensa dal calvario della venerazione. E solo da quel momento proviamo nei suoi confronti un vero attaccamento6. 

Da parte sua, a dire il vero, Cioran non ha mai nascosto, né tanto meno rimosso nel profondo, al pari di molti altri filosofi, la pulsione erotica che, in un modo o nell’altro, ha sempre trovato l’occasione di soddisfare. Tuttavia le prime esperienze adolescenziali con l’altro sesso non dovettero essere facili, se si considera la spiccata misoginia maturata in giovane età, che lo indurrà nel suo primo libro a definire le donne «amabili nullità»: totalmente prive della dimensione spirituale dell’essere, impenetrabili all’universale e pertanto incapaci di esprimerlo in una qualche forma artistica7. Rievocando in Exercices d’admiration quel periodo, Cioran ricorda l’influsso decisivo che ebbe su di lui la lettura, risalente al 1928, di Geschlecht und Charakter (Sesso e Carattere) di Otto Weininger, autentico best sellers del primo novecento8.  In particolare E. M. Cioran, L’inconveniente di essere nati, cit., p. 165. Cfr. E. M. Cioran, Al culmine della disperazione [Pe culmine Dispera˘rii, 1934] trad. di F. Del Fabbro e C. Fantechi, Adelphi, Milano 1998, pp. 74 e 104. 8 Il libro epocale di Weininger – che, va ricordato, influenzò un’intera generazione d’intellettuali mitteleuropei del calibro di Wittgenstein, Musil, Kraus e Schönberg – alternando intuizioni profetiche a tesi francamente ripugnanti, delinea i profili dell’uomo assoluto e della donna assoluta, veri e propri archetipi, forme pure ideali la cui combinazione, a diverse dosi, dà vita al grado di sessuazione dei singoli individui. L’eterno femminino è essenzialmente e ontologicamente natura, divenire, physis, e come tale partecipa della ciclicità e della mutevolezza propria dei fenomeni cosmici. L’archetipo femminile si caratterizza inoltre per il fatto di essere nient’altro che sessualità (tota mulier sexus), mentre l’uomo è «sessuale e qualcosa d’altro di più». La donna viene assimilata alla materia (hýle) informe, pura potenza quindi, che nulla è in sé stessa se non riceve la forma dallo spirito (nous) dell’uomo. Priva del tutto di coscienza, la donna è naturalmente amorale, destinata quindi ad oscillare tra i tipi eterni della madre e della meretrice. 6 7

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quel libro «provvidenziale» lo aiutò a medicare le ferite provocate da una delusione sentimentale, occorsagli allorché sorprese l’amata in tenere effusioni con un suo compagno di classe, a quanto pare particolarmente disgustoso. A conferma del fatto che la misoginia nasconde quasi sempre un complesso, Cioran rievocherà ancora, a distanza di quasi quarant’anni, quell’episodio apparentemente insignificante, che si rivelò a tal punto traumatico e decisivo da incidere persino sulla formazione del suo carattere, condizionato da una timidezza a tratti paralizzante. L’altro giorno mi sono ricordato d’un momento capitale e particolarmente doloroso della mia adolescenza; amavo in segreto una ragazzina di Sibiu, Cela Schian, che doveva avere 15 anni; io ne avevo 16. Per nulla al mondo avrei osato rivolgerle la parola; la mia famiglia conosceva la sua; avrei potuto avvicinarla occasionalmente. Ma ciò oltrepassava le mie forze. Per due anni, ho vissuto dei tormenti infernali. Un giorno, nei dintorni di Sibiu, in piena foresta, dove mi trovavo con mio fratello, scorsi quella ragazza con un compagno di scuola, il più antipatico di tutti. Fu per me un colpo a mala pena sopportabile. Ancora adesso mi fa male. A partire da quell’istante, decisi che occorreva finirla, che era indegno di me sopportare il «tradimento». Cominciai a distaccarmi dalla ragazza, a disprezzarla ed infine ad odiarla. Mi ricordo che al momento in cui la «coppia» passava, stavo leggendo Shakespeare. Darei qualsiasi cosa per sapere quale pièce fosse. Impossibile ricordarmene. Ma quell’ istante ha deciso della mia «carriera», di tutto il mio avvenire. Seguirono anni di completa solitudine. E divenni colui che dovevo diventare9. 

Insomma, per Weininger la donna così com’è equivale ad un nulla, per cui la sua emancipazione (o redenzione), se mai fosse possibile, dovrebbe comportare necessariamente il superamento della sua natura sessuale, poiché, fino a che vi sarà soggetta, sarà destinata a rimanere eternamente schiava della fallocrazia maschile, e ciò indipendentemente dai diritti universalmente riconosciuti. Cfr. Otto Weininger, Sesso e carattere, trad. di G. Fenoglio, Fratelli Bocca, Milano 1943. 9 E. M. Cioran, Taccuino di Talamanca [Cahier de Talamanca-Ibiza, 2000], trad. di C. Fantechi, Adelphi, Milano 2011, pp. 34-35.

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Weininger giunse quindi a proposito a disinfettare il suo cuore sanguinante, a liberarlo dall’idolatria e dalle illusioni dell’amore, svelandogli brutalmente il lato naturale – c’est-à-dire abominable direbbe Baudelaire – della femmina. Fornendomi le motivazioni filosofiche per esecrare la donna «onesta», Weininger mi guarì dall’«amore» nel periodo più orgoglioso e frenetico che io abbia conosciuto. A quell’epoca non prevedevo che un giorno le sue requisitorie e i suoi verdetti avrebbero contato ai miei occhi solo nella misura in cui mi avrebbero fatto rimpiangere talvolta il folle che ero stato10. 

Fu così che, almeno per qualche tempo, Cioran optò per un rapporto puramente commerciale con l’altro sesso, alternando la frequentazione diurna della biblioteca Astra di Sibiu, a quella notturna dei bordelli11. Qui Cioran si allontana dalla lezione di Weininger, per lasciarsi contagiare dalla Romantik der Prostitution tipicamente balcanica, ovvero dal «fascino della Puttana», crogiolandosi insomma «all’ombra della sua degradazione protettrice e calorosa, persino materna»12.  Al di là degli strali antifemministi anche il giovane Cioran, seppure a denti stretti, è costretto a riconoscere alla donna una grazia tutta particolare, che le consente di adattarsi all’esistenza e di muoversi armoniosamente in tutte le circostanze della vita, da vera e propria «regina della finitezza», come la definì un filosofo danese dell’ottocento. La prevalenza della componente ctonia, inoltre, fa sì che intrattenga un rapporto privilegiato con la ciclicità temporale, che contribuisce a riempire magicamente, essendo dotata tra l’altro di una capacità pragmatica unica 10 E. M. Cioran, Weininger in Id., Esercizi d’ammirazione. Saggi e ritratti [Exercices d’admiration. Essais et portraits, 1986], trad. di M. A. Rigoni e L. Zilli, Adelphi, Milano 1988, p. 183. 11 «Nella mia prima giovinezza non mi seducevano che le biblioteche e i bordelli», lettera a Costantin Noïca, 15 gennaio 1975, cit. in G. Liiceanu, Itinéraires d’una vie: E.M. Cioran suivi de Les continents de l’insonnie, Éditions Michalon, Paris 1995, p. 23. 12 E. M. Cioran, Weininger, cit., p. 183.

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nel dare consistenza al reale. Per questo la sua vicinanza ha sull’uomo l’effetto d’un balsamo tonificante che lo riconcilia con l’esistente, rivelandosi così una sorta di salvagente per il naufrago dello spirito. Le vere donne sono quelle che ci consentono di dimenticare i problemi, le idee, le angosce universali e i tormenti metafisici. Per gli afflitti dall’inquietudine metafisica, l’intimità con una donna riequilibra ed è di conforto13. 

La donna, angelica e diabolica ad un tempo, ispira pertanto al giovane Cioran fascino e diffidenza, attrazione e repulsione. Se da un lato è impensabile per l’uomo una felicità terrena a prescindere dal suo apporto, dall’altro appare altrettanto impossibile conseguire una qualsivoglia liberazione da questo mondo passando attraverso le sue grazie. Senza di lei l’uomo si perderebbe o si salverebbe, a seconda dei punti di vista. Resta da chiedersi a che prezzo è raggiunta quella felicità e se la sua precarietà non inviterebbe forse a diffidare delle sue promesse, imparando magari a farne a meno, per realizzare così quell’unione del divino con l’umano che, secondo Weininger, costituisce il tipo del genio. Con sorprendente precocità Cioran mise a fuoco quelle antinomie sentimentali in occasione del suo «pellegrinaggio» al lago di Starnberg, teatro del suicidio di Ludwig II di Baviera, durante il soggiorno berlinese del 1934. Giunto fin lì per rendere omaggio al suo idolo – «il più interessante e il più triste dei re che sia mai esistito» – Cioran cadde vittima delle tentazioni dell’amore, dimenticando per un po’ le regali melanconie. Fascino irresistibile dello sguardo femminile… Non è incredibile che, in luoghi che dovrebbero obbligarci ad essere severi e solenni, in luoghi in cui dovremmo essere essenziali fino all’estasi, che in tali luoghi ci lasciamo invadere da desideri immediati, che cediamo all’oblio, fino a tradire le nostre grandi visioni, fino a tradire 13

E. M. Cioran, Al culmine della disperazione, cit., p. 104.

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noi stessi? Se un giorno qualcuno mi avesse predetto che nel luogo in cui il più singolare dei re s’è tolto la vita, sarebbe bastato un sorriso di donna per deviare la mia vibrazione interiore, per farmi dimenticare tra dolci futilità il dramma di quel re che tanto amai nella mia adolescenza, avrei considerato tale augurio come il peggiore degli affronti e me ne sarei vendicato immediatamente. Oggi, so che non possiamo conquistare la felicità se non rinunciando ad essere essenziali. L’infelicità è un peccato contro la vita, ma è la condizione della nostra profondità. Prigionieri consenzienti delle tenere melanconie amorose, in un mondo fatto d’affettuosi oblii, gli uomini compiono il loro dovere verso la vita, ma non verso l’essenza della loro vita. Si può essere felici solo trascurando il proprio destino. E si ha un destino solo nella coscienza della propria infelicità. Allora, non si può che disprezzare la felicità e amare l’infelicità, altrimenti si finirebbe soffocati dai rimpianti14. 

Sensualità e attaccamento alla vita si alternano in Cioran ad una altrettanto acuta inclinazione al macabro, quasi che un libertino ed un monaco tibetano si contendessero la sua anima. La carne e lo scheletro, il principio e la fine di ogni desiderio, occupano un posto privilegiato nella scala delle sue personali ossessioni15.  La carne è frivola, falsa, «deperibile fino all’indecenza, fino alla demenza»16. Lo scheletro non mente, è quello che è, immobile nella sua serietà ammonitrice; esso non rappresenta solo il futuro della carne, ma ne è in qualche modo l’essenza, la fine, il destino. La meditatio mortis e, a maggior ragione, la contemplazione dello scheletro, dovrebbero quindi estinguere di per sé ogni brama, indurci per sempre all’astinenza? Ci si può ritirare dal commercio mondano Cioran, Mélancolies bavaroises, in Id., Solitude et destin, Arcades Gallimard, Paris 2004, pp. 316-317. «Una donna può salvarci da Dio, come Dio ci può liberare da tutte le donne», scriverà in Lacrime e santi [Lacrimi şi Sfint¸i, 1937], trad. di D. Grange Fiori, Adelphi, Milano 1990, p. 57. 15 «Mi interesso alle religioni orientali, sono ossessionato dalla liberazione, dalla purezza, dal nirvana, eppure qualcuno dentro di me sussurra: «Se tu avessi il coraggio di esprimere il tuo desiderio più segreto, diresti: “Vorrei avere tutti i vizi”» (Cioran, Quaderni, cit., pp. 405-406). 16 E. M. Cioran, Il funesto demiurgo, cit., p. 52. 14

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e confabulare unicamente col proprio scheletro, sostiene Cioran, ma ovviamente questo, la carne non lo perdonerà mai17… Tanto forte è il richiamo dei sensi, che «una volta in agonia, lo sento, non potrei fare che l’apologia dell’orgia»18.  Abbandonati alla voluttà, si dimentica l’urgenza della salvezza, per affidare anima e corpo alla signoria di Mâra, il cui dominio, è bene ricordarlo, si estende su Amore e Morte. Seppellire la propria fronte tra due seni, tra due continenti della Morte19. 

Il passare degli anni, unito ad una più profonda comprensione della complessità dell’eterno femminino, condurranno Cioran a rivedere completamente le sue enormità d’un tempo, fino a rinnegare, non senza vergogna, i sarcasmi misogini dei suoi primi scritti20.  Le folgorazioni letterarie poi, faranno il resto… Le eroine ispiratrici che negli anni cattureranno la sua ricercata ammirazione non si contano: Teresa d’Avila, M.me du Deffand, Emily Dickinson, Lucile Chateaubriand, le sorelle Brontë, la principessa Sissi, Simone Weil, Marìa Zambrano, fino al ritratto in chiaroscuro della poetessa uruguayana Susana Soca. Muse malinconiche, angeli abbattuti, anime sfibrate dalla nostalgia del supremo, disorientate per aver smarrito le ali, costrette loro malgrado a patteggiare con il respiro, incuranti d’un destino spesso crudele… Basterebbero le parole eteree, con cui egli fa rivivere per pochi Cfr. E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 49. E. M. Cioran, Al culmine della disperazione, cit., p. 95. 19 E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 94. Nella mitologia buddhista Mâra, tentatore del Risvegliato e avversario della Liberazione, è un dio dai due volti: Signore al contempo dell’amore e della morte. Armato di dardi floreali si rivela un irresistibile seduttore, autentico perpetuatore del samsara. 20 Nell’edizione francese del suo primo libro rumeno, uscita presso Éditions de l’Herne nel 1990, Cioran si preoccuperà di censurare i passaggi più compromettenti, nei quali veniva delineata un’immagine nichilista della donna, ritenendoli un portato del suo delirio giovanile, cui guardava ormai con un atteggiamento d’incredulità misto a disgusto. 17

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istanti la sventurata Mélisande di Montevideo, per riabilitarlo e renderlo immortale agli occhi dell’altra metà del cielo21.  Raramente gli scrittori hanno parlato così poco, eppure così propriamente, dell’amore. Senza enfasi, alieno dalle scontate glorificazioni e dagli edulcorati sentimentalismi, ben sapendo che il lato animale, vorace dell’amore, sconfinante spesso nella morbosità, va sapientemente dosato con quello estetico, disinteressato e contemplativo: «L’arte di amare? È il saper unire a un temperamento di vampiro la discrezione di un anemone»22.  La carriera dell’amante, ci ricorda altrove, inizia da poeta per finire da ginecologo! Il sublime, in altre parole, si degrada fino alla banalità ormonale, al «commercio dei liquidi» per dirla con Valéry. Eppure qualcosa di essenziale sembra resistere alla demitizzazione del corpo operata dalla scienza medica ed alla vivisezione della psiche, praticata dagli analisti del profondo. L’impalpabile «dignità dell’amore», senza cui non si spiega la perenne attualità d’un sentimento che è «sopravvissuto al romanticismo e al bidet»23, Cioran, con inconsueta delicatezza, sembra coglierla in quell’«affetto disincantato che sopravvive a un attimo di bava»24. L’esempio vivente di questa «affection désabusée», a detta di molti, Cioran se lo è ritrovato mirabilmente accanto, in colei che è stata sua inseparabile compagna per più di cinquant’anni: Simone Boué. Si conobbero nel 1942 in una mensa universitaria, frequentata per motivi di studio da lei e, per questioni di sopravvivenza, da lui. Divisero per anni le stanze a bon marché degli Hotel del Quartier Latin, menando una vita frugale da bohèmiens, prima di approdare alla mansarda in stile lillipuziano al n. 21 di rue de l’Odéon. I ruoli all’interno della coppia furono gioco forza presto stabiliti: Simone, l’economa, portava a casa lo stipendio da insegnante; Cioran, dal canto suo, collezionava Cfr. E. M. Cioran, Lei non era di qui… [Elle n’était pas d’ici…] in Id., Esercizi d’ammirazione. Saggi e ritratti, cit., pp. 207-210. 22 E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 93. 23 Ivi, p. 94. 24 Ivi, p. 97. 21

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fallimenti editoriali in serie, ritagliandosi così la posizione di mantenuto, o maquereau, come ironizzava con sarcasmo. A parte gli amici intimi, i più ignorarono per anni la presenza di una donna nella sua vita. Del resto i suoi libri contribuirono a tratteggiare la figura romantica del pensatore solitario e misantropo, se non misogino, à la Schopenhauer o Nietzsche. I loro orari discordanti inoltre fecero sì che Cioran, eterno insonne, conducesse una vita di relazione prettamente notturna, deambulando senza meta nel quartiere od ospite di qualche salotto mentre, lavoratrice mattiniera, Simone la sera riposava. Erano poveri, ma… liberi. Figlia d’una vocazione comune alla marginalità, la loro sobrietà di vita, non priva di eleganza e raffinatezza, veniva ampiamente compensata dalla piacevolezza della conversazione e dalla generosa ospitalità che prodigavano ai più o meno importuni visitatori di turno. Nessuno infatti usciva dal loro guscio senza una nuova ricchezza interiore. Le escursioni della coppia, a piedi o in sella ad un vélo, attraverso le province francesi, i paesaggi di Spagna, Germania ed Inghilterra rimangono leggendarie, e non mancano di suscitare in noi il rimpianto per il mondo che abbiamo perduto. Ma non è sempre così che si dovrebbe viaggiare? L’ammirazione di Simone nei confronti del suo più illustre compagno fu pressoché assoluta: «Ce n’est pas moi qui m’interesse, mais Cioran» – era solita rispondere a chi gli chiedeva notizie sul suo conto25.  Tuttavia, senza scadere nella sudditanza o, peggio ancora, nel servilismo, Simone seppe conservare sempre la propria autonomia di giudizio, che non mancava mai di far valere nelle conversazioni conviviali con gli ospiti, rimbeccando con arguzia il suo «Cioran» – così infatti era solito chiamarlo, essendo Emil, almeno in Francia, un tipico nome da coiffeur! D’altronde è stata Simone a battere a macchina quasi tutti i suoi libri, e sempre a lei spetterà il compito di decifrare e copiare, con pazienza certosina, le mille e più pagine d’appunti che formeranno i Cahiers postumi – dove tra l’altro il suo nome compare appena come acronimo. Terminata l’immane fatica, 25 Cfr. Simone Boué intervista con Norbert Dodille, in Simone Boué, Una vita con Cioran, a cura di M. Carloni, La scuola di Pitagora, Napoli 2015, p. 17.

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l’ultimo atto di devozione, nel settembre del 1997 Simone scomparirà silenziosamente nelle acque dell’Atlantico, eclissandosi così com’era vissuta. Nell’ombra e con discrezione. Nei primi anni ’90, quando calerà inesorabilmente sulla mente lucida di Cioran, come un ingiurioso contrappasso, l’oblio dell’Alzheimer, lei veglierà ancora su di lui, colmandone i vuoti di memoria e riannodando i fili della conversazione interrotta, accudendolo insomma come un bambino fino alla fine dei suoi giorni. Persino nello stato vegetativo in cui era regredito durante lo stadio finale della malattia, Cioran, ogniqualvolta scorgeva il volto della sua compagna, era solito accoglierla con un amorevole sorriso di complicità, come se i tratti di Simone si fossero impressi indelebili nella sua memoria, resistendo al marasma neuronale. Per quanto in alto siamo saliti sulla scala del distacco, «noi amiamo sempre... malgrado tutto; e questo “malgrado tutto” copre un infinito»26  e a maggior ragione aggiungiamo noi, nel caso di Cioran e Simone, una vita.

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E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, cit., p. 98.

Già pubblicati nella stessa collana

1. Paul Deussen, Ricordi di Friedrich Nietzsche, a cura di Giuseppe Invernizzi, traduzione di Matteo Ghidotti 2. Bruno Nacci, La quarta vigilia. Gli ultimi anni di Blaise Pascal

Finito di stampare nel mese di novembre 2016 presso Universal book s.r.l. - Rende (CS)