Paura, reverenza, terrore. Cinque saggi di iconografia politica 8845930041, 9788845930041

Siamo circondati, sommersi dalle immagini. Dagli schermi dei computer e degli apparecchi televisivi, dai muri delle stra

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Italian Pages 311 [313] Year 2015

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Paura, reverenza, terrore. Cinque saggi di iconografia politica
 8845930041, 9788845930041

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Adelphi

Car l oGi nz bur g

Paura

reverenza t errore

Siamo circondati, sommersi, dalle immagini. Dagli schermi dei computer e degli apparecchi televisivi; dai muri delle strade, dalle pagine dei giornali, immagini d'ogni genere ci seducono, ci impartiscono ordini (compra!), ci spaventano, ci abbagliano. Questo libro ci invita a guardare le immagini lentamente, attraverso alcuni esempi, notissimi e meno noti: Guernica, il manifesto di Lord Kitchener con il dito puntato verso chi guarda, il Marat di David, il frontespizio del Leviatano di Hobbes, una coppa d'argento dorato con scene della conquista del Nuovo Mondo. Immagini politiche? Sì, perché ogni immagine è, in un certo senso, politica: uno strumento di potere. Siamo soggiogati da menzogne di cui noi stessi siamo gli autori, ha�scritto Tacito - e sono parole indimenticabili. È possibile infrangere questo rapporto?

«Viviamo in un mondo in cui gli Stati minacciano il terrore, lo esercitano, talvolta lo subiscono. È il mondo di chi cerca di impadronirsi delle armi, venerabili e potenti, della religione, e di chi brandisce la religione come un'arma. Un mondo in cui giganteschi Leviatani si divincolano convulsamente o stanno acquattati aspettando. Un mondo simile a quello pensato e indagato da Hobbes». Carlo Ginzburg ha pubblicato tra l'altro: I benandanti (1966), Il formaggio e i vermi (1976), Indagini su Piero ( 1981), Miti emblemi spie (1986), Storia notturna (1989), Occhiacci di legno (1998), Rapporti di forza (2000), Nessuna isola è un'isola (2002), Il filo e le tracce (2006).

In copertina: Jacques-Louis David, Marat all 'ultimo respiro (1793). Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles. ©2015FOTOSCALA, FIRENZE

IMAGO

l

Carlo Ginzburg

Paura reverenza terrore Cinque saggi di iconografia politica

Adelphi

© 20 1 5

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO WWW.ADELPHI.IT ISBN

978-88-459-3004-1

Edizione

Anno 2018

2017

2016

2015

l

2

3

4

5

6

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Indice

Prefazione

11

Memoria e distanza. Su una coppa d' argento dorato (Anversa, 1 530 circa)

19

I I.

Rileggere Hobbes oggi

51

I I I.

David, Marat. Arte politica religione

81

I V.

« La patria ha bisogno di te »

1.

1 15

v. La spada e la lampadina. Per una lettura di Guernica

1 57

Note

215

Elenco delle illustrazioni

289

Indice dei nomi

303

Paura reverenza terrore Cinque saggi di iconografia politica

Prefazione

l. I saggi, ossia esperimenti, raccolti qui af­

frontano temi molto diversi tra loro, tutti però legati all' iconografia politica evocata nel sot­ totitolo. Meno evidente è lo strumento analiti­ co che li accomuna: la nozione di Pathosfor­ meln ( « formule di pathos » ) proposta da Aby Warburg più di un secolo fa. Dirò rapidamen­ te qualcosa sul suo significato e sulla sua gene­ si, prima di accennare all 'uso, in parte diver­ so, che ne ho fatto qui. 2 . In una conferenza tenuta a Amburgo nel­ l'ottobre 1 905 Warburg accostò un disegno di Diirer raffigurante la morte di Orfeo a un 'in­ cisione sullo stesso tema proveniente dalla cerchia di Mantegna. Il disegno deriva dall'in­ cisione: ma questa, a sua volta, attraverso me­ diazioni non più reperibili, nel gesto di Orfeo messo a morte riecheggiava, osservò Warburg, un gesto che si trova già nei vasi greci: « una

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formula di pathos [Pathosformel] archeologi­ camente autentica » .1 Non si trattava, secondo Warburg, di un caso isolato: l' arte del primo Rinascimento aveva recuperato dall'antichità i « modelli di una gestualità patetica intensi­ ficata » , ignorati dalla visione classicistica che identificava l'arte antica con la « quieta gran­ dezza » . In quest'interpretazione stilistico-ico­ nografica della morte di Orfeo, Warburg (co­ me annotò nel proprio diario qualche mese dopo) ricorreva a Nietzsche per integrare, cor­ reggendolo, Winckelmann.2 Accanto a Nietz­ sche, Burckhardt: il Rinascimento (osservò Fritz Saxl utilizzando appunti di Warburg) a­ veva recuperato, soprattutto attraverso i sarco­ fagi, i gesti della paganità orgiastica che il pio Medioevo aveva tacitamente censurato.3 E pro­ prio in una frase de La civiltà del Rinascimen­ to in Italia di Burckhardt - « ovunque si ma­ nifestasse un certo pathos, doveva essere in forma antica » - Gombrich riconobbe il ger­ me dell'idea di Pathosformel proposta da War­ burg.4 Può darsi: ma quel germe cadde su un terreno che altre esperienze avevano reso fertile. 3. Nei saggi pubblicati Warburg si servì parca­ mente della nozione di Pathosformeln. Su di essa tornò invece quasi ossessivamente nella sterminata massa di appunti che venne accu­ mulando nel corso degli anni. Ispirandosi alle ricerche del linguista Hermann Osthoff sul

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carattere primitivo dei superlativi, Warburg paragonò le raffigurazioni di determinati ge­ sti, citabili come formule, a superlativi verbali, ossia « parole primordiali della gesticolazione appassionata » ( Urworte leidenschaftlicher Gebiir­ densprache) . 5 Tra le caratteristiche di queste « parole primordiali » c'era, secondo Osthoff, l ' ambivalenza: un elemento che Warburg e­ stese alle Pathosformeln. 6 Gesti di emozione tratti dall'antico vennero ripresi nell'arte del Rinascimento con significato rovesciato. Un esempio di quest' « inversione energetica » ( termine di Warburg) è la Maria Maddalena raffigurata come una menade nella Crocifis­ sione di Bertoldo di Giovanni, il plasticatore fiorentino discepolo di Donatello: un 'imma­ gine che ritorna due volte, come intero e co­ me particolare , nell' atlante Mnemosyne, al quale Warburg lavorò alla fine della propria vita.7 Dopo la morte di Warburg, Edgar Wind, che aveva fatto parte della cerchia attorno a lui, tornò sulla Maria Maddalena di Bertoldo di Giovanni in un breve saggio intitolato The Mae­ nad under the Cross. Il saggio si apriva con una citazione dai Discourses on Art di joshua Reyn­ olds. Commentando un disegno di Baccio Ban­ dinelli di sua proprietà, Reynolds notava che l'artista si era ispirato ad una baccante « che voleva esprimere una gioia frenetica, entusia­ stica » per raffigurare una Maria sotto la croce « che esprimeva un frenetico spasimo di dolo-

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....

re » . E concludeva: « E strano osservare, ed è senza dubbio vero, che gli estremi di passioni contrapposte sono espressi, con minime varia­ zioni, dalla stessa azione » . Wind notava che Warburg aveva raccolto una documentazione « che tendeva a mostrare che gesti simili posso­ no assumere un significato opposto, pur senza conoscere il passo di Reynolds [ without knowing of this passage] » . 8 Su quest'ultimo punto Wind si sbagliava. War­ burg era venuto a conoscenza del passo di Reynolds, attraverso un tramite che ci aiuta a capire meglio la genesi della nozione di Pathos­ formeln. 4. Va detto subito che si tratta di un tramite del tutto owio. Nel 1 888, mentre preparava un seminario per August Schmarsow, il venti­ duenne Warburg s'imbatté nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze nel famoso li­ bro di Charles Darwin intitolato TheExpression of the Emotions in Man and Animals.9 Nel suo diario Warburg annotò: « Finalmente un libro che mi è utile » . 1 ° Che questa « utilità » avesse a che fare con la nozione di Pathosformeln è stato notato più volte , ma in termini vaghi: « rima­ ne da capire » è stato detto « in che senso quest'influsso vada interpretato » . 1 1 Sia pure. Ma ogni interpretazione dovrà tener conto di un dato di fatto stranamente taciuto dagli stu­ diosi di Warburg: e cioè che Darwin, nel capi­ tolo dedicato alla contiguità tra stati emotivi

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estremi, come riso e pianto spasmodici, aveva citato i11 nota il passo già ricordato di Reynolds ( « E strano osservare, ed è senza dubbio vero, che gli estremi di passioni contrapposte sono espressi, con minime variazioni, dalla stessa azione » ) commentando: « Egli [Reynolds] ci­ ta come esempio la gioia frenetica di una bac­ cante e il dolore di Maria Maddalena » . 12 Quelle cinque righe di Darwin accesero nella mente di Warburg una riflessione durata qua­ rant'anni. In esse si è tentati di vedere espres­ sa, in nuce, la nozione di « formule di pathos » (Pathosformeln) , con le sue implicazioni: da un lato il rapporto con l'antico, dall' altro l' « in­ versione energetica » che trasforma la frene­ sia estatica della baccante nella frenesia di do­ lore di Maria Maddalena. Ma si tratta di un 'il­ lusione retrospettiva: il seme non spiega l ' albero. E significativo che Warburg aspettasse quasi vent'anni prima di proporre pubblica­ mente la nozione di Pathosformeln . ....

....

....

5. E possibile che quest'esitazione scaturisse da una difficoltà che Warburg non riuscì mai a ri­ solvere dawero. Se le espressioni delle emozio­ ni, come suggeriva Darwin fin dal titolo del suo libro, si spiegano attraverso l'evoluzione, la ri­ cerca di trami ti culturali specifici diventa super­ flua. Proprio questi tramiti, certi o presunti, era­ no invece al centro della conferenza di Ambur­ go su « Diirer e l'antico » ( 1905) . Nell'introdu­ zione all'atlante Mnemosyne scritta quasi in pun-

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to di morte ( 1929) , Warburg parlò invece di e n grammi di un 'esperienza appassionata [che] soprawivono come patrimonio eredita­ rio inciso nella memoria ». 1 3 Nell'arco di un quarto di secolo la mente di Warburg aveva o­ scillato tra due direzioni opposte. La ricchezza della sua opera, edita e inedita, nasce proprio qui: dalla tensione irrisolta tra lo storico e il mor­ fologo, riassumibile nella contrapposizione tra il diagramma che condensa la sensazionale de­ cifrazione degli affreschi di Schifanoia e le im­ magini giustapposte, per via di contiguità e dis­ sonanze, nelle tavole di Mnemosyne. 1 4 «

6. La tensione tra morfologia e storia che at­ traversa il lavoro di Warburg ha radici oggetti­ ve. La trasmissione delle Pathosformeln dipen­ de da contingenze storiche; le reazioni uma­ ne a quelle formule dipendono da contingen­ ze completamente diverse, in cui i tempi più o meno brevi della storia s'intrecciano a quelli lunghissimi dell' evoluzione. I modi di que­ st' intreccio rinviano a un ambito di ricerca ancora largamente inesplorato. Ad esso si vor­ rebbe dare un piccolo contributo con i saggi raccolti qui. Nel primo, l' analisi della coppa in argento do­ rato conservata nella Schatzkammer della Re­ sidenz di Monaco mostra la funzione ambigua svolta dalle Pathosformeln anticheggianti per rappresentare una realtà nuova e sconvolgen­ te: la conquista del Nuovo Mondo. Nel secon-

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do, l 'identificazione del termine awe, in Ctli confluiscono terrore e venerazione, come ele­ mento centrale della riflessione di Hobbes, chiarisce un capitolo decisivo di una storia lunghissima imperniata sull'espressione di e­ mozioni estreme e ambivalenti. Terrore e ve­ nerazione sono al centro del terzo saggio, de­ dicato al Marat di David: qui la ripresa dei ge­ sti di un'iconografia pagana prima, cristiana poi, al servizio dell 'iconografia rivoluzionaria, illustra in maniera esemplare le ambiguità della secolarizzazione. Lo stesso tema è pre­ sente, in maniera implicita, anche nel quarto saggio: le premesse, lontane e prossime, del gesto di Lord Kitchener ci aiutano a capire la sua portentosa efficacia. Infine, nell 'ultimo saggio, l 'analisi della violenta giustapposizio­ ne di antico e contemporaneo, di spada spez­ zata e lampadina, cercata da Picasso, getta u­ na luce inattesa su Guernica. Torniamo al ter­ rore e ai suoi gesti: un tema che è al centro di questi saggi di iconografia politica. 7. La nozione di Pathosfanneln porta alla luce le radici antiche di immagini moderne, e il modo in cui quelle radici sono state rielabora­ te. Ma lo s trum ento analitico che Warburg ci ha trasmesso può essere esteso a fenomeni molto diversi da quelli per cui era stato elabo­ rato inizialmente. Il frontespizio del Leviatano - quest'esempio illustre d'iconografia politica ­ traduce in un' immagine nuova le antiche pa-

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role di Tacito: fingunt simul creduntque ( cre­ dono in ciò che hanno appena immagina­ to » ) . In questo caso ci troviamo di fronte non a un'emozione, ma a un'idea, una Logosformel che ha per oggetto un 'emozione: siamo sog­ giogati da menzogne di cui noi stessi siamo gli autori. Nella sua disarmante, paradossale sem­ plicità, quest'idea può aiutarci a elaborare u­ na critica dei linguaggi della politica, e delle . sue Immagini. «

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I. Memoria e distanza. Su una coppa d'argento dorato (Anversa, 1530 circa)

l . Nel l 929, pochi mesi prima di morire, Aby Warburg scrisse un' introduzione al suo ulti­ mo progetto: l 'atlante delle immagini ( Bilder­ atlas ) intitolato a Mnemosyne, la dea greca della memoria. Il nome di Mnemosyne era inscritto sulla porta d'ingresso della Bibliote­ ca per la scienza della cultura (Kulturwissen­ schaftliche Bibliothek) che Warburg aveva fondato ad Amburgo. L'introduzione, pubbli­ cata per la prima volta settant' anni dopo la sua morte, in traduzione italiana, comincia ....

COSI:

« Introdurre consapevolmente una distanza tra l'io e il mondo esterno è ciò che possiamo senza dubbio designare come l 'atto fondato­ re della civilizzazione umana; se lo spazio così aperto diviene substrato di una creazione ar­ tistica, allora la consapevolezza della distan­ za può dar luogo a una duratura funzione so­ ciale » . 1

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Coppa d'argento dorato d i Anversa

Perché nella mente di Warburg memoria e di­ stanza erano legate così strettamente? « Non che la memoria » scrisse Ernst Gombrich, com­ mentando quel passo « possa creare "distan­ za", ma può allargare l'intervallo tra due poli della serena con te m plazione e dell' orgiastico abbandono all'emotività, e fornire modelli a entrambi gli atteggiamenti » . 2 Modelli, cioè formule visive (e verbali) recuperate dall'anti­ chità greca e romana, che nel Rinascimento agirono come un filtro per interpretare il pre­ sente, superando distanze culturali e geogra­ fiche. 2. Talvolta, come nell'incontro degli europei con il Nuovo Mondo, queste distanze s'intrec­ ciavano. « Discoprimo infinita terra, vedem­ mo infinitissima gente e varie lingue, e tutti disnudi » si legge in una lettera indirizzata da Amerigo Vespucci nel 1500 a Lorenzo di Pier­ francesco de ' Medici. 3 La nudità, sottolineata dagli europei, appariva come una prova evi­ dente dell' assenza di civiltà. « Non tengono né legge né fede nessuna, vivono secondo na­ tura, non conoscono immortalità d'anima » scrisse Vespucci.4 Ma in un libro che ebbe una grande eco, le Decades de orbe novo ( 151 6) , Pie­ tro Martire d'Anghiera rovesciò questo giudi­ zio sprezzante: quella gente, scrisse in margi­ ne a un dialogo con un « filosofo ignudo » , non conosce né proprietà, né leggi, né libri, né giudici, perché « ha l' età dell'oro » .5

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Nasceva, con la complicità di testi e im1nagini legati alla mitologia greca e romana, il mito del buon selvaggio. Basterà ricordare un e­ sempio notissimo, due tavole di Piero di Cosi­ mo che raffigurano episodi della vita di Bac­ co: La scoperta del miele e Le disavventure di Sile­ no (figg. l e 2) . Erwin Panofsky le interpretò come un commento visivo sulla « prima età dell'uomo » . 6 Ma stranamente non si accorse che i quadri di Piero di Cosimo legati a questo tema erano stati ispirati dalla scoperta del Nuovo Mondo, un tema che i fiorentini cono­ scevano bene grazie ai due resoconti pubbli­ cati nel l 504-1 505 dal loro concittadino Ame­ rigo Vespucci: Mundus novus e Sommario . . . di due sue navigazioni al magn ifico messer Pietro So­ derini.7 (Federico Zeri datò questo gruppo di quadri, su basi puramente stilistiche, tra il 1 505 e il 1 507) . 8 Vasari informa che Piero di Cosimo dipinse delle storie baccanarie, ossia storie legate alla vita di Bacco, per Giovanni Vespucci. Più probabilmente, per il padre di lui, Guidantonio, già ambasciatore alla corte di Luigi XI re di Francia: un uomo politico im­ portante, che aveva trascorso due anni a Pari­ gi con un lontano parente, il suo protetto A­ merigo Vespucci.9 Le tavole di Piero di Cosi­ mo erano senza dubbio una celebrazione in­ diretta delle scoperte di Amerigo. Panofsky trascurò questo elemento di contesto, e con­ cluse che i quadri di Piero di Cosimo sulla pri­ ma età dell ' uomo erano una « reminiscenza

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Figura l Piero di Cosimo La scoperta del m iele

subconscia di un primitivo cui è capitato di vi­ vere in un periodo di squisita civiltà » . 1 0 Ma Piero di Cosimo non era né un « primitivo » né un esempio di « atavismo » . La sua raffigura­ zione delle popolazioni da poco scoperte non era legata a una « reminiscenza subconscia » , bensì a una ripresa consapevole di elementi dell'antichità. Non era, il suo, un gesto isola­ to. Nel 1 52 1 Cesare Cesariano accompagnò l' illustrazione del passo di Vitruvio sulla sco­ perta del fuoco (De architectura, Il, l, 1 -4) con un commento che parlava dell' « età dell'oro » e dei « novi popoli » scoperti dalle flotte dei re di Spagna e di Portogallo. 1 1 Pochi anni dopo,

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il giudice Vasco de Quiroga, vescovo di Mi­ choacan , paragonò le ingenue popolazioni del Nuovo Mondo a quelle dell ' età dell' oro, citando a sostegno della propria affe rmazione l' Utopia di Tommaso Moro e i Saturnalia di Luciano. 1 2 Con l'aiuto di immagini e testi anti­ chi scrittori, antiquari, pittori e scultori di tut­ ta Europa cercarono di comprendere terre nuove e nuove popolazioni di cui i geografi greci e romani non avevano mai sospettato l'esistenza. ...

3. E questo lo sfondo del caso che verrà esaminato qui: una coppa di arget1to dorato, oggi

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Figu ra 2 Piero di Cosimo Le disavventure di Sileno

alla Schatzkammer della Residenz di Monaco (fig. 3) . 1 3 Si tratta di un oggetto - altezza 47,5 centimetri, larghezza 24,5 centimetri - ecce­ zionale per la qualità e per l'iconografia, men­ zionato e riprodotto molte volte. Non mi pare però che sia mai stato oggetto di un 'analisi ap­ profondita. Dal punzone risulta che la coppa è stata fatta ad Anversa, nel 1 524 -1 525. 1 4 La decorazione sarebbe stata aggiunta in una data successi­ va. 15 Quest'ipotesi cerca di spiegare l'evidente scarto stilistico, che è stato più volte sottolinea­ to, tra elementi come la forma tardogotica della coppa e il fogliame che s'intravede tra lo

Figura 3 Coppa d'argento dorato di Anversa

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stelo e la tazza, da un lato, e la fisionomia rina­ scimentale delle scene che decorano il coper­ chio, la tazza e il piedestallo, dall'altro. 1 6 Da un punto di vista stilistico la coppa, nel suo insieme, costituisce un ibrido. Ma stranamen­ te non è stato notato che anche l'interno della coppa si presenta come un ibrido. A un esame ravvicinato, l'interno del coperchio, quello della tazza e quello del piedestallo appaiono molto diversi. L'interno del coperchio e della tazza sono coperti da uno strato di argento dorato, che nasconde il verso delle scene che decorano l ' esterno (fig. 4) . Nell'interno del piedestallo, invece, il verso delle scene è per­ fettamente visibile (fig. 5) . Come interpretare questa divergenza? L'uni­ ca risposta possibile sembra essere questa: nel caso del coperchio e della tazza, lo strato de­ corato è stato applicato a un vaso preesistente, il cui interno è ancora visibile. Il piedestallo, che non ha un doppio strato all'interno, è sta­ to fatto dallo stesso orefice che ha decorato il coperchio e la tazza. In altre parole, l' oggetto esposto alla Schatzkammer della Residenz è costituito da due vasi, uno inserito dentro l'al­ tro - ad eccezione del piedestallo. Il vaso più . . antico e stato spezzato, per rag1on1 1gnote e 1n una data ignota: certamente però prima che venissero eseguite le decorazioni che ne ador­ nano in maniera omogenea la superficie e­ sterna. .

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Figura 4 Coppa d'argento dorato di Anversa: interno della tazza

4. Si tratta di scene che coprono tre zone della coppa - il coperchio, la tazza e il piedestallo ­ con un fregio che raffigura esseri umani, ani­ mali, piante, edifici. A guardarlo si è quasi so­ verchiati dalla quantità di dati visivi; ma le sce­ ne sono immediatamente leggibili. Quasi tutti gli esseri umani (uomini, donne, bambini) raffigurati sulla coppa sono nudi, oppure hanno i lombi cinti da un perizoma; rari sono quelli che indossano una veste più elaborata. Alcuni uomini hanno copricapi piumati; altri sfoggiano delle collane. Alcuni animali sono reali, altri immaginari. Sul co­ perchio, per esempio, accanto a una scimmia vediamo un kynokephalos, ossia un uomo con la testa di cane, che cavalca un mostro mari-

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no con una testa di toro e una coda di ser­ pente . Il mostro è legato con una corda: due uomini nudi lo stanno tirando fuori dall ' ac­ qua. Due uomini armati di archi scoccano frecce in direzione di due animali che sem­ brano tacchini ( un particolare su cui si tor­ nerà più avanti) ; un altro uomo suona uno strumento musicale. Sullo sfondo si scorgo­ no alte montagne, edifici grandiosi sulle sponde di un lago o di un fiume, imbarcazio­ ni con uomini che remano. I contorni delle montagne, degli edifici e delle imbarcazioni sono incisi delicatamente sulla superficie di argento dorato . Sulla tazza si vedono palme e vegetazione di vario genere . Una donna n uda con un man-

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Figura 5 Coppa d'argento dorato di Anversa: i nterno del piedestallo

Figura 6 Coppa d'argento dorato di Anversa: esterno della tazza

tello sulle spalle si prende cura di un bambi­ no; accanto a lei, una coppia si abbraccia. Una scimmia sta acquattata per terra guardando lo spettatore. Un uomo nudo in piedi, con i fian­ chi coperti da un perizoma, tiene in braccio un bambino visto di schiena. Un uomo e una donna, vestiti in maniera elaborata, con gran­ di copricapi, guardano due uomini che suo­ nano grossi corni (fig. 6) . Un uomo visto di

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spalle brandisce un bastone per colpire un cavallo. In primo piano, un leoncello che cor­ re; una donna con un copricapo piumato in groppa a un cavallo coperto da una sontuosa gualdrappa; dietro a lei, un uomo in groppa a un elefante. Poi una scena acquatica: un uo­ mo, una donna che tiene in braccio un bam­ bino, una coppia che nuota in un lago; sullo sfondo, un 'imbarcazione; un cammello sulla riva; rocce, alberi, edifici. Sul piedestallo della coppa si vedono scene di tutt' altro genere. Due uomini - uno a mani nude, l 'altro armato di un bastone - assaltano un leone. Due uomini colpiscono a bastonate tre kynokephaloi (due giacciono esanimi al suo­ lo) . Questo scoppio di violenza feroce (fig. 7) è attorniato da un corteo cerimoniale : una coppia di amanti a cavallo, dei bambini in groppa a un cammello (fig. 8) . Queste scene sono state interpretate come raf­ figurazioni di popolazioni esotiche: più preci­ samente, di indios americani, anche se si no­ tano fisionomie di tipo africano. Secondo Hans Thoma la coppa è stata eseguita con o­ gni probabilità al tempo dei conquistadores. 1 7 È un 'ipotesi convincente, data l ' eterogeneità delle scene che decorano la coppa. Da un la­ to, uomini e donne nudi o seminudi, circon­ dati da alberi e animali esotici; dali' altro, edi­ fici grandiosi dall'aspetto europeo. Ma natu­ ralmente non si tratta di un ' allusione all'Eu­ ropa. 1 8 Tra le terre recentemente scoperte, so-

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Figura 7 Coppa d'argento dorato di Anversa: esterno del piedestallo

lo il Messico aveva grandi città ed edifici im­ ponenti. Ad Anversa, uno dei centri del commercio in­ ternazionale, le notizie delle mirabolanti con­ qtliste di Cortés arrivarono molto presto. Una traduzione francese della seconda lettera di Cortés e una traduzione fiamminga che com­ binava la prima e la seconda lettera furono pubblicate ad Anversa nel 1 522 e nel 1 523.19 N ella seconda lettera si poteva leggere un pas­ so come questo: « La provincia [del Messico] ha una forma cir­ colare ed è circondata da montagne molto alte e scoscese; la pianura ha una circonferenza di circa settanta leghe. Questa pianura è coperta quasi per intero da due laghi: una canoa può viaggiare per quasi cinquanta leghe da una ri­ va all'altra. Uno dei laghi è d'acqua dolce; l'al­ tro, che è molto più vasto, è d'acqua salata . . . questa gente si sposta in canoa da un lago all'altro e tra i villaggi che si trovano lungo i laghi senza toccare terra . . . La grande città di

Temixtitan è costruita sul lago salato . . . La città è grande come Siviglia o come Cordova . . . 20 Questa descrizione potrebbe aver ispirato le montagne , gli edifici, e le imbarcazioni che attraversano l'acqua raffigurati sul coperchio della coppa. Molto più precisa, perché basata su un ' esperienza diretta, è la raffigurazione dei due tacchini: verosimilmente l 'immagine più antica, un po ' goffa, del Gallus indicus, che Cortés aveva inviato dal Messico. 21 Ma questi frammenti, più o meno distorti, d'informazio­ ne fattuale sono incrostati in scene che richia­ mano i fregi all'antica. Questi uomini e queste donne, nudi o seminudi, che cavalcano, lotta­ no, nuotano, fanno all' amore, sembrano crea­ ture della mitologia greca e romana. Aby Warburg avrebbe visto nelle scene che deco­ rano la coppa di Anversa una prova della pro­ pria tesi sull'importanza delle formule di pa­ thos (Pathosformeln ) nell'arte del Rinascimen­ to. Queste formule, soppresse dalla Chiesa per­ ché pagane, idolatriche e demoniache (scris».

Figu ra 8 Coppa d'argento dorato di Anversa: esterno del piedestallo

se Warburg) , vennero riscoperte attraverso un processo che abbraccia « sul piano del lin­ guaggio gestuale l'intera gamma delle emo­ zioni, dalla prostrazione meditativa al canni­ balismo omicida, e conferisce alle manifesta­ zioni del dinamismo umano - anche negli stadi che stanno tra i due poli-limite, come lottare, camminare, correre, danzare, afferra­ re - il sigillo di quell'esperienza inquietante che l'uomo colto del Rinascimento, cresciuto con un ' educazione religiosa medievale, con­ siderava un terreno proibito in cui potevano awenturarsi solo degli empi dal temperamen­ to sfrenato » . 22 Per l'ultimo Warburg, quello dell'introduzio­ ne a Mnemosyne, questa riscoperta era il risul­ tato di un « processo di de-demonizzazione dell'eredità di espressioni fobiche » . Un'eredi­ tà non solo individuale: nello stesso testo, del resto, la memoria era associata sia all'indivi­ duo sia alla « personalità collettiva » ( Kolletiv­ personlichkeit ) . 2 3 Tutto questo sembrerebbe dar ragione a Ernst Gombrich, che vide « una suggestiva corrispondenza tra le concezioni di Warburg e le idee di Jung sugli archetipi e la memoria della specie » . Ma subito dopo Gombrich precisò che quando Warburg usa­ va espressioni come « memoria della specie » o « tracce mnestiche » riecheggiava un libro in cui la memoria era presentata come una pro­ prietà della materia: Die Mneme di Richard Se­ mon. 24 Warburg ne ricevette un 'impressione

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profonda. Ma quando lo lesse ( 1 908) da molti anni ormai si era dedicato alla ricostruzione di un fenomeno storicamente determinato, ossia il recupero della memoria, contingente e fragile, dell' antichità greca e romana da par­ te di eruditi, antiquari, pittori, scultori: i pro­ tagonisti del « rinascimento dell' antichità » . 25 5 . Non conosciamo il nome dell' argentiere che fece la coppa di Anversa. Un tentativo iso­ lato di identificarlo, su basi stilistiche, con Pe­ ter Wolfganck appare poco convincente; così come non convince, benché più interessante, il tentativo di accostare la coppa alle xilografie di Hans Burgkmair intitolate Die kalikutische Leut (La gente di Calcutta; fig. 9) , eseguite per la serie I trionfi di Massimiliano I ( 1 5 1 7-1 5 1 8, anche se pubblicata nel 1 526) . L' aria di fami-

Figura 9 H ans Burgkmair Die kalikutische Leut (dalla serie l trionfi di Massimiliano l)

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glia che accomuna le xilografie e la coppa si spiega con la derivazione dai Trionfi di Mante­ gna, che Burgkmair dovette vedere durante il suo viaggio in Italia.26 Ma la connessione tra l' argentiere di Anversa e Mantegna sembra più specifica e più diretta. La lotta con il mo­ stro marino e la battaglia tra uomini e kyno­ kephaloi raffigurata sul piedestallo della cop­ pa sono risposte - molto diverse, nella loro muscolosa energia, dalla solenne processio­ ne raffigurata da Burgkmair - a una farnosa incisione di Mantegna, la Zuffa degli dei marini (fig. l O). Nella sua Hystoria natura[ y genera[ de las lndias Gonzalo Fernandez de Oviedo lamentò il fat­ to che grandi pittori come Berruguete, Leo­ nardo o Mantegna (che aveva incontrato du­ rante il suo soggiorno in Italia) non avessero

Figura l O Andrea Mantegna Zuffa degli dei marini (metà destra del fregio)

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potuto produrre immagini del Nuovo Mon­ do. Oviedo avrebbe visto nella coppa di An­ versa una rielaborazione piena d'inventiva del­ le incisioni di Mantegna. 27 La Zuffa degli dei ma­ rini è senza dubbio anteriore al 1 494, anno in cui Diirer ne copiò un esemplare. 28 Sempre al tardo Quattrocento porta un 'altra fonte di i­ spirazione dell' argentiere di Anversa: la Batta­ glia dei nudi di Pollaiolo (fig. 1 1 ) , un'incisione eseguita da uno scultore e disegnatore che, com'è stato sottolineato, non lasciò mai la cor­ porazione degli orefici. 29 Da questi elementi emerge un primo contesto cronologico e geografico che andrà ulterior­ mente circoscritto. Ma fare confronti è diffi­ cile, dato che la coppa della Schatzkammer della Residenz, com'è stato osservato, è « il più antico tra gli oggetti in metallo prezioso di Anversa » sfuggiti all'iconoclastia cinquecen­ tesca. 3 0 Si può ricordare un caso geografica­ mente remoto, quello di Cesare Cesariano. Nel suo commento a Vitruvio pubblicato nel 1 52 1 , ossia in una data presumibilmente vici­ na a quella della coppa, Cesariano, nato nel 1 475, elencò alcuni artisti moderni che aveva­ no raggiunto l ' eccellenza degli antichi: Man­ tegna, Leonardo, Bramante, Michelangelo (quest' ultimo, elogiato sia come scultore sia come pittore ) . Si è ipotizzato che Cesariano, in alcune delle sue illustrazioni, tentasse di tradurre idee di Leonardo, di cui era stato di­ scepolo, in una tecnica diversa.3 1 Un elenco

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Figura I l Antonio Pol laiolo Battaglia dei nudi

analogo proposto dall'argentiere di Anversa avrebbe incluso Mantegna, Pollaiolo - e natu­ ralmente Diirer, le cui incisioni sembrano rie­ cheggiate in alcuni paesaggi della coppa. Ma l'assenza di echi di artisti italiani del Cin­ quecento nella coppa della Schatzkammer fa pensare che l'argentiere di Anversa sia stato un artista italianizzante, oppure un italiano che lasciò l'Italia non molto dopo il 1 500. Per decidere tra queste alternative si può cerca­ re di adattare alla scena di Anversa la distinzio­ ne tra Welsch e Deutsch proposta da Michael

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Baxandall nel suo bellissimo libro Scultori in le­ gno del Rinascimen to tedesco : « Diciamo che Welsch significa lo stile italia­ neggiante della cultura tedesca, largamente corrente tra i decenni 1 5 1 0 e 1 580 ... E un ibrido, un segno marginale nella grande Eu­ ropa del Rinascimento . . . Inizialmente lo stile Welsch fu toccato da una conoscenza molto limitata dell ' arte italiana. Per l' antico Welsch quest' arte non era rappresentata da Miche­ langelo e da Raffa ello e neppure da Giotto e Donatello, ma piuttosto dalle incisioni di Mantegna e dalle placchette in bronzo di qual­ cuno come Moderno, oppure dall' arte vene­ ziana mediata attraverso talenti personalissi. . . m1 qual 1 D urer . . ».32 . Come si è detto, la coppa della Residenz può essere definita, per certi versi, un ibrido. Ma la lingua visiva parlata dall'ignoto argentiere di Anversa sembra, specialmente nel modo di ar­ ticolare le forme dei corpi umani, decisamen­ te italiana, anziché una versione locale della lingua Welsch (fig. 6) . E un 'ipotesi: proviamo a saggiame la consistenza. La battaglia tra uomini e kynokephaloi, gli umanoidi dalla testa di cane, rappresentata sul piedestallo della coppa, potrebbe essere sta­ ta ispirata, alla lontana, dalla Battaglia tra uomi­ ni nudi e contadini disegnata dal cosiddetto Mae­ stro NH ed eseguita da Hans Liitzelburger nel 1 522 (fig. 1 2) . A un livello infinitamente più rozzo, l'argentiere di Anversa potrebbe essersi ....

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ispirato al frontespizio del libretto fiammingo basato sulla prima e seconda lettera di Heman Cortés, pubblicato ad Anversa nel 1 523.33 Ma in entrambi i casi si ha l'impressione che il fil­ tro - ossia un 'educazione visiva formatasi su Mantegna e su Pollaiolo - sia stato più impor­ tante dei messaggi filtrati. Un terzo caso fa pen­ sare a un prestito più diretto. Nel l 527 Laurent Fries, filosofo naturale », medico e geografo, pubblicò a Strasburgo un libro intitolato Usle­ gung der Mercarthen oder Cartha Marina : una de­ scrizione, spesso fantasiosa, di paesi esotici che includeva, oltre alla carta marina menzionata «

Figura 1 2 Maestro NH Battaglia tra uomini nudi e contadini

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nel titolo, varie illustrazioni che meriterebbero di essere analizzate più a fondo. Quella che ac­ compagna il capitolo « Sui cannibali » , poi ado­ perata come frontespizio nell'edizione del 1 530 (fig. 1 3) , potrebbe aver attirato l'attenzio­ ne del nostro argentiere.34 Ma sono soprattutto i kynokephaloi raffigurati sul coperchio e sul piedestallo della coppa (fig. 7) a parlare una lingua più italiana che tedesca. Vien fatto di pensare a un argentiere nato in Italia e attivo ad Anversa nel decennio 1 520-1 530. E possibile precisare ulteriormente quest'ipotesi? ....

6. Sì, è possibile. Nel novembre 1 520, di ritor­ no dai Paesi Bassi, Diirer si fermò per la secon­ da volta ad Anversa. Nel suo diario scrisse :

Figura 1 3 Von Canibalien dem folck von Canaria, in Laurent Fries, Uslegung der Mercarthen oder Cartha Marina, Johannes G rieni nger, StraBbu rg, l 527

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« Steffan Capello mi ha dato un rosario di le­ gno di cedro, in cambio del quale ho promes­ so di fare, e ho fatto, il suo ritratto )).35 Questo ritratto è stato identificato, in via ipotetica, con un disegno, oggi a Berlino, che reca un'iscri­ zione di mano di Diirer: « un orefice di Mali­ n es, fatto ad Anversa nel l 520 )) (fig. 1 4) . La data concorda con il passo del diario. Inol­ tre, ristùta che un certo Stefano Capello lavorò come orefice per Margherita d'Austria, reg­ gente dei Paesi Bassi, zia dell'imperatore Car­ lo V.36 Vari studiosi, tra cui Panofsky, hanno respi11to quest'identificazione, perché Diirer, che conosceva Capello per nome, non l'avreb­ be definito semplicemente « un orefice )).37 Si può notare che nel l 520 l'argentiere di Anver­ sa che fece la coppa a\Tebbe avuto, secondo l'ipotesi che ho formulato, più o meno trenta­ cinqtie anni, e qt1indi sarebbe stato più vec­ chio dell'uomo effigiato da Diirer. La mia ipo­ tesi potrebbe essere sbagliata; ma torniamo al passo del diario di Diirer. Oggi per noi Stefa­ no Capello è solo un nome: nessuna delle sue opere ci è perventlta, e non abbiamo nessuna testitnonianza sulla sua formazione italiana.38 �fa il fatto che fosse apprezzato da Diirer (e da �fargherita d'.�.-\t1stria) fa supporre che si trat­ tasse di un artista di valore, capace di lavorare co11 n1ateriali diversi. L'accenno di Diirer al rosario di legno di cedro ricevuto in cambio di tln disegno è degno di nota. L'uso di modelli­ ni ii1 legno come stadio preparatorio per ope-

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Figura 14 Albrecht Durer «Un orefice di M.lines »

re in argento è largamente documentato per periodi successivi.39 Un artista abituato a lavo­ rare un materiale morbido come il legno po­ trebbe aver sviluppato la capacità di rendere l'impressionante varietà delle materie raffi­ gurate sulla superficie della coppa di Anversa: schiuma, pellicce, scaglie, fogliame, piume, muscolatura - la pelle morbida e ruvida delle cose, degli animali, degli umani. Tra l'aprile e il giugno 1529 Stefano Capello, « un gioielliere residente in Anversa » , ricevet­ te 253 livres e IO soldi, « per un vaso d'argento, alto e bello, decorato con storie antiche, e per il coperchio, anch'esso dorato dentro e fuori, che pesa lO marchi e 4 once . . . e per la custo­ dia del vaso . . . che Madame consegnò a Ba­ boz, signore di Bourdoisie, tesoriere di Mada­ me reggente di Francia » .40 I vasi decorati con storie all'antica erano, a quanto pare, una specialità di Stefano Capel­ lo: sette anni prima, il 2 7 marzo 1522, aveva ricevuto da Margherita d'Austria un paga­ mento per un altro « vaso d' argento, alto e bello, faicte à lenti eque, con un coperchio dora­ to dentro e fuori » .4 1 Questo vaso, donato a Madame de Noyelle, pesava circa la metà di quello che Stefano Capello eseguirà nel l529; e anche la somma che gli venne pagata nei due casi variò a seconda del peso . E possibile identificare la coppa d'argento dorato di Anversa con il « vaso d' argento [dora­ to] , alto e bello, decorato con storie antiche » ...

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che Stefano Capello consegnò nel l 529 a Mar­ gherita d'Austria? Prima di rispondere a que­ sta domanda dovranno essere affr ontati due problemi. Il primo è la data. Il punzone della coppa porta al l 524-1 525. Si è supposto che la decorazione sia stata eseguita in una data suc­ cessiva: un'ipotesi rafforzata dallo stretto rap­ porto tra la scena cannibalica che illustra la Cartha Marina di Laurent Fries, pubblicata nel 1 527, e la scena che decora il piedestallo della coppa ( cfr. fig. 7) . Sulla base di questo rap­ porto tra l'incisione e la coppa (che sarebbe assurdo invertire) possiamo assumere il l 527 come terminus ante quem non per la decorazio­ ne della coppa. Il secondo problema da affrontare in via preli­ minare è il peso. Il vaso consegnato da Stefano Capello pesava l O marchi e 4 once. Dato che ad Anversa e a Malines il marco equivaleva a 246, 1 grammi,42 il peso complessivo del vaso consegnato nel 1 529 corrispondeva a 2584,5 grammi; quello della coppa oggi conservata nella Schatzkammer della Residenz di Mona­ co è pari a 3243 grammi. Ma, come si è detto, in quest'ultimo caso ci troviamo di fronte a un oggetto ibrido, composito, fatto di due strati sovrapposti: uno strato decorato applicato su uno strato semispezzato. Il restauratore della Residenz, Klaus Oelke, mi ha gentilmente co­ municato le sue ipotesi su quello che sarebbe il peso della coppa, una volta sottratto lo strato semispezzato che si trova all'interno.43 Il risul-

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tato sarebbe pari a 2 1 43 grammi: circa 400 grammi in meno rispetto al « vaso d'argento [dorato] , alto e bello, decorato con storie anti­ che » menzionato nel pagamento fatto esegui­ re da Margherita d'Austria nel 1 529. Ma, come mi fa notare Klaus Oelke, avanzare congetture sullo spessore esatto dello strato interno della coppa è impossibile. In altre parole, la discre­ panza tra il peso del vaso attuale e il peso del vaso del 1 529 non permette di arrivare a una conclusione definitiva, positiva o negativa. E una conclusione che non stupisce, dati i rima­ neggiamenti cui la coppa è stata sottoposta nel corso della sua lunga storia. Ma perché la coppa di Anversa consiste di uno strato decorato applicato su uno strato semi­ spezzato? L'enigma può essere risolto alla lu­ ce di un passo dell'inventario, molto partico­ lareggiato, dei dipinti, libri, gioielli e mobili posseduti da Margherita d'Austria. Tra le voci elencate nell'inventario c'è una « grande taz­ za d'oro decorata con fogliame » e una « salie­ ra » che « per ordine di Margherita, furono fatte a pezzi per farne tre piccole tazze che fu­ rono portate a Cambrai dove fu firmata la pa­ ce » . 44 Il « vaso d'argento [dorato] , alto e bel­ lo, decorato con storie antiche » per cui Stefa­ no Capello venne pagato nel 1 5 29 era anch'es­ so legato al tentativo diplomatico che por­ tò alla cosiddetta « pace delle due dame » , il trattato firmato a Cambrai il 3 agosto 1 529 da Margherita d'Austria, zia dell'imperatore ...

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Carlo V, e da Luisa di Savoia, madre di France­ sco l, re di Francia. Anche il vaso all'interno della coppa di Anversa potrebbe essere stato spezzato alla vigilia dell'incontro di Cambrai, per essere poi ricoperto da una nuova, son­ tuosa decorazione. Certo, il vaso di Stefano Capello fu dato in regalo al tesoriere di Luisa di Savoia. Com 'è stato notato, l'oro (e, possia­ mo aggiungere, l' argento ) borgognone con­ tribuì al trionfo diplomatico di Margherita. L'ipotesi che identifica il vaso fatto da Stefano Capello nel 1 529 con la coppa di Anversa oggi nella Schatzkammer di Monaco poggia su ele­ menti convergenti molto notevoli. Ne va ag­ giunto un altro: le scene che decorano la cop­ pa. Non è difficile immaginare Margherita d'Austria nell'atto di scegliere, alla vigilia del viaggio verso Cambrai, un regalo tale da ricor­ dare al re di Francia, attraverso sua madre, le recenti conquiste spagnole al di là dell' ocea­ no. Ma nelle scene che decorano la coppa gli spagnoli sono assenti. Perché? 7. L'antico vocabolario delle emozioni estre­ me - le Pathosformeln, come le chiamò War­ burg - conservate dai sarcofagi antichi e tra­ smesse dalle incisioni di Mantegna fornì la lingua in grado di esprimere la battaglia raffi­ gurata sul piedestallo della coppa (fig. 7) . La terza lettera di Cortés, che l'argentiere di An­ versa (o dobbiamo dire Stefano Capello?) po­ trebbe aver letto in una versione francese tra-

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dotta dal latino, pubblicata ad Anversa nel 152 4, può fornire un commento adeguato a quest ' Immagine: « Entrammo nella città [di Iztapalapa] . Dato che gli abitanti erano già stati messi in allar­ me, tutte le abitazioni del retro terra erano sta­ te abbandonate e la gente con le proprie cose si era rifugiata nelle case vicino al lago; là tutti quelli che erano fuggiti si riunirono, e comin­ ciarono a combatterci ferocemente. Ma No­ stro Signore diede tanta forza ai suoi che riu­ scimmo a respingerli nell' acqua, chi fino al petto, chi a nuoto; poi ci impadronimmo di gran parte delle abitazioni lungo l'acqua. Più di seimila di loro - uomini, donne, bambini ­ perirono quel giorno, perché i nostri alleati indiani, quando videro la vittoria che Dio ci aveva concessa, non pensarono ad altro che ad uccidere, a destra e a manca » .45 La strategia narrativa adottata nella lettera di Cortés e nella coppa di Anversa è la stessa: non ci sono spagnoli, la loro presenza è stata cancellata; a uccidere sono « i nostri alleati in­ diani >> .46 Il nemico che viene bastonato a mor­ te è un nemico semiumano o subumano, dun­ que irrilevante. .

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8. Esseri semiumani, semibestiali sono un fe­ nomeno che attraversa le culture: un sintomo del confine poroso che separa uomini e ani­ mali.47 Poroso e storicamente mutevole. Oggi i trapianti di organi animali aprono agli esseri

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umani prospettive nuove di una vita più lunga e più sana - e al tempo stesso, scenari terrifi­ canti, come quello disegnato più di un secolo fa da H.G. Wells, il fondatore della fantascien­ za, in The Island ofDoctor Moreau: la sinistra im­ magine di una società che ricorre all'ingegne­ ria biologica per creare nuove gerarchie, ba­ sate su specie animali diverse.48 Quando si la­ scia la sfera dell'immaginazione per entrare in quella delle possibilità, gli ibridi animali diventano ancora più inquietanti. Nella batta­ glia tra umani e semi umani raffigurata sul pie­ destallo della coppa si avverte un sottinteso minaccioso che va al di là del suo possibile significato allegorico, legato alla conquista del Messico da parte di Cortés. Proiettare que­ sta sensazione nella coppa di Anversa sarebbe naturalmente anacronistico. Ma qui c'imbat­ tiamo ancora una volta nel tema della memo­ ria e della distanza. 9. Oggi l'immediatezza della memoria viene spesso contrapposta all'atteggiamento distac­ cato della storiografia. Ma se analizziamo, co­ me Maurice Halbwachs fece molto tempo fa, la dimensione culturale e sociale delle memo­ rie individuali, le cose appaiono più complica­ te.49 Come si è visto, la memoria culturale è servita a superare la distanza geografica. Il Nuovo Mondo venne percepito e reso più fa­ miliare (come mostra la coppa di Anversa) dal ricorso a una lingua del vecchio mondo, basa-

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ta su formule visive desunte dall'antichità clas­ sica e trasmesse dal Rinascimento italiano. Que­ sto linguaggio agì come un elemento di di­ stanziazione, proiettando la feroce realtà della conquista spagnola in un remoto mondo mi­ tologico. 50 La memoria individuale awicina (o sembra awicinare) il passato, quella sociale lo allontana (o sembra allontanarlo) : un'ambiva­ lenza su cui vale la pena di riflettere.

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II. Rile ggere Hobbes oggi

l . Parlerò di terrore, non di terrorismo. Non credo che la parola « terrorismo » ci aiuti a ca­ pire gli eventi sanguinosi cui viene riferita. Come il terrorismo, anche il terrore è attuale: ma non parlerò dell' attualità. Qualche volta bisogna cercare di sottrarsi al rumore, al ru­ more incessante delle notizie che ci arrivano da ogni parte. Per capire il presente dobbia­ mo imparare a guardarlo di sbieco. Oppure, ricorrendo a una metafora diversa: dobbiamo imparare a guardare il presente a distanza, co­ me se lo vedessimo attraverso un cannocchia­ le rovesciato. Alla fine l'attualità emergerà di nuovo, ma in un contesto diverso, inaspettato. Parlerò sia pure brevemente del presente, e perfino un poco del futuro. Ma ci arriverò partendo da lontano. 2. Da tempo (diciamo dall'I l settembre 2001 ) nei commenti sugli attentati che si verificano,

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Figura l Abraham Bosse ( ?) Frontespizio di Thomas Hobbes, Leviathan or the Matter, Forme and Power of a Common-wealth Ecclesiastica/l and Civil, Andrew Crooke, London, 165 l

con sinistra frequenza, in varie parti del Inon­ do, ricorre il nome di Hobbes, l'atitore del Leviatano. 1 E possibile che questi nomi - Hobbes, Leviatano - richiamino alla memoria di qualcu­ no antichi o recenti ricordi di scuola: « la guer­ ra di tutti contro tutti » ( bellum omnium contra omnes) ; « l'uomo che è lupo per l'uomo » ( homo homini lupus) . Frasi dure, disincantate. Provia­ mo a guardare più da vicino il filosofo che le ha pronunciate (ma la seconda, homo homini lu­ pus, risaliva a una tradizione antica) .2 Thomas Hobbes nacque in Inghilterra, a Mal­ mesbury, nel l 588. Il padre, curato di Broken­ borough, beveva; presto lasciò la famiglia, scom­ parve. Hobbes visse presso alcune famiglie no­ bili, facendo prima il precettore, poi il segreta­ rio. Lesse moltissimo; acquisì una conoscenza profonda del latino e del greco. Dal greco tra­ dusse la storia della guerra del Peloponneso di Tucidide, data alle stampe nel l 629. Era allora consuetudine tra le famiglie nobili inglesi che i giovani completassero la propria educazione facendo un viaggio in Europa (poi chiamato Grand Tour) che prevedeva lunghi soggiorni in Francia e Italia. Hobbes accompa­ gnò il figlio di Lord Cavendish, il suo protetto­ re, in uno di questi viaggi. In un 'altra occasio­ ne Hobbes si fermò a Firenze, dove incontrò Galileo. A Parigi conobbe un dottissimo frate, Marin Mersenne, che era al centro di una vasta rete di legami intellettuali. Attraverso Mersen­ ne entrò in contatto con Cartesio, al quale ri....

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volse una serie di obiezioni. Hobbes aveva allo­ ra quarantacinque anni. Non aveva ancora pubblicato niente su temi filosofici, ma aveva accumulato una serie di riflessioni organizzate in forma rigorosamente deduttiva. Qualche anno prima, trovandosi nella dimora di un no­ bile non meglio identificato, Hobbes aveva vi­ sto un libro posato su un tavolo: gli Elementi di Euclide. L'aveva aperto a caso e si era imbattu­ to nella proposizione 4 7 del primo libro. « Per Dio ! » aveva esclamato. « Questo è impossibi­ le ! » . Aveva cominciato a leggere il libro a ritro­ so, finché tutto gli era diventato chiaro. Da quel momento, scrive il suo amico e biografo Aubrey, che riferisce l'aneddoto, Hobbes « si era innamorato della geometria » . 3 Il primo scritto filosofico di Hobbes era intito­ lato, in omaggio agli Elementi di Euclide, The Elements of Law. La dedica a William Earl of Devonshire, che era diventato il protettore di Hobbes, è datata 8 maggio 1 640. Si era agli i­ nizi di quella che sarebbe stata chiamata the Great Rebellion, la grande ribellione - la rivolu­ zione inglese . Lo scontro tra il re , Carlo I Stuart, e il Parlamento stava assumendo toni sempre più aspri. Nel giro di pochi anni si sa­ rebbe arrivati alla guerra civile. Nel 1 649 il re fu messo sotto accusa dal Parlamento e deca­ pitato: un evento sconvolgente, che suscitò un'e­ co profondissima in tutta Europa. Ma Hobbes non aveva aspettato che la situazio­ ne politica si aggravasse. Nel novembre 1 640

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aveva lasciato l'Inghilterra per Parigi: « il pri­ mo di quelli che presero la fuga » , come scrisse retrospettivamente. A spingerlo sulla strada dell'esilio era stata la paura di incorrere in rap­ presaglie per aver esaltato l'autorità monar­ chica negli Elements ofLaw : un libro che circo­ lò prima in forma manoscritta, e poi in edizio­ ni monche e scadenti, pubblicate all'insaputa dell'autore. Per buona parte della sua lunghissima vita Hobbes riscrisse quel libro in forme diverse e in lingue diverse (in latino e in inglese) , am­ pliando, correggendo, modificando. Alcune nozioni, presentate in un primo tempo in for­ ma embrionale, si svilupparono arricchendo­ si via via di nuovi significati. Una di queste ­ fondamentale - è la paura. 3. « Io e la paura siamo gemelli » scrisse Hobbes in un'autobiografia latina in versi, composta nell'estrema vecchiaia.4 Hobbes era nato pro­ prio quando la flotta spagnola - l'Invincibile Armata - minacciava di sbarcare sulle coste in­ glesi. Con ogni probabilità l'accenno alla pau­ ra alludeva a una debolezza privata. Ma Hobbes era al tempo stesso un pensatore audace fino ali' ii1solenza, incline alla provocazione e alla di­ sputa. Con quell'accenno egli rivendicava con orgoglio la decisione di mettere la paura al cen­ tro della propria filosofia politica. Negli Elements ofLaw troviamo una descrizione sintetica dello stato di natura, legata a un'argo-

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mentazione che Hobbes non avrebbe abban­ donato più. Nello stato di natura gli uomini sono sostanzialmente uguali e hanno gli stessi diritti (tra cui quello di offendere e di difen­ dersi) : per questo vivono in una condizione di guerra perenne, di « diffidenza generale » , di « paura reciproca » ( mutual fear) . 5 Da questa situazione intollerabile essi escono rinuncian­ do a una parte dei propri diritti: un patto che trasforma una moltitudine amorfa in un cor­ po politico. Nasce così lo Stato, quello che Hobbes chiamerà Leviatano: un nome che nel libro di Giobbe designa una balena, un gigan­ tesco animale marino che nessuno può pren­ dere all'amo. Sul frontespizio del Leviatano (fig. l) Hobbes citò, nella traduzione latina di san Girolamo, un versetto tratto dal capitolo 41 del libro di Giobbe: Non est super terram potes­ tas quae comparetur ei, « non esiste potere sulla terra paragonabile a lui » . 6 Sul significato del frontespizio (certamente i­ spirato da Hobbes) tornerò più avanti. Per il momento basterà notare che per Hobbes lo Stato emerge da un patto nato dalla paura. Nell'Europa lacerata dalle guerre di religione, nell'Inghilterra dilaniata dai contrasti tra re e Parlamento, la pace appariva a Hobbes il bene supremo, meritevole di qualsiasi sacrificio: un'idea che l'avrebbe accompagnato fino alla morte. Ma un patto stipulato in una situazione di costrizione, come quella che caratterizzava lo stato di natura, può essere considerato vali-

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do? Questa domanda, che Hobbes si pone ne­ gli Elements ofLaw, riecheggiava quella che ve­ niva allora formulata ripetutamente da teologi sia protestanti sia cattolici: se cioè fosse lecito giurare il falso per sottrarsi alla persecuzione religiosa.7 La risposta di Hobbes è netta: un patto è valido anche se viene stipulato in una situazione di paura. Retrospettivamente si ha l'impressione che egli non potesse fare altri­ menti. Nella sua argomentazione la paura ave­ va una funzione insostituibile, e scandalosa. Il tempo ha attutito quello scandalo. Ma ai let­ tori contemporanei la descrizione di uno stato di natura dominato dal terrore reciproco ap­ pariva inaccettabile, soprattutto perché Hobbes si asteneva dal fare qualsiasi riferimento alla Bibbia e al peccato originale. A questo silenzio si aggiungeva una polemica di tutt'altro gene­ re, che si legge tra le righe della prefazione che Hobbes aggiunse alla seconda edizione latina del De cive, pubblicata ad Amsterdam nel 1 647. (La prima edizione, tradotta da Samuel Sorbière, era apparsa a Parigi nel l 642, senza nome d'autore) . In quella prefazione Hobbes descrisse il proprio metodo Per capire la genesi e la forma della città e l'origine della giustizia dobbiamo identificare le parti che le compongono. Allo stesso modo, per capire co­ me funziona un orologio dobbiamo smontar­ lo: solo così riusciremo a capire quale funzio­ ne abbiano i vari ingranaggi.8 Il pubblico colto cui era destinata l'edizione «

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latina del De cive avrà decifrato immediata­ mente il bersaglio polemico di Hobbes: la Po­ litica di Aristotele. Il mio « metodo » , aveva spiegato Aristotele, consiste nell'identifica­ zione degli elementi che compongono la polis - la città, ossia la comunità politica. Il punto di partenza era simile ma subito dopo le strade divergevano. Per Aristotele l'uomo è un anima­ le politico ( zoon politikon ) : quindi la polis esiste per natura, è un fenomeno naturale. Per Hobbes, invece, lo stato di natura non è caratterizzato dalla socievolezza ma dal suo contrario: la guer­ ra di tutti contro tutti. L'aggressione, reale o possibile, genera prima la paura, poi l'impulso a uscire dalla paura attraverso un patto basato sulla rinuncia di ciascun individuo ai propri di­ ritti naturali. La città ( civitas, ossia la comunità politica) che è il risultato di questo patto è un fenomeno artificiale: una conclusione in qual­ che modo anticipata dal paragone con l' orolo­ gio introdotto da Hobbes. 4. Per capire l'importanza dell' argomentazio­ ne di Hobbes dobbiamo capire come, attra­ verso quali vie, egli fosse arrivato a formularla. Una indicazione indiretta sembra venirci da Hobbes stesso. Egli contrappose più volte la fecondità delle scienze della natura all'incon­ cludenza della filosofia morale: e dichiarò di essersi ispirato , in quanto filosofo morale, al modello di Euclide. Ma, com' è stato notato, è difficile credere che la mente di Hobbes si fos-

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se risvegliata soltanto a quarant'anni compiu­ ti, dopo la lettura di Euclide.9 Negli anni pre­ cedenti Hobbes aveva lavorato alla traduzione di un 'opera che offrì spunti molteplici alle sue riflessioni: la storia della guerra del Pelo­ ponneso di Tucidide. 10 Tra i passi che hanno richiamato l'attenzione degli studiosi di Hobbes c'è la famosa pagina del capitolo 53 del secon­ do libro in cui Tucidide descrive le ripercus­ sioni della peste che infierì ad Atene nel 429 a.C. 1 1 Ma sul modo in cui Hobbes lesse - e tra­ dusse - questa pagina c'è ancora qualcosa da dire. Prima di tutto sentiamo Tucidide: « Anche per altri aspetti la peste segnò per la città l'inizio del dilagare dell'assenza di leggi. Ciò che prima si faceva, ma solo di nascosto, per proprio piacere, ora lo si osava più libera­ mente: si assisteva a cambiamenti repentini, vi erano ricchi che morivano all'improvviso, e gente, che prima non aveva niente, da un mo­ mento all'altro si trovava in possesso delle ric­ chezze appartenute a quelli, per cui ci si crede­ va in diritto di abbandonarsi a rapidi piaceri, volti alla soddisfazione dei sensi, ritenendo un bene effimero sia il proprio corpo che il pro­ prio denaro. Nessuno era più disposto a perse­ verare in quello che giudicava fosse il bene, perché - pensava - non poteva sapere se non sarebbe morto prima di arrivarci; invece il pia­ cere immediato e il guadagno che potesse pro­ curarlo, quale che fosse la sua provenienza,

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ecco ciò che divenne bello e utile. La paura degli dèi e le leggi umane non rappresentava­ no più un freno, da un lato perché ai loro oc­ chi il rispetto degli dèi o l'irriverenza erano ormai la stessa cosa, dal momento che vedeva­ no morire tutti allo stesso modo, dall'altro per­ ché, commesse delle mancanze, nessuno spe­ rava di restare in vita fino al momento della celebrazione del processo e della resa dei con­ ti. La pena sospesa sulle loro teste era molto più seria, e per essa la condanna era già stata pronunciata: era naturale quindi, prima che si abbattesse su di loro, godersi un po' la vita » . 12 5 . La densissima analisi di Tucidide si apre con la parola anomia, che designa l'assenza di leg­ ge, o meglio il dissolversi di ogni legge di fron­ te all'infuriare della peste. 1 3 Si era creato (di­ remmo oggi) un vuoto di potere, riempito dal soddisfacimento degli istinti elementari. Ma come si sarà notato, il termine anomia - desti­ nato a una lunga fortuna, fino a Durkheim e alla sociologia contemporanea - non si riferi­ sce solo alle leggi umane. Di fronte alla morte incombente, dice Tucidide, anche la paura degli dèi aveva perduto qualsiasi efficacia. Il dissolvimento del corpo politico descritto da Tucidide richiama in maniera irresistibile lo stato di natura descritto da Hobbes. Si trat­ ta di un rapporto speculare : nell'Atene deva­ stata dalla peste la legge non c'è più, nello sta­ to di natura la legge non c ' è ancora. Sembra

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verosimile supporre che la situazione estrema descritta da Tucidide possa aver suggerito a Hobbes un esperimento mentale - la descri­ zione dello stato di natura - imperniato su u­ na situazione altrettanto estrema. Ma Hobbes, il traduttore - in latino, interpres -, impose ai lettori la propria interpretazione. Tucidide, come si è visto, aveva scritto: « La paura degli dèi e le leggi umane non rappre­ sentavano più un freno » . La traduzione italia­ na che ho appena citato ricalca da vicino il te­ sto greco. La traduzione di Hobbes invece se ne discosta in un punto, una parola: Neither the fear of the gods, nor laws of men awed any man, os­ sia: « né il timore degli dèi né le leggi degli uo­ mini incutevano più soggezione » . Hobbes tra­ dusse il verbo greco apeirgein, « tenere a freno » , con un verbo inglese - to awe- più o meno cor­ rispondente all'italiano « incutere soggezio­ ne » . (Ma si tratta, lo dico subito, di una tradu­ zione provvisoria) . In questa divergenza della traduzione inglese rispetto al testo greco di Tu­ cidide propongo di riconoscere il primo, ful­ mineo affacciarsi di un'idea che è al centro del­ la filosofia morale elaborata da Hobbes nel corso dei decenni successivi. 6. Per capire il senso dell'inserzione del verbo to awe, « incutere soggezione » , nella traduzio­ ne di Tucidide partirò da un libro apparso a Londra nel l 6 1 3, e poi ripubblicato più volte con ampliamenti: Purchas His Pilgrimage ar Rela-

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tions of the World and the Religions Observed in All Ages and Places Discovered, from the Creation to the Present (Il pellegrinaggio di Purchas, ossia re­ lazioni sul mondo e sulle religioni testimonia­ te in ogni tempo e in ogni terra scoperta, dalla creazione fino ad oggi) . In questo voluminoso in-folio l' autore , il pastore anglicano Samuel Purchas, descriveva sotto forma di viaggio o pellegrinaggio metaforico gli usi, i costumi, e in particolare le religioni delle popolazioni di tutto il mondo, attingendo a una gran quanti­ tà di relazioni di viaggiatori. Purchas e Hobbes si conoscevano. I loro nomi sono registrati nei verbali delle riunioni del corpo direttivo della Virginia Company: una compagnia commerciale (di cui Lord Caven­ dish, il protettore di Hobbes, era uno dei prin­ cipali azionisti) legata allo sfruttamento della regione del Nuovo Mondo che era stata chia­ mata Virginia in omaggio a Elisabetta, la regina vergine » . E stato supposto che i pochi accenni agli indiani d'America nell' opera di Hobbes derivino dal libro di Purchas. 14 Si può aggiungere che Purchas, in un capitolo dedi­ cato alle attese messianiche degli ebrei con­ temporanei, parlò a lungo dei due gigante­ schi animali evocati nel libro di Giobbe, Levia­ tano e Behemoth. 15 Hobbes avrà scelto questi nomi come titoli delle proprie opere rifacen­ dosi direttamente alla Bibbia, di cui era letto­ re assiduo e profondo; ma nel pellegrinaggio «

....

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di Purchas attraverso le religioni del mondo poté trovare qualcos'altro di interessante. Purchas pensava che l'espansione coloniale dell'Inghilterra preparasse l'unificazione reli­ giosa del genere umano, e l'imminente fine del mondo. Ai suoi occhi l'unificazione reli­ giosa era possibile perché « la religione è [qualcosa di] naturale, [qualcosa che è] scritto nel cuore di tutti gli uomini » . 1 6 Purchas re­ spingeva energicamente le argomentazioni « sussurrate, piuttosto che pronunciate ad alta voce » , da certi uomini irreligiosi: e cioè che « la religione non sia altro che una consuetu­ dine inveterata, una politica più accorta volta a tenere gli uomini in soggezione [ a continued custome, or a wiser Policie, to hold men in awe] » . 1 7 .... E possibile che Hobbes, traducendo Tucidide, si sia ricordato di questa frase, trasforman.... do il sostantivo awe in un verbo, awed? E possibile, ma tutt'altro che certo: dopo tutto non si trattava di un'idea peregrina, come fa capire la reazione polemica di Purchas. Ciò che se­ gue permette di identificare gli innominati personaggi che riducevano la religione a una « consuetudine inveterata » ( but a continued cus­ tome) . Con ogni probabilità Purchas pensava a Montaigne, i cui saggi erano stati recente­ mente tradotti in inglese daJohn Florio: l'au­ tore del primo dizionario italiano-inglese, che aveva lasciato l'Italia insieme al padre per sot­ trarsi al giogo del cattolicesimo. 1 8 Montaigne, in un saggio famoso intitolato De la coustume et

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de ne changer aisément une loy recei1e (Sulla con­ suetudine e sull'impossibilità di cambiare fa­ cilmente una legge ricevuta) , aveva sostenuto che qualsiasi opinione, anche la più strava­ gante, può appoggiarsi a qualche consuetudi­ ne. E tra parentesi aveva aggiunto: « lascio da parte la grossolana impostura delle religioni » ( je laisse à part la grossiere imposture des reli­ gions ) . 1 9 Con queste parole fintamente disin­ volte Montaigne alludeva al trattato De tribus impostoribus : un 'opera ancora non scritta, di cui circolava fin dal Medioevo soltanto il titolo scandaloso, che identificava come impostori Mosè, Gesù e Maometto: i fondatori delle tre grandi religioni monoteiste mediterranee. Que­ sta tradizione, evocata da Montaigne e pun­ tualmente respinta da Purchas, vedeva nella religione un mero strumento politico, adatto a tenere a freno gli impulsi della gente igno­ rante.

7. Echi di queste e di altre letture confluirono nei capitoli X I e XI I del Leviatano, intitolati « Della diversità dei costumi » e « Della religio­ ne » . 20 Hobbes ricondusse l'origine della reli­ gione alla paura nata dall'ignoranza delle cau­ se naturali, sostituite con potenze invisibili. Era questo un tema centrale della filosofia di Epi­ curo, ripreso da Lucrezio nel suo grande poe­ ma sulla natura delle cose. Un celebre motto di origine epicurea affermava: Primus in orbe deos fecit timor, a creare gli dèi è stata, prima di tutto,

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la paura. 21 Hobbes citò questo motto definen­ dolo « verissimo » : ma subito precisò che esso valeva soltanto per la religione pagana. « Il rico­ noscimento che esiste un solo Dio, eterno, infinito e onnipotente », proseguì, deriva vero­ similmente dalla curiosità di conoscere le cau­ se, piuttosto che dal « timore del futuro » .22 U­ na dichiarazione prudente e menzognera. Po­ chi paragrafi prima Hobbes aveva detto esatta­ mente il contrario: e cioè che il desiderio di conoscere le cause genera « ansia » ( anxiety ) e « paura perenne » (perpetuall feare) . Il titoletto in margine suonava: « La causa naturale della religione è l'ansia del futuro » . 23 Attaccare la religione distruggendone le radi­ ci, ossia le false paure generate dall'ignoranza: questo progetto aveva ispirato a Lucrezio versi stupendi, che s'intravedono in controluce die­ tro le pagine di Hobbes. Ma c'è una differenza importante. Hobbes non vuoi distruggere la paura, anzi fa della paura la base stessa dell'o­ rigine dello Stato. 24 Egli parte dalla critica epi­ curea della religione, ma poi sembra allonta­ narsene. Tuttavia questa divergenza, sottolinea­ ta da molti studiosi, nasconde un atteggiamen­ to più complesso. Ci aiuta a capirlo un passo in cui Hobbes, come faceva spesso, rielaborò vi­ gorosamente materiali di provenienza diversa, condensandoli in una forma nuova. L'ignoranza delle cause naturali, e la paura (feare) che ne consegue, inducono gli uomini, dice Hobbes, a « supporre e a fingere tra sé e sé

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diverse specie di poteri invisibili, a guardare con soggezione alle proprie immaginazioni, a invocarle quando si trovano in difficoltà, e a ringraziarle quando gli eventi hanno avuto un esito favorevole » . 25 Ancora una volta Hobbes associa alla religione la soggezione, awe, ma in un contesto che sottolinea come gli uomini sia­ no indotti a « guardare con soggezione alle proprie immaginazioni » ( to stand in awe of their own imaginations ) . Ritengo che nel descrivere questo atteggiamento apparentemente para­ dossale Hobbes si sia ricordato di una straor­ dinaria frase di Tacito: fingebant simul crede­ bantque, « credevano in ciò che avevano appena immaginato » (Annales, V, 1 0) . E una frase che ritorna per ben tre volte, con minime variazio­ ni, nell'opera di Tacito, per descrivere eventi circoscritti come la circolazione di notizie fal­ se. 26 Hobbes si servì della formula di Tacito (che era stata citata, in maniera distorta, da Ba­ cone, di cui egli era stato segretario) per descri­ vere un fenomeno generalissimo: l'origine del­ la religione. Hobbes usa il verbo feign, che ho tradotto con « fingere » , per mantenere l'asso­ ciazione col sostantivo fiction ( « opera d'imma­ ginazione » , « romanzo » ) , e con l'aggettivo fic­ tive ( « fittizio » , « finto » ) . Feign ricalca il verbo usato da Tacito: fingebant.27 ...

8. Hobbes non si proponeva di distruggere la religione in quanto immaginazione; si propo­ neva di capire, attraverso la formula parados-

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Figura 2 Abraham Boss e ( ?) Frontespizio di Thomas Hobbes, Leviathan or the Matter, Forme and Power of a Common-wealth Ecclesiastica/l and Civil, manoscritto su pergamena, l 65 l

sale di Tacito, come la religione, frutto della paura e dell'immaginazione umana, possa fun­ zionare. Le conseguenze di questo ragiona­ mento sono, per Hobbes, decisive.28 Il model­ lo delineato per spiegare l'origine della reli­ gione ritorna nella pagina centrale del Leviata­ no, quella che descrive l'origine dello Stato. L'accordo tra gli animali, spiega Hobbes, è naturale; quello tra gli uomini, invece, è un patto artificiale: « Per questo, per far sì che il patto sia durevo­ le, è necessario un potere comune, per tenerli [gli uomini] in uno stato di soggezione [ to keep them in awe ] e per indirizzare le loro azioni al bene comune » .29 Nella descrizione dello stato di natura Hobbes aveva usato la stessa espressione: « Da ciò appare chiaro come, durante il tempo in cui gli uomini sono sprovvisti di un potere comune che li tenga tutti in uno stato di sogge­ zione [ to keep them all in awe] , essi si trovino in quella condizione che è chiamata guerra, e ta­ le guerra è di ciascuno contro l'altro » .30 Dunque, sia nel caso dell'origine della religio­ ne, sia in quello dell 'origine dello Stato, tro­ viamo all'inizio la paura (Jeare) e alla fine, co­ me risultato, la soggezione o reverenza ( awe) . In mezzo, la finzione, che s'impone a coloro che l'hanno creata come una realtà: « Questa è la fondazione di quel grande Levia­ tano o piuttosto, per parlare con più reveren­ za, di quel Dio mortale a cui, al di sotto del

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Figura 3 Abraham Bosse ( ?) Frontespizio di Thomas Hobbes, Leviathan, manoscritto su pergamena, 1 65 1 (particolare)

Dio immortale, noi siamo debitori della no­ stra pace e difesa » .31 Il Leviatano, creazione artificiale, si erge di fronte a coloro che con il loro patto l'hanno creato - coloro di cui è fatto - come un ogget­ to che incute soggezione. Nell'immagine di­ segnata a matita (fig. 2) , probabilmente da A­ braham Basse, sul frontespizio dell'esemplare in pergamena dedicato a Carlo II, la miriade di uomini di cui è fatto il corpo del Leviatano guarda il lettore, cioè in questo caso il re (fig. 3) . 32 N ella versione finale della prima edizio­ ne a stampa c'è un cambiamento, verosimil­ mente suggerito da Hobbes, che traduceva in un 'immagine potentemente suggestiva le pa-

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role di Tacito: fingunt simul creduntque. 33 La mi­ riade di uomini guarda in alto, con soggezione e reverenza, l' « uomo artificiale » che esiste grazie a loro (fig. 4) : il Leviatano che, attraver­ so il patto che li lega, essi stessi hanno costrui­ to.34 A destra di chi guarda (fig. 5) , l 'incisore, forse Abraham Basse, guidato da Hobbes, trac­ ciò i profili, alti 3 millimetri, di due medici del­ la peste, col viso coperto dalla maschera a bec­ co che si riteneva potesse proteggerli dai mia­ smi del morbo (fig. 6) . Evidentemente Hobbes si era ricordato della pagina di Tucidide sulla peste di Atene, dissolvitrice di tutti i legami del­ la città.35 9. Dunque Hobbes presenta l'origine della re­ ligione e l 'origine dello Stato in maniera pa­ rallela. Ma nello Stato da lui delineato la reli­ gione - o meglio la Chiesa - non ha alcuna autonomia. Il frontespizio del Leviatano raffi­ gura il « Dio mortale » , lo Stato, con la spada in una mano, il pastorale nell'altra. Per Hobbes il potere dello Stato non poggia solo sulla for­ za, ma sulla soggezione, awe: la parola che ab­ biamo visto comparire in posizione strategica nei passi del Leviatano dedicati all'origine del­ la religione e dello Stato. Hobbes aveva usato la stessa parola, come ver­ bo ( awed ) , nella sua traduzione della pagina di Tucidide sugli effetti della peste. « La paura degli dèi e le leggi umane non rappresentava­ no più un freno » aveva scritto Tucidide. Come

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si ricorderà, Hobbes aveva tradotto: « non in­ cutevano più soggezione » . La spiegazione di questo scarto rispetto al testo greco va cercata probabilmente nelle parole immediatamente precedenti. Tucidide aveva parlato di « paura degli dèi » ( theon phobos) . Allorché tradusse fear of the gods, Hobbes avrà certamente pensato che la parola fear ricorre continuamente, co­ me sostantivo e come verbo, nella Kingjames Bible, associata a Dio e al « timor di Dio » . Ma il timor di Dio non è identico alla paura. L'e­ spressione timorDei, usata nella traduzione lati­ na di san Girolamo, che a sua volta ricalcava la traduzione greca della Bibbia ebraica, detta dei Settanta, non trasmette l'ambivalenza rac­ chiusa, nella Bibbia ebraica, dalla parola corri­ spondente: yir'ah. Come ho appreso dagli ami-

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Figure 4 e 5 Abraham Basse (?) Frontespizio d i Thomas Hobbes, Leviathan, And rew Crooke, London, 1 65 1 (particolare)

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ci che sono venuti in soccorso della mia igno­ ranza dell' ebraico, yir'ah esprime al tempo stesso paura e soggezione.36 Del tutto inade­ guata era la parola timor, scelta da san Girola­ mo nella sua traduzione latina della Bibbia; i­ nadeguata e pericolosa, dato che timor evoca­ va il motto epicureo già ricordato (primus in orbe deosfecit timor) in cui l'origine della religio­ ne era ricondotta alla paura. Certo più vicina all'ambivalenza di yir'ah era la parola awe, che in alcuni passi della Kingjames Bible designa l'atteggiamento dell'uomo verso Dio (Ps, 4, 4 ; 33, 8; 1 19, 1 6l ; Pro, 1 0) . Lo mostrano gli agget­ tivi legati al sostantivo awe: awesome, « che incu­ te reverenza », e awfu� « terribile » . Forse Hobbes sentì il bisogno di inserire, nella sua traduzio­ ne del passo di Tucidide, dopo la parola fear, la parola awed per comunicare la contraddittoria complessità degli atteggiamenti suscitati dalla religione.37 Forse le riflessioni di Hobbes sulla paura (jear) cominciarono qui. Ma come potremmo tradurre yir'ah in italia­ no? L'antica parola terri bilità - quella che Va­ sari riferiva a Michelangelo - ci mette sulla strada giusta. Potremmo usare, al posto di « soggezione » , la parola « reverenza » , che de­ riva dal latino vereor, « temere » .38 Ma forse la vera traduzione di awe è terrore. Ce lo suggeri­ sce indirettamente Hobbes: « . . . Attraverso questa autorità di cui è stato in­ vestito da ogni singolo individuo nello Stato, esso [il Leviatano] è in grado di usare a tal

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Figura 6 Paul Flirst Medico della peste

punto il potere e la forza che gli sono stati con­ feriti, da piegare col terrore la volontà di tutti e fare in modo di indirizzare la volontà di ognu­ no al mantenimento della pace interna e all'a­ iuto reciproco contro i nemici esterni » .39 Si dice di solito che Hobbes inaugura la filoso­ fia politica moderna proponendo per la pri­ ma volta un'interpretazione secolarizzata del­ l'origine dello Stato. La lettura che ho propo­ sto qui è diversa. Per Hobbes il potere politico presuppone la forza, ma la forza da sola non basta. Lo Stato, il « Dio mortale » generato dal­ la paura, incute terrore: un sentimento in cui si mescolano in maniera inestricabile paura e soggezione.40 Per presentarsi come autorità legittima lo Stato ha bisogno degli strumenti (delle armi) della religione. Per questo la rifles­ sione moderna sullo Stato s'impernia sulla teo­ logia politica: una tradizione inaugurata da Hobbes. Questa conclusione ci fa guardare con occhi diversi il fenomeno, ben lontano dal suo com­ pimento, che chiamiamo secolarizzazione. Le parole di Alberico Gentili citate da Cari Schmitt - Silete theologi in munere alieno! - pos­ sono essere riferite sia alla teologia politica sia alla secolarizzazione. La secolarizzazione non si contrappone alla religione: ne invade il campo.41 Le reazioni alla secolarizzazione che si manifestano sotto i nostri occhi si spie­ gano (ho detto spiegano, non giustificano) al­ la luce di questa usurpazione.

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1 0. Ho cominciato il mio discorso awertendo che mi sarei allontanato dal presente, anche se al presente avrei finito col tornare. Lo fac­ cio ora. Qualcuno ricorderà il bombardamen­ to di Baghdad del marzo 2003. Il nome in co­ dice dell' operazione era Shock and Awe . La traduzione apparsa in alcuni giornali italiani fu « Colpire e terrorizzare » . In un articolo ap­ parso su « il manifesto » il 24 marzo 2003 Clara Gallini, forte della sua competenza di studiosa di storia delle religioni, osseiVÒ che quella tra­ duzione « non restituisce appieno la sinistra com p lessi tà della locuzione originaria » : essa andava riferita non a un terrore in senso psi­ cologico ma a un « terrore sacro » .42 Lo stesso articolo ricordava un passo della Bibbia - Es, 23, 2 7 - commentato nel famoso libro di Ru­ dolf Otto intitolato Il sacro : « Manderò il mio terrore davanti a te » dice il Signore « e mette­ rò in rotta ogni popolo in mezzo al quale en­ trerai » .43 In questo caso la parola ebraica ( e­ mati ) esprime, a quanto mi vien detto, un ter­ rore privo di ambivalenza. Rudolf Otto ricor­ dava Behemoth e Leviatano, i mostruosi ani­ mali descritti nel libro di Giobbe, come esem­ pi della terribile ambivalenza del sacro. Ma né Rudolf Otto né Clara Gallini ricordarono Hobbes.44 L'allusione a Hobbes nell 'espressione Shock and Awe era stata invece immediatamente iden­ tificata in un saggio di Horst Bredekamp, au­ tore di un importante libro dedicato al fronte-

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spizio del Leviatano e alle sue implicazioni. Bre­ dekamp partiva da Hobbes per arrivare al pre­ sente, all'influenza esercitata dalle idee di Leo Strauss sui neoconseiVatori americani.45 In u­ na direzione simile si è mosso, in maniera me­ no approfondita, Richard Drayton, in u11 arti­ colo apparso sul « Guardian » nel dicembre 2005, dedicato ai neoconseiVatori americani e ai disastrosi risultati della loro politica este­ ra.46 Drayton osseiVÒ che Paul Wolfowitz, Rich­ ard Perle e i loro amici, ispirandosi all'inse­ gnamento di Leo Strauss, si erano proposti di adattare Hobbes al XXI secolo, diffondendo terrore tecnologico per creare sottomissione. Ma sia Shock an d Awe sia Hobbes, commentò Drayton, hanno finito col ritorcersi contro chi li aveva evocati. Ma la partita è tutt'altro che chiusa. Harlan Ullman, l'analista militare americano che nel 1 995 aveva lanciato la parola d'ordine Shock and Awe, aveva citato la bomba atomica sgan­ ciata su Hiroshima come modello di questa strategia. Dopo l' 1 1 settembre 2001 Ullman è tornato alla carica (è il caso di dirlo) . La con­ clusione della guerra contro il terrorismo glo­ bale, ha spiegato, è a portata di mano. « Com­ binando conoscenze quasi perfette, rapidità, esecuzione brillante e controllo dell'ambien­ te » ha scritto Ullman « possiamo infliggere al nemico una sconfitta rapida e decisiva con il minor numero di perdite possibile » .47 Natu­ ralmente Ullman pensa solo alle perdite ame-

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ricane: quelle del nemico (civili compresi) de­ vono essere invece massimizzate. Ma le sangui­ nose notizie che arrivano dall'Iraq smentisco­ no quasi ogni giorno la tracotanza militar-tec­ nologica di personaggi come Ullman. 1 1 . Viviamo in un mondo in cui gli Stati mi­ nacciano il terrore, lo esercitano, talvolta lo subiscono. E il mondo di chi cerca di impadronirsi delle armi, venerabili e potenti, della religione, e di chi brandisce la religione come un' arma. Un mondo in cui giganteschi Levia­ tani si divincolano convulsamente o stanno acquattati aspettando. Un mondo simile a quel­ lo pensato e indagato da Hobbes. Ma qualcuno potrebbe sostenere che Hobbes ci aiuta a immaginare non solo il presente ma il futuro: un futuro remoto, non inevitabile, e tuttavia forse non impossibile.48 Supponiamo che la degradazione dell ' ambiente aumenti fino a raggiungere livelli oggi impensabili. L'inquinamento di aria, acqua e terra finireb­ be col minacciare la sopravvivenza di molte specie animali, compresa quella denominata Homo sapiens sapiens. A questo punto un con­ trollo globale, capillare sul mondo e sui suoi abitanti diventerebbe inevitabile. La sopravvi­ venza del genere umano imporrebbe un pat­ to simile a quello postulato da Hobbes: gli in­ dividui rinuncerebbero alle proprie libertà in favore di un super-Stato oppressivo, di un Le­ viatano infinitamente più potente di quelli ....

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passati. La catena sociale stringerebbe i mor­ tali in un nodo ferreo, non più contro l' « em­ pia natura » , come scriveva Leopardi nella Gi­ nestra, ma per soccorrere una natura fragile, guasta, vulnerata. 49 Un futuro ipotetico, che speriamo non si veri­ fichi mai.

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III. D avid, Marat. Arte politica religione

a Willibald Sauerliinder

l. Prima di tutto una scusa, anzi due. Parlerò

di un quadro celeberrimo pur non essendo uno storico dell' arte. Ma spero di poter mo­ strare che sul Marat à son dernier soupir ( all'ulti­ mo respiro : è questo il titolo usato da David in una lettera) c ' è ancora qualcosa da dire (fig. l) . 1 N el corso della mia esposizione ricorderò sia fatti noti a tutti, sia risultati di ricerche no­ te a tutti gli studiosi di David. Mi rivolgerò an­ che a questi ultimi, ma non soltanto a loro. L'intreccio tra arte, politica e religione che sta dietro il Marat all 'ultimo respiro getta luce, co­ me proverò a spiegare nella conclusione, su questioni oggi ineludibili. Comincerò da un particolare: la data del qua­ dro (fig. 2 ) . Le parole l 'an deux sono scritte in lettere maiuscole sulla cassa di legno raffi­ gurata sulla destra del quadro, in basso, sotto la dedica e la firma: à Marat, l David. Il calen­ dario rivoluzionario, il cui inizio simbolico

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Figura l Jacques-Louis David Marot all'ultimo respiro

Figu ra 2 Jacques-Louis David Marat all'ultimo respiro (particolare)

coinci deva con il 22 settembre 1 792, primo giorno dell' èra repubblicana, era entrato uffi­ cialmente in vigore, sostituendo il calendario cristiano, il 6 ottobre 1 793, dieci giorni prima dell'esposizione al pubblico del Marat di Da­ vid nella Cour carrée del Louvre. 2 Le parole l'an deux, che oggi ci appaiono un elemento essenziale del quadro, vennero probabilmen­ te aggiunte all'ultimo momento. La data se­ condo il calendario tradizionale - l 793 - è ancora visibile, benché semicoperta dal colo­ re; l' eventualità che sia riemersa in seguito a un restauro mi pare, dopo aver rivisto il qua­ dro qualche tempo fa, da escludere. Il significato del nuovo calendario, da cui era­ no scomparsi tutti gli elementi cristiani, era, ed è, chiarissimo: con esso la repubblica nata dalla Rivoluzione dichiarava aperta una nuo­ va èra. Oggi è inevitabile chiedersi quanto il nostro modo di percepire questa rottura radi­ cale con il passato (e anche, indirettamente, il nostro modo di percepire il quadro di David) sia stato modificato dagli eventi della fine del secolo scorso. E stato detto ripetutamente con soddisfazione o con rimpianto - che il ci­ clo storico cominciato a Parigi nel 1 789 è ter­ minato esattamente duecento anni dopo, nel 1989. Secondo quest'interpretazione il crollo dei regimi comunisti nell 'Europa dell' Est a­ vrebbe segnato la fine dell' Era delle Rivolu­ zioni, intese come progetto radicale e globale. Può darsi. Ma le lancette dell' orologio della ....

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storia (per ricorrere a quest'immagine trita) non possono essere spostate all'indietro. Il ca­ lendario decristianizzato durò solo pochi an­ ni, ma le ripercussioni di lungo periodo della Rivoluzione so110 ancora ben visibili. Come tutti sanno, l'irrompere sulla scena politica di gruppi sociali non privilegiati e l'abolizione di privilegi legati alla nascita hanno cambiato in maniera irreversibile la storia della Francia, dell'Europa, del mondo. Continuità e discon­ tinuità, prossimità e lontananza s'intrecciano anche nel quadro di David. 2 . Tra il 1 792 e il l 793 il processo che aveva a­ vuto inizio nel 1 789 subì un'improvvisa acce­ lerazione. Ai massacri di settembre seguirono il processo al sovrano e la sua condanna a morte. La Convenzione approvò la sentenza con un voto di maggioranza. Tra i deputati c 'era David. Al momento del voto si avvicinò alla tribuna e pronunciò due parole: « La mort » . Fu anche uno di coloro che si pronun­ ciarono contro la sospensione della sentenza (questa volta la maggioranza fu più consisten­ te) . Il 2 1 gennaio 1 793 l'ex re venne ghigliot­ tinato. Il 20 gennaio, ossia il giorno prima dell' esecu­ zione, Michel Le Peletier de Saint-Fargeau, un aristocratico che si era schierato con la Ri­ voluzione, venne avvicinato da un uomo che gli chiese se avesse votato a tavo re della morte del re. Le Peletier rispose affermativamente, e

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Figura 3 Pierre-Aiexandre Tardieu Le Peletier de Saint-Fargeau su/ letto di morte

cominciò a spiegare perché; fu pugnalato a morte. L'evento suscitò una forte indignazio­ ne, largamente spontanea. David accettò di ritrarre Le Peletier de Saint-Fargeau, primo martire della Repubblica. Il quadro, come spiegherò più avanti, non esiste più. Attraver­ so alcune copie a matita e il frammento di una stampa di Tardieu basata sul quadro di David, possiamo farci un 'idea dell' opera perduta: un'immagine eroica, austera, ispirata a un mo­ dello antico (fig. 3) . La Convenzione, e il pubblico in generale, si aspettavano da David proprio questo. I rivolu­ zionari, inebriati da Plutarco e da Rousseau, guardavano all'antichità, a Roma e ad Atene, come a modelli di civismo e di virtù eroiche. Nel Giuramento degli Orazi, dipinto cinque an­ ni prima della presa della Bastiglia ( 1 784; fig. 4) , Davi d aveva anticipato l'ethos repubblica­ no; pochi anni dopo contribuì fortemente a modellarlo. Dopo lo scoppio della Rivoluzio­ ne Davi d si trovò al centro della scena artistica e politica. Il suo prestigio, la sua influenza era­ no immensi. Egli divenne prima segretario, poi presidente della Convenzione. Durante il Terrore si occupò direttamente delle attività del tribunale rivoluzionario. Ma l' impegno politico non rallentò le sue molteplici attività artistiche. David divenne una specie di coreo­ grafo politico: preparò minuziosamente feste politiche e funerali; disegnò sigilli, monete e caricature politiche, costumi adatti alla nuova

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società uscita dalla Rivoluzione (fig. 5) e ri­ tratti di martiri repubblicani come Le Peletier e Marat.3 Tutto ciò fa parte dell'immagine tradizionale, diciamo pure stereotipata di David. Ma a un esa­ me più rawicinato essa appare più complicata. Figu ra 4 Jacques-Louis David Il giuramento degli Orazi

3. L'assassinio di Marat, l'Ami du peupk, aveva scatenato un 'emozione fortissima.4 Il giorno

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successivo, il 1 4 luglio 1 793, il deputato Gui­ rault prese la parola di fronte alla Convenzio­ ne: « "O spettacolo orrendo! Marat è sul letto di morte ! David, dove sei? Tu hai trasmesso ai posteri l'immagine di Lepellettier morente per la patria; ti resta da fare ancora un quadro . . . ". "Sì, lo farò" rispose David » . 5 Il suo legame con Marat era stato politico e personale. Nell'aprile del l 793, quando la Convenzione aveva messo Marat sotto accusa, David l'aveva difeso con un coraggio prossimo alla temerarietà. 6 11 1 6 ottobre il Marat era terminato. Erano pas­ sati tre mesi. David, che si era occupato dell'or­ ganizzazione dei funerali di Marat, curò anche l'esposizione al pubblico, nel cortile del Louvre, dei due quadri che commemoravano Le Pele­ tier e Marat. Più tardi i quadri furono trasferiti alle Tuileries, nella sede della Convenzione, do­ ve rimasero appesi uno accanto all'altro per quindici mesi. Nel 1 795, durante il Direttorio, David riuscì a rientrare in possesso di entrambi. Si è supposto che David abbia voluto occultare i due quadri per scongiurame una possibile di­ struzione, oppure che abbia voluto cancellare le tracce più appariscenti del suo passato politico: due ipotesi che non si escludono. 7 Per decenni il LePeletiere il Marat rimasero inaccessibili al pub­ blico. 11 5 aprile 1 820 Gros scrisse a David, esule a Bruxelles, informandolo che i due quadri, in­ sieme a due copie del Marat, si trovavano in un luogo sicuro, coperti da un involucro: « tutto questo, nella maniera più discreta possibile » . 8

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Figu ra 5 Jacques-Louis David Abbozzo di costume: costume da legislatore

4. Lo spazio del museo è per definizione uno spazio astratto, molto diverso da quello a cui quadri o statue erano stati destinati. Nel caso del Marat all 'ultimo respiro, oggi esposto ai Musées royaux des Beaux-Arts di Bruxelles, la soppressione del contesto originario del qua­ dro comincia dalla scomparsa del suo pendant. La figlia di Le Peletier, Suzanne, dopo avere eliminato i particolari più imbarazzanti del ri­ tratto del padre, acquistato nel l 826, avrebbe finito col distruggerlo. 9 Che il Marat e il Le Peletier fossero stati conce­ piti (e venissero percepiti) come quadri inti­ mamente connessi tra loro risulta chiaro da quanto detto fin qui. Secondo un testimone oculare essi avevano le stesse dimensioni. 10 La rassomiglianza tra i due quadri, quello esi­ stente e quello perduto, è evidente. Ma un 'a­ nalisi più attenta fa emergere alcune diver­ genze: a) mentre Le Peletier è morto, Marat è raffi­ gurato « all'ultimo respiro » : la mano tiene an­ cora la penna e sul suo volto aleggia un vago sorriso. b) Un disegno di un allievo di David (fig. 6) , basato sul dipinto perduto, mostra che sul corpo reclino di Le Peletier pendeva una spa­ da, che trapassava un foglio di carta, sul quale si leggevano le parole ]e vote la mort du tyran: « voto per la morte del tiranno » . 1 1 Come Da­ vi d stesso spiegò alla Convenzione, la spada alludeva a un aneddoto raccontato da Cicero.

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ne ( Tusculanae Disputationes, V, 6 1-62 ) . Dio­ nigi, tiranno di Siracusa, costrinse Damocle (che aveva parlato di lui con invidia) a pren­ dere il suo posto in un sontuoso banchetto, sotto una spada che gli pendeva sulla testa, ap­ pesa a un filo. Il significato del quadro era chiaro: i rivoluzionari, al pari dei tiranni, vivo­ no in una condizione di pericolo perenne. Al­ trettanto chiaro, anche se formulato in un lin-

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Figu ra 6 Anatole Devosge Le Peletier de Saint-Fargeau sul letto di morte

guaggio allegorico, era il nesso tra il voto di Le Peletier e il gesto che aveva posto fine alla sua vita. Nel ritratto di Marat, invece, non c'è alle­ goria. Tutto è letterale, fino all'ultimo parti­ colare: la vasca da bagno, il calamaio, la tavola di legno usata come scrittoio, l 'assegnato po­ sato su una lettera indirizzata a una povera ve­ dova madre di cinque bambini. 12 L'assassina, invisibile, è evocata per mezzo della lettera, a­ perta di fronte allo spettatore: una richiesta di aiuto a Marat che Charlotte Corday tenne con sé senza spedirla. Al posto della spada adorna che pende sulla testa di Le Peletier c'è un u­ mile coltello da cucina, sporco di sangue. La lettera e il coltello evocano la scena del delitto che David aveva evitato di rappresentare. c) Nel 1 826, quando il ritratto di Le Peletier non era ancora stato distrutto, il critico Pier­ re-Alexandre Coupin vide i due quadri e li pa­ ragonò. Egli lodò David per aver sottolineato le differenze tra i due personaggi, soprattutto dal punto di vista dell'origine sociale: l'aristo­ cratico Le Peletier era stato dipinto « con gra­ zia e delicatezza »; Marat, « che nonostante l' edu­ cazione ricevuta aveva mantenuto un com­ portamento plebeo » , palesava « una natura sgradevole e rozza » . 1 3 In realtà, una serie di ritratti contemporanei mostrano che David abbellì i lineamenti di Marat. Ma il paragone tracciato da Coupin, al di là dell'ostilità (allo­ ra scontata) nei confronti di Marat, toccava un punto importante. I due quadri sembrano

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parlare un linguaggio simile, ispirato all'anti­ chità classica. Un taccuino risalente agli anni del soggiorno romano di David conserva uno schizzo basato su un sarcofago con il com­ pianto di Meleagro (fig. 7) . David riutilizzò questo motivo prima nell' Andromaca piange la morte di Ettore ( 1 783; fig. 8) , poi nel quadro perduto che rappresentava Le Peletier sul let­ to di morte e infine nel Marat all 'ultimo respiro. Ma in quest'ultimo quadro i ricordi classi­ cheggianti erano mescolati a qualcosa di com­ pletamente diverso. Chi ha letto Mimesis, il grande libro di Erich Auerbach, ricorderà che esso è costruito sulla tensione, che si sviluppò all'interno della tra­ dizione letteraria occidentale, tra un 'idea di gerarchia stilisti ca (e sociale) ereditata dal-

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Figura 7 Jacques-Louis David Morte di Meleagro

l 'antichità classica e il sowertimento di quell'i­ dea da parte del cristianesimo. Secondo la tra­ dizione classica la tragedia raccontava, in stile elevato e solenne, le gesta dei re e dei princi­ pi; la commedia raccontava in stile basso, ric­ co di particolari tratti dalla vita quotidiana, storie che avevano come protagonisti perso­ naggi di umile estrazione sociale; la satira si muoveva a un livello intermedio tra i due e­ stremi. Questa gerarchia sociale e stilistica venne sconvolta dai Vangeli: narrazioni che raccontavano in uno stile semplice e diretto la storia di un personaggio che, dopo aver vissu­ to tra pescatori, cambiavalute e prostitute, ve­ niva costretto a subire un 'incoronazione grot­ tesca e infine moriva sulla croce come uno schiavo. 14 La raffigurazione di un eroe che muore accoltellato in una vasca da bagno co­ stituiva una violazione analoga del decorum classico. Lo stesso si può dire degli umili og­ getti che David raffigurò con tanta evidenza: la vasca da bagno, il calamaio, il coltello da cu­ cina, la tavola usata come scrittoio. Il Marat al­ l'u ltimo respiro parlava una lingua classica, ma con accento cristiano. 5 . Ciò che ho detto fin qui non è nuovo. In un libro di forte originalità, Transformations in Late Eighteenth Century Art, apparso nel l 967, Rob­ ert Rosenblum parlò del « cadavere santifica­ to di Jean-Paul Marat ». « N 011 è affatto sorpren­ dente » osservò Rosenblum « che in questa am-

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Figura 8 Jacques- Louis David Andromaca piange la morte di Ettore

bientazione cripto-cristiana gli oggetti inani­ mati che circondano il martire - il coltello, la penna, il calamaio - assumano il significato di sante reliquie. In effetti alcune vestigia ma­ teriali - il blocco per scrivere, la vasca da ba­ gno, la camicia insanguinata - di quella che era considerata un'irreparabile perdita spiri­ tuale furono esposte al funerale di Marat co­ me oggetti di venerazione » . 15 La parola « venerazione » dev'essere presa alla lettera. Nel corso dei funerali il cuore di Ma­ rat venne invocato accanto a quello di Gesù: « O cuore di Gesù! O cuore di Marat! » . 16 Il pa­ rallelo tra Gesù e Marat, martiri dell'intolle­ ranza e del privilegio, venne formulato da più parti. Testimonianze diverse indicano che Marat, dopo la morte, divenne oggetto di un vero e proprio culto. Come interpretare tutto ciò? Come varianti superstiziose di riti cattoli­ ci tradizionali? Come atteggiamenti ispirati da un 'ibrida religiosità in statu nascendi?17 In un saggio documentariamente molto ricco Frank Paul Bowm an ha respinto entrambe le interpretazioni: le connotazioni religiose del cosiddetto culto di Marat sarebbero frutto di una proiezione retrospettiva, nata nel clima del l 848. Ma si tratta di una tesi insostenibile. Prendiamo un testo citato dallo stesso Bow­ man: il Discours pronunciato da Sauvageot, maire de la commune de Dijon, le 25 brumaire, an II, lejour de l'inauguration du buste de Marat.

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Dopo aver ripreso il parallelo tra Gesù e Ma­ rat, Sauvageot concluse dicendo: « Cittadini, Marat merita il nostro incenso, ma non dev'essere divinizzato: in lui dobbiamo vedere soltanto un uomo che ha servito il pro­ prio paese. Se i nostri antenati non avessero alterato la morale di Gesù divinizzandolo, se avessero visto in lui soltanto un filosofo che voleva mettere i grandi al livello del popolo, il fanatismo e l 'errore non li avrebbero incate­ nati ai piedi dei re e dei preti, e noi oggi non spenderemmo le nostre ricchezze e il nostro sangue per fondare il regno della ragione e della libertà. Sia dunque la libertà la nostra dea » . 1 8 « Incenso » sì, « divinizzazione » no, raccomandava il maire de la commune de Dijon. E una distinzione che sembra ricalcare quella cristia­ na tra la dulia, dovuta ai santi, e la latria, riser­ vata a Dio. Il discorso, pronunciato come si è detto in occasione dell'inaugurazione di un busto di Marat, cercava di porre un freno agli eccessi di una venerazione diffusa. Qualche tempo dopo essa venne definita, polemica­ mente, « culto » , come risulta da un 'immagi­ ne, ben nota agli studiosi di David, intitolata Culto di Marat, parte della serie Plaies de l'Egipte (fig. 9) . 19 Sotto il giovane inginocchiato che cosparge d' incenso il busto di Marat si legge la didascalia: Dans leur aveuglement à ce monstre odieux l Ils présentoient l 'encens que l 'on ne doit qu 'aux Dieux ( « Nel loro accecamento offriva....

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no a questo mostro odioso l l 'incenso che è dovuto solo agli dèi » ) . Le Plaies de l 'Egipte ri­ salirebbero al l 793-1 795 : date compatibili sia con lo sguardo retrospettivo, sottolineato dal verbo all'imperfetto (présentoient) , sia con il ri­ ferimento classicheggiante ( aux Dieux) . Ma il duplice, non banale, riferimento all' « incen­ so » e al busto di Marat potrebbe alludere pro­ prio al discorso di Sauvageot. In questo caso il bersaglio dell'immagine sarebbe triplice: Ma­ rat, « mostro odioso » ; i devoti accecati che lo venerano; coloro che, come il maire de la com­ mune de Dijon, polemizzano con i devoti ma considerano Marat « un uomo che ha servito il proprio paese » . Ma anche chi ritenga insuf­ ficientemente provata la connessione tra quell'immagine e quel testo dovrà ammettere che l ' una e l'altro implicano la presenza di quello che chiameremo « culto di Marat » : un fenomeno ampiamente documentato, che non può essere identificato con una proiezione re­ trospettiva. 6. Il cuore estratto dal cadavere di Marat fu conteso dai Cordiglieri, seguaci di Hébert, e i Giacobini. I Cordiglieri ebbero la meglio, e il 26 luglio misero ai voti, e approvarono, la pro­ posta di « erigere un altare dedicato al cuore di Marat, l'incorruttibile » . 20 Il culto repubbli­ cano tributato a Marat era ben diverso dal cul­ to popolare che paragonava il cuore di Marat a quello di Gesù. Ma l'uno e l'altro fanno par-

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Figura 9 Cari De Vinck Culto di Marat (dalla serie Plaies de I'Egipte: ou état de la France depuis 1 78 9 jusqu'à /'établissement de la Constitution aauelle)

te del contesto entro cui presero forma le scel­ te di David. Il termine « scelte » non è ovvio. Robert Rosenblum ha scritto che « David, in quanto fanatico giacobino, naturalmente ri­ gettava il cristianesimo; tuttavia tradizioni cri­ stiane camuffate persistevano inevitabilmente nella sua opera » . 21 Questa conclusione è inac­ cettabile. Supporre che in un frangente così grave David abbia ceduto alla spinta di costri­ zioni stilistiche o iconografiche « inevitabili » , cioè incontrollate, significa trascurare tutto ciò che sappiamo della storia del Marat, dal l 4 luglio, giorno in cui venne commissionato, al 1 6 ottobre, giorno in cui venne esposto. Non siamo di fronte a un semplice quadro politico, bensì a un atto politico, compiuto da un pitto­ re che aveva responsabilità politiche di primo piano. Molto più convincenti appaiono allora le interpretazior1i che leggono in chiave poli­ tica l'intreccio di elementi classici ed elemen­ ti cristiani che caratterizzano il Marat all 'ulti­ mo respiro. Secondo Klaus Herding quell'in­ treccio corrisponderebbe a un « estremo ap­ pello all'unità rivoluzionaria » . 22 In una pro­ spettiva non diversa Thomas Crow ha parlato di un « compromesso implicito » tra « il rifiuto della Chiesa da parte della Rivoluzione » e l'o­ stilità di Robespierre nei confronti dell'atei­ smo, che lo spingeva a cercare di « porre un freno allo zelo estremistico dei de-cristianiz­ zatori » .23

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7. Quanto detto fin qui potrebbe far pensare che sulla presenza di elementi cristiani o di al­ lusioni all 'iconografia cristiana del Cristo morto ci sia, da parte degli storici dell'arte che si sono occupati del Marat di David, un accor­ do abbastanza pacifico. In realtà voci discor­ di non sono mancate. Tra queste, particolar­ mente rilevante quella di Willibald SauerHin­ der, che in un saggio molto acuto ha insisti­ to sulle caratteristiche all'antica del quadro di David. Saisis tes pinceaux, venge notre ami ( « Prendi i tuoi pennelli, vendica il nostro amico » ) : le parole rivolte a David dal deputato Guirault non erano certo un invito alla compassione. Il Marat, ha concluso Sauerlander, è un exem­ plum virtutis, non una « pietà giacobina » . 24 In questa prospettiva il culto di Marat veniva li­ quidato prevedibilmente come un fenomeno marginale, basato su testimonianze retrospet­ tive. Ma alla fine del saggio, in una pagina de­ dicata alla fortuna postuma del quadro di Da­ vi d, Sauerlander ha finito col mettere sot­ tilmente in discussione la propria interpreta. ZIOne. Come si è visto, dopo il l 795 il Marat sparì per decenni dalla circolazione. Dopo la morte del pittore gli eredi cercarono, senza successo, di venderlo. Si trattava ancora di un quadro scan­ daloso: per la maggior parte del pubblico (li­ berali compresi) Marat simboleggiava i peg­ giori eccessi del Terrore rivoluzionario. Ma a­ gli occhi di un pubblico scelto di pittori o co-

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noscitori David poteva apparire non meno scandaloso di Marat. Nel giugno 1 835 John Constable, il grande pittore inglese, scrisse all'amico e confidente Charles Leslie: « Ho vi­ sto i quadri di David; sono dawero odiosi » . Si trattava del Napoleone valica le Alpi, di Marte di­ sarmato da Venere, e del Marat, allora esposti a Londra. « David » commentò Constable « sem­ bra aver formato la propria mente a tre fonti: il patibolo, l'ospedale e il bordello » . 25 Nel 1 846 il Marat venne esposto a Parigi. Bau­ delaire lo vide e ne parlò in una pagina indi­ menticabile. Basterà citarne pochi passi per mostrare come la descrizione - l' ekphrasis, in­ ventata e praticata dai Greci - potesse trasfor­ marsi, nelle mani di un poeta e di un critico ( quel poeta, quel critico) , in uno strumento di conoscenza: « Il divino Marat, con un braccio fuori dalla vasca, e la penna per l'ultima volta nella mano ormai inerte, il petto trafitto dal­ la ferita sacrilega, ha appena reso l 'ultimo resp1ro » . Il divino Marat, la ferita sacrilega : parole che discretamente segnalano le allusioni cristiane che rendevano il quadro di David ancora più scandaloso. « Tutti questi particolari » conti­ nuò Baudelaire « sono storici e reali, come un romanzo di Balzac; c'è il dramma, vivo in tut­ to il suo lugubre orrore, e per uno strano pro­ digio, che fa di questo dipinto il capolavoro di David e una delle grandi curiosità dell' arte moderna, non ha nulla di volgare o d'ignobi.

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le . . . crudele come la natura, il quadro ha tutta la fragranza dell'ideale » . Mara t si è trasformato; la sua bruttezza fisica si è dileguata; la morte, anzi la « santa Morte » , « lo ha appena baciato con le sue labbra amoro­ se, ed egli posa nella calma della propria meta­ morfosi. C'è nell'opera qualcosa di tenero e di doloroso al tempo stesso; nell'aria fredda della stanza, sui freddi muri, attorno alla fredda e fu­ nebre vasca, aleggia un'anima » . 26 Sauerlander cita alcuni passi tratti da questa pagina; poi trae implicitamente le conseguen­ ze della descrizione di Baudelaire concluden­ do il proprio saggio con una fulminea illumi­ nazione critica: « Nel Marat di David si awerte, dentro l'icona giacobina, la sensualità raffina­ ta della pittura del Settecento prerivoluziona­ rio, il profumo stupefacente delle immagini di boudoir e di toilette» . 2 7 « Qualcosa di tenero e di doloroso al tempo stesso » aveva scritto Baudelaire; « la sensualità raffinata della pittura del Settecento prerivo­ luzionario » ha osservato Sauerlander. Provo a fare un passo ulteriore in questa direzione . Ritengo che nel dipingere il Marat all 'ultimo respiro David abbia cercato ispirazione nella cultura rococò che aveva assorbito in gioven­ tù. Più precisamente, penso che nella miscela esplosiva che ribolliva nella memoria di Davi d fosse riemersa un 'opera di Pierre Legros, uno degli scultori più importanti attivi sulla scena romana del primo Settecento (fig. 1 0) .28 La

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Figura l O Pierre Legros il Giovane Santo Stanislao Kostka

statua, in marmo policromo, eseguita nel 1 703, raffigura Stanislao Kostka, un gesuita polacco morto nel 1 567 all'età di diciotto anni, dichia­ rato beato nel 1 605, e santificato nel 1 726. La statua si trova ancora oggi nello spazio che le era destinato originariamente: la stanza in cui

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Kostka morì, situata nel Noviziato che si trova dietro la chiesa di Sant'Andrea al Quirinale a Roma. Un confronto tra la statua di Legros e il Marat all 'ultimo respiro di David fa emergere sia diver­ genze sia convergenze (figg. 1 1 e 1 2) . Stani­ slao Kostka indossa un mantello nero, una specie di vestaglia, mentre Marat è nudo; l 'in­ clinazione delle due teste è simile (anche se la statua è stata fotografata da un angolo diver­ so) ; la mano sinistra di Kostka è leggermente sollevata (il gesuita sta esalando l 'ultimo re­ spiro) per tenere un 'immagine sacra, in un gesto non troppo dissimile da quello di Marat che tiene la lettera di Charlotte Corday; in en­ trambi i casi un sorriso quasi impercettibile segnala il preciso momento in cui la vita sta abbandonando il corpo. « Qualcosa di tenero e di doloroso al tempo stesso » : le parole di Baudelaire sul Marat all'ultimo respiro di David potrebbero essere riferite anche alla statua di Legros. Che David, durante il suo soggiorno romano tra il 1 775 e il 1 778, abbia guardato all' opera di uno scultore francese di prima grandezza come Pierre Legros sembra quasi ovvio. In quella fase decisiva della propria formazione David guardò in totale indipendenza sia a Ca­ ravaggio sia a opere più tarde, definibili come tardo barocche o primo rococò. Marat, un personaggio che era diventato immediata­ mente oggetto di un culto quasi religioso, a-

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Figura I l Jacques-Louis David Marat all'ultimo respiro (particolare) Figura 1 2 Pierre Legros il Giovane Santo Stanislao Kostka (particolare)

vrà fatto riaffiorare il ricordo della statua che raffigurava il beato gesuita Stanislao Kostka. Da questo intrico di memorie legate al passato e di sollecitazioni nate dal presente scaturì un exemplum virtutis nel senso duplice del termi­ ne virtus : virtù classica e virtù cristiana. 8. Questa proposta interpretativa potrà essere accettata o respinta. In ogni caso, alcune delle sue implicazioni oltrepassano il caso specifico, di per sé rilevantissimo. Qui devo inoltrarmi in un terreno che è stato percorso, arrivando a conclusioni diverse dalle mie, per non dire opposte, da Timothy J. Clark: lo studioso in­ glese che con le sue ricerche ha modificato profondamente l'immagine della pittura fran-

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cese dell' Ottocento, da Courbet all'impres­ sionismo. In un libro apparso qualche anno fa, Farewell to an Idea: Episodes from a History of Modernism ( 1 999) , Clark ha dedicato un ca­ pitolo, il primo, intitolato « Painting in the Year 2 » , al Marat di David, presentato come il quadro inaugurai del modemismo. « Ho infatti la sensazione » spiega Clark « che ciò che caratterizza e distingue dagli altri que­ sto momento dell' arte pittorica ( per cui si può dire che esso inauguri un ' epoca) è pro­ prio il fatto che la congiuntura domina incon­ trastata. La congiuntura entra nel procedi­ mento pittorico. Lo invade. Non vi è ormai altra sostanza di cui i dipinti possano essere fatti: nessun dato, nessuna materia, nessun ar­ gomento, nessuna forma, nessun passato uti­ lizzabile. O che, da parte di un possibile pub­ blico, possano essere accettati di comune ac­ cordo » . 29 Nel suo saggio sul Marat all'u ltimo respiro Clark ha esplorato il modo in cui « la congiuntura entra nel procedimento pittorico » . Qui inevi­ tabilmente si è imbattuto nelle testimonianze sul culto religioso o semireligioso di cui Marat era stato oggetto. Come interpretarle? Ecco la risposta: « Quanto più si considera il culto di Marat, tanto meno chiaro risulta quale tipo di feno­ meno si stia studiando. A quale storia esso ap­ partiene? A quella della religione popolare o a quella della formazione statale? All'improv-

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visazione del menu peuple o alla manipolazione da parte delle élite dirigenti? La domanda ri­ guarda l'intero episodio della decristianizza­ zione. E la risposta è, ovviamente, che esso partecipa di entrambi gli aspetti. Il culto di Marat esiste come punto di intersezione fra la congiuntura politica a breve termine e il di­ sincanto del mondo, a lungo termine » .30 Il sentimento di perplessità, per non dire di im­ barazzo, percepibile in queste frasi, scaturisce dalla prospettiva politica che ha modellato Farewell to an Idea : un libro, sottolinea Clark, « scritto dopo la caduta del Muro » .3 1 E un libro nato dalla sconfitta della sinistra, a cui Clark appartiene (e a cui appartengo anch'io) . Ma se il sentimento della sconfitta mi accomuna a Clark, la mia prospettiva, generale e specifica, diverge dalla sua. Comincio dalla questione generale, per passare poi a quella specifica, ossia all'interpretazione del Marat di David, e al nesso che lega l'una e l'altra. Nell'introduzione al proprio libro Clark si sof­ ferma sul « disincanto del mondo » : la formu­ la famosa che Max Weber prese a prestito da Friedrich Schiller per definire la « moderni­ tà » , il mondo in cui viviamo (ma Schiller stes­ so, a sua volta, aveva ripreso, rovesciandolo, il titolo del libro che il sociniano olandese Bal­ thasar Bekker aveva scritto alla fine del Sei­ cento contro la credenza nella magia: Le mon­ de enchanté) .3 2 Il risultato del « disincanto del mondo » osserva Clark « è la "secolarizzazio.....

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ne" . . . un bel termine tecnico . . . Significa spe­ cializzazione e astrazione; vita sociale regolata dal calcolo di grandi probabilità statistiche, nella quale ognuno accetta (o subisce) un al­ to livello di rischio; tempo e spazio trasformati in variabili di quel medesimo calcolo . . . Mi sembra che questo insieme di aspetti sia lega­ to a un processo fondamentale, che ne costi­ tuisce il motore: il processo di accumulazione del capitale e la diffusione del mercato capita­ listico in una parte sempre più ampia del mondo e del tessuto dei rapporti umani » .33 Nel « mondo disincantato » di Clark, o meglio di Max Weber, non esistono vere contraddi­ zioni. Anticipando una possibile obiezione, Clark osserva, in una frase posta tra parentesi: « E, owiamente, non vale affermare - contro la tesi di Weber - che "viviamo nel bel mezzo di un revival religioso", che il marxismo era diventato, nel XX secolo, una spaventevole forma di messianesimo secolare, che la vita quotidiana è ancora tutta permeata di residui di magia, e via dicendo » . 34 « E, owiamente , non vale affermare . . . » : per Clark questi sono fenomeni marginali, che non confutano la tesi di Weber, e che quindi si possono accantonare in una parentesi. Ma questa marginalità non è così owia. Sembra difficile mettere sotto la stessa etichetta i rima­ sugli di magia nella vita quotidiana e il cosid­ detto « ritorno delle religioni » (che in verità non se n 'erano mai andate) . Forse, se avesse

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pubblicato il suo libro dopo l ' 1 1 settembre 2001 , anziché nel 1 999, Clark avrebbe adotta­ to una formulazione meno drastica. Ma il con­ tenuto della sua tesi è quello già detto: la seco­ larizzazione è sinonimo del « disincanto del mondo » che contraddistingue la modernità, ossia la diffusione inarrestabile del mercato capitalistico. 35 In questa prospettiva gli ostacoli alla secolariz­ zazione si configurano come m era arretratez­ za. Se invece guardiamo alla secolarizzazione come a un processo contraddittorio, e tutt'al­ tro che concluso, il Marat di Davi d ci apparirà in una luce diversa, e inversamente. 9. Il quadro, eseguito in un contesto estrema­ mente specifico, alludeva a circostanze con­ tingenti che David e il suo pubblico davano per scontate (per un pubblico odierno non lo sono più) . Clark ha ragione nel sottolineare che elementi congiunturali hanno influito in maniera decisiva sulla produzione (e, aggiun­ gerei, sulla ricezione) del quadro. Ma asserire che « nessun dato, nessuna materia, nessun argomento, nessuna forma, nessun passato u­ tilizzabile » entrarono nella produzione del Marat di David appare insostenibile alla luce degli elementi, sia visivi sia contestuali, che ho presentato e discusso qui. David raffigurò un evento contingente come l'assassinio di Marat servendosi di un linguaggio in cui s'intreccia­ vano tradizioni diverse e distanti: quella classi-

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ca, greca e rornana, e quella cristiana. 36 Que­ sta scelta era doppiamente significativa, per­ ché si trattava di uno dei primi quadri (forse il primo) datato in base a un calendario privo di connotazioni classiche o cristiane. Il quadro che secondo Clark avrebbe inaugurato il mo­ dernismo contraddice radicalmente la sua (e non solo sua) definizione del modernismo in quanto rottura radicale con il passato.37 Ma ·qui non si tratta solo di modernismo. La posta in gioco non è solo artistica, ma politica. Perché David, seguace di Robespierre e della sua politica religiosa, ispirata alla « religione civile » di Rousseau, si appropriò di un 'icono­ grafia cristiana per raffigurare Marat, martire repubblicano? La risposta dovrà partire dalle pagine del Contrat social in cui Rousseau de­ scrisse i pochissimi dogmi della religione civi­ le, tra cui la « santità del contratto sociale e del­ le sue leggi » . 38 Poche pagine prima Rousseau aveva indicato un precursore, Hobbes: « Fra tutti gli autori cristiani il filosofo Hobbes è l'unico che abbia visto chiaramente il male e il rimedio, e che abbia osato proporre di riu­ nire le due teste dell'aquila [il potere religio­ so e il potere secolare] e di ricondurre tutto all 'unità politica, senza la quale né Stato né governo potranno mai essere ben costituiti. Ma egli avrebbe dovuto accorgersi che lo spi­ rito dominatore del cristianesimo era incom­ patibile con il suo sistema, e che l 'interesse del prete sarà sempre più forte di quello dello

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Stato. Non è tanto ciò che vi è di orribile e di falso nella sua politica a renderla odiosa, quan­ to ciò che vi è di giusto e di vero » . 39 Tutto in questa pagina è significativo, a co­ minciare dalla restrizione « fra tutti gli autori cristiani » . Il lettore veniva invitato tra le righe a supplire il nome taciuto del vero iniziatore di quella religione civile: un autore non pro­ priamente cristiano, Machiavelli. « Il Principe di Machiavelli è il libro dei repubblicani » ave­ va affermato Rousseau, sottoscrivendo l'inter­ pretazione che conciliava la presunta dop­ piezza del Principe con il repubblicanesimo dei Discorsi.40 Quest'omaggio era implicita­ mente riecheggiato in un ' altra pagina del Contra t social, in cui la p ossibilità di una « re­ pubblica cristiana » veniva evocata fuggevol­ mente, per essere subito contraddetta: « Ma io mi sbaglio dicendo una repubblica cri­ stiana; le due parole si escludono a vicenda. Il cristianesimo non predica che servitù e sotto­ missione. Il suo spirito è troppo favorevole alla tirannide perché essa non ne approfitti sempre. I veri cristiani sono fatti per essere schiavi; lo sanno e non se ne commuovono af­ fatto; questa breve vita ha troppo poco valore ai loro occhi » . 41 Per Rousseau « l'interesse del prete sarà sem­ pre più forte di quello dello Stato » . Per David, la vittoria della Rivoluzione aveva modificato i rapporti di forza, aprendo spazi di manovra prima impensabili. Un compromesso tra cri-

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stianesimo e religione civile ispirata alla Gre­ cia e a Roma era ormai praticabile; Marat, martire repubblicano, poteva essere raffigu­ rato come un santo. In quel momento crucia­ le della sua brevissima storia la Repubblica na­ ta dall'abbattimento della monarchia di dirit­ to divino cercava una legittimità supplemen­ tare invadendo la sfera del sacro, storicamen­ te monopolizzata dalla religione.42

l O. Quest'invasione della sfera del sacro è pro­

seguita e, in forme contraddittorie, prosegue ancora. E l'altra faccia della secolarizzazione: un fenomeno nato in Europa, e poi dilagato nel mondo, ma che è ben lontano dall'aver vinto la sua battaglia. Il potere secolare si ap­ propria, quando può, dell'aura (che è anche un 'arma) della religione. E un tentativo che ha suscitato, a seconda degli interlocutori e delle circostanze, risposte molto diverse: dalle offerte più o meno esplicite di compromesso alle reazioni violente dei fondamentalisti. Si è parlato, si parla di radici dell 'Europa. E una metafora che si presta a semplificazioni arbitrarie, magari faziose. E chiaro (o dovrebbe esserlo) che il passato, vero o presunto, non può servire a giustificare una realtà politi­ ca in via di costruzione come è oggi l'Europa. Ma chi voglia provare a elencare le radici, molteplici ed eterogenee, dell 'Europa dovrà menzionare anche la secolarizzazione: accan­ to al cristianesimo, di cui essa ha ripreso, mi...

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meticamente, la tendenza ad appropriarsi dei contenuti e delle forme più varie. E una tendenza illustrata in maniera esemplare dal Marat di David: il momento artisticamente più alto di una vicenda che, paragonata con i tempi delle religioni, è ancora agli inizi. ...

Post scriptum Dopo la pubblicazione di questo saggio ho appre­ so, grazie a Wikipedia, che il confronto tra il Marat di Davi d e il Santo Stanislao Kostka di Legros era già stato proposto: cfr. M. Vanden Berghe e I . Plesca, Nouvelles perspectives sur la Mort de Marat » : entre modèle jésuite et références mythologiques, Mare Van­ den Berghe, Bruxelles, 2004 (si tratta di un testo inedito, consultabile attraverso la Bibliothèque royale di Bruxelles) . «

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IV.

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La patria h a bisogno di te »

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LO DO

OPINlO

Nel suo ultimo libro, Theatres ofMemory ( 1 994) , Raphael Samuel scrisse: « Una storiografia sensibile alle ombre della memoria - a quelle immagini dormienti che irrompono non richieste, come sentinelle spettrali dei nostri pensieri - dovrebbe presta­ re attenzione alle immagini non meno che ai libri a stampa o ai manoscritti. L'elemento vi­ sivo ci fornisce rappresentazioni, punti di rife­ rimento subliminali, silenziosi punti di con­ tatto » . 1 Raphael Samuel avrebbe probabilmente ap­ provato il tema scelto per questa conferenza che gli è dedicata. In essa si parlerà non solo di immagini ma di patriottismo: un altro tema al quale Samuel si dedicò con molta energia. Forse non sarebbe stato d' accordo sul modo in cui questi temi verranno affrontati: un pos­ sibile elemento di divergenza su cui si tornerà nella conclusione.

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Figu ra l Alfred Leete Britons. Join Your Country 's Army!

l . « Un generale mediocre, ma un magnifico manifesto » : questa battuta, attribuita a Lady Asquith, è stata per molto tempo associata alla memoria di Lord Kitchener (fig. l ) .2 Una valutazione storica della lunga carriera militare di Lord Kitchener sarebbe fuori luogo qui. Ciò di cui si discuterà non è la realtà ma l'immagine, nel senso letterale del termine: il manifesto, visto come punto d'arrivo e come catalizzatore di una serie di processi in tricati, che devono essere analizzati da vicino. Lord Kitchener, allora governatore militare dell'Egitto, arrivò in Inghilterra il 23 giugno 1 9 1 4. Il 28 giugno Francesco Ferdinando d'A­ sburgo, arciduca d'Austria, fu assassinato a Sa­ rajevo; il 28 luglio l'Austria-D ngheria dichiarò guerra alla Serbia, che aveva respinto il suo ultimatum. Il 3 agosto, alla vigilia della dichia­ razione di guerra inglese, il « Times » pubbli­ cò un articolo in cui invitava il primo ministro, Lord Asquith, a cedere la propria posizione di segretario di Stato alla Guerra al governatore dell'Egitto, momentaneamente in Inghilterra per le ferie: « [Ki tchener] si trova in patria; se venisse scel­ to per questa posizione, gravosa e importante, il consenso dell'opinione pubblica sarebbe ca­ loroso . . . Bisogna davvero sperare che il mare­ sciallo di campo accetti una proposta del gene­ re, almeno per la durata della guerra » . Lord Kitchener aveva allora sessantaquat­ tro anni; era una figura molto popolare. Per

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molti anni la stampa aveva descritto in termi­ ni romantici, quasi leggendari, l ' uomo che aveva schiacciato la ribellione del Mahdi a Omdurman , definendolo « il vendicatore di Gordon » .3 Ma G.W. Steevens, il giornalista che aveva reso famoso Kitchener con i suoi articoli sulla marcia su Khartum, aveva messo in luce gli aspetti disumani del suo eroe. Kitch­ ener, secondo Steevens, era « l'uomo che si è trasformato in una macchina » : un uomo che « dovrebbe essere patentato ed esibito con orgoglio all ' Esposizione Nazionale, nel re­ parto "macchinari inglesi", modello n . l , hors concours, la macchina del Sudan » .4 Anche i biografi più favorevoli non cercarono di nascondere che Kitchener era visto come una figura distante e severa - pur sostenendo che l'uomo in realtà era meno inaccessibile di quanto sembrasse .5 Molti politici davano un giudizio critico su Kitchener. Il più esplicito era Winston Churchill, che era stato sottopo­ sto di Kitchener nel Sudan (come disse più tardi, « l'antipatia tra noi scattò prima ancora che ci vedessimo » ) . 6 N el suo libro sulla cam­ pagna del Sudan, Churchill scrisse: « [ Kitchener] trattava gli uomini come mac­ chine, dai soldati semplici, di cui disdegnava il saluto, agli ufficiali superiori, che controllava rigidamente . . . Lo spirito severo e spietato del Comandante venne trasmesso alle truppe: e le vittorie che segnarono gli sviluppi della guerra del fiume furono accompagnate da at-

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ti di barbarie che non erano giustificati né dal­ le dure usanze dei conflitti con i selvaggi, né dalla natura feroce e infida del DeiViscio ».7 Un soldato duro, spietato, implacabile; un e­ sperto organizzatore militare, che aveva seiVi­ to l'Impero britannico un po' dovunque - in Mrica, in Australia, in India. Questo era l'uo­ mo al quale il Times » faceva appello il 3 ago­ sto 1914 perché facesse la parte del dittatore, nel senso in cui questo termine era usato dagli antichi Romani: il generale vittorioso pronto a seiVire la patria nel momento del pericolo. Quel giorno stesso Kitchener si mise in viag­ gio per Dover cercando di partire, ma senza riuscirci. 8 11 4 agosto, fece un nuovo tentativo; ma all'ultimo momento fu raggiunto da un messaggio del primo ministro e tornò a Lon­ dra. Passò un giorno. La Gran Bretagna entra­ va in guerra senza aver nominato un segreta­ rio di Stato alla Guerra. Le cose non andavano lisce. Probabilmente Lord Asquith riluttava ad offrire a Kitchener una posizione tradizio­ nalmente riservata ai civili; e Kitchener appa­ rentemente esitava ad accettarla. 11 5 agosto il Times » tornò ancora sulla nomina di Kitche­ ner, lanciando un attacco in piena regola con­ tro il suo concorrente più pericoloso: il lord cancelliere, Haldane. Il corrispondente mili­ tare del Times », Charles à Court Repington, il colonnello che era stato uno degli aiutanti di Kitchener durante la compagna del Sudan, scrisse un lungo articolo in cui contrappose «

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all'immagine filotedesca di Haldane l'imma­ colato passato filofrancese di Kitchener (che in giovinezza aveva partecipato come volonta­ rio alla guerra franco-prussiana) . Dopo aver sottolineato ancora una volta le capacità orga­ nizzative di Kitchener e la fiducia che certa­ mente avrebbe ispirato alla nazione, il corri­ spondente militare concluse: « sappiamo bene che Kitchener non è un uo­ mo di partito, e che la proposta che lo riguar­ da non ha precedenti; ma la situazione è del tutto eccezionale, e richiede misure eccezio­ nali . . . Il ministero della Guerra ha bisogno di Kitchener, e deve averlo » .9 Nel giro di poche ore queste parole divenne­ ro realtà. Nella tarda serata del 5 agosto Lord Kitchener venne nominato segretario di Stato alla Guerra. Come venne notato, era il primo militare in servizio che entrasse a far parte di un governo inglese dopo George Monk ( 1 660) . 10 Lord Northcliffe, il proprietario del « Times » e del « Daily Mail » , che si era forte­ mente impegnato a favore della guerra, era riuscito a superare tutte le resistenze - com­ prese quelle di Lord Kitchener. 1 1 Ma il 5 agosto il « Times » aveva già emesso un appello, una chiamata alle armi: Il re e la patria hanno bisogno di te Risponderai alla chiamata della patria? Ogni giorno è gravido di minacce gravissime e in questo stesso momento l' Impero si trova alla vigilia della più grande guerra della storia del mondo .

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In questa crisi la patria fa appello a tutti i giovani scapoli perché si riuniscano attorno alla bandiera e si arruolino nelle file dell ' esercito. Se ogni giovane patriottico risponderà a questo appello, l ' Inghilterra e l'Impero emergeranno più forti e più uniti che mai. Se sei scapolo e hai tra 18 e 30 anni risponderai ali ' appello della patria? Allora vai al centro di reclutamento più vicino - puoi trovare l'indirizzo in qualsiasi ufficio ­ e entra nell' esercito oggi !

La macchina della propaganda bellica si era messa in moto, il messaggio era pronto - man­ cavano solo il nome e la faccia di Lord Kitche­ ner. La chiamata alle armi fu ristampata il giorno successivo; il 7 agosto Lord Kitchener richiese « un. supplemento di 1 00.000 uomini da aggiungere all'esercito regolare di Sua Mae­ stà » e dichiarò: « Lord Kitchener è certo che tutti coloro che hanno a cuore la salvezza del­ l'Impero risponderanno al suo appello » . 1 2 L'effetto di quest'appello personale, ripetuto ossessivamente, fu enorme. Le orde di volon­ tari raggiunsero punte di 35.000 uomini al giorno. Dal settembre 1 9 1 4 in poi l'appello fu rafforzato dal manifesto con la faccia di Kitch­ ener. Anche se il boom del reclutamento ini­ ziale diminuì nei primi diciotto mesi di guer­ ra, che precedettero l'introduzione del servi­ zio militare obbligatorio, « l'esercito di Kitche­ ner » o « le divisioni di Kitchener » (termini u­ sati perfino in qualche documento ufficiale)

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arrivarono a due milioni e mezzo di uomini una cifra elevatissima, che nei necrologi di Kitchener salì a cinque milioni. 1 3 Questo fenomeno gigantesco finì col cancel­ lare la distinzione tra Lord Kitchener come manifesto e Lord Kitchener come generale: il primo si sovrappose al secondo. Gli occhi di Kitchener, che guardavano fissi dai manifesti sparsi un po ' dovunque, fecero sui contempo­ ranei un 'impressione profonda: « hanno un bel colore » scrisse un giornalista « chiaro e profondo come il mare quand' è più azzurro, e guardano il mondo con lo sguardo diretto di chi mira dritto alla meta » . 1 4 Gli occhi di Kitchener ricompaiono, come a riassumerne la vita e il carattere, in una bio­ grafia ufficiale in tre volumi apparsa nel 1 9 1 6, poco dopo la tragica morte awenuta nel nau­ fragio dello Hampshire : « anche gli occhi, con quella sfumatura d' ac. . c1a1o su cui tanto e stato scntto, non erano ne giovani né brillanti - troppa sabbia li aveva colpiti; e tra l ' uno e l'altro c'era una leggera - leggerissima - divergenza. Ma guardavano ben dritto chiunque Kitchener volesse vedere . . . » . 1 5 Un giornalista si era soffermato, in tono un po ' sprezzante, su questo particolare quando Kitchener era ancora vivo: « Quanto agli occhi di Kitchener, si può dire senza offesa che il terrore che ispirano è ac­ cresciuto dallo strabismo, che si è accentuato .

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col passare degli anni. Gli occhi sono azzurri, penetranti, acuti; se non ci fosse quell'irrego­ larità sarebbero occhi difficili da guardare fis­ samente; ma la loro irregolarità getta qualcu­ no in una vera e propria paralisi di terrore. Chi lo conosce molto bene mi ha descritto l'effetto di quegli occhi su quanti lo incontra­ no per la prima volta: " Ti colpiscono, ti affe r­ rano" mi è stato detto "in una specie di morsa di terrore; li guardi, cerchi di dire qualcosa, guardi da un ' altra parte, e quando cerchi di parlare sei di nuovo attratto da quello sguar­ do tremendo, e rimani a soffocare in silen­ zio" » . 1 6 Per gli ammiratori di Kitchener anche quel leggero difetto fisico, che nei manifesti è ap­ pena visibile, diventò parte della sua leggenda postuma: « Il suo sguardo ha qualcosa di strano, senza dubbio dovuto a una leggera divergenza degli assi visivi - uno sguardo che nessuno di coloro che gli parlano, per quanto coraggioso, riesce a sostenere fissamente. La Sfinge doveva guar­ dare così » . 17 2. Sullo sguardo di Kitchener si tornerà più a­ vanti. Prima bisognerà esaminare l'effetto del manifesto. Una fotografia conservata nell'ar­ chivio dell' lmperial War Museum mostra un gruppo di volontari che avevano risposto alla chiamata alle armi di Kitchener. Un lettore at-

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tento ha notato che l'immagine sottolinea la diversità sociale delle reclute: « In un gruppo di una mezza dozzina di uomi­ ni è possibile individuare almeno tre classi so­ ciali, ognuna identificata da un copricapo di­ verso: il berretto dell' operaio, la paglietta del gentleman, e il feltro dell'uomo d'affari o del professionista » . 1 8 L'osseiVazione è ineccepibile, ma suscita una domanda: . dato che i centri di reclutamento erano collocati in quartieri diversi, la mesco­ lanza sociale raffigurata nella fotografia appa­ re improbabile - a meno che la fotografia sia frutto di una messa in scena. 1 9 In questo caso, l ' osseiVazione avrebbe reso esplicito un mes­ saggio volutamente subliminale - per usare le parole di Raphael Samuel. Riceveremmo il messaggio, ossia la risposta positiva di gruppi sociali diversi all'appello di Lord Kitchener, ma ci faremmo sfuggire il codice in cui è for­ mulato. Anche un messaggio che sembrereb­ be evidente e trasparente, come la propagan­ da, dev'essere decifrato. Nel corso della guerra, o subito dopo la guer­ ra, versioni più o meno rimaneggiate del ma­ nifesto di Kitchener furono prodotte in Italia, in Ungheria, in Germania. 20 Kitchener riap­ paiVe negli Stati Uniti e in Unione Sovietica nelle vesti, rispettivamente, dello Zio Sam e di Trockij (figg. 2-5) . 2 1 Questa lunga serie di imi­ tazioni e variazioni (nonché, come si vedrà, di inversioni e di parodie) dimostra l ' efficacia

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Figura 2 Achille Luciano Mauzan « Fate tutti il vostro dovere! » Figura 3 Julius Ussy Engelhardt Auch Du so/1st beitreten zur Reichswehr

del manifesto di Lord Kitchener - che proba­ bilmente non ha paragoni nella storia di que­ sto strumento di comunicazione. Non sapremo mai quanti furono coloro che decisero di arruolarsi come volontari sotto l'effetto dell'immagine di Kitchener. In qual­ che caso la spinta decisiva dev'essere rimasta oscura agli attori stessi. 22 Ancor più lo è per

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osservatori distanti come siamo noi. Ma pos­ siamo dare per scontato che gli imperativi lan­ ciati da quei manifesti - I L RE E LA PATRIA

Figura 4 James Montgom ery Flagg l Want You for U.S. Army

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HANNO B I S O GNO D I TE , KITC HENER VUOLE PIU

e così via - influirono su molti osserva­ tori. L'immagine dell'autorità agì come l'au­ torità stessa. Ci fu una scarica di energia socia­ le, e un ordine venne introiettato e trasforma-

UOMINI

N EAREST R ECR U ITI NG STATI O N

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Figu ra 5 Dmitry Moor Zapisalsja dobrovo/'cem? (Ti sei arruolato come volontario?)

to in una decisione che era, in senso letterale, una decisione di vita o di morte. Di solito questa efficacia è data per scontata, ciò che impedisce un 'analisi ravvicinata dei meccanismi visivi e verbali che vennero inne­ scati. Il manifesto agì - ma come? 3. Per rispondere a questa domanda sarà utile ricorrere alla nozione di Pathosformeln ( « for­ mule di pathos » ) coniata da Aby Warburg. 23 Per molto tempo l'eredità di Warburg - la sua biblioteca e l'istituto legato ad essa - ha oscu­ rato l'importanza dei suoi scritti. Ma da alcuni decenni ormai le idee fecondissime, formula­ te da Warburg tra la fine dell ' Ottocento e il principio del Novecento, sono state analizzate e rielaborate in direzioni molto diverse. Una delle più importanti è l'idea di Pathosformel, che Gertrud Bing illustrò in questi termini: « I gesti dell'arte classica risalgono, nelle loro prime formulazioni, a un periodo nel quale la realtà dei miti era una realtà rituale che com­ muoveva gli animi profondamente. E quei ge­ sti sono tuttora in grado di provocare una rea­ zione corrispondente, anche nella forma atte­ nuata di pigmenti o di marmi in cui sono stati tramandati » .24 Nel Medioevo, quando « l' espressione di im­ pulsi elementari » era proibita per motivi reli­ giosi, quel « vocabolario primordiale del gesto appassionato » (come lo definì Warburg) era stato dimenticato. Warburg arrivò alla conclu-

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sione che la formula - il gesto emotivo - era una forza neutra, aperta a interpretazioni di­ verse, se non opposte . In qualche caso gli arti­ sti del Rinascimento che recuperarono quei gesti ne invertirono il significato. 25 L'argomentazione di Warburg verrà sviluppa­ ta a partire da tre passi del libro XXXV della Storia naturale di Plinio, dedicato interamente agli artisti greci e romani. 26 Il primo passo si riferisce a Famulus (o Fabullus? ) , un pittore vissuto al tempo di Augusto imperatore. Era, scrive Plinio (XXXV, 1 20) , « grave e severo e al tempo stesso florido . . . Di lui c'era una Mi­ nerva che guardava sempre lo spettatore da qualsiasi direzione costui la osservasse [ spec­ tantem spectans, quacumque aspiceretur] » . 27 Il secondo passo (XXXV, 92) si riferisce ad A­ pelle, il famoso pittore greco: « Dipinse anche Alessandro Magno col fulmi­ ne in pugno nel Tempio di Artemis Efesia . . . Le dita sembrano rilevate e il fulmine par che si slanci fuori del quadro - il lettore si ricordi che tutti questi quadri sono stati fatti con quattro colori » . 28 Un terzo passo ( XXXV, 1 26) chiarisce indiret­ tamente il significato del precedente. Il dipin­ to di Apelle che raffigurava Alessandro Ma­ gno come Zeus, con il fulmine in pugno e le dita che sembravano protendersi fuori dalla tavola, era basato sullo scorcio: un espediente tecnico che venne portato a perfezione da un altro pittore, Pausias. Di lui Plinio scrisse:

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« Ma Pausias fece anche delle grandi tavole, come la Immolazione dei buoi, quadro ammi­ rato nel Portico di Pompeo. Egli trovò per pri­ mo un accorgimento tecnico in fatto di pittu­ ra, che molti poi tentarono di imitare, ma che nessuno eguagliò. Anzitutto, pur sempre vo­ lendo che apparisse la lunghezza di un bove, lo dipinse di fronte e non di fianco, e ciò no­ nostante ben se ne capisce la grandezza » . 29 4. Ciò che rese possibile il manifesto di Lord Kitchener fu una lunga reazione a catena in­ nescata dalla lettura combinata di questi passi. Le testimonianze sull'onnipresenza del ma­ nifesto di Lord Kitchener durante la prima guerra mondiale sono molte. Eccone tre. La prima è quella di Michael MacDonagh, un giornalista del Times » che nel gennaio 1 9 1 5 . scnsse: « I manifesti che si rivolgono alle reclute copro­ no le staccionate, le vetrine, gli omnibus, i tram, i furgoni. La base della Colonna di Nelson ne è completamente coperta. Il loro numero e la lo­ ro varietà sono impressionanti. Dappertutto Lord Kitchener punta un dito enorme ed e­ sclama: io voglio te [/ Want You ] » .30 La seconda testimonianza è quella di Mont Abbott, che al tempo della prima guerra mon­ diale era un giovane contadino di Enstone, Oxfordshire. Nei suoi ricordi scrisse: « da qualche tempo il fantasma di Kitchener mi puntava il dito addosso da certi manifesti (