Parergon, Quattro approcci per ritrovare la propria anima e l’anima del mondo. [1 ed.] 9798728928904

Un'introduzione a quattro approcci alla spiritualità totalmente diversi tra loro, e ai modi in cui questi possono c

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Italian Pages 376 Year 2020

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Parergon, Quattro approcci per ritrovare la propria anima e l’anima del mondo. [1 ed.]
 9798728928904

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Marco Barbaro

Parergon Quattro approcci per ritrovare la propria anima, e l’anima del mondo.

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Indice Titolo

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Premessa

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1. Zazen e l’esercizio dell’osservazione di Sé.

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2.L’importanza di un cambiamento interiore.

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2.2.

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2.3.

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2.4.

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2.5.

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2.6.

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2.7.

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2.8.

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2.9.

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2.10.

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2.10.1. 2.10.2. 2.10.3. 2.10.4. 2.10.5.

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3. La Legge del Karma: condivisione di conoscenze dallo spazio profondo. 147 4. “Il Regno dei Cieli è Dentro di Voi…”

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5. I Simboli: Attraverso lo Specchio.

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6. La Conferenza Ted del Dr.Gabor Maté a Rio de Janeiro.

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7. Lo Yi Quan: la conquista del libero arbitrio attraverso il corpo.

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Bibliografia

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Premessa “Se vuoi risvegliare tutta l’umanità, devi risvegliare prima di tutto te stesso. Se vuoi eliminare la sofferenza dal mondo, devi prima eliminare tutto ciò che c’è di oscuro e negativo in te stesso. In verità il dono più grande che si può fare al mondo è la propria trasformazione.” Lao Zu, Dao De Jing Nel libro di Shane Clairborne, The Irresistible Revolution (casa editrice Zondervan) si legge una frase che l’autore attribuisce a Elie Weisel, scrittore premio Nobel sopravvissuto all’olocausto: “Talvolta parliamo per cercare di cambiare il mondo, altre volte parliamo per non permettere al mondo di cercare di cambiare noi.” Si può dire che ho scritto questo libro al 30% propendendo per la prima possibilità, e al 70% per la seconda. Questo perché al momento esistono al mondo persone molto più preparate di me, che provano ad insegnare ciò che cerco di insegnare io a chiunque abbia la pazienza di ascoltarmi, e prima di loro ce ne sono stati di ancora migliori: cosa spero di ottenere in più di quanto non abbiamo ottenuto loro? L'originalità di questo libro, spero risieda nell’ associazione di idee e nell'ordine in cui vengono espresse per produrre una sorta di scalata verso le conclusioni alle quali sono giunto in questi anni. I temi trattati oscillano tra filosofia, spiritualità, economia, sociologia, psicologia, esoterismo, e all’inizio credo di aver pensato questo progetto per chi non avesse conoscenza di queste materie in maniera approfondita. Sebbene al contempo, sono convito che ci siano dei particolari che potrebbero far soffermare a bocca aperta per pochi secondi anche chi è ormai navigato in alcuni ambiti. Come nasce l’idea di scrivere questo libro: premetto che sono convinto che la stessa separazione concettuale di ciò che è definito “spirituale” da ciò che è “materiale” rende più povere entrambe le prospettive, così ci ritroviamo persone che agiscono nella materia completamente noncuranti verso i sottili equilibri dello spirito, o

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persone completamente assorbite dalle tematiche religiose da considerare un’impurità le naturali inclinazioni alla materia. Talvolta questi ultimi tendono a creare una sorta di elitarismo dell’essere “spirituale”, sentendo come indegno chi non condivide le proprie inclinazioni, realizzando esattamente l’opposto dell’obbiettivo delle discipline spirituali. Dunque se utilizzerò il termine spirituale o “metafisico” sarà solo per far acclimatare il lettore a tematiche che non hanno ancora trovato un termine che non esponga ai rischi citati pocanzi. Se dovessi parlare a chi non sa nulla di discipline spirituali se non per sentito dire, comincerei chiarendo il fatto che c’è un’idea diffusa, soprattutto in occidente, che le religioni o la spiritualità consistano prettamente nel venerare esseri sovrannaturali a cui sono attribuiti poteri di creazione, di distruzione o di manipolazione della realtà o della vita. Ma questo corrisponde a volte ad una porzione relativamente piccola della verità, altre volte ad una vera e propria falsità. La diffusione della venerazione della divinità come aspetto centrale delle religioni, in occidente è stata diffusa con mezzi molto invasivi da parte dell’istituzione religiosa, che ha abbandonato la sua natura iniziale per dedicarsi a tempo pieno alla gestione del potere. Ma l’origine di ciò che oggi chiamiamo spiritualità consisteva in vari tentativi di recupero di una condizione interiore ed esteriore perduta, fatta di libertà, solidarietà, giustizia e uguaglianza: in poche parole, di perfezione. Prima di studiare l’aspetto originale delle religioni, ho sperimentato in me stesso forme parziali di recupero di questa condizione originale, ed ho sentito in seguito l’esigenza di diffondere il più possibile le tappe del mio personale percorso. In realtà si tratta di cambiamenti relativamente semplici da capire, e da attuare, poi ve ne accorgerete nella prosecuzione di questa lettura, sebbene questi cambiamenti siano in grado di provocare una vera e propria rivoluzione del pensiero. Questo che ho deciso di condividere con degli eventuali lettori, è un compendio, un riassunto del mio personale percorso, se consideriamo che è stato un processo durato anni. Non mi considero speciale per questo, esiste una considerevole fetta della popolazione che si dedica alle stesse tematiche, ma come dicevo probabilmente l’originalità di questo lavoro consiste nelle associazioni di tematiche, ed è ad esse che si limitano quasi

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interamente i miei meriti. Questo perché si tratta di una serie di tradizioni o scuole di pensiero in alcuni casi millenarie, la cui paternità è relegata a leggende, dunque scuole di pensiero di cui nessuno attualmente in vita può realmente fregiarsi del diritto d’autore. Ognuna di queste scuole ha un suo personale approccio alla ricerca della condizione perduta, approcci dai quali in alcuni casi sono scaturiti un’infinità di metodi, tra i quali mi sono limitato a selezionare quelli che per me hanno avuto efficacia, dopo aver fatto da “cavia” per certi versi. Il messaggio alla base di tutto il mio lavoro e che l'essere umano non è semplicemente proiettato in un’esistenza rimanendo sin dall’inizio ciò che sarà fino alla fine dei suoi giorni, così, immutabile. Le implicazioni di questa presa di coscienza, se adeguatamente diffuse, determinerebbero dei cambiamenti radicali nella società. Una di queste implicazioni sarebbe capire che non c'è una divisione concreta tra le persone, ma piuttosto c'è una divisione concreta tra delle condizioni interiori astratte che attraversano una fetta della popolazione, ma che potrebbero attraversare letteralmente chiunque se sottoposto alle giuste condizioni esteriori. Una di queste condizioni interiori è la brama per il potere, o l'ignoranza, la violenza, e le condizioni esteriori dalle quali si originano, sono la povertà o il non aver ricevuto amore da piccoli, o i valori culturali ereditati. Io non ho programmi politici da proporre o modelli di società alternativi, voglio solo proporre una prospettiva della vita che vi suggerisca la possibilità che per cambiare il mondo sia necessario iniziare un percorso individuale di maturazione e di perfezionamento, cose che difficilmente possono accadere se non si ha la chiara intenzione di farle accadere. Questo spiegherebbe cosa c’entrano le materie che ho elencato all’inizio con la spiritualità e i percorsi di introspezione. Credo che uno dei maggiori risultati che ho ottenuto in tal senso si possa riassumere in una riflessione che feci una mattina in cui alzarmi dal letto mi risultò particolarmente difficile. Con uno slancio di fantasia, pensai che forse la mia pigrizia non fosse altro che il germe, il seme non sviluppato, non nutrito, di ciò che spinge un politico che si trova ad un bivio tra fare la cosa giusta da un lato, e dall’altro accettare una mazzetta, o a fare una legge dalla

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quale solo lui e pochi altri trarranno beneficio, a protendere per la seconda. Da esercizi di introspezione come questo, ho capito che capendo me stesso capivo gli altri. Inoltre ho capito che se gli esseri umani hanno dentro di sé delle componenti che ci attraversano tutti come specie, sebbene in diverse combinazioni e misure, significa che anche una sola persona contiene tutto dentro di sé. In base poi alle esperienze esteriori alle quali si viene esposti, alcune risorse interiori prendono il sopravvento creando una combinazione unica nel modo in cui queste risorse sono distribuite. Dunque non ci sono nemici all’esterno, ma tendenze interiori astratte e impersonali che dobbiamo premurarci di conoscere e ammaestrare. Sapete, siccome quando si trattano temi che mettono a nudo le colpe di alcuni individui, quasi a voler additare il male dovunque esso si trovi, si rischia di dare l’impressione di pensare che l’uomo sia essenzialmente cattivo, ho riflettuto a lungo su come non incorrere nello stesso errore, ma mi rendo conto che dovrò correre questo rischio per poi riparare in seguito. Perché in effetti, se fare la cosa più comoda e facile, come restare a letto anziché alzarsi la mattina, coincide con l’essere egoista e nuocere ad altri, forse significa anche agire secondo natura. Non essendo un moralista di professione non mi sono mai limitato a separare il giusto dallo sbagliato, e a tentare di seguire il primo con ogni mezzo necessario, ho sempre innanzitutto cercato di capire cosa ci fosse dentro le cose che la cultura ci indica come giuste o sbagliate, quindi se la società pretende una certa performance da una persona così che debba alzarsi presto ogni mattina, mi sono chiesto se cedere alla tendenza più facile da seguire non fosse anche la cosa più giusta. Ma se spostassimo la definizione di facile su azioni che causano danni al prossimo, significherebbe che la natura ci ha dotati tutti di una tendenza innata a schiacciare i nostri simili. Il problema è che, se siamo nati gli uni per distruggere gli altri, se una specie spunta come un fungo su un pianeta solo per autodistruggersi, perché siamo nati in primo luogo? Generalmente quando ci si presenta davanti questa prospettiva si tende a chiudersi in sé stessi in un cinico nichilismo e apatia, pensando magari che non ci sia un motivo in particolare per la nostra esistenza. Se ci sia o no una causa per la nostra esistenza non sono in grado di dirlo, e penso che probabilmente pochissime

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persone al mondo siano così fortunate da saperlo. Credo di avere una fede in tal senso basata sull’osservazione della precisione matematica che governa tutto ciò che esiste in natura, ma non ritengo indispensabile che chiunque ce l’abbia, e comunque non mi azzarderei mai di provare a convincervi su una cosa del genere che di certo richiede sperimentazione personale. Praticando la meditazione Zen nota come “zazen”, uno dei metodi che illustrerò in seguito, ci si educa a porsi ad una posizione soprelevata rispetto ai propri pensieri, si smette di incalzarli. Di conseguenza si rompe l’abitudine consolidata nel tempo a produrre pensieri che vadano in una direzione consona a idee che ci sono state consegnate prima che avessimo i mezzi per valutarne la correttezza. Alcuni di questi pensieri sono considerati “parassiti”, poiché il cervello consuma energia per tenerli vivi nella mente, per continuare a produrli, ma non ci danno alcun beneficio, come ad esempio dei giudizi superficiali su noi stessi e sugli altri, o immaginare conversazioni che non avverranno mai con lo scopo di farsi trovare “preparati”. Siccome sarebbe da pazzi pensare che decidiamo in prima persona se produrre o meno pensieri inutili, falsi e dannosi, possiamo dedurre che questi pensieri non sono realmente i nostri, si auto-alimentano. La nostra coscienza con la giusta educazione impara a compiere la scelta di subirne gli effetti o emanciparsene. Si dice spesso in ambienti Zen che l’obiettivo di zazen è quello di ritornare alla spontaneità dei bambini: i bambini almeno fino a una certa età non sono in grado di mentire, e siccome si mente a causa della paura di perdere qualcosa o il desiderio di guadagnare, possiamo concludere che l’opportunismo è una cosa che si impara. Dunque dimenticare l’opportunismo, l’egoismo, il narcisismo, tornando come bambini da questo punto di vista, significa dimenticare tutto ciò che non ci permette di amare fino in fondo, smettiamo di avere un atteggiamento ottimo per il business, ma non per tutto il resto. Sarà per questo che il Dalai Lama è convinto che se si insegnasse la meditazione (zazen) ad ogni bambino di otto anni sul pianeta, si eliminerebbe la violenza dal mondo nell’arco di una generazione. Sarà anche per questo che Thich Nhat Hanh1, faccia 1

Thich Nhat Hanh, monaco buddista, poeta e attivista per la pace, candidato al Nobel per la pace da Martin Luther King nel 1967.

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ruotare tutti i suoi discorsi attorno allo sviluppo della capacità di mantenere l’attenzione su ogni singola azione che si compie nel momento presente, la ormai famosa pratica chiamata mindfulness. Thich Nhat Hanh è di origine vietnamita, assistette di persona alla devastazione della guerra, e fin dagli anni sessanta si è dedicato all’attivismo in maniera spesso molto concreta, eppure è raro sentirlo invogliare i suoi seguaci all’azione, per lo più lo si può ascoltare mentre spiega come l’esercizio della consapevolezza possa dare una nuova scintilla a tutta l’esistenza umana. Dunque questo tipo di “regressione consapevole,” ci illustra come il desiderio di ottenere benefici, che non siano contemporaneamente i benefici del prossimo, sia un allontanamento dalla propria natura, un’aberrazione. Questa mentalità opportunistica, regala forme di soddisfazione o di appagamento che non sono neanche paragonabili a quelli ottenibili praticando zazen, né altrettanto duraturi. Ciò che viene maldestramente definito come spiritualità dunque, consiste nell’orientamento della propria ragione a riscoprire la propria verità interiore, e probabilmente non è chiaro ai più che questo significa anche apportare dei miglioramenti alla vita materiale. Per guardare dentro di sé, per far fuoriuscire la verità è necessario togliere qualcosa anziché aggiungere, e personalmente credo che per giudicare fin da subito efficace o meno una pratica o un percorso spirituale sia necessario verificare se questo è il suo messaggio di fondo. Personalmente credo che non ci sia una vera e propria divisione tra persone buone e persone cattive, ma che chiunque possa diventare cattivo se spinto adeguatamente in questa direzione. Se una persona da giovane ha già vissuto esperienze che hanno piantato in lui il seme della corruzione, dell’avidità e della totale assenza di empatia, al presentarsi della possibilità di ergersi alla guida di un gran numero di persone, di uno stato, di una nazione, quale futuro potremmo mai prospettarci? E dal momento che non esiste una sostanziale differenza tra le persone buone o cattive, ognuno di noi dovrebbe premurarsi di scendere dentro di sé e risolvere i problemi alla radice. Il comico George Carlin tenne un illuminante monologo in tal senso: >. La prospettiva che ci sia una netta separazione tra Noi e Loro, non è una prospettiva dalla quale si possa arrivare ad una soluzione definitiva dei problemi. Noi potremmo essere Loro, Loro sono stati Noi, e se qualcuno ha mai agito in maniera anti-etica influenzando la società su larga scala, si può far risalire la causa originaria ai suoi trascorsi, ad un effetto domino di eventi che lo hanno portato ad essere ciò che è. Perché io potessi rendere omogenea questa trattazione e per poter giungere a qualche conclusione significativa, è stato necessario utilizzare l’approccio filosofico, in quanto in grado di dare una visione di insieme ai dati raccolti. L’approccio filosofico tuttavia deve essere supportato dall’analisi di esperti specializzati nei vari settori, perché il pensiero è dipendente dall’analisi dei sensi, ma i sensi possono trarci in inganno e l’inganno può essere dissipato solo da una visione reiterata, meticolosa e approfondita, supportata dalla tecnica. Ma in seguito sono visto approdato ad ambiti di conoscenza che non possono essere comunicati, e quindi non possono essere oggetto di dibattito. E non possono essere discusse proprio per la natura stessa di queste conclusioni, sia chiaro, non perché io abbia qualche interesse a detenere la conoscenza nascondendola al pubblico, né perché abbia altri tornaconti di sorta. L’informazione, la conoscenza o la semplice perspicacia, sono tutte cose preliminari all’approdo verso la Saggezza, che richiede una sperimentazione personale. Dunque si può dire che libri come questo sono libri letteralmente vissuti, e vivibili. Poi ho una leggera digressione da fare per farvi comprendere ulteriormente questa scelta: che cos’è l’intelligenza? Intelligenza è una parola che può sembrare convenzionalmente utile in alcune circostanze, ma fin dal liceo ho sempre avuto il sospetto che nessuno ne afferrasse realmente il significato. Talvolta può significare memorizzare molte nozioni, talvolta essere rapidi nell’afferrare un concetto, talvolta superare il limite della propria istruzione, talvolta essere molto creativi oppure essere bravi nella matematica. Ma tutte queste abilità possono

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benissimo sussistere in maniera indipendente dalle altre. Chi può dire se fosse più intelligente Dante Alighieri o Nikola Tesla, Shakespeare o Einstein? Se prendessimo a modello di intelligenza uno solo di questi nomi, saremmo costretti ad escludere chi tra loro non rispecchia gli stessi parametri di chi abbiamo scelto come modello. Quale animale è più intelligente: il cane, che è in grado in una certa misura di comunicare con l’uomo, oppure l’ape, che non sa comunicare con l’uomo, ma che si organizza in società complesse, in grado di stabilire una gerarchia tra i suoi membri, di curare le altre api ferite, di costruire alveari di forme che l’uomo per poterle imitare avrebbe bisogno come minimo di una laurea? 2 Cartesio3 nel suo “Discorso sul Metodo” scrive 4 e questo suggerisce, anche solo vagamente, che il parametro della velocità potrebbe essere molto facilmente escluso da un’idea di intelligenza più precisa, rispetto a quella più diffusa attualmente.

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Devo ammettere di aver involontariamente mutuato il paragone con questi animali in particolare, da un discorso molto simile ma espresso in modo diverso (e che consegna conclusioni non del tutto simili) nel libro “Il Volo del Pellicano” di Giovanni Francesco Carpeoro, in cui lessi questa metafora atta a ridefinire un concetto di intelligenza e poi la dimenticai. Anche se riflettendoci l’autore in questione mi attrasse proprio perché riconobbi una certa concordanza su alcuni punti di vista, come appunto la definizione di intelligenza. 3

Renato Cartesio, in francese René Descartes (e in latino Renatus Cartesius (La Haye en Touraine [oggi Descartes], 31 marzo 1596 – Stoccolma, 11 febbraio 1650), è stato un filosofo e matematico francese, ritenuto fondatore della matematica e della filosofia moderna. Cartesio estese la concezione razionalistica di una conoscenza ispirata alla precisione e certezza delle scienze matematiche a ogni aspetto del sapere, dando vita a quello che oggi è conosciuto con il nome di razionalismo continentale, una posizione filosofica dominante in Europa tra il XVII e il XVIII secolo. (da Wikipedia) 4

Discorso sul metodo di RenéDescartes, traduzione di Italo Cubeddu, a cura di Italo Cubeddu, collezione: Le idee, 9; Editori Riuniti; Roma, 1996.

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Sul Dizionario di psicologia di Umberto Galimberti5 alla voce “Intelligenza” si legge: 6 L'intelligenza semplicemente non esiste, si può essere particolarmente ferrati o abili in un aspetto della vita, che può essere un ambito di conoscenza, oppure la capacità di destreggiarsi nelle pubbliche relazioni, o il “problem-solving”, così come la capacità di imporre la propria voce su quella degli altri… Ma siccome nessun talento intellettivo è considerabile predominante sugli altri, per conoscere la verità nella sua interezza è indispensabile una collaborazione di punti di vista e di talenti: non si può conoscere la verità solo tramite un'impressione poetica, né solo leggendola in un testo sacro, né tantomeno guardandola solo attraverso un microscopio o un telescopio, ma questi e molti altri punti di vista non citati, dovrebbero collaborare attivamente per poter avere una certezza. Peraltro credo che riconoscere una certa superiorità intellettiva in un individuo che possieda uno solo di questi talenti, sia dato dai valori che ognuno di noi può possedere in maniera indipendente dagli altri, valori che filtrano la nostra visione della realtà. Voltaire diceva “soltanto gli idioti sono assolutamente certi di ciò che dicono.” Si incontrano continuamente persone che quando ascoltano qualcosa per la prima volta non fanno che confrontare ciò che ascoltano con ciò che sanno, come in uno scontro di pugilato. Non dico che sia sbagliato nella totalità dei casi, ma succede veramente spesso che le loro precedenti convinzioni non si basino su nient’altro che una vaga sensazione, alla quale si aggrappano come all’albero 5

Umberto Galimberti (Monza, 2 maggio 1942) è un filosofo, sociologo, psicoanalista e accademico italiano, nonché giornalista de La Repubblica. 6

Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia (1992), casa editrice UTET.

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maestro di una nave che affonda. La capacità di ascoltare sinceramente è una qualità che non si finisce mai di sottovalutare. Personalmente non importa quanto riesca ad apprendere su un argomento, arriverà sempre qualcuno in grado di farmi sentire come se non ne sapessi assolutamente nulla. Mi succede spesso che anche non condividendo un determinato discorso intuendone il fine ultimo e l'effetto che intende provocare, riesca a trarre insegnamento da alcune sue parti. Io credo che il vero intellettuale si riconosca nella sua capacità di creare ponti, di aprirsi al dialogo. Detto questo, ammetto che non potrei considerarmi un maestro delle pratiche che propongo neanche se volessi, riconosco che la perfezione esista ma che sia da vedere come l’obbiettivo di un affinamento quotidiano delle proprie facoltà tramite i giusti mezzi. Non si può pretendere di realizzarla imponendo a sé stessi delle norme, tantomeno ci si dovrebbe mortificare o punire solo perché non l’abbiamo raggiunta o non ci comportiamo secondo un modello ideale. Spesso non ci si rende conto che per ottenere risultati in determinati campi ci vogliono anni, e non basta essere un praticante per potersi considerare già perfetti. Trovo che considerare la vita stessa come un percorso conoscitivo, un costante “work in progress,” sia estremamente utile, in quanto presuppone una certa mobilità delle proprie convinzioni, e quindi di sperimentarne la ricaduta sulla vita. In questo modo non si lega la propria conoscenza ad un’idea rigida di noi stessi, non lasciamo che la quantità di nozioni che abbiamo memorizzato ci definisca come persone. Pensate per un momento a qualcuno che si faccia definire “maestro”, e che peso terribile debba essere, dal momento che legando la propria immagine ad una quantità consolidata di conoscenze, si privi della possibilità di imparare sempre qualcosa di nuovo. Mi piace particolarmente il simbolismo del labirinto per figurarsi nella propria mente un percorso conoscitivo, in quanto il labirinto presuppone la possibilità di cadere in errore per tutte le volte necessarie, e non lo considera un fallimento, ma solo una tappa del percorso. Quando si entra in un vicolo, si può sempre tornare con umiltà sui propri passi, e poi proseguire per un’altra strada. Io credo profondamente nella possibilità che si possa essere migliori di come si appare, ed ho a lungo cercato il modo di compiere questa operazione innanzitutto in me stesso, per questo desidero

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condividere tramite questo libro il meglio degli insegnamenti in cui mi sono imbattuto nel corso della mia vita. Il numero di insegnamenti ai quali si può accedere in questa epoca è di una quantità davvero senza precedenti. Tra tutti quelli in cui mi sono imbattuto, ho sperimentato l’efficacia, e a mio avviso una coerenza interna a sé stessi, di quattro scuole di pensiero in particolare. Quindi ho acquisito quattro metodi ognuno proposto da una scuola di pensiero, per collegare l’osservazione della società, l’osservazione della psiche, e la contemplazione della metafisica, unificandoli sotto l’egida del mio percorso personale per non lasciare nulla di intentato: 4 scuole di pensiero per 3 aspetti della realtà. Questi quattro filoni, da un punto di vista teorico possono essere spesso in conflitto gli uni con gli altri, soprattutto perché ognuna di queste scuole vede il proprio metodo come unica soluzione. Inizialmente infatti l’idea era mettere a confronto l’uno con l’altro i quattro approcci, così da innescare in qualche modo una sorta di dialogo tra le varie scuole di pensiero, ma ad un certo punto mi è sembrato che procedere su questa strada potesse essere in qualche modo irrispettoso verso i vari promulgatori degli approcci. In particolare mi sarebbe piaciuto chiedere ad ognuno di essi, come mai, pur credendo ognuno di essi nella assoluta validità dei propri metodi tanto da non vedere altra strada, per me i metodi hanno funzionato tutti. Credo anche che mantenersi aperti a diverse possibilità, garantisca una maggiore probabilità di trovare la verità, e di discernere da sé stessi quando si viene ingannati. Queste scuole di pensiero infatti, non hanno quasi nulla a che vedere l’una con l’altra, pertanto se si volesse potrebbero essere seguite tranquillamente una per volta senza contemplare le altre tre. Ognuna di esse va considerata teoricamente in maniera isolata e coerente solo con sé stessa, ma a livello pratico non vedo impedimenti materiali nel riuscire a praticarle anche tutte. In questo consiste il mio percorso appunto, nel praticare tutti e quattro questi metodi. Credo di aver detto tutto ciò che posso anticiparvi, ora non vi resta che iniziare con la lettura. Chiudo questa premessa con le parole del grande Kahlil Gibran, il quale disse a proposito della conoscenza di sé: 7

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Kahlil Gibran, Il Profeta, casa editrice Quaderni della Fenice.

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1. Zazen e l’esercizio dell’osservazione di Sé.

> disse Alice. disse il Gatto Ad Alice questa non parve una ragione sufficiente, tuttavia continuò

disse il Gatto disse Alice. proseguì il Gatto > Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie.

Buddha, Dharma-Pada: i versetti della Legge. Il primo metodo che anche in ordine cronologico è entrato a far parte del mio percorso, consiste nella pratica chiamata Zazen appunto, della tradizione Zen giapponese. Ho scelto di parlarne per primo, perché grazie alla conoscenza degli obbiettivi che questa pratica si prefigge, sarà più facile in seguito immaginare delle soluzioni ai problemi della società, che prevedano l’azione degli individui sulla propria vita interiore. Questa pratica è generalmente conosciuta come “meditazione” nella cultura popolare occidentale, termine preso in prestito, perché in occidente non esisteva nulla che corrispondesse perfettamente a questa pratica. Il termine meditazione è improprio perché suggerisce una qualche forma di

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ragionamento, che è esattamente l’opposto di zazen. Questo libro non si propone di essere un manuale, credo anzi che io non sia affatto la persona più autorevole in assoluto per insegnarla, pertanto inviterei chiunque fosse attratto dalla pratica di zazen dopo aver letto questa descrizione, a ricercare un maestro per conto proprio, anche data la discreta popolarità di questa pratica. Questa pratica infatti, a differenza ad esempio della preghiera praticata nel cristianesimo, prevede l’utilizzo del corpo come strumento per raggiungere la chiarezza mentale, ma nel mio personale percorso non è questo l’aspetto di zazen che ho trovato insostituibile, anche perché uno dei restanti metodi prevede un utilizzo del proprio corpo supportato da una precisione che zazen, secondo la mia esperienza, non è in grado di eguagliare. La posizione assunta generalmente in zazen infatti, è spesso limitata da un’eccessiva rigità tradizionale, che si tradurrà in un limite nel caso si intraprendesse un percorso di trasformazione fisica, come il metodo descritto nel capitolo finale di questo libro. Cionondimeno è l’aspetto mentale curato in zazen che, per quanto mi riguarda, ha prodotto frutti ineguagliati dagli altri metodi, ed è per questo che essi non si possono sostituire a zazen, ne viceversa. Come ho espresso nella prefazione, l’obiettivo di questo libro è quello di offrire una prospettiva, e mi sembra impossibile darvi un’idea della mia visione della realtà senza parlare della mia esperienza con zazen. Credo che l'utilizzo di zazen per me sia stato determinante nel superare i limiti che la filosofia imponeva, e che di per sé possiede qualora non comprenda una pratica, oppure non comprenda un’altra esperienza in grado di insegnare qualcosa sulla realtà, prescindendo dall’utilizzo del pensiero razionale. La ragione è indispensabile, ma ha dei limiti, primo fra tutti la mancata consapevolezza dei propri limiti. Il funzionamento della ragione consiste per lo più nel dividere in più parti un’idea al fine di comprenderla. Nel pensiero è insita la separazione: se devo conoscere il corpo umano, inizierò dando un nome ad alcune zone del corpo “separandole” concettualmente:inizierò ad elencare testa, mani, ginocchia, e per un momento la visione del tutto mi sfugge. Sviluppando questo concetto di separazione, il pensiero parte da un qualsiasi presupposto, dal quale nasce una conseguenza che a sua volta dà

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luogo ad un’altra conseguenza. Se questa catena di conseguenze prosegue in una direzione piuttosto che un’altra c’è un motivo, c’è una coerenza interna. Ma non intendo conseguenze nel senso di “azioni” o cause ed effetti, in questo caso è il pensiero che si “muove”: parlando del corpo umano, “separando” la bocca dal resto del corpo, una conseguenza sarà cercare uno scopo alla bocca, che può essere mangiare, parlare ecc… La direzione scelta da una conseguenza sarà considerata normale, coerente, e le altre direzioni possibili che il ragionamento avrebbe potuto prendere sono considerate “strane, incoerenti”, creando appunto una divisione. La bocca ad esempio, è “strano” che afferri le cose come la mano, oppure che invece di ricevere il cibo lo emetta, se rimaniamo rigidi nel pensare che gli scopi della bocca siano solo mangiare e parlare. Il problema sorge nei casi in cui i presupposti di partenza sono completamente arbitrari, specie quando derivano da codici o schemi della propria cultura di provenienza. Il pensiero che considera ammissibili alcune cose e inammissibili altre diviene rigido, si cristallizza e diventa come una gabbia, ad esso viene collegata tutta una visione della realtà che fornisce un clima di comodità, pensando che al di fuori di questa gabbia ci sia il nulla o la morte. Pensiamo ad esempio agli omosessuali: una persona che ha cristallizzato la sua gabbia di pensieri in modo da pensare che gli uomini debbano accoppiarsi solo con le donne, se non imparerà ad essere flessibile sulle proprie convinzioni, tenderà a reagire in modo aggressivo nei confronti degli omosessuali. Molti pensatori che seguo personalmente, parlando del “Mito della Caverna” di Platone, hanno sottolineato il fatto che nel mito, quando una persona tra quelle imprigionate riesce a uscire dalla caverna, torna dentro per avvertire gli altri dell’esistenza di un mondo al di fuori della caverna,di cui nessuno sospettava l’esistenza, e che dopo essere stati avvertiti, gli altri non lo ringrazino affatto, bensì lo uccidano. Cosa c’entra zazen in tutto questo? In zazen si smette di seguire i soliti percorsi fatti di postulati e conseguenze già esplorati. In questo modo il cervello si azzera e riprende a funzionare del tutto rinnovato. Quando la trasformazione operata in zazen è compiuta, concetti che prima ci sembravano “normali” e incompatibili con altri concetti “strani”, ora ci sembrano del tutto in grado di convivere.

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Talvolta quando ne parlo, c’è chi crede che zazen si tratti di un metodo di “auto-convincimento”, quando piuttosto in zazen si viene a conoscenza che tutta la propria vita fino ad allora è stata un'opera di auto-convincimento. Questo accade soprattutto quando espongo il mio punto di vista su questa pratica a persone che, come dicevo nella prefazione, credono che zazen o il buddhismo zen consistano nel venerare la figura del Buddha. Paradossalmente è ben nota la frase in ambienti zen “se incontri il Buddha per strada, uccidilo”, poiché si è consapevoli in questa tradizione come la figura di un qualsiasi maestro possieda un’utilità temporanea, una mediazione tra i discepoli e la verità, verità che non può essere raggiunta in alcun modo che in solitudine. Questo concetto di solitudine ci introduce ad un ulteriore paradosso, ovvero che raggiungere la verità senza che contemporaneamente la raggiunga tutto il mondo, sia inutile, e allo stesso tempo indispensabile. La coesistenza di questi due concetti rappresenta un esempio calzante dell’assenza del dualismo giusto-sbagliato, frutto dell’educazione dell’intuizione che prescinde dalla ragione, che è a sua volta un paradosso, ovvero apprendere di più pensando di meno. Non voglio dire che la tradizione zen sia migliore delle altre tradizioni o che le altre tradizioni dispensino falsità o cerchino di manipolare i seguaci, perché in realtà non c'è bisogno delle religioni per essere schiavi di un'idea, il nostro cervello cerca costantemente di auto farsi il “lavaggio,” per questo non è errato ammettere che noi siamo le nostre abitudini, intese come abitudini di pensiero che si trasformano in atteggiamenti fisici e sociali di vari tipi. Anzi per essere ancora più precisi, ciò che pensiamo di essere, che pensiamo di sapere su di noi, è frutto delle nostre abitudini, ma ciò che siamo davvero è il nostro potenziale inespresso che soggiace a ciò che vediamo attualmente. Altre volte invece, quando ne parlo, zazen viene visto come un modo per “evadere” dalle pressioni della vita quotidiana. Spesso la gente cerca di evadere dalla realtà attraverso atteggiamenti autodistruttivi, (come le droghe, l'alcool, gli zuccheri, il caffè, le sigarette, una sessualità promiscua ecc…) ma, ammesso e non concesso che evadere sia sbagliato in generale (a prescindere dal danno causato dall'attività che si è scelta) zazen sarebbe il metodo più sbagliato, sia per la “fatica” che si riscontra all’inizio della pratica, sia per il fatto

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che Zazen affina la visione della realtà, non la opacizza. Poi se devo essere sincero, superato il problema della fatica e dei vari fastidi o dolori che possono sopraggiungere mentre si tiene la posizione, zazen potrebbe essere considerato un modo di evadere lecito. In genere, una situazione esterna viene catturata dai sensi, che la trasformano in pensiero, che venendo osservato dalla consapevolezza si trasforma in emozioni, che diventano una fisiologia nel corpo, o una patologia. In zazen questo effetto domino viene impedito, poiché viene separato il pensiero dalla capacità dell’essere di osservare e osservarsi, cioè la consapevolezza. La consapevolezza dice "io non sono i miei pensieri, i miei pensieri non sono miei", ciò determina che i pensieri non riescono a causare una reazione emotiva, cessano la loro influenza sulla consapevolezza, che a questo punto potrà considerarsi libera, e non ci saranno conseguenze negative sul corpo e sull’inconscio. Se poi pensiamo che i sensi non consegnano al pensiero una fenomenologia accurata della realtà, ma che "mentono", "illudono", allora separando l'analisi delle percezioni sensibili dalla consapevolezza, essa si libera dalle illusioni, dunque si risveglia dal sonno della realtà. Considerando il pensiero razionale come ho tentato di illustrarlo poche pagine indietro, se una situazione esterna suscita pensieri sgradevoli, potrebbe anche essere dovuto al fatto che la realtà oggettiva entra in conflitto con una griglia di convinzioni arbitrarie, che non hanno diritto di imporsi sulla realtà, dunque non hanno diritto di sentirsi minacciati da essa. A seguito del fatto di non aver più paura delle conseguenze emotive e fisiche negative, di accogliere alcune informazioni, sappiamo affrontare qualsiasi presa di coscienza di ciò che avviene o è avvenuto dentro di noi. Si entra così in uno stato di ricezione, di ascolto profondo, le nostre percezioni si aprono dopo essere rimaste semi-chiuse per tanto tempo. Vedete, zazen “funziona” perché è l'essere umano stesso che funziona; è paragonabile alla rimozione del caffè macinato, già filtrato dall’acqua e dunque ormai inutile, dalla caffettiera, da considerarsi perciò un'azione indispensabile per il funzionamento della stessa. Dunque si, zazen potrebbe significare “evasione”, fuga da un mondo fittizio che causa sofferenza verso un mondo finalmente reale in cui tutto è bellezza: l’evasione dalla Caverna di Platone.

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Devo ammettere di non aver mai letto tra le varie cose, un libro del filosofo Osho8, perché mi è sempre stato sconsigliato da persone che per alcuni momenti della mia vita ho considerato una sorta di guide. E tuttavia, a riprova che si può sempre imparare qualcosa anche dalle fonti che per un motivo o per un altro si considerano poco affidabili, la validità di questo percorso è si può avvalere della descrizione di un eventuale utilizzo materiale possibile, presente proprio in un pensiero di Osho, in cui mi sono imbattuto casualmente in rete. Leggete ciò che scrisse Osho circa la connessione tra cultura, intelletto, e meditazione: Questo concetto di programmazione implica che i modi in cui l’individuo ne viene influenzato determinano sia i motivi interiori

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che lo portano ad agire in maniera attiva nel mondo, sia ciò che lo porta a sentirsi in difficoltà e oppresso, dunque a subire in maniera passiva. Succede a molti di ritrovarsi ad un certo punto della propria vita in cui si subisce l’effetto di scelte fatte in periodi passati, ormai distanti dal presente, e che tuttavia ancora non smettono di avere effetti negativi. In seguito a questo si tende molto facilmente ad attribuirsi del tutto la colpa per aver effettuato una scelta. La verità è che la scelta in questione non siamo stati noi a compierla, ma le nostre sovrastrutture, ereditate dai genitori che a loro volta le hanno ereditate dai loro rispettivi genitori, e contemporaneamente da tutta una serie di fattori legati al luogo di nascita, allo status economico, la scuola, e la lista potrebbe continuare... Se non si provvede con i giusti mezzi, e con la chiara e ferma volontà di liberarsi di queste sovrastrutture, di capire realmente che cos’è che vogliamo, e di smettere di indulgere in una serie di abitudini nocive, la nostra vita non sarà mai realmente nelle nostre mani. Da questo discorso ho compreso che il libero arbitrio deve essere oggetto di una conquista. Per questo credo che anche semplicemente parlare dell’esistenza di un metodo come zazen possa offrire degli spunti fondamentali, perché introduce delle variabili che fanno presupporre l'esistenza di un nucleo di esistenza assoluto, che soggiace a tutti i fenomeni culturali, che non è solo pensiero ma qualcosa di più, e che può essere sperimentato. Dunque ammette anche l’esistenza di una giustizia assoluta, priva di tutte le falsità e ingiustizie che possono essere imparate. Personalmente di persone che si pongono questo tipo di problema, ne ho incontrate fisicamente pochissime, tante che le potrei contare sulle dita di una sola mano. Considerando il fatto che bisogna avere una certa maturità solo per arrivare a considerare la necessità di intraprendere un percorso conoscitivo, votato alla liberazione spirituale, possiamo ammettere con certezza assoluta che gli adolescenti e i bambini non hanno libero arbitrio. Rudolf Steiner9 nel suo libro “L’iniziazione” (Casa editrice Antroposofica), indicando i metodi per giungere a conoscenze 9

Rudolf Joseph Lorenz Steiner (Murakirály, 25 o 27 febbraio 1861 – Dornach, 30 marzo 1925) è stato un esoterista e teosofo austriaco. È stato il fondatore dell'antroposofia, dottrina di derivazione teosofica che concepisce la realtà universale come una

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superiori, nella fase di preparazione di un eventuale adepto, illustra una pratica che descrive con queste parole: > La spiegazione prosegue invitando ad imparare, durante questi momenti di calma, ad osservare i propri pensieri (soprattutto i propri ricordi) da un punto di vista superiore come se appartenessero a qualcun altro, con la calma e la lucidità di un critico. Ma devo ammettere che seguendo alla lettera il consiglio di osservare i miei ricordi, lì per lì non mi allontanava la possibilità di subirne l’influsso emotivo rimanendone condizionato, quando in realtà osservare la mia vita dall’alto in modo distaccato mi era già successo automaticamente in altre situazioni involontarie, e penso che fosse dipeso dell’educazione del pensiero frutto di zazen. Alcuni maestri consigliano apertamente di favorire il flusso dei pensieri in zazen, così come arrivano, spontanei, e invece di incalzarli e di “discutere con loro,” li si lascia spegnere. Un maestro Zen di cui ho dimenticato il nome, disse infatti: “lasciate aperta la porta principale della vostra mente, così come la porta sul retro. I pensieri entrano ed escono come vogliono, l’importante è non invitarli a prendere una tazza di manifestazione spirituale in continua evoluzione, che può essere osservata e compresa mediante l'"osservazione animica" (una sorta di chiaroveggenza), e studiata, nella sua unità col mondo fisico, mediante la cosiddetta "scienza dello spirito" o antroposofia, che egli riteneva essere un vero e proprio approccio scientifico alla conoscenza della verità.[…] (da Wikipedia)

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tè.” In questi momenti di calma interiore impariamo a smettere di definire noi stessi in base ai parametri della nostra società. Impariamo ad esempio che riusciamo ad esistere anche senza necessariamente essere “efficienti”, finalizzati a uno scopo e orientati al profitto. Posso anche non essere un capitano di industria, eppure esisto. Se qualcuno non mi avesse mai detto che non ho valore se non dimostro di averlo, io avrei continuato a vivere trovando la felicità e la completezza in ogni minima cosa. Nel momento in cui si acquisisce l'abilità di escludere ogni pensiero dialogico in zazen infatti, la prima cosa che si recupera è proprio il senso della bellezza per il momento presente. Il bello e desiderabile non è più da un'altra parte, nel futuro o nel passato, ma è qui ed ora. Ci si accorge di poter essere felici alla mera visone di cose che io definirei “il substrato dell’esistenza”, ovvero cose che esisterebbero comunque anche se l’essere umano non esistesse, o non producesse nulla, come ad esempio un tramonto, il verde dei campi, la cresta trasparente di un’ondina azzurra del mare che si innalza, il cielo stellato… Mi sono chiesto infatti, che se basta così poco per rendere felice uno spirito ormai libero dalle ansie per il futuro e i rimorsi del passato, forse la materia stessa che compone l’universo è amore, e nient’altro, e se si volesse immaginare la forma fisica di un concetto astratto come l’amore, basterebbe guardarsi intorno quando ci si trova sotto la volta celeste. In questo modo recuperiamo tutta un’altra spinta al vivere: anche se ad esempio non sei considerato bello dai parametri della società in cui sei nato, riesci comunque ad essere felice perché dentro di te c’è vita che brucia come una fiaccola, una scintilla divina che ti anima. Mi piace spesso ricordare che Gesù Cristo disse rivolgendosi a tutti gli esseri umani “Voi siete dei [nel senso di divinità]” (Salmo 82 citato in Giovanni 10:34). Un altro concetto di cui parlerò brevemente nel capitolo successivo, ma che può benissimo confluire in questo discorso, è il fatto che l’autocoscienza dell’uomo lo renda privo di uno schema di risposte rigide agli stimoli esterni. Appresi questo concetto per la prima volta ascoltando il filosofo Galimberti, ed egli lo utilizzò per giungere alla conclusione che la libertà non esiste, quando tutt’al più esiste l’indeterminatezza, secondo lui. Penso di poter fare un rapidissimo e forse un po' azzardato collegamento con quanto diceva Kierkegaard,

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ovvero che la libertà di scelta produce angoscia. In una certa misura penso di poter essere d’accordo sul fatto che la libertà non esiste, almeno nella chiave ne parla Galimberti, ovvero che come pensavano gli antichi greci, l’uomo è “circondato” da un’entità astratta che identificavano con la “Necessità,” per lo più per quanto riguarda la natura. Infatti direi che piuttosto l’essere umano ha a disposizione una gamma di scelte più o meno ampia, anche se non infinita. Ma se c’è una cosa su cui non posso essere d’accordo con Galimberti è nel conferire a questa indeterminatezza un’accezione prettamente negativa. Infatti credo che lavorando per aumentare il proprio quantitativo di consapevolezza, di autocoscienza, si potrebbe trovare uno scopo in linea con il proprio talento, la propria passione e capacità di dare amore. Trovare il proprio talento, o trovare sé stessi, se siete su un percorso spirituale o se intendete iniziarlo, vi sarete accorti o vi accorgerete, che prevede fisiologicamente un periodo in cui ci si sente smarriti, persi. Questo periodo è indispensabile per fare spazio a ciò che è autentico, rimuovendo ciò che è falso ma dal quale non riusciamo a liberarci perché ci dà una sensazione di stabilità, di comodità. Stabilito che sta a noi determinare se l’ampiezza di scelte possa portare elevazione oppure sofferenza (possibilità la seconda che comunque resta), il problema sorge quando l’essere umano è privato anche della possibilità di scelta, non solo da parte di un altro essere umano, o dalle aberranti condizioni economiche e materiali in cui versa il 75% del mondo, ma anche dall’incapacità di padroneggiare la propria interiorità. In zazen, nel primo periodo di pratica affiorano i problemi, per questo può essere per alcuni una pratica dura, specie per la posizione. Questo è necessariamente un bene, perché si può risolvere un problema solo conoscendolo. Ma quando si impara a padroneggiare la tecnica, si diventa capaci osservare i propri pensieri da un punto di vista superiore lasciandoli scorrere. Il buddismo Zen giapponese si divide in due grandi scuole di pensiero: la scuola Rinzai, più orientata alla risoluzione dei Koan, indovinelli che permettono l’intuizione in grado di far raggiungere l’illuminazione, e la scuola Soto, introdotta in occidente da Taisen

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Deshimaru Roshi10, chiamato il Bodhidarma11 d’occidente. La scuola Soto è più orientata alla pratica di Zazen, anche se non esclude l’utilizzo dei Koan. Deshimaru scrisse: 25 Sebbene attualmente, rispetto al contesto in cui si inserisce quanto scritto da Dostoevskij, esistano molteplici soluzioni per far soldi comodamente da casa aprendo un sito internet o espandendo la mondiale nella sanità militare della US Navy (1944-46) e come cronista della radio militare (US Forces Network) in Germania. (da Wikipedia) 24

Stephen Bantu Biko, noto come Steve Biko (King William's Town, 18 dicembre 1946 – Pretoria, 12 settembre 1977), è stato un attivista sudafricano anti-apartheid. (da Wikipedia) 25 Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, casa editrice BUR.

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propria attività commerciale sui social media - dunque i mezzi per raggiungere i propri obbiettivi stanno diventando sempre più pratici e potenti - il problema è che si tratta sempre di cercare di prendere la briciola più grande di una sola fetta di torta, che siamo costretti a dividerci in moltissimi, mentre il resto della torta e in mano ad un pugno di persone. Questo per il semplice motivo, che quanto scritto da Dostoevskij rappresenta una fotografia dei valori, che una volta diffusi adeguatamente non possono fare altro che culminare in una situazione in cui poche persone hanno preso possesso del mondo, realizzando l’apice della morale insita in questi valori aberranti. Inoltre, il mito neoliberista del successo corrispondente al denaro e agli oggetti da possedere, ha convinto gli individui di poter ottenere questo successo, quando a conti fatti non è vero che il lavoro duro possa sempre essere premiato, non tutti possono essere premiati, e non senza aver calpestato tutti gli altri in una competizione che non ha come fine quella di far emergere il più forte o il più adatto, ma il più avido, il più spregiudicato, il più privo di empatia; non ha come fine quello di far emergere il meglio dalle persone, ma il peggio. Inoltre come scrisse Giovanni Francesco Carpeoro: 26. Se da un lato è vero che il successo designato dal capitalismo non viaggia di pari passo alla felicità in senso stretto, anzi talvolta è inversamente proporzionale, è tuttavia vero il contrario, ossia che povertà significa infelicità, significa che la possibilità di soddisfare i bisogni primari viene messa in dubbio, cosa che porta all’ignoranza, alla violenza e alla delinquenza. Il rovescio della medaglia della meritocrazia e del pensiero di dover ottenere la felicità solo con la forza, è che se siamo considerati responsabili del nostro “successo”, siamo anche considerati responsabili del nostro “fallimento”, che a questo punto consisterà nel non aver avuto lo stomaco di far grondare il sangue dei propri pari, e al quale seguirà lo sconforto e la disperazione di non essere stati all’altezza delle aspettative illusorie del modello 26

Giovanni Francesco Carpeoro, Il Volo Del Pellicano, Edizioni Melkisedek.

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sociale dominante. C’è un articolo che vi consiglio di leggere, comparso su “Il Sole 24 Ore” di Vittorio Pelligra, del 02 settembre 2020, dal titolo >

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2.7. “Please allow me to entroduce myself, I’m a man of wealth and taste. […] So if you meet me have some courtesy, have some sympathy, […].” “Prego permettetemi di presentarmi, sono un uomo ricco e di buon gusto. […] Quindi se mi incontrate, fatemi la cortesia, abbiate un po' di comprensione, […].” Rolling Stones, Sympathy for the Devil Il problema vedete, non è la presenza di alcune identità in particolare che prendono di volta in volta le redini di una nazione, il problema risiede nella mancata comprensione delle dinamiche del potere, risultato di condizioni interiori in grado di attraversare chiunque sia sottoposto a determinate esperienze di vita, che germogliando producono condizioni esteriori. Nella lunghissima storia dell’umanità saranno sicuramente esistiti esseri umani al comando di un paese, di un’organizzazione, di un progetto o comunque di un gruppo di persone, in grado di mettersi adeguatamente al servizio dei propri sottoposti, o di una causa giusta; uomini o donne in grado di apportare cambiamenti positivi a qualunque fosse l’organizzazione alla quale si trovavano al comando. Ma siccome parlavamo di rivoluzione, o comunque di un popolo scontento e bellicoso, proviamo a considerare la peggior forma di persona che possa cercare il potere, e ad analizzare quali sono le condizioni interiori che originariamente lo spinsero a cercarlo. Francesco Saba Sardi32 nel suo libro “Dominio: Potere, Religione e Guerra” (Belvivino Edizioni) espone come un individuo per arrivare alla condizione di “sovrano” attraversi vari stadi, primo fra tutti la condizione di indifferenza verso l’altro: >33 Dunque ammettendo quanto appena letto, possiamo assumere che la mancanza di empatia dei potenti sia da un lato una forma di insicurezza, la degenerazione di ciò che in principio era solo mancanza di forza mentale, necessaria ad aprire il cuore alla complessità della vita. Theodor W. Adorno34 sostenne che un individuo assetato di potere, è un individuo privo di un’interiorizzazione dell’aspetto della psiche che in psicologia viene chiamato “Super Io”, dotato di un “Io” debole ed un “Es” molto forte. Il Super Io è l’insieme dei divieti sociali sentiti dalla psiche come costrizione e impedimento alla soddisfazione del piacere, un sistema di censure che regola il passaggio dalle pulsioni dell’Es all’Io: rappresenta quella che può essere definita la coscienza 33

Francesco Saba Sardi, Dominio: Potere, Religione, Guerra.

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Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno (Francoforte sul Meno, 11 settembre 1903 – Visp, 6 agosto 1969) è stato un filosofo, sociologo, musicologo, accademico e musicista tedesco. Fu esponente della Scuola di Francoforte e si distinse per una critica radicale alla società e al capitalismo avanzato. Oltre ai testi di carattere sociologico, nella sua opera sono presenti scritti inerenti alla morale e all'estetica, nonché studi critici sulla filosofia di Hegel, Husserl e Heidegger. Alla riflessione filosofico-sociologica affiancò per tutta la sua esistenza un'imponente attività musicologica. (da Wikipedia)

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morale, una sorta di censore morale che giudica gli atti e i desideri istintivi dell’uomo. Anche se per quanto mi riguarda credo che l’esistenza di imposizioni morali a sé stessi non sia l’unico requisito perché una persona si renda capace di vivere armoniosamente in una comunità, anzi più avanti vedremo che le imposizioni del bene possono essere considerate una concausa all’emersione del disordine sociale. L’Es (in tedesco è il pronome neutro di terza persona singolare «esso») è l’espressione psichica dei bisogni pulsionali che provengono dal corpo, l’insieme caotico e turbolento delle pulsioni, la volontà di ottenere il piacere. L’Io o Ego in psicologia funge da fase intermedia tra i due. Questo tipo di individui, secondo Adorno, siccome non rivolgono a sé stessi le norme morali del Super Io, tentano di apportare nella realtà le dinamiche che non riescono ad apportare dentro di sé. Allo stesso tempo hanno un Ego fragile, dunque come dicevo nel capitolo su zazen, corrispondono perfettamente al genere di persona esuberante perché insicura, non riuscendo a convincere sé stessi del proprio valore provano a convincere tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Es, il fatto che una personalità assetata di potere possegga una grande energia pulsionale non domata secondo Adorno, è perfettamente in linea con quanto detto nelle pagine precedenti. In una società come la nostra in cui le pulsioni delle sfere più basse dell’essere sono innalzate a virtù, queste dinamiche è molto facile che interessino una grossa percentuale della popolazione. Il problema vedete, non è tanto che il potere corrompa, come recita un’espressione piuttosto comune, ma il fatto che in esso trovino sfogo tutte le proprie insicurezze precedenti, pensando che acquisendo potere scomparirebbe la debolezza interiore, quando in realtà i problemi legati alla psiche si possono risolvere solo lì dove si trovano. Le modalità con cui ci si approccia al potere sono state descritte in modo eufemisticamente geniale, dallo scrittore J.R.R. Tolkien35, nei suoi romanzi. Ogni modalità è stata rispettivamente

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J. R. R. Tolkien, all'anagrafe John Ronald Reuel Tolkien (Bloemfontein, 3 gennaio 1892 – Bournemouth, 2 settembre 1973), è stato uno scrittore, filologo, glottoteta, accademico e linguista britannico. Importante studioso della lingua anglosassone, è l'autore de Il Signore degli Anelli e di altre celebri opere riconosciute come pietre miliari

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descritta tramite un personaggio, personaggi che potremmo quasi definire simboli, che racchiudono in sé uno schema comportamentale il quale a contatto con il potere si sviluppa, rimanendo sempre fedele a sé stesso, divenendo prevedibile. Ne “Il Signore degli anelli”36 al potere come concetto è stata data forma fisica: un anello, L’Anello del Potere, appunto. Ogni personaggio che ne viene in contatto, proietta sull’anello tutti i suoi dubbi, le sue paure e le sue speranze. Prendiamo ad esempio Gandalf, lo stregone grigio, uno dei personaggi che più tra tutti rappresenta le forze del bene nella saga: quando il protagonista principale Frodo riconosce la natura dell’anello, essendone spaventato, chiede a Gandalf di prenderlo in custodia, confidando nella sua maggiore saggezza ed esperienza. Gandalf secondo lo schema comportamentale che racchiude, risponde in questo modo: 37 dimostrando di essere consapevole dei propri impulsi ad agire, fedeli alla sua natura. Il colpo di genio maggiore dell’autore, a mio avviso, risiede nella creazione del personaggio di Gollum, anche detto Smigol: Gollum del genere high fantasy, quali Lo Hobbit e Il Silmarillion. Fu Rawlinson and Bosworth Professor di antico inglese dal 1925 al 1945 e Merton Professor di lingua e letteratura inglese dal 1945 al 1959 presso l'Università di Oxford, dove contribuì alla creazione del New Oxford English Dictionary. Fu amico intimo di C. S. Lewis, insieme al quale fu membro di un informale gruppo letterario conosciuto come Inklings. Fu anche membro della Royal Society of Literature. Nel 1961 Lewis segnalò Tolkien alla giuria del Premio Nobel per la letteratura, che però lo scartò, perché la sua scrittura venne definita "prosa di seconda categoria". Nel 1972 Tolkien ricevette la laurea honoris causa all'Università di Oxford e fu insignito dalla regina Elisabetta dell'onorificenza di Commendatore dell'Ordine dell'Impero Britannico. (da Wikipedia)

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Il Signore degli Anelli (titolo originale in inglese: The Lord of the Rings) è un romanzo high fantasy epico scritto da J. R. R. Tolkien e ambientato alla fine della Terza Era dell'immaginaria Terra di Mezzo. Scritto a più riprese tra il 1937 e il 1949, fu pubblicato in tre volumi tra il 1954 e il 1955. Tradotto in trentotto lingue, con decine di riedizioni ciascuna, resta una delle più popolari opere letterarie del XX secolo. (da Wikipedia) 37 In realtà questa frase è tratta dall’adattamento cinematografico de “Il Signore degli anelli”.

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presenta tutti i sintomi di un tossicodipendente, fisicamente, mentalmente e moralmente distrutto dalla dipendenza, ma continua a desiderare la fonte della sua assuefazione. Il punto è che ne “Il Signore degli Anelli,” non si fa menzione di sostanze stupefacenti che possano essere viste come una metafora per la droga. Ciò da cui è dipendente Smigol è proprio, udite udite… l’Anello del potere! E dunque il potere… Chiusa questa parentesi, andiamo avanti. La ricerca di un profitto individuale che sia in grado di riempire questo vuoto nell’anima, per il potente è talmente forte da annebbiare qualsiasi senso di comprensione nei confronti del prossimo. L’insicurezza nel riuscire o meno a soddisfare questi bisogni artefatti, ci porta a vedere l’altro come un rivale, o come un ostacolo. Nel nostro caso, è la disuguaglianza, dunque il sistema stesso a metterci in una posizione in cui è la stessa necessità basilare di sopravvivere ad imporci di lottare e di prevaricare il prossimo, così che permettiamo che la paura, la diffidenza, e il senso di nullità, annebbino qualsiasi possibilità di connetterci con i nostri fratelli esseri umani, la paura recide la connessione empatica. Questo processo ci fa collegare a tutti i livelli il nostro possesso di denaro, o di oggetti costosi, o il nostro status in generale alla nostra percezione di noi stessi: meno problemi ho nel restare in vita, o comunque nel garantirmi un certo tenore di vita, più mi sento forte, stabile, sicuro, importante. Una qualsiasi organizzazione, un’azienda, un governo, guidati da una personalità cresciuta seguendo tutte le tappe di questa trasformazione aberrante, possono essere disposti a depredare un territorio delle sue risorse, a scapito di chiunque lo abiti, o indifferenti davanti alla possibilità di rompere il sottile equilibrio della vita nella natura. È il potere la causa dei disastri ambientali, è il potere che schiavizza, è il potere ad iniziare le guerre, è il potere a dividere i popoli mettendo gli uni contro gli altri gli individui. Il potere, in qualsiasi forma appaia, economico, politico, religioso è indice di malattia mentale. Jiddu Krishnamurti38 disse “Non è segno di buona salute mentale essere ben adattati ad una società profondamente malata,” ben adattati come lo sono le persone eccessivamente ricche, ovvero che ర్త ి; Madanapalle, 11 maggio 1895 Jiddu Krishnamurti (in lingua telugu: జిడ్డు కృష్మూ ణ – Ojai, 18 febbraio 1986) è stato un filosofo apolide di etnia indiana. (da Wikipedia) 38

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hanno conseguito il raggiungimento massimo dei valori del capitalismo. Pensate che, secondo un articolo39 del Wall Street Journal del 21 luglio 2005 scritto da Jane Spencer, gli individui con danni cerebrali si sono dimostrati essere investitori in borsa di grande successo, e ciò è dovuto alla loro incapacità di provare emozioni, in seguito appunto ai danni cerebrali. Immaginate se l’investimento che queste persone considerino propizio consistesse nel finanziare l’industria bellica o aziende che sfruttano la manodopera a basso costo, o che inquinano. Non si potrebbe di certo fare appello alla loro umanità … Ma abbiamo visto che per fare danni non è necessario influire in maniera diretta su queste problematiche: è molto più facile, basta che poche persone abbiano troppa ricchezza, e conseguentemente moltissime persone non abbiano nulla, che tutto il mondo sprofonda all’inferno, com’è accaduto. Siccome queste condizioni interiori come detto possono attraversare ognuno di noi, leggete quanto scrisse James Hillman a tal proposito :40 Pensando il potere in questi termini, contro chi credete che una eventuale rivoluzione dovrebbe scoppiare? A mio avviso le rivoluzioni non fanno altro che spostare il problema, il potere si vaccina contro il dissenso, diventando più subdolo, più scaltro, più forte. Prendiamo ad esempio la rivoluzione francese, alla quale seguì un’età del terrore e più in seguito Napoleone, o la rivoluzione russa che ha avuto come seguito la dittatura Staliniana, così come quella cinese con Mao. Una delle idee di partenza del mio ragionamento era che non vi fosse distinzione tra potere e popolo: e dunque un popolo con turbe psichiche che uccide il potente, ma mantiene intatta la propria follia, quali cambiamenti potrà mai aspettarsi? Il precedente folle al potere verrà sostituito da un nuovo folle. Henry Ford41 disse “se la popolazione comprendesse il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina”. Ma la vera domanda che bisogna porsi una volta letta questa affermazione è questa: quali effetti a lungo termine potremmo aspettarci da una rivoluzione di vecchio stampo? 40

James Hillman, Il Potere (edito da Rizzoli). Henry Ford (Dearborn, 30 luglio 1863 – Detroit, 7 aprile 1947) è stato un imprenditore statunitense. Fu uno dei fondatori della Ford Motor Company, società produttrice di automobili, ancora oggi una delle maggiori del settore negli Stati Uniti e nel mondo. Tramite essa, guadagnò un capitale stimato in 199 miliardi di dollari, cosa che lo renderebbe la nona persona più ricca della storia. […] In occasione del suo 75º compleanno, nel 1938, Adolf Hitler lo insignì della Gran Croce del Supremo Ordine dell'Aquila Tedesca, che è la più alta onorificenza del regime nazista conferibile ad uno straniero, per l'impegno della sua filiale Ford in Germania, nel rifornire l'esercito nazista di mezzi blindati e nel donare tutti gli utili alla causa Nazista. Inoltre Ford, per diversi anni durante il regime Nazista, si impegnò a versare 50'000 USD di allora come sostegno al Partito di Hitler. (da Wikipedia) 41

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Umberto Galimberti, disse durante una conferenza, che secondo Hegel la rivoluzione è il conflitto di due volontà, anticamente costituite da servo e signore, ma di questi tempi servi e signori sono dalla stessa parte e confliggono contro il mercato, che essendo un’entità priva di un riferimento fisico è particolarmente difficile da contrastare. A questo punto è molto facile chiedersi come potrebbero problemi legati alla struttura della società e al potere, essere risolti sedendosi in zazen. Bisogna visualizzare il potere come un problema essenzialmente molto facile da capire, la sua base è psicologica, le insicurezze delle persone normali legate al proprio ego, ai propri dubbi esistenziali mai esplicitati, sono le stesse delle persone al potere. Le loro ramificazioni possono apparire molto complesse, e lo sono. Il “come” può essere molto complesso, ma il “perché” è tutt’altro che imperscrutabile. Ciò che abitualmente manca, è la volontà chiara e ferma di mettere fine a una situazione, ed anche la consapevolezza di quali siano realmente i problemi. Zazen non può fare nulla per la volontà, ma può fare moltissimo per la consapevolezza, e questo, signori miei, è un ottimo inizio. Del resto cos’è la volontà senza consapevolezza e conoscenza, se non semplicemente azzardo? Qualche anno fa pensai un aforisma che potrebbe, dopo tanto riflettere successivo, dimostrarsi corretto: quanto più è limpida la propria percezione del mondo e di sé stessi, tanto più è limpida la propria personalità.

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2.8. “Seven billion souls that move around the sun Rolling faster, faster, not a chance to slow down Slow down Men who made machines that want what they decide Parents tryna tell the children please slow down Slow down I know Oh, I know you know that pain I'm hopin' that this world will change But it just seems the same […] Every day gets hotter than the one before Running out of water, it's about to go down Go down Air that kill the bees that we depend upon Birds were made for singing, wakin' up to no sound No sound” “Sette miliardi di persone che si muovono intorno al sole Rotolano sempre più velocemente senza speranza di rallentare Rallentare Uomini che hanno fatto macchine che vogliono quello che loro decidono Vogliono solo provare a dire ai bambini di rallentare Rallentare Lo so Oh, lo so che conosci quel dolore Spero che questo mondo cambierà Ma sembra lo stesso […] Ogni giorno è più caldo di quello precedente Sta finendo l'acqua, sta per diminuire Diminuire L'aria che uccide le api da cui dipendiamo Gli uccelli sono fatti per cantare Svegliarsi senza un suono Senza suono” Donald Glover/Childish Gambino, Feels Like Summer.

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Abbiamo più di quanto ci serve per dimostrare che se il mondo si presenta come tutti lo conosciamo è grazie al sistema economico attualmente più diffuso sul pianeta: il Capitalismo. Generalmente si crede che il Capitalismo sia una teoria economica, ma è molto più di questo. Il capitalismo è una filosofia, iniettata nei popoli da chi inizialmente aveva più interessi nell’esistenza di gerarchie sociali basate sul possesso. Il Capitalismo eleva il denaro a bene primario al quale bisogna devolvere tutte le proprie speranze e ambizioni, considerandolo più importante della vita stessa. Come ha suggerito James Hillman, e anche un video del collettivo “The Rules.org”, nonostante le diversità di cui il nostro pianeta è ricco, sembra esserci uniformità sull’utilizzo dello stesso sistema economico. Alla voce “Capitalismo” su Wikipedia si legge quanto segue: >48 A mio avviso, risulta evidente come, il campo di battaglia siano le menti e i cuori degli individui. La storia insegna che un divario nel benessere tra i vari ceti sociali, a lungo andare crei un senso di scontentezza generale, che può molto facilmente degenerare nella violenza. Per questo è stata escogitata una immensa ragnatela di bugie per contenere gli individui in uno stato costante di ipnosi. Ultimamente diversi intellettuali stanno riscoprendo opere del secolo scorso, che sono state fondamentali per giungere gradualmente al sistema capitalistico neoliberista come lo conosciamo oggi. Ad esempio l’opera di Edward L. Bernays “Propaganda. L'arte di manipolare l'opinione pubblica”, scritta da un personaggio considerato il progenitore della moderna scienza che regola la creazione della pubblicità (nonché nipote di Freud), così come l’opera di Gustav Le Bon “Psicologia delle Folle”, opera letta e riletta da personaggi come Hitler, Mussolini, e Franklin D. Roosevelt. Il primo direttore dell’FBI John Edgar Hoover disse “L’individuo è in difficoltà (utilizza il termine “handicappato”) quando si ritrova faccia a faccia con una cospirazione così enorme che non può credere che esista”. William Casey, ex direttore della CIA, disse “Sapremo che il nostro programma di disinformazione è stato completato quando tutto ciò di cui è convinta l’opinione pubblica è falso.” Se qualcuno mi facesse leggere questa affermazione per la prima volta, potrei essere d’accordo che esista una cospirazione, e che sia più difficile da definire in tutte le sue parti di quanto si possa immaginare, ma sarei allo stesso tempo convinto che essa non sia un lampo di genio partorito in maniera isolata, spuntato come un fungo, bensì l’ultimo prodotto di una lunga tradizione di manipolazione della verità, da parte degli uomini al governo, dei sacerdoti, dei banchieri… 48

Riassunto tratto dal sito http://www.vocidallastrada.com/

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Non intendo insinuare che questa cospirazione sia antica, ma anche essendo una creazione relativamente giovane, non è che un adattamento alle moderne strutture di potere, con le loro tecnologie e conoscenze all’avanguardia, delle fragilità interiori di esseri miserabili che cercano il loro momento di gloria prima di finire nella tomba come chiunque. Esseri umani, essenzialmente, figli anche loro della cultura, della crescita psicologica individuale, della storia della propria famiglia, del proprio popolo, del proprio paese, del proprio mondo. Quale rivoluzione migliore potrebbe esserci, a questo punto, che smettere di credere alle bugie, che smettere di collaborare inconsciamente col sistema, che riformulare da zero tutte le nostre convinzioni, i propri progetti e le proprie abitudini? Certo bisogna saper distinguere tra il valore che possiedono le varie bugie che ci vengono raccontate: ad esempio, si discute molto sullo stabilire se il primo allunaggio sia stato effettivamente portato a termine (personalmente non ne ho idea e non mi interessa), ma la verità è che capire che sia stata tutta una messa in scena non porterebbe a nessun cambiamento reale nella vita di ognuno di noi. Il punto non è tanto capire chi effettivamente ci menta e ci manipoli, ma in cosa realmente consiste la manipolazione e come venirne fuori, e questo richiede un percorso di formazione di anni, leggendo libri, libri che siano in grado di approfondire questioni molto meglio di quanto io sia in grado di fare, informarsi da ogni fonte sia ufficiale che meno ufficiale creando un dialogo a mente fredda, lasciando che le informazioni sedimentino con i giusti tempi, così come imparare tecniche per l’affinamento della lucidità del pensiero: in poche parole iniziare a crescere interiormente per davvero. Solo per dirne una, ho appreso grazie a Marco Bersani49, a proposito ad esempio della questione del debito pubblico; ora, Bersani suggerisce questo ragionamento: il debito pubblico a livello mondiale è pari a tre volte l’ammontare annuo della ricchezza prodotta dall’intero pianeta. Quando si ha un debito grande ma che non è impossibile ripagare si è molto più tesi all’azione rispetto ad avere un debito impossibile da ripagare. I paesi presi singolarmente come l’Italia, sono 49

Marco Bersani, Laureato in Filosofia, è dirigente comunale dei servizi sociali e consulente psicopedagogico per cooperative sociali. Socio fondatore di Attac Italia, è stato fra i promotori del Forum italiano dei movimenti per l'acqua e della campagna “Stop Ttip Italia”. È socio fondatore di Cadtm Italia. (dal sito BeneComune.net)

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costantemente persuasi a credere dalle istituzioni di trovarsi nella prima situazione, cioè di dover devolvere tutti i propri sforzi, le proprie speranze, e le proprie paure all’attenzione di dover ripagare questo debito, quando non potrà mai essere ripagato perché è letteralmente impossibile. Questo fa comodo ai creditori, perché come dice Marco Bersani “l’usuraio teme due cose: 1) la morte del debitore, e 2) il pagamento del debito”. Senza contare che ci convincono continuamente che il debito è la conseguenza di scelte eccessivamente dispendiose commesse nei decenni precedenti, e dunque che la colpa sia esclusivamente dei cittadini. L’influsso della situazione economica coadiuvata dai mass media si traduce in una operazione globale di “Gaslighting”: (da Wikipedia) Se ci si occupa anche ad un livello superficiale di debito pubblico o della dottrina neoliberista, è possibile riscontrare esempi di tutti e dieci le regole per il controllo sociale di Chomsky, anche se questo argomento necessiterebbe ricerche di tutt’altra portata, la cui responsabilità di approfondirle autonomamente risiede in voi lettori.

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Per quanto riguarda invece la regola per il controllo sociale numero 9, personalmente credo che l’individuo sia colpevole delle proprie disgrazie solo nel momento in cui, consapevole di avere più di una scelta, sceglie di compiere le scelte conformi alla gestione dell’attuale sistema capitalistico, che una volta condivise da un numero consistente di individui danno vita al sistema così come lo conosciamo. Ricordo ad esempio uno dei film più amati dai teorici della cospirazione, ovvero “V per Vendetta”, e ho l’impressione che non sia stato capito fino in fondo, in quanto l’aspetto maggiormente preso a modello di quel film sembra sia la violenza nei confronti dell’autorità, ma a quanto pare pochi hanno fatto caso al momento in cui il personaggio protagonista di nome “V” rivolgendosi al popolo dice “se volete il colpevole, guardatevi allo specchio”. Rispetto al film infatti, nella versione originale del fumetto, il discorso che V rivolge alla nazione vira molto di più in questo senso, ed è questo: 50

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V per Vendetta, Alan Moore, Panini Comics

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2.10.3. “Some folks are born made to wave the flag, Ooh, they’re red, white and blue. And when the band plays “Hail to the chief”, Ooh, they point the cannon at you.” “Certa gente è nata per sventolare la bandiera, Oh, sono rossi, bianchi e blu. E quando la banda suona “Hail to the Chief” Oh, loro puntano il cannone su di te.” Creedence Clearwater Revival, Fortunate Son Gli individui che prestano servizio nelle forze dell’ordine, incorrono nella possibilità di sperimentare di persona gli effetti aberranti dell’obbedienza cieca, illustrati da Stanley Milgram nel suo famoso esperimento. Come al solito sottolineo che non intendo colpevolizzare una categoria di persone in particolare, non l’ho fatto neanche parlando di persone indubbiamente colpevoli, e non ho intenzione di fare di tutta l’erba un fascio. Ma intendo fare la mia parte perché alcune informazioni ufficiali, per certi versi indispensabili, siano a disposizione di tutti. Stanley Milgram, per chi non ne avesse mai sentito parlare, è stato uno Psicologo, professore e ricercatore presso l’università di Yale. Conosciuto soprattutto per il suo esperimento per determinare la relazione tra il comportamento individuale e l’obbedienza imposta da un sistema gerarchico, al quale parteciparono più di mille persone. L’esperimento coinvolgeva tre individui, tra i quali uno solo era un volontario, presentatosi a seguito di un annuncio pubblicato su un giornale locale, o che aveva risposto ad inviti spediti per posta a indirizzi ricavati dalla guida telefonica. I ruoli erano tre: il ricercatore, che si assicurava della corretta esecuzione dell’esperimento, l’insegnante, che doveva esporre all’allievo una serie di associazioni di parole che l’allievo avrebbe dovuto memorizzare, e l’allievo appunto. Il volontario, tramite un sorteggio truccato era sempre sorteggiato come insegnante, e la parte dell’allievo era sempre assegnata ad un attore ingaggiato appositamente per fingersi un altro volontario. Una volta che l’allievo avesse ascoltato le coppie di parole dettate dall’insegnante, l’insegnante avrebbe messo alla prova la memoria

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dell’allievo pronunciando una sola parola per ogni coppia, e chiedendo all’allievo di dirgli quale parola seguisse a quest’ultima secondo l’ordine precedente. Se l’allievo avesse sbagliato, il volontario avrebbe dovuto somministrare una scarica elettrica all’allievo. La scarica elettrica doveva aumentare di intensità man mano che l’allievo commettesse degli errori, e a quel punto il ricercatore avrebbe dovuto assicurarsi che l’insegnante portasse a termine il suo compito, somministrando la scarica nonostante l’allievo soffrisse visibilmente. L’obbiettivo dell’esperimento consisteva nello stabilire quanta sofferenza il volontario sarebbe stato in grado di infliggere ad un altro essere umano prima di fermarsi, e quale fosse il reale peso dell’autorità nell’inibire la sua capacità di discernimento. All’allievo non era somministrata in realtà alcuna scarica, ma essendo un attore avrebbe dovuto comportarsi come se stesse soffrendo pene indicibili. Al contrario di quanto previsto, sia dai ricercatori che dagli stessi volontari, che alla vista della sofferenza dell’altro presunto volontario protestavano verbalmente e mostravano segni di tensione, quasi tutti continuarono a seguire l’esperimento. I soggetti volontari, furono disposti a violare i propri principi morali, dal momento che a quel punto si consideravano strumenti esecutori di una volontà esteriore, non più in grado di compiere scelte autonome, dunque dal proprio punto di vista non più colpevoli. Nel suo libro “Obbedienza all’autorità,” (edizioni Einaudi) Stanley Milgram scrisse: Chiaramente esistono molti individui coscienziosi, impegnati nel difendere e servire la giustizia, arruolati

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nelle forze dell’ordine. Tuttavia io credo in generale che non si dovrebbe mai avere troppa fretta di mettersi al servizio di un altro individuo, e che si dovrebbe sempre avere la libertà di discernere per conto proprio cosa è giusto, considerando che spesso è particolarmente difficile anche essendo “liberi”. Dover seguire degli ordini limita di molto la nostra gamma di scelte. Tornando al discorso sulla responsabilità dei politici, se pensiamo ad esempio (per assurdo) al caso in cui l’esercito americano arrivi a bombardare un ospedale in Siria, si tende a dare la colpa all’establishment politico o alle alte sfere di comando, ma dobbiamo ricordare che alla guida dell’aereo che finisce per bombardare l’ospedale non c’è il presidente degli Stati Uniti, c’è un soldato che sta eseguendo un ordine, e comunque la si metta è quell’anonimo soldato di cui nessuno parlerà il vero responsabile dell’accaduto. Che cosa sarebbe stato un personaggio come Hitler senza un’intera nazione pronta ad eseguire le sue volontà, se non un omuncolo inerme? C’è chi direbbe che non tutti sono in grado di stabilire con la forza del proprio buon senso che cosa è giusto e cosa no. Queste persone opterebbero per la limitazione della libertà di movimento di chi non ha le risorse per applicare il proprio discernimento. Mi dichiaro contrario, dato che penso che la radice dei problemi consista in buona misura nella scarsa libertà di movimento. Sono più propenso a conoscere ed eliminare le cause che portano al disordine sociale, piuttosto che desiderare di imporre l’ordine con la forza dall’alto. Ma d’altronde, il rischio di cercare il potere per potersi imporre sul prossimo, non è una possibilità che si realizza solo quando si parla di denaro e politica, anche ricoprire una carica nelle forze dell’ordine espone alla possibilità che le incrinature della psiche di un individuo, le sue insicurezze e difetti caratteriali degenerino nell’abuso di potere e nella corruzione morale. L’autorità conferita dalla divisa è una forma in cui può presentarsi il concetto astratto di potere. Secondo quanto dimostrato dal calcolo del coefficiente di Gini, quindi che al suo aumentare aumenti anche la criminalità e i disturbi mentali, possiamo dire che buona parte del problema, almeno a livello teorico, è risolto. Uno dei concetti iniziali da cui partirono tutti i miei ragionamenti del resto, è che non vi siano nemici all’esterno. Quando credi che il male sia all’esterno, fuori dalla tua

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persona, fuori dalla tua casa, fuori dalla tua città, dalla tua regione, stato, continente, non sei più in grado di vedere il male in te stesso. L’unico luogo in cui è necessario non vedere il male è la propria natura intrinseca, perché certo, c’è la possibilità che la persona comune diventi cattiva, ma se ti rassegni all’idea di essere cattivo per natura non ti dai la possibilità di cambiare, e cambiare è necessario.

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2.10.4. “Did you see the frightened ones? Did you hear the falling bombs? Did you ever wonder why we had to run for shelter when the Promise of a brave new world unfurled beneath a clear blue Sky? Did you see the frightened ones? Did you hear the falling bombs? The flames are all long gone, but the pain lingers on.” “Hai Visto coloro che erano spaventati? Hai sentito le bombe cadere? Ti sei mai chiesto perché siamo dovuti correre ai ripari quando la promessa di un nuovo mondo si dispiegava sotto un terso cielo azzurro? Hai Visto coloro che erano spaventati? Hai sentito le bombe cadere? Le fiamme sono andate via da tempo, ma il dolore indugia ancora.” Pink Floyd, Goodbye Blue Sky Gli individui prestano la loro forza lavoro all’industria bellica, un’industria che non conosce crisi. È assurdo dover ribadire qualcosa del genere, ma ho il timore fondato che ci sia un considerevole numero di persone che abbia bisogno di venire a conoscenza di tutto ciò. È chiaro che le armi vengono costruite perché qualcuno debba usarle, e a quel punto il problema non è solo che le armi possano venire usate dalla mafia, o dalla delinquenza sporadica, oppure dagli adolescenti americani che si presentano nei licei, armati di mitra, in preda ad un delirio da psicofarmaci o da psicopatologie gravi, ma che sia presente troppa fiducia malriposta anche nelle persone nelle cui mani l’opinione pubblica crede sia “giusto” che queste armi finiscano, come gli eserciti o le forze dell’ordine. Bisogna cercare di capire dove finisce la corsa agli armamenti con lo scopo di garantire una difesa “legittima,” e dove inizia la corsa agli armamenti che ha come unico scopo il business, oppure l’obbiettivo di assoggettare altri popoli. Le armi da fuoco, a dire il vero, lasciano davvero poca scelta in questo senso: a differenza per esempio di una lama affilata,

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che può pugnalare ma può anche servire come strumento di sopravvivenza o semplicemente per ridurre le cibarie in porzioni più piccole, oppure delle arti marziali, che possono essere usate anche solo per allontanare o immobilizzare un eventuale aggressore, per tenersi in forma o per elevarsi spiritualmente, le armi da fuoco raggiungono la manifestazione massima della precisione del proprio funzionamento, quando mettono fine alla vita di un essere umano. Se ci pensate, è difficile immaginare che qualcosa venga progettato e costruito... per non funzionare! Infatti le armi vengono progettate per uccidere, tutto qui, inutile girarci intorno. E scusate la mia scarsa tolleranza, ma dal mio punto di vista tutto questo è disumano, subumano, mostruoso, inaccettabile, disgustoso. Per chiunque voglia parlare di questo argomento, prendere come esempio gli Stati Uniti, è una scelta obbligata. Io non ho nulla contro gli USA, non ho nulla contro alcun popolo in particolare, ma ho sicuramente qualcosa di non proprio gentile da dire sulla violenza, e su altri concetti astratti del genere che vengono perseguiti in totale spirito di accettazione. Il governo degli Stati Uniti d'America è stato in guerra per il 93% della propria esistenza, dalla loro creazione nel 1776, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza, con soli 21 anni di pace. Gino Strada51disse che ogni giorno di guerra in Afganistan costa 200 milioni di euro, circa il costo per costruire e sostenere economicamente 10 ospedali per circa tre anni (E poi parliamo di crisi economica…). Come riportato da un articolo comparso online sul giornale Avvenire.it, il 27 aprile 2020, scritto da Luca Liverani 52: >53 Gli “onesti lavoratori” dell’industria bellica hanno le mani sporche di sangue. Sangue anche di bambini, perché no? Martin Luther King 53

Dal sito https://www.emergency.it/cultura-di-pace/abolire-la-guerra/

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definì la guerra “il vero nemico dei poveri”. King tenne un discorso memorabile contro la guerra in Vietnam, il 4 aprile 1967 nella Riverside Church di Manhattan, esattamente un anno prima di essere assassinato. Gli Stati Uniti erano da due anni in guerra in Vietnam, migliaia di persone erano state uccise, compresi circa 10.000 militari Americani. L’intero establishment politico sosteneva la guerra, senza differenze di orientamento tra destra e sinistra. In Vietnam c’erano più di 400.000 americani. Molti tra i più grandi sostenitori di King lo sollecitavano a restare in silenzio sulla guerra o almeno a esprimere critiche caute. Sapevano che se lui avesse detto tutta la verità sulla guerra ingiusta e disastrosa sarebbe stato falsamente etichettato come comunista, avrebbe subito rappresaglie e rifiuti, allontanato sostenitori e costituito una minaccia per il fragile avanzamento del movimento per i diritti civili. King rifiutò tutti i consigli benevoli e disse: . King sosteneva del resto che in quel conflitto vi era il paradosso di un’intera nazione: gli Stati Uniti dicevano di essere impegnati in una guerra per la libertà del popolo vietnamita quando i neri d’America, ad Harlem così come in Georgia, non godevano di nessun diritto. Come dice il testo della canzone “Wake up” dei Rage Against the Machine “You know they went after King when he spoke out on Vietnam, he turned the power to the have-nots, and then came the shot” (Sai? Loro perseguitarono King, quando lui decise di dire la sua a proposito della guerra in Vietnam. Egli diede più potere a chi non ne aveva, e così gli spararono). C’è solo un motivo per cui si fa la guerra, perché i ricchi restino ricchi e i poveri restino poveri.

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2.10.5. Chi non è abituato a riflettere sulla vera portata che le decisioni individuali possono avere, spesso si augura che venga, sottoforma di salvatore, un leader forte in grado di ristabilire l’ordine in un periodo di Caos. La paura e la voglia di risolvere un problema rapidamente, con un colpo di bacchetta magica per così dire, ci illudono che la persona che agisce in modo sbagliato ai nostri occhi aveva semplicemente troppa libertà, come se dentro di noi ci fosse un animale rabbioso che non viene fuori solo perché alcuni di noi sono stati educati a seguire le regole ed altri no. Perdonatemi se tento di smontare questo mito, ma ammesso e non concesso che tutti abbiano dentro di sé questo animale rabbioso, abbiamo prove evidenti che al di sotto di esso ci sia qualcosa di meglio, perfettamente in grado di convivere pacificamente con il prossimo senza l’imposizione di alcuna regola, perché rispondente a una struttura intrinseca nella natura che si basa sull’equilibrio e sul non lasciare niente al caso. Definire concettualmente la libertà è difficile, perché lo si può fare solo capendo la schiavitù. Questo mi ha portato a credere che libertà e vita naturale sono sinonimi. Bisogna fare un’importante divisione concettuale: cercando di prevedere il pensiero di un eventuale detrattore di questa particolare idea di libertà, immagino che costui penserebbe che un cittadino “eccessivamente libero” potrebbe eccedere in comportamenti deleteri nei confronti del suo prossimo. Personalmente credo che la tendenza a commettere azioni dannose per il prossimo non si possa considerare libertà: un criminale, un drogato, un maniaco, potrebbero sentirsi liberi dalla legge dell’uomo, ma sono schiavi di parti di sé stessi che non capiscono, sono schiavi delle proprie pulsioni. Tanto è vero che etimologicamente la parola “cattivo” deriva dal termine latino “captivus” che significa “prigioniero” 54. Con questo non voglio giustificare assolutamente chi commette azioni efferate, dico solo che non saranno di certo maggiori punizioni o regole più ferree a mettere fine alla violenza o ai crimini. Direi che non esiste qualcosa come “troppa libertà,” perché la maggior parte di 54

L’espressione originale utilizzata era “captivus diaboli” ovvero “prigioniero del diavolo”.

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noi non ha mai assaporato la vera libertà, perché siamo schiavi di un sistema economico, schiavi della paura, dell’incertezza, dell’opinione altrui, schiavi dell’assuefazione a determinati piaceri - tanto per dirne alcune anche se non tutte - e questo determina che la maggior parte di noi non ha neanche sperimentato del tutto il minimo di libertà che gli spetta. Rimuovere la libertà richiede un’autorità, composta inesorabilmente da altri esseri umani, dunque… potere. Se una persona ha potere, significa che una quantità esponenziale di altre persone non ne ha. Nulla sfugge al solito meccanismo in grado di produrre disuguaglianza; il coefficiente di Gini sale, e conseguentemente cresce la criminalità, cresce la depressione, le dipendenze e le malattie. Riporto qui una delle citazioni più famose dello scrittore Primo Levi, il quale disse . Questo concetto è espresso chiaramente nella sesta regola per il controllo sociale di Chomsky, “usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione”. In una condizione di necessità sono le persone stesse a chiedere che venga conferito maggior potere alle autorità. Nessuno pensa che le autorità sono esseri umani che potrebbero molto facilmente abusare del proprio potere in preda ad un delirio di onnipotenza, e soprattutto che la condizione di necessità è temporanea. Il fascismo è una mentalità, senza luogo e senza tempo. Io stesso sono stato un fascista, attenzione, non perché fossi un nostalgico del ventennio, difatti anche a quei tempi pensavo che Mussolini fosse un personaggio molto poco raccomandabile. C'è stato un periodo in cui avrei voluto annichilire nel silenzio chiunque non la pensasse come me. Quando ho devoluto tutte le mie energie in qualcosa che non mi dava nessuna ricompensa esistenziale, nessuna soddisfazione. Era un amore a senso unico, ciò nonostante ero pronto a difenderlo a spada tratta. Una sorta di sindrome di Stoccolma ideologica. Era un periodo in cui, nel silenzio della mia coscienza, ero costantemente in lotta con il mondo esteriore. Non è stato facile, ma l’ho riconosciuto dentro di me, e ne sono venuto fuori … e voi che leggete potete dire altrettanto di voi stessi? Non lo

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dico per provocare o insultare, né tantomeno per difendermi, voglio semplicemente farvi dono di una visione più affilata delle strutture profonde della vostra psiche. Non è mai semplice distinguere una tendenza del genere quando è priva di una bandiera ben definita, oppure quando abbiamo imparato ad odiare una bandiera in particolare. Non siamo in grado di vedere le stesse dinamiche ripetersi nel nuovo tipo di assembramento che si staglia all’orizzonte. Per esempio a scuola si fa tanto per ricordare l’olocausto degli ebrei, o la cattiveria del nazismo, e questo è giusto affinché non si ripeta. Ma ho paura che venga insegnato l’odio esclusivo nei confronti del nazismo o della persona di Hitler, e non si insegna a riconoscere gli elementi che lo hanno costituito nella struttura generale, o la pervasività della sua ideologia su menti deboli e impreparate. Soltanto approfondendo le dinamiche sottili di cui il nazismo è un esempio si può davvero scongiurare il ritorno di qualcosa di simile, perfino e soprattutto in sé stessi. Un motto tratto dalla letteratura latina recita “Chi sorveglierà i sorveglianti?”. Si ripresenta l’idea della corruttibilità, della fallibilità, in poche parole, dell’umanità di un eventuale leader politico. Senza contare che non esistono prove di una dittatura che abbia mai portato benefici al popolo, o che abbia mai permesso a uno stato, o un impero che sia, di durare nel tempo in pace e armonia con il mondo circostante. Per quanto riguarda il fascismo in Italia, allego più avanti quella che potrei definire come una curiosità, una postilla, insufficiente certo a descrivere in poche parole una questione politica che è stata oggetto di dibattiti e polemiche da diversi decenni, ma nondimeno utile come spunto di riflessione. È rivolta soprattutto a chi non si considera prettamente un fascista, ma che ha difficoltà a rinunciare in tutte le sue parti al pensiero che il fascismo non sia stato un evento poi così drammatico. Ad esempio a chi pensa che gli unici errori commessi da Mussolini sono state le leggi razziali, l’essersi alleato con Hitler, e aver contribuito al genocidio. I governi totalitari non portano alcun beneficio ad altri che a uno solo, il dittatore stesso chiaramente. Desidero riportare per intero un articolo pubblicato online il 25 aprile 2019 su “Il Fatto Quotidiano Magazine,” scritto da Diego Pretini: > Il filosofo Umberto Galimberti una volta venne invitato a partecipare ad una puntata del programma televisivo intitolato 8 e Mezzo in onda sul canale La7. La conduttrice Lilli Gruber gli domandò di nominare un filosofo per consigliarne la lettura delle opere all’ allora ministro Matteo Salvini. Galimberti rispose: Sarà per questa incapacità di destreggiarsi nella complessità della vita, e di conseguenza di decodificare le proprie emozioni quando queste sono innescate da stimoli esterni nuovi, che nasce una generale tendenza all’intolleranza verso chi ha un aspetto o delle idee diverse dalle nostre, o quando una minaccia seppur reale genera reazioni che si ripercuoteranno negativamente sul futuro di un paese. Sarà per questo che si usa il termine “Reazionario” per parlare di chi ha paura dei cambiamenti, perché appunto “reagisce” anziché riflettere. Probabilmente manchiamo della preparazione psicologica adeguata ad accogliere la diversità, che sia essa esclusivamente esteriore, o di ordine comportamentale, di scelte, culturale ecc…

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3. La Legge del Karma: condivisione di conoscenze dallo spazio profondo. “Le cose della Terra parleranno agli uomini delle cose del Cielo”; “le luci nel cielo saranno rosse, azzurre, verdi, veloci. Cresceranno”. “Qualcuno viene da lontano, vuole incontrare gli uomini della Terra. Incontri ci sono già stati, ma chi ha visto veramente ha taciuto” ... Pier Carpi, Le Profezie di Papa Giovanni [XXIII], anno 1935, 12 anni prima della nascita dell’ufologia moderna.

Terzo segreto di Fatima, 1917. La seconda, tra le scuole di pensiero che hanno influito pesantemente nella mia formazione, è senza dubbio, tra le quattro, la più incredibile, ma paradossalmente è quella le cui fonti rappresentano la base più solida da cui poter trarre un senso di fiducia e dissipare ogni dubbio. Come le altre tre non rappresenta affatto un mio patrimonio esclusivo, molte persone ne sono state influenzate allo stesso modo in cui ne sono stato influenzato io, più di quante se ne crederebbe. Io vi parlerò in parte del modo in cui ne sono stato influenzato, e di cosa ho ricavato rigirando tra le mani queste conoscenze. Sto parlando del fenomeno degli U.F.O. giusto per darne un’idea. U.F.O. come tutti sanno significa “oggetto volante non identificato” (ing: Unidentified Flying Object), ma dire di aver assistito ad un fenomeno come la comparsa di un U.F.O., se ci si ferma a questo, difficilmente riuscirebbe a trovare un collegamento con le tematiche trattate fino ad ora in questo libro, e soprattutto, difficilmente lo si potrebbe considerare un “metodo” alla gestione della propria interiorità. Quindi ecco che mi appresto a spiegarmi. Chi mi conosce personalmente saprà che ho l’abitudine ad andare a letto molto tardi. Sono originario di un paesino situato in Puglia, vivo in periferia, e il lato posteriore del mio condominio affaccia direttamente su un paesaggio costituito quasi nella sua totalità da campagne, uliveti e campi di grano. Accadde una notte che intorno alle 3 o 4 del mattino

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mi affacciai al balcone di casa mia; era estate, mi stavo godendo la brezza notturna e ammiravo il cielo terso gremito di stelle. D’un tratto vedo ciò che all’inizio sembra un telo, o un lenzuolo, che si era staccato dallo stendino dei vicini del piano di sopra, e si apprestava a cadere sospinto dal vento. Guardando meglio, osservo che quello che sembrava essere un telo aveva delle luci arancioni disposte linearmente su 2 lati della sua figura. Man mano che procedeva in maniera lineare si definiva meglio la sua figura; era di forma triangolare, di colore probabilmente nero (ma è difficile a dirsi visto che era notte) con delle luci arancioni come quelle dei lampioni, ruotava lentamente su sé stesso e non faceva alcun rumore. Mentre lo guardavo allontanarsi si “dissolse” come se fosse diventato trasparente. Data l’altezza del mio condominio e dato che doveva trovarsi ad una certa distanza anche dal piano più alto, doveva essere un oggetto di dimensioni piuttosto grandi. Nel caso ve lo stiate chiedendo, non ho mai fatto uso di sostanze allucinogene in grado di provocare visioni del genere, e non ho mai avuto episodi di schizofrenia. È stato un avvenimento isolato, non ci sarebbero in alcun caso i presupposti per speculare sui miei comportamenti o sulla mia salute mentale, se ci fermassimo a questo avvenimento. Non cerco di convincere nessuno, chi mi legge è assolutamente libero di non credermi, personalmente considero più sano il dubbio piuttosto che la fede cieca, tuttavia raccontare questo avvenimento è fondamentale per poter proseguire nella narrazione. Raccontai questo avvenimento ad una persona che frequentavo spesso a quei tempi, e il giorno dopo mi consigliò la visione di alcune conferenze, registrate e caricate in rete, di un certo Pier Giorgio Caria55. Pier Giorgio Caria, è un ricercatore e documentarista in ambito ufologico, le sue conferenze sono nella quasi totalità ad ingresso libero, e vengono puntualmente caricate in rete nella loro interezza. Caria sostiene che gli ufo siano effettivamente dei mezzi di trasporto per esseri provenienti da altri mondi. Secondo quanto afferma, il motivo per cui siamo visitati da questi esseri consiste essenzialmente nella loro preoccupazione per la condotta etica dell’umanità del nostro mondo. Infatti, al contrario delle storie narrate molto spesso dai 55

Pier Giorgio Caria, ricercatore, documentarista e ufologo internazionale. (dal sito www.piergiorgiocaria.it)

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bellissimi film hollywoodiani, ammesso che siamo visitati da esseri di altri mondi, non è realistico pensare di essere visitati da esseri interessati al dominio di altri popoli o alla loro distruzione. Bisogna considerare che per compiere viaggi interstellari c’è bisogno di tecnologie che rendano un mezzo di trasporto in grado di superare di gran lunga la velocità della luce. A pensarci, un popolo che avesse a disposizione una tecnologia simile, sarebbe in grado di utilizzarla per creare armi dal potere distruttivo inimmaginabile: pensate solamente ad un missile in grado di superare la velocità della luce, se usato per trasportare una testata nucleare potrebbe distruggere una città senza che si riuscisse in alcun modo a sapere del suo arrivo. Se per esempio la nostra umanità possedesse una tecnologia simile, probabilmente ci saremmo già estinti da tempo. Questo perché è stata trovata un’applicazione militare per qualsiasi tecnologia sviluppata nel corso della nostra storia, quasi immediatamente dopo la sua scoperta: si pensi all’aeroplano, o alla polvere da sparo, o all’energia nucleare. Addirittura alcune tecnologie hanno fatto il percorso inverso, da applicazioni militari verso applicazioni in ambiti che non prevedevano la guerra, come ad esempio il nastro magnetico oppure la tecnologia usata per costruire lo shuttle spaziale. Tramite Caria ho appreso che le prove della visita extraterrestre sono di una quantità ingentissima. La scienza dell’ufologia nasce il 24 giugno 1947, quando il pilota dell’aviazione militare americana Kenneth Arnold avvistò, mentre sorvolava il Monte Rainier, nove oggetti volanti di forma simile ad un disco. Questi oggetti secondo le stime dello stesso Arnold volavano alla velocità supersonica di circa 1200 miglia orarie, e la loro metodologia di volo era simile ad un sasso lanciato sulla superficie dell’acqua. Poco tempo dopo, l’8 luglio dello stesso anno, ebbe luogo il caso Roswell, probabilmente l’evento più conosciuto a livello culturale massivo. Nei pressi della cittadina di Roswell nel New Mexico la RAAF (Roswell Army Air Field) recupera un disco volante schiantatosi nei pressi di un ranch. Successivamente dissero che si trattava dei pezzi di un “pallone sonda”, ma in realtà sappiamo che nel primo comunicato inviato per segnalare l’avvenimento si parlava del recupero di “vittime.” Il 1947 è stato l’anno del bombardamento atomico di Iroshima e Nagasaki, e curiosamente Roswell era sede del 509 Bomb Group, e dell’allora unica base al mondo abilitata al decollo e all’atterraggio dei

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bombardieri nucleari. Da questo ci si è chiesti se gli extraterrestri non stessero tenendo d’occhio la base, e se la caduta dell’ufo non fosse una sorta di “avvertimento,” data la loro preoccupazione nei confronti del nucleare e della sua grande capacità di nuocere al genere umano. Tuttavia grazie a l’ex pilota Jean Gabriel Greslè, sappiamo che gli Stati Uniti erano in possesso di un UFO sin dal 1941, recuperato nei pressi di Los Angeles. Jean Gabriel Greslè è stato un pilota prima militare, poi civile, testimone di più di un avvistamento durante la sua carriera, cosa che lo spinse a condurre delle ricerche che fece confluire nella scrittura di alcuni libri sull’argomento. Successe che la Francia avesse acquistato dei caccia statunitensi, e siccome ai tempi in Francia non c’erano scuole di volo abilitate ad insegnare ai piloti come pilotare questi particolari aerei, l’esercito francese mandò alcuni piloti negli USA per imparare: tra questi c’era Greslè. Il primo avvistamento lo ebbe nel 1955 a Cap Saint Jacques in Vietnam, mentre si trovava a bordo di un caccia, vide un’enorme sfera gialla simile a una meteora che scendeva a 45° verso l’orizzonte, poi tornò indietro lasciando una scia di un colore verde intenso. Il secondo avvistamento lo ebbe trovandosi alla guida di un Boeing 707 tra Rio de Janeiro e Florianopolis: notò sullo schermo del radar un’eco a forma di goccia d’acqua che si muoveva ad una velocità di 5300 km/h. Il 27 luglio 1984, alla guida di un Boeing 747 di Air France, a 11,500 metri di altitudine vede nel finestrino laterale destro una scia luminosa che attraversa il cielo a gran velocità. Il fenomeno era collegato ad un gruppo di tre sfere luminose che seguono una rotta parallela a quella del Boeing. Segui un altro avvistamento nel 5 novembre 1990. Avendo acquisito una certa esperienza della legge Statunitense, decise di sfruttare la legge di accesso all’informazione americana, il Freedom Of Information Act, che gli consentì l’accesso ad una serie di documenti militari circa la storiografia degli avvistamenti ufo. Fu una sorta di colpo di genio da parte di Greslè, quello di chiedere l’accesso ai documenti direttamente al Ministero di Grazia e Giustizia, poiché chi precedentemente aveva fatto la stessa richiesta al Ministero della Difesa, dato un maggiore interesse di quest’ultimo a mantenere la segretezza, ricevette i documenti consegnati con diverse censure e omissioni. Al contrario, lo scarso interesse del Ministero di Grazia e Giustizia a riguardo, permise un risultato di maggior successo. La qualità di questi documenti è di un

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valore storico impressionante, comprende addirittura la perizia tecnica di un’astronave recuperata dall’esercito americano. Tra i vari documenti riportati da Greslè è presente un carteggio di comunicazioni avvenute tra due personaggi di grandissimo spicco: il capo di stato maggiore dell’esercito statunitense durante la seconda guerra mondiale, il Generale Marshall, e l’allora presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosvelt. Un documento riguarda l’avvenimento che è stato successivamente rinominato come “la battaglia di Los Angeles” (Fig.1 pagina di giornale circa questo avvenimento) Durante la seconda guerra mondiale, l’esercito americano per prevenire eventuali attacchi da parte dell’esercito del Giappone, provvide a piazzare misure difensive contraeree lungo la costa del pacifico. La notte del 24 febbraio 1942, una squadriglia di velivoli sconosciuti sorvola i cieli di Los Angeles, e incontra il fuoco dell’esercito statunitense.

Figura 1. Frontespizio di un giornale riguardante “la battaglia di Los Angeles”

Ci fu uno scambio di informazioni sull’accaduto tra il Gen. Marshall e il presidente Roosvelt, questo è quanto si legge in un estratto di un Memorandum da parte di Marshall diretto a Roosevelt56 (Fig.2 e 3):

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Questo documento e molti altri documenti ufficiali, che testimoniano la conoscenza approfondita del fenomeno UFO da parte dell’esercito statunitense sono reperibili sul sito https://majesticdocuments.com/ .

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Figure 2 e 3, Memorandum inviato dal Segretario di stato maggiore il Generale Marshall al presidente Franklin Delano Roosevelt, in versione ingrandita a destra per renderlo leggibile.

> L’anno 1952 segna una sorta di svolta per l’ufologia, dal momento che gli avvistamenti di quell’anno coinvolsero per la prima volta osservatori non appartenenti ad ambiti militari. Sino a quel momento gli avvistamenti UFO erano stati fatti da piloti di aerei militari, e questo aveva permesso una minore possibilità della fuga di notizie verso l’opinione pubblica. Tuttavia nell’estate del 1952 gli UFO sorvolano spesso i centri abitati producendo un enorme numero di testimonianze. Addirittura, il 19 e 20 luglio una squadriglia di oggetti volanti giunge a sorvolare la Casa Bianca, che è notoriamente una zona che per legge non può essere sorvolata (Fig.4 e 5).

Figure 4 e 5. pagine di giornale circa gli avvistamenti del 1952

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A seguito di questa enorme ondata di avvistamenti, e all’elevato interesse da parte del pubblico, il governo degli stati uniti si vede costretto a far luce sul fenomeno tenendo una conferenza stampa. Il 29 luglio 1952 durante questa conferenza stampa, il capo dell’intelligence militare, il generale John Alexander Samford, comandante dei servizi segreti USAF, dichiara quanto segue (l’intervista è tutt’ora presente in rete, basta digitare “Maj. Gen. John A. Samford’s statement on Flying Saucers”): > Da questo apprendiamo che 1) “sono testimonianze credibili di fatti incredibili” 2) non rappresentano una minaccia, e 3) non sono il risultato di uno sviluppo di tecnologie degli Stati Uniti, quindi l’ipotesi dei “palloni sonda” decade inesorabilmente. Fino al 1951 per designare questi velivoli sconosciuti, in America si utilizzava il termine “Flying Saucers,” ovvero “piatti volanti,” oppure “Flying Discs,” appunto “Dischi Volanti.” Fu un’idea del tenente Edward J. Ruppelt, quella di inserire il termine tecnico U.F.O., oggetto volante non identificato. Ruppelt era al comando del project

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Blue Book, un comitato di esperti dell’aviazione americana, che per circa un anno, dal 1951 al 1952 fu incaricato di analizzare circa ottocento rapporti riguardanti gli avvistamenti UFO. In questo caso proprio i militari suggeriscono che si tratta di un fenomeno oggettivo, e in tal caso può essere “oggetto” di analisi e ricerca scientifica. Non più un credo, non più una fede o una diceria, ma scienza. Del resto se ci sono stati 800 casi, vien da sé sospettare che almeno uno sia reale. Detto questo, si stima che dal 1995 al 2014, solo negli Stati Uniti ci siano stati 58828 casi di avvistamenti UFO, solo tra quelli segnalati alle autorità, tenendo conto che in buona parte non vengono neanche segnalati per paura di essere considerati folli o di essere perseguitati. Molti degli argomenti illustrati da Caria durante le sue conferenze sono stati reperiti a seguito dell’apertura online di una camera di lettura elettronica nel suo sito www.Fbi.gov chiamata “the Vault” o “il caveau.” Praticamente una biblioteca online in cui sono contenuti circa 6700 documenti precedentemente top secret, tra i quali oltre 250 documenti circa la visita extraterrestre (Fig.6).

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Figura 6. Pagina della camera di lettura elettronica “The Vault” dedicata ai fenomeni inspiegabili, basta andare in basso nella home e cliccare sulla scritta in piccolo “Freedom of information act”.

Considerando che fosse un sito di accesso pubblico ho deciso di verificare personalmente. Ho dato un’occhiata ad alcuni documenti: alcuni erano interessanti resoconti di avvistamenti, illustrando le modalità con cui gli oggetti si palesavano e svanivano, nonché la forma degli oggetti e le sembianze metalliche. Altri erano comunicazioni tra le varie personalità che occupavano cariche governative, militari o dell’intelligence. Quasi tutti i documenti presentano varie censure, talvolta solo di alcuni nomi o alcune parole, altre volte di interi paragrafi, eventualità già portata alla luce dal caso di Jean Gabriel Greslè. Ad esempio compare nell’immagine della pagina del sito dell’FBI che ho allegato, il caso dei “Majestic 12” o Magnifici 12, caso di cui avevo già sentito parlare da Piergiorgio Caria. Sul sito dell’FBI viene considerato un falso, ma non viene conferita nessuna spiegazione del perché allegare il documento se è un falso, né tantomeno come abbiano fatto a mettere in dubbio la sua veridicità. Non si spiega neanche la pesante censura dello stesso

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documento. Tutti questi compromessi, aggiungere i documenti al sito ma non nella loro interezza, poi considerarli falsi … troppi andirivieni, non convincono affatto. Anche perché i Majestic 12, sia come gruppo, sia come singoli individui appartenenti al gruppo vengono spesso citati nei documenti scritti ad esempio dal Presidente Roosevelt o dal Generale Marshall (Vedi sito https://majesticdocuments.com/). Il comitato super segreto Majestic 12 (abbreviato in MJ-12, o Majic) (Fig.7) fu creato il 24 settembre 1947 per ordine del presidente Truman, ma fu il presidente Eisenhower ad elevare questa commissione al grado di comitato. Il gruppo comprendeva scienziati, militari e dirigenti governativi di altissimo livello, e aveva il compito di studiare e gestire segretamente le informazioni riguardanti la tecnologia extraterrestre e i contatti con gli extraterrestri, ma anche il compito di occultare, di depistare e discreditare il fenomeno UFO agli occhi del pubblico.

Figura 7. Lista appartenenti al comitato Majestic 12, tratta da documenti desecretati.

Tra i Majestic 12 compare primo fra tutti il Contrammiraglio Hillenkoetter, primo direttore della CIA, secondo il dottor Vannevar Bush, incaricato di studiare la tecnologia dei dischi volanti al fine di sviluppare nuove tecnologie e armi. Tra questi, il dottor Detlev Bronk era un fisiologo e biofisico, perciò in possesso di una conoscenza necessaria ad analizzare i corpi che venivano ritrovati a seguito degli schianti delle navicelle come quello di Roswell. Oggi sappiamo che i cosiddetti alieni chiamati “grigi,” il classico alieno riprodotto dai media con gli occhi grandi e neri, la testa

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sproporzionata al corpo, e il corpo molto esile, è stato ispirato da questi avvenimenti, ma si tratta tuttavia di “robot biologici” non dotati di un’autocoscienza individuale. Funzionano come una sorta di “navigatore” o di computer senziente collegato direttamente alla navicella, come un computer di bordo. Gli extraterrestri che ci hanno visitato negli anni sono molto spesso in tutto e per tutto simili a noi terrestri, pertanto sono difficili da identificare come tali. Tornando ai Mj- 12, in uno dei loro documenti si legge quanto segue: > Ricordate il meeting annuale del World Economic Forum tenuto a Davos di cui ho già fatto menzione? Avevo parlato di cinque fattori “X” potenzialmente in grado di portare al collasso il sistema attuale. Benissimo, tra questi è presente anche la scoperta di vita extraterrestre. Soffermiamoci mentalmente per un attimo su questo fatto: il solo arrivare ad asserire che esiste vita su altri pianeti, è considerato dal Forum Mondiale dell’Economia come una delle probabili 5 cause di collasso del sistema politico economico e sociale!

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Non è un segreto, è una fonte ufficiale quanto l’agenda Onu. Teniamo presente che questi cinque fattori non comprendono né una probabile rivoluzione armata popolare, non comprendono riforme politiche, né guerre, né ideologie come il comunismo. Essenzialmente sono: 1) Il costo dell’allungamento della vita delle popolazioni, 2) il cambiamento climatico, 3) un incremento significativo delle facoltà intellettive (già menzionato), 4) l’utilizzo sconsiderato della geoingegneria, e 5) la scoperta di vita aliena. Caria racconta spesso come ebbe conferma dalla nipote del presidente Eisenhower, Laura Eisenhower - che incontrò personalmente durante un convegno a San Marino – del fatto che Eisenhower dialogò direttamente, fisicamente con una delegazione di extraterrestri, non in una occasione, ma in ben tre incontri diplomatici. Nel febbraio del 1954, gli extraterrestri dissero al presidente che erano disposti ad aiutare il nostro pianeta sotto ogni punto di vista, consegnandoci in maniera completamente gratuita due cose: 1) una tecnologia milioni di anni più avanzata della nostra, dunque fonti di energia illimitata e totalmente pulita, una scienza medica in grado di curare qualsiasi malattia e di far vivere l’uomo una vita molto più lunga, e la capacità tecnica di compiere viaggi interstellari, e 2) conoscenze in ambito politico, sociologico ed economico in grado di creare un mondo perfetto. Tutto questo ce lo avrebbero concesso previa la “preparazione” psicologica della popolazione da parte dei media, perché come detto nel resoconto dei Majestic 12, il contatto con una società così tanto più avanzata della nostra avrebbe potuto produrre un grave shock psicologico. La proposta degli extraterrestri, come possiamo vedere attualmente, non fu accettata. Si pensa che il presidente comunicò la situazione ai “veri” potenti, responsabili del successo della sua campagna elettorale, e questi avendo giustamente paura di perdere il loro potere, la loro posizione oligarchica privilegiata, rifiutarono. Quando il presidente comunicò il rifiuto agli extraterrestri, essi che già conoscevano profondamente la situazione, dissero che avrebbero concesso circa 50 anni al nostro pianeta per cambiare la sua tendenza autodistruttiva, dopodiché sarebbero atterrati. Il contatto con il presidente Eisenhower avvenne nel 1954, ma si può dire che le autorità statunitensi avessero già compreso tutto della visita extraterrestre tra il 1941 e il 1947, il motivo della loro visita, la

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loro essenza, il loro essere pacifici e ovviamente la loro sconfinata superiorità tecnica. Questo fatto è testimoniato da un documento estrapolato da The Vault, che porta la data dell’8 luglio 1947. Il file in formato pdf è scaricabile, ne sono presenti molti in questa sezione denominata semplicemente “UFO,” il cui caricamento risale al 30 novembre 2011. Il primo file contiene 69 pagine, a pagina 22 si legge quanto segue (Fig. 8):

Figura 8. Memorandum 8 luglio 1947.

> Questo documento è davvero molto interessante; un documento governativo custodito dai servizi segreti, che invece di riportare un’analisi scientifica(nel senso del termine usato comunemente e secondo la scienza alla quale ha accesso la massa) dei fenomeni, usa una terminologia esoterica. Per fugare eventuali sospetti di chi fosse all’asciutto di determinate conoscenze, mi vedo costretto a precisare che “esoterico” non vuol dire “satanico”, e che personalmente aborro completamente tutto quanto concerne il satanismo, aborro gli insegnamenti di Aleister Crowley e simili, e non sto affatto parlando di ciò. Cercando la definizione di esoterismo su Wikipedia si può leggere quanto segue: > (Marco, 10;17-23) Chi di noi potrebbe dire di avere la disposizione mentale, o spirituale per poter compiere un’azione del genere e in seguito vivere una vita del genere? Questo perché – col rischio di dire qualcosa di assolutamente ovvio – generalmente colleghiamo agli oggetti non solo un senso di sicurezza, ma anche emozioni, ricordi, valori che ci rendono difficile lasciarli andare. Da qui si può sfociare nella convinzione che saremo proporzionalmente felici in base alla quantità di oggetti che possediamo, così compriamo qualcosa ogni volta che ci sentiamo tristi. Si tratta di avere un vuoto dentro, nonché dell’ incapacità di convivere col proprio dolore, di ascoltarlo ed elevarlo. Cerchiamo di riempire questo vuoto con il possesso, talvolta di oggetti, talvolta di sensazioni innaturali causate da sostanze deleterie, e talvolta cercando di possedere intere nazioni. Possiamo ricollegare il desiderio di possesso di un territorio, di un “regno”, al passo del vangelo riportato sopra, ripensando ad un’altra frase tratta dal vangelo, stavolta di Luca, ovvero: “il regno dei cieli è dentro di voi”. Il regno dei cieli dentro, è forse l’unico “spazio” che è giusto possedere. Avere potere su sé stessi, tramite soprattutto la conoscenza di sé, renderebbe inutile al confronto qualsiasi altro tipo

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di possesso. In generale il potere può essere imposto meglio ad un popolo diviso internamente, ma questo tipo di controllo ha vita breve, e quando ha una vita più lunga ha comunque delle conseguenze molto nefaste per il popolo. Nel caso di acquisire controllo su sé stessi, dal momento che noi stessi dentro possiamo considerarci sia regnanti che sudditi, non possiamo augurarci nulla di meglio che unità di interessi e di intenti, tra le varie parti. Non molti si rendono conto di essere internamente divisi; si dice spesso che il cuore e la testa vogliano cose diverse, per non parlare poi degli ormoni. Tra i metodi che propongo due su quattro saranno utili a riportare unità dentro di sé. Del resto come si può convivere pacificamente con gli altri se si è costantemente in guerra con sé stessi?

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5. I Simboli: Attraverso lo Specchio. Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem. Entra nelle viscere della terra ed eliminando le imperfezioni, rinvieni la pietra nascosta. “V.I.T.R.I.O.L.”, antico motto degli alchimisti. "Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova." Agatha Christie “Solo la bellezza salverà il mondo” Fedor Dostoevskij La terza via che ho deciso di seguire, e dunque di illustrarvi, consiste in un percorso che coinvolge direttamente l’ambito della conoscenza, che in questo caso è considerata alla stregua di una pratica, parimenti in grado di influire sull’essere tutto, procedendo dall’interno verso l’esterno. Tra i quattro metodi che ho raccolto nel mio percorso, questo è proabilmente l’unico in grado di provocare maggiormente dei cambiamenti già semplicemente leggendo, perché è proprio in questo che consiste, in uno studio. Parlando di zazen, ho asserito che in quel caso non era tanto l’assenza del pensiero a portare lucidità alla mente, quanto un pensiero specifico al quale dedicare attenzione allo stato puro. Nel caso dei simboli, stiamo parlando di pensieri della qualità più raffinata in assoluto, tra quelli che la mente possa produrre. In questo caso tuttavia, non stiamo parlando di pratiche che coinvolgano il solo utilizzo dell’attenzione, alla stregua di zazen, o dello yoga, o di pratiche meditative come quelle illustrate ad esempio da Rudolf Steiner, o di quelle che verranno illustrate nel capitolo successivo. In questo caso la mera attenzione potrebbe al massimo servire da strumento di supporto per altre capacità, quali in particolar modo l’intuizione, la deduzione, e la capacità di rilevare delle analogie tra vari schemi. Diciamo in breve, giusto per non lasciarvi troppo sulle spine, che l’obbiettivo di tutto questo è - come al solito in questa trattazione – fornire la possibilità al lettore di sviluppare una visione che sia più vicina possibile alla visione dell’Assoluto, in modo che la sua visione non

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sia limitata dalle sovrastrutture mentali consegnategli dalla cultura, mista delle tradizioni del suo paese, della sua epoca, dell’educazione fornitagli dal suo nucleo familiare, dell’istruzione ricevuta dal sistema educativo istituzionalizzato, di eventuale propaganda, di messaggi espliciti o meno ricevuti dai mass media ecc… In buona misura, un percorso conoscitivo che faccia uso di simboli è inteso a riparare la separazione artificiale tra ciò che intendiamo quando parliamo di Intelletto e ciò che intendiamo quando parliamo di Anima, risvegliando ciò che gli antichi egizi chiamavano “Intelligenza del Cuore.” Si tratta per altri termini, di imparare a leggere un linguaggio scritto ovunque, a partire dalla natura, poi nelle opere architettoniche di ogni civiltà - dai sumeri ad oggi e forse anche prima - nell'arte, nella musica e persino nel tempo stesso. Questo linguaggio è in grado di consegnare concetti e dunque forme di consapevolezza che sarebbe molto più difficile consegnare per mezzo delle parole. Come tutti gli altri capitoli, questo capitolo è pensato per lo più per chi non ha mai avuto altra occasione di venire a contatto con questo “mondo,” come me del resto. Infatti il modo attraverso il quale sono approdato a questo tipo di conoscenza è partito da una serie di piccoli equivoci, che mi sono premurato di “esorcizzare” fin da subito in questa trattazione. In breve, frequentavo una palestra di arti marziali cinesi in cui si insegnava il kung fu di Shaolin, o Shaolin Quan, ed è in quel caso che mi venne insegnata la pratica di zazen ad esempio. Insieme a zazen, il mio istruttore mi insegnò alcune tecniche di Qi Gong (lavoro sull’energia), in particolare la pratica nota come Piccolo Circuito Celeste, o anche come Orbita Microcosmica. Ho intenzione di parlare diffusamente dell’Orbita Microcosmica nel capitolo successivo, ma in generale si tratta di una forma di meditazione in cui si diventa in grado di muovere l’energia, chiamata dai cinesi col termine “Qi,” all’interno del proprio corpo. Ma ciò che veramente mi spinse verso il percorso dei simboli, fu il fatto che il mio istruttore si riferiva a questo tipo di pratica chiamandola “Alchimia Taoista.” La cosa mi lasciò leggermente interdetto, dal momento che avevo sempre sentito parlare dell’alchimia come una sorta di antenata della moderna chimica. Cosa poteva avere a che fare la chimica con il movimento dell’energia all’interno del corpo, con le arti marziali e con la meditazione?

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Innanzitutto bisogna fare una distinzione fondamentale tra alchimia e “spagiria,” ossia lo studio di vegetali o sostanze analoghe a scopi terapeutici: la prima era più che altro intesa come una forma di ricerca orientata all’osservazione della natura che comprendeva anche un aspetto metafisico, e interessata più che altro alla manipolazione dei metalli. La seconda può essere ragionevolmente considerata la vera antenata della moderna chimica. In ogni caso, pensare che ci potesse essere anche in occidente qualcosa che aveva la stessa aura di mistero che percepivo nelle pratiche orientali, mi spinse a ricercare. Tutt’ora non saprei dire se esistano o siano esistite pratiche esercitate dagli alchimisti occidentali che prevedessero l’utilizzo del corpo o la manipolazione intenzionale delle energie presenti nel corpo, dato che la documentazione in proposito è veramente scarsa. Tuttavia, l’accostamento tra pratiche come il Tai Ji e lo Yoga e l’esoterismo occidentale viene riproposto piuttosto spesso, probabilmente perché dal momento che - nonostante non sia sicuro che l’anello di congiunzione tra alchimia occidentale e alchimia taoista cinese siano le pratiche fisiche - esiste comunque una alchimia cinese, anch’essa dedicata allo studio dei metalli e alla trasmutazione degli elementi sperimentata in laboratorio. Infatti si può dire che le arti marziali cinesi derivino i propri principi teorici proprio dall’alchimia cinese. Penso di poter affermare con una certa tranquillità, che possiamo far rientrare il Tai ji, il Qi Gong e lo Yoga nella definizione di alchimia, ma che il termine alchimia non può rientrare nella definizione di Qi Gong, né allo stesso tempo Yoga o Tai ji. Mettiamo da parte questo argomento per ora, lo riprenderemo nel capitolo successivo. Dal momento che non avevo la più pallida idea di dove iniziare a cercare, utilizzai internet, e mi imbattei in alcune conferenze registrate di Giovanni Francesco Carpeoro63, tramite il 63

Giovanni Francesco Carpeoro (Cosenza il 24/06/1958), all’anagrafe Gianfranco Pecoraro è oggi uno scrittore. Laureato nel 1981 in giurisprudenza, dopo aver fatto il dj in molte emittenti radiofoniche private a cavallo tra gli anni ‘70 e ’80, apre il suo primo studio legale a Milano, poi a seguire a Roma e a Mantova. Appartenente dal 1981 alla Massoneria di Rito Scozzese, diviene Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro della Legittima e Storica Piazza del Gesù nel 1999, rimanendolo fino al 2005, data nella quale cessa la sua operatività massonica. Direttore di diverse riviste di settore, nel 2005 decide di cambiare totalmente attività, chiude gli studi legali e diviene scrittore, pubblicando

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quale venni a conoscenza della leggendaria confraternita dei Rosa+Croce. La confraternita dei Rosa+Croce era costituita da persone in possesso di conoscenze, trasmesse prevalentemente attraverso i simboli, la cui origine si perde nella notte dei tempi. Infatti la storia più largamente conosciuta vede la loro prima comparsa nel XVII secolo, con l’affissione dei tre manifesti della Rosa+Croce, a Parigi e a Kassel in Germania: la Fama Fraternitatis, la Confessio Fraternitatis, e le Nozze Chimiche di Cristian Rosencreutz. Ma è opinione di alcuni studiosi e in particolare di Carpeoro, che il termine “Rosa+Croce” sia un nome adottato in un intervallo di tempo limitato dagli appartenenti ad una tradizione sapienziale millenaria, che avevano più volte cambiato il modo con cui riferirsi a sé stessi. Secondo gli studi di Carpeoro, la simbologia con cui i Rosa+Croce esprimevano il pensiero della propria tradizione trae origine da un capitolo della Genesi Biblica, il 49, nel quale il patriarca Giacobbe conferisce un ruolo ad ognuno dei suoi 12 figli, dai quali nacquero le 12 tribù ebraiche. Tra questi, a suo figlio Giuda conferisce il ruolo della regalità, rendendo degno ogni discendente di Giuda di regnare sulle altre undici tribù. Il passo in questione è questo:

In questo passaggio sono enunciati alcuni dei simboli fondamentali per la tradizione rosicruciana, ovvero: il Leone, il colore verde della vite, il rosso dell’uva e il bianco del latte. In altre parole, i Rosa+Croce secondo gli studi di Carpeoro non sarebbero altro se non la prosecuzione della stirpe di Giuda. Ecco, mettiamo per un attimo in pausa il flusso delle informazioni che si generano a vicenda. Come ho detto, il mio interesse per queste tematiche nacque da un equivoco, che mi spinse a una ricerca spasmodica per capire se i Rosa+Croce possedessero qualche forma di alchimia energetica fisica in grado di rendere speciale chiunque la praticasse. Inconsapevolmente, stavo già vivendo la trasformazione che i Rosa+Croce auspicavano per tutti gli esseri umani, tramite l’influsso che i simboli esercitano su chi li osserva, su chi li ascolta in forma di musica, o su chi li sente narrare sottoforma di miti o fiabe. C’è un passaggio nel primo romanzo di Carpeoro dal titolo “Il Volo del Pellicano” nel quale non ho potuto fare a meno di identificarmi: 64 A questo punto è arrivato il momento di entrare nel vivo della spiegazione dei simboli, iniziando da che cos’è un simbolo e il perché 64

Giovanni Francesco Carpeoro, Il Volo del Pellicano.

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dell’importanza ad essi attribuita in determinati ambiti. Esistono altre correnti di pensiero che spiegano i simboli e la loro importanza da punti di vista diversi rispetto a quello che tratteremo in questa sede, come ad esempio la corrente Junghiana che spiega i simboli da un punto di vista psicologico, ma siccome non rispecchia il mio personalissimo pensiero non mi dilungherò oltre sull’argomento. Carpeoro nei suoi trattati sui simboli dal titolo “Summa Symbolica” (L’Età dell’acquario Editore) esamina il concetto di simbolo estrapolato da ricerche relative ad un’accezione del simbolo, che si basa su una concezione dell’Universo che abbia come caratteristica strutturale quella di ripetersi nei suoi eventi fondamentali, che siano essi di ordine fisico o metafisico. Questi eventi teoricamente vengono poi memorizzati in una dimensione parallela a quella materiale, che egli definisce una sorta di “biblioteca mnemonica universale”, al quale si può avere accesso dalla nostra dimensione spazio-temporale solo per mezzo dei simboli. I Simboli sono quindi delle rappresentazioni degli eventi memorizzati dall’Universo, la cui ripetizione a catena si può far risalire fino al primo evento in assoluto della serie, chiamato “archetipo.” Essi dunque non rappresentano eventi naturali o più genericamente materiali, ma l'idea archetipale che ha preceduto anche l'evento materiale. In questo contesto, l’eventualità che si verifichi un fenomeno che ricorda ad esempio vicende raccontate in un mito, non farebbe che avvalorare l’ipotesi simbolica: questo consente al mito di poter essere allo stesso tempo un racconto simbolico e un avvenimento realmente accaduto, magari arricchito di particolari che avevano lo scopo di suscitare delle reazioni negli ascoltatori, come ad esempio aggiungere particolari sorprendenti per renderlo più facile da ricordare. Tornando al nocciolo della questione, attraverso lo studio dei simboli è possibile recuperare la memoria ancestrale dell’universo. Secondo Wikipedia > Dunque coerentemente con la sua etimologia, il simbolo ha lo scopo di ricongiungere la memoria ancestrale dell’universo, con la memoria ancestrale presente in ognuno di noi. Il suo opposto concettuale è espresso con il verbo greco διαβάλλω (diabàllo) che significa separare, e da cui deriva la parola “diavolo”, quasi volendo vedere il male come un distacco dalla condizione di unione con la memoria ancestrale, e specularmente il bene come l’unione. A questa definizione di “ricongiungimento”, Carpeoro aggiunge la proprietà del simbolo di ricongiungere la funzione cognitiva decodificante della percezione della realtà, e la funzione emozionale fondata sul riconoscimento intuitivo del contenuto di un simbolo tramite il risveglio della memoria ancestrale, entrambe facoltà indispensabili per dedurre il significato di un simbolo. Dunque è proprio il risveglio latente di questa memoria ancestrale presente in noi che talvolta genera la stessa sensazione di nostalgia provata dal protagonista del romanzo summenzionato. Questa scuola di pensiero, più avanti vedremo che considera la stessa percezione della bellezza in generale come una forma di nostalgia, nostalgia per la parte più nobile di noi che abbiamo dimenticato, ovvero l’anima. L’anima va ritrovata riconnettendosi con l’anima dell’Universo, che va individuata nell’ordine sottile che regola tutte le cose, una Legge, che è allo stesso tempo espressione di un’entità senziente. Coerente con questo discorso è la filosofia platonica, che infatti vede la realtà materiale come figlia di una dimensione metafisica, nella quale risiedono le idee pure archetipali, chiamato “Iperuranio”, idee pure che costituiscono il progetto a monte della creazione della realtà materiale. Secondo Platone, l’uomo è in grado di intuire inconsciamente la conoscenza ancor prima di sperimentarla, in quanto secondo la dottrina della Reminiscenza, per Platone conoscere significa essenzialmente “ricordare”. Questo mi ha

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fatto pensare ad un discorso di Paramahansa Yogananda 65, che allego: 66 I simboli possono presentarsi in molteplici forme come già accennato, tenendo conto anche del fatto che ogni evento che si sia ripetuto nella natura, conseguentemente al primo evento archetipale, può considerarsi un simbolo. Ma parlando specificamente dei simboli schematizzati dall’uomo, possiamo ritrovarli nelle più svariate forme: illustrazioni di ogni tipo, disegni, schemi geometrici, piante architettoniche, sculture, bassorilievi, talvolta intere opere d’arte dedicati ad essi, oppure celati in bella vista all’interno di dettagli appartenenti ad opere d’arte, così come anche singole parole o intere frasi, alfabeti ecc … Possiamo ritrovarli nella musica, che costituisce senza dubbio un passaggio fondamentale della ricerca simbolica, la cui matematica intrinseca Paramahansa Yogananda, परमहंस योगानन् द, nato Mukunda Lal Ghosh (Gorakhpur, 5 gennaio 1893 – Los Angeles, 7 marzo 1952), è stato un filosofo e mistico indiano. Yogananda è stato uno yogi e guru, ha trascorso gran parte della sua vita negli Stati Uniti d'America e ha introdotto molti degli insegnamenti di meditazione del Kriyā Yoga soprattutto con il suo libro, Autobiografia di uno yogi, tradotto in 35 lingue. (da Wikipedia) 65

66

Paramahansa Yogananda, L’eterna Ricerca dell’uomo, Astrolabio Ubaldini.

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rappresenta un punto cardine nella struttura degli schemi geometrici simbolici e non solo. I popoli antichi comunicavano i simboli attraverso i miti come già detto, estrapolando le trame dall’osservazione dell’ordine nascosto negli eventi naturali che si ripetevano ciclicamente, nella speranza che potessero fornire una spiegazione più profonda delle loro cause metafisiche. E dunque tenendo presente cosa sia un simbolo, e che in questa trattazione verranno esaminati soprattutto simboli schematizzati per mano dell’uomo, una domanda dovrebbe sorgere spontanea: chi erano costoro che avevano a cuore il passaggio dell'umanità da uno stato di divisione ad uno stato di unione con il Divino, anzi di ritorno all'unione dopo una separazione innaturale avvenuta per qualche motivo? Penserete che mi sto riferendo ai sopracitati Rosa+Croce, ma dal momento che mi sto rivolgendo idealmente ad un pubblico del tutto ignaro di questo tipo di tematiche, devo fare una ulteriore digressione. Bisogna considerare che i Rosa+Croce non sono stati un evento isolato, ma che possono essere inseriti in una categoria più ampia della quale essi sono stati la massima espressione, e fonte di ispirazione in numerose occasioni negli ultimi dieci secoli. La categoria più ampia in cui possiamo inserire i Rosa+Croce è il cosiddetto “mondo iniziatico”, al quale fanno parte tutti gli individui che hanno subito un’iniziazione, i cosiddetti “iniziati”. È opinione di un’intera categoria di studiosi di questo fenomeno socio-culturale, che nella storia umana sia presente più di un capitolo precedente alla storia conosciuta, che sia stato quasi completamente dimenticato. In queste epoche dimenticate, si pensa che la razza umana non fosse frammentata come al giorno d’oggi in diverse culture, lingue e religioni, ma che esistesse una società planetaria in cui il sapere di qualsiasi ambito fosse universalmente condiviso. Queste società planetarie, erano costituite da umanità spiritualmente e tecnologicamente molto più evolute di quella attuale, ogni individuo era in contatto diretto con il divino. Per qualche motivo, ad un certo punto la razza umana ha subito una “caduta” da questa condizione esistenziale edenica, che si ripercosse in maniera molto grave anche sul piano materiale chiaramente, motivo per cui queste civiltà sono state quasi del tutto dimenticate. Secondo le leggende, alcuni individui scampati agli sconvolgimenti che causarono la fine di intere civiltà, conservarono la conoscenza

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antica e dunque le chiavi di accesso per ritornare allo splendore del passato. Da quel momento i personaggi in possesso delle antiche conoscenze, si fecero carico del compito di diffonderle tra i popoli, al fine di creare dalle fondamenta una civiltà dotata dello splendore delle civiltà del passato. Ovviamente gli ostacoli nel compiere questa operazione non erano pochi, come ad esempio la censura e le persecuzioni da parte della chiesa cattolica nel medioevo, oppure il fatto che purtroppo essere iniziato non implicava essere moralmente impeccabile, e che data la capacità di attrazione suscitata dai simboli poteva rappresentare una forma di potere che non sarebbe dovuta finire in mani sbagliate, cosa che inevitabilmente avvenne. Oltre a questi ostacoli, di solito ci si mette in mezzo la semplice ignoranza delle persone, l’ascolto superficiale al cospetto delle parole di un iniziato, ignare che qualsiasi cosa sia costruito e possa generare benessere, confort e piacere, prima di esistere sia stato necessariamente pensato, e che dunque curare gli aspetti che concernono esclusivamente il pensiero, significa gettare le basi per la cura di ogni altro aspetto della vita. Nella tradizione biblica, colui che rappresentò l’ultimo baluardo della condizione di unione con il Divino è da identificare con la persona del re Melchisedeq, che nell’Antico Testamento è colui che conferì ad Abramo il diritto di regnare sul popolo ebraico. Melchisedeq è secondo Carpeoro il punto più lontano che si possa raggiungere nel tentativo di risalire sino all’origine della conoscenza custodita dalla Tribù di Giuda, da cui derivarono i Rosa+Croce. La Tribù di Giuda è nota anche come “Radix Davidis” ovvero “stirpe del re Davide” poiché anch’esso faceva parte della Tribù di Giuda. Le origini storiche della fratellanza sono molto complesse, ed entrare nel merito della questione significherebbe analizzare fonti di cui ci è giunta voce solo attraverso miti e scritti di alcuni storici e filosofi greci come Erodoto o Platone, chiamate Atlantide e Iperborea, ma mi limiterò a questo accenno dell’argomento, perché dovendo riassumere il tutto in un solo capitolo rischierei di appesantire eccessivamente la narrazione. Probabilmente la civiltà universalmente nota che tra tutte si poté considerare l’espressione culturalmente più vicina alle società dimenticate del passato, fu l’antico Egitto. In Egitto infatti l’antica conoscenza veniva trasmessa nelle più antiche forme rintracciabili di

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iniziazione, ovvero i culti misterici, dai quali culti Egizi derivarono poi una serie di ulteriori culti misterici i cui caratteri esteriori erano di volta in volta diversi, ma che intendevano consegnare le medesime conoscenze nella sostanza: In generale si può dire che tutte le religioni del mondo procedano partendo da dimensioni iniziatiche o esoteriche - nel senso di conoscenze riservate a pochi – dalle quali nascono correnti successivamente aperte al pubblico o “essoteriche”. Da iniziazione, ovvero trasmissione consapevole, verso la tradizione, ovvero trasmissione inconsapevole, acquisendo nella maggior parte dei casi dinamiche votate alla gestione del potere tramite la manipolazione della verità, con conseguenze tipiche del potere, e del tutto opposte agli scopi iniziali della loro radice iniziatica. La dimensione iniziatica tuttavia, non scomparve mai davvero, e procedette in modo parallelo alla tradizione, come nel caso dell’ebraismo esoterico ovvero la Qabbalah, o dell’islam esoterico ovvero il Sufismo, lo Gnosticismo del Cristianesimo ecc… Sebbene per altri versi secondo uno degli studiosi di simboli più eminenti del secolo scorso, ovvero Renè Guenon67, la vera conoscenza iniziatica è andata perduta, e l’unico 67

René-Jean-Marie-Joseph Guénon, conosciuto anche come Shaykh 'Abd al-Wahid Yahya dopo la conversione all'Islam (Blois, 15 novembre 1886 – Il Cairo, 7 gennaio 1951), è stato uno scrittore, filosofo, esoterista, intellettuale francese. La sua opera, concepita a partire da una ridefinizione in senso tradizionale della nozione di metafisica, intesa come «conoscenza dei principî di ordine universale» da cui tutto procede, non si presenta, nelle intenzioni dell'autore, come un sistema filosofico basato sul sincretismo o come la formalizzazione di un pensiero neospiritualistico, ma è volta all'esposizione di alcuni aspetti delle cosiddette «forme tradizionali» (Taoismo, Induismo, Islam, Ebraismo, Cristianesimo, Buddhismo, Ermetismo, Libera

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modo per ricostruirla è quello di indagare il significato profondo del complesso di simbologie utilizzate nei ritualisimi delle tradizioni religiose essoteriche. Tutte queste tradizioni, in particolare la tradizione pitagorica, oppure il culto di alcune divinità dell’antica Grecia, come Apollo (collegato anche a Pitagora) o Dioniso (con particolare importanza alla sua origine nel mito di Zagreo), confluirono nel complesso di conoscenze della Radix Davidis, coerentemente con il fatto che queste conoscenze subirono delle modifiche nella forma, ma nella sostanza rimasero messaggere dell’antica conoscenza universale. In una nota a piè di pagina del libro “Lo specchio della sapienza rosacrociana”(Edizioni Arkeios) di Theophilus Schweighardt si legge “Nel corso dell’opera Silentium post clamores(1617), il rosacrociano Michael Maier afferma che i Rosa+Croce sono i successori dei collegi dei bramini indù, degli egiziani, degli eumolpodi di Eleusi, dei misteri di Samotracia, dei magi della Persia, dei gimnosofisti di Etiopia, dei pitagorici e degli arabi [immagino dei Sufi]” 68. La Rosa+Croce si proponeva di riunificare queste conoscenze, ridando vita all’unione sapienziale che era simbolicamente rappresentata dalla ricostruzione del Tempio di Re Salomone, figlio di Davide. Possiamo affermare questo genere di parentele sapienziali, proprio a causa dell’utilizzo reiterato di determinati simboli in ambiti apparentemente distanti, dato che la conoscenza di questi simboli - in tempi precedenti all’apertura al pubblico di queste conoscenze - certificava un individuo come iniziato. La storia della confraternita che va dai tempi del nuovo testamento fino ad oggi, è illustrata in questo modo da Carpeoro: >

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Innanzitutto, credo che il semplice fatto che questo percorso spirituale ruoti intorno ad un problema da risolvere, elimini a priori l’eventualità che si formi un ego legato all’esoticità o agli attributi di cui possiamo farci carico quando iniziamo un percorso spirituale, magari di origine orientale o iniziatico. Con questo percorso è più facile mantenere una sana umiltà. Il concetto di rimettere nelle mani di Dio la responsabilità di far ruotare nel verso giusto la propria vita, ha molto in comune con la Fede rosicruciana. È come adagiarsi su qualcosa di morbido ed etereo che allo stesso tempo ci permette di restare dritti sulle nostre gambe. Se ci concentriamo solo su noi stessi per realizzare un sogno o un desiderio, saranno i dubbi sulle nostre reali abilità, o il nostro autocommiserarci, ad impedircelo, perché essere egocentrici non significa solo essere esuberanti, mettersi sempre al centro dell’attenzione o curarsi del proprio aspetto fisico. Come detto nel capitolo precedente, il desiderio profondo è espressione della volontà universale, perciò nel caso dei dubbi su sé stessi, è l’ego che diventa il bastone tra le ruote della volontà divina, presente dentro e fuori di noi. Già durante i miei studi sulle discipline spirituali orientali, o sulle forme di iniziazione antiche occidentali, avevo incontrato la concezione secondo cui, l’obiettivo dei riti e delle pratiche era di liberarsi del proprio ego, ma questo avrebbe potuto condurre alla follia nel caso non fosse sopraggiunto tutto l’universo stesso a riempire il vuoto creato dall’assenza di ego. Da questo infatti deriva il termine “Panico”, ovvero dalla paura generata dall’assenza di ego, che si intendeva provocare nei culti misterici votati al dio greco Pan, il dio del Tutto, che appunto sopraggiungeva a riempire il vuoto dell’ego. Per questo ho sempre avuto la paura che sostituendo il mio ego con la sopraggiunta della coscienza universale, sarei stato irriconoscibile per le persone che mi circondavano: così come scompariva ciò che ritenevo deleterio nella mia vita, sarebbe scomparso anche ciò che amavo. Ma dopo aver letto questo passaggio del manuale di Alcolisti anonimi, ho sperimentato come la rinuncia a curarsi di sé stessi ci rende ancora più semplice ottenere ciò che precedentemente desideravamo. Rinunciando a sé stessi in questo senso, si sta anche

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meglio in compagnia altrui, rinunciando alla cura per sé stessi si ottiene più cura di quanta non se ne sarebbe mai potuta ottenere. Rinunciando a mantenere il controllo sulla vita, la vita si autoregola e segue il nostro volere.

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7. Lo Yi Quan: la conquista del libero arbitrio attraverso il corpo.

Sun Lu Tang, fondatore della branca omonima dello stile di Tai Ji Quan.

Oscar Wilde Infine, l’ultima via, ma non per importanza, che propongo e che io stesso ho scelto di seguire, si chiama Yi Quan(意拳) (AFI o IPA: [j't͡ʃue:n]). Definire cosa sia lo Yi Quan non è un’impresa facile neanche per chi ne abbia una conoscenza approfondita, proprio a causa della sua estensione e del modo in cui si colloca nel suo background di origine. Ma vi anticipo che tra i quattro approcci esposti in questo libro, se Zazen prevedeva l’acquisizione dell’abilità di distaccare la consapevolezza dal flusso dei pensieri al fine di osservarli, se il secondo metodo consisteva nell’elevazione per mezzo delle buone azioni e del Karma positivo, e se i Simboli contemplavano la conoscenza in senso stretto, questo approccio consiste nel coinvolgimento del corpo e della manipolazione energie presenti in esso. In questo ambito, il corpo è concepito come estensione della coscienza e sua sede, molto più che un semplice mezzo che sorregge la mente in modo passivo. Ci tengo a precisare che questo libro non si propone di essere un manuale, e sconsiglio vivamente l’esercizio delle pratiche che verrann0 descritte in seguito, se non sono state trasmesse in prima persona da un praticante già versato in esse. Come per due su tre delle vie che ho illustrato precedentemente, ne sono venuto a conoscenza praticando arti marziali cinesi, e in questo caso contrariamente ai simboli si può dire che non mi sia allontanato poi tanto dall’ambito marziale. Anzi, per me apprendere questo

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metodo ha rappresentato il coronamento del mio percorso marziale, nonché il culmine e la chiave di volta di molti dei concetti e dei punti di vista già illustrati durante tutta questa trattazione. Un esempio di concetto che si realizza nello Yi Quan, lo ritroviamo quando nel capitolo precedente, grazie ad Osho, abbiamo accarezzato l’idea che le divisioni presenti nell’essere umano fossero innaturali: lo Yi Quan infatti costituisce un metodo pratico per unire del tutto conscio e inconscio, pulsioni e intelletto, Super Io, Io ed Es, espandendo la consapevolezza oltre i limiti attuali, ritrovando la condizione edenica perduta. A questa unione totale dell’essere e collaborazione corale di tutte le sue facoltà, viene dato il nome di “Zhen Ti”, e rappresenta uno degli obbiettivi finali della pratica. Dicevo, non mi sono allontanato dall’ambito marziale, perché lo Yi Quan potrebbe essere descritto proprio come un’arte marziale, ma allo stesso tempo sarebbe estremamente riduttivo limitarsi a questa definizione. Bisogna fare una leggera digressione per chi non fosse a conoscenza del panorama delle arti marziali cinesi, prima di poter chiarire cosa sia davvero lo Yi Quan. A livello massivo, soprattutto grazie alla cinematografia, chi non ha mai avuto a che fare con questo ambito avrà sicuramente sentito parlare del Kung fu quale arte marziale proveniente dalla Cina, sempre se non lo abbia confuso con il Karate (che per chi non lo sapesse fa parte della tradizione giapponese e delle isole Okinawa che formano il gruppo principale dell'arcipelago giapponese delle Ryūkyū). Kung fu è il nome che è stato dato in occidente a ciò che in Cina è conosciuto come Wu Shu (武术), che tradotto significa letteralmente “arte marziale”, mentre Kung fu, o in cinese “mandarino”, “Gong fu” (功夫) significa letteralmente “duro lavoro” ed è un termine usato per descrivere l’abilità che in qualsiasi campo, al di là delle arti marziali, può essere raggiunta dopo anni di duro lavoro ed esercizio79. Il termine Wu Shu del resto, oggi è utilizzato per riferirsi ad una sua versione moderna, che più che trattarsi di un metodo di lotta consiste in una forma di ginnastica acrobatica, nella quale i movimenti degli stili tradizionali, se contemplati, vengono esasperati per essere esteticamente più attraenti. 79

In alcuni casi Gong fu viene utilizzato anche con l’accezione di “tempo”.

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In Cina esistono innumerevoli stili di Wu Shu tradizionale, partendo da pochi stili antichi che sono stati modificati o adattati migliaia di volte, dai praticanti che di volta in volta ne hanno posseduto la conoscenza, rendendoli del tutto irriconoscibili in alcuni casi. Una delle macro-divisioni operate nel corso della storia cercando di catalogare gli stili, è quella tra stili “interni” (Nei Jia Quan) e stili “esterni”(Wai Jia Quan): questa divisione ad oggi è oggetto di dibattiti sulla sua vera e propria utilità, perché c’è chi asserisce che ciò che rende uno stile di lotta “interno” siano le giuste posizioni del corpo, dunque la giusta connessione tra anche, spalle, ginocchia, gomiti, caviglie e polsi, vista come chiave per sviluppare una forza molto sofisticata e garantire una buona salute e la longevità. Ma poiché questo aspetto è contemplato anche negli stili cosiddetti “esterni” – o qualora non venisse contemplato, nulla vieterebbe una contaminazione tra stili rendendo relativamente più “preciso” uno stile - non sembra sufficiente a mantenere la divisione concettuale tra esterno e interno. Gli stili interni di Wu Shu più conosciuti e praticati sono essenzialmente tre: il Ba Gua Zhang (八卦掌) il Palmo degli Otto Trigrammi (di cui ho già accennato parlando dell’Yi Jing o I-Ching), il Tai Ji Quan (太极拳) il Pugilato del “Tai Ji”, termine che indica un concetto filosofico alla base del taoismo80, e lo Xing Yi Quan(形意拳) il Pugilato del Corpo e della Mente (o della forma e dell’intenzione). In breve, lo Yi Quan, rappresenta un insieme di tecniche molto vasto, che originariamente venivano praticate quali chiavi di accesso indispensabili per poi poter approdare alla pratica di queste arti marziali. Yi Quan significa “stile pugilistico dell’intenzione o della mente”, dove Yi 意 vuol dire “mente”, “intenzione pura”, ma anche 80

L’origine del termine Tai Ji Quan, deriva in realtà dall’utilizzo che viene fatto nel parlare comune cinese del termine Tai Ji. Tai Ji significa letteralmente “poli estremi” nel senso di positivo e negativo che sottendono a tutti gli elementi che costituiscono la realtà, e siccome l’unione e l’equilibrio di queste polarità si manifesta come qualcosa di perfetto, questo termine nel parlare comune viene utilizzato come espressione di stupore e meraviglia alla vista di qualsiasi cosa ci sembri all’apice del suo splendore. Nel caso ad esempio di un arte marziale o di un’esecuzione sportiva, potrebbe essere utilizzato in un’espressione del tipo “la performance di questa ballerina è Tai JI”.

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“desiderio”, e Quan 拳 vuol dire “Pugno”, “Pugilato”. Le parti che compongono il carattere di scrittura cinese Quan, raffigurano il carattere della mano, con al di sopra una struttura difensiva; dunque per Pugno si intende “Protezione”, “Difesa”. La Via delle arti marziali è infatti anche chiamata Quan Dao 拳道, che indica la Via (Dao o Tao, da cui deriva “Taoismo”) che se percorsa porta per lo più a combattere contro i propri nemici interiori, i propri “demoni”, anziché altri esseri umani, ed è infatti chiamata anche la Via del Guerriero di Luce, del Guerriero “sacro” in un certo senso. Ma a dire il vero, il nome “Yi quan” non è che un termine usato in seguito per descrivere un insieme di tecniche di Qi Gong 氣 功 (il lavoro sull’energia di cui ho già accennato nel capitolo precedente) dall’esistenza millenaria. Per capire meglio come lo Yi Quan possa essere alla base delle arti marziali interne, bisogna fare un’ulteriore digressione. Cercando ad esempio su Wikipedia alla voce Yi Quan, viene attribuita la paternità di queste conoscenze al leggendario maestro di nome Wang Xiang Zhai (in caratteri tradizionali: 王薌齋, in caratteri semplificati: 王芗 斋). In realtà già nei suoi scritti, Wang Xiang Zhai attribuisce l’origine di queste tecniche direttamente alla figura leggendaria di Bodhidharma, il leggendario sapiente buddista che dall’India si stabilì in Cina, precisamente nel monastero noto in seguito con il nome di Shaolin, dove secondo la leggenda nacque proprio dagli insegnamenti di Bodhidharma la branca del Buddhismo nota come Chan 禪, che in Giappone divenne lo Zen. Altre fonti raccontano come la sapienza che poi confluì nello Yi Quan fosse stata donata dagli dei agli uomini, mentre altre raccontano come fossero il retaggio degli antichi sciamani e mistici, probabilmente ultima testimonianza di civiltà di cui si è persa quasi del tutto la memoria, come per i simboli delle tradizioni massonica e rosicruciana. Notizie circa l’origine di queste pratiche, le troviamo nell’opera di Mircea Eliade81 “L’Alchimia Asiatica” nel quale vengono

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͡ a eliˈade]) (Bucarest, 13 marzo 1907 – Chicago, 22 aprile Mircea Eliade (IPA: [ˈmirtʃe̯

1986) è stato uno storico delle religioni, antropologo, scrittore, filosofo, orientalista,

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viste come una evoluzione postuma delle pratiche alchemiche di laboratorio, sostituendo il laboratorio dell’alchimista al corpo umano, il che spiegherebbe una volta per tutte la relazione tra pratiche energetiche corporee e alchimia, accennata nel capitolo sui simboli. Eccovi un estratto dell’opera di Mircea Eliade: > Quindi non solo il Maestro De Santis rappresenta per noi occidentali la rarissima, e finora unica, opportunità di poter imparare pratiche altrimenti inaccessibili, ma è anche senza dubbio un profondo conoscitore della cultura e della società cinese, nonché laureato all’Università di Pechino nel corso di Medicina Tradizionale Cinese. Secondo quanto mi disse personalmente il Maestro De Santis, e come riporta anche nel suo libro dal titolo “Diario di un taoista” (Edito da YouCanPrint), la fama del Gran Maestro Wang Xiang Zhai è dovuta alla sua missione di divulgazione delle antiche pratiche esoteriche taoiste in un periodo molto particolare della storia cinese. Il periodo è infatti quello della rivoluzione culturale cinese capeggiata da Mao Ze Dong, secondo la cui dottrina, le arti marziali erano viste come parte di un retaggio ormai privo di fondamento e dunque da cancellare dalla storia. C’è da dire un’altra cosa sullo Yi quan, ovvero che le tecniche di Qi Gong che lo costituiscono, già nell’antichità erano tenute segrete, e i vari maestri le insegnavano unicamente al primogenito oppure ad un solo allievo prediletto (nonostante spesso avessero decine di allievi, ai quali insegnavano tecniche esteticamente molto simili, ma prive di alcuni concetti in grado di fare la differenza tra vera arte marziale e finta arte marziale). Dunque data la già scarsa diffusione dell’insegnamento autentico, quest’ultimo rischiava di scomparire del tutto grazie alla rivoluzione culturale. È in quest’ottica che si inserisce l’opera del Maestro Wang Xiang Zhai: egli apprese questi metodi prima dal suo maestro Guo Yun Shen (郭云深) che praticava lo Xing Yi Quan, poi in seguito riuscì ad accedere agli insegnamenti autentici del leggendario monastero Shaolin, prima che divenisse un’attrazione turistica qual è tutt’oggi, nonché parimenti nei templi sui monti WuDang e in numerose città del nord della Cina, e si confrontò con un’infinità di maestri distinguendosi ogni volta, creandosi una fama di leggenda. Dunque i suoi insegnamenti provenivano dalle radici stesse delle tradizioni esoteriche, e li diffuse il più possibile per evitare che venissero dimenticati. Chiusa la parentesi storica, passerò a darvi

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alcuni accenni di cosa costituisce la particolarità di questo metodo rispetto ai metodi marziali universalmente noti. Sapete io non ho nulla contro le arti marziali sia interne che esterne note al grande pubblico, le trovo molto affascinanti e sono state una mia grande passione per circa otto anni prima di iniziare a studiare lo Yi Quan con il Maestro De Santis, nel quale mi esercito attualmente da circa un anno. Per quanto riguarda ad esempio il Tai Ji Quan, ho collezionato numerosi articoli presi qui e là che descrivevano da un punto di vista scientifico i benefici che questa arte aveva dimostrato di apportare alla salute del corpo e della mente, e questo è l’elenco degli articoli che ho collezionato nel tempo: 1. Riduce il rischio di cadute per gli anziani: https://www.telegraph.co.uk/news/2019/01/31/pensioners-cutrisk-falling-almost-fifth-take-tai-chioxford/?WT.mc_id=tmg_share_fb# 2. Ha degli effetti benefici sul sistema linfatico: https://taichionlineclasses.com/tai-chi-chuan-and-thelymphatic-system/ 3. Aiuta a stare calmi: https://www.repubblica.it/salute/alimentazione-efitness/2018/10/01/news/kungfu_l_arte_marziale_che_aiuta_a_stare_calmi-207845200/ 4. È stato più volte utilizzato come terapia contro la depressione: https://www.whitetigerqigong.com/blog/qigongchinese-medicine-depression/ https://www.sciencedaily.com/releases/2011/03/110316131122.ht m https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyt.2019.00237/ full 5. È una terapia efficace contro la fibromialgia: https://dilei.it/salute/fibromialgia-il-tai-chi-e-una-terapiaefficace/537748/ 6. Previene l'ictus: https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2017/02/22/tai-chiprevenzioneictus?fbclid=IwAR1aEWm5Mk4UHwZH8ifmiW2LWar2KYX8 RGQyf8--aGQIFjWOvmiIvc__67s

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7. Secondo l’Epigenetica riduce l'espressione del gene dello stress: http://www.quotidianosanita.it/m/scienza-efarmaci/articolo.php?articolo_id=51820 8. Aiuta contro il diabete mellito: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6079589/ 9. Un articolo in cui peraltro si accenna ad un manuale curato dalla scuola di medicina dell’università di Harvard, a Boston (Massachussets,USA) scritto da Peter M.Wayne: http://www.taijidelcuore.it/per-saperne-di-piu/qi-gong-taijiquan-scienza/ 10. E per concludere, un articolo sui benefici del Tai Chi comparso sul sito della CNN: https://edition.cnn.com/2019/12/13/health/tai-chi-healthbenefitswellness/index.html?utm_campaign=meetedgar&utm_mediu m=social&utm_source=meetedgar.com Io stesso ho praticato il Tai Ji Quan stile Chen, uno degli stili più largamente noti, per circa un anno, anche se sono sempre stato consapevole che fosse una sorta di ripiego data l’allora impossibilità di accedere all’apprendimento dello Yi Quan, che è stato uno dei miei sogni sin dall’età di 18 anni. La decisione di passare dallo studio dello Shaolin Quan (che è considerato uno stile esterno) al Tai Ji stile Chen nonostante il mio desiderio fosse di imparare lo Yi Quan, fu dovuta all’apprendere che anche nel Tai Ji era contemplata una pratica intorno alla quale ruota tutto il sistema dello Yi Quan: il Zhan Zhuang 站桩. Prima di passare alla spiegazione del Zhan Zhuang come viene diffusa dal Maestro De Santis, vi rendo partecipi di una curiosità che mi ha sempre affascinato. Il mio primo istruttore di Shaolin Quan si dilettava a tradurre dal cinese un’ enciclopedia del WuShu di Shaolin, nella quale lesse e tradusse una serie di “formule” o poesie esoteriche circa i vari stili che venivano insegnati a Shaolin. Le più peculiari, e dal contenuto esoterico più interessante sono forse quelle riguardanti i leggendari stili dei Cinque Animali, cinque stili di lotta e di Qi Gong, ognuno legato a un animale tra Drago, Tigre, Leopardo, Serpente e Gru. Cinque, proprio come i cinque elementi dell’alchimia cinese, così come i Cinque Solidi Platonici, e le punte della stella pitagorica.

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È noto che stili di combattimento come il Tai Ji e il Wing Chun (o Yong Chun in mandarino: 永春) siano stati creati prendendo ispirazione dagli stili Shaolin del serpente (She Quan: 蛇拳) e della gru (He Quan:鹤拳). Per quanto riguarda il Tai Ji infatti, il suo mitico fondatore di nome Zhang San Feng (張三丰) secondo la leggenda prese ispirazione per la creazione dello stile assistendo ad una lotta tra una gru e un serpente. Gru e serpente potrebbero simboleggiare l’incontro di energie provenienti dall’alto (nel caso della gru) e dal basso (nel caso del serpente), schema presente in altre narrazioni mitiche, dall’Egitto all’India, alle tradizioni dei nativi americani, nonché probabilmente un modo con cui descrivere l’unione tra anima e corpo, e tra sensibilità e pulsioni. Prendendo in esame lo stile della Gru o He Quan, ecco quanto scrisse il mio primo istruttore in un articolo presente sul sito: https://shaolinjingangdui.wordpress.com/ :

Considerando che Zhan Zhuang letteralmente si traduce come “Palo Eretto”, potremmo tranquillamente affermare che lo Yi Quan ha moltissimo in comune con la concezione che si aveva anticamente per lo stile Shaolin della Gru. Probabilmente è per questo che Wang Xiang Zhai per lo più apprese e si misurò con maestri di He Quan, quali tra tutti il maestro Xie Tie Fu (解铁夫) della scuola WuDang, e due esperti di Bai He Quan(白鹤 拳), ovvero lo stile della Gru Bianca - da cui si dice che sia nato il Karate Goju Ryu, ovvero il Karate di Okinawa, così come il Wing Chun - di nome Fang Qia Zhuang e Jin Shao Feng. La gru del resto rappresenta un animale dal significato simbolico molto evocativo: questo animale infatti, quasi come il pellicano o la fenice in occidente, simboleggia l’immortalità. Considerata un uccello in grado di vivere migliaia di anni, la gru viene spesso descritta o illustrata in compagnia dei cosiddetti “Ba Xian”, gli “Otto immortali” della mitologia taoista, ed è incaricata di trainare il carro che conduce costoro presso l’isola dei beati. Le uova di gru venivano utilizzate per distillare delle bevande in grado di garantire vitalità, ed è l’animale raffigurato sui carri funebri, così da suggerire il passaggio dei defunti ad una dimensione di eternità. In questo articolo, si accenna ai cosiddetti “tre tesori” dell’alchimia cinese, e al metodo in cui tramutarli l’uno nell’altro, cosa di cui parlerò più avanti. Ma ora finalmente posso passare a descrivere la pratica di Zhan Zhuang, descritta dal Maestro De Santis nel suo “Diario di un Taoista”: l’aspetto fondamentale di questo metodo, l’aspetto che non veniva insegnato alla massa ma che fa la differenza tra la pratica

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autentica e quella artefatta, consiste nella “visualizzazione”. La visualizzazione consiste nel ricordare sensazioni fisiche già sperimentate, e pensarci come se stessero accadendo in questo momento, così che a seguito di una quantità di tempo adeguata dedicata al suo esercizio, la mente divenga in grado di produrre nel corpo sensazioni tangibili, in modo assolutamente stupefacente. L’immaginazione è il mezzo con cui l’intenzione pura, in cinese Yi appunto, impara a padroneggiar l’energia, rafforzandosi, “scendendo nel corpo”, assumendone consapevolezza. Lo Yi può essere allenato come un muscolo, maggiore la sua forza, più forti saranno le sensazioni che la visualizzazione produce nel corpo. La memoria o comunque il pensiero di un’esperienza esterna al corpo, produce una risposta interna del corpo che cerca di proteggersi e adattarsi. Nell’avanzare della pratica quando lo Yi è abbastanza raffinato e ha prodotto tutti i collegamenti nervosi necessari, immaginare delle immagini vere e proprie, delineate, diventa quasi superfluo, lasciando al posto di un’immagine realistica una sensazione vaga come una spinta o una trazione magnetica. I benefici di questa pratica sono innumerevoli, sia come strumento di guarigione, sia per acquisire forza e migliorare le proprie capacità fisiche. Come Viene riportato in una nota a piè di pagina nella traduzione italiana del libro Yi Quan di Wang Xiang Zhai, tradotto da Valeria Pazzi e Stefano Pernatsch (casa editrice Luni): . Il Zhan Zhuang si esercita in questo modo: si assume una posizione in piedi, i piedi vengono divaricati alla stessa larghezza delle spalle, e le ginocchia leggermente flesse, mentre le braccia vengono sollevate davanti al petto come se stessimo abbracciando una colonna o una palla relativamente grande (Fig. 76).

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Figura 76, il Maestro Davide De Santis in posizione di Zhan Zhuang, immagine tratta dal suo libro “Diario di un Taoista” edito da YouCanPrint.

A questo punto immaginiamo di essere immersi nell’acqua di un fiume, fino quasi all’altezza delle spalle, di stare reggendo una palla tra le braccia appunto, e che i nostri gomiti siano appoggiati su due tronchetti che galleggiano (Fig.77).

Figura 77, immagine tratta dal libro “Diario di un Taoista” edito da YouCanPrint.

La corrente del fiume inizialmente sarà lenta e dolce, e la nostra posizione tenderà a seguire il suo verso lentamente spostando il peso nel verso della corrente, così come i tronchi trasporteranno in orizzontale i nostri gomiti appoggiati. La corrente secondo il nostro volere cambierà verso, se prima ci spingeva frontalmente costringendoci a piegarci all’indietro, ora ci spinge sul retro facendoci chinare in avanti. Questo avviene inizialmente in modo lento e dolce come detto, mentre passaggio successivo prevede che la corrente del fiume aumenti di potenza e tenti di portarci via; a quel punto la nostra struttura cederà spostando il peso sui talloni, se la corrente proviene da davanti, ma nonostante cediamo nel nostro

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piccolo spazio, resistiamo per evitare di essere spazzati via. In questo modo, la nostra struttura fisica col tempo applicherà la sua intelligenza per modificarsi in modo da scaricare a terra tutto il peso della spinta, grazie alle connessioni interne tra le giunture, così che è come se la pressione esterna fosse rivolta direttamente verso il terreno: una forza dalla compattezza sicuramente maggiore contro cui confrontarsi (Fi.78).

Figura 78, immagine tratta da “Diario di un Taoista” edito da YouCanPrint, in cui vengono illustrate le varie forze che entrano in gioco nel Zhan Zhuang.

Come prima, improvvisamente la corrente cambia verso, e se prima la sentivamo spingere sui nostri avambracci, sul dorso delle mani, sul petto, pancia, cosce, ginocchia e caviglie, adesso la sentiamo provenire sulla schiena, sulla parte interna delle braccia, che al contempo trattengono la palla per evitare che venga trasportata dalla corrente (sempre Fig.78). L’ultimo passaggio di questo esercizio, consiste nel puntare i piedi e applicare una spinta in grado di resistere e penetrare la forza della corrente spostando il proprio peso nel verso opposto (Fig.79).

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Figura 79, A e B costituiscono lo stesso esercizio della figura 78, mentre B e C l’ultima parte dell’esercizio di Zhan Zhuang, in cui il corpo si muove nella direzione opposta dell’acqua, come indicato dalla freccia grande posta in alto (immagine tratta da “Diario di un Taoista” edito da YouCanPrint).

Dopo aver letto questa descrizione nel libro del Maestro De Santis, sono stato tentato di sperimentarla per conto mio, prima che mi venisse trasmessa in prima persona, cosa che il Maestro De Santis di solito sconsiglia. In base al proprio vissuto e alla conformazione assolutamente unica del proprio corpo, inizialmente la posizione sarà sempre diversa di praticante in praticante. Nelle arti marziali note alla massa, si aggiungono una serie infinita di dettagli alla posizione perché si crede che siano appunto le connessioni nelle giunture a far scorrere l’energia attraverso il corpo. C’è da dire che l’energia, o Qi 氣 (si pronuncia “Ci”) scorre naturalmente attraverso il corpo, attraverso delle vene immaginarie chiamate “Meridiani” o in cinese “Jing Luo” 经络, ma esperienze emotive negative, così come assumere posizioni poco salutari o compiere gesti meccanici a ripetizione, tendono a chiudere questi passaggi di energia. Se siamo fortunati ad avere tutti i meridiani liberi perché abbiamo vissuto la vita ideale senza negatività o lavori manuali, allora forse le posizioni avranno qualche effetto. Ma se non è così saranno perfettamente inutili, e cercare di assumere una posizione perfetta che rispetti tutti i dettami dell’arte marziale comune, potrebbe essere

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addirittura dannoso, perché si tratta di forzare in qualche modo la propria struttura. Nello Yi quan, è l’immaginazione a far affluire il sangue e le risorse in dei luoghi precisi così da liberare i meridiani. Per di più siccome si tratta in genere di immaginare delle situazioni in cui si viene sottoposti ad una pressione o ad un’attrazione per così dire “magnetica”, la posizione tende a trovare da sola il proprio assetto ottimale per poter resistere a queste forze. L’agopuntura ad esempio, nasce infatti con lo scopo di ottenere gli stessi effetti della visualizzazione anche in coloro che non hanno impiegato anni ad allenare lo Yi, poiché e lo stimolo esterno rappresentato dagli aghi a mettere il corpo nelle condizioni di generare una risposta biologica, che consiste nel far affluire sangue, impulsi nervosi ed altre risorse, nel punto in cui si inserisce l’ago. Generalmente si crede infatti che le arti marziali siano state strutturate secondo i dettami dell’agopuntura, quando in realtà fu il contrario. Per certi versi sia gli aghi che la pressione dell’acqua generata dalla visualizzazione, rappresentano delle minacce per il sistema biologico umano, concetto che potremmo facilmente trasporre ad una prospettiva filosofica nella quale l’acqua rappresenta le difficoltà della vita, che in Zhan Zhuang impariamo a fronteggiare con la giusta impostazione mentale. Nel caso specifico del Zhan Zhuang, imparare a scaricare a terra la pressione dell’acqua significa fluire con la vita, anziché opporvisi con la rigidità del proprio ego, specie quando il verso dell’acqua cambia rapidamente tentando di prenderci di sorpresa. Fin da subito calandosi in questa immaginazione il corpo avrà delle leggerissime risposte, come dei leggeri afflussi di calore. Ma per quanto mi riguarda, per iniziare a sentire la spinta dell’acqua divenire reale ci sono voluti circa due mesi di esercizio costante, che per me fu una sorpresa dato che quando lessi per la prima volta di questa pratica credetti ci sarebbero voluti interi decenni. Un altro avvenimento per me straordinario, fu il fatto che prima praticando il Zhan Zhuang insegnato nel Tai Ji stile Chen, riuscivo a proseguire nella pratica per circa dieci minuti, mentre aggiungendo le visualizzazioni sono arrivato a praticare il Zhan Zhuang per circa un’ora e mezza al giorno. A questo punto si potrebbe pensare che sia stata la pratica prolungata ad avermi reso più forte, ma ciò che rende questo cambiamento stupefacente è il fatto che il passaggio avvenne immediatamente, da cinque o dieci minuti a un’ora e mezza nell’arco

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di un paio di giorni dopo aver imparato le visualizzazioni. A tutto questo potremmo aggiungere che la durata degli allenamenti in compagnia del Maestro De Santis, oscilla tra le quattro e le sei ore di pratica continua, ma non spaventatevi, infatti purché la pratica sia assidua anche mezz’ora al giorno è sufficiente per produrre dei risultati. Il Zhan Zhuang come l’ho appena esposto non è che la punta dell’iceberg, considerando l’ingentissimo numero di esercizi compresi nello Yi Quan, ognuno con un tipo diverso di visualizzazione e quindi di forza che la mente impara ad esercitare sul corpo. È un metodo sicuramente molto complesso che richiede anni e anni di pratica, ma uno dei suoi risultati come accennato, è proprio quello di far sì che la consapevolezza sia in grado di compiere le sue scelte libera dalla bestia delle pulsioni che alberga dentro di noi. I suoi esercizi basilari si dividono in Zhan Zhuang o posizioni statiche, “Shi Li”, nel quale la posizione rimane statica ma le braccia si muovono attivamente (sempre in seguito a determinati tipi di visualizzazioni), “Mo Ca Bu”, ovvero lo Shi Li relativo alle gambe, e “Jian Wu” la cosiddetta “danza marziale” costituita da un’improvvisazione di tecniche secondo la volontà libera del praticante, che alterna una varietà di tecniche imparate nei vari Shi Li, nelle varie posizioni di Zhan Zhuang, e nei vari Mo Ca Bu. Per altri versi, sentendo semplicemente descrivere dal Maestro De Santis alcuni tipi di esercizi estremamente avanzati, ammetto di non riuscire a considerare esaustiva la spiegazione sulla presunta origine di queste tecniche fornita da Mircea Eliade, data l’estrema sofisticatezza di questi metodi. Ora che possediamo il substrato concettuale di questo metodo, ovvero le visualizzazioni, possiamo contestualizzare quanto dissi nel capitolo precedente a proposito dell’andoginia e della pratica della kundalini.