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Italian Pages 220/221 [221] Year 2015
N E L V C E N T E N A R IO DE L L A S C OM PA R S A 1 5 1 5 -2 0 1 5
NEL SEGNO DI ALDO C ATA L O G O D E L L A M O S T R A a cura di Loredana Chines, Piero Scapecchi, Paolo Tinti, Paola Vecchi Galli B I B L I O T E C A U N I V E R S I TA R I A B O L O G N A , 2 9 O T T O B R E 2 0 1 5 - 1 6 G E N N A I O 2 0 1 6 Alma Mater Studiorum Università di Bologna
PÀTRON Editore
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Opera pubblicata con il contributo dell’Università di Bologna.
Progetto grafico e impaginazione
Dina&Solomon. Graphic Design Duet Font: Sole, progettato da Luciano Perondi (2010),
distribuito da C-A-S-T Immagini fotografiche
Gianni Roncaglia, Modena Stampa:
Litografia Zucchini, Bologna per conto di Pàtron Editore
PÀTRON Editore Via Badini, 12 Quarto Inferiore, 40057 Granarolo dell’Emilia (BO) T. 051 767003 - F. 051 768252 [email protected] - www.patroneditore.com Il catalogo generale è visibile nel nostro sito web. Sono possibili ricerche per autore, titolo, materia e collana. Per ogni volume è presente il sommario, per le novità la copertina dell’opera e una breve descrizione del contenuto.
SOMMARIO PR ESEN TA Z ION I
I L S UCC E S S O DI U N SEG NO
Ivano Dionigi, Fulvio Cammarano
Aldo inventore della novità: editiones principes e riscoperte dei classici nell’officina editoriale
e Rita De Tata p. 6, 8, 10
a cura di Francesco Citti, Stefano Martinelli Tempesta SAG G I
p. 121
Nel segno di Aldo di Paolo Tinti
Il successo commerciale: dal marchio al catalogo editoriale
p. 13
a cura di Paolo Tinti p. 139
Aldo e il libro italiano: l’invenzione del lettore di Paola Vecchi Galli p. 23
CATA L O G O
I L PR E ZZO E I L PR E S T IG IO DI U N SEG NO Clienti e collezionisti di aldine a cura di Giuseppe Olmi, Ilaria Bortolotti
L A NA SC ITA DI U N SEGNO
p. 157
Una identità culturale: gramatica, maestri e umanesimo latino
AL D O E B OL O GNA
a cura di Piero Scapecchi
L’editore all’ombra dell’Alma Mater e altre intraprese
p. 37
a cura di Loredana Chines
Una identità culturale: Aldo e il mondo greco
p. 197
a cura di Francesco Citti, David Speranzi p. 61
A PPA R AT I
Una identità culturale: i libri in volgare
Lista breve delle edizioni aldine
a cura di Paola Vecchi Galli
p. 206
p. 79
Indici e abbreviazioni Una identità tipografica: invenzione e rivoluzione nelle arti del libro
p. 210
a cura di Paolo Tinti
Nota bibliografica
p. 91
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entre nel mondo e in Europa si moltiplicano le iniziative dedicate a celebrare Aldo Manuzio nel cinquecentenario della sua scomparsa, l’Ateneo di Bologna ricorda il primo grande editore umanista dell’età moderna partendo proprio dall’eredità più importante, allo stesso tempo culturale e materiale: l’insieme delle sue edizioni. Ideata dal CERB, il Centro di Ricerca in Bibliografia del Dipartimento di Filologia classica e Italianistica, l’esibizione «Il segno di Aldo» presenta per la prima volta una esibizione che si snoda all’interno del catalogo degli esemplari aldini custoditi dalla nostra Biblioteca Universitaria. Il percorso espositivo, reso possibile dal significativo sostegno del Sistema Bibliotecario d’Ateneo e dalla disponibilità del personale della Biblioteca stessa, si è affiancato al catalogo delle aldine con lo scopo di condurre il visitatore a riflettere, in presenza dei volumi progettati da Aldo, su come il suo inconfondibile «segno» – l’ancora con il delfino – sia nato, su quale identità di cultura e di confezione tipografica si sia fondato, su quale successo tale «segno» abbia riscosso all’interno dell’ampio pubblico che apprezzò il lavoro di Aldo, dei suoi collaboratori e della sua officina veneziana. Aldo dal mondo della cultura e della tradizione classica riportò in vita, per così dire, consegnandoli ai caratteri mobili, gli autori latini e soprattutto greci, proposti attraverso le sue edizioni, che in molti casi offrirono ai lettori opere prima di allora attestate solo dalla tradizione manoscritta. Fu una rivoluzione intellettuale e insieme tecnica, perché i boni libri – così Aldo qualificava i propri volumi – richiedevano novità sostanziali anche nella loro confezione: l’invenzione del carattere corsivo, del punto e virgola e
dell’indice sono solo alcune delle più note conquiste che dobbiamo al nostro editore. E forse, nell’epoca dell’e-book e del libro digitale che, accanto a indiscutibili vantaggi, presenta la perdita della unicità e della irripetibile materialità storica di ogni singolo testo, questa mostra ci ricorda come una precisa scelta estetica ed etica sia sottesa anche all’elemento minimo della scrittura, che è, come diceva Petrarca, preludium magne scientie. Più significativa che altrove è la presenza di Aldo nella città dell’Alma Mater, dove non solo si allearono il suo talento editoriale e l’acribia filologica di professori dello Studio, ma i volumi usciti per i suoi tipi trovarono ampio spazio negli scaffali delle biblioteche religiose e in quelle private di letterati, medici, giuristi, scienziati, a sancire l’ineludibile necessità delle humanae litterae per ogni tipo di apprendistato. Di fronte a questa avventura editoriale di oltre cinque secoli fa, ancora una volta sperimentiamo – secondo le parole del grande Gustav Mahler – «che la tradizione non è l’adorazione delle ceneri ma la salvaguardia del fuoco». Alla mostra hanno collaborato non solo strutture e colleghi dell’Alma Mater ma anche enti e associazioni, sia pubbliche sia private, e numerosi e qualificati studiosi da Università italiane e europee. A tutti, menzionati nel presente catalogo, rivolgo a nome mio e dell’Alma Mater il più vivo ringraziamento. Ivano Dionigi Magnifico Rettore Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
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on la mostra «Nel segno di Aldo», volta a riaccendere l’attenzione, nel V centenario della sua scomparsa, su Aldo Manuzio, un grande protagonista del libro e delle sue forme, il Sistema Bibliotecario d’Ateneo intende suggellare l’importanza delle collezioni librarie storiche all’interno delle sue biblioteche. L’Universitaria, che insieme con l’Archivio storico costituisce il cuore pulsante della memoria libraria e documentaria dell’Alma Mater, assolve così alla sua missione di concorrere, unitamente alla comunità accademica e bibliotecaria del Sistema, alla preservazione, alla valorizzazione e allo sviluppo delle sue raccolte, sempre più aperte e condivise da tutti, dentro e fuori le aule. Costruire un percorso espositivo, approfondito dalla pubblicazione di un catalogo, lungo le circa sessanta edizioni aldine conservate dalla BUB, consente ai visitatori e ai lettori del catalogo di confrontarsi con l’esperienza e con i libri di uno dei più grandi editori mai esistiti. Tali volumi, infatti, sono alquanto rappresentativi della vicenda culturale, storica ed editoriale di Aldo: muovono dal 1495, quando uscì il suo primo incunabolo, e giungono al gennaio 1515, allorché apparve l’ultima sua intrapresa editoriale, ossia Lucrezio. Come oggi, anche il mondo di Manuzio era attraversato da profonde trasformazioni nella millenaria
storia della comunicazione scritta. La proposta dell’editore umanista, che con tanto orgoglio si appellava Romanus, richiamandosi al modello culturale e politico della Respublica di cui egli si sentiva erede, fu nel segno dell’innovazione, della sperimentazione, dell’equilibrio e del coraggio. Volle che i suoi cataloghi, diversamente da quanto avveniva di norma prima di lui, testimoniassero testi nuovi, mai prima di allora approdati in tipografia, e si offrissero a esperienze di lettura sempre più efficaci, sempre più moderne, sempre più riconoscibili. Anche il Sistema Bibliotecario d’Ateneo può cercare in quella risposta gli stimoli per destinare ai lettori, sia quelli vicini sia quelli più lontani ma raggiungibili attraverso la rete, servizi sempre più coerenti con i loro bisogni di informazione, di documentazione, di studio e di approfondimento. Senza dimenticare di volgere lo sguardo al passato, i suoi sforzi risulteranno più consapevoli e, si spera, lasceranno anch’essi un segno, anzitutto in chi cerca nel libro, nelle biblioteche, nell’informazione via via più accessibile e libera, il proprio futuro. Fulvio Cammarano Presidente del Sistema Bibliotecario d’Ateneo Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
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ncora una volta la Biblioteca Universitaria, come già in passato, si apre alla collaborazione con l’Ateneo bolognese per l’organizzazione di un importante progetto culturale, la mostra «Nel segno di Aldo», ideata da Paolo Tinti e promossa dal CERB - Centro di Ricerca in Bibliografia del Dipartimento di Filologia classica e Italianistica nella ricorrenza dei cinquecento anni dalla morte di Aldo Manuzio. «Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire»: la celebre frase tratta dalle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar ci appare sempre più attuale, in un «inverno dello spirito» che sembra considerare le biblioteche un inutile e costoso ingombro. Ne sono un segnale le gravissime difficoltà che la BUB, come molte altre biblioteche italiane, attraversa quotidianamente a causa della scarsità di personale e di risorse. Tuttavia proprio questa mostra di edizioni aldine tratte dalle collezioni dell’Universitaria rappresenta un chiaro esempio della qualità e quantità di informazioni che possono essere raccolte attraverso un’indagine legata, oltre che allo studio dei testi, anche all’esplorazione dei fondi confluiti in un’importante biblioteca di conservazione. Sappiamo infatti che una biblioteca non è un semplice insieme di libri che casualmente si accumulano sugli scaffali nel corso degli anni, ma è capace di raccontare, a chi abbia gli strumenti per indagarla, percorsi e storie molteplici. In questo caso, il punto di partenza è stato la realizzazione di un censimento delle edizioni aldine presenti nella Biblioteca Universitaria: sono state così enucleate le circa sessanta edizioni esposte (in un numero maggiore di esemplari) nelle vetrine dell’Aula Magna e descritte in questo catalogo. Da quello che poteva essere inteso come un semplice, ancorché
utile, strumento catalografico, è però scaturito qualcosa di molto più significativo. L’esame dei singoli esemplari ha dato origine a ricerche sugli antichi possessori delle opere, individuati grazie alla presenza di note di possesso, ex libris, annotazioni dei bibliotecari settecenteschi, antiche segnature. Dai nomi dei possessori si è poi sviluppata l’indagine sugli ambiti intellettuali all’interno dei quali, a Bologna e altrove, si era diffusa la produzione editoriale di Manuzio: religiosi, studenti forestieri dello Studio, umanisti. Ripercorrere la storia di ogni libro e accompagnarlo nel suo cammino attraverso i secoli ci restituisce uno spessore di conoscenza che va al di là dell’importanza dei testi tramandati nelle singole edizioni, perché ci aiuta a ricostruire il mondo che esisteva intorno ai libri. La complessità del progetto culturale manuziano si rivela nelle diverse sezioni della mostra, che evidenziano le varie fasi del lavoro del celebre editore: scelta delle opere, impaginazione dei testi, realizzazione di nuovi caratteri, uso di formati diversi a seconda della destinazione dei volumi, tipo di legatura, diffusione commerciale: ne emerge una affascinante ricostruzione di un momento estremamente significativo per la storia della stampa e dell’editoria europea. Un risultato ottenuto grazie all’impegno degli organizzatori della mostra, che ne hanno concepito il progetto, dei numerosi e qualificati collaboratori che hanno redatto le schede del catalogo, e del personale della BUB, che nonostante tutto continua a credere nel valore del proprio lavoro. Rita De Tata Direttrice della Biblioteca Universitaria di Bologna
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N E L S E G N O DI A L D O Paolo Tinti
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ipubblicate in apertura alla terza edizione della Serie dell’edizioni aldine per ordine cronologico ed alfabetico (Firenze, presso Giuseppe Molini, 1803), le Notizie leterarie intorno a i Manuzj stampatori e alla loro famiglia furono scritte da Apostolo Zeno e apparvero alle stampe in prima istanza nel 1736, in due tomi. Sin dalle prime pagine della Serie, che conobbe una fortuna notevolissima e rappresentò, prima degli annali di Antoine-Augustin Renouard, la più autorevole raccolta di informazioni sui Manuzio, Zeno ricordava il principale segno che Aldo lasciò sui propri libri. L’autore delle Notizie precisava infatti: «In fronte a’ suoi libri e nel fine ancora era solito mettere un delfino avviticchiato ad un’ancora, e talvolta, col motto, Festina Lente, usato dall’Imperatore Augusto, e suggeritogli, per quanto si dice, […] da Pietro Bembo, suo grande amico» (Serie 2013, p. 11, corsivo originale). In verità, salvo la comparsa del motto associato all’immagine prototipica della marca nel Polifilo del 1499 e l’accenno di Aldo stesso nella prefatoria a Marin Sanudo, in apertura al Poliziano impresso l’anno precedente (cfr. scheda Poliziano 1498), il notissimo adagio non figurò mai sui libri di Aldo, almeno finché l’umanista visse, insieme con il segno del delfino «avviticchiato» all’ancora. L’immaginario dei lettori e dei conoscitori delle aldine, che nel Settecento aveva prodotto, oltre a studi eruditi come il citato di Zeno, le prime straordinarie collezioni orientate a raccogliere l’intera serie dei titoli del fondatore della dinastia dei Manuzio, si era spinto sino al punto da creare una marca con un motto che nella realtà dei fatti Aldo non esibì mai sui propri libri con quella funzione unitaria e complementare. Il lento ma inarrestabile processo di costruzione dell’identità di Aldo Manuzio il Vecchio (1449/52-1515), tra i più celebri editori e intellettuali d’ogni tempo, è stato appunto l’aspetto che l’esposizione «Nel segno di Aldo. Le edizioni di Aldo Manuzio nella Biblioteca Universitaria di Bologna», ideata dal Centro di Ricerca di Bibliografia
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dell’Università di Bologna per ricordare i 500 anni dalla scomparsa di Manuzio, ha inteso ricostruire con maggiore attenzione e offrire ai visitatori delle bacheche come ai lettori del presente catalogo. Aldo si era rivolto al mondo del libro in età adulta, dopo molti anni spesi in una professione – quella di pedagogo e di grammatico – affine per taluni punti di vista ma pure assai diversa da quella di editore. La necessità di ridefinire i limiti della propria attività fu dunque connaturata alla nascita stessa dell’intrapresa libraria, che ebbe come teatro Venezia (la capitale del libro del Quattrocento, dove egli aveva preso dimora stabile tra il 1489 e il 1490). Qui Aldo licenziò la prima prova tipografico-editoriale, gli Erotemata di Costantino Lascaris (cfr. scheda Lascaris 1494-1495). La sfida fu lanciata e Aldo si destreggiò nella scelta e nelle modalità di allestimento, filologico e dunque tipografico, dei testi selezionati per un pubblico che occorreva sottrarre alla concorrenza e abbracciare entro un’amplissima rete di relazioni, culturali, politiche e persino familiari. Sono infatti i legami parentali con il tipografo Andrea Torresani di Asola ad assicurare alla creatività di Aldo le più solide basi tecnologiche, indispensabili a tradurre in pratica alcune tra le più significative innovazioni della pagina a stampa, sollecitate dai molti e avvertiti lettori umanisti di cui Aldo seppe coltivare nel tempo l’amicizia e ottenere la stima. La frequentazione di professionisti delle arti del libro, quali incisori di caratteri, librai, artisti incisori, e così via, si tradusse nella possibiltà di intendere nella mediazione editoriale il bisogno di fungere da filtro tra i testi, gli autori e gli artieri del libro. Fu un humus fertile da cui germogliarono soluzioni a problemi e creazioni mai immaginate prima di allora. Tra queste innovazioni spiccano l’impiego del carattere corsivo – ideato dal disegnatore di caratteri Francesco Griffo da Bologna – e l’estensione del formato tascabile (i celebri enchiridia) ai classici delle letterature greca, latina e volgare, anche in prima edizione (cfr. scheda Bembo 1505), privi di commento. Ma ve ne sono di altre, anche concettuali, come l’invenzione dell’indice, o meglio il suo forte sviluppo all’interno dei progetti editoriali di Aldo (Vecce 1998; Tavoni 2009), che consolidarono pratiche di lettura divenute ormai irrinunciabili per il lettore umanista e che introdussero modificazioni pratiche nella costruzione della pagina tipografica. Fra queste si ricordi almeno la numerazione delle pagine, che per la prima volta Aldo inserì, senza proseguirne l’adozione per problemi anche tecnici, nelle Cornucopiae di Nicolò Perotto,
Filostrato, De vita Apollonii Tyanei libri octo, 1502/1503.
Rhetores Graeci, vol. 2, 1509.
Note ms. autografe di Ulisse Aldrovandi.
Incipit con la marca tipografico-editoriale di Aldo.
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cate nel 1499. Un imprenditore di libri che ambisca al successo, allora come ora, deve distinguere i propri prodotti attraverso un marchio riconoscibile, un signum, che oltre a garantire puntuali implicazioni giuridiche – tutelate in sinergia con l’istituto del privilegio, di cui Aldo fece precoce uso – possa sorreggere la commercializzazione di una merce, divenuta sin da fine Quattrocento protagonista di un mercato transnazionale, se non internazionale. Manuzio scelse, dopo ben un quinquennio di attività, il citato delfino che si attarda intorno all’ancora, simbolo che rinvia alla strategica concezione e diffusione dei propri volumi, caratterizzate dall’equilibrio tra scelte ponderate e spirito innovatore, ben sunteggiato nel motto ossimorico «festina lente», «affrettati con calma». Fu Erasmo da Rotterdam, ospite dell’editore veneziano dal dicembre del 1507 all’autunno dell’anno seguente, a celebrare Aldo e il suo segno «fino alla mitizzazione» negli Adagia, tra i best seller del Rinascimento europeo (Erasmo da Rotterdam 2014, p. 11). L’insegna, oggetto di studio sin dall’Ottocento, sarà poi adottata da un lato dagli eredi, che porteranno avanti l’attività di Aldo dopo la sua morte, ossia il figlio Paolo e il nipote Aldo il Giovane, dall’altro da diversi stampatori, tanto i falsificatori di edizioni aldine quanto i Manuzio-Torresani, attivi a Parigi fra il 1530 e il 1569 (Nuovo 2013, p. 170-2). Proprio a quel segno, insomma, fu attribuito il compito di rappresentare, nel senso anche di rendere presente e tangibile in una precisa forma grafica, il successo della proposta di Aldo. Le aldine, così sono universalmente note le edizioni di Manuzio e dei suoi eredi, acquisiscono una facies tipografico-editoriale da subito assai ricercata, che ne ha fatto oggetto di culto sin dal Cinquecento. La fama fu consacrata dal libro a stampa manuale forse più bello tra quelli mai concepiti e realizzati, ossia l’Hypnerotomachia Poliphili che, come si è osservato, «sembra emblematicamente chiudere il XV secolo» (Tavoni 2001, p. 15). Molti furono infatti i clienti, umanisti ma non solo, avidi di possedere, per necessità di lettura e di studio o per mero gusto di possesso, i volumi usciti dai torchi che lavorarono per Aldo. A loro Manuzio si rivolse spesso nei liminari delle sue edizioni, consapevole di fronteggiare «un pubblico di gentiluomini colti, non di professionisti della cultura; di lettori, non di maestri. Questi lettori potevano anche, eccezionalmente, riuscire tali da tener testa, parlando e scrivendo, a qualunque maestro, ma restavano gentiluomini liberi da impegni professionali. Di fatto Aldo presentì e vide e applaudì l’avvento in Italia d’una età in cui quelle eccezioni diventarono più
frequenti e splendide, in cui nessun umanista universitario fu in grado più di competere nell’esercizio dello stile latino con un Sannazaro e con un Bembo.» (Dionisotti 1975, p. XLI). La mostra, allestita nell’atrio e nell’Aula Magna fatta costruire da Benedetto XIV nel Settecento, si propone di indagare quindi i punti di forza che hanno garantito la fama di Manuzio nei secoli e di mettere in evidenza le sue capacità al tempo stesso culturali e imprenditoriali, fondamento del successo di un marchio tipografico-editoriale, nato tra Quattro e Cinquecento, capace di attraversare i secoli dell’Europa moderna e contemporanea. I quattro angoli di prospettiva da cui è stato letto il «segno» di Aldo, corrispondenti ad altrettante sezioni espositive, riflettono anzitutto sulla nascita di un segno, ossia su come si venne progressivamente costruendo l’identità editoriale di Manuzio, fondata sulla dimensione pedagogica, sullo studio della gramatica, sulla proposta degli autori greci, ancora poco noti, se non del tutto inediti; l’identità di Aldo si concretizzò anche nelle specifiche soluzioni tipografiche che lo distinsero nel panorama del libro in cuna, rendendo riconoscibile quello aldino tra i tanti codici a stampa. In secondo luogo si è inteso riflettere sul successo di un segno, sulle modalità con cui il marchio di Aldo, finalmente conquistata una certa stabilità di presenza agli incipit o ai colophon, raggiunse il consenso dei lettori, coinvolti dal senso di novità editoriale, creata anche attraverso l’abile ricorso ad annunci di imminenti uscite, anticipate nelle pagine preliminari delle sue edizioni. Per la prima volta si offriva ai lettori l’opportunità di accedere ad aliquid novi, secondo il motto di Leon Battista Alberti, anche per mezzo di caratteri mobili o grazie a sconosciute forme di testi notissimi, i classici o quelli destinati a diventarli nel giro di pochi anni, anche per merito della mediazione editoriale di Manuzio. La marca aldina, che a partire dai primi anni del Cinquecento torna regolarmente sulle stampe, suggella tale successo, presto imitato in tutta Europa. In terza istanza, l’esame attento degli esemplari individuati nelle collezioni storiche dell’Universitaria ha portato a soppesare il prezzo e il pregio di un segno, per comprendere le ragioni per cui i lettori si appropriarono delle aldine, acquistandole sul mercato e postillandone i margini, confrontandone i testi con codici manoscritti e a stampa, attingendo alle conoscenze sul mondo classico di cui molti autori antichi, rimessi in circolazione da Aldo, rimasero portatori per tutto
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il Rinascimento. Tra gli interpreti di questa sezione, oltre a celebri scienziati e naturalisti come Ulisse Aldrovandi fanno capolino anche ignoti umanisti greci, come Gregorio di Brindisi, o meno familiari prelati bolognesi come Pompeo Zambeccari, lettore di Luciano ma soprattutto di Filostrato e dei suoi scritti artistici (cfr. scheda Luciano 1503). Le aldine non sfuggirono agli umanisti e alle principali biblioteche dell’umanesimo bolognese: ne sono un esempio Scipione Bianchini, figlio di Bartolomeo, e i canonici della congregazione del SS. Salvatore, che custodiva un’antica quanto ricca biblioteca, rinomata per i suoi preziosi codici greci. Proprio i legami con Bologna, che hanno al centro la figura di Codro (di cui Bartolomeo Bianchini fu allievo e primo biografo), sono indagati, da ultimo, nella partizione conclusiva della mostra. Qui si entra nel mondo dei professori, dei collaboratori umanisti e degli studenti, di attenti interpreti e commentatori dei classici, di ancora poco approfonditi consulenti di Aldo, come Paolo Bombace, amico di Erasmo e professore di retorica, poesia e lettere greche nell’Alma Mater dal 1506 al 1513. Codro, ospite a Venezia da Aldo, mantenne relazioni costanti con l’editore umanista, giungendo persino a chiede di assumere come proprio assistente Michele Trivolis, collaboratore di Manuzio (Manousakas 1991). Il percorso espositivo, sostenuto da una capillare e tenace ricerca scientifica, volta a indentificare edizioni, a individuare esemplari aldini nell’Universitaria e a cogliere i connotati che le differenziano da qualunque altra aldina custodita in qualunque altra biblioteca, italiana o straniera, si è soffermato su queste tappe ma è partito con il fermo intento di non esaurire la sua utilità per i lettori con la progettazione di un evento culturale, per quanto accompagnato dal catalogo. Volontà degli ideatori della mostra e dei curatori delle sezioni e delle sottosezioni è stata sin da subito quella di produrre il dettagliato resoconto di un patrimonio, letto per la prima volta dai competenti sguardi di oltre venti schedatori, provenienti dalle file di università, biblioteche e enti di ricerca, non solo italiani. Sono così emerse ben 61 edizioni in 72 esemplari, editi da Manuzio dal 1494 al gennaio 1515, in grado di raccontare molto compiutamente, pur con assenze anche significative, l’avventura di Aldo, che pubblicò 130 edizioni. Concentrarsi sugli annali di Aldo e sul posseduto della Biblioteca Universitaria non ha significato, tuttavia, ignorare alcuni
Epistolae diversorum philosophorum, 1499.
Scriptores astronomici, 1499.
Esemplare appartenuto a Girolamo da Brindisi.
Xilografia raffigurante il segno dell’ariete.
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portanti momenti, capaci di illuminare il senso dell’intero itinerario aldino. Pertanto siamo ricorsi, se non al prestito (proibitivo per ragioni finanziarie), alla riproduzione di incunaboli non conservati nell’Universitaria, come il De animalibus di Aristotele, edito nel gennaio del 1497, affidato ad Alessandro Sarti dallo stesso Aldo e destinato ad Antonio Urceo Codro. L’esemplare della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio ha quindi potuto colmare un vuoto altrimenti insanabile. Allo stesso modo si è dato spazio a documenti assai significativi dell’Universitaria bolognese e pure rarissimi (se non proprio unici) in Italia, anche se non legati direttamente alla produzione dei torchi asolani nel periodo della loro conduzione aldina. È il caso della Musarum panagyris di Aldo grammatico, edita a Venezia, forse da Battista de’ Torti, intorno al 1489-1490, contenente l’importante lettera a Caterina Pio, madre di Alberto e Leonello, sull’educazione dei due principi, la quale per Manuzio avrebbe dovuto ruotare intorno allo studio complementare delle lingue classiche e della filosofia antica. Altro pezzo irrinunciabile è il quarto catalogo commerciale dei Manuzio, redatto secondo il modello definito da Aldo, impresso e diffuso dagli eredi intorno al 1526. Considerata la sua estrema rarità, si è deciso di renderlo parte integrante della mostra. Perché la conoscenza diretta delle aldine non si esaurisse in una festa memoriale relegata solo al passato ma fosse possibile coinvolgere i visitatori, facendoli riflettere su quanto il messaggio e il segno di Aldo fossero ancora patrimonio comune, vivo e pulsante del nostro immaginario contemporaneo, si è accolta all’interno della mostra una significativa sezione liminare, affidata all’editore Alberto Tallone di Alpignano, curata dal nipote Enrico. Nelle vetrine a lui affidate si è resa visibile la filiera completa degli strumenti, uguali a quelli utilizzati da Griffo, atti all’incisione e alla fondita dei caratteri e ancor oggi usati dai Tallone per stampare le loro pubblicazioni, che includono pure gli stessi titoli editi da Manuzio, quali il De Aetna di Bembo o il Canzoniere di Petrarca, uscito nel 2004 e composto interamente in carattere corsivo. È stato anche quello un modo per dimostrare, più di quanto non facciano già i libri di Manuzio, fino a dove il segno di Aldo sia giunto.
Il quarto catalogo delle edizioni aldine (1526?), esemplare unico in Italia.
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A L D O E I L L I B RO I TA L I A N O : L’ I N V E N Z I O N E DE L L E T T O R E Paola Vecchi Galli
Sono
pochi – ma forse no… –, i libri italiani di Aldo Manuzio posseduti dalla Biblioteca Universitaria di Bologna: degli otto pubblicati da Aldo quattro, le Epistole devotissime di santa Caterina da Siena (1500), Le cose volgari di messer Francesco Petrarcha (1501), Le Terze rime di Dante Alighieri (1502), Gli Asolani di Pietro Bembo (1505). La raccolta completa delle aldine in volgare non è in realtà molto più ampia, includendo l’enigmatica e emblematica Hypnerotomachia Poliphili (1499), l’operetta geografica La vita et sito de Zychi, chimati Ciarcassi del viaggiatore genovese Giorgio Interiano (1502, con dedica di Manuzio a Sannazaro), una nuova edizione di Petrarca nel 1514 (il celebre Petrarcha, con le ‘addizioni aldine’) e infine l’Arcadia di Sannazaro ancora nel 1514 (il prosimetro cortigiano da porre idealmente in dittico con la stampa degli Asolani di quasi dieci anni prima). L’intero catalogo italiano della Biblioteca Universitaria è questo, dimezzato rispetto al tutto ma ben in grado di esprimere, nella sua complessità e curiosità, il mondo di Aldo: quasi un indice puntato sulla sua strabiliante, irresistibile vicenda editoriale (circa 130 volumi stampati nell’arco di un ventennio), iniziata nel 1495 con la grammatica greca Erotemata di Costantino Lascaris e sigillata nel 1515 dall’edizione del De rerum natura di Lucrezio. Una campionatura di prim’ordine, che interrompe vivificandola la serie di autori greci e latini contemporanei che – con l’eccezione del Polifilo – aveva caratterizzato l’editoria aldina negli ultimi anni del XV secolo. Quando, attorno al 1494, il pedagogo romano Aldo Manuzio comincia a dar vita a Venezia al suo programma di edizione dei grandi classici della cultura greca e, in seguito, latina, l’avventura del volgare è ancora di là da venire. Repentinamente, prodigiosamente, inizierà nel 1499, quando il suo catalogo è già cospicuo, con uno dei libri più misteriosi (e ancora oggi in fondo poco conosciuti, nonostante la prestigiosa bibliografia di riferimento) della nostra letteratura umanistica, l’Hypnerothomachia Poliphili del frate domenicano Francesco Colonna. Ne è pressoché ignoto l’autore – uno dei ‘fantasmi’ della letteratura quattrocentesca in volgare, ammesso che non si tratti di firme
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ben più celebri della ufficiale, come quella di Alberti, di Lorenzo de’ Medici o di Pico della Mirandola –; mentre l’opera, esoterica, erotica, alchemica, iniziatica, irreale, impasta in una singolare miscela di greco, latino e volgare (una «lingua inesistente» secondo Quondam, che gestisce gli ingredienti linguistici esattamente al contrario del latino ‘popolare’ di un Folengo) la Battaglia d’amore in sogno di Polifilo (o Pugna d’amore in sogno, con il titolo della ristampa «in casa dei figliuoli d’Aldo» del 1545), accompagnata da mirabili illustrazioni (172 xilografie distribuite in 232 carte, già attribuite a Mantegna): forse il più bel prodotto librario dell’editoria, non solo italiana, del Rinascimento. Fra 1499 e 1500 l’interesse per il volgare si risveglia dunque in Manuzio, certamente anche a contatto con le intuizioni ‘italiane’ di Pietro Bembo (il cui De Aetna proprio Aldo aveva già pubblicato nel 1495). Il catalogo aldino inanella da quel cruciale biennio pochi ma ben selezionati testi italiani, antichi e moderni: il corpus quasi interamente inedito di santa Caterina da Siena; classici volgari già pubblicati fra i primi incunaboli (Dante e Petrarca) in tutt’altro formato – l’in-quarto mediogrande del libro umanistico –; e infine opere recentissime, che appunto nascono, si può dire, per la tipografia, come gli Asolani di Bembo o l’Arcadia di Sannazaro. Ed ecco subito a confrontarci con il genio di Manuzio – con la sua precisa intuizione delle richieste del nuovo mercato editoriale e con la sua irresistibile fortuna –, che in un colpo solo, all’alba del nuovo secolo, convoglia in un’opera italiana – appunto Le cose volgari di Petrarca, 1501 – l’elegante carattere corsivo o italico (già sperimentato nel Virgilio dell’aprile 1501), il libro ‘da mano’ (per Aldo l’enchiridion, il portatile inottavo), e un testo accuratamente verificato, modernizzato nelle grafie, punteggiato e libero da commento, offerto come una bibbia laica all’uso dei nuovi lettori e alle loro chiose estemporanee. Vede insomma la luce a Venezia – dal miracoloso concorso degli ingegni di un raffinatissimo patrizio e di un umanista precettore di principi (Aldo era stato dal 1480 al 1489 maestro di Alberto e Lionello Pio da Carpi) – il libro per tutti, piccolo, corsivo, maneggevole (tutt’uno con la mano di chi legge!), docilmente disponibile a una lettura emozionale e appassionata, per nulla condizionata dal commento e dunque non solo scolastica e professionale: ne saranno testimoni in presa diretta i ritratti di gentiluomini e dame effigiati nel Cinquecento con un ‘petrarchino’ fra le mani, quasi lo status symbol – e la quintessenza – di una nuova civiltà ‘delle buone maniere’. Con questi affondi da maestro, con queste intuizioni premonitrici, Aldo è in certo modo lo Steve Jobs della tipografia a caratteri mobili, il fondatore della visione più alta, addirittura simbolica e antonomastica, del mestiere
La prima edizione italiana in formato portatile: Le cose volgari di messer Francesco Petrarcha, 1501 - BANLC, 56.D.23
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del libro. Ed è anche l’inventore di una nuova dimensione della lettura, che può essere fruita senza mediazioni, neppure quella materiale di un leggìo: il tal modo resa possibile, secondo le parole dello stesso Manuzio, «inter ambulandum et ut si dicam inter aulicandum», mentre si passeggia o ci si fa belli con gli amici nelle corti (Belloni 2013, p. 150). È insomma l’inventore del lettore moderno, o almeno di quello che, ancora oggi, preferisce su tutti i libri di carta: lettore amatoriale, presente in ogni ceto, non necessariamente esperto di greco e di latino ma senz’altro pronto ad acquistare un buon libro pensato per lui. È insomma l’avvento del nuovo secolo, ormai il secondo della ‘Galassia Gutenberg’, a mettere in moto gli aspetti più caratterizzanti dell’avventura editoriale di Manuzio. principalmente l’uso del corsivo – quasi l’emblema del suo libro italiano –, che, sull’abbrivo della scrittura umanistica del secondo Quattrocento, entra nella storia della tipografia europea con i due maggiori classici della letteratura ‘moderna’, Petrarca, e, poi, Dante; ma già all’ultimissimo scorcio del secolo il carattere aveva fatto la sua comparsa in un’illustrazione interna al libro delle Epistole di santa Caterina (o meglio le Epistole devotissime de sancta Catharina da Siena, non prima del settembre 1500). In questo volume (un in-folio di 422 cc.) appare per la prima volta in xilografia (a c. [10]v, insieme con il nome «iesu» impresso al cuore di Gesù), in forma di invocazione della grande mistica, la giaculatoria iesu dolce iesu amore stampata in corsivo nelle due pagine affrontate di un libro che la santa regge con la mano destra: per Aldo infatti l’artigiano bolognese Francesco Griffo, «Prendendo a modello la scrittura cancelleresca della corte pontificia, aveva fuso nel 1500 un primo corsivetto ancora timido per collaudarlo discretamente nel cartiglio di un’illustrazione alle Epistole di santa Caterina […]. I primi italici stampati nel mondo recitano una preghierina soave» (Smargiassi 2015). E la creazione di Griffo viene così inglobata da Aldo nella sua nuova visione del libro a stampa, reso elegante e familiare al lettore come un manoscritto del Quattrocento. Con santa Caterina la stampa di Manuzio è al bivio decisivo: le Epistole devotissime della grande mistica trecentesca (nel formato in-folio) sono per i contenuti un hàpax della sua produzione editoriale, anche se rientrano a stretto rigore in quel filone di epistolografia in cui la stampa italiana sta muovendo i primi passi con i ‘formulari’ di lettere (come quello, antesignano, di un Bartolomeo Miniatore). Se il catalogo ‘italiano’ di Aldo si apre appunto con questo libro, ciò è da ascrivere principalmente alla spiritualità di Aldo (di nuovo, dopo il Colonna, un omaggio all’ordine domenicano), ma anche alla sua duttilità nel concepire e gestire il mestiere
Il primo libro italiano di Aldo: le epistole di santa Caterina. 1500: xilografia di c. [10]v; un particolare dell’immagine, con i primi caratteri corsivi di Francesco Griffo
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di editore, passando con spregiudicatezza dallo scandaloso Poliphilo a uno dei testi più alti del misticismo cattolico: non è la princeps, che era già stata pubblicata con sole 32 lettere della santa nel 1492 (Epistole utile e devote, Bologna, Fontanesi), ma un corpus ben più vasto, che diventa la monumentale vulgata dell’opera cateriniana (353 epistole e 26 orazioni, con una xilografia a piena pagina in caratteri romani: «Le Epistole devotissime sono, quindi, la vera editio princeps dell’epistolario cateriniano […], che per Manuzio è anche il primo libro in lingua volgare» (così Diega Giunta, in http://www.centrostudicateriniani.eu). Non è l’unico testo edificante dell’editoria manuziana, ma è certamente uno dei più legati a quello spirito di innovazione religiosa che il primo Cinquecento veneto perseguirà nei circoli evangelici legati per l’appunto agli ambienti bembini. A seguire vengono i due più noti portatiles aldini. A cominciare dal Petrarca italiano: non solo il Canzoniere ma anche i Trionfi (dunque, complessivamente, le sue Cose volgari, e non solo i Fragmenta); poi, l’anno seguente (1502) – e questo la dice lunga sul canone italiano di Aldo, sulle graduatorie sue e di Bembo –, le Terze rime di Dante. Si noti per entrambi i libri la distorsione del titolo, che in particolare sembra voler trasporre il solido edificio medievale della Commedia di Dante al livello dell’opera italiana, ‘frammentaria’, di Petrarca; e si noti, ovviamente, la precedenza del ‘veneto’ Petrarca sul ‘fiorentino’ Dante. Delle centoventi edizioni circa dell’opera volgare di Petrarca pubblicate nel corso del Cinquecento, la stampa di Aldo, collocata in apertura del secolo, inaugura il nuovo corso dell’opera italiana più emblematica del suo tempo. La caratterizzano il piccolo formato (‘da mano’ o portatile, forse su modello dei libretti del copista Bartolomeo Sanvito, spesso al servizio del padre di Pietro Bembo, Bernardo), il carattere italico, che imita il bel corsivo della scrittura umanistica, e infine l’uso della punteggiatura che si trasferisce dai testi greci agli italiani, rendendoli più agevoli alla lettura e, alla fin fine, interpretando l’opera. Non basta, perché il testo di Aldo segue da vicino, tramite Bembo, gli originali di Petrarca («tolto con / sommissima diligenza dallo scritto di mano me / desima del Poeta, hauuto da M. Piero Bembo / nobile Venetiano et dallui, doue bisogno / è stato, riueduto et racconosciuto», secondo il colophon): la sanzione di Petrarca a forma ‘trascendentale’ della poesia e della lingua poetica italiana avviene insomma con questa edizione. Per servirci della lucida sintesi di Paolo Trovato, Non si trattava solo delle novità tecniche delle lettere corsive e del piccolo formato, e nemmeno del fatto che per la prima volta si applicava a un testo
volgare a stampa il sistema di segno d’interpunzione grecizzante ancor oggi in uso (virgola e punto e virgola alla moderna, apostrofo, accento). Divergenze, e molto vistose, si rilevano anche ai livelli testuale e linguistico: [...] l’attenzione prestata dal Bembo a queste minuzie farà sì che il testo stampato da Aldo nel 1501 presenti relativamente poche varianti rispetto all’originale, in parte autografo del Petrarca, dei Rerum vulgarium fragmenta (ca. 160), e che meno di 20 tra queste varianti investano la sostanza del testo (Trovato 1991, p. 144-5). Ed eccoci quindi a contatto con un aspetto decisivo – o addirittura fondativo –, del mestiere di Manuzio: il suo Petrarca (questo sarà fra l’altro il titolo della ristampa aldina del 1514) non è solo un piccolo capolavoro di equilibri materiali, ma prevede una cura testuale (e dunque una responsabilità filologica) che non ha precedenti nella storia della tipografia, la stessa profusa nei classici latini e greci. Immaginiamo quest’opera non solo emendata dalla competenza del sodale di Manuzio, Pietro Bembo, che per l’occasione allestisce per la tipografia il ms ora Vaticano Latino 3197; ma discussa in ogni sua parte, alla pari, dai due colleghi, entrambi ‘filologieditori’. Del resto sarà appunto Aldo a sottoscrivere, in alcuni esemplari (gli ultimi) della stampa del 1501, un’importantissima postfazione («Aldo a gli lettori», cc. 371r-372v), netto proclama della «correttione di questo libro»: Io mi credea per certo havere a bastanza dato fede della correttione di questo libro che io vi porgo, o lettori, havendovi una volta detto che egli è tolto dallo scritto di mano medesima del Poeta havuto da M. Piero Bembo, istimando che non mi fusse gran fatto bisognevole alla vostra credenza meritare, in quello che io vi promettea, altro che il vivo testimonio di tanto huomo. Che la prima produzione di Aldo fosse costellata di grammatiche e dizionari – a definire un processo editoriale che riflette la sua vocazione filologica, l’attenzione minuta alle qualità e alla stabilità linguistica dell’opera – è ben noto (lui stesso fu autore di una grammatica greca e di una latina, oltre che umanista e maestro): perciò non ci stupiamo che anche per gli autori italiani il suo obiettivo fosse di «fissare ne varietur il testo […]. È l’economia stessa della tradizione a mutare: da stellare, accentrata si fa ora lineare; se prima ogni evento di trascrizione poteva costituirsi in testimone, ora un grappolo di copie identiche diffonde, senza variazioni possibili, senza varchi per la mano autonoma che trascrive, lo stesso testo». (Quondam 1983, p. 611-2). Tutto ciò che fa Aldo lascia il segno, un segno indelebile nella storia della produzione del libro, che acquista con lui una nuova forma e una ‘materialità’ mai esperita, sorretta da rigore linguistico e grammaticale. Per
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dirla con Luca Marcozzi, l’invenzione della stampa portò a una ricerca formale sul canone dei classici e a una sua stabilizzazione, che passava anche attraverso i procedimenti di grammaticalizzazione stilistica e linguistica promossi dal Bembo (e tra i motivi per i quali fu promossa una standardizzazione ortografica, delle forme linguistiche e della grammatica della lingua poetica uno dei principali poté essere quello di assicurare alla produzione del libro a stampa volgare un quadro di stabilità, uno standard comunemente accettato su cui basarsi per la produzione industriale). (Marcozzi 2012, p. 62). Sicché l’edizione petrarchesca di Aldo diventa il paradigma (o l’antigrafo diretto) di altre edizioni esemplate su questo ‘archetipo’: come le Cose volgari di messere Francesco Petrarcha stampate ad Ancona per Bernardino Guerralda nel 1520, «secondo la copia di meser Aldo». Senza contare che nel 1514 Aldo tornerà al suo Petrarca (Il Petrarcha, Impresso in Vinegia nelle case d’Aldo Romano, nell’anno MDXIV del mese di Agosto), tutt’altro che con una replica della stampa del 1501, in quanto la prima edizione viene arricchita di un capitolo rifiutato dei Trionfi (Nel cor pien d’amarissima dolcezza) e di otto rime estravaganti, cioè escluse dalla compagine del Canzoniere (una canzone e sette sonetti, la cosiddetta Appendix Aldina), e infine corredata di una lunga, nuova postfazione di Aldo a gli lettori: il titolo stesso sembra ribadire per antonomasia la centralità dell’edizione di Aldo su tutte le altre edizioni petrarchesche correnti. Nel 1502 è poi la volta di Dante, dove compare, per la prima volta in un’opera italiana, la marca editoriale che raffigura l’ancora con il delfino, contornata dalla firma «AL|DUS»: immagine che Manuzio aveva desunto da una moneta romana di Pietro Bembo e che diventa segno iconico, identitario, dell’edizione aldina. Nel recto precedente il testo della Commedia è invece concluso dal privilegio che evoca il moderno copyright: «Cautum est ne quis hunc impune imprimat, vendat ve librum nobis invitis». Qui il discorso si intreccia con la fortuna a stampa di Dante, e con l’identità linguistica e culturale di un’opera, la Commedia, che stenta ormai a decollare come testo ‘nazionale’ anche se si è imposta su Petrarca in terra toscana (ne saranno testimoni, ad esempio, i Sonetti e Canzoni di diversi antichi autori toscani in X libri raccolte, pubblicati a Firenze dal Giunta nel 1527): «testo corrotto e endemicamente contaminato, ma, dal punto di vista linguistico, restituito all’epoca che lo aveva prodotto: testo dunque arcaico, e arcano per i non addetti ai lavori» (Bellomo 2003, p. 314). Nonostante ciò, e nonostante il deliberato fraintendimento del titolo (Le terze rime di Dante), che trasporta Dante nell’universo frammentario di Petrarca sottolineandone il genere metrico allora in voga, cioè il capitolo ternario, la stampa di Aldo – condotta
Il frontespizio degli Asolani, 1505.
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di nuovo con il concorso di Bembo, che ne ricavò il testo dall’odierno Vat. lat. 3199, passato per le mani di Boccaccio e di Petrarca e ricopiato poi di suo pugno nel Vat. lat. 3197 – resta decisiva per la lettura di Dante nel XVI secolo (nel colophon: «Venetiis in aedib. Aldi accuratissime Men. Aug. MDII»). A sigillo delle due imprese – emblemi diversi della poesia moderna – basti poi ricordare che appunto al 1502 viene fatto risalire il dialogo che innerva le Prose della volgar lingua, dove Bembo sancisce, quasi affrontando le due edizioni prodotte da Manuzio, la superiorità di Petrarca su Dante ai fini della fondazione della lingua letteraria italiana. Devono poi passare tre anni per l’edizione della quarta aldina posseduta dalla Biblioteca Universitaria di Bologna: ancora anni di edizioni greche e latine, con l’eccezione dell’opuscolo geografico del viaggiatore genovese Giorgio Interiano, La vita, et sito de Zychi, chiamati Ciarcassi, ennesimo libro in-ottavo uscito, quasi in presa diretta, nell’ottobre 1502, che si accoda in tono minore al «contenuto scientifico, curioso e innocuo» del De Aetna (Dionisotti 1975, p. XXVII). È con il grande in-quarto degli Asolani (1505) che Pietro Bembo torna da autore nella stamperia di Aldo, proponendo l’opera più emblematica della sua giovinezza e una nuova apertura al tempo presente: il prosimetro degli Asolani, nati dall’amore per Maria Savorgnan e da quello, rischiosissimo, per Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara (e a lei viene dedicata, con una lettera prefatoria, la stampa aldina). Se è vero che la princeps di Manuzio non fornirà il testo ne varietur dell’opera (che sarà ancora strenuamente corretta e emendata dall’autore rifluendo in due successive edizioni, del 1530 e del 1553), è indubitabile che questa stampa rappresenti il frutto più autenticamente ‘cortigiano’ uscito dalla penna di Bembo, dove la riflessione sull’amore platonico incrocia il dato esistenziale e smuove il grande tema contemporaneo della lingua e della letteratura italiana, in particolare del petrarchismo ortodosso. Dunque, per Aldo, un’assoluta novità (non si vuol dire un azzardo) sul piano delle edizioni italiane, replicata, a distanza di quasi dieci anni, dall’edizione dell’Arcadia di Sannazaro (1514): con il minimo concorso di Giorgio Interiano le sole opere di autori contemporanei e in lingua italiana uscite dalla stamperia di Manuzio (ma trash per Lowry!). Fermiamoci un attimo, per concludere. Si è detto che l’invenzione del lettore è l’aspetto forse più incisivo del lavoro di Aldo: lo acclarano fra l’altro il suo epistolario e le parole impresse nel corpo dei suoi libri (prefazioni, dediche e note ai testi, per dirla con Dionisotti). Per le opere italiane ne è testimone, su tutti, la lettera con cui Manuzio chiude in alcuni esemplari la stampa di Petrarca del 1501 («Aldo a gli lettori»). È in appelli come questo che la
consapevolezza di Aldo, il suo ‘mestiere’, toccano il culmine, assegnando pari autorevolezza ai classici greci e latini e ai classici moderni come Dante e Petrarca. Mai si era dato che venisse tracciato con tanto dettagliata acribia, da un editore, il cammino filologico e grammaticale da percorrere per pubblicare un testo italiano, non solo per garantirne l’originalità ma soprattutto per rimarcarne l’autenticità: se alle volte cosa che quivi leggono nella loro conoscenza non cape, et essi pure ne vogliono riprendere chi che sia, riprendano il Petrarcha medesimo, se par loro di ben fare; il quale di sua mano così ha lasciato alle genti che doppo lui havevano a venire, in testo diligentissimamente da esso scritto in buona charta, il quale io appo il sopradettovi M. Piero Bembo ho veduto, che altri libri ha di man pure del nostro Poeta, e dal quale questa forma a lettra per lettra è levata in modo che, con pace di chi mi riprende, in essa non ci ha errori. Ma quando essi a me un Virgilio recheranno inanzi, che di man di Virgilio sia, o pure da quello tolto; quante volte o parola o sentimento mi verrà in esso veduto altrimenti stare che non istà nel mio, tante m’ingegnerò più tosto d’intenderlo che di colparlo. Ai lettori che si affidano alla sua opera Aldo rivolge un’apostrofe risoluta, che implica un colloquio diretto, senza mediazioni, con i fruitori dei suoi libri. La sua non è l’ottica di un mercante o di un semplice artigiano, ma appunto di un caposcuola che sa come l’oggetto-libro sia il risultato di una miscela di aspetti materiali e intellettuali, di produzione e di fruizione, calibrati con lunga diligenza e fatica per utilità del lettore. Da libri come questi, che mettono ordine nella selva della trasmissione manoscritta e assegnano alla stampa l’alta responsabilità di standardizzare le forme a venire della lingua e della letteratura italiana, proverranno una nuova norma filologica e un nuovo sistema letterario: Siami questa volta lecito havere detto tanto, o lettori; poscia che non sanza lunga diligenza e fatica di me et utilità di voi m’è venuto fatto di poterlo dire; o pure non mi sia lecito né ancho questo, in finattanto che chiunque con giudicioso e discernevole occhio gli leggerà, non ritroverrà che così sia. State sani; et aspettate in brieve un Dante non men corretto che sia il Petrarcha, anzi tanto più anchora da dovervi esser caro, quanto sanza fine più sono e luoghi ne’ quali Dante incorrettissimo si vedea, che quivi non si vederà, che quegli non sono, ne’ quali si leggea manchevole il Petrarcha, che nelle nostre impressioni non si leggerà.
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LA N A S C I TA DI UN SEGNO
35 LA NASCITA DI UN SEGNO
U N A I DE N T I TÀ C U LT U R A L E :
G R A M AT IC A , M A E S T R I E U M A N E S I MO L AT I NO a cura di Piero Scapecchi
COSTANTINO LASCARIS Erotemata,
GIOVANNI CRASTONE Dictionarium Graeco-Latinum,
in 4°, 28 febbraio 1494/1495,
in folio, dicembre 1497.
in 4°, ottobre 1507, aprile 1508.
8 marzo 1495.
TEODORO GAZA Grammatica introductiva,
GIOVENALE PERSIO in 8°, agosto 1501.
in folio, 25 dicembre 1495.
THESAURUS in folio, agosto 1496.
ALDO MANUZIO Institutionum grammaticarum libri quatuor, ALDO MANUZIO Institutionum grammaticarum libri quatuor, in 4°, dicembre 1514.
GIOVANNI AURELIO AUGURELLI Carmina,
RHETORICA AD HERENNIUM,
in 8°, aprile 1505.
in 4°, marzo 1514. In latino.
ESOPO Vita & fabellae, in folio, ottobre 1505.
37 LA NASCITA DI UN SEGNO
L
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a prima tappa del percorso espositivo è illuminata dai documenti ad oggi noti, dagli anni romani fino all’ingresso di Manuzio nel mondo tipografico veneziano, quando Aldo si impegnò nella conduzione dell’azienda, prima in società con Andrea Torresani da Asola e Pier Francesco Barbarigo e, dopo la morte di quest’ultimo, con il solo Andrea (Scapecchi 1994b). La fase precedente l’avvio del catalogo editoriale, durata circa venti anni, spesi tra Roma, Ferrara e Carpi fino alla laguna, lascia intravedere un itinerario che sfocia sì nella grande tipografia greca ma che muove pur sempre dagli studi latini e grammaticali. Per affermare ciò, trascurando il manoscritto con l'importante lettera all’ignoto Cristoforo da Foligno (BQS, ms VII.2/1274, su cui cfr. Scapecchi 1996b), bastano le prime opere di Aldo, oggi rarissime, pubblicate tutte a Venezia avanti la grammatica di Costantino Lascaris: il Musarum Panagiris con l’epistola a Caterina Pio (1489, IGI 6140), qui esposto, e le Institutiones gramaticae (licenziate dall’Asolano il 9 marzo 1493, IGI 6139), esemplare unico, smembrato da una miscellanea appartenuta all’erudito e bibliofilo folignate Lodovico Jacobilli (Scaccia Scarafoni 1947). Dalla scuola romana (Scapecchi 1991, Scapecchi 1996b) a Ferrara, presso Guarino Veronese (Rhodes 1974, Pistilli 2003), a cui Aldo dedicherà il Teocrito, e dai rapporti con Pico si delinea lo sviluppo dei suoi interessi futuri di editore. Anzitutto vi sono i primi studi romani su Giovenale e Probo, dunque sui grammatici latini in uso nelle scuole. Solo in seguito Aldo si avvicina alla cultura greca, tra Ferrara e Carpi, dove dimora presso i Pio dal 1479 a poco dopo il 5 ottobre 1489 (Rossi 2015), certo avanti la metà degli anni ottanta, come testimoniano l’amicizia con Manuele Atramytteno e le citazioni in greco di Esiodo nella Paraenesis ad Lionellum Pium (uscita intorno al 1490 a Venezia, presso Battista de’ Torti). Ma il suo impegno, prima di quello editoriale, è tutto rivolto all’educazione dei giovani, in primis Alberto e Lionello Pio, e all’insegnamento del latino. L’interesse del pedagogo di Bassiano non è quindi limitato agli studi grammaticali ma si estende, come lo stesso Aldo scrive, alla formazione completa dei discepoli, dal punto di vista sia letterario sia umano. Poi il suo passaggio a Venezia e la stessa situazione politica italiana, aggravatasi dopo la crisi fiorentina di fine secolo, gli aprono inediti e più vasti scenari. Nel 1491 Aldo incontra Poliziano in casa dei Barbaro (ricordati nel Musarum Panagyris) ed entra in rapporto con il mondo della produzione manoscritta e con Giorgio
Valla. Dopo la pubblicazione delle già ricordate Institutiones gramaticae, uscite con il sostegno finanziario dei principi Pio, nasce la grande proposta editoriale e tipografica del delfino e dell’ancora. Aldo ha l’intuizione di far leva sui giovani Pietro Bembo e Angelo Gabriel che gli offrono, di ritorno da Messina, il manoscritto di Lascaris (Scapecchi 2004) con cui ha inizio l’attività aldina fra i torchi di Torresani, con un’offerta che farà perno tanto sui testi greci quanto su quelli latini. Pur assorbito dall’Aristotele, infatti, Aldo non dimenticò mai la cultura latina, come dimostra la realizzazione del fondamentale carattere Romano 114 (universalmente oggi noto come «Bembo») che costituisce la base angolare della storia del tipo romano, destinato a un successo giunto sino a noi, e oltre, grazie al suo massiccio impiego nella rivoluzione della scrittura digitale. Come con acutezza si è osservato (Branca 1998, Balsamo 2002), Aldo, che pure nel secondo testamento del 1506 aveva ordinato la distruzione dei propri scritti grammaticali, stimolò lo studio di Cicerone e della sua lingua in una Venezia, vista troppo spesso come lontana dall’umanesimo latino. Il suo rinnovato impegno per la lingua di Roma si espresse lungo tutto l’arco della sua attività editoriale. Citando Quintiliano, l’editore umanista ribadì le proprie intenzioni nella dedica ai «literarii ludi magistri», con cui si aprono le stampe della sua grammatica (cfr. schede Manuzio, 1507-1508, 1514); nelle Epistulae ad familiares dell’Arpinate, edite nel 1502, scrisse: «Illud non praetereundum putavi, omnia M. Tulli opera conferre nimirum in modo, si legantur assidue, sed epistulae maxime: nam et copiosum et elegantem et, quod facio plurimi, perfacile in scribendo studiodum sui efficiunt» (Dionisotti 1975), ritornando di nuovo sul concetto nelle Epistulae ad Atticum del 1513. Proprio nel 1513 Pietro Bembo divenne segretario di papa Leone X ed avviò il profondo rinnovamento dell’epistolografia – latina – pontificia (e si potrebbero ricordare qui i versi di Carducci sulla Rocca Paolina: «la pensò Paolo III una mattina, tra il latin del messale e quel del Bembo»). Se la fama di Aldo si deve certo alla sua tipografia greca non minori sono i suoi meriti verso la classicità latina, confermata dalla rivoluzionaria adozione del corsivo e del formato in 8°, che comincia non a caso da Virgilio, passa per la memorabile edizione di Plinio con il sussidio di fra Giocondo (cfr. scheda Plinio 1508), fino alla sua ultima fatica, rappresentata dal De rerum natura di Lucrezio (cfr. scheda Lucrezio 1515). Piero Scapecchi
39 LA NASCITA DI UN SEGNO
COSTANTINO LASCARIS (1434-1501)
Erotemata, in 4°, 28 febbraio 1494/1495, 8 marzo 1495. Editio princeps. In greco con traduzione latina a fronte. R 1.1; U 1; A 1; M 2; IGI 5693; ISTC il00068000
coll.: A.V.KK.XI.29 (provenienza: Convento della SS. Annunziata, Bologna; possessore: Luigi da Piacenza, frate). Mancano le ultime due cc. contenenti l’errata. Cfr. Caronti 469, p. 281. Misure d’esemplare: legatura, mm 221x161x33; corpo del libro, mm 212x155x22
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È questo il primo testo ad oggi noto impresso nella tipografia aldina con i caratteri Gr 125 e il R 108 (ma espanso fino a 125 mm). L’esordio, «come un preludio alle fatiche e spese gravissime e ai grandi preparativi che facciamo per la stampa d’ogni sorta di libri greci», come scrive Aldo nella dedicatoria (Dionisotti 1975, p. 195), dimostra che la decisione di intraprendere la via della tipografia era stata da lui assunta dopo la stampa delle sue opere grammaticali affidate ad Andrea Torresani, e che dunque l’apprestamento dei caratteri era avvenuto dopo il 1493, forse anche avanti la costituzione della società con Pierfrancesco Barbarigo e lo stesso Torresani. Il grande progetto porterà alla stampa di Aristotele, iniziata il primo settembre dello stesso anno dove si usa lo stesso carattere romano. È da notare inoltre che questa prima produzione si affida – come lo stesso Aldo sottolinea nella sua dedicatoria – al contributo dei giovani Pietro Bembo ed Angelo Gabriel che avevano riportato da Messina il codice (oggi Vat. Gr. 1401) permettendo un’edizione rivista e corretta rispetto alle precedenti manifestazioni dell’opera apparse a Milano il 30 gennaio 1476 (IGI 5690, solo testo greco), poi sempre a Milano il 20 settembre 1480 (IGI 5691), questa volta con il testo latino curato dal piacentino Giovanni Crastono e infine a Vicenza il 14 giugno 1489 (IGI 5692). La stampa deve essere avvenuta dopo il 25 novembre 1494, data riportata nel codice vaticano. Si deve anche sottolineare il legame tra Aldo e il giovane Bembo, allora ritornato con Gabriel dalla Sicilia (Una giovinezza umanistica 2013), che aveva offerto la possibilità a Manuzio di disporre di un testo corretto dall’autore sì che potesse affermare che l’opera si presentava «longe correctiora iis quae impressa visuntur». Proprio dal Lascaris aldino inizia una collaborazione con i Bembo, padre e figlio, determinante nella vicenda umana e tipografica di Aldo. Pe rt usi 1962; D ion i so t t i 1 975 ; S ca pe cch i 2003; C e re sa 2004; Un a gi ov i n ez z a um an i st i c a 201 3.
p.s.
41 LA NASCITA DI UN SEGNO
TEODORO GAZA (1400-1475)
Grammatica introductiva, in folio, 25 dicembre 1495. Editio princeps di Apollonio Discolo (II sec. d. C.) e porzioni di Erodiano (170-240 d. C.). In greco e latino. R 4.2; U 5; A 5; M 5, 6; IGI 4181; ISTC ig00110000
coll.: A.V.KK.X.3 (provenienza: Collegio dei Gesuiti, Bologna). Mutilo dei fascicoli a8, b10. Cfr. Caronti 364, p. 216 Misure d’esemplare: legatura, mm 297x210x29; corpo del libro, mm 289x201x22.
Questa edizione, tra le prime apparse nella tipografia aldina, riporta immediatamente alla città di Ferrara, dove l’opera di Teodoro Gaza, quivi giunto nel 1446 su invito di Giovanni Aurispa, fu composta entro il 1450 (Bianca 1999), quando l’umanista, definito nella lettera al lettore «soave, facondo e genuinamente attico» (Dionisotti 1974, p. 199), si diresse nella Roma di Niccolò V. La Grammatica, dunque, conferma l’importanza indelebile dei rapporti che Aldo aveva tessuto e tesseva con Battista Guarino che insieme con la sua scuola animava nella corte estense uno dei più vivaci circoli dell’Umanesimo padano. Allo stesso Guarino Aldo dedicò la propria edizione di Teocrito, datata febbraio 1496, in cui riconobbe al maestro di aver appreso da lui «a Ferrara e il latino e il greco» (Dionisotti 1975, p. 201). I rapporti tra Guarino e Aldo sono risalenti probabilmente agli anni tra 1475 e 1480, quando quest’ultimo entrò in amicizia anche con Pico della Mirandola (Rhodes 1974). Al periodo estense sono da ricondurre pure i legami con l’ambiente del cardinal Bessarione, di cui Gaza era accorto collaboratore. Gli anni ferraresi furono pertanto decisivi sia per la formazione culturale di Aldo sia per l’intenso e articolato complesso dei rapporti da lui qui intessuti, che prosperarono e anzi si accrebbero pure negli anni del primo Cinquecento. A Ferrara fu proprio l’edizione dei poemi degli Strozzi a favorire la chiamata di Manuzio a Carpi. Caterina Pico Pio ed anche lo stesso Pico vollero infatti che Aldo divenisse precettore di Alberto e Lionello Pio, come appare dalla lettera di Manuele Atramitteno al grammatico romano, scritta avanti il 1485 (Scapecchi 1996). R hode s 1 974; D ion i so t t i 1 975 ; S ca pe cch i 1 996;
42
Bi a nca 1 999.
p.s.
43 LA NASCITA DI UN SEGNO
THESAURUS in folio, agosto 1496. In greco e latino. R 9.1; U 8; A 9; M 11, 12; IGI 9510; ISTC it00158000
coll.: A.V.KK.X.5. Caronti 791, p. 468-69. Misure d’esemplare: legatura, mm 298x217x56; corpo del libro, mm 288x198x52.
44
Il Thesaurus, che integra le opere greche edite da Aldo e si collega ai suoi rapporti fiorentini, fu curato da Guarino Favorino (allievo del Poliziano, strettamente legato alla famiglia Medici e a papa Leone X, bibliotecario della Medicea privata e poi vescovo di Nocera, Ceresa 1995) e dal fiorentino Carlo Antinori (Verde 1977), dai quali, su consiglio di Poliziano, «il lavoro è poi passato a me, – scrive Manuzio – che, affaticandomi non poco, ho riveduto tutto il materiale, confrontandolo coi volumi donde era stato estratto. Molte cose ho aggiunto, moltissime ho cambiato, talora con l’aiuto dell’ottimo frate francescano Urbano, che tra breve vi fornirà delle introduzioni alla lingua greca da lui composte con somma accuratezza e dottrina» (Dionisotti 1975, p. 202-3). Il testo, nel codice di dedica (BML, LV, 18), era stato allestito avanti la morte di Poliziano (4 settembre 1494) perché il filologo, già in rapporti con Aldo, aveva scritto un epigramma rivolto a Varino in vista della stampa. Nello stesso codice sono altri due epigrammi di Scipione Forteguerri e di Marco Musuro, versi entrambi passati nell’aldina. Forteguerri ed Antinori erano a Padova nel 1493 (Pozzi 1966); è possibile che molto presto il testo fosse venuto in possesso di Aldo. Così l’edizione conferma da una parte l’attenzione a Firenze dall’altra la presenza in officina di Urbano Bolzanio del quale si annunziano le Institutiones Graecae grammaticae, comparse nel gennaio 1497-1498 (IGI 10029); il frate minore bellunese che già aveva incontrato Bembo e Gabriel in Sicilia, come ricorda lo stesso Bembo nel De Aetna, ebbe stretti legami con l’ambiente mediceo nei turbolenti anni savonaroliani. Aldo seppe approfittare di questi sommovimenti fiorentini utilizzando sia l’abbandono della stampa greca da parte di Lorenzo d’Alopa sia l’allontanamento dalla città del giglio degli studiosi del greco a seguito dell’instabilità politica. Aldo ebbe anche modo, negli stessi anni, di imprimere le opere del Poliziano (cfr. scheda Poliziano 1498) con la collaborazione del bolognese Alessandro Sarti, opere già iniziate a stampare in fogli di prova a Bologna (Veneziani 1988; Gatti 2013). Gli interessi toscani si materializzarono anche, a fine ’400, nelle Epistole di s. Caterina da Siena (cfr. scheda s. Caterina da Siena 1500), curate da frate Bartolomeo da Alzano (committente della pala di santa Caterina per la chiesa osservante di San Pietro in Murano, poi pervenuta a Lucca, dove ancora oggi si conserva), con il concorso dei frati di San Marco a Venezia. Po z z i 1966; D ion i so t t i 1 975 ; Ve rde 1 977; Ve n e z i a n i 1 98 8 ; C e re sa 1 995 ; Gat t i 201 3.
p.s.
45 LA NASCITA DI UN SEGNO
GIOVANNI CRASTONE (XV sec.)
Dictionarium Graeco-Latinum, in folio, dicembre 1497. In greco e latino. R 13.7; U 16; A18; M 20, 21; IGI 3255; ISTC ic00960000
coll.: A.V.B.VI.35 (provenienza: Collegio dei Gesuiti, Bologna; possessore: Giovanni Battista Garzone, notaio; «Angeli d. Jonsib de Fano»). Cfr. Caronti 312, p. 185. Misure d’esemplare: legatura, mm 315x220x42; corpo del libro, mm 304x210x33.
L’edizione rientra nel programma aldino di mettere sul mercato un’opera di uso primario; grande era infatti in quegli anni il peso del piacentino Giovanni Crastono (o Crastone) soprattutto per la sua collaborazione con la tipografia greca a Milano, dove era uscita la prima edizione dell’opera, impressa da Bono Accursio avanti il 28 marzo 1478, cui fece subito seguito la vicentina di Dionisio Bertocchi (1483). Il Crastono aldino «può essere considerato […] come uno degli iniziatori di quell’opera sistematica di divulgazione e sistemazione scolastica della cultura greca che accompagnò la scoperta e la diffusione della stampa prima a Milano e poi a Firenze e a Venezia» (Gualdo Rosa 1984, p. 578). Crastono non fu effettivamente autore dell’opera ma piuttosto emendatore del lavoro di Lascaris e di altri, operando, in altre parole, all’ordinamento di un Glossario del XV secolo (come il codice BML, Conventi Soppressi 181, trascritto dal Filelfo); ad esso Manuzio, nella sua edizione, aggiunse altre opere greche e l’indice latino-greco, duramente contestato da Urceo Codro nella lettera a Giovanni Battista Palmieri del 15 aprile 1498. Aldo fu assistito nell’edizione da Scipione Forteguerri e Marco Musuro e l’opera del frate piacentino sarà impressa ancora all’inizio del XVI secolo a Ferrara da Antonio Mazzocchi di Bondeno (Edit16 CNCE 14045), proprio durante gli anni ferraresi di Aldo stesso, e poi da Andrea Torresani nel 1524 (Edit16 CNCE 13682). L’esemplare bolognese, proveniente dal Collegio dei Gesuiti di Bologna, reca due note di possesso. Una di queste recita «Ad usum Jo[hannis] Bap[tis]tae Garzonei civis et not[ar]ii» (c. a1r), l’altra «Angeli d. Jonsib de Fano» (c. t7v). Numerose sono le annotazioni a margine, anche in greco.
46 Gua l d o Ro sa 1 98 4.
p.s.
47 LA NASCITA DI UN SEGNO
GIOVENALE (ca. 50-130 d. C.),
PERSIO (34-62 d. C.)
in 8°, agosto 1501. In latino. R 29.6; U 44; A 48a; M 45, 46, 47, 48; Edit16 CNCE 36104
coll.: Raro B.50. Misure d’esemplare: legatura, mm 167x105x10; corpo del libro, mm 160x96x6.
48
Le satire dei poeti latini Persio e Giovenale circolano unite per tutto il Medioevo, corredate di scholia carolingi; pochi manoscritti di Giovenale conservano note di un commento (tardo?)antico, a riprova di un interesse continuo. A un lieve calo di interesse nei secoli XI-XIII, segue nel Trecento un recupero che culmina nei commenti eruditi del secondo Quattrocento: Bartolomeo Fonzio (1446-1513) e Giovanni Britannico (m. ca. 1520) su Persio, Domizio Calderini (1446-1478) e Giorgio Valla (14471500) su Giovenale. La diffusione ininterrotta spiega perché i due satirici siano tra le prime edizioni portatili di Aldo, subito dopo Virgilio e Orazio. La continuità di Aldo è però controversa: risposta, più che assenso, alla tradizione universitaria dei grandi commenti. Dopo decenni di glosse concentriche (sempre più dotte e distanti dal testo), un’edizione di Giovenale e Persio senza note avrà senz’altro destato sorpresa (Dionisotti 1995, p. 48). È breve pure la prefazione, con dedica al grecista pistoiese Scipione Forteguerri detto Carteromaco (1466-1515), allievo di Poliziano. L’edizione contraffatta a Lione (ca. 1502) arricchisce di una propaggine spuria la fortuna di questa aldina (Fletcher 1988, p. 94). La fonte del testo è molto probabilmente una copia ben leggibile: più plausibile sarebbe un’altra stampa. Gli incunaboli tendono a separare Persio e Giovenale (16 edizioni unite, 80 separate); ma poiché nessuna delle edizioni unite è fonte dell’aldina, essa verrà da due manifestazioni editoriali distinte (meno probabile) o da un manoscritto, di cui è assai difficile rinvenire traccia, considerata la vastità della tradizione che annovera oltre 500 testimoni. Si è tuttavia creduto (Fletcher 1988, p. 77-9; contra Davies 1990, p. 149) che l’aldina discendesse dal manoscritto della University Library di Leeds (coll.: non-Brotherton 4): il copista è il padovano Bartolomeo Sanvito (1435-1518), legato agli amici di Aldo a Venezia (p.es. i Bembo e Marcantonio Morosini) e probabile modello per il corsivo delle aldine in ottavo. Tuttavia, Albinia C. de la Mare ha dimostrato che il codice di Leeds è con tutta probabilità databile post 1501. Nessun altro manoscritto di Giovenale e Persio copiato da Sanvito (mss Oxford, Bodleian Library, Auct. F.5.4; Madrid, Biblioteca Nacional de España, Res. 195; Moskow Russian State Library, Phi.256 n°747) è fonte dell’aldina. Una ricerca sistematica (sempre che ne valga la pena) dovrebbe partire da manoscritti calligrafici del secondo Quattrocento legati alla cerchia veneziana di Aldo. Marsh al l 1983; Ta rra n t 1 98 3; Dav i e s 1 990; D ion i so t t i 1 995 ; D e L a Ma re , Nu vol on i 2009.
g.r.
49 LA NASCITA DI UN SEGNO
GIOVANNI AURELIO AUGURELLI (1456-1524)
Carmina, in 8°, aprile 1505. In latino. R 49.2; U 89; A 91; M 106, 107; Edit16 CNCE 3381
coll.:Raro B.56. Mutilo di c. a2. Misure d’esemplare: legatura, mm 156x102x20; corpo del libro, mm 151x98x15. coll.: Raro B.1/4 (provenienza: Lorenzo Puppati, 1791-1877). Mutilo del fascicolo b. Misure d’esemplare: legatura, mm 166x102x28; corpo del libro, mm 157x94x15. Legato con: Ermogene di Tarso, Ad artem oratoriam praeexercitamenta,
50
Parigi, Simon de Colines, 1526; Andrea Domenico Fiocchi, De magistratibus, sacerdotiisque Romanorum libellus, Parigi, Simon de Colines, 1530; Johannes Murmel, Tabulae in artis componendorum versuum rudimenta, Lione, Sébastien Gryphius, 1543.
Originario di Rimini, Augurelli fu filologo e poeta petrarchista in volgare; la sua fama, tuttavia, è legata a varie raccolte poetiche in latino, alcune delle quali ebbero risonanza europea: i Carmina, la Chrysopoeia (un trattato in versi sull’alchimia) e i Geronticon (scritti nella vecchiaia e indirizzati a papa Leonexe a vari amici). Dopo avere vissuto in varie città italiane (Roma, Firenze, Padova, Venezia, Treviso, Feltre), nel 1515 si stabilì definitivamente a Treviso, dove finì i suoi giorni. Nel 1475, a Firenze, aveva conosciuto l’ambasciatore veneziano Bernardo Bembo, che divenne suo protettore; ben presto strinse amicizia anche col figlio di Bernardo, Pietro, e con altri intellettuali veneti, da Girolamo Bologni a Trifon Gabriele. Nell’editio princeps dei Carmina (Verona, senza indicazione di stampatore, 5 luglio 1491, IGI 962), Augurelli raccolse un florilegio delle poesie composte dopo la sua partenza da Firenze, intorno al 1476. L’aldina del 1505 – maturata nella complessa rete di relazioni e favori tra protetti e protettori, prossimi ai torchi dell’ancora col delfino (Lowry 2000, p. 291) – si presenta come una manifestazione accresciuta della princeps: oltre a buona parte delle poesie già stampate quattordici anni prima, infatti, include anche carmi inediti, composti fra il 1491 e il 1503, che l’autore aveva tuttavia già divulgato in raccolte manoscritte inviate ad amici e personaggi illustri. Divisi in due libri di iambi (per complessive 61 poesie), due di sermones (22 testi) e due di veri e propri carmina (47 «odi»), a cui segue un breve Libellus iambicus superadditus (con 11 componimenti), i versi di Augurelli sono esempi di una lirica elegante e virtuosistica, ma fortemente stilizzata. Particolarmente significativo appare, alle cc. c4v, c5r, il carmen XXV, una ‘raccomandazione’ degli stessi libri di Augurelli ad Aldo, «affinché con la sua straordinaria cultura li esamini [ma recognoscat può valere anche ‘ritocchi, corregga’] e con la sua perizia [ma dexteritas è anche il ‘parere favorevole’] curi che vengano stampati». La BUB possiede due esemplari dei Carmina aldini. Il primo (Rari B.1/4), mutilo del fascicolo b, rilegato in un unico volume con altre cinquecentine francesi (Ermogene di Tarso, Ad artem oratoriam praeexercitamenta, 1526; Andrea Domenico Fiocchi, De magistratibus, sacerdotiisque Romanorum, s.d.; Johannes Murmel, Tabulae in artis componendorum versuum rudimenta, 1543), appartenne forse a Lorenzo Puppati, il cui ex libris compare sul frontespizio dell’operetta di Ermogene: è caratterizzato da alcune sottolineature di paragrafo e annotazioni, nonché da una piccola correzione filologica a c. g7r. Il secondo (Raro B.56), mutilo di c. a2, presenta il taglio inferiore titolato e cartulazione manoscritta risalente al XVI secolo. S e re na 1 904; Pava n e l l o 1 905 ; Lucch e si 1 95 8 ; We i ss 1 962.
s.e.
51 LA NASCITA DI UN SEGNO
ESOPO (620-564 a. C.)
Vita & fabellae, in folio, ottobre 1505. In greco e latino. R 49.6; U 93; A 95; M 111, 112; Sicherl, p. 352-356; Edit16 CNCE 334
coll.: A.V.D.IX.14. Misure d’esemplare: legatura, mm 290x188x30; corpo del libro, mm 282x175x24.
52
Demetrio Falereo (IV-III sec. a.C.) raccoglie per primo un corpus di favole attribuite a Esopo, modello per gli epigoni, risalenti al I e al II secolo, di Fedro (in latino) e Babrio (in greco). Il primo autore a nominare Esopo è Erodoto (2.134) che lo colloca nel VI secolo a.C. e ne traccia una breve biografia. Erodoto, Demetrio e i manoscritti superstiti attingono dal medesimo serbatoio culturale, ma è impossibile azzardare rapporti di discendenza. Con tutta probabilità, il corpus di Esopo si forma nel I e nel II secolo, e tramite un archetipo del IV secolo, passa al Medioevo bizantino: Massimo Planude (ca. 1255-1305), intorno al 1300, ne epitoma una versione già epitomata. Il fatto che la tradizione manoscritta delle favole non si sovrapponga in toto a quella della vita complica ulteriormente il quadro (Perry 1936, Papathomopoulos 1989, Karla 2001). Le traduzioni latine di Esopo spopolano con l’Umanesimo: vi si cimentano Guarino Veronese, maestro di Aldo, come pure Ermolao Barbaro senior, Lorenzo Valla. Nel 1474 Antonio Zarotto stampa a Milano (IGI 64) la versione di Rinuccio Aretino (ca. 1395-1455), e intorno al 1478 il pisano Bono Accursio la accompagna al testo greco, la princeps (IGI 61) che rappresenta anche una delle primissime opere greche passate sotto i torchi. La pubblicazione dell’aldina di Esopo ha un torbido retroscena. Il ravennate Gabriele Braccio era collaboratore di Aldo, che lo aveva elogiato nella prefazione del 1497 al terzo tomo di Aristotele; nel 1498 Braccio lascia Aldo per associarsi all’umanista Bartolomeo Pelusio da Capodistria e agli stampatori di Carpi Giovanni Bissolo e Benedetto Mangio. Venezia concede alla compagnia un privilegio per l’edizione di quattro testi greci: stampano solo Falaride e, appunto, Esopo (1498, IGI 60), prima di chiudere nel 1499. Carlo Dionisotti (Dionisotti 1975, p. xxx) definisce la prefazione a Esopo di Braccio «una […] ignobile manipolazione dei propositi di Aldo», che viene del tutto ignorato. Con questo Esopo, Aldo dà l’ennesima prova della propria vocazione pedagogica: nella nota all’indice spiega che la nuova traduzione latina a fronte è un mero sussidio per accedere all’originale greco, affermando un’idea da sempre cara a Aldo, sull’esempio di Ermolao Barbaro e Poliziano, come lo stesso editore aveva ribadito nella citata prefazione ad Aristotele del 1497. La stessa progettazione della stampa chiarisce il proposito: nella prefazione, Aldo invita chi voglia, tra i lettori, a separare il testo greco da quello latino, indipendenti dal punto di vista tipografico. Pe rry 1936; D ion i so t t i 1 975 ; Pa pat homopou l o s 1 98 9; Ka rl a 2001 .
g.r.
53 LA NASCITA DI UN SEGNO
ALDO MANUZIO Institutionum grammaticarum libri quatuor, in 4°, ottobre 1507, aprile 1508. In latino, greco ed ebraico. 2 pt R 52.1; U 97; A 99; M 116; Edit16 CNCE 36171
coll.: A.V.D.IV.3 (provenienza: Girolamo Legnani Ferri, Bologna, 1721-1805). Misure d’esemplare: legatura, mm 224x170x33; corpo del libro, mm 215x158x29.
ALDO MANUZIO Institutionum grammaticarum libri quatuor, 54
in 4°, dicembre 1514. In latino, greco ed ebraico. 2 pt R 69.10; U 129; A 131; M 152; Edit16 CNCE 37481
coll.: A.V.D.IV.47 (Possessore: Domenico Castellani, Bologna, 1551-post 1608). Misure d’esemplare: legatura, mm 223x165x30; corpo del libro, mm 215x154x25.
Queste due edizioni, successive a quelle del 1493 (Scaccia Scarafoni 1947) e del 1501, si inseriscono nella lunga serie di stampe grammaticali prodotte in tutta Europa nel XVI secolo (Jensen 1998 ne indica ben 62) che ebbe uno strepitoso successo tanto che fra il 1508 e il 1513 ne erano comparse ben nove tra Parigi, Lipsia e Deventer. La fonte principale è rappresentata dalle grammatiche di Niccolò Perotti e di Guarino Veronese (Grendler 1991), che preparano il superamento da parte di Aldo dei classici, ossia Donato e il Dottrinale del Villanova (cfr. Plebani 1994; Black 2001). Aggiornata nelle varie edizioni, l’opera traccia anche il profilo umano di Aldo grammatico, che rivive negli stessi esempi ed osservazioni presenti nel testo (Dionisotti 1995). Le edizioni comprendono anche le nozioni base per lo studio del greco e la Introductio perbrevis ad Hebraicam linguam, che aveva provocato la rottura con Girolamo Soncino e con Francesco Griffo, i quali abbandonarono l’umanista editore per stabilirsi a Fano, mandando a monte la progettata edizione della Bibbia trilingue, di cui resta un solo foglio di prova. L’attenzione di Aldo alla gramatica rivestiva un peso importante nel suo pensiero e pareggiava l’interesse per la lingua di Cicerone o quello nei confronti del greco, come già attesto nel Musarum Panagyris (il raro esemplare posseduto dalla Biblioteca Universitaria è esposto in mostra, A.V.KK.XI.18/6) e come ancor più risalta dalla dedica dallo stesso Aldo apposta in principio alle Epistolae familiares di Cicerone: «Credo poi che non si debba passar sotto silenzio il fatto che una lettura continuata delle opere tutte di Cicerone è di grande giovamento, ma quella delle lettere in modo particolare: esse infatti rendono chi le studia scrittore ricco, raffinato e, ciò che per me più conta, assai scorrevole» (Dionisotti 1975, p. 237). E ciò, nella dedica della sua grammatica agli «insegnanti delle discipline letterarie» aveva sottolineato: «Si aggiunga che l’impratichirsi di autori incolti e barbari fa divenir tali noi stessi; ché siamo soliti il più delle volte esser peggiori di coloro che imitiamo.» (Dionisotti 1975, p. 225). Così Aldo può rivolgersi ai giovani che iniziavano lo studio della lingua latina ma anche agli studiosi maturi, augurandosi il successo del suo libro, che certo non mancò nel corso dei decenni. L’esemplare bolognese dell’edizione del 1514 è appartenuto a Domenico Castellani Dominici (Fantuzzi 1794, p. 83-4), che nella lunga nota di possesso presenta il proprio albero genealogico: «Castellani filii Jo[annis Mariae Senioris] Dominici antiqui olim D[onati] [?] [Sim]onis nati ex Guielmo iam ser [Uberti de Ca]stel=lanis. Bononię. 1567». In corrispondenza della marca annota, inoltre, luogo e data di stampa ma dell’edizione di ottobre 1507. Fant uz z i 1794; Dioniso t t i 1 975 ; Bat e m a n 1 976; Gre n dl e r 1 991 ; P l e ba n i 1 994; D ion i so t t i 1 995 ; Je n se n 1 998 ; Bl ack 2001 .
p.s.
55 LA NASCITA DI UN SEGNO
RHETORICA AD HERENNIUM in 4°, marzo 1514. In latino. R 65.1; U 120; A 122; M 141, 142; Edit16 CNCE 12196
coll.: A.V.D.IV.22 (provenienza: Antonio e Bartolomeo Bonfiglioli, Bologna, XVII sec.; possessore: Costantino Turchi, Bergamo, XVI sec.). Misure d’esemplare: legatura mm 209x140x40; corpo del libro mm 195x130x35
56
Quando la Rhetorica ad Herennium uscì da Aldo non era certo una novità, essendo l’editio princeps apparsa per i tipi di Nicolas Jenson a Venezia sin dal 1470 (IGI 2959). La prefazione di Manuzio, che apparve meno di un anno prima della sua morte, è indirizzata ad Andrea Navagero. L’editore, lamentata la fatica opprimente di difendersi da tutti quelli che vogliono incontrarlo (e contro i quali egli ha posto una scritta sulla porta del suo studio, scritta riportata nella tavola), presenta brevemente le opere edite nel volume, cominciando dalla Rhetorica ad Herennium, che Manuzio non riteneva di Cicerone (Dionisotti 1975, p. 129-37). Già nel 1491 Raffaele Regio, lettore nello Studio di Padova e amico di Aldo – al punto da tenere l’orazione funebre in sua lode nella chiesa di S. Paternian – aveva mostrato che l’opera non poteva essere di Cicerone. In verità ad analoghe conclusioni era già giunto Angelo Decembrio nel I libro della Politia Literaria parecchi anni prima, fra il 1438 e il 1450, morte di Leonello D’Este, a cui il Decembrio aveva dedicato i libri iniziali della sua opera. Gli argomenti portati in campo da Manuzio sono deboli ed egli manca di addurre le differenze dottrinarie fra l’Ad Herennium e il De inventione di Cicerone (cfr. Calboli 1972, 1986 e 2009). In realtà Regio nella sua quaestio Vtrum ars rhetorica ad Herennium falso Ciceroni inscribatur era arrivato molto vicino a individuare il punto della dottrina in cui la Rhetorica si distacca nettamente dal De inventione di Cicerone, ossia il fatto che la dottrina degli status è stata ridotta da quattro status (Cicerone ed Ermagora) a tre, come fece l’oratore M. Antonio in quell’ars rhetorica che cominciò a comporre e non terminò (Cic. de orat.2,113 e Quint. inst.3,6,45sg.). I secuti Antonium e la Rhetorica ad Herennium adottarono, poi, il sistema a tre status di Antonio, articolandolo ulteriormente in modo più dettagliato. Quindi il sistema che troviamo nella Rhetorica, introdotto dal suo doctor (Rhet. Her.1,11,18) altro non è che una semplificazione rispetto a quello di Ermagora-Cicerone, elaborato dai secuti Antonium (Quint.inst.3,6,45), fra i quali si deve porre appunto questo doctor. Ciò avvenne per motivi politici, ricavabili da precisi esempi (cfr. Calboli 2009, p. 215-7). Purtroppo Regio, che notò la differenza del numero degli status, si fece sviare dietro a quello che aveva trovato in un codice, cioè che il doctor autore della Rhetorica ad Herennium si sarebbe chiamato Ermestes. Dal momento che Cicerone (nel Brutus) non ricorda fra i «rhetores» alcun Ermestes, Regio escluse che quest’ultimo fosse vissuto al tempo di Cicerone, poiché confuse gli oratores considerati da Cicerone coi rhetores, che non sono la stessa cosa. Regio finì così per porre cervelloticamente la composizione della Rhetorica al tempo di Zenobia e a Tivoli, dove Zenobia fu esiliata da Aureliano. L’autore sarebbe dunque Timolao, uno dei dotti che accompagnarono Zenobia, e il destinatario Herenianus, fratello di Timolao. Da Timolaus a Tullius e da Herenianus a Herennius il passaggio sarebbe stato alquanto facile. Aldo ha il buon senso di non entrare in questi complessi e perigliosi dettagli, controllati male da Regio, e si ferma al criterio primo usato da Regio per escludere Cicerone, ossia quello dello stile puerile che caratterizzerebbe la Rhetorica. L’umanista editore menziona, invece, un altro punto, ignorato dal Regio: la Rhetorica è più ridotta del De inventione e, se l’avesse scritta Cicerone, sarebbe stato più ampio, come accade nella parte dedicata nelle due opere all’argomentazione. Questa è un’osservazione giusta e importante. Invece le motivazioni stilistiche di Aldo sono generiche ed erronee, come del resto quelle del Regio e, al nostro tempo, di Marx e Thielmann. Già si era dimostrato che Cornificio (per lui e per me autore della Rhetorica ad Herennium) aveva
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usato uno stile molto vicino allo stile di Cicerone e nient’affatto ‘puerile’, come Regio e Aldo, influenzato certamente dal primo, avevano scritto senza basarsi su alcuna dimostrazione scientifica (Golla 1935). Del resto anche Francesco Dal Pozzo, poco prima del 1488 aveva espresso un simile superficiale giudizio. Così Marx e Thielmann hanno considerato errori e volgarismi forme come, ad es., persuasus (detto due volte) e altri sintagmi e morfemi prodotti dall’‘analogia’ che invece sono forme volute dall’autore della Rhetorica ad Herennium, indotte appunto dall’analogia dell’Autore che voleva comporre un’ars grammatica e seguiva la grammatica alessandrina e quindi l’analogia, come Cesare (Calboli 2013). A Cesare egli si avvicina anche per la posizione politica che trova espressione, oltre ad altri punti, nella celebrazione dei martiri della parte ‘popolare’ (Rhet. Her. 4,22,31; Caes. civ.1,7,6 e Sall. Iug.31,2). Tutto questo sfugge ad Aldo, ed è naturale, considerate le conoscenze del suo tempo. A parte ciò, Aldo era interessato a un altro aspetto di queste opere retoriche di Cicerone, e cioè, all’aspetto stilistico latino in senso ampio. In altre parole, in un senso che convogliava gran parte dello stesso umanesimo di quel tempo. Nella sua nuova impresa, avviata nel 1508, Aldo esce dal campo del greco, che era stato ed era il suo campo, per entrare in quello del latino ed era naturale che la focalizzazione linguistica e stilistica non potesse mancare, e che dovesse avvenire attraverso l’opera retorica di Cicerone. Anche l’Ad Herennium s’iscriveva nella stessa vicenda, avendo fatto parte, quale opera attribuita a Cicerone come ‘Rhetorica Nova di Tullio’ alla storia della retorica medioevale, non meno dell’insieme delle restanti opere retoriche di Cicerone. E questo già prima della stagione del Dictamen nella quale la Rhetorica ad Herennium era stata «a prerequisite for training in dictamen» (Ward 1995b, p. 293). Potremmo, anzi, stupirci che Aldo sia arrivato al Cicerone retorico alla fine della sua vita. Ma Aldo con questa stampa rispondeva, direi, a due esigenze: quella del mercato dei libri di piccolo formato e quella di mostrare, in primo luogo a se stesso, la capacità di dominare il mondo stilistico degli umanisti e del suo maestro Poliziano, senza escludere una influenza di Erasmo (Dionisotti 1975, p. xliv-ix). Erasmo, che certo era attento alla retorica ciceroniana ben prima della pubblicazione del Ciceronianus nel 1528, può aver contribuito a puntualizzare questo aspetto nella mente di Manuzio, come certamente avrà contribuito l’interesse dell’amico Regio per la retorica di Quintiliano e di Cicerone e per l’Ad Herennium. Anche in questo Aldo ha confermato di essere un dotto, non meno che un abile editore. L’esemplare bolognese reca all’incipit il timbro della Pontificia Biblioteca di Bologna. Presenta rare postille e due note di possesso, dove sono intervenute due mani in fasi successive (c. 17r): «Questo libro è di M. Costantino Turchi qualle è gintilomo da Bergamo» con aggiunta di seguito di «, et hora di Bartolomeo Bonfiolo». La prima mano ha vergato al verso dell’ultima c.: «Constantinus Turchi quondam possessor huius libri». Bischoff, Hoffmann 1952; Calboli Montefusco 1979; Bischoff 1981; Zelzer 1982; Fredborg 1988; Achard 1989; Hafner 1989; Bischoff 1990; Calboli 1993a; Calboli 1993b, Ward 1995a; Ward 1995b; Calboli 1996; Calboli 2002; Fredborg 2009; Calboli 2010; Cox, Ward 2011; Calboli 2014.
g.c.
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U N A I DE N T I TÀ C U LT U R A L E :
A L D O E I L MON D O G R E C O a cura di Francesco Citti, David Speranzi
ARISTOTELE Opera,
TUCIDIDE Thucydides,
SENOFONTE Omissa: quae & Graeca gesta appellantur,
in folio, vol. 1: 1 novembre 1495.
in folio, maggio 1502.
COSTANTINO LASCARIS De octo partibus orationis liber,
STEFANO DI BISANZIO De urbibus,
RHETORES GRAECI
in 4°, [1501-1503]
in folio, gennaio 1502/1503.
vol. 2: 21 maggio 1509.
in folio, ottobre 1503.
BESSARIONE In calumniatorem Platonis libri quatuor, in folio, luglio 1503.
in 4°, vol. 1: novembre 1508;
61 LA NASCITA DI UN SEGNO
P
62
er buona parte del Quattrocento, l’apprendimento della lingua greca fu vissuto in una prospettiva tutta latina, secondo le linee tracciate a suo tempo da Petrarca: imparare la prima era strumentale a un utilizzo migliore e più consapevole della seconda; pur con notevoli eccezioni, quali ad esempio quelle di Guarino da Verona o Francesco Filelfo, l’accesso alle fonti greche era passato per molti umanisti principalmente attraverso le traduzioni. Solo la seconda metà del secolo avrebbe visto grecisti occidentali di vaglia, sui quali giganteggia la figura di Angelo Poliziano: al magistero dell’Ambrogini Aldo fu particolarmente legato, assicurandosi tra l’altro la collaborazione di alcuni suoi allievi; due suoi scolari, poi, Carlo Antinori e Guarino Favorino Camerte, avevano assemblato proprio sotto la sua guida i testi grammaticali del Thesaurus Cornucopiae et Horti Adonidis, uscito dai torchi manuziani nel 1496. Tanto a questa edizione e alle altre, numerosissime, aldine greche, quanto ai risultati raggiunti dai suoi migliori ellenisti, l’Umanesimo non sarebbe però arrivato senza il contributo degli émigrés bizantini, talora discusso, talvolta sopravvalutato, certo fondamentale. Quando nel 1495 Manuzio dava inizio al suo programma di sistematica pubblicazione dei testi greci, un secolo era quasi trascorso da quando a Firenze Manuele Crisolora aveva definitivamente aperto all’Occidente la via del greco; da allora, e soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli, la migrazione di dotti greci dall’Oriente ai centri dell’Umanesimo si era fatta sempre più consistente. A Firenze, a Venezia, a Roma, ma anche in città periferiche come per esempio Messina (cfr. scheda Lascaris 1501-1503), essi trovavano una posizione come professori, maestri, oppure ancora come copisti, magari grazie a protettori quali il cardinale Bessarione, promotore di grandi imprese culturali e filosofiche (cfr. scheda Bessarione 1503). Dalla seconda metà degli anni settanta del Quattrocento, i primi passi della stampa in greco offrirono ai bizantini nuove opportunità: la più antica notizia della presenza in Italia del cretese Demetrio Damilas, a Milano nel 1476, è legata proprio alla pubblicazione da parte sua del primo libro interamente in greco, l’Epitome di Costantino Lascaris (IGI 5690). Più tardi il suo pionieristico esempio sarebbe stato
seguito da altri e sin dagli esordi l’attività di Manuzio è contrassegnata dalla collaborazione con eruditi orientali: il cretese Marco Musuro, pur con alcune interruzioni, accompagnò Aldo per tutta la sua parabola editoriale, allestendo giovanissimo il manoscritto alla base della princeps di Museo (1495), firmando più tardi l’Aristofane (cfr. scheda Aristofane 1498) e gli Epistolographi Graeci (cfr. scheda Epistolae diversorum 1499), nonché, tra l’altro, Platone, Esichio e Ateneo (cfr. schede Platone 1513, Esichio 1514, Ateneo 1514). Di Musuro sono infine alcune correzioni all’esemplare di stampa dell’Antico Testamento in greco, un’edizione progettata da Manuzio ma portata a compimento soltanto dopo la sua scomparsa. Giovanni Gregoropulo, poi, che di Musuro era stato a Creta compagno di studi, fu responsabile per esempio di copie di tipografia per l’Erodoto (cfr. scheda Erodoto 1502) e per le edizioni drammatiche (cfr. schede Sofocle 1502, Euripide 1503), cui servì anche un manoscritto copiato da Zaccaria Calliergi, cretese pure lui che a Venezia dette vita a una propria impresa tipografica, insieme a Nicola Vlastos (cfr. scheda Ulpiano 1503). Per Musuro, per Gregoropulo, forse per Calliergi, e per molti altri, noti e meno noti (cfr. scheda Aristotele 1495), per le loro differenti vite di emigrati, per le loro varie aspirazioni, l’officina aldina sarebbe stata, per anni, un solido punto di riferimento. Gregoropulo vi lavorava per mandare in patria il denaro necessario a riscattare il fratello Manuele, colpevole di omicidio involontario; l’impegno di Musuro guardava più lontano ed egli, ancora dopo la morte di Manuzio, pregava i suoi eredi che pubblicassero quei testi greci rimasti privi di un’edizione a stampa e, perciò, a rischio di andar perduti sotto i venti di guerra che spazzavano l’Italia e l’Europa. Si ha l’impressione che lo sguardo di Aldo andasse ancora più oltre: per lui, che aveva scelto Venezia quasi alterum Byzantium come luogo dove impiantare la propria officina, affidare i testi greci all’ars artificialiter scribendi rispondeva al lungimirante scopo di rinsaldare nella classicità e nella cristianità bilingue – che avevano parlato e scritto paritariamente in latino e in greco – le radici di un’identità culturale. David Speranzi
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ARISTOTELE (384-322 a. C.)
Opera, in folio, vol. 1: 1 novembre 1495. Editio princeps di Porfirio (233/234-305 d. C.) con Aristotele. In greco. R 7.5; U 4; A 4; M 4; Sicherl, p. 31-113; IGI 791; ISTC ia00959000
coll.: A.V.KK.X.6 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758). Caronti 68, p. 39-42. Misure d’esemplare: legatura, mm 313x225x45; corpo del libro, mm 294x203x30. Legato con: Librorum et Graecorum, et Latinorum, fol. 1526?
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Dopo gli esperimenti degli Erotemata di Costantino Lascaris e dell’Ero e Leandro di Museo, scritti di estensione relativamente breve, corredati di traduzione latina e perciò presumibilmente di facile smercio, nel novembre del 1495 Aldo dava inizio con questo volume εἰς ὄργανον alla sua prima grande impresa, quella di stampare in greco tutte le opere di Aristotele. Protrattasi per qualche tempo e conclusasi nel 1498, con qualche aggiustamento nel programma editoriale, la pubblicazione, in vari tomi, costituisce un vero e proprio monumento all’impegno aldino per la diffusione a stampa dei testi greci e richiese l’impiego di una pluralità di collaboratori. Alcuni di essi sono ricordati da Manuzio nelle prefazioni ai differenti volumi: per questo primo, è il caso di Alessandro Bondino, detto l’Evemero, noto anche come copista, che firma una dedicatoria rivolta ad Alberto Pio, principe di Carpi (Eleuteri, Canart 1991, p. 55-6, n. 15); altre figure emergono invece con maggiore difficoltà soltanto dal reperimento e dallo studio dei manoscritti usati come modelli in tipografia (il più ampio quadro disponibile sull’argomento è in Sicherl 1997, p. 31-113). Tra questi è da ricordare il codice dell’Houghton Library (HLH, gr. 17), un composito messo insieme dal cretese Giovanni Gregoropulo, uno dei più assidui collaboratori di Aldo: in questo manoscritto sono stati infatti raccolti vari esemplari di stampa, tra cui quello dell’Isagoge di Porfirio compresa nel primo volume, opera di uno scriba senza nome che quasi certamente rivestì un ruolo nella preparazione dell’Aristotele, il cosiddetto Anonymus Harvardianus (Hoffmann 1985 e 1986; una descrizione del ms in Kavrus-Hoffmann 2010, p. 211-2). A questo enigmatico personaggio, che attende ancora di ricevere dagli studiosi sostanza biografica e storica, si possono qui assegnare per la prima volta alcuni interventi in un Aristotele di Milano (BAM, B.7.inf.): l’identificazione riveste particolare interesse nella storia dell’edizione esposta, poiché Stefano Martinelli Tempesta ha potuto recentemente mostrare come il codice Ambrosiano sia appartenuto proprio ad Aldo Manuzio (Martinelli Tempesta 2015). L’esemplare bolognese, con rare postille in greco e tracce di annotazioni dilavate, reca la cartulazione manoscritta e segni di lettura e di attenzione (ad es. fascicolo G8). La provenienza, considerate la legatura e alcune precedenti coll. manoscritte sulle c. di guardia anteriori, è forse da collegare a papa Benedetto XIV, i cui libri, donati all’Istituto delle scienze, raggiunsero Bologna a partire dal settembre 1755. All’incipit è il timbro tondo della «Pontificia Biblioteca di Bologna», apposto dopo la Restaurazione. Hof f m ann 1985; Hof f m a n n 1 98 6; El e u t e ri , C a na rt 1 991 ; S ich e rl 1 99 7; Ma rt i n e l l i Te m pe sta 201 5 .
d.s.
65 LA NASCITA DI UN SEGNO
COSTANTINO LASCARIS (1434-1501)
De octo partibus orationis liber, in 4°, [1501-1503]. In latino, greco ed ebraico. R 262.15; U 50; A 34; M 56, 57; Edit16 CNCE 36151
coll.: A.V.D.IV.37 (possessore: «Fabio», XVI sec.; Mutilo delle carte α1, a2:a7, α7, a8. Misure d’esemplare: legatura, mm 213x160x37; corpo del libro, mm 207x153x32
66
Nel catalogo di vendita delle aldine del 1503 è registrata questa edizione della grammatica del maestro bizantino Costantino Lascaris, che ne include tutti e quattro i libri, De octo partibus orationis, De constructione, De nomine e De pronomine, con la traduzione latina ad verbum; il lettore vi poteva trovare inoltre alcuni testi accessori, come per esempio la Tabula attribuita a Cebete, un opuscolo di grande fortuna in età umanistica e rinascimentale; varie preghiere; i Versi aurei dello pseudo-Pitagora; lo pseudo-Focillide e una breve introduzione all’ebraico (Dionisotti 1975, tav. 10). La descrizione del catalogo, che nell’esemplare della Biblioteca Nazionale di Parigi è accompagnata dall’indicazione manoscritta del prezzo di tre lire (BNF, Par. Gr. 3064, c. 1r), costituisce il terminus ante quem per la stampa del volume, privo di data; il terminus post si ricava invece dalla dedicatoria di Aldo, rivolta al patrizio veneto Angelo Gabriel (ca. 1470-1533), che di Lascaris era stato uditore a Messina alcuni anni prima insieme al giovane Pietro Bembo: Manuzio rimpiange infatti che Costantino, al quale l’avevano unito stretti rapporti epistolari, non avesse potuto vedere questa nuova e più completa stampa delle sue fatiche, ideale seguito degli Erotemata (cfr. scheda Erotemata 1495); nell’agosto del 1501 il bizantino aveva infatti contratto la peste e, dopo aver dettato il suo testamento il 15 di quel mese, era scomparso poco più tardi (Dionisotti 1975, p. 37, 222-3; sulla vita e l’opera di Lascaris cfr. Martínez Manzano 1994 e 1998). L’edizione, bilingue, dalla struttura complessa, è fornita di un triplice registro che chiarisce le possibili modalità di fruizione pensate da Aldo in relazione alle diverse esigenze dei suoi lettori: un primo registro per i fascicoli in greco, per quanti non avessero necessità della versione latina, un secondo per i soli fascicoli latini, un terzo con i fascicoli in serie unica, seguendo il quale si poteva ottenere un volume con testo a fronte. L’esemplare dell’Universitaria, fittamente annotato in greco e in latino, reca la nota di possesso di un certo «Fabio» (c. a1r), in parte cancellata dopo il XVI secolo, quando fu presumibilmente apposta. Accanto ad essa è il timbro tondo a inchiostro della Biblioteca Pontificia, denominazione assunta dall’Universitaria a partire dalla Restaurazione. Altre annotazioni di possesso appaiono sovrascritte e poi espunte (c. [o]4v). Dioniso t t i 1975; Ma rt í n e z Ma n z a no 1 994; Ma rt í n e z Ma n z a no 1 998
d.s.
67 LA NASCITA DI UN SEGNO
TUCIDIDE (ca. 460-395 a. C.)
Thucydides, in folio, maggio 1502. In greco. R 33.4; U 57; A 60; M 60, 61, 62; Edit16 CNCE 55824
coll.: A.V.D.III.24 (provenienza: Convento della SS. Annunziata, Bologna; possessore: Scipione Bianchini, XVI sec.). Misure d’esemplare: legatura, mm 332x220x26; corpo del libro, mm 323x212x20.
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Nel dicembre del 1501 l’erudito bizantino Giano Lascaris inviava da Blois una severa lettera ad Aldo, per rimproverarlo di aver abbandonato temporaneamente la pubblicazione di autori greci inediti e di essersi dedicato a quella di testi latini, volgari o greci che, come Omero, godevano già di un’edizione a stampa. Lascaris, che anni prima si era cimentato per una breve stagione fiorentina nell’impresa della tipografia, sapeva bene che in simili attività, come nelle guerre, «sono nervi li dinari», ma esortava Manuzio a non «attendere alla commodità, dove la necessità non è anchora adimpita»: tornasse quindi al suo progetto editoriale originario, quello di affidare al torchio la memoria della grecità, la cui sopravvivenza era a rischio dopo la tragica fine dell’impero bizantino (de Nolhac 1887-1888, p. 26-8, n. 24). Con favore certo Lascaris ricevette dunque la dedica della princeps di Sofocle (cfr. scheda Sofocle 1502) e certo guardò con altrettanto piacere alle altre prime edizioni di autori di classici greci che ripresero a uscire dalla stamperia aldina in quegli anni: parallelamente al Sofocle si lavorava infatti all’Erodoto (cfr. scheda Erodoto 1502), a partire da un manoscritto oggi conservato a Norimberga (Mondrain 1995) e, mentre queste due edizioni erano in preparazione, usciva nel maggio dello stesso anno il Tucidide. Quest’ultimo era offerto da Manuzio al patrizio veneziano Daniele Renier, grande sostenitore della sua attività, sia a parole sia nei fatti poiché, a quanto pare, era solito fornirgli manoscritti da utilizzare per la stampa; nella dedicatoria del Tucidide Aldo fa cenno alle molte lettere di incoraggiamento da lui ricevute dagli uomini più dotti, affinché prosegua nella missione di imprimere tutto quanto è degno di essere letto (Dionisotti 1975, p. 61, 238): si sarebbe tentati di leggere in questa frase anche un riferimento alle parole, aspre ma appassionate, che qualche tempo prima Lascaris gli scriveva dalla Francia. L’esemplare tucidideo dell’Universitaria reca la nota di possesso del bolognese Scipione Bianchini, vissuto nel XVI secolo, vergata a c. AA1r: «Scipionis Blanchinij:-». Lo stesso Bianchini ha apposto numerose sottolineature e postille, e ha trascritto passi dal De Oratore e dal Brutus di Cicerone (c. AA8r); dello stesso figurano anche annotazioni e la copiatura di un passo in greco (c. OP4r), con estratti relativi a particolarità linguistiche e dialettali di Tucidide, forse ricavati dal De dialectis di Gregorio Pardo. Dalla libreria Bianchini il volume passò a quella del convento bolognese della SS. Annunziata (come provano i due timbri ovali a inchiostro nero dell’incipit) e, dopo le soppressioni napoleoniche di fine Settecento, alla Biblioteca di Palazzo Poggi che acquisì il titolo di Pontificia solo con la Restaurazione (documentato dal timbro tondi visibile all’incipit). De Nolhac 1887-1888; Dionisotti 1975; Mondrain 1995. d.s.
69 LA NASCITA DI UN SEGNO
STEFANO DI BISANZIO (fine V sec. d. C.)
De urbibus, in folio, gennaio 1502/1503, [dopo il] 18 marzo 1502. In greco e latino. R 38.15; U 53; A 56; M 75; Edit16 CNCE 36142
coll.: A.V.D.III.17/2 (provenienza: Collegio dei Gesuiti, Bologna). Privo del fascicolo zF per lacuna editoriale dell’antigrafo. Misure d’esemplare: legatura, mm 328x220x38; corpo del libro, mm 320x215x13. Legato con: Giulio Polluce, Vocabularium, [dopo l’11] aprile 1502 (cfr. scheda Polluce 1502).
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Quello di Stefano di Bisanzio, su cui quasi nulla è noto, è un lessico alfabetico di toponimi, in cui le spiegazioni, ampie e dettagliate, assumono un carattere enciclopedico. È giunto in forma di epitome, attribuita al grammatico Ermolao (VI secolo), tranne che per una piccola parte della lettera δ, conservata in un manoscritto parigino dell’XI secolo (BNF, Coislinianus 228), insieme con l’indice dei lemmi della lettera ε. Al lessico enciclopedico Aldo teneva particolarmente, in quanto strumento imprescindibile per la conoscenza del mondo antico; per questo motivo, la fama di Stefano era già notevole, come provato dall’uso fattone sia da Ermolao Barbaro nelle Castigationes Plinianae et in Pomponium Melam (1493-94, IGI 1211) sia da Poliziano nella seconda centuria della sua Miscellanea, di poco posteriore. Poliziano conosceva infatti il nostro autore direttamente e non solo tramite Ermolao, come attesta la lettera del suo amico Pietro Crinito ad Alessandro Sarti. Nella prefazione al Dictionarium Graecum di Giovanni Crastone (cfr. scheda Crastone 1497), Aldo annunciava di voler curare in breve tempo la stampa di varie opere tra cui l’Etymologicum magnum, il lessico Suda, l’Onomasticon di Polluce (cfr. scheda Polluce 1502), Pausania e gli ’Εθνικά – ma l’aldina porterà il titolo De urbibus – di Stefano Bizantino, mentre era imminente l’uscita delle commedie di Aristofane con commenti (cfr. scheda Aristofane 1498) e degli Epistolographi Graeci (cfr. scheda Epistolae diversorum 1499). Manuzio sapeva bene che «con le promesse chiunque può esser ricco», ma con l’aiuto di Dio confidava di portare a termine ciascuna di queste imprese (Dionisotti 1975, p. 19-20, 209-10). Se però l’Aristofane e gli epistolografi sarebbero in effetti usciti di lì a poco uno di seguito all’altro, l’editio princeps della Suda avrebbe visto invece la luce a Milano nel 1499 con la cura editoriale di Demetrio Calcondila; l’Etymologicum magnum sarebbe stato pubblicato nello stesso anno a Venezia da Nicola Vlasto e Zaccaria Calliergi; Pausania avrebbe atteso fino al 1516, quando sarebbe stato stampato dagli eredi di Aldo, mentre Polluce e Stefano Bizantino sarebbero stati da lui editi soltanto nel 1502. I volumi sono dedicati a due umanisti bresciani, Elia Caprioli e Giovanni Taberio, e nell’epistola anteposta all’opera di Polluce, Manuzio si rallegra di aver offerto i due volumi ai due compatrioti: si dice infatti certo che molti avrebbero rilegato insieme gli Ethnika e l’Onomasticon, in grazia della loro affinità e utilità per la lettura degli autori antichi; così, uniti in uno solo, i due libri sarebbero stati il segno tangibile dell’amicizia che legava i dedicatari (Dionisotti 1975, p. 57-8, 2356). Il consiglio dell’editore, dettato certo anche da una sottile strategia commerciale, è riflesso nell’esemplare dell’Universitaria, che riunisce appunto sotto un’unica legatura Polluce e Stefano. Il testo è disposto su due colonne, senza numerazione delle colonne o delle pagine. I fascicoli sono segnati da doppia lettera, greca e latina; manca quello ZF, recante gran parte dei lemmi relativi alla lettera κ, poiché il testo a disposizione (quello del codice Neap. III.AA.18, vergato verso il 1490, o di un suo affine) era lacunoso e Aldo desiderava che i suoi lettori potessero integrare quella porzione, qualora riapparisse in qualche codice superstite (Lowry 2000, p. 324). Dall’antigrafo derivano inoltre altri errori, tra cui un ordine sbagliato nella lettera α; su singoli punti intervennero – talora felicemente – i collaboratori di Aldo. (Dionisotti 1975, p. 55-6, 234-5). Sulla provenienza dell’esemplare bolognese cfr. scheda Polluce 1502. Dioniso t t i 1 975 ; L owry 2000; Bi l l e rbe ck 2006-2014.
d.s. – r.t.
71 LA NASCITA DI UN SEGNO
BESSARIONE (1403-1472)
In calumniatorem Platonis libri quatuor, in folio, luglio 1503. In latino. R 40.5; U 75; A 77; M 83; Edit16 CNCE 5644
coll.: A.V.KK.X.23/2. Prima del restauro l’esemplare aldino era legato con Lattanzio, Opera, Venezia, Teodoro Ragazzoni, [1490] (A.V.KK.X.23/1). Misure d’esemplare: legatura, mm 299x208x26; corpo del libro, mm 295x199x16.
Bessarione, nato a Trebisonda verso il 1403, arcivescovo di Nicea, umanista e seguace del filosofo Giorgio Gemisto Pletone, venne in Italia per la prima volta nel 1438 per partecipare alle sessioni del Concilio di Ferrara e Firenze allo scopo di realizzare l’unione fra i cristiani d’Occidente e d’Oriente, per poi trasferirsi definitivamente nel 1443 a Roma, facendo della sua abitazione un luogo di incontro e di studi. L’opera, stampata per la prima volta nel 1469 dai prototipografi tedeschi Sweynheym e Pannartz a Roma (IGI 1621), tradotta in latino grazie all’apporto di Niccolò Perotti e con la cura editoriale di Giovanni Andrea Bussi (Miglio 1978, p. XLV-XLVII) nacque all’interno di un acceso dibattito tra aristotelici e platonici dell’accademia del Bessarione, dibattito che sfociò nella stesura e nella circolazione da parte di Giorgio di Trebisonda delle Comparationes Aristotelis et Platonis. Bessarione rispose componendo un testo assai complesso, dove proporre il confronto tra la filosofia platonica e quella aristotelica, come si evince dal minuto sommario delle materie esaminate, componendo un quadro d’insieme di conciliazione in chiave neoplatonica. L’edizione riscosse molto interesse e venne fatta ampiamente circolare anche grazie a copie manoscritte revisionate dallo stesso Bessarione dopo la diffusione delle stampe. Su una di queste copie finali si basò Aldo Manuzio per migliorare il testo licenziato dai torchi due tipografi tedeschi (Montfasani 2013, p. 359-360), come Aldo stesso esplicita nella sua prefazione (c. 1v). L’esemplare bolognese presenta una nota manoscritta a fianco del titolo dell’opera in corrispondenza alla sottolineatura della parola Calumniatore[m]: «is fuit Georgius Trapeziuntius», testimonianza della risonanza della polemica.
72 Migl io 1 978 ; Mon fa sa n i 2008 ; Be ssa rion e 1 994; Acce n de re , P ri v i t e ra 2014.
t.p.
73 LA NASCITA DI UN SEGNO
SENOFONTE (ca. 430-354 a. C.)
Omissa: quae & Graeca gesta appellantur, in folio, ottobre 1503. In latino e greco. R 41.7; U 78; A 80; M 85, 86; Edit16 CNCE 55858
coll.: Raro D.64/2 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). Var. B senza secondo frontespizio. Misure d’esemplare: legatura, mm 323x225x53; corpo del libro, mm 315x218x22. Legato con: Senofonte, Omnia, quae extant, [Venezia, eredi di Aldo Manuzio il vecchio e Andrea Torresano il vecchio], 1525.
74
Le opere di Senofonte ateniese giunsero in Occidente nel 1397, quando Manuele Crisolora giunse a Firenze per insegnare il greco portando con sé, tra l’altro, un ampio corpus senofonteo, l’attuale codice Vat. Gr. 1335, del sec. X, contenente Ciropedia, Anabasi, Apologia di Socrate, Agesilao, Ierone, Costituzione degli Spartani, Costituzione degli Ateniesi, Sulle entrate. Da esso, direttamente o indirettamente, attinsero spesso il testo greco gli umanisti che avviarono la serie delle traduzioni da Senofonte; primo tra tutti Leonardo Bruni (ca. 1370-1444), traduttore dello Ierone nel 1401-02. Bruni tradusse anche l’Apologia (1407) e più tardi, da altra fonte, le Elleniche (1439). Alla diffusione delle opere senofontee contribuirono poi nel corso del Quattrocento, con le loro traduzioni, vari altri umanisti: ricordiamo, tra i maggiori, Poggio Bracciolini (Ciropedia, 1437), Bessarione (Memorabili, 1441-44), Francesco Filelfo (Costituzione degli Spartani e Agesilao, 1430; Ciropedia, ultimata nel 1466-67). Lo Ierone, il primo testo senofonteo tradotto in latino, fu il primo anche a vedere la luce a stampa in greco, nell’edizione curata da Giano Lascaris (Firenze, Lorenzo de Alopa, 1495, IGI 2662). Il secondo fu quello delle Elleniche, in questa edizione aldina del 1503, che si collega esplicitamente, sia nel titolo dell’opera senofontea sia nella dedica di Aldo Manuzio a Guidobaldo I da Montefeltro duca di Urbino, all’aldina di Tucidide dell’anno precedente. Il testo senofonteo vi compare separato dagli altri scritti dell’ateniese e unito alla prosecuzione di Giorgio Gemisto Pletone (ca. 13551450), alla Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio di Erodiano (ca. 180-255 d. C.) e agli scoli a Tucidide; in un’ottica, dunque, prettamente storiografica, per nulla ovvia: nell’antichità, Senofonte era stato visto soprattutto come un filosofo socratico, nel Medioevo bizantino come un rètore (cfr. Bandini 2007, p. 37-8; sulle fonti manoscritte dell’editio princeps delle Elleniche cfr. Jackson 1989). La prima raccolta delle opere senofontee in greco fu stampata a Firenze presso i Giunta nel 1516, a cura di Frosino Bonini (Edit16 cnce 55227). Ad essa seguì l’aldina del 1525, curata da Giovan Francesco Torresano, cognato di Aldo Manuzio (Edit16 CNCE 55989, su queste edizioni cfr. Bandini 1994, p. 64-68). L’Apologia, ancora assente in queste stampe, vide la luce autonomamente a Hagenau nel 1520 per cura di Johannes Reuchlin. All’Universitaria bolognese l’esemplare dell’edizione del 1503 è preceduto dal Senofonte aldino del 1525. La cartulazione manoscritta apposta nell’edizione del 1525 prosegue in quella del 1503 fino al testo di Pletone incluso; riparte poi all’inizio del testo di Erodiano, e nuovamente all’inizio degli scoli a Tucidide. Irigoi n 1 979; Jackson 1 98 9; Ma rsh 1 992; Ba n di n i 1 994; Tavon i 2006
m.ba.
75 LA NASCITA DI UN SEGNO
RHETORES GRAECI in 4°, vol. 1, novembre 1508; vol. 2, 21 maggio 1509. Contiene opere di Aftonio (seconda metà del IV sec. d. C.), Ermogene di Tarso (ca. 150-225 d. C.) e Aristotele (384-322 a.C.). In greco. 2 voll. R 54.4; U 99, 104; A 102; M 118; Sicherl, p. 309-325; Edit16 CNCE 2146
coll.: A.V.D.IX.10/1-2 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). Vol. 2 mutilo di c. B3. Misure d’esemplare vol. 1: legatura, mm 292x195x65; corpo del libro, mm 282x185x55. Misure d’esemplare vol. 2: legatura, mm 297x191x38; corpo del libro, mm 288x186x36.
76 coll.: A.V.D.IX.24 (provenienza: Convento della SS. Annunziata, Bologna). Solo vol. 1. Cfr. scheda Rhetores Graeci 1508. Misure d’esemplare: legatura, mm 300x203x63; corpo del libro, mm 291x188x52.
Pubblicata nel frangente politico di estrema gravità per Venezia – la sconfitta patita nella battaglia di Agnadello – la corposa edizione vede la luce dopo la crisi produttiva del 1505, e dopo il (breve) rilancio dell’azienda aldina legato alla stampa degli Adagia erasmiani nel 1507. I Rhetores rappresentano il ritorno aldino al greco dopo l’avventura del corsivo abbinato al piccolo formato. Per questa edizione Manuzio sceglie il formato in quarto (grande), mantenendo però una mise en page del tutto simmetrica a quella già utilizzata per la serie dei classici latini: composizione tipografica molto serrata, nessuno spazio per il commento e carattere (greco) alto 83-84 millimetri sulle venti linee. È lo stesso Aldo, nelle righe dedicate al Musuro a spiegare, ancora una volta, il senso preciso di questa sua nuova intrapresa. I due volumi includono la gran parte della dottrina greca sulla retorica. Per tutta l’antichità e fino all’età medievale, la capacità di parlare e scrivere secondo indicazioni canonizzate in base a modelli autorevoli ebbe un ruolo centrale negli studi e fu un requisito importante per accedere a posti di rilievo nella società (Dionisotti 1975, p. 273). Il vol. 1 si apre con i Progymnasmata, fortunata serie di esercizi allestita da Aftonio nel IV sec. d.C., e con alcuni scritti (non tutti autentici) di Ermogene di Tarso (II-III sec.) – un’autorità nel campo della retorica –, relativi a strategie, contenuti, stile ed efficacia dei discorsi. Seguono la Retorica e la Poetica di Aristotele (non incluse nelle edizioni aristoteliche degli anni 1495-1498), più la cosiddetta Retorica ad Alessandro, attribuita ad Aristotele nei manoscritti ma opera forse a lui contemporanea o successiva. Si succedono poi manuali e trattati riconducibili a personalità più o meno note attive tra il I sec. a.C. e l’inizio del VI sec. d.C.: dal più conosciuto Dionigi di Alicarnasso ad Alessandro Numenio, Apsine, Menandro retore, Minuciano, Sopatro, Febammone. Il vol. 2 raccoglie invece parte della catena di commenti cresciuta attorno ai testi di Aftonio e di Ermogene dalla tarda antichità fino a Massimo Planude (XIII-XIV sec.). La dedica del vol. 1 è per Giano Lascaris, ambasciatore del re di Francia a Venezia tra il 1504 e il 1509: ai suoi manoscritti Aldo attinse anche per questa edizione (nella dedicatoria era preannunciata inoltre l’edizione degli oratori attici del 1513, cfr. scheda Oratores 1513). Nell’epistola prefatoria che segue il sommario, il curatore del testo, lo studioso cretese Demetrio Ducas (ca. 1480-1527), ringraziava Marco Musuro, all’epoca professore di greco a Padova, per il suo apporto all’opera (Pellegrini 2012, p. 57682; Ferreri 2014). A Musuro è rivolta anche la dedicatoria del vol. 2, pubblicato a distanza di sei mesi. Renouard annoverava l’edizione tra le aldine più preziose per la quantità e la novità di testi contenuti, per i quali rimase a lungo l’unica disponibile (il modello sarà ripreso dai progetti editoriali di Walz e Rabe nel XIX e XX secolo). Con quest’edizione tornava a circolare anche il testo greco di due opere di grande significato per la cultura letteraria e artistica dell’Europa moderna, la Retorica e soprattutto la Poetica di Aristotele. Le grand 1885; Ge ana kopl o s 1 967; D ion i so t t i 1 975 ; C ata l di Pa l au 1 998 ; Wil son 2000; Tavon i 2006; P e l l e gri n i 201 2; Fe rre ri 2014.
e.g.; p.m.p.
77 LA NASCITA DI UN SEGNO
U N A I DE N T I TÀ C U LT U R A L E :
I L I B R I I N VOL G A R E a cura di Paola Vecchi Galli
s. CATERINA DA SIENA Epistole,
DANTE ALIGHIERI Le terze rime di Dante,
in folio, [19] settembre 1500.
in 8°, agosto 1502.
79 LA NASCITA DI UN SEGNO
FRANCESCO PETRARCA Le cose volgari,
PIETRO BEMBO Gli Asolani,
in 8°, luglio 1501.
in 4°, marzo 1505.
D
80
ella raccolta completa delle aldine in volgare, quelle possedute dalla Biblioteca Universitaria sono certamente rappresentative di un percorso editoriale che approda nel tempo a definire un’identità precisa, frutto di apporti culturali diversificati. Aldo Manuzio, dopo l’iniziale interesse per gli studi di grammatica e per gli autori greci, intraprende l’avventura dell’editoria in volgare sugli scorci del XV secolo con l’enigmatica Hypnerotomachia Poliphili (1499) del domenicano Francesco Colonna. In quell’opera il volgare si unisce al greco a e al latino in una singolare miscela, resa ancora più originale dalle illustrazioni (ben 172 xilografie, un tempo attribuite a Mantegna) che l’accompagnano e ne completano il significato. Non conservato in alcun esemplare all’Universitaria, il “sogno di Polifilo” si può ammirare in mostra solo nella riedizione di Giovanni Mardersteig, studioso dei caratteri aldini, e della sua Stamperia Valdonega, uscita a Padova per Antenore nel 1964. Risvegliato dunque l’interesse per la lingua volgare, dai torchi manuziani esce una serie di selezionati testi italiani, antichi e moderni, che presuppongono anche rinnovate forme tipografiche. Alle Epistole di santa Caterina (cfr. scheda s. Caterina da Siena 1500) Aldo affida un duplice compito: saldare al sermo vulgaris un’importante parte della sua religiosità e offrire modelli epistolari volgari da accostare a quelli classici ma pure introdurre l’uso del corsivo, affiorato nell’invocazione a Gesù della mistica senese, come raffigurata in una grande xilografia. Sono però Le cose volgari di messer Francesco Petrarcha (cfr. scheda Petrarca 1501) a far brillare il genio di Manuzio. L’edizione infatti, con il suo formato portatile in 8°, con l’elegante carattere corsivo di Francesco Griffo, con il testo modernizzato nella grafia e nell’uso della punteggiatura, risponde con acuta intuizione alle esigenze del mercato editoriale e ben si presta ad essere fruito all’interno di una rinnovata dimensione della pratica della lettura. Oltre ai già citati accorgimenti, il Petrarca si presenta in una forma linguistica curata filologicamente come mai era accaduto prima nella storia della tipografia, andando a costituire un archetipo stilistico e linguistico che si tramanda immutato alle successive manifestazioni della stessa opera. Il libro, maneggevole nelle dimensioni, si offre a una lettura
della letteratura volgare e dei suoi classici svincolata dal commento scolastico e dalla mediazione professionale, e dunque appassionata. Il ‘petrarchino’ diviene così di moda nelle corti di tutta Europa e la sua riproposta da parte di altri stampatori fa nascere un vero e proprio genere editoriale. Nel 1502, quindi dopo Petrarca, è la volta di Dante e delle sue Terze Rime, (cfr. scheda Alighieri 1502), anch’esse alleggerite del commento e accostate alla forma lirica più libera del canzoniere, in una veste paratestuale che, a partire dal titolo, resta decisiva per la fortuna del poeta nel XVI secolo. Negli Asolani di Pietro Bembo (cfr. scheda Bembo 1505), quarta aldina volgare posseduta dall’Universitaria, si dipana il discorso sul grande tema contemporaneo della lingua e della letteratura italiana, sottolineando l’attenzione dello stampatore per le questioni filologiche e linguistiche. Con gli Asolani, inoltre, Aldo propone un testo inedito, in volgare, destinato a un immediato successo di pubblico, tanto da essere riedito lo stesso anno a Firenze e in seguito da molti altri tipografi, che ne fecero approntare pure la traduzione francese. È all’alba del nuovo secolo che si può dunque parlare della nascita del lettore moderno, incentivata da proposte editoriali in volgare – originali per la forma o per il contenuto – le quali, con pari dignità rispetto agli studia humanitatis, escono dalla stamperia aldina. L’invenzione del lettore moderno è forse quello che può essere considerato l’aspetto più incisivo della politica editoriale di Aldo Manuzio. E ne è testimone, nell’intero catalogo aldino in volgare, la lettera con cui Manuzio chiude in alcuni esemplari la stampa di Petrarca del 1501 («Aldo a gli lettori»). In quell’avviso l’editore dimostra profonda consapevolezza del proprio mestiere e delinea con chiarezza il cammino filologico e grammaticale da percorrere per pubblicare un testo italiano, come sa chi è ormai deciso a intraprendere un colloquio diretto con il pubblico, sempre più protagonista nel decretare forma e successo di un libro. Paola Vecchi Galli
81 LA NASCITA DI UN SEGNO
s. CATERINA DA SIENA (1347-1380)
Epistole, in folio, [19] settembre 1500. In italiano. R 23.2; U 36; A 37; M 37, 38; IGI 2587; ISTC ic00281000
coll.: A.V.B.VI.40 (provenienza: Giovanni Grisostomo Trombelli, 16971784). Caronti 244, p. 147-48. Misure d’esemplare: legatura, mm 326x217x75; corpo del libro, mm 316x214x64.
coll.: A.V.KK.XII.1. Caronti 244, p. 147-148. Misure d’esemplare: legatura, mm 315x211x72; corpo del libro, mm 303x205x65.
82
Caterina di Jacopo di Benincasa da Siena, mantellata del terz’ordine domenicano, canonizzata da Pio II Piccolomini nel 1461, è la prima grande scrittrice italiana dai contorni biografici definiti. Coadiuvata da una ‘famiglia’ di devoti seguaci, religiosi e laici, che scrivevano quanto lei dettava, Caterina ci ha lasciato un epistolario di quasi quattrocento lettere, un vasto trattato mistico (il Dialogo della divina Provvidenza, o Libro della divina dottrina) e un manipolo di orazioni che, secondo la tradizione, sarebbero state da lei pronunciate durante le sue frequenti estasi e registrate da zelanti reportatores. Il corpus delle lettere si è andato costituendo sulla base di due «raccolte divulgative», dovute a figli spirituali della santa: Stefano di Corrado Maconi e Neri di Landoccio Pagliaresi; frate Tommaso Caffarini ordinò poi gerarchicamente questo ingente materiale sulla base della classe sociale dei destinatari. La monumentale aldina in folio è stata per due secoli, fino all’edizione in sei volumi curata da Girolamo Gigli nella prima metà del Settecento, la più vasta e completa silloge delle epistole cateriniane. A rigore non si trattò di una editio princeps: ma la raccolta che la precedette di otto anni, esemplata nel 1492 a Bologna da Giovanni Jacomo Fontanesi (IGI 2586), comprendeva solo 31 lettere, contro le 353 dell’aldina. Oltre che la nota apparizione del carattere corsivo inciso da Francesco Griffo, le opere di s. Caterina testimoniano la curiosità con cui Aldo guardava al vivace e variegato campo della letteratura volgare: se tuttavia l’edizione dell’enigmatica Hypnerotomachia Poliphili (1499) rispondeva a criteri estetici e letterari, la scelta delle lettere cateriniane rivela intenti morali, religiosi e persino politici, come documenta con chiarezza la lunga lettera prefatoria che un Aldo dal piglio energico e combattivo, quasi savonaroliano, indirizzò a Francesco Piccolomini, nipote di Pio II, in data 19 settembre 1500. L’esemplare bolognese proviene dalla biblioteca di Giovanni Grisostomo Trombelli (1697-1784), religioso della Congregazione dei Canonici Regolari Renani del SS. Salvatore a Bologna, teologo, bibliofilo ed erudito: la BUB conserva ben 75 codici manoscritti che gli appartenevano. Dupré Th e se ide r 1 940; Gi o v a nni Gr i s o s t o m o T ro m b e l l i 1 991 ; Za nca n 1 992
s.c.
83 LA NASCITA DI UN SEGNO
FRANCESCO PETRARCA (1304-1374)
Le cose volgari, in 8°, luglio 1501. In italiano. R 28.5; U 43; A 47; M 44; Edit16 CNCE 36111
coll.: Raro B.27 (possessore: Charles Bon, ufficiale, XIX sec.). Mutilo dei fascicoli finali A8, B4, con indice dei capoversi e avviso di Aldo. Misure d’esemplare: legatura, mm 165x102x25; corpo del libro, mm 162x100x18.
84
Francesco Petrarca, apripista riconosciuto dell’umanesimo europeo, auctoritas quasi indiscussa nel campo della poesia lirica per oltre quattro secoli, e non solo in Italia, è stato fra i primi ad attirare l’attenzione dei pionieri della stampa: la princeps, veneziana, delle rime volgari (Canzoniere e Trionfi) è infatti del 1470 (IGI 7517), mentre al 1472 (IGI 7519) risale la prima edizione, padovana, che dichiari esplicitamente la sua derivazione «ex originali libro», cioè dall’attuale Vat. lat. 3195, vergato in buona parte dallo stesso Petrarca e comunque trascritto sempre sotto la sua diretta supervisione. Quando anche Aldo decide di pubblicare le «cose volgari» di Petrarca, può valersi della decisiva consulenza filologica di un giovane ma già autorevole Pietro Bembo, del quale, nel 1496, aveva pubblicato il poema erudito De Aetna. Il Petrarca aldino è un libro di piccolo formato, quindi estremamente maneggevole; inoltre è scritto in quell’elegante carattere italico corsivo che aveva fatto la sua prima fugace apparizione nell’edizione delle Epistole di santa Caterina (cfr. scheda s. Caterina da Siena 1500) e che era stato appena utilizzato, nell’aprile del 1501, per le opere di Virgilio (cfr. scheda Virgilio 1501). Nel colophon anche Aldo pone in rilievo, come un crisma di autorevolezza, la stretta dipendenza della sua edizione dagli autografi petrarcheschi: «tolto con / sommissima diligenza dallo scritto di mano me / desima del Poeta havuto da M. Piero Bembo». Sarà proprio tale perentoria affermazione, tuttavia, a sollevare, ben presto, un vespaio di polemiche. Antonio da Canal (1517) e Alessandro Vellutello (1525) attaccarono duramente l’edizione curata da Bembo, il primo criticandone l’eccesso di segni diacritici e di interpunzione, il secondo sostenendo la sua derivazione non dall’autografo, ma da testimoni apografi. La polemica circa la dichiarata autografia dell’antigrafo di tipografia, che Aldo dichiarò di avere ricevuto da Bembo, fu così vivace che l’editore – non è dato sapere con certezza in quale data – integrò il Petrarca con un foglio che ospitava l’avviso chiarificatore «Aldo a gli lettori», contenente la propria difesa (Lowry 2000, p. 294-297). I filologi del secondo Ottocento hanno indicato nell’attuale Vat. lat. 3197, di mano dello stesso Bembo, l’antigrafo del Petrarca e del Dante aldini; studi più recenti hanno mostrato che lo scrittore veneziano poté trascrivere dal Vat. lat. 3195, allora proprietà della famiglia padovana dei Santafiora, solo gli ultimi 28 componimenti dei RVF (nell’ordine in cui effettivamente si succedono nel codice, non in quello che avrebbero assunto a seguito della postrema numerazione marginale apposta da Petrarca), oltre a collazionare, in maniera imperfetta, i testi già copiati da altra fonte. Più problematico fu per Bembo fornire l’edizione dei Trionfi, la cui tradizione manoscritta si presentava più fluida e composita: il suo intuito filologico gli permise tuttavia di compiere scelte che sarebbero poi state confermate dall’ecdotica più recente. L’esemplare bolognese, acquistato dalla libreria Vincenzi e Nipoti di Modena il 2 agosto 1940 (n. d’ingresso 214286) e appartenuto in precedenza a «Charles Bon uff.le di Sua So. Cr. M. [?] R. I.» è mutilo di 15 cc., fra cui le 12 che costituivano gli ultimi due fascicoli. Pil l inini 1981; Frasso 1 98 4; Trovat o 1 991 ; Be l l on i 1 992; Ba l sa mo 200 0 ; L owry 2000; Gi a ri n 2004; C a rra i 2006
s.c.
85 LA NASCITA DI UN SEGNO
DANTE ALIGHIERI (1265-1321)
Le terze rime di Dante, in 8°, agosto 1502. In italiano. R 34.5; U 59; A 63; M 65; Edit16 CNCE 1144
coll.: Raro B.3 (possessore: Walter Ashburner, Firenze, 1864-1936). Miniato con stemma. Misure d’esemplare: legatura, mm 162x99x28; corpo del libro, mm 157x91x23.
86
Complementari all’edizione delle Cose volgari di messer Francesco Petrarcha del 1501, Le terze rime di Dante – approntate da Pietro Bembo fra l’estate del 1501 e quella del 1502, e pubblicate, come recita il colophon, nell’agosto dello stesso anno –, presentano significativi caratteri di novità rispetto agli incunaboli della Commedia. Al di là dell’apparizione a fianco dei classici greci e latini (a denotare l’affrancamento della poesia volgare dal suo ruolo di subalternità rispetto all’antico), della curata veste editoriale, questa volta in formato tascabile come il recentissimo Petrarca, e dell’uso del corsivo qui abbinato ai segni paragrafematici correnti, l’aldina rinnova sin dal titolo il testo della Commedia divenendo «il fondamento di tutte le altre edizioni dantesche, compresa quella della Crusca che chiude il secolo (Firenze, 1595)» (Mecca 2013, p. 9). Benché la scelta del titolo, parafrasando Dionisotti (Dionisotti 1966, p. 136), non rappresenti un mutamento felice, poiché non sancisce la natura ‘organica’ del poema (pur sanata dal titolo secondario al verso del frontespizio: Lo ’nferno e ’l Purgatorio / e ’l Paradiso / di Dante Alaghieri), è indiscutibile che la pubblicazione delle Terze Rime abbia dato l’avvio, insieme con l’edizione petrarchesca che la precede di un anno, alla filologia dei testi volgari. Bembo ricavò infatti il testo della Commedia dal Vat. lat. 3197 – copia di suo pugno del Vat. lat. 3199 (donato da Boccaccio a Petrarca e poi confluito nella biblioteca paterna di Bembo). Furono tuttavia numerosi gli emendamenti che vi introdusse, frutto di mere congetture personali e di un serrato confronto testuale con l’edizione commentata da Cristoforo Landino, apparsa a Firenze nel 1481 (IGI 360). Ne derivarono lezioni corrotte e, più in generale, un testo tutt’altro che attendibile. Eppure non si può prescindere dal lavoro condotto da Bembo sulla lingua del poema, allo scopo di liberarla dalle impurità che l’avevano contaminata durante il secolo precedente. Dotato di un’interpunzione moderna ma non di una paginazione continua (la numerazione è presente sul recto delle prime quattro carte di ciascun quaterno; fa eccezione l’ultimo fascicolo, un duerno numerato sul recto delle prime due), e privo di elementi paratestuali (mancano rubriche, indici e note di commento), il testo delle tre cantiche appare ben distribuito sulle [244] carte complessive. Ampi margini racchiudono i trenta versi stampati sui due lati di ogni carta, conferendo luminosità alla stampa. La prima versale di ciascuna terzina è sporgente sul lato sinistro della pagina rispetto ai due versi sottostanti. La separazione fra prima e seconda cantica è marcata da una carta bianca, mentre solo una facciata divide il Purgatorio dal Paradiso. Ricorre a c. [244]v, per la prima volta in un’opera volgare, la marca tipografica del delfino e dell’ancora. Sono esigue ma pregevoli le decorazioni dell’esemplare bolognese: un unico fregio floreale (in oro, verde e rosso) è collocato in calce a c. a 2r – la prima dell’Inferno –; è miniata in rosso e oro la lettera capitale di Inf. I, 1 – che copre del tutto la lettera di richiamo ‘N’ stampata all’inizio del verso e che si distende su tre linee di testo –; solo colorate invece – rispettivamente in blu e in rosso – quella di Pur. I, 1 e quella di Par. I, 1: in entrambi i casi sono ancora ben visibili le due lettere di richiamo sottostanti. Prima di giungere all’Universitaria (cfr. il timbro «Regia Università di Bologna» sul frontespizio, a cc. a 2r, c. [14]r, [244]rv), l’esemplare appartenne a Walter Ashburner (1864-1936), docente di Giurisprudenza a Oxford e uno dei fondatori del British Institute di Firenze. L’acquisizione da parte dell’Universitaria fu successiva alla vendita all’asta del patrimonio librario di Ashburner, predisposta solo dopo la sua morte e svoltasi a Lucerna, presso la Galerie Fisher, il 26 e il 27
agosto del 1938: è da presumere che l’esemplare sia giunto a Bologna poco dopo quella data. Al timbro circolare del possessore, presente sul frontespizio e sul verso dell’ultima carta di ciascuna cantica (alle cc. [81]v, [163]v e [244]v) si affiancano, sul foglio di risguardo la sua firma, l’indicazione del luogo e la data («W. Ashburner – Firenze 1907»); sul frontespizio e a c. [244]v, conclusiva del volume, solo firma e luogo («W. Ashburner – Firenze»). Dioni sotti 196 6 ; Manuscrits et i nc unables 1966; Dioniso t t i 1 970; Dioni sotti 1995;Pulsoni 1999; Be l l omo 2003; M ecca 2013; Pi etro Bembo 2013.
f.f.
87 LA NASCITA DI UN SEGNO
PIETRO BEMBO (1470-1547)
Gli Asolani, in 4°, marzo 1505. In italiano. R 48.1; U 88; A 90; M 105; Edit16 CNCE 4986
coll.: Raro C.86 (provenienza: Convento di S. Giacomo Maggiore, Bologna). Var. A, contenente dedicatoria a Lucrezia Borgia. Misure d’esemplare: legatura, mm 205x128x20; corpo del libro, mm 200x125x13.
88
L’editio princeps degli Asolani di Messer Pietro Bembo fu pubblicata, come dichiara il colophon, nel marzo del 1505, dopo una gestazione durata quasi un decennio: dall’ideazione che risale alla fine del 1496, alla prima e sostanziale revisione che impegnò l’autore fra il 1503 e il 1504. Benché abbia goduto di particolare fortuna – tanto da divenire oggetto di numerose ristampe e non solo nell’officina di Manuzio –, la princeps del 1505 non fissò il testo definitivo degli Asolani che anzi, negli anni a seguire, furono sottoposti da Bembo a una revisione capillare. Da un lato nella direzione di «un adeguamento sistematico e coerente alle acquisizioni delle Prose della volgar lingua» e di una rielaborazione «che contribuì in modo determinante ad accentuare negli Asolani l’importanza dell’aspetto linguistico-stilistico» (Berra 1996, p. 6); dall’altro come messa a punto dei contenuti, in linea con le mutate prospettive culturali dell’autore: pur sempre nell’intento di armonizzare le novità editoriali con la facies originale dell’opera, e rispondendo a «un principio, geniale, di massima economia» (Berra 1996, p. 307). Il testo, nuovamente rivisto, approdò alle stampe a Venezia nel 1530 (Edit16 CNCE 4999). Furono scarse le modifiche introdotte nella successiva edizione degli Asolani – apparsa postuma nel 1553 (Edit16 CNCE 5044) e allestita sulla scorta di alcune postille autografe –, che ne stabilì per secoli la vulgata e che è tuttora considerata espressione dell’ultima volontà dell’autore. Nonostante la scelta del titolo rinvii «d’acchito alle Tusculanae di Cicerone», e la struttura dialogica sia un’«eredità di evidente natura umanistica» (Fedi 1996, p. 535), il prosimetro dedicato da Bembo alla celebrazione dell’amore – in chiave prevalentemente cortigiana e platonica – e composto in volgare, divenne, sin dalla sua prima edizione (ancora perfettibile), tramite ideale del nuovo italiano letterario, che sarà modellato da Bembo sui testi di Petrarca e Boccaccio (sul Canzoniere del primo e sulla Fiammetta del secondo). Per la prima edizione degli Asolani, Manuzio scelse il formato in quarto. Le trentasei linee di ogni pagina sono qui bilanciate dai ricchi margini, in grado di dare respiro alla lettura, agevolata, anche in questo caso, dal corsivo italico e dall’interpunzione moderna. Mancano indici e note editoriali; mentre un’errata corrige che risolve i refusi tipografici segue la marca aldina dell’ancora con il delfino, a c. n1rv. La presenza della lettera di Bembo a Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara (cc. a1v-a2r) sembrerebbe ricondurre la copia bolognese alla seconda emissione dell’aldina. Stando alle intuizioni di Cecil H. Clough (riprese da Fahy 1972 e dalla critica più recente) si può supporre che Bembo ricevesse da Lucrezia il consenso a dedicarle la stampa quando diverse copie dell’opera erano già state stampate. Tuttavia, in attesa di una prova documentaria che definisca una volta per tutte l’accaduto, non è da escludere l’ipotesi contraria, avanzata da Renouard e accolta nel catalogo della Ahmanson-Murphy collection (U 88.5), secondo cui furono unicamente i primi esemplari a circolare con la dedica, in seguito rimossa. Questo esemplare degli Asolani giunse all’Universitaria in età napoleonica, nel 1797, dalla biblioteca del convento degli Agostiniani di San Giacomo Maggiore di Bologna, in seguito alla soppressione dell’ordine religioso: il timbro dei frati bolognesi è ancora ben visibile sul frontespizio. Quanto al suo uso, va segnalata una nota manoscritta, abrasa e illeggibile, a c. b3v. Dionisotti 1966; Fahy 1972; Dionisotti 1975; Arduini 1991; Dilemmi 1991; Dionisotti 1995; Berra 1996; Fedi 1996; Curti 2013.
f.f.
89 LA NASCITA DI UN SEGNO
U N A I DE N T I TÀ T I P O G R A F IC A :
I N V E N Z ION E E R I VOLU Z ION E N E L L E A RT I DE L L I B RO a cura di Paolo Tinti
STAZIO Sylvarum libri quinque,
91
in folio, giugno 1499,
SOFOCLE Tragaediae septem,
[17] ottobre 1499.
in 8°, agosto 1502.
in 8°, agosto 1502, novembre 1502.
NASCITA
SCRIPTORES ASTRONOMICI
LA DI UN
s. CATERINA DA SIENA Epistole,
LUCANO Pharsalia,
LUCREZIO Lucretius,
in folio, [19] settembre 1500.
in 8°, aprile 1502.
in 8°, gennaio 1515.
POETAE CHRISTIANI VETERES
OVIDIO Metamorphoseon libri quindecim,
in 4°,
in 8°, ottobre 1502.
vol. 1: gennaio 1501/1502; vol. 2: giugno 1502.
VALERIO MASSIMO Dictorum et factorum memorabilium libri novem, in 8°, ottobre 1502.
SEGNO
N
92
umerose e dirompenti furono le innovazioni di Aldo nel campo squisitamente tecnico. Seppure non abbiamo notizia del fatto che l’editore umanista avesse frequentato un apprendistato tipografico, non siamo lontani dal vero nell’affermare che la quotidiana vicinanza ai sei torchi dell’officina del suocero Andrea Torresani e la pratica del mondo produttivo del libro, divenuto familiare prima dell’avvio del suo programma editoriale, resero Manuzio un profondo conoscitore dei problemi pratici che la scrittura tipografica poneva ai suoi artieri. Le principali invenzioni, avvertite molto presto dai lettori e dai collezionisti, scaturirono dal coraggio di sperimentare forme non ancora immaginate per il libro frutto dell’ars artificialiter scribendi, in nome della leggibilità tanto della singola pagina quanto del codice a stampa nel suo complesso. Aldo, forte della sua cultura di maestro e di grammatico, partì dal rivoluzionare la scrittura e il suo aspetto esteriore, pur ispirandosi alla tradizione dei prototipografi giunti in Italia dopo il sacco di Magonza. Assegnò all’incisore bolognese Francesco Griffo il compito di disegnare e fondere sei serie di caratteri romani, fra cui una straordinaria polizza, il celebre R114 che passò, attraverso Simon de Colines, a Claude Garamond e quindi giunse in rinnovate vesti sino a noi. Commissionò allo stesso Griffo almeno cinque serie di caratteri greci, eleganti e al tempo stesso dotati di una grande facilità di lettura; fece predisporre una polizza in ebraico; volle infine che le aldine recassero un segno tipografico mai impresso coi caratteri mobili sino ad allora, il corsivo, oggi noto in Francia come italique e in Spagna come lettra grifa o letra aldina (cfr. scheda s. Caterina da Siena 1500). Poco dopo la creazione del corsivo latino, Aldo offrì persino una polizza di corsivo greco (cfr. scheda Sofocle 1502), lasciando agli incisori – menzionati nel suo ultimo testamento – il mandato di proseguire nello sviluppo di corsivi capitali, ossia maiuscoli. Manuzio fu quindi il primo editore a circondarsi di maestranze qualificate cui affidare la realizzazione di idee, sorte da una creatività che seguiva anzitutto le esigenze dei lettori. Il bisogno di vivere esperienze di lettura più moderne, adatte a situazioni diverse dallo studio o dall’insegnamento scolastico e universitario, portò alla confezione di un libro diverso da quelli consueti. Aldo associò per primo il formato ridotto (l’in 8° piccolo) e quindi più facilmente trasportabile o comunque leggibile in contesti diversi dallo studiolo, dalla cella e dai plutei delle biblioteche religiose, al carattere corsivo, all’assenza di illustrazioni
e di commenti. Il testo nella sua essenzialità, riversato in raffinati prodotti librari, attentamente concepiti nella mise en page, si presentò alle lettrici e ai lettori dell’Umanesimo europeo con una forza mai sprigionata prima di allora dagli auctores. Non a caso i «libelli in forma enchiridii» scelsero due autori classici, entrambi poeti, per comunicare tutta l’essenza rivoluzionaria della loro confezione materiale e della scommessa intellettuale che li sorreggeva. Virgilio e Petrarca nel 1501 diedero il via ad una vera e propria serie editoriale, anche se implicita perché mai caratterizzata con un titolo proprio, protratta nel tempo da molte edizioni (latine, volgari e greche), conservate all’Universitaria in almeno un esemplare (cfr. schede Lucano 1502, Ovidio 1502, Valerio Massimo 1502, Stazio 1502). Il legame di collana, per così dire, dei libri portatili è confermato dai cataloghi di Aldo, che presentò uniti dal punto di vista commerciale i titoli degli enchiridia e riservò loro uno spazio comune, molto evidente alla clientela che naturalmente risponderà con tanto entusiasmo da indurre l’editore a non abbandonare mai il genere. L’ultima edizione, e non è un caso, ad uscire dai torchi aldini fu dunque un classico latino in formato ridotto e in carattere corsivo: il De rerum natura di Lucrezio (cfr. scheda Lucrezio 1515). Le fortunate innovazioni tecniche andarono sempre nella direzione di favorire un uso della pagina a stampa sempre più agevole per i suoi naturali destinatari. Manuzio, che per primo fece imprimere il punto e virgola su un libro tipografico, faticò perché fossero numerate tutte le pagine delle Cornucopiae di Nicolò Perotti, uscite nel 1499 (IGI 74288). La paginazione, infatti, presentava difficoltà tecniche – e fu impiegata in modo desultorio – ma era necessaria per la redazione di indici che consentissero ai lettori di percorrere le opere con facilità, raggiungendone porzioni anche minute senza procedere alla fruizione integrale e sequenziale del libro. Aldo fu infatti anche l’inventore dell’indice che appose con una certa frequenza ai suoi titoli, escogitando rinvii ai tradizionali ‘puntatori’ delle carte e delle pagine, per gran parte del Quattrocento ancora apposti in forma manoscritta dai fruitori del libro. Congegni paratestuali ormai consolidati, le segnature, i numeri di carta e quelli di pagina, le lettere o i numeri che indicano la sequenza del rigo tipografico, acquisirono nelle aldine una funzione nuova e contribuirono a definire un rapporto sempre più funzionale tra le scelte tipografiche e i desideri dei lettori (Vecce 1998; Tavoni 2009, p. 28, 33). Paolo Tinti
93 LA NASCITA DI UN SEGNO
SCRIPTORES ASTRONOMICI in folio, giugno 1499, [17] ottobre 1499. Contiene opere di Firmico Materno (m. ca. 360 d. C.), Manilio (I sec. a. C.-I sec. d. C.), Arato di Soli (ca. 320-240 a. C.), Proclo di Costantinopoli (412-485 d. C.). In latino e greco. R 20.3; U 34; A 35; M 35; IGI 8846; ISTC if00191000
coll.: A.V.KK.XII.3. Caronti 755, p. 446448 (non menziona gli esemplari mutili). Misure d’esemplare: legatura, mm 292x212x67; corpo del libro, mm 283x195x55.
coll.: A.V.KK.VII.53/2. Mutilo dei fascicoli
94
*6 a-g10 h12 aa-hh10 ii-kk8 N-S10 T8. Misure d’esemplare: egatura, mm 314x220x37; corpo del libro, mm 303x207x20. Legato con: Bartolomeo Marliani, Urbis Romae topographia, Roma, Valerio e Luigi Dorico, 1544.
coll.: A.V.A.III.8. Mutilo dei fascicoli *6 a-g10 h12 aa-hh10 ii-kk8, T1, T2, T7, T8. Misure d’esemplare: legatura, mm 314x220x37; corpo del libro, mm 303x207x20.
Salvo l’eccezione del Polifilo, Aldo non investì ingenti risorse per corredare le proprie edizioni di illustrazioni e altri abbellimenti, non funzionali alla correttezza, alla completezza e alla leggibilità dello scritto e alla nitidezza della mise en page. La collezione di testi astronomici, che richiedevano particolari simboli scientifici a rappresentare i «Signa Zodiaci» (c. *6v), rappresentò per Aldo la prima occasione in cui i compositori dovettero progettare complesse tabelle, schemi, diagrammi, grafici e altri espedienti visivi indispensabili all’espressione della scienza astrologica, primi fra tutti gli oroscopi, di cui il libro VI di Firmico Materno era assai ricco. I Phaenomena di Arato di Soli furono parimenti illustrati con grandi xilografie raffiguranti per lo più i segni zodiacali, desunte in massima parte da precedenti edizioni veneziane. Ispirati all’impressione del Poeticon astronomicon di Igino, edito da Erhard Ratdolt nel 1482 e nel 1485, i legni aldini sono gli stessi impiegati nella città lagunare tanto da Tommaso de Blavis per la sua riproposta del trattato astronomico nel giugno del 1488 (IGI 4961; Marcon 1994, p. 108) quanto da Antonio di Strada che data al 25 ottobre 1498 (IGI 1131) il colophon dell’operetta didascalica di Rufo Festo Avieno, traduttore latino di Arato (BMC IB 21258). La rozzezza dell’intaglio, rudimentale nel chiaroscuro, e lo stato precario dei legni, che procurarono impressioni molto grevi nel tratto e poco nitide nella resa, dovettero lasciare ancor più sorpresi i lettori che di lì a poche settimane avrebbero avuto fra le mani le raffinate tavole dell’Hypnerotomachia. Due sole xilografie di Arato (raffiguranti il Carro, c. G6v, e le Pleiadi, c. H6r) sono state ricondotte per «omogeneità stilistica» al Polifilo (Marcon 1994, p. 110). La miscellanea astronomica, non ricordata nel più recente, e denso, programma editoriale diffuso nel dicembre del 1497 (Dionisotti 1975), uscì con la dedica di Aldo a Guidubaldo I da Montefeltro, duca di Urbino nonché celebre cultore di studi scientifico-tecnici ma pure primo potente ad affiancare Alberto Pio – anch’egli titolare dei saluti, c. T1v – nelle dedicatorie aldine. La data della lettera a Guidubaldo, «Venetiis decimosexto Calendas nouem[bris]. M. ID.», ossia 17 ottobre 1499, è assai prossima a quella di pubblicazione delle opere astronomiche, allestite in tipografia fra giugno e ottobre. Due sono infatti le sottoscrizioni, rispettivamente «mense Iunio» (c. KK10r) e «Mense octobr[is]» (c. T8r). Ignota è la provenienza dell’unico esemplare completo conservato dall’Universitaria (BUB, A.V.KK.XII.3) e di uno dei due esemplari incompleti (BUB, A.V.A.III.8), analogo per rilegatura al precedente, i quali presentano all’incipit il timbro tondo a inchiostro della Pontificia Biblioteca di Bologna e sono quindi stati acquisiti entro l’Unità d’Italia, forse sul mercato antiquario.
Legato con: legatura, mm 294x203x36; corpo del libro, mm 287x190x27.
D ion i so t t i 1 975 ; Ma rcon 1 994; Fa ka s 2001 .
p.t.
95 LA NASCITA DI UN SEGNO
96
97 LA NASCITA DI UN SEGNO
s. CATERINA DA SIENA (1470-1547)
Epistole, in folio, [19] settembre 1500. Per l’opera e l’edizione Cfr. scheda s. Caterina da Siena 1500. coll.: A.V.KK.XII.1. Caronti 244, p. 147-148.Misure d’esemplare: legatura, mm 315x211x72; corpo del libro, mm 303x205x65.
98
Con le lettere a stampa di s. Caterina da Siena, Aldo consegna alla storia della tipografia una invenzione, il carattere tipografico corsivo, che diviene elemento identitario del nuovo stile grafico adottato per i volumi portatili in 8°, inaugurati dal Virgilio del 1501. Il portato innovatore dell’incisore bolognese Francesco Griffo, assunto intorno al 1494 alle dipendenze dei torchi aldini, al quale Aldo tributò un notissimo elogio nello stesso Virgilio, trovò infatti piena realizzazione, come è noto, nelle edizioni dei classici prima latini poi volgari e persino greci (cfr. scheda Senofonte 1502). Proprio il corsivo greco doveva essere il punto di approdo più arduo di questo progressivo sviluppo estetico e tecnico nell’arte dei punzoni. Non può essere un caso, infatti, che Aldo, nel menzionato elogio di Griffo, a indicare i caratteri mobili utilizzi proprio il sostantivo «grammata», conio aldino per il termine γραμματα, apparso per la prima volta proprio nell’edizione del Psalterion, uscita per Manuzio intorno al 1498, nella lettera prefatoria di Giustino Decadio (c. α1v). Si trattò anche in quella occasione di un primato, ossia della prima apparizione in tipografia di una delle forme del nome attribuito in età moderna ai caratteri mobili, meno comune di forma, littera, character (sempre derivato dal greco χαϱαϰτήϱ). Né pare fortuito, quindi, il richiamo a un mito greco, nel riconoscere i meriti dell’invenzione – protetta da un privilegio concesso a Manuzio dal Senato veneziano per le «lettere cancellaresche sive corsive» –, meriti da ricondurre «Daedaleis manibus» di Griffo. Nell’edizione di s. Caterina il carattere corsivo fa la sua prima comparsa nella notissima xilografia raffigurante la santa secondo la tradizionale iconografia veneziana, comune anche ai santi domenicani. Ancora non è dato sapere se il disegno è frutto di una elaborazione interna alla bottega aldina o ai frati curatori dell’opera cateriniana. Sicuro è che il volto della santa sia ispirato alla statua lignea di Neroccio Landi, custodita a Siena (Saffrey 2003, p. 58-71). S. Caterina, in posizione frontale, è ornata dalle tre corone, sorrette da una coppia di angeli, e reca nella mano destra un libro aperto con giglio, crocefisso e palma; nella sinistra sta il cuore, oggetto dello scambio mistico tra Cristo e Caterina. Nel libro, in italico, è impressa l’invocazione «iesu dolce iesu amore», «une sorte di signature» agiografica (Saffrey 2003, p. 60) della senese. Nel cuore appare solo il nome di «iesu». Alcuni esemplari attestano uno stato iniziale della xilografia, priva dei caratteri corsivi, a dimostrare che la prima comparsa del corsivo all’interno di una edizione a stampa sia avvenuta quando ancora Aldo stava sperimentando il nuovo modello di scrittura tipografica, in corso di tiratura dell’edizione. Probabilmente il carattere non era ancora stato inciso nell’intera polizza (Petrella 2014, p. 24-28) o più semplicemente si trattò di una dimenticanza delle maestranze che furono distratte dalla composizione tipografica di altri due cartigli, in romano tondo rispettivamente minuscolo e maiuscolo, inseriti nella complessa realizzazione iconografica. La singolarità del corsivo, in rapporto al restante testo che correda l’immagine, è forse legata alla sua dimensione orale: al corsivo Manuzio riserva le parole di una invocazione tipica della santa, laddove il carattere tondo rinvia ad altro (in testa è stampato un verso dal carme di E.S. Piccolomini, dedicatario dell’edizione; al filatterio la preghiera e, sul cartiglio che scende dal cuore di Cristo, il versetto del Salmo 50; nel bas de page è, a mo’ di epigrafe, il nome della santa). È come se con il corpo tipografico Aldo abbia voluto esprimere una nuova semantica, distinguendo un testo scritto, sacro ed epigrafico dalla viva voce della santa senese.
L’esemplare bolognese, che porta lo stato finale della xilografia, munita del carattere corsivo, è caratterizzato dal timbro a inchiostro della «Pontificia Biblioteca di Bologna» (c. *1r), apposto tra il 1815 e l’Unità d’Italia. M a rdersteig 196 4 ; Balsamo, Tint o 1967; Tint i 2002; Saf f re y 2003; Olocco 2012 ; Pe t re l l a 2014.
p.t.
99 LA NASCITA DI UN SEGNO
POETAE CHRISTIANI VETERES in 4°, vol. 1 gennaio 1501; In latino e greco. vol. 2 giugno 1502; In latino e greco. vol. 3 giugno 1504. In latino. Il Vol. 1 contiene testi di Prudenzio (348-413 d. C.), Prospero d’Aquitania (ca 390-463), Giovanni Damasceno (ca 676-749), Cosma di Gerusalemme (706-794). Editio princeps di Prudenzio. Il Vol. 2 contiene opere di Sedulio (V sec. d. C.), Giovenco (IV sec.), Aratore (ca. 490556), Lattanzio (ca. 245-323), Cipriano (ca. 210-258), Sulpicio Severo (ca. 360-420), 10 0
Leonardo Giustiniani (1388-1446). Il Vol. 3 costituisce l’editio princeps di Gregorio Nazianzeno (329-390 d. C.). Vol. 1 R 24.1; U 38; A 42; M 53; Edit16 CNCE 36115 coll.: Raro C.61 (provenienza: Convento di Santa Maria dei Servi, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 217x154x45; corpo del libro, mm 209x148x38.
L’edizione aldina dei Poetae Christiani veteres consiste in un’ampia raccolta di testi cristiani databili tra il IV e l’VIII secolo, non solo in versi (come invece farebbe intendere il titolo), ma anche in prosa. Intendimento del Manuzio – in questo guidato dai principi di un umanesimo cristiano – era che tale silloge contribuisse a sostituire la lettura dei classici ‘profani’ nell’ambito dell’insegnamento scolastico, per temperarne le potenzialità negative sul piano pedagogico e religioso. Il primo volume della raccolta, stampato nel gennaio del 1501 contiene anzitutto le opere di Aurelio Prudenzio Clemente (V sec.), per giudizio unanime il più rappresentativo poeta cristiano di lingua latina, di cui viene offerta l’editio princeps; ad esse fanno seguito gli Epigrammata di Prospero d’Aquitania (IV-V sec.). Alla letteratura greca d’età bizantina appartiene poi una serie di componimenti poetici – dei quali viene riprodotto il testo greco con traduzione latina a fronte – attribuiti ai principali ‘Santi innografi’: i Cantica di Giovanni Damasceno e di Cosma di Gerusalemme (= Cosma di Maiuma, VII-VIII sec.), di Marco, vescovo di Otranto (Marcus Idrontis episcopus, IX sec.) e di Teofane (VIII-IX sec.). Il secondo volume venne stampato in due parti; la prima (1501) presenta le opere poetiche latine di Sedulio (V sec.), Giovenco (IV sec.), Aratore (V-VI sec.), il Cento Vergilianus di Anicia Proba Faltonia (come spesso a quel tempo, qui erroneamente detta ‘Falconia’, V sec.); ancora in greco, con traduzione latina a fronte, sono gli Homerocentra (centoni omerici di età bizantina, di autore incerto). Accanto a componimenti di minore importanza, spiccano due carmi attribuiti a Lattanzio (III-IV sec.); in realtà il primo (De resurrectionis dominica die) è di Venanzio Fortunato (VI sec.; Carm. III,9), il secondo (De passione Domini) è di anonimo del V-VI sec. Ugualmente spurio è il De ligno crucis, qui attribuito a Cipriano di Cartagine (III sec.). Nella seconda parte (1502) – dove fra l’altro compare per la prima volta in un’edizione aldina la famosa marca tipografica del delfino con l’àncora – troviamo la Vita Martini e il Dialogus de miraculis sancti Martini (= Dialogorum ll. III) di Sulpicio Severo (IV-V sec.). Segue il De translatione corporis sancti Martini, che però non è di Sulpicio, ma fa parte del De miraculis sancti Martini di Gregorio di Tours (VI sec.). Il terzo volume (1504) è dedicato a Gregorio di Nazianzo (circa 329-390), uno dei grandi Padri Cappadoci, di cui resta fra l’altro una copiosa e assai pregevole produzione retorica e poetica. Dei carmi qui contenuti, la raccolta aldina costituisce l’editio princeps. Quello che doveva essere un ulteriore volume dell’opera, contenente la Parafrasi del Vangelo di Giovanni di Nonno di Panopoli (V sec.), venne stampato in una forma dall’editore stesso considerata incompiuta (1501), con il testo greco privo della traduzione latina a fronte; ebbe scarsa diffusione ed è perciò assai raro.
coll.: A.M.T.VI.8/2 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Cfr. scheda Poetae Christiani veteres 1501-1502. Misure d’esemplare: legatura, mm 210x160x33; corpo del libro, mm 204x153x12.
Dre sse l 1860; Me e h an 1 95 1 ; Ge e ra rd 1 974-2003; A nge rhof e r 1 995 ; m a xwe l l ; m a xwe l l ; D e kke rs 1 995 ; Pa l l a 2001 ; Be ra rdi no 2006-2008 .
a.c.
101 LA NASCITA DI UN SEGNO
Vol. 2 R 39.17; U 58; A 61; M 53; Edit16 CNCE 36115 coll.: A.V.B.IX.53. Mutilo del fascicolo iniziale non segnato e dei fascicoli ff-uu8. Misure d’esemplare: legatura, mm 205x155x21; corpo del libro, mm 204x154x18. coll.: A.M.T.VI.8/1 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Cfr. scheda Poetae Christiani veteres 1501-1502. Misure d’esemplare: legatura, mm 210x160x33; corpo del libro, mm 204x153x22. coll.: A.V.D.IV.23 (possessore: Gregorio Amaseo, 1464-1541). Cfr. scheda Poetae Christiani veteres 1502. Misure d’esemplare: legatura, mm 202x143x40; corpo del libro, mm 192x136x35.
Vol. 3
10 2
R 46.4; U 84; A 86; M 96; Edit16 CNCE 36115 coll.: A.V.D.IV.16 (provenienza: Filippo Monti, 1675-1754). Esemplare completo sia dell’«Index eorum quae hoc volumine continentur» (χ2) sia dei due fascicoli (2χ2, 3χ2) non segnati, contenenti rispettivamente le emendazioni desunte da un codice ritrovato dopo la stampa («Impressis Gregorii Nazianzeni carminibus, nactus alium codicem quaedam sic emendavi») e l’errata («Castigationes errorum»). Misure d’esemplare: legatura, mm 212x153x35; corpo del libro, mm 207x148x30.
103 LA NASCITA DI UN SEGNO
SOFOCLE (496-406 a. C.)
Tragaediae septem, in 8°, agosto 1502. Editio princeps. In greco. R 34.6; U 60; A 62; M 63, 64; Sicherl, p. 347-50; Edit16 CNCE 36139
coll.: Raro B.57 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758; possessore: Girolamo da Brindisi, XVI sec.). Misure d’esemplare: legatura, mm 169x98x24; corpo del libro, mm 162x93x18.
10 4
L’editio princeps di Sofocle comprende tutte e sette le tragedie superstiti dal naufragio della vastissima produzione del drammaturgo (113 o, più probabilmente, 123 drammi, cfr. Sommerstein 2012, p. 192-3): nell’ordine, Aiace, Elettra, Edipo Re, Antigone, Edipo a Colono, Trachinie, Filottete, come sono elencate nell’incipit. In testa alla sequenza si trova la cosiddetta ‘tetrade bizantina’, costituitasi in età paleologa con l’aggiunta dell’Antigone alla ‘triade’: si tratta dei drammi più popolari prima dell’avvento dell’aldina, grazie alla quale l’eptade si è definitivamente strutturata come tale nel Cinquecento. Mancano i commentaria promessi dal titolo (cfr. Dionisotti 1975, p. 239, n. 1; gli scoli verranno pubblicati successivamente da Giovanni Lascaris), mentre ogni dramma è preceduto da una o più hypotheseis, dal personarum index e dall’indicazione della persona proloquens. A differenza di altre principes aldine, quella sofoclea non si impose a lungo come testo di riferimento, soppiantata dall’edizione parigina del 1552 in ragione della fama del suo curatore, Adrien Turnèbe (Turnebus, che fonda il testo sulla recensione di età paleologa attribuita a Demetrio Triclinio [BNF, Par. gr. 2711 = T]). Il testo dell’aldina verrà rivalutato con l’edizione di Richard François Philippe Brunck, uscita a Strasburgo nel 1786 (cfr. Finglass 2012, p. 15-7), il cui merito risiede nella valorizzazione del Par. gr. 2712 (A della tradizione sofoclea, secoli XIIIex.-XIVin.). Si ritiene che l’editio princeps sofoclea sia stata curata solo da uno dei principali collaboratori di Aldo, il cretese Giovanni Gregoropulo, che si occuperà l’anno dopo anche della princeps di Euripide (cfr. scheda Euripide 1503), e non dal più celebre conterraneo Marco Musuro, cui tradizionalmente veniva attribuita la cura non solo dell’aldina sofoclea ma anche della successiva euripidea; nella lettera dedicatoria a Lascaris Aldo menziona sì Musuro ma non la sua collaborazione all’impresa editoriale. Una possibile conferma dell’estraneità di Musuro all’intrapresa potrebbe giungere dal fatto che Gregoropulo non individua come esemplare di stampa il codice medievale più vetusto, il Laurentianus pl. 32.9 (= L, X sec.), fondamentale per la tradizione non solo di Sofocle, ma anche di Eschilo e Apollonio Rodio, tanto da essere poi alla base sia dell’edizione dei citati scoli sofoclei di Lascaris (Roma, 1518, Edit16 CNCE 12875; Xenis 2010, p. 82-8) sia della princeps eschilea (pubblicata dagli eredi di Aldo nel 1518). L’importanza di questo codice era invece nota a Musuro, che lo ricopiò tra 1492 e 1494 a Firenze, forse proprio in previsione della princeps (BNF, Par. gr. 2799; cfr. Ferreri 2012, p. 12; Speranzi 2013, p. 222-4). Gregoropulo preferì o dovette rivolgersi a un manoscritto recenziore, (BNR, Petropolitanus gr. 731, XV sec., cfr. Benešević 1926; Sicherl 1997, p. 347-8; Chatzopoulou 2010, vol. 1, p. 204) che attualmente conserva solo la ‘triade bizantina’, senza i versi successivi a Edipo Re, v. 1033; il manoscritto è fornito di scoli, appunto non recepiti nell’aldina, nonché di glosse interlineari; tuttavia è interessante notare che tanto questo manoscritto quanto l’aldina sarebbero stati corretti a partire da un altro testimone, considerato testualmente superiore (ONB, Vindobonensis phil. gr. 48 [= Y, XIV sec.] rappresenta con A e U la familia Parisina, cfr. Avezzù 2012, p. 56 e infra). Studi recenti hanno inoltre fatto emergere la figura di Zacaria Callierge, anch’egli cretese e anch’egli noto collaboratore di Aldo, che potrebbe non essere estraneo all’edizione sofoclea: la sua mano e quella di Gregoropulo sembrano associate in un manoscritto il cui testo potrebbe aver influenzato la princeps (RBEE, Scorialensis Ω.IV.7, Xvex.-XVIin.,;
cfr. Chatzopoulou 2010, vol. 1, p. 203-7, vol. 2, p. 783-4, tav. 1-2). Il manoscritto dell’Escorial è considerato una copia del citato e illustre Par. gr. 2712, la cui influenza testuale sull’aldina era già stata notata in passato per il tramite del Marcianus gr. Z. 467 (coll. 764 [U]). Benešević 1926 ; Dionisotti 1975; Ch at z opoul ou 2010; Xe n i s 2010; Avezzù 2012; Ferreri 2012; Fingl ass 2012; S om m e rst e in 201 2; Speranz i 2013.
m.m.
105 LA NASCITA DI UN SEGNO
LUCANO (39-65 d. C.)
Pharsalia, in 8°, aprile 1502. In latino. R 33.3; U 56; A 59; M 59; Edit16 CNCE 36129
coll.: Raro A.43. Nota e timbro tondo di possesso abrasi. Misure d’esemplare: legatura, mm 147x94x19; corpo del libro, mm 141x89x15.
10 6
Dopo aver riflettuto sui rischi connessi a un’attività tipografica troppo centrata sul greco, Aldo percepisce la necessità di conferire un rinnovato corso al proprio catalogo, riavvicinandosi così anche alla pubblicazione di opere in latino. Ma Aldo ha in mente un’idea precisa, un diverso modo di accedere ai testi e di guardarli, un modo al di fuori della scuola, dove continuavano a trionfare i massicci in folio zeppi di commenti. Insofferente ai commenti umanistici, soffocanti scafandri che opprimono la parola degli antichi, Aldo sceglie infatti di stampare il poema epico di Lucano senza alcun commento, abbinando il carattere corsivo al piccolo formato. È chiaro, quindi, non solo l’intento pedagogico del tipografo (che restituisce ai testi «la nitida e semplice evidenza che essi avevano avuto nelle prime stampe», Dionisotti 1995, p. 48), ma anche che l’edizione è stata progettata per incrementare la biblioteca ideale dell’uomo colto dei tempi nuovi, in linea con il programma culturale ed editoriale che Manuzio aveva in mente. Con i Pharsalia – forte di una tradizione a stampa (per lo più commentata) di almeno una ventina di edizioni, già a partire dal 1469 – Aldo ribadisce uno dei cardini del proprio pensiero: attingere alle fonti classiche nella loro interezza, attraverso lo studio parallelo del greco e del latino, dando voce unicamente agli autori. Questo ideale prende forma, materialmente, attraverso i tipi corsivi uniti al formato in ottavo e al layout dei testi, in altre parole la (nuova) identità tipografica cui allude la sezione della mostra che contiene l’opera. L’assenza pressoché totale, nell’esemplare bolognese, di integrazioni filologiche e di notabilia indurrebbe a pensare che i lettori di questo volume avessero colto in pieno l’intento dell’editore: era un Lucano da leggere («non foss’altro che per il suo piccolo formato che gli permettrà d’essere maneggiato con più agio», come tiene a precisare lo stesso Manuzio nella dedicatoria a Marco Antonio Morosini, Dionisotti 1975, p. 237) e poi da riporre nella propria biblioteca. La nota d’acquisto «de 140 f. […] A.5 11- Vendu 28. fr. […] Renouard; et 37 fr. […] Chesier Bremut» (c. di guardia ant., al verso) riconduce ad Antoine-Auguste Renouard: non propriamente ai suoi annali (R), quanto, piuttosto, al legame profondissimo, a quell’altezza cronologica, tra collezionismo librario e bibliografia. Gli annali dei Manuzio, infatti, altro non sono se non il catalogo degli esemplari posseduti dal Renouard, che però funziona come una bibliografia. D ion i so t t i 1 975 ; D ion i so t t i 1 995 .
e.g.
107 LA NASCITA DI UN SEGNO
OVIDIO (43 a. C.-18 d. C.)
Metamorphoseon libri quindecim, in 8°, ottobre 1502. In latino e greco. R 37.12; U 66; A 68; M 72, 73; Edit16 CNCE 36136
coll.: Raro B.55. Misure d’esemplare: legatura, mm 163x111x33; corpo del libro, mm 157x96x28.
10 8
Al nuovo corso della produzione manuziana (cfr. scheda Lucano, 1502) appartengono anche i Metamorphoseon libri quindecim, la prima parte di un tutto-Ovidio che Manuzio completerà, nel febbraio del 1503, pubblicando i Fasti unitamente ad altre opere del poeta latino. Le Metamorfosi avevano già conosciuto, a questa altezza cronologica, una tradizione a stampa robusta (ben 24 edizioni in cuna, uscite dopo il 1472 circa), costituita principalmente da traduzioni e commenti , fra cui quello di Giovanni Andrea Bussi. Aldo, invece, restituendo la parola all’autore, sceglie di stampare il capolavoro ovidiano senza alcun commento, ricorrendo nuovamente al formidabile escamotage tipografico del carattere corsivo abbinato al piccolo formato, quegli elementi di invenzione e rivoluzione, insomma, che spiegano la presenza di questo manufatto aldino nella sezione eponima. La lingua greca, saldamente rappresentata dall’Index Græcolatinus dictionum græcarum che precede il testo, è posta in dialogo aperto con quella latina del testo ovidiano, a ribadire che Aldo percepiva come indissolubile – e in osmosi perenne – l’eredità del mondo greco e di quello latino, in linea diretta con il magistero di Angelo Poliziano, citato non a caso nella dedicatoria a Marin Sanudo che apre l’edizione (Dionisotti 1975, p. 246). La presenza assai rarefatta di integrazioni filologiche e di notabilia, nell’esemplare (ad es. cc. aa5v, aa6r, bb7v, dd7r), sembra ben attagliarsi alla mise en page del testo: tipograficamente serrata e con margini non eccessivamente ampi, come si conviene a un libro da leggere, più che da studiare. E d’altronde lo stesso Manuzio è chiaro a riguardo: rivolgendosi infatti al dedicatario, spiega che le Metamorfosi sono state licenziate dall’accademia aldina (Dionisotti 1995, p. 129-131), perché «sian riposte insieme con gli altri libri nella tua splendida biblioteca [...] e perché tu possa servirti a casa tua delle nostre fatiche dedicate al tuo nome» (Dionisotti 1975, p. 246). D ion i so t t i 1 975 ; D ion i so t t i 1 995 .
e.g.
109 LA NASCITA DI UN SEGNO
VALERIO MASSIMO (I sec. a. C.-I sec. d. C.)
Dictorum et factorum memorabilium libri novem, in 8°, ottobre 1502. In latino. R 36.10; U 65; A 67; M 70, 71; Fletcher, p. 109-111; Edit16 CNCE 36147
coll.: Raro B.51 (possessore cancellato, «Ad usum D. Juliani B[?]»). Miniato e rubricato, con stemma non identificato. Misure d’esemplare: legatura, mm 167x110x28; corpo del libro, mm 160x95x24.
110
Alla data dell’ottobre 1502 il Valerio Massimo era già il quattordicesimo volume aldino dal formato in ottavo e stampato in corsivo - o il quindicesimo se si comprende l’Ovidio uscito nello stesso mese – nella serie iniziata con il minuto ed elegante Virgilio dell’aprile 1501. Era ormai una formula di sicuro successo, dunque, il genere del testo privo di commento e stampato in forma di enchiridion: da leggere in mano, specifica Aldo proprio nella prefazione al Valerio Massimo. Aldo Manuzio rivolge questo testo introduttivo (cc. [1]v-[2]r) al giurista polacco Giovanni Lubranski, vescovo di Poznan e consigliere del re di Polonia, la cui correttezza e sapienza dichiara di aver apprezzato quando lo conobbe a Padova (prefazione e notizie sul prelato in Dionisotti 1975, p. 244-245). Tuttavia, alcuni esemplari restarono nell’officina per aggiunte, destinate alla successiva emissione, cui appartiene anche il volume esposto: senza variare il registro, fu rimaneggiato il fascicolo A, aumentato di una lettera allo studioso di scienze naturali Johan Spiesshammer, chiamato Cuspidianus, datata aprile 1503 (c. A2rv; Dionisotti 1975, p. 245). L’erudito aveva fornito ad Aldo alcuni ulteriori passi testuali. Alla pari di svariati simili volumi aldini, questo esemplare meritò il completamento a mano, accurato, delle iniziali capitali romane e dei segni paragrafali in rosso/azzurro, e la miniatura della pagina iniziale, che, aniconica, incornicia il testo e funge da reggistemma (c. A3r). I fioroni su filigrana d’oro, accompagnati da barre e motivi fitomorfi, sono miniati con lessico ferrarese, ma non manca l’accenno alla veneta del capolettera d’apertura, realizzato con lettera romana su targa modanata. La miniatura è riferibile all’ambito bolognese di Giovanni Battista Cavalletto, nello stile già in precedenza comparso in esemplari a stampa, come nel Liber pontificalis, impresso a Roma presso Stephan Plaanck nel dicembre 1485 (BUB, A.V.KK.V.1), confermato nella datazione della decorazione dalla pagina miniata degli Annali della Nazione Germanica del 1487 (Bologna, Archivio storico dell’Università, sez. III, n. 1, f. 126r; cfr. Giovanni Battista Cavalletto 2008). Si tratta di una larga produzione bolognese caratterizzata da modelli ferraresi, quale si evidenzia nei Libri d’ore ms A 113 della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna (Lollini 2005), ms 14 della Biblioteca Classense di Ravenna, ms 1829 della Biblioteca Universitaria di Bologna e ms 1145 della medesima Biblioteca (Guernelli 2011), che presentano stemmi alterati. Del resto, il repertorio decorativo ha continuità a Bologna sino a oltre il secondo decennio del Cinquecento, quando operava il figlio Scipione Cavalletto, come in alcuni fogli dell’Antifonario di San Petronio (BGE, Comites Latentes, ms 197; Bentivoglio Ravasio 2002). L’arma, non identificata perché sovradipinta di rosso e ulteriormente abrasa, mostra nella sua parte originale il capo d’Angiò, frequente negli stemmi bolognesi. Dioniso t t i 1975 ; Be n t i vo gl io R ava sio 2002; L ol l i n i 2005 ; Giova n n i Bat t i sta C ava l l e t t o 2008 ; Gu e rn e l l i 201 1 .
s.m.
111 LA NASCITA DI UN SEGNO
STAZIO (40-96 d. C.)
Sylvarum libri quinque, 8°, agosto 1502, novembre 1502. In latino. R 35.7; U 61; A 69; M 66; Edit16 CNCE 36141
coll.: A.V.D.VI.16 (possessore: «Gaspar Banutius», XVII sec.). Misure d’esemplare: legatura, mm 165x108x40; corpo del libro, mm 160x100x30.
coll.: Raro B.52 (possessore: Cristoforo Guidicini, 1607-1629). Mutilo nella pt. 1 di c. C4, contenente il colophon; nella pt. 2 manca il bifolio e1,8. Misure d’esemplare: legatura, mm 160x100x36;
112
corpo del libro, mm 155x97x29.
Inscritte nel necessario compromesso fra la predilezione per il greco e le ineludibili esigenze di mercato, anche le Sylvae di Stazio fanno parte del programma latino di Aldo, costituito – come anche il Lucano e l’Ovidio (cfr. schede Lucano, 1502; Ovidio, 1502) – dai «testi più ovvi, che tutti potevano e dovevano conoscere» (Dionisotti 1995, p. 125). Qui però, oltre alla presenza degli elementi caratterizzanti la nuova identità tipografica aldina (caratteri, formato, organizzazione della pagina esclusiva di qualunque commento, abbastanza presente, invece, nella non larga tradizione a stampa quattrocentesca dell’opera), particolare importanza riveste uno dei due dedicatari, Giovanni Pontano (Dionisotti 1975, p. 240). Egli incarna infatti il lettore ideale di Aldo, destinatario privilegiato della sua rivoluzione editoriale: Pontano è un gentiluomo colto, libero ormai da impegni professionali, e soprattutto non è un docente né un umanista di professione. È, insomma, un uomo che poteva dedicarsi – al di fuori della scuola, ovviamente – a leggere e soprattutto a rileggere, con occhi diversi, i testi su cui aveva studiato. All’altro dedicatario, il letterato cretese Marco Musuro, già collaboratore di Manuzio, è indirizzata l’appendice ortografica in apertura di edizione (Dionisotti 1975, p. 240). Se l’Orthographia et flexus dictionum Graecarum omnium apud Statium cum accentibus et generibus ex variis utriusque linguae autoribus palesa, già nel titolo, il dialogo sempre aperto fra tradizione latina e greca, nonché l’interesse pedagogico per il greco, le parole di Aldo al Musuro rimandano, invece, all’accademia aldina (Dionisotti 1995, p. 129-131) – nominata nell’explicit dell’edizione – lo sfondo in cui la rivoluzione tipografico-culturale di Aldo (evidentemente non solo una questione tecnica e di caratteri) trova il suo milieu più autentico. Le frequenti correzioni riscontrate sull’esemplare (BUB, A.V.D.VI.16), posseduto nella prima metà del XVII secolo da un non identificato «Gaspar Banutius, 1629» (c. a1r), Gaspare Banucci (o Banuzzi), vanno forse ricondotte ai numerosi errori presenti nel testo, di cui l’errata fatta dallo stesso Aldo dà conto (Dionisotti 1975, p. 241). La nota di possesso riscontrata sul secondo esemplare (BUB, Raro.B.52) è invece di «Christophori Guidicini» (c. G4r), Cristoforo Guidicini (1607-1629), della Congregazione dell’Oratorio di Bologna (Melloni 1751, p. 12-7). Me l l on i 175 1 ; D ion i so t t i 1 975 ; D ion i so t t i 1 995 .
e.g.
113 LA NASCITA DI UN SEGNO
LUCREZIO (I sec. a. C.)
Lucretius, in 8°, gennaio 1515. In latino. R 74.11; U 130; A 132; M 153; Fletcher, p. 123-4; Edit16 CNCE 37499
coll.: A.V.D.VIII.5 (provenienza: Francesco Maria Zambeccari, 1681-1752; possessore: Andrea Pasqualino, XVI sec.) Misure d’esemplare: legatura, mm 172x108x25; corpo del libro, mm 165x100x17.
1 14
Prima del 1500 del De rerum natura erano apparse tre edizioni (Brescia, 1472/3, IGI 5865; Verona, 1486, IGI 5866; Venezia 1495, IGI 5867), tutte molto scorrette. A seguire, nel 1500, veniva pubblicata la prima edizione di Aldo del testo lucreziano a cura di Girolamo Avanzi, umanista veronese e professore di filosofia a Padova che conosceva il poema «quanto le dita e le unghie delle proprie mani» (Dionisotti 1975, p. 220). Tuttavia anche questa edizione, pur migliorando in non pochi punti il testo, offriva al lettore una versione molto inferiore a numerosi manoscritti allora in circolazione. Dati i contenuti controversi del poema la scelta di Aldo di iniziare la sua fortunata collezione di poeti latini proprio con la pubblicazione De rerum natura può apparire piuttosto singolare. Non era stata in effetti l’elegante poesia di Lucrezio ad attrarlo, ma la possibilità di offrire al suo insigne allievo Alberto Pio ed ai membri dell’Accademia di umanisti che gli gravitava intorno la sintesi più completa della filosofia di Epicuro. L’edizione di Avanzi però non era all’altezza della reputazione della casa. Nel 1512 usciva a Firenze, per i tipi di Filippo Giunta, una nuova edizione del De rerum natura, decisamente più corretta di tutte le precedenti. L’edizione a cura di Pietro Candido, faceva tesoro delle perspicue lezioni di Giovanni Pontano e Michele Marullo e, nel restituire al testo del De rerum natura soluzioni filologiche ai principali problemi trasmessi dalla tradizione manoscritta, smascherava contemporaneamente i grandissimi limiti della prima edizione aldina. È per questo, probabilmente, che Aldo si risolse di affidare ad un nuovo e più fidato curatore, Andrea Navagero, il compito di curare la seconda edizione del 1515. Aldo intraprese la nuova edizione, anch’essa dedicata ad Alberto Pio, senza l’entusiasmo con cui presentò altri autori latini. Minato dalla malattia che di lì a poco lo avrebbe condotto alla morte, era poco propenso a chiudere la propria carriera con un testo dai contenuti «falsi e menzogneri» (Dionisotti 1975, p. 311) e il cui messaggio epicureo andava letto con la massima circospezione. Tale però fu il suo destino e per una fatale coincidenza Lucrezio, con cui aveva inaugurato la collezione dei potei latini, chiudeva ora la sua carriera di tipografo. Non fosse stato per il decorso della malattia che lo aveva fatto desistere Aldo, così dichiarava nella dedicatoria, intendeva corredare il testo, preparato da Navagero, con delle annotazioni tese a chiarire i numerosi passi avvolti dall’oscurità. Il testo dell’edizione del 1515 mostra una singolarità che rende questa edizione atipica rispetto alle altre aldine. Il testo preparato da Navagero infatti è, con pochissimi cambiamenti, alcuni dei quali peggiorativi, quasi identico a quello dell’edizione di Candido del 1512, un dato passato sotto silenzio da Renouard, ma già nel 1866 messo in documentata evidenza da H. A. J. Munro e tale da indurre a considerare l’edizione di Navagero «a mere reprint» della giuntina (Munro 1866, 1, p. 15). Con l’aldina del 1515 si chiudeva la fecondissima stagione di italiana di studi lucreziani, inaugurata nel 1417 con la sensazionale scoperta di Poggio Bracciolini del primo manoscritto e via via arricchitasi dei contributi di eruditissimi commentatori, di entusiasti seguaci della filosofia di Epicuro e di sagaci imitatori dell’elegante poesia del De rerum natura. Fino al 1647 l’aldina del 1515, la cui fortuna cinquecentesca è attestata da numerose ristampe del testo in Francia (Lione e Parigi) e in Svizzera (Basilea), fu l’ultima edizione stampata in Italia. Nel 1550 gli eredi di Aldo annunciarono una nuova edizione del De rerum natura che non vide mai la luce. Il Lucrezio dell’Universitaria bolognese sembra provenire dalla biblioteca di Francesco Maria Zambeccari, come indicherebbe la Z apposta a lapis dal bibliotecario Lodovico Montefani Caprara durante il riordino delle collezioni private giunte all’Istituto delle Scienze a partire dagli anni Quaranta del Settecento. Un precedente possessore, il non
meglio identificato Andrea Pasqualino, aveva acquistato il volume mentre frequentava lo Studio bolognese («1527 Andreas Pasqualinus emit dum Bononiae studebat», c. I1r). Alla sua mano è attribuibile anche l’annotazione sul verso della c. di guardia. Munro 1866; Dionisotti 1975; Gordon 1985; Beretta 2015.
m.be.
115 LA NASCITA DI UN SEGNO
IL SUCCESSO DI UN SEGNO
117 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
A L D O I N V E N T OR E DE L L A NOV I TÀ :
E DI T ION E S PR I N C I PE S E R I S C OP E RT E DE I C L A S S IC I N E L L’OF F IC I N A E DI T OR I A L E a cura di Francesco Citti, Martinelli Tempesta
ARISTOFANE Comoediae novem,
EURIPIDE Tragoediae septendecim,
PLATONE Omnia Platonis opera,
in folio, 15 luglio 1498.
8° febbraio 1503/1504.
in folio, settembre 1513.
ERODOTO Libri novem,
ARISTOTELE De natura animalium,
ATENEO Deipnosophistai,
in folio, settembre 1502.
in folio, marzo 1504, aprile 1504.
in folio, agosto 1514.
GIULIO POLLUCE Vocabularium,
PLINIO IL GIOVANE Epistolarum libri decem,
in folio, [dopo l’11] aprile 1502.
in 8°, novembre 1508.
119 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
A
12 0
lle origini della formazione di Aldo negli studi greci stanno l’insegnamento a Ferrara di Battista Guarino, che proseguiva la tradizione didattica del padre Guarino Veronese, e, probabilmente, anche l’incontro e l’amicizia con il cretese Manuele Adramitteno presso Giovanni Pico della Mirandola. Prima di gettarsi a capofitto nell’impresa editoriale, Aldo fu a sua volta maestro. Dall’esperienza didattica maturata a Carpi con i principi Leonello e Alberto Pio nacquero i primi scritti grammaticali di Aldo nonché la celebre Musarum Panagyris, uscita intorno al 1490, al cui centro, incastonata tra alcuni componimenti elegiaci per Alberto Pio, si legge una lettera alla madre di questi, Caterina, nella quale Aldo espone a chiare lettere il suo programma culturale. Esso ruota proprio intorno all’importanza per la classe dirigente – nelle vesti di un Princeps, come il dotto condottiero Federico da Montefeltro, o di un patrizio veneziano, come Ermolao Barbaro – degli studia humanitatis non disgiunti dal sapere scientifico e medico, con particolare attenzione allo studio del greco, requisito necessario per una migliore conoscenza di tutte le discipline. Analogo piano di studi emerge anche, seppure in toni almeno in parte faceti, dal celebre statuto della Neakademia redatto da Scipione Carteromaco, stampato da Aldo e sopravvissuto in un’unica copia come foglio volante incollato all’interno del piatto anteriore di un incunabolo ora in Vaticana. Esse sono, soprattutto, le stesse che si leggono nella lectio inauguralis De laudibus literarum Graecarum, pronunciata da Carteromaco nel gennaio 1504 per introdurre il suo corso pubblico sulle orazioni di Demostene, uscita da Aldo nel maggio 1505. Centralità del greco – pur con l’interruzione del biennio 1500-1502 –, esplicitata dalla presenza esclusiva di libri greci nel primo catalogo diffuso da Aldo (1498) e dallo loro posizione incipitaria negli altri due (1503 e 1513); accesso diretto alla lingua ellenica attraverso lo studio di strumenti grammaticali (una parte della grammatica di Costantino Lascaris, 1494/5, poi ristampata completa e arricchita di testi accessori, cfr. scheda Lascaris 1501-3; la grammatica di Teodoro Gaza, 1494/5; la grammatica di Urbanio Bolzanio, 1497) e lessicografici (il Thesaurus Cornucopiae del 1496, il dizionario greco-latino di Crastone, 1497, l’Onomastikon di Polluce e gli Ethnika di Stefano Bizantino, 1502, cfr. scheda Stefano da Bisanzio 1502) e la lettura di testi adatti alla scuola, come la piccola silloge, del 1494, di testi poetici (Teocrito; testi gnomici come le raccolte di Teognide, Focilide etc.; Esiodo), o interessanti per la lingua, come Aristofane (1498); importanza del recupero della filosofia e delle scienze naturali soprattutto mediante il contatto diretto con il corpus aristotelico-teofrasteo (cfr. scheda Aristotele 1495) e con la sua tradizione esegetica greca in concorrenza con le ‘moderne’ interpretazioni in reciproca polemica, quella araba averroista e quella latina di ascendenza tomistica (un tributo alla tradizione platonica, prima della grande editio princeps dei dialoghi del 1513, è la stampa dell’In calumniatorem Platonis del Bessarione: cfr. scheda Bessarione 1503); una successiva apertura verso la prosa
letteraria vera e propria con la pubblicazione, da un lato, di storici (Tucidide ed Erodoto nel 1503, Senofonte e gli estratti di Pletone da Diodoro e Plutarco nel 1503: cfr. schede Tucidide 1502 e Senofonte 1503), epistolografi (1499), oratori (Commento alle Filippiche demosteniche di Ulpiano, cfr. schede Ulpiano 1503, Demostene 1504, Oratores Graeci e Isocrate 1513) e retori (1508, con la Poetica e la Retorica di Aristotele), dall’altro ai testi poetici (Omero, Sofocle, Euripide). Queste sono le linee editoriali che si osservano nel primo decennio di attività del torchio aldino, parzialmente rappresentato in una precedente sezione, e negli ultimi anni fino alla morte di Aldo. In una ideale continuità con il programma enunciato nella celebre lettera scritta dal cardinale Bessarione all’indomani della caduta di Costantinopoli, il progetto aldino si propone di travasare nel nuovo medium testi che in questo modo sarebbero stati definitivamente salvati e diffusi. Testi che, mai prima composti con i caratteri mobili, avrebbero avuto una nuova vita grazie alle loro editiones principes, di cui si propongono in questa sezione alcuni esempi, che per ovvie ragioni sono prevalentemente greci, dato che alla fine del secolo non pochi classici latini godevano già di un’ampia circolazione a stampa: Aristofane (cfr. scheda Aristofane 1498), Sofocle (cfr. scheda Sofocle 1502), Erodoto (cfr. scheda Erodoto 1503), Euripide (cfr. scheda Euripide 1503), Polluce (cfr. scheda Polluce 1503), Platone (cfr. scheda Platone 1513), Plinio il Giovane (cfr. scheda Plinio il Giovane 1508), Ateneo (cfr. scheda Ateneo 1513). Alcune di queste, inoltre, sono proposte nel rivoluzionario e maneggevole formato in 8° (Sofocle, Euripide): quanto alla progettualità editoriale, queste non sono sullo stesso piano dei grandi in folio, ma, da un punto di vista testuale rappresentano anch’esse, come gli altri esemplari in formato maggiore, lo sforzo diretto del passaggio dalla variabile molteplicità della tradizione manoscritta alla – spesso soltanto teorica – invariabile fissità della trasmissione a stampa. Il progetto culturale di Aldo, soprattutto quanto alla sua identità greca, non avrebbe trovato un terreno troppo fertile in quell’Italia – e in quella Venezia – squassata dalle guerre, ma aprì certo la strada – significativi sono i suoi legami con Erasmo e Reuchlin – alla fortuna transalpina degli studi greci nel Cinquecento, quando, per trovare i campioni del greco, salvo eccezioni come il fiorentino Piero Vettori – erede del magistero polizianeo –, bisognerà cercare in area francese o germanica. Ma, se ci furono vari tentativi, soprattutto da parte degli stampatori di Basilea, di soppiantare l’autorevolezza delle edizioni aldine, il principe degli editori di testi greci nel Cinquecento, Henri Etienne II, quasi sempre mise a fondamento delle proprie imprese editoriali i testi usciti dal torchio aldino, anche quando non si trattava di principes: i frutti del progetto culturale ellenizzante di Aldo ricevevano così, indirettamente e a volte tacitamente, il più alto riconoscimento. Stefano Martinelli Tempesta
121 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
ARISTOFANE (ca. 450-385 a.C.)
Comoediae novem, in folio, 15 luglio 1498. Editio princeps di Aristofane e di excerpta da Efestione (356-324 a. C.), Platonio (IX-X sec. d. C. ?) ed altri. In greco. R 16.3; U 25; A 26; M 24; Sicherl, p. 114-54; IGI 790; ISTC ia00958000
coll.: A.V.KK.X.4 (provenienza: Convento di S. Domenico, Bologna). Caronti 66, p. 38. Misure d’esemplare: legatura, mm 314x215x57; corpo del libro, mm 302x207x50.
12 2
Già dichiarata imminente nella prefazione al Dictionarium di Giovanni Crastone (cfr. scheda Crastone 1497), l’editio princeps delle nove commedie di Aristofane con scoli apparve il 15 luglio 1498; mancavano le Tesmoforiazuse e la Lisistrata, che Aldo nella dedica a Daniele Clario di Parma, docente di greco e latino a Ragusa, in Dalmazia, dichiarava di aver omesso deliberatamente: essendo riuscito infatti a reperirne soltanto un testo dimidiatus, aveva ritenuto più opportuno non pubblicarla. Per coloro che desideravano apprendere il greco, non c’era riferimento migliore di Aristofane, a giudizio di Manuzio e non solo: egli poteva addurre in proposito il parere di Teodoro Gaza, secondo cui il «solo Aristofane» doveva essere letto assiduamente dagli studenti, quale esempio di pura lingua attica; e al giudizio di un grande maestro moderno, di recente scomparso, aggiungeva l’aneddoto secondo cui l’eloquenza e il rigore di un padre della Chiesa come Giovanni Crisostomo sarebbero derivate dalla sua familiarità con le opere del commediografo ateniese, che egli teneva sempre con sé, tanto da usarle come cuscino (Dionisotti 1975, p. 24, 213). La curatela dell’edizione era stata affidata al giovane e talentuoso cretese Marco Musuro, che in quegli stessi mesi lavorava per Manuzio al testo degli Epistolographi Graeci (cfr. scheda Epistolae diversorum 1499); nella prefazione in greco, indirizzata al lettore, Musuro si descrive come uno Iolao giunto in aiuto dell’Ercole aldino, per soccorrerlo nell’improbo compito di fornire un testo corretto e di eliminare tutti gli errori, che si moltiplicano sotto le dita dei compositori come teste di un’idra. Di questo testo musuriano sopravvive l’autografo, in un bifoglio legato insieme a un esemplare dell’edizione conservato a Manchester (il fac-simile in Barker 1992, p. 123-6); dei codici usati in tipografia è stato invece individuato con sicurezza quello del Pluto (Bibliothèque Humaniste di Sélestat, ms 347 = K 1105), scritto da un altro cretese, Zaccaria Calliergi: qui non compaiono tracce della mano di Musuro (sulle fonti dell’edizione resta fondamentale Sicherl 1997, p. 114-54). L’esemplare dell’Universitaria reca all’incipit la nota di possesso del convento bolognese di S. Domenico, in parte coperta da macchia di inchiostro: «Spectat hic liber ad bibliotheca[m] S. D[omi]nici de Bon.[oni]ae or[dinis]. fr P.[re]dicato[rum]», ripresa a c. π3r: «Con.[ven]tus .S. D[omi]nicj d[e] Bon[onia]» e al colophon: «Est hic liber bibliothecae S. D[omi]nici de Bono.[ni]a ordi[ni]s fra[tr]u[m] p[re]dicato[rum]». Dalla libreria dei domenicani il volume, soppresso il convento con l’ingresso a Bologna delle truppe di Napoleone, non finì all’Archiginnasio (come gran parte delle stampe già appartenute ai predicatori) ma alla Biblioteca di Palazzo Poggi, forse unito ai codici manoscritti che furono destinati dai funzionari napoleonici alle raccolte della Biblioteca Nazionale, poi Regia. D ion i so t t i 1 975 ; Ba rke r 1 992; S ich e rl 1 997.
d.s.
123 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
ERODOTO (484-ca. 425 a. C.)
Libri novem, in folio, settembre 1502. Editio princeps. In greco. R 35.8; U 62; A 64; M 67, 68; Edit16 CNCE 22655
coll.: Raro D.65/1. Misure d’esemplare: legatura, mm 327x230x50; corpo del libro, mm 318x215x24. Legato con: Giorgio Gemisto Pletone, Ex Diodori, & Plutarchi historiis, emissione del 1525 ca. dell’aldina di Senofonte del 1503 con sostituzione dell’incipit e della lettera di dedica (R 41.8; U 230).
12 4
Le Storie di Erodoto sono la prima grande narrazione storiografica in greco che sia integralmente sopravvissuta: il racconto riguarda le vicende dei popoli del Mediterraneo orientale dal conflitto originario tra Europa e Asia fino alle guerre che opposero i Greci ai Persiani. La suddivisione dell’opera in nove libri, che non riflette il disegno compositivo dell’autore e la sua progressiva trasformazione, si deve probabilmente all’attività dei filologi alessandrini in età ellenistica (III-I secolo a.C.) (Asheri 1988, p. IX-LXXXV). All’ambiente alessandrino sembra sia da attribuire anche l’intitolazione dei libri alle nove Muse, recepita dalla tradizione manoscritta ed ereditata anche da Aldo. L’aldina è dedicata al latinista Giovanni Calfurnio da Brescia (Marcotte 1987), come ringraziamento per la sua liberalità nel prestito di manoscritti. Nella dedicatoria Aldo rivendicava la storicità e l’affidabilità delle Storie, contro una linea interpretativa che rimontava all’antichità e che svalutava il racconto erodoteo a causa degli elementi esotici e favolosi consapevolmente registrati dallo storico. L’editore segnalava anche di aver utilizzato per il I libro un codice «decem prope chartis» più ampio rispetto al testo dei manoscritti noti e alla traduzione latina di Lorenzo Valla (Dionisotti 1975, p. 241-242). Si trattava, infatti, di un testimone appartenente al ramo della tradizione manoscritta erodotea noto come ‘familia fiorentina (a)’, che conserva una redazione più ampia. L’antigrafo di stamperia è stato identificato da Brigitte Mondrain a Norimberga (Stadtbibliothek, Cent. V Append. 10), conservatosi tra l’altro integralmente. La studiosa ha anche individuato in Giovanni Gregoropulo il sostanziale curatore dell’edizione: Gregoropulo consultò però anche altri testimoni, come quello di Modena, (BEU, II.H.6/gr. 221), che gli permise di ristabilire molte forme ioniche tipiche della lingua di Erodoto (Mondrain 1995). L’edizione rientra nel periodo di maggiore intensità nella stampa di autori greci, che coinvolse anche i grandi storici: nello stesso anno, a maggio, era apparso Tucidide; l’anno successivo sarà pubblicato Senofonte (Lowry 2000, p. 187, 197; cfr. schede Tucidide 1502, Senofonte 1503). Fino a questo momento le Storie avevano avuto circolazione nella traduzione latina di Lorenzo Valla apparsa a Venezia presso Jacobus Rubeus nel 1474 (IGI 4692): l’editio princeps di Aldo consentiva finalmente a un pubblico ampio di leggere Erodoto nella sua lingua (Lowry 2000, p. 336; Olivieri 2004, p. 85-88; Wilson 2015, p. XXIV). Dioniso t t i 1975 ; Ma rco t t e 1 98 7; A sh e ri 1 98 8 ; Mon dra i n 1 995 ; L owry 2000; Ol i v i e ri 2004; Wi l son 201 5 .
p.m.p.
125 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
GIULIO POLLUCE (II sec. d. C.)
Vocabularium, in folio, [dopo l’11] aprile 1502. Editio princeps. In greco e latino. R 32.1; U 54; A 57; M 58; Edit16 CNCE 36138
coll.:A.V.D.III.17/1 (provenienza: Collegio dei Gesuiti, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 328x220x38; corpo del libro, mm 320x215x17. Legato con: Stefano di Bisanzio, De urbibus, gennaio, [dopo il] 18 marzo 1502 (cfr. scheda Stefano di Bisanzio 1502).
12 6
L’Onomasticon di Polluce costituisce l’unico esempio a noi pervenuto dell’arcaica lessicografia ‘orizzontale’, cioè di quella organizzata per campi semantici e allineamento di sinonimi. Compilato nell’età di Commodo – l’imperatore di cui l’autore era precettore e al quale ognuno dei dieci libri di cui è composta l’opera è autonomamente dedicato – esso va inquadrato in una vivace polemica culturale, riguardante quale lingua greca potesse e dovesse essere usata dagli autori. Si rifiutava il greco parlato e si formulava un canone di autori imitabili, appartenenti al periodo ‘classico’ (V-IV sec. a.C.): Polluce assunse una posizione più aperta nei confronti dell’assoluto purismo di altri grammatici, e in particolare di Frinico, e presentava una lista di autori imitabili non estremamente ristretta. Il testo a noi pervenuto non è quello originale, bensì uno epitomato da Areta di Cesarea, un dotto bizantino del IX-X secolo. La princeps di Aldo nacque – in un momento di fertile riscoperta del greco – non solo dalla volontà di stampare tutti i testi a disposizione, ma anche e soprattutto dalla necessità di fornire alla comunità dei dotti i necessari strumenti linguistici e lessicali. Essa si basava innanzi tutto su un codice recenziore della famiglia Ξ del XV sec., ma alcune lacune nel decimo libro furono sanate grazie alla collazione di un altro manoscritto, ora perduto, appartenente a un’altra famiglia (la ‘seconda classe’, i cui esponenti sono comunque anch’essi del XV sec.). L’aldina fu curata da Scipione Forteguerri che nella pagina conclusiva dedica (in greco) il lavoro alla comunità dei filologi: dalle sue parole emerge con chiarezza la funzione strumentale dell’opera, funzionale all’acquisizione di un’accurata conoscenza del lessico greco. Essa fu poi ripresa senza variazioni nelle altre edizioni del XVI secolo, quella giuntina del 1520 (Edit16 CNCE 27959), che porta la dicitura Cartomacho temperante (ma il Forteguerri era morto nel 1515) e quella basileense curata da Simon Grynäus (1493-1541) e apparsa nel 1536. I primi sette fogli contengono un indice latino, introdotto dalle significative parole Pollucis Vocabularii Index in Latinum translatus, ut vel Graece nescientibus nota sint quae a Polluce tractabantur; segue un indice greco, poi si ha una lettera dedicatoria, datata «Venetiis III Id. April. 1502» (cioè 11.4.1502) a Elia Cavriolo, giureconsulto, poeta e storico bresciano (morto negli anni ’20 del XVI sec.), autore del De confirmatione Christianae fidei e delle Istorie della città di Brescia. Il testo à disposto su due colonne in pagine numerate; ognuno dei dieci libri è diviso in capitoli, dotati di titolo, nell’ambito dei quali i singoli paragrafi sono rilevati, con la prima lettera posta in margine. La copia qui presente porta scritta a mano la dicitura «Collegii Bononiensis Societatis Iesu» (c. AA1r), che la ricollega alla biblioteca del Collegio di S. Lucia di Bologna, soppresso nel 1773; si aggiungono due timbri della «Pontificia Biblioteca di Bologna». Be t h e 1900-1 937; Na e ch st e r 1 908 ; Onom a st icon 2007; Onom a st icon 201 3.
r.t.
127 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
EURIPIDE (485-406/07 a. C.)
Tragoediae septendecim, 8° febbraio 1503/1504. Editio princeps del corpus di 17 tragedie. In greco. 2 voll. R 43.10; U 69; A 71; M 90; Fletcher, p. 107; Sicherl, p. 291- 309; Edit16 CNCE 18373
coll.: Raro B.54. Misure d’esemplare: legatura, mm 167x103x52; corpo del libro, mm 157x99x45.
12 8
Nonostante il titolo, l’aldina euripidea contiene diciotto, non diciassette, dei diciannove drammi superstiti (dei 78 probabilmente ricompresi nell’edizione alessandrina, cfr. Kannicht 1996); essi sono presentati in una sequenza che corrisponde a un di presso alla loro popolarità in Bisanzio: Ecuba, Oreste, Fenicie (‘triade bizantina’), Medea, Ippolito, Alcesti, Andromaca (‘tetrade’ o ‘selezione commentata’), quindi i cosiddetti ‘drammi alfabetici’ non commentati, con l’inserzione di Reso, Troiane, Baccanti. Mancano come per Sofocle anche i promessi commentaria e come nell’aldina sofoclea dell’anno precedente (cfr. scheda Sofocle 1502) ogni dramma è preceduto da una o più hypotheseis, con l’eccezione dell’Elena, perché assente nell’antigrafo di stamperia, e dell’Ifigenia in Aulide, assente del tutto nella tradizione manoscritta; infine, personarum index e indicazione della persona proloquens. Dopo il pinax seguono la lettera dedicatoria di Aldo a Demetrio Calcondila, cinque epigrammi εἰς Εὐριπίδην (= Anth. Pal. VII 43-47) e le sinossi biografiche euripidee, composte da Manuele Moscopulo e da Tommaso Magistro. L’Eracle, diciottesimo dramma, venne aggiunto in extremis dopo la composizione del frontespizio, sebbene Aldo ne tenga conto nella prefazione dedicatoria a Calcondila (Dionisotti 1975, p. 73-4), cui offre anche i commentarii a triade e tetrade, che verranno però pubblicati solo nel 1534 per le cure di Aristobulo Apostolio (Scholia in septem Euripidis tragoedias, ex antiquis exemplaribus ab Arsenio archiepiscopo Mombasiae collecta, & nunc primum in lucem edita, Venetiis in officina Lucae Antonii Iuntae, MDXXXIV die XXIIII Decembris, cfr. Tessier 2000, p. 345, n. 1); su di un manoscritto alla base di tale edizione influì probabilmente Marco Musuro, a lungo ritenuto anche il curatore dell’aldina (Cavarzeran 2014, p. 16-35). Nonostante la data sul frontespizio, molte edizioni euripidee, dalla fine dell’Ottocento sino agli anni ’70 del secolo scorso, hanno indicato il 1504 come anno di pubblicazione, ma Aldo abbandonerebbe dal 1497 lo stile veneziano di datazione, con l’anno legale iniziante il 1 marzo dell’anno solare (cfr. Sicherl 1975, p. 205, n. 1). L’aldina ha rappresentato la vulgata euripidea sino alla seconda metà del XVIII secolo; anch’essa pare non essere stata curata direttamente da Musuro ma ancora da Giovanni Gregoropulo, che si era occupato l’anno precedente della princeps di Sofocle (Sicherl 1975, p. 205-11) Introvabile o perduto l’esemplare di stampa, i due codici alla base del testo aldino della ‘triade’ sono stati identificati nei Parisini Supplementarii gr. 212 e 393, mentre per le cosiddette ‘tragedie alfabetiche’ è stato suggerito un manoscritto copiato da Aristobulo Apostolio tra 1492 e 1494 e annotato dal suo primo possessore Giano Lascaris (BNF, Par. gr. 2887 + 2888, apografo del BML, Laurentianus pl. 32.2 = L; cfr. Magnani 2000, p. 207-33; Speranzi 2013, p. 81-2, n. 178); da notare che si tratta di un codice tascabile come l’aldina, suddiviso in due tomi – come l’edizione di Aldo – già dal Lascaris. L’aldina non è però l’editio princeps della ‘tetrade commentata’ – edita per la prima volta a Firenze nel 1494 da Giano Lascaris presso Lorenzo Alopa (Euripidis tragoediae quattuor, IGI 3725) – e non comprende l’Elettra, che verrà pubblicata da Pier Vettori (ΕΥΡΙΠΙΔΟΥ ΗΛΕΚΤΡΑ. Euripidis Electra, nunc primum in luce edita, Romae MDXXXXV, Edit16 CNCE 18376). L’edizione dei tragici greci verrà completata da Francesco d’Asola, cognato di Aldo, solo nel 1518, con la princeps di sei dei sette drammi tramandati sotto il nome di Eschilo, assenti le Coefore (Edit16 CNCE 328; cfr. Hexter 1998, p. 150-1). L’esemplare bolognese reca annotazioni anonime a cc. G5r («Vide Victorius [sic] li. 9
cap. X» i.e. Petri Victorii variarum lectionum libri XXV, Florentiae excudebat Laurentius Torrentinus MDLIII, p. 132 ad Eur. Hip. 161-163) e WW8r («Sigon. emend. lib. I cap. 1», i.e. Caroli Sigonii Emendationes librii duo, Venetiis apud Aldum MDLVII, p. 84-86 ad Eur. Hel. 375-383). Dionisotti 1975; Sicherl 1975; Hexter 1998; Kannicht 1996; Magnani 2000; Tessier 2000; Speranzi 2013; Cavarzeran 2014.
m.m.
129 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
ARISTOTELE (384-322 a. C.)
De natura animalium, in folio, marzo 1504, aprile 1504. Editio princeps di Alessandro d’Afrodisia (II-III sec. d. C.). In latino. R 45.2; U 81; A 83; M 93; Edit16 CNCE 2871
coll.:A.IV.H.I.38 (possessore: Constantino Brancaleoni, m. 1574). Misure d’esemplare: legatura, mm 315x215x55; corpo del libro, mm 304x209x44. Legato con: Claudio Galeno, De affectorum locorum notitia libri sex, [Venezia, Filippo Pincio?, ca. 1520].
13 0
Il volume raccoglie traduzioni latine di opere del corpus aristotelico ad opera dell’umanista Teodoro Gaza. Si tratta in primo luogo di tre scritti aristotelici sugli animali (De historia animalium, De partibus animalium, De generatione animalium), il cui testo greco Aldo aveva già pubblicato nel 1497. Seguono quattro testi ugualmente apparsi in greco in un’altra aldina del 1497: due scritti botanici dell’allievo e successore Teofrasto (De historia plantarum, De causis plantarum); un’opera aristotelica di discussa autenticità, i Problemata (una raccolta di questioni presentate sotto forma di domanda e risposta, riguardanti vari ambiti del sapere: medicina, biologia, fisica, meteorologia ecc., fino alla retorica e all’etica); infine, un’opera omonima attribuita a un importante commentatore antico di Aristotele, Alessandro di Afrodisia (II-III sec. d.C.; di quest’ultimo Aldo pubblicherà anche i commenti ai Topica nel 1513) (Perfetti 1995; Monfasani 1999; Beullens, Gotthelf 2007; Ventura 2008). L’edizione era dedicata a Matthäus Lang, ministro dell’imperatore Massimiliano I e capo della cancelleria imperiale, diventato poi arcivescovo di Salisburgo (Dionisotti 1975, p. 251). La scelta di questo influente e colto protettore di studiosi e letterati rientrava nel progetto vagheggiato da Aldo in questi anni, ma non realizzato, di trasferirsi presso la corte imperiale tedesca (Lowry 2000, p. 305-09). Gaza, definito nella dedicatoria «suae aetatis eruditorum facile princeps», negli anni ‘50 del XV secolo aveva lavorato a Roma, su invito del papa Nicolò V, a diverse traduzioni dal greco in latino, che includevano anche Aristotele e Teofrasto. Queste versioni erano poi apparse a stampa negli anni ’70 e ’80 e avevano presto rimpiazzato, nel caso di Aristotele, le traduzioni di Giorgio Trapezunzio (Bianca 1999, p. 739-40). Il loro valore per la conoscenza della lingua greca e per la comprensione dei testi tradotti era stato segnalato da Aldo già nell’editio princeps del 1497 (Dionisotti 1975, p. 204). La stampa aldina contribuì ad assicurare il primato alle traduzioni di Gaza ed ebbe un ruolo importante nello sviluppo della ricerca scientifica dell’epoca. La forte domanda portò Aldo a ristampare il libro nel 1513 (cfr. scheda Aristotele 1513). Dioniso t t i 1 975 ; P e rf e t t i 1 995 ; Bi a nca 1 999; Mon fa sa n i 1 999; L owry 2000; Be u l l e n s, Go t t h e l f 2007; Ve n t u ra 2008 .
p.m.p.
131 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
PLINIO IL GIOVANE (61/62-ca. 114 d. C.)
Epistolarum libri decem, in 8°, novembre 1508. In latino. R 53.3; U 100; A 101; M 117; Fletcher, p. 112-5; Edit16 CNCE 37420
coll.: A.V.D.V.39 (possessore: «Ioanis Hieronimi Portensis»). Misure d’esemplare: legatura, mm 168x106x34; corpo del libro, mm 161x98x26.
13 2
L’edizione contiene i dieci libri di epistole ed il panegirico per Traiano di Plinio il Giovane, il Liber de viris illustribus urbis Romae (anonimo, sec. IV), il De grammaticis et rhetoribus di Svetonio ed il Liber prodigiorum di Giulio Ossequente (sec. IV ca.). A dispetto dell’apparente disomogeneità dei titoli il volume è composto secondo un criterio di relativa compattezza autoriale e tematica dei testi, almeno agli occhi e nelle intenzioni di Aldo, che nel suo terzo catalogo (1513) lo definirà semplicemente «Epistolae Plinij». Egli riunisce sotto la stessa manifestazione editoriale tutte le opere di Plinio, quelle certe (lettere, panegirico) ed una a suo parere attribuibile a Plinio stesso (il De viris illustribus), e l’opera svetoniana, di taglio prosopografico e pertanto affine alla precedente. Si tratta di accostamenti testuali in parte già tentati nell’ambiente tipografico veneziano intorno al 1492 (Pausch 2007 EF nr. 3, 4, 8), ma Aldo perfeziona l’operazione e aggiunge il fino ad allora inedito Liber prodigiorum, affidatogli, così come molti materiali pliniani, da Fra Giovanni Giocondo (in generale, Dionisotti 1975, p. 94-97, 265-8, 358-60; Dionisotti 1995, p. 35, 40, 46-7, 136). Le epistole di Plinio appaiono in forma plenior: editio princeps di epist. 8.8.3-8.18.11, 9.16, 10.1-40 (Mynors 1966, p. XIX-XX, 4). Aldo dichiara di presentare un testo migliore soprattutto grazie ad un manoscritto parigino «vetustissimus» (Mynors 1966, p. XIX), di cui Fra Giocondo gli aveva portato, tra le altre cose, delle trascrizioni e che in seguito gli era materialmente pervenuto per il tramite di Alvise Mocenigo. Nella prefazione Aldo difende inoltre la paternità pliniana delle lettere a Traiano, contro l’opinione di anonimi studiosi, adducendo l’autorità del codice, argomenti stilistici e numerosi indizi interni all’epistolario. Il panegirico a Traiano viene ripubblicato per motivi di completezza, nell’ottica degli opera omnia pliniani, e per le sue qualità stilistiche e contenutistiche. Il De viris illustribus in re militari et in administranda republica, attribuito da Aldo a Plinio in base ai codici e contro il parere di chi lo assegnava a Svetonio o a Tacito, completa il nucleo strettamente pliniano (Pichlmayr, Gruendel 1970, p. x, xv). Il De illustribus grammaticis liber e il De claris rhetoribus liber svetoniani, con la serie di insigni letterati, fanno da pendant all’opera precedente. Per l’emendazione del De viris illustribus e di Svetonio Aldo afferma di essersi avvalso della collaborazione di Giovan Battista Egnazio. Alla fine trova posto l’editio princeps del Liber prodigiorum di Giulio Ossequente, procurato ad Aldo dal medesimo Fra Giocondo e per questo edito in calce al volume pliniano. Essendo scomparsa ogni traccia manoscritta dell’opera di Ossequente, l’aldina è l’unica base per l’editore critico del testo (Rossbach 1910, p. xxviii). L’esemplare bolognese presenta l’ex libris, a inchiostro dorato e inserito in elegante riquadro con duplice accenno di stemma, di «PLINIVS D.NI IOANIS: HIERONIMI PORTENSIS» (c. **4r), forse il Hieronymus Portensis dedicatario del Virgilio del 1479 (IGI 10200).
Ro ssbach 1910; My nors 1 966; P ich l m ay r, Gru e n de l 1 970; D ion i so t t i 1 975; D ion i so t t i 1 995 ; Pau sch 2007.
s.r.
133 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
PLATONE (428/427-348/347 a. C.)
Omnia Platonis opera, in folio, settembre 1513. Editio princeps In greco. 2 voll. R 62.4; U 114; A 116; M 130; Edit16 CNCE 37450
coll.: A.V.D.VII.16 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). I 2 volumi sono legati insieme. L’esemplare è mutilo del bifolio c2.7 sostituito da b2.7 ripetuto due volte. Misure d’esemplare: legatura, mm 316x214x60; corpo del libro, mm 305x200x54.
13 4
Un filo rosso, reso esplicito da Aldo stesso nella supplica a papa Leone X, Giovanni de’ Medici (cfr. Dionisotti 1975, p. 120-3, 286-9, 367-8), lega la versione latina di Marsilio Ficino (Firenze, 1484, IGI 7860) dedicata al padre di Giovanni, Lorenzo il Magnifico, prima tappa del recupero in Occidente di tutto Platone, all’editio princeps del testo greco, apparsa a Venezia presso i tipi di Aldo nel settembre del 1513 per le cure di Marco Musuro, autore del celebre Inno a Platone in distici elegiaci greci premesso all’edizione. La Druckvorlage del Platone aldino, forse approntata da Musuro, è da ritenersi ad oggi perduta. Gli studi effettuati sulla tradizione dei singoli dialoghi hanno confermato e precisato i risultati delle indagini di Levi Arnold Post (cfr. Post 1934, p. 40-4, 58-9), secondo cui le fonti principali della memoria testuale dell’aldina, piuttosto che, come si era creduto, la copia di lusso che da essi aveva tratto Giovanni Roso per il Bessarione (Marc. gr. Z. 184), furono le due copie di lavoro del cardinale, frutto della sua collaborazione con diversi copisti della propria cerchia (cfr. Berti 1970-1971, p. 454-5; Marg 1972, p. 79; Sicherl 1974, p. 574 n. 64; Moore Blunt 1985, p. xi n. 4; Boter 1989, p. 242-4; Jonkers 1989, p. 309-2; Murphy 1990, p. 325-6; Brockmann 1992, p. 180-90; Vancamp 1995, p. 53-4; Vancamp 1996, p. 49-50; Martinelli Tempesta 1997, p. 182-9; Joyal 1998, p. 169; Díaz de Cerio, Serrano Cantarín 2000, p. 95; Wilson 2000, p. 199-200; Díaz de Cerio, Serrano Cantarín 2001, p. 348; Murphy 2002, p. 149; Martinelli Tempesta 2003, p. 83-4; Vancamp 2010, p. 1034; Ferreri 2014, p. 132-65). La prima copia è il Marc. gr. Z. 186, alla cui confezione parteciparono Andronico Callisto, Gregorio ieromonaco, Demetrio Xantopulo, l’anonimo A di Mioni, nonché, cosa mi sembra mai notata, Alessio Celadeno, che ha copiato alla fine dell’opuscolo di Timeo Locro il cap. 8 del manuale di armonia di Nicomaco di Gerasa. La seconda copia di lavoro è il Marc. gr. Z. 187, con marginali di Gregorio ieromonaco (idenficazione inedita di David Speranzi), a torto attribuiti da Mioni ad Atanasio Calceopulo o a Demetrio Sguropulo. I due codici bessarionei – o forse meglio copie da essi derivate – non sono, però, sufficienti a giustificare in toto la facies testuale del Platone aldino e gli studiosi hanno individuato soprattutto, ma non solo, nel Par. gr. 1810, vergato da Giorgio Pachimere e annotato da Niccolò Leonico Tomeo, e nel Par. gr. 1811, codice del XIV secolo annotato da Francesco Filelfo, Andronico Callisto e appartenuto a Carlo Valgulio e a Gian Francesco Torresani, le ulteriori fonti della Druckvorlage, che si rivela dunque essere un testimone eliminandus sul piano stemmatico, frutto com’è della contaminazione tra manoscritti recentiores conservati, non certo esito della collazione con esemplari antichi, come si legge nel colophon di Aldo, né utile per la constitutio textus, dato che i rari interventi attribuibili a congetture di Musuro non sono particolarmente brillanti. L’aldina di Platone rappresenta, tuttavia, una tappa fondamentale della storia del testo di Platone, avendo essa costituito il punto di partenza per la formazione, nel corso del Cinquecento, della vulgata la cui fortuna fu sancita dall’edizione dello Stephanus (1578). Po st 1934; Be rt i 1970-1 971 ; Ma rg 1 972; S ich e rl 1 974; D ion i so t t i 1 975 ; Mo or e Blunt 1985; Bo t e r 1 98 9; Jon ke rs 1 98 9; Mu rph y 1 990; Bro ckm a n n 1 99 2 ; Vancam p 1995; Vanca m p 1 996; Ma rt i n e l l i Te m pe sta 1 997; Joya l 1 998 ; Díaz de Ce rio , Se rra no C a n ta rí n 2000; Wi l son 2000; Díaz de Ce rio , Se rra no C a n ta rí n 2001 ; Mu rph y 2002; Mart i n e l l i Te m pe sta 2003; Tavon i 2006; Va nca m p 2010; Fe rre ri 2014.
s.m.t.
135 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
ATENEO (m. 192 d. C.)
Deipnosophistai, in folio, agosto 1514. Editio princeps. In greco. R 67.4; U 123; A 125; M 145; Edit16 CNCE 3340
coll.: A.V.D.III.3 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 340x217x35; corpo del libro, mm 331x210x2
13 6
Ateneo di Naucrati ci ha lasciato un’opera, intitolata Deipnosofisti, in 15 libri, per la cui datazione esiste un evidente termine post quem, il 192, anno della morte di Commodo; essa per noi riveste eccezionale importanza, perché tramanda molti frammenti della letteratura greca scomparsa. Si tratta in realtà di un’antologia provvista di una cornice accattivante, anche se non originale: una trentina di dotti ricorda passi e dà sfogo alla sua dottrina nel corso di un simposio che dura più giorni, nel quale il personaggio principale, che dà il ‘la’ alle dissertazioni, ha il nome di Ulpiano (forse il famoso giurista). I Deipnosofisti ci è pervenuta in due redazioni: in una epitomata e in una più completa, conservata essenzialmente dal Marcianus gr. 447; questo codice fu portato in Italia nel 1423 da Aurispa, quando era già mutilo di alcune parti, e soprattutto di una cinquantina di fogli iniziali, contenenti i primi due libri e una piccola parte del terzo; nel 1468 esso fu acquistato da Bessarione e più volte copiato (anche, ad es., da Ermolao Barbaro): talora, in queste operazioni, la parte iniziale fu integrata dall’epitome. È dunque naturale che un’opera così importante attirasse l’interesse di Aldo: forse – ma le notizie sono incerte – il primo progetto di una pubblicazione dei Deipnosofisti risale al 1498, ma comunque esso fu momentaneamente accantonato, almeno fino al 1505, come mostra una lettera di Scipione Forteguerri all’editore veneziano del 19 aprile di quell’anno. All’allestimento dell’edizione, con ogni probabilità, collaborò in un primo tempo Paolo Canal (un codice di Ateneo con sue correzioni si trova ora ad Heidelberg), prima del 1508, anno del suo ingresso nel monastero camaldolese di San Michele di Murano e della sua morte; l’edizione uscì però solo nel 1514, curata da Marco Musuro. Essa si basava su un apografo del citato codice marciano, ora purtroppo perduto (vari tentativi di identificarlo, o col manoscritto di Canal, o con frammenti conservati a Leida, non sono risultati convincenti). La presentazione dell’opera, in greco, si trova sotto forma di clessidra, ed è collocata tra i titolo e la marca di Aldo (il delfino con l’ancora, che ritorna nel verso dell’ultima pagina): tale premessa è con ogni probabilità di Musuro, il quale afferma di aver supplito alla mancanza dei primi due libri con l’Epitome (ma tale integrazione si doveva trovare già nell’antigrafo, visto che Musuro non utilizza l’Epitome per sanare le altre lacune) e di aver corretto numerosi errori. Nella lettera dedicatoria, in latino, rivolta all’ungherese Ianus Vyrthesis, allievo di Musuro, Aldo stesso ripete le indicazioni fornite nella presentazione in greco, ma con toni tendenti all’amplificazione propagandistica dell’importanza dell’opera. Le prime 38 pagine, dedicate all’Epitome, sono scritte per esteso, mentre dal terzo libro in poi il testo è disposto su due colonne, per complessive 194 pagine. La copia della Biblioteca Universitaria proviene dal monastero del SS. Salvatore di Bologna, come attesta la nota: «Iste liber est Mon[aster]ij .s[anctissi]mi. saluatoris bononiaę signat[us] i[n] Inue[n] tario s[u]b Num[er].o 44.». La più recente segnatura di collocazione («Num[er].o 44.») è sovrascritta ad una precedente che recitava: «littera A». (c. a2r); sono inoltre presenti due timbri a inchiostro della «Pontificia Biblioteca di Bologna» Kaibe l 1 8 8 7; Irigoi n 1 967; C a n f ora 2001 ; Tavon i 2006.
r.t.
137 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
I L S U C C E S S O C OM M E RC I A L E :
DA L M A RC H IO A L C ATA L O G O E DI T OR I A L E a cura di Paolo Tinti
CATULLO TIBULLO PROPERZIO
POETAE CHRISTIANI VETERES in 4°, vol. 2: giugno 1502.
in 8°, gennaio 1502.
ULPIANO Commentarioli, in folio, ottobre 1503.
SUCCESSO
in 8°, 1513.
SEGNO
SCRIPTORES REI RUSTICAE in 4°, maggio 1514.
DEMOSTENE Orationes duae & sexaginta, in folio, ottobre 1504, novembre 1504 [ma 1513].
139
GIOVANNI GIOVIANO PONTANO Opera,
IL DI UN
A
14 0
ldo non utilizza da subito la marca con l’ancora e il delfino ma si rende conto solo gradualmente dell’importanza di distinguere i propri libri attraverso un segno riconoscibile e facilmente individuabile da parte dei lettori. Se all’inizio della sua attività privilegia la scelta dei testi e una ramificata e potente rete di relazioni per farsi strada nel vivace scenario veneziano dell’editoria, in un secondo momento aumenta in lui la consapevolezza che anche l’impiego di un emblema distintivo costituisce un fattore essenziale per conquistare l’attenzione e le preferenze del pubblico tanto quanto per rendersi riconoscibile e tutelarsi dai pericoli concorrenziali insiti nel mercato. Nel caso di Manuzio questo marchio è il celebre delfino che guizza attorno a un’ancora, binomio che sunteggia la sua strategia editoriale, caratterizzata dall’equilibrio tra valutazioni ponderate e determinazione del fare. La più profonda presa di coscienza della necessità di attribuire all’insegna editoriale e tipografica la garanzia di originalità (e di qualità) del prodotto, Aldo la rivela nel celebre Monitum rivolto nel marzo 1503 ai tipografi di Lione, i quali hanno contraffatto sue edizioni, prive tuttavia di note e marca aldine. Insieme con il privilegio, il cui impiego è invece di molto precedente, poiché apparve sin dal novembre del 1495 nell’Aristotele (cfr. scheda Aristotele 1495), l’insegna tipografica divenne con il tempo l’arma più adoperata per tutelare lo smercio delle aldine, caratterizzandole con un’icona, un timbro inconfondibile che Aldo adoperò anche per sigillo nei propri testamenti. E nel tempo proprio la marca fu garante di una continuità, non solo legata a un tratto esteriore, che mantenne pressoché inalterati gli elementi iconografici passando ai suoi eredi.Il prototipo della celebre marca aldina, rinvenuto sulla moneta romana donata all’editore dall’amico Pietro Bembo, compare già nell’Hypnerotomachia Poliphili (1499) ma è solo con il secondo volume dei Poetae Christiani veteres che comincia a essere impiegata regolarmente (cfr. scheda Poetae Christiani veteres, 1502) nel paratesto editoriale, in posizione incipitaria, finale oppure interna. L’edizione di Catullo, Tibullo e Properzio, che precede di pochi mesi quella dei Poetae, viene in luce ancora priva di marchio (cfr. scheda Catullo Tibullo Properzio, 1502). Riconoscimento identitario non significa fissità e rigidità nell’autorappresentazione. Il «segno» per eccellenza di Aldo subì infatti nel tempo lievi modifiche e adattamenti sia per i differenti contesti di presentazione sia per il tentativo di rendere forse più difficile imitare le aldine. La prima versione della marca presenta una doppia cornice, subito sostituita da una serie di punti a partire dal Dante in ottavo (cfr. schede Alighieri 1502, Valerio Massimo 1502), poi eliminata (cfr. scheda Erodoto 1502) e, infine, riproposta in una versione di dimensioni maggiori (cfr. scheda Ulpiano 1503). La marca di grandi dimensioni, esteticamente consona al formato in folio, fa la sua comparsa nell’Origene, a febbraio 1503. Le varianti conosciute dal giugno 1501 al febbraio 1515 sono ben 5 per i formati di maggiore dimensione, e addirittura 9 per le restanti imposizioni della forma. Talune tipologie furono impiegate in molte edizioni differenti, come accadeva di norma, ma parimenti si verificò che singole soluzioni grafiche apparissero rarissime volte in tutto il catalogo aldino, come è il caso della marca riprodotta nel Pontano, stampato nel 1513 (cfr. scheda Pontano 1513). Tale marca è l’unica del percorso espositivo a esemplificare i cosiddetto
«tipo 4», utilizzata da Manuzio in una sola altra occasione, oltre al Pontano, ovvero per le Horae del luglio 1505, in seguito scartata e ripresa solo dagli eredi di Aldo nel 1521 (Fletcher 1988, p. 48). A decretare la monumentalità editoriale dell’ancora con il delfino concorsero pure gli autori che la immortalarono letterariamente insieme con il motto «festina lente» («affrettati lentamente», fatto risalire ad Augusto). Fu infatti Erasmo negli Adagia a diffondersi lungamente sul suo significato simbolico, tracciandone il significato storico e potenziandone la diffusione, giungendo così a consacrarne l’interpretazione e l’identità. La marca aldina è divenuta pertanto nei secoli un elemento talmente caratterizzante che in alcuni casi gli studiosi tendono a sopravvalutarne l’importanza e l’affidabilità persino ai fini della datazione, come mostra il Demostene (cfr. scheda Demostene 1513), impresso forse nel 1513 ma posticipato in alcuni repertori a date più avanzate, solo e unicamente reggendosi sul tipo di marca utilizzato. La marca non fu certo l’unico segno distintivo di autopresentazione che garantì ad Aldo un successo duraturo, anche dal punto di vista commerciale: pure i cataloghi a stampa dove elencare le edizioni uscite dai torchi aldini e disponibili alla vendita sono uno dei pilastri della sua strategia imprenditoriale. Nel primo catalogo, munito di prezzi e databile dopo il primo ottobre 1498, Aldo punta soprattutto sulla produzione in greco, tanto da presentare solo «Libri Graeci impressi», per la prima volta citati con una certa completezza bibliografica rispetto agli esempi precedenti del genere, che risale almeno alla Roma di Sweynheym e Pannartz (Nuovo 2013). La destinazione del primo catalogo non è principalmente rivolta alla rete europea dei librai e dei distributori del libro tra Quattro e Cinquecento ma si indirizza anzitutto ai dotti, al pubblico accademico che lo tempesta di richieste, inviate per lo più per lettera, intorno alle sue edizioni e al loro costo. Nel secondo e terzo catalogo officinale (22 giugno 1503 e 24 novembre 1513) Manuzio aggiunge anche l’elenco dei testi in alfabeto latino (quindi sia latini sia volgari) e di quelli «portatiles in formam enchiridii». I greci mantengono una posizione di rilievo poiché sono sempre i primi a figurare, includendo pure alcuni titoli impressi da altre firme tipografico-editoriali ma vendibili «in bibliopolio nostro». La Biblioteca Universitaria di Bologna possiede un esemplare, rarissimo e unico in Italia, del catalogo che Renouard data al 1526 e che riprende lo schema e lo stile di presentazione dei titoli (tripartiti in greco, latino e portatili). Anche il volto commerciale dell’officina aldina, che nel frattempo è passata nelle mani dei Torresani e in particolare di Giovan Francesco, rimane cristallizzato in connotati ben noti, riconosciuti ormai dai clienti del marchio dell’ancora. La sola differenza sostanziale di informazione rispetto al catalogo del 1513 risulta essere infatti il formato, che compare accanto a ogni titolo. Pur non essendo un’edizione di Aldo il Vecchio, quest’ultimo ausilio del commercio librario d’età moderna è inserito nel percorso espositivo, a dimostrare come l’adozione di un ricorrente stile descrittivo dei libri in vendita rientrasse tra quei caratteri che assicurarono continuità e successo al segno di Aldo. Paolo Tinti
141 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
CATULLO TIBULLO PROPERZIO in 8°, gennaio 1502. In latino. R 39.16; U 52; A 55; M 76, 77; Fletcher, p. 100-6; Edit16 CNCE 10356
coll.: Raro B.53. Tiratura con errore tipografico a c. A1r: «Propetius» in luogo di «Propertius». Misure d’esemplare: legatura, mm 162x104x20; corpo del libro, mm 156x100x16.
14 2
L’edizione è da riferire alla serie di autori classici, pubblicati da Aldo a partire dal 1501, utilizzando in sinergia il formato in ottavo e il carattere corsivo. Il formato, in particolare, prima del 1502 è destinato principalmente alle operette devozionali. L’esemplare bolognese appartiene alla prima edizione aldina, ancora priva di marca tipografica e di registro. Aldo infatti, pur essendosi avvalso dell’ancora con il delfino sin dal 1501, non vi attribuì subito il valore e il significato che in seguito la marca tipografico-editoriale avrebbe acquisito nell’Europa dell’Umanesimo. Il Catullo presentò, nella prima impressione, la forma errata del nome dell’autore (Propetius) nell’incipit; inoltre nella prima dedicatoria di Manuzio (c. A1v) a Marin Sanudo, indicato qui come «Benedicti filio», in luogo dell’appropriato «Leonardi filio» (Dionisotti 1975, p. 56) I due errori sono corretti in corso di stampa e non danno pertanto origine, come riconosciuto sin da Renouard, a una nuova edizione, bensì soltanto a una variante in corso di tiratura. Una seconda lettera di dedica, sempre indirizzata a Sanudo ma per mano di Gerolamo Avanzio (metà XV sec., Verona; inizi del XVI secolo), curatore insieme con Manuzio, è posta tra l’opera di Catullo e quella di Tibullo (c. F2v-F4v): entrambe le dedicatorie sottolineano la massima cura avuta nella stampa della presente edizione e la scelta del formato in ottavo per una maggiore comodità e maneggevolezza. Nella propria dedica, Manuzio denuncia una tiratura, assai elevata per l’epoca, di ben tremila copie e si augura per esse una ampia diffusione; Renouard interpreta tale affermazione come riferibile all’intero insieme, ipotizzando l’impressione di circa mille copie per ciascuno dei tre autori, sulla base del numero medio di copie abitualmente prodotte in una unica tiratura dall’editore per quei formati. Diversamente Lowry, considerando anche l’indicazione nella lettera dedicatoria di Avanzio «tria exemplorum milia politis typis impressurus», interpreta le tremila copie come cifra unica, identificandola come una delle tirature più elevate per il panorama tipografico dell’epoca (Lowry 2000). Il volume reca a c. A1r il timbro ovale della Regia Biblioteca di Bologna, risalente al periodo 1861-1885. Dion i so t t i 1 975 ; A sch e ri , C ol l i 2006; L owry 2000.
e.p.
143 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
POETAE CHRISTIANI VETERES in 4°, vol. 2 giugno 1502. Per l’opera e l’edizione cfr. scheda Poetae Christiani veteres 1501-1504. coll.: A.V.D.IV.23 (possessore: Gregorio Amaseo, 1464-1541). in luogo di «Propertius». Misure d’esemplare: legatura, mm 202x143x40; corpo del libro, mm 192x136x35.
14 4
La marca tipografica ed editoriale – destinata a identificarsi con la proposta culturale e con il catalogo di Aldo – appare qui per la prima volta, dopo il «very elegant prototype» (Fletcher 1988, p. 44) dell’Hypnerotomachia Poliphili nel dicembre 1499, dove sono raffigurati il delfino e l’ancora in assetto orizzontale, insieme con varianti del motto «festina lente», sia in latino sia in greco. Accostata al nome dell’editore, espresso nella forma di «AL|DVS» (c. [*]8v), l’insegna, oggetto di privilegio del Senato della Serenissima sin dal 23 marzo 1501, è infatti impressa al vol. 2 dei Poetas Christiani veteres, che recano al colophon la data del giugno 1502. Come notato (Fletcher 1988, p. 45), il doppio bordo che la incornicia risulta irregolare, prova di un uso che lo ha evidentemente danneggiato. Forse è anche per questa ragione che l’emblema distintivo di Aldo – lo stesso impiegato dall’editore umanista come proprio sigillo (Plebani 2015) – fu immediatamente ripensato in una successiva versione e nel tempo subì lievi modifiche. La dimensione dell’immagine doveva inoltre adattarsi all’ampiezza differente della pagina a stampa, organizzata in grandi e piccoli formati. Dall’in 8° all’in folio, Aldo fu dunque costretto a escogitare numerose declinazioni del suo «segno», costantemente realizzate ricorrendo alla tecnica xilografica, inchiostrate in nero e, più raramente, in rosso (cfr. scheda Manuzio 1507-1508). Ad oggi, dal giugno 1501 al febbraio 1515 sono conosciute ben 5 varianti per i formati di maggiore dimensione, e addirittura 9 per le restanti casistiche tipografiche. Al di là della tradizionale differenza tra ancora più sottile e ancora «grassa», ossia realizzata con tratto più chiaroscurato e legata alle edizioni più tarde, è molto significativa l’associazione del nome dell’editore, che non sempre compare accostato al suo marchio. Numerose sono le tipologie che attestano il semplice nome di «AL|DVS», come previsto dal primigenio disegno, la sola indicazione che compare nelle marche di dimensioni più ridotte; per i volumi in folio, invece, la misura più ariosa della xilografia consente all’editore di aggiungere al proprio nome la sigla «M. R.» o «MA. RO.», ossia «Manutius» e «Romanus». Aldo, appellandosi «Romanus» poteva così alludere – ancor più esplicitamente di quanto già non facesse nei testi prefatori – alle sue origini latine, ai valori che l’Umanesimo, richiamandosi direttamente agli studia humanitatis, intendeva celebrare anche attraverso il catalogo delle aldine, la biblioteca di Aldo, la quale non aveva, come ricordò Erasmo negli Adagia (Festina lente, n. 1001), «altro confine che il mondo stesso» (Erasmo da Rotterdam 2014 2014, p. 70), come l’impero di Roma. La Romanitas aldina, oltre a celebrare la comunità di dotti riuniti intorno alla Respublica di Venezia, nuova Bisanzio ma anche nuova Roma, rinsaldava il legame tra la marca e il motto, che peraltro mai figura accostato all’ancora avvinta dal delfino. Il motto «festina lente» («affrettati lentamente»), infatti, come racconta lo stesso Erasmo nell’Adagium appena ricordato, era giunto nelle mani di Aldo da Pietro Bembo che donò all’amico editore la moneta fatta coniare dall’imperatore Tito Vespasiano, dove Aldo incontrò emblema e sentenza, per tradizione fatta risalire ad Augusto. Soprattutto nei primi anni della sua avventura editoriale, imperniata sulle edizioni greche e sui testi grammaticali, l’ancora aldina non fu assiduamente presente nel paratesto di Aldo (cfr. scheda Catullo 1502, dove la marca è ancora assente). Con il passare del tempo, quando il catalogo di Manuzio accolse al suo interno anche i classici latini, quelli volgari, alcuni testi religiosi, e in particolar modo a partire dal 1512 (cfr. U,
p. 27), l’emblema del «festina lente» comparve con maggiore regolarità, solitamente nei luoghi canonici dell’incipit, del colophon, al verso dell’ultima carta, anche contemporaneamente. In rari casi (cfr. scheda Scriptores rei rusticae 1514) anche nei protofrontespizi interni, ripetuta poco dopo l’incipit. L’esemplare è appartenuto all’umanista Gregorio Amaseo (pur non figurando fra i libri da lui persi nel 1509, cfr. Frati 1896) che insegnava latino a Venezia, su incarico del Senato, nella stessa scuola della Cancelleria Ducale in cui Marco Musuro esercitava il proprio magistero greco. Frati 18 96 ; Fletcher 1988; Grafton 1995; Erasmo da Ro t t e rda m 2014; Plebani 2015.
p.t.
145 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
ULPIANO Commentarioli, in folio, ottobre 1503. In greco e latino. R 41.6; U 77; A 79; M 84; Sicherl, p. 350-1; Edit16 CNCE 55857
coll.: A.V.D.IX.15/2. in luogo di «Propertius». Misure d’esemplare: legatura, mm 293x190x33; corpo del libro, mm 285x180x27.
coll.: A.V.D.IX.13/2 (provenienza: Convento del SS. Salvatore, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 293x 193x66; corpo del libro, mm 282x182x22. Legato con: Demostene, Orationes duae & sexaginta,
14 6
ottobre, novembre 1504 [ma 1513] (cfr. scheda Demostene 1504).
Tra i testimoni recentiores dei Commenti a Demostene attribuiti a Ulpiano di Emesa, retore tardoantico che insegnò ad Atene all’epoca dell’imperatore Costantino, il codice della Bibliothèque Nationale di Parigi (BNF, Par. Gr. 2939), poco rilevante ai fini della constitutio textus, riveste un interesse particolare per gli studi manuziani e, più in generale, per la storia della tradizione: è stato riconosciuto infatti come l’antigrafo diretto dell’edizione aldina uscita nell’ottobre del 1503 (Lobel 1933, p. 58; cfr. anche Sicherl 1997, p. 350-1). Il codice è un composito di due unità sostanzialmente coeve, entrambe quattrocentesche e associate precocemente, entrambe appartenute a Gian Francesco d’Asola: all’epoca della stampa, tuttavia la prima era ancora separata dalla seconda, che sola fu usata in tipografia per la stampa di Ulpiano. Il copista dell’esemplare di tipografia si sottoscrive a c. 251v, rivelando il suo nome e la data di conclusione della copia: si tratta del cretese Nicola Vlasto, noto soprattutto per aver dato vita assieme al conterraneo Zaccaria Calliergi all’impresa che stampò a Venezia l’Etymologicum magnum (1499, IGI 3720), i commenti di Simplicio ad Aristotele (ottobre 1499, IGI 9016), il commento a Porfirio di Ammonio (maggio 1500, IGI 442) e i Therapeutika di Galeno (ottobre 1500, IGI 4128). Potrebbe sembrare strano che Manuzio si sia servito di un codice scritto da Vlasto, anima di una tipografia talora presentata come rivale di quella aldina; e lo stupore potrebbe aumentare quando si consideri che alcune correzioni al codice di Parigi, confluite nella stampa, in precedenza assegnate alla mano di Manuzio stesso (Cataldi Palau 1998, p. 443-4, tav. 45-6), sono state recentemente attribuite a quella di Calliergi (Chatzopoulou 2010, p. 201-2). Si potrebbe pensare che Aldo abbia raccolto e utilizzato i materiali preparati dai due in vista di un progetto da portare avanti in proprio, poi naufragato con il fallimento della loro stamperia; del resto, dai cataloghi di vendita aldini del 1503 e del 1513 si apprende che Manuzio smerciava copie dei volumi usciti dalla tipografia Vlasto-Calliergi, frattanto chiusa. Ad ogni modo, anche senza voler formulare ipotesi circostanziate, i progressi della ricerca paleografica invitano a ripensare in chiave di una maggiore complessità i rapporti all’interno del mondo dell’editoria veneziana tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, spesso cristallizzati in opinioni vulgate, fondate su esili dati, non sempre semplici da interpretare (per Calliergi copista e correttore di altri codici serviti a edizioni manuziane cfr. scheda Aristofane 1498 e Chatzopoulou 2010). Uno dei due esemplari conservati nell’Universitaria bolognese proviene dal monastero del SS. Salvatore ed è legato con l’aldina di Demostene datata 1504 ma forse stampata nel 1513 (cfr. scheda Demostene 1504). Arduo è ricostruire la provenienza dell’altro esemplare bolognese, che presenta all’incipit la marca aldina ritagliata, forse per cancellare il nome di un precedente possessore. Il volume fu comunque conservato in Biblioteca almeno dall’epoca della Restaurazione (come prova il timbro tondo a inchiostro della «Pontificia Biblioteca di Bologna» all’incipit). L’edizione attesta all’incipit (c. AA1r) la marca adottata per gli esemplari in folio (Fletcher 1f), di dimensioni quindi più ampie (mm 75x107) rispetto a quella utilizzata nei formati minori. L’insegna, inserita nella doppia cornice come la prima marca impiegata da Aldo nel 1502, fu riusata sino al 1513. La caratterizza il motto «ALDVS MA[NUTIUS]. RO[MANUS].», separato dall’asta dell’ancora e adornato da quattro stelle. Lobel 1933; Sicherl 1997; Cataldi Palau 1998; Chatzopoulou 2010. d.s.
147 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
DEMOSTENE (384-322 a. C.)
Orationes duae & sexaginta, in folio, ottobre 1504, novembre 1504 [ma 1513]. Editio princeps. In greco e latino. R 47.7; U 87, 191; A 89 b; M 104; Fletcher, p. 55-9; Edit16 CNCE 16733
coll.: A.V.D.IX.15/1 (provenienza: Convento della SS. Annunziata, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 291x197x48; corpo del libro, mm 280x183x42. Legato con: Ulpiano, Commentarioli in Olynthiacas, (cfr. scheda Ulpiano 1503).
coll.:A.V.D.IX.13/1 (provenienza: Convento del SS. Salvatore, Bologna).
14 8
Misure d’esemplare: legatura, mm 293x193x66; corpo del libro, mm 282x182x40.
Le aldine di
Scipione Bianchini
L’appassionata epistola prefatoria a Daniele Clario, umanista poco noto che insegnava a Ragusa, in Dalmazia, che apre l’editio princeps delle 62 orazioni di Demostene, accompagnate dagli Argumenta di Libanio e introdotte dalle biografie dell’oratore ateniese redatte dallo stesso Libanio e da Plutarco, getta luce sulle vicende di questa edizione. Dopo avere elencato succintamente le avversità occorse all’oratore nel corso della sua vita, Aldo afferma che numerose sono state le difficoltà sopraggiunte anche nella pubblicazione del testo, interrotta più volte e portata a termine solo grazie all’insistenza del patrizio veneziano Angelo Gabriel, collaboratore di Aldo e amico di Pietro Bembo. I due tomi di Demostene, numerati per pagine, sono preceduti da un quinterno e un quaderno non numerati in cui è il sommario delle orazioni, con riferimento ai numeri delle pagine in cui esse appaiono. La particolare attenzione agli indici, al numero di pagina e alle varianti (come si può notare anche nel binione finale) si può facilmente spiegare grazie alla notizia della collaborazione alla redazione del volume da parte di Scipione Forteguerri detto il Carteromaco, ricordato nell’epistola prefatoria e autore della prefazione al volume Ad Philologos (Vecce 1998, p. 129-30). Carteromaco aveva infatti dedicato a Demostene una serie di lezioni pubbliche proprio a Venezia e pubblicherà presso Aldo la sua Oratio de laudibus literarum graecarum (1504). Sempre la dedicatoria permette di collocare l’aldina, tra le migliori che Aldo stampò, come lui stesso dichiara in apertura, all’interno del programma pedagogico-politico che riecheggia gli insegnamenti della scuola di Guarino e degli umanisti fiorentini, sottolineando come la lettura degli oratori greci e in particolare di Demostene, possa essere considerata fondamentale per le personalità politiche veneziane, impegnate anch’esse, come l’oratore greco, nella difesa degli ideali repubblicani contro la tirannide. Come è stato ribadito anche da recenti studi (Cataldi Palau 1998, p. 100), Aldo pubblicò due edizioni di Demostene entrambe con data 1504, con minime differenze di composizione tipografica. La seconda edizione si ritiene successiva al 1504 e, nonostante non ci sia accordo unanime sulla datazione, sulla scorta di Renouard si può ipotizzare la sua pubblicazione attorno al 1513. L’esemplare bolognese è riconducibile proprio all’edizione posteriore. Nonostante manchi una nota di possesso autografa, tra altre due mani cinquecentesche è ben riconoscibile quella di Scipione Bianchini caratterizzata dalle tipiche note latine e greche in inchiostro rosso. Il volume presenta annotazioni e rimandi solo fino a p. 52, vol. 1; postille e segni d’attenzione sembrano tuttavia riflettere uno studio meno approfondito di quello effettuato da Scipione Bianchini su altri esemplari. Dioniso t t i 1 975 ; P iova n 1 997; C ata l di Pa l au 1 998 ; Ve cce 1 998 .
g.v.
149 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
GIOVANNI GIOVIANO PONTANO (1429-1503)
Opera, in 8°, 1513. In latino. R 63-64.7; U 109; A 119; M 109, 110; Edit16 CNCE 37456
coll.: Raro B.99. Misure d’esemplare: legatura, mm 164x111x36; corpo del libro, mm 157x96x31.
150
Giovanni Pontano, dopo un’intensa stagione di attività politica, diplomatica e militare, trascorse il resto della vita dedicandosi alla scrittura di opere poetiche e in prosa e alla rielaborazione di testi già abbozzati, com’è il caso del poema didascalico Urania o del Meteororum liber (De Nichilo 1975, p. 12-26). Aldo Manuzio, che aveva letto alcune opere in versi nella copia in mano di un suo allievo, il poeta bergamasco Suardino Suardi, fece conoscere all’autore attraverso la prefazione alla sua edizione dello Stazio del 1502 (cfr. scheda Stazio 1502), dedicata proprio al Pontano, la volontà di pubblicare tutte le sue opere in rima e in prosa. Iniziò così una complessa e interessante vicenda (ricostruita da Monti Sabia 1969, p. 319-36) sia epistolare che di invii da parte dell’autore di copie pronte per la stampa all’editore, contenenti anche la redazione finale degli Orti delle Esperidi e alcuni Hendecasyllabi, che tuttavia non giusero al destinario, costringendo Manuzio a posticipare la pubblicazione. Pontano moriva nell’autunno del 1503 senza averne visto la stampa. Solo nell’estate del 1504 arrivò la copia dispersa a Manuzio, contenente le Esperidi e gli Hendecasyllabi e le Ecloghe I-IV. Nell’agosto del 1505 tutto questo materiale era stampato ma Manuzio cercò di ottenere dalla cerchia napoletana del Pontano altre composizioni liriche. Nel frattempo però Pietro Summonte (14531526), allievo di Pontano, stava curando l’uscita delle opere liriche. Ne sortirono così due edizioni contemporanee che si spartirono in parte la produzione poetica: quella eroica riversata nell’aldina, a cui però Aldo aggiunse nella seconda sezione parte di liriche non riviste dal Pontano (i Tumuli, alcune Neniae) estratte dalla stampa degli Opuscula del Tifermate, impressa nel 1498 da Bernardino Vitali (IGI 4482), e quella lirica nell’edizione napoletana uscita nel 1505 con i tipi di Sigismondo Mayr (Edit16 CNCE 29824). La copia bolognese appartiene alla seconda edizione a cui Aldo aggiunse 5 epigrammi, altre 6 composizioni raccolte sotto il titolo di Iambici, e 12 sotto il titolo De Laudibus divinis, per un totale di 14 carte supplementari. A differenza della princeps, le carte sono numerate. L’esemplare bolognese narra un’interessante vicenda di censura e di successivo reintegro di parole o brani di rime. Un lettore (tardo XVI sec.?) ha più volte sbarrato a penna dei blocchi di rime annotando a fianco le sue impressioni su parti erotiche del testo come a c. 186r («Indigna morigerato homine»), c. 205v («affectate turpitudines»), oppure cancellando con l’inchiostro parole ritenute lascive, a c. 231v, 232 r. A c. 187r a fianco di «Amplexus, sine amante, mutuum nil» è la nota «Bestialis suasio». Interessante è la postilla di c. 215v, riferita alla biografia di Pontano, che ebbe una relazione amorosa anche a tarda età: a margine di una cancellazione il lettore ha chiosato «senex obscenus». Una mano posteriore, forse del XVII secolo, ha invece operato talvolta integrando a margine le parole cancellate o interi brani, come alle carte 231v, 232r e soprattutto a c. 231r. La stessa mano ha annotato a fianco di alcuni titoli il riferimento alle pagine di un esemplare di un’edizione delle liriche del Pontano servita per il confronto e il reinserimento dei testi, forse tarda, non corrispondendo né alla stampa napoletana né alle aldine successive. Mont i Sabi a 1 969; D e Nich i l o 1 975 ; Figl i uol o 2009; Mon t i Sa bi a , Mon t i 2010.
t.p.
151 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
SCRIPTORES REI RUSTICAE in 4°, maggio 1514. Contiene opere di Catone (234-149 a.C.), Varrone (116-27 a.C.), Columella (I sec. d. C.), Palladio (IV sec. d. C.), Giorgio Merula (ca. 1430-1494). In latino. R 66.2; U 121; A 123; M 143; Edit16 CNCE 37471
coll.: A.V.D.IV.8 (possessore: Boniface d’Avignon, XVI sec.; Michel Varro, Ginevra, m. 1586). Mutilo di cc. *1 e *2. Misure d’esemplare: legatura, mm 225x145x45; corpo del libro, mm 215x135x40
152
L’edizione comprende opere di Catone, Columella, Palladio, G. Merula e Varrone, ed è curata da fra Giovanni Giocondo da Verona, che firma una delle due dedicatorie a papa Leone X (Lowry 2000, p. 366). Renouard precisa che l’individuazione di una precedente proposta editoriale, attribuita da alcuni al 1513, non è corretta e sarebbe invece il risultato dell’alterazione meccanica del colophon, dove sarebbe stata abrasa l’ultima cifra (corrispondente al numero romano «I») dalla data di stampa. Il fascicolo *8 non è indicato nel registro (c. Q8r) e tale assenza ha fatto sì che la sua eventuale mancanza in alcuni esemplari non fosse rilevata. La stampa presenta due incipit in forma di sommario, con marca e privilegio, rispettivamente a c. *1r e a c. aa1r. Al verso del primo incipit è la dedicatoria di Pietro Bembo a papa Leone X (cc. *1v-*2r), seguita da due avvisi al lettore, firmati da Manuzio (c. *3r, *3v-*6r), il secondo dei quali contiene la spiegazione della suddivisione di ore e giorni, trattata nell’opera di Palladio (Dionisotti 1975, p. 137-143); al verso del secondo incipit, compare la lettera di Giorgio Merula a Pietro Prioli. Chiude il fascicolo *8 un lungo elenco di errata (cc. *6v-8r), che termina con il verso dell’ultima carta lasciato in bianco. Nonostante non manchino esemplari completi sia del fascicolo *8 sia del secondo incipit, come attestano l’aldina marciana (BNM, 386.D.132) o quella estense (BEU, A.86.Q.25), sono altresì presenti volumi mutili, alternativamente, o dell’intero *8 o del secondo frontespizio (c. aa1). L’esemplare bolognese presenta il fascicolo *8, ma non integro: mancano infatti le dedicatorie di Bembo e di fra Giovanni Giocondo. Essendo caduto il primo incipit (c. *1), in fase di legatura il secondo incipit (c.aa1) è stato spostato dalla sua posizione originaria a quella iniziale, per colmare tale lacuna e presentare la celebre marca con il delfino in testa alle carte componenti il volume. Rubricato e forse caratterizzato da un intervento di decorazione ancora più complesso, forse perduto insieme con le carte cadute, esso contiene postille, anche in greco, e varianti testuali risalenti al XVI secolo e capilettera ornati. A c. Q8r è la nota di possesso manoscritta: «B[onifacio]. Auinio, Arelate[n]sis.»; al verso compaiono altre due annotazioni vergate a mano, entrambe cancellate con tratti di penna: «Su[m] Michaelis Var[ron]is […] qui fuit è syndicis Geneue[n]sibus.»; «Bonifacius Auinio, Arelate[n]sis, emtus [i.e. emptus] in auctione 39 assib[us] Sab[?]». D ion i so t t i 1 975 , L owry 2000.
e.p.
153 IL SUCCESSO DI UN SEGNO
IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
155 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
C L I E N T I E C OL L E Z ION I S T I DI A L DI N E :
S C I P ION E B I A NC H I N I , G I ROL A MO DA B R I N DI S I , P OM P E O Z A M B E C C A R I , U L I S S E A L DROVA N DI E L A B I B L IO T E C A DE L S . S . S A LVAT OR E a cura di Giuseppe Olmi, Ilaria Bortolotti
LE ALDINE DI SCIPIONE BIANCHINI
LE ALDINE DI ULISSE ALDROVANDI
LE ALDINE DEL SS. SALVATORE
AMMONIO DI ERMIA
LORENZO MAIOLO
RHETORES GRAECI
in folio, giugno, 17 ottobre 1503.
in 4°, [ante 13 settembre] 1497.
in 4°, vol. 1: novembre 1508; in 4°, vol. 2: 21 maggio 1509.
RHETORES GRAECI
GIAMBLICO
in 4°, vol. 1, novembre 1508.
in folio, settembre 1497.
PLUTARCO
EPISTOLAE DIVERSORUM
POETAE CHRISTIANI VETERES
ARISTOTELE
n 4°, pt. 1 [29] marzo 1499; pt. 2 [non
in 4°, vol. 1: gennaio 1501/1502;
in folio, febbraio 1513/1514, marzo 1514.
prima del 17 aprile 1499].
vol. 2: giugno 1502.
PINDARO
GIORGIO VALLA
in 8°, gennaio 1513/1514.
in folio, dicembre 1501.
LE ALDINE DI POMPEO ZAMBECCARI
TERENZIO FLORENIO
LUCIANO DI SAMOSATA
in 4°, 18 agosto 1502.
in folio, marzo 1503, giugno 1503.
FLAVIO FILOSTRATO in folio, febbraio 1502/1503 [maggio 1504.].
ESICHIO in folio, agosto 1514.
IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
in folio, marzo 1509. LE ALDINE DI GIROLAMO DA BRINDISI
157
ORATORES GRAECI in folio, aprile 1513, maggio 1513.
ALESSANDRO D’AFRODISIA in folio, settembre 1513, febbraio 1514.
D
158
ei circa settanta esemplari di aldine conservati presso la Biblioteca Universitaria di Bologna ben 52 documentano note di provenienza o di possesso, ossia tracce che guidano nell’individuare precedenti lettori, nel più ampio senso del termine, che abbiano usato riguardo ai libri di Aldo, valutandone la qualità e apprezzandone il pregio. Come è naturale, i più comuni marks in book rimandano a biblioteche di case e ordini religiosi (come la congregazione del SS. Salvatore, il convento della SS. Annunziata, il Collegio dei Gesuiti) confluiti nell’Universitaria a seguito delle soppressioni, oppure a raccolte librarie di bolognesi illustri, primi fra tutti Ulisse Aldrovandi e Benedetto XIV, che rappresentano alcuni dei principali nuclei costitutivi dell’Universitaria stessa. I possessori individuati non si limitano, tuttavia, all’ambito cittadino e alle provenienze originarie dell’attuale raccolta ma spaziano nell’Europa del Rinascimento, dove i libri di Manuzio trovarono ampia e pronta diffusione. Sfogliando attentamente le carte di incunaboli e cinquecentine affiorano gli esempi eloquenti di Gregorio Amaseo (cfr. scheda Poetae Christiani Veteres 1502), dell’ancora sconosciuto Girolamo da Brindisi, entrambi legati alla Venezia dell’umanesimo greco (cfr. schede Epistolae diversorum 1499, Sofocle 1502) oppure del non meglio identificato possessore dell’esemplare di Lucrezio, un certo Andrea Pasqualino, che ci informa di aver acquistato il volume mentre era studente a Bologna (cfr. scheda Lucrezio 1515). L’esame approfondito degli esemplari recanti indizi sul loro uso passato e sulle molteplici forme in cui tale uso si è via via depositato sui volumi, permette di comprendere più a fondo quale significato attribuissero i lettori della prima età moderna a un titolo acquisito dal catalogo di Aldo. Non si tratta unicamente di individui ma a volte di intere comunità di lettura, di studio e di spiritualità che trovano nell’offerta di Manuzio un sicuro punto di riferimento. La ricca ed antica biblioteca dei canonici renani del SS. Salvatore conteneva moltissime aldine, sia greche sia latine, da tempo conosciute grazie a molteplici inventari ma solo in occasione della mostra individuate in copie oggi custodite nell’Universitaria, dove con ogni verosimiglianza furono condotte unitamente al patrimonio manoscritto sottratto agli enti religiosi in età napoleonica (cfr. schede Ulpiano 1503, Senofonte 1503, Filopono 1504, Rhetores Graeci 1508-1509, Plutarco 1509, Demostene 1504, Oratores 1513, Platone 1513, Alessandro d’Afrodisia 1513, Aristotele 1513/1514, Ateneo 1514). Altre aldine già appartenute al SS. Salvatore sono state rintracciate in Francia (Tavoni 2006), come l’Aristofane del 1498 (cfr. Aristofane 1498), giunto all’Universitaria grazie all’esemplare acquisito insieme con i libri dei domenicani. Maggiormente circoscritto, ma non per questo meno significativo, è il numero di edizioni d’Aldo acquistate da singole personalità, non legate a monasteri, a conventi o ad altre collettività religiose, pur seguendo talvolta un solco di lunga durata, tracciato dalla tradizione familiare. Tra questi individui spicca la figura di Scipione Bianchini, fiorito intorno al 1540, alla cui biblioteca vanno fatti risalire almeno quattro esemplari fittamente postillati in latino e in greco. Essi mostrano l’utilizzo intensivo delle aldine come strumenti di studio, non certo come oggetti da collezione (Grafton 1995, p. 235; cfr. schede Tucidide 1502, Ammonio di Ermia 1503, Rhetores Graeci 1508, Demostene 1513). Scipione era figlio dell’umanista Bartolomeo,
allievo e biografo di Codro nonché possessore di una ricchissima biblioteca latina e greca, dove erano già entrate molte aldine, difficilmente identificabili partendo dagli strumenti inventariali ad oggi rintracciati. Le annotazioni di possesso di Scipione e le sue note confermano la predilezione per la letteratura greca, in particolare per le opere di retorica e per gli scritti aristotelici, che costituiscono il fiore all’occhiello della produzione di Aldo. Oltre ai tre esemplari dell’Universitaria, a Scipione appartennero anche i volumi 2, 3 e 5 degli opera omnia di Aristotele, custoditi presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, di recentissima identificazione (Farinella, Rebellato 2015, p. 11-2). Scipione, che fu allievo di Romolo Amaseo, fu dunque un appassionato lettore di Aristotele come ben dimostrano i tre tomi dell’Archiginnasio e quello dei Commentaria di Ammonio, appena citato e custodito all’Universitaria. I libri che recano memoria del possesso di Bianchini provengono in genere dal convento della SS. Annuziata di Bologna, destinatario del dono librario forse per espiare i contatti intrattenuti da Bianchini con gli ambienti eretici e spiritualisti (Cfr. Dall’Olio 1999, p. 140-1). I bisogni di lettura possono essere a volte anche più indiretti e meno appariscenti del caso appena citato. Il vescovo Pompeo Zambeccari, morto nel 1571, fu esponente di una delle più note famiglie bolognesi. Il suo nome è da annoverare tra la clientela aldina che si presenta eterogenea dal punto di vista delle disponibilità economiche, degli interessi culturali e dell’appartenenza sociale. Zambeccari, ad esempio, più attivo sul fronte della committenza artistica che nel collezionismo librario, nutriva un profondo interessamento per l’ambito figurativo e perciò si procurò l’edizione di Luciano, proprio perché stampata insieme con uno scritto di Filostrato sulla pittura antica (cfr. scheda Luciano 1503). Il naturalista Ulisse Aldrovandi (1522-1605), scienziato possessore di una biblioteca amplissima, formata da circa 3.500 volumi, sembra aver acquistato aldine soprattutto per gli autori proposti. I pezzi di Manuzio provenienti dalla sua raccolta, donata al Senato di Bologna e poi confluita nelle collezioni dell’Istituto delle Scienze, riflettono la sua natura di lettore onnivoro: accanto ai trattatelli medici come Maiolo, troviamo filosofi antichi orientati a temi esoterici, quali Giamblico e Filostrato, opere di consultazione, come la compilazione enciclopedica di Giorgio Valla e il dizionario greco di Esichio, e anche antologie poetiche (cfr. schede Maiolo 1497, Giamblico 1497, Poeta Christiani veteres 1501-1502, Valla 1501, Filostrato 1502/1503, Esichio 1514). La maggior parte di questi libri presenta scritture autografe, riconducibili alla volontà di Aldrovandi di indicizzare le informazioni registrate nei testi e nei loro apparati indicali, al fine di recuperarle, al bisogno, nel minor tempo possibile, per non rischiare di perdersi nell’oceano della sua biblioteca (Tavoni 2011). Accanto alle esigenze di conoscenza e di studio che guidano gli acquisti di umanisti come i canonici renani, gli Amaseo, i Bianchini e l’Aldrovandi, tra le aldine dell’Universitaria bolognese sono attestati anche esemplari miniati, che testimoniano la diversa sensibilità verso l’oggetto libro coltivata da una clientela aristocratica, che privilegiava le qualità estetiche dei prodotti librari accanto alla fruizione dei contenuti (cfr. schede Alighieri 1502, Valerio Massimo 1502). Ilaria Bortolotti
159 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
AMMONIO DI ERMIA (440-520 d. C.)
Commentaria in librum Peri Hermenias, in folio, giugno, 17 ottobre 1503. In greco. R 40.4; U 76; A 78; M 81, 82; Edit16 CNCE 1595
coll.: A.V.D.IX.11 (possessore: Scipione Bianchini, fine XV sec. – 1545 ca.). Misure d’esemplare: legatura, mm 295x193x29; corpo del libro, mm 287x182x23.
Le aldine di
Scipione Bianchini
160
Come ricordato nella chiusura della dedica e nell’introduzione al primo volume degli Opera aristotelici, la pubblicazione del commento del filosofo bizantino Ammonio al libro De interpretatione e In decem predicamenta di Aristotele, corredato dai commenti di Magentino Mitilene allo stesso De interpretatione e alla Paraphrasis in librum Peri hermeneias di Michele Psello, costituiva una prima tappa nelle intenzioni di Aldo che progettava l’edizione, accanto a quella di Aristotele in cinque volumi, anche degli antichi commenti di Ammonio, Simplicio, Porfirio, Alessandro d’Afrodisia e Temistio. La cura editoriale di queste opere era strettamente complementare all’edizione degli Opera omnia di Aristotele e al contempo mirava a contrapporre ai diffusissimi commenti arabi e cristiani, l’interpretazione dei greci allo Stagirita, sulla strada dei veneziani Ermolao Barbaro e Girolamo Donato. Tuttavia, per ragioni di natura non chiara, di questo ambizioso progetto editoriale Aldo riuscirà a pubblicare solamente, oltre ad Ammonio, i commenti di Filopono (cfr. scheda Giovanni Filopono 1504) e, a grande distanza, di Alessandro di Afrodisia (cfr. scheda Alessandro d’Afrodisia 1513). Il testo è composto in un raffinato carattere corsivo greco e in tre casi (cc. AA5v, AA7r, AA7v) è iscritto entro tondi. È da rilevare come nella dedica di questa edizione ad Alberto Pio, signore di Carpi, Aldo compaia per la prima volta con l’appellativo gentilizio dei Pio. L’esemplare presenta la nota di possesso di Scipione Bianchini («Scipionis Blanchinj», c. A1r), integrato in greco e in latino con la menzione del commento di Ammonio In decem predicamenta. Fittamente postillata in più riprese quasi esclusivamente sulle pagine che recano i commenti di Ammonio, l’aldina fu probabilmente letta dal Bianchini a stretto confronto con gli esemplari dell’Aristotele dell’Archiginnasio (BCAB, 16.M.1.15-16), annotati in maniera simile e anch’essi caratterizzati da una fitta rete di note e rimandi. Dioniso t t i 1 975 ; Era smo da Ro t t e rda m 2014; Fa ri n e l l a , R e be l l at o 201 5 .
g.v.
161 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
RHETORES GRAECI in 4°, vol. 1: novembre 1508. Per l’opera e l’edizione cfr. scheda Rhetores Graeci 1508-1509. In greco. 2 voll. R 54.4; U 99; A 102; M 118; Sicherl, p. 325-40; Edit16 CNCE 2146
coll.: A.V.D.IX.24 (provenienza: Convento della SS. Annunziata, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 300x203x63; corpo del libro, mm 291x188x52.
Le aldine di
Scipione Bianchini
Tra le opere di retorica presenti nell’antologia aldina e segnalate nell’indice, una posizione di preminenza è occupata da Aristotele, attestato con i tre libri di Retorica e con la Poetica, che deve aver rappresentato l’interesse di lettura prevalente del suo più importante possessore, con ogni verosimiglianza da individuarsi in Scipione Bianchini. I Rhetores infatti costituirono un punto di partenza essenziale per la riflessione sulla retorica sviluppatasi nel Cinquecento in Italia ed Europa, riflessione che vedrà la sua fonte primaria proprio nel dettato aristotelico, conosciuto in lingua originale. Come testimoniato dalle postille ai tre volumi aristotelici dell’Archiginnasio e all’esemplare del Commento di Ammonio qui analizzato (cfr. scheda Ammonio 1503), Scipione fu un appassionato studioso di Aristotele. Non si può trascurare infatti che il Bianchini si trovò a frequentare l’università in un periodo in cui gli studi aristotelici erano il fiore all’occhiello dello Studio bolognese grazie alla presenza di Pietro Pomponazzi e di Giovanni Filoteo Achillini e non c’è dunque da meravigliarsi se buona parte dei suoi libri riflettono letture comuni dell’aristotelismo cinquecentesco. Se le postille ai Progymnasia di Aftonio paiono essere di una mano diversa da quella di Bianchini, con ogni probabilità sono invece ascrivibili a Scipione le fitte note greche in inchiostro rosso su alcune pagine della Retorica aristotelica che confermano il grande interesse di Bianchini per i testi aristotelici. Da rilevare i continui riferimenti alle citazioni di Aristotele da parte degli autori latini (p. 161-7) e l’interessante richiamo ad Ammonio a p. 546 (cfr. scheda Ammonio 1503) che testimonia la lettura in parallelo dei due testi. Dionisotti 1975; Ceresa 2004
162
g.v.
163 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
EPISTOLAE DIVERSORUM philosophorum, oratorum, rhetorum, n 4°, pt. 1 [29] marzo 1499; pt. 2 [non prima del 17 aprile 1499]. Per l’opera e l’edizione cfr. scheda Epistolae diversorum 1499. coll.: A.V.KK.XI.36 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758; possessore: Girolamo da Brindisi, sec. XVI). Fascicoli η6 e ζ6 invertiti. Caronti 335, p. 200-1. Misure d’esemplare: legatura, mm 215x158x51; corpo del libro, mm 208x153x41.
Le aldine di 164
Girolamo da Brindisi
L’esemplare bolognese fu postillato da «Girolamo di Brindisi», umanista altrimenti non identificato, che lasciò vergato nell’incipit il motto omerico «kai kynteron allo» (Od. XX, 18), impiegato a mo’ di segno di possesso e rinvenuto in altri volumi della biblioteca di Bologna. Numerose e diversificate sono le tracce di lettura: dall’apposizione del numero arabo quasi esclusivamente nelle pagine dispari, come si trattasse di una cartulazione, al completamento dei sommari con cui si aprono le due parti, con aggiunti i nomi degli autori e il rinvio alle pagine relative, all’inserimento dei titoli correnti, così da facilitare un uso rapido e desultorio della raccolta epistolografica attraverso la costruzione di un indice personale. Oltre a puntuali interventi correttori del testo impresso, in particolar modo nella seconda parte, a c. Δ4v compaiono due note manoscritte. La prima è apposta dalla stessa mano, responsabile degli interventi già menzionati, la quale in questo solo caso marca con il numero «808» la pagina pari e aggiunge: «ejnetivh/si, puaneyiw’no” zh/ iJstamevnou, w{ra/ gh/ nuktov” cfl | iJerwvnumo” oJ brentesivou», ossia «a Venezia, il 7 ottobre, nell’ora terza della notte [?] | Girolamo di Brindisi», con riferimento quasi sicuramente al calendario attico, come stabilito da Teodoro Gaza (Botley 2006). La seconda annotazione manoscritta, risalente sempre alla prima metà del Cinquecento, ma di mano forse diversa dalla prima, riporta la trascrizione di un brano estratto dalle Vitae sophistarum di Flavio Filostrato, detto l’Ateniese, riferito alla pagina numerata «571», dove è pubblicata una lettera di Ippocrate («Flavius Philostratus Soph., Vitae sophistarum. {0638.003} Cap. 2 Olearius p. 628 r. 13»). Follet 1975; Pontani 2002; Botley 2006. p.t.
165 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
PINDARO (518-438 d. C.)
Olympia, Pythia, Nemea, Isthmia, in 8°, gennaio 1513/1514. Editio princeps di Pindaro, Callimaco (310-240 a. C.), Licofrone (n. ca. 320 a. C.). In greco. R 64.9; U 108; A 110; M 135, 136; Edit16 CNCE 37448
coll.: A.V.D.V.22 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758). Misure d’esemplare: legatura, mm 155x105x28; corpo del libro, mm 148x96x20.
Le aldine di 166
Girolamo da Brindisi
L’editio princeps delle Odi di Pindaro, accompagnato da Callimaco, Dionigi il Periegeta e Licofrone, affida alla dedicatoria, rivolta ad Andrea Navagero, fervido collaboratore dei torchi aldini negli anni finali della loro attività (Fletcher 1988, p. 17-8), l’espressione di «rinnovato vigore» (A, p. 154) con cui Aldo riprende la stampa dei greci, dopo la pausa forzata degli anni bellici. La lettera di dedica contiene inoltre un invito di Aldo, altrettanto energico, a trasformare la lettura dei classici da azione di apprendimento passivo a momento di confronto diretto con il testo (Grafton 1995), da un lato per memorizzarlo dall’altro per dialogare con esso attraverso l’esercizio di copiatura: «Giacché non è facile dire quanto sia d’aiuto alla memoria l’annotare in margine, tra quel che si legge, ogni cosa degna d’esser risaputa e ricordata, oppure il trascrivere per intero di proprio pugno i libri con cui si voglia acquistare familiarità» (Dionisotti 1975, p. 276). Tale dialogo è documentato, seppur in forma piuttosto contenuta rispetto ad altri volumi dell’Universitaria, dai segni lasciati sulle carte dal peraltro ignoto Girolamo da Brindisi (XVI sec.), possessore di altre principes aldine greche (cfr. schede Epistolae diversorum, 1499; Sofocle 1502). Il lettore umanista, da individuarsi nella comunità dei greci approdati in Italia dopo la caduta di Costantinopoli e accresciuti nel loro numero, in particolare, nella Venezia di Aldo dopo le turbolenze politiche seguite alla morte di Lorenzo il Magnifico nella Firenze di Poliziano, ha apposto all’incipit il suo motto omerico «kai kynteron allo» (Od. XX, 18), in forma di exlibris. Oltre ad aver tracciato maniculae proprio al citato passo della lettera dedicatoria (c. *2v), Girolamo da Brindisi ha vergato rinvii ad altri testi (cfr. i richiami «B . 191.33», «18», c. uno1r; «A. 548.4», c. uno8v), non infrequenti emendazioni (cfr. c. due1v, due4r, ai fascicolo quindici, sedici, etc.) con riferimento anche a testimoni romani (cfr. «[? ] c od. R oma no [? ] hî c i nc i pi t q(ua )d (e rn)o ( ? ) δ ’ », c. tredici6v). Proprio agli ambienti romano e a quello veneziano (mediatore Bembo?) potrebbe rimandare la sua attività letteraria. La legatura e le precedenti collocazioni dell’esemplare bolognese fanno risalirne la provenienza alla biblioteca di papa Benedetto XIV, giunta in dono da Roma nel 1755 all’Istituto delle Scienze. Dionisotti 1975; Fletcher 1988; Grafton 1995; Speranzi 2013. p.t.
167 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
LUCIANO DI SAMOSATA (125-180 d. C.)
Opera, in folio, marzo 1503, giugno 1503. In greco. R 39.3; U 73; A 75; M 79, 80; Edit16 CNCE 63229
coll.: Raro D.1 (possessore: Pompeo Zambeccari, m. 1571, post 1548). Mutilo dei fascicoli αα3, αα4:αα5, δδ4:δδ5, ζζ-μμ8, νν6. C. ω3 segnata regolarmente. Misure d’esemplare: legatura, mm 308x203x45; corpo del libro, mm 290x210x36.
Le aldine di
Pompeo Zambeccari 168
L’edizione aldina delle opere di Luciano di Samosata, proposte insieme alle Εἰκόνες di Filostrato, costituì uno dei libri di maggiore successo usciti nel 1503 dalla stamperia veneziana di Aldo Manuzio, divenendo rapidamente una delle fonti principali per la conoscenza dell’iconografia antica. La fama dei testi di Luciano, accreditata dalla prima edizione a stampa della sua opera edita a Firenze nel 1496 per i tipi di Lorenzo di Alopa a cura di Janus Lascaris (IGI 5834), fu di fatto amplificata dalla nuova edizione veneziana che vedeva pubblicato accanto a Luciano il più celebre degli scritti di Filostrato, dedicato alla pittura antica. Le Εἰκόνες si affermarono così quali uno dei testi di riferimento della cultura rinascimentale. Il volume entrò nella biblioteca di Pompeo Zambeccari dopo l’elezione del prelato bolognese al vescovato di Sulmona nel febbraio del 1548, come attesta l’ex libris, recante il cappello episcopale a 12 nappe. La sua presenza nella biblioteca testimonia non solo il profondo interesse di Pompeo per i classici latini e greci, proposti dal catalogo di Manuzio, ma anche l’attenzione rivolta dal vescovo alle arti figurative e alla conoscenza della tradizione iconografica della civiltà antica. Furono questi del resto gli anni in cui dopo il rientro dalla nunziatura in Portogallo, densa di contatti con il mondo artistico, i quali si riflettono nella corrispondenza con la diplomazia della Santa Sede, l’impegno di Pompeo si concentrò nei lavori di ampliamento del palazzo romano ai SS. Apostoli. La dimora avita, ereditata dal padre Giacomo nel 1552, fu oggetto di consistenti e significativi restauri strutturali della fabbrica, che culminò nella decorazione di alcune delle sale del piano nobile con «spoglie, e imprese militari», affidata, come ricorda Vasari nella vita di Taddeo Zuccari, al giovane Federico. Descritto dalle fonti antiche come uomo di straordinaria cultura, studioso di filosofia, logica, diritto e teologia, Pompeo fu il figlio più amato da Giacomo, che intravide nel giovanissimo prelato le qualità e il senso di responsabilità necessari per affidargli la cura dei beni di famiglia e del palazzo romano. Avviato alla carriera ecclesiastica appena dodicenne, dopo aver conseguito il titolo di doctor utriusque iuris all’università di Bologna, Pompeo fu nominato l’anno seguente a Roma riformatore della Sapienza. Entrò da subito in relazione con gli eruditi dell’Accademia Romana, tra i quali Luca Peto che nel febbraio del 1540 dedicò al giovane Pompeo un libro di grammatica (BAV, Barb. Lat. 3750 e 3751) e Giulio Berusco, bibliotecario vaticano. In assenza dell’inventario dei beni di Pompeo e della sua biblioteca, l’aldina di Luciano e Filostrato conservata presso l’Universitaria di Bologna si rivela di particolare interesse non solo per la diffusione dell’edizione ma anche e soprattutto per la definizione degli interessi culturali di Pompeo, volti alla creazione della biblioteca ideale del perfetto grammaticus in linea con lo stesso programma editoriale di Manuzio. Först e r 1 8 8 6; Gol d sch m i d t 1 95 7; Ma f f e i 1 98 6; Ma f f e i 1 994; Be rt ol o 2004; C ol a 201 2.
m.c.c.
169 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
LORENZO MAIOLO (m. 1501)
De gradibus medicinarum, in 4°, [ante 13 settembre] 1497. In latino. R 14.11; U 14; A 15; IGI 6035; ISTC im00084000
coll.: A.V.KK.XI.54/1 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Manca fascicolo finale I2 fuori registro contenente gli errata. Cfr. Caronti 506, p. 303 (non rileva alcuna mancanza). Misure d’esemplare: Legatura, mm 203x157x15; corpo del libro, mm 176x150x7. Legato con: Alessandro Benedetti, Collectiones medicinae, [Venezia, 1493].
170
Le aldine di
Ulisse Aldrovandi
La scelta di pubblicare un autore come Lorenzo Maiolo, medico astigiano che aveva esercitato a Genova e poi insegnato a Ferrara, sembra poco coerente con la politica editoriale di Aldo, che nei primi anni puntava soprattutto sulla produzione in greco. Questa edizione si colloca nella graduale «transmigratione dala Graecia alla Italia», una deviazione dai progetti iniziali, cominciata col De Aetna di Bembo (1496), che gli sarà duramente rimproverata da Giano Lascaris (Dionisotti 1975, p. XLIV-XLV). L’attenzione verso autori contemporanei quali Bembo, Alessandro Benedetti, Maiolo, Niccolò Leoniceno era in parte dettata da motivi economici ma anche, nel caso degli ultimi due citati, dalla volontà di ricompensare chi aveva collaborato all’impresa di Aristotele (Lowry 2000, p. 156). Maiolo, infatti, aveva partecipato al progetto collazionando i manoscritti procurati da Leoniceno (Dionisotti 1975, p. 16) e si era guadagnato la stima e la gratitudine di Aldo, il quale aveva accettato di pubblicare due suoi testi: le Epiphyllides in Dialecticis e il De gradibus medicinarum, entrambi usciti nel 1497. Nella prefazione alle Epiphyllides Aldo saluta Maiolo come «vir apprime doctus» paragonandolo ai maestri antichi (Dionisotti 1975, p. 18-19), forse per giustificare il momentaneo abbandono degli autori classici. La stampa del De gradibus medicinarum fu conclusa prima del 13 settembre 1497, come attesta un’epistola del Duca di Milano, dedicatario dell’opera, mentre il fascicolo degli errata è successivo al luglio 1499 poiché è stampato con un carattere usato a partire da questa data. L’esemplare dell’Universitaria bolognese, privo degli errata, reca la tipica nota di possesso che Ulisse Aldrovandi era solito apporre ai suoi libri: «Ulissis Aldrovandi et amicorum». L’esemplare è legato con le Collectiones medicinae di Alessandro Benedetti stampate a Venezia da Giovanni e Gregorio de Gregori (IGI 1459). I due testi sono contrassegnati da un numero a penna, rispettivamente il 5 e il 6. La nota di possesso e la collocazione originale (f. 24) sono riportate, invece, una sola volta. La collocazione indica che il volume era sistemato nella «prima libraria», dove le scansie erano numerate da 1 a 193. Tuttavia non è stato possibile ritrovare né il Maiolo né il Benedetti nell’Index authorum (BUB, ms Aldrov. 29), il primo catalogo della raccolta aldrovandiana, perciò i due opuscoli devono esservi entrati dopo il 1580. Postille e sottolineature sono rare. Vi è un’integrazione manoscritta alla figura a c. A7v che tuttavia non è attribuibile alla mano di Aldrovandi. Nelle ultime carte delle Collectiones di Benedetti sono elencati rimedi contro numerose malattie ma non è stato possibile riconoscere la grafia. Le opere di medicina costituivano la parte più cospicua della biblioteca del naturalista bolognese perciò non stupisce la presenza del De gradibus medicinarum, la cui appartenenza alla «libraria» aldrovandiana, tuttavia, non era ancora stata rilevata (cfr. Caronti, p. 303, che non menziona la provenienza di questo esemplare né di quello con cui è legato; cfr. anche Bacchi 2005, p. 324-25 dove il nome di Maiolo non figura tra gli autori medici posseduti da Aldrovandi). Dion i so t t i 1 975 ; Ve n t u ra Fol l i 1 993; L owry 2000; Bacch i 2005 .
i.b.
171 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
GIAMBLICO (ca. 250-330 d. C.)
De mysteriis Aegyptiorum, Chaldaeorum, Assyriorum, in folio, settembre 1497. In latino. R 13.6; U 15; A 17; M 19; IGI 5096; ISTC ij00216000
coll.: A.V.B.XI.28 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Caronti 421, p. 253. Misure d’esemplare: legatura, mm 312x212x30; corpo del libro, mm 305x200x27.
Le aldine di
Ulisse Aldrovandi
172
De mysteriis di Giamblico, filosofo della tarda antichità, è il testo d’apertura di una silloge di operette neoplatoniche tradotte in latino e sunteggiate da Marsilio Ficino, che si chiude col De voluptate dello stesso Ficino. Il titolo fu coniato dal curatore per l’Epistola in Porphirium ad Anebon sulle pratiche religiose della teurgia, e i trattati successivi vertono ugualmente su temi demonologici e di magia spirituale. Ficino lavorò a lungo su Giamblico, in particolare nel 1488-89 mentre attendeva a Plotino, e nel 1497 affidò ad Aldo la pubblicazione del compendio neoplatonico. In una celebre lettera inviata a Venezia il 1 luglio di quell’anno, mentre a Firenze si consumava la rivolta di Savonarola, egli discuteva alcune emendazioni al testo lamentando l’impossibilità di consultare i suoi codici. Uscito negli anni dell’Aristotele greco, il De mysteriis è preceduto dalla dedicatoria di Ficino al cardinale Giovanni de’ Medici; gli altri opuscoli sono accompagnati da epistole ad amici e a membri della famiglia de’ Medici. Il ruolo giocato dal patronage mediceo nella diffusione del neoplatonismo fu confermato nel 1513, quando anche Aldo scelse il cardinale de’ Medici, divenuto da poco papa Leone X, per la dedica del Platone greco. Gli stessi trattatelli di Ficino erano da intendersi come auctoritates di accompagnamento per lo studio del pensiero platonico e pertanto godettero di ampio favore: già nel 1516 Torresani li diede nuovamente alle stampe con una breve giunta. L’appartenenza di questo esemplare ad Aldrovandi è provata dal consueto titolo vergato sul taglio di piede e dalla nota di possesso sul frontespizio, seguita dalla collocazione del volume in biblioteca. Alcune sottolineature, segni obliqui ai margini e trattini a L che marcano i paragrafi riflettono il metodo di studio del naturalista bolognese: questi segni di attenzione sono concentrati nel De daemonibus di Psello e nel commento di Prisciano Lidio al De sensu di Teofrasto. Tra le postille, di tre mani diverse, si potrebbero ascrivere ad Aldrovandi quelle che riprendono le distinzioni pselliane sulla fisiologia dei demoni (c. N1rv-N2r). L’incunabolo aldino compare già nel primo catalogo della biblioteca degli anni 15581580 (BUB, ms Aldrov. 29, c. 143v); se si allarga lo sguardo agli altri titoli di Ficino e ai capisaldi della tradizione neoplatonica ed ermetica, le letture di Aldrovandi appaiono ricche e articolate, ben accostabili ai suoi contatti con ambienti e personalità influenzati dal simbolismo e dalla magia naturale. Tuttavia questo era un tratto tipico nella formazione di un enciclopedista del pieno Rinascimento ed egli non elaborò alcuna interpretazione filosofica, rimanendo fedele alla sua scrupolosa e incessante indagine della natura. Krist e l l e r 1937; S ich e rl 1 95 7; Ol m i 1 976; Kri st e l l e r 1 98 3; C ort e si , Ma lt e se 1992; Ma rsi l io Fici no 1 999; Bacch i 2005 ; Sa f f re y, S e gon d s 2006.
s.p.
173 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
POETAE CHRISTIANI VETERES in 4°, vol. 1: gennaio 1501; vol. 2: giugno 1502. Per l’opera e l’edizione cfr. scheda Poetae Christiani veteres 1501-1504. R 24.1, 39.17; U 38, 58; A 42, 61; M 53; Edit16 CNCE 36115
coll.: A.M.T.VI.8 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Il vol. 2 è mutilo
Il volume presenta la nota di possesso «Ulyssis Aldrovandi et amicorum f. 234» che tuttavia risulta tagliata da una rifilatura. La collocazione indica che il volume era sistemato nella seconda stanza della biblioteca aldrovandiana («seconda libraria»), dove le scansie erano numerate da 194 a 281 (Bacchi 2005, p. 264). Nell’esemplare appartenuto ad Aldrovandi il vol. 1 dei Poetae è legato dopo il vol. 2. Il vol. 2 è mutilo dei fascicoli iniziali e contiene pertanto solo le opere di Sulpicio Severo, Leonardo Giustiniani e gli Homerocentra. Il vol. 1 è mutilo dei fascicoli contenenti le opere di Prudenzio. I Poetae sono entrati nella biblioteca aldrovandiana probabilmente dopo il 1580 poiché non compaiono nel primo catalogo della raccolta (BUB, ms Aldrov. 29). Le rare postille non sono autografe ma di altra mano cinquecentesca. Nella biblioteca di Aldrovandi non mancavano opere poetiche. In uno dei sistemi di classificazione messi a punto dal naturalista per ordinarla, ai «Poeti» era dedicata un’intera classe che si affiancava ad altre cinque: teologia, filosofia, medicina, matematica, storia (Ventura Folli 1993, p. 505).
dei fascicoli π8 a-c8, e-i8, k10, aa-dd8, ee6, ff-gg8, hh6. Il vol. 1 è mutilo dei fascicoli π8 ff-gg8 hh10 ii-xx8 yy10. Misure d’esemplare vol. 1: legatura, mm 210x160x33; corpo del libro, mm 204x153x12. Misure d’esemplare vol. 2: legatura, mm 210x160x33;
174
corpo del libro, mm 204x153x22.
Le aldine di
Ulisse Aldrovandi
Ventura Folli 1993; Bacchi 2005. i.b.
175 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
GIORGIO VALLA (1447-1500)
De expetendis, et fugiendis rebus opus, in folio, dicembre 1501. In latino. 2 voll. R 30.8; U 48; A 50; M 50; Edit16 CNCE 36115
coll.: A.V.B.XI.3 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Misure d’esemplare vol. 1: legatura, mm 437x295x63; corpo del libro, mm 425x280x55. Misure d’esemplare vol. 2: legatura, mm 437x295x84; corpo del libro, mm 430x283x74.
Le aldine di
Ulisse Aldrovandi 176
Giorgio Valla fu allievo di Costantino Lascaris a Milano, perfezionando in seguito lo studio del greco a Pavia. Nel 1485 ebbe la nomina di lettore di lingua greca a Venezia, grazie all’appoggio di Ermolao Barbaro, e mantenne la cattedra fino alla morte, avvenuta nel 1500. Valla, che possedeva una ricca biblioteca di manoscritti greci, entrò in contatto con Aldo intorno al 1492, come conferma una celebre lettera di Urceo Codro del 14 ottobre di quell’anno (Cfr. Dionisotti 1975, p. XVII XVIII). L’imponente compilazione De expetendis et fugiendis rebus, che intendeva offrire una summa universale dello scibile, fu data alle stampe da Aldo solo dopo la morte dell’autore, grazie al figlio adottivo di questo, Giovanni Pietro (Gardenal 1981, p. 1723). L’edizione rappresenta un punto di svolta nella produzione aldina poiché segna il ritorno a un autore contemporaneo e al formato in folio dopo una serie di edizioni di classici in ottavo. L’esemplare, in due volumi, è sicuramente appartenuto ad Aldrovandi poiché entrambi i tomi presentano la nota di possesso autografa «Ulissis Aldrovandi et amicorum», seguita dalla collocazione, «F 243» nel vol 1, mentre nel vol. 2 il «243» è sostituito dal «270»: i numeri corrispondono alla scansia e indicano che i volumi si trovavano nella «seconda libraria». L’opera di Valla deve essere entrata nella biblioteca di Aldrovandi dopo il 1580 poiché non è stato possibile ritrovare il titolo nel primo catalogo della collezione (BUB, ms Aldrov. 29). I due volumi recano rarissime tracce di consultazione. Il secondo contiene tuttavia un consistente indice manoscritto delle materie trattate («Index totius operis»), di ben 37 carte, la cui importanza è confermata da una nota, realizzata forse in occasione di una rilegatura ottocentesca, presente sulla carta di guardia: «Questo indice di mano di Ulisse Aldrovandi merita d’esser trattenuto». L’Index è organizzato in ordine alfabetico, su due colonne. Accanto a ogni voce si trova il rimando al libro e al capitolo. Pur non essendo autografo, bensì affidato a copisti, permette di ricostruire le modalità di appropriazione del testo (cfr. Tavoni 2010, p. 70-4). Aldrovandi, infatti, come illustre esponente della tendenza cinquecentesca all’enciclopedismo (Olmi 1976, p. 17-42) lavorò a lungo a un monumentale dizionario del sapere naturalistico, la «Selva universale delle scienze» (BUB, ms Aldrov. 105), rimasto inedito. L’opera di Valla, una vasta miniera di informazioni e brani di autori, fu così corredata di un vero e proprio indice d’autore, che con la sua lettura sistematica e approfondita testimonia la volontà di mappare gli argomenti trattati nel testo, al fine di accedere più rapidamente ai contenuti in assenza di un apparato indicale predisposto in sede editoriale (cfr. Vecce 1998, p. 125-26; Tavoni 2009, p. 28). Olmi 1976; Gardenal 1981; Vecce 1998; Tavoni 2009; Tavoni 2010a. i.b.
177 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
TERENZIO FLORENIO (XVI sec.)
Apologia in Bartholinum Atriensem & Gabrielem Ciminum Annotationes in commentarios J. Britannici in Iuvenalem, in 4°, 18 agosto 1502. In latino. Colophon «Brixiae. Xv. KL. Sept. M.D.II.». Attribuita a Manuzio da Veneziani 1991. A 41; Edit16 CNCE 19254
coll.: A.V.Caps. 155 9/1 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Misure d’esemplare: legatura, mm 204x157x10; corpo del libro, mm 204x157x10. Legato con: Bartolo da Atri, Terentio Florino sanitatem, [Brescia], 1502.
178 Le aldine di
Ulisse Aldrovandi
Sebbene il colophon riporti Brescia come luogo di stampa, l’edizione è stata attribuita ad Aldo da Paolo Veneziani (Veneziani 1991) sulla base di un’attenta analisi sia delle caratteristiche materiali (caratteri tipografici, filigrana) sia del contesto culturale in cui essa si colloca. Lo scopo del libello di Terenzio Fiorini, latinizzato in Florenius, era quello di screditare pubblicamente Giovanni Britannico e i suoi allievi Bartolo da Atri e Gabriele Cimino. La scuola di grammatica di Britannico che per lungo tempo era stata la scuola privata più frequentata a Brescia, era infatti la principale concorrente dell’insegnamento pubblico istituito nel 1500 dal Consiglio cittadino e affidato a Giovanni Taveri, maestro di Fiorini e conoscente, se non amico, di Aldo. Pertanto è molto probabile che l’autore, forse su consiglio di Taveri, si fosse rivolto proprio ad Aldo per far stampare il suo scritto polemico. Il volumetto, privo di coperta e protetto solo da carta, è sicuramente appartenuto ad Aldrovandi come conferma la nota «Ulissis Aldrovandi et amicorum F 234». Non è tuttavia chiaro perché l’umanista bolognese potesse nutrire interesse per un testo del genere, nato da una polemica tra scuole di grammatica bresciane. Può forse bastare la sua natura di lettore onnivoro per spiegare la presenza di quest’opera nella sua raccolta (Duroselle-Melish, Lines 2015, p. 144), oppure il suo possesso va fatto risalire al 1536, quando Aldovrandi svolse l’apprendistato presso un mercante a Brescia (Tugnoli Pattaro 1981, p. 12)? Una delle poche sottolineature presenti nel volume, riguardante il nome di Pico della Mirandola (c. a6r), non è sufficiente per formulare ipotesi convincenti. Inoltre non è stato possibile rintracciare il titolo nel primo catalogo della biblioteca aldrovandiana (BUB, ms Aldrov. 29). Il volume è legato con la risposta di Bartolo da Atri all’invettiva di Fiorini fatta pubblicare a Brescia, sempre nel 1502, presso Bernardino Misinta, tipografo vicino alla cerchia di Britannico (Tinti 2011). Tugnol i Pat ta ro 1 98 1 ; Ve n e z i a n i 1 991 ; Ti n t i 201 1 ; D u ro se l l e -Me l i sh , L i n e s 201 5 .
i.b.
179 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
FLAVIO FILOSTRATO (ca. 170-ca. 249 d. C.)
De vita Apollonii Tyanei libri octo, in folio, febbraio 1502/1503, [maggio 1504]. Datazioni presenti: marzo 1501 (c. h9v); febbraio 1502 [1503 m.c.] (c. i9r); aprile, maggio 1504 (c. Apoll.2v). In greco e latino.. R 26.2; U 82; A 85; M 54, 55; Edit16 CNCE 36113
coll.: A.V.D.VII.9 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Misure d’esemplare: legatura, mm 322x225x32; corpo del libro, mm 313x2l0x25.
18 0
Le aldine di
Ulisse Aldrovandi
Finita di stampare nel 1501 la Vita di Apollonio, scritta dal sofista Filostrato, fu pubblicata solo nel 1504 con l’aggiunta del fascicolo segnato «Apoll.», contenente una lettera di Aldo a Zanobi Acciaiuoli (1461-1519) in cui l’editore liquida il gusto per il meraviglioso dell’autore come «favole da vecchierelle» (Dionisotti 1975, p. 226). Più che alla biografia del neopitagorico Apollonio, l’interesse di Aldrovandi, cui il libro apparteneva, era rivolto, senza dubbio, proprio agli excursus naturalistici, etnografici e mitologici di cui abbondava il testo (Lo Cascio 1974, p. 11-29) e che erano stati il bersaglio di Aldo. L’esemplare è caratterizzato dal consueto ex libris aldrovandiano. La collocazione «F 39 n. 235» indica che il volume si trovava nella «prima libraria» di casa Aldrovandi (cfr. Bacchi 2005, p. 263-64). Nel volume è anche attestata la data della lettura (c. i1r): «Totum perlegi die 3 Julis 1576 ego Ulissis Aldrovandus». Considerata la posizione della postilla sembrano escluse le cc. i1v-i5v, ossia l’opera di Eusebio di Cesarea (ca. 260-340 d. C.) ritenuta da Aldo un «antidoto» contro le falsità di Filostrato (Dionisotti 1975, p. 42). Aldrovandi, incurante dell’opinione negativa dell’editore, deve aver letto con attenzione i libri del De vita Apollonii poiché numerose sono le sottolineature e i marginalia. Nella parte greca i segni di lettura sono più rari mentre è nella traduzione latina dell’opera, curata da Alamanno Rinuccini (1426-1499), che si concentra la maggior parte delle annotazioni, nel testo come nell’indice delle materie. Con ogni probabilità, pur sapendo il greco, Aldrovandi privilegiò un accesso più immediato al testo filostrateo al fine di raccogliere passi utili per il suo lavoro di catalogazione della realtà naturale (Serrai 1993, p. 1-3). I termini più sottolineati fanno riferimento a piante e animali esotici, a bestie immaginarie e a prodigi di natura. Non mancano, inoltre, sistematiche sottolineature relative al termine «corona». Il naturalista bolognese, infatti, coltivava il progetto di scrivere un trattato sulla storia delle corone, di cui rimangono molti appunti manoscritti (BUB, ms Aldrov. 25). Aldrovandi possedeva anche un’altra edizione dell’opera, quella stampata da Bernardino Vitali nel 1502 e curata da Filippo Beroaldo senior. Nell’Index variorum authorum (BUB, ms Aldrov. 29, c. 272v) sono riportati autore, titolo, prezzo e collocazione delle due edizioni. Così sappiamo che quella aldina era stata pagata 3.10 bolognini mentre l’altra 2.18, cifre peraltro non elevate se si considera che in quegli anni un tragitto in barca di sette miglia costava 4 bolognini (Cfr. Moryson 1907, p. 200). Mory son 1907; L o C a scio 1 974; D ion i so t t i 1 975 ; D e l C orno 1 978 ; Ol m i 1 992; S e rra i 1 993; Bacch i 2005 .
i.b.
181 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
ESICHIO (V sec. d. C.)
Dictionarium, in folio, agosto 1514. Editio princeps. In greco. R 66.3; U 122; A 124; M 144; Sicherl, p. 360-1; Edit16 CNCE 23059
coll.: A.V.D.III.25 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605). Misure d’esemplare: legatura, mm 340x225x35; corpo del libro, mm 331x214x30
Le aldine di
Ulisse Aldrovandi
L’edizione del lessico di Esichio, autore vissuto intorno al V secolo d. C., testimonia la continuità del progetto di Aldo che anche nelle ultime iniziative editoriali rimane coerente con la sua politica di promozione della lingua greca. Nella prefazione Aldo ringrazia il nobiluomo mantovano Gian Giacomo Bardellone (1472-1527) che gli aveva prestato l’unica copia manoscritta del dizionario, oggi conservata alla Biblioteca Marciana (su Bardellone: Faccioli 1962, vol. 2, p. 381-2). In tipografia fu utilizzato il manoscritto originale che, di conseguenza, risultò alterato dalle correzioni di Marco Musuro (Speranzi 2013, p. 138). Se da una parte le tracce della mano di Musuro intaccano il manoscritto dall’altra sono utili poiché permettono di ottenere informazioni sul lavoro dei curatori e dei correttori che collaboravano con Aldo e sulle trasformazioni a cui andò incontro il sistema editoriale aldino nel tempo (Lowry 2000, p. 320-2). L’esemplare presenta l’ex libris autografo «Ulissis Aldrovandi et amicorum» con l’indicazione della collocazione «F 25 n. IIII». Inoltre il volume è registrato, con il relativo prezzo, nel primo catalogo della biblioteca di Aldrovandi, l’Index variorum authorum (BUB, ms Aldrov. 29, c. 127r). Tuttavia è difficile collegare le sporadiche annotazioni presenti nell’esemplare agli studi di Aldrovandi, in primo luogo perché le postille non sono autografe, in secondo luogo perché non sono particolarmente significative sotto il profilo del contenuto. Ad esempio, i proverbi sono spesso evidenziati trascrivendo a margine il termine «παροιμία» (proverbio). Sono poi annotati i seguenti vocaboli e locuzioni: «Divitiae priscorum», «Eurysteus» (c. k8v); «Λεοντῖ» accanto al nome Λεοντῖνοι, ossia Lentini in Sicilia (c. p5r); «Lygdamis nomine qui templum Dianae incendit» e «λύλιοσ» (c. q2r); «graecus» (c. x1v); «κορυ» (c. x5v).
18 2 Facciol i 1 962; L owry 2000; S pe ra n z i 201 3.
i.b.
183 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
RHETORES GRAECI in 4°, vol. 1: novembre 1508; in 4°, vol. 2: 21 maggio 1509. Per l’opera e l’edizione cfr. scheda Rhetores Graeci 1508-1509. coll.: A.V.D.IX.10/1-2 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). Vol. 2 mutilo di c. B3. Misure d’esemplare vol 1: legatura, mm 292x195x65; corpo del libro, mm 282x185x55. Misure d’esemplare vol 2: legatura, mm 297x191x38; corpo del libro, mm 288x186x36.
Le aldine del
ss. Salvatore
I due volumi dei Rhetores appartenevano al monastero bolognese del SS. Salvatore, come attestano le doppie note di possesso poste su entrambi i tomi. La prima recita: «Monasterij .S. Saluatoris boñon[iae]. numero. I7.» (vol 1, c. *1r) e «Monasterij .S. Saluatoris boñon[iae]. numero. I8.» (vol. 2, c. 1 1r). La seconda rimanda, invece, all’inventario della biblioteca: «Iste liber est Mon[aster]ij. S[anc]ti. Saluatoris Bononię | signat[us] in inuē[n]tario s[u]b litera .A.» (vol 1 c. *8r), mentre nel vol. 2 «s[u]b litera .H.» (c. 1 2r). La presenza di edizioni in greco nella biblioteca del SS. Salvatore non desta alcuno stupore. Il monastero felsineo era stato frequentato da Antonio Urceo Codro, il più valente grecista dello Studio nell’ultimo ventennio del Quattrocento, il quale fu in contatto per lungo tempo proprio con Aldo (Raimondi 1987). Codro non solo scelse di morire a S. Salvatore ma donò anche al cenobio alcuni codici di sua proprietà. Tra questi, secondo quanto affermato da Bartolomeo Bianchini, suo discepolo e poi biografo, era da annoverarsi un antico codice greco, di provenienza costantinopolitana, contenente le opere di san Basilio: «Corpus vero templo sancti Salvatoris ornatissimo et religiosissimo commendo et trado: Bibliothecæ eius opus quoddam sancti Basilii in membrano scriptum vetus et magnum e Constantinopoli apportatum dono liberaliter et trado» (Urceo 1502, c. a7v). Urce o 1 5 02; R a i mon di 1 98 7; Tavon i 2006.
e.g. 18 4
185 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
PLUTARCO (46/48-125/127 d. C.)
Opuscula LXXXXII, in folio, marzo 1509. In latino e greco. R 55.1; U 101; A 103; M 119, 120; Sicherl, p. 357-359; Edit16 CNCE 37429
coll.: A.V.D.IX.22 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 296x197x95; corpo del libro, mm 287x188x85.
Le aldine del
ss. Salvatore
18 6
Un’équipe di filologi ha lavorato alla preparazione delle Druckvoglagen utilizzate da Aldo in tipografia per l’editio princeps dei Moralia plutarchei, un’impresa durata almeno dal dicembre 1506, come risulta da una lettera di Johannes Cuno ad Aldo, fino al 30 aprile 1509 (colophon). Insieme a colui che i materiali prefatori ci documentano quale responsabile della cura filologica del testo, Demetrio Duca (cfr. Geanakoplos 1967, p. 275, 296, 333; Sicherl 1974, p. 572-3; Lowry 2000, p. 312-3; Wilson 2000, p. 192), la reductio ad unum dei disiecta membra di Corpus dei Moralia, che ha notevoli tratti in comune con quella realizzata alle fine del XIII secolo da Massimo Planude, fu realizzata grazie alla collaborazione di Erasmo da Rotterdam (cfr. Rummel 1985, p. 72), Gerolamo Aleandro (cfr. Hillyard 1974), Scipione Carteromaco (Dionisotti 1975, p. 99-101, 269-71, 360-1), Pietro Candido (Gionta 2003, p. 13-4), Niccolò Leonico Tomeo (cfr. Vendruscolo 1996a, p. 553) e, quasi certamente, Marco Musuro (cfr. Martinelli Tempesta 2006, p. 162-3; Speranzi 2013, 126-7, 177, 266-8, 273; Ferreri 2014, p. 356-63; Martinelli Tempesta, cds.). Il Corpus ricostituito da Aldo in parte riflette la sequenza degli opuscoli nelle diverse fonti utilizzate per allestire le Druckvorlagen, in parte è frutto del tentativo di Aldo di raggruppare i testi secondo un ordine sistematico (cfr. Vendruscolo 1996b, p. 29-35; Martinelli Tempesta 2013, p. 284-6). Nella costituzione di questo Corpus si colgono tre sezioni che corrispondono all’utilizzo di differenti fonti manoscritte: (1) per i primi 31 opuscoli, la cui Druckvorlage è perduta, si possono individuare due gruppi, uno riconducibile indirettamente al Bruxell. 18067, del XIV secolo, testimone primario di una recensione dotta, che fu rilegato nel XV secolo nella cerchia cretese degli Apostoli, e a un manoscritto imparentato con il Par. gr. 2076, l’altro ricondotto a una copia del Laur. Plut. 80.21, manoscritto utilizzato a Firenze da Alamanno Rinuccini e da Angelo Poliziano, poi passato nelle mani di Giano Lascaris che lo portò con sé in Francia nel 1495/96, e, all’inizio del secolo XVI, ritornato con lui in Italia per finire in mano a Musuro probabilmente tra il 1503 il 1504, nonché a un codice imparentato con il Vind. phil. gr. 46, copiato da Tomaso Bitzimano; (2) la sequenza dei 25 opuscoli successivi coincide con quella della Druckvorlage conservata, l’attuale Ambr. C 195 inf., codice del XIII secolo con restauri del XV secolo, sui cui margini è sopravvissuta la collazione – sembra – autografa di Demetrio Duca, oltre ad alcune note di Musuro e forse una di Leonico Tomeo; (3) l’ultima sezione, la cui Druckvorlage è a sua volta perduta, è stata ricondotta per la maggior parte degli opuscoli a una copia del Laur. Plut. 80.21, per altri a un apografo del Par. gr. 1675 e a un parente del Laur. Plut. 70.5, oltre che, per la coppia Galba e Otho, all’archetipo della recensio Planudea, l’Ambr. C 126 inf., che è stato utilizzato come Korrektivexemplar per tutto il Corpus. Il volume proviene dalla biblioteca del monastero bolognese del SS. Salvatore, come attesta la nota di possesso a c. a1r «Iste liber est Mon[aster]ij .S[anc]ti. Saluatoris bononię | signat[us] in inuē[n]tario s[u]b num[ero]. 45.». La segnatura di collocazione «num[ero]. 45.» è sovrascritta ad una precedente che recitava: «litera P». Ge anakopl o s 1967; Hil lya rd 1 974; S ich e rl 1 974; D ion i so t t i 1 975 ; R um m e l 1 98 5; Ve ndruscol o 1996a; Ve n dru scol o 1 996b ; L owry 2000; Wi l son 2000; Gion ta 2003; Manf re dini 2003; Ma rt i n e l l i Te m pe sta 2006a ; Tavon i 2006; Ma rt í ne z Manz ano 2009; Ve n dru scol o 2009; S pe ra n z i 2009-2010; M art ine l l i Te m pe sta 201 3; S pe ra n z i 201 3; Fe rre ri 2014; Ma rt i n e l l i Te m pe sta , cd s.
s.m.t.
187 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
ARISTOTELE (384-322 a. C.)
De natura animalium, in folio, febbraio 1513/1514. [febbraio 1514 m.c.]. Nuova emissione dell’edizione del 1504. In latino. R 65.11; U 111; A 112; M 139; Edit16 CNCE 2879
coll.: A.V.D.VII.7 (provenienza: Convento del SS. Salvatore, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 323x227x54; corpo del libro, mm 314x219x45.
Le aldine del
ss. Salvatore
18 8
La presente edizione del De natura animalium di Aristotele ripropone quella del 1504 (cfr. scheda Aristotele 1504), di cui Aldo ripubblica la lettera dedicatoria all’ecclesiastico Matthäus Lang (1468-1540) – ambasciatore dell’imperatore Massimiliano a Roma nel 1501 e poi di Luigi XII – datata 27 marzo 1504. Nell’edizione del 1514 figura anche la dedica della traduzione di Teodoro Gaza dei Problemata di Alessandro d’Afrodisia a papa Niccolò V, che ne era stato il committente. Chiude l’aldina il lessico greco e latino per Aristotele e Teofrasto, stampato nei due fascicoli finali, anziché in quelli iniziali, come avvenuto nella proposta precedente. L’esemplare proviene dal SS. Salvatore di Bologna, come dimostra la nota manoscritta a c. a1r: «Monasterij. S. Saluatoris boñon[iae] numero 213.». La segnatura di collocazione permette di collocare cronologicamente la presenza del nostro esemplare all’interno della raccolta libraria dei canonici, che acquisirono molto prontamente l’aldina, entro il ventennio che separa la sua pubblicazione dal 1533. L’Aristotele del 1513, infatti, compare proprio al numero 213 dell’indice dei libri latini del convento, databile intorno al 1533 (Laurent, 1943). La sua redazione – benché anonima – s’inquadra entro l’ambizioso progetto di dotare il SS. Salvatore di una ricca e utile biblioteca, che avrebbe primeggiato in Italia tra le più fornite di codici manoscritti e a stampa. I libri del SS. Salvatore infatti attirarono la visita di Conrad Gesner, il maggior bibliografo della prima età moderna, durante il suo iter Italicum alla scoperta delle opere e delle edizioni di cui avrebbe dato conto nella Bibliotheca universalis, dove la biblioteca è annoverata tra quelle «Graecis libris instructae» (Gesner 1545, c. 6v). La realizzazione di questo progetto è da attribuire principalmente a Pellegrino Fabretti, il quale si occupò non solo di accrescere la collezione bolognese acquistando numerosi codici e testi a stampa, ma anche di riorganizzarne le raccolte (Trombelli, 1752). L’indice, suddiviso per opere greche e latine, segnala la presenza di 78 opere greche e di 581 latine, la cui numerazione in cifre arabe, segnata ancora sui volumi e talvolta sovrascritta ad una segnatura alfabetica precedente, è spia dell’ordinamento avvenuto a quella data. L’incremento librario è significativo non solo in termini assoluti, ma specialmente in rapporto al numero di testi a stampa. Le stampe acquisite, infatti, superano di gran lunga i manoscritti e la loro presenza, quasi contemporanea rispetto all’anno di edizione, testimonia l’alta capacità di aggiornamento e la moderna sensibilità bibliografica dei canonici. Ge sne r 1545; Trom be l l i 175 2; L au re n t 1 943; Gi ov an n i Gr i sost om o Trom bel l i 1 991 ; Fornasari , P ol i , Zacca n t i 1 995 ; Bacch i , Mi a n i 1 998 ; Gu e rn e l l i 2001 -2002; Tavon i 2006; Mov i a 2007.
g.m.
189 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
ORATORES GRAECI in folio, aprile 1513, maggio 1513. Contiene opere di Eschine ca. 390-314 a.C), Alcidamante (IV sec. a.C.), Andocide (ca. 440-391), Antifonte (ca. 480-411 a.C.), Aristide (ca. 117-189), Dinarco (ca. 360-280 a. C.), Gorgia (V sec. a.C.), Iseo (ca. 420-350), Isocrate (436-338 a.C.), Lisia (ca. 440-380? a.C.). Editio princeps (eccetto Isocrate). In greco. 3 voll. R 60.2; U 112; A 114; M 127, 128; Edit16 CNCE 37441
coll.: A.V.D.IX.26 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). I volumi sono legati nell’ordine seguente:
190
vol. 3, vol. 1, vol. 2. Misure d’esemplare: legatura, mm 305x215x55; corpo del libro, mm 298x200x50.
Le aldine del
ss. Salvatore
L’edizione si articola in tre volumi (cfr. Dionisotti 1975, p. 114-7, 281-4, 365-7, 395; Ferreri 2014, p. 365-81, 604-5): i primi due – contenenti Eschine, Lisia e la silloge degli oratori minori –, sono, in realtà, uno diviso in due tomi (1.1: Eschine con Vita e Argumenta, Lisia, Alcidamante, Antistene, Demade, De Lysia di Dionigi di Alicarnasso; 1.2: Andocide, Iseo, Dinarco, Antifonte, Licurgo, Palamede di Gorgia, Lesbonatte, Erode Attico), come si deduce dall’assenza di dedica al principio del secondo volume (dedica a Francesco Fasolo, ad apertura del vol. 1.1, con data 6 maggio 1513), nonché dall’assenza di colophon alla fine del primo; l’incipit del vol. 1.1, inoltre, comprende il contenuto dei primi due volumi, mentre quello del secondo si limita al proprio. Il vol. 3 è a sua volta costituito da due parti: il corpo centrale (con la dedica a Giovanni Battista Egnazio, aprile 1513) con le Orazioni di Isocrate precedute dagli scritti introduttivi di Plutarco, Filostrato, Dionigi di Alicarnasso; due aggiunte. La prima di tali aggiunte, voluta da Marco Musuro – il cui ruolo nell’allestimento di questa edizione è controverso –, contiene Contro i sofisti di Alcidamante e l’Elena di Gorgia; la seconda, voluta da Aldo, è costituita da due orazioni di Elio Aristide. È evidente che nelle intenzioni dell’editore si trattava di un’impresa unitaria, il cui terzo volume, però, avrebbe potuto avere – come di fatto ha avuto – una circolazione autonoma. Nessuna delle Druckvorlagen è sopravvissuta: per le Orazioni isocratee Musuro (?) ha utilizzato la princeps milanese di Calcondila del 1493 (IGI 5421) con l’ausilio del Vat. Pal. gr. 135 (cfr. Menchelli 2005, p. 28-32; Martinelli Tempesta 2006, p. 257-9). Il testo di Eschine sembra frutto della conflazione dell’Ambr. I 22 sup., giunto a S. Giustina in Padova con l’eredità di Palla Strozzi, e del Par. gr. 3003, passato per le mani di Francesco Filelfo, Giano Lascaris e Musuro (cfr. Diller 1979, p. 53 [= Diller 1983, p. 238]). Il testo dell’Elena di Gorgia pare risalire a una copia del Matr. 7210 di Costantino Lascaris, pervenuta ad Aldo forse per il tramite di Pietro Bembo (cfr. Donadi 1975; Guzmán Guerra 1977, p. 304-5). La raccolta degli Oratori minori con la sua stretta parentela soprattutto con i Marc. gr. VIII.1 (K) e VIII.6 (L) (cfr. Sicherl 1974, p. 588-9; Donadi 1982, p. XLV-VII; Avezzù 1982, p. XXIV-V; Sosower 1982; Avezzù 1985, p. LXXIII-V; Wilson 2000, p. 193-4; Speranzi 2010; Speranzi 2013, p. 70-5, 124, 126, 282-3, 209-12, 284-5), vergati di Aristobulo Apostoli, riflette la fusione – realizzata a Firenze alla fine del 1492 ad opera di giovani greci ospiti di Giano Lascaris tra cui Musuro – delle due raccolte antologiche, quella ‘Palatina’, trasmessa dall’Heidelb. Palat. gr. 88 dell’XI sec. (di cui K è copia attraverso due suoi apografi), già presente il Italia dall’inizio del Quattrocento fra i libri di Palla Strozzi, e quella ‘Athonita’, tràdita dal Lond. Burney 65 (XIV sec., Michele Clostomalle), finito sul Monte Athos forse con l’ex-imperatore Giovanni VI Cantacuzeno, e ivi riscoperto e fatto copiare nel Laur. Plut. 4.11 (antigrafo di L) da Giano Lascaris all’epoca dei suoi viaggi in Oriente per conto di Lorenzo il Magnifico, dei quali Aldo fa menzione nella dedica a Fasolo. L’esemplare bolognese apparteneva al monastero del SS. Salvatore. Reca, infatti, due note di possesso manoscritte alle cc. aa1r, aa2r, dove si legge rispettivamente: «Monasterij. S. Saluatoris boñ[oniae] numero .15.» e «Iste liber est Mon[aster]ij s[anc]ti saluatoris Bononię signatus in invē[n]tario s[u]b litera .J.». S ich e rl 1974; Donadi 1975 ; D ion i so t t i 1 975 ; Gu z m á n Gu e rra 1 977; D i l l e r 1 979 ( = 1983); Donadi 1982; Av e z z ù 1 98 2; S o sowe r 1 98 2; Av e z z ù 1 98 5 ; Wi l son 2 0 0 0 ; M e nch e l l i 2005 ; Tavon i 2006; Ma rt i n e l l i Te m pe sta 2006b ; Spe ra n z i 2010; S pe ra n z i 201 3; Fe rre ri 2014.
s.m.t.
191 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
ALESSANDRO D’AFRODISIA (II-III sec. d. C.)
n Topica Aristotelis, commentarii, in folio, settembre 1513, febbraio 1514. In greco. R 62.5; U 118; A 120; M 131, 132; Edit16 CNCE 1034
coll.: A.V.D.IX.16/2 (provenienza: Convento del SS. Salvatore, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 287x193x60; corpo del libro, mm 280x182x35. Legato con: Alessandro d’Afrodisia, In priora analytica, [Venezia, eredi di Aldo Manuzio il vecchio e Andrea Torresano il vecchio], 1520; e con Alessandro d’Afrodisia, In
192
sophisticos Aristotelis elenchos, commentaria, [Venezia, eredi di Aldo Manuzio il vecchio e Andrea Torresano il vecchio], 1520.
Le aldine del
ss. Salvatore
La vita di Alessandro di Afrodisia (forse coincidente con la città di Caria, in Asia Minore), il più grande fra i commentatori greci di Aristotele, tanto da venire soprannominato il Commentatore (ὁ ἐξηγητής), è nota unicamente dall’introduzione al suo De fato, in cui egli rivolge un ringraziamento a Settimio Severo e ad Antonio Caracalla per l’ottenuta assegnazione della cattedra di filosofia peripatetica. Il riferimento potrebbe essere alle quattro cattedre di filosofia istituite ad Atene da Marco Aurelio nel 176 d.C. L’aldina coi commentari ai Topica di Aristotele fu curata da Marco Musuro. Benché il testo uscisse dai torchi di Aldo nel settembre del 1513, Musuro stava lavorando al suo allestimento già dal gennaio del 1509 (De Nolhac 1888, p. 75). Il progetto di Manuzio di pubblicare l’intero corpus dei commentari ad Aristotele risale ancora più indietro nel tempo, almeno al 1495, quando Aldo ne accenna ad Alberto Pio, principe di Carpi, nella prefazione al primo volume di Aristotele dedicato allo stesso principe (cfr. scheda Aristotele 1495). L’esemplare proviene dal SS. Salvatore di Bologna: lo attestano due differenti note di possesso, manoscritte alle cc. a1r: «Monasterij .S. Saluatoris boñon[iae]. numero. ij.» e a2r: «Iste liber est Mon[aster]ij. S[anc]ti. Saluatoris Bononię | signat[us] in inuē[n] tario s[u]b litera .A.». Questa doppia segnatura di collocazione risale a due momenti successivi della storia della biblioteca religiosa, sulla base della quale la prima pare posteriore alla seconda. Con il numero «11» (equivalente a «ij»), l’esemplare figura nell’indice dei volumi greci del SS. Salvatore, redatto da autore anonimo intorno al 1533. Esso, tuttavia, doveva far parte del patrimonio librario dei canonici già prima di quella data, come documenta la presenza della più antica segnatura alfabetica («litera .A.»). La presenza di Alessandro di Afrodisia nella raccolta della casa religiosa bolognese ad una data quasi contemporanea rispetto all’anno di stampa, testimonia l’alta capacità di aggiornamento e la moderna sensibilità bibliografica dei regolari del SS. Salvatore, e di padre Pellegrino Fabretti in particolare, colui che tra il 1522 e il 1537 fu per nove volte priore, nonché il maggior fautore e artefice di un vero e proprio programma di fondazione di una grande e moderna biblioteca umanistica. De Nol h ac 1887-188 8 ; L au re n t 1 943; Gi ov an n i Gr i sost om o Trom bel l i 1 99 1 ; Fornasari , P ol i , Zacca n t i 1 995 ; Bacch i , Mi a n i 1 998 ; Gue rne l l i 2001 -2002; Tavon i 2006; Mov i a 2007; Nata l i 2009.
g.m.
193 IL PREZZO E IL PRESTIGIO DI UN SEGNO
ALDO E BOLOGNA
195 ALDO E BOLOGNA
L’ E DI T OR E A L L’OM B R A DE L L’A L M A M AT E R E A LT R E I N T R A P R E S E a cura di Loredana Chines
ANGELO POLIZIANO Opera, in folio, luglio 1498.
197 ALDO E BOLOGNA
EPISTOLAE DIVERSORUM philosophorum, oratorum, rhetorum, in 4°, pt. 1 [29] marzo 1499; pt. 2 [non prima del 17 aprile 1499].
GIOVANNI FILOPONO In Posteriora resolutoria Aristotelis comentaria, in folio, marzo 1504.
I
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segni e i sensi che il dialogo di Aldo con gli umanisti dell’Alma Mater assume per la cultura bolognese dell’epoca moderna vanno di certo ricercati in una pluralità di direzioni: dal rapporto con i più celebri professori dello Studio, consulenti e consiglieri scientifici di tutto riguardo sui testi, soprattutto greci, impressi dall’editore veneziano, nonché decisivi promotori economici dei volumi adottabili nei corsi del più affollato e frequentato ateneo d’Europa, al sodalizio con intellettuali che ricoprono un ruolo cruciale di mediazione tra Firenze e Venezia, tra Venezia e l’Europa, ponendo Bologna come vera e propria fucina, fervente laboratorio filologico attorno alle novità più attese nel mercato librario tra antichi e moderni e crocevia imprescindibile di fermenti culturali. I contatti aurorali tra Aldo e l’ambiente felsineo dovettero forse risalire al 1475 e agli anni di formazione ferrarese alla scuola di Battista Guarino, di cui in precedenza era stato allievo anche Antonio Urceo Codro, e la permanenza a Carpi tra 1480 e il 1489 come tutore di Alberto e Lionello Pio, illuminata dall’amicizia intellettuale con Pico, alimentò di nuova linfa i legami con i cenacoli umanistici emiliani. A sancire il significato di un dialogo culturale profondo, anche se non privo di ombre, è la dedica di Aldo Manuzio al più famoso e brillante professore di greco dell’Alma Mater, reso memorabile dallo splendido saggio di Ezio Raimondi (Raimondi 1987) Antonio Urceo Codro, dei due volumi di epistole Epistolae diversorum philosophorum, oratorum, rhetorum pubblicati nel 1499; (cfr. scheda Epistolae diversorum 1499). La lettera dedicatoria rivela l’invio a Codro di un esemplare in dono, sia come pegno di affetto, sia, fine non secondario, per un’auspicabile adozione del testo: «Has ad te, qui et latinas et graecas literas in celeberrimo Bononiensi Gymnasio publice profiteri, muneri mittimus, tum ut a te discipulis ostendantur tuis […]» (Dionisotti 1975, p. 26). In realtà la conoscenza tra i due doveva risalire almeno a sette anni prima, se da una lettera a Manuzio, scritta da Bologna il 14 ottobre 1492, si evince che l’Urceo era stato a Venezia presso Aldo per qualche tempo e che aveva fatto da tramite fra l’editore veneziano e il grande grecista Niccolò Leoniceno. Aldo, del resto, sottoponeva spesso all’Urceo luoghi problematici e questioni interpretative in relazione a lezioni corrotte di testi greci che aveva sotto mano su cui Codro interveniva in maniera illuminante, come accadde ad esempio sulle odi di Pindaro, o su un verso di Teocrito nell’epitalamio di Elena che Aldo darà alle stampe nel 1495. E, da parte sua, il professore richiedeva a Manuzio informazioni sul costo e sulla disponibilità di codici di Apollonio Rodio, Boezio o Dione storico. D’altra parte, proprio durante il soggiorno veneziano, come si evince dal congedo della lettera ad Aldo, Codro aveva conosciuto e salutava il dotto grecista Demetrio Mosco, amico di Pietro Bembo e copista del codice di Harvard (Harv. Gr. 17) utilizzato come esemplare di tipografia per l’Aristotele aldino. A rivelare qualche ombra nel rapporto tra il professore bolognese e l’editore veneziano è la lettera indirizzata da Codro il 15 aprile 1498 all’amico e allievo Battista Palmieri, da cui si apprende anche dell’importante mediazione svolta da Alessandro Sarti che avrà un ruolo decisivo nella complessa vicenda dell’edizione di Poliziano (cfr. scheda Poliziano 1498; Delcorno Branca 1979, p. 22-3). Aldo aveva affidato al Sarti due volumi greci per Codro, il De animalibus di Aristotele, edito dal Manuzio nel gennaio del 1497, e un Vocabularium: l’Urceo lamentava il
costo eccessivo dei volumi aldini e, per il testo aristotelico, lo stato ancora corrotto in molti punti su cui l’esimio professore esercitava la propria acribia filologica, questa volta a stampa già avvenuta (Chines 2013, p. 37-40). L’esemplare 16.M.I.16 della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, proveniente dalla biblioteca dell’abate settecentesco Antonio Magnani e posseduto dal convento della SS. Annunziata di Bologna, è stato identificato come il vol. 3° dell’incunabolo aldino del De animalibus annotato da Codro e appartenuto a Scipione Bianchini, figlio di Bartolomeo Bianchini, allievo e primo biografo dell’Urceo e di Filippo Beroaldo il Vecchio (Bacchelli 2008, p. 173-4, n. 12). D’altra parte proprio alla controversa figura del bolognese Sarti, su cui spesso si sono rivolti sguardi non troppo generosi della critica (cfr. Hill Cotton 1962 e, di diverso avviso, Branca 1972, vol. 1, p. 66-7) per le operazioni a tratti disinvolte e animate da qualche ambizione personale sulle edizioni del Poliziano (Perosa 2000, p. 6-8), si deve l’edizione delle Cose Vulgare del Poliziano (Stanze e Orfeo) uscita a Bologna per Platone de’ Benedetti nel 1494 e condotta, per stessa ammissione del Sarti nell'epistola prefatoria ad Anton Galeazzo Bentivoglio, all'insaputa di Poliziano e senza l’avallo dell’autore che morì dopo pochi mesi. Sarti, tuttavia, aveva accesso, al pari di altri amici e allievi del Poliziano, come Marin Sanudo e Pietro Crinito, alle carte del celebre maestro fiorentino e dovette godere di una certa stima e familiarità di Poliziano se è vero che quest’ultimo gli donò un esemplare della princeps della prima centuria dei Miscellanea (Firenze, Miscomini 1489), oggi conservato nella Harvard University Library (Veneziani 1994, p. 97), apponendovi una dedica di propria mano il 1° maggio del 1490, con una ventina di correzioni di mano polizianea di cui il bolognese terrà conto nell’allestimento degli Opera omnia aldini del 1498. D’altra parte, altri professori dello Studio ebbero importanti rapporti culturali con Aldo, come Paolo Bombace, amico di Erasmo che fu professore di retorica e poesia e di lettere greche nell’Alma Mater dal 1506 al 1513. Dell’intenso colloquio epistolare con Aldo, anche in lingua greca, restano affascinanti testimonianze (Manussakas 1991) e alcune carte manoscritte di una lettera di Aldo al Bombace sono incluse al principio di un esemplare dell’Aristofane greco (cfr. scheda Aristofane 1498) della University Library di Manchester (Chines 1992, p. 18-9). Lo Studio di Bologna continuò a contribuire alla fortuna delle opere di Aldo, grazie agli allievi che si erano formati nell’Alma Mater e che si avventuravano verso nuove frontiere europee, basti pensare all’umanista pistoiese Costanzo Claretti che, dopo aver appreso il greco da Codro, si recherà a Cracovia promuovendo, insieme ad altri, l’istituzione dello studio del greco e il flusso delle edizioni aldine in Polonia (Lowry 2000, p. 375-6). La portata culturale della collaborazione fra i grandi maestri dello Studio bolognese e le imprese editoriali di Aldo erano destinate ad aprire la strada al dialogo fra gli ambiti disciplinari e fra i saperi moderni (si pensi alla formazione tutta umanistica e filologica di intellettuali come lo stesso Ulisse Aldrovandi) e a suggellare l’unione, nella cifra comune dell’humanitas, tra letteratura e scienza, tra parola letteraria e azione civile e politica, contribuendo in tal modo all’apprendistato di intere generazioni della futura intelligentia e delle classi dirigenti europee. Loredana Chines
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ANGELO POLIZIANO (1454-1494)
Opera, in folio, luglio 1498. In latino, greco ed ebraico. R 14.11; U 14; A 15; IGI 6035; ISTC im00084000
coll.: A.V.KK.X.11. Cfr. Caronti 691, p. 412. Misure d’esemplare: legatura, mm 326x216x79; corpo del libro, mm 315x210x64.
200
La pubblicazione degli Opera omnia latini di Poliziano per tipi di Aldo avvenne fortunosamente grazie alla fitta rete di contatti che Aldo aveva intessuto negli anni ’90 del Quattrocento tra Bologna e Firenze. Un contributo fondamentale all’aldina fu svolto dal nipote di Pico, Giovanni Francesco della Mirandola che, insieme con il savonaroliano ferrarese Giovanni Mainardi, si era dedicato alla raccolta e al riordino degli scritti dell’Ambrogini apportando significative modifiche testuali nei luoghi giudicati più licenziosi o meno opportuni (Perosa 1956). Se spettò ai fiorentini Zanobi Acciaioli e Pietro Ricci la preparazione del testo degli epigrammi, si deve riconoscere un ruolo decisivo nella curatela del volume all’umanista bolognese Alessandro Sarti (menzionato nella dedica), figura ancora umbratile e non abbastanza conosciuta e che fu diversamente apprezzata dai critici del Poliziano. In ogni caso Sarti, in contatto con lo stesso Poliziano fino al 1494, dimostrava di essere un umanista di rilievo e assai apprezzato nella Bologna di fine secolo, come dimostrano le attestazioni di stima che gli tributarono Antonio Urceo Codro e Andrea Magnani. A ciò si aggiunga che proprio il bolognese fu il principale curatore dell’edizione delle Cose volgari del Poliziano apparse a Bologna per i tipi di Francesco Platone de’ Benedetti nel 1494 (IGI 7971). Il progetto dell’edizione delle opere latine doveva essere stato affidato inizialmente al de’ Benedetti, tuttavia la sua prematura morte e le iniziali difficoltà degli eredi nel prendere in mano l’attività tipografica, fecero sì che Sarti si rivolgesse ad Aldo (Veneziani 1994; Lowry 2000). Tra i numerosi testi confluiti nell’aldina spiccano, accanto al ricco epistolario, le migliori opere latine del Poliziano tra cui la prima centuria dei Miscellanea, le Sylve, diverse prolusioni ai suoi corsi universitari e i già menzionati epigrammi latini e greci. Si segnala però la vistosa mancanza, motivata da ragioni di opportunità politica, del Pactianae coniurationis commentariolum. Il libro, che per la prima volta nelle edizioni aldine vedeva l’impiego di caratteri ebraici, ebbe un enorme successo e fu subito ristampato a Brescia con false note tipografiche da Bernardino Misinta (IGI 7953). L’esemplare bolognese non presenta note di possesso e marginalia; solo si rilevano sobri interventi grafici su alcuni capilettera. Perosa 1956; Dionisotti 1975; Scapecchi 1994b; Veneziani 1994; Lowry, 2000.
g.v.
201 ALDO E BOLOGNA
EPISTOLAE DIVERSORUM philosophorum, oratorum, rhetorum, in 4°, pt. 1 [29] marzo 1499; pt. 2 [non prima del 17 aprile 1499]. Editio princeps. In greco e latino. R 18.1; U 30; A 31; M 27; IGI 3707; ISTC ie00064000
coll.: A.V.KK.XI.36 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758; possessore: Girolamo da Brindisi, sec. XVI). Fascicoli
η6 e ζ6 invertiti. Caronti 335, p. 200-1. Misure d’esemplare:
La pur breve prefatoria testimonia lo stretto rapporto di amicizia che Aldo intratteneva con Antonio Urceo Codro, il grande grecista dello Studio di Bologna. L’editore umanista sancì la sua ammirazione nei confronti del maestro bolognese, destinandogli circa quaranta autori in due volumi, considerati fondamentali per il suo insegnamento. Anche se è difficile che Codro, già malato, sia riuscito a professare pubblicamente i testi di questa antologia prima della morte (avvenuta nel febbraio del 1500), non è però da escludere la loro attenta lettura almeno presso i suoi allievi più stretti. Filippo Beroaldo il Giovane, in una lettera ad Aldo, comunicava infatti di essere entrato in possesso di un esemplare mutilo dell’antologia appartenuto al maestro Codro, chiedendo di avere il quinterno mancante attraverso Alessandro Sarti (Nolhac 1888, p. 24). Inoltre la traduzione che Nicolò Copernico (allievo di Codro a Bologna alla fine degli anni novanta del Quattrocento) fece delle lettere di Teofilatto Simocatta (pubblicata a Cracovia nel 1509), può essere stata influenzata dalla lettura durante gli anni bolognesi di questa aldina (Barone 1979, p. 68). Chiude il volume la postfazione dell’insigne grecista veneto Marco Musuro, stretto collaboratore di Aldo e curatore del testo greco, insieme con gli allievi di Codro. L’edizione assembla materiale composito in parte proveniente dal manoscritto Par. Gr. 924 (Follet 1975) e in parte da un’edizione veneziana di Falaride, uscita nel 1498 (IGI 7681).
legatura, mm 215x158x51; corpo del libro, mm 208x153x41.
Nolhac 1888; Pastorello 1957; Dionisotti 1975; Follet 1975; Barone 1979; Raimondi 1987; Manousakas 1991; Speranzi 2013.
202
g.v.
203 ALDO E BOLOGNA
GIOVANNI FILOPONO (490-570 d. C.)
In Posteriora resolutoria Aristotelis comentaria, in folio, marzo 1504. In greco. R 45.1; U 80; A 82; M 92; Edit16 CNCE 36161
coll.: A.V.D.IX.18 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). Misure d’esemplare: legatura, mm 283x190x34; corpo del libro, mm 279x177x25.
204
Il programma editoriale di Aldo, che prevedeva la pubblicazione, accanto agli Opera omnia di Aristotele, di una vasta serie dei suoi commentatori greci per superare le letture e le interpretazioni arabe e cristiane dei commenti, necessitava di un carattere greco chiaro, la cui lettura fosse facile. Aldo trovò, sin dagli anni in cui apparvero le sue prime edizioni, la collaborazione di Francesco Griffo da Bologna che, grazie alle sue serie di caratteri, rappresentò senza dubbio una figura di fondamentale importanza per il successo delle edizioni aldine. Per Aldo Griffo incise almeno sei serie di caratteri tondi latini, culminati nell’Hypnerotomachia Poliphili e in particolare nel maiuscolo. Altrettanto importanti, oltre alle serie dei corsivi, sono i caratteri greci, realizzati tanto in tondo quanto in corsivo, a partire dal «greco 4» - ossia la quarta serie di caratteri greci incisa dal bolognese per l’editore umanista – del Sofocle (cfr. scheda Sofocle 1502). Allievo del neoplatonico Ammonio, Giovanni Filòpono da Alessandria, che ebbe il suo floruit nella seconda metà del VI secolo, fu il commentatore di Aristotele che più influenzò la ricezione dello Stagirita presso gli arabi. La pubblicazione dei Commenti di Filòpono costituiva la seconda tappa nell’edizione completa (peraltro mai portata a termine) dei commenti ad Aristotele, come informa la dedica ad Alberto Pio di Carpi, allievo, protettore e finanziatore di Aldo, a cui l’editore dedicava progressivamente tutti i suoi libri di argomento aristotelico. Da quanto emerge dalle prime righe dell’epistola prefatoria e da come l’edizione viene segnalata nei cataloghi aldini del 1503 e del 1513, sappiamo che Aldo aveva in programma di far uscire il commento di Filòpono agli Analitici primi, immediatamente dopo quello di Ammonio, suo maestro (cfr. scheda Ammonio di Ermia 1503). Tuttavia, avendo solo a disposizione il commento agli Analitici secondi, Aldo decise di pubblicare immediatamente quest’ultimo testo. Al Commento del filosofo di Alessandria fa seguito l’esegesi di un anonimo greco. Sempre la prefazione aldina dà notizia del fatto che Aldo fosse in possesso di codici con varianti, segnalate con asterischi e opportunamente riportate in calce al volume. Le segnature di collocazione e le note di possesso vergate all’incipit (c. a1r: «Mona st e r i j .s. S a l ua t ori s boñon[i a e ]. nume ro. 13»; c. a2r: «Ist e l i be r e s t Mon[ a st e r ] i j . S [ a nc ] t i . S a l ua t ori s B ononi ę | si gna t [us] i n i nuē [n]ta rio s[ u] b l i t [ e r a ] .I .») da mano cinquecentesca permettono di assegnare l’esemplare bolognese alla biblioteca del SS. Salvatore. Ad eccezione della manicula a c. a3r non sono apprezzabili interventi manoscritti d’uso e di lettura. Dionisotti 1975; Giardina 1999; Lowry 2000.
g.v.
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L I S TA B R E V E DE L L E A L DI N E DE L L A B I B L I O T E C A U N I V E R S I TA R I A DI B O L O G N A a cura di Paolo Tinti
COSTANTINO LASCARIS,
Erotemata,
ARISTOFANE , Comoediae novem, in folio, 15 luglio 1498.
in 4°, 28 febbraio 1494/1495, 8 marzo 1495.
R 16.3; U 25; A 26; M 24; Sicherl, pp. 114-154; IGI 790; ISTC ia00958000
R 1.1; U 1; A 1; M 2; IGI 5693; ISTC il00068000
coll.: A.V.KK.X.4 (provenienza: Convento di S. Domenico, Bologna).
coll.: A.V.KK.XI.29 (provenienza: Convento della SS. Annunziata,
Caronti 66, p. 38.
Bologna; possessore: Luigi da Piacenza, frate).
ANGELO POLIZIANO , Opera, in folio, luglio 1498. ARISTOTELE , Opera, in folio, vol. 1: 1 novembre 1495.
R 17.4; U 26; A 27; M 25; IGI 7952; ISTC ip00886000
R 7.5; U 4; A 4; M 4; Sicherl, p. 31-113; IGI 791; ISTC ia00959000
coll.: A.V.KK.X.11.
coll.: A.V.KK.X.6 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758).
EPISTOLAE DIVERSORUM
206
TEODORO GAZA , Grammatica introductiva, in folio, 25 dicembre 1495.
philosophorum, oratorum, rhetorum, in 4°, pt. 1 [29]
R 4.2; U 5; A 5; M 5, 6; IGI 4181; ISTC ig00110000
R 18.1; U 30; A 31; M 27; IGI 3707; ISTC ie00064000
coll.: A.V.KK.X.3 (provenienza: Collegio dei Gesuiti, Bologna).
coll.: A.V.KK.XI.36 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758;
marzo 1499; pt. 2 [non prima del 17 aprile 1499].
possessore: Girolamo da Brindisi, sec. XVI).
THESAURUS , in folio, agosto 1496. R 9.1; U 8; A 9; M 11, 12; IGI 9510; ISTC it00158000 coll.: A.V.KK.X.5.
SCRIPTORES ASTRONOMICI , in folio, giugno 1499, [17] ottobre 1499. R 20.3; U 34; A 35; M 35; IGI 8846; ISTC if00191000
LORENZO MAIOLO , De gradibus medicinarum, in 4°, [ante 13 settembre] 1497.
coll.: A.V.KK.XII.3.
R 14.11; U 14; A 15; IGI 6035; ISTC im00084000
coll.: A.V.A.III.8.
coll.: A.V.KK.VII.53/2.
coll.: A.V.KK.XI.54/1 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605).
GIAMBLICO , De mysteriis Aegyptiorum, Chaldaeorum, Assyriorum, in folio, settembre 1497.
s. CATERINA DA SIENA , Epistole, in folio, [19] settembre 1500. R 23.2; U 36; A 37; M 37, 38; IGI 2587; ISTC ic00281000
R 13.6; U 15; A 17; M 19; IGI 5096; ISTC ij00216000
coll.: A.V.B.VI.40 (provenienza: Giovanni Grisostomo Trombelli,
coll.: A.V.B.XI.28 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605).
1697-1784). coll.: A.V.KK.XII.1.
GIOVANNI CRASTONE ,
Dictionarium Graeco-latinum, in folio, dicembre 1497. R 13.7; U 16; A18; M 20, 21; IGI 3255; ISTC ic00960000
POETAE CHRISTIANI VETERES , in 4°, vol. 1: gennaio 1501/1502.
coll.: A.V.B.VI.35 (provenienza: Collegio dei Gesuiti, Bologna;
R 24.1; U 38; A 42; M 53; Edit16 CNCE 36115
possessore: Giovanni Battista Garzone, notaio;
coll.: Raro C.61 (provenienza: Convento di S. Maria dei Servi, Bologna).
«Angeli d. Jonsib de Fano»).
coll.: A.M.T.VI.8/2 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605).
FRANCESCO PETRARCA , Le cose volgari, in 8°, luglio 1501.
POETAE CHRISTIANI VETERES , in 4°, vol. 2: giugno 1502.
R 28.5; U 43; A 47; M 44; Edit16 CNCE 36111
R 39.17; U 58; A 61; M 53; Edit16 CNCE 36115
coll.: Raro B.27 (possessore: Charles Bon, ufficiale, XIX sec.).
coll.: A.V.B.IX.53. coll.: A.M.T.VI.8/1 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605)
GIOVENALE, PERSIO , in 8°, agosto 1501.
coll.: A.V.D.IV.23 (possessore: Gregorio Amaseo, 1464-1541).
R 29.6; U 44; A 48a; M 45, 46, 47, 48; Edit16 CNCE 36104 coll.: Raro B.50.
DANTE ALIGHIERI , Le terze rime di Dante, in 8°, agosto 1502.
GIORGIO VALLA ,
R 34.5; U 59; A 63; M 65; Edit16 CNCE 1144
De expetendis, et fugiendis rebus opus, in folio,
coll.: Raro B.3 (possessore: Walter Ashburner, Firenze, 1864-1936).
dicembre 1501. R 30.8; U 48; A 50; M 50; Edit16 CNCE 36115
SOFOCLE , Tragaediae septem, in 8°, agosto 1502.
coll.: A.V.B.XI.3 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605).
R 34.6; U 60; A 62; M 63, 64; Sicherl, p. 347-50; Edit16 CNCE 36139 coll.: Raro B.57 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758;
COSTANTINO LASCARIS ,
possessore: Girolamo da Brindisi, sec. XVI).
De octo partibus orationis liber, in 4°, [1501-1503]. R 262.15; U 50; A 54; M 56, 57; Edit16 CNCE 36151
TERENZIO FLORENIO , Apologia in Bartholinum
coll.: A.V.D.IV.37 (possessore: «Fabio», XVI sec.).
Atriensem & Gabrielem Ciminum. Annotationes in commentarios J. Britannici in Iuvenalem,
CATULLO, TIBULLO, PROPERZIO , in 8°, gennaio 1502/1503.
in 4°, 18 agosto 1502.
R 39.16; U 52; A 55; M 76, 77; Fletcher, p. 100-6; Edit16 CNCE 10356
coll.: A.V.Caps. 155 9/1 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605).
A 41; Edit16 CNCE 19254
207
coll.: Raro B.53.
STAZIO , Sylvarum libri quinque, in 8°, agosto 1502, novembre 1502.
STEFANO DI BISANZIO , De urbibus, in folio, gennaio 1502/1503, [dopo il] 18 marzo 1502.
coll.: A.V.D.VI.16 (possessore: «Gaspar Banutius», XVII sec.).
R 38.15; U 53; A 56; M 75; Edit16 CNCE 36142
coll.: Raro B.52 (possessore: Cristoforo Guidicini, m. 1629).
R 35.7; U 61; A 69; M 66; Edit16 CNCE 36141
coll.: A.V.D.III.17/2 (provenienza: Collegio dei Gesuiti, Bologna).
ERODOTO , Libri novem, in folio, settembre 1502. GIULIO POLLUCE , Vocabularium, in folio, [dopo l’11] aprile 1502.
R 35.8; U 62; A 64; M 67, 68; Edit16 CNCE 22655 coll.: Raro D.65/1.
R 32.1; U 54; A 57; M 58; Edit16 CNCE 36138 coll.: A.V.D.III.17/1 (provenienza: Collegio dei Gesuiti, Bologna).
VALERIO MASSIMO, Dictorum et factorum memorabilium libri novem, in 8°, ottobre 1502.
LUCANO , [Pharsalia], in 8°, aprile 1502.
R 36.10; U 65; A 67; M 70, 71; Fletcher, p. 109-11; Edit16 CNCE 36147
R 33.3; U 56; A 59; M 59; Edit16 CNCE 36129
coll.: Raro B.51 (possessore: «Ad usum D. Juliani B ?»).
coll.: Raro A.43.
TUCIDIDE , Thucydides, in folio, maggio 1502.
OVIDIO , Metamorphoseon libri quindecim, in 8°, ottobre 1502.
R 33.4; U 57; A 60; M 60, 61, 62; Edit16 CNCE 55824
R 37.12; U 66; A 68; M 72, 73; Edit16 CNCE 36136
coll.: A.V.D.III.24 (provenienza: Convento della SS. Annunziata,
coll.: Raro B.55.
Bologna; possessore: Scipione Bianchini, sec. XVI).
APPARATI
EURIPIDE , Tragoediae septendecim, 8° febbraio 1503/1504.
FLAVIO FILOSTRATO , De vita Apollonii Tyanei libri octo, in folio, febbraio 1502/1503, [maggio 1504].
R 43.10; U 69; A 71; M 90; Fletcher, p. 107; Sicherl, p. 291-309;
R 26.2; U 82; A 85; M 54, 55; Edit16 CNCE 36113
Edit16 CNCE 18373
coll.: A.V.D.VII.9 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605).
coll.: Raro B.54.
LUCIANO DI SAMOSATA , Opera, in folio, febbraio, giugno 1503. R 39.3; U 73; A 75; M 79, 80; Edit16 CNCE 63229
POETAE CHRISTIANI VETERES , in 4°, vol. 3: giugno 1504. R 46.4; U 84; A 86; M 96; Edit16 CNCE 36115 coll.: A.V.D.IV.16 (provenienza: Filippo Monti, 1675-1754).
coll.: Raro D.1 (possessore: Pompeo Zambeccari, m. 1571)
BESSARIONE , In calumniatorem Platonis libri quatuor, in folio, luglio 1503.
PIETRO BEMBO , Gli Asolani, in 4°, agosto 1504, marzo 1505. R 48.1; U 88; A 90; M 105; Edit16 CNCE 4986
R 40.5; U 75; A 77; M 83; Edit16 CNCE 5644
coll.: Raro C.86
coll.: A.V.KK.X.23/2.
(provenienza: Convento di S. Giacomo Maggiore, Bologna).
AMMONIO DI ERMIA , Commentaria in librum Peri Hermenias, in folio, giugno, 17 ottobre 1503.
Carmina, in 8°, aprile 1505.
R 40.4; U 76; A 78; M 81, 82; Edit16 CNCE 1595
R 49.2; U 89; A 91; M 106, 107; Edit16 CNCE 3381
coll.: A.V.D.IX.11 (possessore: Scipione Bianchini, sec. XVI).
coll.: Raro B.56.
GIOVANNI AURELIO AUGURELLI ,
coll.: Raro B.1/4 (provenienza: Lorenzo Puppati, 1791-1877).
ULPIANO , Commentarioli, in folio, ottobre 1503. 208
R 41.6; U 77; A 79; M 84; Sicherl, pp. 350-351; Edit16 CNCE 55857
ESOPO , Vita & fabellae, in folio, ottobre 1505.
coll.: A.V.D.IX.15/2
R 49.6; U 93; A 95; M 111, 112; Sicherl, p. 352-6; Edit16 CNCE 334
(provenienza: Convento della SS. Annunziata, Bologna).
coll.: A.V.D.IX.14.
coll.: A.V.D.IX.13/2.
ALDO MANUZIO , SENOFONTE , Omissa: quae & Graeca gesta appellantur, in folio, ottobre 1503.
Institutionum grammaticarum libri quatuor,
R 41.7; U 78; A 80; M 85, 86; Edit16 CNCE 55858
R 52.1; U 97; A 99; M 116; Edit16 CNCE 36171
coll.: Raro D.64/2.
coll.: A.V.D.IV.3
in 4°, ottobre 1507, aprile 1508.
(provenienza: Girolamo Legnani Ferri, Bologna, 1721-1805).
GIOVANNI FILÒPONO , In Posteriora resolutoria Aristotelis comentaria, in folio, marzo 1504. R 45.1; U 80; A 82; M 92; Edit16 CNCE 36161
PLINIO IL GIOVANE , Epistolarum libri decem, in 8°, novembre 1508.
coll.: A.V.D.IX.18
R 53.3; U 100; A 101; M 117; Fletcher, p. 112-5; Edit16 CNCE 37420
(provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
coll.: A.V.D.V.39 (possessore: «Ioanis Hieronimi Portensis»).
ARISTOTELE , De natura animalium, in folio, marzo 1504, aprile 1504.
RHETORES GRAECI , in 4°, vol. 1: novembre 1508.
R 45.2; U 81; A 83; M 93; Edit16 CNCE 2871
R 54.4; U 99; A 102; M 118; Sicherl, p. 309-25; Edit16 CNCE 2146
coll.: A.IV.H.I.38 (possessore: Constantino Brancaleoni, m. 1574).
coll.: A.V.D.IX.10/1 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna). coll.: A.V.D.IX.24 (provenienza: Convento della SS. Annunziata, Bologna).
PLUTARCO , Opuscula LXXXXII, in folio, marzo 1509. R 55.1; U 101; A 103; M 119, 120; Sicherl, p. 357-9; Edit16 CNCE 37429
ALESSANDRO D’AFRODISIA , In Topica Aristotelis, commentarii, in folio, settembre 1513, febbraio 1514.
coll.: A.V.D.IX.22
R 62.5; U 118; A 120; M 131, 132; Edit16 CNCE 1034
(provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
coll.: A.V.D.IX.16/2 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
RHETORES GRAECI , in 4°, vol. 2: 21 maggio 1509.
RHETORICA AD HERENNIUM , in 4°, marzo 1514.
R 54.4; U, 104; A 102; M 118; Sicherl, p. 309-25; Edit16 CNCE 2146
R 65.1; U 120; A 122; M 141, 142; Edit16 CNCE 12196
coll.: A.V.D.IX.10/2
coll.: A.V.D.IV.22 (provenienza: Antonio e Bartolomeo Bonfiglioli,
(provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
Bologna, XVII sec.; possessore: Costantino Turchi, Bergamo, XVI sec.).
DEMOSTENE , Orationes duae & sexaginta, in folio, ottobre 1504, novembre 1504 [ma 1513].
SCRIPTORES REI RUSTICAE, in 4°, maggio 1514.
R 47.7; U 87, 191; A 89 b; M 104; Fletcher, p. 55-9; Edit16 CNCE 16733
coll.: A.V.D.IV.8 (possessore: Boniface d’Avignon, XVI sec.;
coll.: A.V.D.IX.15/1
Michel Varro, Ginevra, m. 1586)
R 66.2; U 121; A 123; M 143; Edit16 CNCE 37471
(provenienza: Convento della SS. Annunziata, Bologna). coll.: A.V.D.IX.13/1
ESICHIO , Dictionarium, in folio, agosto 1514.
(provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
R 66.3; U 122; A 124; M 144; Sicherl, p. 360-1; Edit16 CNCE 23059 coll.: A.V.D.III.25 (provenienza: Ulisse Aldrovandi, 1522-1605).
GIOVANNI GIOVIANO PONTANO , Opera, in 8°, 1513. R 63-64.7; U 109; A 119; M 109, 110; Edit16 CNCE 37456
ATENEO , Deipnosophistai, in folio, agosto 1514.
coll.: Raro B.99.
R 67.4; U 123; A 125; M 145; Edit16 CNCE 3340 coll.: A.V.D.III.3
PINDARO , Olympia, Pythia, Nemea, Isthmia, in 8°, gennaio 1513/1514.
(provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
R 64.9; U 108; A 110; M 135, 136; Edit16 CNCE 37448
ALDO MANUZIO , Institutionum grammaticarum libri quatuor, in 4°, dicembre 1514.
coll.: A.V.D.V.22 (provenienza: Benedetto XIV, 1675-1758).
APPARATI
R 69.10; U 129; A 131; M 152; Edit16 CNCE 37481
ARISTOTELE , De natura animalium, in folio, febbraio 1513/1514, marzo 1514.
coll.: A.V.D.IV.47 (Possessore: Domenico Castellani, Bologna, 1551-post 1608).
R 65.11; U 111; A 112; M 139; Edit16 CNCE 2879 coll.: A.V.D.VII.7 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
LUCREZIO , Lucretius, in 8°, gennaio 1515. R 74.11; U 130; A 132; M 153; Fletcher, pp. 123-124; Edit16 CNCE 37499
ORATORES GRAECI , in folio, aprile 1513, maggio 1513.
coll.: A.V.D.VIII.5 (provenienza: Francesco Maria Zambeccari, 1681-
R 60.2; U 112; A 114*; M 127, 128; Edit16 CNCE 37441
1752; possessore: Andrea Pasqualino, XVI sec.)
coll.: A.V.D.IX.26 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
PLATONE , Omnia Platonis opera, in folio, settembre 1513. R 62.4; U 114; A 116; M 130; Edit16 CNCE 37450 coll.: A.V.D.VII.16 (provenienza: Monastero del SS. Salvatore, Bologna).
209
I N DI C I i numeri rinviano alle pagine del catalogo
a cura di Ilaria Bortolotti
Indice degli autori e titoli
2 10
Indice delle provenienze e dei possessori
Alessandro d’Afrodisia 192
Poetae Christiani veteres 100, 144, 174
Agostiniani, Convento di S. Giacomo Maggiore, Bologna 88
Alighieri, Dante 86
Poliziano, Angelo 200
Aldrovandi, Ulisse 100, 102, 170, 172, 174, 176, 178, 180, 182
Ammonio di Ermia 160
Polluce, Giulio 119
Amaseo, Gregorio 102, 144
Aristofane 122
Pontano, Giovanni Gioviano 150
Angeli d. Jonsib de Fano 46
Aristotele 130, 188
Properzio 142
Ashburner, Walter 86-7
Ateneo 136
Rhetores Graeci 76, 162, 184
Augurelli, Giovanni Aurelio 50
Rhetorica ad Herennium 56
Banutius, Gaspar 112
Bembo, Pietro 88
Scriptores astronomici 94
Bessarione 172
Scriptores rei rusticae 152
Caterina da Siena, santa 82,98
Senofonte 74
Bon, Charles, ufficiale 84
Catullo 142
Sofocle 104
Bonfiglioli, Antonio e Bartolomeo 56
Crastone, Giovanni 46
Stazio 112
Boniface d’Avignon 152
Demostene 148
Stefano di Bisanzio 70
Brancaleoni, Constantino 130
Epistolae diversorum 164
Tibullo 142
Erodoto 124
Thesaurus 44
Canonici Lateranensi, Monastero del SS. Salvatore, Bologna 74, 76, 134, 136, 146, 148, 184, 186, 188, 190, 192, 204
Esichio 182
Tucidide 68
Castellani, Domenico 54
Esopo 52
Ulpiano 146
Domenicani, Convento di S. Domenico, Bologna 122
Euripide 128
Valerio Massimo 110
Filòpono, Giovanni 204
Valla, Giorgio 176
Filostrato, Flavio 180 Florenio, Terenzio 178
Benedetto XIV, papa 64, 104, 164, 166, 202 Bianchini, Scipione 68, 148, 160, 162
Fabio, sec. XVI 66 Garzone, Giovanni Battista, notaio 46 Gesuiti, Collegio di S. Lucia, Bologna 42, 46, 70, 126
Gaza, Teodoro 42
Girolamo da Brindisi 104, 164, 166, 202
Giamblico 172
Guidicini, Cristoforo 112
Giovenale 48
Juliani B., sec. XVII 110
Lascaris, Costantino 40, 66
Legnani Ferri, Girolamo 54
Lucano 106
Luigi da Piacenza, frate 40
Luciano di Samosata 168 Lucrezio 114
Minori Osservanti, Convento della SS. Annunziata, Bologna 40, 68, 76, 148, 162
Maiolo, Lorenzo 170
Monti, Filippo, cardinale 102
Manuzio, Aldo 54 Oratores Graeci 190 Ovidio 108 Persio 48
Pasqualino, Andrea 114-5 Portensis, Iohannis Hieronimus 132 Puppati, Lorenzo 50
Petrarca, Francesco 84
Serviti, Convento di Santa Maria dei Servi, Bologna 100
Pindaro 166
Trombelli, Giovanni Grisostomo 82
Platone 134
Turchi, Costantino 56
Plinio il Giovane 132
Varro, Michel, sindaco 152
Plutarco 186
Zambeccari, Francesco Maria 114 Zambeccari, Pompeo, vescovo 168
ABBREVIAZIONI
Biblioteche
Cataloghi e repertori
BAM
Biblioteca Ambrosiana, Milano
A
BANLC
Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei
Aldo Manuzio tipografo, 1494-1515, catalogo a cura di Luciana Bigliazzi et al., Firenze, Octavo F. Cantini, 1994.
Caronti
Gli incunaboli della r. Biblioteca universitaria di Bologna, catalogo di Andrea Caronti, compiuto e pubblicato
e Corsiniana, Roma BAV
Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano
BCAB
Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna
BEU
Biblioteca Estense Universitaria, Modena
BGE
Bibliothèque Publique et Universitaire, Ginevra
BML
Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze
BNF
Bibliothèque Nationale de France, Parigi
BNM
Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia
BNR
Biblioteca Nazionale Russa, San Pietroburgo
BQS
Biblioteca della Fondazione Querini Stampalia, Venezia
BUB
Biblioteca Universitaria, Bologna
HLH
Houghton Library, Cambridge MA
ONB
Österreichische Nationalbibliothek, Vienna
RBEE
Real Biblioteca, San Lorenzo de El Escorial
da Alberto Bacchi Della Lega e Ludovico Frati, Bologna, Zanichelli, 1889.
Edit16 CNCE
IGI
Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo.
Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, Roma, IPZS, 1941-1981.
ISTC
The British Library, Incunabula Short-Title Catalogue,
M
Aldo Manuzio e l’ambiente veneziano, 1494-1515, a cura di Susy Marcon e Marino Zorzi, Venezia, Il cardo, 1994.
R
Antoine-Auguste Renouard, Annales de l’Imprimerie des Alde, ou Histoire des trois Manuce et de leurs éditions, Paris, Jules Renouard, 1834.
U
The Aldine Press. Catalogue of the Ahmanson-Murphy collection of books by or relating to the press in the Library of the University of California, Los Angeles, Berkeley, University of California Press, 2001.
211 APPARATI
N O TA B I B L I O G R A F I C A a cura di Noelia López Souto
Accendere, Privitera 2014 = Bessarione, La natura delibera. La natura e l’arte, a cura di Pier Davide Accendere e Ivanoe Privitera, prefazione di John Monfasani, introduzione di Eva Del Soldato, notizia biografica di Marino Zorzi, nota critica, traduzione, note e indice dei passi di I. Privitera, saggi integrativi di P. D. Accendere, Concetta Bianca, Fabrizio Lollini, bibliografia e indice dei nomi di P. D. Accendere, Milano, Bompiani, 2014. Achard 1989 = Rhétorique à Herennius, texte établi et traduit par Guy Achard, Paris, Les Belles Lettres, 1989. Angerhofer, Maxwell, Maxwell 1995 = Paul J. Angerhofer, Mary Ann Addy Maxwell, Robert L. Maxwell, In aedibus Aldi: the legacy of Aldus Manutius and his press, with binding descriptions by Pamela Barrios, Provo, Brigham Young University, 1995.
2 12
Arduini 1991 = Franca Arduini, La Biblioteca Universitaria di Bologna. La storia della Biblioteca, Le grandi biblioteche dell’Emilia-Romagna e del Montefeltro. I tesori di carta, a cura di Giancarlo Roversi e Valerio Montanari, introduzione di Maria Gioia Tavoni, Casalecchio di Reno, Grafis, 1991, p. 79-98.
Bacchi 2005 = Maria Cristina Bacchi, Ulisse Aldrovandi e i suoi libri, «L’Archiginnasio», C, 2005, p. 255-365. Bacchi, Miani 1998 = Maria Cristina Bacchi, Laura Miani, Vicende del patrimonio librario bolognese: manoscritti e incunaboli della Biblioteca Universitaria di Bologna, in Pio VI Braschi e Pio VII Chiaramonti. Due pontefici cesenati nel bicentenario della Campagna d’Italia, a cura di Andrea Emiliani, di Luigi Pepe e di Biagio Dradi Maraldi, con la collaborazione di Michela Scolaro, Bologna, CLUEB, 1998, p. 369-475. Balsamo 2000 = Luigi Balsamo, L’edizione aldina delle ‘Rime’ del Petrarca (1501) e l’affermazione della letteratura volgare, in La lotta con Proteo: metamorfosi del testo e testualità della critica, a cura di Luigi Ballerini, Gay Bardin e Massimo Ciavolella, con la collaborazione di Flavio Frontini, Francesca Leardini e Petra Wirth, Fiesole, Cadmo, 2000, p. 303-10.
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Bessarione 1994 = Bessarione e l'Umanesimo. Catalogo della Mostra, a cura di Gianfranco
Fiaccadori, con la collaborazione di Andrea Cuna, Andrea Gatti, Saverio Ricci; presentazione di Marino Zorzi; prefazione di Giovanni Pugliese Carratelli, Napoli, Vivarium, 1994. Bethe 1900-1937 = Polluce, Onomasticon. E codicibus ab ipso collatis, denuo edidit et adnotavit Ericus Bethe, Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1900-1937. Beullens, Gotthelf 2007 = Pieter Beullens, Allan Gotthelf, Theodore Gaza’s Translation of Aristotle’s De Animalibus: Content, Influence, and Date, «Greek, Roman and Byzantine Studies», XLVII, 2007, p. 469-513. Bianca 1999 = Concetta Bianca, Gaza Teodoro, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 52, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1999, p. 737-46. Billerbeck 2006-2014 = Stefano da Bisanzio, Ethnica, recensuit Germanice vertit adnotationibus indicibusque instruxit Margarethe Billerbeck, Berolini, De Gruyter, 2006-2014. Bischoff 1981 = Bernhard Bischoff, Die Hofbibliothek Karls des Großen, in Id., Mittelalterliche Studien, Ausgewählte Aufsätze zur Schriftkunde und Literaturgeschichte, III, Stuttgart, A. Hiersemann, 1981, p. 149-69.
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Black 2001 = Robert Black, Humanism and education in medieval and Renaissance Italy: tradition and innovation in Latin schools from the twelfth to the fifteenth century, Cambridge, Cambridge University Press, 2001.
Canfora 2001 = Ateneo, I Deipnosofisti: i dotti a banchetto, prima traduzione italiana commentata su progetto di Luciano Canfora, introduzione di Christian Jacob, Roma, Salerno, 2001.
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219 APPARATI
MOSTRA
Stefano Rocchi (s.r.), Bayerische Akademie der Wissenschaften, München Gabriele Rota (g.r.), University of Cambridge
A cura di CERB, Centro di Ricerca in Bibliografia Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica
David Speranzi (d.s.), Università Statale di Milano Paolo Tinti (p.t.), Università di Bologna Renzo Tosi (r.t.), Università di Bologna Giacomo Ventura (g.v.), Università di Bologna
Alma Mater Studiorum, Università di Bologna In collaborazione con Biblioteca Universitaria, Bologna Sistema Bibliotecario d’Ateneo, Bologna Comitato Scientifico Pedro M. Cátedra Loredana Chines Francesco Citti
Edito da Pàtron Editore, Bologna Progetto grafico Dina&Solomon, graphic design duet Sponsor tecnici Grafiche dell’Artiere, Favini
Stefano Martinelli Tempesta Giuseppe Olmi Piero Scapecchi
Segreteria Amministrativa Lorena Benini, Laura Rodà, Antonella Zanini
Paolo Tinti, coordinatore Paola Vecchi Galli
Nell’ambito di
Percorso espositivo con l’apporto di Alberto Tallone Editore Progetto di allestimento Fabrizio Gruppini Architetto Allestimento bacheche Rossella Ruggeri e Francesca Sorgato coordinatrici. Rita Bertani, Ilaria Bortolotti, Flavio Giorgis, Noelia López Souto, Giovanna Magnanini, Elisa Pederzoli, Giacomo Ventura.
Si ringraziano Pierangelo Bellettini, Direttore dell’Istituzione Biblioteche, Comune di Bologna
Marco Guardo, Direttore della Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Roma
Restauri Laboratorio Post-Scriptum, Bologna Flavio Giorgis, Biblioteca Universitaria, Bologna CATA L OGO Schedatori Marco Beretta (m.be), Università di Bologna Michele Bandini (m.ba), Università della Basilicata, Potenza Ilaria Bortolotti (i.b.), Università Statale di Milano Antonio Cacciari (a.c.), Università di Bologna Gualtiero Calboli (g.c.), Università di Bologna Maria Celeste Cola (m.c.c.), Roma Stefano Cremonini (s.c.), Bologna Francesca Florimbii (f.f.), Università di Bologna Elena Gatti (e.g.), Università di Bologna Massimo Magnani (m.m.), Università di Parma Giovanna Magnanini (g.m.), Ferrara Susy Marcon (s.m.), Biblioteca Marciana, Venezia Stefano Martinelli Tempesta (s.m.t.), Università Statale di Milano Elisa Pederzoli (e.p.), Università di Bologna Pasquale Massimo Pinto (p.m.p.), Università di Bari Tiziana Plebani (t.p.), Biblioteca Marciana, Venezia Silvia Pugliese (s.p), Biblioteca Marciana, Venezia Piero Scapecchi (p.s.), Firenze
Anna Manfron, Responsabile dell’Archiginnasio e biblioteche specializzate, Comune di Bologna
Leonardo Piano, Responsabile di ASDD, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Marco Veglia, Presidente de La Spècola di Bologna
Davide Zannoni, Presidente del Comitato Scientifico, Biblioteca Universitaria, Bologna
e, in particolare, Ebe Antetomaso, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Roma Cristina Bersani, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna Michele Catarinella, Biblioteca Universitaria, Bologna Manuel Dall’Olio, Presidente Associazione Francesco Griffo da Bologna Paola Degni, Università di Bologna Patrizia Moscatelli, Biblioteca Universitaria, Bologna Franco Pasti, Biblioteca Universitaria, Bologna Tiziana Plebani, Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia Alessandro Rollo, Università degli studi L’Orientale, Napoli Grazie all’Associazione La Spècola di Bologna per aver finanziato il restauro dell’Aldina miniata (BUB, coll.: Raro B.27).