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Italian Pages [58] Year 2020
Appunti di ingegneria delle fondazioni
Alessandro Flora, Renato Lancellotta e Carlo Viggiani
A. Flora, R. Lancellotta, C. Viggiani
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Appunti di ingegneria delle Fondazioni
INDICE
Premessa………………………………………………………………………………………
1.
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Richiami di Meccanica dei Terreni 1.1. Introduzione………………………………………………………………………… 8 1.2. Il principio delle tensioni efficaci………………………………………………….. 9 1.3. Condizioni drenate e non drenate, consolidazione…………………………….. 11 1.4. L’influenza della storia tensionale e il concetto di tensione di snervamento… 13 1.5. Resistenza a taglio: stato critico, dilatanza, resistenza di picco……………… 15 1.6. Resistenza a taglio non drenata………………………………………………… 19
2.
Indagini in sito e profilo stratigrafico 2.1. Cenni introduttivi…………………………………………………………….……. 21 2.2. Programmazione delle indagini in sito……………………………………..…… 22 2.3. Informazioni richieste alle indagini in sito……………………………….……... 25 2.4. Regime delle acque sotterranee………………………………….…………….. 28 2.5. Definizione del modello geotecnico……………………………….……………. 29
3.
Esigenze di base per l’analisi e il progetto di una fondazione 3.1. Il sistema terreno – fondazione – sovrastruttura………………….…………… 31 3.2. Stato limite ultimo…………………………………………………….…………… 32 3.3. Stato limite di servizio………………………………………………….…………. 33
4.
Fondazioni superficiali o dirette 4.1. Tipologia…………………………………………………………..….…………… 36 4.2. Carico limite……………………………………………………………………….. 37 4.3. Previsione dei cedimenti…………………………………………………………. 38
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5.
Fondazioni su pali 5.1. Introduzione……………………………………………………….….…….…….. 44 5.2. Principali tipi di palo…………………………………………………..….………. 45 5.3. Carico limite di un palo singolo sotto carichi verticali…………….….….……. 48 5.4. Carico limite di un gruppo di pali sotto carichi verticali………….……..…….. 50 5.5. Cedimento del palo singolo……………………………………….……..……… 51 5.6. Cedimenti del gruppo di pali…………………………………………………….. 51 5.7. Pali sotto carichi orizzontali…………………………………………….………… 53
Riferimenti bibliografici………………………….………………………..………………….. 56
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Appunti di ingegneria delle Fondazioni
PREMESSA Questi appunti sono nati da un invito rivolto agli autori dall’editore Hevelius, che, in tempi di distanziamento sociale, continua a rimanere vicino ai lettori, offrendo in rete stimolanti pagine di lettura che ci ricordano che tornerà la primavera, così come in passato era tornata dopo altre buie stagioni. E allora perché non essere vicini anche ai lettori di geotecnica, studenti e professionisti, considerato l’impegno da sempre profuso da Hevelius nella diffusione della cultura geotecnica? Un invito, dunque, al quale è sembrato difficile non aderire. Beninteso, queste pagine non costituiscono un corpo organico, non vogliono esserlo e non se ne sarebbe nemmeno sentito il bisogno, considerata la disponibilità di tanti ottimi testi anche nella nostra lingua, alcuni tra l’altro di recentissima pubblicazione. Come sottolinea il titolo si tratta di appunti, con una certa predilezione per il frammento piuttosto che per la completezza, e con il desiderio di raccontare la materia in modo semplice ma senza indebite semplificazioni. Questi appunti riflettono quella quasi naturale tendenza che si fa strada quando, con il sommarsi delle stagioni, subentra il desiderio di sfrondare, di potare, lasciando solo quei rami forieri di produzione che possono leggersi come strumenti minimi per una corretta analisi del comportamento meccanico dei terreni e delle strutture con essi interagenti. Come si sa, qualsiasi problema di Ingegneria Geotecnica può essere affrontato con due approcci, sensibilmente diversi fra di loro. Il primo di essi, più avanzato e senza dubbio più alla moda, è basato su analisi numeriche a elementi finiti o alle differenze finite, adottando relazioni costitutive sofisticate e analizzando i processi accoppiati del mezzo multifase. Il secondo approccio, che era l’unico disponibile fino a qualche decennio fa, si basa invece sul cosiddetto “armamentario convenzionale” dell’ingegnere geotecnico, e cioè su un complesso di procedimenti approssimati e semiempirici, strettamente collegati a metodi di indagine semplici, affidabili e largamente diffusi. Un uso appropriato di questo armamentario richiede la comprensione dei fenomeni e quindi la capacità di modellare il problema di progetto nell’ambito di
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schemi semplici; richiede inoltre una buona dose di esperienza. Questo sta portando gli ingegneri, soprattutto i più giovani, a propendere per il primo approccio, che viene largamente ritenuto più obiettivo, più rigoroso, e meno soggetto alla scomoda necessità di comprensione e di esperienza. Ma basta provare a svolgere un’analisi numerica FEM o DEM del più semplice dei problemi di progetto per rendersi conto di quanto i risultati dipendano da dettagli di modellazione apparentemente secondari, oppure da variazioni anche piccole di qualche parametro costitutivo. Vaughan et al, (2004) affermano autorevolmente che: “A difficulty of advanced numerical analysis is that the knowledge and skill required to perform numerical analyses is substantially greater than for the simple methods of approximate analysis to which we have become accustomed”. E, aggiungiamo noi, la determinazione dei parametri caratterizzanti il terreno nelle sofisticate relazioni costitutive elasto-visco-plastiche con incrudimento isotropo o cinematico e via raffinando, richiede un livello di indagine e di sperimentazione possibile solo in casi di grande importanza. Sebbene quindi non si voglia in alcun modo svilire l’utilità delle analisi numeriche più avanzate, si vuole in questa sede semplicemente sottolineare il fatto che la raffinatezza delle analisi non corrisponde necessariamente ad un’accuratezza delle previsioni, ed è quindi alto il rischio nel loro uso di una mancanza di percezione dell’incertezza del risultato, spesso oscurata dalla gradevolezza multicolore dei diagrammi di sintesi delle elaborazioni. Secondo noi, il semplice armamentario convenzionale dell’ingegnere geotecnico è più che sufficiente per risolvere in sicurezza la maggior parte dei problemi della progettazione geotecnica quotidiana. Esso inoltre può svolgere anche un importante ruolo di rapida valutazione dei risultati di calcolazioni più complesse. Ma, come fare per l’esperienza e la comprensione? L’esperienza non deve essere necessariamente personale: nei trattati, nei manuali, nella letteratura tecnica e scientifica esistono tesori di esperienza raccolta e resa disponibile. Noi abbiamo cercato di spremerne qualche succo, e offrirlo qui ai lettori. Per la comprensione, è necessario avere ben chiaro il quadro di riferimento nel quale si inseriscono i metodi di calcolo qui richiamati. Così nei nostri appunti c’è il richiamo al concetto di continui sovrapposti con il principio delle tensioni efficaci,
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c’è la lettura dei terreni come materiali dotati di memoria, si descrive quella peculiarità dei mezzi particellari sinteticamente indicata con il termine dilatanza, che vede l’esistenza di variazioni di volume associate a sforzi di taglio; ingredienti questi che, opportunamente coniugati tra loro, hanno dato vita nel tempo anche ai modelli elasto-plastici incrudenti e alla teoria dello stato critico. E che, tornando a quello che vuole essere lo spirito di questi appunti, sono di aiuto e di orientamento nelle applicazioni, senza che necessariamente si debba fare ricorso a sofisticati algoritmi. Si dice sovente che la missione dell’ingegnere sia quella di dare concretezza alle idee, attraverso un processo che, oltre al prerequisito di rispettare i principi della meccanica, richiede una conoscenza di pregresse esperienze. Così, il dimensionamento delle fondazioni non può prescindere dalla conoscenza delle prestazioni attese della struttura, quindi degli scenari di danno costruiti sull’osservazione di casi reali. Ed è questo il motivo per il quale si riportano relazioni per la stima dei cedimenti delle fondazioni superficiali, assoluti e differenziali, basati interamente sull’osservazione di casi reali. E analoghe indicazioni vengono fornite per una stima del comportamento del palo singolo e, problema assai più complesso, del passaggio dal palo singolo alla palificata. Scorrendo ora i lemmi riportati in corsivo i lettori potranno cogliere i frammenti ai quali prima si accennava, quasi un abbecedario incompleto; ma proprio per questo, si spera, utile da avere sotto mano, per ancorare facilmente la memoria ai pochi spunti essenziali e a qualche numero indice.
aprile 2020
gli autori
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1. Richiami di Meccanica dei Terreni
1.1. Introduzione Le strutture dell’Ingegneria Civile sono sostenute dai terreni di fondazione; le strutture di sostegno o in sotterraneo sono caricate dal terreno; nel caso delle dighe in terra, degli argini, delle colmate, le opere stesse sono addirittura costituite da terreni. Per questo motivo, per prevedere in quali condizioni si possano verificare la rottura o deformazioni eccessive delle strutture stesse, è assolutamente necessaria una adeguata conoscenza del comportamento meccanico dei terreni. Nell’approccio dell’ingegnere al comportamento dei terreni vi sono due aspetti peculiari che sono di grande importanza. In primo luogo, i terreni sono materiali naturali, risultato di lunghi e complessi processi di formazione; le loro proprietà non possono essere scelte e specificate in un progetto (come avviene per un calcestruzzo, un acciaio o gli altri materiali dell’ingegneria strutturale) ma devono essere ricercate e misurate con appropriate indagini, da condurre caso per caso. È quindi necessaria la conoscenza dei metodi d’indagine del sottosuolo e la comprensione del loro significato e dei loro limiti. In secondo luogo, bisogna tener presente che i valori dei parametri che caratterizzano
il
comportamento
dei
terreni
(resistenze,
deformabilità,
permeabilità) variano entro campi assai ampi: resistenza e deformabilità possono variare di almeno tre ordini di grandezza, e la permeabilità addirittura di dieci! Infine, è da sottolineare che un appropriato programma di indagini, l’interpretazione dei relativi risultati e il loro uso nell’analisi e nel progetto delle strutture interagenti con i terreni, richiedono un approccio basato sui principi della Meccanica dei Terreni. Prima di affrontare i problemi delle fondazioni, quindi, viene qui riportato un brevissimo richiamo di questi principi, limitandosi al comportamento dei terreni e delle fondazioni sotto carichi statici. Per approfondimenti, si rimanda alla letteratura esistente anche in lingua italiana.
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1.2. Il principio delle tensioni efficaci I terreni sono costituiti da uno scheletro solido poroso con i vuoti o pori fra le particelle solide che possono essere riempiti da aria (terreni asciutti), acqua (terreni saturi) o da una miscela di più fluidi (tipicamente aria, vapor d’acqua e acqua nei terreni parzialmente saturi, ma anche, ad esempio, acqua e idrocarburi liquidi o gassosi). I terreni sono quindi dei mezzi multifase, e il loro comportamento è governato dall’interazione fra lo scheletro solido e il fluido che ne occupa i pori. Per semplicità, nel prosieguo faremo riferimento solo a terreni saturi o asciutti. Così facendo, non si introducono significative limitazioni allo studio dei problemi di fondazione in quanto i terreni a grana fina (limi, argille) nelle regioni temperate sono sempre completamente saturi, mentre i terreni a grana grossa (sabbie, ghiaie) sono saturi se immersi in falda, e possono essere trattati come asciutti se al di sopra della falda idrica. Esistono ovviamente eccezioni a questa semplice schematizzazione (si pensi ad esempio alle pozzolane non sature dell’area napoletana), ma una trattazione più approfondita di questo argomento esula dallo scopo di questo scritto. Per utilizzare i concetti e i procedimenti della meccanica del continuo, nelle applicazioni di ingegneria i terreni vengono assimilati a mezzi continui, in modo che sia possibile definire in ogni punto i tensori degli sforzi e delle deformazioni, senza curarsi se il punto considerato ricada all’interno di una particella solida o di un vuoto. In effetti, così operando, implicitamente si assimila il punto geometrico ad un volume elementare sufficientemente grande da contenere un gran numero di particelle e di vuoti, ma allo stesso tempo sufficientemente piccolo rispetto alle dimensioni geometriche del problema in studio (REV, representative elementary volume). Un mezzo poroso saturo viene modellato come la sovrapposizione di due mezzi continui (lo scheletro solido poroso e l’acqua) mutuamente interagenti, che occupano la stessa regione dello spazio. In ogni punto è possibile definire un tensore degli sforzi che agiscono su ambedue i mezzi, lo scheletro solido e il liquido interstiziale; tali sforzi vengono detti tensioni totali.
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𝜎𝑥 𝜏 |𝜎𝑖𝑗 | = | 𝑦𝑥 𝜏𝑧𝑥
𝜏𝑥𝑦 𝜎𝑦 𝜏𝑧𝑦
𝜏𝑥𝑧 𝜏𝑦𝑧 | 𝜎𝑧
(1)
Le tensioni totali vengono assorbite in parte dallo scheletro solido e in parte dalla pressione dell’acqua, che indicheremo con lo scalare u. I due mezzi hanno un diverso comportamento: la fase liquida, in effetti, non può assorbire sforzi di taglio, ha una compressibilità molte volte minore di quella dello scheletro solido, e può scorrere attraverso i pori interconnessi. Lo scheletro solido, al contrario, può resistere agli sforzi tangenziali e fornisce la resistenza e la rigidezza del mezzo poroso. Sia lo scheletro solido che la fase liquida devono soddisfare le condizioni di equilibrio e congruenza; in aggiunta a queste, l’interazione fra i due mezzi è governata dal cosiddetto principio delle tensioni efficaci, introdotto da Terzaghi un secolo fa (Terzaghi, 1923). Il principio consiste di due parti: •
Una definizione delle tensioni efficaci σ’ = σ – u, differenza fra la tensione totale σ e la pressione dell’acqua u (che viene chiamata pressione interstiziale o pressione neutra). Il tensore delle tensioni efficaci si ottiene sottraendo da quello delle tensioni totali il tensore ottenuto moltiplicando lo scalare u per il tensore unitario: 𝜎𝑥 − 𝑢 |𝜎′𝑖𝑗 | = | 𝜏𝑦𝑥 𝜏𝑧𝑥
𝜏𝑥𝑦 𝜎𝑦 − 𝑢 𝜏𝑧𝑦
𝜏𝑥𝑧 𝜏𝑦𝑧 | 𝜎𝑧−𝑢
(2)
Poiché l’acqua non può resistere a sforzi di taglio, tutte le componenti tangenziali delle tensioni totali agiscono solo sullo scheletro solido. •
L’affermazione che tutti gli effetti osservabili di una variazione di sforzi, come deformazioni
volumetriche
o
distorsionali
o
rotture,
sono
dovute
esclusivamente alle variazioni delle tensioni efficaci. Le tensioni efficaci non possono essere determinate direttamente, e quindi ogni analisi della risposta di un terreno ad una variazione di sforzi richiede la determinazione delle corrispondenti variazioni delle tensioni totali e della pressione interstiziale.
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1.3. Condizioni drenate e non drenate, consolidazione Il valore del coefficiente di permeabilità k dei terreni naturali dipende essenzialmente dalla loro granulometria e varia entro limiti estremamente ampi: da 10-11 m/s a 10-1 m/s, passando da argille omogenee a sabbie e ghiaie. Si tratta di un campo di variazione di dieci ordini di grandezza e oltre, che non trova riscontro in altri parametri: ad esempio, passando da un’argilla molle all’acciaio, la resistenza uniassiale varia di circa cinque ordini di grandezza! Tale enorme campo di variabilità è all’origine di una profonda differenza nell’interazione fra le due fasi di un mezzo poroso, a seconda che si sia in terreni a grana grossa (sabbie e ghiaie, con k ≥ 10-6 m/s) oppure in terreni a grana fina (limi e argille, con k ≤ 10 -6 m/s). In effetti, le due classi di terreni vengono spesso differenziate con riferimento alla granulometria (terreni a grana grossa o fina), alla resistenza a taglio, alla loro natura; ma le loro differenze di comportamento, dal punto di vista dell’ingegneria, sono da attribuire essenzialmente alla differenza di permeabilità. Per questo motivo un processo di filtrazione, che si esaurisce in un tempo variabile da qualche minuto a qualche ora in uno strato di sabbia grossa, può invece impiegare decine e perfino centinaia di anni in una massa di argilla omogenea. Quando un terreno saturo viene assoggettato ad un sistema di carichi, il volume dei suoi pori tende a variare; in termini di meccanica del continuo, c’è una tendenza a deformazioni volumetriche. Poiché l’acqua e le particelle solide sono praticamente incompressibili rispetto allo scheletro solido del terreno, tali deformazioni volumetriche sono possibili solo attraverso l’espulsione o l’assorbimento di acqua, con un moto vario della stessa. In un terreno a grana grossa, per la sua elevata permeabilità, questo moto richiede un tempo assai breve; di conseguenza, a parte una fase transitoria praticamente istantanea rispetto ai tempi di realizzazione di un’opera di ingegneria, l’acqua si trova in quiete o in moto permanente e le caratteristiche del moto dell’acqua in un punto (pressione neutra u, velocità di filtrazione V) non cambiano nel tempo e sono funzione solo delle condizioni idrauliche al contorno. Anche un eventuale moto vario, provocato da una variazione nel tempo delle condizioni di contorno (ad esempio, cicli di invaso e svaso di un serbatoio), può essere trattato come una successione di moti permanenti. Le pressioni neutre in queste condizioni
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possono essere studiate con la classica teoria dei moti di filtrazione; il regime di tensioni e deformazioni dello scheletro solido ed il regime di pressioni e velocità dell’acqua sono disaccoppiati, nel senso che l’uno risulta indipendente dall’altro e possono essere trattati separatamente. In termini di meccanica dei terreni, queste condizioni vengono dette condizioni drenate. Per i terreni a grana fina, al contrario, la permeabilità è così ridotta che, durante l’applicazione dei carichi esterni, è possibile assumere che non si verifichi alcun moto dell’acqua, né all’infinitesimo, né al finito. Se il terreno è saturo e sia le particelle solide che l’acqua vengono considerate incompressibili, questo implica una condizione di volume costante e lo sviluppo di una sovrappressione neutra. In meccanica dei terreni questa condizione iniziale viene indicata come condizione non drenata. Una qualsiasi analisi in termini di tensioni efficaci richiederebbe la conoscenza di tali sovrappressioni neutre, la cui determinazione risulta difficile e incerta nella pratica ingegneristica. Tuttavia, una sostanziale semplificazione dell’analisi può essere ottenuta osservando che, in termini di tensioni totali, il complesso scheletro solido più acqua si comporta come un mezzo incompressibile, un sistema chiuso assimilabile a un mezzo con resistenza a taglio - in questo caso indicata come resistenza non drenata - descritta dal criterio di Tresca. Alla luce di questa assunzione, è così possibile attraverso prove condotte in condizioni non drenate definire un modulo di Young non drenato Eu, un coefficiente di Poisson non drenato
u = 0,5 (materiale incompressibile), e, come già detto, una resistenza non drenata su. Nella pratica ingegneristica, quindi, i problemi di deformazione e di rottura in condizioni non drenate possono essere trattati molto semplicemente in termini di tensioni totali riferendosi ad un materiale equivalente incompressibile. Se le proprietà del terreno sono determinate correttamente, l’analisi di un problema non drenato in termini di tensioni totali o efficaci dovrebbe condurre agli stessi risultati. È qui opportuno rimarcare che, essendo il reale comportamento del terreno governato dalle tensioni efficaci e non da quelle totali, la semplificazione dell’analisi viene controbilanciata dalla difficoltà di determinazione appropriata dei parametri
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di rigidezza e resistenza non drenati Eu e su. L’intera procedura, infatti, assume implicitamente che le prove attraverso le quali vengono determinati tali parametri riproducano il problema in esame in termini non solo di livello e storia tensionale, ma anche di sviluppo delle sovrappressioni neutre. A queste difficoltà si ovvia con procedimenti semiempirici basati sull’osservazione di opere in vera grandezza. Il campo di sovrappressioni neutre che si sviluppa nelle condizioni iniziali non drenate non è in equilibrio con le condizioni idrauliche di contorno; si genera quindi un campo di gradienti idraulici in conseguenza dei quali l’acqua inizia a defluire dai pori del terreno, con conseguenti deformazioni volumetriche differite nel tempo. A seguito di questo processo, che come si è detto può durare fino a decine di anni o più, le pressioni neutre raggiungono infine una condizione di equilibrio permanente o stazionario, dopo la quale è lecito assumere, nell’ambito della schematizzazione qui adottata che trascura fenomeni di natura viscosa, che non si verifichino ulteriori deformazioni. Il processo di deformazione del terreno a seguito della graduale dissipazione delle sovrappressioni neutre viene detto consolidazione. E’ opportuno osservare che la distinzione fra terreni a grana grossa e a grana fina qui operata è ovviamente schematica, in quanto molto spesso i terreni sono composti da assortimenti granulometrici che includono sia frazioni fini che grosse, con caratteristiche intermedie che è difficile attribuire all’una o all’altre categoria. Sebbene sia ben chiaro che il comportamento di questi terreni dipende principalmente dalla percentuale di materiale fine presente, non è facile definire a priori dei limiti quantitativi che lo governino. Nei problemi pratici, e in assenza di chiare informazioni ricavate ad esempio da una sperimentazione di laboratorio, ove si presenti questa difficoltà si potrebbero condurre analisi sommarie schematizzando la realtà con l’uno e l’altro modello, e adottare poi quello più cautelativo.
1.4. L’influenza della storia tensionale e il concetto di tensione di snervamento Si consideri un terreno sottoposto ad un carico crescente di compressione, assimilabile in un modello a un carico uniforme di estensione infinita agente su un
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semispazio delimitato da un piano orizzontale, o equivalente al carico che sperimentalmente si applica in una prova di compressione edometrica. Se il terreno è caricato per la prima volta ad un livello di carico superiore a quello precedentemente agente, la porosità si riduce progressivamente con la tensione efficace applicata σ’z (curva a – b, punto P1 in Fig. 1).
Figura 1. Storia di carico e scarico edometrico di un elemento di terreno.
Un terreno in queste condizioni viene chiamato normalmente consolidato e la curva che descrive la diminuzione dell’indice dei pori con la tensione efficace viene chiamata curva di compressione o di consolidazione vergine. Se l’elemento di terreno viene scaricato, come può avvenire a seguito di processi naturali come l’erosione dei sedimenti sovrastanti, o ad opera dell’uomo come a seguito di uno scavo, si verifica un aumento dell’indice dei pori (curva c, punto P2 di Fig. 1) ma l’aumento di volume allo scarico ha un gradiente molto minore della diminuzione di volume lungo la curva vergine. Un elemento di volume che si trovi su una curva di scarico, o di rigonfiamento, viene detto sovraconsolidato. La massima tensione efficace σ’p che ha agito durante la precedente storia di carico del terreno si definisce tensione di sovraconsolidazione, e
per
quantificarne
l’entità
dell’effetto
si
introduce
un
sovraconsolidazione (OCR, Over Consolidation Ratio) definito come:
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rapporto
di
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𝜎′𝑝
OCR = 𝜎′
𝑣𝑜
(3)
In termini di teoria della plasticità, possiamo attribuire alla tensione efficace σ’p il significato di un limite di snervamento. Di conseguenza, quando il terreno sia sottoposto a un processo di ricarico la deformazione potrà essere considerata elastica finché la tensione applicata si manterrà inferiore a σ’p , mentre per carichi più elevati le deformazioni elastiche saranno accompagnate da più importanti deformazioni plastiche. Questo semplice modello concettuale permette di prevedere le conseguenze pratiche della storia tensionale. Per esempio, nel progetto di una fondazione diretta, in dipendenza dello sforzo esercitato su un elemento di terreno in relazione alla precedente storia tensionale, possiamo attenderci cedimenti modesti se il carico applicato non eccede il limite di snervamento o, al contrario, cedimenti elevati se il percorso di carico si svolge lungo la linea vergine. Per questa ragione è di grande importanza pratica distinguere fra terreni normalmente consolidati e sovraconsolidati.
1.5. Resistenza a taglio: stato critico, dilatanza, resistenza di picco La rottura in un terreno si verifica per scorrimento lungo un piano sul quale il rapporto fra tensione tangenziale e tensione normale efficace agenti raggiunge un valore critico. Questo perché il terreno resiste per attrito, e il criterio di rottura, enunciato per la prima volta da Coulomb (1773) assume la forma: 𝜏 = 𝜇𝜎 ′
(4)
Nel piano (σ’, τ) questa equazione definisce una retta passante per l’origine e, poiché lo stato di sforzo in un punto del terreno è rappresentato da un cerchio di Mohr, la condizione di rottura si verifica quando il cerchio di Mohr è tangente a questa retta. Infatti, le coordinate del punto di contatto soddisfano il criterio di
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rottura, e il vettore degli sforzi agenti sul piano di rottura raggiunge la massima obliquità possibile, data dal rapporto τ/σ’. Questa obliquità corrisponde ad un angolo φ’ tale che sia μ = tan φ’, e che viene detto angolo di resistenza a taglio. Il criterio di rottura viene quindi espresso nella forma:
= σ’ tan φ’
(5)
Per determinare i parametri di resistenza a taglio occorre eseguire una serie di prove di rottura; se i relativi cerchi di Mohr a rottura sono riportati nel piano (σ’, ), l’inviluppo di tali cerchi rappresenta il luogo dei punti di rottura e viene chiamato inviluppo di rottura (Fig. 2).
Fig. 2. Inviluppo di rottura.
Questo inviluppo presenta in genere una curvatura, che è particolarmente accentuata nelle argille sovraconsolidate. Se l’inviluppo viene linearizzato nel campo di tensioni normali che interessa, esso può essere rappresentato dall’equazione:
= c’ + σ’ tan φ’
(6)
Il termine c’ viene usualmente chiamato coesione; ma in realtà esso è semplicemente una intercetta sull’asse delle dell’inviluppo di rottura linearizzato in un certo intervallo di sforzi. Come è ovvio, cambiando tale intervallo cambia
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anche il valore di c’, che quindi non deve essere considerata una proprietà del terreno. Un aspetto peculiare dei terreni, rispetto ad altri materiali, è il fatto che essi variano di volume quando sottoposti a deformazioni tangenziali; il gradiente della variazione di volume durante il taglio viene chiamato dilatanza, un termine usato da Osborne Reynolds (1885) per indicare la variazione nella disposizione dei grani di un materiale granulare soggetto a deformazioni di taglio. Il riconoscimento del ruolo del processo deformativo sul comportamento meccanico dei terreni ha consentito lo sviluppo di modelli di interpretazione sempre più realistici, culminato con la messa a punto della cosiddetta Teoria dello Stato Critico, che può a buon diritto essere considerato il quadro di riferimento generale in cui si inseriscono i metodi di calcolo più o meno semplici oggi disponibili. In effetti, le variazioni di volume hanno un’influenza sulla resistenza a taglio altrettanto importante di quello delle tensioni efficaci. Lo stato di un elemento di volume in un terreno deve quindi essere descritto da tre parametri: la porosità, la tensione normale efficace e la tensione tangenziale. È la relazione fra la porosità iniziale, e un suo valore di riferimento detto stato critico, che influenza il comportamento del terreno. Se osserviamo il comportamento di una sabbia sciolta o di un’argilla molle in una prova di taglio diretto, condotta in condizioni drenate, rileviamo una diminuzione di volume e uno sforzo di taglio che aumenta monotonicamente con lo spostamento, tendendo ad un valore finale costante. Al contrario, le sabbie addensate e le argille sovraconsolidate tendono ad aumentare di volume, e lo sforzo di taglio raggiunge un valore di picco, per poi diminuire fino a raggiungere un valore finale all’incirca uguale a quello dei terreni sciolti. Questa condizione finale, in corrispondenza della quale ogni ulteriore deformazione tangenziale avviene senza variazioni di volume, viene per l’appunto detta stato critico; concetto introdotto originariamente da Casagrande (1936) e sviluppato da Roscoe, Schofield e Wroth (1958). I valori allo stato critico si dispongono nel piano (σ’, ) lungo una retta passante per l’origine, come descritta dalla (5), e la sua pendenza φ’cv viene detta angolo di stato critico o angolo di resistenza al taglio a volume costante. Questo angolo può
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senz’altro essere ritenuto una proprietà intrinseca del terreno, in quanto indipendente dallo stato iniziale e funzione solo della mineralogia, ruvidezza e granulometria delle particelle solide. Al contrario, i valori dei parametri di resistenza di picco dipendono anche dalla porosità iniziale e dal livello di sforzo, tendendo a valori più elevati quando il terreno è inizialmente molto addensato e il livello di sforzo è basso. A differenza della resistenza allo stato critico, la resistenza di picco non può essere descritta con sufficiente accuratezza dall’equazione di una retta. Come abbiamo accennato, l’inviluppo di picco dei terreni fortemente sovraconsolidati mostra una accentuata curvatura, e in pratica viene spesso linearizzato nel campo di sforzi che interessa, in modo da descriverlo ancora con la (5). In proposito è opportuno sottolineare che i parametri dell’inviluppo linearizzato dipendono dai dati sperimentali disponibili. Se le tensioni di prova non vengono accuratamente specificate durante il programma sperimentale in modo da essere rappresentative dell’intervallo tensionale di interesse nel problema applicativo, esse possono condurre alla definizione di un inviluppo di rottura linearizzato a svantaggio di sicurezza se il livello di sforzo in sito è più basso di quello applicato in laboratorio, proprio perché il reale inviluppo di rottura ha una curvatura molto pronunciata in prossimità dell’origine. Nelle sabbie dense, la resistenza di picco può essere quantificata riferendosi alla pendenza della retta che congiunge l’origine allo stato di sforzo di picco: φ’picco = tan-1(/σ’)picco
(7)
Il valore di φ’picco diminuisce gradualmente al crescere delle tensioni normali efficaci, fino a raggiungere il valore di φ’cv . Ai fini del progetto, il valore dell’angolo di stato critico φ’cv è il massimo valore che può essere adottato con sicurezza per sabbie sciolte ed argille poco consistenti. Per sabbie addensate e argille sovraconsolidate, che hanno un angolo di resistenza al taglio di picco maggiore di quello di stato critico, l’uso di φ’cv può risultare eccessivamente cautelativo, almeno nel progetto di fondazioni e di opere di sostegno.
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Appunti di ingegneria delle Fondazioni
1.6. Resistenza a taglio non drenata Come si è detto, in condizioni non drenate la resistenza a taglio può essere ricercata in termini di tensioni totali e appunto, nella cosiddetta analisi in termini di tensioni totali, il terreno saturo appare comportarsi come un mezzo alla Tresca, con un criterio di rottura del tipo:
max = su
(7)
Il parametro su viene definito, come già anticipato, resistenza non drenata. Si noti comunque che in realtà esso descrive un comportamento e non può essere considerato una proprietà del terreno. La resistenza non drenata dipende infatti dalle condizioni di stato del terreno, e aumenta esponenzialmente al diminuire dell’indice dei pori; questo implica che, per un terreno normalmente consolidato, la resistenza non drenata aumenti linearmente con la tensione normale efficace. Oltre a ciò, la su dipende dal percorso di carico imposto, e quindi i risultati di prove diverse (compressione o estensione triassiale, prove scissometriche in sito) e analogamente le correlazioni empiriche devono essere impiegati con prudenza. In mancanza di determinazioni dirette, che tengano conto dei suddetti fattori, a titolo di esempio si può fare riferimento alla seguente relazione empirica, suggerita da Koutsoftas e Ladd (1985): 𝑠𝑢 𝜎′𝑣
= (0.22 ∓ 0.03) ∙ 𝑂𝐶𝑅 0.8
(8)
da applicarsi nell'ambito dei valori del grado di sovraconsolidazione esplorato dagli autori (OCR