Appunti delle Lezioni di Meccanica dei Solidi [2 ed.]


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Table of contents :
Meccanica dell'atto di moto rigido
Richiami di cinematica dell'atto di moto rigido
Principio di potenza virtuale su atti di moto rigido
Vincoli, dispositivi ed equazioni lineari di vincolo
Classificazione dei sistemi meccanici vincolati
La trave, continuo monodimensionale
Continui
La trave come continuo deformabile
Principio di lavoro (potenza) virtuale
Equazioni del problema elastico statico
Risoluzione di travature
Travature staticamente determinate
La linea termoelastica piana
Campionamento di componenti di spostamento
Travature iperstatiche: metodo delle forze
Travature iperstatiche: metodo degli spostamenti
Travature iperstatiche: metodo degli elementi finiti
Sistemi reticolari
Il continuo di Cauchy
Misure di deformazione per continui tridimensionali
Tensioni in un continuo tridimensionale
Tensioni principali, rappresentazioni piane di Mohr
Interpretazione meccanica delle equazioni locali di bilancio
Relazioni costitutive
Il problema di Saint Venant
Il cilindro di Saint Venant
Estensione
Flessione uniforme
Flessione retta
Flessione deviata
Estensione e flessione uniforme (trazione eccentrica)
Torsione
Sezioni di spessore sottile
Flessione non uniforme (flessione con taglio)
Il centro di taglio
Criterî di resistenza
Criterio di Rankine-Navier
Criterio di Tresca
Criterio di Mohr-Coulomb
Criterio di Saint Venant
Criterio di Beltrami
Criterio di von Mises
Biforcazione elastica statica
Sistemi discreti
Instabilità euleriana di sistemi discreti rigidi
Instabilità euleriana di travi compresse
Esercizi di riepilogo
Riferimenti bibliografici
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Appunti delle Lezioni di Meccanica dei Solidi [2 ed.]

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Appunti delle lezioni di Meccanica dei Solidi per il corso di laurea in Ingegneria meccanica

2

Appunti delle lezioni di Meccanica dei Solidi per il corso di laurea in Ingegneria meccanica

Seconda edizione

Mattia Celli, Ilaria Del Vescovo

supervisione e riadattamento di Giuseppe Ruta

gennaio 2012

Indice 1 Meccanica dell’atto di moto rigido 1.1 Richiami di cinematica dell’atto di moto rigido . . . 1.2 Principio di potenza virtuale su atti di moto rigido 1.3 Vincoli, dispositivi ed equazioni lineari di vincolo . 1.4 Classificazione dei sistemi meccanici vincolati . . . 2 La trave, continuo monodimensionale 2.1 Continui . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 La trave come continuo deformabile . . 2.3 Principio di lavoro (potenza) virtuale . 2.4 Equazioni del problema elastico statico

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6 . 6 . 8 . 9 . 11

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3 Risoluzione di travature 3.1 Travature staticamente determinate . . . . . . . . . 3.2 La linea termoelastica piana . . . . . . . . . . . . . 3.3 Campionamento di componenti di spostamento . . 3.4 Travature iperstatiche: metodo delle forze . . . . . 3.5 Travature iperstatiche: metodo degli spostamenti . 3.6 Travature iperstatiche: metodo degli elementi finiti 3.7 Sistemi reticolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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23 23 26 31 32 36 45 52

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55 55 59 62 67 71

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75 75 79 83 85 88 91 95 100

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4 Il continuo di Cauchy 4.1 Misure di deformazione per continui tridimensionali . . . . . . . . 4.2 Tensioni in un continuo tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.1 Tensioni principali, rappresentazioni piane di Mohr . . . . 4.2.2 Interpretazione meccanica delle equazioni locali di bilancio 4.3 Relazioni costitutive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Il problema di Saint Venant 5.1 Il cilindro di Saint Venant . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 Estensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3 Flessione uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.1 Flessione retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.2 Flessione deviata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.3 Estensione e flessione uniforme (trazione eccentrica) 5.4 Torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.1 Sezioni di spessore sottile . . . . . . . . . . . . . . . 3

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INDICE 5.5

Flessione non uniforme (flessione con taglio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 5.5.1 Il centro di taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113

6 Criterˆı di resistenza 6.1 Criterio di Rankine-Navier 6.2 Criterio di Tresca . . . . . 6.3 Criterio di Mohr-Coulomb 6.4 Criterio di Saint Venant . 6.5 Criterio di Beltrami . . . . 6.6 Criterio di von Mises . . .

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115 . 116 . 117 . 118 . 120 . 120 . 120

7 Biforcazione elastica statica 125 7.1 Sistemi discreti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 7.2 Instabilit`a euleriana di sistemi discreti rigidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 7.3 Instabilit`a euleriana di travi compresse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 8 Esercizi di riepilogo

136

9 Riferimenti bibliografici

143

INDICE

5

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE Questa nuova edizione pretenderebbe di essere migliore rispetto alla precedente, grazie al suggerimento di molti studenti. Le migliorie, effettuate in parte da me, sarebbero state impossibili senza l’intervento onnipresente di Mattia Celli e Ilaria Del Vescovo. Raramente ho conosciuto persone pi` u dedicate al lavoro utile per i colleghi. Ogni merito nella spinta a migliorare la prima edizione va a loro – io, al pi` u, sono stato un braccio, utile ma inessenziale. da qualche parte nell’universo, novembre 2011 giuseppe ruta

PREFAZIONE Queste pagine rappresentano, in prima stesura, la trascrizione ragionata delle lezioni da me tenute nell’anno accademico 2007/2008 per l’insegnamento di Meccanica dei solidi per la laurea base in Ingegneria meccanica. I trascrittori – Mattia Celli e Ilaria Del Vescovo – sono stati sicuramente tra gli studenti pi` u brillanti che ho incontrato finora e questa sensazione `e stata confermata anche dai docenti delle altre discipline. Il loro amore per l’universitas dei saperi e per questa disciplina in particolare non sono mai stati in discussione. Potrei dilungarmi sulle loro capacit`a e qualit`a umane ma penso che lo sforzo da essi condensato qui – del tutto gratis et amore Dei, spinto solo dalla solidariet`a con i colleghi – ne sia una prova pi` u che tangibile. Prima di licenziare queste pagine ho cercato di controllarne il filo logico, l’aderenza al mio percorso didattico e la correttezza della forma. Tengo moltissimo tuttavia a precisare che ogni merito nella stesura, correzione, impaginazione, leggibilit`a di queste note, nella loro fruibilit`a da parte di altri pi` u giovani colleghi, spetta a Mattia Celli e Ilaria Del Vescovo. Penso sia inevitabile (fa parte delle conseguenze dell’umana imperfezione, o del secondo principio della termodinamica, come dir si voglia) che imprecisioni, refusi, inesattezze alberghino ancora qui. Di esse sono, come curatore e supervisore, l’unico responsabile e chiedo anzitempo venia. Sar`o grato a chiunque mi aiuti a migliorare questa prima versione, suggerendomi gli emendamenti necessari. Come disse un grande antico, `e cattivo discepolo chi non supera il maestro. da qualche parte nell’universo, marzo 2010 giuseppe ruta

Capitolo 1 Meccanica dell’atto di moto rigido 1.1

Richiami di cinematica dell’atto di moto rigido

Un sistema meccanico occupa regioni dello spazio ambiente, dette configurazioni o forme. L’applicazione che descrive un cambio di configurazione `e il trasporto. Una famiglia di trasporti, parametrizzata da una quantit`a scalare (tempo), `e un moto. La descrizione referenziale del moto segue le particelle del sistema, ‘etichettate’ una per una, nell’evoluzione dell’ascissa temporale a partire da una forma di riferimento. La descrizione spaziale del moto si concentra sulla porzione di spazio attraversata dal sistema meccanico all’ascissa temporale t (istante) fissata. La velocit`a `e la variazione istantanea della configurazione. L’atto di moto `e la distribuzione delle velocit`a di un intero spazio solidale con un sistema meccanico in una descrizione spaziale del moto. Si pu`o pensare l’atto di moto come la fotografia ad un tempo t fissato dei punti che compongono il sistema, a ciascuno dei quali `e associato la propria velocit`a. In ambiente tridimensionale, un trasporto rigido `e una traslazione, una rotazione o una loro composizione. Una traslazione `e descritta da un campo uniforme di vettori. Una rotazione `e descritta da un operatore lineare R(t) ortogonale, per cui in una base ortonormale vale cio`e 1 R> R = RR> = I

⇒ R−1 = R>

(1.1)

Se la rotazione dipende dal tempo, la sua derivata temporale `e i> h   > > ˙ ˙ > (t) = − R(t)R ˙ R(t)R> (t) ˙= I˙ = 0 ⇒ W = R(t)R (t) = −R(t)R = −W >

(1.2)

In genere R> R fornisce l’operatore metrico dello spazio, diverso dall’identit`a. L’ortogonalit`a di R si dimostra date due basi ortonormali {ı, , k} e {ı 0 ,  0 , k 0 } ruotate. L’applicazione lineare associata a questa rotazione si ottiene mettendo in colonna le componenti dei vettori della nuova base rispetto alla vecchia:   ı0 · ı 0 · ı k0 · ı     (R) =  ı 0 ·   0 ·  k 0 ·     ı0 · k 0 · k k0 · k 1

Delle 9 componenti di R solo 3 sono indipendenti (i vettori delle basi rispettano le 6 condizioni di ortonormalit` a). Il modulo di qualsiasi vettore a dev’essere uguale a quello del suo ruotato secondo R: a · a = a 0 · a 0 = (Ra) · (Ra) = R> Ra · a Per verificare l’uguaglianza dev’essere R> R = I ⇒ R> = R−1 e R `e ortogonale, cio`e il suo trasposto coincide con il suo inverso. Gli operatori ortogonali conservano quindi la norma e rappresentano le isometrie.

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1.1. RICHIAMI DI CINEMATICA DELL’ATTO DI MOTO RIGIDO

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per cui l’operatore W (spin) `e antisimmetrico. Come per ogni operatore antisimmetrico,2 esiste w, vettore assiale dello spin, detto velocit`a angolare. Considerando un trasporto rigido (isometria), all’istante considerato t si ha −−→ −−→ −→ −→ ∀ O, P, kOP k = kO0 P 0 (t)k ⇒ O0 P 0 (t) = R(t)OP ⇒ −−→ −−→ −−→ −−→ −→ (1.3) ⇒ OP 0 (t) = OO0 (t) + O0 P 0 (t) = OO0 (t) + R(t)OP ⇒ h−−→ i h−−→ i − − → − → ˙ OP ⇒ v(P 0 ) = v(O0 ) + RR ˙ > O0 P 0 ⇒ OP 0 (t) ˙ = OO0 (t) ˙+ R(t) L’ultima delle (1.3) descrive il campo spaziale della velocit`a in un’isometria, cio`e l’atto di moto rigido. Nell’intorno di ogni punto O esso `e dunque ben definito da una funzione lineare −→ antisimmetrica rispetto al vettore posizione OP : vale quindi la −→ v(P ) = v(O) + w × OP (1.4) che lega le velocit`a del generico punto P e di un altro punto O dello spazio solidale al sistema. Moltiplicando formalmente la (1.4) per un tempuscolo dt si ottiene una formula analoga per gli spostamenti approssimati al primo ordine δu (infinitesimi ), detti anche virtuali:3 −→ δu(P ) = δu(O) + δθ × OP (1.5) ove δθ `e il vettore rotazione infinitesima. Un atto di moto rigido `e detto anche neutro, ovvero non rilevabile da misurazioni di energia spesa, poich´e non comporta alcun cambiamento della forma geometrica del sistema, il quale si trasforma in s´e stesso. Questa trasformazione si annulla, infatti, con un semplice cambiamento di coordinate. Il generico atto di moto rigido per un corpo in ambiente tridimensionale `e descritto da 6 parametri scalari (parametri lagrangiani ), le 3 componenti di v(O) e le 3 componenti di w. In ambiente bidimensionale v(O) ha due componenti e w una sola. Si dice allora che un corpo ha 6 gradi di libert`a in uno spazio ambiente tridimensionale e 3 in uno bidimensionale. Vale il Teorema di Mozzi: Ogni atto di moto rigido in spazio ambiente tridimensionale `e elicoidale, composizione di una rotazione e di una traslazione. Ne segue che in tre dimensioni esiste una retta (asse del moto) luogo dei punti con velocit`a minima, solo di traslazione. Un atto di moto in ambiente bidimensionale `e invece sempre o una traslazione o una rotazione. La traslazione `e una rotazione intorno a un punto improprio O all’infinito. Intuitivamente, per O ↑ ∞ i vettori velocit`a sono sempre pi` u uniformi e la rotazione si confonde con una traslazione. 2

Dato un operatore antisimmetrico Z, un vettore z `e detto vettore assiale di Z se Za = z × a

∀a

dove × `e l’usuale prodotto vettoriale (prodotto di Gibbs); per componenti si ha dunque    ı 0 Z12 Z13 a1  k        −Z12 0 Z23   a2  = z1 z2 z3 ⇒ z1 = −Z23 , z2 = Z13 , z3 = −Z12 .    a1 a2 a3 −Z13 −Z23 0 a3 3

Infatti, questi spostamenti sono solo geometricamente ammissibili con la configurazione del sistema all’istante considerato t ma in generale non coincidono con quelli effettivamente assunti all’istante successivo t + dt. Infatti, si osservi che nelle (1.4), (1.5) non compare la legge del moto, che lega il tempo con le configurazioni assunte dal sistema nello spazio ambiente. Si approssima con uno sviluppo in serie arrestato al primo ordine, invece, lo spostamento all’istante t + dt a partire dalle conoscenze cinematiche all’istante t.

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CAPITOLO 1. MECCANICA DELL’ATTO DI MOTO RIGIDO

!

Figura 1.1: Teorema di Chasles. Teorema di Chasles: in un atto di moto rigido piano, conoscendo le direzioni di velocit` a di due punti distinti P, Q si determina il centro di istantanea rotazione O. Infatti, per la formula −→ −→ (1.4) dell’atto di moto rigido, OP e v(P ), nonch´e OQ e v(Q), sono ortogonali, e si hanno i casi: • le ortogonali alle direzioni di velocit`a di P e Q si intersecano in un punto O proprio del piano del moto, che `e centro d’istantanea rotazione: c’`e atto di moto rotatorio intorno a O; • le ortogonali alle direzioni di velocit`a di P e Q sono parallele e individuano un punto improprio O del piano del moto: c’`e atto di moto traslatorio ortogonale alla direzione individuata da O. Teorema di Kennedy (delle catene cinematiche): due corpi in atto di moto rigido piano ! hanno tre centri d’istantanea rotazione, due assoluti e uno relativo, allineati tra loro. Tre corpi in atto di moto rigido piano hanno sei centri di istantanea rotazione, tre assoluti e tre relativi; non solo i centri assoluti e relativi di ogni coppia sono allineati, ma anche i tre centri relativi.

1.2

Principio di potenza virtuale su atti di moto rigido

Si postula che le interazioni dell’universo con il sistema siano rilevabili solo sottoponendo quest’ultimo a un atto di moto. Una misura per le interazioni `e la potenza (forza viva) P, quantit`a scalare data dall’integrale di una densit`a sulla configurazione C assunta dal sistema all’istante considerato. La densit`a di potenza dP `e pensata lineare nell’atto di moto, data quindi dal prodotto scalare tra il campo di velocit`a e un costo di densit`a di potenza sull’unit`a di velocit`a: Z P = dP, dP = df (P ) · v(P ) C

Il costo df (P ) viene detto misura di densit`a di forza e lo si immagina diversamente distribuito all’interno di C (forze a distanza) e sulla sua frontiera ∂C (forze per contatto). Tenendo conto della (1.4), la potenza spesa su un atto di moto rigido vale Z h −→i P = df (P ) · v(O) + w × OP = C (1.6) Z Z −→ = v(O) · df (P ) + w · OP × df (P ) = v(O) · r + w · mO C

C

Nella (1.6) si `e permutato due volte il prodotto misto che compare nel secondo addendo; si sono inoltre portati fuori dall’operatore d’integrazione i vettori v(O) e w, uniformi rispetto ai punti

1.3. VINCOLI, DISPOSITIVI ED EQUAZIONI LINEARI DI VINCOLO

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di C (si ricorda che si sta considerando un istante fissato). Infine, r `e detto forza risultante e mO `e detto momento risultante rispetto al polo O delle interazioni dell’universo col sistema. La (1.6) `e il teorema di K¨ onig per un sistema in atto di moto rigido,4 e i due addendi sono i contributi di potenza sulle componenti traslatoria e rotatoria dell’atto di moto, rispettivamente. Quanto detto per la potenza si estende al lavoro, moltiplicando P per il tempuscolo dt. Postuliamo il Principio della potenza virtuale: la potenza spesa da tutte le interazioni dell’universo con un sistema in un qualsiasi atto di moto rigido `e nulla. L’atto di moto rigido, infatti, non varia lo stato del corpo e le interazioni tra sistema e universo sono inefficaci. La somma delle potenze spese da risultante e momento risultante deve quindi svanire. L’enunciato della potenza virtuale `e un bilancio in forma integrale, detta debole in quanto l’integrazione ‘addolcisce’ eventuali irregolarit`a dei campi. Da questo si dimostra   r = 0, P = 0 ∀ v(O), ∀ w ⇔ (1.7)  m =0 O

e le (1.7) sono dette equazioni di bilancio meccanico o equazioni cardinali della statica. Esse esprimono il bilancio meccanico in forma ‘forte’, supponendo, cio`e, tutte le regolarit`a necessarie per passare dalla forma integrale alle integrande. Le (1.7) sono valide per un osservatore solidale con le stelle fisse (inerziale) o in moto rettilineo uniforme rispetto a esse. Se si introduce la densit`a di forza d’inerzia df in (P ) = −dm(P )a(P )

(1.8)

in cui dm `e la misura di massa inerziale e a(P ) `e l’accelerazione dell’elemento materiale sovrapposto al punto P dello spazio ambiente nell’istante considerato, le (1.7) diventano r − maG = 0,

mG − I G α = 0

(1.9)

con G centro di massa, I G matrice d’inerzia attorno a G e α accelerazione angolare del sistema.

1.3

Vincoli, dispositivi ed equazioni lineari di vincolo

Si vogliono determinare gli atti di moto rigidi consentiti a un sistema collegato a dispositivi meccanici che ne controllano alcuni movimenti, limitandone i gradi di libert`a. Si vuole, cio`e, determinare quanti e quali sono i gradi di libert`a residui e identificare i parametri per descriverli.

Figura 1.2: Un esempio di sistema vincolato. Fissate le cordinate cartesiane xyz come in figura 1.2, una scatola su un tavolo pu`o solo ruotare attorno a y e traslare lungo x e z: tutti gli altri atti di moto rigido sono composizione di questi. 4

Esso vale anche per un sistema particellare. Di solito O coincide con il centro di massa G del sistema, (1.9).

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CAPITOLO 1. MECCANICA DELL’ATTO DI MOTO RIGIDO

La scatola ha allora 3 gradi di libert`a, non pi` u 6: si dice che essa `e vincolata a muoversi sul piano del tavolo, che `e un dispositivo di vincolo che limita i gradi di libert`a della scatola. Si dice vincolo semplice una funzione scalare che ‘lega’ i gradi di libert`a dell’atto di moto rigido, imponendo loro di seguire una legge assegnata. Un dispositivo di vincolo `e un sistema meccanico che interagisce con quello considerato, realizzando un insieme di condizioni di vincolo semplice. Il tavolo impone che le componenti lungo x e z della velocit`a angolare della scatola siano nulle, cos`ı come nulla `e la componente lungo y della velocit`a di un qualsiasi suo punto O. La figura 1.3 mostra alcuni dispositivi di vincolo, con i simboli e le equazioni che li descrivono.

Figura 1.3: Dispositivi di vincolo piani. Un dispositivo di vincolo, influendo sul moto d’un sistema, interagisce con esso per contatto e spende potenza, detta reattiva, sugli atti di moto che controlla. Considereremo dispositivi di vincolo perfetti : essi, pensati fissi all’istante t, spendono potenza nulla su tutti gli atti di moto che consentono. I vincoli perfetti non dissipano in calore parte dell’energia spesa e perci`o sono anche detti lisci o privi d’attrito. Se il tavolo `e liscio, esplica densit`a di forze reattive ortogonali al piano, con risultante che controlla la traslazione lungo y e momento risultante che controlla la rotazione attorno a x e z. Le componenti di reazione esplicate sono indicate nella figura 1.3. Un dispositivo di vincolo `e interno se collega due o pi` u parti di un sistema; `e esterno se collega

1.4. CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI MECCANICI VINCOLATI

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Figura 1.4: Un sistema soggetto a dispositivi di vincolo interni ed esterni. una parte del sistema ad un corpo esterno, detto suolo o telaio, di stato supposto noto a priori, figura 1.4. Vi sono dispositivi di vincolo in parte interni ed in parte esterni: • una cerniera tra n corpi e il suolo `e un vincolo sia interno sia esterno e funziona da vincolo doppio per ciascuno degli n corpi, quindi esplica 2n condizioni di vincolo semplice; • una cerniera tra n corpi, ma non il suolo, `e un vincolo interno doppio per ognuna delle n − 1 coppie indipendenti di corpi, quindi esplica 2(n − 1) condizioni di vincolo semplice; • un carrello tra n corpi e il suolo `e vincolo sia interno sia esterno e funziona da vincolo doppio per ciascuna delle n − 1 coppie indipendenti di corpi, da vincolo semplice tra i corpi e il suolo, per cui esplica 2n − 1 condizioni di vincolo semplice.

1.4

Classificazione dei sistemi meccanici vincolati

Apparentemente, per controllare gli atti di moto rigido di un sistema meccanico a N gradi di libert`a basterebbe sottoporlo a N vincoli semplici. In realt`a, non tutti i dispositivi di vincolo possono essere efficaci. Per esempio, il sistema della figura 1.5 `e caratterizzato da 3 gradi di libert`a e sottoposto a 3 dispositivi di vincolo semplice di tipo carrello. L’azione di ciascun carrello, per`o, viene replicata dagli altri e non viene controllata la traslazione lungo x. In questo caso uno dei dispositivi di vincolo si dice inefficace o mal posto.

Figura 1.5: Un sistema soggetto a dispositivi di vincolo mal posti. Ha senso, allora, porsi il Problema cinematico: si vuole determinare se il sistema considerato ammette atti di moto rigido compatibili con i dispositivi di vincolo assegnati nella configurazione assunta all’istante fissato. Si noti che le equazioni scalari di vincolo semplice sono lineari nelle componenti dell’atto di moto rigido, cos`ı come lineare `e la formula (1.4). Applicare m vincoli semplici a un sistema meccanico composto di n corpi equivale quindi a scrivere un sistema algebrico lineare di m equazioni di vincolo negli l (l = 6n se lo spazio ambiente `e tridimensionale, l = 3n se `e bidimensionale) parametri lagrangiani q˙j (j = 1, . . . , l) del sistema meccanico: Aij q˙j = ci ,

Al˙ = c

(1.10)

in cui ci , i = 1, . . . , m `e la velocit`a (o spostamento linearizzato) imposto dall’i-esimo vincolo semplice. La matrice A dei coefficienti di questo sistema di equazioni, che traducono il problema cinematico, `e detta matrice cinematica. Per il teorema di Rouch´e-Capelli, il problema cinematico `e compatibile se e solo se la matrice dei coefficienti ha lo sesso rango ρ di quella

12

CAPITOLO 1. MECCANICA DELL’ATTO DI MOTO RIGIDO

ottenuta completandola con il vettore colonna dei termini noti. Se cos`ı `e, vi sono l − ρ gradi di libert`a residui, ovvero atti di moto rigido permessi al sistema meccanico. Se tutti i vincoli sono fissi, il problema cinematico `e omogeneo, `e sempre compatibile (l’aggiunta di una colonna di termini nulli non altera il rango di A) e ammette sicuramente la soluzione nulla. Si hanno • sistemi singolari se il rango di A non `e massimo (det A = 0 per A quadrata) e una o pi` u equazioni di vincolo dipendono da altre; i vincoli in oggetto sono inefficaci o mal posti, in generale non si risponde al problema cinematico e ogni caso va studiato a s`e. • sistemi non singolari se il rango di A `e massimo (det A 6= 0 per A quadrata); sono – cinematicamente indeterminati: ρ = m < l, vi sono meno vincoli indipendenti che gradi di libert`a e il sistema ha l − m gradi di libert`a non determinati dai vincoli; la configurazione adiacente in termini di atto di moto rigido `e inconoscibile; – cinematicamente univocamente determinati: ρ = m = l, vi sono tanti vincoli indipendenti quanti gradi di libert`a; il sistema ha un unico atto di moto rigido determinato dai vincoli e la configurazione adiacente `e univocamente determinata; – cinematicamente impossibili: ρ = l < m, vi sono pi` u vincoli (almeno l dei quali indipendenti) che gradi di libert`a; il sistema non pu`o ammettere gli atti di moto rigido imposti dai vincoli, tranne nel caso di vincoli fissi, l’unico in cui il problema `e banalmente compatibile e la configurazione adiacente coincide con quella di partenza. Poich´e i dispositivi di vincolo hanno aspetto duplice, cinematico e d’interazione col sistema considerato, ha senso porsi il Problema statico: si vuole stabilire se i dispositivi di vincolo cui `e soggetto un sistema meccanico in una configurazione assegnata a un istante fissato siano in grado di bilanciare i carichi esterni. In altre parole, si vuole vedere se si possono esplicare distribuzioni di reazioni vincolari che garantiscano equilibrio statico al sistema, ovvero assenza di accelerazioni a tutti i suoi punti. In tal caso, le equazioni (1.9) si riducono alle (1.7) e si pu`o mettere in evidenza la diversa natura delle azioni (attive e reattive) scrivendo r A + r V = 0,

mO,A + mO,R = 0.

(1.11)

Se dalle (1.11) si vuole valutare la potenza spesa secondo la formula di K¨onig (1.6), bisogna ricordare che le azioni attive fanno lavoro sui parametri liberi q˙j , che raccolgono le componenti di v(O) e w, mentre le azioni reattive fanno lavoro sulle velocit`a dei vincoli ci . Ne segue che       rA v rV · 0 + ·c= 0 =  mO,A w mO,R    (1.12) ˙ = lA · l + lR · Al˙ = A> lR + lA l˙ ∀l˙ ⇒ ⇒ A> l R + l A = 0 in cui lA raccoglie le componenti lagrangiane della sollecitazione attiva, lR quelle della sollecitazione reattiva. Le equazioni (1.12) del problema statico costituiscono anch’esse, come le (1.10), un sistema algebrico lineare la cui matrice dei coefficienti `e la matrice cinematica trasposta. ` dunque possibile classificare i sistemi meccanici anche con riferimento al problema statico; E con le stesse notazioni adottate per il problema cinematico, si hanno

1.4. CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI MECCANICI VINCOLATI

13

• sistemi singolari se il rango di A non `e massimo (det A = 0 per A quadrata), una o pi` u equazioni di vincolo sono dipendenti. I vincoli in oggetto sono inefficaci o mal posti e in generale non si pu`o rispondere al problema statico; ogni caso va considerato a s`e. • sistemi non singolari se il rango di A `e massimo (det A 6= 0 per A quadrata); sono – staticamente impossibili: ρ = m < l, vi sono meno vincoli indipendenti che gradi di libert`a e le componenti di reazione vincolare non bastano a bilanciare le azioni attive, in numero di l − m superiori ad esse; – staticamente univocamente determinati: ρ = m = l, i vincoli, indipendenti e pari ai gradi di libert`a, possono erogare reazioni vincolare che bilanciano le componenti dell’azione attiva; la loro distribuzione `e univocamente determinata; – staticamente indeterminati: ρ = l < m, vi sono pi` u vincoli (almeno l dei quali indipendenti) che gradi di libert`a, quindi pi` u componenti di reazione vincolare che componenti di sollecitazione attiva, la quale pu`o essere bilanciata in m − l modi. A questo punto `e possibile caratterizzare un sistema meccanico vincolato caratterizzato da una matrice cinematica di rango massimo come segue: chiameremo • iperstatico un sistema cinematicamente impossibile e staticamente indeterminato, con pi` u equazioni di vincolo semplice che gradi di libert`a; al corpo non sono consentiti atti di moto rigidi (se non quello banale nel caso di vincoli fissi) e le reazioni vincolari, sovrabbondanti, non sono univocamente determinabili tramite le equazioni di bilancio meccanico; • isostatico un sistema cinematicamente determinato e staticamente determinato, con tanti vincoli semplici indipendenti quanti gradi di libert`a, che ammette un unico atto di moto compatibile e un’unica distribuzione di componenti di reazione vincolare in grado di bilanciare meccanicamente ogni distribuzione di azioni esterne attive; • labile un sistema cinematicamente indeterminato e staticamente impossibile, con meno vincoli semplici che gradi di libert`a, che si comporta da meccanismo dal moto non determinato e in generale non bilanciabile staticamente.

Capitolo 2 La trave, continuo monodimensionale 2.1

Continui

Il corpo rigido, potendo assorbire e restituire quantit`a anche infinite di energia meccanica, `e un modello spesso troppo astratto. Si usano modelli continui per i corpi reali, deformabili, trascurandone la costituzione reale e descrivendone le forme assunte nell’ambiente euclideo. Per i continui deformabili si studiano: la cinematica della deformazione; il bilancio tra sollecitazioni esterne (carichi ) e interne (tensioni ); le leggi costitutive del materiale, che legano tensioni e deformazioni. Le equazioni derivanti da questi studi permettono la risoluzione dei problemi dei continui deformabili e in particolare di quello elastico lineare, del quale ci interesseremo. Gli strumenti matematici utilizzati per descrivere i continui non sono gli stessi che per i sistemi discreti: non si avr`a un numero finito d’incognite (parametri lagrangiani) ma in generale funzioni di campo delle variabili spaziali. Le funzioni si supporranno sufficientemente regolari per le operazioni che verranno eseguite. Le equazioni della statica da algebriche lineari diventano differenziali ordinarie (per le travi) o alle derivate parziali (per piastre, gusci ed elementi estesi in genere), mantenendosi lineari. Le difficolt`a analitiche dunque si accrescono enormemente richiedendo spesso risoluzioni numeriche, che partono per`o dalla ricerca e dalla comprensione delle soluzioni analitiche, che suggeriscono la comprensione della meccanica dei problemi. In meccanica dei solidi la forma di riferimento `e semplice, generalmente assunta come uno stato naturale, privo di tensioni. In meccanica dei fluidi non si hanno forme preferite: di solito si considera un volume di controllo, la regione occupata dal volume di fluido nell’istante fissato.

2.2

La trave come continuo deformabile

Molti elementi strutturali assumono forme con una dimensione prevalente sulle altre e si descrivono con un modello fisico-matematico detto trave. Esso consta di un tratto di linea di supporto (asse) a ciascun punto del quale sono associate copie di una regione piana (sezioni ). Ganci, archi, molle elicoidali hanno asse curvo; assi, alberi, bielle hanno asse rettilineo e sezioni a esso ortogonali nella forma di riferimento. Studieremo queste ultime, per cui il segmento d’asse sia spazzato dall’ascissa z con origine nell’estremo di sinistra. Un’altra configurazione `e descritta dalla nuova forma del supporto e dal nuovo assetto delle sezioni, considerate suscettibili solo di moti rigidi. In cinematica infinitesima occorrono dunque: •) il campo vettoriale di spostamento dei punti dell’asse, di componenti u(z), v(z), w(z); •) il campo dei vettori assiali della rotazione incrementale delle sezioni, con componenti θx , θy , θz . 14

2.2. LA TRAVE COME CONTINUO DEFORMABILE

15

La situazione `e mostrata nella figura 2.1 per uno spazio ambiente bidimensionale, descritto senza restrizione di generalit`a dalle coordinate yz, in cui lo spostamento ha componenti v(z), w(z) e la sola rotazione possibile `e θx (z). La coordinata x, ortogonale al piano, forma un sistema levogiro xyz in cui z `e parallelo al versore tangente, x al versore normale e y al versore binormale della base di Fr´enet per l’asse.

Figura 2.1: Cinematica piana di una trave a supporto rettilineo. Un trasporto rigido infinitesimo ha rotazione uniforme θ ed `e lineare in θ e nella posizione: −→ u(Q) = u(P ) + θ × P Q Senza restrizione di generalit`a, i punti P e Q si possono pensare posti alle ascisse rispettivamente z e z + dz sull’asse, per cui in cinematica rigida infinitesima si ha     0 θ u (z)    y      u(z + dz) − u(z) = θ × kdz ⇒ u0 (z) = θ × k ⇒  v 0 (z)  =  −θz  , θ 0 = 0 (2.1)     0 0 w (z) con le ovvie semplificazioni in spazio ambiente bidimensionale descritto dalle coordinate yz. La deformazione si definisce in modo naturale come difetto di rigidit`a del trasporto infinitesimo e(z) = u0 (z) − θ(z) × k,

χ(z) = θ 0 (z)

(2.2)

e le misure di deformazione e, χ hanno componenti dette • allungamento specifico , difetto di rigidit`a della componente assiale di spostamento; in uno spostamento rigido w0 (z) = 0 e il supporto deformabile subisce allungamento se (z) = w0 (z) 6= 0 come mostrato nella figura 2.2. L’allungamento specifico `e un numero puro.

Figura 2.2: Allungamento specifico e scorrimenti angolari per la trave.

(2.3)

16

CAPITOLO 2. LA TRAVE, CONTINUO MONODIMENSIONALE • scorrimento angolare γ, numero puro, difetto di rigidit`a della componente trasversale di spostamento. In un trasporto rigido u0 (z) − θy = 0, v 0 (z) + θx = 0, equazione (2.1); gli angoli inizialmente retti tra supporto e sezione variano, figura 2.2, se γxz (z) = u0 (z) − θy 6= 0,

γyz (z) = v 0 (z) + θx 6= 0

(2.4)

• incurvamento χ, difetto d’uniformit`a della rotazione infinitesima; in uno spostamento rigido θ 0 = 0 e due sezioni poste a distanza dz sull’asse variano il loro assetto relativo se χ(z) = θ 0 (z) 6= 0 .

(2.5)

L’incurvamento, con dimensioni fisiche di reciproco di una lunghezza, ha componenti trasversali 1 dette incurvamenti flessionali, vedi figura 2.3, e componente assiale detta incurvamento torsionale. Gli incurvamenti flessionali sono i reciproci dei raggi di curvatura locali;2 l’incurvamento torsionale descrive la rotazione assiale relativa, figura 2.3.

Figura 2.3: Incurvamenti flessionali e torsionale per la trave. Le 6 componenti scalari delle misure di deformazione si riducono a 3 in ambiente bidimensionale: allungamento specifico dell’asse, scorrimento tra asse e sezione e incurvamento flessionale. Le equazioni di compatibilit`a cinematica (2.3)–(2.5) esprimono le condizioni analitiche tra spostamento e deformazione infinitesimi per evitare lacerazioni e compenetrazioni di materia.

2.3

Principio di lavoro (potenza) virtuale

Un atto di moto rigido, ovvero uno spostamento rigido infinitesimo, non cambia lo stato meccanico del sistema in quanto svanisce con un cambiamento d’osservatore. In uno spostamento infinitesimo deformativo lo stato meccanico del sistema `e cambiato e immaginiamo di conseguenza che la potenza spesa dalle interazioni del sistema con l’universo sia diversa da zero. La potenza, si veda il § 1.2, `e l’integrale di una densit`a di potenza, lineare nei descrittori dell’atto di moto rispetto a una misura di azioni esterne che possono essere a distanza e di contatto. Quanto detto per la potenza si estende naturalmente al lavoro se al posto dell’atto di moto si considerano i campi descrittori dello spostamento infinitesimo (ottenuti moltiplicando i campi dell’atto di moto per un tempuscolo infinitesimo dt). Per il modello fisico-matematico 1

Cio`e lungo normale e binormale della terna locale di Fr´enet, ovvero lungo gli assi x e y di un sistema cartesiano se l’asse della trave, come scelto qui, coincide con z. 2 Per convincersene, si pensi che per la lunghezza l di un arco di circonferenza di raggio r e ampiezza φ si ha l = rφ, da cui 1/r = φ/l e, se φ → dφ, l → dz, si ha 1/r = dφ/dz.

2.3. PRINCIPIO DI LAVORO (POTENZA) VIRTUALE

17

trave, le azioni a distanza sono distribuite all’interno del supporto ]0, l[, quelle per contatto al suo contorno, dato dai punti z = 0 e z = l. Per costruire un funzionale lineare nei descrittori dello spostamento infinitesimo, le azioni esterne a distanza e per contatto sono un campo vettoriale di forza e uno di coppia: Z l [b(z) · u(z) + B(z) · θ(z)] dz+ L= 0 (2.6) + [t(0) · u(0) + T (0) · θ(0)] + [t(l) · u(l) + T (l) · θ(l)] Le densit`a di forza b di coppia B per unit`a di misura del supporto hanno dimensioni fisiche di forza e momento per unit`a di lunghezza, rispettivamente. Le forze t e le coppie T di contatto hanno dimensioni fisiche di forza e coppia, rispettivamente. L’enunciato del lavoro virtuale su atti di moto rigido conduce alle equazioni globali di bilancio meccanico per forza e momento rispetto all’origine sul supporto, che ricalcano le (1.7) e la cui prova si lascia per esercizio: Z l b(z)dz + t(0) + t(l) = 0 0 (2.7) Z l [B(z) + zk × b(z)] dz + T (0) + T (l) + lk × t(l) = 0 0

Quando il sistema meccanico cambia stato per effetto di una spesa di lavoro (potenza) da parte dell’universo che su di esso agisce, ammettiamo anche che ogni sottoparte del sistema, per adattarsi al nuovo stato, scambi con le contigue flussi di lavoro (potenza). Se la caratterizzazione del lavoro (potenza) delle azioni esterne risulta quasi intuitiva, per il lavoro scambiato dalle parti del sistema occorre avanzare delle ipotesi, dette costitutive poich`e tengono in conto di come il materiale di cui `e costituito il sistema trasmette i flussi di lavoro dall’esterno verso le sue parti. L’ipotesi minimale `e che il lavoro tra le sottoparti del sistema (lavoro interno) Li sia lineare nello spostamento infinitesimo dell’intorno del punto considerato, ovvero si rilevi testando lo spostamento infinitesimo di ogni punto e la sua approssimazione prima:3 Z l [s0 (z) · u(z) + s1 (z) · u0 (z) + S 0 (z) · θ(z) + S 1 (z) · θ 0 (z)] dz (2.8) Li = 0

dove i campi s0 , S 0 sono detti di autotensione, i campi s0 , S 0 sono detti di tensione. Se si volesse modellare un continuo le cui porzioni sentono le azioni di porzioni “lontane”, ovvero oltre l’intorno del primo ordine del punto considerato, si dovrebbero inserire nella (2.8) termini che spendano lavoro sull’approssimazione seconda, terza, . . . del campo di spostamento infinitesimo. La richiesta che il lavoro interno tenga conto del cambiamento di stato del sistema impone che Li = 0 comunque si scelga un campo di spostamento rigido infinitesimo come in (2.1). Posta z¯ l’ascissa di un posto P fissato ad arbitrio sull’asse della trave, deve essere Z l 0= [s0 (z) · u(¯ z ) + s1 (z) · (θ × k) + S 0 (z) · θ] dz ⇒ s0 (z) = 0, S 0 (z) = −k×s1 (z) . (2.9) 0

Infatti, per la generalit`a del campo d’integrazione, l’annullamento dell’integrale implica quello dell’integrando e per la generalit`a di u(¯ z ), θ l’annullarsi dell’integrando implica quello dei due 4 addendi separatamente. Infine, si `e applicata la permutazione ciclica del prodotto misto. 3

Quanto per il lavoro s’estende alla potenza, dividendo lo spostamento per dt e considerando l’atto di moto. Infatti, la (2.9) vale per ogni spostamento infinitesimo e si pu`o pensare prima a uno in cui u(¯ z ) 6= 0, θ = 0, poi a uno in cui u(¯ z ) = 0, θ 6= 0, da cui l’asserto. 4

18

CAPITOLO 2. LA TRAVE, CONTINUO MONODIMENSIONALE

Sostituendo le (2.9), (2.2) nella (2.8) si ricava la formula ridotta del lavoro interno: Z l [s1 (z) · u0 (z) + (s1 (z) × k) θ + S 1 (z) · θ 0 (z)] dz = Li = Z

0 l

(2.10) (s1 (z) · e(z) + S 1 (z) · χ(z)) dz

= 0

il quale, come intuibile empiricamente, risente solo della componente non neutra dello spostamento infinitesimo, ovvero della deformazione. Le azioni interne che spendono lavoro sulla deformazione sono forze, raccolte nel vettore s1 , e coppie, raccolte nel vettore assiale S 1 . Nella figura 2.4 a sinistra si mostra l’azione interna che spende lavoro sull’allungamento specifico, detta forza normale N . Nella figura 2.4 a destra si mostra una componente dell’azione

Figura 2.4: Forza normale e tagliante. interna che spende lavoro sullo scorrimento, la forza tagliante Tx (Ty ). Nella figura 2.5 si mostra una componente dell’azione interna che spende lavoro sull’incurvamento flessionale, la coppia flettente Mx (My ). Analogamente si illustrer`a la coppia torcente Mz .

Figura 2.5: Coppia flettente. Poich´e non possiamo ammettere che in un qualsivoglia processo meccanico, ancorch´e infinitesimo e di prova, semplicemente ammissibile (virtuale), il lavoro si disperda, deve valere il principio dei lavori virtuali: per ogni spostamento infinitesimo e per ogni campo di deformazioni infinitesime con esso compatibile, il lavoro speso virtualmente dall’universo sul sistema deve uguagliare quello speso da tutte le sottoparti del sistema 5 Z l [b(z) · u(z) + B(z) · θ(z)] dz + [t(0) · u(0) + T (0) · θ(0)] + 0 (2.11) Z l + [t(l) · u(l) + T (l) · θ(l)] =

(s1 (z) · e(z) + S 1 (z) · χ(z)) dz 0

5

Un enunciato analogo vale per la potenza.

2.3. PRINCIPIO DI LAVORO (POTENZA) VIRTUALE

19

L’equazione (2.11), che traduce il principio del lavoro virtuale, deve valere per qualsiasi trave, al limite di lunghezza nulla, quindi anche per la singola sezione all’ascissa z¯.6 Gli integrali nella (2.11), essendo allora estesi a un insieme di misura nulla, valgono zero e la (2.11) fornisce |t · u + T · θ|z¯− + |t · u + T · θ|z¯+ = 0 ⇒ t(¯ z − ) = −t(¯ z + ), T (¯ z − ) = −T (¯ z+)

(2.12)

per la continuit`a dei campi dello spostamento infinitesimo in z¯. La (2.12) traduce la legge di azione e reazione: l’azione di contatto che il mondo a sinistra della sezione in z¯ esercita sulla parte a destra `e opposta di quella che il mondo a destra della sezione in z¯ esercita sulla parte a sinistra. Questo risultato permette di rappresentare le azioni di contatto riferendosi solo a

Figura 2.6: Azioni di contatto su un tratto di trave. quelle su una faccia della sezione; per convenzione, a quelle sulla faccia di destra (¯ z + ) si d`a il verso della base locale di Fr´enet, che per un tratto uniformemente rettilineo coincide con la base esterna. Nella figura 2.6 `e mostrata questa scelta per una trave in ambiente bidimensionale. Scegliendo dunque come rappresentative delle azioni di contatto quelle sulle pagine di destra di ogni sezione, i termini al contorno che compaiono nella (2.11) si compattano e per essi, sotto ipotesi di regolarit`a opportune, si pu`o applicare il teorema fondamentale del calcolo integrale: Z

l

[b(z) · u(z) + B(z) · θ(z)] dz + |t(z) · u(z) + T (z) · θ(z)|l0 =

0

Z

l

(s1 (z) · e(z) + S 1 (z) · χ(z)) dz ⇒

= 0

Z ln ⇒ b(z) · u(z) + B(z) · θ(z) + [t(z) · u(z) + T (z) · θ(z)]0 + (2.13)

0

o

− [s1 (z) · e(z) + S 1 (z) · χ(z)] dz = Z ln = [b(z) + t 0 (z)] · u(z) + [B(z) + T 0 (z) + k × s1 (z)] · θ(z)+ 0

o + [t(z) − s1 (z)] · u0 (z) + [T (z) − S 1 (z)] · θ 0 (z) dz = 0 avendo inoltre sviluppato le derivate indicate nella (2.13) e avendo sfruttato le definizioni di misure di deformazione nella (2.2). Per la generalit`a del dominio, l’annullarsi dell’integrale 6

Si immagina che l’estremo di sinistra della trave 0 → z¯− e che l’estremo di destra l → z¯+ .

20

CAPITOLO 2. LA TRAVE, CONTINUO MONODIMENSIONALE

nella (2.13) comporta l’annullarsi dell’integrando. Per la generalit`a dei campi cinematici che compaiono nell’integrando, tutti i termini della somma in esso presenti devono annullarsi:7 s1 (z) = t(z),

S 1 (z) = T (z),

t 0 (z) + b(z) = 0,

T 0 (z) + k × t(z) + B(z) = 0.

(2.14)

Le prime due (2.14) esprimono un fatto essenziale della meccanica della trave:8 quelle interne sono azioni per contatto che il pezzo (‘concio’) considerato riceve dagli altri pezzi, visti come parte del mondo esterno. In una interpretazione suggestiva dal punto di vista meccanico, le azioni interne si possono vedere come ‘reazioni vincolari’ esercitate per contatto sul concio considerato dai pezzi di trave adiacenti per mantenere la continuit`a della trave nella sua interezza, ovvero per garantirne il comportamento come unico sistema sotto gli atti di moto rigido. Le azioni interne si possono allora ricavare, con questa interpretazione, tramite il bilancio meccanico di una porzione finita di trave a partire dalla conoscenza di tutte le altre azioni esterne. Le seconde due (2.14) esprimono il bilancio meccanico in forma locale: se forza e momento hanno somma nulla per il sistema nella sua interezza, la devono avere anche per ogni tratto infinitesimo. Le (2.7) si ottengono facilmente dalle (2.14) per integrazione su un dominio finito. Con una interpretazione suggestiva dal punto di vista meccanico, visto che la divergenza di un campo vettoriale diventa la derivata ordinaria per un dominio monodimensionale, il flusso di forza per contatto `e bilanciato dalla densit`a di forza a distanza e il flusso di coppia per contatto `e bilanciato dalle densit`a di coppia a distanza e di momento della forza per contatto. Le componenti scalari delle (2.14) sono, omettendo la dipendenza dei campi indicati dall’ascissa z per alleggerire la notazione e posto b = (bx , by , bz ) e B = (mx , my , mz ), Tx0 + bx = 0,

Ty0 + by = 0,

N 0 + bz = 0,

Mx0 − Ty + mx = 0,

My0 + Tx + my = 0,

Mz0 + mz = 0

(2.15)

con le semplificazioni ovvie se ci si riduce a uno spazio ambiente bidimensionale. Seguendo l’interpretazione delle azioni interne come azioni per contatto, le (2.15) si possono ottenere tramite il bilancio meccanico su un concio di ampiezza infinitesima; per semplicit`a, se si considera una trave nello spazio ambiente bidimensionale descritto dagli assi yz e con una lieve modifica di simboli per alleggerire la notazione, si ha • bilancio della forza in direzione assiale (lungo la tangente all’asse): −N + N +

dN dz + p = 0 ⇒ N 0 + p = 0 dz

• bilancio della forza trasversalmente all’asse (lungo la binormale): −T + T + 7

dT dz + b = 0 ⇒ T 0 + b = 0 dz

Si pu` o infatti pensare di scegliere di volta in volta uno spostamento infinitesimo caratterizzato da uno dei quattro campi u, θ, u0 , θ 0 diverso dal vettore nullo e gli altri nulli, da cui l’asserto. 8 In realt` a, come si vedr` a oltre, questo `e un risultato generale della meccanica dei continui di grado uno, in cui cio`e si considerano le azioni interne solo nell’intorno di primo ordine di ogni punto.

2.4. EQUAZIONI DEL PROBLEMA ELASTICO STATICO

21

Figura 2.7: Bilancio meccanico locale in ambiente bidimensionale. • bilancio del momento (attorno alla normale) rispetto al polo “di destra” del concio: −M + M +

dz dM dz − T dz − bdz + mdz = 0 ⇒ M 0 − T + m = 0 dz 2

avendo trascurato il contributo delle forze a distanza, che rappresenta un infinitesimo di ordine superiore al primo.

2.4

Equazioni del problema elastico statico

Le (2.2), (2.14) rappresentano le equazioni locali di compatibilit`a cinematica tra campi di spostamento e deformazioni infinitesime e di bilancio meccanico tra azioni esterne e interne. Esse equivalgono a 12 equazioni scalari differenziali lineari e ordinarie del primo ordine. I campi dati sono le densit`a di azione a distanza b, B, gli incogniti sono lo spostamento e la deformazione infinitesima u, θ, e, χ e l’azione interna t, T , in totale quindi 18 funzioni scalari. Appare evidente che, mentre in un sistema isostatico le equazioni di bilancio meccanico, separatamente dalle altre, permettono di ricavare almeno le azioni interne, in generale solo le equazioni di compatibilit`a e di bilancio non sono sufficienti a determinare tutti i campi incogniti. Per chiudere il problema occorrono sei equazioni indipendenti che esprimano altri fatti fisici oltre la compatibilit`a e il bilancio. Finora si sono visti la cinematica indipendentemente dalle sollecitazioni e il bilancio indipendentemente dalla cinematica: per descrivere appieno la fisica del problema, mancano relazioni che descrivano il legame tra cinematica e sollecitazioni, ovvero la dipendenza degli ‘effetti’ (i cambiamenti di stato) dalle ‘cause’ (le sollecitazioni). I cambiamenti di stato sono descritti dalle misure di deformazione, le sollecitazioni che le rivelano, spendendo lavoro su di esse, sono quelle interne. Inoltre, poich´e le sollecitazioni interne in una trave agiscono sulla pagina di una sezione, il legame tra sollecitazioni interne e deformazioni deve dipendere dal materiale che compone la trave e dalle propriet`a geometriche della sezione. Nel campo delle deformazioni infinitesime qui trattate, quasi tutti i materiali d’impiego abituale nell’ingegneria industriale si comportano in maniera reversibile, ovvero cessata la sollecitazione tornano allo stato iniziale. Si ammette allora che la trave si comporti in modo elastico lineare: l’elasticit`a descrive la reversibilit`a, la linearit`a discende dall’ipotesi di piccole deformazioni (una variazione ‘piccola’ rispetto allo stato iniziale). Sotto questa ipotesi si possono scrivere relazioni algebriche lineari tra le componenti dell’azione interna e della deformazione in

22

CAPITOLO 2. LA TRAVE, CONTINUO MONODIMENSIONALE

ogni punto dell’asse. Queste sono in generale descritte da 21 coefficienti indipendenti,9 ma sulla base di osservazioni sperimentali si pu`o accettare che ogni misura di deformazione influenzi solo l’azione interna che su di essa spende potenza, ottenendo delle relazioni elastiche diagonali: Tx = Cx γxz,el ,

Ty = Cy γyz,el ,

N = Ael ,

Mx = Bx χx,el ,

My = By χy,el ,

Mz = Dχz,el

(2.16)

dove il pedice ‘el ’ indica che la componente indicata della misura di deformazione `e di origine elastica, mentre in generale ci potrebbero essere altre cause di deformazione, come un gradiente di temperatura rispetto a quella di posa in opera. Le grandezze A, Bi , Ci , D sono le rigidezze all’allungamento, alla flessione attorno all’asse i-esimo, allo scorrimento angolare nel piano xi z, alla torsione. La riduzione delle relazioni (2.16), dette costitutive della trave in questione, a un sistema bidimensionale `e semplice. Con l’aggiunta delle equazioni costitutive a quelle di compatibilit`a e di bilancio il problema elastico statico lineare `e chiuso (18 equazioni indipendenti in 18 campi incogniti) e ammette sempre soluzione, trattandosi di un sistema di equazioni differenziali lineari per cui esistono teoremi di esistenza e unicit`a sotto opportune ipotesi. Nel seguito si vedranno alcune tecniche di determinazione delle soluzioni del problema.

9

P In elasticit` a lineare esiste una densit` a d’energia potenziale (1/2) i,j Kij δi δj , in cui Kij `e la matrice delle rigidezze elastiche e δi , δj sono le varie deformazioni elastiche. La matrice di rigidezza `e simmetrica (teorema di Schwartz sull’uguaglianza delle derivate seconde miste) per cui le componenti indipendenti di Kij sono solo quelle da una parte della diagonale principale, questa compresa.

Capitolo 3 Risoluzione di travature 3.1

Travature staticamente determinate

Il problema statico per travature isostatiche si risolve applicando il bilancio meccanico in forma globale e locale. Si caratterizza il sistema valutando numero ed efficacia dei vincoli; si determinano le reazioni vincolari esterne e interne; infine, si trovano le distribuzioni delle azioni interne e se ne tracciano i diagrammi per individuare la sezione pi` u sollecitata. L’ascissa assiale sia positiva da sinistra a destra, la pagina positiva della sezione sia orientata come la base esterna; le azioni interne sulla pagina positiva siano concordi con la base esterna, ! figura 2.6.1 Per convenzione, i diagrammi del momento flettente vanno dalla parte esterna alla concavit`a dell’asse, per simulare la configurazione deformata della trave.

!

Figura 3.1: Esempio 3.1: travatura staticamente determinata.

Esempio 3.1. Applicazione del bilancio in forma finita. Per caratterizzare la struttura nella figura 3.1 si valutano i suoi elementi, i dispositivi di vincolo cui `e soggetta e le reazioni da questi esplicate. C’`e un’unica trave con asse rettilineo a tratti e 3 gradi di libert`a; i vincoli 1

In alcuni testi si orienta l’asse y in basso e apparentemente taglio e momento flettente hanno segni opposti.

23

24

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

semplici sono 3, indipendenti. Infatti, la cerniera in A `e un centro d’istantanea rotazione, ma la velocit`a di B sarebbe ortogonale a AB per la (1.4), in disaccordo col carrello in B: l’unico atto di moto compatibile con i vincoli `e quello nullo e il sistema risulta isostatico. Nella figura 3.1 sono evidenziate le reazioni vincolari xA , yA , yB , con versi arbitrari,2 suggerendo il passaggio logico sistema→corpo libero per meglio scrivere le equazioni (1.7) di bilancio a traslazione e rotazione. Trattando il bilancio su atti di moto rigido, la distribuzione di carico equivale al suo risultante applicato al centro di figura della distribuzione;3 scegliendo O ≡ A `e       −xA − F = 0 xA = −F               L1 L1 L2 h yA + yB − p − pL2 = 0 ⇒ yB = p + pL2 1 + +F 2   8 2L1 L1           L1 L1 L2 L2 h 3pL1     − pL2 L1 + − Fh = 0  yA =  y B L1 − p + pL2 −F 2 4 2 8 2L1 L1 Per determinare le distribuzioni delle azioni interne si fissa la base locale di Fr´enet per ogni tratto regolare e si opera un sezionamento immaginario della travatura in due parti all’ascissa generica ξi sull’i-esimo tratto. Le azioni interne sono la forza e la coppia che la parte a destra del sezionamento immaginario esercita sulla parte a sinistra per mantenerla in equilibrio statico. Esse si ricavano quindi applicando il bilancio globale sulla porzione finita di travatura dall’inizio fino a ξi , considerando le azioni interne applicate per contatto alla sezione di separazione con i versi concordi a quelli scelti. Cos`ı, a un’ascissa A ≤ ξ1 < E si deve scrivere ξ1 N (ξ1 ) + F = 0, T (ξ1 ) + yA − pξ1 = 0, M (ξ1 ) + yA ξ1 − pξ1 = 0 2 da cui si ricavano N, T, M come funzioni dell’ascissa. Alla sezione E < ξ2 < C si ha     L1 L1 L1 L1 N (ξ2 ) + F = 0, T (ξ2 ) + yA − p = 0, M (ξ2 ) + yA + ξ2 − p + ξ2 = 0 2 2 2 4 In corrispondenza dell’ascissa C < ξ3 < B si ha L1 N (ξ3 ) − yA + p = 0, T (ξ3 ) + F = 0, 2 Infine, per C < ξ4 ≤ D si ha

M (ξ3 ) + F ξ3 + yA L1 − pL1

3L1 =0 4

L1 T (ξ4 ) + yA − p + yB − pξ4 = 0, 2   L1 3L1 ξ4 M (ξ4 ) + yA (L1 + ξ4 ) − p + ξ4 + F h + yB ξ4 − pξ4 = 0 2 4 2 N (ξ4 ) + F − F = 0,

Trovate le distribuzioni delle azioni interne, si passa al tracciamento dei loro diagrammi, illustrati nella figura 3.2. Si osservi che la forza normale `e uniforme a tratti e il tratto CD non ne `e interessato perch´e non sarebbe altrimenti bilanciato. Per la geometria dell’asse, la forza normale nel tratto BC avr`a effetto tagliante nel tratto AD e viceversa; nel punto singolare (‘nodo’) C il bilancio di forza e coppia genera discontinuit`a sia sulle leggi analitiche sia sui loro diagrammi. Poich´e il carico trasversale `e distribuito uniformemente nei tratti AE e CD, le forza tagliante `e lineare e il momento di secondo grado. Si ottengono gli stessi risultati determinando le azioni interne per integrazione delle equazioni locali di bilancio, come nell’esempio successivo. 2 3

La yB , solo ai fini del bilancio su atti di moto rigido, si pu`o spostare lungo la sua retta d’azione, v. figura. Se il carico fosse stato a distribuzione lineare il centro sarebbe stato a 2/3 della lunghezza della distribuzione.

3.1. TRAVATURE STATICAMENTE DETERMINATE

25

Figura 3.2: Esempio 3.1 – diagrammi delle azioni di contatto. Esempio 3.2. Applicazione del bilancio in forma differenziale. La travatura nella figura 3.3 consta di 2 elementi (6 gdl) ed `e soggetta a 6 vincoli semplici (3 all’incastro, 2 alla cerniera interna, 1 al carrello esterno). I vincoli sono indipendenti: l’incastro controlla tutti i gdl dell’elemento 1, la cerniera interna, solidale a un elemento il cui moto `e determinato, `e centro d’istantanea rotazione per l’elemento 2; la velocit`a del punto vincolato dal carrello, ortogonale alla congiungente cerniera-carrello per la (1.4), `e controllata dal carrello. C’`e un unico atto di moto compatibile con i vincoli e il sistema risulta dunque isostatico.

Figura 3.3: Esempio 3.2: problema assegnato e corpi liberi. Si determinano dapprima le reazioni vincolari; poich´e vi sono vincoli sia esterni sia interni, `e necessario effettuare i diagrammi di corpo libero per ogni elemento (l’equilibrio della struttura implica quello di ogni sua parte). Sezionando il sistema in corrispondenza dei vincoli interni, si opera il bilancio di ogni sottosistema e si trovano tutte le reazioni vincolari, ricordando la ‘legge di azione e reazione’: in questo caso, le azioni che la trave 1 esercita sulla trave 2 per mezzo della cerniera interna saranno opposte alle azioni che la trave 2 esercita sulla trave 1. Per trovare le leggi delle azioni interne si fissano ascisse locali sui tratti e si integrano le (2.15) particolarizzate allo spazio ambiente bidimensionale. Le reazioni vincolari costituiscono le condizioni al contorno per il problema d’integrazione, facendo attenzione ad azioni sulla pagina di sinistra o di destra della sezione in oggetto. Nell’esempio considerato, non vi sono azioni assiali, quindi ci si concentra sulle azioni taglianti e flettenti. Per il primo tratto si ha T 0 (ξ1 ) = 0 ⇒ T (ξ1 ) = c1 ,

M 0 (ξ1 ) − T (ξ1 ) = 0 ⇒ M (ξ1 ) = c1 ξ1 + c2

con c1 , c2 costanti d’integrazione, determinate con le condizioni al contorno all’incastro. Le reazioni vincolari agiscono per contatto sulla pagina negativa della sezione d’incastro, quindi se ne deve tener conto cambiando il loro segno per riferirle alla pagina positiva. Si ha allora     l l2 l l T (ξ1 ) = − F + p , M (ξ1 ) = p + F − F + p ξ1 . 2 2 2 2

26

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

In ogni punto regolare, per continuit`a, le condizioni finali del tratto precedente diventano iniziali del successivo. Le azioni localizzate rappresentano discontinuit`a che richiedono di scrivere bilanci puntuali di sezione. Nel punto medio dell’elemento 1 c’`e una discontinuit`a di forza trasversale; il bilancio puntuale della sezione corrispondente porta a  +  +  − l l l l −F +T =0⇒T = −p , −T 2 2 2 2  −  +  −  + l l l l −M +M =0⇒M =M . 2 2 2 2 Nel secondo tratto dell’elemento 1 si ha, poste c3 , c4 costanti d’integrazione, T 0 (ξ2 ) = 0 ⇒ T (ξ2 ) = c3 ,

M 0 (ξ2 ) − T (ξ2 ) = 0 ⇒ M (ξ2 ) = c3 ξ2 + c4

Le condizioni al contorno alla pagina positiva del punto intermedio danno c3 , c4 :  2  l lξ2 l M (ξ2 ) = p − T (ξ2 ) = −p , 2 4 2 Come dev’essere, in corrispondenza della cerniera interna, che non esplica momento di contatto, la legge e il diagramma del momento dovr`a sempre avere valore nullo. Nell’elemento 2 si ha   ξ3 0 0 T (ξ3 ) − p = 0 ⇒ T (ξ3 ) = pξ3 + c5 , M (ξ3 ) − T (ξ3 ) = 0 ⇒ M (ξ3 ) = p + c5 ξ3 + c6 2 con c5 , c6 costanti da trovare con le condizioni alla cerniera interna, con l’accortezza di cambiar segno alle reazioni vincolari se agiscono sulla pagina negativa di sezione. Si ha infine l T (ξ3 ) = −p + pξ3 , 2

M (ξ3 ) = p (ξ3 − l)

ξ3 2

e si possono tracciare i diagrammi presentati nella figura 3.4.

Figura 3.4: Esempio 3.2 – diagrammi delle azioni di contatto. I metodi degli esempi 3.1 e 3.2 sono equivalenti: nelle travature isostatiche la risposta alle equazioni di bilancio meccanico `e univoca e non occorrono le equazioni della cinematica e del legame elastico. Vediamo ora casi in cui sono necessarie tutte le equazioni del problema elastico.

3.2

La linea termoelastica piana

Le equazioni ‘della linea termoelastica’ per la trave forniscono la configurazione adiacente a quella di riferimento, indipendentemente dalla classificazione cinematica/statica. Infatti, se il

3.2. LA LINEA TERMOELASTICA PIANA

27

problema statico ammette soluzione, le azioni esterne spendono potenza nulla sugli atti di moto rigidi compatibili coi vincoli e all’azione esterna corrisponde una deformazione. Se il problema statico non ammette soluzione, le azioni esterne accendono moti rigidi; in entrambi i casi lo spostamento infinitesimo a partire dalla configurazione di riferimento `e ben descritto dalle equazioni della linea termoelastica. Per giungere ad esse occorre usare congiuntamente compatibilit`a cinematica, leggi costitutive e bilancio meccanico, includendo anche le forze d’inerzia.

!

Figura 3.5: Decomposizione di un gradiente termico lineare e incurvamento termico. Se la trave separa ambienti a temperatura uniforme, diversa da quella di posa in opera, e ha sezione di altezza h ‘piccola’ rispetto ad altre dimensioni, l’incremento di temperatura `e lineare lungo h per la legge di Fourier. Detto α il coefficiente di dilatazione termica della trave,4 per gradienti termici Θ non troppo ampi ogni fibra della trave parallela all’asse si dilata proporzionalmente al gradiente termico e al coefficiente α.5 I contributi uniforme e lineare del gradiente di temperatura, figura 3.5 a sinistra, inducono le deformazioni ¯ t = αΘ,

χt =

2α∆Θ h

(3.1)

L’incurvamento termico χt si interpreta con riferimento alla figura 3.5 a destra: t

α∆Θ h dθ h dθ dθ 2α∆Θ dz = dz = tan ≈ ⇒ χt = = 2 2 2 2 2 2 dz h

Riprendiamo le equazioni di compatibilit`a (2.2)–(2.5), bilancio (2.14)–(2.15) e costitutive (2.16), (3.1), particolarizzate in ambiente bidimensionale. Per alleggerire la notazione, si omette la dipendenza dei campi indicati dall’ascissa z sull’asse e i pedici relativi allo scorrimento e all’incurvamento e si indica con l’apice la derivazione rispetto a z:    0 0       χ=θ M −T +m=0 M = B(χ − χt )       , (3.2) γ = θ + v0 , T0 + p = 0 T = Cγ            = w0  N0 + q = 0  N = A( −  ) t dove  = el + t , χ = χel + χt sono deformazioni totali, somma dei contributi elastico e termico. Sostituendo le leggi costitutive e le equazioni di compatibilit`a in quelle di bilancio meccanico, 4 5

Le sue dimensioni fisiche sono pari all’inverso della temperatura. Se i gradienti termici sono elevati in generale non `e lecito assumere α costante.

28

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

si ottiene il sistema di equazioni della linea termoelastica: 0

[B (θ0 − χt )] − C (v 0 + θ) + m = 0,

0

[C (v 0 + θ)] + p = 0,

0

[A (w0 − t )] + q = 0 (3.3)

Dal sistema originario di sei equazioni differenziali ordinarie di primo ordine e tre lineari algebriche si `e passati a un sistema del sesto ordine di tre equazioni differenziali ordinarie, ciascuna di secondo ordine. Dati m, p, q sufficientemente regolari e sei condizioni al contorno il sistema ammette sempre soluzione unica. Le (3.3) si estendono facilmente all’ambiente tridimensionale.

Figura 3.6: Vincolo interno di scorrimento nullo. ` possibile semplificare le (3.3) introducendo le ipotesi di Euler-Bernoulli: se le dimensioni E della sezione sono trascurabili rispetto alla lunghezza della trave (trave ‘snella’), si pu`o ammettere, anche a seguito di evidenze sperimentali, che le sezioni si mantengano sempre ortogonali all’asse. Ne segue il vincolo interno di indeformabilit`a a scorrimento, illustrato nella figura 3.6, γ = 0 ⇒ θ = −v 0

(3.4)

Perch´e sia valida la (3.4), nelle equazioni costitutive C → ∞. Infatti il taglio T non pu`o essere nullo, dovendo essere presente nella potenza e nel bilancio meccanico: allora il prodotto Cγ dev’essere indeterminato costitutivamente e C → ∞ con l’ordine di 1/γ. Si ipotizza, quindi, che l’elemento piano costituito dalla fibra tangente l’asse e da una fibra di sezione non si distorca. Se si sostituisce la (3.4) nelle (3.2), il campo di forza di taglio non pu`o essere determinato dalla relazione costitutiva; allora si pu`o derivare l’equazione di bilancio del momento e ivi sostituire il campo della derivata del taglio ricavato dal bilancio della forza trasversale M 00 − T 0 + m0 = 0,

T 0 = −p ;

queste e le altre equazioni di compatibilit`a e costitutive (3.2) danno il nuovo sistema 00

[B (v 00 + χt )] − p − m0 = 0,

0

[A (w0 − t )] + q = 0

(3.5)

La prima (3.5) descrive il comportamento trasversale della trave, la seconda quello assiale, disaccoppiati per spostamenti infinitesimi. Se la trave `e omogenea (materiale e sezione uniformi), le rigidezze A e B sono costanti intatte dalla derivazione. Se le azioni esterne sono solo trasversali la seconda (3.5) pu`o essere trascurata e, se la rigidezza flessionale `e uniforme, l’equazione della linea termoelastica `e del quarto ordine nel campo incognito v, 00

B (v 00 + χt ) − p − m0 = 0

(3.6)

3.2. LA LINEA TERMOELASTICA PIANA

29

Le (3.5) valgono in ogni tratto regolare per geometria e distribuzioni di carico e sono sempre integrabili. Le condizioni al contorno sono sei per il sistema completo, quattro se si trascura il comportamento assiale, met`a da assegnare all’estremo sinistro del tratto e met`a a quello destro. Le condizioni di natura assiale possono riguardare: • il valore dello spostamento w se c’`e un vincolo assiale; • il valore di w0 , legato a  dall’equazione di compatibilit`a (2.3) e quindi a N per la legge costitutiva (2.16), se `e assegnata la componente assiale della forza di contatto. Le condizioni di natura trasversale possono riguardare: • il valore dello spostamento v se c’`e un vincolo trasversale; • il valore di rotazione θ, pari a −v 0 per scorrimento nullo, se c’`e un vincolo corrispondente; • il valore di θ0 , pari a χ per la compatibilit`a (2.5) e a −v 00 nell’ipotesi di Euler-Bernoulli, legato a M per la legge costitutiva (2.16), se `e assegnata la coppia di contatto; • il valore di θ00 (pari a −v 000 nell’ipotesi di Euler-Bernoulli), legato a χ0 dall’equazione di compatibilit`a (2.5), quindi a M 0 per la legge costitutiva (2.16) e a T dal bilancio alla rotazione (2.14) se `e assegnata la componente tagliante della forza di contatto. Questo metodo comporta oneri computazionali notevoli: una travatura di sette tratti regolari, per esempio, `e descritta da un sistema differenziale di 42o ordine e 42 condizioni al contorno. Le condizioni al contorno per tratti contigui devono assicurare la compatibilit`a cinematica e il bilancio locale, cio`e che nel punto comune non ci siano lacerazioni o compenetrazioni di materia e le sollecitazioni interne siano bilanciate con eventuali azioni esterne concentrate. Saranno quindi condizioni sulle componenti relative di spostamento e sul salto delle sollecitazioni interne. Osservazione. Il sistema (3.5) vale anche in dinamica, come nella Meccanica delle vibrazioni per le piccole oscillazioni, includendo tra le densit`a di forza a distanza quella d’inerzia. In tal caso l’equazione `e di evoluzione (iperbolica) con soluzione diversa da quella stazionaria (ellittica). Per sistemi lineari, la separazione delle variabili spaziale e temporale riporta alla soluzione della linea termoelastica per la parte spaziale, fornita dalla Meccanica dei solidi. Esempio 3.3. Applicazione della linea termoelastica. Il sistema nella figura 3.7 `e iperstatico una volta: l’incastro a sinistra `e un dispositivo necessario e sufficiente a caratterizzare tutti gli spostamenti rigidi infinitesimi, quindi il carrello a destra `e ridondante.

Figura 3.7: Esempio 3.3: problema assegnato e corpo libero. Usiamo le equazioni della linea termoelastica (3.5) per risolvere il problema elastico statico; la travatura consta di un solo tratto regolare per geometria e distribuzioni di carico esterno. Le due equazioni (3.5) possono essere risolte separatamente: per piccoli spostamenti i comportamenti assiale e trasversale sono disaccoppiati. La trave `e omogenea, con rigidezze A e B uniformi; si fissi l’ascissa z con origine all’incastro. Analizziamo per primo il comportamento assiale; non

30

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

ci sono azioni distribuite parallele all’asse, per cui q = 0, n´e gradienti termici, per cui t = 0. L’equazione per il comportamento assiale (3.5-2) d`a, poste c1 , c2 costanti d’integrazione, Aw00 = 0 ⇒ w = c1 z + c2 e le ci si ricavano imponendo una condizione al contorno di tipo assiale per ciascun estremo: • in z = 0 `e presente un incastro fisso, per cui w(z = 0) = 0 ⇒ c2 = 0; • in z = L il carrello non vincola lo spostamento assiale, quindi, in quanto vincolo perfetto, non esplica alcuna reazione in tale direzione; poich´e al bordo, per le (2.14), le azioni per contatto coincidono con quelle interne, in questo punto la forza normale `e nulla, per cui N (z = L) = 0 ⇒ A(z = L) = Aw0 (z = L) = 0 ⇒ c1 = 0. Si deduce allora che: w(z) = 0 ∀z ∈ [0, L]

⇒ N (z) = A(z) = Aw0 (z) = 0 ∀z ∈ [0, L],

ccome intuitivo: la sollecitazione esterna `e trasversale, il comportamento assiale `e indipendente da quello trasversale, per cui assialmente la trave `e scarica e sar`a nulla anche la reazione H1 . Poich´e non ci sono coppie a distanza (m = 0) e gradienti termici (χt = 0) e il carico trasversale `e uniformemente distribuito con intensit`a 6 pari a −p, l’equazione per il comportamento trasversale (3.5-1) d`a, poste c1 , c2 , c3 , c4 costanti d’integrazione, Bv 0000 − (−p) = 0 ⇒ v = −p

z3 z2 z4 + c3 + c4 + c5 z + c6 24B 6 2

Le ci si ricavano imponendo due condizioni al contorno di tipo trasversale per ciascun estremo: • in z = 0 c’`e un incastro fisso che annulla spostamento trasversale e rotazione della sezione corrispondente, per cui v(z = 0) = 0 ⇒ c6 = 0, θ(z = 0) = −v 0 (z = 0) = 0 ⇒ c5 = 0; • in z = l il carrello impone che lo spostamento trasversale sia nullo, quindi v(z = l) = 0; il carrello non vincola la rotazione della sezione corrispondente, quindi, in quanto vincolo perfetto, non esplica alcuna coppia reattiva, per cui M (z = L) = 0 ⇒ Bχ(z = L) = Bv 00 (z = L) = 0. Da queste due ultime condizioni si ricava il sistema   5pL pL4 L3 L2     + c3 + c4 =0  c3 = 8B  − 24B 6 2 ⇒ 2 2   pL    −  c4 = − pL + c3 L + c4 = 0 8B 2B Si osservi che per esprimere le condizioni al contorno in termini di azioni per contatto ai bordi di questo sistema iperstatico si sfruttano le reazioni che il vincolo non `e in grado di esplicare, poich´e quelle esplicabili sono incognite e non determinabili dal bilancio meccanico. Spostamento trasversale, rotazione, momento flettente e forza tagliante sono dati dalle (3.2) pz 4 5pLz 3 pL2 z 2 v(z) = − + − , 24B 48B 16B M (z) = Bχ(z) = −Bv 00 (z) = 6

pz 2 5pLz pL2 − + , 2 8 8

pz 3 5pLz 2 θ(z) = −v (z) = − 6B 16B 0

T (z) = M 0 (z) = pz −

5pL 8

La densit` a di forza a distanza si riferisce alla base esterna e trasversalmente il verso positivo `e ‘in alto’.

3.3. CAMPIONAMENTO DI COMPONENTI DI SPOSTAMENTO

31

Si osservi che la forza tagliante T (z) `e una funzione lineare, essendo una primitiva, per le equazioni locali di bilancio meccanico (2.15) del carico distribuito con intensit`a uniforme −p. Parimenti, il momento flettente M (z) `e una funzione di secondo grado, essendo una primitiva, per le equazioni locali di bilancio meccanico (2.15) della forza tagliante. Il momento di valore estremo si attinge ai bordi vincolati e dove s’annulla la derivata prima della funzione momento, cio`e la forza tagliante. In questo caso il taglio s’annulla in z = 5L/8; corrispondentemente, il momento vale M (z = 5L/8) = −9pL2 /128 (fibre tese inferiori). Questo valore va confrontato con quello in z = 0 e in z = L per identificare la sezione pi` u sollecitata a 2 flessione. Si trova M (z = 0) = pL /8 (fibre tese superiori), che fornisce la reazione vincolare M1 nell’incastro, agente sulla pagina negativa della sezione. In z = L si riottiene, come dev’essere, momento nullo in quanto non vi sono agenti esterni che erogano localmente coppie di contatto. Analogamente, il taglio agli estremi fornisce la reazione vincolare corrispondente: V1 = −T (z = 0) = 5pL/8 (all’origine la forza `e applicata per contatto alla pagina negativa di sezione), V2 = T (z = L) = 3pL/8 (al bordo di destra la forza `e applicata per contatto alla pagina positiva di sezione), con i versi riportati nella figura 3.7. Poich´e l’incastro `e un dispositivo di vincolo pi` u ricco del carrello, si fa carico di una quota pi` u elevata del carico esterno e |V1 | > |V2 |. Se ci fosse stato un incastro anche in z = L, essendo carico e dispositivi di vincolo simmetrici rispetto alla mezzeria della trave, le reazioni sarebbero state di stesso modulo. Noti le forze N (z) e T (z) e il momento M (z), `e semplice tracciarne i diagrammi, magari inserendone le leggi analitiche in un programma di calcolo e rappresentazione grafica.

3.3

Campionamento di componenti di spostamento

Il sistema della linea termoelastica fornisce tutti i campi soluzione del problema statico. Tuttavia, spesso non occorre conoscere le componenti di spostamento di tutti i punti della struttura, ma basta valutare come varia la posizione di pochi punti significativi. In questi casi, ci si chiede se sia possibile campionare dalle funzioni di spostamento solo i valori nei punti interessanti. Per rispondere a questa esigenza, ci si appoggia sull’equazione dei lavori virtuali (2.13). A partire dal principio del bilancio dei lavori su campi cinematici virtuali e compatibili, abbiamo ricavato che necessariamente i campi di azione esterna e interna devono essere bilanciati. Di contro, assumendo campi di azioni virtuali e bilanciati e che il lavoro esterno sia equivalente a quello interno, inevitabilmente si ricaveranno campi cinematici compatibili.7 Si pu`o allora pensare di sondare la componente di spostamento cercata con una singola azione virtuale esploratrice (una forza se si vuole valutare una componente di traslazione, una coppia se si vuole valutare una rotazione), magari di ampiezza unitaria. Se la travatura `e staticamente determinata 8 si pu`o determinare univocamente lo stato di sollecitazione virtuale della struttura. D’altra parte, sempre nel caso di strutture staticamente determinate, la conoscenza del loro stato di sollecitazione dovuto alle azioni esterne permette di ricavare i campi di deformazione effettivi ad essi dovuti tramite le leggi costitutive (2.16). In base alle (2.13) si ha, omettendo la dipendenza da z dei campi per semplicit`a di scrittura ∗





H η + |t · u + T ·

θ|l0

Z =

l

(t∗ · e + T ∗ · χ) dz

0 7 8

La prova di questo enunciato ricalca quella della (2.13) e si lascia per esercizio. L’estensione a travature iperstatiche sar`a fatta pi` u oltre.

(3.7)

32

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

in cui l’asterisco indica le grandezze bilanciate con l’azione esploratrice H ∗ e η `e la componente di spostamento cercata nel punto scelto. Da notare che, poich´e l’azione esterna attiva esploratrice `e concentrata, l’integrale del lavoro delle azioni a distanza nella (2.13) svanisce. Scrivendo per componenti in ambiente bidimensionale 9 le (2.16), (3.7) forniscono  Z l l ∗ ∗ ∗ ∗ ∗M ∗T ∗N H η + |M θ + T v + N w|0 = M +T +N dz (3.8) B C A 0 in cui tutte le grandezze sono note per bilancio meccanico e leggi costitutive tranne η, la componente di spostamento cercata, cos`ı determinata dal bilancio dei lavori virtuali. La (3.8) ammette espressioni ridotte se lo scorrimento `e nullo o se la trave `e puramente flessibile. Esempio 3.4. Campionamento di una componente di spostamento. Si supponga di voler determinare l’abbassamento all’estremit`a libera (freccia di flessione) di una trave soggetta a un incastro fisso, caricata da una distribuzione uniforme trasversale di intensit`a −p. La lunghezza dell’asse sia l, la trave sia puramente flessibile ( = γ = 0) con rigidezza B uniforme. La trave incastrata `e isostatica, le reazioni all’incastro sono Minc = −pl2 /2 e Tinc = pl (qui riferite alla base esterna, si ricordi che esse agiscono sulla pagina negativa della sezione incastrata) e la legge analitica del momento `e M (z) = p(l − z)2 /2. Per campionare l’abbassamento dell’estremit`a libera, si sondi il punto con una forza esploratrice F ∗ orientata in basso: le reazioni ∗ ∗ = F ∗ (anche in questo caso riferite = −F ∗ l e Tinc virtualmente presenti all’incastro sono Minc alla base esterna e agenti sulla pagina negativa della sezione incastrata). La distribuzione di momento virtuale vale M ∗ (z) = F ∗ (l − z), per cui dalla (3.8) si ricava Z l M (z) pl3 pl3 ∗ dz = F ∗ ⇒ η= F η= M ∗ (z) B 6B 6B 0 indipendentemente dal valore di F ∗ , in accordo con il suo ruolo di azione virtuale esploratrice. ∗ ∗ Se il vincolo fosse stato mobile, le reazioni virtuali Minc , Tinc avrebbero speso lavoro sui suoi cedimenti al primo membro della (3.8) e si sarebbe comunque determinato univocamente η.

3.4

Travature iperstatiche: metodo delle forze

Mentre le equazioni della linea termoelastica non si curano della caratterizzazione cinematica/statica, il metodo delle forze risolve sistemi iperstatici.10 Il metodo `e detto ‘delle forze’ perch´e le incognite del problema sono le reazioni di un gruppo di vincoli ridondanti (la cui scelta non `e univoca, come non lo `e la scelta di un minore di rango massimo in una matrice con pi` u righe che colonne). Si opera per sovrapposizione di effetti, con i passi illustrati di seguito: 1. Dalla travatura iperstatica di partenza si immagina di estrarne una isostatica (struttura principale) rilassando alcuni vincoli sovrabbondanti. Nell’esempio 3.3, strutture principali sono: a) la trave incastrata, ottenuta da quella di partenza rilassando il carrello a destra; b) la trave appoggiata, ottenuta da quella di partenza rilassando il vincolo alla rotazione nell’incastro; c) la trave con pattino (a scorrimento non parallelo all’asse) e carrello, ottenuta da quella di partenza rilassando uno dei vincoli alla traslazione nell’incastro. 9

L’estensione al caso tridimensionale `e semplice. Sebbene in linea di principio non vi siano limiti al numero di vincoli sovrabbondanti che si possono considerare, si vedr` a che questo metodo `e di semplice applicazione per sistemi con pochi vincoli ridondanti. 10

3.4. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DELLE FORZE

33

2. Per la linearit`a del problema, sulla travatura agisce la somma dei carichi esterni e di tante azioni quante reazioni sovrabbondanti, pensate come azioni esterne incognite X1 , X2 , . . . (incognite iperstatiche) e agenti una indipendentemente dall’altra sulla travatura principale. Poich´e questa `e isostatica, tutte le azioni interne corrispondenti ai carichi e alle incognite iperstatiche sono determinabili solo per mezzo delle equazioni di bilancio meccanico, in funzione dei moltiplicatori Xi della i-esima azione ridondante unitaria. 3. Sotto le azioni esterne e le incognite X1 , X2 , . . ., la travatura principale si deforma termoelasticamente, con spostamenti in generale incompatibili con i vincoli rilassati. Per linearit`a, gli spostamenti sono sovrapposizione di quelli indotti dal carico e dalle incognite iperstatiche. Per valutarli, si usa il bilancio dei lavori virtuali per il campionamento di componenti di spostamento, equazione (3.8). 4. Per riottenere la travatura originale, gli spostamenti in corrispondenza dei vincoli devono coincidere con quelli da essi imposti: si ottengono tante equazioni di compatibilit`a algebriche lineari e indipendenti quante incognite iperstatiche e si chiude il problema. Illustriamo il metodo applicandolo alla travatura dell’esempio 3.3, una volta iperstatica. Assunto

Figura 3.8: Esempio 3.3. Metodo delle forze: struttura principale e reazione ridondante. il carrello a destra come vincolo ridondante, lo si rilassa, sostituendolo con la reazione da esso esplicata X1 = Y ; lo schema statico della travatura risulta dunque dalla sovrapposizione della struttura principale cui sono applicati solo i carichi esterni (sistema “0”) e della medesima in cui il fattore Y amplifica l’azione esploratrice unitaria (sistema “1”). Di conseguenza, per tutte le azioni esterne e interne vale la sovrapposizione degli effetti dei due sistemi: N (z) = N0 (z) + Y N1 (z),

T (z) = T0 (z) + Y T1 (z),

M (z) = M0 (z) + Y M1 (z) .

Per campionare lo spostamento η del punto in cui il vincolo `e stato rilassato si applica la (3.8),

Figura 3.9: Esempio 3.3. Metodo delle forze: diagrammi delle azioni interne.

34

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

sondando il punto con un’azione esploratrice: ci`o `e fatto nel sistema “1”, che coincide con il sistema bilanciato virtuale indicato con ∗ nel paragrafo 3.3. La (3.8) fornisce  Z l N0 (z) + Y N1 (z) T0 (z) + Y T1 (z) M0 (z) + Y M1 (z) N1 (z) 1η = + T1 (z) + M1 (z) dz . A(z) C(z) B(z) 0 Poich´e qui η = 0 (carrello fisso), N1 (z) = 0 e si assume γ = 0 e B uniforme, si ricava Z l M0 (z) + Y M1 (z) 3pl M1 (z) dz ⇒ Y = 0= B 8 0 che coincide con la reazione vincolare trovata tramite la linea termoelastica. Una volta noto il moltiplicatore Y , le azioni effettive N = N0 + Y N1 , . . ., ottenute per sovrapposizione di effetti, forniscono le deformazioni effettive tramite le leggi costitutive (2.16); per integrazione delle misure di deformazione (2.3)–(2.5) si trovano i campi di spostamento. In generale, per una travatura n volte iperstatica si devono rilassare altrettanti vincoli ridondanti e studiare sulla struttura principale l’effetto del carico (sistema “0”) e delle n incognite iperstatiche pensate unitarie (sistema “i”, i = 1, 2, . . . , n) per ottenere N (z) = N0 (z)+

n X j=1

Xj Nj (z), T (z) = T0 (z)+

n X j=1

Xj Tj (z), M (z) = M0 (z)+

n X

Xj Mj (z) (3.9)

j=1

come campi delle azioni effettive in funzione degli n moltiplicatori Xj . Per ciascun vincolo rilassato si deve valutare la componente di spostamento lasciata libera da quest’ultimo, applicando la (3.8). Le azioni esploratrici sono proprio le incognite iperstatiche unitarie 1i e per l’i-esimo vincolo le (3.8), (3.9) forniscono le equazioni di M¨ uller-Breslau # " Pn Z l( X N (z) N (z) + j j 0 j=1 + t (z) Ni (z) 1i ηi + |Mi θ + Ti v + Ni w|l0 = A(z) 0 P T0 (z) + nj=1 Xj Tj (z) + +Ti (z) (3.10) C(z) " #) P n X M0 (z) + nj=1 Xj Mj (z) +Mi (z) + χt (z) dz = ηi0 + Xj ηij B(z) j=1 Nel punto corrispondente all’i-esimo vincolo rilassato, dunque, la componente di spostamento lasciata libera ηi si ottiene per sovrapposizione lineare delle componenti ηi0 , dovuta al carico nel sistema “0”, e ηij , dovute alla j-esima incognita iperstatica pensata assegnata e unitaria nei sistemi “j”. Per ristabilire il vincolo rilassato, le ηi assumono proprio il valore del cedimento competente al vincolo i-esimo: il sistema di M¨ uller-Breslau `e algebrico lineare negli n moltiplicatori incogniti Xj , j = 1, 2, . . . n. Questi sono univocamente determinati per l’indipendenza di ciascuna condizione di ripristino di vincolo rilassato, per cui dalle (3.9) si ricavano le azioni interne effettive e dalle (2.16) le misure di deformazione effettive. Chiaramente, per una travatura composta da m tratti regolari, ciascuno di lunghezza lh , h = 1, 2, . . . m, gli integrali che compaiono nelle (3.10), riferiti al singolo tratto, vanno poi sommati su tutti i tratti. Volendo campionare alcune componenti di spostamento in punti significativi, si pu`o applicare ancora la (3.8): infatti, conoscendo le deformazioni effettive occorre solo introdurre un’azione virtuale esploratrice bilanciata con un sistema di reazioni vincolari e azioni interne virtuali. Poich´e la struttura di partenza `e iperstatica, infiniti sistemi bilanciano l’azione virtuale esploratrice: essendo tutti ugualmente ammissibili per scrivere l’equazione dei lavori virtuali nella forma (3.8), si pu`o scegliere, per semplicit`a, quello che emerge nella struttura principale.

3.4. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DELLE FORZE

35

Esempio 3.5. Applicazione delle equazioni di M¨ uller-Breslau. Nella figura 3.10 a sinistra c’`e una trave di pi` u tratti regolari con un incastro ridondante (portale doppiamente incastrato), tre volte iperstatica; si pone P = 10 kN e che la luce orizzontale sia 6 m. !

!

Figura 3.10: Esempio 3.5. Travatura iperstatica simmetrica e travatura equivalente. La travatura ha simmetria pari per geometria e vincoli rispetto a un asse ‘verticale’ passante per la mezzeria del tratto ‘orizzontale’. Il problema elastico statico lineare avr`a dunque anch’esso soluzioni dotate di simmetria. Poich´e le azioni esterne hanno simmetria pari rispetto all’asse, cos`ı sar`a anche per la soluzione. Questo comporta in primo luogo che si pu`o studiare solo met`a della travatura; in secondo luogo, nel punto della trave passante per l’asse di simmetria sia le azioni interne sia le componenti di spostamento dovranno essere a simmetria pari. Delle azioni interne, per il bilancio meccanico tra le due met`a di travatura la forza normale e il momento flettente sono a simmetria pari, mentre la forza tagliante `e a simmetria dispari. Di conseguenza, se la soluzione ha simmetria pari, non pu`o esservi forza tagliante sull’asse di simmetria. Circa le componenti di spostamento, per la compatibilit`a cinematica la traslazione dell’asse parallela allo stesso e la rotazione della sezione sono a simmetria dispari, mentre la traslazione dell’asse trasversale allo stesso `e a simmetria pari. Di conseguenza, se la soluzione ha simmetria pari, non pu`o esservi spostamento assiale e rotazione di sezione sull’asse di simmetria. Ha senso dunque studiare una struttura equivalente composta da met`a della travatura di partenza, immaginata vincolata virtualmente da un glifo a scorrimento ‘verticale’ in corrispondenza del punto E sull’asse di simmetria: questo dispositivo infatti non esercita forze trasversali di contatto e impone l’annullarsi di traslazione assiale e rotazione. L’applicazione della condizione di simmetria porta dunque allo studio di una travatura due volte iperstatica: le due incognite sono le azione per contatto che la parte a destra esercita su quella a sinistra dell’asse di simmetria, rappresentate virtualmente dalla presenza di un glifo, figura 3.10 a destra. Per applicare ora il metodo delle forze e pervenire al sistema di equazioni di M¨ uller-Breslau si sceglie come struttura principale isostatica la travatura solo incastrata in A. Se la trave `e puramente flessibile, non essendovi gradienti termici, gli integrali che definiscono i contributi di spostamento ηi0 , ηij nelle (3.10) contengono solo i prodotti dei momenti flettenti M0 , Mj : ηi0 =

m Z X h=1

0

lh

 M0 (zh ) dzh , Mi (zh ) B(zh )

ηij =

m Z X h=1

0

lh

 Mj (zh ) Mi (zh ) dzh , B(zh )

e si semplificano ulteriormente se, come supporremo, la rigidezza flessionale B `e uniforme.

36

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Figura 3.11: Esempio 3.5. Diagrammi delle azioni flettenti e reazioni vincolari. Con riferimento alle prime tre figure 3.11, essendo in ogni tratto M = M0 + X1 M1 + X2 M2 , MBA = − [P a + X1 (c + δ) + X2 ] ,

MBC = P (a − ξ) ,

MDB = − (X1 ς + X2 ) ,

MDE = X2

da cui si ricavano η10 , η20 , η11 , η12 = η21 , η22 . Ripristinando il glifo fittizio in E, η1 = η2 = 0 ⇒ X1 = −1041.67 N, X2 = −694.44 Nm e da questi le reazioni vincolari in A, figura 3.11 a destra, da cui le azioni interne. L’applicazione del metodo delle forze a una travatura n volte iperstatica richiede la risoluzione di n + 1 sistemi isostatici, semplice dal punto di vista concettuale, poich´e richiede solo l’applicazione del bilancio meccanico, ma oneroso per strutture con molte iperstatiche e non di facile ` dunque necessario cercare altri metodi di soluzione. implementazione nel calcolo automatico. E

3.5

Travature iperstatiche: metodo degli spostamenti

Nel metodo delle forze dalla struttura di partenza si estrae un sistema isostatico e si trova la combinazione di incognite (i moltiplicatori Xi ) per cui gli spostamenti in corrispondenza dei vincoli rilassati coincidono con i cedimenti realmente imposti. Nel metodo degli spostamenti, di applicazione naturale per travature con molte iperstatiche, si adotta un’ottica rovesciata. A partire dalla struttura assegnata, si immagina non di rilassare, ma di rafforzare i vincoli ai nodi, in modo da avere una serie di tratti regolari doppiamente incastrati, il cui comportamento si studia una volta per tutte. Si ripristinano i gradi di libert`a uno per volta, introducendo moltiplicatori virtuali di ampiezza di componente di spostamento Ξi . Si introducono cos`ı campi di spostamento deformativo cinematicamente compatibili e li si sovrappone, ottenendo una soluzione cinematicamente compatibile parametrizzata dai moltiplicatori incogniti Ξi . Questa soluzione cinematicamente ammissibile non `e per`o bilanciata, in quanto le reazioni che nascono agli incastri fittiziamente introdotti, lineari nelle Ξi ma arbitrari, non hanno somma nulla o opposta all’azione esterna applicata al nodo considerato. L’unica soluzione del problema sar`a dunque data dalla combinazione delle Ξi che verifica tutti i bilanci ai nodi. Per facilitare la comprensione del metodo conviene introdurre esempi, partendo dalla trave doppiamente incastrata sotto carichi esterni e cedimenti vincolari. Questa `e tre volte iperstatica ma, composta da un solo tratto regolare, `e facilmente risolvibile con la linea termoelastica.

3.5. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DEGLI SPOSTAMENTI

37

SOLUZIONI DI TRAVI ELEMENTARI VARIAMENTE CARICATE A

A

B

Travi con doppio incastro

B

Travi con incastro e cerniera l

l

CARICHI ESTERNI MA

P

A

B

VA

VB a

MA

MB

b

P

A

B

VA

MB

VB l/2

Pb 2 Pa 2 (l + 2a) ; VB = 3 (l + 2b) l3 l Pab 2 Pa 2 b MA = ! 2 ; MB = 2 l l

VA =

VA = VB =

P 2

MA = MB =

Pl 8

VA = VB =

ql 2

MA = MB =

ql2 12

l/2

q MA

A

B VA

MB

VB

CARICHI ESTERNI MA

P

A

B

VA

VB l/2

l/2

q MA

A

B VA

VB

q MA

A

B VA

qa  2a 2 a 3  ;  2 - 2 + 3  2  l l  qa 3  a  VB = 2  2 -  2l  l   1 2a a 2  ; M A = !qa 2  - + 2   2 3l 4l 

11 ; 5 P VB = P 16 16 3 M A = Pl 16 VA =

VB

5 3 VA = ql ; VB = ql 8 8 ql 2 MA = 8 ql 2 ; ql VB = 10 5 ql 2 MA = 15 VA =

VA =

q MA

A

B VA

MB

VB a

b

q MA

B

A VA

MA

VB

A

M

B

VA

VB

A

M

B

VA

A

MB

l/2

B

t

3M 2 l M MA = MB = 4

VA = ! VB =

VB l/2

MA

MB

b

a

MA

MB

 a a2  M B = !qa 2  ! 2   3l 4l  3 ; 7 VA = ql VB = ql 20 20 1 1 2 M A = ql 2 ; M B = ql 30 20 6Mab VA = !VB = ! 3 l b; b MA = M  2 ! 3  l l a a M B = !M  2 ! 3  l l

MB

t

M A = !M B =

#"tEJ h

MA

A

M

B

VA = ! VB = VA

VB l/2

MA

A

M VA

MA

MA =

l/2

A

VB

t

VB

M 8

VA = ! VB =

MA =

B

t VA

B

9M 8 l

3M 2 l

M 2

3 #"tEJ 2 lh 3 #"tEJ MA = 2 h VA = ! VB =

DISTORSIONI VINCOLARI MA

A

B VA

MA

VB

A

MA = B

VA

VA = ! VB =

VB

3$EJ l

VA = ! VB = MA =

3$EJ l2

3"EJ l3

3"EJ l2

DISTORSIONI VINCOLARI MA

A

B VA

MA

VB

A VB

VA = ! VB =

MB

6$EJ l2

4$EJ ; 2$EJ MB = l l 12"EJ VA = ! VB = l3 6"EJ MA = MB = 2 l

MA = B

VA

MB

MA

A

B VA

VB

VA = ! VB = MA =

3"EJ l3

3"EJ l2

Figura 3.12: Alcune soluzioni per i tratti regolari variamente vincolati.

38

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Figura 3.13: Tratto regolare doppiamente incastrato con cedimento assiale. Tratto doppiamente incastrato con cedimento vincolare assiale Per spostamenti infinitesimi, il comportamento trasversale `e disaccoppiato da quello assiale e in questo caso, mostrato nella figura 3.13 a sinistra, si ha comportamento solo assiale. Dalla (3.5)2 , non essendoci gradienti termici e carichi distribuiti e supponendo uniforme la rigidezza assiale, [A(w0 − t )]0 + q = 0 ⇒ Aw00 = 0 ⇒ w(z) = c1 z + c2 con c1 , c2 costanti d’integrazione da detrminare con le condizioni al contorno di tipo assiale: w(z = 0) = 0 ⇒ c2 = 0,

w(z = l) = δ ⇒ c1 =

δ δ ⇒ w(z) = z l l

Come ci si aspetta, l’allungamento `e lineare dall’estremit`a fissa fino alla mobile. Dall’equazione costitutiva (2.16) si ricavano le azioni interne, figura 3.13 a destra: N (z) = A(w0 − t ) = A

δ l

Figura 3.14: Tratto regolare doppiamente incastrato con cedimento trasversale. Tratto doppiamente incastrato con cedimento vincolare trasversale Per spostamenti infinitesimi in questo caso, figura 3.14 a sinistra, c’`e solo comportamento trasversale; se γ = 0, dalla (3.5)1 , essendo nulli gradienti termici e azioni esterne distribuite e se B `e uniforme, [B(v 00 + χt )]00 − p − m0 = 0 ⇒ Bv 0000 = 0 ⇒ v(z) = c3

z3 z2 + c4 + c5 z + c6 6 2

con c3 , . . . c6 costanti d’integrazione determinabili imponendo quattro condizioni al contorno di tipo trasversale sulla traslazione o sulla rotazione:   v(z = 0) = 0, θ(z = 0) = −v 0 (z = 0) = 0, z2 z3 ⇒ v(z) = −2δ 3 + 3δ 2  v(z = l) = δ, θ(z = l) = −v 0 (z = l) = 0 l l Per le azioni interne, figura 3.14 a destra, dalle equazioni costitutive (2.16) e di bilancio (2.15) M (z) = Bχ(z) = −Bv 00 (z) =

12Bδ 6Bδ z − , l3 l2

T (z) = M 0 (z) =

12Bδ l3

Si determinano in ugual modo, e sono mostrate nella figura 3.12, deformate, reazioni vincolari e azioni interne per esempi paradigmatici di travi variamente vincolate (si legga B = EJ).

3.5. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DEGLI SPOSTAMENTI

39

Si presenta il metodo degli spostamenti con l’esempio della figura 3.15 a sinistra; la trave `e puramente flessibile con rigidezza flessionale uniforme, composta di tre tratti regolari. Un incastro `e necessario e sufficiente: gli altri due dispositivi di vincolo sono ridondanti e la trave `e 5 volte iperstatica. Con il metodo delle forze bisognerebbe studiare 6 sistemi isostatici, valutare i coefficienti delle 5 equazioni di M¨ uller-Breslau (3.10) e risolverle, il che `e piuttosto laborioso.

Figura 3.15: Travatura iperstatica e travatura corrispondente a nodi bloccati. Nel metodo degli spostamenti si parte da un sistema deformativamente determinato, il sistema “0” a nodi bloccati, figura 3.15 a destra. Se i nodi 2 e 3 sono fissi, il sistema “0” `e composto da tre tratti doppiamente incastrati con vincoli fissi, la cui soluzione si trova, in termini di deformazione e sollecitazione, nella figura 3.12. L’azione esterna m agisce su un nodo bloccato, dunque `e inefficace ai fini delle azioni interne: nel sistema “0” i tre tratti sono scarichi.

Figura 3.16: Sistemi “1” e “2”. Si consentono, una per volta, le componenti di spostamento ai nodi bloccate nel sistema “0”, valutandone l’effetto in termini di sollecitazioni interne e reazioni vincolari, avendo visto nel sistema “0” l’effetto delle azioni esterne. Nel sistema “1” si rilassa il vincolo di rotazione nel nodo 3, esaminando cosa accade per una rotazione di ampiezza Ξ1 , compatibile con la cerniera effettivamente presente al nodo 3 nella travatura assegnata inizialmente, figura 3.16 a sinistra. Se i tratti sono puramente flessibili, la loro lunghezza non varia e il nodo 2 non pu`o traslare ma ammette come unica componente di spostamento una rotazione, il cui effetto `e studiato imponendo una rotazione virtuale di ampiezza Ξ2 nel sistema “2”, figura 3.16 a destra. Nella figura 3.12 si trovano le soluzioni dei sistemi “0”, “1” e “2”, che constano di tratti doppiamente incastrati soggetti al pi` u a una componente di cedimento vincolare. Sovrapponendo campi deformativi cinematicamente compatibili col problema reale si ottiene una soluzione cinematicamente compatibile, parametrizzata dai moltiplicatori Ξ1 , Ξ2 . La compatibilit`a cinematica non garantisce per`o che le deformate elastiche generino azioni interne bilanciate con

40

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

quelle esterne. Bisogna imporre il bilancio meccanico nei nodi sovravincolati per selezionare, tra tutte le deformazioni cinematicamente compatibili, quelle che sviluppano azioni interne bilanciate con le esterne assegnate. Le equazioni scalari di bilancio ai nodi sovravincolati sono tante quanti i moltiplicatori Ξ1 , Ξ2 e sono tutte indipendenti, rappresentando fatti fisici diversi. Si possono determinare univocamente i moltiplicatori Ξ1 , Ξ2 e chiudere il problema.

Figura 3.17: Effetto di Ξ1 sul tratto 2 e di Ξ2 sui tre tratti. In questo caso le equazioni di bilancio sono alla rotazione dei nodi 2 e 3; su ogni nodo l’azione totale `e somma, per linearit`a, delle azioni ai nodi nei sistemi “0”, “1” e “2”.

Figura 3.18: Bilanci alla rotazione per il nodo 3 e il nodo 2. Bilancio al nodo 3 — Dal sistema “0” non giungono contributi. Il sistema “1” contribuisce alle azioni sul nodo 3 solo tramite l’elemento 2, figura 3.17 a sinistra. Anche il sistema “2” contribuisce alle azioni sul nodo 3 solo tramite l’elemento 2, figura 3.17 a destra. Ricordando che le azioni per contatto sul nodo sono opposte alle reazioni vincolari sui tratti regolari e che per l’elemento 2 si ha l = 3L, il bilancio alla rotazione al nodo 3 d`a, figura 3.18 a sinistra, 4BΞ1 3BΞ2 + = 0. 3L 3L Bilancio al nodo 2 — Il sistema “0” non porta alcun contributo al nodo 2 e il sistema “1” contribuisce tramite l’elemento 2, schema della figura 3.17 a sinistra con l = 3L. Il sistema “2” contribuisce tramite tutti e tre i tratti, schema della figura 3.17 a destra. Nel bilancio al nodo 2 deve comparire anche il momento esterno sul nodo, figura 3.18 a destra, 4BΞ2 4BΞ2 4BΞ2 2BΞ1 + + + +m=0 L 2L 3L 3L Il bilancio ai nodi dove si ripristina la mobilit`a costituisce un sistema algebrico lineare che d`a Ξ1 =

mL , 14B

Ξ2 = −

mL , 7B

3.5. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DEGLI SPOSTAMENTI

41

quantit`a adimensionali che rappresentano moltiplicatori di rotazione.11 Le azioni interne nei tratti regolari sono sovrapposizione delle sollecitazioni di “0”, “1” e “2”. Tratto 1 — I sistemi “0” e “1” forniscono contributo nullo, il sistema “2” `e un tratto doppiamente incastrato con cedimento pari a Ξ2 , descritto nella figura 3.12.12

Figura 3.19: Sollecitazioni sul tratto 1. Tratto 3 — Come per il tratto 1, solo il sistema “2” fornisce un contributo, ricavabile dalla figura 3.12; tenendo presente che il valore di Ξ1 `e negativo, si ha quanto nella figura 3.20

M2 = F2 =

2m , 7

M4 =

m , 7

3m 3m , F4 = . 14L 14L

Figura 3.20: Sollecitazioni sul tratto 3. Tratto 2 — Il sistema “0” fornisce contributo nullo, il sistema “1” contribuisce con la rotazione di ampiezza Ξ1 nel nodo 3, con azioni mostrate nella figura 3.21 in alto, d’intensit`a M3,1 =

2m , 21

M2,1 =

m , 21

F2,1 = F3,1 =

m . 21L

Il sistema “2” contribuisce per mezzo della rotazione di ampiezza Ξ2 nel nodo 2, con azioni mostrate nella figura 3.21 in basso, d’intensit`a pari a M3,2 =

2m , 21

M2,2 =

4m , 21

F2,2 = F3,2 =

2m . 21L

Sovrapponendo gli effetti, cio`e sommando M2,1 e M2,2 , M3,1 e M3,2 , F2,1 e F2,2 , F3,1 e F3,2 , si ha M2 =

m , 7

M3 = 0,

F2 =

m , 21L

F3,2 =

m 21L

con i versi riportati nella figura 3.22 a sinistra. Come dev’essere, al nodo 3, in cui c’`e una cerniera che non esplica coppie di contatto, la coppia risulta nulla. 11

Per materiali ordinari (acciai da carpenteria), e dimensioni abituali (dell’ordine del metro per le lunghezze e delle decine di millimetri per il contorno di sezione) questi valori sono inferiori al millesimo di radiante. 12 Poich´e Ξ2 nella figura 3.19 di sinistra `e negativo, i versi delle azioni sono quelli della figura 3.19 a destra.

42

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Figura 3.21: Sollecitazioni sul tratto 2 per effetto di Ξ1 (alto) e di Ξ2 (basso). Si osservi che nel nodo 2 il bilancio tra momenti interni (rispettivamente 4m/7 per il tratto 1, m/7 per il tratto 2 e 2m/7 per il tratto 3) e momento esterno m ha interpretazione meccanica assai suggestiva. Per un tratto infinitesimo dz, dalle (2.16) si ricava M (z) = B(z)χ(z) = B(z)

dθ(z) M (z) B(z) ⇒ = , dz dθ(z) dz

(3.11)

rapporto tra rotazione flessionale relativa e momento flettente, ovvero la rigidezza a flessione.13 Ne segue, per integrazione su un tratto regolare con rigidezza uniforme, che la rigidezza a flessione di un tratto i-esimo di rigidezza Bi e lunghezza finita li `e proporzionale a Bi /li . Si nota che m si distribuisce nei tratti secondo la loro rigidezze a flessione: maggiore la rigidezza del tratto, maggiore la quota parte dell’azione concentrata m da essi sopportata. In questo caso il tratto 1 `e il pi` u rigido, essendo, a parit`a di rigidezza unitaria B, quello pi` u corto, il tratto 2 `e il meno rigido, essendo il pi` u lungo, il tratto 3 ha rigidezza intermedia. Questo comportamento `e generale nelle strutture composte da elementi elastici: quando pi` u elementi afferiscono allo stesso nodo, essi si comportano come molle in parallelo collegate da elementi rigidi.14 Note le reazioni vincolari per ciascun tratto e le azioni esterne, la determinazione delle leggi analitiche di taglio e momento flettente e il tracciamento dei diagrammi relativi `e come per i sistemi isostatici. I campi di spostamento si ottengono integrando l’equazione costitutiva M = Bχ, partendo dal campo M (z) e imponendo le condizioni al contorno sullo spostamento. In ogni caso, essi sono noti dalla soluzione generale per il tratto doppiamente incastrato con cedimenti assegnati. L’andamento qualitativo della deformata `e nella figura 3.22 a destra. La forza normale `e una reazione vincolare, per l’ipotesi di pura flessibilit`a, e si determina quindi solo col bilancio meccanico. La forza assiale nel tratto 3 deve bilanciare i tagli nei tratti 1 e 3 e vale dunque 5m/7L di trazione. La forza assiale nei tratti 1 e 3 non pu`o per`o essere trovata solo col bilancio meccanico: il taglio 3m/14L non si scopmone univocamente in 13

A rigore, B(z) `e la rigidezza a flessione del concio unitario, e similmente per le altre rigidezze A, C, D. Se due molle di rigidezza k1 e k2 sono connesse in parallelo da setti rigidi che congiungono le loro estremit` a, hanno in comune lo spostamento relativo tra queste, ovvero la deformazione ∆l causata da una forza esterna F applicata a uno dei setti (l’altro si pu` o supporre fisso senza restrizione di generalit`a). Si pu`o dunque scrivere 14

∆l = ∆l1 = ∆l2 = F1 /k1 = F2 /k2 ⇒ F = F1 + F2 = (k1 + k2 )∆l ⇒ keq = k1 + k2 in cui F1 , F2 sono le forze elastiche sulle due molle e keq `e la rigidezza equivalente del sistema delle due molle.

3.5. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DEGLI SPOSTAMENTI

43

Figura 3.22: Sollecitazioni risultanti sul tratto 2 e andamento qualitativo della deformata. due, a meno di considerazioni di simmetria qui assenti. Si deve allora far ricorso alla rigidezza assiale dei tratti, trascurata in prima battuta per la pura flessibilit`a. Ragionando come per la rigidezza a flessione del concio e del tratto finito, la rigidezza a estensione di un tratto regolare vale Ai /li e quindi il tratto 1 `e tre volte pi` u rigido assialmente del tratto 2, assorbendo il triplo dell’azione assorbita dal tratto 2; poich´e la somma delle due azioni normali deve dare 3m/14L, si ha che N1 = 9m/56L, N2 = 3m/56L. Questa procedura si basa sul fatto che per travi sufficientemente snelle (dimensione caratteristica di sezione inferiore di un ordine di grandezza rispetto alla lunghezza dell’asse) le deformazioni estensionali sono trascurabili rispetto a quelle flessionali.15 Di conseguenza, in prima approssimazione le travi snelle si considerano puramente flessibili, poi all’occorrenza si aggiungono gli altri contributi di deformabilit`a. Il metodo degli spostamenti `e efficace per travature con molte iperstatiche e nodi espliciti, dette “naturalmente discrete”. Il metodo porta infatti a scrivere sistemi di equazioni algebriche di bilancio di forze e coppie ai nodi, facilmente implementabili al calcolatore a partire dalla banca dati 3.12. Il limite di questo metodo si incontra trattando travature senza nodi espliciti: in tali casi si riduce il livello di automatizzazione, richiedendo di specificare i nodi.

Figura 3.23: Esempio 3.6. Struttura di capannone industriale e struttura ridotta. Esempio 3.6. Applicazione del metodo degli spostamenti. Nella travatura in figura 3.23 a sinistra, che potrebbe rappresentare il telaio di un capannone industriale, struttura e carichi sono a simmetria pari rispetto alla mezzeria. Si pu`o allora studiare lo schema ridotto della figura 3.23 a destra, con 6 nodi numerati, con in mezzeria un glifo fittizio, che verifica le condizioni di simmetria pari su componenti di azione interna e spostamento. 15

Si vedr` a pi` u oltre una giustificazione analitica di questo fatto.

44

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Nella struttura ridotta un tirante d’acciaio connette i nodi 3 e 6 tramite occhielli metallici, comportandosi da vincolo semplice di tipo pendolo. In prima approssimazione, per quanto sopra discusso, se ne pu`o trascurare l’allungamento e ritenere la distanza tra i nodi 3 e 6 invariata. Gli elementi 4 e 5 schematizzano una gru a bandiera; la struttura ridotta consta dunque di una parte “portante” (elementi 1-2-6) e una “portata” (elementi 4-5), connesse dall’elemento 3.

Figura 3.24: Esempio 3.6. Spostamenti da ripristinare per la parte portante (alto) e portata (basso). Si studiano separatamente parti portante e portata, lasciando incognita la forza Fv scambiata tra esse attraverso l’elemento 3, poi s’impone il ripristino cinematico del pendolo.16 Se i tratti regolari sono puramente flessibili, sono permessi: i) lo spostamento trasversale v1 del nodo 1; ii) la rotazione θ2 del nodo 2; iii) la rotazione θ3 del nodo 3; iv) lo spostamento trasversale v3 del nodo 3; v) la rotazione θ6 del nodo 6; vi) lo spostamento trasversale v6 del nodo 6.

Figura 3.25: Esempio 3.6. Bilancio ai nodi 1 e 2. Inizialmente si bloccano virtualmente i nodi e si studia l’effetto delle azioni esterne, poi quello di ogni componente di spostamento permessa, iniziando dalla parte portante, figura 3.24 in alto e continuando analogamente per la parte portata, figura 3.24 in basso. Si bilanciano infine i nodi relativamente alle componenti di spostamento concesse, in base ai dati della figura 3.12. 16

Questa procedura, misto di metodo delle forze e degli spostamenti, `e fatta qui solo per semplicit`a.

3.6. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

45

Al nodo 1 si deve bilanciare solo la forza trasversale, al nodo 2 solo la coppia, e si ottiene 2pL +

3B1 v1 3B1 θ2 + =0 16L3 8L2

4pL2 3B1 v1 B1 θ2 2B6 θ2 B6 θ3 3B6 v3 + + + − − + =0 3 8L2 L L L 2L2

Figura 3.26: Esempio 3.6. Bilanci ai nodi 3 e 6. Al nodo 3 si devono bilanciare forza trasversale e coppia; se si suppone che B2 = B6 si ottiene 3B6 v3 3B6 θ2 − + Fv = 0, L3 2L2

4B6 θ3 B6 θ2 + =0 L L

Anche al nodo 6 si devono bilanciare forza trasversale e coppia, ottenendo 3B5 θ6 3B5 v6 − − Fv = 0, 2L2 2L3

FL +

3B5 v6 2B5 θ6 − =0 2L2 L

A queste bisogna aggiungere l’equazione di compatibilit`a cinematica v3 = v6 per l’ipotesi di allungamenti trascurabili dell’elemento 3. Si hanno dunque sette equazioni indipendenti (sei bilanci ai nodi e un ripristino cinematico) in sette incognite e il problema `e chiuso. Si lascia al lettore il compito di ricavare le soluzioni in termini di componenti di spostamento e azioni.

3.6

Travature iperstatiche: metodo degli elementi finiti

Abbiamo visto che il metodo degli spostamenti `e efficace per strutture naturalmente discrete, altrimenti occorre una sua estensione. Il metodo degli elementi finiti rende discreto qualsiasi sistema, riducendo la struttura ad un numero elevato di elementi di ampiezza piccola ma finita. Questi sono connessi da nodi con pochi gradi di libert`a dai cui spostamenti relativi dipende lo stato di azione interna dell’elemento. Tralasciando la teoria generale degli elementi finiti bi- e tridimensionali, daremo qualche accenno agli elementi finiti di trave.

Figura 3.27: Elemento finito traviforme.

46

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Si consideri un tratto di trave puramente flessibile, concentrandosi sui suoi estremi i e j, figura 3.27. Questi nodi, per il modello monodimensionale di trave, sono suscettibili solo di moto rigido. In spazio ambiente bidimensionale i loro descrittori cinematici e le azioni esterne che spendono lavoro su questi sono riassunti nei vettori u = {θi , vi , wi , θj , vj , wj } ,

a = {Ci , Vi , Hi , Cj , Vj , Hj } .

(3.12)

Le azioni sul nodo i sono esercitate per contatto sulla sezione “di sinistra” dell’elemento finito. Se un nodo `e soggetto a una componente di u, l’asse tra i e j si deformer`a e nasceranno azioni di richiamo elastico interne all’elemento finito. L’equazione della linea termoelastica fornisce la situazione in figura 3.28, se agiscono componenti di spostamento assiali,

Figura 3.28: Azioni per spostamenti assiali dei nodi. la situazione in figura 3.29 se agiscono componenti di spostamento trasversali

Figura 3.29: Azioni per spostamenti trasversali dei nodi. e la situazione in figura 3.30 se agiscono rotazioni di sezione.

Figura 3.30: Azioni per rotazioni dei nodi. Il comportamento trasversale `e disaccoppiato da quello assiale; a seguito di uno spostamento vi nell’elemento compare sia una sollecitazione trasversale sia un momento, per ovvie ragioni di bilancio meccanico; analogamente si ha per uno spostamento vj e per le rotazioni.

3.6. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

47

Si scrivono allora, per sovrapposizione d’effetti, le espressioni lineari A (wi − wj ), l 12B 6B Vi = 3 (vi − vj ) − 2 (θi + θj ), l l 6B 2B (2θi + θj ) − 2 (vi − vj ), Ci = l l Hi =

A (wj − wi ), l 12B 6B Vj = 3 (vj − vi ) + 2 (θi + θj ), l l 6B 2B (2θj + θi ) − 2 (vi − vj ) Cj = l l

Hj =

raggruppandole in una scrittura operatoriale tra i vettori a e u:   4B 6B 6B 2B − 2 0 0  l  l l l2      6B 12B  6B 12B   C 0 − − 0  i   − l2  l3 l2 l3      Vi       A  A     0 0 −  0  Hi   0  l l  =       6B 4B 6B  Cj   2B  − 0 0       l   l2 l l2  Vj       6B  12B 6B 12B   − 0 0  l2  Hj l3 l2 l3     A A 0 0 0 0 − l l

θi vi wi θj vj wj

       ,      

a = Ku

(3.13)

in cui K `e detta matrice di rigidezza elastica dell’elemento. La (3.13) dice che l’elemento finito di trave si comporta come una molla elastica lineare descritta da 6 misure di deformazione corrispondenti a 6 azioni esterne alle sue estremit`a. La matrice di rigidezza K `e simmetrica poich´e le azioni elastiche ammettono potenziale.17 Ove necessario, la matrice di rigidezza K relativa all’elemento finito e sar`a indicata con K e . Per le applicazioni, inoltre, `e utile vedere la matrice di rigidezza scomposta in sottoblocchi (in questo caso 3 × 3)   K ii K ij  (K) =  K ji K jj ciascuno dei quali rappresenta le azioni al nodo i per effetto dello spostamento al nodo j. Tramite la (3.13) si riporta un tratto regolare ai suoi nodi: noti spostamento e sollecitazioni su questi, infatti, la linea termoelastica del tratto considerato `e univocamente determinata. Nella (3.13) alcune grandezze sono assegnate, altre incognite; per esempio, se sono note, per la presenza di dispositivi di vincolo, alcune componenti di u, dalla (3.13) si ricavano le componenti di a ai nodi e quindi i campi delle azioni interne. Si pu`o avere anche il problema inverso: sono date le componenti di sollecitazione e si ricavano le componenti di spostamento nodali e i descrittori della linea elastica. Di norma nelle applicazioni sono note alcune componenti di spostamento e sollecitazione ai nodi e si vogliono determinare tutte le altre. In ogni caso, l’equazione (3.13) rappresenta un sistema algebrico lineare non singolare la cui soluzione, in termini di incognite in parte nel vettore a e in parte nel vettore u, si trova sempre. 17

Il potenziale elastico di un sistema lineare a pi` u gradi di libert`a vale (1/2)kij δi δj e, sotto opportune ipotesi di regolarit` a, per il teorema di Schwartz sull’uguaglianza delle derivate seconde miste, kij = kji .

48

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Il metodo degli elementi finiti consta nell’immaginare discreta una struttura qualsivoglia, pensandola ottenuta dalla giustapposizione di un numero comunque grande ma finito di elementi come quello descritto. Il reticolo (mesh) di elementi finiti segue le distribuzioni delle azioni e le variazioni di geometria. Come in ogni metodo di discretizzazione, una buona approssimazione dei risultati si ottiene con una mesh sufficientemente fitta, quanto pi` u il sistema discreto di elementi traviformi si avvicina al continuo. Non `e possibile aumentare indefinitamente il numero di elementi discretizzanti la struttura, poich´e il modello trave monodimensionale `e valido se la dimensione dell’asse rimane dominante: infittire la discretizzazione porta a elementi sempre pi` u corti, per cui il modello monodimensionale potrebbe perdere significato. Una volta effettuata la discretizzazione, si riconduce un problema differenziale di campo a uno algebrico con un numero finito, ancorch´e elevato, di gradi di libert`a, di cui sono assegnate alcune componenti di spostamento e sollecitazione nodale e si vogliono determinare le rimanenti. La struttura `e ridotta a elementi finiti elastici collegati variamente, le cui matrici di rigidezza d’elemento si combinano linearmente per dare un’unica matrice quadrata di rigidezza di struttura e il cui comportamento `e descritto da un sistema algebrico lineare di soluzione semplice. A questo scopo, `e opportuno distinguere tra le azioni applicate ai nodi quelle assegnate da quelle che nascono come reazioni per effetto dei dispositivi di vincolo presenti, cio`e a e = p e + rv e

(3.14)

in cui p e `e il vettore del carico esterno attivo riportato ai nodi e r v e `e il vettore delle reazioni vincolari incognite. Per la risoluzione del problema, le azioni ai nodi che nascono per effetto della deformata elastica devono essere uguali alle azioni esterne attive e reattive:      e e e e e u p + r K K vi ij  i  =  i   ii (3.15) K e u e = p e + rv e , e e e e e uj pj + r jv K ji K jj Queste equazioni rappresentano il bilancio meccanico per l’elemento continuo e riportato al bilancio meccanico dei suoi nodi d’estremit`a: da un problema di campo si passa a un problema algebrico. Se si hanno molti elementi, si devono semplicemente raccogliere a sistema tutte le equazioni di bilancio meccanico per tutti i nodi che discretizzano la struttura. Il vettore p e si ricava dalle reazioni vincolari che un tratto doppiamente incastrato subisce per effetto di azioni e coazioni termiche assegnate. Per un carico di componenti p e q (non si considerano coppie distribuite) e un gradiente termico che causi sia allungamenti t sia incurvamenti χt ,18 dal sistema di equazioni della linea termoelastica (3.3) si ricava   pl ql pl2 pl ql pl2 e + Bχt , , − + At , − Bχt , , − + At (3.16) p = − 12 2 2 12 2 2 Una volta scritte le (3.15) per tutti gli elementi, si ordinano tutti i gradi di libert`a della struttura in un unico vettore u ottenuto appendendo uno dopo l’altro i sottovettori uh e per tutti gli h = 1, 2, . . . , n nodi. In effetti, anche se l’h-esimo nodo `e comune a due o pi` u elementi e in principio caratterizzato da gradi di libert`a diversi, per la compatibilit`a cinematica deve essere uh k = uh l = . . . comunque si prendano gli elementi k, l, . . . . In seguito, si ordinano 18

Trattandosi di elementi finiti di lunghezza ridotta, non `e un errore troppo grande considerare tutte queste azioni come distribuite uniformemente sulla lunghezza. Tuttavia, volendo raffinare i calcoli, non `e difficile ricavare i risultati corrispondenti a distribuzioni lineari, sempre tramite l’equazione della linea termoelastica.

3.6. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

49

tutte le azioni sui nodi della struttura in un unico vettore p ottenuto appendendo uno dopo l’altro i sottovettori ph e . Se in un nodo convergono pi` u elementi, il bilancio meccanico impone k l che la forza risultante al nodo sia ph + ph + . . . per tutti gli elementi k, l, . . . . Infine, si assembla la matrice di rigidezza K dell’intera struttura mettendo nel blocco 3 × 3 relativo all’azione al nodo k per effetto delle componenti di spostamento nel nodo l la K ekl . Se non c’`e alcun elemento che collega i nodi k e l, il blocco sar`a quello nullo (tutti zero). Poich´e pi` u elementi che convergono in uno stesso nodo si comportano come molle in parallelo, la cui rigidezza `e somma delle rigidezze delle singole molle, se al nodo h convergono gli elementi k, l, . . . il blocco corrispondente sar`a dato da K khh + K lhh + . . . . Ovviamente, trattandosi di grandezze vettoriali, per poter scrivere un sistema di equazioni sensate occorre avere tutti vettori rappresentati sulla stessa base. La (3.15) `e scritta nella base locale dell’elemento e ogni elemento ha a priori una base diversa dagli altri; ne segue che occorre scegliere una base globale cui riferire tutte le grandezze che compaiono nella (3.15). Per fare questo, basta operare opportuni cambiamenti di base, descritti da operatori lineari ortogonali. Si giunge a un problema algebrico definito su una sola base con alcuni dati nel vettore p (azioni e coazioni termiche assegnate) e altri nel vettore u (dispositivi di vincolo assegnati). Le incognite sono in parte nel vettore r v (reazioni vincolari in corrispondenza dei nodi vincolati) e in parte nel vettore u (componenti di spostamento ai nodi liberi, non vincolati). Si pu`o dimostrare che la matrice di rigidezza di struttura non `e singolare 19 e la soluzione del problema `e determinata univocamente.20

Figura 3.31: Travatura discretizzata in elementi finiti. Per esempio, si consideri il problema nella figura 3.31, con evidenziati nodi ed elementi finiti scelti. Poich´e i comportamenti assiale e trasversale sono disaccoppiati e la struttura non `e caricata assialmente, si considera solo il comportamento trasversale. Questo equivale a considerare solo due gradi di libert`a e due componenti di azione esterna per ciascun nodo, e a cancellare dalla matrice di rigidezza le righe e le colonne relative al comportamento assiale. Per l’elemento 1 si ha, dalle (3.13), (3.15), (3.16),        1 (K ) =       19 20

2B 4B 6B 6B  − 2l (2l)2 2l (2l)2   6B 12B 6B 12B   − − − (2l)2 (2l)3 (2l)2 (2l)3   , 2B 6B 4B 6B   − 2l (2l)2 2l (2l)2   6B 12B 6B 12B  − (2l)2 (2l)3 (2l)2 (2l)3

 

0



     0  1  , (u ) =    θ2    v2

      1 (a ) =      

Anche questa propriet` a discende dall’esistenza di una energia potenziale iperelastica. Per esempio con tecniche di inversione della matrice K, magari a blocchi.

pl2 + C1 3 pl − + V1 2 pl2 3 pl − 2



            

50

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Consideriamo l’elemento 2; poich´e i carichi esterni devono comparire una volta sola, si pu`o pensare per esempio che la forza pl sul nodo 3 compaia nel bilancio dell’elemento 3.21   4B 6B 2B 6B − 2      l l l l2    0 θ  6B 12B    2  6B 12B   −      − 2 − 3       0 v 2 l2 l3 l l   2  , (a 2 ) =   (K ) =   , (u 2 ) =       2B 6B 4B 6B   0   θ3    −      l  2 2 l l l   0 v3  6B 12B  12B 6B − 3 l2 l l2 l3 Per l’elemento 3 si ha  4B  l   6B  −  l2  3 (K ) =   2B   l   6B l2

6B 2B 6B − 2 l l l2 12B 6B 12B − 2 − 3 3 l l l 6B 4B 6B − 2 l l l2 12B 6B 12B − 3 l l2 l3

       ,     





θ  3     v3  3 , (u ) =     θ4    0





0       −pl 3  (a ) =     0    V4

Assembliamo gli elementi e otteniamo il sistema algebrico che discretizza la struttura:     2 C + pl /3 0    1       0   V1 − pl           1 1 2  θ   −pl /3  K K 12 0 0   2    11      1 1 2 2   K 21 K 22 + K 22 −pl 0   v2   K 23  =       2 2 3 3        0 0 θ K 32 K 33 + K 33 K 34   3        3 3  −pl 0 0 K 43 K 44  v3             θ4   0     V4 0 che si risolve semplicemente con un calcolatore; la soluzione `e lasciata per esercizio. In questo esempio, tutti gli elementi finiti scelti hanno la stessa base locale; per i casi in cui si renda necessario introdurre cambiamenti di base, richiamiamo gli operatori di rotazione e di cambiamento di base. La rotazione R `e un’applicazione lineare che agisce sul vettore u; sia u sia Ru sono espressi nella stessa base. Con riferimento alla figura 3.32, si ha che        cos(α + β) cos α cos β − sin α sin β cos α − sin α cos β = =   = (R)(u) (Ru) =  sin(α + β) sin α cos β + cos α sin β sin α cos α sin β 21

Si pu` o anche pensare il viceversa o di frazionare pl in una parte agente sull’elemento 2 ed una sull’elemento 3; quest’ultimo procedimento, seppur corretto, risulta poco pratico.

3.6. TRAVATURE IPERSTATICHE: METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

51

Figura 3.32: Rotazione di un vettore in ambiente bidimensionale. da cui si ricava l’operatore rotazione in ambiente bidimensionale. In ambiente tridimensionale, la rotazione attorno a un asse fisso, per esempio e3 , di ampiezza α3 si scrive naturalmente   cos α3 − sin α3 0     (R3 ) =  sin α3 cos α3 0    0 0 1 e si dimostra che (R) = (R1 )(R2 )(R3 ).

Figura 3.33: Cambiamento di base in ambiente bidimensionale. Il cambiamento di base B `e invece l’applicazione lineare che trasforma le componenti di uno stesso vettore u dalla base {e1 , e2 } alla base {ı1 , ı2 }. Con riferimento alla figura 3.33, si ha     u¯1 u  = R−1  1  (u) = u¯1 ı1 + u¯2 ı2 = u1 e1 + u2 e2 = u1 R−1 ı1 + v2 R−1 ı2 ⇒  u¯2 u2 in cui R `e l’operatore che ruota i vettori della base {e1 , e2 } in quelli della base {ı1 , ı2 }. Le componenti dunque si trasformano con l’operatore B = R−1 . Poich´e R `e ortogonale, la sua inversa coincide con la sua trasposta, per cui    cos α sin α  (B) = R−1 =  − sin α cos α

52

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Per un elemento finito il passaggio dalla base locale alla globale `e allora il seguente: ug = Bul ,

pg = Bpl ,

K g = BK l B >

(3.17)

dove i pedici g e l indicano l’espressione sulle basi globale e locale, rispettivamente.

Figura 3.34: Griglia di elementi finiti per la travatura ridotta dell’esempio 3.5. Se si volesse risolvere con il metodo degli elementi finiti la struttura dell’esempio 3.5, illustrata nella figura 3.10, si potrebbe usare la mesh nella figura 3.34, identificando 5 nodi e 4 elementi. Gli elementi 2 e 4 hanno base locale coincidente con la globale, gli elementi 1 e 3 devono essere portati sulla base globale, operando un cambiamento caratterizzato da un angolo pari a π/4. Dopo aver fatto questo, i vettori di spostamento e azione nodale e la matrice di rigidezza di struttura si costruiscono come nell’esempio precedente. Si lascia la risoluzione per esercizio.

3.7

Sistemi reticolari

I tralicci o sistemi reticolari, travature di vasto impiego, sono composti da elementi monodimensionali collegati alle estremit`a mediante cerniere (nodi ). Possono essere piani, come le capriate di copertura dei capannoni industriali, o spaziali, come i sostegni degli elettrodotti. Se si sollecita il traliccio solo con forze ai nodi, questi trasmettono per contatto solo forze ad ogni elemento. Per l’equilibrio di ogni nodo,22 la somma delle forze su esso concorrenti deve essere il vettore nullo.23 Per l’equilibrio di ogni elemento, le forze cui esso `e soggetto devono costituire una coppia di braccio nullo. Se gli elementi del traliccio sono rettilinei (aste reticolari) queste forze sono soltanto assiali e le aste sono tese (tiranti ) o compresse (puntoni ). Questo fatto `e assai importante, poich´e consente di realizzare strutture assai complesse in modo modulare con componenti molto semplici, facilmente assemblabili e ispezionabili, con comportamento elementare. Nel seguito si considereranno tralicci composti da elementi rettilinei. Per quanto detto sulle condizioni d’equilibrio, possiamo considerare il traliccio costituito da corpi-nodo collegati da pendoli che trasmettono forza assiale ai nodi. Ciascun nodo, considerato 22 23

L’equilibrio di un sistema implica quello di ogni sua sottoparte, come il nodo-cerniera. Le cerniere, supposte lisce, non esplicano coppie di contatto.

3.7. SISTEMI RETICOLARI

53

puntiforme, ha 2 gradi di libert`a in spazio ambiente bidimensionale, 3 in ambiente tridimensionale. Detto n il numero di nodi, v il numero di vincoli semplici esterni, a il numero di aste, il numero totale di gradi di libert`a `e 2n in ambiente bidimensionale, 3n in ambiente tridimensionale; il numero totale di vincoli semplici `e a + v. Se il traliccio `e un assemblaggio di maglie triangolari non degeneri, esso ammette solo atti di moto rigido globali. Infatti, per ogni sistema di tre elementi incernierati i nodi sono centri di istantanea rotazione relativa: se non sono allineati il moto rigido relativo non `e possibile, si veda il capitolo 1. La classificazione dei tralicci pu`o dunque basarsi sulla presenza di maglie non degeneri che compongano quadrilateri con pendoli lungo una sola delle due diagonali 24 e sul numero e la disposizione dei vincoli esterni. Classificato il traliccio, la soluzione del problema elastico si pu`o ottenere con il bilancio meccanico indipendentemente da leggi costitutive e compatibilit`a cinematica, per tralicci isostatici, o con un metodo tra forze, spostamenti, elementi finiti per i tralicci iperstatici. Il bilancio meccanico `e di forze e momenti per le reazioni vincolari esterne, solo di forza per i corpi-nodi.25

Figura 3.35: Esempio 3.7. Traliccio isostatico.

Esempio 3.7. Traliccio isostatico. Il sistema nella figura 3.35 a sinistra ha n = 6 ⇒ 12 gradi di libert`a, v + a = 3 + 9 = 12 gradi di vincolo semplice e consta di 6 maglie triangolari non degeneri. Il traliccio si comporta allora come un unico corpo appoggiato ed `e isostatico. Si possono ricavare per prima cosa le reazioni dei vincoli esterni e poi passare alla determinazione delle azioni interne. Poich`e per ogni nodo si possono scrivere due equazioni scalari di bilancio della forza, dopo aver determinato le reazioni esterne conviene bilanciare di volta in volta i nodi in cui siano presenti solo due incognite statiche. In questo esempio quindi conviene prima bilanciare il nodo E, poi passare a F , quindi a C, D, A. Se il procedimento `e corretto, l’ultimo nodo, in questo caso B, rimane automaticamente bilanciato. Chiaramente `e necessario valutare gli angoli α = arctan(CD/AC) e β = arctan(BD/AB). La soluzione del problema statico `e illustrato nella figura 3.35 a destra. Esempio 3.8. Traliccio isostatico “Pratt”. Il traliccio da ponte “Pratt”nella figura 3.36 ha n = 8 ⇒ 16 gradi di libert`a, v + a = 3 + 13 = 16 gradi di vincolo semplice e consta ancora 24

In un quadrilatero ci sono solo due coppie di triangoli indipendenti, definiti dai lati e da una delle due diagonali: un pendolo lungo l’altra diagonale rappresenta l’aggiunta di un vincolo ridondante interno. 25 Altre tecniche di risoluzione (sezioni di Ritter, diagramma di Cremona) si trovano in letteratura.

54

CAPITOLO 3. RISOLUZIONE DI TRAVATURE

Figura 3.36: Esempio 3.8. Traliccio “Pratt”. di 6 maglie triangolari non degeneri. Il sistema `e isostatico, comportandosi nuovamente come un corpo appoggiato. Lo svolgimento, analogo all’esempio 3.7, `e illustrato nella figura 3.37.

Figura 3.37: Esempio 3.8. Soluzione.

Capitolo 4 Il continuo di Cauchy 4.1

Misure di deformazione per continui tridimensionali

Il continuo monodimensionale `e sufficiente per individuare le sezioni soggette alle maggiori azioni interne. Poich´e ogni forma reale `e estesa nelle tre dimensioni e le condizioni di cimento materiale variano in generale da punto a punto, `e necessario accompagnare il modello monodimensionale con un altro che tenga conto dei fenomeni in ambiente tridimensionale. In questo capitolo si presentano alcuni elementi di meccanica dei continui tridimensionali. Un continuo tridimensionale (di Cauchy) `e un insieme di particelle (punti materiali) sovrapposte ai punti della porzione di spazio ambiente euclideo che il sistema occupa all’istante considerato. Le particelle non vanno confuse con le strutture atomiche o sub atomiche del materiale: si tratta solo di uno schema fisico matematico atto a rappresentare su scala macroscopica i fenomeni. La deformazione di un continuo tridimensionale, come per la trave, `e il difetto di rigidit`a dello spostamento passando da una configurazione iniziale, supposta nota, ad una finale. Nel seguito, senza restrizione di generalit`a e per quanto osservato circa le (1.4), (1.5), si operer`a sullo spostamento infinitesimo u, ottenuto moltiplicando l’atto di moto per un tempuscolo dt. Nell’intorno di ogni punto O la distribuzione dello spostamento infinitesimo `e data dallo sviluppo in serie di Taylor del campo di spostamento rispetto alle variabili di posizione: −→ −→ u(P ) = u(O) + gradu|P =O OP + ◦(kOP k), −→ ∂ui kP =O (OP )j + ◦(kOP k) ui (P ) = ui (O) + ∂xj

(4.1)

per cui P ha lo spostamento infinitesimo di O incrementato di quantit`a lineari nelle derivate −→ parziali prime delle componenti di spostamento infinitesimo e nel vettore posizione OP . Nella (4.1) il gradiente di spostamento `e un’applicazione lineare che ammette decomposizione unica in parte simmetrica e antisimmetrica: gradu = sym gradu + skw gradu = Θ + E     ∂ui 1 ∂ui ∂uj 1 ∂ui ∂uj = + + − ∂xj 2 ∂xj ∂xi 2 ∂xj ∂xi     1 ∂ui ∂uj 1 ∂ui ∂uj − , (E)ij = + (Θ)ij = 2 ∂xj ∂xi 2 ∂xj ∂xi 55

(4.2)

56

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

Dalle (4.1), (4.2), scritte in maniera assoluta e per componenti in un sistema di coordinate cartesiano monometrico xyz, lo spostamento infinitesimo di P `e somma di tre contributi: • una componente traslatoria pari a u(O), per cui P trasla assieme a O; • una componente rotatoria, data dall’azione di Θ, componente antisimmetrica di gradu, che quindi diventa descrittrice della rotazione rigida infinitesima dell’intorno di O cui appartiene P ;1 • una componente che da sola rappresenta il difetto di rigidit`a dello spostamento rigido infinitesimo dell’intorno di O, dato dall’azione della componente simmetrica E di gradu. Delle 9 componenti di gradu, 3 (componenti di Θ) descrivono la rotazione infinitesima, le altre 6 (componenti di E) la deformazione dell’intorno di O. Vediamone il significato geometrico. Termini diagonali Le componenti i sulla diagonale principale di E i =

∂ui ∂xi

−→ si interpretano come segue: consideriamo due punti P e Q, il cui vettore posizione P Q nella configurazione iniziale giace lungo il semiasse positivo delle x e ha norma dx. Nella configu-

Figura 4.1: Variazione di un segmento materiale. razione attuale P si sar`a spostato in P 0 e Q in Q00 ; sia Q0 il punto raggiunto da Q per il solo effetto della traslazione nella nuova configurazione. In quest’ultima istituiamo un sistema di coordinate equiorientato al precedente e con origine in P 0 . Se lo spostamento fosse stato solo di traslazione, in questo nuovo sistema di coordinate si sarebbe ristabilita la condizione della configurazione iniziale. Invece, a causa della rotazione e della deformazione, Q00 differisce da Q0 1

Per confronto con la nota 2 del capitolo 1, le componenti del vettore θ di rotazione infinitesima sono       1 ∂w ∂v 1 ∂u ∂w 1 ∂v ∂u θx = − , θy = − , θz = − . 2 ∂y ∂z 2 ∂z ∂x 2 ∂x ∂y

4.1. MISURE DI DEFORMAZIONE PER CONTINUI TRIDIMENSIONALI −−−→ e il vettore P 0 Q00 descrive l’incremento dello spostamento infinitesimo nel passaggio da P figura 4.1. Secondo le (4.1), (4.2), questa quantit`a `e data da    ∂u ∂u ∂u ∂u   dx  ∂x ∂y ∂z   ∂x   dx    −−0−→00 −− → −−0−→00 −→ −→   ∂v ∂v ∂v     ∂v 0 0 P Q − P Q = P Q − P Q = graduP P Q =   0  =  dx  ∂x ∂y ∂z      ∂x     ∂w ∂w ∂w  0 ∂w dx ∂x ∂y ∂z ∂x

57 a Q,        

(4.3) e la prima componente di questo vettore `e la variazione di spostamento infinitesimo lungo x, −→ che, normalizzata rispetto alla lunghezza dx di P Q fornisce −−−→ −→ ∂u dx P 0 Q00 − P Q · ı ∂u ∂x = = x . (4.4) = −→ dx ∂x kP Qk Il termine x ha allora il significato di allungamento specifico del segmento materiale inizialmente ∂v ∂w lungo dx; analogamente, y = e z = rappresentano l’allungamento relativo di segmenti ∂y ∂z materiali inizialmente disposti lungo y e z rispettivamente. Se quindi l’intorno del generico punto P `e rappresentato con un cubetto di spigoli pari a dx, dy, dz, i termini sulla diagonale principale di E descrivono le variazioni unitarie di lunghezza degli spigoli. Termini fuori diagonale Le componenti γij al di fuori della diagonale principale di E   1 ∂ui ∂uj + γij = 2 ∂xj ∂xi −→ si interpretano come segue: consideriamo tre punti P, Q e M , i cui vettore posizione P Q e −−→ P M nella configurazione iniziale sono ortogonali e giacciono rispettivamente lungo i semiasse positivi delle x e delle y, con norma rispettivamente dx e dy. Nella configurazione attuale Q si porta in Q000 ed M in M 000 , in generale non pi` u appartenenti al piano xy. Come prima, istituiamo un sistema di coordinate equiorientato al precedente con origine in P 0 . Siano Q0 e M 0 i posti raggiunti da Q e M considerando solo la componente traslatoria dello spostamento, Q00 e M 00 le proiezioni di Q000 e M 000 sul piano x0 y 0 . L’angolo tra le due direzioni P 0 Q000 e P 0 M 000 non rimane retto come nella configurazione di riferimento, anche considerando le proiezioni P 0 Q00 e P 0 M 00 sul piano x0 y 0 . La variazione dell’angolo rispetto a quello retto di partenza `e data dalla somma dei due angoli ϕ1 e ϕ2 nella figura 4.2: ∂u ∂v + = γxy (4.5) ϕ1 + ϕ2 ≈ tan ϕ1 + tan ϕ2 = ∂y ∂x avendo confuso la misura degli angoli in radianti con quella delle loro tangenti. Altrettanto si pu`o dire operando con segmenti paralleli a x e z e a y e z: dunque i termini al di fuori della diagonale principale di E forniscono lo scorrimento angolare tra due segmenti materiali unitari inizialmente ortogonali. Se l’intorno del generico punto P `e rappresentato con un cubetto di spigoli pari a dx, dy, dz, gli scorrimenti angolari misurano la distorsione angolare delle facce, che per piccole deformazioni si trasformano in rombi. L’operatore di deformazione E, essendo reale e simmetrico, `e sempre diagonalizzabile:2 esi2

Si veda il teorema di rappresentazione spettrale degli operatori lineari.

58

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

Figura 4.2: Variazione di un angolo tra due segmenti materiali inizialmente ortogonali. ste sempre una base di vettori ortonormali (le cui direzioni sono dette principali ) in cui E ammette componenti solo lungo la diagonale principale. In questa base le deformazioni sono solo allungamenti/accorciamenti specifici: come in figura 4.3, nel sistema di coordinate x0 y 0 le deformazioni che si vedono sono solo gli allungamenti/accorciamenti delle fibre parallele alle due diagonali del rombo e nessuno scorrimento angolare.

Figura 4.3: Rappresentazione diagonale di deformazioni infinitesime. Per la determinazione della base principale basta imporre la condizione che in essa l’operatore di deformazione trasformi i vettori cambiandone solo la lunghezza: Ee = λe ⇒ (E − λI) e = 0

(4.6)

La (4.6) rappresenta un problema lineare omogeneo e ammette comunque la soluzione banale e = 0. Per avere soluzioni non banali e 6= 0 della (4.6) si deve imporre che l’operatore E − λI sia singolare, ovvero bisogna cercare i valori λ che fanno s`ı che det (E − λI) = 0. Questa condizione porta a un’equazione algebrica di terzo grado in λ, che si pu`o dimostrare ammettere

4.2. TENSIONI IN UN CONTINUO TRIDIMENSIONALE

59

sempre soluzioni reali (autovalori di E). Una volta trovati gli autovalori λh , h = 1, 2, 3, sostituendo ciascuno di essi nella (4.6) si trovano i vettori eh , h = 1, 2, 3 (autovettori di E) della base principale richiesta. Questi autovettori possono essere facilmente normalizzati; la procedura `e estendibile a tutti i tensori doppi simmetrici reali, come si vedr`a anche oltre. Per alcuni casi particolari, come l’ambiente bidimensionale, esistono anche costruzioni geometriche assai suggestive (rappresentazioni piane di Mohr ), di cui si parler`a in seguito.

4.2

Tensioni in un continuo tridimensionale

In analogia a quanto fatto per le travi, introduciamo per i continui tridimensionali la potenza spesa sugli atti di moto compatibili. Da questa espressione si deriveranno le misure delle azioni interne (tensioni ) e successivamente si introdurranno i legami costitutivi materiali. L’insieme di tutte le equazioni derivanti da questo studio permetter`a la risoluzione del problema elastico per i continui di Cauchy. La potenza esterna `e stata definita nel § 1.2 come integrale di una densit`a lineare nell’atto di moto rispetto a misure di azioni a distanza e per contatto. Si `e anche detto che moltiplicando la potenza per un tempuscolo dt, ovvero considerando il campo dello spostamento infinitesimo anzich´e l’atto di moto, si considera il lavoro (virtuale). La configurazione C assunta all’istante considerato `e una regione dello spazio ambiente tridimensionale euclideo con frontiera ∂C. La configurazione `e supposta sufficientemente regolare; il lavoro virtuale delle forze esterne `e Z Z (t(P ) · u(P )) dA (4.7) L = (b(P ) · u(P )) dV + C

∂C

in cui: P `e qualsiasi posto di C o di ∂C; b `e il campo della densit`a di forza a distanza per unit`a di volume di C; t `e il campo della densit`a di forza per contatto per unit`a di area. L’enunciato del lavoro virtuale su atti di moto rigido porta alle equazioni globali di bilancio meccanico per forza e momento rispetto all’origine delle coordinate, che ricalcano le (1.7):3 Z Z t(P )dA = 0 b(P )dV + C ∂C (4.8) Z  Z    −→ −→ OP × b(P ) dV + OP × t(P ) dA = 0 C

∂C

Quando il continuo cambia stato per effetto di una spesa di lavoro (potenza) da parte dell’universo, ammettiamo anche che ogni sottoparte del continuo, per adattarsi al nuovo stato, scambi con le contigue flussi di lavoro (potenza). Come nel caso monodimensionale, si postula che il lavoro tra le sottoparti del continuo (lavoro interno) Li sia lineare nello spostamento infinitesimo dell’intorno del punto considerato. Il lavoro interno si rileva cio`e testando lo spostamento infinitesimo di ogni punto e la sua approssimazione prima:4 Z Li = [s0 (P ) · u(P ) + S 1 (P ) · gradu(P )] dV (4.9) C

dove i campi s0 , S 1 sono l’autotensione e la tensione. Come nel monodimensionale, per modellare un continuo le cui porzioni risentono delle azioni di porzioni ‘lontane’, ovvero oltre l’intorno 3 4

La prova dell’enunciato si lascia per esercizio. Dal lavoro si passa alla potenza dividendo lo spostamento infinitesimo per dt e considerando l’atto di moto.

60

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

del primo ordine del punto considerato, si dovrebbero inserire nella (4.9) termini che spendano lavoro sui gradienti secondi, terzi, . . . del campo di spostamento infinitesimo. La richiesta che il lavoro interno tenga conto del cambiamento di stato del sistema impone che Li = 0 comunque si scelga un campo di spostamento rigido infinitesimo ricavato dalle (1.3) moltiplicate per un tempuscolo dt. Scelto ad arbitrio un posto O, dalle (1.3), (4.9) si ottiene Z n h o −→i s0 (P ) · u(O) + ΘOP + S1 (P ) · Θ dV ⇒ s0 (P ) ≡ 0, S 1 (P ) = S 1 (P )> (4.10) 0= C

Infatti, per l’arbitrariet`a dello spostamento rigido infinitesimo, se ne pu`o scegliere prima uno di sola traslazione, caratterizzato da Θ = 0. La generalit`a del campo d’integrazione implica l’annullarsi dell’integrando; quella del vettore u(O) implica la prima tesi nella (4.10). Usando questo risultato, se si considera una rotazione infinitesima, la generalit`a del campo d’integrazione e del tensore antisimmetrico Θ comporta la seconda tesi nella (4.10), cio`e che il descrittore dell’azione interna `e un tensore simmetrico.5 La formula ridotta del lavoro interno `e dunque Z Z (4.11) Li = [S 1 (P ) · gradu(P )] dV = [T (P ) · E(P )] dV C

C

per la simmetria di S 1 , denotato T per semplicit`a di notazione. La (4.11) esprime che il lavoro interno, come nel caso monodimensionale e come intuibile empiricamente, risente solo della componente non neutra dello spostamento infinitesimo, ovvero della misura di deformazione. Come per il continuo monodimensionale, non possiamo ammettere che in un qualsivoglia processo meccanico, ancorch´e infinitesimo e di prova, semplicemente ammissibile (virtuale), il lavoro si disperda. Deve allora valere il principio dei lavori virtuali: per ogni coppia di campi di spostamento e deformazione infinitesimi compatibili, il lavoro speso virtualmente dall’universo sul sistema deve uguagliare quello speso da tutte le sottoparti del sistema 6 Z Z Z (b(P ) · u(P )) dV + (t(P ) · u(P )) dA = [T (P ) · E(P )] dV (4.12) C

∂C

C

L’equazione (4.12) deve valere per un continuo di qualsivoglia forma e misura, per cui essa si pu`o localizzare, in modo analogo a quanto fatto per la trave con la localizzazione a una sezione. In particolare, la si pu`o localizzare per un cilindro (pastiglia di Cauchy) come nella figura 4.4. Se il cilindro ha superficie laterale, quindi volume, che tende a zero gli integrali di volume nella (4.12) svaniscono e l’integrale di superficie si riduce alla somma dei due contributi sulle basi, da cui si ricava, per la continuit`a del campo di spostamento, Z Z 0= (t+ (P ) · u(P )) dA + (t− (P ) · u(P )) dA ⇒ t− (P ) = −t+ (P ) . (4.13) A+

A−

La generalit`a della base A permette, infatti, di passare dall’annullamento dell’integrale a quello dell’integrando. La (4.13) `e la legge di azione e reazione: in P la densit`a di azione per contatto esercitata dalla parte della giacitura negativa di A sulla parte della giacitura positiva `e opposta a quella esercitata dalla parte della giacitura positiva di A sulla parte della giacitura negativa. 5

Si ricorda che lo spazio degli operatori lineari di uno spazio vettoriale in s`e si decompone in somma diretta nei sottospazi dei tensori simmetrici e antisimmetrici, mutuamente ortogonali. 6 Un enunciato analogo vale per la potenza.

4.2. TENSIONI IN UN CONTINUO TRIDIMENSIONALE

61

Figura 4.4: Pastiglia di Cauchy. Ricordiamo che per ogni campo di applicazioni lineari L di uno spazio vettoriale in s`e e per ogni campo vettoriale v sufficientemente regolari vale l’identit`a 7 div(L> v) = (divL) · v + L · (gradv) e l’equazione del lavoro virtuale (4.12) diventa, omettendo la dipendenza dei campi dal posto P per semplicit`a di notazione e denotando n il campo della normale unitaria esterna a ∂C, Z Z Z    (t · u) dA − div T > u − (divT ) · u dV 0 = (b · u) dV + C ∂C C Z Z (4.14) [(t − T n) · u] dA = [(b + divT ) · u] dV + C

⇒ b + divT = 0 in C,

∂C

t = T n in ∂C

Infatti, senza restrizione di generalit`a sul campo virtuale u, si pu`o sceglierne uno non nullo solo sul bordo o solo all’interno della configurazione attuale. Segue che gli integrali su C e su ∂C nella (4.14) devono annullarsi separatamente. Per la generalit`a del dominio, l’annullarsi dell’integrale comporta quello dell’integrando. Infine, la generalit`a di u comporta le due tesi della (4.14), che esprimono, rispettivamente, le equazioni locali di bilancio interno 8 e al contorno.9 Per il bilancio interno, la forza per contatto netta che attraversa l’intorno di ogni punto P `e equilibrata dalla densit`a di forza a distanza.10 Il bilancio al contorno afferma che il flusso dell’azione interna coincide con la densit`a di forza per contatto, cio`e che l’azione scambiata tra due parti di una configurazione `e a tutti gli effetti una forza di contatto densa sulla superficie di separazione immaginaria tra le due parti (taglio di Cauchy). Risultati simili sul significato dell’azione interna e sul bilancio delle forze per contatto erano stati ottenuti per la trave. Il campo n non ha dimensioni fisiche, quindi l’azione interna T (tensione o sforzo) ha le dimensioni fisiche del campo t, ovvero densit`a superficiale di forza. Quindi la tensione in un 7

La prova discende dalla definizione di divergenza per un campo vettoriale. A volte dette di bilancio indefinito, nel senso di valide indistintamente per ogni punto della forma C. 9 O, pi` u semplicemente, equazioni al contorno. 10 La divergenza di un vettore, infatti, `e la differenza tra la quantit`a che ‘esce’ da un intorno e quella che vi ‘entra’. La densit` a di forza a distanza quindi rappresenta un termine di sorgente o pozzo. 8

62

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

Figura 4.5: Tensione in un punto e sua decomposizione. punto P secondo una giacitura di normale n `e la densit`a superficiale di forza per contatto che la parte di mondo a destra della giacitura esercita sulla parte a sinistra attraverso P , figura 4.5. Dal momento che T `e un’applicazione lineare, la matrice rappresentativa dello stato di tensione nell’intorno di P in una base {a1 , a2 , a3 } si pu`o ricavare scegliendo per n uno dei tre elementi ai in sequenza e poi elencando per colonna le componenti dei vettori ti = T ai :   t t t  11 21 31    ti = T ai , i = 1, 2, 3 ⇒ (T ) = ((t1 ) (t2 ) (t3 )) =  t12 t22 t32  (4.15)   t13 t23 t33 in cui tij rappresenta la componente parallela all’asse j della tensione in P secondo la giacitura di normale l’asse xi . Abitualmente nei testi d’ingegneria per le componenti di T si adotta il simbolo σ per i termini sulla diagonale principale e il simbolo τ per gli altri, figura 4.5 a destra: σi = tii ,

τij = tij ,

i, j = 1, 2, 3 (o x, y, z)

Le componenti σ (quelle di T con indici uguali) sono dirette come la normale alla giacitura considerata per P e rappresentano trazioni, se concordi con la normale, o pressioni se discordi con la normale, con lo stesso significato delle pressioni in meccanica dei fluidi. Le componenti τ (quelle di T con indici distinti) giacciono nella giacitura considerata per P e rappresentano strisciamenti, con lo stesso significato delle azioni attritive di scorrimento tra superfici. La simmetria di T fa s`ı che le componenti striscianti, dette anche sforzi taglianti o, pi` u spesso, tensioni tangenziali, siano reciproche, ovvero uguali in modulo a due a due τij = τji , i, j = 1, 2, 3 (o x, y, z), i 6= j.

4.2.1

Tensioni principali, rappresentazioni piane di Mohr

Poich´e il tensore di tensione T `e reale simmetrico, il teorema di rappresentazione spettrale garantisce che la matrice ad esso associata `e sempre diagonalizzabile, ovvero esiste una base in cui la matrice (T ) assume forma diagonale. Dal punto di vista fisico, vista l’interpretazione in termini di forze per contatto delle colonne di (T ), individuare questa base per il generico punto Q vuole dire individuare l’intorno cubico di Q le cui facce sono soggette a sole tensioni normali.

4.2. TENSIONI IN UN CONTINUO TRIDIMENSIONALE

63

Matematicamente si tratta di un problema di determinazione di autovalori e autovettori, come illustrato gi`a per l’operatore di deformazione E. Gli autovettori di T rappresentano le direzioni principali delle tensioni, gli autovalori le relative tensioni normali in questa base, dette tensioni principali. L’impostazione del problema `e la medesima che nel caso delle deformazioni: T e = λe ⇒ (T − λI) e = 0

(4.16)

Per avere soluzioni non banali della (4.16) si impone det (E − λI) = 0, che fornisce un’equazione algebrica di terzo grado in λ che permette di ricavare i tre autovalori λh , h = 1, 2, 3 che esprimono le tre tensioni principali. Sostituendo uno alla volta i λh nella (4.16) si trovano gli autovettori corrispondenti eh , h = 1, 2, 3.

Figura 4.6: Tensione in un punto di un piano ortogonale a un asse principale. Stato di tensione piano Supponiamo che il piano di normale l’asse z sia soggetto solo a tensione normale, cio`e che il versore k sia un elemento della base principale. Lo stato di tensione in una sezione piana ortogonale a k dell’intorno cubico del generico punto Q `e illustrato nella figura 4.6 e la sua matrice rappresentativa `e allora: 

σx τyx

  (T ) =  τxy  0

σy 0

0



  0   σz

Vogliamo valutare come cambia la rappresentazione dello stato di tensione mutando il sistema di coordinate, cio`e cambiando base di riferimento, tenendo fisso l’asse z e ruotando gli assi da x, y a ξ, η. Dall’algebra multilineare sappiamo che il nuovo tensore si ottiene da T ∗ = BT B > , dove B `e l’operatore di cambiamento di base, rappresentato dalla matrice (cfr. capitolo 3) 

cos α sin α 0    − sin α cos α 0  0 0 1

    

64

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

dove α `e l’angolo di rotazione tra gli assi x, y e ξ, η. Poich´e si vede immediatamente che la terza riga e la terza colonna della matrice associata a T non sono alterate dal cambiamento di base, possiamo esaminare come cambia il solo blocco 2 × 2 relativo alla sezione piana nella figura 4.6  

σξ τξη

τηξ





=

cos α

sin α



σx τyx



cos α − sin α





sin α cos α τxy σy − sin α cos α    σ = σx cos2 α + σy sin2 α + 2τxy sin α cos α   ξ ⇒ ση = σx sin2 α + σy cos2 α − 2τxy sin α cos α     τ = (σ − σ ) sin α cos α + τ cos2 α − sin2 α ξη y x xy

ση

 ⇒ (4.17)

Alle (4.17) si giunge anche, con ragionamento meccanico anzich´e algebrico, imponendo l’equilibrio delle forze di un intorno a forma di prisma triangolare retto, la cui sezione ha due cateti disposti come gli assi coordinati iniziali e l’ipotenusa con normale ξ che forma un angolo α antiorario con l’asse x, figura 4.7.11 !

!

Figura 4.7: Prisma di Cauchy. Per trovare gli assi principali in questo caso non `e necessario risolvere il problema agli autovalori per T ma `e sufficiente imporre nelle (4.17) che T sia diagonale, cio`e che τξη sia nulla: τξη = 0 ⇒

τxy 2τxy sin α0 cos α0 = ⇒ tan 2α0 = 2 2 σx − σy σx − σy cos α0 − sin α0

(4.18)

xy Dunque ruotando di un angolo α0 = 21 arctan σ2τ il sistema di coordinate x, y si ottengono x −σy gli assi principali di tensione ai quali corrispondono, come si verifica derivando le σξ , ση nelle (4.17) rispetto ad α e imponendone la stazionariet`a, le tensioni normali massima e minima:

s σI,II 11

La prova si lascia per esercizio.

σx + σy = ± 2

(σx − σy )2 + τxy 4

(4.19)

4.2. TENSIONI IN UN CONTINUO TRIDIMENSIONALE

65

Le (4.17) si possono riportare a relazioni parametriche riscrivendo le σξ , τξη ,12 omettendo i pedici per semplicit`a di notazione, in termini dell’angolo 2α: σ=

σx + σy σx − σy + cos 2α + τxy sin 2α 2 2 σx − σy sin 2α + τxy cos 2α τ =− 2

(4.20)

Le (4.20) si scrivono anche come liste vettoriali, per comodit`a in funzione dell’opposto delle τ :  σ +σ    σ − σ  x y x y cos 2α − sin 2α → −→ −→  = +  ⇒− 2 2 OP = OC + RCP −τ sin 2α cos 2α 0 −τxy 

σ



−→ −→ e descrivono un luogo ben definito dai vettori OC, fisso, e CP , rotante di un angolo 2α secondo l’operatore R: `e una circonferenza nel piano σ − τ , detta circonferenza di Mohr, di centro q  (σx −σy )2 σx +σy , 0 e raggio r = + τxy . Infatti, quadrando e sommando le due (4.20) `e C≡ 2 4 

σx + σy σ− 2

2

+ τ 2 = r2

Ciascun posto sulla circonferenza ha per coordinate la combinazione (σ, −τ ) che agisce sulla

Figura 4.8: Rappresentazione piana di Mohr. faccia di asse ξ (parallela a η) a partire dallo stato di tensione sulla faccia di asse x (parallela a y). L’angolo fisico α tra gli assi x, y e quelli ruotati ξ, η `e la met`a dell’angolo 2α con cui `e parametrizzata la rappresentazione di Mohr. 12

Cio`e le tensioni normale e tangenziale sul piano inclinato dell’angolo α antiorario rispetto alla faccia ‘verticale’, di asse x e parallela a y.

66

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

La circonferenza di Mohr si traccia partendo dai posti V ≡ (σx , −τxy ) (tensione sulla faccia d’asse x) e H ≡ (σy , τyx ) (stato di tensione sulla faccia d’asse y).13 I posti V e H, riferendosi a facce a 90◦ nello spazio fisico, sono diametralmente opposti sulla circonferenza e identificano graficamente centro e raggio. Dal posto V , tracciando la parallela all’asse τ , s’incontra la circonferenza in G, detto polo delle giaciture. Ruotando il raggio CV (il diametro V H) di 2α, s’incontra la circonferenza in P (in P , P¯ ) che fornisce le tensioni normale σ e tangenziale τ sulla faccia ruotata di α rispetto alla ‘verticale’ (sulle facce ruotate di α rispetto a quelle ‘verticale’ e ‘orizzontale’). I medesimi posti si ottengono aprendo un angolo α dal polo delle giaciture rispetto ai segmenti GV (che identifica lo stato di tensione sulla giacitura ‘verticale’) e GH (che identifica lo stato di tensione sulla giacitura ‘orizzontale’). Si verifica infatti, a partire dalle (4.20), che tan ψ =

σx (cos2 α − 1) + σy sin2 α + 2τ sin α cos α sin α σ − σx = = = tan α 2 2 τxy + τ cos α τxy (1 + cos α − sin α) + (σy − σx ) sin α cos α

Le intersezioni della circonferenza con l’asse σ forniscono le due tensioni principali σI,II ricavate con la (4.19) e l’angolo corrispondente sotteso da G `e quello di cui bisogna ruotare gli assi x, y per sovrapporsi a quelli principali.

Figura 4.9: Stato di trazione pura e rappresentazione di Mohr. In uno stato di trazione pura la rappresentazione di Mohr `e indicata nella figura 4.9. La base di partenza coincide con la principale; in tutti gli altri riferimenti, compare una componente tangenziale di tensione. Questa attinge massimo ruotando il diametro V H di 2α = π/2, cio`e la base fisica di α = π/4 rispetto alla direzione di pura trazione-compressione. Questo `e confermato dalle osservazioni sperimentali su provini di materiali in trazione (bande di L¨ uders). Si ha dunque τmax = r = σI /2 e, pi` u in generale, se anche σII 6= 0, σI − σII τmax = r = 2 13

Si ricordi che nella circonferenza di Mohr si usano le opposte delle tensioni tangenziali: al fine di rappresentare gli stati di tensione univocamente, le τxy , ‘antiorarie’ nella rappresentazione cartesiana, e le τyx , ‘orarie’ nella rappresentazione cartesiana, hanno segni rispettivamente negativo e positivo sulla circonferenza.

4.2. TENSIONI IN UN CONTINUO TRIDIMENSIONALE

67

Figura 4.10: Stato di taglio puro e rappresentazione di Mohr. In uno stato di taglio puro la rappresentazione di Mohr `e indicata nella figura 4.10. Il massimo della tensione tangenziale `e attinto nella base di partenza; la base principale, in cui si attingono i valori estremi della tensione normale, si trova ruotando il diametro V H di 2α = π/2, cio`e la base fisica di α = π/4 rispetto alla direzione di puro taglio. Questo `e confermato dalle prove di rottura a taglio dei materiali fragili. Si ha dunque σI = −σII = τmax . Nel caso particolare di σx = σy e τxy = 0 la circonferenza di Mohr degenera in un punto (il raggio si annulla). Tutte le direzioni sono allora principali: il punto del continuo `e detto soggetto a uno stato di tensione idrostatico, con tensore delle tensioni diagonale e con tutti i termini diagonali uguali. Questo stato `e tipico dei fluidi ideali o in assenza di fenomeni viscosi. La rappresentazione di Mohr non sostituisce la ricerca algebrica delle direzioni e tensioni principali, ma fornisce una visualizzazione efficace della loro variazione con le coordinate adottate. Nel caso pi` u generale di stato di tensione completo, l’efficacia sintetica della rappresentazione del caso piano si perde in parte. Nella base principale, le tensioni principali si ordinano di solito in modo decrescente, σI ≥ σII ≥ σIII , ma la loro determinazione grafica non `e cos`ı semplice ed `e pi` u conveniente risolvere il problema agli autovalori per T . Una volta determinalte le tensioni principali, se si riportano queste ultime in ascissa nel piano σ − τ , si possono tracciare tre circonferenze che hanno tali posti come estremi dei diametri, figura 4.11. In particolare, si avr`a una circonferenza maggiore con diametro definito dalle tensioni principali massima e minima σI , σIII e due circonferenze pi` u piccole interne a questa. Le componenti di tensione agenti su un generico piano si troveranno sempre sul contorno o all’interno dell’area tratteggiata in figura 4.11, detta arbelo di Mohr. Esistono costruzioni grafiche sull’arbelo Mohr per porre in relazione la tensione nel generico sistema di coordinate con il corrispettivo punto nel piano σ − τ , che sono tuttavia di scarsa praticit`a. Le tensioni tangenziali massime sono date dalle σI − σII , 2 σI − σIII = , 2

τI−II = τI−III

4.2.2

σII − σIII , 2 σI − σIII τmax = τI−III = 2 τII−III =

(4.21)

Interpretazione meccanica delle equazioni locali di bilancio

Interpretazioni suggestive in termini di forze delle (4.11), (4.13), (4.14) sono come segue. Innanzitutto, per localizzare (al limite al punto) propriet`a espresse da integrali definiti si parte dall’assunto empirico che condizione sufficiente affinch´e un continuo sia in equilibrio `e che lo sia qualsiasi sua parte (anche infinitesima). In altre parole, per qualsiasi porzione di continuo

68

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

Figura 4.11: Rappresentazione di Mohr in generale. devono valere le equazioni cardinali della statica per le azioni a distanza e per contatto. Queste ultime sono trasmesse dalle parti adiacenti, viste come ‘esterne’ dalla porzione in questione. L’equilibrio locale di tutte le sottoparti di un continuo `e condizione sufficiente per l’equilibrio globale ma non necessaria.14 Dal bilancio meccanico della pasticca di Cauchy, figura 4.4, t+ dA+ + t− dA− + tL dL + bdV = 0 e, se l’altezza della superficie laterale va a zero, dV → 0, dL → 0 e si riottiene la (4.13).

Figura 4.12: Tetraedro di Cauchy. Dal bilancio meccanico di un intorno a forma di tetraedro, figura 4.12, si ricava tn dAn − tx dAx − ty dAy − tz dAz + bdV = 0 e, se l’intorno `e infinitesimo, il termine delle forze di volume rappresenta un infinitesimo di ordine superiore rispetto ai termini di forza di superficie e pu`o essere trascurato. Inoltre, le componenti della normale valgono n = {α, β, γ}, 14

α=

dAx dAy dAx ,β= ,γ= dAn dAn dAn

Si possono fornire esempi di sistemi globalmente in equilibrio ma non localmente.

4.2. TENSIONI IN UN CONTINUO TRIDIMENSIONALE

69

e quindi l’equilibrio del tatraedro porta a 



α     tn = tx α + ty β + tz γ = ((tx ) (ty ) (tz ))  β  = T n   γ cio`e all’esistenza dell’operatore lineare delle azioni interne; questa relazione `e detta teorema (del tetraedro) di Cauchy sulla rappresentazione lineare delle tensioni nei manuali. Se il tetraedro si trova sul contorno di C, si ritrova l’equazione di bilancio al contorno della (4.14).

Figura 4.13: Bilancio meccanico per un cubetto. Per il bilancio meccanico di un intorno a forma di cubo ci si riferisca alla figura 4.13, con le notazioni precedenti, illustrate nella figura 4.5. L’equilibrio alla rotazione attorno all’asse z d`a     dx ∂τyx dy dx dy ∂τxy − τxy + dx dydz − τyx + dy dxdz − τxy dydz + τyx dxdz =0 ∂x 2 ∂y 2 2 2 ed analoghe per la rotazione attorno agli altri assi. Trascurando gli infinitesimi di ordine superiore rispetto alla misura dxdydz dell’elemento di volume, si ricava τxy = τyx ,

τxz = τzx ,

τyz = τzy

cio`e che valgono le relazioni di reciprocit`a tra le tensioni tangenziali: l’operatore di tensione `e simmetrico. L’equilibrio alla traslazione in direzione x si scrive       ∂σx ∂τyx ∂τzx σx + dx dydz + τyx + dy dxdz + τzx + dz dxdy ∂x ∂y ∂z −σx dydz − τyx dxdz − τzx dxdy + bx dxdydz = 0

70

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

ed analoghe per la traslazione lungo gli altri assi. Semplificando e dividendo rispetto alla misura non nulla dxdydz dell’elemento di volume, si ricava ∂σx ∂τyx ∂τzx + + + bx = 0 ∂x ∂y ∂z ∂τxy ∂σy ∂τzy + + + by = 0 ∂x ∂y ∂z ∂τxz ∂τyz ∂σz + + + bz = 0 ∂x ∂y ∂z che `e la scrittura per componenti dell’equazione di bilancio nella (4.14). L’espressione ridotta del lavoro interno (4.11) si interpreta allora come segue: consideriamo

Figura 4.14: Lavoro delle tensioni normali. un intorno infinitesimo a forma di cubetto e consideriamo la tensione σx . Se l’elemento subisce un allungamento specifico infinitesimo x , lo spostamento relativo tra le due facce di normale x `e pari a x dx, figura 4.14. La forza per contatto sulle stesse facce vale allora σx dydz e il lavoro virtualmente compiuto da essa sullo spostamento relativo delle facce `e σx dydzx dx. Con un ragionamento analogo, il lavoro speso dalle tensioni normali su allungamenti o accorciamenti `e (σx x + σy y + σz z ) dxdydz e quindi rappresenta il lavoro virtualmente speso/accumulato in una variazione di volume. Consideriamo ora sull’intorno a forma di cubetto le tensioni tangenziali τxy agenti sulle facce di normale x e y rispettivamente. Se l’elemento subisce uno scorrimento angolare infinitesimo ∂v dx e la faccia di normale y scorre γxy , la faccia di normale x scorre verso l’alto della quantit`a ∂x ∂u verso sinistra della quantit`a ∂y dy, figura 4.15. La forza per contatto sulla faccia di normale x `e τxy dydz e sulla faccia di normale y `e τyx dxdz e il lavoro virtualmente compiuto da esse sugli scorrimenti delle facce stesse `e τxy dydz

∂v ∂u dx + τyx dxdz dy = τxy γxy dxdydz ∂x ∂y

per la reciprocit`a delle tensioni tangenziali e, pi` u in generale, tenendo conto di tutte le tensioni tangenziali, il lavoro virtualmente compiuto da esse su tutti gli scorrimenti angolari `e (τxy γxy + τxz γxz + τyz γyz ) dxdydz

4.3. RELAZIONI COSTITUTIVE

71

Figura 4.15: Lavoro delle tensioni tangenziali. e quindi rappresenta il lavoro virtualmente speso/accumulato in una distorsione di forma, senza alterazioni di volume. La scrittura estesa per componenti dell’espressione ridotta del lavoro interno (4.11) ha quindi una interpretazione meccanica ben identificabile: `e la densit`a di lavoro virtuale compiuta dalle azioni interne nelle deformazioni di ogni intorno, vista come somma di prodotti noti di forza per spostamento.

4.3

Relazioni costitutive

Il cambiamento di stato geometrico del continuo di Cauchy `e descritto dalle 3 componenti scalari dello spostamento u. La deformazione `e descritta dalle 6 componenti scalari di E, equazione (4.1). Lo stato di tensione `e descritto dalle 6 componenti scalari di T , equazione (4.15). La ricerca di un nuovo stato di equilibrio a partire da uno assegnato richiede dunque la determinazione di 15 campi incogniti, a fronte di 9 equazioni scalari differenziali ordinarie: 6 di compatibilit`a cinematica e 3 di bilancio locale.15 Per chiudere il sistema occorrono altre 6 equazioni scalari, dette costitutive, che mettano in relazione la deformazione del continuo e il suo stato di tensione. In effetti, in tutte le considerazioni svolte per i continui, sia monodimensionali sia tridimensionali, si `e considerato il lavoro virtualmente speso su campi cinematici di prova. Per determinare i percorsi reali d’equilibrio, bisogna specificare l’effettiva spesa di lavoro da parte del mondo esterno nel far assumere al continuo una nuova configurazione a partire da una assegnata. In base a considerazioni termodinamiche assai semplici, questa spesa di lavoro non pu`o mai essere negativa. Segue che, nel campo delle trasformazioni infinitesime, la forma pi` u ovvia per un funzionale di lavoro, anche nell’ottica di uno sviluppo in serie di Taylor arrestato all’ordine minimo indispensabile, `e quadratica nelle misure di deformazione.16 L’indagine sperimentale servir`a a determinare le costanti caratteristiche della forma quadratica. Se nella trasformazione si possono trascurare le dissipazioni e il lavoro speso dipende solo dagli stati iniziale e finale si pu`o assumere che il lavoro sia equivalente a una forma d’energia, detta elastica.17 Essa s’immagina immagazzinata dalle azioni di contatto interne nella trasformazione ed `e rilasciata al cessare delle azioni esterne. L’energia elastica `e allora un potenziale per le 15

Le equazioni di bilancio al contorno e le condizioni di reciprocit`a delle tensioni discendono sempre dall’equazione del lavoro virtuale e non sono indipendenti dalle equazioni di bilancio locali o indefinite. 16 Ci` o `e gi` a noto: per l’elemento deformabile elementare, la molla unidimensionale, il lavoro speso vale 1/2 k δ 2 , con k caratteristica costitutiva della molla e δ misura del suo allungamento dalla configurazione di partenza. 17 Pi` u precisamente, un materiale `e iperelastico se la sua legge costitutiva si ricava da un’energia elastica.

72

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY

azioni interne e queste si possono ricavare come variazioni prime dell’energia.18 Se l’energia ha forma quadratica nelle misure di deformazione, l’azione di contatto interna `e lineare in esse.19 Questa assunzione (legge costitutiva elastica lineare) `e verificata sperimentalmente per la maggior parte dei materiali soggetti a piccole deformazioni. Se le deformazioni diventano elevate si esce dal campo elastico e va adottato un legame costitutivo differente. In generale un operatore lineare tra spazi vettoriali reali di dimensione 3 ha due indici (tensore doppio) ed `e ben definito da 32 = 9 coefficienti; un operatore lineare tra tensori doppi ha quattro indici (tensore quadruplo) ed `e ben definito da 34 = 81 coefficienti. Per definire un legame elastico lineare tra il tensore di deformazione E e il tensore delle tensioni T non serve per`o un tensore elastico quadruplo C completo. Infatti, per simmetria E e T hanno 6 sole componenti indipendenti e i coefficienti elastici distinti del tensore costitutivo C si riducono a 36.20 Caratteristiche costitutive ulteriori di un materiale in una configurazione C sono • Omogeneit`a : il tensore C `e uniforme in C, cio`e le propriet`a elastiche non variano in C; • Isotropia: il tensore C si rappresenta allo stesso modo indipendentemente dalla base scelta, cio`e il materiale in C presenta le stesse caratteristiche in tutte le direzioni. In tal caso il legame costitutivo si scrive, con notazione indiciale, (T )ij = (C)ijhk (E)hk I tensori isotropi del quarto ordine si ottengono come combinazione lineare di prodotti di tensori isotropi del secondo ordine. In particolare C `e una combinazione lineare di tre tensori doppi isotropi linearmente indipendenti. L’unico tensore doppio isotropo (a meno dei suoi multipli), con le stesse componenti in qualsiasi base, `e il cos`ı detto tensore di Kronecker δ (δ)ij = 1 i = j,

(δ)ij = 0 i 6= j

per cui la legge costitutiva elastica lineare omogenea e isotropa si scrive, poste C1 , C2 , C3 delle costanti scalari e utilizzando le propriet`a dell’operatore di Kronecker e la simmetria di E, h i (T )ij = (C)ijhk (E)hk = C1 (δ)ij (δ)hk + C2 (δ)ik (δ)jh + C3 (δ)ih (δ)jk (E)hk = C1 (δ)ij (E)hh + C2 (δ)ik (E)jk + C3 (δ)ih (E)hj =

(4.22)

= C1 (δ)ij (E)hh + C2 (E)ji + C3 (E)ij = C1 (δ)ij (E)hh + (C2 + C3 ) (E)ij Rinominando le costanti e tornando alla notazione assoluta, la legge costitutiva per un punto di un materiale elastico lineare omogeneo e isotropo nella configurazione C considerata `e T = 2µE + λ (trE) I

(4.23)

in cui λ e µ sono dette costanti elastiche di Lam´e e tr `e la traccia dell’operatore indicato, suo primo invariante, e coincide con la somma degli elementi lungo la diagonale principale. Si osservi 18

Anche questa relazione `e ben nota nel caso delle molle unidimensionali. Una relazione analoga `e stata postulata, anzich´e ricavata, per il continuo monodimensionale. 20 Per il principio di determinismo, uno dei cardini empirici della teoria costitutiva, il legame tra i due tensori dipende soltanto dallo stato attuale. 19

4.3. RELAZIONI COSTITUTIVE

73

che, a meno del termine sferico (quello che moltiplica l’identit`a) dovuto alle pressione statica, la legge costitutiva (4.23) ha la stessa struttura di quella dei fluidi newtoniani in fluidodinamica. Hooke introdusse nel 1678 una legge costitutiva nel caso di elasticit`a unidimensionale utilizzando la famosa locuzione “ut tensio sic vis”.21 Il legame funzionale (4.23) tra ciascuna componente di deformazione e tutte le tensioni associate al punto in un generico stato del continuo in esame viene allora chiamato ‘legge di Hooke generalizzata’. Per componenti essa si scrive

x =

1 [σx − ν (σy + σz )] , E γxy

1 1 [σy − ν (σz + σx )] , z = [σz − ν (σx + σy )] , E E τxz τyz τxy = , γxz = , γyz = G G G y =

(4.24)

e pu`o essere sinteticamente espressa nella cos`ı detta rappresentazione matriciale di Voigt:              

x y z γxy γxz γyz





            =            

1 E

− Eν

− Eν − Eν 1 E

− Eν − Eν

0

0

0

− Eν

0

0

0

1 E

0

0

0

0

0

0

0

0

1 G

0

0

0

0

1 G

0

0

0

0

0

0

1 G

             

σx



  σy    σz    τxy    τxz   τyz

(4.25)

in cui E = µ(2µ + 3λ)/(µ + λ) si chiama modulo di elasticit`a longitudinale e G = µ si chiama modulo di elasticit`a tangenziale. Entrambi hanno le stesse dimensioni fisiche della tensione, in quanto la deformazione non ha dimensioni fisiche. Le loro unit`a di misura sono quelle di una forza rapportata a una superficie, quindi N/m2 o, pi` u comunemente nella pratica, GPa. Infine, ν = λ/2(µ + λ) si chiama coefficiente di Poisson ed `e adimensionale; quantifica l’evidenza sperimentale che un allungamento o un accorciamento lungo una direzione prefissata pu`o essere causato non solo dalla tensione normale in tale direzione ma anche dalle tensioni perpendicolari ad essa. Per esempio, effettuando un allungamento (accorciamento) unitario di un parallelepipedo in direzione x si osserva una contrazione (allungamento) di modulo pari a ν volte il precedente nelle direzioni y e z. Questo spiega anche perch´e nelle (4.24), (4.25) il contributo moltiplicato dal coefficiente di Poisson compaia col segno meno. Poich´e si vede facilmente che E = 2(1 + ν)G, si hanno dunque solo due costanti elastiche che caratterizzano il comportamento dei materiali elastici lineari omogenei e isotropi. I due blocchi nulli disposti sulla diagonale secondaria della (4.25) indicano che in questi materiali le componenti normali della tensione σi non dipendono dagli scorrimenti angolari γij e le tensioni tangenziali τij non dipendono dagli allungamenti specifici i . Valori indicativi per le costanti elastiche per alcuni materiali elastici lineari omogenei e isotropi: 21

Tale l’(es)tensione tale la forza, cio`e l’allungamento `e proporzionale alla sollecitazione.

74

CAPITOLO 4. IL CONTINUO DI CAUCHY materiale

G (GPa) E (GPa)

ν

acciaio da costruzioni

70-75

200

0.30-0.32

alluminio

20-21

70

0.34

vetro

15-39

38-100

0.18-0.30

calcestruzzo (compressione)



20

0.25

plexiglas

1.7

3.3

0.32

Esistono materiali che manifestano comportamento diverso: per esempio, il Gore-Tex ha modulo di Poisson negativo, per cui all’estensione in una direzione segue un’estensione ortogonalmente a essa. Inoltre i moduli di elasticit`a E e G di un materiale possono assumere valori anche molto diversi al variare delle condizioni esterne (in particolare della temperatura) e presentano valori generalmente molto pi` u elevati per carichi dinamici in funzione della frequenza di sollecitazione. L’assunzione di E, G, ν costanti `e quasi sempre accettabile nelle applicazioni usuali ma bisogna porre attenzione nella loro selezione in letteratura avendo cura di controllare le condizioni (di carico, di temperatura etc) a cui i rispettivi valori sono riferiti. Definite le relazioni costitutive, si dispone dunque di 15 equazioni scalari indipendenti per il problema elastico lineare: • 6 equazioni algebriche che esprimono le relazioni costitutive elastiche lineari omogenee e isotrope tra tensioni e deformazioni fornite dalle leggi di Hooke generalizzate (4.24); • 6 equazioni differenziali lineari che esprimono le misure di deformazione nelle (4.1), (4.2); • 3 equazioni di equilibrio meccanico locale (4.14); Le funzioni incognite sono altres`ı 15, cio`e le 3 componenti dello spostamento infinitesimo, le 6 componenti di E e le 6 componenti di T . Per la soluzione del problema, devono essere noti i carichi esterni di volume e di superficie, i cedimenti vincolari, la geometria del corpo e le caratteristiche del materiale che lo costituisce. Si dimostra che la soluzione del problema esiste ed `e unica, tuttavia non ha in generale forma analitica chiusa, salvo casi particolarmente semplici. Il problema elastico pu`o essere specializzato quando si studiano azioni esterne ed elementi ben precisi: travi, piastre, sistemi reticolari, gusci.

Capitolo 5 Il problema di Saint Venant 5.1

Il cilindro di Saint Venant

La teoria dei continui in spazio tridimensionale ha origini nel primo ‘800 per opera essenzialmente di Cauchy, Navier e Poisson e risulta spesso complessa per la risoluzione di problemi applicativi. L’ingegnere francese Adh´emar Barr´e de Saint Venant verso la met`a dell’‘800 riusc`ı a conciliarla, sotto opportune ipotesi, con la teoria della linea elastica di Euler (circa 1740). Egli studi`o prismi rettilinei a sezione uniforme caricati sulle basi (cilindri di Saint Venant) basandosi sulla congettura seguente: a distanza opportuna dalle basi lo stato di tensione e deformazione del cilindro dipende dalle caratteristiche globali della sollecitazione e non dalla sua distribuzione.1 Accettando questa congettura si ha l’enorme vantaggio di valutare solo risultante e momento risultante delle forze alle basi e non la loro distribuzione effettiva.2 Nel problema elastico diretto sono assegnati geometria, vincoli e distribuzione dei carichi esterni e si cercano spostamento, deformazione e tensione che verificano le equazioni di campo. Nel problema elastico inverso si cercano le azioni esterne che generano, secondo le equazioni di campo, spostamento, deformazione e tensione assegnati. Il metodo di Saint Venant `e semiinverso: assegnate una parte delle azioni esterne e una parte della soluzione, si cercano i campi rimanenti che verifichino le equazioni di campo. Nel problema di Saint Venant le azioni di volume sono nulle;3 quelle di superficie sono nulle sul mantello laterale M del cilindro e non nulle ma distribuite con legge incognita sulle basi S0 , Sl del cilindro stesso. Questo definisce il primo passo del metodo semi-inverso. Saint Venant caratterizza una parte della soluzione basandosi su osservazioni sperimentali: negli elementi ‘lunghi’ l’azione interna `e trasmessa pressoch´e parallelamente alla lunghezza. Se il cilindro `e riferito a un sistema di coordinate cartesiane con origine sulla base di sinistra e asse z parallelo alle direttrici, si postula che in ogni punto lo stato di tensione sia 

σx = σy = τxy = 0,

0 0 τzx   (T ) =  0 0 τzy  τxz τyz σz

1

    

(5.1)

La congettura fu dimostrata nel secolo scorso dai matematici italiani Zanaboni e Fichera. La distanza di estinzione degli effetti locali della distribuzione dei carichi sulle basi `e dell’ordine del diametro della sezione. 2 Gli effetti locali in prossimit` a delle basi richiedono analisi pi` u raffinate. 3 In elasticit` a ci` o `e abituale: il peso di un elemento `e evanescente rispetto alle forze portate per contatto.

75

76

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 5.1: Tensioni nel cilindro di Saint Venant. cio`e che le fibre longitudinali interagiscano solo tramite azioni interne dirette lungo z, scorrendo una sull’altra e scambiandosi cos`ı tensioni tangenziali τ = {τxz , τyz } come nella figura 5.1. Questo definisce il secondo passo del metodo semi-inverso. L’obiettivo del problema di Saint Venant `e dunque cercare le distribuzioni di sollecitazioni sulle basi, bilanciate con azioni nulle di volume e sul mantello e che diano luogo alle tensioni (5.1), nonch´e lo stato di spostamento-deformazione indotto nel cilindro da queste sollecitazioni. Posto γ = {γxz , γyz }, le deformazioni sono legate elasticamente alle tensioni dalle (4.23), (4.24) z =

σz , E

γ=

τ , G

E p = −νz I p

(5.2)

in cui il pedice p indica la restrizione della quantit`a indicata al piano della sezione. Se lo stato di tensione `e dato dalla (5.1), le equazioni locali di bilancio meccanico e al contorno (4.14) diventano, indicando con divp l’operatore divergenza nel piano della sezione, ∂τ = 0, ∂z

divp τ +

∂σz = 0 in C = S × [0, l], ∂z

τ · n = 0 in M = ∂S × [0, l]

(5.3)

dove n `e il campo della normale unitaria uscente sul mantello laterale M; le azioni di contatto rimangono impregiudicate sulle basi, l `e la lunghezza del cilindro. Dalle (5.3) si deduce che le tensioni tangenziali sono uniformi lungo l’asse z e devono soddisfare, con la tensione normale, un’equazione di tipo armonico. Inoltre, dalle (5.3)1,2 , (5.2)1 si ricava   ∂τ ∂ 2 σz ∂ 2 σz ∂ 2 z divp + = 0 ⇒ = 0 ⇒ =0 (5.4) ∂z ∂z 2 ∂z 2 ∂z 2 cio`e che deformazione e tensione normali lungo l’asse devono essere lineari nella coordinata z. Se si indica poi con up = {u, v} la parte di spostamento parallela al piano della sezione, e con gradp l’operatore gradiente nello stesso piano, per le (4.2), (5.2)3 , (5.4) dev’essere  2   2  ∂ up ∂ z sym gradp up = −νz I p ⇒ sym gradp = −ν Ip = 0 (5.5) 2 ∂z ∂z 2

5.1. IL CILINDRO DI SAINT VENANT  cio`e gradp

∂ 2 up ∂z 2

77

 `e un operatore antisimmetrico. Inoltre, dalle (5.2)2 , (5.3)1

 ∂ 2 up ∂ 2 up ∂w = 0 ⇒ + grad = −gradp z ⇒ p ∂z 2 ∂z ∂z 2 (5.6)  2  ∂ up ⇒ gradp = −gradp gradp z = 0 ∂z 2  2  ∂ up `e antisimmetrico, mentre gradp gradp z `e simmetrico;4 in quanto per la (5.5) gradp ∂z 2 poich´e operatori simmetrici e antisimmetrici appartengono a sottospazi vettoriali ortogonali, un tensore simmetrico pu`o essere uguale a uno antisimmetrico solo se sono entrambi nulli. Per le (5.4), (5.6) il campo dell’allungamento specifico in direzione normale (come gli altri due per la (5.2)2 ) `e lineare sia nell’ascissa z che nel vettore posizione sulla sezione del cilindro: ∂γ G =G ∂z



z = 0 + (κ0 × r) · k + z [1 + (κ1 × r) · k]

(5.7)

in cui κ = κ0 + zκ1 `e detto vettore flessione ed `e uniforme nel piano della sezione. Per la legge elastica (5.2)1 , l’espressione lineare (5.7) vale anche per la tensione normale σz . Un’applicazione integrale sulla sezione generica S delle (5.3)2,3 porta a Z Z Z ∂σz divp τ dA = − τ · nds = 0= dA = S ∂z S ∂S Z = −Ez [1 + (κ1 × r) · k] dA ⇒ 1 = − (κ1 × r G ) · k S

in cui r G `e il vettore posizione del centro d’area G di S.5 Di conseguenza, l’espressione di z `e z = 0 + (κ0 × r) · k + z [κ1 × (r − r G ) · k]

(5.8)

Per determinare i campi di spostamento occorre integrare i loro gradienti, espressi dalle misure di deformazione, dopo aver fornito condizioni necessarie d’integrabilit`a. Poich´e, come si `e visto, le derivate di up e di w lungo l’asse sono funzioni polinomiali in z, l’integrabilit`a in direzione assiale `e assicurata e occorre solo fornire le condizioni d’integrabilit`a nel piano della sezione. La (5.2)3 fornisce la parte simmetrica del gradiente del campo up , per cui si pu`o porre    −νz ϕ  (5.9) gradp up = sym gradup +skw gradup = −νz I p +εij3 ϕ, gradp up =  −ϕ −νz in cui εij3 `e il permutatore di Ricci nel piano x, y.6 Per il significato di parte antisimmetrica del gradiente di spostamento, il campo ϕ rappresenta la rotazione dell’intorno di ciascun posto di S: trattandosi di continui deformabili, a priori questa (micro-)rotazione varia da posto a posto. 4

Se i campi hanno la regolarit` a sufficiente, le derivate seconde miste sono uguali per il teorema di Schwartz e il doppio gradiente, che coincide con l’operatore hessiano, risulta necessariamente simmetrico. 5 Il centro d’area G di un dominio piano D di area AD `e definito dalla relazione Z sD = rdA = r G AD D

per cui G `e il posto del piano in cui si pu` o immaginare concentrata tutta l’area del dominio considerato. 6 Il permutatore di Ricci nello spazio tridimensionale vale 0 se uno dei suoi tre indici `e ripetuto, ±1 se i tre indici costituiscono una permutazione rispettivamente pari o dispari della terna 1, 2, 3.

78

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

La condizione necessaria d’integrabilit`a per up `e che il suo gradiente sia irrotazionale:7 rotp gradp up = 0 ⇒ gradp ϕ = −k × (gradp z ) = νκ

(5.10)

in cui rotp `e il rotore dell’operatore piano indicato.8 Per la (5.10) la rotazione locale `e lineare nel vettore flessione; per la (5.6) essa `e lineare anche lungo l’asse del cilindro, per cui il campo della rotazione locale `e, poste ϕ0 , ϕ1 delle quantit`a scalari uniformi, ϕ = ϕ0 + νκ0 · r + z (ϕ1 + νκ1 · r)

(5.11)

Anche per la componente di spostamento w condizione necessaria d’integrabilit`a `e che il suo gradiente sia irrotazionale. Il campo gradp w si esprime a partire dalla (4.2), per cui 9   ∂up rotp gradp w = rotp γ − = 0 ⇒ rotp γ = 2 (ϕ1 + νκ1 · r) k (5.12) ∂z Tuttavia, per sfruttare appieno questa condizione occorre conoscere l’espressione esplicita dello scorrimento γ nel piano della sezione, che a priori non `e nota come le altre finora ricavate. Essa dipende infatti dalla determinazione del campo della tensione tangenziale τ , che `e soluzione di un problema armonico, dato dalle (5.3)2,3 e dalle condizioni di integrabilit`a per γ = τ /G divp τ +

∂σz =0 ∂z

in S

τ ·n=0

in ∂S

(5.13)

rotp τ = 2G (ϕ1 + νκ1 · r) k in S I (τ · l) ds = 2GAΛ (ϕ1 + νκ1 · r GΛ ) ∀Λ ∈ S ∂Λ

con la (5.13)4 condizione sufficiente di integrabilit`a: la circolazione del campo γ (o di τ = Gγ) lungo qualsiasi cammino chiuso ∂Λ che circonda una regione Λ (eventualmente una lacuna 7

La condizione non `e sufficiente, in quanto occorre che la circolazione del gradiente lungo un qualunque cammino chiuso sia nulla. La condizione che il campo sia irrotazionale `e anche sufficiente solo per i cammini infinitesimi o per dominˆı a connessione semplice. In dominˆı pluriconnessi - cio`e con lacune interne - la circolazione del gradiente attorno alle lacune pu` o non essere nulla e il campo pu`o non essere integrabile. 8 Il rotore di un campo vettoriale a `e il campo vettoriale che verifica il cos`ı detto teorema di Stokes Z Z (rota) · ndA = a · lds S

∂S

per ogni superficie orientata S sufficientemente regolare di normale n e tangente unitaria l al suo contorno ∂S. Per estensione, il rotore di un campo di applicazioni lineari L `e il campo di applicazioni lineari che verifica Z Z (rotL) ndA = Llds S

∂S

Sulla base di queste definizioni si pu` o dimostrare che, in una base ortonormale ei , i = 1, 2, 3, (rota)i = εijh

∂ah , ∂xj

(rotL)ki = εijh

∂Lkh ∂xj

Se L opera su un piano, nella formula di Stokes ∂S `e una curva chiusa del piano e n `e la normale al piano. Se n ≡ e3 , il rotore piano dell’applicazione si riduce alle prime due componenti della terza colonna di rotL. 9 Basandosi sulla nota precedente, il rotore piano di un campo vettoriale piano coincide con la terza componente del vettore rotore di quest’ultimo.

5.2. ESTENSIONE

79

se la sezione `e non semplicemente connessa) deve assumere il valore indicato. Il problema differenziale (5.13) `e definito sulla sezione generica S in quanto il campo τ `e uniforme lungo z. Fornite le (5.10), (5.12), si ricavano esplicitamente up e implicitamente w:  z2 z3 up = up0 − k × zp + κ0 + κ1 + (ϕ0 + zϕ1 )k × r + νsym [r ⊗ (k × r)] κ+ 2 6 

−ν [0 + z (κ1 × r G ) · k] r       z2 1 1 2 w = w0 + z0 + $ + p + zκ0 + κ1 × r · k + ν krk κ1 × r − rG ·k 2 6 2

(5.14)

in cui up0 , p, w0 sono costanti d’integrazione, $ `e la primitiva di gradp w e ⊗ indica il prodotto tensore tra vettori.10 Se si risolve il problema (5.13), si pu`o ricavare esplicitamente w. La derivata seconda di up lungo l’asse, cio`e la curvatura delle fibre longitudinali del cilindro ∂ 2 up = −k × (κ0 + zκ1 ) ∂z 2

(5.15)

giustifica il nome di κ: il vettore flessione, composto di una parte uniforme lungo l’asse e una lineare in z, compare quando le fibre longitudinali s’incurvano e il cilindro s’inflette. La soluzione del problema di Saint Venant dipende da quattro parametri inessenziali, w0 ,

up0 ,

ϕ0 ,

p

che definiscono lo spostamento rigido infinitesimo del punto del cilindro sovrapposto all’origine delle coordinate, sempre eliminabile, e da quattro parametri essenziali, 0 ,

κ0 ,

κ1 ,

ϕ1

legati ai modi di deformazione del cilindro indotti da distribuzioni particolari delle sollecitazioni alle basi. Il comportamento generale del cilindro, per la linearit`a del problema, risulta dalla sovrapposizione degli effetti di ciascun parametro caratteristico. La soluzione `e legata a una ben determinata distribuzione di sollecitazioni alle basi, ma `e valida a distanza sufficiente dalle basi per distribuzioni staticamente equivalenti a quella teorica per la congettura di Saint Venant. Si descrivono cos`ı un numero enorme di applicazioni per gli elementi traviformi e per questo nel seguito esamineremo gli effetti di ogni parametro caratteristico.

5.2

Estensione

Se consideriamo solo 0 , le (5.13) sono un problema omogeneo con soluzione banale e la tensione tangenziale `e identicamente nulla. Per le (5.7), (5.2)2 le misure di deformazione sono z = 0 ,

x = y = −ν0 ,

γ=0

(5.16)

cio`e l’allungamento specifico e la conseguente contrazione laterale, uniformi in tutto il cilindro. Tutte le fibre longitudinali da cui pu`o immaginarsi costituito il solido si dilatano uniformemente in direzione assiale, per cui tutte le sezioni trasversali si conservano piane e ortogonali all’asse

80

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 5.2: Estensione di un cilindro di Saint Venant. del cilindro e le basi subiscono una traslazione relativa lungo l’asse. Si giustifica cos`ı l’ipotesi di Euler-Bernoulli introdotta nella teoria monodimensionale dei corpi traviformi. Dalle leggi elastiche (5.2), le sollecitazioni che mantengono queste deformazioni sono σz = E0 ,

τ = 0,

(5.17)

uniformi sulle basi e in ogni punto del cilindro e staticamente equivalenti a Z Z N N , σz = , m= r × σz kdA = EA0 r G × k . (5.18) N= σz dA = EA0 ⇒ 0 = EA A S S Si pone l’origine delle coordinate nel centro d’area G della base di sinistra, per cui m svanisce, in accordo con una distribuzione uniforme di forze attorno al centro della regione d’applicazione; la soluzione `e detta perci`o anche di forza normale centrata, figura 5.3. Per la congettura di Saint Venant, tutti i problemi in cui la sollecitazione alle basi `e staticamente equivalente a questa presentano la stessa distribuzione di tensioni a distanza sufficiente dalle basi.

Figura 5.3: Forza risultante nell’estensione di un cilindro di Saint Venant. Se si blocca lo spostamento rigido infinitesimo dell’origine, per le (5.14) `e w=

N Nl z ⇒ ∆l = w(l) − w(0) = , EA EA

up = −ν0 r

(5.19)

Le sezioni traslano assialmente di una quantit`a lineare in z e il cilindro si contrae lateralmente. La quantit`a EA `e la rigidezza assiale di un elemento di cilindro e coincide con la costante 10

Data una base ei , i = 1, 2, 3 di uno spazio vettoriale reale V, il prodotto tensore ej ⊗ ei `e un elemento della base canonica dello spazio delle applicazioni lineari di V in s`e. La sua matrice rappresentativa ha tutte componenti nulle tranne 1 nella riga i e colonna j. Allora a ⊗ b `e un’applicazione lineare rappresentata dalla matrice con componenti aj bi alla riga i e colonna j.

5.2. ESTENSIONE

81

A nelle (2.16). La quantit`a EA/l `e la rigidezza assiale di tutto il cilindro, visto come molla elastica di trazione-compressione. Questo comportamento si nota nelle prove di trazione su provini cilindrici. Per i materiali duttili si ha il diagramma σ −  nella figura 5.4, in cui si riconosce il campo elastico lineare con coefficiente angolare proprio il modulo di Young E; aumentando il carico c’`e un breve tratto d’elasticit`a non lineare e un tratto dove il materiale prima si snerva e poi il provino arriva a rottura. Per i materiali fragili il diagramma coincide pressoch´e con la fase elastica.

Figura 5.4: Diagrammi di prove di trazione. Nella pratica progettuale, il valore teorico di sforzo massimo trovato con l’analisi delle tensioni (in questo caso pari al valore uniforme N/A) deve essere confrontato con i valori ammissibili forniti dalle prove sperimentali sui materiali, magari usando coefficienti di sicurezza c: cσmax ≤ σamm il cui valore dipende dall’applicazione. In ambito militare, per esempio, si tende a ottimizzare la prestazione del componente e quindi i coefficienti di sicurezza saranno molto bassi: si cerca di lavorare al limite delle prestazioni del materiale. In ambito civile, in cui subentra la sicurezza delle persone, tale coefficiente pu`o assumere valori elevati, spesso prescritti dalle norme. Se si assemblano due cilindri con differenti sezioni, il corpo traviforme presenta una brusca variazione di sezione. A distanza sufficiente dalle basi e dalla discontinuit`a geometrica la congettura di Saint Venant continua a valere, mentre nei pressi del salto di sezione si avr`a una concentrazione di sforzi, di cui si tiene conto con un fattore di intaglio k. Spesso in meccanica i componenti sono sollecitati ciclicamente, ossia a fatica. In tal caso, ci si riferisce non alle curve sperimentali della prova di trazione statica ma a quelle di W¨ohler, figura 5.5. In questi diagrammi, detto N1 il numero di cicli massimo relativo al livello di tensione σN1 , per ogni σ si legge il valore massimo di cicli che il materiale pu`o sopportare. Detta m una costante tabellata ed N il numero massimo di cicli sopportabili, vale la relazione σ m N = cost e oltre il numero di cicli NLF = 106 (limite di fatica) si ha per i materiali ferrosi un asintoto, ovvero una tensione massima sopportata dal materiale costante anche all’aumentare di N . Per trattare l’accumulo del danno a fatica vi sono varie teorie, quali quelle di Palmgren-Miner o quella bilineare di Manson, la cui trattazione attiene ad altri insegnamenti.

82

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 5.5: Diagrammi di W¨ohler per materiali ferrosi. Esempio 5.1 Determinare, per effetto dei carichi riportati, l’allungamento dell’asta d’acciaio in figura 5.6, caratterizzata dalle seguenti propriet`a materiali e geometriche: E = 200 GPa,

L1 = L2 = 300 mm,

L3 = 400 mm,

A1 = A2 = 562.5 mm2 ,

A3 = 187.5 mm2

Il sistema `e riducibile a una trave incastrata, quindi staticamente determinato, e si pu`o studiare

Figura 5.6: Esempio 5.1. dapprima con le sole equazioni di bilancio meccanico per poi passare a quelle di legame elastico ` opportuno considerare i tre sottosistemi nella figura 5.6, che e di compatibilit`a cinematica. E dovranno essere tutti bilanciati affinch´e il sistema lo sia; dall’equilibrio dei corpi liberi si ottiene P1 = 270 kN,

P2 = −67 kN,

P3 = 135 kN

e sostituendo questi valori nella (5.19), che lega l’allungamento alle forze normali, si ricava   3 X Ni li 1 P1 L1 P2 L2 P3 L3 ∆l = = 1.98 mm = + + E A E A A A i i 1 2 3 i=1

5.3. FLESSIONE UNIFORME

5.3

83

Flessione uniforme

Consideriamo l’effetto solo di κ0 : le (5.13) sono ancora un problema omogeneo, la cui soluzione generale `e ancora la banale, e i campi di tensione tangenziale e di scorrimento sono ancora identicamente nulli. Per questo e per le (5.7), (5.2)3 le misure di deformazione sono z = (κ0 × r) · k,

x = y = −νz ,

γ=0

(5.20)

cio`e ancora l’allungamento specifico e la conseguente contrazione laterale. Le fibre longitudinali del cilindro si dilatano in direzione assiale, uniformemente lungo l’asse e linearmente nella sezione: per questa linearit`a la sezione si trasforma ancora in un piano. Lo scorrimento ovunque nullo implica che gli angoli inizalmente retti tra fibre longitudinali e sezione non cambiano e il piano trasformato della sezione si mantiene ortogonale all’asse inflesso. Si giustifica ancora una volta l’ipotesi di Euler-Bernoulli di conservazione delle sezioni piane, assunta come ipotesi nella teoria monodimensionale dei corpi traviformi. Se si blocca lo spostamento rigido infinitesimo dell’origine, per le (5.14) si ha z2 k × κ0 + νsym [r ⊗ (k × r)] κ0 (5.21) 2 L’asse ha curvatura uniforme, diventa cio`e un arco di circonferenza in un piano (piano di flessione); le sezioni ruotano di una quantit`a lineare in z, pari a ∂up /∂z = −zk × κ0 ; il cilindro si contrae lateralmente secondo il tensore r ⊗ (k × r), detto di curvatura anticlastica. w = z(κ0 × r) · k,

up = −

Figura 5.7: Rotazione delle sezioni in una flessione di un cilindro di Saint Venant. Dalle leggi di Hooke generalizzate (5.2) si ha la distribuzione di sollecitazioni σz = E(κ0 × r) · k,

τ =0

(5.22)

che sulle basi mantiene questo stato di deformazione, lineare in r e staticamente equivalente a Z N= σz dA = EA(κ0 × r G ) · k, S Z  (5.23) Z m= r × σz kdA = E (k × r) ⊗ (k × r) dA κ0 = EIκ0 S

S

in cui l’applicazione lineare simmetrica I `e un’espressione del tensore d’inerzia della sezione:     Z y 2 −xy Ix −Ixy   dA =   (I) = (5.24) 2 S −xy x −Ixy Iy

84

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Le sue componenti lungo la diagonale sono dette momenti d’inerzia rispetto agli assi e quella fuori diagonale momento misto rispetto agli assi della sezione S, per cui dalla (5.23) κ0 =

I −1 m , E

σz =



  −x (Ixy Mx + Ix My ) + y (Iy Mx + Ixy My ) I −1 m × r · k = 2 Ix Iy − Ixy

(5.25)

Nel § 5.1 si `e posta l’origine delle coordinate nel centro d’area di S: per la (5.23) la forza N svanisce, in accordo con l’idea di distribuzione lineare a media nulla sulla sezione. La (5.24) suggerisce inoltre di scegliere gli assi x e y in modo da rendere I diagonale. La tecnica di diagonalizzazione `e stata illustrata nel § 4.1; ricordando il cambio di coordinate nel piano ξ = x cos α + y sin α,

η = −x sin α + y cos α

dalla (5.24) si ricava che rispetto agli assi ξ, η le componenti del tensore d’inerzia si scrivono Iξ = Ix cos2 α + Iy sin2 α − 2Ixy sin α cos α Iη = Ix sin2 α + Iy cos2 α + 2Ixy sin α cos α Iξη = (Iy − Ix ) sin α cos α − Ixy cos2 α − sin2 α

(5.26) 

Queste espressioni sono simili alle (4.17) a meno del segno del termine fuori diagonale — tensione tangenziale per lo stato di tensione, momento d’inerzia misto in questo caso.11 Analogamente a quanto mostrato per lo stato di tensione nel piano, si pu`o realizzare una rappresentazione piana di Mohr per i momenti d’inerzia: i passi da fare sono gli stessi mostrati nel § 4.2. L’angolo per sovrapporsi agli assi principali d’inerzia `e dove Iξη = 0, per cui dalla (5.26) Iξη = (Iy − Ix )

2Ixy sin 2α − Ixy cos 2α = 0 ⇒ tan 2α = 2 Iy − Ix

(5.27)

e si pu`o dimostrare facilmente che la (5.27) coincide con la condizione per cui i momenti d’inerzia Iξ e Iη attingono valori estremi tra tutti quelli possibili (il che si vede anche graficamente dalla rappresentazione piana di Mohr per i momenti d’inerzia). Il sistema di coordinate con origine in G in cui il tensore d’inerzia `e diagonale si chiama centrale e principale d’inerzia e in esso le (5.23) si scrivono      Mx I 0 κ =E x   0x  N = 0, (m) =  (5.28) My 0 Iy κ0y in cui, per semplicit`a, si `e continuato a indicare con x, y le coordinate principali. Ricavato dalla (5.28) il vettore flessione e sostituitolo nella (5.22)2 si ha l’espressione ridotta della distribuzione di sollecitazioni sulle basi che mantiene questa deformazione, detta flessione uniforme   Mx My Mx My , , σz = y− x (5.29) (κ0x , κ0y ) = EIx EIy Ix Iy Per la congettura di Saint Venant, nei cilindri in cui la sollecitazione alle basi `e staticamente equivalente a questa si ha lo stesso stato di tensione a distanza sufficiente dalle basi. La rigidezza flessionale di un elemento di cilindro attorno all’asse x `e EIx e analogamente attorno all’asse y; queste quantit`a coincidono con le costanti Bx , By nelle (2.16). 11

Non potrebbe essere diversamente, trattandosi della rappresentazione su basi diverse di tensori simmetrici.

5.3. FLESSIONE UNIFORME

85

Figura 5.8: Flessione retta di un cilindro di Saint Venant.

5.3.1

Flessione retta

Se κ0 `e parallelo a un asse principale si ha flessione retta, figura 5.8: il vettore momento (in realt`a vettore coppia, in quanto il risultante delle tensioni normali `e nullo) forma un angolo retto col piano in cui s’inflettono l’asse e tutte le fibre del cilindro. Le fibre dalla parte della convessit`a dell’asse inflesso si allungano, quelle dalla parte opposta si accorciano. Il luogo geometrico delle fibre non soggette ad allungamento e tensionale normale, z = σz = 0, `e l’asse neutro; nelle flessioni rette esso coincide con l’asse principale parallelo a m. I punti pi` u sollecitati sono i pi` u lontani dall’asse neutro e in letteratura si esprime la massima tensione tramite il modulo W di resistenza a flessione della sezione rispetto all’asse neutro, figura 5.9 σz,max =

Mx Mx ymax = , Ix Wx

σz,max =

My My xmax = Iy Wy

(5.30)

Figura 5.9: Flessioni rette di un cilindro di Saint Venant. Nelle flessioni rette il materiale `e poco sfruttato vicino all’asse neutro: per ottimizzare le capacit`a resistenti, allora, si distribuisce la sezione il pi` u possibile lontano dall’asse neutro; nascono cos`ı i profilati metallici di uso comune, con sezioni a T, a doppio T, a C e simili. Esempio 5.2 Trovare la tensione massima e il raggio di curvatura del cilindro di sezione mostrata nella figura 5.10 (misure in millimetri), doppiamente simmetrica,12 con i dati seguenti: Mx = 24 kNm, 12

E = 200 GPa,

A = 5860 mm2 ,

Ix = 45.5 106 mm4

Questa propriet` a fornisce automaticamente il centro d’area e gli assi principali d’inerzia, coincidenti con quelli di simmetria.

86

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

!

Figura 5.10: Esempio 5.2. La distribuzione di tensione e il suo valore massimo risultano dalla (5.29): σz =

Mx ymax = 0.527 y MPa, Ix

σz,max = 53.54 MPa

attinto nei punti pi` u lontani dall’asse neutro, A≡ (−101, 5, 101, 5) e B, simmetrico di A rispetto a x. Il raggio di curvatura della curva inflessa dell’asse del cilindro `e κ0x =

Mx 24 106 N mm 1 = = ⇒ ρx = 37.5 m ρx EIx 45.5 106 mm4 2 105 N mm−2

Esempio 5.3 Trovare la tensione nei punti C, D, E della sezione del cilindro nella figura ??, con quote sono espresse in millimetri, se la sollecitazione `e un momento My = 15 kNm.

Figura 5.11: Esempio 5.3. Occorre innanzitutto trovare il centro d’area; poich´e l’asse x0 `e di simmetria per la figura della sezione, sicuramente G vi appartiene. Per valutare in quale punto di x0 esso si trovi, si applica la definizione della nota 5, e si calcola il momento d’area del primo ordine sS (momento statico) della sezione rispetto a un asse y 0 ausiliario ortogonale all’asse di simmetria. Poich´e

5.3. FLESSIONE UNIFORME

87

il momento statico `e un integrale definito su un dominio, si potr`a partirlo nei contributi delle regioni elementari A1 , A2 , A3 la cui unione costituisce il dominio. Di ciascuna di queste, infatti, si conosce la posizione del centro d’area, figura 5.12, per cui P3 0 2(100 24)35 + (30 102)0 s y i=1 Ai xGi = P = = 21.37 mm x0G = 3 A 2(100 24) + (30 102) i=1 Ai e il punto G ≡ (21.37, 0) `e il centro d’area cercato. Gli assi x, coincidente con x0 , e y, parallelo

Figura 5.12: Esempio 5.3: centri d’area delle sottoregioni e distanze tra gli assi centrali paralleli a y. a y 0 , sono dunque assi centrali. Poich´e x0 `e un asse di simmetria, esso sar`a anche principale d’inerzia.13 Ogni asse ortogonale a uno principale `e principale,14 per cui anche y 0 `e un asse principale. L’asse x ≡ x0 rimane asse di simmetria e principale, per cui anche y `e principale: essendo x, y centrali, essi costituiscono il sistema di coordinate centrale e principale d’inerzia rispetto a cui si pu`o scrivere la (5.29). Il vettore momento `e parallelo all’asse y, per cui si ha una flessione retta attorno allo stesso asse e nella (5.29) occorre determinare ilsolo momento d’inerzia Iy . Poich´e anche il momento d’inerzia `e un integrale definito su un dominio, lo si pu`o partire nei contributi delle regioni elementari A1 , A2 , A3 . Queste sono infatti rettangoli e si pu`o calcolare molto facilmente che il momento d’inerzia di un rettangolo rispetto a un asse centrale a parallelo a un lato `e Iarettangolo =

(lunghezza del lato parallelo ad a)(lunghezza del lato ortogonale ad a)3 12

Conoscendo i momenti d’inerzia delle regioni elementari rispetto agli assi centrali e principali d’inerzia di queste ultime, si possono ricavare quelli della sezione complessiva richiamando il teorema degli assi paralleli o di Huygens-Steiner. Questo consente di calcolare i momenti Per simmetria, per ogni elemento d’area dA all’ascissa x0 pesato con un raggio vettore +y¯0 ce n’`e uno pesato con raggio vettore −y¯0 e quindi Ix0 y0 = 0. 14 Si pu` o dimostrare, infatti, che gli operatori simmetrici reali hanno base principale ortonormale. 13

88

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

d’inerzia di una figura di area A rispetto ad assi r0 , s0 paralleli rispettivamente ad assi r, s che passano per il centro d’area della figura Ir0 = Ir + A|rr0 |2 ,

Is0 = Is + A|ss0 |2 ,

Ir0 s0 = Ir + A|rr0 ||ss0 |

con |rr0 |, |ss0 | le distanze con segno tra r e r0 e s e s0 , rispettivamente. Qui si ha, allora,    24 1003 102 303 2 2 Iy = + (102 30)21, 37 + 2 + (24 100)13, 63 mm4 = 6.52 106 mm4 12 12 e possiamo trovare i valori di tensione nei punti dati tramite la (5.29):

5.3.2

σz,C =

My 15 106 Nmm xC = (−36.37 mm) = −83.65 MPa, Iy 6.52 106 mm4

σz,D =

15 106 Nmm My xD = 63.63 mm = 146.51 MPa, Iy 6.52 106 mm4

σz,E =

15 106 Nmm My (−6.37 mm) = −14.65 MPa . xE = Iy 6.52 106 mm4

Flessione deviata

Se κ0 non `e parallelo ad alcun asse principale d’inerzia si ha flessione deviata, figura 5.13. Il momento m `e ortogonale a un piano detto di sollecitazione e la traccia di tale piano sulla sezione `e detto asse di sollecitazione s, passante per il centro d’area G. La flessione deviata `e

Figura 5.13: Flessione deviata. la sovrapposizione di due flessioni rette dovute ai momenti Mx = kmk cos γ,

My = kmk sin γ

(5.31)

per cui dalla (5.29) si ricava l’espressione della tensione normale e l’equazione dell’asse neutro   cos γ sin γ My Ix %2 σz = kmk y− x , σz = 0 ⇒ y = x = tan γ x2 x (5.32) Ix Iy Mx Iy %y in cui sono stati introdotti i raggi giratori d’inerzia rispetto agli assi principali d’inerzia Ix = A%2x ,

Iy = A%2y

5.3. FLESSIONE UNIFORME

89

per mezzo dei quali si scrive l’equazione dell’ellisse centrale d’inerzia x2 y 2 + =1 %2y %2x che descrive, come il tensore d’inerzia, il variare dei momenti d’inerzia della sezione con il sistema di coordinate:15 per approfondimenti maggiori, si rimanda a testi di Meccanica razionale. L’asse neutro n passa per il centro d’area e lo si pu`o determinare graficamente tramite l’ellisse centrale d’inerzia. Se `e noto m, infatti, lo `e anche l’asse di sollecitazione s, d’equazione s≡y=−

1 x tan γ

che interseca l’ellisse centrale d’inerzia in due punti. Se uno di questi `e P ≡ (¯ x, y¯), la retta tangente l’ellisse in P ha equazione x¯ x y y¯ %2x %2x x¯ %2x %2x − + tan γ + = 1 ⇒ y = x = x %2y %2x y¯ y¯ %2y y¯ %2y ed `e quindi parallela a n, cfr. (5.32), per cui vale la costruzione illustrata nella figura 5.14.

Figura 5.14: Determinazione grafica dell’asse neutro in una flessione deviata. In una flessione retta l’angolo tra s e n `e retto, come mostrato nel punto precedente; in una flessione deviata tale angolo devia, per l’appunto, da uno retto come illustrato nella figura 5.14. Esempio 5.4 Trovare l’equazione dell’asse neutro per il problema illustrato nella figura 5.15. La sezione presenta due assi di simmetria, per cui sono univocamente identificati il centro dell’area e gli assi centrali e principali d’inerzia. L’asse di sollecitazione ha equazione s≡y=

h x = (tan ψ)x b

e il vettore coppia ha dunque componenti Mx = −M cos γ, 15

My = M sin γ,

γ=

π b − ψ = arctan 2 h

Si ha, infatti, corrispondenza biunivoca tra operatori lineari simmetrici e: curve del secondo ordine (coniche) in spazio ambiente bidimensionale; superfici del secondo ordine (quadriche) in spazio ambiente tridimensionale.

90

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 5.15: Esempio 5.4. Applicando la (5.29) e imponendo che le tensioni siano nulle si trova l’asse neutro:  2 h 12M cos γ 12M sin γ h (tan γ)x = − x σz = − y− x=0⇒y=− 3 3 bh bh b b Esempio 5.5 Trovare la tensione in A, B, C per il problema della figura 5.16, con dati !

!

Figura 5.16: Esempio 5.5. M = 9 kNm,

AB = 120 mm,

BD = 60 mm,

A0 B 0 = 100 mm,

B 0 D0 = 40 mm

La sezione ha due assi di simmetria, per cui sono univocamente identificati il centro dell’area e gli assi centrali e principali d’inerzia. Si determinano prima le componenti della coppia flettente Mx = −M sin α ≈ −2329 Nm,

My = M cos α ≈ 8693 Nm,

poi si pu`o vedere la sezione come differenza tra un rettangolo esterno (‘pieno’) ABDE e uno interno A0 B 0 D0 E 0 (‘vuoto’), per sfruttare l’additivit`a dei momenti d’inerzia: Ix =

120 603 − 100 403 ≈ 1.62 106 mm4 , 12

Iy =

1203 60 − 1003 40 ≈ 5.31 106 mm4 12

5.3. FLESSIONE UNIFORME

91

Applicando la (5.29) si ricava dunque σz = −

2329 103 Nmm 8693 103 Nmm y − x = −1.44 Nmm−3 y − 1.64 Nmm−3 x 1.62 106 mm4 5.31 106 mm4

σz,A = σz (−60, 30) = 55.2 MPa, σz,B = σz (60, 30) = −141.6 MPa, σz,A = σz (0, 20) = −28.8 MPa

5.3.3

Estensione e flessione uniforme (trazione eccentrica)

Se 0 6= 0, κ0 6= 0, si ha estensione con flessione uniforme e sulle basi di C la sollecitazione `e staticamente equivalente a una forza normale N applicata al centro d’area G e a una coppia flettente m. Queste a loro volta sono equivalenti a N applicata in un posto C ≡ (xC , yC ) del piano di sezione (centro di sollecitazione), eccentrico di e rispetto a G e tale che q −→ (5.33) m = GC × N k, (m) = (yC N, −xC N ) , kmk = eN, e = x2C + yC2 In letteratura si parla anche di trazione eccentrica; per la congettura di Saint Venant, nei

Figura 5.17: Estensione e flessione uniforme. cilindri caricati in maniera staticamente equivalente a questa sulle basi, a distanza sufficiente da queste si ha lo stesso stato di tensione normale σz . Esso `e uniforme lungo l’asse e si esprime sovrapponendo le (5.17), (5.29), scritte in un sistema di coordinate centrale e principale d’inerzia

Figura 5.18: Stato di tensione nella trazione eccentrica.

92

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT σz =

N Mx My + y− x A Ix Iy

(5.34)

La (5.34) `e chiamata in letteratura formula trinomia di Navier ; i contributi dei suoi tre addendi, una forza normale centrata e due flessioni rette, sono mostrati nella figura 5.18. La (5.34) `e lineare nelle coordinate x, y, σz , quindi le punte dei vettori tensione giacciono su un piano. La sua intersezione col piano di sezione `e l’asse neutro, luogo dei punti ove σz = 0: σz =

yC N xC N y c y xc x N x y + y+ x = 0 ⇒ 1 + 2 + 2 = 0 ⇒ %2 + %2 = 1 A Ix Iy %x %y − yCx − xCy

(5.35)

usando ancora i giratori d’inerzia; la (5.35)3 `e in forma segmentaria e −%2y /xC , −%2y /xC sono le intercette dell’asse neutro con gli assi x, y rispettivamente, figura 5.19.

Figura 5.19: Asse neutro nella trazione eccentrica - forma segmentaria. La forma della (5.35) suggerisce un legame del centro di sollecitazione C con l’ellisse centrale d’inerzia, detto relazione di antipolarit`a, che permette una costruzione grafica per la determinazione dell’asse neutro per cui si rimanda ai testi specializzati. Nocciolo centrale d’inerzia Si chiama nocciolo centrale d’inerzia il luogo dei centri di sollecitazione C tali che l’asse neutro corrispondente non intersechi la sezione. Prendendo per esempio la sezione della figura 5.20 a sinistra e supponendo che su di essa agisca una forza normale P , l’asse neutro relativo a questa trazione eccentrica `e descritto dall’equazione 1+

y c y xc x + 2 = 0, %2x %y

%2x =

Ix bh3 = , A 12bh

%2y =

Iy b3 h 12yc y 12xc x = ⇒1+ + =0 A 12bh h2 b2

Poich´e si richiede che l’asse neutro si trovi all’esterno della sezione, dev’essere b 2b2 b x ≥ , y = 0 ⇒ xC ≤ = , 2 12b 6 y≥

b 2b2 b x ≤ − , y = 0 ⇒ xC ≥ − =− 2 12b 6

h 6h2 h h 6h2 h , x = 0 ⇒ yC ≤ = , y ≤ − , x = 0 ⇒ yC ≥ − =− 6 12h 6 6 12h 6

5.3. FLESSIONE UNIFORME

93

Figura 5.20: Nocciolo centrale d’inerzia. e queste relazioni identificano il nocciolo centrale d’inerzia nella figura p 5.20 a sinistra. Nel caso di una sezione circolare, figura 5.20 al centro, %x = %y = πR4 /4πR2 = R/2 e per simmetria polare il nocciolo `e costituito dal cerchio di raggio R/4. Nel caso della figura 5.20 a destra, il nocciolo centrale d’inerzia ha tanti vertici quante sono le tangenti esterne alla figura: in questo caso si avr`a un esagono. Esempio 5.6 Trovare il carico massimo P applicabile al centro di figura delle basi dell’elemento nella figura 5.21, con dati a = 30 mm,

d = 20 mm,

σamm = 56 MPa .

Figura 5.21: Esempio 5.6. Lo stato di sollecitazione nelle sezioni intermedie, le pi` u sollecitate, `e G0 G

a−d = , 2

P Mx = (a − d), 2

  6 (a − d) P 12P (a − d) P σz = + y= 1+ y , ad 2ad3 ad d2

l’asse neutro ha equazione y=−

d2 = −6.7 6 (a − d)

94

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

e i valori massimi di tensione si attingono nei punti pi` u lontani dall’asse neutro, σmax ≥ σz (0, 10) ⇒ P ≤ 13440 N,

σmax ≥ |σz (0, −10)| ⇒ P ≤ 67200 N

da cui il valore pi` u restrittivo sul carico, P = 13440 N. Esempio 5.7 Trovare il carico massimo P applicabile in C nella figura 5.22, con dati a = 20 mm,

b = 60 mm,

σamm = 75 MPa .

Figura 5.22: Esempio 5.7.

!

L’asse η ≡ y `e di simmetria, quindi centrale e principale d’inerzia, e tutti gli assi ad esso ortogonali saranno principali d’inerzia. Per trovare la posizione del centro d’area G su y, si fissa un asse ausiliario ξ e rispetto ad esso si calcola il momento statico della sezione, sfruttando l’additivit`a di quest’ultimo  a a sξ = AηG = A1 ηG1 + A2 ηG2 = ba + b(b + 2a) a + ⇒ ηG = 22.5 mm 2 2 Il centro di sollecitazione C ha quindi coordinate (20; −2, 5) e le caratteristiche di sollecitazione e d’inerzia per la sezione sono, sfruttando il teorema degli assi paralleli, Mx = yC P = −2.5P Nmm,

My = −xC P = −20 Nmm,

Ix = IxG1 + A1 (ηG − ηG1 )2 + IxG2 + A2 (ηG2 − ηG )2 = (b + 2a)a3 ba3 2 + ba(30 − 22.5) + + (b + 2a)a(22.5 − 10)2 = 4.067 105 mm4 , = 12 12 ab3 a(b + 2a)3 + = 2.027 106 mm4 , 12 12 Ix Iy %2x = = 127.083 mm2 , %2y = = 633.333 mm2 A A

Iy = IyG1 + IyG2 =

5.4. TORSIONE

95

Si pu`o cos`ı scrivere la formula trinomia di Navier (5.34), (5.35)   P yc y xc x P  x y  σz = 1+ 2 + 2 = 1+ − A %x %y 3200 31.667 50.833 da cui si ricava l’espressione dell’asse neutro in forma segmentaria, tracciato nella figura 5.22. Il punto pi` u sollecitato `e il pi` u lontano dall’asse neutro, per cui   P 50 2.5 σamm ≥ σz (50, −2.5) = 1+ + ⇒ P ≤ 91.320 kN 3200 31.667 50.833

5.4

Torsione

Se consideriamo l’effetto solo di ϕ1 , per le (5.8), (5.14) si ha, fissando l’origine, z = 0,

x = y = −νz = 0,

up = zϕ1 k × r,

w=$

(5.36)

cio`e: a) l’allungamento specifico e la conseguente contrazione laterale sono identicamente nulli; b) la parte piana di spostamento `e una (micro-)rotazione d’intensit`a zϕ1 k uniforme in tutta S: ogni sezione ruota quindi rigidamente rispetto alla base di zϕ1 attorno a un asse parallelo a z.16 Questo stato di deformazione `e detto torsione (uniforme) 17 e ϕ1 `e l’incurvamento torsionale del cilindro, chiamato χz nella teoria monodimensionale dei corpi traviformi; c) la parte assiale di spostamento non `e rigida, essendo l’integrale di un gradiente generico, `e detta ingobbamento e descrive come la sezione ‘esce’ dal piano. La situazione `e mostrata nella figura 5.23.

Figura 5.23: Torsione. Il problema (5.13) per lo scorrimento angolare e la tensione tangenziale ∂σz =0 in S divp τ + ∂z τ ·n=0

in ∂S

rotp τ = 2Gϕ1 k in S I (τ · l) ds = 2GAΛ ϕ1 ∀Λ ∈ S ∂Λ 16 17

C’`e un centro di rotazione privilegiato, detto centro di taglio-torsione, di cui si discuter`a oltre. Esistono casi di torsione non uniforme, non descritti dalla soluzione del problema di Saint Venant.

(5.37)

96

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

descrive un campo solenoidale a vorticit`a assegnata 18 e si trasforma in un problema armonico o per una funzione di corrente o per uno pseudo-potenziale con condizioni al contorno date o sulla derivata normale della funzione di corrente (approccio alla Dini-Neumann) o sulla derivata tangenziale dello pseudo-potenziale (approccio alla Dirichlet). L’approccio alla Dirichlet si basa sull’osservazione che dalle (5.37)1,2 si ricava Z I I I 0= divp tdA = (t · n) ds = [(k × t) · (k × n)] dl = [(k × t) · l] ds R ∂R ∂R ∂R I I I 0= (t · n) ds = [(k × t) · (k × n)] dl = [(k × t) · l] ds ∂Λ

∂Λ

∂Λ

per ogni regione R circondata da un percorso chiuso ∂R e per ogni lacuna Λ presente eventualmente in R. La circolazione di k × t attorno alle lacune non porta quindi contributo alla circolazione dello stesso campo attorno a un qualsivoglia altro cammino chiuso, il che significa che k × t `e il gradiente di un campo scalare, detto in letteratura funzione di Prandtl   ∂ψ ∂ψ ,− (5.38) k × t = Gϕ1 gradψ ⇒ t = −Gϕ1 k × gradψ, (t) = Gϕ1 ∂y ∂x In termini della funzione di Prandtl il problema di campo (5.37)2−4 diventa dunque:19 ∆ψ = −2

in S (5.39)

 gradp ψ · l = 0 in ∂S I  gradp ψ · n ds = −2AΛ ∀Λ ∈ S ∂Λ

con ∆ l’operatore differenziale di Laplace. Lo pseudo-potenziale ψ `e soluzione dell’equazione di Poisson con dato uniforme sui tratti regolari del bordo di S e condizione integrale di compatibilit`a sui bordi di eventuali lacune; per approfondimenti, si rimanda a testi specializzati. La distribuzione di sollecitazioni alle basi che mantengono la deformazione di torsione `e σz = 0,

τ = −Gϕ1 k × gradψ,

(5.40)

staticamente equivalente a Z Z Mz k = [r × (−Gϕ1 k × gradψ)] dA ⇒ Mz = 2Gϕ1 ψdA S

(5.41)

S

cio`e alla sola componente di momento parallela all’asse del cilindro, detta perci`o torcente, proporzionale al volume sotteso dal grafico della funzione di Prandtl sulla sezione; il termine che moltiplica l’incurvamento torsionale ϕ1 `e la rigidezza a torsione D di un elemento di cilindro, introdotta nelle (2.16).20 La rigidezza a torsione di tutto il cilindro `e ∆ϕ = lϕ1 = 18

Mz l Mz l Mz D R = ⇒ = D ∆ϕ l 2G S ψdA

L’analogia con le equazioni di campo di un flusso a vortice uniforme in un contenitore a pareti isolate `e immediata, ma le (5.37) caratterizzano anche altri fenomeni fisici. 19 La prova si lascia per esercizio. 20 La prova della (5.41) si lascia per esercizio: occorre integrare per parti, tenendo presente che div(αa = gradα · a + αdiva per ogni campo scalare α e vettoriale a. Si prova in questo modo che l’integrale va esteso alle sezione includendo le lacune eventuali.

5.4. TORSIONE

97

Per la congettura di Saint Venant, in tutti i cilindri sollecitati in maniera staticamente equivalente, a distanza sufficiente dalle basi si ritrova la stesso stato di tensione-deformazione. Le (5.37), (5.39), a meno di una costante additiva inessenziale, ammettono sempre soluzione, ma questa ha forma chiusa solo in pochissimi casi. Di questi il pi` u significativo per le applicazioni riguarda la sezione circolare, per la quale si verifica facilmente che τ = Gϕk × r,

γ = ϕk × r =

∂up ⇒ gradp w = 0 ⇒ $ = 0 ∂z

(5.42)

cio`e nei cilindri a sezione circolare sottoposti a torsione la tensione tangenziale `e lineare nella posizione rispetto al centro, figura 5.24 a sinistra, l’ingobbamento `e identicamente nullo e le sezioni rimangono piane. Le sollecitazioni locali e globali sono σz = 0,

τ = Gϕ1 κ × r,

Mz = GIz ϕ1

(5.43)

in cui Iz = Ix + Iy = πR4 /2 `e il momento d’inerzia polare della sezione, con R raggio della

Figura 5.24: Torsione di sezioni circolari. sezione. Le (5.40) valgono anche per sezioni a corona circolare, poich´e per linearit`a le propriet`a meccaniche si ottengono sottraendo dal cilindro ‘pieno’ le quantit`a relative al cilindro ‘vuoto’. A questi stessi risultati si giunge con una rappresentazione semplice del fenomeno meccanico, figura 5.24 a destra. Se tutte le direttrici scorrono di γ rispetto alla configurazione iniziale, i loro estremi sono in comune con un raggio qualunque della sezione che avr`a ruotato di dθ rispetto alla configurazione iniziale. Si pu`o scrivere allora γdz = dθr ⇒

dθ r = ϕ1 r ⇒ τ = Gϕ1 r dz

e per l’assialsimmetria della sezione tutti i raggi si comportano nello stesso modo e la sezione rimane piana; si `e ritrovata la soluzione (5.43). Esempio 5.8 Si trovi la rigidezza torsionale globale di un cilindro composto di due tratti di lunghezze l1 , l2 rispettivamente, il primo con sezione circolare piena di raggio R1 , il secondo con sezione a corona circolare di raggi R2e , R2i rispettivamente.

98

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Se sottoposto a una coppia torcente uniforme Mz , per la (5.43)3 i due tratti del cilindro subiranno le rotazioni relative tra le loro estremit`a ∆θ1 =

2Mz l1 , GπR14

∆θ2 =

2Mz l2 4 4 − R2i ) Gπ (R2e

e, poich´e la rotazione relativa tra le basi del cilindro `e la somma dei contributi dei due tratti,   4 4 ) − R2i Mz 2Mz l1 l2 Gπ R14 (R2e ⇒ D = ∆θ = ∆θ1 + ∆θ2 = + = tot 4 4 4 4 4 Gπ R1 (R2e − R2i ) ∆θ 2 (R2e − R2i ) l1 + R14 l2 Esempio 5.9 Un motore elettrico esercita una coppia torcente di 2.4 kNm sull’albero a sezione circolare AB, soggetto ai momenti torcenti resistenti, espressi in KNm, riportati nella figura 5.25. Si calcoli la tensione tangenziale massima nell’albero se questo `e composto di quattro tratti di diametro dAB = 54 mm,

dBC = dCD = 46 mm,

dDE = 40 mm

Il sistema `e staticamente determinato per il momento torcente; dal bilancio dei singoli tratti

Figura 5.25: Esempio 5.9.

Mz,AB = MA = 2.4 kNm,

Mz,BC = −MB + MA = 1.2 kNm,

Mz,CD = −MC + MB = 0.4 kNm,

Mz,DE = −MD + MC = 0 kNm

Possiamo valutare allora le tensioni in ciascun tratto utilizzando la (5.43): τmax,AB = 77.2 MPa,

τmax,BC = 68.8 MPa,

τmax,CD = 20.9 MPa,

τmax,DE = 0 MPa

Il tratto pi` u sollecitato `e AB; se, per ridurre la massa, si vuole ridurre il diametro di BC, determiniamo qual `e il suo valore minimo affinch´e la massima tensione dell’albero non aumenti rispetto a quella appena calcolata. Imponiamo dunque:  τmax,BC = τmax,AB = 77, 2 MPa ⇒ dBC,min = 2

2Mz,BC πτmax,BC

 13 ≈ 43 mm

avendo usato nuovamente la (5.43). Infine, note le lunghezze dei vari tratti, si possono calcolare le rotazioni di ciascuna sezione: X X θE = ∆θi = Mz,i li GIz,i

5.4. TORSIONE

99

Esempio 5.10 Nel sistema della figura 5.26 viene applicata una coppia torcente pari a 50 Nm in A. I due alberi, a sezione circolare, sono fissi in B e D e collegati tra loro tramite ruote dentate di raggi R1 , R2 rispettivamente. Sia G = 77 MPa per entrambi gli alberi e d1 = 15 mm e d2 = 12 mm i diametri rispettivamente di AB e CD. Si calcolino le sollecitazioni tangenziali negli alberi e gli angoli di rotazione in E ed H. Il sistema `e staticamente indeterminato rispetto

Figura 5.26: Esempio 5.10. alle azioni torcenti: vi sono tre coppie incognite, le reazioni in B e D e la coppia scambiata tra le ruote dentate, e due sole equazioni di bilancio meccanico indipendenti.21 Se M1 , M2 sono le reazioni esplicate dagli incastri in B e D rispettivamente, il bilancio di un albero e quello relativo alle ruote dentate si scrivono M1 + M3 = 50,

M3 = F R1 ,

M2 = F R1

Per trovare la forza F che le ruote si scambiano, bisogna aggiungere al bilancio meccanico le equazioni di legame elastico e la compatibilit`a cinematica. Si impone dunque che gli alberi si deformino con rotazioni torsionali elastiche e che le due ruote rotolino senza strisciare l’una sull’altra. Lo spostamento infinitesimo del punto di contatto deve allora essere uguale se appartenente all’una o all’altra ruota, e dalle (5.43) θ1 R1 = θ2 R2 ,

θ1 = ∆θEB =

Mz,EB lEB , GIz,EB

θ2 = ∆θHD =

Mz,HD lHD GIz,HD

conducendo a un sistema algebrico di 3 equazioni nelle 3 incognite M1 , M2 , F , che ha soluzione 22 M2 = 15.99 Nm,

M1 = 26.02 Nm,

M3 = 23.98 Nm

Si osservi che la redistribuzione dei momenti dipende da due fattori: a) l’albero con il diametro maggiore ha rigidezza a torsione maggiore e tende a farsi carico di una quota parte maggiore del momento esterno applicato; b) il momento si redistribuisce anche in base al rapporto di trasmissione tra la coppia di ruote dentate: l’albero con la ruota dentata di raggio maggiore sopporta un momento maggiore rispetto all’altro (la forza di contatto `e la stessa). Se dunque le due ruote dentate avessero avuto lo stesso diametro, M3 = M2 = 14.53 Nm e M1 = 35.46 Nm. Se invece i due alberi fossero stati dello stesso diametro la proporzione tra i momenti d’incastro sarebbe dipesa solo dal rapporto di trasmissione delle ruote. 21

Come per tutte le strutture composte, infatti, il bilancio di tutti gli elementi implica il bilancio globale. In questo caso, ci sono un’equazione per ogni albero o, indifferentemente, il bilancio di un albero e quello relativo. 22 Gli stessi risultati si possono ottenere, ovviamente, usando il metodo delle forze introdotto per le travature monodimensionali.

100

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Dalle (5.43) troviamo le tensioni massime e gli angoli di rotazione (in radianti) nei due alberi M d21 τmax,AB = 4 = 75.45 MPa, π d21 M1 l θE = ∆ΘEB = = 0.0068, GIz1

5.4.1

M2 d22 τmax,CD = 4 = 23.56 MPa π d22 M2 l θH = ∆ΘHB = = 0.0102 GIz2

Sezioni di spessore sottile

Una soluzione chiusa e compatta come la (5.43) si trova per sezioni ellittiche, con poco interesse pratico. Esistono soluzioni esatte espresse come serie di Fourier di infiniti termini per le sezioni quadrate, rettangolari e a triangolo equilatero, trovate separando le variabili del laplaciano e proiettando nella base di autofunzioni di Fourier del problema bidimensionale (5.37). Queste soluzioni non saranno affrontate qui perch´e laboriose e, a causa della loro complicazione formale, poco utili all’identificazione della grandezze di effettiva influenza nella fenomenologia della torsione. La loro scrittura si trova in numerosi manuali. Dal punto di vista delle applicazioni, occorrono espressioni qualitative dei campi di interesse, anche approssimate. Nel seguito si vedranno quelle per le cosiddette sezioni sottili, ottenute come prodotto cartesiano di un tratto L di curva piana (linea media) e di segmenti a essa in ogni punto ortogonali (spessori ); la lunghezza degli spessori, ancorch`e variabile con regolarit`a sufficiente con l’ascissa ξ lungo L, `e piccola rispetto la lunghezza l della linea media. Poich´e le linee di flusso della tensione tangenziale non possono uscire dal contorno della sezione, devono correre pressoch´e parallelamente alla linea media nella maggior parte della sezione. Questo implica che esiste una componente dominante τzξ del vettore τ , parallela alla linea media. L’altra, infatti, non potendo esistere sul bordo della sezione perch´e nulla pu`o uscire da questa, avr`a sviluppo affatto trascurabile lungo lo spessore per la sottigliezza di quest’ultimo. La trattazione approssimata e qualitativa delle sezioni sottili si basa su queste ipotesi; tuttavia, si hanno soluzioni qualitativamente assai diverse a seconda delle qualit`a topologiche di L. Sezioni sottili aperte Se la linea media ha inizio e fine la sezione sottile si dice aperta e il suo prototipo `e il rettangolo sottile a spessore uniforme, figura 5.27.

Figura 5.27: Torsione di sezioni rettangolari sottili. Per la sottigliezza di s e per la propriet`a delle linee di flusso di tensione di chiudersi all’interno di S, si pu`o affermare che la distribuzione della componente dominante di tensione tangenziale `e lineare attorno alla linea media, cio`e che lo pseudo-potenziale ψ ha un andamento parabolico per ogni corda parallela allo spessore, ψ = a1 (a2 + a3 x + x2 ). Trascurando gli effetti ai lati

5.4. TORSIONE

101

“corti”, dalle (5.39) si ha, ponendo senza restrizione di generalit`a ψ = 0 sul contorno,23   s 2  2 ψ|∂S = 0 ⇒ ψ = a1 x − , ∆ψ = 2a1 = −2 ⇒ a1 = −1, 2 (5.44) Z ls3 ∂ψ Mz Mz = 2Gϕ1 ψdA = Gϕ1 = GIt ϕ1 , τzy = −Gϕ1 = 2Gϕ1 x = 2 x 3 ∂x It S ove It , che del momento d’inerzia ha le dimensioni fisiche ma non le propriet`a, `e detta convenzionalmente inerzia di torsione. Per le (5.44), in una sezione sottile aperta sottoposta a torsione la componente dominante di τ attinge valore nullo sulla linea media e massimo al bordo Mz s τzy,max = It e la rigidezza torsionale `e dominata dalla presenza del termine cubico nello spessore, che, poich´e s  l, fa s`ı che le sezioni sottili aperte non siano adatte a sopportare momenti torcenti. Nel caso lo spessore vari lungo la sezione, nel calcolo della τzy,max `e lecito utilizzare un unico valore scelto tra lo spessore minimo e quello massimo. Infatti l’errore che si introduce in questo modo `e dell’ordine di (smax − smin )3 , che `e molto minore dell’approssimazione generale. Se la sezione `e composta di i = 1, 2, . . . N rettangoli sottili, per ciascuno di essi, trascurando gli effetti dei bordi, si possono scrivere le (5.44). Poich´e la sezione ruota rigidamente nel suo insieme, si ha che ϕi1 = ϕ1 e, nell’ipotesi che il materiale sia lo stesso per tutti i tratti, Mz =

N X i=1

Mzi =

N X i=1

Gi ϕ1i Iti = Gϕ1

N X li s3 i

i=1

3

= Gϕ1 It,tot ⇒ τzξ,max =

Mz si,max It

(5.45)

Per la (5.45) la rigidezza torsionale totale `e somma delle rigidezze dei tratti. Nelle verifiche va quindi controllato il tratto di spessore massimo poich´e ivi si attingeranno le tensioni massime.

Figura 5.28: Addensamenti di tensione nelle sezioni sottili. Si pu`o provare che questi risultati valgono anche per sezioni sottili a profilo curvo assumendo l la lunghezza della linea media. Inoltre, cos`ı come ai bordi, anche negli spigoli la soluzione approssimata di Kelvin-Popov non `e corretta e ivi si assiste a una notevole concentrazione delle tensioni. Nella figura 5.28 si ha un esempio: in A le linee di flusso si addensano e la tensione massima cresce per effetto dello spigolo. Nella pratica `e usuale allora smussare o raccordare lo spigolo vivo. Viceversa, nel punto B si ha una zona di ristagno e tale zona `e poco sollecitata. Sezioni sottili chiuse Se la linea media non ha inizio e fine la sezione sottile si dice chiusa e il suo prototipo `e il tubolare sottile a spessore uniforme, figura 5.29. 23

Le formule per la torsione delle sezioni aperte sottili sono attribuite a Kelvin e Popov.

102

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 5.29: Torsione di sezioni tubolari sottili. Per la sottigliezza di s e per la propriet`a delle linee di flusso di tensione di chiudersi all’interno di S, si pu`o affermare che la distribuzione della componente dominante di tensione tangenziale `e uniforme sullo spessore, cio`e che lo pseudo-potenziale ψ ha un andamento lineare per ogni corda parallela allo spessore. Fissata una ascissa curvilinea ξ lungo la linea media della sezione, per un tratto finito S ∗ di tubolare le (5.37)1,2 comportano Z Z 0= divp τ dA = τ · ndl = −¯ τzξ (ξ1 )s(ξ1 ) + τ¯zξ (ξ2 )s(ξ2 ) ⇒ τ¯zξ s = q = uniforme (5.46) S∗

∂S ∗

e la costante di flusso q si determina tramite l’equivalenza statica col momento torcente esterno: I I Z (5.47) r × τ¯zξ (ξ)lL s(ξ)dξ = q r × lL dξ = 2Ωqk r × τ dA = Mz k = S

L

L

in cui lL `e il versore tangente alla linea media in ogni punto di essa e Ω `e l’area racchiusa dalla linea media; si `e usata la (5.46).24 In realt`a, poich´e lo spessore `e sottile, non si commette un grosso errore se a Ω si sostituisce l’area della lacuna o l’area racchiusa dal contorno esterno del tubolare. La (5.47) `e nota come prima formula di Bredt. Essendo presente una lacuna, si usa l’equazione di compatibilit`a in forma integrale (5.37)4 : I I I I 1 τ¯zξ dξ = q 2GAΛ ϕ1 = (τ · l) ds ≈ (τ · l) dξ = dξ L L L s(ξ) ∂Λ I (5.48) Mz 1 4Ω 2 H ⇒ dξ = 2GAΛ ϕ1 ≈ 2GΩϕ1 ⇒ Mz = Gϕ1 1 2Ω L s(ξ) dξ L s(ξ) in cui si `e sfruttata la piccolezza dell’area racchiusa tra linea media e lacuna e le (5.46), (5.47). La (5.48) fornisce la rigidezza del tubolare sottile ed `e detta seconda formula di Bredt.25 24

Il modulo del prodotto vettore di due vettori `e l’area del parallelogramma costruito su questi, per cui localmente il modulo di r × lL equivale a due volte l’area racchiusa dal triangolo di cateti proprio r e lL . 25 La (5.48) si pu` o provare anche con l’equazione dei lavori virtuali e le (5.46), (5.47). Facendo agire virtualmente su un tronco di lunghezza dz il momento virtuale Mz∗ si ha Z z Z I I q∗ q M ∗ Mz 1 Mz∗ ϕ1 dz = dz τ ∗ · γdA = dz s(ξ)dξ = dz z dξ 2Ω 2GΩ L s(ξ) 0 S L s(ξ) Gs(ξ) da cui si ricava, per l’arbitrariet` a del momento virtuale, nuovamente la seconda formula di Bredt. Questo non deve stupire: si `e infatti gi` a fatto osservare a proposito della formula di campionamento di componenti di spostamento (3.7) che l’equazione dei lavori virtuali pi` u quelle di bilancio meccanico (delle azioni virtuali) implicano quelle di compatibilit` a cinematica, e tale `e il significato della (5.48).

5.4. TORSIONE

103

Notiamo che le (5.47), (5.48) generalizzano le (5.43) per sezioni circolari cave di raggi esterno e interno Re , Ri rispettivamente e spessore uniforme s. Se scriviamo le (5.43) nella forma ¯ = Re + Ri , R 2

τ¯ =

Mz ¯ R, Iz

s = Re − Ri

si riottengono facilmente le formule di Bredt π π 4 (Re − Ri4 ) = (Re2 + Ri2 ± 2Re Ri )(Re2 − Ri2 ) = 2 2 h   i π ¯ = ¯+s R ¯ − s 2Rs = (Re + Ri )2 − 2 R 2 2 2   s2 ¯ 2 2 ¯ ¯ ¯ ⇒ τ¯ = Mz R ¯ = Mz = π 4R − 2R − Rs ≈ 2Ω Rs 2 Iz 2Ωs 2 ¯ 4Ωπ Rs 4Ω Mz = GIz ϕ1 ≈ 2(Gϕ1 )Ωs = Gϕ1 ≈ Gϕ1 H dl ¯ 2π R Iz =

∂Λ s

avendo trascurato termini di ordine s2 per la piccolezza dello spessore rispetto al raggio medio. Esempio 5.11 Consideriamo due sezioni sottili con linea media lungo una circonferenza di pari raggio R, una chiusa e una aperta, di pari spessore s e sottoposte allo stesso momento torcente Mz . Dalle (5.44), (5.47) si ricavano le espressioni delle tensioni massime sopportate

Figura 5.30: Esempio 5.11.

aperta τmax =

Mz s 3Mz = , 1 3 2πRs2 2πRs 3

chiusa τmax =

Mz Mz = , 2Ωs 2πR2 s

chiusa τmax Mz 2πRs2 s = = 1 aperta 2 2πR s 3Mz 3R τmax

e dalle (5.44), (5.48) si ricavano le rigidezze a torsione Itchiusa

3

= 2GπR s,

Itaperta

2GπRs3 = , 3

Itchiusa =3 Itaperta

 2 R 1 s

Dunque la tensione tangenziale massima in una sezione chiusa, a parit`a di tutte le altre condizioni, `e molto pi` u piccola di quella in una sezione aperta. Questo accade perch´e, a parit`a di

104

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

sollecitazione esterna, nella sezione chiusa la tensione tangenziale dispone di un braccio maggiore, quindi per esercitare lo stesso momento il suo modulo `e pi` u piccolo. Per tale motivo i profilati aperti soffrono enormemente la sollecitazione di torsione e il loro utilizzo va evitato quando questa sia presente. Un esempio comune `e quello dei telai automobilistici. Automobili coup´e hanno un telaio che globalmente costituisce un profilo chiuso e dunque resiste efficacemente a torsione. Invece automobili cabriolet presentano necessariamente un telaio a sezione aperta e dunque soffrono fortemente la sollecitazione di torsione che si presenta in percorrenza di curva, per esempio per la coppia generata dalla forza centrifuga pensata applicata al baricentro e l’attrito tra gli pneumatici ed il manto stradale. Per tale motivo non deve sorprendere che uno stesso modello di vettura media (circa 1.1-1.4 tonnellate) pesi anche 50-120 kg in pi` u nella versione cabrio proprio in ragione della necessit`a di dover irrigidire il telaio a torsione. Sezioni sottili composte Sono le sezioni unione di pi` u tratti regolari di linea media, alcuni a formare uno o pi` u circuiti chiusi, come nella figura 5.31, che comprende otto tratti regolari. Poich´e nella torsione le linee di flusso della tensione tangenziale sono sempre chiuse attorno a

Figura 5.31: Torsione di sezioni sottili composte. L, nella sezione in oggetto si osservano quattro tratti in cui le linee di flusso cambiano verso attorno alla linea media e altri quattro, che concorrono a formare un circuito chiuso, in cui le linee di flusso hanno le stesso verso attorno alla linea media. I primi quattro si comportano cio`e come sezioni sottili aperte, il circuito formato dagli altri quattro come un tubolare sottile. Un momento torcente Mz sar`a sopportato sia dai tratti aperti sia dal tubolare chiuso: Mz = Mza + Mzc = 4Mza,i + Mzc = 4Da χaz + Dc χcz

(5.49)

ove gli apici a, c indicano i tratti aperti (equivalenti in questo caso) e il tubolare rispettivamente; si `e sostituito χz a ϕ1 poich´e i due simboli hanno lo stesso significato d’incurvamento torsionale. Se la sezione ruota rigidamente, χaz = χcz e dalle (5.44), (5.48), (5.49) si ricava ! 3 4  4a as a (2s) + 4a = Gχz 32s2 + 3a2 (5.50) Mz = (4Da + Dc ) χz = Dtot χz = Gχz 4 3 3 s Poich´e a  s (sezione sottile), il contributo di rigidezza torsionale della parte chiusa `e molto pi` u elevato di quello delle quattro parti aperte, bench´e queste ultime abbiano spessore maggiore della prima. Dalla (5.50) si ricavano i momenti torcenti parziali: Dtot = G

 as 32s2 + 3a2 , 3

Gχz =

Mz , Dtot

Mza =

Da Mz , Dtot

Mzc =

Dc Mz Dtot

(5.51)

5.4. TORSIONE

105

Siccome la parte chiusa `e molto pi` u rigida dell’unione delle parti aperte, essa sopporta il contributo maggiore di Mz . Se, per esempio, a/s = 10, ciascun tratto aperto porta il 2.41% e il tratto chiuso il 90.36% del momento. Dai momenti parziali si ricavano le tensioni massime, a,i τmax

Mza,i s 8Mz s2 3s 24Mz = = , = a 2 2 3 It 32s + 3a as a (32s2 + 3a2 )

c τmax

Mzc 3Mz a2 1 3Mz = = = 2 2 2 2Ωs 32s + 3a 2a s 2s (32s2 + 3a2 )

(5.52)

che sono paragonabili: le parti aperte, bench´e di spessore doppio e soggette a una percentuale assai piccola della sollecitazione esterna rispetto alla parte chiusa, sono comunque sottoposte a cimento meccanico elevato; per sopportare la torsione sono opportuni tubolari. Il metodo qui esposto per un problema particolare `e evidentemente generale e facilmente estendibile. Sezioni sottili multiconnesse (pluricellulari ) Sono dette cos`ı le sezioni composte di tratti regolari di linea media che concorrono a formare pi` u circuiti chiusi, come nella figura 5.32. Questa `e una sezione con due lacune, quindi con connessione tripla, di spessore uniformemente

Figura 5.32: Torsione di sezioni sottili pluricellulari. pari a s. Per ogni tratto regolare dei circuiti, il flusso si conserva; nei rami in comune a pi` u circuiti, il flusso si sovrappone e si concatena. Si hanno due maglie indipendenti e due nodi, dipendenti l’uno dall’altro; non si possono applicare le formule di Bredt (5.47), (5.48) poich`e esse prevedono che vi sia un solo flusso che percorre un solo circuito, mentre nelle multicelle ci sono pi` u circuiti e pi` u flussi che in alcuni tratti si sovrappongono. Si devono dunque applicare insieme le equazioni di bilancio, di legame elastico e di compatibilit`a cinematica. In questo caso (come al solito, facilmente generalizzabile), le grandezze incognite sono quattro: i tre flussi sui tratti regolari e l’incurvamento torsionale. Le equazioni di bilancio sono sia locali sia globali; quelle locali impongono la conservazione del flusso non solo per ogni tratto ma anche in ogni punto di convergenza di pi` u tratti (nodo); quella globale impone che, rispetto a un polo arbitrario, la risultante dei momenti delle tensioni tangenziali interne sia pari al momento esterno. Le equazioni di compatibilit`a e quelle elastiche sono ricomprese nelle condizioni integrali di circuitazione (5.37)4 intorno alle lacune (maglie). Chiamati q1 , q2 , q3 i flussi di tensione nei tratti regolari, orientati come nella figura 5.32, detta ξ l’ascissa curvilinea, sia qi = τ¯(ξi )s(ξi ). Nel caso considerato, si ha una sola equazione di

106

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

bilancio ai nodi in quanto i due nodi presenti forniscono la stessa informazione sui flussi (cio`e la stessa relazione algebrica), un bilancio energetico-meccanico al nodo: N X

qi = 0

q1 − q2 − q3 = 0

(5.53)

i=1

dove in generale ci sono i = 1, 2, . . . N tratti afferenti al nodo considerato. Nella figura ci sono due maglie indipendenti (tante quante le lacune) e le (5.37)4 forniscono q2 q1 4a + 2a = 4Ga2 χz , s s

q3 q2 6a − 2a = 8Ga2 χz s s

(5.54)

in cui s’`e gi`a imposto che l’incurvamento torsionale sia comune alle due maglie. Scelto infine il polo O, le forze di strisciamento sui tratti regolari generano momento torcente rispetto ad esso Z

2 2

a¯ τ sdξ = 4q3 a ,

Mz,AB = Mz,BC = 2a

Z Mz,CD = 2a

0

a

τ¯sdξ = 2q1 a2 ,

0

2

Z

a¯ τ sdξ = 2q1 a2 ,

Mz,DE = a

Mz,EO = Mz,CO = Mz,AO = 0

(5.55)

0

X

Mz,i = Mz

La (5.53), (5.54), (5.55) costituiscono un sistema algebrico lineare di tante incognite quante equazioni, linearmente indipendenti in quanto derivate da considerazioni fisiche indipendenti. La soluzione allora esiste unica e si ricava agevolmente, nota la geometria del problema e la sollecitazione esterna. Questo metodo generale permette di risolvere sezioni multiconnesse sottili qualsiasi portando sempre a un sistema algebrico quadrato di rango massimo. Sezioni maggiormente complesse si riconducono a sovrapposizioni degli schemi presentati qui.

5.5

Flessione non uniforme (flessione con taglio)

Considerando l’effetto solo di κ1 , per le (5.8), (5.14) `e, fissando l’origine, posta in G, z = (zκ1 × r) · k,

x = y = −νz ,

ϕ = νzκ1 · r

h z 3 κ1 z2 ri up = νsym[r ⊗ (k × r)]zκ1 −k × , w = $+ (κ1 × r) · k+ν krk2 κ1 + ·k 6 2 6

(5.56)

Gli allungamenti specifici sono lineari in S, come nella flessione uniforme, equazioni (5.20), ma variano anche linearmente lungo l’asse per la presenza del vettore zκ1 . La rotazione assiale locale ϕ `e lineare in S, per cui la sezione non ha rotazione assiale rigida.26 Lo spostamento in S `e cubico in z; l’asse ha incurvamento flessionale lineare in z e il cilindro si contrae lateralmente secondo il tensore di curvatura anticlastica, come nella flessione uniforme, equazioni (5.21). Lo spostamento fuori dal piano di S ha una parte dovuta alla rotazione flessionale, come nella flessione uniforme, equazioni (5.21), e una non rigida d’ingobbamento. 26

C’`e un valore medio di rotazione locale, che per`o non coincide con quello degli altri punti della sezione.

5.5. FLESSIONE NON UNIFORME (FLESSIONE CON TAGLIO)

107

Questo stato di deformazione, il pi` u complesso tra quelli del cilindro di Saint-Venant, `e detto flessione non uniforme; per le (5.2) esso `e mantenuto alle basi da Z Z σz = E (zκ1 × r) · k, N = σz dA = 0, m = (r × σz k) dA = EIzκ1 (5.57) S

S

cio`e da tensione normale lineare in z e S, equivalente a una coppia flettente lineare lungo l’asse, e dalla distribuzione di tensioni tangenziali soluzione delle (5.13) particolarizzate a questo caso divp τ +

∂σz =0 ∂z

in S

τ ·n=0

in ∂S

(5.58)

rot τ = 2G (νκ1 · r) k in S I p (τ · l) ds = 2GAΛ (νκ1 · r GΛ ) ∀Λ ∈ S ∂Λ

Figura 5.33: Flessione non uniforme. Le (5.58) hanno soluzione in forma chiusa solo per la sezione circolare e per pochissime altre, di scarso interesse applicativo per la loro complessit`a.27 Si pu`o, tuttavia, valutare esattamente la forza tagliante f p , risultante delle tensioni tangenziali sulle sezioni, dalle (5.57), (5.3)  Z  Z Z ∂σz m= r× k dA = k × (divp τ ) rdA = k × [divp (τ ⊗ r) − τ ] dA = ∂z S S S Z  Z  Z =k× [(τ ⊗ r) · n] dl − τ dA = k × [(τ · n) r] dl − f p = 0

∂S

S

(5.59)

∂S

= −k × f p = EIκ1 ⇒ f p = k × (EIκ1 ) , e f p equivale alla derivata lungo l’asse del momento flettente, come nella teoria monodimensionale dei corpi traviformi in assenza di coppie esterne di volume, equazioni (2.14), (2.15): m0 + k × f p = 0, 27

m = −k × zf p ,

(Mx , My ) = (zTy , −zTx )

Richiedono, infatti, l’ausilio di potenziali nel campo dei numeri complessi.

(5.60)

108

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

La forza tagliante si esprime in funzione della curvatura non uniforme κ1 e del tensore d’inerzia I, indipendentemente dalla soluzione puntuale delle (5.58). La (5.59), tuttavia, precisa la forza tagliante senza specificarne il punto d’applicazione: questo argomento si chiarir`a nel seguito. La presenza di f p , che accompagna momento flettente e curvatura flessionale, giustifica il nome alternativo di flessione con taglio dato in letteratura a questo modo di deformazione. Come nella torsione, si cercano espressioni approssimate per τ ; esse si trovano tramite un’applicazione integrale delle (5.58)1,2 a una porzione S ∗ di sezione, come nella figura 5.34, che mostra una sezione rettangolare senza ledere la generalit`a di quanto segue. Trattando di flessione, ancorch´e non uniforme, il sistema di coordinate `e supposto centrale e principale d’inerzia.

Figura 5.34: Porzione di sezione. L’applicazione integrale dell’equazione di bilancio locale (5.58)1 a S ∗ porta, ricordando le (5.59) e la definizione di centro d’area di una regione, nota 5, a Z Z Z   ∂σz (5.61) divp τ dA = − dA = − (Eκ1 × r) · kdA = (k × sS ∗ ) · −I −1 k × f p S∗ S ∗ ∂z S∗ D’altra parte, il teorema della divergenza su S ∗ e la condizione al contorno (5.58)2 portano a Z Z Z divp τ dA = (τ · n) dl = (τ · n) dl = q (∂S4∗ ) (5.62) S∗

∂S ∗

∂S4∗

in cui q (∂S4∗ ) `e il flusso di tensione tangenziale che attraversa la corda ∂S4∗ che taglia in due la sezione. Riunendo le (5.61), (5.62) si ricava la cos`ı detta formula di Jouravsky 28    −1  Ty s∗x Tx s∗y ∗ q (∂S4 ) = (k × sS ∗ ) · −I k × fp = − + (5.63) Ix Iy che fornisce q (∂S4∗ ) in funzione della forza tagliante, dei momenti d’inerzia dell’intera sezione e dei momenti d’area del primo ordine della porzione di sezione S ∗ . I momenti d’inerzia tengono conto della flessione che accompagna la forza tagliante. I momenti statici tengono conto del ‘peso’ della porzione rispetto all’intera sezione. In accordo con la convenzione della normale uscente dalla frontiera di un dominio, il flusso di tensione tangenziale avr`a segno positivo se uscente dalla porzione S ∗ , negativo se entrante. La formula di Jouravsky (5.63) `e generale e pu`o essere interpretata come il bilancio meccanico della forza lungo z per una porzione del cilindro, figura 5.35, in cui si considera per semplicit`a una sezione rettangolare. Si pensi, infatti, di dividere un tratto di cilindro di lunghezza 28

Traslitterazione libera, ma non univoca, dal russo.

5.5. FLESSIONE NON UNIFORME (FLESSIONE CON TAGLIO)

109

Figura 5.35: Interpretazione meccanica della formula di Jouravsky. infinitesima dz in due, per mezzo di un piano π parallelo all’asse z. Alle estremit`a del tratto, sulle porzioni di sezione S ∗ agiscono distribuzioni di tensione normale e tangenziale. Per la simmetria del tensore della tensione, su π compaiono le reciproche delle tensioni tangenziali presenti su S ∗ . D’altra parte, S ∗ `e una porzione di sezione e su essa agisce solo una parte della distribuzione lineare delle σz corrispondente a un momento flettente. La flessione non `e uniforme e la distribuzione delle σz `e diversa sulle basi: in assenza di forze di volume e di contatto sul mantello, si pu`o bilanciare questo squilibrio solo con la forza di scorrimento τ dA delle tensioni tangenziali reciproche su π. Il bilancio lungo z si scrive   Z Z ∂σz ∂σz σz dA+ (τ · k) dA+ σz + (τ · k) dl dz dA = 0 ⇒ dz dA = −dz − ∂z π S∗ S ∗ ∂z ∂S ∗ ∩π S∗ Z

Z

Z

I membri di quest’equazione, divisi per l’arbitrario dz, si ritrovano esattamente nelle (5.61), (5.62), per cui si riottiene, come detto, la formula di Jouravsky (5.63). Tuttavia, poich´e la formula di Jouravsky prescinde dalla soluzione delle equazioni di compatibilit`a in forma locale e globale (5.58)3,4 , il flusso di tensione tangenziale fornito dalla formula di Jouravsky `e un campo bilanciato meccanicamente con la forza tagliante f p , ma non produce deformazioni compatibili cinematicamente con gli spostamenti del cilindro. Dal punto di vista delle applicazioni, per`o, risulta fondamentale conoscere anche in maniera approssimata lo stato di cimento meccanico degli elementi strutturali, quindi la formula di Jouravsky risulta soddisfacente. Essa lo `e a maggior ragione nelle sezioni di spessore sottile, in cui, per le stesse ragioni presentate a proposito della torsione, la tensione tangenziale ha una componente dominante parallela alla linea media. Inoltre, sempre per l’ipotesi di spessore sottile, il valor medio della componente dominante della tensione tangenziale `e un ottima approssimazione del valore esatto della tensione tangenziale puntuale. Per questi motivi, nelle sezioni di spessore sottile, fissata un’ascissa ξ lungo la linea media L e scelta la corda ∂S4∗ ortogonale a L (come nella figura 5.34), la formula di Jouravsky si scrive  q(ξ) = τ¯zξ (ξ)b(ξ) = −

Ty s∗x (ξ) Tx s∗y (ξ) + Ix Iy

 (5.64)

110

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

in cui b(ξ) `e la lunghezza della corda, ovvero lo spessore della sezione all’ascissa ξ, e la porzione S ∗ `e quella spazzata dall’ascissa lungo la linea media dalla sua origine fino al valore corrente ξ.

Figura 5.36: Componente dominante della tensione tangenziale di taglio in un rettangolo sottile. Se la sezione `e un rettangolo sottile sollecitato da una forza tagliante diretta come la linea media, figura 5.36, per la (5.64) il flusso, quindi la componente dominante della τ , `e    Ty 12 h ξ Ty ∗ 6Ty 2 (ξs) − + q(ξ) = τ¯zξ (ξ)s = − s (ξ) ⇒ τ¯zξ = − = hξ − ξ Ix s sh3 2 2 sh3 Esso ha andamento ad arco di parabola lungo la linea media, `e nullo agli estremi, coerentemente con la condizione di mantello scarico per il cilindro di Saint Venant, e attinge massimo per d¯ τzξ 6Ty h = 3 (h − 2ξ) = 0 ⇒ ξ = dξ sh 2 ovvero in corrispondenza della corda-spessore passante per il centro d’area.29 La legge parabolica del flusso ha sempre segno positivo nell’intervallo 0 ≤ ξ ≤ h, per cui esso `e uscente da ogni dominio di tipo S ∗ , proprio come ci si aspetta accada dal punto di vista fisico. Si pu`o dimostrare, e il perch´e sar`a chiaro in uno degli esempi che seguono, che nei segmenti di linea media ortogonali a una forza tagliante parallela a un asse principale d’inerzia il flusso di tensione tangenziale ha andamento lineare.30 Negli altri tratti il flusso contiene il prodotto di due variabili, l’altezza ξ della porzione considerata e il modulo del raggio vettore delle areole delle porzioni, lineare in ξ, come nel rettangolo sottile della figura 5.36. Il flusso corrispondente ha andamento parabolico con massimo sull’asse neutro della flessione dovuta alla forza tagliante. 29

Se la forza tagliante `e diretta, come in questo caso, lungo un asse principale d’inerzia, il momento flettente che si genera `e attorno all’altro asse principale e quest’ultimo `e anche asse neutro per tale flessione. 30 In essi il modulo del raggio vettore delle areole nella direzione della forza tagliante `e uniforme.

5.5. FLESSIONE NON UNIFORME (FLESSIONE CON TAGLIO)

111

I punti sollecitati maggiormente sono dunque i pressi del centro dell’area nella flessione non uniforme, quelli pi` u lontani dal centro d’area nella flessione uniforme. Per questo si realizzano forme opportune dei profilati sottili, come le sezioni a doppio T (sezioni IPE) o i tubolari. La formula (5.64) `e stata applicata per sezioni sottili aperte, per cui, in corrispondenza degli estremi della linea media, il flusso di tensione `e nullo per una delle ipotesi del problema di Saint Venant. Ponendo quindi l’origine dell’ascissa locale in corrispondenza del mantello laterale, si ottiene univocamente il flusso che attraversa il bordo della porzione S ∗ interno alla sezione. Se la sezione sottile `e chiusa, ogni linea che la divide in due taglia la linea media in corrispondenza di due corde-spessori e la formula di Jouravsky fornisce la somma dei flussi di tensione che li attraversano, per cui questi non sono determinati univocamente.31 Se le sezioni chiuse hanno asse di simmetria nella direzione d’azione della forza tagliante, il flusso si suddivide equamente nei due tratti e si pu`o trattare uno di questi come una sezione aperta. Esempio 5.12 Nella figura 5.37 si riporta la linea media di una sezione di spessore sottile, composta da tre tratti regolari di spessore s e soggetta a una forza tagliante Ty parallela all’asse y, il quale, per simmetria, risulta essere anche centrale e principale d’inerzia. Il centro d’area G

Figura 5.37: Esempio 5.12. di sezione giace su y, a distanza a/2 dal punto d’incontro dei tre tratti.32 Posta in G l’origine, l’asse x, ortogonale a y per G, completa un sistema centrale principale d’inerzia. I flussi di tensione tangenziale corrispondenti alla forza Ty sono dati dalla formula di Jouravsky (5.64). Per simmetria, i tratti descritti dalle ascisse ξ ed η hanno lo stesso comportamento e si calcola dunque il flusso solo per il tratto parallelo a y e per uno dei tratti ad esso ortogonali. Per il tratto parallelo a y, fissata un’ascissa locale ψ che parte dall’estremo in corrispondenza del mantello libero, di coordinata globale y = −3a/2,   Ty ∗ 3a ψ Ty q(ψ) = − sx (ψ) = sψ − Ix Ix 2 2 31

La procedura di risoluzione di questo problema si trova in testi pi` u approfonditi. Ci` o risulta dalla media delle aree dei tre tratti, pesate col raggio vettore dei rispettivi centri d’area rispetto a un’origine arbitraria. 32

112

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

e il flusso `e dunque a distribuzione parabolica, come nell’esempio del rettangolo sottile, e sempre uscente dalla porzione delimitata dall’ascissa locale ψ. Nell’intervallo considerato 0 ≤ ψ < 2a, infatti, il termine tra parentesi nell’espressione di q(ψ) `e sempre positivo, il flusso non cambia mai di segno da positivo, in accordo con l’intuizione fisica, e assume i valori particolari   9Ty a2 s Ty a2 s 3a = , q(ψ = 2a− ) = q(ψ = 0) = 0, q ψ= 2 Ix Ix Come dev’essere, il flusso di tensione tangenziale `e nullo agli estremi (mantello scarico) e attinge massimo in corrispondenza della corda-spessore per il centro dell’area della sezione. Per il tratto descritto dall’ascissa ξ, si ha il flusso con distribuzione lineare Ty a Ty q(ξ) = − s∗x (ξ) = − sξ , Ix Ix 2

q (ξ = 0) = 0,

q ξ=a





Ty a2 s =− 2Ix

Questo risultato, come detto, `e generale: nei tratti regolari ortogonali a una forza tagliante parallela a un asse principale d’inerzia l’unico termine non costante nella formula (5.64) `e la lunghezza del tratto, misurata dall’ascissa locale. Il segno di q(ξ) `e negativo nell’intervallo 0 ≤ ξ < a e il flusso `e entrante in ogni porzione di ascissa ξ. Come dev’essere, il flusso `e nullo in corrispondenza dell’origine dell’ascissa locale, cio`e del mantello laterale del cilindro. Inoltre, nel punto singolare (nodo) comune ai tre tratti, si osserva immediatamente che il flusso uscente dal tratto parallelo a y si suddivide equamente, per simmetria, nei due tratti di ascissa ξ ed η, nei quali il flusso `e entrante. Anche questa `e conseguenza dell’equazione di bilancio locale (5.58)1 : in un singolo punto non ci sono sorgenti di tensione tangenziale e quindi vale la conservazione del flusso al nodo: la somma dei flussi entranti e di quelli uscenti svanisce. Si verifichi per esercizio che le forze di scorrimento sulla sezione abbiano risultante proprio Ty . Esempio 5.13 Nella figura 5.38 si riporta la linea media di una sezione di spessore sottile, composta da tre tratti regolari di spessore uniforme a tratti come indicato e soggetta a una forza tagliante parallela all’anima (i tratti ‘corti’ sono detti ali ).

Figura 5.38: Esempio 5.13. La sezione `e simmetrica rispetto all’asse x della figura 5.38, che quindi `e centrale e principale d’inerzia. Per determinare il flusso di tensione tangenziale associato a Ty si applica la formula

5.5. FLESSIONE NON UNIFORME (FLESSIONE CON TAGLIO)

113

di Jouravsky (5.64): in essa compare il momento d’area del primo ordine rispetto a x, che coinvolge i raggi vettori dei centri d’area delle areole considerate rispetto all’asse x stesso. Per questo, non `e necessario trovare l’esatta posizione del centro d’area della sezione; inoltre, la distribuzione del flusso godr`a della stessa simmetria di sezione rispetto a x. Poich´e, ancora, i fattori Ty e Ix sono valori indipendenti da qualsiasi ascissa locale, il flusso avr`a l’andamento dell’opposto del momento statico della porzione considerata. Per l’ala d’ascissa locale ξ il flusso vale, posto k = Ty /Ix nella formula di Jouravsky (5.64),   bhs h ∗ , q(ξ = 0) = 0, q(ξ = b− ) = k q(ξ) = −ksx (ξ) = −k −sξ 2 2 e ha andamento lineare, uscente dalle porzioni considerate, nullo in corrispondenza del mantello. Nello spigolo, per la conservazione del flusso ci`o che esce dall’ala si riversa nell’anima e    h η bhs − ∗ − 2sη − + q(η) = q(ξ = b ) − ksx (η) = k 2 2 2 Si osservi dalla figura 5.38, che riporta l’ingrandimento della sezione nella zona del nodo, che nel calcolo del momento statico delle porzioni il rettangolo campito viene considerato due volte. Per l’ipotesi di spessore sottile, questo `e un errore dell’ordine di s2 e pu`o dunque essere trascurato rispetto ai contributi di ordine s presenti negli altri addendi. Il flusso nell’anima ha distribuzione parabolica e segno sempre positivo, cio`e uscente dalla porzione, in accordo con l’intuizione fisica; attinge massimo in corrispondenza della cordaspessore passante per l’asse x, cio`e per il centro d’area.33 Gli andamenti qualitativi del flusso e della componente dominante corrispondente di tensione tangenziale, sono nella figura 5.38. Si verifichi per esercizio che le forze di scorrimento sulla sezione abbiano risultante proprio Ty .

5.5.1

Il centro di taglio

Come osservato, la formula di Jouravsky fornisce il flusso di tensione tangenziale attraverso una corda interna alla sezione in funzione della forza tagliante e della geometria di sezione e porzione considerate. Non c’`e dipendenza, invece, dalla retta d’applicazione della forza tagliante: una forza applicata a una qualsiasi retta della stessa direzione genera lo stesso flusso di τ . Questo fatto non ha giustificazione fisica, in quanto `e evidente che gli effetti meccanici di una forza su un corpo dipendono fortemente dal suo punto d’applicazione. D’altra parte, la formula di Jouravsky `e un integrale sommario del bilancio della forza, per cui garantisce solamente che il risultante delle forze di scorrimento sia pari alla forza tagliante esterna.34 Mentre, quindi, `e garantita l’equivalenza statica tra il risultante delle forze di scorrimento e la forza tagliante, in principio non `e garantita, scelto un polo O ad arbitrio nel piano della sezione, l’equivalenza statica tra i momenti rispetto a O delle forze di scorrimento e della forza tagliante. Appare allora evidente che, mentre le forze di scorrimento non possono cambiare il proprio punto d’applicazione, poich´e giacciono sulla sezione, per verificare l’equivalenza statica del momento occorre applicare la forza tagliante in un posto particolare della sezione. Per esempio, si consideri la sezione dell’esempio 5.13, nella figura 5.38. Se la forza Ty fosse applicata all’asse y, passasse cio`e per il centro d’area G di sezione, il momento della Ty rispetto a G sarebbe nullo, mentre le forze di scorrimento darebbero luogo a un momento non nullo 33 34

La prova si lascia per esercizio. La prova, che si trova in alcuni manuali, `e lasciata per esercizio.

114

CAPITOLO 5. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

rispetto a G. Poich´e il momento delle forze di scorrimento `e orario rispetto a G, per garantire l’equivalenza dei momenti la forza tagliante dev’essere applicata a sinistra di G. Il punto CT del piano di sezione dove applicare la forza tagliante per garantire l’equivalenza statica del momento risultante rispetto a un polo arbitrario si chiama centro di taglio (secondo Timoshenko).35 Il centro di taglio `e dunque il punto cui applicare f p affinch´e che il momento della forza tagliante esterna equivalga quello delle forze di scorrimento interne τ dA Z −−→ −→ OCT × f p = OP × τ (P )dA (5.65) S

o, equivalentemente, che il lavoro su una rotazione rigida virtuale di sezione nel proprio piano sia nullo, cio`e che il lavoro della forza esterna sia uguale al lavoro delle forze interne.36 Si ha dunque flessione non uniforme solo se f p passa per il centro di taglio, altrimenti la distribuzione delle azioni esterne `e staticamente equivalente alla forza tagliante pi` u il momento torcente dato dal trasporto parallelo di f p dal punto d’applicazione al centro di taglio. Poich´e le forze di scorrimento su una porzione S ∗ sono funzioni della geometria di S ∗ secondo la formula di Jouravsky (5.63), il centro di taglio `e determinato dalla geometria della sezione e delle sue porzioni. In generale CT non coincide col centro d’area G, ma in presenza di simmetrie la (5.65) fornisce evidentemente che CT giace sull’asse di simmetria. Per sezioni doppiamente simmetriche, i centri di taglio e d’area coincidono. Nel caso di sezioni di spessore sottile, la (5.65) diventa Z −→ −−→ OP (ξ) × q(ξ)l(ξ)dξ (5.66) OCT × f p = L

in cui l(ξ) `e la tangente unitaria alla linea media nel punto d’ascissa locale ξ. Banalmente, se la sezione `e costituita da rettangoli sottili le cui linee medie convergono a un unico punto, come la sezione a T nella figura 5.37, il centro di taglio coincide con tale punto. Per esempio, la sezione a C nella figura 5.38 ha l’asse x di simmetria e CT sta su esso. Per individuarne la posizione esatta si deve imporre l’equivalenza statica (5.66). Il polo O `e arbitrario e, per semplicit`a di calcoli, conviene sceglierlo coincidente con il punto della linea media in corrispondenza della mezzeria dell’anima. In tal caso, infatti, le forze di scorrimento lungo l’anima non contribuiranno al momento delle azioni interne. Inoltre, la componente di forza tagliante parallela all’asse di simmetria non fornisce informazioni sulla posizione del centro di taglio, poich´e banalmente la distribuzione di forze di scorrimento dovuta ad essa `e simmetrica rispetto all’asse, non aggiungendo alcuna informazione rispetto a quella data. Per scrivere la (5.66) occorre dunque pensare di sollecitare la sezione con una forza tagliante virtuale ortogonale all’asse di simmetria, in questo caso Ty , e, aiutandosi con i risultati dell’esempio 5.13, porre    Z b  Ty shξ h i dξ OCT Ty k = 2 (b − ξ) i − j × − 2 Ix 2 0 nell’unica incognita OCT , la posizione del centro di taglio sull’asse di simmetria rispetto a O. Nel caso generale di sezioni senza simmetrie la (5.66) equivale a due equazioni scalari di equivalenza statica di momenti nelle coordinate del centro di taglio. Per ogni sezione, per quanto complessa, il centro di taglio secondo Timoshenko `e dunque sempre univocamente determinato. 35

Si pu` o dimostrare che tale punto `e unico, anche se esistono altre definizioni di centro di taglio; la pi` u nota, dovuta al tedesco Trefftz, si basa sull’equivalenza dei lavori di deformazione anzich´e su quella statica. 36 Questa definizione non coincide, in generale, con quella di Trefftz della nota precedente. Timoshenko parla di lavoro su una rotazione rigida, Trefftz di lavoro di deformazione. I dettagli si trovano su testi specializzati.

Capitolo 6 Criterˆı di resistenza Studiato come gli elementi strutturali sono sollecitati in ogni punto per effetto di carichi e coazioni esterne, occorre stabilire se essi sono in grado o meno di sopportare il cimento cui sono sottoposti. In ambito tecnico, si suol dire che l’elemento dev’essere verificato nei confronti degli stati limite, variabili a seconda del materiale, dell’impiego dell’elemento, dell’aleatoriet`a del carico e di altri parametri. Ci occuperemo degli stati limite elastico e di stabilit`a elastica. Il primo considera se il materiale dell’elemento supera una soglia oltre cui il comportamento elastico lineare non sussiste. Il secondo considera se l’elemento, a parit`a di carico, pu`o ammettere pi` u di una soluzione elastica lineare. In questo capitolo si esamina lo stato limite elastico. Tutti i materiali, se sollecitati, si deformano e, cessata la sollecitazione, ritornano allo stato indeformato, almeno entro certi limiti di carico: si parla di fase elastica, inizialmente lineare. Nei materiali duttili, dopo la fase elastica lineare ne segue una, breve, non lineare e poi il materiale snerva per scorrimento di alcuni piani cristallini. La deformazione cresce a parit`a di carico e rimane anche togliendo la sollecitazione (plasticizzazione). Questo accade con un notevole abbattimento della rigidezza, per cui la soglia di rischio per le capacit`a portanti di un materiale duttile `e fissata per convenzione nello snervamento, sebbene la rottura avvenga sotto grandi deformazioni plastiche. I materiali fragili, invece, passano quasi subito dalla fase elastica lineare alla rottura: la soglia di rischio per le capacit`a portanti di un materiale fragile `e fissata per convenzione nel limite elastico lineare. La verifica allo stato limite elastico lineare ha dunque lo scopo di stabilire se lo stato di tensione nel punto pi` u sollecitato dell’elemento strutturale considerato ne provoca il cedimento, inteso come rottura per materiali duttili o snervamento per materiali fragili. Tuttavia, le prove sui materiali sono in generale monoassiali (coinvolgono cio`e tensioni in una sola direzione), mentre gli stati di sollecitazione in un elemento strutturale sono multiassiali: basti pensare alla sovrapposizione di flessione uniforme, non uniforme e torsione in un cilindro di Saint Venant. Il problema della verifica di resistenza `e, dunque, confrontare i valori limite del materiale, le tensioni di snervamento σS o di rottura σR dele prove monoassiali di trazione o compressione, con uno stato di tensione in genere triassiale. Quest’ultimo `e definito, per esempio, dai valori principali σI , σII , σIII del tensore delle tensioni.1 Un confronto tra la tensione interna e un valore limite non `e possibile, a meno di introdurre una funzione scalare detta tensione ideale equivalente σid . Sulla base di considerazioni di natura fisica, dette criterˆı di resistenza, tabella 6.1, la funzione tensione ideale fornisce una tensione monoassiale con gli stessi effetti della triassiale e che pu`o essere confrontata con i valori limite sperimentali. 1

Queste si riducono a due trattando cilindri di Saint Venant.

115

CAPITOLO 6. CRITERˆI DI RESISTENZA

116 Criterio

Parametro da cui dipende la crisi

Materiale

Navier - Rankine

Massima tensione principale

Fragile

Tresca - Guest

Massima tensione tangenziale

Duttile

Mohr - Coulomb

Curva intrinseca di danneggiamento

Fragile

Saint Venant

Allungamento massimo

Duttile

Beltrami

Massima energia di deformazione

Duttile

Hencky - Huber - von Mises

Massima energia di distorsione

Duttile

Tabella 6.1. Criteri di resistenza e parametro da cui dipende la crisi.

In realt`a il valore limite di progetto o di verifica, almeno a livello deterministico, `e pi` u basso del limite di snervamento o rottura, per ragioni di sicurezza: si parla allora di tensione ammissibile σamm , una frazione opportuna della tensione che provoca il danneggiamento. La prassi di buona costruzione consiglia poi di ridurre ulteriormente la tensione ammissibile a una di progetto tramite uno o pi` u coefficienti di sicurezza X > 1, a volte fissati da precise norme di legge: σid = f (σI , σII , σIII ) ≤

σamm X

(6.1)

I materiali fragili hanno in generale resistenza a compressione superiore a quella di trazione e i valori critici delle prove sono le tensioni di rottura a trazione σRT e a compressione σRC .

Figura 6.1: Criterio di Navier nel piano σI , σII e sua rappresentazione nel piano di Mohr.

6.1

Criterio di Rankine-Navier

Secondo questo criterio, il cedimento si verifica quando la massima tensione principale agente eguaglia la tensione di snervamento o la tensione di rottura del materiale. In pratica si suppone che solo la massima tensione principale produca il cedimento e che le altre possano essere trascurate. Se per le tensioni a rottura si pone, in valore assoluto, |σRC | > |σRT |, il dominio elastico `e un cubo non centrato nell’origine; la superficie di tale cubo `e la superficie limite, ovvero l’ipersuperficie che raccoglie tutti i possibili stati limite elastici, figura 6.1.

6.2. CRITERIO DI TRESCA

117

Questo criterio ha qualche riscontro per i materiali fragili, in cui la rottura avviene per decoesione frontale dei piani cristallini, con comportamento non simmetrico a trazione e compressione. ` tuttavia, in contrasto con i dati sperimentali, non prevedendo rottura quando σI , σII sono diE, scordi e la tensione di compressione `e la maggiore in valore assoluto, e trascurando l’effetto delle tensioni principali intermedia e minima. Fallisce, inoltre, nel caso di compressione idrostatica pari a −σS , prevedendo il cedimento.

6.2

Criterio di Tresca

Secondo questo criterio il cedimento si verifica per snervamento, quando la massima tensione tangenziale nel punto considerato uguaglia quella che si ha al momento dello snervamento in un provino sottoposto a trazione. In un provino di materiale duttile a trazione, infatti, allo snervamento si formano delle linee di scorrimento a 45◦ rispetto all’asse (bande di L¨ uders), che indicano un principio di snervamento. Poich´e la τmax agisce proprio su piani inclinati di 45◦ rispetto all’asse di trazione, se ne deduce che questa `e un’artefice del meccanismo di plasticizzazione. Cerchiamo sul piano σI , σII la superficie limite che racchiude gli stati tensionali

Figura 6.2: Criterio di Tresca nel piano σI , σII e sua rappresentazione nel piano di Mohr. accettabili per questo criterio di resistenza. Se la sollecitazione `e monoassiale, τmax =

σI , 2

σid = 2τmax = σI

(6.2)

per cui, nel caso di torsione pura con momento parallelo a z, σid = 2τξz .2 Per tensione biassiale, τmax = 2

σI − σII , 2

σid = 2τmax = σI − σII ≤ σamm

(6.3)

Con la coordinata ξ si `e indicata l’ascissa lungo la linea media di una sezione sottile o una delle due coordinate x, y in una sezione generica di un cilindro di Saint Venant.

CAPITOLO 6. CRITERˆI DI RESISTENZA

118

e, per esempio, nel caso di trazione e torsione per un cilindro di Saint Venant, caratterizzate da σz e τξz , ricordando le (4.19), s 2 q σz + 0 2 2 σid = 2τmax = σI − σII = 2 ≤ σamm (6.4) + τξz = σz2 + 4τξz 2

Figura 6.3: Superficie limite del criterio di Tresca. Questo criterio vale per materiali duttili con comportamento simmetrico e non `e utilizzabile per prevedere la rottura perch´e in campo plastico il materiale ha comportamento diverso a seconda della storia del carico applicato. La superficie critica descritta dal criterio di Tresca `e un prisma a base esagonale di lunghezza indefinita lungo la trisettrice del primo diedro dello spazio delle tensioni principali,3 figura ??. La lunghezza del prisma `e indefinita perch´e secondo il criterio di Tresca gli stati di tensione idrostatici non sono pericolosi e i punti della trisettrice li rappresentano. Gli stati idrostatici sono cos`ı chiamati perch´e immergendo una porzione di materiale in un liquido stazionario, questo vi esercita la pressione idrostatica σI = σII = σIII . Mentre questo `e generalmente vero a compressione, a trazione il materiale reagisce meno bene.

6.3

Criterio di Mohr-Coulomb

Il criterio di Mohr colleziona le combinazioni critiche di tensioni tangenziali e normali che provocano la rottura e le identifica sul piano di Mohr tracciandone le rappresentazioni corrispondenti. Il dominio elastico, la cui frontiera `e la superficie limite di Mohr, specifica per il materiale studiato, `e l’inviluppo di queste circonferenze. Il criterio di Coulomb-Mohr `e una semplificazione di questo, si basa sulla teoria degli attriti interni e assume che l’inviluppo sia rettilineo. Per costruire le curve si possono allora effettuare due sole prove, di trazione e di compressione, per ottenere le tensioni limite σlt , σlc . La curva limite si pu`o approssimare solo con le tangenti alle circonferenze di Mohr limite a trazione e compressione; esse hanno equazione sul piano di Mohr, figura 6.4  π 1 − Φ = tan (6.5) |τ | + µσ = τi , µ = tan 2 Φ 3

Come fa la bisettrice in un piano, la trisettrice forma con gli assi coordinati tre angoli uguali α = β = γ.

6.3. CRITERIO DI MOHR-COULOMB

119

Figura 6.4: Superficie limite dei criterˆı di Mohr e Mohr-Coulomb nel piano di Mohr. nella quale τi `e l’intersezione con l’asse τ del cerchio limite e µ = tan α `e il coefficiente angolare della retta approssimante (angolo d’attrito statico). Il criterio `e espresso dalle equazioni |σI − σII | + m (σI + σII ) = 2τl ,

m=

σlc + σlt , σlc − σlt

τl =

σlc σlt σlc − σlt

(6.6)

e le analoghe per permutazione ciclica degli indici I, II, III.4 Nel primo e terzo quadrante del piano delle tensioni principali σI , σII , dove le tensioni principali hanno lo stesso segno, i criterˆı di Mohr e quella di Navier coincidono: max|σI , σII | = σlt ,

min|σI , σII | = σlc

Nel secondo e quarto quadrante, dove le tensioni hanno segno opposto, i due criterˆı differiscono. Questo criterio pu`o essere visto come estensione del criterio di Tresca; i due criteri coincidono

Figura 6.5: Superficie limite dei criterˆı di Mohr e Mohr-Coulomb nel piano delle tensioni principali. nel caso di m = 0, ossia per σlc = σlt , figura 6.5. 4

Le quazioni totali sono sei per la presenza del valore assoluto.

CAPITOLO 6. CRITERˆI DI RESISTENZA

120

6.4

Criterio di Saint Venant

Questo criterio, non molto usato, postula che il materiale subisce danno quando la massima deformazione principale raggiunge un valore critico. Dalle leggi generalizzate di Hooke (4.24) εI =

1 [σI − ν (σII + σIII )] , E

εIII =

1 [σIII − ν (σI + σII )] E

(6.7)

con la semplice riduzione al caso monoassiale εI = σI /E. Si ottiene cos`ı la tensione equivalente σid = |σI − ν (σII + σIII ) | ≤ σamm

6.5

(6.8)

Criterio di Beltrami

Si suppone che si abbia snervamento se l’energia elastica accumulata nella deformazione U attinge un valore critico US  1  2 1 2 2 σI + σII U = T ·E = + σIII − 2ν (σI σII + σI σIII + σII σIII ) = US 2 2E

(6.9)

che nel caso monoassiale si riduce a U = σI2 /2E, per cui la tensione equivalente con la stessa pericolosit`a dello stato di tensione triassiale `e q 2 2 + σIII − 2ν (σI σII + σI σIII + σII σIII ) (6.10) σid = σI2 + σII e la superficie di frontiera degli stati limiti elastici `e un ellissoide, figura 6.6.

Figura 6.6: Superficie limite del criterio di Beltrami nel piano delle tensioni principali.

6.6

Criterio di von Mises

Il criterio di von Mises estende quello di Beltrami e trae origine dal fatto che i materiali duttili compressi idrostaticamente variano di volume ma non di forma. D’altra parte, per i materiali duttili la causa di snervamento `e lo scorrimento dei piani cristallini, che produce cambiamento di forma, non di volume. Di conseguenza, `e naturale ammettere che non tutta l’energia di deformazione elastica concorre allo snervamento, ma solo la sua quota parte che corrisponde al cambiamento di forma, detta energia di distorsione. Si postula, dunque, che lo snervamento

6.6. CRITERIO DI VON MISES

121

si verifica quando l’energia elastica di distorsione attinge un valore critico, determinabile dalle prove di trazione e pari a quella relativa alla tensione monoassiale di snervamento. Se le tensioni principali sono somma di un valor medio σm , che genera solo variazioni di volume, e della deviazione σdi rispetto alla media, l’energia elastica di variazione di volume Uv `e σI + σII + σIII , σdi = σi − σm , i = I, II, III 3 3(1 − 2ν) 2 1 1 2 2 )= − 6νσm Uv = T v · E v = (3σm σm 2 2E 2E

σm =

(6.11)

e l’energia di distorsione ha l’espressione seguente, nulla se le tensioni principali si eguagliano  1 1+ν  2 2 2 Ud = U−Uv = (T · E −T v · E v ) = σI + σII + σIII − (σI σII + σI σIII + σII σIII ) (6.12) 2 E Nel caso di trazione semplice si ha Ud = (1 + ν)σI2 /3E, e la tensione equivalente di Von Mises `e q 2 2 σid = σI2 + σII + σIII − (σI σII + σI σIII + σII σIII ) che, per tensioni non principali caratteristiche di un cilindro di Saint Venant, diventa q 2 σid = σz2 + 3τξz

(6.13)

(6.14)

La superficie critica di von Mises `e un cilindro con asse la trisettrice del primo diedro dello

Figura 6.7: Superfici limite dei criterˆı di Tresca e von Mises nel piano delle tensioni principali. spazio delle tensioni principali. Il cilindro `e circoscritto alla superficie critica del criterio di Tresca, il quale `e quindi pi` u conservativo, sottendendo un volume inferiore, figura 6.7. Esempio 6.1 L’apertura d’una valvola di un motore a combustione interna `e ottenuta applicando una forza Pv = 1280 N. Si studia il sistema d’apertura della valvola, mosso dall’asta di comando in E, che manda in torsione l’albero ABCD, in flessione l’albero DF e apre la valvola in F. La molla di richiamo equilibra l’azione di E e richiude la valvola, figura 6.8.

CAPITOLO 6. CRITERˆI DI RESISTENZA

122

Figura 6.8: Esempio 6.1. Consideriamo l’albero ABCD tramite un modello monodimensionale e i cuscinetti come appoggi; infatti, il gioco presente tra albero e cuscinetti permette piccoli spostamenti assiali lungo x e rotazioni attorno a z e attorno a y. Oltre alle quotature indicate in figura 6.9, siano d1 = 24 mm,

d2 = 20 mm,

AD = 274.5 mm

d3 = 16 mm,

Figura 6.9: Esempio 6.1 - sollecitazioni sull’albero ABCD. L’albero `e una trave semplicemente appoggiata, e per semplicit`a si studier`a su due piani ortogonali. Una volta tracciati i diagrammi delle sollecitazioni, per la sovrapposizione degli effetti si troveranno i punti pi` u sollecitati e si trover`a la tensione equivalente secondo von Mises. Nel piano yz l’equilibrio alla rotazione fornisce la forza d’attivazione Pa EBPa = DF Pv ⇒ Pa = 2276.0 N,

Mt = EBPa = DF Pv = 102.4 Nm

e nel piano xy l’equilibrio a traslazione e rotazione fornisce le reazioni vincolari    −R − R + P + P = 0  R = 2674.0 N A C a v C ⇒  ABP + ADP − ACR = 0  R = 882.0 N a

v

C

A

6.6. CRITERIO DI VON MISES

123

Figura 6.10: Esempio 6.1 - bilancio delle leve EB, DF, e dell’albero ABCD. Si tracciano ora i diagrammi delle sollecitazioni interne all’albero ABCD per determinare la sezione pi` u sollecitata, che quindi dev’essere sottoposta a verifica, figura 6.11. In una trave con sezione uniforme, a parit`a di valore numerico delle caratteristiche di sollecitazione N, Ti , Mi , il maggior cimento `e provocato dai momenti. Questi, infatti, sono dati dall’integrale sulla sezione del braccio di leva moltiplicato le tensioni, mentre le forze sono l’integrale sulla sezione delle tensioni. Poich´e il braccio di leva ha dimensioni inferiori a quella caratteristica della sezione, le tensioni equivalenti ai momenti flettente e torcente sono numericamente pi` u rilevanti di quelle equivalenti alle forze. In una trave con sezione variabile, a parit`a di valore numerico delle caratteristiche di sollecitazione N, Ti , Mi , il maggior cimento si trova nella sezione pi` u piccola, che offre materiale resistente minore.

Figura 6.11: Esempio 6.1 - diagrammi delle azioni di contatto per l’albero ABCD. Per i vari tratti di diverso diametro, figura 6.9, le sezioni pi` u sollecitate, osservando i diagrammi della figura 6.11, sono la sezione C e una sezione D0 nell’intorno di D in cui il momento flettente va a zero ma il momento torcente e il taglio assumono valori elevati. Trascurando la discontinuit`a nei pressi della sezione C, si fa riferimento alla sola parte con diametro inferiore, figura 6.12, e si ricavano le tensioni massime di flessione, attinte nei punti 1 e 3, di torsione, attinte indifferentemente nei punti 1-4, e di taglio, attinte nei punti 2 e 4: σz,max =

Mz r = 141 MPa, Iz

τmax,tors =

Mt r = 65 MPa, Ix

τmax,taglio =

Ty Sx∗ 4Ty = = 6 MPa Iz 2r 3A

CAPITOLO 6. CRITERˆI DI RESISTENZA

124

Per il criterio di von Mises la tensione equivalente risulta essere: q p 2 2 punti 1, 3 : σid = σz,max + 3τmax,tors = 1412 + 3(65)2 = 180 MPa, q p punti 2, 4 : σid = σz2 + 3 (τmax,tors + τmax,taglio )2 = 02 + 3(71)2 = 123 MPa

Figura 6.12: Esempio 6.1 - sezioni da verificare. Procedendo analogamente per la sezione in D, si ricava σz,max =

Mz r = 24 MPa, Iz

τmax,tors =

Mt r = 127 MPa, Ix

τmax,taglio =

Ty Sx∗ 4Ty = = 9 MPa Iz 2r 3A

e si nota che con una variazione di appena il 20% della sezione resistente si ha un aumento delle tensioni maggiore del 20%. Per il criterio di von Mises la tensione equivalente risulta essere: q p 2 2 punti 1, 3 : σid = σz,max + 3τmax,tors = 242 + 3(127)2 = 221 MPa, q p punti 2, 4 : σid = σz2 + 3 (τmax,tors + τmax,taglio )2 = 02 + 3(135)2 = 235 MPa e quindi `e la sezione in D a dover essere verificata a limite elastico. Se il materiale `e un acciaio da carpenteria (Fe310 o similari), σamm ≈ 200 MPa e l’albero non pu`o sopportare il cimento meccanico senza plasticizzare. Se si sceglie un coefficiente di sicurezza X = 2, si deve pensare di realizzare l’albero con un acciaio al carbonio del tipi C40 o C60, σamm ≈ 700 MPa ≥ Xσid e il sistema `e verificato.

Capitolo 7 Biforcazione elastica statica La stabilit`a delle soluzioni d’un problema fisico `e un argomento assai ampio, trattato dalla teoria di Liapounov, che per`o esula dai fini di questi appunti. Per l’importanza dell’instabilit`a dell’equilibrio elastico statico, tuttavia, si illustra il fenomeno e se ne presenta una descrizione matematica che permette il calcolo dei valori critici del carico. Per strutture in ambito elastico lineare sollecitate a partire dalla configurazione di riposo, esiste un teorema, dovuto a G. R. Kirchhoff,1 d’unicit`a della soluzione. Tuttavia, se si sollecita un sistema nell’intorno di una configurazione non di riposo, l’unicit`a della soluzione pu`o mancare: possono esserci, cio`e, pi` u configurazioni elastiche compatibili coi vincoli sotto lo stesso carico esterno. Questo fenomeno `e inaccettabile dal punto di vista tecnico, perch´e `e necessario che il comportamento degli elementi meccanici e strutturali sia sempre univocamente determinato (entro i limiti della precisione della tecnica). In effetti, se si considerano elementi strutturali snelli, il loro comportamento a trazione `e univoco: c’`e un tratto elastico lineare, uno non lineare, lo snervamento, la rottura. A compressione, invece, il comportamento, anche per materiali duttili, pu`o non essere simmetrico: aumentando il carico, si giunge a una soglia per cui un piccolo incremento di compressione `e accompagnato non da un ulteriore accorciamento, ma da un improvviso sbandamento laterale: l’elemento s’inflette con una repentina perdita di rigidezza. Esperienze di questo fenomeno si hanno mettendo a compressione elementi molto snelli e ` evidente che lo sbandamento, che avviene flessibili come aste d’ombrelli o righelli sottili. E ancora in campo elastico per carichi inferiori a quello di snervamento, `e molto pericoloso poich´e pu`o portare a deformazioni incontrollate e quindi a un collasso precoce dell’elemento o della struttura di cui fa parte. Il carico sufficiente a provocare lo sbandamento `e tanto minore quanto pi` u l’elemento ha sezione resistente piccola rispetto alla lunghezza. Gli esiti di questi fenomeni su strutture civili o industriali possono essere catastrofici, giustificandone lo studio.

7.1

Sistemi discreti

Per illustrare il fenomeno di biforcazione della soluzione elastica statica, ovvero della sua perdita d’unicit`a, si considerano innanzitutto sistemi discreti olonomi con vincoli bilaterali. Le loro configurazioni sono univocamente determinate da tante coordinate lagrangiane quanti sono i gradi di libert`a del sistema. Le parti deformabili sono molle che reagiscono al cambiamento di forma con legge elastica lineare. In questo modo, nella generica deformazione del sistema 1`

E lo stesso studioso noto per le leggi dei circuiti elettrici in regime stazionario.

125

126

CAPITOLO 7. BIFORCAZIONE ELASTICA STATICA

meccanico le azioni della molla producono un lavoro interno che dipende solo dalle configurazioni iniziale e finale. Se il sistema `e soggetto ad azioni esterne conservative, come d’ora in poi sottinteso, anche il loro lavoro dipende esclusivamente dalle configurazioni iniziale e finale. Poich´e le azioni interne ed esterne sono conservative, si pu`o definire la funzione di stato energia potenziale totale U del sistema, somma di quelle elastica lineare interna E e delle azioni esterne; l’energia potenziale delle azioni esterne `e l’opposto del lavoro L speso dalle azioni esterne U(qj ) = E(qj ) − L(qj ), j = 1, 2, . . . , N

(7.1)

con N i gradi di libert`a del sistema e qj i parametri lagrangiani per descriverli. Il dominio dell’energia potenziale totale `e dunque l’insieme di tutte le N -uple di valori di parametri lagrangiani che descrivono configurazioni del sistema compatibili con i vincoli assegnati. L’energia potenziale totale `e definita a meno di una costante inessenziale, in quanto per la determinazione delle soluzioni del problema elastico occorre valutare le variazioni di E tra due configurazioni. Tra tutte le configurazioni che il sistema pu`o assumere, infatti, interessa individuare se esistano e quante eventualmente siano quelle di equilibrio, in particolare stabili. Una configurazione `e d’equilibrio se l’energia potenziale totale `e stazionaria in essa, ovvero se in un suo intorno la variazione prima di U `e nulla. In aggiunta, una configurazione `e d’equilibrio stabile se in essa l’energia potenziale totale `e minima.2 Se U ha la regolarit`a sufficiente per ammettere sviluppo in serie di Taylor nell’intorno della configurazione considerata, caratterizzata dai valori qj0 dei parametri lagrangiani, si ha, arrestandosi al secondo ordine, 2 1 ∂ U ∂U (7.2) δU(qj0 ) = U(qj0 + δqj ) − U(qj0 ) = δqj + δqj δqh ∂qj 2 ∂qj ∂qh qj0

qj0

Nell’intorno della configurazione considerata, il termine lineare domina sull’altro e quindi la condizione d’equilibrio, cio`e di stazionariet`a per U, `e ∂U ∂U (7.3) δqj = 0 ∀qj ⇒ = 0 j = 1, 2, . . . , N ∂qj ∂qj qj0

qj0

che per`o non fornisce la qualit`a dell’equilibrio, al cui fine si deve valutare 1 ∂ 2 U δqj δqh > 0 2 ∂qj ∂qh

(7.4)

qj0

Con riferimento alla figura 7.1 si ha che: 1. variazione positiva: equilibrio stabile (minimo, punto A) 2. variazione negativa: equilibrio instabile (massimo, punto B) 3. variazione nulla: equilibrio indifferente (flesso, punto C) Generalizzando a pi` u gradi di libert`a quanto noto per i sistemi a un grado di libert`a, la rigidezza del sistema meccanico considerato `e ∂ 2 U K0 = (7.5) ∂qj ∂qh qj0

2

Il teorema di minima energia potenziale totale si prova nell’insegnamento di Meccanica razionale.

` EULERIANA DI SISTEMI DISCRETI RIGIDI 7.2. INSTABILITA

127

Figura 7.1: Un grafico d’energia potenziale totale. che `e un operatore reale simmetrico: la 7.4 equivale quindi alla definizione in segno di una forma quadratica. Dall’algebra lineare si sa che la definizione di segno di una forma quadratica si riconduce allo studio della matrice simmetrica che vi compare. Detti, infatti, λi gli autovalori di K 0 , sempre reali per il teorema spettrale, si ha che se tutti i λi > 0, la forma quadratica `e definita positiva e la configurazione d’equilibrio `e stabile; se tutti i λi < 0, la forma quadratica `e definita negativa e la configurazione d’equilibrio `e instabile; se ci sono alcuni autovalori positivi, altri negativi, altri nulli, la forma quadratica non `e definita e l’equilibrio `e indifferente. Inoltre, autovalori nulli di K 0 significano che gli autovettori corrispondenti, ovvero le configurazioni caratterizzate da tali autovettori, hanno rigidezza nulla, il che meccanicamente ha un significato di pericolo.

7.2

Instabilit` a euleriana di sistemi discreti rigidi

I problemi d’instabilit`a euleriana sono una sottoclasse dei problemi di stabilit`a per sistemi discreti con le caratteristiche seguenti: 1. Il sistema presenta una configurazione banale d’equilibrio qj0 assunta come riferimento 2. In qj0 il sistema risponde linearmente ai carichi applicati 3. I carichi applicati dipendono tutti linearmente da un moltiplicatore di carico p 4. La variazione seconda di U a partire da qj0 `e lineare in p, ovvero 1 1 ∂ 2 U δqj δqh = φ(δqj ) − pψ(δqj ) = (K 0A − pK 0B )jh δqj δqh 2 ∂qj ∂qh 2

(7.6)

qj0

in cui K 0A `e detta rigidezza elastica e K 0A rigidezza geometrica. Al variare di p, si possono avere percorsi a rigidezza nulla (come osservato nel paragrafo precedente) e quindi, assieme alla configurazione d’equilibrio banale, ne pu`o apparire una biforcata a rigidezza nulla. Per esempio, si consideri un’asta di lunghezza l incernierata al ‘suolo’ a un’estremit`a. L’atto di moto consentito `e rotatorio attorno alla cerniera, supposto contrastato da un elemento elastico lineare di rigidezza k. Il parametro lagrangiano sia θ a partire dalla configurazione di riferimento ‘verticale’. In essa, l’asta risulti compressa all’estremit`a libera da una forza costante in direzione, intensit`a p e verso (morta), quindi conservativa. L’energia potenziale totale del sistema vale 1 U(θ) = kθ2 − pl(1 − cosθ) 2

128

CAPITOLO 7. BIFORCAZIONE ELASTICA STATICA

Per trovare le configurazioni d’equilibrio, ne imponiamo la stazionariet`a   θ = 0 ∀p 1 δU = (2kθ) δθ − pl sin θδθ = (kθ − pl sin θ) δθ = 0 ∀ δθ ⇒  p = kθ ∀ θ 2 l sin θ Esistono dunque due classi di soluzioni (percorsi d’equilibrio): una, banale, per cui l’asta rimane nella configurazione di riferimento, indipendentemente dal carico di compressione applicato; l’altra afferma che esiste una relazione tra carico e rotazione per cui esistono configurazioni non banali, elastiche e compatibili, equilibrate con un carico opportuno p. La prima di queste configurazioni non banali si verifica nell’intorno di quella di riferimento: k kθ = θ→0 l sin θ l

pc = lim p = lim θ→0

Accade cio`e che, al crescere di p dallo zero, la configurazione di riferimento rimane l’unica possibile fino a che il carico arriva nei pressi del valore pc = k/l, detto carico critico euleriano, per cui sono possibili due soluzioni del problema elastico: si pu`o, cio`e, in corrispondenza del carico critico, verificare una biforcazione dell’equilibrio elastico. Per studiare la stabilit`a dei percorsi e individuare il comportamento qualitativo del sistema, si valuta la variazione seconda dell’energia potenziale totale δ 2 U = (k − pl cos θ) δ 2 θ In essa si riconoscono, ridotti a un semplice scalare per questo sistema a un grado di libert`a, i termini K A , K B della(7.6): k `e la rigidezza elastica, l cos θ `e la rigidezza geometrica. La variazione seconda dell’energia potenziale totale `e una forma quadratica della variazione δθ, ma non `e sempre positiva: essa passa da valori negativi a valori positivi, descrive cio`e soluzioni instabili e stabili, attraversando lo zero quando la rigidezza geometrica eguaglia quella geometrica e la rigidezza totale, quindi, svanisce k = pl cos θ ⇒ p =

k , l cos θ

lim p = pc =

θ→0

k l

Si ha, cio`e, che il carico critico non `e solo il moltiplicatore di soglia della biforcazione delle soluzioni del problema, ma anche il valore per cui la qualit`a della stabilit`a del sistema varia. In effetti, si vede che k δ 2 U θ=0 = (k − pl) δ 2 θ > 0 ⇒ p < = pc l e quindi la configurazione banale, θ = 0, `e stabile per p < pc , instabile per p > pc ; inoltre     kθ θ 2 2 δ U p= kθ = k − l cos θ δ θ = k 1 − δ2θ > 0 l sin θ l sin θ tan θ kθ e la configurazione biforcata, p = , `e stabile ∀ p. Di conseguenza, il fenomeno studiato `e l sin θ come segue: caricando l’asta a compressione, per carichi inferiori a quello euleriano, la configurazione banale `e l’unica soluzione stabile. Giunti a pc , sono possibili due soluzioni, una stabile (quella biforcata, ‘lontana’ da quella di riferimento) e una instabile, quella di riferimento. Ne segue che naturalmente il sistema segue il percorso deviato poich´e evidentemente a questo `e

` EULERIANA DI TRAVI COMPRESSE 7.3. INSTABILITA

129

associato un livello energetico inferiore. Si ha, inoltre, che inizialmente il percorso biforcato `e a rigidezza nulla, per cui la biforcazione, inizialmente in ambito elastico lineare, in realt`a procede rapidamente a grandi deformazioni e va verso la plasticizzazione e il collasso del sistema. Da questo esempio, rimane evidente come lo studio della biforcazione dell’equilibrio elastico statico sia un possibile stato limite che `e d’interesse studiare ai fini applicativi. Si propone, per esercizio, di studiare le biforcazioni possibili di un sistema come quello appena presentato, in cui l’elemento elastico lineare contrasta lo spostamento dell’estremit`a libera, dovuto a compressione. Dettagli maggiori si trovano nei testi specializzati.

7.3

Instabilit` a euleriana di travi compresse

Quanto studiato per i sistemi discreti in atto di moto rigido si estende facilmente ai continui deformabili: in generale l’elasticit`a `e diffusa e le configurazioni sono date da campi, non da valori discreti di parametri lagrangiani. Si consideri l’esempio basilare della trave flessibile che in una configurazione di riferimento banale rettilinea risulti compressa da una forza ‘morta’ di intensit`a λ (colonna di Euler ). Per l’elemento flessibile di lunghezza dz in una configurazione variata generica la densit`a d’energia potenziale elastica dE `e 1 1 2 dE = B(z)χ(z)2 = B(z) [v 00 (z)] 2 2

(7.7)

sotto l’ipotesi che valga il vincolo interno d’indeformabilit`a a scorrimento angolare (3.4). Con riferimento alla figura 7.2, la densit`a del lavoro delle azioni esterne per l’elemento dz `e    θ2 (z) θ2 (z) (v 0 (z))2 dL = λdz(1 − cos θ(z)) ≈ λdz 1 − 1 − 0 − = λdz = λdz (7.8) 2 2 2 avendo sviluppato in serie di Taylor il campo θ(z) e supponendo ancora valido il vincolo interno

Figura 7.2: Colonna di Euler e densit`a di lavoro di compressione. d’indeformabilit`a a scorrimento angolare (3.4). Di conseguenza, l’energia potenziale totale U per un trave puramente flessibile compressa si scrive Z o 1 ln 2 2 00 0 U= B(z) [v (z)] − λ [v (z)] dz (7.9) 2 0

130

CAPITOLO 7. BIFORCAZIONE ELASTICA STATICA

e risulta un funzionale dei due campi v 0 (z), v 00 (z). I percorsi d’equilibrio v(z) si ricavano imponendo la stazionariet`a della variazione prima dell’energia potenziale totale nella (7.9) Z l [B(z)v 00 (z)δv 00 (z) − λv 0 (z)δv 0 (z)] dz = δU = 0 l

= |B(z)v 00 (z)δv 0 (z) − [B(z)v 000 (z) + λv 0 (z)] δv(z)|0 + Z +

(7.10)

l

[B(z)v 0000 (z) + λv 00 (z)] δv(z)dz = 0

0

avendo operato alcune integrazioni per parti sui campi arbitrari e quindi sufficientemente regolari δv 00 (z), δv 0 (z). Per l’arbitrariet`a dei campi δv 00 (z), δv 0 (z), δv(z) si devono annullare separatamente i due addendi della (7.10), quello al contorno e quello integrale. Sempre per la generalit`a dei campi cinematici, i due addendi del termine al contorno della (7.10) si devono annullare separatamente: questa condizione esprime le condizioni al contorno naturali del problema. Infatti, nell’ipotesi di vincoli lisci, o al contorno si ha un vincolo sulla rotazione, per cui due configurazioni compatibili con tale vincolo non possono avere incrementi di rotazione in corrispondenza di esso (δv 0 (z) = 0), o la rotazione `e libera e non si ha coppia reattiva di contatto (B(z)v 00 (z) = 0, la sollecitazione di contatto attiva `e una forza), per cui si annulla naturalmente il primo addendo del termine al contorno della (7.10). Ancora, o al contorno si ha un vincolo sullo spostamento trasversale, per cui due configurazioni compatibili con tale vincolo non possono avere incrementi di spostamento trasversale in corrispondenza di esso (δv(z) = 0), o lo spostamento trasversale `e libero, non c’`e forza di contatto reattiva e la forza di contatto (−Bv 000 (z), sotto l’ipotesi di Euler-Bernoulli) nella configurazione deformata `e pari alla componente parallela al piano di sezione della forza di compressione λv 0 (z), per cui si annulla naturalmente il secondo addendo del termine al contorno della (7.10), figura 7.3.

Figura 7.3: Condizione al contorno naturale sulla forza tagliante. Per la generalit`a del dominio d’integrazione, in quanto l `e una lunghezza affatto generica, l’addendo integrale della (7.10) si annulla solo se si annulla l’integrando [B(z)v 0000 (z) + λv 00 (z)] δv(z) = 0 ⇒ B(z)v 0000 (z) + λv 00 (z) = 0

(7.11)

per la generalit`a del campo δv(z). La (7.11) `e la particolarizzazione dell’equazione della linea elastica (3.5)2 al problema della biforcazione elastica statica delle travi flessibili compresse: tutte le possibili configurazioni compatibili, elastiche lineari e bilanciate internamente e con un carico esterno morto inizialmente di compressione devono obbedire a essa.3 3

Per il significato di lagrangiana di un sistema meccanico, si ritroverebbero le stesse equazioni e condizioni se si scrivessero le equazioni di Euler-Lagrange per il sistema.

` EULERIANA DI TRAVI COMPRESSE 7.3. INSTABILITA

131

Poich´e λ > 0, B > 0, si pone µ2 = λ/B; se la rigidezza B(z) `e uniforme, la (7.11) `e un’equazione differenziale ordinaria lineare e omogenea del quarto ordine, la cui soluzione generale si sa essere v(z) = c1 cos(µz) + c2 sin(µz) + c3 z + c4

(7.12)

Tutte le soluzioni, banali o biforcate, della trave flessibile compressa sono espresse dalla (7.12). Per trovarle, si devono imporre quattro condizioni al contorno naturali e filtrare, tra le ∞4 configurazioni espresse dalla (7.12), quelle per il problema particolare considerato. Si noti che, mentre in compressione in corrispondenza al carico critico la rigidezza del sistema si annulla, ci`o non si verifica in trazione. In trazione, cio`e, non si hanno biforcazioni: l’azione del carico esterno `e sempre a favore del richiamo elastico interno della struttura. Se in compressione vale la (7.11), in trazione davanti al termine λv 00 (z) comparirebbe il segno ‘meno’; la soluzione di una tale equazione differenziale `e sempre la somma di un termine lineare e di esponenziali, non funzioni armoniche, con esponenti reali. Queste non potranno mai portare biforcazione, come sar`a chiaro anche dagli esempi che seguono.

Figura 7.4: Colonna di Euler appoggiata.

Trave appoggiata Si ha il sistema di condizioni al contorno naturali v(0) = 0, M (0) = −Bv 00 (0) = 0, v(l) = 0, M (l) = −Bv 00 (l) = 0      0 c 1 0 0 1  1            −µ2 0 0 0   c2   0    =   ⇒ Cc = 0          cos(µl) c   0  sin(µl) l 1  3     0 c4 −µ2 cos(µl) −µ2 sin(µl) 0 0

(7.13)

Il sistema (7.13) ammette sempre la soluzione banale c = 0 se la matrice dei coefficienti C non `e singolare: allora, la configurazione soluzione del problema elastico rimane quella rettilinea di riferimento. Tuttavia, se C `e singolare, esistono soluzioni non banali per le ci , i = 1, 2, 3, 4  nπz  n2 π 2 B det C = 0 ⇒ sin(µl) = 0 ⇒ µl = nπ, n = 1, 2, . . . , λc = , v(z) = c sin (7.14) l2 l Caricando la trave a compressione, quindi, la configurazione rettilinea banale rimane soluzione del problema finch´e, nell’intorno dei carichi critici euleriani λc , `e possibile una biforcazione della soluzione elastica statica. Accanto alla soluzione banale, infatti, compare una soluzione di forma sinusoidale data dalla (7.14), ‘lontana’ da quella rettilinea e di ampiezza c indeterminata. Si pu`o dimostrare, con tecniche di calcolo delle variazioni, che il percorso biforcato `e a rigidezza minore di quello di riferimento e quindi il sistema tender`a naturalmente a percorrere il cammino biforcato anzich´e rimanere nella configurazione rettilinea.

132

CAPITOLO 7. BIFORCAZIONE ELASTICA STATICA

Esiste un’infinit`a numerabile di carichi critici ma d’interesse tecnico `e il primo, n = 1, dipendente dal materiale e dalla forma di sezione (B = EI) e inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza. Questo risultato, che si prova essere generale, implica che i carichi critici sono tanto pi` u bassi quanto pi` u la trave `e lunga (l ↑) e con sezione piccola (I ↓), cio`e ‘snella’. Lo studio presentato riguarda sistemi perfetti ; nei sistemi reali, invece, sono presenti piccoli ma inevitabili difetti di materiale, di montaggio, di centratura e direzione del carico. Si pu`o dimostrare che nei sistemi imperfetti non si ha la biforcazione brusca tra due soluzioni ed esiste un unico percorso d’equilibrio. Tuttavia, per essi si prova anche che, per carichi ancora pi` u bassi di quelli critici del sistema perfetto, si ha un vero e proprio collasso della struttura: la deformazione v(z) cresce indefinitamente anche se il carico si mantiene all’incirca costante o addirittura cala. Di conseguenza, nelle travi snelle compresse la verifica allo stato limite di biforcazione elastica statica pu`o essere pi` u importante di quella allo stato limite elastico.

Figura 7.5: Colonna di Euler incastrata.

Trave incastrata Si ha il sistema di condizioni al contorno naturali v(0) = 0, θ(0) = −v 0 (0) = 0, M (l) = −Bv 00 (l) = 0, T (l) = −Bv 000 (l) = λv 0 (l)      0 c 1 0 0 1   1          0 µ 1 0   c2   0   =   ⇒ Cc = 0         −µ2 cos(µl) −µ2 sin(µl) 0 0   c3   0       0 c4 0 0 λ 0

(7.15)

Nuovamente, in generale esiste la soluzione banale, a meno che π (2n − 1)2 π 2 B det C = 0 ⇒ λµ3 cos(µl) = 0 ⇒ µl = (2n − 1) , n = 1, 2, . . . , λc = , 2 (2l)2     (2n − 1)πz v(z) = c cos −1 2l

(7.16)

e d’interesse tecnico `e il primo carico critico euleriano, n = 1. In corrispondenza di esso, la configurazione di riferimento pu`o biforcare e seguire la forma cosinusoidale data dalla (7.16). Si osservi che l’espressione del primo carico critico si differenzia da quella per la trave appoggiata solo per il fatto che a denominatore si trova il quadrato del doppio della lunghezza della trave. D’altra parte, la forma biforcata assunta dalla mensola `e pari alla met`a della semionda

` EULERIANA DI TRAVI COMPRESSE 7.3. INSTABILITA

133

Figura 7.6: Bilancio meccanico della configurazione biforcata. di seno che una trave appoggiata di lunghezza doppia assumerebbe se biforcasse. Si suol dire, allora, che la mensola presenta una lunghezza libera d’inflessione pari a 2l. Si giungerebbe agli stessi risultati se, anzich´e la (7.11), se ne usasse una equivalente. Questa, formalmente, si ottiene integrando due volte la (7.11) rispetto a z nell’ipotesi di rigidezza flessionale B(z) uniforme Bv 00 (z) + λv(z) = hz + k (7.17) Al di l`a dell’aspetto matematico formale, la (7.11), come fatto notare, `e l’equazione della linea elastica nella configurazione deformata, quindi esprime il bilancio della forza trasversale per ogni elemento infinitesimo dz di trave. La (7.17), invece, esprime il bilancio della coppia flettente per lo stesso elemento. Con riferimento alla figura 7.6, data una trave compressa in una configurazione biforcata, per una sua porzione infinitesima le forze λ sono bilanciate ma, a causa della curvatura della trave, si genera una coppia λ(−v(z)) che dev’essere equilibrata dalla coppia di richiamo elastico interna M (z) = −Bv 00 (z). Da questo bilancio meccanico, quindi, deriva il primo membro della (7.17). Il secondo membro, invece, deriva dalla presenza, possibile in generale, di altri contributi al momento flettente. Per l’assenza supposta di azioni esterne distribuite, questi contributi possono solo essere dovuti a forze taglianti uniformi e momenti flettenti lineari in z, come nel secondo membro della (7.17). Cos`ı, la (7.11) esprime solo il bilancio interno della forza e deve essere corredato da condizioni naturali al contorno sia di tipo cinematico, su spostamenti trasversali (v) e rotazioni (v 0 ), sia di tipo meccanico, su tagli (Bv 000 ) e momenti flettenti (Bv 00 ). Invece, nella (7.17) il bilancio meccanico di forza e coppia esterne dev’essere fatto a monte e le condizioni al contorno naturali sono solo cinematiche. Per esempio, nella trave appoggiata, anche nella possibile configurazione deformata non sono presenti, per il bilancio meccanico, forze taglianti e altri momenti rispetto a quelli dovuti alla coppia dovuta a λ e a quella di richiamo elastico, per cui la (7.17) si scrive Bv 00 (z) + λv(z) = 0 ⇒ v(z) = c1 cos(µz) + c2 sin(µz) e dall’imposizione delle condizioni al contorno cinematiche   c1 = c2 = 0 ∀ λ  nπz  , v(z) = c sin v(0) = v(l) = 0 ⇒ 2 2  λ =nπ B l c l2 cio`e si riottiene la biforcazione euleriana gi`a vista. Per la mensola, il bilancio meccanico nella possibile configurazione deformata fa s`ı che, oltre alla reazione vincolare λ, all’incastro sia

134

CAPITOLO 7. BIFORCAZIONE ELASTICA STATICA

presente una coppia reattiva oraria pari a λv(l). Di conseguenza, mantenendo le convenzioni di segno assunte per la trave, la (7.17) si scrive Bv 00 (z) + λv(z) = λv(l) ⇒ v(z) = c1 cos(µz) + c2 sin(µz) + v(l) e, imponendo le condizioni cinematiche al contorno,       c1 = c2 = 0 ∀ λ (2n − 1)πz 0 v(0) = −v (0) = 0, v(l) = v(l) ⇒ (2n − 1)2 π 2 B , v(z) = v(l) 1 − cos  l  λc = (2l)2 riottenendo i risultati gi`a visti. Si consideri ora un caso non staticamente determinato come i precedenti: una trave iperstatica incastrata a un’estremo, appoggiata all’altro, figura (7.7).

Figura 7.7: Trave incastrata-appogiata compressa. Il bilancio meccanico non cambia tra configurazione di riferimento e possibile deformata:4 V (l − z) λ In questo caso la soluzione dipende da tre parametri da determinare: c1 , c2 , V ; oltre alle costanti d’integrazione, infatti, in numero pari all’ordine della derivata massima dell’equazione differenziale, compare anche il parametro d’indeterminazione statica V . Come in ogni applicazione dell’equazione della linea elastica, tuttavia, i parametri incogniti sono in numero pari alle condizioni al contorno cinematiche da imporre     c = c = V = 0∀λ V 1 1 2 0 v(0) = −v (0) = v(l) = 0 ⇒ , v(z) = l − z + sin(µz) − l cos(µz)  µl = tan(µl) λ µ H = λ, M = V l ⇒ Bv 00 (z) + λv(z) = V (l − z) ⇒ v(z) = c1 cos(µz) + c2 sin(µz) +

e, ancora una volta, si ha possibilit`a di biforcazione in corrispondenza dei carichi critici euleriani definiti implicitamente da µl = tan(µl); il primo si ricava per via numerica e vale λc ≈ π 2 B/(0.7l)2 . 4

Questo deriva dalla presenza di vincoli fissi agli estremi, che non consentono bracci di leva alle forze di compressione, come invece accade nel caso della mensola con estremo libero, visto appena prima.

` EULERIANA DI TRAVI COMPRESSE 7.3. INSTABILITA

135

Cambiando il tipo di vincolo, si dimostra che tutti i primi carichi critici hanno la forma λc =

π2B (βl)2

(7.18)

con β fattore che dipende dal tipo di vincoli, tabellato nei manuali tecnici. In generale, i fenomeni avvengono in spazio ambiente tridimensionale e nella formula del carico critico euleriano (7.18) si pone B = EImin . Infatti, `e sicuramente attorno all’asse d’inerzia minore (cio`e di rigidezza flessionale minore) che la trave compressa tender`a a sbandare per biforcazione dell’equilibrio elastico statico. Il fattore βl esprime la distanza tra due punti di flesso di una semionda della forma deformata della trave (si ricordi che le deformate sono armoniche) e per questo, come gi`a accennato, si chiama lunghezza libera d’inflessione. In ottica di verifica di stato limite, dal moltiplicatore di carico critico si ricava la tensione normale corrispondente σc =

π 2 E Imin π2E %2min λc 2 = = π = E A (βl)2 A (βl)2 ξ2

(7.19)

in cui %2min = Imin /A `e il quadrato del raggio giratore d’inerzia minimo della sezione della trave e si usa definire ‘snellezza della trave’ il parametro geometrico ξ = βl/%min . Si ha allora σc =

π 2 E σamm = ωσamm ξ 2 σamm

(7.20)

in cui il coefficiente ω dipende dal materiale della trave (infatti include sia E che σamm ), dalla sua geometria (include ξ e l) e dai vincoli cui `e soggetta (include β). La (7.20) riporta quindi la verifica nei confronti della biforcazione statica a una specie di verifica a tensione ammissibile, mediata dal coefficiente ω, che tiene conto di tutti i fenomeni coinvolti e che si trova tabellato nei manuali tecnici in funzione di materiale e snellezza della trave.

Capitolo 8 Esercizi di riepilogo Esercizio 1 Con riferimento alla figura 8.1, si trovino gli spostamenti trasversali in corrispondenza dei punti B ed in D, se l = 2200 mm, E = 2 105 MPa, Ix = 1270 105 mm4 .

Figura 8.1: Esercizio 1. Se il vincolo interno in C `e un appoggio, il sistema `e composto dalle travi ABC, appoggiata, e DCE, incastrata, cio`e staticamente determinate, una portante, DCE, e l’altra portata, ABC. Il sistema `e cinematicamente e staticamente determinato (isostatico) e si pu`o trovare il suo stato di sollecitazione sotto i carichi esterni tramite le sole equazioni di bilancio meccanico. Com’`e intuitivo, conviene studiare dapprima la struttura portata, poi la portante.

Figura 8.2: Reazioni vincolari su ABC e sollecitazioni agenti su CDE. 136

137 Le reazioni vincolari su ABC, mostrate nella figura 8.2 a sinistra, si ricavano facilmente, anche per simmetria. Di conseguenza, il tratto DE risulta caricato come nella figura 8.2 a destra ed `e semplice tracciare i diagrammi di taglio e momento corrispondenti. Per calcolare lo spostamento trasversale in D, si applica la formula di campionamento delle componenti di spostamento, sollecitando virtualmente la struttura con una forza unitaria nel punto in cui interessa il campionamento, come mostrato nella figura 8.3 a sinistra.

Figura 8.3: Sollecitazioni virtuali agenti su CDE. Di conseguenza, si ottiene, nell’ipotesi di travi puramente flessibili, Z Z l Z l M ∗ (z)M (z) z0 (z + l)wlz 5wl4 1 v(D) = dz = dz + dz = = 23.06 mm B(z) EIx 6EIx T 0 EIx 0 Il segno positivo indica che v(D) `e concorde alla forza campionatrice, verso il ‘basso’. Per trovare lo spostamento trasversale in B `e necessario considerare che anche C subisce uno spostamento trasversale, che pu`o essere visto come un cedimento vincolare dell’appoggio interno. Calcoliamo quindi prima lo spostamento del punto C pensato appartenente a DCE, ancora con la formula di campionamento delle componenti di spostamento, figura 8.3 a destra Z l Z (z)wlz wl4 M ∗ (z)M (z) dz = dz = = 9.22 mm 1 v(C) = B(z) EIx 3EIx 0 T Ancora, il segno positivo indica che v(C) `e concorde alla forza campionatrice, verso il ‘basso’. Per calcolare lo spostamento trasversale del punto B integriamo l’equazione della linea elastica, imponendo le condizioni al contorno opportune grazie al risultato appena trovato Bv 0000 (z) = −w,

v(0) = M (0) = M (2l) = 0, v(2l) = −v(C) ⇒ v(z) = v(B) = v(l) = −

−12l3 wz + 4lwz 3 − wz 4 , 24EIx

3wl4 = −10.38 mm 8EIx

in cui il segno ‘meno’ indica verso discorde a quello positivo per v, quindi in ‘basso’, in accordo con la fisica del problema. Si propone per esercizio la verifica che lo stesso risultato pu`o essere ricavato applicando ancora una volta la formula di campionamento delle componenti di spostamento e che v(D), v(C) si possono ricavare con l’equazione della linea elastica.

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CAPITOLO 8. ESERCIZI DI RIEPILOGO

Esercizio 2 Per la trave nella figura 8.4, si trovi la reazione esplicata da uno scorrimento opportuno del martinetto in B tale che lo spostamento trasversale totale del punto C sia nullo.

Figura 8.4: Esercizio 2. La trave `e staticamente indeterminata: l’incastro `e necessario e sufficiente per la determinazione cinematica e statica del sistema, quindi il dispositivo di vincolo in B `e ridondante. Trattandosi di un’apparecchiatura che controlla solo gli spostamenti trasversali, equivale a un vincolo semplice cedevole, quindi il sistema ha una sola indeterminazione statica; si sceglie di risolverla adottando il metodo delle forze sul sistema principale indicato nella figura 8.5.

Figura 8.5: Trave principale e metodo delle forze: sistemi “0” (sinistra) e “1” (destra). Tuttavia, non abbiamo a disposizione lo spostamento effettivo del vincolo in B, in quanto esso `e cedevole e la sua reazione vincolare dipende con una legge non nota dal cedimento. Per risolvere il problema occorre quindi usare l’altro dato cinematico, cio`e che lo spostamento trasversale in C sia nullo. Per trovare v(C) usiamo la formula di campionamento delle componenti di spostamento; occorre introdurre un sistema virtuale che spenda lavoro su v(C), ma non `e necessario produrlo ex novo in quanto detto sistema virtuale coincide semplicemente col sistema “0” riscalato di P . L’equazione che risolve il problema `e dunque, per trave puramente flessibile, Z Z l1 +l2 Z l1 M0 (z) + XM1 (z) Pz l2 + ζ ∗ 0 = 1 v(c) = M (z) dz = z +X (−ζ) dζ ⇒ B(z) B B T 0 0 ⇒X=

2P (l1 + l2 )3 = 50.5 kN l13 (3l1 + l2 )

Esercizio 3 Nel sistema della figura 8.6, le travi sono puramente flessibili e hanno uguale rigidezza flessionale, uniforme per le due; si determinino le reazioni in B ed in E.

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Figura 8.6: Esercizio 3. La trave ACB, portante, e la DCE, portata, sono appoggiate al ‘suolo’, quindi cinematicamente e staticamente determinate rispetto ai vincoli esterni. Esiste anche un vincolo interno di appoggio puntiforme in C, in principio ridondante, che rende il sistema una volta iperstatico: una parte del carico P sar`a assorbita dalla trave DCE e un’altra sar`a scaricata sulla trave ACB.

Figura 8.7: Travatura principale e metodo delle forze.   z Pz      − , 0