Marx, un secolo

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MARX, UN SECOLO BADALONI BALIBAR CINI FERRAROTTI GALGANO GERRATANA GRAZIANI HOBSBAWM LUPORINI MERKER PAPI SCHAFF SWEEZY TAGLIAGAMBE VILAR

EDITORI RIUNITI

Indice

Nota introduttiva

7

Nicola Badaloni, Marx: centralità della « critica » e suo modo d'essere

11

Étienne Balibar, Sulla forma dominante dell'ideologia dominante (un'ipotesi)

39

Marcello Cini, Lo scienziato Karl Marx

53

Franco Ferrarotti, Il problema dell'ateismo e della religione in Karl Marx

77

Francesco Galgano, Marx e i momenti della transizione

93

Valentino Gerratana, II giovane Marx e l'idea del comunismo

111

Augusto Graziani, L'attualità del pensiero. economico marxiano:

aspetti nascosti

131

Eric ]. Hobsbawm, Quando siamo «marxisti»?

153

Cesare Luporini, La concezione della storia in Marx

171

Nicolao Merker, La storiografia filosofica in. Marx Fulvio Papi, Sulla memoria filosofica in Marx

205 223

Adam Schaff, L'importanza della teoria marxiana dell'alienazione

239

Paul Sweezy, Le crisi e la teoria del valore in Marx

255

Silvano Tagliagambe, Marx a Babele: orgoglio (e pregiudizi) della ragione

273

Pierre Vilar, Marx di fronte alla Spagna e alla sua storia

309

Indice dei nomi

325

Nota introduttiva

Quindici autori parlano qui di Marx. Non è una celebrazione né una commemorazione. Non è neanche un bilancio che a cent'anni dalla morte di Marx soppesi con calcoli diplomatici ciò che nel suo pensiero c'è di attuale o, al contrario, di sorpassato. Bilanci di questo tipo hanno un colore singolare. Chi dichiara che una cosa è «morta» e un'altra è «viva») presume di possedere una nozione assoluta di verità a cui commisurare questa distinzione. Sarebbe il modo meno adatto di accostarsi a un pensatore per il quale non esisteva alcuna verità assodata una volta per tutte, ma il cui motto era che di tutte le idee e conclusioni si dovesse dubitare, cioè che tutte andavano. sempre sottoposte a costanti controlli e verifiche. · Dagli scritti degli autori emerge un approccio insieme sperimentale e operativo al pensiero di Marx. Ognuno nel suo campo specifico, ognuno come specialista in una delle grandi aree del sapere, chiarisce a che cosa Marx gli serve oggi, quali stimoli nel proprio settore di ricerca gli siano venuti da Marx, quali apporti il pensiero marxiano gli abbia dato. Sono intellettuali dell'area marxista, interessati oggi piu che mai a una definizione dell'attualità di Marx non celebrativa, ma sostanziale nel senso che si è detto. Puntualizzano la vigenza operativa che il metodo marxiano può avere tuttora nell'interpretazione di una realtà sociale e di un patrimonio scientifico sempre piu ricchi, articolati e complessi, e nella prassi relativa. Si capisce che ogni autore dice anche quel che pensa di Marx in generale, ma lo fa in connessione con il proprio settore di ricerca. Compaiono due voci di economisti, quella di Augusto Graziani e di Paul Sweezy. Per Graziani è importante rintracciare l'influsso che la dottrina di Marx esercita presso studiosi che con il marxismo non hanno legami espliciti di natura ideologica o teorica. Sweezy sottolinea che la superiorità di Marx rispetto ad altri teorici dell'economia poli7

tica consiste nella « visione chiara e coerente del capitalis?no come processo storico». Agli storici Eric Hobsbawm e Pierre Vilar interessano aspetti di metodo desumibili dall'opera di Marx. A Hobsbawm preme definire che cosa al giorno d'oggi voglia dire, in generale, dichiararsi marxisti. Vilar si sofferma sugli stimoli e aiuti specifici che per le sue ricerche sulla storia della Spagna moderna gli sono venuti dai testi marxiani. Il giurista Franco Galgano, analizzando i diversificati modelli di « transizione al socialismo» avutisi dopo il 1917 nei paesi dell'est europeo e asiatico, rileva che il terzo libro del Capitale di Marx anticipa, almeno a livello d'impostazione, parecchi problemi con cui sta confrontandosi oggi la società cosiddetta« post-industriale». Sebbene l'epoca di Marx differisca dalla nostra per molti e cospicui aspetti, le categorie marxiane mantengono tuttora un ampia gamma di validità. Esse, fra l'altro, « ci inducono a proseguire l'analisi del rapporto base-struttttra anche entro società che hanno abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione>>. Gli epistemologi Marcello Cini e Silvano Tagliagambe sono convinti che il marxismo debba misttrarsi con il problema della conoscenza. Per Cini il tratto moderno del pensiero di Marx è ch'egli ha individuato il processo d'insieme di un «sistema». Cosi come Tagliagambe vede quella modernità nella « costruzione di strutture teoriche applicate a 11 esperimenti mentalf', cioè nel fatto che Marx pensa sperimentalme·nle il capitalismo >>. Franco Ferrarotti rivisita la funzionalità che, per il suo mestiere di sociologo, ha un tema particolare, quello della religione, affrontato dal Marx degli scritti giovanili. Anche in Adam Schaff c'è un'apertura che partendo da un tema particolare investe problemi piu generali. La teoria marxiana deil' alienazione ha una validità che, estendendosi al di là dei presupposti storici specifici da cui è nata, riguarda pure le forme di alienazione che si riscontrano nelle societè, socialiste. Queste, secondo l'intervento di Étienne Balibar, sono basate su un modo di concepire lo Stato e la sfera politica il quale diverge notevolmente dalla maniera in cui Marx vedeva la « specificità della "politica proletaria" ». Della validità del pensiero di Marx inteso in un senso non dogmatico, ma incentrato sugli stimoli operativi che ha potuto dare, pai·lano, ognuno per il proprio campo, i contributi dei filosofi e storici della filosofia che figurano nel volume. Nicola Badaloni si dichiara preoccupato della « perdita secca » che per il marxismo avrebbe « la strada del rifiuto delle distinzioni», 1

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le quali sono poi quelle che riescono a far capire la storia come processo di sviluppo. Sono tanto necessarie, avverte Valentino Gerratana} che in loro assenza, cioè se indistintamente « tutto potrà essere chia~

mato comunismo e socialismo», proprio l'idea del comunismo tornerebbe « ad essere ciò che è stata per millenni prima di Marx, un'idea innocua». L'istanza delle distinzioni impone di fare sempre, su qualunque aspetto del pensiero di Marx, un discorso che innanzi tutto rispetti la correttezza filologica. Ribadisce ciò Nicolao Merker, interessato a individuare gli apporti e suggerimenti, molteplici e concettualmente stratificati, che Marx può dare alla storiografia filosofica. Di come Marx abbia concepito la storia si occupa Cesare Luporini. Può apparire paradossale, egli rileva, che non vi sia in Marx uno scritto specifico di « teoria della storia». Ch'esso non esista rispecchia ragioni profonde del metodo marxiano. Proprio la concretezza della nozione di « formazione sociale » concettualizzata da Marx gli impedi la teorizzazione di un'astratta filosofia della storia. Certo, ed è il tema sviluppato da Fulvio Papi, c'è in Marx una «memoria» della filosofia o, meglio, delle filosofie come forme ideologiche storiche passate, e caratterizzate, ognuna, da un lessico di termini ch'egli stesso usa. Marx ne dà però una trascrizione che, abbandonando i parametri tradizionali (idealistici) cerca per essi un perno nuovo, sociale. In questo volume gli autori parlano di Marx non diversamente da come hanno fatto e fanno nelle occasioni quotidiane della loro attività di studiosi in libri, seminari convegni aule universitarie. Marx, un secolo non è una raccolta di discorsi di circostanza. 1

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N.M.

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Nicola Badaloni Marx: centralità della « critica» e suo modo d'essere

l. Il pensiero di Marx: « cornice » e « critica »

Sul« marxismo» e, piu precisamente, sul pensiero di Marx si sta delineando una discussione non priva d'interesse. Essa può essere cosi riassunta: è piu rilevante in Marx l'elemento di ricostruzione dei modi e delle forme dello sviluppo storico (ciò che chiameremo « cornice »), ovvero è ancora piu importante l'aspetto «critico» che ha avuto a suo oggetto principale l'economia politica? Il problema è stato risolto da Habermas nel senso di una scelta entro la quale gli elementi marxiani di « cornice » restano, in qualche misura, validi, mentre quelli « critici » sono cancellati dal campo. Per quanto riguarda il primo punto, .Habermas fa la maggiore concessione che gli è consentita: « i criteri del progresso [ ... ] , additati dal materialismo storico, nel dispiegamento delle forze produttive e nella maturità delle forme sociali di relazione » rimangono efficienti solo in quanto siano « in grado di avere una giustificazione sistemica » 1 • Quest'ultima si verifica quando intorno a un nucleo istituzionale si cristallizzano rapporti di produzione, costituendo una determinata forma di « integrazione » come « assicurazione dell'unità di un mondo della vita sociale attraverso valori e norme [ ... ] ». Sollecitazioni dinamiche, in senso forte hanno luogo « se i problemi sistemici non possono essere risolti in accordo colla forma dominante d'integrazione sociale, e se 1 J. Habermas, Per la ricostruzione del materialismo storico, Milano, 1979, p. 116. La questione è discussa in J. Habermas, Theorie des kommunìkativen Handelns, Band 2, Zur Kritik del funktionalistischen Vernunft, Frankfurt a. M,, 1981, pp. 489~547. Prende posizione a difesa dell'aspetto critico N .. Luhmann,

Gesellschaftskritik und normativer Massstab, Uberlegungen zu Marx, in Arbeit1 Handlung, Normativat, Theorien des Historischen Materialismus, 2, herausgegeben van Axel Honneth und Urs Jaeggi, Frankfort a M., 1980, pp. 234-99.

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questa deve essere rivoluzionata per dare spazio a nuove soluzioni[ ... ]»'. Il nucleo portante della « cornice » è dunque il tipo istituzionale; la struttura economica instaura con questo ultimo elemento una determinata forma d'integrazione; se si verificano crepe nel mondo della vita cosi formato, esse si manifestano primariamente come « perdita di identità » dei soggetti integrati e ciò impone modificazioni nel rapporto tra istituzioni e modi di produzione. Piii dettagliatamente, la crisi si presenta cosi: a) il nesso sistemico-istituzionale non può venir mantenuto, senza che nuovi elementi evolutivi sorgano nell'ambito di esso; b) un modo di produzione a carattere superiore designa una diversa forma d'integrazione sociale, che potrebbe cristallizzarsi attorno a un rinnovato nucleo istituzionale; e) un meccanismo endogeno di apprendimento provvede all'accumulazione di potenziali cognitivi che erano restati momentaneamente latenti; d) questo sapere può esser messo in opera solo se è già compiuto il passo evolutivo in direzione del diverso quadro istituzionale '. Nel corso del movimento storico emerge dunque dapprima, in uno spazio svuotato di legittimità, un modo di produzione mai prima conosciuto, che aveva, per cosi dire, tenuto in riserva un nuovo potenziale cognitivo. Nell'assetto neoformato, esso è ora messo in grado di oggettivarsi in forze produttive. In altre parole, il punto e) (forze produttive) non entra nella « realtà » di b) (modo di produzione), se elementi evolutivi avvertiti in a) (quadro istituzionale) non si sono fissati in d) (nuovo sistema di legittimazione). Qual è dunque la forza dinamica che collega a) con d)? Habermas risponde che il genere umano « apprende non solo nella dimensione [ ... ] del sapere tecnicamente valorizzabile, ma anche» in quella « della coscienza pratico-morale. Le regole dell'agire comunicativo sì sviluppano si in reazione a mutamenti dell'agire strumentale e strategico, ma, nel farlo, seguono una logica propria» 4 • Il potenziale cognitivo non è solo quello utilizzabile tecnicamente, ma include la coscienza pratico-morale. il innegabile in ciò un ritorno weberiano (e kantiano) a « valori » che presuppongono (e non formano) la « coscienza morale ». Habermas tende addirittura a interpretare il « sapere » tecnico-strumentale come epifenomeno della storia interna dello sviluppo del conoscere 2

J. Habermas,

3

Ivi, p. 121.

4

12

Ibidem.

Per la ricostruzione del materialismo storico, dt., p. 118.

umano. Utilizzando a suo modo il pensiero di J. Piaget, egli sostiene infatti come « la storia della tecnica sia collegata alle grandi spinte [ ... ] della società tramite l'evoluzione delle immagini del mondo »; sostiene inoltre che « questo collegamento » possa « spiegarsi a sua volta per mezzo di strutture formali di pensiero, per il cui inquadramento in termini di logica dello sviluppo, la psicologia cognitivistica offre un modello ontogenetico sufficientemente indagato » 5 • Il sapere tecnico-strumentale (assai al di là di Weber) è cosi collegato colle « immagini del mondo» e dipende quindi da un ordine complesso già formato. Ciò è, in verità, assai tranquillizzante, in quanto Habermas (come C. Napoleoni) divide il lato filosofico del marxismo da quello economico. Un cambiamento nel modo di produzione (per esempio macchine che sostituiscono uomini) non può avvenire, per Habermas, che in ambiti istituzionali che si sono già attrezzati a contenere questi movimenti delle forze produttive. La legittimazione, garantita dalla coscienza morale-comunicativa, è il principale agente evolutivo; il marxismo (con la sua «dialettica») è sdrammatizzato e la storia sviluppa le sue forze latenti, quando ciò è reso non solo possibile (nel senso di Marx), ma lineare e pacifico. Tutto il segreto sta nel presupporre già modificate le istituzioni, quando si scatenino le forze produttive. Non nego che ciò sarebbe utile e desiderabile, ma avviene di fatto? Gli effetti della rivoluzione industriale attualmente in corso (informatica, elettronica etc.) e quelli prevedibili dell'applicazione tecnica della genetica precedono o seguono una sistemazione istituzionale che loro corrisponda? La disoccupazione tecnologica ormai strutturalmente esistente (e quella prevista) è istituzionalmente fisiologica (cioè legittimata da un nuovo ordine giuridico delle cose) o economicamente patologica (cioè espressione di contraddizione tra processo delle forze produttive e limiti istituzionali)? Habermas, che intende giustamente sfuggire alle soluzioni del neo-darwinismo sociale luhmanniano (in quanto si affidano interamente alle capacità operative dei sistemi, escludendo da questi l'uomo quale soggetto attivo)', aggiunge, come forza dinamica, alla morale weberiana (trasformata in valore d'intercomunicazione umana) la spinta, per cui la scienza e la tecnica, come « immagini del mondo », sono mere riserve di potenziali cognitivi. Un altro 5 6

Ivi, p. 122. Su questo punto si veda C. Luporini, Marx/Luhmann: Trasformare il mondo o governarlo, in Problemi del socialismo, 1981, n. 21, pp. 63 sgg.

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tassello è cosi aggiunto al ricalco idealistico di Marx, iniziato da Weber e portato innanzi da T. Parsons. La consapevolezza delle drammatiche novità che le forze produttive introducono nella dinamica sociale è indebolita e attenuata da questo primato della legittimazione. Non è però mia intenzione impostare questo saggio come una critica a questo lato della « ricostruzione » del marxismo di Ha, bermas. Poiché la rivoluzione industriale e la crisi del capitalismo sconvolgono oggi tutti i meccanismi di produzione e riproduzione sociale, la soluzione del problema sta certamente anche in una contestuale trasformazione dei rapporti sociali e delle istituzioni che li regolano. Nuovi modi di vita vanno allora pensati in anticipo, leggendone gli sviluppi nei germi delle neoformazioni. A che scopo allora sviluppare una ennesima querelle sull'elemento determinante in ultima istanza, se il « nuovo » da costruire va pensato insieme allo scatenarsi delle forze da umanizzare e regolare? Il punto che mi preoccupa è invece la perdita secca, in termini di «drammaticità», dello sviluppo storico. L'alternativa da valutare mi sembra questa: o si ripropone la filosofia positivistica e si arriva a un evoluzionismo rammodernato in termini sistemici, o si mantiene rilevanza ai rapporti intersoggettivi e al loro progredire e arricchirsi e allora è necessario che la « sussunzione » delle forze produttive al capitale sia ancora vista come la filosofia delle classi dominanti, e il suo rovesciamento, cioè la « sussunzione » del capitale agli individui associati « empiricamente universali », resti il « senso » del comunismo. L'alternativa è piu radicale di quanto non pensi il neoevo!uzionismo positivistico se alla « sussunzione » al capitale vogliamo sostituire concetti come « coordinazione », «associazione», «regolazione» etc. (che dànno significato alla «seconda» sussunzione). Tale sostituzione ha bisogno di vecchi e nuovi «portatori», che sono sia le classi lavoratrici di Marx, sia le forme piu complesse di cittadini-lavoratori che hanno maturato la consapevolezza intellettuale della vastità dei problemi (difesa della democrazia, diritti civili di tutti gli uomini, pace, sottosviluppo, nuova alleanza con la natura etc.) che si pongono alle forze che vogliono mantenere aperte le possibilità di progresso. Questa trasformazione dei « portatori » non è solo un fatto soggettivo, ma esige nuove funzioni produttive, un dilatarsi della divisione del lavoro e presuppone una complessa indicazione di obiettivi di mutamento del modo di produzione. Ma proprio per questo risulta pericoloso abbandonare la « critica » che Marx ci ha suggerito _14

riaffidandoci invece ad « assicurazioni » che assumono vèste provvidenzialistica, in quanto credono di poter eliminare conflitti e contraddizioni. È un fatto che Habermas giudica che la critica di Marx comprenda « l'unità di mondo sistemico e di mondo della vita [ ... ] secondo il modello dell'unità di una totalità morale lacerata, i cui momenti astrattamente separati sono giudicati al tramonto [ ... ]. Il processo di accumulazione, staccato dagli orientamenti del valore d'uso, vale letteralmente come parvenza. Il sistema capitalistico non è altro che la figura spettrale dei rapporti di classe rovesciati e feticizzati nell'anonimo [ ... ] . Marx comprende la società capitalistica talmente come totalità, che egli disconosce il valore proprio evolutivo che i sottosistemi posseggono » e « non vede che la differenziazione di apparato statale e di economia rappresenta anche un piano piu alto a differenziazione sistemica che [ ... ] apre nuove possibilità di guida [ ... ] » '. È qui attaccata, insieme collo strumento critico, anche la ragion d'essere della «critica». Habermas non si accorge che, se il processo di accumulazione si presenta come parvenza, ciò è un risultato analitico del modo come il profitto e il suo saggio determinano lo stato delle coscienze. Ciò che deve essere rimosso è dunque il profitto non in relazione alle sue caratteristiche di strumento ·di calcolo, ma a quelle di « sprone » dell'agire umano. Alla conclusione sul carattere « spettrale » e « feticistico » del sistema, Marx è giunto non descrittivamente, ma analiticamente, e correggendo rilevanti errori e omissioni della classica interpretazione ricardiana. Habermas salvaguarda la « linea filosofica » della comunicazione interumana come forma del mondo della vita, ma, cosi facendo, egli cerca di porre tale linea al riparo dalle corpose minacce del « capitalismo », nascondendo a se stesso che quella « sfera comunicativa », che egli sublima come « moralità » e « coscienza », è oggi, nella sua veste prosaica di forza produttiva, il principale agente di reificazione e di feticismo '. La scelta storica di fronte a cui la nuova rivoluzione industriale ci pone (in quanto induce un'enorme disoccupazione tecnologica, senza risolvere i vecchi problemi del capitalismo) è tra uno sviluppo della democrazia e delle libertà fino al limite dell'autogoverno e un dominio autoritario e alienante. Habermas è contro J. Habermas, Theorie

des kommunikativen Handelns, Band 2, cit., pp, 498-99. Su ciò possiamo consultare la sterminata letteratura suUa informatica nel suo collegamento colla microelettronica. Per una visione complessiva di questo lato della rivoluzione tecnologica in atto si veda Critica marxista, 1982, n. 5. 7

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quest'ultima alteruativa; paradossalmente, rifiuta la « critica », cioè quel lato dell'elaborazione di Marx che soprattutto ci dà strumenti per sostenere la prima soluzione. 2. La critica della politica

Nelle pagine che seguono intendo indicare alcuni momenti della « critica » di Marx, a cominciare da quella della politica per finire con quella dell'economia. Seguire questa strada non significa rinunciare alla « coruice » evolutiva, ma solo rilevare i suoi presupposti metodologici. In un passò della Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Marx afferma: « Non è da biasimare Hegel perché egli descrive l'essere dello Stato moderno tal qual è, ma perché spaccia ciò che è come l'essenza dello Stato»'. La separazione tra società civile e Stato non è rifiutata da Marx in modo teorico ed astratto, ma perché essa è sublimata da Hegel come soluzione logica e definitiva. Il punto di partenza della critica di Marx è la sua idea di democrazia. Egli ce ne dà un modello ideai-tipico che non coincide con alcuna delle forme politiche esistenti (neppure la Repubblica americana) 10 e che tuttavia è reale perché, se disposto al vertice di una serie ordinata di tali forme, può costituire, per esse, un metro di valutazione applicabile a ogni situazione esistente. La serie ha, come proprio limite superiore, l'orizzonte della coscienza possibile, che si riflette sul reale e permette di collocare quest'ultimo in un certo punto del modello e quindi di valutarlo. Scrive Marx: « Tutte le altre formazioni politiche sono una certa, determinata particolare forma di Stato. Nella democrazia il principio formale è al tempo stesso il principio materiale. Essa è, dunque, primieramente la vera unità dell'universale e del particolare [ ... ]. Nelh democrazia la costituzione, la legge, lo Stato stesso, sono 9 10

Marx-Engels, Opere, v. III, Roma, 1976, p. 72. Ho cercato di dare la spiegazione

  • del rapporto di sfruttamento gli elementi di una « seconda topica» di .Marx: dr. in particolare Ideologia ed a~ parati ideologici di Stato, in Freud e Lacan, Roma, 198!2. Quanto alle difficoltà suscitate da1la coesistenza delle due coppie « società civile-Stato)> e « struttura• sovrastruttura », si trovano interessanti riflessioni in proposito nel saggio di Cesare Luporlni, Critica della politica e critica dell'economia politica in Marx 1 in Critica marxista, 1978 (XVI), n. 1. 4 Si trova in Stanley Moore, Three Tactics, New York, 1963, pp. 78 sgg., un notevole resoconto del « modello strategico» fondato su questa concezione del « superamento stesso)> del capitalismo a partire dalla concentrazione del capitale. Egli vede qui la fonte di un «riformismo)> che sarebbe presente nello stesso

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    strando che si può derivare uno dei due termini a partire dall'altro, fare di uno l' « espressione » o lo « strumento » dell'altro. Ma allo stesso tempo è stato in certo modo obbligato a riconoscerla, come risulta evidente dalle sue analisi del bonapartismo e del bismarckismo. Ciò sarà ancora piu chiaro nelle analisi dell'imperialismo di Lenin. Credo che troviamo qui la « buona ragione » che Marx aveva per tener ferma la coppia società civile-Stato. In questo senso tale coppia è del tutto pertinente dal punto di vista della borghesia, o del dominio di classe borghese, anche se non si riduce a questo. Non è soltanto una formula di linguaggio, è una forma di organizzazione (e anzi una « forma di vita »), una forma politica strutturale, purché si ammetta che la società è il capitale, o le condizioni della riproduzione del capitale, e nient'altro. Ma in un certo senso anche i lavoratori, le loro famiglie etc. fanno parte delle condizioni di riproduzione del capitale. Ciò non impedisce tuttavia che, al contrario, la coppia società-Stato sia completamente inadeguata per comprendere il senso politico della critica dell'economia politica. Tornerò in seguito sullo sfruttamento. In realtà, la coppia società civile-Stato è la tomba, o il soffocamento, della « politica proletaria». Si parte dall'idea che questa politica è già presente, in un certo modo, nel processo di lavoro, o piuttosto nella contraddizione esplosiva delle condizioni di vita e delle condizioni di lavoro del salariato dell'industria. Ci si propone di conseguenza di vedere come questa contraddizione si sviluppa, come essa costringe in un certo modo e in certe congiunture tutte le altre contraddizioni o anche le piu semplici differenze presenti nella formazione sociale ad allinearsi con essa. Si mostra che sul campo politico si esercita quindi una duplice costrizione: da un lato la costrizione del processo di accumulazione del capitale, alla quale anche gli operai sono obbligati a sottomettersi; dall'altro la costrizione delle lotte operaie, della quale anche i capitalisti sono obbligati a tener conto. Ma appena si definisce e si localizza la contraddizione di base come contraddizione nella « società civile », o della società civile, si è presi in un circolo. « Sviluppare » la contraddizione, significa allora farla passare nell'elemento superiore dello Stato, o inversamente attirare lo Stato nell'elemento della società civile e riassorbirvelo. Ma Stato e società civile non sono che Io specchio l'uno dell'altra. Di conseguenza si gira in tondo, e Marx. È da notare che, nel libro III del Capitale, capp. 24 e 27, Marx presenta questo superamento come un processo ambivalente, le cui contraddizioni sarebbero suscettibili sia di una «buona» che di una «cattiva» soluzione.

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    in particolare, in luogo di arrivare a pensare la politica· proletaria come un'altra pratica della politica, a partire dalla quale la parola «politica» cambia di senso, non se ne può fare altro che l'anticipazione dell'unità infine ricostituita fra la società e lo Stato, a profitto dell'uno o a profitto dell'altra. Si è completamente presi nella trappola in cui incorre l'ideologia socialista: volendo mettere « la società », le sue forze produttive, la sua autonomia etc., al posto dello Stato come istanza dirigente, regolatrice o totalizzante, si finisce in realtà col sostituire uno statalismo all'altro, uno statalismo della produzione e della pianificazione allo statalismo del libero scambio, del contratto e del « governo degli uomini» ... Voglio dunque dire questo: se c'è in Marx un elemento di « politica proletaria » che sia un autentico terzo termine, bisogna cercarlo dapptima (come piu tardi in Lenin o in Gramsci) dal lato di ciò che resiste alla dicotomia società civile-Stato, e la disarticola. E se lo si può trovare prima di tutto nella critica dell'economia politica, è perché questa dicotomia, come Marx la recepisce (e noi dopo di lui), è prima cli tutto un effetto dell'ideologia economica .. Hegel non avrebbe potuto costruire la sua rappresentazione dell'insieme come rapporto gerarchico e concentrico tra società civile e Stato, se non avesse ricevuto questa distinzione dagli economisti, a cominciare dal senso stesso della parola « società civile » che, prima di Smith e di Ferguson, vuol dire società politica. Risalendo da Hegel agli economisti, Marx risale alla fonte di questa rappresentazione ideologica. Ho parlato di riconoscimento e misconoscimento insieme. fì una formula pericolosa, perché mi si potrà dire che si tratta di una valutazione puramente soggettiva. In realtà non cerco di darne le prove, ma solo di renderla accettabile come ipotesi di lavoro. Dirò che Marx, come i socialisti del suo tempo - e in questo senso egli non è che uno di loro - è completamente dentro l'ideologia economica. Per esempio, Marx perpetua in una parte delle sue analisi l'ideologia economica dell'automatismo, o della regolazione spontanea dei fenomeni economici in termini quantitativi. Se porta alle stelle il tableau économique di Quesnay e tenta di riprodurlo nel libro II del Capitale, è perché il tableau permette contemporaneamente di criticare l'idea di una regolazione del mercato (della concorrenza) e di sostituirla con l'idea di una regolazione della produzione e della riproduzione sociali. fì ancora piu significativo il fatto che, mentre Marx critica, come tutti sanno, il naturalismo degli economisti, il modo in cui essi si rappresentano la produzione

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    di merci come uno stato di natura, questa cnt1ca lo conduce a « storicizzare » il capitalismo in una forma molto particolare: iscrivendo le tendenze della produzione di merci in una legge evolutiva generale che Engels paragonerà addirittura a quella di Darwin. E non ci vorrà molto tempo perché, nell'ideologia dominante, le leggi evolutive vengano ad occupare esattamente lo stesso posto degli stati di natura, quello di garanzia metafisica del progresso nella stabilità ... 5 D'altro lato, contraddittoriamente, Marx, a differenza di tutti i socialisti del suo tempo - e in questo senso non può essere considerato come uno di loro (qui sta d'altronde una delle ragioni della sua insistenza sulla parola comunismo) - è al di fuori dell'ideologia economica: procede alla demolizione sistematica del suo modo di analisi. Per dimostrarlo in modo convincente, bisognerebbe rileggere tutto il primo libro del Capitale. Ho parlato di leggi di evoluzione storica ... Ma accanto a questo concetto che appare soprattutto come una generalizzazione filosofica a posteriori, ce n'è un altro del tutto diverso, e molto piu direttamente impegnato nell'analisi: il concetto di legge tendenziale. Una legge tendenziale è la combinazione di una tendenza e di una contro-tendenza. Ciò non vuol dire che la tendenza è rallentata, o che la storia del capitalismo segue una via intermedia fra tendenza e contro-tendenza; ciò vuol dire che la tendenza non perviene mai là dove tendeva naturalmente. Per questo c'è una storia del capitalismo e non soltanto una logica dell'accumulazione. Ma vuol dire soprattutto che il capitalismo non può « gestire » le proprie tendenze senza combinare fra loro delle strategie di sfruttamento della forza-lavoro del tutto eterogenee, che sono altrettanti modi di rispondere alla lotta di classe o di anticiparla, nel senso in cui si dice che un bravo sportivo è quello che sa anticipare l'avversario ... Con questa differenza: che non ci sono regole del gioco, e tutti i colpi sono permessi. Ecco perché Il capitale, con grande stupore della maggior parte dei suoi lettori, non si presenta come un'argomentazione puramente economica. Se parte dal valore, è per risalire al lavoro, e di là al pluslavoro. E a partire da questo momento non si è piu nell'economia, ma in alcuni capitoli di storia delle lotte di classe 5

    Beninteso, Darwin, da parte sua, non definf mai la sua « ipotesi >>, dive-

    nuta in seguito

    , come una legge di sviluppo, nel senso degli evoluzio-

    nisti contemporanei.

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    dove si vedono interferire con i problemi della produttività e del profitto le coalizioni operaie, i rapporti degli ispettori di fabbrica, la legislazione del lavoro e perfino la sanguinosa espropriazione delle popolazioni delle campagne, legata ad una « accumulazione primitiva » che di primitivo non ha che il nome. In breve, siamo nella storia delle strategie dello sfruttamento, e non piu nella distinzione tra società civile e Stato. Dunque siamo in pieno nelle condizioni della politica proletaria, almeno in qualcuno dei suoi aspetti piu immediati. Ciò forse permette di comprendere perché molti lettori di Marx spiegano che tutto ciò che nel Capitale non è traducibile in termini di valore di scambio e di rapporti quantitativi tra valori di scambio o prezzi, appartiene alla « metafisica » ... Concordo pienamente che queste considerazioni non risolvono i problemi pratici della politica proletaria sollevati, per esempio, dalle successive figure della « dittatura del proletariato». Ma in certo modo è meglio cosi, se non si vuole ricadere in una qualche forma di primato della teoria sulla pratica. Non risolvono la questione della forma-partito (ma possono forse illuminare quella del sindacato, che è inseparabile da questa). Non risolvono la questione di una analisi anch'essa materialistica, dunque critica, del marxismo come ideologia di massa, cioè insieme ideologia rivoluzionaria e ideologia di Stato. Non risolvono la questione di sapere se, come dice il Manifesto, « tutta la storia delle società finora esistite è storia di lotte di classe », cioè se si possano trattare le analisi del Capitale e la critica dell'economia politica come una sequenza analitica, anziché farne il germe di una totalizzazione e quindi una sorta di ontologia sociale fondamentale ... Ma possono permettere di formulare un'ipotesi sulle ragioni anch'esse ambigue della perennità, o della capacità di adattamento del marxismo. Questa ipotesi è che l'economia - come tale - è l'ideologia di Stato per eccellenza, o l'ideologia di Stato principale della borghesia come classe dominante, dalla fine del XVIII secolo sino ai nostri giorni, compresa beninteso l'ideologia di Stato degli Stati socialisti, che sono degli Stati borghesi piu o meno destabilizzati o ri-stabilizzati. È cosa singolare che Marx, per un verso non dica nient'altro e non cessi di ripeterlo, designando gli economisti come « ideologi della borghesia », suoi « rappresentanti ideologici», contrapponendo « l'economia politica del lavoro» a quella « del capitale». Ma d'altra parte, quando costoro formulano esplicitamente la questione di una forma dominante dell'ideologia dominante nelle società capitalistiche, Marx e soprattutto Engels 46

    dicono che questa forma è l'ideologia giuridica, cioè l'ideologia dei diritti dell'uomo, del contratto sociale e del regime parlamentare ... E vero che, in questa formulazione, c'è un rinvio indiretto all'economia, poiché l'ideologia giuridica - spesso poco distinta dal diritto stesso - è analizzata come riflesso dell'estensione universale delfa proprietà privata e dello scambio di merci. Ma in questo modo, _anziché designare l'economia come uno strato piu profondo, o pili esteso, dell'ideologia dominante, si tenderebbe piuttosto a farne il reale che spiega la produzione dell'ideologia come tale; ed ecco che, cosi, si tende piuttosto a sanzionarla che a criticarla. Di fatto, la difficoltà per Marx sta nel poter dire insieme che c'è una economia politica scientifica, o che c'è una scientificità nell'economia politica, e che l'economia politica è l'ideologia di Stato numero uno della borghesia. Non è la sua analisi del discorso economico (almeno quello dei« classici») che glielo impedisce. Al contrario. Lo prova la conclusione tratta dalla lettura di Adam Smith: « I borghesi hanno ottime ragioni per attribuire al lavoro una soprannaturale forza creativa », o ancora il riconoscimento del fatto che Ricardo esprime « senza complimenti », « senza illusioni» la logica dell'accumulazione del capitale a spese dei proprietari fondiari. Glielo impedisce soprattutto il fatto di aver sempre disposto solo di una definizione teorica dell'ideologia come speculazione, dunque di una contrapposizione formale tra scienza e ideologia che per l'appunto era rimessa in discussione dalla sua critica dell'economia (che rende letteralmente impensabile l'ideologia proletaria se non come filosofica « coscienza di classe » ): una contrapposizione di cui non sarebbe difficile mostrare di nuovo la parentela con la coppia società civile-Stato. O anche il fatto di aver creduto, in funzione di questa definizione, che l'elemento ideologico raggiunge il culmine della sua efficacia « mistificatrice » quando, nella « topica » sociale, si è nel punto piu lontano dai rapporti sociali determinanti e dal riconoscimento delle lotte di classe. Mentre in realtà la critica dell'economia suggerirebbe piuttosto pensiamo agli straordinari capitoli sulla forma-salario - che la massima efficacia dell'elemento ideologico si situa nel punto piu vicino alla contraddizione sociale, quando il discorso ideologico è direttamente intrecciato ai rapporti conflittuali che si tratta di controllare. Il solo tentativo approfondito di Marx per andare in questa direzione è il testo affascinante sul « feticismo della merce ». Ma essendo Marx obbligato a venire a patti con la sua

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    identificazione tra ideologia e speculazione, tutto resta all'interno di una stupefacente costruzione post kantiana della dialettica delle apparenze sociali, e soprattutto il concetto di ideologia dominante è completamente privo di qualunque riferimento allo Stato 6 • Da ciò deriva che un'altra radice delle difficoltà di Marx a enunciare in tutte lettere quel che non cessa di dimostrare praticamente, è la sua difficoltà a distinguere ciò che chiamo qui grossolanamente l'ideologia di Stato numero uno della classe borghese (indispensabile non soltanto al dominio, ma alla costituzione e anche alla ricostituzione di una classe borghese), dall'ideologia particolare che « cementa » dall'interno 1'apparato di Stato borghese, il comportamento dei suoi funzionari, l'attività dei suoi intellettuali, i diritti e i doveri dei cittadini verso l'apparato di Stato etc., e che è in effetti l'ideologia giuridica, o se si vuole la « concezione giuridica del mondo » ( in opposizione ad una concezione religiosa). Questa distinzione viene camuffata quando Engels scrive che « lo Stato è la prima potenza ideologica » ', facendo dell'ideologia dominante il prodotto dell'apparato di Stato, mentre la prima questione è sapere quale forma ideologica deve diventare dominante perché la borghesia possa controllare, trasformare e utilizzare l'apparato di Stato. Ci sono indubbiamente ragioni storiche di ogni ·;~;?;=che possono aiutarci a comprendere perché questa distinzione è cosi difficile per Marx. Per esempio l'influenza della rivoluzione francese che aveva indotto Marx a pensare che « la Francia è il paese classico della politica borghese», mentre l'Inghilterra del liberalismo e della rivoluzione industriale sarebbe soltanto il paese classico dell'economia borghese. Ne derivava una specie di sfasatura tra le due metà della società borghese « tipicizzata » che faceva si che, in pieno XIX secolo, Marx continuasse a rappresentarsi l'Inghilterra come un paese senza Stato borghese sviluppato {lui che viveva da anni nel cuore di Londra!). D'altro lato, piu il dominio di classe della borghesia si consolidava in Francia, nella forma del bonapartismo e piu tardi della III Repubblica, con quello straordinario sviluppo dell'apparato di Stato burocratico e centralizzato {che è di moda oggi chiamare «giacobino», senza 6

    Cfr.

    J. Rancière,

    Critica e critica dell'economia politica, Milano, 1973,

    pp, 74 sgg., pp, 121 sgg.; e É Balibar, Cinque studi di materialismo storicoJ Ba-

    ri, 1975. 7 Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, Roma, 1969 2 , cap. 4.

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    tema del ridicolo storico), piri Marx ed Engels erano travagliati da queste forme pJ;)litiche inedite. E questo li spingeva a spiegare che di regola la classe borghese non « esercita di persona » il dominio politico, ma lo delega ad altri che non siano i propri gruppi dominanti ... Oggi noi possiamo, anche senza entrare nei particolari, prendere una certa distanza rispetto a quelle condizioni storiche e percepire invece quanto c'è di pertinente nel fatto di aver lavorato senza posa ad armare la « politica proletaria » non per mezzo di una critica dell'ideologia giuridica - qualunque siano le conseguenze di questa « lacuna » - ma anzitutto per mezzo di una critica dell'ideologia economica 8 • La cosa fondamentale è che, a partire da Adam Smith, il discorso « economico », presentandosi come scienza e separandosi radicalmente dal « politico », presentato come una sopravvivenza precapitalistica, dunque istituendo la distinzione fra società civile e Stato, fornisce alle diverse frazioni de!la borghesia i mezzi per pensare, e dunque organizzare, l'unità dei loro interessi come altrettante condizioni dell'accumulazione del capitale. Si chiamerà dunque « politica » tutto ciò che contrappone fra loro questi interessi, e « economia » tutto ciò che li riconduce alla logica dell'accumulazione, cioè al «comando» del capitale (o del denaro) sul lavoro. Improvvisamente si ha il mezzo, almeno teorico, di impedire agli interessi del lavoro, o meglio dei -lavoratori, di inserirsi nei conflitti di interesse fra diverse frazioni borghesi per perturbarne gli « arbitrati » ( come si dice oggi) e per scalzare le basi di massa dello Stato. O anche, si ottiene la soluzione « infine trovata» (come direbbe Marx) al problema che la filosofia politica classica non aveva mai potuto risolvere in modo soddisfacente con il suo « stato di natura» e il suo « contratto sociale». Si trattava in effetti di formulare una teoria che ponga dapprima il conflitto degli interessi, la « guerra civile » inevitabile, 8 Il libro recente di Louis Dumont, Homo aequalis (Paris, 1977), ha indubbiamente contribuito a rilanciare fra noi la discussione sugli effetti politici dell'ideologia economica (molto in ritardo rispetto ad altri paesi). Ma poiché le sue sequenze discorsive sono immerse in un vasto confronto « antropologico» tra le società dette « oliste » e le società dette «individualiste» (trasformazione fra l'altro del vecchio paradigma dello «Stato» e del «contratto», della « Gemeinschaft » e della « Geseilschaft », del «naturale» e del «monetario», delle società «fredde)> e delle società «calde»), persisto a ritenere che le analisi piU limitate di J.P. Osier a proposito di Smith e Hodgskin sono anche phi istruttive (nel suo piccolo saggio Thomas Hodgskin, une critique prolétarienne de l'économie politique, Paris, 1976).

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    per mostrare in seguito negli stessi termini di questo conflitto la necessità della sua soluzione, cioè della costituzione di un insieme, di un ordine armonioso, di una volontà generale. Anziché ricercare questa soluzione sul terreno del diritto, della moralità, della « legge naturale », l'ideologia economica la sposta radicalmente. Dice che quest'ordine non è « politico », non è imposto dallo Stato, ma è semplicemente la stessa logica economica, il gioco degli interessi contrapposti tendenti allo stesso equilibrio generale, la « mano invisibile » del mercato. E allo stesso tempo si ottiene una soluzione incomparabilmente superiore alle precedenti. Non c'è piu bisogno degli artifici complessi del contratto sociale e delle sue limitazioni o garanzie. Non c'è piu bisogno di supporre in modo fittizio una ricostruzione dello Stato a partire da zero, da uno « stato di natura » immaginario che comporta sempre an.::he il pericolo di ciò che Spinoza chiamava, a proposito della monarchia, il « ritorno alla massa », di ciò che Hegel designerà piu tardi con spavento come il « fanatismo » di coloro che hanno troppo letto Rousseau ... Basta continuare lo Stato, e riformarlo assegnandogli il compito di riprodurre le condizioni del « libero gioco » del mercato, incluso il mercato del lavoro, e incluso beninteso il mercato « pianificato » '. Penso, con tutti i segni di ipotesi che si vuole, che siamo sempre nello spazio ideologico aperto da questa rimarchevole 9 Queste ipotesi, come si vede, anche se coincidono con la tesi sostenuta da P. Rosanvallon nel suo libro Le capitalisme utopique (Paris, 1979), che deve molto specialmente a L. Dumont, raggiungono però un esito opposto. Certamen• te mi sembra giusto affermare come Halévy, Macpherson e alcuni altri - che feconomia politica classica « mira a risolvere un problema politico», e che deve > e del loro carattere condizionante anche la politica « per lo meno nel mondo moderno>>). Ma la portata di questo nuovo comunismo (anche « comunismo critico»), in via di elaborazione, ovviamente oltrepassa i limiti specifici della « Lega dei comunisti » per investire tutti i comunismi e socialismi « esistenti » ( cioè, già teorizzati) in generale; come si può evincere facilmente dai contemporanei testi di Marx. Ho cercato di illustrare questa evoluzione critica di Marx (ma, differenziatamente, anche di Engels) nella mia introduzione all'Ideologia tedesca (Roma, 1967, pp. LX-LXIX). 3 L'allusione è qui al notissimo paragrafo del Manifesto del partito comunista (1847) di Marx e Engels, intitolato Socialismo e comunismo critico-utopistici.

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    l'autonomia della teoria e, in generale, della scienza, a cui teneva moltissimo, per disposizione mentale, ma anche perché vede in essa uno strumento essenziale per denunciare e smascherare gli aspetti di dipendenza da interessi di classe delle concezioni (storiche, sociali, economiche ecc.) che egli si trova a combattere. Nel suo concetto pur altamente pragmatico ( vedremo in che senso) non la verità (teorica, scientifica) dipende dalla rivoluzione, ma la possibilità della rivoluzione vien fatta dipendere da una verità criticamente raggiunta e dimostrata. Alla ricerca di questa verità appartiene, per le ragioni anzidette, la tematica della storia. Che ai suoi enunciati teorici generali Marx abbia riservato uno spazio molto ristretto (rispetto alle analisi particolari, soprattutto della società capitalistica), se per contrasto procurò grande rilevanza alle pagine della Prefazione del 1859 (forse al di sopra delle stesse intenzioni di Marx), è un fatto che non cancellava l'esigenza, verificatasi a un certo momento, di una piu distesa o meno concisa esposizione. Come in altri casi analoghi, di bisogno di diffusione e popolarizzazione degli aspetti generali e complessivi della teoria, o dei suoi punti di vista fondamentali, ma anche di organizzazione sistematica delle loro conseguenze in campi diversi del sapere e dell'agire (e prima di tutto in quello politico-sociale) a tale bisogno dette soddisfazione Friedrich Engels, inizialmente forse non troppo incoraggiato da Marx, ma comunque sempre da lui avallato. Questo accade col celebre Antidiihring (1878), opera cui toccò con l'andare del tempo una straordinaria fortuna internazionale quale veicolo di quel « complesso di dottrine», o « dottrina complessa» (cosi Antonio Labriola, rispettivamente nel 1895 e nel 1897) 4 che dopo la morte di Marx (1883) sempre piu fu chiamato «marxismo» (una dizione personalizzata assai estranea alla mente di Marx) 5 • Uno dei ca4 Scrive Antonio Labriola nel saggio In memoria del manifesto dei comu~ nisti: « Il complesso di dottrine che ora si è soliti di chiamare marxismo» ecc. (A. Labriola, La concezione materialistica della storia, Bari, 19452, p. 31). Nel suo Discorrendo di socialismo e filosofia (Bari, 19444, p. 23) si legge ecc. a E anche alla mente di Engels, si può aggiungere. « Essi non hanno dato un visto di entrata a questo neologismo, al contrario: reagiscono irritati ad esso, lo rifiutano», scrive G. Haupt nel capitolo Da Marx al marxismo del suo utilissimo libro (l'ultimo studio che egli ci ha lasciato) L'Internazionale socialista da Marx a Lenin (Torino, 1978, p. 128}. Ritengo si debba consentire con questo giudizio dello Haupt: « La paternità delle nozioni di "marxista" e di "mar~

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    pitali della terza parte dell''.'1ntidiihrin,g _(i1;1titolata Soc_ialismo) inizia con le parnle «La concez10ne rnaterrnhst1ca della storia[ ... ]». Questa espressione (insieme a quella piu sintetica di « materialismo storico») entrerà largamente nell'uso, in parallelo con l'altra, « socialismo scientifico» elaborata nell'opuscolo engelsiano pubblicato (1882) pochi fDesi prima della morte di Marx, L'evolt!zione del socialismo dall'utopia alla scienza (rifusione di tre capitoli dello stesso Antidiihring), per designare e circoscrivere l'aspetto rivoluzionario della teoria marxiana. In questo assestarncD.to il (ivi, p. 127). Aggiungerei tuttavia che, per il periodo precedente, è da fare una certa distinzione fra il vecchio termine « marxista)> e il sopraggiunto termine «marxismo». Marx, com'è noto (e come spesso oggi è ripetuto senza intendere bene la cosa), rifiuta di dirsi «marxista» (lo ricorda piU di una volta anche Engels), mentre praticamente ignora il termine « marxismo». Nella priorità cronologica del primo termine è da vedere piuttosto una analogia con altri usi di termini personalizzati (come ad esempio Iassalliano o bakuninista ecc.), in cui si esprime la tendenza non tanto a circoscrivere una teoria, quanto a indicare la seguacità - in qualche modo a guisa di setta - rispetto a un capofila politico che è anche un elaboratore di idee, e di cui ci si proclama « scolari».

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    tire da alcune espressioni di Engels) 6 • Comunque noi v1v1amo oggi in una situazione tale per cui, se si vuol penetrare nel vivo della problematica di Marx, è opportuno liberarsi da tali « scenari » e dal « marxismo » stesso ( o dai « marxismi » in genere). La dizione, tuttavia, « materialismo storico», nella sua rappresa semanticità anche polemica («materialismo» ma «storico»; storia globale o integrata, ma su basi materialistiche) serba sufficiente verità e utilità da poter ancora essere usata quale approssimazione e indicazione problematica di un determinato modello di teoria.

    II. È la teoria esposta da Marx precipuamente nelle ricordate pagine della Prefazione del 1859 7 • Essa è da lui presentata come un « risultato generale » a cui egli era precedentemente pervenuto, che gli serve, una volta acquisito, da « filo conduttore » nei suoi studi. Ma come un « risultato generale » - in un uomo cosi parco di estreme generalizzazioni - può a sua volta servire da « filo conduttore »? Se si guarda (come faremo piu oltre) al contesto, cioè al contenuto esposto, ci si accorge che si tratta, appunto, di una teorizzazione, la quale .consente di proseguire in detti «studi» (economici, sociali, storici, politici ecc.) dal cui precedente avvio essa è sorta: lo stabilirsi, cioè, di un particolare livello di teoria, pressoché una metateoria (ancorché non allo stato puro e formalizzato) rispetto ad essi, che ne determina le categorie fondamentali di ricerca (« modi di produzione» storici, e corrispondenti « formazioni sociali», destinate ad entrare in azione nelle analisi particolari, via via organizzando categorie subordinate. Come Marx è pervenuto a questo « risultato generale » (che dovremo esaminare e discutere anche in se stesso)? Questa domanda è importante non solo filologicamente ma per riuscire a dar corpo, teoreticamente, a una esposizione 6 Per la tendenza che cosi si espresse mi sembra significativo quanto già scriveva Antonio Labriola nella terza lettera del Discorrendo (ed. cit., p, 25), a pro• posito della locuzione « socialismo scientifico»: « adopero cotesta espressione non senza tema che il mal uso che se ne va facendo possa averla resa in certo qual modo presso che risibile specie quando è usata a significare un certo che di scienza universale». 7 Cfr. K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Roma, 1971. Questa prefazione è talmente nota che mi esimo dal dare indicazioni di pagina quando ne analizzerò il testo nei suoi nodi cruciali. Tali citazioni hanno rilievo solo tenendo sempre presente tutto il contesto.

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    altrimenti cosi concisa (e perfino ellittica, in qualchè punto). Inoltre una tale storicizzazione rispetto al passato dello stesso Marx, a cui egli in certo modo ci invita (parlando di « risultato generale » ), convoglia una storicizzazione simmetrica rispetto al futuro, poiché quel testo teorico o metateorico non è certo l'ultima parola di Marx intorno alla storia. Siamo all'incirca a metà di un lungo percorso di cui Marx ci indi.ca le origini (negli anni 1844 e 1845). In poche parole: senza diminuirne l'importanza, il testo del 1859 va relativizzato, anche teoricamente, e non ipostatizzato, come spesso è avvenuto. Anche ciò che abbiamo detto metateoria (in quanto teoria della storia) ha una storia, non racchiudibile in un testo solo.

    III. È lo stesso Marx dunque, in queste pagine, a indicarci il luogo di origine della sua concezione della storia (e della società) precipuamente in quel manoscritto dell'Ideologia tedesca che egli tuttavia (con Engels) non rimpiange di aver lasciato, a suo tempo, alla « critica roditrice dei topi», poiché è in grado di fornircene il « risultato generale»'. Oggi, dopo la pubblicazione (1932) dell'Ideologia tedesca siamo in condizione di verificare anaìiticamente la misura di questa corrispondenza. Nell'Ideologia tedesca, particolarmente nella sua prima parte (intitolata Feuerbach ), troviamo il materialismo storico allo stato nascente, quindi anche pieno di imperfezioni, in un'esposizione apparentemente disordinata, con molte insufficienze (soprattutto per ciò che concerne la conoscenza della economia politica), ma anche con una carica ricchissima di potenzialità che non tutte poi troveranno in Marx proporzionato sviluppo analitico, rimanendo esse in lui piu tardi parzialmente sot#ntese, anche se non inoperanti. Tocca a noi dunque esplicarle nei loro valori essenziali. Il titolo, che è polemico, allude a un nuovo significato prodotto da Marx del termine « ideologia » destinato ad avere a distanza e fino ai 8 Va osservato tuttavia (cosa che mi pare non sia mai stata messa in rilievo) che Marx, nel riportare le sue posizioni attuali al periodo della loro formazione, ne esibisce non una ma due esposizioni, sia -pur in rapidissima successione, corri~ spandenti a due fasi di maturazione. {Per la prima egli parla di « Ergebnis », per la seconda, con intonazione rafforzata, di « allgemeines Resultat », :appunto.) Questa esposizione duplice, o in due fasi, non è tuttavia senza porre alcuni problemi di interpretazione teorica (particolarmente per ciò che concerne lo status epistemologico della nozione dì ~< società civile»), problemi che qui 1:asdo da parte.

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    nostri giorni larghissimo nso, con varianti anche fuori del èampo. « marxista », e che è entrato largamente anche nel lingnaggio pubblicistico. La « critica della ideologia» (e in particolare di quella « tedesca ») è il medium stesso entro cui si stabilisce al-

    l'origine il materialismo storico come concezione antidealistica e antispeculativa (nel senso hegeliano del termine « speculazione » ). Ma al di là di queste circostanze la nozione di « ideologia » assume in Marx una complessità e anche una funzionalità propria, che vedremo a suo luogo. Il materialismo storico nasce dunque da questa opposizione a una filosofia (speculativa) che pretende di essere « senza presupposti » (contro di essa aveva già polemizzato Feuerbach, alla cui influenza solo ora Marx si viene sottraendo proprio per l'esigenza di dar spazio a!la problematica de!la storia) 9 • Si fa valere il richiamo ad alcuni presupposti necessari di ogni « storia » che solo l' « immaginazione speculativa » può rimuovere (falsando le cose). Si tratta del fondamento natut'ale nella produzione e riproduzione della « vita immediata», innanzi tutto intesa nella sua materialità e nei suoi condizionamenti fisici (anche oro-geografici); e quindi nei bisogni elementari correlativi (mangiare e bere, l'abitazione, il vestire ecc.), che costituiscono un livello permanente di necessità, valido « ogni giorno e ·ogni ora », « oggi come millenni addietro, semplicemente per mantenere in vita gli uomini » ". Il punto di partenza della considerazione è dunque nella produzione e riproduzione della vita immediata (materiale) e nel fatto, evidente anche al senso comune, che « il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza, dipende prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essi trovano e che debbono riprodurre » (cioè da un determinato ricambio degli uomini con la natura o ambiente naturale in cui si trovano a vivere in quanto essi stessi individui viventi naturali). Dunque ciò che viene messo in rilievo è prima di tutto una relazione di « dipendenza » e di « condizionamento » fisici. A questo punto si inserisce la visione piu propriamente marxiana, che allarga (in certo senso filosoficamente) quest'albeggiante nozione del modo di produzione dei mezzi materiali di 9 Si confronti la sesta tesi su Feuerbach che ,è poi quella fondamentale e piU articolata - ove Marx cerca di far vedere che Feuerbach è « costretto » dalla impostazione teorica del suo umanismo « a fare astrazione dal corso della storia)>, 10 Marx-Engels, Opere, v. V, Roma, 1972, p. 27 e, per quel che segue, p. 17.

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    sussistenza. « Questo modo di produzione » dice Marx· « non si deve giudicare solo in quanto è la riproduzione dell'esistenza fisica degli individui; anzi, esso è già un modo determinato dell'attività di questi individui, un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita 11 determinato. Come gli individui esternano la loro vita, cosf essi sono. Ciò che essi sono coincide dunque con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. » 12 In queste proposizioni è in nuce tutto il materialismo storico ( tranne le tesi relative alla coscienza e alla ideologia). In esse è evidente il passaggio da una considerazione meramente fisicale (di dipendenza e condizionamento) a una considerazione ontologica " ( « ciò che essi so11 Vi è dunque una stretta correlazione in Marx fra « modo di _produ~ zione » e « modo di vita». Su quest'ultima espressione e i suoi antecedenti sto1'1Cl m Montesquìeu, Tur,got, Ferguson, Herder (manière de vivre, manner of !ife, Lebensweise), con le relative cariche semantiche sia in senso etnologico, sia in senso sociologico (ante litteram, naturalmente), si confronti Sergio Landucci, I filosofi e i selvaggi 1580-1780, Bari, 1972, p, 464. 12 Marx~Engels, Opere, v. V, cit., p. 17. 13 Sull'ontologismo specifico di questo passaggio e sul carattere decisivo che esso assume nella struttura pili intima del pensiero di Marx, vorrei insistere; anche se qui non è possibile svilupparne tutte le implicazioni. Attraverso tale differenziazione articolata - e soltanto attraverso di essa - Marx distingue in re la riproduzione sociale dalla riprodùzione biologica, facendo corrispondere, di conseguenza, due diversi livelli epistemologici a due diversi livelli ontologici, con le leggi (o tendenze) loro proprie. Ma tenendo fermo nello stesso tempo che il secondo livello (che nella Prefazione del 1859 verrà chiamato « essere sociale») è instaurato sul primo e lo presuppone permanentemente, mentre permanentemente lo assume in sé in parte almeno modificandolo (nella prassi prodùttiva, e nelle sue conseguenze fisico-ambientali}, in un nesso indissolubile di naturalità e socialità, in cui i due momenti rimangono però sempre distinti o distinguibili. Ciò vale quindi non solo sotto il riguardo teorico (cognitivo}, ma anche sotto quello pratico (e di conoscenza della prassi), almeno per ciò che concerne gli aspetti materiali {corporei) del fare produttivo. Tutta la problematica del valore d'uso, ad esempio, sia in, generale, sia specificamente nel suo rapporto di condizionamento verso il valore di scambio (ove sia data una produZione mercantile, ed eventualmente capitalistica) si colloca in siffatta dimensione e articolazione ontologica. Credo si _Gossa dimostrare analiticamente che Marx è giunto a questa concezione, sempre poi operante nel fondo del suo pensiero, attraverso lo sforzo e -la necessità di districarsi dallo specifico «naturalismo» feuerbachiano, allorché si accorse non solo che esso non permetteva di afferrare il « corso della storia>>, ma tanto meno consentiva di fondare un pensiero rivoluzionario (teso cioè coscientemente_ a rovesciare l'esistente). È sintomatico che pro• prio sul terreno ontologico (a cui qui si è pur soltanto accennato) Marx svolga nell'Ideologia tedesca una siffatta discussione con Feuerbach, ancorandola, in una pagina di grande interesse storico e teorico {in cui vengono subordinatamente coinvolti anche Bruno Bauer e Max Stirner), a un « luogo della Filosofia dell'avvenire» (questo «luogo» è da ravvisare nel § 27 di tale opera) in cui Feuerbach precisa in polemica con ·Hegel la sua teorica dell'essere. Ove Marx non respinge radicalmente la posizione di Feuerbach, ma ne fissa quel limite oltre il

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    no [ ... ] »: onde si produrrà piu tardi la nozione di « essere sociale », la quale assume la prima mediante lo sdoppiarsi di « produzione » in un « ciò che » e in un « come ». Ma questo onta" logismo è tutto risolto, nella impostazione dell'Ideologia tedesca, per un verso in empiricità, per altro verso, ante litteram, in pragmatismo (come è confermato dalle coeve tesi sn Feuerbach) e in una sorta di comportamentismo ( « come gli uomini esternano la loro vita, cosi essi sono ». Oppure, una volta attratta nel giro concettuale la « coscienza »: « il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per gli altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso ») 14 • Dunque, alla relazione di dipendenza fisica viene sovrapposta una ulteriore relazione di essere che la assorbe senza dissolverla e che viene snbito, in una qualche misura, strutturata. Strutturata circolarmente. « Questa produzione non appare che con l'aumento delia popolazione [vedremo oltre la portata di ciò]. E presuppone a sua volta relazioni tra gli individui. La forma di queste relazioni a sua volta è condizionata dalla produzione. » 15 Appare, in questa strutturazione, una nozione che avrà sviluppi decisivi per il materialismo storico di Marx (e anche per la sua analisi specifica del modo di produzione capitalistico, e dello stesso rapporto di capitale) racchiusa nella endiadi « forma di relazioni » in cui ambedue i termini (« forma » e « relazioni ») hanno uguale peso, poiché il secondo designa il contenuto del quale soltanto riaprendo una divaricazione fra « esistenza » ed «essenza» (quest'ultimo termine sembra però usato solo simbolicamente) nei riguardi esclusivamente del « mondo umano)> (divaricazione invece cancellata dal naturalismo di Feuerbach, il quale, « ogni volta si rifugia nella natura esterna, e proprio in quella natura che non è stata ancora sottoposta al dominio degli uomini)>) appare possibile fondare teoricamente l'atteggiamento rivoluzionario di « milioni di proletari o comunisti», non disposti, appunto, ad accettare l'esistente, per il solo fatto che le sue determinazioni sono quelle che sono. Mi rendo conto che, cosf condensate, queste mie considerazioni possono apparire alquanto faticose e anche incomplete (per ciò che riguarda la questione della ontologia) e quindi le ho escluse dal testo. Ma intanto, per chi ne avesse voglia, possono servire a rileggersi la pagina sopra evocata dell'Ideologia tedesca (in Opere, v. V, cit., pp. 43-44), che è una di quelle che meglio fanno capire, ritengo, il senso complessivo della fuoriuscita di Marx dal feuerbachismo, in termini sia teoretici sia pratici, e nello stesso tempo spiegano perché la prima formul~ione del materialismo storico vada ancora sotto il titolo (polemico) Feuerbach appunto in rapporto a detto « ontologismo ):> - anche se ormai i bersagli espliciti sembrano ben piU alti (soprattutto la speculativa « filosofia della storia»). 14 Opere, v. V, cit., p, 29. 15 Ivi, p. 17.

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    primo. Marx, cioè, propone un concetto relazionale delle società umane, che egli sempre manterrà opponendolo esplicitamente alle concezioni aggregative, come mere somme di individui in qualche modo accorporati 16 • ( Ciò rende possibile determinare un « punto di vista» della società, distinto da quello degli individui esistenzialmente considerati, ed è a partire da questo scarto che Marx, già nell'Ideologia tedesca, può impiantare una problematica del1'« individuo sociale», in polemica con lo Stirner) 17 • Ora, dice Marx, le società umane hanno sempre una « forma » in quanto appunto « forma di relazioni », che è « connessa con quel modo di produzione e che da esso è generata », e « determinata dalle forze produttive esistenti » 18 (la nozione di « forze produttive », attinente all'economia politica, avrà un grande ruolo nelle sue analisi).

    IV. Marx è del tutto cosciente di operare con « astrazioni » che possono valere solo in quanto passibili di verifica em19 pirica • A quest'ultima è annessa enorme importanza nell'Ideo16

    Questa concezione che si dirama e flette nei pill diversi aspetti del pen•

    siero di Marx, non -solo sociologici ma anche economici (dalla « forma di merce » e « forma di valore» a quella stessa di «capitale», che è appunto una nozione relazionale) si trova espressa con pungente polemica {versus Proudhon) in un passo dei Lineamenti fondamentali della critica delteconomia politica (v. I, Firenze, 1968, p. 242), ove si legge: « La società non consiste di individui, bensl'. esprime la somma di riferimenti (Beziehungen), di relazioni (Verhiiltnisse), in cui questi individui stanno gli uni rispetto agli altri ». 17 _Il passo di Marx citato nella nota precedente prosegue infatti cosi: « È

    come se uno dicesse: dal punto di vista della società non esistono schiavi e cittadini: sono entrambi uomini. In realtà, invece, uomini lo sono al di fuori della società. Essere schiavo e essere cittadino sono determinazioni sociali, rap~ porti degli uomini A e B. L'uomo A in quanto tale non è schiavo. Schiavo lo è nella e per la società, Ciò che il signor Proudhon dice qui del capitale e del prodotto, significa in lui che dal punto di vista della società non esiste alcuna differenza tra capitalisti e operai - una differenza che appunto esiste solo dal punto di vista della società». La concezione di Marx dell' (Opere, v. V, cit., pp. 40-41). Marx tuttavia concede ancora qualcosa di pili (cioè, in qualche guisa, un approssimarsi alla esigenza di costruire la storiografia su « una base terrena», quella dei bisogni materiali e della produzione) ai detti « francesi e inglesi»: i quali « pur avendo compreso tutt'al pili in misura solo parziale il legame tra questo fatto e la cosiddetta storia, specialmente allorché si trovavano imprigionati nell'ideologia politica, hanno fatto però i primi tentativi

    191

    Il. maximum della ideologia (in detto senso critico-negativo) è là dove si collocano a elementi discriminanti delle epoche storiche (cosi vien detto anche nella Misère de lt1 philosophie) idee o concetti, o principi, in luogo di circostanze 'reali-materiali: e questo maximum culmina nella filosofia speculativa hegeliana (appunto, la « filosofia della storia») o suoi derivati. Alle concezioni comunque idealistiche o ideologiche viene contrapposta la concezione critico-materialistica: tutto ciò che attiene all'idea, al puro concetto, allo « spirito » e cosi via, è derivativo e non originario, rispetto al prodursi (e riprodursi) della « vita reale», ai suoi bisogni, alle sue necessità, e ali' evolversi delle forze produttive del lavoro. Certo in questa « vita reale », in quanto umana, è sempre coinvolta la « coscienza », ma essa originariamente è soltanto coscienza pratica immediata e non separata, e riflette in se stessa soltanto i limiti di quella vita. Con la divisione del lavoro è intervenuta (sin dalle antiche civiltà) anche la separazione del lavoro intellettuale da quello manuale, e il costituirsi di ceti corrispondenti, quasi sempre in funzione del dominio 38 • L'idealismo è cosi rovesciato. « Qui si sale dalla terra al cielo », dice Marx. E intende (ecco il succo antiideologico del materialismo storico): « Non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si immagina, si pensa, si rappresenta che essi siano; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo degli echi e riflessi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello degli uomini sono necessarie sublimazioni (Sublimate) del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali» 39 • Le conseguenze che Marx ne trae sono di decisiva portata per tutta la sua concezione successiva: « La morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza della loro autonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione mateper dare alla storiografia una base materialistica, scrivendo per primi storie della società civile, del commercio e dell'industria» (ivi, pp. · 27-28). 38 « Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe domi~ nante, e dunque sono le idee del suo dominio» (Opere, v. V, cit., p. 44). 39

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    Marx-Engels, Opere, v. V,· cit., p. 22.

    riale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza» 40 • Ove si deve osservare che qui si affaccia l'esigenza di una storiografia integrale, o a sfondo integrale, basata su un principio d'ordine, o logica dell'ordine (un ordine ascendente, onde, appunto, « si sale dalla terra al cielo»): · un germe dunque in qualche modo sistematico 41 • Ma si deve avvertire che è presente anche un concetto in parte diverso, e a suo modo positivo, di ideologia, come qualcosa che acquista nel processo storico complessivo, le sue « forme » (« forme ideologiche » e corrispondenti « forme di coscienza » ), cosi che il concetto critico precedentemente esposto viene a consistere propriamente nel raddrizzamento dell'inversione di tale ordine effettuale. Nel piu maturo materialismo storico tale aspetto positivo si accentuerà: le « forme ideologiche » non appariranno piu soltanto come semplici « sublimazioni », ma come vere e proprie funzioni (anche se non denominate come tali) 42 della vita reale degli uomini. Nella Prefazione del 1859 - una volta illustrate le « epoche di rivoluzione sociale » come quelle in cui le forze produttive sono entrate in contraddizione con i rapporti di pro40 Nel senso che questa è « immagine » e « rappresentazione» che gli « uomini determinati» si fanno della loro « prassi reale». La storiografia ideologica invece di muovere da tale prassi reale fa di queste rappresentazioni « l'unica forza determinante e attiva che domina e determina la prassi di questi uomini». (« Se un'epoca, per esempio, immagina di esser determinata da motivi puramente "politici') o "religiosU', benché "religione" e "politica" siano soltanto forme dei suoi motivi reali, il suo storico accetta questa opinione. }> Cioè, viene acriticamente a « c~:mdividere l'illusione delJ'epoca stessa». Cfr. Opere, v. V, cit., p. 22 e p. 40). 41 Sott0 questo riguardo natura e storia non sono opposti, perché qui il termine «natura» non concerne una «·condizione originaria», ma un rapporto permanente (detto « ricambio organico con la natura»), come si è visto fin dall'inizio. Nella sua critica alla storiografia ideologica ciò è messo in luce da Marx anche quale garanzia del carattere del tutto immanente di una storiografia programmaticamente basata sulla nuova concezione. « Finora tutta la concezione della storia ha puramente e semplicemente ignorato questa base reale della storia oppure l'ha considerata come un semplice fatto marginale, privo di qualsiasi legame con il corso storico. Per questa ragione si è sempre costretti a scrivere la storia secondo un metro che ne sta al di fuori; la produzione reale della vita appare come qualcosa di preistorico, mentre quel che è storico, appare come ciò che è separato dalla vita comune, come ciò che è extra e sovramondano. Il rapporto dell'uomo con la natura è quindi escluso dalla storia, e con ciò è creato l'antagonismo fra natura e storia» (Opere, v. V, dt., p. 40). 42 Il vecchio Engels parla di « ruolo nella storia» delle « diverse sfere ideologiche», ancorché di esse si riconfermi che non hanno « un'evoluzione storica indipendente» (Lettera a Franz Mehring del 14 luglio 1893).

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    duzione esistenti (onde questi da « forme di sviluIJpo >> di esse sono divenuti loro catene, che debbono essere spézzate) - le « forme ideologiche » (« giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche »), vengono considerate tali per cui solo attraverso di esse gli uomini divengono « coscienti del conflitto e combattendo lo conducono a termine ». La funzionalità qui è del tutto evidente. Nel trapasso da « ideologia » a « forma ideologica » vi è dunque un'ambivalenza semantica, per quanto internamente correlata, che i fondatori del materialismo storico non hanno mai ben chiarito, dando luogo a molti successivi fraintendimenti. (Engels che pur riprende nei suoi tardi anni a spiegare in che consiste il « processo ideologico » come produzione di una « falsa coscienza » 43 , simultaneamente parlerà di « regioni ideologiche » o « opere ideologiche»" sovraordinate alla « base reale».)

    X. Nell'Ideologia tedesca il « corso storico» è visto in modo ancora molto fluido quale non troppo precisata successione di stadi di sviluppo delle forze produttive, e soprattutto come susseguirsi di generazioni, accumulo e trasmissione ereditaria, resi possibili dal costituirsi di detta « base reale » della storia. Paradossalmente sembra valere per il «modello» (l'espressione è dello Hobsbawm) di materialismo storico presente nell'Ideologia tedesca quanto un moderno sistemico, il Luhmann, ha affermato riferendosi invece alla propria concezione (con dubitabile coerenza): che il passato funge da «struttura» per il presente (e il futuro)". Sono bensf affermate nell'Ideologia tedesca le « forme 43 Nella lettera al Mehring citata nella nota precedente. Questo termine falsa coscienza» (/alsches Bewusstsein), che vuol dire semplicemente, nella intenzione di Engels, consapevolezza errata, illusoria o illusionistica prodotta dal E anche: « passato e fu/turo possono esser separati come differenti orizzonti temporali del presente nella misura in cui la storia del sistema diviene, sotto punti di vista pili astratti, struttura » (N. Luhmann, Sociologia del diritto, Bari, 1977, p. 325). Ove si deve notare che a differenza della sistemica del Marx maturo, le dimensioni temporali restano estrinseche ai sistemi; e di conseguenza il cosid~ detto «presente» è concepito come mero punto divisorio fra «orizzonti»: in sostanza) sembra di poter dire, pensabile solo come un vissuto soggettivo. Tutto

    , sempre di R. L. Meek è validissimo Il cattivo selvaggio, Milano, 1980. 7 Marx-Engels, L'ideologia tedesca, in Marx-Engels, Opere, v. V, Roma, 1978, p. 18.

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    Ma nel 1845-46 la critica alla filosofia aveva già una brec vis~frna m~ intensa storia che p~ssa per i Manosc:itti economico-filosofzcz e s1 arresta sulla sogha d1 Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, dove alla filosofia era ancora assegnato un compito d'illuminazione: « È innanzitutto compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell'autoestraniazione umana, smascherare l'autoestraniazione nelle sue figure profane» 8 • E dopo la « critica delle armi » 9 che va ricordata, e dopo lo scenario storico grandioso dove i filosofi divengono privilegiati funzionari dell'ideologia come consenso coatto, fabbriche intellettuali di forme della coscienza che rendono accettabile l'esistenza nell'infelicità e sotto il dominio, non resta che giungere all'epilogo crudele della Miseria della filosofia dove si legge: « In linea di principio un facchino differisce da un filosofo meno che un mastino da un levriero. È la divisione del lavoro che ha creqto un abisso tra l'uno e l'altro » 10 • Non sono passati nemmeno dieci anni da quando Marx studente prendeva appunti per la sua tesi di storia della filosofia greca e viveva la sua vocazione filosofica come la forma piu alta di vita. Un filosofo in un ambiente dove il pensiero sembrava - e in quell'ambiente lo era anche - la forma piu attiva e piu efficace dal mutamento storico, un filosofo capace di realizzare nella sua missione la chiarezza delle coscienze, la conversione alla ragione, la comunità dello spirito come emancipazione dalle leggi ingiuste, dalle divisioni fittizie, dai poteri non legittimi. Certo l'esperienza diretta della Francia degli anni quaranta era un altro panorama sociale rispetto al disegno sociale proveniente dalla strada di Saint-Simon 11 , come l'economia politica inglese un'altra cultura che consente di leggere non le ingiustizie della proprietà privata come voleva Proudhon, ma l'anatomia sociale della produzione capitalistica. L'emancipazione filosofica dell'uomo 8 K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, cit., p. 191. 9 L'espressione è notoriamente in Per la critica delta filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, cit., p. 197. 10 K. Marx, Miseria della filosofia, in Marx-Engels, Opere, v. VI, Roma, 1973, p. 188. 11 È la nota tesi di P. Ansart, Marx et l'anarchisme, Paris, 1969, sull'influsso di Saint-Simon in Marx nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Sul clima parigino dr. P. K8gi, Biografia intellettuale di Marx, Firenze, 1968, pp. 114 sgg, Sulla formazione economica cfr. E. Mendel, La formazione del pensiero economico di Marx, Bari, 1969.

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    - tema che la cultura tedesca aveva sviluppato sino dai tempi di Lessing - si trasformava nel problema della emancipazione sociale del proletariato dall'oppressione della proprietà. In Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, Marx aveva scritto: « Come i popoli antichi vivevano la loro preistoria nella immaginazione, nella mitologia, cosi noi tedeschi abbiamo vissuto la nostra storia futura nel pensiero, nella filosofia » 12• Ora il proletariato vive la sua storia futura nel comunismo, ma nella mente di Marx il comunismo è cosi lontano dai temi della filosofia? Le pagine dei Manoscritti parigini, dove si trova il comunismo come dialettica del soggetto, liberata dalla oppressione della proprietà e dai rapporti che essa induce, segnano probabilmente una traccia durevole. E allora la filosofia è un conto saldato, dopo il quale viene il politico, l'economista, lo scienziato della storia, oppure esiste una memoria filosofica che agisce nel modo in cui Marx trova e svolge alcuni suoi problemi importanti, una memoria filosofica che è presente nella permanenza dei significati, nel lessico che riorganizza le nuove nozioni, nelle metafore che si appropriano dei problemi aperti e li investono con tutta la forza della loro significazione cercando di portarli nell'area della loro metafisica di origine? È sufficiente dire che il comunismo è un problema della oggettività storica per mettere fuori gioco la filosofia?

    3. Seguo due temi, quello della coscienza e quello del soggetto che conducono la potenzialità piu rilevante della memoria filosofica che deriva dalla Bildung marxiana. Certamente perché il tema della coscienza e quello del soggetto siano passati al di là dal naufragio dell'autonomia della filosofia come forma del pensiero, è stato necessario che subissero alcune importanti metamorfosi. La coscienza, sappiamo già dalle nostre analisi, è sempre coscienza di qualcosa di reale, anche se questo « riempimento » può accadere in forma rovesciata rispetto a quello che praticamente ace.ade. Solo il lungo sedimento storico della divisione sociale del lavoro ha potuto far nascere il pensiero che la coscienza possa $!Ssere autoproduttiva di concetti. 12 K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, cit., p. 195.

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    Il soggetto, rispetto alla tradizione della filosofia tedesca ha avuto le sue trasformazioni che tuttavia non hanno cancellàt~ la capacità strutturante che è propria dell'uso di quel concetto. I trapassi sono semplici e molto noti. Nella Sacra famiglia si afferma che « in Hegel si hanno tre elementi: la sostanza spinoziana, l'autocoscienza fichtiana, l'unità hegeliana, necessariamente contraddittoria di entrambe, lo spirito assoluto. Il primo elemento è la natura travestita metafisicamente nella sua separazione dall'uomo; il secondo è lo spirito travestito metafisicamente nella sua separazione· dalla natura; il terzo è l'unità travestita metafisicamente di entrambi: l'uomo reale e il genere umano reale » 13 • Naturalismo e spiritualismo come ipostasi astratte di un intelletto che separa, nomina e osserva erano già stati veduti con chiarezza nei Manoscritti parigini, e il genere umano di Feuerbach, come estrema forma della separazione concettuale, sarebbe stato messo in crisi dall'immagine filosofica della prassi, unità di natura e di uomo, di oggetto e di soggetto 14 • Ma una prassi orientata, cioè considerata in una concreta dimensione evolutiva del genere umano 15, richiede di riformulare la polarità soggettiva della prassi come uomo materjale, naturale, sensibile che ha una relazione necessaria con il suo ambiente naturale: il racconto - come dicevo - metà Settecento· inglese e metà Hegel - dell'origine e del problema della storia. La « funzione latente » dell'insieme dei significati che nella tradizione idealista si aggregano sul « soggetto » si manifesterà oltre lo spazio della concezione materialistica della storia, quando Marx cercherà di pensare in una serie di coordinate il problema del capitale. Per quanto riguarda la coscienza che è sempre coscienza di un soggetto, coscienza determinata di un soggetto determinato che non ha storia ideale, ma rappresentazione di sé limitata nel tempo e nello spazio, si può dire che questa coscienza è attesa in un « pieno » storico e temporale. Una coscienza può essere dominata da rappresentazioni che rendono irriconoscibile il soggetto e che ne deturpano l'anima filosofica, ma la sua vicenda non è mai senza coordinate, nell'abbandono di un particolare, capace 13 14

    Marx-Engels, La sacra famiglia, in Opere, v. IV, Roma, 1972, p. 154, j;: il tema della prima Tesi su Feuerbach, in Marx-Engels, Opere, v. V,

    cit., p. 3. 15 La valorizzazione della « concezione materialistica della storia » come modello evolutivo che tuttavia valorizza solo l'agire strumentale, è classica in

    J. Habermas, Per la ricostruzione del materialismo storico, in Per la ricostruzione ... , Milano, 19'79, pp. 105 sgg.

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    cli una fine senza memoria come luce al tramonto, è sempre coscienza di un soggetto nell'intero possente della storia. Nel rapporto che intercorre tra un'opera di ricerca e di polemica filosofica come l'Ideologia tedesca e un lavoro di azione politica come il Manifesto del partito comunista, si manifesta come tema e accade come fatto la coscienza, come coscienza di una classe che, nella dialettica e nell'antagonismo, trova la propria identificazione soggettiva, e quindi il motivo per la propria azione politica. Sul perno della coscienza viene ricostruito in forma nuova uno scenario sistematico che ridistribuisce i rapporti tradizionali tra filosofia, storia e politica. Ma senza la chiarezza della coscienza non esiste azione che abbia senso, poiché solo la coscienza costituisce un soggetto che sia nel tempo e nell'intero storico. E un'azione che abbia senso, una politica che quindi sia storica, ha dalla sua la certezza della trasparenza e l'ottimismo, come si dice, della volontà. Questo scenario è stato la gioia di tutti gli storicismi, la gloria degli intellettuali, la cultura del rapporto tra storia e politica, l'eticità dell'organismo partitico, il segno universale che deriva dal gesto politico. Il suo opposto è la coscienza addormentata nella religione cosale del feticcio della merce: ipnosi di un soggetto_ costituito dalla dialettica dell'oggettività e destinato all'apparenza. Non sa di sé perché non sa dell'oggetto. È l'oggetto che lo costringe a sapersi. Il protagonista filosofico della vicenda, nel suo avvenire e nella sua opacità, è sempre la memoria filosofica della coscienza, la forza vettoriale della sua metafisica che fa della sua verità la condizione del senso del mondo.

    4. Il dibattito che negli anni passati vi è stato intorno ai Grundrisse marxiani è stato molto indicativo sulle aspettative che si radicano nelle pieghe delle tradizioni filosofiche. Certamente non si può in pochi cenni riassumere una serie di contributi, ma, se si escludono le analisi e si enfatizza la dimensione della scoperta, è facile dire che il grande protagonista è stato il soggetto 15 • 16 Ovviamente la tradizione cui si fa riferimento è quella hegelo-marxista. Cfr. per esempio la valorizzazione che viene compiuta in A. Arato, Antinomia del marxismo classico: marxismo e filosofia,. in Autori vari, Storia del marxismo, v. II, Torino, 1979 e, precedentemente, la celebre prospettiva di A. Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Milano, 1974; cfr, anche M. Nicolaus, M, Postane, H. Reinicke, Dialettica e proletariato. Dibattito sttì « Gnmdrisse >> di Marx,

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    Il soggetto è la polarità eversiva continuamente emeroente dalle forme di costituzione che derivano dalla. oggettività, bi, sogno che non può trovare soddisfazione poiché sposta semnre il margine di costituzione del soggetto, la domanda imprevista da ogni contesto, il corpo che si rifiuta alla geometria della regola, l'immagine che travalica la normalità, il dissenso che si riproduce su ogni frammento, l'antagonismo per principio: un soggetto che porta il segno della memoria filosofica, ma che la maschera, nomadico com'è in vari travestimenti sociali, male errante capace di sintomi labili e violenti, ma, soprattutto, nome che emigra su storie anomiche, infelici o perverse e le trasfigura in una luce fatale. Certamente il soggetto dei Grundrisse marxiani non è l'origine (l'essenza) di ognuna di queste avventure, ma un qualche rapporto c'è, e quindi occorre vedere con chiarezza la famiglia filosofica cui ap):èartiene e la sua condizione testuale di emergenza, la sola che può riattivarne la capacità significante, contro quindi ogni evidenza secondo la volontà di dogmatismo e di irrazionalismo che vi è stata. Nei Grundrisse la metamorfosi del soggetto, che in forme socialmente differenti costruisce nel ricambio con la natura la continuità storica, vale secondo due modi, connessi tra loro: come considerazione della produzione in generale, tema che le varie forme sociali di produzione hanno dovuto fare proprio, quindi come radice naturale di ogni società e di ogni storia. Una seconda volta nel problema del valore d'uso dove Marx ritiene si riproduca nell'uomo un rapporto diretto tra artificio (prodotto) e natura (bisogno), al di là della progressione e della modificazione storica dei bisogni. La storia può essere periodizzata per forme sociali della produzione, ma in tutte le epoche permane un rapporto diretto tra l'uomo e la natura, produzione e consumo sono sempre situate in una felice continuità tra natura e cultura, indipendentemente dai sistemi sociali di dominio. È solo nell'epoca del capitalismo che si spezza questo « cor' done ombelicale ». La produzione non guarda al « ricambio organico con la natura » ma alla forma dello scambio delle merci, il lavoro non è mai finalizzato direttamente a produrre utilità della vita, ma è una merce che viene scambiata al fine che la sua

    il

    Firenze, 1978. Negli studi analitici {ma non solo per questa ragione) pl'evale invece la tesi della «continuità» con Il capitale: cfr. R. Rosdolsky, Genesi e struttura del «Capitale» di Marx, Roma-Bari, 1975; V. Vygodskij, lntrodu:done ai Grundrisse di Marx, Firenze, 1974.

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    utilità possa ag\re come valorizzazione del capitale. ·11 lavoro come patrimonio o capacità di ogni soggetto umano è socialmente atteso come la sola forma di vita che valorizza qualsiasi altro oggetto in cui, in altro tempo, altro lavoro si è obiettivato. Questa è la possibilità di verità che gli conferisce la dialetticà del capitale. Sono queste analisi, ed altre parallele, tutte ben note, che mostrano c9me sia rilevante la considerazione del capitale come oggetto epocale totale: cosa che non sarebbe possibile se la « vita del capitale » non coimplicasse, nel!'essenza, la vita del soggetto umano. Solo in quanto il capitale interagisce nel/' essenziale con una struttura di soggettività, esso fonda un'epoca storica che ha caratteristiche diverse da ogni altra epoca precedente. Il luogo privilegiato per osservare questo « riempimento » totale dello spazio storico da parte del capitale è certamente l'analisi del valore d'uso. È sul tema del valore d'uso, come si diceva, che si recupera la dimensione filosofica del soggetto naturale. Certamente in generale non è affatto vero che i valori d'uso segnino una continuità tra natura e cultura, tra necessità e finalità, tra causa e scopo, ma certamente questo è il disegno con cui nei Grundrisse sono presentati i valori d'uso. Il valore d'uso traccia nell'oggettività della natura il percorso del soggetto, il percorso della sua finalizzazione nella progressione della sua storia, la sua ripetizione come soggetto. Il vincolo è nella direzione della natura, ma l'autonomia del soggetto tende a soluzioni che rechino il segno di una progressiva umanizzazione. Questa dialettica felice viene frustrata da ciò che nell'essenza sono i valori d'uso nell'epoca del capitale: archivio immenso del capitale, deposito di lavoro materializzato 17 • Ciò che sembra una realizzazione del soggetto, è in realtà realizzazione di un soggetto costretto all'oggettivazione di se stesso: il capitale agisce sul soggetto imponendogli la dialettica di se stesso come oggetto totale, e « oggetto totale » perché investe la stessa possibilità «naturale» di riproduzione del soggetto. È nella natura che è vulnerabile l'autofinalità del soggetto; è a questo limite che può essere imprigionato, per esempio, con il salario che è merce equivalente il valore che viene consumato nella riproduzione del lavoratore come pura disponibilità di lavoro vivo 18 • Il lavoratore vede ristretta l'area dei valori d'uso 17 K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica, Torino, 1976, v. I, p. 214. 18 Ivi, v. I, pp. 233-35.

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    che gli sono propri al livello piu basso dove si deve riprodurre quella natura intelligente (i « bisogni naturali e sociali») che è sufficiente per il lavoro di fabbrica. È infatti nella forma sensibile del lavoro di fabbrica che il soggetto perde la sua possibilità di autofinalizzarsi nel mondo, è nella relazione produttiva di tipo artificiale - il sistema delle macchine - che la razionalità del mezzo diviene la forma della finalità del soggetto, quindi la negazione materiale della sua verità come esistenza 19 • Il soggetto si trasforma in mezzo utile che è la sua degradazione, come qualsiasi intellettuale tedesco aveva imparato a scuola dai tempi di Kant. Marx aveva sempre veduto con chiarezza come la filosofia utilitarista enfatizzi come forma della razionalità un rapporto sociale obiettivo, e aveva visto, sin dal commento all'economia politica di James Mill, che lo scambio ha le caratteristiche di uno scontro, non del calcolo spontaneo dei vantaggi reciproci 20 • Del resto nell'Ideologia tedesca il giudizio sull'illuminismo è un calco su quello hegeliano: si tratta della cultura che conduce alla reciproca strumentalizzazione degli uomini. L'utilità per il soggetto marxiano - che è una figura filosofica originale sia rispetto all'uomo naturale di Feuerbach che rispetto a quello che compare nel racconto materialista del Settecento inglese - è una relazione spontanea che si stabilisce tra il soggetto stesso e la natura: è una forma di intelligenza strumentale che è completamente priva del calcolo di massimizzazione. Il soggetto ha mantenuto la sua dignità di fine assoluto anche se vive come un ente naturale e sociale. E allora, quando nei Grundrisse il capitale come oggetto totale costringe nelle sue regole ogni piano di soggettività, e persino restituisce come lavoro oggettivato ciò che nel rapporto tra natura e soggetto è valore d'uso, che cosa resta da opporre a questo destino, se non l'ultimo spazio del soggetto, laddove esso sorge ancora come possibilità di lavoro vivo, di creazione autonoma, e, in ultima analisi, di vita 21 ? Se confrontiamo la felicità e la certezza dell'azione che nasce dalla coscienza corretta quale si può derivare dal disegno della « concezione materialistica della storia », con questo esito, proprio dalle pagine dei Grundrisse, il risultato, conti;ariamente a molte interpretazioni, è deprimente. 19

    20

    Ivi, v. I, pp. 715-16. K. Marx, Estratti dal libro di James Mill,