Mario Untersteiner. Incontri


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Italian Pages 120 [111] Year 1975

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Mario Untersteiner. Incontri

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VOCI

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Collana

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UNTERSTEINER

INCONTRI A

cura di Riccardo :\Iaroni e di Linda Untersteincr Candia

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21° \olunH" d('llu Collana Y . n .T . T . Trt•nlo, 197:i

A Nicola e Daniele perché un giorno ricordino quale è stato il mio affetto per loro.

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PREFAZIONE

Giunto al termine della mia carriera ufficiale (col novembre 1974 sono collocato in pensione) ho voluto, prima di interrompere ogni attività letteraria, ricordare almeno qualcuno dei Maestri che illuminarono il lungo cammino della mia esistenza. La fine della mia carriera accademica, infatti, coincide con l'esaurirsi della mia ricerca scientifica, perché, proprio in questo periodo, la mia vista si è improvvisamente dete­ riorata: non riesco piu a leggere nemmeno una riga. Gli « INCONTRI ll, raccolti in questo volumetto, furono scritti quando ancora mi rimaneva un filo· di luce. E tutta­ via furono composti (ad esclusione di. quelli su Marchesi e Rensi, che sono in gran parte rièdizioni di studi prece­ denti), con molta fatica e tormento fisico e morale. Sono tuttavia riuscito a vincere lo sconforto che spesso mi prendeva, anche per le esortazioni appassionate di mia moglie, desiderosa che io lasciassi questo ultimo addio agli studi. Non si tratta, è vero, di interpretazioni complete ed esaurienti; sono profili essenziali di studiosi che incontrai nella vita e che furono decisivi per la mia personalità. l"

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Sono Uomini cui devo molto e che mi furono non solo maestri, ma anche amici. Naturalmente questi incontri non esauriscono la mw esperienza spirituale con personalità significative non solo per me; ma per tutta la cultura italiana. Uno di questi profili è dedicato a Manara Valgimigli. Di lui, si è detto e scritto molto bene, per esempio da Maria Vittoria Ghezzo, Marcello Gigante, Antonio Mad­ dalena e da altri studiosi. Per evitare di ripetere quanto è già stato messo in luce con molta efficacia, ho creduto di insistere su di un momento, che mi pare essenziale, della sua personalità. Alludo ai due poli opposti del suo animo, capace di forti sdegni, ma anche di grande generosità. La somma di questi due momenti, insieme con altri, rispecchia uno degli aspetti piu caratteristici e singolari della personalità di questo studioso che fu grande filologo e artista raffinato, nel medesimo tempo. Per quello che riguarda Giuseppe Rensi, al vecchio mio saggio, di carattere puramente teoretico, ho premesso e fatto seguire alcune note ispirate a ricordi personali, che testimoniano la sua coerenza di antifascista e di uomo. Cosi pure, come conclusione della mia testimonianza su Marchesi, ho aggiunto il testo del suo proclama agli studenti di Padova e della sua lettera di dimissioni al ministro dell'istruzione dell'epoca. Mi sarebbe piaciuto parlare anche dell'incontro con Martinetti, mio Maestro all'Università di Milano e, per tutta la vita, esempio insigne di coraggiosa coerenza e profondità di pensiero. L'insegnamento piu alto lo diede rinunciando alla cattedra, nel momento in cui rifiutò di giurare fedeltà al regime fascista. 6

Ma di lui si è parlato, fra l'altro, anche nel convegno organizzato da A. Guzzo, nel corso del quale ebbi occasione di intervenire, sia pur brevemente ( Giornata Martinettiana, Quaderni della > di Brescia. E cosi a quanti mi hanno fornito notizie e materiale iconografico: Angela Bellezza, Enrico Berti, Ettore Debiasi, Maria Vittoria Ghezzo, Lea Marcolin, Gio­ vanni Mesini, Emilia Rensi, Maria Teresa Ronga, Giorgio Valgimigli e Michele Vincieri. Il testo della parte nuova è stato decifrato, interpre­ tando il mio manoscritto, talvolta quasi illeggibile, da mia moglie che lo ha trascritto e che ha curato (con l'amico Maroni) la correzione delle bozze. «

Mario Untersteiner Milano, gennaw 1975

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CONCETTO MARCHESI

L'interprete e il critico

Un giudizio critico su Concetto Marchesi - un giu­ dizio, dico, quale si può formulare solo quando ormai la morte ha precluso ogni possibile sorpresa di evoluzione non è facile. Marchesi, anche per noi piu giovani di lui, era quasi un coetaneo, tanta era la freschezza e la moder­ nità del suo pensiero. Negli anni drammatici che coincisero con l 'esistenza del Marchesi, sapevamo di poter attingere dalla sua esperienza una rivelazione anche spietata del senso delle cose, capace per altro di vivificare la nostra stessa esistenza . La sua scomparsa rappresenta una frattura per noi stessi. Perciò il giudizio su Marchesi sarà sempre il giudizio di ciò che fu vita del nostro pensiero e delle nostre passioni per alcuni decenni. Qualche cosa di decisivo è venuto a mancare per noi. Questa sensazione drammatica può raffigurare il valore di una personalità singolare e soprattutto complessa . Non so se altri avranno provato il mio stupore, osservando come di Marchesi - subito dopo la sua scomparsa - siano state fissate, pur negli affretta ti necrologi, delle formule ese­ getiche differenti da critico a critico e, perciò, parziali. Oso dire che, proprio mentre si voleva intendere Marchesi, fu applicata a lui la perniciosa formula crociana, volta a distinguere ciò che è vivo e ciò che è morto, ciò che è poesia e ciò che non è poesia . Questa scarnificazione - che è poi una devitalizza­ zione quale spesso viene attuata dall'estetica idealistica si è mostrata ancora una volta fallace. 9

Marchesi era un uomo veramente completo. La sua opera critica - sia quella severa e sempre originale delle ricerche testuali di opere antiche e medioevali - sia quella piti penetrante (vera paideia!) degli scritti di letteratura latina - investe la totalità dell'esperienza umana, inchio­ dandola nei suoi momenti decisivi poetici, filosofici, sociali, politici. Ma non è agevole scindere un momento dall'altro, poiché Marchesi non ignora che un fatto poetico non sfugge a un sostrato di altre situazioni, come un'analoga varietà di stimoli può dare una impronta a un pensiero filosofico o a una vicenda sociale. Le sue opere vanno lette con questo presupposto : Seneca, Tacito, Petronio, Marziale e Giovenale (opere mo­ nografiche fondamentali) e la sua Storia della letteratura latina ( 1925- 1927 , prima edizione, ma poi in numerose successive continuamente ampliata ). Forse è anche troppo presto per valutare il significato critico degli scritti di Marchesi a tutti noti, ma forse non da molti giudicati ret­ tamente. Troppo presto dico, perché durante il fascismo, Marchesi era capito solo dagli avversari del regime ; dopo la guerra, Marchesi appariva ancora una volta troppo vitale per poter essere soggetto di interpretazione da parte di un mondo pervicacemente conservatore. Gli uomini non vogliono essere distratti dai loro idoli. Marchesi, penetrando nel fondo delle cose, sapeva poetica­ mente distruggere gli idoli, nella forma piti suasiva e, perciò, piti irritante. lo oso affermare che la sua Letteratura latina avrà un significato paragonabile a quello della Letteratura italiana del De Sanctis. Ma ci vorrà anche per Marchesi una società piti disposta a volerlo capire. Il tempo che è trascorso dalla sua morte ha conva­ lidato questa mia speranza. Infatti so da un'insegnante di un Liceo di Milano che, pur in questo periodo di contell

stazione e di rifiuto della classicità, dopo varie e deludenti esperienze di adozioni di letterature latine piti moderne e strutturate apparentemente secondo tendenze culturali avan­ zate, la Letteratura latina del Marchesi è stata richiesta dagli studenti stessi, perché sentita come il libro che meglio corrisponde alla loro esigenza di un 'interpretazione attuale del passato. Marchesi possedeva della natura, della poesia una con­ cezione costruita dalla propria esperienza. Se vi fu scrit­ tore che da parole semplici, da frasi strutturalmente ele­ mentari seppe trarre gli effetti piti drammatici e, per ciò, piti artistici, questo scrittore fu appunto Marchesi. La poesia è, dunque, in primo luogo spontanei tà : ((la poesia non accetta e non serba altre offerte che quelle semplice-

C011cetto Mnrchesi nel suo studio

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(con dedica a Giuseppe Randi, 1940)

mente poetiche, fra cui sono le favole e gli abbandoni dello spirito nostro >>. La poesia - precisa Marchesi (( è fatta spesso, specie nel teatro, di cose e di parole tenui e quasi pedestri che pure sono di tanta e cosi penetrante vitalità ». Marchesi aveva compreso che proprio in queste parole e cose tenui si deve scoprire la fonte della poesia, perché in esse sta nascosto quell'ignoto che ( ( è in tutta la vita e in ogni momento della vita. E da questo ineliminabile ignoto l'arte ricava la verità e l'eternità delle sue rappresentazioni». Purché, naturalmente, sia operante quella cosa misteriosa che è il poeta : la massima definizione di esso, secondo il Marchesi, è appunto quella di Giovenale: hunc qualem nequeo monstrare et sentio tantum: ma questo io non posso mostrare quale sia : lo sento soltanto. (( L'artista ha per unica legge il suo potere creativo e Giovenale ha potuto fare del piti disgustoso tipo di uomo, il Nevolo della satira IX, il soggetto di un capolavoro poetico ». Ma ecco, a prova di quanto dicevo sopra, Marchesi, che nelle interpretazioni ora ricordate si tiene sul terreno puramente estetico, sa come il poeta possa rivelarsi anche sotto un altro aspetto, quello catartico che io direi origi­ nario: il capitolo su Ovidio si conclude col ricordo di un' elegia dall'esilio, dove, fra il resto, il poeta in quattordici versi dice che cosa è il canto: (( è quello che aiuta l'uomo a portare, quale che sia, la sua croce ». L'uomo è, dunque, sofferenza per Marchesi. La poesia non può prescindere da questo dato obiettivo, da questa esperienza ancestrale, da questo « universale », che essa deve accogliere sempre in sé come uno dei suoi piu puri motivi. Cosi egli scopre la grande poesia di Catullo nei suoi carmi ellenistici : (( in quel carme 64, che doveva cele­ brare wz felice epitalamio divino (di Pèleo e Teti), egli si lascia presto travolgere quasi da una necessità di soffe­ renza . . . Nel carme di Attis ... la visione mitica diventa 13

Porto/le m bronzo dell"Unil'ersità di Padoz•c1

immagine di follia, la erotica smama personale diviene paura e tutta l'arte del poeta cospira a questo effetto fre­ netico >>. Questa compenetrazione di poesia e dolore spiega la posizione artistica di Marchesi che tanto sofferse per sé, a cominciare dal giorno del terribile terremoto di Messina, e per gli altri, soprattutto allo spettacolo della spietata durezza imposta al contadino siciliano. Voglio dire Mar­ chesi è poeta, quando scrive pagine poetiche ( quali sono raccolte nel Libro di Tersite, Milano, Mondadori 1 950) ed è critico di poesia e di prosa d'arte, capace di comprendere tutti e tutto. Qui sta una delle singolarità della sua Storia della letteratura latina: le infinite, varie e spesso contra­ stanti voci, da Livio Andronico fino agli scrittori cristiani risuonano sempre vive, perché Marchesi sa poeticamente cogliere la luce eterna di ciascuno. Il discorso qui a rigore dovrebbe essere lungo, per passare in rassegna tutte le prodigiose sintesi delle piti disparate figure di artisti latini. Ma, pur rinunciando a una rappresentazione completa. credo sufficiente ricordare qualche giudizio esemplare. Di fronte all'accusa rivolta ai personaggi di Plauto, perché esagerati fino alla caricatura, Marchesi osserva: (( ma senza quella esagerazione e quell' ingrossamento il personaggio rientrerebbe nella comune realtà individuale, scolorita e quasi invisibile: non sarebbe piu un tipo ». Sente l'origi­ nalità di molte frasi di Lucrezio che (( come dei pochi massimi poeti, sono nuove e inaudite e improvvisamente scaturite dal fervore creativo di quell'altissimo spirito ». Questo è del resto il procedimento creativo dello stesso Marchesi che sa scrivere sempre in modo nuovo e inaudito. Vorrei riprodurre qualche spunto, ma turberei l'armonia di un non violabile tutto, dell'interpretazione che il Mar­ chesi ci ha dato dell'arte di Catullo, in pagine di alta arte esse stesse. Né si devono dimenticare quegli ampi passi nei quali Virgilio, il Virgilio guastato dalle intempestive 15

U�tit1ersità di Padot'll - Ritratto di Pielro 1l"AIHmo (sec. s lltdio del Rettore

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XVII) ue/lt1

letture scolastiche, ritorna al suo valore di alto poeta. Ma Catullo non è Virgilio e Virgilio non è Catullo. Eppure Marchesi li ha sentiti tutti e due con eguale originalità e intensità. Cosi è di Orazio, a proposito del quale voglio ricordare le pagine che, nel commento di Marchesi alle Satire e alle Epistole, mostrano l'origine oraziana dell' Ulisse dantesco, interpretato a sua volta in modo veramente nuovo e, certo, sicuro. Procediamo : ed ecco che ritorna alla nostra memoria quella palingenesi di Properzio che diede l'avvio, in Italia, a nuovi studi su questo poeta ; poi si ripresenta a noi la significazione rassegnata e dolorosa della vita, quale balza fuori dalle favole di Fedro: (( la vita apparve a lui quella che è: una mescolanza di dolore e di gioia, e gli uomini gli apparvero parimenti quelli che sono: i potenti sempre prepotenti, gli umili sempre oppres­ si, i cattivi sempre cattivi ». Se deve rappresentare in sintesi l'opera di Petronio, il Marchesi dice subito che (( è il ro­ manzo dell'inerzia morale », con una definizione prepotente, seguita poi da sicure precisazioni. Questi scrittori latini, prima di essere interpretati da Marchesi diventano suoi, artisti interpretati da un artista. Devo procedere rapido, tralasciando anche un solo accenno a troppe parti sostanziali dell'opera sua. Ma con­ viene insistere sul fatto che proprio in Marchesi incon­ triamo una delle piu immediate e genuine interpretazioni della letteratura cristiana. Marchesi è un animo antico e, perciò, sa intendere a fondo Seneca, in quella sua fortunata monografia, proprio secondo tale direzione esegetica: Seneca è tanto umano, ma di un'umanità differente da quella cristiana: (( tra la filosofia di Seneca e la religione di San Paolo è un abisso; per Seneca l'uomo redime se stesso con l'opera della ragione, per S. Paolo si lascia redimere da Dio nell'abbandono della fede; nel cristianesimo Dio è il salvatore degli uomini, nella dottrina di Seneca l'uomo è 17

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il salvatore di se stesso ». Ma, per contrapposto, riesce a sentire, del pari, la grandiosità della concezione storica in senso cristiano di Agostino o a dimostrare come sia un > il mat­ tutino Aeterne rerum conditor di Ambrogio. Marchesi, dunque, ha sensibilità poetica, perché pos­ siede una sua filosofia e cerca la filosofia - che è, anche se non espressa in linguaggio tecnico, il senso della vita negli scrittori di cui parla. Non voglio dire che Marchesi abbia creato un sistema filosofico nuovo, ma certo nuovo è l'accento e il tono di quello che egli pensa, giacché in lui non troviamo un'idea che non sia stata sofferta, o comunque che non sia passata attraverso la sua esperienza, pessimi­ stica naturalmente e relativistica: >. Gli assurdi dell' esistere. Si legga nel Libro di Tersite l'interpretazione tra· gica del terremoto di Messina: (( Colà un solo brivido della terra era bastato; era bastato che in un sol punto il gran cuore della terra avesse battuto piu forte, perché il cuore di centomila umani avesse finito di battere. Ma non la terra li aveva uccisi. Li aveva uccisi la casa, il rifugio che essi avevano innalzato irrequieti e superbi . . . E le travi e le pietre che li avevano in custodia erano cadute, col­ pendoli al petto, alla testa, come richiamate dal sussulto della terra ai loro diritti di gravità. Il tetto era stato l'as­ sassino ». Visione eschilea di un inesorabile destino del quale l'uomo assurdamente porta la sua totale responsa­ bilità. 21

Questa sensibilità pronta a cogliere i dissidi delle cose arriva allo scherno pieno di ironia quando parla del trat­ tato di Versailles : > La stessa parola ripetuta, l' idem idem stesso non potrebbe aspirare a un valore assoluto. Di fronte a una simile bancarotta della ragione, si è costretti a proclamarsi scettici. Si dice che lo scetticismo condanna se stesso all'impo­ tenza e perfino all'impossibilità di giustificare la propria denominazione, perché è costretto ad affermare, almeno. che nulla è vero. Ma, risponde Rensi, il dubbio degli scettici non si applica all'apparenza delle cose, bensi alle affermazioni per­ tinenti alla speculazione filosofica . La loro scuola non nega l'esistenza della verità, bensi la consistenza delle pretese verità finora formulate, da quelle dell'idealismo a quelle del materialismo, a quelle del deismo a quelle dell'ateismo: > Ciò non toglie che la confutazione sia possibile ogni qual volta essa deriva da noi stessi, spontaneamente, nel corso dell'esperienza che ci induce a respingere un 'idea della quale abbiamo riconosciuto i difetti, vivendola. Cosi si giu­ stifica lo scetticismo. Rensi ha dedotto da questa fase critica del suo pen­ siero queste conseguenze immediate: impossibilità di un' 39

estetica e di un'etica, filosofia rinnovata dell'Autorità e del Lavoro. Infatti, l'incompatibilità del presente con l'universale elimina il concetto assoluto del Bello poiché, sia esso appreso o affermato dallo spirito, « dovrebbe, nel primo caso, essere uniformemente appreso e, nel secondo, uniformemente creato. » Quanto poi alla morale, considerata come scienza delle azioni mediante le quali si manifesta l'attività etica, è evidente che l'azione, a volerne parlare in senso proprio, non esiste, che non esistono che atti individuali, tipici, irripetibili, cosicché la morale normativa propone (( delle entità concettuali estranee alla vita ». Tuttavia dato che i fatti, singolarmente presi, non possono fornirci i criteri di un giudizio sui valori morali, bisognerà cercarli al di fuori dei fatti stessi. Ma tale procedimento è impossibile, quindi per l'im­ possibilità di stabilire una categoria universale, ne deriva che la morale rimane indefinibile : non si potrà che rap­ presentare confusamente gli oggetti che rientrano nel suo dominio. Anche il problema del lavoro è molto grave. Il lavoro è imposto dall'esterno all'uomo, la cui effet­ tiva individualità esige il tempo libero per il proprio svago: perciò ogni classe sociale tende a far ricadere su di un' altra il peso della fatica. Il lavoro propriamente detto è una schiavitti; ma non si può liberarsene se non mediante il gioco e la contem­ plazione, affermando l'assurdità del lavoro in sé. Un 'unica soluzione è dunque possibile, quella irrazio­ nale, instaurata dai Greci per mezzo della schiavitti, che (( per salvare la libertà spirituale (di alcuni uo mini), negava, esplicitamente quella di alcuni altri. ln questo 40

modo il problema è sempre stato risolto e in realtà lo sara sempre sotto tutti i regimi sociali. » Perciò, quando si considera la società partendo da questo punto di vista, la pretesa di introdurvi la ragione evoca i fantasmi abnormi dell'anarchismo. l diritti delle minoranze sono, in realtà, violentate nello Stato, dal quale è esclusa la razionalità postulata dalla >, cosicché contenuti differenti sono accoppiati 43

mediante l'applicazione di una medesima definizione, di un medesimo nome. (( Ecco la quintessenza della contra­ dizione e la prova che non esiste né ragione, né verità. » Se gli intelletti degli uomini non possono essere ricon­ dotti all'unità, bisogna postulare l'inesistenza della ragione e il permanere delle contradizioni. Questo permanere costituisce la storia come caso. L'uomo soffre oggi: perciò aspira al domani. Se non sof­ frisse, se fosse convinto di essere nel vero e nel bene, nova, nel 1918. l disordini che seguirono In fine della prima guerra mondiale lo indussero ad auspicare una politica forte; ma, non appena il fascismo mostrò di volerla attuare con metodi antidemocratici ed autoritari, passò subito e decisamente all'opposizione. Sostenne con fermezza le conseguenze di questo suo atteggiamento. Infatti, già nel 1927 fu sospeso dalla cattedra e poi rinmmesso. Nel 1930 venne arrestato con la moglie e tenuto in carcere, finché non ne fu liberato con uno stratagemma, come si è detto nello studio a lui dedicato.

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Rimase coerente ai suoi ideali politici e sociali di libertà, tanto che solo pochi anni dopo (1934) venne definitivamente sospeso dalla cattedra e comandato presso il Centro Bibliografico della Biblioteca universitaria di Genova, per la compilazione della Bibliografia ligure. Tuttavia la sua attività filosofico-letteraria continuò inalterata, conservando sempre il suo vivo tono polemico, phi o meno traspa· rente, attraverso la varietà degli argomenti scelti. Mori, in seguito ad un'operazione, il 14 febbraio 194 1 . Riposa nel cimitero di Staglieno. Sulla lapide sta scritto il motto significativo: Etsi omnes, non ego. *

Questa biografia essenziale riproduce in gran parte quella che il prof. Gianfranco Morra ha preposto al suo studio: « Scetticismo e misticismo nel pensiero di Giuseppe Rensi " (Siracusa, Palermo, Roma, 1958). La bibliografia si trova in: Giuseppe Rensi. Atti della " Giornata Rensiana " (30 aprile 1966). A cura di M. F. Sciacca, Milano, 1967, pp. 191-242.

Nella pagina che segue: Parole scritte da Manara Valgimigli in occa·

sione del trasferimento di Mario Untersteiner dall'Università di Genova a quella di Milano 53

-

i

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i

MANARA V ALGIMIGLI

Fra il 1916 e il 1917 (non ricordo bene), un giorno, come era mia abitudine. entrai nella libreria di San Babila. a Milano. Frequentavo il primo anno di Università, all' Accademia Scientifico-letteraria, indirizzo classico. Era que­ sta libreria uno stanzone disadorno, della dimensione di due grandi locali. Disadorno; ma con molti scaffali. Il proprietario era un uomo privo, credo, di cultura; ma che aveva capito quello che richiedeva un certo pub­ blico di persone colte e di studenti. Metteva in mostra tutte le novità, anche quelle di certi editori preoccupati di tener bassi i prezzi e perciò poco solleciti dell'estetica; ma abbastanza oculati nella scelta degli autori che meri­ tavano di essere conosciuti. Li potevamo trovare gli ultimi volumi di Papini o di Panzini, che alimentavano la cultura dell'epoca. Proprio quel giorno vidi in uno scaffale la Poetica di Aristotele, tradotta e commentata da Manara Valgimigli. Il prof. Zuccante, nelle sue lezioni universitarie, stava appunto interpretando l'Etica di Aristotele: avevo trovato da Hoepli il testo greco nella Biblioteca Oxoniense. Ma la Poetica era un miraggio che in quel momento divenne realtà, una realtà favorita anche dal fatto che, nel fondo del magazzino della ditta Sperling e Kupfer (sotto seque­ stro, perché proprietà di suddito appartenente a nazione allora nemica) assieme con la Metafisica, trovai anche la Poetica di Aristotele, edite da Christ. Cosi potei iniziare la lettura della seconda opera nel testo greco, con l'aiuto del commento di Valgimigli . 55

Manara Yalgimigli nel 1 902 (da cartolina dedicala al poeta Pascoli;

e indirizzata 56

a

Castelvecchio di Barga)

Fu una rivelazione, anzi direi una folgorazione. Abituato ai commenti scolastici, troppo spesso ridotti a una semplice parafrasi, mi trovavo di fronte a un'esegesi filosofica e letteraria che penetrava nella radice dei pro­ blemi e ne chiariva le difficoltà. E per di piti espressa in un inconsueto stile italiano, di alto valore artistico. Questo fu il mio primo incontro con Valgimigli. A questo primo contatto ideale segui molti anni dopo, fra il 1929 e il 1930, un secondo incontro, reale questa volta, a Padova . Vi andavo ogni tanto per discorrere con Concetto Marchesi e riceverne conforto, in quegli anni bui di fasci­ smo trionfante. Mi informò una volta egli stesso che Valgimigli desi­ derava conoscermi. Rimasi commosso e trepidante per l'incontro col gran­ de interprete ed artista. E amicizia - o dirò meglio vene­ razione da parte mia - sorse fra noi e non fu piti inter­ rotta. Il caso poi volle che Valgimigli dovesse giudicarmi come commissario nel concorso a cattedra per Letteratura greca del 194 7 e a quello cc di revisione » , per i non iscritti al cc partito fascista » alcuni anni dopo. Il suo giudizio positivo, unito a quello degli altri qua ttro Commissari, Bignone, De Falco, Mancini, Rostagni, rimane tuttora per me motivo di orgoglio. Il modo piti efficace per conservare e approfondire questo spontaneo e profondo legame spirituale rimase però sempre la lettura delle sue opere : in esse c'è tutto Valgi­ migli. Egli non è, infatti, un autore che si nasconda dietro una narrazione fittizia o in uno slancio di poesia, distillata da astratte fantasticherie. Del resto, prima dell'incontro padovano e dopo la let­ tura della Poetica, conobbi, già nel 1925, un'altra volta 57

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Valgimigli esegeta attraverso il commento e l'interpreta­ zione del Fedone, opera che mi confermò i pregi di pene­ trazione già apparsi nel commento alla Poetica di Aristotele. Bastarono questi due scritti per rendere affascinante, sin­ golare e inimitabile l 'opera di Valgimigli. Ma, dopo la conoscenza personale, ne seguii ancor piti. accanto all'opera letteraria, l'azione politica . Conobbi Valgimigli - ho detto - presentato da Mar­ chesi: egli era, come Marchesi, decisamente antifascista e naturalmente, non poteva sopportare, in primo luogo, la retorica del partito (St. am. pp. 54, nota 3, 87, nota l). Questo suo atteggiamento m i trovava del tutto con­ senziente : infatti sono convinto che una delle cause - e non delle minori - della caduta del fascismo sia stata la sua retorica : l'imposizione della camicia nera, il saluto fascista, il -voi-, l'obbligo di ascoltare in piedi l'inno -Giovinezza, giovinezza- indisposero tutti coloro che già dis­ sentivano per altri, sostanziali motivi e forse molti degli iscritti si sentivano offesi dalla necessità di adattarsi a questi atti servili, che in nome del duce, onnipotente, miravano ad annientare la personalità . Tuttavia molti sopportavano la mancanza di libertà di parola per vivere indisturbati nella loro indifferenza, anche perché, in realtà, di questa libertà, non sapevano che cosa farsene. Valgimigli, invece, in questo atteggiamento, fu sempre coerente con sé stesso. Scrisse una volta ( Lettere a se. , Teolo, 5, luglio, 1944 ) : ((Prego gli dei che su tutti gli even­ ti, probabili e improbabili, mi conservino l'animo fermo e diritto. » Maria Vittoria Ghezzo, che trascrive questa lettera a lei indirizzata, a commento di questa dichiarazione, precisa ( ibidem, p. 190, nota 24): ((piace qui ricordare la sua risposta a persona che esortava lui e Marchesi ad evi­ tare rappresaglie politiche, nell'interesse della scuola e delle 59

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generazioni del domani: , saremo utili se rtmarremo di­ ritti . » > (Lettere a se., p. 1 90, nota 24) Il suo animo traspare luminoso in una lettera del 1 6 ottobre 1943 (si badi alla data ! ) a d un'amica : « è curioso come la gente stenti a persuadersi che ci sono dei momenti nella vita in cui tutto è in gioco, la vita stessa; e che bisogna vivere questi momenti con lo stesso cuore tran­ quillo, restando fedeli a sé stessi, e cioè alla propria vita al proprio pensiero al proprio decoro, né piu né meno di quello che si è sempre fatto. » (Am., p . 35) Questa sua coerente fermezza, come lo espose a peri­ coli, cosi gli procurò innumerevoli, se pur oscuri, consensi e commoventi soddisfazioni. Udii dalla sua viva voce rievo­ care l'episodio, del resto abbastanza noto, occorsogli a Pisa. I fascisti avevano deciso di bastonarlo, in occasione di una passeggiata che egli stava facendo in compagnia di un collega, notoriamente favorevole al regime. Per uno scambio di persona, dovuto forse ad analoga foggia nel vestire, bastonato fu l'altro. Subito dopo, Valgi­ migli si vide circondato da un gruppo di operai, che si erano accorti dell'equivoco e del pericolo che egli tuttora correva. Lo accompagnarono in una vicina osteria dichia­ rando: Valgimigli non si tocca; è con noi. Senza dubbio, l'antifascismo, imposto dai tempi in cui egli visse, deve aver acuito un particolare atteggiamento del suo animo: lo sdegno, facile a trascendere in ira contro cose e persone indegne, che divenne un momento essen­ ziale della sua personalità. Non stupisce quindi che in una delle Lettere a Fran­ cesca (pp. 7 4-7 5) egli si dichiari disposto a battere la "

-

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Nannò ( il suo cane fedele) (( il giorno che avrò battuti e frustati venti milioni di Italiani. Come vede, sono e sèguito a essere perfido. Nuovi aspetti del Manarino che invecchia. » Questa propensione agli sdegni improvvisi, temperati però da un senso di generosa umanità, era la nota carat­ teristica che piu colpiva chi aveva la fortuna di conoscerlo nell'intimità. Ne abbiamo diverse testimonianze, come quella di L. Goffi: (( in sostanza, un uomo esemplare, vivo, dai moti d 'ira subitanei e fugaci - che in certa misura ricordano quelli del maestro suo - ma anche pronto alla generosità (gli uni e l'altra non dettati mai da tornaconto personale); di una fermezza grande, capace, quando il dolore si fa piu cocente e insostenibile l'ansia per la sorte delle sue creature, di nascondere la propria pena dietro il sorriso, per non rendere piu amara l' esistenza di chi gli sta accanto. >> (Om., p. 39) Era, dunque, intollerante verso tutte le meschinità del prossimo; ma se ne scusava: (( per amare una persona bisogna che con questa persona mi trovi solo. Questo dico per giustificare o condannare tutte le mie infelici e con­ dannabilissime intolleranze del troppo numeroso prossimo mio. » (Am., p. 93) Amava soprattutto la solitudine e una volta fa l'elogio delle seggiovie non solo perché permettono a tutti di godere le meraviglie della montagna, ma anche perché - afferma egli - di questo e di altri simili mezzi di comunicazione ( autovie, funivie, seggiovie, slittovie) (( la seggiovia è vera­ mente a me il piu diletto e felice. Tutto e solo per me, nell'aperta aria che solo odora di montagna e di cielo. Di quanti si possa essere nella catena, il prossimo mio piu prossimo è almeno alla distanza di quindici metri. » ( M.C., p. 144) 63

Manara Valgimigli (o destro) con l'amico Concetto Marchesi (in gita

nell'Alto Adige; circa 1930) 64

Ma questo Valgimigli, scontroso e capace di scoppi d'ira e di sdegno, poiché questi sentimenti germinavano dal suo animo, era generoso e pronto agli affetti e mostrava un corrispettivo di intense manifestazioni di generosità. lo posso portare una testimonianza, accanto alle infi­ nite altre, di questo suo modo di essere. Pregato da me di interessarsi presso i primari dell' ·ospedale di Padova in favore di una povera ragazza di campagna, gravemente ammalata, non solo si adoperò con sollecitudine e amichevole premura ; ma mi ringraziò di avergli reso possibile questo atto di umanità. Inoltre quest'uomo, cosi deciso e rigido nei suoi giu­ dizi, dove era in gioco la sua responsabilità morale, sapeva essere umile, assai umile. Mi venne a trovare a Milano, prima di partire per Roma, dove era stato chiamato a far parte di una commissione per un concorso a cattedra di letteratura greca: fra i candidati c'era il suo diletto allievo, Antonio Maddalena . A bruciapelo mi chiese : (( ma Maddalena è veramente bravo? » Nel concorso precedente, egli aveva votato in mio favore; io ero stato da poco cooptato e la mia autorità era quindi modesta. Ma, con atto di gentilezza e di squisita umiltà, egli volle chiedere a me il suo parere su di un can­ didato, che pur era stato, a Padova, suo antico scolaro. Questo episodio lo ricordo, per dimostrare lo scrupolo e la delicatezza di sentimento dell'uomo che non disdegnava di ascoltare il giudizio anche di chi non aveva certo la sua autorità. D 'altra parte, la sua convinzione era cosi sicura, che egli affrontò il viaggio a Cagliari, per assistere alla prolusione del suo Maddalena (Lettere a se., p. 1 9 8 ). Tale era la sua dirittura nei rapporti con allievi e colleghi. 65

Manara Valgimigli, escursiouista

66

(Alto Adige, circa 1 940)

Il suo animo era schietto, sincero, perciò non volle saperne, per sé e per gli altri, di cc complessi » freudiani. Scrive una volta (Am., p. 100) : '' niente Freud, niente esistenzialisti, niente sudicierie simili. >> E altrove ( ibidem, p. 126) definisce " corbellerie >> quelle freudiane. Per Val­ gimigli " bene e male sono per lo pi!i opera nostra >> (Am . . p. 67) e non frutto di complessi . Animato da questo severo senso di responsabilità per­ sonale, egli volle quindi armonizzare la sua condotta morale col concetto che egli ebbe dell'esistenza ( A m., p. 40). Tale -concetto- lo portava soprattutto ad essere un generoso, come risulta chiaramente dalla storia dei suoi rap­ porti con Giorgio Pasquali, che furono cordiali ed anche affettuosi, nonostante qualche dissenso su questioni filo­ logiche ( Uom., pp. 505-5 1 2). Si veda infatti la recensione calorosa che egli fece all'opera fondamentale di Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo ( P.F.G., Il, pp. 613-618). È naturale quindi che il leit-motiv della sua condotta morale sia uno solo : la gentilezza. Quest'uomo, dalle facili ire, dagli sdegni esplosi vi, nutri questo ideale che propose a sé e secondo il quale giudicò gli altri. Gentilezza è propria della Romagna vera, dice Val­ gimigli, non di quella retorica inventata dal fascismo e collaudata da certi scrittori fascisti o esaltati dal fascismo ( Uom., p. 303). Nelle Lettere a Francesca, la parola > ri­ corre con amorosa frequenza : '' questa tremenda vita è fatta di cosi complicate (o semplici) cose; e questa gran sete che io ho di gentilezza è sete e fame di ciò che ho avuto tanti anni, di una parola, di un sorriso, di una attenzione, di una carezza, di fare io una carezza, di posare 67

io una mano sopra una spalla, lungo un volto. >> (Fr., pp. 57-58 ; cfr. anche Fr., p. 103). Alcuni momenti di vita sono appunto raccolti sotto il titolo: Gentilezze e malinconie (M.C., pp. 97-117). Tutto questo significa che una delle note piu profonde della interiorità di Valgimigli era il senso di umanità, inca­ pace di rancori, quale si può esplicare soprattutto nell'in­ segnamento. Perciò, parlando del maestro di scuola, Valgimigli afferma : (( per quella ideale scuola, la quale chiunque illSe­ gna almeno come termine ultimo dovrà pur avere nel suo concetto, il sapere non basta se non è congiunto in qualche misura, fra minima e massima, a una personalità umana e morale. >> ( C.all., p. 5 2 5 )

Manara Valgimigli a d u n " premio letterario ,, fra gli scrittori Marino M oretti e Michele Saponara 68

Sdegni e umanità; ma proprio per questa dote, Valgi­ migli non nutre rancori, sa essere sempre generoso, purché il suo inflessibile senso morale glielo consenta. Il suo spirito è stato temprato da atroci sventure fami­ liari, che egli dominò col suo impegno di essere uomo e, come tale, non estraneo a nessun sentimento umano, anzi­ tutto alla malinconia: (( la verità vera è questa, che sono stanco, tremendissimamente stanco. E stanco proprio di questo . . . stanco e noioso e infastidito di vivere. lo non so che fuggire; fuggire da tutti e soprattutto fuggire da me. >> (Am., p. 116) Questo senso di melanconia, cosi irruente, lo sorpresi nel suo animo l'ultima volta che lo vidi a Padova, in occasione di un nostro colloquio nella libreria Draghi. Tale desiderium mortis (Fr., pp. 108, 168, 180-18 1) è frequente in Valgimigli (cfr. Fr., pp. 168, 170, 173, 184, 191 ), appunto perché per lui, (( vwere vuole dire combat­ tere. » (Fr., p. 143) Di fronte all'aldilà, egli non ha credenze; ma solo dubbio, atteggiamento scomodo; ma saldo nel suo animo. (Fr., pp. 136-137. Vedi anche M ESINI - Manara Valgi­ migli a Ravenna, pp. 33-36) Tale atteggiamento egli conservò anche in occasione della morte di Marchesi e della notizia, corsa in quei giorni, di una sua conversione in punto di morte: > (Il, 336 ), defi­ nizione questa del Bruno ben diversa da quella di Plotino ( Enn. I, l. VI, c l ), ma piuttosto affine ad un'altra comune nell'antichità che troviamo in Cicerone ( Tuscul., IV, 1 3 , 3 1 ). E nel De vinculis in genere ( Opp. lat. I I I , 6 6 0 art. XII) il Bruno specifica meglio l'essenza del bello che è molteplice sia che questa consista in una certa armonia o in qualche cosa di incorporeo che traspaia dalla materia e che pro­ durrà, a seconda delle sue diverse manifestazioni, diverse attrazioni sugli individui dal suo amore infiammati. Bello non è ciò che piace, come non è bene l'utile, ma quello che soggioghi il sentimento e lo spirito (lvi, p. 659-60, art. X e XII) e conseguentemente il bello dell'arte è opera dello spirito quando si riferisce all'intelligibilità della cosa e non piu al suo esser visibile (Opp. it. Il, 3 5 8 ), di guisa che stupido deve esser chiamato chi, vedendo la bellezza delle cose tanto naturali che artificiali, non ammira anche l'in103

gegno che le ha prodotte. (De vinculis - Opp. lat. III, 6 5 5 art. I I I ) Ben diversa è quindi l a definizione bruniana d a quella di Cicerone, nonostante la rassomiglianza verbale perché, se nel filosofo latino abbiamo formulata una relazione pura­ mente superficiale, nel Nolano, al contrario, quella armonia esterna non è altro che la necessaria manifestazione del contenuto spirituale di tutte le cose. Perciò si capisce come la fantasia venga da lui detta il senso interno, l'idealizza­ zione del sensibile (Lamp. trig. stat. Opp. lat. III, p. 1 4 1 , VI) e non (( rassomiglianza de l'historia » , come l a defini lo Scaligero, e quasi tutti i contemporanei, perfino il Ca­ stelvetro. Nelle cose materiali dunque la bellezza pura non si manifesterà mai in grado sommo possedendo queste la bel­ lezza, per partecipazione (Asino cill. Opp. it. Il, 281 ), per cui parrebbe che il Bruno si accostasse anche qui a Platone, secondo il quale l'arte è un'imitazione delle cose, che alla loro volta sono un'ombra della propria idea: un'imitazione di un'imitazione dunque. Il nostro filosofo invece nell'arte vede un immedesimarsi da parte dell'artista coll'essenza divina, che è poi quella delle cose, in cui essa è trasfusa, giusta la sua formula (( natura aut Deus ». La volontà è, come già accennammo, il moto iniziale ( Opp. II 349), e, a seconda della sua intensità, l'intelletto si muove alla com­ prensione di (( quello che contiene in sé ogni geno de intellegibile e appetibile, sin che vegna ad apprendere con l'intelletto l'eminenza del fonte delle idee », convertendosi nell'oggetto in cui questo permea (Il, 349 e 352). L'arte è quindi pel Bruno oggettività, per cui « l'alma è come languida, per esser morta in sé e viva nell'oggetto » (Il 3 5 1 ). E altrove rivestendo di forma lirica tale concezione il Bruno proclama : (( Rarissimi son gli A tteoni alli quali sia dato dal destino di posser contemplar la Diana ignuda, 104

e dovenir a tale, che dalla bella disposizione del corpo della natura invaghiti in tanto, e scorti da quei doi lumi del gemino splendor de divina bontà e bellezza, vegnano tra­ sformati in cervio, per quanto non siano piri cacciatori, ma caccia ». E allora egli cc avendo gittate le muraglie a terra, è tutto occhio a l'aspetto de tutto l'orizonte » (II, 443-4). Una concezione come questa dell'artista, di un'indivi­ duo cioè che si fa uno con l'idea del bello, importava un annientamento momentaneo della personalità che cosi viene liberata dalle contingenze terrene per aspirar cc alla verità e bene universale » (II 468), tanto piu spontaneamente quan­ to piu si progredisce nella contemplazione del bello » ( II, 422). Siffatta dottrina, pur con notevoli ricordi plotiniani, presenta delle differenze. Infatti, mentre per Plotino l'idea del bello è raggiungibile per mezzo di una purificazione ottenuta con la pratica delle virtu, in Bruno questa non è tanto una purificazione, un antecedente cioè per conseguire l 'idea del bello, quanto una liberazione che si manifesta man mano che l'idea del bello è raggiunta, il che avviene duran­ te l'ascesa dell'animo, il quale con l'esercizio dei suoi cc atti dell'intellettive potenze >> (II 388-9) debella quei pertur­ bamenti che vorrebbero arrestarlo. Questo non avviene per un'azione immediata del bello sui sensi, ma perché il bello pervadendo la sensibilità, per mezzo di questa, - nel men­ tre che vi traspare, - prepara l'annientamento di lei come tale (De vinc. III, p. 644, 12-14). Ma un altro divario esiste per il fatto che in Plotino abbiamo lo sviluppo di un'estetica metafisica, secondo la quale per mezzo dell'arte, si risale alle ragioni della natura la cui essenza è la spiritualiz�azione del mondo, onde il neoplatonico affermava che l'arte aggiunge bellezza dove in natura manca. In Bruno invece negandosi la possibilità di risalire alla bellezza eterna se non fosse altro - pensava certo egli - perché sarebbe una contraddizione, non do105

\·endo > ( I l , 31 0- 1 1 ) L'arte quale oggettività è dunque la concezione del Bruno, come vedesi anche da questi ultimi passi, e in ciò sta il superamento da parte del nostro filosofo e della dot­ trina platonica, che all'arte assegnava un posto subalterno, e della teorica di Plotino, in quanto il Bruno un piede in terra lo tiene semprE' in merito della sua geniale concezione dell'unificazione dei contrari. Il pensare l'arte come ogget­ tività, vale a dire come comprensione diretta dell'idea del­ l'oggetto, spogliandosi della propria individualità conside­ rata come egoista e perciò inceppata nei lacci della materia, era possibile, senza pregiudicare la monotonia dell'espres­ sione artistica, solo a condizione di concepire la natura in continuo mutarsi ( in Bruno per l'opposizione e l'unione dei contrari), cosicché l'essenza ideale del singolo muta conti­ nuamente col mutar rispettivo dell'oggetto e del soggetto contemplante, pur restando immutata l'essenzialità assoluta, che sta appunto nell'unità finale, ma sempre presente del tutto : e in tal modo la varietà e la caratteristica immuta­ bile dell'arte non solo non si contradicono, ma questa spiega quella . In ciò sta il merito del Bruno di aver intuita, se non proprio edificata in corpo unitario, una dottrina estetica (che allora come scienza a sé non esisteva, essendo stata costituita dal Baumgarten nel 1 7 59). Essa, pur avendo addentellati nei trattati d'amore del 500, li supera non solo per la profondità con la quale il processo artistico viene analizzato nella sua intimità spirituale e nella sua ragione universale, ma anche perché prelude a concezioni moderne dell'arte, e qui alludo specialmente alla teorica di A. Scho­ penhauer, per la quale quando l'individuo giunge, discio­ gliendosi da ogni rapporto con la cc volontà » a liberamente .

107

conoscere l'oggetto privo pur esso di ogni relazione col di fuori, si ottiene la conoscenza intuitiva delle cose, che rappresenta l'essenziale e il fondamento di tutti i fenomeni. Nello Schopenhauer, come in Bruno, l'oggettivazione delle cose nelle loro particolarità importa un corrispondente pre­ sentarsi di un 'idea riprodotta dall'artista con la pura con­ templazione. Basteranno questi rapidi cenni per mostrare come an­ che nella teoria dell'arte il Bruno sia stato un precursore, come lo fu in tutte le sue teorie, dei grandi filosofi moderni, sebbene in questi i medesimi principi siano elevati ad una maggior coscienza e ad uno sviluppo piu elaborato. E resta quindi ancora una volta confermata l'asserzione di B. Spa­ venta, che la caratteristica della filosofia italiana (( non è un particolare indirizzo del pensiero, ma il pensiero nella sua ptenezza, la totalità di tutti gli indirizzi >> . MARIO UNTERSTEINER

Riprodotta da 108

«

L"Arduo

n.

Il, 1922, pp. 219-224.

INDICE

Prefazione

pag.

5

))

9

))

24

*

Concetto Marchesi

Appello di C.M. agli studenti dell'Uni­ versità di Padova ( 1943 ) . Lettera di dimissioni di C.M. al Mini­ stro dell'educazione nazionale ( 1943) Nota biografica Giuseppe Rensi .

Nota biografica Manara Valgimigli

Abbreviazioni (nel testo ) e studi vari Nota biogra�ca Incontro con me stesso

))

27 28

))

29

))

52

))

54

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77 79

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81

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99

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Appendice : L'estetica di Giordano Bruno

109

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Etlia. 1959

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19S9

- Anima trentina

SARTORI

RENATO

(dialellale

( a eura di Ri�cardo Maroni)

Daila Floriani

Scene dialellali di guerra, in 4 'luadri 3.

TRENT I N A ,

alluala da Riccardo Maroni

e



TERRA

l.liNELLI



OrJani trentini

(a cura di -

Notizie

Riccardo "loroni) 11oriche.

lcono1raha

1964

(a cura d i Riccardo Maronil 4 . RENATO

LUNELI.I

La mu.1ica nel Trentina dal JeC"olo XJ' al .t. YI/1



- I Parte (dal XV al XY/l

5. RENATO LUN ELLI •

7. G I A COMO

(a

c:ura

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I.UNELLI

( a cura di

di

Riccardo

-

Strumenti



mu1icali

nel

Clemente



1967

1968

Trentina

Lune lli)

Peruwi e ultime poaie

Muoni ; prefazi o ne di

Ric:cardo

1967

(a cura di R. Maroni e di C . Lunellil

Mnoni e di

FLORIAI'II



- (a cura di R. M aron i e di C . Lunelli)

La mu.sico nel Trentina dal secolo XY nl X l ' l l/

-

Il Parte (XJII/1 Jec.)

6. RENATO

sec.)

1969

M ar io )

Bia 1io

8. llANTE SA RTORI - L'ùtarlèla de San Martin - El cilali:i t r nmmedie di

,

1969

3 alli, in dialello lrenlino) - ( a cura di R. Maroni ; pre1ent. di C . Pio•n n) 9. RENVENUTO

DISERTORI

·

Prose scelte

1969

(a cura di Riccardo Maroni)

IO. DANTE S A R T O R I • l'ècie Jlorie (commedia di 3 alli, in dialello lrenlinol - l a cura ,Ji

1970

Riccanlo

!\larnni l

I l . ANTICA Cl:CINA DI MOENA . VELGEZ M A G N A REZ DE MOF.NA ta

t'Un

1970

di Francesco Ceni e collaboratori)

1!!. G I A C O M O FI.O R I :\ N I - l C'inque Canzonieri h PARTE : ] 0 e 211 Ca nzo nie re ) ( a cura d: Ricrardo Moroni l 1 3 . G I ACOMO F I . O R I A N I - l cinque Can:onieri ( 1 1 I"ARTE : 3°. 4°, 5 ° Ca nzo n .

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di Riccardo Maroni l

TRE PROCESSI

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CESARE IIATTISTI (Diballili

cura di L ivi a Balti1ti)

1 5 . ERNESTA

D I TTAN'TI BATTISTI ( a cura di Camillo Ba1ti1ti)

IC.. M \ R I O UNTERSTEINER (a

cura di

17. F.TTO R E

Riccardo

DEDIASI

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Ostetriria

(a cura di Riccardo M aro ni l 1 8 . RU:C A itD O

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collaboratrice di Ce5are BattiJti

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