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Italian Pages [545] Year 2013
Stefano Federici Marcia J. Scherer
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MANUAL£ DI VALUTAZIONE DELLE TECNOLOGIE ASSISTIVE Edizione italiana a cura di Aldo Stella
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Stefano Federici, Marcia J. Scherer
MANUALE DI VALUTAZIONE DELLE TECNOLOGIE ASSISTIVE Edizione italiana a cura di Aldo Stella
© 2013 Pearson Italia – Milano, Torino
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Sommario Introduzione Prefazione Presentazione dell’edizione italiana Premessa dei curatori
XI XVII XXI XXVII
Parte 1 Introduzione alla Parte 1
1 3
Il modello di valutazione delle tecnologie assistive e definizioni di base Il modello di valutazione delle tecnologie assistive (ATA) TA e abbandono: i servizi di fornitura ausili in differenti paesi Presentazione dei capitoli della Parte 1 Conclusioni
8 10 12
Capitolo 1 La valutazione del funzionamento individuale e della disabilità
13
1.1 Il modello universale di disabilità 1.2 Classificazioni, dichiarazioni e definizioni internazionali del funzionamento e della disabilità Il luogo della valutazione del funzionamento 1.3 individuale e della disabilità: modelli di servizi di erogazione di tecnologie assistive e riabilitative 1.4 Valutare il funzionamento individuale nel processo di riabilitazione 1.5 Valutare il funzionamento individuale e la disabilità nell’ATA process 1.6 Conclusioni
3 4
13
15
18 21 24 26
IV Sommario
Capitolo 2 Misurare il funzionamento individuale
27
2.1 Cosa misura il funzionamento individuale 2.2 Come misurare il funzionamento individuale 2.3 Strumenti di misura suggeriti per un ATA process 2.4 Conclusioni
27 34 38 47
Capitolo 3 Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive
49
3.1 Introduzione 3.2 Misurare l’abbinamento delle TA 3.3 Il processo di valutazione di TA (ATA process) 3.4 Il processo dell’MPT e quello di valutazione delle TA 3.5 Conclusioni
49 51
65 66
Capitolo 4 La valutazione degli ambienti d’uso: accessibilità, sostenibilità e progettazione universale
69
61
4.1 Introduzione 4.2 Accessibilità, sostenibilità e progettazione universale: una visione d’insieme 4.3 La valutazione ambientale nel processo di assegnazione di tecnologie assistive basato su accessibilità, sostenibilità e progettazione universale 4.4 Il processo di valutazione ambientale: una visione di insieme 4.5 Conclusioni
77 86
Capitolo 5 Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia
87
5.1 Introduzione 5.2 Panoramica della letteratura corrente 5.3 Strutture concettuali relative all’impatto delle TA sui caregiver e sugli utenti
69 70
75
87 89 92
Sommario V
5.4 Strumenti di misurazione che si riferiscono all’impatto delle TA sui caregiver in famiglia 97 5.5 Direzioni future 105 5.6 Conclusioni 105 Parte 2
107
Introduzione alla Parte 2
109
I professionisti della valutazione: il lavoro del team multidisciplinare Presentazione dei capitoli della Parte 2 Conclusioni
109 112 113
Capitolo 6 Il terapista cognitivo
115
6.1 Le terapie cognitiviste 6.2 Il terapeuta cognitivista 6.3 La terapia cognitivista dei disturbi cognitivi 6.4 La riabilitazione cognitiva 6.5 Le tecnologie assistive e di supporto cognitivo 6.6 Caso studio 6.7 Conclusioni
115 119 123 125
Capitolo 7 L’educatore speciale
139
127 134 138
7.1 Il ruolo dell’educatore speciale nella valutazione delle TA 139 7.2 Insegnamenti alternativi che utilizzano le TA 143 7.3 Studi sull’esito delle TA in ambito educativo 146 7.4 Fattori ambientali per promuovere le TA in classe 147 7.5 Per il futuro: Universal Design for Learning (UDL) 149 7.6 Valutazione di casi 150 7.7 Conclusioni 157
VI Sommario
Capitolo 8 Lo psicologo 8.1 Il ruolo marginale dello psicologo nella valutazione di tecnologie assistive 8.2 Nulla sullo “psico” senza gli psicologi: l’ICF e la necessità di una sua revisione 8.3 I fattori personali del funzionamento e della disabilità 8.4 Fattori personali e soluzioni assistive 8.5 Lo psicologo in un centro ausili: lo specialista in fattori personali 8.6 Delineare il ruolo dello psicologo all’interno dell’ATA process 8.7 Psicologo “conosci te stesso”: la rappresentazione degli utenti/clienti disabili e delle TA nei professionisti del settore 8.8 Conclusioni Capitolo 9 Lo psicotecnologo: una nuova professione per l’assegnazione delle tecnologie assistive
159 159 161 164 164 166 169
177 185 187
9.1 Introduzione 9.2 Lo psicotecnologo e il processo di valutazione delle TA 9.3 Caso studio: applicazione di modelli e misure 9.4 Il processo di assegnazione di AT in un centro ausili e lo psicotecnologo 9.5 La formazione dello psicotecnologo: un esempio 9.6 Conclusioni
187
199 208
Capitolo 10 L’optometrista
209
10.1 Introduzione 10.2 La visione 10.3 Ruolo dell’optometrista nel processo di valutazione delle tecnologie assistive 10.4 Caso clinico 1: valutazione delle funzioni visive, percettive e motorie 10.5 Caso clinico 2: valutazione delle funzioni visive, percettive e motorie
209 210
189 192 197
232 234 236
Sommario VII
10.6 Il visual training 10.7 Conclusioni Capitolo 11 Il terapista occupazionale: attività di abilitazione e partecipazione con le tecnologie assistive 11.1 Le prospettive del terapista occupazionale 11.2 Panoramica degli interventi utilizzati dai TO e il posto delle TA all’interno di questi 11.3 La definizione e il ruolo delle TA 11.4 Panoramica del processo di selezione e uso delle TA 11.5 Casi studio 11.6 Conclusioni Capitolo 12 Gli specialisti pediatrici nelle soluzioni assistive 12.1 Gli specialisti pediatrici nel processo di sviluppo e di riabilitazione 12.2 Gli specialisti pediatrici nelle soluzioni assistive 12.3 Le soluzioni assistive e l’approccio del team multidisciplinare 12.4 Le risorse delle TA applicate alla vita quotidiana del bambino e della famiglia 12.5 Tecnologie assistive e apprendimento 12.6 Valutazione del caso da parte del team multiprofessionale 12.7 Conclusioni Capitolo 13 Il geriatra
237 238
241 241 243 245 246 251 258 259 259 262 263 265 267 269 283 285
13.1 Introduzione 285 13.2 Analisi del paziente anziano: malattia, disabilità e fragilità 286 13.3 La valutazione multidimensionale geriatrica 290 13.4 Riabilitazione geriatrica 292 13.5 Soluzioni assistive: una sfida nella riabilitazione geriatrica 295
VIII Sommario
13.6 Accettazione, rifiuto o abbandono di una tecnologia assistiva 13.7 Il ruolo del geriatra nel processo di valutazione della tecnologia assistiva (ATA process) 13.8 Caso clinico e l’ATA process 13.9 Conclusioni
301 306 312
apitolo 14 Il ruolo dei patologi del linguaggio C nella valutazione delle tecnologie assistive
315
299
14.1 Descrizione del profilo professionale 14.2 Valutazione di un caso clinico in un team multidisciplinare o come un consulente professionale 14.3 Conclusioni
338 341
Parte 3
343
Introduzione alla Parte 3
345
Dispositivi e servizi di tecnologie assistive Presentazione dei capitoli della Parte 3
345 346
Capitolo 15 L’esperienza sistemica dell’utente
353
15.1 Introduzione: il concetto di User experience 15.2 Da accessibilità e usabilità dei sistemi all’esperienza utente dei sistemi 15.3 Valutazione dei sistemi 15.4 Esempio di applicazione del concetto di UX nella progettazione di sistemi per la riabilitazione 15.5 Conclusioni
353
apitolo 16 Soluzioni web per la riabilitazione C e la vita quotidiana 16.1 Introduzione 16.2 La semplificazione del Web per gli utenti disabili: il motore di ricerca WhatsOnWeb 16.3 La telemedicina: il NU!Reha Desk 16.4 Conclusioni
315
356 361
367 373 375 375 376 384 391
Sommario IX
apitolo 17 Brain-computer interface: C la nuova frontiera delle tecnologie assistive
17.1 Che cos’è una brain-computer interface? 17.2 La misurazione dell’attività cerebrale 17.3 Storia delle BCI 17.4 Comunicazione 17.5 Riabilitazione motoria 17.6 BCI e disturbi del comportamento 17.7 Tecnologie assistive e BCI 17.8 Conclusioni
apitolo 18 Nuove opportunità riabilitative C per persone con disabilità multiple mediante la tecnologia del microswitch
393 393 395 397 398 403 405 407 409
411
18.1 Introduzione 18.2 Microswitch sperimentali per risposte minime (non tipiche) 18.3 Combinazioni di microswitch 18.4 Combinazioni di microswitch e VOCA 18.5 Discussione 18.6 Conclusioni
411 413 418 421 424 429
apitolo 19 Metodi e tecnologie per il tempo libero, C la ricreazione e uno sport accessibile
431
19.1 Introduzione 19.2 APA: quando l’attività fisica è per tutti 19.3 Sport e disabilità 19.4 Tecniche e tecnologie per uno “sport per tutti” 19.5 Conclusioni
431 433 436 441 444
Bibliografia essenziale
445
Introduzione
Prospettive globali e temi emergenti nella valutazione delle tecnologie assistive Sono lieto e onorato di essere stato invitato dagli eminenti curatori di questo volume, Marcia Scherer e Stefano Federici, a scrivere un’introduzione. Questi colleghi sono in prima linea nel lavoro nell’ambito delle tecnologie assistive (TA) e hanno aperto la strada a gran parte del pensiero corrente che ha avuto come risultato sia la fornitura di servizi alle persone sia una trasformazione della ricerca. La rilevanza e importanza di questo campo possono essere dimostrate mediante l’affermazione ottenuta da Disability and Rehabilitation: Assistive Technology come rivista indipendente, ancorché affiliata a Disability and Rehabilitation. La rivista indicata, che abbraccia il vasto ambito delle TA, è curata da Marcia Scherer, abilmente coadiuvata da Stefano Federici come membro del comitato editoriale. Queste due riviste, come del resto questo libro, sono caratterizzate dalla loro diffusione internazionale, da pubblicazioni multidisciplinari e da una ricerca inter-professionale di alta qualità. Questa curatela include contributi da tutti e cinque i continenti e rafforza l’approccio globale nel rispondere alle esigenze degli individui e, in alcuni casi, delle comunità, che richiedono sostegno e intervento. Questa non è una sfida facile, e la necessità rimane quella di riconoscere l’integrità di quelle discipline e di quegli individui che vi concorrono, insieme all’emergente approccio integrativo alla riabilitazione. Ciò che questo testo fa è di impostare un quadro di riferimento per la futura prassi e ricerca nell’ambito della valutazione delle TA. Esso è chiaramente strutturato in tre parti, la prima delle quali definisce il contesto, la seconda riunisce le diverse prospettive provenienti da quelle professioni che operano nel settore e la terza si concentra sugli stessi dispositivi di TA e sugli esiti positivi che ne possono emergere. Ogni parte di questo volume ha una propria introduzione e questi contributi in se stessi non sono soltanto informativi, ma riflettono il punto di vista dei curatori sul relativo ambito del tema della parte. Essendomi stato chiesto di scrivere questa introduzione, è stato con vero piacere che ho potuto leggere i capitoli prima della loro pubblicazione e, piuttosto che ripetere o semplicemente ribadire ciò che può essere facilmente assimilato, mi sono trovato a riflettere su alcuni temi trasversali emergenti. Sebbene non esaustivi, i quattro
XII Introduzione
temi che a mio avviso si sono distinti caratterizzano la necessità di sviluppare approcci innovativi in questo settore, pur riconoscendo l’individualità sia dell’utente sia dei professionisti impegnati. In diversi modi i temi che tutti gli autori affrontano e il campo di indagine sono relativamente immediati. I progressi della tecnologia e i benefici potenziali che possono derivarne evidenziano il bisogno di intraprendere forme propositive e sofisticate di valutazione degli individui per comprendere le loro esigenze e il modo in cui essi possono beneficiare della vasta gamma di dispositivi disponibili. Questi stessi individui, in modi diversi, cercano di ottenere risultati migliori in risposta alle loro disabilità e, in generale, attraverso il processo di riabilitazione intendono migliorare, in un modo o in un altro, la loro qualità di vita. Pertanto, la valutazione è il primo stadio di questo processo e facilita una considerazione dell’efficacia dell’intervento che deve essere effettuata con regolarità. Cosa dunque emerge dalla mia iniziale lettura di questi capitoli rilevanti, scritti da persone che lavorano in questo campo?
La tecnologia assistiva è sempre più complessa e sofisticata, tanto da richiedere di essere ripensata in un processo di valutazione Sebbene in realtà questa sia un’affermazione ovvia, essa ancora offre una delle più grandi sfide nell’intraprendere la valutazione degli individui per determinare il modo migliore in cui erogare la tecnologia. I Capitoli 16, 17 e 18 illustrano la raffinatezza emergente nel campo della tecnologia e i benefici potenziali per le persone. Tuttavia, più diventano complessi sia il processo di valutazione sia gli stessi ausili tecnologici, più c’è il rischio che questi diventino meno accessibili. Un certo numero di autori, in tutto questo volume, ci ricordano, attraverso il loro lavoro sull’“abbandono”, che uno dei maggiori problemi è che gli individui smettono di usare gli ausili. Inoltre, più è complesso il processo di valutazione e meno gli individui possono sentirsi motivati, dato il loro bisogno e il loro comprensibile desiderio di avere accesso a strutture e sostegni che siano disponibili. E non solo la complessità è tale per gli utenti e per quei professionisti che intraprendono le valutazioni, ma rimane il rischio che queste diventino più costose e, quindi, abbiano un impatto minore. Infatti, il processo di valutazione è di per sé costoso, dato il numero di professionisti che potenzialmente è necessario coinvolgere, e qui si impone una questione di “opportunità di costo” in termini di intervento terapeutico diretto rispetto a un’attenta valutazione e pianificazione. Perciò, uno dei nostri rompicapo è che più sono complessi e grandi gli avanzamenti tecnologici che compiamo, più rimane una potenziale minaccia del grado in cui questi possono essere applicati nella pratica, il che a sua volta influenza la vulnerabilità delle persone con disabilità.
Introduzione XIII
La necessità di un approccio inter e multidisciplinare alla valutazione Per me questa è, quindi, la seconda questione importante. Emerge chiaramente da questo testo che il processo di valutazione è cruciale per il successo futuro, ma che esso coinvolge un’ampia gamma di discipline e, in alcuni casi, implica l’imporsi di nuovi approcci interdisciplinari. Per esempio, il Capitolo 9 introduce per prima volta, almeno per me, il ruolo dello psicotecnologo. Sono tuttavia sicuro che ci siano altri approcci integrati di professionisti che possono essere raggruppati. Come la conoscenza nei campi professionali coinvolti con la TA diventa più sofisticata e la nostra conoscenza si accresce semplicemente in modo esponenziale, così la capacità di introdurre formazione e addestramento professionale condiviso diventa sempre più difficile. Inoltre, abbiamo la necessità di riconoscere e, invero, di valutare le diverse prospettive offerte dall’ampia gamma di individui che lavorano in questo ambito grazie alla loro iniziale formazione, addestramento e studio dopo la laurea. Ci sono diversi paradigmi, che variano da coloro che lavorano in questo ambito principalmente da una prospettiva medica, passando per professioni specializzate, ma relativamente multidisciplinari, sino a professionisti che offrono enormi contributi attraverso le loro abilità tecnologiche piuttosto che sociali. Nessuna persona o professione può esprimere una competenza così vasta da coprire l’intera estensione del campo indicato; abbiamo, quindi, bisogno di trovare nuovi modi di lavorare insieme. Fortunatamente, non è vero che le persone non possono far questo, ma si tratta di un processo dispendioso in termini di tempo e in termini di risorse, e i risultati posti in termini di priorità e di misure necessitano che venga dimostrata l’efficacia di tale approccio. So che sono orgoglioso di essere l’editore, insieme a Marcia Scherer, di riviste che incoraggiano le prospettive e gli approcci multidisciplinari su differenti aspetti della riabilitazione e si sforzano di includere contributi da diverse culture e contesti. Nel riflettere su tali questioni, non dobbiamo dimenticare la gamma di professionisti non inclusi in questo testo, in particolare quelli che lavorano nel campo dell’impiego lavorativo, del supporto legale, dell’assicurazione nonché le professioni correlate agli affari. Non c’è nulla di negativo nel riconoscere il mutamento di ruoli nei professionisti, ma la sfida rimane quella di aiutare tutti noi a considerare prospettive differenti e di abbandonare alcuni aspetti delle nostre idee per lavorare meglio con gli altri.
L’impatto dell’ambiente e del contesto Gli individui e, invero, le comunità sia abbracciano sia sono vincolate al contesto in cui vivono. La valutazione di un individuo deve tener conto di questo e tanto il luogo quanto il contesto sono parte integrante di questo processo. Nella riabilitazione relativamente strutturata ci sono processi e procedure ben definiti all’interno dei quali effettuare la valutazione e fare ricorso a servizi e opportunità offerti dall’ambiente nel
XIV Introduzione
quale vengono condotti. Tuttavia, ci sono circostanze nelle quali il processo di valutazione è limitato sia a causa delle risorse disponibili sia dalla necessità di rispondere a un livello pragmatico. I programmi basati sulla comunità sono spesso limitati in termini di personale e di risorse e si affidano molto di più a coloro che vivono e lavorano all’interno di quel particolare ambiente. Disastri come quelli che hanno recentemente colpito il Giappone e Haiti richiedono meccanismi di risposta rapida e d’emergenza, nei quali il processo di valutazione può essere meno importante quando si cerca di fornire TA che contribuiscano a sostenere il grande numero di persone chiaramente in difficoltà. Tali questioni non sono limitate all’ambiente o al contesto, ma anche alle connessioni interpersonali dell’individuo che viene valutato. Il Capitolo 5 illustra l’impatto sui caregiver e sulla famiglia, ma dovremmo aggiungere a questo l’ampia gamma di contatti individuali, inclusi gli amici, i pari e i colleghi di lavoro. Questo riguarda anche il contesto sociale e influenza quegli esiti attraverso i quali viene giudicata l’efficacia di ogni intervento, incluso il benessere economico. Sostenere questo in molti casi è un impegno a migliorare la qualità della vita, spesso attraverso la partecipazione al mondo degli altri con il fine di mantenere e di giocare un ruolo rispettoso di quell’ambito più ampio rappresentato dalla società.
Cosa vuole l’utente e come può essere misurato? L’importanza della partecipazione e del miglioramento della qualità della vita, così come dell’alleviare alcuni aspetti della disabilità, è stata riferita nel paragrafo precedente. In molti casi queste misure sono più importanti per l’individuo e influenzano notevolmente il modo in cui è misurato il successo nell’avere accesso alla TA. Il Capitolo 15 è un’eccellente panoramica sulla cornice della “esperienza utente”. Qualsiasi miglioramento percepito attraverso l’uso di TA deve essere riconosciuto e apprezzato dall’individuo stesso affinché l’impatto sia misurato efficacemente. Sono stati pubblicati molti studi che mostrano miglioramenti su una serie di variabili e sebbene siano importanti nel dimostrare l’efficacia di tecniche particolari, senza ricorrere alla semplice misurazione dell’impatto sull’individuo dalla sua prospettiva, essi mancano di un elemento di validità. Ciò non significa che studi di questo genere non debbano essere pubblicati, ma questo rafforza ulteriormente la complessità del lavoro nel settore della riabilitazione. La più recente enfasi sulla definizione degli obiettivi sia in collaborazione con i professionisti sia individualmente è una strada positiva da seguire per misurare l’impatto. C’è un sano realismo tanto nella definizione degli obiettivi quanto sull’opportunità di essere ambiziosi e di andare oltre ciò che forse gli altri pensano possibile. L’obiettivo dell’impiego lavorativo non è improbabile che rimanga utopico per molti, se pensato come una reintegrazione nella vita vissuta prima della disabilità: questo non sempre può essere possibile, ma senza un’adeguata comprensione delle aspettative dell’utente il successo o meno dell’intervento non può essere pienamente compreso. Al cuore della valutazione di un individuo in ordine all’uso di tecnologie assistive vi è il punto da cui quella persona parte, dove vuole andare o cosa crede di ottenere,
Introduzione XV
nonché le ulteriori aspirazioni che lo spingono avanti, senza escludere il percorso stesso. Ritengo che questo libro, nella misura in cui ha riunito una così ampia gamma di persone impegnate, abbia come filosofia sottostante l’impegno ad ascoltare e a rispondere positivamente alla richiesta del singolo partecipante. Le risorse sono ancora offerte, piuttosto che possedute, da coloro che le richiedono e, così come in altre aree nelle quali si produce un cambiamento, come l’educazione e l’assistenza sociale, anche in questo ambito è possibile realizzare un ulteriore rafforzamento del ruolo dell’utente, fornendo le risorse fra cui egli possa scegliere o anche acquistare. Ho trovato questo libro stimolante e sono orgoglioso di avere avuto la possibilità di contribuire con alcuni pensieri. Vi ringrazio, Marcia e Stefano, di questa opportunità di unirmi a voi in questo dibattito.
Dave J. Muller Suffolk New College, UK
Prefazione
Quando la prof.ssa Marcia Scherer, accompagnata dal prof. Stefano Federici, venne in visita all’Istituto Leonarda Vaccari, iniziò un’intensa collaborazione basata sulla condivisione della medesima visione di lavoro: le attività del Centro Ausili dell’Istituto (Ausilioteca di Roma) e il suo team multidisciplinare riflettevano infatti il metodo di lavoro sviluppato dalla prof.ssa Scherer nel suo Matching Person & Technology. Quasi un anno dopo, una mia visita all’Università di Rochester fu l’occasione per condividere con Marcia l’idea di scrivere un manuale sulla valutazione delle tecnologie assistive che fosse il frutto della condivisione dei professionisti del settore a livello internazionale, pensiero già condiviso con Stefano. L’Ausilioteca di Roma venne così messa a disposizione degli autori quale luogo di verifica del modello alla base del processo di valutazione delle tecnologie assistive e delle competenze che in modo diretto o indiretto entrano in gioco durante tale processo, presentando nel contempo una nuova figura professionale, fondamentale all’interno del servizio di valutazione: lo psicotecnologo. Nelle righe seguenti ho il piacere di presentare l’Ausilioteca di Roma e l’Istituto Leonarda Vaccari entro cui il servizio di valutazione delle tecnologie assistive è inserito. L’Istituto Leonarda Vaccari è stata una delle prime istituzioni no-profit in Italia a occuparsi delle persone con disabilità, in particolar modo di bambini e adolescenti. Fondato nel 1936 dalla marchesa Leonarda Vaccari per aiutare i fanciulli affetti dalla poliomielite, offre oggi un servizio multidisciplinare a centinaia di persone, anche adulte, con diverse patologie invalidanti sia fisiche sia mentali. L’Istituto Leonarda Vaccari è un ente morale senza fini di lucro, riconosciuto con Regio Decreto N. 2032 del 15 ottobre 1936 ed ente pubblico non economico (Corte di Cassazione Sez. Un. N.1299/84-2379/79-1128/57). Lavora in base alle leggi del Servizio Sanitario Nazionale. Con decreto dell’8 dicembre 2007 il Presidente della Repubblica Italiana, l’On. Giorgio Napolitano, ha conferito all’Istituto la medaglia d’oro al merito della salute pubblica. Nello stesso anno il Centro è stato incluso nel 2° Rapporto EURISPES tra le 100 realtà italiane d’eccellenza. L’Istituto Vaccari ha il certificato di qualità secondo la normativa ISO 9001-2008 IMQ/CSQ 9122.LVAC. Con 75 anni di esperienza sul campo, l’Istituto realizza progetti per la riabilitazione psicofisica, l’integrazione didattica e l’inclusione sociale delle persone con gravi disabilità mediante le cure cliniche necessarie, le diverse terapie riabilitative, con i più
XVIII Prefazione
moderni ausili tecnologici. Fin dalla sua fondazione, l’intervento globale sull’utente disabile faceva parte della missione dell’Istituto: l’obiettivo era ed è il miglioramento della qualità della vita della persona con disabilità. Già nell’atto costitutivo del 1936, la presa in carico della persona con disabilità prevedeva interventi sintetizzati in tre procedure: cure mediche, attività didattiche e formazione. Da allora l’Istituto ha ampliato i suoi servizi con interventi di tipo individualizzato attraverso un team multidisciplinare di professionisti che affronta i diversi aspetti del singolo caso. Ogni giorno l’Istituto si occupa di oltre 300 persone per la rieducazione e la riabilitazione in regime residenziale, semiresidenziale o ambulatoriale; offre numerose terapie quali kinesiterapia, logoterapia, interventi di comunicazione aumentativa alternativa, stimolazione psicosensoriale, esercizi respiratori, teatro e tanto altro, includendo allo stesso tempo un intervento di supporto alle famiglie delle persone con disabilità fornendo loro un punto di riferimento rispetto all’intervento globale che viene effettuato. L’equipe diagnostica è composta da medici specializzati, neuropsichiatri dell’età evolutiva, psicologi, psicotecnologi, neuropsichiatri, pedagogisti, ortopedici, terapisti della riabilitazione e altri professionisti in campi specifici. Nel 1996 l’Istituto fonda l’Ausilioteca di Roma, centro per la valutazione e la ricerca sugli ausili tecnologici. Il settore si caratterizza in modo particolare per la complessità delle soluzioni, la loro rapida evoluzione e la necessità di personalizzazione; gli ausili tecnologici introducono molti aspetti culturali innovativi nelle pratiche riabilitative, assistenziali ed educative. Al fine di studiare un modello del processo di valutazione delle tecnologie assistive ottimale, l’Istituto ha pertanto avviato una proficua collaborazione con Stefano Federici dell’Università degli Studi di Perugia, con Marta Olivetti Belardinelli della Sapienza – Università di Roma e con Marcia Scherer dell’Institute for Matching Person and Technology di Webster, New York. Il successo della proposta di ausili risiede primariamente nell’adeguatezza della loro selezione e della loro implementazione ed è determinato: •
dalla qualità del processo di abbinamento;
•
dalla qualità della proposta di abbinamento;
•
dalla considerazione del contesto d’uso.
Lo sviluppo di questo settore trova le sue motivazioni culturali e le sue linee generali di crescita in quanto indicato nelle recenti dichiarazioni di intenti a livello europeo (come per esempio la dichiarazione di Madrid del 2002 e gli atti ufficiali dell’Anno Europeo delle persone con disabilità del 2003), nelle normative nazionali di indirizzo di settore (come per esempio nelle linee guida per la riabilitazione del Ministero della Sanità del 1998 e così via), così come in documenti tecnici condivisi a livello internazionale (come per esempio nell’ICF dell’OMS del 2001, nei documenti dell’AAATE e così via.). Gli ausili tecnologici sono strumenti di straordinaria importanza per dare risposte alle esigenze di autonomia e qualità della vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Un’appropriata proposta di ausili e personalizzazione fornisce un sostegno
Prefazione XIX
fondamentale ai professionisti dei servizi di assistenza e agli utenti finali, ed è destinata a ridurre la spesa pubblica aumentandone l’efficacia. Il Centro Ausili dell’Istituto Leonarda Vaccari si pone quindi come servizio a elevata specializzazione che opera in rete con le scuole, con il Servizio Sanitario Nazionale e con le realtà del territorio, fornendo prestazioni e interventi per qualificare e sostenere la proposta e l’utilizzo delle tecnologie in situazioni di disabilità finalizzate alla migliore inclusione delle persone con disabilità nella scuola e negli ambienti di vita. Il manuale, realizzato con l’apporto di ricercatori universitari e professionisti di diverse nazionalità (Stati Uniti, Italia, Europa, Australia, Brasile, Giappone, Repubblica di Corea), attraverso la ricerca, il lavoro e la condivisione di metodologie di intervento, presenta un nuovo modello scientifico per l’assegnazione di tecnologie assistive per le persone con disabilità fondato sul modello dell’ICF. La realizzazione e il successo del modello, descritto nel manuale, e delle relative procedure d’intervento, rappresentano una tra le best practices che l’Istituto porta avanti con il suo personale altamente specializzato. Con riconoscenza e soddisfazione desidero ringraziare tutti gli autori e in particolare i curatori dell’opera: la prof.ssa Marcia Scherer dell’Institute for Matching Person and Technology di Webster (New York, Stati Uniti) e il prof. Stefano Federici dell’Università di Perugia per il loro proficuo lavoro.
Saveria Dandini de Sylva Presidente dell’Istituto “Leonarda Vaccari”
Presentazione dell’edizione italiana
L’avvento, prima, e l’affermarsi, poi, della tecnica hanno generato una duplice reazione. Da un lato, si è pensato che essa avrebbe consentito all’essere umano di risolvere molti dei problemi con i quali deve giornalmente confrontarsi, e ciò grazie all’uso di strumenti estremamente efficaci, quegli strumenti che solo la tecnica, appunto, è in grado di configurare e di produrre. Dall’altro, si è temuto che ciò avrebbe comportato la progressiva riduzione dell’essere umano alla sola dimensione meccanica, a scapito di quella libertà che dovrebbe invece costituire la sua autentica essenza e indurlo ad affidarsi alle proprie risorse, piuttosto che delegare a strumenti esterni ed estrinseci. In effetti, se si intende dare una definizione sintetica di tecnica, si può dire che essa indica ogni strumento che consente di economizzare e velocizzare procedure, di qualunque procedura si tratti. Poiché la procedura si connota per il suo muovere da presupposti (assunti) indiscussi – se vengono discussi è perché si muove da altri assunti e si usano altre procedure –, l’universo che si è andato affermando, con l’imporsi della tecnica, si è caratterizzato per la valorizzazione dell’efficacia dei mezzi, senza un’adeguata riflessione critica sui fini che con essi si intendevano raggiungere. Certuni, per questa ragione, hanno paventato l’avvento di una tecnocrazia, che finisse per espropriare l’uomo di quello stesso potere che la scienza sembrava avergli consegnato. Certamente, il rischio di una società che smarrisca il senso dei valori e si consegni a un’affannosa ricerca dell’utile e del vantaggioso non è rischio da sottovalutare. Non di meno, non si può dimenticare che la tecnica altro non è che uno strumento, il quale diventa “pericoloso” solo allorché cessa di essere tale. Come può accadere che uno strumento perda il suo carattere meramente strumentale? Nel caso, e solo nel caso, in cui il soggetto rinunci al proprio ruolo e al proprio valore; nel caso in cui, insomma, la persona perda la sua centralità nella società umana. Se la persona viene mantenuta al centro perché costituisce l’autentico fine, allora ogni timore per l’affermarsi della scienza, in generale, e della tecnica, in particolare, risulta insensato. Il fatto che la ricerca scientifica stia recuperando il ruolo della coscienza a noi sembra di estrema rilevanza. E non pensiamo che individuare le basi biologiche o neurofisiologiche della coscienza configuri il ricadere in un’inaccettabile prospettiva riduzionistica, così come non lo è il cercare di descrivere i processi automatici che ne costituiscono la condizione di possibilità, nel senso del costituirne gli antecedenti operazionali. Sarebbe un ricadere in una prospettiva riduzionistica se non si ricono-
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scesse che accanto al processo della genesi empirica della coscienza deve venire messo bene in evidenza il valore della coscienza stessa, e cioè il ruolo che essa può avere nel processo di emancipazione dell’uomo, che è sempre un processo di superamento del limite. Con l’espressione limite intendiamo ciò che di volta in volta decreta il nostro permanere entro un ambito finito, circoscritto, limitato appunto, laddove il nostro slancio è verso la piena libertà, dunque è andare al di là di ogni limite. E proprio qui si delinea uno status che può apparire ambivalente: da un lato, non si può non accettare il limite; dall’altro, non si può non cercare di superarlo. Questa è la nostra natura, che configura un sogno onnipotente se si traduce nella pretesa di un superamento definitivo del limite stesso. Di contro, se si accetta la consapevolezza che, nel corso dell’esistenza, il limite torna inesorabilmente a riproporsi, per quanti superamenti si siano realizzati, e che non è possibile vivere senza misurarsi di continuo con esso, allora ci si disporrà a quell’esercizio continuo di ricerca, che potrà effettivamente dischiudere nuovi orizzonti. Ebbene, proprio di limite si parla quando si tratta del tema della disabilità. Nel caso del disabile il limite si presenta in forma più vistosa, perché appare più invalidante. In una forma così vistosa che sembra naturale risolvere l’identità della persona, che è segnata da quel limite, negli angusti ambiti che esso circoscrive. Ma perché essere così riduzionisti da non vedere che ogni essere umano è una molteplicità di aspetti, che variamente si combinano e si intrecciano fra di loro? Perché decretare che uno solo fra questi aspetti è quello che davvero coglie l’essenza della persona? A noi sembra che, in primo luogo, il disabile non sia risolvibile nella sua disabilità, poiché egli esprime tante qualità e potenzialità, e non v’è dubbio che tra queste qualità e potenzialità alcune possano risultare di sicura rilevanza. In secondo luogo, non può venire sottaciuto il fatto che anche il cosiddetto “abile” non è certamente immune da disabilità, nonostante le sue mancanze non si presentino in forma altrettanto vistosa. Ciò dovrebbe indurre ciascuno di noi a pensare il tema della disabilità come comune, cioè come una battaglia contro il limite che riguarda ogni essere umano e nella quale ogni persona deve impegnarsi a fianco di altri individui. Una battaglia nella quale la persona è veramente al centro, perché è della persona che ci si occupa ed è della persona che si cercano di valorizzare e potenziare le qualità, nonché i diritti. In questo senso e per queste ragioni le tecnologie assistive costituiscono un esempio illuminante di come la tecnologia non soltanto non sia uno strumento che mette in pericolo la centralità dell’essere umano, ma che anzi può diventare il mezzo della sua emancipazione. Il manuale che presentiamo, intitolato Manuale di valutazione delle tecnologie assistive, si basa precisamente sulle tecnologie indicate, ma a muovere da un particolare punto di vista: il processo di assegnazione degli ausili e le procedure di valutazione che precedono, accompagnano e seguono tale processo. Nella prima parte, essenzialmente teorica, il manuale si occupa del processo della valutazione delle tecnologie assistive più adeguate per risolvere un particolare problema presentato da un singolo individuo. Si tratta di un processo guidato dall’utente/ cliente, mediante il quale viene selezionato un supporto tecnologico (ma possono
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essere anche di più) che risulti adeguato alla soluzione assistiva programmata. Affinché tale processo possa andare a buon fine, risultano essenziali la raccolta dei dati clinici, l’analisi funzionale e la valutazione psico-socio-ambientale che, in uno specifico contesto di uso, mirano al benessere personale dell’utente attraverso il migliore incrocio che possa realizzarsi tra le esigenze di quest’ultimo e le possibili soluzioni che le tecnologie assistive sono in grado di proporre. Tale processo di valutazione si compie in virtù di un punto di vista privilegiato, quello offerto dal modello biopsicosociale fatto proprio dall’ICF, e cioè dalla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, promossa nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nelle due successive parti, infatti, vengono precisati proprio i parametri e le misure che scandiscono un adeguato processo di valutazione nonché il ruolo che i singoli professionisti rivestono in tale processo. Esula, ovviamente, da questa presentazione l’obiettivo di sottolineare gli aspetti fondamentali del testo; la premessa di Stefano Federici e di Marcia Scherer, che sono gli ideatori e i curatori oltre che i principali autori dell’opera, svolge egregiamente questa funzione. A noi interessa invece sottolineare, per riprendere il discorso iniziato, il ruolo che la tecnologia può svolgere nella vita degli esseri umani. È sbalorditivo constatare che anche menomazioni molto gravi possono trovare compensi che riescono a garantire al disabile una partecipazione accettabile alla vita umana e che è possibile non arrendersi anche di fronte a funzionalità molto compromesse. Questo non sta a indicare che l’essere umano sia legittimato a pensarsi onnipotente, quanto, al contrario, dimostra come il lavoro umile e paziente del vero ricercatore, che si immedesima con la sofferenza altrui e progetta di alleviarla, possa produrre risultati formidabili. In secondo luogo, ci pare importante considerare un altro aspetto. La messa a punto di un processo di valutazione e di assegnazione degli ausili, calibrati sulle specifiche esigenze di ciascun individuo e sull’ambiente nel quale questi si trova a vivere, che è comprensivo anche delle persone che si prendono cura di lui, riveste un’importanza enorme sia per il destinatario dei dispositivi sia per la società che quei dispositivi offre e che di quei dispositivi deve saper fare il migliore degli usi. L’incontro tra la persona e il dispositivo, insomma, è un fatto di estrema rilevanza e deve venire pensato e descritto in tutti i suoi delicatissimi aspetti. Ebbene, l’universalità del modello ideale che viene proposto in questo manuale a noi pare che possa consentire di andare oltre una modalità di erogazione dei servizi che potremmo definire troppo “localistica”. I servizi sanitari italiani, proprio perché centrati sul territorio, rischiano infatti una particolarizzazione nella configurazione del processo di assegnazione degli ausili che ne impedisce una messa a punto unitaria. Dal manuale emergono con chiarezza molteplici aspetti, che dovranno sempre essere tenuti in considerazione: non soltanto l’importanza di un’adeguata condivisione dei dati, ma altresì il valore della definizione di una scala di valutazione del successo dell’assegnazione, tanto a livello regionale quanto a livello nazionale, nonché la necessità di un maggiore sfruttamento delle risorse, che potrebbe realizzarsi in forza del riciclo e del riutilizzo degli ausili abbandonati. E questi sono soltanto alcu-
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ni degli aspetti presi in considerazione, utili tuttavia per comprendere come l’assenza in Italia di regole standard, che guidino i centri ausili a un modello condiviso per un’assegnazione di successo, costituisca un problema di indubbia rilevanza. Come è noto, il processo di abbinamento delle tecnologie assistive con la persona trova espressione, nei paesi occidentali, sostanzialmente in due modelli, che per certi aspetti possono apparire contrapposti. In un modello, che è poi quello più diffuso in Italia e negli altri paesi europei, la persona che richiede un sostegno è considerata un “paziente”. Di contro, nell’altro modello, diffuso soprattutto nei paesi anglosassoni, la persona che richiede un sostegno è considerata un “cliente”. Ciò comporta che, mentre in Italia e negli altri paesi europei il centro che si occupa dei sussidi non vende prodotti ma fornisce servizi di valutazione e sostegno agli utenti, negli altri paesi, invece, il centro può anche vendere i sostegni tecnologici forniti. Proprio per superare la contrapposizione di modelli e la particolarizzazione nelle modalità di valutazione e di assegnazione dei sussidi, il manuale propone un modello che, riassumendo quanto di più avanzato è stato prodotto a livello internazionale, intende valere come modello universale, al quale può ispirarsi ogni singolo centro, sia che si configuri nell’ottica di un servizio pubblico o di un servizio privato, sia che valga come fornitore, ma anche come produttore o rivenditore di tecnologie assistive. Tale modello universale si basa sullo sforzo consapevole volto a prendere in esame il maggior numero possibile delle esigenze degli utenti, attraverso lo sviluppo di prodotti o servizi che siano utili per il ciclo vitale e, in particolare, per il raggiungimento del benessere personale, inteso anch’esso nel senso più ampio possibile, e cioè che sia inclusivo degli aspetti fisici, sociali e mentali che consentano di godere di quella che può venire definita una “buona vita”. In questo senso, e in sintonia con quanto indicato dall’ICF, i domini della salute debbono venire considerati dei sottosistemi dei domini che formano l’universo totale della vita umana. Per realizzare tale modello, ogni centro ausili dovrà avvalersi di un’equipe di professionisti che appartengano a differenti aree di specializzazione e di competenza. Un operatore dovrà svolgere l’iniziale intervista atta a raccogliere le informazioni fondamentali sull’utente e i suoi dati psico-socio-ambientali. Tali dati verranno poi comunicati all’equipe multidisciplinare, che non soltanto li valuterà, ma li abbinerà alle richieste formulate dal cliente. Se i dati forniti dall’utente non saranno sufficienti per sviluppare il processo di abbinamento della tecnologia alla persona, allora si dovranno ricercare dati ulteriori, fino a che l’equipe non riterrà che i dati siano sufficienti per il processo di abbinamento. A questo punto l’equipe multidisciplinare stabilirà un appuntamento per incontrare l’utente e organizzerà un setting adeguato per la valutazione del caso e della prima soluzione assistiva che possa venire proposta. La stessa equipe, a distanza di tempo, valuterà i risultati della prima soluzione proposta e continuerà a proporre nuove soluzioni assistive, fino a che non riscontrerà un buon abbinamento con la persona. Il processo, rapidamente descritto, mostra il ruolo di ciascun operatore e al quale ciascun operatore dovrà scrupolosamente attenersi. Non di meno, ci sia consentito sottolineare l’importanza del ruolo dello psicologo. Tra tutti i professionisti che fanno parte del team multidisciplinare, lo psicologo è il maggior esperto in ordine ai
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fattori personali, secondo la concettualizzazione che ne fornisce l’ICF. Qui, tuttavia, si impone una precisazione, che giudichiamo assai rilevante. Nel modello biopsicosociale, proposto dall’ICF e fatto proprio ormai dalla maggioranza dei ricercatori, forse la dimensione biologica e quella sociale tendono a schiacciare quella psicologica, nel senso che, da un lato, non è stata data una chiara definizione del ruolo e delle competenze che sono propri dello psicologo nel campo della riabilitazione; dall’altro, non sono stati indicati, né tanto meno misurati, quei “fattori interni e personali” che non possono non avere un ruolo fondamentale sia nell’affrontare il limite rappresentato dalla disabilità sia nel confronto con gli ausili, che dovrebbero aiutare ciascun utente a superare quel limite, ma che a volte rischiano di diventare essi stessi dei nuovi limiti. Per queste ragioni riteniamo sia fondamentale indicare il campo di intervento dello psicologo, affinché possa altresì emergere il ruolo di un’altra figura fondamentale che opera nel centro ausili: lo psicotecnologo. Lo psicologo della riabilitazione, dicevamo, lavora con l’individuo con disabilità per dedicarsi ai fattori personali che incidono sui domini dell’attività e della partecipazione e, inoltre, si occupa della valutazione di una molteplicità di aspetti. Innanzitutto valuta lo stato neuro-cognitivo del disabile nonché lo stato dell’umore e delle emozioni. In secondo luogo, prende in adeguata considerazione il livello desiderato di indipendenza e interdipendenza espresso dalla singola persona, confrontandolo con la mobilità e la libertà di movimento che quest’ultima è in grado di esibire. Infine, non può esimersi dall’accertare il grado di autostima e di autodeterminazione di ogni utente, affinché emerga il punto di vista di ogni soggetto sulle proprie capacità e sulla qualità auspicata della vita, così come sulla soddisfazione raggiunta riguardo ai traguardi in aree specifiche (come, per esempio, il lavoro o le relazioni sociali). Quanto detto evidenzia come lo psicologo svolga un’attività che solo parzialmente condivide con lo psicotecnologo. Le abilità dello psicotecnologo, infatti, sono maggiormente concentrate sul versante tecnologico dell’abbinamento della persona con la tecnologia e sono meno orientate alle dimensioni clinica e psicologica implicate in tale abbinamento. Si potrebbe dire che lo psicotecnologo è un esperto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione e, in particolare, dell’interazione uomo-computer. A muovere da questa interazione, egli si occupa di quello scambio comunicativo che può avvenire tra due esseri umani mediante uno strumento tecnologico, così che dall’interazione si passa all’interfaccia, che consente di diventare interattivi. L’interfaccia, in quanto “luogo” responsabile della traduzione corretta del segnale, consente insomma di utilizzare la tecnologia per ottenere una buona dimensione di scambio, così che se essa non funziona, o non è ben progettata, l’informazione viene distorta e il potere comunicativo ridotto. Inoltre, se non è ergonomica, essa non mette l’uomo a proprio agio, con questa conseguenza: la tecnologia e l’informazione da essa veicolata diventano non familiari e, dunque, inutili, perché condivisibili solo a prezzo di continui e stressanti sforzi di adattamento. Precisamente per queste ragioni il compito dello psicotecnologo in un centro ausili risulta fondamentale, perché della qualità di questo scambio comunicativo egli dovrà occuparsi, prendendo bensì in considerazione tutte le componenti psicologiche
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e cognitive implicate dal rapporto uomo-computer, ma soprattutto individuando la possibilità di adattare e progettare eSystem ed eService in una forma che possa risultare sempre più adattabile e accessibile (eAccessibility). Ebbene, proprio in ragione di quanto rapidamente esposto siamo indotti a pensare che quella tecnologia che poteva apparire fredda e disumana sempre più contribuisce invece a restituire all’essere umano la libertà che spesso la natura o gli eventi tendono a negargli. In fondo, il giusto connubio di dispositivi meccanici e di fattori personali può costituire un progetto non soltanto per il cosiddetto disabile, ma per ogni essere umano, a condizione che abbia piena consapevolezza di ciò che può richiedere agli strumenti che sempre più copiosamente vengono messi a sua disposizione. Nel manuale, infatti, si parla anche di dispositivi meccanici, ma è sempre la persona che costituisce il tema fondamentale.
Aldo Stella Facoltà di Scienze della Formazione Università per Stranieri di Perugia
Premessa dei curatori
Questo libro è il frutto di una collaborazione scientifica e di un sincero rapporto di amicizia, nato nel 2001, che si è progressivamente consolidato nel tempo. La collaborazione prende avvio con la creazione, presso la Facoltà di Psicologia della Sapienza – Università di Roma, del primo corso di Psicotecnologie che si sia tenuto in Italia. Questo corso intendeva coniugare molteplici tematiche, mettendo insieme, da un lato, argomenti di tipo tecnologico ed ergonomico, e dall’altro, problematiche concernenti la psicologia della riabilitazione, con il progetto di formare psicologi competenti nell’ambito delle tecnologie assistive. Il corso, creato da Stefano Federici, si è rivolto a centinaia di studenti italiani, i quali per otto anni si sono avvicendati alla Sapienza – Università di Roma. Il termine psicotecnologie, con il significato adottato e introdotto nell’ambito della psicologia della riabilitazione da Federici, suonò inizialmente come un neologismo. In effetti, l’obiettivo del corso era quello di integrare aspetti ergonomici e tecnologici, intesi in senso più generale, con quelli più specifici dell’ergonomia cognitiva, riletti altresì nell’ottica del modello biopsicosociale di disabilità, onde formare psicologi con competenze sia in ambito psicologico sia tecnologico e che fossero in grado di condurre un utente alla consapevolezza dei propri bisogni. Solo così, infatti, sarebbe stato possibile per l’utente ricercare e reperire un prodotto tecnologico che non solo risultasse soddisfacente per la propria persona, ma fosse anche in grado di aiutarlo nel processo di integrazione all’interno del suo contesto socio-ambientale: è così che può realizzarsi un effettivo superamento o neutralizzazione delle barriere sociali. Lo psicotecnologo, dunque, avrebbe dovuto possedere quelle competenze professionali spendibili nei centri ausili, che proprio alla fine dello scorso millennio hanno iniziato a caratterizzarsi come centri autonomi di valutazione e assegnazione di tecnologie per la disabilità e la vita indipendente. La difficoltà maggiore è stata quella di riuscire a integrare modelli teorici di carattere più tecnologico-ingegneristico, non dissimili in qualche modo da certe modellizzazioni del funzionamento cognitivo che tendono a generalizzare e idealizzare l’individuo, con il modello biopsicosociale di disabilità. L’approccio ergonomico alla tecnologia, sia di tipo ingegneristico sia di tipo cognitivo, infatti, tende spesso a trascurare il carattere emotivo, motivazionale e sociale dell’esperienza dell’utente, così che non prende in considerazione proprio i fattori che sono quasi sempre quelli di maggior incidenza nel successo nell’uso di una particolare tecnologia assistiva.
XXVIII Premessa dei curatori
La scoperta, da parte di Federici, del modello Matching Person & Technology di Marcia Scherer è stata, come dire, la chiave di volta per la quadratura del cerchio. Si è così configurato un modello che ha saputo combinare le esigenze della persona disabile con le tecnologie assistive centrato sull’utente e il suo contesto, senza trascurare le caratteristiche funzionali ed ergonomiche dell’ausilio. Si era trovata, cioè, la risposta a quella fatidica domanda che lo psicotecnologo era solito rivolgersi, volta a ricercare un’effettiva integrazione delle sue conoscenze. Come lo stesso Federici amava ripetere nelle sue lezioni romane, “questo corso avrebbe potuto chiamarsi anche “‘Matching Person & Technology dal punto di vista dello psicologo’”. La collaborazione tra la Sapienza – Università di Roma e l’Institute for Matching Person & Technology ha prodotto decine di tesi di laurea e diverse tesi dottorali concernenti l’applicazione e la validazione del modello e degli strumenti del Matching Person & Technology o inerenti al profilo professionale e al ruolo dello psicologo nel processo di valutazione e assegnazione ausili. Alcuni di quegli studenti sono oggi ricercatori e professionisti di successo nell’ambito delle psicotecnologie e molti di coloro che hanno preso parte alla stesura dei capitoli di questo libro provengono da quella esperienza di studio e di ricerca. Tuttavia, la collaborazione e l’amicizia tra Marcia e Stefano non ha portato soltanto alla condivisione di idee e progetti di ricerca, ma ha creato un network scientifico tra studiosi italiani, americani e di altre nazioni, i quali hanno costituito quella comunità scientifica che ha permesso una così nutrita partecipazione di autori nella stesura di questo lavoro. Lasciate ora, a noi curatori, la possibilità di rispondere al perché di questo libro, che certo non vuole essere né la storia di questa rete di rapporti scientifici, seppure la presuppone, né una nostra biografia. Questo manuale vuole essere per noi una sfida, e cioè sviluppare un modello ideale internazionale dei processi di valutazione di tecnologie assistive che raccolga i più recenti sviluppi scientifici nell’ambito della valutazione e assegnazione di ausili per un risultato che, se raggiunto, rappresenterebbe un autentico successo: il benessere della persona disabile. Questo modello, pertanto, intende esprimere in forma essenziale e idealizzata un processo di valutazione condotto in un centro ausili, giacché esso fornisce quegli strumenti per la valutazione e quelle competenze professionali che potremmo anche definire “psicotencologiche”. Ovviamente, proprio per il fatto che parliamo di “sfida”, lasciamo trasparire la nostra consapevolezza dei problemi e dei limiti di un modello internazionale ideale. Uno dei problemi aperti, per esempio, è la difficoltà, già più volte incontrata, di definire le caratteristiche di un centro ausili. È difficile, infatti, modellizzare il processo di un centro ausili che tenga conto della straordinaria varietà di sistemi locali e nazionali riguardanti l’assistenza sanitaria e sociale, pubblica e privata: tale varietà non può non influenzare, in diverso modo, le caratteristiche specifiche che sono richieste a un centro. Inoltre, la differente natura del centro ausili rende problematica la stessa definizione dell’individuo che se ne serve: utente, paziente, cliente, consumatore? L’utente (per comodità usiamo questa definizione, un po’ più generica delle altre) di un centro ausili potrebbe essere un paziente di un medico (fisiatra) che opera in un sistema nazionale di assistenza sanitaria e che lo invia a una struttura specializzata, il centro ausili appunto, per una valutazione più approfondita di un particolare ausilio.
Premessa dei curatori XXIX
Tale valutazione può avvenire o in forma gratuita, qualora il centro si collochi all’interno di un servizio pubblico, oppure sborsando denaro, qualora il centro rientri in un sistema sanitario privato. Lo stesso prodotto scelto da, o assegnato all’utente può essere venduto direttamente dal centro ausili oppure, in alternativa, la fornitura dell’ausilio può avvenire successivamente a opera di altre strutture, esterne e indipendenti dal centro ausili. Questi sono soltanto alcuni dei problemi che saranno discussi dagli autori di questo manuale. Verranno, infatti, affrontati anche temi che risultano ancora più problematici dal punto di vista scientifico, e ci riferiamo a quelli che sono intrinsecamente connessi alla progettazione di un modello internazionale. Ebbene, proprio per la difficoltà di trovare una sintesi adeguata ed efficace tra i diversi modelli proposti dai singoli sistemi nazionali di salute pubblica e assistenza sociale, la comunità scientifica si sta confrontando sulla modellizzazione di processi di assegnazione, che dovranno essere sempre più individualizzati sia nel rispetto delle diversità sociali e culturali dell’utenza, sia per il necessario adeguamento del funzionamento di un centro ausili al sistema sanitario locale. Tuttavia, è da rilevare che questa particolarizzazione dei modelli va a scontrarsi con alcune tendenze che sono volte a favorire, invece, la loro globalizzazione (per esempio, ciò avviene tanto nelle politiche socio-sanitarie della Comunità Europea quanto in quelle dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), e ciò in ragione del fatto che, in un’ottica globalizzata, non solo è possibile avvantaggiarsi delle esperienze e dei know-how di modelli di successo, ma altresì viene offerta la possibilità, condividendo modelli e criteri di valutazione, di condividere anche dati, essenziali alla ricerca scientifica, alla pianificazione e alla valutazione di modelli di intervento pubblico nonché alla qualità dei servizi. Un obiettivo che ci siamo imposti nella stesura di questo progetto è stato quello di circoscrivere gli argomenti trattati, cercando di legittimare la scelta compiuta. Infatti, il nostro intento non si riduceva alla produzione di un testo teorico, volto a elaborare un ideale modello di processo di valutazione, ma includeva l’ambizione di indicare fin da subito uno strumento operativo, che fosse capace sia di delineare lo spazio specifico di applicabilità del modello, sia di indicare le caratteristiche fondamentali di un centro ausili, gli strumenti di cui equipaggiarsi per una corretta valutazione e i profili delle figure professionali che dovrebbero agire all’interno del centro. Inoltre, ci sembrava indispensabile confrontare il nostro modello internazionale ideale dei processi di valutazione delle tecnologie assistive con alcune delle più avanzate tecnologie nell’ambito della riabilitazione e del supporto per una vita indipendente. Tuttavia, eravamo ben consapevoli che una descrizione dettagliata di tutti gli strumenti di valutazione utili in un centro ausili, una presentazione di tutte le possibili figure professionali che dovrebbero agire all’interno di e in collaborazione con un centro ausili, nonché una rassegna dei più aggiornati prodotti tecnologici per la riabilitazione e la vita indipendente avrebbero richiesto lo spazio di un’enciclopedia e non quello, decisamente più operativo, di un manuale. Pertanto, e questo potrebbe essere letto tanto come un limite quanto come un vantaggio di questo libro, abbiamo scelto, per ciascuna delle tre aree tematiche indicate – gli strumenti della valutazione, gli esperti della valutazione in un centro ausili e le nuove tecnologie –, gli aspetti che allo stato attuale dell’arte abbiamo giudicato come più rappresentativi o innovativi. Abbiamo
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così non solo individuato, per ciascun argomento, gli studiosi più esperti invitandoli a scrivere su di esso, ma anche, là dove possibile, abbiamo fatto in modo che ciascun capitolo fosse scritto a più mani, concertato, per una visione quanto più possibile interculturale, espressione cioè di diverse aree geografiche e culturali. Per questa ragione, il lettore non dovrà di certo stupirsi se non troverà citate alcune figure professionali, fra quelle che un tale manuale avrebbe potuto trattare. In tal modo, si è cercato di dare maggiore rilievo alla definizione della nuova figura professionale dello psicotecnologo e della sua formazione curricolare o alla figura dell’esperto nei disturbi del linguaggio, per la rilevanza che oggi hanno nelle politiche comunitarie internazionali le diverse forme di disabilità legate alle disfunzioni del linguaggio. Infine, vogliamo ribadire che questo manuale non ha inteso modellizzare il processo di valutazione delle tecnologie assistive come frutto di una mera astrazione accademica, ma ha voluto soprattutto confrontarsi con la ricerca applicata del modello stesso. Questo non soltanto perché la riflessione teorica degli autori dei capitoli e degli stessi curatori del manuale emergesse da una ricerca sperimentale applicata alla riabilitazione e all’assegnazione di tecnologie assistive, ma anche per una più specifica iniziativa di applicazione del modello del processo di valutazione delle tecnologie assistive in un particolare centro ausili. Grazie alla collaborazione scientifica e clinica, al supporto economico e operativo dell’Ausilioteca, dell’Istituto Leonarda Vaccari – che a sua volta è parte della Rete Italiana dei Centri di Consulenza sugli Ausili Informatici ed Elettronici e di collaborazioni internazionali con l’Institute for Matching Person & Technology e con la Columbia University, con i quali condivide i principi che sottostanno al processo di valutazione di tecnologie assistive –, è stato possibile individuare il modello di valutazione che abbiamo proposto in questo manuale e che, è giusto qui dirlo, è già operativo nell’Ausilioteca dell’Istituto Leonarda Vaccari. Questo centro ausili offre un servizio di consulenza e supporto sugli ausili tecnologici e informatici per la comunicazione, l’apprendimento e l’autonomia di tipo non commerciale e il servizio è gratuito per l’utenza che vi accede tramite il Servizio Sanitario Nazionale italiano. Diversi progetti scientifici patrocinati dall’Istituto sono in corso presso il centro ausili per verificare non solo i vantaggi dell’applicazione sistematica degli strumenti del Matching Person & Technology in un processo di valutazione, ma anche nell’applicazione dell’intero modello del processo di valutazione di tecnologie assistive. Alcuni risultati saranno presentati e discussi nei capitoli di questo libro. Un ringraziamento sincero va agli autori dei capitoli che hanno accolto con entusiasmo e senso critico il nostro modello, arricchendo in molte sue parti il progetto iniziale del presente lavoro e dandogli così un respiro ampio, aggiornato e credibile. Un grazie particolare va anche all’editrice Taylor & Francis, che fin da subito ha promosso il progetto con competenza, sostenendo il lungo lavoro di stesura e revisione dell’opera. Ancora, un grazie speciale va ai molti revisori (peer reviewers) dei capitoli, che hanno svolto un lavoro generoso e preziosissimo, quali garanti della scientificità e validità del contributo di ciascun autore nonché rappresentanti della comunità scientifica internazionale del settore.
Parte
1
Introduzione alla Parte 1 Capitolo 1 La valutazione del funzionamento individuale e della disabilità
Capitolo 2 Misurare il funzionamento individuale Capitolo 3 Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive
Capitolo 4 La valutazione degli ambienti d’uso: accessibilità, sostenibilità e progettazione universale
Capitolo 5 Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia
Introduzione alla Parte 1 S. Federici, M. Scherer
Il modello di valutazione delle tecnologie assistive e definizioni di base In quanto parte della condizione umana, “la disabilità è complessa, dinamica, multidimensionale e contestuale” (WHO e World Bank, 2011, p. 3). Il concetto di disabilità comprende un insieme molto ampio di aspetti differenti e correlati: dai modelli di disabilità al funzionamento individuale e alla sua misura, dalle barriere sociali al digital divide, dall’oggettiva qualità della vita all’esperienza soggettiva, ai concetti di funzionamento, attività e partecipazione, diritti umani e povertà, salute e benessere, morbilità e qualità della vita (WHO e World Bank, 2011). A causa della multidimensionalità della disabilità, la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) ha chiarito che “disabilità” (e il suo correlato “funzionamento”) debba essere inteso come un termine ombrello “che comprende tutte le funzioni corporee, le attività e la partecipazione” (OMS, 2002, p. 11). La multidimensionalità e la complessità della disabilità implicano una specie di “paradosso definizionale” (Madans e Altman, 2006): da una parte, qualunque definizione teorica di disabilità implica un’aporia e, dall’altra, il significato operativo è determinato dagli scopi di ricerca. Infatti, Mont argomenta: [se] ciascun dominio rappresenta una differente area di misura e ogni categoria o elemento di classificazione all’interno di ciascun dominio rappresenta una differente area di operazionalizzazione del più ampio concetto del dominio, [allora] per generare una misura generale significativa prevalente si deve determinare quale componente rifletta meglio l’informazione necessaria a indirizzare lo scopo della raccolta dati (2007, p. 4).
In altre parole, la disabilità è un costrutto multidimensionale, così come è multidimensionale la sua misura e non può essere sostenuta una misura standard di riferimento valida per ogni contesto e per ogni scopo. La sola misura appropriata è quella che meglio si adatta allo scopo e al contesto al quale essa è rivolta e non al concetto di disabilità in astratto. Inoltre, la varietà degli strumenti di misura e la flessibilità di cambiamento delle procedure di misurazione, adattandole a persone, contesti e scopi differenti, consentono il più affidabile approccio scientifico.
4 Introduzione alla Parte 1
Madans e colleghi identificano, a un livello aggregato, tre principali classi di scopi della misurazione (vedi Capitolo 2). Qui, “offrire servizi” (2002, slide 11) – incluso lo sviluppo di programmi e politiche per la fornitura di servizi e la loro valutazione – è la prima delle tre classi. Più specificatamente, il processo di valutazione delle tecnologie assistive (ATA process) può essere visto come un aspetto della prima delle tre classi già menzionate. Le tecnologie assistive (TA)1 giocano un ruolo chiave e fondamentale nel facilitare l’integrazione sociale e la partecipazione delle persone con disabilità fisiche, sensoriali, comunicative e cognitive. Il processo di abbinamento tra TA e persona richiede un insieme sequenziale di valutazioni che sia opportunamente progettato e frutto di una ricerca approfondita, guidato da professionisti con differenti aree di competenza. Il successo dell’abbinamento è fortemente influenzato dal modello/protocollo di valutazione e dalle competenze dei componenti del team multidisciplinare. Per questa ragione, questa prima parte apre il presente manuale, offrendo ai lettori utili linee guida per sviluppare un insieme di strumenti di valutazione del funzionamento e della disabilità in un centro ausili. Gli autori delle Parti 1 e 2 hanno abbracciato il modello di seguito proposto.
Il modello di valutazione delle tecnologie assistive (ATA) L’introduzione delle tecnologie assistive (TA) nella vita delle persone è un processo delicato e a lungo termine che presuppone tanto un lavoro di gruppo quanto professionalità, tempo ed esperienza. Lo scopo del modello ATA è quello di proporre linee guida per raggiungere risultati validi nel processo di selezione e assegnazione della TA. Il processo ATA è emerso come il risultato dell’integrazione dei seguenti elementi. a. Il processo di assegnazione di TA/ausili, adottato dall’Ausilioteca dell’Istituto Leonarda Vaccari di Roma, che configura un modello condiviso nel corso degli anni con altri centri di valutazione ausili italiani, coordinati dalla rete italiana dei Centri di Consulenza sugli Ausili Informatici ed Elettronici (GLIC). b. Il processo di assegnazione che, sebbene possegga alcune sue peculiarità, comprende le fasi comuni ai percorsi propri dei centri di valutazione ausili: di accesso al servizio, di valutazione e pianificazione, di decisione e scelta, di fornitura e personalizzazione, di supporto e follow-up.
1 Utilizziamo tecnologie assistive (TA), eccetto dove altrimenti dichiarato, come un termine ombrello (WHO, 2004), con il significato più comunemente attribuito al termine “dispositivi di tecnologie assistive”, così come definito dallo United States of America’s Assistive Technology Act (United States Congress, 2004) e accolto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) nel recente World Report on Disability (WHO e World Bank, 2011), come segue: “Qualunque oggetto, parte di equipaggiamento o sistema, se acquisito commercialmente, modificato o personalizzato che venga utilizzato per aumentare, mantenere o migliorare le capacità funzionali degli individui con disabilità”.
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c. I processi di assegnazione di TA che sono messi in atto dal Servizio Sanitario Nazionale italiano, nel quale coesistono due sistemi normativi, uno nazionale e uno regionale (che decide autonomamente quanti servizi locali devono essere istituiti). Il sistema regionale decide le linee guida operative all’interno delle quali ciascun servizio sanitario locale può definire i propri processi di funzionamento. Nel corso del tempo, questo sistema ha condotto a una eterogeneità dei processi, con similarità principalmente derivanti da linee guida regionali e da norme nazionali (per esempio Federici e Borsci, 2011): la richiesta iniziale, l’adattamento (solo per alcuni ausili e protesi e per alcuni servizi locali), la fornitura e la verifica d’uso in fase di follow-up (solo per alcuni ausili e per alcuni servizi locali). d. Il processo di valutazione, Matching Person & Technology (MPT; Scherer, 1999; Scherer e Craddock, 2002), che raccoglie l’unico strumento validato citato in letteratura – Valutazione della Predisposizione all’Uso di Ausili – per l’abbinamento tra TA e utente, il quale permette di valutare le caratteristiche personali, ambientali e tecnologiche che interagiscono quando si prende in considerazione l’assegnazione di una TA. Il nuovo modello è il risultato di una collaborazione decennale tra la Sapienza – Università di Roma e l’Università di Perugia, l’Institute for Matching Person and Technology di Webster (NY, Stati Uniti) e l’Istituto Leonarda Vaccari di Roma. Allo stesso tempo, i vari modelli di processo di assegnazione ausili, condivisi in questa collaborazione, si sono integrati al modello biopsicosociale dell’ICF. Il modello teorico emerso è stato poi raccolto in una guida che ha preceduto la stesura del presente manuale ed è stato condiviso dagli stessi autori (professionisti e ricercatori di diversa nazionalità che si occupano di TA), i quali ne hanno verificato la validità basandosi sulla propria esperienza reale. Il modello proposto è perciò il risultato di studi interculturali, clinici e sperimentali, raccolti durante questa lunga cooperazione. Tale modello, lungi dal volersi proporre come l’unico di riferimento, cerca invece di creare una struttura che permetta di costruire o modificare processi di valutazione che tengano in considerazione diverse variabili quali, per esempio, la natura della disabilità, la motivazione personale e la partecipazione della persona con disabilità e dei familiari, il contesto politico e sociale e la disponibilità di risorse umane e finanziarie all’interno di processi condotti dall’utente, e ciò sempre utilizzando il modello biopsicosociale dell’ICF.
Il processo di valutazione delle tecnologie assistive sotto la lente del modello biopsicosociale dell’ICF L’ICF (OMS, 2002) e l’ICF-CY (OMS, 2007) forniscono una cornice standard e unitaria per una valutazione delle tecnologie assistive (ATA process) in un centro ausili, consentendo di cercare il miglior abbinamento tra l’utente/cliente e la soluzione assistiva attraverso l’utilizzo di strumenti che comprendono misure cliniche, analisi funzionale (vedi Capitoli 2 e 3) e valutazioni psico-socio-ambientali (vedi Capitoli 4 e 5). La migliore soluzione assistiva può essere raggiunta solo prendendo in considerazione uno specifico contesto d’uso e una TA per il miglioramento della
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qualità della vita: in questo modo l’ATA process, che lo si osservi dalla prospettiva dell’utente/cliente o da quelle del centro ausili, deve essere letto attraverso il modello biopsicosociale dell’ICF (Figura I.1). Sia la prospettiva dell’utente sia le azioni del centro ausili sono di seguito illustrate.
Figura I.1 (Vedi inserto a colori.) Diagramma di flusso dell’Assistive Technology Assessment process (ATA process) in un centro ausili: l’ATA process può essere letto sia dal punto di vista dell’utente/cliente (colonna di sinistra) sia dal punto di vista del centro ausili (colonna di destra). Nella colonna centrale sono indicate le componenti dell’ATA process. Gli ovali numerati fanno riferimento al numero del capitolo della presente Parte 1. La loro posizione nel diagramma di flusso mostra un abbinamento ideale del loro contenuto con l’ATA process.
Azioni dell’utente a. L’utente ricerca una soluzione che ricade in uno o più componenti dell’ICF: Strutture e Funzioni Corporee (condizioni di salute), Attività e Partecipazione, Fattori Personali e Ambientali. b. L’utente/cliente fornisce ai professionisti del centro ausili informazioni anamnestiche e dati di natura psico-socio-ambientale per informarli del suo funzionamento e delle ragioni per cui ricerca una soluzione tecnologica.
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c. L’utente verifica la soluzione, in primo luogo provando uno o più ausili tecnologici forniti dai professionisti in un setting di valutazione presso il centro ausili o in un altro ambiente idoneo per la valutazione (casa, ospedale, scuola, centro di riabilitazione e così via). d. In secondo luogo, l’utente/cliente valuta se l’ausilio tecnologico proposto dai professionisti è una soluzione adatta a lui. i. Se no, l’utente/cliente esce dal processo senza una soluzione per la sua richiesta o attende nuovi prodotti tecnologici o nuove soluzioni dei professionisti. ii. Se sì, l’utente/cliente procede con il processo di valutazione. e. L’utente/cliente adotta la soluzione dopo aver ottenuto l’ausilio/i tecnologico/i dal sistema sanitario pubblico o da un’assicurazione pubblica o privata. f. L’utente/cliente riceve una formazione per l’uso quotidiano della TA. g. L’utente/cliente accresce il suo benessere personale mentre gli operatori del centro ausili avviano una fase di follow-up per valutare l’opportunità di eventuali modifiche proponendo nuove soluzioni assistive o prodotti tecnologici aggiornati.
Azioni del centro ausili a. Il centro ausili accoglie la richiesta dell’utente programmando un incontro iniziale in tempi e luoghi che soddisfino le esigenze dell’utente/cliente. b. L’intervista iniziale si focalizza sulla raccolta delle informazioni anamnestiche e dei dati psico-socio-ambientali dell’utente. c. Una volta che l’utente ha fornito i dati richiesti al centro ausili, essi sono raccolti e il fascicolo è aperto e trasmesso al team multidisciplinare. d. Il team multidisciplinare valuta i dati e la richiesta dell’utente. i. Se i dati forniti dall’utente non sono sufficienti a dare inizio al “processo di abbinamento”, all’utente è richiesto di fornire ulteriori informazioni e il processo ritorna al punto (b). ii. Se i dati forniti dall’utente sono sufficienti a dare inizio al “processo di abbinamento”, il team multidisciplinare procede nel fissare un appuntamento con l’utente. e. Il team multidisciplinare organizza un setting idoneo per la valutazione dell’abbinamento. f. Il team multidisciplinare, insieme con l’utente, valuta la soluzione assistiva proposta, provandola e raccogliendo i dati emersi. g. Il team multidisciplinare valuta l’esito dell’abbinamento. i. Se ha avuto successo, il team propone una soluzione assistiva all’utente e fissa un nuovo appuntamento.
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ii. Se non ha avuto successo, il team riparte dal punto (d). iii. Qualora la soluzione assistiva proposta richieda una valutazione ambientale, il team inizia il processo di valutazione ambientale. h. Il team multidisciplinare propone la soluzione assistiva all’utente (efficacia). i. Se l’abbinamento non si è rilevato valido (temporaneamente), l’utente non accetta la soluzione proposta e ne richiede una nuova. Il processo riparte dal punto (d). ii. Se l’abbinamento non si è rilevato valido e una soluzione alternativa non esiste o non può essere trovata, allora l’utente/cliente può decidere di concludere il processo. iii. Se l’abbinamento è valido, il team fornisce la soluzione assistiva. i. Fornitura della tecnologia assistiva. j. Quando l’ausilio è consegnato all’utente/cliente, si attiva la fase di follow-up e del supporto all’utente (efficienza).
TA e abbandono: i servizi di fornitura ausili in differenti paesi Gli studi di maggiore importanza sull’abbandono delle TA (Dijcks, De Witte, Gelderblom, Wessels e Soede, 2006; Federici e Borsci, 2011; Kittel, Di Marco e Stewart, 2002; Philips e Zhao, 1993; Scherer, 1996; Scherer, Cushman e Federici, 2004; Scherer, Sax, Vanbiervliet, Cushman e Scherer, 2005; Verza, Carvalho, Battaglia e Uccelli, 2006) sono stati condotti in contesti e su sistemi nazionali di servizi di fornitura ausili tra loro differenti2 (Estreen, 2010; Mathiassen, 2010; Stack et al., 2009). In alcuni casi, come per esempio i sistemi nazionali di servizi di fornitura ausili, è stata fatta una classificazione a seconda del modello alla base del servizio stesso di fornitura: orientato al modello medico, orientato al modello sociale o orientato al modello centrato sul cliente (Stack et al., 2009). D’altra parte, il processo del servizio di fornitura è stato analizzato da altri studiosi a seconda del punto di vista di un sistema di sanità pubblica, in modo da poter distinguere tra assicurazioni private, donazioni e acquisizione diretta (Estreen, 2010). Nella Tabella I.1 sono riportati, come esempio, i sistemi di servizio di fornitura e i modelli di alcuni paesi da cui provengono gli studi sopra menzionati.
2 “Per servizi di fornitura ausili ci si riferisce alla consulenza professionale e attività di intervento, così come la consegna fisica dell’ausilio tecnico alla persona con disabilità, compresa la formazione e la configurazione, se necessario. Nel settore delle Tecnologie Assistive [TA], il termine servizi di fornitura è usato per identificare l’insieme di strutture, procedure e processi che agiscono da intermediari tra i fabbricanti di prodotti di TA e agli utenti finali di TA” (Stack et al., 2009, p. 28).
Introduzione alla Parte 1 9
Tabella I.1 Sistemi e modelli di servizi di fornitura (ausili). In quasi tutti i casi, le TA per le scuole nel sistema privato sono gestite da un sistema di servizio di fornitura pubblico.345 Nazione
Sistema di servizio di fornitura (ausili)3
Modello del servizio di fornitura4
Australia
Sistema privato
Centrato sul cliente5
Austria
Sistema pubblico e sistema privato per lavoratori autonomi
Sociale e medico
Danimarca
Sistema pubblico (sanitario e comunale)
Sociale
Finlandia
Sistema pubblico (sanitario)
Medico
Francia
Sistema pubblico
Medico, sociale e centrato sul cliente
Germania
Sistema privato e sistema parzialmente pubblico
Medico e sociale
Grecia
Sistema pubblico e privato
Medico e centrato sul cliente
Italia
Sistema pubblico (sanitario)
Medico e sociale
Belgio
Sistema pubblico e privato
Medico e sociale
Norvegia
Sistema pubblico (comunale)
Medico
Spagna
Sistema pubblico (sanitario e sociale presso le regioni)
Sociale, medico e centrato sul cliente
Svezia
Sistema pubblico (sanitario, regionale e comunale)
Medico
Regno Unito
Pubblico e privato (sanitario e sociale)
Medico, sociale e centrato sul cliente
Stati Uniti
Sistema privato
Centrato sul cliente
Possiamo osservare che, in generale, nei paesi europei un sistema di sanità pubblica è più diffuso e in esso la persona con disabilità è considerata un paziente/utente. All’interno di questi sistemi, la persona che effettua l’abbinamento non vende le TA, ma agisce come intermediario tra il paziente/utente e le società produttrici di TA, fornendo un servizio di valutazione e di supporto. In alcuni paesi anglosassoni (come gli Stati Uniti e l’Australia), può accadere che la persona con disabilità venga considerata piuttosto come un cliente all’interno di un sistema privato, a cui il centro di valutazione venderà alcuni prodotti. Il primo modello, che caratterizza i servizi sanitari nazionali pubblici, assicura una maggiore neutralità nella valutazione del miglior
3 Indagine condotta tra il 2010 (Estreen, 2010) e il 2011 dall’Istituto Leonarda Vaccari di Roma. 4 Stack et al. (2009). 5 Modello di libero mercato dove non esistono intermediari tra il paziente/cliente e la sua soluzione (Stack et al., 2009).
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abbinamento di TA; il secondo modello, che caratterizza un servizio sanitario privato, è certamente più attento al rispetto di un processo centrato sull’utente e alla soddisfazione del cliente nella scelta del migliore abbinamento di un prodotto. In generale, quando vi è un sistema sanitario pubblico, il finanziamento dell’ausilio è legato a una “prescrizione” effettuata da uno specialista. Inoltre, il medico che prescrive deve svolgere molti compiti che, in realtà, richiederebbero la competenza di altri esperti: ingegnere, psicotecnologo, psicologo, psicoterapeuta e così via. In un servizio privato, invece, il cliente può beneficiare di diversi e ben preparati professionisti, ma senza godere dei servizi necessari in modo gratuito. Nonostante la diversità dei sistemi dei servizi di fornitura (pubblico/privato), studi recenti dimostrano che entrambi i sistemi condividono quote elevate di percentuali di abbandono, tra il 12% e il 38% – con alcune eccezioni per alcuni tipi di dispositivi, come per esempio le sedie a rotelle elettriche, per le quali il livello di abbandono può scendere anche al di sotto del 5% (Wressle e Samuelsson, 2004) –, evidenziando un alto grado di insoddisfazione degli utenti e un forte spreco di denaro. Tutto questo induce gli studiosi di questo settore a perseguire un’elaborazione critica dei modelli di ATA process che, partendo dalla modellazione di servizi pre-esistenti, permettano di sviluppare alcune linee guida per ottimizzare il processo di abbinamento (Ripat e Booth, 2005).
Presentazione dei capitoli della Parte 1 I capitoli presentati in questa parte mirano a discutere sia le caratteristiche sia i differenti aspetti dell’ATA process per creare un struttura standard che possa essere condivisa tra i centri ausili che perseguono l’obiettivo di ridurre sia l’abbandono sia il disuso delle TA da loro assegnate. In particolare, nel Capitolo 1, “La valutazione del funzionamento individuale e della disabilità”, gli autori offrono una panoramica della evoluzione storica dei differenti modelli di disabilità, da quello medico a quello bio psicosociale, per spiegare il fondamento teorico che sottende l’ATA process. Il modello biopsicosociale (o universale) abbracciato dall’ICF viene qui approfondito: da questa nuova prospettiva, i concetti di “funzionamento” e “disabilità” vengono ridefiniti in relazione alla complessa interazione tra fattori personali e ambientali. Attraverso la lente di questo modello olistico, gli autori intendono spiegare la funzione delle soluzioni assistive, che sono qui intese come un mediatore tra la multidimensionalità delle specifiche condizioni di salute di un individuo e il loro effettivo funzionamento nell’ATA process (vedi anche la Parte 2). Un più attento esame del ruolo del funzionamento individuale, nonché il modo in cui misurarlo, è presentato nel Capitolo 2, intitolato “Misurare il funzionamento individuale”. Gli autori discutono sia le tematiche sia i principi relativi alla misurazione del funzionamento individuale, con particolare attenzione alla sua applicazione all’ATA process. Partendo dalla discussione sulla complessità della definizione di disabilità, gli autori suggeriscono diversi principi guida per facilitare il lavoro dei professionisti di centri ausili nella scelta e nell’applicazione dell’insieme di misure che meglio si adattano agli obiettivi dell’ATA process. Sono poi suggerite diverse misure per la quantificazione dei fattori clinici, funzionali e psico-socio-ambientali adottabi-
Introduzione alla Parte 1 11
li nelle diverse fasi di valutazione dell’ATA process. Sono infine presentati differenti strumenti e tecniche per favorire il processo di costruzione di un team multidisciplinare attraverso la caratterizzazione di ciascuna professione richiesta durante la valutazione (e misurazione) del processo, con lo scopo precipuo di assicurare il benessere dell’utente/cliente (vedi anche Parte 2). Nel Capitolo 3, “Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive”, è discusso il tema della misurazione nel processo di abbinamento tra utente e TA. Nel primo paragrafo, gli autori si concentrano sulla descrizione di due modelli, l’MPT (Figura I.2, Scherer, 1999) e il modello dell’ICF, fornendo una panoramica completa dei principali modelli di misura e strumenti attualmente utilizzati. Lo scopo di questo capitolo è quello di spiegare come l’ATA process e il modello MPT si integrino vicendevolmente per ottenere la migliore soluzione assistiva, dal momento che entrambi condividono un approccio condotto dall’utente nella prospettiva del modello biopsicosociale dell’ICF (vedi anche Parte 2).
Figura I.2 Il modello Matching Person & Technology (Scherer, 2005). L’ABBINAMENTO PERSONA-TA (il cerchio più piccolo) è uguale alla soluzione assistiva quando la qualità della vita e il benessere sono aumentati.
12 Introduzione alla Parte 1
La complessa relazione tra ambiente, accessibilità, usabilità e sostenibilità che intercorre tra un utente e una TA è spiegata nel Capitolo 4, “La valutazione degli ambienti d’uso: accessibilità, sostenibilità e progettazione universale”. In questo capitolo vengono discussi un modello di esperienza dell’utente e un modello di valutazione ambientale che caratterizzano due delle principali fasi dell’ATA process. Inoltre, la valutazione ambientale nell’ATA process è introdotta ed esemplificata passo dopo passo come un processo decisionale del team multidisciplinare per la raccolta di dati relativa all’ambiente d’uso in cui gli utenti andranno a utilizzare la TA assegnata (vedi anche le Parti 2 e 3). Il Capitolo 5, “Misurare l’impatto delle TA sui caregiver in famiglia”, conclude questa parte. Esso fornisce una panoramica sulla letteratura riguardante l’impatto delle TA su caregiver non professionali di bambini e adulti, descrivendo il rapporto dei risultati relativi all’assistenza di entrambi i gruppi di utenti, i loro caregiver non professionali e le relative soluzioni assistive. Attraverso la presentazione di due ipotetici casi esemplificativi, questo capitolo si propone sia di fornire raccomandazioni pratiche sia di suggerire alcuni sviluppi futuri in questo settore di ricerca.
Conclusioni La valutazione delle tecnologie assistive è un processo condotto dall’utente attraverso il quale la selezione di uno o più ausili tecnologici per una soluzione assistiva è facilitata dall’utilizzo di strumenti che comprendono misure cliniche, analisi funzionale e valutazioni psico-socio-ambientali, che si rivolgono, in uno specifico contesto d’uso, al benessere personale dell’utente attraverso il migliore abbinamento tra l’utente/cliente e la soluzione assistiva. Dato che questa rappresenta l’esito di un processo condotto dall’utente finalizzato al miglioramento del funzionamento individuale, può essere considerata come un mediatore tra la qualità della vita e il benessere in uno specifico contesto d’uso. Per queste ragioni, è importante sottolineare che la soluzione assistiva non coincide con la TA, in quanto la prima è un complesso sistema nel quale i fattori psico-socio-ambientali e la TA interagiscono, non in un modo sequenziale e lineare, riducendo le limitazioni dell’attività e le restrizione nella partecipazione attraverso uno o più tecnologie.
Capitolo
1
La valutazione del funzionamento individuale e della disabilità
S. Federici, M.J. Scherer, F. Meloni, F. Corradi, M. Adya, D. Samant, M. Morris, A. Stella
Questo capitolo illustra il modello biopsicosociale così come è stato reso operativo dalla Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute dell’OMS, dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, dalla 2002 AAMR Definition, Classification, and System of Supports, e più recentemente dal World Report on Disability. Un avanzamento da una visione medica a una sociale della disabilità richiede che i professionisti delle tecnologie assistive considerino la disabilità come posta all’interno di un ambiente culturale, politico ed economico. Sono stati presentati alcuni modelli internazionali di servizi di erogazione ausili ed è stata evidenziata la necessità di una migliore valutazione del funzionamento di una persona con disabilità, al fine di raggiungere un buon abbinamento tra la persona e la tecnologia.
1.1 Il modello universale di disabilità Le origini del modello biopsicosociale risalgono alla proposta avanzata dallo psichiatra George Engel nel 1977 di integrare all’interno del modello medico le variabili dominanti sociali e psicologiche: Il modello dominante di malattia, oggi, è quello biomedico, che non lascia all’interno della sua cornice alcuno spazio per le dimensioni sociali, psicologiche e comportamentali della malattia. È qui proposto un modello biopsicosociale che fornisce un piano per la ricerca, una cornice per l’insegnamento e un progetto per l’azione nel mondo reale dell’assistenza sanitaria (1977, p. 130).
Engel ha fornito il principale contributo teorico alla costruzione del modello biopsicosociale fondato sulla teoria generale dei sistemi di Bertalanffy (1950). Secondo tale approccio, i principi unificanti nel contesto scientifico non sono una riduzione, ma l’organizzazione che spiega un fenomeno scientifico. Non è sufficiente dividere un fenomeno scientifico in più semplici unità di analisi e studiare queste unità una a una, ma è necessario indagare le interrelazioni tra esse. Al vecchio metodo scientifico, che rifiuta ogni forma di teleologia e si basa sulla causalità lineare, ricercando relazioni tra una variabile indipendente e una variabile dipendente, si contrappone un approccio che prende in esame l’interazione tra molte variabili, alcune delle quali sconosciute, che considera i caratteri organicistici della vita e che si occupa di concetti quali ordine, organizzazione, differenziazione e orientamento verso un fine. Conseguentemente, anche l’essere umano viene visto come un sistema ecologicamente immerso in sistemi multipli (Gray, Duhl e Rizzo, 1969). Nel modello biopsicosociale la definizione dello stato di salute o di malattia è, pertanto, l’esito dell’interazione tra pro-
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cessi che agiscono a un macro-livello come per esempio l’esistenza di un sostegno sociale o di depressione, e processi che operano a un microlivello, come gli squilibri biologici o biochimici. Pertanto, da questa prospettiva è impossibile isolare la disabilità dal funzionamento di un individuo e viceversa o, piuttosto, ipotizzare l’uno senza l’altra, non solo a livello dell’organizzazione sociale, ma anche del singolo individuo. La disabilità implica il funzionamento e viceversa. Quando I. Zola in Toward the Necessary Universalizing of a Disability Policy (1989) esprime la speranza della demistificazione della “specialità” della disabilità e del riconoscimento che “le persone disabili sono state per lungo tempo trattate come una minoranza oppressa” (p. 19), egli avanza una concezione della disabilità come fluida e contestuale: “La disabilità non è un attributo umano che demarca una porzione di umanità dall’altra (come il genere e qualche volta la razza); è una caratteristica della condizione umana infinitamente varia seppure universale” (Bickenbach, Chatterji, Badley e Üstün, 1999, p. 1182). Il problema della disabilità per gli individui “non è se ma quando, non tanto quale, ma quante e in quale combinazione” (Zola, 1993, p. 18, corsivo nell’originale). Secondo l’approccio di Zola, che è contiguo al modello biopsicosociale, non c’è una dicotomia tra abilità e disabilità, ma piuttosto un continuum nel quale la completa abilità o la completa disabilità rappresentano nient’altro che casi limite solo teoricamente possibili. Gli unici confini da tracciare su questo continuum dovrebbero avere finalità politiche ed economiche e produrre distinzioni funzionali alla ridistribuzione delle risorse all’interno della società. Si tratterebbe ovviamente di confini sempre soggetti a critica e modificabili nel corso del tempo. Secondo Zola è assolutamente urgente sviluppare “politiche universali” che partano dal riconoscimento di un dato di fatto incontrovertibile: l’intera popolazione è “a rischio” per via della straordinaria concomitanza di malattie croniche e disabilità (1989, p. 1). Al di fuori di una prospettiva universalistica si corre il serio rischio di creare e perpetuare un modello di società segregata e separata oltreché caratterizzata da un’accentuazione progressiva delle diseguaglianze: Solo quando noi riconosceremo l’avvicinarsi dell’universalità della disabilità e che tutte le sue dimensioni (inclusa quella biomedica) sono parte del processo sociale, da cui i significati di disabilità sono negoziati, sarà possibile apprezzare in pieno come una generale politica sociale può intervenire efficacemente su questo problema (Zola, 1989, p. 20).
Il rapido invecchiamento della popolazione mondiale, ora più che mai, conferma quanto sostenuto da Zola. Nella maggior parte dei documenti recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) è drammaticamente mostrata la diffusione della disabilità come condizione correlata al progressivo invecchiamento della popolazione: L’aspettativa di vita è in aumento in molti paesi dell’Area [europea] e le popolazioni stanno rapidamente invecchiando. Nel 2050, si prevede che un terzo della popolazione avrà 60 anni e più. […] Sebbene l’invecchiamento sia uno stato di salute normale, ci potrebbero essere delle patologie che conducono alla disabilità e alla dipendenza, specialmente in età avanzata (WHO, 2011, p. viii);
La valutazione del funzionamento individuale e della disabilità 15
L’invecchiamento globale ha un forte impatto sugli sviluppi della disabilità. La relazione qui è diretta: vi è un più alto rischio di disabilità in età avanzata e le popolazioni nazionali stanno invecchiando a un tasso mai riscontrato in precedenza (WHO e World Bank, 2011, p. 35).
Inoltre, la disabilità appartiene alla condizione umana non solo a un livello biologico, ma anche a un livello culturale, dal momento che “in tutto il mondo le persone con disabilità soffrono di peggiori condizioni di salute, peggiori risultati scolastici, più bassa partecipazione economica e maggiore frequenza di povertà rispetto alle persone non disabili” (WHO e World Bank, 2011, p. xi). Il recente rapporto mondiale sulla disabilità (World Report on Disability) stima che tra i 110 e i 190 milioni di persone (dal 2,2% al 3,8%) abbiano difficoltà realmente significative nel funzionamento (WHO e World Bank, 2011, p. 44).
1.2 Classificazioni, dichiarazioni e definizioni internazionali del funzionamento e della disabilità Nella Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF; WHO, 2001), concettualmente fondata sul modello biopsicosociale o universale, è proposto un modello interattivo (olistico). In questo modello il funzionamento e la disabilità di una persona sono considerati come il prodotto di una interazione dinamica tra le condizioni di salute e i fattori contestuali, i quali includono sia fattori personali sia fattori ambientali. Nell’ICF concetti come quelli di “funzionamento” e “disabilità” sono definiti con riferimento alla relazione tra gli individui e il loro contesto o piuttosto all’interazione complessa tra fattori personali e ambientali: “Il funzionamento e la disabilità di una persona sono concepiti come un’interazione dinamica tra le condizioni di salute (malattie, disturbi, lesioni, traumi, ecc.) e i fattori contestuali” (OMS, 2002, p. 15). In effetti, è impossibile parlare del funzionamento e della disabilità di una persona come se questa vivesse in un vuoto sociale, culturale, politico ed economico. Tale vuoto è riempito dall’introduzione dei fattori contestuali nel modello di disabilità biopsicosociale e intrasistemico dell’ICF. La multidimensionalità dell’ICF è garantita dal fatto che i fattori contestuali sono una componente integrante e fondante del modello del funzionamento umano sottostante alla classificazione, alla stessa stregua di strutture e funzioni corporee nonché attività e partecipazione. Gli aspetti positivi della relazione tra un individuo e il suo contesto sono definiti dal termine ombrello “funzionamento”, attraverso il quale sono indicati tutti gli aspetti positivi o non problematici della salute e delle condizioni individuali legate alla salute. D’altra parte, tutti gli aspetti negativi che caratterizzano la relazione tra un individuo e il suo contesto sono definiti da un altro termine ombrello, quello di “disabilità”. Entrambi i termini hanno un significato neutrale nella classificazione (o piuttosto sono considerati come riferibili al loro originale valore semantico), al di là di ogni possibile incrostazione socioculturale, che ne giustifica l’uso come termini “ombrello”. Soprattutto,
16 Capitolo 1
l’ICF individua quattro componenti riferite al funzionamento umano e alle sue restrizioni: le componenti del funzionamento e della disabilità, suddivise in (i) strutture e funzioni corporee e (ii) attività e partecipazione, e i componenti dei fattori contestuali, che comprendono (iii) i fattori personali e (iv) i fattori ambientali. Ciascuna componente consiste di differenti costrutti o qualificatori che a loro volta sono suddivisi in domini e categorie di differenti livelli di profondità. La salute e gli stati a essa correlati possono essere classificati utilizzando un sistema di codici alfanumerici: b = Funzioni Corporee, s = Strutture Corporee, d = Attività e Partecipazione, ed e = Fattori Ambientali. Alla destra del codice alfanumerico, separato da un punto, l’ICF richiede l’uso di uno o più qualificatori che denotano, per esempio, la consistenza del livello di salute o la gravità del problema in questione (OMS, 2002, Allegato 2). In accordo con il modello biopsicosociale e con l’ICF, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 dalla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (d’ora in avanti Convenzione), riconosce che: La disabilità è un concetto in evoluzione ed è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere attitudinali e ambientali che ostacolano la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di parità con gli altri… [e auspica:] (a) il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone; (b) la non discriminazione; (c) la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; (d) il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa; (e) la parità di opportunità; (f) l’accessibilità; (g) la parità tra uomini e donne; (h) il rispetto per lo sviluppo delle capacità dei bambini con disabilità e il rispetto del diritto dei bambini con disabilità a preservare la propria identità (ONU, 2006, Preambolo).
Attraverso l’affermazione di un concetto di disabilità contrassegnato dal valore universale dei diritti umani, la Convenzione sembra aver preso in considerazione le raccomandazioni di Zola sulla necessità di un approccio comune alle politiche sulla disabilità a livello internazionale. Da questa prospettiva “i diritti umani sono applicabili a chiunque e a chiunque in egual modo, indipendentemente da tutte le differenze contingenti tra le persone, di razza, religione, lingua, cultura, posizione geografica ecc., inclusa la disabilità” (Bickenbach, 2009, p. 1112). L’unico criterio per essere riconosciuto come beneficiario di un diritto umano è, precisamente, l’appartenenza alla razza umana. Tuttavia, è innegabile che questa prospettiva ponga alcuni problemi pratici relativi alla sua applicazione alle differenti culture umane. I concetti di disabilità e funzionamento sono socialmente costruiti o, piuttosto, il significato di entrambi i termini è arricchito da valori diversi e denota differenze interculturali: Ciò che si intende con l’essere disabili, in breve, fondamentalmente include ciò che significa essere visti come disabili dagli altri, e questo è vincolato alle caratteristiche di una società, al sistema di scambi economici, alla cultura, alla lingua e a molte altre cose ancora (Bickenbach, 2009, p. 1112).
Quindi, i rischi di incomunicabilità o di reciproca incomprensione tra individui e istituzioni appartenenti a diversi contesti sociali, culturali e politici sono tutt’altro che irrealistici. La possibilità di questa incomunicabilità si manifesta, a livello teorico, nell’opposizione di due differenti radicalismi: da una parte, l’assolutismo dei diritti e,
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dall’altra, il relativismo culturale. Per ragioni politiche, la Convenzione ha evitato di adottare termini chiaramente stabiliti o dichiarazioni eccessivamente vincolanti nel definire la disabilità; tuttavia appare chiaro come sia fondata sull’ICF, sia da un punto di vista epidemiologico sia da un punto di vista operativo. Infatti, sia l’ICF sia la Convenzione condividono l’idea centrale […] che la disabilità sia il risultato, spesso estremamente complesso e poco compreso, di relazioni interattive tra caratteristiche intrinseche della persona (che nell’ICF sono comprese come aspetti della condizione di salute della persona) e caratteristiche del contesto globale nel quale la persona vive, lavora e interagisce con gli altri. I fattori ambientali, gli elementi costituenti di tale contesto, non solo quelli naturali e fisici, ma anche quelli attitudinali, strutturali, politici, sociali e culturali (Bickenbach, 2009, p. 1121).
Solo prendendo in considerazione i concetti di disabilità come di interazione complessa, richiamati sia dall’ICF (2002) sia dalla Convenzione (2006), e più recentemente dal World Report on Disability (WHO e World Bank, 2011), è possibile superare l’aporia degli approcci radicalmente opposti: Dal momento che le differenze culturali sono esempi di fattori ambientali che producono tipi e livelli di disabilità è essenziale prenderle in considerazione nella pratica. Un professionista della salute non può capire la natura e il grado della disabilità di un cliente senza comprendere il contesto ambientale del cliente includendo le sue differenze culturali. Se queste differenze in realtà facciano una differenza sia nella natura che nel grado della disabilità è una questione pratica ed empirica la cui risposta può essere individuata soltanto caso per caso (Bickenbach, 2009, p. 1121).
In altre parole, il conflitto non è tanto nei contenuti, ovvero non concerne la giustezza delle posizioni considerate, ma piuttosto nel radicalismo politico e/o ideologico di entrambe: Io sostengo che il conflitto tra l’universalismo dei diritti e la sensibilità alle differenze culturali esiste solo se tali posizioni sono espresse in forma estrema: assolutismo dei diritti e relativismo culturale. Se enunciate in modo più sensato – nella forma della progressiva realizzazione dei diritti e della sensibilità contestuale alle differenze – non vi è alcun conflitto. Infatti, queste posizioni più ragionevoli si supportano vicendevolmente (Bickenbach, 2009, p. 1111).
È ormai un fatto indiscusso che la gravità di una disabilità così come il livello di funzionamento di un individuo siano in gran parte determinati dal contesto in cui quell’individuo vive. La sensibilità culturale, dato il fondamento universale dei diritti umani, è un orizzonte operativo verso il quale tutti i professionisti della riabilitazione devono rivolgere l’attenzione. La necessità di più accurate misure degli effetti dei fattori ambientali, al fine di migliorare gli esiti della riabilitazione e, quindi, il benessere e la soddisfazione di una persona con disabilità e la qualità della sua vita, ha portato alla realizzazione di sempre più accurati modelli di funzionamento. A questo riguardo è di grande importanza che la Definition, Classification, and System of Supports del 2002 dell’American Association on Mental Retardation (AAMR), detta anche 2002 System, (Luckasson et al., 2002), sia stata volta a individuare un modello condiviso di valutazione delle
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tecnologie assistive (TA). Al di là della specificità della disabilità intellettiva (termine preferito a “ritardo mentale”), la rilevanza del 2002 System sta nel fatto che il “sostegno” è considerato un elemento fondamentale di mediazione tra le caratteristiche multidimensionali della disabilità (per esempio, nel caso specifico, la disabilità intellettiva) e il funzionamento individuale. Il 2002 System riconosce come base comune, allo stesso modo dell’ICF, gli aspetti biomedici, funzionali ed ecologici della disabilità. Entrambi gli strumenti, definendo la disabilità nei termini di una prospettiva funzionale ed ecologica, rappresentano la costruzione di un nuovo paradigma che rivolge “la sua attenzione alle competenze funzionali, al benessere personale, alla fornitura di sostegni individualizzati e al concetto di competenza personale (che è incrementata attraverso l’acquisizione di abilità, di modificazioni ambientali e/o dall’uso di protesi)” (Schalock e Luckasson, 2004, p. 137). Nel 2002 System, i concetti di base sono rappresentati dagli esseri umani, dall’ambiente e dai sostegni. Tali concetti spiegano le condizioni di disabilità e il funzionamento individuale. In particolare, le dimensioni che definiscono il funzionamento umano sono: le capacità intellettive; il comportamento adattivo; la partecipazione, l’interazione e i ruoli sociali; la salute e il contesto. I sostegni, definiti come “risorse e strategie che mirano a promuovere lo sviluppo, l’educazione, gli interessi e il benessere di un individuo e che migliorano il funzionamento individuale” (Schalock e Luckasson, 2004, p. 142), sono integrati nel 2002 System in relazione a quattro aspetti: primo, il funzionamento individuale è il risultato dell’interazione tra la dimensione della disabilità e i sostegni; secondo, fornire sostegni alle persone migliora la loro indipendenza, le loro relazioni, la partecipazione sociale e il benessere globale; terzo, la valutazione e la selezione dei sostegni vengono effettuate prendendo in considerazione gli aspetti e gli ambiti della vita quotidiana di una persona. Infine, quarto, i sostegni definiti come “servizi” sono quelli forniti da professionisti, enti e istituzioni. Anche il concetto di sostegno, come altri, è culturalmente determinato e, pertanto, soggetto a variabilità culturale in relazione sia all’importanza della pratica riabilitativa sia all’uso, anche se Schalock e Luckasson evidenziano che il suo “collegamento concettuale e pratico alla valutazione è ampiamente osservato” (2004, p. 143). Solo nella relazione, che lega il sostegno individualizzato al processo di valutazione, è possibile quindi raggiungere l’obiettivo di una diagnosi, cioè di un intervento, dal momento che il primo scopo di una diagnosi è l’intervento (Schalock e Luckasson, 2004, p. 143).
1.3 Il luogo della valutazione del funzionamento individuale e della disabilità: modelli di servizi di erogazione di tecnologie assistive e riabilitative Allo stato attuale la letteratura scientifica dimostra che la strategia appropriata per la progettazione e distribuzione di TA dipende da molti fattori che includono la disponibilità di personale, le materie prime e i singoli componenti tecnologici, e che l’interazione di tutti questi fattori può complicare i modelli di servizi di erogazione di TA. I professionisti della salute e i decisori politici necessitano di una base di conoscenza sulle modalità esistenti attraverso le quali le TA possono essere fornite agli utenti
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finali per migliorare il loro benessere e la loro partecipazione. La questione è diversificata e complessa, e una varietà di modelli ha cominciato a essere sviluppata incoraggiando l’innovazione e l’attivazione di servizi di erogazione. L’ampia varietà di modelli può essere colta in sei categorie generali, sebbene ciascuna di esse sia generica e comprenda molte altre sottocategorie di modelli. Inoltre, queste categorie non sono perfettamente discrete ma, piuttosto, sono ibride o costituite da tipi “multimodali” di modelli che si sovrappongono. Tuttavia, le seguenti sei categorie onnicomprensive rappresentano un modo importante per concettualizzare l’universo delle modalità di assegnazione di TA alle persone con disabilità (Adya, Samant, Morris e Scherer, in stampa): (1) Modello caritativo/donativo – Distribuzione di massa di TA riciclate gratuite o a basso costo; (2) Modello di riabilitazione su base comunitaria (RBC) – Fornisce servizi per l’indipendenza e l’integrazione attraverso l’utilizzo di risorse locali, in collaborazione con le parti sociali interessate; (3) Modello dell’empowerment individuale – Abbinare la persona alla TA appropriata e facilitare l’empowerment attraverso l’autocostruzione di TA, utilizzando materiali disponibili, istruzioni fai-da-te e soluzioni domestiche; (4) Modello imprenditoriale – Un imprenditore locale o straniero progetta una soluzione per soddisfare un bisogno individuato, sviluppando una rete di distribuzione e commercializzando la soluzione; (5) Modello della globalizzazione e produzione su larga scala – Un prodotto già sviluppato o in fase di sviluppo, a livello locale o in aree sviluppate, viene trasferito in ambienti a risorse limitate attraverso una molteplicità di metodi, come laboratori e industrie; (6) Universal Design in infrastrutture di pubblico utilizzo – Sviluppare l’accessibilità di prodotti tradizionali, come telefoni cellulari, software open source e dispositivi progettati secondo criteri dello Universal Design. Ciascuno di questi è qui di seguito brevemente descritto.
1.3.1 Modelli caritativi Per decenni sono stati utilizzati programmi basati sulla beneficenza come mezzo per fornire agli individui prodotti ai quali non avrebbero potuto avere accesso in ragione delle loro condizioni socio-economiche e ambientali. Programmi realizzati in passato si sono concentrati nella distribuzione di massa di diverse tipologie di TA, compresi ausili per la mobilità e protesi acustiche. La beneficenza è coinvolta in diverse attività, come lo sviluppo di prototipi a basso costo, disponibili gratuitamente, la raccolta di fondi per finanziare servizi di erogazione di TA e la sanificazione e il riciclaggio di vecchi ausili. Sebbene le distribuzioni di massa di TA a volte possano tornare utili, come quando un conflitto o un disastro determinano un gran numero di disabilità acquisite, spesso riguardano prodotti progettati secondo l’approccio della misura unica adatta a tutti, che non può essere personalizzata secondo le esigenze degli utenti e dei loro ambienti, oppure riguardano prodotti che sono di bassa qualità e che possono portare a ulteriori danni e ferite. 1.3.2 Modelli di riabilitazione su base comunitaria La RBC è stata concepita e promossa dalla WHO e dalle agenzie collegate alle Nazioni Unite nei primi anni Ottanta come un mezzo per fornire servizi a persone con
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disabilità nei paesi in via di sviluppo e che non avevano accesso a strutture riabilitative di qualità nonché a medici e altro personale qualificato. Lo scopo originale della RBC era quello di aggirare la necessità di cure istituzionali costose e la mancanza di sostegno da parte dei governi, fornendo servizi di riabilitazione alle persone con disabilità direttamente nelle loro case e nelle loro comunità. Sebbene inizialmente calibrata sulla necessità di cure mediche riabilitative, la RBC si è evoluta a partire dalla consapevolezza che la riabilitazione, nel promuovere il funzionamento indipendente, deve rispondere al bisogno di assicurare pari diritti e accesso a servizi come l’educazione, l’impiego, la sanità e le strutture e i servizi pubblici. Dal momento che la RBC funziona secondo il principio di individuare soluzioni attraverso le risorse disponibili localmente, la maggior parte delle TA erogate attraverso i programmi della RBC sono progettate per essere accessibili, sono realizzate con materiali disponibili localmente e sono appropriate all’ambiente dell’utente.
1.3.3 Modelli di empowerment individuale Nei modelli di empowerment individuale gli utenti sono “partner” dei fornitori nella selezione e valutazione del prodotto, così i professionisti si sforzano di individualizzare i servizi, di aiutare le persone a raggiungere i propri obiettivi autodeterminati e di assicurare che le persone siano incluse in ogni aspetto della vita comunitaria. Al fine di ottenere un buon abbinamento tra la persona e le tecnologie e migliorare i tassi di utilizzo delle tecnologie assistive, è importante che il potenziale utilizzatore di tecnologia sia accompagnato da un fornitore competente. 1.3.4 Modelli imprenditoriali I modelli imprenditoriali promuovono la disponibilità di TA attraverso la commercializzazione, e questo trasferimento di tecnologia può avvenire utilizzando approcci sia top-down sia bottom-up. Nel modello imprenditoriale top-down, la soluzione tecnologica è introdotta nel mercato locale da una società estera o esterna. La distribuzione di TA di tipo top-down può anche includere franchising locali e adattamenti alla cultura locale. 1.3.5 Modelli della globalizzazione I modelli della globalizzazione si riferiscono all’espansione delle compagnie multinazionali e internazionali in nuovi mercati, in ambienti a risorse limitate, al fine di creare nuove catene di prodotti per l’erogazione di soluzioni tecnologiche, che possono essere o non essere adatte alle esigenze locali. La produzione, in molti modelli della globalizzazione, avviene in loco e su larga scala. Le soluzioni possono essere progettate in collaborazione con progettisti internazionali, nazionali e locali. Si deve notare che questo modello è adatto soprattutto per le soluzioni a misura unica anche quando queste sono adattate alle esigenze e al contesto locali. 1.3.6 Modelli dello Universal Design L’approccio dello Universal Design è fondato sulla considerazione che progettare prodotti per soddisfare una media immaginaria delle capacità e condizioni umane sia in
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conflitto con il fatto che tutti gli utenti umani sono differenti e sperimentano circostanze personali e ambientali variegate. Prodotti tradizionali inaccessibili e servizi progettati con un’attenzione particolare per un ristretto sottoinsieme del funzionamento umano, come nel caso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), delle attrezzature mediche e delle infrastrutture fisiche, possono imporre barriere significative alle persone con disabilità e alle persone anziane. Prodotti di uso pubblico e infrastrutture progettate secondo lo Universal Design sono invece necessari per garantire che le persone con disabilità abbiano pari accesso a tutte le attività a prescindere dall’esistenza di tecnologie assistive, dal momento che, molto spesso, non possono usare le tecnologie tradizionali in quanto queste non sono compatibili con i loro ausili.
1.4 Valutare il funzionamento individuale nel processo di riabilitazione La letteratura scientifica internazionale presenta una grande varietà di modelli di riabilitazione da parte di diversi autori. Alcuni di questi – generalmente elaborati negli ultimi dieci anni – sono concettualmente compatibili con l’approccio universale alla disabilità, il modello biopsicosociale e l’ICF. Il processo di valutazione, inteso come una indagine completa del funzionamento e disabilità di un individuo, può essere considerato come un aspetto di qualsiasi processo di riabilitazione, di modo tale che ogni modello di riabilitazione comprenda anche un modello di valutazione. Per questo motivo, prima di illustrare il modello di valutazione dell’ATA process, può essere utile esplorare i modelli di riabilitazione più rilevanti descritti nella letteratura scientifica internazionale. Di seguito sono brevemente descritti alcuni dei più importanti contributi alla concettualizzazione di un processo di riabilitazione, con una particolare attenzione, là dove possibile, alla fase della valutazione. Gracey e collaboratori (2009) hanno proposto una modello teorico a “Y” sul quale fondare un intervento di riabilitazione. Il punto di partenza degli autori è quello di individuare un approccio biopsicosociale alla valutazione, descrizione e riabilitazione in seguito a una lesione cerebrale acquisita. Il risultato è una sintesi teorica originale di lavori esistenti tratti da studi di riabilitazione e psicoterapia, che è utile anche per l’uso clinico. Il processo di adattamento e reintegrazione nella società è determinato dal superamento delle discrepanze sociali, personali e interpersonali – rappresentate dai due rami della “Y” – che spesso seguono un evento traumatico. Il modello a “Y” è così denominato perché il passaggio graduale verso una nuova consapevolezza e l’accettazione delle attuali condizioni di salute è graficamente rappresentato dalla congiunzione dei due rami della “Y”. Il processo di consapevolezza e di risoluzione delle discrepanze effettuato dall’utente deve essere supportato al fine di consolidare il suo senso del sé dopo l’evento traumatico e la sua crescita psicologica. Questa parte del percorso è rappresentata dal tratto verticale della “Y”. Durante il processo l’utente può scoprire aspetti di continuità con il sé precedente all’infortunio e può sviluppare nuovi significati adattivi e personali derivanti dagli esiti del trauma e dalle relative esperienze. Gracey e colleghi (2009) suggeriscono che al vertice della “Y” sia possibile che molti utenti sperimentino una discrepanza nel cercare di mantenere un senso di iden-
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tità attraverso la negazione delle difficoltà. Questo porta, nel lungo periodo, alla perdita delle relazioni e delle reti sociali. Gli utenti spesso negano la presenza di difficoltà anche con i professionisti della riabilitazione. Nel modello a forma di “Y” i fattori sociali e interpersonali possono giocare un ruolo nel superamento delle discrepanze personali, nel raggiungimento di una nuova consapevolezza e nello sviluppo di risorse di risposta allo stress. Nondimeno, i risultati di molti studi suggeriscono che il focus della riabilitazione possa andare oltre la compensazione del deficit, dal momento che essa dovrebbe incorporare più esplicitamente una maggiore attenzione alla crescita e al significato personale. Nel modello a “Y” le fasi chiave del processo di riabilitazione corrispondono a (1) lo sviluppo della sicurezza; (2) la comprensione di, l’impegno verso e la riduzione delle discrepanze sociali, interpersonali e intrapersonali e (3) la crescita psicologica. Per ciascuna fase chiave, gli autori (Gracey et al., 2009) identificano le variabili sociali, interpersonali, cognitive ed emotive coinvolte e le corrispondenti attività e strategie riabilitative. In conclusione, gli autori ritengono che il significato delle esperienze di vita sia la chiave per il benessere; le misure di outcome psicosociale che si focalizzano unicamente sulla quantità o sul livello di attività potrebbero, infatti, non riflettere cambiamenti personali significativi per l’individuo. Steiner e colleghi (2002) hanno proposto il Rehab-CYCLE, una versione modificata del Rehabilitation Cycle sviluppato da Stucki e Sangha (1998). Esso conduce il professionista della salute in una sequenza logica di attività verso una ottimale risoluzione dei problemi o verso il raggiungimento di obiettivi individuali. Il RehabCYCLE identifica i problemi e i bisogni del paziente e collega i problemi ai fattori rilevanti della persona e dell’ambiente. È importante definire obiettivi terapeutici, pianificare e implementare gli interventi e valutare gli effetti. Al fine di ottenere una cornice concettuale per ordinare e comprendere il significato che la malattia riveste per una persona, gli autori (Steiner et al., 2002) hanno sviluppato un’estensione del Rehab-CYCLE (Stucki e Sangha, 1998) che hanno chiamato Rehabilitation Problem-Solving Form (RPS-Form). Il RPS-Form è costituito da un singolo foglio dati basato sull’ICF. Esso è diviso in tre parti: (1) intestazione per le informazioni di base; (2) parte superiore per descrivere il punto di vista del paziente e (3) parte inferiore per l’analisi da parte dei professionisti della salute. Il RPS-Form è stato progettato per distinguere tra i punti di vista del paziente e quelli dei professionisti della salute. Il punto di vista del paziente è riportato nella parte superiore del foglio indicato con “Paziente (o familiari): problemi e disabilità”, mentre i punti di vista dei professionisti della salute sono annotati nella parte inferiore indicata con “Professionisti della salute: mediatori rilevanti per individuare i problemi”. Il team della riabilitazione cerca di identificare quelle caratteristiche dei pazienti o del loro ambiente che hanno causato o contribuito a causare i loro problemi. Le molteplici interazioni tra il paziente e l’ambiente e tra tutte le componenti dell’organismo del paziente richiedono di pensare in termini di reti causali più che in termini di linearità sequenziale, in cui A causa B che conduce a C. Quando non è chiaro se una variabile sia direttamente responsabile per una disabilità o se sia un elemento che contribuisce ad alcuni processi coinvolti nella disabilità, il RPS-Form utilizza il termine “mediatore” per descrivere tali variabili (Steiner et al., 2002). Il
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compito principale del team di riabilitazione è quello di discernere i mediatori target (cioè quei mediatori che si suppone abbiano il potenziale maggiore per risolvere i problemi target) attraverso l’analisi dello RPS-Form; tale analisi è assunta dal team come base di discussione di ciascun caso, nella cornice del modello ICF del funzionamento e della disabilità. Nel 2002 l’AAMR ha pubblicato il suo Mental Retardation: Definition, Classification, and Systems of Supports (Luckasson et al., 2002), nel quale il funzionamento umano e le capacità intellettive sono descritti come influenzati da cinque fattori: l’intelligenza; il comportamento adattivo; la partecipazione, l’interazione e i ruoli sociali; la salute; il contesto. L’intelligenza viene definita come “una generale capacità mentale che include il ragionamento, la pianificazione, la soluzione di problemi, il pensiero astratto, la comprensione di idee complesse, l’apprendimento rapido e l’apprendimento dall’esperienze” (Luckasson et al., 2002, p. 51). Il comportamento adattivo è definito come “l’insieme delle abilità concettuali, sociali e pratiche, che sono state apprese dalle persone allo scopo di funzionare nelle loro vite quotidiane” (Luckasson et al., 2002, p. 73). La partecipazione e l’interazione riguardano il grado di impegno della persona nelle attività quotidiane e il suo coinvolgimento nell’ambiente circostante. I ruoli sociali riguardano l’insieme delle attività che sono considerate normali per uno specifico gruppo di età. La definizione di salute, intesa come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, è in linea con quanto dichiarato dalla WHO. Infine, il contesto è un concetto mutuato dalla teoria di Bronfenbrenner (1979) e descrive le relazioni nelle quali la persona è coinvolta, incluse quelle che intercorrono con “la persona, la famiglia e/o le figure di sostegno; il vicinato, la comunità o le organizzazioni che forniscono formazione o servizi di abilitazione o sostegni; e i modelli generali della cultura, della società, della popolazione generale, della nazione o delle influenze sociopolitiche” (Schalock e Luckasson, 2004, p. 142). Il 2002 System afferma la multidimensionalità della disabilità intellettiva e attribuisce un ruolo centrale ai sostegni come mediatori tra gli aspetti multidimensionali di questa e il funzionamento individuale. Nel 2002 System “i sostegni sono definiti come risorse e strategie che hanno lo scopo di promuovere lo sviluppo, l’educazione, gli interessi e il benessere individuale di una persona e di migliorare il funzionamento individuale” (Schalock e Luckasson, 2004, p. 142), cosicché il funzionamento individuale è determinato dall’interazione dei sostegni con le cinque dimensioni sopra elencate. I sostegni sono forniti con l’obiettivo principale di migliorare i risultati personali in relazione all’indipendenza, alle relazioni, agli apporti, alla partecipazione scolastica e comunitaria e al benessere individuale delle persone con disabilità intellettiva e il processo di valutazione è basato sulle aree di attività della vita quotidiana. Un aspetto importante del processo di valutazione del 2002 System è rappresentato dal giudizio clinico definito come: Un tipo particolare di giudizio radicato in un elevato livello di competenza clinica e di esperienza che emerge direttamente da un’ampiezza di dati. Esso è basato sulla formazione esplicita del clinico, sull’esperienza diretta con la persona con cui il clinico lavora e sulla familiarità con la persona e con l’ambiente della persona, inclusa la sua famiglia (Schalock e Luckasson, 2004, pp. 143-144).
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1.5 Valutare il funzionamento individuale e la disabilità nell’ATA process Nel modello dell’ATA process la valutazione è definita come “un processo condotto dall’utente attraverso il quale la selezione di uno o più ausili tecnologici per una soluzione assistiva è facilitata dall’utilizzo di strumenti che comprendono misure cliniche, analisi funzionale e valutazioni psico-socio-ambientali volte, in uno specifico contesto d’uso, al benessere personale dell’utente attraverso il migliore abbinamento tra l’utente e la soluzione assistiva” (Introduzione alla Parte 1). In accordo con il modello del funzionamento e disabilita dell’ICF, con il 2002 System e con l’ATA process, il benessere individuale è lo scopo dell’intervento garantito dal migliore abbinamento tra l’utente/cliente e il supporto o la TA. Attraverso la lente del modello biopsicosociale dell’ICF, per mezzo della quale la richiesta dell’utente/cliente è accolta e la soluzione assistiva fornita (Figura 1.1), il processo di valutazione quantifica il funzionamento individuale attraverso misure cliniche, analisi funzionali e valutazioni psico-socio-ambientali.
Figura 1.1 (Vedi inserto a colori.) Il processo di valutazione delle tecnologie assistive (ATA process) alla luce del modello biopsicosociale dell’ICF.
Nella fase di “Raccolta dati utente” (Figura 1.2), la diagnosi ha un ruolo centrale nella valutazione, dal momento che è proprio in relazione a essa che viene progettato il successivo allestimento per l’abbinamento e l’assegnazione degli strumenti.
Figura 1.2 (Vedi inserto a colori.) Diagramma di flusso del processo di valutazione delle tecnologie assistive (ATA process).
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Tuttavia, è solo durante l’incontro con l’utente/cliente (processo di abbinamento) che è possibile osservare la performance individuale, valutare il funzionamento negli aspetti più rilevanti della vita quotidiana e personalizzare il sostegno facendo riferimento alle caratteristiche specifiche socio-ambientali o alle barriere (processo di valutazione ambientale) nell’ambito della vita dell’utente/cliente. Infine, il supporto all’utente e le procedure di follow-up permettono di valutare il funzionamento periodicamente e di pesare costantemente gli esiti delle soluzioni assistive in relazione alle necessità all’utente e ai cambiamenti da lui affrontati nei domini del funzionamento della vita quotidiana. Pertanto, è soltanto all’interno dell’ATA process che risulta evidente il ruolo di mediazione svolto dai sostegni e dalle soluzioni assistive tra la multidimensionalità delle condizioni specifiche di salute di un individuo e il suo effettivo funzionamento. Né va trascurata, come dimensione metaprocessuale, l’interazione dinamica tra l’oggettivo (la colonna relativa al funzionamento del centro ausili e il soggettivo (la colonna relativa alle azioni dell’utente o, piuttosto, tra le misure oggettive e soggettive del funzionamento. Le caratteristiche di questa dinamica, all’interno del processo di valutazione, vincolano i professionisti della riabilitazione a individuare soluzioni che tengano in considerazione il contesto sociale e culturale di un individuo.
1.6 Conclusioni In questo capitolo si è ravvisata la necessità di un adeguato modello ATA e ne è stato proposto uno che fosse coerente con l’ICF, volto a promuovere il benessere individuale e il miglior abbinamento tra l’utente/cliente e la soluzione assistiva. Ciò richiede un processo condotto dall’utente attraverso il quale la selezione di uno o più ausili tecnologici per una soluzione assistiva è facilitata dall’utilizzo di strumenti che comprendono misure cliniche, analisi funzionale e valutazioni psico-socio-ambientali.
Capitolo
2
Misurare il funzionamento individuale
S. Federici, F. Meloni, F. Corradi
Questo capitolo è suddiviso in tre sezioni principali. La prima si concentra su quali misure del funzionamento individuale debbano essere utilizzate con un’attenzione al principio secondo il quale la disabilità è un costrutto multidimensionale e non esiste un principio basilare di misurazione valido per qualunque valutazione. Inoltre, l’unico principio guida per una misurazione corretta è la chiarezza dello scopo della misurazione. La seconda sezione si focalizza su come misurare il funzionamento individuale, sia indicando alcuni principi guida per la scelta e l’applicazione di un insieme di misure, sia suggerendo alcuni strumenti che si adattino a questi principi. La terza sezione propone alcuni strumenti di misura da utilizzare in un ATA process di un centro ausili.
2.1 Cosa misura il funzionamento individuale 2.1.1 La misura migliore: esiste un elisir della misurazione per trasformare una valutazione in oro? Nel giugno 2001, il Seminario Internazionale delle Nazioni Unite sulla Misurazione della Disabilità riunì un grande numero di esperti nella misurazione della disabilità, provenienti da paesi sviluppati e in via di sviluppo, al fine di passare in rassegna lo stato dell’arte sui metodi utilizzati nelle attività di raccolta dati basati sulla popolazione per misurare la disabilità nei sistemi statistici nazionali (ONU, 2001). Il Seminario sviluppò raccomandazioni e priorità per l’avanzamento del lavoro sulla misurazione della disabilità. In particolare, migliorò i principi e le forme standard per gli indicatori globali di disabilità da utilizzare nei censimenti e agevolò la costruzione di una rete di istituzioni ed esperti, dato l’ampio consenso sulla necessità di misure della disabilità basate sulla popolazione per l’uso nazionale e per la comparazione internazionale. Gli esperti del Seminario selezionarono la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF, OMS, 2002) come modello concettuale fondante. Il loro lavoro ha enfatizzato il fatto che il modello dell’ICF ha stabilito la necessità di un linguaggio comune che non solo permetta una comprensione e un utilizzo comuni da parte di operatori appartenenti a differenti aree professionali, ma che sia anche facilmente applicabile a contesti ambientali notevolmente differenti, “risolvendo l’apparente tensione tra il rispetto delle differenze culturali e linguistiche relative al significato della salute e il fornire le basi scientifiche per un linguaggio internazionale comune della salute” (Üstün et al., 2001a; Üstün et al., 2003b; Üstün et al., 2001b; Üstün et al., 2003c).
28 Capitolo 2
Il problema reale incontrato dagli esperti era, paradossalmente, la complessa definizione di disabilità (Üstün et al., 2003a): nell’ICF, infatti, la disabilità emerge dalle limitazioni nell’Attività e dalle restrizioni nella Partecipazione che sono determinate dall’interazione tra le menomazioni delle Funzioni e delle Strutture Corporee e un contesto svantaggioso (Fattori Personali e Ambientali): Dal momento che solo una o due di queste dimensioni della disabilità sono rispecchiate nelle misure in una certa indagine […], i dati cattureranno soltanto una porzione della popolazione, ovvero quella che manifesta gli aspetti specifici della disabilità che le domande rappresentano (Altman e Gulley, 2009, p. 544).
In un modello complesso come questo ciascun dominio rappresenta un’area differente di misurazione e ciascuna categoria o elemento di classificazione all’interno di ciascun dominio rappresenta un’area differente di operazionalizzazione del più ampio concetto del dominio. Per generare una misura significativa di una prevalenza generale è necessario determinare quale componente rifletta meglio l’informazione necessaria a indirizzare lo scopo della raccolta dei dati (Mont, 2007, p. 4).
Il “paradosso definizionale” (Madans e Altman, 2006) sulla definizione di disabilità è dovuto alla natura operativa del concetto della stessa, secondo il quale ogni definizione teorica implica aporia, mentre ogni significato operativo è determinato dallo scopo della ricerca. Infatti, l’esito dell’interazione tra lo stato di salute di una persona e i fattori contestuali, cioè la somma delle componenti personali e ambientali, può essere descritta su tre livelli: (1) il corpo, come menomazione delle funzioni o delle strutture corporee; (2) la persona, come limitazioni di attività misurate come capacità; (3) la società, come restrizioni nella partecipazione misurate come performance. Per ciascuno di questi livelli è possibile identificare più di una definizione “operativa” del funzionamento e della disabilità: l’ICF, infatti, non fornisce una definizione operativa singola e inequivocabile e, conseguentemente, non indica specifici strumenti di misurazione. La conseguenza principale è che definizioni operative differenti conducono a valutazioni differenti e qualche volta incoerenti: Nello specifico, noi siamo preoccupati delle similarità e delle differenze nelle popolazioni identificate come disabili quando la concettualizzazione di disabilità, le domande che ne risultano e i metodi utilizzati per codificare e analizzare i dati differiscono da un insieme di domande all’altro. In aggiunta, noi siamo preoccupati delle stime sulla prevalenza della disabilità quando il medesimo insieme di domande è rivolto a due differenti popolazioni nazionali (Altman e Gulley, 2009, p. 544).
Pertanto, ci sono molti aspetti diversi, per i quali le misure operative della disabilità possono variare a seconda della nozione prevalente di disabilità, dello scopo e applicazione della misurazione, delle caratteristiche della disabilità indagata e, inoltre, de “le definizioni, il tipo di domande, le fonti di informazione, i metodi di raccolta dei dati e le aspettative di funzionamento” (WHO e World Bank, 2011, p. 21). Inoltre, tutti questi fattori rendono molto difficili le comparazioni dei dati a livello nazionale e internazionale. In ogni caso, la necessità di stime aggiornate sulla prevalenza mon-
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diale della disabilità ha portato la World Health Organization (WHO) e la World Bank insieme a produrre il primo World Report on Disability in assoluto (2011). Questo rapporto è basato su due ampie fonti di dati: il World Health Survey of 20022004 della WHO (Üstün et al., 2003b; WHO, 2002-2004), riguardante 59 paesi, e il Global Burden of Disease, studio aggiornato del 2004 della WHO (WHO, 2008). Il primo è la più ampia indagine multinazionale sulla salute e sulla disabilità che abbia usato un unico insieme di domande e metodi coerenti per raccogliere dati comparabili sulla salute provenienti da diversi paesi; il secondo è una valutazione globale della salute della popolazione mondiale che fornisce stime esaustive della mortalità prematura, della disabilità e della perdita della salute in conseguenza di differenti malattie, traumi e fattori di rischio attingendo alle fonti di dati disponibili presso la WHO e alle informazioni fornite dagli Stati membri. Il World Health Survey e il Global Burden of Disease “basati su approcci e assunti molto differenti di misurazione, forniscono stime di prevalenza globale tra la popolazione adulta del 15,6% e del 19,4% rispettivamente” (WHO e World Bank, 2011, p. 29). Il World Report on Disability avanza alcune raccomandazioni per migliorare la disabilità e la qualità dei dati sulla disabilità: (i) adottare l’ICF “come una cornice universale per la raccolta di dati sulla disabilità” (WHO e World Bank, 2011, p. 45); (ii) migliorare le statistiche nazionali sulla disabilità; (iii) migliorare la comparabilità dei dati; (iv) sviluppare strumenti appropriati per colmare i vuoti della ricerca, suggerendo in particolare di sviluppare “misure migliori dell’ambiente e del suo impatto sui differenti aspetti della disabilità” (WHO e World Bank, 2011, p. 46) e di associare la valutazione dell’esperienza di disabilità con la misurazione del “benessere e qualità della vita delle persone con disabilità” (WHO e World Bank, 2011, p. 47). Inoltre, nel campo della misurazione il punto cruciale non è trovare la risposta giusta, ma rispondere alla domanda appropriata e, come affermato da Zola (1993), ogni tentativo di identificare misure standard della disabilità riflette, più di ogni altra cosa, lo sforzo di considerare la disabilità come un’entità statica e dicotomica e non, come sostenuto dal modello universale di disabilità, come un’esperienza fluida e continua. Infatti, soltanto da un punto di vista puramente teorico è possibile riscontrare in un individuo una completa disabilità o una completa abilità. Nel modello biopsicosociale la disabilità non è più considerata, come accadeva nei modelli medico e sociale, come un’identità che definisce le persone o le classi sociali. Nel modello medico, la disabilità è una caratteristica negativa che appartiene all’individuo e che definisce il divario tra l’individuo stesso e il normale standard di salute. Al contrario, il modello sociale identifica la disabilità come una classe sociale di individui, alla quale la maggioranza riconosce uno stato stigmatizzato di minoranza (Goffman, 1963; Hahn, 1985). Nel modello medico, le persone hanno una disabilità perché è stata loro riconosciuta una malattia o una menomazione e sono chiamate “persone con disabilità” o, più semplicemente, sono interamente identificate con la menomazione (per esempio down, sordo, cieco e così via); nel modello sociale, le persone sono disabili in quanto sono stigmatizzate dal pregiudizio sociale e se ne può parlare come di persone disabili[tate] (non “con disabilità”) o oppresse (non “con oppressione”, Oliver e Barnes, 1998). Il modello biopsicosociale si sposta dalla persona al suo
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funzionamento, superando un’inferenza causale della disabilità come risultato sia dell’impatto della malattia o di altre condizioni di salute (OMS, 2002) sia di uno svantaggio sociale. Secondo questa prospettiva, la disabilità è solo una modalità del funzionamento espressa da locuzioni positive, come l’“abilità di fare” in contesti e condizioni di salute specifici. Il funzionamento individuale è anche correlato all’interrelazione tra un ambiente specifico, le caratteristiche personali e le condizioni di salute: “Non è se ma quando, non tanto quale, ma quante e in quale combinazione” (Zola, 1993, p. 18). La disabilità non è un insieme di caratteristiche immutabili che definisce una persona rispetto a un’altra, né è predicibile da una diagnosi medica, dal momento che non è sempre una conseguenza diretta di una malattia, ma è, piuttosto, un processo multidimensionale che dura per tutta la vita e coinvolge la sfera fisica, psichica e sociale dell’individuo: Avere una disabilità non è una condizione statica, ma piuttosto una processo di continuo cambiamento, evoluzione e interattivo. Non è qualcosa che una persona è o non è, ma piuttosto è un insieme di caratteristiche che ognuno condivide in vario grado e in varie forme e combinazioni (Zola, 1993, p. 30).
La WHODAS 2.0 (World Health Organization Disability Assessment Schedule; Üstün et al., 2010), come esempio di una misura che adotta la cornice concettuale dell’ICF, è un questionario psicometrico sulla disabilità autopercepita che valuta il funzionamento individuale nel “qui” delle attività della vita quotidiana e nell’“ora” degli ultimi trenta giorni, indipendentemente da una diagnosi medica o dalle precedenti condizioni di salute (Üstün et al., 2010, p. 5). Sebbene la disabilità non sia un concetto statico (cioè determinato da una diagnosi o immutabile nel tempo) né dicotomico (cioè abilità e disabilità non sono mutualmente esclusive), ciò non significa che non sia misurabile: “Invece, i suoi costrutti, la sua misurazione e quantificazione differiscono legittimamente con gli scopi per i quali tali numeri sono necessari. Più chiari sono i risultati che cerchiamo, più chiaro sarà quali costrutti e quali misure sono necessari” (Zola, 1993, p. 30). La disabilità è anche un costrutto multidimensionale, così come la sua misura è multidimensionale. Perciò, la risposta corretta alla questione posta nel titolo di questo paragrafo è che l’elisir della misurazione è individuato quando noi orientiamo il focus della ricerca non solo sulla definizione teorica della disabilità, ma anche sulla chiarezza dello scopo delle nostre misurazioni. In altre parole, si misurerà solo ciò che si vuole trovare. Infatti, secondo il principio di indeterminazione, più è precisa la misurazione di una proprietà (per esempio la capacità), meno è precisa la misurazione delle altre (per esempio la performance). Quindi, essendo la disabilità un oggetto di misura caratterizzato da più proprietà, non è possibile misurare tutte le proprietà allo stesso tempo con lo stesso strumento. Di conseguenza, il miglior ricercatore è colui il quale abbia chiaramente definito la proprietà della disabilità da misurare e lo strumento richiesto per misurarla. Per tutte queste ragioni, un elisir per la misurazione della disabilità non è nemmeno desiderabile. Infatti, il più affidabile approccio scientifico consiste nell’avere una varietà di strumenti di misurazione e la flessibilità per modificare le procedure di misurazione, adattandole a differenti persone, contesti e scopi.
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2.1.2 Adattare la misura allo scopo della valutazione di tecnologie assistive Lo scopo della misurazione è il principio guida sottostante alla specifica di una definizione operativa e la scelta di un insieme coerente di strumenti di misura. Madans e colleghi (2002) hanno identificato nella loro ricerca tre classi principali di scopi a un livello aggregato, nel condurre censimenti sulla disabilità nel contesto internazionale: (i) fornire servizi, includendo lo sviluppo di programmi e politiche per la fornitura di servizi e la valutazione di questi programmi e servizi; (ii) monitorare il livello di funzionamento nella popolazione; (iii) valutare la parità delle opportunità. Il processo di valutazione di tecnologie assistive (ATA process) può essere considerato come un aspetto dello scopo descritto al punto (i). Madans e colleghi affermano che “la fornitura di sevizi a livello della popolazione include, ma non è limitato a, trasporti, riabilitazione, fornitura di ausili, cure a lungo termine” (2002, slide 11) e che l’adempimento di questo obiettivo “richiede informazioni dettagliate sulla persona e l’ambiente, come nel caso della riabilitazione” (slide 11, vedi anche Madans e Altman, 2006, slide 6). Domande sulla necessità di soluzioni assistive e sui problemi di accessibilità sono, pertanto, al centro della valutazione. A parte tutto questo, l’obiettivo ultimo dell’ATA process è volto “in uno specifico contesto d’uso, al benessere personale dell’utente attraverso il migliore abbinamento tra l’utente e la soluzione assistiva” mediante l’uso di “misure cliniche, analisi funzionale e valutazioni psico-socioambientali” (Introduzione alla Parte 1). 2.1.3 Dalle misure agli scopi (benessere) e dagli scopi alle misure (team multidisciplinare) Questa affermazione indica due ordini di affermazioni che devono essere affrontate: (i) la natura del concetto e della misurazione del “benessere” e (ii) come costruire il “team” di professionisti nel centro ausili. Per quanto riguarda il punto (i), è chiaro che la natura della variabile benessere sia puramente soggettiva; infatti, essa “misura ‘ciò che le persone dicono’ piuttosto che ‘ciò che le persone fanno’. È vero che il benessere autoriferito ha potenziali carenze come distorsione della risposta, distorsione della memoria e atteggiamenti difensivi” (Uppal, 2006, p. 525). Ciononostante, “è stato provato che i dati soggettivi siano stabili e utili” (Uppal 2006, p. 525) e che “vi è una crescente accettazione degli esiti riportati dai pazienti per quei costrutti per i quali la realtà soggettiva non può essere oggettivata (per esempio, sensazioni, dolore, livello energetico, salute percepita e così via)” (Kayes e McPherson, 2010, p. 1011). Come parte di questa discussione è importante indicare che, anche oggi, sia nella letteratura sia nelle differenti classificazioni della disabilità che si sono succedute nel corso del tempo, non c’è spazio per il mondo interno dell’individuo. In particolare, pochi autori si sono focalizzati sulla differenza tra le dimensioni oggettive e soggettive di funzionamento e disabilità. “Per esempio, se le persone non possono giocare a golf a causa di una menomazione (limitazione della capacità all’interno di una limitazione di un’attività) o a causa di ostacoli ambientali (restrizione nella partecipazione), il SIGNIFICATO di questo fatto sarà del tutto differente da persona a persona. Per uno che ha giocato a
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golf per tutta la vita sarebbe disastroso, ma per una persona, per altri versi simile, che non vi ha mai giocato, il fatto in se stesso che egli non possa giocare a golf non sarebbe essenziale. Ne consegue che la valutazione del significato o della soddisfazione (che sono entrambi soggettivi) dell’attività oggettiva o della partecipazione è indispensabile specialmente per elementi che vanno al di là dei comuni bisogni di sopravvivenza” (Ueda e Okawa, 2003, p. 598). Ma che cos’è l’esperienza soggettiva del funzionamento e della disabilità? Ueda e Okawa la definiscono come un insieme di stati mentali cognitivi, emotivi e motivazionali di una persona, ma in particolare di una persona con una condizione di salute e/o disabilità. È una combinazione unica, da una parte, di un’esperienza di disabilità, cioè un riflesso (influenza) di condizioni di salute esistenti, menomazioni, limitazioni dell’attività, restrizioni nella partecipazione e fattori ambientali negativi (ostacoli), nella mente di una persona (esperienza soggettiva negativa) e, dall’altra parte, di un’esperienza di natura positiva, che include, tra le altre cose, le abilità psicologiche di fronteggiare lo stress sviluppate, spesso inconsciamente, per superare quelle influenze negative (esperienza soggettiva positiva) (2003, p. 599).
La valutazione di un’esperienza soggettiva è un punto centrale nell’identificare la migliore soluzione assistiva per un dato utente/cliente, e la sua incomprensione o sottovalutazione ricopre un ruolo rilevante nell’abbandono (Elliott et al., 2002). Deve essere anche evidenziato che la dimensione soggettiva del funzionamento e della disabilità non coincide con la dimensione oggettiva, cioè la sola attualmente codificata dall’ICF. La relazione tra le dimensioni soggettiva e oggettiva del funzionamento e della disabilità è interattiva e bidirezionale. Tuttavia, le due dimensioni sono relativamente indipendenti l’una dall’altra. Allo stato attuale, sebbene non sia possibile introdurre una codificazione comprensiva dell’esperienza soggettiva, questa dimensione dovrebbe essere considerata con cura nell’ATA process. L’attenzione, tuttavia, deve essere duplice. Da una parte, ignorare la dimensione soggettiva può condurre a valutazioni non accurate e ad assegnazioni non appropriate, mentre, dall’altra, come argomentato da Sen, si deve tenere a mente che “il punto di vista soggettivo sulla salute merita attenzione, ma affidarsi a esso nel valutare le cure sanitarie o le strategie mediche può essere estremamente ingannevole” (2002, p. 861). Per quanto riguarda il punto (ii), la scelta di un insieme di strumenti di misura specifici per gli scopi dell’ATA process facilita il processo di costruzione del team multidisciplinare per mezzo della caratterizzazione di ciascun professionista richiesto durante il processo di valutazione (e di misurazione). Nell’ATA process i due punti sono strettamente connessi. Concordiamo con l’affermazione di Kayes e McPherson che “una valutazione critica di una misura ‘oggettiva’ evidenzia una serie di limiti potenziali suggerendo che l’apparente disponibilità ad adottare misure ‘oggettive’ povere nell’indagine può essere fuorviante” (2010, p. 1011). Le misure oggettive, infatti, “non sono necessariamente invarianti attraverso le popolazioni” e spesso producono risultati che “mancano di rilevanza clinica” (Kayes e McPherson, 2010, p. 1013); inoltre, il metodo di somministrazione può essere pure influenzato dalla soggettività del professionista.
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Considerati tutti questi aspetti, sembra che più di una “semplicistica dicotomia” tra misure oggettive e soggettive possa essere utile determinare se uno strumento di misura sia o no “adatto allo scopo”. Nell’ATA process l’obiettivo ultimo per assicurare il benessere dell’utente/cliente è raggiunto attraverso l’uso di molti strumenti differenti (misure cliniche, analisi funzionale e valutazioni psico-socio-ambientali). Questi strumenti sono sia soggettivi sia oggettivi ma, in ogni caso, è sempre richiesto un professionista che sia in grado interpretare i risultati. Per queste ragioni, molti professionisti diversi sono coinvolti nell’ATA process sia per rispondere a ciascun tipo di utente/cliente sia per assolvere a ciascuna fase del processo. Nella fase di valutazione delle Funzioni e Strutture Corporee – analisi della diagnosi medica – il team è composto da un medico, uno psicologo, un terapista cognitivo e un optometrista, un audiologo, uno specialista pediatrico e uno geriatrico, quando l’età o la menomazione dell’utente/cliente li richiedono. Nella fase di valutazione dell’attività sono in primo luogo necessari uno psicotecnologo, un terapista occupazionale, un architetto e un ingegnere. Infine, le fasi di Supporto e di Follow-up permettono di valutare la performance dell’utente/cliente (fase della Partecipazione) attraverso il contributo multidisciplinare di un terapista cognitivo, di un educatore speciale, di un terapista occupazionale, di uno psicologo, di un assistente al prodotto, di un patologo del linguaggio (se necessario) e di un fisioterapista.
2.1.4 Ciò che è misurato vs. chi misura: equilibrare il potere della valutazione Oltre a tutto ciò, l’intero processo è “condotto dall’utente”: le misure soggettive non sono considerate soltanto nelle fasi di valutazione dell’Attività o della Partecipazione, ma anche nella diagnosi medica, anche se fare una diagnosi è tradizionalmente caratterizzato dalla prevalenza e dalla precedenza di misure oggettive. Tuttavia, concordiamo con Mezzich (2002), che cita Lain Entralgo (1982): “La diagnosi è più che identificare un disturbo (diagnosi nosologica) o distinguere un disturbo da un altro (diagnosi differenziale); la diagnosi è la reale comprensione di ciò che accade nella mente e nel corpo che si presenta per le cure” (citato da Mezzich, 2002, p. 162). In altre parole rivendichiamo una diagnosi comprensiva che “miri a combinare il meglio della diagnosi categoriale, scientifica e oggettiva, con le caratteristiche uniche, che includono i punti di forza e le risorse così come le difficoltà del singolo paziente” (Fulford e Stanghellini, 2008, p. 10). C’è un’altra questione rilevante che ha un ruolo indubbio nell’attribuire importanza alla prospettiva soggettiva dell’utente/cliente nella misurazione. Come sostengono Brown e Gordon: la misurazione e la valutazione, che avvengono all’interno di contesti sia di ricerca che di servizio clinico, tipicamente implicano uno squilibrio di potere tra i professionisti e le persone con disabilità. Il potere è evidente in chi controlla le decisioni relative alla misurazione e alla cui prospettiva – il valore soggettivo della persona misurata o i valori oggettivi o normativi del misuratore – è dato il primato (2004, p. S13).
Lo squilibrio di potere “può influenzare ‘ciò che di importante’ è in gioco nella misurazione poiché la incapacità di condividere il potere può produrre misure meno
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utili” (Brown e Gordon, 2004, p. S13). Normalmente, lo squilibrio è determinato nella selezione, nell’uso e nell’interpretazione di misure che di solito comprendono le preferenze e le prospettive dei professionisti, ma non quelle dell’utente/cliente. In questo contesto, la persona a cui si applicano le misure può avere posizioni molto differenti su diversi aspetti del funzionamento rispetto alla persona che effettua le misure. Per esempio, la persona che viene misurata “può concordare sul fatto che il reddito sia importante per la sua QOL (Quality of Life) ma non essere d’accordo con l’assunto sociale o normativo che un più alto reddito sia meglio” (Brown e Gordon, 2004, p. S14). Il punto in questione è la relazione professione-utente/cliente. L’ATA process può amplificare lo squilibrio relazionale a causa della presenza di un team multidisciplinare, nel quale ciascun professionista è portatore dei propri valori e preferenze, incrementando esponenzialmente il cono d’ombra sul punto di vista della persona disabile. Tale rischio può essere evitato adottando un approccio condotto dall’utente o una pianificazione centrata sulla persona (Gzil et al., 2007; Holburn e Vietze, 2002; Leplege et al., 2007; Menchetti e Sweeney, 1995; Schalock e Alonso, 2002; Steiner et al., 2002), che ponga il disabile “al centro di uno sforzo di progettazione, spesso includendo un gruppo progettuale (o cerchia di persone) che comprende professionisti del servizio, membri della famiglia e persone della comunità” (Brown e Gordon, 2004, p. S14). Da un punto di vista professionale, cioè dal punto di vista di questo manuale, un ruolo centrale nell’empowerment di colui che è misurato è svolto dallo psicologo in quanto esperto di relazioni umane. Lo psicologo non solo somministra strumenti di misura e interpreta i risultati dei test, ma svolge anche un ruolo chiave sia con il controbilanciare la relazione professionista-disabile, prestando attenzione a colui che ha minor potere in ciascuna fase del processo di valutazione, sia con il facilitare le connessioni tra le differenti prospettive del team dei professionisti.
2.2 Come misurare il funzionamento individuale Lo scopo di questo manuale non è di stabilire un insieme predefinito di strumenti di misura: questo contraddirebbe quando scritto sopra. Ci assumiamo la responsabilità sia di indicare alcuni principi guida nella scelta e nell’applicazione di un insieme di strumenti di misura sia di suggerire alcuni strumenti che, insieme, riteniamo soddisfino questi principi.
2.2.1 Linee guida per la misurazione e la valutazione I principi guida sono i seguenti. •
Lo scopo ultimo dell’ATA process è il miglioramento del benessere soggettivo e della QOL dell’utente/cliente attraverso il miglior abbinamento con una soluzione assistiva.
•
Una diagnosi esaustiva richiede sia un approccio basato sui valori (Fulford e Stanghellini, 2008), insieme a uno basato sull’evidenza, sia una formulazione ideografica personalizzata (Mezzich, 2002), insieme a una valutazione standardizzata.
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•
Nel valutare un insieme di strumenti di misura sarebbe meglio “sacrificare l’affidabilità per la validità (Fulford e Stanghellini, 2008, p. 12). “Chi di noi ha lavorato per diversi decenni a migliorare l’affidabilità dei nostri criteri diagnostici sta ora cercando nuovi approcci alla comprensione dei meccanismi eziologici e fisiopatologici – una comprensione che possa migliorare la validità delle nostre diagnosi e il conseguente potere dei nostri interventi preventivi e di trattamento” (Kupfer et al., 2002, p. xv). L’affidabilità degli strumenti diagnostici è un tema essenziale, ma non garantisce in se stessa la validità del trattamento che è lo scopo primario dei professionisti della riabilitazione.
•
La valutazione del funzionamento dell’utente/cliente dovrebbe comprendere misure oggettive e soggettive per ciascun dominio della salute o correlate alla salute.
•
Durante tutto il processo di misurazione e valutazione il team multidisciplinare dovrebbe prestare attenzione all’“equilibrio di potere”: (i) nelle relazioni utente/ cliente-professionista e (ii) nelle relazioni reciproche tra professionisti.
Gli strumenti di misura che suggeriamo possono essere approssimativamente classificati entro due tipologie: oggettiva e soggettiva. Se l’ICF Checklist (OMS, 2003), qualsiasi core-set dell’ICF e le Vineland Adaptive Behavior Scales (Sparrow et al., 2003) possono essere considerate come misure oggettive, il WHO-Disability Assess ment Schedule II (WHODAS II; WHO, 2004), il Matching Person & Technology Model (MPT; Scherer, 1999), la Canadian Occupational Performance Measure (COPM; Law et al., 2005) e la Support Intensity Scale (SIS; Thompson et al., 2008) facilitano le valutazioni della prospettiva soggettiva dell’utente/cliente.
2.2.2 La misurazione e la valutazione nell’ATA process Nella Figura 2.1 quattro ovali arancioni evidenziano le fasi dell’ATA process nelle quali sono richieste una misurazione e/o una valutazione. Dalla prospettiva dell’ATA process tutti questi strumenti possono essere classificati secondo lo stadio di valutazione nel quale vengono somministrati. Seguendo il processo fase per fase, nello stadio della “Raccolta dati utente” (fase 1), per ottenere una diagnosi e una valutazione esaustive, sia standardizzate sia idiografiche, l’utente/ cliente fornirà una ICF Checklist e/o il core-set dell’ICF riferito alla sua condizione specifica redatto da un medico, la WHODAS II e il SOTU (MPT) autocompilato. In questo stadio dell’ATA process i professionisti non hanno ancora incontrato l’utente cliente e per questo lo psicologo svolge un ruolo chiave durante il “Meeting del team multidisciplinare” leggendo e interpretando tutti i dati forniti (fase 2) sia per valutare il profilo del funzionamento individuale sia per allestire il “Processo di abbinamento”. Nel momento del “Processo di abbinamento” (fase 3), vengono somministrati all’utente/cliente le Vineland Adaptive Behavior Scales (VABS), l’Assistive Technology Device Predisposition Assessment (ATD-PA) e la Support Intensity Scale (SIS). Nella fase del “Processo di abbinamento” per la prima volta l’utente/cliente incontra i professionisti del centro allo scopo di valutare le sue limitazioni dell’Attività, operazionalizzate come “capacità”, e il miglior abbinamento con una soluzione assi-
Figura 2.1 (Vedi inserto a colori.) Il processo di valutazione delle tecnologie assistive (ATA process) e le quattro fasi (ovali arancioni) della misurazione e della valutazione.
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stiva. Infine, negli stadi del “Supporto all’utente” e “Follow-up” (fase 4), il team e l’utente/cliente valutano insieme la Partecipazione, operazionalizzata come performance, verificando periodicamente le necessità dell’utente/cliente di adeguare l’abbinamento o di procedere con un nuovo abbinamento.
2.2.3 Monitorare il funzionamento individuale nel contesto d’uso di una tecnologia assistiva: l’esito dell’ATA process L’analisi dell’esito rappresenta il punto focale del processo di abbinamento con una soluzione assistiva ed è condotto dal team multidisciplinare di un centro ausili. È fondamentale indicare alcuni dei fattori che possono veicolare informazioni importanti sulla pertinenza di una soluzione assistiva per sostituire, aggiornare e supportare la sua adizione da parte dell’utilizzatore e prevenire il suo abbandono. L’esito può essere analizzato attraverso la diagnosi clinica, lo stato funzionale, la qualità della vita, il costo, la soddisfazione (DeRuyter, 1995) e il comfort (Weiss-Lambrou et al., 1999). In particolare, l’analisi di due costrutti multidimensionali consente di descrivere con diversi gradi di intensità l’esperienza dell’utente con la tecnologia assistiva (TA): la soddisfazione (Demers et al., 2000) e il comfort (Kolcaba, 1992). La soddisfazione è un atteggiamento positivo verso fattori psicosociali che concerne le percezioni soggettive, la valutazione e i processi di comparazione (Linder-Pelz, 1982). L’utente può descrivere questo tipo di atteggiamento positivo verso servizi sanitari, prodotti e fornitori e verso le condizioni di salute personali (Weiss-Lambrou, 2002). Il comfort può essere una sensazione fisica, una condizione psicologica o entrambe le cose contemporaneamente (Pearson, 2009), e può essere generalmente riferito come una sensazione piacevole positiva (Kolcaba e Kolcaba, 1991). Un altro parametro da tenere in considerazione è l’ambiente d’uso che coinvolge le caratteristiche dell’utente e gli obiettivi che egli prova a raggiungere con l’adozione della TA. Un’indagine ambientale si focalizza sul sistema persona-ambiente, mentre l’utente interagisce con una data tecnologia (Rust e Smith, 2006). Diversi studi hanno evidenziato il fatto che il tasso di abbandono delle TA può arrivare fino al 75% (Garber e Gregorio, 1990; Gitlin, 1995; Philips e Zhao, 1993; Tewey et al., 1994). Tuttavia, le cause dell’abbandono raramente sono dovute alle caratteristiche dell’ausilio (funzionamento, maneggiabilità e così via) ma riguardano la mancanza di coinvolgimento dell’utente e/o del suo caregiver nel processo di abbinamento. Il processo di abbinamento di una TA deve essere centrato sull’utente e, inoltre, deve mirare a individuare la migliore corrispondenza tra i bisogni del singolo utente e le caratteristiche di una particolare tecnologia disponibile in un determinato periodo storico (Gelderblom et al., 2009). L’abbandono può essere anche dovuto all’inutilità di una TA: per esempio, a causa della guarigione dell’utente, alcuni autori hanno suggerito l’uso del termine “discontinuità” per descrivere un possibile risultato del processo di abbinamento della TA, rimarcando in questo modo che il termine “abbandono” ha una connotazione puramente negativa, mentre il termine “discontinuità” generalmente ha una connotazione neutrale (Lauer et al., 2006). Per tutte queste ragioni, sono stati proposti alcuni strumenti di valutazione capaci di analizzare l’abbinamento con l’ausilio tecnologico e che sono basati sull’ICF
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(Scherer e Craddock, 2002) e sull’approccio centrato sul cliente. I modelli citati evidenziano il fatto che, maggiore è la concentrazione sull’oggetto (la TA), più ci si allontana da un buon abbinamento. In questo modo, il problema di un buon abbinamento risiede soprattutto nel processo di abbinamento piuttosto che solo nella tecnologia in se stessa: infatti, risulta fondamentale coinvolgere sia gli utenti sia i caregiver nel processo di abbinamento con la tecnologia (Long et al., 2003). A partire da questa prospettiva, è possibile distinguere tra la TA come strumento e la TA come servizio. Allo scopo di facilitare sia l’uso della TA sia la possibilità di esaminare la tecnologia scelta, è importante creare una rete di assistenza intorno all’utente all’interno del processo di valutazione. Il Consortium model descrive un processo di abbinamento centrato sulla partecipazione degli utenti e dei caregiver (Long et al., 2003). In questo modello, i familiari dell’utente e gli operatori sanitari intervengono all’avvio del processo di abbinamento (“Valutazione, identificazione degli esiti”), assumendo un ruolo fondamentale nel successivo raggiungimento di un buon abbinamento tra l’utente e la TA, dal momento che l’abbinamento è solo una componente dell’esito. Verza e colleghi (2006) hanno anche suggerito un modello incentrato sul coinvolgimento dell’utente, della sua famiglia e del tema di valutazione. Essi hanno messo in evidenza quattro ragioni principali per spiegare il fenomeno dell’abbandono della TA: 1. cambiamento nelle condizioni di salute; 2. rifiuto della TA; 3. inadeguatezza/assenza di informazione e addestramento; 4. inadeguatezza della TA. Ne consegue che un’analisi attenta dell’esito di una TA è fondamentale per un buon abbinamento.
2.3 Strumenti di misura suggeriti per un ATA process In questo paragrafo, descriviamo gli strumenti consigliati. L’ICF Checklist (OMS, 2003) è stata sviluppata come uno strumento pratico per ottenere impressioni globali dei clinici sulla condizione di un paziente. Essa consente che il profilo di funzionamento di un soggetto sia descritto sulla base di 128 codici selezionati tra le migliaia che compongono l’intero ICF (OMS, 2002). L’ICF Check list non è propriamente uno strumento di misurazione: essa offre la possibilità di “aprire” i codici sulla base dell’identificazione funzionale della persona e, allo stesso tempo, stabilisce se, e in quale misura, l’ambiente agisce come barriera o facilitatore per le attività della persona. L’ICF Checklist è somministrata al paziente o al suo caregiver. È strutturalmente suddivisa in quattro parti: la parte introduttiva, che comprende i dati biografici, il codice dell’ICD-10 (WHO, 1992) e un’indicazione della fonte delle informazioni raccolte; la prima parte contiene una lista di codici di Fun-
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zioni Corporee (b) e di Strutture Corporee (s); la seconda parte contiene una lista di codici per Attività e Partecipazione (d); infine, la terza parte contiene una lista di codici relativi ai Fattori Ambientali (e). Un core-set dell’ICF (condizione-specifico) può essere definito come una selezione di domini dell’ICF che include il minor numero possibile di domini per essere pratico, ma tanti quanti ne sono richiesti per essere sufficientemente esaustivo da coprire lo spettro prototipico di limitazioni nel funzionamento e nella salute che si incontrano in una condizione specifica (Stucki et al., 2002, p. 281).
Al contrario, un core-set dell’ICF generico consente una comparazione della salute tra condizioni differenti dal momento che i suoi domini rappresentano “i domini più rilevanti che includano il minor numero possibile di domini per essere pratico, ma tanti quanti ne sono richiesti per essere sufficientemente esaustivo da coprire lo spettro generale di limitazioni nel funzionamento e nella salute” (Stucki et al., 2002, p. 281). Le VABS (Sparrow et al., 2005) sono progettate per valutare il livello adattivo del funzionamento personale e sociale di un individuo, disabile o no. In altre parole, misurano il comportamento adattivo, principalmente in termini di competenze sociali. La valutazione della competenza sociale è effettuata da una prospettiva evolutiva e le scale sono normalizzate su campioni di maschi e femmine di età compresa tra lo gli 0 e i 90 anni. Ci sono attualmente quattro versioni delle VABS: la Survey Interview Form, la Parent/Caregiver Rating, la Teacher Rating e la Expanded Interview Form (Intervista – Forma completa1) (Sparrow et al., 2005). La Survey Interview Form è somministrata a un genitore o a un caregiver nel formato di un’intervista semistrutturata. Le domande a risposte aperte consentono di ottenere maggiore informazione in profondità e facilitano la relazione tra l’intervistatore e il rispondente. La Parent/ Caregiver Rating Form differisce dalla Survey Interview per il fatto che utilizza un format di attribuzione di punteggi ed è la scelta migliore quando il tempo o l’accessibilità sono limitati. La Parent/Caregiver Rating Form è un buono strumento per monitorare il progresso quando la valutazione iniziale è stata effettuata attraverso la Survey Interview Form. La Expanded Interview Form (Intervista – Forma completa) ha più item rispetto alla Survey Interview Form ed è indicata per età da 0 a 5 anni o per implementare specifiche pianificazioni per individui a basso funzionamento. La Teacher Rating Form valuta il comportamento adattivo degli studenti. Ha il formato di un questionario ed è completata dall’insegnante o dal caregiver. Questo formato differisce dalla Survey Form per il fatto che copre anche contenuti che un insegnante osserverebbe più facilmente in una classe. Le VABS consistono di scale multiple organizzate attorno a quattro domini comportamentali: Comunicazione (Ricezione, Espressione e Scrittura), Abilità quotidiane (Personale, Domestico e Comunità), Socializzazione (Relazioni interpersonali, Gioco e tempo libero e Regole sociali) e Abilità motorie (Grossolane e Fini applicabili solo a bambini sotto i 6 anni di età). C’è anche un quinto dominio, il Comportamento Maladattivo, ma questo è una parte
1 Attualmente risulta disponibile in italiano solo la versione “Intervista – Forma completa” (Sparrow et al., 2003).
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opzionale del test di valutazione. Le VABS sono somministrate uno psicologo (o da un operatore addestrato) nel formato dell’intervista semistrutturata. Le VABS hanno una buona validità concorrente sia con il test Stanford-Binet sia con la Scala di Intelligenza Wechsler per Bambini. Sono uno strumento utile per la valutazione del comportamento adattivo nelle disabilità intellettive e dello sviluppo, nei disturbi dello spettro autistico (DSA), nel disturbo da deficit d’attenzione e iperattività (ADHD), nei danni cerebrali post-traumatici, nelle menomazioni dell’udito, nella demenza e nella malattia di Alzheimer. L’MPT è un modello e un “insieme di misure centrate sulla persona, ciascuna delle quali esamina le prospettive autoriportate di clienti adulti relative alla forza/ capacità, necessità/obiettivi, preferenze e caratteristiche psicosociali e benefici tecnologici attesi. Ci sono misure separate per l’uso della tecnologia in generale, e cioè per l’uso assistivo, educativo, lavorativo e sanitario” (Scherer e Craddock, 2002, p. 125). Gli strumenti dell’MPT prendono in considerazione gli ambienti nei quali la persona utilizza la tecnologia, le caratteristiche e le preferenze individuali e le caratteristiche e le funzioni della tecnologia. Tutte queste componenti sono analizzate e considerate perché, anche se una specifica tecnologia o insieme di tecnologie può apparire la scelta migliore per una particolare persona, l’assenza di supporto adeguato o alcuni tratti del profilo di personalità del cliente possono determinare il fallimento dell’abbinamento. L’MPT è un processo guidato dall’utente ed è programmata una valutazione del grado di concordanza tra la prospettiva dell’utente e quella del fornitore. Inoltre, la qualità della vita del cliente è un fattore che orienta la valutazione delle influenze sperimentate dall’utente quando utilizza una specifica tecnologia. Nel processo di misurazione condotto attraverso gli strumenti dell’MPT, la ricognizione precoce di un abbinamento inappropriato è cruciale. Questo limiterà il fenomeno di abbandono dell’ausilio e ridurrà i sentimenti di delusione e frustrazione a esso legati. L’insieme degli strumenti dell’MPT include un foglio di lavoro, il SOTU (Survey of Technology Use), l’ATD-PA (Assistive Technology Device Predisposition Assessment), l’ET-PA (Educational Technology Predisposition Assessment), la WT-PA (Workplace Technology Predisposition Assessment) e l’HCT-PA (Health Care Technology Predisposition Assessment). Gli strumenti inclusi nell’MPT sono in doppio formato, uno per l’utilizzatore di tecnologia e l’altro per l’operatore che propone la tecnologia (counselor, terapista, insegnante, impiegato o formatore). Il modello dell’ATA process raccomanda in particolare l’uso del SOTU e dell’ATD-PA. Il SOTU aiuta a identificare le tecnologie che una persona sente come confortevoli o con le quali ha sperimentato un vantaggio nell’uso in modo tale che una nuova tecnologia possa essere costruita attorno al comfort o al vantaggio già sperimentati dall’utente. Questo strumento esplora il tipo di tecnologia che il cliente già utilizza, la sua esperienza, sia passata sia presente, e il suo punto di vista sulla tecnologia attualmente utilizzata. Oltre a ciò il SOTU valuta alcune caratteristiche personali e sociali dell’utente. Il cliente e l’operatore compilano ognuno la propria versione in modo indipendente. Tuttavia, l’operatore risponde cercando di immaginare le risposte del cliente. Dopo la somministrazione, il cliente e l’operatore discutono le discrepanze critiche tra le due versioni compilate. L’ATD-PA è utile per selezionare la soluzione assistiva più appropriata. Ciascun ATD-PA (ATD-PA-Cliente e ATD-PA-Operatore) è diviso
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un due parti: la prima parte deve essere compilata solo una volta, mentre la seconda parte deve essere compilata per ciascuna tecnologia. Nella versione per il cliente, a quest’ultimo è richiesto di autovalutare le proprie capacità e performance e alcuni tratti di personalità. Inoltre, il cliente indica le sue sensazioni legate all’utilizzo di una particolare TA. Per quanto riguarda la parte dell’operatore, questi deve (i) elencare quali fattori e in quale grado siano un incentivo o un ostacolo all’uso di una specifica tecnologia, (ii) valutare se le risorse del cliente siano o no adatte alle caratteristiche della tecnologia specifica e, infine, (iii) valutare quali tratti di personalità del cliente sono implicati in modo particolare nell’uso di una specifica tecnologia. La WHODAS II (WHO, 2004) valuta la disabilità da una prospettiva differente da quella degli ordinari strumenti di misura. Infatti, mentre l’ICF Checklist fu sviluppata come uno strumento pratico per raccogliere le impressioni globali dei clinici sulle condizioni di un paziente e per registrare le informazioni sul funzionamento e la disabilità, la WHODAS II valuta la natura di una disabilità direttamente dalle risposte del paziente. Perciò, l’ICF Checklist offre una visione esterna (oggettiva) sulla disabilità, mentre la WHODAS II una interna (soggettiva). La WHODAS II valuta le limitazioni dell’attività e le restrizioni nella partecipazione che sono sperimentate da un individuo, indipendentemente da una diagnosi medica. Specificamente, lo strumento è costruito per valutare il funzionamento dell’individuo in sei domini di attività: 1. compire e comunicare; 2. spostamenti; 3. cura personale; 4. interagire con le persone; 5. attività quotidiane; 6. vita sociale. Ci sono diverse forme di WHODAS II, ciascuna delle quali è stata strutturata in relazione al numero di item (6, 12, 24, 12 + 24 e 36), ai modi di somministrazione (autosomministrata o somministrata dall’intervistatore) e a colui che viene intervistato (paziente, medico, caregiver). In ogni caso, la WHO raccomanda l’uso della forma a 36 item, somministrata da un intervistatore, per completezza. Ai partecipanti che sono intervistati viene richiesto di indicare il livello di “difficoltà” sperimentata (nessuna, media, moderata, severa, estrema), prendendo in considerazione il modo in cui normalmente essi svolgono una data attività e includendo l’uso di qualunque supporto e/o aiuto fornito da una persona (ausili). Per ciascun item che riceve una risposta positiva, la domanda successiva chiede il numero di giorni (“negli ultimi 30 giorni”) nei quali l’intervistato ha incontrato tale difficoltà, nei termini di una scala ordinale a 5 punti: (1) solo 1 giorno; (2) fino a una settimana = da 2 a 7 giorni; (3) fino a 2 settimane = da 8 a 14 giorni; (4) più di 2 settimane = da 15 a 29 giorni; (5) tutti i giorni = 30 giorni. Quindi alla persona viene chiesto quanto le difficoltà abbiano interferito con la sua vita. I partecipanti devono rispondere alle domande facendo riferimento ai seguenti criteri:
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1. grado di difficoltà (maggiore sforzo, fastidio o dolore o lentezza e differenze nel modo in cui effettua l’attività); 2. condizioni di salute (infermità, malattie o altri problemi di salute, lesioni, problemi mentali o emotivi, problemi con l’alcool, problemi con la droga); 3. gli ultimi 30 giorni; 4. la media tra giorni buoni e giorni cattivi; 5. il modo in cui usualmente lei svolge l’attività. Gli item che si riferiscono ad attività non sperimentate negli ultimi 30 giorni non vengono inclusi (per ulteriori informazioni vedi Federici e Meloni, 2010a, 2010b; Federici et al., 2009). La COPM (Law et al., 2005) è uno strumento di misura individualizzato centrato sul cliente e volto a identificare cambiamenti nell’autopercezione di una performance occupazionale da parte di un cliente nel corso del tempo. Permette all’utente/cliente di formulare obiettivi individualizzati per la terapia occupazionale e di dare voce alle sue sensazioni sull’appropriatezza delle sue performance, sulla soddisfazione nella partecipazione e sull’importanza di ciascun obiettivo della sua vita. Il focus specifico della COPM sui problemi identificati dal cliente è volto a facilitare un goal setting collaborativo tra il terapista e il cliente. La COPM è somministrata attraverso un’intervista semistrutturata. “Una volta che i clienti hanno identificato i loro problemi, essi valutano le loro percezioni dell’importanza di ciascuna attività su una scala da 1 a 10. Da questa lista, i clienti scelgono fino a cinque problemi sui quali desiderano focalizzarsi durante la terapia occupazionale. Quindi, per ciascun problema, i clienti valutano la performance e la soddisfazione della performance, di nuovo utilizzando una scala da 1 a 10. Punteggi più alti indicano maggiore importanza, performance e soddisfazione. I punteggi di performance e soddisfazione delle attività selezionate sono sommati e viene calcolata la media sul numero totale dei problemi per produrre punteggi su base 10” (Carswell et al., 2004, p. 211). La COPM è utilizzata come uno strumento di valutazione nella terapia occupazionale. Dopo una valutazione iniziale del cliente e dopo un periodo di terapia, l’intervista è nuovamente somministrata. Se ci sono cambiamenti nei punteggi che eccedono in valore di 2, il cambiamento è considerato clinicamente significativo. “Dal momento della sua prima pubblicazione nel 1991, la COPM ha avuto due successive edizioni ed è stata ufficialmente tradotta in 20 lingue. È utilizzata dai terapisti occupazionali in più di 35 paesi in tutto il mondo” (Carswell et al., 2004, p. 210). La SIS (Thompson et al., 2004) è uno strumento di valutazione standardizzato sviluppato dalla AAIDD (American Association of Intellectual and Developmental Disabilities) che misura la configurazione e l’intensità di sostegno di cui un individuo ha bisogno. Più che un test diagnostico, è un utile strumento per costruire un piano individualizzato centrato sull’utente. Lo sviluppo della SIS è compatibile con la definizione ufficiale di “disabilità intellettiva” sostenuta dall’AAIDD nel 2010. Questa definizione non contiene più l’espressione “ritardo mentale”, come era in uso fino alla
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penultima del 2002 (Schalock et al., 2007). Questo cambiamento riflette il passaggio dalla percezione della disabilità come un “deficit” a un’altra prospettiva, centrata sull’ottimizzazione del funzionamento. L’ultima definizione fornita risale al 2010: “La disabilità intellettiva è caratterizzata da limitazioni significative sia nel funzionamento intellettivo sia nel comportamento adattivo come espresso in abilità adattive, concettuali, sociali e pratiche. Questa disabilità ha origine prima dei 18 anni di età” (Schalock et al., 2010). La SIS completa la 11a edizione della Definition, Classification and Systems of Support for People with intellectual and developmental disabilities, edita dall’AAIDD, uno strumento che consente di tradurre in pratica la definizione teorica del modello basato sul sostegno. Tale modello è concettualmente compatibile con l’ICF (Schalock et al., 2010). I domini dell’ICF delle Funzioni Corporee (menomazione del funzionamento intellettivo) e delle Attività (limitazioni nel comportamento adattivo) sono direttamente correlati alla definizione di disabilità intellettiva dell’AAIDD. Nei due sistemi la persona è considerata come un intero all’interno del contesto delle capacità personali e delle aspettative e delle risorse di sostegno dell’ambiente. La principale differenza è che l’ICF è un modello generale di disabilità, mentre l’AAIDD System è specifico della disabilità intellettiva. La SIS consiste di tre sezioni che misurano la configurazione dell’intensità del sostegno in sei domini di Attività di Vita (vita nell’ambiente domestico, vita nella comunità, insegnamento ed educazione, occupazione, salute e sicurezza, attività sociali), nella protezione e tutela legale e in 16 condizioni mediche e 13 comportamentali non ordinarie. In totale, sono misurate 57 diverse attività di vita. Lo strumento è somministrato come un’intervista semistrutturata con l’utente/cliente e almeno altre due persone che preferibilmente vivono con l’utente/cliente, come un genitore e/o un caregiver. Ogni altro rispondente dovrebbe aver osservato la persona in uno o più ambienti per un periodo di tempo congruo. La scala gradua ciascuna attività secondo la frequenza, la quantità e il tipo di sostegno. Infine, viene determino un Livello di intensità del Sostegno basato sull’Indice Totale dei Bisogni di Sostegno, che è un punteggio standard generato dai tutti i punteggi degli item compresi nella scala.
2.3.1 Strumenti di analisi dell’outcome Il principale obiettivo del team multidisciplinare, dopo l’erogazione della TA, è di misurare e monitorare costantemente l’efficacia, l’efficienza e la sicurezza (appropriatezza) dell’abbinamento AT-utente/cliente per: (i) fornire sostegno all’utente/ cliente; (ii) garantire il suo massimo livello di autonomia nel corso del tempo e (iii) giustificare le risorse utilizzate. L’“efficacia di un dispositivo tecnologico è determinata dall’effetto risultante dal suo uso confrontato con l’effetto atteso” (Gelderblom e de Witte, 2002). Al fine di spiegare le ragioni per le quali una TA è utilizzata, in disuso o abbandonata, di spiegare l’evoluzione nel corso del tempo della soluzione assistiva e, inoltre, di creare e migliorare i programmi di intervento in campo riabilitativo, è necessario identificare e analizzare la fonte della soddisfazione/insoddisfazione, comfort/scomo-
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dità dell’utente. In generale, l’analisi dei risultati ottenuti dal processo di abbinamento è fondamentale per scegliere la soluzione migliore, specialmente se si presenta qualche problema nel corso della valutazione. Durante gli ultimi anni, sono stati elaborati alcuni strumenti finalizzati alla misurazione dell’outcome degli ausili. Tuttavia, il corrispondente campo di ricerca cresce lentamente e gli strumenti attualmente utilizzati non analizzano ogni aspetto del processo di abbinamento con la TA, in quanto sono capaci unicamente di indagare alcune dimensioni correlate con la qualità della vita (per esempio soddisfazione, comfort e così via). Tra gli strumenti di misura più frequentemente utilizzati possiamo includere l’MPT (Scherer, 1999; Scherer e Craddock, 2002) e la COPM (Law et al., 1990; Law et al., 2005). Il questionario Quebec User Evaluation of Satisfaction with assistive Technology (QUEST; Demers et al., 2002) misura la soddisfazione dell’utente/cliente nell’uso di una TA. Può essere somministrato ad adolescenti, adulti e anziani, con disabilità fisiche o sensoriali. Il background teorico dello strumento è costituito dal modello MPT (Scherer, 1998). Diversi anni di elaborazione e ricerca hanno confermato la sua affidabilità e validità psicometrica come misura dell’outcome della soddisfazione dell’utente/cliente riguardo alla tecnologia assegnata. Il QUEST non valuta la performance dell’utente con un ausilio ma, piuttosto, misura la sua soddisfazione riguardo alle caratteristiche dell’ausilio, così come alle caratteristiche specifiche dei servizi correlati alla tecnologia e all’abbinamento. Lo strumento non è utile solo per i professionisti e i ricercatori, ma anche per i progettisti, i costruttori e i rivenditori di TA. Il questionario è autosomministrato e richiede circa 10-15 minuti per essere completato. I requisiti minimi di scrittura per la compilazione sono la capacità di segnare la risposta su una scala a punti e di scrivere un commento. I tre principali obiettivi del QUEST sono: (i) valutare il grado di soddisfazione che l’utente attribuisce agli otto item relativi all’ausilio e ai quattro item relativi ai servizi; (ii) indentificare le cause di soddisfazione o insoddisfazione dell’utente; (iii) determinare quali aspetti della soddisfazione sono considerati più importanti dall’utente nel valutare l’ausilio. I 12 item sulla soddisfazione sono suddivisi in due parti: 8 item sono relativi all’ausilio (dimensione, peso, regolazione, sicurezza, durabilità, facilità d’uso, comfort e efficacia) e 4 item sono relativi ai servizi. Ciascun item è valutato attraverso una scala Likert a 5 punti con valori compresi tra 1 (per niente soddisfatto) a 5 (molto soddisfatto). Per esplorare le ragioni della soddisfazione/insoddisfazione dell’utente è stato inserito uno spazio per i commenti accanto a ciascun item. Dopo la compilazione dei 12 item, l’utente/cliente sceglie, all’interno di un’altra lista di 12 item che ripropone i medesimi contenuti sulla soddisfazione della precedente, i tre che ritiene più importanti per la sua soddisfazione. Il QUEST, a seconda del contesto, può essere compilato dal valutatore o dall’utente se il valutatore è sicuro della comprensione degli item da parte dell’utente. Se l’utente/cliente non possiede le abilità motorie, sensoriali o cognitive richieste per completare il questionario, il professionista può intervistarlo chiedendogli di rispondere verbalmente o di indicare il numero scelto sulla scheda di valutazione ingrandita. Se l’utente è di età compresa tra gli 0 e i 12 anni, un familiare o un caregiver può rispondere al suo posto. Il QUEST fornisce tre punteggi: uno per l’ausilio, uno per i servizi e un punteggio totale. Il punteggio totale è utile per le
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comparazioni con altre misure della soddisfazione e per determinare il peso del punteggio di ciascuna sottoscala sulla soddisfazione globale. Ciascun punteggio può variare da 1,00 = totalmente insoddisfatto a 5,00 = totalmente soddisfatto. La valutazione non è considerata valida se l’utente non risponde a più di sei item. La Psychosocial Impact of Assistive Devices Scale (PIADS; Day e Jutai, 1996; Jutai e Day, 2002) è un questionario autosomministrato elaborato per valutare gli effetti di un ausilio sull’indipendenza funzionale, il benessere e la qualità della vita. La PIADS è composta da tre sotto-questionari che si concentrano su: (i) abilità, che misura la percezione dell’utente della propria competenza; (ii) adattabilità, che misura il desiderio dell’utente di esplorare nuove esperienze; (iii) autostima, che indaga le emozioni dell’utente come la felicità, il senso di sicurezza e la fiducia in se stessi. Il sotto-questionario sull’abilità è composto da 12 item che indagano l’efficacia delle abilità generali (sensazione di adeguatezza, efficienza e capacità personal e così via). Il sotto-questionario sull’adattabilità consiste di 6 item che hanno lo scopo di indagare la predisposizione dell’utente/cliente verso l’assunzione di rischi e il provare nuove esperienze e le sue sensazioni percepite di benessere. Il sotto-questionario sull’autostima è composto da 8 item che sono relativi a sensazioni generali sulla salute emotiva, l’autostima, la felicità, la forza e il controllo. Questo questionario può essere utilizzato per valutare l’impatto della TA e del processo di riabilitazione. Può essere, inoltre, utilizzato sia per valutare l’impatto degli ausili, indipendentemente da limiti temporali, sia come strumento di comparazione tra ausili e utenti. La PIADS può essere somministrata sia ad adulti, sia a bambini di età superiore a 10 anni. Il tempo di compilazione è approssimativamente di 5 minuti. Ai partecipanti è richiesto di leggere una lista di parole o frasi che descrivono in che modo l’utilizzo di un ausilio può influenzare la loro vita. Ciascun item è valutato su una scala Likert a 7 punti da –3 = totalmente falso a +3 = totalmente vero per indicare il livello percepito di influenza della TA. Diversamente da molti degli elementi che hanno valori positivi, 3 item – confusione (5), frustrazione (10) e imbarazzo (21) – hanno un punteggio negativo. Ai partecipanti è richiesto di compilare il questionario barrando la casella che meglio rappresenta il livello al quale sentono di essere influenzati nell’utilizzo dell’ausilio assegnato. La PIADS può essere utilizzata anche per valutare le aspettative dell’utente sul dispositivo. Il questionario può essere compilato da un utente o un caregiver e può essere esaminato manualmente o con una tabella specifica che agevola questo processo. L’Individual Prioritised Problem Assessment (IPPA; Wessels et al., 2002) è uno strumento che valuta sia l’efficacia della fornitura della TA sia “in quale misura i problemi identificati da un singolo utente di tecnologia assistiva nelle sue attività di vita quotidiane sono stati ridimensionati in seguito alla fornitura della tecnologia assistiva” (Wessels et al., 2002, p. 141). Lo strumento è centrato sull’utente/cliente dal momento che valuta l’efficacia in relazione alle operazioni considerate da lui rilevanti. L’IPPA consente di controllare le variazioni nel corso del tempo. All’intervista di apertura segue un’intervista telefonica di follow-up dopo almeno tre mesi dalla fornitura della TA. L’intervista iniziale dura tra i 10 e i 30 minuti, mentre la conversazione di follow-up richiede meno di 15 minuti. Durante l’intervista iniziale l’utente/cliente deve “identificare i problemi che ha sperimentato nella vita quotidia-
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na e che spera di eliminare o di ridimensionare come risultato della fornitura della TA” (Wessels et al., 2002, p. 142). All’utente/cliente è quindi richiesto di identificare fino a 7 problemi e per ciascuno di questi di completare un questionario IPPA. Per ciascun problema, i punteggi sono assegnati utilizzando una scala Likert a 5 punti, laddove i punteggi riflettono l’importanza data dall’utente/cliente alle attività e la difficoltà associata con la loro esecuzione. Il punteggio totale accumulato è calcolato sommando il prodotto dei punteggi di “Importanza” per i punteggi di “Difficoltà” per ciascun problema e dividendo il risultato per il numero totale dei problemi. Il valore ottenuto è “la media totale del disagio percepito esperito dal cliente in relazione ai problemi connessi alle attività quotidiane” (Wessels et al., 2002, p. 142). Maggiore è il punteggio, più un individuo percepisce la propria vita come disturbata da questi problemi. Il punteggio IPPA viene ricalcolato durante l’intervista di follow-up quando l’utente/cliente riassegna il punteggio di “Difficoltà” per ciascun problema riportato nell’intervista iniziale. I problemi mantengono il valore di importanza che è stato assegnato durante la prima intervista. La differenza tra il punteggio IPPA totale prima e dopo la fornitura di TA indica l’“efficacia” dell’abbinamento ed evidenzia qualsiasi cambiamento nella scomodità percepita riguardo ai problemi segnalati. I punteggi, inoltre, indicano un livello di soddisfazione che l’utente/cliente ha in relazione alle sue aspettative iniziali. La Family Impact of Assistive Technology Scale (FIATS; Ryan et al., 2006) misura gli effetti multidimensionali di un ausilio sulle famiglie che hanno un bambino con disabilità attraverso 8 costrutti correlati (raggruppati in sotto-scale), che includono l’autonomia del bambino, l’assistenza del caregiver, l’appagamento del bambino, l’esecuzione di attività, la fatica dei genitori, l’interazione familiare e sociale, la supervisione del caregiver e la sicurezza. Questi costrutti analizzano le aree della vita del bambino e della famiglia che possono essere influenzate dalla TA, come il livello al quale un bambino può compiere attività in modo indipendente (autonomia), il modo in cui egli interagisce con gli altri (interazione familiare e sociale) e qualsiasi richiesta di attenzione dai membri della famiglia (supervisione). I genitori compilano la FIATS indicando il loro grado di accordo/disaccordo con 64 item per mezzo di una scala Likert a 7 punti. Inoltre, la FIATS contiene elementi di una sotto-scala indipendente (accettazione della tecnologia) per misurare la recettività generale dei genitori ai dispositivi di TA per i loro figli. I 64 item sono suddivisi in 9 sotto-scale. Il punteggio finale della FIATS è calcolato dalla somma delle medie delle 8 sotto-scale. Punteggi crescenti indicano un impatto globale positivo sulle vite delle famiglie dei bambini, mentre punteggi decrescenti suggeriscono un effetto negativo. L’Assistive Technology Outcomes Measurement System (ATOM; Lauer et al., 2006; Weiss-Lambrou, 2002) è una misura specifica dei dispositivi che è stata sviluppata per venire incontro alla necessità di uno strumento clinico pratico per valutare l’usabilità della TA e i servizi. Esso consiste di 19 domande che misurano 7 costrutti: 1. uso e comunità (quanto spesso un dispositivo di TA è utilizzato dentro e fuori casa); 2. comfort nell’utilizzo di un dispositivo;
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3. inconvenienti (difficoltà nella configurazione, nell’uso e nella manutenzione di un dispositivo); 4. valutazione autopercepita del funzionamento; 5. assistenza e oneri di manutenzione (assistenza richiesta per la configurazione e uso del dispositivo e assistenza per le attività funzionali previste dal dispositivo di TA); 6. soddisfazione per il servizio (puntualità, comunicazione, cortesia, accessibilità, professionalità); 7. conoscenza dell’utente della TA. Oltre agli strumenti sopra descritti, è necessario menzionare uno studio che aiuta a valutare la qualità dell’abbinamento attraverso linee guida di un processo: Empowering USers Through Assistive Technology (EUSTAT; Andrich e Besio, 2002; EUSTAT 1999). Si tratta di uno studio condotto nel periodo 1997-99 nell’ambito del Telematics Application Programme della Commissione Europea, che affronta i bisogni educativi degli utenti finali di TA. Esso ha prodotto materiale educativo per le persone con disabilità, membri delle loro famiglie e assistenti personali, così come linee per coloro che organizzano iniziative educative che facilitano l’empowerment degli utenti finali, aiutandoli a compiere scelte di TA informate, appropriate e responsabili. L’EUSTAT aveva un orientamento sia tecnologico sia sociale: esso nasceva dall’idea che le persone con disabilità devono partecipare attivamente alla scelta delle loro TA, promuovendo in tal modo pari opportunità e introducendo anche un controllo diretto da parte dell’utente finale sulla qualità dei servizi e dei prodotti di TA.
2.4 Conclusioni Nel presente capitolo abbiamo affrontato una duplice questione aperta, riguardante la misurazione del funzionamento individuale. Abbiamo, cioè, cercato di rispondere a queste due domande: che cosa misura il funzionamento individuale e come dovrebbe essere misurato? La prima parte è focalizzata sulla grande questione di quali variabili siano utilizzate come stime nella misura del funzionamento e della disabilità, mentre la seconda parte tratta le linee guida e gli strumenti per la misurazione del funzionamento individuale. Questi temi derivano dalla natura del concetto di disabilità; in altre parole, esso è un costrutto complesso e una “esperienza multidimensionale [che] pone diverse sfide alla misurazione” (WHO e World Bank, 2011, p. 21). Una comparazione tra differenti rapporti nazionali e internazionali sulla disabilità nel corso del tempo mostra che ciascuna misura è differente e dà luogo a stime diverse sulla prevalenza del fenomeno, non solo tra paesi diversi, ma anche all’interno dello stesso paese nello stesso tempo. Molti aspetti differenti possono determinare la variazione delle misure operative della disabilità secondo la nozione prevalente di disabilità, lo scopo della misurazione e l’applicazione, le caratteristiche indagate della disabilità e “le definizioni, il tipo di domande, le fonti di informazione, i metodi di raccolta dei dati e le aspettative di funzionamento” (WHO e World Bank, 2011, p. 21). Per tutte queste ragioni, il World Report on Disability (WHO e World Bank,
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2011) ha fatto alcune raccomandazioni al fine di migliorare la disponibilità e la qualità dei dati sulla disabilità, tra cui: (i) l’adozione dell’ICF come una cornice universale per la raccolta di dati sulla disabilità; (ii) il miglioramento delle statistiche nazionali sulla disabilità; (iii) il miglioramento della comparabilità dei dati; (iv) lo sviluppo di strumenti appropriati per colmare i vuoti della ricerca. Riguardo all’ultimo punto, il World Report on Disability ha suggerito lo sviluppo di “misure migliori dell’ambiente e del suo impatto sui differenti aspetti della disabilità” (WHO e World Bank, 2011, p. 46) e l’associazione della valutazione dell’esperienza della disabilità con la misurazione del “benessere e qualità della vita delle persone con disabilità” (WHO e World Bank, 2011, p. 47). Un altro punto cruciale della misurazione complica ulteriormente il problema. Secondo Zola (1993), ogni tentativo di identificare misure standard della disabilità riflette, più di ogni altra cosa, lo sforzo di considerare la disabilità come un’entità statica e dicotomica. Al contrario, il modello universale di disabilità di Zola indica la disabilità stessa con un’esperienza fluida e continua. In accordo al punto di vista di Zola, il World Report on Disability sottolinea ripetutamente questo aspetto, utilizzando la parola “esperienza” in relazione alla disabilità ed enfatizzando una dimensione soggettiva che non è riducibile e non è dovuta al livello di misurazione oggettiva del funzionamento e della disabilità. La disabilità non è un insieme di caratteristiche immutabili che definiscono una persona rispetto a un’altra o che sono prevedibili in base a una semplice diagnosi medica, dal momento che essa non è sempre una conseguenza diretta di una malattia; invece, si tratta di un processo multidimensionale che dura una vita intera e coinvolge le sfere fisica, psicologica e sociale degli individui. Dal momento che è un costrutto multidimensionale, anche la sua misurazione deve essere multidimensionale. Pertanto, un principio basilare di misurazione della disabilità non è nemmeno desiderabile. Al contrario, una varietà di strumenti di misura unitamente alla flessibilità necessaria per modificare le procedure di misurazione, onde adattarle a differenti persone, contesti e scopi, costituiscono gli elementi indispensabili per configurare l’approccio scientifico e clinico più affidabile. In questo capitolo, abbiamo seguito l’approccio secondo il quale lo scopo della misurazione è il principio guida per individuare una definizione operativa e per la scelta di un insieme coerente di strumenti di misura. Infatti, tale approccio non stabilisce un insieme predefinito di strumenti, ma indica alcuni principi guida nella scelta e nell’applicazione di un insieme di misure e nel suggerire alcuni strumenti che si adattino al fine ultimo dell’ATA process, cioè “[di rivolgersi], in uno specifico contesto d’uso, al benessere personale dell’utente attraverso il migliore abbinamento tra l’utente/cliente e la soluzione assistiva” attraverso “misure cliniche, analisi funzionale e valutazioni psico-socio-ambientali (vedi l’Introduzione alla Parte 1). Gli strumenti proposti e descritti in questo capitolo appartengono alle seguenti principali due tipologie: misure del funzionamento individuale e misure dell’outcome. La scelta degli strumenti presentati ha lo scopo di fornire misure che consentano di ottenere dati oggettivi e comparabili secondo modalità che colgano più efficacemente la dimensione soggettiva dell’esperienza della disabilità.
Capitolo
3
Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive
F. Corradi, M.J. Scherer, A. Lo Presti
In questo capitolo viene presentato il modello di valutazione delle tecnologie assistive (ATA process). Il modello dell’ATA process delinea un processo ideale che fornisce le linee guida di riferimento sia per i centri ausili pubblici sia privati, permettendo loro di confrontare, valutare e migliorare il proprio modello di abbinamento. Le azioni richieste dal modello dell’ATA process ai centri ausili possono essere suddivise in quattro fasi fondamentali: i) l’accesso alla struttura e l’attivazione del processo; ii) la valutazione e la selezione delle TA; iii) la consegna e iv) il follow-up. L’ATA è un processo condotto dall’utente (user-driven) attraverso il quale la selezione di una o più TA è facilitata dall’utilizzo di adeguate misure cliniche, dall’analisi funzionale e dalla valutazione psico-socio-ambientale che riguardano, in uno specifico contesto d’uso, il benessere personale dell’utente attraverso il miglior abbinamento di utente/cliente e soluzione assistiva (Scherer et al., 2012). Poiché l’ATA process e il modello MPT condividono sia una metodologia di lavoro condotta dall’utente (user-driven) sia il modello biopsicosociale dell’ICF, possono essere integrati all’interno di un percorso volto al migliore abbinamento della TA affinché questa possa promuovere il benessere personale dell’utente/cliente.
3.1 Introduzione La World Health Organization (WHO), nel Disability and Rehabilitation Action Plan 2006-2011 (2006), riferisce che circa il 10% della popolazione mondiale vive l’esperienza di una qualche forma di disabilità temporanea o permanente. Il documento mette in evidenza come le tecnologie assistive (TA) possano essere un valido aiuto per le persone con disabilità “per aumentare il loro livello di indipendenza nella vita quotidiana e per esercitare i loro diritti” (WHO, 2006, p. 5, corsivo nell’originale). Per raggiungere questo obiettivo, sono necessari lo sviluppo, la produzione, la distribuzione e il supporto nell’uso delle TA. In particolare, tra gli obiettivi del WHO in quest’area sono presenti: •
il supporto agli Stati membri nello sviluppo di politiche nazionali sulle TA;
•
il supporto agli Stati membri nella formazione del personale, a tutti i livelli, nel campo delle TA, soprattutto nell’area delle protesi e delle ortesi;
•
la promozione e la divulgazione della ricerca sulle TA.
Tali impegni sono inseriti all’interno del World Report on Disability (WHO, 2011).
50 Capitolo 3
Accanto però a questi indirizzi di intenti, diversi studi evidenziano un tasso medio di abbandono delle TA, da parte di chi ne ha ricevuta almeno una, di circa il 30% entro il primo anno di utilizzo, con una variabilità a seconda della loro tipologia (Philips e Zhao, 1993; Scherer, 1998; Kittel et al., 2002; Scherer et al., 2004, 2005; Dijcks et al., 2006). Uno studio recente (Federici e Borsci, 2011) ha evidenziato un tasso di abbandono di TA di circa il 25% all’interno di un percorso pubblico di prescrizione di TA, e un tasso di abbandono del 12% all’interno di un progetto riabilitativo. Quale causa dell’alto tasso di abbandono/non uso di TA all’interno del percorso pubblico di prescrizione, gli autori individuano l’assenza di un processo centrato sull’utente e/o l’assenza dei servizi di post fornitura di TA, quali il supporto e il training all’uso come già evidenziato in studi precedenti (Philips e Zhao, 1993; Judge, 2002; Scherer e Craddock, 2002; Lauer et al., 2006). Tuttavia, sempre la WHO evidenzia che solo il 5-15% della popolazione che potrebbe trarre beneficio dall’uso delle TA ha poi realmente la possibilità di accedervi e conseguentemente utilizzarle (WHO, 2006). La WHO si augura che un numero sempre maggiore di persone possa trarre beneficio da tali tipologie di ausilio, in modo da ottenere la partecipazione desiderata all’interno del proprio contesto di vita (WHO, 2002). Le evidenze sull’abbandono delle TA e il numero di persone che potrebbero trarne un vantaggio, e invece non lo ottengono, mostrano quindi che l’abbinamento auspicato dalla WHO (WHO, 2011) di fatto non sta avvenendo. È necessario individuare percorsi di abbinamento che permettano ai centri ausili di effettuare verifiche sistematiche del processo in atto in ogni sua fase, compresi l’assistenza e il supporto post fornitura. La necessità di individuare un modello di abbinamento ottimale è collegata ad almeno due obiettivi principali. 1. Minimizzare la dispersione finanziaria, che consentirebbe a più persone di sfruttare le TA appropriate. 2. Formulare soluzioni assistive che meglio rispondano alle esigenze degli utenti, raggiungendo in questo modo l’obiettivo della partecipazione. Tuttavia, sebbene nel campo delle TA sia stato sviluppato un vasto numero di strumenti di misura, essi tendono a concentrarsi sugli esiti dell’abbinamento, soffermandosi per esempio sulla misurazione della soddisfazione degli utenti e/o sulle prestazioni della TA fornita [p.e.: PIADS (Jutai e Day, 2002); COPM (Law et al., 2005); QUEST (Demers et al., 1996); IPPA (Wessels et al., 2002); FIATS (Ryan et al., 2006); ATOM (Lauer et al., 2006)]. Quindi, procedure e misure standardizzate per l’abbinamento e l’assegnazione di TA nel momento della loro selezione sono ancora necessarie. Sebbene alcuni si riferiscano all’ICF come a uno strumento che può assistere il professionista durante il processo di abbinamento (Karlsson, 2010), Bernd e colleghi (2009) considerano che anche l’ICF Checklist sia una misura generica non sviluppata per lo scopo di valutare e rispondere alle esigenze di TA degli utenti. Le stesse ricerche (Bernd et al., 2009) riportano una mancanza di modelli affidabili e di
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strumenti che possano essere utilizzati durante il processo di abbinamento delle TA. In realtà, la maggior parte degli studi in questo campo sono recensioni di letteratura o tentativi di sviluppare un efficace modello di valutazione ma senza validi presupposti scientifici. L’unico strumento validato citato in letteratura è il modello del Matching Person & Technology (MPT; Scherer, 1998). Il processo di valutazione di tecnologie assistive (ATA process) è stato sviluppato con lo scopo di identificare il processo ottimale che possa permettere sia di aumentare la qualità delle TA fornite, sia di promuovere il massimo beneficio dal loro uso. In tale prospettiva il modello dell’ATA process è in grado di identificare i passi necessari per raggiungere il miglior abbinamento, coinvolgendo diverse competenze professionali e tipologie di strumenti per le seguenti attività: analisi cliniche, processo di abbinamento della TA, analisi ambientali, valutazione dell’outcome e valutazione nel tempo della corrispondenza della TA individuata (Scherer et al., 2012). Il modello dell’ATA process condivide con il modello MPT l’obiettivo di promuovere il benessere personale degli utenti/clienti garantendo che la TA sia adatta ai loro bisogni. Tuttavia le prospettive adottate dai due modelli sono diverse: il processo MPT descrive ciò che deve essere misurato, mentre l’ATA process mostra come un centro ausili debba essere strutturato per consentire il miglior abbinamento tra utente/ cliente e TA.
3.2 Misurare l’abbinamento delle TA Il modello MPT per quanto concerne la misura dell’abbinamento si inserisce completamente all’interno dell’ATA process. Il modello MPT (Scherer, 1998) sostiene che le caratteristiche della persona, dell’ambiente in cui essa vive e della tecnologia da individuare devono essere considerate come interagenti quando si seleziona la TA più idonea ai bisogni della persona.
3.2.1 L’ICF e altre misure dell’outcome La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) offre un modello che guida e integra gli aspetti complessi di una valutazione di TA: si tratta del modello biopsicosociale, sul quale si basa il modello MPT. L’ICF concepisce la “disabilità” come il prodotto dell’interazione tra le caratteristiche individuali e quelle dell’ambiente fisico e sociale. La disabilità è definita come una “variante” del funzionamento umano lungo tre dimensioni: (i) menomazioni (il deficit organico e/o psicologico); (ii) limitazioni nelle attività e/o (iii) restrizioni nella partecipazione. In particolare, l’ICF non classifica le persone, ma descrive la vita di ogni persona in termini di “componenti della salute e alcune componenti a essa correlate (come l’istruzione e il lavoro)” (OMS, 2002, p. 11). Per la prima volta, il modello della WHO della disabilità tiene conto dei fattori ambientali e li classifica sistematicamente, consentendo la correlazione tra salute e ambiente e arrivando alla definizione di disabilità come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Le informazioni che si ottengono dall’ICF sono utili non solo per studiare la disabilità,
52 Capitolo 3
ma anche per identificare gli interventi appropriati. Per esempio, se il problema è una lesione, l’assistenza si concentrerà sull’individuo; se il problema è correlato a una restrizione della partecipazione a causa di discriminazione, l’intervento sarà diretto all’eliminazione delle barriere sociali e/o ambientali, modificando le barriere presenti nell’ambiente e fornendo facilitatori, così da migliorare le performance nella vita quotidiana. Benché l’ICF non sia stato specificamente sviluppato per guidare l’ATA process, la letteratura evidenzia come esso si presti a essere un modello descrittivo per l’ATA process. L’ICF cattura i complessi aspetti relativi all’impatto che la TA può avere sulla persona e sul suo ambiente, riuscendo in tal modo ad assistere il professionista nel processo decisionale (Bernd et al., 2009). Il processo di valutazione basato sull’ICF assisterà i professionisti nella comprensione dei bisogni dell’individuo, agevolerà la collaborazione tra i servizi a ogni livello del processo e darà le giuste priorità agli obiettivi dell’intervento. La WHO definisce come TA qualsiasi dispositivo o sistema con due caratteristiche: che consenta a una persona di effettuare un’attività che altrimenti sarebbe troppo difficile da eseguire, oppure che ne faciliti l’esecuzione (WHO, 2003). La TA include sia i dispositivi sia i servizi correlati. I servizi supportano l’ATA process, l’acquisizione e l’uso del dispositivo fornito (Bausch e Ault, 2008). Le componenti dell’ICF sono ben integrate in combinazione con numerosi strumenti di valutazione, come nell’ICF Checklist ricordata in precedenza. L’ICF è compatibile con la Canadian Occupational Performance Measure (COPM), con l’Individually Prioritised Problem Assessment (IPPA) e con la Goal Attainment Scale (GAS) (Karlsson, 2010). L’ICF Checklist è uno strumento pratico, utile a far emergere e registrare le informazioni sul funzionamento e la disabilità di un individuo: mette in evidenza quali sono le capacità e le limitazioni dell’utente in attività e domini relativi alla partecipazione. È dotata di un elenco delle funzioni mentali, tra cui la funzione sensoriale e la funzione del dolore, della voce e della parola, del sistema respiratorio e così via. La Checklist aiuta il professionista del servizio a decidere se sia o meno necessaria una specifica valutazione funzionale. La COPM è stata sviluppata per catturare le prestazioni professionali individuali del cliente; non è specifica per la TA, ma riguarda le esigenze dell’utente di TA partendo da una prospettiva user-centered. Utilizzata insieme ad altri strumenti, è utile durante l’ATA process (Bernd et al., 2009). La GAS è stata introdotta per valutare i servizi di salute mentale; oggi è usata in pediatria, nella riabilitazione e nei servizi di salute mentale. È una misura del cambiamento raggiunto dall’individuo nel corso di un intervento rispetto agli obiettivi individuali. L’IPPA è uno strumento generico per misurare l’efficacia di qualsiasi TA utilizzata. In sintesi, la COPM, la GAS e l’IPPA sono sensibili a misurare il cambiamento; una combinazione di questi strumenti, insieme con l’ICF Checklist, offre ai fornitori di servizi ulteriori soluzioni basate su prove di misura dell’outcome di TA come alternativa o a complemento del MPT (Karlsson, 2010). L’unico strumento di misura per l’abbinamento di TA sviluppato entro il modello dell’ICF e della sua Checklist, così come evidenziato in letteratura, è il MPT (Scherer e Craddock, 2002; Bernd et al., 2009); in particolare, l’Assistive Technology Device Predisposition Assessment (ATD-PA), in cui ogni elemento è stato mappato secondo
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l’ICF Checklist. Nel modello MPT è stata infatti colmata una lacuna poiché, rispetto ad altri strumenti, considera le interazioni tra le caratteristiche del dispositivo, quelle dell’utente e quelle dell’ambiente entro lo spettro del modello biopsicosociale. Oltre al COPM, al GAS e all’IPPA, la letteratura suggerisce l’uso del Quebec User Evaluation of Satisfaction with Assistive Technology 2.0 (QUEST) e della Psychosocial Impact of Assistive Devices Scale (PIADS) durante la valutazione dei fattori contestuali, delle caratteristiche dei dispositivi e della soddisfazione dell’utente della propria qualità della vita, ma nessuno di questi ha i propri elementi mappati nell’ICF.
3.2.2 Il modello Matching Person & Technology Il modello MPT è collaborativo e condotto dall’utente (user-driven): si basa cioè sulla scelta della tecnologia più appropriata per soddisfare i bisogni della persona con disabilità attraverso il coinvolgimento della persona stessa e supportando il professionista, o il team di professionisti, nel rendere manifesti i suoi bisogni reali. Con l’MPT per la prima volta la persona con disabilità è esplicitamente coinvolta nella selezione della tecnologia. Il tradizionale processo unidirezionale dal fornitore al consumatore (modello medico) viene sostituito con un nuovo approccio, il quale riconosce che il fornitore è un elemento fondamentale all’interno delle influenze ambientali nella selezione della tecnologia e nella soddisfazione dei bisogni (modello sociale). Secondo l’MPT, i fattori fondamentali all’interno del processo di selezione della TA più appropriata per ogni persona per raggiungere il miglior abbinamento sono tra loro interdipendenti e interattivi (vedi Figura 3.1). •
Ambiente: le caratteristiche architettoniche, degli edifici, dei contesti fisici e di quelli sociali, culturali e attitudinali in cui viene utilizzata la TA.
•
Persona: caratteristiche relative al temperamento, alla personalità e alle preferenze dell’utente.
•
Tecnologia: le caratteristiche salienti della TA stessa.
Il modello MPT contribuisce inoltre alla promozione della buona pratica professionale enfatizzando l’importanza di alcuni passaggi durante il processo di valutazione. •
Ottenere le informazioni pertinenti.
•
Organizzare tali informazioni.
•
Operazionalizzare e implementare i passaggi nel processo di corrispondenza tra la persona e la TA desiderata.
•
Documentare, rivedere e aggiornare l’impatto della TA.
Il processo dell’MPT e le misure che valutano la predisposizione individuale per l’utilizzo della TA (o di altre forme di tecnologia) cercano di valutare la misura in cui la TA potrà essere accettata e utilizzata.
54 Capitolo 3
Figura 3.1 (Vedi inserto a colori.) Il Matching Person & Technology Model (Scherer, 2005). L’“abbinamento persona-TA” (tecnologia assistiva) – il cerchio più piccolo – è uguale alla soluzione assistiva quando aumentano la qualità della vita e il benessere.
Il professionista, utilizzando una serie di fogli di lavoro completati anche dall’utente (che identificano i fattori rilevanti relativi alla persona, alla tecnologia e all’ambiente), ottiene informazioni per accertare gli elementi critici che potrebbero influenzare l’accettazione e l’uso della TA. L’obiettivo è di impedire l’abbandono e l’uso improprio della TA nonché quello di preparare al meglio, attraverso la raccolta di informazioni, il momento della scelta della TA più appropriata, che medi tra le esigenze espresse dall’utente e quelle relative all’ambiente di utilizzo. Per esempio, tali fogli di lavoro possono facilitare una previsione d’uso parziale o di riluttanza all’uso a causa di fattori ambientali, ma allo stesso tempo possono far emergere una buona previsione d’uso rispetto alle caratteristiche della tecnologia e della persona; così, l’ambiente in cui verrà utilizzata la TA può aver bisogno di modifiche in modo che la persona possa ottenere maggior soddisfazione e aumento di performance con la TA. Le caratteristiche ambientali si estendono oltre l’accesso fisico (spesso comprese le risorse economiche e il sostegno sociale), così che risulta essenziale, nel processo di selezione, coinvolgere fin dall’inizio tutte le persone che saranno interessate dall’uso della TA (utente, operatori sanitari, membri della famiglia, datori di lavoro, compagni di classe e così via). La prospettiva del modello MPT ha le sue fondamenta nella problematica relativa all’abbandono di TA. Negli anni Ottanta, gli studiosi iniziarono ad analizzare i pro-
Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive 55
blemi concernenti l’abbandono di TA nell’ambito della riabilitazione, osservando in particolare quali fossero i motivi per cui le TA non venivano impiegate oppure venivano abbandonate. Da allora, la maggior parte delle ricerche sull’uso e l’abbandono di TA ha preso in considerazione diversi fattori, quali il costo delle apparecchiature, le abilità fisiche necessarie per l’uso, la demografia, la sicurezza dei prodotti e l’affidabilità. In particolare si individuano tre aree di studio: (1) le caratteristiche personali degli utenti e l’accettazione della tecnologia; (2) le caratteristiche del prodotto preferito dai consumatori; (3) le richieste di informazioni circa l’uso della TA. Zola (1982) ha evidenziato come i consumatori preferiscano i dispositivi che promuovono l’indipendenza connessa con la libertà psicologica e sociale, non solo fisica di funzionamento. Inoltre, è stata evidenziata una serie di fattori personali che possono influenzare l’accettazione e l’uso di TA, come la motivazione, la consapevolezza della disabilità, gli obiettivi di vita e il rapporto sforzo-ricompensa (effort-reward). Pertanto, dispositivi che consentono agli utenti di completare compiti importanti hanno maggiori probabilità di essere utilizzati. Nella maggior parte degli studi è risultato che il costo di acquisto, la durata, l’affidabilità, la facilità d’uso, le caratteristiche di sicurezza, l’estetica, la facilità di riparazione, la gestione/portabilità e le buone istruzioni sono le caratteristiche più importanti per una buona TA. Di solito i fattori associati alla persona sono combinati con quelli legati alla tecnologia e alle caratteristiche ambientali. Philips e Zhao (1993) hanno riportato un abbandono pari al 29,3% per le TA, individuando quattro fattori che sono significativamente correlati al non uso e all’abbandono della TA da parte di utilizzatori con differenti disabilità. 1. Cambiamento nei bisogni dell’utilizzatore. 2. Facile ottenimento dell’ausilio. 3. Bassa prestazione dell’ausilio. 4. Mancanza di considerazione dell’opinione dell’utilizzatore durante l’assegnazione dell’ausilio. Il più alto tasso di abbandono si è verificato con gli ausili per la mobilità, soprattutto nel primo anno o dopo cinque anni di utilizzo. Ciò implica un duplice impatto, a livello individuale in termini di frustrazione e di depressione e a livello dell’intero sistema coinvolto, in termini di perdita di fondi e finanziamenti (Verza et al., 2006). Zimmer e Chappell (1999) hanno esaminato 1400 persone anziane nella provincia canadese di Manitoba in relazione all’uso di specifiche tecnologie, al fine di sviluppare un modello appropriato che evidenziasse le eventuali criticità nell’uso delle TA. Gli autori hanno rilevato che l’uso è influenzato dai seguenti fattori: predisposizione, necessità, sostegno sociale e livello di preoccupazione individuale relativamente ai problemi che potrebbero essere attenuati attraverso l’uso della tecnologia. Tuttavia, a una più stretta analisi, i risultati hanno mostrato che la principale preoccupazione è la sicurezza. Le persone anziane devono spesso affrontare problemi funzionali che limitano le loro attività e la loro indipendenza. Pertanto, la tecnologia che agisce sulle
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difficoltà pratiche dell’anziano può essere un’occasione per migliorare la sua qualità di vita e un mezzo per fare fronte alla disabilità. Pochi studi hanno indagato l’uso di TA nei bambini (la popolazione pediatrica). Tuttavia, nella maggior parte dei bambini con disabilità, l’utilizzo e l’abbandono delle TA spesso sono influenzati da altre persone vicine a loro, come genitori, insegnanti e terapisti (Caudrey e Seeger, 1983). Nonostante in letteratura siano presenti molti modelli sulle TA, nessuno di questi si è dimostrato in grado di predirne l’uso. Lenker e Paquet (2004) hanno proposto un modello olistico-concettuale user-centered che spiega l’uso di TA in termini di benefici percepiti; tale modello mette in risalto come il processo decisionale non si verifichi immediatamente, ma si costruisca nel tempo. L’uso della TA ha un impatto sull’utente, sull’ambiente e sull’uso della tecnologia stessa; allo stesso tempo, l’impatto della TA sui tre domini predice il suo utilizzo futuro. Simili risultati sono stati ottenuti da Verza et al., (2006): queste indagini hanno evidenziato come un approccio multidisciplinare, per la valutazione dei pazienti con sclerosi multipla che richiedono TA, possa ridurre il tasso di abbandono delle TA stesse. Gli autori identificano quattro fattori di abbandono: deterioramento dello stato fisico, non accettazione degli aiuti, insufficienza/mancanza di informazione e formazione e inadeguatezza della TA individuata. L’abbandono della maggior parte delle apparecchiature che subivano questa sorte avveniva o immediatamente o entro il primo anno di utilizzo. La predisposizione all’uso della tecnologia è multiforme e comprende i bisogni, le abilità, le preferenze, le esperienze precedenti con la tecnologia, i fattori di personalità, le aspettative e molte altre variabili. Un’analisi fra culture (Federici et al., 2003) ha confermato l’ipotesi di una relazione tra l’autorappresentazione della disabilità (valutata con il WHODAS II), le strategie di coping (misurato tramite il Coping Inventory for Stressful Situation, CISS; Endler e Parker, 1999) e la predisposizione individuale per l’uso delle TA (valutata con il Survey of Technology Use, SOTU). In tutti gli studi si evidenzia il ruolo centrale dell’utente durante l’intero processo di selezione (assegnazione degli ausili), a partire da una scelta consapevole, dalla prova d’uso, fino all’uso della tecnologia, al fine di permettere un vantaggio in termini di efficienza, soddisfazione, acquisizione di una maggiore autonomia e miglioramento della qualità e dello stile di vita (Lenker e Paquet, 2004). La complessità dell’abbinamento tra utente e tecnologia richiede un approccio centrato sulla persona e, quindi, una più completa valutazione dell’utente prima della selezione/assegnazione della TA. Inoltre, una migliore formazione dei professionisti e dei fornitori dei servizi di selezione/assegnazione delle TA e degli utenti sulle TA faciliteranno le decisioni riguardanti l’assegnazione delle TA stesse, riducendo così la probabilità che queste vengano abbandonate. Infatti, la necessità di assegnare una TA che aumenti le capacità personali e la qualità della vita si scontra spesso con il non uso o l’abbandono delle TA o con un loro utilizzo non ottimale. L’MPT è il primo modello teorico che si è concentrato sul coinvolgimento della persona con disabilità nel processo di assegnazione dell’ausilio. Poiché l’esperienza di disabilità è unica e soggettiva, è necessaria una valutazione completamente centrata sull’utente, che gli dia la possibi-
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lità di esprimere le proprie preferenze e che metta in primo piano le caratteristiche individuali e psicosociali (Scherer, 2005). Secondo la Scherer (2002), solo attraverso un’approfondita valutazione possono essere identificati: •
i bisogni di adattamento dell’ambiente o di quelli di supporto che permettano l’utilizzo della TA;
•
l’impatto delle limitazioni correlate;
•
l’equilibrio tra le capacità funzionali e le limitazioni;
•
le necessità di formazione e l’individuazione di contesti di prova d’uso (casa, scuola e lavoro);
•
le TA migliori per l’utente in termini di usabilità ed estetica;
•
la misura in cui la TA soddisfa le esigenze dell’utente, da verificare durante un follow-up, e l’esistenza di eventuali effetti collaterali indesiderati e imprevisti derivanti dall’uso della TA.
L’obiettivo finale del processo di selezione/assegnazione è quello di migliorare le performance e la qualità della vita dell’individuo, in cui qualità e benessere significano “tutto l’universo dei domini della vita umana, inclusi aspetti fisici, mentali e sociali, che costituiscono quella che può essere chiamata una ‘buona vita’” (OMS, 2002, p. 167). Se gli ausili non raggiungono questo obiettivo, non saranno, o meglio non dovrebbero essere, utilizzati.
3.2.3 Il processo dell’MPT e le sue misure Il Box 3.1 illustra il processo dell’MPT e le misure correlate. Tale processo si sforza di seguire i cosiddetti “buoni principi” (GOOD principles).
Box 3.1
Processo di valutazione e fogli di lavoro MPT
Fase uno: il foglio di lavoro iniziale del processo Matching Person & Technology (MPT – Foglio di lavoro) è organizzato in aree in cui le persone possono descrivere/ raccontare la perdita di una funzione (per esempio linguaggio/comunicazione, mobilità, udito e vista) e i propri punti di forza più importanti (area Limitazioni). Grazie a esso si possono verificare gli obiettivi iniziali e le aree da rafforzare attraverso l’utilizzo di una tecnologia (o altro supporto/strategia) o le modifiche ambientali necessarie. Eventuali interventi a sostegno degli obiettivi possono essere descritti sul modulo in uno spazio apposito (area Obiettivi ed interventi progettati). Quando una nuova tecnologia viene fornita a una persona è auspicabile lavorare a partire da un punto di forza. Ogni elemento deve essere discusso, a prescindere se un professionista lo ritenga rilevante o meno per quella specifica persona. Non è infatti possibile prevedere a priori quali elementi potranno influenzare il processo decisionale.
58 Capitolo 3
Fase due: l’analisi della storia personale nell’uso delle tecnologie (Utilizzo delle tecnologie) viene impiegata per identificare i supporti tecnologici attualmente utilizzati e quelli utilizzati in passato e la soddisfazione nel loro uso. Inoltre il modulo permette di analizzare perché un nuovo tipo di supporto può essere migliore rispetto ad altri. È organizzato secondo le stesse aree di funzionamento del foglio di lavoro iniziale descritto alla Fase uno. Anche se le Fasi uno e due si concentrano su “parti singole” del funzionamento dell’individuo, si ritiene che solo se tutte le aree interessate all’abbinamento sono state analizzate allora nessuna barriera all’uso ottimale della tecnologia sarà omessa. Per esempio, quando ci si concentra sulla comunicazione e si sta per consigliare un dispositivo che richiede una visione molto buona, e che non è stata valutata, ci possono essere problemi se la persona ha una significativa perdita della vista. L’obiettivo è quello di analizzare la persona nella sua interezza e farne una valutazione globale tenendo conto di tutta la persona, degli ambienti di utilizzo della tecnologia e così via, e per raggiungere questo obiettivo bisogna considerare le varie parti che compongono il tutto e il rapporto dell’una con l’altra. Fase tre: valutazione della predisposizione agli ausili. Il cliente/utente compila la versione del modulo appropriata a seconda del tipo di tecnologia in esame. La natura modulare delle valutazioni consente l’uso di uno, due o più moduli nonché di sezioni di essi. Nella versione inglese i moduli per l’utente per la Valutazione della predisposizione alle tecnologie assistive e i moduli per la Valutazione della predisposizione alle tecnologie di supporto per problematiche cognitive (non presenti nella versione italiana) possono essere compilati al computer con la possibilità di avere il punteggio finale computerizzato con le relative linee guida interpretative. Generale
–– Analisi dell’utilizzo della tecnologia (SOTU) – per il cliente/utente –– Analisi dell’utilizzo della tecnologia (SOTU) – per l’operatore Lo strumento SOTU contiene 29 item che indagano le esperienze attuali e i sentimenti verso le tecnologie del cliente/utente. La checklist richiede alle persone di elencare tutte le diverse tecnologie che utilizzano e in cui si sentono a proprio agio, con l’idea che l’introduzione di una nuova tecnologia deve capitalizzare il comfort e le abilità esistenti. Le persone sono inoltre invitate a fornire informazioni sulle aree relative al loro stato d’animo generale e al loro coinvolgimento sociale che potrebbero incidere in modo favorevole nell’uso della tecnologia. La versione per gli operatori è identica a quella dei clienti/utenti. Assistive
–– Valutazione della predisposizione agli ausili (ATD PA) – per il cliente/utente –– Valutazione della predisposizione agli ausili (ATD PA) – per l’operatore La strumento ATD PA indaga la soddisfazione soggettiva delle persone rispetto ai risultati conseguiti in una varietà di aree funzionali (9 item); esso chiede all’utente di mettere in ordine di priorità aspetti della propria vita ove sono attesi dei miglioramen-
Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive 59
ti (12 item); indaga il loro contesto psicosociale o l’ambiente d’uso (33 item); richiede il punto di vista dell’utente rispetto all’ausilio (12 item). Le scale hanno l’obiettivo di mettere in evidenza le capacità, la qualità percepita della vita, il supporto familiare, il supporto degli amici, l’umore e il temperamento, l’autonomia e l’autodeterminazione, l’autostima e la disponibilità verso l’uso di strumenti tecnologici. La sezione finale consente il confronto di dispositivi concorrenti rispetto all’abbinamento strumento-persona. L’ATD PA (modulo per l’operatore) consente al professionista di determinare e valutare incentivi e disincentivi all’uso del dispositivo da parte di una persona specifica. Supporto cognitivo
–– Valutazione della predisposizione alle tecnologie assistive per problematiche cognitive (CST PA) – per il cliente/utente –– Valutazione della predisposizione alle tecnologie assistive per problematiche cognitive (CST PA) – per l’operatore Lo strumento CST PA è strutturato come lo strumento ATD PA descritto precedentemente, ma ha altri 6 item riguardanti le funzioni corporee, centrati su Funzioni Mentali Specifiche. • Prestare attenzione, non distrarsi. • Memorizzare le informazioni su persone o eventi. Educative
–– Valutazione della predisposizione alle tecnologie educative (ET PA) – per lo studente –– Valutazione della predisposizione alle tecnologie educative (ET PA) – per l’insegnante Lo strumento ET PA è composto da 50 item (43 nella versione inglese) ed è stato progettato per identificare le prospettive degli studenti e dell’insegnante in quattro aree principali. 1. Obiettivo educativo: caratteristiche degli obiettivi educativi e dei bisogni educativi cui l’insegnante cerca di rispondere attraverso l’uso di una specifica tecnologia. 2. Tecnologia didattica: caratteristiche della particolare tecnologia educativa considerata. 3. Ambiente educativo: caratteristiche dell’ambiente psicosociale nel quale la tecnologia sarà usata, per esempio il grado di collaborazione della famiglia, dei colleghi, degli insegnanti e così via. 4. Studente: caratteristiche dello studente che possono influenzare l’impatto sull’uso della tecnologia. Lavorative
–– Valutazione della predisposizione alla tecnologia per la postazione di lavoro (WT PA) – per il lavoratore –– Valutazione della predisposizione alla tecnologia per la postazione di lavoro (WT PA) – per il datore di lavoro
60 Capitolo 3
I 18 item (28 nella versione inglese) dello strumento WT PA aiutano i datori di lavoro nell’identificazione di quei fattori che possono ostacolare l’accettazione e l’uso di una nuova tecnologia sul posto di lavoro. Sanitarie
–– Valutazione alla predisposizione alle tecnologie biomediche (HCT PA) – per l’operatore sanitario Lo strumento HCT PA è una checklist composta da 42 item con lo scopo di analizzare le caratteristiche del particolare problema sanitario, le conseguenze presumibili date dall’uso della tecnologia biomedica, le caratteristiche della tecnologia biomedica considerata, gli aspetti personali che hanno influenza sulle decisioni sull’uso di una tecnologia biomedica e l’atteggiamento delle altre persone, significative per il paziente, riguardo alle preoccupazioni per la salute. Ciascuno dei singoli moduli può servire come guida durante un colloquio se ritenuto appropriato alla situazione. Il professionista completa la versione del modulo per l’operatore e identifica eventuali discrepanze tra la sua compilazione e le risposte del cliente/ utente. Queste discrepanze diventano argomento di discussione e di consulenza. Fase quattro: il professionista discute con il cliente/utente quei fattori che possono indicare criticità nella sua accettazione e/o nell’uso appropriato della tecnologia. Fase cinque: dopo l’analisi delle aree critiche (barriere e limitazioni), il lavoro professionale e individuale prosegue per individuare strategie di intervento specifiche e mettere a punto un piano d’azione per affrontare i problemi emersi. Fase sei: le strategie e i piani d’azione individuati per far fronte ai problemi emersi vengono riportati per iscritto; questo perché l’esperienza ha dimostrato che i programmi solo verbalizzati non vengono attuati quanto quelli scritti. I piani scritti servono anche come documentazione e sono utili per giustificare le azioni successive, come le richieste di finanziamento o di tempo per la formazione. Fase sette: un follow-up di valutazione viene condotto per determinare eventuali adeguamenti da effettuare o nuove soluzioni tecnologiche da introdurre e per verificare il raggiungimento del beneficio atteso, il raggiungimento degli obiettivi programmati e se la persona ha cambiato le proprie priorità. Le misure contenute nella terza fase, Valutazione della predisposizione agli ausili, vengono utilizzate come livello base per determinare nel follow-up il cambiamento nel corso del tempo per una persona specifica.
Le misure nel Box 3.1, in particolare l’ATD-PA, sono sempre affidabili e valide (Scherer e Cushman, 1995; Vincent e Morin, 1999; Goodman et al., 2002;. Gatti et al., 2004;. Scherer e Sax, 2010). Le misure si correlano significativamente con i seguenti fattori: qualità della vita, umore, sostegno dell’ambiente, motivazione all’uso delle TA, fiducia nel programma/terapeuta, autodeterminazione/autostima (Scherer et al., 2005), fattori ambientali dell’ICF (Scherer e Glueckauf, 2005), Satisfaction
Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive 61
with Life Scale (SWLS), Brief Symptom Inventory (BSI, Scherer e Cushman, 1995), e aspetti psicosociali (Brown e Merbitz, 1995; Brown, 1997). Inoltre un recente studio, volto ad analizzare l’uso di interfacce neurali (Brain Computer Interface, BCI) rispetto all’uso di sistemi di eye-tracking nei soggetti con sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ha trovato correlazioni significative tra i diversi fattori valutati con l’ATD-PA (TA, ambiente, disabilità, carattere) e altre misure quali l’usabilità, l’umore, la motivazione e il carico cognitivo. Lo studio evidenzia il ruolo fondamentale dell’ambiente di vita nell’uso della TA assegnata per promuovere una soddisfacente esperienza con essa. Questa indagine conferma gli studi precedentemente citati e sostiene l’uso dell’ATD-PA come strumento appropriato per la valutazione della predisposizione all’uso di TA.
3.2.4 Il modello MPT e l’ICF Le diverse misure presenti nel processo dell’MPT sono compatibili con l’ICF e consentono la valutazione dei domini più importanti nel processo di abbinamento per l’uso della tecnologia. La Tabella 3.1 elenca i domini principali dell’ICF, alcuni esempi di TA e altre forme di supporto nonché le misure più appropriate dell’MPT per la valutazione di ciascun dominio dell’ICF (basato su Scherer e Glueckauf, 2005). 3.2.5 Le differenti versioni dell’MPT Per fornire misure pertinenti ai diversi interessi e bisogni delle persone con disabilità lungo l’arco di vita, si possono utilizzare diverse versioni dell’MPT. Il processo di valutazione Matching Assistive Technology and Child (MATCH) è stato progettato dalla Scherer (1997) all’interno del modello MPT: esso fornisce un approccio centrato sulla persona per la valutazione della predisposizione individuale all’uso di TA, per i neonati e per i bambini tra 0 e 5 anni di età, con una versione separata per i bambini in età scolare. Il processo del MATCH consiste in una serie di strumenti progettati per coloro che mirano a ottenere il migliore abbinamento tra il bambino e un supporto tecnologico: i produttori e i valutatori delle TA, i centri di assistenza sociale e familiare, i coordinatori dei centri ausili, gli psicotecnologi, i terapeuti e i genitori. Altri adattamenti dell’MPT sono stati progettati per affrontare specifiche disabilità o specifiche aree di valutazione, per esempio, il Cognitive Support Technology Predisposition Assessment (Scherer et al., 2012).
3.3 Il processo di valutazione di TA (ATA process) La TA gioca un ruolo cruciale nel sostenere l’integrazione sociale delle persone con disabilità. L’ATA process comporta una serie sequenziale e articolata di valutazioni, condotte da esperti con diverse professionalità: un processo di abbinamento di successo è determinato sia dal modello di valutazione del protocollo sia dalle competenze del team multidisciplinare.
62 Capitolo 3
Tabella 3.1 Elenco dei principali domini dell’ICF, di alcuni esempi di TA e altre forme di supporto e delle più appropriate misure dell’MPT per la valutazione di ciascun dominio dell’ICF. Liberamente tratto da Scherer e Glueckauf (2005). ICF: Attività e Partecipazione
Esempi di AT e altri supporti
Misure dell’MPT
APPRENDIMENTO E APPLICAZIONE DELLE CONOSCENZE: apprendimento, applicazione delle conoscenze acquisite, pensare, risolvere problemi e prendere decisioni.
Prendere appunti, servizi di sottotitolatura in tempo reale, personal digital assistant (PDA) e computer portatili, dispositivi di registrazione audio, software, calcolatrici elettroniche.
SOTU, ET PA, CST PA, MST
COMPITI E RICHIESTE GENERALI: eseguire compiti singoli o articolati, organizzare la routine e affrontare lo stress.
Assistenza personale, animali da assistenza, temporizzatori, aiuti per la memoria.
ATD PA sezioni BeC
COMUNICAZIONE: comunicazione attraverso il linguaggio, i segni e i simboli, inclusi la ricezione e la produzione di messaggi, portare avanti una conversazione e usare strumenti e tecniche di comunicazione.
Interpreti del linguaggio dei segni, dispositivi di comunicazione elettronici e manuali, periferiche di input e output per il computer, telefoni adattati e dispositivi di messaggistica di testo, radio e televisori adattati e dispositivi di segnalazione e di allarme.
Foglio di lavoro iniziale, utilizzo delle tecnologie, ATD PA Sezione B, HT PA
MOBILITÀ: muoversi cambiando posizione del corpo o collocazione o spostandosi da un posto all’altro, portando, muovendo o manipolando oggetti, camminando, correndo o arrampicandosi e usando vari mezzi di trasporto.
Carrozzine manuali ed elettriche, bastoni e deambulatori, supporti per i trasferimenti, veicoli adattati, ascensori, mappe in rilievo, sistema di posizionamento globale (GPS).
ATD PA Sezioni AeB
CURA DELLA PROPRIA PERSONA: cura di sé, lavarsi e asciugarsi, occuparsi del proprio corpo e delle sue parti, mangiare e bere, e prendersi cura della propria salute.
Posate adattate, tappeti antiscivolo, dispositivi robotici, allaccia-bottoni, dosatori di sapone liquido, spazzolini da denti elettrici.
ATD PA Sezioni AeB
VITA DOMESTICA: procurarsi un posto in cui vivere, cibo, vestiario e altri beni di prima necessità, pulizie della casa e sistemare e aver cura degli oggetti personali e di altri oggetti casalinghi e assistere gli altri.
Apribottiglie e lattine, tavoli inclinati, illuminazione adattata, barre di sostegno e rotaie, sistemi di controllo ambientale a distanza o tramite voce.
ATD PA Sezioni AeB
Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive 63
INTERAZIONI E RELAZIONI INTERPERSONALI: esecuzione delle azioni e dei compiti richiesti per le interazioni semplici e complesse con le persone (estranei, amici, parenti, membri della propria famiglia, partner e persone amate) in un modo contestualmente e socialmente adeguato.
Dispositivi di comunicazione manuali ed elettronici, coach di life skill, ausili sessuali.
ATD PA Sezioni BeC
AREE DI VITA PRINCIPALI: svolgimento dei compiti e delle azioni necessari per impegnarsi nell’educazione, nel lavoro e nell’impiego e per condurre transazioni economiche.
Dispositivi di controllo a distanza, postazioni di lavoro personalizzate, modifiche strutturali, accesso alternativo al computer.
ATD PA Sezioni A e B, altre misure dell’MPT
VITA SOCIALE CIVILE E DI COMUNITÀ: le azioni e i compiti richiesti per impegnarsi nella vita sociale fuori dalla famiglia, nella comunità, in aree della vita comunitaria, sociale e civile.
Dispositivi di segnalazione e di allarme, dispositivi di riduzione del rumore, dispositivi adattati per attività ricreative e di svago, mezzi di trasporto adattati.
ATD PA Sezioni A e B, altre misure dell’MPT
Il processo di abbinamento si svolge in centri specializzati in TA, in cui un team di esperti ha un ruolo di mediazione tra la TA e la persona con disabilità. Nei paesi occidentali questo processo è caratterizzato da due modelli apparentemente contrapposti: nel primo, più diffuso in alcuni paesi europei (per esempio l’Italia), la persona che ha bisogno di una TA è considerata come un utente/paziente; nel secondo modello, più comune nei paesi anglosassoni, la persona è piuttosto un consumatore o cliente. Questa discrepanza è legata a differenze nelle politiche verso i servizi di assistenza. Infatti, nel primo caso il centro non vende prodotti, ma fornisce solo assistenza e servizi di valutazione; invece, nel secondo caso il centro ausili può anche produrre e vendere la TA che fornisce. Rispetto al secondo modello, che sottolinea la centralità della soddisfazione del cliente, il primo garantisce un approccio più neutro nella valutazione e nell’assegnazione della tecnologia. L’ATA process descrive sia le competenze sia le funzioni del team multidisciplinare coinvolto durante il processo di corrispondenza, e la loro interazione reciproca. L’ATA process può essere letto sia dal punto di vista dell’utente/cliente sia quello del centro ausili (vedi il Paragrafo 3.1). L’ATA è un processo condotto dall’utente (user-driven) attraverso il quale la selezione di uno o più ausili viene facilitata dalla raccolta completa delle misure cliniche, dell’analisi funzionale e dalle valutazioni psico-socio-ambientali che riguardano, in un contesto specifico d’uso, il benessere personale dell’utente, attraverso il miglior abbinamento tra utente/cliente e soluzione assistiva (Scherer et al., 2012). L’ATA process sotto la lente del modello biopsicosociale dell’ICF (vedi il Paragrafo 3.1) è caratterizzato dai seguenti fattori:
64 Capitolo 3
•
il modello biopsicosociale dell’ICF è il punto di riferimento dell’ATA process;
•
l’utente (attraverso la sua richiesta) cerca una soluzione per uno o più componenti dell’ICF: le strutture e le funzioni corporee (condizioni di salute), le attività e la partecipazione, all’interno di un contesto costituito dai fattori personali e ambientali;
•
la richiesta dell’utente attiva il processo condotto dall’utente (user-driven);
•
il processo user-driven ha inizio con l’ATA per individuare una soluzione assistiva;
•
l’individuazione di una soluzione assistiva è facilitata dall’utilizzo di misure cliniche, da analisi funzionali e da valutazioni psico-socio-ambientali;
•
la richiesta degli utenti è soddisfatta con il miglior abbinamento tra utente/cliente e soluzione assistiva (compreso il benessere degli utenti e il raggiungimento del beneficio d’uso della TA).
Il centro ausili, per verificare la soddisfazione dell’utente e il raggiungimento del beneficio, dovrà attivare il supporto e il follow-up. Il benessere dell’utente continua fino a quando la soluzione, con il supporto e il follow-up, rimane un buon abbinamento (Scherer et al., 2012).
3.3.1 L’ATA process in un centro ausili e in un progetto di riabilitazione L’ATA è il processo ideale consigliato per un centro ausili pubblico o privato. Tuttavia, alcuni studi evidenziano dati significativi riguardanti l’abbinamento di TA nel campo della riabilitazione (Verza et al., 2006; Federici e Borsci, 2011). Federici e Borsci (2011) hanno condotto uno studio su larga scala sulla soddisfazione e sull’uso di TA all’interno di specifici percorsi pubblici (centri ausili) e nell’ambito di progetti di riabilitazione. Tale indagine ha evidenziato una differenza molto netta tra i due processi, mostrando tassi di abbandono significativamente differenti: in caso di percorsi specifici, il tasso di abbandono è stato di circa il 25% (al di sotto delle medie internazionali, che mostrano tassi di circa il 30%; tuttavia, se si considerano solo gli apparecchi acustici e i montascale, le percentuali di abbandono si allineano con quest’ultimo dato). D’altra parte, nel caso di progetti di riabilitazione, il tasso di abbandono scende al 12%. Inoltre, in percorsi specifici non all’interno di un servizio di riabilitazione dedicato, esiste una grande variabilità per quanto riguarda i processi di assegnazione; ciò evidenzia l’esistenza di molti processi possibili nell’assegnazione di TA. L’ATA process consente una standardizzazione generale dei processi in grado di indicare gli elementi essenziali in un percorso di successo di abbinamento. In realtà, nell’analisi di Federici e Borsci, emerge chiaramente l’assenza di alcuni passaggi indispensabili a raggiungere una buona corrispondenza tra utente e TA nei processi analizzati. In particolare, tutti i processi registrati in questo ambito non considerano come parte del processo di valutazione un servizio di follow-up della valutazione stessa, in grado di gestire i problemi e le frustrazioni degli utenti. La mancan-
Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive 65
za di follow-up nei servizi è uno dei principali fattori che possono causare l’abbandono di ausili/TA nei centri ausili. Secondo un altro studio condotto nel campo della riabilitazione, emerge un altro fattore rilevante, relativo a un basso tasso di abbandono (Verza et al., 2006). Si verifica una riduzione del tasso di abbandono del 28% (dal 37,5% al 9,5%) quando nella valutazione per l’individuazione di TA interviene un team multidisciplinare (fisioterapista, terapista occupazionale, fisiatra e psicologo) e quando nel processo di abbinamento delle TA vengono coinvolti direttamente l’utente e il suo ambiente di vita. Nello stesso studio, la possibilità di utilizzare strumenti di misura per la predisposizione all’uso di TA, come l’MPT, viene considerata un ulteriore fattore di riduzione dell’abbandono. L’importanza del ruolo dell’ambiente domestico e personale nell’uso della tecnologia abbinata (ausilio/TA) e nel raggiungimento di un’esperienza soddisfacente con la TA è stata sottolineata anche da Pasqualotto e collaboratori (2011). L’ATA process definisce le linee guida del processo di assegnazione di una TA e tiene conto sia dell’intervento di un team multidisciplinare (con il coinvolgimento dell’utente e del suo ambiente), sia dei servizi di supporto e di follow-up, strettamente correlati alla necessità di rivalutare l’uso della TA nel tempo.
3.4 Il processo dell’MPT e quello di valutazione delle TA Il processo dell’MPT permette la misurazione e la valutazione dell’abbinamento tra utente e TA mediante diversi strumenti di misura contenuti all’interno del modello (SOTU, ATD-PA, CST-PA, ET-PA, WT-PA e HCT-PA). D’altra parte, l’ATA process è un sistema per l’organizzazione dell’abbinamento della TA all’interno di un centro ausili, che consente ai suoi professionisti di controllare e gestire passo dopo passo l’articolazione del percorso in cui è coinvolto l’utente, per ottenere l’abbinamento ottimale. In parte, il processo dell’MPT coincide o, meglio, opera all’interno dell’ATA process, in quanto entrambi hanno come obiettivo l’abbinamento ottimale tra utente e TA: tuttavia, il processo MPT è un metodo di valutazione con misure specifiche, mentre l’ATA process è la descrizione del processo che guida l’assegnazione della TA. L’ATA process può quindi accompagnare l’effettivo sviluppo di un processo di abbinamento mediante l’MPT. Il modello alla base dell’MPT e dell’ATA process è lo stesso, cioè un modello user-centered, che si basa su un modello biopsicosociale di disabilità (l’ICF). Quello che cambia sono le prospettive: il processo dell’MPT descrive ciò che dovrebbe essere misurato, mentre l’ATA process indica come un centro ausili dovrebbe essere organizzato nella gestione della valutazione per l’abbinamento tra utente e TA. In particolare, l’ATA process fornisce le informazioni e le linee guida per quanto concerne il setting, i professionisti ai quali l’utente deve rivolgersi, le informazioni da raccogliere, la gestione del centro ausili, il team multidisciplinare coinvolto nel processo di abbinamento e così via. All’interno di questa impostazione strutturata e multidimensionale, l’MPT si adatta come un modello, come uno strumento di valutazione e come una “misura dell’outcome” della corrispondenza raggiunta. Il modello MPT alla base dell’ATA process consente l’utilizzo
66 Capitolo 3
di una serie di misure che assicurano un approccio centrato sulla persona in grado di individuare le migliori TA adatte alle esigenze dell’utente. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso un approccio in cui l’utente/cliente e il professionista del team multidisciplinare collaborano durante il processo di valutazione. Nell’ambito dell’ATA process, i diversi elementi forniti dall’MPT possono essere efficacemente utilizzati dal team multidisciplinare per determinare le aspettative dell’utente/cliente e definirne gli obiettivi (Initial Worksheet and History of Support Use), per effettuare ricerche sulle tecnologie utilizzate e analizzarne la soddisfazione d’uso (Survey of Technology Use, SOTU) e infine per eseguire valutazioni sulla predisposizione all’uso di TA da parte dell’utente/cliente (Assistive Technology Device Predisposition Assessment, ATD-PA). In questo modo, l’ATA process è in grado di guidare il lavoro all’interno di un centro ausili, permettendo ai professionisti di monitorare regolarmente tutti i fattori che promuovono il benessere personale dell’utente/cliente, attraverso la migliore combinazione dei loro bisogni con le soluzioni assistive. Allo stesso tempo permette di identificare e superare gli ostacoli che potrebbero avere un impatto negativo sul processo di assegnazione, come per esempio: •
la mancanza di risorse finanziarie per l’acquisto, la valutazione, il test e la formazione sulle TA;
•
la presenza di un team multidisciplinare composto da professionisti che non siano stati precedentemente preparati/formati a cooperare durante il processo di abbinamento e ad assistere l’utente/cliente della TA;
•
un processo di valutazione che non consideri le esigenze dell’utente/cliente, le sue priorità, le sue preferenze, e non lo coinvolga nella scelta della TA.
Il modello MPT si propone di aiutare i professionisti a ottenere il miglior abbinamento utilizzando diverse misure validate nel contesto biopsicosociale (Scherer e Sax, 2010). Sia il processo sia le misure contribuiscono alla promozione del benessere personale dell’utente/cliente, individuando le migliori TA all’interno di un sistema ben definito, con professionisti formati e in un ambiente completamente centrato su un modello condotto dall’utente (user-driven).
3.5 Conclusioni Secondo la Scherer (2002) solo attraverso una valutazione approfondita possono emergere: •
la necessità di modificare l’ambiente o di supportarlo per permettere l’uso degli ausili/delle TA;
•
l’impatto delle limitazioni, quali barriere alle attività e alla partecipazione nella vita quotidiana e nello svolgere quanto desiderato;
Misurare l’abbinamento delle tecnologie assistive 67
•
l’equilibrio tra le capacità funzionali e le limitazioni;
•
la necessità di formazione e di contesti di prova all’uso (casa, scuola, lavoro);
•
la TA più conveniente per l’utente in termini di usabilità ed estetica;
•
la misura in cui, attraverso un follow-up, la TA soddisfi le esigenze del consumatore e l’esistenza di eventuali effetti collaterali indesiderati.
L’obiettivo finale del processo di assegnazione di una TA è quello di migliorare il funzionamento e la qualità della vita di una persona con disabilità e di molti altri individui; “qualità della vita” indica benessere e, in senso generale, “tutto l’universo dei domini della vita umana, inclusi aspetti fisici, mentali e sociali, che costituiscono quella che può essere chiamata una ‘buona vita’” (OMS, 2002, p. 167). Se la TA non esegue questa funzione, non sarà, o meglio non dovrebbe essere, utilizzata. Impiegare il processo dell’MPT all’interno dell’ATA process può aiutare i professionisti a ottenere una migliore corrispondenza tra utente e TA, e quindi può portare a una riduzione dell’abbandono delle TA.
Capitolo
4
La valutazione degli ambienti d’uso: accessibilità, sostenibilità e progettazione universale
M. Mirza, A. Gossett, S. Borsci
In questo capitolo sarà discusso il ruolo dell’ambiente nell’inibire o supportare la piena partecipazione al contesto sociale delle persone con disabilità e indica sia le ragioni sia il modello teorico per spiegare come incorporare la variabile ambientale nel processo di assegnazione di tecnologie assistive (ATA process). Il termine ambiente d’uso della TA è inteso nel suo significato più ampio comprendendo elementi fisici, sociali, culturali, normativi ed economici. In base a questa ampia prospettiva, la prima parte del capitolo propone un modello di valutazione ambientale all’interno dell’ATA process attraverso le tre dimensioni, interconnesse fra loro, di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale. Valutando l’ambiente lungo queste tre dimensioni, si può cercare di ottenere una soluzione “ideale” di design che permetterà un abbinamento tra la TA, l’utente e suoi ambienti d’uso. La seconda parte del capitolo descrive tutte le fasi del processo decisionale che guidano il team multidisciplinare a una valutazione efficace dell’ambiente all’interno dell’ATA process. L’obiettivo globale di questo processo di valutazione dell’ambiente è quello di aiutare i professionisti a individuare una soluzione assistiva in grado di migliorare sia la partecipazione sociale sia la soddisfazione dell’utente nel suo contesto d’uso. Il capitolo si conclude con un caso esemplificativo dell’utilizzo del processo di valutazione degli ambienti d’uso. Un riconoscimento particolare va a Kathleen Ann Barnds e Daisy Feidt per il ruolo svolto nello sviluppo di alcuni dei concetti chiave presentati in questo capitolo. Vorremmo inoltre ringraziare Joy Hammel e Barbara Knecht per il loro importante contributo in relazione al progetto di Universal Design da cui il capitolo attinge. Infine, un ringraziamento speciale a Hsiang-Yi Tseng per il suo lavoro nel progetto di design.
4.1 Introduzione Sempre più spesso all’ambiente viene riconosciuto il ruolo di inibire o sostenere la piena partecipazione sociale delle persone con disabilità. Le prospettive teoriche di riferimento sulla disabilità, come il modello sociale (Oliver, 1990) e la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF; OMS, 2002), riconoscono, sebbene con modalità ed estensione differenti, il ruolo dell’ambiente d’uso nel “produrre” disabilità. Così come viene affermato nell’introduzione alla Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la disabilità è il risultato dell’interazione fra gli individui con disabilità e le barriere ambientali (ONU, 2006). Molti studi internazionali hanno più volte rilevato una forte relazione dinamica tra i fattori ambientali e la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità (Egilson e Traustadottir, 2009; Verdonschot
70 Capitolo 4
et al., 2009), ed è oramai evidente, grazie ai risultati ottenuti dalla ricerca applicata, che uno dei più importanti fattori che conduce all’abbandono e al non uso delle tecnologie assistive (TA) da parte degli utenti è il conflitto tra la TA che è stata fornita all’utente e il contesto in cui questa viene utilizzata (Day et al., 2001; Dijcks et al., 2006; Kittel et al., 2002; Lauer et al., 2006; Philips e Zhao, 1993; Scherer 2002; Scherer et al., 2004; Scherer et al., 2005; Söderström e Ytterhus, 2010). Alla luce di questi risultati ogni processo di valutazione della TA, al fine di fornire una soluzione assistiva, è un processo da considerare incompleto senza una sistematica considerazione di come l’ambiente di vita e il contesto d’uso dell’utente influenzeranno l’accettazione della tecnologia fornita, il suo utilizzo e la partecipazione dell’utente alle varie attività della propria vita. Questo capitolo fornisce un quadro teorico e un modello per integrare nell’ATA process la valutazione ambientale in maniera organica e strutturale. In passato, alcuni manuali e guide sulle tecnologie assistive hanno tentato un approccio a questo argomento focalizzandosi su specifici microcontesti come la casa, la scuola o il posto di lavoro (Church e Glennen, 1992; Mann e Lane, 1991). In questo capitolo, utilizzeremo una prospettiva molto ampia, intendendo l’ambiente non come singolo contesto d’uso, ma come un insieme strutturato di relazioni fra componenti fisiche, sociali, culturali, legislative ed economiche. Tuttavia, il nostro obiettivo non è prescrivere specifiche misure o strumenti per la valutazione di queste componenti, quanto piuttosto proporre un modello innovativo che permetta di considerare la variabile “ambiente” all’interno dell’ATA process in modo olistico attraverso tre dimensioni: accessibilità, sostenibilità e progettazione universale. Questo capitolo è diviso in tre sezioni. Nella prima introduciamo i concetti di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale, descrivendo le relazioni fra queste dimensioni della valutazione ambientale attraverso due modelli. Nella seconda, discutiamo come la valutazione ambientale, incorporando queste tre dimensioni, possa fornire informazioni utili all’ATA process e, contemporaneamente, illustriamo come un processo di valutazione dell’ambiente possa supportare il processo decisionale di valutazione e assegnazione della TA. Infine, nella terza sezione, discutiamo un esempio al fine di illustrare come i concetti e i processi descritti nelle prime due sezioni possono essere applicati in un caso concreto.
4.2 Accessibilità, sostenibilità e progettazione universale: una visione d’insieme L’analisi dell’ambiente in termini di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale ci offre la possibilità di utilizzare una prospettiva completa e pertinente dell’ATA process, poiché ci permette di osservare lo sviluppo dei concetti e di considerarne i costrutti teorici attuali, guardando anche ai più probabili sviluppi futuri, tenendo in considerazione anche le diverse tendenze geopolitiche che influenzano tali dimensioni del processo di valutazione ambientale.
La valutazione degli ambienti d’uso 71
4.2.1 Cosa si intende per accessibilità, sostenibilità e progettazione universale? Tradizionalmente, sia le valutazioni sia gli interventi mirati sull’ambiente hanno avuto la tendenza ad attingere al concetto di accessibilità. Negli Stati Uniti le prime linee guida strutturate per codificare l’accessibilità fisica degli edifici, note con l’acronimo ADAAG (Americans with Disabilities Act Accessibility Guidelines), furono sviluppate nel 1990 (U.S. Access Board, 2004). Allo stesso modo, altri paesi in tutto il mondo hanno sviluppato degli standard di accessibilità, che sono in alcuni casi diventati parte del corpus normativo (Dion et al., 2006). In Europa, attraverso il lavoro dell’Istituto Europeo per il Design e la Disabilità (EIDD Design for All Europe), nel 2006 è stato creato il Build-for-All reference manual, al fine di organizzare e promuovere l’accessibilità degli edifici (Build-for-All project, 2006). Il network EIDD con l’iniziativa Build-for-All aveva lo scopo di “permettere a tutti di avere uguali opportunità di partecipare a ogni aspetto della società. Per raggiungere questo obiettivo, l’ambiente fisico [gli edifici], gli oggetti quotidiani, i servizi, la cultura e l’informazione – in breve, tutto ciò che è progettato e realizzato da persone per essere utilizzati da altre persone – deve essere accessibile, comodo da usare per tutti nella società e in grado di rispondere all’evolvere della diversità umana” (Build-for-All project, 2006; EIDD Design for All Europe, 2004). Mentre questi standard e le politiche sono stati, in un primo momento, orientati verso la promozione dell’accessibilità per i disabili, l’attuale tendenza internazionale è progredita verso l’idea che l’essere umano nel suo insieme possa trarre beneficio dalla diffusione dell’accessibilità dell’ambiente. Questa idea trova il suo fondamento nella filosofia della progettazione universale. Il termine “progettazione universale” (o design universale, in inglese Universal Design) è solito descrivere la progettazione di prodotti e di ambienti in modo poco appariscente per far sì che il prodotto risulti sia estetico sia utilizzabile, nella maggior misura possibile, a tutti indipendentemente da età, capacità o dalle condizioni sociali o biologiche di vita (Mace et al., 1991). Al contempo, questo termine è stato definito come un movimento il cui approccio è quello di progettare ambienti, prodotti e comunicazione, tenendo in considerazione la più ampia gamma possibile di esigenze e tipologie di utenti (Knecht, 2004) e, anche, come possa realizzarsi un processo di inserimento di tutte le possibili scelte e bisogni degli utenti nel design (Salmen, 2008). Dove l’accessibilità è vista come la rimozione delle barriere e l’aggiunta di caratteristiche speciali per favorire l’utilizzo da parte di persone con disabilità, il design universale è visto come il creare ambienti che possono essere pienamente vissuti da tutte le persone. L’accessibilità è basata sull’ipotesi che esistono, per determinati gruppi di persone, specifiche barriere che devono essere rimosse. Al contrario, la progettazione universale è un modello concettuale per progettare e offrire soluzioni che anticipano i bisogni di tutti gli utenti finali (Knecht, 2004). Insieme all’accessibilità e al design universale, la terza dimensione che proponiamo come essenziale per la valutazione dell’ambiente è la sostenibilità. La progettazione sostenibile si riferisce alla progettazione e produzione di oggetti o edifici economici e che riducono al minimo gli effetti dannosi per l’ambiente naturale (Birkeland, 2002).
72 Capitolo 4
Ai fini di questo capitolo, abbiamo ampliato la definizione della progettazione sostenibile per includere anche il concetto di uso flessibile di prodotti o di ambienti nel corso del tempo, in considerazione dei cambiamenti delle abilità funzionali e dei bisogni degli utenti. Mentre un professionista e un utente che utilizzano tecnologie assistive possono avere familiarità con i concetti di accessibilità e progettazione universale, la nozione di sostenibilità è poco nota, sebbene stia diventando sempre più importante nel contesto del cambiamento climatico globale e della scarsità delle risorse. La sostenibilità è un concetto cruciale da considerare nella progettazione di prodotti e di ambienti per le persone con disabilità, tanto più che recenti studi mostrano come le persone come queste spesso siano le più impossibilitate a partecipare e contribuire al movimento globale sul tema dei cambiamenti climatici nella nostra società (Lovelock, 2010). Incorporando tutti e tre questi concetti in un quadro unico, questo capitolo offre una panoramica sulla valutazione ambientale che è completa, innovativa e pertinente rispetto alle moderne tendenze teoriche.
4.2.2 Interazione fra accessibilità, sostenibilità e progettazione universale Nel valutare l’ambiente d’uso attraverso accessibilità, sostenibilità e progettazione universale è importante comprendere che queste tre dimensioni non possono essere considerate separatamente, ma come intrinsecamente connesse e sovrapposte (Gossett et al., 2009). Il punto di intreccio e sovrapposizione fra di esse rappresenta la soluzione “ideale” di progettazione per un prodotto o un ambiente, essendo una soluzione che ottiene il maggior livello possibile di accessibilità, sostenibilità e universalità. Una rappresentazione visiva di questa intersezione è presentata nella Figura 4.1.
Figura 4.1 (Vedi inserto a colori.) Modello di intersezione fra le tre dimensioni di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale.
Il modello di intersezione permette sia di posizionare ogni elemento del processo di progettazione del prodotto o dell’ambiente in relazione simultanea con le tre dimen-
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sioni sia di poter valutare e giudicare quanto il prodotto approssima l’intersezione ideale. Mentre l’intersezione ideale rappresenta l’obiettivo per ogni processo di design, è noto che tale intersezione, che crea la soluzione perfetta, è difficile se non impossibile da raggiungere (Gossett et al., 2009). Infatti, in molte situazioni di progettazione esiste una tenue relazione fra le tre dimensioni, che tendono persino a divergere. Alcuni oggetti, per esempio, possono essere molto accessibili e universali ma avere un basso livello di sostenibilità o viceversa. In questi casi la soluzione adottata riflette un compromesso che cerca di bilanciare le tre dimensioni. Questo processo di equilibratura fra le dimensioni è rappresentato nella Figura 4.2.
Figura 4.2 (Vedi inserto a colori.) Modello di equilibratura delle dimensioni di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale.
Nella Figura 4.2, le dimensioni di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale esistono indipendentemente lungo un loro continuum. Ogni decisione di progettazione può essere valutata separatamente in termini di progettazione universale, accessibilità e sostenibilità, e la decisione può cadere in differenti punti dei continuum delle tre dimensioni. L’analisi di tali continua può essere utilizzata per decidere, di volta in volta, se favorire un fattore o un altro nella progettazione. Entrambi i modelli proposti, quello di intersezione e di equilibratura fra le dimensioni, giocano un ruolo importante nel guidare la valutazione ambientale e nel prendere decisioni durante l’ATA process. Un ambiente che permette un’intersezione ideale delle tre dimensioni dovrebbe avere queste caratteristiche. •
Dovrebbe permettere il funzionamento ottimale della TA prescritta a un utente con disabilità (accessibilità), promuovendo così l’uso e riducendo la possibilità di abbandono della TA. Per esempio, il funzionamento ottimale di una sedia a rotel-
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le, e di conseguenza la capacità dell’utente di entrare e usare un edificio, è subordinato alla presenza di una rampa (accessibile) o di scale (inaccessibile) all’ingresso dell’edificio. •
Dovrebbe poter includere la TA come parte della sua architettura o accoglierla a livello strutturale (Center for Universal Design, 1997). Per esempio, l’entrata di un edificio al livello della strada e con una struttura a griglia rilevabile con un bastone per persone non vedenti elimina la necessità di creare ingressi separati per le persone che camminano con un bastone o con altre tecnologie per mobilità, come una sedia a rotelle, accogliendo perfettamente tutte le persone indipendentemente dalle loro capacità funzionali. La maggior parte delle persone si sforza di conformarsi agli standard normativi di funzionamento e di non apparire differente perché per via delle dinamiche che si sviluppano grazie ai processi di socializzazione tendiamo a minimizzare o nascondere le nostre differenze (Scherer, 2002). Questo significa che occorre tenere in considerazione anche l’estetica, poiché essa svolge un ruolo importante nell’accettazione della TA. In questo senso, un ambiente “universalmente progettato” che risulta poco appariscente, ma che ha un suo valore estetico, è un supporto per l’utilizzo della TA, poiché riduce al minimo le potenziali stigmatizzazioni promuovendo la diffusione e l’accettazione delle TA utilizzate dalle persone con disabilità.
•
Dovrebbe sostenere la persona nell’uso della TA indipendentemente dal variare dei suoi bisogni e delle sue capacità funzionali nel tempo e dal variare in generale delle condizioni d’uso. Dovrebbe al contempo essere facile ed economico da mantenere, riducendo al minimo l’impatto sull’ambiente naturale (sostenibilità). La possibilità di regolare, utilizzare comodamente, riparare e mantenere in sicurezza la TA costituisce un’importante risorsa che consente l’utilizzo della tecnologia a lungo termine (Scherer, 2002). Tuttavia, la misura in cui una TA può essere regolata e mantenuta con facilità sarà determinata in gran parte dal suo contesto d’uso. Per esempio, un piano di lavoro o una scrivania regolabile in altezza e dimensione può essere utilizzato dalla persona durante tutto l’arco del suo sviluppo e della sua crescita; questo significa che la tecnologia “piano di lavoro” potrà essere adattata dal soggetto durante l’infanzia per essere utilizzata insieme alla tecnologia sedia a rotelle per bambini e poi, ancora, riadattata quando al soggetto verrà assegnata una sedia a rotelle per adulti. Allo stesso modo, un tappeto che può essere usato in modo sicuro sia da chi cammina sia da chi usa una sedia a rotelle è in grado anche di supportare una persona anziana con una diminuzione della mobilità funzionale. Inoltre, se sia il piano di lavoro sia il tappeto del nostro esempio, possono essere lavati con detersivi che non contengono agenti chimici, sarà più facile ed economico mantenere questi ausili senza degradare l’ambiente naturale.
Finora abbiamo introdotto le tre dimensioni di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale descrivendo la loro interazione dinamica. La prossima sezione descriverà, invece, un modello di valutazione ambientale, all’interno dell’ATA process, basato su queste tre dimensioni.
La valutazione degli ambienti d’uso 75
4.3 La valutazione ambientale nel processo di assegnazione di tecnologie assistive basato su accessibilità, sostenibilità e progettazione universale L’utilizzo delle tre dimensioni, come abbiamo visto finora, permette di ampliare la prospettiva della progettazione e al contempo di massimizzare nella valutazione la partecipazione degli utenti, sia ottimizzando la loro soddisfazione sia permettendo di individuare la soluzione assistiva migliore in base alle loro esigenze. È importante notare che una soluzione assistiva è il risultato di un processo guidato dagli utenti che mira a migliorare il funzionamento della persona, la sua qualità della vita e il suo benessere nel contesto d’uso della tecnologia. Piuttosto che concentrarsi solo sulla TA, la soluzione assistiva rappresenta un risultato olistico che tiene in considerazione le esigenze degli utenti, l’ambiente/ambienti di utilizzo e la TA. L’ambiente rappresenta una componente importante della soluzione assistiva che può essere valutato attraverso le dimensioni dell’accessibilità, della sostenibilità e di design universale, come abbiamo descritto nella sezione precedente. La valutazione dell’ambiente lungo queste dimensioni deve essere composta dai seguenti criteri. 1. Una valutazione dell’ambiente basata sulle linee guida di accessibilità internazionale/nazionale/regionale e sugli standard di progettazione. 2. Una valutazione delle componenti sociali, culturali, politiche ed economiche dell’ambiente e del loro impatto potenziale sull’uso della TA. 3. Una valutazione guidata dall’utente di come, con l’utilizzo e senza la TA, differenti ambienti supportano o ostacolano la partecipazione delle persone nelle diverse attività di vita. 4. Una valutazione delle possibili progettazioni universali e delle strategie per la sostenibilità ambientale, al fine di individuare un adattamento ottimale, flessibile e di lungo periodo che promuova e sostenga l’uso della TA. Tenendo in considerazione questi quattro criteri, abbiamo creato un processo di valutazione ambientale (Üstün et al., 1997) che permette di scegliere sistematicamente una TA che soddisfa le esigenze degli utenti tenendo in considerazione le tre dimensioni dell’ambiente: accessibilità, progettazione universale e sostenibilità. Come componente dell’ATA process, l’obiettivo generale di questo processo di valutazione ambientale è quello di aiutare i professionisti a ottenere il migliore abbinamento possibile tra l’utente, la TA e l’ambiente, al fine di arrivare alla fornitura di una soluzione assistiva che consenta di ottimizzare la partecipazione e la soddisfazione degli utenti nel loro contesto di utilizzo.
Figura 4.3 (Vedi inserto a colori.) Processo di valutazione ambientale e sua interazione con le azioni del centro ausili nell’ATA process.
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4.4 Il processo di valutazione ambientale: una visione di insieme Come illustrato nella Figura 4.3, il processo di valutazione ambientale dovrebbe idealmente essere effettuato in collaborazione tra l’utente della TA e un gruppo di valutazione multidisciplinare all’interno di un centro di assistenza ausili. Riconoscendo che l’ambiente è antecedente alla TA e che questo è cruciale per determinare i limiti di utilizzo e la funzionalità della tecnologia, il processo di valutazione ambientale dovrebbe avvenire all’inizio dell’ATA process, in particolare durante la fase di raccolta dei dati sull’utente. Quando un utente arriva presso un centro ausili alla ricerca di una soluzione assistiva, il team multidisciplinare deve avviare un processo sistematico in cui viene analizzato, insieme con l’utente, l’ambiente o gli ambienti in cui la TA verrà utilizzata, valutando per ogni possibile ambiente d’uso le dimensioni di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale. Nel valutare l’accessibilità dell’ambiente, il team multidisciplinare può fare domande basate sia sulle linee guida sull’accessibilità sia su documenti operativi sia a livello nazionale che locale, al fine di raccogliere informazioni sul design e sulle modifiche strutturali necessarie per il corretto abbinamento fra la TA e la persona, ma anche sulle strutture e sugli eventuali programmi di aiuto e facilitazione per le persone con disabilità, come, per esempio, le linee guida e i documenti proposti dalla AADAG negli Stati Uniti e quelle proposte dal progetto Build-for-All in Europa, di cui abbiamo parlato in precedenza. Il team di valutazione può quindi discutere le implicazioni di queste linee guida con l’utente durante il processo di valutazione ambientale. Per esempio, un team multidisciplinare può prendere in considerazione leggi che riguardano l’accesso a luoghi di lavoro quando si valuta un ambiente di lavoro, e di conseguenza ricercare, insieme all’utente, una soluzione assistiva tarata sui suoi bisogni di accesso a questo ambiente. Sulla base dei risultati della valutazione, i professionisti e l’utente insieme possono valutare se l’ambiente di lavoro deve essere modificato per supportare il funzionamento della TA, e anche se la TA debba essere modificata per adattarsi all’ambiente, migliorando di conseguenza la produttività dell’utente. Tale processo permette contestualmente di stabilire l’entità e i costi delle modifiche necessarie. La conoscenza delle politiche locali che disciplinano l’accessibilità aiuterà anche a stabilire se le modifiche alla TA e quelle all’ambiente saranno finanziate pubblicamente o privatamente, e questo costituisce un fattore chiave nel determinare la fattibilità della soluzione assistiva proposta. La progettazione universale è la seconda dimensione da considerare nel raccogliere i dati per il processo di valutazione ambientale, al fine di giungere a una soluzione assistiva. La progettazione universale rappresenta l’obiettivo ideale della progettazione degli edifici e degli spazi fisici, poiché unisce la gradevolezza estetica alla possibilità per tutti di fruire degli spazi (Mace et al., 1991). Nel valutare l’ambiente secondo questa dimensione occorre considerare i sette principi di progettazione universale così come sono elencati dal Center for Universal Design (1997): equità d’uso; flessibilità nell’uso; uso semplice e intuitivo; percettibilità delle informazioni; tolleranza
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dell’errore; contenimento dello sforzo fisico; misure e spazi per l’avvicinamento e l’uso. Questi sette principi possono guidare le valutazioni ambientali tenendo conto delle esigenze di diverse tipologie di utenti che possono richiedere soluzioni assistive al fine di partecipare e utilizzare a pieno titolo un dato spazio Ciò è particolarmente importante se si considerano le soluzioni assistive per luoghi di vita in comune, come le scuole, che coinvolgono più utenti a vario titolo, come gli studenti, i genitori e gli amministratori. Secondo questo approccio, più utenti della scuola potrebbero collaborare con un team multidisciplinare di professionisti a esplorare una soluzione assistiva che sarebbe utile a tutti gli studenti ma anche ai visitatori esterni alla scuola. Questa soluzione assistiva rifletterebbe una decisione comune in ordine a una TA in un ambiente rispetto alle esigenze di più utenti, incorporando e accogliendo nella scelta progettuale le istanze di tutti (Knecht, 2004). Per esempio, le aule potrebbero essere concepite in modo tale che più utenti, con un ampio spettro di abilità funzionali, avrebbero beneficio delle soluzioni assistive, integrate nell’ambiente, capaci di sostenere la piena partecipazione di tutti alle attività: queste TA sarebbero adattabili, ma anche sostenute e/o integrabili con differenti modelli e modalità di sostegno fisico, come scrivanie e tavoli; inoltre, queste sarebbero adattabili per rispondere alle esigenze fisiche e sensoriali di tutti gli studenti, gli insegnanti e i genitori e, al contempo, differenti sistemi uditivi sosterrebbero la comunicazione per tutti i partecipanti in aula. Incorporando la filosofia della progettazione universale, il nostro processo di valutazione ambientale è in grado di selezionare le soluzioni assistive più inclusive e adatte agli utenti. Infatti, la progettazione universale offre un approccio pragmatico per valutare non solo quegli ambienti in cui le persone utilizzano la TA nella vita di tutti i giorni, ma anche quegli ambienti che non sono quasi mai considerati in un processo decisionale per l’assegnazione di una tecnologia assistiva, come le stazioni ferroviarie, gli aeroporti, i musei e i luoghi di culto. Oltre a considerare l’accessibilità e la progettazione universale per supportare e promuovere l’uso della TA, è importante per l’utente e il team multidisciplinare considerare la sostenibilità nei contesti fisici, sociali, economici, ecologici e temporali durante il processo di valutazione ambientale. Nel valutare l’ambiente in termini di edilizia, misurando la sostenibilità e l’impatto, alcune città, comuni e alcuni enti privati hanno creato i propri standard. Per esempio, negli Stati Uniti, il Green Building Council (2011) ha sviluppato un sistema di certificazione di edilizia pulita (green) chiamato Leadership Energy and Environmental Design (LEED). Questo sistema offre un utile quadro di riferimento per la valutazione e la classificazione di costruzioni, nuove e ristrutturate, stimando la loro efficienza energetica e l’utilizzo delle risorse e dei materiali che sono disponibili a livello locale e quindi di facile manutenzione. Il sistema di classificazione LEED permette ai progetti di ottenere un certificato (argento, oro e platino), valutandoli in base alla loro sostenibilità di design (U.S. Green Building Council, 2011). Il sistema LEED è riconosciuto a livello internazionale, ma anche altri standard di sostenibilità offrono sistemi simili di classificazione del design “ecologico”, come il Building Research Establishment Environmental Assessment Method (BREEAM) in Gran Bretagna, il Greenstar in Australia e il Com-
La valutazione degli ambienti d’uso 79
prehensive Assessment System for Built Environment Efficiency (CASBEE) in Giappone (Parker, 2009). Così come avviene per gli standard di progettazione e per le classificazioni di design “ecologico”, noi sosteniamo che si possa applicare questo approccio per la relazione fra la TA, nel senso di soluzione assistiva adattata alle esigenze dell’utente, e l’ambiente d’uso. Per esempio, le informazioni possono essere raccolte da un utente che sperimenta difficoltà motorie mentre è a casa. Durante questo processo di raccolta dati, l’utente e il team multidisciplinare possono discutere sia le esigenze attuali dell’utente in relazione all’ambiente, sia quelle future, al fine di arrivare a una soluzione assistiva che permetta la perfetta integrazione dell’AT nell’ambiente e dell’ambiente nell’AT, in una unica soluzione sostenibile. In questo caso teorico, all’utente può essere prescritto un dispositivo di mobilità su ruote realizzato con materiali riciclati e una rampa costruita con risorse di produzione locale. Inoltre, si potrebbe pensare di installare una pavimentazione di tipo antisdrucciolo che è facile da pulire e mantenere con prodotti non chimici, minimizzando ulteriormente l’impatto negativo sull’ambiente della soluzione assistiva. Durante la valutazione ambientale, tuttavia, non occorre solo concentrarsi sulla sostenibilità delle soluzioni assistive, preoccupandosi che siano ecologicamente razionali e rispettose dell’ambiente, ma anche scegliere soluzioni in grado di soddisfare le mutevoli esigenze degli utenti per un periodo di tempo, idealmente l’intero arco di vita. Prendiamo, per esempio, le necessità in continua evoluzione di uno studente con graduale deterioramento visivo che si è appena iscritto all’università. Nel pensare le mutevoli esigenze di questo studente lungo tutto l’arco della vita, un team multidisciplinare alla ricerca di una soluzione assistiva avrebbe bisogno di valutare ciò che sarebbe meglio per lui: un computer con software per la lettura facilitata come un ingranditore dei testi o un computer con installato un software di lettura dello schermo. La soluzione finale dipenderà dalla velocità di declino delle facoltà visive dello studente e dalla tempestività con cui questi riceverà il materiale dei corsi universitari su determinati supporti alternativi (testi in formato digitale, descrizione testuale di filmati, versione testuale delle presentazioni e dei materiali del corso, traduzione con testo delle immagini contenute nelle presentazioni e così via). Un potenziale modello teorico per guidare la valutazione nel considerare la sostenibilità come modello di supporto per tutto l’arco dell’esistenza della persona è la guida alla valutazione per una comunità vivibile creata dall’AARP Public Policy Institute degli Stati Uniti (2005). Questo modello teorico può essere utilizzato per valutare l’ambiente e la sua interazione dinamica con i cambiamenti funzionali nell’arco della vita. Infatti, questo modello è stato creato per le persone anziane che vivono nelle aree urbane e suburbane degli Stati Uniti e potrebbe essere esteso ad altri gruppi di età e culture. Tale modello è una risorsa utile per determinare gli ambienti di uso comune e valutarli al fine di soddisfare le esigenze degli utenti durante tutta la vita. Ciascuna delle tre dimensioni che abbiamo discusso è individualmente utile per la valutazione ambientale, ma è l’intersezione di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale che supporta la selezione e ottimizzazione della soluzione assistiva
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per un utente. È in questo incrocio che la TA supporta il singolo utente a partecipare pienamente alla vita (accessibilità), facilitandone l’integrazione nel suo ambiente, divenendo un utile strumento per tutti gli utenti nell’ambiente d’uso (Center for Universal Design, 2008) e avendo altresì un basso impatto ambientale (sostenibilità).
4.4.1 La valutazione ambientale: il processo decisionale passo per passo Il processo di valutazione ambientale si compone come un processo decisionale per l’utente e il team multidisciplinare con lo scopo di valutare in modo efficace l’ambiente e la sua relazione con la TA per selezionare la migliore soluzione assistiva in base alle esigenze dell’utente. Come indicato nella Figura 4.3, il primo passo (fase 1) consiste nella valutazione delle dimensioni ambientali di accessibilità, progettazione universale e sostenibilità, insieme a una valutazione delle esigenze dell’utente e alle caratteristiche delle possibili tecnologie proposte all’utente dal centro ausili. È in questa fase che avviene la valutazione delle tecnologie assistive. A questo punto vengono considerate e valutate le esigenze e le aspettative dell’utente insieme all’ambiente e al suo impatto, cioè alla sua capacità di supportare o ostacolare l’utente nella partecipazione alle attività. Le tre dimensioni di accessibilità, progettazione universale sostenibilità sono considerate, nella valutazione ambientale, sia come possibili impedimenti sia come possibili opportunità all’interno dell’ambiente. Al termine della prima fase della valutazione ambientale, se esiste una buona relazione tra l’ambiente, l’utente e la TA viene selezionata la soluzione assistiva (fase 2); la valutazione ambientale termina fornendo specifici risultati che verranno discussi dal team multidisciplinare e dall’utente proseguendo nell’ATA process. Se invece non esiste una relazione soddisfacente (un buon abbinamento) fra ambiente, utente e TA, si può procedere o a una modifica ambientale (passo 3) oppure l’utente, insieme al team, procede a rivalutare l’interazione in un nuovo processo, cercando di individuare le possibili personalizzazioni applicabili alla TA per abbinarla al contesto ambientale e alle esigenze dell’utente (passo 4). A questo punto le possibili opzioni (modifica ambientale o modifica della TA) vengono comparate per individuare la scelta più efficace ed efficiente per fornire l’adeguata soluzione assistiva all’utente (passo 5). Questa scelta può comportare o la modifica dell’ambiente d’uso al fine di garantire la massima accessibilità, sostenibilità e progettazione universale (passo 6), o la sostituzione della TA (e quindi un ripensamento e una rivalutazione delle precedenti valutazione dell’ATA process) in base alle esigenze dell’utente (passo 8), oppure, come ultima possibilità, può portare alla modifica sia dell’ambiente sia della TA (passo 7). Questo processo decisionale graduale potrebbe aver bisogno di essere ripetuto per ogni ambiente o contesto in cui è previsto l’uso della TA. La prossima sezione descrive un caso di studio in cui in un contesto di vita reale è stato applicato il processo di valutazione ambientale in base alle dimensioni di accessibilità, sostenibilità e progettazione universale per selezionare la migliore tecnologia assistiva per più utenti.
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4.4.2 Caso esemplificativo di valutazione: considerare l’accessibilità, la sostenibilità e la progettazione universale nel processo di valutazione ambientale Al fine di comprendere appieno il processo di valutazione ambientale e il ruolo delle dimensioni di accessibilità, progettazione universale e sostenibilità, vi proporremo il seguente caso esemplificativo che è il risultato di un progetto di ricerca in cui è stato applicato il modello di intersezione delle tre dimensioni della valutazione ambientale (Gossett et al., 2009). Questo progetto aveva lo scopo di documentare e analizzare le decisioni concernenti la progettazione di un nuovo edificio di un’organizzazione di persone con differenti disabilità, denominata Access Living of Metropolitan Chicago (Living Access). Living Access è stata fondata nel 1980 da alcuni sostenitori dei diritti dei disabili, per difendere i diritti, l’orgoglio e la dignità delle persone con disabilità. L’obiettivo globale dell’associazione Living Access, nella progettazione della nuova costruzione, era quello di sviluppare uno spazio, attraverso la filosofia della progettazione universale, ottimizzando l’accessibilità e la sostenibilità nel design. Le dimensioni di accessibilità e design universale sono state un imperativo nel progetto perché la maggior parte degli utenti del fabbricato, compreso il personale e gli utenti, sarebbero state persone con una vasta gamma di disabilità. Anche la sostenibilità è stata centrale nel progetto, perseguendo l’obiettivo di utilizzare il design “ecologico” per creare una costruzione eco-compatibile in conformità con le tendenze architettoniche e gli standard della città (Kibert, 2008). Informazioni più dettagliate sul progetto sono state pubblicate in recenti studi internazionali (Gossett et al., 2009). Per i nostri scopi da questo progetto abbiamo estratto il caso del processo decisionale utilizzato nella progettazione di una sala conferenze all’interno del nuovo edificio. Questo caso offre un esempio dell’applicazione del processo di valutazione ambientale in un contesto specifico in cui vi è la necessità di considerare gli aspetti correlati dell’ambiente, delle tecnologie assistive e delle esigenze degli utenti della struttura. All’inizio del processo di progettazione, un team multidisciplinare di architetti, avvocati esperti in disabilità e professionisti della riabilitazione hanno valutato in modo collaborativo quanto segue: (1) le necessità degli utenti di avere una soluzione assistiva adeguata, considerando con il termine “utenti” sia tutto il personale sia i consumatori dei servizi dell’associazione Living Access; (2) gli aspetti di accesso, design universale e della sostenibilità che possono o non potevano essere garantiti dall’ambiente e le possibili TA che potevano rispondere alle specifiche esigenze d’uso delle persone nell’edificio (ambiente d’uso). Attraverso quest’analisi iniziale venne stabilito che le necessità di accesso degli utenti per l’uso di una stanza per le conferenze includevano i seguenti bisogni. •
Una stanza abbastanza grande da accogliere un ampio numero di persone con differenti tecnologie assistive, come tecnologie per la comunicazione, sedie a rotelle e altre TA per la mobilità.
82 Capitolo 4
•
Una comunicazione facilitata per le persone non udenti o con difficoltà uditive, offrendo la possibilità di registrare e sottotitolare le conferenze.
•
Un’illuminazione in grado di soddisfare diversi bisogni come illuminare gli interpreti per il linguaggio dei segni, creare nella stanza livelli di luce in grado di non disturbare persone con lievi, o medio-gravi, disabilità delle capacità visive e luci antiriflesso per persone con particolari disabilità che le rendono sensibili alla luce.
•
La presenza di prese elettriche, in più punti della stanza, per connettere alla rete elettrica diversi tipi di TA, come strumenti per la traduzione in tempo reale, carrozzine elettriche e computer.
•
La presenza di oggetti nell’ambiente (tavoli, sedie e così via) che potessero offrire un uso flessibile e facile, senza ingombrare ma anzi favorendo il movimento nello spazio della sala conferenze.
Inoltre, l’analisi ci ha permesso di evidenziare le necessità connesse alla sostenibilità, inclusi gli obiettivi di: •
limitare l’impatto ambientale dei materiali e delle procedure di costruzione;
•
identificare gli elementi che devono essere integrati nel progetto durante la costruzione al fine di avere un risparmio energetico invece di incorporare questi elementi dopo la costruzione;
•
considerare i bisogni a lungo termine degli utenti, tra cui le mutevoli esigenze dei singoli fruitori dei servizi in relazione allo spazio ma anche le mutevoli esigenze della vita dell’organizzazione, Access Living, offrendo un sufficiente livello di flessibilità sia ai membri dello staff, sia ai processi considerando le inevitabili possibili modifiche strutturali nel tempo.
Infine, la valutazione ambientale è stata guidata dai principi di progettazione universale (Center for Universal Design, 1997) intesi come strumenti per vagliare diverse possibilità ed esigenze di design della sala conferenze, in questo modo. •
Equità d’uso: il progetto doveva soddisfare i bisogni di tutte le persone che avrebbero utilizzato lo spazio e considerare ogni possibile esigenza legata a una conferenza, come incontri di piccolo e grandi gruppi, teleconferenze e presentazioni.
•
Flessibilità nell’uso: le componenti della stanza dovevano essere progettate per molteplici scopi.
•
Uso semplice e intuitivo: le TA e gli oggetti della stanza dovevano poter interagire facilmente e lo spazio doveva poter accogliere diverse tipologie di linguaggio e comunicazione,
•
Percettibilità delle informazioni: gli utenti dovevano essere in grado di comprendere e condividere in modo efficace ed efficiente le informazioni e le attività
La valutazione degli ambienti d’uso 83
svolte nella stanza, la quale doveva avere caratteristiche in grado di sostenere forme alternative di comunicazione. •
Tolleranza dell’errore: per gli utenti dovevano essere chiari ed evidenti i possibili rischi nell’uso degli oggetti e delle tecnologie nella stanza e il modo di evitarli.
•
Contenimento dello sforzo fisico: le persone e gli oggetti dovevano essere in grado di muoversi liberamente nello spazio con il minimo sforzo fisico.
•
Misure e spazi per l’avvicinamento e l’uso: la progettazione della stanza doveva includere uno spazio adeguato per tutti gli utenti, permettendo di entrare con facilità, uscire e muoversi nella sala.
Tale processo di valutazione ha permesso al team multidisciplinare di sviluppare un progetto in grado di incorporare entrambe le necessità, e cioè quelle ambientali e quelle legate all’uso delle TA, cercando una soluzione accessibile per tutti gli utenti. Le scelte fatte durante il processo decisionale si sono basate sull’intersezione delle tre dimensioni dell’ambiente: accessibilità, progettazione universale e sostenibilità. Le TA sono state incorporate nel design della sala conferenze in modo tale da ridurre i costi, considerando le esigenze degli utenti a lungo termine, cercando di massimizzare l’accessibilità e offrendo contestualmente la massima usabilità possibile per tutti. La sala conferenze è stata progettata per sostenere e ospitare un’ampia gamma di TA, includendo funzionalità come la teleconferenza video, i sistemi di comunicazione elettronica, differenti possibilità d’illuminazione, fra cui l’illuminazione totale dell’ambiente e quella di punti specifici dell’ambiente, carrozzine manuali ed elettroniche, altri tipi di ausili per la mobilità, tecnologie aumentative e dispositivi alternativi di comunicazione con uscite multiple installate a parete e a pavimento per consentire l’alimentazione di questi dispositivi. L’arredamento selezionato in fase di progettazione, tramite il processo decisionale, per la sala conferenze è stato composto da sedie e tavoli realizzati con materiali riciclabili, verniciati a polvere con vernici ad acqua e prodotti senza composti organici volatili (VOC). L’utilizzo di oggetti fabbricati senza VOC è stata una scelta dovuta al fatto che questo tipo di prodotti riduce il rilascio di sostanze con effetti negativi per l’ambiente e la salute. Le sedie offrivano un’ampia flessibilità d’uso come braccioli e sedili estraibili. Inoltre, sia le sedie sia i tavoli scelti per la sala conferenze erano dotati di ruote per garantire la possibilità di poter spostare l’arredamento della stanza con il minimo sforzo fisico e in modo semplice e intuitivo. La sala conferenza è stata progettata in termini di utilizzo equo, cioè in modo che fosse abbastanza grande per ospitare contemporaneamente gruppi composti sia da persone con vari dispositivi di mobilità, ma anche con differenti esigenze di comunicazione. La comunicazione è stata, infatti, uno dei temi più importanti nella progettazione. La sala è stata disegnata per rispettare le norme acustiche previste dall’ADAAG, avvalendosi di microfoni per supportare le esigenze di comunicazione di grandi gruppi rispettandone l’esigenza di comfort nello spazio (US Access Board, 2004). Le
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scelte fatte rispetto all’illuminazione sono state quelle di massimizzare l’utilizzo della luce naturale insieme a quella artificiale, ottimizzando i costi energetici e le necessità di diverse tipologie di persone con disabilità. L’esempio della sala conferenze mostra come, al fine di giungere a un’adeguata soluzione assistiva, sia importante prendere in considerazione le dimensioni di accessibilità, sostenibilità e design universale nella progettazione dell’ambiente e utilizzare la valutazione delle esigenze degli utenti insieme alle conoscenze sulle caratteristiche delle TA. Questo esempio è da intendersi come una riflessione sia sul modello d’intersezione delle tre dimensioni (Figura 4.1) sia sul modello di equilibratura (Figura 4.2) introdotti all’inizio di questo capitolo. Tutte e tre le dimensioni (accessibilità, progettazione universale e sostenibilità) sono state considerate durante il processo di valutazione ambientale nel disegno della sala conferenze. Ogni decisione presa sulla base della valutazione ambientale può essere considerata in termini di centratura dell’intersezione fra le tre dimensioni (punto ideale) come indicato nella Figura 4.1. Se tale centratura viene raggiunta, allora si può dire che si è arrivati a ottenere la soluzione assistiva ideale. Se questo non avviene, allora vuol dire che abbiamo bisogno di determinare il punto in cui è stata compiuta una scelta che, pur intendendo trovare il giusto equilibrio tra ambiente, utente e TA, non ha raggiunto l’obiettivo auspicato, così che si impone una nuova scelta proprio a muovere dal punto individuato. Quanto detto viene rappresentato nella Figura 4.2. Per comprendere bene queste due eventualità descriviamo due ipotetiche possibilità: quella in cui la decisione progettuale raggiunge il centro ideale, intersecando le tre dimensioni, e quella in cui la scelta non riesce a trovare una centratura tra le dimensioni di accessibilità, sostenibilità e design universale, costringendo il valutatore a ricercare un punto di equilibrio. Nel nostro esempio, il termine “utente” si riferisce all’intero gruppo composto dallo staff e dai possibili fruitori di Access Living. Consideriamo allora le sedie selezionate per la sala conferenze. Quando questo tipo di mobilio è stato valutato singolarmente sul continuum delle tre dimensioni, le proprietà lungo il continuum cadevano costantemente sulla parte superiore (sinistra) di ciascuna dimensione presentando una perfetta centratura. Come elemento di progettazione universale, questo arredo aveva un design ergonomico, dal momento che doveva poter essere usato mediante un basso sforzo fisico e doveva presentare una certa flessibilità sia nel senso della regolabilità in altezza sia nel senso dello stoccaggio, visto che le sedie erano impilabili. In termini di sostenibilità, l’arredo aveva alti tassi di riciclabilità e qualità, poiché si trattava di oggetti a basse emissioni, prodotti senza VOC e fabbricati localmente. In termini di accessibilità, le sedie erano valutate positivamente, perché la funzione aggiuntiva dei braccioli regolabili consentiva un facile trasferimento delle persone, per esempio dalle sedie a rotelle alle sedie. Considerando tutti e tre gli elementi insieme, pertanto, questo tipo di mobilio permetteva di raggiungere il punto ideale del modello di intersezione e rappresentava una soluzione assistiva adeguata per diverse tipologie di persone che avrebbero nel tempo utilizzato la sala conferenze.
La valutazione degli ambienti d’uso 85
Di segno totalmente opposto è invece ciò che è accaduto per la progettazione del sistema di comunicazione della sala. Nel progetto originale si era scelto di utilizzare dei microfoni e un sistema audio con induzione a cicli di frequenza per comunicare direttamente con le tecnologie e i sistemi acustici delle persone con disabilità uditive. In termini di accessibilità, questa decisione progettuale è stata valutata positivamente, perché conforme agli standard di accesso e comunicazione raccomandati per le persone non udenti/ipoudenti dall’ADAAG. Tale decisione, inoltre, includeva adeguatamente l’uso delle tecnologie, come per esempio apparecchi acustici, necessarie a questa tipologia di utenti. In termini di design universale, il sistema di comunicazione non aveva invece buone caratteristiche, poiché l’uscita sonora di questo tipo di sistema è distrattiva e risulta sfavorire la comprensione dei contenuti del discorso e delle singole parole sia per le persone con disabilità cognitive, sia nei casi in cui una o più persone durante una conversazione o durante un dibattito tendono a sovrapporsi, sia, infine, per le persone con particolari sensibilità dell’udito. In termini di sostenibilità, il sistema di comunicazione richiedeva alcuni materiali aggiuntivi, ma questa necessità di aggiungere elementi nella fase di post-costruzione era stata inclusa nel progetto originale. In questo senso, il progetto iniziale del sistema di comunicazione permetteva di avere, per ciò che riguarda le tre dimensioni, un alto vantaggio in termini di accessibilità (in particolare per non udenti/ipoudenti), ma necessitava di un compromesso e quindi di un processo di equilibratura dei continua per ciò che concerneva le dimensioni di progettazione universale e sostenibilità. Il risultato della nostra analisi, in questo caso, mostra come il sistema di comunicazione della sala conferenze non permettesse una centratura del modello ideale, mancando l’intersezione fra le tre dimensioni. In altre parole, il sistema di comunicazione, così come era stato progettato originariamente, offriva una soluzione assistiva solo per persone non udenti o ipoudenti, ma non per persone con disabilità cognitive o con particolari sensibilità acustiche. Alla fine, nel progetto di Access Living si decise di non installare il sistema audio a ciclo di induzione di frequenza per diverse ragioni. Primo perché non soddisfaceva le locali norme di sicurezza antincendio. Secondo perché attraverso una ricerca interna dell’organizzazione emerse che le persone non udenti e ipoudenti avrebbero avuto potuto usare tecnologie alternative, come dispositivi portatili, amplificatori personali, trasmettitori audio e ricevitori wireless. Questo ha permesso di progettare un sistema di comunicazione inclusivo che consentiva un maggiore equilibrio fra le tre dimensioni favorendo una maggiore universalità del design. Un ultimo punto da considerare è che, nel nostro caso, la costruzione di un nuovo edificio ci ha permesso di applicare il processo di valutazione ambientale sin dalle fasi iniziali di sviluppo del progetto. Ciò ci ha dato la possibilità di mostrare come sia possibile modificare l’ambiente in modo da approssimare il centro ideale intersecando le dimensioni di accessibilità, sostenibilità e design universale al fine di sostenere la partecipazione di utenti con diverse esigenze che utilizzano differenti TA. Occorre però rimarcare che queste situazioni sono rare, poiché nella maggior parte dei casi gli utenti devono fare i conti con un ambiente pre-esistente e pre-progettato. Tuttavia il processo di valutazione ambientale descritto in questo capitolo sarebbe altrettanto
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valido se applicato a situazioni in cui occorresse guidare le decisioni di un processo di modifica di ambienti già strutturati o di tecnologia assistive (o di entrambi), al fine di far ottenere all’utente la migliore soluzione assistiva possibile.
4.5 Conclusioni Nell’affrontare l’impatto dell’ambiente all’interno dell’ATA process, abbiamo presentato un modello che può essere utile a individuare la soluzione assistiva per gli utenti seguendo le tre dimensioni di accessibilità, progettazione universale e sostenibilità. Questa soluzione assistiva è quella in cui il “centro ideale” può essere ottenuto modificando l’ambiente, cambiando/adattando TA in base alle esigenze dell’utente o apportando modifiche sia all’ambiente sia alla TA. Tuttavia, questo processo non può avvenire senza considerare l’interazione tra la TA, l’utente e l’ambiente. Spesso centrare la perfetta intersezione fra le tre dimensioni è difficile se non impossibile e, sbagliando, si fanno scelte che si focalizzano su una dimensione rispetto alle altre. È altresì vero che la decisione finale deve sempre dipendere in ultima analisi dalla contingenza della situazione e dalle esigenze degli utenti.
Capitolo
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Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia
L. Demers, B.W. Mortenson
In questo capitolo, forniremo una panoramica della ricerca che ha analizzato l’impatto delle TA sul caregiver informale. Offriremo modelli specifici che aiutano a spiegare come le TA potrebbero avere un impatto sui caregiver informali e descriveremo due misurazioni che hanno lo scopo di catturarne l’efficacia. Riteniamo appropriato che il processo di fornitura di TA debba riconoscere esplicitamente il ruolo del caregiver informale e, attraverso due casi, illustreremo esempi di come queste misurazioni potrebbero essere utilizzate per cogliere l’impatto delle TA sui caregiver informali. Infine, forniremo suggerimenti per un futuro lavoro in questo settore. Riconoscimenti: il dott. Demers è stato finanziato dal Fonds de la Recherche en Santé du Québec come studioso ricercatore senior. Il dott. Mortenson è stato finanziato attraverso un assegno di ricerca post-dottorato dal Canadian Institutes of Health – Institute of Aging. I fondi per lo sviluppo del CATOM sono stati finanziati dal National Institute on Disability and Rehabilitation Research attraverso il Consortium on Assistive Technology Outcomes Research (CATOR, http:// www.outcomes.org). (Grant # H133A060062.)
5.1 Introduzione È generalmente riconosciuto che le tecnologie assistive (TA) hanno la possibilità di migliorare il funzionamento degli utenti e ciò permette loro di essere meno dipendenti dall’assistenza degli altri, anche se per la grande maggioranza delle TA questo secondo assunto non è sostenuto da prove sistematiche (Henderson, Skelton e Rosenbaum, 2008; McWilliam et al., 2000). Al fine di fornire una migliore comprensione dell’impatto delle TA sui caregiver abbiamo bisogno 1) di migliori prove empiriche; 2) di una migliore comprensione, dal punto di vista concettuale, dei risultati prodotti dall’interrelazione che si stabilisce tra i caregiver e coloro che usufruiscono dell’assistenza; 3) di strumenti di misurazione più sviluppati e raffinati. Per analizzare queste necessità, il presente capitolo si propone i seguenti obiettivi. •
Fare una panoramica della letteratura attuale che esplora l’impatto delle TA su caregiver informali di bambini e di adulti.
•
Offrire contributi teorici che spieghino la relazione che sussiste tra gli interventi delle TA e i risultati raggiunti sia dagli utenti dell’assistenza sia dai loro caregiver informali, nonché descrivere un processo di fornitura di assistenza tecnologica che riguardi tanto gli utenti di assistenza quanto i loro caregiver informali.
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•
Descrivere due sistemi di misurazione in questo settore e individuare programmi per il loro sviluppo futuro.
Per cercare di raggiungere questi obiettivi, il capitolo presenterà il lavoro svolto da medici specializzati in ambito clinico e da ricercatori, che hanno una conoscenza aggiornata dei passi in avanti che sono stati compiuti in questo settore e possono così fornire suggerimenti su come realizzare nella pratica queste nuove concezioni teoriche. Inoltre, verranno descritti due casi ipotetici per chiarire meglio quanto si andrà dicendo. Il primo caso riguarda Charlie, un bambino di otto anni con la distrofia muscolare di Duchene. Charlie vive in un bungalow a due piani con la madre, Susan, il padre Harold e la sorella Lisa di cinque anni. Ha difficoltà nel salire le scale e nel camminare fuori di casa e, inoltre, si affatica con grande facilità, così i suoi genitori sono costretti a trasportarlo quando si devono recare in luoghi esterni alla casa, giacché quando cammina Charlie diventa troppo stanco per svolgere qualunque altra attività. Susan e Harold, pertanto, si sono trovati costretti a limitare sia l’attività di Charlie sia la propria, per non affaticarsi troppo; ciononostante entrambi riferiscono di avere un dolore intermittente alla schiena e continui indolenzimenti muscolari. A scuola, Charlie può partecipare alle attività in aula, ma ha difficoltà a partecipare alle attività fuori dalla classe. Il secondo caso raffigura Bob, un uomo di 75 anni con osteoartrosi in entrambe le ginocchia. Vive con la moglie Jean, una donna di 70 anni, abbastanza in salute. Bob e Jean alloggiano in un appartamento a un piano con l’entrata a piano terra, ma Bob ha problemi sempre più gravi negli spostamenti a causa del dolore. Negli ultimi tempi ha avuto frequenti cadute, per via dei cedimenti del suo ginocchio sinistro, così che ha deciso di sottoporsi a un intervento per la sostituzione dei legamenti e, in attesa dell’intervento, cammina aiutandosi con un bastone. Jean aiuta Bob quando si deve alzare da terra o da superfici troppo basse e lo aiuta anche a indossare e a togliere i calzini; inoltre, svolge varie attività strumentali di vita quotidiana nei pressi dell’abitazione, ma non sa guidare l’automobile. Bob guida l’auto per accompagnare Jean a fare shopping, ma di solito l’attende in macchina o si siede a prendere un caffè mentre lei fa spesa. Attualmente Bob segue un programma d’esercizio consigliato da un fisioterapista per cercare di ridurre la possibile perdita del tono muscolare, mentre Jean ha rinunciato alla sua vita di relazioni sociali con gli amici per essere più disponibile ad aiutare Bob e a tenerlo al sicuro in casa, e dice di sentirsi sempre stanca. Ricorreremo a questi due casi per fornire un volto umano agli aspetti concettuali e metodologici che tratteremo di seguito. Questo capitolo inizia con una panoramica sull’attuale ricerca in quest’area, con un’attenzione particolare all’impatto delle TA sui caregiver informali. La sezione successiva presenta tre modelli concettuali volti a spiegare il rapporto sussistente tra gli interventi di TA e i risultati relativi ai caregiver informali. Il primo modello descrive come la strategia di assistenza personale agli individui con disabilità, che potrebbe includere le TA, influenza sia gli stessi disabili sia i loro caregiver informali. Il secondo modello illustra come le TA possono frenare i fattori di stress primari e secondari del caregiver, tanto da influenzare il loro modo di intervenire, la loro salute e la qualità della vita.
Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia 89
Il terzo modello ritrae il processo di intervento delle TA, che comprende gli utenti di assistenza e i loro caregiver informali. La penultima parte mostra due strumenti che misurano l’impatto degli interventi delle TA su caregiver informali di bambini e adulti e la sezione finale illustra le fasi del processo di intervento di TA che proponiamo e l’uso di due strumenti di misurazione basati sui casi di Charlie, Susan e Harold nonché Bob e Jean.
5.2 Panoramica della letteratura corrente 5.2.1 TA e assistenza umana L’utilizzo dei dispositivi di assistenza è comune tra i bambini e gli adulti con disabilità. Secondo il Participation and Activity Limitation Survey (PALS), in un sondaggio sulla salute della popolazione la metà dei canadesi con disabilità sotto i 15 anni e quasi due terzi dei disabili che hanno dai 15 anni in su hanno usato dispositivi di assistenza (Statistics Canada, 2008). Un sondaggio su consumatori adulti dei centri abitati della California ha scoperto che l’uso del dispositivo aumenta con l’età (Kaye, Yeager e Reed, 2008), ma nonostante questo i bisogni insoddisfatti sembrano costituire un problema. Secondo il PALS, un quarto dei canadesi con disabilità sotto i 15 anni di età non ha alcuna delle TA di cui necessita e il 30% esige dispositivi aggiuntivi. Dei disabili che hanno dai 15 anni in su, il 10% non ha alcuna delle TA richieste e il 29% ha bisogno di un’ulteriore attrezzatura (Statistics Canada, 2008). Agree et al. (2005) hanno rilevato che il 72% della persone con più di 15 anni di età con limitazioni ADL, che hanno usufruito delle TA, si è anche affidato a cure informali, e così anche il 54% degli utenti che non usano TA. Analogamente, il 26% degli utenti di TA e il 12% dei non utenti si affidano alla cura formale. Analisi supplementari hanno indicato che l’uso delle TA ha sostituito la cura prestata dalla persona solo per coloro che non sono sposati e per quelli con maggiore istruzione. Di contro, gli individui con disabilità cognitive sono meno propensi a sostituire le TA con l’assistenza personale formale o informale. Il caregiving informale è estremamente comune e potrebbe avere conseguenze nocive per il fornitore di assistenza. Negli Stati Uniti, oltre 50 milioni di caregiver informali, come Jean, Susan e Harold, assistono persone che sono malate o disabili (Houser e Gibson, 2008) e va notato che i caregiver informali degli adulti più anziani sono spesso o il coniuge o i figli adulti (Dipartimento di Salute e Servizi Umani, 1998), laddove i caregiver dei bambini di solito sono i loro genitori. Poiché il numero di anziani, dai 65 anni in su, in Canada raddoppierà nei prossimi 20 anni (Statistics Canada, 2005), i caregiver informali probabilmente dovranno fronteggiare l’aumento di richieste e, al fine di mantenere a un buon livello la qualità della vita delle persone che aiutano, potrebbero sperimentare un forte stress con la conseguenza di un loro esaurimento fisico o emotivo (Egbert et al., 2008). La possibilità di un tale burnout rappresenta una sfida per il nostro sistema sanitario, dal momento che i caregiver informali prestano la loro assistenza non retribuita con una frequenza quattro volte maggiore rispetto ai caregiver formali (Agree, Freedman e Sengupta, 2004). Il valore del rimpiazzo dei contributi non pagati ai caregiver informali è stato stimato a 350 miliardi di dollari annuali negli Stati Uniti e 25 miliardi di dollari all’anno in Canada
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(Hollander, Liu e Chappell, 2009; Houser e Gibson, 2008) e questa stima esclude la perdita della produttività economica che si associa al tempo trascorso nel fornire assistenza, con tutto il carico sia emotivo sia fisico che essa comporta. Il costo del caregiving informale per gli impiegati è stato stimato a 33,6 miliardi di dollari annuali negli Stati Uniti (Metlife Mature Market Institute, National Alliance for Caregiving, 2006) e una meta-analisi ha rilevato che i caregiver sono sottoposti a un livello significativamente più alto di stress e di depressione e presentano sia un benessere soggettivo sia un livello di salute fisica notevolmente inferiori rispetto ai non caregiver (Pinquart e Sörensen, 2003). Una delle ragioni principali che giustificano l’uso delle TA è che esso riduce la dipendenza dall’assistenza umana e diminuisce il carico del caregiver; tuttavia, nonostante l’uso di TA, le attività e la vita sociale rischiano di rimanere significativamente limitate, specialmente per le persone con livelli moderati e gravi di disabilità (Fuhrer et al., 2006). Ci sono tre principali modelli di assistenza: 1) l’uso di TA da sole; 2) le TA in combinazione con l’assistenza umana e 3) l’assistenza umana da sola. Harold e Lisa utilizzano il terzo modello di assistenza con Charlie, poiché sono proprio loro a trasportarlo nei vari luoghi, senza fare uso di TA. Bob utilizza il primo modello di assistenza quando deambula con il bastone, ma lui e Jean usano il secondo modello di assistenza per lo shopping, poiché Bob usa bensì il bastone per raggiungere l’auto, così da poter accompagnare la moglie al negozio, ma non acquista le cose autonomamente. Non a caso ci sono dati rilevanti che indicano che entrambe, sia le TA sia l’assistenza umana, vengano usate dagli utenti per migliorare la loro partecipazione alla vita sociale (Agree et al., 2005; Allen, Foster e Berg, 2001; Østensjø, Carlberg e Vøllestad, 2005; Taylor e Hoenig, 2004).
5.2.2 I caregiver degli utenti destinatari di assistenza Per apprezzare l’impatto delle TA sulla partecipazione alla vita sociale, bisogna capire come l’assegnazione di TA può influenzare l’aiuto umano che viene fornito. Il riconoscimento del ruolo essenziale dei caregiver nel garantire e nel preservare la partecipazione degli utenti di assistenza è iniziato con l’emergenza dell’assistenza centrata sulla famiglia in pediatria (Dunst et al., 1988) ed è proseguito con l’ampliamento del termine cliente, che ha finito per includere i membri della famiglia nella definizione di pratica centrata sul cliente (Townsend et al., 1997). Alcuni studiosi hanno consigliato il passaggio dall’approccio centrato sul paziente a quello centrato sul paziente-e-caregiver nel campo delle TA (Demers et al., 2004; Gooberman-Hill ed Ebrahim, 2000; Pettersson et al., 2005), se non che, nella pratica clinica corrente, purtroppo l’inclusione dei caregiver nel processo di fornitura di TA è piuttosto scarsa o assente ed è stata posta poca attenzione sull’effetto che le TA possono avere sul sostegno fornito da aiutanti umani, specialmente quando si tratta di caregiver informali (McWilliam et al., 2000; Henderson, Skelton e Rosenbaum, 2008). Alcune ricerche qualitative hanno esplorato l’impatto relativo all’utilizzo del dispositivo di assistenza sui caregiver. Tra i caregiver di persone con ictus (Pettersson et al., 2005; Rudman, Hebert e Reid, 2006) gli studi hanno indicato che i caregiver hanno avuto sentimenti ambivalenti verso i dispositivi di assistenza e, sebbene la
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maggior parte dei partecipanti sia stata grata per i benefici che questi dispositivi hanno fornito, il loro uso è stato talvolta accompagnato da ansia legata alla possibilità di infortuni, problemi di accessibilità e stigma sociale, sperimentato da alcuni individui che fanno uso di TA in comunità. Al contrario, studi qualitativi con bambini e genitori hanno evidenziato che l’uso di carrozzine sia manuali (Glumac et al., 2009) sia elettroniche (Wiart et al., 2004) risulta generalmente benefico. Studi trasversali basati su informazioni di un sondaggio nazionale hanno esaminato la relazione tra l’uso di TA e il caregiving informale. I dati di alcuni di questi studi suggeriscono che l’uso di TA aiuta i caregiver perché sostituisce parte dello sforzo fisico ed emotivo che il sostenere una persona con disabilità implica (Agree et al., 2005; Agree, Freedman e Sengupta, 2004; Agree e Freedman, 2000; Allen, Foster e Berg, 2001; Allen, Resnik e Roy, 2006). Nonostante questi studi suggeriscano che le TA hanno un impatto positivo sui caregiver informali, essi presentano due limiti principali, legati, da un lato, al fatto che si basano su dati trasversali e ciò limita lo sviluppo delle spiegazioni causali; dall’altro, al fatto che l’impatto dell’uso di TA sui caregiver si evince dalle risposte date a pochissimi quesiti, relativi principalmente al numero di ore di assistenza fornite, e ciò esclude la misurazione di altri importanti risultati, come la riduzione dello sforzo fisico degli aiutanti, la diminuzione di stress psicologico e la soddisfazione nel fornire aiuto. L’assenza di tali possibili risultati finisce per configurare un quadro incompleto dei vantaggi che i caregiver potrebbero trarre dall’uso di TA. Altri studi trasversali hanno esaminato l’uso di TA in combinazione con l’assistenza di caregiver informali. Chen e colleghi (1999) hanno analizzato come utenti di assistenza fisicamente compromessi (n = 20) hanno coinvolto i caregiver o nell’accedere o nell’utilizzare i loro dispositivi di assistenza, e come gli utenti di assistenza e i caregiver hanno percepito il valore delle TA. I risultati conseguiti hanno dimostrato che le TA potrebbero ridurre sia la dipendenza dall’assistenza umana per gli utenti di assistenza, sia alcuni degli oneri percepiti da familiari e amici. In uno studio descrittivo, Messecar et al. (2002) hanno identificato 47 strategie di modifica della casa – che comprendono l’uso di dispositivi di assistenza, la fornitura di assistenza e i cambiamenti dell’ambiente domestico – utilizzate da caregiver che dimoravano in comunità nei confronti di anziani che presentavano una varietà di menomazioni. Kane, Mann, Tomita e Nochajski (2001) hanno intervistato 30 operatori sanitari sulle loro impressioni riguardo all’utilizzo dei dispositivi ed è risultato che i caregiver hanno espresso un’opinione favorevole su di essi, giacché in genere vengono considerati benefici per gli utenti di assistenza, anche se non sempre sono coperti da assicurazione. Tra un sottocampione di individui con lesione del midollo spinale, che hanno avuto un declino della funzione fisica negli ultimi cinque anni, la metà ha richiesto un’assistenza supplementare relativamente alle attività della vita quotidiana (Thompson, 1999) e, tra questi soggetti, i membri della famiglia sono stati la prima forma di assistenza, nonostante sia da rilevare che l’uso di TA è aumentato nel tempo (Thompson, 1999). La validità intrinseca degli studi indicati è tuttavia limitata dal loro carattere più descrittivo che sperimentale e dai loro campioni di piccole dimensioni. Inoltre, in molti di questi studi il rapporto tra l’utente di assistenza, l’utilizzo del dispositivo di assistenza e il caregiver non è stato esplicitamente esaminato.
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Due studi di intervento non controllati hanno rilevato che gli interventi di TA possono essere vantaggiosi per i caregiver. Utilizzando un progetto di ricerca relativo a un unico oggetto, Rigby et al. (2001) hanno trovato che l’uso di una barra rigida di stabilizzazione del bacino con i bambini con paralisi cerebrale ha ridotto l’assistenza dei caregiver per alcuni compiti eseguiti con entrambe le mani e di allungamento delle braccia e ha diminuito il loro bisogno di riposo durante il giorno. Ryan e colleghi hanno individuato due dati fondamentali, e cioè che somministrare dispositivi per la posizione seduta si associa a un significativo miglioramento dei punteggi nella scala di impatto delle TA sulla famiglia sia per i bambini sia per i loro genitori, mentre la rimozione di tali dispositivi si associa a un ritorno ai punteggi di base (Ryan et al., 2009). In generale, la ricerca in questo settore presenta tre limiti fondamentali. In primo luogo, i progetti di ricerca trasversali non consentono di stabilire cause. In secondo luogo, l’impatto delle TA viene spesso misurato in termini di ore di assistenza, che è una forma di misurazione molto grezza: per esempio, se un caregiver utilizza in altro modo il tempo risparmiato con le TA, magari in attività di caregiving più piacevoli, questo cambiamento non viene misurato. In terzo luogo, i risultati riportati nella letteratura attuale spesso forniscono dettagli insufficienti alla comprensione di tutti i vantaggi derivanti dagli interventi di TA. Più studi, analoghi a quelli di Ryan et al. (2009), sono necessari per sviluppare una comprensione completa dell’impatto che gli interventi di TA possono avere sui caregiver informali.
5.3 Strutture concettuali relative all’impatto delle TA sui caregiver e sugli utenti In questa sezione, presentiamo tre modelli concettuali per aiutare a capire la relazione tra gli interventi di TA e i risultati dei caregiver informali. Nel primo modello, descriviamo come una strategia di assistenza personale degli utenti di sostegno, che frequentemente include l’uso di TA, abbia effetti su loro stessi e sui loro caregiver informali. Nel secondo modello, dimostriamo come le TA possano alterare i fattori di stress dei caregiver e in che modo la loro partecipazione, la salute e la qualità della vita possano essere facilitate. Nel terzo modello, delineiamo un processo di intervento di TA che coinvolge il caregiver informale.
5.3.1 Struttura Concettuale 1 Sulla base di una ricerca e di un’attività clinica in questo settore, abbiamo sviluppato una Struttura Concettuale 1 per esaminare l’impatto dell’intervento delle TA sulla diade utente-caregiver (Demers et al., 2007; vedi Figura 5.1). La struttura concettuale inizia con l’intervento delle TA connesso alla mobilità, che modifica la strategia di adattamento personale (soluzione di assistenza nel Modello di Abbinamento della Persona alla Tecnologia). Una strategia di adattamento dell’assistenza dell’utente consiste di due componenti possibili: (1) le TA, che includono i dispositivi di assistenza e un’attrezzatura speciale nonché i servizi necessari per il loro uso, e/o (2) l’assistenza di altre persone, composta da un sostegno informale da parte dei caregiver e/o un supporto formale.
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Figura 5.1 Modello dei risultati della TA su una diade caregiver/utente di tecnologia assistiva.
Tale struttura presenta significativi parallelismi con il Modello di Abbinamento della Persona alla Tecnologia, in quanto riconosce che la selezione dei dispositivi di assistenza è facilitata dall’uso di misure cliniche dello specifico contesto, dall’analisi funzionale e dalle valutazioni psico-socio-ambientali. Questa struttura amplia il Modello di Abbinamento (Matching) della Persona alla Tecnologia, indicando come la presenza di un caregiver crei le condizioni per una varietà di strategie assistive di supporto, volte a ridurre le limitazioni all’attività e le restrizioni alla partecipazione, che potrebbero includere l’assistenza del caregiver, l’uso di dispositivi di assistenza o una combinazione delle due modalità. La struttura concettuale evidenzia gli effetti concomitanti dell’intervento delle TA sulla persona con disabilità e sul suo caregiver e ciò può venire esemplificato da caregiver come Jean, Susan e Harold, i quali potreb-
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bero avere poche, se non nessuna, possibilità di modificare il proprio ruolo, a meno che una nuova tecnologia di assistenza o un nuovo modo di utilizzare le TA disponibili non vengano effettivamente adottati da parte dell’utente di assistenza. La struttura indica come una strategia di assistenza inclusiva può anche essere di vantaggio ai caregiver informali dell’utente, così che l’uso di TA si rivela un elemento determinante, perché svolge un ruolo fondamentale nell’ottenere vantaggi, quali il miglioramento dell’attività, la maggiore partecipazione, un migliore funzionamento psicologico, una maggiore soddisfazione riguardo al dispositivo e un maggiore benessere sia dell’utente sia del suo assistente. Con la Struttura Concettuale 1 l’intervento delle TA modifica la strategia personale di adattamento, soprattutto il modo e la misura della concertazione tra l’aiuto umano e le attività che vengono svolte dall’aiutante e, in alcuni casi, elimina completamente la necessità di tale assistenza. Le attività modificate relative all’aiutante comprendono 1) gli elementi fisici e psicologici che sono individuati nella letteratura sui caregiver (Hoenig, Taylor e Sloan, 2003; Demers et al., 2009) e 2) l’interazione tra le TA e l’assistenza personale (Agree et al., 2005; Allen, Foster e Berg, 2001; Chen et al., 1999; Hoenig, Taylor e Sloan, 2003; Verbrugge e Sevak, 2002). L’elemento fisico comprende la difficoltà fisica percepita (Blake e Lincoln, 2000; Gallego et al., 2001; Visser-Meily et al., 2004; Visser-Meily et al., 2005), la frequenza dell’aiuto e il numero di ore di aiuto (Agree et al., 2005; Allen, Foster, e Berg, 2001; Chen et al., 1999; Hoenig, Taylor e Sloan, 2003; op Reimer et al., 1998; Taylor e Hoenig, 2004; Verbrugge e Sevak, 2002), mentre l’elemento psicologico che concerne la modifica delle attività che sono connesse all’aiutante include la necessità a partecipare, la soddisfazione nel fornire aiuto (Chappell e Reid, 2002; Stuckey, Neundorfer e Smyth, 1996) e le difficoltà emotive (Blake e Lincoln, 2000; Gallego et al., 2001; Visser-Meily et al., 2004). Questa struttura è in risonanza con il modello di processo ATA, in quanto identifica il caregiver come una componente essenziale del milieu ambientale, ma mette anche in evidenza come una soluzione di assistenza che considera attentamente il contesto ambientale dell’utente possa altresì influenzare tale contesto, soprattutto per quanto riguarda il suo impatto sui caregiver informali dell’utente.
5.3.2 Struttura Concettuale 2 Demers et al. (2009) hanno sviluppato la Struttura Concettuale 2 per comprendere meglio l’impatto delle TA sul caregiver dell’utente delle stesse TA. Secondo tale struttura (vedi Figura 5.2), il modello relativo ai fattori di stress primari e secondari del caregiver evidenzia che tali fattori hanno un’influenza diretta sui risultati del caregiver, che comprendono la qualità della vita, la salute fisica e psicologica e la vita sociale. I fattori di stress primari sono direttamente collegati al caregiving fornito (per esempio tipi di assistenza, numero di mansioni, tempo richiesto, sicurezza e sforzo fisico). I fattori di stress secondari sono legati all’impatto a lungo termine dei fattori di stress primari sul caregiver e comprendono un sovraccarico del ruolo e una diminuzione del tempo libero, ma includono anche le modifiche della casa, che sono necessarie ad accogliere un utente di assistenza.
Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia 95
Figura 5.2 Una struttura concettuale per la comprensione dei risultati sperimentati dai caregiver che assistono utenti di TA. Ristampato con l’autorizzazione di Demers et al., 2009, p. 651.
Alcuni elementi aiutano a misurare la relazione tra i fattori di stress e i risultati dei caregiver e comprendono le risorse personali, le strategie di coping e l’autoefficacia. Altri elementi possono misurare la relazione tra i fattori di stress e i risultati del caregiver mediante la modifica del modo in cui viene fornita l’assistenza. Le TA costituiscono un fattore di misurazione che, a seconda del tipo di dispositivo, della quantità e della modalità di utilizzo, può limitare le aree in cui viene fornita assistenza, diminuire il tempo necessario, ridurre lo sforzo fisico del caregiver e migliorare la sicurezza. Anche i fattori contestuali e il background condizionano i risultati del caregiving. I miglioramenti nel sostegno sociale, nell’accessibilità ambientale, nella sistemazione abitativa e nella qualità delle relazioni possono ridurre i fattori primari di stress attraverso la diminuzione dell’assistenza o dei fattori di stress percepiti, e tali aspetti possono facilitare i risultati positivi del caregiver. Nell’applicare la Struttura Concettuale 2 al primo caso, è evidente che trasportare Charlie è un fattore primario di stress per Susan e Harold, dal momento che comporta uno sforzo fisico intenso e problemi di sicurezza. La necessità di condurre Charlie è uno dei fattori secondari di stress, in quanto diminuisce la quantità di tempo che essi
96 Capitolo 5
hanno per altre attività. In termini di risultati, nonostante le loro risorse personali, le strategie di coping e un ambiente sociale di sostegno, lo stress dell’attività di caregiving ha ridotto la vita sociale di Harold e di Susan e, inoltre, ha peggiorato la loro salute fisica e la qualità della loro vita. Allorché Charlie continuerà ad aumentare di peso e sarà meno valido fisicamente, questi risultati saranno purtroppo destinati a peggiorare, a meno che i fattori e di moderazione e di mediazione non vengano adeguatamente modificati. Nel secondo caso, Jean sperimenta molteplici fattori di stress primari, prodotti da tutti i suoi compiti di assistenza, che contribuiscono probabilmente a generare esiti secondari, riguardanti un sovraccarico di ruolo e una diminuzione del tempo libero. Nonostante l’influenza moderatrice sia del background sia dei fattori contestuali sia dell’uso che fa Bob di un bastone, Jean ha una vita sociale ristretta e una salute tanto fisica quanto psicologica deteriorata. Fino a quando Bob non recupererà dal suo intervento chirurgico, e ciò non avverrà prima di diversi mesi, è probabile che i risultati di Jean continueranno a peggiorare, a meno che i fattori di moderazione o di mediazione non vengano in qualche modo modificati.
5.3.3 Struttura Concettuale 3 Dati i risultati della stretta relazione che sussiste tra gli utenti di assistenza e i loro caregiver informali, sembra logico che i caregiver informali dovrebbero essere utilizzati e compresi come attori chiave nel processo di prescrizione delle TA. Piuttosto che coinvolgere caregiver informali in un modo ad hoc, in base alla nostra esperienza nel settore raccomandiamo di operare con gli utenti di assistenza e i loro caregiver informali usando un processo in cinque fasi (descritte nella Tabella 5.1). La Struttura Concettuale 3 è stata sviluppata come parte di uno studio sperimentale per assicurare che l’intervento fosse sicuro, fattibile e rilevante per individui mirati. Per sviluppare questo modello, abbiamo utilizzato un processo iterativo che ha previsto di progettare l’intervento di concerto con i medici, gli utenti di assistenza e i caregiver, prevedendo inoltre una prova preliminare con due diadi. Questo approccio è congruente con il processo di ATA; tuttavia, riconosciuto il ruolo del caregiver informale in questo processo, quest’ultimo non deve venire necessariamente pensato come se si svolgesse principalmente in un centro di assistenza tecnica. Secondo il modello che proponiamo, il processo inizia con l’identificazione e la valutazione delle attività che risultano problematiche e che sono state selezionate in modo cooperativo da parte dell’utente di assistenza e dal suo caregiver informale. Dopo l’individuazione di strategie possibili, la migliore viene determinata per l’implementazione della prova data dalla diade utente/caregiver. A seguito della somministrazione sia delle TA sia della formazione, i risultati desiderati vengono valutati di nuovo e il processo continuerà fino a quando non verrà trovata una soluzione adeguata o tutte le opzioni non saranno state esaurite.
Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia 97
Tabella 5.1 Processo di identificazione di strategie per un’appropriata assistenza e per la fornitura di TA di aggiornamento e di formazione per gli utenti di assistenza e i per i loro caregiver informali. Fase
Obiettivi
1. Individuazione e valutazione delle attività problematiche con il coinvolgimento del caregiver.
I caregiver e i clienti devono concordare la scelta delle attività problematiche e gli aspetti che le rendono tali. Effettuare misurazioni e valutazioni di base.
2. Individuazione ed esplorazione di strategie possibili.
Il caregiver e l’utente dovrebbero raggiungere una decisione comune su una strategia di TA per affrontare il problema individuato. Affinché i caregiver e gli utenti prendano una decisione congiunta per adottare una strategia relativa alle TA essi devono essere sensibili sia ai vantaggi sia agli svantaggi e tenere conto: •
elle loro convinzioni e valori verso d la tecnologia;
•
egli eventuali impatti sull’ambiente fisico d e sociale;
•
elle abilità richieste e loro attuali d capacità.
3. Scelta della soluzione di TA più appropriata.
Decidere sulla strategia correlata alle TA.
4. Formazione.
Per caregiver e utenti, diventare competenti nell’usare le strategie relative alle TA con attività mirate.
5. Valutazione della soluzione di TA.
Aiutare a motivare sia il caregiver sia l’utente a continuare a usare le strategie correlate alle TA.
Sebbene le fasi in questo modello siano lineari, il presentarsi di nuove attività problematiche o i cambiamenti ambientali potrebbero richiedere una modifica del processo in corso d’opera. Inoltre, sulla base di una valutazione delle soluzioni di TA, le fasi precedenti potrebbero essere rivisitate. A volte potrebbero essere sperimentati nuovi dispositivi, ma altre volte potrebbero venire esaminate nuove strategie o potrebbero essere individuate attività alternative per risolvere il problema. Inoltre, quando le attività problematiche sono molteplici, ogni fase potrebbe verificarsi in tempi diversi. Gli stadi di questo processo verranno illustrati con due casi, dopo l’introduzione di pertinenti strumenti di misurazione, nella prossima sezione del capitolo.
5.4 Strumenti di misurazione che si riferiscono all’impatto delle TA sui caregiver in famiglia Attualmente ci sono due strumenti che misurano l’impatto di un intervento di TA sui caregiver informali: 1) la Caregiver Assistive Technology Outcome Measure (CATOM) e 2) la Family Impact of Assistive Technology Scale (FIATS).
98 Capitolo 5
5.4.1 Caregiver Assistive Technology Outcome Measure La CATOM è un sistema di misurazione di 18 punti che si configura come un colloquio strutturato. Costruita sulla base di una Struttura Concettuale dei risultati per i caregiver assistenziali (Demers et al., 2009), misura la percezione del caregiver relativamente agli effetti delle TA nella sua vita e potrebbe anche essere utilizzata per valutare il cambiamento tra la valutazione e la rivalutazione dopo un intervento correlato con le TA. La misura, che viene impiegata per registrare le attività con cui i caregiver forniscono assistenza e per individuare quelle più richieste, consiste di tre parti. La prima parte individua ed elenca tutte le attività per la cura del destinatario dell’assistenza del caregiver nonché le forme di assistenza erogata; la seconda parte (13 punti) misura la frequenza in cui nel caregiver (5 = mai, 1 = quasi sempre) si presentano elementi di sovraccarico che si associano a un’attività identificata come diadica; la terza parte (4 punti) coglie il sovraccarico percepito dal caregiver relativamente a tutta l’assistenza che fornisce e alla qualità complessiva della vita. Va rilevato, inoltre, che la seconda parte può essere somministrata per ogni attività che viene selezionata per l’intervento e che le proprietà psicometriche di questo strumento sono state considerate come parte dello studio di fattibilità. I risultati iniziali (N = 29) indicano che la seconda parte ha presentato un coefficiente α di Cronbach di 0,80 e che un test-retest ICC per quattro oggetti è stato di 0,80. I 13 domini che si misurano con la CATOM sono presentati nella Tabella 5.2. 5.4.2 Family Impact of Assistive Technology Scale La FIATS è uno strumento di 55 punti che misura la percezione del genitore relativamente all’impatto dell’uso del dispositivo di assistenza sia sui bambini sia su se stessi (Ryan et al., 2006). L’Impatto delle TA sulla Famiglia copre otto domini (n = item per dominio): autonomia del bambino (5), sollievo del caregiver (9), appagamento del bambino (9), fare attività (il bambino ha il controllo sulle proprie azioni) (5), sforzo del genitore (8), interazione sociale e familiare (il bambino interagisce con gli altri) (4), supervisione del caregiver (7), preoccupazioni del genitore e sicurezza (8). I genitori indicano il loro grado di accordo o disaccordo con ogni punto, utilizzando una scala di valutazione di 7 punti, in cui i punteggi più bassi indicano risultati migliori. La scala è stata sviluppata dai ricercatori in collaborazione con cinque esperti in medicina e sette genitori che hanno esaminato gli elementi preliminari per stabilire il contenuto e appurarne la validità (Ryan et al., 2006). La coerenza intrinseca di ciascun dominio va da 0,64 a 0,92, con un coefficiente massimo α di Cronbach di 0,94 (Ryan, Campbell e Rigby, 2007); il coefficiente di correlazione interclasse (ICC) per ogni media di dominio va da 0,77 a 0,92 e il complessivo ICC è 0,92 (IC 95% 0,86-0,95) (Ryan, Campbell e Rigby, 2007). Come esempi di tre possibili questioni di supervisione potremmo indicare: “Ho poco tempo per fare lavoretti in casa”, “Vorrei che mio figlio fosse il più indipendente possibile” e “È più facile giocare con mio figlio quando c’è qualcuno che se ne prende cura”. Un esempio di questione concernente l’interazione familiare/sociale è il seguente: “Il mio bambino socializza con gli altri durante i pasti”.
Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia 99
Tabella 5.2 Domini del CATOM. Parte 1
Parte 2
Parte 3
Aree di assistenza
Assistenza fornita al destinatario della cura in relazione alla mobilità, alla cura di sé e alla comunicazione.
Forme di assistenza
Assistenza fornita al destinatario della cura in termini di aiuto manuale e di supervisione attraverso suggerimenti verbali e monitoraggio a distanza.
Numero di compiti
Numero di compiti di assistenza forniti dal caregiver.
Tempo necessario
Tempo richiesto per l’assistenza che supera la capacità di autopercezione del caregiver.
Protezione e sicurezza dei compiti
Grado di rischio associato al fornire assistenza.
Sforzo/lavoro fisico
Grado di energia fisica richiesta per assistere il destinatario della cura.
Salute fisica
Dolore o tensione dovuti alla prestazione di assistenza.
Modifiche dell’abitazione
Grado in cui le TA limitano l’uso dello spazio all’interno della casa.
Salute psichica
Grado in cui il caregiver è in ansia per il destinatario della cura e livello in cui si sente frustrato nel fornire assistenza.
Sovraccarico di ruolo
Grado in cui il caregiver si sente sopraffatto.
Uso facoltativo del tempo
Grado in cui il tempo libero viene ridotto dai compiti di caregiving.
Partecipazione
Grado in cui i ruoli sociali di svago, lavoro e vita sociale sono influenzati dai compiti di caregiving.
Qualità della vita
Valutazione globale del caregiver sulla soddisfazione fisica, psichica e delle sfere sociali della vita.
5.4.3 Esempi di misurazione del risultato con casi clinici sulla base del modello del processo di TA per la diade “utenti/caregiver” Caso 1 Fase 1. Di concerto con il clinico, Charlie e la sua famiglia decidono che vorrebbero migliorare l’autonomia nei movimenti di Charlie. La Tabella 5.3 fornisce i dati di valutazione di base (linea base) che si ottengono utilizzando la Scala di Impatto delle TA sulla Famiglia per valutare la strategia attualmente seguita. Per ragioni di brevità, la descrizione delle valutazioni specifiche dello stato sia fisico sia cognitivo e del controllo posturale viene qui omessa. Come si può notare nella linea base della Tabella 5.3 e nella Figura 5.3, Susan e Harold sono molto preoccupati per l’autonomia di Charlie, per la sua prestazione nelle attività, per lo sforzo che essi debbono fare per trasportarlo e, infine, per l’aiuto limitato del caregiver. Le interazioni familiari/sociali e la supervisione sono, invece, meno preoccupanti.
100 Capitolo 5
Tabella 5.3 Valutazione dei dati della famiglia di Charlie ottenuti con la FIATS. Struttura del tempo Dominio FIATS
Linea base
Due settimane
Sei settimane
Punteggio
Significato
Punteggio
Significato
Punteggio
Significato
Autonomia
28
5,6
21
4,2
14
2,8
Comfort del caregiver
48
5,3
48
5,3
32
3,6
Soddisfazione
40
4,4
38
4,2
26
2,9
Attività che si svolgono
26
5,2
27
5,4
14
2,8
Sforzo
46
5,8
42
5,3
20
2,5
Interazione familiare/ sociale
12
3,0
13
3,3
10
2,5
Sicurezza
30
3,8
40
5,0
24
3,0
Supervisione
22
3,1
30
4,3
22
3,1
Totale (range totale 55-385) Media range = 8-56
252
36,2
259
36,9
162
23,2
Figura 5.3 Impatto della Tecnologia Assistiva sulla famiglia, punteggi nel corso del tempo.
Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia 101
Fase 2. L’attuale strategia per muovere Charlie sta diventando insostenibile per Susan e Harold, perché, man mano che Charlie cresce, trovano sempre più difficoltoso trasportarlo in lunghi percorsi. Anche se Charlie può ancora spostarsi a piedi, se cammina un poco più a lungo si affatica tanto e, quindi, la sua autonomia si riduce progressivamente. I genitori hanno fatto resistenza a usare le TA sia perché ancora temono lo stigma che si associa al loro uso, sia per i problemi connessi all’accessibilità sia, inoltre, per la necessità di apportare qualche rettifica in ordine alla diagnosi; tuttavia, ormai comprendono che i benefici potrebbero superare gli svantaggi. Fase 3. C’è una varietà di opzioni da scegliere tra cui l’uso di un camminatore e una sedia a rotelle manuale o elettrica. Data la natura progressiva della menomazione di Charlie e le crescenti preoccupazioni circa la sua mancanza di indipendenza, tutti insieme decidono che gradirebbero provare la carrozzina elettrica per consentire a Charlie di muoversi. Fasi 4 e 5. Dopo due settimane di prova di una carrozzina elettrica opportunamente attrezzata, i genitori hanno un’opinione piuttosto ambivalente circa l’impatto del dispositivo. Essi hanno riposto la carrozzina elettrica nel garage e Charlie è in grado di accedervi in modo indipendente, ma c’è il problema che è costretto a usare una scala. Viene apprezzato il fatto che la carrozzina dà a Charlie più autonomia, nondimeno c’è preoccupazione per la sua sicurezza, dal momento che egli ha avuto diversi piccoli incidenti muovendosi con la carrozzina e, di conseguenza, i genitori sentono il bisogno di vigilare mentre egli la guida. Prima erano soliti portare Charlie a scuola, ma, da quando non hanno uno strumento che consenta di sollevarlo per farlo entrare nell’auto, lo accompagnano a scuola con la carrozzina elettrica; se non che, ciò occupa altro tempo della loro giornata, dal momento che ci vogliono più di 15 minuti per portarlo a scuola in questo modo, e ciò suscita in loro perplessità su come potranno affrontare la cosa nei giorni di brutto tempo. Charlie può entrare a scuola e in classe, ma non in bagno e, inoltre, più volte è andato a sbattere contro le pareti e gli infissi con le pedane della carrozzina. Il personale della scuola è preoccupato per il rischio di danni materiali che ciò potrebbe procurare, per gli infortuni che potrebbero accadere ad altri studenti e per le conseguenze che potrebbero esserci quando Charlie, entrando in bagno, lascia la carrozzina lungo il corridoio. Le fasi 4 e 5 ripetute. Le difficoltà individuate nella fase 5, dopo due settimane, suggeriscono che è necessario un allenamento supplementare, così i punti 4 e 5 vengono ripetuti. Con due ulteriori settimane di allenamento e di riprogrammazione dell’uso della carrozzina, con modalità speciali atte a facilitare la mobilità interna ed esterna, Charlie è diventato molto più sicuro nella guida e la famiglia ha acquistato un sollevatore in modo da poterlo prendere a scuola con l’auto. Charlie si è mosso intorno a casa in modo indipendente e, di conseguenza, ha preso parte a un numero maggiore di attività. Inoltre si muove meglio a scuola e gli insegnanti hanno fatto comprendere agli altri studenti la necessità di lasciare in pace la carrozzina di Charlie quando si trova nel corridoio. Questi cambiamenti fanno sì che i genitori percepiscano una maggiore autonomia di Charlie, che diminuiscano i loro problemi di sicurezza, che riducano lo sforzo e facilitino il comfort del caregiver come indicato di seguito.
102 Capitolo 5
Rivisitare la Fase 1 nel futuro. Data la natura progressiva della malattia di Charlie, nel corso del tempo saranno necessari altri cambiamenti per permettere di agevolare i suoi movimenti e probabilmente si renderà necessario mettere un ascensore in casa o trasferirsi in una casa con l’ingresso a piano terra. La scuola dovrà modificare il bagno per consentire a Charlie di accedervi con la sua carrozzina o, in alternativa, potrebbero essere necessari interruttori di controllo per la carrozzina stessa e sistemi di controllo ambientale.
Caso 2 Fase 1. Sulla base del processo evidenziato sopra, insieme al loro medico Bob e Jean hanno deciso che vorrebbero rendere più sicuro e meno doloroso per Bob 1) muoversi e 2) trasferirsi in bagno quando è necessario. Il progetto è anche quello di vedere se 3) Bob riesce a diventare più indipendente nel vestirsi e nell’indossare indossare i calzini e le scarpe. Come descritto nei capitoli precedenti, numerosi strumenti possono essere messi a disposizione dell’utente per aiutarlo a determinare gli interventi di TA più appropriati e per valutare i risultati di Bob, ma non verranno descritti in questo capitolo. Nell’osservare l’impatto su Jean, la valutazione di base che utilizza la Misurazione del Risultato del caregiver di TA mostra i risultati riguardanti l’attuale strategia di assistenza per i tre problemi principali (presentati nella Tabella 5.4 e nella Figura 5.4). Nella linea base, Jean mostra di avere in genere problemi più frequenti con l’assistenza che fornisce, e l’onere richiesto per vestire Bob risulta minore rispetto a quello relativo alla mobilità e ai trasferimenti in bagno. Tabella 5.4 Dati per la valutazione di Jean con la CATOM. Linea base Punteggi CATOM Parte 2 e Parte 3
Due settimane
Quattro mesi
Sei mesi
Punteggio Significato Punteggio Significato Punteggio Significato Punteggio Significato
Onere collegato alla mobilità
37
2,8
47
3,6
43
3,3
52
4,0
Onere collegato alle trasferte in bagno
34
2,6
55
4,2
47
3,6
59
4,5
Onere collegato al vestire la persona
50
3,8
53
4,1
51
3,9
53
4,1
Onere del l’assistenza nel suo complesso
15
3,8
14
3,5
12
3,0
17
4,3
Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia 103
Figura 5.4 Punteggi del CATOM nel corso del tempo.
Fase 2. A seguito delle valutazioni di base, vengono considerate diverse strategie per lui e per le problematiche legate alla sua mobilità e ai trasferimenti bagno. Anche se Bob è indipendente nella deambulazione grazie al bastone, le sue cadute sono una grande preoccupazione per Jean e aiutarlo a sollevarsi dal pavimento costituisce un carico non indifferente di sforzo fisico, soprattutto per il fatto che lui è più alto e più pesante di lei. Fornire assistenza fisica a Bob, specialmente quando cade, non è quindi sostenibile a lungo e si impone la necessità di trovare una strategia che eviti a Bob di cadere. Per vestirlo nelle sue estremità inferiori, Jean è l’unica risorsa, ma si vorrebbero studiare forme adeguate per renderlo di nuovo indipendente in tale attività. Fase 3. Per facilitare la mobilità, vengono prese in considerazione alcune strategie di TA, ma i problemi di equilibrio e di instabilità del ginocchio destro di Bob necessitano dell’uso di un deambulatore standard. Per facilitare i movimenti in bagno, decidono che vorrebbero avere un sedile del water più alto in modo che sia più facile per Bob sedersi. Per rendere questo movimento più facile, vorrebbero anche provare alcuni braccioli da toilette, in modo che Bob possa utilizzare le braccia per sollevarsi e abbassarsi da solo. Per la vasca da bagno viene considerata una varietà di opzioni. Anche se sarebbe possibile avere una sedia da bagno nella vasca, sono preoccupati che bob possa cadere oltre il bordo della vasca. Invece, vorrebbero utilizzare una panca da vasca, che si estenda al di fuori della vasca stessa, con un appoggio per facilitare il movimento in bagno. Per quanto concerne le opzioni relative al vestire,
104 Capitolo 5
decidono che vorrebbero in prova un ausilio flessibile al fine di facilitare il movimento per indossare le calze, e vengono sperimentati un calzascarpe a manico lungo e un dispositivo che permetta di arrivarci, per rendere più facile indossare sia le scarpe sia le calze. Fase 4. I medici introducono i dispositivi per la prova e nelle due settimane seguenti le metteranno in pratica utilizzandole con Bob e Jean. Fase 5. Anche se Bob è in grado di mettersi i calzini e le scarpe con i dispositivi di assistenza che gli sono stati forniti, lui e Jean decidono che è più facile che sia Jean a mettergli le calze e le scarpe perché, come sostiene Jean, “è molto più veloce e non molto fastidioso”. Bob, nondimeno, decide di tenere il dispositivo, dal momento che gli permette di togliersi le scarpe da solo e di prendere le cose dal pavimento. A questo punto i punteggi sulla Misura dei Risultati del caregiver di TA indicano che Jean sperimenta meno oneri connessi alla mobilità e ai trasferimenti, poiché è meno preoccupata per la sicurezza di Bob e non ha bisogno di aiutarlo a rialzarsi da terra, anche se teme ancora la possibilità che lui possa cadere mentre cammina con il deambulatore. Un’ulteriore attività che lei deve fare è di piegare il camminatore e riporlo con cura quando si spostano con l’auto, ma non lo trova difficile. Dato che la loro strategia utile per il vestirsi è in gran parte invariata, i punteggi per questa attività sono rimasti statici. Quattro mesi più tardi (tre giorni dopo la dimissione dall’ospedale) è stato applicato ancora una volta il modello di processo di TA per la diade “utenti /caregiver” Fase 1. La mobilità e i trasferimenti in bagno erano rimasti questioni importanti per Bob dopo la dimissione dall’ospedale. Fase 2. Si presentavano le stesse strategie possibili. Fase 3. Non c’era bisogno di prendere in considerazione alcuna ulteriore nuova attrezzatura e Bob ha usato tutta la sua dotazione dopo essere stato dimesso. Fase 4. È stato necessario un ulteriore allenamento per assicurarsi che Bob potesse utilizzare tutte le attrezzature dopo il suo intervento. Fase 5. La rivalutazione di Jean con la Misura del Risultato del caregiver di TA indica che il suo carico, relativamente alle questioni selezionate, è aumentato, se paragonato ai punteggi relativi alle due settimane, ma non è tornato ai livelli di partenza. Il suo onere complessivo è peggiore di quello previsto dalla linea base da quando Bob si è sentito molto male dopo l’intervento chirurgico e Jean ha dovuto svolgere ulteriori compiti di assistenza. Fase 5 ripetuta due mesi dopo l’intervento. Bob cammina molto meglio, poiché è tornato a utilizzare solo il bastone. Dato che non può flettere il ginocchio a più di 90 gradi, continua a usare la panca da bagno e il water sollevato, tanto più che ora è in attesa di un intervento al ginocchio destro. Jean è ancora un po’ preoccupata per la sicurezza a causa dei problemi di Bob con l’altro ginocchio, ma fornisce una minore assistenza fisica, anche se lo aiuta ancora a indossare le scarpe e i calzini. Il suo peso complessivo di assistenza è diminuito notevolmente. A questo proposito, l’intervento chirurgico e i dispositivi di assistenza hanno ridotto il suo peso assistenziale.
Misurare l’impatto delle tecnologie assistive sui caregiver in famiglia 105
Il modello di processo di TA per la diade “utenti/caregiver” probabilmente dovrà essere applicato di nuovo in futuro. A seconda di come Bob si riprenderà dal prossimo intervento al ginocchio, Jean potrebbe esprimere la necessità di un’ulteriore assistenza, che potrebbe essere affrontata attraverso strumenti specifici o probabilmente richiedere il coinvolgimento di caregiver formali. A un certo punto, Jean potrebbe anche presentare un problema di salute, così che non è da escludere che i loro ruoli possano invertirsi, nel senso che Bob potrebbe diventare, in qualche modo, lui un fornitore di cure per Jean.
5.5 Direzioni future Molto lavoro deve essere fatto per capire meglio l’impatto delle TA sui caregiver informali. Devono essere proposti modelli concettuali per aiutare a capire come l’uso delle TA può avere un impatto sulla vita dei caregiver informali ed è necessaria una ricerca sperimentale controllata, come quella che è in corso di effettuazione da parte degli autori del presente studio, per fornire prove convalidate della loro efficacia (Mortenson et al., 2009). Strumenti come la Misurazione del Risultato del caregiver di TA e quella dell’Impatto delle TA sulla Famiglia sono promettenti, ma è necessaria un’ulteriore ricerca per avvalorarli ulteriormente e perfezionarli. La ricerca è attualmente in corso per valutare la reattività della scala relativa all’Impatto delle TA sulla Famiglia e sviluppare strumenti che siano specifici per misurare l’impatto delle tecnologie di scrittura creativa e le strategie di comunicazione progressiva e alternativa (Ryan, 2010). Il lavoro per determinare l’affidabilità e la validità della Misura del Risultato del Caregiver di TA è stato intrapreso, ma non è da escludere l’ipotesi che metodi misti di misurazione possano rivelarsi necessari, allo stesso tempo, per valutare quantitativamente l’efficacia degli interventi di TA e per capire quali siano i principi attivi, i processi sociali e i fattori contestuali che influenzano qualitativamente gli esiti di questi interventi sul caregiver informale. È necessario, quindi, un lavoro supplementare per concettualizzare e valutare come le TA influenzino contemporaneamente i risultati del caregiver sia informali sia formali e, inoltre, si rendono necessari studi econometrici per esaminare l’efficacia dei costi degli interventi di TA.
5.6 Conclusioni Una ricerca per capire l’impatto delle TA sui caregiver informali è ancora allo stato embrionale. Si ritiene comunemente che le TA forniranno un effetto “a pioggia” che ridurrà gli oneri associati all’assistenza informale, ma finora la maggior parte della ricerca, che si è occupata della relazione tra l’uso delle TA e gli effetti sul caregiver informale, ha usato un’indagine trasversale o dati di tipo qualitativo, che non consentono di fare valutazioni di tipo causale. Alcuni studi hanno indicato che certi dispositivi potrebbero ridurre le ore di cura erogata, ma i dispositivi più complessi potrebbero avere un’influenza meno chiara sui risultati del caregiver.
106 Capitolo 5
Sulla base del modello concettuale che abbiamo sviluppato e delle nostre esperienze cliniche, si consiglia che per gli interventi di TA, che potrebbero avere successo a lungo termine si considerino con attenzione l’influenza che essi potrebbero avere sui caregiver informali e le prospettive che mediante essi si potrebbero dischiudere, dal momento che i risultati per gli utenti di assistenza e i loro assistenti sono strettamente correlati. Soluzioni di assistenza che potrebbero essere di beneficio per l’utente a breve termine, ma che potrebbero essere negative per il caregiver informale, non sono sostenibili. Verosimilmente, una soluzione di assistenza che ha un beneficio diretto sul caregiver, e che quindi diminuisce il suo onere fisico (per esempio utilizzando un sollevatore elettrico piuttosto che meccanico) potrebbe produrre anche un beneficio indiretto nell’utente di assistenza, poiché rende il compito del caregiver informale meno difficoltoso e più sostenibile. La FIATS e la CATOM sono due misurazioni promettenti per cogliere l’impatto degli interventi di TA sui caregiver informali; tuttavia, è necessaria un’ulteriore ricerca per affinare tali strumenti e per testare le loro proprietà psicometriche. Data la fase di sviluppo della ricerca in questo settore, gli studi condotti con metodi misti potrebbero fornire dati preziosi relativamente all’impatto della tecnologia di supporto sui caregiver informali da varie di prospettive. Infine, è da rilevare che dallo sviluppo di una conoscenza approfondita dell’impatto delle TA sugli utenti di assistenza e dei loro caregiver informali è possibile trarre indicazioni per erogare interventi più adeguati e ricercare il finanziamento più conveniente.
Parte
2
Introduzione alla Parte 2 Capitolo 6 Il terapista cognitivo Capitolo 7 L’educatore speciale Capitolo 8 Lo psicologo Capitolo 9 Lo psicotecnologo: una nuova professione per l’assegnazione delle tecnologie assistive
Capitolo 10 L’optometrista Capitolo 11 Il terapista occupazionale: attività di abilitazione e partecipazione con le tecnologie assistive
Capitolo 12 Gli specialisti pediatrici nelle soluzioni assistive
Capitolo 13 Il geriatra Capitolo 14 Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive
Introduzione alla Parte 2 M.J. Scherer, S. Federici
I professionisti della valutazione: il lavoro del team multidisciplinare Il modo in cui la disabilità è diagnosticata e trattata varia a seconda dell’età di insorgenza e del tipo di disabilità. Le disabilità dello sviluppo, che si manifestano durante l’infanzia e la fanciullezza, sono generalmente diagnosticate dopo aver osservato anomalie comportamentali e/o legate alla maturazione e successivamente confermate da una diagnosi medica. Le disabilità acquisite possono verificarsi in qualsiasi momento della vita e il trattamento ha spesso inizio in un pronto soccorso. La disabilità associata a una condizione degenerativa, generalmente legata all’età avanzata, è in genere gestita da medici di medicina generale, neurologi, gerontologi e membri della famiglia.
Il trattamento delle disabilità dello sviluppo Le disabilità dello sviluppo, come la sindrome di Down o la paralisi cerebrale, non possono essere “curate”. Tuttavia, gli interventi applicati il più presto possibile possono fare una grande differenza nel funzionamento attuale e futuro. Menomazioni ortopediche e neurologiche possono essere corrette chirurgicamente o farmacologicamente. Spesso i bambini con disabilità dello sviluppo subiscono molti interventi durante il loro sviluppo iniziale con l’obiettivo di rafforzare o di estendere l’uso delle capacità esistenti (Scherer, 2005). Le disabilità sensoriali possono essere notevolmente aiutate dai progressi tecnologici, e strumenti per comunicare possono essere resi disponibili dai dispositivi per la comunicazione alternativa e aumentativa. Oggi l’obiettivo è di aiutare i bambini con disturbi dello sviluppo a partecipare alla vita giocando con altri bambini, a frequentare la scuola e a essere un prezioso membro della famiglia e della comunità. Ciò richiede che il giusto insieme di tecnologie, sostegni e alloggi siano forniti in funzione dei bisogni e dei punti di forza dello studente (Scherer, 2005). Nella scuola gli interventi potranno comprendere la terapia fisica e occupazionale, la logopedia e la somministrazione di farmaci per il controllo di attacchi convulsivi, per il rilassamento degli spasmi muscolari e per alleviare il dolore. Questo può anche includere tutori e altre ortesi, ausili per la comunicazione, come i computer con uscita vocale, e una vasta gamma di prodotti aggiuntivi per
110 Introduzione alla Parte 2
ridurre al minimo le limitazioni funzionali e permettere il raggiungimento degli obiettivi scolastici e la partecipazione all’intero curriculum accademico. Sebbene gli studenti con disabilità dello sviluppo abbiano da affrontare sfide educative e fisiche, il loro potenziale è illimitato. La chiave sta nell’identificare le capacità e i punti di forza sia rafforzandoli con la gestione delle limitazioni sia fornendo agli studenti quelle opportunità e quei sostegni necessari per ottenere una vita che sia produttività e di qualità.
Il trattamento delle disabilità degenerative La situazione è alquanto diversa se consideriamo l’altro estremo del ciclo di vita, quello finale, cioè quegli individui che hanno una causa degenerativa di disabilità. Fino a poco tempo fa, se si osservava una persona anziana mettere le cose nei posti sbagliati e poi dimenticare dove le aveva messe, non riuscire ad aver cura della propria persona nonché dire e fare cose inappropriate, allora la persona anziana si trasferiva dai figli adulti, o da altri parenti, per essere curata e controllata. È quello che si verifica ancora oggi, anche se altrettanto frequentemente oggi il medico di base dell’anziano può raccomandare alla famiglia di prendere in considerazione una residenza assistita o una casa di cura. Ci troviamo davanti a situazioni che ribaltano ciò che avveniva tradizionalmente. Le famiglie di neonati e bambini con disabilità dello sviluppo oggi si assumono una parte importante della cura, perché ricoverare il proprio bambino in un istituto è sicuramente percepito dalla società odierna come un’azione irresponsabile. Allo stesso tempo, le opzioni per l’assistenza di persone anziane con demenza includono sempre più il collocamento in strutture specializzate che, nonostante gli sforzi per abbassare il rapporto personale-paziente e creare un ambiente attraente e domestico, sono istituzioni a tutti gli effetti. Il trattamento delle disabilità acquisite Una volta che la persona si è stabilizzata da un punto di vista medico, può ricevere una riabilitazione medica progettata a rafforzare le capacità residue e compensare quelle che sono state perse. I problemi psicosociali (finanziari, familiari, abitativi o scolastici/lavorativi) sono visti con l’obiettivo di far tornare l’individuo a ricoprire i precedenti ruoli e a partecipare alla vita comunitaria (Scherer, 2012). I centri di riabilitazione possono essere inglobati all’interno di un centro medico più grande o in strutture riabilitative autonome. La riabilitazione comprende non solo la terapia fornita, ma anche tutto ciò che si verifica in una unità riabilitativa, che include l’assistenza infermieristica, l’osservazione del comportamento, la valutazione e la pianificazione nutrizionale nonché le strategie non farmacologiche e le tecniche impiegate per favorire un ambiente ottimale al recupero. Di conseguenza, la terapia per il paziente si svolge nell’arco delle 24 ore quotidiane nell’unità riabilitativa e offre l’opportunità di estendere il trattamento, le strategie e la formazione per tutto il giorno, osservando il processo di recupero più da vicino, perché si adattino alle esigenze del paziente nel modo più efficace. Anche la struttura fisica e l’ambiente della stessa unità riabilitativa vengono spesso usati per facilitare la gestione dei pazienti. Per
Introduzione alla Parte 2 111
esempio, il limitare i punti di accesso in entrata e in uscita dall’unità sovente scoraggia i pazienti dal vagare in aree non sicure. Inoltre, ambienti a bassa stimolazione aiutano a ridurre stati di agitazione e irritabilità. Tutti questi aspetti di gestione dell’unità di riabilitazione facilitano il recupero e riducono al minimo l’uso dei farmaci e quindi i loro effetti collaterali. Le informazioni cliniche, i risultati delle analisi di laboratorio, come pure le diagnosi per immagini, tutto aiuta nello stabilire la disabilità. Le valutazioni svolte da terapisti occupazionali, fisioterapisti, logopedisti, psicologi e via dicendo sono ugualmente importanti. Informazioni provenienti da una varietà di valutazioni standardizzate e test vengono utilizzate per determinare e guidare la pianificazione del trattamento, che può andare dalla terapia intensiva alla comunità di (re)integrazione. Le misure dell’outcome, utilizzate per determinare l’efficacia degli interventi medici e di riabilitazione, continuano a concentrarsi principalmente sui cambiamenti nel tempo di funzioni e strutture corporee e, quando si rivolgono alla qualità della vita, si tende a limitarle alla qualità della vita correlata alla salute (vedi per esempio Maas et al., 2010). Un recente studio ha riportato, tuttavia, che le misure della qualità di vita correlata alla salute sono prevalentemente misure di funzionalità che si traducono “in un pregiudizio contro le persone con limitazioni funzionali di lungo periodo, non legate cioè all’attuale stato di salute” (Hall et al., 2011, p. 98). Come ha affermato Wilson (2006), sono necessari metodi migliori di valutazione della riabilitazione che abbandonino la dipendenza da misure di outcome tradizionali, le quali spesso non riescono a cogliere i reali bisogni dei pazienti e delle famiglie. Resta il fatto, però, che troppa poca attenzione viene data a: •
le preferenze e gli obiettivi delle persone con disabilità e dei loro familiari;
•
la predisposizione di una persona a beneficiare di alcuni interventi rispetto ad altri;
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l’abbinamento tra le aspettative su un certo vantaggio con la realizzazione del vantaggio stesso ottenuto dagli interventi scelti;
•
i fattori sociali e ambientali che incidono sul vantaggio.
Risulta vero, secondo un approccio biopsicosociale, che la riabilitazione deve iniziare con la comprensione dell’attuale funzionamento fisico, cognitivo, emotivo/comportamentale e psicosociale dell’individuo. Ciò richiede un team di riabilitazione composto da persone provenienti da diverse aree di specializzazione tra cui la neuropsicologia, la psicologia della riabilitazione, la psichiatria, la terapia occupazionale, la logopedia, l’assistenza sociale e la consulenza nella riabilitazione professionale. Specialisti in deficit sensoriali, come audiologi e optometristi, possono essere inclusi. Un membro chiave del team, che deve essere presente fin dall’inizio, è rappresentato dagli specialisti di tecnologie assistive. Assistenza personale e sostegno all’uso di tecnologie, così come la ristrutturazione ambientale e l’uso di strategie cognitive e comportamentali, sono risorse importanti. Case manager e organizzazioni a difesa dei disabili possono aiutare a ottenere servizi più adeguati nella comunità civile per quanto riguarda, per esempio, i trasporti, la gestione finanziaria e l’assistenza abitativa.
112 Introduzione alla Parte 2
Presentazione dei capitoli della Parte 2 La struttura, il livello di incidenza e i servizi disponibili per la riabilitazione variano notevolmente da una zona all’altra, se confrontiamo le infrastrutture, le città, gli stati e le nazioni. A mo’ di esempio, una rassegna sulla riabilitazione di lesioni cerebrali da trauma (Chua et al., 2007) ha elencato le seguenti figure come appartenenti al team multidisciplinare di riabilitazione: •
persone con disabilità;
•
familiari o caregiver della persona con disabilità;
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medico della riabilitazione o fisiatra;
•
infermieri o tecnici della riabilitazione;
•
professionisti del settore sanitario: fisioterapista, terapista occupazionale, patologo del linguaggio, psicologo clinico, neuropsicologo, assistente sociale e consulente;
•
professionisti sanitari paramedici: dietista, tecnico ortopedico e della riabilitazione;
•
altri specialisti medici, per esempio oftalmologo, gastroenterologo e neurologo;
•
servizi di reinserimento professionale e consulenti;
•
volontari di supporto o gruppi spirituali.
Anche il Joint Committee on Interprofessional Relations Between the American Speech-Language-Hearing Association and Division 40 (Clinical Neuropsychology) dell’American Psychological Association (2007) ha fornito un elenco di professionisti componenti di un “team multidisciplinare” sui traumi cerebrali: •
persone con disabilità;
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familiari o caregiver della persona con disabilità;
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patologo del linguaggio;
•
neuropsicologo clinico;
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audiologo;
•
psicologo della riabilitazione;
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specialista del comportamento;
•
dietista;
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educatore;
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terapista occupazionale;
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fisioterapista;
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medico di base;
Introduzione alla Parte 2 113
•
psichiatra;
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fisiatra;
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infermiere della riabilitazione;
•
assistente sociale;
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case manager;
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specialista in attività terapeutiche ricreative;
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consulente nella riabilitazione professionale;
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para-professionisti.
Il Joint Committee afferma che: Quando sono colpiti i domini cognitivi, della comunicazione, emotivi, psicosociali, il team deve includere almeno un neuropsicologo clinico o uno psicologo della riabilitazione e un logopedista. La composizione del team varia con l’età delle persone servite, il tipo di menomazione, la fase del recupero e la formazione specifica dei membri del team (2007, p. 4).
È così evidente una notevole corrispondenza in queste due visioni del team della riabilitazione, la prima di Singapore e la seconda degli Stati Uniti. I nove capitoli presentati in questa parte si focalizzano e descrivono il ruolo di molte professioni della riabilitazione delle persone con disabilità e il loro appropriato abbinamento a tecnologie assistive. Ognuno dei capitoli è stato scritto da un esperto internazionale nella sua area di specialità. Ciò che accomuna questi autori non è solo il loro impegno per ottenere risultati ottimali nella riabilitazione, ma la loro prospettiva centrata su un approccio biopsicosociale alla valutazione, selezione e fornitura di tecnologie assistive.
Conclusioni Nella riabilitazione i risultati migliori si ottengono quando sono condivise le prospettive di individui che, seppure rappresentanti di diverse aree di conoscenza e abilità, mettono in comune le loro competenze per ottenere interventi che soddisfino i bisogni e le preferenze personali, psicosociali e fisiche della persona con una disabilità. Questo lavoro del team ha bisogno di essere esercitato anche nella selezione e fornitura di soluzioni assistive. Ciascuno dei collaboratori di questa parte descrive come questo può essere realizzato dal punto di vista della loro formazione ed esperienza pratica.
Capitolo
6
Il terapista cognitivo1
M. Olivetti Belardinelli, B. Turella, M.J. Scherer
In corrispondenza con l’approccio biopsicosociale e con la cornice teorica dell’ICF, il ruolo del terapista cognitivo si focalizza sulla totalità del funzionamento cognitivo, emotivo/comportamentale e psicosociale dell’individuo per migliorare il funzionamento della persona, nella vita comunitaria e nella partecipazione sociale. La valutazione e la misurazione sono gli elementi chiave, come lo è la terapia cognitiva comportamentale. L’assistenza personale e il supporto offerto dalle tecnologie, come la ristrutturazione dell’ambiente e l’uso di strategie cognitive e comportamentali, sono tutte risorse importanti, ma richiedono un processo di selezione per facilitare una corrispondenza appropriata tra persona e supporto.1
6.1 Le terapie cognitiviste L’origine della terapia cognitiva viene generalmente riportata alle terapie comportamentali. Ciò è senz’altro vero nella misura in cui ci si riferisce agli approcci originali delle terapie del comportamento, ma risulta estremamente riduttivo per gli altri numerosi approcci presenti all’interno della vastissima offerta cognitivista, che come vedremo più avanti, già nelle sue formulazioni iniziali mancava di evidenti riferimenti al comportamento e annoverava tra i massimi esponenti terapeuti di formazione psicodinamica. La terapia comportamentale nasce, tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Cinquanta con l’utilizzo di tecniche e teorie derivate dagli iniziali contributi di Pavlov a casi di disturbi umani. Su questa base, alcuni autori proposero di considerare l’esistenza di mediatori, variabili intervenienti di tipo biologico o cognitivo che potessero interagire con gli antecedenti e i condizionamenti per spiegare il comportamento umano. Il paradigma del condizionamento strumentale consentì di approcciare il comportamento umano con la garanzia di poterlo modificare. In un primo tempo le modificazioni comportamentali erano il risultato di trattamenti in ambiti nei quali potevano essere più facilmente manipolate le variabili ambientali e in cui i fruitori presentavano caratteristiche di “semplicità cognitiva”, come nei casi di bambini, soggetti psicotici e disabili in
1 Nel capitolo sarà utilizzato il termine terapista cognitivo quando l’accento è posto sulla figura professionale che contribuisce a un intervento di riabilitazione cognitiva con persone affette da disabilità. La dizione terapeuta cognitivista sarà invece utilizzata con riferimento a un intervento psicoterapeutico, condotto con persone con o senza disabilità, che si avvalga di un quadro di riferimento teorico e di tecniche e strategie di stampo cognitivista.
116 Capitolo 6
senso lato. Altro ambito di intervento elettivo è stato quello dei disturbi nevrotici e dei problemi emozionali, comportamentali e neurovegetativi connessi all’ansia e alla depressione. La definizione di terapia comportamentale si deve a Lazarus, che propose un approccio basato sulla teoria e sull’esperienza, sull’applicazione dei principi di condizionamento e apprendimento, in contrasto con le terapie psicodinamiche contemporanee. A partire dagli anni Sessanta, la maggiore considerazione e attenzione per gli eventi interni all’individuo e la loro influenza sul comportamento in relazione al suo contesto consentono di riformulare la terapia del comportamento in un approccio clinico definito terapia cognitivo-comportamentale. Il contributo più rilevante fu offerto da Bandura, che teorizzò una relazione di “determinismo reciproco” tra ambiente, processi cognitivi e comportamento. La restituzione al soggetto di un ruolo attivo portò alla formulazione del concetto di autoefficacia, intesa come la modalità con cui il soggetto si riferisce alle convinzioni sulle proprie capacità e che determina il suo grado di vulnerabilità di fronte alle avversità. I contributi che più di tutti segneranno la svolta verso il cognitivismo clinico si affacciano, nel panorama delle teorie psicoterapeutiche, in un quadro che tuttavia rimane di matrice ancora fortemente comportamentista. Il primo è il modello teorico di Ellis (1962), che afferma una sequenza lineare di processi cognitivi, emotivi e comportamentali. La terapia razionale emotiva comportamentale (REBT) sostiene che le credenze, i pensieri e le idee sono le cause delle conseguenze cognitive, emotive e comportamentali che il soggetto si trova a vivere a fronte degli eventi che esperisce. Così gli individui sarebbero guidati dalle loro credenze, più o meno razionali e distorte, nel selezionare i loro atteggiamenti emotivi. Il sistema di regole assolute che deriva dalle credenze non trova sempre conferma nelle esperienze quotidiane, ma nonostante ciò le persone non riescono a correggere le convinzioni disfunzionali a causa di errori procedurali sistematici quali la deduzione arbitraria, l’astrazione selettiva, la generalizzazione eccessiva, la tendenza a ingigantire o a minimizzare, la personalizzazione e l’uso di un pensiero assolutistico e dicotomico (Beck et al., 1979). Il secondo contributo è quello offerto dal modello di Beck e da questi definito psicoterapia cognitiva, attraverso cui è stata uniformata culturalmente la vasta gamma di contributi che molti precursori avevano già fornito. Lo stesso Beck aveva sviluppato un trattamento specifico della depressione partendo dalla premessa che il disagio psicologico e il comportamento disfunzionale dipendono da come il soggetto vive e interpreta la realtà. Per Beck la qualità dei pensieri e delle convinzioni (schemi e core beliefs) condiziona lo stato psicologico fino a divenire causa della disfunzione emotiva. I principi guida della terapia cognitiva standard (TCS) sono i seguenti. •
I disturbi psicologici sono dovuti a modelli cognitivi disadattivi che regolano in modo patogeno l’elaborazione dell’informazione. I diversi cluster di disturbi presentano un pattern di anomalie riconoscibile.
Il terapista cognitivo 117
•
I diversi pattern si esprimono attraverso pensieri automatici e l’elaborazione cosciente.
•
Le convinzioni e i significati costruiti si esprimono in pensieri che possono essere sottoposti a un’analisi logica e a una verifica empirica connessa con i dati di realtà che vengono utilizzati o ignorati.
L’intervento di TCS mira a rendere il paziente consapevole dei propri pensieri automatici dal momento che gli si presentano, spontaneamente e senza controllo, come ovvi e coerenti con la propria struttura. Sia per Ellis (1962) sia per Beck (1976) l’intervento terapico si esplica attraverso l’analisi sistematica delle rappresentazioni, degli schemi, dei pensieri e delle credenze coscienti e preconsce che precedono, accompagnano e seguono un determinato stato emotivo che il soggetto avverte come problematico e egodistonico (Semerari, 2002). Si tratta di un approccio, peraltro flessibile e piuttosto variegato al suo interno (Durlak et al., 1991; Gonzalez et al., 2004), che risolve la continuità con le teorie e le pratiche delle terapie tradizionali, focalizzandosi sul presente, enfatizzando un controllo interno e mirando, attraverso l’insegnamento della teoria, a modificare pensieri e comportamenti (Rait et al., 2010). Le differenze più rilevanti tra i due contributi, quello di Beck e quello di Ellis, possono essere ricondotte sia alle teorie di riferimento iniziali, scientifica ed evoluzionistica per il primo e filosofica per il secondo, sia alla teoria e alla tecnica terapeutica, comprese le caratteristiche del ruolo del terapeuta. Tuttavia si riscontra un accordo pressoché unanime nel riconoscere in quelli di Beck ed Ellis i contributi più sistematici e significativi nell’ambito della psicoterapia cognitiva e delle terapie cognitivo-comportamentali. La differenza più evidente tra gli approcci comportamentali e quelli afferenti alla psicologia e terapia cognitiva risiede nell’oggetto individuato come obiettivo di cambiamento: il comportamento nel primo caso, i pensieri e le emozioni nel secondo. Il cognitivismo, nella sua applicazione in ambito clinico, si presenta come una vasto insieme di approcci (Mahoney, 1991) tenuti insieme dall’importanza attribuita ai processi di elaborazione dell’informazione, con conseguente costruzione del significato, ma distinti per un vasto ed eterogeneo insieme di questioni teoriche generali ed epistemologiche, che si traducono in differenze anche marcate nelle strategie e nelle tecniche di intervento. In ogni caso, ci sembra utile sottolineare come le teorie e le terapie cognitiviste sinora esposte possano essere ricondotte a una matrice razionalista in cui appare netta la supremazia dei processi cognitivi. All’impostazione razionalista è seguita quella del cognitivismo costruttivista, che enfatizza il recupero dei processi di sviluppo personale e di costruzione dei propri significati, in base alle esperienze emotive, sottolineando l’interdipendenza e l’influenza reciproca e circolare tra pensiero, emozione e azione. Nella prospettiva costruttivista, il principio di percezione diretta della realtà e di corrispondenza incompleta tra la realtà e la sua conoscenza, definibile anche come realismo critico, diviene un principio di corrispondenza (match) che, in termini più
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radicali, giunge a essere un principio di conoscenza adatta (fit) alla realtà (von Glasersfeld, 1984). Un ulteriore passo avanti è quello proposto dai biologi Maturana e Varela (1980, 1987) e dal cibernetico von Foerster (1984): la conoscenza è il risultato di un’interpretazione soggettiva, valida in un tempo e in uno spazio, generata linguisticamente e negoziata socialmente, e non il prodotto di un’elaborazione cognitiva valida oggettivamente. Una tale profonda rivoluzione nel paradigma della conoscenza, è stata avviata negli ultimi decenni del secolo scorso con la crisi dell’epistemologia empirista e razionalista, non tanto per i risultati scientifici e clinici ottenuti attraverso l’approccio cognitivo classico, che apparvero da subito importanti e rilevanti, ma per una insoddisfazione connessa a un livello teorico generale, alle ipotesi sul funzionamento della mente (Olivetti Belardinelli, 1973, 1976) e al significato connesso con il disagio psichico (Semerari, 2002). L’approccio comportamentale e quello cognitivista “razionalista” sono fondati sull’assunto che la conoscenza sia la rappresentazione di un ordine oggettivo e univoco esistente indipendentemente dal nostro “essere nel mondo”. Tra gli autori che, mettendo in crisi la teoria, ne permisero il cambiamento, c’è Mahoney il quale nel 1980 pubblicò il saggio Psycotherapy and the structure of personal revolutions, dove è indicata in sei punti la critica alla terapia cognitivo-comportamentale che costituirà lo spunto di riflessione e di partenza per una nuova corrente nell’ambito della psicologia cognitiva. In quest’opera l’autore individua alcuni elementi di criticità del modello cognitivo-comportamentale mettendo in luce quanto la razionalità e conseguentemente le convinzioni esplicite siano concepite come fattori dominanti e determinanti di tutta l’esperienza umana, “normale” e patologica, a scapito degli aspetti emozionali, più soggettivi, impliciti e autoreferenziali. Vi sarebbe un’enfasi eccessiva e unilaterale sulla razionalità come fattore d’adattamento e, nella relazione terapeutica, sembra porsi l’accento sugli aspetti pedagogici e normativi, minimizzando la percezione della complessità degli eventi relazionali e del loro ruolo anche nel processo terapeutico. L’autore nella sua critica propone inoltre un modello di cambiamento in psicoterapia tanto significativo e sostanziale da essere paragonabile a quello descritto da Kuhn e attivato durante una rivoluzione scientifica. In Italia, grazie soprattutto all’opera di Guidano e Liotti (1983; Guidano, 1987, 1991; Liotti 1991, 2001, 2005), è stato elaborato un modello di terapia definito cognitivista-postrazionalista, per indicare le “trasformazioni di rilievo nella concettualizzazione del cambiamento e nella metodologia terapeutica rispetto alla prospettiva razionalista” (Guidano, 1991, p. 91). Con questo termine Guidano intendeva affermare una nuova concezione della conoscenza, non più intesa come risultato dell’attività cognitiva della mente, ma costruita dalla mente stessa sulla base dell’esperienza emozionale. L’elaborazione logica e razionale si attiverebbe a partire da una matrice fatta di sensazioni e azioni e strutturerebbe convinzioni e pensieri, significati e spiegazioni, funzionalmente coerenti con l’esperienza emotiva.
Il terapista cognitivo 119
Guidano e Liotti utilizzano per le loro argomentazioni i contributi non solo della psicologia cognitiva, ma anche quelli della teoria dell’attaccamento, dell’epistemologia evolutiva e dell’etologia, nonché altre teorie e approcci clinici. Successivamente, grazie anche al contributo offerto dalle teorie della complessità e dalla seconda cibernetica, all’apporto della “teoria della conoscenza”, sistematizzata e sviluppata soprattutto da Maturana e Varela (1980, 1987), Guidano (1987, 1991) afferma un importante principio epistemologico: non esiste una realtà, un universo valido per tutti, ma una realtà multiversa, costruita attivamente dall’osservatore, secondo regole che assicurino identità, unicità e continuità dell’individuo nelle sue esperienze nell’arco della vita (von Graserfeld, 1984). Gli aspetti più rilevanti per gli sviluppi successivi e più articolati della teoria sono legati all’importanza attribuita alla costruzione della conoscenza, al concetto di sistema ad auto-organizzazione e ai principi che ne regolano l’equilibrio (von Bertalanffy, 1968; von Foerster, 1984; Maturana e Varela, 1980, 1987; Bocchi, Ceruti, 1985) all’utilizzo del linguaggio e della narrazione (Bruner, 1990) alla storia individuale, specialmente all’attaccamento infantile (Bowlby, 1979, 1988) e alle esperienze emozionali. Le diverse impostazioni cognitiviste presentate, seppur sommariamente, lasciano ben intuire le inevitabili ricadute sulla pratica terapeutica, rendendo profondamente diverso il modo di intendere il disturbo, la malattia, la cura e il ruolo del terapeuta, come vedremo nel prossimo paragrafo.
6.2 Il terapeuta cognitivista La psicologia cognitivista tradizionale, pur affermando che l’attività dell’individuo che agisce o pensa è sempre dipendente dall’individuo stesso e dalle sue esperienze, interpreta il disagio o il sintomo come il risultato di una convinzione irrazionale distorta che il terapeuta può modificare presumendo che esista un ordine razionale esterno univoco e uguale per tutti. Per tali ragioni, le terapie cognitive tradizionali risultano essenzialmente persuasive nell’applicazione di un “metodo di ristrutturazione razionale sistematica” attraverso cui raggiungere il cambiamento delle “credenze irrazionali” ritenute causa del disturbo. Secondo il modello cognitivista classico, infatti, i disturbi psicologici deriverebbero dalla presenza di un insieme di schemi o modelli cognitivi disadattativi che regolano in modo patogeno l’elaborazione dell’informazione. Tali modelli si esprimerebbero attraverso i pensieri automatici e l’immaginazione cosciente. Nei modelli costruttivisti, invece, la psicopatologia, oltre che dipendere da un’alterazione del funzionamento di una precisa organizzazione della conoscenza di sé con l’altro, centrata su un nucleo semantico ben identificabile, come nel caso delle organizzazioni di significato, può essere generata da una disconnessione tra la conoscenza episodica e quella semantica di sé o comunque da ostacoli ai processi per cui la conoscenza implicita, soprattutto emozionale, può divenire esplicita e dunque entrare nel bagaglio di conoscenza come significati costruiti su sé e sul mondo. Tali ostacoli possono essere rappresentati da deficit di conoscenza e riconoscimento delle emozio-
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ni, da carenze metacognitive o deficit concettuali e linguistici (Liotti, 2001). A questo tipo di disturbi si aggiunge poi un particolare ambito psicopatologico che riguarda specificatamente le interazioni mediate dal sistema motivazionale interno dell’attaccamento; in particolare si fa riferimento all’attaccamento disorganizzato in cui risulta una rappresentazione di sé con l’altro molteplice, dissociata, mutevole ed emotivamente carica (Liotti, 1999). Nella formulazione di Beck (1976) l’intervento terapeutico si presta a essere definito come un approccio che può alleviare il disagio psicologico attraverso la correzione di concezioni false e di convinzioni erronee. Nella TCS la terapia consiste nell’individuare i pensieri automatici e gli schemi sottostanti al fine di analizzarli criticamente, anche grazie alla considerazione di pensieri alternativi. I compiti assegnati al paziente sono sostanzialmente quelli legati alla tecnica dell’auto-osservazione sistematica con un atteggiamento introspettivo e volto all’insight. Il paziente viene istruito a registrare, nell’ordine, le emozioni principali provate in un’esperienza problematica, la descrizione della situazione, i pensieri e le immagini che hanno immediatamente preceduto, accompagnato e seguito l’emozione implicata. Il terapeuta collabora con il paziente al fine di correggere lo stile di processamento delle informazioni e per farlo spesso è necessario che aiuti il paziente a riconoscere le emozioni principali, spiegando per esempio quali sono i correlati somatici di alcune emozioni di base o la disposizione all’azione che alcune emozioni comportano (Beck et al., 1985). Anche per Ellis (1962) l’intervento terapeutico consiste nell’individuare gli errori cognitivi (idee irrazionali) per spiegare i conseguenti disturbi emotivi; la correzione, sostituzione o eliminazione di tali credenze disfunzionali consente al terapeuta di “curare” il paziente. Attraverso la tecnica dell’ABC (Activating Event, Belief and Consequences) il paziente è invitato a registrare eventi, credenze e conseguenze, al fine di individuare le credenze irrazionali. La terapia sarebbe una ricerca, con il terapeuta in veste di supervisore, attivo e direttivo, il cui focus è rappresentato dai pattern di pensiero. Negli approcci di terapia cognitivo-comportamentale (CBT) l’accento sulla possibilità di “guidare”, “istruire” ed “educare” il paziente è particolarmente marcato: per questo motivo lo stesso Ellis (2003) ha affermato che il futuro della terapia razionale emotiva comportamentale (REBT) e delle terapie cognitivo-comportamentali in genere è legato al campo dell’educazione formale. In questi approcci dunque il terapeuta conosce quali sono i pensieri e le convinzioni funzionali al paziente e pone dall’esterno la soluzione al problema presentato. Il trattamento si pone l’obiettivo di ridurre la sintomatologia e di incrementare le strategie attraverso cui il paziente può divenire più “abile” nell’affrontare le diverse situazioni problematiche che si possono presentare. Diversamente, negli approcci cognitivisti costruttivisti, si ritiene che ogni sistemapersona evolva secondo regole che gli sono proprie e che gli garantiscono continuità, coerenza e unicità, verso livelli sempre più complessi di organizzazione e funzionamento. L’equilibrio del sistema dunque non è inteso come stabile, univoco e determinato una volta per tutte, ma piuttosto come dinamico, mutevole e variabile in funzione di un elevato numero di variabili che influenzano in un dato momento quel sistema
Il terapista cognitivo 121
(Maturana e Varela, 1980, 1987; Guidano, 1987). Quando queste variabili perturbanti generano un’alterazione dell’equilibrio esistente che eccede la capacità del sistema di riequilibrarsi ristrutturandosi, quando esperienze e avvenimenti generano turbolenze e fluttuazioni emotive che eccedono la soglia di tolleranza del sistema, quando la ri-organizzazione non può essere contenuta entro una soglia di tolleranza ed eccede risultando non più comprensibile e non più controllabile il sentirsi in quella realtà esperienziale, allora si manifesta uno scompenso. È evidente che i sistemi cognitivi caratterizzati da un maggior rischio di scompenso sono quelli che presentano caratteristiche di lassità o rigidità e che, di contro, i sistemi più flessibili, con un più ampio range di variabilità, sono esposti a un minor rischio di scompenso e, di fronte alla crisi del sistema, all’imprevisto e alla novità, sono più capaci di attivare efficaci strategie di compenso (Reda, 1986; Guidano, 1987, 1991; Cionini, 1991, 1998). Ogni organizzazione contiene dunque in sé le cause delle sue stesse crisi, dal momento che vincola la direzionalità generativa dell’arco di vita personale e implica la determinazione del range di variabilità tollerabile, in pieno accordo con quanto previsto per il funzionamento dei sistemi complessi e autopoietici. La funzionalità di un sistema dipende dunque dalla capacità del sistema stesso di esperire la realtà costruendone significati. Questi dipendono dalla qualità dell’elaborazione, essendo influenzati dai processi di analisi e di concettualizzazione previsionale e che determinano la “guida” del comportamento, come l’insieme delle azioni, anche speculative ed emozionali, che l’individuo pone in essere coerentemente agli scopi e agli obiettivi che in ogni momento e in ogni luogo vengono da lui personalmente definiti come da raggiungere. L’equilibrio, l’efficienza e la salute del sistema dipendono quindi dalla capacità di elaborare significati e modelli “verosimili” di se stessi e del mondo, modelli che consentano previsioni e anticipazioni dei percorsi per raggiungere gli obiettivi o piuttosto che indichino la necessità di riformulare gli obiettivi, consentendo ogni volta che la conoscenza così costruita rientri nel “circolo” per alimentare di nuovo il processo incessante del viversi nell’esperienza (Reda, 1986; Cionini, 1998). Per quanto riguarda la relazione tra terapeuta e paziente, negli approcci cognitivisti riconducibili alle teorizzazioni di Beck ed Ellis e, in generale in tutti i modelli cognitivo-comportamentali, essa non si configura come lo strumento principe del cambiamento, ma è valutata solo in funzione degli esiti del trattamento. La relazione terapeutica ha assunto, nei diversi approcci epistemologici, varie funzioni: quella di sostegno delle funzioni dell’io, quella cognitiva di disvelamento dei processi inconsci, volta all’insight e all’apprendimento, quella ispirata all’incremento della funzione metacognitiva e così via. Partendo dalla necessità comune di creare un’alleanza terapeutica, una collaborazione empatica tra terapeuta e paziente, ogni approccio, “costruisce i propri esperimenti” nella relazione, in modo metaforicamente simile a quanto accade in un laboratorio (Semerari, 2002). Nella prospettiva post-razionalista di Guidano (1987, 1991), invece, il cambiamento coincide con una riorganizzazione del significato personale e con la costruzione di un equilibrio nuovo, non prevedibile per natura e qualità, ma capace di assimilare lo squilibrio grazie all’aumento della complessità e della conoscenza di sé. Nella
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relazione terapeutica, il terapeuta evita di criticare o di sorprendersi per le emozioni negative connesse allo scompenso, per non confermare il senso di estraneità che il paziente già prova nei confronti di queste discrepanze. In questo senso, l’approccio processuale sistemico ha l’obiettivo di aumentare la conoscenza che il paziente ha dei propri vissuti e delle proprie regole di funzionamento, utilizzando proprio le emozioni disturbanti come fonti di informazione sempre nel rispetto della coerenza interna, necessaria alla conservazione dell’identità personale. Il cambiamento che coinvolge questi processi cognitivi, attivato da processi di pensiero che agiscono sul pensiero, procede però a ritmi completamente diversi, e senza dubbio più veloci, di quanto accada alle motivazioni e ai vissuti emotivi che costituiscono l’esperienza immediata. I sistemi linguaggio-pensiero ed emotivitàaffettività sembrano essere elaborati in maniera distinta: il nucleo cognitivo richiede l’applicazione di regole operative della logica formale; gli aspetti emotivi sembrano invece combinarsi in modo molto più stabile, ma seguendo regole che attengono alla specificità del funzionamento del sistema personale, alla sua auto-organizzazione. Il nucleo tacito di natura emozionale può dunque essere modificato solo grazie all’introduzione di nuove tonalità emotive, che inserendosi all’interno di pattern strutturati e costruiti nel corso dell’esperienza di vita, ne cambiano la configurazione. In altri termini, dato che il pensare può cambiare i pensieri e solo il sentire può cambiare le emozioni, i processi di cambiamento in psicoterapia devono comportare necessariamente nuove esperienze emozionali che saranno aggiunte ai temi affettivi nucleari. Nessuna conoscenza e nessun processo di cambiamento, anche quello terapeutico, può avvenire senza che ne sia coinvolta l’emozionalità. La persona, vista come una complessa struttura cognitiva organizzativamente chiusa e autonoma, costruisce autonomamente i propri significati a partire dalle proprie esperienze e i significati costruiti guidano le successive esperienze. Così, questi due livelli in cui è possibile operare un cambiamento sono fortemente interconnessi e nella narrazione del paziente può risultare difficile discriminare l’esperienza immediata dalla sua spiegazione, che, essendo di per sé parziale e autoriferita, tende a escludere ciò che risulta non decodificabile (Reda, 1986; Cionini, 1991). Distinguere l’esperienza immediata – il fatto – dalla sua spiegazione – la teoria – è il primo compito del terapeuta (Guidano, 1987). Discriminando l’esperienza immediata dalla sua spiegazione, il terapeuta opera nello spazio, nell’interfaccia tra queste due dimensioni, offrendo al paziente un nuovo elemento, un nuovo punto di vista capace di perturbare il sistema-paziente nella sua struttura. Ciò può accadere, come abbiamo già detto, piuttosto facilmente per quanto riguarda i pensieri, ma per generare un vero cambiamento terapeutico, si richiede che il paziente sia emotivamente coinvolto con il terapeuta. Questo implica che è la significatività della relazione, la sua valenza affettiva, a garantire l’autoreferenzialità: la discrepanza percepita può essere riferita dal paziente a se stesso piuttosto che all’esterno. Il coinvolgimento emotivo dunque è la conditio sine qua non per produrre un cambiamento, cambiamento che occorre allo stesso terapeuta nel momento in cui si predispone ad assumersi la “responsabilità” dell’esserci per il paziente. Secondo Liotti (2001, 2005) l’essere umano è motivato alla guarigione dalle proprie sofferenze; il paziente vuole guarire e per questo attiva
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il suo sistema motivazionale all’attaccamento a cui deve fare da riscontro l’attivazione del sistema di accudimento del terapeuta. Costruita l’alleanza terapeutica, grazie alla definizione esplicita dell’obiettivo comune, si attiva il sistema motivazione interno di cooperazione paritetica, in cui c’è una condivisione di significati e una reciproca richiesta di aiuto (anche il terapeuta può e deve chiedere aiuto al paziente, per esempio per accertarsi di aver capito). Il terapeuta quindi lavora per identificare il piano, l’organizzazione di significato personale, con le sue regole di funzionamento, che spesso è al di fuori della coscienza del paziente e che inconsapevolmente lo guida. Le nuove scoperte, attraverso il requisito dell’autoreferenzialità, avviano un processo di ristrutturazione e riorganizzazione personale capace di “assimilare” le credenze patogene e le discrepanze emerse con lo squilibrio e di svelare le motivazioni innate alla base del piano, alla base cioè del sistema di regole che sovrintendono al funzionamento dell’organizzazione personale. Ogni volta che in terapia vengono confutate credenze patogene, il processo compie un passo avanti nella direzione del piano. Se e quando la relazione terapeutica sarà interiorizzata, allora l’esperienza terapeutica sosterrà la continuità della coscienza fuori dallo studio del terapeuta (Liotti, 2005). Durante il percorso terapeutico, il terapeuta, spogliato di qualunque ambizione connessa all’essere detentore di verità assolute, oggettive e “giuste”, rinunciando al ruolo di osservatore esterno, non ha l’obiettivo di aumentare indiscriminatamente la consapevolezza, poiché a questa sono legate sia la perdita della spontaneità e dell’immediatezza, sia l’emergere di emozioni spiacevoli e perturbanti derivanti dalla difficoltà di riconoscersi. Lo scopo è piuttosto quello di ottenere una riorganizzazione adattiva, un nuovo equilibrio omeostatico, più flessibile e ampio, attraverso la minima modificazione della coscienza di sé del paziente, la minima oscillazione del suo senso di identità. L’obiettivo è quello di mettere il paziente in condizione di sperimentare e “sentire” che il suo funzionamento, il suo significato personale, il suo piano, determinano sia il suo mondo, sia il grado di libertà con cui può essere in quel mondo. Il rapporto terapeutico così evolve, come afferma Guidano (1991, p. 184), in un rapporto di supervisione, come se il paziente fosse un terapeuta alle prime armi che periodicamente sottopone a un collega più esperto l’andamento dei casi che segue, con la sola differenza che il caso di cui si occupa è se stesso.
6.3 La terapia cognitivista dei disturbi cognitivi I disturbi cognitivi offrono un terreno di confronto sull’efficacia dei diversi interventi in ambito cognitivista. Già la stessa definizione di disturbo cognitivo, all’interno della categoria più vasta della disabilità, deve essere articolata e precisata, tenendo altresì conto dell’ulteriore distinzione tra disturbi cognitivi e disturbi intellettivi (Schalock e Luckasson, 2004). Vogliamo, inoltre, sottolineare che la valutazione diagnostica, l’assessment e l’intervento stesso risentono di tale definizione anche in termini sostanziali influenzando l’atteggiamento di tutti i partecipanti. Nella fase valutativa, infatti, oltre che effettuare la diagnosi categoriale, si cerca di considerare
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la condizione di compromissione del sistema-persona (diagnosi funzionale e dimensionale) per poter valutare la presenza/assenza delle risorse necessarie al trattamento. I disturbi cognitivi sono in genere definiti come alterazioni delle cosiddette funzioni intellettive superiori: intelligenza, attenzione, memoria, linguaggio, capacità di letto-scrittura, abilità visuo-spaziali e prassiche, funzioni esecutive (abilità di giudizio, pianificazione, flessibilità cognitiva e così via). Tali disturbi si verificano di solito come conseguenza di un danno cerebrale congenito o acquisito. Nei soggetti adulti le cause più frequenti dei disturbi cognitivi acquisiti sono i traumi cranici, le malattie degenerative del sistema nervoso centrale (tra queste le demenze senili e il morbo di Alzheimer), le affezioni del sistema nervoso centrale come l’epilessia, le infezioni cerebrali di origine virale, gli infarti cerebrali (ischemie), i tumori al cervello, i disturbi metabolici e le altre malattie neurologiche. La presenza di disturbi cognitivi causa elevate difficoltà nell’adattamento sociale e lavorativo, ed è spesso associata a problemi relazionali ed emotivi (ansia, insicurezza, depressione e così via). La valutazione si basa sull’anamnesi, sull’esame medico e su quello neuropsicologico, che, attraverso l’osservazione del comportamento e l’utilizzo di batterie di test standardizzati, indaga le aree cognitive compromesse. L’intervento elettivo, oltre che medico, si configura come un trattamento di riabilitazione cognitiva, associato a una terapia cognitivo-comportamentale. Nonostante nel passato si siano ritenuti inutili gli interventi psicoterapici con soggetti affetti da disturbi cognitivi, negli ultimi anni si assiste a una sostanziale crescita dell’interesse per la strutturazione e formulazione di interventi mirati e adattati al tipo di limitazione e di difficoltà presentata (Willner e Hatton, 2006). Ci preme sottolineare che anche nei casi in cui non si riscontri nosograficamente comorbilità, i correlati psicologici dei disturbi cognitivi sono inevitabili, e in un approccio biopsicosociale integrato non possono essere tralasciati (Arthur, 2003). Gli adattamenti possibili della terapia, quale che sia l’approccio utilizzato, consentono di lavorare con pazienti con disturbi cognitivi se riescono a utilizzare semplificazioni delle tecniche, del linguaggio e dei compiti assegnati, favorendo un metodo flessibile che includa una maggiore direttività e contemporaneamente un maggior comportamento di attaccamento (Hurley et al., 1998). Gli approcci terapeutici utilizzati nella popolazione “normale”, quelli di derivazione psicodinamica e quelli di stampo cognitivista possono essere efficaci, a seguito degli aggiustamenti suindicati, e la teoria di riferimento determina quali adattamenti vengano più frequentemente realizzati nella pratica; nell’approccio CBT riguardano soprattutto gli aspetti tecnici, mentre, nell’approccio psicodinamico, gli adattamenti concernono in misura maggiore l’atteggiamento del terapeuta e il controtransfert (Whitehouse et al., 2006). L’approccio CBT, infatti, come già precedentemente evidenziato, si caratterizza per la direttività e l’atteggiamento istruttivo; tipicità queste necessarie a favorire il miglioramento delle capacità compromesse e a insegnare al paziente strategie specifiche di compensazione del deficit attraverso l’uso delle abilità risparmiate (Taylor, 2005; Taylor et al., 2008). Come è ormai ben noto, tuttavia, i processi di apprendimento sono facilitati se non addirittura subordinati alla relazione tra chi “insegna” e chi “apprende”.
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Molti studi di comparazione sull’efficacia degli interventi terapeutici (Heuvaert et al., 2010) dimostrano limiti notevoli per la difficoltà di individuare le variabili che intervengono a produrre il cambiamento nei soggetti trattati. Le teorie, le tecniche e le strategie utilizzate dal terapeuta, che determinano la natura del suo approccio, si intrecciano inestricabilmente con le variabili di personalità del terapeuta e del paziente, con la qualità e la significatività della loro relazione, con le capacità comunicative ed empatiche, oltre che, naturalmente, con la qualità/quantità del disturbo. E come se non bastasse l’efficacia dell’intervento dipende da fattori esterni quali le risorse familiari e sociali che determinano il contesto extra-terapico del paziente. Sono stati sviluppati programmi specifici per il training delle diverse capacità cognitive (memoria, linguaggio, attenzione e così via), programmi che vengono continuamente riadattati a seconda delle esigenze e caratteristiche del singolo paziente. Alla luce delle considerazioni fatte riguardo alla psicoterapia post-razionalista, ci sembra ovvio sottolineare come anche il percorso di apprendimento si configuri come un’esperienza emotiva, la cui qualità e rilevanza incide sul percorso stesso, spesso molto più di quanto incidano le variabili cognitive direttamente chiamate in causa. Le tecniche usate nella CBT sono tipicamente finalizzate a produrre effetti in tre ambiti: la cognizione, il comportamento e la fisiologia. Nell’ambito cognitivo il paziente impara ad applicare le ristrutturazioni cognitive e a modificare le emozioni negative in modo da rendere più logiche e adattive le convinzioni e più tollerabili le emozioni (McGinn e Sanderson, 2006). Nel training delle abilità intellettive si utilizzano principi e tecniche cognitive e comportamentali che favoriscono l’apprendimento durante la riabilitazione, e che assieme permettono di affrontare i problemi relazionali ed emotivi che rappresentano un forte ostacolo al successo della terapia riabilitativa e all’adattamento della persona.
6.4 La riabilitazione cognitiva Secondo l’approccio biopsicosociale menzionato precedentemente, la riabilitazione cognitiva inizia con la comprensione della funzionalità cognitiva, emotiva/comportamentale e psicosociale dell’individuo presente all’atto della valutazione. L’approccio o modello biopsicosociale è stato articolato in un primo momento da George L. Engel, uno psichiatra del Centro Medico dell’Università di Rochester, New York (1977). Egli ha affermato che una visione patofisiologica della malattia e della disabilità è insufficiente per comprendere la malattia, proponendo una visione sistemica del trattamento che consideri le parti, l’intero e l’interazione dinamica dei fattori biologici, psicosociali (emotivi/comportamentali) e sociali che caratterizzano l’individuo. Oggi, nel Centro Medico dell’Università di Rochester l’approccio biopsicosociale viene usato al fine di guidare il trattamento completo del paziente e l’educazione medica, proprio come in molti altri programmi nel mondo, ed è il fondamento della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF; OMS, 2002). Con l’approccio biopsicosociale e l’impostazione dell’ICF come presupposto, per pianificare gli interventi si considera la totalità delle funzioni cognitive, emotive/
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comportamentali e psicosociali. Come già detto, la valutazione neuropsicologica è necessaria per ottenere la comprensione della condizione del soggetto. L’esigenza di riconoscere il pattern di funzionamento unico e caratteristico per ciascun individuo viene così adeguatamente rispettata. •
Persone con qualche deterioramento esperiscono differenti tipi e gradi di incapacità e limitazioni con diversi livelli di ampiezza rispetto a ciò che accade nella loro vita. Le difficoltà non sono surrogato della disabilità; esse danno solo una particolare prospettiva della disabilità. Quest’ultima è l’intera esperienza di vita basata su esiti di salute non necessari, perché non semplicemente in relazione a un decremento della funzionalità corporea.
•
Ma è vero anche il contrario: le persone possono fare esperienza delle stesse limitazioni in ciò che possono fare nella loro vita di tutti i giorni sebbene abbiano danni o menomazioni differenti. Le limitazioni come la diversità per la mancanza di un arto o l’ansia possono entrambe attivare la stigmatizzazione e la discriminazione, che possono limitare la partecipazione di una persona in un lavoro (Commissione delle Nazioni Unite per l’Economia e la Socialità per l’Asia e per il Pacifico, 2010).
Con l’approccio biopsicosociale e l’impostazione dell’ICF come fondamento, viene considerata la totalità delle funzioni dell’individuo – quelle cognitive, emotive/comportamentali e psicosociali – per pianificare gli interventi. La valutazione e la misurazione sono necessarie per ottenere questa comprensione. La riabilitazione può iniziare solo se un individuo colpito da una disabilità cognitiva all’esordio è stabilizzato dal punto di vista medico. Secondo il modello biopsicosociale, la riabilitazione non comprende solo la terapia cognitiva, ma anche la considerazione dei supporti per il funzionamento dell’individuo, la sua vita comunitaria e la partecipazione sociale. È stato dimostrato che una riabilitazione complessiva che integri interventi cognitivi, interpersonali e di implementazione delle abilità funzionali produce un aumento delle capacità di autoregolazione cognitiva e dei processi emotivi, favorisce l’integrazione, consente lo sviluppo e aumenta la qualità della vita in modo comparabile a quanto accade con il trattamento attraverso specifiche discipline come la neuroriabilitazione (High et al., 2005; Hart, 2010) è risultata efficace (Cicerone et al., 2000, 2004, 2005, 2011; Tsaousides e Gordon, 2009; Altman et al., 2010). L’obiettivo della riabilitazione cognitiva è l’incremento della funzionalità dell’individuo, della sua capacità di adattamento e della qualità della vita attraverso il rinforzo, il potenziamento e la ri-stabilizzazione di pattern di comportamento precedentemente appresi e l’instaurarsi di nuovi pattern attraverso meccanismi compensatori. I problemi di memoria, concettualizzazione, pianificazione e sequenzialità di pensieri e parole, la mancanza di concentrazione, l’aumento dell’ansia e l’irritabilità, la difficoltà di interpretare raffinati indizi sociali e la comprensione di numeri e simboli sono comuni come i problemi visivi, uditivi o quelli a carico dell’apparato vestibolare, i problemi di peso o la perdita di coordinamento. In questo senso, la riabilitazione cognitiva indirizza l’allenamento mnestico e le attività di soluzione di problemi come
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aumento della consapevolezza, la compensazione e le attività di coping, le abilità sociali, l’autoregolazione emotiva, la partecipazione nella società, nel lavoro e nelle attività del tempo libero, nel mantenimento della salute e nella cura personale. L’assistenza personale e il supporto delle tecnologie, così come lo sviluppo di ristrutturazioni e l’uso di strategie cognitive e comportamentali, sono tutte risorse importanti.
6.5 Le tecnologie assistive e di supporto cognitivo L’ICF è in linea con la risoluzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (2006) nel riconoscere l’importanza delle tecnologie assistive (TA) e dei prodotti d’ausilio per il funzionamento dell’individuo, per la sua performance nelle attività e per il successo nei ruoli e nelle situazioni desiderabili (Bickenbach, 2009). La World Health Organization (WHO) riconosce che l’ICF non contiene l’accuratezza e il dettaglio necessari per chi si occupa di progettare, costruire, distribuire e predisporre le TA. Quindi, nel 2003, l’ISO 9999 (Prodotti assistivi per persone con disabilità – Classificazione e terminologia) è stata accettata come parte integrante della classificazione internazionale (WHO-FIC). L’ISO 9999 è un prodotto dell’Organizzazione Internazionale per la Qualità (ISO 2007), ed è una classificazione internazionale dei prodotti assistivi nella quale sono inclusi tutti i prodotti che possono essere usati da persone con disabilità. Come introdotto da Heerkens e collaboratori (2010), nella quinta edizione dell’ISO 9999, la definizione di un prodotto assistivo è: Ogni prodotto (inclusi dispositivi, equipaggiamenti, strumenti e software), costruito specificatamente o utilizzabile generalmente, usato da o per persone con disabilità • per partecipare; • per proteggere, supportare, spostare, valutare o sostituire funzioni, strutture o attività del corpo; • per prevenire danni, limitazioni nelle attività o restrizioni nella partecipazione (ISO 9999).
L’ISO 9999 contiene cinque differenti tipi di prodotti assistivi. 1. Prodotti che supportano una funzione, ma che non sono usati per una performance in un’attività (per esempio nebulizzatori o unità di ossigeno). 2. Prodotti che sono usati per incrementare la performance di un’attività e che supportano la funzione o un’attività (per esempio ausili per camminare o prodotti assistivi per le attività della vita quotidiana). 3. Prodotti che sono sostitutivi di una funzione/struttura o protezione di una funzione/struttura, che possono supportare una funzione e che non sono usati per la performance di un’attività, ma possono essere visti come un prerequisito per la partecipazione (per esempio una parrucca o un cappello). 4. Prodotti che sono fondamentalmente usati per il training.
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5. Prodotti assistivi che sono usati per misurare/monitorare una funzione/struttura, la performance di un’attività o un fattore ambientale o personale. I prodotti principalmente usati per il training sono quelli più legati al funzionamento cognitivo; in particolare quelli specifici per il training delle abilità cognitive sono definiti come prodotti assistivi essendo usati per accrescere le abilità che sottostanno al ragionamento e alle attività logiche (per esempio la memoria, l’attenzione, la concentrazione e il pensiero astratto e applicato). Sebbene qualcuno possa obiettare sull’opportunità di classificare le tecnologie di supporto cognitivo come prodotti per il training, l’ISO 9999 è utilizzata in molti database di prodotti assistivi, incluso l’AbleData. La tecnologia di supporto cognitivo (TSC) è una speciale classe dei prodotti delle TA progettata per aumentare o mantenere le capacità funzionali degli individui nei quali i cambiamenti cognitivi limitano l’effettiva performance nelle attività quotidiane. Le tecnologie di supporto cognitivo sono divenute più comuni e varie (Braddock et al., 2004; Gillette e De Pompei, 2004; De Pompei et al., 2008; Bharucha et al., 2009; Sablier et al., 2009). Nella definizione generale, le TSC potrebbero essere annoverate tra i prodotti molto familiari usati da persone con o senza disabilità per aiutare la memoria, l’organizzazione o le altre funzioni cognitive, come agende, calendari, etichette, post-it posizionati strategicamente, orologi da polso e liste della spesa. Dispositivi semplici e a basso costo come lenti di ingrandimento, schedari o orologi e segnalatori possono promuovere l’autonomia e incrementare la qualità della vita dell’individuo. Le tecnologie che consentono l’interazione con le persone e l’informazione (tecnologie di comunicazione) sono importanti risorse per gli individui con disabilità cognitive e includono telefoni, cercapersone e Internet. Ci sono anche dispositivi specifici progettati espressamente per essere utilizzati da persone con disabilità cognitiva e dai loro familiari. Questi prodotti speciali hanno caratteristiche che possono: •
mantenere, organizzare e facilitare l’accesso all’informazione;
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fornire suggerimenti, istruzioni o correzioni all’utilizzatore, sia a richiesta sia in tempi stabiliti;
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assumersi la responsabilità per le componenti del compito che si dimostrano troppo complesse per un individuo per consentire di assolverlo in modo autonomo, così che le attività nelle quali sono implicate possano essere completate con successo;
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provvedere a una guida interattiva più comprensibile per i compiti che sono troppo difficili per l’utilizzatore per iniziare o fornire la prestazione, anche con altri tipi di strategie di modificazione o compensazione;
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monitorare la qualità delle performance ai compiti fornite dall’utilizzatore, così che gli errori possano essere tracciati e la tecnologia di supporto cognitiva possa
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essere conseguentemente modificata nel tentativo di ridurre quegli errori (Scherer et al., 2005). Riguardo alla sofisticazione di un dispositivo, l’obiettivo primario degli interventi con le TSC è l’incremento della performance in attività funzionali che sono le componenti critiche degli aspetti di realizzazione e partecipazione alle attività sociali, che contribuiscono sostanzialmente al benessere soggettivo e alla qualità della vita e che riducono significativamente il carico dei famigliari. Importanti aspetti per la selezione e la scelta della tecnologia possono essere scoperti attraverso la conoscenza del contesto in cui sarà usata e dei fattori da implementare e correggere. Un’altra possibilità è la costituzione di un centro ausili, come modo ideale per mettere in relazione un particolare individuo con la migliore tecnologia da lui utilizzabile. Lo studio del caso presentato nel Paragrafo 6.6 illustra come questo possa essere realizzato. È stata proposta una lista di fattori che possono fungere da modello (Scherer, 2012; Scherer et al., 2007). Nella Figura 6.1. è mostrato uno schema del modello Matching Person & Technology (MPT).
Figura 6.1 Il Matching Person & Technology Model (Scherer, 2005): fattori da considerare quando si cerca di ottenere un buon abbinamento tra la persona e la tecnologia cognitiva assistiva.
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Lo scopo del centro ausili è ottenere una corrispondenza ottimale tra la persona e la tecnologia. Ciò richiede di considerare tre domini: le caratteristiche della persona, l’ambiente di utilizzo e gli aspetti del prodotto tecnologico. Arrivare a conoscere ogni persona richiede un impegno per stabilire rapporti tra questi domini ed esplorare le risorse, le necessità e gli obiettivi. Questo è quanto viene fatto in collaborazione con il terapista cognitivo. Nella figura sono mostrati cinque esempi di aree chiave per orientarsi, ma molte altre potrebbero essere aggiunte. Alcune tra le considerazioni significative riguardanti le caratteristiche e le risorse dell’individuo includono quanto segue. •
Bisogni funzionali: la persona ha le abilità richieste necessariamente per usare la tecnologia con il massimo vantaggio? Per esempio, la persona ha l’abilità per utilizzare la tastiera o i requisiti necessari per leggere?
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Stile di vita: quanto userà il supporto nella normale routine quotidiana? Quanto sarà importante per la persona?
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Fattori personali: qual è la storia della persona in riferimento alla prima esposizione ed esperienza con la tecnologia (e con gli altri supporti)?
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Aspettative/desideri: quali sono i sogni e gli obiettivi della persona? Quando fronteggia un cambiamento, la persona si pone generalmente con un atteggiamento positivo, con fiducia e autodeterminazione o con confusione, paura e/o dipendenza dagli altri?
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Motivazione e disponibilità: la persona vede l’utilizzo della tecnologia (o di altri supporti) come una possibilità positiva per realizzare sogni e obiettivi? La persona percepisce lo scarto tra la situazione attuale e quella desiderabile?
Le caratteristiche dell’ambiente di utilizzo, come quelle della tecnologia individuata, sono le aree successive, a cui fa seguito il settore circolare riferito alla selezione del supporto, al suo uso, alla sua valutazione e ai suoi eventuali aggiustamenti. La riabilitazione cognitiva dipende dalla coerenza e dall’abilità di generalizzare corrispondenze che talvolta indicano la necessità di reindirizzare il training di qualche abilità al variare del contesto. Così, quando c’è un cambiamento nella TA (per esempio differenti smartphone o dispositivi di comunicazione aumentativa e alternativa), può essere promosso il progresso dell’individuo. Ciò è possibile perché nella valutazione (assessment) c’è una circolarità e non una serie di momenti isolati. Uno dei mezzi per valutare la prospettiva del consumatore che utilizza la tecnologia è quella di avere individui che valutano le loro difficoltà come elementi prioritari per raggiungere i risultati desiderati e per progredire nel tempo verso la loro realizzazione. Questo è il sistema usato nel modello dell’MPT (Scherer, 1998, 2005). Sebbene i bisogni personali possano variare, è possibile sviluppare delle linee guida standard per garantire che i bisogni e le preferenze individuali vengano identificati. Il modello MPT offre questo approccio standard. Esso si fonda su studi di ricerca teorici (Scherer, 1986) ed è stato reso operativo attraverso un processo di valutazione globale che consiste di diverse misurazioni. Gli item utilizzati differenziano le caratteristiche
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delle esperienze reali di utenti e si sono dimostrati operativi nelle ricerche di verifica della loro qualità (Scherer e Sax, 2010). Le misurazioni usate nel modello MPT sono idiografiche e focalizzate sulla persona. Definiscono un protocollo che può essere utilizzato come guida per l’intervista o come questionario che il consumatore può completare autonomamente su un foglio o su un computer. Il range per la valutazione effettuata da un esperto varia da un semplice screening per valutazioni puntuali (che si completano in circa 15 minuti) fino a una valutazione completa (che richiede circa 45 minuti). I passi specifici, con le relative misure sono illustrati nel Box 6.1. Esempi di protocolli attualmente in uso si possono trovare sull sito http:// matchingpersonandtechnology.com. Box 6.1
Matching Person & Technology – Processo e Form
• Primo step: foglio iniziale di registrazione dati per il processo di individuazione della corrispondenza persona-tecnologia. È organizzato in aree nelle quali le persone possono esperire la perdita della funzionalità (per esempio parlato/comunicazione, mobilità, ascolto e visione) o avere difficoltà significative. Esso identifica gli obiettivi iniziali e le aree da potenziare attraverso l’utilizzo di una tecnologia (o di altri supporti e strategie) o attraverso una modificazione dell’ambiente. I potenziali interventi supportivi per il raggiungimento degli obiettivi sono scritti in uno spazio previsto nello schema di registrazione. Ogni voce deve essere affrontata a prescindere dal fatto che il professionista ritenga che sia rilevante per questo individuo oppure no. Non è possibile stabilire quale collegamento verrà attivato o quali osservazioni saranno utilizzate successivamente come importanti per prendere una decisione. • Secondo step: storia dell’utilizzo del supporto. È usata per identificare i supporti utilizzati nel passato, la soddisfazione nel loro utilizzo e per rispondere al perché un nuovo tipo di supporto potrebbe essere meglio di altri alternativi. Questa parte è strutturata secondo le aree di funzionamento in modo simile al foglio di registrazione dello step 1. Sebbene gli step 1 e 2 facciano riferimento a “parti separate” dell’individuo, si ritiene che considerare ciascuna area nel contesto possa favorire l’utilizzo ottimale della tecnologia. Per esempio, quando ci focalizziamo sulla comunicazione e suggeriamo un dispositivo che richiede una buona capacità visiva che non è stata valutata, potrebbero esserci problemi se la persona ha una significativa perdita della vista. L’obiettivo è la considerazione della persona nel suo insieme; si tratta di fare una valutazione complessiva che tenga conto della complessità della persona, degli ambienti di utilizzo del supporto e così via, considerando di volta in volta ciascuno dei tanti fattori separatamente, in interazione tra loro e nella loro totalità. • Terzo step: corrispondenza con la tecnologia specifica. Gli individui (la persona con disabilità, il membro della famiglia, il caregiver) rispondono al protocollo in funzione del tipo di tecnologia che stanno prendendo in considerazione. La natura modulare delle valutazioni permette l’uso di uno, due o più protocolli, interi o di parti di essi. Le versioni individuali dell’Assistive Technology Device Predisposition Assessment e del
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Cognitive Support Technology Device Predisposition Assessment hanno l’opzione per la correzione computerizzata dei protocolli secondo alcune linee interpretative. • Area generale Survey of Technology Use – Individual Survey of Technology Use – Professional Si tratta di una lista di 29 item che indaga le esperienze presenti del soggetto e i suoi vissuti nei confronti delle tecnologie. Le domande chiedono alle persone di elencare tutte le diverse tecnologie usate e quanto si sentano a proprio agio nel farlo, basandosi sull’idea che l’introduzione di una nuova tecnologia dovrebbe utilizzare e capitalizzare il comfort e le abilità esistenti. Gli individui sono inoltre invitati a fornire informazioni sulle aree riguardanti le loro preferenze, l’umore generale e il coinvolgimento sociale, fattori questi che si sono individuati nella ricerca come capaci di predisporre favorevolmente all’uso della tecnologia. La versione per i professionisti è identica a quella per consumatori/fruitori. • Area assistiva Assistive Technology Device Predisposition Assessment – Individual Assistive Technology Device Predisposition Assessment – Professional Lo strumento indaga la soddisfazione soggettiva rispetto alle funzioni principali del corpo (9 item), chiede agli individui di ordinare per importanza aspetti della loro vita nei quali desiderano avere i cambiamenti più significativi (12 item), traccia un profilo dei fattori personali e delle caratteristiche psicosociali (33 item) chiede le opinioni personali rispetto alle loro aspettative nell’uso di un particolare tipo di mezzo assistivo (12 item). Le scale hanno etichette riferibili alle capacità, alla percezione soggettiva della qualità della vita, al supporto familiare, al supporto degli amici, all’umore e al temperamento, all’autonomia e all’autodeterminazione, all’autostima e all’uso della tecnologia. La sezione finale consente il confronto dei dispositivi e la valutazione delle quote di corrispondenza tra la persona e il dispositivo. Lo strumento per il professionista consente a questa determinare e valutare gli incentivi e i disincentivi nell’uso del dispositivo da parte di una persona in particolare. Età 0-5 anni, Matching Assistive Technology & CHild (MATCH – Early Intervention) Età 6-21, Matching Assistive Technology & CHild (MATCH – School Version) • Supporto cognitivo Cognitive Support Technology Device Predisposition Assessment – Individual Cognitive Support Technology Device Predisposition Assessment – Professional Lo strumento è strutturato come quello per la valutazione per la predisposizione delle tecnologie assistive, ma ha in aggiunta sei item riguardanti le funzioni del corpo basate su specifiche funzioni mentali: –– prestare attenzione, non distrarsi; –– ricordare informazioni sulle persone o sugli eventi; –– ricordare dove si mettono le cose; –– gestire gli appuntamenti e fare le cose in tempo; –– risolvere i problemi che sorgono nella vita quotidiana; –– leggere.
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• Area pedagogica Educational Technology Device Predisposition Assessment – Student Educational Technology Device Predisposition Assessment – Teacher È uno strumento di 43 item progettato per valutare la prospettiva dello studente e dell’educatore in quattro aree principali: (1) obiettivi educativi e bisogni; (2) particolare tecnologia educativa considerata; (3) ambiente psicosociale in cui la tecnologia sarà usata e (4) stile di apprendimento dello studente e preferenze. • Sul posto di lavoro Workplace Technology Device Predisposition Assessment – Individual Workplace Technology Device Predisposition Assessment – Employer Lo strumento prevede 28 item che si riferiscono alle principali caratteristiche della tecnologia che viene proposta, alla persona o al datore di lavoro e al luogo di lavoro. • Area sanitaria Healthcare Technology Device Predisposition Assessment – Professional I 42 item della checklist indagano le caratteristiche del particolare problema di salute, la tecnologia sanitaria, la conseguenza positiva dell’utilizzo dei dispositivi, i problemi personali e l’atteggiamento degli altri significativi nei confronti del corso del trattamento. Ciascuno dei protocolli individuali può servire come guida per un’intervista orale se si valuta che sia la forma più adatta alla situazione. Il professionista completa la versione professionale dello stesso protocollo e identifica le eventuali discrepanze tra le risposte fornite dal professionista e dalla persona. Queste discrepanze divengono quindi il focus per discussioni e consulenze. • Quarto step: il professionista discute con la persona quei fattori che possono indicare problemi per l’accettazione o l’utilizzo appropriato della tecnologia. • Quinto step: dopo che sono state annotate le aree problematiche (barriere, limitazioni), il professionista e la persona lavorano per identificare specifiche strategie di intervento ed elaborano un piano d’azione per affrontare i problemi. • Sesto step: le strategie e i piani di azione vengono registrati in forma scritta perché l’esperienza ha mostrato che i piani meramente verbali non sono implementabili come quelli scritti. I piani scritti servono anche come documentazione e possono fornire la giustificazione per alcune azioni conseguenti come richiesto per il finanziamento e la pianificazione del tempo per l’addestramento. • Settimo step: viene condotto un follow-up della valutazione per determinare aggiustamenti e accomodamenti necessari per la tecnologia e per indagare la quantità di benefici, di obiettivi raggiunti e se il singolo consumatore ha cambiato le priorità. Le misure presentate nel terzo step sono usate come baseline, al momento iniziale e poi di nuovo al follow-up per determinare i cambiamenti nel tempo di una particolare persona.
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6.6 Caso studio 6.6.1 Un esempio di vita reale di ricerca di soluzione operata da un counselor della riabilitazione per James, affetto da disturbo di Alzheimer con esordio precoce James ha 53 anni, è un maschio caucasico affetto da Alzheimer con esordio precoce. È attualmente al livello di funzionalità 5 del disturbo. È diplomato con due semestri al college. È un uomo molto intelligente ed è orgoglioso del fatto che la maggior parte della sua educazione sia da autodidatta e continua ad adottare un approccio proattivo all’apprendimento. La sua salute psichica è buona, ma ha altre condizioni mediche alterate, come il diabete e la pressione alta, anche se queste condizioni sono rimaste stabili negli ultimi cinque anni. Ha un pacemaker impiantato due anni fa senza complicazioni. Ha anche una diagnosi di depressione maggiore, molto instabile in passato, ma che si è aggravata negli ultimi mesi. Non è mai stato ricoverato per la depressione. Una valutazione neuropsicologica nel dicembre del 2009 rivelava che la sua memoria a breve termine e la memoria erano fortemente compromesse. Assume regolarmente farmaci appropriati alle sue condizioni mediche con l’assistenza di un servizio di pianificazione e controllo giornaliero e settimanale. Non guida più la macchina, ma ha un sistema di supporto per le sue esigenze di trasporto sia per il lavoro sia per il tempo libero. L’obiettivo è quello di aiutarlo a mantenere l’occupazione e l’autonomia con abilità adeguate alla vita quotidiana e alle attività del tempo libero. Il suo hobby principale è la lettura. Sta ancora rielaborando la perdita del suoi maggiori interessi: la partecipazione a una compagnia teatrale e la sua precedente professione di radiogiornalista e direttore di giornale radio. Entro i 6 mesi successivi alla sua diagnosi, non è più riuscito a far fronte al forte stress e alla pressione costante delle scadenze associate al settore radiofonico. Si è dimesso dalla sua posizione in 3 settimane e ha iniziato a lavorare part-time presso una libreria. L’attività che gli manca di più è recitare in teatro o nei film, così come dirigere commedie. C’erano momenti nella sua vita in cui il suo interesse primario si focalizzava su questo; si era impegnato in prima persona e aveva donato il suo tempo per organizzazioni caritatevoli. L’unica eccezione lo ha visto “andare in pubblico”, a due anni dalla diagnosi, e prendere parte come relatore per un’associazione locale che si occupa di Alzheimer. Ha girato degli spot televisivi, raccolto fondi, fatto apparizioni personali “mettendoci la faccia” per la malattia e ha regalato il suo tempo per svolgere un generico lavoro d’ufficio per l’associazione. James ha limitazioni significative, ma anche un importante talento che usa per aiutare gli altri e rimanere coinvolto attivamente nella vita. Sebbene sia attualmente impegnato, la malattia progredisce nel tempo, ed egli avrà bisogno di più assistenza per mantenere un livello soddisfacente di funzionamento e di autonomia. L’introduzione di un dispositivo semplice da imparare, una TA a bassa tecnologia, è probabilmente la cosa più indicata e sarà più facile per lui imparare a usarla adesso per aiutarlo a mantenere il suo livello di funzionamento per un periodo di tempo più lungo.
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6.6.2 I risultati del modello MPT e l’analisi dell’assessment Nel caso di James l’incentivo più importante per uso delle TA è il prolungamento della sua autonomia personale e l’incremento del livello di autonomia presente. Due problemi specifici sono stati individuati come aree critiche della sua vita. Attualmente è molto dipendente dagli altri in quanto ha sviluppato l’abitudine che è più facile porre ripetutamente domande a qualcuno piuttosto che cercare di ricordare da sé. Se James potesse scrivere le istruzioni su come controllare i suoi messaggi vocali al cellulare, non dovrebbe chiedere ripetutamente assistenza per questo compito o scrivere gli appuntamenti su un calendario a cui potersi riferire quando ha un dubbio circa un suo impegno. Queste semplici misure possono essere efficaci anche a lungo termine nel preservare la relazione con i colleghi e superiori, così come con i familiari, che potrebbero perdere la pazienza con lui. La seconda questione identificata è la perdita di oggetti di valore e importanti, come il cellulare o gli occhiali. Ogni volta che perde o semplicemente mette nel posto sbagliato oggetti di valore, diviene immediatamente depresso, esprimendo sentimenti di autosvalutazione, temendo di essere di peso per chi gli sta vicino. A parte i costi di sostituzioni e acquisti ripetuti, James non riesce a leggere senza occhiali. Il poter utilizzare un dispositivo localizzatore adattato agli occhiali, senza che esso interferisca con la funzionalità per la vista, sarebbe un importante aiuto finanziario per la sua famiglia e potrebbe garantire a James un miglioramento della sua autostima. Questo dispositivo localizzatore potrebbe aiutarlo a trovare gli occhiali prima ancora che chiunque altro sappia che li aveva persi, salvandolo nella sua personale battaglia con la sua autostima e togliendolo dall’imbarazzo di fronte alla famiglia e agli amici. L’unico inconveniente identificato è che la malattia potrebbe privarlo dell’abilità nell’uso di questi dispositivi a bassa tecnologia. Arriverà il momento in cui James non ricorderà cos’è il localizzatore, come funziona e perché o in cui dimenticherà di scrivere le sue cose, o anche facendolo dimenticherà di guardare i dispositivi. Potrebbe persino arrivare a smarrire i dispositivi stessi. Questi scenari rappresenterebbero un’altra perdita di funzionalità nella sua vita e nei momenti di lucidità cognitiva potrebbe averne coscienza. Al contrario, anche quando non fosse più in grado di ricordare come usare il localizzatore, questo potrebbe essere un supporto per la sua famiglia aiutandola nel rintracciare gli oggetti collocati fuori posto. Tuttavia, prima che tutto ciò accada, James ha la possibilità di trarre beneficio dall’uso di questi facili dispositivi a basso livello di tecnologia per migliorare la sua qualità della vita, sia al lavoro sia a casa. Il foglio di registrazione dati previsto dal modello MPT e la storia dell’utilizzo dei supporti sono stati utilizzati per avviare e promuovere le riflessioni per la valutazione dell’opportunità e le modalità di utilizzo dei dispositivi. La valutazione per la predisposizione delle TA è stata utile per trarre importanti informazioni in misura maggiore di quanto sarebbe emerso nel corso di una conversazione o una sessione di consulenza. È stato più facile per questo utente dar conto dei suoi problemi e dei suoi vissuti emotivi attraverso questa modalità piuttosto che ammettere il tutto verbalmente. La correzione computerizzata del protocollo ha fornito risultati che rappresentano un buon feedback: tutti hanno potuto avere chiare le
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aree più importanti di intervento, le risorse e i limiti. James ha evidenziato il desiderio di partecipare alle attività; la libertà di andare dove desidera; di essere adeguato, di appartenere e di sentire emotivamente, che sono le tre qualità che ritiene importanti per la sua vita. I risultati hanno anche evidenziato che James potrebbe incontrare difficoltà nell’accettare e nell’imparare nuovi dispositivi e che potrebbe non essere pronto per nuove sfide, sottolineando l’importanza di un’introduzione più lenta dei dispositivi e la stimolazione per imparare o elaborare il loro uso. La comparazione tra i dispositivi potenzialmente utili è stata molto incoraggiante. Il più grande ostacolo al successo, a questo punto, è rappresentato dalla mancanza di disponibilità di un prodotto appropriato.
6.6.3 Ricerca, approfondimenti e raccomandazioni Tutti i dispositivi assistivi di cui abbiamo parlato sono utilizzabili nella vita di tutti i giorni e intervengono sulla memoria a breve termine. Potrebbero essere utilizzati da James sia nella sua vita personale sia professionale. Nel corso degli incontri iniziali sono stati discussi molti oggetti, inclusi un palmare, un BlackBerry, un iPhone, vari calendari inclusi i planning, dei notebook e il dispositivo di localizzazione per oggetti smarriti. Gli operatori hanno fornito rispettivamente il loro palmare personale, il BlackBerry e l’iPhone. Hanno lavorato con James per chiarire se avrebbe imparato a usarli, a sentirsi a suo agio con essi e se avrebbe ricordato come usarli. James non si è mostrato a proprio agio e anzi questi dispositivi sembravano intimidirlo e sopraffarlo. Ha trovato che il BlackBerry e il palmare fossero particolarmente frustranti, soprattutto per ciò che riguardava i tasti minuscoli, dal momento che le sue dita premevano più tasti insieme. Ha anche avuto difficoltà nel ricordare i comandi, quali tasti premere e come navigare all’interno del software di ciascuno di questi dispositivi. Di questi tre dispositivi, l’iPhone è apparso quello più adatto a lui. Il fatto di avere una superficie più ampia con applicazioni disponibili con icone facilmente riconoscibili e la facilità di accesso alle applicazioni con un tocco, sembrava contenere la sua ansia; tuttavia in un secondo tentativo nell’utilizzo dell’iPhone il giorno successivo, James non ricordava come gestire le applicazioni e persino come accedere ai comandi più semplici, come controllare i messaggi vocali, come scrivere o ricontrollare le note nell’agenda o accedere a Internet. Era come se non avesse mai visto un iPhone prima. James non ricordava affatto come utilizzare le funzioni. Ammise di non essere mai stato molto “avanzato” tecnologicamente e di non aver mai pienamente accolto e di non essersi aggiornato sul progresso della tecnologia dei computer. Poiché la diagnosi di Alzheimer a insorgenza precoce ha compromesso la capacità di apprendimento e di gestione di nuove informazioni, abbiamo deciso di indagare di più il passato del bambino e del giovane James. Questo approccio ci ha portato a utilizzare vari tipi di diari e di agende. La ricerca ha mostrato che persino nei casi più gravi del disturbo di Alzheimer, tenere un’agenda ben visibile e marcare ogni giorno è vitale per aiutare a mantenere le persone con questa malattia orientate nel tempo. James ha scelto di usare un semplice calendario da muro affisso alla porta della cucina, con riquadri essenziali dove
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scrivere i suoi appunti di lavoro e gli appuntamenti medici. Per l’uso di un notebook, ha scelto un formato piccolo con custodia nera. James non ha iniziato a utilizzare la TA al lavoro perché per i suoi compiti non lo riteneva necessario, ma ha accettato di usarla a casa per i compiti giornalieri e per importanti informazioni. Abbiamo anche lavorato sulla modifica della tecnologia esistente per rendere possibile adattare il dispositivo di localizzazione a oggetti piccoli come gli occhiali o il cellulare. I prodotti attualmente disponibili funzionano attraverso un controllo remoto che si sincronizza con il ricevitore, della dimensione di una monetina, che può essere appeso a un portachiavi o attaccato con nastro biadesivo su una superficie più liscia come nel caso degli occhiali. Ciò sarebbe ottimo per James che spesso dimentica il posto in cui li ripone. Le parti necessarie del dispositivo sono troppo grandi per essere attaccate agli occhiali che James utilizza e troppo ingombranti per il cellulare. Nella ricerca dei prodotti attualmente disponibili, la maggior parte è risultata valida. Precedentemente i principali problemi riguardavano l’udibilità del segnale (beep), che non era abbastanza forte o non funzionava se non a una distanza di pochi centimetri dagli oggetti smarriti (anche quando erano stati pubblicizzati come funzionanti per distanze molto più ampie) o ancora la difficoltà di programmare o impostare il dispositivo. Un ingegnere membro del nostro team ha suggerito e realizzato qualche ricerca sulla tecnologia RFID (identificazione attraverso radiofrequenza), che è lo stesso sistema che viene usato nei grandi magazzini per prevenire i furti. La merce è dotata di un’etichetta RFID e viene disattivata dalla scansione alla cassa e gli allarmi alle porte si attivano quando l’etichetta non è stata adeguatamente disattivata. Questa tecnologia sembra utile per questa applicazione poiché le etichette possono essere realizzate in piccole dimensioni; tuttavia i costi sono un problema. Le etichette più piccole sono relativamente poco costose (circa 5 dollari ciascuna), ma sono realizzate da aziende diverse da quella che produce i ricevitori, che costano anche fino a 20.000 dollari. James è apparso soddisfatto dal processo generale. Ha mostrato stress ed è stato “sopraffatto” scosso da alcuni prodotti durante il processo di esplorazione delle TA. Ciò ha stimolato un maggior impegno dei professionisti nel dare importanza ai vissuti emotivi di James, e l’utilità e la scelta dei dispositivi appropriati non è avvenuta secondo le loro convinzioni ma nel rispetto delle preferenze di James. Dall’inizio di questo processo, James ha ottenuto diversi successi con la scelta dei dispositivi di TA. Ha iniziato usando un semplice calendario da muro. Ha deciso di scrivere solo le ore, per esempio 5:00-9:00, e lasciare in bianco il giorno in cui non era in casa. Ciò minimizza per lui la sensazione di confusione e gli consente di dire a colpo d’occhio se quel giorno lavorerà o meno. Inizialmente aveva ancora problemi nel capire quale giorno fosse, così ha iniziato a segnare con una x il giorno precedente a quello target. Nei giorni in cui si dimenticava di segnare la x si confondeva su quale giorno fosse. Stiamo lavorando con lui per imparare a controllare il display del suo cellulare, che mostra chiaramente l’informazione della data sullo schermo. James ha anche utilizzato il notebook a casa per scrivere compiti e istruzioni importanti, ma non si ricorda sempre di controllarlo. Ha funzionato bene per annotare le faccende giornaliere. Riesce a cancellarle e a completarle, ottenendo un gran
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senso di efficacia. Un’altra funzione del notebook che ha riscontrato minor successo nei tentativi iniziali è quella per registrare le istruzioni su come fare le cose per lui importanti, per esempio come recuperare messaggi vocali dal suo telefono e come liberarsi dalla piccola spia rossa che si accende sulla TV via cavo che indica che l’azienda ha inviato un messaggio di offerte speciali. Sono due cose che tendono ad agitarlo fino a che non sono chiarite. Ho assistito James accompagnandolo nei passi per svolgere entrambi questi compiti. Questa applicazione della TA è stata testata due volte con il messaggio con la luce rossa della TV. Durante il primo tentativo abbiamo scoperto che le istruzioni scritte non funzionavano perché le aveva cancellate insieme alla lista dei compiti svolti. Con l’assistenza, James ha riscritto le istruzioni, aggiungendo con caratteri grandi in alto per cosa fossero (messaggi vocali del cellulare e luce rossa della TV via cavo), e le ha messe nella tasca della custodia separate dalla lista dei compiti giornalieri. Il primo tentativo di usare questo dispositivo da allora ha richiesto un minimo di lavoro perché James aveva riscritto le istruzioni abbozzandole e non erano affatto chiare. Da allora, ho scritto le istruzioni in modo semplice, con passi chiari, ma con dettagli più specifici. Poiché James ha continuato a usare questo dispositivo, ci aspettiamo che riesca a integrarlo con successo nella sua vita quotidiana.
6.7 Conclusioni Il terapista cognitivo ha molte e diverse responsabilità, ma il suo compito fondamentale è la valutazione delle funzioni cognitive, e i significati che ne derivano assicurano che gli individui ottengano un funzionamento avanzato, una migliore performance nelle attività e una partecipazione soddisfacente nei ruoli e nelle situazioni di vita desiderate. Le TA e di supporto cognitivo possono facilitare molto questo obiettivo, ma solo se le tecnologie selezionate sono ben corrispondenti alle preferenze, alla priorità e alle necessità dell’individuo.
Capitolo
7
L’educatore speciale
S. Zapf, G. Craddock
Questo capitolo descrive l’importanza delle TA nell’educazione e il ruolo dell’educatore speciale nel processo di integrazione delle TA per studenti con disabilità all’interno del sistema educativo. L’educatore speciale è un membro essenziale del team, fornendo conoscenze delle capacità educative degli studenti e della loro quotidiana interazione nell’uso delle TA. Le TA possono fornire a molti bambini e ragazzi con disabilità gli strumenti necessari per ottenere un maggior successo a scuola, nel lavoro e per raggiungere l’autonomia nella vita quotidiana. Sfortunatamente, molti educatori speciali non ricevono alcuna formazione nell’uso delle TA, né hanno adeguate risorse per valutare, implementare e verificare efficacemente l’esito dell’introduzione delle TA in classe. Questo capitolo preciserà il ruolo dell’educatore speciale nella valutazione e nell’implementazione delle TA. Verranno, inoltre, indicate delle raccomandazioni per una futura formazione degli educatori speciali. Nota: il punto di vista espresso dal dott. Ger Craddock è personale e non rappresenta necessariamente quello della National Disability Authority.
7.1 Il ruolo dell’educatore speciale nella valutazione delle TA La World Health Organization e il rapporto United Nations Global Disability stimano che gli individui con disabilità sono il 15% della popolazione mondiale e nel mondo ci sono circa 150 milioni di bambini disabili (WHO, 2010). La definizione di formazione scolastica speciale varia nel mondo, dato che molti paesi utilizzano un sistema di classificazione sociale analogo a quello del sistema di Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute (ICF; OMS, 2002) in riferimento alla capacità che il bambino ha nel partecipare a tutto il percorso formativo, laddove altri paesi adottano un modello sanitario per la formazione, basato su categorie specifiche di menomazione o di disabilità. Le TA sono state a lungo considerate come uno strumento per consentire l’indipendenza e l’integrazione degli individui con disabilità (Watson, Ito, Smith e Anderson, 2010; Østensjø, Carlberg e Vollestad, 2005; Bowe, 1995), ma va sottolineato il fatto che, sebbene i cambiamenti nella normativa di riferimento abbiano operato una svolta decisiva nel riservare una giusta considerazione alle TA nel piano/ambito di formazione dello studente,1 tuttavia in molti paesi 1 In ambito scolastico, lo studente è l’utente delle TA; pertanto, in questo capitolo il termine studente verrà usato al posto di cliente/consumatore. Per studente si intenderà una persona tra i 3 e i 21 anni.
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in via di sviluppo risulta ancora difficile, per i bambini con disabilità, sia avere accesso alle TA di cui hanno bisogno, sia essere messi nella condizione tale per cui il loro piano formativo e l’intervento nelle attività quotidiane possano venire valutati attraverso incontri specifici e adeguati. La WHO rileva che solamente il 5-15% degli individui con disabilità ha accesso alle TA in molti paesi in via di sviluppo e, in particolare, la United Nations Standard and World Health Organization Rule 4 (WHO, 2010), promuove la formazione del personale di TA a vari livelli, al fine di migliorare l’accessibilità all’uso delle tecnologie stesse. L’educatore speciale, quindi, può giocare un ruolo fondamentale nell’aprire un varco alle TA, inserendo gli strumenti da usare con gli studenti in ambito scolastico. Le TA in ambito scolastico vengono calibrate sui bisogni degli studenti e sono supportate dall’utilizzo di un Piano Individualizzato di Formazione Scolastica (IEP). In conformità con la tendenza, presente in varie nazioni, a integrare i bambini che necessitano di una formazione scolastica speciale all’interno di classi “normali”, il 75% dei bambini con disabilità trascorre almeno il 49-80% del tempo in tali classi e va registrato che un aumento significativo si è verificato nei dieci anni passati (Swanson, 2008). È fondamentale che gli insegnanti progettino classi in cui sia permesso l’ingresso a seconda del programma di studi (per esempio, lo studente può ottenere informazioni, scritte, orali e di grafia) e forniscano informazioni con strumenti idonei e adeguati a tutti i bambini. L’accessibilità al programma scolastico è dunque indispensabile, ma è altresì importante che i bambini possano eseguire una varietà di attività/compiti sociali nonché di cura personale che abbiano un effetto positivo sulla loro partecipazione alla vita scolastica. Da questo punto di vista le TA possono essere uno strumento molto significativo per una comunicazione efficace da parte di molti bambini con disabilità. L’educatore speciale è un membro decisivo del team di TA in ambito scolastico, dal momento che lavora con gli studenti quotidianamente ed è in grado di individuare la forza dello studente e i suoi bisogni rispetto al rendimento. Una corretta valutazione dei bisogni, in effetti, costituisce il primo passo nel processo di TA e proprio l’educatore speciale si trova nella migliore posizione per individuare l’area di bisogno dello studente, in relazione allo specifico rendimento scolastico, e può essere altresì di grande aiuto nel riconoscere l’attitudine degli studenti e le caratteristiche personali, che costituiscono fattori essenziali per un processo di integrazione mediante le TA che vada a buon fine. Lavorando con gli studenti ogni giorno, infatti, gli educatori speciali hanno l’opportunità di acquisire dimestichezza nel cogliere le caratteristiche personali degli studenti e possono aiutare a individuare quelle attitudini che sono in grado di supportare l’uso delle TA da parte dello studente o, viceversa, di ostacolarlo. Una responsabilità importante degli educatori speciali è quella di sviluppare un Piano Individualizzato di Formazione (Individualized Education Plan, IEP) per ciascuno studente che necessiti di un supporto nell’apprendimento. Lo IEP è un processo collaborativo, che si concentra sia sulle capacità di ogni singolo studente sia sugli obiettivi auspicati, ed è proporzionato ai bisogni specifici e alle capacità dello studente stesso. Ebbene, proprio nello IEP dovrebbe essere contemplata la possibilità di
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un’efficace valutazione dei dispositivi o dei servizi di TA (TATN, 2007). In particolare, il modello Texas 4-Step è un processo che può guidare l’educatore speciale nella valutazione del processo di integrazione mediante le TA, parallelamente allo sviluppo del piano di formazione dello studente. La prima fase consiste nell’indicare il risultato scolastico attuale dello studente e il livello pratico della prestazione, in linea con gli standard nazionali. In questa fase è opportuno svolgere anche un’attenta analisi dei bisogni, per identificare le aree di forza dello studente e le aree di bisogno che potrebbero richiedere una soluzione di TA. La seconda fase prevede l’individuazione sia delle mete sia degli obiettivi: cosa ci si aspetta che lo studente possa raggiungere. La terza fase consiste nel determinare se alcuni compiti previsti nel piano di formazione degli studenti possano essere difficili da raggiungere per qualcuno di essi e, di conseguenza, in questa fase si dovrà porre il problema se ci sia bisogno di una soluzione mediante TA o di un servizio di TA. La fase finale, che è volta a decidere se siano necessarie le soluzioni e i servizi di TA e a determinare le soluzioni e i servizi migliori, può essere realizzata attraverso la raccolta delle informazioni necessarie nel processo di valutazione e di sperimentazione delle soluzioni di TA. Le valutazioni sulle TA, dunque, sono decisive, poiché individuano se ci sia bisogno dei dispositivi di TA e/o dei servizi che permetteranno al bambino di migliorare in qualità, quantità o indipendenza relativamente alle attività definite nello IEP (Bowser e Reed, 1995; Lahm e Sizemore, 2002). La valutazione delle TA dovrebbe comprendere un’analisi personalizzata e completa del progresso del bambino relativamente agli obiettivi fissati, ai suoi compiti, all’ambiente nel quale verranno utilizzate le TA, alle esperienze avute con l’uso di TA o di altri supporti e alla sua predisposizione all’uso di supporti alternativi o aggiuntivi (Scherer, Sax, Vanbiervliet, Cushman e Scherer, 2005). Ogni bambino ha una predisposizione che può condizionare l’utilizzo delle TA, e tali predisposizioni dipendono dalle caratteristiche della personalità, dal benessere personale e dal modo di interpretare le capacità fisiche, le esperienze, le aspettative future, l’accoglienza sociale, la condizione economica e il supporto ambientale per l’uso della tecnologia (Louise-Bender Pape, Kim e Weiner, 2002; Scherer, 2005). Inoltre, poiché esaminare e concettualizzare le tipologie e il grado di disabilità del bambino costituisce una componente decisiva, gli educatori speciali possono agevolare il team che si occupa delle TA nell’individuare la predisposizione dello studente, le competenze specifiche, l’utilizzo pregresso di tecnologie e le abilità che potrebbero favorire l’uso di TA da parte dello studente. È stato scoperto che l’importanza di un “buon incontro” tra lo studente e la tecnologia è un elemento essenziale per un utilizzo di successo delle TA. Un processo specifico di valutazione, che è risultato valido nell’identificare sia le caratteristiche della predisposizione sia le caratteristiche dello strumento rappresentato dalle TA – caratteristiche che influenzano e hanno un impatto dell’uso generale di TA sulla persona –, è il modello di valutazione Matching Person & Technology (MPT) (Scherer, 1998, 2005; Scherer e Craddock, 2002), il quale è costituito da misurazioni convalidate relative all’utilizzo da parte di persone con disabilità sia giovani sia adulte. In particolare, il Matching Assistive Technology to Child (MATCH, Incontro tra il Bambino e le TA) è stato sviluppato secondo la struttura teorica dell’MPT e usa con-
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cetti simili, ma è progettato per la popolazione di età pediatrica in ambito formativo (Scherer, 1997; Scherer e Zapf, 2008). Lenker e Paquet (2003) hanno sottolineato che il modello MPT aveva una struttura che mette in evidenza i potenziali tratti predittivi sia degli utenti di TA sia dei non utenti, attraverso punteggi inerenti alla predisposizione, e usa un approccio incentrato sul cliente, basato su una ricerca fondata. Utilizzando i questionari di valutazione del Matching Person & Technology (MPT) per la valutazione di 45 studenti, Craddock (2006) ha scoperto che il modello MPT faceva da guida al processo e ciò garantiva che la procedura di valutazione fosse centrata sull’utente, coinvolgendolo in tutte le fasi, dall’identificazione alla selezione e all’acquisto dell’AT. In coppia con l’MPT, lo IEP è un processo di collaborazione che si concentra sulle abilità di ciascun singolo studente e sull’obiettivo auspicato, tale cioè che sia conforme ai bisogni personali dello studente stesso e alle sue abilità. Lo IEP si basa su un modello di erogazione del servizio di TA partecipativo e sociale, perché centrato sul cliente (Craddock e McCormack, 2002) e cioè in grado di mettere in risalto la partecipazione attiva dell’utente del servizio, sia nella selezione di un’attrezzatura appropriata, sia nella valutazione in itinere, sia nei processi decisionali. Esso adotta un metodo dal basso verso l’alto, consentendo al personale di base di definire le complesse problematiche intrinseche a un sistema di erogazione dei servizi (Scherer e Craddock, 2002), giacché la progettazione incentrata sulla persona comincia precisamente con lo stabilire i bisogni prioritari dell’individuo, in collaborazione con un team formato dalla rete di supporto personale: la famiglia, gli amici intimi, gli insegnanti e gli specialisti di TA. In generale, si può affermare che l’esito positivo nell’uso di TA da parte degli studenti con disabilità è relazionabile, perlopiù, alla conoscenza che essi hanno delle TA stesse e alle competenze degli insegnanti di formazione speciale (Scherer e Craddock, 2002; Scherer e Zapf, 2008); d’altra parte, però, è da rilevare che i risultati indicano che le competenze relative alle TA, a livello di formazione degli insegnanti, potrebbero non essere adeguate, tant’è vero che circa un terzo degli universitari con attestato di insegnante speciale, e precisamente il 28% di quelli che hanno conseguito la laurea magistrale e meno del 25% dei laureati con master, necessita di corsi di TA. Molti laureati lasciano i corsi di preparazione per insegnante di formazione speciale senza avere acquisito le conoscenze e le competenze fondamentali e senza la preparazione necessaria atta a indirizzare i bisogni di TA dei loro studenti (Judge e Simms, 2009). Un cambiamento significativo nell’approccio alla tecnologia, in ambito scolastico, è necessario se le TA devono essere incluse come uno strumento essenziale per gli studenti con disabilità. Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TCI) sono considerate uno strumento onnipresente in classe, mentre le TA sono viste come uno strumento, per gli studenti con disabilità, da adattare alle strutture esistenti. In effetti, le nuove tecnologie possono aumentare notevolmente l’accesso e le opportunità di apprendimento; ma i nuovi media devono ancora essere sfruttati all’interno dell’ambiente scolastico, e qui ci riferiamo, per esempio, agli audiolibri, ai video descrittivi e, in generale, agli ambienti didattici dove gli studenti sono costantemente supportati per imparare come apprendere. Ciò che sosteniamo è la necessità di un sistema formativo,
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soprattutto là dove non c’è un allievo “tipico”, ma una varietà di alunni, tali che ciascuno necessita di supporti adeguati. Il cambiamento può avvenire a molti livelli, ma in particolare è centrale l’impostazione dell’aula, perché essa potrebbe venire intesa dall’insegnante come il luogo nel quale la tecnologia si presenta come un mezzo fondamentale per creare un ambiente di apprendimento collaborativo.
7.2 Insegnamenti alternativi che utilizzano le TA Uno dei risultati più significativi nella ricerca, relativamente all’uso delle TCI nella formazione, riguarda la misura in cui la TCI stessa è in grado di supportare l’integrazione degli studenti con necessità di un istruzione speciale (British Educational Communications and Technology Agency, BECTA, 2003). Attualmente, in molti paesi la pratica predominante è quella di ritirare gli alunni disabili dalla scuola, optando per l’insegnamento supplementare con un insegnante di sostegno. Tuttavia, questa fiducia nei confronti delle classi supplementari e che prevedono il ritiro dell’alunno è stata criticata in quanto contraria al principio di integrazione nell’insegnamento e nell’apprendimento e in quanto configura un sistema inclusivo di formazione scolastica (Markussen, 2004). Le TA sono state a lungo riconosciute come uno strumento che permette sia l’indipendenza sia l’integrazione degli individui con disabilità. Grazie ai cambiamenti della normativa, che prende in considerazione l’uso delle TA nel piano formativo dello studente, si è verificata una svolta positiva nel senso di un maggiore utilizzo di TA nell’impianto scolastico (US Department of Education, 1998). Se i programmi di formazione speciale non possono non tenere conto dell’uso, o del non uso, di TA per ogni bambino, è altresì da sottolineare che l’insufficiente formazione professionale, la scarsa conoscenza e l’incapacità dei fornitori di servizi di integrazione delle TA nell’ambiente di apprendimento continuano ad avere un ruolo significativo sia nella rinuncia sia nel minore utilizzo del dispositivo (Dalton, 2002; Copley e Ziviani, 2004; Judge, 2010). In uno studio condotto per due anni su studenti delle scuole post primarie, Craddock (2006) ha evidenziato che le TCI e le TA giocavano ruoli fondamentali nell’accrescere la partecipazione degli studenti sia a livello sociale sia formativo, poiché l’utilizzo di queste tecnologie agiva come un catalizzatore importante nel processo educativo e di inserimento ambientale per i disabili, e questo è stato uno dei fattori principali che ha portato alla realizzazione degli obiettivi che gli studenti si erano proposti. In particolare, gli studenti riferivano che le TA davano loro l’occasione di dimostrare di avere la capacità e le competenze che essi sapevano di possedere, ma che non potevano dimostrare perché mancavano dei mezzi necessari. In generale, gli studenti riferivano che le TA aumentavano sia le loro competenze sia la capacità e la qualità della loro comunicazione, mettendoli in grado di lavorare meglio e più velocemente e di ricoprire più mansioni rispetto a quelle previste dal programma scolastico. Gli studenti, insomma, hanno preso atto che la tecnologia permetteva loro di completare la formazione scolastica in uno stato di parità con i coetanei e Craddock
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ha scoperto anche un numero di fattori associati all’uso proficuo della tecnologia, che comprende: •
un intervento precoce: prima lo studente viene sottoposto alla tecnologia, più diviene abile nell’uso, così che si trova a proprio agio con la tecnologia a esso associata;
•
supporti formali: in primo luogo il supporto degli insegnanti, ma anche dei principi e dell’etica scolastica, che sono in stretta relazione; il supporto e la comprensione della disabilità, ma anche il coinvolgimento delle scuole nell’uso della tecnologia;
•
il livello di agio degli insegnanti e della scuola nell’utilizzo della tecnologia;
•
la formazione degli insegnanti in ordine alla tecnologia;
•
i supporti informali, inoltre, sono stati decisivi, e hanno avuto un ruolo centrale tanto la famiglia quanto gli amici; in particolare, la madre ha giocato un ruolo determinante nell’ottenere i dispositivi TA nonché nel sostenerne l’uso all’interno della casa.
Allo stesso modo, Dalton (2002) ha affrontato questioni relative al bisogno degli insegnanti di essere formati sull’utilizzo della tecnologia, in particolar modo gli insegnanti di istruzione scolastica speciale che lavorano con gli studenti con disabilità. In uno studio svolto sul livello di competenza dei formatori speciali, fondato su 35 competenze di base e iniziato nel 1997, il Council for Exceptional Children ha individuato livelli bassi di competenza (da “appena sufficiente” a “inadeguata”) nelle aree che seguono: implementazione della tecnologia tra gli studenti con disabilità; uso della tecnologia nei piani di sviluppo professionali; uso della tecnologia per migliorare la gestione delle risorse e applicazione adeguata della tecnologia nell’apprendimento scolastico. Lahm e Sizemore (2002) hanno anche compilato un elenco completo delle nozioni fondamentali di TA e delle competenze tecniche per tutti gli educatori speciali e questo elenco includeva le caratteristiche dell’alunno, la verifica, la diagnosi e la valutazione, le conoscenze teoriche e la pratica, la progettazione e la gestione dell’ambiente, la gestione del comportamento dell’allievo, la comunicazione e la collaborazione, le pratiche etiche e professionali. Copley e Ziviani (2004) hanno indicato nella mancanza di una formazione professionale adeguata la barriera più alta per una concreta implementazione delle TA. Inoltre, la mancanza del sostegno di follow-up, sia per gli insegnanti che per gli studenti, è stata indicata quale ragione per il non uso delle TA in ambito scolastico. Il livello di comfort dell’insegnante rispetto alle TA rappresenta un fattore determinate nell’uso continuativo e nel sostegno all’uso di TA tra gli studenti. Craddock (2006) ha scoperto che i fattori importanti da rilevare, riguardo alla soddisfazione dello studente nell’utilizzo delle TA, erano: •
la preparazione di classi che agevolino un sostegno scolastico; ciò comportava organizzazioni più fantasiose nell’arredamento dell’aula, contro la tradizionale fila/colonna;
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•
TA relativamente tecnologiche, come matite con impugnatura, leggii e lenti di ingrandimento;
•
l’integrazione della tecnologia tradizionale con le TA, come l’uso di laptop con software specializzato caricato su tutti i sistemi, che si collegano a distanza alle lavagne luminose elettroniche interattive.
Craddock ha identificato anche alcuni fattori umani che si sono rilevati fondamentali, come avere assistenti in aula che lavorano a stretto contatto sia con gli studenti sia con l’insegnante. In molti casi, infatti, era proprio il sostegno personalizzato dato dagli insegnanti che si rivelava il fattore determinante nell’utilizzo proficuo delle TA. Uno studio attuale di Zapf e Scherer (2011) ha rilevato una correlazione importante (p = 0,023) tra le variabili comfort dell’insegnante/genitore e la motivazione dello studente all’uso, dimostrando che il comfort dell’insegnante/genitore potrebbe influenzare la motivazione degli studenti nell’utilizzo di TA e tale scoperta può venire considerata un elemento molto significativo per sostenere l’importanza di avvalersi di una misura di valutazione che accerti il livello di comfort dell’insegnante/genitore e il suo effetto sul risultato relativo all’uso delle TA. Uno studio condotto da Sze (2009) ha rilevato che uno dei fattori predittivi più importanti per un’integrazione di successo degli studenti con disabilità in una classe “normale” è l’atteggiamento degli insegnanti di formazione generale. Più specificamente, i risultati confermano l’esistenza di un collegamento importante tra il comportamento dell’insegnante prima della presa di servizio e la pratica didattica. Il successo della pratica didattica prevede che le attrezzature della “formazione scolastica generale” vengano predisposte per lavorare insieme agli studenti con disabilità, così che corsi di formazione speciale prima dell’inizio della presa di servizio hanno consentito di pervenire a una conoscenza degli studenti con necessità speciali e proprio tale conoscenza ha aumentato il benessere di costoro nella relazione con studenti complessivamente diversi. Negli studi sul comportamento degli insegnanti di istruzione generale è stato anche rilevato che una mancanza di conoscenza relativa alle condizioni invalidanti influenzava la capacità di quegli insegnanti ad accogliere non solo gli studenti con disabilità, ma anche altri studenti con necessità speciali. Infine, Craddock (2006) ha riconosciuto che gli utenti per cui le TA non erano state di aiuto segnalavano molte ragioni per il loro non uso, compreso un desiderio di adattamento (fit-in) che poteva essere minacciato dall’uso stesso delle TA. Per esempio, gli studenti potevano essere indotti a non usare i dispositivi di comunicazione, sebbene potessero migliorare la comunicazione stessa, a causa dello stigma che l’uso poteva comportare. I dispositivi assistivi potrebbero effettivamente migliorare la mobilità, la comunicazione o la praticabilità; tuttavia, se il dispositivo ha una connotazione negativa per il fatto di attirare attenzione indesiderata e funge da deterrente al senso di adattamento, la sensibilità all’adattamento potrebbe essere più importante per l’utente dell’indipendenza percepita e/o della sensazione di controllo.
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7.3 Studi sull’esito delle TA in ambito educativo Gli strumenti e i dispositivi di TA sono progettati per migliorare la prestazione del bambino e per rimuovere le barriere che possono essere di ostacolo alla sua indipendenza. Uno studio recente di Watson e collaboratori (2010) ha sottolineato, in base a punteggi prima e dopo la performance, un effetto importante – nel miglioramento degli obiettivi nello IEP – in 13 bambini che hanno ricevuto sia servizi sia dispositivi di TA da un team formato in maniera multidisciplinare. Questi autori hanno anche scoperto che l’intervento delle TA forniva contributi positivi al miglioramento dei soggetti nella padronanza dello IEP in riferimento ai servizi relativi e di supporto e alle modifiche specifiche al programma scolastico. Le TA utilizzate in questo studio comprendevano la comunicazione scritta attraverso hardware e software, dispositivi atti a formulare discorsi, un supporto software per il programma scolastico e l’accessibilità al computer. Una maggiore indipendenza, relativamente alle capacità pratiche degli studenti, dovrebbe essere lo scopo primario nello sviluppare lo IEP e, da questo punto di vista, le TA possono essere un fattore stimolante per raggiungerla e per preparare gli studenti all’ottenimento dell’obiettivo di una vita efficiente. Østensjø e collaboratori (2005) hanno analizzato gli effetti delle modifiche ambientali e dei dispositivi assistivi su 95 bambini ai quali era stata diagnosticata la CP. Questi autori, da un lato, hanno evidenziato una sostanziale riduzione del bisogno di assistenza, quindi di caregiver, sia nella mobilità interna sia esterna, sia anche nel mangiare (abilità di auto-cura) e, dall’altro, hanno altresì rilevato una forte correlazione tra l’indipendenza del bambino e la richiesta di caregiver, dimostrando che le TA che favorivano l’indipendenza potevano anche condizionare la quantità di considerazione di cui il bambino aveva bisogno. Diversi studi, che hanno preso in esame la ricerca sul tema, sostengono l’uso di TA nell’ambito scolastico. Si è notato che l’uso di software di riconoscimento della parola, come per esempio CoWriter, incrementa i punteggi dell’ortografia, migliora la meccanica della scrittura in generale e accresce il numero delle parole scritte correttamente in sequenza nei bambini con problemi di apprendimento (Staples, Heying e McLellan, 1995; Mirendo, Turoldo e McAvoy, 2006; Erikson, 2006). I prodotti software di lettura del testo, come Kurzweil, sono stati considerati di supporto alle abilità di lettura e di scrittura nei bambini con disabilità; alcuni studenti valutati al “Livello 1 Tier”, nello stato dell’Iowa, hanno usato il programma Kurzweil per la lettura e la scrittura. I loro punteggi miglioravano significativamente nel tempo, nell’area della comprensione della lettura, quando usavano il lettore del testo rispetto a quando leggevano dal foglio (Iowa Department of Education, 2007). Anche l’uso degli interventi di comunicazione aumentativa e alternativa (CAA) è stato considerato vantaggioso per i bambini con disabilità; una meta-analisi condotta da Millar e colleghi (2006) ha analizzato 23 studi che hanno coinvolto 67 soggetti nell’utilizzo di varie tipologie di CAA. Il 31% degli studi prevedeva l’uso di sistemi di aiuto non elettronico e il 4% ha usato dispositivi elettronici; il rimanente 61% degli studi, invece, ha usato segnali manuali. Gli obiettivi degli studi analizzati erano di insegnare la comunicazione espressiva e hanno rilevato che l’82% dei soggetti
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aumentava la produzione verbale e solo il 7% la diminuiva usando queste tipologie di CAA. Del resto, dagli studi condotti centrando l’attenzione su un singolo soggetto e analizzando l’uso di dispositivi elettronici CAA, si evince che l’uso di questi dispositivi può migliorare la comunicazione del bambino con disabilità nelle varie aree in cui si esprime la sua socialità, come per esempio rispondere alle domande e fare commenti durante i momenti di gioco e di pausa merenda (Schepis, Reid, Behrmann e Sutton, 1998; Sigafoos e Drasgrow, 2001).
7.4 Fattori ambientali per promuovere le TA in classe La tecnologia può giocare un ruolo importante nella creazione di una classe integrata. L’uso combinato di TCI e di TA in classe può facilitare le attività di integrazione nella formazione scolastica e, inoltre, possono venire realizzati cambiamenti significativi in ordine al contenuto del programma scolastico, giacché l’uso della tecnologia può consentire di configurare autentici programmi di integrazione. Un esempio di uso sistematico della tecnologia può essere trovato nell’apprendimento inclusivo attraverso la tecnologia (ILT), un programma di integrazione mediante la tecnologia in uso presso quattro scuole, due scuole comuni e due speciali, alle quali è stata fornita una vasta gamma di prodotti tecnologici sia hardware sia software. In particolare, l’attrezzatura tecnologica include: •
fornitura di computer laptop per ogni studente;
•
lavagne luminose interattive;
•
fornitura di TA per ogni studente;
•
accessibilità alla rete wireless;
•
Microsoft Office Suite (software);
•
Inspiration (software per la mappatura della mente);
•
attrezzature per la videoconferenza;
•
lettori MP3 per ogni studente.
Le aule sono state dotate di computer laptop con rete wireless e delle ultime TA per l’apprendimento, come software per rendere più facili la comunicazione e lo scambio di informazioni. Le lavagne luminose interattive semplificano le metodologie didattiche alternative e incoraggiano gli insegnanti a passare a un approccio più interattivo. Inoltre permettono un insegnamento sincronizzato tra le scuole nonché la diretta interazione tra gli insegnanti e gli studenti delle sedi scolastiche, grazie a un ambiente di apprendimento virtuale. È stata poi fornita un’ampia varietà di risorse software, che includono l’accesso a Internet, Kidspiration e l’accessibilità al sito Atomic Learning. Va segnalato che il concetto di software per la mappatura della mente è stato introdotto come struttura portante relativa al processo del pensare dello studente.
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Affinché tale processo potesse in qualche modo venire descritto, oltre agli input tecnologici agli insegnanti è stata erogata una formazione professionale sulle capacità di pensare sviluppata da Edward De Bono e, più nello specifico, è stato presentato il CoRT (Cognitive Research Trust), da utilizzare in aula. Il programma sulle capacità di pensare ha lo scopo di fornire agli studenti gli strumenti per migliorare le loro strategie di apprendimento, attraverso un distacco dall’istruzione unidimensionale o di gruppo e a favore di un approccio più differenziato e incentrato sull’allievo. L’obiettivo era sviluppare la capacità dello studente a pensare in maniera critica nonché indurlo a mettere in pratica l’apprendimento che gli era stato impartito, sviluppando la sua creatività e la sua flessibilità. Inoltre, come detto, gli insegnanti sono stati incentivati all’uso della mappatura della mente, quale strumento di apprendimento delle teorie che sostengono l’istruzione differenziata. Quest’ultima necessita della personalizzazione del programma scolastico al fine di andare incontro ai bisogni individuali di apprendimento degli studenti, di investire nelle loro forze e di accrescere le loro capacità. A tal fine, gli insegnanti sono stati formati a riconoscere la vasta gamma di stili di apprendimento/insegnamento praticati nell’istruzione differenziata, perché potesse emergere l’effetto importante che quegli stili hanno sul processo sia di apprendimento sia di insegnamento. La formazione dell’insegnante è una caratteristica fondamentale del processo ILT, il quale si basa sulla convinzione che ogni insegnante coinvolto ha talenti unici e un potenziale che può essere adeguatamente sviluppato con l’obiettivo di migliorare l’insegnamento e, di conseguenza anche l’apprendimento da parte degli alunni. Tutti i professionisti coinvolti nel progetto hanno frequentato il corso di formazione CPD (aggiornamento professionale continuo) e ai nuovi insegnanti è stata fornita una copia del corso estivo ILT. Quest’ultimo si articolava in una varietà di sessioni formate da piccoli gruppi e concernenti le metodologie del pensare, che venivano utilizzate nel progetto da tutti gli insegnanti coinvolti; inoltre è stato offerto un supporto tecnico sia a gruppi di poche persone sia nelle relazioni one to one. Per rendere gli studenti esperti nell’uso delle TA, ogni insegnante deve avere le competenze ed essere a proprio agio nell’usare la tecnologia, perché solo così riuscirà a insegnare ad altri come poterla sfruttare. Anche nell’ambito delle TA, come del resto in tutte le aree tematiche, gli studenti mostrano livelli diversi di abilità e ciò emerge da vari studi. In uno studio di Craddock (2006) sull’uso delle TA da parte di studenti adolescenti, per esempio, sono emersi tre gruppi distinti di studenti, distinguibili dal tipo di tecnologia che usavano, da come la usavano e da quanto erano soddisfatti e a proprio agio nell’utilizzarla. Essi sono stati qualificati come principianti, utenti intermedi e utenti esperti. Gli utenti esperti erano gli studenti che mostravano di saper usare una vasta gamma di tecnologie, come il riconoscimento vocale, i lettori dello schermo e altri sistemi di produzione vocale. Costoro mostravano molto più di un pragmatico adattamento alla tecnologia; provavano, infatti, un attaccamento emotivo, messo in evidenza da come essi stessi si definivano in relazione alla tecnologia di cui si erano appropriati, la quale metteva altresì in luce competenze e conoscenze rimaste fino ad allora nascoste. Gli studenti hanno descritto i dispositivi come imprescindibilmente associati alla propria immagine e hanno riconosciuto che la
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tecnologia aveva cambiato la loro identità, nel senso che il “capitale culturale” di cui disponevano aveva subìto un significativo incremento in forza dell’uso delle tecnologie portatili di fascia alta, le quali avevano permesso loro in primo luogo di adattarsi, poi di competere e, in un certo numero di casi, di superare i loro pari non disabili. Come ultima annotazione, è da rilevare che un fattore fondamentale per diventare utente esperto è costituito dal tempo in cui si è cominciato a familiarizzare con la tecnologia: coloro che usavano la tecnologia da molto tempo, magari avendo iniziato all’età di cinque o sei anni, avevano molte più possibilità di diventare utenti esperti. È emerso un quadro diverso per gli studenti del gruppo dei principianti. Costoro avevano uno scarso sostegno formale, al di fuori del programma scolastico, e il loro primo avviamento all’alta tecnologia è avvenuto in età molto più avanzata. Sorprendentemente, nessuno di questi studenti aveva alcuna esperienza delle TA o una conoscenza della tecnologia in generale, che avrebbe potuto fornire un’accessibilità più semplice al programma formativo. Per gli utenti alle prime armi, la tempistica era un problema fondamentale, poiché era certamente più difficile assimilare una nuova tecnologia, per esempio, pochi mesi prima di uno dei più importanti esami del loro corso di studi. Tuttavia, alcuni del gruppo dei principianti avevano raggiunto una certa competenza tecnologica e in questo caso sono stati definiti “utenti intermedi”. I membri di questo gruppo hanno assimilato la tecnologia a un livello pragmatico, ma la mancanza di identificazione con la tecnologia stessa li ha collocati in una fase transitoria: solo con il tempo e l’impegno potrebbero diventare utenti esperti di tecnologia. Tornando all’insegnante di formazione speciale, è da rilevare che lo studio di Craddock (2006) sostiene la necessità di cominciare a familiarizzare con i bisogni degli studenti, in riferimento alle TA, in tutto il loro percorso educativo. L’insegnante di formazione speciale, insomma, deve avere dimestichezza con le molteplici funzioni svolte dalle TA negli ambienti di studio e, in particolare, deve conoscere la funzione che esse possono avere nelle fasi di transizione da un livello scolastico inferiore a uno superiore (per esempio nel passaggio da scuola elementare a scuola media inferiore o anche da media inferiore a media superiore). L’obiettivo della formazione scolastica è di preparare lo studente ad avere una propria funzione nel mondo – a casa, negli ambienti sociali come nell’ambiente lavorativo –, e l’educatore speciale dovrebbe imparare a padroneggiare le tecnologie che possono migliorare il successo dello studente in ciascuno di questi ambiti. Incontri per la programmazione delle fasi di transizione sono decisivi per assicurare che vengano individuate le TA ad hoc per ottimizzare il successo dello studente e perché ciò avvenga sono proprio gli educatori speciali che devono saper comprendere la peculiarità dei processi di transizione e fungere da agevolatori, nel senso del garantire che lo studente possa usufruire delle TA necessarie nel passaggio in nuovi ambienti.
7.5 Per il futuro: Universal Design for Learning (UDL) Un modello che comprende l’integrazione della tecnologia nel contesto scolastico è rappresentato dallo Universal Design. È una strategia che ha lo scopo di fare proget-
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tazione e predisposizione sia di ambienti diversi, sia di prodotti non solo accessibili e comprensibili, ma anche utilizzabili da ognuno, nella misura più ampia e nella maniera più indipendente e naturale possibile, senza il bisogno di adattamenti o di soluzioni specifiche di design. L’intento principale del modello è di supportare gli insegnanti nel predisporre e nell’adattare le lezioni, al fine di incrementare l’accessibilità e la partecipazione di tutti gli studenti. Una delle idee principali è quella di “flessibilità”, giacché è proprio la flessibilità che offre molteplici modalità di relazione e di partecipazione agli studenti e, inoltre, consente loro modi diversi di mostrare l’apprendimento conseguito. In altre parole, spingere gli allievi a leggere un testo e a scrivere le risposte nel libro degli esercizi risulta possibile solo per una determinata percentuale di allievi, poiché molti studenti, che pure non forniscono una buona prestazione lavorando secondo i parametri ordinari, potrebbero invece operare bene se il lavoro venisse presentato in un modo diverso. Inoltre, dal momento che l’UDL non contempla di per sé l’uso della tecnologia, quest’ultima offre qualche alternativa che può portare vantaggio a tutti gli allievi. Per esempio, i software text-to-speech, come ReadPlease, possono aiutare l’allievo che fa fatica a leggere; inoltre, il testo può essere ingrandito e i colori possono essere cambiati, al fine di agevolare lo studente che trova difficile concentrarsi sul testo.
7.6 Valutazione di casi Craddock (2003) ha esaminato nove stadi nel processo di consegna del servizio di TA: 1. sensibilizzazione; 2. iniziativa; 3. valutazione; 4. tipologia della soluzione; 5. selezione; 6. autorizzazione per il finanziamento; 7. consegna; 8. training; 9. gestione e follow-up. Applicando il modello indicato sopra agli studenti, possiamo osservare come gli elementi chiave del modello Matching Person & Technology (MPT), le caratteristiche personali, il milieu e la soluzione di TA si combinino per consentire agli studenti di partecipare pienamente alla scuola, alla vita familiare e alla vita sociale. I nostri studi sul caso prenderanno in esame due studenti: Zoey, una giovane allieva che entra nel programma pre-scolastico ed è seguita anche durante il corso di scuola media, e John, uno studente di scuola secondaria, che coltiva progetti di passaggio al college.
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7.6.1 Studio del primo caso: Zoey Zoey è una bambina di 21 mesi che manifesta ritardi neurologici come conseguenza di un’encefalopatia ipossico-ischemica e le è stata fatta una diagnosi di quadriplegia congenita. A Zoey, che è nata di 41 settimane con parto distocico, è stato applicato un sistema di aspirazione per favorire il parto, ma ha presentato una serie complicazioni cliniche (punteggio di Apgar: 1) ed è stata rianimata, messa in incubatrice e trasportata presso una unità di cura intensiva pediatrica, dove è stata sottoposta a una cura neuroriabilitativa per 40 giorni. È stata quindi dimessa e riportata a casa dai genitori, ma i programmi di terapia sono continuati con il programma di servizio per la prima infanzia. Il caso trattato in questo capitolo ritrova Zoey all’età di 36 mesi, nel momento in cui si configura il primo incontro secondo lo IEP, dato che sta per cominciare la sua formazione mediante il programma prescolastico per bambini con disabilità (PPCD) nell’ambito dell’Individuals with Disabilities Act (IDEA). Durante l’incontro programmatico sulla transizione di Zoey previsto dallo IEP, il suo fisioterapista tecnico, che si occupa del programma di intervento per la prima infanzia (IPI), ha incontrato il team pedagogico della scuola (in particolare l’insegnante di educazione speciale: ES), il rappresentante dell’amministrazione scolastica, l’addetto alla formulazione delle diagnosi, il terapista occupazionale (TO), il terapista fisico (TF) e il patologo del linguaggio (PL) per discutere degli attuali punti di forza di Zoey, delle sue necessità e di un programma scolastico adeguato. Il livello attuale di Zoey, relativamente all’attività e alla partecipazione in casa, viene descritto così: Zoey è una bambina attenta e motivata ad apprendere. Vive in una famiglia che le è molto di sostegno e ha una buona relazione con i professionisti che si occupano della sua salute e con i quali ha lavorato; inoltre, è in grado di mantenere desta l’attenzione e apprende meglio con il modello visuale/rappresentazionale che con l’apprendimento cinetico, a causa delle sue disabilità fisiche. Zoey è paralizzata sia negli arti superiori sia in quelli inferiori (presenta, dunque, una grave menomazione motoria) e si affida a riflessi primari per elicitare movimenti motori, ma riesce a stare seduta sulla sedia a rotelle e i terapisti hanno lavorato per individuare la migliore posizione che le consenta di controllare l’ambiente e impegnarsi nei molteplici compiti. Zoey ha provato a usare un interruttore che oscilla in sintonia con i movimenti degli arti superiori (il braccio si protende per toccare l’interruttore), ma poi sposta la testa fuori dal campo visivo, così che i suoi terapisti stanno ora lavorando per aumentare il suo controllo della testa, nella convinzione che il movimento dell’occhio potrebbe diventare la migliore opzione per l’accessibilità, con il passare del tempo. La sua visione (acutezza/convergenza), lievemente compromessa, è stata corretta con occhiali e inoltre è in grado di usare un dispositivo di tracciamento (track) che si avvale della scansione visiva e che le consente di mantenere l’attenzione visivamente. Zoey è in ritardo nel linguaggio e le sue capacità ricettive sono meno alterate (compromissione lieve) delle sue capacità di linguaggio espressivo (compromissione completa), ma questo non le impedisce di dimostrare interesse a interagire con gli altri; inoltre le piace essere al centro dell’attenzione.
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Tabella 7.1 Stadi della consegna del servizio di TA. Stadi del modello di consegna delle TA
Zoey dall’età di 36 mesi ai 5 anni Utente principiante
Zoey a 10 anni Utente esperto di TA
Sensibilizza- Il team pedagogico (insegnante zione ES, TO, TF e PL) frequenta un meeting regionale per rimanere al passo sulle TA attualmente disponibili. Le figure indicate fanno parte del team di TA della scuola. Durante l’incontro previsto dallo IEP per Zoey vengono acquisite informazioni e individuate soluzioni possibili.
Sette anni dopo Zoey è al 4º grado di inserimento in classe. Ha preso padronanza del suo dispositivo CAA. Ha chiesto ai suoi genitori di garantirle che inseriscano nel programma le attività del weekend e le diano le foto del suo nuovo cane così da poterle condividere con i suoi amici. Poiché Zoey è cresciuta, ha più difficoltà controllare i movimenti delle braccia usando ATNR schemi riflessi dato che, essendo aumentato lo sforzo, ella si stanca più facilmente. Ha detto al suo insegnante ES e ai genitori che crede che un sistema per controllare il mouse con la testa, o che preveda l’uso dello sguardo, potrebbe essere più vantaggioso, dato che non riesce a interagire tanto velocemente con il suo interruttore oscillante. Vorrebbe anche che il suo dispositivo la facesse accedere al computer, per gestire la posta elettronica e scrivere con la tastiera.
Iniziativa
Il team che si occupa della formazione discute con il team IPI e i genitori sulla necessità di fare una valutazione sulle TA. La valutazione deve aiutare a individuare i bisogni di Zoey in ordine alle TA in linea con i suoi attuali obiettivi e deve servire a configurare la migliore soluzione di comunicazione.
Zoey, i suoi genitori e l’insegnante ES frequentano il centro TA regionale per prendere in considerazione l’attuale tecnologia disponibile. L’insegnante ES incontra il team di TA per discutere questioni sorte relativamente all’accesso di Zoey (a causa dello sforzo fisico, sta diminuendo il suo rendimento) e anche sull’interesse per un nuovo dispositivo (il suo attuale dispositivo ha sei anni).
Prevalutazione e valutazione
Il team di TA (insegnante ES, TO/TF/PL) osserva Zoey nell’aula PPCD e individua l’area di necessità relativa allo IEP di Zoey. Sono stati individuati dei fattori chiave di predisposizione all’uso di TA da parte di Zoey: alta motivazione, adattabilità, comfort delle TA e sostegno in ambito casa/scuola.
Il team di TA (che comprende l’insegnante ES) osserva Zoey nella sua classe. Gli esperti si incontrano per il suo piano di rivalutazione e discutono il suo attuale livello di competenza e il progresso nello IEP con l’uso delle TA. All’incontro, i suoi genitori discutono dell’interesse a sfruttare una sovvenzione per l’acquisto di un meccanismo più nuovo che utilizzi il dispositivo della testa/occhio, da quando Zoey è migliorata notevolmente con il controllo della testa e dello sguardo. Essi si informano anche sul bisogno di connettere il dispositivo di Zoey a un computer, per permetterle di scrivere, dal momento che questa sarà un’area sulla quale si dovranno concentrare il prossimo anno. Il team rileva l’attuale successo di Zoey con le TA e valuta che è in grado di fare di più. È raccomandata una rivalutazione delle TA.
Tipologia di Il team di Valutazione delle soluzione TA valuta Zoey mentre usa il MATCH-ACES (una versione per bambini del processo di MPT). Viene provato un numero di dispositivi che utilizzano sia l’accesso all’interruttore sia il controllo della testa.
Il team di TA usa il precedente metodo di valutazione MATCH-ACES per aggiornare l’attuale area di bisogno di Zoey riferita allo IEP e la sua performance complessiva. Vengono trattate le possibili soluzioni. Il TO/TF fornisce suggerimenti per aiutare il controllo della testa: il sistema testa/sguardo potrebbe essere efficace. Vengono provati due sistemi di dispositivi.
L’educatore speciale 153
Selezione
È stato raggiunto un accordo tra l’insegnante di Zoey e il Centro Prestiti di TA regionale per prendere in prestito due dispositivi di schermi dinamici in prova. Il team ha trovato, a questo punto, che Zoey riusciva meglio con la scansione visiva di un display a 24 icone ed era in grado di procedere per tre pagine dinamiche. In quel momento il controllo della sua testa era limitato. Era in grado di usare scanning con doppio interruttore (accesso della mano mediante un modello estensore), ma il ritardo motorio era un problema; pertanto, la velocità di scanning è stata diminuita. Il team pedagogico ha valutato che Zoey aveva difficoltà nel mantenere la testa dritta per molto tempo e ciò ha influenzato la sua capacità di resistenza nel controllo della testa e dello sguardo, così che questo è stato considerato un elemento per piani di intervento successivi. È stato raccomandato anche l’interruttore software di accesso che utilizza la musica per l’apprendimento scolastico. La maniglia universale era adatta al materiale didattico (pennello, strumento musicale) ed è stata anch’essa raccomandata, così Zoey potesse interagire in aula.
È stato stipulato un accordo, con la società che aveva fornito a Zoey il primo dispositivo, per testare tecnologie di comunicazione aumentativa alternativa (CAA) più avanzate che fossero dotate di computer con un dispositivo di controllo elettronico (ECU) compatibile con strumenti di tracciamento (oculare o dei movimenti del capo). Inoltre è stata valutata anche un’altra TA, a disposizione del magazzino del distretto con caratteristiche simili a quelle precedentemente illustrate. Zoey è arrivata progressivamente a navigare pagine dinamiche, iniziando da pagine con 20 icone fino a pagine con 60 icone. Le tecnologie di tracciamento oculare utilizzate da Zoey erano state fornite in prestito da un centro di TA. Queste tecnologie erano un eye-gaze tracker e un tracker pro con tracciamento a infrarossi. Queste tecnologie CAA sono state testate dal team di valutazione ed entrambe sono risultate compatibili con i sistemi informatici e con la rete della scuola di Zoey. Il sistema aveva qualche problema nell’interfacciarsi con i computer della classe, mentre il tracker pro si interfacciava bene e l’insegnante ES lo ha ritenuto più compatibile. Dopo una prova di 4 settimane per ciascun dispositivo, il team ha ritenuto che ci fosse bisogno di aggiornare il dispositivo CAA di Zoey, dato che la bambina raggiungeva un successo maggiore connettendosi al computer. Zoey riusciva con successo mediante il dispositivo di tracking pro dei movimenti del capo o oculari a eseguire la scansione e il team di TA ha raccomandato tale opzione. I genitori hanno messo in evidenza che quel sistema occhio/sguardo sembrava efficace dal momento che era richiesto un minore movimento; tuttavia, durante la riunione di TA, il direttore ES ha dichiarato che, al fine del piano IEP, il team ha ritenuto che il Tracker Pro per i movimenti del capo fosse sufficiente e costituisse una soluzione migliore rispetto al precedente metodo di accesso. Il team di TA e il direttore ES hanno espresso dubbi sul sistema basato sul software occhio-sguardo sia a causa dell’alto costo sia per problemi del software concernenti la compatibilità con il computer della scuola sia, infine, per le esigenze dei tecnici dello staff. Il team IEP ha concordato con le raccomandazioni attuali.
Autorizzazione per il finanziamento
Il team IEP concorda sul fatto che il dispositivo CAA fosse essenziale a Zoey per raggiungere i suoi obiettivi IEP. Il dispositivo piccolo/leggero CAA è stato scelto per necessità di dimensioni/montaggio e per la sua capacità di incontrare le necessità di Zoey. L’insegnante ES ha contattato il team di TA e ha fatto richiesta di montare il dispositivo al responsabile dell’acquisto.
Il precedente dispositivo CAA era di proprietà della scuola. Il team di TA e il venditore di CAA hanno riferito ai genitori che era disponibile una sovvenzione di cui avrebbero potuto usufruire qualora avessero voluto acquistare il dispositivo CAA personalmente; altrimenti, glielo avrebbe fornito il distretto (e sarebbe diventato di proprietà della scuola). Il team di TA aveva il dispositivo in magazzino, dato che uno studente l’aveva utilizzato precedentemente. I genitori, dopo aver discusso le opzioni, volevano in primo luogo il dispositivo in concessione e, per un uso transitorio, il dispositivo del distretto. Il direttore ES ha ordinato il sistema tracker.
154 Capitolo 7
Consegna
Il team di TA si è incontrata con l’insegnante ES per consegnare gli interruttori, i software per il computer e una maniglia universale per gli oggetti in aula. Il dispositivo è stato consegnato in tre settimane e il CAA in prestito è ritornato al centro regionale.
Il team di TA si è incontrato con l’agenzia per il finanziamento e con i genitori e ha chiarito le informazioni sulla sovvenzione per il dispositivo CAA. Mentre la sovvenzione stava per essere approvata, il team di TA, l’insegnante ES, i genitori e Zoey hanno impostato l’altro dispositivo da usare con il tracker pro (che è arrivato in 3 settimane). Il processo di sovvenzione ha impiegato 3 mesi per l’approvazione e la consegna.
Training
Il PL e il TO hanno incontrato l’insegnante ES, l’insegnante di istruzione normale, Zoey e i suoi genitori per impostare il dispositivo e fare pratica. Il TO/TF ha lavorato con l’insegnante ES sul posizionamento e sul montaggio. Ha incontrato anche l’insegnante per discutere le strategie per migliorare la tollerabilità relativamente al controllo della testa per Zoey e anche le possibilità future di usare altri punti di accesso per il dispositivo. L’insegnante ES era responsabile del trasporto e dell’implementazione delle TA e di contattare il team di TA per la manutenzione. L’insegnante ES ha frequentato un corso di formazione regionale sull’accesso e l’utilizzo dei dispositivi (interruttori) CAA in aula per facilitare la comunicazione.
Il PL e il TO hanno incontrato l’insegnante ES, l’insegnante di normale istruzione, Zoey e i suoi genitori per impostare il nuovo dispositivo appena arrivato. Il TO/TF ha lavorato insieme all’insegnante ES sul posizionamento e sul montaggio del nuovo dispositivo, con il tracker. Il dispositivo tracker per la testa è stato anche collegato al computer del laboratorio, pertanto Zoey potrebbe completare lì i suoi compiti. L’insegnate ES ha continuato a essere responsabile della consegna e dell’implementazione delle TA e inoltre si è offerta di contattare il team di TA e i genitori per la manutenzione. L’insegnante ES ha frequentato un corso di formazione regionale sull’accesso e l’utilizzo dei dispositivi (interruttori) CAA in aula per facilitare la comunicazione
Gestione e follow-up
L’insegnante ES e quello di istruzione normale (Zoey frequenterà l’asilo rieducativo con un aiuto) hanno incontri periodici per discutere sui progressi di Zoey. Il team di TA la segue (follow-up) a scadenza trimestrale per mezzo di email. Le squadre TO/TF hanno incontrato l’insegnante ES e i genitori e stanno analizzando un sistema di supporto per la testa adatto alla sedia a rotelle, che potrebbe essere d’aiuto in associazione al sistema di tracker testa/occhio. Il PL ha portato avanti il follow-up relativamente alle necessità che riguardano la programmazione della comunicazione insieme all’insegnante ES. L’insegnante ES e i collaboratori continuano a svolgere attività al fine di aumentare la resistenza nel controllo della testa e in quella dello sguardo. L’insegnante ES contatta il team, se c’è bisogno. Considerazioni sulle TA vengono fatte annualmente al meeting IEP. Attualmente Zoey sta passando alla fase di utente intermedio e le attuali TA sono proficue.
L’insegnante ES ha documentato le modifiche alle TA che erano necessarie per il periodo di prova. L’insegnante ES ha documentato l’attrezzatura prevista dallo IEP per la transizione alla prossima scuola. Il TO/ TF ha continuato a incontrarsi con l’insegnante ES e con quello di istruzione normale per le necessità di accessibilità e di orientamento. Il PL ha continuato il follow-up sui bisogni relativi alla programmazione della comunicazione insieme all’insegnante ES. Al momento, Zoey sta usando con successo il tracking system ed è in grado di portare a termine i suoi compiti. Naviga con il computer ed è in grado di svolgere i compiti scritti. È quattro volte più veloce che con il meccanismo precedente e meno stanca. Usa il suo dispositivo in tutte le attività, dato che questo è diventato parte della sua persona. I suoi genitori e l’insegnante ES le sono molto di supporto e si assicurano che il dispositivo sia disponibile. I suoi genitori hanno cercato altre opzioni di finanziamento per il sistema occhio-sguardo e sperano di ricevere una sovvenzione attraverso la fondazione locale CP che vorrebbe acquistare tale sistema.
L’educatore speciale 155
Il suo tecnico fisioterapista (IPI) ha illustrato le TA che vengono usate abitualmente a casa e che comprendono una sedia a rotelle manuale, alla quale è stato adattato un dispositivo per la posizione seduta nonché aggiunto un interruttore che le consente di accedere ai giochi, durante la pausa ricreativa. Zoey ama la musica e si impegna nelle attività di apprendimento che prevedono l’uso del computer, il quale è predisposto per utilizzare la musica come ricompensa positiva. Per consentirle di svolgere le attività manuali, sono state cercate maniglie specifiche, ma sembra che se la cavi meglio con una maniglia universale. Il problema principale dei genitori di Zoey è la sua comunicazione, giacché essi ben comprendono che sarebbe in grado di agire in forma molto più indipendente se potesse parlare. Il team ha provato un dispositivo di comunicazione accrescitiva e alternativa (CAA) di media tecnologia, uno step-scanning che si avvale di un interruttore che può essere azionato mediante i movimenti della testa; se non che, la bambina presenta ancora una resistenza limitata nel controllare i movimenti della testa. Il team ha compreso che Zoey è in grado di navigare più agevolmente mediante uno schermo dinamico, dal momento che lo schermo statico è per lei limitante. Zoey, insomma, può venire definita come un soggetto che si trova nello stadio di utente principiante e che, nell’età compresa tra i 36 mesi e i 5 anni, attraverserà la fase che la porterà a diventare utente intermedio; successivamente, all’incirca verso i dieci anni, è ipotizzabile che diventi più indipendente, così da portare a termine con successo il passaggio allo stadio di utente esperto. La descrizione di questo caso, pertanto, consisterà nell’osservazione di Zoey all’età di trentasei mesi e poi all’età dieci anni, quando userà le sue TA in ambito scolastico.
7.6.2 Studio del secondo caso: John John è un giovane uomo con paralisi cerebrale atetoide. Ha frequentato la scuola primaria tradizionale del luogo per sette anni ed è passato al college, raggiungendo il 3º livello di istruzione. Lo studio del caso presenta John a 7 anni come un utente di tecnologia alle prime armi e lo ritrova quando è un giovane uomo di 17 anni e un utente esperto di tecnologia. Sia gli utenti alle prime armi sia gli utenti esperti si riferiscono allo studio che riguarda gli studenti in transizione dal 2º al 3º livello di formazione condotto da Craddock (2006). Sono emersi dallo studio tre gruppi riconoscibili di studenti, distinguibili dal tipo di tecnologia che hanno usato, da come l’hanno usata e da quanto erano soddisfatti e a proprio agio nell’uso. Questi sono stati qualificati come principianti e utenti esperti, laddove gli studenti che si collocavano tra i due stadi sono stati definiti utenti intermedi. Lo studio ha anche evidenziato che gli studenti arrivano allo stadio di utenti esperti di tecnologia quando vengono introdotti alla tecnologia già dal livello elementare, hanno un insegnante che ha dimestichezza con la tecnologia e hanno un ambiente domestico di supporto. John ha frequentato la scuola primaria locale, che si trova in una parte rurale dell’Irlanda. È stato introdotto all’uso delle TA quando aveva sette anni dal suo insegnante e dal funzionario del collegamento con la tecnologia – Technology Liaison Officer (TLO) – del posto. Ha apprezzato le TA dal primo momento e ha premuto l’interruttore della testa che era attaccato alla sua sedia a rotelle.
156 Capitolo 7
Tabella 7.2 Stadi del Centro Ausili. Stadi del modello del centro ausili
John a 7 anni Utente principiante di TA
John a 17 anni Utente esperto di TA
Sensibilizzazione
L’insegnante visita le dimostrazioni itineranti di TA, osserva la tecnologia che potrebbe essere adatta per uno dei suoi studenti e prende nota delle informazioni di contatto del Local Technology Liaison Officer (TLO).
Dieci anni dopo John è al 2º livello di formazione scolastica, rimane aggiornato sulla nuova tecnologia, cerca nel Web e comunica con gli utenti su un forum online di utenza nazionale.
Iniziativa
L’insegnante discute con i genitori di John sull’opportunità di avere una valutazione TA. I genitori concordano e compilano una scheda di prevalutazione con il supporto del TLO locale.
John scopre la tecnologia occhio/sguardo e mostra le informazioni al suo insegnante, che a sua volta contatta il SENO locale (Special Educational Needs Officer).
Prevalutazione e valutazione
Il funzionario del TLO visita la scuola per vedere l’insegnante e per osservare come John partecipa ai lavori che si svolgono in classe. Il funzionario del TLO prova una selezione di dispositivi di TA con John. Dato che John ha solo 7 anni, l’insegnante, i genitori e il funzionario invitano il team per la valutazione delle TA a valutare John a scuola.
John è frustrato per l’attuale lentezza della sua tecnologia e pensa che un sistema occhio/sguardo lo aiuterebbe a essere più veloce nello scrivere.
Tipologia di soluzione
Il team per la valutazione delle TA valuta John nell’uso di MPT. Viene provato un certo numero di meccanismi, ma John, che ha già visto prima alcuni dispositivi, è molto più interessato all’interruttore che si attiva con il movimento della testa e che si attacca facilmente alla sua sedia a rotelle. Egli è felice quando può scrivere il suo nome sullo schermo del computer per la prima volta.
Di concerto con l’insegnante, il funzionario del SENO e il funzionario del TLO locale, John prova il sistema portatile occhio/sguardo. Si discute sul costo di questa nuova attrezzatura e sull’uso del suo sistema attuale come backup nonché su un dispositivo portatile per muoversi tra le aule a scuola.
Selezione
Viene raggiunto un accordo tra l’insegnante di John e il funzionario del TLO per avere in prestito un computer desktop con l’interruttore e il software speciale da provare per un mese. Il funzionario del TLO fa visita una volta a settimana per mostrare sia all’insegnante che a John alcune caratteristiche del software. Alla fine del mese il funzionario del TLO e l’insegnate si confrontano con John e i suoi genitori e tutti ritengono che questa sia una soluzione molto buona per John.
La prova del sistema Eye Gaze (occhio/ sguardo) è organizzata con il funzionario del TLO locale, ma John deve attendere alcuni mesi prima di accedere al dispositivo. A causa del costo elevato di quest’ultimo, viene presa in considerazione l’eventualità di prenderne uno in prestito, dal momento che ce ne sono alcuni disponibili. Infine, John ottiene il sistema per un mese di prova e scopre che la sua velocità di scrittura viene raddoppiata.
Autorizzazione per il finanziamento
Il funzionario del TLO mantiene i contatti con il resto del team di valutazione e vengono fatte ulteriori raccomandazioni ai genitori e all’insegnante, come quella di presentarsi al Dipartimento dell’Istruzione per il finanziamento. Nel frattempo il periodo di prestito dell’attrezzatura viene esteso fino all’arrivo della nuova attrezzatura. In sede di revisione John viene valutato utilizzando l’MPT e risulta mostrare una buona corrispondenza
Il funzionario del SENO con il supporto tecnico del TLO rivolge domanda per ottenere la nuova attrezzatura Eye Gaze al Ministero dell’Istruzione. La richiesta viene respinta a causa del costo elevato. Anche l’attrezzatura in prova viene restituita. Si valuta una soluzione alternativa. Viene preso in considerazione il sistema meno costoso head tracking (dispositivo per la testa) e viene disposta un’attrezzatura di prova. Viene fatta una richiesta al Ministero dell’Istruzione e il prestito viene accordato.
L’educatore speciale 157
Consegna
Tre mesi dopo arriva la nuova attrezzatura e l’insegnante con il supporto del TLO Locale si accerta che l’attrezzatura funzioni. L’apparecchiatura in prestito viene restituita.
L’attrezzatura viene consegnata alla scuola e John aiuta l’insegnante a installare il sistema sul suo computer laptop.
Training
Il TLO lavora a stretto contatto con l’insegnante di John per mostrare come funziona il nuovo sistema e una volta al mese, per un periodo di sei mesi, il funzionario del TLO trascorre un’ora con l’insegnante per fare dimostrazioni relative al nuovo software di istruzione che l’insegnante può utilizzare con John, ma anche con il resto della classe.
Poiché John è un utente esperto di tecnologia, si allena nell’uso della nuova attrezzatura e trova video su YouTube di altri utenti che lo aiutano a velocizzare la scrittura. Egli ora è sei volte più veloce nello scrivere alla tastiera, poiché usa il nuovo sistema e ha intenzione di passare al 3º livello di istruzione.
Gestione e follow-up
L’insegnante lavora con John su una base semestrale. Durante i successivi due anni mantiene i contatti con il TLO in ordine al nuovo software, qualora si verificasse qualche problema di manutenzione relativamente, per esempio, all’interruttore, all’interfaccia con il computer e all’inchiostro per la stampante.
John adesso usa Skype per contattare il TLO, qualora si verificasse qualche problema di manutenzione. John lavora con il TLO e il SENO per produrre un SON specifico per i suoi bisogni di TA e per i requisiti necessari a un passaggio di successo al 3º livello.
Nota: il progetto STATEMENT (Systematic Template for Assessing Technology Enabling Mainstream Education) è stato finanziato nell’ambito dell’iniziativa European Horizon (2006). Il suo intento era di produrre una Dichiarazione del Bisogno specifico delle TA per studenti, nel passaggio dal secondo livello al livello post-secondo di istruzione.
7.7 Conclusioni Questo capitolo sottolinea l’importante ruolo dell’educatore speciale nel mettere a disposizione le TA nell’ambiente scolastico e mette in evidenza che, se l’educatore speciale non è a proprio agio nell’uso della tecnologia, l’uso proficuo di TA in classe potrebbe essere compromesso. Ciò presume che la valutazione appropriata e vantaggiosa sull’uso delle TA debba includere una considerazione delle caratteristiche individuali sia della persona sia della sua predisposizione nei confronti della tecnologia e, inoltre, che è di competenza dell’educatore speciale richiamare l’attenzione del team interdisciplinare di valutazione. Per far sì che l’insegnante raggiunga un buon livello di comfort con la tecnologia, è fondamentale un periodo di training, che definisce una forma di apprendimento inclusivo attraverso, appunto, la stessa tecnologia e rappresenta un esempio di integrazione tecnologica e di formazione dell’insegnante. Il capitolo fornisce anche una panoramica sulle esperienze degli utenti di tecnologia, sia di quelle di successo sia di quelle che, invece, sono andate incontro a fallimento, e sottolinea i fattori che determinano l’uso o il non uso di TA. Infine, con l’avanzare della tecnologia e con il crescente sostegno di TA nel mercato tradizionale, gli autori sottolineano la necessità di uno stadio ulteriore, che metta a disposizione la tecnologia in aula: lo Universal Design for Learning. Da ultimo, viene affermato quanto sia utile predisporre un ambiente scolastico in cui le aule siano progettate per soddisfare tutte le tipologie di alunni, indipendentemente dalla loro disabilità o dalle esigenze particolari. Risulta fondamentale per l’insegnante ammettere che tutti gli allievi hanno diverse capacità ed è precisamente la misura delle loro capacità, e non
158 Capitolo 7
delle disabilità, che dovrebbe determinare come la loro formazione scolastica debba essere sostenuta. La classe dovrebbe fornire una serie di sostegni per ciascun alunno che potrebbe avere problemi nel portare avanti il programma scolastico, dalle difficoltà di lettura e di scrittura a quelle di comprensione. Un educatore speciale, per concludere, dovrebbe avere la conoscenza teorica, le abilità pratiche e la competenza di sostegno relativamente al supporto tecnologico, al fine di sostenere tutti all’interno dell’ambiente scolastico.
Capitolo
8
Lo psicologo
F. Meloni, S. Federici, A. Stella, C. Mazzeschi, B. Cordella, F. Greco, M. Grasso
Il presente capitolo affronta il ruolo e le competenze dello psicologo in un centro ausili. L’assenza del ruolo dello psicologo nel processo di valutazione delle TA è probabilmente dovuta alla mancata codifica dei fattori personali nella Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute. Nel considerare lo psicologo come lo “specialista” dei fattori personali, gli autori sollecitano una revisione dell’ICF in modo tale che nel modello biopsicosociale il termine “psico” non rimanga un mero prefisso. Lo psicologo nel centro ausili ha il compito sia di sostenere la richiesta dell’utente nel processo guidato dall’utente medesimo sia di mediare tra l’utente e il team multidisciplinare. Egli, inoltre, si adopera per armonizzare il lavoro di gruppo nel team multidisciplinare e per migliorare la relazione tra il cliente e il suo contesto di vita. Infine, uno studio originale chiude il capitolo, ponendo l’attenzione sulle rappresentazioni degli psicologi e degli altri professionisti riguardo agli utenti/clienti disabili e le TA. Riconoscimenti: Fabio Meloni, Stefano Federici e Aldo Stella hanno contribuito in egual misura alla stesura del presente capitolo eccetto che per il Paragrafo 8.6.2, scritto da Claudia Mazzeschi, e per il Paragrafo 8.7, scritto da Barbara Cordella, Francesca Greco e Massimo Grasso.
8.1 Il ruolo marginale dello psicologo nella valutazione di tecnologie assistive La psicologia di per sé è morta. O, detto in altri termini, la psicologia si trova in una strana situazione. Il mio college, il Dartmouth, sta costruendo un magnifico nuovo dipartimento di psicologia. I suoi quattro piani sono così suddivisi: il seminterrato è interamente dedicato alle neuroscienze, il primo piano è destinato alle aule e all’amministrazione, il secondo alla psicologia sociale, il terzo alle scienze cognitive e il quarto alle neuroscienze cognitive. Perché, allora, viene chiamato dipartimento di psicologia? (Gazzaniga, 1999, p. 21).
Con il neuroscienziato Gazzaniga, ci chiediamo perché il modello della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF; OMS, 2002) si chiami bio-psico-sociale, dal momento che esso non contiene nulla di psicologico. Noi non crediamo che la psicologia sia finita, ma sicuramente gli psicologici (clinici) rischiano di non trovare il loro posto se il modello di disabilità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non costruisce un “piano” per la psicologia. E non sarebbe poi così grave, se il problema fosse circoscritto al posto che gli psicologi (clinici) occupano nel mondo. Ma è molto più grave, dal momento che solo la psico-
160 Capitolo 8
logia possiede gli strumenti fondamentali per prevenire l’abbandono delle tecnologie assistive (TA) (Lenker e Paquet, 2004; Philips e Zhao, 1993; Riemer-Reiss e Wacker, 2000; Scherer et. al., 2005; Söderström e Ytterhus, 2010; Verza et. al., 2006; Waldron e Layton, 2008; Zimmer e Chappell, 1999), cioè per garantire un “processo condotto dall’utente attraverso il quale la selezione di uno o più ausili tecnologici per una soluzione assistiva è facilitata dall’utilizzo di strumenti che comprendono misure cliniche, analisi funzionali e valutazioni psico-socio-ambientali, che si rivolgono, in uno specifico contesto d’uso, al benessere personale dell’utente attraverso il migliore abbinamento tra l’utente/cliente e la soluzione assistiva” (vedi l’Introduzione alla Parte 1). Ricercando “psychologist role” e “disab*” o “rehabil*” nel campo “abstract” delle principali banche dati della produzione scientifica indicizzata, come Cambridge Scientific Abstracts (CSA), PubMed, Medline, PsyArticle, PsyInfo, Eric ed Ebsco, dal 1900 a oggi, i risultati sono sorprendenti: vengono reperiti 56 prodotti tra il 1973 e il 2010. Eliminando gli studi che fanno riferimento agli psicologi della scuola o solo marginalmente correlati al ruolo dello psicologo (clinico) nella riabilitazione e nell’assegnazione di TA, il numero di prodotti scende a 36, compresi 8 capitoli di libri e monografie e 28 articoli su rivista. Di questi, 23 sono stati pubblicati nei 26 anni tra il 1973 e il 1999 e i rimanenti 13 negli ultimi 11 anni. Sono state trovate solo due (sic!) relazioni a conferenze (Mitani et. al., 2007; Nihei et. al., 2007) negli atti dell’Association for the Advancement of Assistive Technology in Europe (AAATE), cercando “psycholog*” nel campo “title” o nel campo “abstract”. La letteratura scientifica internazionale non ha mai dato una definizione chiara del ruolo e delle competenze dello psicologo nel campo della riabilitazione. Nei processi di valutazione di TA il ruolo dello psicologo è sempre richiamato, anche se sembra essere ridotto alla fase di somministrazione di test e di diagnostica. Le abilità professionali degli psicologi e la loro utilità, elencate nella lista che segue, sono tutti temi di minore rilevanza nella letteratura scientifica sulla TA (Barry e O’Leary,1989; Scherer, 2000). •
Sostenere la richiesta dell’utente nel processo da lui guidato, attraverso il quale si giunge alla selezione di uno o più ausili tecnologici per una soluzione assistiva.
•
Mediare tra gli utenti che ricercano una soluzione e il team multidisciplinare di un centro ausili.
•
Facilitare i rapporti tra i membri del team multidisciplinare.
•
Riformulare le relazioni tra l’utente/cliente e la sua famiglia, nel quadro delle nuove sfide, limitazioni e restrizioni che si trovano ad affrontare.
Tuttavia, il recente avanzamento del modello biopsicosociale nelle comunità sociale e scientifica (Plante, 2005), l’integrazione di misure oggettive e soggettive nel processo diagnostico (Federici e Meloni, 2010; Kayes e McPherson, 2010; Ueda e Okawa, 2003; Uppal, 2006), la riconosciuta rilevanza dei fattori contestuali e, in particolare, di quelli personali, che influenzano il successo a lungo termine dell’abbinamento con
Lo psicologo 161
la TA (Nair, 2003) e la crescente attenzione allo “squilibrio di potere” (Brown e Gordon, 2004) nella relazione tra professionisti e utenti richiedono un cambiamento di atteggiamenti e di pratiche relative al ruolo dello psicologo nell’intero processo di valutazione delle TA. È ragionevole presumere che il silenzio assordante sul ruolo dello psicologo nel processo di valutazione delle TA sia dovuto all’assenza dei codici dei fattori personali nell’ICF.
8.2 Nulla sullo “psico” senza gli psicologi: l’ICF e la necessità di una sua revisione La seconda parte dell’ICF copre i “fattori contestuali”, suddivisi in due componenti: i fattori ambientali e i fattori personali. Questi ultimi non sono al momento codificati nel quadro dell’ICF, anche se sono coinvolti nel processo del funzionamento e della disabilità nonché compresi nel background concettuale della Classificazione (Geyh et. al., 2011). I fattori personali sono definiti nell’ICF come “il background personale della vita e dell’esistenza di un individuo, e rappresentano quelle caratteristiche dell’individuo che non fanno parte della condizione di salute o degli stati di salute” (OMS, 2002, p. 21). Essi includono il sesso, la razza, l’età, altre condizioni di salute, la forma fisica, lo stile di vita, le abitudini, l’educazione ricevuta, la capacità di adattamento, il background sociale, l’istruzione, la professione e l’esperienza passata e attuale (eventi della vita passata ed eventi contemporanei), modelli di comportamento generali e stili caratteriali, che possono giocare un certo ruolo nella disabilità a qualsiasi livello (OMS, 2002, p. 21; Ueda e Okawa, 2003).
Tali fattori personali comprendono un dominio (influenze interne su funzionamento e disabilità) e un costrutto (impatto delle caratteristiche della persona; vedi la Tabella 8.1). Il dominio è “cosa” l’ICF classifica in ciascuna delle sue componenti al più alto livello semantico (per esempio funzioni mentali, strutture del sistema nervoso, apprendimento e applicazione delle conoscenze e così via) che si declina nelle diverse categorie della classificazione. Il costrutto si riferisce a “come” ciascuna categoria è pesata e operazionalizzata attraverso qualificatori specifici. Per esempio (OMS, 2002, p. 182 Allegato 2), la performance di una persona (aspetto positivo: qualificatore di funzionamento da pesare) che ha perso la gamba [dominio delle strutture corporee (cod. s750); aspetto negativo: qualificatore dell’estensione della menomazione (cod. s750.4)] in un incidente sul lavoro e da allora utilizza un bastone [costrutto dei fattori ambientali (cod. e1201); aspetto positivo: qualificatore di facilitatore (e1201.+3)] ma incontra medie difficoltà nello spostarsi [costrutto attività e partecipazione; aspetto negativo: qualificatore di limitazione dell’attività (cod. d4500.2)] perché i marciapiedi del quartiere sono molto alti e hanno una superficie molto scivolosa [costrutto fattori ambientali; aspetto negativo: qualificatore delle barriere (cod. e2100.-3)] è codificato come “medie restrizioni nella performance nel camminare per brevi distanze”: cod. d4500.2.
162 Capitolo 8
Tabella 8.1 Visione d’insieme dell’ICF (OMS, 2002, p. 17). Parte 1: Funzionamento e disabilità
Parte 2: Fattori contestuali
Componenti
Funzioni e strutture corporee
Attività e partecipazione
Fattori ambientali
Fattori personali
Domini
Funzioni corporee
Aree di vita (compiti, azioni)
Influenze esterne su funzionamento e disabilità
Influenze interne su funzionamento e disabilità
Cambiamento nelle funzioni corporee (fisiologico)
Capacità Eseguire compiti in un ambiente standard
Impatto delle caratteristiche della persona
Cambiamento nelle strutture corporee (anatomico)
Performance Eseguire compiti nell’ambiente attuale
Impatto facilitante o ostacolante delle caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti
Aspetto positivo
Integrità funzionale e strutturale
Attività e partecipazione
Facilitatori
Non applicabile
Aspetto negativo
Menomazione
Barriere/ ostacoli
Non applicabile
Strutture corporee Costrutti
Funzionamento Limitazione dell’attività Restrizione della partecipazione
Disabilità
Secondo il caso sopra descritto, l’uso dell’ausilio, il bastone, riduce l’impatto della menomazione fisica e delle barriere ambientali sulla performance dell’individuo, anche se la capacità dell’individuo stesso senza assistenza e/o in un ambiente standardizzato potrebbe essere considerata più limitata (e.g. cod. d4500.2 3). Tutto questo processo di valutazione può essere effettuato da un team multidisciplinare, nel quale un professionista psicologo (clinico) può non essere necessario dal momento che la competenza nella cognizione, nelle emozioni, nei comportamenti umani e nei sistemi delle relazioni sociali non è essenziale per classificare la persona (nell’esempio, la persona che ha perso la gamba) o per assegnarle l’ausilio (il bastone). Secondo questa prospettiva bio-sociale sulla classificazione del funzionamento e della disabilità, “psico” resta solo un prefisso a una parola, come a dire che le influenze interne e l’impatto degli attributi della persona sul funzionamento e la disabilità non sono considerati, e ciò non può non impedire lo sviluppo culturale e professionale della figura
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dello psicologo (clinico) anche nel campo dei processi di valutazione di TA. Universalmente, in un centro ausili lo psicologo clinico non appartiene al team multidisciplinare dei professionisti del centro, essendo spesso presente solo come un consulente esterno. Ingegneri, fisioterapisti e specialisti della riabilitazione (per esempio patologi del linguaggio, audiologi, optometristi, educatori speciali e terapisti occupazionali) di solito costituiscono il team interno di un centro ausili e delineano l’attuale prospettiva bio-sociale sulla disabilità. L’ICF imputa l’assenza di codici per i fattori personali alla “grande variabilità sociale e culturale a essi associata” (OMS, 2002, p. 14). Tuttavia, la vera novità del modello biopsicosociale, comparato ai precedenti medico e sociale, è precisamente la presenza del prefisso “psico” tra “bio” e “sociale”. Il fallimento nella codifica di una così importante componente dei fattori contestuali dieci anni dopo la pubblicazione dell’ICF, dato anche il valore distintivo dell’intera classificazione, crea un inquietante parallelo tra l’International Classification of Impairments, Disabilities, and Handicaps del 1980 (ICIDH; WHO, 1980) e l’ICF, dal momento che l’ICIDH aveva lo scopo di descrivere e rappresentare la disabilità nei termini del modello sociale, ma ha finito per rivelare una coerenza sostanziale con il modello medico: allo stesso modo l’ICF sembra ignorare la richiesta di complessità, implicita nel modello biopsicosociale, per essere soltanto, letteralmente, un’integrazione tra i modelli medico e sociale senza un reale salto qualitativo rispetto a essi. Le variabili psicologiche comprese nei fattori personali dell’ICF possono comportare differenze sostanziali nel processo di riabilitazione e, in particolare, esse giocano un ruolo centrale nel corso dell’ATA process. Lo stile di vita, lo stile di gestione dello stress, il background sociale e culturale o lo stile caratteriale determinano realmente il successo dell’abbinamento della persona con la tecnologia. Una valutazione psicologica appropriata o un intervento clinico preciso con l’utente/cliente e/o con il loro contesto umano significativo durante il corso dell’intero processo di valutazione di TA può prevenire, per esempio, l’abbandono o il non utilizzo della soluzione assistiva fornita, che costituisce un grosso problema nell’outcome dell’abbinamento. È ragionevole presumere che la scarsa importanza data alle abilità “sistemiche” dello psicologo nel processo di abbinamento della persona con la tecnologia sia in larga parte dovuta alla mancata codifica dei fattori personali nell’ICF. L’ICIDH aveva bisogno di essere revisionato, in quanto sarebbe stato utile includere i fattori ambientali nel sistema di codifica (Pfeiffer, 1998); oggi sosteniamo che l’ICF necessiti di una revisione ulteriore, dal momento vi è l’urgenza di sviluppare i fattori personali (vedi anche Steiner et. al., 2002). Inoltre, come rimarcano Geyh e colleghi, concludendo una recente rassegna della letteratura sulla concettualizzazione della componente dei fattori personali dell’ICF, i fattori personali “non sono stati studiati estensivamente o sono stati sottovalutati (Cruice, 2008; Lehman, 2003; Threats, 2007; Weigl et. al., 2008) […]. Si suggerisce che un obiettivo di future ricerche debba essere lo sviluppo delle categorie dei fattori personali all’interno dell’ICF (Khan e Pallant, 2007)” (2011, p. 1097).
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8.3 I fattori personali del funzionamento e della disabilità La recente rassegna della letteratura, già citata nel paragrafo precedente – condotta da Geyh insieme ad altri eminenti studiosi dell’ICF Research Branch and Classifications, Terminology and Standards Team dell’OMS (Geyh et. al., 2011) sulla concettualizzazione della componente dei fattori personali dell’ICF – ha raccolto 353 citazioni in 79 articoli. Sono state classificate 538 affermazioni sui fattori personali. Gli autori, oltre alle affermazioni teoriche, hanno identificato diversi fattori personali (Badley, 2006; Fougeyrollas et. al., 1999; Ueda e Okawa, 2003; Verbrugge e Jette, 1994; Viol et. al., 2006). Gli autori sostengono che vi sia la necessità di una standardizzazione, indicando “il potenziale dei PF [fattori personali] nel migliorare la comprensione del funzionamento, della disabilità e della salute, nel facilitare interventi e servizi per persone con disabilità e nel rafforzare la prospettiva degli individui nell’ICF” (Geyh et. al., 2011, p. 1089). Una lista schematica di fattori personali è già stata fornita dall’ICF e dall’ICF-CY: “sesso, razza, età, altre condizioni di salute, forma fisica, stile di vita, abitudini, educazione ricevuta, capacità di adattamento, background sociale, istruzione, professione, esperienza passata e attuale, modelli di comportamento generali e stili caratteriali” (OMS, 2002, p. 21; 2007, p. 43). Una più ampia lista di 238 esempi di fattori personali, non citati nella definizione dell’ICF, è stata creata da Geyh e collaboratori (2011) raccogliendo tutti quelli elencati in 23 dei 79 articoli recensiti. Molti dei 238 fattori elencati (199), sono stati trovati in non più di un articolo. Dei 39 fattori rimanenti, solo tre incontravano il consenso di più di cinque articoli: autoefficacia (13), motivazione (7) e personalità (7). Questi risultati spingono gli autori a dichiarare “la necessità di una ulteriore standardizzazione relativa ai fattori personali come parte dell’ICF” (Geyh et. al., 2011, p. 1099). I contesti in cui i fattori personali sono più frequentemente citati sono la riabilitazione dei disturbi della comunicazione e le condizioni muscoloscheletriche. In ogni caso, vi è un accordo generale sul ruolo dei fattori personali in tutte le fasi del processo di riabilitazione (Geyh et. al., 2011; Gutenbrunner et. al., 2007; Steiner et. al., 2002) soprattutto “dal momento che l’ICF è stato introdotto come uno schema di valutazione globale, olistica e multidisciplinare in un contesto clinico” (Geyh et. al., 2011, p. 1097). Ma cosa dire sui fattori personali e gli ausili?
8.4 Fattori personali e soluzioni assistive Secondo gli autori della rassegna della letteratura (Geyh et. al., 2011) citata sopra, i fattori personali sono prevalentemente menzionati negli articoli relativi alla riabilitazione occupazionale e professionale, alla riabilitazione psichiatrica, al counselling riabilitativo e agli interventi di cura psicosociale, e solo in quattro articoli relativi ai dispositivi assistivi (Barker et. al., 2006; Cruice, 2008; Henderson et. al., 2008; Howe, 2008). Oltre a questi quattro articoli, Stephen e Kerr (2000), Pape, Kim e Weiner (2002), Scherer e colleghi (Scherer 2005; 2011; Scherer et. al., 2004b; Sche-
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rer e DiCowden, 2008; 2005) e Jahiel e Scherer (2010) hanno indicato che specifici fattori personali hanno un impatto sull’uso e sull’abbandono dei dispositivi assistivi, coerentemente con i risultati di Philips e Zhao del 1993 riportati nella loro famosa ricerca che ha determinato in quale modo gli utenti di tecnologie decidono di accettare o rifiutare i dispositivi assistivi: tre fattori su quattro, significativamente correlati all’abbandono – mancanza di considerazione dell’opinione dell’utente nella scelta, facilità nel procurarsi l’ausilio e cambiamenti nei bisogni o priorità dell’utente –, erano collegati a fattori personali (Philips e Zhao, 1993). Nonostante la scarsità nell’attenzione data nella letteratura scientifica internazionale al ruolo e alle competenze dello psicologo nel processo di valutazione di tecnologie assistive, è universalmente accertato che i fattori personali sono una dimensione essenziale e imprescindibile per il migliore abbinamento dell’utente/cliente con il dispositivo. Questa prospettiva ha spinto gli studiosi nel campo delle TA a rinominare le TA come soluzione assistiva, per sottolineare che, più che un dispositivo tecnologico per una “riparazione tecnica” (technical fix) o per superare lo stato di menomazione (Roulstone, 1998), essa coinvolge qualcosa di più che solo un dispositivo [dal momento che quest’ultimo] spesso richiede un insieme di tecnologie tradizionali e assistive il cui assemblaggio è differente da un individuo a un altro e da un contesto a un altro (AAATE 2003).
Uno strumento utile per identificare i fattori personali che possono svolgere un ruolo decisivo in un abbinamento di successo tra utente/cliente e TA è fornito dall’articolo di Pape e collaboratori (2002). In questo lavoro di rassegna bibliografica sono state prese in considerazione 81 pubblicazioni per specificare i significati assegnati alla TA e come questi significati personali influenzano l’integrazione della TA nelle attività quotidiane (p. 5). Oltre a ciascun codice di fattori personali ritrovato nella letteratura recensita, l’articolo offre un nuovo strumento per individuare quali significati siano attribuiti alla TA dalle persone. Una guida per argomenti (topic guide) costituita da percorsi di discussione (questioning routes) fornisce un foglio di lavoro per l’esplorazione dei fattori personali. Le domande sono classificate sotto due criteri principali: tipi di disabilità e fattori di variazione. Il primo si riferisce a quattro tipi di disabilità: disabilità dovuta all’età, disabilità acquisita, disabilità congenita, disabilità dovuta a malattie progressive. I fattori di variazione sono relativi al tipo e alla morbilità della menomazione, ossia le peculiarità riferibili ai fattori corporei: tipo e grado di menomazione, tipo e severità della malattia, origine e diagnosi della disabilità e miglioramenti funzionali. Gli autori hanno trasformato i concetti dei fattori personali che emergono dagli 81 articoli esaminati utilizzando domande per un’indagine operativa. Queste domande di indagine coinvolgono questioni psicologiche, culturali e di adattamento (Pape et. al., 2002, p. 12). Nonostante la scarsità di lavori scientifici che si concentrano sulle relazioni tra i fattori personali e l’assegnazione di idonee TA in accordo con una prospettiva biopsicosociale, i fattori personali emergono come centrali per un abbinamento di successo. Pertanto, il profilo professionale più capace nella conoscenza delle caratteristiche personali e del comportamento è indubbiamente quello dello psicologo.
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8.5 Lo psicologo in un centro ausili: lo specialista in fattori personali Come affermato da Scherer, Craddock e MacKeogh, le predisposizioni, le aspettative e le reazioni delle persone all’uso di ATD [dispositivi di tecnologie assistive] sono altamente specifiche e personali. Queste predisposizioni, aspettative e reazioni emergono da certe influenze come il variare dei bisogni, le capacità, le preferenze e le esperienze passate e l’esposizione alle tecnologie. Cosa ancora più importante, le predisposizioni all’utilizzo di sostegni (così come i benefici ottenuti dall’uso) dipendono anche dal proprio senso di benessere e di soddisfazione verso l’attuale performance nelle attività e nella partecipazione agli eventi della vita quotidiana (2011, p. 812).
Tra tutti i professionisti che fanno parte del team multidisciplinare, lo psicologo è colui il quale, in termini di curriculum e formazione, è il maggior esperto nei fattori personali così come essi sono concettualizzati dall’ICF, esperienza che solo parzialmente condivide con lo psicotecnologo (vedi Capitolo 9). Le abilità dello psicotecnologo sono maggiormente concentrate sul versante tecnologico dell’abbinamento della persona con la tecnologia e sono meno orientate alle dimensioni clinica e psicologica dell’interazione essere umano-tecnologia: Lo psicotecnologo è un esperto di Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), in particolare di interazione uomo-computer […] e fattori umani, e il suo scopo è quello di analizzare le relazioni che emergono dall’interazione persona-tecnologia prendendo in considerazione [...] tutte le componenti psicologiche e cognitive […] [e] le possibilità di adattare e progettare eSystem ed eService in modo accessibile (eAccessibilità) (qui Capitolo 9, p. 191).
La divisione 22 dell’American Psychological Association, riportando l’intera voce de The Corsini Encyclopedia of Psychology and Behavioral Science di Scherer e collaboratori (2004a), rimarca che “lo psicologo della riabilitazione lavora con l’individuo con disabilità per dedicarsi ai fattori personali che incidono sui domini dell’ICF dell’attività e partecipazione” (2004a, p. 802). Inoltre, vengono illustrate molte delle questioni che dovrebbero essere indagate da uno psicologo in un centro ausili: Lo stato neurocognitivo, l’umore e le emozioni, il livello desiderato di indipendenza e interdipendenza, la mobilità e la libertà di movimento, l’autostima e l’autodeterminazione e il punto di vista soggettivo sulle capacità e sulla qualità della vita così come sulla soddisfazione riguardo ai traguardi in aree specifiche come il lavoro, le relazioni sociali e l’essere in grado di andare dove si desidera al di là della mera capacità fisica di farlo (Scherer et. al., 2004a, p. 802).
Dal momento che lo psicologo lavora sui cambiamenti adattivi sul versante umano della polarità persona-ambiente, dovrebbe aver cura di conoscere le caratteristiche e le proprietà dei fattori personali. Una delle più importanti categorizzazioni si concentra su quali fattori personali siano modificabili e quali no (Geyh et. al., 2011; Howe, 2008; Threats, 2003, 2007). L’etnia, la lingua, il background culturale, il sesso, l’età, il livello di sviluppo, l’orientamento sessuale e l’identità sessuale sono tutti fattori
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personali immodificabili che influenzano fortemente, in un dato contesto, il rapporto tra l’utente/cliente e la tecnologia (Geyh et. al., 2011; Howe, 2008; Threats, 2003, 2007). Questa distinzione gioca un ruolo centrale dal momento che lo psicologo, secondo i principi della psicologia umanistica e trans-culturale (Olkin, 1999), promuove la consapevolezza dell’utente/cliente riguardo alle risorse individuali, sulle quali egli può agire al fine di ottenere il migliore abbinamento persona-tecnologia, e potenzia il benessere dell’utente/cliente. In altre parole, il team del centro ausili lavora non solo per trasformare le barriere ambientali in facilitatori, ma anche per motivare l’utente/cliente a fare lo stesso sulle proprie risorse individuali modificabili. Lo psicologo incoraggia l’utente/cliente a esplorare le sue caratteristiche individuali e a fare leva su tutti i suoi fattori personali che possono rilevare un potenziale adattativo in un dato contesto. Un’altra importante distinzione all’interno dei fattori personali riguarda la differenza tra fattori oggettivi e soggettivi. Come riportato da Wade, “il cuore della riabilitazione sono le attività del paziente, il loro comportamento” (2000, p. 115), ma “la natura delle convinzioni e delle aspettative del paziente può influenzare il grado e la natura della disabilità ed effettivamente può occasionalmente essere la causa primaria” (p. 117). La dimensione soggettiva del funzionamento è stata descritta da Ueda e Okawa come una combinazione di esperienze soggettive negative e positive situate a un “livello psicologico-esistenziale” (Ueda e Okawa, 2003, p. 599). Le dimensioni soggettiva e oggettiva sono strettamente legate, interrelate e interagenti, ma anche fortemente indipendenti l’una dall’altra. Ueda e Okawa (2003) distinguono tra fattori personali e dimensione soggettiva, dal momento che essi considerano quasi tutti i tratti proposti in letteratura come appartenenti a fattori personali all’interno del livello oggettivo. Al di là di ogni considerazione sull’interrogativo se la dimensione soggettiva del funzionamento sia colta o meno dai fattori personali dell’ICF e sul grado di sovrapposizione reciproca, non c’è dubbio che il “livello psicologico-esistenziale” dovrebbe essere tenuto in alta considerazione dallo psicologo. In altre parole, le dimensioni oggettiva e soggettiva sono relative a diversi punti di vista sul funzionamento individuale: dalla parte del professionista, molte delle dimensioni dell’ICF possono essere viste come dimensioni oggettive, per una codificabilità e misurabilità del funzionamento individuale; dalla parte dell’utente/cliente, il maggior numero dei codici ICF è rilevante nella misura in cui questi sono elementi del funzionamento soggettivo individuale o dell’esperienza di disabilità. Dal momento che l’obiettivo dell’ATA process è il benessere dell’utente/cliente, da ottenere favorendo il miglior abbinamento tra utente/cliente e soluzione assistiva, e dal momento che il benessere umano costituisce l’esito di un sottile equilibrio tra la dimensione soggettiva e oggettiva della salute (Federici e Olivetti Belardinelli, 2006; Sen, 2002; qui nell’Introduzione alla Parte 1), ne consegue che lo psicologo dovrebbe prestare una significativa attenzione al bilanciamento dei fattori soggettivi e oggettivi, mediando tra la richiesta dell’utente/cliente e l’erogazione della soluzione del team multidisciplinare. Lo psicologo dovrebbe prestare particolare attenzione alla differenza tra funzioni corporee e fattori personali. Come riportato da Threats (2007), c’è stata una certa confusione nella letteratura tra queste due componenti ed è realmente importante darne la giusta attribuzione, specialmente durante la fase di valutazione. In un centro
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ausili questa distinzione può diventare rilevante, in particolare quando il professionista misura la predisposizione dell’utente/cliente all’uso della tecnologia. È stato rilevato che l’uso di tecnologia è influenzato non solo da fattori associati all’ambiente dell’utente e alle caratteristiche della tecnologia, ma anche dalla natura e dalle caratteristiche dello scopo dell’uso e dalle caratteristiche personali dell’utente (Scherer, 1999, 2002). Una corretta codifica della predisposizione all’uso della tecnologia permette l’identificazione della migliore soluzione di abbinamento. Per esempio, se un cliente con una paralisi dovuta a un incidente stradale riferisce che non aveva confidenza con la tecnologia prima dell’incidente e che continua a non averla, questo tratto può essere considerato un fattore personale. Tuttavia, se riferisce che la sua confidenza si è ridotta in concomitanza con l’inizio della sua paralisi, questo fattore può essere categorizzato all’interno della componente delle funzioni corporee (Howe, 2008). Da questo punto di vista, l’insieme delle valutazioni del Matching Person & Technology (MPT; Scherer, 1999) è una misura utile al fine di effettuare la corretta attribuzione relativa alla predisposizione alla tecnologia dell’utente/cliente: Il modello MPT e gli strumenti di valutazione che lo accompagnano si rivolgono a tre aree primarie della valutazione come segue: (a) determinazione del fattori socio-ambientali che influenzano l’uso; (b) identificazione dei bisogni e delle preferenze del cliente e (c) descrizione delle funzioni e delle caratteristiche della tecnologia più desiderabile e appropriata (Scherer e Cushman, 2001, p. 127).
Due strumenti all’interno del pacchetto MPT sono particolarmente adatti per l’uso dello psicologo: l’Assistive Technology Device Predisposition Assessment (ATD PA) e il Survey of Technology Use (SOTU). L’ATD PA è un questionario autoriportato con item su una scala a 5 punti e domande sì/no che misura la predisposizione e la disponibilità individuali all’uso di dispositivi di TA. La versione di follow-up valuta l’ottenimento di benefici dal dispositivo di TA selezionato e le ragioni che spiegano le situazioni di non-utilizzo. L’ATD PA è stato sviluppato per aiutare a ridurre prescrizioni inappropriate di dispositivi di TA e la frustrazione che spesso accompagna un infelice abbinamento tra la persona e il dispositivo (Scherer et. al., 2011). Inoltre, alcune delle aree indagate dall’ATD PA (sezione B: Benessere, Qualità della Vita; sezione C: Fattori psicosociali) offrono spunti per ulteriori indagini sulle caratteristiche personali dell’utente/cliente (Scherer, 2005). Il SOTU è un altro strumento MPT progettato per i professionisti che hanno preso in considerazione di fornire una certa tecnologia a un individuo, ma che sospettano che costui sia riluttante all’utilizzo. Lo scopo che lo psicologo si prefigge nel somministrare il SOTU è sia di rilevare se l’utente/cliente percepisce l’uso della tecnologia come una minaccia al suo benessere o alla sua autostima sia di aiutare l’utente/cliente a scoprirne gli aspetti positivi (Scherer, 1999). In conclusione di questo paragrafo possiamo ritenere che il profilo dello psicologo in un centro ausili sia quello dello specialista nei fattori personali, che, più che un riabilitatore, è un valorizzatore e un potenziatore della consapevolezza personale, oltre che un mediatore e un difensore dei fattori personali e soggettivi nel team multidisciplinare dei professionisti.
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8.6 Delineare il ruolo dello psicologo all’interno dell’ATA process Anche se non crediamo che la psicologia sia finita, come abbiamo sostenuto sopra in opposizione all’affermazione di Gazzaniga, la psicologia moderna ha assunto un atteggiamento paradossale nei confronti della disabilità che non facilita la formazione di un ruolo chiaro per lo psicologo nell’ambito della disabilità stessa. Da una parte, l’affermazione autobiografica di Finkelstein sul rischio della psicologia di imprigionare le persone disabili nei loro corpi “come esseri non abili” è certamente vera, se una breve menzione alla disabilità è fatta solo durante lo studio della neurofisiologia, come quando egli fu “introdotto nel concetto di deficit mentale nel funzionamento cerebrale” (1998, p. 31). D’altronde, il sospetto di Finkelstein non viene eliminato neppure da una difesa della disciplina assunta come “psicologia dell’anormalità”, e non viene eliminato anche affermando che le distinzioni di normale e anormale non sono sinonimi di buono o cattivo. Si consideri una caratteristica come l’intelligenza. Una persona che si colloca all’estremità superiore della curva coinciderebbe con la nostra definizione di anormale: questa persona sarebbe anche considerata un genio. Ovviamente, questa è una circostanza nella quale essere fuori della norma è in realtà una buona cosa (Cherry, 2010).
Questo, infatti, non suona molto convincente; piuttosto, verrebbe da dire: excusatio non petita, accusatio manifesta.1 Dall’altra parte, la psicologia moderna ha fondato la sua teoria sulla “scuola del sospetto” (Ricœur, 1976) di Freud. L’anormalità rivela le strutture e le dinamiche del comportamento umano. Come un’anticipazione anacronistica, la psicologia clinica e la psicologia dello sviluppo sono fondate sulle basi di un modello universale di anormalità. I casi di isteria e di nevrosi hanno offerto a Freud non solo un’illuminazione per lo sviluppo di una nuova metodologia terapeutica, ma, molto più, per la creazione di una teoria sull’ontogenesi umana. Le neuroscienze cognitive osservano il comportamento normale delle persone con danni cerebrali per comprendere le normali rappresentazioni nervose dei processi mentali, di modo tale che la normalità resta un’eccezione nel normale funzionamento umano (vedi il paragrafo “Per studiare le funzioni cognitive le neuroscienze integrano le informazioni che derivano da 5 diversi metodi di studio”, in Kandel et. al., 2003, pp. 379-381); la psicologia clinica e la psicologia dinamica, al contrario, generalizzano il comportamento normale dal momento che i meccanismi sottostanti, evidenziati dalla malattia mentale, sono condivisi dall’intero genere umano. Ciò che Zola fece negli anni Novanta del secolo scorso, promuovendo una demistificazione della specialità della disabilità (1989) e assumendo una concezione della disabilità come fluida e contestuale, la psicologia clinica moderna l’aveva già fatto cento anni prima. Al pari di un contemporaneo maestro del sospetto, infatti, Zola ha riaffermato ciò che costituiva un punto acquisito dalla psicologia clinica, cioè che la dicotomia tra normale e anormale “non è un
1 Una scusa non richiesta è un’accusa manifesta.
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attributo umano che demarca una porzione di umanità dall’altra […]; è una caratteristica della condizione umana infinitamente varia seppure universale” (Bickenbach et. al., 1999, p. 1182; vedi anche: WHO e World Bank, 2011; Zola, 1989). Il problema della disabilità per gli individui “non è se ma quando, non tanto quale, ma quante e in quale combinazione” (Zola, 1993, p. 18, corsivo nell’originale). Lo psicologo clinico sa bene che non sono i meccanismi di base, cioè le strutture e le funzioni corporee, che fanno la differenza tra gli individui, ma i gradi e le combinazioni del funzionamento individuale. Così, nel delineare il ruolo dello psicologo nell’ATA process, noi non vogliamo versare “vino nuovo in otri vecchi”, ossia creare un nuovo profilo dello psicologo a muovere da una psicologia che appartiene al passato. Noi vorremmo recuperare ciò che è proprio della moderna psicologia: un sospetto ermeneutico nei riguardi di tutti i processi di valutazione che trasformano gli utenti/clienti “in oggetti da codificare più che in esseri umani da sostenere” (Duchan, 2004, p. 65). Ci piacerebbe definire il ruolo dello psicologo fondandolo sull’assunto che l’obiettivo di qualsiasi sostegno psicologico non è la “riparazione tecnica” (technical fix) di un funzionamento individuale anormale, ma il benessere personale dell’individuo. In parole povere, lo psicologo nell’ATA process risponderà di una valutazione centrata sulla persona attraverso la quale la selezione di uno o più AT sia facilitata dalla (auto)consapevolezza dell’utente/cliente e del suo ambiente sociale nel quale la soluzione assistiva è fornita unicamente per il benessere personale dell’utente stesso.
8.6.1 Quando è richiesto lo psicologo nell’ATA process Secondo il modello ideale di un ATA process in un centro ausili, proposto da Federici e Scherer, le competenze dello psicologo clinico sono specificamente impiegate possono essere suddivise in sei fasi (vedi nella Figura 8.1 i tre esagoni con la y): 1. Accettazione e valutazione della richiesta dell’utente (esagono y 1) a. Raccolta dati utente: quando l’utente fornisce i dati al centro ausili, questi vengono raccolti e il caso viene aperto e trasmesso al team multidisciplinare. Tutte le misure cliniche, l’analisi funzionale e le valutazione psico-socioambientali fornite dall’utente/cliente sono analizzate dallo psicologo clinico al fine di: (i) tracciare un profilo, nei limiti dei dati raccolti, dell’utente cliente secondo una prospettiva biopsicosociale e olistica; (ii) redigere un referto psicologico per la successiva valutazione da parte del team multidisciplinare. b. Meeting del team multidisciplinare: il team multidisciplinare valuta la richiesta e i dati dell’utente/cliente. I compiti dello psicologo clinico in questo stadio sono: (i) mettere in rilievo gli aspetti unici e peculiari del caso rappresentato dall’utente/cliente in termini di fattori personali e del suo contesto di vita umano e relazionale; (ii) rappresentare la richiesta dell’utente/cliente nel team multidisciplinare; (iii) facilitare le comunicazioni tra i membri del team e la ricerca di una soluzione nell’interesse dell’utente/cliente.
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Figura 8.1 Diagramma di flusso dell’ATA process in un centro ausili: l’ATA process può essere considerato sia dalla prospettiva dell’utente cliente sia dalla prospettiva del centro ausili. La colonna centrale indica le componenti della valutazione. I tre esagoni con una y indicano dove sono specificamente richieste le competenze dello psicologo clinico.
2. Promuovere la soluzione assistiva (esagono y 2) a. Valutazione della soluzione assistiva da parte del team multidisciplinare: il team multidisciplinare predispone un setting adeguato per la valutazione dell’abbinamento e, insieme all’utente/cliente, valuta la soluzione assistiva proposta, prova la soluzione e raccoglie i dati dell’esito. Dopo il processo di abbinamento, il team multidisciplinare valuta l’esito. In caso di successo, propone una soluzione assistiva all’utente cliente e fissa un nuovo appuntamento. In caso di mancato successo il processo ricomincia. In questa fase, lo psicologo clinico rappresenta la richiesta dell’utente/cliente garantendo un processo di assegnazione guidato dall’utente attraverso il quale è raggiunta una soluzione assistiva, selezionando uno o più ausili tecnologici. Ascolto attivo, empatia, abilità nel riformulare le richieste dell’utente/cliente in un linguaggio condiviso sono i principali strumenti utilizzati dallo psicologo clinico in questa fase. Inoltre, lo psicologo può offrire l’opportunità di ristrutturare la relazione tra l’utente/cliente e la sua famiglia all’interno del quadro
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delle nuove sfide, rappresentato dalle limitazioni e dalle restrizioni che dovranno venire affrontate allorché venga introdotta una nuova TA. b. Consenso dell’utente/cliente: il team multidisciplinare propone la soluzione assistiva all’utente/cliente che valuta se l’ausilio tecnologico proposto dai professionisti sia o no una soluzione adeguata. Se sì, l’utente/cliente avanza nel processo, altrimenti l’utente/cliente esce dal processo senza una soluzione per la sua richiesta oppure attende nuovi prodotti tecnologici o nuove soluzioni da parte dei professionisti. Lo psicologo clinico può svolgere un ruolo centrale in questa fase, per esempio richiedendo che l’utente/cliente esplori le ragioni del rifiuto, specialmente se esse sono relative a fattori personali o a fattori dipendenti dal contesto delle sue relazioni umane. Se il principale obiettivo dell’ATA process è individuare la migliore soluzione assistiva per l’utente cliente, è altrettanto vero che spesso una soluzione “sufficientemente buona” è meglio che nessuna soluzione. 3. Supporto all’utente e follow-up (esagono y 3) Quando l’ausilio tecnologico è fornito all’utente/cliente, vengono attivati un follow-up e un supporto continuo. Lo psicologo clinico lavora per promuovere il benessere dell’utente/cliente, monitorando regolarmente la buona qualità dell’abbinamento ottenuto in termini di impatto sul suo empowerment personale.
8.6.2 In che modo lo psicologo promuove la consapevolezza del contesto del cliente/utente e la prospettiva del team multidisciplinare Metodologia Nel modello che proponiamo, la persona con disabilità viene messa al centro dell’intero processo, affinché sia la protagonista dell’intero percorso in ciascuna sua fase. Ciò, tuttavia, impone la necessità di operare delle distinzioni, che dipendono dalle specifiche caratteristiche del soggetto disabile. Per “caratteristiche” intendiamo, in termini generali, alcune semplici ma importanti macrovariabili che possono funzionare come linee guida non già per definire il funzionamento individuale, ma per individuare aspetti più esterni, che tuttavia orientano già il tipo di procedure da seguire. All’interno di queste, la conoscenza e la valutazione delle caratteristiche legate al funzionamento costituiranno due degli obiettivi fondamentali del processo. Le macrocaratteristiche sono l’età del soggetto con disabilità e il tipo di disabilità. Tali macrocaratteristiche, inoltre, si intersecano con altre variabili connesse al “quando”, e cioè al momento in cui lo psicologo clinico opera. Quest’ultimo, infatti, può intervenire durante la fase di assessment, durante la fase di valutazione delle richieste del cliente, durante la fase di promozione della soluzione assistiva o, infine, se interviene nel terzo momento, nella fase di supporto e di follow-up (vedi Paragrafo 6.1). Da un punto di vista metodologico, lo psicologo clinico dispone poi degli strumenti specifici della sua professione, che consistono nel colloquio psicologico e, considerati in senso ampio, nei test (di personalità, cognitivi, questionari, rating scale, test di personalità basati sulla performance e così via). Tali strumenti apparten-
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gono, dunque, al dominio dello psychological assessment per la valutazione del funzionamento di personalità anche in caso di disabilità. Considerando che la valutazione psicologica ha come obiettivo l’indagine e la conoscenza dei fattori personali (psicologici) che possono mediare la scelta e, quindi, l’efficacia dell’utilizzo della TA individuata, la valutazione dovrà essere condotta secondo un approccio multi-method (per esempio Hunsley e Meyer, 2003), ovvero utilizzando una batteria composta da più strumenti, al fine di massimizzare la validità dell’assessment individualizzato (Meyer et. al., 2001). Inoltre, nell’area dell’assessment psicologico è recentemente emersa una relativamente nuova modalità di condurre la valutazione psicologica, che è stata utilizzata già in diverse aree (per esempio McInerney e Walker, 2002; Tharinger et. al., 2009). Si tratta dell’assessment collaborativo, un modello basato, come evoca il nome, sulla attiva collaborazione tra il soggetto e lo psicologo clinico. In accordo con Finn e Fischer (1997; vedi anche Finn, 2003) nell’approccio collaborativo all’assessment lo psicologo e il cliente lavorano insieme per sviluppare una comprensione produttiva, in modo da assicurare al cliente di trarre il maggior vantaggio possibile dal processo di valutazione. Tre sono le caratteristiche dell’approccio nell’idea inizialmente elaborata dalla Fischer nel 1982: la collaborazione, l’individualizzazione delle procedure di assessment (ovvero la scelta degli strumenti specifici per la valutazione) e la flessibilità (differenti percorsi a seconda del cliente). Nell’assessment condotto secondo una modalità collaborativa, il cliente è direttamente e attivamente coinvolto: lo psicologo promuove lo scambio, richiedendo il feedback dal cliente al fine di integrare tutte le impressioni. I risultati sono calibrati a misura del cliente (APA, 2010). Una recente meta-analisi ha messo in evidenza come le procedure di valutazione – quando sono combinate con un assessment personalizzato, collaborativo e restituito (cioè condiviso) – abbiano effetti positivi e clinicamente significativi che ne potenziano l’efficacia, anche in vista del trattamento (Poston e Hanson, 2010). Riteniamo che tale approccio collaborativo debba guidare il lavoro dello psicologo clinico nell’ATA process di un centro ausili con i diversi utenti/clienti. •
FASE 1: Accettazione e valutazione della richiesta dell’utente (esagono y 1) •
Bambini: i bambini non arrivano a un centro ausili da soli, ma accompagnati dal/dai loro caregiver (genitori). Per questa semplice ma importante ragione si impone la necessità di coinvolgere nel processo di valutazione anche i genitori, sia perché sono loro che forniscono le informazioni sul bambino sia perché sono loro che dovranno garantire la sostenibilità dell’utilizzo dell’ausilio scelto. Con i bambini, dunque, la scelta della soluzione assistiva è un compito che non può non coinvolgere e interessare l’intera la famiglia (vedi i Capitoli 5 e 13 di questo testo). Si tratterà, pertanto, di strutturare un colloquio con i genitori e, separatamente, un colloquio con il bambino, al fine di dare agli uni e all’altro lo spazio per potersi esprimere liberamente, senza condizionamenti reciproci. Dopo tale colloquio/colloqui, sulla base di quanto emerso, verranno usati i test per meglio comprendere e conoscere oggettivamente i vari aspetti che sono in gioco, come, per esempio, il funzionamento
174 Capitolo 8
del parenting, che può facilitare o, al contrario, ostacolare l’obiettivo dell’ATA process nel centro ausili. In generale, la fase dell’assessment psicologico, condotto attraverso l’utilizzo di più strumenti e pertanto secondo un approccio multi-method (per esempio Hunsley e Meyer, 2003), potrà riguardare sia i genitori che il bambino stesso, su aspetti specifici rilevanti ai fini della conoscenza dei fattori personali che possono mediare la scelta e quindi l’efficacia dell’utilizzo di un ausilio tecnologico. •
Pre-adolescenti e adolescenti: quanto proposto per i bambini e i genitori in merito alla necessità di un loro coinvolgimento nella fase di assessment, vale anche per i pre-adolescenti e per gli adolescenti anche se, in questa fascia d’età, poiché il compito evolutivo è la ricerca della costruzione dell’identità e dell’autonomia psicologica, sembra necessario dare al ragazzo/ragazza maggiore spazio di decisione e partecipazione. Poiché in questa fase dello sviluppo è centrale la possibilità che il ragazzo/ragazza sperimenti e costruisca il senso della propria efficacia in termini di individuazione, sarà particolarmente importante poter valutare, attraverso il colloquio (ma anche più di uno, se necessario) e l’uso di test specifici nonché mediante una modalità collaborativa che prevede anche i caregiver (genitori), l’attiva partecipazione del soggetto alla scelta dell’ausilio tecnologico, scelta che – in questa fase dello sviluppo – potrebbe andare a interessare in maniera significativa aspetti del funzionamento psicologico del ragazzo/ragazza, tali da mediare l’accettazione dell’ausilio stesso (per esempio autostima, percezione di sé, immagine di sé, immagine di sé in relazione alla percezione degli amici e così via). Anche il ruolo dei genitori dovrà essere valutato in termini di sostegno e di supporto che essi sono in grado di fornire nel processo di crescita del giovane che si avvale dell’ausilio tecnologico.
•
Adulti: l’adulto che arriva presso il centro ausili deve essere accolto come persona. Coerentemente al tipo di deficit per cui la persona adulta si presenta, l’assessment del suo funzionamento psicologico dovrà essere condotto mediante colloquio e test, utilizzando – anche in questo caso – un approccio di collaborazione e partecipazione attiva. Il colloquio psicologico (uno o più, a seconda della necessità) consentirà di avvicinarsi al vissuto del soggetto rispetto alla sua disabilità, di indagare la rappresentazione di sé in relazione alla disabilità e le aspettative rispetto all’uso di un ausilio tecnologico. Permetterà, inoltre, di valutare insieme al soggetto la disponibilità all’utilizzo dell’ausilio stesso e la scelta più idonea con riferimento alle sue condizioni di vita, alle sue aspettative, alla sua autonomia e al suo desiderio di autonomia e di auto-efficacia. Mediante l’uso di test psicologici, l’assessment potrà essere approfondito e includere aspetti del funzionamento personale e interpersonale che potrebbero essere di ostacolo o, al contrario, di aiuto alla scelta condivisa dell’ausilio specifico.
•
Anziani: la valutazione dei fattori personali dipende dal loro grado di autonomia, cognitiva e affettiva. Se il soggetto anziano è autonomo e autosufficien-
Lo psicologo 175
te, lo si tratterà – in termini di metodologia da seguire – come un adulto. Con i soggetti anziani una delle variabili da considerare è la prospettiva di vita e l’impatto dell’ausilio su questo aspetto in termini di aspettative di miglioramento della sua qualità. Se la persona anziana è autonoma, valgono dunque le stesse considerazioni metodologiche del soggetto adulto; se non è autonoma, dovrà essere dato spazio alla valutazione del suo contesto di vita e di coloro che si occupano di lei (caregiver). •
FASE 2. Promuovere la soluzione assistiva (esagono y 2). In questa fase del processo, lo psicologo clinico – mediante il colloquio ed eventualmente anche i test – monitora la bontà della scelta/scelte fatta nella fase precedente (Fase 1). Attraverso il lavoro con l’utente/cliente, lo psicologo clinico fornisce il supporto al soggetto e individua, là dove presenti, eventuali ostacoli nell’uso dell’ausilio scelto ed eventuali difficoltà nell’accettazione dello stesso da parte del soggetto (e/o del suo ambiente), rilevando cioè aspetti del funzionamento del soggetto che possono interferire con l’utilizzo dell’ausilio. Lo psicologo monitora, dal punto di vista del cliente (senso di efficacia, autonomia percepita, soddisfazione, umore), l’impatto che l’ausilio ha nella sua vita (e nel suo contesto), sia in termini positivi (aumento dell’autonomia, aumento della self-efficacy, aumento della soddisfazione personale) sia negativi (per esempio umore depresso, isolamento dovuto alla presenza dell’ausilio e così via). L’ascolto attivo, l’empatia e la capacità di riformulare in un linguaggio condiviso le richieste del cliente sono gli strumenti più importanti utilizzabili dallo psicologo clinico in questa fase del processo e, in particolare, all’interno del colloquio con il cliente (come sopra differentemente definito). Inoltre, lo psicologo potrebbe offrire l’opportunità di riformulare la relazione tra il cliente e la sua famiglia all’interno di eventuali nuove sfide, limitazioni e restrizioni che possono presentarsi con l’introduzione del nuovo ausilio.
•
FASE 3. Supporto all’utente e follow-up (esagono y 3). In questa fase lo psicologo clinico valuta la bontà dell’abbinamento tra cliente e ausilio, costruito insieme al cliente. Se la Fase 1 di assessment è stata condotta con rigore e attenzione, è fortemente probabile che questa fase di intervento dello psicologo clinico sia di valutazione del buon esito del percorso. È pur vero, tuttavia, che possono intervenire nella vita del soggetto durante l’utilizzo dell’ausilio cambiamenti legati a fattori di vita (esterni e/o interni) che possono rendere necessario sottoporre a una nuova valutazione la scelta dell’ausilio fatta. I fattori di cambiamento possono essere legati anche ad aspetti di crescita/maturazione del soggetto (specialmente se si tratta di soggetti in età evolutiva con ausili tecnologici per le disabilità di apprendimento). Lo psicologo clinico condurrà questa fase mediante il colloquio e l’uso di test usati come follow-up delle fasi precedenti. Particolare attenzione verrà anche data alla valutazione della soddisfazione percepita da parte del soggetto, come misura dell’efficacia dell’intervento di abbinamento promosso insieme. Dovrà essere anche valutata la qualità della vita alla luce dell’ausilio.
176 Capitolo 8
Obiettivi Il ruolo dello psicologo clinico all’interno dell’equipe multidisciplinare nell’ATA process è prevalentemente legato alle sue competenze diagnostiche e, in forza di queste, si configura come progettazione dell’intervento. In sostanza, si tratta di competenze di tipo clinico, che possono venire riassunte nella sua capacità di conoscere (secondo il nostro modello di lavoro, conoscere insieme) per, eventualmente, intervenire (se opportuno, utile e/o necessario). Il primo obiettivo è, pertanto, l’individuazione di quegli aspetti del funzionamento psicologico individuale (personale) che permettano di comprendere la realtà del soggetto con disabilità e che consentano (i) di compiere la scelta di un ausilio piuttosto che di un altro; (ii) di valutare l’accettazione dello stesso; (iii) di valutare il suo uso; (iv) di prevedere il suo uso nel tempo; (v) di contemplare la possibilità di poterlo cambiare, qualora intervengano cambiamenti nella persona e/o nel suo contesto di vita tali per cui lo stesso non è più necessario o utile o adatto all’esigenza. Pertanto, un altro aspetto su cui lo psicologo clinico sarà chiamato a lavorare è, compatibilmente con le caratteristiche di funzionamento anche cognitivo del soggetto disabile, l’aumento della capacità riflessiva del soggetto stesso, affinché questi impari a conoscere, riconoscere e individuare aspetti di sé (presenti o futuri) che possano favorire l’uso e l’accettazione di un AT. Sarà inoltre compito dello psicologo clinico individuare l’eventuale presenza di condizioni cliniche, significativamente collegate al deficit, che potrebbero ostacolare l’uso intenzionale dell’ausilio stesso (per esempio un ragazzino depresso per un’improvvisa disabilità motoria, dovuta a un incidente, non vuole la sedia a rotelle che lo renderebbe autonomo, perché non accetta la menomazione e si vergogna sentendosi diverso dagli amici; si chiude in casa, piange o si ritira; non vuole parlare con nessuno e non accetta la sedia a rotelle perché questa lo fa sentire ancora più diverso dagli altri). Gli strumenti che lo psicologo utilizza in fase di assessment (compresi i test) possono essere riutilizzati in fase di verifica dell’efficacia del suo intervento. Misure specifiche, come per esempio la valutazione della qualità della vita percepita, potranno essere usate per la verifica dell’efficacia; misure in cui la valutazione è espressa dal soggetto disabile (e/o dai caregiver coinvolti) così come misure in cui la valutazione è fornita dal clinico stesso (o da un clinico esterno all’equipe) verranno parimenti rilevate. Altre misure potranno riguardare la verifica dell’autonomia del soggetto, e in questo caso si tratterà di misure più ampie e generiche; di contro, si rileveranno misure più specifiche per testare l’entità del cambiamento dell’assetto psichico in relazione all’ausilio fornito/usato. 8.6.3 Cosa uno psicologo dovrebbe fare per prendere in carico la richiesta dell’utente/cliente? A conclusione di questo paragrafo, dedicato al ruolo e alle funzioni dello psicologo all’interno dell’ATA process, vogliamo riassumere le linee guida cui lo psicologo clinico, secondo il nostro modello, dovrebbe attenersi per svolgere bene il suo compito e cioè per prendere adeguatamente in carico la richiesta dell’utente/cliente. •
Essere un esperto nelle relazioni: saper ascoltare, accogliere, comprendere.
Lo psicologo 177
•
Saper usare un approccio idiografico, sensibile alle differenze individuali del funzionamento psicologico.
•
Avere competenze di lettura dinamica delle variabili biopsicosociali, in modo tale che il trattino tra il “bio” e lo “psico”, nonché tra lo “psico” e il “sociale” non sia un trattino che separa ma che unisce in una prospettiva di interazione reciproca, ancora troppo poco contemplata – come abbiamo visto sopra – dal modello ICF.
•
Avere competenze evolutive, non solo se lavora con giovani, ma anche con adulti e/o anziani. Questo implica la possibilità di poter apprezzare il cambiamento – sempre presente nella vita – e di coglierlo nelle sue varie forme, e cioè come cambiamento continuo o discontinuo, incrementale o decrementale.
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Saper coinvolgere attivamente il soggetto con disabilità nel processo di assessment del suo funzionamento psicologico in base a una maggiore presa di consapevolezza dei fattori interni personali che mediano la scelta e l’uso di un ausilio tecnologico.
•
Saper coinvolgere attivamente, concordemente con il soggetto disabile, i differenti soggetti che partecipano alla sua vita, rispettandone ruoli e competenze.
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Avere competenze cliniche di valutazione e di progettazione dell’intervento, di valutazione in entrata, ma anche di valutazione del processo e di verifica dell’efficacia dell’intervento (in questo caso, l’intervento è la scelta dell’ausilio specifico per quella disabilità, scelta fatta insieme a e per quella specifica persona con disabilità, avente le sue specifiche caratteristiche di funzionamento personale).
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Saper fare uso degli strumenti diagnostici, cioè dell’assessment di personalità (psychological assessment), che deve venire inteso in senso ampio, e in modo tale da coglierne per intero il funzionamento e rilevarne i vari aspetti. Considerata la presenza nell’equipe del neuropsicologo, che si occuperà più specificamente del funzionamento dell’asse cognitivo-neuropsicologico, lo psicologo clinico orienterà invece maggiormente la sua valutazione – e il suo eventuale intervento – verso altri assi del funzionamento, come per esempio quello relazionale, quello emotivo-affettivo e così via, pur nella consapevolezza della loro stretta e dinamica interconnessione reciproca.
8.7 Psicologo “conosci te stesso”: la rappresentazione degli utenti/clienti disabili e delle TA nei professionisti del settore La prospettiva biopsicosociale è quella che, meglio di ogni altra, può tener conto della complessità necessaria a comprendere gli individui e le loro vicissitudini. La possibilità di porre in essere tale prospettiva, integrando proficuamente il lavoro di più operatori, risiede, d’altra parte, nella possibilità che ognuno di loro riconosca la propria specificità e il valore aggiunto di un lavoro interdisciplinare (Telfener, 2011). Le
178 Capitolo 8
ricerche hanno spesso mostrato, però, che l’identità professionale dei medici e degli assistenti sociali è meglio definita di quella degli psicologi. Quest’ultima, infatti, tende ad assimilarsi, a seconda dei contesti in cui si propone, o al modello medico o a quello sociale (Grasso, 2001). Un’analoga considerazione sembra emergere anche in una recente ricerca (Cordella et. al., 2011) condotta dal Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica della Facoltà di Psicologia e Medicina della Sapienza – Università di Roma.
8.7.1 Rappresentazione della disabilità e professionisti Detta ricerca è stata realizzata presso un centro di riabilitazione per disabili visivi che opera nel settore da circa un secolo e mezzo e si distingue per essere il punto di riferimento per i ciechi e gli ipovedenti delle aree del Centro e del Sud d’Italia. Questo istituto propone diversi servizi, tra i quali quello riabilitativo per ciechi e ipovedenti di tutte le età, che vengono realizzati per mezzo di un approccio multidisciplinare, che vede diverse professionalità operare insieme all’interno di un team. La ricerca è nata allo scopo di comprendere quali culture professionali organizzano il lavoro dei diversi professionisti. A questo scopo sono state raccolte le narrazioni (Freda, 2009), relative al proprio lavoro, di quanti, operando presso il centro, sono coinvolti nei processi di riabilitazione delle persone con disabilità visiva. Ogni narrazione, raccolta attraverso un’intervista, integralmente registrata e trascritta, è stata sottoposta all’analisi del testo, avvalendosi dello strumento T-Lab (Lancia, 2004), che attraverso un insieme di tecniche statistiche consente di individuare gruppi di parole (cluster) differenziandoli da altri. Gli elementi che costituiscono uno stesso cluster presentano la caratteristica di somigliarsi tra loro, mentre differiscono da quelli che costituiscono gli altri cluster. Questi gruppi di parole consentono di rilevare il modo attraverso il quale i professionisti rappresentano la loro funzione professionale, i loro clienti disabili e il processo di riabilitazione. Sono stati rintracciati, in questo modo, quattro ambiti tematici (4 cluster) intorno ai quali si sono organizzati i discorsi degli intervistati. Questi riflettono la ricchezza delle competenze e delle esperienze professionali e consentono di porre in luce la capacità che i professionisti hanno di operare sui diversi problemi inerenti alla disabilità. È bene considerare che ogni ambito tematico si è determinato grazie al contributo di tutti gli intervistati che lavorano presso il centro di riabilitazione; in ragione di ciò, incrociando tali ambiti con le figure professionali prese in esame (medici, paramedici, operatori psicosociali, tiflologi) (Tabella 8.2), è stato possibile considerare quanto ogni categoria professionale abbia contribuito alla definizione della singola tematica e, dunque, quanto quest’ultima caratterizzi i diversi gruppi professionali. Come si può osservare (Figura 8.2), il cluster 1 caratterizza prevalentemente il gruppo dei medici e, considerando le parole che lo compongono, si può rilevare come questo faccia riferimento alla necessità di gestire e organizzare il gruppo di lavoro multidisciplinare.
Lo psicologo 179
Tabella 8.2 Gruppi professionali. Gruppo
N°
Professionisti
N°
A – MEDICI
6
Neuropsichiatra infantile Oftalmologo Psichiatra
4 1 1
B – PARAMEDICI
12
Logopedista Musico-terapeuta Infermiere Terapista occupazionale Ortottista Fisioterapista Neuro-psicomotricista
2 1 2 1 2 1 3
C – OPERATORI PSICOSOCIALI
3
Psicologo Assistente sociale
2 1
D – OPERATORI DELLA RIABILITAZIONE VISIVA
13
Tiflologo (specialista tiflologo, tifloinformatico, tiflotecnico)
13
Figura 8.2 Distribuzione dei cluster nei diversi gruppi professionali.
Lavorare in un gruppo sembra determinare la necessità di tenere in considerazione i diversi bisogni e i punti di vista espressi dai professionisti che intendono integrare i
180 Capitolo 8
loro interventi. In questo senso, un servizio di riabilitazione multidisciplinare sembra implicare necessariamente un lavoro aggiuntivo volto a facilitare l’interazione delle diverse professionalità. Lavorare insieme non costituisce unicamente una risorsa, ma richiede piuttosto un lavoro atto a superare quei problemi che possono essere generati dall’integrazione delle diverse discipline. In questo cluster, dunque, l’oggetto dell’intervento è il gruppo stesso, e la funzione professionale evocata guarda all’organizzazione e al coordinamento di questo, lasciando sullo sfondo i bisogni specifici della persona con disabilità. Tornando alla Figura 8.2, si può osservare come le narrazioni dei paramedici e quelle dei medici abbiano particolarmente contribuito alla costruzione del cluster 3. Quest’ultimo, pur essendo influenzato da entrambi i gruppi professionali, assume per i paramedici una maggiore rilevanza. Considerando le parole che compongono il cluster, sembra che l’attenzione venga posta sulle disabilità associate a quella visiva, con specifico riferimento al bambino con molteplici disabilità che richiede, necessariamente, un approccio multidisciplinare. La funzione professionale si orienta su un particolare aspetto della disabilità, quello intellettuale, lasciando sullo sfondo la disabilità visiva. Il cliente di cui si parla nel cluster è portatore di molteplici disabilità e la funzione professionale non interviene direttamente sulla disabilità visiva. È interessante notare (Figura 8.2) che gli operatori psicosociali hanno contribuito in modo uniforme alla definizione di tutti i cluster, così che nessuno di essi li caratterizza in modo specifico. In ragione di ciò si può fare l’ipotesi che questi professionisti non presentino una loro specificità professionale e che come i medici e i paramedici, maggiormente rappresentati nei cluster 1 e 3, anche loro pongano particolare attenzione alla multidisabilità che affligge i giovani e che richiede necessariamente un approccio multidisciplinare. Le narrazioni del gruppo dei professionisti della riabilitazione visiva hanno, invece, una maggiore influenza sui cluster 2 e 4. Considerando le parole che compongono il cluster 2, sembra che questi rappresentino la propria funzione professionale come un addestramento, centrando il processo riabilitativo sull’insegnamento di soluzioni specifiche. Il processo riabilitativo viene considerato eticamente giusto e l’attenzione non è diretta alla relazione con il cliente ma, piuttosto, alla performance del professionista. Benché questa rappresentazione faccia riferimento all’utilizzo di ausili specifici, infatti, non sembra porsi una specifica attenzione all’utilizzo che il disabile potrà farne. Le parole del cluster 4, infine, indicano una funzione professionale atta a sostenere le persone con disabilità nel processo formativo, ostacolato dal limite funzionale. Il professionista si fa carico di svolgere quelle funzioni che lo studente disabile non riesce a realizzare. L’intervento, infatti, è diretto soprattutto ai ragazzi e ha l’obiettivo di favorirne l’emancipazione sociale attraverso il titolo di studio. L’intervento viene quindi pensato per una specifica fase di vita, entro la quale il professionista sostituisce la funzione mancante, a fronte di un forte coinvolgimento personale e senza fornire nuove strategie al cliente. In generale e per ciò che qui interessa, comunque, possiamo osservare quanto segue.
Lo psicologo 181
•
Gli utenti vengono percepiti in funzione delle loro mancanze piuttosto che essere valorizzati per le loro risorse. Questi, infatti, non sono rappresentati come indipendenti, produttivi, efficaci o capaci di trovare autonomamente soluzioni ai propri problemi. Tale rappresentazione non aiuta i professionisti nel loro lavoro e non facilita le persone con disabilità ad assumere un ruolo attivo. In alcuni studi recenti, invece, viene sottolineato come un fattore importante, per il successo del processo riabilitativo delle persone con patologie croniche, il ruolo attivo svolto dal paziente nel processo di cura, grazie anche al supporto e ai consigli degli specialisti (Bodenheimer et. al., 2002; Girdler et. al., 2010; Holman e Lorig, 2000). Questo tipo di intervento differisce da quello in cui il professionista spiega soluzioni o attua dei cambiamenti direttamente presso il domicilio della persona disabile. Questo nuovo paradigma in ambito sanitario prevede che le persone sviluppino abilità e risorse utili alla gestione delle conseguenze pratiche, sociali ed emozionali della propria disabilità, richiedendo il supporto dello specialista solo ove se ne sentisse il bisogno.
•
Gli utenti a cui ci si riferisce sono spesso bambini e giovani, mentre sembra trascurata la possibilità di confrontarsi con la disabilità in età produttiva. Eppure, le restrizioni associate alla disabilità spesso determinano non solo la perdita dell’indipendenza, ma anche la perdita dello status economico, per il singolo e, indirettamente, per la società.
•
Quanti propongono ausili lo fanno senza interrogarsi sul significato che assumono e sull’utilizzo che di questi verrà fatto.
•
Infine, gli operatori psicosociali sono quelli che sembrano avere minore specificità professionale. In effetti, per quanto concerne quest’ultimo punto, possiamo considerare che la professionalità psicologica trova la propria specificità soprattutto quando si identifica con il ruolo psicoterapeutico (Carli, 1993; Cordella et. al., 2001). Ciò può essere riscontrato anche nei centri di riabilitazione, là dove viene offerta consulenza psicologica a quanti possono riportare, come conseguenza del proprio stato di disabile, un disagio emozionale. Pur riconoscendo l’utilità di tale servizio entro il contesto riabilitativo, riteniamo che questa non sia l’unica funzione che gli psicologi possono assumere. A nostro avviso, è possibile immaginare uno spazio professionale più ampio e più specifico, se si considera che la competenza psicologica può essere rintracciata nella capacità di cogliere, interpretare e rendere più funzionale la rappresentazione che media la relazione tra gli individui e i loro contesti di riferimento. In questa prospettiva ci sembra che la figura dello psicologo possa essere utile nel favorire sia il lavoro dei singoli operatori sia del gruppo interdisciplinare, e possa rendere maggiormente proficuo il percorso riabilitativo intrapreso dagli utenti.
8.7.2 Un nuovo approccio alla pratica psicologica Al fine di rendere comprensibile l’operatività psicologica cui abbiamo fatto riferimento e spendibile anche in un centro ATA, è utile soffermarsi, seppur brevemente, sul concetto di rappresentazione.
182 Capitolo 8
A partire dagli insegnamenti del cognitivismo sappiamo come l’uomo categorizzi quanto lo circonda basandosi non solo sulle caratteristiche percettive e funzionali, ma anche sulle credenze relative all’oggetto stesso, poiché esse rendono più significative certe somiglianze rispetto ad altre (Neisser, 1989). Si pone così la necessità di riconoscere un continuum tra cognizione e cultura, tra l’individuo e il contesto in cui questi è inserito (Ugazio, 1989). A fronte di ciò, le tesi di Moscovici (Farr e Moscovici, 1984; Moscovici, 1961) sulle “rappresentazioni sociali”, ovvero sul modo in cui viene interpretata e condivisa la conoscenza di quanto ci circonda, ci aiutano a comprendere come gli individui contribuiscano discorsivamente a costruire le diverse rappresentazioni, ma anche come queste vengano apprese nell’ambito del contesto sociale e della cultura a cui si appartiene. Le ricerche condotte da Matte Blanco (1975), infine, ci suggeriscono come le categorizzazioni non siano solo cognitive, ma anche di ordine emozionale. Il confronto con quanto ci circonda, pertanto, determina una categorizzazione cognitiva e una categorizzazione emozionale, attraverso le quali si “intenziona” il contesto. Per portare un esempio, il bambino che dopo avere sbattuto contro lo spigolo del tavolo si rivolge a esso picchiandolo, sta attribuendo un’intenzione malevola allo spigolo, intenzione che si aggiunge alla sua capacità di categorizzare cognitivamente l’oggetto contro cui ha sbattuto; la categorizzazione emozionale, nello specifico, gli suggerisce il modo di relazionarsi con lo spigolo (picchiarlo). In breve, ogni volta che ci poniamo in relazione con un oggetto (cosa, persona, servizio, ausilio e così via) lo categorizziamo cognitivamente ed emozionalmente (lo rappresentiamo) in base a quanto la nostra cultura ci suggerisce e tali rappresentazioni possono essere più o meno funzionali agli obiettivi perseguiti. In quest’ottica, la competenza psicologica può essere intesa, dunque, come capacità di leggere la rappresentazione emozionale proposta dagli individui, favorendo la consapevolezza di come, nel caso, essa ostacoli il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dagli individui stessi (Carli, 1993; Grasso, 2010; Grasso et. al., 2003; Grasso e Salvatore, 1997). Proseguendo l’esempio precedentemente riportato, pertanto, la possibilità che il bambino non vada a sbattere non è garantita dai colpi che rivolge allo spigolo, ma dalla capacità di porre attenzione agli ostacoli che lo circondano. Si noti che, anche in questo esempio molto semplice, è possibile rilevare come il lavoro sulla rappresentazione dell’oggetto induca a rintracciare la natura del problema incontrato (andare a sbattere) non nell’oggetto percepito dall’individuo come causa del problema (il tavolo cattivo), ma nella capacità di orientarsi propria del bambino (evitare di andare a sbattere), ovvero nella competenza degli individui a relazionarsi con il contesto, adattandovisi.
8.7.3 La pratica professionale psicologica: linee guida per l’ATA process A fronte di quanto detto, consideriamo ora come può delinearsi la competenza psicologica in un ATA process, a partire proprio dal momento in cui un utente accede al centro. Tenendo in considerazione che lo psicologo può lavorare sulle rappresentazio-
Lo psicologo 183
ni rendendole più funzionali, vogliamo offrire alcune indicazioni relative alla pratica professionale dello psicologo che sintetizzino quanto già indicato e lo completino. Riteniamo, infatti, che lo psicologo possa fornire un contributo sostanziale alla definizione e al raggiungimento degli obiettivi del gruppo di lavoro, durante le sei fasi del processo di valutazione, migliorando in modo significativo l’efficacia del servizio.
Il cliente Il cliente, nel recarsi presso un centro ausili, ha una propria rappresentazione del centro e del servizio offerto, rappresentazione che organizza la sua richiesta di erogazione di un servizio, il suo comportamento, i suoi atteggiamenti e le sue aspettative. Questa rappresentazione, quindi, organizzerà la relazione del cliente con i professionisti del centro facilitando, od ostacolando, il comune lavoro. In tal senso, l’attenzione alle rappresentazioni messa in atto dallo psicologo può utilmente integrare il lavoro compiuto nella fase d’ingresso e accompagnare il processo riabilitativo, monitorandolo attraverso l’esplorazione delle ragioni che hanno spinto l’utente disabile a fare una richiesta di tecnologia assistiva in quella specifica fase di vita. Quando, al contrario, si assume che tali domande abbiano delle risposte scontate, di fatto si sta riconducendo la richiesta di intervento a un unico dato: la presenza di una disabilità, che può essere declinata nelle sue componenti “biologiche” e “sociali”. Ciò però non ci dice molto sul modo in cui tale disabilità viene vissuta e sul modo in cui viene rappresentato il centro ATA e le attività che propone. In altre parole, due soggetti con la stessa disabilità possono proporre motivazioni tra loro molto diverse. Ci può essere chi, in ragione del proprio danno, assume una logica più legata al risarcimento di quanto perso che alla riuscita dei propri obiettivi, arrivando a proporsi con un atteggiamento fondato sulla pretesa, così come ci può essere chi si pone in modo assolutamente passivo e dipendente, assumendo che la propria partecipazione al processo riabilitativo debba essere estremamente limitata e nondimeno si lamenta e diffida di quanto gli viene proposto. Gli esempi portati dovrebbero aiutarci a configurare due individui diversi, che difficilmente potranno trarre un alto beneficio dal loro percorso. Possiamo attenderci, piuttosto, un lavoro faticoso per gli stessi operatori e risultati non pienamente soddisfacenti. L’attenzione di tali utenti, utilizzati come esempio, è focalizzata infatti unicamente sulla qualità del servizio offerto, piuttosto che sulle ragioni che, personalmente, rendono funzionale tale percorso. La possibilità di affiancare i tecnici del centro ATA con degli psicologi, formati a cogliere le rappresentazioni che si sviluppano nel percorso proposto dal centro, può dunque facilitare l’azione dei tecnici e la riuscita del progetto individuale. Potrebbe infatti essere molto utile lavorare sulla rappresentazione che gli utenti hanno del contesto (in questo caso la loro disabilità e il centro ATA), favorendo la loro partecipazione attiva in funzione di ciò che effettivamente intendono realizzare nei loro contesti di vita (casa, lavoro e così via).
184 Capitolo 8
La famiglia C’è da considerare che il disabile spesso è parte di un nucleo familiare, anch’esso portatore di rappresentazioni sulla disabilità e sul centro ATA, che possono anch’esse facilitare, od ostacolare, la possibilità che la persona con disabilità possa usufruire in modo efficace del servizio offerto dai professionisti del centro. Basterebbe pensare a quanti familiari manifestano spavento per lo stato del loro congiunto, o a quanti si propongono in modo iperprotettivo o, ancora, a quanti sono portatori di aspettative troppo elevate o troppo ridotte. In ragione di ciò, in alcuni centri ausili viene proposta una sessione di lavoro, della durata di un giorno, in cui i parenti vengono messi in una situazione analoga a quella vissuta dalla persona con disabilità, al fine di consentire loro di affrontare difficoltà simili. Alla fine del percorso è previsto un incontro con lo psicologo con l’obiettivo di elaborare le esperienze vissute. Questo intervento aiuta i familiari a sviluppare una rappresentazione del proprio parente disabile più funzionale, consentendo di superare le paure che la disabilità evoca in loro. Questo processo, facilitando la cooperazione tra i professionisti, il cliente disabile e i suoi familiari, rende il percorso riabilitativo più efficace (Greco, in corso di stampa). Il team multidisciplinare Nello stesso tempo gli psicologi possono utilizzare la loro professionalità anche per confrontarsi con la rappresentazione che gli operatori del centro ATA hanno del loro lavoro e dell’utenza, poiché anche in questo caso tale elemento può facilitare od ostacolare l’efficacia del processo e, di conseguenza, il raggiungimento degli obiettivi: per esempio, torniamo a considerare quanto sembra emergere dal nostro studio dove, a fronte di una rappresentazione del cliente come soggetto passivo, le sue abilità non vengono prese in considerazione, ostacolando così la sua partecipazione attiva. Questa rappresentazione non facilita i professionisti nel motivare i loro clienti a farsi carico del processo collaborando con loro, ad assumersi la responsabilità dell’organizzazione della propria vita quotidiana, a utilizzare il supporto e i consigli dei professionisti del centro per rendersi indipendenti. Per portare un esempio: perché una persona con disabilità visiva si renda indipendente ed esca di casa da sola, non basta assegnarle un bastone bianco e insegnarle a utilizzarlo per orientarsi. Vi è infatti una differenza sostanziale tra l’assegnazione, o l’addestramento, di un ausilio tecnico e il suo utilizzo nella vita quotidiana. È nota la difficoltà che le persone possono incontrare nell’adattarsi alla disabilità, ed è compito del professionista attivare un cambiamento negli atteggiamenti del loro cliente (Godshalk et. al., 2008; Hayeems et. al., 2005). È probabile, infatti, che la persona con disabilità non abbia una rappresentazione funzionale di sé, si consideri incapace e si percepisca come passiva. Per questo motivo, è utile che i professionisti ritengano il loro cliente competente nell’individuare i propri bisogni e le soluzioni ai propri problemi, rappresentandolo come potenzialmente indipendente, produttivo e autonomo. Una rappresentazione passiva della persona con disabilità, al contrario, non rende efficienti i professionisti del settore. La passività dell’utente non è negativa in tutti i casi. A volte è necessario che questi possa fare affidamento sulle competenze del professionista che si prende cura
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di lui. Pensiamo, per esempio, al caso in cui un paziente si deve sottoporre a un intervento chirurgico; la sua passività sollecita l’attivazione del professionista sulla cui performance si basa il successo dell’intervento. Ciononostante, nel processo di riabilitazione è utile che il cliente disabile si affidi solo parzialmente alla performance del professionista, attivando una collaborazione atta a facilitare e a rendere più efficace il processo. Nell’ambito di questo gli psicologi possono utilizzare le loro competenze anche per confrontarsi con la necessità di integrare le diverse professionalità presenti nel team multidisciplinare del centro ausili, che, come emerge nel cluster 1, sembra richiedere un notevole sforzo organizzativo. La difficoltà nell’integrare le diverse competenze professionali può infatti essere legata proprio alla diversa rappresentazione che i singoli operatori hanno del processo e dell’utenza. Ci sembra, in conclusione, che la possibilità di leggere e orientare le rappresentazioni di quanti sono coinvolti nel processo riabilitativo offra un servizio che valorizza l’azione dei tecnici, rendendola realmente spendibile per l’utenza e favorendo, tra l’altro, una percezione dello specifico centro quale luogo atto a fornire un servizio utile, a cui rivolgersi, anche in un tempo successivo, qualora insorgessero nuove difficoltà.
8.8 Conclusioni Il presente capitolo affronta le abilità professionali dello psicologo e il modo in cui esse sono applicate in un centro ausili. Questo capitolo, inoltre, fornisce un contributo originale allo studio delle rappresentazioni che gli psicologi e gli altri professionisti hanno della persone disabili e delle TA. Come Meloni, Federici e Stella hanno dimostrato in uno studio recente (2011), e come è riportato e discusso nei Paragrafi 8.1, 8.2 e 8.3, la letteratura scientifica internazionale rivolge scarsa attenzione al ruolo e alle capacità dello psicologo nel campo della riabilitazione e, in particolare, nel processo di abbinamento delle persone con le TA. Una delle probabili cause di questo disinteresse potrebbe essere dovuto al fatto che la reale novità del modello biopsicosociale, costituita dalla presenza del prefisso “psico” tra “bio” e “sociale”, è stata ampiamente disattesa tanto da comportare la mancata codifica dei fattori personali nella Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute. Lo psicologo in un centro ausili è, innanzitutto, un esperto di fattori personali, dal momento che le predisposizioni e le reazioni delle persone all’utilizzo delle TA sono altamente personali e individuali. Solo lo psicologo ha una formazione e un’esperienza adeguate a indagare i fattori personali, a identificare quali di questi sono critici nel permettere o impedire l’abbinamento della persona con la tecnologia e a promuovere i cambiamenti adattivi sul versante umano della polarità persona-ambiente. Più specificamente, le competenze dello psicologo sono coinvolte in alcune fasi cruciali del modello ideale dell’ATA process: (i) accettare e valutare la richiesta dell’utente; (ii) promuovere la soluzione assistiva; (iii) fornire un supporto e predisporre un follow-up.
186 Capitolo 8
I principali obiettivi dello psicologo in un centro ausili sono riassunti come segue: (i) sostenere la richiesta dell’utente nel processo da lui guidato, attraverso il quale si giunge alla selezione di uno o più ausili tecnologici per una soluzione assistiva; (ii) mediare tra gli utenti che ricercano una soluzione e il team multidisciplinare di un centro ausili; (iii) facilitare i rapporti tra i membri del team multidisciplinare e, infine, (iv) riformulare le relazioni tra l’utente/cliente e la sua famiglia, nel quadro delle nuove sfide, limitazioni e restrizioni che si trovano ad affrontare. Al fine di raggiungere questi obiettivi lo psicologo deve essere un esperto sia nel maneggiare i principali strumenti diagnostici e di valutazione sia nell’utilizzare la sua relazione con l’utente/cliente per promuoverne la consapevolezza personale, la crescita, lo sviluppo del potenziale umano e massimizzarne l’empowerment. Nel Paragrafo 8.6.2, Mazzeschi descrive il modo in cui lo psicologo facilita la consapevolezza del contesto dell’utente/cliente e dei punti di vista dei componenti del team multidisciplinare. In particolare la valutazione e l’accettazione dell’utente/cliente sono discusse con riferimento alle differenti fasi del ciclo di vita nelle quali l’utente può trovarsi: bambini, pre-adolescenti e adolescenti, adulti e anziani. Nel Paragrafo 8.7, Cordella, Greco e Grasso sviluppano un altro punto importante nel definire il ruolo dello psicologo in un centro ausili che concerne le rappresentazioni che lo psicologo e gli altri membri del team multidisciplinare hanno della disabilità e delle funzioni delle TA. La qualità della vita e il benessere di una persona disabile dipendono ampiamente dall’abilità dei professionisti, dei familiari e dei caregiver di immaginare una gamma di alternative esistenziali e di non irrigidirsi sugli stereotipi sociali prevalenti e sui pregiudizi culturali nei confronti delle persone disabili. Per questa ragione, lo psicologo dovrebbe essere impegnato nel promuovere (sia nel team multidisciplinare sia nel più ampio contesto socioculturale) la diffusione di un approccio complesso, multidimensionale, universale e olistico verso le persone disabili, saldamente radicato nel modello biopsicosociale della disabilità. In conclusione, abbiamo colto la necessità di un cambiamento nell’atteggiamento e nella pratica in relazione al ruolo dello psicologo clinico nell’ATA process, stimolato dal recente avanzamento del modello biopsicosociale nelle comunità sociale e scientifica, dall’integrazione di misure oggettive e soggettive nel processo diagnostico, dalla riconosciuta rilevanza dei fattori contestuali e, in particolare, dei fattori personali, che influenzano il successo a lungo termine dell’abbinamento con le TA, e dal crescente interesse sul tema dello squilibrio di potere nella relazione tra professionisti e utenti. Siamo convinti che una revisione dell’ICF sia necessaria con urgenza al fine di sviluppare quei fattori personali che possono fare una differenza sostanziale nel corso del processo di riabilitazione e, in particolare, durante l’ATA process.
Capitolo
9
Lo psicotecnologo: una nuova professione per l’assegnazione delle tecnologie assistive
K. Miesenberger, F. Corradi, M.L. Mele
Questo capitolo è incentrato sulla spiegazione delle fondamenta teoriche alla base del concetto di psicotecnologia e sulla descrizione del ruolo dello psicotecnologo all’interno del processo di abbinamento fra persone e tecnologie assistive. In linea con una prospettiva biopsicosociale, si definisce psicotecnologia qualsiasi tecnologia che “emuli, estenda, amplifichi e modifichi le funzioni sensomotorie, psicologiche o cognitive della mente’ (Federici, 2002), evidenziando in questo modo la relazione intrasistemica fra l’artefatto e l’utente. A partire da queste basi, il ruolo primario di uno psicotecnologo è quello di seguire un approccio sistemico per garantire una migliore autonomia agli utenti (TeleMate, 2011). Questo obiettivo può essere raggiunto solo tenendo in considerazione i bisogni degli utenti, il relativo grado di autonomia e l’ambiente di riferimento. In questo capitolo illustreremo più nel dettaglio due campi di applicazione della figura professionale dello psicotecnologo: il processo di assegnazione delle tecnologie assistive in un centro ausili e i sistemi e servizi basati sulle ICT, come per esempio eSystem ed eService.
9.1 Introduzione Nel 1991 il sociologo canadese Derrick De Kerckhove ha coniato il termine psicotecnologia con lo scopo di definire “ogni tecnologia che emula, estende o amplifica le funzioni senso-motorie, psicologiche o cognitive della mente” (De Kerckhove,1991b, p. 132). Secondo De Kerckhove, alla base di questa definizione vi è una riflessione relativa agli aspetti che emergono dall’interazione tra persona e tecnologia, la quale si evolve nella formazione di estensioni sensoriali elettroniche del nostro sistema nervoso centrale ed esternalizza funzioni cognitive in grado di estendere la mente umana. In questo modo, ogni tecnologia costituisce un oggetto capace di esternalizzare una proprietà del corpo e rappresenta l’amplificazione e l’estensione della mente umana in grado di connettere con i processi cognitivi di altri individui (De Kerckhove, 1990, 1991a, 2001). Una psicotecnologia può essere meglio definita alla luce della prospettiva biopsicosociale come “una tecnologia che emula, estende, amplifica e modifica le funzioni sensomotorie, psicologiche o cognitive della mente” (Federici, 2002). A partire da un riadattamento del pensiero di Olivetti Belardinelli (1973), nella sua definizione di psicotecnologie Federici afferma che la relazione intrasistemica non deve essere considerata come il risultato di una semplice somma della componente oggettiva – l’artefatto – con la componente soggettiva dell’interazione – ovvero l’utente –: l’oggetto, infatti, non può essere considerato come un’entità “di per sé” dal momento che tale
188 Capitolo 9
considerazione lo porrebbe fenomenologicamente al di fuori dall’esperienza umana. L’introduzione del fattore di “modifica” nella definizione di psicotecnologia offerta da De Kerckhove evidenza la natura dinamica e mutuale dell’interazione tra individuo e tecnologia e permette inoltre di superare l’attuale prospettiva causa-effetto considerando il comportamento umano come il risultato dell’interazione tra caratteristiche personali, ambientali e sociali. Come evidenziato da Bruner (1977), le abilità dell’essere umano si specializzano per mezzo di tecnologie, che permettono una conseguente evoluzione della specie. Infatti, ogni tipo di artefatto può essere considerato come un “amplificatore” che trasporta in sé sistemi di simboli organizzati secondo regole, restrizioni e possibilità di conoscenza e, allo stesso tempo, un modo per guidare gli utenti a un riadattamento cognitivo e culturale. Alla luce di questo, le psicotecnologie assumono una doppia funzione: da un lato, permettono l’adattamento dell’essere umano al sistema-ambiente, dall’altro lato, guidano l’utente a una modifica e a un adattamento culturale e cognitivo (Federici et al., 2010). Ulteriormente, la capacità di delle psicotecnologie di modificare le funzioni della mente è favorita da un incremento dell’informazione trasmessa durante il processo di interazione individuo-tecnologia: infatti, l’interazione con un artefatto potenzia e arricchisce il flusso di informazione e modifica la conoscenza immagazzinata in memoria a lungo termine. Alla luce di questo, i sistemi di informazione, in qualità di estensioni cognitive e sensoriali, prendono direttamente parte ai processi della memoria di lavoro. Seguendo questa prospettiva, l’artefatto non deve essere considerato solo come un oggetto le cui affordance emergono durante l’interazione individuotecnologia (Gibson, 1979), ma anche come una psicotecnologia che condivide e modifica le caratteristiche e le funzioni della mente: durante l’interazione con una psicotecnologia, infatti, l’oggetto diventa parte ed estensione del soggetto stesso. In questo modo, le psicotecnologie permettono una diversa sintesi dell’informazione e forniscono la riorganizzazione delle relazioni tra gli elementi che costituiscono l’esperienza. Seguendo questa prospettiva l’artefatto diventa, allo stesso tempo, struttura di conoscenza e rappresentazione mentale, e ha la funzione di riconfigurare e ristrutturare il problema arricchendo e ricodificando l’informazione o riducendone i vincoli. In altre parole, la psicotecnologia non è solo causa del processo di insight – come il concetto di affordance può essere interpretato –, ma prende anche parte attiva al processo, diventando in tal modo “luogo” di percezione integrata e sincrona di una gestalt significativa (Koffka, 1935). A partire da questa prospettiva teorica, in questo capitolo sarà illustrato e discusso il ruolo dello psicotecnologo in relazione a quanto segue. •
L’analisi e la valutazione dell’abbinamento, condotte prendendo in considerazione le tre componenti dinamiche che costituiscono il sistema di interazione —il sistema-persona, il sistema-tecnologia e il sistema-socio-ambientale — in modo da analizzare barriere e facilitatori che intervengono durante l’interazione persona-tecnologia (OMS, 2002, 2007).
Lo psicotecnologo 189
•
I campi di sviluppo connessi a TA, eAccessibilità o eInclusione, che permettono di superare limitazioni nella fruizione di sistemi e servizi basati sulle TIC per mezzo di (psico)tecnologie assistive.
Illustreremo dunque un profilo della professione dello psicotecnologo analizzando i seguenti contesti: (i) lo psicotecnologo e il processo di valutazione delle TA; (ii) caso studio: applicazioni di modelli e misure; (iii) il processo di assegnazione delle TA nel centro ausili e il ruolo dello psicotecnologo; iv) la formazione dello psicotecnologo: un esempio.
9.2 Lo psicotecnologo e il processo di valutazione delle TA Lo psicotecnologo è un esperto di Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), in particolare di interazione uomo-computer (in inglese Human-Computer Interaction, HCI) e fattori umani, e il suo scopo è quello di analizzare le relazioni che emergono dall’interazione persona-tecnologia prendendo in considerazione quanto segue. •
Tutte le componenti psicologiche e cognitive che, in linea con quanto affermato da De Kerckhove, sono direttamente coinvolte nel sistema tecnologico del quale costituiscono una parte dinamica fondamentale (De Kerckhove, 1990, 1991a, 1991b).
•
Le possibilità di adattare e progettare eSystem ed eService in modo accessibile (eAccessibilità). L’eAccessibilità definisce i meccanismi e i concetti sui quali gli eSystem e gli eService debbano essere progettati, in particolare a livello delle HCI, in modo da permettere l’interazione con le TIC in special modo a persone disabili e della terza età, utilizzando le caratteristiche di adattabilità e la flessibilità che caratterizzano le TIC/HCI, o utilizzando AT. Obiettivo chiave del lavoro dello psicotecnologo è quello di “interfacciare l’interfaccia” (Crombie et al., 2004) per permettere l’accesso a eSystem ed eService per mezzo delle AT e dell’eAccessibilità.
Il ruolo dello psicotecnologo è pertanto il seguente. •
Valutare la pertinenza di uno o più ausili tecnologici selezionati per una soluzione assistiva in un processo di valutazione guidato dall’utente durante una fase di “impostazione del setting” concordato da un team multidisciplinare (Figura 9.3). Per la valutazione dell’abbinamento utente-tecnologia, lo psicotecnologo utilizza metodi di osservazione diretta e partecipativa come la Simulazione Cognitiva (Wharton et al., 1994) combinata con il Thinking Aloud (Lewis, 1982) o modelli integrati (Federici e Borsci, 2010; Federici et al., 2011; Federici et al., 2005; Federici et al., 2003) attraverso strumenti di misurazione validati, come quelli di valutazione dell’abbinamento tra persona e tecnologia (Matching Person &
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Technology, MPT; Scherer, 1998) o il QUEST (Quebec User Evaluation of Satisfaction with Assistive Technology) per la valutazione della soddisfazione dell’utente di una TA (Demers et al., 2000, 2002). •
Valutare il contesto d’uso e in quale misura sia presa in considerazione l’eAccessibilità e stabilire un eventuale intervento nella riprogettazione per l’accessibilità utilizzando relative linee guida, metodologie, strumenti e regolamenti (per esempio W3C-WAI, 2011). Un compito chiave dello psicotecnologo è quello di influenzare la maggioranza ad assumere l’eAccessibilità come un diritto umano fondamentale nella società dell’informazione.
Il team multidisciplinare – insieme all’utente – valuta l’AT proposta, cercando una soluzione assistiva in uno specifico contesto d’uso. In fase di osservazione, lo psicotecnologo controlla se l’AT corrisponde ai bisogni dell’utente durante la prova di valutazione (efficacia dell’AT) e in prospettiva dell’introduzione dell’AT all’interno dell’ambiente di utilizzo finale (efficienza dell’AT). Inoltre, seguendo una prospettiva biopsicosociale, monitora la riorganizzazione delle relazioni tra l’utente e la soluzione assistiva assegnata all’interno dell’ambiente di interazione. In tal modo, l’approccio psicotecnologico permette di misurare i cambiamenti posturali e cognitivi derivanti dall’abbinamento utente-AT: lo psicotecnologo analizza le componenti emergenti dall’abbinamento persona-tecnologia e l’apparato cognitivo che si sviluppa attraverso la relazione tra le dimensioni di spazio e tempo (De Kerckhove, 1990, 1995). Ulteriormente lo psicotecnologo va oltre l’adattamento centrato sulla personaambiente con l’obiettivo di supportare un’implementazione generale di eAccessibilità intesa come un problema socio-politico ed economico. Al fine di comprendere meglio il processo di misurazione e di valutazione in cui lo psicotecnologo è coinvolto, è importante chiarire la differenza tra il ruolo dell’ergonomo e quello dello psicotecnologo. L’ergonomo cognitivo analizza gli effetti derivanti dall’interazione utente-tecnologia e il modello mentale del sistema che ne consegue (Halasz e Moran, 1983) e mette in luce le strategie necessarie per valutare tutte le risposte connesse a un artefatto o a uno specifico contesto di interazione. In particolare, l’ergonomo analizza le seguenti componenti dell’interazione. •
Gli effetti delle tecnologie sulla salute, sulla performance e sul comportamento umano.
•
L’implementazione del setting di lavoro prendendo in considerazione le relative attività necessarie e le potenziali competenze degli utenti finali in modo da migliorare la produttività ed evitare il carico cognitivo e fisico.
In questo modo, l’obiettivo principale dell’ergonomia è di valutare e mettere a punto ogni fase di implementazione e progettazione sulla base dei processi cognitivi (percezione, attenzione, memoria e così via) coinvolti nel sistema di interazione utentetecnologia. Come affermato da Donald Norman (1983), l’ergonomia individua tre
Lo psicotecnologo 191
tipologie di modelli mentali che prendono parte nel sistema di interazione utentetecnologia. 1. Il modello mentale dell’utente. 2. L’immagine del sistema. 3. Il modello concettuale del sistema. A partire da queste tre tipologie – che sono connesse al sistema-persona e al sistematecnologia – lo psicotecnologo introduce un nuovo aspetto – il sistema socioambientale – attraverso una prospettiva biopsicosociale (Figura 9.1). In tal modo, lo psicotecnologo mira ad analizzare le barriere e i facilitatori che intervengono durante il sistema di interazione così da ottenere la migliore combinazione tra tutte le sue componenti (OMS, 2002, 2007). Secondo la prospettiva dell’ICF, è importante seguire un approccio sistemico in cui l’ausilio diventi una parte di un sistema complesso composto dall’utente e dai suoi caregiver in uno specifico ambiente d’uso, in modo da permettere all’utente una migliore autonomia (Scherer, 2005). Così facendo, vi è un superamento dell’approccio ergonomico – che analizza soltanto l’interazione sistema utente-sistema tecnologia – a favore dei bisogni dell’utente attraverso la valutazione da parte dello psicotecnologo di obiettivi contestualizzati in relazione all’ambiente dell’utente e al grado di autonomia raggiunto. Seguendo un modello intrasistemico (Federici e Borsci, 2010; Federici et al., 2011; Federici et al., 2005), lo psicotecnologo indaga le tre dimensioni persona, ausilio e ambiente come un sistema integrato e complesso in cui l’oggetto (il sistema) e il soggetto (l’utente) sono entrambi parte di un sistema composito e dinamico di osservazione empirica all’interno di uno specifico ambiente. Per questo motivo, il processo di valutazione del sistema è basato sulla combinazione di metodologie topdown e bottom-up (Federici et al., 2005). Le metodologie top-down sono utilizzate per verificare la conformità dello specifico ambiente a regole standard e linee guida, come per esempio le specifiche proposte dall’International Standard Organization (ISO) e dal World Wide Web Consortium (W3C, WAI); questo tipo di metodologie deve essere prioritariamente applicato al processo di valutazione in modo da identificare i parametri di accessibilità delle relative interfacce. D’altro canto, le metodologie bottom-up sono utilizzate per valutare il modo in cui l’utente finale interagisce con l’interfaccia nello specifico ambiente d’uso: le valutazioni sono condotte osservando il comportamento dell’utente ed effettuando prove analitiche psicometriche. Questo tipo di metodologie è principalmente indirizzato a osservare il comportamento dell’utente nel processo di interazione con l’interfaccia e ne misura i livelli di soddisazione: in tal modo, le metodologie bottom-up misurano i livelli di usabilità del sistema utente-tecnologia-comportamento. Alla base di quanto detto, il ruolo dello psicotecnologo è quindi di indagare e verificare il sistema complesso e dinamico utente-tecnologia-comportamento attraverso l’integrazione di metodi di tipo top-down e metodo bottom-up, in modo da mettere in evidenza il potenziale di empowerment offertogli attraverso la soluzione
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assistiva (Federici e Borsci, 2010; Federici et al., 2011; Federici et al., 2005; Federici et al., 2003).
Figura 9.1 Il sistema di interazione secondo il modello biopsicosociale.
9.3 Caso studio: applicazione di modelli e misure Questa parte descrive l’applicazione dello schema di un processo di valutazione a un caso studio condiviso con gli autori delle Parti 2 e 3 del manuale. Prendendo come esempio il caso di S.A. (Tabella 9.1), lo psicotecnologo analizzerà se le aspettative del contesto di riferimento del paziente (famiglia, operatori sanitari ed educatori) corrispondono alle reali possibilità dell’utente di utilizzare la TA per la comunicazione. Inoltre, lo psicotecnologo analizzerà anche il relativo materiale clinico e, una volta individuati i reali bisogni dell’utente, selezionerà, per mezzo di differenti strumenti (per esempio la scala Vineland), la soluzione assistiva più appropriato in cooperazione con il resto del team multidisciplinare. Durante le prove di controllo del processo di abbinamento, lo psicotecnologo guiderà il team monitorando lo sviluppo di questioni critiche, punti di forza ed eventuali problematiche.
9.3.1 Caso clinico All’età di 35 anni e 4 mesi apparentemente senza alcuna sintomatologia rilevante, il signor S.A. viene colpito da un’emorragia cerebrale intraparenchimale bulbo-pontina con conseguente stato di coma. La TAC effettuata nella stessa giornata evidenziava la presenza di un “voluminoso ematoma intraparenchimale in sede bulbo-pontina con associata emorragia tetraventricolare”.
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Tabella 9.1 Caso clinico di S.A. Nome: S.A. Età: 37,6 anni Insorgenza malattia: 35,4 anni Diagnosi: ICD-10-CM: 169 // ICD9-CM: 438 Postumi delle malattie cerebrovascolari ICF all’ingresso: B110 – 0 B114 – 0 B117 – 0 B144 – 0 B210 – 2 B710 – 4 B765 – 4 B310 – 0
S110 – 9 S730 – 4 S750 – 4
D140 – 0,0 D145 – 0,0 D150 – 0,0 D315 – 0,0 D330 – 4,4 D335 – 1,1 D430 – 4,4 D510 – 4,4 D110 – 0,2 D350 – 0,3
E110 – +4 E115 – +4 E120 – +4 E310 – +4 E355 – +2 E410 – +4 E455 – +2
Indice di Barthel Punteggio totale: 25 Alimentazione: 0 Bagno/Doccia (lavarsi): 0 Igiene personale: 0 Abbigliamento: 0 Continenza intestinale: 2 Continenza urinaria: 8 Uso del gabinetto: 0 Trasferimento letto ←→ carrozzina: 8 Deambulazione: 0 Scale: 0 Uso della carrozzina: 5 SPMSQ Punteggio totale errori: 1 S.V.A.M.A. Linguaggio (comprensione): 3 Linguaggio (produzione): 1 Udito: 3 (nessuna protesi acustica) Vista: 1 (nessun uso di occhiali e lenti a contatto)
Il giorno successivo il paziente viene sottoposto a un’operazione neurochirurgica. Lo stato di coma perdura per circa tre mesi, durante i quali viene posizionata una cannula tracheostomica (rimossa a 37 anni) e PEG (a oggi ancora presente). Attualmente il paziente presenta: disartria marcata, grave disfagia (si alimenta esclusivamente via PEG), scialorrea, morso aperto. Motilità oculare possibile solo nello sguardo verticale lagoftalmo bilaterale. Deficit 7° nervo cranico bilaterale. È presente un sensibile abbassamento del range di udito dell’orecchio sinistro.
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Valutazione motoria Il paziente presenta un quadro di tetraparesi ipotonica con grave deficit di controllo del bacino, tronco e capo con impossibilità a tenere autonomamente la posizione seduta, che viene mantenuta con una marcata cifosi a livello del tronco, bacino retroverso, capo fortemente anteposto al cingolo scapolare e arti inferiori atteggiati in extrarotazione. L’arto superiore destro presenta una mobilità residua a livello prossimale, ma che per gravi deficit di reclutamento non è finalizzata ad attività funzionali. L’arto superiore sinistro presenta una residua mobilità prossimale e una sufficiente motricità fine, riuscendo anche a indicizzare, ma è presente una grande dismetria: con tale arto S.A. riesce a raggiungere il viso per pulirsi la bocca, a battere, a stringere, premere, spingere; la mano sinistra, inoltre, è utilizzata per produrre un codice gestuale alfabetico coinvolgendo il pollice, l’indice e il medio. Gli arti inferiori vengono utilizzati per collaborare durante i diversi spostamenti (carrozzina-letto e così via), usando la gamba destra come perno. Su richiesta è in grado di spostare il capo in tutte le direzioni, ma tali movimenti richiedono molto impegno e risultano molto faticosi. Gli spostamenti avvengono attraverso una carrozzina a spinta e una carrozzina elettrica manovrata attraverso joystick con la mano sinistra. S.A. è inserito in un programma riabilitativo di fisiokinesiterapia finalizzato a migliorare il controllo del tronco, del capo e del bacino, riducendo per quanto possibile l’atteggiamento cifotico, a “liberare da funzione” l’arto superiore sinistro e a ridurre la dismetria. Il paziente effettua inoltre terapia foniatrica e respiratoria. Esame neuropsicologico L’esame neuropsicologico è stato effettuato a 1 anno e 9 mesi dall’evento lesivo. Viste le marcate limitazioni comunicative e motorie, non viene effettuata una valutazione standardizzata e la maggior parte dei test (verbali e non verbali) risulta non somministrabile. Si è utilizzato il codice alfabetico codificato con il fratello per una valutazione grossolana delle capacità mnesiche verbali. In una prova di memoria di prosa, nonostante le condizioni sfavorevoli della somministrazione, il paziente mostra buone capacità di immagazzinamento a breve termine del materiale, che è in grado poi di rievocare a distanza di tempo senza sostanziali perdite delle informazioni apprese. Le capacità di ragionamento logico-deduttivo, valutate su materiale non verbale, risultano perfettamente preservate. In conclusione dalle prove che è stato possibile somministrare, dal colloquio e dall’osservazione clinica non sembrano emergere grossolani deficit delle funzioni cognitive superiori. Il paziente è comunque inserito in terapia cognitiva per migliorare e generalizzare le proprie strategie comunicative. Strategia comunicativa Allo stato attuale, per comunicare il paziente utilizza principalmente un alfabeto gestuale codificato con il fratello che è difficilmente comprensibile da persone estranee e, attraverso una tabella cartacea alfabetica, compone le parole tramite indicazione, strategia che risulta però lenta e imprecisa a causa della forte dismetria.
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Valutazione delle funzioni visuo-percettivo-motorie Il paziente giunge alla valutazione con bendaggio in occhio destro (OD) per compenso della diplopia e senza indossare gli occhiali prescritti per una minima miopia e astigmatismo. È presente un movimento nistagmoide verticale maggiormente evidente nell’OD all’inizio della valutazione e successivamente comparso anche nell’occhio sinistro (OS). I movimenti di inseguimento sul piano orizzontale sono possibili solo con un completo coinvolgimento del capo, mentre si osservano dei ridotti movimenti sul piano verticale. Un minimo movimento oculare si osserva nella direzione nasale. Non risulta una significativa differenza tra OD e OS. Il visus valutato monocularmente è risultato OD 1/10 e OS 3/10 sia a distanza sia al punto prossimo. Si consiglia comunque di utilizzare caratteri con dimensioni non inferiori ai 5 mm. È presente un movimento di convergenza lento. Il paziente non riesce a elicitare dei movimenti saccadici efficienti ma anche in questo caso compensa con il movimento del capo. Il paziente riesce a effettuare una corretta scansione di stimoli adeguatamente segregati sullo stimolo. La consapevolezza periferica degli stimoli è nella norma. Ausili e assistenza Attualmente il signor S.A. non utilizza alcun ausilio per comunicare. In passato ha acquisito una discreta conoscenza dell’uso del computer, utilizzato principalmente per consultazioni in Rete, attività che continua a svolgere, ma con aiuto. Non ha mai utilizzato videogiochi e strumenti multimediali (come enciclopedie su CD). Richiesta È richiesto un ausilio di comunicazione e accesso al computer (Mac). La richiesta riguardo al computer viene specificata come “utilizzo di tastiera e mouse e facilitazione nella visualizzazione dei contenuti del monitor”, al fine di permettere al paziente la lettura, la scrittura e la gestione di Internet e posta elettronica. 9.3.2 Il processo ATA Lo psicotecnologo opera nelle sei fasi esposte a seguire. Incontro del team multidisciplinare •
Valutazione dei dati dell’utente.
•
Progettazione del setting.
In questa fase lo psicotecnologo analizza il materiale clinico relativo al cliente (dati dell’utente) e attraverso strumenti come l’MPT mette a punto un accordo sul quadro di valutazione insieme al team multidisciplinare evidenziando ogni possibile problematica ambientale, personale e tecnologica. In accordo con il team multidisciplinare, lo psicotecnologo analizza il caso medico di S.A., rilevando la predispozione individuale alle soluzioni assistive sulla base delle precedenti esperienze del cliente con le AT, l’attuale motivazione all’utilizzo di una AT e tutti quei fattori ambientali che
196 Capitolo 9
potrebbero influire sul processo di abbinamento (SOTU e ATD-PA dei test di Matching Persons & Technology di Scherer, 1998). Più nello specifico, lo psicotecnologo: •
controlla se l’ambiente sociale sarà in grado di supportare la soluzione assistiva (“Suo fratello potrà aiutarlo?”);
•
controlla la strumentazione che verrà utilizzata nei test durante la valutazione in modo da selezionare alcune TA – come per esempio supporti per tastiere emulatori di mouse (basati sul rilevamento del movimento) – e applicazioni per la comunicazione – come per esempio un software di predizione di parola –;
•
seleziona un comunicatore portatile progettato per l’uso su carrozzina.
Impostazione del setting In questa fase lo psicotecnologo prepara il setting e controlla che tutte le tecnologie selezionate siano correttamente funzionanti: nel caso di S.A. lo psicotecnologo andrà a testare differenti tipi di tastiere mirate al cliente, per esempio una tastiera con scudo (ovvero una griglia forata posizionabile sui tasti), ed emulatori di mouse a joystick compatibili con sistemi Mac, insieme a un programma di predizione della parola, cioè un comunicatore alfabetico QWERTY portatile. Processo di abbinamento •
Proposta della soluzione assistiva.
•
Prova da parte dell’utente della soluzione assistiva.
•
Esito della soluzione assistiva.
Insieme al terapista occupazionale, lo psicotecnologo offre direttamente a S.A. le tecnologie precedentemente testate fornendo al cliente una spiegazione del funzionamento e delle caratteristiche. Successivamente, supportato dal terapista occupazionale, S.A. sperimenta le soluzioni assistive proposte, mentre lo psicotecnologo supervisiona l’interazione raccogliendo ogni situazione critica in modo da applicare successivamente le soluzioni migliori per ottimizzare l’utilizzo dell’AT. Se possibile, ogni personalizzazione e/o configurazione degli strumenti testati sarà applicata seguendo i risultati di ogni prova effettuata da S.A., attraverso l’uso di metodi di osservazione diretta e partecipativa, come la Simulazione Cognitiva (Wharton et al., 1994) combinata al Thinking Aloud (Lewis, 1982) o a modelli integrati di valutazione (Federici et al., 2005; Scherer, 1998), come per esempio gli strumenti offerti dall’MPT (Scherer, 1998).
Valutazione della soluzione assistiva dal parte del team multidisciplinare In questa fase, lo psicotecnologo discute, insieme al team multidisciplinare, le osservazioni effettuate durante l’interazione di S.A. con la TA proposta, mettendo in evidenza punti di forza e di debolezza. Il team decide dunque se i test effettuati sono soddisfacenti e comunica successivamente i risultati dell’intera sessione a S.A., mostrandogli i limiti e i vantaggi delle soluzioni proposte.
Lo psicotecnologo 197
Supporto all’utente Dopo il processo di valutazione, lo psicotecnologo incontra S.A. e suo fratello per illustrare loro limiti e vantaggi di ogni tecnologia proposta e per raccogliere informazioni riguardo ogni questione emersa durante l’uso di una data soluzione assistiva. Follow-up Periodicamente, lo psicotecnologo incontra S.A. per raccogliere informazioni riguardo alla sua esperienza di utilizzo con la soluzione assistiva e ai suoi bisogni, attraverso differenti strumenti, come per esempio il QUEST (Demers et al., 2000, 2002). Se necessario, lo psicotecnologo stabilisce con S.A. un nuovo incontro presso il centro ausili in modo da condurre un nuovo processo di valutazione.
9.4 Il processo di assegnazione di AT in un centro ausili e lo psicotecnologo I due diagrammi di flusso seguenti mostrano le fasi all’interno del modello di processo di valutazione delle TA (ATA process) in cui il ruolo dello psicotecnologo è coinvolto. Come mostrato nel primo grafico (Figura 9.2), lo specialista psicotecnologo svolge un ruolo all’interno dei processi guidati dall’utente lavorando in concerto con il terapista occupazionale, l’architetto e l’ingegnere.
Figura 9.2 L’ATA process sotto la lente del modello biopsicosociale dell’ICF.
198 Capitolo 9
Nel secondo diagramma di flusso (Figura 9.3) un ovale di colore marrone segnala quali fasi vedono la partecipazione dell’intervento dello psicotecnologo.
Figura 9.3 Il diagramma di flusso dell’ATA process. Gli ovali mostrano le fasi in cui è previsto l’intervento dello psicotecnologo.
Lo psicotecnologo, insieme al team multidisciplinare, valuta i dati e la richiesta dell’utente in linea con quanto segue. •
Se i dati raccolti non sono sufficienti per un “processo di abbinamento”, all’utente viene richiesto di fornire più informazioni e il processo riparte dalla fase “Raccolta dati utente”.
•
Se i dati forniti dall’utente sono sufficienti per un “processo di abbinamento” lo psicotecnologo, in accordo con il team multidisciplinare, procede a stabilire e fissare un appuntamento per un incontro con l’utente.
Lo psicotecnologo, dal momento che le sue mansioni principali riguardano competenze di tipo sia psicologico sia tecnologico, riceve dal team multidisciplinare il compito di disporre un setting adeguato per la valutazione dell’abbinamento. Succes-
Lo psicotecnologo 199
sivamente, il team multidisciplinare, insieme all’utente, valuta e testa la soluzione assistiva proposta e raccoglie i dati ottenuti. Lo psicotecnologo, insieme al team multidisciplinare, valuta il risultato della valutazione dell’abbinamento. •
Se il risultato è efficace, il team propone una soluzione assistiva all’utente e pianifica un nuovo appuntamento.
•
Se il risultato non è efficace, il team effettua di nuovo l’intero “processo di abbinamento”.
Quando la soluzione assistiva proposta richiede una valutazione ambientale, il team dà inizio al Processo di Valutazione Ambientale con lo scopo finale di orientare i differenti contesti connessi alle TIC al rispetto dei requisiti di eAccessibilità.
9.5 La formazione dello psicotecnologo: un esempio Il concetto di disabilità è fondamentalmente integrato nella cornice teorica di riferimento delle psicotecnologie. Le disabilità o limitazioni funzionali sono precondizioni che rientrano nel profilo di sistemi adattivi o servizi con confini di applicazione più ampi. Tuttavia, è necessario sottolineare che le psicotecnologie assumono maggiore importanza per quell’area di utenti composta da persone disabili, dal momento che permettono loro l’accesso e l’interazione all’informazione, superando le limitazioni funzionali. Attraverso efficienti e sofisticate alternative, le persone disabili che utilizzano le TIC per mezzo di TA spesso raggiungono per la prima volta un accesso indipendente a sistemi e servizi di partecipazione e comunicazione. Le psicotecnologie offrono alle persone disabili nuove possibilità per il superamento delle limitazioni sensomotorie e guidano all’adattamento o “normalizzazione” verso un nuovo livello di qualità della vita noto oggi come eInclusion. Fattore ancora più importante, le TIC “forzano” i contesti sociali al cambiamento, rendendoli modificabili, adattabili e maggiormente fruibili. Questa rivoluzione delle TIC conduce a un processo di progressivo adattamento dei contesti sociali per meglio venire incontro alle richieste degli utenti. Questa evoluzione cambia in modo fondamentale la comprensione della disabilità, dal momento che questa non può più essere definita come un fenomeno puramente individuale dato da condizioni senso-motorie e cognitive in relazione a un contesto ambientale statico, ma diviene in tal modo un fenomeno sociale definito a partire dalla progettazione e dalla definizione dei setting ambientali che permettano, supportano o ostacolano l’interazione e la partecipazione. Non è più sufficiente chiedersi quale sia il migliore abbinamento tra un individuo e una TA in uno specifico ambiente, ma risulta sempre più importante prestare attenzione alle fasi di progettazione e di adattamento dell’ambiente, per meglio soddisfare i bisogni degli utenti con un’ampia diversità di competenze e requisiti (Miesenberger, 1998, 2004, 2009a). Dalla dicotomia data da un modello individuale/medico verso un modello ambientale ci muoviamo dunque verso un modello sociale di disabilità (Gustavsson e Zakrzewska-Manterys, 1997). L’adattabilità che caratterizza le TIC
200 Capitolo 9
include la domanda ai servizi e ai sistemi mirati al grande pubblico di rispettare i bisogni e le richieste degli utenti di TA – attraverso l’eAccessibilità – nella valutazione e nel processo di abbinamento e accompagna lo scopo dei compiti dello psicotecnologo.
9.5.1 Il contesto in cui si svolge la professione dello psicotecnologo Uno psicotecnologo è una persona/professione che mira all’abbinamento di persone con tecnologie per favorire loro una partecipazione attiva e interattiva. Gli esperti di usabilità e talvolta di accessibilità si definiscono psicotecnologi (http://restrTICionisexpression.com/post/43184264/am-i-a-psicotecnologo-now). Nel contesto delle TA questa definizione delinea il carattere “intenzionale” della professione. Lo psicotecnologo supporta l’inclusione e la partecipazione in un dato contesto d’uso fornendo l’accesso a sistemi e servizi mirati al grande pubblico. L’eAccessibilità e l’eInclusion sono due obiettivi tra loro complementari: le TA dovrebbero permettere a persone disabili di interagire con sistemi e servizi mirati al grande pubblico. Come messo in evidenza precedentemente, le TA permettono l’adattamento dell’essere umano al sistema-ambiente e richiedono inoltre all’utente una modifica e un adattamento cognitivo e culturale (Federici et al., 2010). Inoltre, favorire l’eAccessibilità significa richiedere un adattamento sociale generale, attraverso la conformità e l’implementazione di standard di accessibilità che permettano alle TA un’interazione attiva e dinamica con i sistemi e i servizi TIC, e dunque come prerequisito per la partecipazione (Darzentas e Miesenberger, 2005; Miesenberger, 2009a, 2009b). Questo dà allo psicotecnologo un ruolo vasto e complesso, dal momento che, con l’introduzione dei requisiti di eAccessibilità, non sono soltanto l’utente e il suo contesto tecnologico personale a essere in discussione, ma anche l’intero contesto che ruota attorno alle TIC. L’infrastruttura tecnologica, gli sviluppi e i cambiamenti influiscono sulla nostra comunità e perciò anche sulla possibilità e la qualità dell’interazione. Data la necessità condivisa di superare il divario digitale e quindi l’esclusione di persone disabili dai servizi informatici, un obiettivo chiave è favorire una più diretta e attiva interazione e comunicazione attraverso le TIC. Questo ovviamente amplifica il numero di contesti potenziali ai quali le TIC sono rivolte e, allo stesso tempo, guida verso un processo complesso che richiede un profondo cambiamento strutturale e culturale che coinvolge procedure e processi che meglio si adattino ai bisogni di utenti di AT. Gli utenti di TA vivono e operano in differenti ambienti, il più delle volte corrispondenti a contesti tradizionali; perciò, la valutazione delle TA da parte degli psicotecnologi richiede una complessa analisi che prenda in considerazione sia le componenti dell’interazione centrate sulla persona sia il contesto di riferimento e la relativa eAccessibilità. Al centro della sfida dello psicotecnologo che opera nel campo delle TA risiede l’obiettivo di “rendere le TA sociali” in un senso contestuale ampio.
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9.5.2 Lo psicotecnologo: la necessità di formazione Questo livello multidimensionale di complessità sottolinea la necessità di un’ampia gamma di competenze e qualifiche. Analizzando lo stato dell’arte (Matausch et al., 2006; Miesenberger, 2006; Miesenberger et al., 2010), emerge che allo stato attuale non sono ancora disponibili programmi di formazione e di qualificazione per psicotecnologi. I professionisti tradizionali come, per esempio, ergoterapisti, specialisti della riabilitazione o insegnanti di sostegno, sono ancora molto riluttanti all’adozione di TA (in particolare di quelle connesse alle tecnologie informatiche, fattore chiave per l’inclusione ai giorni nostri) e all’eAccessibilità. La formazione è più o meno ancora orientata verso un contesto di approccio medico, terapeutico, relativo all’educazione speciale o tecnologico. La rivoluzione di TIC, TA, eAccessibilità e “progettazione per tutti” sembra non avere influenzato contesti con discipline tradizionali e connesse alla formazione. D’altro canto, questi ultimi anni sono stati caratterizzati da una crescita costante di consapevolezza verso l’invecchiamento e la disabilità, portando a quadri giuridici condivisi mirati all’eAccessibilità e alla ePartecipazione (W3CWAI, 2011). Lo sviluppo demografico degli ultimi anni mostra chiaramente un incremento della terza età e della popolazione disabile in generale (Lifetool, 2004). Differenti settori economici hanno risposto a questo incremento attraverso la produzione di apparati specializzati per persone anziane, che rispettano e seguono i concetti dell’eAccessibilità e del design per tutti. Tuttavia, sono di interesse per persone della terza età non soltanto apparati tecnici che favoriscano una vita più confortevole, ma anche sistemi di supporto per ottenere l’autonomia, dal momento che questo gruppo di popolazione ha più alte probabilità di essere affetto da una disabilità. Persone anziane e disabili esprimono il bisogno di avere una gestione autonoma delle proprie esigenze e, in questo, le TA sono in sono in grado di permettere loro un maggiore controllo sulla propria vita. Queste tecnologie possono infatti garantire la partecipazione e un maggiore contributo alle attività domestiche, scolastiche, lavorative, relative al tempo libero o ad altri contesti. Tuttavia, l’offerta formativa connessa al campo delle TA è attualmente inesistente. Il livello di competenza viene infatti sviluppato sul campo o attraverso singoli seminari. Diverse imprese che operano nel contesto delle TA offrono seminari, ciascuno della durata massima di un paio di giorni. Un esempio formativo ci è stato offerto dal SART (1999), un corso estivo sulle tecnologie della riabilitazione, che ha avuto luogo nel 1999. Al di là del contesto locale, a livello europeo e internazionale c’è tuttavia ancora una condivisa mancanza di possibilità di formazione. La rete TELEMATE (TeleMate, 2011), lezioni online in lingua italiana (SIVA, 2011) e programmi di training sulle TA offerti dalla California State University di Northridge (CSUN, 2011) sono alcuni dei pochi esempi che, almeno in parte, prendono in considerazione le TA, l’eAccessibilità e la complessità del processo di abbinamento utente-tecnologia. Tutto questo conduce alla necessità di lavorare alla creazione di corsi per esperti in questo settore (psicotecnologi) mirati a un approccio più olistico e completo (Matausch et al., 2006; Miesenberger, 2006; Miesenberger et al., 2010). Vi è dunque una crescente esigenza di formazione, espressa anzitutto come una necessità di “formazione sul lavoro” che gli esperti possono affrontare adottando i
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principi della eAccessibilità. Passo dopo passo, questo dovrebbe portare a una crescente domanda di contesti di formazione più completi e formali. Per soddisfare la domanda in crescita sarà necessario un più ampio numero di esperti con una formazione specifica su TA e eAccessibilità. Per sfruttare appieno le potenzialità delle TA e dell’eAccessibilità ciò che conta va oltre il contesto prettamente tecnologico. Lo psicotecnologo deve prendere infatti in considerazione l’intero contesto e gestire ciò che definisce l’insieme di capacità e competenze richieste. Questo divario tra un bisogno crescente di professionisti e la mancanza di istruzione ha condotto alla creazione di un nuovo corso accademico, volto a fornire un curriculum olistico per la professione di psicotecnologo finalizzata all’abbinamento tra persone e TA per la costituzione di sistemi e servizi che siano sociali e inclusivi. Il programma Assistec mira a ridurre il divario tra la crescente necessità e la mancanza di istruzione specifica attraverso la formazione di esperti in grado di gestire questo processo complesso e multidimensionale di eAccessibilità ed eInclusion.
9.5.3 Il programma Assistec Nel seguente paragrafo illustreremo l’impostazione del corso universitario Assistec (Matausch et al., 2006; Miesenberger, 2006; Miesenberger et al., 2010) la cui durata comprende quattro sessioni. Il primo corso si è svolto in lingua tedesca nella sessione invernale dell’anno accademico 2006. Il corso Assistec viene offerto come un’applicazione e-learning online con una data quantità di ore di frequenza obbligatoria. Il corso può essere definito come formazione in-service. Le intenzioni per questo tipo di realizzazione sono un’elevata flessibilità temporale e regionale per partecipanti (soprattutto per i lavoratori) e docenti. In tal modo è stato più facile coinvolgere esperti provenienti da diverse regioni. Ai partecipanti del corso viene conferito il diploma accademico come “Esperti in Materia di Tecnologie Assistive”. Il corso universitario si propone di educare persone di diverse provenienze professionali e accademiche nel rispetto della complessità delineata della fornitura di ausili e di eAccessibilità. I laureati saranno esperti nel campo delle TA soprattutto per quanto riguarda rispettivamente l’assegnazione di AT appropriate, l’usabilità delle AT, i contesti ambientali e sociali, finanziamenti, applicazione delle soluzioni, adattamento, gestione, servizi e consulenza relativi alle AT. Le esperienze pratiche dimostrano che professionisti in questo settore, oltre a competenze tecniche e personali, necessitano anche di accrescere l’esperienza in relazione ad analisi della domanda, analisi ambientale e sociale, finanza, finanziamenti e altro ancora. Inoltre, il corso propone un trasferimento di conoscenza focalizzato e orientato agli obiettivi secondo l’evoluzione dello stato dell’arte in un contesto multidisciplinare. Caratteristica importante e obiettivo fondamentale sono che il corso enfatizzi sostanzialmente la formazione pratica e l’applicazione delle conoscenze acquisite teoricamente. Un altro intento cruciale è quello di migliorare la qualità nel trattamento pratico per quanto riguarda la professione di assistenza sanitaria e i servizi di supporto di persone disabili. In aggiunta a ciò, l’attuazione del corso di laurea ambisce a migliorare la qualità dei prodotti di TA e a favorirne lo sviluppo.
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Il corso è volutamente rivolto a persone di diversa estrazione professionale e background formativo. Pertanto i gruppi target a cui mira sono molteplici e possono essere riassunti come segue. •
Settore professionale della riabilitazione, terapia e benessere. In questo settore professionale il corso è indirizzato in particolar modo alle persone che lavorano per favorire l’integrazione di persone disabili attraverso servizi di consulenza, cura, supporto, assistenza e accompagnamento.
•
Settore professionale della salute. In questo settore sono particolarmente coinvolte le persone che lavorano nei campi della riabilitazione, assistenza, cura e sostegno alle persone disabili e della terza età.
•
Settore professionale dell’educazione. In questo settore ci si rivolge sia ai docenti delle scuole ordinarie e per l’educazione di adulti, sia agli insegnanti delle scuole speciali e ai pedagogisti che lavorano con bambini disabili.
•
Settore professionale delle Tecnologie Assistive. Questo settore è rivolto in particolare alle persone impegnate nel campo della produzione, distribuzione e commercio, manutenzione, formazione, ricerca e sviluppo di TA.
•
Settore professionale (emergente) dell’eAccessibilità e della “progettazione per tutti”. Il corso si rivolge in particolare a un numero ancora limitato, ma in crescita, di persone impegnate nel campo professionale dell’eAccessibilità e della “progettazione per tutti”, sia nei settori tradizionali (per esempio sviluppo software e Web) sia in quelli specializzati come il mercato delle TA e dell’offerta di servizi alle persone disabili.
Per essere in linea con l’idea di parità di accesso all’istruzione, Assistec incoraggia tutti, e in particolar modo i disabili, alla partecipazione. L’obiettivo di Assistec è quindi quello di migliorare le opportunità professionali delle persone disabili nel mercato del lavoro grazie a una qualifica aggiornata.
9.5.4 Il curriculum Il curriculum del corso universitario consiste di quattro moduli, ciascuno dei quali composto da singoli seminari. In totale, il corso universitario comprende 4 moduli e 17 seminari. La Figura 9.4 illustra il contenuto del corso universitario. Il primo modulo è finalizzato a impartire le conoscenze fondamentali in materia di medicina, fisiologia, psicologia e classificazione della disabilità, fondamenti giuridici relativi alla disabilità e alle strutture di servizio, TA e infine “progettazione per tutti” ed eAccessibilità. In questo modulo i contenuti rappresentano elementi fondamentali per l’intero corso, specialmente per il modulo successivo. I contenuti didattici del secondo modulo si concentrano sulla conoscenza delle TA, e sono incluse delle unità di addestramento pratico in merito ai prodotti assistivi e alla loro applicazione. Pertanto, il modulo ricopre una posizione centrale nell’intero curriculum. Questo include anche il riferimento alle TA e all’eAccessibilità e i requi-
204 Capitolo 9
siti dei sistemi e dei servizi più diffusi al fine di permettere l’interazione attraverso TA e la partecipazione. Il secondo modulo permette agli studenti di specializzarsi su TA mirate a uno specifico gruppo target, e include una prima fase di lavoro su esempi pratici.
Figura 9.4 Contenuti del corso universitario “Assistec”. Le componenti menzionate si riferiscono ai contenuti e non riflettono esattamente i titoli dei seminari.
Il terzo modulo concerne la gestione e la realizzazione del processo di selezione e fornitura di TA, e corrisponde all’obiettivo di “formare counselor e manager per la gestione di casi e processi”. Pertanto, gli argomenti chiave di questo modulo sono la valutazione dei bisogni e l’analisi dell’ambiente di persone disabili in relazione ad aspetti tecnici, sociologici, economici e di mediazione. Questo è il modulo che affronta la complessità della psicotecnologia nei suoi aspetti tecnologici, medici e psicologici in diversi ambienti sociali, politici e ambientali. Particolare enfasi è posta, come evidenziato, sulla natura intenzionale dell’eAccessibilità e su come mediare o intervenire su sistemi e servizi nel rispetto dei bisogni degli utenti di AT. Durante il quarto modulo i partecipanti devono sottoporsi a un’esperienza pratica mirata alla gestione e alla documentazione di un processo di selezione e fornitura di ausili, mediante la stesura di una tesi scientifica. Questo tipo di tirocinio può essere portato a termine anche mantenendo un lavoro, dal momento che l’intero corso universitario è organizzato come una formazione di tipo in-service. Sulla base di una
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comprensione della fornitura di ausili che prende in considerazione sia l’utente che l’ambiente, una particolare enfasi viene posta sui problemi pratici connessi alla complessità della fornitura di TA. Il curriculum dello psicotecnologo è dunque un insieme di diverse materie e contenuti didattici che prendono in considerazione la natura complessa delle TA attualmente disposizione, come indicato nel Capitolo 4. La gamma dei temi messi in evidenza nel corso copre infatti aspetti medici, giuridici, tecnici, economici e di gestione, gli aspetti sociologici e quelli psicologici. Inoltre elementi fondamentali del corso sono la cooperazione e il networking con le imprese nel campo delle TA così come la gestione dell’eAccessibilità come requisito universalmente condiviso.
9.5.5 Il sistema eLearning La progettazione del corso è caratterizzata da un sistema di apprendimento misto, che unisce l’istruzione di tipo frontale con quella mediata dal computer (Bonk e Graham, 2006). A partire da questa definizione, il corso universitario Assistec adotta l’apprendimento misto come una combinazione di elementi di apprendimento online e di tipo frontale. Dal momento che il corso dovrebbe essere aperto a tutti, indipendentemente da una possibile disabilità, è necessario affrontare il tema dell’accessibilità. Considerato che allo stato attuale il mercato non offre un sistema di eLearning completamente accessibile, l’idea è quella di adattare un sistema già esistente. Sulla base dei buoni risultati ottenuti secondo una prima valutazione di accessibilità effettuata seguendo le linee guida Web Content Accessibility pubblicate dalla Web Accessibility Initiative (Chisholm et al., 1999), è stato scelto un sistema di gestione open source chiamato Moodle (2011). Il sistema di eLearning utilizzato è stato valutato più volte da persone con bisogni specifici. Nonostante ciò, la valutazione e le esperienze raccolte utilizzando e testando questo sistema hanno evidenziato delle carenze dal punto vista della completa accessibilità. Sulla base di questo, sono stati intrapresi numerosi tentativi di per mezzo dei quali raggiungere una versione completamente accessibile prima dell’inizio del corso. Il sistema di eLearning funziona sia come una piattaforma di comunicazione sia come una piattaforma in cui sono disponibili tutti i materiali di studio in una versione accessibile. Nonostante il sistema di eLearning Moodle ricopra un ruolo fondamentale, nelle soluzioni di apprendimento misto hanno grande importanza anche le fasi di partecipazione personale; è infatti prevista la presenza obbligatoria della durata di due giorni per una media di tre volte a sessione. Le fasi in cui è richiesta la presenza sono utili, da un lato, ad avviare i contatti sociali e la formazione di gruppi e, dall’altro, a dimostrare e presentare i contenuti pratici e teorici del corso. Nel complesso, la soluzione dell’apprendimento misto permette ai partecipanti un elevato livello di flessibilità a livello sia regionale sia temporale, e questo è particolarmente utile per l’accesso al corso da parte di persone disabili. 9.5.6 La specializzazione dello psicotecnologo Il profilo di qualificazione dei laureati ha le seguenti caratteristiche.
206 Capitolo 9
•
I laureati acquisiscono conoscenze specialistiche nel settore delle tecnologie assistive e dell’eAccessibilità e della loro applicazione in differenti contesti sociali.
•
I laureati possiedono la capacità di fornire a persone disabili e della terza età tecnologie assistive adeguate attraverso un processo di selezione e assegnazione di ausili che tenga conto dei diversi ambienti e contesti d’uso.
•
I laureati aumentano le proprie capacità e competenze nell’implementazione dell’eAccessibilità e nella mediazione del processo di (ri)progettazione di sistemi di HCI.
•
I laureati acquisiscono una completa competenza in termini di linee guida, regolamentazione e metodi di valutazione e intervento, progettazione e sviluppo di tecnologie HCI.
•
I laureati sono qualificati per l’organizzazione, il coordinamento e la gestione di tutto il processo di abbinamento e assegnazione di TA.
•
Grazie alle loro conoscenze interdisciplinari nell’area sociale, tecnica, medica e di riabilitazione, i laureati permettono di avviare un nuovo campo professionale.
•
I laureati hanno una profonda conoscenza del contesto sociale della disabilità, dell’invecchiamento e delle TA.
•
I laureati possiedono conoscenze relative al quadro legislativo e possibilità di finanziamento in tema di TA.
•
I laureati acquisiscono la sensibilità e la competenza sociale necessarie per interagire e cooperare con utilizzatori finali di TA.
•
I laureati ottengono un diploma verificabile.
Tenendo presente questo profilo di qualifica, è necessario specificare alcuni criteri relativi al profilo professionale di psicotecnologo o “Esperto di Tecnologie Assistive”. Innanzitutto, lo psicotecnologo ha la funzione di mediatore tra il cliente e i sistemi connessi alle TA. Avere un contatto di riferimento che si occupi di tutti gli aspetti connessi alla selezione e alla fornitura di TA è un vantaggio fondamentale per le persone che necessitano di ausili. Gli esperti sono counselor la cui formazione non è connessa alla vendita di prodotti, ma le cui conoscenze sono specializzate per la selezione e la gestione e di tutta la gamma di tecnologie assistive attualmente prodotte, e sono in grado di selezionare il dispositivo più adatto per i clienti di un centro ausili. Inoltre, gli esperti di tecnologie assistive sono responsabili di tutto il processo che coinvolge l’organizzazione e il coordinamento relativo alla fornitura di ausili, tenendo conto degli aspetti giuridici, medici, psicologici, tecnici, economici e sociologici connessi alla fornitura individuale. Per questo motivo, gli psicotecnologi in formazione devono acquisire capacità di leadership e di gestione. Inoltre, gli psicotecnologi hanno il compito di rappresentare il gruppo di utenti di TA e fungono da snodo tra questi e il settore economico di riferimento presso le organizzazioni che producono e distribuiscono questo tipo di ausili. L’attuazione delle competenze sul
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campo permette inoltre di incrementare le conoscenze e la sensibilizzazione sociale rispetto ai temi dell’eAccessibilità e dell’eInclusion. Infine, un aspetto significativo del campo professionale dell’esperto è l’utilizzo delle capacità di mediazione e gestione del conflitto qualora emergano difficoltà durante il processo di selezione e fornitura di ausili. La Figura 9.5 sintetizza l’influenza e l’impatto del corso universitario Assistec e dei suoi laureati sull’intera società.
Figura 9.5 Settori di competenze del diplomato in Assistec.
9.5.7 Impatto Assistec può essere considerato un esempio di formazione nell’emergente campo professionale dello psicotecnologo connesso al settore delle TA e dell’eAccessibilità. Il corso è un contributo all’attuale impegno in materia di eInclusion, dal momento che mira a ridurre il divario tra la crescente domanda di esperti di psicotecnologie e la carenza di offerta formativa connessa. I laureati hanno le competenze per gestire il processo di selezione e assegnazione di AT in setting complessi e diversificati, e sono orientati verso l’eAccessibilità e la sua applicazione nei principali eSystem ed eService. Questo dovrebbe contribuire a migliorare la qualità della fornitura di servizi per le persone disabili e alla realizzazione dell’eAccessibilità e, allo stesso tempo, favorire incentivi allo sviluppo dei prodotti assistivi grazie una comunicazione sinergica tra clienti e psicotecnologi.
208 Capitolo 9
9.6 Conclusioni In questo capitolo abbiamo introdotto il significato e il background teorico di riferimento del concetto di psicotecnologia, e abbiamo descritto e illustrato il ruolo dello psicotecnologo all’interno del processo di abbinamento fra persone disabili e tecnologie assistive. In particolare, abbiamo descritto alcuni esempi applicati in differenti contesti, dal contesto tradizionale, focalizzato principalmente sull’interazione tra persone disabili e TA nei loro ambienti di vita quotidiana, fino al contesto delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), nel quale l’eAccessibilità è un requisito fondamentale per garantire a tutti, e special modo alle persone disabili, la partecipazione, l’autosufficienza e l’inclusione. A partire dalla descrizione del background teorico, abbiamo illustrato l’evoluzione del significato di psicotecnologia, definita come “una tecnologia che emula, estende, amplifica o modifica le funzioni senso-motorie, psicologiche o cognitive della mente” (Federici, 2002). L’interazione tra utente e tecnologia è una relazione di tipo dinamico e intrasistemico in cui l’artefatto ricopre il ruolo di amplificatore di regole, vincoli e possibilità di conoscenza e permette sia l’adattamento al sistema, sia la modifica cognitiva e culturale (Federici e Borsci, 2010). In quest’ottica, abbiamo mostrato il ruolo dello psicotecnologo, focalizzandoci su due campi di applicazione differenti: il processo di assegnazione delle TA nel centro ausili e la formazione dello psicotecnologo, che riguarda sistemi e servizi basati sulle TIC. Il compito dello psicotecnologo è quello di analizzare le componenti psicologiche e cognitive coinvolte nel contesto di interazione – sia questo un ambiente fisico o un ambiente di TIC – analizzando e valutando le seguenti tematiche: (i) la pertinenza di uno o più ausili tecnologici selezionati per una soluzione assistiva grazie all’uso di strumenti diversi come, per esempio, il modello MPT (Scherer, 1998); (ii) se e come l’eAccessibilità viene considerata nell’ambito delle TIC e quale sia il suo impatto sulla riprogettazione per l’accessibilità attraverso le relative linee guida, metodologie, strumenti e regolamentazioni (per esempio, W3CWAI, 2011). Al fine di spiegare meglio il ruolo dello psicotecnologo, abbiamo mostrato due esempi: nel primo abbiamo descritto il suo ruolo nell’ambito del processo di assegnazione mostrando come esempio il caso di S.A.; successivamente, ci siamo focalizzati su un esempio di progetto formativo, il programma Assistec, finalizzato a diminuire il divario fra la crescente domanda e la carenza di personale qualificato attraverso un processo di formazione di esperti in grado di gestire il processo complesso e multidimensionale connesso all’abbinamento con TA, all’eAccessibilità e all’eInclusion.
Capitolo
10 L’optometrista
M. Orlandi, R. Amantis
La vista è un processo complesso che combina diversi sottoprocessi e coinvolge diverse strutture anatomiche. L’analisi delle abilità visive fatta dall’optometrista permette di raccogliere delle informazioni specifiche per consentire agli altri specialisti coinvolti nell’ATA process di adattare i loro interventi. Nella prima delle cinque sezioni del capitolo, sono descritte in maniera sommaria le strutture anatomiche e la fisiologia dei percorsi visivi. La seconda sezione descrive le competenze visive di base che contribuiscono alla visione efficiente e i metodi utilizzati per indagarle. La terza sezione esamina l’importanza dell’optometrista come un esperto che è in grado di selezionare le informazioni necessarie per l’attuazione dell’ATA process. Nella quarta sezione, sono descritti due casi clinici e vengono spiegate le procedure di valutazione utilizzate. Nell’ultima sezione sono brevemente descritte particolari tecniche di stimolazione del processo visivo che vengono riunite sotto il termine di visual training. Riconoscimenti: ringraziamo la disegnatrice Alessandra Loreti per le figure.
10.1 Introduzione La scelta della tecnologia assistiva appropriata è condizionata dalle abilità visive del soggetto. La visione è un processo complesso, in cui vari sottoprocessi partecipano e in cui sono coinvolte diverse strutture anatomiche. È quindi necessario che il protocollo di valutazione utilizzato consenta di avere un quadro chiaro di tutte le abilità visive e le competenze del paziente, nonché i sui limiti. Un’analisi dettagliata delle competenze visive consente al gruppo di valutazione del centro ausili di pianificare specifici setting di prove da utilizzare con il paziente senza dover effettuare tentativi casuali, che di solito si dimostrano non solo inutili, ma anche frustranti per il paziente e la famiglia. Questo capitolo non è destinato a essere un manuale di optometria, ma fornirà delle linee guida sui protocolli utilizzabili, sviluppati dagli autori nel corso degli anni. Saranno descritte in dettaglio le procedure che, modificate per i pazienti con patologie neurologiche, si discostano in maniera significativa dalla normale pratica clinica optometrica. In conclusione, il quadro teorico generale di questo capitolo mira a reintegrare il ruolo dell’optometrista nell’area di supporto e follow-up per le possibilità di recupero visivo che, grazie all’affiancamento del visual training al corretto utilizzo degli ausili, è possibile ottenere.
210 Capitolo 10
Il capitolo sarà diviso in cinque sottosezioni — la visione, il protocollo base, prove supplementari, l’analisi clinica dei casi di esempio e il visual training — con un’introduzione iniziale e una conclusione. Un’ultima importante considerazione: anche se questo capitolo si occupa di optometria, dovrebbe essere letto anche e soprattutto dai non optometristi. È fondamentale, infatti, che ogni operatore sappia che cosa si intende per un problema visivo e che condivida un lessico comune con l’optometrista dell’equipe.
10.2 La visione La valutazione delle funzioni visive, a causa dei vari aspetti che in esse sono implicati, teoricamente può essere estremamente lunga e complessa. Possono essere valutati aspetti periferici strettamente legati alla funzionalità oculare, sia nell’area percettiva sia motoria, processi percettivi centrali, legati principalmente alla qualità del processo di detezione, e analisi dello stimolo visivo così come alle competenze di fusione binoculare. Potranno inoltre essere analizzati processi superiori, come i processi di riconoscimento, accesso e utilizzo della memoria visiva e stili percettivi, finendo con le analisi delle capacità d’integrazione con altri processi cognitivi o motori. È quindi evidente che tale mole di informazioni non è necessaria nella sua totalità per la valutazione preliminare in un centro ausili, ma, come in tutte le attività diagnostiche, occorre focalizzare ed eventualmente approfondire quelli che sono i parametri più significativi. La conoscenza della storia clinica del paziente, inoltre, guiderà nella determinazione della batteria di test da somministrare, mantenendo sempre pronte le metodiche alternative che nel corso dell’esame potrebbero dimostrarsi necessarie.
10.2.1 La complessità del processo visivo dall’occhio al cervello La conoscenza precisa delle strutture oculari consente la comprensione di alcune affermazioni che saranno fatte sul processo visivo. A tutti è noto il paragone con cui si assimila l’occhio a una macchina fotografica, con la sua camera oscura, gli obiettivi e una pellicola molto sensibile che cattura la luce (Figura 10.1). Meno noti sono alcuni aspetti riguardanti le competenze motorie e accomodative dell’occhio, oltre al particolare processo di elaborazione che avviene già a livello retinico. Un occhio efficiente e senza problemi refrattivi è definito emmetrope e ha una perfetta focalizzazione all’infinito. Nell’approssimazione ottica si ottiene una focalizzazione adeguata già dopo i 5 m. Quando si fissa un oggetto a una distanza ravvicinata, il sistema ottico dell’occhio modifica il proprio potere diottrico attraverso l’azione del muscolo ciliare, che induce una variazione nella curvatura del cristallino (Figura 10.2).
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Figura 10.1 (Vedi inserto a colori.) La struttura dell’occhio.
Figura 10.2 Accomodazione.
Il muscolo ciliare, è un muscolo liscio innervato dal sistema parasimpatico, e la sua azione è innescata da uno sfocamento dell’immagine. Esiste tuttavia un secondo canale innervativo che provvede a modificare la focalizzazione dell’occhio al variare della convergenza, mantenendo sincronizzate centratura e focalizzazione (Figura 10.3).
212 Capitolo 10
Figura 10.3 Convergenza.
Questo implica che le competenze di un soggetto possono variare sensibilmente a seconda della distanza alla quale la valutazione viene effettuata. Un altro elemento poco noto, che però dovrebbe essere tenuto in considerazione, è costituito dalle caratteristiche funzionali della retina (Liuzzi e Bartoli, 2002). Essa è costituita essenzialmente da due tipi di recettori: i coni, di cui esistono tre diversi gruppi in grado di rilevare ognuno un differente colore primario, e i bastoncelli, che reagiscono tutti alle differenti lunghezze d’onda della luce (Figura 10.4). I recettori sono connessi con cellule bipolari di primo ordine e cellule gangliari secondo ordine. Sono proprio gli assoni di questi ultimi che si riuniscono a livello della papilla per formare il nervo ottico (Figura 10.5). Pochi notano che nella retina i recettori sono ricoperti dai neuroni, a eccezione dell’area della fovea, dove questi vengono spostati lateralmente per evitare che permanga anche la minima interferenza sul percorso ottico della luce. Anatomicamente è possibile distinguere nella retina tre aree differenti (Figura 10.6). 1. La papilla, area cieca della retina da cui emerge il nervo ottico. 2. La macula, con la fovea nel centro, area in cui si rileva il massimo visus. 3. La periferia, definita in funzione della distanza angolare dalla fovea.
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Figura 10.4 Coni e bastoncelli.
Figura 10.5 (Vedi inserto a colori.) Struttura della retina.
214 Capitolo 10
Figura 10.6 Divisione funzionale della retina.
Sia per le caratteristiche istologiche della retina sia per le connessioni tra i recettori, coni e bastoncelli, e tra i neuroni di primo e secondo ordine, la capacità di risoluzione della retina è differente nei diversi punti (Figura 10.7). È al suo livello massimo in corrispondenza della fovea, diminuisce rapidamente nei primi 10° e poi si stabilizza nella retina periferica. Questa peculiarità della retina è il motivo per cui avvengono i movimenti oculari, ossia la necessità di far sì che l’immagine dell’oggetto d’interesse si proietti sulla fovea, dove sarà possibile analizzarne i dettagli più minuti. La retina periferica, con le sue connessioni convergenti, è molto sensibile alla luce e scarsamente in grado di segregare spazialmente. La sua funzione primaria è quella di fungere da recettore dei cambiamenti che possono avvenire nello spazio intorno al soggetto e innescare il movimento di foveazione. I movimenti oculari sono effettuati da sei muscoli che sono innervati da tre nervi cranici. Anche l’attivazione dell’accomodazione, per effetto d’ipermetropia o indotta con lenti negative, può a sua volta innescare un movimento di convergenza. Questo può portare a un errato allineamento degli assi visivi in convergenza, come si nota nei cosiddetti strabismi accomodativi (Griffin, 1982). Nell’ipermetropia lieve, fisiologica, tale movimento non sarà tuttavia manifesto ma rimarrà latente perché un processo di analisi centrale, definito fusione, provvederà a contrastarlo, attivando i retti laterali. Anche la semplice fissazione, apparentemente statica, richiede una fine coordinazione di numerose coppie di muscoli agonisti e antagonisti, striati, volontari e della muscolatura del sistema accomodativo, liscia, involontaria (Traccis e Zambardieri, 1996).
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Figura 10.7 (Vedi inserto a colori.) Caratteristiche istologiche della retina.
L’immagine che si forma sulla retina è costituita quindi da una componente centrale, intesa in senso retinico, foveale, e da una componente periferica. Questa, a sua volta, può essere divisa tra l’informazione dell’emispazio percettivo destro e dell’emispazio percettivo sinistro. Per effetto della convergenza diottrica della luce, i raggi proiettano rispettivamente nell’emiretina controlaterale destra e sinistra (Figura 10.8). Le informazioni visive viaggiano lungo gli assoni gangliari che si riuniscono a livello della papilla per formare il nervo ottico. Emergendo dal bulbo il nervo è mielinizzato e procede nell’orbita fino al forame, oltre il quale converge per incrociarsi con il nervo ottico dell’altro occhio nel chiasma ottico (Figura 10.9). Questo è una struttura fondamentale poiché al suo interno avviene la prima integrazione tra le informazioni provenienti dall’emispazio omologo di entrambi gli occhi. Dopo questo incrocio, tutte le informazioni dello spazio visivo di sinistra, e che raggiungono l’occhio destro e l’occhio sinistro, viaggiano nello stesso fascio di fibre del tratto ottico di destra, e viceversa per l’altro lato. Le fibre del tratto ottico raggiungono il Nucleo Genicolato Laterale (NGL), un nucleo talamico (Hubel, 1995). A questo livello si comincia a differenziare il percorso delle fibre della periferia da quello delle fibre foveali. Si comincia, inoltre a individuare un differente percorso per il “dove” e per il “cosa”. Le fibre, già differenti fin dal livello retinico, in questo tratto sono segregate anche spazialmente. Dall’NGL le fibre, definite radiazione ottica, raggiungono la corteccia occipitale, in particolare lo strato IV (area 17 o V1) dove avviene l’elaborazione che permette l’estrazione delle caratteristiche elementari delle immagini.
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Figura 10.8 (Vedi inserto a colori.) Proiezione dei campi visivi sulla retina sinistra e destra. Proiezione di un’immagine sulla superficie della retina. Il passaggio dei raggi luminosi attraverso gli elementi ottici dell’occhio produce sulla superficie della retina delle immagini che sono invertite nella direzione alto-basso e sinistra-destra. Quadranti retinici e loro relazione con l’organizzazione dei campi visivi monoculare e binoculare visti dalla superficie posteriore degli occhi. Le linee verticali e orizzontali tracciate attraverso il centro della fovea definiscono i quadranti della retina (in basso). Analoghe linee tracciate attraverso il punto di fissazione definiscono i quadranti del campo visivo (al centro). I colori mostrano la corrispondenza tra i quadranti retinici e del campo visivo. In alto viene mostrata la sovrapposizione dei due campi visivi monoculari.
Troviamo un’organizzazione colonnare, separata per ciascun occhio e neuroni in grado di rilevare la luce solo se circondata da buio (centro On) o viceversa (centro Off), linee di una particolare lunghezza o orientamento angolare, in movimento verso una direzione o in quella opposta e così via. Tutte queste informazioni sono ancora separate e devono subire un ulteriore livello di elaborazione nelle aree successive 18 o V2, dove si integrano i singoli elementi per costruire la percezione dell’oggetto. Una parte delle fibre provenienti dall’area 18 o V2 si dirige verso la corteccia temporale, dove avverranno le altre fasi di analisi delle caratteristiche superiori dell’informazione visiva: tutte quelle linee, con le informazioni sulla lunghezza, il colore, le relazioni topologiche e così via, sono classificate con un’etichetta verbale e memorizzate. A questo punto si è giunto all’identificare il “cos’è”. Altre fibre si dirigono verso la corteccia parietale in cui si elaborano le informazioni visive spaziali, consentendo di individuare “dov’è” l’oggetto rispetto a noi.
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Figura 10.9 (Vedi inserto a colori.) Il chiasma ottico, i nervi ottici e il loro percorso.
Infine queste due informazioni devono riunirsi per formare un percetto unico in cui siamo in grado di percepire, localizzare e riconoscere l’oggetto. Questo ci consentirà di interagire con l’oggetto stesso per afferrarlo, manipolarlo, usarlo e di avere un immediato feedback sulla qualità delle nostre azioni. Tale ulteriore e fondamentale integrazione avviene a livello della corteccia prefrontale e frontale (Hubel, 1995). Questa estrema sintesi del processo visivo, che non è affatto completo, mira a sottolineare la complessità di ciò che avviene durante un semplice sguardo. Più avanti in questo lavoro analizzeremo come ognuno dei punti discusso sia fondamentale per capire alcune delle risposte nei nostri pazienti e consentirci di adattare al singolo individuo gli strumenti più idonei. Piccola nota di chiusura: quella che è stata descritta è la cosiddetta via retinogenicolo-corticale. Tuttavia non tutte le fibre emergenti dal nervo ottico seguono questa via. Circa il 20% segue una via retino-collicolo-corticale che è coinvolta nella localizzazione spaziale. Queste fibre non consentono l’identificazione dell’oggetto e sembrano responsabili del fenomeno del blind-sight.
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10.2.2 Le abilità visive in optometria Dalla precedente descrizione è risultato evidente che il processo visivo è qualcosa di estremamente più complesso di un buon visus. I famosi 10/10 (20/20 negli Stati Uniti e 6/6 nel Regno Unito) rappresentano una, e neppure la più importante, delle abilità visive, anche se spesso osserviamo che è proprio ciò che viene utilizzato come parametro per distinguere chi ha un’efficiente visione da chi non ce l’ha. In questa sezione saranno illustrate le principali abilità visive che devono essere valutate in un paziente che necessita di tecnologie assistive (Bardini, 1982; Birnbaum, 1985; Birnbaum, 1993; Sabbadini et al., 2000). Il visus Il visus rappresenta la capacità di riconoscere come separati due punti ed è concepito sostanzialmente come una misura angolare. Non indica direttamente le dimensioni degli oggetti, i cui particolari possono essere riconosciuti, ma soltanto la loro dimensione angolare. A parità di visus le dimensioni si modificano con la distanza (Figura 10.10). Il visus non è soltanto un’indicazione della corretta focalizzazione del sistema ottico dell’occhio ma è anche una conseguenza della trasparenza dei mezzi, dell’integrità delle vie nervose e delle aree corticali superiori.
Figura 10.10 Tipi di stimoli a reticolo utilizzati per misurare visus e sensibilità al contrasto. Da sinistra a destra: reticolo a onda quadra ad alto contrasto, reticolo a onda sinusoidale ad alto contrasto e reticolo a onda sinusoidale a basso contrasto. Il grafico sotto a ogni reticolo illustra il suo profilo di luminanza.
In clinica si utilizzano vari strumenti per valutare il visus, generalmente consistenti in tabelle con simboli, lettere o numeri di dimensioni definite. I singoli tratti che formano gli stimoli sono separati da uno specifico angolo alla distanza d’esame (Figura
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10.11). Nei soggetti non collaboranti si utilizzano dei reticoli bianco/neri, anche questi con definiti angoli di separazione alla distanza d’esame (Figura 10.12). Le scale per misurare il visus sono espresse generalmente in forma di frazione, in cui si indica al numeratore la distanza a cui si deve porre il soggetto per identificare quello specifico carattere e al denominatore la distanza a cui quel dato carattere viene visto in condizioni di normalità.
Figura 10.11 In alto esempi di simboli per ottotipo: Snellen, Green, Danielle, Monoyer, Dennet, numeri, mira per la capacità di risoluzione, C di Landolt modificata e target generico. In basso a destra esempi di simboli figurali per bambini.
Figura 10.12 Tavole di Teller per il visus.
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Per esempio, 5/10 indica che il soggetto legge a 5 m ciò che si dovrebbe leggere a 10 m. Nella ricerca si usano spesso come unità di misura i cicli/grado, che indicano il numero di cicli bianco/nero in un reticolo. È importante conoscere il visus del soggetto perché ci fornisce informazioni sulle dimensioni delle lettere, delle icone o degli oggetti che possono essere utilizzati. Metodi La valutazione del visus è generalmente eseguita richiedendo al paziente di identificare lettere su una tabella, opportunamente tarata per la distanza d’esame L’usuale procedura a volte non è praticabile con i nostri utenti, poiché anche se essi sono in grado di riconoscere le lettere mostrate, spesso presentano problemi di verbalizzazione, che non permettono la verifica dell’effettiva identificazione del target. Il problema si riduce solo minimamente con l’utilizzo di figure, ma anche in questo caso può succedere che il nome pronunciato sia a volte errato per difficoltà di accesso al lessico. Con una bicicletta come mira alcuni pazienti hanno detto “auto”, in quanto parola prototipica di un mezzo per spostarsi. In situazioni come queste occorre quindi ripetere l’esame più volte e non fermarsi dopo alcuni errori. Un accorgimento che utilizziamo frequentemente con i nostri pazienti che hanno difficoltà di fissazione, sia per problemi strettamente visivi sia per difficoltà di controllo posturale del capo, è quello di presentare sempre stimoli singoli, evitando tabelle con più simboli. Dopo una perdita di fissazione è enormemente più semplice per il soggetto tornare con lo sguardo su quell’unico simbolo piuttosto che riorganizzarsi per trovare tra i tanti quello che è indicato dall’operatore. Per questo stesso motivo si preferisce la presentazione su cartoncini, rispetto alle tecniche a proiezione, perché è possibile collocarli nel punto dove il paziente dimostra una maggiore facilità nel posizionarsi con lo sguardo. Una particolare attenzione viene posta nella modalità di risposta richiesta. Come già indicato prima, le risposte verbali possono a volte non essere adeguate o affidabili. La prassi è quella di far nominare preventivamente le figure presentando quelle di massima dimensione, generalmente 1/10, a 30 cm dal soggetto e annotare i nomi che utilizza spontaneamente. Evitiamo quindi di dire noi che “questa è una casa” e “questo è un fiore”. Il paziente deve utilizzare le parole che più facilmente sono evocate dalla visione delle figure proposte. Si procede anche a ulteriori verifiche mediante tecniche di appaiamento, ponendo di fronte al soggetto, a una distanza tale che possa toccarle, delle schede in cui sono riprodotte le figure presentate a distanza. In questo caso il numero di figure deve essere congruo anche con le abilità motorie del paziente: minore è il controllo motorio, minore è il numero delle figure proposte per la scelta. In generale, il numero di immagini varia da un minimo di due a un massimo di sei. Al contempo però, minore è il numero di alternative presentate, maggiore deve essere il numero delle prove effettuate per ogni singolo livello di visus al fine di evitare falsi positivi. In alcuni pazienti con un quadro motorio molto compromesso (per esempio in un quadro di tetraparesi grave) si è utilizzata proficuamente l’indicazione dello sguardo come modalità per la risposta.
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Il visus è generalmente valutato a distanza poiché si ritiene che nei soggetti non presbiti questo correli esattamente con il visus a distanza ravvicinata. Ciò è tuttavia vero solo se siamo in presenza di un’adeguata accomodazione. Se nel corso della valutazione si osservano deficit accomodativi occorre rivalutare il visus anche alla distanza prossimale. I valori di visus possono essere posti in relazione con dimensioni note di caratteri di stampa (Figura 10.13).
Figura 10.13 Visus e font. Dati parzialmente tratti da Rossetti, A. e Gheller, P. (1997), Manuale di Optometria e Contattologia, Bologna, Italia, Zanichelli.
Nei soggetti non collaboranti si utilizza la tecnica dello sguardo preferenziale e del nistagmo optocinetico. Nel primo caso si pone un reticolo di fronte al soggetto su uno sfondo uniforme e si verifica se si orienta con lo sguardo verso il reticolo rispetto a uno sfondo grigio uniforme. Il nistagmo optocinetico è invece elicitato con cilindri o schermi, che vengono poi lentamente spostati di fronte al soggetto, su cui sono riprodotti reticoli di ampiezza definita. Solo quando il sistema risolutivo dell’occhio percepisce le bande come separate si osserva il nistagmo. Ovviamente tale tecnica non può essere utilizzata con soggetti con nistagmo patologico e in pazienti con epilessia.
222 Capitolo 10
Fissazione Il sistema visivo acquisisce informazioni durante la fissazione, un breve periodo in cui gli occhi sono fermi dopo una saccade. Alcuni soggetti non riescono a mantenere gli occhi completamente fermi e si osservano alcuni movimenti spuri che riducono la capacità visiva. In particolare esistono sguardi erratici e nistagmo. Il primo quadro è caratterizzato da un movimento fluido e continuo, non indirizzato verso un particolare oggetto e senza che gli occhi si blocchino mai completamente. Tale quadro si ritrova in soggetti gravemente ipovedenti. Il nistagmo è invece un alternarsi continuo di una fase lenta di scivolamento e di un recupero rapido saccadico (Traccis, 1992). Il nistagmo può essere fisiologico, come avviene quando si guarda scorrere un paesaggio dal treno o durante alcune stimolazioni vestibolari, oppure patologico. Esistono numerose forme di nistagmo patologico che si differenziano per le caratteristiche della metrica, della durata, dell’età d’insorgenza e a seconda delle numerose cause eziologiche. Il nistagmo produce una riduzione del visus, a volte anche molto marcata, e una difficoltà in tutti i movimenti oculari, d’inseguimento e saccadici. Spesso, ma non sempre, il nistagmo si attenua fino a estinguersi in particolari posizioni di sguardo. Non esistono terapie efficaci per il nistagmo ma si utilizzano alcuni accorgimenti ottici, chirurgici o posturali per limitarne gli effetti. Alcuni soggetti infine non riescono a mantenere una fissazione stabile su un punto particolare poiché non riescono a inibire il riflesso di orientamento che si attiva quando si verifica una modificazione nel campo periferico. Questi soggetti non presentano metriche alterate ma ridotti tempi di fissazione che spesso vengono confusi con deficit di attenzione. Metodi La valutazione della fissazione è apparentemente quanto di più semplice ci sia. Si pone una mira di fronte al soggetto e si osserva la posizione degli occhi. Se non riesce a mantenerli sul bersaglio proposto si tenta di aumentare il contrasto, abbassando l’illuminazione ambientale e illuminando la mira fino a un contrasto assoluto del 100%. Se neppure in questo caso si osserva una fissazione stabile, si possono utilizzare mire rosse, per la loro capacità di essere maggiormente percepite dai recettori foveali piuttosto che da quelli periferici In alcuni casi particolarmente gravi si deve porre il bersaglio davanti all’occhio, in maniera passiva, e verificare se la fissazione viene agganciata. Un altro elemento risultato di grande importanza è la postura, che può incidere in maniera variabile sulla stabilità di questa componente visiva. Alcuni soggetti senza apparente capacità di fissazione sono riusciti a mantenere una stabilità di sguardo accettabile in posizione supina. Questo ci indica come spesso bisogna tentare anche le vie apparentemente meno proficue per sbloccare situazioni d’impasse.
Movimenti di inseguimento lento I movimenti d’inseguimento lento sono quelli eseguiti nel tentativo di mantenere la fissazione su un oggetto in movimento. Richiedono un elevato livello di attenzione al compito oltre a un’adeguata competenza oculomotoria (Contreras et al., 2011). Que-
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sti movimenti sono eseguiti per mantenere l’immagine dell’oggetto sulla fovea. Nel bambino piccolo si osserva come gli inseguimenti siano aiutati e integrati con il movimento del capo. Con la crescita si impara progressivamente a muovere solo gli occhi evitando di muovere la testa. In situazioni di ritardo di sviluppo osserviamo il permanere del coinvolgimento del capo. I movimenti di inseguimento vengono utilizzati per esempio per seguire il cursore del mouse, e una loro inadeguata esecuzione porta a continue perdite di fissazione e conseguenti salti saccadici per recuperarla. Metodi Nel valutare i movimenti di inseguimento si considerano alcuni parametri come la capacità di effettuarli senza coinvolgimento del capo, la stabilità della fissazione, l’automaticità (intesa come possibilità di eseguire un secondo compito interferente), la costanza della prestazione con il passare del tempo e l’integrazione con il movimento della mano. Esistono varie scale per quantificare le prestazioni attraverso questi parametri, utili anche per facilitare una rapida comprensione delle capacità visive del paziente. È importante però porre l’accento in particolare sulla componente dell’automaticità che viene poco considerata nelle valutazioni. Spesso otteniamo dai pazienti delle buone prestazioni, (inseguimento continuo, stabile e coniugato anche in movimenti di rotazione), ma quando si chiede di fare anche un minimo gesto, come battere le mani, o si esprime una semplice richiesta verbale, come contare fino a dieci, osserviamo una marcata caduta nella qualità delle prestazioni. Questo ci indica che il soggetto ha bisogno di impiegare tutta la sua attenzione per controllare l’esecuzione visiva e che la minima interferenza spezza questo controllo. Ciò riproduce l’effetto di un realistico comportamento durante un inseguimento visivo come si potrebbe verificare nella vita quotidiana o durante l’utilizzo di un ausilio.
Movimenti saccadici I movimenti saccadici rappresentano il movimento oculare più frequente. Sono utilizzati durante l’esplorazione visiva dell’ambiente, durante la lettura ma anche quando guardiamo in modo distratto senza un particolare obiettivo. Le saccadi sono caratterizzate da un movimento molto rapido, che sposta l’occhio verso un target identificato attraverso la visione periferica. Durante tale movimento avviene un fenomeno conosciuto con il nome di soppressione saccadica, che produce uno “spegnimento” della percezione visiva per evitare che si osservino immagini confuse e mosse. Alla fine di questo movimento, si verifica una fase di immobilità, la fissazione, durante la quale avviene l’acquisizione dell’informazione (Traccis e Zambardieri, 1992). La quantità di informazioni acquisite dipende prevalentemente da fattori centrali. Le saccadi non possono fornire un feedback continuo: la verifica della correttezza del movimento può essere fatta solo dopo che il movimento è completato e, in caso di errore, l’unica possibile cosa da fare è eseguire un nuovo movimento correttivo (Figura 10.14).
224 Capitolo 10
Figura 10.14 Movimenti oculari durante la lettura del testo.
Questi movimenti risultano molto complessi nella loro programmazione ed esecuzione in quanto il calcolo del movimento deve essere compiuto anticipatamente, mentre si attua una fissazione foveale centrale, utilizzando informazioni in periferia filtrate sulla base di minimi indicatori di forma e movimento. Un qualsiasi deficit in ciascuno dei suddetti passaggi può portare a una saccade imprecisa o inadeguata: osserviamo quindi saccadi dismetriche, ipometriche o ipermetriche, elicitate lentamente, con ridotte velocità di spostamento o inadeguati livelli di acquisizione delle informazioni visive. Metodi Le saccadi sono valutate con gli stessi parametri utilizzati per gli inseguimenti e quindi attraverso la capacità di effettuarle senza coinvolgimento del capo, la qualità della metrica, l’automaticità, la costanza della prestazione con il passare del tempo e l’integrazione con il movimento della mano. Le saccadi possono essere riflesse, indotte da modifiche di stimoli presentati nello spazio visivo periferico oppure volontarie. Durante la valutazione si verifica quindi prima la sussistenza della competenza riflessa attraverso l’utilizzo di stimoli singoli presentati dietro a griglie di mascheramento, stimoli a illuminazione alternante o stimoli in presentazione tachistoscopica al computer. Successivamente si valutano i movimenti saccadici volontari con richiesta di rintracciare un oggetto o una figura all’interno di una distribuzione di più elementi.
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Binocularità Sia durante le fissazioni, sia durante i movimenti di inseguimento e saccadici è necessario che entrambi gli occhi puntino sullo stesso oggetto. In questo modo, le immagini, lievemente differenti tra occhio destro e occhio sinistro, vengono fuse insieme in un’unica percezione visiva fornendo una sensazione tridimensionale dello spazio (stereoacuità). Un qualsiasi errore di allineamento impedisce lo sviluppo di questa abilità. L’assenza di allineamento oculare è definito con il termine di eterotropia, o strabismo, e numerose possono esserne le cause: paralisi muscolari, deficit innervativi, alterazioni strutturali dell’orbita e deficit di focalizzazione possono generare strabismi di varie forme e in varia misura. Negli strabismi generalmente si identifica un occhio fissatore, a eccezione dei casi in cui è presente una fissazione alternante tra occhio destro e sinistro, ed è rispetto a questo che occorre effettuare le valutazioni funzionali di fissazione e movimento. Esistono delle forme di non preciso allineamento binoculare che tuttavia il sistema centrale riesce a mantenere sotto controllo utilizzando un processo fusionale. Questi strabismi latenti, il cui termine corretto è eteroforia o foria, non si manifestano con una deviazione di un occhio se non in situazioni particolari di scompenso, spesso causate da un eccessivo affaticamento. Tuttavia le forie producono numerosi effetti su posizioni del capo, postura, efficacia, correttezza e rapidità di altre abilità visive. Metodi Una prima valutazione viene effettuata sulla stereoacuità. Per eseguire tale controllo si possono utilizzare sia degli stereotest come il Titmus, che richiedono l’uso di un occhiale polarizzante (Figura 10.15), sia tavole come il Lang, che non richiedono l’uso di occhiali. Nei bambini più piccoli è possibile ottenere sia una diretta risposta verbale sia più frequentemente un’aperta risposta motoria, con tentativi di afferramento. Rilevare una stereoacuità ci informa dell’esistenza di una sufficiente integrazione binoculare e di una percezione della profondità accurata, soprattutto alla distanza prossimale. In presenza di strabismo è importante identificare l’occhio fissatore, anche attraverso l’osservazione dei riflessi corneali. È importante anche che si verifichi la stabilità dell’occhio fissatore in differenti posizioni di sguardo e l’ampiezza del movimento oculare. Per quanto attiene alle forie, sono fisiologicamente presenti in tutta la popolazione in minima entità. Valori molto elevati di forie possono produrre rapido affaticamento soprattutto nel lavoro prossimale e, quando non adeguatamente compensate, possono manifestarsi in eterotropie. I metodi che consentono la valutazione delle forie sono molteplici e possono essere utilizzati anche con soggetti non collaboranti, come il cover test. Per una maggiore accuratezza in presenza di valori minimi le prove richiedono spesso un elevato livello di collaborazione dei pazienti.
Convergenza La convergenza è il movimento coniugato dei due occhi effettuato quando si devono osservare oggetti a distanza ravvicinata (Figura 10.3). Anche questo movimento è innescato per consentire il mantenimento di una visione binoculare singola con la foveazione di entrambi gli occhi sullo stesso oggetto.
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Figura 10.15 Titmus stereo test.
La convergenza diventa un elemento critico della visione nelle attività più prossimali, come la manipolazione, la lettura e la scrittura. Una difficoltà di convergenza, con perdite di allineamento e recupero successivo, rallenta anche tutti gli altri movimenti oculari di inseguimento e saccadici. Una situazione di particolare criticità è riscontrata per esempio nelle richieste rapide di spostamento della fissazione dalla lavagna al quaderno. La convergenza, attuata per mantenere la visione binoculare di oggetti vicini, è strettamente collegata con il meccanismo dell’accomodazione. Frequentemente si osserva nella clinica come i due processi possono interferire, spesso ostacolandosi ma a volte anche rinforzandosi. Metodi I movimenti di convergenza possono essere valutati sia in termini di punto più prossimo che si riesce a vedere singolarmente (Figura 10.16) sia in termini di velocità di spostamento della visione binoculare. Questo parametro diventa particolarmente critico quando al paziente si richiede di spostare lo sguardo tra punti a differenti distanze nello spazio. Un eccessivo rallentamento indica la necessità di utilizzare sistemi in cui stimoli e strumenti sono complanari. Non occorrono, invece, particolari accorgimenti per valutare la convergenza, se non quello di provvedere a un doppio canale di valutazione con stimoli che richiedono accomodazione (una bacchetta con delle scritte o figure), e stimoli che ne sono privi (una pallina o un gioco). Questo perché l’accomodazione può favorire una maggiore efficienza della convergenza.
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Figura 10.16 Punto prossimo di convergenza.
Accomodazione Il sistema ottico dell’occhio emmetrope, cioè privo dei difetti visivi come miopia, ipermetropia e/o astigmatismo, in condizioni di riposo consente una perfetta messa a fuoco delle immagini di oggetti posti all’infinito ottico, approssimato a 5 m (Figura 10.2). I raggi luminosi provenienti da qualsiasi oggetto più vicino andrebbero a focalizzare posteriormente alla retina producendo un’immagine confusa. Nella macchina fotografica questo problema è stato risolto spostando le lenti dell’obiettivo, nell’occhio umano avviene invece una modifica della conformazione del cristallino per effetto della contrazione del muscolo ciliare. Ciò consente di riportare l’immagine sulla retina. Come accennato in precedenza, l’accomodazione risulta strettamente collegata con la convergenza, in una sinergia che viene sfruttata per compensare alcuni deficit specifici. L’accomodazione può essere ridotta in ampiezza, spesso a causa di interferenze inibitorie indotte dalla vergenza, e rallentata nella risposta. L’ampiezza totale di accomodazione disponibile tende a decrescere con l’età, e mediamente verso i quarant’anni tale valore non consente più un’agevole lettura a distanza ravvicinata. Metodi Anche per l’accomodazione si valuta sia l’ampiezza sia la velocità di spostamento della focalizzazione. I metodi di valutazione dell’ampiezza accomodativa sono basa-
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ti sull’anteposizione di lenti negative o sull’avvicinamento di mire verso il soggetto. Non si deve dare inoltre per scontato che un deficit di ampiezza accomodativa si possa verificare solo in soggetti ultraquarantenni con presbiopia conclamata. La nostra esperienza ha dimostrato che spesso si osservano rilevanti cadute anche in bambini, e anche in quelli che non presentano patologie neurologiche o malformative. La velocità di spostamento della focalizzazione può similmente verificarsi utilizzando lenti alternativamente positive-inibitorie/negative-eccitatorie oppure con la richiesta di leggere a due distanze differenti. Nei soggetti non collaboranti è possibile valutare se c’è una sufficiente risposta accomodativa con l’utilizzo della tecnica della retinoscopia, che valuta oggettivamente il residuo di errore di focalizzazione in differenti condizioni di distanza dello stimolo. Si provvede quindi a verificare come si modifica la risposta spostando un oggetto che cattura l’attenzione del paziente da lontano a vicino. Pur non essendo totalmente accurato quantitativamente, consente tuttavia anche di verificare la stabilità o le variazioni di focalizzazione durante la fissazione di un oggetto.
La refrazione Il sistema ottico dell’occhio può essere affetto da alcuni errori di messa a fuoco causati da un non adeguato equilibrio tra lunghezza antero-posteriore dell’occhio e potere diottrico complessivo o per alterazioni nella forma e/o nella posizione delle lenti dell’occhio (Saunders et al., Jackson, 2010; Rossetti e Gheller, 1997). Si distinguono tre principali ametropie (Figura 10.17). 1. Miopia, in cui l’immagine si forma anteriormente alla retina. I raggi di luce provenienti da oggetti a distanza prossimale sono focalizzati correttamente. È generalmente dovuta a una lunghezza eccessiva del bulbo. 2. Ipermetropia, in cui l’immagine è collocata posteriormente alla retina. Non esiste un punto nello spazio da cui possono provenire i raggi luminosi risultando poi focalizzati sulla retina. È generalmente dovuta a una lunghezza ridotta del bulbo. 3. Astigmatismo, in cui le immagini risultano sdoppiate, potendosi quindi collocare ognuna sia prima sia dopo sulla retina. Ciò comporta anche in questo caso che non esiste una posizione nello spazio in cui i raggi siano tutti focalizzati sulla retina. L’ipermetropia è la condizione fisiologica alla nascita. È spontaneamente compensata utilizzando il meccanismo accomodativo. L’ipermetrope riesce quindi ad avere un visus nella norma a tutte le distanze, fino a che questo risulta sostenuto da adeguata accomodazione. L’accomodazione trascina dei movimenti di convergenza e ciò introduce spesso esoforia. Il perfetto visus dell’ipermetrope richiede un maggiore sforzo muscolare complessivo che si esaspera maggiormente nella visione prossimale. Le ametropie si compensano con le lenti oftalmiche differenti a seconda delle varie tipologie: le lenti positive (convesse, convergenti) si utilizzano per compensare l’ipermetropia, le lenti negative (concave, divergenti) si utilizzano nella miopia (Figura 10.17). Per l’astigmatismo, invece, vengono utilizzate lenti toriche.
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Figura 10.17 Ametropie. Dall’alto: occhio ipermetrope e occhio miope.
Un’importante precisazione è relativa all’unità di misura del potere diottrico delle lenti, la diottria (D), che viene definita come l’inverso della distanza focale (f) in metri (D =1/f) (Catalano, 2006). Questo è un dato fisico che non fornisce alcuna indicazione sul visus del soggetto. Metodi I metodi utilizzabili per quantificare un’ametropia e determinare la prescrizione oftalmica sono estremamente numerosi e ben noti a tutti gli optometristi. Può essere utile soltanto ricordare alcuni semplici accorgimenti. L’uso del forottero non è consigliabile in soggetti con nistagmo perché questo strumento impone una postura che spesso non consente al paziente di raggiungere il proprio punto di blocco. La valutazione più utile nei soggetti con quadri clinici di particolare gravità è quella che si ottiene in condizioni binoculari, in cui interferenze e compensi reciproci possono produrre risposte a volte inattese. In situazioni di ridotta collaborazione del paziente, siamo indotti a determinare una correzione oftalmica solo con metodi oggettivi, ma occorre poi verificare, con l’uso dell’occhiale di prova, se le altre abilità visive ne traggono vantaggio o se, addirittura, non si osservi un deterioramento delle abilità. È questo il caso, per esempio, delle miopie medio-elevate che consentono un’ottima visione a distanza prossimale e che, una volta corrette, pur migliorando il visus a distanza, rendono molto difficoltoso l’uso della visione prossimale.
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Il campo visivo Rappresenta la porzione di spazio dalla quale il soggetto acquisisce informazioni visive. Il campo visivo binoculare ha un’estensione maggiore sul piano orizzontale e inferiore sull’asse verticale. Ciò è dovuto sia alle limitazioni anatomiche sia alla sommazione dei singoli campi visivi monoculari (Figura 10.8). Il campo visivo non è indifferenziato ma si riconoscono un’area centrale e un’area periferica, in cui il visus decresce progressivamente in funzione della distanza dalla fovea. In molte patologie sia retiniche sia delle vie visive o centrali si osservano dei deficit del campo visivo. A livello monoculare spesso il campo visivo risulta limitato solo in qualche meridiano, ma si possono verificare anche perdite di tutto il campo periferico con una visione tubulare limitata alla regione centrale in cui si conserva un adeguato visus. Viceversa, in alcune maculopatie vi è perdita di visione centrale e viene preservata la visione periferica. Nelle miopie elevate e in altre patologie oculari si verificano degli scotomi, aree cieche più o meno ampie ma delimitate, in varie posizioni sulla retina. Quando il danno si verifica dalla zona del chiasma in poi, verso il NGL, si osservano perdite di campo visivo in entrambi gli occhi. Si possono verificare emianopsie e quadrantopsie omologhe o controlaterali (Figura 10.18). Le lesioni dell’area corticale V1 provocano cecità nelle zone topograficamente connesse con la retina.
Figura 10.18 Deficit di campo visivo risultante da danni in punti differenti delle vie visive. Il diagramma a sinistra illustra l’organizzazione delle prime vie visive e indica le sedi delle varie lesioni. A destra sono illustrati i deficit di campo visivo associati a ciascuna lesione. Dall’alto: cecità dell’occhio destro, emianopsia bitemporale (eteronoma), emianopsia omonima sinistra, quadrantopsia superiore sinistra, emianopsia omonima sinistra con risparmio foveale.
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La presenza di danni a livello del campo visivo condiziona le scelte che devono essere fatte in merito a eventuali ausili da adottare, alle loro caratteristiche e al loro posizionamento. Metodi La valutazione del campo visivo è eseguita con numerosi strumenti, attualmente quasi sempre computerizzati. Le prove effettuate attraverso questi strumenti richiedono un’elevata attenzione, un’ottima comprensione del compito e sufficienti abilità manuali. Per molti degli utenti dei centri ausili, quindi, risulta quasi impossibile poterli effettuare con modalità standard. Il test viene perciò eseguito con metodi comportamentali, sfruttando il riflesso di orientamento verso oggetti a comparsa periferica. Queste tecniche non consentono di misurare in maniera dettagliata tutte le aree di riduzione del campo visivo, ma permettono di evidenziare le asimmetrie di campo e le riduzioni più significative.
Capacità percettive superiori Numerose abilità percettive superiori possono essere indagate nel corso di una valutazione optometrica. Le più importanti risultano essere le seguenti. •
Le competenze di riconoscimento di una mira in varie condizioni di affollamento con stimoli interferenti, con rotazioni e modificazione del modulo d’ingrandimento, con sfondo più o meno confondente.
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La memoria visiva a breve e lungo termine (Denes e Pizzamiglio, 1996).
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I rapporti spaziali tra le mire e tra mire e spazio percettivo (Greene et al., 2010).
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Lo span percettivo, inteso come quantità di spazio che contiene informazioni che possono essere acquisite con una singola fissazione.
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La sensibilità all’affollamento percettivo, intesa come decadimento del riconoscimento di stimoli in periferia se circondati da altri elementi.
Tutte queste abilità e molte altre possono risultare significative in specifici casi clinici. Tuttavia la loro incidenza sulla significatività complessiva dell’esame è spesso ridotta. Metodi La maggior parte di questi test prevede una procedura di somministrazione standardizzata, che però frequentemente deve essere modificata per adeguarla alle difficoltà dei nostri pazienti. Questo non ci consente di utilizzare i dati normativi ma può ugualmente fornire importanti indicazioni sulle abilità del nostro paziente, almeno in termini qualitativi. È quindi fondamentale un’accurata scelta dei test studiata e adattata per ogni singolo caso, sulla base del quadro clinico e degli obiettivi che l’intera equipe si propone. In conclusione di questo paragrafo si aggiungono alcune considerazioni fondamentali. Nei soggetti con deficit neurologici, di qualunque natura, che sono oggetto
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di una valutazione della funzione visiva, bisogna ricordare che le loro prestazioni non sono costanti in tutte le condizioni posturali. Spesso si osservano dei cambiamenti enormi con variazioni del sistema di postura, di controllo del capo, ma anche passando dalla posizione seduta a quella sdraiata. Ovviamente è necessario avere ben chiari quali cambiamenti avvengono sia per un’adeguata organizzazione della postazione di utilizzo delle tecnologie assistive sia per essere in grado di pianificare un eventuale periodo di preparazione possibile con un addestramento specifico (visual training).
10.3 Ruolo dell’optometrista nel processo di valutazione delle tecnologie assistive La descrizione fatta nei paragrafi precedenti mirava a fornire una sommaria informazione sulla visione e sulle specifiche abilità che concorrono a renderla efficiente. Ciò è sempre vero in ogni situazione clinica ma nel caso specifico del processo di valutazione delle tecnologie assistive (ATA process) è necessario utilizzare un approccio opportuno al fine di ottimizzare il lavoro di tutta l’equipe del centro ausili. Un optometrista deve fornire sempre alcune informazioni fondamentali (Leslie, 2004), qualunque sia il grado di disabilità dell’utente, e deve presentarle in modo da consentire agli altri specialisti coinvolti di poter adattare il loro intervento. La domanda fondamentale che ci viene posta è: “Può il soggetto utilizzare il canale visivo per controllare e/o interagire con tecnologie assistive?”. Se la risposta è affermativa dobbiamo rispondere alla successiva domanda: “Quali sono i limiti operativi del paziente?”. Per esempio, nella nostra equipe, è una prassi consolidata che si indichi non solo il visus di un soggetto ma anche a quale dimensione equivalente di stimolo corrisponde quel visus alle differenti distanze di lavoro. Limitazioni nei movimenti saccadici ci porteranno a consigliare l’uso di sistemi con scansioni ridotte sia in numerosità sia in ampiezza e con target posizionati in modo da minimizzare l’effetto del deficit visivo sulla prestazione globale. Per ognuna delle funzioni sopra elencata si può e si deve dare una precisa indicazione. Ciò non vuol dire fornire sempre un valore assoluto. Per esempio, in un paziente con strabismo e soppressione dell’occhio deviato non si andranno a quantificare le competenze residue di quest’occhio, poiché l’obiettivo non è quello di effettuare una riabilitazione visiva ma di aiutarlo nella scelta dell’ausilio più idoneo: si informerà quindi l’equipe che il soggetto non utilizza funzionalmente l’occhio deviato e che ogni riferimento alle competenze valutate è da considerare relativo solo all’occhio fissatore. Lo scambio d’informazioni tra l’optometrista e il suo team deve essere continuo e bidirezionale (Figura 10.19). L’equipe dovrà informare l’optometrista delle varie ipotesi di lavoro verso cui si orienterà durante le prove con l’utente, mentre l’optometrista a sua volta dovrà fornire le informazioni sulle abilità visive del paziente calate nella concretezza dell’ipotesi di intervento prevista.
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Figura 10.19 ATA process.
Per esempio non sarà necessario effettuare misure dettagliate del campo visivo se l’equipe ha in previsione un intervento per un sistema con estensione spaziale minimale. D’altra parte l’optometrista deve possedere un ottimo bagaglio di conoscenze relativamente al settore delle tecnologie assistive esistenti tale da consentirgli di formulare anche ipotesi alternative rispetto ai programmi originari che dovranno essere successivamente testate dal team multidisciplinare ATA. Le informazioni fornite devono essere quanto più possibile riferibili a un ambiente reale e non limitarsi a un’elencazione di numeri, scientificamente ineccepibili ma operativamente di difficile interpretazione e quindi di scarso utilizzo. Per questo dire che il paziente ha un visus di 1/10 a 50 cm dice molto meno rispetto alla comunicazione “il paziente riesce a riconoscere alla distanza di 50 cm oggetti o simboli o lettere differenziando particolari di 7 mm”. Le indicazioni riguardanti l’ampiezza dei movimenti saccadi, per esempio, potrebbero essere maggiormente significative per l’equipe se riferite alle dimensioni di un monitor piuttosto che a un’ampiezza angolare. Oppure la velocità con cui si riesce a effettuare un movimento d’inseguimento senza perdite di fissazione potrà essere un elemento fondamentale da considerare nella determinazione della velocità di spostamento del cursore del mouse.
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La stabilità della fissazione e la qualità del movimento saccadico saranno, invece, importanti vincoli nella determinazione di efficienti interfacce nell’uso di software ma anche nell’utilizzo di materiale cartaceo come tabelle o testi (Orlandi, 2003). L’optometrista, se entra realmente a far parte dell’equipe, rappresenta una risorsa fondamentale per ottimizzare tutte le valutazioni e per raggiungere in tempi molto più rapidi il risultato ottimale che altrimenti sarebbe raggiunto più lentamente e solo attraverso tentativi ed errori. Questo risultato ottimale potrebbe non essere mai raggiunto se ci si ferma alla conclusione che, comunque, non si può fare di meglio; magari bastava informare l’equipe che quel particolare paziente, con quella determinata limitazione visiva, avrebbe ottenuto un marcato miglioramento visivo posizionando il monitor quasi orizzontale, in basso alla sua destra (questo esempio è relativo a un paziente realmente osservato). Da parte sua, l’optometrista che entra per la prima volta a far parte di una simile struttura deve fare due importanti sforzi professionali: il primo, più semplice, è quello di studiare il mondo degli ausili, lavorare a stretto contatto con gli altri operatori e pensare a come tutte le sue conoscenze si possano applicare in situazioni così poco standardizzate. Il secondo, molto più complesso e affascinante, è legato all’ipotesi che ogni singolo utente che si rivolge a un centro ausili è un caso speciale e unico e dobbiamo prevedere tutte le possibili variazioni delle nostre procedure d’esame per poterlo affrontare nel modo più idoneo. Bisogna cominciare a imparare, soprattutto dai pazienti, a essere flessibili nelle procedure e rigidi negli obiettivi. Non ci sono e non dovranno mai esserci pazienti “che non collaborano”: questa è solo una misera scusa per cercare di mascherare le nostre limitazioni. Qualsiasi individuo, se lo sappiamo osservare con i giusti strumenti, può dare indicazioni importanti sulle sue competenze visive.
10.4 Caso clinico 1: valutazione delle funzioni visive, percettive e motorie Il bambino presenta un riflesso corneale simmetrico. Al cover test la risposta è orto. Il bambino è in grado di seguire lentamente utilizzando un normale movimento della testa mentre è sdraiato. Da seduto, il bambino riesce a seguire anche verticalmente, ma è condizionato dal difficile controllo della testa. La valutazione dello stato refrattivo mostra ipermetropia nel range fisiologico per l’età. Durante la fissazione di oggetti prossimali si è notata, in retinoscopia, una risposta accomodativa, e sono stati osservati sporadici movimenti di convergenza. I movimenti saccadici sono corretti nella metrica, ma c’è una latenza di reazione che è superiore a quello standard. La metrica è adeguata fino a un’ampiezza delle saccadi di 20°. L’acuità visiva, valutata sia attraverso elicitazione del riflesso optocinetico sia mediante tecniche di sguardo preferenziale è 6 c/g. La giovane età del bambino e l’importante patologia neuromotoria non consentono in questo caso di utilizzare valutazioni soggettive delle competenze visive. Occorre quindi procedere cercando di elicitare tutte le risposte visive possibili con variazioni di dimensioni e contrasto delle mire, anche associandole a stimoli tattili o sonori.
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La prima valutazione effettuata sul bambino è stata quella riguardante la capacità di fissazione. All’esame del riflesso corneale della mira luminosa di fissazione, questo è risultato simmetrico e centrato in entrambi gli occhi. Non sono stati osservati movimenti nistagmoidi o scivolamenti laterali (Traccis, 1992). Ciò depone a favore di una visione binoculare, non necessariamente bifoveale. Un’ulteriore conferma dell’assenza di forie significative o di tropie è rappresentato dal cover test. Questo esame non richiede altro che il mantenimento della fissazione su un punto dello spazio mentre viene alternativamente coperto un occhio. Tale test viene ripetuto sia con la mira posta vicino sia con la mira a distanza. In entrambi i casi, la risposta è stata orto. Questo termine indica che lo spostamento dell’occlusione sia nell’OD sia nell’OS non ha provocato movimenti compensatori né dell’occhio fissatore né di quello coperto. Entrambe queste due osservazioni consentono di escludere la presenza di strabismo. Una volta che è stato completato il primo livello di valutazione delle competenze visive, con il riscontro di una sufficiente capacità di fissazione, si è proceduto alla valutazione dei movimenti oculari di inseguimento lento dalla quale è emersa la capacità di compierli con fluidità su tutto il piano orizzontale, con un compenso posturale del capo nelle posizioni più estreme. Questo tipo di risposta è assolutamente fisiologica nei bambini più piccoli, mentre con la crescita si nota una progressiva segregazione del movimento degli occhi da quello del capo. Il movimento d’inseguimento sul piano verticale è generalmente più complesso, sia per la struttura anatomica dei muscoli extraoculari sia per la minore frequenza con la quale utilizziamo tale particolare movimento oculare. Il bambino dimostra di riuscire a fare il movimento in verticale ma non controlla con la stessa adeguatezza il capo e ciò porta a perdite di fissazione. Questa osservazione dovrà indirizzare verso l’utilizzo di stimoli visivi con minore espansione verticale e comunque con una particolare attenzione alla postura. L’esame successivo è stato quello dello stato refrattivo, effettuato mediante retinoscopia durante la quale si utilizzano vari accorgimenti per far mantenere al bambino la fissazione a distanza. Se per esempio sono presenti i genitori, li si può coinvolgere nella valutazione chiedendo loro di portarsi alla distanza di esame di 3 metri e di chiamare il bambino mostrandogli dei giocattoli, meglio se sonori e luminosi. In alternativa si possono utilizzare dei cartoni animati sul computer. Si osserva inoltre che, in assenza di una forte stimolazione a distanza, la luce dello strumento attira l’attenzione del bambino che ruota lo sguardo per guardare verso l’esaminatore. Per neutralizzare il movimento del riflesso retinico si utilizzano spesso le stecche di lenti (una lunga guida su cui sono inserite numerose lenti di potere progressivo). Tuttavia, per il loro ingombro i bambini mostrano, a volte, di spaventarsi. Preferiamo quindi utilizzare lenti singole della cassetta di prova, anche se ciò allunga leggermente i tempi dell’esame. Il bambino ha mostrato una minima ipermetropia nei limiti fisiologici per l’età. In queste valutazioni non è necessaria la massima accuratezza ma è fondamentale cogliere le anisometropie, ossia le differenze di stato refrattivo tra occhio destro e occhio sinistro. Lo stesso test è stato ripetuto collocando la mira di fissazione alla distanza di manipolazione ed è stato possibile osservare il cambiamento di focalizzazione, che
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rappresenta l’indicatore dell’attivazione dell’accomodazione. Inoltre l’avvicinamento della mira ha prodotto dei movimenti di convergenza, che tuttavia non sono rimasti stabili. Si osservano frequentemente questi movimenti di convergenza non stabili, e ciò è spesso legato più a fattori attenzionali, con spostamento dell’attenzione visiva verso la periferia, piuttosto che a deficit di convergenza. È importante sottolineare che generalmente, ma non sempre, la presenza d’ipermetropia è associata a esoforia che facilita i movimenti di convergenza. L’analisi dei movimenti saccadici, attraverso la presentazione di stimoli singoli, ha mostrato una metrica corretta, che si è mantenuta tale, entro i 20°, ma con un’eccessiva latenza di risposta: un lieve aumento della latenza di risposta non risulta particolarmente significativo in questo caso, anche a fronte della metrica corretta. Il visus è stato valutato con due tecniche differenti, proprio per integrare e confermare i dati rilevati. La prima tecnica è stata quella dell’elicitazione del nistagmo optocinetico, ed è stata eseguita utilizzando un’ampia banda con il reticolo a onda quadra stampato sopra e mosso lentamente in entrambe le direzioni (destra e sinistra e viceversa) piuttosto che usare il solito tamburo. Si è osservato, infatti, che la maggiore ampiezza del campo visivo coperta dal reticolo facilita la comparsa del nistagmo. L’altra tecnica è stata quella dello sguardo preferenziale, che ha portato a osservare una risposta del bambino al test fino a reticoli di 6 c/g. Ciò corrisponde, con sommaria approssimazione a circa 2/10, dimensioni dei caratteri di un libro per bambini.
10.5 Caso clinico 2: valutazione delle funzioni visive, percettive e motorie Il paziente è stato valutato dopo il bendaggio dell’occhio destro per eliminare la diplopia senza indossare gli occhiali prescritti per lieve miopia e astigmatismo. Si osserva un nistagmo verticale più evidente nell’occhio destro (OD) all’inizio della valutazione che successivamente è apparsa anche nell’occhio sinistro (OS). Il paziente può effettuare movimenti orizzontali solo spostando completamente la testa, mentre riesce a eseguire i movimenti di inseguimento verticale con più facilità, senza un eccessivo movimento della testa. Si è osservato un minimo movimento in direzione nasale, senza nessuna grande differenza tra OD e OS. Il visus monoculare era OD 1/10 e OS 3/10 sia a distanza sia al punto prossimo. Tuttavia, si consiglia di utilizzare caratteri non inferiori a 5 mm. C’è un minimo lento movimento di convergenza. Non è stato possibile elicitare un efficace movimento saccadico ma anche in questo caso il paziente riesce a compensare con il movimento della testa. Il paziente può effettuare un’adeguata scansione degli stimoli se risultano adeguatamente segregati. La consapevolezza periferica è normale. Il quadro globale del paziente è risultato piuttosto complesso. Il danno cerebrale ha indotto uno strabismo ad angolo variabile e un nistagmo con battuta verticale in entrambi gli occhi, più accentuato nell’OD. Ciò ha inoltre comportato per il paziente una diplopia che, al momento della valutazione, non era compensata dal bendaggio dell’occhio non dominante. In casi come questi la lamentela principale dei pazienti è proprio inerente ai fastidi arrecati da una visione doppia che disturba molto di più di
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eventuali sfocamenti d’immagine dovuti ad ametropie. Per effetto della variabilità dell’angolo di deviazione non è stato possibile utilizzare lenti prismatiche compensatorie e l’unico rimedio attuabile è risultato quello di occludere l’occhio sinistro per ottimizzare il residuo visivo. Il paziente utilizza una correzione oftalmica per una minima miopia e astigmatismo, ma durante la valutazione è stato tolto l’occhiale abitualmente utilizzato con l’obiettivo di favorire la messa a fuoco alla distanza di test di 50 cm, considerando anche l’età (37,6 anni), in cui è frequente osservare i primi segni di presbiopia. L’analisi dei movimenti di inseguimento ha evidenziato che, sul piano orizzontale, l’utente ha la possibilità di effettuarli solo con un marcato coinvolgimento del capo. Ciò ha indicato una sufficiente funzionalità foveale che stimola risposte motorie, oculari in prima battuta ma anche compensatorie con capo e tronco, per mantenere l’immagine all’interno dell’area maculare. Tuttavia, nello specifico caso, questa tipologia di risposta ha comportato un accentuato rallentamento esecutivo. Nei movimenti di inseguimento sul piano verticale si è osservata una maggiore facilità di esecuzione con un minore coinvolgimento del capo. Anche i movimenti di convergenza sono risultati possibili ma sono eseguiti con estrema lentezza. Tutto ciò ha indotto a consigliare l’utilizzo di un’unica distanza di lavoro alla quale collocare tutto ciò che deve essere raggiunto visivamente. La valutazione del visus ha mostrato un’accentuata riduzione, OD (1/10) e OS (3/10), sia alla distanza di lettura sia da lontano. Riferendoci all’OD ciò indica una capacità di risoluzione in grado di riconoscere lettere di 3 mm alla distanza di 50 cm: è stato possibile ottenere questo valore solo creando le migliori condizioni possibili, attraverso la proposta di stimoli isolati e senza i vincoli di richieste pressanti. Tale risultato ha portato al suggerimento di usare dimensioni del carattere non inferiori a 5 mm, per facilitare il riconoscimento anche quando la fissazione non è perfettamente centrata sulla lettera stessa, e non tanto grandi da costringere a spostamenti eccessivi dello sguardo durante la scansione. Durante l’esame non è stato possibile elicitare un movimento saccadico orientato verso uno stimolo definito. Il paziente anche in questo caso è ricorso al compenso del capo per girarsi verso l’elemento significativo nel suo spazio percettivo. In generale questo tipo di risposta, producendo dei movimenti marcatamente più lenti rispetto a quelli saccadici, non è adeguato per effettuare una lettura fluida e continua. Viene inoltre influenzata anche l’accuratezza dei movimenti che risulta molto ridotta con la conseguente possibilità molto accentuata di puntare su uno stimolo non richiesto quando questo è ravvicinato allo stimolo target. Per aumentare l’accuratezza del puntamento dello sguardo occorre quindi diradare gli stimoli, aumentandone la distanza reciproca. Quest’ultima indicazione, però, è in contrasto con quella precedente, relativa alla difficoltà di effettuare movimenti di inseguimento sul piano orizzontale. In questo caso occorre verificare in maniera empirica quale possa essere la migliore combinazione di separazione e collocazione.
10.6 Il visual training Queste brevi note illustrano una delle possibili ulteriori soluzioni offerte dall’optometria. In molti pazienti, le limitate competenze visive possono essere migliorate con
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l’utilizzo di particolari tecniche di stimolazione del processo visivo che vengono riunite sotto il termine di visual training (Adler, 2002; Gallaway, 2002; Shainberg, 2010). Il visual training non è solo uno specifico allenamento degli occhi, ma un’integrata sequenza di procedure che aumentano il livello di efficienza del processo visivo, attraverso protocolli di stimolazione multicanale (vista, udito, tatto, propriocezione, equilibrio e così via) e con l’integrazione con aspetti cognitivi (Martinoli e Delpino, 2009). Si fa cenno a quest’opportunità giacché si sono osservati spesso pazienti che mostrano un livello di abilità visive così basso da rendere molto limitato il range di scelte di tecnologie assistive ma che, tuttavia, mostrano delle potenzialità di miglioramento rilevanti. Riuscire a ottenere anche un minimo progresso può consentire l’utilizzo di strumenti più efficaci, con un feedback positivo anche sulle modalità di utilizzo della visione stessa, innescando nel complesso un circolo virtuoso. È questo per esempio il caso in cui si evidenziano delle marcate difficoltà di inseguimento lento in posizione seduta, che invece si riducono in posizione supina. Le interferenze indotte dalla necessità di controllo posturale eliminano anche le minime possibilità di lavorare in modo efficiente quando la persona è seduta. In questi soggetti non sarebbe proponibile l’utilizzo di un computer dotato di un sistema con cursore, in quanto non riuscirebbero a seguirne la traiettoria e si vedrebbero costretti a compiere una ricerca del cursore a ogni perdita della fissazione. Si potrebbe in alternativa utilizzare un cursore “visivamente ingombrante” che sia facilmente recuperato e fortemente rallentato: questi accorgimenti, però, comporterebbero la perdita di molte delle funzioni di interattività peculiari dello strumento informatico. In queste situazioni, quindi, risulta utile far effettuare al soggetto dei cicli di visual training mirati a migliorare in particolare le funzioni di inseguimento nelle diverse condizioni posturali. La descrizione delle tecniche utilizzate esula dai fini di questo libro, ma in sintesi è bene ricordarsi di intervenire partendo da situazioni a minimo carico visivo e posturale aumentando progressivamente gli elementi interferenti, in una prospettiva quanto più possibile ecologica (Padula, 1996; Sabel e Kasten, 2000). Si ritiene importante limitare al massimo l’utilizzo di strumenti che inducono alterazioni innaturali, sistemi stereoscopici e polarizzanti, con l’eccezione dei prismi gemellati. Questo tipo di lente, infatti, produce una distorsione dello spazio ambientale percepito che induce un riflesso di riorganizzazione posturale, che può essere sfruttato, anche come facilitazione durante l’utilizzo di tecnologie assistive.
10.7 Conclusioni In questo capitolo si è tentato di mostrare il ruolo del processo visivo, inteso come competenza complessa che coinvolge sia aspetti periferici sia centrali, in relazione al processo di valutazione e individuazione di una tecnologia assistiva appropriata. Alcuni aspetti procedurali e tecnici sono stati volutamente omessi perché sono troppo complessi per essere integrati in questo progetto. Abbiamo cercato comunque di fornire alcune semplici indicazioni operative agli optometristi che si avvicinano al mondo di ATA. L’importanza del ruolo della visione nel processo di assegnazione delle tecnologie assistive deve essere compreso da tutti gli operatori. Spesso si è por-
L’optometrista 239
tati a fare delle inferenze sulle abilità visive del paziente osservandolo in un ambiente non strutturato, durante i colloqui o nel corso di valutazioni funzionali. Al variare delle condizioni ambientali le richieste sul sistema visivo possono differire anche in misura rilevante senza che ce ne sia una palese evidenza. Il fatto di osservare che il paziente esplora con facilità gli oggetti in una stanza non deve portarci alla conclusione che un simile adeguato pattern di scansione possa essere riprodotto quando deve esplorare delle figure su un foglio a 30 cm dal suo viso. Anche se ciò spesso è vero, non lo è sempre, e in questi casi rischiamo di imputare a una limitazione più centrale un vincolo che in realtà potrebbe essere aggirato con un mirato approccio. L’altro punto che occorre sempre sottolineare è che non bisogna mai fare affidamento solo alla valutazione funzionale della visione. L’esperienza dimostra che anche nel peggiore dei casi, tranne quelli di cecità, il residuo visivo, non importa quanto grande o piccolo, può essere utilizzato per sostenere tutte le attività e gli strumenti che vengono proposti. A volte bisognerà ricorrere all’utilizzo di accorgimenti tecnici molto specifici, come i prismi gemellati, altre volte sarà invece necessario utilizzare soluzioni non ortodosse ma efficaci. Per quanto riguarda specificatamente le competenze dell’optometrista ribadiamo la necessità di vivere l’ambiente delle tecnologie assistive. La propria formazione deve amalgamarsi con le richieste degli operatori che vogliono sapere da lui su quale sentiero camminare. Bisogna anche avere la capacità di riconoscere la propria limitazione nel proporre soluzioni certe, come nel secondo caso clinico. Pur avendo chiaro il funzionamento visivo e i limiti del soggetto sarà solo con una verifica empirica che si potrà determinare la migliore soluzione. Infine un breve cenno alla strumentazione da utilizzare. L’optometrista dispone d’innumerevoli strumenti atti a valutare ogni ambito della visione. Tuttavia in questo particolare settore ci si troverà spesso a dover letteralmente inventare degli strumenti per casi speciali. Occorre sempre tener presente che lo scopo della valutazione visiva nell’ambito delle tecnologie assistive deve mirare soprattutto a identificare le funzioni presenti e non solo a quantificare il deficit del paziente.
Capitolo
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Il terapista occupazionale: attività di abilitazione e partecipazione con le tecnologie assistive
D. de Jonge, P.M. Wielandt, S. Zapf, A. Eldridge
Questo capitolo descrive il contributo unico dei terapisti occupazionali nella selezione e nell’utilizzo di tecnologie assistive. I terapisti occupazionali usano un approccio olistico che riconosce la transazione tra la persona, le attività di cui hanno bisogno o nelle quali vogliono impegnarsi e gli ambienti in cui vengono svolte queste attività. In tal modo, essi possono identificare le esigenze specifiche della tecnologia e accertarsi che sia in grado di soddisfare gli obiettivi e le competenze della persona nonché le esigenze di attività, attuali e future, e ambientali. Una comprensione dettagliata di questi requisiti permette anche al terapeuta di personalizzare la tecnologia per garantire che possa essere utilizzata in modo efficiente ed efficace. I terapisti occupazionali lavorano anche con la tecnologia assistiva in possesso dell’utente per promuoverne la comprensione e l’applicazione, in modo che l’utente possa monitorarne l’utilità in corso d’uso.
11.1 Le prospettive del terapista occupazionale I terapisti occupazionali (TO) utilizzano un approccio olistico là dove riconoscono la transazione tra la persona, le attività di cui hanno bisogno, o in cui vogliono impegnarsi, e gli ambienti in cui tali attività vengono intraprese. L’occupazione o l’impegno nell’attività e la partecipazione si ritiene che possano giocare un ruolo essenziale nella vita umana e influenzare lo stato di salute delle persone (Kielhofner, 2004). L’interruzione dell’occupazione, o dell’impegno nell’attività, ha un effetto sulla qualità della vita delle persone, limita il loro sviluppo, riduce la capacità e porta a reazioni di disadattamento (Kielhofner, 2004). Al contrario, rimuovere le barriere riferibili alla partecipazione consente agli individui di impegnarsi nelle occupazioni necessarie e ambite; ciò si traduce in un miglioramento della salute (Kielhofner, 2004). Ogni persona viene considerata in grado di soddisfare contemporaneamente una varietà di ruoli, che richiedono di svolgere diverse attività in una serie di ambiti. Tali attività vanno dalla cura personale, alle attività domestiche, al lavoro, al tempo libero e alla vita sociale. Le persone hanno preferenze particolari, interessi e aspettative, che influenzano tanto la scelta delle loro attività, quanto il modo in cui tali attività vengono intraprese. Queste ultime vengono eseguite all’interno e attraverso una serie di ambiti, e ciascun ambito, offrendo opportunità specifiche di partecipazione, presenta dimensioni fisiche, sociali e culturali che possono costituire ulteriori sfide. Dal momento che raramente le circostanze rimangono costanti, anche l’aspetto temporale dell’ambiente viene ritenuto importante nella scelta e nell’utilizzo delle TA, dato che l’esperienza che le persone hanno fatto con la tecnologia e le aspettative che possono
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avere per il futuro possono circoscrivere le loro preferenze tecnologiche e le loro esigenze. In aggiunta, il mondo virtuale di Internet è un ambiente nel quale le persone devono essere in grado di operare, e offre altresì particolari occasioni per coloro che hanno difficoltà nel navigare e nel partecipare alla vita che si svolge sia in ambienti naturali sia costruiti. Questa visione transattiva della persona, delle attività e dell’ambiente è supportata da una serie di modelli di terapia occupazionale che includono il Person-Environment-Occupation (Law, Cooper, Strong, Stewart, Rigby e Letts, 1996) e il Person Environment Occupation Performance (PEOP; Christiansen e Baum, 1997) e ben si allinea ai modelli di TA come lo Human Activities and Assistive Technology (HAAT; Cook, Polgar e Hussey; Hussey, 2002) e il Matching Person & Technology (MPT; Scherer, 2005), come pure la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF; OMS, 2002). Sebbene la terminologia e l’efficacia varino, lo scopo primario di ciascuno di questi modelli è quello di ottimizzare l’attività e la partecipazione. Ogni modello riconosce anche l’interazione dinamica e reciproca tra la persona, l’attività e l’ambiente. Sono tutti fondati sulla nozione di “buona adattabilità” o sull’incontro tra le abilità e le competenze della persona, le offerte e le domande occupazionali e ambientali. I modelli, inoltre, rispecchiano il valore che ha il movimento nella disabilità, laddove l’ambiente è visto come un fattore che può produrre sia disabilità sia valore (Brown, 2009). Data la complessità della situazione di ciascuna persona, i terapisti occupazionali utilizzano un approccio incentrato sul cliente, in base al quale la prospettiva unica di ciascuna persona viene riconosciuta e apprezzata. Gli individui vengono considerati come portatori di caratteristiche e di capacità personali distintive e di esperienze di vita che influenzano le loro priorità e le loro preferenze. I metodi di valutazione si concentrano nell’individuare sia gli obiettivi dell’utente TA, sia le specifiche preoccupazioni sulle attività che cercano di raggiungere, sia sugli ambienti in cui queste devono essere intraprese. Sono state selezionate strategie informali e standardizzate per assicurare che •
questioni di prestazioni professionali o problemi in genere vengano individuati dall’utente di TA e dalla sua famiglia;
•
sia riconosciuta la natura unica della partecipazione di ogni persona nelle varie occupazioni;
•
vengano registrate le occasioni per entrambi questi aspetti: l’esperienza soggettiva e le qualità visibili della performance occupazionale;
•
gli utenti delle TA (e di altri strumenti pertinenti) abbiano voce in capitolo relativamente a come i risultati vengono valutati;
•
vengano riconosciute le qualità uniche degli ambienti di applicazione;
•
gli utenti delle TA e le loro famiglie siano attivamente impegnati durante tutto il processo, affinché venga offerta la possibilità di capire sia la prospettiva sia le preoccupazioni di ogni parte interessata coinvolta nel processo stesso (Law e Baum, 2005).
Il terapista occupazionale 243
Una volta che la situazione dell’individuo è stata pienamente esaminata e articolata, i terapisti occupazionali utilizzano un insieme equilibrato di arte e scienza per indirizzare creativamente e sistematicamente verso gli obiettivi specifici della singola persona.
11.2 Panoramica degli interventi utilizzati dai TO e il posto delle TA all’interno di questi Le attività vengono generalmente intraprese utilizzando una combinazione di strategie, strumenti e supporti sociali e fisici nell’ambiente (Dunn, Brown e McGuigan, 1994; Enders e Leech, 1996), giacché, quando inizia una determinata attività, un individuo usa un insieme unico di tali risorse. Litvak ed Enders (2001) hanno descritto questo sistema che può essere di supporto per la capacità umana in generale e, allo stesso modo, per il funzionamento delle persone con disabilità, in quanto variamente supportate dalle strategie adattive, dai dispositivi assistivi (strumenti) e dall’assistenza personale o sostegno sociale (Figura 11.1). I terapisti cercano di ottimizzare l’attività di impegno, o di rendimento, migliorando l’adattamento che deve sussistere tra la persona, da una parte, e le sue occupazioni, i ruoli e gli ambienti pertinenti, dall’altra. Lavorando con le capacità uniche, le abilità, le preferenze e le esperienze di ciascun individuo, i terapisti esaminano come le strategie, gli strumenti e l’ambiente, sia sociale che fisico, operano nel momento presente come supporto per l’attività di impegno dell’individuo e valutano come essi potrebbero essere modificati per ottimizzare il rendimento. I terapisti lavorano con il cliente per assicurare che le sue capacità e abilità siano state ottimizzate, prima di introdurre strategie alternative o nuovi strumenti. Per esempio, se un terapista rileva che la persona è mal posizionata, analizzerà l’effetto del riposizionamento o di come supportare la persona nella performance prima di esplorare i dispositivi assistivi. Allo stesso modo, un individuo con un’esperienza limitata nell’utilizzo della tastiera potrebbe trarre profitto allenando le sue abilità prima di introdurre un metodo alternativo di accesso. Le TA sono state a lungo considerate una strategia di intervento essenziale dai terapisti occupazionali (Ostensjo, Carlberg e Vollestad, 2005). Tradizionalmente considerati come accomodamenti in caso di perdita di una funzione, i dispositivi assistivi venivano prescritti frequentemente dai terapisti in base alla menomazione del singolo. Per esempio, una sedia a rotelle manuale sarebbe stata consigliata a un soggetto con paraplegia, poiché costui avrebbe potuto spingerla in modo indipendente, mentre una motorizzata sarebbe stata consigliata a un individuo con tetraplegia, dal momento che quest’ultimo non sarebbe riuscito a utilizzare le proprie braccia per spingerla. Tuttavia, scarsa considerazione è stata data fino a non molto tempo fa a una varietà di attività in cui la persona avrebbe potuto impegnarsi o alla vasta gamma di ambiti in cui avrebbe potuto cercare di muoversi. Costituisce, dunque, una conquista relativamente recente l’avere riconosciuto la capacità delle TA di rendere maggiormente abili, così che i dispositivi sono stati selezionati con lo scopo di ottimizzare le attività e la partecipazione in tutti gli ambienti interessati.
244 Capitolo 11
Strategie Cooperazione
REALIZZAZIONE UMANA Strumen
ASP
S
Funzione durante il viaggio
ASP SA
Funzione nella comunità TA
SA
AS
Funzione a casa TA
T
SA
AS
Funzione al lavoro TA
Figura 11.1 Sistema di sostegno generico per la realizzazione umana (Litvak ed Enders, 2001).
Se, in particolare, è possibile affermare che una notevole attenzione viene riservata a ciò che la persona deve essere in grado di fare nonché all’ambito all’interno del quale ha bisogno di svolgere le sue attività, più in generale si può dire che le TA sono state progettate e selezionate per trovare un fecondo punto di incontro e di mediazione fra l’attività del soggetto e le esigenze imposte dall’ambiente. Per esempio, la persona con paraplegia, a cui si è fatto riferimento precedentemente, potrebbe aver bisogno di muoversi velocemente da una parte all’altra di un campus universitario, tra le aule, e
Il terapista occupazionale 245
in tal senso potrebbe preferire una sedia motorizzata, in modo da non stancarsi troppo nello spingerla, così da poter nel frattempo prendere appunti con il laptop. Sebbene i TO utilizzino normalmente le TA per aiutare gli individui a ottimizzare le proprie capacità funzionali, tuttavia essi hanno bisogno di un ulteriore training nelle TA, per stare al passo sia con lo svolgersi della ricerca nelle sue forme più attuali sia con le forme più recenti di valutazione delle TA e dei risultati che si possono ottenere con ciascun dispositivo. Non può non venire rilevato, infatti, che il campo delle TA cambia di continuo, in forza di dispositivi tecnologici che vengono aggiunti ogni anno. In uno studio di Long e collaboratori (2007), che investiga sui livelli di competenza dei TO nell’area delle TA, è stato trovato che i TO nel settore delle TA diminuivano la loro sicurezza nel fornire servizi di TA in ambito scolastico. Lo studio ha rilevato che il 68% dei TO intervistati aveva una mancanza di fiducia nel saper valutare un individuo in relazione al dispositivo e al servizio TA e il 79% degli intervistati non era certo nel selezionare e abbinare le TA ai bisogni individuali. Long e Perry (2008) hanno fatto un sondaggio simile con i terapisti pediatrici (TP) e hanno scoperto che il 62 % dei TP intervistati non era sicuro nella valutazione di un individuo in relazione alle TA e al 79% mancava la fiducia nell’abbinare e nel selezionare un dispositivo adatto ai bisogni. I terapisti occupazionali sono membri fondamentali del team TA per la loro esperienza sul rendimento nell’occupazione e sullo sviluppo motorio e inoltre possono dare informazioni per valutare il movimento di una persona e le sue funzioni, per poter accedere o posizionare i dispositivi TA, per identificare le componenti chiave di una persona che possono favorire od ostacolare l’uso e l’accesso delle TA nonché per individuare le abilità delle prestazioni funzionali e il bisogno corrispondente alle caratteristiche del dispositivo di TA. Nondimeno, va ribadito che si impone la necessità di un maggior training sulle TA per i terapisti occupazionali, al fine di conquistare fiducia nella valutazione delle TA e nella consegna dei servizi.
11.3 La definizione e il ruolo delle TA Tecnologia assistiva è “un termine ombrello per qualsiasi dispositivo o sistema che permetta agli individui di svolgere compiti che altrimenti non sarebbero in grado di fare o che aumenti la facilità e la sicurezza con le quali le attività possono essere eseguite” (WHO, 2004, p. 10). Tale definizione comprende sia il dispositivo fisico (hard technology) sia i sistemi (soft technology), che consentono alla persona di usare questa tecnologia (Cook, Polgar e Hussey, 2007; Waldron e Layton, 2008). I dispositivi, o tecnologie hard, includono attrezzature come sedie a rotelle, sedute e sistemi di posizionamento, tecnologie per l’accesso al computer e software specializzati, dispositivi di comunicazione aumentativa e sistemi di controllo ambientale. Le TA vanno dalle semplici opzioni low tech a quelle più sofisticate, cioè ai dispositivi high tech (Cook, Polgar e Hussey, 2007). Le opzioni low tech sono, in genere, i dispositivi più semplici ed economici, come le assi da bagno, i tutori per digitare o la tavola per comunicare; le opzioni high tech comprendono tecnologie dedicate, costose e sofisticate, come la sedia a rotelle elettrica, la videotastiera o il sistema di controllo ambientale. Questi dispositivi, solitamente, sono altamente perfezionati e progettati
246 Capitolo 11
con un gruppo specifico di riferimento (per esempio persone con tetraplegia o menomazioni visive). I soli dispositivi, però, raramente sono sufficienti a garantire il successo di un intervento TA, dal momento che anche i supporti, o le tecnologie soft, si rendono generalmente necessari per assicurare l’utilizzo efficace delle TA. Le tecnologie soft includono la personalizzazione del dispositivo, per soddisfare le specifiche necessità dell’individuo, il training per abilitare la persona all’uso del dispositivo nonché il fornire supporto per la riparazione e la manutenzione del dispositivo stesso. Molte persone che fanno affidamento sulle TA utilizzano una serie di dispositivi contemporaneamente. Spesso, le persone con importanti menomazioni si trovano a dover far fronte a problematiche complesse di posizionamento, mobilità, accesso e comunicazione e, dunque, necessitano di una varietà di competenze e di notevoli capacità di risoluzione di problemi. Il team di TA, solitamente, è composto da ingegneri della riabilitazione, fisioterapisti, terapisti occupazionali, patologi del linguaggio, educatori, tecnici, fornitori e, cosa più importante, utenti di TA. Il successo della soluzione di TA dipende da ogni membro del team, il quale porta la sua conoscenza specialistica e comprensione al tavolo di lavoro, ponendosi in modo collaborativo al fine di individuare i componenti necessari che dovranno poi venire integrati nella soluzione finale.
11.4 Panoramica del processo di selezione e uso delle TA La richiesta da parte dell’utente di TA della tecnologia più appropriata inizia, in genere, prima di contattare un professionista, e l’uso effettivo del dispositivo si prolunga ben oltre l’incontro con un team di TA. È fondamentale una serie stadi per l’efficace selezione e l’uso di TA e questa serie include quanto segue (de Jonge, Scherer e Rodger, 2007). •
Possibilità di visioning, ossia di configurare un’idea di processo.
•
Stabilire obiettivi/aspettative.
•
Identificare i requisiti specifici.
•
Stabilire i criteri del dispositivo.
•
Identificare le tecnologie potenziali e le risorse.
•
Individuare le risorse e i supporti locali.
•
Sviluppare una strategia di finanziamento.
•
Sperimentare e valutare le opzioni.
•
Acquistare la tecnologia.
•
Impostare e montare la tecnologia.
•
Training.
Il terapista occupazionale 247
•
Follow-up di manutenzione e riparazione.
•
Monitorare e valutare.
Solitamente il processo inizia con l’immaginare qualcuno che sta facendo qualcosa o con l’anticipare il potenziale della tecnologia (Alliance for Technology Access, 2005). Alcune persone iniziano il processo con questo “quadro immaginativo”, che però spesso evolve e si modifica, anche lentamente, nell’arco dell’intero processo. Conseguentemente, i fornitori del servizio hanno bisogno di comprendere il “quadro immaginativo” delle persone che lo richiedono, nel senso che devono capire in ordine a quali aspetti le persone vorrebbero essere messe in grado di fare e, dunque, quali informazioni devono venire offerte sulle tecnologie che potrebbero permettere di realizzare il progetto che le persone hanno in mente. Per coloro che non hanno ancora sviluppato un’idea del processo, il TO lavora con loro per immaginare quale potrebbe essere possibile esplorando la tecnologia e presentando loro utenti di TA che già utilizzano la tecnologia per raggiungere i loro obiettivi (Baum, 1998). Una volta che la “visione completa” è stata creata e sono stati identificati sia il desiderio sia il bisogno di tecnologia, può essere esaminato il potenziale della tecnologia stessa (Scherer e Galvin, 1996). A questo stadio il terapista raccoglie informazioni sulle preferenze della persona che ha immaginato un progetto, sulle sue esperienze passate e sulle sue aspettative inerenti alla tecnologia e verifica se sia un soggetto aperto all’uso della tecnologia nonché in grado di gestirla. Inoltre, viene considerata la capacità dell’ambiente/i applicativo/i di accogliere e di sostenere la tecnologia che è stata individuata (Scherer e Galvin, 1996). Sebbene alcuni utenti di TA possano avere obiettivi molto chiari e specifici (Sprigle e Abdelhamied, 1998), di contro altri richiedono un’ulteriore assistenza per sviluppare, specificare e articolare le loro mete (Scherer, 2000). In questo senso, va rilevato che i terapisti spesso collaborano con altri soggetti (per esempio famiglia, insegnanti, terapisti o datori di lavoro) per favorire la prefigurazione di obiettivi specifici e di aspettative adeguate, qualora l’utente di TA non fosse sicuro o fosse incapace di precisare e definire i propri obiettivi (Cook, Polgar e Hussey, 2007; Nochajski e Oddo, 1995; Scherer e Galvin, 1996; Sprigle e Abdelhamied, 1998). Di prassi, i terapisti sostengono colloqui informali per sviluppare una comprensione degli obiettivi della persona; tuttavia, processi strutturati, offerti da strumenti come la Canadian Occupational Performance Measure (COPM; Law et al., 1994), possono aiutare a comprendere lo sviluppo possibile delle potenzialità di prestazione che la persona possiede e quali possano essere le priorità. Questo strumento e altri simili, come il Goal Attainment Scaling (GAS; Malec, 1999) e l’Individualized Prioritised Problem Assessment (IPPA; Wessels et al., 2002), forniscono anche un procedimento per la valutazione dell’efficacia della tecnologia e indirizzano gli obiettivi della persona. Il processo di valutazione Matching Person & Technology (MPT), specificatamente progettato per esaminare i bisogni tecnologici di una persona, ha approntato dei moduli che illustrano una serie di obiettivi da esaminare e di preferenze da considerare che, inoltre, consentono di definire la “visione” che l’individuo ha proprio
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della tecnologia (Scherer, 2000). Una volta che tutti gli obiettivi sono stati stabiliti, possono essere chiarite le specifiche richieste. Lo stadio seguente del processo si concentra sul puntualizzare i requisiti specifici dell’utente (Bain e Leger, 1997; Cook, Polgar e Hussey, 2007; Kelker e Holt, 2000; Sprigle e Abdelhamied, 1998) una chiara comprensione dei requisiti dell’utente è essenziale per individuare la tecnologia per lui più adatta (Sprigle e Abdelhamied, 1998). Tradizionalmente i terapisti si sono concentrati su informazioni antropometriche, come l’età della persona, la misura, il peso e così via (Sprigle e Abdelhamied, 1998), per determinare le dimensioni appropriate del dispositivo, che vengono calibrate sulle specifiche capacità e abilità della persona stessa (Bain e Leger, 1997; Cook, Polgar e Hussey, 2007; Sprigle e Abdelhamied, 1998). Molti utenti di TA con menomazioni stabili, sono in grado di fornire una descrizione attendibile delle loro capacità funzionali, le quali sarebbero sufficienti a permettere al fornitore dei servizi di individuare sia le opzioni sia la tipologia tecnologica da prendere in esame, senza il bisogno di ulteriori valutazioni. Ciononostante, spesso è più proficuo analizzare la capacità della persona di accedere e di utilizzare la tecnologia, per sviluppare una comprensione completa delle capacità dell’utente, poiché non è sempre possibile predire come qualcuno potrà gestire un pezzo di tecnologia. Nello stabilire i requisiti dell’utente, è necessario anche circoscrivere le competenze delle attività che devono essere intraprese. Attività importanti, individuate dall’utente di TA, vengono esaminate nel dettaglio, per comprendere come egli vuole impegnarsi in tali attività e, più in generale, in tutte quelle attività che prevedono la piena partecipazione. Con la definizione di compiti distinti, le possibili barriere alla partecipazione e alla performance possono essere analizzate relativamente a tutti gli aspetti dell’attività: per esempio, le sedie a rotelle sono state tradizionalmente progettate per permettere alle persone con infortuni, e in particolari condizioni di salute, di muoversi su superfici piane da un posto a un altro. Oggi, la nostra conoscenza concernente il dove e il come le persone si muovono all’interno di una comunità, ma anche l’importanza di essere al livello degli occhi altrui, è stata presa in seria considerazione allorché una serie di caratteristiche sono state inserite nella progettazione di sedie a rotelle ed è stata proprio questa conoscenza che ha sostanzialmente incoraggiato la capacità dell’utilizzatore della sedia a rotelle a partecipare attivamente alla vita sociale. Allo stesso modo, una conoscenza approfondita degli ambienti all’interno dei quali la persona desidera esprimere la propria partecipazione, anche in prospettiva futura, fornisce una valutazione più ricca e accurata dei requisiti tecnologici (Bain e Leger, 1997; Cook, Polgar e Hussey, 2007). Da quando i terapisti occupazionali cercano di estendere, piuttosto che di limitare, la partecipazione dell’utente di TA, essi tentano anche di garantire che la tecnologia possa operare nel senso del favorire movimenti all’interno di un numero di ambienti che sia il maggiore possibile. Le eventuali richieste dell’ambiente, che potrebbero avere un effetto sulla tecnologia, in genere, includono gli aspetti fisici e cioè la topografia, la temperatura, il clima, le condizioni del suono e della luce (Bain e Leger, 1997; Cook, Polgar e Hussey, 2007), il milieu o gli aspetti psicologici, sociali e culturali dell’ambiente applicativo (Cook,
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Polgar e Hussey, 2007; Scherer, 2000). La tecnologia ha anche bisogno di collaborare in modo proficuo nell’ambiente con le altre tecnologie e infine va considerato il fatto che sempre più l’estetica della tecnologia, e il suo impatto sulla percezione che gli altri hanno dell’utente, è stata riconosciuta quale fattore critico. Una volta che i requisiti sono chiaramente articolati, possono essere stabiliti i criteri/caratteristiche del dispositivo (Alliance for Technology Access, 2005; Bain e Leger, 1997; Kelker e Holt, 2000), fermo restando che gli obiettivi dell’utente determinano la natura della tecnologia, mentre la sua preferenza influenza lo stile del dispositivo. L’esperienza dell’utente con la tecnologia, inoltre, spesso ne stabilisce il livello di sofisticazione, laddove le sue capacità e abilità potrebbero determinare le interfacce e le esigenze di programmazione. Parimenti, la gamma di attività e la molteplicità dei compiti suggeriscono le caratteristiche e le funzioni specifiche richieste al sistema/i tecnologico/i, mentre la molteplicità di ambienti applicativi determina le caratteristiche richieste alla tecnologia per fare in modo che essa possa essere gestita negli ambienti applicativi. Data la molteplicità di tecnologie disponibili, tradizionali e specializzate, e il loro essere in continua espansione, risulta nondimeno sempre più difficile differenziarle (Alliance for Technology Access, 2005), e per questa ragione i terapisti lavorano con l’utente di TA e con gli altri membri del team: essi intendono promuovere una buona conoscenza della gamma di dispositivi disponibili, delle funzioni e delle caratteristiche che sono più adatte agli utenti, delle attività in cui l’utente desidera impegnarsi e dei luoghi in cui la tecnologia può essere impiegata. Durante questo stadio è indispensabile provare il dispositivo e permettere all’utente di rivederne l’estetica, il comfort e la fruibilità. Inoltre, il processo offre all’utente, al terapista e agli altri membri del team l’opportunità di valutare in che modo ogni dispositivo soddisfa i criteri e di discutere i pregi relativi a ciascuna opzione (Alliance for Technology Access, 2005; Bain e Leger, 1997; Cook, Polgar e Hussey, 2007; Scherer e Galvin, 1996; Sprigle e Abdelhamied, 1998). I terapisti assistono anche l’utente nell’esaminare le fonti di finanziamento e nel suo muoversi tra i processi amministrativi, per garantire che venga effettivamente reperita la tecnologia appropriata. Una volta selezionato il miglior dispositivo (Alliance for Technology Access, 2005; Nochajski e Oddo, 1995), questo viene acquistato (Cook, Polgar e Hussey, 2007), ma nonostante molti considerano l’acquisto del dispositivo la fine del processo, in realtà per l’utente delle TA permane la necessità di continuare a gestire alcuni altri passaggi molto importanti. Dopo che il dispositivo è stato acquistato, infatti, potrebbe esserci bisogno di adattarlo alle necessità specifiche dell’utente (Alliance for Technology Access, 2005; Bain e Leger, 1997; Cook, Polgar e Hussey, 2007; Kelker e Holt, 2000; Nochajski e Oddo, 1995; Scherer e Galvin, 1996) e di venire impostato da qualcuno che abbia la competenza specifica (Cook, Polgar e Hussey, 2007; Scherer e Galvin, 1996) per accertare che funzioni come previsto e che si integri con le altre tecnologie (Nochajski e Oddo, 1995). Molti dispositivi richiedono ulteriori personalizzazioni prima dell’acquisto, per assicurare che ciascuno sia stato adattato alle esigenze specifiche dell’utente, allo scopo di intraprendere diverse operazioni in una vasta gamma di ambienti.
250 Capitolo 11
Non può venire dimenticato il fatto che l’efficacia della tecnologia dipende dal comfort con cui la si usa e da quanto l’utente è a proprio agio nell’usare il dispositivo per lunghi periodi di tempo. Recentemente, la ricerca che è stata svolta su questi temi ha sollevato preoccupazioni in ordine al disagio e finanche al dolore che gli utenti di tecnologia sperimentano e, in particolare, ci si è concentrati sulle implicazioni dei dolori a lungo termine (Cowan e Turner-Smith, 1999; Patterson, Jensen ed EngelKnowles, 2002). Si è concluso che gli interventi devono essere adeguati ad assicurare che l’utilizzo non porti disagio e tensione (Scherer e Vitaliti, 1997). Il training nell’uso del dispositivo svolge un ruolo altrettanto fondamentale per garantire l’efficacia degli interventi di tecnologia (Cook, Polgar e Hussey, 2007; Kelker e Holt, 2000; Nochajski e Oddo, 1995). Senza un training adeguato, infatti, la tecnologia rischia di essere abbandonata (Cook, Polgar e Hussey, 2007) e proprio per questa ragione i terapisti occupazionali, che spesso sono i responsabili del training, garantiscono l’efficacia di questa fase stabilendo obiettivi ben definiti (Cook, Polgar e Hussey, 2007). Gli utenti di TA devono sviluppare “le competenze operative e le strategie” (Cook, Polgar e Hussey, 2007) che possono assicurare un utilizzo di successo delle TA: la competenza operativa, da un lato, garantisce che l’utente sia in grado di accendere e di spengere il dispositivo e di regolare le varie funzioni, dall’altro, consente di cogliere le esigenze di manutenzione e, pertanto, può risolvere vari problemi; la competenza sulle strategie (Cook, Polgar e Hussey, 2007), invece, consente all’utente di utilizzare il dispositivo per svolgere compiti specifici. Mentre la formazione operativa può essere erogata subito dopo la consegna, la formazione strategica risulta più efficace in situ (Nochajski e Oddo, 1995), là dove l’utente può sviluppare le competenze usando il dispositivo per completare le attività nell’ambiente/i applicativo/i. Gli utenti di TA hanno anche bisogno di sapere come mantenere in funzione il dispositivo e chi contattare quando c’è la necessità di ripararlo (Kelker e Holt, 2000). È necessaria, tuttavia, una rivalutazione periodica, in quanto ci possono essere cambiamenti in termini di abilità e di competenze dell’utente, relativamente sia alle attività in cui l’utente intende impegnarsi sia agli ambienti applicativi, che avranno un impatto sull’efficacia della tecnologia acquisita. Scherer (2005) ha individuato possibili fattori associati con il non uso delle TA da parte di adulti con disabilità, tali fattori possono venire così individuati: aspettative non realistiche, inappropriata valutazione dei bisogni, scarsa selezione del dispositivo, mancanza di sostegno da parte dei caregiver, cambiamenti nelle abilità della persona o qualsiasi altra combinazione. Tali scoperte non fanno che sottolineare l’importanza della rivalutazione e il bisogno di follow-up delle TA per garantire che le soluzioni di TA siano efficaci e per diminuire il loro potenziale abbandono. Inoltre, poiché le tecnologie continuano a migliorare, l’utente potrebbe trarre beneficio dagli sviluppi tecnologici, così che si impone il monitoraggio continuo dell’efficacia della tecnologia e degli sviluppi nella progettazione di dispositivi, monitoraggio che assicura non soltanto interventi sempre aggiornati, ma altresì la possibilità di sostituire dispositivi qualora ne emergano di nuovi.
Il terapista occupazionale 251
11.5 Casi studio Nota: nei casi studio verrà utilizzato il format PEO (Person, Environment, Occupation) come fanno i terapisti occupazionali
11.5.1 Caso studio numero 1: Z.A. Persona Z.A. è una bambina di 21 mesi che manifesta ritardi neurologici come conseguenza di un’encefalopatia ipossico-ischemica e le è stata fatta una diagnosi di quadriplegia congenita. A Zoey, che è nata di 41 settimane con parto distocico, è stato applicato un sistema di aspirazione per favorire la nascita, ma ha presentato una serie di complicazioni cliniche (punteggio di Apgar: 1); è stata rianimata, messa in incubatrice e trasportata presso una unità di cura intensiva pediatrica, dove è stata sottoposta a una cura neuro-riabilitativa per 40 giorni. È stata quindi dimessa e riportata a casa dai genitori, ma i programmi di terapia sono continuati con il programma di servizio per la prima infanzia (ECI). Zoey ha ricevuto i servizi di terapia occupazionale, fisica e del discorso, mediante il programma ECI, sin dalla nascita. Stato attuale Questo caso prenderà in esame il ruolo della terapia occupazionale nella consegna delle TA per Z.A. attraverso il programma ECI. L’intervento precoce inerente alla valutazione del team sul livello della prestazione di Z.A. è stato discusso con i suoi genitori durante l’incontro annuale di revisione. Il team ha utilizzato il modello ICFCY per misurare la sua performance e i punteggi sono i seguenti. •
Abilità psicosociali/emozionali: Z.A. è una bambina attenta e motivata ad apprendere. Ha una famiglia che le è di sostegno e ha una buona relazione con i professionisti che si occupano della sua salute e con i quali ha lavorato. Inoltre, è impegnata in sessioni di terapia e sembra fare del suo meglio anche quando è frustrata, tant’è che gradisce le interazioni sociali con i suoi fratelli e i coetanei. L’SLP e l’OT hanno esaminato diversi dispositivi AAC e ne hanno provato alcuni di base con selettore. Z.A. sta imparando a compiere scelte tra tre oggetti usando la scansione visiva.
•
Abilità cognitive: Z.A. è in grado di mantenere l’attenzione e impara meglio mediante il modello visuale/rappresentazione rispetto all’apprendimento cinetico, a causa delle sue menomazioni fisiche. Ella comprende la causa e l’effetto e sembra capire i concetti base con l’uso di giocattoli opportunamente adattati e tali da consentirle il gioco e l’esplorazione. È in grado di occuparsi delle attività e di sostenere l’attenzione.
•
Abilità visivo-percettive: Z.A. ha l’ipermetropia (ma rientra nel livello fisiologico dell’età) e un simmetrico riflesso corneale. Inoltre, presenta una convergenza sporadica e un ritardo nella latenza del processo di elaborazione visiva/fissazione di un bersaglio. Attualmente utilizza il suo sistema visivo per la scansione di articoli per la comunicazione.
252 Capitolo 11
•
Abilità fisiche: Z.A. è paralizzata sia negli arti superiori sia in quelli inferiori (menomazione motoria completa ICF-CY: S-730-4, 750-4) e si affida a riflessi primari per provocare movimenti motori. Inoltre, presenta un aumento del tono (ipertonia) e mostra ancora riflessi primitivi. È in grado di stare seduta nella sua sedia a rotelle manuale, con un sistema di seduta adattata e con un poggiatesta, e va sottolineato come i terapisti abbiano lavorato sul miglioramento del controllo della testa. Usa un modello di riflesso ATNR per raggiungere un oggetto, ma non può afferrare l’oggetto a causa della diminuzione dell’uso funzionale della mano. Di notte indossa dei tutori che consentono una posizione di riposo per le mani e ciò per facilitare una posizione più naturale della mano e diminuire le contratture. Sempre per ridurre il rischio di contratture, Z.A indossa anche AFO bilaterali che consentono di attenuare il tono muscolare e di mantenere la posizione. È stata in grado di colpire un interruttore montato sulla sedia a rotelle usando il riflesso ATNR e di attivare i suoi giocattoli adattati mediante un interruttore oscillante. Il controllo della testa, tuttavia, tende a diminuire, ma Z.A. riesce a mantenere la testa alzata quando è supportata da un reggitesta adattato. Il TO e il terapista fisico (TF) hanno posizionato un interruttore del capo sul suo poggiatesta e Z.A. è riuscita con successo, usando tale dispositivo, ad accedere ai suoi giocattoli e al computer. È in grado di mantenere la concentrazione visiva quando la sua testa è supportata da un collare che può venire adattato alla testa per 10-15 minuti, e le prestazioni con questo strumento sono notevolmente migliorate nell’anno appena trascorso.
•
Spiritualità: Z.A. frequenta la chiesa con la sua famiglia, che nel suo complesso è molto impegnata negli eventi promossi dall’istituzione religiosa, dalla quale ritiene di ricevere un forte sostegno.
Ambiente Z.A vive a casa con i suoi genitori biologici e una sorella maggiore, dell’età di sei anni. La famiglia possiede un cane che Z.A. adora e i suoi genitori hanno insegnato al cane a recuperare le cose che Z.A fa cadere. La sorella ama giocare con Z.A e suona spesso il pianoforte per lei. La famiglia, come detto, è impegnata nelle attività promosse dalla chiesa locale e gradisce di svolgere un ruolo attivo nella comunità. I genitori di Z.A., tuttavia, hanno espresso preoccupazioni su come adattare il loro ambiente domestico per ottimizzare l’indipendenza della loro figlia disabile. Occupazione •
Attività della vita quotidiana: Z.A dipende da altri per tutte le sue necessità, dal vestirsi all’igiene personale. Estende il suo braccio usando il riflesso ATNR per agevolare le manovre che le consentono di vestirsi, ma si affida ai suoi genitori per i bisogni inerenti alla cura di sé: dipende insomma da altri per tutte le necessità di cura e di igiene a causa dei suoi limiti fisici. Il TO e l’SLP lavorano con Z.A usando un sistema occhio/sguardo per riferire alla madre la routine delle sue capacità personali (insegnamento precoce di capacità di autodifesa). Al momento Z.A. dipende nella sua alimentazione, fa tre pasti al giorno e il TO e l’SLP inco-
Il terapista occupazionale 253
raggiano i genitori a utilizzare l’eye gaze al fine di farle compiere scelte in ordine ai cibi preferiti. Z.A. gradisce scegliere e sorride quando può scegliere il dessert, poiché le piace il dolce al cioccolato. •
Gioco e tempo libero: Z.A. sta attenta e le piace venire coinvolta in varie attività nella sala giochi. I suoi terapisti, quello fisico e quello occupazionale, hanno usato un interruttore di accesso sia per le attività di gioco sia per le capacità funzionali di apprendimento. Attualmente Zoey usa un interruttore del capo per accedere al computer nelle attività di apprendimento precoce. Ama la musica ed è impegnata in compiti di apprendimento basato sul computer che usano la musica come una ricompensa positiva. Il TO ha anche adattato l’impianto stereo alla chiesa di Z.A., cosicché ella possa accedervi e ascoltare la musica mentre frequenta la chiesa. Z.A. attualmente usa una sedia a rotelle manuale con una seduta adattata e il TP sta lavorando sulla necessità di posizionamento quando usufruisce della sedia a rotelle. Ha provato alcuni oggetti costruiti per manipolare, ma sembra che Z.A. riesca meglio con la manopola universale per tenere oggetti/ materiali durante le attività artistiche e il gioco.
•
Z.A. è nello stadio di Utente Principiante a 21 mesi; la famiglia e i terapisti stanno cominciando a capire il livello delle sue competenze in combinazione con le abilità richieste dai potenziali dispositivi. Il team ECI non solo ha individuato la caratteristica personale di Z.A. che può influenzare l’uso delle soluzioni di TA, ma altresì ha indicato che Z.A. è molto motivata e determinata a completare i suoi compiti. Sembra che abbia voglia di imparare nuove strategie e non resta frustrata nonostante i suoi limiti fisici. I suoi genitori sono molto impegnati nell’assisterla e sembrano essere a proprio agio con la tecnologia.
•
Piano di intervento con TA •
Vengono impostate le modifiche ambientali della casa per migliorare l’indipendenza di Z.A. attraverso il sistema di controllo ambientale e opportuni adattamenti dei giocattoli da ottenere mediante l’interruttore di accesso.
•
Per quanto concerne l’indipendenza nella mobilità, il TO e il TF valutano le abilità potenziali richieste perché Z.A possa attivare una sedia a rotelle elettrica tramite un interruttore del capo.
•
Il TO e l’SLP discutono con i genitori le opzioni relative al dispositivo per la comunicazione e le capacità necessarie affinché Z.A riesca con successo in quest’area. I genitori esprimono un interesse nell’utilizzare un dispositivo e Z.A. sembra motivata dalla produzione della voce.
•
Viene completata la valutazione AAC con l’SLP per determinare la necessità del dispositivo AAC.
•
Viene effettuata la prova del dispositivo AAC consigliato e vengono prese decisioni basate sui risultati della prova. Vengono discusse le opzioni di finanziamento con i genitori e la compagnia AAC.
254 Capitolo 11
• •
Viene precisato il piano di training per il dispositivo AAC per assicurare l’uso ottimale in tutte le impostazioni.
Bisogni transitori •
Il team ECI coordina i bisogni transazionali di TA quando Z.A. è pronta a frequentare il programma prescolastico per bambini con disabilità offerto dall’agenzia locale di istruzione speciale.
•
Training di altre figure impegnate nell’assistenza di Z.A.
11.5.2 Caso studio numero 2: A.B. Persona A.B. è un uomo di 59 anni che si è presentato all’ospedale con un ictus ischemico a sinistra dell’arteria cerebrale media (MCA). Stava cenando con sua moglie quando all’improvviso si è accasciato sulla sedia senza riuscire a muovere la parte destra né riuscire a parlare. La moglie ha telefonato all’EMS e il paziente è stato ricoverato all’ospedale locale. Al momento del ricovero il medico ha segnalato un cedimento del viso, una paralisi completa di braccio e gamba, con una forte diminuzione del tono muscolare e afasia globale. Il paziente, inoltre, sembrava avere una restrizione del campo visivo. La scansione della tomografia computerizzata ha mostrato precoci cambiamenti regionali MCA indicativi di un grande ictus ischemico. La National Institutes of Health Stroke Scale del paziente era 2,3 e ha ricevuto il tPA a 2,35 ore dopo l’ictus, in cui solo un minimo miglioramento è stato rilevato. È stato fatto rapporto al team di riabilitazione 24 ore dopo il tPA. Una volta valutato dal TO e dal TF, A.B. riusciva ad articolare alcune parole incomprensibili, capiva i gesti e solo in modo incoerente eseguiva semplici comandi. Sua moglie era presente e ha affermato che suo marito era in salute prima del ricovero: in estate giocava a golf e in inverno a calcetto. Hanno 3 figli adulti e 2 nipoti e sono una famiglia unita. A.B., che ha sempre amato trascorrere il tempo con i suoi nipoti che vivono vicino a casa sua, lavora come supervisore con una compagnia di costruzioni e trascorre la maggior parte della sua giornata in ufficio, ma talvolta deve raggiungere i vari cantieri. Sua moglie lavora part-time come assistente amministrativa alla scuola locale e si prende cura di entrambi i nipoti ogni venerdì e sabato. Sembra essere in difficoltà nell’affrontare la malattia del marito ed è preoccupata per il futuro, poiché entrambi sono in attesa di andare in pensione e di trascorrere più tempo con la famiglia. La valutazione medica ha mostrato che A.B. aveva difficoltà ad articolare una spalla e il terapista ha potuto avvertire una qualche resistenza nel bicipite, sebbene la mano rimanesse molle. Con la valutazione Chedoke (Gowland et al., 1993), il paziente ha ottenuto il punteggio di 2 per il braccio e 1 per la mano. A.B. è stato in grado di girarsi a destra usando la sponda del letto e ha richiesto l’assistenza di una sola persona. Nel movimento da disteso a seduto, richiedeva invece l’assistenza di due persone. Non riusciva a mantenersi seduto in equilibrio, ma una volta posizionato poteva rimanere seduto per circa 30 secondi. Durante la terapia A.B. si è stancato dopo circa
Il terapista occupazionale 255
10 minuti ed è stato necessario trasferirlo in una sedia con spalliera, ma lo hanno dovuto assistere due persone. A.B., successivamente, è stato in grado di sedersi sulla sua sedia a rotelle per circa un’ora. Il suo punteggio “alpha FIM” è stato di 7. A.B. ha trascorso i seguenti 19 giorni in terapia intensiva, durante i quali il TO ha visto il paziente 4-5 volte a settimana e ha lavorato sull’equilibrio di seduta, sui trasferimenti, sul training delle estremità anteriori e sui compiti di accudimento personale. Al suo arrivo alla struttura di riabilitazione, A.B. sembrava ritrarsi e offriva un contatto limitato dell’occhio allo staff. Inoltre, rispondeva alle domande che gli erano state rivolte solo quando lo staff lo sollecitava e lo incoraggiava fortemente.
Stato attuale Entro le prossime tre settimane A.B. sarà dimesso e tornerà a casa dopo il periodo di riabilitazione. Il suo attuale stato può venire così riassunto. •
Stato cognitivo: A.B. è in grado di seguire semplici comandi verbali e pronunciare alcune parole accuratamente, sebbene il suo discorso sia rimasto per la maggior parte incomprensibile. Usa molto linguaggio non verbale per esprimersi. A causa della sua difficoltà di linguaggio è stato arduo valutare pienamente tutti gli aspetti della sua cognizione. Il TO ha osservato che potrebbe essere difficile per le sue funzionalità di esecuzione, ma finora non è stato in grado di determinare l’entità di queste difficoltà.
•
Stato emozionale: A.B. considera la sua difficoltà di comunicare estremamente frustrante e ciò lo ha portato a scagliarsi spesso contro il personale, sua moglie e i suoi figli. Tale frustrazione ha limitato il suo progresso nella riabilitazione, poiché spesso egli trova difficile rimanere impegnato nelle attività della terapia. A.B. ha una famiglia che gli è di sostegno e questo ha aiutato il suo progresso nella riabilitazione. Sua moglie gli ha fatto visita quasi tutti i giorni durante la sua permanenza in riabilitazione e anche i suoi figli gli hanno fatto visita regolarmente, tranne quando sono stati impossibilitati per impegni familiari. Egli è stato molto concentrato sulle sue dimissioni e, a volte, ha utilizzato questa prospettiva come una motivazione per continuare a lavorare e raggiungere i suoi obiettivi terapeutici.
•
Stato fisico: A.B. continua ad avere un abbassamento del viso verso destra. Poiché durante la terapia intensiva non si è mostrato capace di inghiottire, gli è stato inserito un PEG. La valutazione ha rilevato che A.B. ha una restrizione del campo visivo di sinistra. Il suo braccio è migliorato secondo la valutazione Chedoke, e infatti ha ottenuto il punteggio di 4; di contro, la mano ha ottenuto come punteggio 2. Ha cominciato a riacquistare il tono muscolare nella parte destra del corpo ed è stato visto quotidianamente dall’assistente terapista per la gamma dei movimenti passivi (PROM). Anche la sua gamba è migliorata, tant’è che secondo la valutazione Chedoke ha ottenuto il punteggio di 4; di contro, il piede ha ottenuto come punteggio 1. A.B. adesso è in grado di stare seduto non supportato, ma quando viene spostato dalla sua base d’appoggio perde l’equilibrio verso sinistra. In reparto A.B. può spostarsi usando un sollevatore e una persona che lo assiste.
256 Capitolo 11
All’interno del reparto di terapia è in grado di intraprendere numerosi spostamenti con una persona che lo assiste. Adesso è in grado di camminare per 3×5 metri lungo le sbarre parallele, usando un AFO e l’assistenza del TF. Giornalmente è in grado di rimanere seduto nella sedia a rotelle per la maggior parte del tempo, facendo un sonnellino dopo pranzo, fino alle 3 del pomeriggio, quando inizia la sessione di terapia. Frequenta per 30 minuti la lezione di esercizi con l’assistente terapista durante la mattina, una sessione di terapia di 30-45 minuti con il TO sempre nella mattina e una sessione di 30 minuti con il TF nel pomeriggio. Non usufruisce della terapia durante i finesettimana. •
Stato spirituale: precedentemente al suo ricovero in ospedale, A.B. andava regolarmente a messa nella chiesa locale e sua moglie ha riferito che questa era una parte importante della sua vita. Frequentare la chiesa sarà una priorità per lui una volta ritornato a casa.
Ambiente Sua moglie visita A.B. quotidianamente e lo assiste nella sua attività di toelettatura. Sembra travolta, e ha difficoltà ad affrontare la situazione. Ella ha indicato, in alcune occasioni, che tra l’andare in ospedale e il prendersi cura delle cose di casa si sente estremamente stressata. Precedentemente, era A.B. che si occupava delle finanze della famiglia, e nella nuova situazione che si è venuta a creare sua moglie incontra notevoli difficoltà nello svolgere queste mansioni, come per esempio il pagamento delle bollette. È restia a chiedere assistenza ai suoi figli e ciò è stato riferito all’assistente sociale. Dato che A.B. non sarà in grado di tornare al lavoro per un po’ di tempo, sua moglie è preoccupata per come questa diminuzione di reddito potrà influi re sulle finanze della famiglia. A.B. e sua moglie vivono in una casa-bungalow con le scale al piano seminterrato situata in un piccolo paese di campagna, a due ore di macchina dalla città. In precedenza A.B. era il responsabile del lavoro del cantiere, e ciò prevede tagliare il prato in estate e spalare la neve in inverno. Sua moglie era il primo responsabile di gran parte della IADL, nondimeno A.B. era solito portarla in macchina a fare la spesa nella città più vicina. Del resto, ella è sempre stata restia a guidare (specialmente durante i mesi invernali) e lo fa solo su percorsi conosciuti e per brevi distanze. I figli di A.B. si sono accordati per aiutarla con la guida mentre il padre è ricoverato; tuttavia essi non potranno essere sempre disponibili a causa dei loro impegni. I tre figli adulti vivono vicino e sono in grado di aiutare sia con i lavori domestici sia con la spesa durante i finesettimana; tuttavia, non possono essere di sostegno durante la settimana a causa dei loro impegni di lavoro. I nipoti gli fanno visita regolarmente, come facevano prima dell’ictus, ma la moglie ha deciso che non può più prendersi cura dei nipoti durante la settimana e A.B. si sente responsabile di questo. Occupazione •
ADL: A.B. è in grado di lavarsi il viso e la parte alta del corpo stando seduto sulla sedia a rotelle davanti al lavabo con gli oggetti posti a portata di mano. Riesce a lavarsi i denti (la moglie lo assiste mettendogli il dentifricio sullo spazzolino), a
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pettinarsi e a radersi utilizzando un rasoio elettrico. I compiti richiedono tempo extra, ma A.B. riesce a eseguirli in modo indipendente. Usa l’orinale e non ha problemi di incontinenza. Si sposta con l’apparecchiatura spingendosi da solo quando è seduto sulla sedia a rotelle, usando il braccio sinistro e la gamba per muoversi. Va sottolineato il fatto che mentre era nella struttura di riabilitazione non si era impegnato in alcuna attività utile della vita quotidiana. •
Tempo libero: a causa delle sue attuali limitazioni delle funzioni, A.B. non riesce a partecipare alle attività precedentemente praticate, come giocare a golf e a calcetto. Durante la riabilitazione il TO ha lavorato con lui per scoprire alcune nuove attività per il tempo libero a cui egli potrebbe partecipare con successo. A.B. ha espresso interesse a lavorare per continuare a partecipare alla sua precedente attività di svago, ma ha dichiarato di essere anche aperto a provare occupazioni più “sedentarie”, come leggere e fare attività da tavolo. Deve ancora trovare un’attività che consideri rilassante e piacevole e che possa portare a termine da solo: ciò costituisce un obiettivo importante per il suo recupero.
•
Occupazioni lavoro/produttivo: al suo attuale livello di funzionalità, per A.B. non è possibile tornare al lavoro. Il suo mestiere e il suo ruolo, cioè il provvedere a sua moglie, sono molto importanti per lui, così che essere in grado di riprendere a lavorare, in qualche modo, rappresenta uno dei suoi obiettivi fondamentali da quando è stato dimesso dalla struttura di riabilitazione.
•
Questioni da trattare prima della dimissione •
Ritorno al lavoro/guida.
•
Mobilità in casa.
•
Mobilità indipendente: considerare l’uso di un braccio per guidare una sedia a rotelle manuale, o elettrica se la resistenza è un problema.
•
Valutazione ambientale per un uso di successo del dispositivo di mobilità in ambienti differenti (all’interno della casa, in cortile, al lavoro, in chiesa e così via).
•
Modifiche ambientali (prioritariamente l’ambiente domestico, ma anche altri).
•
È stato fatto riferimento a un’organizzazione di assistenza a domicilio per un supporto nel completamento delle attività ADL e per ridurre alcuni degli effetti negativi che la situazione potrebbe avere sulla moglie di A.B. Qualsia si attrezzatura prescritta per le attività ADL dovrebbe essere compatibile con l’assistenza di un’organizzazione di cura a domicilio (per esempio sedie per la doccia e così via).
•
Dispositivo di comunicazione.
•
Una volta che il dispositivo di comunicazione è stato prescritto, compiere un nuovo tentativo di valutare lo status cognitivo.
258 Capitolo 11
•
TA da usare a casa: per esempio un ausilio per indossare o dismettere abiti per gli arti inferiori.
•
Sviluppare un piano per un nuovo impegno in attività da compiere durante il tempo libero o valutazione di nuove attività per le quali A.B. ha espresso interesse. Ci potrebbe essere bisogno di una combinazione di compiti graduali e di TA.
•
Piano sviluppato per un nuovo impegno in chiesa e nelle attività di questa.
•
Individuare possibili modalità di sostegno per la carriera della moglie e della famiglia di A.B.
11.6 Conclusioni I terapisti occupazionali (TO) usano un approccio olistico che supporta l’uso delle soluzioni TA per gli individui con disabilità varie. I terapisti occupazionali riescono a unire la loro conoscenza relativa alle capacità psicologiche, cognitive e neurologiche della persona e a individuare come questi sistemi possano influenzare la partecipazione complessiva della persona nelle occupazioni funzionali e significative. Comprendendo l’area dei bisogni della persona e l’attuale livello delle loro prestazioni, i TO possono individuare le soluzioni TA che abbiano la migliore corrispondenza tra l’abilità della persona e le caratteristiche del dispositivo. Poiché il campo delle TA continua a evolversi, i TO devono restare al passo con le soluzioni tecnologiche attuali utilizzando la ricerca sulle TA, l’esperienza clinica e i valori del paziente per prendere le decisioni pratiche migliori nelle soluzioni di TA per i singoli individui.
Capitolo
12 Gli specialisti pediatrici
nelle soluzioni assistive
L.W. Braga, I.L. de Camillis Gil, K.S. Pinto, P.S. Siebra Beraldo
Questo capitolo descrive il ruolo dello specialista pediatrico nel processo di neuroriabilitazione del bambino. Lo specialista pediatrico svolge il compito di integrare le soluzioni fornite dalle TA, ne modula l’uso, le applicazioni e le indicazioni. Due casi di studio, un bambino con CP e uno con TBI, mostrano come le TA hanno effetto sullo sviluppo dei bambini, sul recupero delle funzioni e sul progresso che essi possono realizzare e, inoltre, come lo specialista pediatrico può giocare un ruolo fondamentale in tale processo.
12.1 Gli specialisti pediatrici nel processo di sviluppo e di riabilitazione Lo sviluppo o il processo di neuroriabilitazione del bambino con disabilità richiede un approccio che coinvolge diverse aree di specializzazione, poiché questi bambini potrebbero prospettare difficoltà o problemi in vari ambiti di sviluppo (tra cui quelli sensoriale, motorio, neuropsicologico, della comunicazione e della socializzazione). Ciò genera il bisogno di valutazioni e di interventi da parte di team interprofessionali di medici (pediatri, chirurghi ortopedici, neurologi, genetisti, psichiatri e altri specialisti); infermieri; terapisti fisici, occupazionali e del linguaggio; psicologi; educatori speciali; tecnici, come ingegneri; tecnici per protesi/ortesi. Lo sviluppo del bambino è un processo mediato sia dalla famiglia sia dall’ambiente socio-culturale. Il naturale ruolo della famiglia è quello di stimolare e di incoraggiare lo sviluppo dei bambini, di insegnare loro come giocare, camminare, parlare e pensare; inoltre, di aiutarli a diventare individui, cioè esseri sociali che diventino parte della collettività. Tale ruolo, tuttavia, spesso viene delegato a professionisti del settore sanitario, specialmente quando ci si trova di fronte a un bambino con lesioni del cervello congenite o non congenite e che manifesta le relative menomazioni (Braga et al., 2005). Una volta fatta la diagnosi, la vita quotidiana di questi bambini e delle loro famiglie spesso viene trasformata, poiché essi vengono sottoposti a una serie di visite presso strutture mediche da professionisti specializzati, e ciò potrebbe privare il bambino di esperienze tipiche dell’infanzia, come frequentare parchi e luoghi in cui le azioni sono importanti per lo sviluppo (Braga e Campos da Paz Jr, 2006). Nondimeno, è da rilevare che un approccio alla riabilitazione del bambino va oltre gli interventi provenienti dai diversi settori di specializzazione, poiché gli esseri umani devono possedere differenti abilità che consentano loro di impegnarsi in molteplici attività. È noto che il lavoro del team interprofessionale è sia un fattore fonda-
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mentale nella riabilitazione sia un elemento essenziale nell’offrire un’assistenza sanitaria di qualità (Bakeit, 1996; Halper, 1993; King, Nelson e Heye, 1998; Körner, 2010). Del resto, il fatto che un bambino sia visto da tanti professionisti diversi non garantisce di per sé un approccio integrato. Spesso le famiglie si lamentano della frammentazione nei servizi sanitari che ricevono e ciò potrebbe essere causato proprio dalla forma multidisciplinare usata per trattare l’individuo, quando tale forma non è adeguatamente integrata. I professionisti lavorano o in parallelo o in serie, con ruoli e compiti ben definiti, ciascuno concentrato sulla valutazione che gli viene richiesta o sul suo intervento specifico, così che ogni specialista si assume unicamente la responsabilità relativa al proprio particolare aspetto di competenza in ordine allo sviluppo. Sebbene il bambino sia visto dall’intero team, i singoli professionisti stabiliscono gli obiettivi e le proposte di trattamento per il bambino individuandoli a muovere dal proprio punto di vista (Körner, 2010) e, se non si stabilisce una comunicazione adeguata tra gli specialisti, si determina un tipo di assistenza frammentata, che genera conflitti e ulteriore stress alle famiglie nella misura in cui aumenta il rischio di dissonanze o anche di eccessi nel trattamento. Il lavoro di un team, insomma, non viene definito dagli interventi isolati o dalle varie specializzazioni espresse dai singoli professionisti, quanto piuttosto dall’efficace comunicazione tra i professionisti stessi e dall’azione cooperativa che essi sono in grado di svolgere: queste sono tra le caratteristiche più importanti di un approccio di team multidisciplinare (Bakeit, 1996; Körner, 2010). Conseguentemente, un modello integrato di intervento impone che i professionisti si incontrino frequentemente per discutere, valutare e definire coerentemente i piani e gli obiettivi per una riabilitazione coerente e per affrontare il tema della cura del bambino in una forma cooperativa. Il comune lavoro in un team, inoltre, integra il bagaglio di conoscenze e di esperienze dei professionisti nelle diverse aree di specializzazione (Braga, 2006; King, Nelson e Heye, 1998). Per essere efficace, il lavoro del team deve essere stabilito in modo che il bambino sia al centro degli sforzi volti alla riabilitazione. Tale approccio unificato e integrato viene sviluppato insieme alla famiglia, i cui membri, a loro volta, saranno in grado di esercitare il proprio ruolo naturale di educatori e co-collaboratori nella stimolazione del bambino (Braga, 2009), e ciò significa che tanto le valutazioni quanto i colloqui devono essere fatti stabilendo una collaborazione tra tutti coloro che si prendono cura del bambino e che si concentrano sul suo attuale sviluppo e sui suoi bisogni contestuali (Braga, 2000 e 2006; Hinojosa, Sproat, Mankhetwit e Anderson, 2002; King, Teplicky, King e Rosenbaum, 2004). Solo in questo modo è possibile strutturare un programma unico e individualizzato, che sia basato sulle attività funzionali, ancorché adeguatamente contestualizzate, del bambino e che tenga conto del fatto che tali attività impongono al bambino stesso di esibire contemporaneamente varie abilità. Il programma dovrebbe basarsi su obiettivi realistici e sostenibili, sia a lungo sia a breve termine, e tenere conto del potenziale del bambino e dell’ambiente socio-culturale in cui egli si inscrive. Precisamente questo sforzo si richiede al team di specialisti pediatrici: promuovere lo sviluppo del
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bambino lavorando sul contesto e cioè elaborando un approccio basato sulla famiglia (Braga e Campos da Paz Jr, 2006). Il lavoro di un team integrato, da un lato, postula la conoscenza e l’esperienza che ogni professionista che proviene da diverse aree di competenza specifica apporta al programma di riabilitazione; dall’altro, favorisce un dialogo tra gli specialisti, che comporta un indubbio sviluppo della professionalità di ognuno, giacché la comunicazione che si realizza nel team agevola la continua acquisizione di nuove conoscenze che concernono le interazioni tra le varie aree e consente, inoltre, uno scambio di informazioni più coerente tra il team di professionisti e la famiglia, così da migliorare la corrispondenza al programma di trattamento. Non infrequentemente, il primo specialista che viene consultato dalle famiglie è proprio un pediatra e in un team di riabilitazione questi svolge il ruolo più significativo, perché partecipa alla definizione della diagnosi e della prognosi, discute e definisce il programma di trattamento e segue lo sviluppo del bambino nel corso del tempo. Nel primo contatto con la famiglia, è fondamentale che il pediatra sia attento ai vari aspetti che caratterizzano lo sviluppo del bambino e si indirizzi verso un approccio integrato con altri specialisti pediatrici per garantire un piano terapeutico rivolto non solo alle necessità cliniche, ma anche alle esigenze di sviluppo. Affinché ciò avvenga, risulta fondamentale che l’approccio del pediatra preveda, oltre alle conoscenze di pediatria generale, un’ampia esperienza dello sviluppo dell’infanzia, oltre che conoscenze adeguate di psicologia, neurologia, ortopedia, genetica e psichiatria. Lo scopo è quello di tracciare e, se possibile, diagnosticare, qualsiasi disturbo esistente nelle aree elencate. Per questa ragione, nel processo di definizione della diagnosi diventa essenziale integrare il punto di vista dei vari membri del team di neuroriabilirazione, che deve comprendere anche altri settori medici, in modo tale che i vari e complessi disturbi dello sviluppo possano venire letti adeguatamente da più punti di vista e discussi in una prospettiva di cooperazione reciproca, che consenta di pervenire a una visione il più possibile unitaria del caso. Si sta proponendo, quindi, un approccio globale al paziente. Tale approccio contempla che il team lavori in forma collaborativa sia alla definizione della diagnosi sia alla configurazione dei piani di terapia, onde sviluppare programmi di riabilitazione sempre più efficaci, e ciò non può non comportare che i pediatri riconoscano e comprendano che il loro ruolo nel processo di sviluppo e di riabilitazione va ben oltre quello volto a promuovere i soli esami clinici. Del resto, il processo di riabilitazione dei bambini con disabilità spesso coinvolge un notevole numero di professionisti proprio in ragione del fatto che molte aree di sviluppo potrebbero essere colpite (Campos da Paz Jr, Burnett e Nomura, 1996; Ylvisaker, 1998) e questo, a volte, può generare ostacoli di natura comunicativa. Per superare tali ostacoli, l’unico strumento valido è l’approccio integrato, che consente un continuo scambio tra la famiglia e il team nel progettare interventi adeguati e contestualizzati. Ovviamente, un efficace lavoro di un team non prevede che tutti gli specialisti debbano essere presenti in ogni fase del processo di cura: alcuni bambini potrebbero presentare prevalenti disturbi motori, mentre altri menomazioni del linguaggio o neuropsicologiche. A seconda dell’importanza dei problemi denunciati, il bambino potrebbe aver bisogno di follow-up più ravvicinati da parte di uno o più specialisti, che finiscono per
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diventare i responsabili del caso; essi sono i membri del team più vicini alla famiglia durante la terapia. I responsabili del caso hanno il ruolo di organizzare e dirigere il processo di riabilitazione, integrando le informazioni e le decisioni tra il team, il bambino e la famiglia (Braga, 2006). Nel corso dello sviluppo, i responsabili del caso possono essere sostituiti da altri specialisti per lavorare con il bambino, a seconda delle esigenze terapeutiche in quel particolare momento. Per esempio, un bambino con paralisi cerebrale e movimenti involontari acuti, come la distonia, che accusa forti dolori e difficoltà nel mantenere la posizione seduta, potrà beneficiare della collaborazione tra i pediatri e il terapista fisico o occupazionale; insieme, essi possono stabilire il miglior modo di posizionare il bambino con l’impiego delle risorse di TA, come gli adattatori di seduta, ma anche stabilire se si impone la necessità di un intervento farmacologico. Con un posizionamento adeguato e confortevole, possono essere realizzati sistemi di comunicazione alternativa, e può venire configurato il follow-up da parte di altri membri del team, come i logopedisti o gli insegnanti che si occupano di bisogni educativi speciali. Di contro, nel caso di bambini con disturbi prevalentemente neuropsicologici o comportamentali, per esempio causati da TBI, il pediatra dovrebbe lavorare a più stretto contatto con l’educatore e lo psicologo, che sarebbero i responsabili del caso, per stabilire una diagnosi e anche per determinare il miglior piano terapeutico per tali patologie. Tale lavoro di team incorporato, pertanto, abilita a una comunicazione più efficace, guida e supporta la famiglia, gli insegnanti e la comunità scolastica, rendendo più facili le disposizioni relative alle migliori strategie educative e i modi di gestire sia le esigenze particolari del bambino sia i problemi comportamentali. Lo sviluppo è procedurale: così, il follow-up longitudinale condotto dal team assicura che i progressi del bambino siano in fase di valutazione e che gli obiettivi siano stati calibrati sul suo potenziale, sull’interesse e sui bisogni, i quali cambiano nel tempo. Ogni approccio alla riabilitazione dovrebbe mirare a promuovere l’indipendenza e ad ampliare la capacità del bambino a interagire con il mondo. È importante che vengano adeguatamente riconosciuti e considerati i seguenti aspetti: 1) il bambino come una persona singola in un processo di sviluppo, con un interesse e un potenziale unici; 2) la fondamentale collaborazione e il ruolo della famiglia; 3) il valore dei contesti socioculturali per lo sviluppo del bambino e per l’inserimento.
12.2 Gli specialisti pediatrici nelle soluzioni assistive Vari studi hanno dimostrato che gli approcci del team multidisciplinare sono più efficaci nel processo di riabilitazione (Bakeit, 1996; Körner, 2010), soprattutto per quanto riguarda l’implementazione delle soluzioni assistive (Stoner, Maureen e Angell, 2010). I servizi e gli strumenti di TA sono importanti per favorire e massimizzare lo sviluppo e/o la riabilitazione dei bambini con disabilità. Per una soluzione assistiva valida, la tecnologia dovrebbe essere applicata in una maniera funzionale, volta a migliorare le capacità del bambino e a espandere il suo potenziale per l’interazione con l’ambiente e la collettività (Scherer et al., 2011).
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Nella prima infanzia, i bambini con disabilità potrebbero presentare menomazioni che permangono per tutta la vita e che cambiano man mano che il bambino cresce e si sviluppa (Cattelani, 1998; Warzak, 1995). Tali cambiamenti possono essere riscontrati nell’apprendimento di nuove competenze, come una perdita precoce della capacità di fornire prestazioni adeguate quando il bambino raggiunge l’adolescenza o l’età adulta, (Bottos, Feliciangeli, Sciuto, Gericke e Vianello, 2001; Strauss, Ojdana, Shavelle e Rosenbloom, 2004), ma l’uso delle risorse di TA può anche essere utile per aiutare le persone disabili ad acquisire o a mantenere l’indipendenza (Wilson, Mitchell, Kemp, Adkins e Mann, 2009). Tre aspetti dovrebbero essere messi bene in evidenza nello studiare l’applicazione delle soluzioni assistive: la partecipazione del team multidisciplinare, le soluzioni proposte nel contesto del binomio bambino-famiglia e il ruolo che questi approcci hanno nel processo di apprendimento del bambino. Per l’importanza di questi aspetti, le loro caratteristiche principali saranno descritte di seguito.
12.3 Le soluzioni assistive e l’approccio del team multidisciplinare Data la grande varietà di disturbi (motori, cognitivi, della comunicazione e sensoriali) che il bambino disabile potrebbe avere e i differenti aspetti sociali e culturali interessati, è evidente che dovrebbero essere adottati obiettivi personalizzati, evitando approcci frammentati e un modo di procedere rigido da applicare come una misura valida per ogni caso. Si impone, pertanto, una valutazione approfondita da parte del team di specialisti pediatrici, che dovrebbe precedere l’introduzione di qualsiasi strumento di TA. È importante individuare le potenzialità del bambino e/o le limitazioni nei vari domini (motorio, cognitivo, del linguaggio e così via), oltre ai bisogni di sviluppo, agli interessi particolari, all’ambiente sociale e al contesto della vita quotidiana (per esempio famiglia, scuola). L’obiettivo principale dell’intervento multidisciplinare è quello di favorire lo sviluppo del bambino e la partecipazione sociale attraverso attività orientate all’acquisizione della maggiore autonomia possibile, spesso con l’aiuto della risorse della TA. L’uso funzionale degli strumenti di TA, del resto, produce l’interazione di aspetti motori, cognitivi, emozionali e somatosensibili. Così, l’assistenza nello sviluppo e nella riabilitazione può essere limitata dall’azione congiunta della riabilitazione, la quale facilita la definizione delle priorità dello sviluppo e permette di concentrarsi su attività contestualizzate che coinvolgono più di un’area di sviluppo (Braga e Campos da Paz Jr, 2006). In molti casi, tale azione comune può essere ottimizzata attraverso sessioni integrate, alle quali prende parte più di un professionista, così da contribuire all’osservazione delle potenzialità del bambino mediante la prospettiva simultanea di diverse aree di specializzazione e il successivo confronto su ciò che è stato osservato: proprio a muovere da queste attività propedeutiche è possibile passare al processo decisionale. Talvolta, la difficoltà nello svolgere un compito, come quello di usare un adattatore per disegnare un progetto o un camminatore per spostarsi, inizialmente può
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sembrare essere causata da un disturbo motorio, ma potrebbe in realtà essere provocata da una menomazione dell’attenzione. In altre parole, un disegno mal progettato o problemi nell’aggirare gli ostacoli con un camminatore potrebbero essere originati da disturbi dell’attenzione o della visione piuttosto che da menomazioni di coordinamento o di equilibrio. In questi casi, un team che lavora con un approccio integrato può programmare attività che collegano componenti motorie e neurofisiologiche basate sulla valutazione congiunta e sui colloqui. In questi casi, i professionisti della riabilitazione, lavorando di concerto, possono progettare attività che associano aspetti motori e neurofisiologici, scelte dopo che il team ha valutato congiuntamente e discusso il caso. Il team può, per esempio, unire il percorso di formazione delimitando gli ostacoli che devono essere superati, stabilendo segni e tecniche che il bambino deve usare e orientando i genitori verso strategie verbali che possono essere utilizzate quando l’attenzione del bambino si allontana dal compito in questione. Il lavoro di team nel campo delle TA migliora non solo l’approccio al bambino, ma ottimizza anche l’efficacia del team sia come forza integrata sia che dei singoli professionisti: la conoscenza multidisciplinare viene realizzata attraverso i colloqui di gruppo nel corso della terapia e, d’altra parte, la conoscenza condivisa trasforma e amplia l’esperienza di ciascun membro del team, rendendo i metodi di valutazione e di intervento più efficaci. Il processo basato sul team ha benefici sulle squadre, e tali benefici comprendono lo sviluppo di obiettivi più specifici e realizzabili con la tecnologia, la maggiore fiducia tra i membri del team e un più efficace lavoro del team per contribuire al processo decisionale (Copley e Ziviani, 2007). Di conseguenza, anche la famiglia diventa parte del team, perché offre le informazioni necessarie a una buona conoscenza del bambino durante la sua vita quotidiana a casa, concernente cioè la routine, i suoi interessi, ciò che gli piace e non gli piace; tutto ciò che va ad arricchire le informazioni che si ottengono mediante la valutazione clinica e che costituiscono elementi essenziali per il processo decisionale (Braga, 2000; King, Teplicky, King e Rosenbaum, 2004). Un approccio complessivo ottimizza e migliora la riabilitazione e indica come procedere con la selezione e l’implementazione di strumenti di TA, consentendo, oltre a ciò, un miglior coordinamento dell’uso della tecnologia tra casa e scuola. Alcuni ricercatori del settore si concentrano su studi inerenti a come raffinare il processo di valutazione e come selezionare meglio e implementare le risorse; l’obiettivo è di aiutare la corrispondenza tra le tecnologie e il bambino, che si basi sui suoi bisogni e interessi, ma anche sulle caratteristiche e sul modo in cui funziona ogni strumento (Scherer e Craddock, 2002; Scherer, 2004; Scherer, Sax, Vanbiervliet, Cushman e Scherer, 2005). È importante, infatti, valutare quanto il bambino è in grado di capire come questi strumenti funzionano e qual è il loro scopo, nonché valutare l’efficacia degli strumenti di TA giorno per giorno. In altre parole, durante la valutazione, il team dovrebbe concentrarsi non solo sull’osservazione delle abilità del bambino e sui fattori che intervengono nello sviluppo, ma anche sul formulare ipotesi sulle strategie possibili o sulle risorse che possono favorire la loro interazione e la vita sociale. A seconda del tipo di adattamento, potrebbero essere necessarie abilità più complesse: i bambini con disturbi cognitivi, per esempio, potrebbero avere difficoltà
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nell’usufruire di strumenti che richiedono sequenze di movimento più complesse e un funzionamento più elaborato di memoria e di pianificazione (Pueyo-Benito e Vendrell-Gomez, 2002; Scherer, 2005), come il gestire una leva per controllare un’automobile ad autopropulsione solamente con una mano. Strategie come quella di dividere il compito in alcune fasi, e incoraggiare il metodo per prove ed errori, può aiutare nell’implementazione di risorse di TA più complesse. Inoltre, conoscere le esperienze precedenti del bambino con le TA può essere utile nel momento in cui si aggiungono e si adattano le stesse risorse di TA (Scherer, 2005; Murchland e Parkyn, 2010). In sintesi, il lavoro del team multidisciplinare, di concerto con la famiglia del bambino, è essenziale per la pianificazione, l’implementazione, la valutazione e il follow-up di qualunque soluzione assistiva, al fine di migliorare la prestazione del bambino e la qualità della vita.
12.4 Le risorse delle TA applicate alla vita quotidiana del bambino e della famiglia L’uso efficace di uno strumento di TA viene raggiunto attraverso la sua applicazione funzionale nella vita quotidiana, cioè quando si integra nella routine giornaliera del bambino, modificando le possibilità e il modo in cui questi può interagire nell’ambiente e con esso (Lindsay e Tsybina, 2011). Due aspetti sono fondamentali per questo processo: 1) il coinvolgimento attivo della famiglia, che offre continue opportunità per far pratica e 2) l’efficacia dello strumento nell’aiutare il bambino a migliorare la prestazione in una determinata attività. Molte delle attività della vita quotidiana del bambino sono centrate su compiti che sono culturalmente importanti per la famiglia. Quanto più accuratamente una famiglia valuta una data risorsa, tanto maggiori opportunità avrà il bambino di fare pratica e di utilizzarla (Kellegrew, 2000). Alcune famiglie, per esempio, incoraggeranno il loro bambino a progredire in attività volte alla cura di sé, come andare in bagno da solo e mangiare autonomamente senza bisogno dell’altrui aiuto. I compiti messi in evidenza dalla famiglia riflettono le convinzioni e i valori che essa ha intorno all’infanzia e alla disabilità, le vedute socio-economiche e formative che influenzano la routine giornaliera e, conseguentemente, la partecipazione del bambino (o la mancanza di partecipazione) ad alcune attività. A seconda dei valori culturali, infatti, l’uso di adattamenti nello svolgimento delle attività della vita quotidiana può essere rafforzato o ignorato dalla famiglia stessa (Ripat e Woodgate, 2011). Le famiglie, nella loro interazione con il team di riabilitazione, spesso indicano in quali compiti il loro figlio mostra un maggior interesse o quali compiti egli sta tentando di eseguire (Hinojosa, Sproat, Mankhetwit e Anderson, 2002). Lo specialista pediatrico, in base alla valutazione del team, cerca sia di adeguare gli obiettivi della riabilitazione al potenziale del bambino sia di aiutare le famiglie a capirne le potenzialità, così come a identificare le esigenze e le limitazioni sopraggiunte con la disabilità: lo specialista, insomma, può aiutare a orientare le aspettative e a operare cambiamenti in ambito familiare per ottimizzare il progresso e lo sviluppo del bambino.
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Le richieste prodotte dal bisogno di assistenza del bambino portano, in genere, a una serie di modifiche nella routine quotidiana della famiglia. Oltre all’importanza di una valutazione unanime del bambino da parte del team multidisciplinare, è importante la quantità di tempo che verrà dedicato all’attività, al fine di considerare, da un lato, il coinvolgimento del team nella formazione del bambino e, dall’altro, quello della famiglia nell’uso delle risorse offerte dalle TA, giacché ogni modifica impone che al bambino venga concesso tutto il tempo richiesto dall’adattamento (Østensjø, 2003). La variabile tempo, va aggiunto, tende a esercitare un impatto più profondo nei bambini le cui abilità funzionali sono più compromesse o in quelli che sono più lenti dei bambini autonomi (Kellegrew, 2000), così che sarebbe buona norma misurare il tempo che viene impiegato per ogni attività, onde evitare sforzi eccessivi da parte del bambino (Østensjø, 2003). Sarebbe opportuno, inoltre, che il team fosse consapevole dell’impatto che il fattore tempo potrebbe avere sulla percezione che la famiglia ha del rendimento del bambino. I componenti della famiglia, infatti, potrebbero sentirsi ansiosi o preoccupati nel constatare che il bambino impiega troppo a eseguire un compito o a usare un dato strumento di TA. In questo senso, è importante aiutare la famiglia a capire le sfide che il bambino sta affrontando, oltre che indicare le risorse che possono facilitare la prestazione del bambino: ciò potrebbe aiutare i membri della famiglia a sentirsi più a proprio agio. Costoro potranno così comprendere che il bambino sta usando il tempo in modo più efficace, anche se impiega più del previsto e, a sua volta, il bambino potrà avere un ruolo più attivo quando le attività verranno progettate sulla routine quotidiana della famiglia nel suo svolgersi domestico (Ketelaar et al., 2001). Le situazioni che il bambino affronta possono anche cambiare a seconda dell’ambito: in casa, per esempio, il bambino potrebbe avere più tempo che a scuola per svolgere un compito. In questo senso, le strategie devono cambiare per assicurare una maggiore partecipazione alle attività; per esempio, imparare come masticare il cibo a scuola, senza doverlo tagliare, riduce il tempo necessario per il pranzo e la merenda. Spesso, uno strumento di TA può cadere in disuso in quanto privo di valore nella routine e perché non adatto all’ambito specifico. Per esempio, quando il team non riesce a collaborare con la famiglia nell’implementazione di uno strumento di TA, c’è il rischio che quest’ultimo non risulti efficace e ciò può essere la conseguenza del fatto che tale strumento non è rivolto ai bisogni della famiglia o a quelli indotti dall’ambiente, nonostante il dispositivo avrebbe potuto portare importanti benefici al bambino. È importante individuare, insomma, come gli strumenti di TA siano visti dal bambino, come la famiglia li percepisce e come questi possono diventare parte del contesto sociale sia del bambino sia della famiglia (Skär, 2002). Lo specialista pediatrico dovrebbe essere attento alle vere potenzialità del bambino e alla capacità di esecuzione del compito assegnato in modo che possa essere offerta l’assistenza più efficace all’intera famiglia (per esempio orientando la partecipazione degli altri nell’attività o introducendo gli adattamenti, quando necessario). Questo tipo di intervento può avere un impatto più positivo sulla qualità della vita del bambino e della famiglia.
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12.5 Tecnologie assistive e apprendimento L’applicazione delle risorse di TA comporta un processo di apprendimento che cresce nel momento in cui l’abilità del bambino a utilizzare gli strumenti si evolve. L’uso del dispositivo favorisce lo sviluppo di abilità funzionali che comprendono la pianificazione e l’esecuzione di movimenti organizzati, mediante i quali il bambino raggiunge un obiettivo o una funzione. La capacità di sviluppare una competenza è, in parte, determinata dal potenziale biologico; tuttavia, lo sviluppo o la riorganizzazione dei sistemi funzionali del cervello sono favoriti dalle istanze sociali e dipendono dallo stile di vita, dalle convinzioni e dai valori di ogni cultura, secondo le possibilità del substrato morfologico del bambino e le sue possibilità di “fare pratica” (Leontiev, 1978; Vygostsky, 1984; Vygotsky, 1991). In altre parole, alcune abilità funzionali che evolvono attraverso l’uso degli strumenti TA vengono raggiunte o affinate in base alle capacità del bambino e all’opportunità di svilupparle (McNaughton et al., 2008). La capacità di usare un’interfaccia di comunicazione alternativa, per esempio, si ottiene attraverso l’abilità di controllare alcuni movimenti del corpo o dopo aver raggiunto un certo livello di sviluppo cognitivo. Comunque, ciò dipende anche dalle opportunità di imparare che vengono offerte al bambino e dalla possibilità di migliorare il modo in cui lo strumento viene utilizzato. Quello che di primo acchito potrebbe sembrare un movimento difficile o scoordinato, e che richiede molto tempo e sforzo, con la pratica e l’incoraggiamento può diventare più facile da usare e più efficace. Le strategie messe in atto dalla famiglia, per esempio per comunicare o per gestire il pasto (per esempio come si iniziano e si portano avanti le conversazioni o come si incoraggia il bambino a mangiare), possono contribuire significativamente allo sviluppo e al miglioramento delle abilità che gradualmente porteranno a una maggiore autonomia funzionale. Permettere a un bambino di fare sperimentazioni, per esempio usando un dispositivo per manipolare un cucchiaio, contribuirà allo sviluppo di specifiche abilità funzionali. Persino i bambini e gli adolescenti che hanno gravi menomazioni motorie e una capacità di comunicazione quasi incomprensibile possono trarre miglioramento dai dispositivi di TA (Puyuelo, 2001) (Pennington, Goldbart e Marshall, 2004). I sistemi di comunicazione aumentativa e alternativa (CAA) dovrebbero essere calibrati periodicamente durante tutto lo sviluppo e adattati ai bisogni di comunicazione del bambino e agli ambiti che in genere lo accolgono (McNaughton et al., 2008). Inizialmente, il sistema potrebbe sembrare inefficace, poiché il bambino avrà probabilmente bisogno di tempo per esprimere l’intenzione di comunicare e per l’interlocutore potrebbe essere necessario adattare il suo stile discorsivo alle nuove forme di espressione del bambino, ma risulta di grande importanza non dimenticare mai i benefici che la comunicazione può portare alla socializzazione del bambino e al suo processo scolastico (Branson e Demchak, 2009). Sebbene i sistemi CAA favoriscano una maggiore autonomia nelle interazioni sociali, tuttavia non sostituiscono la parola né garantiscono un dialogo in tempo reale, esigendo così che gli interlocutori si adattino a rispettare la dinamica temporale del bambino stesso. Inoltre, è importante che ogni persona coinvolta sia abile nel gestire i dispositivi in modo che questi ultimi
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possano essere usati opportunamente, così da migliorare in modo efficace le capacità del bambino (Murphy, Markova, Collins e Moodie, 1996; Scherer, 1996). Oltre a ciò, è bene tenere presente che qualsiasi risorsa di tecnologica assistiva utilizzata dal bambino è molto di più di un semplice aiuto meccanico. Gli strumenti di TA diventano parte integrante del suo corpo e hanno effetto sull’autopercezione della funzionalità e dell’aspetto. Generalmente, più semplice e funzionale è lo strumento, maggiori sono le probabilità che il bambino e la famiglia lo utilizzino regolarmente. Quando gli strumenti TA sono effettivamente integrati nelle attività quotidiane del bambino, possono alla fine essere visti come estensioni del corpo del bambino (Huang, Sugden e Beveridge, 2009). Quando si tratta di un bambino che ha il potenziale per il raggiungimento di un maggior livello di indipendenza, è importante assicurarsi che la famiglia capisca cosa il loro figlio è in grado di raggiungere, ma è altrettanto fondamentale che sia consapevole di cosa si può fare per incoraggiare il suo sviluppo attraverso l’applicazione di risorse di TA, soprattutto per la progettazione della routine domestica. In un follow-up longitudinale, l’uso delle risorse di TA varia da “molto facile” a “più complesso”, a seconda delle abilità di ciascun bambino, delle sue potenzialità e dello stadio di sviluppo. Inoltre, cambiamenti relativi agli interessi del bambino e la consolidazione di nuove competenze funzionali possono modificare la prestazione e le opportunità, che a loro volta necessitano di correzioni, nel tempo, degli strumenti usati (Jahiel e Scherer, 2010). Tornando all’esempio sull’utilizzo di un sistema CAA, un bambino, per tutta la sua vita, può sviluppare abilità motorie o cognitive e un miglior autocontrollo emotivo che potrebbero richiedere l’aggiornamento degli strumenti di TA, nel senso del privilegiare via via quelli più complessi: per esempio, utilizzare un’interfaccia con un solo tasto richiede una singola azione motoria. Tuttavia, allorché le capacità motorie del bambino si sviluppano e la coordinazione dei movimenti aumenta, specie se vengono accompagnate dal miglioramento delle sue funzioni cognitive – le quali consentono una più elaborata progettazione mentale, che implica procedure sequenziali –, diventa possibile usare un’interfaccia con cinque tasti e un motore di ricerca semidiretta. Un cambiamento come questo presuppone una maggiore efficacia comunicativa, giacché favorisce la velocità nei dialoghi o nella comunicazione scritta. Inoltre, un’interfaccia di comunicazione alternativa a un unico tasto può avere parecchi utilizzi nel corso dello sviluppo del bambino: inizialmente, può essere una risorsa utilizzata per giocare con i giocattoli. Quando il bambino cresce, può essere usata per segnalare “sì” o “no” e, in seguito, può essere usata per i programmi del computer. Ne consegue, quindi, che tale strumento può avere più di una funzione in un qualsiasi momento dello sviluppo del bambino. Se è adeguatamente regolato sui bisogni e sulle potenzialità della fase specifica in cui il bambino si trova, lo stesso strumento può essere impiegato per raggiungere l’obiettivo principale di accrescimento della comunicazione. La strategia scelta per l’introduzione di un aiuto basato sulle TA nella vita quotidiana del bambino deve essere regolata sulle potenzialità motorie e cognitive da lui espresse. La costruzione e l’uso di schede simboliche di comunicazione, per esempio, migliorano il vocabolario del bambino e la sua possibilità di esprimersi. Il livello di
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rappresentazione mentale conseguito, inoltre, determinerà la sua scelta dei simboli, i quali possono essere fotografie, disegni, simboli grafici, lettere, parole e/o frasi. Il team di riabilitazione e la famiglia dovrebbero esplorare i bisogni di comunicazione del bambino in relazione al contesto, agli scopi delle interazioni e alla scelta dei simboli (Fallon, Light e Paige, 2001; Fallon, Light e Achenbach, 2003); le schede, a loro volta, dovrebbero essere create in base alle capacità del bambino e alla modalità di selezione e di scansione (Blackstone, Williams e Wilkins, 2007). Allo stesso modo, è fondamentale che ogni persona coinvolta nell’uso di questi strumenti sia adeguatamente istruita in merito alla loro applicazione, facilitando così, tramite un contesto sensibile e un approccio basato sulla famiglia, la loro vera integrazione nella vita quotidiana del bambino e nel miglioramento della qualità della vita di ognuno (Jans e Scherer, 2006). L’intervento di riabilitazione ha un carattere formativo. Lo scopo è quello di capire una routine che già esiste e, gradualmente, includere nuovi elementi nel modo più naturale possibile, affinché trasformino e arricchiscano il funzionamento delle attività nel mondo reale. Un programma di intervento, che si concentra sulla funzione e su un approccio che sia sensibile al contesto, facilita il trasferire ciò che si è appreso all’interno di un determinato contesto in altri contesti (Ylvisaker, 1998). Oltre alla contestualizzazione delle attività proposte, è importante anticipare la diminuzione graduale del sostegno offerto, che vada di pari passo con l’autosufficienza che il bambino è in grado progressivamente di esprimere. In sintesi, le risorse offerte dalle TA, adeguatamente selezionate, sono quelle che ampliano la capacità di agire del bambino, favoriscono un nuovo apprendimento e incoraggiano lo sviluppo. Ampliando il modo in cui il bambino può interagire e comunicare con il mondo, tali strumenti arricchiscono le sue esperienze e le sue interazioni, apportando cambiamenti nello sviluppo e nella partecipazione sociale.
12.6 Valutazione del caso da parte del team multiprofessionale Vengono presentati due casi di studio per illustrare come il team di specialisti pediatrici seleziona e promuove l’uso appropriato di questi strumenti, tenendo conto dell’ambiente del bambino e delle necessità del suo sviluppo. Questi casi sono in follow-up longitudinale e descritti secondo il modello e la struttura ICF (OMS, 2002; Raghavendra, Bornman, Grandlund e Björck-Akesson, 2007; Mc Dougall, Wright e Rosenbaum, 2010; McDougall, Wright, Schmidt, Miller e Lowry, 2011).
12.6.1 Caso 1 – Michael (paralisi cerebrale) Storia del caso Michael (nome fittizio) presentava paralisi cerebrale tetraplegica coreoatetoide (CP) causata da ipossia perinatale. Oggi ha 11 anni ed è stato seguito da un team interprofessionale al SARAH Network of Neurorehabilitation Hospitals da quando aveva dieci mesi. È nato con insufficienza respiratoria a causa del lungo travaglio durante il
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parto; è rimasto intubato per 40 minuti, immediatamente dopo la nascita, ed è stato trattenuto nell’ICU per due giorni con ventilazione meccanica. È il primo figlio di una coppia (un geografo e un’economista), ma ha una sorella di quattro anni più piccola. Non ha menomazioni cognitive o sensoriali associate, né disturbi convulsivi.
Valutazione motoria Michael ha manifestato ritardi dello sviluppo neurologico. Alla sua dimissione dal SARAH, presentava movimenti involontari dei quattro arti e dei muscoli periorali, che continuano anche oggi a interferire con la sua coordinazione nella manipolazione degli oggetti, nel controllo della postura e nella mimica facciale. A 10 mesi, Michael non aveva ancora raggiunto alcuna acquisizione motoria e non aveva il controllo della testa. Persistevano alcuni movimenti arcaici, come il riflesso tonico asimmetrico del collo; collocamento e paracadute erano assenti. Provava a raggiungere e ad afferrare gli oggetti, ma non ci riusciva a causa della difficoltà nei movimenti. Attualmente, Michael mostra un equilibrio regolare del tronco e si trova in una sedia a rotelle su misura che facilita il posizionamento e la locomozione. Valutazione neuropsicologica Lo sviluppo cognitivo di Michael è sempre stato compatibile con la sua età cronologica. Al momento del ricovero, mostrava interesse nell’interazione sociale e nell’esplorare gli oggetti. La sua attenzione era al livello previsto per la sua età, ma la sua concentrazione era compromessa a causa dei suoi movimenti involontari. Poteva riconoscere volti familiari, si ostinava a raggiungere gli oggetti e provava a individuare i modi per esplorarli. Quando aveva cinque anni e tre mesi, è stato sottoposto a una valutazione cognitiva con la Columbia Mental Maturity Scale e ha ottenuto un totale di 42 punti, compatibile con il 77° percentile e un livello di maturità di un bambino di sei anni. Attualmente, frequenta la scuola regolare e sia i suoi punteggi sia la prestazione sono compatibili con la sua età e grado. Strategia di comunicazione Al momento del ricovero, i mezzi di comunicazione di Michael erano precari. Aveva difficoltà nel controllare i movimenti della gestualità e del vocalizzo, comunicava le sue necessità basilari con pianti, sorrisi sociali e rispondendo al contatto visivo. Aveva una buona comprensione del contesto, ma non aveva gli strumenti convenzionali per comunicare con i suoi interlocutori, come annuire con la testa, indicare o segnalare “sì/no”. Oggi, Michael è in grado di comunicare autonomamente mediante i sistemi di comunicazione alternativa, sebbene ancora richieda interlocutori che abbiano familiarità con i suoi segnali comunicativi. Valutazione di funzioni visive, uditive e percettive Michael non presenta deficit sensoriali associati né disturbi convulsivi.
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L’approccio del team di neuroriabilitazione Il programma per stimolare lo sviluppo neurologico di Michael in giovane età comprendeva attività integrate per migliorare il suo equilibrio del tronco e del collo, le abilità manuali, l’attenzione congiunta, l’esplorazione degli oggetti, l’ampliamento del vocabolario e l’uso di segnali convenzionali per la comunicazione non verbale. Allora, le risorse di TA utilizzate erano principalmente una sedia speciale che posizionava Michael seduto in modo più adeguato, rendendo più semplice per lui scegliere e giocare con i giocattoli e sostenere l’attenzione visiva, così da poter osservare ciò che lo circondava e interagire socialmente. La Figura 12.1 mostra una sedia speciale che permette una posizione del bambino atta ad aumentare la stabilità del tronco, un miglior contatto visivo e un buon uso delle braccia per manipolare i giocattoli.
Figura 12.1 (Vedi inserto a colori.) Sedia speciale per aiutare il bambino a stare seduto e utilizzare gli arti superiori.
Come ci si aspettava, lo sviluppo cognitivo e linguistico di Michael sono progrediti più velocemente rispetto al suo sviluppo motorio. Nel corso del tempo, l’impatto dei suoi movimenti involontari gli ha reso impossibile camminare, parlare in modo comprensibile o scrivere a mano. Attualmente, mostra un equilibrio normale del tronco e può rimanere seduto usando le mani. Si aggira trascinandosi in posizione seduta e si può inginocchiare senza supporto, ma solo per breve tempo. Michael usa la mano sinistra per afferrare gli
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oggetti, sebbene con una significativa mancanza di coordinazione; non è tuttavia in grado di scrivere a mano e dipende da altri nelle attività della vita quotidiana (mangiare, vestirsi e igiene personale). Continua a usare una sedia a rotelle su misura per il posizionamento e la locomozione. Il suo sviluppo cognitivo è sempre stato compatibile con la sua età, ma l’uso della tecnologia assistiva è diventato necessario a causa delle sue difficoltà sia di apprendimento sia di messa in pratica delle nuove acquisizioni. Uno dei principali obiettivi dell’uso di TA era l’ampliamento della comunicazione espressiva e il favorire l’interazione sociale. Inizialmente, il problema era creare un modello coerente di risposte positive e negative per mezzo di gesti specifici resi convenzionali, che consentissero a Michael di disporre di strumenti per dialogare con i suoi interlocutori e partecipare più attivamente alle conversazioni. A tal fine, gli interlocutori dovevano fare domande, ma anche rivolgere frasi, e ciò consentiva anche di fare formazione. I temi scelti in questa occasione erano situazioni basate sulla routine di Michael, ma in forma giocosa, usando la tecnologia assistiva volta a favorire un maggior controllo del suo ambiente, come interruttori su misura sui giochi elettronici che permettevano a Michael di controllarli come se stesse usando un telecomando. La Figura 12.2 è un esempio di interruttore di questo tipo che necessita di un singolo movimento della mano, del piede o della testa.
Figura 12.2 (Vedi inserto a colori.) Giocattolo elettronico con interruttore adattato.
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Un altro obiettivo del team di neuroriabilitazione era quello di aiutare Michael a raggiungere mezzi più funzionali per spostarsi, poiché egli era in grado di trascinarsi solamente in posizione seduta, con sostanziali deficit di equilibrio. Di solito, veniva trasportato in un passeggino convenzionale, ma per migliorare lo spostamento è stato introdotto un dispositivo alternativo di locomozione, come per esempio il manubrio adattato nella Figura 12.3. Tale strumento ha permesso a Michael di spostarsi in modo più indipendente in ambienti controllati (per esempio casa, scuola e negozi).
Figura 12.3 (Vedi inserto a colori.) Dispositivo per la locomozione indipendente.
Data la dipendenza di Michael da altri per le sue attività della vita quotidiana, (mangiare, vestirsi e igiene), il suo sedile della toilette è stato fatto su misura, al fine di permettergli di rimanere seduto mentre lo usava (Figura 12.4). Più o meno allo stesso modo, l’uso di una sedia da bagno su misura, come quella nella Figura 12.5, ha permesso un miglior posizionamento durante il bagno. L’introduzione delle risorse di TA per una migliore comunicazione e apprendimento ha dato a Michael una maggiore autonomia nel suo processo di comunicazione e nella vita scolastica. Quando lo sviluppo simbolico di Michael si è evoluto, sono stati incorporati altri dispositivi, come le tavole di comunicazione per migliorare l’apprendimento e promuovere la costruzione di concetti scolastici.
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Figura 12.4 (Vedi inserto a colori.) Sedile per la toilette personalizzato.
Figura 12.5 (Vedi inserto a colori.) Sedia da bagno.
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È stata anche migliorata l’accessibilità digitale attraverso nuove risorse di TA. Poiché Michael non era in grado di usare un tradizionale mouse e le tastiere, sono stati aggiunti interruttori per eseguire software di giochi, per l’attenzione e la memoria (che sono stati sviluppati dal SARAH Network): tutto ciò per aiutare a stimolare l’attenzione volontaria e la progettazione nonché le capacità neuropsicologiche necessarie per l’utilizzo, nel futuro, di sistemi più complessi. A questo punto, Michael ha cominciato a usare una sedia a rotelle pediatrica. Tale aiuto è stato personalizzato con sedile anatomico e schienale, oltre a una cintura di sicurezza, per fornire un miglior posizionamento; ciò ha dato un buon contributo all’equilibrio della testa e del tronco nonché alla funzione della mano e ha migliorato la capacità di cogliere ed esplorare oggetti. La Figura 12.6 è un esempio di una sedia a rotelle adattata, munita di un ripiano che è stato fissato tra i braccioli come supporto per le schede di comunicazione, che contenevano parole associate alle attività della vita quotidiana (mangiare, tempo libero, posti, persone) per ampliare i suoi mezzi di espressione durante le conversazioni a casa e a scuola.
Figura 12.6 (Vedi inserto a colori.) Sedia a rotelle pediatrica con sedile e schienale anatomico.
Le tavole sono state estese con lettere e numeri per aiutare Michael nelle attività dell’imparare a leggere. Imparare a leggere, infatti, è un’acquisizione importante per questi bambini, perché la padronanza del linguaggio scritto permette l’uso illimitato del vocabolario, che a sua volta amplia i mezzi di espressione e permette l’uso di una tecnologia assistiva più complessa, come costruire parole e utilizzare dei comunicatori vocali.
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L’alfabetizzazione di Michael è stata supportata da schede con simboli e lettere, che egli ha selezionato indicando con il dito, un movimento che ha cominciato ad associare con la sua funzione. Come ha imparato a leggere, sono state introdotte risorse di TA più sofisticate, come il software SKM e l’attivazione di interruttori per la mano sinistra. Un miglior controllo dei movimenti della mano sinistra ha reso possibile a Michael di utilizzare una tastiera potenziata con un modello munito di joystick e di un interruttore per le funzioni del mouse. Tuttavia, è difficile trasportare in sicurezza un computer nei parchi, nei club o alle feste dei bambini. Pertanto, è stato incorporato anche un comunicatore vocale per aiutare Michael a comunicare in tali ambienti, permettendogli di partecipare più pienamente alle situazioni sociali che essi implicano. Michael continua a studiare in una scuola regolare, senza alcuna difficoltà nel padroneggiare il programma di studio. In classe ha a disposizione un computer e una stampante personalizzati, affinché ciò lo possa aiutare nel completare le attività scolastiche; agganciata al banco ha una tavola con simboli e lettere, oltre a un interruttore, un joystick e un comunicatore. Ciò permette a Michael di comunicare usando gesti concordati, schede, computer che parlano e scrivono, secondo l’impostazione e secondo quanto i suoi interlocutori sanno delle risorse tecnologiche che egli usa. La Figura 12.7 mostra un comunicatore vocale sviluppato dal SARAH Network che usa semplici interruttori per la scansione delle lettere e per formare le parole.
Figura 12.7 (Vedi inserto a colori.) Comunicatore vocale che usa semplici interruttori per la scansione delle lettere e per formare le parole.
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Michael è stato seguito con un follow-up longitudinale dal team di specialisti pediatrici. Oltre a usare le TA, il processo di integrazione scolastica di Michael è stato sostenuto dalle favorevoli politiche educative brasiliane, sebbene esistano alcune barriere nei servizi formativi. In questo contesto, l’aiuto e la partecipazione della famiglia, l’integrazione tra i professionisti sanitari ed educativi, oltre al supporto in classe dell’assistente personale, assunto dai genitori di Michael, sono stati indispensabili per il suo sviluppo e per il successo a scuola. Questo processo è presentato in dettaglio nella Tabella 12.1, secondo l’ICF. Tabella 12.1 Caso 1: Michael. Funzioni del corpo
Attività e partecipazione
Fattori ambientali
Tecnologia assistiva
b117.0 b167.0 b210.0 b230. b320.4 b7354. 4 b7650.4
d4103.4 (ammissione) d4103.2 (attualmente)
e1151 + 3
– sedia particolare – sedile per toilette personalizzato – sedia per fare il bagno personalizzata
d4102.4 (ammissione) d4102.2 (attualmente)
e1201 + 3
– sedie a rotelle adattate – dispositivo alternativo di locomozione (“navigatore” adattato)
d335.4 (ammissione) d335.2 (attualmente) d330.4 (ammissione) d330.3 (attualmente)
e1251 + 3 e1301 + 3
– segnali “sì/no” – tavole di comunicazione – pannelli per lettere – software di gioco – interruttori per l’esecuzione del software – software per la tastiera e per il mouse (SKM) – comunicatore vocale
d440.4 (ammissione) d440.3 (attualmente)
e1401 + 3
– giochi con interruttore – telecomando personalizzato – libri digitali – giochi virtuali
d450.4 (all’ammissione e attualmente)
e355 + 4 e415 + 4 e340 + 4 e5852 + 4 e5850 + 2 Le funzioni del corpo sono state classificate secondo i dati ottenuti nella valutazione iniziale; le attività e la partecipazione sono state classificate in base alle prestazioni al momento del ricovero e attuali; i fattori ambientali riflettono l’aspetto procedurale dell’applicazione delle risorse di TA, secondo le esigenze di ogni stadio di sviluppo.
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12.6.2 Caso 2 – John (lesioni cerebrali traumatiche) Storia del caso John (nome fittizio) attualmente ha 15 anni; ha subìto un trauma cranico (Glasgow 8) in un grave incidente automobilistico quando aveva 12 anni. È stato curato in un centro traumatologico ed è rimasto in terapia intensiva per 58 giorni. Quando è stato dimesso dalla terapia intensiva, è stato sottoposto a una TAC del cervello, che ha mostrato diverse fratture del cranio e un edema cerebrale da lieve a moderato. Egli è rimasto tracheotomizzato per 19 giorni ed è stato soggetto ad attacchi epilettici, che non si sono ripresentati dopo la dimissione dall’ospedale. Al momento dell’incidente, John frequentava il sesto livello in una scuola regolare, giocava a calcio, prendeva lezioni di nuoto e di karate ed era indipendente nelle attività della vita quotidiana. È figlio unico, vive con sua madre, che è laureata; suo padre ha frequentato l’università per due anni. John è stato ricoverato al SARAH Network da un team multidisciplinare sei mesi dopo l’incidente. Presentava tetraplegia spastica e paralisi della parte sinistra del volto e teneva la bocca aperta la maggior parte del tempo. Non frequentava la scuola ed era stato visto in una struttura pubblica di riabilitazione clinica, dove il trattamento includeva sessioni giornaliere di terapia fisica, terapia occupazionale, terapia del linguaggio e acqua-terapia in vasca. La sua famiglia si lamentava per l’assistenza frammentaria, la mancanza di una guida e per l’impossibilità di partecipare in modo adeguato alle esigenze di John nella riabilitazione e nel reinserimento sociale. Una risonanza magnetica ha mostrato una lesione anteriore del lobo temporale bilaterale, con compromissione dell’amigdala e dell’ippocampo di sinistra; lesioni talamiche, parietali e frontali sulla destra nonché parietali e frontali sulla sinistra; dilatazione ventricolare sopratentoriale ex-vacuo senza la necessità di una valvola di derivazione ventricolo-peritoneale. Valutazione motoria Al momento dell’ammissione al programma di riabilitazione al SARAH, John si è presentato con un aumento di tono nei quattro arti, più pronunciato nel lato destro. Era presente un Babinski sulla sinistra, un tipico modello di estensione degli arti inferiori (piedi in posizione equina e inversione verso destra) e uno schema di flessione degli arti superiori (gomiti e polsi). Quando richiesto, John poteva flettere ed estendere il gomito destro e il ginocchio destro, senza alcun movimento attivo dell’arto inferiore sinistro. Presentava un equilibrio regolare del collo, ma assenza di controllo del tronco, dell’andatura e della capacità di afferrare regolarmente. Era, inoltre, totalmente dipendente per le attività quotidiane e non disponeva della sedia a rotelle. In casa, John di solito rimaneva a letto o su una poltrona con un sedile reclinabile, sulla quale veniva alimentato e faceva il bagno. Per le lunghe distanze, veniva trasportato nell’auto di famiglia, mentre a casa veniva portato.
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Valutazione neuropsicologica Durante il ricovero, John è stato sottoposto a una valutazione qualitativa del suo stato cognitivo. Egli rispondeva a semplici richieste contestuali sorridendo e dirigendo lo sguardo. Dopo un modello coerente di risposte, stabilito attraverso la configurazione di segni convenzionali, a John sono state somministrate le matrici progressive colorate della scala speciale di Raven. Le informazioni hanno evidenziato una prestazione cognitiva “definitivamente sotto la media”, con errori compatibili con moderati deficit intellettivi. Le risposte di John erano perseveranti, sebbene contestualizzate, rivelando anche difficoltà nella flessibilità mentale, nella pianificazione e nell’astrazione. Strategia di comunicazione Inizialmente, John mostrava sorrisi e pianti contestualizzati, contatto visivo cercato e attenzione congiunta e dava risposte coerenti ad alcune delle domande che gli venivano rivolte dirigendo lo sguardo. Era in grado di vocalizzare alcuni suoni, ma non li usava ancora per comunicare efficacemente. Mostrava di comprendere verbalmente eventi contestuali, ma la sua capacità di comunicare efficacemente era compromessa al punto che ciò che egli intendeva comunicare risultava spesso incomprensibile proprio a causa della paralisi facciale e della grave disartria. Valutazione delle funzioni visiva, uditiva e percettiva John aveva deficit visivi, caratterizzati dalla limitazione del campo visivo e da una lieve perdita di acuità visiva, con una migliore prestazione sul lato sinistro. Era, tuttavia, in grado di regolare la posizione della testa in modo da migliorare l’attenzione visiva e non presentava altre menomazioni sensoriali. Approccio del team di neuroriabilitazione Gli strumenti di TA sono stati introdotti gradualmente nel processo di neuroriabilitazione di John, durante i periodi di cure ospedaliere, secondo il suo progresso neurologico, della comunicazione e dei bisogni. Durante il primo ricovero al SARAH, alla famiglia è stata data una sedia a rotelle, come da indicazione del team di riabilitazione, per partecipare alle esigenze di John a livello funzionale. La sedia è stata personalizzata con un sedile anatomico e uno schienale, permettendo così una migliore inclinazione per il controllo del collo e del tronco; la sedia aveva anche il poggiatesta, le cinture di sicurezza e il supporto per un ripiano. Tale risorsa ha incoraggiato un miglior posizionamento e ha permesso maggiore stabilità durante il trasporto, il momento ludico e nelle attività di apprendimento e di alimentazione; ha anche reso più facile alla famiglia partecipare a tali attività. Con un miglior posizionamento nella sedia a rotelle e l’abilità acquisita di muovere attivamente gli arti superiori, John era in grado di aggirarsi in casa in modo più indipendente, dato che poteva gestire la sedia a rotelle con comandi verbali, avanti e indietro per brevi distanze su un terreno pianeggiante. Per quanto riguarda la comunicazione, l’obiettivo iniziale del team era quello di ristabilire un modello coerente di risposte affermative e negative. Poiché John era in
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grado di dire “i” per le risposte che intendevano “sì” e di fare un lieve movimento della testa per intendere “no”, questi erano diventati i segni convenzionali. La comunicazione e il suo progresso cognitivo sono stati favoriti dall’introduzione di altri dispositivi di TA: interruttori sonori, tavole con illustrazioni e, in seguito, con lettere, selezionate utilizzando i suoi segni di comunicazione o facendo fare ad altri una scansione orale delle lettere. L’uso di un interruttore sonoro era rivolto principalmente a un maggiore controllo dell’ambiente: John lo utilizzava per chiamare i membri della famiglia e si è abituato presto a esso; più tardi, inoltre, lo ha utilizzato nei sistemi di comunicazione computerizzati. Le tavole figurate hanno consentito a John una maggiore velocità nelle conversazioni, e sono state potenziate per supplire alla sua disabilità visiva, permettendogli di creare un numero illimitato di parole: per scrivere, egli indicava le lettere con il dito indice destro. Inoltre, è stato progettato un supporto speciale per aumentare il numero delle schede e per la lettura dei materiali sulla sedia a rotelle, rendendo più agevole a John il coinvolgimento in tali attività. Quando è stato dimesso dalla prima degenza ospedaliera, la famiglia è stata istruita per preparare adeguatamente il suo ritorno a scuola, dato che ormai era in grado di comunicare e di spostarsi. Nel momento in cui è stato ammesso per la seconda volta alla riabilitazione ospedaliera, John era già stato reinserito nel sesto livello presso la scuola che frequentava. Gli insegnanti hanno chiesto informazioni e istruzioni su come valutare il suo processo di apprendimento, così che il centro della riabilitazione si è basato soprattutto sulle strategie di rieducazione cognitiva e di scrittura. È stato aggiunto lo strumento TA SKM, con l’interruttore che John stava già usando ma senza il dispositivo sonoro. John era in grado di scrivere scansionando e accendendo l’interruttore con la mano destra. Si è tenuto un incontro con i suoi insegnanti, nel quale sono state consigliate modifiche al piano scolastico per aiutare il suo processo di apprendimento e facilitare la sua integrazione con i compagni di classe, ampliare la comunicazione e gestire nuovi concetti. Sono stati fatti adattamenti anche al modo di comunicare di John; in altre parole, si sono usati l’SKM e le carte alfabetiche perché potesse scrivere le sue risposte e anche inducendolo a indicare la risposta corretta in domande a risposta multipla. Nel terzo periodo di riabilitazione ospedaliera, John frequentava la stessa scuola ed era passato al 7º livello. Stava usando la tavola di comunicazione con l’alfabeto e i mesi dell’anno da una parte e i giorni della settimana e i numeri dall’altra. Aveva un miglior equilibrio del collo e del tronco, e la funzione manuale era migliorata. In questo periodo, sono state aggiunte nuove tavole, con parole e frasi già pronte inerenti al cibo che mangiava o all’attività concernente il tempo libero, ma anche ad altre attività quotidiane, e sono stati inseriti nomi di amici e di sentimenti. Queste nuove tavole avevano lo scopo di accelerare e ampliare la sua comunicazione con gli altri bambini. La migliorata funzione manuale ha permesso a John di utilizzare una tastiera convenzionale con lettere più grandi, posta sullo stesso supporto come le schede, cioè sulla parte sinistra e all’interno del suo campo visivo. La Figura 12.8 mostra un’asta che è stata apposta sulla sua sedia a rotelle per tenere e posizionare meglio la tastiera nel campo visivo.
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Figura 12.8 (Vedi inserto a colori.) Asta di sostegno per una tastiera convenzionale per un posizionamento e una visione migliori.
Dato che l’utilizzo di un mouse non è risultato funzionale, sono stati allestiti un ripiano con un joystick e un interruttore. Inoltre, il computer è stato riconfigurato con nuove opzioni di accessibilità: tasti che premuti ripetutamente si bloccano, scorciatoie e lettere extra-large sullo schermo. Poiché il suo equilibrio e la funzione manuale sono migliorati, John ha cominciato ad allenarsi su come nutrirsi, mediante accessori personalizzati per mangiare, come piatti apposti su una tavola con bordi rialzati per tenere gli utensili e impedire che scivolino. È stata inoltre aggiunta una sedia da bagno tubolare, per garantire una maggiore sicurezza durante il lavaggio e per permettere a John di partecipare più attivamente (era in grado di insaponare alcune parti del suo corpo con la mano destra). Un quarto periodo di riabilitazione in ospedale includeva l’introduzione di un comunicatore vocale con tastiera (Figura 12.9). È stato creato un supporto per montare il monitor al tavolo, che già aveva un sostegno per la tastiera. La registrazione di frasi pronte ha ampliato i mezzi di comunicazione di John in diversi ambiti e situazioni, ma questo strumento non ha escluso l’uso di schede parola/lettera. Inoltre, è stata messa a disposizione di John una tavola acrilica perché la utilizzasse quando era in piscina a scuola, durante il nuoto con i suoi compagni di classe, come quella nella Figura 12.10. Questa tavola alfabetica trasparente ha anche reso la sua comunicazione più simile agli scambi che generalmente avvengono tra le persone, quando cioè gli individui parlano faccia a faccia. La comunicazione è diventata più scorrevole ed efficace da quando l’interlocutore è stato in grado di leggere le parole come scritte da John e questo ha reso gli scambi davvero più funzionali. Attualmente, John utilizza il comunicatore vocale a scuola quotidianamente e la tavola per la comunicazione con i membri della famiglia. La Tabella 12.2 presenta in dettaglio questo processo.
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Figura 12.9 (Vedi inserto a colori.) Comunicatore vocale con tastiera.
Figura 12.10 (Vedi inserto a colori.) Tavola acrilica per la comunicazione in piscina.
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Tabella 12.2 Caso 2: John. Funzioni del corpo
Attività e partecipazione
Fattori ambientali
Tecnologia assistiva
b117.2 b164.2 b16700.1 b2100.1 b2101.2 b230.0 b320.4 b7354. 4 b7300.2
d4103.4 (ammissione) d4103.3 (attualmente) d450.4 (all’ammissione e attualmente)
e1150 + 1 (ammissione) e1151 +3 (attualmente) e1201 + 0 e1201 + 3
– sedia per fare il bagno personalizzata – sedie a rotelle personalizzata
d335.3 (ammissione d335.2 (attualmente) d330.4 (all’ammissione e attualmente)
e1251 + 0 (ammissione) e1251 + 3 (attualmente) e1301 + 1 (ammissione) e1301 + 3 (attualmente)
– interruttore sonoro – verbalizzazioni e segni “sì/no” – tavole per la comunicazione – pannelli per lettere – tastiera con un modello e grandi lettere adesive – comunicatore vocale
d440.4 (ammissione) d440.3 (attualmente)
e1401 + 0 (ammissione) e1401 + 3 (attualmente)
– tavole con lettere acriliche da utilizzare in acqua
d710.0
e355 + 2 (ammissione) e355 + 4 (attualmente) e410 + 4 e5852 + 4 e5850 + 2
Le funzioni del corpo sono state classificate secondo i dati ottenuti nella valutazione iniziale; attività, partecipazione e fattori ambientali sono stati classificati in base alle prestazioni al momento del ricovero e attuali, in conformità con il processo di riabilitazione dopo la lesione acquisita.
12.7 Conclusioni Questi studi del caso mostrano l’importanza dell’applicazione funzionale degli strumenti di tecnologia assistiva nei programmi di riabilitazione. Il caso di Michael illustra come le soluzioni assistive valorizzino e favoriscano lo sviluppo del bambino con danno cerebrale. In particolare, l’uso di risorse tecnologiche dovrebbe essere personalizzato in base alle capacità motorie e cognitive del bambino, al follow-up del suo processo di apprendimento ed essere basato sulla sua impostazione e sui bisogni di interazione sociale. È importante sottolineare che l’uso combinato di dispositivi tecnologicamente più o meno sofisticati può aiutare ad ampliare i mezzi di comunicazione del bambino e può favorire il suo processo di socializzazione nonché il processo di emancipazione, potenziando la libertà di esprimersi e di decidere. Il caso di John evidenzia come le TA possono contribuire ad aiutare il bambino a ritornare alle attività quotidiane, svolte a scuola o nel tempo libero, in solitudine o
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nella collettività, sulla base del potenziale motorio e neuropsicologico di ciascuno. Le risorse di TA possono essere usate nella neuroriabilitazione del bambino con TBI, accompagnando il suo processo di ricovero, e possono essere impiegate temporaneamente o permanentemente, a seconda dello stato del bambino. È importante utilizzare gli strumenti di TA adattati ai diversi bisogni e ambiti di comunicazione del bambino per ampliare la sua interazione sociale, come nella Figura 12.11.
Figura 12.11 (Vedi inserto a colori.) Risorse di TA che facilitano l’interazione sociale.
Capitolo
13 Il geriatra
M. Pigliautile, L. Tiberio, P. Mecocci, S. Federici
L’eterogeneità delle condizioni di salute dei pazienti anziani richiede uno specifico approccio di cura e la medicina geriatrica è la risposta. Per far fronte a malattia, disabilità e fragilità, l’approccio della valutazione geriatrica porta lo specialista a considerare l’interazione tra lo stato funzionale e le dimensioni cognitive, mediche, affettive, ambientali, sociali, economiche e spirituali. L’obiettivo della valutazione geriatrica è la riabilitazione, e l’introduzione di soluzioni assistive rende possibile uno scenario in cui la funzionalità degli anziani affetti da disturbi fisici o cognitivi può essere migliorata. Il capitolo fornisce uno sguardo di insieme alle aree in cui sistemi tecnologici possono essere di supporto alla vita quotidiana degli anziani e dei loro caregiver. Viene descritto il contributo del geriatra all’interno di un centro ausili, collegando la valutazione geriatrica globale al modello ICF. Infine vengono discusse la mancanza di implementazione dell’ICF e la necessità di prevedere training all’uso e all’implementazione di soluzioni assistive per i geriatri e i caregiver.
13.1 Introduzione Il termine geriatria è stato introdotto da Ignatz Leo Nascher (1863-1944), un viennese che ha lavorato come medico a New York, il quale sosteneva che l’invecchiamento non doveva essere considerato una malattia, ma piuttosto come un periodo della vita con una propria peculiare fisiologia che, come nel caso della pediatria, richiedeva un approccio specialistico: la medicina geriatrica (Achenbaum, 1995; Morley, 2004). Nel 1930 nel Regno Unito, Marjory Warren ha sviluppato i principi della moderna medicina geriatrica apportando miglioramenti al contesto ambientale, introducendo programmi di riabilitazione attiva ed enfatizzando l’importanza della motivazione della persona anziana (Morley, 2004). Nel tempo la medicina geriatrica ha elaborato i propri valori fondamentali, la propria conoscenza di base e le proprie competenze cliniche per migliorare salute, capacità funzionali e benessere delle persone anziane e per individuare appropriate cure palliative, che negli ultimi tre decenni hanno favorito un notevole sviluppo della geriatria volto a soddisfare le crescenti esigenze relative alla cura della popolazione anziana (American Geriatrics Society Core Writing Group of the Task Force on the Future of Geriatric Medicine, 2005; Senin et al., 2011). Infatti, i dati dello U.S. Census Bureau (Kinsella ed He, 2009) riportano uno straordinario cambiamento demografico ed epidemiologico, che può essere letto come una storia del successo delle politiche della sanità pubblica e dello sviluppo socio-economico, costituito da un aumento della popolazione mondiale ultrasessantacinquenne (dal 7% del 2008 al 14%
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entro il 2040, con il Giappone in prima posizione nella classifica dei paesi con la popolazione più anziana, seguito da Italia e Germania), un aumento dell’aspettativa di vita e un aumento del numero degli oldest old (la popolazione ultraottantenne). Il geriatra è consultato quando una persona anziana è fragile e/o disabile (Fried 1994; Fried et al., 2004; Fried e Guralnik, 1997; Fried et al., 2001; Fried et al., 2009). Come Hazzard ha scritto: Quante volte mi è stato chiesto negli ultimi 30 anni, “Che cos’è un geriatra?”. Non so quante volte e in quanti modi ho cercato di rispondere a questa domanda. Ma anche se tale settore d’indagine è cresciuto e maturato, nella migliore delle ipotesi la gente continua ad avere un’idea vaga di chi sia un geriatra, di cosa faccia e perché. [...] Io sono un geriatra. Sono specializzato nella cura medica, psicologica e sociale delle persone anziane. [...] Probabilmente il mio paziente tipo ricalca un vecchio stile di fragilità, un uomo – o più spesso una donna – che cammina sul filo del rasoio tra l’indipendenza e lo scatenarsi di una tragica cascata di malattie, disabilità e complicazioni che troppo spesso si rivelano irreversibili. [...] Io sono per definizione un esperto di vaghezza e complessità (2004, p. 161).
13.2 Analisi del paziente anziano: malattia, disabilità e fragilità Le parole di Hazzard diventano più chiare se si considera il processo di invecchiamento. L’invecchiamento è definito come un “accumulo di molteplici modificazioni nocive nelle cellule e nei tessuti che con l’avanzare dell’età fanno aumentare il rischio di malattia e morte” (Harman 2001, p. 2). Malattia, disabilità e fragilità svolgono un ruolo importante nel processo d’invecchiamento (Senin et al., 2011).
13.2.1 Malattia Linda Fried (2000) ha identificato le 15 condizioni più diffuse tra le persone di età superiore ai 65 anni negli Stati Uniti: osteoartrosi, ipertensione, malattie cardiache, perdita dell’udito, influenza, ferite, patologie ortopediche, cataratta, sinusite cronica, depressione, neoplasie maligne, diabete mellito, deficit visivi, incontinenza urinaria e vene varicose. Heron e colleghi (2009) hanno trovato che le malattie cardiache, il cancro, l’ictus, la broncopneumopatia cronica delle vie respiratorie inferiori, gli infortuni, il diabete mellito e la malattia di Alzheimer sono state le sette principali cause di morte negli Stati Uniti nel 2006. Sono stati condotti studi sulla comorbilità – combinazione di altre malattie che si associano a una malattia principale (Feinstein, 1970) – e la multimorbilità – cooccorrenza di malattie nella stessa persona (Batstra et al., 2002) – per individuare il rapporto tra cluster di malattia, outcome di salute e possibili programmi di prevenzione (de Groot et al., 2003; Guralnik, 1996; Marengoni et al., 2009). Un recente studio che ha valutato i tipi di comorbilità e multimorbilità nella popolazione anziana ha riscontrato che le malattie croniche hanno più probabilità di manifestarsi insieme, cioè in comorbilità e multimorbilità, piuttosto che da sole (Marengoni et al., 2009).
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In questo studio l’ipertensione e la demenza erano le malattie che più frequentemente si manifestavano con e senza una comorbilità, mentre insufficienza cardiaca e frattura dell’anca si presentavano da sole, cioè in assenza di comorbilità. Scompenso cardiaco e deficit visivi erano associati al maggior numero di malattie in comorbilità, mentre la demenza al minore. Le malattie cardiocircolatorie erano le più comuni condizioni co-occorrenti. In conclusione, dall’analisi dei cluster si è osservato come alcune di queste patologie tendono a presentarsi insieme più frequentemente in cinque gruppi principali: due riconducibili a malattie vascolari e gli altri tre a demenza, diabete mellito e tumori maligni. Tra le cause principali di multimorbilità sono state individuate: età avanzata, sesso femminile e basso livello socioeconomico; come conseguenze di multimorbilità si riscontrano disabilità e declino dello stato funzionale, scarsa qualità di vita ed elevati costi sanitari (Marengoni et al., 2011). Le patologie neuropsichiatriche rappresentano un altro importante capitolo nell’epidemiologia dell’età avanzata: in condizioni di comorbilità riducono enormemente lo stato funzionale e la qualità di vita e aumentano il rischio di morte (Gijsen et al., 2001). In particolare, demenza e depressione sono condizioni molto comuni nella popolazione anziana. Circa 24 milioni di persone nel mondo soffrono di demenza e tale numero è destinato a raddoppiare ogni 20 anni. Circa il 60% dei pazienti affetti da demenza vive in paesi in via di sviluppo e questa proporzione dovrebbe aumentare a più del 70% entro il 2040 (Qiu et al., 2007). Tra i vari tipi di demenza la forma più frequente è la malattia di Alzheimer (50-80% dei casi), seguita dalla demenza a corpi di Lewy (20%) e dalla demenza vascolare (5%; Corey-Bloom, 2004). Per quanto riguarda la depressione negli anziani, Alexopoulos (2005) riporta un valore di prevalenza del 1-4% per la depressione maggiore e del 4-13% per la depressione minore. L’incidenza e la prevalenza della depressione raddoppiano se si considera la fascia degli ultraottantenni, e la prevalenza nei contesti sanitari è superiore a quella rilevata in comunità. La depressione in età avanzata è comune negli individui con problemi medici e psicosociali come il deterioramento cognitivo, le malattie somatiche e l’isolamento sociale. La cura dell’anziano con depressione è complicata dall’interazione reciproca tra depressione, disabilità, multimorbilità, aderenza ai trattamenti farmacologici e fattori psicosociali (Alexopoulos et al., 2002). La depressione è un predittore di disabilità in entrambi i sessi e induce inattività fisica e isolamento sociale. Gli aspetti psicologici della depressione, inoltre, possono suscitare un senso di disabilità (Taş et al., 2007).
13.2.2 Disabilità Considerando l’interazione tra malattia e ambiente, il concetto di disabilità, in una prospettiva biopsicosociale, è un aspetto importante da considerare in una società con un crescente numero di anziani. In un recente studio (Landi et al., 2010) la disabilità fisica nell’invecchiamento è stata descritta come un effetto della somma tra malattia e alterazioni fisiologiche dovute alla senescenza. In tale prospettiva, fattori sociali, economici e comportamentali e l’accesso alle cure mediche modificano l’impatto delle cause sottostanti. Allo stesso tempo, la disabilità è considerata un outcome avverso per la salute e un fatto-
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re di rischio per ulteriori problemi di salute. Sulla base di numerosi studi si può affermare che “la disabilità, indipendentemente dalle sue cause, è predittiva di ulteriori difficoltà nelle attività strumentali e di base della vita quotidiana ed è associata a un aumentato rischio di morte, di ospedalizzazione e necessità di cure a lungo termine, con un costo più elevato delle spese di assistenza sanitaria” (Landi et al., 2010, p. 752). Nel corso degli ultimi decenni, sono stati proposti diversi scenari futuri sullo stato di salute delle persone anziane, riassunti da Jagger (2000) nel modo seguente. 1. La teoria della compressione della morbilità suggerisce che la malattia e la disabilità saranno condensate in breve arco di tempo prima della morte se i cambiamenti nello stile di vita ritarderanno l’età di esordio e la progressione di malattie invalidanti non fatali (Fries, 1980). 2. Lo scenario dell’espansione della morbilità, al contrario, immagina che il vivere più a lungo implicherà una convivenza di molti anni con malattie altamente invalidanti come il morbo di Parkinson, la demenza, la perdita della vista e dell’udito e l’osteoartrosi (Kramer, 1980). 3. Un terzo scenario ipotizza invece una sorta di equilibrio dinamico tra il numero di anni vissuti con una malattia invalidante e il numero di anni vissuti con una disabilità lieve (Manton, 1982). Diversi studi sono stati dedicati a esplorare le tendenze nella mortalità, morbilità e disabilità. Lo U.S. Census Bureau (Kinsella ed He, 2009) riporta che la prevalenza delle condizioni croniche è in aumento mentre la disabilità è in calo nei paesi economicamente più sviluppati ma non in quelli in via di sviluppo. Nello studio di Rotterdam, un’analisi sull’incidenza della disabilità e sui suoi molteplici fattori di rischio in soggetti di età avanzata residenti in comunità ha riscontrato che i fattori qualità, salute autopercepita, sovrappeso, depressione, disturbi articolari e uso di farmaci sono in grado di predire la disabilità sia negli uomini sia nelle donne; ictus, cadute e presenza di comorbilità predicono la disabilità solo negli uomini; mentre avere un partner, basso funzionamento cognitivo, osteoartrite, rigidità dolorosa mattutina predicono la disabilità solo nelle donne (Taş et al., 2007). A sostegno della teoria della compressione della morbilità uno studio recente ha identificato diverse traiettorie di disabilità, differenziabili da un punto di vista clinico e presenti nell’ultimo anno di vita, e ha cercato di determinare se e come la distribuzione di queste traiettorie differisse a seconda delle condizioni di poco precedenti la morte (Gill et al., 2010). I risultati hanno dimostrato che, per la maggior parte dei casi, il corso della disabilità alla fine della vita non seguiva un modello prevedibile sulla base delle più comuni condizioni che portano alla morte come il cancro, la demenza avanzata, l’insufficienza d’organo, la fragilità, la morte improvvisa e altre condizioni. La demenza era la condizione con la minor variazione nel grado di disabilità poiché era caratterizzata da alti livelli di disabilità per tutto l’ultimo anno di vita. Per le altre condizioni è stata trovata una disabilità catastrofica pochi mesi prima della morte. Gli autori adducono tali fatti come prova a sostegno della necessità di fornire
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servizi al termine della vita, specialmente per i pazienti con demenza. In accordo con ciò è stato dimostrato che la demenza è il fattore di rischio più importante per lo sviluppo di sindromi geriatriche durante l’ospedalizzazione (Mecocci et al., 2005), suggerendo che l’ambiente ospedaliero deve essere adattato ai bisogni dei pazienti con problemi cognitivi. Sebbene sia stato documentato che negli ultimi dieci anni ci sia stata una contrazione del livello di disabilità nella popolazione anziana (Freedman et al., 2002), con persone che vivono più a lungo ma con minore disabilità e minori limitazioni funzionali rispetto al passato (Christensen et al., 2009), gli ultraottantenni, cioè la popolazione attualmente in più rapida crescita, sono spesso “fragili”, cioè particolarmente vulnerabili alle malattie, disabili e ad alto rischio di ulteriore perdita di quelle abilità necessarie a gestire le loro attività in modo indipendente (Fried et al., 2001; Song et al., 2010).
13.2.3 Fragilità La fragilità è definita come “uno stato clinico di maggiore vulnerabilità e di diminui ta capacità di mantenere l’omeostasi, dovuto all’età e caratterizzato da un declino della riserva funzionale che attraversa più sistemi fisiologici” (Fried et al., 2009, p. 634). Una recente rassegna della letteratura ha evidenziato come coesistano diversi modelli di fragilità e che il “fenotipo fisico” e il “fenotipo multidominio” possono essere considerati come punti estremi di un continuum che va da aspetti riguardanti esclusivamente le componenti fisiche fino all’inclusione di aspetti relativi ai domini cognitivo, funzionale e sociale (Abellan van Kan et al., 2010). Le principali differenze tra i modelli proposti sono, infatti, dovute alla diversità nel considerare i domini fisico, funzionale, cognitivo e sociale come componenti del modello di fragilità o come esiti della fragilità. Per esempio, la disabilità è considerata da molti come un dominio della fragilità e da altri come un risultato; infatti, un’intervista a 62 geriatri, incentrata sul significato dei termini “fragilità” e “disabilità”, ha trovato che per il 98% degli intervistati fragilità e disabilità erano due entità distinte, con prognosi diverse e differenti implicazioni in termini di assistenza sanitaria (Fried et al., 2004). Ai diversi modelli è associata una differente capacità predittiva rispetto agli esiti clinici. Il “fenotipo fisico” definisce la fragilità come sindrome biologica di diminuzione delle riserve fisiologiche con conseguente calo generale dei sistemi fisiologici e vulnerabilità a eventi avversi e fornisce una definizione operativa per mezzo di item misurabili (stanchezza, perdita di peso, scarsa autonomia di energia, riduzione della forza di presa, lentezza nel camminare) che permettono di classificare gli anziani come appartenenti, rispettivamente, al gruppo “nessuna fragilità”, “intermedio” e “fragile” (Fried et al., 2001). Questo modello supporta la distinzione tra fragilità, comorbilità e disabilità. I cambiamenti fisiologici associati all’invecchiamento possono essere considerati come fattori che contribuiscono alla fragilità. La fragilità può causare un rischio di disabilità, ma il concetto fondamentale è che sebbene fragilità, disabilità e comorbilità sono spesso associate, non possono essere trattate come sinonimi: la comorbilità rappresenta un fattore eziologico della fragilità e la disabilità è un esito della fragilità (Fried et al., 2004; Fried et al., 2001). La disabilità può deri-
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vare da una disfunzione in un unico sistema o in molti sistemi, ma la fragilità, implica sempre una disfunzione multisistemica. La disabilità, a differenza della fragilità, non si associa necessariamente all’instabilità (Rockwood et al., 2000). La fragilità è un fattore predittivo di cadute, ospedalizzazione, invalidità e morte (Fried et al., 2001). Il “fenotipo multidominio” include modelli a più domini che a loro volta risultano da modelli di regressione che considerano aspetti cognitivi, funzionali e sociali (Abellan van Kan et al., 2010). Le misure di fragilità, a seconda del deficit, identificano la fragilità per mezzo di una valutazione geriatrica globale. Rockwood e colleghi (1999) hanno individuato un Indice di Fragilità considerando lo stato cognitivo, l’umore, la motivazione, la comunicazione, l’equilibrio, il funzionamento dell’intestino e della vescica, le attività della vita quotidiana, la nutrizione, le risorse sociali, nonché diverse comorbilità. Questo indice è un risultato altamente predittivo rispetto a morte o istituzionalizzazione. Più recentemente, è stata proposta una procedura standard per la costruzione di un Indice di Fragilità (Searle et al., 2008). Sulla base dell’idea che avere più deficit di salute corrisponda a una probabilità maggiore di diventare fragile, l’Indice di Fragilità proposto calcola i disturbi di salute (sintomi, segni, malattie e disabilità o anomalie a livello di laboratorio, di radiografia o di elettrocardiogramma). In tale prospettiva, la disabilità e la demenza sono contemporaneamente componenti dell’Indice di Fragilità e sono valutate come esito clinico scarso nel quadro teorico. Il dominio sociale riceve particolare attenzione perché l’isolamento sociale potrebbe avere un forte impatto sullo sviluppo di demenza o di disabilità (Abellan van Kan et al., 2010). Ora appare più chiaro perché Hazzard definisce il geriatra come esperto in vaghezza e complessità. La spiegazione di questi tre concetti evidenzia quanto sia complessa questa popolazione e l’effettiva necessità di un medico esperto nel settore. In effetti, la cura degli anziani differisce da quella delle persone più giovani per motivi diversi legati all’aspettativa di vita, alla prevalenza e alla comorbilità delle malattie, alle risorse sociali, agli obiettivi di trattamento e alle preferenze per la cura (Reuben et al., 2003).
13.3 La valutazione multidimensionale geriatrica La Sezione di Medicina Geriatrica dell’Unione Europea di Medici Specialisti (European Union of Medical Specialists, UEMS) nel 2008 ha definito la geriatria come una specialità medica che si occupa della salute fisica, dello stato mentale, della disabilità e delle condizioni sociali nei diversi momenti e luoghi della cura della persona anziana acuta: nell’acuzie e nella cronicità, nella prevenzione e nella riabilitazione nelle ultime fasi della vita [...] con la principale finalità di ottimizzare lo stato funzionale, la qualità della vita e l’autonomia della persona anziana (2008, p. 7).
I pazienti più anziani sono descritti come un gruppo che richiede un approccio olistico, e viene data enfasi alle difficoltà del processo diagnostico, alla risposta al trattamento e alla necessità di sostegno sociale. Straus e Tinetti (2009) hanno identificato cinque fattori che distinguono l’approccio clinico nei confronti delle persone anziane da quanto la medicina tradizionale propone per i giovani adulti.
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1. La difficoltà di differenziare le variazioni fisiologiche nei sistemi organici dovute all’età da quelle dovute alla malattia e alla coesistenza di malattie croniche. 2. Il fatto che i sintomi che provocano sofferenza o menomazioni spesso dipendono da diversi fattori (fisici, psicologici, sociali, ambientali e così via). 3. La difficoltà per il medico nella scelta e nell’interpretazione dei test diagnostici che possono essere influenzati dall’età e dalla comorbilità. 4. La variabilità osservata nell’importanza che i pazienti più anziani attribuiscono ai potenziali esiti delle proprie condizioni di salute. 5. Il coinvolgimento di caregiver che sostengono i pazienti, forniscono informazioni e facilitano i processi di trattamento; tuttavia, essi potrebbero anche essere fonte di conflitti quando i loro obiettivi non coincidono con quelli del paziente. A differenza della valutazione medica tradizionale orientata alla malattia, l’approccio geriatrico comprende la valutazione dei fattori cognitivi, affettivi, funzionali, sociali, economici, ambientali e spirituali oltre che una discussione circa le preferenze del paziente per quanto riguarda i trattamenti di fine vita (Reuben e Rosen, 2009), come illustrato nella Figura 13.1.
Figura 13.1 Dimensioni interattive della valutazione geriatrica. Modificato da Reuben e Rosen (2009).
Oltre alla storia e alla visita medica, ai test di laboratorio e a eventuali test di approfondimento, il geriatra prende in considerazione anche i problemi della vista e dell’udito, la malnutrizione/perdita di peso, l’incontinenza urinaria, i disturbi dell’equilibrio e dell’andatura, le cadute e i farmaci. La valutazione può essere intrapresa da un geriatra singolo o da un team di operatori sanitari e, in quest’ultimo caso, si utilizza l’espressione “valutazione geriatrica
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globale” (CGA, Comprehensive Geriatric Assessment), definita nell’ambito del National Institute of Health degli Stati Uniti in occasione della Consensus Development Conference del 1987 come una valutazione multidisciplinare in cui sono messi in evidenza, descritti e spiegati, se possibile, i molteplici problemi delle persone anziane e in cui sono catalogate risorse e punti di forza della persona, è valutata la necessità di servizi ed è sviluppato un piano di assistenza coordinata in modo da focalizzare gli interventi sui problemi della persona (NIH Consensus Development Program, 1987).
Rubenstein, invece, la definisce come un processo diagnostico multidimensionale e interdisciplinare con il quale si intende determinare le capacità mediche, psicosociali e funzionali e i problemi di una persona anziana fragile al fine di sviluppare un piano globale per il trattamento e un follow-up a lungo termine (Rubenstein, 1995, p. 3).
Gli obiettivi della CGA sono stati riassunti da Rubenstein (1995) come: accrescere l’accuratezza diagnostica, ottimizzare il trattamento medico e le condizioni di vita, migliorare i risultati medici, migliorare il funzionamento e la qualità della vita, ridurre l’uso di servizi inutili e provvedere all’organizzazione della gestione a lungo termine della cura. La CGA può essere eseguita in diversi contesti sanitari, che vanno dall’ospedale al domicilio del paziente, e richiede diversi programmi, strumenti di valutazione e obiettivi, a seconda del setting di valutazione (Reuben e Rosen, 2009). Dopo aver identificato menomazioni e disabilità attraverso una CGA, possono essere offerti metodi di cura alternativi. Uno di essi è la riabilitazione, che rappresenta un elemento fondamentale nella pratica della medicina per le persone anziane. Il Paragrafo 13.4 riporta una definizione e una panoramica della riabilitazione geriatrica, mettendo in luce gli aspetti chiave della diagnosi clinica e degli interventi di riabilitazione con particolare attenzione al ruolo delle tecnologie assistive nel processo di assistenza e nel supporto quotidiano all’anziano fragile e/o disabile.
13.4 Riabilitazione geriatrica La riabilitazione è uno degli elementi cardine nella cura geriatrica ed è stata definita come un “processo educativo e risolutivo, incentrato sulla disabilità e volto a incrementare la partecipazione del paziente alla vita sociale, ad aumentare il suo benessere e a ridurre lo stress dei familiari” (Wade, 1999, p. 176; vedi anche Wade, 1992). Come descritto nei paragrafi precedenti, la popolazione anziana è soggetta a comorbilità, disabilità e fragilità e richiede servizi di riabilitazione geriatrica appropriati. La riabilitazione geriatrica ha due obiettivi fondamentali: da un lato, limitare l’impatto della disabilità e, dall’altro, stimolare e rafforzare le capacità residue, incoraggiando e sostenendo le motivazioni e i bisogni attraverso interventi terapeutici incentrati sull’individuo e sul suo contesto di vita. Il peso della comorbilità grava sulla capacità del paziente di tollerare un programma riabilitativo; pertanto, per ottenere i risultati migliori, va adottato un approccio interdisciplinare (Wells et al., 2003a).
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La riabilitazione geriatrica può avvenire in una clinica riabilitativa, in unità di riabilitazione in fase subacuta, in un centro specializzato e attrezzato oppure in casa. Il gruppo di lavoro si compone di diverse figure professionali come per esempio un fisioterapista, che si occuperà di valutare un’ampia gamma di abilità, tra cui la forza, l’equilibrio, la capacità di spostarsi (alzarsi da una sedia) e la camminata. Un terapista occupazionale valuterà invece la capacità di prendersi cura di sé, le attività giornaliere e l’ambiente domestico, e insegnerà come utilizzare le tecnologie assistive proponendo attività volte a stimolare la partecipazione nella quotidianità. A differenza del terapista occupazionale che valuta la capacità del paziente di svolgere le attività giornaliere, il fisioterapista si concentra in maniera più specifica sul miglioramento della mobilità della persona. In aggiunta a queste due figure, il gruppo di lavoro si compone di logopedisti, infermieri, assistenti sociali, nutrizionisti, psicologi, fisiatri e farmacisti (Brown e Peel, 2009; Tsukuda, 1990). Il trattamento riabilitativo richiede la collaborazione tra tutte le figure sopra citate, il paziente e la sua famiglia. Da un lato il paziente dovrebbe avere una parte attiva nel processo decisionale e di cura, dall’altro la famiglia dovrebbe essere istruita su come assistere il paziente anziano in casa. Questo coinvolgimento influenza non solo i risultati della riabilitazione, ma anche la qualità della vita del paziente sotto tutti gli aspetti: funzionale, fisico, sociale ed emotivo. Le cure risultano più soddisfacenti quando tutte le figure sono coinvolte con successo (Toseland et al., 1996). Si tratta di un approccio in linea con il modello biopsicosociale, che tiene conto del paziente non solo sotto l’aspetto delle condizioni di salute ma anche dei fattori personali e ambientali. Per stabilire un appropriato trattamento riabilitativo il team di cura dovrebbe condividere lo stesso concetto di salute e funzionamento nel contesto della disabilità. Il modello della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) fornisce un interessante modello di riferimento per comprendere il motivo per cui la riabilitazione geriatrica debba prevedere un approccio multidisciplinare (OMS, 2002). Alcuni dei più comuni problemi clinici nella riabilitazione geriatrica includono la frattura del femore, l’ictus e i problemi cognitivi di cui si è discusso sopra (Wells et al., 2003b). I maggiori fattori di rischio in caso di fratture sono la caduta e la fragilità e, di conseguenza, la disabilità. Il più delle volte le fratture avvengono in casa ma si verificano piuttosto spesso anche in contesti ospedalieri e case di riposo. Per proteggere gli anziani a rischio occorre prendere delle misure di sicurezza preventive. La frattura del femore richiede un uso più intenso di risorse ospedaliere e un periodo prolungato di cure post-operatorie e riabilitative. Per quanto riguarda l’ictus, c’è da sottolineare come dopo i 55 anni il rischio di ictus raddoppia ogni 10 anni e il 72% dei casi si manifesta dopo i 65 anni (Feigin et al., 2003). I pazienti anziani colpiti da ischemia cerebrale presentano un esordio clinico più grave rispetto ai pazienti più giovani, con un maggior tasso di mortalità entro un mese entro un periodo più lungo di degenza ospedaliera (Asplund et al., 1992). Tra i fattori che contribuiscono al peggioramento delle condizioni cliniche i più significativi sono due: la presenza di una situazione clinica di partenza grave e le minori possibilità di ricovero (Nakayama et al., 1994). La letteratura sottolinea la necessità di uno screening volto a identificare i pazienti più indicati a trarre benefici dalla riabilitazione geriatrica. A tal proposito, la valu-
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tazione multidimensionale geriatrica e il ruolo del geriatra sono essenziali per due motivi: in primo luogo offrono un quadro esatto del paziente, della malattia e dei possibili svantaggi medici e sociali che possano derivare dalla disabilità; in secondo luogo hanno il compito di decidere il tipo di riabilitazione da attuare e gli interventi più appropriati in termini di ausili tecnologici. Uno dei principali obiettivi della valutazione del paziente, infatti, è quello di individuare comorbilità che possono incidere sui risultati di un intervento riabilitativo valutando problemi funzionali, complicanze cliniche e psicologiche e supporto sociale (Mosqueda, 1993). Nel processo di selezione dei pazienti per la riabilitazione geriatrica è di fondamentale importanza anche la valutazione cognitiva: comunemente i disturbi cognitivi rappresentano un aspetto potenzialmente critico per quanto riguarda i risultati di un processo di riabilitazione; poiché possono influenzare diversi aspetti del trattamento (per esempio difficoltà collegate alla comprensione di istruzioni o al ricordo di informazioni) (Ruchinskas e Curyto, 2003), ostacolano gli esiti di un trattamento riabilitativo (Patrick et al., 2001). La letteratura dimostra anche come disturbi gravi a livello cognitivo determinano un minor recupero funzionale e minore efficacia della riabilitazione nei pazienti anziani, in particolar modo in quelli con fratture del femore (Colombo, 2004). Per questo motivo la presenza di deficit cognitivi gravi è da considerarsi criterio di selezione per l’ammissione a un trattamento di riabilitazione. Una frequente complicazione successiva alla frattura del femore o a un ictus è l’insorgenza della depressione, che può compromettere i risultati di un intervento riabilitativo. La depressione è molto comune negli anziani e i suoi effetti sulla riabilitazione non devono essere trascurati poiché persistenti sintomi di depressione sono spesso associati a un declino cognitivo e fisico (Wells et al., 2003b). Per questo, prima di intraprendere un progetto riabilitativo è necessaria un’analisi neuropsicologica che valuti la presenza e l’entità di eventuali deficit cognitivi e disturbi depressivi e stabilisca di conseguenza le tappe del successivo trattamento (Ruchinskas e Curyto, 2003). Oltre alle condizioni mediche, diversi fattori possono influenzare il successo di un trattamento riabilitativo (Brown e Peel, 2009). Se lo stato di disabilità è presente da diversi anni, il trattamento può essere rivolto a una strategia compensatoria o di tipo decondizionante. Per poter beneficiare di un trattamento riabilitativo pazienti poco motivati hanno bisogno di obiettivi raggiungibili e concreti. Per i pazienti che stanno concludendo un percorso riabilitativo, gli interventi sono focalizzati sulla riduzione del carico di lavoro del caregiver e del disagio del paziente. Circostanze critiche quali gravi disabilità, malnutrizione, assenza di un caregiver, limitazioni finanziarie e pregiudizi culturali possono limitare i benefici dei trattamenti riabilitativi e precludere l’uso di determinate tecniche e soluzioni assistive. Uno degli interventi più comuni nella riabilitazione geriatrica, così come nel programma di esercizi fisici e cognitivi, consiste nell’implementare soluzioni assistive con l’uso di specifici dispositivi tecnologici adatti alla disabilità dell’individuo. L’utilizzo di tecnologie assistive permette alle persone più anziane di interagire in maniera più favorevole con il loro ambiente di vita. Il Paragrafo 13.5 spiega il concetto di “soluzione assistiva” e offre una panoramica degli ausili basati su tecnologie intelligenti pensati e realizzati allo scopo di migliorare la qualità della vita e l’assistenza delle persone anziane con disabilità.
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13.5 Soluzioni assistive: una sfida nella riabilitazione geriatrica Negli ultimi anni lo sviluppo di tecnologie informatiche e per la comunicazione sempre più sofisticate ha contribuito ad accrescere la consapevolezza secondo cui l’uso di ausili tecnologici può supportare efficacemente persone affette da disabilità (fisica e/o cognitiva) nello svolgimento di attività di vita quotidiana. L’International Standard Organization (ISO) 9999 (2007) definisce gli ausili tecnologici come “qualsiasi prodotto, strumento, apparecchiatura o sistema tecnico utilizzato da una persona con disabilità, prodotto appositamente o disponibile comunemente, che previene, compensa, controlla, allevia o neutralizza le menomazioni, le limitazioni nell’attività e le restrizioni nella partecipazione”. L’ICF adotta una definizione più concisa descrivendo gli ausili come “ogni prodotto, strumento, apparecchiatura o tecnologia adattato o progettato appositamente per migliorare il funzionamento di una persona con disabilità” (OMS, 2002, p. 141). Lo sviluppo tecnologico è uno dei fattori che ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a rivalutare il modello dell’ICIDH (Classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli svantaggi esistenziali) basato su una relazione causale tra menomazione → disabilità → handicap (OMS, 1980). Secondo l’ICF, la disabilità non va vista come un attributo, ma come una situazione in cui ogni individuo si può trovare quando si viene a creare un divario tra la capacità individuale e i fattori ambientali. Uno strumento tecnologico può tuttavia non essere sufficiente a compensare una disabilità. Le tecnologie tradizionali devono fondersi a quelle assistive in base alla situazione e al contesto. Questa fusione viene definita “soluzione assistiva” (AAATE, 2003, p. 3). Il concetto di soluzione assistiva è parte del modello ICF secondo cui fattori esterni come i dispositivi tecnologici sono in grado di ridurre l’impatto della disabilità in tutti gli ambiti della vita quotidiana e quindi di aumentare l’autonomia e l’indipendenza individuale. Nella riabilitazione geriatrica le soluzioni assistive possono migliorare i risultati della terapia attraverso l’applicazione sistematica di strumenti tecnologici che si rifanno ai bisogni delle persone affette da disabilità cognitiva e fisica. In questo paragrafo, cercheremo di fornire una visione di insieme delle aree in cui gli ausili tecnologici possono supportare le attività di vita quotidiana dei pazienti anziani e dei loro caregiver. A tal proposito un recente studio (Lauriks et al., 2007) ha fornito una panoramica sullo stato dell’arte di quelle tecnologie assistive che potrebbero contribuire a soddisfare quei bisogni che più frequentemente sono considerati dagli anziani e dai loro caregiver come non risolti dai normali servizi di assistenza sanitaria. Gli autori li riassumono in quattro differenti aree: (i) l’esigenza di gestire i sintomi della demenza; (ii) il bisogno di mantenere contatti sociali; (iii) il bisogno di monitorare e supportare le attività quotidiane e (iv) il bisogno di controllare lo stato di salute e garantire la sicurezza della persona anziana (Lauriks et al., 2007). Il paragrafo che segue fornisce esempi di ausili tecnologici assistivi realizzati come prototipi di ricerca o disponibili in commercio per compensare problemi legati a situazioni di disabilità motoria e/o cognitiva. Verrà inoltre fornita una breve panoramica dei
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sistemi robotici di assistenza, intesi come strumenti innovativi ed efficaci che possono rispondere ai bisogni crescenti di una società che invecchia attraverso ausili che siano in grado sia di migliorare il senso di indipendenza, autonomia e integrazione sociale, sia di aumentare la possibilità di movimento e la sicurezza personale, riducendo così il carico di assistenza da parte dei caregiver e i costi dell’ospedalizzazione.
13.5.1 Strumenti tecnologici per i soggetti anziani con disturbi cognitivi Le tecnologie assistive volte a compensare disabilità cognitive e neuropsicologiche includono “protesi cognitive” o “ortesi cognitive”. Le protesi cognitive fanno riferimento a sistemi computerizzati che aiutano a prendere consapevolezza del contesto, riducendo l’impatto negativo della disabilità nelle attività quotidiane (Cole, 1999). Quando questi sistemi vengono impiegati per scopi riabilitativi è necessario progettarli con caratteristiche personalizzabili e facili da usare. In generale, ausili basati su protesi cognitive annoverano dispositivi portatili, sistemi computerizzati, assistenti personali digitali e sistemi sensoriali integrati, che possono migliorare la performance delle funzioni esecutive di pazienti anziani con disordini cognitivi e demenza (DeVaul, 2004; Gorman et al., 2003; Mihailidis et al., 2008; Philipose et al., 2004; Pollack et al., 2003). I disturbi cognitivi sono una delle cause del fallimento dei trattamenti e della non aderenza alle terapie farmacologiche. Per esempio, ausili per la memoria prospettica sono dispositivi tecnologici che aiutano gli anziani con deficit cognitivi a rendersi conto delle informazioni di contesto (context-aware) per svolgere compiti programmati nel tempo (reminder system) o per eseguire un’attività complessa scomponendola in passaggi più semplici e fornendo istruzioni su come realizzare ciascun passaggio (prompting system). I reminder system (agende elettroniche, registratori vocali, software per computer, dispositivi di comunicazione e assistenti personali digitali) possono essere efficaci ausili di supporto per sopperire alla difficoltà nella gestione della terapia farmacologica da parte di alcuni utenti anziani: questi apparecchi possono infatti funzionare da sistemi di allarme, promemoria e agenda giornaliera, memorizzando in maniera provvisoria o temporanea le informazioni utili a monitorare l’aderenza alle cure da parte dell’utente (McGarry Logue, 2002). Il sistema PEAT (Planning and Execution Assistant and Training) è un esempio di software per la pianificazione automatica che opera attraverso un assistente digitale personale o le funzioni del cellulare. Il sistema fornisce percorsi personalizzati per guidare una persona nell’esecuzione di un compito (Levinson, 1997). Il sistema ISAAC (Cognitive Prosthetic Assistive Technology) rientra nelle “protesi cognitive” specificamente progettato per individui con una vasta gamma di disabilità cognitive: fornisce input e istruzioni personalizzate in formato vocale, audio, di testo o grafico. Uno studio effettuato su due pazienti con lesioni cerebrali ha dimostrato che, dopo l’utilizzo del sistema ISAAC, l’autonomia, la performance nelle attività quotidiane e la comunicazione con i caregiver erano migliorate (Gorman et al., 2003). Il sistema COACH (Cognitive Orthosis for Assisting aCtivities in the Home) è un prototipo che supporta le persone affette da demenza nel compito di lavarsi le mani autonomamen-
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te attraverso un sistema di istruzioni vocali preregistrate, una videocamera, reti neurali e un sistema di riconoscimento dell’attività che monitora l’esecuzione del compito. I risultati di un trial clinico, che ha coinvolto 10 pazienti affetti da demenza medio-grave e grave, ha messo in evidenza miglioramenti significativi degli utenti nel compito di lavarsi le mani senza assistenza del caregiver dopo l’utilizzo sistema COACH (Mihailidis et al., 2004). Un altro problema associato ai deficit cognitivi che accompagnano le fasi iniziali della demenza, specialmente nel caso della malattia di Alzheimer, è il disorientamento temporo-spaziale, che costituisce una seria minaccia per la sicurezza dei pazienti aumentando, inoltre, l’apprensione e il carico di lavoro dei caregiver. La tecnologia GPS (Global Position System) fornisce un valido aiuto in questo caso, attraverso, per esempio, gli orologi da polso dotati di localizzatore GPS (GPS Locator Watch by Verify e Digital Angel for Senior Wanderers), che tramite un ricetrasmettitore wireless determinano la posizione esatta di un malato permettendo ai familiari di comunicare con la persona e di monitorarla anche a distanza (Parnes, 2010). Va detto però che molti degli ausili tecnologici appena descritti non sono stati ancora ampiamente validati e hanno bisogno di ulteriori verifiche che includono test dopo lunghi periodi d’uso, centrati a identificare i bisogni chiave sia delle persone anziane che soffrono di demenze sia dei loro caregiver, nonché un consenso etico.
13.5.2 Strumenti tecnologici per anziani con disabilità motorie Le attività quotidiane richiedono anche la capacità di muoversi e interagire con l’ambiente circostante con la maggiore indipendenza possibile. L’osteoporosi, una delle malattie ossee più comuni nella popolazione anziana, e i cambiamenti nell’acuità visiva e uditiva possono facilmente limitare la mobilità delle persone anziane. A tal proposito, sono stati messi a punto diversi dispositivi per agevolare la vita in questa fascia di età. Le tecnologie assistive per persone anziane con limitate capacità motorie coprono diversi prodotti e sistemi intelligenti, dai seggiolini e maniglioni per il bagno, alle carrozzine elettriche e deambulatori, a protesi per gli arti superiori e inferiori. Il deambulatore intelligente “Guido”, ultima evoluzione del PAM-AID (Personal Adaptive Mobility Aid) è stato progettato per facilitare la mobilità degli anziani non vedenti tramite un sistema di pianificazione del percorso (Lacey e Dawson-Howe, 1998). Il sistema PAMM (Personal Aid for Mobility and Monitoring) nasce con lo scopo di supportare la mobilità di anziani che vivono da soli o in strutture di cura e assistenza. Il sistema fornisce sia una guida per raggiungere una destinazione attraverso l’uso di mappe preprogrammate, schede, comandi per l’utente e sensori di ostacoli, sia un monitoraggio continuo sulla salute (Yu et al., 2003). Braccia robotiche montate su carrozzine (Wheelchair Mounted Robotic Arm, WMRA) possono essere di aiuto durante i compiti della vita quotidiana compensando un deficit di manipolazione e supportando attività come lo spostamento di oggetti, l’alimentazione e l’utilizzo di strumenti di comunicazione e controllo ambientale. Gli anziani possono controllare il funzionamento di WMRA tramite un joystick, un tastierino, oppure per mezzo di comandi vocali o altri sistemi di input (Alqasemi et al., 2005).
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L’Assistive Robotic Manipulator, conosciuto come MANUS, disponibile in commercio, è un braccio robotico posizionabile su sedia a rotelle che consente di aiutare anziani con disabilità a livello degli arti superiori. Attraverso un tastierino e un joystick la persona anziana può guidare il MANUS manualmente decidendo la direzione e l’orientamento (Driessen et al., 2001; Hok Kwee, 1998). Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di una riabilitazione agli arti superiori basata sull’uso del MANUS nel migliorare le abilità motorie in pazienti che hanno subìto un ictus. I risultati dimostrano benefici ottenuti dopo trattamenti su pazienti che avevano menomazioni moderate, ma anche su pazienti con menomazioni gravi dovute a ictus (Krebs et al., 2004).
13.5.3 Sistemi robotici di assistenza sociale Questo paragrafo offre una panoramica sui sistemi robotici realizzati per l’assistenza delle persone anziane. Le tecnologie assistive basate su piattaforme robotiche possono giocare un ruolo fondamentale nel campo della riabilitazione e dell’assistenza sociale. Nel primo caso, i sistemi robotici descritti nel Paragrafo 13.5.2 offrono un supporto basato sull’interazione fisica (carrozzine intelligenti, braccia robotiche e così via), mentre gli ausili robotici di assistenza sociale possono essere percepiti come entità sociali che comunicano con l’utente attraverso l’interazione sociale. Questi ultimi si dividono in robot di servizio (sistemi di telepresenza, di controllo e di supporto) e robot di compagnia. Alcuni di questi sistemi sono già disponibili in commercio, altri sono ancora in via di sviluppo e sono realizzati per il mantenimento dell’autonomia personale in termini di supporto alle attività di base della vita quotidiana (mangiare, lavarsi, andare in bagno e vestirsi), alla mobilità dell’utente (inclusi i servizi di trasporto) e al monitoraggio dell’ambiente di vita e della persona. Uno dei prototipi realizzati all’interno di questa categoria di ausili robotici è “Pearl”, un robot dotato di sistemi di promemoria (che, per esempio, ricorda alle persone di prendere le medicine e di rispettare gli appuntamenti in agenda), di telepresenza (che consente al personale sanitario e agli operatori sociali di interagire a distanza con anziani che vivono da soli a casa propria) e di monitoraggio (per una costante supervisione delle attività e dello stato di salute della persona; Pollack et al., 2003). Il robot I-Cat è un gatto robotico che interagisce e comunica con l’utente attraverso espressioni facciali che indicano diverse emozioni. Gli studi su I-Cat si sono incentrati sull’analisi dell’interazione sociale tra persone anziane e il robot e sugli effetti che il comportamento di I-Cat esercita sul processo di accettazione della tecnologia da parte dell’utente (van Breemen et al., 2005). Con l’aiuto di Care-O-Bot un utente anziano può controllare il sistema di illuminazione, il riscaldamento e l’aria condizionata della propria abitazione ed essere in contatto costante con il medico e i propri familiari. Care-O-Bot è un assistente domestico robotico mobile progettato per svolgere le attività della vita di tutti i giorni, coordinare i media, gestire la giornata (per esempio registrare l’orario di assunzione dei farmaci), monitorare i parametri vitali ed effettuare chiamate di emergenza. È in grado di guidare la persona nel proprio ambiente di vita evitando gli ostacoli e operando in modo sicuro e affidabile in spazi diversi. L’ultimo prototipo, Care-O-Bot II, è dotato anche di abilità di tipo manipolatorio che
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consentono un livello di assistenza più efficiente nelle attività della vita quotidiana (Graf et al., 2004). Nell’ambito del progetto italiano RoboCare è stato sviluppato un prototipo di casa intelligente, in cui una piattaforma robotica mobile (che funge da interfaccia tra l’ambiente e l’utente) e un sistema di sensori e agenti software sono utilizzati per creare servizi innovativi di assistenza per le persone anziane che risiedono a casa propria. La caratteristica chiave dell’ambiente RoboCare risiede nel mantenere una conoscenza aggiornata dello stato dell’ambiente e della persona assistita. Questa conoscenza è strumentale all’erogazione di servizi cognitivi pro-attivi e contestuali. Il sistema è composto da un insieme di agenti hardware e software eterogenei, come sensori di posizione e postura basati su tecnologia di visione artificiale, e un agente software per la gestione temporalizzata delle attività giornaliere della persona assistita e dei vincoli comportamentali a cui devono aderire. La principale interfaccia fra l’ambiente e la persona assistita è un robot autonomo in grado di muoversi in modo sicuro e continuo nell’ambiente e di dialogare verbalmente con l’assistito (Cesta et al., 2003). Una parte della ricerca di RoboCare si è focalizzata sull’analisi delle percezioni che le persone anziane hanno in generale nei confronti dei robot di assistenza. I risultati dimostrano come l’accettazione di dispositivi robotici in ambiente domestico non dipenda solo dai benefici pratici che tali ausili possono fornire, ma anche dalle complesse relazioni tra componenti cognitive, affettive ed emotive legate all’immagine del robot che le persone si formano. La piattaforma RP-7 In-Touch Health è un dispositivo di telepresenza che permette all’utente di essere monitorato a distanza. I pazienti possono vedere e sentire il proprio medico in tempo reale attraverso uno schermo video e un sistema di altoparlanti. Dalle ricerche emerge che i pazienti gradivano vedere il proprio medico anche mediante il robot, mentre il personale sanitario, visitando a distanza il paziente, poteva usufruire del robot per prendere decisioni sulla base dei parametri vitali trasmessi in tempo reale. I primi risultati di uno studio condotto all’ospedale dell’Università del Maryland hanno dimostrato che la maggior parte dei pazienti traeva conforto dall’uso di questo robot perché la piattaforma permetteva loro di rimanere in contatto costante con il personale medico (InTouch Health, 2004).
13.6 Accettazione, rifiuto o abbandono di una tecnologia assistiva L’accettazione e la disponibilità verso l’utilizzo delle soluzioni assistive da parte delle persone anziane sembra essere una questione complessa. Un ausilio tecnologico è un supporto utile quando è utilizzato in maniera appropriata e progettato sulla base delle caratteristiche e dei bisogni dell’utente. Certamente gli effetti dell’invecchiamento hanno un’influenza sia sulla disponibilità delle persone anziane a utilizzare le tecnologie esistenti sia sulle loro capacità di apprendimento nel funzionamento delle stesse. Fattori personali, come i cambiamenti correlati all’età, che comportano un graduale declino nelle capacità percettive, cognitive e motorie, ansia, autoefficacia e familiarità con la tecnologia, rappresentano importanti predittori per l’adozione e l’effettivo utilizzo di una tecnologia (Czaja et al., 2006). McCreadie e Tinker (2005) hanno
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suggerito un modello complesso di accettazione all’interno del quale l’interazione tra il “bisogno percepito” di assistenza e la “qualità del prodotto” giocano un ruolo importante. Secondo gli autori, infatti, la sinergia tra i bisogni individuali e l’ambiente di vita personale crea la percezione del bisogno di aiuto in una persona. Inoltre, se un dispositivo tecnologico funziona in maniera appropriata, in modo affidabile e sicuro, gli anziani sono più propensi ad accettarlo e impiegarlo nella loro vita quotidiana. Quando una persona accetta l’ausilio tecnologico solo in termini di necessità e come mezzo per portare avanti attività di vita quotidiana, l’accettazione è definita come riluttante. Quando la soluzione assistiva è percepita come parte della propria vita, il livello di accettazione è definito come gradito mentre quando una persona considera l’ausilio tecnologico come parte di sé, l’accettazione è definita interna (Karmarkar et al., 2008). Un altro fattore che influenza l’accettazione delle soluzioni assistive è la percezione dei vantaggi e degli svantaggi che l’uso di un dispositivo comporta: se i vantaggi percepiti superano gli svantaggi, l’accettazione della soluzione assistiva aumenta. Cesta et al. (2011) nel loro studio sull’interazione delle persone anziane con un sistema domestico di tecnologia assistiva hanno identificato problematiche rilevanti rispetto all’accettazione di un robot nell’ambiente domestico da parte delle persone anziane. Gli autori hanno riscontrato che le persone anziane riconoscono i vantaggi forniti da un assistente intelligente che era in grado di aiutare gli utenti nella gestione delle attività quotidiane e nelle difficoltà correlate all’età garantendo loro un maggiore senso di sicurezza. Secondo il modello di Accettazione della Tecnologia (TAM, Technology Acceptance Model), l’utilità percepita e la semplicità d’uso inducono l’utente ad acquisire e utilizzare una soluzione assistiva (Davis, 1993). Inoltre il modello indica che l’adozione effettiva di un sistema è predetta dall’intenzione comportamentale. L’accettazione di un supporto specifico è probabilmente anche influenzata dalle strategie di coping a cui solitamente ricorrono le persone anziane per sopperire all’indebolimento delle loro competenze (Brandtstädter e Renner 1990; Slangen-de Kort et al., 1998). Le strategie assimilative implicano una modificazione attiva dell’ambiente per raggiungere e soddisfare obiettivi personali; al contrario le strategie accomodative implicano un adattamento dell’individuo all’ambiente. A tale riguardo, è chiaro che l’accettazione di un supporto tecnologico può dipendere da quanto questo modifica le caratteristiche dell’ambiente domestico della persona anziana. Inoltre, un ulteriore problema da considerare è legato alle caratteristiche di vita quotidiana per cui una soluzione assistiva viene adottata. Le barriere ambientali (per esempio una casa a due piani) possono limitare l’accettazione di una soluzione assistiva; è importante quindi prevedere un’analisi delle barriere fisiche ambientali dell’abitazione e dello spazio esterno a essa (Iwarsson e Slaug, 2001). Un ulteriore fattore che influisce sull’accettazione è il potenziale rischio che l’adozione di un ausilio possa stigmatizzare la persona disabile. L’impiego di una tecnologia assistiva può determinare un cambiamento nelle competenze personali e questo è associato a giudizi sociali negativi, che influenzano le motivazioni personali e l’effettiva adozione di un ausilio tecnologico (Gitlin, 1995). Apprendere il corretto uso di un dispositivo è una componente importante del processo di accettazione (Elliot, 1991). Una delle difficoltà iniziali nell’uso di un dispositivo può essere legata alla sua installazione, che richiede competenze specifiche e
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fasi di apprendimento non sempre facili da assimilare per una persona anziana, specialmente in presenza di deficit cognitivi. I sistemi elettronici, come per esempio i promemoria, possono essere difficili da adoperare e le loro interfacce possono risultare troppo piccole e difficili da imparare. Chiu e Man (2004) hanno riscontrato che utenti anziani sottoposti a sessioni di training dopo esser stati dimessi dall’ospedale, mostravano un maggior livello di soddisfazione e di utilizzo del dispositivo in dotazione rispetto a utenti che non ricevevano alcun tipo di addestramento. Un programma di training per l’uso di una soluzione assistiva dovrebbe prevedere il coinvolgimento dell’utente e della famiglia nel processo di selezione del dispositivo, durante gli incontri di monitoraggio e di apprendimento all’uso dello stesso (Karmarkar et al., 2008). In generale, l’abbandono di un dispositivo assistivo è spesso il risultato di un processo fallimentare di “abbinamento tra la persona e la tecnologia” (Scherer, 1998, 2002; Scherer e Craddock, 2002). Quando viene fornita una soluzione assistiva, è fondamentale condurre un’attenta valutazione del potenziale utente e considerare diverse fasi prima di assegnare un ausilio tecnologico. A tal proposito, il modello biopsicosociale dell’ICF può contribuire a migliorare il processo di scelta delle soluzioni assistive e a determinare il miglior abbinamento tra utente anziano e ausilio (Arthanat e Lenker, 2004; Scherer, 2005).
13.7 Il ruolo del geriatra nel processo di valutazione della tecnologia assistiva (ATA process) Quando l’utente di un centro ausili è un paziente anziano, il geriatra deve essere coinvolto nel processo di valutazione della tecnologia assistiva (ATA) in qualità di consulente professionale. In genere, una persona anziana accede a un centro ausili dopo una valutazione geriatrica. Il geriatra interviene nel leggere e interpretare i dati della valutazione geriatrica durante l’intervista iniziale che serve a raccogliere informazioni sul background del potenziale utente. Nel team multidisciplinare, il geriatra collabora nel decidere se i dati sono sufficienti per il “processo di abbinamento utente-tecnologia” e, se necessario, può rivalutare l’utente o suggerire strumenti di valutazione. Per descrivere l’utente dal punto di vista dell’ICF, il geriatra deve mettere in relazione le dimensioni della valutazione geriatrica con i codici dell’ICF, come descritto nella Tabella 13.1, in quanto adottando il linguaggio dell’ICF è facilitato nel dialogo con gli altri consulenti del team multidisciplinare. Una volta ottenuta la descrizione del livello di funzionamento individuale dell’utente, ne viene valutata la richiesta e il geriatra fornisce informazioni circa gli ipotetici scenari riguardanti la progressione di una specifica condizione di salute, aiutando così il team a identificare i fattori che possono influenzare il processo di abbinamento in termini di accettazione e il rischio di rifiuto e abbandono. Durante la valutazione della soluzione assistiva proposta, il geriatra collabora nel monitorare le condizioni di salute e nel valutare l’efficacia del dispositivo. Se è necessaria una valutazione ambientale, il geriatra può essere coinvolto anche in tale fase.
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Tabella 13.1 Valutazione geriatrica (Geriatric Assessment, GA) e codici ICF. Quella della valutazione geriatrica (Geriatric Assessment, GA) è una procedura di valutazione multidimensionale che esplora nove domini: medico, cognitivo, affettivo, funzionale, ambientale, supporto sociale, economico, spiritualità e direttive future (prima colonna). I domini comprendono diverse componenti riportate nella seconda colonna. Nella terza colonna, sono riportati un esempio di test e di tecniche di valutazione geriatrica. Per una descrizione dettagliata delle tecniche e dei test di valutazione si faccia riferimento alle indicazioni bibliografiche riportate e a Strauss e Tinetti (2009) per gli strumenti marcati con il simbolo +, a Reuben e Rosen (2009) per quelli con il simbolo • e a Lezak, Howieson e Loring (2004) per quelli con il simbolo *. L’ultima colonna elenca i codici ICF delle strutture corporee (Body Structures, BS), delle funzioni corporee (Body Functions, BF), di attività e partecipazione (Activities and Participation, AP) e dei fattori ambientali (Environmental Factors, EF) relativi alla valutazione geriatrica.
Medico
GA Componenti
Esempi di test e tecniche di valutazione
Codici ICF
Fisica
Intervista centrata sulla storia clinica, test di laboratorio, tecniche di generazione di immagini e altri test eventuali + Osservazione diretta e test funzionali + Hachinski Scale (Hachinski et al., 1975) Cumulative Illness Rating Scale (CIRS) (Parmelee et al., 1995)
BS e BF – tutti i codici, a seconda dei problemi di salute
Deficit visivi
Metodo standard: Tavola di Snellen • Intervista e self-report: Activities of Daily Vision Scale • VF-14 •, VFQ-25 • Cataract Symptom Scale •
BF: b210-b229
Deficit uditivi
Intervista • Metodo AudioScope 3 • Whispered voice test • Hearing Handicap Inventory for the Elderly-Screening Version (HHIE-S) •
BF: b230-b249
Malnutrizione/ perdita di peso
Visita iniziale: domande sulla perdita di peso nei 6 mesi precedenti • Pesare i pazienti a ogni visita di controllo • Calcolare l’indice di massa corporea • Nutritional Screening Initiative’s 10-item checklist • Mini-Nutritional Assessment (MNA) •
BF: b510-b539
Incontinenza urinaria
Intervista• Three incontinence questions (3IQ) •
BF: b620, b630, b639
Deficit dell’equilibrio, dell’andatura e cadute
Domande sulle cadute nell’ultimo anno • Domande sulla paura di cadere • Timed up and go test • Gait speed su 10 metri • Performance-Oriented Assessment of Mobility • Functional Reach Test •
BF: b235, b710-b789
Politerapia
Sollecitare il paziente a portare a ogni visita tutte le medicine che assume al momento attuale, sia quelle con ricetta sia quelle senza ricetta •
EF: e110
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Stato generale
Mini Mental Status Examination (MMSE)*
Addenbrooke’s Cognitive Examination Revised (ACE-R) (Mioshi et al., 2006)
Attenzione
Digit Span * Trial Making Test A and B (TMT) *
Cognitivo
Stroop tests * Corsi’s Block-tapping test *
BF: b114, b117, b140, b144, b167, b172, b176 AP: d130, d135, d160, d166, d170, d172, d310, d345, d440 BF: b114, b117, b140, b144, b156, b167, b172, b176 AP: d130, d135, d160, d166, d170, d172, d310, d345, d440 BF: b140 AP: d135, d160 BF: b140 AP: d160, d220 BF: b140 AP: d160, d220 BF: b140 AP: d135, d160
Memoria
Benton Visual Retention Test (BVRT) * Auditory Verbal Learning Test (AVLT) * Babcock Story Recall Test (BSRT) * Complex Figure Test (CFT): Recall administration *
BF: b144 BF: b144 BF: b144 AP: d325, d330 BF: b144
Formazione di concetti e ragionamento
Raven’s Coloured Progressive Matrices (RCPM) * Proverbi e similarità *
BF: b164 AP: d163 BF: b164 AP: d163, d310 BF: b164 AP: d220
Wisconsin Card Sorting Test (WCST) * Abilità costruttive
Copia di disegni * Complex Figure Test (CFT): copy Administration * Clock face *
Linguaggio
Controlled Oral Word Association (COWA, a volte chiamato FAS) * Boston Naming Test (BNT) * Category fluency * Token Test *
Funzioni esecutive e performance motoria
Tower of London * Frontal Assessment Battery (FAB) * Examination for Apraxia *
BF: b176 AP: d130, d440 BF: b164, b176 AP: d130, d440 BF: b176 AP: d130, d440 BF: b167 AP: d210 BF: 167 BF: b167 AP: d210 BF: b167 AP: d310 BF: b164 AP: d163, d175, d210, d440 BF: b164 AP: d163, d220 BF: b176 AP: d130, d440
Intervista • Geriatric Depression Scale (GDS) (Yesavage 1983) Patient Health Questionnaire-9 (PHQ-9) •
BF: b152
Activity Daily Living (ADL) (Katz et al., 1963)
BF:b176, b525, b620 AP: d410, d440, d450, d460, d465, d510, d520, d530, d540, d550, d560
Funzionale
Affettivo
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AP: d475 EF: e115-e125, e240, e310-e340, e355, e360, e398, e465
Supporto sociale
Intervista sulla storia delle relazioni sociali e sulla qualità di esse • Intervista sulla disponibilità di assistenza • Caregiver Burden Inventory (Novak e Guest 1989) Brief Symptom Inventory *
EF: e310, e320, e340, e355, e360, e410, e440
Economico
Intervista sullo stato economico e assicurativo •
AP: d870 EF: e165
Spiritualità
Intervista su religione e spiritualità •
AP: d930 EF: e465
Discussione sugli obiettivi e le preferenze del paziente •
Tutti i codici a seconda degli obiettivi
Ambientale
Intervista sulla sicurezza dell’ambiente domestico • Intervista sull’accesso ai servizi alla persona e medici • Intervista sulla guida Checklist per pazienti e familiari•
Direttive future
Instrumental Activity Daily Living (IADL) (Lawton e Brody, 1969)
BF: b176 AP: d177, d230, d360, d440, d450, d460, d470, d475, d620, d630, d640 EF: e110, e165
Considerando lo stato dell’arte in medicina geriatrica, è importante soffermarsi su due problemi: da un lato lo scarso uso dell’ICF e dall’altro l’urgenza di introdurre programmi di training sulle soluzioni assistive nei percorsi formativi dei geriatri. Per
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quanto riguarda la prima problematica, va detto che l’ICF offre la possibilità di descrivere e classificare il funzionamento, la disabilità e la salute entro lo stesso quadro teorico e con un linguaggio comune, che si rivela utile nel momento in cui la valutazione è effettuata da un team multidisciplinare. Inoltre, nonostante tutti gli stati membri della OMS siano stati invitati a diffondere l’uso dell’ICF nel settore sanitario (Stucki et al., 2005), coesistono ancora diversi concetti di disabilità, e diversi studi interpretano il passaggio dalla salute alla disabilità in accordo con la prospettiva del “processo disabilitante”, proposta da Verbrugge e Jette (1994) e basata sul modello di Nagi (1964, 1965, 1991). Solo di recente il concetto di disabilità nella ricerca gerontologica ha subìto una profonda trasformazione in seguito all’adozione del linguaggio ICF nello studio della disabilità in età avanzata (Freedman 2009; Guralnik e Ferrucci 2009; Jette 2006, 2009). Il rifiuto da parte della comunità gerontologica di adottare il linguaggio ICF era dovuto a due ordini di motivi (Freedman, 2009). Il primo è la scarsa accuratezza nel passare dalle misure di limitazioni funzionali esistenti [attività di base (ADL) e strumentali della vita quotidiana (IADL)] al linguaggio ICF. Il secondo è dato dal fatto che l’ICF non intende essere un modello dinamico perché non presenta un modello di disabilità come processo dinamico. Jette (2006, 2009) ha invitato la comunità scientifica statunitense ad adottare la prospettiva dell’ICF, mettendo in evidenza le similitudini e le differenze tra i concetti e le definizioni di Nagy e dell’ICF, per poter utilizzare un linguaggio comune e internazionale nel campo della riabilitazione, con la possibilità di migliorare la comunicazione all’esterno dei confini e delle discipline nazionali, per facilitare la ricerca interdisciplinare, per migliorare i trattamenti clinici e per dialogare con le politiche sanitarie e i governi. Il National Health and Aging Trends Study (NHATS), una nuova risorsa per lo studio scientifico del funzionamento in età avanzata, sembra andare in tale direzione perché è stato sviluppato tenendo in considerazione sia il linguaggio ICF sia le basi di Nagi. Il NHATS viene condotto dalla Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health con il supporto del National Institute of Aging con lo scopo di promuovere la ricerca per ridurre la disabilità, migliorare lo stato di salute, l’autonomia e la qualità della vita delle persone anziane. Il NHATS supporta gli studi sul trend e sulle traiettorie di disabilità in età avanzata. Un importante obiettivo è quello di concentrarsi sullo sviluppo, la sperimentazione e la messa in campo di uno stato dell’arte sugli strumenti di valutazione della disabilità. Facendo parte del NHATS, Freedman (2009) evidenzia i benefici che possono derivare dal linguaggio ICF: l’aggiunta del termine “partecipazione” al vocabolario geriatrico, il ruolo esplicito e definito dell’ambiente, il poter disporre di analogie positive per concetti tradizionalmente espressi in termini di perdita in un avanzamento e, infine, la distinzione tra capacità di mettere in atto e performance attuale di una serie di attività. Di recente sono stati anche proposti nuovi strumenti di valutazione per la disabilità basati sulla prospettiva dell’ ICF come alternativa ai classici ADL e IADL (Rejeski et al., 2008). Un altro passo importante per migliorare l’applicabilità dell’ICF nella pratica clinica e nella ricerca è il progetto ICF Core Set, creato con lo scopo di selezionare i domini ICF che includono “il minor numero di domini possibile per essere pratico ma sufficientemente ampio da coprire lo spettro prototipico delle limitazioni nel funzionamento e nella salute riscontrate in una specifica condizione di salute” (Stucki et al.,
306 Capitolo 13
2002, p. 936). L’obiettivo del progetto ICF Core Set è quello di “offrire standard minimi per la valutazione e il resoconto del funzionamento e della salute per studi clinici, confronti clinici e valutazioni globali multiprofessionali” (Stucki et al., 2005, p. 350). Un Core Set viene sviluppato tramite un consenso tra esperti che può essere usato come schema di valutazione di problemi e bisogni individuali, prognosi, riabilitazione e funzionamento nelle condizioni acute e post-acute da condividere con i membri del team di riabilitazione (Grill e Stucki, 2011). Rispetto al secondo problema, dell’attribuire ai geriatri un ruolo di primo piano nell’invio di un paziente a un centro ausili, è necessario avviare una specifica formazione sulle soluzioni assistive per i professionisti della salute. Allo stesso tempo è importante aggiornare e promuovere la ricerca nel settore delle soluzioni assistive ampliandone la conoscenza e comprendendo quali siano i fattori che possono determinare il migliore abbinamento tra un paziente anziano e gli ausili tecnologici. Negli ultimi anni, diversi studi hanno evidenziato come l’ICF possa essere la base per la valutazione clinica dei soggetti che necessitano di tecnologie assistive (Arthanat e Lenker, 2004; Scherer, 2005). Facendo riferimento all’abbinamento tra pazienti anziani e tecnologia, Scherer, Federici e colleghi (2012) hanno sviluppato un ICF Core Set per l’abbinamento tra adulti anziani con demenza e tecnologia (Matching Older Adults with Dementia and Technology, MOADT) in modo da fornire uno schema di codici per i sistemi di informazione sanitari e per stabilire un linguaggio comune per descrivere l’ATA. Il MOADT è uno strumento utile per una migliore comunicazione tra diversi centri ausili, istituti di riabilitazione geriatrica, centri medici geriatrici e istituti per pazienti con demenza, le loro famiglie e i caregiver. Nel processo di “abbinamento tra anziani e tecnologia” diventa essenziale che il geriatra collabori con i fornitori di servizi per identificare le tecnologie appropriate per l’utente anziano. Per illustrare un esempio del ruolo del geriatra come consulente professionale in un centro ausili, viene descritto di seguito un caso clinico che mette in relazione la valutazione geriatrica e la prospettiva ICF all’interno di un ipotetico scenario della progressione della malattia e attraverso una spiegazione dei fattori che potrebbero influenzare il processo di abbinamento.
13.8 Caso clinico e l’ATA process Nome: A.B. Età: 73 anni e 3 mesi Età di esordio della malattia: 70 anni Diagnosi: CID-9-CM Codice di diagnosi 331.0 Alzheimer, I10 Ipertensione, M81.0 osteoporosi, F32.9 depressione Dall’età di 70 anni, la signora A.B. ha cominciato a notare problemi di memoria (difficoltà nel ricordare i nomi, nel trovare effetti personali, deficit di memoria episodica). Col passare dei mesi c’è stato un lento peggioramento delle sue condizioni mediche e funzionali. Ultimamente ha perso la capacità di portare a termine le IADL
Il geriatra 307
in maniera autonoma e spesso appare apatica e depressa. Dai dati anamnestici emergono un intervento alla cataratta (all’età di 71 anni), ipertensione (dall’età di 67 anni) e osteoporosi (dall’età di 62 anni). A 65 anni la signora A.B. ha presentato sintomi di depressione ed è stata sottoposta a trattamento con citalopram. Considerati i notevoli benefici, il farmaco è stato interrotto dopo 2 anni. Un anno fa è stato però necessario reintrodurlo. Dall’anamnesi familiare emerge che un fratello è morto per demenza (probabilmente malattia di Alzheimer) e che una sorella vivente è affetta dal morbo di Parkinson. La signora è seguita da un centro geriatrico e ogni sei mesi è sottoposta a un controllo per monitorare l’evoluzione della malattia e valutare il piano terapeutico. Prima della malattia la paziente trascorreva le giornate tra faccende domestiche e attività di volontariato. In particolare faceva la spesa e collaborava con la Caritas nel centro parrocchiale locale. Raggiungeva a piedi i servizi della città e il centro parrocchiale. Ha lavorato in fabbrica come operaia (8 anni di scolarità). Attualmente la signora A.B. vive con il marito vicino a una delle due figlie. Il paese è molto piccolo e i vari servizi sono a raggiungibili a piedi. I familiari, nonostante siano impegnati per gran parte della giornata, rappresentano un valido sostegno per la signora perché le permettono di essere autonoma e di creare situazioni per la socializzazione e la partecipazione. Se non c’è nessuno, la signora A.B. trascorre le giornate guardando la televisione. Se qualcuno glielo ricorda è in grado di compiere le ADL autonomamente (vestirsi, andare in bagno, spostarsi, continenza e mangiare) eccetto che fare il bagno a causa della paura di cadere. Per quanto riguarda le attività strumentali, è in grado di comporre i numeri di telefono più conosciuti e di preparare il pranzo se la figlia le suggerisce la procedura e gli ingredienti. Può portare a termine compiti leggeri come lavare i piatti e rifare il letto ma ha difficoltà con il bucato perché non riesce a scegliere il programma della lavatrice appropriato. Non è in grado di prendere medicine da sola per problemi di memoria. A causa della presenza di difficoltà di orientamento spaziale, viaggia solo in automobile se assistita. La signora è anche in grado di svolgere piccole attività come pagare e ritirare i soldi in banca. La presenza di un familiare, di stimoli e di attività sembrano avere un effetto benefico sui sintomi di apatia e depressione. A volte la signora A.B. sembra anosognosica ma rifiuta aiuti da parte di estranei al nucleo familiare, e l’introduzione di un’assistente familiare nell’ambiente domestico ha fatto sì che la signora manifestasse deliri di gelosia. •
Valutazione motoria: le condizioni motorie attuali sono buone. La paziente riesce a stare seduta senza supporti e a cambiare posizione. La signora A.B. riesce anche a stare in piedi autonomamente e a camminare senza supporti. Sono presenti movimenti pendolari. Gli arti superiori sono mobili e possono essere usati per attività funzionali.
•
Test neuropsicologici: la signora A.B. è vigile e cooperativa. Ha difficoltà nel prestare attenzione per lungo tempo, nello spostare l’attenzione tra diverse situazioni, nel pianificare le azioni, nell’organizzazione temporale e nell’esecuzione delle azioni. Ha problemi di orientamento spaziale. La memoria episodica, semantica e prospettica sono compromesse. Riesce a leggere e capire parole, frasi, periodi semplici e complessi e testi brevi. Riesce a fare brevi discorsi ma si
308 Capitolo 13
interrompe spesso perché le mancano le parole. È in grado di copiare figure semplici ma ha difficoltà con quelle complesse. Le sue abilità nella formazione di concetti e nel ragionamento sono ai limiti della norma. •
Strategie di comunicazione: è in grado di comunicare.
•
Valutazione delle funzioni visive, percettive e motorie: non sono presenti disturbi visivi, percettivi o motori.
•
Aiuti e assistenza: al momento la signora A.B. non ha né ausili né assistenza.
•
Richiesta: ausili e assistenza per monitorare lo stato di salute, l’assunzione delle medicine e avere supporto nelle IADL.
13.8.1 Il ruolo del geriatra nell’ATA process per la paziente A.B. La signora A.B. è in cura presso un centro geriatrico per il monitoraggio della malattia e della terapia farmacologica. In questo caso, i dati di input arrivano dalla procedura della CGA e il geriatria del centro ausili dispone di informazioni sullo stato di salute, cognitivo, affettivo, funzionale, ambientale, sociale, economico, spirituale e sulle direttive future. La Tabella 13.2 mostra la corrispondenza tra le dimensioni della valutazione geriatrica e i codici ICF; la Figura 13.2 illustra il profilo della paziente dal punto di vista del modello biopsicosociale. Tabella 13.2 Valutazione geriatrica di un caso clinico. La procedura di valutazione geriatrica (geriatric assessment, GA) condotta utilizzando gli strumenti riportati nella Tabella 13.1, esplora nove domini: medico, cognitivo, affettivo, funzionale, ambientale, supporto sociale, economico, spirituale e direttive future (prima colonna). I domini includono diverse componenti riportate nella seconda colonna. La terza colonna mostra i codici ICF per le strutture corporee (body structures, BS), le funzioni corporee (body functions, BF), attività e partecipazione (activities and participation, AP) e fattori ambientali (environmental factors, EF) relativi alla valutazione geriatrica di A.B. Nella quarta colonna, sono descritte le condizioni della signora A.B. Codici ICF
A.B.
Fisiche
BF: b280.0, b410.0, b415.0, b420.2, b430.0, b440.0, b510.0, b515.0, b525.0, b535.0, b540.0, b545.0, b555.0, b620.0, b710.0, b730.0, BS: s110.2, s710.0, s720.1, s730.0, s740.2, s750.0, s760.0
Ipertensione Osteoporosi Malattia di Alzheimer
Deficit visivi
BF: b210.0, b215.0
Assenza di deficit visivi Intervento di cataratta in anamnesi
Medico
GA Componenti
Il geriatra 309
Affettivo
Cognitivo
Cognitivo
Deficit uditivi
BF: b230.0
Assenza di deficit uditivi
Malnutrizione/ BF: b530.2 perdita di peso
Perdita di peso negli ultimi 5 mesi
Incontinenza urinaria
Assenza di incontinenza urinaria
BF: b620.0
Deficit BF: b235.0, b710.2, b715.0, dell’equilibrio, b730.0, b735.0, b740.0, b750.0, dell’andatura b755.0, b760.0, b765.0, b789.2 e cadute
Assenza di deficit dell’equilibrio e dell’andatura Assenza di cadute
Politerapia
EF: e110
Terapia attuale: ramipril (per l’ipertensione), ranelato di stronzio (per l’osteoporosi), citalopram (per la depressione), rivastigmina (per la demenza).
Stato generale
BF: b114.2, b117.2, b140.2, b144.2, b156.0, b167.0, b172.1, b176.0 AP: d130.0, d135.0, d160.2, d166.0, d170.0, d172.1, d310.0, d345.0, d440.0
Deficit cognitivi compatibili con la demenza
Attenzione
BF: b140.2 AP: d135.1, d160.2, d220.2
Deficit della memoria a breve termine, dell’attenzione visiva, e dell’attenzione semplice e alternata
Memoria
BF: b144.2 AP: d325.0, d330.0
Deficit della memoria episodica e semantica
Formazione di concetti e ragionamento
BF: b164.0 AP: d163.1, d220.1, d310.0
Performance borderline
Abilità costruttive
BF: b176.2 AP: d130.0, d440.0
Difficoltà nello scrivere numeri al test dell’orologio e nella copia di figure complesse
Linguaggio
BF: b167.1 AP: d210.1, d310.0
Riduzione della produzione verbale nella fluenza per categoria e anomie
Funzioni esecutive e performance motoria
BF: b164.2, b176.0 AP: d130.0, d163.2, d175.2, d220.1, d440.0
Difficoltà nella pianificazione e nel variare il comportamento al mutare delle richieste ambientali (set shifting)
BF: b152.2
Sintomi depressivi e apatia
Richiede assistenza nel fare il bagno per paura di cadere; non richiede assistenza nel vestirsi tranne che nell’allacciarsi le scarpe; va in bagno, usa la toilette, si riveste e deambula senza assistenza (all’occorrenza usa un bastone o un deambulatore come supporto e pannoloni per la notte); si alza dal letto e dalla sedia senza assistenza (con bastone o deambulatore); controlla feci e urine; si alimenta autonomamente; compone numeri telefonici; è in grado di fare piccoli acquisti; prepara pasti se le vengono predisposti gli ingredienti; svolge alcune semplici funzioni quotidiane (per esempio lava i piatti e risistema il letto); lava piccoli indumenti; viaggia in taxi o in automobile se assistita; non è in grado di assumere farmaci da sola; riesce a svolgere le compere quotidiane ma ha bisogno di aiuto per le operazioni finanziarie più complesse come andare in banca
Ambientale
AP: d475.9 EF: e110.0, e340+2, e355+1
Servizi raggiungibili a piedi; valutazione geriatrica ogni 6 mesi; non usa l’automobile
Supporto sociale
EF: e310+3, e320+2, e340+2, e355+1, e360+0, e410+3, e440+0
I familiari sono un valido supporto ma sono impegnati per gran parte della giornata; la presenza della famiglia e degli amici riduce i sintomi di depressione e apatia
Economico
AP: d870 EF: e165
Assenza di problemi economici
AP: d930.2 EF: e465+3
Prima della malattia aveva una fitta rete di contatti legati a un centro parrocchiale
Funzionale
BF: b176.0, b525.0, b620.0 AP: d177.1, d230.1, d360.0, d410.0, d440.0, d450.0-d460.0, d475.9, d510.1, d520.0, d530.0, d540.0, d550.0, d560.0, d620.1, d630.1, d640.1 EF: e110.2, e165.0
Spiritualità
310 Capitolo 13
Direttive future
Il geriatra 311
EF: e360+0
La paziente rifiuta l’assistenza da parte di figure estranee alla famiglia
Se il team multidisciplinare decide che ci sono dati sufficienti per un processo di abbinamento, si procede con la scelta del supporto tecnologico più adatto. Dato che l’Alzheimer è una malattia degenerativa progressiva, una soluzione assistiva richiede il monitoraggio dell’aderenza al trattamento farmacologico e il supporto delle IADL in controlli periodici. L’ipotetico scenario futuro prospetta un progressivo peggioramento dei deficit cognitivi a causa dell’avanzare della malattia di Alzheimer. Dovrà essere tenuto in considerazione il rischio che la signora si perda quando è fuori casa a causa dei problemi di orientamento. Allo stesso tempo la possibilità di andare a piedi al centro parrocchiale o al negozio di alimentari rappresenta un’opportunità per mantenere quegli aspetti che riguardano attività e partecipazione. In tal senso il fatto che viva in un piccolo centro rappresenta un vantaggio. In base alla letteratura medica, la signora A.B. perderà la capacità di portare a termine le ADL e si manifesteranno difficoltà nella vita domestica e nella cura di sé. Se non sarà stimolata con attività sociali e mentali, i sintomi di apatia e depressione peggioreranno e la partecipazione subirà una brusca diminuzione. Poiché A.B. assume rivastigmina, si dovrà porre particolare attenzione al potenziale sviluppo di sintomi gastrici e di bradicardia. La presenza dell’osteoporosi richiede interventi per la prevenzione di cadute e fratture attraverso dispositivi ambientali. Dato che la paziente ha sviluppato deliri in seguito all’introduzione di un caregiver esterno alla famiglia, è importante informare i familiari rispetto allo stress del caregiver e ai possibili gruppi di supporto, associazioni e servizi sociali su cui poter fare affidamento. Bisogna anche tenere in considerazione che sebbene le difficoltà con le IADL siano dovute a deficit delle funzioni esecutive e della memoria prospettica, la performance migliora se la signora riceve suggerimenti su come pianificare le attività e quando metterle in pratica. Considerando tutti questi fattori, gli ausili di tecnologia assistiva che possono essere assegnati alla signora A.B. comprendono: •
ausili per i deficit cognitivi, quali promemoria intelligenti per l’assunzione della terapia farmacologica o protesi cognitive in grado di guidare la signora durante l’esecuzione di alcune attività;
•
un sistema di localizzazione GPS, che potrebbe essere utile nel compensare il disorientamento spazio-temporale e potrebbe facilitare la mobilità dell’utente, permettendo al caregiver di avere informazioni in tempo reale sugli spostamenti della signora.
312 Capitolo 13
Figura 13.2 Profilo della paziente basato sulla valutazione geriatrica in un centro ausili.
13.9 Conclusioni Questo capitolo illustra il ruolo del geriatra in relazione alle maggiori problematiche della popolazione anziana: malattia, disabilità e fragilità. Nonostante quello di fragilità sia un concetto chiaro, esistono diverse definizioni nella letteratura medica che enfatizzano aspetti differenti. C’è però un accordo generale nel considerare la fragilità come una condizione di declino funzionale multifattoriale globale, che può facilmente condurre alla disabilità. Questo capitolo si attiene alla definizione di disabilità dell’ICF all’interno della prospettiva del modello biopsicosociale, per cui fattori personali, condizioni ambientali e stato di salute dell’individuo concorrono nel definire lo stato di disabilità. Il trattamento di un paziente anziano richiede un approccio che tenga conto di tutti i fattori che possono influire sulla salute (malattia, stato funzionale, situazione psicosociale e condizioni ambientali). Tale procedura viene definita Valutazione Geriatrica Globale (CGA) ed è caratterizzata da un team multidisciplinare che lavora con lo scopo di stabilire le priorità per un piano di terapia individuale. Questo capitolo fornisce una descrizione dettagliata della procedura sottolineando la validità di questo approccio nella gestione del paziente anziano. Un piano di trattamento prevede anche la riabilitazione. In questo capitolo viene descritto il corso clinico della riabilitazione geriatrica, enfatizzando l’importanza di una prima valutazione del paziente, degli interventi multidisciplinari e della continuità delle cure. Le soluzioni assistive possono fornire un contributo importante alla pratica della riabilitazione geriatrica e alla continuità delle cure. Viene presentata una descrizione dello
Il geriatra 313
stato dell’arte delle applicazioni basate sulle tecnologie intelligenti. In particolare questo capitolo descrive alcuni esempi di tecnologie di informazione e comunicazione impiegate come soluzioni assistive per gli anziani con disabilità cognitive e/o motorie. Particolare enfasi viene data al ruolo che alcuni fattori personali hanno sull’accettazione della tecnologia da parte degli utenti anziani. Il ruolo del geriatra viene analizzato con lo studio di un caso che illustra il processo di valutazione per l’abbinamento tra la persona e la tecnologia (Matching Person & Tecnology, MPT). In un centro ausili, il geriatra può collaborare come consulente professionale per supportare la cooperazione tra i fornitori di servizi e l’utente anziano. L’approccio della valutazione geriatrica globale ricondotto al modello ICF offre un’opportunità unica di descrivere e classificare il funzionamento, la disabilità e la salute in una cornice comune e con un linguaggio universale (Scherer et al., 2011; Stier-Jarmer et al., 2011). Inoltre, il processo MPT contribuisce a guidare il fornitore di servizi nella presa di decisione in merito alla soluzione assistiva più appropriata e nell’uso di misure di outcome basate sull’evidenza. Nel capitolo vengono discusse anche questioni relative all’adozione dell’ICF nell’ambito della medicina geriatrica e della necessità di prevedere un training all’uso delle soluzioni assistive anche per i geriatri. In conclusione, questo capitolo sottolinea il bisogno di introdurre training sulle soluzioni assistive per i professionisti della salute e di aggiornare e promuovere la ricerca in questo campo. Figure professionali come il geriatra dovrebbero essere formate a condividere le conoscenze sulle soluzioni assistive e a individuare i fattori che meglio determinano l’incontro tra il paziente anziano e gli ausili tecnologici. Tutti questi fattori devono tenere conto della cornice biopsicosociale dell’ICF (Arthanat e Lenker, 2004; Scherer, 2005; Scherer et al., 2011).
Capitolo
14
Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive
K. Hill, V. Corsi
Il capitolo evidenzia la conoscenza e le competenze con le quali il patologo del linguaggio (PL) partecipa al team di TA. Il PL è un membro di un gruppo di persone collaborative, motivato e che lavora insieme per raggiungere la migliore soluzione per un cliente. Il PL fornisce misure cliniche essenziali relative al parlato di un individuo, al linguaggio, alla comunicazione orale e scritta, alle capacità di ascolto, lettura e deglutizione, oltre che misure di performance e analisi funzionale delle competenze di parola e scrittura per sostenere soluzioni di TA. L’uso di risorse e strumenti di monitoraggio dell’attività linguistica (LAM) fornisce evidenze per quantificare il raggiungimento da parte del cliente di obiettivi specifici rispetto all’efficacia, all’efficienza e alla soddisfazione nelle attività desiderate e nei diversi ambienti. Il benessere personale e l’esperienza di vita sono direttamente correlati all’abilità di un individuo di comunicare il più efficacemente possibile. Riconoscimenti: Katya Hill ha contribuito all’intero capitolo eccetto che per il Paragrafo 14.1.8, scritto da Valerio Corsi.
14.1 Descrizione del profilo professionale Un patologo del linguaggio (PL) è un professionista formato nel valutare e trattare persone che hanno disturbi della comunicazione e della deglutizione. Per essere certificata o diplomata come un PL, una persona deve avere la formazione accademica e la necessaria esperienza clinica. Il PL è pertanto capace di diagnosticare e trattare disturbi lungo l’arco di vita che riguardano la parola, il linguaggio, la voce o la deglutizione. I requisiti dei corsi specifici e l’estensione della formazione clinica variano tra i curricula e i titoli rilasciati a livello internazionale. In alcuni paesi, i professionisti possono praticare come logopedisti con una laurea di durata compresa tra due e quattro anni. Tuttavia, lo standard più accettato per l’erogazione di servizi clinici come PL richiede il completamento di una laurea magistrale. In Nord America, i PL diventano professionisti indipendenti dopo aver conseguito una laurea magistrale in scienze e disturbi della comunicazione, dopo aver completato un anno di tirocinio clinico e aver ricevuto un certificato di competenza clinica dall’American SpeechLanguage-Hearing Association (ASHA). Un titolo avanzato può essere ottenuto attraverso un programma di dottorato di ricerca clinico con una particolare attenzione ai disturbi medici del linguaggio e della deglutizione. Il Ph.D. è l’ultimo gradino per la qualifica professionale. Gli standard dell’ASHA sono stati generalmente applicati in tutto il mondo con alcune modifiche. In questo capitolo saranno utilizzati per descrivere il ruolo profes-
316 Capitolo 14
sionale e le responsabilità del PL all’interno del team di valutazione di TA. Gli standard si riferiscono a un modello ideale con l’intento di promuovere a livello internazionale lo sviluppo di curricula, certificazioni clinico/educative programmi accreditati e servizi clinici che sostengano l’interesse dell’individuo con una disabilità di importanza primaria (date le ricadute che può avere sul piano sociale). I membri dell’ASHA sono impegnati ad assicurare che tutte le persone con disturbi della sfera linguistica ricevano servizi per ottimizzare le possibilità comunicative stesse (ASHA, 2004a). Molte persone in trattamento presso un PL per disturbi della comunicazione hanno disabilità che richiedono l’uso di TA. Lo Scope of Practice in Speech-Language Pathology (ASHA, 2007) è un documento che include un quadro di riferimento per la pratica clinica e delinea ruoli professionali e attività dei PL impiegati in una varietà di contesti clinico/educativi (Figura 14.1). I documenti dell’ASHA, identificati nel quadro di riferimento, supportano tale prospettiva unitamente alla fornitura di servizi di alta qualità ed EB da parte dei PL. L’esercizio della professione ha permesso di identificare e descrivere il ruolo dei PL nel fornire servizi di TA in diversi modelli di pratica privilegiati, dichiarazioni di principio, linee guida e documenti di conoscenza e competenza. Indipendentemente dal grado della formazione, un PL certificato può esercitare l’attività clinica, formativa e di sostegno così come è previsto dallo Scope of Practice a condizione che aderisca al Code of Ethics (ASHA, 2010) e agli specifici principi in esso contenuti. Il principio che i PL debbano fornire tutti i servizi in modo competente può sembrare ovvio. Possono risultare altrettanto evidenti i principi per i quali ci si debba rivolgere al cliente in modo confidenziale e non discriminatorio. Inoltre, ci si aspetta che i clinici si impegnino unicamente in quegli aspetti del servizio congruenti con il loro livello di istruzione, formazione ed esperienza (Principle of Ethics Rule II-b). Perciò, ci si aspetta che i PL si rivolgano in maniera professionale ai clienti per fornire loro un servizio di alta qualità. Un’altra regola indica che sia richiesta la formazione permanente per migliorare la competenza professionale. Acquisire conoscenze e competenze relative alla più alta qualità di assistenza professionale sulla formazione ed esperienza riguardo le TA può diventare impegnativo. L’educazione continua e la certificazione di specialità sono metodi per documentare la formazione permanente. Nel dubbio di riuscire a massimizzare il potenziale di un individuo, è consigliato peccare per eccesso nel considerare come primario il benessere della persona assistita professionalmente (Principle of Ethics I).
14.1.1 l team di valutazione di TA e il PL Il gruppo collaborativo è stato un approccio ampiamente riconosciuto e accettato nel condurre valutazioni di TA (Cook e Hussey, 2002; Swengel e Marquette, 1997). I concetti di team multidisciplinare, interdisciplinare e transdisciplinare indicano che diversi professionisti di servizi di tipo clinico, riabilitativo ed educativo sono inclusi nel team di TA. I membri di un team di TA, oltre al PL, possono includere famiglie, terapisti, educatori, counselor, psicologi, specialisti e ingegneri della riabilitazione, venditori e produttori, così come altre figure centrali per il team (Hill et al., 1998).
Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive 317
Figura 14.1 Schema concettuale dei documenti di applicazione pratica dell’ASHA (American Speech-Language-Hearing Association (ASHA). Scope of Practice in Speech-Language Pathology [Scope of Practice], 2007. Citato da www.asha.org/policy).
Di conseguenza, i team di TA contengono molti ruoli e responsabilità sovrapposti e condivisi, rendendo impegnativi il coordinamento e la responsabilità dei servizi (Lieber et al., 1997). Stabilire una cultura collaborativa di squadra è essenziale per sviluppare team efficaci di TA (Bodine e Melonis, 2005). Un principio per stabilire un’efficace gestione del team e una collaborazione è che da una parte le conoscenze e le competenze dei diversi membri del team siano rispettate, e dall’altra la responsabilità nella valutazione e nell’attuazione del progetto di tecnologie assistive sia condivisa (Haines e Robertson, 2005). Se il team segue un modello multidisciplinare, interdisciplinare e transdisciplinare, ogni membro è consapevole dei ruoli e delle responsabilità di ciascun altro. Pertanto, identificare il ruolo del PL insieme ai ruoli degli altri membri del team diventa essenziale per ottimizzare la performance e i risultati di un individuo che utilizza TA.
318 Capitolo 14
I PL portano competenze e conoscenze specifiche sulla comunicazione orale e scritta e sulle capacità di ascolto e lettura della persona in esame. Sebbene questi domini si sovrappongano alla conoscenza e alle competenze di altri membri del team di TA, la competenza o l’esperienza per affrontare questi domini cognitivo-linguistici e la comunicazione funzionale di un individuo sono cruciali per il processo di abbinamento della persona con la tecnologia (MPT; Hill e Scherer, 2008). Di conseguenza, il successo del lavoro di squadra dipende dalle opportunità costanti che i membri del team condividano le esperienze, identifichino obiettivi comuni, costruiscano progetti di sostegno e determinino le responsabilità di ognuno (Hunt et al., 2004). I ruoli attesi dei PL nel lavorare con individui che si affidano alla comunicazione aumentativa e alternativa (CAA) coniugati con le loro responsabilità nei team di TA (ASHA, 2004a, b) sono i seguenti. •
Condurre una valutazione completa della persona che richiede la TA.
•
Fornire valutazione e documentazione dei metodi, delle componenti e delle strategie di TA valutate e selezionate.
•
Valutare l’efficacia e l’utilità delle TA scelte.
•
Sviluppare e attuare piani di intervento.
•
Promuovere una migliore capacità di risposta e reperimento di fondi.
•
Coordinare e collaborare con servizi di TA che ottimizzino la performance e i risultati.
Al PL può essere richiesto di assumere il ruolo di case-manager o di leader del team poiché i domini della comunicazione sono spesso aree di primario interesse in casi di TA (ASHA, 2004b). L’esperienza di vita di persone che parlano e/o scrivono attraverso la TA è influenzata dalle competenze comunicative raggiunte. Di conseguenza, il PL si trova nella posizione di gestire il modo in cui la comunicazione influenza tutti gli altri aspetti della vita quotidiana così come le competenze in ambito sociale. Il PL, infine, è il professionista che frequentemente lavora con una varietà di altri professionisti, fornisce servizi all’individuo e/o alla famiglia ed esprime la prospettiva di ottimizzare la comunicazione al fine di promuovere o mantenere la più alta qualità della vita.
14.1.2 Pratiche EB e i PL Gli approcci basati sull’autorità (authority-based) nell’assegnazione di TA storicamente pongono i team nella posizione di affidarsi alla “opinione degli esperti” e agli approcci gerarchici nell’abbinamento tra persone e tecnologia (Hill e Romich, 2007). Da sempre, i team si sono sottomessi a una “autorità” costituita piuttosto che sentirsi bombardati dall’intera gamma di opzioni e dall’infinita lista di caratteristiche e di componenti che concorrono nel selezionare un intervento di TA. Oggi, tuttavia, i PL applicano i principi delle pratiche EB alla loro presa di decisione incorporando la raccolta dati e la misurazione dei risultati nel guidare la prestazione di servizi (ASHA, 2001).
Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive 319
Dollaghan (2007) afferma che l’obiettivo delle pratiche EB è quello di ridurre l’incertezza sulle decisioni cliniche. L’incertezza è ridotta nell’avere un paziente ben informato di tutto e nell’individuare le sue preferenze utilizzando le migliori evidenze. Le migliori evidenze sono state identificate e descritte da diversi autori (Sackett et al., 2000; Law e MacDermid, 2008; Dollaghan, 2007) e includono: (i) evidenze esterne o di ricerche; (ii) evidenze interne o cliniche e (iii) evidenze personali. L’abilità e l’esperienza per informare in maniera esaustiva gli individui e le famiglie e per valutare e integrare questi tre cruciali tipi di evidenze richiedono una competenza nei seguenti settori (ASHA, 2002a, b). •
Conoscenza e capacità di utilizzare l’osservazione sistematica.
•
Conoscenza e capacità di identificare e misurare i risultati.
•
Capacità di preparare, monitorare, documentare e analizzare finalità, obiettivi, procedure e progresso.
•
Conoscenza dei livelli di performance negli interventi tecnologici.
Il PL esperto supporta il team di TA nell’applicare pratiche EB a processi di valutazione e intervento. La Figura 14.2 (Hill e Romich, 2003) funge da modello di sistema per la fornitura di servizi di TA che inizia e finisce con gli interessi della persona, con disabilità e della sua famiglia. Il processo inizia con la descrizione della persona, che rappresenta un momento cruciale utile a identificare, classificare e stabilire le priorità nelle aree problematiche associate con una disabilità e con il livello di funzionalità di un individuo. Una volta che il profilo è stato completato, il team potrebbe avere bisogno di raccogliere ulteriori dati per la valutazione. Il PL può rendersi conto che sono necessarie ulteriori valutazioni relative alle competenze linguistiche ricettive ed espressive, alle abilità del linguaggio scritto (lettura e scrittura) e al livello di alfabetizzazione per procedere attraverso le fasi della pratica EB. Se le persone stanno attualmente utilizzando una TA per la comunicazione orale o scritta, i dati sulla baseline della performance dovranno comunque essere raccolti dal PL. Troppo spesso, l’aggiunta di procedure per raccogliere i dati diagnostico-clinici ed educativi è trascurata o considerata una perdita di tempo dal team di TA. Tuttavia, senza un quadro completo delle capacità del singolo individuo l’intero processo EB è in pericolo. In realtà, il processo di abbinamento delle tecnologie con le caratteristiche dell’individuo si dispiega spesso evitando una completa valutazione dell’individuo, per esempio omettendo una completa descrizione clinica e personale. I team di TA che partono dal livello dell’abbinamento della persona con la tecnologia spesso si ritrovano in un processo per “prove ed errori”, dovendo ripetere le prove e/o avendo la necessità di più tempo per ulteriori esperienze di TA. L’ampia gamma di competenze lessicali, linguistiche e comunicative unitamente alle caratteristiche comportamentali comuni tra bambini e adulti con diagnosi di disturbi dello spettro autistico (ASD) richiedono che i PL inizino e completino la raccolta dei dati quantitativi clinici relativa a questi domini all’inizio della valutazione degli interventi di TA.
320 Capitolo 14
Figura 14.2 Modello in quattro fasi per pratiche EB (Hill e Romich, 2003).
Non ci sono due adulti che richiedano una valutazione di TA con una diagnosi di afasia che presentino le stesse capacità residue relative a un disturbo delle prassìe orali o del linguaggio orale e scritto. I team di TA non possono dare per scontato che la documentazione attuale fornita dall’individuo sulla riabilitazione e l’educazione contenga tutti i dati diagnostici necessari per avanzare attraverso i processi EB e MPT. Il PL è un membro del team il cui ruolo può essere quello di esaminare la documentazione e suggerire quali ulteriori test, interviste e osservazioni siano necessarie per migliorare l’esito della valutazione. I dati che descrivono la persona raccolti da tutti i membri del team orientano nel formulare domande ben costruite e valide. Queste domande essenziali portano a individuare le migliori evidenze esterne o a identificare le strategie per raccogliere evidenze cliniche/educative e personali più autentiche (Hill, 2006). Il PL può suggerire
Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive 321
di porre due tipi di domande: generali o specifiche rispetto alle esigenze della valutazione (Sackett et al., 2000). Il team può iniziare a porre domande generali se la sua esperienza relativa a un particolare disturbo o condizione è limitata e/o un’informazione è mancante. Per esempio, il team di TA può porre delle domande generali per individuare evidenze ulteriori sulle caratteristiche della sindrome dell’X fragile o sugli effetti collaterali del baclofene. Tuttavia, una domanda specifica viene formulata per provare evidenze di ricerca che guidino le decisioni. L’acronimo PICO utilizzato da Sacket et al. (2000) fornisce uno schema che include l’identificazione del tipo di paziente o problema, un intervento in senso lato, un intervento di confronto e un risultato. L’esperienza con le pratiche EB è necessaria per distinguere gli elementi di un problema analizzato con PICO e per determinare il livello di dettaglio relativo alle componenti di intervento, confronto e risultato del problema. Si considerino le seguenti domande di PICO che sostengono l’obiettivo di ridurre l’incertezza di una decisione relativa a una soluzione assistiva. •
Per uno studente universitario con paralisi cerebrale (P) il riconoscimento di parole (I) o la selezione ortografica di parole (C) evolverà in un miglioramento nel tasso di selezione (bit per secondo) e nel tasso di comunicazione media (parole al minuto) (O) nel produrre compiti scritti per lezioni universitarie e corrispondenza personale?
•
Per un adulto con afasia di Broca grave (P) una TA basata su un computer che utilizza un’interfaccia utente con immagini per il recupero di parole (I) o un’interfaccia a griglia interattiva (C) porterebbe a un incremento nell’accuratezza dell’ordine delle parole (sintassi) e nella lunghezza degli enunciati (O) nelle conversazioni familiari?
•
Per un bambino con autismo (P) quale approccio porterà maggiori guadagni rispetto al riconoscimento accurato di parole e nella fluenza verbale (O) durante compiti di lettura orale: un software di TA con un computer basato sul modello a quattro blocchi (I) oppure un’istruzione tradizionale senza supporto tecnologico (C)?
In ognuno degli esempi precedenti le conoscenze e le competenze del PL possono essere sfruttate per individuare gli elementi e il grado di dettaglio della questione. Se il cliente è un bambino con ASD (come sopra), è quel dettaglio sufficiente per rispondere alla domanda? Informazioni accurate sul cliente relative all’alfabetizzazione emergente o elementare possono essere aggiunte. Forse il bambino con autismo (P) potrebbe indicare di essere nella fase di transizione “fonologica-metafonologica” dell’acquisizione del linguaggio? Il PL può avere conoscenza e competenze sugli interventi specifici e raccomandazioni sulle strategie di confronto che includono l’alternativa del “non trattamento”. Infine il PL può raccomandare che gli elementi di outcome che riguardano l’intervento siano misurabili e considerati cruciali per ottimizzare la comunicazione (monitoraggio dei risultati). Una volta che è stata formulata la domanda migliore o più significativa relativa al paziente, la ricerca prosegue nell’individuare e valutare le evidenze esterne. McKib-
322 Capitolo 14
bon e colleghi (1995) sottolineano che la migliore evidenza derivante dalla ricerca è valida, importante e applicabile. L’evidenza di ricerca è valutata sulla base dei livelli dell’evidenza stessa. I PL sono addestrati a identificare non solo la forza dell’evidenza ma anche l’uso dell’acronimo POEM per valutare se l’evidenza è centrata sul paziente (Dollaghan, 2007). Tuttavia, i PL si rendono conto che il POEM è spesso limitato all’efficacia del trattamento degli individui con disabilità significative. Pertanto, a volte, lo studio di un caso singolo potrebbe risultare la migliore evidenza per sostenere una decisione sulla TA. Le pratiche EB non si affidano unicamente all’evidenza esterna. Le evidenze cliniche e personali raccolte dal PL sono le due altre componenti delle pratiche EB richieste per guidare il processo decisionale. Ulteriori evidenze cliniche e personali, per esempio dati quantitativi e qualitativi, possono essere necessarie affinché il team di TA abbia tutti i dati a disposizione. A questo punto, sono condotte un’analisi funzionale e valutazioni psico-socio-ambientali rivolte allo specifico contesto d’uso. Si noti come il modello delle pratiche EB (Figura 14.2) raffiguri un ciclo continuo nella raccolta e nella valutazione delle evidenze. Alla fine, i team mettono i benefici dell’individuo al primo posto nell’applicare le pratiche EB, pongono questioni specifiche con implicazioni pratiche dirette, valutano obiettivamente e in modo efficiente la migliore evidenza attuale e prendono i provvedimenti appropriati (Gibbs, 2003).
14.1.3 Le valutazioni di TA e il PL L’applicazione delle fasi sistematiche del modello delle pratiche EB diventa sempre più critica quando la valutazione di TA non comprende batterie di test standardizzate, e attualmente esiste un ridotto numero di ricerche che supporta il modello di valutazione di TA (Hill e Scherer, 2008). Inoltre, non esistono attuali procedure di TA standardizzate ed EB che determinino se un individuo avrà benefici da essa. Tuttavia, l’evidenza è disponibile per identificare procedure al fine di condurre valutazioni affidabili, valide e dinamiche o autentiche che possano essere raccomandate per raccogliere dati che identifichino le capacità, i bisogni e le aspettative di un individuo. Questi dati sono quindi utilizzati per il processo di abbinamento della tecnologia alle caratteristiche dell’individuo. Un ruolo primario per il PL come membro del team che valuta l’impostazione di una TA per un individuo è quello di raccogliere, analizzare e interpretare le evidenze (i dati) relative alla parola, al linguaggio, alla comunicazione orale e scritta e alle capacità di deglutizione nonché ai bisogni e alle aspettative. L’essenziale conoscenza che i PL portano nella valutazione di TA è la loro capacità di valutare i vari aspetti del linguaggio – fonologico, morfologico, sintattico, semantico e pragmatico – in quanto relativi al linguaggio orale e scritto (ASHA, 2001). Di conseguenza, il PL risponde alle domande del team sulle conoscenze linguistiche di base di un individuo a livello di suoni (fonemi), parole, frasi e conversazioni interattive indipendentemente dal fatto che il disturbo della comunicazione sia legato allo sviluppo o acquisito. Per la popolazione pediatrica con disabilità e disturbi associati della comunicazione, il PL contribuisce con evidenze relative al modo in cui il bambino stia progredendo attraverso le fasi dell’acquisizione della parola e del linguaggio. Tre principali
Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive 323
passaggi si svolgono durante i primi cinque anni di vita (Paul 1997): (i) dalla pragmatica alla semantica; (ii) dalla semantica alla sintassi; (iii) dalla fonologia alla metafonologia. Seguire un modello di sviluppo fornisce le evidenze per guidare i PL e il team di TA nel determinare la capacità del bambino e i requisiti cognitivo-linguistici per un intervento di TA (Hill, 2009). Inoltre, queste transizioni forniscono parametri di riferimento per quando, cosa e come raccogliere i dati per monitorare l’efficacia degli interventi di TA e per quando modificare o rivedere le decisioni prese inizialmente. Per la popolazione adulta con disabilità e disturbi associati alla comunicazione, il PL fornisce evidenze relative al tipo, alla gravità e alla prognosi del disturbo. Gli adulti con disturbi acquisiti della comunicazione che possono beneficiare della TA devono essere valutati per determinare un percorso di trattamento che supporti le abilità da recuperare, per esempio nel caso di afasia o traumi cerebrali. In altri casi, l’individuo può essere valutato per determinare una soluzione assistiva che mantenga una funzione nel corso dell’evoluzione di una complessa patologia sottostante, come la sclerosi amiotrofica laterale o la Corea di Huntington. In entrambi i casi il PL fornisce evidenze utilizzando approcci appropriati clinicamente, linguisticamente e culturalmente per valutare le attuali capacità cognitivo-linguistiche. Questa informazione serve da baseline. Esiste una chiara distinzione tra il tipo di valutazioni effettuate per identificare le capacità di parola, di linguaggio e di comunicazione globale orale e scritta. Una valutazione approfondita e completa delle abilità cognitivo-linguistiche è fondamentale per iniziare il processo di abbinamento. Sia per la popolazione pediatrica sia per gli adulti che possono beneficiare di una TA, identificare gli obiettivi distintivi e condivisi valutati dal PL e dagli altri professionisti dell’educazione o della riabilitazione sottolinea l’importanza della raccolta di evidenze approfondite. La Tabella 14.1 illustra i domini sovrapposti del linguaggio e dell’alfabetizzazione valutati dai PL e dagli insegnanti (Ukrainetz e Fresquez, 2003). Tale dettagliata documentazione dei parametri specifici di linguaggio e alfabetizzazione fornisce obiettivi/marcatori chiari per abbinare i requisiti operativi per i diversi interventi di TA. Simili abilità linguistiche e di alfabetizzazione e/o abilità di funzionamento esecutivo possono essere identificate per mostrare gli obiettivi distintivi e condivisi che sono valutati dai PL e dai professionisti della riabilitazione che lavorano con la popolazione adulta. Questi risultati sono utilizzati per abbinare i requisiti della TA con le caratteristiche della persona. Il PL è incaricato di valutare il rapporto che i domini di competenza comunicativa, cioè linguistico, sociale, strategico e operativo (Light, 1989; Kovach, 2009), possono avere sulla capacità dell’individuo di beneficiare dei diversi interventi di TA. Questi domini sono stati identificati come importanti per il processo di abbinamento e per il monitoraggio dei risultati. I domini linguistico e sociale richiedono la valutazione dei dati sui diversi sottosistemi del linguaggio identificati precedentemente in questo paragrafo. I domini strategico e operativo implicano l’uso da parte dell’individuo delle caratteristiche della TA e richiedono la valutazione delle funzioni esecutive e dei domini cognitivo, sensoriale e percettivo.
324 Capitolo 14
Tabella 14.1 Illustrazione dei domini sovrapposti del linguaggio e dell’alfabetizzazione valutati dai PL e dagli educatori del team di TA (adattata da Ukrainetz e Fresquez, 2003). Linguaggio
Sovrapposizione
Alfabetizzazione
Parlare e ascoltare
Linguaggio alfabetizzato
Leggere e scrivere
• Forma e contenuto per usi sociali e personali • Consapevolezza fonemica • Recupero lessicale • Memoria uditiva • Articolazione • Fluenza • Voce
• Usi accademici e metalinguistici • Contenuto astratto e figurativo • Forme decontestualizzate e formali • Concetti sullo scritto stampato • Contesti formali orali • Contesti sullo scritto stampato
• Conoscenza delle lettere • Leggere parole • Sillabare • Punteggiatura • Lettura fluente • Comprensione della lettura • Composizione scritta
Infine, come parte della batteria di valutazione di TA, i PL includeranno procedure che siano applicabili alla vita quotidiana. L’uso di strumenti di rilevazione ecologica e di diari può aiutare a identificare variabili o barriere per l’applicazione di interventi di TA di successo (Beukelman e Mirenda, 2005). Condurre un’analisi del compito per identificare i requisiti operativi della TA in esame o un’analisi della discrepanza per identificare la performance di pari su compiti simili possono fornire indicazioni per l’abbinamento. Sono condotte interviste per identificare i valori, le aspettative, le credenze e gli obiettivi del cliente o della famiglia. Tuttavia, valutazioni di TA effettuate esclusivamente con strumenti di rilevazione ecologici, interviste e osservazioni nelle attività di vita quotidiana, senza il resto delle tecniche precedentemente illustrate, falliranno nel raccogliere le evidenze necessarie per un più efficace processo di abbinamento.
14.1.4 I PL e l’abbinamento delle persone con la tecnologia Il modello Matching Person & Technology (MPT) trova la sua migliore applicazione nel momento di selezione e prova di interventi di TA ed è quindi utilizzato per determinare gli esiti del processo di abbinamento della persona con il dispositivo/sistema di TA (Scherer, 2002; Scherer e Craddock, 2002; Scherer, 2004). Come notato sopra, le evidenze esterne, cliniche e personali sono raccolte e controllate per arrivare al processo di identificazione o di abbinamento delle caratteristiche e delle componenti di un dispositivo/sistema di TA per dimostrazione e prova. Le caratteristiche dei sistemi di CAA sono state identificate come componenti primarie, secondarie e terziarie (Romich et al., 2005; Cooper et al., 2009). Questo approccio attribuisce maggior valore alle caratteristiche che migliorano la performance e la produttività comunicativa più che a elenchi tipici di caratteristiche o categorie codificate per le sovvenzioni (Hill et al., 2007). Un simile approccio, basato sulla performance, può essere preso in considerazione per le TA relative alla comunicazione orale e scritta, poiché strumen-
Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive 325
ti che migliorano la performance dei parlanti o degli scriventi sono, in ultima analisi, un valore aggiunto per il benessere umano (Hill e Scherer, 2008).
Figura 14.3 Diagramma che rappresenta le componenti primarie, secondarie e terziarie da prendere in considerazione durante una valutazione di TA.
326 Capitolo 14
Le componenti primarie, secondarie e terziarie delle TA utilizzate per la comunicazione orale e scritta sono identificate nella Tabella 14.2. Le componenti primarie si concentrano sui parametri del linguaggio del sistema di TA. Queste componenti basate sul linguaggio sono confrontate con i dati della valutazione raccolti dal PL e relativi al modo in cui il parlante o lo scrivente generano messaggi orali o scritti. Siccome molti sistemi TA includono un vocabolario e messaggi memorizzati, il modo in cui il parlante o lo scrivente accede alle due categorie di vocabolario di parole fondamentali (ad alta frequenza) e parole di significato ampio (iperonimi) – specifiche per un tema o un’attività – influenza la performance. Inoltre, le caratteristiche di espressioni spontanee e nuove o l’accesso a espressioni/messaggi preprogrammati influenzano le produzioni orali e scritte e dovrebbero essere identificate come disponibili o meno. Tabella 14.2 Esempio di comparazione tra dati ottenuti prima e dopo un mese di addestramento all’utilizzo di un sistema CAA. Dati sulla performance e misurazione degli outcome
Sistema di CAA iniziale
Nuovo sistema CAA
Sillabazione
97%
6%
Predizione di parola
2%
3%
Figure con significato univoco
1%
1%
Non supportato dal sistema
90%
2,8
5,5
1,0 ppm
6,5 ppm
Non in grado di calcolare
21 ppm
Frequenza di LRM:
Compattazione semantica Lunghezza media delle espressioni in numero di parole (MLU-w) Frequenza media di comunicazione: Diretto da tastiera Tasso del picco di comunicazione: Diretto da tastiera Tasso medio di comunicazione: optical head pointing
N/A
5,3 ppm
Tasso medio di comunicazione: optical head pointing
N/A
17,4 ppm
ppm = parole per minuto; N/A = non applicabile
Le componenti secondarie riguardano l’utente, le interfacce di controllo e le opzioni di output. Le componenti primarie influenzano l’interfaccia utente, o ciò che il parlante o lo scrivente vedono, e il modo con cui il singolo accede alla TA. Se per esempio il parlante/scrivente richiedesse una sillabazione lettera per lettera, allora l’interfaccia utente potrebbe essere anche un tastiera standard. Diversamente, se il parlante/ scrivente richiede l’anticipazione di parola come funzione, allora, nell’interfaccia utente potrebbe essere incluso un monitor touchscreen. Le abilità sensoriali, percettive e motorie influenzeranno le interfacce e i metodi di selezione. Pertanto, le evidenze fornite dal PL relative alle abilità cognitivo-linguistiche e alle competenze nel
Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive 327
funzionamento esecutivo influenzeranno l’uso e la predisposizione dei simboli/lessemi, le funzioni di navigazione dell’interfaccia utente e altri principi legati ai fattori umani. Queste capacità valutate dal PL possono anche fornire indizi per la selezione di sistemi output di TA. Le componenti terziarie si riferiscono a sostegni aggiuntivi che influenzano l’efficacia a breve e lungo termine della TA selezionata. Di nuovo, il PL può fornire indizi per l’utilizzo di periferiche e per l’integrazione di TA con altri dispositivi. Per esempio, molti parlanti CAA desiderano un accesso mobile al telefono e sono interessati all’integrazione di un sistema CAA con un dispositivo per l’accesso telefonico. Persone che utilizzano computer per supportare la comunicazione scritta desiderano controlli ambientali integrati con il computer per un maggior controllo indipendente di altri dispositivi elettronici eventualmente presenti nell’abitazione. Il PL può raccomandare addestramenti e sostegni specifici per la persona, la famiglia e anche il team. Diversi produttori forniscono installazione e addestramento iniziale a domicilio sulla TA e offrono corsi di formazione su Internet che non richiedono spostamenti. Infine, molti PL offrono servizi di teleriabilitazione per sostenere la formazione dell’intervento per i clienti che utilizzano le TA. Il processo MPT è centrato sul cliente e richiede che la persona, inclusa la famiglia o altre persone vicine e significative partecipino alla scelta delle TA. Il PL può avere un ruolo nello spiegare l’intera gamma delle soluzioni di TA lungo il continuum che va dall’assenza di tecnologia alla tecnologia ad alte prestazioni. Inoltre, il PL può spiegare e dimostrare le varie componenti di TA relative al parlato, al linguaggio orale e scritto e alla comunicazione. Questo momento di spiegazione e dimostrazione assicura che il cliente e la famiglia siano completamente informati su tutte le opzioni e siano attivamente coinvolti nella selezione degli interventi di TA considerati per la prova. Le persone e/o i familiari possono entrare nel processo MPT con nozioni preconcette sul tipo di TA che vogliono. Fornendo un’ampia ed esaustiva panoramica della gamma di opzioni di TA e descrizioni in termini di componenti primarie, secondarie e terziarie, la persona e i familiari apprezzeranno la natura complessa del processo MPT (Hill e Scherer, 2008). Sebbene prodotti preconfezionati possano essere una soluzione finale, più frequentemente le TA selezionate includono caratteristiche che offrono maggiore flessibilità e personalizzazione per le capacità specifiche della persona rispetto a prodotti non progettati per una determinata popolazione con disabilità. Con una conoscenza limitata, una persona può avere un alto livello di soddisfazione con una soluzione di TA, ma una volta che sia stata pienamente informata sulle differenze di performance che esistono tra le soluzioni disponibili, la sua soddisfazione iniziale svanisce. Di conseguenza, le evidenze esterne, interne e personali raccolte dal PL sono utilizzate per sostenere i dettagli dell’abbinamento.
14.1.5 Valutazione dell’efficacia e dell’utilità della TA La parte di prova del processo MPT richiede la raccolta di dati quantitativi e qualitative per valutare l’efficacia e l’utilità dell’intervento di TA. Tipicamente negli Stati Uniti i paganti terzi richiedono che il team di TA fornisca una documentazione per almeno tre prove su soluzioni simili prima di effettuare una selezione. Anche se tre
328 Capitolo 14
prove possono essere documentate, il team di TA deve aver esaminato l’intera gamma delle soluzioni e un confronto dettagliato tra le possibili opzioni di TA. Dal momento che non esiste un’evidenza di ricerca riguardo alla durata richiesta per una prova di TA, l’opinione professionale del team di TA insieme alla scelta dell’individuo e della famiglia sono decisive rispetto alla lunghezza della prova. I dati di baseline sul qualsiasi TA che sono stati raccolti all’inizio della valutazione possono essere confrontati con quelli raccolti durante le prove delle TA. Il monitoraggio automatizzato della performance fornisce dati quantitativi basati sull’unità di misura da utilizzare nello stadio di prova (Hill e Romich, 2001). La funzione di registrazione dei dati compresa in diversi sistemi di TA, software integrati o strumenti esterni offre metodi efficaci ed efficienti per monitorare i guadagni della performance o per comparare le soluzioni di TA in esame. Il ruolo del PL include l’identificazione delle misure più affidabili e valide per monitorare la performance e il suggerimento dei metodi per raccogliere prove di lingua orale e scritta. La raccolta e l’analisi delle prove di linguaggio è la procedura più autentica per identificare la competenza comunicativa (Paul, 2007; Light e Binger, 1998; Hill, 2009). I parametri utilizzati per misurare la competenza comunicativa sono gli stessi attraverso i gruppi e il ciclo di vita. I parametri utilizzati per determinare la gravità di un disturbo della comunicazione sono inoltre validi per parlanti e scriventi con TA. Il PL seleziona quelle misure che forniranno i dati più affidabili e validi per la presa delle decisioni e il monitoraggio dei progressi. Dati tipici relativi ai sottosistemi del linguaggio (semantica, morfologia, sintassi) includono le misure del vocabolario, della varietà sintattica e della lunghezza e complessità degli enunciati. Una varietà di contesti di campionamento del linguaggio può essere raccomandata per raccogliere gli esempi più rappresentativi del funzionamento linguistico di un individuo (Dollaghan et al., 1990). Sono stati trovati diversi fattori che influenzano la qualità del linguaggio, come i suggerimenti visivi e uditivi dei compiti (Shadden, 1998) o la richiesta di una descrizione piuttosto che un racconto (Duchan, 1991). McNeil e colleghi (2002) hanno validato una Story Retell Procedure (rievocazione del racconto) per adulti. Hill (2001) ha comparato un’intervista e un compito di descrizione di un’immagine per parlanti CAA e ha trovato che entrambi i contesti siano affidabili e validi per descrivere le competenza e narrative. Ovviamente, il campione più rappresentativo sarebbe quello proveniente dalle comunicazioni di parlanti o scriventi con TA durante le attività di vita quotidiana. Senza utilizzare registrazioni automatizzate, l’acquisizione di questi dati sarebbe impossibile. Il Language Activity Monitoring (LAM) si riferisce a un principio e a un insieme di strumenti che attribuiscono un valore primario al prelievo di un campione di linguaggio nel prendere decisioni sulle soluzioni di TA per la comunicazione orale e scritta. I principi LAM si concentrano sull’importanza di raccogliere e analizzare i parametri della comunicazione utilizzata attraverso i contesti, gli ambienti e il ciclo di vita. Gli strumenti LAM registrano un log file per documentare l’uso di un sistema CAA/TA. Il log file LAM inizia con un titolo e include una dichiarazione sulla privacy, il dispositivo di invio delle informazioni, l’attuale versione del software e la data (Hill, 2004). Il formato dei dati è stato standardizzato affinché i programmi di analisi accettino dati da fonti differenti. Inoltre, il formato standard assicura che il log file
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possa essere (i) prontamente caricato o salvato sul computer, (ii) prontamente interpretabile dai team di TA, (iii) facilmente analizzato visivamente per identificare possibili obiettivi di trattamento e (iv) adatto per un’analisi standard del linguaggio. La Figura 14.4 rappresenta il processo in cui il LAM è una funzione incorporata di un sistema CAA. Il software KeyLAM (AAC Institute, 2009) permette al computer di registrare un log file quando sono utilizzati altri sistemi CAA o lo scrivente TA sta utilizzando un computer.
Figura 14.4 Diagramma di rappresentazione del processo LAM di caricamento di un log file per generare un rapporto sulla performance (Hill 2004).
L’elemento di registrazione del tempo del LAM e altri strumenti di misura della performance forniscono dati quantitativi che altri strumenti e software di osservazione e di registrazione video o audio non possono fornire. Il Performance Report Tool (PeRT; AAC Institute, 2001; Romich et al., 2003) permette ai PL di generare una trascrizione dai dati LAM. Inoltre genera automaticamente un rapporto di due pagine che contiene diciassette misure sommarie, alcune con rappresentazione grafica e una serie di appendici relative al vocabolario e alle espressioni. Il software Compass (Koester Performance Research, 2007; Koester et al., 2003) misura le capacità dello scrivente con TA in vari tipi di interazione con il computer per agevolare il team di TA nella valutazione dell’accesso al computer. Le diverse competenze valutate includono l’uso della tastiera e del mouse, la navigazione tra i menu e l’uso di interruttori. Il PL può fornire indizi nel determinare quale compito di campionamento sarebbe più rappresentativo per resoconti di dati necessari alla presa di decisioni sulla TA.
14.1.6 Sviluppo e implementazione di piani di intervento di TA La valutazione di TA e i processi MPT non sono conclusi senza uno sviluppo di un piano di intervento. Ora la Classificazione internazionale del funzionamento, della
330 Capitolo 14
disabilità e della salute (ICF; OMS, 2002) ha innalzato la terapia e la tecnologia verso una più forte coincidenza con l’attività e la partecipazione desiderata dall’utente di TA (Cooper, 2007). Quando intervistate, le persone con disabilità e i familiari hanno espresso un chiaro senso della massimizzazione del potenziale e dell’indipendenza come un risultato importante (Pain et al., 1998). Di conseguenza, l’intervento è centrato non sulla TA suggerita ma sul cliente, ed è volto a ottimizzare la performance e i risultati del cliente che utilizza la TA scelta. Per persone con disturbi della comunicazione, la terapia o il trattamento includeranno finalità e obiettivi che sostengono guadagni nel linguaggio orale e nei sottosistemi del linguaggio (semantica, morfologia e sintassi). Questi sarebbero gli identici trattamenti EB se la TA non fosse stata raccomandata. I metodi di intervento EB sono utilizzati con i bambini per finalità di acquisizione del linguaggio. Strategie EB sono utilizzate in terapia per sostenere la ri-acquisizione della lingua per adulti con afasia. Inoltre, la TA può frequentemente supportare l’individuazione di deficit nella comprensione del linguaggio orale e/o nell’espressione attraverso l’uso di output vocali, modalità scritte di comunicazione e altri particolari software educativi e clinici.
14.1.7 Il ruolo del PL nel favorire politiche inclusive Il National Joint Committee (NJC) per le esigenze comunicative delle persone con disabilità grave ha proposto che tutte le persone, indipendentemente dalla gravità della loro disabilità, abbiano il diritto fondamentale di usare la comunicazione come mezzo per incidere sulla qualità della vita. Invero, la riflessione sulla TA non dovrebbe essere fondata su criteri di esclusione nel determinare l’idoneità a sostegni e servizi di TA (Kangas e Lloyd, 1988; NJC, 2002). Piuttosto, l’ICF riconosce i diritti e la dignità delle persone con disabilità e incoraggia i team di TA a considerare il modo in cui una persona si colloca nel continuum della partecipazione alle attività quotidiane e nei vari ambienti (Huer et al., 2006; Huer e Hill, 2007). Perciò, i PL sostengono una politica di “esclusione zero” anche quando le politiche istituzionali o amministrative potrebbero introdurre criteri di idoneità degli individui. 14.1.8 Disturbi specifici dell’apprendimento In relazione a quanto fin qui espresso, rispetto al ruolo e alla funzione del PL all’interno di un team per la valutazione e il trattamento delle patologie del linguaggio mediato dalla TA e, in particolare, rispetto ai disturbi della comunicazione scritta, si ritiene opportuno approfondire brevemente alcuni aspetti legati a quelli che vengono definiti Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA: dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia) data l’enorme rilevanza clinica da essi rappresentata – circa il 5% della popolazione (Prasher e Kapadia, 2006; Lagae, 2008) – e il considerevole impatto sociale che ha avuto e può ancora avere una loro poco efficace o superficiale gestione (vedi per esempio i dati americani sulla devianza sociale riportati da Zabel e Nigro, 1999). I DSA sono disturbi dello sviluppo che riguardano bambini/e intelligenti e sani/e, cioè indenni da un punto di vista neurologico e sensoriale, che hanno avuto normali opportunità socioculturali e di apprendimento scolastico e nonostante ciò non riesco-
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no ad apprendere o, meglio, a padroneggiare con sufficiente sicurezza i processi di lettura (e in questo caso si parla di dislessia), di scrittura (disortografia e disgrafia quando è invece la qualità del tratto grafico a essere interessata) e di calcolo (discalculia). Questi disturbi possono presentarsi in forma isolata oppure associati tra di loro e non dipendono in alcun modo, da un punto di vista eziologico, da problematiche relazionali o psicologiche in generale; purtroppo però in alcuni casi possono essere loro stessi causa di difficoltà psicologiche o di conclamate psicopatologie di tipo per esempio ansioso o depressivo (Rourke e Fuerst, 1991; Daniel et al., 2006; Morgan e Fuchs, 2007). In questo ambito appare molto importante il ruolo di un PL, sia per ciò che riguarda il suo contributo negli aspetti della valutazione, in ogni sua componente, della formulazione di una diagnosi sia soprattutto nella riabilitazione. Ciò è vero anche se i DSA sono solo in parte legati al linguaggio o, meglio, alle funzioni linguistiche, in quanto i processi di lettura, scrittura e calcolo coinvolgono altre aree e processi cognitivi: le competenze visuo-percettive e visuo-spaziali, l’integrazione visuo-motoria, l’attenzione, le funzioni esecutive, la memoria a breve e a lungo termine. In altre parole la lettura, riferendoci al modello di Ridescrizione Rappresentazionale (RR) di A. Karmiloff Smith (1992, p. 17), è un processo che si “modularizza”, cioè tende a diventare altamente automatico, e affinché tale modularizzazione avvenga, secondo quanto proposto da Moscovitch e Umiltà (1990), sarebbe necessario, contrariamente a quanto aveva ipotizzato Fodor (1983) ne La mente modulare, ricorrere ad altri processi che consentano l’assemblaggio di sottomoduli (vedi Moscovitch e Umiltà, 1990, p. 12). La lettura rientrerebbe, infatti, sempre secondo questo modello (Moscovitch e Umiltà, 1990), tra i moduli di terzo tipo, cioè quelli che vengono assemblati su base volontaria partendo da moduli di secondo tipo, in questo caso linguaggio e funzioni visuo-percettive, che sarebbero invece assemblati senza l’intervento della volontà (si parla infatti di acquisizione del linguaggio e non di apprendimento; Moscovitch e Umiltà, 1990, pp. 16-18). Tale “assemblaggio” avviene grazie alle risorse attentive dedicate dal Sistema Attentivo Supervisore come ipotizzato da Shallice (1988). In quest’ottica, per chiudere il cerchio, i moduli di primo tipo (il cui “assemblaggio” genera moduli di secondo tipo) sarebbero quelli alla Fodor, non assemblati, con una loro specificità funzionale. Per esempio, sarebbero moduli di primo tipo la percezione dei colori, delle frequenze acustiche, della localizzazione del suono e visiva, della profondità, dei visi. Da questa trattazione emerge un modello della lettura di questo tipo (Figura 14.5), Come si evince dalla Figura 14.5, sarà molto difficile trovare un disturbo di lettura con problemi sottostanti uguali a un altro. Infatti, avendo come riferimento la lettura come modulo di terzo tipo, si può osservare nella figura che il malfunzionamento, che avrà come risultato finale il disturbo di lettura, può riguardare uno qualunque dei moduli e sottomoduli interessati (in maniera generalmente diversa): le risorse attentive e le funzioni esecutive (Processore Centrale), il linguaggio (Linguaggio) o alcune delle sue componenti (per esempio Percezione di suoni elementari); gli aspetti visuo-percettivi (per esempio Coordinamento delle unità percepite) e di attenzione visuo-spaziale.
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Figura 14.5 Illustrazione della lettura come modulo di terzo tipo formato da diversi e possibili moduli di secondo tipo, la visuo-percezione e il linguaggio, che a loro volta sono formati da moduli più semplici di primo tipo, come la percezione di configurazioni semplici e la percezione dei suoni elementari in alto nel diagramma (adattamento italiano di Moscovitch e Umiltà, 1990).
In altre parole, il malfunzionamento di uno o più dei processi sopraindicati evidenzierà di caso in caso profili diversi, rendendo perciò conto della notevole eterogeneità dei disturbi di lettura. Dal modello possiamo dire che il disturbo di lettura può dipendere da un iposviluppo o danno di una o più delle diverse sottocomponenti (il processore centrale, il processore dedicato e più moduli di primo e secondo tipo in percentuale diversa). La situazione, in realtà, è ancora più complessa se si pensa all’architettura funzionale completa della lettura, e mi riferisco al modello a due vie (vedi per esempio Shallice, 1988). Il solo sistema di conversione grafico/fonologico, secondo Moscovitch e Umiltà (1990), sarebbe già un modulo di terzo tipo.1 Riferendoci alla dislessia, data la complessità neuropsicologica del processo, il momento diagnostico è assai delicato. L’eziologia del disturbo anche se ancora non perfettamente nota (Esgate et al., 2005), alla luce delle ultime teorie, è multifattoriale (Manis et al., 1996; Segalowitz e Rapin, 2002; Esgate et al., 2005) per cui sarà necessario nell’assessment individuare un profilo di funzionamento neuropsicologico che potrebbe (come precedentemente illustrato) variare notevolmente di caso in caso.
1 In Italia si sta occupando di queste ricerche il prof F. Benso (Università di Genova): Benso F. (2010), Sistema Attentivo-esecutivo e lettura. Un approccio neuropsicologico alla dislessia, Il leone verde, Torino; Benso F. (2004), Neuropsicologia dell’attenzione. Teoria e trattamenti nei disturbi dell’apprendimento, Edizioni del Cerro, Pisa.
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Per entrare nello specifico, un bambino con diagnosi di dislessia potrebbe avere alla base di questo disturbo difficoltà linguistiche (per esempio fonologiche o metafonologiche) oppure visuo-percettive (per esempio ricerca visiva, attenzione visuospaziale con conseguente effetto affollamento) o entrambe le cose, aggravando notevolmente il quadro. Potrebbero inoltre esserci (sempre secondo il modello precedentemente esposto) difficoltà a livello delle risorse attentive e delle funzioni esecutive necessarie all’assemblaggio dei sottomoduli (per esempio memoria di lavoro, inibizione e controllo di stimoli irrilevanti, pianificazione). In quest’ottica sarà possibile individuare un efficace trattamento, specifico e mirato, avvalendosi utilmente di tutto ciò che oggi la TA può offrirci. In Inghilterra (HMSO, 1995) e negli Stati Uniti (US, 2004) un disturbo specifico di apprendimento come la dislessia è considerato una vera e propria disabilità: “Una disabilità può derivare da una vasta gamma di disturbi come per esempio dello sviluppo, disturbi dello spettro autistico, dislessia e disprassia, difficoltà di apprendimento” (HMSO, 1995) e viene pertanto considerata all’interno della generale legge sulla disabilità. Il termine ‘bambino con disabilità’ significa bambino con disabilità intellettiva, disturbi dell’udito (inclusa la sordità), della parola e del linguaggio, disturbi della visione (inclusa le cecità), gravi disturbi dell’umore, disabilità ortopedica, autismo, traumi cerebrali, altri malfunzionamenti o disturbi specifici di apprendimento” (US, 2004). In un paese come l’Italia, invece, da un punto di vista legale il DSA non è considerato come una disabilità, per cui è stata approvata nell’ottobre 2010 una legge specifica (n. 170) che tenta di tutelare il diritto all’apprendimento e allo studio degli individui che presentano DSA (Repubblica Italiana, 2010). Tale legge fornisce indicazioni rispetto al tipo di percorso che in ogni singolo caso andrebbe organizzato all’interno del sistema scuola. Tale percorso, definito Piano Didattico Personalizzato, va stilato dalla scuola tramite consiglio di classe avvalendosi della collaborazione degli specialisti che hanno effettuato la diagnosi e una presa in carico riabilitativa. Risulta così un “diritto” per gli studenti di ogni ordine e grado (anche universitari) avvalersi di strumenti compensativi e delle strategie dispensative. Relativamente ai primi (strumenti compensativi) la TA può fare moltissimo in tal senso con strumenti che vanno dalla semplice calcolatrice a un computer dotato di sintesi vocale con i testi scolastici in formato digitale; rappresenta invece un esempio di strategie dispensative il minor carico di compiti che devono essere assegnati, con grande attenzione alla qualità piuttosto che alla quantità oppure, relativamente alle lingue straniere (in Italia per esempio l’inglese) è lecito avvalersi come obiettivi didattici degli aspetti orali piuttosto che di quelli scritti. Nello stesso tempo, è un “dovere” per la scuola e per gli insegnanti quello di conoscere, consentire e promuovere l’uso dei suddetti strumenti, facendo comprendere ai bambini e ai ragazzi quanto rappresentino una grande opportunità per far emergere le proprie potenzialità e la propria intelligenza (che altrimenti rischiano di rimanere inespresse creando notevoli frustrazioni), anziché “strumenti” per essere etichettati come incapaci, cosa che purtroppo spesso avviene. Questo rischio, cioè quello di far percepire ai bambini e ai ragazzi gli strumenti proposti
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come una facilitazione e un aiuto “regalati” perché “tanto non sono capaci”, è molto legato alla poca conoscenza che in numerosi paesi (tra cui l’Italia) ancora si ha dei DSA e dal fatto che, culturalmente, tali difficoltà non fanno ancora parte delle nostre abitudini e cultura. In altre parole un bambino discalculico ha “bisogno” della calcolatrice (o della tavola pitagorica) esattamente come un bambino miope o ipermetrope ha “bisogno” degli occhiali. Eppure, mentre un insegnante non si sognerebbe mai di far fare i compiti senza occhiali a chi ne ha bisogno, capita molto spesso che venga tolta la calcolatrice o la mappa concettuale a un bambino con DSA, per un assurdo e incomprensibile senso di “giustizia” nei confronti degli altri (che non avendo un DSA non hanno alcun bisogno di strumenti compensativi per utilizzare le proprie competenze). Va qui sottolineato che l’uso degli strumenti che la TA fornisce andrebbe sempre studiato e organizzato dalla scuola assistita dagli specialisti, che di caso in caso sapranno fornire le più specifiche indicazioni legate alla diagnosi e al particolare profilo neuropsicologico di ogni bambino/ragazzo e attraverso verifiche opportune individuare gli strumenti abilitativi (esercitativi) e compensativi più idonei. Tale accordo tra specialisti e scuola va naturalmente condiviso e accettato dalla famiglia. I criteri diagnostici sono quelli stabiliti dalle classificazioni internazionali. •
•
DSM IV (APA 2000): I Disturbi dell’Apprendimento (Learning Disorders/Academic Skills Disorders [315]) vengono diagnosticati quando: •
i risultati ottenuti dal soggetto in test standardizzati, somministrati individualmente, su lettura, calcolo o espressione scritta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età, all’istruzione e al livello di intelligenza;
•
I problemi di apprendimento interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, di calcolo o di scrittura.
ICD-10 – Caratteristiche diagnostiche (WHO, 1992). Disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche – F81 •
“Questi sono disturbi nei quali le modalità normali di acquisizione delle capacità in questione sono alterate già nelle fasi iniziali dello sviluppo. Essi non sono semplicemente una conseguenza di una mancanza di opportunità di apprendere e non sono dovuti a una malattia cerebrale acquisita. Piuttosto si ritiene che i disturbi derivino da anomalie nell’elaborazione cognitiva legate in larga misura a qualche tipo di disfunzione biologica. Come per la maggior parte degli altri disturbi dello sviluppo, queste condizioni sono marcatamente più frequenti nei maschi”.
In Italia, come in altri paesi, è stata organizzata una Consensus Conference (il cui ultimo aggiornamento risale all’aprile 2011) per stabilire ulteriormente alcune linee
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guida condivise in merito ai criteri diagnostici (completi dei necessari approfondimenti neuropsicologici) e a quali ruoli professionali sono coinvolti nell’equipe multidisciplinare che effettua la valutazione fornendo indicazioni per la presa in carico. In relazione a quest’ultimo punto si aprono due principali strade che possono, a seconda dei casi, essere alternative o parallele. 1. Un percorso riabilitativo in senso stretto, che avrà come obiettivo: •
il recupero del deficit (deficit neuro-cognitivo sottostante il disturbo). Per esempio, in linea con quanto precedentemente illustrato, sarà utile nel processo diagnostico, chiarire a quale livello si situa il “punto di rottura”, sia esso linguistico, visuo-percettivo o relativo alle risorse attentive, e su questo impostare la riabilitazione con gli appositi strumenti; e/o
•
un lavoro diretto sul compito in sé e per sé (come per esempio la lettura). Una riabilitazione incentrata sul compito “lettura”, tenendo in considerazione il contesto e il tipo di ortografia in cui ci si trova (più o meno trasparente), dovrà anche in questo caso essere specifica e mirata, e lavorare sui singoli aspetti previsti dai modelli di lettura a due vie (Coltheart, 1987; Shallice, 1988; Zorzi, 2005) come l’analisi visiva, la conversione grafema-fonema, l’analisi metafonologica, la sintesi fonemica, per quel che riguarda la decodifica fonologica, e la costruzione di un lessico ortografico con presentazione tachistoscopica di parole a complessità della struttura fonotattica crescente per la via lessicale o diretta di lettura. Per ognuno degli aspetti elencati sono disponibili numerosi software riabilitativi specifici (vedi per esempio Abledata.com http://www.abledata.com, oppure EASTIN http://www.eastin.info).
L’obiettivo della riabilitazione così impostata non è quello della completa remissione dei sintomi, che sarebbe poco ragionevole, ma il raggiungimento di un livello di padronanza del processo sufficiente e tale da renderlo compatibile con lo studio autonomo. D’altro canto, anche sul versante della scrittura in genere è possibile raggiungere un livello di controllo del processo che consentirà un’efficace comunicazione scritta, chiara da un punto di vista morfosintattico, anche se sarà spesso facilmente presente qualche errore di ortografia. Questi obiettivi saranno raggiungibili tanto più sarà precoce il momento diagnostico e tanto più sarà mirata e specifica la riabilitazione. In alcuni casi la riabilitazione come sopra descritta potrà non raggiungere gli obiettivi prefissati a causa di numerose variabili tra cui (oltre a diagnosi e interventi tardivi, cioè oltre i 9 anni di età, e riabilitazioni generiche) la gravità del disturbo. Questa gravità dipende dal grado di compromissione della singola funzione colpita e da quante funzioni saranno coinvolte nel determinare il sintomo (per esempio difficoltà di lettura). Il percorso di natura riabilitativa si considererà esaurito per: •
aver raggiunto ragionevoli obiettivi;
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•
perché l’età del soggetto è avanzata al punto da non garantire l’efficacia dell’intervento;
•
perché in alcuni casi non si ottengono ulteriori miglioramenti.
2. Il percorso di natura compensativa avrà invece come obiettivo quello di garantire all’individuo, nonostante il permanere della difficoltà (per esempio la lettura non automatica e quindi non funzionale allo studio), un accesso alle informazioni, con possibilità di intraprendere un regolare percorso di studi e conseguenti opportunità professionali. In quest’ottica le TA gestite da un team specialistico (come precedentemente presentato nel capitolo) hanno una rilevanza fondamentale. L’introduzione della sintesi vocale2 che è, unitamente all’utilizzo di testi in formato digitale, ormai garantita dalla vigente normativa, consente l’acquisizione delle informazioni tramite l’ascolto, aggirando il problema della lettura. Va sottolineato che la sintesi vocale per studiare non impoverisce le competenze di lettura, anzi, casomai le migliora: personalizzando velocità del lettore e evidenziando il testo, che può essere seguito mentre viene letto dal sintetizzatore vocale, indirettamente ci si allena anche nel processo di lettura. Quello per la sintesi vocale è un programma che consente al computer di leggere un testo che ovviamente deve essere inserito in formato digitale; una voce (con un pattern intonativo sempre più vicino a quello naturale) consente di decodificare e ascoltare quanto è necessario aggirando l’ostacolo di una lettura poco automatica. Il senso è quello di avere un lettore che decodifica al posto di chi ha la difficoltà, un po’ come quando una mamma o un insegnante consapevole della stanchezza che la lettura provoca e della conseguente scarsa comprensione decide di leggere ad alta voce. In questo modo il bambino può finalmente ascoltare e avere abbastanza risorse attentive (che in genere si disperdono per la lettura faticosa e non automatica) per comprendere il significato. Rispetto a una persona (mamma o insegnante) che legge per il bambino/ragazzo la sintesi vocale ha però il grande vantaggio di rendere autonomo il soggetto. Grazie a questo strumento il ragazzo con difficoltà di lettura non ha bisogno di nessuno e utilizzando il suo computer potrà accedere in autonomia alle informazioni. Il problema che spesso si trovano ad affrontare i ragazzi che cominciano a utilizzare il sintetizzatore vocale è quello di avere comunque difficoltà di comprensione che non vengono recuperate dall’introduzione di questo strumento. Ciò non avviene certo per problemi relativi all’intelligenza (vedi criteri diagnostici di inclusione/esclusione) ma, in genere, per impoverimento delle risorse metacognitive. In altre parole, questi bambini/ragazzi, distratti dalle difficoltà di decodifica che la dislessia impone, 2 La sintesi vocale (in inglese speech synthesis) è la tecnica per la riproduzione artificiale della voce umana. Un sistema usato per questo scopo è detto sintetizzatore vocale e può essere realizzato tramite software o via hardware. I sistemi di sintesi vocale sono noti anche come sistemi text-to-speech (TTS) (in italiano, da testo a voce) per la loro possibilità di convertire il testo in parlato. Esistono inoltre sistemi in grado di convertire simboli fonetici in parlato (Wikipedia.org).
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faticano enormemente ad apprendere il processo e difficilmente attivano le risorse per chiedersi: a cosa serve questo processo? A cosa serve leggere? Queste risorse non sono altro che competenze metacognitive: cercare una parole chiave, identificare il personaggio principale di una storia, riconoscere cosa è saliente rispetto a cosa non lo è e agganciarlo alla conoscenze precedenti e così via. In questi casi, prima che i ragazzi sperimentino un altro fallimento, è necessario assisterli con un lavoro specifico a carattere psicopedagogico per il recupero delle suddette risorse metacognitive e in generale nel metodo di studio, avvalendosi degli strumenti compensativi che, finalmente, consentiranno di avere “energie” per acquisire un metodo efficace. In linea con quanto previsto dal modello dell’ATA process in un centro ausili, il team specialistico dovrà decidere verso quale percorso indirizzare il bambino con diagnosi di DSA. Tenendo in considerazione l’età del soggetto, l’entità del suo disturbo e la possibilità di intervenire direttamente sul deficit, deciderà se sarà opportuno intraprendere un percorso di natura riabilitativa o se intraprendere invece la via compensativa. In genere un bambino nella fascia di età compresa tra i 6 e i 9 anni, quindi in un epoca in cui la finestra evolutiva delle funzioni in questione è ancora aperta e sensibile a ulteriore sviluppo, e che non ha mai intrapreso un percorso riabilitativo, verrà inserito in una riabilitazione specifica e mirata avvalendosi dei relativi software. Un bambino più grande o che ha già intrapreso un percorso riabilitativo specifico verrà invece inserito nel percorso di natura compensativa con l’obiettivo di garantire i processi più generali di apprendimento previsti dalla scuola, avvalendosi di opportuni strumenti compensativi. In questo caso il principale obiettivo sarà quello di garantire l’accesso alle informazioni che potevano invece essere filtrate o perse nei casi di lettura e scrittura non automatizzati; questo consentirà di avere a che fare con i dati, le informazioni e di manipolarli consentendo, come previsto dal modello della (RR) di Karmiloff Smith (1992), la padronanza comportamentale con possibili ridescrizioni rappresentazionali. Tale procedura, quando ben gestita, consentirà un regolare sviluppo di potenzialità che se non agite e non allenate potrebbero non emergere non favorendo il generale sviluppo cognitivo. In un’ausilioteca nel momento di impostare un percorso con strumenti compensativi si propongono delle prove con software e/o strumenti specifici direttamente con il bambino/ragazzo per poter individuare i più adatti alla situazione, mentre nel caso di software abilitativi (riabilitativi), vengono consigliati sulla base delle problematiche emerse in sede di valutazione clinica e in sede di valutazione nel centro ausili. L’impostazione del progetto viene fatta ove possibile, in accordo con gli operatori sanitari che seguono il bambino/ragazzo, e sempre con gli insegnanti di riferimento, oltre che con la famiglia. Periodicamente (abitualmente ogni 6 mesi-1 anno) si effettuano dei follow-up in cui decidere con una nuova valutazione se continuare con gli strumenti abilitativi oppure concentrarsi su quelli compensativi. Il team che imposta la TA è sempre a disposizione degli insegnanti, delle famiglie o degli operatori sanitari nel caso fossero necessarie delle variazioni rispetto al progetto concordato inizialmente. Accanto all’individuazione degli strumenti viene garantito un addestramento all’uso di questi per il bambino/ragazzo, per gli insegnanti, per la famiglia e per gli
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operatori sanitari (se presenti). Al termine della valutazione delle TA, inoltre, per i software/strumenti che lo prevedono si forniscono indicazioni anche relativamente alle personalizzazioni più opportune degli stessi. In conclusione avere un DSA significa avere un disturbo solo in una società come quella attuale, che prevede (fortunatamente per tutti) l’alfabetizzazione; infatti, i bambini con DSA cominciano a essere “disturbati” solo nel momento in cui entrano a scuola e devono misurarsi con l’apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo. In molti casi, tale disturbo potrebbe praticamente essere “annullato” dall’introduzione di adeguate tecniche di insegnamento della letto-scrittura avvalendosi di opportuni strumenti scelti caso per caso. La possibilità di permettere ai tantissimi bambini/ragazzi con DSA di apprendere, studiare serenamente e prepararsi per un adeguato inserimento nel mondo degli adulti, utilizzando al meglio ognuno le proprie reali potenzialità, appare fortemente legata a un cambiamento culturale (forse appena iniziato), che, attraverso la conoscenza del funzionamento di questi disturbi e l’uso conseguente di opportuni strumenti, consentirà uno studio più appagante alla maggior parte dei ragazzi.
14.2 Valutazione di un caso clinico in un team multidisciplinare o come un consulente professionale Di seguito viene riportato un caso di studio documentato da Hill (2006) che esemplifica le fasi di una procedura EB e utilizza misure di performance e di outcome per monitorare i vantaggi nel raggiungimento di obiettivi di intervento a breve e a lungo termine. È stato utilizzato un tipico approccio di un processo di valutazione in un team multidisciplinare. Secondo un principio centrato sul cliente, il cliente ha gestito il team che consisteva in un PL supervisore clinico, studenti laureati in formazione PL, un consulente di TA, un ingegnere della riabilitazione, un consulente della riabilitazione, un consulente universitario e un genitore. Le finalità e gli obiettivi dell’intervento riflettono il modello ICF. Il cliente aveva identificato da sé la necessità di una nuova valutazione del suo uso di TA, a causa di un infruttuoso primo semestre all’università. Il suo obiettivo era quello di acquisire una laurea quadriennale, di trovare un lavoro ben retribuito e di vivere in modo indipendente.
14.2.1 Caratterizzazione del cliente Il caso riguarda uno studente di 22 anni con paralisi cerebrale. È stato presentato al centro di TA di una università dall’ufficio universitario per gli studenti con disabilità. Il referente ha indicato la necessità di identificare strategie per migliorare la comunicazione e la performance accademica. Lo studente aveva un diploma di scuola superiore e un altro diploma in contabilità acquisito in un’altra università. Si era trasferito all’inizio del semestre in un programma di laurea quadriennale. Sono stati esaminati documenti della scuola superiore e dell’università, cartelle cliniche e altri resoconti
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su test in ambito educativo. Uno screening standardizzato non ha individuato problemi di udito o acuità visiva. Prove di linguaggio orale e scritto hanno confermato una sufficiente competenza linguistica e comunicativa. Altri strumenti standardizzati hanno indicato che la comprensione uditiva e le competenze di vocabolario rientravano nei valori normali per gli adulti. Sono stati raccolti ed esaminati i dati di performance sull’uso attuale di un sistema CAA e del computer. È stata utilizzata un’intervista per raccogliere evidenze personali su valori e necessità del cliente riguardo alla comunicazione orale e scritta e alla partecipazione in altre attività di vita quotidiana. L’ICF è stato utilizzato per controllare le attività e il livello di partecipazione atteso dal cliente. I valori da lui espressi erano coerenti con il desiderio di essere un comunicatore “più veloce e più efficiente” precisando di non gradire che i suoi messaggi fossero “indovinati” dalle altre persone. Valutava di essere capace di utilizzare parole sue senza avvalersi di messaggi pre-registrati, e che tutte le sue TA avrebbero potuto essere integrate e aggiornate per operare nel modo più efficiente ed efficace possibile.
14.2.2 Fase 1: porre domande EB significative Il team ha discusso lo schema PICO di porre domande per cercare le evidenze che avevano rilevanza per questo cliente. Il paziente era un adulto con paralisi cerebrale iscritto all’università; la TA già in suo possesso è stata compresa e utilizzata nell’intervento; il confronto era con un metodo alternativo di rappresentazione del linguaggio; l’outcome era un incremento nella frequenza e nella fluenza comunicativa. Le seguenti tre domande riassumono le questioni di base che sono state poste da tutti i membri del team: (i) la velocità di comunicazione del cliente è uguale a quella di altre persone con profilo simile? (ii) L’uso da parte del cliente di un approccio basato sull’alfabeto è il metodo di rappresentazione del linguaggio più efficace possibile? (iii) L’uso da parte del cliente di un touchscreen basato sulla pagina è la soluzione più efficace? 14.2.3 Fase 2: raccolta delle evidenze cliniche e personali Per questo processo sono stati utilizzati metodi tradizionali di osservazione e strumenti di monitoraggio dell’attività linguistica (LAM; Hill e Romich, 2001). Il software Performance Report Tool (PeRT) è stato utilizzato per analizzare prove del linguaggio e per generare un resoconto della performance. Sebbene i metodi tradizionali di osservazione abbiano consentito di raccogliere gli aspetti multimodali della comunicazione, solo gli strumenti LAM hanno fornito l’accuratezza necessaria per monitorare il cambiamento o per effettuare confronti tra gli interventi. Inoltre, la misura della velocità di comunicazione e scelta richiede una registrazione temporale per calcolare unità di misura standardizzate (Romich e Hill, 1999). Sulla base delle domande EB formulate, è stato cruciale ottenere le seguenti misure di performance: (i) media e picco della velocità di comunicazione; (ii) velocità di comunicazione dei metodi di rappresentazione del linguaggio; (iii) velocità di selezione; (iv) lunghezza media dell’enunciato; (v) frequenza di enunciati completi.
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14.2.4 Fase 3: individuare ed esaminare evidenze nella ricerca scientifica La ricerca computerizzata della letteratura scientifica in merito ha restituito otto sudi che sono stati utilizzati per fornire evidenze esterne utili a guidare le decisioni. Questi studi sono stati riassunti dai PL e condivisi con il team. È stata estratta una banca dati elettronica gestita dall’autore per individuare e confrontare le performance di persone con profili simili (Hill et al., 2000). Si sono così raccolte informazioni sulla performance raggiunta da altri utilizzatori dei sistemi di TA in esame. Inoltre, il cliente ha aderito a un gruppo di discussione online per cercare suggerimenti da parte degli utenti sulla soddisfazione con varie opzioni di CAA/TA. Ha condiviso le risposte alle sue domande nel gruppo di discussione con il team così come i contenuti su argomenti correlati che riteneva pertinenti con la sua situazione. 14.2.5 Fase 4: utilizzare l’evidenza Questa fase coinvolge l’uso dell’evidenza esterna, clinica e personale per il processo MPT. Le caratteristiche primarie, secondarie e terziarie sono state discusse e dimostrate al cliente attraverso prove. Il cliente ha richiesto i seguenti tre periodi di prova prima di prendere una decisione sulla CAA e/o sulla TA: (i) il suo attuale dispositivo CAA con modifiche e l’attuale configurazione del computer; (ii) un sistema CAA con touchscreen aggiornato per emulare il computer; (iii) un sistema CAA ibrido per emulare il computer. Le componenti primarie sono diventate le caratteristiche principali da selezionare per il cliente. Un’efficace identificazione dei diversi metodi di rappresentazione del linguaggio (LRM) usati per produrre comunicazione orale e scritta può influenzare la performance. Diventare consapevole di come un vocabolario essenziale ed esteso possa essere memorizzato e recuperato era una delle caratteristiche che egli non aveva precedentemente considerato. Dal momento che il cliente preferiva non utilizzare messaggi pre-registrati, ma voleva la generazione di enunciati spontanei e nuovi (SNUG) come proprio mezzo principale di comunicazione, non è stata considerata la personalizzazione di un insieme di frasi pre-programmate. Le componenti secondarie hanno offerto un’ampia gamma di opzioni da considerare e manipolare. Nel team il PL e il consulente TA sono stati i più coinvolti nella discussione, dimostrazione e comparazione dei diversi software linguistici come configurazioni di vocabolario pre-immagazzinato, diversi tipi di punti di visualizzazione, tipi di simboli, opzione di colore dello schermo, dimensione dei touchscreen, e così via. Inoltre, dato che il cliente ha significativamente ridotto la velocità di selezione sui suoi attuali sistemi, il team ha suggerito di valutare metodi alternativi di accesso come mezzo per aumentare la velocità di comunicazione. Il cliente ha espresso la volontà di poter scegliere, a seconda di come si sentiva durante il giorno, tra la modalità di selezione diretta tramite tastiera e il puntamento ottico. Altre caratteristiche ritenute desiderabili dal cliente includevano il controllo a infrarossi per l’accesso al computer e il controllo ambientale e la registrazione dei dati. Nel comparare i diversi sistemi CAA in esame, il cliente ha trovato apprezzabili le seguenti caratteristiche secondarie: la configurazione di interfaccia a griglia per accedere al vocabola-
Il ruolo dei patologi del linguaggio nella valutazione delle tecnologie assistive 341
rio; le icone a opzioni; il tutor delle icone; un accesso semplice alla visualizzazione dello stato e alla personalizzazione della casella degli strumenti. La componente terziaria centrale e importante per il cliente era di essere capace di utilizzare il sistema CAA con un computer. Perché ciò avvenisse occorreva configurare le periferiche nella casa dello studente. Inoltre, erano necessarie soluzioni di montaggio e la realizzazione di altre periferiche che sono state eseguite dall’ingegnere della riabilitazione. Il cliente ha anche preso in considerazione i servizi offerti dal produttore. La fase 4 includeva una sintesi clinica al termine dei primi tre mesi. La sintesi è stata redatta per descrivere il risultato della valutazione e del processo di prova ed è culminata nella presentazione di una richiesta di finanziamento per un nuovo sistema CAA con aggiornamenti per l’accesso al computer. La formazione e l’intervento sulla nuova tecnologia comunicativa includevano una sessione di un’ora di terapia alla settimana per tre mesi. La funzione incorporata nel LAM ha fornito un metodo efficiente per monitorare i progressi sia da parte del cliente sia da parte dei PL, e ha portato a usare alla discussione sugli esiti del trattamento. Durante i tre mesi di trattamento, il cliente ha imparato a usare la sua nuova applicazione per il linguaggio e a selezionare le parole utilizzando la compattazione semantica il 90% delle volte. La sua velocità media di comunicazione era di 6,7 parole al minuto e il picco di comunicazione era di 21 parole al minuto con la selezione diretta da tastiera. In questo caso, l’uso della compattazione semantica era 16 volte più veloce della sillabazione. Entro la fine dell’anno accademico, i dati della performance e dei risultati indicavano guadagni significativi e che la comunicazione globale orale e scritta era più efficace ed efficiente con un’elevata soddisfazione dell’utente. La Tabella 14.2 confronta la performance del cliente con il suo sistema iniziale rispetto alla performance con il nuovo sistema alla fine del primo mese. L’utilizzo del PeRT ha permesso di segnalare con precisione e accuratezza le misure di performance durante i processi di valutazione e di intervento. I rapporti di performance hanno fornito una registrazione continua e affidabile dei progressi degli esiti del trattamento. Oltre i miglioramenti nella performance comunicativa in diversi contesti sociali, la sua comunicazione nelle lezioni universitarie era considerata in miglioramento. Con un avanzamento dei suoi risultati accademici, il ritiro non era più ritenuto necessario. Due anni più tardi, il cliente ha conseguito la laurea quadriennale e ha raggiunto gli obiettivi a lungo termine prefissati avendo trovato un lavoro ben retribuito e vivendo in modo indipendente.
14.3 Conclusioni Il nostro caso aderisce ai precetti di un processo guidato dall’utente per giungere a una soluzione di TA che permetta alla persona di raggiungere il suo potenziale più alto nel quadro dell’ICF. La richiesta del cliente, basata sulla sua preoccupazione riguardo alla performance scolastica, ha attivato i processi di invio e di valutazione. Il cliente ha invitato membri specifici a prendere parte al team tenendo in considerazione tutte le componenti del modello dell’ICF che lo riguardavano: le sue funzioni e strutture cor-
342 Capitolo 14
poree, i fattori personali e ambientali. Il PL è diventato il coordinatore e il manager del team, poiché l’area primaria di preoccupazione era relativa alla discrepanza significativa nella comunicazione orale e scritta rispetto ai coetanei dell’università. La soluzione finale di TA è stata individuata applicando i principi della pratica EB. Questo ha incluso la familiarizzazione con risorse e servizi per sostenere l’efficacia a lungo termine delle soluzioni di TA. Nel caso del nostro cliente, dopo che gli sono stati mostrati dei videoclip di persone che parlavano con sistemi di output vocale ad alta performance, egli ha confidato di non aver mai incontrato un altro CAA parlante. Il team che aveva condotto la sua precedente valutazione non aveva mai effettuato una valutazione per un sistema CAA di accesso al computer e non era al corrente dei controlli ambientali; aveva preso le decisioni basandosi sulla “facilità d’uso al primo incontro, più che sull’efficacia a lungo termine”. Il suo primo team di TA aveva trovato una soluzione immediata, ma non la soluzione di TA più efficace, efficiente o soddisfacente. Durante conversazioni separate con il cliente e la sua famiglia ci siamo resi conto che non avevano alcuna idea della possibilità che persone con disabilità gravi della comunicazione e disabilità fisiche potessero comunicare in modo efficace e rapido utilizzando un sistema CAA. Nella prima sessione di valutazione, il cliente è stato introdotto a diverse risorse Internet attraverso il sito web dell’AAC Institute all’indirizzo http://www.aacinstitute. org. È stato incoraggiato a porre domande sul processo di valutazione TA ai membri di un gruppo di discussione per poter meglio rappresentare i propri interessi. Le risorse Internet possono fornire accesso a informazioni aggiornate e attuali, e ciò risulterà utile quando le fonti sono attentamente e prudentemente valutate. A tutt’oggi è previsto che il PL nei team di TA utilizzi coscienziosamente e giudiziosamente le migliori evidenze e i migliori dati per sostenere decisioni che si collochino all’interno del quadro ICF. I PL mettendo in pratica i principi di questo capitolo “collocano in primo piano i benefici del cliente utilizzando evidenze con implicazioni pratiche dirette nella pianificazione” (Gibbs, 2003). Il nostro caso è un esempio di come le persone che utilizzano la CAA credano che il risultato fondamentale e desiderato di una comunicazione indipendente orale e scritta possa essere raggiunto con una tecnologia appropriata e con idonee strategie di intervento a lungo termine, spesso intensive (Creech, 1995; Hill et al., 2007). La qualità della vita del nostro cliente è fortemente migliorata attraverso il conseguimento di una soluzione che ha portato a una maggiore capacità comunicativa, efficace e indipendente così come a integrare altre soluzione di TA. Team di TA guidati dal cliente e che includono la famiglia e altre persone significative possono rassicurare sul fatto che i benefici del cliente vengono posti in primo piano quando l’evidenza è utilizzata giudiziosamente e coscienziosamente all’interno di un contesto organizzato.
Parte
3
Introduzione alla Parte 3 Capitolo 15 L’esperienza sistemica dell’utente Capitolo 16 Soluzioni web per la riabilitazione e la vita quotidiana
Capitolo 17 Brain-computer interface: la nuova frontiera delle tecnologie assistive
Capitolo 18 Nuove opportunità riabilitative per persone con disabilità multiple mediante la tecnologia del microswitch
Capitolo 19 Metodi e tecnologie per il tempo libero, la ricreazione e uno sport accessibile
Introduzione alla Parte 3 S. Federici, M. Scherer
Dispositivi e servizi di tecnologie assistive Oggi molte informazioni sulle tecnologie assistive (TA) possono essere ottenute da diverse banche dati e siti sul World Wide Web (WWW). Tuttavia, possiamo fare una chiara distinzione tra banche dati e siti web: i siti web sulle TA tendono a presentare un catalogo di tecnologie per un tipo specifico di disabilità, come l’American Printing House for the Blind (http://www.aph.org/), o per gruppi specifici di disabilità, come Cambium Learning Technology Company (http://www.intellitools.com/). Le banche dati, invece, sono più concentrate sulla diffusione di informazioni tecniche relative alle attrezzature, raccogliendo elenchi assai completi di TA. Le due più grandi e complete banche dati di dispositivi sono le seguenti.1 •
AbleData.com (http://www.abledata.com): finanziata dal National Institute on Disability and Rehabilitation Research americano nel 1996, questa banca dati attualmente fornisce informazioni su circa 40.000 prodotti suddivisi in venti aree. Offre anche informazioni su prototipi non commerciali, prodotti personalizzati e su misure nonché tecnologie progettate direttamente dall’utente.
•
La rete d’informazione Europea sulle tecnologie per la disabilità e l’autonomia (EASTIN, http://www.eastin.info): creata nel 2003 dall’unione di alcuni dei più importanti esperti fornitori d’informazione in Europa per offrire un servizio più completo sulle TA; attualmente gestisce informazioni su circa 66.269 prodotti.
L’impressionante numero di prodotti offerti da queste banche dati mostra come esista una crescente necessità di TA. Infatti, se consideriamo la crescita di prodotti contenuti in AbleData dal 1996 al 2011, possiamo notare che il numero di tecnologie recensite è raddoppiato (Halverson e Belknap, 1996). Questo rapido aumento nella quantità d’informazioni online sulle TA mostra un crescente bisogno di tecnologie in grado di soddisfare le diverse esigenze delle persone con disabilità, in tutti gli aspetti della loro vita: dai prodotti per le cure mediche ai supporti per la scuola, il lavoro e la cura di sé, fino alle attrezzature per le pulizie, la ricreazione e l’attività sessuale. 1 Il numero dei prodotti presenti su http://www.abledata.com e http://www.eastin.info è stato verificato a maggio del 2011.
346 Introduzione alla Parte 3
Gli investimenti fatti dalle aziende produttrici per migliorare le tecnologie hanno portato allo sviluppo di nuovi prodotti, nonché al potenziamento e all’aggiornamento di quelli già disponibili. Contemporaneamente, sono stati diffusi studi sui temi dell’usabilità del prodotto, dell’uso e dell’abbandono, e sull’abbinamento ottimale fra gli utenti e la tecnologia. La terza parte di questo manuale cerca di affrontare, da un lato, il tema dell’interazione fra utente e tecnologia nel contesto del processo di valutazione delle TA e dall’altro il tema dello sviluppo di nuove tecnologie, novità che in breve tempo diventano obsolete. Per evitare la possibilità di discutere di tecnologie obsolete, i cinque capitoli della Parte 3 (dal Capitolo 15 al 19) si sono concentrati sulle nuove frontiere dello sviluppo delle TA, presentando tecnologie che non sono ancora disponibili sui siti web e nelle banche dati (come le brain-computer interface), sottolineando, allo stesso tempo, nuovi concetti e metodi per migliorare la futura generazione di TA.
Presentazione dei capitoli della Parte 3 I capitoli di questa parte sono organizzati in un ordine concettuale che va dal più teorico al più concreto, ossia dal ruolo dell’esperienza degli utenti nel processo di valutazione delle tecnologie assistive (ATA process) fino all’attività fisica adattata e le attrezzature per le attività sportive. Il Capitolo 15, “L’esperienza sistemica dell’utente”, presenta un quadro teorico del ruolo dell’esperienza dell’utente, o User eXperience, nell’ATA process (Paragrafo 15.1), utilizzando un approccio integrato di valutazione del sistema di riabilitazione. La prospettiva olistica dell’esperienza utente (UX) e la sua definizione sono presentate insieme ai concetti di usabilità e accessibilità (Paragrafi 15.2.1 e 15.2.2). Gli autori del capitolo introducono una nuova prospettiva concettuale basata sul quadro della UX e sul modello integrato di valutazione dell’interazione (Paragrafo 15.3.1). Attraverso questa prospettiva, gli autori analizzano la valutazione della UX non solo come un processo riguardante l’esperienza dell’utente con una tecnologia assegnata, ma anche in relazione alle azioni del centro ausili (cioè il funzionamento dell’ATA process), indicando come sia possibile guardare l’ATA process da una prospettiva di valutazione della UX al fine di stabilire sia la relazione tra utente e TA, sia tra gli utenti e il centro ausili (Paragrafo 15.4.1). Infine, vengono discussi alcuni esempi riguardanti l’applicazione del concetto di UX nel processo di progettazione di sistemi per la riabilitazione (Paragrafo 15.4.2). Tutti i capitoli di questa parte, cercando di presentare nuove e avveniristiche prospettive sullo sviluppo delle TA, fanno riferimento, implicitamente o esplicitamente, al modello integrato presentato nel Capitolo 15. Liotta, Di Giacomo, Magni e Corradi, nel Capitolo 16 intitolato “Soluzioni web per la riabilitazione e la vita quotidiana”, analizzano la relazione fra gli utenti e alcune nuove tipologie di TA. Gli autori presentano due studi, entrambi basati sulla prospettiva di User Centred Design (Norman e Draper, 1986), che hanno lo scopo di ridurre l’esclusione digitale abbattendo le barriere dovute agli ambienti d’uso fisici e
Introduzione alla Parte 3 347
virtuali. La prospettiva teorica utilizzata dagli autori è quella proposta dalla World Health Organization, che considera “l’uso delle informazioni, della comunicazione e delle relative tecnologie per la riabilitazione come una risorsa emergente che può migliorare la capacità e l’accessibilità delle misure di riabilitazione fornendo interventi a distanza” (WHO e World Bank, 2011, p. 118). Il Capitolo 16 descrive nuove tecnologie virtuali attraverso due assunzioni di base riguardanti Internet. •
Il WWW è un mezzo per accedere alle informazioni e utilizzarle: la TA, per permettere agli utenti di raggiungere i loro obiettivi (cioè accedere alle informazioni e usarle), deve ridurre l’esclusione digitale accrescendo l’accesso e l’uso ai siti web e ai motori di ricerca.
•
Il WWW è un mezzo che offre servizi: la TA, per permettere agli utenti di ottenere servizi (per esempio riabilitativi), usa Internet per fornire servizi a distanza o online.
La prima TA presentata nel capitolo, chiamata WhatsOnWeb, è un motore di ricerca web “clusterizzato” (Paragrafo 16.1.1) che fa uso sia di un approccio di visualizzazione dei dati (Paragrafi 1.3 e 1.3.1) sia della sonificazione degli elementi grafici dell’interfaccia (si veda il Capitolo 15, Paragrafo 15.4.2, e il Capitolo 16, Paragrafo 16.1.3) per migliorare l’efficacia e l’efficienza della ricerca tramite il Web per utenti non vedenti. I risultati della valutazione di WhatsOnWeb (Paragrafo 16.1.3) sono presentati al fine di analizzare le proprietà e le caratteristiche di questa tecnologia come ausilio. La seconda TA presentata, chiamata Nu!Reha Desk, è uno strumento per la telemedicina applicata alla riabilitazione (Paragrafi 16.2.1 e 16.2.2) creato per fornire agli utenti esercizi personalizzati da svolgere a casa, monitorandone lo svolgimento a distanza. Il sistema è stato progettato come un’applicazione per estendere il “metodo tradizionale” del servizio di riabilitazione neurologica (Paragrafi 16.2.3 e 16.2.4). I risultati della valutazione della tecnologia Nu!Reha vengono qui presentati al fine di discutere il ruolo di una TA volta a fornire servizi a distanza e a raccogliere dati utili agli operatori per ottimizzare l’accesso degli utenti a un programma di riabilitazione (Paragrafo 16.2.5). Il Capitolo 17, “Brain-computer interface: la nuova frontiera delle tecnologie assistive”, discute le interfacce informatiche controllate tramite segnali cerebrali (in inglese, brain-computer interface, BCI) applicate in casi di pazienti con gravi disabilità multiple per ristabilire la comunicazione e il movimento (Paragrafo 17.1). Questo capitolo esamina, innanzitutto, la storia delle BCI e le misure dell’attività cerebrale (Paragrafi 17.2.1-17.2.4 e 17.3). La prospettiva degli autori è che le BCI sono tecnologie dell’informazione e della comunicazione in grado supportare le attività di vita quotidiana delle persone con disabilità (Paragrafo 17.7). In questo senso le tecnologie BCI sono viste come TA che mirano non solo a compensare un deficit, ma a promuovere la partecipazione sociale dell’utente.
348 Introduzione alla Parte 3
Il Capitolo 17 presenta le applicazioni BCI per diversi obiettivi riabilitativi quali: (i) l’uso delle BCI come strumenti di comunicazione per le persone con malattie neurodegenerative e motorie, per esempio la sindrome Guillain-Barré, la sclerosi laterale amiotrofica, la sindrome locked-in e così via (Paragrafi 17.4.1 e 17.4.2); (ii) l’uso delle BCI per il recupero motorio in pazienti con ictus o trauma cerebrale o con lesioni al midollo spinale (Paragrafi 17.5.1 e 17.5.2); (iii) l’uso delle BCI per il trattamento dei disturbi comportamentali, quali l’epilessia, i deficit di attenzione e l’iperattività (Paragrafi 17.6.1 e 17.6.2). Il Capitolo 18, “Nuove opportunità riabilitative per persone con disabilità multiple mediante la tecnologia del microswitch”, discute il ruolo delle tecnologie microswitch (microinterruttori) e dei comunicatori vocali (in inglese Voice Output Communication Aid, VOCA) per aiutare le persone con disabilità multiple e profonde a imparare a controllare gli stimoli rilevanti nel loro ambiente e ad avere un contatto sociale attraverso risposte semplici. Il capitolo presenta diversi studi sull’applicazione della tecnologia microswitch utilizzata per: (i) monitorare piccole risposte non tipiche di persone con comportamento motorio minimo (Paragrafo 18.2); (ii) consentire alla persona un accesso diretto a diversi tipi di stimolazione, utilizzando una combinazione di due o più microswitch (Paragrafo 18.2.1); (iii) consentire alla persona un accesso diretto alla stimolazione e alla possibilità di richiamare l’attenzione sociale e di interagire attraverso l’uso combinato di microswitch e VOCA (Paragrafo 18.3). I risultati ottenuti dalle applicazioni sperimentali, secondo gli autori, suggeriscono che sia vantaggioso utilizzare tecnologie assistive combinate fra loro, come i microswitch e i VOCA, nei programmi di riabilitazione che mirano ad aumentare le risposte adattive delle persone all’ambiente, poiché l’uso combinato permette un diretto contatto sociale tra la persona e gli operatori sanitari (Paragrafi da 18.4 a 18.4.2). La terza parte si conclude con il Capitolo 19, “Metodi e tecnologie per il tempo libero, la ricreazione e uno sport accessibile”. Gli autori di questo capitolo, con l’obiettivo di promuovere i programmi di attività fisica adattata (in inglese, Adapted Physical Activity, APA), prendono in esame i metodi e le tecnologie che facilitano lo sport accessibile attraverso le teorie dell’auto-efficacia per permettere la partecipazione di tutti allo sport (Paragrafi da 19.1.1 a 19.2.2). Il rapporto tra sport e disabilità è analizzato dal punto di vista storico, biomedico e socio-psicologico (Paragrafi da 19.3 a 19.3.3); allo stesso tempo, gli autori sottolineano il ruolo essenziale del miglioramento tecnico delle TA (per esempio ausili per la mobilità, sedie a rotelle e protesi), non solo per promuovere le attività sportive e la partecipazione sociale, ma anche per estendere l’idea di sport per tutti sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo (Paragrafi da 19.4 a 19.4.3). Questo capitolo offre l’opportunità al lettore di pensare alle TA dal punto di vista storico, superando l’approccio medico della “riparazione tecnica” (technical-fix; Roulstone, 1998), poiché gli autori presentano le tecnologie non solamente come mezzo di accesso o di riabilitazione, ma anche come un diritto, inteso come il diritto alla promozione del tempo libero, alla necessità ricreativa e all’attività fisica. Tutti gli autori della Parte 3, così come quelli delle altre parti di questo libro, hanno concordato con i curatori dell’opera una serie di definizioni come affermato
Introduzione alla Parte 3 349
nell’Introduzione alla Parte 1 (“Il modello di valutazione delle tecnologie assistive e definizioni di base”. Gli autori della parte si sono tutti riferiti, direttamente o indirettamente, alle seguenti definizioni. •
Accessibilità – Tre definizioni. 1. Accessibilità come mezzo di opportunità e possibilità: “L’arte di garantire che i servizi siano disponibili a una persona anche se soffre di qualche menomazione” (Berners-Lee e Fischetti, 1999). 2. L’accessibilità come accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La Web Accessibility Initiative (WAI) definisce l’accessibilità come il consentire alle persone con disabilità di “percepire, capire, navigare e interagire con il Web” (2006). 3. L’accessibilità come accesso a un’interfaccia usabile. L’ISO 9241-171 definisce l’accessibilità come “l’usabilità di un prodotto, servizio, ambiente o strumento, per persone col più ampio raggio di capacità” (ISO, 2008).
•
Sonificazione: si tratta di un processo di “trasformazione dei rapporti fra dati in rapporti percepiti tramite un segnale acustico per facilitare la comunicazione o l’interpretazione” (Kramer, et al., 1997, p. 3).
•
Usabilità: è la misura con cui un prodotto può essere usato da specifici utenti, per raggiungere specifici obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d’uso (ISO, 1998): •
l’efficacia è data dall’accuratezza e completezza con cui gli utenti conseguono gli obiettivi specifici;
•
l’efficienza è data dalle risorse spese in relazione all’accuratezza e alla completezza con cui gli utenti conseguono gli obiettivi;
•
la soddisfazione è data dall’assenza di disagio e da atteggiamenti positivi verso l’utilizzo del prodotto quando gli utenti conseguono gli obiettivi.
In campo medico e riabilitativo un’ulteriore distinzione viene fatta per i concetti di efficacia ed efficienza come segue (Haynes, 1999; Marley, 2000). •
Efficacia in ambiente controllato: si riferisce all’accuratezza e alla completezza con cui gli utenti raggiungono gli obiettivi in condizioni controllate o ideali (per esempio all’interno di una clinica o di un processo di riabilitazione).
•
Efficienza nell’ambiente reale: si riferisce all’accuratezza e alla completezza con cui gli utenti raggiungono gli obiettivi nell’ambiente di vita quotidiano.
•
Universal Design o Design for All (UD): nel campo dell’interazione tra essere umano e computer, l’UD implica un approccio proattivo verso i prodotti e gli ambienti che possono essere accessibili e utilizzabili dal più ampio numero di utenti finali possibile, senza la necessità di ulteriori adattamenti o di
350 Introduzione alla Parte 3
particolari riprogettazioni. Questo approccio fa riferimento a “uno sforzo consapevole di considerare e tener conto della più ampia gamma possibile dei requisiti dell’utente finale durante l’intero ciclo di sviluppo di un prodotto o di un servizio” (Akoumianakis e Stephanidis, 2001). •
User Centered Design (UCD): questo temine fu originariamente coniato negli anni Ottanta da Norman presso il suo laboratorio all’Università della California (Norman e Draper, 1986). Lo UCD è un processo di progettazione caratterizzato da un ciclo di test e re-test della tecnologia. La prima serie di test viene eseguita al fine di ottimizzare l’interfaccia. In questa fase gli esperti analizzano come i possibili utenti possono utilizzare il prototipo dell’interfaccia, simulando il comportamento di un utente comune, secondo uno specifico modello di un utente. Nella seconda serie di test, gli utenti sono coinvolti attivamente nell’analisi del prototipo per individuare ulteriori problemi dell’interfaccia e per consentire una riprogettazione dell’architettura delle informazioni. In seguito ai risultati di questi due diversi cicli di test (il primo fatto con le analisi degli esperti e il secondo con le analisi degli utenti reali), il modello UCD è in grado di analizzare le esigenze e le capacità degli utenti finali e, quindi, di ottimizzare l’interfaccia in base a queste informazioni, creando un prodotto usabile piuttosto che costringere gli utenti ad adattarsi a un’interfaccia sviluppata solamente in base al modello mentale dello sviluppatore.
La Parte 3 è stata progettata sulla base di due principali modelli teorici: il primo è il modello integrato di valutazione dell’interazione e il secondo è l’ATA process. Il primo modello ci consente di proporre la valutazione dell’esperienza utente come il nucleo del processo di assegnazione per raggiungere quella priorità della riabilitazione come indicata dalla WHO, che è “garantire l’accesso al servizio quando è necessario insieme a interventi riabilitativi tempestivi, economicamente accessibili e di alta qualità” (WHO e World Bank, 2011, p. 121), al fine di fornire TA che siano “adatte all’ambiente” e “adatte per l’utente” e che possano favorire inoltre “un uso adeguato del follow-up per garantire un utilizzo sicuro ed efficiente” della TA stesse (WHO e World Bank, 2011, p. 118). Infatti, la valutazione della UX è stata applicata per la misurazione (e il miglioramento) sia dell’interazione dell’utente con la TA, sia per la valutazione di come viene percepito dagli utenti tutto l’ATA process. Seguendo il modello integrato di valutazione dell’interazione (Capitolo 15), l’accessibilità e l’usabilità di un sistema non sono intese come due caratteristiche che riguardano due entità separate in interazione, ma piuttosto come una relazione intrasistemica in cui oggetto e soggetto sono solo momenti di un processo multifase di osservazione empirica. Tutti i capitoli di questa parte si basano sull’idea che l’interazione tra utente e ambiente attraverso la TA è una relazione intrasistemica che può essere valutata attraverso il modello integrato per determinare la qualità dell’abbinamento utente-tecnologia o per determinare se l’ambiente deve essere modificato per migliorare il rapporto intrasistemico fra l’utente e la TA (Federici e Borsci, 2010). Durante l’assegnazione, il processo dello stesso centro ausili può essere considerato come un’interfaccia attraverso la quale un utente può raggiungere un obiettivo. In
Introduzione alla Parte 3 351
questo senso, possiamo valutare l’esperienza utente nell’ATA process su due livelli: (i) la valutazione dell’esperienza utente dello stesso ATA process, cioè il grado di accessibilità e usabilità nel rapporto tra gli utenti e il centro ausili e (ii) la valutazione della UX delle soluzioni assistive fornite alla fine dell’ATA process, cioè l’abbinamento fra gli utenti e le soluzioni tecniche. Per quanto riguarda, invece, il secondo modello, quello dell’ATA process, ogni capitolo della parte è stato concepito per discutere le tecnologie e i modelli concernenti una o più fasi del processo di assegnazione come segue. •
Il Capitolo 15 discute le seguenti fasi: (i) l’accesso dell’utente al centro ausili, cioè, il contatto e l’accessibilità del centro; (ii) l’analisi dell’utente di una soluzione assistiva, cioè la valutazione utente; (iii) la raccolta di dati degli utenti; (iv) l’analisi effettuata dal team multidisciplinare che si occupa dei casi; (v) la valutazione del team multidisciplinare.
•
Il Capitolo 16 discute le seguenti fasi: (i) l’analisi dell’utente di una soluzione assistiva; (ii) la soluzione assistiva nel contesto di vita dell’utente, ovvero l’adozione della soluzione da parte dell’utente/cliente; (iii) la raccolta dei dati da parte degli utenti; (iv) l’analisi del caso da parte del team multidisciplinare; (v) la valutazione del team multidisciplinare.
•
I Capitoli 17 e 18 riguardano le seguenti fasi: (i) la soluzione nel contesto di vita dell’utente; (ii) l’analisi del caso da parte del team multidisciplinare; (iii) la valutazione del team multidisciplinare.
•
Il Capitolo 19 discute la fase delle soluzioni nel contesto di vita dell’utente.
Nel loro insieme, i capitoli di questa parte formano un percorso per l’abbinamento ottimale della persona e della tecnologia, la cui principale qualità è valutata dall’utente finale nei vari momenti del processo di acquisizione della TA.
Capitolo
15 L’esperienza sistemica dell’utente
S. Borsci, M. Kurosu, M.L. Mele, S. Federici
Questo capitolo descrive il rapporto e il ruolo dei costrutti di accessibilità e usabilità secondo l’approccio teorico dell’esperienza utente. Verrà presentato un modello integrato di valutazione dell’interazione, ossia una nuova prospettiva di valutazione basata sull’esperienza utente, utile come riferimento non solo per impostare una valutazione di interazione degli utenti con le tecnologie assistive ma anche per organizzare e valutare l’ATA process.
15.1 Introduzione: il concetto di User experience Il termine esperienza utente (in inglese User eXperience, d’ora in avanti UX), proposto nei primi anni Novanta da Donald A. Norman e collaboratori (1995), si focalizza su gradimento, significatività e performance che emergono durante l’interazione persona-tecnologia. Nel processo di progettazione dell’interazione l’usabilità del sistema è una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere (nell’implementazione o nella valutazione) un buon livello di UX; infatti, mentre l’usabilità è una dimensione dell’interazione, la UX è una prospettiva olistica focalizzata sul vissuto dell’utente in relazione all’uso di un sistema. Esistono differenti definizioni di UX, inclusa quella proposta dallo stesso Norman – che descrive il termine UX come connesso a “tutti gli aspetti dell’interazione dell’utente con il prodotto: come questo è percepito, appreso e usato. Esso include facilità d’uso e, cosa più importante, i bisogni che il prodotto soddisfa” (1998, p. 47) – e quella proposta da Garrett – secondo il quale la UX rappresenta “come si comporta e viene usato il prodotto nel mondo reale” (2003, p. 17). Recentemente, l’International Organization for Standardization (ISO) 9241-210 (2010) ha definito la UX come “la percezione di una persona e le risposte che risultano dall’uso o uso previsto di un sistema, di un prodotto o di un servizio”. La normativa ISO inoltre afferma che “l’esperienza utente è una conseguenza della presentazione, della funzionalità, delle performance del sistema, del comportamento interattivo, e delle capacità assistive di un sistema d’interazione, sia hardware che software [...]. Questa è anche una conseguenza delle esperienze pregresse dell’utente, delle sue attitudini, abilità, abitudini e personalità” (1999). Per questo motivo, un totale di 30 professionisti di usabilità insieme ad altri esperti si sono riuniti in un workshop che si è tenuto a Dagstuhl, in Germania, nel 2010, e Virpi Roto insieme ad altri curatori ha cercato di sintetizzare una posizione comune sull’esperienza utente nello User Experience White Paper (Roto et al., 2011).
354 Capitolo 15
La UX è un concetto complesso che include ed estende le dimensioni del concetto di usabilità, senza però allontanarsi da questo. Molti autori mettono in evidenza le aree in cui la UX va oltre l’usabilità (Hassenzahl e Tractinsky, 2006; Law et al., 2007). Queste aree sono ben sintetizzate da Petrie e Bevan come segue. •
Il concetto di UX è più olistico rispetto a quello di usabilità: come abbiamo precedentemente discusso, l’usabilità si focalizza sulla performance e sulla soddisfazione degli utenti nel raggiungimento dei proprio obiettivi in determinati contesti d’uso; la UX assume una prospettiva più olistica, mirando a un equilibrio tra aspetti d’uso di un sistema interattivo (eSystem) orientati al compito e aspetti non orientati al compito (spesso chiamati aspetti estetici, in inglese hedonic aspects) connessi all’acquisto dell’eSystem come la gradevolezza, la sfida, la stimolazione e l’espressione personale.
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Rispetto all’usabilità, la UX è maggiormente focalizzata sulla percezione soggettiva del sistema: l’usabilità ha enfatizzato le misure oggettive delle sue componenti, come la percentuale di compiti per quanto riguarda l’efficacia, i tempi di completamento e la percentuale di errori nello svolgimento di un compito per quanto riguarda l’efficienza; la UX, invece, è maggiormente incentrata sulle reazioni positive degli utenti agli eSystem, sulla loro percezione degli stessi e sull’interazione con essi.
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Rispetto all’usabilità, la UX è maggiormente incentrata sugli aspetti positivi del sistema: l’usabilità si è spesso focalizzata sull’eliminazione di barriere o problemi negli eSystem e sulla metodologia necessaria a migliorarli; la UX, invece, è maggiormente incentrata sugli aspetti positivi dell’utilizzo degli eSystem e su come massimizzarli, e se questi aspetti positivi siano relativi a soddisfazione, gratificazione o coinvolgimento (Petrie e Bevan, 2009).
Mentre l’accessibilità e l’usabilità si riferiscono alla qualità – che può essere descritta oggettivamente – del dispositivo e del sistema in relazione all’accesso e all’utilizzo, il concetto di UX si riferisce a quegli aspetti soggettivi come esperienza attesa, percezione e memoria, che riguardano il lato utente. In altre parole, caratteristiche qualitative quali usabilità e affidabilità possono essere considerate come variabili indipendenti, mentre la UX è una variabile dipendente che sarà influenzata dalle caratteristiche qualitative dei dispositivi e dei sistemi da utilizzare. Ciò significa che la considerazione degli aspetti qualitativi da sola non porterà necessariamente a progettare un sistema con un buon livello di UX. Al fine di ottenere un buon livello di UX occorre quindi considerare qualcosa di più. In questo senso enfatizzare la conseguenza dell’esperienza utente è più utile che focalizzarsi su gli aspetti qualitativi dell’interazione. Quello dell’esperienza è sempre stato un concetto chiave nell’area del marketing, specialmente nella sua relazione con la formazione delle aspettative. Infatti, uno degli obiettivi principali delle attività di marketing è di stabilire un buon livello di aspettativa da parte del consumatore. Tuttavia l’approccio del marketing è meno incentrato
L’esperienza sistemica dell’utente 355
su come le persone utilizzano un dispositivo o un sistema, aspetto sul quale il design centrato sull’utente si è invece prevalentemente focalizzato. Gli autori Kurosu e Ando (2008), e in maniera più approfondita Kurosu (2010), hanno integrato questi due concetti di esperienza (esperienza del consumatore e del utente) e proposto un modello di UX a quattro fasi basato sull’idea che le persone, nel passaggio fra il prima e il dopo l’acquisto, cambino il loro atteggiamento passando dall’essere “consumatori” all’essere “utenti”, come mostra la Figura 15.1.
Figura 15.1 Le quattro fasi dell’esperienza utente.
Nella prima fase, le persone in qualità di consumatori delineano le proprie aspettative sul dispositivo e sul sistema sia in modo soggettivo (per esempio con semplici desideri) in modo oggettivo (per esempio con la previsione d’uso) sulla base dei vari frammenti di informazione ottenuti attraverso pubblicità e spot televisivi, come anche attraverso altri media, per esempio siti web, articoli di giornale e informazioni da parte di amici. Ciò che è stato enfatizzato dal marketing rispetto alla UX è solamente questa fase. Successivamente, se interessate e motivate all’acquisto, le persone si creano un’impressione del dispositivo e del sistema sulla base di una prova di utilizzo. Il test di usabilità è una misura dell’esperienza interattiva, ma non rappresenta la totalità della UX, dal momento che la durata della prova è in media di circa due ore, troppo breve per essere considerata come una misura globale della UX. Dopo l’acquisto, le persone assumono il ruolo di utenti e iniziano a interagire con il sistema in un contesto reale. Le ripetitive interazioni nell’ambiente reale saranno immagazzinate nella memoria dell’utente di volta in volta, portando in tal modo alla formazione di un giudizio sul sistema. Dal momento che quest’area della UX intesa come valutazione corrisponde a un’esperienza dell’utente di tipo cumulativo immagazzinata in memoria, il suo livello è variabile a seconda della qualità dell’interazione nel tempo. Per quanto concerne il tempo necessario da concedere all’utente prima di effettuare una valutazione della sua esperienze interattiva l’ISO 9241-210 (2010) afferma che sono necessari fra i sei e i dodici mesi mentre, per esempio, lo Users Award Program in Svezia tende a condurre una valutazione dei sistemi tecnologici dopo nove mesi dall’installazione.
356 Capitolo 15
Considerando nello specifico la terza fase della UX, gli stakeholder che si occupano della progettazione della tecnologia devono stimare sia la qualità dell’architettura del sistema (accessibilità) sia la qualità d’uso del sistema (usabilità) sotto la lente dell’esperienza dell’utente, al fine di valutare l’interazione. Una volta che la tecnologia sarà dismessa dall’utente, rimarrà comunque una traccia impressa nella memoria dell’esperienza avuta con la tecnologia. Questa informazione in memoria servirà all’utente come base per la ricerca di una nuova tecnologia iniziando un nuovo ciclo in qualità di consumatore. In questo senso, le quattro fasi presentate formano una struttura a spirale. La prospettiva di UX enfatizza fortemente il fatto che non è possibile ottenere una valutazione realistica analizzando solamente le funzionalità del sistema, specialmente in un contesto sperimentale attraverso strumenti specifici che permettono la valutazione della tecnologia con un certo grado di oggettività (per esempio valutazioni automatiche e valutazioni da parte di esperti). In questo senso, la UX rispetta la filosofia dello User Centred Design (UCD) o Human Centred Design (HCD), spostando l’attenzione dalla vecchia prospettiva di progettazione e valutazione tesa a considerare solo gli aspetti ingegneristici del sistema a una nuova prospettiva che permette di considerare l’esperienza degli utenti con il sistema in un ambiente reale. Non è sufficiente considerare l’oggetto (dispositivo e sistema) e il soggetto (l’utente) come due poli opposti dell’interazione. La debolezza di questo modello dicotomico consiste nella sua incapacità di considerare la relazione intra-sistemica fra sistema e utente come una realtà emergente indipendente non riducibile alle sue componenti (sistema e utente; Federici e Borsci, 2010; Federici et al., 2005). In questo senso, i membri del team di progettazione che mirano a indagare l’interazione devono essere loro stessi i valutatori: la relazione intra-sistemica fra il sistema e l’utente è fondamentale sia dalla prospettiva dell’oggetto sia dalla prospettiva del soggetto (Figura 15.2).
15.2 Da accessibilità e usabilità dei sistemi all’esperienza utente dei sistemi 15.2.1 La relazione fra accessibilità e usabilità Nel campo dell’HCI, sono state proposte differenti definizioni del concetto di usabilità. Tuttavia, oggi è disponibile una definizione condivisa originariamente proposta dall’ISO 9241-11 (1998). Questo standard definisce l’usabilità come “il grado in cui un prodotto può essere usato da specifici utenti per raggiungere specifici obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in un determinato contesto d’uso”. Per quanto concerne, invece, il concetto di accessibilità non esiste un’unica e completa definizione in grado di descriverne le dimensioni di valutazione. Per esempio, secondo la definizione ISO 9241-20 (2009), l’accessibilità è “l’usabilità di un prodotto, servizio, ambiente o strumento, per persone con la più ampia gamma di capacità”. In questa definizione, la relazione fra usabilità e accessibilità non è parallela ma inclusiva.
L’esperienza sistemica dell’utente 357
Figura 15.2 (Vedi inserto a colori.) Relazione intra-sistemica fra gli utenti e gli eSystem. La UX è rappresentata come la prospettiva dell’utente in una relazione intra-sistemica, composta da azioni e feedback, con l’eSystem (Federici et al., 2010; Federici et al., 2005). Le proprietà della progettazione universale che compongono l’eSystem si ottengono tramite l’intersezione della sua accessibilità e usabilità. Seguendo l’impostazione di Petrie e Kheir (2007), i problemi universali di usabilità rappresentano i problemi di interazione sia di accessibilità sia di usabilità che sono individuati da tutti gli utenti quando hanno una pessima relazione con il sistema, dovuta a una pessima UX (problemi di progettazione universale). Quando i problemi riguardano principalmente le persone disabili in interazione possiamo riferirci a “problemi puri di accessibilità”; quando pertengono all’interazione con utenti non disabili possiamo parlare di “problemi puri di usabilità”. Tuttavia fra questi due estremi ci sono molti livelli di problemi interattivi che possono creare problematiche agli utenti disabili e non disabili.
Infatti, il concetto di accessibilità è legato al diritto di “accesso” a un’ampia “gamma di servizi, informazioni, scambi culturali, riaffermazioni di identità e interazioni sociali […] visti come diritti basilari dei cittadini in molte contesti sociali avanzati” (Roulstone, 2010, p. 9). In questo senso, “accessibilità del Web” significa che “le persone con disabilità possono usare il Web […] e più specificatamente che possono percepire, comprendere, navigare e interagire con il Web” (WAI, 2006). Di Blas e collaboratori affermano che “le linee guida del W3C garantiscono solamente una leggibilità tecnica, cioè, il solo fatto che uno screen reader (lettore dello schermo) funzioni non implica che questo strumento assicuri che un sito web sia realmente accessibile a utenti con disabilità visive, e cioè che le persone con disabilità visive possano effettivamente accedere alle informazioni contenute in esso” (2004, p. 1). Questi autori sottolineano che lo scopo più importante del World Wide Web Consortium (W3C) è quello di assicurare un’effettiva esperienza dell’utente o un’accessibilità usabile (Di Blas et al., 2004).
358 Capitolo 15
Tuttavia, è interessante notare come l’accessibilità abbia una definizione meno completa rispetto al concetto di usabilità, mentre, dal punto di vista del processo valutativo, questa risulta avere metodi più definiti e condivisi rispetto all’usabilità. Infatti, l’accessibilità si focalizza sull’analisi oggettiva del sistema attraverso il controllo e la conformità con gli standard delle linee guida internazionali, mentre la valutazione dell’usabilità non ha una metodologia unificata e condivisa. La valutazione dell’usabilità si concentra sul raggiungimento di un obiettivo da parte dell’utente in relazione a efficacia, efficienza e soddisfazione, e risulta così un processo caratterizzato soggettivamente, e quindi meno riducibile e standardizzabile. Questa differenza relativa al processo di valutazione tra accessibilità e usabilità ha dato luogo a un impressionante numero di metodi di valutazione dell’usabilità, tutti validati sperimentalmente e affidabili nei risultati. Nonostante i differenti obiettivi di valutazione, i concetti di accessibilità e usabilità sono interconnessi poiché rappresentano due modi per individuare i problemi interattivi da diversi punti di vista. Come sottolineano Petrie e Kheir, i problemi di accessibilità e usabilità possono essere visti come due insiemi interconnessi, che comprendono le tre categorie seguenti (Figura 15.2): (i) Problemi che riguardano solamente persone disabili; questi possono essere definiti come problemi “di pura accessibilità”; (ii) Problemi che riguardano solo persone che non hanno alcun tipo di disabilità; questi possono essere definiti come “problemi puri di usabilità”; (iii) Problemi che riguardano sia persone con disabilità che persone che non hanno alcun tipo di disabilità; questi possono essere definiti come “problemi di usabilità universale” (2007, pp. 398; vedi anche Horton, 2007; Lazar, 2007; Shneirderman, 2003).
In questo senso, i problemi di accessibilità non sono un sottoinsieme dei problemi di usabilità e viceversa.
15.2.2 Una visione d’insieme sugli standard di usabilità Le organizzazioni che si occupano di standardizzazione internazionale includono l’International Standard Organization (ISO), l’International Electrotechnical Commission (IEC) e il Comité Européen de Normalisation (CEN). Oltre a queste, sono presenti organizzazioni nazionali come il JIS (Japanese Industrial Standards), il DIN (Deutsches Institut für Normung), il BSI (British Standards Institute) e l’ANSI (American National Standards Institute). Queste organizzazioni hanno proposto molti standard e documenti in termini di usabilità e accessibilità, spesso collaborando fra loro. Solitamente, le normative internazionali sono le prime a essere stabilite e, successivamente, vengono tradotte in standard locali. Tuttavia, in alcuni casi, gli standard nazionali si estendono alle normative internazionali, come nel caso della norma JIS X8341-5 (2006), divenuta successivamente l’ISO 9241-20 (2009). Per quanto riguarda il tema dell’usabilità, molte norme e documenti sono stati pubblicati dal Comitato Tecnico (TC) sull’ergonomia dell’ISO (www.iso.org). Questo comitato, riconosciuto con la sigla ISO/TC159, è composto da quattro sottocomitati (SC) – SC1, SC2, SC3, e SC4 – tra i quali il comitato SC4 è incaricato del tema “Ergonomia dell’iterazione uomo-sistema”. A sua volta il sottocomitato SC4 è diviso
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in 11 Gruppi di Lavoro (WG), fra questi il WG6 è quello incaricato del tema “Processi di progettazione centrata sull’uomo per i sistemi interattivi”. Il gruppo WG6 del comitato TC159 ha pubblicato alcuni dei più importanti standard di usabilità, come segue. •
ISO 9241-11 (1998): questa norma fornisce ai professionisti dell’iterazione sia la definizione di usabilità sia i suoi tre sottoconcetti, cioè efficacia, efficienza e soddisfazione. Allo stato attuale, questa norma è considerata lo standard mondiale per definire l’usabilità.
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ISO 9241-171 (2008): questo standard è importante per la sua definizione di HCD e di UX. Inoltre, la descrizione di come un elevato livello di UX possa essere raggiunto tramite un processo di HCD è una parte fondamentale di questo standard. Viene qui infatti proposto un modello di HCD a quattro stadi che lavora su quattro obiettivi: (i) comprendere e specificare il contesto d’uso; (ii) specificare le necessità dell’utente; (iii) produrre soluzioni di tipo progettuale; (iv) valutare il design rispetto alle specifiche di riferimento.
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ISO/TR 18529 (2000): questo documento, come descritto nell’ISO 9241-171, corrisponde a un primo tentativo di estendere lo scopo della HCD dal solo design all’intero ciclo di vita della tecnologia, specificando i metodi che dovrebbero essere adottati in ogni attività del processo.
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ISO/TR 16982 (2002): questo documento presenta in dettaglio tutti i metodi che dovrebbero essere adottati in ogni fase del processo di progettazione centrata sull’utente, come descritto nell’ISO 9241-210. Tuttavia, la discussione che riguarda la validità di questa norma è ancora aperta.
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ISO/PAS 18152 (2003): questo documento, noto anche come ISO/TR 16982 (2002), è un’estensione del concetto di HCD e dell’approccio al ciclo di vita della tecnologia. La norma propone un modello individuo-sistema (HS) per la valutazione della maturità di un’organizzazione nello svolgimento dei processi che rendono un sistema usabile, salutare e sicuro. Questo processo è costituito da quattro componenti individuo-sistema: HS.1 – Coinvolgimento nel ciclo di vita; HS.2 – Integrazione dei fattori umani; HS.3 – Ingegneria dell’usabilità (la stessa di quella descritta nella norma ISO 9241-210); HS.4 – Risorse umane.
Tutte le norme descritte finora riguardavano i processi di buona progettazione. Un ulteriore insieme di norme mira invece a introdurre il concetto di “facilità dell’operazione”: ISO 20282-1 (2006a)BE, ISO/TS 20282-2 (2006b), ISO/PAS 20282-3 (2007), ISO/PAS 20282-4 (2007). Questi standard si riferiscono all’usabilità dei prodotti di tutti i giorni in cui la facilità delle d’uso, – definita come la funzionalità stessa del prodotto e il corretto funzionamento delle interfacce utente – è considerata come strettamente connessa al concetto di usabilità. Tuttavia, il dibattito internazionale sulla adeguatezza di queste norme è ancora aperto.
360 Capitolo 15
Un altro tipo di norme sull’usabilità è stato prodotto dal comitato JTC 1 in tema di tecnologie dell’informazione, e in particolare dal sottocomitato SC 7 sulla progettazione dei software e dei sistemi. •
ISO/IEC 25062 (2006): questa norma definisce la tipologia dei test di usabilità intesi come metodi di valutazione. Il punto qui è che l’ISO 9241-11 (1998) fornisce i concetti chiave specialmente in relazione alla definizione del concetto di usabilità mentre l’ISO 9241-171 (2008) mostra il processo con cui sviluppare il modello HCD. Seguendo la stessa impostazione dell’ISO 9241-171 (2008) sono state diffuse altre norme e documenti come l’ISO/TR 18529 (2000), l’ISO/PAS 18152 (2003), l’ISO/TR 16982 (2002), la serie di ISO 20282 (2006a) e infine l’ISO/IEC 25062 (2006). Oggi, alcune di queste norme sono state riorganizzate nella serie di norme dall’ISO 9241-200 fino alla 210, 220 e 230 (2010). Nello specifico, la norma 200 è stata pensata per ridefinire i concetti a essa correlati nelle norme della serie.
Questo breve quadro d’insieme permette di comprendere come il concetto di usabilità sia esteso e connesso a numerose dimensioni dell’HCI. In particolare, analizzando gli standard relativi all’usabilità, appare evidente la interrelazione con il concetto di accessibilità rintracciabile in alcune definizioni nazionali e internazionali, come la normativa americana nota come “Section 508” contenuta nello US Rehabilitation Act del 1973 (vedi il sito web www.section508.gov per la documentazione relativa), la serie di norme JIS X8341 e le definizioni della WAI, che trovano applicazione negli standard di usabilità. La relazione fra accessibilità e usabilità è chiaramente espressa dall’ISO/IEC Guide 71 (2001), che definisce uno standard in grado di tenere conto dei bisogni di persone della terza età e dei disabili nell’interazione con le tecnologie; nell’ISO 9241-20 (2009), invece, vengono descritte le linee guida di accessibilità per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione di apparecchiature e servizi, mentre nell’ISO 9241-171 (2008) viene descritta una guida per l’accessibilità dei software. La relazione fra accessibilità e usabilità è particolarmente evidente nell’ISO/IEC Guide 71 (2001), in cui viene riconosciuto che accessibilità e usabilità sono entrambe importanti per prodotti e servizi, poiché “alcune persone con estese e complesse disabilità possono avere bisogno di accedere a questi prodotti”. Questa guida: 1. descrive un processo attraverso il quale, nello sviluppo di standard, devono essere presi in considerazione i bisogni di persone della terza età e di persone con disabilità; 2. fornisce tabelle per consentire agli sviluppatori di standard di mettere in relazione le clausole rilevanti di uno standard con i fattori che devono essere presi in considerazione per assicurare che tutti i livelli di abilità siano rispettati; 3. offre descrizioni del funzionamento corporeo o delle capacità umane e le implicazioni pratiche relative alla disabilità;
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4. propone una lista di fonti degli standard che gli sviluppatori di standard possono utilizzare per studiare materiali e avere indicazioni più dettagliate e specifiche (ISO, 2001). Come abbiamo visto in questa sezione, l’interrelazione fra i concetti di accessibilità e usabilità è chiaramente evidenziata sia nelle normative sia nell’approccio teorico della UX. Sebbene questa relazione sia evidente, gli esperti tendono a considerare queste due dimensioni separatamente nel processo di valutazione di un prodotto, proponendo due momenti di valutazione non correlati fra loro: la valutazione dell’accessibilità e la valutazione dell’usabilità. In questi due momenti, l’accessibilità rappresenta la valutazione dell’accesso all’interazione da un punto di vista oggettivo, intesa come la misura con cui l’architettura dell’informazione è conforme agli standard (oggettività), e l’usabilità rappresenta la valutazione soggettiva dell’interazione attraverso l’uso da parte dell’utente (soggettività). Questa forte divisione fra aspetti oggettivi e soggettivi dell’interazione negli studi di UX può essere ricomposta solo attraverso un modello integrato di valutazione dell’interazione (Federici e Borsci, 2010).
15.3 Valutazione dei sistemi 15.3.1 Un quadro concettuale: il modello integrato di valutazione dell’interazione La relazione fra accessibilità e usabilità, come abbiamo detto, è spesso ricondotta in modo superficiale alla classica relazione dualistica fra oggettivo e soggettivo (Federici e Borsci, 2010; Federici et al., 2005). Tuttavia, questa semplificazione non coglie tutti gli aspetti coinvolti nell’interazione fra la tecnologia e l’utente (Annett, 2002; Kirakowski, 2002). Come messo in evidenza da Federici e Borsci: L’accessibilità si riferisce al codice dell’interfaccia che permette all’utente di accedere e raggiungere l’informazione (per esempio, un utente può leggere, tramite screen reader, il testo alternativo che descrive una figura); l’usabilità riguarda, invece, la percezione soggettiva (soddisfazione) dell’efficienza e dell’efficacia della struttura dell’interfaccia (per esempio, un utente è soddisfatto dell’interfaccia perché questa gli ha permesso immediatamente di ottenere l’informazione cercata). Tuttavia, quando la relazione fra accessibilità e usabilità è espressa in questo modo bipolare, l’accessibilità dovrebbe essere considerata come il polo oggettivo dell’interazione, mentre l’usabilità può essere correlata agli aspetti soggettivi e quindi determinata da differenze intrinseche dei singoli utenti. Da questa prospettiva, un prodotto tecnologico è ridotto a un’entità neutrale che funziona indipendentemente dall’utente in un ambiente d’uso neutrale. Come risultato, una tecnologia potrebbe essere perfettamente accessibile ma non usabile. Di conseguenza, l’usabilità non riguarda affatto gli aspetti tecnologici del funzionamento di un sistema, ma piuttosto una dimensione legata agli aspetti cognitivi e funzionali delle differenze individuali (2010, p. 2).
362 Capitolo 15
Pertanto, come affermato da Federici e collaboratori (2005), quando parliamo di elementi oggettivi e soggettivi in riferimento ad accessibilità e usabilità nell’interazione utente-computer, queste non possono essere considerate come due entità separate, ma come due diversi momenti entrambi inclusi nello stesso continuum di osservazione empirica: ciascuna entità non può essere considerata separatamente da chi osserva durante il processo di interpretazione/ricostruzione, dal momento che l’oggetto è noto al soggetto esclusivamente in qualità di entità osservata e percepita (Figura 15.3).
Figura 15.3 (Vedi inserto a colori.) La figura rappresenta le possibili prospettive durante la valutazione della relazione intra-sistemica fra l’utente e il sistema: una orientata all’oggetto, l’altra orientata al soggetto. La valutazione dell’interazione considera non solo le proprietà delle singole dimensioni (accessibilità e usabilità), ma anche le relazioni che legano gli aspetti oggettivi a quelli soggettivi (e viceversa). In questo contesto, accessibilità e usabilità sono considerate come momenti necessari per la valutazione della relazione intra-sistemica fra interfaccia e utente.
Da questa prospettiva, accessibilità e usabilità non possono essere intese come caratteristiche relative a due separate entità in interazione ma piuttosto come componenti di una relazione intra-sistemica in cui oggettivo e soggettivo sono esclusivamente momenti di un processo multifasico di osservazione empirica. Questo impedisce l’esistenza di prodotti tecnologici creati separatamente dai loro utenti, garantendo così che l’accessibilità di una tecnologia si riferisca sempre solo al possibile ingresso e all’uscita di un segnale necessario per raggiungere il compito per cui la tecnologia è stata progettata, in costante rapporto sia con il suo progettista sia con il suo utilizzatore finale. In questo senso, una tecnologia non dovrebbe essere allo stesso tempo accessibile e non usabile.
L’esperienza sistemica dell’utente 363
In accordo con il modello integrato, Federici e Borsci (2010) considerano accessibilità e usabilità come due costrutti che non si riferiscono a fattori soggettivi e oggettivi della relazione utente-tecnologia, quanto piuttosto a un modo bidirezionale di osservare l’interazione. In realtà, questo modello rappresenta due prospettive attraverso cui si delinea l’unica e sola realtà dell’interazione utente/tecnologia osservata. L’accessibilità di un sistema è quindi definita in base a come questo permette all’utente di dare inizio e portare a termine un compito (funzionamento di costrutto), mentre la sua usabilità si basa sulla percezione dell’interazione da parte dell’utente (performance dell’utente). Il funzionamento di costrutto di un sistema è alla base di regole standard (per esempio le Web Content Accessibility Guidelines), rispetto alle quali sono controllati e valutati i livelli di accessibilità. Le performance degli utenti, in relazione al funzionamento di costrutto, ci permettono di dedurre le scale (per esempio efficienza, soddisfazione, carico cognitivo e disponibilità) per stabilire una valutazione di usabilità. L’oggetto della valutazione non può essere semplicemente ridotto al manufatto o all’utente: ciò che deve essere valutato è la funzionalità del dialogo intra-sistemico tra l’utente (la dimensione soggettiva della interazione) e l’interfaccia (la dimensione oggettiva dell’interazione). La valutazione di accessibilità e usabilità, pertanto, deve essere intesa come la misura della possibilità per l’utente di raggiungere i propri obiettivi attraverso l’interfaccia. La valutazione della relazione intra-sistemica tra utente e tecnologia include metodi orientati all’oggetto così come metodi orientati al soggetto; tuttavia, la valutazione complessiva non può essere ottenuta con la semplice somma dei risultati provenienti da due diversi metodi, ma piuttosto da un processo di valutazione che sia in grado di considerare e integrare tra loro la valutazione di accessibilità e di usabilità. Un modello integrato di valutazione dell’usabilità è compatibile con un modello universale di disabilità in cui abilità /disabilità devono essere considerate all’interno di un continuum. Utilizzare i termini “abilità” e “disabilità” per riferirsi a un funzionamento individuale in un contesto reale può essere soltanto di interesse teoretico, dal momento che nessuno possiede una completa assenza di disabilità o completa assenza di abilità (Bickenbach et al., 1999; OMS, 2002; Zola, 1989). Tuttavia, abilità/disabilità sono considerate in termini di attività svolte da un individuo, che originano da un ambiente specifico e sono valutate in base a un costrutto di funzionamento predeterminato. Queste attività possono cambiare la topologia di un ambiente e il costrutto in relazione al processo e alla misura attesa del suo funzionamento. Il modello proposto da Federici e Borsci (2010) si basa sulle fondamenta teoriche della UX, e sull’idea che i problemi di UX siano originati dalla distanza fra i modelli mentali del progettista e dell’utente di un medesimo prodotto utilizzati per riflettere sul sistema, anticipare il suo comportamento e spiegare perché esso reagisca in un determinato modo (Craik, 1943). I modelli mentali, definiti da Norman (1983) come “sistema di nessi causali”, riguardano raggruppamenti di conoscenze e competenze che guidano il soggetto all’interazione (utente) o alla creazione (designer) di un’interfaccia. Dal punto di vista del processo di valutazione, dobbiamo considerare quanto segue.
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I processi cognitivi dello sviluppatore coinvolti nella progettazione del sistema sono per lo più collegati a strategie di problem solving, alla rappresentazione della conoscenza e al livello di competenze acquisito in ambienti che richiedono compiti complessi. Anche se questi processi sono stati analizzati a fondo, le difficoltà dovute al processo di “simulazione” delle azioni dell’utente non sono mai state studiate in modo approfondito. Quando si progetta un’interfaccia, gli sviluppatori simulano come si comporterà un utente per raggiungere specifici obiettivi; quindi, il progettista sviluppa le funzioni del sistema in base alla sua idea di un utente potenziale e di un’interazione ipotetica. Inoltre, ci sono molti stakeholder coinvolti nel processo di sviluppo, tra cui il manager, il progettista, i pubblicitari, l’addetto alle vendite e così via, i quali non condividono necessariamente la stessa identica immagine del sistema. In questo modo, il progettista è costretto a integrare le proprie competenze di progettazione con la capacità del team di simulare il comportamento dell’utente: l’applicazione di modelli standardizzati offerti da varie linee guida internazionali sull’accessibilità e usabilità, tuttavia, anche se permette in una certa misura una rappresentazione condivisa del comportamento dell’utente tipico, non è sufficiente a garantire il successo di un prodotto. Pertanto, al fine di fornire un prodotto soddisfacente, il progettista deve possedere una certa capacità di “simulare” i possibili comportamenti degli utenti. Tuttavia, la capacità di “simulare” il comportamento di qualcun altro comporta un pattern di attività cognitive notevolmente complesso (Decety e Jackson, 2004; Meltzoff e Decety, 2003).
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I processi cognitivi dell’utente: l’interazione dell’utente con il sistema è un processo piuttosto differente dalla progettazione, sebbene sia noto che, interagendo con l’interfaccia, l’utente applichi gli stessi processi cognitivi utilizzati dal progettista nella creazione della tecnologia (ovvero, problem solving, rappresentazione di conoscenze e competenze pregresse). Grazie a questi processi condivisi, l’utente è in grado di “operare” nell’interfaccia (se l’interfaccia è comprensibile e utilizzabile). Tuttavia, mentre il progettista applica questi processi cognitivi condivisi con l’utente durante la simulazione di un ipotetico comportamento di un utente (cioè nella progettazione dell’architettura dell’informazione), l’utente reale non ha bisogno di simulare le intenzioni del progettista. I processi cognitivi dell’utente sono impiegati esclusivamente al fine di eseguire azioni nell’interfaccia e l’utente deve mettere da parte il proprio modello mentale del sistema, come invece accade nel caso del progettista. Pertanto, le azioni eseguite dall’utente nell’interfaccia non si basano su un’interazione “immaginata” o su una “simulazione”, ma vengono piuttosto sperimentate direttamente.
La distanza che separa progettista e utente nell’interazione dipende soprattutto dalle differenti modalità in cui essi applicano il proprio modello mentale: la simulazione dell’interazione da parte del progettista e l’interazione reale dell’utente con il sistema. La distanza tra progettista e utente può essere ridotta dalle competenze di questi due attori nell’adattare il proprio modello mentale alle azioni richieste (simulazione e
L’esperienza sistemica dell’utente 365
interazione). Più sarà competente il designer nella simulazione dell’utente ipotetico, minore sarà la distanza che separa il modello mentale ipotizzato dal progettista da quello degli utenti reali; allo stesso tempo, maggiore sarà la competenza di un utente in relazione al funzionamento di un sistema, minore sarà la distanza dal modello concettuale dell’interfaccia (e quindi dal modello del progettista). Sia il modello mentale dell’utente sia quello dello sviluppatore sono parte dell’oggetto che dobbiamo misurare (l’interazione). Pertanto, non possiamo usare come standard di misurazione della distanza fra i modelli mentali del progettista e dell’utente né le aspettative rispetto a come il sistema dovrebbe funzionare (cioè la prospettiva utilizzata dal progettista), né l’esperienza e la soddisfazione percepita dagli utenti nell’interazione con il sistema (cioè il punto di vista dell’utente). Entrambe queste prospettive, infatti, sono solamente una parte di ciò che dobbiamo misurare. In questo senso, è necessario individuare un’unità di misura esterna in grado di generalizzare la relazione fra i due modelli. Questa unità standard che vogliamo introdurre può essere ottenuta solo attraverso l’introduzione di un modello mentale esterno (il modello del valutatore) che sia in grado di stimare la distanza fra i due attori coinvolti nell’interazione intra-sistemica. Questo modello dovrebbe essere creato sulla base delle line guida attualmente disponibili – come le Web Content Accessibility Guidelines 2.0, le liste euristiche, i principi di design e così via – e dai metodi di valutazione dell’usabilità. Un modello mentale del valutatore così composto sarebbe in grado di introdurre una nuova unità di misura convenzionale, la cui affidabilità sarebbe garantita dalla convergenza della comunità scientifica internazionale. Ulteriormente, questa nuova unità di misura dovrebbe anche rispettare i principi dell’economia (efficacia ed efficienza), ovvero dovrebbe favorire la diminuzione dei costi per l’identificazione dei problemi nella valutazione dell’interazione. In questo senso, i problemi di interazione sono considerati come le unità della distanza fra i due modelli mentali (Figura 15.4). Il modello mentale del valutatore, esattamente come gli altri due, è composto dalla competenza e dalle conoscenze del valutatore. E ancora, altre due componenti che influenzano il processo di valutazione, costituiscono questo modello mentale. 1. Le linee guida internazionali di accessibilità e progettazione che determinano gli standard che il valutatore deve prendere in considerazione quando valuta le proprietà dell’interfaccia (accessibilità e usabilità). 2. Le tecniche realmente applicate dal valutatore per analizzare accessibilità, usabilità e soddisfazione. L’uso di una specifica tecnica di valutazione obbliga il valutatore ad adattare il suo modello mentale alla prospettiva che sta alla base della tecnica stessa. In altre parole, dal momento che le tecniche impiegate per la valutazione influenzano il modello mentale adottato dal valutatore, possiamo dire che il risultato della valutazione sia in larga misura dipendente dalla tecnica applicata.
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Figura 15.4 Il ruolo del modello mentale del valutatore dalla prospettiva della valutazione della UX: il modello mentale del designer è incarnato nel sistema componendo il modello concettuale (funzionamento del sistema). Lo sviluppatore progetta il sistema in relazione alla sua esperienza, alle sue conoscenze e così via. Il designer, prendendo in considerazione standard e linee guida, immagina un’interazione (attesa) sulla base di un modello di utente. L’utente reale applica il proprio modello nell’interazione con l’immagine del sistema utilizzando le diverse informazioni che riesce a ottenere e ricavare dal sistema che sta utilizzando. L’utente nell’interazione reale ha esperienza di problemi interattivi, che dal punto di vista del sistema sono errori. Il modello mentale del valutatore è coinvolto nella valutazione, attraverso tecniche specifiche per osservare sia l’oggetto (sistema) sia il soggetto (l’utente) e misurare la distanza fra il modello mentale del designer e quello dell’utente.
Alla fine del processo, il valutatore dovrebbe aver ottenuto: il livello di accessibilità, quello di usabilità e il grado di soddisfazione e, come misura diretta o indiretta, la misura della distanza fra il modello mentale del progettista e quello dell’utente, intesa come la misura della distanza fra le funzioni tecnologiche – ovvero il modello concettuale creato dal modello mentale del progettista – e il funzionamento della
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tecnologia come è realmente percepito dall’utente. Il valutatore ottiene la misura della distanza dell’interazione attraverso un processo comparativo degli errori oggettivi, analizzati attraverso le analisi degli esperti (con metodi orientati all’analisi dell’oggetto) con i problemi rilevati dalle valutazione degli utenti (con metodi orientati all’analisi soggettiva). Questo abbinamento permette di misurare la distanza tra l’interazione immaginata/progettata dal designer per un ipotetico fruitore e l’interazione percepita dall’utente reale.
15.4 Esempio di applicazione del concetto di UX nella progettazione di sistemi per la riabilitazione 15.4.1 La UX nel processo di valutazione di tecnologie assistive Applicando l’approccio integrato a un sistema riabilitativo, dobbiamo prendere in considerazione che la valutazione della UX non riguarda solamente l’esperienza dell’utente con una tecnologia assegnata, ma anche l’esperienza avuta dall’utente rispetto al funzionamento dell’intero processo di valutazione delle tecnologie assistive (ATA process), cioè le azioni del centro ausili, che può essere considerata come il grado di accessibilità e usabilità del servizio. Infatti, il processo di assegnazione di un centro ausili dev’essere considerato esso stesso come l’interfaccia di un sistema attraverso il quale un utente può raggiungere un obiettivo. In questo senso, possiamo valutare l’esperienza dell’utente nell’ATA process a un doppio livello (Figura 15.5). 1. Il primo livello riguarda la valutazione della UX rispetto all’ATA process (cioè, il grado di accessibilità e usabilità nella relazione fra utente e centro ausili). Questo livello di valutazione è connesso a soluzioni di gestione del processo in grado di garantire l’accesso e l’uso del servizio. Anche se è lontano dalla classica valutazione della UX, dal momento che riguarda aspetti di tipo economico e manageriale, è tuttavia necessario per garantire una corretta valutazione della tecnologia assistiva (TA) (secondo livello di analisi). Infatti, la progettazione di un buon ATA process è il modo migliore per ottenere un abbinamento soddisfacente fra utente e tecnologia. Per ottenere questo, l’ATA process deve essere valutato secondo le dimensioni descritte da Sherer e DiCowden (2008), ovvero benessere delle persone, contesto sociale e legislativo e tecnologia. L’accessibilità a questo livello di analisi è determinata dalla possibilità e dal grado di soddisfazione dell’utente nel contattare/accedere al centro ausili, e viene misurata secondo le seguenti dimensioni: i costi percepiti dall’utente in termini di uso e accesso al servizio per raggiungere il suo obiettivo, la possibilità di raggiungere (fisicamente) il servizio (disponibilità), la facilità di contattarlo (comfort), le aspettative dell’utente (apparenza) e la percezione (o conoscenza) delle performance del servizio. L’efficienza nell’ATA process è garantita dal modo e dal tipo di dati raccolti e dal lavoro dello staff del centro ausili (team multidisciplinare). L’efficienza, definita nei termini
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di “Risorse spese in relazione all’accuratezza e alla completezza con cui l’utente raggiunge l’obiettivo” (ISO, 1998), è misurata in relazione ai costi in termini di tempo e carico di lavoro percepito dagli utenti per l’ottenimento della TA. In questa fase l’efficienza del processo, definita come “accuratezza e completezza con cui l’utente raggiunge uno specifico obiettivo” (ISO, 1998), è strettamente connessa all’efficacia misurata secondo parametri riferiti a una condizione ideale. Infatti, prima della valutazione della UX della TA e dell’utilizzo della TA in condizioni di vita quotidiana è impossibile misurare realmente l’efficacia del processo di assegnazione e la reale soddisfazione d’uso dell’utente. •
Il secondo livello è la valutazione della UX delle soluzioni assistive (cioè l’abbinamento fra l’utente e la soluzione tecnologica). Questa fase è il punto centrale del processo di abbinamento, cioè il momento in cui l’utente è coinvolto nell’uso e nella valutazione della TA. Dopo l’abbinamento è possibile misurare, attraverso strumenti come i questionari o le interviste, l’efficacia della relazione dell’utente con la soluzione assistive nel mondo reale e la sua soddisfazione sia rispetto sia alla TA assegnata sia rispetto all’ATA process per mezzo del quale la tecnologia è stata erogata (Figura 15.5).
Figura 15.5 (Vedi inserto a colori.) Le dimensioni e le misure della valutazione della UX del modello funzionale dell’ATA process di un centro ausili. In questo schema, la valutazione della UX della TA, con le sue dimensioni, è parte dell’efficacia e dell’efficienza della valutazione della relazione fra l’utente e il centro ausili.
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La valutazione della UX è uno dei momenti più importanti per ottenere quello che la World Health Organization chiama un servizio di riabilitazione prioritario, che sia in grado di “garantire l’accesso a interventi di riabilitazione tempestivi, accessibili e di alta qualità” (WHO, 2011, p. 121) al fine di fornire TA che siano “conformi all’ambiente” e “adattabili per gli utenti” garantendo inoltre “un adeguato follow-up per accertare la sicurezza e l’efficienza d’uso” (WHO, 2011, p. 118). Infatti, la valutazione della UX può essere utilizzata per misurare sia l’interazione con la tecnologia sia l’intero processo ATA, così come viene percepito dall’utente, al fine di valutare e migliorare entrambi. Un altro tipo di applicazione del modello concettuale della UX è connesso alla progettazione del prodotto. Nella prossima sezione presenteremo il concetto di sonificazione per mostrare lo sviluppo di un particolare tipo di tecnologia mirata in particolar modo a persone con disabilità visive, al fine di esemplificare come il concetto di UX unito ad aspetti cognitivi possa essere utilizzato per creare innovazione e aprire possibilità d’uso a persone con disabilità.
15.4.2 La sonificazione di un sistema La modalità in cui la rappresentazione dello spazio viene elaborata è un concetto molto discusso in letteratura. Molti autori hanno analizzato se la rappresentazione spaziali sia direttamente guidata dall’esperienza visiva oppure se questa sia connessa ad altre vie sensoriali che permettono rappresentazioni spaziali equivalenti. Sebbene alcuni abbiano sottolineato che l’esperienza visiva sia di massima importanza nel processo di elaborazione di informazioni spaziali (Thinus-Blanc e Gaunet, 1997), vi è un ampio consenso sul fatto che la rappresentazione spaziale dell’informazione sia indipendente dalla modalità in cui gli input sensoriali vengono presentati. Nello specifico, alcuni studi hanno evidenziato che i soggetti con disabilità visive mostrano una migliore performance nell’elaborazione di input spaziali di tipo uditivo rispetto a persone vedenti (Avraamides et al., 2004; Mast et al., 2007; Zimmer, 2001). Ulteriormente, come proposto da Bryant (1992, 1997), ciechi congeniti coinvolti in compiti di esplorazione spaziale guidata solamente da indizi acustici naturali mostrano un’abilità motoria equivalente in modo funzionale al metodo visuo-centrico adottato da persone vedenti. A partire da queste considerazioni, è stato proposto un sistema amodale di rappresentazione spaziale che utilizza informazioni uditive, tattili e cinestetiche per l’elaborazione delle relazioni tra informazioni spaziali da parte di persone con disabilità visive (Millar, 1994). Questi risultati sembrano tuttavia essere in contrasto con altri studi, nei quali si afferma che l’elaborazione dell’informazione spaziale sia direttamente connessa all’esperienza visiva e che una minore efficienza in relazione alle abilità spaziali sia dovuta alla mancanza di una esperienza visiva (Ungar et al., 1997). A partire da questi presupposti, negli ultimi trent’anni molti studi in diversi campi di ricerca si sono concentrati sull’analisi delle differenti modalità di trasmissione dell’informazione spaziale attraverso canali sensoriali non visivi, con una particolare attenzione ai metodi di sonificazione come alternativa ai metodi visivi e tattili tradizionali. Questo approccio alternativo per la trasmissione dell’informazioni spaziali
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risulta essere particolarmente utile in scenari complessi in cui si presenta la possibilità di un sovraccarico di lavoro visivo o la presenza di molteplici distrattori e segnali incompleti dovuta al rumore visivo. La natura del suono, a seconda delle informazioni da trasmettere circa una determinata posizione spaziale, sembra essere in grado di comunicare la complessità delle rappresentazioni, siano esse statiche o dinamiche, mantenendo invariate le relazioni insite tra le componenti (Brunetti et al., 2005; Brunetti et al., 2008). La sonificazione, così come è stata definita da Kramer e collaboratori, si riferisce alla “trasformazione dei rapporti fra dati in rapporti percepiti tramite un segnale acustico per facilitare la comunicazione o l’interpretazione” (1997, p. 3). A partire dal 1980, un numero crescente di studi – soprattutto nell’informatica e in campi correlati – si è concentrato sulla realizzazione di differenti metodi di trasmissione delle informazioni spaziali attraverso canali sensoriali non visivi al fine di favorire sia l’accesso ai contenuti sia all’organizzazione spaziale dell’informazione da comunicare. Per esempio, alla fine degli anni Ottanta alcuni ricercatori hanno progettato e testato diversi sistemi basati su suoni rappresentativi di informazioni spaziali, evidenziando che l’interazione individuo-computer potrebbe essere migliorata per mezzo di segnali acustici non verbali su interfacce grafiche (Blattner et al., 1989; Gaver, 1986; Sumikawa et al., 1985). Inoltre, negli anni Novanta, Barfield e collaboratori (1991) e Brewster (1997, 1998) hanno progettato interfacce non verbali basate sull’uso di earcone (icone sonore), vale a dire pattern musicali in grado di fornire facilitatori di navigazione in menu di tipo gerarchico. Analizzando le prestazioni di riconoscimento effettuate successivamente all’interazione con queste interfacce da parte di soggetti non vedenti, gli autori hanno verificato l’efficacia degli elementi acustici non verbali: i soggetti ciechi, infatti, hanno mostrato un più elevato livello di precisione nelle operazioni di riconoscimento, evidenziando che il sistema proposto potrebbe essere utilizzato in compiti di orientamento spaziale (Barfield et al., 1991; Brewster, 1997). Al fine di mantenere inalterata la corrispondenza tra le posizioni spaziali visive e le posizioni spaziali acustiche, un ampio numero di ricercatori ha sviluppato sistemi basati sull’uso di altoparlanti. Per esempio, Lakatos (1993) ha proposto un sistema basato su altoparlanti per la trasmissione di segnali audio-spaziali complessi per analizzare le prestazioni di riconoscimento dei pattern di utenti vedenti; inoltre, Golledge e colleghi (1991) e Shinn-Cunningham e colleghi (1996) hanno progetto un sistema in grado di simulare sorgenti sonore realistiche provenienti da punti spaziali differenti attraverso l’utilizzo di altoparlanti disposti nello spazio. L’applicazione delle tecniche di sonificazione al processo di progettazione di un sistema di interfacce spaziali sembra essere utile per creare strumenti per la mobilità, come strumenti elettronici per la facilitazione dei percorsi di viaggio (in inglese electronic travel aids, ETA) in grado di “rilevare l’ambiente all’interno di una certa area o distanza, elaborare la relativa informazione e fornire all’utente una data informazione in forma intelligibile e fruibile” (Farmer Smith, 1998, p. 238). Le tecniche Sonar sono quelle più utilizzate per gli ausili per la mobilità, e consentono agli utenti con disabilità visive di percepire l’informazione spaziale dell’ambiente per mezzo di una fonte che trasduce un segnale a ultrasuoni in un feedback uditivo o tattile (Kay, 1964). Come affermato da Farmer e Smith (1998), è possibile distinguere quattro categorie di ETA.
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1. Dispositivi che trasmettono una solo tipo di risposta per rappresentare l’informazione, come i dispositivi che emettono un feedback audio-tattile per indicare gli ostacoli che l’utente può incontrare in un percorso, per esempio il Mowat Sensor (Morrissette et al., 1981) o il Sonicguide (Kay, 1974). 2. Dispositivi che trasmettono risposte multiple per rappresentare l’informazione, per esempio il Laser Cane proposto da Benjamin, un bastone da passeggio in grado di ricevere e trasmettere segnali spaziali per aiutare persone con disabilità visive a esplorare e muoversi all’interno di un ambiente urbano (1973, 1974). 3. Dispositivi in grado di rappresentare sia la preview di un oggetto sia l’informazione relativa all’ambiente, per esempio il Kay’s Advanced Spatial Perception Aid Technology, KASPA, 2000), un dispositivo a emissione di ultrasuoni (che richiede quasi un mese di addestramento all’uso) progettato per permettere agli utenti in movimento di evitare gli ostacoli nell’ambiente circostante (Kay, 2001). 4. Dispositivi che incorporano un’intelligenza artificiale, per esempio il Sonic Pathfinder, uno strumento sonificato progettato da Heyes (1984) al fine di aiutare i non vedenti a evitare gli ostacoli traducendo gli oggetti che incontrano nel percorso in note musicali trasmesse da cinque altoparlanti di input/output. Sebbene tutti gli studi citati si siano concentrati sulla sostituzione sensoriale per persone con disabilità visive, emerge una criticità: per nessuna delle tecnologie e modelli di sonificazione delle informazioni illustrati è stata effettuata un’analisi dell’accessibilità e dell’usabilità, sottolineando la mancanza di un effettivo approccio usercentered nel processo di progettazione. Questo problema potrebbe essere spiegato notando che i suddetti studi sono stati effettuati attraverso un processo di progettazione centrato sull’oggetto. Infatti, gli utenti sono stati coinvolti solo dopo che il prototipo è stato sviluppato, escludendo in questo modo la prospettiva soggettiva, che è fondamentale per analizzare le componenti di interazione tra l’utente e la sonificazione dell’interfaccia. Uno dei primi studi che ha tentato di costruire un sistema di sonificazione seguendo un approccio centrato sull’utente è stato proposto negli anni Novanta da Meijer (1992), che ha effettuato un’analisi sperimentale di una sistema in un contesto di vita quotidiana. Nel suo lavoro Meijer ha introdotto il sistema vOICe, un software creato per “permettere alle persone con disabilità visive di vedere letteralmente attraverso i suoni” per mezzo di una scansione orizzontale continua dell’ambiente di vita reale, registrata da una telecamera portatile utilizzata per analizzare e tradurre la scena circostante in un segnale acustico sinusoidale. Al fine di rilevare l’attivazione neurale in soggetti vedenti e non vedenti durante i compiti di riconoscimento dell’oggetto, il sistema vOICe è stato recentemente analizzato utilizzando le tecniche di fMRI (Amedi et al., 2007): attraverso questo tipo di analisi, i ricercatori hanno scoperto che nella navigazione spaziale tramite vOICe vi è un’attivazione delle aree occipitali laterali – generalmente usate per codificare informazioni spaziali-visive – in risposta a stimoli uditivi (Merabet et al., 2008). Più recentemente, Zhao (del laboratorio di Human Computer Interaction dell’Università del Maryland) ha proposto un nuovo
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tipo di tecnica di sonificazione in grado di trasmettere dati geo-referenziali attraverso segnali acustici e tattili (Zhao et al., 2005; Zhao et al., 2004) e ha sviluppato un nuovo sistema chiamato iSonic, un strumento di sonificazione che permette l’esplorazione di mappe con indicazioni geo-referenziate a persone con disabilità visive attraverso informazioni acustiche e tattili combinate per mezzo di tecniche di esplorazione. L’usabilità di iSonic è stata testata sia su persone con cecità acquisite di lunga data (Zhao et al., 2008), sia su soggetti bendati, ciechi congeniti e ciechi acquisiti (Olivetti Belardinelli et al., 2007). Attraverso questi studi di usabilità, gli autori hanno suggerito che durante l’orientamento spaziale, i soggetti parzialmente o totalmente non vedenti hanno mostrato una preferenza nell’utilizzo di strategie body-centred, basate cioè su punti di riferimento corporali, piuttosto che strategie allocentriche, spesso adottate in compiti di rotazione mentale e di analisi del compito (Delogu et al., 2010; Olivetti Belardinelli et al., 2009).
Applicazione del modello concettuale di UX al fine di progettare un motore di ricerca visuale sonificato Nel 2009 il Dipartimento di Ingegneria Elettronica e dell’Informazione (DIEI) dell’Università degli Studi di Perugia, insieme con il Centro di Ricerca Interuniversitario sull’Elaborazione Cognitiva nei Sistemi Naturali ed Artificiali (ECoNA) della Sapienza – Università di Roma, hanno implementato una versione sonificata del sistema WhatsOnWeb (Di Giacomo et al., 2007), un motore di ricerca clusterizzato a output grafico-visivo in grado di raggruppare semanticamente in una singola pagina l’informazione Web relativa a una data query per mezzo di metodi di visualizzazione dell’informazione basati sull’uso di grafi. In questo modo, WhatsOnWeb è in grado di superare i limiti di efficienza connessi alla classica rappresentazione a lista (nota come Search Engine Report Pages, SERP) utilizzata dai più comuni motori di ricerca (Federici et al., 2008; Federici e Meloni, 2010). La versione sonificata di WhatsOnWeb è stata valutata con soggetti vedenti e non vedenti utilizzando la tecnica del “Partial Concurrent Thinking Aloud” (Mele et al., 2010, 2012), un protocollo di valutazione studiato per superare le problematiche incontrate durante la sperimentazione con disabili visivi utilizzando i metodi di valutazione classici che coinvolgono la verbalizzazione delle problematiche di interazione durante o dopo l’interazione: nello studio di usabilità in questione, rispetto alle persone vedenti, gli utenti con disabilità visive hanno mostrato una maggiore abilità motoria nel seguire le esplorazioni spaziali, guidati da soli indicatori acustici (Mele et al., 2009; Rugo et al., 2009). Dal momento che l’applicazione della sonificazione all’interfaccia web permette a persone con disabilità una più fruibile gestione degli elementi spaziali, questa è in grado di favorire l’accesso e l’uso di sistemi con interfacce di tipo grafico (Mele et al., 2010). Da una visione di insieme degli studi precedentemente menzionati, emerge che l’approccio della sonificazione è un modo efficace per trasmettere informazioni spaziali, come, per esempio, dati grafici o ambientali. Come evidenziato da numerosi studi, le persone con disabilità visive mostrano capacità spaziali equivalenti a quelle di utenti vedenti nell’eseguire sia compiti di orientamento spaziale sia compiti di recupero mnemonico di informazioni spaziali. A partire da queste evidenze, molti
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autori sostengono l’ipotesi amodale, che spiega il coinvolgimento di un sistema amodale nell’elaborazione delle relazioni di tipo spaziale di informazioni uditive, tattili e cinestetiche da parte di utenti con disabilità visive. Tuttavia, quasi tutti i sistemi menzionati nel paragrafo precedente sono sviluppati senza seguire un approccio user-centered che prenda in considerazione le esigenze degli utenti finali: infatti, per essere utilizzata, la maggior parte degli strumenti di sonificazione proposti richiede lunghe sessioni di addestramento che possono portare a un sovraccarico cognitivo. Il ruolo dell’approccio user-centred e del modello integrato di valutazione dell’interazione è oggi uno dei nodi fondamentali per lo sviluppo di TA intese come mediatori che permettono all’utente di superare le barriere ambientali (fisiche o virtuali). In questa sezione abbiamo discusso il concetto sonificazione per la progettazione attraverso il quadro concettuale di UX applicato a una tecnologia – WhatsOnWeb – che gli utenti possono utilizzare attraverso diversi dispositivi di input alternativi (per esempio le brain-computer interface). Nel Capitolo 16 sarà analizzata più nel dettaglio la progettazione e la valutazione WhatsOnWeb e di strumenti per la telemedicina (Nu! Rhea Desk). Questi sistemi verranno descritti non solo come il mezzo attraverso cui gli utenti possono ottenere i loro obiettivi (cioè come una TA), ma anche come eAssistive Solutions (eAS) in grado di favorire il benessere dell’utente in uno specifico contesto d’uso.
15.5 Conclusioni Attraverso una completa discussione degli standard di usabilità e una profonda analisi della differenza tra il concetto di usabilità e quello di UX, questo lavoro presenta un quadro concettuale della UX nel campo della riabilitazione. Il capitolo è diviso in quattro parti. 1. La prima sezione illustra i differenti approcci e campi di applicazione alla base della User eXperience, ovvero una prospettiva olistica sul vissuto dell’utente in relazione all’utilizzo di un sistema o, seguendo la definizione ISO (1999), una “conseguenza della presentazione, della funzionalità, delle performance del sistema, del comportamento interattivo e delle capacità assistive del sistema nell’interazione, sia dal punto di vista hardware che software”. 2. Nella seconda sezione sono descritti i costrutti teorici di usabilità e accessibilità e la loro relazione con la prospettiva della UX, analizzando le differenze tra gli obiettivi di valutazione, il concetto di accessibilità e il concetto di usabilità secondo l’approccio teorico della UX. È illustrata, inoltre, una breve panoramica degli standard internazionali in materia di usabilità. 3. La terza sezione introduce un modello integrato di valutazione dell’interazione, una nuova prospettiva concettuale basata sul concetto di UX, che si focalizza sul dialogo intra-sistemico tra utente e sistema all’interno dell’ambiente di interazione. A partire da questo nuovo approccio, i processi di valutazione dell’accessibi-
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lità e dell’usabilità diventano una modalità bidirezionale di osservare l’interazione fra la persona e la tecnologia piuttosto che fattori esclusivamente oggettivi/ soggettivi. 4. Infine, nella quarta sezione presentiamo i seguenti esempi riguardanti l’applicazione del concetto di UX nel processo di progettazione di sistemi per la riabilitazione: (i) l’analisi all’interno dell’ATA process; (ii) una panoramica dello stato dell’arte dei metodi di sonificazione; (iii) lo sviluppo di un motore di ricerca visuale sonificato chiamato WhatsOnWeb, una nuova tecnologia di comunicazione sviluppata seguendo un processo di progettazione user-centered. La valutazione dell’interazione tra utenti ed eSystem è qui analizzata attraverso un modello integrato di interazione in cui la relazione tra il modello mentale del progettista e quello degli utenti è misurata tramite il modello mentale del valutatore, attraverso un approccio orientato sia all’oggetto sia al soggetto. La nuova prospettiva proposta nel capitolo evidenzia che il concetto di UX può essere utilizzato non solo per effettuare una valutazione dell’interazione degli utenti con le TA, ma anche per organizzare e valutare l’ATA process, e per progettare (o riprogettare) nuove tecnologie in grado di superare le barriere che vengono solitamente incontrate dagli utenti disabili. In particolare, è stato qui riportato il caso di riprogettazione di un motore di ricerca web sonificato come un esempio della crescente esigenza di un approccio basato sulla UX nella progettazione di TA.
Capitolo
16 Soluzioni web
per la riabilitazione e la vita quotidiana
G. Liotta, E. Di Giacomo, R. Magni, F. Corradi
Questo capitolo presenta due studi: il primo riguarda la progettazione e il processo di valutazione di uno strumento finalizzato a estendere agli utenti disabili la possibilità di ricercare e accedere alle informazioni su Internet (WhatsOnWeb); il secondo è dedicato allo sviluppo di uno strumento di telemedicina per la riabilitazione (Nu!Reha). WhatsOnWeb permette agli utenti di Internet di ricercare e accedere alle informazioni per mezzo di un’organizzazione semantica e spaziale delle informazioni. Questo strumento, con il suo algoritmo di sonificazione, diventa importante per gli utenti con disabilità visive, perché permette loro di esplorare l’organizzazione spaziale delle informazioni recuperate senza mostrare differenze di prestazione rispetto agli utenti vedenti. Inoltre, l’utilizzo di una prospettiva centrata sull’utente consente al progettista di impostare la tecnologia WhatsOnWeb per l’utilizzo attraverso brain-computer interface da parte di persone locked-in, al fine di diffondere la possibilità del Web semantico della ricerca nel World Wide Web. La seconda tecnologia, il Nu!Reha Desk, è un sistema di telemedicina che può includere nel processo di riabilitazione utenti disabili che hanno difficoltà nella mobilità. L’analisi dell’esperienza utente di questa tecnologia, e in particolare la facilità di apprendimento del suo utilizzo percepita dagli utenti, costituisce la base per lo sviluppo di questo strumento al fine di ottimizzare l’accesso al processo di riabilitazione.
16.1 Introduzione Questo capitolo presenta due studi: il primo descrive il progetto e il processo di valutazione di un sistema per aumentare le possibilità degli utenti disabili di effettuare ricerche e accedere le informazioni su Internet; il secondo presenta lo sviluppo di uno strumento di telemedicina per la riabilitazione. Entrambi gli strumenti sono stati creati seguendo i principi dello User Centred Design (Norman, 1983) in un processo di progettazione e test iterativo. •
Il primo sistema, chiamato WhatsOnWeb, è la versione sonificata di un motore di ricerca basato su cluster che fa uso di tecniche di visualizzazione per migliorare l’efficacia e l’efficienza della ricerca nel Web. L’informazione viene presentata all’utente tramite una mappa visuale interattiva e sonificata, semplificando la capacità dell’utente di individuare l’informazione di interesse e accedere a essa. Questo tipo di tecnologia risulta particolarmente importante in un mondo in cui più di 2 exabyte di informazione vengono creati ogni anno (Lyman e Varian, 2003).
376 Capitolo 16
•
Il secondo strumento, chiamato Nu!Reha,1 è una scrivania digitale equipaggiata con una piattaforma software creata per realizzare servizi di teleriabilitazione nei paesi Europei. Nu!Reha Desk può presentare all’utente esercizi personalizzati da eseguire a casa in modalità remota e monitorata. La principale caratteristica tecnica è costituita da un collegamento asincrono tra il sistema domestico (l’unità portatile) e l’installazione professionale, che consente il monitoraggio dei dati e la configurazione dell’esercizio offline.
16.2 La semplificazione del Web per gli utenti disabili: il motore di ricerca WhatsOnWeb 16.2.1 Introduzione Il computer è divenuto al giorno d’oggi uno strumento essenziale e sempre più pervasivo nella vita quotidiana, sia nella sfera professionale sia in quella dell’intrattenimento. Sfortunatamente, le persone disabili incontrano serie difficoltà nell’utilizzare i tradizionali dispositivi di input e output quali tastiere, mouse e monitor, poiché tali strumenti richiedono precise abilità anche per eseguire i compiti più semplici: si pensi, per esempio, all’uso delle mani per il controllo del mouse o degli occhi per la lettura dello schermo. In questa sezione descriviamo dei paradigmi di interazione uomo-macchina basati su interfacce diagrammatiche sofisticate, che mirano a superare alcune delle limitazioni degli approcci attualmente utilizzati per rendere le applicazioni informatiche accessibili agli utenti disabili. Ci concentreremo sull’obiettivo semplice, ma molto comune, di effettuare una ricerca sul Web. Sebbene la teoria sottostante l’approccio descritto sia unica, distingueremo le interfacce diagrammatiche per disabili visivi da quelle per disabili motori. Tale distinzione deriva dal fatto che i disabili visivi incontrano le maggiori difficoltà nell’uso dei dispositivi di output, mentre i disabili motori sono limitati nell’uso dei dispositivi di input. Nel resto di questa introduzione ricorderemo brevemente lo stato dell’arte relativo alle tecnologie e ai dispositivi alternativi più comunemente utilizzati; evidenzieremo, inoltre, alcuni limiti di tali strumenti. Le tecnologie assistive proposte in letteratura per i disabili visivi devono tradurre l’informazione che deve essere trasferita all’utente in forme che l’utente possa acquisire per mezzo di sensi diversi dalla vista, quali il tatto o l’udito. Il successo di interfacce Braille (Roberts et al., 2000) è stato limitato, in passato, sia dal basso livello di alfabetizzazione Braille (alcune stime parlano del 20%), sia dall’alto costo dei terminali Braille (Zhao et al., 2008). Le tecnologie più popolari per i ciechi sono quelle basate sugli screen reader (Slatin e Rush, 2003) a causa del loro basso costo, di un breve tempo di apprendimento e del fatto che non richiedono l’installazione di hard ware aggiuntivo. Uno screen reader è un programma che tramite un sintetizzatore vocale legge ciò che appare sullo schermo nonché il contenuto testuale, alternativo ai 1 Nu!Reha è un marchio registrato di Pragma Engineering srl.
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contenuti non testuali, che viene fornito dalle applicazioni. Sebbene le soluzioni basate sugli screen reader siano assai efficaci in molte situazioni, esse presentano alcune limitazioni. Innanzitutto, uno screen reader può agevolmente tradurre informazioni testuali in linguaggio parlato, ma può avere difficoltà a veicolare informazioni di tipo grafico (figure, grafici o diagrammi). Inoltre, il tempo necessario a leggere il contenuto dello schermo può essere molto lungo; di conseguenza, l’interazione tra l’utente e l’applicazione può risultare rallentata. Consideriamo, per esempio, la ricerca di una pagina web con un motore di ricerca standard (come per esempio Google). In risposta alla richiesta dell’utente, il motore restituisce una lunga lista di risultati e, prima che che l’utente possa selezionare il risultato che lo interessa, deve aspettare un tempo relativamente lungo per ascoltare la lettura di ciascun risultato. Per superare le barriere nell’interazione tra gli utenti affetti da disabilità motorie e il computer, molti dispositivi di input alternativi sono stati sperimentati, tra i quali ricordiamo, per esempio, dispositivi basati sulla Brain Computer Interaction (BCI) (Chin et al., 2006), dispositivi per la rilevazione dei movimenti oculari (Fejtová et al., 2006), dispositivi basati sul controllo tramite l’uso della lingua (Struijk, 2006) e dispositivi basati sull’interazione mediante voce o suoni (Manaris et al., 2002; Sporka et al., 2006). Questi dispositivi consentono all’utente di interagire con il computer eseguendo una sequenza di comandi, dove ogni comando corrisponde alla selezione di una tra un numero molto limitato di opzioni. Concettualmente, ciò equivale ad avere una tastiera con pochi tasti, al limite uno solo. In altre parole, tali dispositivi possono essere modellati come sistemi con un numero limitato di stati (soltanto due nel caso di un singolo pulsante). Anche se questi dispositivi abbattono parzialmente le barriere nell’interazione degli utenti, l’interazione complessiva diviene lenta e involuta, poiché il numero di comandi necessari a completare un singolo compito aumenta con la perdita di espressività del dispositivo di input. Per esempio, la ricerca di un documento sul Web mediante un’interfaccia controllata da una tecnologia BCI richiede di tradurre ogni comando da tastiera o da mouse in una sequenza di scelte binarie imposte dai due stati possibili dei tipici strumenti BCI.
16.2.2 Il modello di interazione In letteratura sono stati proposti diversi approcci per superare il divario digitale esistente tra gli utenti normodotati e i disabili motori. Classifichiamo i diversi approcci con riferimento al modello gerarchico della Figura 16.1. La figura descrive l’interazione tra l’utente e il computer come l’attraversamento di quattro diversi livelli: il Task Layer, l’Operation Layer, il Command Layer e l’Action Layer. Quando un utente interagisce con un computer il suo scopo è eseguire dei compiti (task) specificati nel Task Layer. Per esempio, l’utente potrebbe voler individuare un file nel file system, o spedire un messaggio di posta elettronica o cercare una pagina sul Web. La scelta di un task innesca una serie di attività nei livelli più bassi della gerarchia. Al livello dell’Operation Layer, l’utente deve eseguire una serie di operazioni. Per esempio, se il task selezionato è la ricerca sul Web, le operazioni che l’utente deve
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eseguire sono: la scrittura della query, l’esplorazione dei risultati e l’effettivo accesso alle pagine di interesse.
Figura 16.1 Un modello gerarchico per l’interazione uomo-macchina.
Ogni operazione si traduce poi in una serie di comandi nel Command Layer. Un comando corrisponde a un evento rilevato dal programma, per esempio l’inserimento di un carattere, il clic del mouse o la selezione di un’icona sullo schermo. L’utente invia i comandi al computer eseguendo un opportuno numero di azioni nell’Action Layer. Un’azione viene eseguita interagendo con un dispositivo di input e corrisponde a semplici atti, quali la pressione di un tasto per digitare un carattere o l’esecuzione di un doppio clic ottenuta premendo due volte il tasto sinistro del mouse. Si noti che, per gli utenti normodotati, c’è tipicamente una corrispondenza uno a uno tra le azioni e i comandi, cioè ogni azione eseguita corrisponde a un comando inviato al computer. Ciò non è necessariamente vero per gli utenti disabili che usano dispositivi di input alternativi. Per esempio, la scrittura di un carattere (il comando) mediante un interruttore binario può richiedere molteplici attivazioni dell’interruttore (l’azione). Utilizzeremo adesso il modello di interazione descritto per classificare gli approcci proposti in letteratura per superare il divario digitale dei disabili motori. In base al layer al quale questi approcci si riferiscono, distinguiamo tra approcci Action Layer e approcci Command Layer. Gli approcci Action Layer si concentrano sul progetto e la realizzazione di dispositivi di input che consentano ai disabili di interagire con le applicazioni standard. In termini del modello di interazione della Figura 16.1, tali approcci consentono ai disabili motori di eseguire lo stesso insieme di comandi degli utenti normodotati utilizzando, però, un diverso insieme di azioni. Per esempio, un utente disabile può
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muovere il puntatore del mouse per mezzo della voce o spostando gli occhi. A seconda della disabilità dell’utente e delle azioni che egli può compiere, sono stati considerati diversi dispositivi di input alternativi. Alcuni esempi includono interfacce basate sul linguaggio o sui suoni (Manaris et al., 2002; Sporka et al., 2006), dispositivi per la rilevazione dei movimenti oculari (Fejtová et al., 2006), interfacce EMG (Adams et al., 2000) e mouse basati su puntatori luminosi (Itoh, 2006). Il vantaggio degli approcci Action Layer sta nel fatto che essi non richiedono modifiche del software e quindi un utente disabile può, in linea di principio, utilizzare qualunque applicazione disponibile. Sfortunatamente, bisogna anche tener conto di alcuni inconvenienti. Innanzitutto sono necessari lunghi periodi di apprendimento per poter raggiungere un buon livello di usabilità. Inoltre, realizzare dispositivi di input alternativi che possano rimpiazzare completamente la testiera e il mouse può essere un risultato difficile da raggiungere, specialmente per individui con disabilità particolarmente gravi. Quindi l’esecuzione dei comandi rimane il maggior collo di bottiglia per un’interazione efficiente. Gli approcci Command Layer affrontano i problemi evidenziati utilizzando ancora dispositivi di input alternativi, la cui efficacia è però aumentata per mezzo di strati software di adattamento. Tali strati software fanno da tramite tra le applicazioni standard e i dispositivi di input alternativi. Un esempio di tale approccio è l’uso di scanner (Ntoa et al., 2004). Uno scanner evidenzia i controlli software (pulsanti o voci di menu) in un ordine predefinito. L’utente può scegliere uno dei controlli evidenziati utilizzando un dispositivo di input con appena due stati, quale per esempio una BCI o un semplice tasto. Un altro esempio è l’uso di pozzi di gravità con forcefeedback, cioè elementi attrattivi che attirano il puntatore del mouse al centro di determinati elementi presenti sullo schermo (Hwang et al., 2003). Queste tecniche sono state progettate per consentire a utenti che soffrono di tremori, spasmi o difficoltà di coordinamento di eseguire le operazioni di point-and-click più velocemente e accuratamente. Con riferimento alla Figura 16.1, gli approcci Command Layer consentono all’utente di eseguire le stesse operazioni di un’interazione standard, effettuando però un diverso insieme di comandi. Come esempio si consideri l’operazione di inviare una query a un motore di ricerca. Se si utilizzano i dispositivi di input standard, bisogna eseguire i seguenti comandi: “Muovi il mouse verso il pulsante Search” e “Premi il pulsante”. La stessa operazione eseguita con uno scanner richiede che lo scanner evidenzi il pulsante Search e l’utente esegua il singolo comando “Attiva il pulsante evidenziato”. Il principale svantaggio degli approcci Command Layer è legato al fatto che, benché le azioni che l’utente deve eseguire siano in genere ridotte e semplificate, il tempo necessario a eseguire un singolo comando tipicamente aumenta. Per esempio, premere un pulsante utilizzando uno scanner richiede un tempo significativamente più lungo rispetto a premere lo stesso pulsante utilizzando il mouse, a causa del tempo richiesto per evidenziare l’intero insieme di comandi disponibili. Inoltre, per poter integrare gli strati software di adattamento con le applicazioni esistenti, queste devo-
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no aderire a precise regole di progetto e realizzazione, cosa di cui non sempre si tiene conto nella progettazione di un software applicativo.
16.2.3 L’Approccio Information Visualization L’Approccio Information Visualization (AIV in breve) mira a superare i principali svantaggi degli approcci Action Layer e Command Layer descritti nella sezione precedente. La caratteristica principale di questo approccio è di operare al livello Operation Layer del modello gerarchico della Figura 16.1. L’idea è di cambiare l’insieme di operazioni associate con l’esecuzione di un task in maniera che il numero totale di comandi corrispondenti sia ridotto. La riduzione del numero di comandi mira a compensare la minore efficienza nella loro esecuzione causata dal limitato numero di stati disponibili nel dispositivo di input. Per raggiungere questo obiettivo si possono usare tecniche avanzate di Visualizzazione dell’Informazione. In una rappresentazione visuale, ottenuta utilizzando primitive e trasformazioni geometriche, colori e altri elementi visuali, i dati sono tradotti in forme visibili che evidenziano caratteristiche importanti che sarebbero altrimenti difficili da riconoscere se non nascoste del tutto. Ne consegue che, se confrontate con altre possibili rappresentazioni dello spazio informativo associato a un certo task, le rappresentazioni visuali sono più efficienti nel trasferire l’informazione. Questo per due motivi. Da un lato, le rappresentazioni visuali si avvantaggiano della comunicazione ad “ampia banda” tra l’occhio umano e il cervello, per permettere all’utente di vedere, esplorare e capire grandi quantità di informazioni in un colpo solo. In secondo luogo, l’uso di oggetti visuali rende l’acquisizione dell’informazione più intuitiva e immediata, e quindi l’elaborazione cognitiva è ridotta. In definitiva, l’AIV fa interagire l’utente con un calcolatore in cui i dati sono presentati in una forma non tradizionale per mezzo di interfacce diagrammatiche sofisticate. Tutti i paradigmi di interazione non AIV mirano a ridurre le difficoltà degli utenti disabili nell’ambito della classica rappresentazione a icone dei sistemi operativi tradizionali. Non tentano invece di compensare la ridotta espressività dei dispositivi di input aumentando la quantità di informazioni che può essere processata visivamente dall’utente in un dato intervallo di tempo. Consideriamo, per esempio, il task di cercare una pagina sul Web. Un possibile insieme di operazioni è scrivi la query, sottometti la query, scandisci la lista dei risultati, accedi alla pagina web. Uno dei colli di bottiglia per i disabili motori sarebbe la scansione della lista dei risultati, che è in genere molto lunga. L’AIV cambia questa operazione critica. Tradizionalmente, i risultati restituiti dai motori di ricerca vengono presentati come una lista di pagine che deve essere scandita sequenzialmente. Una presentazione alternativa potrebbe essere la seguente: le pagine vengono raggruppate in diverse categorie, dove ogni categoria contiene pagine che sono semanticamente coerenti; inoltre, vengono mostrate esplicitamente relazioni semantiche esistenti tra diverse categorie. In questo scenario, il numero di comandi associati con l’esplorazione dei risultati può essere significativamente ridotto, perché lo spazio informativo che deve essere esplorato dall’utente per cercare una pagina viene ristretto selezionando categorie e sottocategorie e scartando una grande quantità di pagine non interessanti
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con un singolo comando. Un esempio di una possibile interfaccia diagrammatica per questa specifica operazione è mostrata nella Figura 16.2. La figura rappresenta l’out put del motore di ricerca visuale chiamato WhatsOnWeb (Di Giacomo et al., 2007).
Figura 16.2 (Vedi inserto a colori.) Esempio di un’interfaccia diagrammatica che riduce i comandi necessari per individuare una pagina di interesse in una ricerca sul Web.
Applicazioni dell’Approccio Information Visualization: l’accessibilità del Web per gli utenti disabili Proponiamo un nuovo paradigma di interazione tra computer e utenti disabili. L’obiettivo è duplice: mettere i disabili in condizione di usare il computer in maniera più efficiente e avvantaggiarsi di tale guadagno di efficienza in un processo di valutazione degli ausili che sfrutti il Web per trasferire facilmente informazioni di qualunque tipo a utenti disabili. L’idea di fondo è che l’uso di sofisticate tecnologie di Visualizzazione dell’Informazione possa avere un impatto significativo sull’efficienza cognitiva degli utenti che navigano nel Web (Di Giacomo et al., 2010), anche nel caso in cui tali utenti siano ciechi. La Visualizzazione dell’Informazione comunica l’informazione astratta in modo intuitivo. Le rappresentazioni visuali e le relative tecniche di interazione si avvantaggiano della comunicazione ad “ampia banda” tra l’occhio e la mente umana, per permettere all’utente di vedere, esplorare e capire grandi quantità di informazioni in un colpo solo. Inoltre, è stato dimostrato che la rappresentazione spaziale può essere indipendente dalla modalità sensoriale attraverso cui viene perce-
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pita, e ciò porta a formulare l’ipotesi di una rappresentazione spaziale amodale (Avraamides et al., 2004). Gli screen reader sono una soluzione efficace per adattare diverse applicazioni per le persone cieche. D’altra parte, poiché la quantità di informazione non testuale disponibile sul Web cresce costantemente, gli screen reader mostrano dei chiari limiti. Inoltre, anche in quei casi in cui l’output è tipicamente testuale, come nel caso di quello di un motore di ricerca, l’interazione tra un cieco e un computer può divenire lenta e complicata, a causa della grande quantità di testo che uno screen reader potrebbe dover leggere prima di fornire all’utente l’informazione voluta. Anche in questo caso, potrebbe essere utile adottare tecniche, come quelle descritte nella sezione precedente, per trasferire una grande quantità di informazioni in modo intuitivo e conciso. Per esempio, l’uso di una mappa visuale di categorie semantiche potrebbe significativamente ridurre la quantità di tempo necessario a esplorare lo spazio dei risultati e a trovare l’informazione desiderata. L’adozione di soluzioni basate sulla Visualizzazione dell’Informazione potrebbe sembrare impossibile nel caso di persone cieche a causa della loro disabilità. D’altra parte, molti studi riconoscono che la rappresentazione spaziale dell’informazione è indipendente dal modo in cui gli input sensoriali vengono forniti; in particolare, alcuni autori mostrano come soggetti ciechi abbiano migliori performance nell’elaborazione di stimoli uditivi di tipo spaziale rispetto alle persone vedenti (Avraamides et al., 2004; de Vega et al., 2001). In effetti, è stato evidenziato come le persone cieche mostrino un’abilità di movimento, nell’eseguire dei compiti di esplorazione spaziale guidati solo da stimoli acustici, funzionalmente equivalente al percorso seguito visivamente dalle persone vedenti (Bryant, 1992). Ancora di più, la natura del suono sembra essere in grado di comunicare la complessità delle rappresentazioni visuali dei dati (Kramer, 1994). Quindi, è possibile usare approcci basati sulla Visualizzazione dell’Informazione simili a quelli descritti nella sezione precedente abbinati a tecniche di sonificazione. La sonificazione è la “trasformazione dei rapporti fra dati in rapporti percepiti tramite un segnale acustico per facilitare la comunicazione o l’interpretazione” (Kramer et al., 1997).
Un esempio di sonificazione Come caso di studio, riportiamo una recente attività di ricerca sperimentale relativa alla sonificazione di WhatsOnWeb (Mele et al., 2010; Rugo et al., 2009). Nella maggior parte dei sistemi sonificati (vedi il Capitolo 15) l’accento viene posto su come i dati vengono mappati negli attributi sonori, ma non sull’interattività con l’utente: al fine di superare questo limite e garantire che la sonificazione rappresenti sia l’interazione sia l’informazione, Zhao, Plaisant e Shneiderman (Zhao et al., 2008) definiscono il framework Action by Design Component (ADC), un modello di sonificazione progettato per permettere una navigazione attiva e dinamica nell’ambiente di interazione. Per questa ragione, il framework ACD è stato scelto come background teorico per la sonificazione di WhatsOnWeb, nel quale i dati indicizzati sono organizzati mediante correlazioni semantiche che danno luogo a un’informazione astratta. La sonificazione di WhatsOnWeb è applicata a eventi visuali che descrivono informazioni di navigazione sia globali sia locali. Mentre si visualizza l’informazione
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globale subito dopo l’esecuzione dell’operazione di “Search”, la tecnica di temporizzazione fornisce un aumento di intensità di ogni categoria. In questo modo, l’utente può cogliere l’intera organizzazione delle categorie attraverso una visione complessiva che consente una prima rappresentazione mentale della struttura che sta per esplorare. La complessità del tono di ogni nodo è correlata alla complessità della sua informazione paraverbale: per esempio, se si esplora una categoria, verrà eseguito un accordo armonico che suggerisce i legami semantici con gli altri suoni. Si sono usati suoni brevi con bassa latenza (meno di 100 ms) al fine di garantire un’interazione attiva, nella quale l’elaborazione e il mantenimento delle informazioni sonore non implicasse un sovraccarico della memoria a breve termine (Atkinson e Shiffrin, 1971). L’esplorazione di WhatsOnWeb è garantita da un feedback audio ripetibile che fornisce informazioni spaziali al fine di facilitare l’orientamento dell’utente. In pratica, WhatsOnWeb fornisce all’utente un segnale persistente che indica la sua posizione nell’interfaccia, come succede nella navigazione visuale. I riferimenti spaziali vengono forniti mediante una riproduzione stereo che simula la posizione dei nodi selezionati in un piano cartesiano; l’identificazione dell’informazione e la memorizzazione sono rafforzate da un feedback verbale emesso da un sintetizzatore vocale integrato. Tre diversi modelli di sonificazione sono stati testati per WhatsOnWeb. Le caratteristiche visuali vengono rappresentate in maniera univoca tramite il volume, il timbro, il tono e l’intermittenza. Nel primo modello, chiamato VolumeSonification, la codifica della distanza euclidea di un nodo rispetto a un punto di riferimento è resa tramite il volume, mentre il panning audio è utilizzato per consentire l’individuazione dei nodi lungo l’asse delle ascisse. Il secondo modello, chiamato BlinkAndPitchSonification, rende l’informazione spaziale per mezzo di una mappatura indipendente dei due assi del piano cartesiano, utilizzando rispettivamente la frequenza e l’intermittenza abbinate al panning, e il timbro della nota. Infine, allo scopo di ottimizzare la rappresentazione grafica in termini di suono, è stato creato il modello PanAndPitchSonification, che utilizza soltanto il panning per l’asse x e il timbro per l’asse y.
Valutazione dell’usabilità In questa sezione descriviamo un’analisi sperimentale della versione ingegnerizzata e sonificata di WhatsOnWeb (Mele et al., 2010). Tale analisi ha valutato l’usabilità dei diversi layout visuali: TreeMap, Layered, Radial e Spiral TreeMap. Procedura sperimentale Fase 1) Durante la prima fase è stata analizzata l’usabilità della versione sonificata di WhatsOnWeb per mezzo di una valutazione da parte di esperti. Tre esperti, con più di cinque anni di esperienza nella valutazione dell’usabilità, hanno esaminato il software usando le euristiche di Nielsen (1994): per testare ciascuno dei layout implementati è stato simulato uno scenario tipico di utilizzo. In particolare, il compito degli esperti era di testare l’usabilità e le differenze di layout tra i tre modelli di sonificazione: PanAndPitch, PitchAndVolume e BlinkAndPitch. La valutazione euristica ha individuato un ristretto insieme di problemi di usabilità con un livello di severità medio-alto, suggerendo che fosse necessario riprogettare il layout. Infine, tutti i valu-
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tatori hanno suggerito di unificare due modelli di sonificazione – il PanAndPitch e il BlinkAndPitch – proponendo un nuovo modello chiamato PanAndPitchBlinking. Il modello PanAndPitchBlinking trasmette le coordinate (x, y) del piano cartesiano adottando il panning (asse x) e il timbro (asse y) e utilizza l’effetto di intermittenza per rappresentare il ranking di ciascun vertice. Fase 2) Una volta corretti i problemi di usabilità che sono stati individuati dagli esperti, si è effettuato un test di usabilità con due gruppi di partecipanti: 4 utenti completamente ciechi e 4 utenti vedenti (età media 28, equamente distribuiti per sesso). Questa fase della valutazione puntava a investigare sia la qualità dell’interazione dell’utente con WhatsOnWeb sia la soddisfazione dell’utente. Al fine di raggiungere questi obiettivi, è stato usato il metodo Partial Concurrent Thinking Aloud (PCTA; (Mele et al., 2009) e il questionario System Usability Scale (SUS; Brooke 1996). Ogni utente ha utilizzato WhatsOnWeb dopo una chiara ed essenziale descrizione del compito e un’esplorazione preliminare del layout (durata 3 minuti). Il task sperimentale consisteva nella ricerca esaustiva del significato della parola “Armstrong” usando WhatsOnWeb. La navigazione tramite tastiera è stata effettuata usando o le tre tipologie di layout –Radial, Layered e Spiral TreeMap – o il modello PanAndPitchBlinking. Alla fine della sessione di valutazione, tutti i soggetti sono stati intervistati riguardo le loro preferenze e infine è stato loro chiesto di riempire il questionario SUS. Risultati sperimentali I problemi identificati durante il protocollo PCTA sono stati confrontati con l’analisi euristica della prima fase di valutazione. Tutti i soggetti hanno individuato 19 problemi, 9 dei quali riguardavano le performance visuali e 11 le performance uditive. L’analisi ANOVA a una via del tempo di completamento per ogni layout, eseguita con SPSS 18, non mostra differenze significative (p>0,05) tra i due gruppi e tra i layout Layered (vedenti M=50,25", ciechi M=132,5") e Spiral TreeMap (vedenti M=263,25", ciechi M=236"), mentre differenze significative si evidenziano per il layout Radial (F(1,6)=13,690; p0,01) tra i due gruppi di partecipanti. Quindi, poiché questi risultati evidenziano livelli simili di efficacia, efficienza e soddisfazione tra i due gruppi per entrambe le modalità di presentazione delle informazioni, la modalità sonificata e la modalità visuale sembrano essere omogenee.
16.3 La telemedicina: il NU!Reha Desk 16.3.1 Introduzione alla telemedicina Nel corso dell’ultimo quindicennio, si sono moltiplicate le applicazioni della tecnologia nel campo della medicina e riabilitazione: la ragione sta nella maggiore disponibilità di tecnologie (soprattutto tra le cosiddette TIC, Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) che influenzano tutti gli ambiti della nostra esperienza di vita, ma anche nella crescente richiesta di servizi innovativi. La definizione di questi nuovi servizi può essere stabilita in base al tipo di applicazione (per esempio la telecardiolo-
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gia) o in base alla specifica tecnologia utilizzata (servizi basati su Internet, sulla connessione telefonica…), la definizione comune rimane comunque quella di “medicina a distanza” (secondo l’etimologia di “telemedicina”). Questa definizione introduce due concetti fondamentali: la telemedicina si colloca come uno specifico ambito della medicina “tradizionale” ed è caratterizzata dalla possibilità di agire a distanza per il benessere e la salute della persona. Un altro aspetto importante è la possibilità di applicare lo stesso concetto di interazione a distanza alla gestione e alle attività “sociali” relative ai servizi medici, come la necessità di una “second opinion”, il teleconsulto, il monitoraggio per la sicurezza delle persone anziane e disabili e l’educazione medica (corsi online e applicazioni blended learning; Mair et al., 2000; Wootton, 2001). In questo senso la telemedicina è una vasta area che ricomprende un numero di attività differenti, sia in relazione diretta con il paziente, sia a livello organizzativo ed educativo per il personale medico e paramedico. La diffusione della telemedicina non ha precisi confini geografici: si hanno molte applicazioni nei paesi occidentali, così come ci sono interessanti realizzazioni nei paesi del terzo mondo. La scelta del tipo di applicazione in telemedicina deve rispondere a criteri di utilità e necessità e a un’analisi costo/beneficio, come nel caso di applicazioni in scenari di guerra (Llewellyn, 1995). In alcuni casi il suo utilizzo fa parte di un preciso protocollo di intervento (Pettersen et al., 1999; Salvador et al., 2005). Il numero e la varietà di applicazioni aumentano in virtù delle differenti aree e specialità della medicina a cui si applica il concetto di intervento a distanza: le prime applicazioni erano quelle di teleradiologia, telepatologia e telecardiologia, che erano efficaci anche con connessioni dati a bassa velocità. Fin dalle prime realizzazioni, i due maggiori fattori di sviluppo della telemedicina sono stati la possibilità di raggiungere aree del territorio remote e quindi non adeguatamente presidiate dai servizi sanitari, come nel caso di vaste aree rurali o situazioni climatiche sfavorevoli, e, secondo, la possibilità di sfruttare le TIC per proporre soluzioni innovative per l’efficienza e l’efficacia dei servizi sanitari. Al giorno d’oggi, molti studi dimostrano la possibilità di raggiungere grandi porzioni della popolazione, anche se dispersa in un vasto territorio, così come la possibilità di gestire informazioni e comunicazioni in maniera efficiente tra i vari profili professionali delle professioni sanitarie (Balch et al., 2007; Balch e Tichenor, 1997). Più recentemente, un numero sempre maggiore di progetti ha proposto il coinvolgimento diretto degli utilizzatori (in qualità di “clienti informati”) nello sfruttamento stesso dei servizi di telemedicina, andando, di fatto, a ridefinire le relazioni tra i vari attori dei servizi sanitari. Una revisione della letteratura, riferita all’analisi delle esperienze di telemedicina, evidenzia che solo una piccola parte di esse ha prodotto effettivi benefici rispetto al relativo approccio tradizionale. È comunque importante notare come la maggior parte di questi studi sia stata sviluppata senza l’ausilio di tecnologie recenti (soprattutto riferite alla disponibilità di connessioni a larga banda), mentre in certi casi non esistevano delle alternative tradizionali in quanto nuovi servizi (Strode et al., 1999; Whitten et al., 2002). Quella che emerge è comunque la necessità di sviluppare le applicazioni di telemedicina, considerando sin dall’inizio eventuali valutazioni economiche di costo/efficacia.
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Un’ importante questione, nel coinvolgimento degli utilizzatori e dei professionisti, rimane quella della gestione della privacy. Da un punto di vista tecnico, si possono evidenziare tre fattori chiave: confidenzialità (la possibilità di garantire l’accesso solo agli autorizzati), integrità (rispetto a modificazioni dei dati utente) e disponibilità (rispetto ai diritti di accesso). Al momento attuale, pur garantendo la necessità di progettare e sviluppare nuovi e specifici servizi, sono in corso alcuni tentativi per stabilire standard comuni per garantire l’interoperabilità tra differenti sistemi e applicazioni.
16.3.2 La teleriabilitazione Nell’ambito più generale delle applicazioni di telemedicina, la teleriabilitazione è comparsa in tempi relativamente recenti: esiste un numero di applicazioni pratiche già disponibili anche grazie allo sviluppo della tecnologia dell’ultimo decennio (19992010). Queste applicazioni sono progettate intorno al concetto di una riabilitazione a distanza per mezzo delle TIC e Internet, in particolare (Lathan et al., 1999). Il principale fattore di sviluppo è stata la possibilità di fornire servizi di riabilitazione a pazienti che vivono in aree rurali (Torsney, 2003), attraverso un accesso remoto ai servizi sanitari (Hauber et al., 2002). Un altro vantaggio della teleriabilitazione è la possibilità di prolungare la durata del trattamento riabilitativo a domicilio, considerando come, in alcuni casi, l’intensività della riabilitazione possa assicurare maggiore efficacia nel recupero. Questa possibilità risulta essere utile anche nella cosiddetta fase cronica, quando è a rischio la diminuzione della funzione a causa del cosiddetto “non uso” (Taub et al., 2000). Esiste un gran numero di applicazioni di teleriabilitazione con differenti livelli di complessità, a partire dal semplice teleconsulto telefonico fino al monitoraggio a distanza dell’esecuzione di esercizi. 16.3.3 La piattaforma NU!Reha Questa piattaforma rappresenta la realizzazione finale di un intenso periodo di sperimentazione, durante il quale il progetto concettuale è stato sviluppato e validato (Zampolini et al., 2007; Huijgen et al., 2008). L’idea è quella di fornire esercizi personalizzati per l’esecuzione a domicilio da parte dei pazienti, in maniera monitorata a distanza. Il sistema è stato progettato per un’applicazione clinica nel campo della riabilitazione neurologica come estensione di un approccio di tipo tradizionale. La principale caratteristica è quella della modalità di interazione asincrona tra il sistema a domicilio (unità portatile) e il centro di riabilitazione, che implica possibilità di accesso ai dati e configurazione offline. 16.3.4 L’approccio proposto Il paradigma proposto dal NU!Reha Desk è quello dell’utilizzo della tecnologia per supportare il recupero motorio. Recenti studi dimostrano come l’attività motoria sia facilitata da stimoli contestuali e compiti finalizzati: sulla base di queste osservazioni, in riabilitazione si è sviluppata la cosiddetta task therapy (terapia orientata all’esecuzione del compito; Smith et al., 1999; Michelle et al., 2007).
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Partendo da queste osservazioni sul controllo motorio, un approccio fondato sulla realtà virtuale non sembra applicabile alle attività riabilitative; per questo motivo, il sistema si basa sull’utilizzo di un apposito “tavolo di attività” per l’esecuzione di esercizi di terapia occupazionale, includendo quindi differenti attività di presa e interazioni con oggetti sensorizzati. Il sistema è composto da una unità base e da un numero di componenti con differenti funzioni e ambiti di utilizzazione in base alla loro connessione all’unità base. •
Unità base: il tavolo che contiene la struttura del sistema (hardware e software). È l’unità base di tutto il sistema, a cui si connettono tutti i moduli.
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Control pad: permette il controllo del sistema da parte di chi assiste il paziente durante gli esercizi.
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Modulo libreria: si tratta di una “libreria” sensorizzata che permette l’esecuzione di esercizi di posizionamento verticale di oggetti; attraverso sensori a infrarossi legge la presenza o meno di oggetti coperti da adesivi riflettenti.
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Modulo tastiera: modulo per l’esecuzione di esercizi di composizione di sequenze numeriche simulando la tastiera di un telefono o di un terminale bancomat.
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Sensore RF: cilindro plastico che contiene un risponditore a radiofrequenza per permettere la localizzazione di oggetti sul piano orizzontale.
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Videocamere: una coppia di videocamere fissate su braccetti articolati permette la registrazione dei video degli esercizi eseguiti dal paziente.
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Accessori: viene fornito un set di accessori per consentire un pratico utilizzo del sistema; questi includono una penna sensorizzata, tazze di plastica (di varie forme), una riproduzione (nella forma) di un libro e un cubo di spugna.
Attraverso l’utilizzo degli accessori e dei sensori, il terapista può configurare una varietà di esercizi in un ambiente completamente personalizzabile per le azioni di presa e i movimenti degli arti superiori: attività di scrittura e pregrafismo, come spostamenti verticali e orizzontali di oggetti, possono essere eseguiti in modo monitorato dal sistema. Il sistema (Unità Portatile) contiene uno schermo sensorizzato posizionato sul piano di fronte al paziente; il video funziona da interfaccia e da area di lavoro per l’esecuzione degli esercizi. Un SBC (Single Board Computer) governa il funzionamento del sistema e può essere connesso tramite Wi-Fi a una rete esterna per le operazioni di sincronizzazione dei dati (acquisizioni e configurazioni) verso un server esterno.
16.3.5 Valutazione clinica Il NU!Reha Desk è disponibile commercialmente per l’implementazione di servizi di teleriabilitazione in tutti i paesi europei. Al momento ci sono diversi studi sull’efficacia clinica, e lo stesso NU!Reha desk è stato applicato nel caso di pazienti con differenti disabilità e con differenti obiettivi riabilitativi.
388 Capitolo 16
Figura 16.3 (Vedi inserto a colori.) Nu!Reha Desk: esempio di esercizio di pregrafismo.
Figura 16.4 (Vedi inserto a colori.) Nu!Reha Desk: esempio di esercizio basato su un’attività contestuale.
La valutazione clinica riportata di seguito si riferisce a un trial sviluppato durante l’esecuzione del progetto europeo “Hellodoc”. Il progetto, promosso nell’ambito dell’iniziativa eTen, è stato sviluppato nel periodo 2005-2007 da un consorzio europeo, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. Nell’esecuzione della sperimentazione clinica (Hermens et al., 2007), sono state utilizzate le unità prototipo del sistema con la stessa funzionalità della piattaforma NU!Reha, anche se in forma non completamente ingegnerizzata. Gli utilizzatori sono stati reclutati tra i gruppi di pazienti con sclerosi multipla, gravi cerebrolesioni acquisite e ictus (anche in considerazione del fatto che il sistema è stato originariamente previsto per la riabilitazione di pazienti neurologici). I criteri di inclusione erano i seguenti. •
Età superiore a 18 anni.
•
Diagnosi di sclerosi multipla, ictus o cerebrolesione acquisita.
•
Tempo per l’esecuzione del Test dei 9 pioli superiore a 25 secondi.
•
Abilità nel posizionamento di almeno un piolo del test in almeno 180 secondi.
Soluzioni web per la riabilitazione e la vita quotidiana 389
•
Sufficiente autonomia di movimento.
•
Connessione a Internet disponibile al proprio domicilio.
•
Stato clinico stabile.
•
Vivere nella propria abitazione (e non in residenza protetta per esempio).
Il terzo e il quarto criterio sono tali da includere solo quei pazienti la cui abilità agli arti superiori sia in una via di mezzo tra la grave disabilità (arto immobile) e la leggera difficoltà di movimento (per cui questa riabilitazione non è necessaria), visto che fa uso di uno strumento validato per la valutazione clinica che consiste in una matrice di fori in cui inserire in sequenza dei pioli con caratteristiche ben precise di forma e peso. I criteri di esclusione erano i seguenti. •
Problemi alle funzioni motorie non correlati alla diagnosi di sclerosi multipla, cerebrolesione acquisita o ictus.
•
Seri problemi di tipo cognitivo/comportamentale.
•
Importanti problemi emozionali.
•
Problemi visivi gravi.
•
Problematiche di comunicazione.
•
Complicazioni mediche.
•
Altri problemi che controindicassero l’esecuzione autonoma degli esercizi al proprio domicilio.
•
Lo schema della validazione clinica si è basato sul paradigma ABA per l’applicazione dello strumento di teleriabilitazione al gruppo di intervento, comparato con i risultati del gruppo di controllo. La durata scelta per l’applicazione della riabilitazione a casa è stata di 4 settimane, ritenute sufficienti per evidenziare gli effetti delle attività proposte. La Figura 16.5 rappresenta lo schema del disegno sperimentale.
Il tempo T0 rappresenta la prima valutazione, dopo l’applicazione dei criteri di inclusione, dopo la quale gli utilizzatori venivano assegnati in maniera casuale al gruppo di intervento o al gruppo di controllo. Al tempo T1 era prevista una seconda valutazione (dopo 1 mese), mentre al tempo T2 veniva eseguita la valutazione dopo 1 mese di teleriabilitazione (nel caso del gruppo di intervento).
Discussione dei risultati Lo studio sperimentale ha incluso 47 uomini e 34 donne con un’età media di 48 anni. Erano distribuiti tra le tre diagnosi (16 ictus, 30 cerebrolesioni acquisite e 35 sclerosi multiple). Alla fine dello studio, si è verificato che l’intensità del trattamento (il gruppo di controllo con la terapia tradizionale comparato con il gruppo di intervento in teleriabilitazione) è stata praticamente la stessa (9 ore/mese contro 9,5 ore/mese).
390 Capitolo 16
Figura 16.5 (Vedi inserto a colori.) Diagramma di flusso del disegno sperimentale per la valutazione clinica del Nu!Reha Desk.
Non è nello scopo di questo capitolo approfondire la descrizione della valutazione clinica effettuata così come l’analisi dei risultati peraltro già pubblicati in letteratura. Comunque, considerando tutte e tre le cause di disabilità, si è verificata una piccola ma significativa differenza nella valutazione di entrambi i gruppi: i risultati sono sempre all’interno degli intervalli di confidenza per gli strumenti di valutazione utilizzati. In generale, i risultati dei pazienti inclusi dimostrano una sostanziale equivalenza tra il gruppo in teleriabilitazione e quello trattato con la terapia tradizionale, anche se i pazienti che più frequentemente hanno dimostrato miglioramenti sono stati quelli in teleriabilitazione. Durante la validazione clinica, è stata eseguita una prima valutazione della soddisfazione degli utilizzatori basata su un questionario proposto al terapista e al paziente (utilizzando una scala visuo-analogica: considerando che un valore inferiore a 30
Soluzioni web per la riabilitazione e la vita quotidiana 391
come insoddisfacente, tra 31 e 69 come mediamente soddisfacente e da 70 a 100 molto soddisfacente). I risultati sull’accettabilità del sistema di teleriabilitazione sono stati incoraggianti da parte di entrambi: solo l’aspetto estetico è stato considerato non soddisfacente (considerando la realizzazione prototipale del NU!Reha Desk) così come la difficoltà nell’esecuzione di alcune attività (da parte dei pazienti).
16.3.6 Lo scenario futuro Lo scenario più promettente per lo sviluppo della terapia a distanza applicata alla riabilitazione consiste nel coinvolgimento di tutta la comunità dei potenziali beneficiari (i pazienti e le loro famiglie, i servizi sanitari e le amministrazioni pubbliche). Ogni parte è chiaramente interessata ad aspetti differenti sottintesi da questo tipo di soluzioni: la disponibilità e la facilità di utilizzo per migliorare l’intensità e la durata dei trattamenti, le nuove opportunità per ottimizzare il recupero e il follow-up dei pazienti e infine una generale riduzione dei costi delle sessioni di trattamento. Tutte queste aspettative sono oggetto di un complesso processo di cambiamento “culturale” nel passaggio dalla presente concezione centrata sulla “applicazione di un nuovo strumento” a quella centrata “sul servizio”, che significa lo sviluppo parallelo di: •
soluzioni tecnologiche: affidabili, replicabili, facili da usare, a basso costo, integrate e interoperabili;
•
consenso clinico: convergenza circa le soluzioni, i criteri di validazione, l’adozione e la forma di servizio;
•
formazione: proponendo tali conoscenze come parte della formazione curriculare o della formazione continua (rif. ECM) del personale sanitario;
•
riconoscimento della spesa: sviluppando regole a livello nazionale o regionale per riconoscere il costo della prestazione di teletrattamento;
•
accettazione da parte degli utenti: come servizio routinario, la terapia a casa (anche in assenza del terapista) dovrebbe coinvolgere il beneficiario finale dimostrando attenzione alle sue necessità e preferenze.
Al termine della cosiddetta “fase pilota”, tutti questi aspetti dovranno essere tenuti in considerazione come base per sviluppare la prossima evoluzione/adozione di innovative soluzioni tecnologiche. Questo processo va visto come contributo nell’ambito della cosiddetta “medicina personalizzata”, che costituirà il trend in crescita per i prossimi anni e comprenderà la genomica, la farmaco-genomica, i modelli di previsione, problematiche a livello etico e culturale e così via.
16.4 Conclusioni I due studi mostrati in questo capitolo illustrano il processo di design di due tipi di tecnologia: una mirata a semplificare l’uso della tecnologia web nella vita di tutti i giorni (WhatsOnWeb) e una finalizzata a perfezionare uno strumento di telemedicina
392 Capitolo 16
applicata nei processi di riabilitazione (Nu!Reha Desk). Queste tecnologie, sviluppate attraverso una prospettiva di progettazione centrata sull’utente, hanno lo scopo di aprire nuove possibilità di benessere per gli utenti disabili, ampliando l’accesso e la gestione delle informazioni (WhatsOnWeb) o le possibilità di superare le barriere fisiche che impediscono la fruizione di un processo di riabilitazione (Nu! Reha Desk). Questi due studi pongono implicitamente l’accento sull’importanza del ruolo svolto dal processo di progettazione centrato sull’utente nel favorire il miglioramento della vita quotidiana degli utenti e il loro benessere, mostrando il nuovo tipo di soluzioni tecnologiche che, da un lato, consente agli utenti di lavorare nell’ambiente fisico attraverso la mediazione di un ambiente virtuale (Nu! Reha), e dall’altro (WhatsOnWeb) semplifica l’interazione degli utenti con i sistemi virtuali. I due studi dimostrano che un approccio mirato all’evoluzione delle tecnologie di interazione è strettamente orientato alla progettazione del rapporto tra gli utenti e la tecnologia per superare le barriere dovute sia all’ambiente fisico sia a quello virtuale.
Capitolo
17
Brain-computer interface: la nuova frontiera delle tecnologie assistive
E. Pasqualotto, S. Federici, M. Olivetti Belardinelli, N. Birbaumer
In questo capitolo, descriveremo cos’è un’interfaccia cervello-computer e come questa sia considerata una tecnologia assistiva. Inizialmente, porremo l’accento sulla definizione di questa TA: una BCI è un sistema di comunicazione indipendente dalle normali vie di comunicazione del cervello che sfruttano i nervi periferici e i muscoli. Spiegheremo poi le basi delle diverse tecniche di misurazione dell’attività cerebrale, ed evidenzieremo per ciascuna i vantaggi e gli svantaggi. Descriveremo l’evoluzione storica dagli anni Settanta fino ai progressi e le applicazioni più recenti. Illustreremo inoltre gli usi pratici delle BCI, quali la comunicazione, la riabilitazione motoria e i trattamenti clinici di sindromi non trattabili farmacologicamente. Infine, analizzeremo la prospettiva dal punto di vista delle tecnologie assistive e i requisiti per una valutazione dell’assegnazione dell’ausilio.
17.1 Che cos’è una brain-computer interface? Un’interfaccia cervello-computer (brain-computer interface, BCI) fornisce una connessione diretta tra il cervello e un dispositivo esterno, come per esempio un computer o qualsiasi altro sistema capace di ricevere un segnale in entrata. Nel giugno del 1999, si è svolto First International Meeting on Brain-Computer Interface Technology presso il Rensselaerville Institute (Albany, New York), al quale hanno preso parte circa cinquanta ricercatori provenienti da ventidue diversi gruppi di ricerca, il cui scopo è stato quello di esaminare lo stato dell’arte della ricerca sulle BCI e di definire un insieme condiviso di procedure, metodi e definizioni. Durante questo incontro, per esempio, è stata fornita una definizione di BCI che chiarisce che “un’interfaccia cervello-computer è un sistema di comunicazione indipendente dalle normali vie di comunicazione del cervello che sfruttano i nervi periferici e i muscoli” (Wolpaw et al., 2000). In una BCI, l’attività neuromuscolare non è necessaria per la produzione di un messaggio (Pasqualotto et al., 2012). Una BCI può essere considerata come una tecnologia assistiva (TA) che consenta a persone totalmente paralizzate o con gravi insufficienze motorie di comunicare. Normalmente, le TA vengono controllate dall’utente per mezzo dell’attività muscolare. Per questa ragione, persone affette da disabilità che portano a una progressiva e totale degenerazione muscolare, come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), corrono il rischio di non poter usufruire di nessun supporto alla comunicazione. Negli ultimi anni, tecnologie raffinate hanno permesso la realizzazione di diversi sistemi in grado di consentire un collegamento tra un cervello e una macchina quale
394 Capitolo 17
per esempio un computer. Una BCI utilizza l’attività elettrica, magnetica o metabolica generata dai neuroni, per inviare un impulso a una TA. Ciò solitamente avviene attraverso la misurazione dell’attività cerebrale per mezzo di tecniche elettrofisiologiche diverse, che sono comunemente distinte in letteratura tra invasive e non invasive (Lebedev e Nicolelis, 2006). L’approccio invasivo è caratterizzato da registrazioni intracraniche dell’attività elettrica, effettuate direttamente su assemblee di neuroni o su neuroni singoli. L’approccio non invasivo usa l’elettroencefalografia (EEG), la magnetoencefalografia (MEG) e la risonanza magnetica funzionale per immagini (functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) per consentire il controllo di un personal computer o di una periferica. Questo tipo di approccio viene utilizzato soprattutto per consentire a pazienti paralizzati di sviluppare una via di comunicazione con il mondo esterno (Wolpaw et al., 2002). La maggior parte della ricerca sulle BCI si focalizza soprattutto sull’utilizzo dell’EEG, che, oltre a essere considerata una tecnica a basso costo, è anche più facilmente trasportabile. Nella descrizione che verrà portata avanti in questo capitolo ci concentreremo soprattutto sulle BCI che utilizzano l’EEG, fornendo comunque alcune informazioni anche sulle BCI basate su altre tecniche. Dalle prime scoperte effettuate sugli impulsi cerebrali sono passati più di cent’anni (Swartz e Goldensohn, 1998), e più di trenta dal primo tentativo di creare un’interfaccia in grado di stabilire un rapporto diretto tra il cervello e una macchina. Nel corso degli ultimi vent’anni, le BCI hanno visto una notevole accelerazione dello sviluppo, con un numero sempre maggiore di gruppi di ricerca coinvolti in tutto il mondo. I sistemi basati su BCI consistono di due blocchi funzionali separati: un trasduttore, che traduce l’attività cerebrale di un utente in segnali utilizzabili, e una periferica (Mason, Jackson e Birch, 2005). Un trasduttore è composto da diverse parti (Figura 17.1). Normalmente, vengono utilizzati dei sensori per registrare l’attività cerebrale, i cui segnali hanno però un’ampiezza molto bassa e necessitano quindi di essere amplificati. Per essere utilizzati, questi segnali vengono ripuliti da possibili artefatti, come per esempio segnali muscolari o oculari. Infine, mediante algoritmi matematici, vengono isolate le specifiche caratteristiche del segnale che verranno utilizzate come impulso e trasmesse alla periferica, che le utilizzerà per svolgere una certa attività o funzione.
Figura 17.1 Normalmente, i sensori registrano l’attività cerebrale, che necessita poi di essere amplificata. Successivamente, questi segnali vengono ripuliti da possibili artefatti e, infine, vengono isolate le caratteristiche del segnale che verranno utilizzate come segnale di impulso.
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17.2 La misurazione dell’attività cerebrale 17.2.1 EEG L’elettroencefalografia è la misura dell’attività elettrica del cervello. Tale attività viene solitamente misurata per mezzo di elettrodi d’argento rivestiti di cloruro d’argento posizionati sullo scalpo, di dimensioni che variano dai 2 ai 12 millimetri. L’uso di tali elettrodi richiede che sia applicata, tra lo scalpo e l’elettrodo, una pasta conduttiva che riduce l’impedenza della pelle. Sono però in progettazione degli elettrodi speciali a secco, che eviterebbero l’uso della pasta conduttiva (Popescu et al., 2007). L’EEG registrato sullo scalpo riflette la somma dell’attività contemporanea di milioni di cellule piramidali. Come tutti i neuroni, quelle piramidali sono cellule eccitabili dai cambiamenti nel voltaggio che avvengono sulla loro membrana. A causa dell’attenuazione del segnale prodotto dai neuroni, è possibile registrare sullo scalpo solo il segnale che arriva dai dendriti. A causa di queste limitazioni nel segnale, l’EEG ha una buona risoluzione temporale ma una limitata risoluzione spaziale. Nonostante sia possibile registrare segnali nell’ordine di pochi millisecondi, la risoluzione spaziale è piuttosto bassa (nell’ordine di un centimetro), non permettendo quindi una corretta localizzazione del segnale (Tabella 17.1). Tabella 17.1 Confronto delle diverse tecniche di misurazione dell’attività cerebrale. L’EEG e la MEG hanno la migliore risoluzione temporale, mentre la MRI ha la migliore risoluzione spaziale. L’EEG è considerata una tecnica abbastanza trasportabile. La NIRS potrebbe essere considerata sufficientemente trasportabile, mentre la MEG e la fMRI non possono essere spostate. Risoluzione temporale
Risoluzione spaziale
Portabilità
Costo
EEG
~1 ms
~1 cm
Alta
Basso
MEG
~1 ms
~1 mm
Non portabile
Molto alto
fMRI
4-5 s